Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae. Vol. 24
 9788821010118

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MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXIV

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STUDI E TESTI ———————————— 529 ————————————

MISCELLANEA BIBLIOTHECAE APOSTOLICAE VATICANAE XXIV

C I T T À D E L VAT I C A N O B I B L I O T E C A A P O S T O L I C A V AT I C A N A 2018

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Pubblicazione curata dalla Commissione per l’editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian

Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va

—————— Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2018 ISBN 978-88-210-1011-8

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SOMMARIO

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B. AGOSTI – V. BALZAROTTI, La Deposizione per il cardinale Ferdinando de’ Medici e gli esordi romani di Scipione Pulzone . . . . . . . . . . . . . . . . .

7

I. AURORA, Le pergamene del legato Patetta. Modalità di formazione della raccolta e prime indagini su consistenza e tipologia documentaria: alcuni esempi da Padova, Vercelli, Siena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

19

C. CAMBRAI, Le carte di Castelvecchio nell’Archivio Barberini . . . . . . . . .

47

A. CAPORALI, Il Baliaggio di San Sebastiano e i ‘Beni di Toscana’ della famiglia Barberini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

69

M. G. CRITELLI, La vendita della biblioteca di Cassiano Dal Pozzo alla Vaticana e il ruolo di Clemente XI Albani. Circostanze poco note e documenti inediti (1703-1714) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

85

T. DANIELS, Die Bibliothek der Apostolischen Pönitentiarie im Pontifikat Innozenz’ VIII. Ein Beitrag zur Geschichte der Vatikanischen Bibliothek . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

115

M. DELL’OMO, Il messale-rituale di Leone Ostiense, Borg. lat. 211: il suo Ordo Missae, le litanie dei santi e il Libellus precum . . . . . . . . . . . . . .

183

E. DERIU, Abiti liturgici, curiali e religiosi in una raccolta (1699 ca.) di acquerelli del francescano Angelo Maria da Bologna (Vat. lat. 10998)

291

R. HISSETTE, À propos des manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 221. Nicoleto Vernia aurait-il écrit « non erant mei » ? . . . . . . . . . . . . . . . .

319

J. JIMÉNEZ LÓPEZ, Nicholas Trevet visualizado. El uso de las constelaciones en el Comentario a las Tragedias de Séneca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

329

F. MANZARI, Ancora miniature avignonesi nella Biblioteca Apostolica Vaticana: il “Maestro del Messale Rossell” e Bernard de Toulouse nel ms. Pal. lat. 965 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

359

I. MATHIAN, Il Fabretti de’ nostro dì. Gaetano Marini et l’inscription barbérinienne de l’empereur Claude (Vat. lat. 9106 – Barb. lat. 4325) . . . . .

375

A. MORELLI, Giovanni Antelli, «scrittor di musica» nella Roma del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

427

I. MORRESI, Un testimone dell’Historia Langobardorum appartenuto a Giordano Orsini: il Vat. lat. 4917 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

449

F. NIUTTA, Una sconosciuta versione latina di Giovanni Battista Gabia delle orazioni di Giorgio Scolario e della apocrifa difesa del Concilio di Firenze (ms. Bonc. A.4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

461

C. PASINI, Giovanni Mercati e il codice ravennate di S. Ambrogio . . . . . .

497

J. PLANAS, Entre Aviñón y Roma: un misal de la curia romana iluminado por un artista catalán en torno a 1400 (S. Maria Magg. 106) . . . . . . . .

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SOMMARIO

L. POLIDORO, Un Magnificat a otto voci composto da Nicola Porpora per il cardinale Enrico Stuart Duca di York (Vat. mus. 583) . . . . . . . . . . . .

587

A. RHOBY – P. SCHREINER, Antiquitates Constantinopolitanae im osmanischen Reich: Johannes Malaxos und seine Aufzeichnungen im Vat. Reg. Gr. 166 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

605

A. SPILA, Feste e tornei alla corte dei Barberini: Bernini e l’«ordigno del cavallo» nel giardino alle Quattro Fontane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

659

P. Vian, «Pel buon andamento» della Biblioteca Vaticana. Documenti relativi a Pio Martinucci, secondo (1850-1876) e primo custode (18761880) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

691

Indice dei manoscritti e delle fonti archivistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Indice degli esemplari a stampa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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LA DEPOSIZIONE PER IL CARDINALE FERDINANDO DE’ MEDICI E GLI ESORDI ROMANI DI SCIPIONE PULZONE * A Liliana Barroero 1. Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana si conserva una Deposizione su rame (Oggetti d’arte 35, cm 45 × 34 con cornice), racchiusa entro un tabernacolo in ebano, di fattura più tarda (fig. 2)1. Isidoro Carini la registrava come opera di Giorgio Vasari, pervenuta attraverso il lascito di monsignor Alessandro Asinari di San Marzano, vescovo di Efeso e in carica come primo Prefetto della Biblioteca dal 1855 al 1861, morto a Frascati nel 18762. Una memoria manoscritta firmata da monsignor Pio Martinucci (18121884), secondo Custode della Biblioteca (carica che ricoprì dal 1850 al 1876, per poi diventare primo Custode), ritrovata da Pico Cellini nel 1988 all’interno della cornice e cortesemente segnalata dal dottor Ambrogio Piazzoni, ribadisce la notizia e aggiunge alcune indicazioni sulla provenienza del rametto, raccolte evidentemente dallo stesso Asinari3. Risulta * Desideriamo ringraziare il dottor Ambrogio M. Piazzoni e la dottoressa Simona De Crescenzo per avere agevolato la nostra ricerca; Andrea De Marchi, promotore di approfondimenti sull’opera qui esaminata; Carlotta Brovadan, per gli aiuti nei riscontri sulla documentazione fiorentina. Il contributo è frutto di un lavoro comune, nella stesura la prima parte spetta a Barbara Agosti, la seconda a Valentina Balzarotti. 1 A. M. PIAZZONI, Roma e il papato nell’età delle Riforme e della Controriforma, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, II: La Biblioteca Vaticana tra Riforma Cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012, pp. 22-42: 34, fig. 9. 2 I. CARINI, La Biblioteca Vaticana, proprietà della Sede Apostolica. Memoria storica, Roma 1893, p. 144. 3 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 272, VI, f. 2r: «Il quadro, che rappresenta la deposizione dalla Croce con Pio Quinto, fu lasciato per testamento alla Biblioteca Vaticana da Mons. Alessandro Asinari di Sanmarzano Arcivescovo di Efeso e primo Custode della Biblioteca stessa, il quale morì in Frascati il 2 Luglio 1876. La pittura è di Giorgio Vasari. Mons. Corrado Asinari lo ebbe in dono dal Cardinal Ferdinando de’ Medici. Mons. Corrado Asinari occupò la carica di Governatore di Roma nel Pontificato di Gregorio XIII dal 29 Decembre 1576 al 29 Maggio 1589 in cui fu eletto Vescovo di Vercelli. Il card. Ferdinando de’ Medici fu creato Cardinale da Pio IV nel Gennaio 1549. Dimise il Cardinalato nel 1588. Sposò la Duchessa di Lorena e fu Gran Duca di Toscana. P. Martinucci 2° cust. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 7-17.

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Fig. 1 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stampe V.21: Cornelis Cort da Giulio Clovio, Deposizione.

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LA DEPOSIZIONE PER IL CARDINALE FERDINANDO DE’ MEDICI

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Fig. 2 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Oggetti d’arte 35: Scipione Pulzone, Deposizione (cm 45 × 34).

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di qui che la Deposizione, pure riferita a Vasari, venne donata dal cardinale Ferdinando de’ Medici a un antenato di Alessandro, Corrado Asinari (1533-1590), appartenente a una nobile famiglia di Asti, nominato da Pio V governatore di Faenza (1567), di Imola (1569), di Forlì (1571), quindi da Gregorio XIII, nel 1576, governatore di Roma e, nel 1588, vescovo di Vercelli, morto ad Asti nel 15904. Occorre in primo luogo rilevare che la composizione è fedelmente esemplata su una stampa di Cornelis Cort da Giulio Clovio pubblicata da Lafréry nel 1566 (fig. 1), variandola solo nell’inserto del ritratto di papa Ghislieri che sbuca sulla destra e in pochi dettagli5. Tali elementi circoscrivono l’esecuzione del rametto tra 1566 e 1572, estremi compatibili in effetti con una committenza da parte del cardinal Ferdinando a Roma e con l’ipotesi di un dono a Corrado Asinari prima della partenza dell’uno per Firenze, dove avrebbe assunto il titolo granducale, e dell’altro per la sede episcopale in Piemonte. I caratteri stilistici del dipinto tuttavia appaiono differenti da quelli di Vasari e della sua cerchia a queste date; siamo all’incirca al tempo delle grandi pale per Santa Maria Novella e Santa Croce a Firenze e delle molte opere realizzate per papa Ghislieri a Boscomarengo e a Roma. I modi più manierati e la ricercatezza, benché ormai stanca, dell’aretino sono distanti dalla pittura della Deposizione, caratterizzata da una pronunciata sinteticità e austerità, e da semplificazioni formali pur entro una pittura Della Bibl. Vat.». Per le notizie biografiche sul Martinucci: Ch. GRAFINGER, Monsignore Pio Martinucci und das Archiv der Präefektur der Biblioteca Vaticana in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 2 (1988), p. 23 nt. 6; e sull’Asinari: A. M. PIAZZONI, Il governo della Biblioteca Apostolica Vaticana (1451-2005), in J. MEJÍA, Ch. GRAFINGER, B. JATTA, I cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa. La quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2006 (Documenti e riproduzioni, 7), p. 387. 4 M. A. CUSANO, Discorsi historiali concernenti la vita, et attioni de vescovi di Vercelli espressi da Marc’Aurelio Cusano, canonico di Vercelli, Vercelli 1676, p. 321. L’esistenza di un busto ritratto di Corrado Asinari provvisto d’iscrizione che ne ricorda il cursus honorum sotto i pontificati Ghislieri, Boncompagni e Montalto, conservato nel seicentesco palazzo Asinari di San Marzano a Torino, collocato sul primo pianerottolo dello scalone, è segnalata da L. TETTONI, F. SALADINI, Teatro araldico ovvero Raccolta generale delle armi ed insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia, VI, Milano 1846, p.s.n., s.v. Asinari d’Asti. Sull’architettura del palazzo: M. V. CATTANEO, Palazzo Tapparelli d’Azeglio e palazzo Asinari di San Marzano, cantieri per architettura e decorazione, in Michelangelo Garove 1648-1713, un architetto per Vittorio Amedeo II, Atti del convegno internazionale, Torino, Venaria Reale, 10-12 dicembre 2009, a cura di P. CORNAGLIA, Roma 2010, pp. 221-226. 5 J. C. J. BIERENS DE HAAN, L’oeuvre gravé de Cornelis Cort graveur hollandais 1533-1578, Den Haag 1948, pp. 100-101; M. PELC, in Prints after Giulio Clovio, catalogo della mostra (Zagabria, Accademia Croata di Arti e Scienze, 22 ottobre – 22 novembre 1998) a cura di A. MOHOROVIÇIÒ, M. PELC, Zagabria 1998, pp. 49-51, nr. 9.

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finitissima, quasi da miniatura. E non è da escludere che l’attribuzione a Vasari sia stata determinata, più che dalla fisionomia dell’opera, dalla ben documentata relazione intercorsa tra l’artista e Pio V. Pur nella volontà di attenersi alla stampa, spiccano il viraggio iconico del prototipo e l’introduzione di minuzie e accidenti di realtà assenti nell’incisione, come per esempio i polsini e i colli di camicia di cui sono qui meticolosamente corredati la Vergine e le pie donne. L’enfasi pietistica con cui l’invenzione di Clovio è riletta appare evidente anche nella variante imposta alla gamba sinistra del san Giovanni, che nel dipinto è coperta da un decoroso panneggio fin quasi alla caviglia, mentre nell’incisione essa, nuda e tornita fino a metà coscia, va a toccare il braccio ricadente del Cristo morto. Da poco del resto, nei suoi Dialoghi sugli abusi dei pittori, dedicati al cardinale Alessandro Farnese e apparsi nel 1564, il canonico Andrea Gilio aveva ammonito gli artisti a evitare di rappresentare «le figure de santi nude, che sempre gli leverà gran parte de la riverenza che se li deve», e la successiva letteratura artistica controriformata stigmatizzerà espressamente l’uso «di dipingere le gambe ignude dei santi e delle sante ancora, e di rappresentargli in alcuni atti, e così vicine l’uno all’altre, che ne potrebbe risultare alcun sozzo pensiero»6. Anche la figura della Madonna nel passaggio dall’incisione alla pittura subisce una metamorfosi iconica, perdendo l’andamento sinuoso ed elegantemente fuori asse del corpo in favore di una posa più statica e meditativa, che epura le sue forme da ogni residuo di artificiosità manierista. Là dove emerge un’interpretazione del modello, per esempio nel volto della Madonna o nell’articolazione delle mani e dei panneggi, le più salienti affinità che pare di potere cogliere sono con il linguaggio di Scipione Pulzone (1540/1542-1598). Si tratterebbe, in tal caso, di una prova precocissima del pittore gaetano, agli esordi del servizio per il cardinal Ferdinando, destinato a diventare in breve tra i suoi maggiori promotori e committenti sul mercato romano; ed è peraltro documentata poco più avanti la produzione per lui, da parte di Scipione, di piccoli dipinti su rame, e su argento, entro tabernacoli di ebano7. Così come ben attestata è l’usanza del cardinale di utilizzare 6 G. A. GILIO, Dialogo nel quale si ragiona de gli errori de’ pittori circa l’historie, con molte annotazioni fatte sopra il Giudizio di Michelagnolo, in Trattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, II: Gilio, Paleotti, Aldrovandi, a cura di P. BAROCCHI, Bari 1961, p. 80; F. BORROMEO, Della pittura sacra libri due, a cura di B. AGOSTI, in Quaderni del seminario di Storia della critica d’arte, Scuola Normale Superiore di Pisa 4 (1994), p. 25. 7 A. CECCHI, La collezione di quadri di Villa Medici, in Villa Medici. Il sogno di un cardinale. Collezioni e artisti di Ferdinando de’ Medici, catalogo della mostra (Roma, Accademia di Francia, 18 novembre 1999 – 5 marzo 2000) a cura di M. HOCHMANN, Roma 1999, p. 60; L. GOLDENBERG STOPPATO, Pulzone e i Medici. Regesto di documenti, in Scipione Pulzone. Da

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questo genere di opere come doni con varie funzionalità diplomatiche8. I dati di contesto collimerebbero con questa ipotesi. Il giovane Pulzone, infatti, documentato a Roma nel 1567, fin dal 1568 era stato attivo per il cardinale, che nel maggio di quell’anno gli versava una modesta cifra, per un’opera ignota, ritenuta da Antonio Vannugli «probabilmente di riproduzione data l’esiguità della somma»9. Sotto il profilo stilistico il riscontro può fondarsi solo su opere assai più tarde del pittore, dove si trovano tratti suoi tipici che appaiono già presenti, ad un minor grado di definizione, nel rametto della Biblioteca Vaticana. 2. La costruzione del volto della Vergine con il taglio rigido del naso, gli occhi rivolti verso il basso, i lievi rossori sulle palpebre ampie e sulle gote, la profilatura netta delle sopracciglia e l’espressione compunta preludono a fisionomie più mature che ricorrono nella produzione di Pulzone, ponendosi agli albori di una sequenza evolutiva che prosegue nella santa Chiara della pala proveniente dalla chiesa cappuccina di San Bonaventura a Roma e oggi a Ronciglione (c. 1581), nella Madonna delle Trafalgar Galleries firmata e datata 1583, nell’Annunciata già a Gaeta (Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, 1587), nella pala di Mistretta (1588) e ancora oltre nella Sacra Famiglia della Galleria Borghese (figg. 3-4)10. La pia donna sulla sinistra col capo reclino è una coerente premessa per la sua omologa nella Pietà realizzata per la chiesa del Gesù (New York, Metropolitan Museum, 1593)11, dove ritornano l’orecchio aderente al volto e la mano incavata a sostegno della testa (figg. 5-6), mentre la raffinata trasparenza del velo preannuncia il virtuosismo di quelli più inamidati delle già Gaeta a Roma alle Corti europee, catalogo della mostra (Gaeta, Museo Diocesano, 23 luglio – 23 ottobre 2013) a cura di A. ACCONCI, A. ZUCCARI, Roma 2013, p. 112. 8 S. BUTTERS, The uses and abuses of gifts in the world of Ferdinando de’ Medici (15491609), in I Tatti Studies in the Italian Renaissance 11 (2007), pp. 243-354. 9 Archivio di Stato di Firenze, Depositeria generale Parte Antica 423, c. 186r: «Adì 8 [maggio] detto scudi 10 d’oro in oro a m[aestr]o Scipione di Gaeta per parola di S[ua] S[ignoria] I[llustrissima] come disse m[onsignor] Bartolomeo Giugni per noi dal Bellotto auta 10 magio». Il pagamento è stato reso noto da CECCHI, La collezione, p. 60 ma senza tenere conto del calendario fiorentino. È ridiscusso da A. VANNUGLI, in Scipione Pulzone ritrattista, in Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., p. 28; ID., Alle origini di Scipione Pulzone: il punto sugli estremi biografici e sui componenti della famiglia, in Scipione Pulzone e il suo tempo, a cura di A. ZUCCARI, Roma 2015, p. 43. Si segnala che il pagamento a Scipione in data 8 maggio 1569 è stato correttamente riferito in S. BUTTERS, E. FUMAGALLI, S. DESWARTEROSA, La Villa Médicis, V: Fonti documentarie, Roma 2010, p. 101, nr. 227. 10 A. DERN, Scipione Pulzone (ca. 1546-1598), Weimar 2003, pp. 124-126, nr. 30; p. 126, nr. 31; pp. 150-152, nr. 45; pp. 152-153, nr. 46; pp. 157-158, nr. 50; pp. 162-163, nr. 54; Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 294-297, nr. 17; pp. 302-303, nr. 19; pp. 334-337, nr. 27; pp. 338-341, nr. 28; pp. 344-347, nr. 30. 11 Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 362-366, nr. 35.

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Fig. 3 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Oggetti d’arte 35: Scipione Pulzone, Deposizione (part.).

Fig. 4 – Roma, Galleria Borghese: Scipione Pulzone, Sacra Famiglia (part.).

Fig. 5 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Oggetti d’arte 35: Scipione Pulzone, Deposizione (part.).

Fig. 6 – New York, Metropolitan Museum: Scipione Pulzone, Pietà (part.).

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citate Madonne di Capodimonte e della Borghese. Sempre nella più tarda pala newyorkese si coglie ad anni di distanza la stessa sgrammaticatura anatomica del ginocchio appuntito del Cristo, reso con un improbabile angolo retto. Pure specificamente del gaetano è la fissazione per la biancheria che sbuca da maniche e scolli, fino al memorabile Dio Padre dell’Annunciazione napoletana in camicia e giubbetto, e per le impunture precise che saldano le maniche degli abiti, come si vede nella Santa Prassede di Castrojeriz, nella Maddalena della più tarda Deposizione e ancora nella Madonna della Assunzione di Santa Caterina dei Funari, opera estrema di Scipione12. Il chiarore crepuscolare, abbacinante e aranciato, che squarcia l’azzurro del cielo contro cui si imprime il paese sul fondo è il medesimo che sta alle spalle della Maddalena penitente di San Giovanni in Laterano (documentata c. 1574-1575) e di tante opere successive del pittore13 (figg. 7-8). A quest’ultimo dipinto il rametto si apparenta anche in alcuni brani di panneggio, come per esempio il manto giallo oro del san Giovanni che forma pieghe spesse, rilevate da una costola luminosa, in modo del tutto simile a quanto accade lì sul grande drappo in cui è avvolta la santa o nelle fattezze del piede che spunta dal panno giallo (figg. 9-10). E d’altra parte, intorno ai primi anni settanta è stato collocato il ritratto di Pio V della Galleria Colonna, da cui dipende in tutto, in posa speculare, quello presente nel rametto14. L’affinità non è solo nella caratterizzazione fisiognomica del pontefice, ma anche nella resa delle screziature di luce sul rosso fondo del velluto e delle increspature fitte della tonaca e nella restituzione puntigliosa del bordo di ermellino e finanche delle asole. Le due effigi condividono anche l’attenzione per gli arrossamenti del volto e delle mani, ottenuti con tocchi appena percettibili, mentre il trattamento in punta di pennello della barba di Pio V si accomuna a quello del cardinale Ricci del Fogg Art Museum di Cambridge datato 156915. La perizia che l’artista dispiega nella resa dei capelli ramati e filamen12 DERN, Scipione Pulzone cit., pp. 155-156, nr. 49; 178-179, nr. 69; Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 348-350, nr. 31; pp. 362-366, nr. 35; pp. 380-383, nr. 40. La peculiare attenzione di Pulzone per le «confezioni sartoriali» è stata rilevata da S. CAUSA, Un disegno di Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone a Vienna, in Paragone 48 (1997), p. 83. 13 DERN, Scipione Pulzone cit., pp. 107-109, nr. 17; Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 266-269, nr. 9. 14 DERN, Scipione Pulzone cit., pp. 104-105, nr. 13; Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 254-255, nr. 5; M. V. FONTANA, in L’Eterno e il tempo. Da Michelangelo a Caravaggio, catalogo della mostra (Forlì, Musei di San Domenico, 10 febbraio – 17 giugno 2018) a cura di A. BACCHI, D. BENATI, A. PAOLUCCI, P. REFICE, U. TRAMONTI, Cinisello Balsamo 2018, p. 383, nr. 87. 15 Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma cit., pp. 246-249, fig. 1.

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Fig. 7 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Oggetti d’arte 35: Scipione Pulzone, Deposizione (part.).

Fig. 9 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Oggetti d’arte 35: Scipione Pulzone, Deposizione (part.).

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Fig. 8 – Roma, San Giovanni in Laterano: Scipione Pulzone, Maddalena penitente (part.).

Fig. 10 – Roma, San Giovanni in Laterano: Scipione Pulzone, Maddalena penitente (part.).

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tosi della Maddalena, nelle sapienti pennellate che definiscono la barba di Cristo e la capigliatura del san Giovanni, la fusione tra ocra e ceruleo nel manto della pia donna e la finezza del cangiantismo su quello rosa della Maddalena mostrano l’impegno profuso dal pittore nell’esibire le proprie capacità rispetto a un modello dato. Per mezzo di un’abile regia cromatica, di una pittura minuziosissima di virtuosità fiamminga, ma più sontuosa nel gusto della preziosità della materia, il giovane Pulzone non ambisce semplicemente a soddisfare il cardinal Ferdinando, ma a procurarsene il favore. In questa primizia del gaetano sono insomma già in nuce i mezzi espressivi individuati da Zeri come qualificanti della pittura di Scipione, quella «meticolosa minuzia nel rendere i dettagli sia del fisico che delle fogge» unita a una «calma e precisa essenzialità» e a una pronunciata sensibilità per un «lenticolare verismo epidermico»16. Nella prima produzione di Pulzone, non privo di significato è il riferimento all’invenzione di Giulio Clovio, artista che vantava, a partire dal pontificato di Clemente VII, una lunga carriera nell’Urbe, buona parte della quale al servizio del cardinal Farnese, ma attivo proprio in quegli anni anche per Francesco I de’ Medici17. Il miniatore croato, a seguito della scomparsa di artisti della caratura di Francesco Salviati e Taddeo Zuccaro, costituiva a queste date un fondamentale punto di riferimento sulla scena artistica romana, come ben suggellano le parole di Vasari nell’edizione giuntina delle Vite18. Dopo le grandi imprese degli anni quaranta condotte per il cardinale Alessandro caratterizzate da un’esuberanza decorativa senza pari, come il Libro d’ore Farnese (oggi alla Pierpont Morgan Library di New York), Clovio, ormai vecchio, aveva avviato una collaborazione con Cornelis Cort alla metà del 1566 per tradurre a stampa alcuni dei propri disegni, tra cui la Pietà che servì da modello al giovane gaetano, che segna 16

F. ZERI, Pittura e Controriforma. L’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Roma 1957, pp. 15, 20. 17 Si veda in proposito il carteggio intercorso nel 1567 tra Giorgio Vasari, Vincenzo Borghini, Giulio Clovio e lo stesso Francesco I in M. PELC, Fontes Clovianae. Julije Kloviò u dokumentima svoga doba, Zagabria 1998, pp. 197-199. 18 J. J. G. ALEXANDER, Giulio Clovio «pictor nulli secundus», in Il Lezionario Farnese, a cura di J. J. G. ALEXANDER, Modena 2008, pp. 11-15; G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. BETTARINI, commento secolare di P. BAROCCHI, VI, Firenze 1984, p. 219: «Ora, ancorché don Giulio sia vecchio e non studi, né attenda ad altro che procacciarsi, con opere sante e buone e con una vita tutta lontana dale cose del mondo, la salute dell’anima sua, e sia vecchio affatto, pur va lavorando continuamente alcuna cosa là dove stassi in molta quiete e ben governato nel palazzo de’ Farnesi, dove è cortesissimo in mostrando ben volentieri le cose sue a chiunche va a visitarlo e vederlo, come si fanno l’altre maraviglie di Roma».

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un momento di passaggio verso composizioni più essenziali in linea con i precetti post tridentini19. Da Clovio Scipione pare mutuare ben più della composizione, gareggiando con lui nell’abilità miniaturistica e ispirandosi all’acida tavolozza cromatica che caratterizzava i quadretti commissionati anche al miniatore come doni diplomatici. Il cangiantismo nella veste della pia donna a sinistra riprende quello adottato in molti panneggi cloviani che trapassano dall’oro all’azzurro o al viola, mentre il modello delle Madonne completamente avviluppate in smaglianti manti cerulei viene qui interpretato con una semplificazione iconica che rende il piccolo rame della Biblioteca Apostolica Vaticana l’anello di congiunzione tra due stagioni, quella della più felice Maniera e quella «senza tempo» di Scipione da Gaeta.

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PELC, in Prints after cit., p. 17: «In his late print designs, Clovio behaves in complete accordance with the expectations of the religious revival. In other words, his clear and transparent composition with simple posture of characters wants to express intimate and deep feelings regarding the life of Christ, with the 1566 “Pietà” possibly the best example of the kind. Free of any ancient reminiscence, it does not resort to showy drawings effects of High Mannerism. Clovio opted of a sort of “natural” simplicity of drawing and expression, which seems to have relieved itself of both Classicist and Mannerist obligations. What is more, his style is still not burdened with a calculated, artificial “chastity” and sirupy emotions of “timeless art” cultivated in the bosom of the Catholic Reformation, with Scipione Pulzone as its main representative. In a way, Clovio’s drawings for engravings from the late sixties defy contemporary stylistic categories».

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LE PERGAMENE DEL LEGATO PATETTA. MODALITÀ DI FORMAZIONE DELLA RACCOLTA E PRIME INDAGINI SU CONSISTENZA E TIPOLOGIA DOCUMENTARIA: ALCUNI ESEMPI DA PADOVA, VERCELLI, SIENA A Christine Maria Grafinger, preziosa collega e amica negli anni trascorsi alla Biblioteca Vaticana, grata per la competenza scientifica che mi ha sempre offerto con liberalità

Il fondo denominato Pergamene Patetta è costituito da una collezione di pergamene riunita dallo storico del diritto Federico Patetta (1867-1945) che comprò e accumulò nel corso della sua vita anche manoscritti, autografi, interi archivi privati, o quanto di essi era sopravvissuto, e materiali a stampa. L’enorme quantità di materiale manoscritto assemblato fu poi donato per legato testamentario alla Biblioteca Vaticana ed entrò a fra parte delle sue collezioni nel 19461. La scelta di destinare l’ingente documentazione manoscritta alla Vaticana fu determinata dalla volontà del testatore di preservare integra e unita la sua collezione, sebbene contribuì non poco alla scelta dell’istituzione l’amicizia e la comunanza di lunga data con Giovanni Mercati, prefetto della biblioteca e in seguito cardinale bibliotecario e archivista2. 1 Il testamento datato 6 maggio 1935 è edito in I. SOFFIETTI, Federico Patetta (1867-1945). Il testamento, in Rivista di storia del diritto italiano 78 (2005), pp. 379-382. Le carte riguardanti la storia di Cairo Montenotte, suo paese natale, furono versate alla Biblioteca Vaticana solo il 21 luglio 1964. Sulla storia di questa successiva acquisizione cfr. M. BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ alla Biblioteca Apostolica Vaticana: bilanci e prospettive, in Federico Patetta: 150 anni dalla nascita. Convegno di studi, Torino, 6 aprile 2017 (in corso di stampa). Ringrazio Marco Buonocore per avermi fatto leggere in anteprima il suo contributo. Dal lascito testamentario alla Vaticana furono esclusi i libri a stampa che egli invece legò alla biblioteca della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, sua sede di insegnamento universitario. Sull’eredità culturale del Cairese cfr. da ultimo il convegno Federico Patetta: 150 anni dalla nascita cit., organizzato dall’Università di Torino e dall’Accademia delle Scienze di Torino. I contributi sono disponibili online all’indirizzo: http://www.accademiadellescienze. it/attività/iniziative-culturali/federico-patetta-06-04-17 (ultimo accesso marzo 2018). 2 Sulle relazioni tra Giovanni Mercati e Federico Patetta rimando a BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ cit.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 19-45.

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Alla morte di Patetta le relazioni tra gli eredi e l’allora prefetto Anselmo Maria Albareda, in rapporto al compimento del legato testamentario e all’organizzazione del trasferimento del materiale documentario da Cairo Montenotte in Vaticano, furono tenute da Tammaro De Marinis, studioso di storia del libro e soprattutto appassionato bibliofilo e raffinato collezionista, in virtù non soltanto della sua esperienza di antiquario, bensì in qualità di amico di Patetta e della famiglia; furono infatti gli eredi a incaricarlo di procedere agli accordi con l’istituzione vaticana. Il bibliografo e lo storico del diritto erano accomunati dalla passione per i manoscritti e per i libri, nonché entrambi avevano costituito una collezione antiquaria; questo interesse condiviso aveva creato frequenti contatti tra loro e consolidato un’amicizia3. Molte pergamene, entrate a far parte della collezione, furono acquistate proprio dalla libreria di Tammaro De Marinis, come testimoniano le note autografe di Patetta vergate a tergo di alcuni documenti. Egli raramente annotava sulle pergamene, o sulle cartelline in cui le riponeva, i dati relativi all’acquisto, poiché disponeva di un registro di entrata di tutto il materiale acquistato, di qualsiasi genere esso fosse, in cui segnava il numero d’ordine, che poi riproduceva identico sulla pergamena, la data, un breve regesto, il prezzo e talvolta informazioni relative alle modalità con le quali ne era venuto in possesso4. Il catalogo purtroppo non fu compilato in modo meticoloso e sistematico, di conseguenza i documenti privi di numero d’ordine mancano anche di qualsiasi indicazione che permetta di seguire un itinerario di vendita o, talvolta, di provenienza. Non escluderei, quindi, che Patetta avesse comprato da De Marinis molto altro materiale, rispetto a quello ora individuabile, poiché l’antiquario era noto tra i collezionisti per disporre nella sua libreria di pezzi preziosi e rari, reperiti da altri collezionisti, da biblioteche private e pubbliche, da archivi di famiglia; materiale che egli otteneva utilizzando abilmente le sue arti persuasive e le sue doti di erudito commerciante5. 3 Lo storico piemontese aveva inviato a De Marinis gli estratti di due suoi scritti sulla Nencia da Barberino con dedica autografa, cfr. Aste Bolaffi Ambassador, Asta 705, lotto 289 del 10 giugno 2011. Sull’amicizia tra Patetta e De Marinis si veda R. DE MAIO, Federico Patetta, in Studi di bibliografia e di storia in onore di Tammaro De Marinis, Verona 1964, I, pp. IXXXXVIII, in specie p. XVIII. Il ruolo di De Marinis nell’adempimento del lascito Patetta alla Biblioteca Vaticana è attestato da alcune lettere intercorse tra lui e il prefetto Anselmo Maria Albareda che sono conservate nell’Archivio della Biblioteca (BAV, Arch. Bibl., 206, interno A, ff. 243r, 252r, 261r) e trascritte in BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ cit. 4 Si è conservato un solo registro di entrate relativo agli anni 1913-1940, cfr. BAV, Dipartimento Manoscritti, Sezione Archivi, Catalogo di libri, copia fotostatica dell’originale custodito a Torino nella biblioteca universitaria «Federico Patetta» afferente al Dipartimento di Scienze Giuridiche. 5 F. BARBIERI, Schede di un bibliotecario (1933-1975), Roma 1984, pp. 122, 196. I com-

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1. La documentazione del lascito Patetta: ipotesi sulla sua formazione e prima sistemazione in Vaticana Nella Vaticana si iniziò a organizzare la complessa e numerosa raccolta manoscritta giunta da Cairo Montenotte solo a partire dal 1962. I codici andarono a formare il fondo Patetta, Manoscritti, e si provvide in tempi brevi alla redazione di un catalogo6; il restante materiale fu descritto e assemblato in diverse sezioni. Patetta aveva riunito la documentazione in un unico grande contenitore virtuale e aveva fatto approntare cartelline morbide, in colore carta da zucchero, con la dicitura «Autografi e documenti raccolti da Federico Patetta» sulle quali annotava talvolta solo la data del pezzo, altre volte si dilungava con commenti di natura storica o giuridica, appuntava notizie biografiche, in alcuni casi estese in altri sintetiche; oppure una minima bibliografia di riferimento. Sotto la generale denominazione di «Autografi e documenti» quindi egli aveva collocato tutto quanto andava acquistando: dalle pergamene, ai documenti d’archivio, alle lettere autografe, agli statuti, a lacerti di manoscritti contenenti cronache, ai documenti notarili, vescovili, ducali, alle lettere di dogi di Venezia, alle notizie genealogiche, ai ritagli di giornale, agli stampati7, abbracciando un arco cronologico molto vasto che giungeva fino ai suo tempi. La grande cultura gli permetteva di muoversi con competenza ed erudizione tra antiquari privati e collezionisti, tuttavia la passione per i testi antichi lo spingeva spesso ad acquistare in maniera compulsiva quanto riusciva a trovare sul mercato antiquario. Aveva raccolto, insieme a tanti manoscritti di pregio, anche documenti notarili mutili, singole pagine sottratte a codici, pergamene dilavate, sigilli staccati dai documenti originali. All’interno di questa composita massa documentaria Patetta aveva creato due consistenti e diversificate suddivisioni8 da lui denominate «Pergameportamenti spregiudicati nel campo del reperimento e vendita di materiale antico avevano procurato al De Marinis problemi con la giustizia; cfr. A. VIGEVANI, La febbre dei libri. Memorie di un libraio bibliofilo, Palermo 2000, pp. 80-85, p. 251; F. PETRUCCI NARDELLI, Tammaro De Marinis, in Collezionismo, restauro e antiquario librario. Convegno internazionale di studi e aggiornamento professionale per librai antiquari, bibliofili, bibliotecari conservatori, collezionisti e amatori di libri, Spoleto, Rocca Albornoziana, 14-17 giugno 2000, a cura di M. C. MISITI, Milano-Spoleto 2002, pp. 77-105: 81-82. 6 I cataloghi dei 4688 manoscritti furono approntati tra il 1970 e il 1976 a opera di Louis Duval-Arnould, Marie-Madeleine Lebreton, Agostino Paravicini Bagliani e Luigi Fiorani. I cataloghi dattiloscritti sono consultabili in Vaticana, Inventario dei manoscritti Patetta, I-IX (BAV, Sala cons. mss. 438 (1-9) rosso). Sulla formazione di questi cataloghi rimando a BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ cit. 7 Si veda L. GIACHINO, Frammenti di incunaboli e di stampati nella Raccolta Patetta 421, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 23 (2017) (Studi e testi, 514), pp. 287-318. 8 Le ipotesi qui formulate intorno alle modalità di conservazione della documentazione

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ne» e «Scrittori italiani»; ambedue le sezioni sono state mantenute nel riordinamento compiuto in Vaticana, benché la seconda abbia cambiato denominazione, mutuando il titolo dalla originaria e onnicomprensiva raccolta, in «Autografi e documenti»9. Egli inoltre divise i documenti in sezioni di minore consistenza, quali per esempio: Papi (talvolta usava la variante Bolle pontificie), Venezia (anche Dogi di Venezia, Ducati di Venezia), Carte marchesi Rangoni, Salmatoris10, Famiglia Silvestri patrizia di Cingoli, Marchesi di Saluzzo, Casa di Savoia; tali voci furono in parte riutilizzate nell’ordinamento definitivo e in parte assorbite sotto nuovi titoli di più ampio respiro. È possibile sostenere ciò con certezza, poiché su molte cartelline originarie sotto la consueta dicitura a stampa «Autografi e documenti raccolti da Federico Patetta», egli scrisse a mo’ di sottotitolo proprio questi lemmi. Tuttavia una consistente parte di materiale rimase fuori da queste partizioni di massima, benché, suppongo, i documenti provenienti da un medesimo archivio, che si contraddistinguono ancora adesso per essere custoditi in cartelline identiche ed essere annotati dalle stesse mani, rimasero a formare sezioni a se stanti11. Allo stesso modo mantenne coesi gli archivi di famiglia, come quello degli Alfieri di Magliano e dei Calori Cesi12, e le raccolte, quali per esempio la Amoretti, ottenuta per il tramite di Tammaro De Marinis13, manoscritta da parte di Federico Patetta sono il risultato di una osservazione diretta compiuta sui documenti e sugli appunti di sua mano vergati a tergo dei documenti e sulle cartelline contenitrici. L’intero materiale da lui donato giunse in biblioteca sprovvisto di strumenti di corredo, di elenchi di versamento e privo di relazioni scritte intorno alla tipologia della ingente raccolta. 9 Notizie sulla attuale serie Autografi e documenti sono in BUONOCORE, Federico Patetta e il ‘Lascito’ cit. 10 Nel 1913 Patetta comprò «gli avanzi dell’archivio Salmatoris di Cherasco» come egli stesso scrisse. L’archivio occupa oggi cinquanta buste non inventariate e non consultabili; cfr. BAV, Raccolta Patetta, 88-138. 11 Si vedano a titolo di esempio i documenti relativi all’Arte dei pescatori di Bologna, tutti legati in cartelline azzurre recanti il medesimo decoro e annotate dalla stessa mano; cfr. BAV, Patetta 3251-3328. 12 Ciascuna unità archivistica dell’archivio della famiglia modenese dei Calori Cesi (BAV, Patetta 3439-3713) presenta un talloncino cartaceo con il nome della famiglia, il numero di filza e quello di protocollo. Patetta acquistò l’archivio nella sua interezza, compresi i registri di inventario del posseduto. I documenti appartenuti agli Alfieri di Magliano (ibid., 44634609), antica famiglia di Asti, che a metà del Duecento fece la sua ricchezza con attività di commercio e di cambiavalute, sono inseriti in cartelle dotate di segnatura e regesto. 13 Si tratta della raccolta di Giambattista Amoretti che conserva per la maggior parte il carteggio di questi con alcune personalità del suo tempo, come il cardinale Giulio Mazzarino; cfr. BAV, Patetta 3714. Tammaro De Marinis in una lettera del 2 aprile 1918 informò Patetta della vendita di tale raccolta; cfr. ibid., f. 1r. L’abate Giambattista Amoretti, uomo di corte ed elemosiniere della duchessa Cristina di Borbone, fu incaricato di numerose missioni in Francia, durante le quali si conquistò la fiducia del cardinale Giulio Mazzarino; cfr. E. FASANO GUARINI, Amoretti, Giovan Battista, in DBI, 3, Roma 1961, pp. 10-11. Egli, insieme al cardi-

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la Daugnon14 e, solo in parte, quanto aveva acquistato della collezione dell’avvocato torinese Giovanni Larghi. I documenti di quest’ultima raccolta, che Patetta probabilmente rilevò quasi interamente poiché entrò in possesso anche dei registri di ingresso15, sono tutti dotati a tergo di un talloncino con il nome del collezionista e il numero d’ingresso del pezzo, e sono inseriti in una cartellina avorio sulla quale la data, topica e cronica, e un dettagliato regesto sono stati vergati sempre dalla medesima mano. Alla morte di Patetta il sopralluogo effettuato dal suo libraio di fiducia, incaricato da Felice Vincenzo Gilardi, parroco di Cairo Montenotte, al fine di stilare una nota informativa da inviare al prefetto Albareda registra trecentocinquanta cartelle contenenti autografi di personaggi famosi «divisi per materia, varie antiche pergamene e una grande quantità di manoscritti non ancora divisi»16. Nel trasferimento dell’intera collezione in Vaticana purtroppo anche la minima organizzazione appena descritta andò persa. L’intera raccolta, comprensiva di codici e di carte manoscritte, fu «scaricata alla rinfusa nel magazzino della Biblioteca e giacque abbandonata per anni», le pergamene, come le carte, furono depositate in mucchi negli scaffali e sul pavimento; così descriveva la situazione lo scriptor Latinus Luigi Berra, il primo a occuparsi della donazione Patetta. Egli aveva ricevuto l’incarico di ordinare i codici rilegati e dopo aver terminato l’inventario decise, in autonomia, di dedicarsi al resto della documentazione manoscritta: carte di ben maggiore consistenza e «più importanti e preziose dei codici»17. nale, condusse le trattive per il matrimonio di Carlo Emanuele II con Francesca di Borbone Orléans, cfr. P. BIANCHI, Politica matrimoniale e rituali fra Cinque e Settecento, in Le strategie dell’apparenza. Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in età moderna, a cura di P. BIANCHI – A. MERLOTTI, Torino 2010, pp. 39-72: 52. 14 I documenti raccolti da Francesco Foucault de Saint Germain-Beaupré conte di Daugnon erano custoditi, e lo sono tuttora, in cartelline sulle quali è stampigliato il titolo: «Raccolta Daugnon». Notizie sulla raccolta corredate dall’inventario delle carte sono in M. BUONOCORE, Francesco Focault di Daugnon e la sua Raccolta alla Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 16 (2009) (Studi e testi, 458), pp. 7-151. 15 La Sezione Archivi della Biblioteca Vaticana conserva, tra le carte di Patetta, due registri della collezione Larghi: «Elenco dei documenti contenuti nella collezione di autografi del sig. avvocato Larghi Giovanni». 16 BAV, Arch. Bibl., Posizione Patetta, 2 dicembre 1945. 17 Ibid., La Raccolta Patetta alla Biblioteca Vaticana. Si tratta di una relazione che Luigi Berra scrisse il 21 novembre 1962 subito dopo il suo pensionamento, in cui egli, dopo aver descritto sommariamente le condizioni in cui era arrivato tutto il materiale di proprietà di Patetta, ricorda l’incarico, ricevuto dal prefetto Albareda, di redigere un indice sommario dei manoscritti e il lavoro, compiuto su sua iniziativa personale, di ordinamento della restante documentazione. Egli descrisse la Raccolta come composta di «oltre mille e cinquecento codici di vario valore, tra i quali un gruppo molto prezioso di statuti; di circa mille malloppi di carte e di autografi di grande valore storico e di un gran numero imprecisato di pergamene».

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Luigi Berra dunque nel procedere allo spoglio delle carte, esaminò e divise i documenti «per affinità di argomento o per provenienza»18 e costituì con essi «circa mille grosse cartelle», dove ancora oggi essi sono in parte conservati: «Credo di aver man mano vedute e rivedute e spolverate e raggruppate circa due tonnellate di carte e forse più»19. Lo stesso Berra formulò, nel corso del lavoro durato parecchi anni, diversi titoli sintetici sotto cui raccolse le migliaia di carte che andava esaminando e così si formarono le sottoserie: Città, Stati estensi, Famiglie, Lombardo-Veneto, Ordine Mauriziano, Risorgimento e molte altre20. Il lavoro avviato necessitava tuttavia di ulteriori approfondimenti, per affinare l’organizzazione del materiale prima di giungere a un ordinamento definitivo e procedere così alla compilazione di un inventario, come sottolineava lo stesso Berra, nel frattempo giunto al pensionamento. Sulla base di questo preliminare spoglio, del quale non possediamo alcuna documentazione scritta21, il domenicano Marie-Hyacinthe Laurent, al quale il prefetto Albareda aveva affidato nel 1962 il lavoro dopo la quiescenza di Berra22, perfezionò l’ordinamento dell’intero corpus manoscritto e compilò l’inventario sommario delle cartelle23. 18 Le annotazioni, poste da Patetta sulle cartelline che custodivano i documenti, guidarono, almeno in parte, il riordinamento effettuato in Vaticana. 19 BAV, Arch. Bibl., Posizione Patetta cit. 20 È stato possibile formulare tali ipotesi grazie all’esame delle cartelle che costituiscono oggi la Raccolta Patetta, formata da ciò che rimase dell’intera raccolta documentaria di Patetta dopo l’impoverimento dei documenti estratti per formare manoscritti. La Raccolta, ordinata ma non ancora inventariata, conserva tuttora al suo interno ricordo delle varie fasi di riordinamento, cioè le cartelline di lavoro utilizzate e annotate da Berra per dividere i documenti; esse sono state invece eliminate dalla documentazione confluita nei manoscritti. Per la mano di Luigi Berra si veda BAV, Arch. Bibl., 247, f. 183r. Nella Raccolta, come nella serie pergamenacea in fase di ordinamento, sono conserte ancora le tantissime cartelle con annotazioni autografe di Patetta, non più esistenti nella prima serie di pergamene e nei faldoni che sono andati a implementare i manoscritti Patetta. 21 Nulla è conservato del lungo, difficile e meticoloso lavoro di riordino dei documenti compiuto da Berra. Egli non lasciò alla Biblioteca le sue schede e gli appunti, in quanto il prefetto Albareda non gli consentì di continuare il lavoro anche dopo il pensionamento, come egli stesso racconta. Tuttavia il lavoro è attestato da poche schede di spoglio relative a una parte della documentazione che costituisce ora la Raccolta Patetta; cfr. BAV, Deposito C 41, Carte Berra. 22 È quanto ricorda lo stesso Laurent nell’introduzione a Federico Patetta. Discorso pronunciato nella ricorrenza del 1° centenario della fondazione della deputazione di storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, in Bollettino storico-bibliografico subalpino 63 (1965), pp. 5-34: 6. 23 In un dattiloscritto di poche pagine, in calce all’elenco delle sezioni in cui fu divisa l’originaria raccolta «Autografi e documenti raccolti da Federico Patetta», si leggono alcuni suggerimenti in vista dell’ordinamento definitivo, quali per esempio, la necessità di «compilare un breve indice-sommario per ogni cartella». La relazione, priva di data e di firma, potrebbe essere attribuita a Laurent ed essere stata scritta in un momento subito successivo alla presa

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L’inventario, rimasto dattiloscritto e conservato in Vaticana, non è firmato e non ha annotazioni introduttive che possano in qualche modo rimandare alla data e al compilatore; esso è però comunemente attribuito a Laurent24. In effetti nell’ottobre 1963 Laurent chiese a Guido Astuti, allievo di Federico Patetta, di scrivere una biografia e bibliografia del maestro da porre a introduzione del primo volume dell’«Inventario dell’Archivio Patetta». Laurent, per facilitare il lavoro di Astuti, si offrì di aiutarlo nella consultazione delle carte depositate in Vaticana, nonostante fosse «un peu écrasé par l’organisation matérielle du ce fonds et par la rédaction de l’inventaire»25, e gli inviò uno specimen dell’inventario, perché ne potesse prendere visione e si facesse un’idea del materiale documentario ereditato dalla biblioteca26. Non saprei se l’inventario da pubblicare del quale essi parlano, sia da identificare con il dattiloscritto oggi conservato in Vaticana, né se la dicitura «Archivio Patetta» si riferisca all’intera collezione documentaria, come suppongo; è certo però che nel 1963 l’inventario era già redatto. La classificazione della documentazione tuttavia, così come a noi è giunta, e la creazione del relativo titolario sono da attribuire a Berra, il quale formulò le singole voci, in parte basandosi sul contenuto della documentazione che andava classificando, e in parte mutuandole dalle partizioni originarie effettuate dallo stesso proprietario. Laurent invece ereditò il lavoro, lo revisionò e trascrisse in un inventario i titoli dati alle buste e ai singoli fascicoli; è lecito supporre ciò poiché, dopo solo un anno da quando gli era stato affidato il lavoro, l’inventario di mille e settecentoventi faldoni era già ultimato e perché molte coperte dei fascicoli recano titoli di mano di Berra; al contrario, la mano di Laurent è presente in modo più sporadico. In tale lavoro di riordino non sembra siano stati smembrati gli archivi e le collezioni che si presentavano unitari, in quanto acquistati in blocco da Patetta, come gli archivi di famiglia, o le carte assemblate probabilmente dallo stesso collezionista, come, per esempio, la documentazione riguardante la Casa d’Austria27. in carico del lavoro. Cfr. BAV, Arch. Bibl., 279, ff. 2r-4r: Proposte per l’ordinamento definitivo del fondo “Autografi e Documenti raccolti da Federico Patetta”. 24 Ibid., ff. 9r-149r: Inventario delle cartelle del Fondo Patetta. 25 BAV, Deposito A 803, Carte Laurent, minuta della lettera a Guido Astuti (4 novembre 1963); si veda anche sullo stesso argomento la minuta della lettera inviata alla signora ContiPatetta (4 ottobre 1963). 26 Ibid., lettera di Guido Astuti a padre Laurent (16 novembre 1963). 27 BAV, Patetta 2910-3438. Non abbiamo indicazioni precise su come Patetta conservasse materialmente nella sua abitazione la documentazione acquistata, ma da studioso di storia ed erudito qual era possiamo supporre che avesse mantenuto separati dal resto e uniti tra loro i documenti provenienti da un singolo archivio e avesse raggruppato i materiali, di qual-

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In Vaticana però già in fase di ordinamento si procedette a separare alcuni nuclei documentari per crearne codici, come le delibere dell’Arte dei merciai di Bologna (Patetta 2170), i processi relativi all’Arte dei pescatori della medesima città (Patetta 2172, 2185), i mandati e gli ordini di pagamento del cardinale Michele Bonelli (Patetta 2176-2181)28, gli inventari di biblioteche piemontesi (Patetta 2175), gli atti del capitolo della cattedrale di Albenga (Patetta 2184), le lettere di Cosimo I dei Medici al segretario Bartolomeo Concini (Patetta 2191), le copie di lettere di Carlo Emanuele III (Patetta 2208) e altro ancora. L’inventario infatti registra tali documenti, dotati di un proprio numero d’ordine, ma annota che essi erano già stati estrapolati dall’insieme della raccolta per incrementare i codici. Tale selezione si basò probabilmente su una scelta personale; non si riescono infatti a individuare delle linee guida, così come non si comprende, per esempio, perché una delibera dell’Arte dei merciai di Bologna del 1826 sia stata escerpita per formare il codice 2170, mentre tutti gli altri documenti a essa correlati e ben più antichi entrarono a far parte del fondo manoscritti solo più tardi (Patetta 2910-2979, 3733-3744)29; ugualmente non si comprende il principio che portò tra le tante carte raccolte sotto il titolo Stato Pontificio a selezionare un fascicolo per formare il codice 2511 e a lasciare fuori la maggioranza di esse, di epoca anteriore30. In seguito dalla raccolta così ordinata si estrassero altri documenti che andarono a formare i Patetta 2553-2909, composti da materiale estremamente eterogeneo per contenuto ed epoca31. Successivamente si estrapolarono anche le collezioni e una grande parte di documentazione di carattere propriamente archivistico, costituita da archivi di famiglia e di città, e si redasse un inventario (Patetta 2910-4688)32. I criteri che presiedettero alle operazioni di divisione, classificazione siasi genere essi fossero, inerenti uno stesso argomento, fosse esso la Causa d’Austria, alcune città o famiglie. 28 A. PROSPERI, Bonelli, Michele, in DBI, 11, Roma 1969, pp. 766-774. 29 Nell’inventario dattiloscritto di Laurent sono segnalati, sotto alcune voci, anche i materiali destinati a essere spostati in un secondo momento, come gli stampati; si legge infatti la nota: «Stampati da collocarsi in un fondo a parte (n. 133)». 30 In questo caso forse la scelta fu indotta dalla circostanza che si trattava di carte rilegate. La serie Stato Pontificio esiste tutt’ora nella Raccolta Patetta e consta di sei cartelle; cfr. BAV, Raccolta Patetta, 334-339. 31 Rimando agli inventari dattiloscritti: Inventario dei manoscritti Patetta, VI-VIII, a cura di L. DUVAL-ARNOULD – A. PARAVICINI BAGLIANI (BAV, Sala cons. mss. 438 (6-8) rosso). 32 Quali per esempio, l’Archivio Calori-Cesi (Patetta 2910-3438), la raccolta Amoretti (Patetta 3714), l’archivio Alfieri di Magliano (Patetta 4463-4609), l’archivio Matis di Bra (Patetta 4647-4688), ma anche gli archivi di Cairo Montenotte, paese natale di Patetta (Patetta 37353872). Si veda Inventario dei manoscritti Patetta, IX: Archivi di famiglia e di comuni a cura di L. FIORANI (dattiloscritto in BAV, Sala cons. mss. 438 (9) rosso). Al momento di entrambe

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e ordinamento dell’intero corpus documentario costituente la originaria collezione «Autografi e documenti raccolti da Federico Patetta» sono comunque difficili da giustificare e alquanto discutibili33 e suscitarono perplessità anche in Guido Astuti che poté esaminare con attenzione una copia dell’inventario. Egli infatti, dopo aver lodato il lavoro «condotto in modo esemplare», avanzò un’osservazione pertinente e rigorosa circa l’ordinamento archivistico. Chiese difatti se non sarebbe stato più opportuno separare i manoscritti di una raccolta di autografi dalle carte della corrispondenza personale di Patetta, poiché queste ultime «hanno certo importanza e interesse infinitamente diverso, rispetto alle carte ch’egli riceveva e acquistava come autografi di personaggi di qualche importanza storica». Continuava poi la riflessione sulla differenza che indubbiamente corre tra una corrispondenza privata e una raccolta di carte autografe e concludeva: «costituiscono esse, insieme riunite, un unico archivio?»34. Una domanda alla quale forse Laurent rispose di persona; l’osservazione però lascia intendere che l’archivio personale di Patetta, o quanto di esso era giunto in Vaticana, formato dalla corrispondenza con intellettuali e politici del suo tempo e con le accademie di cui era socio, era stato smembrato e accorpato agli autografi35. 2. La collezione di pergamene: acquisizione e formazine da parte di Federico Patetta La raccolta diplomatica non è stata indagata finora nel suo complesso pertanto, benché essa sia ancora in fase di studio, cercherò di fornire queste operazioni non era stata costituita ancora nella biblioteca la Sezione Archivi, nella quale in seguito confluirà tutto il restante materiale documentario raccolto da Patetta. 33 Propongo un unico esempio. L’archivio Calori Cesi si trova nei manoscritti, mentre una serie di minute di lettere inviate da Ferdinando Calori Cesi e altra documentazione a questi appartenente è posta nella serie Autografi e documenti; cfr. BAV, Patetta 3439-3713; Autografi e documenti Patetta 160-161. 34 Lettera di Astuti a Laurent in data 16 novembre 1963; cfr. BAV, Deposito A 803, Carte Laurent. Le osservazioni di Astuti non furono tenute in alcun conto. Nella sezione non ancora inventariata della serie Autografi e documenti esistono due cartelle sotto il nome Patetta, le quali contengono soprattutto gli attestati di insegnamento universitario del Cairese; mentre le lettere da lui ricevute sono state divise sotto altre voci e anche disposte nella Raccolta Patetta. Per fare un unico esempio: la lettera di ringraziamento per le pubblicazioni ricevute inviata a Patetta il 18 aprile 1918 dal prefetto della Vaticana Achille Ratti si trova ora nella sezione dedicata ai pontefici; cfr. Raccolta Patetta, 227 [sub voce Pio XI]. 35 Le osservazioni di Astuti lasciano pensare alla possibilità che fosse disponibile una copia maggiormente arricchita dell’inventario, rispetto a quello dattiloscritto pervenutoci, sempre che le sue supposizioni non derivino dalla lettura dell’inventario che per quanto sommario dava agio, a un contemporaneo e sodale di Patetta, di intuire la commistione effettuata tra l’archivio personale e gli autografi.

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alcuni esempi circa le modalità di acquisizione e di organizzazione e la sensibilità personale del collezionista. La maggiore parte delle pergamene entrò in Vaticana già come una collezione unitaria formata dallo stesso Patetta; quasi la totalità dei documenti più antichi è custodita nelle originarie cartelline color carta da zucchero che contraddistinguono l’intera collezione del Cairese. Su queste cartelle egli scrisse la data, un breve regesto, talvolta alcune note storiche o bibliografiche, spesso il sottotitolo «Pergamene» ma nessuna numerazione, indicativi di una collezione mantenuta unita ma priva di ordinamento e anche di inventario36. Risultano interessanti per ricostruire le modalità di acquisizione le annotazioni autografe di Patetta vergate a tergo delle pergamene: il numero d’ingresso e più di rado il nome dell’antiquario o del collezionista dal quale aveva comprato il pezzo, benché tali note non siano affatto frequenti. Il numero d’ingresso faceva riferimento a registri di entrate nei quali egli annotava il materiale posseduto. Sappiamo dell’esistenza di un quaderno denominato «Acquisti I» andato perso, mentre disponiamo di un registro nel quale sono segnate le acquisizioni per il trentennio 1913-1943, il quale tuttavia è «disgraziatamente incompleto e spesso trascurato», come annota lo stesso Patetta; le registrazioni infatti presentano salti di interi decenni. Benché il registro sia intitolato Catalogo dei libri, in realtà, come precisa lo stesso collezionista, nell’elenco sono segnate acquisizioni di ogni genere: «stampati, manoscritti, autografi, documenti, incisioni, oggetti vari». Il materiale quindi fu censito in modo discontinuo, ciò nonostante il catalogo rimane per noi uno strumento estremamente interessante. Accanto a registrazioni laconiche e generiche se ne trovano altre corredate da notizie, talvolta dettagliate, sulla tipologia del materiale, sulla libreria antiquaria o sul privato venditore e anche informazioni su coloro che avevano agito da intermediari all’acquisto. Incrociando le indicazioni fornite dal registro con l’analisi delle pergamene è possibile ricostruire alcuni nuclei documentari omogenei. Il 26 giugno 1928 Patetta comprò dal libraio milanese Perrella37 trecentotrenta pergamene datate a partire dal XII secolo, tra le quali alcune provenienti dal monastero di Leno; esse sono presenti in Vaticana e, nonostante Patetta abbia segnato il numero d’ingresso solo su alcune, il nucleo 36 Nel 1926 il prefetto Giovanni Mercati, dopo essere venuto a conoscenza del proposito di Patetta di voler donare la collezione alla Vaticana, chiese allo storico di compilare un catalogo di quanto aveva accumulato e, ricevutone risposta, forse oralmente, annotò che Patetta era disponibile «a venire a fare spogli e schede», cfr. BAV, Arch. Bibl., 196 interno L, ff. 1r-v. 37 Per la libreria di Luigi Perrella cfr. Editori a Milano (1900-1945). Repertorio, a cura di P. CACCIA, Milano 2013, p. 263.

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pergamenaceo può ancora essere ricostruito. Nella raccolta pergamenacea ho censito anche molti documenti medievali provenienti da Chieri, solo su quattro di essi è segnato un identico numero d’ingresso che ha permesso di recuperare dal registro la notizia dell’acquisto di molte carte relative alla storia di Chieri provenienti dall’archivio Biscaretti38. Le dodici pergamene del XIII-XIV secolo appartenenti all’archivio del monastero di S. Maria di Piro, acquistate nell’aprile 1930 insieme ad altre provenienti da Treviso e Venezia per un totale di ventinove pezzi, sono invece ancora disposte insieme in quattro cartelline ricche di annotazioni autografe di Patetta. Nel gennaio 1939 sotto il numero d’ordine 830 il registro annota: «Pergamene provenienti da Crema, parecchie del secolo XIII» e altre cose che, commenta Patetta, sono state «in complesso strapagate» a Bourlot, la più antica libreria antiquaria di Torino39. A quel numero d’ingresso corrispondono ventitré pergamene rogate principalmente a Crema, tutte però del XIV secolo, pertanto a questo gruppo forse appartiene anche una serie di dodici documenti cremaschi del secolo precedente privi del contrassegno numerico. Alcune volte le pergamene, benché siano state registrate, non presentano a tergo il numero di entrata, ma notizie relative alla loro acquisizione, come accade per otto pergamene del XIII-XIV secolo, provenienti quasi tutte da Siena, ciascuna delle quali reca la nota: «acquistata a Firenze dal libraio Gonnelli in giugno 1940», permettendo così di rintracciarle. Dal Catalogo dei libri, dalle note segnate da Patetta a tergo delle pergamene e vergate sulle cartelline che le contengono emerge la personalità di un collezionista attento ad acquistare sul mercato antiquario ciò che è di qualche pregio, o solo apparirgli interessante, sborsando talvolta cifre ben più alte rispetto al valore reale dei pezzi, ma che, forse in ragione della quantità del materiale e della velocità con il quale lo accumulava40, non era costante nel registrare i suoi acquisti e nell’annotare con il numero di entrata i pezzi comprati41. Appare nondimeno evidente, se non la vo38 Si tratta di Roberto Biscaretti discendente da un’antica famiglia dell’aristocrazia subalpina; cfr. [Red.] Biscaretti, Roberto, conte di Ruffia, in DBI, 10, Roma 1968, pp. 657-658. 39 La fondazione della libreria dei fratelli Vittorio e Pietro Bourlot risale al 1848; cfr. Un secolo di libreria: 1848-1948, Torino 1948. 40 Per fare un unico esempio: nel solo mese di giugno del 1932 sono registrati ben cinquantatré acquisti e a ogni numero corrisponde numeroso materiale di vario genere. 41 La modalità desultoria nel censimento e nella descrizione della raccolta diplomatica è ben diversa dal modus operandi di Giuseppe Martini, contemporaneo di Patetta, erudito libraio, bibliografo e collezionista, il quale corredò la sua collezione pergamenacea di un quaderno in cui annotò cronologicamente i regesti di una parte dei documenti e di schede integrative dotate di descrizioni più estese. Cfr. G. E. UNFER VERRE, Mille anni di documenti: la raccoltà diplomatica donata da Giuseppe Martini, in Da Lucca a New York a Lugano. Giuseppe

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lontà di ordinare e di catalogare la sua collezione pergamenacea, almeno il proposito di classificarla, sia pure per piccoli gruppi. Sulle originarie cartelline utilizzate per raccogliere i documenti singolarmente o in gruppi, spesso sotto il titolo «Pergamene» e prima della data, del regesto o di brevi annotazioni, Patetta scrisse, tra parentesi quadre, l’area di provenienza, come per esempio: «Bergamo» o «monastero di Leno». Le pergamene riposte in cartelline sono ora poco più di quattrocento, un numero esiguo rispetto all’intera raccolta, tuttavia sono le più antiche della collezione. Suppongo quindi che Patetta avesse cominciato a sistemare le pergamene, dotandole di custodia e annotandole, senza completare poi il lavoro e che esse costituissero una sezione separata, per così dire ordinata, della raccolta. Dopo la sua morte invece esse furono in parte mescolate ai documenti cartacei e in tal modo giunsero in Vaticana dove Luigi Berra provvide, come egli stesso scrisse, a separarle dal resto della materiale. 3. La collezione di pergamene in Biblioteca Vaticana Il nucleo di pergamene rimase tale finché, negli anni Settanta, dall’originaria collezione «Autografi e documenti» non si iniziarono a selezionarono sezioni destinate a entrare nel fondo Patetta Manoscritti. In quella occasione dalle raccolte documentarie ma anche dagli archivi di famiglie, di corporazioni e di comuni furono estratte le pergamene che andarono ad arricchire la collezione pergamenacea costituita dal Cairese. Il solo archivio Calori Cesi fu impoverito di centonovantasette pergamene, dagli archivi delle corporazioni delle arti di Bologna ne furono estratte trentacinque, da quello di Cairo Montenotte ventitré e ancora molte altre per un totale di trecentodue pezzi42. Oggi la raccolta è conservata con modalità differenti. Una parte delle pergamene, costituita da 1576 pezzi, è stata stesa, etichettata e distribuita senza ordine cronologico in cinquantasei cartelle; le prime 1163 pergamene sono state dotate nel 1971 da Luigi Fiorani di un inventario sommario in cui è segnata per ciascun pezzo la data, topica e cronica, e la natura dell’atto43. Le restanti pergamene, che recano i segni di un abbandono proMartini libraio tra Otto e Novecento. Atti del Convegno di Lucca, 17-18 ottobre 2014, a cura di E. Barbieri, Milano 2017, pp. 145-165. 42 I dati sono stati desunti da un elenco manoscritto, stilato durante il lavoro, che si conserva ancora nella Sezioni Archivi della Vaticana. Esso enumera le pergamene estratte dai manoscritti Patetta 2910-4688. Non furono tuttavia le prime pergamene a essere scorporate dai manoscritti; già l’inventario di Laurent, che fotografava l’intero posseduto della originaria raccolta «Autografi e documenti», registra per alcune cartelle la dicitura: «pergamene levate». 43 Inventario delle pergamene Patetta, I: Pergamene 1-1163, a cura di L. FIORANI, 1971 (dattiloscritto in BAV, Sala cons. mss. 439 (1) rosso).

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lungato, occupavano un intero armadio, insieme a pochi documenti cartacei e una scatola di sigilli cerei staccati. La maggioranza delle membrane si presentava affastellata sugli scaffali, altre erano raccolte in cartelle, altre ancora poste in una scatola, per un totale di circa mille e cinquecento unità. Esse coprono un arco cronologico esteso dal X fino al XIX secolo, sono di formati diversi, dal foglio singolo, al quaderno, al rotolo e assommano una molteplicità di tipologie documentarie. Quando anni addietro ho iniziato a esaminare questa parte della raccolta, il lavoro di spoglio è partito dalle pergamene sistemate nelle cartelle; queste ultime furono composte in Vaticana da Berra44 raccogliendo tutte le pergamene che Patetta aveva inserito in cartelline, un gruppo di documenti che, presentando il medesimo numero d’ingresso, era forse giunto come nucleo unitario, e altre varie membrane. I contenitori sono numerati fino a dodici, mancano tuttavia i numeri sei, sette e undici, forse eliminati quando Fiorani decise di fare l’inventario di una parte delle pergamene, anche se non saprei individuare il criterio con il quale furono selezionate queste cartelle e non altre. L’intero materiale rimasto fuori dall’ordinamento di Fiorani formerà, a lavoro completato, una seconda serie di pergamene in cui i documenti saranno ordinati cronologicamente e per essi si provvederà a compilare un inventario sommario. I soli documenti medievali, compresi quelli già elencati nell’inventario di Fiorani, saranno oggetto di un esame più approfondito che prevede la loro regestazione corredata da uno studio in cui si proporrà la ricostruzione di alcuni nuclei documentari omogenei, si porranno in evidenza documenti o gruppi di documenti che risultano maggiormente interessanti per tipologia, per contenuto o per provenienza. Per tale lavoro si è scelta come data post quem non il 1399, in quanto, poiché le pergamene giungono da aree d’Italia tra loro diverse, non è possibile individuare una limite cronologico che possa essere significativo, dal punto di vista storico, per tutte. Molti documenti provengono dal Piemonte, soprattutto da Vercelli e da Torino, in modo particolare da Chieri, molti altri dalla Lombardia, dove ben rappresentate sono Bergamo, Brescia e Crema, tanti giungono da Treviso e da Padova. In numero minore sono i documenti rogati in Liguria, in Toscana, in Emilia Romagna e nelle Marche, solo otto quelli che arrivano da luoghi diversi dell’Italia meridionale. Nelle cartelle sono conservati i documenti più antichi di tutta la raccol44

Suppongo che siano state realizzate nella fase preliminare di classificazione della raccolta compiuta da Berra: le cartelle sono identiche a quelle in cui è stato organizzato l’intero materiale del lascito Patetta.

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ta45, come una vendita fatta a Podone, vescovo di Piacenza, il 27 novembre 81546, un placito piacentino del settembre 911 edito da Manaresi47 e una donazione pro anima del 30 marzo 1056 del marchese Guido degli Obertenghi al monastero di S. Venerio del Tino48. Seguono poi documenti a partire dal XII secolo che offrono un campionario diversificato riguardo ai contenuti e sono rogati da notai che operano per privati cittadini, comuni, vescovi e monasteri. Interessante è, per esempio, un gruppo di pergamene, in quanto appartenevano all’archivio di una famiglia piemontese che aveva dato i natali a giuristi ed era stata poi protagonista del Risorgimento italiano, al quale Patetta si era appassionato nei suoi studi49. Undici pergamene sono inserite in cartelline accomunate dalla medesima annotazione di mano di Patetta: Balbo Simeoni. La più antica del 2 dicembre 1256 attesta la cessione da parte di Matelda, moglie di Rodolfo di Montaldo, al figlio Guidotto Simeone di tutti i possedimenti, da lei ricevuti in dote, nel territorio di Pecetto. I documenti successivi sono prestiti, investiture, soluzioni di debiti, compravendite nei territori di Pecetto e di Chieri che hanno come protagonisti membri della famiglia Simeoni. Nel 1330 Mileto Simeoni de Balbi di Chieri riceveva da Filippo di Savoia, principe d’Acaia, l’investitura del feudo di Cavoretto50, infatti il primo documento conservato in Vaticana in cui Mileto Simeoni è detto signore di Cavoretto è del 23 marzo 1331, titolo che ritroviamo a metà del XIV secolo nei do45 Questi e altri documenti citati in seguito fanno parte della serie Pergamene Patetta ancora in fase di studio, pertanto la loro segnatura è provvisoria. 46 F. PATETTA, Documento Piacentino dell’815 in Studi di storia e diritto in onore di Arrigo Solmi, vol. I, Milano 1941, pp. 471-477; Le carte private della cattedrale di Piacenza. I (784-848) a cura di P. GALETTI, con uno studio sulla lingua e le formule di G. Petracco Sicardi, Parma 1978 (Fonti e Studi. Serie Prima, IX), pp. 50-51, n. 13. Il documento è citato anche in P. M. CAMPI, Dell’Historia ecclesiastica di Piacenza, parte I, Piacenza 1651, pp. 203-204. 47 I placiti del «Regnum Italiae» a cura di C. MANARESI, I: (a. 776-945), Roma 1955 (Fonti per la storia d’Italia pubblicate dall’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 92), pp. 459-461, n. 123. 48 L. A. MURATORI, Delle antichità estensi ed italiane, I, Modena 1717, pp. 238-239; Le carte del monastero di San Venerio del Tino, I: 1050-1200 a cura di G. FALCO, Pinerolo 1916, pp. 11-12, n. IX (che riprende l’edizione del Muratori dicendo mancante l’originale); da ultimo si veda I. AURORA, Canoni e anatemi: un documento dell’XI secolo per il monastero di S. Venerio del Tino, in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina, I, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 477), pp. 29-58. 49 Si vedano i suoi scritti, per esempio: F. PATETTA, Dichiarazione di principii d’una vendita di carbonari italiani in Londra nel 1823, Torino 1916; ID., La congiura torinese del 1814 per la rinascita dell’Impero romano e per l’offerta del trono a Napoleone, Torino 1937. 50 Per la notizia si vedano C. TENIVELLI, Biografia piemontese, Torino 1787, III, p. 72; L. CIBRARIO, Notizie di Paolo Simeoni De’ Balbi da Chieri, Torino 1826, p. 6.

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cumenti di Bonifacio Simeoni de Balbi51. Il 29 novembre 1518 Filippo di Mileto Simeoni, signore di Montaldo e di Cavoretto, con il consenso dei familiari, aveva venduto a Giovanni Francesco e al fratello Niccolò Balbo tutti i diritti feudali e allodiali nel «castro receto, loco et finibus Bonae Vallis». Il documento originale e la conferma della vendita fatta da Carlo III duca di Savoia il successivo 10 dicembre si trovano ora in Vaticana52. Entrambi i fratelli, appartenenti alla nobile famiglia Balbo di Chieri, erano giuristi e avevano insegnato nello studium di Torino53; Patetta dedicò a Niccolò un lavoro corposo utilizzando anche documenti e codici dei quali era entrato in possesso54. Discendente della famiglia fu qualche secolo dopo Cesare Balbo, illustre esponente del Risorgimento italiano, periodo storico indagato da Patetta soprattutto nell’ottica piemontese. Erudito filologo e storico del diritto, studioso poliedrico per la molteplicità dei suoi interessi nel campo delle scienze giuridiche e storiche, Patetta fece della storia del Risorgimento uno dei suoi grandi temi di ricerca, producendo «un complesso di ricerche e di indagini … che illuminano aspetti essenziali e spesso ignorati o mal noti della formazione dell’unità e indipendenza nazionale d’Italia»55. Tale interesse lo portò ad accumulare una quantità notevole di materiale documentario relativo alle vicende risorgimentali e ai suoi esponenti56, come accadde per i documenti di Cesare Balbo57. L’acquisto di pergamene e carte provenienti dall’archivio della famiglia Balbo58 avvenne in più riprese: un consistente nucleo fu rilevato diretta51 Il doppio cognome si formò probabilmente proprio in qull’epoca, quando la famiglia Balbi per essere molto aumentata in numero cominciò a distinguersi nelle sue varie diramazioni, pertanto alcuni mantennero il cognome Balbi altri lo associarono a patronimici come accadde per i Simeoni. Cfr. CIBRARIO, Notizie di Paolo Simeoni cit., p. 3. 52 Ambedue i documenti originali sono in BAV, Autografi e documenti Patetta, 34, ff. 27-28. 53 P. CRAVERI, Balbo, Giovanni Francesco, in DBI, 5, Roma 1963, pp. 407-409; G. BUSINO, Balbo, Niccolò, ibid., pp. 414-416. 54 F. PATETTA, Di Niccolò Balbo professore di diritto nell’Università di Torino e del ‘Memoriale’ al Duca Emanuele Filiberto che gli è falsamente attribuito, in Studi pubblicati dalla Regia Università di Torino nel IV centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 421-476. 55 G. ASTUTI, Federico Patetta (1867-1945), in Rivista di storia del diritto italiano 21 (1948), pp. 261-273: 263. 56 La documentazione raccolta da Patetta relativa al Risorgimento è ora in gran parte conservata in quattordici faldoni inesplorati, cfr. BAV, Raccolta Patetta, 232-246. Essa non è inventariata e quindi è esclusa dalla consultazione. 57 BAV, Autografi e documenti Patetta, 31, ff. 194-447, n. 32. Il materiale è molto eterogeneo e conserva anche appunti autografi di Patetta. 58 L’archivio familiare dei Balbo a Torino subì gravi perdite e dispersi furono in gran

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mente dai conti Balbo tra agosto e ottobre del 1927, quando Patteta, come si deduce dai suoi appunti, poté esaminare personalmente le carte dei Balbo e scegliere cosa comprare59. Entrò poi in possesso delle altre carte in tempi diversi, ogni qualvolta le trovava sul mercato antiquario, vendute da discendenti di famiglie che le avevano in qualche modo ereditate, come attestano le note di acquisto del 17 dicembre 1937 e del 30 gennaio dell’anno seguente60. 4. Esempi dai documenti La collezione è eterogenea in quanto a provenienza e tipologia documentaria. Sono presenti, tra le altre, pergamene medievali appartenenti agli archivi delle abbazie benedettine di S. Giusto di Susa, di S. Giulia in provincia di Asti, di S. Abbondio di Como, di S. Dionigi e S. Ambrogio di Milano, del monastero bergamasco di S. Benedetto di Vallalta, del monastero cluniacense di S. Paolo d’Argon di Bergamo, della scomparsa abbazia cistercense di S. Tommaso sull’isola di Torcello, del convento di S. Antonio di Padova e delle Clarisse di S. Agnese di Vercelli. Della raccolta pergamenacea fanno parte anche documenti provenienti da altre realtà ecclesiali come il capitolo dei presbiteri decumani di S. Gabriele di Milano, la chiesa di S. Maria di Chieri, quella di S. Pietro di Burolo, in provincia di Torino, e la confraternita dei Disciplinati di S. Maria Maddalena di Bergamo. Vorrei esaminare alcuni documenti perché mi sembra possano testimoniare la diversità e la complessità della raccolta pergamenacea e insieme l’ampiezza della formazione storica del collezionista. 4.1 Aica da Camino e le nuove realtà religiose a Padova Appaiono interessanti due documenti rogati a Padova in quanto hanno come protagonista una donna di una famiglia signorile e menzionano due istituzioni padovane determinanti nell’assetto religioso della città. Il 2 giugno 1279 Aica da Camino, dimorante a Padova accanto al monastero di S. Benedetto Vecchio, nominò come procuratore Guido, figlio di Gabriele

parte i carteggi; cfr. E. PASSERIN D’ENTRÈVES, Balbo, Cesare, in DBI, 5, Roma 1963, pp. 395405: 404. 59 In quelle occasioni egli venne in possesso della raccolta di autografi Balbo, delle lettere dirette a Prospero e Cesare Balbo, oltre che di libri da essi postillati, del carteggio e dei versi del fisico e matematico Giovan Battista Beccaria, per una spesa totale di 10.000 lire; cfr. BAV, Catalogo dei libri, n. 500. 60 Ibid., nn. 1443, 1449.

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del giudice Guido de Nigro61, affinché prendesse possesso a suo nome di undici appezzamenti di terra, due case e un tugurio per riporvi la paglia situati ad Albignasego, nel territorio circostante e in quello di Padova. Aica dichiarava nel documento di procura di aver acquistato tali beni, per il prezzo di mille lire e duecentocinquantuno denari piccoli veneti, dal monastero di S. Maria de Cella per il tramite di frate Bellone, sindaco delle monache62. Il 29 giugno dell’anno successivo Aica fece testamento, elesse quale luogo di sepoltura la chiesa di S. Antonio di Padova, lasciò molti beni a chiese, monasteri, ospedali e singole persone, stabilì legati testamentari per i Minori di Lendinara e di Este, per gli Eremitani e per i Predicatori di Padova, benché il maggior beneficiario fu proprio il monastero di S. Benedetto al quale legò un cospicuo patrimonio in beni immobili e molti cespiti di vario genere63. La testatrice apparteneva ai da Camino, una famiglia feudale guelfa del Veneto orientale, ed era figlia di Guecellone (V), il quale svolse un ruolo decisivo nell’opposizione alla politica di Ezzelino da Romano nella Marca trevigiana64; gli stessi legami con il monastero si inserivano 61 Gabriele del giudice Guido de Nigro era, come si deduce dal testamento di Aica, il marito della nipote Sara, alla quale la testatrice lasciò molti beni mobili e immobili; cfr. Il liber contractarum dei frati minori di Padova e di Vicenza, a cura di E. BONATO, Roma 2002 (Fonti per la storia della terraferma veneta, 18), p. 408. 62 BAV, Pergamene Patetta, busta 1, n. 44. Il notaio ha vergato sulla stessa pergamena il contratto di compravendita e la presa di possesso delle proprietà da parte del procuratore Guido, atti compiuti nella medesima data. La pergamena è in pessimo stato di conservazione, in quanto l’umidità ha dilavato quasi completamente il testo del primo documento rendendo inutile anche l’ausilio della lampada a raggi ultravioletti. 63 In Vaticana si conserva una copia autentica di alcune parti del testamento, effettuata il 17 ottobre 1351 a Padova nel palazzo comunale; cfr. BAV, Pergamene Patetta, busta 1, n. 45. Il testamento è stato edito parzialmente in G. VERCI, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, III, Venezia 1787, pp. 113-114. Copia del testamento e di un codicillo sono editi in Il liber contractarum cit., pp. 400-417, nn. 132-133. 64 Guecellone fu protagonista per tutto il Duecento della storia di Treviso e nel 1283 ne assunse la signoria. Si veda S. J. RIEDMAN, Camino, Guecellone da, in DBI, 17, Roma 1974, pp. 250-251. Sui da Camino a Padova si veda S. BARTOLAMI, Fra “alte domus” e “populares homines”. Il comune di Padova e il suo territorio prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio. Convegno internazionale di studi 1-4 ottobre 1981, Padova-Monselice, Padova 1985 (Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 16), pp. 3-74. Per la storia della signoria dei da Camino su Treviso durata circa un trentennio si veda G. B. PICOTTI, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312. Appunti storici, Livorno 1905 (rist. anast. Roma 1975), pp. 169-171; G. M. VARANINI, Istituzioni e società a Treviso tra comune, signoria e poteri regionali (1259-1339), in Storia di Treviso, a cura di E. BRUNETTA, II: Il Medioevo, a cura di D. RANDO – G. M. VARANINI, Venezia 1991, pp. 135-211: 158-178; V. RUZZA, Brevi notizie sulla famiglia da Camino, in I da Camino. Capitani di Treviso, Feltre e Belluno, signori di Serravalle e del Cadore. Atti del 2° convegno nazionale, 20 aprile 2002, Castello vescovile-Vittorio Veneto, Treviso 2002, pp. 55-90; G. M. VARANINI, Esperienze di governo personale nelle città

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all’interno di una continuità di relazioni tra la sua famiglia e l’istituzione religiosa. Il monastero doppio di S. Benedetto era stato il centro, sotto la guida del priore il beato Giordano Forzaté, del movimento dei monaci albi, esponenti in Padova del monachesimo benedettino riformato65. L’ordo sancti Benedicti de Padua convogliò religiosi di origine diversa, mostrando notevole versatilità nell’adattarsi alle esigenze religiose della società del tempo e si fece carico, tra l’altro, dell’assistenza e del governo di comunità religiose femminili, dando spazio al sorgere di monasteri doppi. Presso il monastero di S. Benedetto esistevano infatti una comunità di frati e una di sorores, governata da un badessa, benché all’epoca dei documenti di Aica fossero già state divise e il monastero femminile avesse assunto il titolo di S. Benedetto Vecchio66. I monaci albi furono, come sostiene Antonio Rigon, un polo di attrazione per diversi religiosi privi di una regola; essi infatti furono in grado di svolgere una «funzione unificante e disciplinatrice» e di assorbire al monachesimo benedettino comunità sorte in modo talvolta spontaneo e prive di un definito inquadramento canonico e furono inoltre centro di aggregazione per fedeli attirati dall’ideale della penitendell’Italia nord-orientale, in Signorie cittadine nell’Italia comunale, a cura di J.-C. M. VIGUEUR, Roma 2013, 45-76: 61-62. 65 Il monastero benedettino fu fondato secondo la tradizione nel 1195 per volere della aristocratica famiglia dei Tanselgardi Forzaté e a partire dal priorato di Giordano Forzaté divenne punto di riferimento religioso nella società padovana e in genere della Marca per oltre un trentennio, si veda a riguardo A. RIGON, Vescovi e ordini religiosi a Padova nel primo Duecento, in Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio cit., pp. 131-151:135-142; ID., Religione e politica al tempo dei da Romano. Giordano Forzaté e la tradizione agiografica antiezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. CRACCO, Roma 1992, II, pp. 389-414; G. CARRARO, I monaci albi di S. Benedetto di Padova, in Il monachesimo italiano nell’età comunale. Atti del IV convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di S. Giacomo Maggiore, Pontida (Bergamo) 3-6 sett. 1995, a cura di F. G. TROLESE, Cesena 1998, pp. 403-432. Cfr. anche L. GAFFURI, Forzaté, Giordano, in DBI, 49, Roma 1997, pp. 267-270. 66 Le due comunità furono separate nel 1259 e mentre le sorores rimasero nel medesimo luogo, i fratres si trasferirono nel monastero, di nuova fondazione, di S. Benedetto Nuovo; cfr. G. CARRARO, Il monastero di S. Benedetto Vecchio di Padova: note storiche (1195-1810). Con edizione della visite vescovili, Cesena 2008, pp. 12-14. Sulle due comunità e sul sistema organizzativo si veda: G. JENAL, Doppelklöster und monastische Gesetzgebung im Italien des frühen und hohen Mittelalters, in Doppelklöster und andere Formen der Symbiose männlicher und weiblicher Religiosen im Mittelalter, a cura di K. ELM – M. PARISSE, Berlin 1992 (Berliner historische Studien, 8, Ordensstudien, 8), pp. 25-55: 41-54; A. RIGON, Monasteri doppi e problemi di vita religiosa femminile a Padova nel Due e Treceno, in Uomini e donne in comunità, a cura di G. DE SANDRE GASPARINI, Verona 1994, pp. 221-257: 227, 230. Per una riflessione sul tema si veda il volume Dove va la storiografia monastica in Europa? Temi e metodi di ricerca per lo studio della vita monastica e regolare in età medievale alle soglie del terzo millennio. Atti del convegno internazionale (Brescia-Rodengo, 23-25 marzo 2000), a cura di G. ANDENNA, Milano 2001.

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za67. Presso i loro monasteri si costituirono gruppi di laici, ampiamente attestati, di penitenti, diversi dai conversi, che, pur conservando il loro stato, conducevano vita in comune, condividevano l’esperienza spirituale dei monaci, si ponevano sotto la loro direzione e spesso abitavano in case di proprietà del monastero68. Aica, nel suo stato vedovile, aveva scelto, come molti altri, di realizzare la sua vocazione religiosa aderendo al movimento penitenziale, ponendosi così sotto la guida dei monaci e delle sorores di S. Benedetto. Gli «omnia aedificia domorum» nei quali abitava erano stati costruiti a sue spese, ma su un sedimen di proprietà del monastero di S. Benedetto, come si deduce dal suo testamento, e pertanto sarebbero stati ceduti a esso dopo la sua morte69. Inoltre, alla stesura del testamento di Aica fu presente Grandonio del fu Pietro Amore, identificato da Antonio Rigon con frater Grandonius de Padua, uno dei componenti più influenti della fraternita di penitenti padovani, il quale prese parte al capitolo generale di Bologna del 1289 in rappresentanza della sua provincia70. 67 A. RIGON, Ricerche sull’«ordo sancti Benedicti de Padua» nel XIII secolo, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 29 (1975), pp. 511-535: 525-528. 68 Per le comunità di penitenti padovani e in particolare su quelle sorte presso i monasteri dell’ordo S. Benedicti de Padua, cfr. A. RIGON, I laici nella chiesa padovana del Duecento. Conversi, oblati, penitenti, in Contributi alla storia della chiesa di Padova nell’età medioevale, Padova 1979 (Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 11), pp. 11-81. Nel Veneto medievale le comunità di laici penitenti che si erano stabiliti presso i monasteri o le canoniche regolari sono ampiamente attestate e studiate come dimostra la ricca bibliografia a riguardo a partire dal saggio di G. G. MEERSSEMAN – E. ADDA, Pénitents ruraux communautaires en Italie au XIIe siècle, in Revue d’histoire ecclésiastique 49 (1954), pp. 343-390, ristampato in G. G. MEERSSEMAN, «Ordo fraternitatis». Confraternite e pietà dei laici nel Medieovo, I, Roma 1977, pp. 305-354. Interessante è il fenomeno che si strutturò intorno alla congregazione dei canonici di S. Marco di Mantova, in grado di catalizzare laici e laiche che sceglievano di abitare in case attigue alla canonica e si sottomettevano a essa. Esemplare il caso mantovano di Zambonino di Ruffino, dotato di una solido patrimonio immobiliare, e di Vivaldo Gambolini, di nobile famiglia mantovana, definiti nei documenti «fratres de poenitentia», per le loro relazioni con la religio di S. Marco e con gli Ordini mendicanti. Cfr. a riguardo A. RIGON, Penitenti e laici devoti fra mondo monastico-canonicale e ordini mendicanti: qualche esempio in area veneta e mantovana, in Ricerche di storia sociale e religiosa, n. s., 17-18 (1980), pp. 51-73: 67-71, ora anche in ID., Antonio di Padova: Ordini mendicanti e società locali nell’Italia dei secoli XIII-XV, a cura di M. T. DOLSO – D. GALLO, Spoleto 2016, pp. 327-352; G. GARDONI, Governo della chiesa e vita religiosa a Mantova nel XIII secolo, Verona 2008, pp. 250-261; I. AURORA, Documenti originali di Clemente IV per le Clarisse di Mantova, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 20 (2014), pp. 7-46. 69 Si tratta di persone individuate spesso nelle fonti come viventi «supra campum monasterii», con riferimento ai cenobi dei monaci albi, cfr. RIGON, I laici nella chiesa padovana cit., pp. 24-34; cfr. anche ID., Penitenti e laici devoti cit. 70 Grandonio sarto del fu Pietro Amore fu eletto definitore insieme ad altri con il compito di stilare le norme che avrebbero dovuto regolare la vita delle associazioni laicali, cfr. RIGON, I laici nella chiesa padovana cit., pp. 66-67.

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I Caminesi si erano avvicinati ai monaci albi, punto di riferimento nel vibrante panorama religioso della società padovana del tempo, fin dal 1228, quando Gabriele III da Camino aveva ceduto all’ordine benedettino padovano il monastero di S. Giustina di Serravalle in diocesi di Ceneda71, fondato dalla famiglia, posto sotto l’osservanza cistercense e da lui stesso rifondato qualche anno prima72. I documenti, tuttavia, attestano anche la comunanza dei da Camino e della stessa Aica con gli Ordini mendicanti e il suo favore verso di essi, dalla scelta del luogo di sepoltura, la chiesa di S. Antonio dove era ubicato il sarcofago della madre e nel quale la testatrice espresse la volontà di essere riposta73, ai legati, alla transazione effettuata con il monastero di clarisse di S. Maria dell’Arcella. Le fraternite di laici devoti e i penitenti si orientarono spesso verso le comunità degli Ordini mendicanti e le sostennero concretamente nel loro insediamento nei comuni; inoltre gli stessi monaci albi ebbero una familiarità di relazioni con i Mendicanti e collaborarono con essi nelle difficili vicende della cittadina padovana nei decenni centrali del secolo XIII74. 71 Il monastero e la chiesa, che accoglie il monumento funebre di Rizzardo VI da Camino, rimasero sempre nell’orbita di influenza dei da Camino. Il 20 gennaio 1279 il priore cedeva tutti i diritti sul monastero a Sovrana da Camino, nipote di Aica, e il seguente 4 giugno la stessa Sovrana traferiva i diritti sul monastero ad Anna badessa di S. Benedetto Vecchio di Padova per istituire un comunità femminile. Cfr. VERCI, Storia della Marca cit., III, pp. 34-40, nn. 233-234; RIGON, Ricerche sul’«ordo» cit., pp. 518-522; A. M. BIZZARRO, Chiostro e nobiltà nella Marca trevigiana: il monastero di S. Giustina di Serravalle e i Caminesi (sec. XIII-XIV), in Il dominio dei Caminesi tra Piave e Livenza. Atti del convegno di studio nel 650° anniversario della morte di Rizzardo VI da Camino, Vittorio Veneto, 23 novembre 1985, Vittorio Veneto 1988, pp. 79-87; CARRARO, Il monastero di S. Benedetto cit., p. 18. 72 Antonio Rigon avanza l’ipotesi che il passaggio non abbia avuto solo una matrice devozionale, ma sia stato una conseguenza della volontà del da Camino di rendere più salda l’alleanza politica con Padova, in un momento in cui la famiglia era fuoriuscita da Treviso per essersi schierata contro la politica di Ezzelino da Romano. Cfr. RIGON, Vescovi e ordini religiosi cit., pp. 140-141. 73 La sepoltura non è più esistente nella basilica del Santo, cfr. G. FOLADORE, Il racconto della vita e la memoria della morte nelle iscrizioni del corpus epigrafico della basilica di Sant’Antonio di Padova (secoli XIII-XV), I-II, tesi di dottorato, Università degli studi di Padova 2009. Nella basilica sono tuttavia sepolte donne appartenenti alle più eminenti famiglie padovane; cfr. anche N. GIOVÈ MARCHIOLI, L’impossibilità di essere autonoma. Donne e famiglia nelle fonti epigrafiche tardomedievali, in Archeologia Medievale 38 (2011), pp. 19-32: 24-26. 74 La consuetudine dei rapporti tra i monaci albi e gli Ordini mendicanti è sottolineata da RIGON, Ricerche sul’«ordo» cit., pp. 529-531; ID., Religione e politica cit.; L. PELLEGRINI, Monachesimo e ordini mendicanti, in Il monachesimo italiano nell’età comunale cit., pp. 665694: 673, 681-682. Sulle relazioni tra Francescani e penitenti a Padova si veda RIGON, I laici nella chiesa padovana cit., pp. 48-55. Per una riflessione sui movimenti penitenziali femminili punto di partenza rimane H. GRUNDMANN, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerche sui nessi storici tra l’eresia, gli Ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sui presupposti storici della mistica tedesca, Bologna 19802, pp. 169-293. Si veda

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La comunità di pauperes dominae di Padova, uno dei primi insediamenti francescani femminili nella Provincia Marchiae Tarvisinae, è menzionata nella lettera inviata il 18 agosto 1228 dal cardinale Rainaldo da Ienne a ventitré complessi damianiti75 e divenne un centro di aggregazione fondamentale nel panorama religioso padovano per la permanenza e la morte in esso di s. Antonio e per la presenza della beata Elena Enselmini76. La vendita nel contado padovano e nel territorio limitrofo di una consistente entità di beni immobili di proprietà del monastero attesta come le Clarisse avevano pienamente accettato di possedere in comune beni e rendite, necessari per monache costrette a vivere in regime di stretta clausura, secondo quanto stabilito nella regola di Innocenzo IV e riaffermato in quella di Urbano IV77. anche R. RUSCONI, L’espansione del francescanesimo femminile nel secolo XIII, in Movimento religioso e francescanesimo nel secolo XIII. Atti del VII convegno internazionale, Assisi, 11-13 ottobre 1979, Assisi 1980 (Atti dei Convegni della Società internazionale di studi francescani, 7), pp. 265-313; K. ELM, Le donne negli Ordini religiosi dei secoli XII e XIII, in Chiara e il secondo Ordine. Il fenomeno francescano femminile nel Salento. Atti del convegno di studi in occasione dell’VIII centenario della nascita di S. Chiara, Nardò, 12-13 novembre 1993, a cura di G. ANDENNA – B. VETERE, Galatina 1997, pp. 9-22; A. BENVENUTI, In castro poenitentiae. Santità e società femminile nell’Italia medievale, Roma 1990 (Italia sacra, 45); J. DALARUN, Claire d’Assise et le mouvement féminin contemporain, in Clara claris praeclara. L’esperienza cristiana e la memoria di Chiara d’Assisi in occasione del 750° anniversario della morte. Atti del convegno internazionale, Assisi, 20-22 novembre 2003, Assisi 2004, pp. 381-401. 75 L. OLIGER, De origine regularum ordinis S. Clare, in Archivum Franciscanum Historicum 5 (1912), pp. 181-209, 413-447: 207-208. Anche Mariano da Firenze menziona più volte il monastero, legandolo direttamente alle sorores di S. Damiano; cfr. MARIANO DA FIRENZE, Libro delle dignità et excellentie del Ordine della seraphica madre delle povere donne sancta Chiara da Assisi, a cura di G. BOCCALI, Firenze 1986, p. 63. Il Portenari sostiene che la comunità femminile esistesse già dal 1225; cfr. A. PORTENARI, Della felicità di Padova, Padova 1623, libro IX, cap. 39, pp. 478-479. Per il monastero dell’Arcella si veda C. M. ROMERI, Le Clarisse nel territorio della minoritica provincia veneta. Collana di notizie, in Le Venezie francescane 20 (1953), pp. 7-143: 14-18; A. SARTORI, Il santuario dell’Arcella a Padova: a ricordo del cinquantenario del ritorno dei frati Minori conventuali 1905-1955, in Miscellanea francescana. Rivista di scienze teologiche e di studi francescani 56 (1956), pp. 538-582; S. BORTOLAMI, Minoritismo e sviluppo urbano fra Due e Trecento: il caso di Padova, in Le Venezie francescane 2 (1985), pp. 82-83; D. TRAMARIN, Insediamenti francescani femminili e tessuto urbano nelle Tre Venezie: i casi di Verona, Trento e Padova, in II Ciclo di Studi Medievali, Atti del Convegno, Firenze 27-28 Maggio 2017, Monza 2017, pp. 377-398. Sulla compresenza all’Arcella di entrambe le comunità di frati e sorores fino a tutto il XIV secolo si veda L. S. KNOX, Creating Clare of Assisi. Female franciscan identities in later medieval Italy, Leiden-Boston 2008, pp. 91-94; B. ROEST, Order and disorder. The poor Clares between foundation and reform, Leiden-Boston 2013, pp. 37-38. 76 M. P. ALBERZONI, Francesco, Gregorio IX e le visioni della beata Elena Enselmini, in Arbor ramosa. Studi per Antonio Rigon da allievi, amici, colleghi, a cura di L. BERTAZZO – D. GALLO – R. MICHETTI – A. TILATTI, Padova 2011, pp. 113-128. 77 Sul nesso tra progressivo affermarsi della clausura e conseguente abbandono degli originari ideali pauperistici si veda G. ANDENNA, Urbano IV e l’ordine delle Clarisse, in Chiara e la diffusione delle Clarisse nel secolo XIII. Atti del convegno di studi in occasione dell’VIII

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4.2 Gli statuti approvati da Uberto vescovo di Vercelli Le pergamene raccolte da Patetta annoverano inoltre molti documenti comunali, quali, per esempio, una delibera del 20 gennaio 1339 del consiglio di credenza del comune di Vercelli78, riunito su mandato del podestà Borollo da Castelletto79, in seguito a petizione inoltrata dai consoli e dagli abitanti di Bioglio che chiedevano la ratifica di «duo statuta» approvati da Uberto Avogadro vescovo di Vercelli80 con documento dell’11 gennacentenario della nascita di s. Chiara, Manduria 14-15 dicembre 1994, a cura di G. ANDENNA – B. VETERE, Galatina 1998, pp. 195-218: 210-218. Sul testo urbaniano anche G. ANDENNA, Urbano IV e l’istituzione dell’Ordine delle Clarisse, in Regulae – Consuetudines – Statuta. Studi sulle fonti normative degli ordini religiosi nei secoli centrali del Medioevo. Atti del I e II Seminario internazionale di studio del Centro italo-tedesco di storia comparata degli Ordini religiosi, Bari – Noci – Lecce, 26-27 otobre 2002, Castiglione delle Stiviere, 23-24 maggio 2003, a cura di C. ANDENNA – G. MELVILLE, Münster 2005, pp. 539-568. Cfr. anche A. BARTOLOMEI ROMAGNOLI, Chiara e Foucault. La clausura come eterotopia, in Da santa Chiara a suor Francesca Farnese. Il francescanesimo femminile e il monastero di Fara in Sabina, a cura di S. BOESCH GAJANO – T. LEGGIO, Roma 2013, pp. 47-68. Per la regola di Innocenzo IV si veda G. CASAGRANDE, La regola di Innocenzo IV, in Clara claris praeclara cit., pp. 71-82. In alcuni monasteri tuttavia la regola data da Innocenzo IV il 6 agosto 1247 (cfr. Bullarium franciscanum, a cura di G. SBARALEA – K. EUBEL, Romae 1759, I, pp. 476-483), che autorizzava le comunità alla proprietà comune, creò tensioni tra le monache riguardo al rispetto del principio di povertà al quale era ispirata la prima esperienza di Chiara. I dissensi seguiti alle nuove disposizioni innocenziane sono ampiamente documentate per le Clarisse di Novara, tra le quali si discusse in modo accesso riguardo al rispetto del principio di povertà e al possesso dei beni (cfr. G. ANDENNA, Le Clarisse nel Novarese (1252-1300), in Archivum Franciscanum Historicum 67 (1974), pp. 183-267), mentre sono sottintesi nel testo di un lascito testamentario per quelle di Mantova (cfr. AURORA, Documenti originali di Clemente IV cit., p. 22). 78 BAV, Pergamene Patetta, busta 3, n. 14. 79 Borollo da Castelletto di Milano, negli anni precedenti podestà di Bergamo e di Novara, resse Vercelli dal 1338 al primo semestre del 1340. Il potere a Vercelli era detenuto dalla primavera del 1335 da Azzone Visconti, tuttavia, nonostante gli accordi con gli Avogadro, banditi dalla città nel 1334, le tensioni non si placarono, sicché Azzone concesse la podesteria a uomini particolarmente fidati, quali Borollo, benché questi fu poi coinvolto nella congiura antiviscontea promossa da Francesco Pusterla. Si veda G. BATTIONI, Osservazioni sul reclutamento e la circolazione di podestà bergamaschi in età comunale (inizio sec. XIII – inizio sec. XIV), in I podestà delll’Italia comunale, I: Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. – metà XIV sec.), a cura di J.-C.-M. VIGUEUR, Roma 2000 (Collection de l’École française de Rome, 268), I, pp. 113-139: 126; P. GRILLO, Istituzioni e personale politico sotto la dominazione viscontea (1335-1402), in Vercelli nel secolo XIV. Atti del quinto congresso storico vercellese, Vercelli, Aula Magna dell’Università A. Avogadro, Basilica di S. Andrea, 28-30 novembre 2008, a cura di A. BARBERO – R. COMBA, Vercelli 2010, pp. 79-115: 86-87, 104-105. 80 In quegli anni sia il comune sia la chiesa eusebiana furono retti da esponenti della famiglia degli Avogadro; cfr. A. BARBERO, Signorie e comunità rurali nel vercellese fra crisi del districtus cittadino e nascita dello spazio principesco, in Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 411-510: 430-431. Per il ruolo svolto da Uberto Avogadro a sostegno della fazione guelfa vercellese, in favore della quale utilizzò le risorse della chiesa eusebiana, cfr. R. RAO, Comune e signoria a Vercelli, in Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 21-62: 34-35; ID., Signori di popolo. Signoria cittadina e società comunale nell’Italia nord-occidentale 1275-1350, Milano 2012, pp. 153-166.

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io 1314. La prima disposizione stabiliva l’impossibilità per gli abitanti di Bioglio di vendere, donare e alienare a qualsiasi titolo terre a persone non residenti da almeno cinque anni, la seconda revocava le transazioni di tal genere verificatesi negli ultimi cinque anni e sanciva che le terre dovevano essere rivendute agli abitanti del comune81. Gli statuti furono ratificati dal comune di Vercelli a fronte di una modifica: la pena prevista per i contravventori e le terre che, in base a quanto sancito nel documento, sarebbero state requisite, dovevano essere devolute non più alla chiesa ma al comune vercellese82. Le annotazioni autografe di Patetta che accompagnano questo documento risultano preziose per comprendere la modalità utilizzata dal collezionista per classificare la documentazione acquisita. Sulla cartellina a custodia della pergamena egli annotò che il documento era unito a un atto del 18 gennaio 1403 in cui era stata copiata la delibera del comune vercellese, «essendo però nella stessa pergamena copia di una lettera della duchessa di Milano Caterina Visconti e del figlio Filippo Maria allora conte di Pavia in data 22 dicembre 1402 … essa è collocata nella serie degli Autografi e documenti dei Visconti»83. Una simile nota di rinvio è scritta sulla sovraccoperta del documento del 1403, in cui si avvisa che l’atto originale del 1339 è posto tra le pergamene. Tali appunti confermano dunque quanto è stato supposto, e cioè l’esistenza di una serie a se stante composta solo da pergamene e la presenza nella generale raccolta intitolata «Autografi e documenti» di alcune suddivisioni composte dallo stesso Patetta. Attestano inoltre come la passione di collezionista di autografi ebbe la meglio sul 81 La comunità di Bioglio è dalla prima metà del Duecento sotto la duplice giurisdizione del comune e del vescovo di Vercelli. Nel 1243 infatti il comune di Vercelli, per la sua adesione al partito guelfo, acquistò, con il consenso del legato pontificio, la giurisdizione su un buon numero di comunità appartenenti alla chiesa eusebiana. Si veda F. PANERO, Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà della Chiesa di Vercelli dall’età tardo carolingia all’età sveva, Vercelli 2004, pp. 167-170. Per le comunità del vercellese a giurisdizione mista e in particolare su Bioglio si vedano BARBERO, Signorie e comunità cit., pp. 427-428; F. NEGRO, “Et sic foret una magna confuxio”: le ville a giurisdizione mista nel vercellese dal XIII al XV secolo, in Vercelli fra Tre e Quattrocento. Atti del sesto congresso storico vercellese, Vercelli, 22-24 novembre 2013, a cura di A. BARBERO, Vercelli 2014, pp. 401-477: 452-454. 82 Una disposizione simile compare negli statuti vercellesi del 1241, dove si proibisce di alienare castra e terre ubicati nei confini cittadini per un raggio di quattro miglia ad acquirenti che non appartengono alla città o non sono nella giurisdizione e nel distretto di Vercelli. Cfr. Statuta communis Vercellarum ab anno 1241, in Historiae Patriae Monumenta, XVI: Leges Municipales, t. II/2, Augustae Taurinorum 1881, coll. 1089-1264: 1165, n. 185. Riflessioni su alcune disposizioni di questa raccolta statutaria nell’esame comparativo con quelle presenti nella legislazione del 1341 sono in E. MONGIANO, La riforma statutaria del 1341, in Vercelli nel secolo XIV cit., pp. 141-168. 83 La pergamena è ora in BAV, Raccolta Patetta, 164, fasc. 3.

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vincolo archivistico e i due documenti, relativi entrambi a Bioglio e forse cuciti tra loro84, furono divisi in due sezioni differenti. 4.3 Siena e l’espansione nel territorio Tra i documenti comunali troviamo la sentenza emanata il 25 aprile 1332 dai deputati dal governo dei Nove di Siena che, intervenuti a dirimere la controversia sorta tra Arcidosso e Montelaterone riguardo alla definizione dei confini territoriali, stabilirono la linea perimetrale e ordinarono di porre lungo di essa i termini lapidei85. Patetta acquistò il documento nel giugno 1940 a Firenze dalla libreria Gonnelli, una delle più antiche e affermate librerie antiquarie86, insieme 84 Le due pergamene presentano lungo i margini superiore e inferiore una serie di fori, nei quali in origine passava uno spago, indice di come esse erano state cucite forse tra loro, ma di certo ad altri documenti. Inoltre ambedue furono acquistate insieme il 31 marzo 1930 e sono contrassegnate con il medesimo numero di ingresso; cfr. BAV, Catalogo dei libri, n. 915. 85 BAV, Pergamene Patetta, busta 3, n. 4. Per i conflitti intorno ai confini territoriali considerati come elemento di identità urbana si veda O. REDON, Sur la perception des espaces politiques dans l’Italie du XIIIe siècle, in Le Italie del tardo Medioevo, a cura di S. GENSINI, Pisa 1990, pp. 51-70: 54-58; Distinguere, separare, condividere. Confini nelle campagne dell’Italia medievale, a cura di P. GUGLIELMOTTI, Reti Medievali Rivista 7, 2006/1 (gennaio-giugno). I dissidi tra le due comunità sono attestati da più documenti del 1332, si veda G. AMBROGI, Arcidosso e i conti Aldobrandeschi, Roma 1928, pp. 65-66. Il castello di Arcidosso era tenuto dagli Aldobrandeschi, una delle principali famiglie comitali della zona, ed entrò nel dominio senese negli anni 1331-1332, per metà ceduto al comune in pagamento di debiti pregressi e per metà venduto dagli Aldobrandeschi conti di Santa Fiora; cfr. Il Caleffo Vecchio del comune di Siena, IV, a cura di M. ASCHERI, Siena 1984, pp. 1735-1740, n. 1081; pp. 1811-1813, n. 1101; W. M. BOWSKY, The finance of the commune of Siena 1287-1355, Oxford 1970, p. 28. L’acquisizione di Arcidosso rientrava nella politica di espansione condotta dal comune lungo il versante meridionale, culminante nelle sottomissioni di molte proprietà degli Albobrandeschi tra 1330 e 1332. Sulle relazioni tra Siena e gli Aldobrandeschi, dall’alleanza sostanzialmente paritaria agli inizi del XIII secolo, al progressivo espandersi del comune, fino all’inserimento del dominio dei conti nello spazio politico senese, si veda S. M. COLLAVINI, “Honorabilis domus et spetiosissimus comitatus”. Gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” (secoli IX-XIII), Pisa 1998, pp. 382-396. Cfr. anche G. ROSSETTI, Gli Aldobrandeschi, in I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Atti del 1° convegno, Firenze, 2 dicembre 1978, Pisa 1981, pp. 151-163; O. REDON, L’espace d’une cité. Sienne et le pays siennois (XIIIe-XIVe siècles), Rome 1994 (Collection de l’École française de Rome, 200), pp. 139-150. Su Arcidosso e le altre comunità di castello in quest’area della Maremma e sugli Aldobrandeschi si veda C. WICKHAM, Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750-1250, in L’Amiata nel Medioevo, a cura di M. ASCHERI – W. KURZE, Roma 1989, pp. 101-137; O. REDON, Le comunità di castello sull’Amiata e nei domini aldobrandeschi nel Duecento, in Gli Albobrandeschi. La grande famiglia feudale della Maremma toscana, a cura di M. ASCHERI – L. NICCOLAI, Arcidosso 2002, pp. 67-75; R. FARINELLI, La Toscana delle ‘città deboli’. Dinamiche del popolamento e del potere rurale nella Toscana meridionale (sec. VII-XIV), Firenze 2007, pp. 148-150. 86 Sulla libreria fondata a Firenze nel 1875 da Lugi Gonnelli si veda F. CRISTIANO, L’antiquariato librario in Italia. Vicende, protagonisti, cataloghi, prefazione di V. ROMANI, Roma 1986, p. 76.

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ad altre pergamene di provenienza senese, tra le quali dieci fogli, tagliati forse da un registro, in cui sono stati copiati, da una mano trecentesca, nove documenti della metà del XIII secolo relativi a diversi esponenti della famiglia comitale dei Pannocchieschi. Tra febbraio e dicembre del 1263 Inghiramo e Paganello di Mangiante di Pietra, Berardino di Gherardo e Bernardino di Bernardino di Perolla sottomisero al comune di Siena i castelli di Gerfalco, Travale, Castiglion Bernardi, Castel di Pietra, Perolla, Rocchette Pannocchieschi87 e altre terre soggette alla consorteria riservandosi di non perdere «dominationem et iurisdictionem in suos homines et fideles et in dictis terris eorum»88. In modo simile agirono Pannocchia di Ugolino, Ranieri Cetera di Ranuccio e Bonifacio di Guglielmo insieme alle relative comunità di castello89. L’accordo si inseriva nel tessuto di alleanze instaurate dal comune senese che, sostituendosi ai titolari del potere signorile e attraverso giuramenti di sottomissione delle comunità, attuava la progressiva espansione del suo dominio, come sottolineano gli stessi documenti90. Legata a questa documentazione è ciò che rimane di un fascicoletto pergamenaceo, vergato da una mano trecentesca, in cui sono trascritti una serie di documenti relativi al castello di Gavorrano, in provincia di Grosseto. Anche il castello di Gavorrano era legato alla famiglia dei Pannocchieschi91 87 La storia di questi castelli, legati alla famiglia Pannocchiesca, è attentamente ricostruita con utilizzo di fonti documentarie e archeologiche in R. FARINELLI, Repertorio storico archeologico dei castelli della Toscana meridionale, schede 29.3, 29.6, 27.3, 18.6, 23.18, 23.9, allegato al volume ID., La Toscana delle ‘città deboli’ cit. 88 Il Caleffo Vecchio del comune di Siena, a cura di G. CECCHERINI, III, Siena 1940, p. 1010. Queste comunità fecero in seguito atto di sottomissione al comune senese nel 1332; cfr. REDON, L’espace d’une cité cit., pp. 150-152. 89 BAV, Pergamene Patetta, busta 2, n. 36. Le copie sono tutte prive di data cronica e alcune anche di data topica, eccetto la prima in cui la data, 30 novembre 1263, è stata erasa. I documenti sono editi in Il Caleffo Vecchio cit., pp. 1000-1016, nn. 839-846. Sulla compilazione del Caleffo Vecchio e sui documenti di cessione a Siena dei diritti feudali da parte di grandi dinastie territoriali quali i Pannocchieschi e gli Aldobrandeschi si veda P. CAMMAROSANO, Tradizione documentaria e storia cittadina, Introduzione al “Caleffo Vecchio” del comune di Siena, in Il Caleffo Vecchio del comune di Siena, V, a cura di M. ASCHERI, Siena 1991, pp. 5-81: 79; REDON, L’espace d’une cité cit., pp. 149. 90 Per l’uso di formulari molto difformi tra loro nei documenti di sottomissione al comune di Siena cfr. O. REDON, I comuni nell’organizzazione del territorio senese, in EAD., Uomini e donne del contado senese nel Duecento, Siena 1982, pp. 177-221: 204-221. 91 Cfr. FARINELLI, La Toscana delle ‘città deboli’ cit., scheda di repertorio 18.1. Il castello e il territorio di Gavorrano entrarono a far parte in seguito del patrimonio familiare dei Malavolti grazie alla politica del vescovo di Siena Donosdeo, cfr. B. FRANCO, Church and Family. The tenure of bischop Donosdeo Malavolti, 1317-1350, in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri. Gli universi particolari. Città e territorio dal Medioevo all’età moderna, a cura di P. MAFFEI – G. M. VARANINI, Firenze 2014, pp. 305-313: 310.

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e, insieme ad altre loro proprietà, insisteva su un territorio, che lambiva l’entroterra del golfo di Follonica, caratterizzato da importanti giacimenti minerari e, quindi, da una fiorente e redditizia attività estrattiva e metallurgica92. Nel fascicolo si leggono, tra gli altri, l’atto di dedizione al comune di Siena93 e le annotazioni relative ai pagamenti di censi e cera estratte dai libri dell’ufficio finanziario della Biccherna, e precisamente dal libro delle entrate, comprendente il periodo dal 1 luglio 1333 al 1 gennaio dell’anno seguente, compilato al tempo del camerlengo Egidio, come attestano i notai che le copiarono il 2 ottobre 1338 su mandato del camerlengo Matteo, monaco di S. Galgano. I pochi esempi testimoniano le notevoli potenzialità insite nella raccolta pergamenacea che a motivo della diversità dei documenti permette di seguire linee di indagine differenziate. Certo la documentazione è frammentaria, come accade in una collezione, tuttavia è possibile individuare nuclei più consistenti di documenti appartenuti in origine a un medesimo archivio, oppure insiemi di atti che, pur avendo diversa provenienza, sono stati riuniti in quanto avevano in comune la specificità della magistratura da cui emanavano e perché rispondevano a peculiari interessi di studio di Patetta. La presenza di pergamene provenienti dai comuni dell’Italia centro-settentrionale si deve probabilmente ai suoi interessi sulla formazione delle autonomie comunali nella prospettiva della storia del diritto94; così 92 R. FRANCOVICH – R. FARINELLI, Potere e attività minerarie nella Toscana altomedievale, in La storia dell’alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia. Atti del convegno internazionale, Siena 2-6 dicembre 1992, a cura di R. FRANCOVICH – G. NOYÈ, Firenze 1994, pp. 443-465; ID., Paesaggi minerari della Toscana medievale: castelli e metalli, in Castrum 5. Archéologie des espaces agraires méditerranéens au Moyen Âge. Actes du colloque de Murcie (Espagne) tenu du 8 au 12 mai 1992, a cura di A. BAZZANA, Madrid-Rome-Murcie 1999, pp. 467-488; R. FARINELLI, La Toscana delle ‘città deboli’ cit., pp. 124-129; G. BIANCHI – L. DALLAI – S. GUIDERI, Indicatori di produzione per la ricostruzione dell’economia di un paesaggio minerario: le colline metallifere nella Toscana medievale, in V Congresso nazionale di Archeologia medievale. Palazzo della Dogana, Salone del Tribunale (Foggia); Palazzo dei Celestini, Audirotium (Manfredonia), 30 settembre-3 ottobre 2009, a cura di P. FAVIA – G. VOLPE, Firenze 2009, pp. 637-643. 93 BAV, Pergamene Patetta, busta 2, n. 35. Si tratta di un ternione, più due fogli sciolti, uno dei quali mutilo, che in origine dovevano essere cuciti insieme a costituire il fascicolo. L’atto di sottomissione è privo di data cronica; solo due dei documenti trascritti nel fascicolo sono datati, entrambi al 2 ottobre 1338. In calce al primo foglio, la medesima mano che trascrive i documenti, ha scritto: «fiat copia inquisitionis formate contra comune Gavorrani et totius processus». I capitoli della sottomissione di Gavorrano al comune di Siena sono editi in Il Caleffo Vecchio cit., IV, pp. 1753-1760, n. 1088, l’atto è rogato a Siena il 15 dicembre 1331. Il testo del documento trascritto nel fascicoletto conservato in Vaticana è solo parzialmente simile a quello edito, inoltre l’atto è rogato a Gavorrano. 94 F. PATETTA, Nobili e popolani in una piccola città dell’Alta Italia, in Reale Università degli Studi di Siena. Annuario accademico 1901-1902, Siena 1902 (si tratta della prolusione, corredata da note e documenti, letta durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1901-1902

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come i molti documenti di ambito toscano sono da mettere in relazione con la sua docenza di Storia del diritto italiano nell’Università di Siena e con lo studio che in quel periodo conduceva sulle fonti locali95. D’altronde l’eterogeneità dei documenti rispecchia la personalità di Patetta, studioso di molteplici interessi e di vasto sapere, come testimoniano gli scritti prodotti durante la sua lunga attività scientifica96. Erede dei grandi eruditi del Sei-Settecento, come lo definì Guido Astuti, suo ultimo discepolo, egli riusciva a muoversi con disinvoltura in ambiti di studio molto diversi che dal diritto romano, suo specifico campo di indagine, giungevano alla storia, alla letteratura, all’edizione di testi antichi e medievali, sostenuto in ciò da una profonda conoscenza delle fonti e da una perizia in campo filologico, paleografico e diplomatistico. La solida e ampia cultura permise a Patetta di orientarsi con abilità nel variegato patrimonio manoscritto messo in vendita da librerie antiquarie e da privati, poiché, come ricorda ancora Astuti, «alla passione di collezionista egli univa gusto raffinato e sicura esperienza di intenditore»97, qualità che gli consentirono di entrare in possesso di un patrimonio documentario che in altro modo sarebbe andato perso.

all’Università di Pisa), pp. 379-382; ID., Studi storici e note sopra alcune iscrizioni medievali, in Memorie della Reale Accademia delle scienze, lettere ed arti in Modena, s. III, 8 (1909), pp. 1-399; ID., Caorsini senesi in Inghilterra nel secolo XIII. Con documenti inediti, in Bullettino senese di storia patria 4 (1897), pp. 311-344. 95 Patetta fu un assiduo frequentatore dell’Archivio di Stato di Siena, dove, a cavallo tra i due secoli, si ritrovarono numerosi studiosi italiani e stranieri, autorevoli docenti universitari e giovani laureati, poiché in quegli anni lo studio e l’analisi delle fonti erano considerati indispensabili per chiunque volesse condurre ricerca scientifica in qualunque disciplina, dalla storia, al diritto, alla letteratura, all’economia, alla statistica, alla botanica, alla storia della medicina. Si veda a riguardo P. NARDI, Le relazioni tra l’Archivio di Stato di Siena e il mondo universitario dalla fine dell’Ottocento al 1960, in I centocinquant’anni dell’Archivio di Stato di Siena. Direttori e ordinamenti. Atti della giornata di studio, Archivio di Stato di Siena, 28 febbraio 2008, a cura di P. TURRINI – C. ZARRILLI, Roma 2011, pp. 117-156: 135. 96 Si veda la bibliografia della produzione scientifica del Cairese in L. BULFERETTI, Introduzione, in F. PATETTA, Storia del diritto italiano, Torino 1946, pp. V-LIV; ASTUTI, Federico Patetta cit., pp. 270-273. 97 Ibid., p. 82. Sulla figura di Federico Patetta si vedano anche i seguenti contributi: I. SOFFIETTI, Patetta, Federico, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, a cura di M. L. CARLINO – G. DE GIUDICI – E. FABBRICATORE – E. MURA – M. SAMMARCO, Bologna 2013, pp. 1522-1524; E. MONGIANO, Patetta, Federico, in DBI, 81, Roma 2014 [www.treccani. it/enciclopedia/federico-patetta_(Dizionario-Biografico)/].

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LE CARTE DI CASTELVECCHIO NELL’ARCHIVIO BARBERINI I dati di seguito illustrati rappresentano riflessioni preliminari alle quali chi scrive è giunta durante lo sviluppo di un progetto di dottorato attualmente in corso nell’ambito delle scienze documentarie. La ricerca è stata svolta nell’Archivio Barberini1 e ha avuto come oggetto le serie contabili — cuore pulsante di ogni archivio nobiliare — indagando il sistema gestio1 Nel 1902, a seguito di due anni di lunghe trattative gestite da padre Franziskus Ehrle, la famiglia Barberini decise di vendere al completo l’eredità libraria e documentaria; M. BATLLORI, El Pare Ehrle prefecte de la Vaticana, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda, I, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 99-101. Si tratta, per altro, di uno dei rari casi in cui stampati, manoscritti e archivio si trovano ancora insieme nella stessa sede, Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV), Archivio Biblioteca, 33; F. EHRLE, Bibliothektechnisches aus der Vatikana, in Zentralblatt für Bibliothekswesen 33 (1916), pp. 197228. Cfr. L. CACCIAGLIA, Archivi di famiglie nella Biblioteca Vaticana, in Archivi e archivistica a Roma dopo l’Unità: genesi storica, ordinamenti, interrelazioni. Atti del convegno (Roma, 12-14 marzo 1990), Roma 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 30), pp. 380-403. La Sezione Archivi della BAV, a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, ospita il grande archivio della famiglia Barberini, costituito, per la maggior parte, dalla documentazione prodotta dagli esponenti della discendenza romana di Maffeo Barberini (1568-1644). Per approfondimenti su questo archivio nobiliare e per un suo inquadramento generale si veda L. FIORANI, Archivio Barberini, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), pp. 677-683. L’Archivio Barberini giunse alla BAV con l’organizzazione attribuitagli nel corso dell’Ottocento dagli archivisti e bibliotecari della casa Alessandro e Sante Pieralisi, insieme a un inventario in quattro volumi che, ordinato nelle diverse serie, ne descrive la condizione archivistica e ancora oggi ne permette la consultazione. La condizione attuale delle serie e gli strumenti di consultazione odierni corrispondono a: — BAV, Arch. Barb., Pergamene, Sala Cons. Mss., 382 (1), (Inventario parziale a stampa P. PECCHIAI, [Città del Vaticano] 1959); — BAV, Arch. Barb., Carteggi e documenti, nuova denominazione della vecchia serie di buste descritte da P. Pecchiai come Documenti avanti e contemporanei al pontificato di Urbano VIII, num. 1-250 [BAV, Sala Cons. Mss., 382 (1) rosso], che non corrisponde più all’odierna situazione e che quindi richiede un nuovo inventario; — BAV, Arch. Barb., Indici I-IV, Sala Cons. Mss., 382 (2-7), (Inventario a cura di S. PIERALISI riedito da L. FIORANI, [Città del Vaticano] 1978-1980; — BAV, Arch. Barb., Abbadie, Sala Cons. Mss., 382 (10), di questa serie Abbadie, esiste un inventario conservato nella Sezione Archivi a cura di M. BUONOCORE, Bibliografia retrospettiva dei fondi della Biblioteca Vaticana: I, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 361), pp. 193-280; — per quanto riguarda la serie Computisteria, il settore strettamente contabile dell’ar-

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nale dell’enorme patrimonio costituito soprattutto dalle grandi proprietà terriere della famiglia Barberini nel contesto dello Stato pontificio. Lo scopo del seguente lavoro è di presentare, da una parte, una descrizione analitica di una sottoserie della Computisteria Barberini2: Castelvecchio3 e, dall’altra, di fornire gli strumenti adeguati per poter collocare le fonti documentarie che la riguardano all’interno del quadro dei processi di sviluppo che investirono la realtà economica dello Stato pontificio in età moderna4. Se è vero, infatti, che l’archivio di una famiglia è privato proprio perché è lo specchio della vita familiare che lo ha prodotto e reca perennemente in sé i tratti di questa provenienza, è importante sottolinechivio fu riordinato parzialmente da Luigi Fiorani: BAV, Sala Cons. Mss., 382 (8): Archivio Barberini, Computisteria, Inventario a cura di Luigi Fiorani, 1982 [dattiloscritto]. La documentazione economica e contabile che non confluì nella serie Computisteria andrà a costituire la serie Computisteria II. L’Archivio Barberini porta in sé la traccia degli spostamenti che lo riguardarono nel corso degli anni. Sulle diverse sedi in cui fu collocato dopo l’acquisto si invita a consultare P. PECCHIAI, I Barberini in Archivi. Archivi d’Italia e rassegna internazionale degli archivi 5 (1959), pp. 1-266. Dopo aver sostato all’incirca quattro secoli tra le grandi scaffalature di legno pregiato del Palazzo alle Quattro Fontane, l’Archivio Barberini fu sistemato nelle «Gallerie che vanno dal Museo Profano alle Sale Sistine, vale a dire le Gallerie Clementina, Alessandrina, Paolina (Paolo V), e la piccola Galleria di Sisto V (salvo qualche armadio assegnato all’Archivio del Capitolo di S. Pietro), più una fila di armadi della seconda Sala Sistina», così PECCHIAI, I Barberini cit., p. XI. Tale collocazione, inoltre, «non è la prima data all’Archivio nei locali della Biblioteca; e nemmeno è una collocazione felice, per varie ragioni. Ne accenneremo solo una, […] ed è che dalle finestre, prospicienti i Giardini Vaticani, entrano insetti che, insinuandosi negli armadi, rodono le pagine dei manoscritti causando talvolta notevoli danni» (ibid.). Durante la sosta presso le Sale Paoline dei musei Vaticani, la cura e l’ordinamento dell’archivio furono affidati allo scriptor aggiunto Stanislas Legrelle (1874-1957), come si ricorda in L. CACCIAGLIA, Le “Giustificazioni” dell’archivio Barberini – Inventario (I) – le Giustificazioni dei cardinali, Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 385), pp. 11-20. Negli anni Settanta l’Archivio Barberini trovò una nuova organizzazione nei locali della Sezione Archivi del Dipartimento Manoscritti. In relazione agli spostamenti e agli adattamenti cui l’Archivio Barberini fu sottoposto nel corso degli anni si veda anche CACCIAGLIA, Archivi cit. e M. BUONOCORE, Le ricerche nella Biblioteca Apostolica Vaticana, in Luigi Fiorani storico di Roma religiosa e dei Caetani di Sermoneta, a cura di D. ROCCIOLO – C. FIORANI, Roma 2013, pp. 15-31. 2 La serie Computisteria comprende «1.238 unità archivistiche, formate nella quasi totalità da volumi rilegati, taluni di grandi dimensioni; riguarda la gestione amministrativa sia del palazzo che dei feudi di famiglia. La serie, piuttosto lacunosa, è stata sistemata, ordinata e inventariata fra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo» (così FIORANI, Archivio Barberini cit., p. 680). 3 La documentazione della sottoserie Castelvecchio è stata oggetto di un’operazione di inventariazione analitica, che si inserisce all’interno di un macro progetto il cui intento è rinforzare il corredo dei mezzi di ricerca dell’Archivio, con particolare attenzione alla documentazione rimasta esclusa dai passati riordinamenti. 4 L’approccio archivistico ed essenzialmente tecnico con il quale è stato impostato il lavoro non pretende di essere esaustivo. Si auspica piuttosto che la presentazione di tale materiale possa essere utile per futuri e più approfonditi studi sui temi della storia economica.

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are che tali segni si rivelerebbero insignificanti se non fossero valutati e interpretati alla luce di una storia non solamente familiare, ma capace di scandagliare le dinamiche della società entro cui la famiglia si inserisce. Le grandi famiglie del ceto nobiliare svolsero un ruolo di rilievo nei meccanismi che dominarono i mercati dell’Italia preunitaria, «si può dire che esse siano state uno dei centri propulsori dell’attività economica5» e, in questo contesto, il peso della famiglia Barberini fu di primaria importanza. Il valore degli archivi prodotti da nuclei di famiglia è decisamente da non sottovalutare. La storiografia, nello sviluppo di percorsi di ricerca sempre nuovi, che si muovono all’interno di un ampio ventaglio di categorie, come quella sociologica, antropologica o demografica, interroga la preziosa documentazione conservata in questi archivi6. L’interesse per gli archivi delle grandi famiglie del passato7 e, in particolare, per la loro contabilità8, è fondamentale per comprendere le dinamiche della gestione 5 M. BOLOGNA, Per un modello generale degli archivi di famiglia in onore di don Luigi Alfonso per il suo 85° genetliaco, in Studi e documenti di storia ligure (Atti della società ligure di storia patria, n. s., XXXVI (CX) fasc. II, 1997), pp. 555-588: p. 557. 6 L. GIUVA, Archivi e famiglie in Parolechiave 39 (2008), pp. 171-191: p. 173. 7 È ben noto come gli archivi nobiliari prodotti dalle grandi famiglie dell’Italia preunitaria, come l’Archivio Barberini, abbiano rappresentato una testimonianza privilegiata per la ricostruzione della situazione socio-politica delle grandi città italiane. La casata Barberini è stata definita da Luigi Cacciaglia «un emblema della Roma barocca», CACCIAGLIA, Le “Giustificazioni” cit., pp. 11-20. La vita sociale e culturale romana, infatti, continuò per lungo tempo, anche a seguito della scomparsa di Urbano VIII, a essere caratterizzata dall’influenza della famiglia Barberini, i cui interessi si muovevano tra gli ambiti più disparati delle scienze e delle arti. La documentazione conservata nell’immenso archivio storico lo conferma, come sottolineato dagli studi di F. HASKELL, Patrons and Painters. Art and Society in Baroque Italy, New York 1693; C. D’ONOFRIO, Roma vista da Roma, Roma 1967; F. HAMMOND, Music and Spectacle in Baroque Rome. Barberini Patronage under Urban VIII, Yale 1994; S. SCHÜTZE, Urban VIII, in Barock in Vatikan. Kunst und Kultur in Rom der Päpste 1572-1676 (Catalogo della mostra), Bonn 2005, pp. 251-263; I Barberini e la cultura europea del Sicento. Atti del convegno internazionale (7-11 dicembre 2004), a cura di L. MOCHI ONORI, S. SCHÜTZE, F. SOLINAS, Roma 2007. Si veda inoltre la relazione Music and family archives in the Vatican Library, tenuta da M. Murata, in occasione del convegno The promise of the Vatican Library, presso l’University of Notre Dame (8-10 maggio 2016). 8 Le computisterie documentano, attraverso i loro registri, le attività di amministrazione necessarie all’accrescimento e alla conservazione del patrimonio della grande nobiltà romana e i loro archivi rispecchiano le pratiche utilizzate per raggiungere questi fini. Rappresentano la testimonianza di un’accurata metodologia contabile e archivistica. Il metodo utilizzato per la compilazione delle scritture e quindi una scrupolosa organizzazione documentaria erano assolutamente necessari al funzionamento pratico del soggetto produttore e nella fattispecie delle sue attività economiche volte all’accrescimento del patrimonio. Le carte Barberini, si profilano per la maggior parte come lo specchio amministrativo e contabile delle operazioni che contribuirono a innalzare il prestigio della famiglia, elevandola a vera e propria dinastia della nobiltà romana. Per quanto riguarda l’analisi archivistica della contabilità romana in età moderna si veda C. FIORANI, Il fondo economico dei Caetani di Sermoneta, Roma 2010, pp.

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latifondista del ceto nobiliare romano, che in età moderna dominava sulle regioni pontificie, assoggettandole a un solido regime agrario. La documentazione contabile, prodotta nel corso delle attività economiche tipiche di un sistema di gestione fondiaria, si deve pertanto considerare una fonte ineludibile per la ricostruzione della storia della formazione degli ingenti patrimoni della nobiltà romana9. Il processo di sviluppo della grande nobiltà dipendeva dalla buona amministrazione e, quindi, dagli introiti derivanti dalla campagna. Per questo motivo la proprietà terriera godeva di un’inestimabile rilevanza all’interno del patrimonio nobiliare, il prestigio così come il peso sociale e politico della famiglia erano collegati alla più alta percentuale di possedimenti territoriali annoverati nell’eredità patrimoniale. In quest’ottica lo specifico studio della sottoserie Castelvecchio deve essere visto come il risultato di una campionatura, eseguita nel corso della ricerca di dottorato, volta a circoscrivere l’indagine ad alcuni nuclei d’archivio prodotti da computisterie periferiche del governo Barberini. Tale sottoserie, rappresentativa della realtà amministrativa delle grandi proprietà dello Stato pontificio, è vista, inoltre, come l’emblema di un sistema di gestione e di amministrazione delle tenute agricole e anche della documentazione che le riguarda. Fornisce, infatti, dati peculiari sulla conformazione archivistica della contabiXXVI-XLII. Inoltre, per una ricostruzione della storia della ragioneria: F. MELIS, Storia della ragioneria: contributo alla conoscenza e interpretazione delle fonti più significative della storia economica, Firenze 1950 e S. CORONELLA, La ragioneria in Italia nella seconda metà del XIX secolo. Profili teorici e proposte applicative, Torino 2007 (Studi economico aziendali «E. Giannessi», 78). È indiscutibile, dunque, l’importanza della documentazione contabile, non solo in funzione della storia e dell’evoluzione della gestione di aziende familiari la cui struttura ricorda molto quella delle odierne holding industriali, ma anche per gli studi sul mecenatismo della famiglia nella produzione artistica della capitale. 9 Per approfondimenti sulla proprietà terriera nel periodo compreso tra il XVII e il XIX secolo, si veda A. M. GIRELLI, Le terre dei Chigi ad Ariccia, Milano 1983. L’autrice sottolinea come ricerche orientate sul valore dei possedimenti territoriali nell’ambito della composizione della ricchezza familiare del ceto nobiliare romano possano permettere di esprimere valutazioni interessanti da diversi punti di vista, quali ad esempio le condizioni dell’agricoltura nello Stato pontificio e le diverse forme giuridiche e contrattuali che disciplinavano le proprietà. Questi studi possono essere utili, inoltre, a comprendere quanto fu lento e faticoso il processo di penetrazione del capitalismo nel sistema gestionale delle campagne romane dove nuovi rapporti borghesi si innestarono nella gestione semifeudale della vecchia economia signorile fondata sul latifondo nobiliare. Per ulteriori approfondimenti sul valore degli archivi familiari e per la ricostruzione delle «storie dei patrimoni signorili delle aziende agrarie nella ricerca di regolarità e corrispondenza che potessero consentire la costruzione di modelli per il funzionamento del sistema economico sociale precapitalistico» si veda M. A. VISCEGLIA, Note conclusive in Archivi nobiliari e domestici. Conservazione, metodologie di riordino e prospettive di ricerca storica, a cura di L. CASELLA – R. NAVARRINI, Udine 2000, pp. 331-347: p. 341; G. PESCOSOLIDO, Terra e nobiltà. I Borghese, sec. XVIII-XIX, Roma 1979.

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lità “feudale”10 in genere. Le tipologie documentarie che la caratterizzano ricorrono in tutte le sottoserie archivistiche prodotte dalle computisterie periferiche, adibite alla gestione delle proprietà, in concorso con l’amministrazione centrale11. Esaminando questo particolare campione d’archivio, nondimeno, è possibile ricostruire alcune delle dinamiche socio culturali attribuibili alle più prestigiose famiglie dell’Italia preunitaria, protese nell’instancabile impegno volto a mantenere inalterato lo status sociale raggiunto. Le fonti indagate permettono, altresì, di riflettere sull’interesse peculiare che assumono i concetti di classe aristocratica e patrimonio nella prospettiva di un’economia che fondava la propria ricchezza sui domini territoriali. Lo stato nobiliare Il prestigio della famiglia era connesso con il ceto sociale di appartenenza. L’obiettivo di qualsivoglia nucleo familiare, incline a bramosia di potere era, pertanto, l’elevazione al rango nobiliare, chiave di volta e conferma del raggiungimento di uno standard di eccellenza universalmente riconosciuto. Nella regione pontificia preunitaria la possibilità di appartenere all’oligarchia aristocratica che poggiava le proprie radici su considerevoli capitali e deteneva il potere politico costitutiva una prerogativa riservata a pochi nuclei patrimonialmente potenti, un privilegio garantito se non dalla nobiltà di nascita, dall’acquisizione del titolo. L’amministrazione pontificia, nel corso dei secoli, non sempre fu riposta in mani illustri per discendenza della stirpe. Le cronache della Santa Sede hanno descritto l’avvicendarsi di un gran numero di famiglie che spiccarono per le posizioni assunte in ambito politico ed economico e che si distinsero per potere e peso governativo, quantunque molti di questi casati 10 Consapevoli del valore delle parole di Robert Boutruche per il quale «porre sotto la stessa etichetta non soltanto i vincoli di dipendenza ma anche società e istituzioni che non hanno nulla in comune con il feudalesimo significa abbandonarsi a un’abitudine meccanica e ingombrare di scorie una scienza; significa velare l’incomprensione delle cose con la confusione dei vocaboli. Cocciutamente noi teniamo per fermo che senza contratto vassallatico, senza feudo, senza un’organizzazione sociale e politica fondata su vincoli privati di natura particolare, non esiste regime feudale», cfr. R. BOUTRUCHE, Signoria e feudalesimo, Bologna 1979, p. 37, nel caso specifico il termine feudale viene utilizzato assumendo che il fatto storico al quale fa riferimento si pone in una zona di frontiera all’interno della storia; «si è spesso definito questo spazio come “transizione” per indicare un passaggio […] fondato ancora su basi feudali, ma già segnate da innovazioni borghesi» così G. PAPAGNO, I feudalesimi: la ricchezza e il potere politico in Storia d’Italia. Annali I: Dal feudalesimo al capitalismo, Milano 1978, pp. 114-183: p. 115. 11 Per maggiori approfondimenti si rimanda alla tesi di dottorato attualmente in fase di compilazione.

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non vantassero nobili origini. Fu questo il caso dei Chigi, dei Panfili, degli Odescalchi, degli Altieri e degli stessi Barberini, per i quali la documentazione archivistica a disposizione, nel narrare la storia dei natali, porta alla luce memorie di un casato non aristocratico. Si tratta, infatti, di famiglie che appartennero alla cosiddetta “nobiltà papale”, blasonate solamente in virtù dell’elezione al soglio pontificio di un loro congiunto, il quale intervenne economicamente a favore dei propri familiari avvalendosi sostanzialmente dell’utilizzo della pratica nepotistica. Tra tali famiglie, esponenti della nobiltà papale, era diffuso un sentimento di rivendicazione di titoli nobiliari e di onorifici appellativi capaci di oscurare qualsiasi traccia di un’umile provenienza. Questa tendenza, nota, altresì, come la “provanza” dello stato nobiliare, era alla base dell’equilibrio collettivo all’interno di una comunità, in cui la così detta mobilità sociale volta alla promozione di una famiglia ad un ceto più elevato tendeva a essere condizionata da criteri estremamente restrittivi che portavano a un’inflessibile insistenza sulla certezza «dell’antico sangue e della nascita e da una coscienza della classe nobile generalmente intensificata, specialmente tra la più alta e vecchia aristocrazia. […]. La distinzione di classe aristocratica era in vario modo alimentata e rafforzata da una crescente e persino ossessiva preoccupazione delle questioni di rango e precedenza, progenie, araldica e genealogia (vera o falsa) di un rinnovato senso del casato12». Anche la famiglia Barberini si inserisce in questa storia di rivendicazioni nobiliari e di mistificazione13. Tra le scaffalature che ospitano le carte dell’Archivio Barberini, infatti, Carlo di Tommaso Strozzi, genealogista della famiglia parla di un illustre casato14. Le ricerche condotte dallo stu12 P. JONES, Economia e società nell’Italia medievale in Storia d’Italia. Annali I: Dal feudalesimo al capitalismo, Milano 1978, pp. 355-370: p. 355. 13 Secondo quanto riportato da Pecchiai, PECCHIAI, I Barberini cit., pp. 1-24: è assai probabile che durante il regime feudale i Barberini fossero stati affittuari con il compito di far lavorare la terra ai coloni. Sembra un dato di fatto certo che i Barberini non siano mai appartenuti al più basso dei livelli della scala sociale, viste le prospere condizioni in cui si trovavano già nel corso del Duecento, tuttavia, anche nel momento in cui furono liberati dagli oneri del vassallaggio rimasero a lungo agricoltori in proprio, o coltivatori diretti, piccoli possidenti di campagna. Furono proprietari di case, campi e boschi, ma non di castelli, tanto più che il castello di Barberino di Colle Valdelsa venne costruito solo in un secondo momento, dopo la battaglia di Montaperti. In ogni caso è dato per certo che la famiglia sapesse amministrare egregiamente il proprio patrimonio detenuto nella Valdelsa e che, in seguito, stabilitasi a Firenze, riuscì a inserirsi appieno nel commercio laniero, in un quadro storico nel quale i mercanti italiani ebbero un ruolo di primo piano all’interno della storia dell’economia europea, stabilendo rapporti con gli stati e sviluppando strumenti finanziari di grande importanza quali l’assegno, la lettera di cambio e il sistema contabile a partita doppia. 14 C. T. STROZZI, Discorso sopra le persone, che sono state da circa cinquecento anni in qua

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dioso incaricato dai Barberini, nella persona di Taddeo, primo principe di Palestrina (1603-1647), di ricostruire le circostanze dell’origine della famiglia, risultano tuttavia forzate e inattendibili perché inficiate da intenti celebrativi15. Restano comunque di grande interesse le vicende che portarono i Barberini a inserirsi nella storia dei pontificati romani. Nel corso dei tre secoli che precedettero il trasferimento della famiglia a Roma, i principali proventi derivarono dal mercato delle stoffe tra Firenze e Barberino di Colle Valdelsa, finché, all’affacciarsi del secolo XVII le memorie del casato furono degne di essere consacrate alla storia del ceto nobiliare romano. Gli ingenti guadagni derivanti dalla mercatura e dai commerci avevano permesso alla famiglia di vantare il primo laureato, sacerdote e poi prelato, Francesco Barberini, colui che si occupò della carriera di quel Maffeo che, asceso alla Cattedra di San Pietro con il nome di Urbano VIII nel 1623, diede vita al ramo romano dei Barberini. Il nuovo pontefice si adoperò per assicurare ai propri congiunti non solo il trasferimento a Roma, ma anche la gestione e, quindi, gli introiti derivanti da alcune tra le più remunerative cariche ecclesiastiche. All’alba del Seicento il nuovo casato dominava dal punto di vista sociale e politico la capitale della cattolicità. I numerosi benefici ecclesiastici di cui furono investiti alcuni esponenti della famiglia Barberini (commende, abbazie e priorati16) andarono a costituire un cospicuo patrimonio, il quale fu potenziato ulteriormente in seguito all’acquisto di feudi e di numerose proprietà17. della famiglia Barberini, Roma, s.n., 1640. L’opera fu dedicata a Taddeo Barberini e stampata in poche copie, alcune delle quali si trovano in BAV, Arch. Barb., Indice I, Antichità della Famiglia e nel Barb. lat. 3250. 15 Dagli stessi documenti della sezione “Antichità della famiglia” (cit.), risulta che i Barberini esercitarono la mercatura non avendo quindi origini signorili. Cfr. PECCHIAI, I Barberini cit., pp. 1-24. «Il senso della nobiltà, dell’appartenere a una famiglia di cui poteva essere fatta la storia interna passando di generazione in generazione, andò radicandosi e finì col tempo anche per estendersi […]; fino a non molto tempo fa l’origine conosciuta della famiglia nel tempo rappresentava l’identificazione dell’individuo nella società», cfr. PAPAGNO, I feudalesimi cit., p. 140. 16 Su questo argomento si veda CACCIAGLIA, Le “Giustificazioni” cit. 17 Proprio a partire da questo momento di essenziale importanza storica è possibile riscontrare un maggiore impegno da parte degli esponenti della famiglia Barberini nel raccogliere ordinatamente gli atti legati al nuovo ruolo del casato. Si registra per la prima volta una vera e propria organizzazione archivistica, una chiara impennata delle annotazioni e della cura nella gestione del materiale documentario di computisteria. In concomitanza con la nomina pontificale di Maffeo Barberini si palesa chiaramente l’esigenza da un lato di sopperire a una situazione di vuoto archivistico che aveva caratterizzato la fase delle origini e dall’altro la necessità di registrare accuratamente le testimonianze del nuovo ruolo sociale ed economico raggiunto dalla famiglia. La Computisteria Barberini si arricchisce di documenti necessari all’amministrazione sia della casa, sia della ragguardevole mole di ricchezze derivanti princi-

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In quest’ottica, l’apparato nepotistico ebbe un peso tutt’altro che irrisorio negli equilibri economici e sociali della famiglia Barberini. L’utilizzo di questa pratica, che d’altra parte fu uno dei modelli di sviluppo economico dello Stato pontificio in generale, deve essere considerata la miccia che mise in moto il processo di accumulazione degli ingenti capitali che andarono a costituire il patrimonio nobiliare del casato. Il fenomeno nepotistico non dipendeva unicamente dalla predisposizione etica del singolo pontefice. Un’indole più o meno incline al rispetto delle norme morali non era assolutamente sufficiente a spiegare le dinamiche di un fenomeno estremamente complesso e particolareggiato, che con ogni probabilità legava la sua origine al carattere elettivo del sistema monarchico pontificio18. Nel momento in cui la successione si basava sull’elezione, diventava necessario per il monarca crearsi autonomamente quella rete di sostegno familiare utile per garantirsi «un maggior controllo dell’apparato amministrativo e militare»19. Se la successione dinastica ha una soluzione di continuità, è più difficile per chi detiene le redini del potere circondarsi di soggetti solidali, di conseguenza il sovrano, e nel caso specifico il pontefice, tende a ricercare il sostegno necessario all’interno della sua propria famiglia, garantendo a quest’ultima una maggiore ricchezza derivante dalle

palmente dal patrimonio fondiario. Questo periodo, fondamentale per la famiglia Barberini e il suo ruolo nella società nobiliare romana, coincise con un una fase significativa all’interno della storia della disciplina archivistica. Infatti, al volgere del XVI secolo, questo settore venne nobilitato da un dibattito teorico, florido di riflessioni relative ad aspetti metodologici e organizzativi. Se è vero, come sottolinea Antonio Romiti in alcuni suoi studi, che risalgono all’epoca comunale i primi regolamenti attinenti alla gestione dei pubblici archivi, il livello di elaborazione metodologica dell’archivistica registra un salto di qualità nel momento in cui, sul fare del Seicento, si prende coscienza del valore fondamentale di una puntuale e rigorosa registrazione contabile seguita da tutti gli accorgimenti necessari a una conservazione duratura per garantire le possibilità di fruizione, cfr. A. ROMITI, Archivistica generale. Primi elementi, Lucca 2011, p. 23. Per quanto riguarda la produzione di scritture contabili, allo scadere del Cinquecento, è interessante evidenziare il passaggio dalla compilazione di censualia (libri contabili all’interno dei quali venivano registrati i negozi in successione cronologica, tipici ad esempio della documentazione afferente all’Archivio del Capitolo di San Pietro sino alla fine del Cinquecento — BAV, Arch. Cap. S. Pietro —) alla stesura di registri che presupponevano l’utilizzo del metodo della partita doppia. 18 Il concetto di strumento nepotistico viene spiegato chiaramente in M. TEODORI, Nepotismo pontificio ed accumulazione patrimoniale nella Roma del Seicento. Il caso dei Chigi, in Tra rendita e investimenti, formazione e gestione dei grandi patrimoni in Italia in età moderna e contemporanea (Società italiana degli storici dell’economia. Atti del terzo convegno nazionale, Torino 22-23 novembre 1996) Torino 1996, pp. 165-190. Si veda anche: U. KÖCHLI, Urban VIII. und die Barberini. Nepotismus als Strukturmerkmal päpstlicher Herrschaftsorganisation in der Vormoderne, Stuttgart 2017 (Päpste und Papsttum, 46). 19 P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 2006, p. 191.

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più alte cariche civili ed ecclesiastiche: figura chiave in questo senso era il “cardinale nepote”20. Patrimonio fondiario e trasmissione dell’eredità: i beni enfiteutici di Castelvecchio Una volta costituito un patrimonio familiare di ingenti proporzioni, l’obiettivo principale di ogni famiglia, esponente dell’alta aristocrazia romana, era di mantenerlo e salvaguardarlo intatto nella sua integrità. Il patrimonio accumulato dal casato, infatti, era considerato la condizione senza la quale sarebbe venuta meno la possibilità di perpetuare il lignaggio, di conseguenza rigide norme mirate alla sua conservazione acquisivano estrema rilevanza. Giova sottolineare che sebbene il sangue comune rappresentasse il presupposto necessario alla nascita di un casato, gli equilibri familiari non poggiavano indispensabilmente su legami di agnazione. La forza del lignaggio si basava, piuttosto, sull’esistenza di interessi reciproci che dovevano, imprescindibilmente, essere verificati sul piano materiale21. Dunque, ricchezza patrimoniale e famiglia erano unite in un binomio indissolubile che incideva pesantemente sull’elaborazione del sistema legale volto a disciplinare la trasmissione dell’eredità. I criteri di successione erano, infatti, strumenti risolutivi nella battaglia per perpetuare il nucleo centrale del patrimonio familiare, reso compatto e incrollabile proprio dall’impiego di efficaci norme di trasmissione della ricchezza, volte a evitare la dispersione e la conseguente disgregazione della famiglia. Il timore che disposizioni testamentarie approssimative o favorevoli a estese donazioni potessero assottigliare i grandi patrimoni dei quali disponeva la famiglia era sempre latente. La disgregazione patrimoniale, infatti, non poteva che essere seguita dalla scomposizione della famiglia in nuovi ceppi del lignaggio che comportavano «una oggettiva diminuzione qualitativa della presenza sociale di un gruppo all’interno della più vasta comunità. E ciò era proprio quanto le classi alte intendevano evitare. Lo strumento testamentario, soprattutto nella forma del fedecommesso serviva egregiamente a questo scopo e creava una simbiosi quasi perfetta tra

20 TEODORI, Nepotismo pontificio cit., p. 167; l’autore sottolinea come questa pratica, sagacemente combinata con un’adeguata strategia matrimoniale, sia stata capace di sancire «l’ingresso delle famiglie dei pontefici accanto a quelle più antiche della nobiltà feudale, tra le fila di un’aristocrazia romana che tra Cinque e Seicento fu interessata da un profondo ricambio cui contribuirono i vistosi fenomeni di un’ascesa sociale legati al nepotismo». 21 PAPAGNO, I feudalesimi cit., p. 138.

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consistenza patrimoniale, vincoli di solidarietà familiare e status sociale e politico della famiglia22». Urbano VIII, asceso al soglio pontificio, non tardò a sviluppare un sistema legale di trasmissione della ricchezza capace di garantire alla propria famiglia basi solide e compatte, che potessero assicurare la permanenza dei presupposti patrimoniali sui quali i Barberini avevano fondato lo status nobiliare. Tra il 1627 e il 1632 furono emanati dal pontefice tre brevi23 con l’intento di regolamentare la normativa passata alla storia come maggiorasco Barberini. Fu un istituto d’eccezione capace di garantire la trasmissione della potestas e dei beni prescrivendone l’inalienabilità e prediligendo un membro della famiglia sugli altri. Si trattava di una formula giuridica capace, altresì, di superare i limiti dell’ordine di successione della primogenitura maschile su cui si basava il tradizionale fedecommesso24. Era, infatti, un istituto in grado di ovviare a una potenziale estinzione della linea mascolina di un casato, prevedendo la trasmissione ereditaria anche ai nati da relazioni incestuose, da preti e financo alle figlie femmine. L’erede designato, investito dei diritti patrimoniali, era obbligato a consegnare intatta l’eredità al proprio successore, il quale doveva essere stato preventivamente individuato tra tutti quelli che erano depositari di diritti propri sul patrimonio. In età moderna il fedecommesso è da considerarsi l’espediente giuridico maggiormente utilizzato al fine di salvaguardare i grandi patrimoni nobiliari25. Dal breve emesso da papa Urbano VIII il primo maggio 1627 per l’istituzione del fedecommesso relativo alla propria famiglia si legge: 22

Ibid. p. 129. Si fa riferimento ai tre brevi nei quali Urbano VIII sancì l’istituzione del Maggiorasco Barberini, ovvero: Romanum decet Pontificem, Roma 1 maggio 1627; Alias donationem perpetuam et irrevocabilem, Roma 1 Septembris 1627 e Romanus Pontifex, Roma 1 Novembre 1632. Si veda in paticolare: Arch. Barb., Indice II, 2559: «Bulla istitutionis fideicommissi in ecc.ma familia Barberini, sub denominazione iuris succedendi, 1 maij 1627». Diverse edizioni a stampa dei sopracitati brevi si trovano nell’Archivio Barberini all’interno di volumi che conservano documentazione legale che venne utilizzata nelle cause giudiziarie collegate a dispute sull’eredità. Si ringrazia il dott. L. Cacciaglia per avermi segnalato la presenza di tale materiale. 24 Per approfondimenti sull’istituto del fedecommesso e la sua evoluzione dall’epoca romana si vedano: C. CUTURI, Dei fedecommessi e delle sostituzioni nel diritto civile italiano, Città di Castello 1889; F. CICCAGLIONE, Il diritto successorio nella storia del diritto italiano, Torino 1891; F. MILONE, Il fidecommesso romano nel suo svolgimento storico, Napoli 1896; R. TRIFONE, Il fedecommesso. Storia dell’istituto in Italia, vol. I: Dal diritto romano agli inizi del secolo XVI, Roma 1914; L. TRIA, Il fidecommesso nella legislazione e nella dottrina dal sec. XVI ai nostri giorni; Milano 1945; V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 1974. 25 N. LA MARCA, Primogeniture e fidecommessi nella Roma pontificia, in Tra rendita e investimenti cit., pp. 147-163. 23

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«Romanum decet Pontificem comune omnium Christifidelium Patrem, ad ea, quae familiarum, et agnationum suarum, et Sanctae Romanae Ecclesiae subditorum, generis nobilitate, ac praeclaris, et insignibus erga ipsam Romanam Ecclesiam meritis, conspicuorum; maxime vero illorum, qui ipsi Pontifici secundum carnem strictiori consanguinitatis vinculo obstricti sunt, prosperum, et felicem statum, atque successum, perpetuamque conservationem respicere dignoscuntur, et quae iamdudum ab eo in minoribus costituto facta fuerunt, ut suum perfectius sortiantur effectum, peculiari affectu, et cura, studium suae paternae curae sollicitudinis convertere, et quae propterea ab eo provide facta fuisse dignoscuntur, ne in contemptionis scrupulum relabantur, sed firma perpetuo, et inconcussa remaneant, Apostolico praesidio communire; prout rerum, personarum, et temporum qualitatibus debite pensatis, familiarum ipsarum decori, et conservationi conspicit in Domino salubriter expedire. Hinc est, quod Nos alias cogitantes, quod nobiles familiae in earum dignitate conservantur potissimum, opibus in uno capite unitis, et quod si in plures partes dividantur, utique splendor, et decor familiarum declinare solet, quae ad inopiam redactae, et contemnuntur; ideoque prospicientes conservationi, et ampliationi nobilis, et antiquissime familiae nostrae de Barberinis, ex patritiis olim reipublicae Florentinae; cupientesque, quod bona in perpetuum in illa conservarentur, et ampliarentur in uno tantum capite nostrae agnationis, in infinitum, servato ordine inferius esprimendo o exprimendo; cum facultate tamen nominandi alium de agnatione, etiamsi non sit de linea ultimi possessoris, et etiamsi, uti non primogenitus secundum ordinem primogeniturae succedere non deberet […] omniaque, et singula alia bona in quibuscumque rebus consistentia, et quovis nomine nuncupata etiam de pecuniis a Nobis profectis, et proventuris, aut alias quomodolibet quomodocumque, et qualitercunque per praedictum Carolum Ducem pro se, ac vocatis, et comprehensis in secunda dicta donatione, hactenus empta, et acquisita, cuiuscunque o cuiscumque generis, et qualitatis etiam emphyteotica, ac feudalia, et ecclesiastica, ac jurisdictionalia, […] cum dd. castrorum, et tenutarum jurisdictione, mero ac mixto imperio, ac gladii potestate, et territoriis, ac tam dd. castrorum et tenutarum, quam caeterorum honorum donatorum iuribus, membris, pertinentiis, adiacentiis, usibus, commoditatibus, ingressibus, et egressibus universis, et quibuscumque, ac cum omni, et toto eo, quod bona ipsa in se, et intra se, etiam sub solo […] exceptis tamen boni haereditariis dicti Alexandri Barbadori […]26».

Tra i beni vincolati e, quindi, sottoposti alla disciplina regolamentata dai tre brevi del maggiorasco vi era, dunque, la proprietà terriera. La volontà di implementare il patrimonio fondiario, d’altra parte, era profondamente radicata nella mentalità dei gruppi familiari dirigenti, appartenenti ai più alti ranghi della società. Già in epoca medievale era opinione comunemente condivisa tra gli eredi che, proprio un eventuale frazionamento 26 Arch. Barb., Indice II, 2559, paragrafi 1-12: «Bulla istitutionis fideicommissi in ecc.ma familia Barberini, sub denominazione iuris succedendi», Roma 1 maggio 1627.

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del patrimonio fondiario, ovvero del feudo, avrebbe potuto condurre alla perdita di quell’unità patrimoniale capace di conferire lustro e potenza a un casato. Di conseguenza le numerose proprietà territoriali furono inserite tra i beni allodiali indivisibili, inalienabili e trasmissibili a un successore precedentemente designato nella linea familiare. Attraverso lo studio della documentazione d’archivio relativa alla composizione del patrimonio del notabilato preunitario, si rileva la preponderanza di investimenti immobiliari su quelli mobiliari. Tale ampliamento del patrimonio terriero, nella maggioranza dei casi, non rappresentava l’esito di una strategia difensiva, bensì il frutto della visione del latifondo come impresa potenzialmente redditizia: lo provano articolati e cospicui investimenti migliorativi che si apportavano alla tenuta e che consentivano di accrescerne la produttività27. I Barberini, eredi di un patrimonio vasto e remunerativo, procedettero ad acquisti28 non solo nell’agro romano, ma anche in altre regioni dello Stato pontificio e in primo luogo nelle Legazioni, dove si evidenziava un concreto interesse per la conduzione delle tenute. Gli archivi che si formarono in seguito alle attività amministrative tipiche della gestione latifondista sono oggi rilevanti e significativi: tra le carte che li costituiscono è facile riscontrare elementi di virtuosa imprenditorialità. Dal momento in cui Maffeo Barberini ascese al soglio pontificio le acquisizioni del casato progredirono in un susseguirsi concitato di annessioni territoriali: Urbano VIII, infatti, dovette affrontare alcune importanti questioni che riguardavano i possedimenti dello Stato della Chiesa. Fra gli altri, il territorio della Legazione di Urbino29, esercitò una forte attrattiva e, proprio a partire da questo pontificato, divenne importante fonte di guadagno per la Santa Sede. Tra le prime incombenze del pontefice, dunque, va annoverata la ratifica della devoluzione del ducato di Urbino da parte della famiglia della 27

M. CARAVALE – A. CARACCIOLO, Lo stato pontificio, in Storia d’Italia, XIV, Torino 1997, pp. 46-49. 28 «Le famiglie pontificie guadagnavano piede nell’amministrazione provinciale […]. Soprattutto i Borghese e i Barberini si arricchirono e si nobilitarono prodigiosamente di città, castelli, e terre della regione romana», così CARAVALE – CARACCIOLO, Lo stato pontificio cit., p. 441. Si veda inoltre M. PETROCCHI, Roma nel Seicento, Bologna 1970, pp. 85-86. 29 L’annessione del ducato di Urbino si inserisce in una serie di difficoltà relative ai diretti possessi territoriali della Chiesa, il problema delle giurisdizioni feudali costituiva una realtà per lo Stato pontificio, laddove i maggiori feudatari furono, lungo i secoli e anche dopo la bolla contro il nepotismo di Innocenzo XII, i nipoti del papa, cfr. CARAVALE – CARACCIOLO, Storia d’Italia cit., pp. 441-442. Si faccia, inoltre, riferimento all’opera di M. TOSI, La società romana dalla feudalità al patriziato (1816-1853), Roma 1968, p. 293. E si veda anche J. GRISAR, Päpstliche Finanzen, Nepotismus und Kirchnerecht unter Urban VIII., in Miscellanea Historiae Pontificiae 7 (1943), pp. 205-365.

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Rovere: «l’antico ducato era infatti nelle mani di Francesco Maria II della Rovere che, rimasto senza eredi maschi, nel suo testamento esplicitamente indicava il passaggio alla Santa Sede di tutti i suoi possessi. […]. Nel 1631 [alla morte del duca] lo Stato pontificio si trovava ingrandito di un territorio per più versi di notevole importanza30». Nella sottoserie Castelvecchio, Indice II, 880-924: “Investiture e possessi” è conservata una serie di scritture giuridiche e atti notarili che ripercorrono le ultime disposizioni in materia di eredità che condussero i della Rovere alla cessione del ducato. Il cesanese, nella diocesi di Senigallia, rientrava nell’asse ereditario di beni dei della Rovere ai quali, la principessa di Urbino, Lavinia Feltria (15581632), in occasione del matrimonio con Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, professandosi soddisfatta della dote assegnatagli, rinunciò in favore del Fratello Francesco Maria II d’Urbino31 (duca dal 1574 al 1623) affidando ai suoi voleri le sorti del ducato. In seguito a tale passaggio, Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII, ottenne il territorio32 in enfiteusi33 dai 30

CARAVALE – CARACCIOLO, Lo stato pontificio cit., pp. 30-31. BAV, Arch. Barb., Indice II, 892, ff. 121-160: «Instrumentum renunciationij, facta nomine excellentissima donna Lavinia Feltria de Rovere, marchesa Vasti, nepotis ex Guidobaldo alim Urbini duce, filio ducissa Eleonora Gonzacha, investita de nonnullis bonij, tam ab episcopo forosemproniem, quam ab abbate S. Crucis Fontij Avellana, illustrissimo pontefice Urbano VIII, pro persona ab ipso nominanda, cum nonnullis conditionibus. Rogato die 6 maij 1632. Per acta Fonthia»; ib., ff. 122-126: «Rinuncia, fatta dall’eccellentissima signora Lavina della Rovere, figlia dell’eccellentissimo Guidobaldo, secondo duca d’Urbino, in occasione del matrimonio col signor don Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto, al serenissimo suo fratello Francesco Maria della Rovere, di tutto l’asse ereditario, beni paterni, e materni, successione e qualunque altra cosa gli potesse spettare in avvenire, essendosi professata contenta della dote assegnatagli. Rogato da Alberto Tortoni li 25 maggio 1583». 32 Ibid., 894, ff. 165-192: «Investitura de’ beni del suddetto Castelvecchio fatta da papa Urbano VIII, a favore del signor principe don Taddeo Barberini, l’anno 1632»; ibid., ff. 174192: «Breve Urbani Pape Octavi, confirmatorium cessionis, facte per donna Laviniam Feltriam de Rovere, marchionissam Vasti, honorum emphitheuticorum forosempronien, et Casti Veteris, de quali bus investitus fuit don Tadeus Barberinus»; ibid. 895, ff. 193-232: «Bolla originale di papa Urbano VIII colla quale, ammettendo la cessione de’ beni, esistenti nello stato di Urbino, fattagli dalla signora Lavinia della Rovere, marchesa del Vasto, come posseditrice de’ suddetti beni, avuti in enfiteusi, parte dal vescovo di Fossombrone et altri dall’abbate commendatario del monastero di S. Croce di Fonte Avellana, dell’ordine di S. Benedetto, ne investisce il signor don Taddeo Barberini, prefetto di Roma, con il peso de’ canoni da corrispondersi alla mensa vescovale di Fossombrone, come anche all’altra del predetto monastero di S. Croce di Fonte Avellana, Roma, 13 giugno 1632»; ibid., 896, ff. 233-236: «Copia di breve di papa Urbano VIII, con il quale si ordina a monsignor Mattei, vice legato di Urbino, che metta in possesso di Castelvecchio il signor principe don Taddeo Barberini, attesa la cessione, riportata dalla signora donna Lavinia Feltria della Rovere, duchessa del Vasto, li 12 giugno 1632». 33 Ibid., 892, ff. 127-137: «Discorso toccante la serie del negoziato, seguito per possedere li beni di Castelvecchio, con farne investire il signor padrone don Taddeo Barberini, degnissimo nipote di Urbano VIII, dove si discorre del patto espresso di pagare nella signora marchesa del Vasto la somma di scudi settemila, nella ratificazione della cessione fatta in mano de 31

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padri gesuiti del Collegio Germanico e Ungarico34, padroni diretti dell’area entro cui ricadeva anche la tenuta di Castelvecchio35. La suddetta area geografica, inserendosi in una serie di acquisti effettuati dalla famiglia Barberini nell’ambito di una strategia di espansione del patrimonio, entrò a far parte, insieme ad altre proprietà della zona36, papa, propria persona nominanda e quello ne seguì per lo sborso di detta somma. Si parla del mandato di procura, fatto dal suddetto signor don Taddeo in persona dal signor castellano per prendere il possesso de’ detti beni prima che la predetta signora fosse chiamata da Dio a miglior vita. Come anche del laudemio da pagarsi dall’eccellenza per l’investitura fattagliene da padri del Collegio Germanico, padroni diretti, come possessori dell’abbatia Avellana, per sodisfare il quale fu fatta la stima sino alla somma di sc. 350»; ibid., ff. 138-159: «Instrumento di ratifica, toccante la cessione de’ beni enfiteutici di Castelvecchio e Fossombrone, fatta in mano del papa, propria persona nominanda dalla signora donna Lavinia Feltria della Rovere, a quali sorrogò per enfiteuta il signor don Taddeo Barberini, suo nipote, rogato per gl’atti di Giacomo Lachini, notaro in detta città di Fossombrone, li 18 dicembre del 1637. Sotto al predetto istrumento di ratifica, se ne legge un altro, concernente il consenso a tale ratifica di cessione, dato da monsignor Benedetto Landi, come vescovo di Fossombrone, per quelli effetti enfiteutici che spettano alla sua mensa vescovale». Per saperne di più sulla stima delle terre di Castelvecchio si veda ibid., 805, ff. 1010-1012: «Fede rogata da Giovanni Battista Bernata, notaro di Castelvecchio li 12 luglio 1677 con la quale attesta, che si è fatta da due periti la stima delle terre di Castelvecchio, li quali dispongono che il loro valore sia di sc. 125 la soma. Dentro la medesima in un frustolo di carta vi è il calcolo sopra some 655 totale della tenuta, a tenore della qual stima il valore della medesima ascende a sc. 42410»; ibid., 814, ff. 1103-1108: «Stato in cui si trovano tutti li poderi della tenuta di Castelvecchio, spettante all’eccellentissima casa Barberini, visitati da Domenico Marcantognini, ed Angelo Montanari periti nell’anno 1745, per ordine di Francesco Cattabeni ministro». 34 Ibid., 821, ff. 17-19: «Quietanza del canone che paga il signor principe prefetto don Taddeo Barberini al Collegio Germanico, per li beni emphiteutici del suddetto Castelvecchio. Li 31 agosto 1636»; ibid., 824, ff. 39-44: «Istumento di quietanza del canone pagato al Collegio Germanico per li beni di detto Castelvecchio alli 31 di agosto del 1641 e 1645»; ibid., 836, ff. 144-148bis: «Istrumento autentico di possesso delle casa in Senigallia, preso dall’eccellentissima signora principessa donna Cornelia Costanza Barberina, investita nuovamente de beni di Castelvecchio dal Collegio Germanico et Ungarico di Roma, come descendente della linea del signor principe don Taddeo Barberini sotto li 22 gennaro 1739. Rogato per li atti di Urbano Ginelli li 22 marzo 1739»; ibid., 899, ff. 267-272: «Sommario fatto di mano propria del signor principe, prefetto don Taddeo Barberino, delle bolle, instrumenti sopra la concessione in enfiteusi de’ beni, sì di Castelvecchio, di diretto dominio del Collegio Germanico, che delli beni di Fossombrone, di diretto dominio di quella mensa vescovile»; ibid., 901, ff. 281-348: «Copia d’istrumento di consenso, prestato dal rettore del Collegio Germanico alla cessione, fatta dalla signora marchesa del Vasto, donna Lavinia Feltria della Rovere, et investitura de’ beni di Castelvecchio suddetto, a favore del signor principe don Taddeo Barberini. Rogato per gl’atti del Fontia, notaro a Castelvecchio, li 12 gennaro 1634». 35 Oggi Castelvecchio nel comune di Monteporzio, provincia di Pesaro Urbino. 36 BAV, Arch. Barb., Indice II, 815, ff. 1109-1128: «Instrumenti enfiteutici di permuta della baronia di Collalto e del villino in via di Porta Pia già appartenenti al Maggiorasco ed ora divenuti liberi, con alcune possessioni in Piaggiolino a confine di Castelvecchio già libera ed ora vincolate a favore del maggiorasco. Rogato Pomponi. 5 settembre 1848»; ibid., 817, ff. 1147-1183: «Stima della casa posta in Senigallia di pertinenza del maggiorasco la quale pel

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della rendita del maggiorasco. Nel momento in cui la famiglia della Rovere cedette il ducato di Urbino alle dirette dipendenze dello Stato pontificio facendone, a tutti gli effetti, una Legazione37, la Sede Apostolica, allora rappresentata dalla famiglia Barberini, poté sfruttare la produzione del latifondo della Marca. Lo studio della documentazione amministrativa della tenuta di Castelvecchio diviene un’occasione per una più ampia lettura delle metodologie gestionali dell’economia pontificia. La tenuta si inserisce tra le fonti di reddito principali provenienti dai possedimenti territoriali. In un quadro di dinamiche economiche e sociali che traevano approvvigionamento principalmente dalla dimensione latifondista, Castelvecchio era una risorsa fondamentale nel gettito familiare poiché andava ad accrescere il patrimonio di origine mercantile dei Barberini. In questo territorio era largamente praticato il regime dell’affitto. La proprietà era suddivisa in oltre venti possedimenti assegnati, ciascuno, con un contratto di colonìa a un lavoratore (Tav. I). In virtù di questo sistema, l’andamento dell’azienda agricola era delegato all’affittuario a sua volta sottoposto ad un’attenta supervisione di un ministro del pontefice che rispondeva direttamente al principe. Nonostante un simile controllo gestionale e un significativo intervento dei proprietari tanto nella sfera della

suo pessimo stato si pone in vendita surrogando al maggiorasco alcune possessioni che fan parte della possidenza di Piaggiolino. 1831». 37 Non è facile comprendere l’intreccio di poteri che storicamente si creò tra le autonomie locali e il sistema istituzionale stabilito dalla Santa Sede. Le terre della Chiesa si distinguevano tra immediate subiecte: ovvero «i grandi comuni non signorili — come Perugia, Bologna, Ancona, Macerata — che continuavano ad amministrarsi con governi propri e ad evolversi secondo il libero gioco delle forze politiche interne», CARAVALE – CARACCIOLO, Lo Stato pontificio cit., p. 29, tenendo conto della giurisdizione di funzionari provinciali del pontefice e, terre mediate subiecte: costituite dai vicariati e dai feudi, «erano invece sottratte alla jurisdictio [dei funzionari provinciali del pontefice]: il potere pubblico vi era esercitato soltanto dal vicario e dal feudatario e il collegamento tra queste terre e la S. Sede viveva sulla base del rapporto personale tra il signore e il papa». Per approfondimenti si veda: G. ERMINI, Caratteri della sovranità temporale dei papi nei secoli XIII e XIV, in Zeitschrift der SavignyStiftung für Rechtsgeschichte, Kan. Abt., 37 (1938), p. 317 e CARAVALE – CARACCIOLO, Lo Stato pontificio cit., pp. 29-31. Fin dal XV secolo i comuni, nella Marca d’Ancona, godevano di un’ampissima autonomia rispetto alle legazioni. La strategia di Martino V e di altri pontefici suoi successori fu di avvicinare a sé alcune aree, come il territorio di Urbino, instaurando rapporti di parentela con il signore della zona. Diverse furono le signorie che si contesero il governo e si succedettero nel dominio di questo territorio, dai Malatesta, ai Montefeltro, fino ai della Rovere che divennero duchi di Urbino. «Nel 1474 Sisto IV concesse il titolo ducale a Federico d’Urbino. L’attribuzione di questo titolo da parte del pontefice ad un suo vicario riveste un importante significato sia sul piano giuridico, sia su quello sostanziale. […] Detta concessione accentuava in modo decisivo l’indipendenza del beneficiario dal concedente» così CARAVALE – CARACCIOLO, Lo Stato pontificio cit., p. 106. La rinuncia della S. Sede ad esercitare le potestà di governo diventava definitiva e la signoria si trasformava in principato.

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produzione, quanto in quella del mantenimento della tenuta38, le iniziative volte a innescare veri e propri processi di trasformazione del territorio e degli assetti produttivi erano per lo più insufficienti, in linea con il comportamento economico che contraddistingue tendenzialmente la figura dell’aristocratico percettore di rendita. Ordinamento della serie Qualunque corpus documentario prodotto da un nucleo familiare è il prodotto di operazioni di selezione. Questo dato emerge ancor più chiaramente in riferimento ad archivi imprenditoriali di origine “feudale”. Su questi archivi, infatti, «hanno agito fattori quali le condizioni economiche, gli ordinamenti statali, l’ambiente giuridico39» in cui il soggetto produttore ha vissuto. Negli anni le ricerche intraprese dagli studiosi della teoria archivistica di rado hanno concentrato le proprie attenzioni sulla ricostruzione della storia della disciplina applicata alla gestione della documentazione contabile, specchio delle attività economiche che le grandi famiglie romane dell’età moderna adottarono per amministrare gli ingenti patrimoni. I nuclei documentari prodotti dalle computisterie della nobiltà sono estremamente complessi40 poiché compromessi, durante le fasi della loro formazione, da una carenza di riferimenti istituzionalizzati; presentano, inoltre, «strutture articolate, con intrecci genealogici e passaggi ereditari di patrimoni e di carte così complessi e tortuosi da rendere difficile in alcuni casi stabilire 38

Tra i documenti della Computisteria II si veda la documentazione relativa ad alcuni interventi a favore del buon mantenimento della tenuta di Castelvecchio. Si ricorda che la segnatura assegnata a queste carte è provvisoria: Arch. Barb., Comp. II, 30 (40), ff. 343-346: relazione di Alessandro Picco al principe Carlo Maria Barberini, 4 luglio 1790: affari relativi al progetto della fabbrica della nuova osteria; ibid., 14, ff. 102a-102c: «28 agosto 1704. Conto de lavori fatti da mastro Giovanni Battista Saluzzi, vetraio, nel granaio dell’eminentissimo signor cardinal Francesco Barberini posto accanto alla chiesa della Cappuccini […]»; ibid., 16 (9), ff. 1-2: [1734]. 14 gennaio 1734. Ricevuta del depositario il quale informa di aver ricevuto dal tenente Gian Domenico Giovenali, ministro in Castelvecchio, l’ammontare relativo ai lavori per la fabbrica del nuovo lazzaretto secondo le indicazioni del tesoriere generale; ibid., 42 (135), ff. 418-419: «Mastro p. 177. Preventivo della spesa per i lavori qui descritti per diversi bonificamenti nella tenuta di Castelvecchio […]»; ibid., 45, (40a), ff. 814-819: «Nota preventiva dei lavori da farsi per restauri alle case coloniche […]»; ibid., 55 (74), ff. 12291230: «Mastro. p. 409. Nota di diversi lavori per miglioramenti di campagna […]». 39 GIUVA, Archivi e famiglie cit., p. 171; Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, a cura di G. PESIRI – M. PROCACCIA – I. P. TASCINI – L. VALLONE, coordinamento G. DE LONGIS CRISTALDI, I: Abruzzo-Liguria, Roma, 1991; II: Lombardia-Sicilia, Roma 1998. 40 La complessità di questi archivi deriva inoltre dalla presenza di numerose lacune causate da continui rimaneggiamenti del materiale documentario, oltre che da depauperamenti prodotti dall’azione del tempo.

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l’equivalenza tra una famiglia e un archivio41». A tal proposito è sempre bene ricordare che il nucleo familiare non è considerato, oggi come allora, un istituto di diritto pubblico42, anche per quanto concerne la produzione documentaria amministrativo economica: esso, pertanto, si trova a operare tendenzialmente secondo procedure che sono, in prevalenza, informali43. Questa autonomia da norme insieme alla genericità degli strumenti che regolamentavano la produzione documentaria amministrativa e contabile privata, si combinavano con un ossequioso rispetto di alcune avvedutezze irrinunciabili, pena l’invalidità della documentazione dal punto di vista giuridico, riconducibili, ad esempio, alla tendenza ad attenersi scrupolosamente alle procedure legali e amministrative in vigore. È importante ricordare, inoltre, l’esistenza di una trattatistica di riferimento, che fu redatta allo scopo di delineare un metodo contabile nella prospettiva di una gestione ottimale del patrimonio e delle proprietà fondiarie. Individuare tale metodo equivale a fare chiarezza sulla procedura utilizzata dagli uffici di computisteria durante la produzione documentaria e a identificare, analizzando tutta quella serie di rimandi incrociati nascosti tra le carte, gli elementi chiave nel processo di sedimentazione archivistica, fondamentali per la ricostruzione del vincolo che si cela tra le carte stesse44. Il corpus documentario che costituisce la sottoserie Castelvecchio, rappresenta la testimonianza delle attività amministrative che si inserivano 41 GIUVA, Archivi e famiglie cit., p. 172. È il caso degli Albergotti studiato da Augusto Antoniella, il quale ha ricostituito «il filo conduttore del parallelo prodursi di sette storie familiari e di altrettante memorie-archivio» in A. ANTONIELLA, Famiglie e archivi Albergotti ad Arezzo, in Gli Albergotti. Famiglia, memoria, storia. Atti delle giornate di studio (Arezzo 25-26 novembre 2004), a cura di P. BENIGNI – L. CARBONE – C. SAVIOTTI, Firenze 2006, pp. 47-81: p. 47. 42 Come ricorda Marco Bologna, infatti, «la famiglia non era un’istituzione di diritto pubblico e, successivamente alle formulazioni giuridiche romane, non ha avuto un’esatta e circostanziata legislazione e giurisprudenza se non nei tempi più recenti e, comunque, non prima del secolo scorso. È indubitabile che la famiglia venisse considerata come elemento essenziale all’interno delle istituzioni statali d’età moderna, ma non deve essere sottovalutato lo stato di assenza, o di forte carenza, di norme relative ad essa […]. L’indipendenza da regole istituzionali ha consentito in numerosi casi uno sviluppo delle funzioni e delle attività delle famiglie, in tempi e luoghi diversi, che non ha eguali nella parallela storia degli ordinamenti pubblici» (BOLOGNA, Per un modello generale cit., p. 556). 43 Le famiglie non sono vincolate «a quel complesso di norme giuridiche e tecniche previste per la formazione e la conservazione dei documenti appartenenti agli archivi degli organi che esercitano funzioni pubbliche», come ricordato in P. CARUCCI, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma 1983, p. 20. 44 A tal proposito, la trattatistica a cui si fa riferimento corrisponde a manuali quali: C. EVITASCANDALO, Dialogo del Maestro di Casa, Roma, Carlo Vullietti, 1606; A. ADAMI, Il novitiato del maestro di Casa, Roma, Pietr’Antonio Facciotti, 1636; B. VENTURI, Della scrittura conteggiante di possessioni, Firenze, Stamperia di Lando Landi, 1655; F. LIBERATI, Il perfetto maestro di casa, Roma, Angelo Bernabò, 1665.

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nelle procedure di gestione del patrimonio, messe in atto in risposta a necessità di controllo da parte dei proprietari sul reddito dell’azienda agraria. È, dunque, l’archivio di un bene sul quale i Barberini avevano investito e dal quale contavano di ottenere una rendita, lo strumento capace di garantire una valida testimonianza della corretta ed efficiente gestione amministrativa di tale territorio. I documenti relativi a Castelvecchio si presentano fisicamente divisi in tre diversi nuclei documentari corrispondenti rispettivamente a: Arch. Barb., Computisteria, 413, 880-893; Arch. Barb., Computisteria II (in fase di organizzazione45); Arch. Barb., Indice II, 785-1069. La presenza delle scritture di Castelvecchio in differenti sezioni dell’Archivio Barberini è la vivida traccia di antichi riordinamenti. Tale disposizione, del resto, non può passare inosservata e merita alcune riflessioni. Le cause dello smembramento della Computisteria Barberini in due nuclei sono assolutamente accidentali e non riconducibili alla natura della documentazione. Si tenga presente, infatti, che il materiale documentario che andrà a costituire la serie Computisteria II non presenta alcuna differenza dal punto di vista della tipologia delle scritture, sempre di carattere principalmente contabile, rispetto alla serie Computisteria; l’unica differenza rilevante si riscontra nella documentazione, prevalentemente amministrativa, archiviata in Indice II. La sottoserie Castelvecchio, originatasi per sedimentazione di un ricco assortimento di documenti vari per natura e tipologia, è un chiaro esempio delle interconnessioni esistenti tra l’archivio storico amministrativo, gestito e organizzato negli anni della produzione documentaria dagli archivisti e bibliotecari della casa, e l’archivio economico contabile prodotto e ordinato anche dal punto di vista archivistico dal computista46 e conservato con una si45 La documentazione che, prodotta dalle attività degli uffici contabili di Casa Barberini, rimase esclusa dall’ordinamento risalente agli anni Ottanta del Novecento, di cui si occupò Luigi Fiorani, è attualmente oggetto di uno studio e di un’accurata operazione di inventariazione che genererà la serie Computisteria II. In tale settore d’archivio confluiranno anche alcune serie documentarie prodotte dagli uffici di computisterie periferiche volte ad amministrare i possedimenti fondiari detenuti dalla famiglia Barberini e dislocati in diverse zone dell’esteso territorio pontificio. 46 La carica di computista godeva di fondamentale importanza nella fitta rete di uffici necessari al funzionamento del complesso meccanismo familiare. Bastiano Venturi, computista della principessa Vittoria d’Urbino, Granduchessa di Toscana, particolarmente stimato per essere un abile gestore della materia aziendale, avendo a lungo prestato servizio proprio nella Legazione di Urbino, scrisse in un’«operetta […] tutto quello che dimostrare io ne potessi nel conteggiarsi e descriversine i libri, l’entrate provenienti da fattorie, e le loro spese» cfr. VENTURI, Della scrittura conteggiante cit., pp. 6-9. Il trattato aveva lo scopo di indirizzare alla professione di computista e di migliorare le prestazioni di fattori e computisti «non interamente esperti». L’opera di Venturi si presenta «purissima di necessari documenti per

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stemazione propria al piano terreno del palazzo alle Quattro Fontane47. La sottoserie Castelvecchio riproduce, dunque, in una micro dimensione e in una prospettiva contenutistica essenzialmente collegata al settore dell’attività economica e ai metodi di buona gestione della tenuta, la sedimentazione documentaria tipica della struttura dell’archivio familiare che la contiene. Nell’impianto archivistico di Castelvecchio sono assenti le carte private di carattere strettamente personale, le quali lasciano spazio a documenti d’amministrazione affiancati da scritture contabili. A queste due tipologie preponderanti e in particolare al nucleo documentario contabile si combii principianti computisti, per gl’istessi provetti, e per gl’economi, ma ancora [per coloro] che desiderano d’incamminar bene la loro azienda» e intende presentare le qualità del computista, il suo carico di lavoro e gli effetti prodotti dalla “scrittura conteggiante”. Quale sia il libro per il bilancio e il giornale, il metodo adoperato nella partita doppia. Viene inoltre sottolineato come ciascun lavoratore della tenuta abbia il compito di redigere un libretto per il riscontro con l’amministrazione e per il rendimento dei conti. «La scrittura conteggiante ben regolata, e formata da diligente, ed applicativa penna d’intendente computista, non può che […] facilmente guidare i negozi, ed affari d’ogni gran Casa, nel sicuro e infallibil sentiero dell’Economia […]. Vengon talmente gl’istessi negozi, […] annotati, e distinti nei libri di essi, e con tant’ordine, che con poco intervallo di tempo si possono apprendere i precisi, ed i particolari, non solo dei capi principali dei medesimi negozi ma delle loro minuzie ancora». Tra i compiti del computista, quello di «conservare sotto chiave, e in luogo non pericoloso da fuoco, o altri accidenti, i libri, e le scritture dell’Azienda e di repartire queste e quegli con distinzione ben ordinata da poterne aver facilmente, e con brevità la cognizione dei negozi […]. In tenere sempre di sua mano ragguagliata la scrittura in giorno in detti libri, ed in forma distinta e chiara, che non solo brevemente, e con facilità si possa di preciso comprendere, e cavare, lo stato di qualsiasi interesse registratovi, ma anche possano ancora avere ogni fede e comprovazione al foro. [Il computista deve inoltre] dar l’istruzione, e forma, a i ministri, fattori e simili di come lor devino scritturare i libri da notarsi in essi […] a render facili e chiari i conti della loro amministrazione […] ogni sei mesi o al più un anno far le revisioni a tutti i ministeri dell’azienda […]. Dovrebb’egli ancora ogni sei mesi incessantemente di giugno, e di novembre, estrarre il bilancio de’ debitori, e creditori dell’Azienda che comprendesse il preceduto in loro a tutto aprile e ottobre antecedenti; […] Egli dovrebbe ogni anno infallibilmente e dentro il mese di gennaro formare il calcolo distinto, e particolare di tutte l’entrate, e spese dell’azienda seguita dal primo di gennaro dell’anno antecedente fino all’ultimo di dicembre susseguente, acciò che ciaschedun anno in detto tempo si abbia lo stato degl’interessi della medesima, ad effetto di poterne poi fondatamente ben considerare l’economia e quanto ne riecheggia il buon servzio dell’istesse aziende, e dei di lei padroni» [VENTURI, Della scrittura conteggiante cit., pp. 10-12]. 47 Non era un caso che le scritture di carattere ragionieristico venissero conservate separatamente rispetto al materiale documentario dell’archivio storico. A eccezion fatta per i libri mastri, che riccamente adornati, nella loro imponenza divenivano spesso incredibilmente spettacolari, le serie contabili si arricchirono di documentazione più modesta per natura e necessità contingenti. Queste ultime dovevano, infatti, essere ripetutamente maneggiate, anche per questo erano prive di orpelli e ornamenti, rilegate con scarsa raffinatezza. Non erano adatte, pertanto, a comparire tra le grandi scaffalature lignee disegnate dal Bernini accanto alle scritture più raffinate.

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na un terzo raggruppamento composto dalla corrispondenza. Le scritture che possono essere annoverate in questo insieme sono essenzialmente lettere d’affari informative, dallo stile particolarmente prolisso e ridondante, che presentano resoconti più o meno dettagliati indirizzati dall’amministrazione della tenuta al principe o ai suoi ministri incaricati. Si tratta di minute di originali già spediti. Nel caso specifico di Castelvecchio il numero delle missive conservate non è abbondante, pertanto, in fase di riordinamento, la corrispondenza è stata lasciata nella sua disposizione originale all’interno delle buste, in modo tale che possa assolvere all’originario scopo di accompagnare/introdurre le scritture contabili che affianca. Le carte d’amministrazione sono confluite nella voce Castelvecchio appartenente alla serie Indici48, precisamente Indice II. Il materiale documentario di Castelvecchio all’interno di questa serie è organizzato in fascicoli che contengono pratiche relative a diversi affari; si tratta essenzialmente di scritture pubbliche, atti notarili relativi ai procedimenti compra-vendita della tenuta, documenti giuridici riferiti alle controversie giudiziarie che videro coinvolta la famiglia Barberini ora contro il Collegio Germanico e Ungarico ora contro Vittoria della Rovere, Granduchessa di Toscana, la quale avviò una causa a favore del recupero dell’antico ducato49. La segnatura in Indice II fa riferimento ai fascicoli disposti in ordine tendenzialmente, ma non esclusivamente, cronologico e raccolti in buste. Per quanto concerne la produzione dei documenti strettamente contabili, si può ipotizzare che i responsabili degli uffici della computisteria di Castelvecchio si avvalessero di norme redazionali specifiche, precetti che potessero consentire una «lettura certa e duratura»50 dei documenti nel caso di eventuali verifiche e valutazioni sulle attività gestionali svolte. Un attento e sistematico lavoro di spoglio ha permesso una preliminare analisi della fisionomia delle fonti di natura contabile relative alla conduzione del patrimonio fondiario di Castelvecchio e all’organizzazione del lavoro 48 FIORANI, Archivio Barberini cit., p. 678: «Indici: la serie, contiene essenzialmente documenti cartacei in fascicoli di varia consistenza, si articola in: Indice primo, con documenti sulle cariche e sui benefici di singoli membri della famiglia (1.251 unità); Indice secondo, con documenti amministrativi (baliaggio di S. Sebastiano al Palatino, cappellanie diverse, canoni, concessioni, compre, vendite e permute, giurisdizioni del patrimonio di S. Vittorino e di Palestrina: 4.617 unità); Indice terzo, con documentazione contabile e amministrativa dei beni liberi e dei beni stabili (secc. XVII-XIX: 684 unità); Indice quarto, con documenti e interessi personali dei Barberini (secc. XVII-XIX: 1.697 unità) la serie è stata revisionata e dotata di nuove segnature intorno al 1980, rispettando fedelmente l’ordinamento originario». 49 Su tale argomento si consultino i documenti di Castelvecchio conservati in Arch. Barb., Indice II, 988-990: «Pretensioni e liti. Scritture legali nella causa fra l’ecc.mo principe don Taddeo Barberini e la Granduchessa di Toscana». 50 BOLOGNA, Per un modello generale cit., p. 563.

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di computisteria della tenuta. Furono prodotti documenti giustificativi di formati differenti a testimonianza di ogni singolo movimento di entrata e uscita dalle casse della casa, tali giustificazioni, spesso organizzate per tipologia di spesa, erano raccolte in filze. Ciascun movimento attestato da documenti giustificativi trovava riscontro tanto nel libro giornale, quanto nel libro mastro51; si tratta di registri contabili generali compilati l’uno sulla base della successione cronologica delle operazioni e l’altro secondo il metodo della doppia registrazione della partita in dare e in avere. Numerosi anche i registri di bilancio e i prospetti di produzione. È evidente che la famiglia Barberini riservasse una cura rigorosa tanto alla compilazione quanto alla conservazione della documentazione contabile, giunta copiosa e ben organizzata fino ai giorni nostri. Tale tendenza rappresentava un riconoscimento del grande valore attribuito a questo tipo di testimonianza52.

51 Ogni singola proprietà della famiglia era amministrata in loco grazie all’attività di uffici di computisteria periferici che collaboravano per un ottimale gestione fondiaria. Gli archivi di queste computisterie periferiche, cessate le necessità contingenti, venivano spediti a Roma presso la computisteria centrale. Uno dei principali nuclei documentari prodotto dalle computisterie periferiche è costituito dai libri mastri o libri grandi. Si tratta di volumi realizzati dall’ufficio della computisteria con lo scopo di riassumere i movimenti contabili più significativi e rappresentativi, a partire da operazioni riportate nel libro giornale. I libri mastri contengono la sintesi di tutti i registri in cui si articola la contabilità della tenuta. Vi erano riportati i conti a denari e i conti a generi. Si tratta di strumenti contabili utili perché la famiglia potesse sempre avere sotto stretto controllo la propria situazione patrimoniale nei territori delle provincie. La contabilità all’interno del mastro è organizzata secondo il metodo della partita doppia. Per consuetudine i libri mastri si aprivano con l’analisi dello stato dei capitali attivi e passivi. I mastri sono forniti di una rubricella posta nella parte iniziale o finale del volume, all’interno della quale sono riportati i nomi degli esponenti della famiglia o di alcuni istituti con cui il casato ha intessuto rapporti economici, con riferimento alle pagine in cui tali argomenti sono trattati. La tecnica del rinvio all’interno del libro mastro serviva invece a tracciare una sorta di linea rossa che consentisse di recuperare più facilmente all’interno del volume i movimenti contabili ascrivibili ad una stessa partita contabile. Era possibile, ad esempio, mappare tutte le scritture legate alla gestione delle varie attività agricole o ricostruire la storia dei frutti attivi e passivi dei censi della famiglia. Dei fondi urbani, delle tenute nell’agro romano o collocate in altre aree dello Stato pontificio si ritrova il valore catastale e la situazione degli affitti a partire da quanto registrato nel libro giornale. 52 «La corretta conservazione delle serie complete delle scritture contabili ha per la famiglia che ne è autrice un particolare valore, costante nel tempo, perché le consente di essere informata in modo diacronico sulla realtà economico-sociale in cui opera. Le scritture contabili sono la principale testimonianza della presenza di una famiglia come organo operante nella società e per questo sono considerate come la parte più preziosa dell’archivio» cfr. BOLOGNA, Per un modello generale cit., p. 572.

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Tav. I –Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Indice II, 965, f. 1342r: Pianta della tenuta di Castelvecchio.

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IL BALIAGGIO DI SAN SEBASTIANO E I ‘BENI DI TOSCANA’ DELLA FAMIGLIA BARBERINI Durante il XVII secolo, i Barberini1 consolidano la loro presenza a Roma e, pur rappresentando una famiglia fiorentina con una lunga tradizione nelle attività mercantili2, tralasciano volutamente gli incarichi di primo piano nella gestione dei settori finanziari dello Stato della Chiesa3 per concentrare i propri interessi nel raggiungimento di una posizione sociale di alto prestigio grazie ai ruoli significativamente importanti ricoperti all’interno della Curia romana. I membri eminenti di questa casata, favoriti dall’ascesa al soglio pontificio del cardinale Maffeo4, pongono le basi per la loro nobilitazione e si affermano economicamente come «una autentica dinastia che si appropriò di un immane patrimonio»5. 1

Per una panoramica sulla famiglia Barberini e la loro influenza nel contesto politico-sociale e artistico dell’Italia del Seicento cfr., nella vasta bibliografia, almeno I Barberini e la cultura europea nel Seicento. Atti del Convegno Internazionale (Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, 7-11 dicembre 2007), a cura di L. MOCHI ONORI, S. SCUTZE, F. SOLINAS, Roma 2008. 2 I Barberini, denominati inizialmente Tafani, sono originari di Barberino, nella Val d’Elsa, e si trasferiscono a Firenze dove, dalla seconda metà del Quattrocento, esercitano le attività mercantili incentrate nella lavorazione e nella commercializzazione dei tessuti. I maggiori esponenti di questa famiglia, anche a causa della loro posizione palesemente antimedicea, nel 1540 trasferiscono l’azienda ad Ancona ottenendo cospicui vantaggi economici grazie ai commerci estesi anche con l’Oriente balcanico e turco; durante la seconda metà del XVI secolo, Antonio Barberini, padre di Urbano VIII, continua ad esercitare l’attività di ‘mercatante’. Cfr. A. MEROLA, Barberini, Antonio, in DBI, 6, Roma 1964, pp. 164-165; ID., Barberini, Nicolò, ibid., pp. 178-179; C. CAMBRAI, Le carte di Castelvecchio nell’Archivio Barberini, supra alle pp. 47-68. 3 Agli inizi della sua carriera, Carlo Barberini (1562-1630) concentra la propria attenzione nel consolidamento della compagnia mercantile ereditata dal padre Antonio ma, dopo l’elezione al soglio pontificio del fratello Maffeo, si trasferisce a Roma dove si dedica, con costanza, alla gestione amministrativa dei beni della famiglia e all’acquisto di feudi e di vasti latifondi agricoli. Per un approfondimento sulla vita di Carlo Barberini cfr. MEROLA, Barberini, Carlo cit., pp. 170-171. 4 Per una panoramica sul rapporto tra potere papale e politica nepotistica cfr. almeno A. MENNITI, Il tramonto della Curia nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra XVI e XVII secolo, Roma 1999. 5 Le “Giustificazioni” dell’Archivio Barberini. Inventario, I: le giustificazioni dei cardinali, a cura di L. CACCIAGLIA, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 485), p. 11. Spunti di riflessione Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 69-84.

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Urbano VIII6 tutela le vaste proprietà dei propri congiunti e, cosciente che «le sostanze […] unite in un sol ceppo, […], se si dividono in molte parti, suol declinare lo splendore e il decoro delle famiglie, che ridotte in povertà, divengono vili e disprezzate»7, promulga atti ufficiali tesi a preservare la loro integrità. Il primo maggio 16278, il pontefice, nell’istituire il fidecommesso a favore del fratello Carlo, duca di Monterotondo, pone le fondamenta della ‘Casa Barberini’ come entità patrimoniale agnatizia dotata di onore e orgoglio gentilizio9. Se questo provvedimento costituisce una prassi consolidata non solo a Roma ma anche in altre realtà della penisola italiana10, il papa, nella costituzione del baliaggio, interviene volutamente nella modifica delle prerogative di questo strumento giuridico per dare maggiore lustro e risorse economiche ai membri cadetti della sua famiglia11. Il 27 agosto 1633, Urbano VIII, con il breve Cum annis, crea il Baliaggio di San Sebastiano dipendente dalla «Grande Croce dell’Ospizio di sulla costituzione del patrimonio Barberini sono offerti da F. PIOLA CASELLI, Una montagna di debiti. I Monti Baronali dell’aristocrazia romana nel Seicento, in Roma moderna e contemporanea. Rivista interdisciplinare di Storia 2 (1993), pp. 21-59. 6 Per una panoramica sulla vita di Urbano VIII, al secolo il cardinale Maffeo Barberini, e l’azione del suo pontificato, cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione ecclesiastica da San Pietro ai giorni nostri, LXXXVI, Venezia, 1857 pp. 41-69; L. V. PASTOR, Urbano VIII, XIII: Storia dei papi dalla fine del Medioevo, Roma 1931 pp. 229-1000; P. PECCHIAI, I Barberini, Roma 1959, pp. 136-149; G. LUTZ, Urbano VIII, in Enciclopedia dei papi, 3, Roma 2000, pp. 298-221. 7 N. LA MARCA, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione del potere, I, Roma, 2000 p. 334. 8 Breve di Urbano VIII del 1 maggio 1627 tratto da Spiegazione delli brevi di Urbano VIII, Biblioteca Vallicelliana di Roma ms. G. 50. Documento edito in LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 333-367. 9 L. TOSI, La società romana dalla feudalità al patriziato, Roma 1968, p. 232. 10 L’assegnazione giuridica del fidecommesso per la tutela dei patrimoni familiari, a favore dei primogeniti per via mascolina, è una prassi diffusa già dai primi decenni del XVI secolo tanto da essere applicata anche dai mercatores florentini romanam curiam sequentes. Ad esempio, il 17 marzo 1523, Lorenzo di Piero Bini, ‘mercatante’ fiorentino attivo a Roma, istituisce un fideicommissum a favore dei figli del fratello Bernardo, quest’ultimo datario e tesoriere di Leone X, ai quali assegna un vasto patrimonio immobiliare costituito dalle case di Firenze e dalle possessioni presso Carmignano tra cui la prestigiosa Villa del Cerretino. Cfr. Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi: ASFI), Notarile Antecosimiano, 3138, ff. 142r144v. Per un approfondimento sui fidecommessi e giuspatronati cfr. LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 15-54. 11 LA MARCA, La nobiltà romana cit., p. 138. Cfr. G. LIGUORI, I baliaggi e le commende del Sovrano Ordine di Malta, Roma 1973, p. 24. Papa Pio V, con la bolla Circumspecta, ribadisce l’indipendenza dell’Ordine di Malta da ogni ingerenza da parte delle autorità ecclesiastiche. Come evidenziato da Nicola La Marca, la possibilità dell’Ordine stesso di fondare ospedali, case religiose, priorati, commende e baliaggi senza l’autorizzazione vescovile, spinge numerose famiglie patrizie a concentrare vasti patrimoni immobiliari e mobiliari in queste istituzioni. Cfr. LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 134-135.

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San Gerosolimitano, della Lingua o Nazione d’Italia, dotandolo di notevoli beni fondiari, accuratamente descritti nelle singole unità»12 e situati esclusivamente in Toscana13; inoltre, con il breve suppletivo del 31 ottobre 12 LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 286-288. Per una panoramica sull’Ordine di Malta cfr., nella vasta bibliografia, almeno Dizionario Universale ossia repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, a cura di F. CARILLO, Venezia 1838, VIII, pp. 579-602; M. GATTINI, I priorati, i baliaggi e le commende del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme nelle province meridionali d’Italia prima della caduta di Malta, Napoli 1928; G. ARTANI, Sovrano Ordine Militare di Malta e le sue commende familiari nel diritto italiano, Roma, 1930; G. C. BASCAPÉ, L’Ordine Sovrano di Malta e gli ordini equestri della Chiesa nella storia del diritto, Milano 1940; P. MANCINI, Le commende del S.M.O.M., Roma 1974; F. GAZZONI, Ordine di Malta, Milano 1979; A. SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie e Ordine di Malta nell’Italia Moderna, Roma 1988 (Collection de l’École française de Rome, 111); F. D’AVENIA, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia moderna, Palermo 2009. 13 I beni immobiliari elencati nel breve di Urbano VIII sono: «una grande casa detta del Terrazzino, nel popolo di San Simone, sita nella piazza di Santa Croce e tendente al vico della Fogna; confinante da una parte con la suddetta piazza, dall’altra con la nostra famiglia dei Barberini, dall’altra con i monasteri delle monache di San Francesco; nonché altre due presso il sopradetto forno, in quell’estremità, nella suddetta via della Fogna, presso i Barberini e i monasteri dei monaci detti del Ceppo; nonché un’altra nello stesso popolo e piazza, altre volte abitata dai Megalotti, confinante con proprietà di Raffaele Bardelli e della Compagnia di Gesù e un’altra presso Simone dell’Antella; nonché una rimessa per riporvi il carretto, presso la predetta casa, confinante con Cassandra Alamaneschen; un’altra nella via detta del “Borgo dei Greci”, nel popolo di San Fiorenzo, confinante con Leonida del Bono e con la via dei Verecondi; un’altra presso la precedente, nello stesso popolo e via, confinante con Nicola del Pugliese; e una stalla sotto la stessa casa, che riesce sulla via dei Verecondi, confinante con lo stesso Nicola del Pugliese; nonché una stanza per uso di fabbro legnaio, posta nella stessa via affittata a Sebastiano Cellasio, sotto il Palazzo Peruzzi, alle quali due ultime case ed alla bottega si asserisce competere un diritto al monastero delle monache detto “Crocetta”, nonché un’altra bottega che serve per l’arte della lana, posta nel popolo di San Martino, confinante con Francesco Bonaventura, presso l’osteria denominata “delle Bettuccie” e inoltre due case, ridotte al presente, a una sola, dette “il Palazzo” nel castello detto dei Barberini, la quale confina con Giannozzo Pandolfini e Filippo Antonelli; e un’altra casetta a quella contigua; e un’altra casa nello stesso castello dei Barberini confinante con il palazzo detto Castro Pretorio e con proprietà di Filippo Dapiabi; ed il podere denominato Grande consistente in diverse parti di terra ulivata e di altri alberi; confinante con le confraternite di Santa Maria Maddalena di via Romana e con proprietà di Antonio de’ Nobili, nonché con proprietà dell’Ospedale di San Paolo, (il quale Podere Grande, è della capacità di centoundici stadii; e un altro podere denominato Piccolo, della capacità di cinquanta stadii per Nicola de Turchis; e un altro denominato “La Quercia” presso Giacomo Galgani) e confinante con lo stesso Marco Antonio e Bartolomeo di Filicaia, della capacità di quarantasette stadii; e un altro coltivato a Spoiano per Trosino Frosali, confinante con proprietà appartenente alla Casa della Santissima Trinità e col soprascritto Marco Antonio de Nobili e della famiglia nostra Barberini della capacità di cinquanta stadii, e un altro detto La Villa al Precosa in parte coltivabile, fruttifera, boschivo e incolto confinante con Sebastiano Antonio e Tommaso Canigiani; dagli altri lati poi i loro assai noti confini combaciano, appartenenti legittimamente alla nostra famiglia dei Barberini e la estensione di quelle prati è di trentatré stadii circa; nonché una casa sita nella stessa città di Firenze nella piazza di Santa Felicia volgarmente chiamata “La casa antica dei Barbadori” presso i suoi confini; ed ancora la somma di settemila piastre fiorentine ricavata

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163314, il pontefice assegna ulteriori privilegi a questa istituzione tra cui le proroghe per assicurare la perpetua trasmissione del patrimonio immobiliare all’interno del proprio lignaggio escludendo, di fatto, possibili ingerenze o eventuali rivendicazioni da parte dell’Ordine di Malta15. La fondazione del baliaggio, motivata ufficialmente come segno della riconoscenza papale verso Taddeo di Carlo Barberini16 per aver ricostruito l’antica chiesa di San Sebastiano al Palatino17, è contraddistinta dall’assegnazione di un numero cospicuo di proprietà. I terreni coltivati e i poderi, dal prezzo di alcuni beni della famiglia dei Barberini a noi appartenenti in forza del testamento del fu Alessandro dei Barbadori, nostro zio materno e per ordine nostro venduti per gli atti del diletto figlio Domenico Fonzia ed anche del diletto figlio Auditore generale notaio delle cause della Curia della Camera Apostolica». Documento trascritto e pubblicato in LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 286-288. 14 LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 137-138. 15 La procedura di istituzione prevede, da parte del fondatore, un cospicuo patrimonio immobiliare formalmente offerto all’Ordine di Malta che, a sua volta, istituisce una commenda o un baliaggio concesso ai discendenti del fondatore stesso. L’Ordine si riserva il diritto di richiedere le tasse di successione nel passaggio tra i vari possessori e, in caso di impossibilità della nomina del titolare, il diritto di patronato cessa di esistere e l’Ordine stesso torna automaticamente in possesso dei beni. Urbano VIII, invece, scardina questo principio liberando i Barberini da ogni obbligo: egli esonera il Baliaggio di San Sebastiano dal pagamento dalle imposte di successione e dagli obblighi richiesti agli altri baliaggi: infatti, in base alle clausole inserite dal pontefice, i titolari del patronato hanno facoltà di designare una persona idonea a ricoprire il ruolo di balì con la possibilità di estendere questa scelta anche ai figli illegittimi e in minore età. Inoltre, nel caso di impossibilità di designazione tra i membri della famiglia Barberini, i beni, che devono tornare all’Ordine di Malta, sono devoluti al Principe Taddeo e dei suoi successori. Cfr. LA MARCA, La nobiltà romana cit., pp. 137-139. 16 Il primo balì è, probabilmente, Antonio di Carlo Barberini, nipote di Urbano VIII, cardinale di Sant’Agata alla Suburra e di Santa Maria in via Lata. Il giovane porporato, nel corso degli anni, ottiene vari benefici associati all’Ordine di Malta, tra cui il titolo di priore: come afferma Pio Pecchiai, «vacavano della Religione di Malta tre commende: Urbano le riunì facendone un priorato e le assegnò, col titolo di priore, al giovane cardinale» scatenando la sollevazione dei cavalieri conto il Gran Maestro «per questa audace intromissione nella gerarchia dell’Ordine» stesso da parte del papa. (PECCHIAI, I Barberini cit., p. 189). Per un approfondimento sulla vita di Antonio di Carlo Barberini cfr. MEROLA, Barberini, Antonio cit., pp. 166-171. 17 La chiesa di San Sebastiano, situata sul colle Palatino, agli inizi dei Seicento è diroccata. Taddeo Barberini decide di accollarsi gli oneri finanziari per la ricostruzione della fabbrica e l’edificazione «delle case e dimore […] per l’abitazione di alquanti sacerdoti, chierici ed altri ministri ecclesiastici, i quali servissero la detta chiesa nelle cose divine e ne custodissero gli ecclesiastici apparati e ornamenti». Egli rimborsa la Camera Apostolica con la somma complessiva di 2.000 scudi e provvede all’acquisto, col proprio denaro, del «giardino, ossia la vigna, alla chiesa similmente contigua, ed ai rispettivi padroni e possessori pagò anche del suo i diritti ossia il prezzo concordato». (LA MARCA, La nobiltà romana cit., p. 286). Cfr. L. DI ROMA, Compendio istorico della vita del venerabile frate Bonaventura da Barcellona, Roma 1846 pp. 84-86; L. GIGLI, S. Sebastiano al Palatino, Roma 1975; La vigna Barberini sul Palatino, Milano 2009.

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— alcuni di alto pregio come quello denominato La Quercia —, sono ubicati principalmente a Barberino nella Val d’Elsa mentre, a Firenze, sono attestate delle case, dotate di edifici annessi, situate in Piazza di Santa Croce e nel Borgo dei Greci18, una stanza per uso di fabbro legnaio e una bottega che serve per l’arte della lana. L’origine di queste possessioni è ascrivibile ai beni acquisiti dai Barberini durante il XVI secolo momento in cui, i personaggi di questa famiglia, investono i proventi delle attività finanziarie e commerciali in città e nel contado; invece, la casa antica presso la chiesa di Santa Felicita e la somma di settemila piastre fiorentine sono pertinenti all’eredità di Alessandro Barbadori19. Il balì «poteva […] liberamente disporre di tutti i beni, tenerli in perpetuo e percepire, erigere, convertire a sua comodità, i frutti e le rendite»20, e la loro gestione economica è affidata, nel corso dei secoli, a persone di fiducia, come gli agenti, i computisti e figure professionali altamente qualificate che si occupano degli aspetti prettamente fiscali, come i tesorieri21. In questo contesto, i documenti relativi all’amministrazione del Baliaggio di San Sebastiano, parte integrante dell’Archivio Barberini e conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana22, costituiscono una fonte inedita di significativa importanza e strumento imprescindibile «per la ricostruzione delle vicende che portarono alla costituzione, fioritura e accrescimento del patrimonio della famiglia»23 non solo a Firenze e nel granducato ma anche in altre realtà della penisola italiana. L’inventariazione della documentazione afferente i Beni di Toscana24 ha consentito la sistemazione delle unità archivistiche in base alla loro tipolo18 Attualmente, il Borgo dei Greci è la via nel centro storico di Firenze situata tra via dei Leoni e piazza Santa Croce. 19 LA MARCA, La nobiltà romana cit., p. 288. Alessandro Barbadori, fratello di Camilla e zio di Maffeo (papa Urbano VIII), Antonio e Carlo Barberini chiama all’eredità i nipoti. Cfr. LUTZ, Urbano VIII cit., p. 288 mentre, per un inquadramento sulla famiglia Barbadori, cfr., almeno, ASFI, Ceramelli Papiani, 377. 20 LA MARCA, La nobiltà romana cit., p. 137. Una prima analisi dei documenti tendono a confermare un incremento del patrimonio immobiliare del Baliaggio di San Sebastiano tra i secoli XVII e XVIII; solo delle ricerche puntuali potranno delineare aspetti più puntuali sull’argomento. 21 Ad esempio, nel 1652 il cardinale Giovan Carlo Barberini è assistito dal signor Paolo Vettori tesoriere. Cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 1, f. 3r. Si fa presente che la numerazione del fondo è ancora provvisoria. 22 Per una panoramica sull’Archivio Barberini cfr., almeno, L. FIORANI, Archivio Barberini, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di F. D’AIUTO, P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), pp. 677-683. 23 CACCIAGLIA, Le “Giustificazioni” cit., p. 13. 24 Per l’inventariazione dei Beni di Toscana pertinenti al Baliaggio di San Sebastiano e le indicazioni ricevute per la stesura del presente contributo ringrazio sentitamente il prof.

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gia25. I Quaderni dei saldi (Tav. I) e le Giustificazioni, presenti in maggior numero, sono stati ordinati seguendo la numerazione progressiva originaria mentre nelle tre buste, raccolte sotto la denominazione Miscellanea, sono stati inseriti dei pezzi non altrimenti classificabili26; invece, la raccolta delle Lettere, quest’ultime redatte tra il 1811 e il 1819, è stata mantenuta in un’unica busta27. In questo contesto, durante le operazioni di riordino, sono state eseguite delle indagini conoscitive per comprendere, ai fini della ricerca, il potenziale e le prerogative di ciascun documento. I registri in parte contrassegnati, nel frontespizio, dalla dicitura iniziale Quaderno di saldi della villa di Barberino28, sono riferibili ad un arco cronologico compreso tra gli anni 1650-1654 e 1705-185329. Le voci di entrata e di uscita, con gli importi espressi secondo la monetazione fiorentina30, Mario Carlo Alberto Bevilacqua, il dott. Marco Buonocore, direttore della Sezione Archivi della Biblioteca Apostolica Vaticana, il dott. Luigi Cacciaglia, la dott.ssa Isabella Aurora e la dott.ssa Daniela Di Pinto. 25 In questo contesto è utile segnalare la presenza di documenti appartenenti al Baliaggio di San Sebastiano ma pertinenti ai beni relativi alle possessioni nello Stato della Chiesa. A tal proposito, le unità archivistiche relative ai Beni di Toscana sono state inventariate con un numero progressivo provvisorio al fine di rendere agevole eventuali integrazioni che potranno verificarsi durante le fasi di riordino della documentazione pertinente al Baliaggio. 26 La miscellanea comprende la «Varie lettere, e note di debitori arretrati per conto de beni del Bajulivato in Firenze», la «Visita generale di tutti li beni esistenti dentro Firenze, nel Podere del Bigallo, nella fattoria di Barberino di Val d’Elsa, e suoi annessi spettanti all’eccellentissimo signor Balì don Carlo Maria Barberini duca di Monte Libretti, e fatta a gennaio 1775» e la Raccolta di mappe e piante dei beni rustici e urbani nel territorio fiorentino. Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 92-94. 27 I documenti inventariati si presentano in buono stato di conservazione. 28 I registri, oltre alla contabilità relativa alle possessioni agricole della villa di Barberino in Val d’Elsa, comprendono anche l’amministrazione dell’agente in Toscana Filippo di Geri Artz che ricopre questo incarico dal 1734 al 1761. Egli vive stabilmente a Firenze e il suo nominativo è presente nel pagamento della Decima Granducale all’anno 1714. Cfr. ASFI, Decima Granducale 2492, f. 162rv. 29 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 1-65. La documentazione del XVIII secolo è consistente. Nei primi anni del Settecento, il cardinale Francesco Barberini è balì (Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 2-28) succeduto, in questa carica, dalla principessa Cornelia, ultima discendente della famiglia, la quale designa nel 1738 il secondogenito Carlo Maria avuto dal marito Sciarra Colonna; Carlo detiene la carica fino al 1818, anno della sua morte. Cfr. LA MARCA, La nobiltà romana cit., p. 138. 30 Registro di contabilità con note di credito e di spesa con gli importi espressi in colonna secondo la monetazione fiorentina (1 scudo = 7 lire; 1 lira = 20 soldi; 1 soldo = 12 denari). Cfr. A. MARTINI, Manuale di metrologia, ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino 1883; L. GINORI LISCI, I palazzi di Firenze nella storia e nell’arte, II, Firenze 1972, p. 797. Per le unità di misura di superficie in uso nello Stato fiorentino è utile segnalare Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Toscana. I fondi cartografici dell’Archivio di Stato di Firenze I: Miscellanea di Piante, a cura di L. ROMBAI, D. TOCCAFONDI, C. VIVOLI, Firenze 1987, pp. 487-489.

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offrono una panoramica di ampio respiro sulla gestione dei fondi agricoli e degli introiti ricavati sia dall’affitto degli immobili che dalla vendita delle produzioni agricole e artigianali31. Ad una prima analisi appare evidente la volontà dei balì di perseguire il mantenimento e il decoro delle proprietà attraverso l’investimento costante di risorse economiche. I proventi ottenuti dalla vendita di generi di prima necessità, come vino, olio, grano e bestiame, e di materie prime, come il lino e la lana, sono in parte devoluti in miglioramenti attraverso opere di bonifica idraulica, nuove piantumazioni 31 A titolo esemplificativo, sono riportate le voci principali del Quaderno di saldi con i lavoratori registrati dal fattore Jacopo Marchi dal primo settembre 1705 al 30 settembre dell’anno successivo ivi compresa l’amministrazione del procuratore Geri Artz: repertorio dei lavoratori saldati e altre spese (f. 1a); — «Antonio di Galgani e Pasquino di Bugli, e loro famiglia, tutti obbligati insieme et in solidum lavoratori del podere di Spoiano per bestie dare. Per l’appresso ricevute da Domenico Cocci già affittuario 2 buoi sc. 46, 2 asini sc. 22, 5 porci sc. 13, 20 pecore sc. 17, [totale] sc. 98 — 1705 a dì 27 settembre per numero 220 tutta di crusca compra da Francesco Mazzini di Colle lire 2.10 il 100 e con la piazza lire 3.7 in tutto speso lire 5.10 — a 28 ottobre speso in due pecore lire quattordici compra da pecorai et [..] in Maremma sc. 2 — a dì detto per n. 460 tutte di crusca compra dal suddetto a Colle al suddetto prezzo sc. 1.4.11.8. A 30 detto speso in tutto 100 di crusca compra dal suddetto a Colle al detto prezzo anzi a lire 2.18.7 e con la piazza […]» (f. 1v) — «a dì 7 dicembre ricavato di n. 5 porci venduti a San Casciano sc. 16.1.8.4 — a dì 25 gennaio ricavato di 17 agnelli venduti a Domenico Lotti sc. 4.4 — a dì 31 maggio ricavato di quattro agnelli sc. 1. 13. 4» (f. 1r-v) — «Antonio di Galgano e Pasquale di Bugli e loro famiglia tutti obbligati insieme et in solidum lavoratori del podere di Spogliano per corrente [giorno] dare […] — a dì 29 maggio 1706 datoli contanti lire 6; a dì 31 detto datogli di contanti quando vende gli agnelli lire 5 — a dì 28 agosto datogli contanti lire 6 — […] — a dì 19 aprile 1706 per risarcimento alla casa e al castagneto sc. 2.2.13.4 — a dì 25 maggio1706 per opere fatte alla fornace lire 5 — a dì 28 giugno 1706 per 7 opere fatte alla fornace lire 5- […] — per la fattura di due formelle sc. 1.2.10 — per ricognizione di tranatura fatta con i manzi per servizio del risarcimento della casa del podere di Barberino lire 4» (ff. 2r/v); «Giuseppe di Provvedi e sua famiglia tutti obbligati insieme, e in solido lavoratori del podere della Quercia per bestie [devono] dare per l’appresso ricevute da Domenico Cocci già affittuario sc. 94 — a dì 30 settembre 1709 per numero 200 […] di crusca comprata a Colle sc. 5.1- […] — a dì 26 1709 dalla Caterina Pasticci per crusca 2.13.4 — […] a dì 16 detto spesi in Ferrara per la mula lire 5 — a dì 7 dicembre 1709 ricavato di n. 4 porci venduti al mercato di San Casciano sc. 18.5.5 — a dì 25 gennaio detto da Domenico Lotti per 12 agnelli per ricavato di n. 24 agnelli scudi 12 — a dì 11 giugno 1706 da Francesco Palucci per 3 paia di buoi sc. 58 — a dì 11 luglio detto per 2 pecore vecchie lire 4 — a dì 11 luglio detto ricavato per agnelli venduti lire 2.3 — a dì 13 settembre detto per tre porci venduti a Bastiano Pacciani sc. 8.5.10 — […] — restano in essere a sua cura questo dì 20 settembre 1706 sc. 240.6.15 numero due buoi sc. 58, due mule sc. 23, due mulette sc. 20, due porci sc. 2, un agnello sc. 28, totale lire 140.6.10» (ff. 3r/v); «spese e acconcimi per il podere del Fiano; spese per le colombaie» (f. 19); «spese per granaio, cantina, frantoio» (f. 21); «spese per il podere del Bigallo» (f. 27); «spese che si fanno nel risarcimento della casa del podere di Barberino» (f. 31); «spese che si fa per la fornace la qual fornace è posta nel podere del Barberino» (f. 32); «spese che si fa per vitto a padri Cappuccini» (f. 38); «segue l’entrata et uscita a contanti tenuta da me Geri del quondam Giovanni Artz siccome il rimanente dell’amministrazione fatta per sua eminenza al dì 9 giugno 1705 a tutto il presente mese di novembre 1706 (f. 49)». Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 2.

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e il restauro di fabbricati come stalle, magazzini, granai e colombaie; particolare attenzione è riservata al funzionamento della fornace situata nel podere di Barberino dove sono prodotti mattoni destinati all’edilizia. Queste informazioni, permetteranno approfondimenti specifici sulle dimore signorili appartenenti ai Barberini, come la Villa al Precosa, Il Palazzo32, il Podere del Bigallo33, e il loro ruolo accentratore nella gestione patrimoniale dei latifondi in un periodo storico contraddistinto dalla ‘rifeudalizzazione’ della campagna toscana34. Gli edifici residenziali situati a Firenze, di alto pregio o destinati ad affittuari poco abbienti, sono frequentemente oggetto di interventi di manutenzione e di adeguamento. La rendicontazione degli acconcimi e risarcimenti di case35, che di per sé può rappresentare un vasto campo di indagine per la ricerca36, permetterà, attraverso studi mirati — anche mediante il raffronto con le giustificazioni —, l’individuazione dell’entità dei lavori di ogni singolo immobile e le maestranze impiegate37 ma, soprat32

Cfr. supra, p. 71 nt. 13. Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, ff. 50v-51r. 34 Cfr. I. BELLI BARSALI, Baldassarre Peruzzi e le ville senesi del Cinquecento, Siena 1977 pp. 5-7. Sulla ‘rifeudalizzazione’ della campagna toscana tra la seconda metà del XVI e il secolo successivo cfr., almeno, G. PANSINI, Per una storia del feudalesimo nel Granducato di Toscana durante il periodo mediceo, in Quaderni Storici 19 (1972), pp. 131-186; I Medici e lo Stato Senese, 1555-1609. Storia e territorio, a cura di L. ROMBAI, Roma 1980; G. CACIAGLI, I feudi medicei, Pisa 1984. 35 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 64, f. 2v. 36 Negli ultimi decenni, la conoscenza del cantiere storico ha assunto un carattere decisivo nello studio della Storia dell’Architettura tanto da assumere una propria autonomia come importante settore di indagine con contributi bibliografici autonomi. Infatti, la disamina delle fonti documentarie incentrate sulla gestione economica delle committenze, sia pubbliche che private, ha consentito l’identificazione di informazioni aggiuntive che hanno contribuito, in modo determinante, alla conoscenza degli edifici storici. Ad esempio, le rendicontazioni contabili, spesso rappresentate dai Libretti di muraglia, possono fornire dati importanti sulla scelta dei materiali, i luoghi di approvvigionamento, le maestranze impiegate e la tempistica di realizzazione delle lavorazioni ponendo le basi per una riflessione di ampio respiro incentrata sull’organizzazione del cantiere, sulla presenza di figure professionali specializzate e la tipologia delle scelte costruttive. Per alcuni esempi cfr., nella vasta bibliografia, almeno R. GOLDTHWAITE, The building of the Strozzi palace: the costruction industry in Renaissance Florence, in Studies in Medieval and Renaissance History 10 (1973), pp. 97-194; M. SPALLANZANI, L’abside dell’Alberti a San Martino di Gangalandi. Nota di storia economica, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Istitutes in Florenz 19 (1975), pp. 241-250; E. FERRETTI, Appunti per la conoscenza del cantiere storico: Bernardo Buontalenti e la fabbrica del palazzo di Bianca Cappello a Firenze (1573-1578), in Ricerche Storiche 32 (2003) pp. 47-79; V. ARRIGHI, E. INSABATO, Una forte per lo studio dei palazzi fiorentini: il “libro di muraglia”. Primi risultati di un censimento I: Architettura e identità locali a cura di L. CORRAIN, F. P. DI TEODORO, Firenze 2013, pp. 341-352. 37 Nella contabilità del 1650 sono presenti delle note di pagamento emesse il 19 dicembre «a reparazione del nostro Baliaggio nelle case disfatte […] spese in fare diversi accomoda33

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tutto, consentirà di delineare l’evoluzione edilizia dei fabbricati nel corso dell’Età Moderna. A tal proposito, un ausilio fondamentale per ulteriori approfondimenti sull’assetto urbanistico degli edifici e le loro caratteristiche distributive è rappresentato dalla Visita Generale di tutti li beni esistenti dentro Firenze38, una rendicontazione dettagliata compilata nel 1775, e dai «prospetti e piante degli effetti stabili del Baliaggio di San Sebastiano […] in Toscana»39, un repertorio di disegni, quest’ultimi realizzati a china e acquarello su carta, in cui sono raffigurati, oltre ai latifondi agricoli, anche le case del balì a Firenze (Tavv. II-III). Tra gli immobili cittadini emergono, per importanza, quelli disposti con il fronte principale su Piazza Santa Croce, uno dei quali definisce la testata dell’isolato sulla via Giovanni da Verrazzano, l’antica via della Fogna40 (Tavv. IV-V). Queste dimore, con un impianto riconducibile alle case a schiera di origine medievale e caratterizzate dalla presenza di logge, sono destinate ad un uso prettamente residenziale e sono concesse in locazione: ad esempio, la Casa del Terrazzino di Pietra41, contraddistinta a piano terra dalla presenza di stanze terrene, da una stalla di tre poste e un «portico, che menti». Tra le voci di spesa emergono quelle relative alla «casa rifatta lire quattrocentoventi portò contanti maestro Simone Montellatici segatore» e quelle per le «reparationi di nostre case lire quattrocento novanta portò contanti gli heredi del maestro Pietro di Baldo muratore, e per detti maestro Giovanni Baldi suo figliolo tanti sono per acconcimi fatti dal dì 18 aprile 1637 sino a tutto l’anno 1649 per staglio e accordo fatto con il signor Abbate Giuseppe Mazzoli in dì 29 novembre 1650 per mezzo del signor Gherardo Silvani architetto per fuggire ogni lite così d’accordo per essere assai discordi nel conto fu fatto detto staglio e transazione» (Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 1, f. 81r). Simone Montelatici è un legnaiuolo fiorentino: ad esempio, è retribuito, il 28 novembre 1651, 14 scudi per un telaio utilizzato da Orazio Fidani per la realizzazione di una delle sue opere. Cfr. M. MOJANA, Orazio Fidani, Milano 1996, p. 162. Invece, Gherardo Silvani, architetto e scultore, è una figura professionale altamente qualificata del panorama artistico fiorentino durante il XVII secolo. Per una panoramica cfr., almeno, R. LINNENKAMP, Un’inedita vita di Gherardo Silvani, in Rivista d’Arte 33 (1958), pp. 73-114; V. TESI, Gherardo Silvani (1579-1673). La Firenze del Seicento e le scelte del linguaggio architettonico, Firenze 1989-1990; G. MOROLLI, Scucendo e ricucendo. Gherardo Silvani e l’invenzione delle mensole ‘impunturate’ per le finestre inginocchiate di palazzo Guadagni, in Opus Incertum 2 (2007), pp. 52-65; S. SALOMONE, L’attività di Gherardo Silvani tra innovazione e recupero, in Architetti e costruttori del Barocco in Toscana, a cura di M. C. A. BEVILACQUA, Roma 2010, pp. 111-131. Sempre in questo contesto, l’8 luglio 1717 lo scarpellino Antonio Maria Fortini è retribuito 12 lire per alcuni interventi nella casa Barberini posta dirimpetto il campanile di Santa Croce. Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 13, f. 18rv. 38 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 93: Visita generale di tutti li beni esistenti dentro Firenze, nel Podere del Bigallo, nella Fattoria di Barberino di Val d’Elsa, e suoi annessi spettanti all’eccellentissimo signor balì don Carlo Maria Barberini duca di Monte Libretti, e fatta in gennaro 1775. 39 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, f. 1v. 40 Ibid., ff. 30r-41r. 41 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 93, f. 14r.

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gira attorno al cortile con colonnato e pozzo»42, negli anni Settanta del XVIII secolo è abitata dal cavaliere Forte Bonaventura Anforti per un canone annuo di 99 scudi. Gli edifici, nonostante gli interventi di adeguamento nel corso dei secoli, mantengono, sostanzialmente, le loro prerogative originarie e, la presenza di una cospicua contabilità riferibile ai cantieri e di un repertorio sia descrittivo che cartografico suggerisce, attraverso l’analisi dei registri contabili, la possibilità di specifici approfondimenti43. Lo studio della documentazione del Baliaggio consentirà di delineare il rapporto tra i Barberini e le istituzioni civili ed ecclesiastiche di Firenze e, al contempo, fornirà indicazioni preziose sulle commissioni realizzate dagli esponenti di questa famiglia in città. Ad esempio, nel Quaderno dei saldi44, redatto tra il 1736 e il 1737, è presente un documento allegato al registro contabile che conferma la disponibilità di Francesco Barberini nell’assegnazione di scudi duecento di paoli dieci per il «servizio della cappella di juspadronato della famiglia Barbadori in oggi di detto eminentissimo signor cardinale […] sotto il titolo, et invocazione di San Fridiano»45, vescovo di Lucca, presso la chiesa di Santa Felicita, nel quartiere d’Oltrarno46. La somma, concordata con le monache, è soggetta ad un frazionamento ben definito: «la metà, cioè scudi cento per concorrere alla spesa occorrente per il riattamento dell’istessa cappella in occasione della nuova fabbrica […] e gli altri scudi cento per la provvista delle infrascritte sacre suppellettili in servizio di detta cappella»47. Questa elargizione, concessa in concomitanza dei lavori di ricostruzione dell’edificio religioso su progetto di Ferdinando Ruggieri48, conferma la costante partecipazione dei Barberini nel contesto sociale fiorentino, attitudine ulteriormente espressa nel 1775: nel registro denominato Conti diversi e compilato da Tommaso Ballabene computista, è presente un pagamento di 6 scudi e 10 lire ad un pittore per sei disegni di maschere49 e una retribuzione

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Ibid., 94, f. 33v. Ad esempio, in una delle case poste su piazza Santa Croce nasce Maffeo Barberini, papa Urbano VIII. Cfr. VON PASTOR, Storia dei papi cit., p. 248 n. 2. Le case situate su Piazza Santa Croce appartengono, come patrimonio indiviso, ai Barberini almeno dal 1566. Cfr. ASFI, Decima Granducale, 2292, ff. 197r-198r; Decima Granducale, 2302, f. 100rv. 44 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 28, ff. 73r-76v. 45 Ibid., f. 73r. Contratto rogato il 22 settembre 1736 dal notaio ser Luigi Vignali. 46 Per inquadramento sulla storia e le vicende che interessano la chiesa di Santa Felicita a Firenze cfr. almeno F. FIORELLI MALESCI, La chiesa di Santa Felicita a Firenze, Firenze 1986. 47 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 28, f. 73r. 48 Per un inquadramento sulle vicende che interessano la cappella cfr. FIORELLI MALESCI, La chiesa di Santa Felicita cit., pp. 165-169. 49 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 64, f. 2v. 43

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di 3 scudi e 3 lire «per ripulitura dei bronzi nella cappella dell’eccellentissima casa in chiesa di Santa Croce»50. Le giustificazioni rappresentano una parte considerevole della documentazione pertinente ai beni di Toscana e comprendono le rendicontazioni delle spese sostenute dagli amministratori dei balì tra il 1744 al 185351; il confronto con i registri contabili consentirà di individuare l’evoluzione patrimoniale del Baliaggio di San Sebastiano nel corso dei secoli e fornire indicazioni specifiche principalmente per contesti legati alla storia dell’economia52. E le lettere relative agli anni 1811-1819, anche se costituiscono una raccolta limitata della corrispondenza del principe Carlo Maria Barberini, relativa agli anni 1811-1819 potranno offrire spunti di riflessione sulla vita privata di questo personaggio53.

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Ibid., f. 3r. Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 66-90. 52 In questo contesto, risulta utile segnalare anche la raccolta eterogena dei documenti pertinenti principalmente al XVII secolo, collocati in una busta così come nella loro disposizione originaria, contenente «Varie lettere, e note di debitori arretrati per conto de beni del Bajulivato in Firenze. Giustificazioni diverse dell’amministrazione tenuta dal Radicchi agente de suddetti beni dall’anno 1641 al 1659, ed alcune altre di vari anni» (Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 92, fasc. 1, ff. 1-200); — «Diversi conti degli affittuari, bilanci, e ristretti degl’effetti di Firenze, per conto dell’amministrazione delle rendite del Bajulivato, ivi tenuta da vari ministri dall’anno 1625 al 1705» (Ibid., fasc. 2, ff. 1-164); — «Inventario delle scritture consegnate al padre abate Castellari priore in Firenze nell’anno 1695 e delle robbe esistenti nella casa della possessione di Barberino. Note diverse de’ poderi, cose ed altri effetti, posti in Firenze, e spettanti al Bajulivato, e di vari pagamenti, e riscossioni delle rendite degl’effetti suddetti. Lettere da Firenze concernenti vari interessi sopra de’ suddetti beni dall’anno 1646 al 1711» (Ibid., fasc. 3, ff. 1-142). 53 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 91. 51

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 2: frontespizio di registro contabile (1705-1706).

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, ff. 42v-43r: podere di Barberino nella Val d’Elsa, disegno (sec. XVIII).

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, f. 23r: prospetto principale della casa situata in Borgo de’ Greci, disegno (sec. XVIII).

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Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, ff. 35v-36v: pianta del piano terra delle case Barberini situate tra l’antica via della Fogna e Piazza Santa Croce, disegno (sec. XVIII).

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Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio, 94, ff. 33v-34r: prospetto principale delle case Barberini situate tra l’antica via della Fogna e Piazza Santa Croce, disegno (sec. XVIII).

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LA VENDITA DELLA BIBLIOTECA DI CASSIANO DAL POZZO ALLA VATICANA E IL RUOLO DI CLEMENTE XI ALBANI. CIRCOSTANZE POCO NOTE E DOCUMENTI INEDITI (1703-1714) La storia della biblioteca di Cassiano Dal Pozzo (1588-1657)1 è una complessa e stratificata storia di dispersioni, perpetuatesi tra alienazioni, saccheggi, naufragi; prima tra tutte la dispersione della collezione Albani, di cui entrò a far parte nel 1714. Negli anni, gli studi si sono orientati soprattutto nel ricostruire l’attività di Cassiano come mecenate e collezionista e, soprattutto nell’ambito della storia dell’arte e della museografia, grande interesse ha suscitato il cosiddetto Museo Cartaceo — una raccolta di oltre settemila stampe, disegni e acquerelli2; un minor numero di studi ha riguardato invece la biblioteca3, di cui si è cercato di stabilire l’entità 1 Su di lui cfr. G. LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo protettore delle belle arti fautore della scienza dell’antichità nel secolo decimosettimo, con alcuni suoi ricordi e una centuria di lettere, in Miscellanea di storia italiana 15 (1874), pp. 131-388 (riedito come pubblicazione autonoma a Torino nel 1875); E. STUMPO, Dal Pozzo, Cassiano, iunior, in Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), XXXII, Roma 1986, pp. 209-213, con ricche indicazioni bibliografiche; Cassiano Dal Pozzo, Atti del Seminario Internazionale di Studi (Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, 18-19 dicembre 1987), a cura di F. SOLINAS, Roma 1989; D. L. SPARTI, Le collezioni dal Pozzo. Storia di una famiglia e del suo museo nella Roma seicentesca, Modena 1992 (Collezionismo e storia dell’arte. Studi e fonti), pp. 35-49. Si ricorda inoltre l’orazione di C. R. DATI, Delle lodi del commendatore Cassiano Dal Pozzo, Firenze 1664. 2 Nell’ampia bibliografia sul Museo Cartaceo ci si limita a citare i volumi editi tra il 1989 e il 1993 nella collana Quaderni Puteani, sotto il patrocinio della Olivetti: F. HASKELL, Il museo cartaceo di Cassiano Dal Pozzo: Cassiano naturalista, [Ivrea] 1989 (Quaderni Puteani, 1); I. JENKINS – J. MONTAGU, Cassiano Dal Pozzo’s Paper Museum, I-II, [Ivrea] 1992 (Quaderni Puteani, 2-3); M. BENEŠ, The Paper Museum of Cassiano dal Pozzo [Exhibition on view May 14 to August 30, 1993 in the Prints and Drawings Gallery of the British Museum in London], [Ivrea] 1993 (Quaderni Puteani, 4). Studi sul Museo Cartaceo sono inoltre stati promossi dal Warburg Institute, che dal 1996 ne pubblica il catalogo ragionato: The Paper Museum of Cassiano dal Pozzo. A Catalogue raisonné. Drawings and Prints in the Royal Library at Windsor Castle, the British Museum, the Institut de France and other Collections, articolato in tre serie (Series A: Antiquities and Architecture, Series B: Natural History, Series C: Prints, cfr. , data di visita 19/01/2018). Sul Museo Cartaceo cfr. anche infra ntt. 3 e 47. 3 Di seguito si citano alcuni studi riguardanti specificamente la biblioteca e altri relativi alle collezioni Dal Pozzo, che rivolgono attenzione anche alla biblioteca: F. HASKELL-S. RINEHART, The Dal Pozzo Collection. Some new Evidence, in The Burlington Magazine 102 (1960),

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 85-114.

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e il contenuto attraverso gli antichi inventari giunti fino a noi, sulla base dei quali si stima che i volumi posseduti, tra manoscritti e stampati, superassero i cinquemila — consistenza all’epoca notevole per una biblioteca privata4. pp. 318-326; A. ALESSANDRINI, Cimeli lincei a Montpellier, Roma 1978 (Indici e sussidi bibliografici della biblioteca, 11), pp. 19-21; D. L. SPARTI, Criteri museografici nella collezione dal Pozzo alla luce di documentazione inedita, in Cassiano dal Pozzo, Atti del seminario internazionale di studi (18-19 dicembre Napoli 1987), a cura di F. SOLINAS, Roma 1989, pp. 221-240; EAD., The dal Pozzo Collection again: the Inventories of 1689 and 1695 and the Family Archive, in The Burlington Magazine 132 (1990), pp. 551-570, con edizione degli inventari; EAD., Intorno a un progetto museale seicentesco: la Collezione dal Pozzo attraverso nuova documentazione, in Annali della Scuola Normale Superiore. Classe di lettere e filosofia 20 (1990), pp. 879-926; EAD., Le collezioni dal Pozzo cit., pp. 113-125, 158-162; T. J. STANDRING, Observations on the dal Pozzo Library and its Organizazion, in Cassiano dal Pozzo’s Paper Museum, II, Ivrea 1992 (Quaderni puteani, 3), pp. 92-100, in particolare pp. 95-96; S. DE RENZI, Contributo per una ricostruzione della biblioteca privata di Cassiano dal Pozzo, in Bibliothecae selectae: da Cusano a Leopardi, a cura di E. CANONE, Firenze 1993 (Lessico intellettuale europeo, 58), pp. 139-170; I segreti di un collezionista. Le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo 1588-1657, catalogo della mostra di Roma (Galleria nazionale d’arte antica, Palazzo Barberini, 29 settembre-26 novembre 2000), a cura di F. SOLINAS, Roma 2000 (il catalogo della mostra tenuta a Biella, Museo del Territorio Biellese, 16 dicembre 2001 – 16 marzo 2002, è stato edito con lo stesso titolo, sempre curato da Solinas, Roma 2001); M. G. CRITELLI, «L’impazzamento nel collocare una sì gran machina di cose»: acquisizioni di manoscritti latini nel secolo XVIII, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, IV: La Vaticana nel Settecento: la Biblioteca Vaticana e le arti nel secolo dei lumi (1700-1797), a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2016, pp. 253-254; E. VALERI, Cassiano dal Pozzo’s Library and the historical Works, in Society and Culture in Baroque period, General Conference of ENBaCH (European Network for Baroque Cultural Heritage), Roma, Università “La Sapienza”, 27-29 Marzo 2014, disponibile su , doi: 10.14615/enbach53, data di visita 19/01/2018. 4 Della collezione Dal Pozzo esistono diversi inventari redatti in epoche diverse e con finalità differenti. Uno, databile immediatamente dopo la morte di Carlo Antonio Dal Pozzo (1 agosto 1689), si trova presso l’Archivio di Stato di Roma (ASR), Trenta Notai Capitolini, ufficio 25, vol. 419, ff. 124r-126v, 151r-152v (12 settembre-7 ottobre 1689) e ff. 219r-258r (11 ottobre 1689). Un altro inventario, datato 5-7 marzo 1695, post mortem di Gabriele Dal Pozzo, figlio di Carlo Antonio, si trova sempre in ASR, Trenta Notai Capitolini, ufficio 6, vol. 210, ff. 253r-286r. I due inventari sono pubblicati da SPARTI, Le collezioni dal Pozzo cit., pp. 181-229 nr. 14, in appendice documentaria; per altri documenti relativi alla famiglia Dal Pozzo, testamenti e inventari dei beni relativi ad Antonio (padre di Cassiano), Carlo Antonio (fratello di Cassiano), Gabriele (figlio di Carlo Antonio), Cosimo Antonio (figlio di Gabriele) si veda anche Archivio Storico Capitolino (ASC), Fondo Boccapaduli, b. 155, Pozzo, mazzo III, fasc. 1-2 (olim Supplementario III, Pozzo, mazzo III, Armadio III, div. 3° e 4°), in particolare nr. 7 (sulla serie Pozzo all’interno dell’Archivio Boccapaduli si veda il relativo inventario, a cura di O. Filippini, Roma, novembre 2009, consultabile in sede, in particolare le pp. 30-32; sono ivi offerte anche notizie sulla famiglia Dal Pozzo, le cui carte entrarono a far parte dell’Archivio Boccapaduli in seguito al matrimonio tra Maria Laura Dal Pozzo e Pietro Paolo Boccapaduli nel 1727). Un ulteriore inventario fu redatto tra il marzo e il giugno 1714 in concomitanza con la vendita della collezione ad Alessandro Albani ed è oggi conservato in Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 10478-10481, per i quali si veda infra nt. 55). In Biblioteca Corsiniana ne è conservato un altro (Archivio Dal Pozzo, ms. 40), non ancora datato univocamente. Per la stima

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Cassiano, accademico dei Lincei e della Crusca, amico di Galileo Galilei5 e mecenate di Nicolas Poussin, passò diversi anni al servizio della corte pontificia a Roma e divenne segretario del cardinale Francesco Barberini, Linceo come lui, che accompagnò nelle sue legazioni alle corti di Francia e Spagna6; fu esperto d’arte, naturalista, ornitologo e botanico. I suoi ampi interessi sono testimoniati nelle sue collezioni. Biblioteca e museo, lodati per la loro ricchezza in diverse opere contemporanee7, erano entrambi ospitati presso la sua abitazione in via dei Chiavari a Roma, nel palazzo di S. Andrea della Valle, luogo di incontro e polo di attrazione per letterati e scienziati. La contiguità tra biblioteca e museo — articolato in artificialia, naturalia, antiquaria e curiosa — rispondeva al desiderio di raccogliere ed di 5.000 volumi fatta sulla base dell’inventario del 1689 cfr. SPARTI, Le collezioni dal Pozzo cit., pp. 113-125, 158 (in particolare p. 114 nt. 8 e p. 116 ntt. 16 e 17). Sulla base dell’inventario corsiniano, il computo sembra essere di circa 9.000 volumi (cfr. VALERI, Cassiano dal Pozzo’s Library cit. e nt. 17); su quest’inventario si veda anche DE RENZI, Contributo per una ricostruzione della biblioteca privata di Cassiano dal Pozzo cit., pp. 144-145, che pubblica le sezioni «Philosophi» e «Morali». Si vedano inoltre: J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 199-200; SPARTI, The dal Pozzo Collection again cit., pp. 551-570; STANDRING, Observations on the dal Pozzo Library cit., in particolare pp. 94-96 e ntt. 28-29. 5 Si ricorda una lettera di Galileo, datata 20 gennaio 1641, in cui, con tono ossequioso e grato, lo scienziato loda Cassiano ringraziandolo di aver posto il proprio ritratto nel suo Museo, insieme agli altri uomini celebri del tempo; cfr. Epistolario di Galileo Galilei […], II, Livorno 1872, pp. 223-224 nr. CCXCI. Per tale collezione di ritratti Gabriel Naudè pubblicò gli Epigrammata in virorum literatorum imagines, quas illustrimus eques Cassianus a Puteo sua in bibliotheca dedicavit, cum appendicula variorum carminum (Roma 1641). 6 Sulla legazione e sul relativo diario cfr. nt. 57. 7 Cfr. G. LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo cit., p. 30. Una interessante descrizione della biblioteca è fornita da Carlo Bartolomeo Piazza: «Merita sopra modo d’esser commendata come un ricchissimo Gioiello di Roma, lo Studio famoso e libreria del commendatore Carlo Antonio del Pozzo [fratello di Cassiano], in cui vanno del pari la pietà Cristiana, l’integrità dei costumi e la profondità dell’erudizioni, nella sua Casa presso S. Andrea della Valle, la quale (come scrive Pietro Bellorio [G. P. BELLORI, Nota delli musei, librerie, gallerie, et ornamenti di pitture, ne’ palazzi nelle case e ne’ giardini di Roma, Roma 1664, p. 46]) “era il vero albergo delle Muse”; peroche conservansi in essa copiosi Volumi di scelte impressioni, Scrittori, e materie per ogni Studio, formata già dall’esquisito gusto e industri generose del fu Commendatore Cassiano del Pozzo, splendore tra i Letterati di questo secolo. Rari altresì sono i manoscritti, e i copiosi Volumi di preziosi Dissegni di tutte le più celebri antichità Romane, Greche e Egizzie: con medaglie antiche, e moderne di gran Personaggi illustri: libri di varie figure e Disegni a mano e impressi» (C. B. PIAZZA, Euseuologio romano ouero delle opere pie di Roma […], Roma 1698, p. CLXXVII). Carlo Dati loda la «generosità di questo liberalissimo donatore» ricordando «le private librerie di tanti letterati, le quali ricevettero argumento, e splendore da’ libri stampati, e manoscritti, trasmessi loro dall’Abate dal Pozzo, bastandomi per tutte, la famosissima Biblioteca Mazzarrina aperta in Parigi a beneficio universale da quel sovranissimo Eroe, ond’ella si nomina, e dal nostro Cavaliere arricchita con donativo segnalatissimo di libri Indiani, e Chinesi, per novero molti, e per qualità singolari» (C. DATI, Delle lodi del commendatore Cassiano Dal Pozzo cit., pp. s.n.).

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esporre gli oggetti insieme agli strumenti utili per la loro comprensione più piena, i libri; biblioteca ed esposizione museografica erano dunque concepiti in modo complementare8. Nella cerchia delle amicizie di Cassiano figura Gabriel Naudé (16001653), bibliotecario di personaggi quali i cardinali Francesco Barberini e Richelieu, nonché di Giulio Mazzarino e Cristina di Svezia, e autore dell’Advis pour dresse une Bibliothèque, considerato uno dei testi fondanti delle discipline bibliografiche e della teoria dell’organizzazione del sapere. Noti sono i rapporti epistolari tra i due; quanto si è riusciti a ricostruire sulla biblioteca ha inoltre permesso di stabilire un’analogia tra la precettistica dell’Advis e l’allestimento della raccolta puteana9. Così parlava Naudè della biblioteca Dal Pozzo: «aut saltem Romae, apud illustrissimum equitem Cassianum a Puteo, cuius honesta et liberali propensione in litteras, mirum quantus heic melioribus studiis honos, atque incrementum accedat, quique me, ut solet etiam ceteros perbenigne, ac amanter complexus est, videre illos atque evolvere in instructissima eius bibliotheca potuissem»10. Cassiano aveva raccolto una scelta biblioteca accrescendo i nuclei originari costituiti dal padre Antonio e dallo zio Carlo Antonio, arcivescovo di Pisa. Nella sua raccolta era inoltre rifluita la biblioteca “cesiano-lincea”, ovvero il primo nucleo della biblioteca dell’Accademia dei Lincei, acquistata nel 1633, poco dopo la morte di Federico Cesi11. La collezione era ancora 8 Risulta dagli inventari del patrimonio Dal Pozzo che quadreria, museo e biblioteca fossero alloggiati in modo contiguo al piano nobile del palazzo; cfr. SPARTI, Intorno a un progetto museale seicentesco cit., in particolare p. 915; DE RENZI, Contributo per una ricostruzione della biblioteca privata di Cassiano dal Pozzo cit., p. 143 e nt. 11. 9 Cfr. SPARTI, Intorno a un progetto museale seicentesco cit., pp. 912-913; EAD., Le collezioni dal Pozzo cit., pp. 115-117; DE RENZI, Contributo per una ricostruzione della biblioteca privata di Cassiano dal Pozzo cit., p. 143 nt. 12. Per le lettere scritte da Naudè a Cassiano si vedano LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo cit., pp. 235-249 e G. FERRETTI, Il volume delle lettere di Gabriel Naudé a Cassiano Dal Pozzo, in Cassiano Dal Pozzo cit., pp. 25-30. 10 Gabriel Naudaei parisini Bibliographia militaris in Germania primum edita cura G. Schubarti, Ienae ex officina nisiana, 1683, p. 37. Naudè compose anche gli elogi per la collezione dei ritratti dei letterati illustri posseduti da Cassiano, per cui cfr. nt. 5. 11 La biblioteca di Cesi fu venduta per volontà della vedova Isabella Salviati e acquistata in gran parte da Cassiano in data 21 gennaio 1633 per 758 scudi tramite Francesco Stelluti, procuratore generale dell’Accademia; per la corrispondenza tra Dal Pozzo e Stelluti per evitare lo smembramento e giungere a una vendita in blocco della collezione cfr. G. GABRIELI, Il carteggio Linceo della vecchia Accademia di Federico Cesi (1603-1630) in Memorie della Reale Accademia dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, ser. VI, 7 (1942), pp. 12331241 nrr. 1026-1036. Si vedano inoltre: A. CAPECCHI, Per la ricostruzione di una biblioteca seicentesca: i libri di storia naturale di Federico Cesi Lynceorum Princeps, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, ser. VIII, 41 (1986), pp. 137-164, in particolare p. 146; M. T. BIAGETTI, La biblioteca di Federico Cesi. Un progetto di ricostruzione, in Biblioteche private in età moderna e contemporanea, Atti del

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completa quando nel 1696, dopo la morte di Cassiano, Jean Mabillon la visitò accompagnato dal fratello di Cassiano, Carlo Antonio Dal Pozzo (16061689), che se ne prese cura per diversi anni12. Il destino della collezione è legato al nipote di questi, Cosimo Antonio (m. 1740), che, per far fronte a numerosi debiti, nel 1703 decise di alienare biblioteca e museo13. Una collezione di tal portata suscitò l’interesse di Clemente XI (1700-1721), il colto Giovanni Francesco Albani, egli stesso collezionista e mecenate, che la fece acquistare per la Biblioteca Vaticana chiedendo a tal fine in prestito alla Camera Apostolica la cifra convenuta di 4.500 scudi. Il “transito” della collezione per la Vaticana è fondamentale per comprendere la storia e il destino di questa biblioteca, soprattutto in rapporto alle più note vicende successive, legate alla dispersione della collezione Albani: se fosse giunta e rimasta in Vaticana probabilmente esisterebbe ancora. Se, infatti, è noto che la collezione fu rivenduta nel 1714 per la stessa cifra ad Alessandro Albani — nipote del pontefice, futuro cardinale (1721) e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa (1761-1779)14 —, non è del tutto chiaro quale furono le sorti della raccolta puteana dopo l’alienazione del 1703 e prima di entrare in possesso del futuro cardinale. In questa sede si cercherà quindi di ricostruire tali avvenimenti e di mettere in luce il ruolo avuto dalla Vaticana e da Clemente XI negli eventi che portarono la collezione nelle mani di Alessandro Albani, tramite docuconvegno internazionale Udine, 18-20 ottobre 2004), a cura di A. NUOVO, Milano 2005, pp. 95-103; EAD., La biblioteca di Federico Cesi, Roma 2008, pp. 17-51. 12 Cfr. J. MABILLON, Iter Italicum litterarium annis MDCLXXXV et MDCLXXXVI, Paris 1687, p. 143; F. RUSSO, Medieval Art Studies in the Republic of Letters: Mabillon and Montfaucon’s Italian Connections between Travel and learned Collaborations, in Journal of Art Historiography 7 (2012), pp. 1-24, in particolare p. 10. Su Carlo Antonio Dal Pozzo si vedano: F. SOLINAS, Dal Pozzo, Carlo Antonio, in DBI, XXXII, Roma 1986, pp. 204-206; D. SPARTI, Carlo Antonio dal Pozzo (1606-1689): an unknown Collector, in Journal of the History of Collections 2 (1990), pp. 7-19; SPARTI, Le collezioni dal Pozzo cit., pp. 51-63, 83-91; I. HERKLOTZ, Cassiano Dal Pozzo und die Archäologie des 17. Jahrhunderts, München 1999, pp. 101-118. 13 Cosimo Antonio Dal Pozzo, era figlio di Gabriele e nipote di Carlo Antonio, fratello di Cassiano. Sulla mancanza di un inventario redatto alla morte di Cassiano e sul periodo che intercorre tra la sua morte e la vendita della collezione cfr. SPARTI, Intorno a un progetto museale seicentesco, pp. 899-900 e nt. 54. Per documenti relativi alla questione si veda nt. 28. 14 Alessandro Albani (1692-1779), figlio del fratello di Clemente XI, Orazio, e fratello di Annibale, uomo colto e amante delle arti, fu un importante mecenate e un grande collezionista; intorno a lui si creò uno dei più importanti cenacoli del Settecento, punto di incontro per collezionisti e studiosi provenienti da tutta Europa. Su di lui si vedano almeno Alessandro Albani patrono della arti: architettura, pittura e collezionismo nella Roma del ’700, a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1993, in particolare pp. 15-48; L. LEWIS, Albani, Alessandro, in DBI, I, Roma 1960, pp. 595-598; Ch. GRAFINGER, Alessandro Albani, in J. MEJÍA, Ch. GRAFINGER, B. JATTA, I Cardinali Bibliotecari di Santa Romana Chiesa. La quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 233-237.

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menti non noti o inediti facendo dialogare fonti rintracciate in enti diversi ma con origini comuni: ricerche condotte in Archivio di Stato di Roma, Archivio Storico Capitolino, Archivio Segreto Vaticano e Biblioteca Vaticana hanno consentito di individuare o illustrare meglio i disiecta membra di questa vicenda — un chirografo di Clemente XI, gli atti di vendita della biblioteca, liste di manoscritti trasferiti e, in particolare, un memoriale del primo custode della Vaticana e il relativo biglietto di accompagnamento (fig. 1) — e di ricomporli per seguirne le fasi e svelare, tra le righe, alcuni retroscena. Finora gli studi non si sono soffermati sulla presenza della collezione Dal Pozzo in Biblioteca Vaticana, limitandosi per lo più a qualche riga esplicativa dei fatti essenziali — ovvero l’acquisto del 1703 e la vendita del 1714. Nel 1973, tuttavia, Jeanne Bignami Odier, affrontando il discorso delle diverse biblioteche Albani nell’ampio contesto della storia della Vaticana da Sisto IV a Pio XI, si chiedeva riguardo alla biblioteca puteana: «Était elle destinée à la bibliothèque Vaticane?»15. A questa domanda né la studiosa, né altri hanno finora risposto, né la questione è mai stata oggetto di studio. La Bignami però sottolineava già un fatto importante: «Elle fut déposée dans l’appartament d’hiver du Pape, au palais du Quirinal où se trouvait une de ses nombreuses bibliothèques. Quelques éléments en furent extraits en 1713-1714 […] De cette bibliothèque déposée à la Sala Regia, peu choses, il nous semble, se trouve actuellement à la bibliothèque Vaticane»16. La studiosa avrebbe poi ripreso l’argomento nel 1981 pubblicando le liste dei manoscritti trasferiti17. È dunque certo che in quel periodo volumi provenienti dalla collezione Dal Pozzo si trovavano presso il Quirinale. Negli anni Novanta la questione veniva toccata anche da Donatella 15

Cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 159. Ibid., pp. 159-160. 17 Cfr. J. BIGNAMI ODIER, Clément XI amateur de livres et de manuscripts, in Miscellanea Augusto Campana, I, Padova 1981 (Medioevo e Umanesimo, 44), pp. 101-123. Sull’argomento si veda anche ALESSANDRINI, Cimeli lincei cit., pp. 21-22. Tra le carte di Augusto Statuti, che risultano disperse, citate da Giuseppe Gabrieli, si legge: «Autografi di Clemente XI sull’impianto d’una sua biblioteca privata a Monte Cavallo, negli anni 1713-1714. Largo spoglio per quel che si riferisce ai libri Mss. di provenienza Del Pozzo: fra l’altro, un libro ms. dell’Ecchio con varie figure di farfalle e scarabei […] Clemente XI Albani trasfonde nella sua Biblioteca privata al Quirinale molte opere e Mss. derivanti dalla sudd. Bibl. ed Arch. Lincei»; cfr. G. GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti nella storia sulla storia dei primi lincei (per gli anni 1603-1630). Memoria bibliografica, in Memorie della Pontificia Accademia delle Scienze, ser. II, 8 (1925), p. 423 nr. 174 e p. 429 nr. 268, 6; si vedano anche ad indicem le citazioni relative a Cassiano Dal Pozzo e alla famiglia, dove si fa riferimento anche agli atti di vendita (p. 423 nrr. 176 e 177). 16

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Sparti18 e da Timothy Standring. Quest’ultimo, in particolare, osservava che i primi custodi della Vaticana che si avvicendarono negli anni della vendita della biblioteca puteana, Lorenzo Zaccagni (1698-1712) e Carlo Maielli (1712-1738), «were unable to find the money to pay this sum [i 4.500 scudi presi in prestito] — the financial transactions of this affair are still quite vague — they appear to have been constrained to release the Vatican’s dal Pozzo holdings for that same amount to cardinal Alessandro Albani, the nephew of Clemente XI, who apparently came forward to purchase it sometime before January 1714»19. Gli studi successivi non si occupano più della questione e si limitano ad affermare che la biblioteca fu acquistata nel 1703 dalla Vaticana e poi venduta ad Alessandro Albani nel 1714. Documenti inediti permettono di chiarire passaggi finora nebulosi e di arricchire la vicenda di molte altre sfaccettature. La volontà del pontefice di acquistare la biblioteca Dal Pozzo è testimoniata da un chirografo datato 13 ottobre 1703, in cui Clemente XI dà disposizioni al Tesoriere Generale della Camera Apostolica Lorenzo Corsini (1652-1740), il futuro Clemente XII (1730-1740), di concedere in prestito per l’acquisto della biblioteca Dal Pozzo 4.500 scudi alla Biblioteca, nella persona di Lorenzo Zaccagni (1657-1712), che ne era allora primo custode: Monsignor Lorenzo Corsini Arcivescovo di Nicomedia nostro Tesoriere Generale20. Essendoci pervenuto a notizia che il Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo abbia risoluto di vendere la libraria tanto de libri stampati, quanto de manoscritti ad esso spettante, acquistata, et augmentata respettivamente da suoi antenati, e di 18 La studiosa, ripercorrendo le vicende successive all’alienazione da parte degli eredi, non considera quella del 1703 una vendita ma un “pegno” e reputa vendita effettiva a Clemente XI quella del 1714: «ASR, Notai RCA, vol. 1940, 475r: si tratta di un primo atto di pegno — compiuto da Cosimo Antonio — rogato l’8.11.1703 in cui la “libraria” puteana è ceduta alla Biblioteca Apostolica Vaticana […]. L’8.1.1714, papa Clemente XI Albani acquista la “libraria” per 4500 scudi (ASC, mazzo VIII, nr. 64: Vendita della Libraria)» (SPARTI, Intorno a un progetto museale seicentesco cit., p. 916 nt. 109); «L’otto gennaio 1714 viene infatti rogato l’atto di acquisizione della libraria puteana da parte della Biblioteca Vaticana — ovvero da Clemente XI Albani — che sostituisce definitivamente il pegno stabilito nel 1703, ma soltanto nel 1731 è documentata la presenza dei volumi puteani nella collezione del cardinal nipote» (SPARTI, Le collezioni dal Pozzo cit., p. 160, ma si vedano anche le pp. 121-124 e 158-159). Per l’atto di vendita cfr. infra e nt. 29; per i documenti citati dalla Sparti conservati in ASC cfr. nt. 28. 19 STANDRING, Observations on the dal Pozzo Library cit., p. 93. Si veda anche A. NICOLÒ, Il carteggio puteano: ricerche e aggiornamenti, in Cassiano Dal Pozzo cit., p. 19 nt. 24 in cui si parla di «storia non sempre chiara dei passaggi di proprietà del patrimonio librario linceo-puteano». 20 Lorenzo Corsini (1652-1740), il futuro cardinale (1706) e pontefice Clemente XII (1730), grande bibliofilo, fu Tesoriere Generale della Camera Apostolica negli anni 16951707; cfr. A. CARACCIOLO, Clemente XII, in Enciclopedia dei Papi, III, Roma 2014, pp, 439-446.

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darla per la somma di scudi quattromila, e cinquecento moneta romana, ch’è stato il maggior prezzo offertogli da che detta libraria è stata posta in vendita, anche col vantaggio per il compratore di poter fare lo sborso di detta somma in più paghe, e col commodo di più anni; habbiamo per giusti motivi deliberato di farla noi stessi comprare per la somma suddetta da pagarsi tutta in una volta per maggior benefizio del venditore, ad effetto di collocarne parte nella n(ost)ra Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso, con che però nel medesimo tempo venga sborsata all’istessa Biblioteca quella rata del prezzo, che corrisponderà a quella parte, della quale fossimo, come sopra, per disporre ad altr’uso. E perché di p(rese)nte detta Biblioteca non ha in pronto il denaro, habbiamo giudicato conveniente, che dalla n(ost)ra Camera se le dia in prestito la detta somma. Pertanto ordiniamo a voi, che da Francesco Monthioni n(ost)ro Depositario Generale21 facciate porre in credito nel suo Banco scudi quattromila, e cinquecento moneta alla detta Biblioteca Vaticana per puro imprestito fattoli dalla nostra Camera, et da restituirli fra il termine d’anni tre a disposizione però di Lorenzo Zaccagni primo Custode della medesima ad effetto di pagarli con ordine d’esso Zaccagni per il prezzo della sudetta libraria al prefato Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo, o pure a Domenico Melchior Palma suo Procuratore costituito in Firenze li 28 Agosto prossimo passato per rogito di Gio(vanni) Lapio publico notaro22, obligando noi la detta Biblioteca dentro il sudetto tempo di far la totale restituzione ed inoltre confidando noi nella rettitudine, diligenza, integrità, e perizia del sudetto Lorenzo Zaccagni, diamo, e concediamo al medesimo la facoltà necessaria, e opp(ortu)na a far la compra della sudetta libraria compresivi li disegni del Posini [= Nicolas Poussin], e della Colonna Traiana, che si dice del Mutiano [= Girolamo Muziano], e di qualonque altro pittore, sì sciolti, come legati, tanto compresi negl’inventarij, quanto tutti gl’altri libri, e disegni non descritti, e ritenuti fuori della detta libraria in altri armarij, ch’erano appresso il detto Palma, come anche carte poste in stampa, con altre espressioni da farsi nel istromento di essa compra, e di pagare il prezzo di scudi quattromila, e cinquecento al sudetto Palma Procuratore a tenore d’esso mandato di procura, come ancora di concordare23 il prezzo di quei libri, disegni, o casse de quali noi come sopra fossimo per disporre in altro uso, e respettivamente di essigere detto prezzo, con che però debba subito depositarlo nel Banco di detto Depositario in credito della n(ost)ra Camera, et in diminuzione della somma come sopra ad essa Biblioteca Vaticana imprestata. Volendo, e decretando che il presente colla sola nostra sottoscrizione, benché non ammesso, e registrato in Camera a tenore della Bolla di Pio IV nostro predecessore de registrandis, habbia d’havere il suo pieno effetto, et essecuzione nonostante la detta Costituzione di Pio IV, e qualsivoglia ordinazione apostolica, leggi, e statuti, consuetudini, ed usi, che facessero in contrario, alle quali tutte per questa volta sola, et all’effetto sudetto deroghiamo per 21 Francesco Montioni, marchese spoletino, abate, banchiere, fu Depositario Generale della Camera Apostolica sotto Innocenzo XII (1691-1700) e Clemente XI. Cfr. S. RUDOLPH, Francesco Montioni di Spoleto, Banchiere e Mecenate in Roma. Schedula per un’identità, in Scritti di Archeologia e Storia dell’Arte in onore di Carlo Pietrangeli, Roma 1996, pp. 265-270. 22 Cfr. ASR, Notai segretari e cancellieri della Reverenda Camera Apostolica (d’ora in poi Notai R.C.A.), vol. 1940, f. 479r-v. 23 Concordare è correzione interlineare su determinare e tassare, depennati.

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esser tale la nostra mente e volontà espressa. Dato dal nostro Palazzo Apostolico di Monte Cavallo questo dì 13 octobre 170324.

Il documento, scritto dal Quirinale, fornisce non solo informazioni sulle modalità di acquisto della raccolta — il prestito da restituire in tre anni —, ma offre anche preziose notizie sulle intenzioni del pontefice relative alla collocazione della biblioteca Dal Pozzo: «collocarne parte nella n(ost)ra Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso», non ulteriormente chiarito25. Questa testimonianza indurrebbe a ritenere che perlomeno parte della raccolta Dal Pozzo debba essere stata collocata in Vaticana, almeno per certo periodo; ma non sono finora emersi documenti o indizi relativi a questo passaggio. Meno di un mese dopo, l’8 dicembre, viene rogato l’atto di vendita da Giovanni Antonio Tartaglia26. Al suo interno si fa riferimento al chirografo, che vi è allegato in copia, confermando le condizioni di acquisto già ivi anticipate, incluso il prestito dalla Camera Apostolica; ma emergono anche nuove importanti precisazioni. Vend(ita) librar(ia). Die Octava Novembris 1703. Havendo l’ill(ustrissi)mo Sig(no)r Commendator Cosimo Antonio del Pozzo, et il Sig(no)r Abbate Domenico Corvini Amministratore dal medemo deliberato 24

Cfr. ASR, Camerale I, Chirografi, Collezione C, vol. 250, f. 626r; una riproduzione è in Vaticana, in Arch. Bibl. 230, pt. C, f. 254r; altre copie, con minime varianti, si trovano in ASR, Camerale I, Chirografi, Collezione A, vol. 171, pp. 87-88 e ASR, Notai R.C.A., vol. 1940, ff. 478r-v, 517r, allegata all’atto di vendita del 1703 (cfr. infra nt. 29). La data «13 octobre» è correzione interlineare su altra data depennata; il mese cancellato è certamente «semptembre», ma il giorno non si distingue chiaramente. La trascrizione rispetta in linea di massima ortografia e punteggiatura originali; le maiuscole sono state normalizzate secondo l’uso moderno; le abbreviazioni sono state sciolte tra parentesi tonde. 25 La medesima espressione, con minime varianti, verrà utilizzata anche negli altri documenti riguardanti la vicenda (cfr. infra e nt. 41). Il chirografo è tuttavia l’unico testo in cui si precisa che, se si decidesse di destinarne parte «ad altr’uso», sarà pagata una cifra da detrarre dal debito contratto con la Camera Apostolica; nei documenti successivi non si citerà mai l’eventualità di tal tipo di pagamento. La circostanza dell’eventuale diversificazione nella collocazione della biblioteca viene interpretata dalla Sparti, che cita il chirografo, come un primo smembramento: «la documentazione ritrovata permette di ripercorrere unicamente la storia del nucleo dato come pegno alla Biblioteca Vaticana, lasciando soltanto ipotizzare le vicende degli altri volumi entrati nel circuito del collezionismo privato e possibilmente identificabili con quelli andati ad arricchire diverse collezioni europee, a differenza del nucleo principale passato sempre en bloc dagli appartamenti vaticani al palazzo del cardinale Alessandro Albani e poi ancora in Inghilterra» (SPARTI, Le collezioni Dal Pozzo cit., p. 159). In realtà, si vedrà di seguito che tale diversificazione sembra non aver mai avuto luogo. 26 Giovanni Antonio Tartaglia fu Segretario della Reverenda Camera Apostolica dal 1697 al 1717; cfr. Repertorio dei notari romani dal 1348 al 1927 dall’Elenco di Achille Francois, a cura di R. DE VIZIO, Roma 2011, p. 25.

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di vender la libraria ad esso Sig(no)r Commendatore spettante con tutti li suoi libri stampati, e manuscritti, et altri composti di varie carte di stampe rappresentanti figure, et altre cose, come anche diversi disegni compresivi quelli del Posini sciolti con tomi, ove sono disegnati, dipinti, o stampati, funghi, erbe, et altre cose naturali, e due tomi del Mattioli miniati, e l’Aldrovando de Piccibus [sic]27 parimente miniato con sei tomi di manoscritti, che contengono gli epitaffij, che sono nelle chiese di Roma con una cassetta di corame dorato con dentro li disegni della Colonna Traiana, che si dice di Mutiano con tutti gl’armarij, e scanzie, e generalmente tutto quello, che si conteneva [f. 475v:] nella libraria lasciata dalla bon(a) mem(oria) del Commendator Carl’Antonio del Pozzo, et ultimamente dalla bona memoria di Gabrielle [sic] del Pozzo avo, e padre respettivamente di esso Sig(no)r Cosimo Antonio, et in effetto havendola posta in vendita si sono trovate diverse oblazioni inferiori rispetto alla somma di scudi 4500 moneta romana, et anche inferiori rispetto alle condizioni, volendo gl’oblatori fare il pagamento con dilazioni, et essendo pervenuto a notizia alla Santità di N(ost)ro Signore Papa Clemente XI, anche per migliorar la condizione in vantaggio, e beneficio del detto Sig(no)r Commendatore ha deliberato di stabilirne il prezzo di scudi 4500 moneta da pagarsi in una volta ad effetto di collocarne parte nella Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso, a qual effetto ha la Santità Sua giudicato conveniente, che dalla Rev(erenda) Camera si accomodi in prestito la somma di scudi 4500 moneta alla d(ett)a [f. 476r:] Biblioteca Vaticana fra il termine di tre anni, e che detta somma si metta in credito alla detta Biblioteca Vaticana a disposizione però dell’ill(ustrissi)mo Sig(no)r Abbate Lorenzo Zaccagni Primo Custode di essa Biblioteca con la facoltà di far la compra di detta libraria, e disegni come sopra, e sborzarne il prezzo come si contiene nel chirografo segnato dalla Santità Sua sotto li 13 del pross(imo) (passa)to mese d’ottobre dato a me infrascritto Segretario, originalmente da Monsig(no)r ill(ustrissi)mo Corsini Arcivescovo di Nicomedia Tesoriere Generale ad effetto d’inserirne la copia nel presente istromento, il di cui tenore è il seguente cioè Mons(igno)r Corsini et caetera. E volendo le parti sopranominate venire all’effettiva vendita, et all’essecuzione di quanto si dispone nel presente chirografo di qui è, che personalmente costituito il Sig(no)r Dottore Domenico Melchior Palma Procuratore specialmente deputato da detto ill(ustrissi)mo Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo [f. 476v:] come per mandato a me et caetera esibito rogato li 28 Agosto pross(imo) (passa)to in Firenze da Giovanni Lapio publico notaro del tenore et caetera. Il detto Sig(no)r Abbate Lorenzo Zaccagni deputato dalla Santità di Nostro Signore, come apparisce dal sudetto chirografo Il sudetto Sig(no)r Domenico Melchiorre a nome come sopra vende, et aliena la d(ett)a libraria con tutti li suoi libri notati, e descritti in più inventarij consegnati unitamente con tutti gl’altri disegni sì ligati in libri, come sciolti di sopra nominati, e qualunque altra cosa già consegnata al detto Sig(no)r Abbate Zaccagni, e trasportate co’ le sue scanzie, et armarij nelle stanze del Palazzo di Monte Cavallo ove di presente si ritrovano, e come anche alcune altre 27

Sui volumi di Pietro Andrea Mattioli facenti parte della collezione Dal Pozzo cfr. ALESCimeli lincei cit., pp. 19-20. L’atto fa poi riferimento al trattato De piscibus di Ulisse Aldovrandi.

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carte, fogli volanti, e disegni del detto Posino in num(er)o 52, lasciati appresso la Santità di Nostro Signore, e per causa e titolo di vendita il med(esim)o Sig(no)r Palma a nome come sopra cede, rinuncia e trasferisce al sudetto Sig(no)r Abbate Zaccagni tutte, e singole raggioni, niuna riservata anche con la clau-[f. 477r:]sola, et effetto del costituto in forma confessando esso Sig(no)r Abbate Zaccagni esser vere tutte le sudette cose espresse, et havere con effetto ricevuto li sudetti libri, e tutto quello si contiene nelli detti inventarij, e fuori di essi, ad effetto di collocarne parte nella detta Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso, come si ordina in detto chirografo, e non altrimente et caetera al quale et caetera. E la presente vendita detto Sig(no)r Domenico Melchiorre Palma a nome come sopra fa, e dice di haver fatta per il prezzo di scudi 4500 moneta, quali alla presenza di me Segretario, e Cancelliere della Rev(erenda) Camera Apostolica, e testimonij infrascritti ha, e riceve dal detto Sig(no)r Abbate Lorenzo Zaccagni mediante una cedola sottoscritta dal Sig(no)r Francesco Monthioni Depositario Generale della Rev(erenda) Camera in somma di scudi 4500 moneta e dal med(esim)o Sig(no)r Abbate Zaccagni girata al sudetto Sig(no)r Domenico Melchiorre [f. 477v:] Palma Procuratore come sopra costituto, quale dopo presane da me et caetera copia per inserire nel presente istromento del tenore et caetera, originalmente trasse a sé, tratta et caetera, se ne chiamò contento, e sodisfatto, e di quella, e denaro in essa contenuto d’adesso per allora, e quando l’havrà esatti gli ne fece, e fa quietanza in forma anche p(er) patto et caetera, rinunciando et caetera, et in ogn’altro mig(lio)r modo et caetera28. Promette in oltre il detto Sig(no)r Domenico Melchiorre Palma nel nome sodetto che la libraria, e tutte e singole cose come sopra espresse spettano, et appartengono liberam(en)te al predetto Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo, e che esse puole alienare e vendere, e che non sia alcuna delle sudette cose stata venduta, donata, o ceduta ad altri, né obligata, o ipotecata né fatta cosa benché minima in pregiudicio della sudetta vendita, e come tale haverla sempre per buona, valida e legitima, e fare consentire ogni persona, et sempre, et in perpetuum mantenere [f. 478r:] la Biblioteca Vaticana et altre persone respettivamente a quali pervenissero 28 Zaccagni dunque gira una cedola, sottoscritta da Francesco Monthioni, in qualità di Depositario generale della Camera Apostolica, a Palma, procuratore di Cosimo Antonio Dal Pozzo, che ne fa quietanza; Palma a sua volta gira la cedola a Domenico Corvini, amministratore dello stesso Cosimo Antonio. Per detti pagamenti cfr. ASC, Fondo Boccapaduli, b. 159, Pozzo, mazzo VIII, fasc. 24, che contiene la «Giustificaz(ion)e della vendita della libraria [Dal Pozzo]»; si veda in particolare il nr. 64 per l’«Ordine di Montioni per il pagamento della vendita della libraria che la Camera fece l’imprestito alla Biblioteca Vaticana», per il «Pagamento fatto dalla Biblioteca Vaticana per la vendita della libraria Del Pozzo» e le relative cedole, per i pagamenti fatti a Domenico Corvini, oltre che per una «Notizia della vendita della Libraria di Casa del Pozzo alla Biblioteca Vaticana» e una «Nota del notaro dove fu venduta la libraria dal Comendatore del Pozzo alla biblioteca vaticana, o pure al Cardinal Alessandro Albani»; sono inoltre date notizie sulla «vendita della libraria che indica l’istrumento» dell’8 gennaio 1714 per gli atti di Giovanni Antonio Tartaglia, ove si specifica il venditore (Cosimo Antonio Dal Pozzo) e il prezzo di vendita (4.500 scudi) ma non l’acquirente (Alessandro Albani); al nr. 44 si trova una «Notizia data dal Sig(no)r Cardinale Alessandro Albani sopra il particolare della compra della libreria», datata 10 aprile 1731. Sulla questione cfr. supra nt. 4; per l’acquisizione del 1714 si veda infra.

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le cose come sopra vendute in quieto, e pacifico possesso con assumere sopra di sé ogni molestia, e sempre conservare illesa, et indenne la detta Biblioteca Vaticana e qualunque altra persona a cui pervenissero o potessero pervenire le cose contenute nella sud(ett)a vendita. E per mag(gio)r validità, cautela, e sicurezza di essa Vaticana, e di qualunque altro, che partecipasse della sudetta compra promette esso Sig(no)r Domenico Melchiorre Palma non solo di far ratificare al prefato Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio il presente istromento quando sarà venuto in Roma in forma valida, ma di più di far accedere legitimamente, e validam(en)te l’ill(ustrissi)ma Sig(no)ra Marchesa Anna Teresa Binzoni del Pozzo, ora ne Ginnetti madre di detto Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio con decreto di giudice, et altre solennità statutarie sì p(er) ogni sua ragione [f. 478v:] e interesse, che gli competesse, o potesse competere come sostituita dal fu Sig(no)r Commendatore Gabriele del Pozzo di lei primo marito a tenore del testamento fatto chiuso, e sigillato consegnato il dì 27 Luglio 1691, per gl’atti di Giuseppe de Rossi notaro publico d’Ancona, e per li medemi atti aperto li 30 Gennaro 1695, sì ancora per maggior sicurezza di essa Biblioteca Vaticana, e qualunque altra persona, promettere, et obligarsi, che la sud(ett)a vendita delle cose come sopra contenute sia bene e validamente fatta, e che debba sempre havere il suo pieno e totale effetto, et accedere con obligare suoi beni estradotali uti principalis principaliter, et in solidum, e che detto Sig(no)r Cosimo Antonio potesse disporre, e per qualunque molestia tanto la Vaticana come altre persone come sopra conservarle illese, et indenni, e ratificare il presente istromento in forma specifica con l’inserzione di parola in parola del p(rese)nte istromento, o ligandosi detto Sig(no)r Dom(eni)co Melchiorre Pal-[f. 519r:]ma non disporre, né far disporre del denaro se prima non sarà seguita la sudetta promessa, obligo, e ratificazione di detta Sig(no)ra Marchesa altrimenti et caetera p(er)ché così et caetera. E perchè di presente l’amministratione è appresso il Sig(no)r Abbate Domenico Corvini, et a sua libera disposizione dovrà il d(ett)o Sig(no)r Palma porre in credito la detta somma perciò il med(esim)o Sig(no)r Abbate personalmente costituito, e sentite, e ben considerate tutte, e sing(ol)e cose sopradette, e quelle come legitimo amministratore di detto Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo approvando, e ratificando, e mediante il suo giuramento tacto pectore more et caetera confessando ceder tutto in beneficio, et utile del detto Sig(no)r Commendatore per le cause e raggioni di sopra espresse consentì, e prestò ogni suo necessario, et opportuno consenso alla vendita della sud(ett)a libraria, e di tutte, e singole cose di sopra espresse e non solo in questo, ma in ogn’altro miglior modo et caetera. Quae omnia et caetera alia et caetera de quib(us) et caetera absque et caetera quod et caetera pro quib(us) et caetera d(ictu)s d(ominus) Dom(ini)cus Melchior Palma quo supra nom(in)e d(icti) d(omini) comm(endato)ris Cosimu(m) Antoniu(m) a Puteo, illiusq(ue) haeredes et caetera bona et caetera ac iura et caetera et usque ad censu(m) et accessione(m) sup(rascript)um in(strumentum) D(omi)nam March(esa)m Anna(m) Theresie(m) se ips(um) [sic] et caetera suosq(ue) haeredes, bona et caetera ac iura et caetera in amp(lio)ri R(everendae) Cam(erae) Ap(osto)licae f(orm)a cu(m) solitis clausulis et caetera citra et caetera oblig(avi)t et renunciavit cons(titu)tam unica(m) sicq(ue) ta(m) d(ict)us d(ominus) Palma qua(m) d(ictu)s D(ominus) Abbas Corvinus tacto pectore more et caetera et scripturis resp(ectiv)e iurarunt et caetera super quibus et caetera.

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Actu(m) Romae in [in interlinea: lo(co) sol(ito) habit(atio)nis] Palatio ill(ustrissi)mi et r(everendissi)mi d(omini) Silvij de Cavaleriis R(everendae) Cam(erae) Ap(osto)licae Comm(issa)rij G(e)n(era)lis sit(um) prope et retro dohanas g(e)n(era)les p(raese)ntib(us) R(everendo) d(omino) Simone Bencino filio d(omini) Nicolai Militen(se) et d(omino) Venantio Costaroli filio d(omi)ni Fran(cis)ci Camerinen(se) t(es)t(i)b(us). Pro d(omino) Io(hanne) Ant(oni)o Tartaglia R(everendae) C(amerae) A(postolicae) s(ecretar)io Felix de Franceschinis subs(cripsit) rog(avit)29.

È da notare innanzitutto l’uso della medesima espressione per indicare il “fine” dell’acquisto stesso: «ad effetto di collocarne parte nella Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso, come si ordina in detto chirografo»30. Ma, diversamente dal chirografo dove non era specificato null’altro, nell’atto di vendita si dice anche che la «Libraria» era stata già consegnata a Zaccagni e, insieme agli inventari e ai disegni, trasportata «co’ le sue scanzie, et armarij nelle stanze del Palazzo di Monte Cavallo ove di presente si ritrovano». Fin dal 1703, dunque, già al momento della vendita, la collezione era stata collocata al Quirinale, dove Clemente XI stava sistemando e organizzando la cosiddetta Albana Romana, una delle più ricche e interessanti raccolte librarie dell’epoca31. 29 ASR, Notai R.C.A., vol. 140, ff. 475r-477v, 518r-519v; all’atto è allegato il chirografo, ai ff. 478r-v, 517r. Al f. 480r-v si trovano le dichiarazioni di Francesco Montioni (datata 25 ottobre 1703) e di Lorenzo Zaccagni (datata 8 novembre 1703) relative rispettivamente al prestito fatto alla Vaticana e al pagamento effettuato per l’acquisto della biblioteca. Le prime righe del documento sono state edite da SPARTI, Intorno a un progetto museale seicentesco cit., pp. 915-916 e da EAD., Le collezioni dal Pozzo cit., per due volte, a pp. 120-121 e 159 (fino a «memoria di Gabrielle del Pozzo Avo, e padre rispettivamente di esso Signor Cosimo Antonio»; cfr. supra nt. 18); uno stralcio di tre righe («e dall’istrumento di vendita della libreria un Mattiolo miniato e diversi tomi ov’erano disegnati dipinti o stampati fonghi, erbe ed altre cose naturali») è ripreso da LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo cit., p. 35. 30 L’espressione viene utilizzata due volte all’interno dell’atto (cfr. ff. 475v e 476v). Sono inoltre da notare altre espressioni ricorrenti laddove si fa riferimento alla validità dell’atto a tutela dell’acquirente; più volte si specifica infatti: «La Biblioteca Vaticana et altre persone respettivamente a quali pervenissero le cose come sopra vendute in quieto e pacifico possesso», «la detta Biblioteca Vaticana e qualunque altra persona a cui pervenissero o potessero pervenire le cose contenute nella sud(ett)a vendita» e «per mag(gio)r validità, cautela, e sicurezza di essa Vaticana, e di qualunque altro, che partecipasse della sudetta compra» (f. 478r); «per maggior sicurezza d’essa Biblioteca Vaticana, e qualunque altra Persona, promettere, et obligarsi, che la sud(etta) vendita delle cose come sopra contenute sia bene e validamente fatta, e che debba sempre havere il suo pieno e totale effetto» (f. 478v). 31 Complessa e intricata è la storia delle collezioni degli Albani, i cui tesori sono oggi dispersi fra numerose biblioteche e musei europei (cfr. ntt. 59-60). La passione per i libri e i manoscritti che caratterizza Clemente XI trova ampie testimonianze nei documenti raccolti nei tomi 12 e 20 dei 268 volumi del Fondo Albani conservati dall’Archivio Segreto Vaticano (ASV). Una biblioteca di famiglia, l’Albana Urbinas (oggi alla Catholic University of America di Washington), si trovava nel Palazzo Albani di Urbino, dove Clemente XI aveva anche

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La presenza di volumi provenienti dalla libreria Dal Pozzo nel Palazzo Apostolico di Monte Cavallo è registrata, come si è visto, in alcune liste autografe del pontefice relative a spostamenti di libri e manoscritti «dalla Libreria dell’Appartamento de’ Papi d’Inverno» e «dalla Libreria de’ Mezzanini di Monte Cavallo» alla «Nuova Libreria della Sala Regia». Tali elenchi sono datati dal 31 agosto 1713 al 2 gennaio 171432. Non ci si sofferma qui su questo aspetto, già messo in luce; si vuole invece porre attenzione su un documento inedito, sottoscritto nel medesimo periodo, all’inizio del dicembre 1713, da Carlo Maielli, da qualche mese subentrato a Zaccagni come primo custode della Vaticana, e indirizzato al pontefice. Il documento sarà «annesso» e citato nell’atto di vendita, rogato poco più di un mese dopo, nel quale verrà definito «supplica» e «supplichevole memoriale»33: Beatis(si)mo P(ad)re Carlo Maielli P(rim)o Custode della Biblioteca Vaticana rappresenta riverentem(ent)e, che dall’Ab(at)e Lorenzo Alessandro Zaccagna suo antecessore dieci anni sono fu per ordine della San(tit)à V(ost)ra comprata la libraria de libri stampati, manuscritti, disegni, et altro spettante al Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo, messa insieme, e rispettivam(ent)e accresciuta dalli di lui antenati, a fine di collocarne parte nella pred(ett)a Biblioteca, e di disporre del rimanente in altro uso, per prezzo di scudi quattromila, e cinquecento di moneta romana, quali furono per tal effetto imprestati dalla Camera Apostolica ad essa decretato con una bolla del 1720 la fondazione presso il Convento di San Francesco di una biblioteca ad uso dei suoi concittadini (oggi presso la Biblioteca Universitaria di Urbino); ma i tesori bibliografici più importanti si trovavano nell’Albana Romana, oggi dispersa. Cfr. Alessandro Albani patrono cit., pp. 15-48; B. M. PEEBLES, The Bibliotheca Albana Urbinas as represented in the Library of the Catholic University of America, in Didascaliae. Studies in Honour of Anselm M. Albareda, a cura di S. PRETE, New York 1961, pp. 327-353; C. H. CLOUGH, The Albani Library and Pope Clement XI, in Librarium 12 (1969), pp. 11-21; ID., Sources for the History of the Duchy of Urbino in Pope Clement XI’s Library, in Manuscripta 14 (1970), pp. 3156; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 157-161, 195-200; ALESSANDRINI, Cimeli lincei cit., p. 21; F. FOSSIER, Nouvelles recherches sur la bibliothèque du Pape Clément XI Albani, in Journal des Savantes (1980), pp. 161-180; BIGNAMI ODIER, Clément XI cit., pp. 104-105 e 109-123, dove è fornita la trascrizione di ASV, Fondo Albani 12, ff. 101r-120r. 32 Cfr. ASV, Fondo Albani 12, ff. 100r-120r: si tratta di un fascicolo intitolato «Biblioteca Vaticana», in cui sono registrati vari spostamenti di volumi tra i quali parecchi figurano ripetutamente «trasportati dalla Libreria dal Pozzo» (ff. 101r, 112v, 114r, 115r-v, 116r, 117r, 118r, 119r-v, 120r). Si vedano, ad esempio: «A dì 31 agosto furono mandati dall’appartam(en) to de’ papi p(er) inverno alla nuova libraria in Sala Regia libri grandi di figure, e disegni della libraria del Cav(alie)re del Pozzo, libri n(ume)ro 104 […] A dì d(ett)o [4 settembre] altri libri della libraria del Cav(alie)re del Pozzo presi dalle sud(ett)e stanze d’inverno, mezzani e piccoli con figure stampate n. 120» (f. 101r) […] «Nell’istesso giorno [22 settembre] furono trasportati dalla libraria del Cav(alie)r del Pozzo, dove si trovavano framischiati tra i stampati, manoscritti libri undici, stampati figurati libri ventitre» (f. 112v; cfr. BIGNAMI ODIER, Clément XI cit., pp. 109, 115; si veda anche supra nt. 17). 33 Cfr. infra, ASR, Notai R.C.A, vol. 1962, ff. 18v, 20v.

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Biblioteca, sotto l’obbligo di averne a fare la restituzione dentro il termine di tre anni, come più distintam(ent)e si legge nel chirografo di V(ostra) B(eatitudine), segnato li 13 Ottobre 1703, e nell’instrom(ento) di d(ett)a compra rogato dal Tartaglia Segret(ari)o di d(ett)a Camera. Ritrovandosi però la sud(ett)a Biblioteca Vaticana in stato di non poter fare tale acquisto, né una spesa tanto considerabile, onde né pure nel corso di dieci anni già passati gl’è stato permesso di rimborsare la Camera Apostolica di alcuna rata di d(ett)a somma: stimarebbe perciò l’or(ator)e espediente di vendere l’accennata libraria a persona, che attualm(ent)e si esibisce di pagarne [f. 21v:] lo stesso prezzo, col quale si potrà immediatam(ent)e rimborsare la d(ett)a Camera, e insieme liberare la Biblioteca dall’obbligo, che le corre. Umilia pertanto i suoi sentim(ent)i a piedi della San(tit)à V(ost)ra e degnandosi di approvarli, la supplica della Sua clementissima permissione di poter stabilire la vendita di d(ett)a libraria, e di concedergli insieme ogni facoltà necessaria per l’effettuazione del contratto, prendendosi l’or(ator)e la dovuta cura che il prezzo coli subito in mano del depositario Camerale Monthioni in estinzione di d(ett)o debito. Che il tutto et caetera. Carlo Maielli P(rim)o Custode della Bibl(iote)ca Vat(ica)na34.

Il documento evidentemente prelude alla vendita che si definirà all’inizio dell’anno seguente. Siamo ormai dieci anni dopo l’acquisto della collezione e il prestito alla Camera Apostolica non è ancora stato restituito. Maielli ripercorre dunque gli eventi e chiede al Papa il permesso di vendere la collezione Dal Pozzo, che il documento fa apparire come l’unico «espediente» per poter restituire il debito. Il possibile aquirente viene definito «Persona, che attualm(ent)e si esibisce di pagarne lo stesso prezzo», senza che ne sia fatto il nome. I possibili motivi di questo anonimato e le intenzioni del pontefice riguardo alla vendita emergono chiaramente da un altro documento, anch’esso non noto e inedito, che sicuramente accompagnava il memoriale, ma che oggi si trova conservato in altra sede: mentre il memoriale è stato rintracciato presso l’Archivio di Stato di Roma, il biglietto che di seguito si pubblica è attualmente custodito in Vaticana, presso l’Archivio della Biblioteca. Esso, scritto dal Quirinale, reca la stessa data del memoriale, il 1° dicembre 1713; il mittente è il segretario e bibliotecario di Clemente XI, Giovanni Cristoforo Battelli (1658-1725)35, il destinatario non è esplicitato, ma il contesto porta a pensare che si tratti senza dubbio di Maielli: 34 ASR, Notai R.C.A, vol. 1962, f. 21r-v. Sul verso del documento si legge: «Alla San(tit) à di N(ost)ro Sig(no)re Papa Clemente XI die p(rim)a Xbris 1713. S(anctissi)mus annuit ut petitur. A(nnibal) Card(ina)lis Albanus». Annibale Albani fu nominato segretario dei memoriali nel 1712. 35 Si tratta di Giovanni Cristoforo Battelli (1658-1725), segretario e bibliotecario di Clemente XI; fu segretario dei Brevi (1711), referendario di ambedue le Segnature (1712) e vescovo in partibus di Amasea (1716). Su di lui cfr. la voce di L. MORETTI in DBI, VII, Roma 1970, pp. 239-240.

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Dalle Stanze Quirinali P(ri)mo Decembre 1713. Mons(igno)r Battelli riverisce V(ostra) S(ignoria) ill(ustrissi)ma, e le significa che N(ost)ro Sig(no)re ha risoluto che si venda al Sig(no)r Abb(at)e D(on) Alessandro Albani la libraria del Pozzo, quale fu già comprata per la Biblioteca Vaticana, come ella saprà. Affinché la vendita camini nella debita forma, coll’approvazione di S(ua) S(anti)tà si è concertato che in nome di V(ostra) S(ignoria) ill(ustrissi)ma si dia alla Santità S(ua) l’annesso Memoriale, quale è necessario che si sottoscriva da lei med(esi)ma in piè dell’esposizione. La S(anti)tà S(ua) non crede necessario che ella parli dell’affare al Sig(no)r Card(inal)e Pamfilio [Benedetto Pamphili], perché in sostanza la Biblioteca non vi ha avuto mai altro, che il nudo nome. Potrà dunque rimettere il Memoriale a chi scrive, segnato, come sopra, sollecitam(ent)e, acciò che si possa proseguire il negoziato, e minutare l’instrom(en)to per la di cui stipulazione ella sarà a suo tempo avisata, e di novo et caetera36.

Il documento è illuminante per diversi aspetti: Clemente XI ha già deciso di vendere la biblioteca Dal Pozzo al nipote, che pure non viene citato nell’«annesso memoriale», e il memoriale stesso dunque è «concertato» ad hoc, affinché risulti come supplica del primo custode, ma di fatto viene sottoposto a Maielli per la sola firma in calce37. A questi viene inoltre suggerito di non parlare dell’«affare» con il cardinale Bibliotecario (17041730) Benedetto Pamphili, certamente per evitare possibili interferenze. Il breve scritto fornisce inoltre un’altra importante notizia, che risponde in maniera chiara e definitiva al quesito iniziale: la biblioteca Dal Pozzo non fu mai custodita tra le mura della Vaticana, che l’avrebbe posseduta solo nominalmente («non vi ha avuto mai altro, che il nudo Nome»), essendo stato il suo primo custode a curarne l’acquisto per conto del pontefice. Come si è visto, essa fu invece collocata nella Albana Romana presso il Quirinale, dove Clemente XI aveva raccolto i suoi maggiori tesori. 36 Il documento, in copia, è in Arch. Bibl. 33, f. 102r-v (fig. 1). Per il fondo Archivio della Biblioteca si veda Ch. M. GRAFINGER, Uffici della prefettura. Archivio, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, II, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 467), pp. 913-916. Su Benedetto Pamphili si vedano almeno Ch. GRAFINGER, Benedetto Pamphili, in J. MEJÍA, Ch. GRAFINGER, B. JATTA, I Cardinali Bibliotecari di Santa Romana Chiesa cit., pp. 215-219 e A. MERCANTINI, Pamphili, Benedetto, in DBI, LXXX, Roma 2014, pp. 665-667. 37 La circostanza della mancata possibilità di restituire il prestito e la conseguente vendita della collezione viene così commentata da Giovanni Mercati: «non potutosi (o non osatosi dal meno appassionato successore [di Zaccagni] Carlo Majella [Maielli] 1712-1738?) adempire, onde fu rivenduta al nipote di Clemente XI Alessandro Albani, il quale nel 1761-62 fece un “negozione” vendendone una parte [disegni e stampe] al Re d’Inghilterra [Giorgio III] per 14000 scudi» (cfr. G. MERCATI, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 164), p. 153 e nt. 1, ma anche pp. 104-105). Appunti di Mercati relativi alla biblioteca Albani e alla raccolta Dal Pozzo sono in Arch. Bibl. 218, pt. A, f. 159r: «Libr(aria) Dal Pozzo comprata da Zaccagni per la Vaticana per sc(udi) 4500 e rivenduti allo stesso prezzo da Maiella all’Albani per non potere pagare».

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Tali conclusioni trovano conferma nell’atto di vendita, che viene rogato poco più di un mese dopo, l’8 gennaio 1714; le parti sono la Vaticana, nella persona del primo custode Carlo Maielli, e Alessandro Albani, che versò i 4.500 scudi in un’unica soluzione permettendo così che la Biblioteca saldasse contestualmente il proprio debito. L’atto, che di seguito viene pubblicato integralmente, è molto dettagliato e anch’esso ricco di preziose informazioni: Venditio Bibliotecae pro ill(ustrissi)mo et exc(ellentissi)mo D(omino) Abb(at)e Don Alexandro Albano. Die 8a Ianuarij 1714. Essendo che il fu Abbate Lorenzo Alessandro Zaccagna Primo Custode della Biblioteca Vaticana sino dall’anno 1703 comprasse per ordine della Santità di Nostro Signore la libraria de’ libri stampati, manoscritti, disegni, et altro spettante all’ill(ustrissi)mo Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo messa insieme, e respettivamente accresciuta dalli di lui antenati a fine di collocarne parte nella detta Biblioteca, e di disporre del rimanente in altro uso, per prezzo di scudi quattromila cinquecento moneta a tal effetto imprestati della Rev(erend)a Cam(er)a Apost(olic)a ad essa Biblioteca sotto l’obligo di havernele a fare la restituzione dentro il termine di tre anni, come più distintamente si legge nel chirografo segnato dalla Santità sua li 13 ottobre 1703, e nell’istromento della detta compra rogato negl’atti di me Tartaglia Seg(reta)rio della detta Cam(er)a, a quali et caetera. Et avendo Monsig(nor)e ill(ustrissi)mo Carlo Maielli successore del detto Abbate Zaccagna nella carica [f. 18v:] di Primo Custode della Biblioteca Vaticana pienamente riconosciuto, che questa non trovasi in istato di poter fare il sudetto acquisto, che importa una spesa tanto considerabile, a cui non ha potuto supplire nel corso di dieci, e più anni nè pure col rimborsare la Rev(erend)a Cam(er)a d’alcuna rata della somma, come sopra imprestatale e perciò avendo stimato espediente di rivendere la stessa libraria comprata, come sopra dal detto Sig(no)r Commendatore del Pozzo, quando ne havesse ritrovato il medesimo prezzo, col quale si potesse immediatamente rimborsare la Rev(erend)a Cam(er)a et insieme liberare la Biblioteca dall’obligo, che ne le corre; et avendo avanzato tale suo sentimento con un supplichevole memoriale alla Santità Sua, siasi questa degnata di benignam(en)te approvarlo, ed in seguela permettergli di stabilire, et in tutto effettuare il contratto dell’accennata vendita, con che il prezzo coli subito nelle mani del Deposit(ario) della detta Rev(erend)a Cam(er)a in estinzione del riferito debito dell’istessa Biblioteca, come apparisce dal medemo memoriale col benignissimo rescritto di S(ua) B(eatitudine), che originalmente mi si consegna ad effetto d’inserirlo nel p(rese)nte istromento del tenore et caetera. Onde havendo esso Monsignor Maielli in vigore della licenza, e facoltà, come sopra conce-[f. 19r:]dutagli dal Nostro Signore, fatte varie diligenze ne havendo ritrato altri, che l’ill(ustrissi)mo, et ecc(ellentissi)mo Sig(no)r Abbate don Alessandro Albani nipote di Sua Beat(itudi)ne, che si esibisce di far l’acquisto della sudetta libraria col pronto sborso dello stesso prezzo delli scudi quattromila cinquecento moneta, e perciò volendone con esso lui effettuare il contratto.

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Fig. 1 – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 33, f. 102r-v. Biglietto di Giovanni Cristoforo Battelli, segretario e bibliotecario di Clemente XI, con cui si trasmette il memoriale che si chiede a Carlo Maielli, primo custode della Vaticana, di sottoscrivere e trasmettere al papa.

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Quindi è, che il medemo Monsignor Carlo Maielli da me benissimo conosciuto, come Primo Custode della detta Biblioteca Vaticana valendosi anco delle facoltà concedutegli da Sua B(eatitudi)ne col mezzo dell’accennato rescritto, in nome della sudetta Biblioteca Vaticana, ed in ogni altro miglior modo, e nome vende, rinuncia, cede, et aliena in favore del detto ecc(ellentissi)mo Sig(no)r Abbate don Alessandro Albani p(rese)nte, accettante e legitimamente stipolante et caetera la predetta libraria con tutti li suoi libri stampati, e manuscritti, et altri composti di varie carte di stampe rappresentanti figure, et altre cose, come pure diversi disegni compresici quelli del Posino sciolti con diversi tomi, ove sono disegnati, dipinti, o stampati, fonghi, erbe, et altre cose naturali, e due tomi del Mattioli miniati, e l’Aldrovando de Piscibus parimente miniato con sei tomi di manoscritti che contengono gl’epitaffi esistenti nelle chiese di Roma, et una cassetta coperta di corame dorato con dentro il disegno [f. 19v:] della Colonna Traiana, che si dice esser opera di Mutiano, e con tutte le scanzie, et armarij, e generalmente con tutto quello, che costituiva la libraria lasciata dalla bo(na) me(moria) del Commend(ato)re Carlo Antonio del Pozzo, ed in ultimo luogo da Gabriele del Pozzo di sim(ile) me(moria) avo, e padre respettivamente del predetto Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio38, e nello stato, e forma, in cui questo la vendette al sudetto Abbate Zaccagna per la detta Biblioteca Vaticana, e che fu consegnata al medesimo Abbate Zaccagna, e tutto ora esistente nelle stanze del Palazzo Apost(olico) di Monte Cavallo, senza che possa pretendersi esclusa, né eccettuata la minima cosa, quantunque positivamente non espressa, e per causa, e titolo di tale vendita, l’istesso Monsignor Maielli nel nome, e modo, come sopra cede rinuncia, e trasferisce nel sudetto ecc(ellentissi)mo Sig(no)r Abbate Don Alessandro p(rese)nte et cetera tutte, e singole raggioni, et azzioni, risultanti dal sovracitato istromento di vendita, et in qualunque altro modo competenti alla detta Biblioteca Vaticana, et ad esso Monsig(no)r Maielli come successore del predefonto Abbate Zaccagna, non riservandosene veruna, anche con la clausola, ed effetto del costituto da stendersi sempre in amplissima forma come in cose simili, anzi il medemo sig(no)r Abbate Don Alessandro dichiara essergli già [f. 20r:] stata consegnata l’intiera libraria predetta con tutt’altro che si contiene ne suoi inventarij e fuori di essi, e restare alla totale disposizione di Sua Ecc(ellen)za, e però ne fa quietanza alla detta Biblioteca Vaticana et a Monsig(no)r Maielli p(rese)nte et caetera in ogni meglior modo et caetera. Questa vendita, e rinuncia poi di libraria, ed altro, come sopra esso Monsig(no)r Maielli nel modo e nome predetti fa e dice haver fatta in fav(or)e del detto ecc(ellentissi)mo Sig(nor) Abbate don Alessandro Albani p(rese)nte et cetera per lo stesso prezzo di scudi quattromila cinquecento moneta, per cui ne fu fatta l’accennata vendita dal Sig(no)r Commendator del Pozzo, quali ora detto Monsignor Maielli ha, e riceve dall’Ecc(ellen)za del d(etto) Signor Abbate don Alessandro in un ordine continente l’intiera somma sudetta diretto al Banco di San Spirito, e sottoscritto di mano di Sua Ecc(ellen)za qual ordine doppo lasciatane a me copia per inserire in questo istromento del tenore et caetera il medesimo Monsig(no)r Maielli trahe a se, e del denaro, che in esso si contiene si chiama in tutto contento, e so38 I disegni di Poussin e Muziano, oltre agli inventari, sono citati anche nel chirografo e nell’atto di vendita del 1703, nel quale sono citati anche Mattioli e Aldovrandi (cfr. supra).

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disfatto, e rinunciando a qualunque eccezzione e speranza et caetera d’adesso per quando lo haverà effettivamente esatto, e com’appresso convertito, ne fà al predetto sig(no)r Abbate don Alessandro p(rese)nte et caetera ampla, e finale quietanza, anche p(er) patto et caetera et in ogn’altro miglior modo et caetera. [f. 20v:] Et a tenore del suvrinserto memoriale, e supplica data a Nostro Signore, e rescritto fattoci e respettivamente ancora del sudetto ordine l’istesso Monsignor Maielli promette con sua girata in piede dell’istesso ordine far pagare l’intiero danaro ivi contenuto al Sig(no)r Francesco Monthioni depositario della Rev(erend)a Cam(er)a Apost(olic)a in estinzione del debito della sudetta Biblioteca Vaticana per causa dell’imprestito di simil somma fattole precisamente per far l’acquisto della predetta libraria, conforme si è espresso di sopra, e meglio risulta dal sovracitato chirografo di Nostro Signore, e dall’Istrom(ento) di compra stipolato in sequela di quello. Inoltre il medemo Monsig(no)r Maielli vuole, et espressamente dichiara, che per tutta la cautela e sicurezza d’esso ecc(ellentissi)mo Sig(no)r Abbate don Alessandro compratore s’intendano, et effettivamente siano col mezzo del presente contratto di vendita, e rinuncia intieramente trasfuse, rinunciate, e trasferite nell’Ecc(ellen)za sua, e di tutti lui suoi eredi e successori tutte, e singole promesse, oblighi, convenzioni, et altro, che per la perpetua sossistenza della prima vendita fatta per la Biblioteca Vaticana al fu Abbate Zaccagna, manutenzione nel quieto, e pacifico possesso [f. 31r:] della stessa libraria, e d’altro alienato, liberazione da ogni molestia, et impedimento, difesa, evizzione, e per qualunque altra cosa si legge fatto dal predetto Sig(no)r Commendatore Cosim’Antonio, ed in suo nome nell’istrom(en)to di vendita, che egli fece della medesima libraria, di modo che restino al d(ett)o Sig(no)r Abbate don Alessandro, e suoi tutte, e singole raggioni, et azzioni di domandar sempre, et in ogni futuro tempo contro il sud(dett)o Sig(nor) Commendatore Cosimo Antonio suoi eredi, e successori, e chichesia altro, che fosse in qualunque maniera obligato l’intiera esecuzione, et adempimento di quanto si trovasse promesso, e convenuto nel sopracitato istromento di vendita in tutto, e p(er) tutto, et appunto come se quello fosse stato stipolato direttam(en)te a favore del sudetto Sig(no)r Abbate don Alessandro, e non altrimenti, perché cosi et caetera. Per quello poi potesse importare il dato, e fatto della detta Biblioteca Vaticana, e de suoi ministri nel tempo interceduto tra la p(rese)nte e l’altra vendita predetta lo stesso Monsig(no)r Maielli promette, ed afferma che la sudetta libraria e tutte l’altre cose annesse nella stessa qualità, quantità, modo, e forma, che furono, come sopra [f. 31v:] acquistate e sono state intieramente consegnate al sud(ett)o Sig(no)r Abbate don Alessandro compratore, né dalla detta Biblioteca Vaticana, né da alcun suo ministro si è fatta veruna altra vendita, dismembrazione, disposizione, né in alcun futuro tempo apparirà fatto verun altro contratto, o distratto della stessa libraria, e d’altre cose sopra rinunciate, nè di alcuna minima loro parte in pregiudizio d’esso Sig(no)r Abbate don Alessandro p(rese)nte et caetera, e che per la p(rese)nte vendita, e rinuncia fattane intieramente a suo favore è, e sarà sempre buona valida, e legitimamente fatta, come sopra, e mantenerglela [sic] perpetuamente tale, con difenderlo da ogni lite, molestia, ed impedimento, che per conto, e causa

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della medesima Biblioteca Vaticana, e de suoi ministri potesse inferirsegli e così conservarlo, e rilevarlo indenne, ed illeso da ogni danno e pregiudizio che lo stesso Sig(no)r Abbate don Alessandro compratore potesse, come sopra patire et caetera altrimenti et caetera, perché così et caetera. Quae omnia alia et caetera de quibus et caetera, pro quibus om(ni)bus observandis et caetera d(ict)o D(omino) Maiella Bibliothecam Vaticanam, eiusque effectus, bona, et iura et caetera quoda(m) et no(mi)ne praemissis in ampliori Rev(erend) ae Camerae Ap(osto)licae forma(m) [f. 32r:] cum solitis clausulis et caetera obligavit et caetera renuncians et caetera consensiens et caetera unica et caetera, et sic tacto pectore more et caetera iuravit et caetera super quibus et caetera. Actum Romae in Palatio Ap(osto)lico Quirinali, et in aedibus habit(atio)nis d(ict)i exc(ellentissi)mi d(omini) d(omi)ni Alexandri p(raese)ntibus et caetera ill(ustrissi)mo d(omino) Io(anne) Maria Lancisio filio bo(nae) me(moriae) Bartholomei Romano, et ill(ustrissimo) d(omino) ad(voca)to Io(anne) Bap(tis)ta Zappio filio bo(nae) me(moriae) Io(ann)is Evangelistae Imolen(se) testibus et caetera. I(oannes) A(ntonius) Tartaglia Sec(retarius) rog(avit)39.

All’atto di vendita è allegata una copia della disposizione del nuovo acquirente Alessandro Albani al Banco di San Spirito, che prevedeva la contestuale «girata» della medesima cifra a favore del Depositario generale della Camera Apostolica Francesco Montioni, con l’estinzione totale del debito: Sig(nor)i Ministri del Banco di San Spirito de denari depositati in nostro credito nel medemo Banco potranno pagare a Monsig(no)r Carlo Maielli Primo Custode della Biblioteca Vaticana scudi quattromila cinquecento moneta, che gli facciamo pagare in sodisfazione del prezzo della libraria ed altro, che il fu Abbate Lorenzo Zaccagna suo Antecessore per ordine di Nostro Sig(no)re comprò per lo stesso prezzo sino dall’anno 1703 dal Sig(no)r Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo, et ora rivenduta a noi dal detto Monsignor Maielli in vigore di special rescritto di sua Beat(itudi)ne per istrom(en)to rogato sotto questo giorno negli atti del Tartaglia Seg(reta)rio della Rev(erend)a Cam(er)a, al quale et caetera, con questo però, ch’esso Monsig(no)r Maielli con sua girata in piè del presente ordine debba immediatamente far pagare l’istessi scudi quattromila cinquecento al Sig(no)r Francesco Monthioni Depositario Generale della detta Rev(erend)a Cam(er)a in estinzione del debito di simil somma, che tiene la sudetta Biblioteca con la pred(ett)a Camera per l’imprestito, che ne le fece a fine di far l’acquisto della medema libraria, come per chirografo della S(anti)tà sua segnato li 13 ottobre 1703. Che così, e senz’altra fede di notaro saranno ben pagati questo di 8 Gennaro 1714. Dico scudi 4500 m(one)ta»40. 39

ASR, Notai R.C.A, vol. 1962, ff. 18r-20v, 31r-32r, notaio Giovanni Antonio Tartaglia. Segue la firma di Alessandro Albani e la sottoscrizione «E per me al Sig(no)r Fran(ces)co Monthioni Depositario della Rev(erend)a Camera per l’effetto predetto», firmata Carlo Maielli. Il documento è costituito da un foglio sciolto, non numerato, inserito tra i fogli dell’atto. 40

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Nell’atto viene precisato che la biblioteca acquistata nel 1703 è in tutte le sue parti la stessa che viene venduta ad Alessandro Albani, senza alcuna variazione o mancanza. La frase ripetuta formularmente in ogni documento riguardante la vendita, «ad effetto di collocarne parte nella Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso», sembra dunque un modo per giustificare la presenza della raccolta in altra sede rispetto alla Vaticana piuttosto che il riferimento a una vera diversificazione nella collocazione41. Nell’atto di vendita del 1714 si afferma dunque che la «Libraria» era «[…] tutto ora esistente nelle Stanze del Palazzo Apost(olico) di Monte Cavallo senza che possa pretendersi esclusa, né eccettuata la minima cosa, quantunque positivamente non espressa (f. 19v)»42; poco dopo però si riporta che lo stesso Alessandro Albani abbia dichiarato «[…] essergli già stata consegnata l’intiera libraria predetta con tutt’altro che si contiene ne suoi inventarii e fuori di essi» (ff. 19v-20r). Dal documento non risulta chiaro dunque se al momento dell’atto di vendita la biblioteca fosse ancora nel Palazzo di Monte Cavallo o meno. Si è visto come volumi provenienti dalla libreria Dal Pozzo siano presenti in alcune liste autografe del pontefice relative a spostamenti di libri e manoscritti trasferiti nella Sala Regia del Quirinale, tra il 31 agosto 1713 e il 2 gennaio 1714, appena prima dell’atto di vendita43. Trasferimenti di volumi effettuati dalla biblioteca privata («domestica») di Clemente XI presso il Quirinale al palazzo di famiglia alle Quattro Fontane («Casa Nova»), tra cui volumi provenienti dalla biblioteca Dal Pozzo, sono invece attestati tra il 1719 e il 1720 — cinque anni dopo il rogito e un anno prima della morte del pontefice44. Una «Nota de’ libri, che non erano stati descritti in alcun Indice, o inventario, e per commandam(en)to di N(ostro) 41 La stessa locuzione è dunque presente in tutti i documenti relativi alla vicenda: l’atto di vendita del 1703 (ASR, Notai R.C.A., vol. 140, ff. 475v e 477r: «ad effetto di collocarne parte nella Biblioteca Vaticana, e parte disporne ad altr’uso»), il memoriale di Maielli (ASR, Notai R.C.A, vol. 1962, f. 21r: «a fine di collocarne parte nella pred(ett)a Biblioteca, e di disporre del rimanente in altro uso»), l’atto di vendita del 1714 ad Alessandro Albani (ASR, Notai R.C.A, vol. 1962, f. 18r, dove si ricorda come Zaccagni «sino dall’anno 1703 comprasse per ordine della Santità di Nostro signore la Libraria de’ libri stampati, manoscritti, disegni, et altro […] al fine di collocarne parte nella detta Biblioteca [Vaticana], e di disporre del rimanente in altro uso»). Meritano inoltre attenzione anche alcune espressioni utilizzate nell’atto di vendita del 1703, in cui si fa riferimento ad «altra Persona a cui pervenissero o potessero pervenire le cose contenute nella sud(ett)a vendita» e a «qualunque altro, che partecipasse della sudetta compra» (cfr. nt. 30). 42 La Bignami Odier commenta così tale dichiarazione: «Evidemment, il se méfiait un peu. Mais, à notre avis, tout se passa a famille» (BIGNAMI ODIER, Clément XI cit., p. 105). 43 Cfr. supra nt. 32. 44 Per lo stato di salute del pontefice, già peggiorato nel 1720, cfr. L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medioevo (…), XV: Storia dei Papi nel periodo dell’assolutismo. Dall’elezione di Clemente XI sino alla morte di Clemente XII, Roma 1962, pp. 405-407.

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S(igno)re sono stati trasportati dalla sua Biblioteca domestica nella Casa Nuova il di 22 7mbre 1719» si trova nel Vat. lat. 1047545. È dunque certo che tra il 1719 e il 1720 vi furono spostamenti di volumi da Monte Cavallo a Palazzo Albani, in via delle Quattro Fontane, dove fu trasferita la maggior parte della biblioteca familiare di Clemente XI, e legata alla famiglia con una clausola di fidecommesso, e dove il cardinale Alessandro stava raccogliendo sculture, quadri, monete, libri e manoscritti. Da questo momento le sorti della collezione Dal Pozzo si legano alle tormentate vicende della biblioteca Albani e alla sua dispersione, di cui di seguito si ripercorrono le fasi principali46. Dopo la morte del pontefice, nel 1721, era confluita nella biblioteca personale di Alessandro — di cui nei suoi ultimi anni fu bibliotecario Johann Joachim Winkelmann (1717–1768) — l’intera biblioteca dello zio, alla quale successivamente si unì anche quella del fratello Annibale (1682-1751). Le disposizioni testamentarie non furono sufficienti a mantenerla integra. Nel 1762 Alessandro, per far fronte alle spese sostenute per la costruzione della propria villa in via Salaria, vendette al sovrano d’Inghilterra Giorgio III molti disegni e stampe, che oggi si trovano in gran parte presso la Royal Library di Windsor47. La raccolta fu in seguito saccheggiata e trafugata dai rivoluzionari 45 Vat. lat. 10475, f. 3r. Spostamenti sono registrati fino al 4 agosto 1720; cfr., ad esempio, f. 429r: «Libri cavati dalla libreria del Pozzo esistente appresso la Sala Regia a dì 4 agosto 1720». Cfr. Codices Vaticani Latini. Codices 10301-10700, recensuerunt M. VATTASSO et H. CARUSI, Romae 1920 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti), pp. 228-229; si vedano inoltre: E. NARDUCCI, Catalogo di manoscritti ora posseduti da D. Baldassarre Boncompagni, Roma 1862, p. 24 nrr. 57 e 58 (una seconda edizione accresciuta apparve a Roma nel 1892); ALESSANDRINI, Cimeli lincei a Montpellier cit., pp. 21-25. Cfr. anche infra nt. 55. 46 Per una sintesi completa delle vicende relative alla dispersione della biblioteca Albani si veda il recente lavoro di A. BECCHI, Naufragi di terra e di mare: da Leonardo da Vinci a Theodor Mommsen alla ricerca dei codici Albani; edizione del manoscritto XIII.F.25, cc. 129-136 della Biblioteca Nazionale di Napoli, a cura di O. TRABUCCO, Roma 2017 (Edizioni di storia e letteratura), pp. 1-19, con ampia bibliografia. 47 Dalla vendita a Giorgio III, Alessandro Albani ricavò l’ingente cifra di 14.000 scudi (cfr. nt. 37); ma enormi furono le spese affrontate per la costruzione della nuova villa sulla via Salaria (circa 400.000 scudi), costruita da Carlo Marchionni e affrescata da Anton Raphael Mengs, inaugurata nel 1763; cfr. LEWIS, Albani, Alessandro cit.; Alessandro Albani patrono della arti cit.; Il Cardinale Alessandro Albani e la sua villa. Documenti, Roma 1980 (Quaderni sul neoclassico, 5), pp. 17-18, con ricca bibliografia. Si vedano inoltre: J. FLEMING, Cardinal Albani’s Drawings at Windsor: their Purchase by James Adam for George III, in The Connoisseur 142 (1958), pp. 164-169; H. MCBURNEY, The later History of Cassiano dal Pozzo’s “Museo cartaceo”, in The Burlington Magazine 131 (1989), pp. 549-553; EAD., History and Contents of the dal Pozzo Collection in the Royal Library, Windsor Castle, in Cassiano dal Pozzo cit., pp. 75-94; informazioni sul Museo Cartaceo e sulla storia della sua acquisizione sono offerte nel sito della Royal Collection Trust (cfr. e , data di visita 22/02/2018). Parte del Museo Cartaceo si trova oggi anche presso la British Library (cfr. C. C. VERMEULE, The Dal Pozzo-Albani Drawings of Classical Antiquities. Notes on Their Content and Arrangement, in The Art Bulletin 38 (1956), pp. 31-46; ID., The Dal Pozzo-Albani Drawings of Classical Antiquities in the British Museum, Philadelphia 1960 (Transactions of the American Philosophical Society, n.s., 50, p. 5); I. JENKINS, Cassiano dal Pozzo’s Museo Cartaceo: new Discoveries in the British Museum, in Nouvelles de la Republique des Lettres 2 (1987), pp. 29-41; ID., Newly discovered Drawings from the Museo Cartaceo in the British Museum, in Cassiano Dal Pozzo cit., pp. 131-136; si veda anche , data di visita 22/02/2018) e l’Institut de France di Parigi (cfr. F. CHAMOUX – M. PASTOUREAU, L’Institut de France et le « Musée de papier» de Cassiano dal Pozzo, in Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres 141 (1997), pp. 319-324). Sul Museo Cartaceo si veda anche nt. 2. 48 Molti volumi a stampa tornarono successivamente nelle mani dei proprietari, ma i codici furono in gran parte acquisiti dal governo francese poco prima del luglio 1804 e molti si trovano ancora presso la Bibliothèque Nationale de France (cfr. , data di visita 01/03/2018) e presso l’École de Médicine di Montpellier, dove sono conservate diverse lettere di Dal Pozzo; cfr. G. MAZZATINTI, Manoscritti Italiani della Francia, Roma 1888, III, pp. 61-86; M.-P. LAFFITTE, Quelques manuscrits de la bibliothèque Albani, in Bulletin du Bibliophile 1 (1985), pp. 35-40; EAD., La Bibliothèque nationale et les ‘conquêtes artistiques’ de la Révolution et de l’Empire. Les manuscrits d’Italie (1796-1815), in Bulletin du bibliophile 2 (1989), pp. 273-323; si vedano anche ALESSANDRINI, Cimeli lincei a Montpellier cit., pp. 29, 39-41; FOSSIER, Nouvelles recherches cit., pp. 172-174; BECCHI, Naufragi di terra e di mare, pp. 3-4. 49 Informazioni a riguardo sono fornite dal bibliotecario degli Albani Tito Cicconi: T. CICCONI, recensione al Trattato della dignità, ed altri inediti scritti di Torquato Tasso, premessa una notizia intorno ai codici manoscritti di cose italiane conservati nelle biblioteche del mezzodì della Francia, e un cenno sulle antichità di quella nazione. Del cavalier Costanzo Gazzera […], in Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti 78 (1839), pp. 362-363. Si vedano inoltre: L. GIUSTINIANI, Memorie storico-critiche della Real Biblioteca borbonica di Napoli […], Napoli 1818, pp. 184-186; NICOLÒ, Il carteggio puteano cit., pp. 19-20. Per l’identificazione dei codici Albani presso la Nazionale di Napoli si veda nt. 59 50 Cfr. A. NIBBY, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, II, Roma 1841, pp. 185-187; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp, 198, 200, 215; BECCHI, Naufragi di terra e di mare cit., p. 4. Su Giuseppe Albani, Segreterio di Stato dal 1829 al 1831, cfr. la voce Albani, Giuseppe Andrea, in DBI, I, Roma 1960, pp. 607-609; Ch. GRAFINGER, Giuseppe Albani, in J. MEJÍA, Ch. GRAFINGER, B. JATTA, I Cardinali Bibliotecari di Santa Romana Chiesa cit., pp. 257-261

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in effetti riuscirono a recuperarne la maggior parte, ma con l’estinzione del ramo maschile della famiglia, alla morte di Filippo Albani (1760-1852), iniziò un complesso contenzioso tra gli eredi e la parte superstite della collezione subì una nuova dispersione. I libri a stampa furono venduti all’asta (novembre 1857 – febbraio 1858) dagli ultimi eredi degli Albani, i conti Castelbarco e Guidi di Bagno-Chigi51. Nel 1856 alcuni manoscritti puteani furono acquistati dal principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna (1789-1864), imparentato con il ramo piemontese dei Dal Pozzo Voghera; non avendo avuto eredi maschi, anch’egli lasciò l’eredità alla figlia, che aveva sposato un duca d’Aosta, nel cui Archivio torinese fu conservato il carteggio fino alla vendita all’Accademia dei Lincei52. Nel 1862 una parte cospicua della biblioteca fu venduta, per il tramite di Theodor Mommsen, al governo prussiano per la Königliche Bibliothek di Berlino, dove però non arrivò mai a causa del naufragio della nave Herstelling che trasportava i volumi, circa 1800 tra manoscritti e stampati53. Altri codici furono acquistati dal principe Baldassarre Boncompagni Ludovisi (1821-1894), dalla cui biblioteca, venduta all’asta nel 1898, alcuni manoscritti puteani (Vat. lat. 10471-10494) giunsero in Vaticana54: tra questi, oltre ai già menzio51 Cfr. Catalogo della copiosa biblioteca già appartenuta all’Eccellentissima Famiglia de’ Principi Albani, I-II, Roma 1857; GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti cit., pp. 401-454, ad indicem. 52 Cfr. LUMBROSO, Sulla vita di Cassiano Dal Pozzo cit., p. 173; G. GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti cit., pp. 401-454, ad indicem; M. CASSETTI, L’archivio Dal Pozzo della Cisterna, in Studi Piemontesi 9 (1980), pp. 429-434, in particolare pp. 430-431 dove si ripercorre la complessa storia dell’archivio; La famiglia dei principi Dal Pozzo della Cisterna e il suo archivio, catalogo a cura di M. CASSETTI e M. CODA, Vercelli 1981; BECCHI, Naufragi di terra e di mare cit., pp. 7-11; informazioni utili sono offerte anche sul sito dell’Archivio di Stato di Biella, , data di visita 07/03/2018. Per la vendita ai Lincei si veda infra e nt. 62. 53 La nave, partita con il suo prezioso carico da Livorno per arrivare ad Amburgo, affondò, dopo aver avuto problemi allo scafo presso Gibilterra, intorno al 20 novembre 1863, verosimilmente al largo delle coste portoghesi. Diverse informazioni sono offerte anche in GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti cit., pp. 401-454, in particolare pp. 427-428 nr. 252, pp. 429-420 nr. 268; per una ricostruzione puntuale della vicenda, rimasta per molto tempo nebulosa, si veda BECCHI, Naufragi di terra e di mare cit., pp. 1-2, 9-19, che cita numerose fonti. 54 Baldassarre Boncompagni era stato incaricato dalla Pontificia Accademia de’ nuovi Lincei di comprare dai Castelbarco i manoscritti degli antichi lincei conservati nella biblioteca Albani. Alla morte di Boncompagni, manoscritti Albani furono acquistati dall’Accademia dei Lincei, dalla Biblioteca Nazionale di Roma e dalla Vaticana. Cfr. GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti cit., pp. 401-454, ad indicem; FOSSIER, Nouvelles recherches cit., pp. 179-180; BECCHI, Naufragi di terra e di mare cit., pp. 7-8. Sui dorsi dei codici custoditi oggi in Vaticana sono ancora visibili le etichette della biblioteca Boncompagni; cfr. CRITELLI, «L’impazzamento nel collocare una sì gran machina di cose» cit., p. 254. Per la biblioteca Boncompagni si veda E. NARDUCCI, Catalogo di manoscritti cit.; per i cataloghi d’asta del 1898 cfr. Catalogo della biblioteca Boncompagni. Parte prima contenente i Manoscritti, Fac Simili, Edizioni del secolo XV, Abbachi, Riviste che si venderanno alla pubblica auzione nei giorni 27 Gennaio –

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nati Vat. lat. 10475-10476, hanno particolare importanza i Vat. lat. 1047810481, che costituiscono, in doppio esemplare, il catalogo della biblioteca di Cassiano redatto tra il marzo e il giugno 171455. Oltre ad alcune lettere56, in Vaticana si conserva anche il noto diario relativo al viaggio fatto insieme al cardinale Francesco Barberini in occasione di una legazione pontificia in Francia (Barb. lat. 5688, olim 2870) e Spagna (Barb. lat. 5689, olim 2871, acefalo e adespoto)57. Quello che la Vaticana oggi possiede dell’eredità Dal 12 Febbraio 1898 […], Roma 1898; Catalogo della Biblioteca spettante all’eredità beneficiata del fu Principe d. Baldassarre Boncompagni. Parte seconda contenente Teologia-Storia sacra e profana-Letteratura-Archeologia. Lettere A-M […], Roma 1898; […] Parte terza […]. Lettere N-Z, Roma 1898. 55 Al f. 2r del Vat. lat. 10478: «Catalogus librorum Bibliothecae Puteanae inceptus die 15 Martij 1714. Medici, Chemici, Chirurgici, Historicique Naturales, Spagyrici, Botanici et caetera». Al f. 2r del Vat. lat. 10479: «Catalogus Librorum Bibliothecae Puteanae continens libros in folio, in classes varias distributos […] Historici, Antiquarij Sacri, et Prophani nec non chronologici, mytolog., Philosophi, Poetae, Philologi, Mathematici, Biblia eorumque Expositores et Patres nec, non Scriptores Ecclesiastici, De Re grammatica et Poetica, Ethici, Politici, Economici, Rituales, Oratores et Rhetores, Artes variae, Theologi, Scholastici, Ascetici et Polemici, Indices Catalogi Bibliothecae et Lexicon, Jus canonicum ac civile», datato 27 giugno 1714, con impresso il timbro della biblioteca Albani; gli inventari, evidentemente legati alla vendita della biblioteca ad Alessandro Albani, presentano la medesima antica segnatura Albani «n. 352», scritta a mano e sostituita alle precedenti segnature depennate (2231, 2232, 2234, 2235). I Vat. lat. 10480-10481 sono le relative minute. Il Vat. lat. 10477 contiene gli «Indices Bibliothecae S(anctis)s(i)mi D(o)m(ini) N(ost)ri Clementis XI Pont(ificis) Opt(imi) Max(imi)» (f. 2r). Il Vat. lat. 10485 contiene l’«Index codicum m(anu) s(criptorum) qui in Bibliotheca Albana Urbini adservantur» (f. 2r; cfr. Codices Vaticani Latini. Codices 1030110700 cit., pp. 226-241 per i Vat. lat. 10471-10494, in particolare pp. 230-231 per i Vat. lat. 10478-10481). La digitalizzazione di alcuni di questi codici (Vat. lat. 10476-10479, 10485) è on line nel catalogo dei manoscritti della Vaticana, disponibile a . Sugli inventari cfr. anche ntt. 4 e 45. Sul fondo Boncompagni Ludovisi della Vaticana, che vi arrivò per altre vie, si veda Ch. GRAFINGER, Boncompagni Ludovisi, in Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), pp. 352-354. 56 Singole lettere di Cassiano Dal Pozzo si trovano in alcuni codici Urbinati, tra i quali gli Urb. lat. 1624, f. 31r, e 1625, ff. 126r, 134r, passim; per le lettere scambiate con Flavio Chigi, divenuto poi Alessandro VII, si vedano i manoscritti Chig. A.II.28, ff. 158r-229v e Chig. A.III.54, ff. 474r-660r (lettere datate tra gli anni 1629-1651). Per il cosiddetto Carteggio Puteano cfr. nt. 62. 57 Il viaggio aveva come scopo il perseguimento di una soluzione diplomatica della contesa militare e politica fra Francia e Spagna per la Valtellina; la legazione guidata dal cardinale Barberini si recò prima in Francia (nel 1625) e poi in Spagna (nel 1626), come ci testimoniano i due diari: quello del viaggio spagnolo (Barb. lat. 5689) è stato edito da Alessandra Anselmi, che precisa che il manoscritto non è l’originale di Cassiano ma «una copia antica quasi certamente non coeva (o comunque da lui non rivista), infatti, le difficoltà che talvolta mostra il copista nell’interpretazione delle parole indicano che la trascrizione dall’originale venne certamente effettuata in assenza dell’autore»; cfr. Il diario del viaggio in Spagna del cardinale Francesco Barberini scritto da Cassiano del Pozzo, [a cura di] A. ANSELMI, Madrid c2004, p. XVIII (pubblicato anche in spagnolo: El diario del viaje a España del cardenal Francesco

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Pozzo non deriva dunque dall’alienazione del 1703, ma vi è arrivato successivamente e per altre vie. Nel 1857 la famiglia Castelbarco donò al Capitolo Vaticano dodici volumi Albani, alcuni altri furono venduti l’anno prima al duca Mario Massimo di Rignano e Acquasparta (1808-1873), la cui collezione andò successivamente a sua volta dispersa; dello stesso anno è un rapporto dell’allora prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano (1855-1870) Augustin Theiner (1804-1874) che consiglia alla Santa Sede l’acquisizione della collezione Albani al tempo conservata nell’omonima biblioteca58. La collezione Albani è stata dunque dispersa tra collezioni pubbliche e private di tutta Europa e non solo59. Un’ulteriore alienazione, particolarmente consistente, si ebbe nel 1928, quando la famiglia Castelbarco vendette alla Catholic University of America (Washington D.C.) circa 10.000 volumi provenienti dal Palazzo Albani di Urbino60. Altri manoscritti furono venduti a Londra da Sotheby’s61; la corrispondenza, il cosiddetto Carteggio Puteano, fu acquistata insieme ad altri manoscritti nel 1973 dall’Accademia dei Lincei62. Barberini, escrito por Cassiano Del pozzo, edición de A. ANSELMI, traducción de A. MINGUITO, Aranjuez c2004). Al f. Ir del Barb. lat. 5688: «Legatione del sig.re Cardinale Barberino in Francia descritta dal Commend.re Cassiano Del Pozzo». I diari sono un documento importante per le note e le osservazioni sui musei e le gallerie visitate, le antichità e gli oggetti d’arte citati e spesso descritti accuratamente. Ma i viaggi furono per Cassiano anche occasione per raccogliere materiali e documenti preziosi e far copiare manoscritti; cfr. NICOLÒ, Il carteggio puteano cit., p. 16. 58 GABRIELI, Le ricerche e le carte di A. Statuti cit., pp. 401-454, ad indicem; BECCHI, Naufragi di terra e di mare cit., pp. 8-11, dove si trovano notizie dettagliate sul rapporto di Theiner, conservato presso la Biblioteca Vaticana in Arch. Bibl. 14. 59 Per un elenco di manoscritti Albani identificati all’interno di diverse biblioteche cfr.: FOSSIER, Nouvelles recherches cit., pp. 161-180; R. B. THOMSON – M. FOLKERTS, Boncompagni Manuscripts: Present Shelfmarks. Beta Version 1.8 (May 2013), disponibile su , data di visita 28/02/2018; Disiecta membra. Tracce e testimoni delle Biblioteche Albani, disponibile su , data di visita 28/02/2018. Sul progetto Archivio Albani — che intende realizzare l’inventariazione e la digitalizzazione integrale del fondo privato della famiglia Albani, costituito da documenti pubblici e privati appartenenti a diversi rappresentanti della famiglia e conservato presso la Villa Imperiale di Pesaro, di proprietà degli eredi Albani — si veda B. PAOLINI, Il progetto Archivio Albani, in RiMARCANDO. Bollettino della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici delle Marche 5 (2010), pp. 125-136; EAD., Il progetto Archivio Albani della Biblioteca Oliveriana. Gli Albani di Urbino e le carte conservate all’Imperiale di Pesaro, in Studi pesaresi. Rivista della Società pesarese di studi storici 4 (2016), pp. 232-244. 60 Il fondo Albani presso le Rare Books and Special Collections della Catholic University of America è noto come Clementine Library, cfr. , data di visita 28/02/2018. Si veda anche supra nt. 31. 61 Cfr. CLOUGH, The Albani Library cit., pp. 19 nt. 5 e 21 nt. 39. 62 L’Accademia acquistò nel 1973 trentanove volumi di corrispondenza di Cassiano,

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Nel suo testamento, Alessandro Albani ricordava l’attenzione rivolta alla biblioteca Dal Pozzo: […] E siccome tra’ le mie principali cure, e sollecitudini, che mi son dato nel discorso di mia vita, particolare è stata quella di accrescere, ed aumentare la nascente libreria della S. M. Clemente XI ereditata dal Card(ina)le Annibale da D(on) Carlo miei germani fratelli di chiara memoria, e da me med(esi)mo che subito unij a detta libreria altra, che fin da quando ero giovanetto secolare avevo formato contente libri di erudizione profano, di matematiche, e di opere militari, che però prego il mio erede a volerla fare ben custodire, e conservare, e accordarne l’uso a tutti quelli della famiglia Albani discendenti dal med(esi)mo mio erede, che si applicheranno alle scienze, e si incammineranno per la via ecclesiastica, per essere stato questo il principale oggetto per cui ho impiegato considerabili somme nell’accrescere d(ett)a Biblioteca, e segnatamente colla compra fatta da me della libreria del Commendatore Cosimo Antonio del Pozzo mediante lo sborso di scudi 4500 come risulta da publico istromento rogato li 8 Gen(na)ro dell’anno 1714 per gl’atti di Gio(vanni) Antonio Tartaglia, alla quale libreria ne aggiunsi altra consimile già acquistata dal Cardinale Annibale mio fratello dal Can(oni)co Nurra Sardo per il prezzo di scudi 600, quale prezzo venne da me compensato al d(ett)o Cardinale Annibale con il rilasso, così d’accordo, di un servizio d’argento, con avere successivamente di tempo in tempo perfezionati alcuni corpi con comprarne il seguito, ed accresciuta detta libreria con nuovi acquisti di libri scelti, e per l’opere, e per le di loro edizioni, che però di bel nuovo prego l’infra(scri)tto mio erede, affinché usi tutta la cura nel conservarla perché con quella resti anche conservata la mia memoria, appresso i discendenti della Famiglia Albani, che si approfitteranno dell’uso, e commodo di detta libreria […]63.

Nonostante l’interesse qui dichiarato, bisogna tuttavia constatare che importante testimonianza dei molteplici rapporti intrecciati con numerosi intellettuali e scienziati dell’epoca; l’attuale fondo è costituito da quarantanove volumi. Cfr. R. MORGHEN, L’Archivio storico dell’Accademia dei Lincei, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, ser. VIII, 30 (1975), 6, pp. 257-261; A. NICOLÒ-F. SOLINAS, Sulla schedatura elettronica del carteggio di Cassiano dal Pozzo, in Bollettino d’informazioni del Centro di elaborazione automatica di dati e documenti storico-artistici della Scuola normale superiore di Pisa 3 (1982), 1, pp. 43-95; A. NICOLÒ, Il carteggio puteano. Ricerche ed aggiornamenti, in Cassiano dal Pozzo cit., pp. 15-24 e EAD., Il carteggio di Cassiano dal Pozzo. Catalogo, Firenze 1991 (vi vengono censiti 42 codici per circa 6.700 lettere conservate nella Biblioteca dell’Accademia dei Lincei, nella Bibliothèque dell’École de Médicine di Montpellier e nell’Archivio Segreto Vaticano); si vedano inoltre ALESSANDRINI, Cimeli lincei cit., pp. 17-47, 136-142, 255-258 e DE RENZI, Contributo per una ricostruzione della biblioteca privata di Cassiano dal Pozzo cit., pp. 139-170. 63 ASR, Notai R.C.A, vol. 2103, ff. 967r-v, 968r (il testamento, rogato dal notaio G. Vento nel 1779, si trova ai ff. 964r-968r, 1014r-1015v); altra copia presso ASR, Famiglia Albani, busta 53, Testamenti, n. 8; cfr. ALESSANDRINI, Cimeli lincei cit., p. 23. Per il canonico Giampaolo Nurra cfr. Biografia sarda del dott. in leggi Pietro Martini, cagliaritano, II, Cagliari 1838, pp. 327-339.

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la dispersione della biblioteca Dal Pozzo fu causata proprio da un destino condiviso con la più ampia raccolta Albani. Alla luce degli avvenimenti fin qui esposti, si può affermare che se la collezione Dal Pozzo non fosse stata venduta ad Alessandro Albani sarebbe forse ancora unitariamente conservata: «C’est ainsi que ce pape antinépotiste sacrifia au népotisme et à l’orgeuil de sa famille des trésors de première qualité, privant la bibliothèque Vaticane de documents encore regrettés de nos jours»64.

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DIE BIBLIOTHEK DER APOSTOLISCHEN PÖNITENTIARIE IM PONTIFIKAT INNOZENZ’ VIII. EIN BEITRAG ZUR GESCHICHTE DER VATIKANISCHEN BIBLIOTHEK Eine Sonderstellung im Panorama der römischen Bibliotheken nimmt die Vatikanische ein, nicht nur durch den Reichtum ihrer Bestände, die Komplexität ihrer Organisation und die Grandiosität ihrer Unterbringung, sondern auch durch ihre Bedeutung als kulturelle Ausdrucksform päpstlicher Macht1. Als private Sammlung der Päpste hatte sie alte Wurzeln, als geordnete, inventarisierte und öffentliche Bibliothek war sie ein in humanistischem Geist verwirklichtes Projekt des Renaissancepapsttums2. 1

Siehe: Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 3 Bde., hg. von A. MANFREDI – M. CE– C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2010, hier Bd. 1: Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), hg. von A. MANFREDI. Zu den Inventaren die darauf basierende Übersicht für 1277-1566: P. SVERZELLATI, Per la storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Aevum 86 (2012), S. 969-1004, sowie mit Verweisen auf die ältere Literatur: Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Sabeo collatus anno MDXXXIII, hg. von A. DI SANTE – A. MANFREDI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 457). Für einen ersten Zugang zu den Beständen siehe Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, hg. von F. D’AIUTO – P. VIAN, 2 Bde., Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466-467). 2 Zu nennen sind insbesondere die Päpste Nikolaus V. und Sixtus IV. Zu Nikolaus V. siehe A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359); Giovanni Tortelli primo bibliotecario della Vaticana. Miscellanea di studi, hg. von A. MANFREDI – C. MARSICO – M. REGOLIOSI, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 499); zu Sixtus IV.: J. RUYSSCHAERT, Les trois étapes de l’aménagement de la Bibliothèque vaticane de 1471 à 1481, in Un pontificato ed una città, Sisto IV (1471-1484). Atti del convegno (Roma 3-7 dicembre 1984), hg. von M. MIGLIO, Roma 1986, S. 103-114; ID., Sixte IV fondateur de la Bibliothèque Vaticane et la fresque restaurée de Melozzo da Forli (1471-1481), in Sisto IV e Giulio II. Mecenati e promotori di cultura. Atti del convegno internazionale di studi, Savona 1985, hg. von S. BOTTARO – A. DAGNINO – G. ROTONDI TERMINIELLO, Savona 1989, S. 27-44; P. PIACENTINI, Platina, la Biblioteca Vaticana e i registri di introitus ed exitus: da una ricerca di Giuseppe Lombardi, Roma 2009; A. RITA, La Vaticana di Sisto IV fra libri tipografici e libri manoscritti. Ipotesi di ricerca, in La stampa romana nella città dei Papi e in Europa, hg. von C. DONDI – A. RITA – A. ROTH – M. VENIER, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 506), S. 51-86. – Speziell zu den Inventaren: MANFREDI, I codici cit.; E. MÜNTZ – P. FABRE, La bibliothèque du Vatican au XVe siècle d’apres des documents inédits, Paris 1887; P. PIACENTINI, Ricerche sugli antichi inventari della Biblioteca Vaticana: i codici di lavoro di Sisto IV, in Un pontificato e una città cit., S. 115178; EAD., Le biblioteche papali. La Biblioteca Vaticana, in Principi e signori. Le biblioteche nella RESA

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 115-182.

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Öffentlich zugängliche und Leihverkehr betreibende Bibliotheken anderer Institutionen gab es in Rom indes schon lange vor der Vaticana und sie bestanden auch nach ihrer «Gründung» im 15. Jahrhundert fort. Zu diesen zählten jene von Kirchen, Klöstern, Ordensgemeinschaften und ihren -studien, jene des Studium Urbis, und schließlich jene von Kardinals- und anderen Privathaushalten sowie Familienverbänden3. Von eigenen Bibliotheken vatikanischer Dikasterien im Rom der Renaissance war hingegen bisher fast nichts bekannt4. Eine Einschätzung zu einer von ihnen wird nun durch die Auswertung eines neuen Dokuments ermöglicht, das auch weitere Überlegungen zu Anschaffungs-, Organisationsprinzipien und Bestand der Vatikanischen Bibliothek nach der fundamentalen, in den 1470er Jahren erfolgten Neuordnung durch ihren Bibliothekar Bartolomeo Sacchi (alias Platina) und seine Mitarbeiter zulässt. Zu dem Pontifikat Innozenz’ VIII. (1484-1490), der als wenig progressiv in bibliothekarischer Hinsicht gilt und hier im Fokus der Betrachtung steht, ergeben sich so neue Einsichten und Fragen5. seconda metà del Quattrocento, hg. von G. ARBIZZONI – C. BIANCA – M. PERUZZI, Urbino 2010, S. 109-162; A. DI SANTE, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, in Le origini della Biblioteca Vaticana cit., S. 309-350; M. CERESA, Gli stampati negli inventari cinquecenteschi della Vaticana, in La stampa romana nella città dei papi e in Europa cit., S. 247-258, sowie die Anm. 1 zitierte Literatur. Zum Leihverkehr: M. BERTÒLA, I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana: Codici vaticani latini 3964, 3966, Città del Vaticano 1942. 3 Überblick bei G. LOMBARDI, Libri e istituzioni a Roma. Diffusione e organizzazione, in G. LOMBARDI, Saggi, Roma 2003 (RR inedita. Saggi, 30), S. 363-384. Fundamental die Tagungsakten: Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Aspetti e problemi, Atti del II Seminario (1-2 giugno 1979), hg. von C. BIANCA – P. FARENGA – G. LOMBARDI – A. G. LUCIANI – M. MIGLIO, Città del Vaticano 1980 (Littera antiqua, I, 1). Zur älteren Bibliotheksgeschichte Roms, mit weiteren Verweisen, siehe auch M. A. BILOTTA, I libri dei Papi. La curia, il Laterano e la produzione manoscritta ad uso del papato nel medioevo (secoli VIXIII), Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 465); D. NEBBIAI DALLA GUARDA, I documenti per la storia delle Biblioteche medievali (secoli IX-XV), Roma 1992; EAD., Bibliothèques en Italie jusqu’au XIIIe siècle. État des sources et premières recherches, in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secoli IX-XV). Fonti, testi, utilizzazione del libro, Atti della Tavola rotonda italo-francese (Roma 7-8 marzo 1997) – Livres, Lecteurs et Bibliothèques de l’Italie médiévale (IXe – XVe siècles). Sources, textes et usages, Actes de la Table ronde italo-française (Rome, 7-8 mars 1997), hg. von G. LOMBARDI – D. NEBBIAI DALLA GUARDA, Roma 2000, S. 7-130; EAD., Les bibliothèques dans la société italienne (XIIIe -XVe siècles), in Frontières des savoirs en Italie à l’époque des premières universités (XIIIe -XVe siècles), hg. von J. CHANDELIER – A. ROBERT, Roma 2015, S. 453-480. 4 Vgl. etwa P. GUIDI, Inventari di Libri nelle serie dell’Archivio Vaticano (1287-1459), Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 135), beispielsweise S. 46, Nr. 129: «Libri (52) nel retrocamera della Tesoreria papale» (in Avignon, 14. Jahrhundert). Wie auch die zitierte Publikation zeigt, kamen viele Bücher, die durch das Spolienrecht in den Vatikan gelangten, mit den Nachlässen ihrer Besitzer in die Apostolische Kammer, von wo aus sie oft verkauft wurden. 5 Allgemein zu Innozenz VIII., L. VON PASTOR, Geschichte der Päpste im Zeitalter der Renaissance, von der Wahl Innozenz’ VIII. bis zum Tode Julius II. Dritte und vierte, vielfach

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Das neue Inventar und sein Autor Das Dokument, welches dies ermöglicht, wurde durch den Luccheser Gelehrten Pietro Demetrio Guazzelli († 1511) verfasst6. Um 1440/50 geboren, gelangte er 1463 nach Rom, trat dort der römischen Akademie bei, war zunächst ein Familiare Kardinal Francesco Gonzagas und stand seit 1475 in päpstlichen Diensten. Als Schüler und Mitarbeiter Platinas war er an der durch Papst Sixtus IV. veranlassten Neuordnung der Vatikanischen Bibliothek beteiligt und fungierte nach Sacchis Tod als ihr Kustos – eifersüchtig über die Bestände wachend, glaubt man einem damaligen gelehrten Besucher der Bibliothek, der ihn als einen veritablen Zerberus wahrnahm7. Jedoch oblag ihm nicht nur das bibliothekarische Patrimonium der Vaticana, zu dem er verschiedene Inventare anlegte8. Er war ebenso ein Benefiziumgearbeitete und verbesserte Auflage, Bd. 3, Freiburg im Breisgau 1899 (S. 252: «Die Finanznoth des Papstes erklärt es, daß die Bibliothek unter seiner Regierung so gut wie keinen Zuwachs erhielt; von Interesse ist, daß die große Liberalität in der Benutzung der Handschriften auch außerhalb des Locals fortdauerte».); M. PELLEGRINI, Art.: Innocenzo VIII, papa, in DBI 62 (2004), S. 450-460. Zu der Vaticana: J. BIGNAMI-ODIER – J. RUYSSCHAERT, La bibliothèque vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de José Ruysschaert, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), S. 25f. mit Anm. auf 37f. (u. a. Neupublikation der Sixtinischen «Gründungsbulle» des Jahres 1475 im Jahr 1487); S. LILLA, I manoscritti vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 415), S. 7f.; A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in MANFREDI, Vaticana cit., S. 237-307, hier: S. 239-253; M. G. CERRI, I documenti pontifici per la nuova istituzione, in MANFREDI, Vaticana cit., S. 351-382, hier S. 374f. 6 R. MONTEL, Un bénéficier de la Basilique Saint-Pierre de Rome: Demetrius Guasselli, «custode» de la Bibliothèque Vaticane († 1511), in Mélanges de l’École française de Rome. MoyenAge, Temps modernes, 85,2 (1973), S. 421-454, hier 439; J. RUYSSCHAERT, Les collaborateurs stables de Platina, premier bibliothécaire de la Vaticane (1475-1481), in Paleographica Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, Roma 1979 (Storia e Letteratura, 140/ II), S. 575-591; S. HEILEN, Laurentius Bonincontrius De rebus naturalibus et divinis. Zwei Lehrgedichte an Lorenzo de’ Medici und Ferdinand von Aragonien. Einleitung und kritische Edition, Wiesbaden 1999, S. 109-124; E. RUSSO, Art., Guazzelli, Demetrio, in DBI 60 (2003), S. 520-523; U. PFISTERER, Lysippus und seine Freunde, Berlin 2008, S. 55; M. WESCHE, Formosissimus Puer. Gedichte auf den Tod des Pagen Alessandro Cinuzzi 1474, Hamburg 2009, S. 43f. passim; PIACENTINI, Platina, la Biblioteca Vaticana e i registri di introitus ed exitus cit., S. Xf. passim (Reg. S. 115); C. M. GRAFINGER, Scheda 22: Pietro Demetrio Guazzelli e Jean Chadel, i due primi custodi della Vaticana, in MANFREDI, Vaticana cit., S. 216; Il Capitolo di San Pietro in Vaticano dalle origini al XX secolo, hg. von D. REZZA – M. STOCCHI – A. GAUVAIN, 2 Bde., Città del Vaticano 2008-2011, passim; A. GAUVAIN, Codici, incunaboli e contesti culturali a confronto in una casa romana del secondo Quattrocento, in RR Roma nel Rinascimento 2015, S. 59-71, hier S. 69, mit Anm. 62 (mit erneuter Diskussion der Schreibweise des Namens: Guasselli, statt Guazzelli). 7 ANTONIO THOMEIS, Rime: Convivium Scientiarum, in laudem Sixti Quarti Pontifis Maximi, hg. von F. CARBONI – A. MANFREDI, Città del Vaticano 1999 (Studi e testi, 394). 8 Von seiner Hand stammen gesichert Biblioteca Apostolica Vaticana (nachfolgend: BAV), Vat. lat. 3947, 3952, 3953, wohl nicht 3954, das Salvato da Cagli schrieb, aber Guazzel-

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ant des Kapitels von Sankt Peter und am Beginn des 16. Jahrhunderts wohl auch für dessen Bibliothek verantwortlich, in der sich die wahrscheinlich ältesten vatikanischen Buchbestände befanden9. Zum Zwecke der Verwaltung des kapitularischen Grundbesitzes und Einkommens wurde Guazzelli des Öfteren als Notar herangezogen. Sein in diesen Zusammenhängen erstelltes Notarsheft versammelt Dokumente von seiner Hand aus den Jahren 1495 bis 150410. Aus seinem Nachlass gelangte es in das Archiv des Kapitels, und damit in die Vatikanische Bibliothek, während seine eigene, 135 Bände, davon 18 Druckschriften umfassende Büchersammlung post mortem in das heimatliche Lucca gebracht wurde11. Am Ende des Notarsheftes befindet sich auf einer nachträglich hinzugefügten Falze ein Inventar zu einem Buchbestand, das Guazzelli eigenhändig schrieb, das aber mit dem Heft in keiner inhaltlichen Beziehung steht12. Robert Montel, der es in einer Studie zu den Pfründen und der notariellen Aktivität Guazzellis erstmals erwähnte, sah es dennoch im Zusammenhang mit seiner Tätigkeit als Bibliothekar des Peterskapitels13. Giuseppe Lombardi beschrieb es lis Randnoten aufweist. Siehe P. GUIDI, Pietro Demetrio Guazzelli da Lucca, il primo custode della Biblioteca Vaticana (1481-1511) e l’inventario dei suoi libri, in Scritti di storia e paleografia. Miscellanea Francesco Ehrle, pubblicati sotto gli auspici di S. S. Pio XI in occasione dell’ottantesimo natalizio dell’E. Mons. Cardinale Francesco Ehrle, 6 Bde., Roma 1924 (Studi e testi, 37-42), Bd. 5 (Studi e testi, 41/42), S. 192-218, hier S. 201 mit Anm. 1; PIACENTINI, Ricerche cit., S. 116-119 und 177; MANFREDI, I Codici di Niccolò V cit., S. LXXI-LXXIII; MANFREDI, Convivium cit., S. LXIII mit Anm. 95; DI SANTE, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari cit., S. 312-316 mit fig.2a und b sowie 3a und b. 9 Nach MONTEL, Guazzelli cit., S. 438, Anm. 4 (hier auf S. 439), war Guazzelli aller Wahrscheinlichkeit nach Nachfolger des Kapitelsbibliothekars Paulus de Palumbara, dessen Testament auf den 11. Juli 1500 datiert. Geht man davon aus, dass bibliothekarische Aufgaben mit dem Amt des sacrista minor verbunden waren, so sind Guazellis Amtsdaten 1501/02-1507 zugrundezulegen (siehe MONTEL, Guazzelli cit., S. 438, Anm. 3, sowie REZZA – STOCCHI, Capitolo cit., Bd. 1, S. 344). Zur Bibliothek des Peterskapitels siehe einstweilen die Hinweise bei G. LOMBARDI, Inventari di biblioteche romane del Quattrocento: un panorama, in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale cit., S. 349-373, sowie REZZA – STOCCHI, Capitolo cit., Bd. 1, S. 28f. 10 BAV, Archivio del Capitolo della Basilica di S. Pietro, Privilegi e atti notarili, 16 (= «Demetrii Guasselli instrumenta an. 1495-1504»). 11 Vgl. GUIDI, Guazzelli cit. 12 BAV, Archivio del Capitolo della Basilica di S. Pietro, Privilegi e atti notarili, 16 (= «Demetrii Guasselli instrumenta an. 1495-1504»), f. 418r-423v, vgl. unsere Edition im Anhang. In der Tat ist es weder in dem eigenhändig durch Guazzelli geschriebenen Inhaltsverzeichnis am Beginn des Bandes noch in einem weiteren, am Ende des Bandes befindlichen Inhaltsverzeichnis erwähnt. Die Eigenhändigkeit der Liste ist durch einen Vergleich mit dem Rest des Bandes und mit dem Inventar der Vaticana von der Hand Guazellis Vat. lat. 3952 zweifelsfrei gewährleistet. 13 MONTEL, Guazzelli cit., S. 439, wies darauf hin, dass diese Liste durch Ruysschaert bearbeitet werde, doch ist eine Studie zu ihr nie erschienen. Siehe: J. IJSEWIJN, Les publica-

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in einem Überblick über römische Bibliothekskataloge als Inventar einer unbekannten Sammlung, die vielleicht jene des Jean Monissart sei14. Beide Thesen sind unzutreffend, wie zu zeigen ist. Guazzelli hat das Dokument mit folgenden Worten überschrieben: «Inventarium librorum missorum ad Bibliothecam per reverendissimum dominum Johannem episcopum Tornacensem ex Penitentiaria». Aus dieser Formulierung geht eindeutig hervor, dass es sich um Bücher handelt, die nicht etwa den Nachlass dieses Bischofs von Tournai bildeten, sondern auf seine Veranlassung hin zu einer Bibliothek hintransportiert wurden. Bei dieser handelt es sich zweifelsohne um die vatikanische, und nicht etwa – wie die Provenienz der Liste Montel vermuten ließ – um die bibliotheca capituli sancti Petri beziehungsweise bibliotheca basilicae Principis Apostolorum oder bibliotheca sacristiae, also jene des Peterskapitels15. Der Herkunftsort der Bücher ist ebenso eindeutig bezeichnet: die Apostolische Pönitentiarie. Zu den Akten dieses obersten päpstlichen Gnadenamtes ist seit der Öffnung seiner Archive viel geforscht worden16. Sieht man von den Privatbibliotheken der Kardinalpönitentiare wie etwa Giordano Orsini ab, dessen an Humaniora reiche Bibliothek nach seinem Tod in die des Peterskapitels kam17, so schienen bisher allerdings von einer Bibliothek der tions de Mgr. José Ruysschaert, in Humanistica Lovaniensia 34A (1985), S. X-XXXVIII; P. VIAN, Supplemento (1985-1997) alla bibliografia degli scritti di José Ruysschaert, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 8 (2001), S. 493-506. Ruysschaerts Nachlass bei SISMEL in Florenz wurde nicht durchgesehen. 14 LOMBARDI, Inventari di biblioteche romane del Quattrocento cit., S. 369, Nr. 25. 15 Dies ist schon allein durch die Formulierung ad Bibliothecam zu vermuten. Weitere Indizien sind die beteiligten Personen (Guazzelli und Monissart), wie in diesem Aufsatz dargelegt. Ferner ergibt es sich auch aus der Datierung der Liste, denn als Guazzelli sie abgefasst hat, war er noch nicht Bibliothekar des Kapitels von St. Peter (vgl. supra, Anm. 9). Eine komplette Durchsicht der Inventare und Buchbestände des Peterskapitels in der BAV ergab keine Aufschlüsse zu einer Verbindung dieses Inventars mit den Beständen des Peterskapitels. 16 Die erste grundlegende Arbeit entstand ohne Kenntnis des Archivs der Pönitentiarie (E. GÖLLER, Die päpstliche Pönitentarie von ihrem Ursprung bis zu ihrer Umgestaltung unter Pius V., 2 Bde., Roma 1907-1911). Aus der reichen Literatur sei hier nur verwiesen auf: Repertorium Poenitentariae Germanicum, hg. durch das Deutsche Historische Institut in Rom; K. SALONEN – L. SCHMUGGE, A sip from the «well of grace»: medieval texts from the apostolic penitentiary, Washington, DC 2009; A. ESCH, Die Lebenswelt des europäischen Spätmittelalters: kleine Schicksale selbst erzählt in Schreiben an den Papst, München 2014. 17 Zu den Bibliotheken der Pönitentiare siehe: A. MANFREDI, La Penitenzieria Apostolica nel Quattrocento attraverso i Cardinali Penitenzieri e le Bolle dei Giubilei, in La Penitenzieria Apostolica e il sacramento della Penitenza. Percorsi storici, giuridici, teologici e prospettive pastorali, hg. von M. SODI – J. ICKX, Città del Vaticano 2009, S. 63-87. Zu der Bibliothek Giordano Orsinis siehe G. LOMBARDI – F. ONOFRI, La biblioteca di Giordano Orsini (c. 1360-1438), in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento cit., S. 370-382, die ungedruckte tesi di laurea von A. CIARALLI, Biblioteche e scritture nella Roma del primo Umanesimo: Giordano Orsini e i suoi libri, Roma, Università della Sapienza, 1989-1990; M. GAGLIARDO, Una raccolta

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Pönitentiarie im Mittelalter keine Spuren zu existieren. Fragt man, wie eine solche beschaffen gewesen sein mag und wo sie sich befunden haben soll, so stellt sich die Anschlussfrage nach der Lokalisierung der Institution und ihrer Bestände in Rom. Dabei ist zu bedenken, dass Minderpönitentiare und Prokuratoren die Akten, mit denen sie befasst waren, üblicherweise mit sich nach Hause nahmen, während die zentralen Registerserien wohl bei dem Großpönitentiar aufbewahrt wurden18. Nachdem Papst Innozenz VIII. auf dem vatikanischen Hügel seinen Palast erbaut hatte (der später dem heutigen Belvedere weichen musste), soll das Archiv des Dikasteriums dorthin gebracht worden sein. Man weiß nicht, wann dies geschah, doch kann es aufgrund der Baugeschichte frühestens im 16. Jahrhundert geschehen sein19. Unter dem Cibo-Papst amtete die Pönitentiarie indessen – der Auswertung der Registerserien durch Ludwig Schmugge zufolge – entweder bei Sankt Peter, Santa Maria Maggiore oder San Marco20. Dass sie in und um diese Kirchen herum im Spätmittelalter über speziell funktionale Räumlichkeiten verfügt hätte, ist nicht bekannt und vom Geschäftsgang her auch unwahrscheinlich21. Bibliotheksbestände aus den verschiedenen Anlaufstellen der Pönitentiarie können unterdessen anhand von Listen nachgewiesen werden, weldi «scripta» dallo «studio» del cardinale Giordano Orsini e gli affreschi delle Sei Età del Mondo nel suo palazzo romano, in Studi in onore del Kunsthistorisches Institut in Florenz, per il suo centenario (1897-1997), hg. von P. BAROCCHI, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia, Serie IV, Quaderni, 1-2 (1996), S. 107-118; CH. S. CELENZA, The Will of Cardinal Giordano Orsini († 1438), in Traditio 51 (1996), S. 257-286; A. LABRIOLA, Miniature fiorentine e committenza romana: il «Breviario» del cardinale Giordano Orsini, in Intorno a Lorenzo Monaco: nuovi studi sulla pittura tardogotica, hg. von D. PARENTI – A. TARTUFERI, Livorno 2007, S. 128-137. 18 SALONEN – SCHMUGGE, A sip cit.; B. SCHWARZ, Die Organisation kurialer Schreiberkollegien von ihrer Entstehung bis zur Mitte des 15. Jahrhunderts, Tübingen 1972, S. 149-151. 19 A. SARACO, La Penitenzieria Apostolica e il suo archivio storico, in Anuario de Historia de la Iglesia 21 (2012), S. 423-434, hier S. 428; F. TAMBURINI, Per la storia dei Cardinali Penitenzieri Maggiori e dell’Archivio della Penitenzieria Apostolica. Il trattato «De antiquitate cardinalis Poenitentiarii Maioris» di G. B. Boccino († 1641), in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 36 (1982), S. 349-356. Zum Palast Innozenz’ VIII. siehe PASTOR, Geschichte der Päpste cit., Bd. 3, S. 243-245; D. R. COFFIN, Pope Innocent VIII and the Villa Belvedere, in Studies in Late Medieval and Renaissance Painting in Honor of Millard Meiss, 2 Bde., hg. von I. LAVIN – J. F. PLUMMER, New York 1977, S. I:88-97, II:35-39; N. ROSSANA, Sviluppi architettonici del Belvedere di Innocenzo VIII con Giulio II, in Metafore di un pontificato, Giulio II (1503-1513), Roma 2010 (RR inedita. Saggi, 44), S. 501-521. 20 Repertorium poenitentiariae Germanicum, Bd. 7 (Innozenz VIII., 1484-1492), Text bearb. von L. SCHMUGGE unter Mitarbeit von A. MOSCIATTI – W. MÜLLER, Indices bearb. von H. SCHNEIDER-SCHMUGGE – L. SCHMUGGE, 2 Bde., Tübingen 2008, hier Bd. 1, S. IX. 21 Vgl. zum Geschäftsgang zwischen Klient und Prokurator in den Kirchen selbst, die Anm. 18 zitierte Literatur.

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che in napoleonischer Zeit angelegt wurden, als die vatikanischen Institutionen aufgelöst und ihre Bestände teils in die Vatikanische Bibliothek, teils in die Biblioteca Casanatense gebracht wurden. Diese Listen dokumentieren Bestände mit Schwerpunkt auf dem 16. Jahrhundert für die Pönitentiarien von San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore und Sankt Peter22. Angesichts der spärlichen Informationen erscheint es schwierig, einen zentralen Sitz der Pönitentiarie und ihrer Bibliothek auszumachen. Da aber der Kustos der vatikanischen Bibliothek in seinem Inventar von «der Pönitentiarie» spricht, ist anzunehmen, dass er damit diejenige von Sankt Peter meinte, die in den vatikanischen Gebäudekomplex integriert war, auch wenn eine konkrete Verortung im alten vatikanischen Palastkonglomerat nicht möglich ist, da die komplexe Baugeschichte durch die Forschung bisher nicht ausreichend erhellt werden konnte23. Für die Annahme, dass mit dem Inventar ein Buchbestand der Pönitentiarie bezeichnet wird, der sich im Papstpalast befand, sprechen zwei weitere Indizien: Erstens, dass ihr Transport in die Vaticana durch den päpstlichen Majordomus veranlasst wurde (wie zu zeigen ist), und zweitens das politische Schicksal des Großpönitentiars unter Innozenz VIII., Kardinal Giuliano della Rovere. Der spätere Papst Julius II., hatte in den ersten Jahren des Cibo-Pontifikats als zunächst sehr enger Vertrauter des Papstes im Apostolischen Palast gewohnt («papa et plus quam papa» – kommentierte ein Gesandter)24, bis sich der Pontifex von ihm emanzipierte, es im Frühjahr 1487 zum Bruch zwischen den beiden Würdenträgern kam, der Kardinal ins Exil auf seinen Bischofssitz in Ostia, später nach Cento gehen musste und auch nach seiner Rückkehr in die Ewige Stadt im Frühjahr 22

Siehe dazu unten, Anm. 119. Aus fast unübersehbarer Literatur: D. REDIG DE CAMPOS, I Palazzi Vaticani, Bologna 1967; P. N. PAGLIARA, Der Vatikanische Palast, in Hochrenaissance im Vatikan. Kunst und Kultur im Rom der Päpste 1503-1534, hg. von P. KRUSE, Bonn 1999, S. 207-226; V. FRANCIA – G. MALIZIA, La casa di Pietro: Ambienti del Palazzo apostolico Vaticano, Città del Vaticano 2004; A. MONCIATTI, Il Palazzo Vaticano nel medioevo, Firenze 2005. 24 M. PELLEGRINI, Ascanio Maria Sforza. La parabola politica di un cardinale-principe del rinascimento, 2 Bde., Roma 2002, S. 131, 134f., 140, 300f.; PASTOR, Geschichte der Päpste cit., Bd. 3, S. 184f. Im Übrigen wurde er am 13. Dezember 1485 durch Innozenz VIII. mit der Amtseinführung des venezianischen Humanisten und Vertrauten Kardinal Marco Barbos, Giovanni Lorenzi, als Bibliothekar der Vaticana betraut. Archivio Segreto Vaticano (nachfolgend: ASV), Reg. Vat. 694, f. 167r-v, Teiled. in A. M. ALBAREDA, Intorno alla fine del bibliotecario apostolico Giovanni Lorenzi, in Miscellanea Pio Paschini, Roma 1949, Bd. 2, S. 191-304, hier S. 192, Anm. 3, zitiert bei CERRI, Documenti pontifici cit., S. 375, Nr. 27. Zur Bibliothek Julius’ II. das nach seinem Tod erstellte Inventar in BAV, Vat. lat. 3966, f. 111r-114r, ed. L. DOREZ, La bibliothèque privée du pape Jules II, in Revue des Bibliothèques 6 (1986), S. 97-121; G. MORELLO, La Biblioteca di Giulio II, in Raffello e la Roma dei Papi. Catalogo della mostra, Roma 1986, S. 51-67; vgl. auch DI SANTE, Inventari cit., S. 323f. und 333. 23

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1488 nicht mehr zu seiner alten Einflussposition innerhalb der päpstlichen Gemächer gelangte25. Der päpstliche Majordomus und die kuriale Buchkultur: Jean Monissart Mit welchem Recht lässt sich nun (wie Montel und Lombardi es taten) «Johannes episcopus Tornacensis» mit dem genannten Jean Monissart identifizieren und wer war dieser? Wenn Johannes die Verfügungsgewalt hatte, Bücher in die Vatikanische Bibliothek bringen zu lassen, dann ist zugleich klar, dass er dies dank eines kurialen Amtes vermochte. Zwei Bischöfe von Tournai hatten zu Lebzeiten Guazzellis engeren Kontakt mit der Kurie: Einmal der bekannte, in Rom verstorbene Ferry de Clugny, dessen Kardinalskreation zunächst in pectore durch Paul II. vollzogen (Mai/ Juni 1471) und dann am 15. Mai 1480 im öffentlichen Konsistorium durch Sixtus IV. bestätigt wurde, lange bevor der neue Purpurträger sich in Rom einfand (3. Juni 1482) und dort gut ein Jahr darauf verstarb (7. Oktober 1483)26. Jean Monissart hingegen, sein direkter, in Rom kreierter Nachfolger, erhielt zwar niemals den roten Hut, war allerdings päpstlicher Majordomus und ist somit in dem Bischof von Tournai zu erkennen, dessen Mandat den Büchertransport bedingte. Aus Hainaut stammend, in burgundischem Umfeld aufsteigend27, Kanoniker von Tournai, seit 1475 ebendort Dekan sowie Vikar des Bischofs von Thérouanne (Henri de Lorraine-Vaudémont)28, wurde Monissart zum Majordomus des Bischofs von Tournai, Ferry de Clugny (Bischof 8.10.14737.10.1483), und kam in seinem Gefolge im Juni 1482 nach Rom29. Seit dem 25

PELLEGRINI, Ascanio Maria Sforza cit., S. 298-310. J. RUYSSCHAERT, La bibliothèque du cardinal de Tournai Ferry de Clugny à la Vaticane, in Horae Tornacenses (1171-1971). Recueil d’études d’histoire publiées à l’occasion du 8e centenaire de la consécration de la cathédrale de Tournai, hg. von L. E. HALGIN – H. PLATELLE – N.-N. HUYGHEBAERT, Tournai 1972, S. 131-141; ID., La bibliothèque de Ferry de Clugny, évêque de Tournai (1473-1483). Un siècle de recherches erudites, in Mémoires de la Société Royale d’Histoire et d’Archéologie de Tournai 6 (1989), S. 25-36; Le Pontifical de Ferry de Clugny, Cardinal et Evêque de Tournai, hg. von A. DE SCHRYVER – M. DYKMANS – J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1989. Siehe auch: C. MÄRTL, Jean Jouffroy († 1473), Stuttgart 1996, S. 95 und 110; M. PRIETZEL, Guillaume Fillastre der Jüngere (1400/07-1473), Stuttgart 2001, S. 258f., 349f., passim; M. HOPE, Ferry de Clugny’s Chapelle Dorée in the Cathedral of Saint-Lazare, Antun, in Gesta 50 (2011), S. 113-136. 27 Seine Grabinschrift weist ihn als Rat Philipps des Guten und Karls des Kühnen aus, vgl. infra, Anm. 38. Siehe auch PRIETZEL, Guillaume Fillastre cit., S. 321 mit Anm. 130. 28 Regestes des évêques de Thérouanne, 500-1553, Tome II, fasc. 1: 1415-1558, SaintOmer 1907, S. 143; J. MAISTRE D’ANSTAING, Recherches sur l’histoire et l’architecture de l’église cathédrale de Notre-Dame du Tournai, Tome second, 1843, S. 92; M. LE MARQUIS DE PASTORET, Ordonnances des Rois de France, vol. 19, Paris 1835, S. 202. 29 Zu dessen Reise neben der Anm. 26 zitierten Literatur: G. BOURGIN, Les cardinaux 26

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14. September hatte er an der Kurie eine Stelle als Skriptor inne30. Dieses Amt resignierte er (23.10.1483), als er nach dem Tod seines Herrn zum magister domus Papae (nicht: magister palatii apostolici31) und Bischof von Tournai ernannt worden war (seit 15.10.1483)32. Monissart war allerdings lediglich an der Kurie providiert worden, während der französische König im Rahmen der von der Pragmatischen Sanktion von Bourges und der Konkordatspolitik herrührenden Besetzungskonflikte mit dem Heiligen Stuhl mit Louis Pot einen anderen Kandidaten favorisierte. So begann ein langer Bistumsstreit, im Zuge dessen Monissart Zeit Lebens lediglich an der Kurie nominell Bischof war33. Schon 1484 sollte er auf Betreiben Karls VIII. nach Mâcon transferiert werden und sein Konkurrent Louis Pot Tournai erhalten34. Monissart, der sich an der Kurie selbst für die Angelegenheifrançais et le diaire caméral de 1439-1486, in Mélanges d’Archeologie et d’histoire 24 (1904), 277-315, S. 311, Nr. 100, und S. 312, Nr. 103; ferner: M. MILLER, Das römische Tagebuch des Ulmer Stadtammans Konrad Locher aus der Zeit des Papstes Innozenz VIII. Ein Beitrag zur Geschichte der Klosterreform in der Reichsstadt Ulm und des Geschäftsgangs an der Römischen Kurie im Spätmittelalter, in Historisches Jahrbuch 60 (1940), S. 270-300, hier S. 289 (Durchreise durch Ulm); Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale (BNCF), Cod. II.III.256, f. 219r, Sixtus IV. an Ferry de Clugny, Roma, 2.5.1482: «Intelleximus circumspectionem tuam ad Urbem adventare, de quo vehementer letamur»; ibd., f. 263v, ID. an ID., 30. Mai 1482, Guido Morelli hat dem Papst die Nachricht überbracht, dass «Ferry de Clugni» sich in Siena befinde. Er bittet, ihm mitzuteilen, wann er nach Rom einreitet. Zu einem Originalschreiben des Ferry de Clugny aus Rom vom 17. Juli 1483: V. O. LUDWIG, Der Kanonisationsprozeß des Markgrafen Leopold III. des Heiligen, Wien – Leipzig 1919, Anhang LXVI, S. 55. 30 TH. FRENZ, Die Kanzlei der Päpste in der Hochrenaissance (1471-1527), Tübingen 1986, S. 380, Nr. 1314; U. BERLIÈRE, Inventaire analytique des libri obligationum et solutionum des Archives vaticanes: au point de vue des anciens diocèses de Cambrai, Liége, Thérouanne et Tournai, Roma 1904, Nr. 1872, S. 207. 31 Missverständlich benennt Johannes Burckard Monissart in seinem Liber notarum fortwährend als «magister domus palatii apostolici». Nachweise infra, Anm. 41. 32 Eine Zusammenstellung der im Archivio Segreto Vaticano befindlichen Quellen findet sich ebendort im Schedario Garampi, Vescovi, Bd. 508, S. 166f. Siehe ferner BERLIÈRE, Inventaire cit., Nr. 1874, S. 208. Siehe auch Johannes Burckardi Liber Notarum…, hg. von E. CELANI, 2 Bde., Città di Castello 1906, Bd. 1, S. 147, Z.15-20 (28.3.1486 durch Innozenz VIII. zum Bischof von Tournai geweiht). 33 Siehe aus der reichen Literatur zumindest: P. OURLIAC, The Concordat of 1472: An Essay on the Relations between Louis XI and Sixtus IV, in The Recovery of France in the Fifteenth Century, hg. von P. SHERVEY LEWIS, London 1971, S. 102-184 und 370-393, hier S. 179; V. JULEROT, «Y a ung grant desordre». Élections épiscopales et schismes diocésains en France sous Charles VIII, Paris 2006, S. 125 und 226. Siehe auch BURCKARD, Liber notarum cit., Bd. 1, S. 223, Z. 8-15 (4.2.1488), Monissart begleitet die Gesandtschaft König Maximilians in den Papstpalast. Das Vorgehen habe er erdacht, «qui his mediis placere studuit Romanorum et Francorum regibus, in quorum dominiis Ecclesia et diecesis[!] tornacensis site sunt, cuius Ecclesie possessionem idem d. Tornacensis nondum habere potuit». 34 ASV, Arm. XXXIX, 18 (1484), f. 80r-v (num. ant. 76r), 10. Dez. 1484, Innozenz VIII. an den Kg. v. Frankreich. Er habe dessen Briefe bezüglich der Transferierung erhalten und

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ten von Landsmännern einsetzte35, konnte sich der Unterstützung seines Papstes sicher wissen. Dieser führte die Verhandlungen über Tournai auch durch den Kardinal von Angers, Jean de la Balue, welcher der Kurie (und insbesondere Giuliano della Rovere) nahestand36. 1489 erließ der Pontifex seinem Majordomus einen Teil der Servitienzahlungen für Tournai, da dieser viel Schaden davon getrage habe, aber auch «considerantes […] merita ipsius episcopi, qui etiam domus nostri magister existit».37 Dem König von Frankreich blieb Monissart hingegen ein Dorn im Auge. Beständig versuchte er, seine Wahl zu hintertreiben und seinen Widersacher auf den Bischofsstuhl zu bringen. Zu diesem Zweck konferierte er mehrfach mit dem Herrn von Florenz, Lorenzo de’ Medici, dem er noch nach Monissarts am 17. August 1491 erfolgten Tod seinen Unmut über ihn mitteilte, der überhaupt der eigentliche Grund für den Bistumsstreit gewesen sei38. Dem florentinischen Orator in Rom, Giovanni Lanfredini, erschien Mowundere sich darüber, doch sei er, wie immer, bereit, dem König entgegenzukommen und habe deshalb mit dem Elekten von Tournai, Monissart «quem in magistrum domus nostre habemus» gesprochen, der akzeptiere. 35 ASV, Arm. XXXIX, 20 (1488), f. 137r (num. ant. 142r), Innozenz VIII. an den Bischof von Cambrai (Heinrich von Glymes), 2. Juni 1488, Monissart «domus nostre magist[er]» habe ihm berichtet, wie sehr sich Glymes bemühte, den Papstfamiliaren «Marcus Stecuberch» in Besitz eines Plebanats an St. Gudula in Brüssel zu bringen. 36 ASV, Arm. XXXIX, 16A (1484 Jan.-Mai), f. 79v-80r (num. ant. 77v-78r), 26. April 1484. Zu Balue: T. DANIELS, Umanesimo, congiure e propaganda politica. Cola Montano e l’Oratio ad Lucenses, Roma 2015 (RR inedita 63, Saggi), S. 255 mit Anm. 181; PELLEGRINI, Ascanio Maria Sforza cit., S. 296f. 37 ASV, Camera Apostolica, Diversa Cameralia 46, f. 322v-323r (num. ant. 320v-321r), Juli 1489, vgl. U. BERLIÈRE, Inventaire analytique des Diversa Cameralia des archives vaticanes (1389-1500) au point de vue des anciens diocèses de Cambrai, Liége, Thérouanne et Tournai, Roma 1906, Nr. 792, S. 170f, ed. als App. Nr. LIV, S. 267f., Remise d’une partie des services dus par Jean Monissart, éveque de Tournai, vers 1488. 38 Siehe LORENZO DE’ MEDICI, Lettere, Bd. 11 (1487-1488), bearb. von M. M. BULLARD, Firenze 2004, Nr. 1140, S. 568f., Bd. 12 (febbraio-luglio 1488), bearb. von M. PELLEGRINI, Firenze 2007, Nr. 1163, S. 3-6, Nr. 1174, S. 52-56, mit ausführlicher Analyse, Nr. 1184, S. 80-98; Catalogue of the Medici Archives, Consisting of Rare Autograph Letters, Records and Documents 1084-1770, Including One Hundred and Sixty-Six Holograph Letters of Lorenzo the Magnificent, The Property of the Marquis Cosimo de’ Medici and the Marquis Averardo de’ Medici, Auktionskatalog, London, Christie’s, 4. Februar 1918, S. 105, Nr. 399, Karl VIII., König von Frankreich, an «nostre chier et ame cousin, le Sr. Laurens de Medecys», Tours, 1. September 1491. Der Verbleib des Dokuments ist unklar. Es ist weder erwähnt in Lettres de Charles VIII., tom 3 (1490-1493), hg. v. P. PÉLICIER, Paris 1902, noch in der Ausgabe der Briefe Lorenzo de’ Medicis. Zu Monissars Tod und seinen Exequien: BURCKARD, Liber notarum cit., Bd. 1, S. 313, Z. 1-20 (18.8.1491) und S. 314, Z. 15 – S. 315, Z. 2 (27.8.1491). Sein Grabstein im Chor von Santa Maria del Popolo trägt die Inschrift: «JOHANNI MONISSARDI PHILIPPI ET CAROLI / DUCUM BURGUNDIE CONSILIARIO EPO. TOR-/ NACEN. SIXTI IIII ET INNOCENTII VIII RO. PON-/ TIFICUM MAGISTRO DOMUS FIDE ET MAGNIS / MERITIS INSIGNI DESIGNATO ETIAM IN HI-/ SPANIA PRO CAUSA FIDEI LEGATO / EX TESTAMENT. / OBIIT ANNO SALUTIS MCCCCLXXXXI / DIE XVII AUGUSTI».

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nissart hingegen als «persona di grande auctorità et sofficientia»39. Über seine Aktivitäten an der Kurie unterrichtet einerseits Johannes Burckard in seinem liber notarum40. Dabei hebt er vor allem auf die Rolle des Majordomus im Rahmen des Zeremoniells am Papsthof ab41, oder darauf, wie er diverse hochrangige Würdenträger zum Apostolischen Palast geleitete und in ihrer Anwesenheit in der Sixtinischen Kapelle die Messe feierte42. Daneben erwähnt er beispielsweise auch, wie Monissart einen Expektativenrotulus für die Papstfamiliaren verfasste43. Aus den weiteren Quellen tritt er als geschäftiger Organisator von kurialen Angelegenheiten hervor, die auffällig oft mit den Belangen der Vatikanischen Bibliothek zusammenhingen44. Eine seiner ersten Aufgaben wird in der Tat darin bestanden 39

Firenze, Archivio di Stato, MAP, 137, f. 488r-v, Giovanni Lanfredini an Lorenzo de’ Medici, Roma, 22.1.1487 [1488]: «[…] Queste cose di Francia con quelli di Lione vi fanno addirizare, son tucte cose molto difficili et quodammodo impossibile, et spetialmente questa del vescovo di Tornai, perché son molti anni è dato al Maestro di Casa del papa, persona di gran[de] auctorità et sofficientia, et se lui non refiutass[et], sendo promosso, non si può torliene, et benchè allo Christianissimo Re non li dia la possessione della terra, lui harà la possessione de fructi, perché la maggior parte sono nel dominio di Maximiliano, et questi oratori li portono lettere della possession. Vedete che trame rematiche et impossibili vi porghono alle mani che mi par[e] sia un darvi charicho et torvi condiction[e] di qua et di là. […]», erw. in LORENZO, Lettere cit., 11, S. 568, Anm. 3. Zu Lanfredini: E. SCARTON, Giovanni Lanfredini: uomo d’affari e diplomatico nell’Italia del Quattrocento, Firenze 2007. 40 Zu Burckard: T. DANIELS, Der päpstliche Zeremonienmeister Johannes Burckard, Jacob Wimpfeling und das Pasquill im deutschen Humanismus, in Deutsches Archiv für die Erforschung des Mittelalters 69 (2013), S. 127-140. 41 BURCKARD, Liber Notarum cit., hier Bd. 1, S. 90, Z. 24-26, (12.12.1484: M. spendiert B. ein Mittagessen); S. 92, Z. 20f. (M. nimmt an den Weihnachtsfeierlichkeiten 1484 teil, «mantello tantum indutus supra rochetum, baculum in manu portans»); S. 99, Z. 10 (20.12.1484, nimmt am Konsistorium teil); S. 108, Z. 24-29 (11.2.1485, vor dem Konsistorium, trifft den «comes Delphini» und den Kardinal Jean de la Balue in seinem Haus); S. 140, Z. 2-6 (23.3.1485: teilt bei der Prozession des Hl. Sakraments die Kerzen aus); S. 157, Z. 23-26 (15.8.1486, feiert in Abwesenheit von Papst und Kardinälen die missa pontificalis anlässlich Mariä Himmelfahrt); S. 185, Z. 11-14 (18.3.1487, feiert in Anwesenheit des Papstes in der Sixtinischen Kapelle die Messe); S. 186, Z. 29-34 (3.4.1487, M. gibt B. im Auftrag des Papstes Anweisungen zum Verhalten der Kurienprälaten); S. 203, Z. 28 – S. 204, Z. 9 (10.-11.6.1487, B. soll gemeinsam mit M., dem Bischof von Aléria, Ardicino della Porta, und dem Protonotar Falcone Sinibaldi das Zeremoniell für die Corpus-Domini-Prozession ausarbeiten); S. 213, Z. 3-5 (8.12.1487, feiert in der Sixtinische Kapelle in Anwesenheit des Papstes die Messe am Tag der unbefleckten Empfängnis); S. 275, Z. 8-14 (29.8.1489, feiert in der Sixtinischen Kapelle die Messe anlässlich der Geburt Mariens). 42 Ibd., S. 223, Z. 8-15 (4.2.1488, Oratoren König Maximilians); S. 234, Z. 21-35 (8.5.1488, geleitet Dorothea von Brandenburg-Kulmbach, Königin von Dänemark, am Ende ihrer zweiten Romreise aus der Stadt – zum Kontext: T. NYBERG, Papst Innocenz VIII. und Skandinavien, in Archivum Historiae Pontificiae 22 [1984], S. 89-152); S. 309, Z. 39 (29.5.1490, feiert in der Sixtinischen Kapelle die Messe in Anwesenheit der Gesandten des Königs von Schottland und der Herzöge von Bayern). 43 Ibd., S. 167, Z. 18-25 (8.11.1486). 44 Im Jahr 1490 ist er in der kurialen Politik als Legat nach Spanien eingesetzt worden,

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haben, die Büchersammlung seines ehemaligen Herren Ferry de Clugny, der ein Bibliophiler war und teils prachtvoll illuminierte Bände besaß, zusammen mit dessen kardinalizischem Nachlass aufgrund des Spolienrechts in die Vaticana zu integrieren45. Dies ist schon alleine deshalb zu vermuten, weil Monissart zuerst Majordomus Ferry de Clugnys, und direkt im Anschluss jener des Papstes war, aber auch daher, weil er auf den nachgelassenen Büchern seines verstorbenen Patrons teilweise sein eigenes Wappen aufzeichnen und sich später in Santa Maria del Popolo neben ihm bestatten ließ46. Nicht auszuschließen ist, dass Sixtus IV. von Monissart gerade wegen seiner kulturellen Statur eingenommen war, als er ihn zu seinem Majordomus machte. Kurz darauf wurde er als solcher gemeinsam mit dem Bischof von Parma, Giovanni Giacomo Schiaffinato (Sclafenati) (dem Kämmerer Sixtus’ IV.) damit beauftragt, die Erbschaft des in Asti verstorbenen Kardinals Teodoro Paleologo di Monferrato für die Kurie im Kontakt mit der Gaddi-Bank einzutreiben47. Im Pontifikat Innozenz’ VIII. war Monissart 1487 in die Ausarbeitung eines neuen Reglements des Vatikanischen Palastes involviert48. In demselben Jahr war er als magister domus Papae Mitglied einer Kommission, die am 20. Februar 1487 die Werke des Giovanni Pico della Mirandola auf ihre doktrinäre Unbedenklichkeit hin zu überprüfen hatte49. Wie aus den ersten erhaltenen Ausleihregistern der Vaticana hervorgeht, erhielt damals auf Veranlassung Monissarts der Bischof von Ales, Pere García, aus der Bibliothek eine Handschrift des scholastischen Traktats De universo des Guillaume d’Auvergne (ca. 1180-1249)50. García, der später kurzzeitig auch siehe seine Grabinschrift (vgl. Anm. 38) und LORENZO DE’ MEDICI, Lettere, Bd. 16 (settembre 1489-febbraio 1490), bearb. von L. BÖNINGER, Firenze 2011, Nr. 1617, S. 323-335. 45 Siehe die Anm. 26 genannte Literatur. 46 Vgl. Anm. 38. Siehe auch: M. DYKMANS, La preface du Pontifical de Ferry de Clugny envoyée à Mabillon d’après un manuscript de la Reine Christine de Suède, in Scriptorium 38 (1984), S. 63-70; RUYSSCHAERT, Bibliothèque cit., S. 251. 47 ASV, Arm. XXXIX, 16A (1484 Jan.-Mai), f. 44v-45r (num. ant. 42v-43r), 23. Feb. 1484, Innozenz VIII. an «Taddeo Gaddi mercator Florentinus et sociis Romanam curiam sequentes». Es geht um Geld und Landbesitz in Italien und Frankreich. Der Kardinal war am 21. Januar 1484 in Asti verstorben. – Sclafenati dediziert ist der Bibliothekskatalog der Vaticana, Vat. lat. 3947, geschrieben von Guazzellis Hand. F. 1r, ed. GUIDI, Guazzelli cit., Anhang II, S. 208f. 48 M. DYKMANS, L’oeuvre de Patrizi Piccolomini, ou, Le Cérémonial papal de la première Renaissance, 2 Bde., Città del Vaticano 1980, Bd. I, S. 86*. 49 LORENZO DE’ MEDICI, Lettere, Bd. 15 (marzo-agosto 1489), bearb. v. L. BÖNINGER, Firenze 2010, Nr. 1536, S. 395-404, mit S. 402 mit Anm. 13; siehe allgemein L. DOREZ – L. THUASNE, Pic de la Mirandole en France (1485-1488), Paris 1897, S. 114-139; G. DI NAPOLI, Giovanni Pico della Mirandola e la problematica dottrinale del su tempo, Roma – Paris – Tournai – New York 1965. 50 BERTÒLA, I due primi registri di prestito cit., S. 81: «tertiam partem secundae partis

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als Bibliothekar der Vaticana fungierte51, war nicht nur ein Mitglied der Untersuchungskommission, er veröffentlichte auch Determinationes magistrales contra conclusiones apologales Joannis Pici Mirandulae52, als der (in Picos Flucht nach Frankreich resultierende) Häresieprozess gegen den Grafen von Mirandola unter Vorsitz des päpstlichen Majordomus seinen Lauf nahm. Monissart muss auch an der damit verbundenen Publizistik Anteil gehabt haben. So war er durch den Papst mit dem Druck der Summa de ecclesia (1448/49) des Johannes de Turrecremata betraut worden, die Hieronymus Scoptius besorgte. In der Vorrede der 1489 durch Eucharius Silber gedruckten Ausgabe wird der Majordomus gelobt und es wird betont, dieser selbst habe dargelegt, in seinem Amt nicht nur mit administrativen Aufgaben, sondern auch mit Dingen betraut zu sein, die die Würde und Autorität des Apostolischen Stuhls und der Päpste beträfen, weshalb er sich des editorischen Projekts angenommen habe53. Im Frühjahr desselben Jahres beschlagnahmte Monissart die Bücher von Picos Freund Guglielmo Raimondo da Moncada alias Flavius Mithridates54, eines sizilianischen konvertierten Juden55, der ein anerkannter G[uillelmi] episcopi Parisiensis ex membranis in nigro cum cathena». Es handelt sich um Vat. lat. 848, Wilhelm von Auvergne (ca. 1180-1249), De universo (dritte Sektion des zweiten Teiles) (http://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.848) (f. Iv, Hand 15. Jahrhundert: «Totum istud volumen dicitur esse compositum a Guillelmo Parisiensis episcopo, qui quidem dominus episcopus multos libros, tractatus et sermones composuit omnia notabilia, quorum hic inferius continetur secundo, continetur tercio liber de universo»; f. 355r, gleichzeitige Hand: «Explicit tercia pars secunde partis principalis sapientialis magistri G. Parisiensis episcopi»). Nachgewiesen in DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 337, Nr. 2906: «Tertia pars secundae partis principalis Ioannis episcopi Parisiensis, ex membranis in nigro». Vgl. auch RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento cit., S. 255. 51 A. ALBAREDA, Il vescovo di Barcellona Pietro Garsias bibliotecario della Vaticana sotto Alessandro VI, in La bibliofilia 60 (1958), S. 1-18, hier S. 8-10, zitiert bei RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento cit., S. 252-255. 52 Inkunabeldruck: Roma, Eucharius Silber, 15. Oktober 1489 (GW 10549, IGI 4177, ISTC ig00095000). 53 JOHANNES – JOHANNES MONISSART – HIERONYMUS SCOPTIUS, Summa de ecclesia contra impugnatores potestatis summi pontificis, Roma, Eucharius Silber, 27. April 1489 (GW M48275, ISTC it00555000), Vorrede: «declaravit sibi non modo cure esse domesticarum rerum administrationem, sed etiam earum rerum, que ad dignitatem atque auctoritatem apostolice sedis et in ea sedentium pertinerent». Vgl. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento cit., S. 252. Zu dem genannten Drucker jetzt: T. DANIELS, Sozialgeschichte des frühen Buchdrucks in Rom: Eucharius Silber († 1509) im Licht neuer Quellen, in Gutenberg-Jahrbuch 92 (2017), S. 71-96. 54 Zu ihm: Guglielmo Raimondo Moncada alias Flavio Mitridate: un ebreo converso siciliano: atti del convegno Internazionale, Caltabellotta (Agrigento) 23-24 ottobre 2004, hg. von M. PERANI, Palermo 2008. 55 Eine neue Quelle zu ihm in Sizilien findet sich in Veroli, Biblioteca Giovardiana, Ms. 14, f. 39v-40r, 25. Sept. 1479.

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Hebraist war und unter anderem während eines Aufenthaltes im Reich Johannes Reuchlin, ebenso wie auch Pico selbst, mit der Kabbala vertraut machte56. Mithridates war in Viterbo aufgrund von Häresieverdacht gefangen genommen worden. Nach Aussage von Picos Kanzler besaß er «molti buoni libri», die in Viterbo festgesetzt worden waren und die der Graf von Mirandola in seinen Besitz bringen wollte. Pico, der anfragte, ob der Gouverneur von Viterbo ein Inventar dieses eine Wagenladung («soma») ausmachenden Bestandes anfertigen lassen könne, vermochte ihn allerdings offenbar aus logistischen Gründen nicht in seinen Besitz zu bringen. Schlussendlich befanden sich die Bücher Ende des Jahres im Besitz Monissarts und sollen in die Vaticana gekommen sein57. Neben Hebraica war der Majordomus auch mit Arabica befasst. Wahrscheinlich wieder im Jahr 1489 wurde dem Kanzler des exilierten, seit März bis zu seinem Tod in Rom festgehaltenen osmanischen Sultansbruders Djem (1459-1495), Sinan Beg, ein arabischer Kodex des Tractatus de solutione dubiorum des Ibrahím b. Nûü Anbârí (9. Jh.) «de mandato reverendi domini domini Iohannis episcopi Tornacensis, S. D. N. magistri domus» ausgeliehen, der bei Djems Abreise nach Neapel 1495 zurückgegeben wurde58. Hatte diese überhaupt erste Ausleihe eines arabischen Manuskripts 56 JOHANNES REUCHLIN, De Accentibus et Orthographia Linguae Hebraicae, Hagenau 1518,

f. LXXX v, siehe auch G. BAUCH, Flavius Wilhelmus Raimundus Mithridates, der erste fahrende Kölner Hebraist und Humanist, in Archiv für Kulturgeschichte 3 (1905), S. 15-27. Zu seiner Verbindung mit der Vaticana, vgl. G. LEVI DELLA VIDA, Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1939 (Studi e testi, 92), S. 91-97. 57 Siehe LORENZO DE’ MEDICI, Lettere cit., Bd. 15, Nr. 1443, S. 36-42, S. hier S. 41, mit Anm. 12 (dort weitere Verweise); F. BACCHELLI, Giovanni Pico e Pierleone da Spoleto: tra filosofia dell’amore e tradizione cabalistica, Firenze 2001, S. 55 mit Anm. 162; G. BUSI, L’enigma dell’ebraico nel Rinascimento, Torino 2007, S. 44; ID., Giovanni Pico della Mirandola und die Entdeckung der jüdischen Mystik im italienischen Quattrocento, in Historiographie des Humanismus. Literarische Verfahren, soziale Praxis, geschichtliche Räume, hg. von J. HELMRATH – A. SCHIRRMEISTER – S. SCHLELEIN, Berlin u. a. 2013, S. 241-250, hier S. 245. – Ein weiteres Beispiel einer Gelehrtenbibliothek, die während der Amtszeit Monissarts nach der Arrettierung ihres Besitzers konfisziert und in eine römische Bibliothek (in diesem Fall in jene des Augustinerkonvents) gebracht wurde, ist jene des Ambrogio da Cori, der im Jahr 1485 in Castel Sant’Angelo eingekerkert wurde. Hier ist eine Beteiligung des Majordomus bezeichnenderweise nicht nachgewiesen. Vgl. M. A. PINCELLI, La biblioteca di Ambrogio da Cori, in La carriera di un uomo di curia nella Roma del Quattrocento. Ambrogio Massari da Cori, agostiniano: cultura umanistica e committenza artistica, hg. von C. FROVA – R. MICHETTI – D. PALOMBI, Roma 2008, S. 69-74. Zu ihm auch: BNCF, Cod. II.III.256, f. 220r-v. 58 BERTOLA, I due primi registri di prestito cit., S. 81. Es handelte sich um «Contentionis liber in arabico Iudeorum cum sancto Ioanne de Persia, qui in totum fuerunt libri in pezzi sex.», heute Vat. ar. 120, saec. XIII, IBRAHÎM B. NÐÐ ANBÂRÎ, Tractatus de solutione dubiorum (9. Jh.). Vgl. LEVI DELLA VIDA, Ricerche cit., S. 98f., der die Beschreibung «in pezzi sex» dahingehend deutet, dass der Kodex damals ungebunden gewesen sei. Zu den politischen

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aus den orientalischen Beständen der Vaticana politische Implikationen59, so betraf es die Organisation des Apostolischen Palastes, als der Majordomus 1490 veranlasste, dass die Bücher des sechs Jahre zuvor verstorbenen Papstes Sixtus IV. aus seinem ehemaligen Arbeitszimmer in die Vatikanische Bibliothek gebracht werden sollten, wo sie von den Kustoden Pietro Demetrio Guazzelli und Jean Chadel entgegengenommen wurden60. Kaum zwei Monate vor Monissarts Tod schließlich, im Juni 1491, erhielt der Kurienkanonist Felino Sandei eine Handschrift des Collectarium iuris des Johannes Gaufredi († ca. 1360) als Leihgabe aus der Vaticana, «ex mandato reverendi domini magistri domus»61. Es fügt sich gut in dieses Profil, wenn Monissart der hier edierten Liste zufolge auch mit der Transferierung von Buchbeständen aus der Pönitentiarie in die Vaticana betraut wurde. Datierung und möglicher Anlass der Transferierung Aus der Biographie des Urhebers des Inventars ergibt sich eine ungefähre Datierung: Es muss zwischen der Bischofserhebung (Oktober 1483) und dem Tod (August 1491) Monissarts durch Guazzelli aufgezeichnet worden sein62. Aus welchem Grund aber wurden die Bücher aus der Pönitentiarie in die Vatikanische Bibliothek gebracht und wann genau geschah dies? Auszuschließen ist, dass es etwa im Zusammenhang mit den Bücherbeschlagnahmungen des Mithridates oder dem Prozess um Pico della Mirandola (im Zuge dessen der Graf einen Teil seiner Bücher gar verbrennen sollte63) dazu kam, wäre doch für derartiges nicht die Pönitentiarie, sondern das Heilige Uffizium zuständig gewesen. Generell ließe Umständen: H. INALCIK, A case study in Renaissance diplomacy. The agreement between Innocent VIII. and Bayezid II on Djem Sultan, in Journal of Turkish Studies 3 (1979), S. 209-233. Siehe auch N. VATIN, Sultan Djem, Un prince ottoman dans l’Europe du XV siècle d’après deux sources contemporaines, Ankara 1997. 59 Djem war in Rom als Unterpfand gegen seinen Bruder den Sultan in Gewahrsam. Währenddessen wurden ihm nach der Aussage Andrea Mantegnas Zeitvertreibe aller Art gestattet. Unter anderem dichtete er. Vgl. PASTOR, Geschichte der Päpste cit., Bd. 3, S. 227f. 60 BAV, Vat. lat. 3952, f. 99r-100r, ed. MÜNZ – FABRE, S. 266-268; umfassende Auswertung bei PIACENTINI, Ricerche cit. Siehe auch unten, Anm. 65 61 BERTÒLA, I due primi registri di prestito cit., S. 65f.: «Collectarium ex menbranis super 3, 4, e V cum catena». Es handelt sich um Vat. lat. 2563, IOHANNES GAUFREDI, Collectarium iuris (Bücher III-IV). Vgl. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 44, Nr. 387: «Collectarius super III, IIII et V Decretalium, ex membranis in albo […]». 62 Diese Datierung deckt sich mit der Vermutung Montels, das Inventar sei «très probablement antérieur au registre», welches Dokumente zu den Jahren 1495-1504 versammelt. Vgl. supra, Anm. 9. 63 DOREZ – THUASNE, Pic de la Mirandole en France cit., S. 159: «[…] combussit omnes libros, scripturas et alia ex quibus aliqua suspitio contra eum oriri potuisset; propter quod non fuit necesse facere aliam inquisitionem eorumdem librorum et scripturarum […]».

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sich in Analogie zu bekannten Fällen eher an einen Nachlass denken, der entweder durch Schenkung oder Einzug qua Spolienrecht in die Vaticana gelangte. Dies stellte neben vereinzelten gezielten Bucherwerbungen und -abschriften zunächst die Hauptquelle für Zuwächse in der Bibliothek der Päpste dar, während die Inkorporation von Bibliotheken anderer Institutionen (wie Konventsbibliotheken) in sie erst aus späterer Zeit bekannt ist. In Monissarts Amtszeit sind auf diesem Wege vier große Nachlässe in die Vaticana gelangt: jener des Ferry de Clugny, jener des Kardinals Guillaume d’Estouteville64, jener des Papstes Sixtus IV.65 und schließlich jener des am 11. März 1491 verstorbenen Kardinals von San Marco, Marco Barbo, der bis heute eine große Unbekannte in der Geschichte der Vaticana darstellt, allerdings aus inhaltlichen Gründen nicht für eine Identifizierung mit der hier behandelten Liste in Frage kommt66. Trifft die hier vorgebrachte These zu, dass die Liste einen Bestand aus der Pönitentiarie beschreibt, so wäre hierdurch die erste Inkorporation einer institutionellen Bibliothek in die Vaticana der Renaissance überhaupt nachgewiesen. Warum aber kam es dazu? Nicht belegt sind ein praktischer Anlass (etwa Baumaßnahmen oder eine neue Gebäudeorganisation), welcher die Aus- oder Umlagerung der Bestände bedingt haben könnte, wie wahrscheinlich im Falle des Nachlasses Sixtus’ IV. Möglich — aber nicht nachweisbar — ist, dass die längere Abwesenheit des Großpönitentiars Giuliano della Rovere aus Rom nach seinem Sturz 1486/87 eine Neuordnung seiner ehemaligen Gemächer im Apostolischen Palast nach sich zog oder aber dem Majordomus größere Eingriffsmöglichkeiten in seine Angelegenheiten oder die des ihm unterstellten Dikasteriums eröffnete67. Ein weiteres Indiz ergibt sich, wenn man die Natur des Inventars in Betracht zieht. Wie unten ausgeführt wird, könnte es eventuell eine Ansammlung 64 A. ESPOSITO ALIANO, Testamento e inventari per la ricostruzione della biblioteca del cardinale Guglielmo d’Estouteville, in Scrittura, biblioteche e stampa cit., S. 309-342. 65 PIACENTINI, Ricerche cit. Zum Nachlass Sixtus‘ IV. ist anzumerken, dass kurz nach seinem Tod eine Kardinalskommission zur Inventarisierung eingesetzt wurde, die aus Ascanio Maria Sforza, Giovanni Battista Cybo (dem zukünftigen Innozenz VIII.), Philibert Hugonet und Gabriele Rangoni bestand. Guidantonio Vespucci an Giovanni Lanfredini, Rom, 16.8.1484: «Morì nostro signore a dì XII a hore V di nocte. La nocte medesima e’ reverendissimi cardinali andorono ad palazo et deputorono sopra il fare dello inventario quattro di loro, videlicet Noara, Malfecta, Matiscona et Agri». (BNCF, Cod. II.V.12, f. 172r-v). 66 Dies zeigt ein Abgleich der über sie bekannten Informationen mit der hier edierten Liste. Siehe A. TORRONCELLI, Note per la biblioteca di Marco Barbo, in Scrittura, biblioteche e stampa cit., S. 343-352. 67 Vgl. oben, Anm. 25. Dass es sich um Giuliano della Roveres Bücher handelte, ist auszuschließen, wäre er doch zweifelsohne als Besitzer genannt worden. Das erhaltene Inventar der Bücher von Julius II., die in die Vaticana gelangten, wurde nach seinem Tod erstellt. supra, Anm. 24.

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an Nachlässen von Pönitentiaren beschreiben. Diese unterstanden dem Spolienrecht und konnten somit grundsätzlich von den Päpsten für ihre Bibliothek beansprucht werden. Unter diesen Voraussetzungen fällt eine Konstitution auf, mit der Papst Innozenz VIII. am 27. August 1487 unter Androhung von Exkommunikation, Benefizienentzug und Amtsabsetzung anordnete, dass jegliche der Vatikanischen Bibliothek zugehörigen Bücher und andere Güter innerhalb von einer vierzigtägigen Frist in diese (zurück)gebracht werden sollten68. Ähnliches ist im Übrigen für die Camera Apostolica überliefert: Im März des Jahres erließ Innozenz VIII. ein Mandat, demzufolge die Bücher der Kammer in diese zurückgebracht werden sollten, weil die «ministros et officiales», die mit ihnen arbeiteten, dies oft nicht taten69. Das Jahr 1487 fällt generell ins Auge als jenes, in dem der Pontifex die «Gründungsbulle» der Vaticana neu herausgab und Monissart mit der Neubearbeitung des Reglements des Vatikanischen Palastes betraut war70. Es lässt sich somit vermuten, dass in jener Zeit der Papst und sein umtriebiger Majordomus danach strebten, die Zentralisierung der pontifikalen Bibliotheksbestände im weiteren Sinne voranzutreiben und zugleich die Bestände der Vaticana zu konsolidieren. Es ist nicht auszuschließen, dass man damals in der (in Abwesenheit des Großpönitentiars arbeitenden) Pönitentiarie auf diese Entwicklungen reagierte oder dass sie konkrete Initiativen des Apostolischen Palastes zu einer Bücherverlegung mit sich brachten. Bestand und Inhalt Nähere Aufschlüsse sind nun über die Analyse des Inventars zu gewinnen. Es beschreibt einen Bestand von 174 Bänden, unter denen viele Miszellaneen sind. 4 Bände werden als Drucke («impressus») bezeichnet, 19 als Handschriften («manu scriptus») und bei 152 wird keine Angabe gemacht71. Der Beschreibstoff wird in 166 Fällen als Papier angegeben, 68 Diese waren allerdings dem damaligen Bibliothekar Giovanni Lorenzi zu übergeben. BAV, Vat. lat. 14475, f. 12r, cop. coaev. in ASV, Reg. Vat. 769, f. XIv-XIIIr, Teiled. in G. MERCATI, Questenbergiana, in ID., Opere Minori, IV, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), S. 437-459, hier S. 451, Anm. 53, vgl. CERRI, Documenti Pontifici cit., S. 375, Nr. 28. 69 ASV, Camera Apostolica, Diversa Cameralia 46, f. 187v, nicht erwähnt in E. GÖLLER, Untersuchungen über das Inventar das Finanzarchivs der Renaissancepäpste (1447-1521), in Miscellanea Francesco Ehrle, Bd. 5 (Studi e testi, 41/42), S. 227-272. Zu der Thematik unter Sixtus IV.: BNCF, Cod. II.III.256, f. 40v-41v. 70 Zu der Neuausgabe: BIGNAMI-ODIER – RUYSSCHAERT, La bibliothèque vaticane cit., S. 25f. und MANFREDI, Convivium cit., S. XLVI; zu dem Reglement oben, Anm. 48. 71 Die Gesamtzahl 175 ergibt sich bei dieser Zählung aus dem Umstand, dass bei einem Sammelband ein handschriftliches und ein gedrucktes Werk zusammengebunden sind.

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in 7 als Pergament und in einem fehlt die Angabe. Der Einband ist in 110 Fällen als rot («rubeo»/«rubro»), in 25 als weiß («albo»), in als 12 violett/ blau («pavonaceo») und in 8 als schwarz («nigro») bezeichnet, ebenso in 8 Fällen ist von ungebundenen Seiten die Rede («solutus»), in 5 von zusammengefügten Holzplatten («in tabulis»), in einem von weiß kolorierten Holzplatten («in tabulis albis»), ebenso in jeweils einem Fall wird der Einband als grün («viridi»), grüngelb («viridi gilbo») oder blaurot («pavonaceo rubeo») beschrieben und zweimal wird keine Angabe gemacht. Korreliert man diese Angaben für den geringeren Anteil der Handschriften und Drucke, so sind im erstgenannten Fall die Einbände heterogen, wobei auffällt, dass auf den ganzen Bestand betrachtet 4 von 8 ungebundenen Bänden Handschriften sind (rot: 8, weiß: 4, ungebunden: 4, gelb: 1, schwarz: 1, mit Holzdeckel: 1). Der Beschreibstoff ist bei 16 Handschriften Papier und nur in 3 Fällen Pergament. Alle 4 als «impressus» gekennzeichneten Bände bestehen hingegen aus Papier, der Einband wird einmal als rot gekennzeichnet, einmal wird keine Angabe gemacht und 2 Bände werden ungebunden genannt. Der Hauptanteil der nicht näher bezeichneten Bände besteht zum Großteil aus in einfachem roten Ledereinband gehaltenen Papierbänden72. Die äußere Betrachtung zeigt also einen recht kompakten und insgesamt homogenen Bestand. Der Eindruck, dass es sich um einen materiell nicht besonders wertvollen Bestand handelt, wird auch dadurch verstärkt, dass die nicht in rot gebundenen Bände meist in schwarz, weiß, nur in Holzplatten gehalten oder ungebunden sind. Das Kriterium «ungebunden» kann dabei entweder auf nach dem Pecien-System geschriebene und damit möglicherweise studentische Bände oder aber auf Drucke hindeuten73. Gerade in diesem Punkt ist allerdings eine Differenzierung erforderlich, welche ein methodisches Problem berührt, das auch die Forschungen zu den historischen Katalogen der Vatikanischen Bibliothek beschäftigt hat. Wie schon erwähnt, wird für den Hauptteil der insgesamt 174 Bände — 152 fast ausschließlich Papierbände mit meist rotem Einband — keine Angabe dazu gemacht, ob es sich um eine Handschrift oder ein Druckwerk handelt. Da sich in dem Inventar, wie angeführt, sowohl die Bezeichnung «impressus» als auch «manuscriptus» findet (bei Nr. 52 wird sogar intern differenziert), ist für diese Bände nicht a priori zu entscheiden, ob der Verfasser des Inventars mit ihnen Druckwerke oder Handschriften katalogisierte. Eine nähere Betrachtung der Titel verdeutlicht allerdings, dass 146 die72 148 Papier- gegenüber 4 Pergamentbänden; knapp ein Drittel weist einen roten Einband auf: 100; die übrige Verteilung: violett/blau: 12, schwarz: 6, weiß: 20; Holzdeckel: 4, Holzdeckel weiß: 1; grüngelb: 1; keine Angabe: 2; ungebunden: 1. 73 PINCELLI, La biblioteca di Ambrogio da Cori cit., S. 73.

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ser 152 Bände damals im Druck zugänglich waren. Bei einigen erscheint es aufgrund von ihrer inhaltlichen Zusammensetzung recht deutlich, dass Inkunabeln gemeint sind. So lässt etwa im Falle von Nr. 20 die Formulierung «Tractatus visitationis, Allegationes Lapi et multae Extravagantes […]» an den 1475 durch Georg Lauer in Rom herausgebrachten Druck des Tractatus Visitationis denken, in dessen Anhang sich Extravaganten Bonifaz’ VIII. und Johannes’ XXII befinden. Ähnlich könnten bei Nr. 44, «Quaestiones sancti Thomae de potentia et alie», die «anderen» Werke jene sein, die der venezianischen Druckausgabe des Christophorus Arnoldus (nicht nach 1478) und Nachfolgeeditionen im Anhang beigegeben sind. Wenn Nr. 54 gerade «Tertia pars Alexandri de Ales» beschreibt, so ist es sicher kein Zufall, dass gerade der dritte Teil der Summa universae theologiae des Alexander von Hales im Jahr 1475 bei Johannes de Colonia und Johannes Manthen in Venedig in den Druck ging. Die Werkkombination in Nr. 76 lässt in ähnlicher Weise vermuten, dass hier drei Druckbände zusammengebunden worden sind, ebenso wie Nr. 84. Die Beispiele lassen sich vermehren74. Ein besonders eklatantes ist Nr. 138: Die dort angegebene Kombination von Werken Ciceros stimmt exakt mit Bd. II,1 der ciceronianischen Scripta philosophica überein, so, wie sie im Jahr 1471 in Rom bei Schweynheym und Pannartz in den Druck gingen. Gerade bei damals aktuellen, nachweislich im Druck erschienenen Werken — etwa Donato Acciaiuolis Aristoteleskommentar aus dem Jahr 1478 (Nr. 72), den Werken Papst Sixtus’ IV. (Nr. 84), den Sermones des Michele Caracano (1427-1484) (Nr. 93), des Leonardo da Udine (ca. 1400-1470) (Nr. 96 und 97) oder jenen des Roberto Caracciolo di Lecce (ca. 1425-1495) (Nr. 98), bei Francesco Filelfos (1398-1481) Briefen (Nr. 139), Platinas Papstgeschichte (Nr. 152) oder De priscorum proprietate verborum aus der Feder des neapolitanischen Humanisten Giuniano Maio (1430-1493) (Nr. 165) — liegt es nahe, sie als Inkunabeln anzusehen. Mehr noch trifft dies auf üblicherweise in recht hoher Auflagenzahl gedruckte kürzere Schriften wie Pius’ II. Epistola ad Mahumetem (Nr. 87), ein Flugblatt zum Prozess um den 1475 ermordeten Simon von Trient (Nr. 20) oder die kurze, Papst Sixtus IV. dedizierte Eloge auf König Ferrante von Neapel zu, die zudem noch ein Werk des Druckers Giovanni Filippo de Lignamine war (Nr. 174). Schließlich sei noch erwähnt, dass das Kriterium des Beschreibstoffes, wenn es sich um Pergament handelt, kein hinreichendes Indiz für Anciennität oder ein Ausschlussfaktor für ein Druckwerk ist. Dies wird an Nr. 22 deutlich, wurde doch die hier beschriebene Codex-Ausgabe gleich zweimal als Pergamentdruck veranstaltet. 74

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Vgl. etwa Nr. 86, 87, 126, 144, 145.

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Vor inhaltlichen Analysen noch eine Erwägung zur möglichen Anzahl der Inkunabeln. In dem Inventar findet sich eine Sektion von acht Bänden (Nr. 116-123 – nachfolgend: Sektion 9), die mit dem Untertitel «Libri in bibliotheca pernecessari scripti» versehen ist. Drei von den insgesamt acht Bänden waren damals tatsächlich nicht im Druck erhältlich. Für die restlichen 5 ließe sich aufgrund der Fomulierung im Inventar behaupten, es habe sich hier ebenso um Handschriften gehandelt. Auch wenn dieser Schluss nicht zwingend ist75, zieht man diese 5 zusätzlichen eventuellen Handschriften von der Zahl der 146 vermeintlichen Inkunabeln ab, so bleiben 141 Item, die zwar durch die Urheber des Inventars nicht als Inkunabeln gekennzeichnet sind, für die aber sehr wahrscheinlich ist, dass mit ihnen Druckwerke gemeint sind. Addiert man hierzu noch die 4 explizit mit dem Adjektiv «impressus» gekennzeichneten Titel, so steht zu vermuten, dass ein Bestand von insgesamt nicht 4, sondern von bis zu 146 Inkunabeln beschrieben wird. Da leider — wie unten aufzuzeigen ist — die tatsächlichen Bände nicht mehr identifizierbar sind, kann im Einzelfall nicht entschieden werden, um welchen Druck es sich gehandelt haben mag. Legt man aber jeweils den Erstdruck zugrunde, so ergibt sich ein Bild, welches sehr deutlich durch den römischen Frühdruck geprägt ist. Inhaltlich weist das Inventar eine erkennbare, wenn auch nicht immer konsequent durchgehaltene Struktur auf: Eine erste Sektion (Nr. 1-30), die mit «ius canonicum» überschrieben ist, versammelt Rechtsquellen und -literatur, wobei der Bereich des kanonischen Rechtes deutlichen Überhang hat. Eine zweite Sektion (Nr. 31-56) enthält Bibelausgaben, -kommentare und exegetische Werke. Hier bildet die Scholastik, und besonders Thomas von Aquin (10 Bände), einen klaren Schwerpunkt. Die dritte Sektion (Nr. 57-70) hat Patristik zum Gegenstand, und hier ragt besonders Hieronymus heraus. Sektion vier (Nr. 71-82) beinhaltet vor allem Aristoteleskommentare. Ihr folgt eine etwas heterogenere fünfte Sektion (Nr. 83-90), die verschiedene theologische Werke und besonders Papsttheologie des postkonziliaren Zeitalters zusammenbringt76. Sektion sechs (Nr. 91-99) ist Sermones-Editionen gewidmet, und zwar dezidiert Predigtsammlungen der zweiten Hälfte des 15. Jahrhunderts. Die nachfolgende siebte Sektion (Nr. 100-108) ist zwar mit «in medicina» überschrieben, enthält aber neben drei wirklich medizinischen Werken auch Naturphilosophie und heterogene Titel. Sektion acht (Nr. 109-115) ist mit einigen Ausnahmen wieder75 Man könnte auch interpretieren, dass Guazzelli nicht auf die konkreten Bücher, sondern auf die generelle Anschaffungsnotwendigkeit seitens der Vaticana abgehoben habe. 76 Vgl. allgemein den Sammelband: Nach dem Basler Konzil: die Neuordnung der Kirche zwischen Konziliarismus und monarchischem Papat (ca. 1450-1475), hg. von J. DENDORFER – C. MÄRTL, Berlin u. a. 2008.

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um kirchenrechtlich geprägt. Die oben schon erwähnte Sektion neun (Nr. 116-123) scheint, wie ausgeführt, Texte enthalten zu haben, die von den Urhebern des Inventars als Handschriften für besonders notwendig für die Vaticana befunden wurden, sicherlich, weil unter ihnen einige aktuelle pontifikaltheologisch relevante Titel waren. Eine erstaunlich große zehnte Sektion (Nr. 124-155) beschreibt — wiederum mit einigen Ausnahmen — sodann antike Literatur (Vergil, Terenz, Ovid, Horaz, Juvenal, Lukan, und so weiter), aber vor allem Ciceroaugaben. Schlussendlich ist eine elfte Sektion (Nr. 156-174) erkennbar, die als genuin humanistisch betrachtet werden kann. In dieser stehen Werke des römischen Humanismus der zweiten Hälfte des 15. Jahrhunderts im Vordergrund, denn neben verschiedenen Kommentarwerken finden sich unter anderem die Historia Boemica Papst Pius’ II., Flavio Biondos Italia illustrata, Kardinal Bessarions Defensio Platonis, Vallas Elegantiae linguae latinae, die Ortographia des Giovanni Tortelli77 — der Bibliothekar Papst Nikolaus’ V. war — und schließlich mit dem genannten Werk des Giovanni Filippo da Lignamine gar ein Band, der durch einen römischen Buchdrucker verfasst und zum Druck gebracht wurde. Insgesamt lässt sich von einem eher konservativen Sammelinteresse sprechen, bedenkt man, dass zwar ein Valla auftaucht, aber nicht sein Werk zur Konstantinischen Schenkung, ein Boccaccio ebenso, jedoch De montibus, nicht etwa der Decamerone, und so weiter. Fasst man die quantitativen und qualitativen Befunde zusammen, so ergibt sich folgendes Bild: Der Bestand aus der Pönitentiarie macht in mehrfacher Hinsicht den Eindruck von einer Art «Gebrauchsliteratur», deren Entstehung neueren Datums war: Dafür spricht die formale Erwägung, dass es sich fast ausschließlich um Papierbände mit vergleichsweise einfachem roten Ledereinband handelt78. Aber auch inhaltlich fällt der Schwerpunkt auf Kirchenrecht, Theologie und Medizinischem auf. Mit einem Formuliarum instrumentorum findet sich zudem eine praktische Blaupausensammlung für das Verfassen von Schriftsätzen nach stilus curiae, welche Kurienkleriker für ihre Arbeit gut gebrauchen konnten. Dies passte auch zu den dienstlichen Aufgaben der Pönitentiarie, wobei interessant ist, dass die älteren Formelsammlungen aus dem 13. und 14. Jahrhundert, die Göller seinem Werk zur Geschichte der Pönitentiarie zugrundelegte, hier keine Rolle spielen79. Blickt man auf die Aktualitäten und Humaniora, so fällt, wie erwähnt, auf, dass der Bestand sich vor allem aus jüngeren Autoren 77

Vgl. G. DONATI, L’Orthographia di Giovanni Tortelli, Messina 2006, S. 234. Vgl. etwa DI SANTE, Inventari cit., S. 333, die die Bücher Sixtus’ IV. in derselben Weise charakterisiert. 79 GÖLLER, Pönitentiarie cit., Bd. 1, S. 19-64. Siehe auch L. SCHMUGGE, Kanonistik in der Pönitentiarie, in Stagnation oder Fortbildung? Aspekte des allgemeinen Kirchenrechts im 14. 78

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und Werken zusammensetzt. Besonders interessant ist hier das Beispiel des 1478 verstorbenen, an der Kurie residierenden Bischofs von Torcello, Domenico de’ Domenichi und dessen ungebundenen handschriftlichen Orationes et collationes (Nr. 109). Nicht nur gelangten Domenichis Werke nicht in den Frühdruck, es existiert nur eine zeitgenössische Handschrift seiner Reden, und diese ist nicht Teil des vatikanischen Kernbestandes80. Damit ist eine frühe Rezeption dieses bedeutenden kurialen Theoretikers nachgewiesen, auch wenn es obsolet ist, den einzigen erhaltenen Band — Domenichis Handexemplar — mit dem hier gelisteten zu identifizieren, das erst mit der Biblioteca Ottoboniana in die Vaticana gelangte. Ähnliche Beispiele einer solchen Frührezeption stellen etwa Bessarions Defensio Platonis81 oder ein ansonsten nur dünn überliefertes Werk des Ambrogio Massari da Cori (Nr. 66) dar. Aus diesen Beispielen wird nochmals der kuriale Charakter des Buchinventars aus der Pönitentiarie deutlich. Wieso befanden sich diese Bücher innerhalb des Dikasteriums? Will man nicht annehmen, dass sie unbekannter Provenienz waren und aus einem ebenso unbekannten Grund in ihren Räumlichkeiten gelagert wurden, so lässt sich grundsätzlich an drei Möglichkeiten denken: Erstens könnte es sich um den Nachlass eines Angestellten der Pönitentiarie oder gar um den eines Großpönitentiars gehandelt haben, zweitens könnte es sich um Bücher handeln, die sich in der Pönitentiarie mit der Zeit angesammelt hatten, eventuell als Nachlässe von mehreren ihrer Beamten, drittens könnte es eine Art institutionelle Arbeitsbibliothek gewesen sein. Die erste Möglichkeit scheidet mit einiger Sicherheit aus: Zwar ist zu betonen, dass sich der inhaltliche Befund — hauptsächlich Kirchenrecht, Theologie, Scholastik, Humaniora — weitestgehend mit dem deckt, was wir über die Buchsammlungen der Kardinalgroßpönitentiarie wissen82, doch man bedenke erstens: Ihre Bibliotheken zeichneten sich nicht dadurch aus, dass ihre Besitzer Pönitentiare gewesen sind, sondern dadurch, dass sie Kardinäle waren! Zweitens sei betont, dass die obige inhaltliche Charakterisierung kaum eine thematische Engführung darstellt, sondern und 15. Jahrhundert, hg. von M. BERTRAM, Tübingen 2005 (Bibliothek des DHI in Rom, 117131), S. 93-115. 80 BAV, Ott. lat. 1035 (1464 in Rom für Domenichi geschrieben), vgl. H. JEDIN, Studien über Domenico de’ Domenichi 1416-1478, Wiesbaden 1958, S. 119. 81 Speziell zu diesem Werk C. BIANCA, Da Firenze a Grottaferrata: greci e latini all’ombra del Bessarione; sowie J. MONFASANI, The Pre- and Post-History of Cardinal Bessarion’s 1469 In Calumniatorem Platonis, jeweils in «Inter graecos latinissimus, inter latinos graecissimus». Bessarion zwischen den Kulturen, hg. von C. MÄRTL – CH. KAISER – TH. RICKLIN, Berlin – Boston 2013, S. 151-166 und S. 347-366. 82 MANFREDI, La Penitenzieria Apostolica nel Quattrocento attraverso i Cardinali Penitenzieri cit.

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sich im Bereich dessen bewegt, was ein universitätsgebildeter, an der Kurie arbeitender Kleriker in jener Zeit gelesen hatte. Der äußere Befund setzt sich indessen merklich von dem ab, was Kardinalpönitentiare wie Giordano Orsini oder der 1476 verstorbene Filippo Calandrini oder gar Giuliano della Rovere sammelten. Ihre Kollektionen waren typische Produkte humanistisch geprägter Bibliophilie und hatten speziell auf den Erwerb kostbarer alter Pergamenthandschriften abgezielt, die denn auch mit ihrem Nachlass in die Vaticana gelangten83. Ferner spricht gegen die These von der Bibliothek einer Einzelperson, dass Guazzelli in allen bekannten Inventaren von seiner Hand die Bestände einem Namen oder Amt zuordnete: Warum sollte er es nicht auch hier getan haben, als ihm der Majordomus die Bestände aus der Pönitentiarie übergab? Die zweite und dritte Möglichkeit wären nur zu verifizieren, wenn die Bücher aufgefunden würden. Grundsätzlich könnten sich die beiden letztgenannten Möglichkeiten auch überschneiden und ergänzen, doch ohne weitere Kontextinformationen sind keine sicheren Aussagen zu den hier behandelten Bibliotheksbeständen der Pönitentiarie in ihrem frühesten Abbild möglich. Versuch einer Identifizierung der Bände in der Vaticana Gesichert ist also lediglich, dass die eben beschriebenen Bücher sich zunächst in der Pönitentiarie befunden haben, dann auf Veranlassung des päpstlichen Majordomus in die Vaticana gebracht und dort durch den Kustos Guazzelli entgegengenommen und katalogisiert wurden. Dem Titel seines Inventars zufolge ist von einer «Abladeliste» zu sprechen, die nicht notwendig den Gesamtkatalog einer Bibliothek bezeichnet84. Da somit streng genommen in der Liste lediglich abgebildet wird, was in die Vati83 Siehe dazu: A. MANFREDI, Un profilo di Filippo Calandrini all’ombra di Niccolò V. Con un’appendice di manoscritti suoi finora ritrovati in Vaticana, in Da Luni a Sarzana – 12042004. VIII. centenario della traslazione della sede vescovile. Atti del convegno internazionale di studi Sarzana 30 settembre – 2 ottobre 2004, hg. von A. MANFREDI – P. SVERZELLATI, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 442), S. 431-483. Ein anderes Bild gibt etwa die Büchersammlung des 1508 an der Kurie verstorbenen Kardinals Jorge da Costa ab, der Inkunabeln deutlich aufgeschlossener war. Er hatte seinen Buchnachlass dem Konvent von Santa Maria del Popolo vermacht, und ein Teil seiner Bücher kam erst mit den napoleonischen Requisitionen in die Vaticana: Siehe CH. M. GRAFINGER, Die Handschriften und Inkunabeln des Kardinal Jorge da Costa in der Vatikanischen Bibliothek, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XI (2004), S. 413-422; B. CENNI, Gli incunaboli vaticani di Santa Maria del Popolo e il cardinale Jorge da Costa (1406-1508), in La stampa romana nella città dei papi e in Europa cit., S. 157-180. 84 Diesen Begriff entnehme ich der italienischsprachigen Literatur («lista di scarico»). Siehe etwa ESPOSITO, Estouteville cit., passim, S. 318, 323. Zur Unterscheidung der Genera «Buchliste», «Inventar» und «Bibliothekskatalog», vgl. M. M. GORMAN, The Oldest Lists of Latin Books, in Scriptorium 58 (2004), S. 48-63.

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cana transportiert wurde, ist nicht nur zu erwägen, dass sie lediglich eine Auswahl darstellt85, es muss auch die Frage gestellt werden, ob sich die Bände heute noch in der Vaticana auffinden lassen. Dies kann nur durch einen Abgleich der Einträge mit den historischen Inventaren der Vaticana geschehen. Da das hier behandelte Inventar in den Zeitraum nach der großen, durch Sixtus IV. veranlassten Inventarisierungskampagne fällt, sind die damals erstellten Kataloge ebenso wenig einschlägig wie die ihnen vorausgehenden86. Eine Reinschrift des sixtinischen Verzeichnisses, die genau auf den 20. November 1484 datiert ist (Vat. lat. 3949), liefert keine Anhaltspunkte. In dem Arbeitsexemplar Guazzellis aus der sixtinischen Kampagne (Vat. lat. 3952), welches weiterhin in Gebrauch blieb und neben den schon erwähnten Nachlässen von Estouteville (4. Februar 1483), Ferry de Clugny (26. November 1483) und Sixtus IV. (1490) auch Ausleihen bis in das Jahr 1512 dokumentiert, findet sich von den Bibliotheksbeständen der Pönitentiarie keine Spur. Ebenso wenig lassen sich signifikante Übereinstimmungen in einem weiteren, nach 1484 (vielleicht 1487) durch Guazzelli angelegten inoffiziellen Inventar finden, was tendenziell, aber nicht mit hinreichender Sicherheit, die hier vorgebrachte Datierung bestätigt87. Die Bücher sind somit in jenen Inventaren zu suchen, die seit Beginn des 16. Jahrhunderts erstellt wurden. Es sind dies die inoffizielle Rezension der vatikanischen Bestände, welche Fabio Vigili in den Jahren 1508-1513 verfasste88, ferner das offizielle Inventar, welches Zanobi Acciaioli, Lorenzo Parmenino und Romolo Mammacini 1518-1521 im Pontifikat Leos X. anlegten89, dann das nunmehr in der kritischen Edition durch Assunta di Sante und Antonio Manfredi zugängliche wichtige Inventar des Jahres 85

Dafür sprechen etwa graphische Kritieren: Auf f. 421v werden anfangs 3 Medizinbücher unter dieser Rubrik verzeichnet, dann folgt ein großer leerer Platz, und es geht so weiter. Das folgende f. 422r ist nur zu einem Viertel oben beschreiben, ebenso das nachfolgende (f. 422v), auf dem behauptet wird, die verzeichneten Bücher seien in handschriftlicher Form besonderes notwendig für die Bestände der Vaticana. 86 Ihre Produkte sind: BAV, Vat. lat. 3953 und 3954 aus dem Jahr 1475, sowie Vat. lat. 3947 und 3952 aus dem Jahr 1481. 87 DI SANTE, Inventari cit., S. 316 mit Abb. 3b; PIACENTINI, Ricerche cit., S. 117, mit Anm. 4. Zur Datierung von Ott. lat. 1904 nach August 1487, siehe BERTÒLA, Registri cit., S. XII, sowie EAD., Incunabuli esistenti nella Biblioteca Vaticana durante il secolo XV, in Miscellanea Giovanni Mercati, VI, Città del Vaticano 1946, S. 398-408; BIGNAMI – RUYSSCHAERT, La bibliothèque cit., S. 26 mit Anm. 62, datiert nach 1484. 88 BAV, Vat. lat. 7134, 7135, 7136. Vgl. generell G. CARDINALI, Inventari di manoscritti greci della Biblioteca vaticana sotto il pontificato di Giulio II (1503-1513), Città del Vaticano 2015 (Studi e testi, 491). 89 BAV, Vat. lat. 3948, 3950, 3955. Kritisch ediert mit Kommentar für den Teil der griechischen Manuskripte: M. L. SOSOWER – D. F. JACKSON – A. MANFREDI, Index seu inventarium

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1533, welches nach dem Sacco di Roma zum Zwecke der Erfassung von Deperdita und der Neuorganisation der Bestände von Pietro Paolo Guida, Bernardo Giubilei, Niccolò Maiorano unter der Leitung von Niccolò Maiorano und Fausto Sabeo erstellt wurde und durch jeweilige Nennung der Anfangswörter eine Identifizierung der Handschriften in der Vaticana ermöglicht90, außerdem das offizielle Inventar, welches in den Jahren 15481555 durch Ferdinando Ruano erstellt und noch durch Domenico Ranaldi benutzt wurde, als die gesamten Bestände in den Salone Sistino des Belvedere transferiert wurden (1590-91)91, und schließlich der Index totius Bibliothecae Vaticanae, der durch Ranaldi in den Jahren 1597-1601 an ihrem neuen Aufstellungsort angefertigt wurde und heute als handschriftliches Inventar in der Sala Barberini zusammen mit den gedruckten Katalogen ausliegt92. Im Bewusstsein um die generellen Identifizierungsschwierigkeiten93 und die Tatsache, dass es zwischen dem Platina-Inventar des Jahres 1484 und dem Jahr 1513 nicht zur Vollendung eines neuen offiziellen Inventars oder anderen nennenswerten Katalogisierungsmaßnahmen kam94, wurden all diese Kataloge im Rahmen der vorliegenden Studie einer Gesamtdurchsicht unterzogen. Im Abgleich wurden neben dem Autoren- und Werktitel auch die Angaben zum Beschreibstoff sowie zur Art des Einbandes berücksichtigt, und ferner die Frage, ob der Band als handschriftlich oder als gedruckt ausgewiesen wurde. So unzuverlässig die Kataloge bei diesen Angaben gemeinhin auch sind95, so effektiv erweisen sich die Kriterien Bibliothecae Vaticanae divi Leonis pontificis optimi anno 1518 c. Series Graeca, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 427). 90 BAV, Vat. lat. 3951, ed. DI SANTE – MANFREDI, Index cit. Für den Teil der griechischen Manuskripte: M. R. DILTS – M. L. SOSOWER – A. MANFREDI, Librorum graecorum Bibliothecae Vaticanae Index a Nicolao de Maioranis compositus et Fausto Saboeo collatus anno 1535, Città del Vaticano 1998 (Studi e testi, 384). 91 BAV, Vat. lat. 3967, 3968, 3969, vgl. J. FOHLEN – P. PETITMENGIN, L’ancien fonds vatican latin dans la nouvelle bibliothèque sixtine (ca. 1590-1610). Reclassement et concordances, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 362). 92 BAV, Vat. lat. 13190, Kopien in Sala Barberini, Rosso 301-318. Ich verzichte hier auf eine Aufzählung der gedruckten Kataloge und verweise stattdessen auf A. MANFREDI, Art. «Vaticani Latini», in D’AIUTO – VIAN, Guida cit., Bd. 1, S. 623-640. Nicht erfasst werden in den genannten Inventaren die Handschriften Vat. lat. 11327-11413. 93 Vgl. dazu PIACENTINI, Ricerche cit., S. 119ff. 94 DI SANTE, Inventari cit., S. 322: «L’assenza di nuovi inventari ufficiali — strumenti di controllo del patrimonio librario — è sintomatica infatti della situazione in cui versava la Biblioteca, che in questo arco cronologico sembra aver subito non poche dispersioni di volumi». 95 Problematisch sind sie vor allem daher, weil nicht davon ausgegangen werden kann, dass die Autoren der Inventare exakte Angaben machten.

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für ein Ausschlussverfahren, denn in der Vaticana befanden sich bis ins 16. Jahrhundert hinein den Katalogen zufolge hauptsächlich Pergamenthandschriften96. Meist in rotem Einband gefasste Papierhandschriften, aus denen der Bestand der Pönitentiarie sich hauptsächlich zusammensetzte, machten in der Bibliothek der Päpste einen deutlich geringeren Teil aus. So verwundert es kaum, dass nur sehr wenige Katalogeinträge mit jenen prinzipiell übereinstimmen, die das Pönitentiarie-Inventar erfasst, und dass die überhaupt für eine Identifizierung in Frage kommenden konsultierten Manuskripte keinerlei Hinweise auf eine Provenienz aus der Pönitentiarie bieten. Der Inkunabelbestand der Vaticana ist ein heterogenes Gebilde mit einer komplexen Überlieferungsgeschichte. Wie aus den Forschungen Bertòlas97, Fohlens und Petitmengins98, Sheehans99, Manfredis und Di Santes100, Ritas101 und Ceresas102 hervorgeht, hatte die Vaticana seit der Erfindung des Buchdrucks ein eher distanziertes Verhältnis zu dem neuen Medium. In den erhaltenen Katalogen aus dem 15. und 16. Jahrhundert sind in der Tat kaum einmal Inkunabeln eindeutig nachzuweisen. In dem Platina-Inventar des Jahres 1481 sind von 2600 lateinischen und 879 griechischen Büchern lediglich sechs mit dem Terminus «impressus» ausgewiesen103. Im Inventar der Jahre 1518-21 lassen sich hingegen 54 nachweisen, in dem des Jahres 1533 sind es 74104. Fohlen und Petitmengin zählten anhand des Katalogs von 1550 gerade einmal 145 Exemplare, von denen ein Großteil nicht mehr erhalten oder identifizierbar ist105. Die meisten dieser Druckexemplare sind Privatnachlässen wie jenen des Kardinals Estouteville oder der Päpste Sixtus’ IV. und Julius II. und anderen zuzuschreiben. Der Hauptgrund für das geringe Interesse der Vaticana an dem neuen Medium 96

CERESA, Gli stampati cit. BERTÒLA, Incunabuli cit.; L. MICHELINI TOCCI, Incunaboli sconosciuti e incunaboli mal conosciuti della Biblioteca Vaticana, in Studi in onore di Tammaro de Marini, III, Verona 1963, S. 177-188. 98 Vgl. FOHLEN – PETITMENGIN, L’ancien fonds cit. 99 Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Incunabula, hg. von W. J. SHEEHAN, C.S.B., 4 Bde., Città del Vaticano 1997 (Studi e testi, 380-383). 100 DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; DI SANTE, La biblioteca attraverso gli inventari cit. 101 A. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie a Roma in età napoleonica: cronologia e fonti romane, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 470); EAD., La versione latina di Cristoforo Persona del Contra Celsum di Origine nell’esemplare della Vaticana di Sisto IV, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 20 (2014), S. 679-694; EAD., La Vaticana di Sisto IV cit. 102 CERESA, Gli stampati cit. 103 DI SANTE, Inventari cit., S. 329; vgl. BERTÒLA, Incunabuli cit. 104 DI SANTE, Inventari cit., S. 329 und 333. 105 FOHLEN – PETITMENGIN, L’ancien fonds cit., S. 17 und 79f. und 103-115. 97

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dürfte in dem eingangs beschriebenen Charakteristikum einer in humanistischem Geiste gegründeten Bibliothek zu suchen sein, die als Sammlung von wertvollen Büchern den Ruhm der Päpste mehren sollte. Das musste heißen: Die Bände sollten möglichst alt (bzw. antik), möglichst rar, möglichst theologisch relevant oder zumindest sehr wertvoll gearbeitet, insbesondere illuminiert sein. Man würde fehl darin gehen, die Vaticana in der Renaissance als Studienbibliothek zu verstehen, die einen benutzerorientierten Ankauf von aktuellen Werken in neuestem technisch machbarem Gewand gepflegt hätte. Inkunabeln und auch anderweitige neue Werke mussten in dieser Perspektive nicht unbedingt wertvoll erscheinen, es sei denn, sie enthielten für die Kirche von Rom wichtiges Gedankengut, waren Teil eines als wertvoll erachteten Nachlasses oder wurden okkasionell der Bibliothek geschenkt106. Eine nicht den beschriebenen Geist pflegende Institution oder ein Privatgelehrter, der sich womöglich selbst der neuen Technik bediente, um seine Schriften zu verbreiten, hatte da eine andere Perspektive (der in unserer Liste als Nr. 171 vertretene deutsche Humanist Albrecht von Eyb ist mit seiner Margarita poetarum ein Beispiel). Und dennoch ist hervorgehoben worden, dass im 16. Jahrhundert der Inkunabelbestand der Vaticana merklich anwuchs107. Aus den Katalogen jener Zeit lässt sich zudem ersehen, dass es damals eine eigene «camera impressorum» gegeben haben muss, von der nicht klar ist, wann sie eingerichtet wurde oder wie viele Exemplare in ihr aufbewahrt wurden108. Gesonderte Kataloge wurden allerdings bis in das Jahr 1608 nicht geführt109. Zu bedenken ist unterdessen die kürzlich von Di Sante aufgeworfene Frage, ob die historischen Kataloge wirklich alle Druckwerke als solche ausweisen und ob das Prädikat «impressus» die einzige Möglichkeit zu ihrer Identifizierung darstellt. In der Tat muss es Dunkelziffern geben110, und die Untersuchung des Pönitentiarie-Inventars verstärkt diesen Eindruck. Der heutige gedruckte Inkunabelkatalog von Sheehan macht keine genauen Angaben zu Provenienz-, Besitz- oder Verzeichnungsgeschichte der einzelnen Stücke111. Inzwischen wurden diese Daten im Rahmen des durch Lau106 Siehe allgemein C. BIANCA, I libri a stampa nelle biblioteche romane, in Gutenberg e Roma. Le origini della stampa nella città dei papi (1467-1477), hg. von M. MIGLIO – O. ROSINI, Napoli 1997, S. 113-120; BERTÒLA, Incunaboli cit., S. 10f., und den Anm. 3 zitierten Band: La stampa romana nella città dei papi e in Europa cit. 107 DI SANTE, Inventari cit., S. 329; CERESA, Gli stampati cit. 108 Vgl. FOHLEN – PETITMENGIN, L’ancien fonds cit., S. 107 mit Anm. 10, mit Auflistung einer Serie von lediglich sechs juristischen Drucken. 109 CERESA, Gli stampati cit. 110 DI SANTE, Inventari cit., S. 333 und 336. 111 Vgl. SHEEHAN, Incunabula cit., Bd. 1, S. LIII.

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ra Lalli koordinierten Projekts BAVIC (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Incunabulorum Catalogus) in den Online-Katalog der Vaticana eingepflegt. Die Ergebnisse dieses Projekts bestätigen, dass lediglich zwei Inkunabeln überliefert sind, die mit der Geschichte der Pönitentiarie in Verbindung gebracht werden können. Die jeweils einen späteren Besitzvermerk Pertinet ad Penitentiariam Lateranensem aufweisenden Exemplare sind in dem hier besprochenen Inventar nicht erwähnt112. Weder in den historischen Katalogen, noch unter den Handschriften oder den Inkunabeln der heutigen Vaticana können also die in unserer Liste beschriebenen Exemplare in eindeutiger Weise identifiziert werden113. Wahrscheinliche Zerstreuung der Bestände Die Sachlage führt zu dem Schluss, dass die Bibliotheksbestände aus der Pönitentiarie zwar in die Vaticana gebracht wurden, aber dann nicht zu einem Teil ihrer Kernbestände geworden und in ihr geblieben sind. Dabei ist zu bedenken, dass Neuzugänge nicht sofort in die bestehenden Inventare eingetragen und in die scaffali e capse eingeordnet wurden. Es konnten in der Tat Jahre vergehen, bis dies geschah. Ein gutes Beispiel liefert der Nachlass des Kardinals Estouteville. Dieser wurde zunächst zwischen dem Notar, welcher den Nachlass verzeichnete (Benimbene), der Vaticana und dem römischen Augustinerkonvent aufgeteilt. Bei letzterem blieben die Bücher für 4 Jahre in Kisten, bevor der Bibliothekar des Konvents sie in seine Bestände einordnete, was ihre Inventarisierung bedingte. Viele wurden auch direkt verkauft114. Der Buchnachlass Papst Sixtus’ IV. verblieb von seinem Tod an (1484) ganze sechs Jahre in der Kammer seines Nachfolgers, und zwanzig Jahre nachdem Monissart die Bücher in die 112

Vgl. dazu infra, Anm. 119. Bei den zwei Inkunabeln handelt es sich um: (1) Inc. IV.42: FRANCISCUS DE PLATEA, Opus restitutionum, Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 22.1.1477 (GW M00831, IGI 7843, ISTC ip0075800); (2) Inc. IV.687: BERNARDINUS DE BUSTIS, Rosarium sermonum, Venezia, Georgius Arrivabenus, 1498 (GW 5807, IGI 2285, ISTC ibo1336000). Zu dem Projekt BAVIC: L. LALLI, Le collezioni degli incunaboli della Biblioteca Apostolica Vaticana e il progetto BAVIC, in La stampa romana ella città dei papi e in Europa cit., S. 87-106; EAD., Rare books in the Vatican Library: reshaping the catalogue, in JLIS. it. 5, 2 (Luglio/July 2014), S. 123-134. 113 So ist beispielsweise eine Identifizierung von unserer Nr. 70 mit der verlorenen Inkunabel, die in Vat. lat. 3947, f. 46r erwähnt wird, aufgrund des dort angegebenen Schreibstoffes und Einbandes obsolet («Origines contra Celsum a Christophoro Persona priore S. Balbinae traductus ad Sixtum quartum pont. maximum impressus, ex membranis in serico viridi»). Zu dieser Inkunabel: DI SANTE, Inventari cit., S. 329 und 438 Anm. 62, sowie insbesondere, mit Identifizierung des Exemplars (Paris, BNF, Vélins 280): RITA, La versione latina di Cristoforo Persona del Contra Celsum cit. 114 Zu all dem: ESPOSITO, Estouteville cit.

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Vaticana herübertransportiert hatte, wurde ihr größter Anteil (insbesondere die gedruckten Exemplare!) verkauft (1510-1516)115. Bei den bekannten Neuzugängen in Vat. lat. 3952 wurden die Listen unterdessen durchgestrichen, sobald die Bücher in die Vaticana eingeordnet oder verkauft worden waren116. Das ist bei unserer Liste nicht der Fall. Damit sind weder die Umstände eines eventuellen Verbleibs, noch einer Veräußerung der Bestände genau zu eruieren. Möglichkeiten der Zerstreuung des Bestandes gibt es indes zuhauf, von den schon gennannten bis hin zum Sacco di Roma und der napoleonischen Zeit. Ausgeschlossen werden kann zumindest, dass die Buchbestände an den Kustos Guazzelli gegangen sind, wie ein Abgleich mit dem Katalog seiner Privatbibliothek erweist117. Ebenso kann ausgeschlossen werden, dass die Bücher später wieder an den Ort ihrer ursprünglichen Aufbewahrung zurückgebracht wurden. In den einzigen verfügbaren Quellen zu den Beständen der Pönitentiarie — einem Inventar ihres Archivs aus dem Jahr 1576118 und den erwähnten Bücherlisten, welche durch die napoleonischen Offiziellen am Beginn des 19. Jahrhunderts erstellt wurden, als die Bibliotheken der Pönitentiarien bei San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore und Sankt Peter aufgelöst und teils in die Vaticana, teils in die Biblioteca Casanatense gebracht wurden, ist keine Spur von dem Bibliotheksbestand zu erkennen, den die hier besprochene Liste beschreibt. Auffällig ist hingegen, dass diese Bibliotheken in napoleonischer Zeit mit Ausnahme einiger sehr weniger Drucke aus den 1480er und 1490er Jahren fast ausschließlich Ausgaben des 16. bis 17. Jahrhunderts besaßen119. Dieser für eine alte Institution wie die Pöni115 BERTÒLA, Incunaboli cit., S. 8f.; PIACENTINI, Ricerche cit., S. 124f. Einige von ihnen gelangten später aus den Beständen des auf dem Pincio gelegenen irischen Franziskanerklosters St. Isidoro in die Vaticana zurück. Die Bibliothek des Kardinals Bessarion blieb nach seinem Tode bis ins 16. Jahrhundert nicht eingeordnet. Vgl. C. BIANCA, La formazione della biblioteca latina el Bessarione, in Scrittura, biblioteche e stampa cit., S. 103-165 (überarbeiteter Neudruck in EAD., Da Bisanzio a Roma: Studi sul cardinale Bessarione, Roma 1999 [RR inedita. Saggi, 15], S. 43-106); M. ZORZI, Il cardinal Bessarione e la sua biblioteca, in I luoghi della memoria scritta, hg. von G. CAVALLO, Roma 1994, S. 404-409. 116 PIACENTINI, Ricerche cit., S. 120. 117 Vgl. supra, Anm. 8. 118 Città del Vaticano, Archivio della Penitenzieria (im Palazzo della Cancelleria), Poenitentiarie Acta Cardinalium Poenitentiariorum Maiorum seu Acta Sacrae Paenitentiariae Tomus I a mense maio 1569 usque mensem ianuarium 1641, f. 31v-32v, erwähnt von A. SARACO, L’Archivio storico della Penitenzieria Apostolica. Origini, Evoluzione, Consistenza, in La Penitentiaria Apostolica e il suo Archivio, hg. von A. SARACO, Città del Vaticano 2012, S. 15-21; A. PAGANO, Acta Cardinalium Poenitentiariorum Maiorum seu Acta Sacrae Paenitentiariae, ibd., S. 97-104. 119 Kontrolliert wurden die Listen: BAV, Arch. Bibl. 36, f. 88r-89v (Penitenzieri Lateranensi), f. 90r-92v (Penitenzieri di S. Pietro), f. 94r-v (Penitenzieri di S. Maria Maggiore); Roma, Biblioteca Casanatense, Ms. Cas. 489, filza 13-21, hier filza 14, f. 474r-567r, 568r-577v

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tentiarie ungewöhnliche Befund könnte damit erklärt werden, dass ihre älteren Bibliotheksbestände im Pontifikat Innozenz’ VIII. in die Vaticana überführt wurden. Das Schicksal der alten Bibliothek der Pönitentiarie hat sich also infolge ihres Abtransportes in die Papstbibliothek entschieden. Was mit ihr passierte, ist unter der gegenwärtigen Evidenzlage kaum zu eruieren. Aber letztlich könnte gerade der Umstand, dass es sich um Inkunabeln handelte, dazu beigetragen haben, dass die Bände veräußert wurden. Bei den Nachlässen des Kardinals Estouteville († 1483) und des Bischofs von Modruš († 1480), aber auch bei anderen, wurden etwa nur die wertvollen Handschriften in die Vaticana gebracht, während gedruckte Werke und Papierhandschriften von den Beständen abgesondert wurden120. Auch Guazzellis Inventar der Bibliothek der Pönitentiarie gibt mit der besprochenen Kapitelüberschrift zu Sektion 9 einen wichtigen Hinweis in diesem Sinne: Es ging dem Kustos um Handschriften, nicht um Druckwerke, und so bestätigt das Schicksal der Bibliothek der Pönitentiarie die bekannten Vorbehalte der Vaticana gegenüber dem neuen Medium des Buchdrucks. Schluss Unterdessen kennen wir nun mit der Bibliothek der Pönitentiarie einen eigenen Buchbestand eines vatikanischen Dikasteriums, in der Form, wie er sich im Pontifikat Innozenz VIII. angesammelt hatte und in die Vaticana geriet. Interessant erscheint besonders der Umstand, der wahrscheinlich zur Auflösung des Bestandes geführt hat, mit anderen Worten, dass er im Großteil wahrscheinlich aus auf Papier gedruckter «Arbeitsliteratur» bestand. Trifft die These zu, dass es sich hauptsächlich um Inkunabeln handelte, so war die Sammlung der Pönitentiarie nicht nur größer als die bisher bekannten privaten Kollektionen (Ferry de Clugny besaß 17-23, Sixtus IV. 45 Inkunabeln), sie umfasste am Ende des 15. Jahrhunderts gar mehr Druckexemplare als die gesamte Vatikanische Bibliothek in der Mitte des 16. Jahrhunderts! Dieser sowie der ebenso bemerkenswerte Umstand, dass die Bände nicht in der Vaticana blieben, zeigen nicht nur das Desinteresse der päpstlichen Bibliothek für die Schwarze Kunst gut dreißig Jahre nach ihrer Erfindung. Sie sprechen auch dafür, dass sich die gelehrten Gewohn(Penitenzieri di S. Maria Maggiore), filza 15, f. 595r (Penitenzieri di S. Pietro, Empfangsbestätigung, keine Buchliste), filza 16, f. 595r-609r, 623-624v (Penitenzieria Lateranense). Vgl. RITA, Biblioteche e requisizioni librarie cit., S. 134-137 (Penitenzieri di Santa Maria Maggiore), S. 137-141 (Penitenzieri di San Pietro), S. 167-171 (Penitenzieri di San Giovanni in Laterano). Beschreibung der Listen S. 392-394. 120 LOMBARDI, Istituzioni cit., S. 375.

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heiten von Kurienklerikern in diesem Zeitraum gewandelt hatten. Handschriften blieben für sie die vornehmere Variante, das gedruckte Buch war allerdings die praktischere, vielleicht gar die bevorzugte Variante der Wissensacquise und -nutzung. Die Bedeutung dieses ersten bekannt gewordenen Buchinventars einer vatikanischen Behörde ist aber auch inhaltlicher Art. Geht man davon aus, dass die beschriebenen Bücher mit ihrem Schwerpunkt auf Kirchenrecht, Theologie, Medizin sowie einem großen Anteil an antiker und humanistischer Literatur den Mitgliedern des Dikasteriums zur Verfügung standen (sei es als Ansammlung von Nachlässen oder als Dienstbibliothek), so öffnet sich hiermit ein über prosopographische, rechts- und institutionengeschichtliche Ansätze hinausdeutendes Fenster in den konkreten Bildungsstand und die gelehrten Interessen der Pönitentiare und ihrer Prokuratoren, die den narrationes ihrer Klienten von begangenem und erlittenem Unrecht zuhörten, sie in kirchenrechtlich adäquate Suppliken übersetzten und an den normativen Entscheidungen der päpstlichen Zentrale über das Leben der Menschen ihrer Zeit mitwirkten.

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ANHANG Inventar von Büchern, die auf Veranlassung des Bischofs von Tournai [Jean Monissart] aus der Pönitentiarie in die Vatikanische Bibliothek gebracht wurden [nach 15.10.1483 – vor 17.8.1491] BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Privilegi e atti notarili, 16 (= «Demetrii Guasselli instrumenta an. 1495-1504»), ff. 418r-423v Zum kritischen Apparat: Neben Angaben zu Autor und Werk werden Nennungen in den historischen Katalogen der Vaticana gemäß den oben erläuterten Kriterien angegeben. Ferner wird der Erstdruck des Werkes angegeben, wenn es in den Druck gegangen ist. Für den Nachweis des Erstdrucks wurden die online-Datenbanken des Incunabula Short Title Catalogue und des Gesamtkatalogs der Wiegendrucke benutzt. Inkunabelkataloge und heute in der Vaticana befindliche Inkunabeln wurden ebenso gemäß den oben genannten Kriterien und insbesondere unter Zuhilfenahme des Onlinekatalogs der BAV kontrolliert. Unten werden nur Inkunabeln angegeben, die erstens im Abfassungszeitraum des hier edierten Inventars erschienen sind und die zweitens nicht anderweitig (d. h. über Besitz- oder andere Provenienzvermerke und Datierungen) ausgeschlossen werden konnten. Ausgeschlossen wurden auch jene Sammlungen, die erst später in die Vaticana integriert wurden (Rossiani, Propaganda Fide, Barberiniani, Chigiani, Ferrajoli, Bände aus der Bibliotheca Palatina und dem Capitolo di San Pietro). Sowohl im Falle der Angabe einer Katalogstelle als auch einer Inkunabel ist keine eindeutige Identität, sondern lediglich die Möglichkeit einer zukünftigen Identifizierung angezeigt! Wurde weder ein passender Katalogeintrag oder eine Inkunabel eruiert, so erscheint keine Angabe.

INVENTARIVM librorum missorum ad Bibliothecam per reverendissimum dominum Johannem episcopum Tornacensem ex Penitentiaria. IVS Canonicum [1] Decretales ex papyro in rubeo121. [2] Clementine ex papyro in rubeoi 122. i

Folgt gestrichen: «pavonaceo»

121 GREGORIUS IX., Decretales. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. (dort nur Pergamenthandschriften); Vat. lat. 3967, Index, f. 2r, Nr. 351: «Decretales in 7.o pluteo ad sinistram superior». — Erstdruck: Straßburg, Heinrich Eggestein, 1468/71 bzw. 1470/72 (GW 11450, IGI 4451, ISTC ig00446000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Baptista de Tortis – Franciscus de Madiis, 7.9.1484 (GW 11471, IGI 4460), Inc. S.229; Venezia, Paganinus de Paganinis, 10.8.1489 (GW 11478, IGI 4466), Inc. S.87; Venezia, Johannes Hamman, 23.6.1491 (GW 11481, IGI 4469), Inc. S.96. 122 CLEMENS V., Constitutiones, alias: Clementinae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in X.o scamno infra», Nr. 3: «Clementine»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 147, Nr. 1278: «Clementine, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘iudiciis’» (Anm. 132: «tra i molti mss. con le Constitutiones Clementinae presenti nel fondo antico, nessuno corrisponde alla parola guida qui indicata»).

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[3] Sextus ex papyro in rubeo123. [4] Clementine ex papyro in pavonacio124. [5] Prima pars Speculi ex papyro in pavonacio125. [6] Secunda pars Speculi ex papyro in pavonacio126. [7] Tertia pars Speculi ex papyro in pavonacio127. — Erstdruck: Mainz, Johann Fust – Peter Schöffer, 25.6.1460 (GW 7077, IGI 3013, ISTC ic00710000). — Inkunabeln BAV: Mainz, Johannes Fust – Peter Schöffer, 25.6.1460 (GW 7077, IGI 3013), Vat. lat. 2704 (http://digi.vatlib.it/view/Vat.lat.2704, mit Urkundenabschriften Johannes XXII.); Roma, Georg Lauer – Leonard Pflugl, 15.6.1472 (GW 7082, IGI 3016), Inc. S.8; Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella de Lucca, 6.7.1473 (GW 7085, IGI 3019), Inc. S.49; Roma, Johannes Bulle, ca. 1478 (GW 7091, IGI 3023), Inc. S.155; Venezia, Andreas Torresanus de Asula – Bartholomaeus de Blavis de Alexandria – Mapheus e Paterbonis, 3.8.1482 (GW 7101, IGI 3027), Inc. IV.76(2); Venezia, Bernardinus Benalius, 15.11.1484 (GW 7102, IGI 3032), Inc. IV.7(1); Venezia, Andreas Torresanus de Asula – Bartholomaeus de Blavis de Alexandria, [20.4.?] 1485 (GW 7103, IGI 3033), Inc. IV.244(1), Inc. IV.258(2), Inc. IV.920(3); Venezia, Baptista de Tortis, 6.11.1484 (GW 7111, IGI 3031), Inc. S.230(2); Venezia, Joannes – Gregorius de Gregoriis de Forlivio, 16.2.1489 (GW 7116, IGI 3035), Inc. S.119; Venezia, Bernardinus Stagninus de Tridino, 23.3.1491 (GW 7117, IGI 3037), Inc. S.101(2). 123 BONIFATIUS VIII., Liber Sextus. Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in X.o infra», Nr. 2, «Sextus»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Mainz, Johann Fust – Peter Schöffer, 17.12.1465 (GW 4848, IGI 1960, ISTC ib00876000). — Inkunabeln BAV: Roma, Ulrich Han, 4.4.1478 (GW 4862, IGI 1968), Inc. S.57 (http:// digi.vatlib.it/view/Inc.S.57); Venezia, Bernardinus Benalius, 27.1.1484/85 (GW 4875, IGI 1975), Inc. IV.7(2); Venezia, Andreas Torresanus de Asula – Bartholomaeus de Blavis de Alexandria, 23.3.1485 (GW 4876, IGI 1977), Inc. IV.244(2), Inc. IV.920(2); Venezia, Joannes – Gregorius de Gregoriis de Forlivio, 13.1.1489 (GW 4885, IGI 1980), Inc. S.118; Venezia, Bernardinus Stagninus de Tridino, 24.12.1490 (GW 4886, IGI 1982), Inc. S.101(1). 124 CLEMENS V., Constitutiones, alias: Clementinae. Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58r («secunda capsa septimi banchi eiusdem bibliothecae magnae secretae, omnes impressi»): «Clementinae ex papiro in pavonatio»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 7131, f. 32v, «in secunda capsa septimi banchi», «Clementine ex papiro in pavonatio». — Erstdruck: siehe Anm. 124. — Inkunabeln BAV: siehe Anm. 124. 125 GUILELMUS DURANTIS (GUILLAUME DURAND), Speculum Iudiciale. Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in X.o scamno supra», Nr. 11, «Prima pars speculi» (ibd., Nr. 8, «secunda pars Speculi»); nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Straßburg, Georg Husner – Johannes Beckenhaub, 22.12.1473 (GW 9148, IGI 3649), Roma, Ulrich Han – Simon Chardella, 1473 (GW 9149, IGI 3650, ISTC id00445500). — Inkunabeln BAV: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella de Lucca, [1473] (GW 9149, IGI 3650), Inc. S.19 (nur Teil I); Roma, Georg Lauer – Leonard Pflugel, 15.3.1474 (GW 9150, IGI 3651), Inc. S.20-21, Inc. S.171-172. 126 Vgl. Anm. 125. 127 Vgl. Anm. 125.

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[8] Prima pars Dominici de Sancto Giminiano super VI° ex papyro in rubeo128. [9] Secunda pars Dominici de Sancto Giminiano super VI° ex papyro in rubeo129. [10] Abbas super II° et III° decretalium ex papyro in pavonatio130. [11] Abbas super III° decretalium ex papyro in pavonatio rubeo131. [12] Abbas super tertio decretalium ex papyro in rubeo132. [13] Prima pars Antonii de Butrio super primo ex papyro in pavonazeo133. [14] Summa Hostiensis ex papyro in rubeo134. 128 DOMINICUS DE SANCTO GEMINIANO (DOMENICO DA SAN GIMIGNANO), Lectura super Sexto Decretalium. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 42v, «XII.o scamno supra», Nr. 4, «Prima pars lecture Dominici liber ruber»; Vat. lat. 3955, f. 45v («in eadem bibliotheca magna secreta in spallera, continuatio librorum latinorum in utroque iure»): «Prima pars lecturae Dominici super VI.o ex papyro in rubro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 363, Nr. 3143: «Prima pars Lecturae Dominici super VIm, ex papyro in rubeo (= Vat. lat. 2265)»; Vat. lat. 7133, f. 8r, «in spallera eiusdem bibliothecae magnae pontificiae», «Prima pars lecture Dominici super Sexto ex papyro in rubro». — Erstdruck: Pars I, Roma, Sixtus Riessinger, vor 1470 (GW 8643, IGI 3541, ISTC id00307800). — Inkunabeln BAV: Roma, Adam Rot, 30.9.1471, nur erster Teil: Inc. S.25(1). 129 DOMINICUS DE SANCTO GEMINIANO (DOMENICO DA SAN GIMIGNANO), Lectura super Sexto Decretalium. — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 43, Nr. 371: «Dominicus de S. Giminiano super II VI, ex papyro in rubro, in fine 8 pagine ‘electio’ (= Vat. lat. 2561)». — Erstdruck: Pars II, Roma, Adam Rot, 30.9.1471 (GW 8644, IGI 3544, ISTC id00308000). — Inkunabeln BAV: Vgl. supra, Anm. 128. 130 NICOLAUS DE TUDESCHIS (NICCOLÒ TEDESCHI, alias PANORMITANUS), Lectura super V libris Decretalium. — Erstdruck: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 1476-77 (GW M47854, IGI 9750, ISTC ip00044000) bzw. Lectura super primo et secundo Decretalium, Venezia, Vindelinus de Spira, 1471-73 (IGI 9748, 9771, 9789, 9806). — Inkunabeln BAV: Venezia, Joannes Antonius Birreta – Franciscus Girardengus, 1488 (IGI 9761, 9767, 9784, 9801, 9816, 9833, 9849), Inc. S.86 (Teil 3). 131 NICOLAUS DE TUDESCHIS (NICCOLÒ TEDESCHI, alias PANORMITANUS), Lectura super V libris Decretalium. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 130. 132 NICOLAUS DE TUDESCHIS (NICCOLÒ TEDESCHI, alias PANORMITANUS), Lectura super V libris Decretalium. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 130. 133 ANTONIUS DE BUTRIO (ANTONIO DA BUDRIO), Lectura oder Commentaria in quinque libros Decretalium, hier erster Teil. — Erstdruck: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella de Lucca, 18.11.1473 (GW 5819, IGI 726). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Reinhardi – Paulus Leenen, 26.8.1474 (GW 5824, IGI 730, ISTC ib01343500), Inc. S.15(1). 134 HENRICUS DE SEGUSIO alias HOSTIENSIS (ENRICO DA SUSA), Summa super titulis Decretalium / Summa aurea. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in X.o scamno supra», Nr. 4, «Summa Hostiensis»; nicht in Di SANTE – MANFREDI, Index cit.

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[15] Franciscus Zabarellus super Clementinis ex papyro in pavonazio135. [16] Secunda pars Antonii de Butrio super primo ex papyro in rubeo136. [17] Prima Summae pars Astensis ex papyro in rubro137. [18] Secunda pars Summe Astensis ex papyro in rubro138. [19] Decisiones Rotae nove et veteres ex papyro in tabulis139. [20] Tractatus visitationis,140 Allegationes Lapi141 et multae Extravagantes142 et — Erstdruck: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella de Lucca, 30.4.1473 (GW 12231, IGI 4664). 135 FRANCISCUS DE ZABARELLIS (FRANCESCO ZABARELLA), Lectura super Clementinis. — Erstdruck: Roma, Sixtus Riessinger, ca. 1468-70 (GW M51984, IGI 10419, ISTC iz00002000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes Herbort – Johannes de Colonia – Nicolas Jenson 28.1.1481 (IGI 10421), Inc. S.186. 136 ANTONIUS DE BUTRIO (ANTONIO DA BUDRIO), Lectura oder Commentaria in quinque libros Decretalium. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 133. 137 ASTESANUS DE ASTI, Summa de casibus conscientiae. — Erstdruck: Straßburg, Johann Mentelin, nicht nach 1469 (GW 2749, IGI 921, ISTC ia01160000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 18.3.1478 (GW 2754, IGI 925), Inc. II.446; Köln, Heinrich Quentell, 31.8.1479 (GW 2755a), Inc. S.111-112, Inc. I.111. 138 ASTESANUS DE ASTI, Summa de casibus conscientiae, siehe Anm. 137. 139 Decisiones Rotae Romanae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 14v: «Certè Decisiones cum quibusdam decisionibus ex papyro in tabulis»; ferner in der Liste «in nono bancho ad sinistram ingredientibus, IVS CIVILE», f. 16r: «Decisiones dominorum de Rota ex papyro in tabulis»; Vat. lat. 3955, f. 10v («octavo bancho sinistram ingredientibus»): «Certae Decisiones cum quibusdam decisionibus ex papyro in tabulis»; f. 11v («in nono bancho ad sinistram ingredientibus»): «Decisiones Dominorum de Rota ex papyro in tabulis»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3967, Index, f. 2r, Nr. 484, «Decisiones Rotae cum additionibus earum a Guilhelmo Norborg Alemano collectae in 9.o pluteo ad sinistram inferius» = «ex papiro in tabulis» = Vat. lat. 2667 mai (vgl. D. RANALDI, Inventarium Manuscriptorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae, Tomus Quartus [1597-, Sala Barberini, Rosso 304, S. 151, «ex papyro», ST. KUTTNER – R. ELZE, A Catalogue of Canon Law Manuscripts, 2 Bde., Città del Vaticano 1986/87, hier: Bd. 2, S. 261f. «saec. XV, Prov. Barbo.Familie»). — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, ca. 1470 (GW 8197, IGI 8452, ISTC id00103990). — Inkunabeln BAV: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella de Lucca, 20.11.1472 (GW 8200, IGI 8453), Inc. S.29(1), Inc. S.149; Roma, in domo Antonii et Raphaelis de Vulterris, April 1474 (GW 8209, IGI 8454), Inc. S.29(2). 140 JOHANNES FRANCISCUS DE PAVINIS (GIOVANNI FRANCESCO PAVINI), Tractatus visitationum. — Erstdruck (keine Nachdrucke): Roma, Georg Lauer 1475 (GW M30448, IGI 7389, ISTC ip002460000), mit BONIFATIUS VIII., Tres extravagantes, mit Kommentar von JOHANNES MONA, sowie JOHANNES XXII., Sex extravagantes, mit Kommentar von GUILLELMUS DE LANDUNO. 141 LAPUS (LAPO DA CASTIGLIONCHIO), Allegationes. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3967, Index, f. 48, Nr. 456, «Lapi de Castillione Allegationes in nono plut. ad sinistram superior». — Erstdruck: Roma, Sixtus Riessinger, 1470 (GW M17086, IGI 5685, ISTC ic00244500). 142 Wahrscheinlich die im Anhang des Lauer-Drucks des Tractatus visitationum von Jo-

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duo quinterni de puero martyre143 ex papyro in rubro. [21] Summa pisana manu scripta ex papyro in rubro144. [22] Codex ex membr[anis] in viridi gilbo145. [23] Instituta ex papyro in rubro146. hannes Franciscus de Pavinis befindlichen Tres extravagantes BONIFATIUS VIII. mit Kommentar von JOHANNES MONA, sowie, Sex extravantes JOHANNES XXII. mit Kommentar von GUILLELMUS DE LANDUNO. Vgl. Anm. 140. 143 Wahrscheinlich ein Druck zur Geschichte des Simon von Trient († 26.3.1475). — Erstdruck: JOHANNES MATHIAS TUBERINUS, Relatio de Simone puero Tridentino, Mantova, Johannes Schallus, nach 4.4.1475 (GW M47698, IGI 9646, ISTC it00482500); Treviso, Gerardus de Lisa de Flandria, nach 4.4.1475 (GW M47702, IGI 9650, ISTC it00482600); Augsburg, St. Ulrich und Afra, nach 4.4.1475 (GW M47696, ISTC it00483000); Sant’Orso, Johannes de Reno, nach 4.4.1475 (IGI 9649, ISTC it0048400). Siehe auch JOHANNUS CALPHURNIUS, Mors et apotheosis Simonis infantis novi martyris, mit RAPHAEL LOVENZONIO, In Simonem martyrem carmina duo, Trento 1482, ca. 1481 (GW 5919, ISTC ic0006200). 144 BARTHOLOMAEUS DE SANCTO CONCORDIO (BARTOLOMEO DA SAN CONCORDIO), Summa de casibus conscientiae, genannt auch Summa Pisanella. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 59v, «decimo bancho bibl. pontificae, in iure», «Pisanella ex papyro in rubeo»; Vat. lat. 7135, f. 42r, «in X.o infra», Nr. 13, «Pisanella»; Vat. lat. 7131, f. 6r, «in decimo bancho infra», «Pisanella ex papyro in rubro»; Vat. lat. 3955, «X.mo bancho», f. 43v: «Pisanella ex papyro in rubro»; Vat. lat. 3951, ed. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 130, Nr. 1150 («in primo et superiori ordine secundi armarii Bibliothece parve secrete»), «Pisanella ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘adheriri’ (= Vat. lat. 2319, f. 1r)»; S. 353, Nr. 3049 («in X.o bancho sursum»), «Pisanella, ex papiro in rubeo. ‘et’» (= Vat. lat. 2323, f. 1r Barbo-Wappen); Vat. lat. 3969, Nr. 2681 («ex papiro in rubeo») = Vat. lat. 2323, vgl. KUTTNER – ELZE, A Catalogue of Canon Law Manuscripts, Bd. 2, S. 26f., Rosso 308, S. 404, Vat. lat. 7005. — Erstdruck: Milano?, Drucker des Bartholomaeus de S. Concordio, ca. 1473 (nach GW: 21.10.1473) (GW 3450, IGI 1267, ISTC ib00170000); Paris, Ulrich Gering – Martin Crantz – Michael Fribuerger, nicht nach 1473 (GW 3452, ISTC ib00170500). 145 Codex Iustiniani. — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., Nr. 1787, S. 212: «Codex ex membranis in viridi, finiens in prima carta ‘certas’» = Vat. lat. 1428; ibd., Nr. 3071, S. 355: «Codex, ex membranis in gilbo» = Vat. lat. 1430; Vat. lat. 3968, Nr. 2043 («ex me. in virido») = Vat. lat. 1428 (gemäß Inventarium librorum, III, Rosso 303, wäre es hingegen «ex perg.». So auch KUTTNER – ELZE, A Catalogue of Canon Law manuscripts, Bd. 1, S. 228ff., saec. XIII). — Erstdruck: Mainz, Peter Schöffer, 26.1.1475 (GW 7722, IGI 5429, ISTC ij00574000). — Inkunabeln BAV: Mainz, Peter Schöffer, 26.1.1475 (GW 772, IGI 5429, ISTC ij00574000), Membr. S.12 (Pergament); Nürnberg, Johann Sensenschmidt – Andreas Frisner, 24.6.1475 (GW 7723, IGI 5430), Ott. lat. 1195 (Fragment, Pergament); Venezia, Andreas Torresanus de Asula, 4.8.1482 (GW 7727, IGI 5434), Inc. S.76. 146 Institutiones Iustiniani. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 42v, «XI.o scamno infra», Nr. 7, «Instituta»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 132, Nr. 1159: «Instituta, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘titulorum’» (mit Anm. 37: «Questa e le voci ai nrr. 1160, 1217, 1218, 1219, 1229 si riferiscono tutte a una serie completa di testi di diritto civile su supporto cart. e con legatura ricoperta di cuoio rosso: la serie identica è descritta in R 1250-1255, con la precisazione che si tratta di stampati, finora non identificati in Vaticana e probabilmente perduti dopo il 1550»); Vat. lat. 3968, Nr. 1250, f. 20r («Institutiones impressus ex papiro in rubeo, in camera impressorum»). — Erstdruck: Mainz, Peter Schöffer, 24.5.1468 (GW 7580, IGI 5486, ISTC ij00506000).

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[24] Pisanella ex papyro manu scripta147 et Lumen confessionum(!) magistri Andree hispani148 ex papyro in rubeo. [25] Prima pars Antonini ex papyro in rubeo149. [26] Quarta pars Antonini ex papyro in rubeo150. [27]ii Martiniana super Decreto151, Fasciculus temporum152 et Abbreviatio historie ii

Von hier bis Ende des Folios (Nr. 27-30) am Rande.

— Inkunabeln BAV: Roma, Georg Lauer – Leonard Pflugel, 26.1.1473 (GW 7583, IGI 5489), Inc. S.48; Venezia, Jacobus Rubeus, 4.7.1476 (GW 7592, IGI 5497), Inc. S.182; Roma, Bartholomaeus Guldinbeck, 6.10.1478 (GW 7598, IGI 5500), Inc. S.59; Roma, Stephan Plannck, 23.10.1483 (GW 7609, IGI 5507), Inc. IV.107; Venezia, Andreas de Bonetis, 17.10.1486 (GW 7613, IGI 5509), Inc. S.183. 147 BARTHOLOMAEUS DE SANCTO CONCORDIO (BARTOLOMEO DA SAN CONCORDIO), Summa casuum conscientiae, alias Pisanella. Vgl. Anm. 144. 148 ANDREAS HISPANUS (ANDRÈS DE ESCOBAR), Lumen confessorum. — Erstdruck: nicht in den Druck gelangt. 149 ANTONINUS FLORENTINUS (ANTONINO PIEROZZI DA FIRENZE), Summa Theologica. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58r, «secunda capsa septimi banchi eiusdem bibliothecae magnae secretae, omnes impressi», «Summae Antonini pars prima ex papiro in rubro»; Vat. lat. 3968, Nr. 1558, «Antoninii Archiepiscopi Florentini prima pars summae impressa ex papiro in rubro», Nr. 1560, «Antoninii Archiepiscopi Florentini 2.a pars summe impressa ex papiro in rubeo»; vgl. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 127, Nr. 1128, «Pars Summe d. episcopi de statis, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘Cain’» (= Vat. lat. 2330), S. 172, Nr. 1434, «Quedam summa Antonini, ex papyro in rubro, impressa, in fine I pagine ‘actu’» (= Inc. S.38; Anm. 320: «Questa voce e i nrr. 1437 e 1438 rimandano a tre delle quattro parti della Summa di Antonino Pierozzi nell’edizione di Norimberga del 1478/79; assieme al quarto tomo, che sembra assente in S3, e che ora ha la segnatura Inc. S.36, la serie compare per la prima volta in Vaticana tra i libri Ferry de Glugny, nella lista di scarico in S2 f. 98v, linn. 7-9, Ruysschaert p. 244»); S. 173, Nr. 1437, «Summa fratris Antonini de Florentia, ex papyro in rubro, impressa, in fine I pagine ‘pedibus’» (= Inc. S.35), ibd., Nr. 1438, «Tertia pars fratris Antonini in rubro, ex papyro, impressus, in fine I pagine ‘scelus’» (Inc.S.37). — Erstdruck: (Teil) Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt, 1474 (Pars II) (GW 2195, IGI 699, ISTC ia00867000); (Gesamt) Venezia, Nicolas Jenson, 1477-80 (GW 2185, ISTC ia00872000), Nürnberg, Anton Koberger, 1477-79 (GW 2186, ISTC ia0081000). — Inkunabeln BAV: Nürnberg, Anton Koberger, 1477-70 (GW 2186, ISTC ia0081000), Inc. S.35-38; Venezia, Leonardus Wild – Reynaldus de Novimagio, 1480-81 (GW 2187, IGI 691), Inc. II.30. 150 ANTONINUS FLORENTINUS (ANTONINO PIEROZZI DA FIRENZE), Summa Theologica, vgl. supra, Anm. 149. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58r, «secunda capsa septimi banchi eiusdem bibliothecae magnae secretae, omnes impressi», «Quarta pars Summae Antonini ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7131, f. 32v, «in secunda capsa septimi banchi», «Quarta pars summe Antonini ex papiro in rubro»; Vat. lat. 3968, Nr. 1967, «Antonii archiepiscopi Florentini quarta pars summe maioris in qua agitur de virtutibus et genere ac donis spiritu sancti impressa ex papiro in rubeo». — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 149. 151 MARTINUS OPPAVIENSIS / MARTINUS POLONUS (MARTIN VON TROPPAU O. P.), Margarita decreti seu Tabula Martiniana. — Erstdruck: Köln, Johann Koelhoff der Ältere, 2.6.1481 (GW M21406, ISTC im00318800). — Inkunabeln BAV: Bologna, Johannes de Nördlingen – Henricus de Harlem, nicht nach 28.2.1482 (IGI 6238), Inc. III.227; Venezia, Peregrinus de Pasqualibus Bononiensis, c.a 1485 (IGI 6239), Inc. II.819(2). 152 WERNER ROLEVINCK, Fasciculus temporum.

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Blondi a Pio papa II°153 ex papyro in rubro. [28] Manipulus curatorum ex papyro in rubro154. [29] Augustinus de Ancona de potestate pape ex papyro in albo155. [30] Formularium instrumentorum ex papyro in tabulis albis156. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3968, Nr. 1113 («ex membranis in pergameno»). — Erstdruck: Köln, Arnold Ther Hoernen, 1474 (GW M38693, ISTC ir00254000); Köln, Nicolaus Götz, nicht vor 1474 (GW M38682, ISTC ir00253000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Georgius Walch, 1479 (GW M38741, ISTC ir00260000), Inc. III.504; Venezia, Erhard Ratdolt, 24.11.1480 (GW M38729, ISTC ir00261000), Inc. II.472, Inc. II.811. 153 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), Abbreviatio super Decades Blondi. — Erstdruck: Roma, [Oliverius Servius], 1481 (GW M33465, IGI 7752, ISTC ip00654000). — Inkunabeln BAV: Einziges Exemplar der Vaticana: Inc. III.129(1) (unter Flavio Biondo in die Vaticana gekommen). 154 GUIDO DE MONTE ROCHEN (GUY DE MONTROCHER), Manipulus curatorum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 54r, «in prima capsa», Nr. 9, «Manipulus curatorum»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Paris, Ulrich Gering – Martin Crantz – Michael Friburger, 21.5.1473 (GW 11730, ISTC ig00566000). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Bulle, 18.11.1478 (GW 11790, IGI 4571, ISTC ig00577500), Inc. IV.43 (Lektüremarginalien); Barcelona, Nicolaus Spindeler, 31.8.1479 (GW 11791, ISTC ig00578300), Inc. III.266; Roma, Eucharius Silber, 5.11.1481 (GW 11809, IGI 4576, ISTC ig00583000), Inc. IV.646(1); Venezia, Andreas de Bonetis, 15.3.1483 (GW 11797, IGI 4577, ISTC ig00585000), Inc. IV.621; Roma, Stephan Plannck, 28.9.1490 (GW 11812, IGI 4585, ISTC ig00597000), Inc. IV.478(3). 155 AUGUSTINUS TRIUMPHUS (AGOSTINO DA ANCONA), Summa de potestate ecclesiastica. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 216v, «in octava capsa muro adhaerenti, quae post vii.am ad ingressum sexti scamni prima offertur», Nr. 571, «Augustini de Ancona ordinis eremitarum sancti Augustini ad Joannem XXII pontificem summa de ecclesiastica potestate in C xii questiones divisa, quarum quaelibet in plura quesita distinguitur et habet tabulam in fine exactissimam»; f. 232r, idem, Nr. 590, «Augustini de Ancona ordinis eremitarum sancti Augustini summa de ecclesiastica potestate continens centum et xii quaestiones, quarum tabula cum rubricis in finem per ordinem ponitur»; ibd., Nr. 594, «Augustini de Ancona […] summa de ecclesiastica potestate». Nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Augsburg, Johann Schüssler, 6.4.1473 (GW 3050, IGI 1062, ISTC ia01363000). — Inkunabeln BAV: Augsburg, Johann Schüssler, 6.3.1473 (GW 3050, IGI 1062, ISTC ia01363000), Inc. II.664; Roma, In Domo Francisci de Cinquinis, 20.12.1479 (GW 3052, IGI 1063, ISTC ia01365000), Inc. IV.351; Venezia, Johannes Leoviler, 19.9.1487 (GW 3054, IGI 1065, ISTC ia01367000), Inc. IV.64. 156 Formularium instrumentorum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: eventuell DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 256, Nr. 2176, «Formularium litterarum cancellarie, ex papyro in albo, finiens in prima carta ‘procuratorum’» (= Vat. lat. 2663) (vgl. Rosso 304, S. 149, Vat. lat. 2663, «Formularium officii Poenitentiariae, ex papyro»; vgl. KUTTNER – ELZE, A Catalogue of Canon Law Manuscripts cit., Bd. 2, S. 252-255, saec. XIV/XV; Rosso 305, S. 46, Vat. lat. 3940). — Erstdruck: Roma, Johannes Schurener de Bopardia – Johannes Nicolai Hanheymer de Oppenheym, 25.11.1474 (GW 10197, IGI 4024, ISTC if00253000). — Inkunabeln BAV: Roma, Drucker des Formularium instrumentorum, ca. 1480 (GW

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[31]iii Biblia ex papyro in rubro157. [32] Prima pars Bibliae ex papyro in rubro158. [33] Secunda pars Biblie ex papyro in rubro159. [34] Nicolaus super Biblia in IIII.or voluminibus ex papyro in rubroiv 160. [35] Tertia pars Biblie cum glossa Nicolai de Lyra ex papyro in rubro161. [36] Quarta pars Biblie cum glossa Nicolai de Lyra ex papyro in rubro162. [37] Prima pars Cathenae auree Sancti Thome super Mattheum ex papyro in rubro163. iii

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iv

Links am Rand Nachtrag von derselben Hand: «4.or».

5126, ISTC ib01119500), Inc. IV.578; Roma, Eucharius Silber, 11.6.1482 (GW 10203, IGI 4027, ISTC if00256400), Inc. IV.531. 157 Bibel. — Erstdruck: Mainz, Johannes Gutenberg – Johannes Fust 1455 (GW 4201, ISTC ib00526000). — Inkunabeln BAV: siehe SHEEHAN, Incunabula cit., Bd. 1, S. 222-240 (Biblia latina), 240242 (Deutsch), 242-246 (Italienisch). 158 Bibel. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58r, «secunda capsa septimi banchi eiusdem bibliothecae magnae secretae, omnes impressi», «Bibliae pars prima ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7131, f. 32v, «in secunda capsa septimi banchi», «Biblie pars prima ex papiro in rubro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 172, Nr. 1430, «Prima pars Bibliae, ex papyro in rubro, impressa, in fine I pagine ‘exarari’» (= Inc. S.10) (Anm. 318: «Questo e il secondo tomo cart. (qui al nr. 1435) dell’edizione della Bibbia latina del Bussi del 1471, non identificati in R da Fohlen – Petitmengin, p. 113, compaiono con certezza in Vaticana per la prima volta in L1 f. 58r, linn. 15-16, con la uguale descrizione e collocazione»); Vat. lat. 3967, Index, l. 18v, Nr. 2, «Bibliae pars prima a genesi ad psalmos in primo pluteo ad sinistram superior», Nr. 3, «Bibliae pars 2.a a spal. ad apocalipsim in primo pluteo ad sinistram superior»; Vat. lat. 3969, Nr. 2776 («ex papiro in rubeo») = Vat. lat. 102. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 157. 159 Bibel. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 157. 160 NICOLAUS DE LYRA (NICOLAS DE LYRE), Postilla super totam Bibliam. — Erstdruck: Roma, Arnold Pannartz – Konrad Schweynheym, 1471-72 (GW M26523, IGI 6818, ISTC in00131000). 161 Bibel mit der Glosse von NICOLAUS DE LYRA. — Erstdruck: Venezia, Johannes Herbort de Seligenstadt, 31.7.1481 (GW 4286, IGI 1683, ISTC ib00611000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes Herbort de Seligenstadt, 31.7.1481 (GW 4286, IGI 1683, ISTC ib00611000), Inc. II.254-257; Venezia, Franz Renner, 1482-83 (GW 4287, IGI 1685, ISTC ib00612000), Inc. II.69-70, Inc. II.569; Nürnberg, Anton Koberger, 3.12.1487 (GW 4289, IGI 1686, ISTC ib00614000), Inc. II.753. 162 Bibel mit der Glosse von NICOLAUS DE LYRA. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: Siehe Anm. 161. 163 THOMAS DE AQUINO, Catena aurea. — Erstdruck: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1470 (GW M46094, IGI 9513, ISTC it00225000). — Inkunabeln BAV: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1470 (GW M46094, IGI 9513, ISTC it00225000), Inc. S.7.

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[38] Secunda pars Chatenae auree super Luca sancti Thome ex papyro in rubro164. [39] Prima pars Summe sancti Thome ex papyro in rubro165. [40] Prima pars Secunde sancti Thome ex papyro in rubro166. [41] Secunda Secundae sancti Thomae ex papyro in rubro167. [42] Secunda Secundae sancti Thomae ex papyro in rubro168. [43] Summa contra Gentiles sancti Thomae ex papyro in rubro169. [44] Questiones sancti Thomae de potentia et alie ex papyro in rubro170. [45] Quotlibeta sancti Thomae ex papyro in rubro171. 164

THOMAS DE AQUINO, Catena aurea. — Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 163. 165 THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae. — Erstdruck: Köln, Ulrich Zel, ca. 1469 (GW M46453, ISTC it00196600). — Inkunabeln BAV: Pars prima, Padova, Albertus de Stendal, 5.10.1473 (GW M46454, IGI 9572, ISTC it00197000), Inc. II.444. 166 THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 29v, «in quarto bancho», Nr. 176, «Prima secundae B. Thome ex papyro in rubro»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Mainz, Peter Schöffer, 8.11.1471 (GW M46467, IGI 9580, ISTC it00203000). 167 THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 35r, «in iiii. bancho, Secunda Secundae B. Thomae ex papyro in rubeo»; Vat. lat. 7135, f. 134v, «in quinto scamno infra», Nr. 23, «Thomae Aquinatis secunda secunda […]»; Vat. lat. 3955, f. 29v, «in quarto bancho», «Secunda pars B. Thomae ex papyro in rubro»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Straßburg, Johann Mentelin, nicht nach 1463 (GW M46490, IGI 9587, ISTC it00208000). — Inkunabeln BAV: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella, 1.10.1474 (GW M46488, IGI 9591, ISTC it00211500), Inc. S.235; Mantova, Paulus de Butzbach, ca. 1475 / nicht nach 1474 (GW M46486, IGI 9590, ISTC it00213000), Inc. II.154(2). 168 THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae. — Erwähnung in Katalogen der BAV; Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 167. 169 THOMAS DE AQUINO, Summa contra Gentiles. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 8v, «IIII scanno supra», Nr. 24, «B. Thomas contra Gentiles», f. 134v, «in quinto scamno infra», Nr. 24, «Thomae Aquinatis […] sive contra Gentiles liber tertius et quartus»; Vat. lat. 3955, f. 29v, «in quarto bancho», «Secunda pars B. Thomae contra Gentiles et quedam alia ex papyro in rubro»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Straßburg, Drucker des Henricus Ariminensis (Georg Reyser?), nicht nach 1474 (GW M46563, IGI 9568, ISTC it00190000). — Inkunabeln BAV: Roma, Arnold Pannartz, 20.9.1475 (GW M46560, IGI 9569, ISTC it00191000), Inc. II.187 (PP), Inc. II.632. 170 THOMAS DE AQUINO, Quaestiones disputatae de potentia Dei. — Erstdruck: Köln, Johann Koelhoff d. Ä., ca. 1476 (GW M46305, IGI 9557, ISTC it00175000), danach mit De malo, de spiritualibus creaturis, de unione verbi, de virtutibus, beginnend mit: Venezia, Christophorus Arnoldus, nicht nach 1478 (GW M46317, IGI 9558, ISTC it00176000). 171 THOMAS DE AQUINO, Quaestiones de duodecim quodlibet. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 54v, «in prima capsa», Nr. 33, «Quotlibeta et quaestiones excerptae ex libris Beati Thomae»; Vat. lat. 7136, f. 11r, «in capsis pontificiae bibliothecae secretioris, quae media est latina, in capsa prima introeuntibus pro-

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[46] Summa contra Gentiles sancti Thomae ex papyro in nigro172. [47]v Liber IIus et IIIus Scoti ex papyro in rubeo173. [48] Liber IIIIus Scoti ex papyro in rubro174. [49] Liber IIus Bonaventurae ex papyro in rubeo175. [50] Liber IIus Bonaventurè ex papyro in rubeo176. [51] Liber IIIIus Richardi ex papyro in rubeo177. [52] Petrus ad boues super primo sentenciarum manu scriptus178 cum III° Scoti impressi(!)179 ex papyro in rubeo. v

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pe armaria», Nr. 33, «Quodlibeta quaedam bona et utilia extracta ex dictis s. Thomae quamplurimas quaestiones theologicas continentia […]»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Georg Lauer, ca. 1470 (GW M46335, IGI 9563, ISTC it00182000). 172 THOMAS DE AQUINO, Summa contra Gentiles. — Erwähnung in Katalogen der BAV; Erstdruck; Inkunabeln BAV: siehe Anm. 169. 173 JOHANNES DUNS SCOTUS, Quaestiones in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi. — Erstdruck: [1] Quaestiones in primum librum Sententiarum Petri Lombardi, Venezia, Wendelin von Speyer, 5.11.1472 (GW 9079, IGI 3603, ISTC id00374000); [2] Quaestiones in secundum librum Sententiarum Petri Lombardi, Padova, Albertus de Stendal, 1474 (GW 9081, IGI 3605, ISTC id0038500); [3] Quaestiones in tertium librum Sententiarum Petri Lombardi, Padova, Johannes de Reno, 1473 (GW 9082, IGI 3606, ISTC id00386000); [4] Quaestiones in quartum librum Sententiarum Petri Lombardi, Straßburg, C.W., vor 6.7.1474 (GW 9084, ISTC id00377000); [als Gesamtausgabe in 4 Bänden] Quaestiones in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi, Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 1476?-1478 (GW 9073, IGI 3598, ISTC id0037900). — Inkunabeln BAV: Venezia, Bernardinus Rizus, 1490 (GW 9076, IGI 3601, ISTC id00382000), Inc. III.66(1) (Teil 5), Inc. III.66(2) (Teil 1), Inc. III.66(3) (Teil 2), Inc. III.67(1) (Teil 3), Inc. III.67(2) (Teil 4). 174 JOHANNES DUNS SCOTUS, Quaestiones in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi. — Erstdruck: Quaestiones in quartum librum Sententiarum Petri Lombardi, Straßburg, C.W., vor 6.7.1474 (GW 9084, ISTC id00377000); vgl. Anm. 173. — Inkunabeln BAV: vgl. Anm. 173. 175 BONAVENTURA (GIOVANNI DI FIDANZA), Commentarius in secundum librum Sententiarum Petri Lombardi. — Erstdruck: Treviso, Hermannus Liechtenstein, 1477 (GW 4658, IGI 1884, ISTC ib00872000); Venezia, Reynaldus de Novimagio – Theodorus de Reynsburch, 1477 (GW 4659, IGI 1885, ISTC ib00873000). 176 BONAVENTURA (GIOVANNI DI FIDANZA), Commentarius in secundum librum Sententiarum Petri Lombardi. — Erwähnung in Katalogen der BAV; Erstdruck; Inkunabeln BAV: vgl. supra, Anm. 175. 177 RICARDUS DE MEDIAVILLA (RICHARD OF MIDDLETOWN), Commentum super quarto libro Sententiarum Petri Lombardi. — Erstdruck: Venezia, Christophorus Arnoldus, ca. 1474 (GW M22505, IGI 8363, ISTC im00422800). 178 PETRUS AD BOVES (PIERRE-AUX-BOEFS), In sententias. — Erstdruck: nicht in den Druck gelangt. 179 JOHANNES DUNS SCOTUS, Quaestiones in quattuor libros Sententiarum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: vgl. Anm. 173. — Erstdruck: Quaestiones in tertium librum Sententiarum Petri Lombardi, Padova, Johannes de Reno, 1473 (GW 9082, IGI 3606, ISTC id00386000). — Inkunabeln BAV: vgl. Anm. 173.

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[53] Quotlibeta Edidii(!) de Roma180 et Theoremata de corpore Christi181 ex papyro in rubeo. [54] Tertia pars Alexandri de Ales ex papyro in rubeo182. [55] Compendium theologie ex papyro in rubeo183. [56] Robertus de Licco De timore iudiciorum Dei ex papyro in tabulis184. [57]vi Primum volumen epistularum sancti Hieronymi ex papyro in rubro185. [58] Secundum volumen epistularum sancti Hieronymi ex papyro in rubeo186. [59] Epistule sancti Hieronymi ex papyro in rubeo187. vi

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AEGIDIUS ROMANUS, Quotlibeta. — Erstdruck: Bologna, Dominicus de Lapis, 22.5.1481 (GW 7216, IGI 3092, ISTC ia00085000) (einziger nachgewiesener Druck). 181 AEGIDIUS ROMANUS, Theoremata de corpore Christi. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 305, Vat. lat. 4268, «ex papyro». — Erstdruck: De corpore Christi theoremata, sive Theoremata de hostia consecrata, Bologna, Balthasar de Ruberia, 15.9.1481 (GW 7208, IGI 3097, ISTC ia00077000). 182 ALEXANDER HALENSIS (ALEXANDER OF HALES), wahrscheinlich: Summa universae theologiae (Pars III). — Erstdruck: [Teilausgabe] Summa universae theologiae (i. e. Super tertium librum Sententiarum Petri Lombardi), Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 1475 (GW 870, IGI 289, ISTC ia00385000), [Gesamtausgabe] Summa universae thologiae (i. e. Super IV libros Sententiarum Petri Lombardi), Nürnberg, Anton Koberger, 1481-82 (GW 871, IGI 287, ISTC ia00383000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 1475 (GW 870, IGI 289, ISTC ia00385000), Inc. II.24, Inc. II.507. 183 HUGO DE ARGENTINA (HUGO RIPELIN VON STRASSBURG), Compendium theologicae veritatis. — Erstdruck: Nürnberg, Johann Sensenschmidt, nicht nach 1469 (GW 596, ISTC ia00229000). 184 ROBERTUS DE LICIO (ROBERTO CARACCIOLO DI LECCE), Sermones de timore divinorum iudiciorum. — Erstdruck: Napoli, Arnaldus de Bruxella, 21.7.1473 (GW 6109, IGI 2504, ISTC ic00183000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 1475 (GW 6110, IGI 2505, ISTC ic00184000), Inc. IV.56 (Lektüremarginalien). 185 SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS, Epistolae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: vgl. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 111, Nr. 1011 mit Anm. 61. — Erstdruck: nicht eindeutig. Roma, Sixtus Riessinger – Ulrich Han, nicht nach 1467 ? (GW 12420, IGI, ISTC 00160800, vgl. SHEEHAN, Incunabula cit., Bd. 2, S. 610f.). Hier möglicherweise die Ausgabe: Epistulae. Pars I, Roma, Arnold Pannartz, 28.3.1476 (GW 12427, IGI 4738(I), ISTC ih00167000)? 186 SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS, Epistolae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: vgl. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 111, Nr. 1013 mit Anm. 62. — Erstdruck: vgl. supra, Anm. 185. — Inkunabeln BAV: Eine zweibändige Ausgabe mit dem vorigen Exemplar (siehe Anm. 185)? 187 SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS, Epistolae.

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[60] Epistule sancti Hieronymi manu scripte ex m[embranis] in rubeo188. [61] Beatus Hieronymus contra Pelagianos189 et Johannes Climaci gradus per Ambrosium monachum traducti190 ex papyro in rubro. [62] Augustinus de civitate Dei ex papyro in rubro191. — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 255, Nr. 2162: «Epistole beati Hieronimi, ex papyro in rubro, finiens in prima carta ‘et’» («in membranis») = Vat. lat. 349). — Erstdruck; Inkunabeln BAV: vgl. supra, Anm. 185. 188 SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS, Epistolae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 42v, «primo bancho bibliothecae secretae, Epistolae B. Hieronymi ex membranis in rubeo»; Vat. lat. 3951, ed. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 8, Nr. 29, «Epistola b. Hyeronimi in Psalterio et LXX.ta interpretibus, ex membranis in rubro, in fine 1 pagine ‘erunt’» (= Vat. lat. 84, f. 1r); S. 12, Nr. 66, «Hyeronimus in epistolis ad Ephesinis, ex membranis in rubro, in fine II pagine ‘pa’» (= Vat. lat. 337, f. 2r); S. 12, Nr. 70: «B. Hieronymi diversae epistolae, ex membranis in rubro» = Vat. lat. 365; Nr. 73: «Epistolae b. Hyeronimi, ex membranis in rubro?» = Vat. lat. 361, S. 13, Nr. 77: «Epistolae Hyeronimi II, ex membranis in rubro»; S. 273, Nr. 2328: «Epistole Hieronymi, ex membranis in rubeo» = Vat. lat. 358; S. 277, Nr. 2376: «Epistolae Hieronymi, ex membranis in rubeo» = Vat. lat. 353; S. 332, Nr. 2865: «Hieronymi epistole, ex membranis in rubeo» = Vat. lat. 342; S. 336, Nr. 2896: «Hieronymi epistole, ex membranis in rubeo» = Vat. lat. 357; S. 360, Nr. 3106: «Hieronymi epistolae madefactae, ex membranis in rubeo»; Vat. lat. 3967, Index, f. 36v, Nr. 40 = «ex membr. in rubeo», «[…] Hieronymi epistulae diverse», f. 37r, Nr. 48= «ex membranis in rubeo», «Hieronymi epistulae ad diversas»; f. 37v, Nr. 16, «Hieronymi epistolae ad diversos» = «ex membranis in rubeo»; Vat. lat. 3969, Nr. 2335 («ex membranis in rubeo») = Vat. lat. 357 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 268ff., «Saec. XV, in ornamento folio 1 appicto Sixti IV stemma conspicitur»), 2339 («ex membranis in rubro») = Vat. lat. 353 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 264ff., «Saec. XV»), 2370 («ex membranis in rubeo») = Vat. lat. 342 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 245ff., «Saec. XV»), 2367 («ex membranis in rubeo») = Vat. lat. 358 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 270ff., 24. August 1452, geschrieben von Petrus de Middelburch); Rosso 313, S. 249, Vat. lat. 9256, «membr. in fol., saec. XV, S. Hieronymi, Epistolae». — Erstdruck: nicht relevant. 189 SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS, Contra Pelagianos. — Erstdruck: nicht als Frühdruck herausgegeben. 190 JOHANNES CLIMACUS (KLIMAKOS), Scala Paradisi, trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI (vgl. CH. STINGER, Humanism and the Church Fathers, Albany 1977, S. 126). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 9r, «IIII.o scanno infra», Nr. 8, «B. Joannes Climax»; f. 10r, «III scanno supra», Nr. 27 «B. Joannes Climax», f. 10v, «III scanno infra», Nr. 10, «B. Joannes Climax», f. 11r, «II.o scanno supra», Nr. 25, «B. Joannes Climax», f. 144r, «in iii.o scamno supra», «[…] Joannis Climax xxx cap. velut xxx gradibus constans», f. 147r, «in iii.o scamno supra», Nr. 27, «Joannis Climax xxx cap. velut gradibus constans», f. 152r, «In iii.o scamno infra»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: nur französische und italienische Übersetzungen, nicht die lateinische durch Ambrogio Traversari. 191 AUGUSTINUS, De civitate Dei. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 33r, «in secunda capsa septimi banchi», «Augustinus de civitate Dei ex papiro in rubro»; Vat. lat. 3955, f. 58r, «secunda capsa primi banchi bibliothecae magnae secretae, omnes impressi», «Augustinus de Civitate Dei ex papiro in rubro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 168, Nr. 1414, «Augustinus De civitate Dei, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘restat’» (= Vat. lat. 430); Vat. lat. 3969, Nr. 2388, «impresso ex papiro in rubeo» = Vat. lat. 433 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 331f., «saec. XV»).

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[63] Confessiones beati Augustini ex papyro in albo192. [64] Moralia beati Gregorii ex papyro in rubro193. [65] Omeliae beati Johannis Chrysostomi super Johannem Evangelistam ex papyro manu scripte ex papyro in rubro194. [66] Beatus Johannes Chrysostomus ad Stargirium monachum195, Epistule Pii — Erstdruck: Subiaco, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 12.6.1467 (GW 2874, IGI 966, ISTC ia01230000). — Inkunabeln BAV: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1468 (GW 2875, IGI 967, ISTC ia01231000), Inc. S.1; Venezia, Nicolas Jenson, 2.10.1475 (GW 2879, IGI 972, ISTC ia01235000), Inc. III.126; Venezia, Gabriele di Pietro, 1475 (GW 2880, IGI 971, ISTC ia01236000), Inc. III.183, Inc. III.517; Venezia, Bonetus Locatellus, 18.2.1489/90 (GW 2889, IGI 979, ISTC ia01245000), Inc. III.344. 192 AUGUSTINUS, Confessiones. — Erstdruck: Straßburg, Johann Mentelin, nicht nach 1470 (GW 2893, IGI 983, ISTC ia01250000). — Inkunabeln BAV: Milano, Johannes Bonus, 21.7.1475 (GW 2894, IGI 984, ISTC ia01251000), Inc. IV.41. 193 GREGORIUS I., Moralia, sive Expositio in Job. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58r, «secunda capsa septimi banchi eiusdem bibliothecae magnae secretae, omnes impressi», «Moralia Beati Gregorii papae ex papiro in rubro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 171, Nr. 1424, «Moralia b. Gregorii, ex papyro in rubro, impresse, in fine pagine ‘LVI’» (= Inc. S.141; Anm. 311: «Compare per la prima volta tra I libri di Giulio II, tramite il quale passò in Vaticana. Vat. lat. 3966, f. 113, lin. 3: Gregorii Moralia ex papyro impressa»); S. 268, Nr. 2282, «Moralia Gregorii, ex papyro in rubeo, finiens in prima carta ‘visibile’» = Vat. lat. 574); Vat. lat. 3969, Nr. 2942 («ex papiro in rubeo» = «impresse»). — Erstdruck: Nürnberg, Johann Sensenschmidt, 11.9.1471 (GW 11429, IGI 4440, ISTC ig00427000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Reynaldus de Novimago, 14.6.1480 (GW 11437, IGI 4442, ISTC ig00430000), Inc. II.271. 194 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Homeliae super Johannem (wahrscheinlich trad. lat. FRANCISCUS [GRIFFOLINI] ARETINUS). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 10r, «III scanno supra», Nr. 23, «B. Jo. Chrysostomi super Joannem pars secunda», Nr. 29, «B. Joannes Chrysostomus super Joanne Evangelista», f. 10v, «II.o scanno supra», Nr. 2, «B. Joannis Chrysostomi pars 2.a super Joannem», f. 140v, «in iii.o scamno supra», Nr. 3, «Joannis Chrysostomi expositiones in Evangelium secundum Joannem quae constat sermonibus sive homiliis LXXXVIII pars secunda, videlicet homelia xxxviii a l usque ad lxxxviii», f. 146v, «in iii.o scamno supra», Nr. 23, «Joannis Chrysostomi super Joannis Evangelium Homeliae lxxxviii.o incipiente ab in principio erat verbum et deinceps», f. 147r, «in iii.o scamno supra», Nr. 29, «Joannis Chrysostomi homilie 32 videlicet a 46 usque ad lxxxviii super Joannem Evangelistam», f. 154r, «In secundo scamno supra», Nr. 2, «Joannis Chrysostomi super Joannem pars 2.a homiliae xliiii. vy a xlv.a usque in lxxxviii.am»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Georg Lauer, 29.10.1470 (GW M13300, IGI 5201, ISTC ij00286000). 195 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Ad Stagirium de providentia Dei, wahrscheinlich trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 147v, «in iii.o scamno supra», Nr. 32, «Joannis Chrysostomi Homiliae sive sermones xxxviii videlicet ad Stargirium monachum videlicet in dies creationis mundi secundum Mosen videlicet […]», f. 151v, «In iii.o scamno

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pape196, De potestate Romani pontificis et Generalis Concilii197 et fr[ater] Ambrosius de Cora de vita contemplativa ad Paulum II198, Tabula pulchra super Valerium Maximum et quedam alia199 ex papyro manu script[a] in albo. [67] Epistule beati Augustini ad Volustanum ex memb[ranis] in viridi script[e]200. [68] Epistule beati Cypriani ex papyro in rubeo201. [69] Beatus Athanasius super epistulas Pauli ex papyro in albo202. [70] Origines contra Celsum ex papyro in rubeo203.

infra», Nr. 9, «Joannis Chrysostomi sermo ad Stagirium»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: De providentia Dei, mit De dignitate humanae originis, Alost, Thierry Martens, 22.3.1487/88 (GW M13319, IGI 5205, ISTC ij00293000). 196 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), wahrscheinlich: Epistolae in Pontificatu editae. — Erstdruck: Milano, Antonius Zarotus, 25.5.1473 (GW M33684, IGI 7787, ISTC ip00724000). — Inkunabeln BAV: Milano, Antonius Zarotus, 25.5.1473 (GW M33684, IGI 7787, ISTC ip00724000), Inc. III.214; Milano, Antonius Zarotus, 31.5.1481 (GW M333685, IGI 7788, ISTC ip00725000), Inc. III.189; Milano, Antonius Zarotus, 10.1487 (GW M33688, IGI 7789, ISTC ip99726000), Inc. III.65. 197 PETRUS DE MONTE (PIETRO DEL MONTE), De potestate Romani Pontificis et generalis Concilii. — Erstdruck: Roma, Wolf Han, ca. 1476 (GW M25360, M25362, IGI 6718(B), 6719(C), ISTC im00840000. (einzige Ausgabe im Frühdruck). 198 AMBROSIUS DE CORI (AMBROGIO MASSARI DA CORI), Oratio de laudibus Johannis Apostoli et Evangeliste et de vita activa et contemplativa, ad Paulum II (vor 1465, vgl. C. CABY, Ambrogio Massari, percorso biografico e prassi culturali, in La carriera di un uomo di curia nella Roma del Quattrocento cit., S. 23-67, hier S. 58). — Erstdruck: Oratio de laudibus Johannis Apostoli et Evangeliste, Roma, Bartholomaeus Guldinbeck, 1475-1477 (GW M21545, IGI 438, ISTC ic00880800). 199 So nicht zu identifizieren. 200 AUGUSTINUS, Ad Volusianum (Rufius Antonius Agrypnius Volusianus) (= Epistula CXXXVI). — Erstdruck: Epistolae, Straßburg, Johann Mentelin, nicht nach 1471 (GW 2905, IGI 993, ISTC ia01267000). 201 CYPRIANUS, Epistolae (gedruckt unter dem Titel Opera). — Erstdruck: Opera, Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, Januar oder Februar 1471 (GW 7883, IGI 3294, ISTC ic01010000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Lucas Dominici F., 4.12.1483 (GW 7885, IGI 3297, ISTC ic01013000), Inc. III.346, Inc. III.351. 202 (Pseudo-)ATHANASIUS DE ALEXANDRIA, genannt d. Gr. bzw. THEOPHYLACTUS, Enarrationes in epistolas Sancti Pauli, trad. lat. CHRISTOPHORUS DE PERSONA. — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, 25.1.1477 (GW M45925, IGI 9509, ISTC it00156000) (mit irriger Identifizierung des Autors als Athanasius). 203 ORIGINES, Contra Celsum et in fidei Christianae defensionem libri, hier Übersetzung CHRISTOPHORUS PERSONA. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 87v, «libr. Grec. in quart. arm. bibl. secr.», Nr. 15, «Origines contra Celsum et Galeni simplicia ex papiro in rubro»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.

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[71]vii Gualterius Burleus super physicis Aristotelis ex papyro204. [72] Donatus Aciaioli super ethica Aristotelis ex papyro in albo205. [73] Gualterius Burleus in ethicis Aristotelis ex papyro in rubeo206. [74] Georgius Trapezuntius de comparatione philosophorum207, Metaphysica Pauli de Venetiis208, Questiones Antonii Andree in metaphisica209 ex papyro manu script[is] in albo. [75] Expositio Gualterii Burlei super artem veterem ex papyro in pavonazo210. [76] Scotus super libros porphyrii, predicamentorum perierminias Aristotelis, Antonius Andree super libros sex predicamentorum211 et de tribus principiis vii

F. 420r.

— Erstdruck: (Übersetzung Christophorus Persona) Roma, Georg Herolt, Januar 1481 (GW M28390, IGI 7032, ISTC io00095000). 204 GUALTERUS BURLAEUS (WALTER BURLEY), Expositio in Aristotelis Physica. — Erstdruck: Padova, Bonus Gallus – Thomas ex Capitaneis de Asula, 18.7.1476 (GW 5774, IGI 2267, ISTC ib01302000). 205 DONATO ACCIAIUOLI, Expositio Ethicorum Aristotelis. — Erstdruck: Firenze, Apud Sanctum Jacobum de Ripoli, 1478 (GW 140, IGI 14, ISTC ia00017000). 206 GUALTERUS BURLAEUS (WALTER BURLEY), Expositio in Aristotelis Ethica Nicomachea. — Erstdruck: Venezia, Octavianus Scotus, 10.5.1481 (GW 5778, IGI 2265, ISTC ib01300000). 207 GEORGIUS TRAPEZUNTIUS, De comparatione philosophorum Platonis et Aristotelis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 16v-17r, «in capsis pontificiae bibliothecae secretioris quae media est latina, in capsa prima introeuntibus prope armaria», «Georgius Trapezuntii Oratio sive epistula […] Georgii Trapezuntii eiusdem ad eximium inclytum optimum imperatorem Romanorum (ut inquit) sedem Constantini virtute sua et victoria divinitus sibi concessa obtinentem, In comparatione philosophorum Platonis atque Aristotelis […]», wahrscheinlich = DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 332, nr. 2864: «Trapezuntii oratio, ex papyro in pavonatio» = Vat. lat. 971. — Erstdruck: nicht in den Frühdruck gelangt. 208 PAULUS VENETUS (PAOLO NICOLETTI DA UDINE), Lectura super librum Metaphysicorum. — Erstdruck: nicht in den Frühdruck gelangt. 209 ANTONIUS ANDREAE OFM (ANTONIO ANDRÉS), Quaestiones super XII libros Metaphysicae Aristotelis. — Erstdruck: Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt, 1473-1477 (GW 1656, IGI 469, ISTC ia00579000). 210 GUALTERUS BURLAEUS (WALTER BURLEY), Expositione in artem veterem Porphyrii et Aristotelis. — Erstdruck: Venezia, Christophorus Arnoldus, nicht nach 1476 (GW 5765, IGI 2257, ISTC ib01306000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes Herbort de Seligenstadt, 10.12.1481 (GW 5767, IGI 2259, ISTC ib01308000), Inc. II.227. 211 JOHANNES DUNS SCOTUS, Quaestiones super Universalia Porphyrii, Quaestiones super librum Praedicamentorum Aristotelis, Quaestiones super librum Perihermenias Aristotelis, und ANTONIUS ANDREAE OFM (ANTONIO ANDRÉS), Quaestiones super sex principia Gilberti Porretani. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3968, Nr. 1472, «Doctor subtilis super primo libro Porphirii, eiusdem questions super praedicamentis Aristotelis, eiusdem questiones super primo et II.o libro peryarmenias in via caps. iii. plutei» = Vat. lat. 870 (vgl. DI SANTE

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naturalium, et sanctus Thomas de ente et essentia212 et Questiones de anima eiusdem213 ex papyro in pavonaceo. [77] Iohannes Canonici super octo libros phisicorum Aristotelis ex papyro in rubro214. [78] Gerardus Odonis super libros ethicorum ex papyro in rubro215. [79] Summa philosophiè magistri Pauli de Venetiis216 ex papyro in rubro. [80] Expositio posteriorum Aristotelis ex papyro in rubro217. [81] Expositio Versoris super logica ex papyro in rubeo218. – MANFREDI, Index cit., S. 342, Nr. 2940: «Questiones incerti auctoris super Logicam, ex membranis in nigro, ‘reducantur’»). — Erstdruck: In dieser Zusammensetzung kommt im Betrachtungszeitraum nur ein Druck in Frage: JOHANNES DUNS SCOTUS, Quaestiones super Universalia Porphyrii, mit: Quaestiones super librum Praedicamentarum Aristotelis, sowie ANTONIUS ANDREAE, Quaestiones super sex principia Gilberti Porretani, und JOHANN FOXAL, Commentum super Quaestiones Scoti de Universalibus Porphyrii, Venezia, Johannes Persan Dauvome, 1483 (GW 9088, IGI 3609, ISTC id00388000). 212 ANTONIUS ANDREAE OFM (ANTONIO ANDRÉS), Quaestiones de tribus principiis rerum naturalium, sowie THOMAS VON AQUIN, De ente et essentia. — Erstdruck: In dieser Kombination: ANTONIUS ANDREAE, Quaestiones de tribus principiis rerum naturalium, mit: NICOLAUS BONETUS, Formalitates, sowie: THOMAS AQUINAS, De ente et essentia, Padova, Laurentius Canozius, 1475 (GW 1667, IGI 476, ISTC ia00588000). — Inkunabeln BAV: Inc. II.222(2). 213 THOMAS DE AQUINO, De anima. — Erstdruck: Venezia, Franz Renner de Heilbronn, 1472 (GW M46047, IGI 9556, ISTC it00173000). 214 JOHANNES CANONICUS, Quaestiones super Physica Aristotelis. — Erstdruck: Padova, Bonus Gallus, 25.4.1475 (GW M13138, IGI 2411, ISTC ij002622000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Octavianus Scotus, 1481, (GW M13149, IGI 2412, ISTC ij00263000), Inc. II.863. 215 GERALDUS ODONIS (GUIRAL OT), Expositio in Aristotelis Ethicam. — Erstdruck: Brescia, n.pr., für Bonifacius de Manerva, 30.4.1482 (GW M02762, IGI 6960, ISTC io00028000). 216 PAULUS VENETUS (PAOLO NICOLETTI DA UDINE), Summa naturalium bzw. Summa philosophiae naturalis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7134, f. 4r, «in primo scamno infra», Nr. 24, «Pauli Veneti ordinis heremitarum Sancti Augustini Summa»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 219, Nr. 1831, «Pauli Veneti Summa naturalium et Benedicti De unitate, ex papyro in rubro, finiens in prima carta ‘veritatis’» (= Vat. lat. 2127), S. 313, Nr. 2708: «Summa Pauli Veneti, ex papyro in rubeo» (= Vat. lat. 2128); Rosso 305, S. 323, Vat. lat. 4604, «Pauli Veneti summa naturalis Philosophiae, ex papiro». — Erstdruck: nicht in den Frühdruck gelangt. 217 Wahrscheinlich PAULUS VENETUS (PAOLO NICOLETTI DA UDINE), Expositio super librum Posteriorum. — Erstdruck: Expositio in Analytica posteriora Aristotelis, Perugia, Petrus Petri de Colonia, ca. 1475 (GW M30302, IGI 7333, ISTC ip00211500). 218 JOHANNES VERSORIS (JEAN LETOURNEUR), Quaestiones super omnes libros novae logicae. — Erstdruck: Köln, Heinrich Quentell, 1484-1489 (GW M50240, IGI 10254, ISTC iv00248000).

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[82] Caietanus super libros de anima Arististotelis219, Paulus de Venetiis super libr[os] de generatione et corruptione Aristotelis220 manu script[is] ex papyro in nigro. [83] De regimine principumviii Egidii Romani221 et Abbreviatio Pii II decadum Blondi ab inclinatione imperii ex papyro in albo222. ix [84] Sixtus papa IIIIus de sanguine Christi, de potentia Dei223 futuris contingentibus224, De adventu Missie225, Ambrosius episcopus de officiis226, viii

Folgt gestrichen: «Abb[atis]».

ix

F. 420v.

219

GAETANUS DE THIENIS (GAETANO THIENE), Expositio super libros Aristotelis de anima. — Erstdruck: Padova, Peter Maufer, 4.9.1475 (GW M45951, IGI 2338, ISTC ig00024500). 220 PAULUS VENETUS (PAOLO NICOLETTI DA UDINE), Expositio in Aristotelem de generatione et corruptione. — Erstdruck: Venezia, Bonetus Locatellus, 21.5.1498 (GW M30290, IGI VI 827-A, ISTC ip00209000). 221 AEGIDIUS ROMANUS, De regimine principum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 13v, «Bibliotheca latina, I.o scanno infra», Nr. 24, «Egiidus Romanus de regimine principum», f. 40v, «in VIII infra», Nr. 7, «Egidius Romanus de regimine principum», f. 68r, «in octava capsa muro adhaerenti quae post septimam ad ingressum sexti scamni prima offert»; Vat. lat. 7136, f. 206v, «in vii.a capsa videlicet sexte coniuncta», Nr. 552, «Egidii Romani ordinis eremitarum sancti Augustini ad Philippum primogenitum Philippi Franciae regis De regimine principum libri duo, quorum primus est de regimine sui et in tres partes distinguitur, secundus de regimine domus, unius duae partes hic habentur, sed est imperfectus»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 206, S. 188, Vat. lat. 5612. — Erstdruck: Augsburg, Günther Zainer, 27.6.1473 (GW 7217, IGI 3093, ISTC ia00087000). — Inkunabeln BAV: Roma, Stephan Planck, 9.5.1482 (GW 7218, IGI 3094, ISTC ia00088000), Inc. III.114. 222 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), Abbreviatio supra Decades Blondi. — Erstdruck: Roma, D.D.L.D.S.P.V [Oliverius Servius], 1481 (GW M33465, IGI 7752, ISTC ip00654000). 223 SIXTUS IV. (FRANCESCO DELLA ROVERE), De sanguine Christi et De potentia Dei. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 16r, «in secunda Capsa primi banchi, Franciscus de Saona de Sanguine Christi»; Vat. lat. 7135, f. 39r, «In quinto scamno supra», Nr. 8. «F. Car.lis S. Petri ad vincula, qui postea Sixtus pap. IIII, De sanguine Christi, De potentia Dei et de futuris contingentibus»; f. 39v «In V° scamno infra», Nr. 7: «F. Car.lis S. Petri ad vinc. qui postea Sixtus pp. IIII: De potentia Dei et de futuris contingentibus»; Vat. lat. 3955, f. 61v, «secunda capsa primi banchi eiusdem bibl. parvae secretae», «Franciscus de Saona de sanguine Christi»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Joannes Philippus de Lignamine, nach 10.8.1471 (GW M42636, IGI 9040, ISTC is00579000). 224 SIXTUS IV. (FRANCESCO DELLA ROVERE), De futuris contingentibus. — Erwähnung in Katalogen der BAV: vgl. Anm. 223. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, nicht nach 10.8.1473 (GW M42627, IGI 9031, ISTC is00560500) (einzige Ausgabe im Frühdruck). 225 JOHANNES TREVIENSIS (GIOVANNI DA TREVIO), Oratio de veri Messiae adventu. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 6.12.1472 – 9.8.1473 (GW M14813, IGI 5361, ISTC ij00441000) (einzige Ausgabe). 226 AMBROSIUS MEDIOLANENSIS, De officiis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 304, S. 470, Vat. lat. 3823, «S. Ambrosius de officiis Lib. III, ex papyro». — Erstdruck: Köln, Ulrich Zel, ca. 1470-72 (GW 1606, ISTC ia00558000).

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Oratio Bernardi Iustiniani227 et quomodo beatus Franciscus indulgentias habuit228 ex papyro in albo. [85] Vitae et flores sanctorum ex papyro in albo229. [86] Disputatio fratris Vincentii de conceptione beate Marie virginis230, liber sybilarum et explanatio super Athanasius et te Deum laudamus231 ex papyro in albo. [87] Officium visitationis beate Marie232, breviloquium fratris Bone Fortune, biblia pauperum eiusdem233 et epistula Pii pape II ad Turchum234 ex papyro in albo. — Inkunabeln BAV: Milano, Christophorus Valdarfer, 7.1.1474 (GW 1611, IGI 431, ISTC ia00560000), Inc. IV.735; Milano, Uldericus Scinzenzeler für Philippus de Lavagnia, 17.1.1488 (GW 1612, IGI 432, ISTC ia00561000), Inc. IV.526 (Lektüremarginalien); Inc. IV.730. 227 BERNARDO GIUSTINIAN, ORATIO habita apud Sixtum IV contra Turcos (2.12.1471 – Obödienzansprache als Venezianischer Gesandter). — Erstdruck: Roma, Georg Lauer, nach 2.12.1471 (GW M15532, ISTC ij00605800). — Inkunabeln BAV: Roma, Georg Lauer, nach 2.12.1471 (GW M15532, ISTC ij00605800), Inc. III.139(2) (http://digi.vatlib.it/view/Inc.III.139(2)); Roma, Joannes Philippus de Lignamine, nach 2.12.1471: Inc. III.12(3); Roma, Johannes Gensberg, um 1474]: Inc. IV.51(4) (ungebunden); Roma, Stephan Plannck, ca. 1481-87: Inc. IV.51(3) (ungebunden, wenige Lektüremarginalien). 228 FRANCISCUS DE ASSISIO, Historia quomodo beatus Franciscus petivit a Christo indulgentiam pro ecclesia Sanctae Mariae de Angelis. — Erstdruck: Trevi, Johannes Reinhard, 1470 (GW 0347320N, IGI 1279, ISTC if00290400) (unikal überliefert in Roma, Biblioteca Alessandrina). 229 Unter diesem Titel nicht eindeutig zu identifizieren. (Eventuell: HIERONYMUS, Vitae sanctorum patrum, Erstdruck: Caselle, Johannes Fabri Lingonensis, 30.8.1475 [GW M50862, IGI 4749, ISTC ih00196500]?). 230 VINCENTIUS BANDELLI DE CASTRONOVO (VINCENZO BANDELLO DE CASTELNUOVO), Libellus recollectorius auctoritatum de veritate conceptionis beatae virginis Mariae. — Erstdruck: Milano, Christoph Valdarfer, 1475 (GW 3237, IGI 1172, ISTC ib00048000). — Inkunabeln BAV: Bologna, Ugo Rugerius, 12.2.1481 (GW 3238, IGI 1173, ISTC ib00049000), Inc. IV.105, Inc. V.63(2). 231 PHILIPPUS DE BARBERIIS (FILIPPO BARBIERI), Discordantiae sanctorum doctorum Hieronymi et Augustini; Sibyllarum et prophetarum de Christo vaticinia. – Mit: Proba Falconia, Cento vergilianus; Pseudo-THOMAS AQUINAS, Praefatio super symbolum Athanasii; Explanatio super orationem dominicam; Explanatio super salutationem angelicam; Explanatio super Te Deum; Explanatio super Gloria in excelsis; Donatus theologus. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 1.12.1481 (GW 3385, IGI 1245, ISTC ib00118000). 232 Officium Visitationis Mariae Virginis (mit einem Gebet Papst Sixtus’ IV., das auf 2.7.1475 datiert ist). — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, 2.7.1475 (GW M27694, IGI 6975, ISTC io00053600). 233 BONAVENTURA (GIOVANNI DI FIDANZA), Breviloquium, und Pseudo-BONAVENTURA [NICOLAUS DE HANAPIS], Biblia pauperum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 159v, «in vii.a capsa videlicet sexte coniuncta, Bonaventurae (ut mihi videtur) Breviloquium sacre scripture in vii partes distinctum quorum prima et de Trinitate Dei habens cap. […]»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., erfassen ausschließlich Pergamenthandschriften dieses Werks. — Erstdruck: In dieser Kombination: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, vor 14.8.1477 (GW 4654, IGI 1882, ISTC ib00858000). 234 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), Epistola ad Turcorum imperatorem Mahumetem II.

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[88] Aureola sancti Hieronymi235, Johannes Chrysostomus de penitentia, de exhortatione ad martyrium236, prophetie sancti Vincentii de fine mundi237, presbiter Simon Dalmata de baptismo sancti spiritus238 et quedam alia ac tractatus bene moriendi239 ex papyro in albo. [89] Dionysius de celesti hierarchia240 et Eusebius Pamphilus de preparatione — Erstdruck: Köln, Ulrich Zel, 1469-72 (GW M333649, IGI 7761, ISTC ip00696000). — Inkunabeln BAV: Köln, Ulrich Zel, 1469-72 (GW M333649, IGI 7761, ISTC ip00696000), Inc. IV.344(1). 235 [LUPUS DE OLMETO], Aureola ex floribus S. Hieronymi contexta, (d.i. eine postume Werksammlung des SOPHRONIUS EUSEBIUS HIERONYMUS). — Erstdruck: Nürnberg, Johann Sensenschmidt, ca. 1470-72 (GW M07940, IGI 3574, ISTC ih00154000). 236 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Sermo de Poenitentia. Zusammen mit: (Pseudo-)JOHANNNES CHRYSOSTOMUS, Super psalmum quinquagesimum, De exhortatione ad martyrium, De vae mundo a scandalis, De morte, De virtute et malitia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 316, S. 155, Vat. lat. 13502, «saec. XV, cart, S. Iohannis Crisostomi Sermones de patientia et penitentia b. Job. ex graeco in latinum traducti a Lilio Tifernata». — Erstdruck: In der o. g. Kombination unter dem Titel Opuscula, Roma, Ulrich Han, ca1477-78 (GW M13313, ISTC ij00276000). 237 VINCENTIUS FERRERIUS (VICENT FERRER), (Mirabile opusculum) de fine mundi. — Erstdruck: Treviso, Gerardus de Lisa de Flandria, 9.3.1475 (GW 9848, IGI 10269, ISTC if00120500). — Inkunabeln BAV: Treviso, Gerardus de Lisa de Flandria, 9.3.1475 (GW 9848, IGI 10269, ISTC if00120500), Inc. IV.337, Treviso, Hermannus Liechtenstein, 12.5.1477 (GW 9849, IGI 10270, ISTC if00121000), Inc. IV.371(20); Nürnberg, Conrad Zeninger 1481 (GW 9851, IGI 10271, ISTC if00122000), Inc. IV.473(1), Inc. IV.509(4); Nürnberg, Fratres Ordinis Eremitarum S. Augustini 1483 (GW 9853, IGI 10271, ISTC if00123000), Inc. IV.363(5); Speyer, Johann – Conrad Hist, ca. 1485 (GW 9852, ISTC if00123500), Inc. IV.413, Nr. 8, f. 301r-317v (in Sammelband). 238 SIMON PHARENSIS alias DALMATA, De baptismo Sancti Spiritus et virtute eius. — Erstdruck: Venezia, Guilielmus Gallus, 14.10.1477 (GW M42220, IGI 9000, ISTC is00525000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). — Inkunabeln BAV: Venezia, Guilielmus Gallus, 14.10.1477 (GW M42220, IGI 9000, ISTC is00525000), Stamp.Ross.2052. 239 Mit diesen Angaben nicht eindeutig zu idenfizieren. 240 Pseudo-DIONYSIUS AREOPAGITA, De ecclesiastica hierarchia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 11r, «II.o scanno supra», Nr. 22, «B. Dionysius de Hierarchia»; Vat. lat. 7135, f. 138r-v, «in iiii.o scamno infra», Nr. 5, «Dionysii Areopagite episcopi Athenarum opera, videlicet De Caelesti hierarchia capita xv, De divinis nominibus cap. xiii, de ecclesiastica hierarchia capita vii., de mystica theologia ad Thimoteum cap. v., Epistule X videlicet ad Gavi. quatuor, Dorotheum, Sopatrum, Polycarpum, Demophilum, Titum et Joannem Theologium atque Evangelistam in Patmo insula relegatum», f. 143v, «in iii.o scamno supra», Nr. 13, «Prologus in opera beati Dionysii Areopagitae, Dionysii Areopagitae opera videlicet de divinis nominibus capita xiii., de coelesti hierarchia xv, de ecclesiastica hierarchia 7, de mystica theologia v, epistola x, cum expositione fere omnia», f. 145v, «in iii.o scamno supra», «[…] Dionysii Areopagitae opera videlicet de coelesti hierarchia, de mystica theologia et epistula omnia cum expositione tab.», f. 157v, «in secundo scamno supra», Nr. 22, «Dionysii Areopagitae episcopi Athenarum ad Timotheum episcopum Ephesinum de coelesti hierarchia, de mystica theologia et caetera eius opera», f. 158v,

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evangelica241, compendium Enee Pii II de capite sancti Andreae242 ex papyro in albo script[is]. [90] Epistule Senece, de clementia, de providentia Dei ex membr[anis] solut[is] script[e]243. x [91] Sermones beati Leonis ex papyro in rubro244. [92] Sermones et epistule beati Leonis pape ex papyro in rubro script[e]245. [93] Sermones fratris Michaelis Mediolanensis ex papyro in rubro246. [94] Quadragesimale fratris Roberti cum quibusdam sermonibus ex papyro in rubeo247. x

F. 421r.

«in secundo scamno infra», Nr. 1, «Dionysii Areopagitae opera videlicet de coelesti hierarchia et ecclesiastica, de mystica Thoelogia, Epistulae etc. ut supra»; Vat. lat. 7136, f. 22v, «in capsis pontificiae bibliothecae secretioris quae media est latina, in capsa prima introeuntibus prope armaria», «Ioannis presbyteri Damasceni de fide orthodoxa […] Dionysii Areopagite opera videlicet De coelesti hierarchia cap. xv.» – DI SANTE – MANFREDI, Index cit., erfassen ausschließlich Pergamenthandschriften. — Erstdruck: trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI, unter dem Titel Opuscula, Brügge, Colard Mansion, 1479 (GW 8408, ISTC id00239500) (im Untersuchungszeitraum die einzige Druckausgabe). 241 EUSEBIUS CAESARIENSIS, De evangelica praeparatione. — Erstdruck: Venezia, Nicolas Jenson, 1470 (GW 9440, IGI 3754, ISTC ie00118000). 242 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), Oratio in occursu capitis s. Andreae habita = Verba quae habuit in pratis apud pontem Milvium in occursu capitis b. Andreae apostoli (12.4.1462) (ed. G. D. MANSI, Pius II. papa, Orationes politicae et ecclesiasticae, Bd. 2, Lucca 1757, S. 146f.). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3968, Nr. 1040, «Liber de translatione capitis s. Andreae apostoli in almam urbem in ii.o ordi. iii. plutei» = Vat. lat. 4034 («ex perg.»); in DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 98, Nr. 874, unter «Enee Silvii Opuscula, ex membranis in rubro, in fine I pagine ‘nisi’» = Vat. lat. 4034. — Erstdruck: nicht im Frühdruck erschienen. 243 LUCIUS ANNAEUS SENECA, Epistolae, Dialogus de providentia und Ad Neronem Caesarem de clementia. — Erstdruck: so nicht im Frühdruck erschienen. 244 LEO I., Sermones. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, vor 21.9.1470 (GW M17804, IGI 5723, ISTC il00128500). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, vor 21.9.1470 (GW M17804, IGI 5723, ISTC il00128500), Inc. II.623; Venezia, Lucas Dominici F., 7.8.1482 (GW M17805, IGI 5725, ISTC il00134000), Inc. II.456(2). 245 LEO I., Sermones et epistolae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., erfassen ausschließlich Pergamenthandschriften dieses Werks. — Erstdruck: so nicht gedruckt. 246 MICHAEL DE CARCANO (MICHELE CARACANO DA MILANO), Sermones. — Erstdruck: Sermonarium de peccatis per adventum et per duas quadragesimas, Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt, 1476 (GW 6129, IGI 2518, ISTC ic00194000), später unter dem Titel Sermonarium de poenitentia per adventum et quadragesimam (so Venezia, Nikolaus von Frankfurt, 11.12.1487 [GW 6131, IGI 2520, ISTC ic00196000]). 247 ROBERTUS DE LICIO (ROBERTO CARACCIOLO DI LECCE), Sermones quadragesimales de poenitentia (vgl. BERTÒLA, Incunabuli cit., S. 9; aus dem Nachlass Ferry de Clugny).

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[95] Sermones fratris Alberti de Padua ex papyro in rubro248. [96] Sermones XL.les fratris Leonardi de Utino ex papyro in rubro249. [97] Sermones de sanctis fratris Leonardi de Utino ex papyro in rubro250. [98] Sermones fratris Roberti ex papyro in tabulis251. [99] Ammianus super Mattheum252, sermones Francisci de Maronis253, duo alii

— Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, 20.7.1472 (GW 6061, IGI 2472, ISTC ic00165000). 248 ALBERTUS DE PADUA, wahrscheinlich Expositio evangeliorum dominicalium et festivalium (= Sermones, Teil 1). — Erstdruck: Venezia, Adam Rottweil – Andreas Corvus de Corona, 25.12.1476 (GW 784, IGI 242, ISTC ia00339000). — Inkunabeln BAV: Ulm, Johann Zainer, ca. 15.6.1480 (GW 785, IGI 243, ISTC ia00340000), Inc. II.83. 249 LEONARDUS MATTHEI DE UTINO (LEONARDO DI MATTEO DA UDINE), Sermones quadragesimales de legibus dicti. — Erstdruck: Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt, 1473 (GW M17924, IGI 5732, ISTC il00143000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt, 1473 (GW M17924, IGI 5732, ISTC il00143000), Inc. III.50; Speyer, Peter Drach, 23.6.1470 (GW M17919, ISTC il00147000), Inc. S.136 (Am Beginn eine Zeichnung); Vicenza, Stephan Koblinger, 24.11.1479 (GW M17926, IGI 5734, ISTC il00148000), Inc. IV.45. 250 LEONARDUS MATTHEI DE UTINO (LEONARDO DI MATTEO DA UDINE), Sermones de sanctis. — Erstdruck: Köln, Ulrich Zel, 1473 (GW M17887, IGI 5736, ISTC il00150000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Franz Renner – Nikolaus von Frankfurt 1473 (GW M17908, IGI 5737, ISTC il00152000), Inc. IV.675; Roma, In domo Francisci de Cinquinis, ca. 1479 (GW M17894, IGI 5740, ISTC il00161000), Inc. IV.80. 251 ROBERTUS DE LICIO (ROBERTO CARACCIOLO DI LECCE), wahrscheinlich Sermones de adventu, Sermo de S. Joseph, Sermo de beatitudine, Sermones de divina caritate, Sermones de immortalitate animae. — Erstdruck: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, ca. 1474 (GW 6045, ISTC ic00137000). 252 Wahrscheinlich Pseudo-Ammonius de Alexandria, vgl. F. STEGMÜLLER, Repertorium Biblicum Medii Aevi, Madrid 1940-1980, Bd. 2, S. 96, Nr. 1277. — Erstdruck: so nicht im Frühdruck erschienen. 253 FRANCISCUS DE MAYRONIS (FRANÇOIS DE MEYRONNES), wahrscheinlich Sermones de tempore. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 17v, «secunda capsa tertii banchi», «Quidam liber Francisci Mayronis ex papiro in albo»; Vat. lat. 3951, ed. DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 228, Nr. 1919, «Quidam liber Francisci Maironis, ex papyro in albo, finiens in prima carta ‘53’» (= Vat. lat. 4269, f. 1r. Ist nicht mit dem hier beschriebenen zu identifizieren: 14. Jh., f. 154r: «1390 […] fratrum s. Thome de Velden de conventu Lanczhutensi», auch f. 236v); Rosso 305, Bl. 201f., Vat. lat. 4307; Rosso 310, Vat. lat. 7680, «chart., saec. XV, Francisci de Mayronis Ord. Min. Sermones per anni circulum». — Erstdruck: Sermones de tempore, Bruxelles, Fratres Vitae Communis, 1481-1484 (GW M22463, ISTC im00094500); Sermones ab adventu cum quadragesimali, Venezia, Bernardinus Rizus Novariensis, 20.1.1491/92 (GW M22468, IGI 6313, ISTC im00092000). — Inkunabeln BAV: Sermones de adventu cum quadragesimali, Venezia, Bernardinus Rizus Novariensis, 20.1.1491/92 (GW M22468, IGI 6313, ISTC im00092000), Inc. IV.87, Stamp.Prop.Fide I.68.

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sermones, canones Biblie magistri Petri Rubei Senen[si]254 ex papyro in albo manu script[e]. xi

In medicinaxii [100] Petrus de Ebano consiliator medicine ex papyro in rubro255. [101] Bernardi de Gordonio super pratica medicine ex papyro in nigro256. [102] Benedictus de Nursia ex papyro in nigro de conservanda sanitate257 xiii. [103] Breviloquium hominis pauperis ex papyro in rubro script[us]258. [104] Summa de casibus fratris Bartholomei ordinis predicatorum ex papyro in rubro script[a]259 xiv. [105] Collationes sanctorum patrum ex membr[anis] in albo260 xv. [106] Biblia et moralia sancti Gregorii in parvo volumine ex m[e]mb[ranis] in albo261 xvi. [107] Euclides ex papyro in rubro262. [108] Aristoteles de animalibus ex papyro in rubro263. xi

xii Titel. F. 421v. Platz gelassen.

xvi

xiii

Platz gelassen.

xiv

Platz gelassen.

xv

Platz gelassen.

254 PETRUS DE RUBEIS DE SENIS (PIETRO DE‘ ROSSI). Zu seinen Werken: STEGMÜLLER, Repertorium Biblicum cit., Bd. 4, S. 387 (Nr. 6838), L. ZDEKAUER, Lo studio di Siena nel rinascimento, Milano 1894. 255 PETRUS DE ABANO (PIETRO D’ABANO), Conciliator differentiarum quae inter philosophos et medicos versantur. — Erstdruck: Mantova, Johannes Vurster – Thomas Septemcastrensis, 1472 (GW M31841, IGI Ad 7956, 7956, ISTC ip00431000). 256 BERNARDUS GORDONIUS (BERNARD DE GORDON), Practica, seu Lilium medicinae. — Erstdruck: Napoli, Francesco del Tuppo, 20.5.1480 (GW 4080, ISTC ib00447000). 257 BENEDICTUS DE NURSIA – BENEDICTUS RIGUARDATUS, De regimine sanitatis – De conservatione sanitatis. — Erstdruck: Roma, Joannes Philippus de Lignamine, 14.1.1475 (GW 3818, IGI 1462, ISTC ib00313000). — Inkunabeln BAV: Roma, Stephan Plannck, 1481-87 (GW 3822, IGI 1466, ISTC ib00314800), Inc. V.104. 258 BONAVENTURA (GIOVANNI DI FIDANZA), Breviloquium. — Erwähnung in Katalogen der BAV; Erstdruck; Inkunabeln BAV: vgl. Anm. 233. 259 BARTHOLOMAEUS DE SANCTO CONCORDIO (BARTOLOMEO DA SAN CONCORDIO), Summa de casibus conscientiae. — Erstdruck: Milano?, Drucker des Bartholomaeus de S. Concordio, Summa, ca. 1473 (GW 3450, IGI 1267, ISTC ib00170000). 260 Collationes patrum. — Erstdruck: Collationes patrum XXIV, Bruxelles, Fratres Vitae communis, 1476/77 (GW 6159, ISTC ic00232000) (danach eigenständiger Druck ca. 1504). 261 Bibel und GREGOR I., Moralia, sive Expositio in Job. Vgl. Anm. 193. 262 EUCLIDES, wahrscheinlich: Elementa Geometria. — Erstdruck: Venezia, Erhard Ratdolt, 25.5.1482 (GW 9428, IGI 3722, ISTC ie00113000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Erhard Ratdolt, 25.5.1482 (GW 9428, IGI 3722, ISTC ie00113000), Inc. II.228, Inc. III.278. 263 ARISTOTELES, De animalibus. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7134, f. 5v, «in primo scamno inferius sive

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[109]xvii Orationes et collationes Dominici episcopi Torcellani ex papyro solut[e] script[e]264. [110] Allegationes seu consilia abbatis impresse solut[e] ex papyro265. [111] Laertius Diogenes ex papyro script[us] solut[us]266. [112] Iohannis Imolae repetitiones ex papyro impresse solut[e]267. [113] Prima pars Angeli super Infortiato ex papyro solut[a]268. [114] Vita Ciceronis Leonardi Aretini ex papyro solut[a] script[a]269. xvii

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in iii.o in primo eiusdem», Nr. 6, «Aristotelis de historia animalium libri decem, de partibus animalium libri quatuor et de generatione animalium libri quinque», f. 11v, «in secundo scamno infra», Nr. 9, «Aristotelis de animalibus»; Vat. lat. 7135, f. 12v, «Bibliotheca latina, I.o scanno infra», Nr. 6, «Aristoteles de historiis de partibus animalium et generatione eorum», f. 14v, «secundo scanno supra», Nr. 9, «Aristoteles de animalibus», f. 39v, «In octavo scamno supra», Nr. 1, «Libri de animalibus Aristotelis interprete Theodoro ad Sixtum IIII. pont. max.», f. 123v, «in quinto scamno supra», Nr. 21, «Aristoteles de animalibus libri undecim»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. Rosso 306, S. 273f., Vat. lat. 5907, «Aristoteles de animalibus Georgio Trapezuntio interprete, interpretis praefatio ad Nicolaum Papam quintum, ex papiro». — Erstdruck: (Trad. THEODORUS DE GAZA) Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen (GW 2350, IGI 803, ISTC ia00973000). 264 DOMENICO DE’ DOMENICHI, Orationes. — Erstdruck: nicht in den Frühdruck gelangt. — Handschriften BAV: Ott. lat. 1035 (Domenichis Handexemplar). 265 NICOLAUS DE TUDESCHIS (NICCOLÒ TEDESCHI alias PANORMITANUS), Consilia. — Erstdruck: Straßburg, Heinrich Eggestein, nach 9.5.1475 (GW M47759, ISTC ip00028000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Peregrinus de Pasqualibus Bononiensis – Dominicus Bertochus, 14.12.1486 (GW M47773, IGI 9733, ISTC ip00030000), Inc. I.73(2). 266 DIOGENES LAERTIUS, Vitae et sententiae philosophum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 40r, «octavo banco», «Laertius Diogenes ex papyro in nigro»; Vat. lat. 7135, f. 2v, «octavo scanno infra», Nr. 2, «Laertius Diogenes», f. 40v, «viii. infra», Nr. 12, «Laertius Diogenes de vita et moribus philosophorum ab Ambrosio monaco traducto»; Vat. lat. 3955, f. 34v, «VIII bancho», Nr. 398, «Laertius Diogenes ex papyro in nigro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., erfassen lediglich Pergamenthandschriften. — Erstdruck: (Trad. AMBROGIO TRAVERSARI), Roma, Georg Lauer, 1472 (GW 8378, IGI 3458, ISTC id00219000). 267 JOHANNES DE IMOLA, Repetitio capituli ‘Cum contingat’ de iure iurando (X.2.24.28). — Erstdruck: Bologna, Zampol Zaffone, 1476 (GW M14127, IGI 5291, ISTC ij00348000). 268 ANGELUS DE UBALDIS, Super Infortiatum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: – Vat. lat. 3955, f. 11v, «in nono bancho ad sinistram ingredientibus», «Angelus super Infortiato ex papyro in tabulis»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 50, Nr. 443, «Angelus super Infortiato, ex papiro in nigro, in fine 8 pagine ‘matrimonium’» (= Vat. lat. 2613); KUTTNER – ELZE, A Catalogue of Canon Law manuscripts cit., Bd. 2, S. 174; Vat. lat. 3967, Index, f. 6r, Nr. 467, «Angelus super Infortiatum in 9. pluteo ad sinistram superius», «ex papyro in tabulis» = Vat. lat. 2613 (vgl. Rosso 304, S. 226, «ex papyro in tabulis»). — Erstdruck: im Betrachtungszeitraum nicht im Druck zugänglich (Super Infortiatum, Milano, Uldericus Scinzenzeler, 18.5.1493 [GW M48622, IGI 9926, ISTC iu00007500). 269 LEONARDUS ARETINUS (LEONARDO BRUNI), Cicero novus seu vita Ciceronis.

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[115] Repetitio Mariani Senens[i] ex papyro impress[a] solut[a]270. xviii Libri in bibliotheca pernecessarixix scripti [116] Augustinus de Anchona super epistulas Pauli ex papyro in rubro271. [117] Johannis de Turrecremata cardinalis sancti Sixti de potestate pape ex papyro in pavonaceo272. [118] Marmotretus super Bibliam ex papyro in rubeo273. xviii

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xix

Ms.: «per necessarii».

— Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 23r, «in prima capsa quarti banchi», «Ciceronis et Demosthenis vite ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 59v, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 246, «Leonardus in Ciceronis et Demosthenis vitas»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: nicht in den Frühdruck gelangt. — Handschriften BAV: Vgl. H. BARON, Leonardo Bruni Aretino: Humanistisch-philosophische Schriften mit einer Chronologie seiner Werke und Briefe, Leipzig 1938, mit Ed. S. 113-119, sowie F. DE MARCO, Un nuovo codice del «Cicero novus» di Leonardo Bruni Aretino, in Aevum 31 (1957), S. 186-189. 270 MARIANO SOZZINI IL VECCHIO DA SIENA, [1] Repetitio capituli ‘Sententiam sanguinis’ super materia irregularitatis, [2] Repetitio capituli ‘Fraternitatis’ de testibus, oder [3] Repetitio paragraphi ‘Quod si super positi’ de nominatione in iudicio. — Erstdruck: [1] Perugia, Petrus Petri de Colonia – Johannes Nicolai de Bamberga, ca. 1473-75 (GW M42761, ISTC is00606200), [2] Pescia, Drucker des Canaro, ‘De materia excusatoris’, 12.5.1489 (GW M42756, IGI 9073, ISTC is00605500), [3] Siena, Henricus de Colonia – Henricus e Harlem, 1491 (GW M42750, IGI 9077, ISTC is00608000). — Inkunabeln BAV: [1] Repetitio capituli ‘Sententiam sanguinis’ super materia irregularitatis, Roma, Georg Lauer, vor 1481 (GW M42763, IGI 9075, ISTC is00606500), Inc. S.98(4). 271 AUGUSTINUS TRIUMPHUS / AUGUSTINUS DE ACONA (AGOSTINO TRIONFO), Lectura in epistolas Pauli (vgl. Art. von B. MINISTERI in DBI 1 (1960), Nr. 18, überliefert in Leipzig, Universitätsbibliothek, Hs. 515, f. 1r(a)-336r(a)). — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 10, Nr. 53: «Expositio epistolarum Pauli ad Romanos fratris Augustini, ex papiro in rubro» = Vat. lat. 935. — Erstdruck: nicht im Frühdruck erschienen. 272 RAPHAEL DE PORNAXIO [fälschlich: JOHANNES DE TURRECREMATA], De potestate Papae et concilii generalis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 10v, «octavo bancho sinistram ingredientibus», «Cardinalis S. Sixti de potestate papae in papyro ex pavonatio»; Vat. lat. 7136, f. 88r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 290, «Joannis de Turrecremata cardinalis Sancti Sixti de potestate papae liber tertius et quartus, quorum tertius est de potestate inferiorum prelatorum a papa, quartus de potestate concilii, vel eius potius, Laurentii, incipit, Post papalem potestatem de q.a s.i tractatu proximo dicendum est»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Köln, Heinrich Quentell, 9.9.1480 (GW M3704460, IGI 9884, ISTC it00542000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). 273 GIOVANNI MARCHESINO, Mammotrectus super Bibliam. — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 10, Nr. 54: «Liber Mamotreti, ex papiro in rubro, in fine I pagine ‘aliqua’» (= Vat. lat. 1065) (einziges Exemplar). — Erstdruck: Mainz, Peter Schöffer, 10.11.1470 (GW M20801, ISTC im00232000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Nicolas Jenson, 23.9.1479 (GW M20819, IGI 6147, ISTC im00239000), Inc. IV.776; Milano, Leonardus Pachel – Uldericus Scinzenzeler, 29.8.1481 (GW M20799, IGI 6149, ISTC im00241000), Inc. V.161; Venezia, Andreas de Paltasichis, 6.7.1482 (GW M20824, IGI 6150, ISTC im00242000), Inc. IV.285, Inc. IV.349, Inc. IV.529.

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[119] Epistule beati Bernardi ex membr[anis] in rubro274. [120] Dialogus Ochan ex papyro in rubro275. [121] Summa naturalium magistri Pauli de Venetiis ex papyro in rubro276. [122] Quedam opuscula beati Johannis Chrysostomi ex papyro in albo277. [123] Maffeus Vegius de educatione liberorum cum quibusdam«»aliis ex papyro in albo278. xx [124] Virgilius ex papyro in rubeo279. [125] Terentius280 et rhetorica Trapezuntii ex papyro in rubeo281. xx

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274 BERNARDUS CLARAEVALLENSIS (BERNHARD VON CLAIRVAUX), Epistolae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 8v, «B. Bernardi Epistolae ex membranis in rubeo», f. 42v, «primo bancho bibliothecae secretae», «Epistolae B. Bernardi abbatis ex membranis in rubeo»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 112, Nr. 1025, «Epistole b. Bernardi abbatis, ex embranis in rubro, in fine pagine ‘fornu’» (= Vat. lat. 664), S. 361, Nr. 3125, «Bernardi epistole, ex membranis in rubeo» (= Vat. lat. 662) (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 516f., saec. II); Vat. lat. 3969, Nr. 2622 («ex membranis in rubeo») = Vat. lat. 663 (vgl. VATTASSO – CAVALIERI, I, S. 517-522, saec. XIV, nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.). — Erstdruck: Straßburg: Heinrich Eggestein, nicht nach 1474 (GW 3923, IGI 1522, ISTC ib00383000). 275 GUILELMUS DE OCCAM (WILHELM OF OCKAM), Dialogorum libri septem adversus haereticos. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 51v, «in quinto bancho bilbiothecae parvae secretae», «Dialogus Guiglielmi Occan ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7131, f. 12v, «in quinto bancho Bibliothecae parvae supra», «dialogus Guilelmi Ochan ex papyro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 18v, «bibliotheca latina, sexto scamno supra», Nr. 14, «Dialogus Ochan»; Vat lat. 7136, f. 30v, «in capsis pontificiae bibliothecae secretioris quae media est latina, in capsa prima introeuntibus prope armaria», Nr. 90, «Ocham Dialogorum pars prima […]»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 119, Nr. 1081, «Dialogus Occan, ex papyro in rubro, in fine II pagine ‘ca’» (= Vat. lat. 4098). — Erstdruck: Paris, Drucker von Ockam, 5.9.1476 (GW 11907, ISTC io00008000). 276 Vgl. Anm. 216. 277 JOHANNES CHRYSOSTOMUS, Opuscula. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 140v, «in iii.o scamno supra», Nr. 1, «Joannis Chrysostomi archiepiscopi Constantinopolitani ex variis operibus collectanea per modum sermonum»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, ca. 1477-78 (GW M13313, ISTC ij00276000). 278 MAFFEUS VEGIUS (MAFFEO VEGIO), De educatione liberorum et eorum claris moribus. — Erstdruck: Milano, Leonardus Pachel, 18.10.1491 (GW M49516, IGI 10130, ISTC iv00111000). 279 PUBLIUS VERGILIUS MARO, wahrscheinlich Aeneis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 23v, «in secunda capsa quarti banchi», «Vergilius antiquus ex membranis et papiro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 15v, «Bibl. lat., III scanno supra», Nr. 1 und 2: «Virgilius»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Leuven, Johannes de Westfalia, 8.4.1476 (GW M50112, ISTC iv00196700). 280 PUBLIUS TERENTIUS AFER, Comoediae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41r, «nono scamno infra», Nr. 9, «M. Terentius Varro de lingua Latina et analogia»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Sixtus Riessinger, ca. 1469 (GW M45431, ISTC it00063800). 281 GEORGIUS TRAPEZUNTIUS, Rhetorica.

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[126] Ovidii Metamorphosis282 et Fastorum283 ex papyro in rubro. [127] Ovidii de sine titulo cum aliis operibus ex papyro in nigro284. [128] Horatius cum commento ex papyro in rubro285. [129] Iuvenalis cum commento Domitii ex papyro in nigro286. [130] Iuvenalis ex papyro in rubeo287. [131] Lucanus288 et rhetorica Aristotelis ex papyro in rubro, Leonardi Aretini tra— Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, nicht vor 1472 (GW 10664, IGI 4220, ISTC ig00157000). 282 PUBLIUS OVIDIUS NASO, Metamorphoses. — Erstdruck: Venezia, Federicus de Comitibus Veronensis, ca. 1472 (GW M28871, ISTC io00177000); bzw., wo nicht als Opera, als Metamorphoses mit (den hier nachstehenden) Fasti, nur: Rostock, Fratres Domus Horti Viridis ad S. Michaelem, ca. 1480 (GW M28893, ISTC io00182500). 283 PUBLIUS OVIDIUS NASO, Fasti. — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, ca. 1470-71 (GW M28683, ISTC io00168500). — Inkunabeln BAV: Venezia, Antonius Battibovis, 27.8.1485 (GW M28693, IGI 7070, ISTC io00172000), Inc. II.297(1). 284 So nicht eindeutig zu identifizieren. Oftmals werden die Elegien Amores ohne Titel angegeben, vgl. Catalogue of Manuscripts in the British Museum, new series, Bd. 1, London 1840, S. 59, Nr. 217 («Cod. cart. in 8vo, pp. 182, sec. XV, ‘Incipit liber Ovidii de sine titulo’»); V. ROSE, Verzeichnis der lateinischen Handschriften der Königlichen Bibliothek zu Berlin, Bd. I, Hildesheim – New York 1976, S. 430, Nr. 193 et al.). Pars II der zweibändigen Ovid-Werkausgabe von Schweynheym und Pannartz (und nur diese Ausgabe) beginnt mit den Amores und könnte also hier gemeint sein: PUBLIUS OVIDIUS NASO, Opera, ed. JOHANNES ANDREAS, Bf. von Aleria, Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, nicht vor 18.7.1471 (IGI 7042, ISTC io00127000). 285 QUINTUS HORATIUS FLACCUS, Opera, entweder [1] mit dem Kommentar des POMPONIUS PORPHYRIO, Pseudo-Acron, oder [2] hg. und mit dem Kommentar von CRISTOFORO LANDINO. — Erstdruck: [1] Roma, Wendelinus de Wila, ca. 1474-75 (GW 13471, IGI 4894, ISTC ih00472000); [2] Firenze, Antonio di Bartolommeo Miscomini, 5.8.1482 (GW 13458, IGI 4880, ISTC ih00447000). 286 DECIMUS IUNIUS IUVENALIS, Satyras, mit dem Kommentar des DOMIZIO CALDERINI. — Erstdruck: Venezia, Jacobus Rubeus, 24.4.1475 (GW M15783, IGI 5575, ISTC ij00642000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Baptista de Tortis, 31.10.1481 (GW M158010, IGI 5583, ISTC ij00645000), Inc. II.532; Venezia, Baptista de Tortis, 30.3.1485 (GW M15816, IGI 5588, ISTC ij00650000), Inc. II.500, Inc. III.33(1); Milano, Antonius Zarotus, 27.6.1485 (GW M15726, IGI 5589, ISTC ij00650500), Inc. II.314. 287 DECIMUS IUNIUS IUVENALIS, Satyras. Vgl. supra, Anm. 286. 288 MARCUS ANNAEUS LUCANUS, Pharsalia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3967, f. 50v, Nr. 807, «Lucani Farsalia in VI.o pluteo ad dexteram superior»; Nr. 808, «Lucani Farsalia in VI.o pluteo ad dexteram superior». — Erstdruck: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1469 (GW M18850, IGI 5810, ISTC il00292000). — Inkunabeln BAV: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1469 (GW M18850, IGI 5810, ISTC il00292000), Inc. II.3 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.II.3); Brescia, Jacobus Britannicus, 2.5.1486 (GW M18829, IGI 5818, ISTC il00301000), Inc. II.613 (http://digi.vatlib. it/view/Inc.II.613); Venezia, Nicolaus Battibovis, 13.5.1486 (GW M18852, IGI 5819, ISTC il00302000), Inc. II.298 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.II.298).

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ductio289. [132] Marcus Manlius et Aratus290 ex papyro in rubro. [133] Orationes Marci Tullii Ciceronis Verrine et Philippice ex papyro in rubeo291. [134] Marcus Tullius Cicero de oratore292 et Salustius de bello Catiline et Iugurthe293 ex papyro in rubro.

289 ARISTOTELES, Rhetorica, Übersetzung LEONARDO BRUNI. — Erstdruck: in der Übersetzung durch Lenardo Bruni nicht in den Frühdruck gelangt. (Vgl. E. GARIN, Le traduzioni umanistiche di Aristotele nel sec. XV, in Atti e Memorie dell’Accademia fiorentina di Scienze morali ‘La Colombaria’, n.s. II (1947-1950), S. 55-104, C. SCHMITT, Aristotle and the Renaissance, Cambridge Mass. – London 1983). 290 MARCUS MANILIUS, Astronomica / Astronomicon libri V, zusammen mit ARATUS, Phaenomena (trad. GERMANICUS CAESAR). — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 310, Bl. 26v, Vat. lat. 8172, chart., saec. XV, vgl. A.-V. GILLES-RAYNAL – FRANÇOIS DOLBEAU – JEANNINE FOHLEN et al., Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque vaticane, catalogue établi par Èlisabeth Pellegrin, Tome III, 2me partie, Fonds Vatican latin, 2901-14740, Città del Vaticano 2010, S. 709, geschrieben ca. 1470, «acquis par la Bibliothèque Vatican à une date indéterminée». — Erstdruck: Bologna, Ugo Rugerius – Doninus Bertochus, 20.3.1474 (GW M20624, IGI 6126, ISTC im00203000) (nur diese Ausgabe in der Werkkombination). — Inkunabeln BAV: Bologna, Ugo Rugerius – Doninus Bertochus, 20.3.1474 (GW M20624, IGI 6126, ISTC im00203000), Inc. II.295(1). 291 MARCUS TULLIUS CICERO, [1] Orationes Verrinae und [2] Orationes Philippicae. — Erstdruck: [1] Bologna, Bazalerius de Bazaleriis, 1490 (GW 675, IGI 2939, ISTC ic00557400) (nur dieser Einzeldruck); [2] Roma, Ulrich Han, ca. 1470 (GW 6794, IGI 2935, ISTC ic00554000). (In dieser Kombination nicht zusammen gedruckt). — Inkunabeln BAV: [2] Vicenza, Henricus de Sancto Ursio, 9.6.1488 (GW 6796, IGI 2937, ISTC ic00556000), Inc. II.630(2) (http://digi.vatlib.it/view/Inc.II.630). 292 MARCUS TULLIUS CICERO, De oratore. — Erwähnung in Katalogen der BAV: nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3968, Nr. 1075, «M. T. Cicero liber ad quintum fratrem de oratore ex papiro in rubeo»; Vat. lat. 3955, f. 70v, «in secunda capsa iiii. banchi eiusdem bibliothecae parvae secretae», «M. T. Cicero de oratore ex papiro in rubro». — Erstdruck: Subiaco, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 30.9.1465 (GW 6742, IGI 2941, ISTC ic0654000). — Inkunabeln BAV: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1468/69 (GW 6744, ISTC ic00656000), Inc. III.229 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.III.229); Venezia, Christoph Valdarfer, 1470 (GW 6746, IGI 2945, ISTC ic00658000), Inc. III.10; Venezia, Thomas de Blavis, 16.5.1488, zusammen mit, wie oben (GW 6751, IGI 2950, ISTC ic00663000), Inc. III.137. 293 GAIUS SALLUSTIUS CRISPUS, De coniuratione Catilinae, De bello Iugurthino. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 67v, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 244, «Crispi Salustii Catilinarius», f. 68r, Nr. 251, «Crispi Salustii Catilinarius et Jugurthinus»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: unter dem Titel Opera, Venezia, Wendelin von Speyer, 1470 (GW M39623, IGI 8527, ISTC is00051000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 23.3.1474 (GW M39595, IGI 8532, ISTC is00056000), Inc. III.21; Venezia, Johannes Rubeus Vercellensis – Franciscus de Madiis, nicht nach 1490 (GW M39613, IGI 8548, ISTC is00074200), Inc. II.840; Venezia, Philippus Pincius, 11.5.1491 (GW M39607, IGI 8551, ISTC is00076000), Inc. II.930.

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[135] Marcus Tullius Cicero de oratore ex papyro in rubro294. [136] Marcus Tullius Cicero epistule ad Lentulum ex papyro in rubro295. [137] Marcus Tullius Cicero rhetorica vetus ex papyro in rubeo296. [138] Marcus Tullius Cicero questiones Tusculane297, de finibus bonorum et malorum298, in Timeo Platonis299, de legibus300, de petitione consula294

MARCUS TULLIUS CICERO, De oratore (vgl. supra, Anm. 292). MARCUS TULLIUS CICERO, Epistolae ad Familiares (I, liber 1, Ad Publium Lentulum). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41r, «nono scamno supra», Nr. 15, «M. Tullii Ciceronis Epistule ad Lentulum»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. (dort, S. 165, Nr. 1389: «Epistolae Ciceronis, in pavonatio ex papyro, impressus, in fine I pagine ‘ostendi’» [«in nigro»], mit Anm. 273: Aus den Büchern Julius’ II., nicht in den Beständen der heutigen Vaticana erhalten); Rosso 310, S. 129, Vat. lat. 7577, f. 1-187, «M. T. C. Epistolarum ad P. Lentilum liber incipit», f. 189, Extrakte aus LUCAN, De bello civili, nach Manuscrits latins cit., III.2, S. 681, «Papier, saec. XV», ohne Besitzerangabe, «le manuscrit a été acquis par la Bibliothèque Vaticane à une date indéterminée». — Erstdruck: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1467 (GW 6799, IGI 2806, ISTC ic00503500). — Inkunabeln BAV: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1467 (GW 6799, IGI 2806, ISTC ic00503500), Inc. III.1 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.III.1); Venezia, Johannes de Spira, vor 18.9.1469 (GW 6800, IGI 2807, ISTC ic00504000), Inc. III.482; Venezia, Johannes de Spira, vor 18.9.1469 (GW 6801, ISTC ic00505000), Inc. II.2 (http://digi.vatlib.it/view/ Inc.II.2); Milano, Antonius Zarotus, 24.11.1476 (GW 6820, IGI 2824, ISTC ic00517000), Inc. II.219. 296 MARCUS TULLIUS CICERO, De inventione, sive Rhetorica vetus. — Erstdruck: Venezia, Nicolas Jenson, 1470 (GW 6733, IGI 2866, ISTC ic00644000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Filippo di Pietro, 1475 (GW 6734, IGI 2867, ISTC ic00645000), Inc. III.347(1); Venezia, Filippo di Pietro, 1479/80 (GW 6735, IGI 2868, ISTC ic00646000), Inc. II.441; Venezia, Baptista de Tortis, 24.1.1481/82 (GW 6736, IGI 2869, ISTC ic00647000), Inc. II.286, Inc. II.529; Venezia, Johannes de Gregoriis de Forlivio – Jacobus Britannicus, 17.7.1483 (GW 6737, IGI 2870, ISTC ic00648000), Inc. III.423(1) (http://digi. vatlib.it/view/Inc.III.423), Inc. III.510 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.III.510); Venezia, Baptista de Tortis, 31.10.1483 (GW 6738, IGI 2871, ISTC ic00649000), Inc. II.90; Milano, Antonius Zarotus, 29.4.1485 (GW 6739, IGI 2872, ISTC ic00650000), Inc. III.414(2), Inc. III.423(2); Venzia, Marinus Saracenus, 18.9.1487 (GW 6740, IGI 2873, ISTC ic00651000), Inc. II.681. 297 MARCUS TULLIUS CICERO, Tusculanae disputationes. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 12v, «Bibliotheca latina, III scanno infra», Nr. 14, «M. Tullii Ciceronis Tusculana»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. (dort S. 242, Nr. 2063: «Tusculane impresse, ex papyro in tabulis, finiens in prima carta ‘poetam’» = Vat. lat. 3968, Nr. 2153, «M. T.i Ciceronis Tusculanarum lib. ex pap.o in tab. fra li stampati»; siehe DI SANTE – MANFREDI, Index cit., Anm. 549: «La voce corrisponde alle Tusculanae disputationes edite a Venezia da Iohannes Tacuinus nel 1499 (BAVI C-113), di cui la Vaticana possiede attualmente il solo esemplare Inc. II.394, acquisito però dopo il 1533, quindi non identificabile con questa voce; ancora presente in R, l’esemplare qui descritto si è perduto in epoca successiva»). — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, 1.4.1469 (GW 6888, IGI 2988, ISTC ic00630000). 298 MARCUS TULLIUS CICERO, De finibus bonorum et malorum. — Erstdruck: Köln, Ulrich Zel, ca. 1470 (GW 6884, IGI 2861, ISTC ic0054000). 299 MARCUS TULLIUS CICERO, Timaeus (Übersetzung aus Platon). — Erstdruck: als Einzeldruck. Leipzig, Martin Landsberg, ca. 1490 (GW 7023, ISTC ic00629500). 300 MARCUS TULLIUS CICERO, De legibus. 295

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us301 ex papyro in rubro302. [139] Epistule Philelphi ex papyro in pavonacio303. [140] Epistule Phalaridis304 et Plinii iunioris305 ex papyro in albo. [141] Herodotus historicus ex papyro in rubro306. [142] Quintus Curtius de gestis Alexandri ex papyro in rubro307. — Erstdruck: Venezia, Drucker des Ausonius, ca. 1472 (GW 6913, ISTC ic00568000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). 301 MARCUS TULLIUS CICERO, De petitione consulatus. — Erstdruck: als Einzelausgabe nicht im Frühdruck erschienen. 302 Hier insgesamt der Band: MARCUS TULLIUS CICERO, Scripta philosophica, Teil II,1 (Tusculanae disputationes, De finibus bonorum et malorum, De fato, Timaeus, Academica, De legibus, Hexasticha XII Sapientum, De petitione consulatus). — Erstdruck: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 1471 (GW 6883, IGI 2879, ISTC ic00558000). 303 FRANCISCUS PHILELPHUS, Epistolae. — Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, 6.10.1473 (GW M32997, IGI 3885, ISTC ip00583000). — Inkunabeln BAV: Brescia, Jacobus Britannicus, 7.5.1485 (GW M32971, IGI 3886, ISTC ip00584000), Inc. II.941; Venezia, Johannes Rubeus Vercellensis, 28.1.1488 (GW M32995, IGI 3887, 3888, ISTC ip00585000), Inc. III.40; Venezia, Bernardinus de Choris de Cremona, 3.4.1489 (GW M32990, IGI 3890, ISTC ip00590000), Inc. II.392. 304 (Pseudo-)PHALARIS, Epistolae. — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, ca. 1468/69 (GW 32838, IGI 7682, ISTC ip00546000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Drucker des Duns Scotus ‘Quaestiones’, ca. 1472 (GW M32864, IGI 7687, ISTC ip00549000), Inc. IV.963; Roma, Johannes Gensberg, ca. 1474 (GW M32891, IGI 7690, ISTC ip00552000), Inc. IV.361(2); Roma, Stephan Plannck, ca. 1479/80 (GW M32884, IGI 7697, ISTC ip00558000), Inc. IV.846; Roma, Stephan Plannck, 1481-87 (GW M32887, IGI 7698, ISTC ip00560000), Inc. IV.361(1); Firenze, Antonius Francisci, Venetus, 1487 (GW M32847, IGI 7701, ISTC ip00561000), Inc. IV.839. 305 CAIUS CAECILIUS PLINIUS SECUNDUS, Epistolae. — Erstdruck: Venezia, Christophorus Valdarfer, 1471 (GW M34367, IGI 7896, ISTC ip00804000). 306 HERODOT, Historiae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 64r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 224, «Herodoti Alicarnasei historiarum libri IX»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: (trad. LORENZO VALLA), Venezia, Jacobus Rubeus, vor Dez. 1474 (GW 12321, IGI 4692, ISTC ih00088000). 307 QUINTUS CURTIUS RUFUS, De gestis Alexandri Magni regis, bzw. Historiae Alexandri Magni. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 17v, «biblioteca latina, quinto scanno supra», Nr. 12, «Quintus Curtius»; ibd., «quinto scanno infra», Nr. 5, «Q. Curtius»; Vat. lat. 7135, f. 41r, «nono scamno infra», Nr. 7, «Q. Curtius de Alexandro Macedone»; f. 59r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 208, «Vita Alexandri et aliorum Ill., liber ruber», Nr. 211, «Vitae Alexandri et Caesari«», Nr. 216, «Q. Curtius de Alexandro Macedone»; Vat. lat. 7136, f. 62r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 216, «Q. Curtii libri de Gestis Alexandri magni»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, ca. 1471 (GW 7871, IGI 3286, ISTC ic00998000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Wendelin von Speyer, ca. 1471 (GW 7871, IGI 3286, ISTC ic00998000), Inc. III.543; Milano, Antonius Zarotus, 26.3.1481 (GW 7873, IGI 3288, ISTC ic01000000), Inc. III.101(2).

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[143] Valerius Maximus ex papyro in rubro308. [144] Appianus Alexandrinus de bellis civilibus a Petro Candido traductus ex papyro in rubro309. [145] Helius Spartianus de vitis imperatorum310, Eutropius311, Paulus Diaco308 CAIUS VALERIUS MAXIMUS, Facta et dicta memorabilia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 22v, «in prima capsa quarti banchi», «Valerius maximus ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 58v, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 199, «Valerius Maximus», Nr. 206, «Valerius Maximus, liber ruber»; f. 59r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 215, «Valerius Maximus», Nr. 226, «Liber Valerii Maximi factorum memorabilium»; Vat. lat. 7136, f. 59v, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 194, «Valerii Maximi dictorum factorumque memorabilium liber et Dionysii de Burgo S.ti Sepulchri ordinis eremitarum Augustini sacre theologie magistri ad Joannem de Columna Sancti Angeli diaconum cardinalem commentarium super novem Valerii Maximi libris […]», Nr. 199, «Valerii Maximi dictorum factorumque libri nove«», f. 61, Nr. 206, «Valerii Maximi dictorum et factorum memorabilium domesticarum externarumque gentium ad Tyberium Caesarem libri novem, [...]», f. 62r, Nr. 215, «Valerii Maximi dictorum ad factorum etc. libri», f. 64r, nr. 226, «Valerii Maximi dictorum etc. libri IX, liber vetustus»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 234, Nr. 1985: «Valerius Maximus, ex papyro in rubro, finiens in prima carta ‘Apollo’» (= Vat. lat. 1920); Rosso 312, S. 453, Vat. lat. 8895, Valerii Maximi opera in libros novem distincte», nicht in Manuscrits classiques. — Erstdruck: Straßburg, Johann Mentelin, nicht nach 15.6.1470 (GW M4916, IGI 10054, ISTC iv00022000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Wendelin von Speyer, 1471 (GW M49192, IGI 10055, ISTC iv00024000), Inc. II.12(1); Milano, Philippus de Lavagnia, 4.2.1478 (GW M49148, IGI 10061, ISTC iv00029000), Inc. II.784; Venezia, P.F., B.R.,S.F., Z.F., 1.7.1478 (GW M49190, IGI 10062, ISTC iv00030000), Inc. III.27. 309 APPIANUS ALEXANDRINUS, De bellis civilibus, trad. lat. PETRUS CANDIDUS DECEMBRIUS. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 2r, «Octavo scano supra», Nr. 7, «Appianus Alexandrinus», f. 22v, in prima capsa quarti banchi», «Appianus Alexandrinus ex papiro in rubro», f. 17v, «Bibl. lat., quinto scanno supra», Nr. 17, «Appianus Alexandrinus de bello civili», f. 59r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 212, «Libri quinque Appiani Alexandrini de civilibus Romanorum bellis a Candido. Item Illyrius eiusdem. Item Celticus eiusdem»; Vat. lat. 3955, f. 34v, «VIII bancho», Nr. 400, «Appianus Alexandr(!) ex papiro in rubro»; Vat. lat. 3968, Nr. 900, «Appiani Alexandri libri quinque de civilibus Romanorum bellis a Candido traductis, eiusdem Appiani liber Illyricus, eiusdem liber Celticus ex papiro impresso in virido», Nr. 901, «Appiani Alexandrini historiarum antiquarum lib. v., eiusdem Illyricus liber, eiusdem Celticus liber a Candido in latino traducti impresse ex papiro in virido» (diese beiden «in 1° pluteo»); DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 165, Nr. 1388, «Appianus Alexandrinus, ex papyro in nigro, impressus, in fine I pagine ‘continentur’» (= Inc. II.9; Anm. 275: «Fu di Ferry de Clugny»). — Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, 1472 (GW 2293, IGI 766, ISTC ia00931000) (2 Teile, in Pars II De bellis civilibus). — Inkunabeln BAV: Venezia, Bernhard Maler, Erhard Ratdolt – Peter Löslein, 1477 (GW 2290, IGI 763, ISTC ia00928000), Inc. III.349 (in zwei Teilen, Pars II enthält De bellis civilibus). 310 AELIUS SPARTIANUS (historisch nicht belegter Autor der Historia Augusta). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in nono scamno infra», Nr. 14, «Helius Spartanus de Imperatoribus»; Vat. lat. 7136, f. 64r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 230, Elii Spartiani et aliorum vite principum ro. et tyrannorum ab Hadriano ad Numerianum»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: nur als Teil der Scriptores historiae Augustae. 311 EUTROPIUS, Breviarium historiae Romanae.

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nus312 et Suetonius de XII caesaribus313 ex papyro in albo314. [146] Paulus Orosius ex papyro in rubro315. [147] Laertius Diogenes de vitis philosophorum ex papyro in rubro316. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41r, «nono scamno infra», Nr. 10, «Eutropius»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: mit Fortsetzung durch Paulus Diaconus, Roma, Georg Lauer, 20.5.1471 (GW M30113, IGI 3768, ISTC ie00131000), danach nur als Teil der Scriptores historiae Augustae. 312 PAULUS DIACONUS, hier als Fortsetzer des Eutropius, vgl. oben, Anm. 311. — Erstdruck: nur als Fortsetzer des Eutropius (vgl. oben, Anm. 311) oder als einer der Scriptores historiae Augustae. — Inkunabeln BAV: vgl. oben, Anm. 311. 313 CAIUS SUETONIUS TRANQUILLUS, Vitae XII Caesarum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 58r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 183, «Suetonius», f. 58v, Nr. 198, «Suetonius Tranquillus de XII. Caesaribus», f. 59v, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 232, «Suetonius»; Vat. lat. 7136, f. 57r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 183, «Caii Suetonii Tranquilli de vita XII Caesarum libri XI», f. 57v, Nr. 187, «Suetonius de XII Caesaribus liber vetustus», f. 60r, Nr. 198, «C. Suetonii Tranquilli de vita XII Caesaribus lib. XII», Nr. 202, «Suetonii Tranquilli de vita Caesarum libri tres primi videlicet usque ad Caligulam, liber vetus et non distinctus in capita, Crispi Salustii Catilina et Jugurtha liber vetus», f. 64v, Nr. 232, «Suetonii Traquilli de Vita Caesarum libri XII.»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 310, Bl. 159r, vgl. Manuscrits classiques cit., III.2, S. 694f., Vat. lat. 7717, «Sueton, Vitae Caesarum, Papier, saec. XV (1472)», keine Besitzspuren, «aquis par la Bibliothèque Vatican à une date indéterminée». — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 8.1470 (GW M44220, IGI 9227, ISTC is00815000). Auch unter den Autorendes Druckes Scriptores historiae Augustae. — Inkunabeln BAV: Bologna, Drucker von Suetonius ‘Vitae’, ca. 1475-77? (GW M44193, IGI 9231, ISTC is00819000), Inc. IV.214; Bologna, Franciscus Plato de Benedictis, 23.2.1488 (GW M44195, IGI 9234, ISTC is00821500), Inc. II.573. 314 Hier der Sammeldruck: Scriptores historiae Augustae. — Erstdruck: Milano, Philippus de Lavagnia, 1475 (GW M44203, IGI 8847, ISTC is00340000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes Rubeus Vercellensis, 15.7.1490 (GW M44253, IGI 8849, ISTC is00342000), Inc. II.48(1), Inc. II.48(3). 315 PAULUS OROSIUS, Historiae adversus paganos. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 18r, «bibl. lat., vi.o scamno infra», Nr. 4, «Paulus Orosius historicus», Nr. 5, «Paulus Orosius», f. 41r, «nono scamno supra», Nr. 16, «Paulus Orosius»; ibd., «in nono scamno infra», Nr. 5, «Paulus Orosius»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Augsburg, Johann Schüssler, ca.7.6.1471 (GW M28416, IGI 7033, ISTC io00096000). 316 DIOGENES LAERTIUS, Vitae et sententiae philosophorum (trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 17v, «bibliotheca latina, quinto scanno supra», Nr. 22, «Laertius Diogenes in vitis philosophorum», Nr. 23, «Diogenes in vitis philosophorum», f. 87r, «in eodem octavo scamno infra», Nr. 2, «Laertii Diogenis de vitis philosophorum libri x»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Vat. lat. 3968, Nr. 893, «Diogenes Laertius de philosophorum vitis, Item Apulleius de natura et Deo, idem de habitudine Platonis et eius doctrina, Idem de mundi habitudine et ipsius gubernatore ex papiro in rubeo» = Vat. lat. 1893 (vgl. NOGARA cit., III, S. 341, «anno 1456, chart., fol. » — zusammen mit «L. Apuleii opuscula duo»).

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[148]xxi Herodotus traductus a Laurentio Valla ex papyro in albo317. [149] Solinus de rebus memorabilibus mundi ex papyro in rubro318. [150] Commentaria Caii Julii Caesaris ex papyro in rubro319. [151] Macrobius in somnium Scipionis et saturnalibus ex papyro in rubro320. [152] Platyna de vitis pontificum ex papyro in rubro321. xxi

F. 423v.

— Erstdruck: (trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI), Roma, Georg Lauer, 1472 (GW 8378, IGI 3458, ISTC id00219000). — Inkunabeln BAV: Roma, Georg Lauer, 1472 (GW 8378, IGI 3458, ISTC id00219000), Inc. III.83 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.III.83); Venezia, Bonetus Locatellus, 18.12.1490 (GW 8381, IGI 3461, ISTC id00222000), Inc. IV.466(3), Inc. IV.624, Inc. IV.772. 317 HERODOTUS, Historiae (trad. lat. LAURENTIUS VALLA) [eigenhändige Korrekturen Vallas in BAV, Vat. gr. 122]. — Erstdruck: (trad. lat. LAURENTIUS VALLA) Venezia, Jacobus Rubeus, vor 12.1474 (GW 12321, IGI 4692, ISTC ih00088000). 318 CAIUS IULIUS SOLINUS, Polyhistor, sive De mirabilibus mundi, sive Collectanea rerum memorabilium. — Erstdruck: Venezia, Nicolas Jenson, 1473 (GW M42828, IGI 9084, ISTC is00615000). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Schurener aus Boppard?, ca. 1474-75 (GW M42824, IGI 9085, ISTC is00616000), Inc. V.70; Milano, Johannes Bonus, 21.7.-26.10.1475? (GW M42817, IGI 9086, ISTC is00618000), Inc. V.149. 319 GAIUS IULIUS CAESAR, Commentarii. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 41v, «in nono scamno infra», Nr. 13, «Commentarii C. Julii Caesaris»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, In domo Petri de Maximis (Schweynheym – Pannartz), 12.5.1469 (GW 5863, IGI 2320, ISTC ic00016000). — Inkunabeln BAV: Milano, Philippus de Lavagnia, 8.4.1478 (GW 5867, IGI 2324, ISTC ic00020000), Inc. II.785; Treviso, Michael Manzolus, 30.6.1480 (GW 5868, IGI 2325, ISTC ic00021000), Inc. III.101(1). 320 AMBROSIUS THEODOSIUS MACROBIUS, In somnium Scipionis expositio, und Saturnalia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Ott. lat. 1904, f. 38v, «in VII bancho. Macrobius de Somno Scipionis ex papyro in rubeo»; Vat. lat. 3955, f. 33v, «in VII bancho», Nr. 355, «Macrobius de somnio Scipionis ex papyro in rubro», f. 72r, «in secunda capsa vi. banchi bibliothecae parvae secretae», «De somnio Scipionis et sermones varii ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7131, f. 26r, «secunda capsa sexti banchi», «De somnio Scipionis et sermons varii ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 4r, «septimo scanno infra», Nr. 9, «Macrobius de Somno Scipionis», f. 15r, «Bibliotheca latina, secundo scamno inferius», Nr. 4, «Macrobius in Scipionem», Nr. 11, «Macrobius in somnium Scipionis», f. 41r, «nono scamno infra», Nr. 11, «Macrobius de Saturnalibus», f. 57v, «in secunda sequenti capsa», Nr. 163, «Macrobius de Saturnalibus, liber ruber», f. 86r, «In vii.o scamno infra», Nr. 9, «Macrobii Ambrosii super somnio Scipionis conversus ex latinam in grecam linguam a Maximo Palnude monacho»; Vat. lat. 7134, f. 13r, «in secundo scamno inferius sive subinfra», Nr. 4, «Macrobii super Somnium Scipionis Commentarium»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Venezia, Nicolaus Jenson, 1472 (GW M19702, IGI 5923, ISTC im00008000). 321 BARTOLOMEO SACCHI, alias PLATINA, Vitae pontificum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 18r, «Bibl. lat, sexto scanno supra», Nr. 15. «Historia Platynae de vitis pontificum ad Sixtum IIII.m pontificem maximum»; Vat. lat. 3968, Nr. 1096, «Platinae historici de vitis pontificum, Item Raphaelis Volaterrani historia de vita quatuor pontificum, Item Platinae dialogus de falso et vero bono, eiusdem dialogus contra amores, eiusdem de vera nobilitate dialogus, eiusdem dialogus de optimo cive, eiusdem panegyricus in laudem cardinalis Niceni, eiusdem oratio de pace Italiae confirmanda et

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[153] Valerius Maximus ex papyro in rubro322. [154] Cronice pontificum et imperatorum Romanorum ex papyro in pavonacio323. [155] Laercius Diogenes324 et doctrinale Alexandri de Villa Dei cum commento325 ex papyro in albo. [156] Historia boemica Pii pape II326 et Appianus Alexandrinus de historia Romanorum327 ex papyro in nigro. bello Turchis indicendo; item diversorum achademicorum panegyrici in Platinae parentalia, impressus ex papiro in virido» = «impressus»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 161, Nr. 1371: «Platina De vita pontificum, impressus, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘splende’» (ibd., Anm. 243, Zuordnung zur Ausgabe 1511). — Erstdruck: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 11.6.1479 (GW M33887, IGI 7857, ISTC ip00768000). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 11.6.1479 (GW M33887, IGI 7857, ISTC ip00768000), Inc. III.250. 322 CAIUS VALERIUS MAXIMUS, Facta et dicta memorabilia. Vgl. Anm. 308. 323 RICCOBALDO DA FERRARA (irrig zugeschrieben), Chronica summorum pontificum imperatorumque. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 14.7.1474 (GW M18338, IGI 8357, ISTC ir00187000). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 14.7.1474 (GW M18338, IGI 8357, ISTC ir00187000), Inc. IV.83(2), Inc. IV.491. 324 DIOGENES LAERTIUS, Vitae et sententiae philosophorum (trad. lat. AMBROSIUS TRAVERSARI); supra, Anm. 316. 325 ALEXANDER DE VILLA DEI, Doctrinale. — Erstdruck: ohne Kommentar: Niederlande, Prototypographie, ca. 1465-80 (GW 933, ISTC ia00412100 u. v. a. m.); Venezia, Wendelin von Speyer, ca. 1470 (GW 00940ª, IGI 301, ISTC ia00419400); mit Kommentar des Johannes Synthen (Pars I), Deventer, Richardus Pafraet, 1477-70 (GW 1138, ISTC ia00440680); mit Kommentar des Facinus Tiberga, Saluzzo/ Torino?, Johannes Fabri Lingonensis, 31.7.1470 (GW 1042, IGI 315, ISTC ia00440000); mit Kommentar des Ludovicus de Guaschis, Milano, Leonardus Pachel – Uldericus Scinzenzeler, 4.10.1480 (GW 982, IGI 316, ISTC ia00423000); mit Kommentar von Aurea Grammatica (Pars I – II), Lübeck, Drucker des Fliscus (Lucas Brandis?), ca. 1483 (GW 001187a, ISTC ia00452300); mit Kommentar des Monacus Lombardus, Milano, Leonardus Pachel – Uldericus Scinzenzeler, 24.3.1484 (GW 1031, IGI 322, ISTC ia00438700); mit Kommentar des Gerardus Zutphaniensis, Köln, Apud Lyskirchen (Ulrich Zel), ca. 1487 (GW 1049, ISTC ia00440840); mit Kommentar des Wilhelmus Zenders de Wert (ParsI), Gouda, Drucker des Alexander, ‘Opus Minus’ (Gotfridus de Os), 1488 (GW 1167, ISTC ia00440780). 326 PIUS II. (ENEA SILVIO PICCOLOMINI), Historia Boemica. — Erstdruck: Roma, Johannes Schurener de Bopardia, Johannes Nicolai Hanheymer de Oppenheym, 10.1.1475 (GW M33753, IGI 7792, ISTC ip00728000). 327 APPIANUS DE ALEXANDRIA, Historia Romana (trad. lat. PETRUS CANDIDUS DECEMBRIO). — Erwähnung in Katalogen der BAV: DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 165, nr. 1388, «Appianus Alexandrinus, ex papyro in nigro, impressus, in fine I pagine ‘continentur’» [= Inc. II.9] (ibd., Anm. 271 Zuordnung zu Julius’ II.). — Erstdruck: Pars II, Venezia, Wendelin von Speyer, 1472 (GW 2293, IGI 766, ISTC ia00931000); Partes I-II, Venezia, Bernhard Maler, Erhard Ratdolt, Peter Löslein, 1477 (GW 2290, IGI 763, ISTC ia00928000). — Inkunabeln BAV: Pars II, Venezia, Wendelin von Speyer, 1472 (GW 2293, IGI 766, ISTC ia00931000), Inc. II.9; Partes I-II, Venezia, Bernhard Maler, Erhard Ratdolt, Peter Löslein, 1477 (GW 2290, IGI 763, ISTC ia00928000), Inc. III.85.

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[157] Josephus de bello Judaico328, Johannes Boccacius de montibus, silvis, lacibus et fluminibus329 ex papyro in nigro. [158] Italia illustrata Blondi Forliviensis330 et Amianus Marcellinus331 ex papyro in rubro. [159] Defensio Platonis cardinalis Niceni ex papyro in rubro332. [160] Elegantiae Laurentii Valle ex papyro in rubro333. 328

FLAVIUS JOSEPHUS, De bello iudaico. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 18r, «Bibl. lat., sexto scamno supr«», Nr. 5, «Josephus de bello iudaico», f. 18v, «VI scamno infra», Nr. 7, «Josephus de bello iudaico»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Arnold Pannartz, trad. lat. RUFINUS AQUILEIENSIS, ed. BARTOLOMEO PLATINA, 25.11.1475 (GW M15182, IGI 5387, ISTC ij00488000) (einzige Einzelausgabe im Betrachtungszeitraum). 329 JOHANNES BOCCATIUS (GIOVANNI BOCCACCIO), De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus et de nominibus maris liber. — Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, 13.1.1473 (GW 4482, IGI 1802, ISTC ib00756000) (nur diese Einzelausgabe, ansonsten im Anhang von Genealogie deorum). 330 BLONDUS FLAVIUS (BIONDO FLAVIO), Italia illustrata. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 1r («VII scanno supra»), Nr. 20, «Blondi Italia Illustrata»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, nicht vor 10.12.1474 (GW 4421, IGI 1758, ISTC ib00700000). — Inkunabeln BAV: Verona, Boninus de Boninis de Ragusia, 1481-82 (GW 4423, IGI 1760, ISTC ib00702000), Inc. II.412. 331 AMMIANUS MARCELLINUS, Res gestae, bzw. Historiae. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 22v, «in prima capsa quarti banchi», «Ammianus Marcellinus ex papiro in rubro»; Vat. lat. 7135, f. 59r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 221, «Ammianus Marcellinus», Nr. 225, «Ammiani Marcellini rerum gestarum lib. xiiii»; Vat. lat. 7136, f. 63r, «in tertia capsa per ordinem sequentem», Nr. 221, «Ammiani Marcellini rerum gestarum libri xiiii, qui extant usque a principio xiiii libri usque ad finem xxxi, nam priores xiii perierunt», f. 64, Nr. 225, «Ammiani Marcellini rerum gestarum quod extat usque ad xiiii.o libro deinceps, satis correctum, ut videtur, non tamen usque ad finem hic, nam deest»; Vat. lat. 3968, Nr. 1008 («ex papiro in rubeo») = Vat. lat. 1874 (vgl. Codices Vaticani Latini, Tom. III, Codd. 1461-2059, recensuit B. NOGARA, Roma 1912, S. 314, «Saec. XV., chart., f. 1r stemma adpictum est Barbo cardinalis») = DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 154, Nr. 1326, «Ammianus Marcellinus De rebus gestis, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘nihil’» (= Vat. lat. 1874). — Erstdruck: Historiae, libri XIV-XXVI, Roma, Georg Sachsel – Bartholomaeus Golsch, 7.6.1474 (GW 1617, IGI 441, ISTC ia00564000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). 332 BASILIUS BESSARION, Defensio platonis, bzw. Adversus calumniatorem Platonis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3947, f. 81r: «Defensio Platonis cardinalis Niceni impressus, ex papyro in rubeo». Vgl. BERTÒLA, Incunaboli cit., Nr. 13 (Nachlass Ferry de Clugny); Vgl. DI SANTE, Inventari cit., S. 348 mit Anm. 63 (Nachlass Estouteville). Exemplar verloren. — Erstdruck: Roma, Konrad Schweynheym – Arnold Pannartz, 28.8.1469 (GW 4183, IGI 1621, ISTC ib00518000). 333 LAURENTIUS VALLA, Elegantiae linguae latinae (Autograph BAV, Pal. lat. 1759, http:// digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bav_pal_lat_1759). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 61v, «in secunda capsa primi banchi eiusdem bibliothecae parvae secretae», «Elegantiae Laurentii Vallae ex pap. in rubro»; Vat.

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[161] Vitae et fabule Esopi334, Petri de Abano de venenis335 et magistri Arnaldi de epedimia tractatus336 ex papyro in albo. [162] Servius super Virgilium ex papyro in tabulis337. [163] Expositio super Iuvenalem Angeli Sabini ex papyro in rubro338. [164] Hubertini commentum super epistulas Ciceronis ad Lentulum ex papyro in albo339.

lat. 7131, f. 16r, «in secunda capsa», «Elegantie Laurentii Valle ex papiro in rubeo»; Vat. lat. 7135, f. 56v, «in secunda sequenti capsa», Nr. 121, «Elegantiae Vallae», f. 36v, Vat. lat. 7136, f. 41v, «in secunda sequenti capsa», Nr. 121, «Laurentii Vallè Elegantiè»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 237, Nr. 2006: «Elegantie Laurentii Vallensis, ex papyro in rubro, finiens in prima carta ‘huiusmodi’» (= Vat. lat. 1562). — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, vor 26.7.1471 (GW M49295, IGI 10081, ISTC iv00050000). — Inkunabeln BAV: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, vor 26.7.1471 (GW M49295, IGI 10081, ISTC iv00050000), Inc. II.13; Roma, Stephan Plannck, 17.9.1480 (GW M49298, IGI 10089, ISTC iv00057000), Inc. IV.73 (http://digi.vatlib.it/view/Inc.IV.73). 334 AESOP, Vitae et fabulae (trad. lat. RINUCIUS). — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3967, Index, f. 2r, Nr. 822, «Aesopi fabulae in 6.o pluteo ad dexteram inferius»; nicht in Di SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Milano, Antonius Zarotus, 1474 (GW 1474, IGI 64, ISTC ia00099000). 335 PETRUS DE ABANO (PIETRO D’ABANO), De venenis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7136, f. 185v, «in vii.a capsa videlicet sexte coniuncta», Nr. 513, «[...] Petri de Ebano ad Joannem pontificem Liber de venenis in sex partes divisus in quarum prima [...]»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit.; Rosso 305, S. 371 Vat. lat. 4833. — Erstdruck: (als Einzelausgabe) Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 27.1.1475 (GW M31883, IGI 7603, ISTC ip00439000). 336 ARNOLDUS DE VILLANOVA, De arte cognoscendi venena. — Erstdruck: Mantova, Johannes Vurster, 1473, mit VALASCUS DE TARENTA, De epidemia et peste, PETRUS DE ABANO, De venenis eorumque remediis, MATTHAEUS SILVATICUS, De lapide Begaar ex pandectis (GW 2522, IGI 861, ISTC ia01065900). — Inkunabeln BAV: Milano, Christoph Valdarfer, 1475, zusammen mit (wie oben) (GW 2524, IGI 863, ISTC ia01069000), Inc. IV.539(12). 337 MAURUS SERVIUS HONORATUS, Commentarii in Virgilii opera. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 57r, «in secunda sequenti capsa», Nr. 132, «Servius in Bucolica et Georgica»; f. 57v, Nr. 145, «Servius in Bucolicis et Georgicis; Vat. lat. 3967, Nr. 885, Servius in Bucollicas in VII.o pluteo ad dexteram inferius» = «ex papyro in tabulis» = Vat. lat. 1506 (vgl. NOGARA III cit., S. 35, Saec. XV) = DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 237, Nr. 2007, «Servius in Bucolicis, ex papyro in tabulis, finiens in prima carta ‘et’» (= Vat. lat. 1506), siehe auch ibd., S. 299, Nr. 2583, «Servius super Virgilium impressus, ex papyro sine tabulis» (= Vat. lat. 4462). — Erstdruck: Roma, Ulrich Han, ca. 1470-71 (GW M41882, IGI 8947, ISTC is00478000). 338 ANGELUS SABINUS (ANGELO SABINO), Paradoxa in Iuvenalem. — Erstdruck: Roma, Georg Sachsel – Bartholomaeus Golsch, 1474 (GW M39282, IGI 8493, ISTC is00013000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). — Inkunabeln BAV: Inc. II.426. 339 HUBERTINUS CLERICUS (UBERTINO CLERICO), In Epistolas ad familiares Ciceronis commentum.

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[165] Iuveniani Maii parthenopensis vocabularium ex papyro in albo340. [166] Commentum Omniboni super Lucanum ex papyro in rubeo341. [167] Servius super Virgilium ex papyro in rubeo342. [168] Quintus Asconius Pedianus et Antonius Luscus in quasdam orationes Ciceronis343 ex papyro in rubro. [169] Dionysius quidam super Valerio Maximo manu scriptus ex papyro in tabulis344. [170] Donatus super Terentium ex papyro in rubro345. [171] Margarita poetarum ex papyro in rubeo346. [172] Expositio Omniboni in Tul[lium] de oratore347. — Erstdruck: Vicenza, Hermannus Liechtenstein, 27.2.1479 (GW n0192, IGI 4911, ISTC ic00747015). — Inkunabeln BAV: Treviso, Michael Manzolus, 30.3.1480 (GW n0192, IGI 4912, ISTC ic00747020), Inc. III.128. 340 JUNIANUS MAIUS (GIUNIANO MAIO), De priscorum proprietate verborum. — Erstdruck: Napoli, Mathias Moravus – Blasius Romerus, 1475 (GW M20095, IGI 6036, ISTC im00095000). 341 OMNIBONUS LEONICENUS (OGNIBENE DE’ BONISOLI DA LONIGO), In Lucanum commentum. — Erstdruck: Venezia, Filippo di Pietro, 21.7.1475 (GW M27816, IGI 6999, ISTC il00172000) (einzige Ausgabe im Frühdruck). 342 Vgl. oben, Anm. 337. 343 QUINTUS ASCONIUS PEDIANUS, Commentarii in orationes, mit ANTONIO LOSCHI, Inquisitio super XI orationes Ciceronis. — Erstdruck: mit GEORGIUS TRAPEZUNTIUS, De artificio Ciceronianae orationis pro Quinto Ligario, ANTONIUS LUSCHUS, Inquisitio super XI orationes Ciceronis, SICCO POLENTONUS, Argumenta super XII orationibus et invectivis Ciceronis, Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 2.6.-12.9.1477 (GW 2739, IGI 918, ISTC ia01154000) (einzige Ausgabe im Betrachtungszeitraum). — Inkunabeln BAV: Venezia, Johannes de Colonia – Johannes Manthen, 2.6.-12.9.1477 (GW 2739, IGI 918, ISTC ia01154000), Inc. II.199. 344 DIONYSIUS DE BURGO SANCTI SEPULCHRI (DIONIGI DA BORGO SAN SEPOLCRO), Commentarium in Valerianum(!) Maximum. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7131, f. 16r, «in secunda capsa primi banchi», «Glossa super Valerio Maximo ex papiro in tabulis»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 203, Nr. 1700: «Glossae super Valerio Maximo, ex papiro in tabulis, finiens in prima carta ‘diluculo’» (= Vat. lat. 4203). — Erstdruck: Straßburg, R-Drucker (Adolf Rusch?), nicht nach 1475 (GW 8411, IGI3480, ISTC id00242000). 345 AELIUS DONATUS, Commentarius in Terentii Comoedias. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 57r, «in secunda sequenti capsa», Nr. 140, «Donatus»; nicht in DI SANTE – MANFREDI, Index cit. — Erstdruck: Venezia, Wendelin von Speyer, ca. 1472 (GW 9035, IGI 3563, ISTC id00353000). 346 Wahrscheinlich ALBRECHT VON EYB, Margarita poetica. — Erstdruck: Nürnberg, Johann Sensenschmidt, 2.12.1472 (GW 9529, IGI 3771, ISTC ie00170000). 347 OMNIBONUS LEONICENUS (OGNIBENE DE’ BONISOLI DA LONIGO), Commentum in Cice-

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[173] Orthographia Johannis Tortellii ex papyro in rubro348. [174] Dionysii349 et Pomponii Melle cosmographia350 ac Jo[hannis] Philippi historia351 ex papyro in albo.

ronis Oratorem. — Erstdruck: Vicenza, Johannes de Reno?, 22.12.1476 (GW M27813, IGI 7000, ISTC il00171000) (einzige Ausgabe im Frühruck). 348 JOHANNES TORTELLIUS (GIOVANNI TORTELLI) (ca. 1450-1455 Bibliothekar der BAV), Orthographia. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 7135, f. 1v, «VII scanno infra», Nr. 17, «Joannis Tortelli orthographia»; Vat. lat. 3955, f. 24v, «in VII banco ad dexteram ingredientibus», «Ioanis Tortelli Orthographia ex papyro in rubro»; ibd., f. 35r, «VIII bancho», Nr. 446, «Orthographia ex papyro in rubro»; DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 86, Nr. 795, «Ioannis Tortelli Ortographia, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘afferunt’» (= Vat. lat. 1477), S. 87, Nr. 807, «Ioannis Tortelli Orghographia, ex papyro in rubro, in fine I pagine ‘hystoricis’» (= Vat. lat. 1666). — Erstdruck: Roma, Ulrich Han – Simon Nicolai Chardella, nach 10.8.1471 (GW M47210, IGI 9682, ISTC it00394000). — Inkunabeln BAV: Vicenza, Stephan Koblinger, 13.1.1479 (GW M47233, IGI 9684, ISTC it00397000), Inc. II.344. 349 DIONYSIUS PERIEGETES (DIONYSIUS VON ALEXANDRIA), De situ orbis (trad. lat. ANTONIUS BECCARIA). — Erstdruck: Venezia, Bernhard Maler, Erhard Ratdolt, Peter Löslein, 1477 (GW 8426, IGI 3487, ISTC id0025300). 350 POMPONIUS MELA, Cosmographia, sive De situ Orbis. — Erwähnung in Katalogen der BAV: Vat. lat. 3955, f. 58v, «secunda capsa primi banchi bibliothecae magnae secretae, impressi», «Pomponius Melae de situ orbis ex pap. in tabulis» = Vat. lat. 7131, f. 33r, «in secunda capsa septimi banchi» = Vat. lat. 3968, Nr. 924, «ex papiro in tabulis», = DI SANTE – MANFREDI, Index cit., S. 164, Nr. 1385, «Pomponius Mella, ex papyro in tabulis, impressus, in fine I pagine ‘oe’» = Inc. IV.738. — Erstdruck: Milano, Antonius Zarotus, mit dem Material von Pamfilo Castaldi, 25.9.1471 (GW M34861, IGI 6339, ISTC im00447000); zusammen mit Dionysius Periegetes, De situ orbis: Venezia, Erhard Ratdolt, 18.7.1482 (GW M34876, IGI 6344, ISTC im00452000). — Inkunabeln BAV: Milano, Antonius Zarotus, mit dem Material von Pamfilo Castaldi, 25.9.1471 (GW M34861, IGI 6339, ISTC im00447000), Inc. IV.738 (eine Marginalie); Venezia, Franz Renner, 1478 (GW M34879, IGI 6343, ISTC im00450000), Inc. IV.539(13); Venezia, Erhard Ratdolt, 18.7.1482 (GW M34876, IGI 6344, ISTC im00452000), 1482: Inc. IV.476(4) (einige Marginalien, nur texterschließend). 351 Eventuell JOHANNES PHILIPPUS DE LIGNAMINE (GIOVANNI FILIPPO DE LIGNAMINE), Inclyti Ferdinandi Regis vita et laudes a Iohanne Philippo de Lignamine Mesanensi(!) ad Sixtum IV. pont. max. — Erstdruck: Roma, Johannes Philippus de Lignamine, 9.8.1472 (GW M18342, IGI 5759, ISTC il00214500).

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IL MESSALE-RITUALE DI LEONE OSTIENSE, BORG. LAT. 211: IL SUO ORDO MISSAE, LE LITANIE DEI SANTI E IL LIBELLUS PRECUM 1. Leone Ostiense e il Borg. lat. 2111 Documentato ancora quale semplice monaco di Montecassino in una fonte databile non oltre l’anno 11012, Leone Marsicano3 di lì a poco, tra il 1102 e il 11074, è nominato da papa Pasquale II cardinale vescovo di Ostia, titolo con il quale emerge per la prima volta in un atto pontificio del 7 settembre 11095. La nuova dignità cardinalizia gli era stata conferita anche e soprattutto per i meriti acquisiti nell’ambiente cassinese, dei quali è come uno specchio fedele la celeberrima illustrazione che forma la pagina di dedica (p. 3) del Lezionario, cod. Montecassino, Archivio dell’Abbazia Simboli grafici adoperati: [ ] Tra parentesi quadre sono le integrazioni di lacune del testo. [...] I tre punti sospensivi all’interno di parentesi quadre servono ad indicare una lacuna di cui non si può misurare l’entità. < > Tra parentesi uncinate sono lettere, parole, numeri qui inseriti in funzione esplicativa o per una maggiore comprensione logica dei dati offerti al lettore. ∙ — Il lineato lungo e puntato segnala l’assenza di un particolare testo nei mss. collazionati con il Borg. lat. 211. 1 Sul nostro ms. cfr. LOEW [LOWE] 1908, p. 83; FEDELE 1910a; BANNISTER 1913, pp. 116117, n. 336; LOEW [LOWE] 1914 (II ed. BROWN 1980: I), pp. 48 nota 1, 72, 91 nota 4, 176-177, 194, 203, 207, 212, 232, 234, 265, 278, 286, 330, 366; LOEW [LOWE] 1914 (II ed. BROWN 1980: II), p. 163; LOWE 1929, II, tav. LXXVII; LENTINI 1952, pp. 81-82, 85: rist. in LENTINI 1988, pp. 75-76, 79-80 ; HOFFMANN 1965; SALMON 1971, p. 81, n. 242; SALMON 1974, pp. 166 note 182184 e 200-203; ODERMATT 1980, pp. 93 nota 2, 95 nota 1, 113 nota 4, 174 nota 1, 186 nota 7, 188 nota 3, 194 nota 5, 198, 200 nota 8, 201 nota 8, 212 e nota 4, 220 nota 1, 222 e nota 5, 224 nota 4, 225 nota 4, 226 nota 4; BROWN 1984, pp. 390 nota 15, 394: rist. in BROWN 2005, pp. 281 nota 15, 286; BAROFFIO 1988, pp. 54, 75-77; CLLA Suppl., n. 1594*; BROWN 1989, p. 431: rist. in BROWN 2005, p. 557; SPECIALE 1991, pp. 25 e nota 42, 43 nota 77; NEWTON 1999, passim, specialmente pp. 71, 200 nota 383, 213, 222 nota 471, 318, 341; BAROFFIO 2003, p. 469; BROWN 2003, pp. 128-129 nota 27, 135-136, 138, 140, 141-143, 145, 147, 151, 152; DELL’OMO 2003b, p. 166 nota 44; DELL’OMO 2005, pp. 552, 555; GYUG 2008, p. 297 nota 21; REYNOLDS 2012, p. 181 nota 18; DELL’OMO 2013, p. 223; ELBA 2013, pp. 262, 273, 277. 2 Cfr. Regesto di S. Angelo in Formis 1925, doc. n. VI, p. 15. 3 Su di lui rinvio a DELL’OMO 2005. 4 Cfr. HÜLS 1977, p. 105. 5 Cfr. Le Liber Censuum 1910, p. 407.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 183-290.

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(d’ora in poi: Casin.), 99, datato al 1072, in cui ai piedi di s. Benedetto, e in compagnia dell’abate Desiderio oltre che di Giovanni Marsicano futuro vescovo di Sora, appare lo stesso Leone nell’atto di porgere devotamente al santo patriarca dei monaci un drappo destinato ad avvolgere quel prezioso codice, donato dallo stesso Giovanni suo zio, e di cui egli aveva curato l’allestimento, come ci attestano gli esametri che corredano la scena nel margine inferiore della pagina6. In quell’anno Leone poteva avere un’età compresa tra i ventitré e i ventisei anni, e già esercitava il ruolo di bibliotecario e responsabile dello scriptorium. Se è vero che la sua fama è legata specialmente alla Chronica monasterii Casinensis, la cui prima stesura risale agli anni immediatamente successivi al 10997, nondimeno l’attività di Leone, oltre che nel campo letterario8, si segnala anche in quello della scrittura, in quanto egli stesso scriptor oltre che supervisore di codici9. Alla sua mano in particolare si deve la copia di un capolavoro della scrittura beneventana, il Casin. 44210 — per l’intera sezione databile non oltre il 1071 (pp. 161-368), che contiene Litanie dei santi11 e orazioni12 —, un manuale di preghiere con il quale non a caso il Libellus precum («Orationes intra sollemnia Missarum») del cod. Biblioteca Apostolica Vaticana Borg. lat. 211 condivide in modo esclusivo alcune formule13. Del resto è significativo che lo stesso codice Borgiano, nella sezione recante il Calendario — come già notavano Fedele14 e Lowe15, e come ha poi confermato con solidi argomenti Hoffmann16 —, contenga non solo elementi che ne dimostrano inequivocabilmente l’origine cassinese, ma anche delle addizioni di carattere storico-commemorativo dovute all’intervento autografo del cronista cassinese, una delle quali è certamente la nota a f. 10r (aggiunta in corrispondenza del 23 settembre): «Dedic(atio) s(ancti) Clem(en)tis ap(u)d Vellitru(m)», che, come scrive lo stesso Hoffmann, «wohl nur in Ostia/ 6

Cfr. NEWTON 1979. A causa della morte sopravvenuta a Roma il 22 maggio 1115 nella residenza cassinese di S. Maria in Pallara sul Palatino, la redazione di Leone si arresta alla metà del periodo di governo dell’abate Desiderio (settembre 1075), essendo poi continuata da Guido (fino al 1127) e da Pietro Diacono (fino all’anno 1138): cfr. HOFFMANN 1972; HOFFMANN 1973; Chronica 1980, pp. VII-XII (Einleitung). 8 Cfr. Repertorium 1997, pp. 177-179 (Leo Marsicanus). 9 Cfr. HOFFMANN 1973, pp. 129-136; NEWTON 1999, pp. 17-22. 10 Cfr. HOFFMANN 1973, p. 129. 11 Cfr. LENTINI 1970, pp. 17-24. 12 Cfr. DELL’OMO 1992, pp. 317-361. 13 Cfr. infra: 4. Edizione dei testi. Libellus precum, nn. 99, 103, 104, 106, 107. 14 Cfr. FEDELE 1910a, pp. 20-21. 7

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Cfr. LOWE 1929, II, tav. LXXVII. Cfr. HOFFMANN 1965, pp. 87-99.

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Velletri eingetragen worden sein kann»17: è come la traccia indelebile del nuovo orizzonte liturgico delineato dalla Chiesa ostiense e veliterna, cui ormai Leone era legato, e dove egli, partendo da Montecassino, insieme ai suoi bagagli personali aveva portato con sé anche questo manoscritto, oltre che il rotolo di Exultet in beneventana, oggi all’Archivio Diocesano di Velletri18. Tra le particolarità più interessanti del Calendario appartenuto a Leone, e ben illustrate da Hoffmann, è il fatto che, come ha scritto Newton, la mano originaria non identificabile, che ne ha vergato il testo, «can be dated with unusual precision»19, potendo infatti situarsi esattamente agli anni 1098-1099, grazie da una parte all’indicazione, in corrispondenza del 2 marzo, della morte del cardinale Deusdedit avvenuta nel 1098/1099, dall’altra alla presenza dell’obitus di papa Urbano II al 29 luglio (1099)20. Lo stesso intero manoscritto si può con sicurezza collocare tra il 1094 e il 1105, dal momento che al 30 gennaio, con l’esplicita menzione del 1094, è specificata la dedicazione dell’oratorio cassinese di S. Andrea, compiuta proprio in quell’anno, mentre al 2 dicembre — aggiunta posteriormente —, è la nota obituaria dell’abate e cardinale Oderisio I, la cui morte avvenne nel 110521. Tutti gli elementi testuali e cronologici del Calendario riconducono quindi a Leone Ostiense, come già nella seconda metà del sec. XVIII poté accertare don Placido Federici22, che, investito della questione da mons. Stefano Borgia, segretario della Congregazione “de Propaganda Fide” (1770) e poi cardinale (1789)23, consegnò allo stesso Borgia una trascrizione con note illustrative24, tuttora molto utile25, soprattutto per la 17

Cfr. HOFFMANN 1965, p. 93. Cfr. FEDELE 1910b, pp. 313-315, e da ultimo, con bibliografia, PACE 1994. 19 NEWTON 1999, p. 71. 20 Cfr. HOFFMANN 1965, pp. 94-95. 21 Cfr. FEDELE 1910a, pp. 15-16. 22 Genovese — il nome civile era Gaetano —, entrato nel monastero di Montecassino insieme al fratello Stefano (in religione Giovanni Battista) l’8 luglio 1750, emise la professione monastica il 14 maggio 1755; ordinato sacerdote il 21 maggio 1763, lettore dei sacri canoni e dal 5 agosto 1763 secondo custode dell’archivio cassinese, fu costretto a stare lontano da Montecassino — a causa delle sue origini estranee al Regno di Napoli —, per ben dieci anni a partire dal 4 maggio 1769, facendovi finalmente ritorno il 21 luglio 1779, ed assumendovi l’ufficio di prefetto dell’archivio; nondimeno già a partire dall’ultima decade del giugno 1785 per ragioni di salute gli fu assegnata la nuova carica di vicario generale di S. Vincenzo al Volturno, dove ben presto (il 26 luglio successivo) chiuse i suoi giorni all’età di soli 46 anni: cfr. LECCISOTTI 1965; FAGIOLI VERCELLONE 1995. 23 Cfr. RITZLER – SEFRIN 1958, p. 36, n. 58; ENZENSBERGER 1971; Stefano Borgia 2006. 24 Cod. Vat. Borg. lat. 182, ff. 1r-146v. 25 Ce ne dà un ragguaglio completo il biografo di Placido Federici, suo fratello Giovanni Battista, che scrive: «Il dotto e celebre cardinale Stefano Borgia, allora solamente segretario della Sacra Congregazione dei Riti in Roma [...], avendo egli fatta scoperta di un codice ms. 18

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lettura della sezione iniziale e finale del testo, che ormai, come riconosceva Lowe nel 192926, è del tutto indecifrabile a causa dei gravi danni subiti nel tempo dal supporto membranaceo. 2. Identità di un manoscritto: scrittura, decorazione, contenuto Scrittura Elias Avery Lowe, che poté esaminare nella Biblioteca Vaticana il Borg. lat. 211 nel maggio del 190827, ne include lo scriba in «a considerable number of excellent post-Desiderian scribes»28, affiancandolo ai copisti di altri capolavori usciti dallo scriptorium cassinese a cavallo tra XI e XII secolo, quali: Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII C 4, München, Staatsbibliothek, Clm 4623, Paris, Bibliothèque Mazarine, 364, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 585. La scrittura, che si può definire “Cassinese fine script”, appartiene dunque a quei prodotti dell’officina scrittoria oderisiana, per i quali Francis Newton ha parlato di un fenomeno grafico di “miniaturisation”29, una riduzione cioè del modulo della scrittura, e un certo assottigliamento del tratteggio, cui corrisponde una tipologia stilistica nella quale prevalgono levità e raffinatezza di forme. La novità non sta tanto nell’emergere in sé del fenomeno, che si può notare già nelle inserzioni di nomi o notizie in Necrologi e Calendari, o in prodotti desideriani della più alta qualità, come il Vat. lat. 1202 (Lezionario), o il Casin. 451 antico del secolo XI scritto in caratteri longobardi, conservato nell’archivio della chiesa cattedrale della citta di Veletri, ve lo fece consegnare da quei umanissimi canonici. Ora, dopo averlo esaminato, essendosi accorto che un tempo avesse per necessità dovuto appartenere al monistero di Monte Casino, lo trasmise al P. D. Placido, acciocché gliene dicesse il suo sentimento. Ricevutosi da lui il codice, lo esaminò diligentamente, e giunse a scoprire che esser doveva per necessità un codice appartenente al celebre Leone Marsicano, monaco e cronista di Monte Casino, il quale se lo avesse seco recato nella sua exaltazione al cardinalato ed al vescovado di Ostia. Contenevansi in esso per la maggior parte preci rituali, ed altre cose appartenenti ai divini offici, e vi era premesso un calendario dei santi confuso col necrologio. D. Placido ne fece la descrizione esatta pagina per pagina secondo il suo metodo. Copiò a parte a parte tutte le cose singolari del codice, e singolarmente il calendario col necrologio, che pensò d’illustrare con note perpetue, alcune delle quali avevano la forma di lunghe dissertazioni piuttosto che di semplici erudite note. Egli ne fece una copia pulita e la trasmise col codice ms. al Borgia, il quale dopo averla ricevuta e letta gli rescrisse ch’egli per verità fatto aveva tutto il conto migliore del codice subito che veduto lo ebbe, ma che gli diveniva il medesimo assai più prezioso, dopo che da lui era stato fregiato di così dotte annotazioni»: Istoria della vita letteraria del P. D. Placido Federici monaco del sacro reale monistero di Monte Casino descritta dal P. D. Giambattista Federici suo fratello, e monaco del medesimo monistero, cod. Casin. 1057, pp. 16-17. 26 LOWE 1929, II, tav. LXXVII: «the beginning and end are practically illegible». 27 Cfr. BROWN 2006, p. 64 nota 84. 28 LOEW [LOWE] 1914 (II ed. BROWN 1980: I), p. 278. 29 NEWTON 1999, p. 70.

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(Pontificale): è invece l’adozione su larga scala di un nuovo modello di organizzazione e quasi di tessitura della pagina, che in epoca oderisiana rivela un ormai nuovo e programmatico uso della beneventana nella forma “fine”, e questo è tanto più interessante nel caso del Borg. lat. 211, realizzato sotto la supervisione di Leone Marsicano, al quale dunque si deve la responsabilità anche dei minimi dettagli. Decorazione È vero, come sottolineava già Lowe, che «the ornamentation in this ms. is rather modest»30, ma la sobrietà dell’apparato decorativo non toglie valore al significato emblematico di certe scelte ornamentali, come nel caso delle due iniziali nastriformi, in corrispondenza del Canone della Messa (Vere e Te igitur: Tav. I) ai ff. 49v e 50r, con racemi ed elementi fitomorfi, che, accomunando stilisticamente il Borg. lat. 211 e l’Exultet dell’Archivio Diocesano di Velletri, rivelano un gusto comune31 che riconduce all’illustre possessore. Emerge così la sua preferenza per quel «vocabolario ottoniano di sapore antichizzante»32 che, dominante nei grandi testimoni decorativi di epoca desideriana (Lezionari Vat. lat. 1202 e Casin. 453, Omiliari Casin. 98 e 99, Sacramentario Casin. 339), rivive in prodotti oderisiani anch’essi eletti, come il Borg. lat. 211, pur restando quest’ultimo lontano dallo standard di lusso ed alta qualità dei capolavori desideriani, non foss’altro per la stessa diversa destinazione, che non è “monumentale” quanto piuttosto pratica, tipica di un libro liturgico finalizzato ad un uso “tascabile”, quindi personale e dinamico33, che Leone adattò a se stesso e alla sua vita ormai più itinerante rispetto a quella vissuta nella stabilitas di Montecassino. Di qui deriva altresì il peculiare contenuto del Borg. lat. 211, che assume infatti le caratteristiche di un enchiridion, come lo ha chiamato Salmon34, o più semplicemente di un “manuale” che «consta di estratti dal Messale e dal Rituale»35, in vista della celebrazione dell’Eucaristia e di altri sacramenti e sacramentali. Contenuto Preceduto da una Tabula numerica (f. 1r), il Calendario (ff. 1v-13r) mostra con tutta evidenza di essere stato prodotto a e per Montecassino, se solo si considerino in particolare le memorie della dedicazione (= ded.) di 30

LOWE 1929, II, tav. LXXVII. Cfr. NEWTON 1999, p. 73 e nota 129. 32 SPECIALE 1991, p. 25. 33 Cfr. ELBA 2013, p. 273. 34 SALMON 1974, p. 200. 35 BROWN 2003, p. 151. 31

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diversi oratori ubicati nello spazio dell’abbazia: 3 gennaio, ded. della chiesa di S. Bartolomeo (1075); 30 gennaio, ded. di S. Andrea (1094); 10 settembre, ded. delle due chiese-torri di S. Michele Arcangelo e S. Pietro, sul braccio d’ingresso al quadriportico dell’abbaziale desideriana (1075); 1° ottobre, ded. dell’abbaziale di S. Benedetto (1071); 18 novembre, ded. di S. Martino (1090). In più l’interesse di Leone, ormai cardinale vescovo di Ostia e Velletri, si riflette nell’aggiunta della dedica delle due chiese cattedrali relative a quelle due antiche sedi episcopali ormai unite: 10 gennaio, ded. di S. Aurea ad Ostia; 23 settembre, ded. di S. Clemente a Velletri. Al calendario segue isolato un Ordo ad benedicendum aquam (ff. 16v-17v), quindi il Messale propriamente detto (ff. 18r-56r), con diverse sezioni. — Il Messale A) Nella prima parte, che comprende Messe votive (ff. 18r-20v), alcuni fogli devono essere caduti dopo f. 17, e ugualmente si registra dopo f. 18 la perdita di uno o due fogli ([18bis, 18ter] ?). Questa la serie delle Messe, alcune delle quali (con asterisco) condivise con il Messale, ugualmente oderisiano, del cod. Casin. 127, il più completo tra quelli coevi (vd. infra: 4. Edizione dei testi. Lista dei manoscritti citati): Pro pace*: nn. 1-3 (f. 18r); Pro devoto*: nn. 4-6 (f. 18r); Alia: nn. 7-9 (f. 18r-v); Alia*: nn. 10-12 (f. 18v: con il Casin. 127 è condivisa la sola colletta iniziale); Alia*: nn. 13-15 (f. 18v); Alia: n. 16 (a f. 18v il testo della Secreta è mutilo, per la caduta di uno o due fogli ([18bis, 18ter] ?); [...] Alia missa pluralis pro se et pro omnibus christianis*: nn. 18-20 (ff. [18bis, 18 ter] ?-19r: per il testo di questa Messa, di cui nel manoscritto resta solo la Complenda acefala, si è fatto direttamente ricorso al Casin. 127); Alia generalis*: nn. 21-23 (f. 19r); Pro pluvia*: nn. 24-28 (f. 19r-v); Pro serenitate*: nn. 29-33 (ff. 19v-20r); Pro fulgure et tempestate*: nn. 34-36 (f. 20r); Pro mortalitate: nn. 37-39 (f. 20r); Pro [...] (Pro tempore belli: ?): nn. 40-42 (f. 20r-v); Pro [...] (?): nn. 43-45 (f. 20v); Pro qualibet tribulatione*: nn. 46-48 (f. 20v); Pro novitiis*: nn. 49-51 (f. 20v).

B) Un secondo segmento (ff. 21r-24r) riguarda le Messe del Comune dei santi: In vigiliis Apostolorum: nn. 52-54 (f. 21r); Apostolorum: nn. 55-57 (f. 21r); Unius Martyris: nn. 58-69 (f. 21r-v);

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Plurimorum Martyrum: nn. 70-72 (ff. 21v-22r); Pro sanctis quorum reliquie habentur: nn. 73-81 (f. 22r); Confessorum pontificum: nn. 82-87 (f. 22v); Confessorum non pontificum: nn. 88-93 (ff. 22v-23r); Virginum martyrum: nn. 94-99 (f. 23r-v); Virginum non martyrum: nn. 100-105 (f. 23v); Plurimarum Virginum: nn. 106-108 (ff. 23v-24r); Dedicationis ecclesiè: nn. 109-114 (f. 24r).

C) Una terza sezione (ff. 24v-43v) include ancora Messe votive (qui contrassegnate con asterisco) e del Comune dei santi, con brani del Graduale privi di notazione, e con indicazione delle Epistole e dei Vangeli; in più (ff. 43r-44r) si registra l’aggiunta in epoca posteriore (sec. XIII), dal Proprio dei santi, della Messa in decollatione s. Ioannis Baptistae (29 agosto): Missa in honore sanctè et individuè Trinitatis*: n. 1 (f. 24v); Sancte Crucis*: n. 2 (ff. 24v-25r); Sanctè Dei Genitricis Mariè*: n. 3 (f. 25r-v); In vigiliis Apostolorum: n. 4 (ff. 25v-26r); In nataliciis Apostolorum: n. 5 (ff. 26r-27r); Unius Martyris: n. 6 (ff. 27r-29r); Plurimorum Martyrum: n. 7 (ff. 29r-32r); Confessorum sacerdotum: n. 8 (ff. 32r-34r); Confessorum non sacerdotum: n. 9 (f. 34r-v); Virginum: n. 10 (ff. 34v-36r); Dedicationis ecclesiè: n. 11 (ff. 36r-37r); Missa quam pro se sacerdos dicere debet*: n. 12 (f. 37v); Missa pro devoto*: n. 13 (ff. 37v-38v); Missa pro iter agentibus*: n. 14 (ff. 38v-39r); Missa pro qualibet tribulatione*: n. 15 (f. 39r-v); Missa pro infirmis*: n. 16 (ff. 39v-40v); Missa pro defunctis*: n. 17 (ff. 40v-43r).

D) L’Ordo ad celebrandam Missam (ff. 44r-54r), di cui qui si offre per la prima volta un’edizione completa36 (vd. infra), appartiene al tipo renano37, distinto da quello franco38, confermando così il favore che questa tipologia di Ordo Missae incontrò in area “beneventana”, in particolare nell’ambien36

Parziale, in quanto abbreviata, è quella presente in SALMON 1974, pp. 200-203. Diffuso prima in area renana (abbazie di Reichenau, St. Alban di Magonza, St. Blasien im Schwarzwald, Einsiedeln) e in centri urbani della Germania (Colonia, Magdeburgo, Salisburgo, Bamberga), ebbe in seguito una espansione amplissima, dalle Fiandre all’Inghilterra, dalla Borgogna alla Spagna, e naturalmente in Italia: sulle caratteristiche delle sue formule e sulla sua origine cfr. BAROFFIO – DELL’ORO 1975, pp. 803-806; PIERCE – ROMANO 2011, pp. 20-21. 38 Il testimone più illustre ed antico (sec. X) dell’Ordo Missae franco è rappresentato dal Sacramentario gregoriano di Amiens: cfr. LEROQUAIS 1927; su questo Ordo inoltre PIERCE – ROMANO 2011, p. 20. 37

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te di Montecassino (Casin. 12739, Vat. lat. 608240) e di S. Vincenzo al Volturno (Chig. D.V.7741), come nel resto d’Italia durante la seconda metà del sec. X, per influsso ottoniano. La struttura dell’Ordo Missae presente nel Borg. lat. 211 consta di sette parti fondamentali, che si articolano nel modo seguente: 1. Preparazione alla Messa —. Il sacerdote si appresta alla celebrazione con la recita dei salmi 83 (Quam amabilia), 84 (Benedixisti, Domine) e 85 (Inclina, Domine) (n. 1), con la prece litanica (Kyrie), l’orazione domenicale (n. 2), versetti salmodici (nn. 3-5), e l’orazione Aures tuè pietatis (n. 6). 2. Riti iniziali —. La celebrazione eucaristica s’inizia con il procedere del sacerdote verso l’altare recitando il salmo 42 (Iudica me, Deus), l’antifona Introibo ad altare Dei, e versetti salmodici (n. 7). Ad essi seguono le orazioni Exaudi Domine (n. 8), un segmento della quale è presente nell’Ordo Missae renano, e Aufer a nobis (n. 9). Giunto all’altare e inchinatosi, il celebrante recita l’orazione Omnipotens et misericors Deus (n. 10), quindi avvicinatosi incensa l’altare, e a ciò segue il Gloria in excelsis Deo (n. 11); ultima formula prevista in questa seconda sezione è quella del Simbolo niceno-costantinopolitano (n. 12). 3. All’Offertorio —. I nn. 13-22 recano formule eucologiche per i diversi passaggi del rito offertoriale compiuto dal celebrante: offerta del pane (n. 13) e del vino (n. 14), disposizione delle oblate (in forma di croce secondo la rubrica del Messale Vat. lat. 6082: cfr. FIALA 1947, p. 203, n. 31) sull’altare (n. 15); al vino destinato alla consacrazione si mescola acqua (n. 16), quindi si copre il calice con il corporale (n. 17), e si incensano le oblate (n. 18); seguono le due orazioni Dirigatur ad te oratio mea (n. 19) e Veni sanctificator (n. 20); avvenuta l’incensazione, inchinatosi dinanzi all’altare, il celebrante recita la preghiera Suscipe sancta Trinitas et vera Unitas (n. 21), quindi sollevatosi, bacia l’altare e prega con l’orazione Omnipotens sempiterne Deus (n. 22). 39 Questo Messale, in uso a S. Maria dell’Albaneta, nei pressi del monastero cassinese, è databile agli anni dell’abate Oderisio I (1087-1105); circa il suo Ordo Missae cfr. EBNER 1896, pp. 309-311. 40 Messale plenario, secondo NEWTON 1999, p. 176, fu scritto a Montecassino certamente dopo la morte dell’abate Oderisio, quindi dopo il 1105; per una probabile destinazione ad uso di S. Vincenzo al Volturno cfr. BROWN 1998a, p. 273: rist. in BROWN 2005, p. 104. DUVALARNOULD 1981, pp. 451-452, contestando i fragili argomenti in favore della provenienza da S. Vincenzo addotti da FIALA 1947, pp. 185-187, ne ha sottolineato in modo convincente il legame con il monastero cassinese. 41 Su questo Enchiridion Officii et Missae della fine del sec. XI, senza dubbio proveniente dal monastero benedettino di S. Vincenzo al Volturno, cfr. DELL’OMO 2008a: per l’edizione critica dell’Ordo Missae cfr. pp. 245-269.

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4. Canone della Messa —. Emerge qui il notevole accrescimento della grande preghiera eucaristica che contiene la consacrazione, grazie all’aggiunta di 16 prefazi, insieme alle formule intercambiabili del Communicantes e Hanc igitur, per le ricorrenze di: Natale (nn. 23-24), Epifania (nn. 25-26), Quaresima (n. 27), Giovedì Santo (nn. 28-30), Pasqua (nn. 31-33), Ascensione (nn. 34-35), Pentecoste (nn. 36-38), Santa Croce (n. 39), Trinità (n. 40), S. Maria (n. 41), Apostoli (nn. 42-43), Tutti i Santi (n. 44), Dedicazione della chiesa (n. 45), Defunti (nn. 46-47). Due sono i prefazi rispettivamente per i giorni feriali (n. 48) con l’orazione domenicale (n. 49), e per i giorni festivi (n. 51); ad essi seguono il Te igitur (n. 52), il Memento dei vivi (n. 53), il Communicantes (ricordo dei santi) (n. 54), l’Hanc igitur oblationem (n. 55), il Quam oblationem (epiclesi preconsacratoria) (n. 56), il Qui pridie e Simili modo (racconto dell’istituzione dell’Eucaristia) (nn. 57-58), l’Unde et memores (anamnesi) (n. 59), il Supplices (epiclesi postconsacratoria) (n. 60), il Memento dei morti (n. 61), il Nobis quoque (n. 62), infine la dossologia solenne con la quale si termina il Canone (n. 63). 5. Riti di Comunione —. All’orazione domenicale (Pater noster), preceduta da una breve prefazione (n. 64), segue l’embolismo al Pater (n. 65); si susseguono poi l’augurio di pace (n. 66), la preghiera che accompagna il rito della commixtio, cioè l’unione delle due specie che il celebrante compie lasciando cadere nel calice un frammento dell’ostia consacrata (n. 67), quindi l’Agnus Dei (n. 68), la preghiera che introduce al rito della pace (n. 69), la formula dello stesso scambio di pace (n. 70); seguono quattro orazioni che precedono la comunione eucaristica del sacerdote (nn. 71-74), le brevi formule eucologiche che accompagnano la sunzione delle sacre specie (nn. 75-78), ancora quattro orazioni successive alla comunione del celebrante (nn. 79-82), infine le formule per la comunione dei fedeli sotto le specie del pane (n. 83) e del vino (n. 84). 6. Riti di conclusione —. Il celebrante nel baciare l’altare recita la preghiera Placeat tibi, sancta Trinitas a conclusione della Messa (n. 85). 7. Rendimento di grazie dopo la Messa —. Nel “ritornare” — si suppone al sacrarium, dove il celebrante ha indossato i paramenti sacri — si recita il cantico dei tre fanciulli (Benedicite omnia opera Domini Dominum), con il salmo 150 (Laudate Dominum in sanctis eius); seguono l’antifona Trium puerorum, quindi la prece litanica (Kyrie), il Pater noster e versetti salmici (n. 86), infine due preghiere conclusive (nn. 87-88). Qualche osservazione sul modo in cui si articola il nostro Ordo Missae può essere utile a individuarne alcune particolarità: a) in primo luogo occorre sottolineare il fatto che la comparazione tra le formule dei vari Ordo Missae di area “beneventana” posti a confronto per

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questa edizione (vd. infra la tab. A, 1), conferma quel che Virginia Brown aveva scritto circa le Missae votivae nei Messali della stessa area42, ovvero che le relazioni testuali tra i diversi testimoni manoscritti delineano due grandi spazi della Langobardia meridionale, i cui centri di gravitazione sono rispettivamente lo scriptorium di Montecassino e quello, più genericamente inteso, di Benevento: puntualmente infatti i primi tre testimoni di ambito “beneventano” che hanno in comune il maggior numero di formule con il Borg. lat. 211 sono rispettivamente il Vat. lat. 6082 (Montecassino), che condivide ben 84 formule su 88, quindi Benevento, Biblioteca Capitolare, 29 (Benevento) con 76, e infine il Casin. 127 (Montecassino) con 66. Dei testimoni di ambito non “beneventano” i primi tre che condividono con il manoscritto Borgiano il maggior numero di formule sono: Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 441 (Ordo Missae renano, Torino), Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro H.58 (Ordo Missae, Roma), e Basel, “Codex Gressly” (Ordo Missae renano, forse Murbach), avendo rispettivamente in comune 30, 18 e 17 formule su complessive 88. b) La formula n. 15 dell’Ordo Missae: In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur Domine a te, preceduta dalla rubrica Cum ordinat super altare nel contesto del rito offertoriale, rinvia all’Ordo Missae franco, nel cui rappresentante più antico (sec. X), il Sacramentario di Amiens (Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 9432), essa nondimeno si trova all’interno di una preghiera più ampia (Inc.: Hanc oblationem, quesumus, omnipotens Deus, placatus accipe, Expl.: placeat tibi Domine Deus). Non anteriori al sec. XI sono invece le testimonianze della nostra formula nell’Ordo Missae renano, grazie soprattutto ai codici di ambito “beneventano”, derivanti da Montecassino (oltre al Borg. lat. 211, il Casin. 127 e il Vat. lat. 6082), da Benevento (Benevento, Biblioteca Capitolare: 19, 20, 29) o più genericamente dall’area beneventano-cassinese (Roma, Biblioteca Vallicelliana [d’ora in poi: Bibl. Vall.], C 32), sebbene non manchi almeno un testimone italico (umbro) non “beneventano”, situabile nell’area di Narni (Roma, Bibl. Vall., E 62). c) Come notava Ambros Odermatt43, al Communicantes (formula n. 54) del Borg. lat. 211 si trova (dopo quello di Lorenzo) il nome di Vincenzo, che ricorre anche per la stessa formula nel Vat. lat. 6082, manoscritto prodotto per Montecassino e non certo per S. Vincenzo al Volturno, come ha ribadito opportunamente Duval-Arnould44. Del resto la presenza congiunta del nome del diacono martire spagnolo e di quello del martire Lorenzo si 42

Cfr. BROWN 2003, pp. 124-137. ODERMATT 1980, p. 95 nota 1. 44 DUVAL-ARNOULD 1981. 43

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rileva anche ad esempio nell’Ordo Missae del Sacramentario monastico di Torino, il già menzionato Berlin, Staatsbibliothek, Hamilton 44145. d) Nel manoscritto Borgiano è notevole l’arricchimento del Canone della Messa con l’aggiunta di 16 prefazi: formule corrispondenti ai nn. 23, 25, 27, 28, 31, 34, 36, 39-47, insieme a quelle, sostituibili con altri elementi, del Communicantes e dell’Hanc igitur. Tali prefazi derivano pressoché tutti dal Sacramentario Gregoriano-adrianeo con il Supplemento Anianense (sec. IX) edito da DESHUSSES 1992 (= Sacr. Greg. e Sacr. Greg. [Suppl.])46: sia quello per i giorni feriali e festivi (nn. 48 e 51: Sacr. Greg., n. 3), sia quelli corrispondenti al ciclo temporale dell’anno liturgico: Natale (n. 23: Sacr. Greg., n. 38), Quaresima (n. 27: Sacr. Greg. [Suppl.], n. 1546), Pasqua (n. 31: Sacr. Greg., n. 385), Ascensione (n. 34: Sacr. Greg., n. 499), Pentecoste (n. 36: Sacr. Greg., n. 522), Trinità (n. 40: Sacr. Greg. [Suppl.], n. 1621). In ultimo, le tabelle che seguono pongono in parallelo i 24 testimoni manoscritti (distinti per area geo-liturgica “beneventana” e non “beneventana”) messi a confronto con il Borg. lat. 211 per la presente edizione: (A) Ordo Missae Sigle dei codici qui collazionati (per le segnature complete vd. infra: 4. Edizione dei testi. Lista dei manoscritti citati) * b = di ambito “beneventano” nb = di ambito non “beneventano” OM = Ordo Missae A1 (nb) = Paris, BNF, Lat. 9432 (OM franco, Amiens) A2 (nb) = BAV, Arch. Cap. S. Pietro H.58 (OM, Roma) B1 (b) = BAV, Vat. lat. 6082 (OM renano, Montecassino) B2 (b) = Casin. 127 (OM renano, Montecassino) B3 (b) = BAV, Chig. D.V.77 (OM renano, S. Vincenzo al Volturno) B4 (b) = Roma, BV, C 32 (OM renano, area beneventano-cassinese) B5 (b) = Benevento, BC, 19 (OM renano, Benevento) B6 (b) = Benevento, BC, 20 (OM renano, Benevento) B7 (b) = Benevento, BC, 29 (OM renano, Benevento) B8 (b) = Benevento, BC, 33 (OM renano, Benevento) B9 (b) = Zagreb, Metrop. Kn., MR 166 (OM renano, Italia meridionale ?) C1 (nb) = Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151 (OM renano, Minden [Missa Illyrica]) C2 (nb) = Paris, BNF, Lat. 18005 (OM renano, Reichenau) 45 Cfr. DELL’ORO – BAROFFIO 1981, pp. 634, n. 54, e 619, n. 99, dove tra l’altro si sottolinea tale abbinamento per il Messale di Caiazzo in scrittura beneventana, Barb. lat. 603 (sec. XII/ XIII). 46 Cfr. DESHUSSES 1992.

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C3 (nb) = St. Gallen, 338 (OM renano, St. Gallen) C4 (nb) = Roma, BV, B 141 (OM renano, Brema-Amburgo) C5 (nb) = Paris, BNF, Lat. 820 (OM renano, Salisburgo-Séez) C6 (nb) = Basel, “Codex Gressly” (OM renano, forse Murbach) C7 (nb) = Montpellier, Médecine, 303 (OM renano, Besançon) C8 (nb) = Ivrea, BC, 9 (IV) (OM renano, Ivrea) C9 (nb) = Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571 (OM renano, Ivrea) C10 (nb) = Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441 (OM renano, Torino) C11 (nb) = Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4 (OM renano, Como) C12 (nb) = Roma, BV, E 62 (OM renano, area di Narni)

A. Tab. 1 Codici di ambito “beneventano” 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

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Quam amabilia Kyrie Exurge Propitius esto Domine, exaudi Aures Iudica me Exaudi Aufer Omnipotens et misericors Deus Gloria Credo Suscipe Offerimus In spiritu Deus qui humanè Domine Iesu Christe Incensum Dirigatur Veni sanctificator Suscipe sancta Trinitas Omnipotens sempiterne Deus Vere dignum (=VD) (Nativitatis Domini) Communicantes VD (Epyphaniè) Communicantes VD (Quadragesimè) Communicantes (Cenè Domini) Hanc igitur oblationem Qui pridie VD (Resurrectionis) Communicantes Hanc igitur oblationem VD (Ascensionis) Communicantes VD (Pentecostes) Communicantes

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Hanc igitur paschalem VD (Crucis) VD (Trinitatis) VD (Sanctè Mariè) VD (Apostolorum) VD (Alia) VD (Omnium Sanctorum) VD (Dedicationis ecclesiè) VD (Defunctorum) VD (Alia) Per omnia sècula sèculorum—VD (giorni feriali) Per omnia sècula sèculorum —Prèceptis Et ideo cum Angelis Per omnia sècula sèculorum—VD (giorni festivi) Te igitur Memento Communicantes Hanc igitur oblationem Quam oblationem Qui pridie Simili modo Unde et memores Supplices Memento Nobis quoque Per quem hèc omnia Preceptis salutaribus Libera nos Pax Domini Fiat hèc commistio Agnus Dei Domine Iesu Christe, qui dixisti Pax Christi Domine Deus benignissime Domine Iesu Christe, Fili Dei Unigenite Domine Sancte Spiritus Domine non sum dignus—sed fac Domine non sum dignus Prosit nobis Verbum caro Tibi laus Gratias tibi ago Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi Corpus tuum Post communionem Corpus Domini Sanguis Domini Placeat tibi Benedicite omnia opera Deus, qui tribus pueris Actiones nostras

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A. Tab. 2 Codici di ambito non “beneventano” A1 A2 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 C9 C10 C11 C12 C13 1 + + + + + + + + 2 + 3 + + + + + 4 + + 5 + + + + 6 + + + + + + + + + + 7 + + 8 + 9 + + + + + + + + + + + + + 10: ∙ — 11 12 13: ∙ — 14 15 16 17 18 19 + 20: ∙ — 21 + 22

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Quam amabilia Kyrie Exurge Propitius esto Domine, exaudi Aures Iudica me Exaudi Aufer Omnipotens et misericors Deus Gloria Credo Suscipe Offerimus In spiritu Deus qui humanè Domine Iesu Christe Incensum Dirigatur Veni sanctificator Suscipe sancta Trinitas Omnipotens sempiterne Deus VD (Nativitatis Do mini)—VD (Alia) Per omnia sècula sèculorum—VD Per omnia sècula sèculorum—Prèceptis Et ideo cum Angelis Per omnia sècula sèculorum—VD Te igitur Memento Communicantes Hanc igitur oblationem Quam oblationem Qui pridie Simili modo Unde et memores Supplices Memento Nobis quoque Per quem hèc omnia Preceptis salutaribus Libera nos

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A1 A2 C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 C9 C10 C11 C12 C13 66 + + + + 67 + + + 68 + + + 69-78: ∙ — 79 80 +

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Pax Domini Fiat hèc commistio Agnus Dei Domine Iesu Christe, qui dixisti- Tibi laus Gratias tibi ago Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi Corpus tuum Post communionem Corpus Domini Sanguis Domini Placeat tibi Benedicite omnia opera Deus, qui tribus pueris Actiones nostras

A. Tab. 3 a) I primi tre testimoni di ambito “beneventano” che condividono il maggior numero di formule con il Borg. lat. 211: B1: 84 formule (= form.) su 88; non condivise (= n.c.) quelle numerate (= n.te) 49, 51, 74, 80. B7: 76 form. su 88; n.c. quelle n.te 1, 8, 10, 11, 18, 19, 43, 44, 46, 50, 74, 82. B2: 66 form. su 88; n.c. quelle n.te 1-12, 17, 22, 71, 73, 74, 76, 79, 81, 82, 88. b) I primi tre testimoni di ambito non “beneventano” che condividono il maggior numero di formule con il Borg. lat. 211: C10: 30 form. su 88; n.c. quelle n.te 2, 6, 8, 10, 13-47, 49, 51, 67, 69-79, 81, 82, 84, 86, 88. A2: 18 form. su 88; n.c. quelle n.te 1-47, 49-51, 53, 56, 69-79, 81, 84, 86-88. C6: 17 form. su 88; n.c. quelle n.te 2, 7, 8, 10-13, 15-18, 20, 21, 23-63, 67-79, 81-84. c) Form. rilevate nel solo Borg. lat. 211: 74 d) 43 form. n.c. dal Borg. lat. 211 con alcuno dei testimoni di ambito non “beneventano”: 10, 13, 20, 23-47, 49, 51, 69-78, 81, 82, 84.

— Poste tra l’Ordo Missae e il Libellus precum, le Litanie dei santi (ff. 54v56r: vd. ed. infra) non mancano di elementi che le caratterizzano rispetto a quelle di altri testimoni manoscritti affini in scrittura beneventana, qui messi a confronto con il codice Borgiano.

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* Per le segnature complete vd. infra: 4. Edizione dei testi. Lista dei manoscritti citati. O = BAV, Ott. lat. 145 (sec. XI) C = Casin. 442 (sec. XI, non oltre il 1071) M = Paris, BMaz, 364 (sec. XI/XII: 1099-1105) U = BAV, Urb. lat. 585 (sec. XI/XII: 1099-1105) V = BAV, Chig. D.V.77 (sec. XI ex.) R = BAV, Reg. lat. 334 (sec. XII in.)

La prima peculiarità che emerge consiste nel fatto che, tra i santi invocati nelle Litanie del Borg. lat. 211, non sono condivisi con alcuno dei codici qui collazionati: Tiburzio, martire a Roma , Marco e Marcelliano, ugualmente martiri romani , e Lucina, martire . Ben più lunga è la serie dei nomi condivisi dal Borgiano con tutti e sei i testimoni collazionati, talché su 89 complessive unità di invocazione (in qualche caso al loro interno i nomi sono più di uno), quelle comuni a tutti, incolonnate in basso, sono 35: Maria Vergine Michele, arcangelo Gabriele, arcangelo Raffaele, arcangelo Giovanni Battista Pietro, apostolo Paolo, apostolo Andrea, apostolo Giacomo il Maggiore, apostolo Giovanni, evangelista, apostolo Tommaso, apostolo Giacomo il Minore, apostolo Filippo, apostolo Bartolomeo, apostolo Matteo, evangelista, apostolo Simone, apostolo Giuda Taddeo, apostolo Mattia, apostolo

Barnaba, apostolo Marco, evangelista Luca, evangelista Stefano, diacono, protomartire Lorenzo, diacono, martire Cornelio, papa, martire Cipriano, vescovo di Cartagine, martire Giovanni e Paolo, martiri a Roma Quaranta martiri di Sebaste Gregorio (I), Magno, papa Martino, vescovo di Tours Ambrogio, vescovo di Milano Benedetto da Norcia, fondatore e primo abate di Montecassino Mauro, discepolo di s. Benedetto Antonio, abate Scolastica, vergine Cecilia, vergine e martire a Roma

Circa il grado di condivisione dei vari nomi di santi invocati nelle Litanie poste a confronto con quella del Borgiano, il manoscritto che condivide con il nostro il maggior numero di invocazioni è il Casin. 442 (C), che pertanto, con ben 69 unità condivise su un totale di 89, come per il Libellus precum (vd. infra), si conferma quale testimone più vicino al nostro; seguono l’Urb. lat. 585 (U) con 64, il Parigino Maz. 364 (M) con 54, e il Reg. lat. 334 (R) con 46; a parte sono da considerare invece l’Ott. lat. 145 (O) e il Chig. D.V.77 (V) che, pur condividendo rispettivamente ben 62 e 71 formule invocative, in realtà le hanno in comune con il Borgiano all’interno di più serie litaniche, il primo recandone sei (dalla feria II a sabato), il secondo due. I lemmi onomastici che il codice Borgiano ha in comune esclusivamen-

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te con l’uno o l’altro manoscritto collazionato sono sette (i martiri Valentino e Ilario costituiscono una sola unità d’invocazione): cinque appartengono alla Litania n. 2 del Chig. D.V.77 (V): Stefano (I), papa, martire , Adalberto, vescovo di Praga, martire , Valentino e Ilario, martiri a Viterbo , Remigio, vescovo di Reims , Nicola, vescovo di Mira ; gli altri due si trovano rispettivamente in quella del Reg. lat. 334 (R): Erasmo, vescovo, martire , e Urb. lat. 585 (U): Febronia, vergine e martire in Persia . Infine dei cinque santi di tradizione monastica strettamente cassinese: Benedetto , Scolastica e Mauro appaiono elencati in tutti i manoscritti qui posti a confronto con il Borgiano, mentre degli altri due: Germano vescovo di Capua manca nel solo Chig. D.V.77 (V), e invece Sabino vescovo di Canosa è invocato nei soli Casin. 442 (C) e Urb. lat. 585 (U). — Il Libellus precum (ff. 56r-71v) Le formule contenute nel Libellus precum, destinate ad essere pronunziate nel segreto come «orationes intra sollemnia Missarum» (f. 54v) e perciò strettamente collegate alla celebrazione eucaristica, appartengono a quella tipica produzione di orazioni d’impronta meditativo-penitenziale, che va dall’VIII al XII secolo, e che fa di questo arco temporale, come ha scritto Stephan Waldhoff, un’epoca veramente omogenea della preghiera privata, al cui incremento contribuiscono personalità come Giovanni di Fécamp, Pier Damiani, Anselmo di Canterbury47. Posto a confronto con diversi altri testimoni di area geo-liturgica “beneventana”48 e non “beneventana”, il nostro Libellus precum rivela da una parte una sommersa rete di relazioni con molteplici tradizioni testuali parallele49, dall’altra riflette pure il contesto, monastico e spirituale, nel quale la nostra silloge di preghiere, come altre coeve, si è affermata e quasi personalizzata. La tabella 1 mostra con chiara evidenza il fatto che almeno un’orazione (n. 93) compare nel solo Borg. lat. 211, e che inoltre cinque delle formule presenti nel codice Borgiano (nn. 99, 103, 104, 106, 107) sono condivise dal solo Casin. 44250, manoscritto che — giova ripeterlo — nella sezione 47

WALDHOFF 2003, p. 6. Da notare che tra i nove Libelli precum in beneventana qui collazionati, non è presente, per assenza di preghiere condivise con il codice Borgiano, il pur notevole Reg. lat. 334 (sec. XII in.) appartenuto a S. Domenico di Sora, sul quale cfr. DELL’OMO 2008b. 49 In particolare sui testimoni di area “beneventana” e sulle prospettive di ricerca cfr. DELL’OMO 2013. 50 DELL’OMO 1992, rispettivamente pp. 330-334, n. 46, 350-351, n. 63, 352-354, n. 65, 346, n. 54, 348-350, n. 62. 48

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costituita da un importante Libellus precum, con orazioni anche di s. Pier Damiani, fu vergato dalla mano di Leone Marsicano51. Dalle tabelle 1 e 2 emergono rispettivamente le nove orazioni (nn. 90, 91, 92, 94, 95, 97, 98, 101, 105) che il Borg. lat. 211 condivide con paralleli sia di ambito “beneventano” che non “beneventano”. Ancora la sola tabella 2 indica quali formule il codice Borgiano abbia in comune con i soli paralleli di area non “beneventana” (nn. 96, 100, 102). Le tabelle in basso mettono in parallelo i 29 testimoni manoscritti (distinti per area geo-liturgica “beneventana” e non “beneventana”) confrontati con il Borg. lat. 211 per la presente edizione. (B) Libellus precum Sigle dei codici qui collazionati (per le segnature complete vd. infra: 4. Edizione dei testi. Lista dei manoscritti citati) * b = di ambito “beneventano” nb = di ambito non “beneventano” b1 (b) = Casin. 575 (Montecassino) b2 (b) = Casin. 442 (Montecassino) b3 (b) = Casin. 127 (Montecassino) b4 (b) = BAV, Vat. lat. 6082 (Montecassino) b5 (b) = BAV, Chig. D.V.77 (S. Vincenzo al Volturno) b6 (b) = Benevento, BC, 19 (Benevento) b7 (b) = Benevento, BC, 20 (Benevento) b8 (b) = Benevento, BC, 29 (Benevento) b9 (b) = Zagreb, Metrop. Kn., MR 166 (Italia meridionale ?) b10 (b) = BAV, Arch. S. Pietro G.49 (area pugliese-dalmata) c1 (nb) = Orléans, BM, 184 (Fleury) c2 (nb) = Paris, BNF, Lat. 1153 (St-Denis) c3 (nb) = Roma, BN, Sess. 71 (Nonantola) c4 (nb) = Paris, BNF, Lat. 9432 (Amiens) c5 (nb) = Paris, BNF, Lat. 18005 (Reichenau) c6 (nb) = Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151 (Minden) c7 (nb) = BAV, Barb. lat. 497 (area non lontana da quella “beneventana”) c8 (nb) = Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4 (Como) c9 (nb) = Montpellier, Médecine, 303 (Besançon) c10 (nb) = St. Gallen, 338 (St. Gallen) c11 (nb) = BAV, Ott. lat. 6 (Nonantola) c12 (nb) = Ivrea, BC, 9 (IV) (Ivrea) c13 (nb) = Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571 (Ivrea) c14 (nb) = Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441 (Torino) c15 (nb) = Manuale precum di s. G. Gualberto (Vallombrosa) c16 (nb) = Roma, BV, E 62 (area di Narni) 51

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Cfr. HOFFMANN 1973, p. 129.

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c17 (nb) = Roma, BV, B 23 (Norcia) c18 (nb) = Roma, BV, B 82 (Trisulti) c19 (nb) = Trento, BC 27 (Trento)

B. Tab. 1 Codici di ambito “beneventano” 90 91 92 93: • — 94 95 96: • — 97 98 99 100 101 102: • — 103 104 105 106 107

b1 b2 b3 b4 b5 b6 b7 b8 b9 b10 Amator humanè + Deus qui non + + + + Conscientia + + + + + Domine Iesu Altissime + Impellit me + Facturus ego Ante conspectum + Ante oculos + + + + Omnipotens + + Deus ineffabilis Omnipotens Patris + Summe sacerdos Domine Iesu + Peccavimus + Deus pater + + Domine Deus + Omnipotens +

B. Tab. 2 Codici di ambito non “beneventano” c1 c2 c3 c4 c5 90 91 + 92 93: • — 94 95 96 97 + 98 99: • — 100 + + 101 + 102* 103: • — 104: • — 105 + 106: • — 107: • —

c6 c7 c8 c9 c10 c11 c12 c13 c14 c15 c16 c17 c18 c19 Amator humanè + + + + Deus qui non + + + + + + + Conscientia + + + + Domine Iesu Altissime + Impellit me + Facturus ego + + + Ante conspectum + + + Ante oculos + + + + Omnipotens Deus ineffabilis + + Omnipotens Patris + + + + + + Summe sacerdos Domine Iesu Peccavimus Deus pater Domine Deus Omnipotens

* Per la formula n. 102 ai codici qui messi a confronto occorre aggiungere i ventitré collazionati da WILMART 1932 (pp. 114-124).

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B. Tab. 3 a) Orazioni rilevate nel solo Borg. lat. 211: 93. b) Orazioni condivise con un solo testimone di ambito “beneventano” (Casin. 442): 99, 103, 104, 106, 107. c) Orazioni comuni ai paralleli di ambito “beneventano” e non “beneventano”: 90, 91, 92, 94, 95, 97, 98, 101, 105. d) Orazioni condivise con i soli paralleli di ambito non “beneventano”: 96, 102.

— Il Rituale L’ultima sezione del manoscritto Borgiano, mutila (ff. 72r-101v), è costituita da estratti dal Rituale cui si aggiunge, separato, l’Ordo ad benedicendum aquam già sopra menzionato, che precede il Messale ai ff. 16v-17v: Ordo ad cathecizandum sive baptizandum infantes: n. 1 (ff. 72r-77v); Ordo ad dandam poenitentiam ac reconciliandos poenitentes: n. 2 (ff. 77v-79v); Ordo ad visitandum infirmum: n. 3 (ff. 79v-81r); Ordo ad ungendum infirmum: n. 4 (ff. 81r-86r); Ordo unctionis brevior alio modo: n. 5 (f. 86r); Officium sive obsequium circa morientem: n. 6 (ff. 86r-98r); Ordo ad monachum faciendum: n. 7 (ff. 98r-100v); Prefatio ad clericum faciendum: n. 8 (ff. 100v-101r); Ordinatio ostiarii: n. 9 (f. 101r-v); Ordinatio lectoris: n. 10 (f. 101v); Ordinatio exorcistarum: n. 11 (f. 101v: il testo è mutilo).

Si può in conclusione sottolineare soprattutto il fatto che lo stesso testo dell’Ordo ad visitandum infirmum (n. 3) si trova anche nel già menzionato Rituale Vallicelliano C 32 edito da Odermatt52. 3. Descrizione del manoscritto Membr.; sec. XI/XII: 1094-1105; mm 205 × 140; ff. I-II (iniziali, rispettivamente cartaceo e membranaceo), 101, III-IV (finali, rispettivamente membranaceo e cartaceo). Composizione materiale: Omogeneo. Materia e fogli: Il codice è membranaceo; la foliazione moderna è apposta a matita sull’angolo superiore destro. 52

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Cfr. ODERMATT 1980, pp. 304-306 nn. 180-191, e 174 nota 1.

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Fascicolazione: I5, ff. 1-9 (senza riscontro il f. 1); II4, ff. 10-17 (dopo f. 17 si rileva la perdita di alcuni fogli); IIIbifolio, ff. 18-19 (dopo f. 18 si registra la caduta di uno o due fogli); IV-VI4, ff. 20-43; VII2, ff. 44-47; VIII-XIII4, ff. 48-95; XIV3, ff. 96-101 (dopo f. 101 si segnala la caduta di uno o più fogli). Foratura: I fori, non sempre visibili per lo stato precario e il restauro subito dai fogli ai margini esterni, sono stati praticati con uno strumento la cui punta è penetrata dal recto al verso. Rigatura: A secco. I fascicoli cominciano tutti con il lato pelo, tranne il primo, il cui f. 1r, senza riscontro, è lato carne. L’incisione primaria appare effettuata sul lato carne. Viene inoltre rispettata la regola di Gregory, in base alla quale lato carne corrisponde a lato carne e lato pelo a lato pelo. Impaginazione: (f. 31r)53: A = mm 21; B = mm 168; C = mm 205; b = mm 15; h = mm 100; l = mm 135. Il testo è disposto a piena pagina su 27 righi, con inizio della scrittura sopra il primo rigo. Scrittura e mani: Beneventana di una sola mano (a parte le aggiunte nel calendario, alcune delle quali di mano di Leone Ostiense). Decorazione: L’apparato ornamentale è sobrio. Le molteplici iniziali semplici, occupanti 2 o 3 linee, sono tracciate a penna con inchiostro rosso, talvolta verde, giallo, azzurro, viola, e riempite o toccate di giallo, di verde, di azzurro, di viola. Di queste molteplici iniziali a f. 8v si nota la V di Vere dignum, occupante lo spazio di 3 righi, tracciata a penna con inchiostro giallo, con volute e foglioline su fondo viola. Notevoli ai ff. 49v e 50r le due iniziali nastriformi, tracciate a penna con inchiostro rosso, su pergamena riservata, con racemi e foglie di colore giallo, e con i nodi riempiti di rosso, su fondo azzurro: V di Vere dignum a f. 49v, e T di TE IGITUR a f. 50r, occupanti rispettivamente lo spazio di 7 e 8 righi. Legatura: (mm 219 × 145). Di restauro, in pergamena su cartone. Sul dorso è applicato un cartellino recante la segnatura meccanica: Mus(eo) Borg(iano) P(ropaganda) F(ide), [L]atino, 211, e trasversalmente sul margine destro: Vaticana, mentre su quello sinistro alla fine si legge solo: Ap(ostolica). 53

Nel modello offerto dal grafico di Guida a una descrizione 1990, pp. 31-32, A indica il punto in cui la riga verticale più a sinistra incontra la riga orizzontale più in alto; B quello in cui la stessa riga verticale incontra la riga orizzontale più in basso; C quello in cui la stessa riga verticale tocca il margine inferiore; b indica il punto in cui la riga orizzontale più in alto incontra la riga di giustificazione di sinistra dell’impaginazione a piena pagina; h quello in cui la stessa riga incontra quella di giustificazione di destra della medesima impaginazione; l quello in cui la stessa riga orizzontale tocca il margine laterale esterno.

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Sul contropiatto anteriore è lo stesso cartellino recante la stessa segnatura meccanica: Mus(eo) Borg(iano) P(ropaganda) F(ide), quindi a mano ad inchiostro: Latino, 211; trasversalmente sul margine destro: Vaticana, e su quello sinistro alla fine: Bibliot(eca) Ap(ostolica). Note di possesso: Sul margine superiore del f. 1r si legge, di mano del sec. XIII: Liber iste est ecclesie Sancti Clementis [de Velletro]54. Sui ff. 1r, 50r, 101v è apposta con un timbro ovale l’iscrizione: + Sac(ra) Cong(regatio) de Prop(aganda) Fide. Note rilevanti: — Ai ff. 13v-14v, in una corsiva nuova della seconda metà del sec. XII, sono trascritti due documenti relativi alla chiesa di S. Clemente di Velletri, il primo, datato 1157, ottobre 1°: –f. 13v– Inc.: In nomine Domini. Anno tertio pontificatus. –f. 14r– Expl.: hanc c(hartu)lam exenplavi (ed. FEDELE 1910a, pp. 25-26); il secondo, con la data 1141, luglio 19: –f. 14v– Inc.: In nomine Domini. Anno Domini millesimo .CXLI. Expl.: hanc c(hartu)lam exenplavi (ed. FEDELE 1910a, pp. 23-24). — A f. 15r-v si rileva una notazione musicale in campo aperto, databile al sec. XIII (cfr. BANNISTER 1913, p. 117, n. 336). — A f. 16r in gotica, databile al sec. XIII, si legge: Inc.: De testamentis et ultimis voluntatibus. Innocentius tertius (cfr. FRIEDBERG II 1881, pp. 542543: «Decretalium D. Gregorii papae IX compilatio, lib. III, tit. XXVI: De testamentis et ultimis voluntatibus, cap. XIV»). Expl.: non illis set isti tantum acquirit (cfr. FRIEDBERG II 1881, p. 543: «Decretalium D. Gregorii papae IX compilatio, lib. III, tit. XXVI: De testamentis et ultimis voluntatibus, cap. XV»). — A f. 17v in una rozza minuscola imitativa della beneventana (sec. XII/XIII) sono trascritte le preghiere che seguono: Intercessio nos, quesumus, Domine, beati N. abatis commendet, ut quod meritis non valemus, eius patrocinio assequamur . Per (CO V, n. 3164; DD, n. 1945). Sacris altaribus Domine hostias superpositas, sanctus N., quesumus, in salutem nobis provenire deposcat (CO VIII, n. 5241). Protegat nos Domine cum tui percepcione sacramenti beatus abbatis pro nobis intercedendo ut et conversacionis eius experiamur insignia (CO VII, n. 4752 b). Poco 54 FEDELE 1910a, pp. 11-12, legge invece così: «Liber iste est ecclesie Sancti Clementis de Vellet[ro]», mentre allo stato attuale, anche con l’ausilio della lampada di Wood, la leggibilità della nota si arresta a «Clementis»; non è improbabile che FEDELE 1910a segua Federici: Borg. lat. 182, f. 11r, che trascrive la nota allo stesso modo.

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più in basso in una umanistica corsiva di mano del sec. XV ex. si legge una nota relativa all’arciprete di S. Clemente di Velletri, nella cui conclusione è un riferimento a Guglielmo d’Estouteville (†1483), vescovo di Rouen dal 1453, e cardinale vescovo di Ostia e Velletri dal 1461: Inc.: Reducitur ad memoriam qualiter. Expl.: de mandato reverendissimi cardinalis Rothomagensis (ed. FEDELE 1910a, pp. 12-13). — Ai ff. 43r-44r in una minuscola databile al sec. XIII si trovano aggiunti i testi per la Messa della Decollazione di s. Giovanni Battista (29 agosto), di cui si indica il relativo Incipit ed Explicit: –f. 43r– Introitus. Inc.: [I] ustus ut palma. Expl.: domus Dei nostri. [Psalmus]. Inc.: Bonum est. Expl.: Altissime. Gloria. Prima oratio. Inc.: Sancti Iohannis Baptiste et martiris tuy, quesumus, Domine. Expl.: prestetur effectum. Per Dominum (CO VIII, n. 5334; DD, n. 3198). Epist(u)la. Inc.: Beatus. Expl.: morabitur. Graduale. Inc.: Iustus ut palma florebit. Expl.: in domo Domini. V(ersus). Inc.: Ad annuntiandum mane. Expl.: per noctem. Alleluya. Inc.: Iustus germinabit. Expl.: ante Dominum. All(eluia). Secundum Marcum. Inc.: In illo tempore misit Herodes. –f. 43v– Expl.: et posuerunt illud in monumento. Offertorium. Inc.: In virtute tua. Expl.: desiderium anime eius tribuisti ey. Secreta. Inc.: Munera tibi Domine. Expl.: eius obtentu nobis proficiat ad salutem. Postcommunio. Inc.: Posuisti Domine in capite. Expl.: de lapide pretioso. –f. 44r– Oratio post communionem. Inc.: Conferat nobis Domine sancti Iohannis Bactiste utrumque sollenpnitas. Expl.: sacramenta que sumpsimus significata veneremur, et in nobis potius edita gaudeamus. Per (CO I, n. 792; DD, n. 505). — A f. 71v, in una umanistica corsiva della stessa mano (sec. XV ex.) già sopra notata a f. 17v, si legge una nota ugualmente relativa all’arciprete della chiesa di S. Clemente di Velletri: Inc.: Item reducitur ad memoriam qualiter. Expl.: in festo dive Mariè de Orto et sub illa pena (ed. FEDELE 1910a, p. 13 nota 1). — Nel margine esterno del f. 93r, in una gotica databile al sec. XIII, si legge una nota il cui testo appare lacunoso a causa di una pesante rifilatura: Inc.: Quis michi tribuat adiutorem, ut desiderium meum Omnipotens audiat, et librum scribat ipse qui iudicat. Expl.: pro frumento oria[…] m(ich)i tribulus et pro or[…] spina. Testo: — (f. 1r) Regulares mensium ad inveniendas ferias kalendarum. Inc.: Martius .V. Expl.: Ciclus bisextilis et ciclus solaris seu decennovena-

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lis [in kalendas martii] . — (ff. 1v-13r) –f. 1v– Inc.: Γ Θ Dies XXXI. Lunationem tricesimam. –f. 13r– Expl.: dies h(oras) .VI. (ed. HOFFMANN 1965, pp. 100-126). — (ff. 16v-17v) –f. 16v– Incipit ordo ad benedicendum aquam. Exorcismus salis . Inc.: Exorcizo te creatura salis. –f. 17v– Expl.: corroborationem fidei caritatis fructum hic et in èterna sècula sèculorum. Amen (FRANZ I 1909, pp. 170-171; VOGEL – ELZE PRG I 1963, p. 84, n. XXXIII, 12; VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 336-337, n. CLXXXI, 13, 14, 15, 16, e pp. 348-350, n. CLXXXIII, 28, 36; GAMBER – REHLE 1977, pp. 94-95). Circa la perdita di alcuni fogli dopo f. 17, essendo lacunoso il testo di f. 18r, peraltro di ardua lettura nella parte iniziale, scrive Federici: Borg. lat. 182, f. 61r: «Post hèc desiderantur in codice folia quèdam abrupta, in quibus extabant orationes secretè et postcommuniones, ex quibus superfluere sequentes, videlicet finis orationis Deus a quo sancta desideria etc. cum secreta, et com. Deus auctor pacis etc. ut in editis»; cfr. anche FEDELE 1910a, p. 13). — (ff. 18r-24r) –f. 18r– Il testo è reso di difficile lettura da vistose tracce di muffa sulle prime ventuno linee. [Pro pace]. Illeggibili le prime due linee, ad eccezione di: […]lla. Per. Secreta. Illeggibili le successive tre linee; a partire dalla quinta si legge: Complenda. Inc.: Deus auctor [pacis et amator, quem] nosse, vivere. Expl.: [nullius hostilitati]s arma timeamus (CO II, n. 1110; DD, n. 749). [Pro devo]to. Inc.: Deus qui [iustificas impium et non vis mortem peccatorum]. Expl.: et nullis tempta[tionibus a te separetu]r. Per (CO III, n. 1767; DD, n. 1051). Secreta. Inc.: Proficiat, [quesumus, Domine, hèc obla]tio quam tuè suppliciter. Expl.: inter adversa et prospera dirigatur. Per (CO VII, n. 4662, con varianti; DD, n. 2854). [Complenda]. Inc.: [H]èc nos, [quesumus, Domine] participatio sacramenti. Expl.: et famulum tuum [ab omnibus tueatur] ] adversis. Per (CO IV, n. 2853; DD, n. 1703). Alia. Inc.: Omnipotens semp(iterne) Deus miserere famulo tuo. Expl.: et tota virtute perficiat. P(er) (CO VI, n. 3859; DD, n. 2358). Secreta. Inc.: Suscipe, q(uèsumu)s, Domine, munera. –f. 18v– Expl.: et ad tua promissa te ducente perveniat. P(er). [Complenda]. Inc.:

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Sumentes, Domine, perpetuè sacramenta salutis. Expl.: mandatorum tuorum dirigas […] in adversitate. [Alia]. Inc.: Fac, q(uèsumu)s, Domine, famulum—mente servire. Expl.: et tuis iugiter [beneficiis gratulari] (CO IV, n. 2612b; DD, n. 1583). [Secreta]. Inc.: N(ostr)is, q(uèsumu)s, Domine. Expl.: […]s adquirat. [Complenda]. Inc.: S(an)c(t)ificatio […]. Expl.: et famulo tuo remed[…]. [Alia]. Inc.: Deus cui proprium est misereri semper. Expl.: [miseratio tu]è pietatis absolvat. Per (CO II, n. 1143; DD, n. 773). [Secreta]. Inc.: Suscipe, Domine, q(uèsumu)s, preces nostras, et hanc oblationem. Expl.: propitiatus intende. [Complenda]. Inc.: Purificent nos, Domine, sacramenta què sumpsimus. Expl.: cèlestis remedii plenitudine glorietur. Per (CO VII, n. 4784; DD, n. 2943). [Alia.] Inc.: Adesto Domine supplicationibus nostris, et famuli tui devotionem benignus intende. Expl.: et què pie precatur obtineat (CO I, n. 134, con la variante oblationem invece che devotionem). [Secreta]. Inc.: Huius, q(uèsumu)s, Domine, virtute mysterii et a propriis nos [...] (il testo è mutilo, per la caduta di uno o due fogli: [18 bis, 18 ter] ?). [–ff. 18 bis, 18 ter ?–] Expl.: [ab omnibus absolve peccatis] (CO IV, n. 3012a; DD, n. 1836). [... Alia missa pluralis pro se et pro omnibus christianis]. Inc.: [Deus cui proprium est misereri semper]. Expl.: [indulgentiam largire culparum et plenitudinem èternorum gaudiorum. Per eundem.] [Secreta]. Inc.: [Miserere, quèso, clementissime Deus]. Expl.: [et defunctis remissionem omnium peccatorum tribue et gaudia semper mansura concede. Per.] [Complenda]. Inc.: [Tuam Domine deprecor clementiam, ut per hèc sancta què sumpsi mysteria me famulum tuum interventu sanctè] –f. 19r– Dei Genitricis semper Virginis Mariè et omnium sanctorum ab omnium peccatorum meorum labe propitius emundes. Expl.: et defunctos a cunctis iniquitatibus exuas, et ad gaudia sempiterna perducas. Per eundem. Alia generalis. Inc.: Beatè et gloriosè semper Virginis Dei Genitricis Mariè omniumque cèlestium virtutum et omnium sanctorum intercessionibus. Expl.: et requiem percipere mereantur èternam. Per eundem. Secreta. Inc.: Oblationes nostras, q(uèsumu)s, Domine, propitius suscipe, et per intercessionem beatè Dei Genitricis semper Virginis Mariè omniumque cèlestium virtutum. Expl.: te largiente ad gaudia mereamur èterna pertingere. Per eundem. Complenda. Inc.: Sacrificia què sumpsimus Domine p(re)cibus et meritis beatè Dei Genitricis semper Virginis Mariè. Expl.: defunctis omnibus christianis sempiternè felicitatis p(re)mia largiantur. Per. Pro pluvia. Inc.: Deus in quo vivimus, movemur et sumus, pluviam nobis, q(uèsumu)s, –f. 19v– tribue. Expl.: sempiterna fiducialiter appetamus. Per (CO II, n. 1242; DD, n. 832). [Alia]. Inc.: Da nobis Domine, q(uèsumu)s, pluviam salutarem. Expl.: dignanter infunde. Per. (CO II, n. 907; DD, n. 588). [Se-

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creta]. Inc.: Oblatis, q(uèsumu)s, Domine, placare muneribus. Expl.: pluviè sufficientis auxilium. Per (CO V, n. 3637). [Complenda]. Inc.: Omnipotens sempiterne Deus, cuius munere elementa omnia. Expl.: fecunditatis tuè alimoniis omnis terra lètetur. Per (CO VI, n. 3813; DD, n. 2320). Alia. Inc.: Terram tuam Domine quam videmus nostris iniquitatibus. Expl.: cèlestibus aquis clementer infunde atque irriga beneficus. Per (CO IX, n. 5880). [Pro serenitate]. Inc.: Deus qui in ministerio aquarum gratiè sempiternè salutis tuè nobis sacramenta sanxisti. Expl.: gaudeant in castigationibus esse correctos. Per. [Alia]. Inc.: Omnipotens et misericors Deus, qui omnia quècumque vis facis in cèlo et in terra. Expl.: ut cuius iram expavimus, clementiam sentiamus. Secreta. Inc.: Q(uèsumu)s, omnipotens Deus, clementiam tuam ut terrorem inundantium. Expl.: his muneribus placatus, nobis impertiri digneris. Per (DD, n. 2978). [Complenda]. Inc.: Deus qui fidelium precibus flecteris et humilium confessione placaris. –f. 20r– Expl.: fac misericordiam sentire parcentis. Per (CO II, n. 1635; DD, n. 994). [Alia]. Inc.: Ad te nos Domine clamantes exaudi, et aeris. Expl.: misericordia tua p(re)veniente, clementiam sentiamus. Per (CO I, n. 85; DD, n. 55). [Pro fulgure et tempestate]. Inc.: A domo tua, q(uèsumu)s, Domine, spirituales nequitiè repellantur. Expl.: a nobis discedat malignitas tempestatum (CO I, n. 5 a, con la variante potestatum invece che tempestatum; DD, nn. 2-3). [Secreta]. Inc.: Offerimus tibi Domine laudes et munera pro concessis beneficiis gratias. Expl.: et pro concedendis semper suppliciter deprecantes. Per (CO V, n. 3675b; DD, n. 2229). [Complenda]. Inc.: Omnipotens sempiterne Deus, qui nos et castigando sanas. Expl.: et bonis tuè pietatis semper utamur. Per (CO VI, n. 3998c; DD, n. 2426). Pro mortalitate. Inc.: Deus qui non mortem sed pènitentiam desideras peccatorum. Expl.: flagella clementer amoveas. Per (CO III, n. 1830; DD, n. 1087). Secreta. Inc.: Subveniat nobis, q(uèsumu)s, Domine, sacrificii presentis oblatio. Expl.: et a totius eripiat perditionis incursu. Per (CO VIII, n. 5536; DD, n. 3321). [Complenda]. Inc.: Populum tuum, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ab ira tua ad te confugientem. Expl.: de tua mereantur venia gratulari. Per (CO VI, n. 4298; DD, n. 2617). Pro [...]. Inc.: Protector noster aspice Deus, et ab hostium nos defende periculis. Expl.: liberis tibi mentibus serviamus. Per (CO VII, n. 4746; DD, n. 2916). [Secreta]. Inc.: Huius , Domine, q(uèsumu)s, virtute mysterii, et a nostris. Expl.: et ab hostium liberemur insidiis. Per (CO IV, n. 3011; DD, n. 1835). –f. 20v– [Complenda]. Inc.: Vivificet nos Domine, q(uèsumu)s, participatio tui sancta mysterii. Expl.: tribuat et munimen. Per (CO IX, n. 6101a; DD, n. 4245). [Pro ...]. Inc.: Deus qui nos regendo conservas. Expl.: a temporali tribulatione nos eripe, et gaudia nobis èterna largire.

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Per (CO III, n. 1916; DD, n. 1128). Secreta. Inc.: Da, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut hèc nos salutaris oblatio. Expl.: et ab omnibus semper tueatur adversis. Per (CO II, n. 891a). Complenda. Inc.: Concede, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut qui protectionis tuè gratiam. Expl.: secura tibi mente serviamus. Per (CO I, n. 767; DD, n. 492). Pro [qualibet tribulatione]. . Inc.: Ineffabilem misericordiam tuam, Domine, nobis clementer ostende. Expl.: et a pènis quas pro his meremur eripias. Per (CO V, n. 3129; DD, n. 1916). Secreta. Inc.: Purificet nos, Domine, q(uèsumu)s, muneris presentis oblatio. Expl.: sua participatione perficiat (CO VII, n. 4799; DD, n. 2950). Complenda. Inc.: Presta, Domine, q(uèsumu)s, ut terrenis affectibus expiatis. Expl.: cuius libavimus sancta tendamus. Per (CO VII, n. 4359a; DD, n. 2674). Pro [novitiis]. Inc.: Deus qui beatum Benedictum electum tuum, abstractum a mundi turbinibus. Expl.: perseverationis instantiam, et perfectionis usque in finem victoriam. Per (CO II, n. 1403). [Secreta]. Inc.: Munera Domine, q(uèsumu)s, tuo nomini oblata. Expl.: ingredientibus auxilium tuè benedictionis largire. Per. [Complenda]. Inc.: Acceptum sacri corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi. Expl.: huic famulo tuo N. ad sacrè religionis augmentum. Per. –f. 21r– In vigiliis Apostolorum. Inc.: Concede nobis omnipotens Deus venturam beati apostoli tui N. sollemnitatem. Expl.: et venientem digna celebrare devotione. Per (CO I, n. 704). Secreta. Inc.: Accepta tibi sit Domine nostrè devotionis oblatio, et ad apostolicam. Expl.: puriores nos faciat venire festivitatem. Per (CO I, n. 33). Complenda. Inc.: Presta nobis èterne largitor eius nos ubique protegi oratione. Expl.: votivo prevenimus obsequio. Per (CO VII, n. 4366a). Apostolorum. Inc.: Deus qui nos per beatos Apostolos tuos ad cognitionem tui nominis venire. Expl.: et proficiendo celebrare et celebrando proficere. Per (CO III, n. 1906; DD, n. 1123). Secreta. Inc.: Munera Domine què pro Apostolorum tuorum sollemnitate. Expl.: et mala omnia què meremur averte (CO V, n. 3418; DD, n. 2121). Complenda. Inc.: Q(uèsumu)s, Domine, salutaribus repleti mysteriis. Expl.: eorum orationibus adiuvemur. Per (CO VII, n. 4850b; DD, n. 2973). Unius Martyris. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut qui beati illius martyris tui natalicia colimus. Expl.: amore roboremur. Per (CO VII, n. 4518; DD, n. 2770). Alia. Inc.: Deus qui nos annua beati illius martyris tui sollemnitate lètificas. Expl.: virtutem quoque passionis imitemur. Per (CO III, n. 1843). Alia. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut nos beati illius martyris tui interventio. Expl.: eius precibus assequamur. Per (CO VII, n. 4503). Alia. Inc.: Presta, q(uèsumu) s, omnipotens Deus, ut qui beati illius martyris natalicia colimus. –f. 21v–

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Expl.: eius intercessionibus liberemur. Per (CO VII, n. 4520a-b). Secreta. Inc.: Munera, q(uèsumu)s, Domine, tibi dicata sanctifica. Expl.: per eadem nos placatus intende (CO V, n. 3426b; DD, n. 2136). Secreta. Inc.: Pro nostrè salutis augmento sacrificium tibi laudis offerimus. Expl.: beato N. martyre tuo propitius exequaris. Per (CO VII, n. 4650, con la variante servitutis invece che salutis; DD, n. 2849). Secreta. Inc.: Suscipe, q(uèsumu)s, Domine, fidelium preces cum oblationibus hostiarum. Expl.: devotionis officia ad cèlestem gloriam transeamus. Per (CO IX, n. 5726a). Secreta. Inc.: Suscipe Domine munera propitius oblata. Expl.: beati illius martyris tui commendet oratio. Per (CO IX, n. 5738b; DD, n. 3400). [Secreta]. Inc.: Beati martyris tui illius, q(uèsumu)s, Domine, precibus adiuvemur. Expl.: tuo nomini fac nos semper esse devotos (CO I, n. 434; DD, n. 277). Complenda. Inc.: Q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut quos divina tribuis participatione. Expl.: humanis non sinas subiacere periculis. Per (CO VII, nn. 3004, 4828b). [Complenda]. Inc.: Purificent nos, q(uèsumu)s, Domine, sacramenta què sumpsimus. Expl.: a cunctis efficiant vitiis absolutos. Per (CO VII, n. 4785; DD, n. 2944). Complenda. Inc.: Beati illius martyris tui Domine intercessione placatus. Expl.: perpetua salvatione capiamus. Per (CO I, n. 442b). [Plurimorum Martyrum]. Inc.: Deus qui nos concedis sanctorum martyrum tuorum. Expl.: de eorum societate gaudere. Per (CO III, n. 1874a; DD, n. 1108). [Alia]. Inc.: Deus qui nos annua beatorum martyrum tuorum. Expl.: presta, q(uèsumu)s, ut quorum gau|demus –ff. 21v|22r– meritis, instruamur exemplis. Per (CO III, n. 1841; DD, n. 1096). Alia. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut qui sanctorum martyrum tuorum. Expl.: eorum etiam virtutes imitemur. Per (CO VII, n. 4541; DD, n. 2783). Pro sanctis quorum reliquie habentur. Inc.: Omnipotens sempiterne Deus, qui per gloriosa bella certaminis. Expl.: ut quorum reliquias pro amore amplectimur, eorum precibus adiuvemur. Per (CO VI, n. 4023; DD, n. 2440). Secreta. Inc.: Munera tibi, Domine, nostrè devotionis offerimus. Expl.: et nobis salutaria te miserante reddantur (CO V, n. 3496a; DD, n. 2140). Secreta. Inc.: Accipe Domine, q(uèsumu)s, munera populi tui. Expl.: fac eorum nataliciis interesse (CO I, n. 70a). Secreta. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, Domine Deus noster, ut sicut in tuo conspectu mors est pretiosa sanctorum. Expl.: accepta tibi reddatur oblatio. Per (CO VII, n. 4390; DD, n. 2713). Secreta. Inc.: Purificent nos hèc sancta mysteria, Domine Deus. Expl.: ab omni semper iniquitate custodiant. Per (CO VII, n. 4796c). Complenda. Inc.: Presta nobis Domine, q(uèsumu)s, intercedentibus sanctis martyribus tuis. Expl.: pura mente capiamus (CO VII, n. 4374a; DD, n. 2686). Complenda. Inc.: Cèlestia dona sumentes Deus noster, gratias tibi referimus. Expl.: et pro martyrum celebritate sanctorum. Per. Complenda. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, Do-

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mine Deus noster, ut quorum festivitate votiva sunt sacramenta. Expl.: eorum salutaria nobis intercessione reddantur (CO VII, n. 4337; DD, n. 2713). Complenda. Inc.: Ut tuis Domine possimus semper inherere servitiis. Expl.: ab omni nos, q(uèsumu)s, adversitate defende. Per (CO IX, n. 6054b). –f. 22v– Confessorum pontificum. Inc.: Da, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut beati illius confessoris tui. Expl.: et devotionem nobis augeat et salutem. Per (CO II, n. 925a; DD, n. 671). [Alia]. Inc.: Omnipotens sempiterne Deus cui cuncta famulantur elementa. Expl.: et tribue nobis misericordiam tuam, et quècumque precipis ut agamus, ipse adiuva ut implere possimus. Per (CO VI, n. 3807; DD, n. 2316). Secreta. Inc.: Hostias, q(uèsumu)s, Domine, quas in sancti N. confessoris tui atque pontificis sollemnitate. Expl.: ut nobis indulgentiam largiendo tuo nomini dent honorem. Per Dominum. Secreta. Inc.: Hostias Domine quas tibi offerimus propitius suscipe, et intercedente beato N. confessore tuo. Expl.: vincula peccatorum nostrorum absolve. Per Dominum (CO IV, n. 2958b; DD, n. 1807). Complenda. Inc.: Presta, q(uèsumu)s, omnipotens Deus, ut de perceptis muneribus gratias exhibentes. Expl.: beneficia potiora sumamus. Per Dominum (CO VII, n. 4485; DD, n. 2753). Complenda. Inc.: Beati N. confessoris atque pontificis, Domine, suffragiis exoratus. Expl.: nos virtute defende. Per (CO I, n. 421a; DD, n. 265). Confessorum non pontificum. Inc.: Exaudi Domine preces nostras quas in sancti confessoris tui N. sollemnitate deferimus. Expl.: ab omnibus nos absolvas peccatis. Per (CO IV, n. 2480b; DD, n. 1469). [Alia]. Inc.: Sancti confessoris tui N., Domine, tribue nos supplicatione foveri. Expl.: eius apud te intercessionibus commendemur et meritis. Per (DD, n. 3194). Secreta. Inc.: Propitiare, q(uèsumu)s, Domine, supplicationibus nostris. –f. 23r– Expl.: hisdem quibus famulamur mysteriis emundemur. Per Dominum (CO VII, n. 4677; DD, n. 2869). Secreta. Inc.: Munera tibi, Domine, pro sancti N. confessoris tui sollemnitate deferimus. Expl.: nobis proficiant ad salutem. Per. Complenda. Inc.: Beati N. confessoris tui, Domine, natalicia fidelibus tuis. Expl.: ut qui tibi placuit nobis imploret auxilium (CO I, n. 404a; DD, n. 261). Complenda. Inc.: Corporis sacri et pretiosi sanguinis repleti libamine, q(uèsumu)s, Domine Deus noster. Expl.: certa redemptione capiamus. Per (CO I, n. 847b; DD, n. 543). Virginum martyrum. Inc.: Omnipotens sempiterne Deus qui infirma mundi eligis, ut fortia quèque confundas. Expl.: eius apud te patrocinia sentiamus. Per (CO VI, nn. 2414, 3929b). Alia. Inc.: Deus qui inter cètera potentiè tuè miracula etiam in sexu fragili victoriam martyrii contulisti. Expl.: ut cuius natalicia colimus, per eius ad te exempla gradiamur. Per (CO III, n. 1759b; DD, n. 1043). Secreta. Inc.: Offerimus tibi Domine preces et munera in honore sanctè N. Expl.: et remedium sempiternum adquirere valeamus. Per (DD, n. 2233). Secreta. Inc.: Sacris

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altaribus, Domine, hostias superpositas, q(uèsumu)s. Expl.: in salutem nobis provenire deposcat. Complenda. Inc.: Adiuvent nos, q(uèsumu)s, Domine, et hèc mysteria sancta què sumpsimus. Expl.: martyris tuè inter|cessio –f. 23r|v– veneranda. Per (CO I, n. 197; DD, n. 151). Complenda. Inc.: Divini muneris largitate satiati, q(uèsumu)s, Domine Deus noster. Expl.: in huius semper participatione vivamus. Per (CO III, n. 2250; DD, n. 1295). Virginum non martyrum. Inc.: Deus qui nos beatè virginis tuè N. Expl.: eius adiuvemur meritis, cuius castitatis irradiamur exemplis. Alia. Inc.: Deus qui nos annua beate N. virginis tuè sollemnitate letificas. Expl.: etiam piè conversationis sequamur exemplo. Per (CO III, n. 1842). Secreta. Inc.: Hèc hostia Domine placationis et laudis, q(uèsumu)s, ut interveniente. Expl.: sua nos propitiatione dignos semper efficiat. Per (CO IV. n. 2810b). Secreta. Inc.: Beata N. virgine tua interveniente, tibi Domine servitus nostra complaceat. Expl.: fiant presidia devotorum. Per (CO VIII, n. 5402b). Complenda. Inc.: Sanctificet nos, Domine, q(uèsumu)s, tui perceptio sacramenti et intercessio. Expl.: tibi reddat acceptos. Per (CO VIII, n. 5395a). Complenda. Inc.: Crescat Domine, q(uèsumu)s, semper in nobis sanctè iocunditatis affectus. Expl.: festivitate augeatur. Per (CO I, n. 865). Plurimarum Virginum. Inc.: Sanctarum Virginum N., Domine, supplicationibus tribue nos foveri. Expl.: commendemur et meritis. Per Dominum. Secreta. Inc.: Intende Domine munera, q(uèsumu)s, altaribus tuis. Expl.: ita nobis indulgentiam largiaris (CO V, n. 3147; DD, n. 1935). Complenda. Inc.: Supplices te rogamus omnipotens Deus, ut intervenientibus. –f. 24r– Expl.: et tempora nostra disponas. Per (CO IX, n. 5691b; DD, n. 3370). Dedicationis ecclesiè. Inc.: Deus qui nobis per singulos annos huius sancti templi. Expl.: petiturus ingreditur, cuncta se impetrasse lètetur. Per (CO III, n. 1825; DD, n. 1085). Alia. Inc.: Deus qui Ecclesiè tuè in sanctis montibus fundamenta posuisti. Expl.: institutione firma et interventione secura. Per (CO II, n. 1551; DD, n. 968). Secreta. Inc.: Oblatum tuè maiestati sacrificium annua domus huius. Expl.: et ipsi consecremur pia miseratione concede. Per. Secreta. Inc.: Oblatio tibi Domine votiva defertur petimus, ut ad laudem. Expl.: ad nostrum proveniat sanctificata presidium. Per (CO V, n. 3608a; DD, n. 2198). Complenda. Inc.: Concede nobis omnipotens Deus, ut qui diem consecrationis huius templi. Expl.: ipsi quoque per sanctificationem tui Spiritus tibi habitaculum effici mereamur. Per. Qui tecum et cum eodem (CO I, n. 694). Complenda. Inc.: Sanctificati, Domine, salutari mysterio. Expl.: quorum nos donasti patrocinio gubernari. Per Dominum (CO VIII, n. 5389a; DD, n. 3222). — (ff. 24v-43v) (a differenza che per le Messe votive e per il Comune dei santi [vd. supra ff. 18r-24r], si è ritenuto sufficiente, per l’oggetto stesso del presente lavoro, limitare l’Incipit e l’Explicit all’esordio (antifona d’Introito) e alla conclusione (antifona alla Comunione) delle singole unità di Messa, senza indicare tutte le rispettive singole formule, che comprendono anche i brani biblici previsti per ciascuna Messa) –f. 24v– Missa in honore sanctè et individuè Trinitatis. Inc.: [Introitus]. Benedicta sit sancta Trinitas atque indivisa unitas (Graduale 1961, [p. 84], vd. p. 308; MR, n. 683). Expl.: Communio. Benedicimus Deum cèli et coram omnibus viventibus confitebimur ei, quia fecit nobiscum misericordiam suam (Graduale 1961, [p. 86], vd. p. 310; AMS, n. 172bis; MR, n. 691). –ff. 24v-25r– Sancte Crucis. Inc.: [Introitus]. Nos autem gloriari oportet in cruce Domini nostri Iesu Christi (Graduale 1961, [p. 104], vd. p. 488; AMS, nn. 97 bis, 150; MR, n. 693). Expl.: Communio. Per lignum crucis de inimicis nostris libera nos Deus noster (Graduale 1961, [p. 106], vd. p. 491 (con la variante signum invece che lignum). –f. 25r-v– Sanctè Dei Genitricis Mariè. Inc.: [Introitus]. Vultum tuum deprecabuntur (Graduale 1961, [p. 82], vd. p. [64]. Expl.: Communio. Dilexisti iustitiam et odisti iniquitatem (Graduale 1961, [p. 71]; AMS, nn. 33b, 140; MR, n. 33). –ff. 25v-26r– In vigiliis Apostolorum. Inc.: Introitus. Ego autem sicut oliva fructificavi (Graduale 1961, pp. [1]-[2]; AMS, nn. 13, 154; MR, n. 598). Expl.: Communio. Magna est gloria eius in salutari tuo: gloriam et magnum decorem impones super eum, Domine (Graduale 1961, [p. 2]; MR, 605). – ff. 26r-27r– In nataliciis Apostolorum. Introitus. Inc.: Michi autem nimis honorati sunt amici tui Deus (Graduale 1961, p. 392; AMS, nn. 160, 169; MR, n. 522). Expl.: Communio. Vos qui secuti estis me, dicit Dominus, sedebitis super sedes, iudicantes duodecim tribus Israhel, alleluia, alleluia (Graduale 1961, p. 448; AMS, n. 160; MR, n. 619). –ff. 27r-29r– Unius Martyris. Inc.: [Introitus]. Lètabitur iustus in Domino (Graduale 1961, pp. [12]-[13]; AMS, nn. 27a, 142a, 147, 152; MR, n. 621). Expl.: Communio. Qui vult venire post me abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me (Graduale 1961, p. [12]; AMS, nn. 27b, 135, 141, 149, 152, 161; MR, n. 638). –ff. 29r-32r– Plurimorum Martyrum. Inc.: [Introitus]. Intret in conspectu tuo, Domine, gemitus compeditorum (Graduale 1961, pp. [21]-[22]; AMS, n. 24a). Expl.: Communio. Iustorum animè in manu Dei sunt, et non tanget illos tormentum malitiè, visi sunt oculis insipientium mori, illi autem sunt in pace (Graduale 1961, pp. 504d-505; AMS, nn. 97, 112, 125, 129b, 159; MR, n. 493). –ff. 32r-34r– Confessorum sacerdotum. Inc.: Introitus. Sacerdotes tui, Domine, induantur iustitiam, et sancti tui exultent (Graduale 1961, pp. [35]-[36]; AMS, n. 16a). Expl.: Communio. Fidelis servus et prudens quem constituit Dominus super familiam suam,

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ut det illis in tempore tritici mensuram (Graduale 1961, pp. [34]-[35]; AMS, nn. 32, 170; MR, n. 657). –f. 34r-v– Confessorum non sacerdotum. Inc.: Introitus. Os iusti meditabitur sapientiam (Graduale 1961, p. [42]; AMS, nn. 20, 139, 155, 164; MR, n. 660). Expl.: Communio. Magna est gloria eius (Graduale 1961, p. [2]; AMS, nn. 13, 31, 117, 155, 164, 177bis; MR, nn. 605, 637). –ff. 34v-36r– Virginum. Inc.: Introitus. Loquebar de testimoniis tuis in conspectu regum (Graduale 1961, pp. [51]-[52]; AMS, n. 23a). Expl.: Communio. Diffusa est gratia in labiis tuis, propterea benedixit te Deus in èternum (Graduale 1961, pp. [559]-[560]; AMS, nn. 3, 101, 169bis; MR, n. 675). –ff. 36r-37r– Dedicationis ecclesiè. Inc.: [Introitus]. Terribilis est locus iste, hic domus Dei est (Graduale 1961, pp. [71]-[72]; AMS, n. 100; MR, n. 680). Expl.: Communio. Domus mea domus orationis vocabitur, dicit Dominus. In ea omnis qui petit accipit, et qui quèrit invenit, et pulsanti aperietur (Graduale 1961, pp. [74]-[75]; AMS, n. 100). –f. 37v– [Missa quam pro se sacerdos dicere debet] . Inc.: [Introitus]. Respice in me et miserere mei, Domine (Graduale 1961, p. 327; AMS, n. 175). Expl.: Communio. Ab occultis meis munda me, Domine, et ab alienis parce servo tuo (Graduale 1961, p. 142; AMS, n. 61). –ff. 37v-38v– Missa pro devoto. Inc. Introitus. Iustus es Domine et rectum iudicium tuum (Graduale 1961, pp. 365-366; AMS, n. 189a). Expl.: Communio. Dico vobis gaudium est Angelis Dei super peccatore pènitentiam agente (Graduale 1961, p. 330; AMS, n. 197). –ff. 38v-39r– Missa pro iter agentibus. Inc. Introitus. Redime me, Domine, et miserere mei, pes enim meus stetit in via recta (Graduale 1961, p. 115; AMS, n. 47). Expl.: Communio. Tu mandasti mandata tua custodiri nimis, utinam dirigantur viè meè ad custodiendas iustificationes tuas (Graduale 1961, p. 377; AMS, n. 57b). –f. 39r-v– Missa pro qualibet tribulatione. Inc.: Introitus. Salus populi ego sum, dicit Dominus; de quacumque tribulatione clamaverint ad me (Graduale 1961, p. 375; AMS, n. 57a). Communio. Expl.: Amen dico vobis, quicquid orantes petitis, credite quia accipietis, et fiet vobis (Graduale 1961, p. 389; AMS, n. 198). –ff. 39v-40v– Missa pro infirmis. Inc.: [Introitus]. Circumdederunt me gemitus mortis, dolores inferni circumdederunt me (Graduale 1961, pp. 73-74; AMS, n. 34; MR, n. 97). Expl.: Communio. Domine ne in ira tua arguas me, neque in furore tuo corripias me; miserere michi Domine, quoniam infirmus sum. –ff. 40v-43r– Missa pro defunctis. Inc.: [Introitus]. Requiem eternam dona eis Domine, et lux perpetua luceat eis (Graduale 1961, p. 94*; MR, n. 592). Expl.: Communio. Ego sum resurrectio et vita: qui credit in me etiam si mortuus fuerit vivet, et omnis qui credit in me non morietur in eternum.

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— (ff. 44r-54r) Ordo ad celebrandam missam Inc.: Incipit ordo ad celebrandam missam. Dum induitur sacerdos can(at) psalmos hos: Ps(almum) Quam amabilia. Expl.: ut cuncta oratio et omnis nostra operatio, et a te semper incipiat et per te cepta finiatur. Per Dominum (ed.: SALMON 1974, pp. 200-203). Nuova ed. completa: infra, nn. 1-88. — (ff. 54v-56r) seguite dai Inc.: Christe audi nos, .III. vicibus. Expl.: Exurge Domine, adiuva nos et libera nos. Domine, exaudi. Ed.: infra, n. 89. — (ff. 56r-71v) (Orationes intra sollemnia Missarum) Inc.: Oratio. Amator humanè salutis, benignissime et clementissime Deus. Expl.: et habitem in domo tua in longitudinem dierum ad laudem et gloriam nominis tui, Domine Deus meus. Qui vivis et regnas in sècula sèculorum. Amen. Ed.: infra, nn. 90-107. — (ff. 72r-101v) –ff. 72r-77v– Incipit ordo ad cathecizandum sive baptizandum infantes (cfr. VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 155-164, n. CVII). Inc.: In primis sacerdos ante clausas ecclesias perquisito nomine infantis et invocato eo, dicit ita. Ill(e). Abrenuntias. Expl.: et si pontifex adest confirmet eum. –ff. 77v-79v– [Ordo ad dandam poenitentiam ac reconciliandos poenitentes] (cfr. VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 234-245, n. CXXXVI). Inc.: Cum aliquis venerit ad sacerdotem confiteri peccata sua, dicat (VOGEL – ELZE PRG II 1963, p. 234, n. CXXXVI, 1). Expl.: veniam consequendo reddatur innocuus. Per (VOGEL – ELZE PRG II 1963, p. 245, n. CXXXVI, 30). –ff. 79v-81r– Incipit ordo ad visitandum infirmum (cfr. VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 246-256, n. CXXXIX; ODERMATT 1980, pp. 304-306, nn. 180-191 [Roma, Bibl. Vall., C 32]. Inc.: Psalmus. Domine ne in ira tua (ODERMATT 1980, p. 304, n. 180 [ed. da: Roma, Bibl. Vall., C 32]). Expl.: integer spiritus tuus et anima et corpus sine querela in adventu Domini nostri Iesu Christi servetur. Per. Pax tibi. Benedictio Domini super te. Amen (ODERMATT 1980, p. 306, n. 191 [ed. da: Roma, Bibl. Vall., C 32]. –ff. 81r-86r– Item ordo ad ungendum infirmum (cfr. VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 258-270, n. CXLIII; ODERMATT 1980, pp. 306-313, nn. 192-211 [ed. da: Roma, Bibl. Vall., C 32], con molti testi in comune con quest’ultimo). Inc.: Dicat sacerdos. Pax huic domui. Expl.: Sensum tuum dirigat et ad supernam te vitam perducat, qui in Trinitate perfecta vivit et regnat Deus per omnia sècula sèculorum. Amen. –f. 86r– Item ordo unctionis brevior. Alio modo. Inc.: Post psalmos et orationes supradictas ungat sacerdos infirmum ita dicens: Per istam unctionem et suam piissimam misericordiam. Expl.: per ardorem libidinis. R(esponde-

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at) Amen. Cètera omnia ut supra (ODERMATT 1980, p. 312, n. 207 [ed. da: Roma, Bibl. Vall., C 32]). –ff. 86r-98r– Item officium sive obsequium circa morientem (cfr. VOGEL – ELZE PRG II 1963, pp. 281-287, n. CXLVIII; ODERMATT 1980, pp. 313-331, nn. 212-273 [Roma, Bibl. Vall., C 32]. Inc.: In primis dicatur oratio hèc. Deus qui huic famulo tuo tuè dedisti fidei coniunctionem (DARRAGON 1991, n. 3306). Expl.: pretioso sanguine redemisti. Per (ODERMATT 1980, p. 331, n. 273 [ed. da: Roma, Bibl. Vall., C 32]). –ff. 98r100v– Incipit ordo ad monachum faciendum (cfr. VOGEL – ELZE PRG I 1963, pp. 70-72, n. XXVIII; GAMBER – REHLE 1977, pp. 88-90). Inc.: Admonitio abbatis ad novicium. Dominus noster Iesus Christus pietate sua. Expl.: sine fine cum illo regnaturus percipere merearis, prèstante eodem Domino nostro Iesu Christo, qui cum Deo Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat in secula seculorum . –ff. 100v-101r– [Incipit prefatio ad clericum faciendum] (cfr. ANDRIEU PR 1940, pp. 327-328, I, 1-5; VOGEL – ELZE PRG I 1963, pp. 4-6, n. III). Inc.: [Oremus dilectissimi fratres Dominum nostrum Iesum Christum] (ANDRIEU PR 1940, p. 327, I, 1; VOGEL – ELZE PRG I 1963, pp. 4-5, n. III, 1; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1246). Expl.: [in tua dilectione perpetuo maneat, et eum sine macula gratia tua in sempiternum custodias. Per] (ANDRIEU PR 1940, p. 328, I, 5; VOGEL – ELZE PRG I 1963, p. 6, n. III, 5; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1250) . –f. 101r-v– [Ordinatio ostiarii] (cfr. ANDRIEU PR 1940, pp. 329-330, V, 1-4). Inc.: [Ostiarii cum ordinantur, postquam ab archidiacono instructi fuerint] (ANDRIEU PR 1940, p. 330, V, 2; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1790). Expl.: [Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus] (ANDRIEU PR 1940, p. 330, V, 4; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1792) . –f. 101v– [Ordinatio lectoris] (cfr. ANDRIEU PR 1940, pp. 330-331, VI, 1-6). Inc.: [Lectores cum ordinantur, faciat de illis verbum episcopus] (ANDRIEU PR 1940, p. 331, VI, 2; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1793). Expl.: [Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, benedicere] (ANDRIEU PR 1940, p. 331, VI, 6; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1794) . [Ordinatio exorcistarum] (cfr. ANDRIEU PR 1940, pp. 331-332, VII, 1-4). Inc.: [Exorcistè cum ordinantur, accipiant de manu episcopi libellum, in quo ...] (cfr. ANDRIEU PR 1940, p. 332, VII, 2; DESHUSSES 1992, Sacr. Greg., n. 1795) .

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4. Edizione dei testi Lista dei manoscritti citati: b = di ambito “beneventano” nb = di ambito non “beneventano” Lp = Libellus precum OM = Ordo Missae

Basel, “Codex Gressly” (nb) = Basel, Bistum, “Codex Gressly” (sec. XI2), Missale Basileense (ed. HÄNGGI – LADNER 1994, pp. 319-328 [OM]); proveniente, com’è stato ipotizzato, dall’abbazia di Murbach (cfr. HÄNGGI – LADNER 1994, Faksimileband, pp. 33-36). BAV, Arch. Cap. S. Pietro G.49 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro G.49 (sec. XII/XIII), Sezione contenente Flores psalmorum e orazioni salmiche (ff. 62r-137v); proveniente, come sembra, da un monastero benedettino femminile di area pugliese-dalmata (ed.: BROWN 1989, pp. 450-459: rist. in BROWN 2005, pp. 582-595). BAV, Arch. Cap. S. Pietro H.58 (nb) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Cap. S. Pietro H.58 (sec. XI, metà), Rituale (OM); paleograficamente e testualmente riconducibile a Roma (ed. SALMON 1977; cfr. SUPINO MARTINI 1987, pp. 72-75). BAV, Barb. lat. 497 (nb) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 497 (sec. XI1), Lp; attribuito ad un’area non lontana da quella “beneventana” (cfr. SALMON 1974, pp. 139-146). BAV, Borg. lat. 182 (nb) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 182 (sec. XVIII); Placido Federici: trascrizione e commento del codice BAV, Borg. lat. 211 (ff. 1r-146v). BAV, Chig. D.V.77 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. D.V.77 (sec. XI ex.), Enchiridion Officii et Missae; proveniente dal monastero di S. Vincenzo al Volturno (ed.: DELL’OMO 2008a, pp. 228-236 [Litanie dei santi], 237-245 [Lp], 245-269 [OM]). BAV, Ott. lat. 6 (nb) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 6 (sec. XI), Composito (miscellanea di testi anche bedani), definibile con SALMON 1974, p. 198: Enchiridion sacerdotale; derivante dal monastero di S. Silvestro di Nonantola (per l’OM cfr. SALMON 1974, pp. 198-200; inoltre BRANCHI 2011, pp. 194-196). BAV, Ott. lat. 145 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ott. lat. 145 (sec. XI), Manuale per la preghiera corale; proveniente da S. Sofia di Benevento ed esemplato su un modello originario di Montecassino (ed.: GAMBER – REHLE 1977; cfr. BROWN 1999, p. 165: rist. in BROWN 2005, p. 685). BAV, Reg. lat. 334 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 334 (sec. XII in.), Orazioni; Litanie dei santi; altri testi eucologici; Processionale; proveniente dal monastero di S. Domenico di Sora (per i ff. 30v-56r: Litanie dei santi e Lp, ed.: DELL’OMO 2008b, in particolare pp. 253-280). BAV, Urb. lat. 585 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 585 (sec. XI/XII: 1099-1105), Collettario-Ordinario; proveniente da

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Montecassino (cfr. DELL’OMO 1995, pp. 279-309; NEWTON 1999, pp. 343-344; KELLY 2008, in particolare pp. 223-227). BAV, Vat. lat. 6082 (b) = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 6082 (sec. XII, dopo il 1105), Messale plenario; proveniente da Montecassino (ed.: FIALA 1947 [OM]; cfr. DUVAL-ARNOULD 1981; CLLA Suppl., n. 455). Benevento, BC, 19 (b) = Benevento, Biblioteca Capitolare, 19 (sec. XII), BreviarioMessale; di uso non monastico, scritto probabilmente a S. Sofia di Benevento (cfr. MALLET – THIBAUT II 1997, pp. 61-65). Benevento, BC, 20 (b) = Benevento, Biblioteca Capitolare, 20 (sec. XII), BreviarioMessale; di uso non monastico, scritto probabilmente a S. Sofia di Benevento (cfr. MALLET – THIBAUT II 1997, pp. 66-70). Benevento, BC, 29 (b) = Benevento, Biblioteca Capitolare, 29 (già London, British Library, Egerton 3511) (sec. XII), Messale monastico; ad uso del monastero femminile di S. Pietro intra muros di Benevento (cfr. MALLET – THIBAUT II 1997, pp. 137-145; ed.: ibid., pp. 468-476 [OM]). Benevento, BC, 33 (b) = Benevento, Biblioteca Capitolare, 33 (sec. X/XI), Messale; probabilmente ad uso di una chiesa di Benevento o dei dintorni, dipendente da un monastero (ed.: REHLE 1972-1973; cfr. MALLET – THIBAUT II 1997, pp. 168-173). Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441 (nb) = Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin-Preussischer Kulturbesitz, Haus 2, Hamilton 441 (sec. XI), Sacramentario di origine monastica (monastero di S. Solutore Maggiore di Torino) (ed.: DELL’ORO – BAROFFIO 1981 [OM]; CLLA Suppl., p. 111; cfr. inoltre H. BOESE, Die lateinischen Handschriften der Sammlung Hamilton zu Berlin, Wiesbaden 1966, pp. 210212, n. 441). Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571 (nb) = Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin-Preussischer Kulturbesitz, Haus 2, Hamilton 571 (sec. XI), Benedizionale; proveniente da Ivrea (ed.: BAROFFIO – DELL’ORO 1975 [OM]; cfr. inoltre BOESE, Die lateinischen Handschriften, pp. 280-281, n. 571). Casin. 127 (b) = Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 127 (sec. XI/XII), Messale (OM); prodotto a Montecassino durante l’abbaziato di Oderisio I (1087-1105), in uso a S. Maria dell’Albaneta presso il monastero cassinese (cfr. EBNER 1896, pp. 98-99, 309-311; INGUANEZ 1923, pp. 208-209; BROWN 1998b, pp. 154-156; NEWTON 1999, pp. 359-360). Casin. 442 (b) = Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 442 (sec. XI, non oltre il 1071), composito: unità codicologica recante Litanie dei santi (pp. 161-171, ed.: LENTINI 1970, pp. 17-24) ed orazioni (pp. 171-368, ed.: DELL’OMO 1992, pp. 317-361), il cui testo fu vergato da Leone Marsicano; cfr. V. PACE, Scheda n. 58 [Casin. 442], in I Fiori e’ Frutti santi 1998, pp. 183-186; NEWTON 1999, p. 333). Casin. 575 (b) = Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 575 (sec. IX2), Miscellaneo organizzato: sezione recante un Lp (pp. 144-160); testo scritto a Montecassino (ed.: DELL’OMO 2003a, pp. 271-283). Ivrea, BC, 9 (IV) (nb) = Ivrea, Biblioteca Capitolare, 9 (IV) (sec. XI), OM di Warmondo d’Ivrea; proveniente dallo scriptorium di Ivrea (ed.: BAROFFIO – DELL’ORO 1975; CLLA Suppl., n. 1515). Manuale precum di s. G. Gualberto (nb) = Vallombrosa, Abbazia (sec. XI), Manuale

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di preghiere; appartenuto all’abbazia di Vallombrosa, ed oggi disperso (ed.: SALVINI 1933; cfr. WILMART 1936, pp. 270-297). Montpellier, Médecine, 303 (nb) = Montpellier, Bibliothèque Interuniversitaire, Section Médecine, 303 (sec. XI, dopo il 1048), Pontificale di Ugo di Salins (OM; Lp); proveniente dalla chiesa di St-Paul di Besançon (ed.: LEMARIÉ 1978, pp. 367-393 [OM], 393-420 [Lp]). Orléans, BM, 184 (nb) = Orléans, Bibliothèque municipale, 184 (sec. IX1), Lp; proveniente dall’abbazia di Fleury (ed. PL 101, coll. 1383-1416; CLLA, n. 1698 a). Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4 (nb) = Oxford, Bodleian Library, Lat. liturg. d. 4 (sec. XI1), Sacramentario Gregoriano “gelasianizzato”; scritto per la chiesa di S. Antonio in Como (ed.: DELL’ORO 2002 [OM]). Paris, BMaz, 364 (b) = Paris, Bibliothèque Mazarine, 364 (sec. XI/XII: 1099-1105), Collettario-Ordinario; Annales; scritto a Montecassino (cfr. TOUBERT 1971: rist. in TOUBERT 1990; CLLA Suppl. n. 465* h; NEWTON 1999, pp. 341-342; KELLY 2008, in particolare pp. 227-230). Paris, BNF, Lat. 820 (nb) = Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 820 (sec. XI2), Pontificale di Salisburgo in uso a Sèez (ed.: PL 78, coll. 245-251 [OM]; cfr. MARTIMORT 1978, p. 314, n. 557). Paris, BNF, Lat. 1153 (nb) = Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 1153 (sec. IX, metà ca.), Lp con Officia per ferias; proveniente dall’abbazia di StDenis (ed.: PL 101, coll. 465-508, 509-612 = Alcuini opera 1777, pp. 21-51 (De psalmorum usu liber), 52-126 (Officia per ferias); cfr. WALDHOFF 2003, pp. 297303). Paris, BNF, Lat. 9432 (nb) = Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 9432 (sec. X), Sacramentario di Amiens (ed. LEROQUAIS 1927 [OM]; CLLA, n. 910). Paris, BNF, Lat. 18005 (nb) = Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 18005 (sec. XI in.), Sacramentario di Reichenau (ed. BRAGANÇA 1971 [OM]). Roma, BN, Sess. 71 (nb) = Roma, Biblioteca Nazionale, Sess. 71 (sec. IX/X: 895907), Lp; proveniente dall’abbazia di Nonantola (cfr. WILMART 1936, passim; API, tav. 48; Bibliografia 1987, pp. 70-71, 202-204). Roma, BV, B 23 (nb) = Roma, Biblioteca Vallicelliana, B 23 (sec. XII1), Messale plenario; molto probabilmente derivante – come ha rilevato Supino Martini – dal monastero di S. Bartolomeo di Norcia (ed.: NOCENT 1972 [OM]; cfr. soprattutto SUPINO MARTINI 1987, pp. 224-225; CLLA Suppl., n. 1425). Roma, BV, B 82 (nb) = Roma, Biblioteca Vallicelliana, B 82 (sec. XIII), composito; proveniente dalla certosa di S. Bartolomeo di Trisulti; Lp (ff. 117-219, ed.: WILMART 1935). Roma, BV, B 141 (nb) = Roma, Biblioteca Vallicelliana, B 141 (sec. XI), Rituale-Messale votivo; proveniente dall’arcidiocesi di Brema-Amburgo (ed.: RASMUSSEN 1984 [OM]; CLLA Suppl., n. 1590). Roma, BV, C 32 (b) = Roma, Biblioteca Vallicelliana, C 32 (sec. XI ex.), Rituale; proveniente da un centro dell’area beneventano-cassinese (ed.: ODERMATT 1980, pp. 346-354 [OM]; CLLA Suppl., n. 1593). Roma, BV, E 62 (nb) = Roma, Biblioteca Vallicelliana, E 62 (sec. XI ex./XII in.),

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Rituale-Messale; proveniente dall’Umbria, in particolare dall’area di Narni (ed.: BAROFFIO 1988 [OM]). St. Gallen, 338 (nb) = St. Gallen, Stiftsbibliothek, 338 (sec. XI, metà), Sacramentario; vergato nello scriptorium dell’abbazia sangallense (ed.: WITCZAK 1999 [OM]). Trento, BC, 27 (nb) = Trento, Biblioteca Capitolare, 27 (sec. XIV, primo quarto), Cerimoniale papale e Cerimoniale episcopale (ed.: DELL’ORO 1999 [OM]). Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151 (nb) = Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Helmst. 1151, OM del vescovo Sigberto di Minden (1022-1036) (ed.: FLACIUS ILLYRICUS 1557; PL 138, coll. 1305-1336 = BONA 1753, pp. I-XXIX; CLLA, n. 990). Zagreb, Metrop. Kn., MR 166 (b) = Zagreb, Metropolitanska Knjiànica, MR 166, Messale (pp. 1-326) (sec. XII); proveniente dall’Italia meridionale (?); vergato in una beneventana di tipo cassinese; Messale (pp. 327-354) (sec. XIII); vergato in una beneventana “Bari type” (ed.: KNIEWALD 1956 [OM]; CLLA Suppl., n. 446; cfr. ELBA 2009; ELBA 2011, pp. 209-220).

(ff. 44r-54r)

1. (f. 44r) Incipit ordo ad celebrandam missam. Dum induitur sacerdos can(at) psalmos hos: Ps(almum) Quam amabilia(1), Ps(almum) Benedixisti, Domine(2), Ps(almum) Inclina, Domine(3). —————— (1) Ps 83, 2 (2) Ps 84, 2 (3) Ps 85, 1 —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 197, n. 9b (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 140, n. 7 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 809, n. 1 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571); LEMARIÉ 1978, p. 374, n. 02 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 346, n. 357 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 624, n. 3 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 319: 226, 1 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); WITCZAK 1999, p. 401, n. 2 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 211, n. 4 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4).

2. (f. 44r) Kyrie. Christe. Kyrie. Pater noster. —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 197, n. 9b (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 147, n. 8, ll. 31-34 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 10 (ed. da: Benevento, BC, 29).

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3. (f. 44r) Capitula: Exurge, Domine, adiuva(1). Deus, tu convertens. Ostende nobis, Domine(2). —————— (1) Ps 43, 26 (2) Ps 84, 7-8 —————— FIALA 1947, p. 197, n. 9b (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 147, n. 8, ll. 36-38 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005); ODERMATT 1980, p. 346, n. 357 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 625, n. 10 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); RASMUSSEN 1984, p. 201, n. 3d (ed. da: Roma, BV, B 141); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 319: 226, 2 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 11 (ed. da: Benevento, BC, 29); WITCZAK 1999, p. 401, n. 4 (ed. da: St. Gallen, 338).

4. (f. 44r) Propitius esto Domine peccatis nostris(1). —————— (1) Ps 78, 9 —————— FIALA 1947, p. 197, n. 9b (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 346, n. 357 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 625, n. 10 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 319: 226, 2 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 11 (ed. da: Benevento, BC, 29).

5. (f. 44r) Domine, exaudi(1). —————— (1) Ps 101, 2 —————— FIALA 1947, p. 197, n. 9b (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 346, n. 357 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 625, n. 10 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 319: 226, 2 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 11 (ed. da: Benevento, BC, 29); WITCZAK 1999, p. 401, n. 4 (ed. da: St. Gallen, 338); DELL’ORO 2002, p. 211, n. 5 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4).

6. (f. 44r) Oratio: Aures tuè pietatis, piissime Deus, inclina precibus meis, et gratia Spiritus Sancti illumina cor meum, ut tuis mysteriis digne ministrare teque èterna caritate diligere merear. Per. In unitate eiusdem. —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 78, col. 245 = MARTÈNE I 1736, coll. 574-575 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 820; per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. Parigino, cfr. MARTIMORT 1978, p. 314, n. 557); PL 138, col. 1309 = BONA 1753, p. V (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990]; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 494 [per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]); FIALA 1947, p. 197, n. 10 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 332 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166); BRAGANÇA 1971, p. 148, n. 10 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 809, n. 5 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571); LEMARIÉ 1978, p. 374, n. 05 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 347,

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n. 358 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); RASMUSSEN 1984, p. 202, n. 5 (ed. da: Roma, BV, B 141, con la variante mitissime invece di piissime); BAROFFIO 1988, p. 61, n. 5 (ed. da: Roma, BV, E 62); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 319: 226, 5 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 12 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997 (d’ora in poi le citazioni dal tomo III sono relative ai soli pezzi riportati nell’Index euchologique), p. 1352, n. 100 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20); WITCZAK 1999, p. 401, n. 6 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 211, n. 7 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti); DELL’OMO 2008a, p. 249, n. 24 (ed. da: Chig. D.V.77).

7. (f. 44r) Ps(almus) ad procedendum: Ps(almus) Iudica me, Deus(1). Antiphona: Introibo ad altare Dei. Dehinc faciant confessionem. Sequitur: Converte nos, Deus(2). Dignare Domine. Non intres in iudicium(3). Fiat Domine misericordia(4). Domine exaudi orationem(5). —————— (1) Ps 42, 1 (2) Ps 84, 5 (3) Ps 142, 2 (4) Ps 118, 76 (5) Ps 101, 2 —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 198, n. 11d (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 148, nn. 12, 14 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 626, nn. 13-14 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, nn. 15, 16, 17, 20 (ed. da: Benevento, BC, 29).

8. (f. 44r) Oratio: Exaudi Domine supplicum preces, et confitentium tibi parce peccatis, ut quos conscientiè reatus accusat, indulgentia tuè miserationis absolvat. —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). Il segmento testuale: exaudi—peccatis, corrisponde a quello che figura nell’OM renano: PL 138, col. 1306 = BONA 1753, p. II (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990]; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 492 [per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]); FIALA 1947, p. 198, n. 12 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 288, n. 121 (ed. da: Roma, BV, C 32, varianti); DELL’OMO 2008a, p. 254, n. 33 (ed. da: Chig. D.V.77, con varianti).

9. (f. 44r) Sequitur: Aufer a nobis, Domine, q(uèsumu)s, iniquitates nostras, ut ad sancta sanctorum puris mereamur mentibus introire. Per. —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 78, col. 246 = MARTÈNE I 1736, col. 575 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 820; per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. Parigino, cfr. MARTIMORT 1978, p. 314, n. 557); PL 138, col. 1310 = BONA 1753, p. VI (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990]; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 495 [per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]); FIALA 1947, p. 198, n. 13

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(ed. da: Vat. lat. 6082); NOCENT 1972, p. 422 (ed. da: Roma, BV, B 23, con varianti); BRAGANÇA 1971, p. 140, n. 16 (Inc. da: Paris, BNF, Lat. 18005); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 809, n. 3 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571); LEMARIÉ 1978, p. 376, n. 5 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 347, n. 359 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 626, n. 17 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); RASMUSSEN 1984, p. 202, n. 14 (ed. da: Roma, BV, B 141); BAROFFIO 1988, p. 65, n. 47 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 321: 228, 4 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 469, n. 22 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29, con varianti); III 1997, p. 1352, n. 95 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33); WITCZAK 1999, p. 403, n. 25 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 212, n. 19 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti); DELL’OMO 2008a, pp. 253-254, n. 32 (ed. da: Chig. D.V.77).

10. (f. 44r-v) Et sic inclinatus ante altare sacerdos dicat apud se orationem hanc: Omnipotens et misericors Deus qui de indignis dignos, de immundis mundos, de peccatoribus efficere potens es iustos, respice propitius super me indignum famulum tuum in hora hac, et placatus meritis et intercessione beatè et gloriosè semperque Virginis Mariè et beati Michahelis archangeli omniumque cèlestium virtutum et omnium sanctorum tuorum –f. 44v– qui tibi ab initio placuerunt, munda cor meum et corpus meum ab omni sorde et contagione peccati meque infelicissimum servum tuum audacter ad te accedentem et de tua misericordia presumentem, per ineffabilem gratiam tuam dignum et idoneum tanti mysterii fac ministrum, et concede propitius ut in hoc altari ad quod ministraturus indignus accedo, hostias acceptabiles atque placabiles offeram pietati tuè pro omnibus peccatis et offensionibus meis et innumeris cotidianis excessibus, et pro omnibus circumstantibus omnibusque michi familiaritate vel consanguinitate coniunctis, et pro omnibus qui se in meis indignis precibus commendaverunt, pro omnibus etiam qui mei memoriam in suis orationibus faciunt, sed et(a) pro omnibus fidelibus christianis vivis atque defunctis, et per eum sit tibi meum votum acceptabile atque sacrificium quod semetipsum tibi Deo Patri in ara crucis pro totius mundi salute obtulit in sacrificium Iesus Christus Filius tuus Dominus noster. —————— (a) et] nell’interlineo —————— SALMON 1974, p. 200 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, pp. 198-199, n. 15 (ed. da: Vat. lat. 6082).

11. (ff. 44v-45r) Dehinc accedens altare faciat incensum super illud hymnis angelicis: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonè voluntatis. Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, Domine Deus, Rex cèlestis, Deus Pater omnipo-

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tens, Domine Fili Unigenite Iesu Christe, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris, qui tollis peccata mundi, miserere nobis, qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram, qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis. –f. 45r– Quoniam tu solus sanctus, tu solus Dominus, tu solus Altissimus, Iesu Christe, cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris. Amen. —————— SALMON 1974, pp. 200-201 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 200, n. 17 (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 151, n. 26 (Inc. ed. Expl. da: Paris, BNF, Lat. 18005); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 627, n. 21 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441).

12. (f. 45r) Symbolum: Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem cèli et terrè, visibilium omnium, et invisibilium, et in unum Dominum Iesum Christum, Filium Dei Unigenitum, ex Patre natum ante omnia sècula, Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt. Qui propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de cèlis, et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crucifixus etiam pro nobis, sub Pontio Pilato passus, et sepultus est. Et resurrexit tertia die, secundum Scripturas. Ascendit ad cèlos, sedet ad dexteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria, iudicare vivos et mortuos, cuius regni non erit finis. Et in Spiritum Sanctum, Dominum, et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit. Qui cum Patre et Filio simul adoratur, et conglorificatur, qui locutus est per prophetas. Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum, et expecto resurrectionem mortuorum, et vitam futuri sèculi. Amen. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 202, n. 24 (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 152, n. 30 (Inc. ed Expl. da: Paris, BNF, Lat. 18005); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, pp. 628-629, n. 28 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 471, n. 39 (Inc. da: Benevento, BC, 29).

13. (f. 45r) Cum offert oblatam: Suscipe, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, hanc immaculatam hostiam quam ego indignus famulus tuus offero tibi, Deo vivo et vero, pro nostra omniumque fidelium tuorum vivorum sive defunctorum salute. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 316 (cfr. EBNER 1896, p. 309); FIALA 1947, p. 203, n. 31 (ed. da: Vat. lat.

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6082); ODERMATT 1980, p. 348, n. 368 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 471, n. 47 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1433, n. 1631 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

14. (f. 45r-v) Cum offert calicem: Offerimus tibi Domine calicem salutaris deprecantes clementiam tuam, ut in conspectum divinè maiestatis tuè pro nostra et totius mundi salute –f. 45v– cum odore suavitatis ascendat. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 317 (cfr. EBNER 1896, p. 309); FIALA 1947, p. 204, n. 33 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 348, n. 369 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 322: 229, 2 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 51 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1402, n. 1034 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20); WITCZAK 1999, p. 405, n. 46 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti).

15. (f. 45v) Cum ordinat super altare: In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur Domine a te, et sic fiat sacrificium nostrum et obsequium servitutis nostrè, ut a te suscipiatur et placeat tibi, quia non est confusio confidentibus in te et sperantibus de immensitate misericordiè tuè Domine. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). EBNER 1896, p. 309 (ed. da: Casin. 127, p. 317); FIALA 1947, p. 203, n. 32 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 348, n. 368 (Inc. da: Roma, BV, C 32); BAROFFIO 1988, p. 69, n. 75 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 59 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1395, n. 895 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

16. (f. 45v) Cum miscet aquam vino: Deus qui humanè substantiè dignitatem et mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti, da nobis, q(uèsumu)s, per huius aquè et vini mysterium eius divinitatis esse consortes, qui nostrè humanitatis fieri dignatus est particeps Iesus Christus Dominus noster. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 317 (cfr. EBNER 1896, p. 309); FIALA 1947, p. 204, n. 35 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 334 (Inc. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166); LEMARIÉ 1978, p. 386, n. 44 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 53 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1375, n. 524 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

17. (f. 45v) Cum operit calicem corporali: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi, qui in cruce passionis tuè de latere tuo sanguinem et aquam, unde tibi Ecclesiam tuam aptares, manare voluisti, suscipe et benedic(a) hoc sacrificium altari tuo superpositum, et concede clementissime, ut pro redemptione nostra et

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etiam totius mundi, in conspectum divinè maiestatis tuè cum odore suavitatis ascendat. —————— (a) Sopra la -n- è un signum crucis —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 204, n. 36 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 334 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 386, n. 43 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 54 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 698 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

18. (f. 45v) Cum incensat oblatam: Incensum istud a te benedictum ascendat ad te Domine, et descendat super nos misericordia tua. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 317 (cfr. EBNER 1896, p. 310); FIALA 1947, p. 205, n. 38 (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 154, n. 44 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 386, n. 47 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303); ODERMATT 1980, p. 348, n. 370 (ed. da: Roma, BV, C 32); WITCZAK 1999, p. 405, n. 52 (ed. da: St. Gallen, 338).

19. (f. 45v) Sequitur: Dirigatur ad te oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo. ———— SALMON 1974, p. 201 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 317 (cfr. EBNER 1896, p. 310); LEROQUAIS 1927, p. 441 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); FIALA 1947, p. 205, n. 40 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 348, n. 370 (ed. da: Roma, BV, C 32); BAROFFIO 1988, p. 69, n. 73 (ed. da: Roma, BV, E 62); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 324: 229, 16 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); WITCZAK 1999, p. 405, n. 51 (ed. da: St. Gallen, 338).

20. (f. 45v) Item: Veni sanctificator omnium Sancte Spiritus, et sanctifica hoc presens sacrificium ab indignis manibus preparatum, et descende in hanc hostiam invisibiliter, sicut in patrum hostias visibiliter descendisti. ————

SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). EBNER 1896, p. 310 (ed. da: Casin. 127, pp. 317-318); FIALA 1947, p. 205, n. 39 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 349, n. 371 (ed. da: Roma, BV, C 32); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 55 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1436, n. 1687 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

21. (ff. 45v-46r) Tunc inclinatus ante altare dicat: –f. 46r– Suscipe sancta Trinitas et vera Unitas, omnipotens èterne Deus, hanc oblationem quam tibi offero indignus famulus tuus in memoriam incarnationis, nativitatis, passionis, resurrectionis et ascensionis Domini nostri Iesu Christi, et in honorem glo-

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riosè et perpetuè Virginis Mariè atque omnium sanctorum tuorum, qui tibi placuerunt ab initio mundi, et quorum hodie festivitas celebratur, ut illis proficiat ad honorem, nobis autem ad salutem, et illi omnes intercedere pro nobis dignentur in cèlis, quorum memoriam veneramur in terris, ut eorum omnium meritis et(a) intercessionibus adiuti, digni mereamur celebrandis tantis mysteriis inveniri. —————— (a) et] nell’interlineo —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 318, con varianti (cfr. EBNER 1896, p. 310); LEROQUAIS 1927, p. 441 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); FIALA 1947, pp. 205-206, n. 43 (ed. da: Vat. lat. 6082, con varianti); KNIEWALD 1956, p. 334 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); BRAGANÇA 1971, p. 152, n. 33 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); NOCENT 1972, p. 424 (ed. da: Roma, BV, B 23, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 815, n. 31 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 387, n. 51 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 349, n. 372 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); BAROFFIO 1988, p. 69, n. 78 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 62 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1433, n. 1626 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20); WITCZAK 1999, p. 404, n. 42 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti).

22. (f. 46r) Et surgens osculetur altare dicens: Omnipotens sempiterne Deus, qui me peccatorem sacris altaribus astare voluisti, et sancti nominis tui laudare potentiam, concede propitius per intercessionem omnium sanctorum tuorum et per(a) huius sacramenti mysterium, omnium meorum michi veniam peccatorum, ut tuè maiestati digne et tibi placite ministrare merear. Per. —————— (a) per] nell’interlineo —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 78, col. 246 = MARTÈNE I 1736, col. 575 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 820; per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. Parigino, cfr. MARTIMORT 1978, p. 314, n. 557); PL 138, col. 1311 = BONA 1753, p. VII (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990], con varianti; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 496 [per le diverse ed. di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]); FIALA 1947, p. 206, n. 44 (ed. da: Vat. lat. 6082); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 811, n. 12 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); ODERMATT 1980, p. 347, n. 361 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 321: 228, 5 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 470, n. 25 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1406, n. 1122 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20); DELL’ORO 2002, p. 212, n. 20 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4); DELL’OMO 2008a, p. 256, n. 36 (ed. da: Chig. D.V.77, con varianti).

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23. (f. 46r) Dehinc conversus petat pro se orari. Item prefationes. Nativitatis Domini: Vere dignum(a). Èterne Deus, quia per incarnati Verbi tui mysterium nova mentis nostrè oculis lux tuè claritatis infulsit, ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur. Et ideo cum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 1322. Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, p. 207, n. 47 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 65a (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1438, n. 1724 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

24. (f. 46r-v) Intra canonem: Communicantes et diem sacratissimum celebrantes, quo beatè Mariè intemerata virginitas –f. 46v– huic mundo edidit Salvatorem, sed et memoriam venerantes eiusdem gloriosè semper Virginis et Genitricis eiusdem Dei et Domini nostri Iesu Christi, sed et beatorum Apostolorum. —————— Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, pp. 207-208, n. 48 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 65a (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 200 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 19).

25. (f. 46v) Epyphaniè: Vere dignum(a). Èterne Deus, quia cum Unigenitus tuus in substantia nostrè mortalitatis apparuit, in nova nos immortalitatis suè luce reparavit. Et ideo cum Angelis. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 1294. Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, p. 207, n. 49 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 65b (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1438, n. 1722 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 19).

26. (f. 46v) Intra canonem: Communicantes et diem sacratissimum celebrantes, quo Unigenitus tuus in tua tecum gloria coèternus, in veritate carnis nostrè visibiliter corporalis apparuit, sed et memoriam venerantes gloriosè semper Virginis Mariè Genitricis eiusdem Dei et Domini nostri Iesu Christi. —————— Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, p. 207, n. 50 (Inc. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 472, n. 65b (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 197 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 19).

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27. (f. 46v) Quadragesimè: Vere dignum(a). Èterne Deus, qui corporali ieunio vitia comprimis, mentem elevas, virtutem largiris et premia. Per Christum Dominum nostrum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 863. Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, p. 207, n. 51 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65c (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1709 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

28. (f. 46v) Cenè Domini: Communicantes et diem sacratissimum celebrantes, quo Dominus noster Iesus Christus pro nobis est traditus, sed. —————— Casin. 127, p. 319; FIALA 1947, p. 207, n. 52 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65c (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 195 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

29. (f. 46v) Hanc igitur oblationem servitutis nostrè sed et cunctè familiè tuè, quam tibi offerimus ob diem in qua Dominus noster Iesus Christus tradidit discipulis suis corporis et sanguinis sui mysteria celebranda. Q(uèsumu)s, Domine, ut. —————— Casin. 127, pp. 319-320; FIALA 1947, p. 207, n. 53 (Inc. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65c (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1392, n. 840 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

30. (f. 46v) Item: Qui pridie quam pro nostra et omnium salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem in sanctas. —————— Casin. 127, p. 320, con testo completo; FIALA 1947, p. 207, n. 54 (Inc. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65c (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1425, n. 195 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

31. (ff. 46v-47r) Resurrectionis: Vere dignum(a). Èquum et salutare te quidem Domine omni tempore, sed in hac potissimum nocte(b), die gloriosius predicare, cum Pascha nostrum immolatus est Christus. Ipse enim verus –f. 47r– est agnus, qui abstulit peccata mundi, qui mortem nostram moriendo destruxit, et vitam resurgendo reparavit. Et ideo cum Angelis. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica ——————

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(b)

nocte] nell’interlineo

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CP (Q-V), n. 1254, I. Casin. 127, p. 320; FIALA 1947, p. 207, n. 55 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65e (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1438, n. 1729 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

32. (f. 47r) Intra canonem: Communicantes et noctem(a), diem sacratissimam celebrantes resurrectionis Domini nostri Iesu Christi secundum carnem, sed et memoriam venerantes gloriosè semper Virginis Mariè Genitricis eiusdem Dei et Domini nostri Iesu Christi. —————— (a) nocte(m)] nell’interlineo —————— Casin. 127, p. 320; FIALA 1947, p. 207, n. 56 (Inc. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65e (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 201 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

33. (f. 47r) Item: Hanc igitur oblationem servitutis nostrè sed et cunctè familiè tuè quam tibi offerimus, pro his quoque quos regenerare dignatus es ex aqua et Spiritu Sancto, tribuens eis remissionem omnium peccatorum. Q(uèsumu)s, Domine, ut. —————— Casin. 127, p. 320; FIALA 1947, p. 207, n. 57 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65e (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1392, n. 841 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

34. (f. 47r) Ascensionis: Vere dignum(a). Per Christum Dominum nostrum. Qui post resurrectionem suam omnibus discipulis suis manifestus apparuit, et ipsis cernentibus hodie est elevatus in cèlum, ut nos divinitatis suè tribueret esse participes. Et ideo. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 1165. Casin. 127, pp. 320-321; FIALA 1947, p. 207, n. 58 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65f (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1718 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

35. (f. 47r) Communicantes et diem sacratissimum celebrantes, quo Dominus noster Unigenitus Filius tuus unitam sibi fragilitatis nostrè substantiam in gloriè tuè dextera collocavit, sed et memoriam venerantes. —————— Casin. 127, p. 321; FIALA 1947, p. 208, n. 59 (Inc. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65f (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 196 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

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36. (f. 47r) Pentecostes: Vere dignum(a). Per Christum Dominum nostrum. Qui ascendens super omnes cèlos sedensque ad dexteram tuam, promissum Spiritum Sanctum hodierna die in filios adoptionis effudit. Qua propter profusis gaudiis totus in orbe terrarum mundus exultat, sed et supernè Virtutes atque angelicè Potestates hymnum gloriè tuè concinunt sine fine dicentes. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 813. Casin. 127, p. 321; FIALA 1947, p. 208, n. 60 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65g (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1707 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

37. (f. 47r-v) Communicantes et diem sacratissimum Pentecosten cele|brantes –f. 47r|v–, quo Spiritus Sanctus Apostolis in igneis linguis apparuit, sed et memoriam venerantes. —————— Casin. 127, p. 321; FIALA 1947, p. 208, n. 61 (ed. da: Vat. lat. 6082, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65g (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 198 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

38. (f. 47v) Hanc igitur paschalem(a) oblationem. —————— (a) paschal(em)] nell’interlineo, con la prima e la seconda -a- minuscola di tipo onciale —————— Casin. 127, p. 321; FIALA 1947, p. 208, n. 62 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65g (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1392, n. 841 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

39. (f. 47v) Crucis: Vere dignum(a). Èterne Deus, qui salutem humani generis in ligno crucis constituisti, ut unde mors oriebatur inde vita resurgeret, et qui in ligno vincebat in ligno quoque vinceretur. Per Christum Dominum nostrum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 1200. Casin. 127, p. 320; FIALA 1947, p. 208, n. 63 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65h (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1438, n. 1719 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

40. (f. 47v) Trinitatis: Vere dignum(a). Èterne Deus, qui cum Unigenito Filio tuo et Spiritu Sancto unus es Deus, unus es Dominus, non in unius singularitate

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personè, sed in unius Trinitate substantiŽ. Quod enim de tua gloria, revelante te, credimus, hoc de Filio tuo, hoc de Spiritu Sancto, sine differentia discretionis sentimus. Ut in confessione verè sempiternèque deitatis, et in personis proprietas, et in essentia unitas, et in maiestate adoretur èqualitas. Quem laudant Angeli atque Archangeli, Cherubin quoque et Seraphin non cessant clamare dicentes. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 879. Casin. 127, pp. 322-323; FIALA 1947, p. 208, n. 64 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65i (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1710 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

41. (f. 47v) Sanctè Mariè: Vere dignum(a). Èterne Deus, et te in assumptione beatè Mariè semper Virginis collaudare, benedicere et predicare. Què et Unigenitum tuum Sancti Spiritus obumbratione concèpit, et virginitatis gloria permanente, lumen èternum mundo effudit, Iesum Christum Dominum nostrum. Et ideo. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— Casin. 127, pp. 321-322; FIALA 1947, p. 208, n. 65 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65j (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1436, n. 1691 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 20).

42. (ff. 47v-48r) Apostolorum: Vere dignum(a). Èquum et salutare, te, Domine, suppliciter exorare, ut gregem tuum, Pastor èterne, non deseras, sed per beatos Apostolos tuos continua protectione custodias, ut isdem rectoribus gubernetur, quos operis tui –f. 48r– vicarios eidem contulisti preesse pastores. Et ideo. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 1484. Casin. 127, p. 322; FIALA 1947, p. 208, n. 66 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65k (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1438, n. 1727 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

43. (f. 48r) Alia: Vere dignum(a). Èterne Deus, qui Ecclesiam tuam in apostolicis tribuisti consistere fundamentis, de quorum collegio beati N. apostoli tui sollemnia celebrantes, tua Domine preconia non tacemus. Et ideo. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— CP (Q-V), n. 914. Casin. 127, p. 322; FIALA 1947, p. 208, n. 67 (ed. da: Vat. lat. 6082).

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44. (f. 48r) Omnium Sanctorum: Vere dignum(a). Èterne Deus, tuam clementiam suppliciter obsecrantes, ut cum exultantibus sanctis in cèlestis regni cubilibus gaudia nostra coniungas, ut, quos virtutum imitatione sequi non possumus, debitè venerationis contingamus effectu. Per Christum Dominum nostrum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— Casin. 127, p. 322; FIALA 1947, p. 208, n. 68 (ed. da: Vat. lat. 6082).

45. (f. 48r) Dedicationis ecclesiè: Vere dignum(a). Èquum et salutare nos tibi semper et ubique pro annua dedicatione tabernaculi huius honorem gratiasque referre, Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, cuius virtus magna est, et pietas copiosa, respice, q(uèsumu)s, Domine, de cèlo, et vide et visita domum istam, ut, si quis in ea nomini tuo supplicaverit, libenter exaudias, et satisfacientibus clementer ignoscas. Per Christum Dominum nostrum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— Casin. 127, p. 322; FIALA 1947, p. 209, n. 69 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65 l (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1705 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

46. (f. 48r) Defunctorum: Vere dignum(a). Èterne Deus, qui nobis in Christo Unigenito Filio Domino Deo nostro spem beatè resurrectionis concessisti, presta, q(uèsumu)s, ut animè pro quibus hoc sacrificium redemptionis nostrè tuè offerimus maiestati, ad beatè resurrectionis requiem, te miserante, cum sanctis tuis pervenire mereantur. Per eundem Christum Dominum nostrum. —————— (a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica —————— Casin. 127, p. 323; FIALA 1947, p. 209, n. 70 (ed. da: Vat. lat. 6082).

47. (f. 48r-v) Alia: Vere dignum(a). Per Christum Dominum nostrum. Per quem salus mundi, per quem vita hominum, per quem resurrectio mortuorum, per ipsum te Domine suppliciter deprecamur, ut –f. 48v– animabus famulorum famularumque tuarum(b) indulgentiam largiri digneris perpetuam, atque a contagiis mortalitatis exutas, in èternè salvationis partem restituas. Per quem maiestatem tuam. ——————

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(a) V(ere) d(ignum)] in forma monogrammatica (b) Un richiamo sovrastante il gruppo -ru(m) rinvia al margine sinistro, dove si legge: q(u)or(um) memoria(m) agim(us) —————— Casin. 127, p. 323; FIALA 1947, p. 209, n. 71 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65m (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1704 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 20, 33).

48. (f. 48v) Per omnia sècula sèculorum. Amen. Dominus vobiscum. Et cum Spiritu tuo. Sursum corda. Habemus ad Dominum. Gratias agamus Domino Deo nostro. Dignum et iustum est. Vere dignum et iustum est, èquum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere, Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, per Christum Dominum nostrum. Per quem maiestatem tuam laudant Angeli, adorant Dominationes, tremunt Potestates, cèli cèlorumque Virtutes ac beata Seraphin socia exultatione concelebrant. Cum quibus et nostras voces, ut admitti iubeas, deprecamur, supplici confessione dicentes: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth. —————— Casin. 127, p. 324; FIALA 1947, p. 210, n. 73 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 276 (Inc. da: Arch. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 349, nn. 373-374 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 633, n. 49 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65n (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29).

49. (ff. 48v-49r) Item: –f. 49r– Per omnia sècula sèculorum. Amen. Oremus. Prèceptis salutaribus moniti, et divina institutione formati audemus dicere: Pater noster qui es in cèlis, sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua sicut in cèlo et in terra. Panem nostrum cotidianum da nobis hodie, et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris, et ne nos inducas in temptationem, sed libera nos a malo. —————— Casin. 127, p. 334, con notazione neumatica; MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 80 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1411, n. 1223 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

50. (f. 49r) Et ideo cum Angelis et Archangelis, cum Thronis et Dominationibus, cumque omni militia cèlestis exercitus hymnum gloriè tuè canimus, sine fine dicentes: Sanctus. —————— Casin. 127, pp. 323-324, con notazione neumatica; FIALA 1947, p. 210, n. 74 (ed. da: Vat. lat. 6082); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 633, n. 50 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441).

51. (f. 49r-v) In diebus festis: –f. 49v– Per omnia sècula sèculorum. Amen. Dominus vobiscum. Et cum Spiritu tuo. Sursum corda. Habemus ad Dominum.

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Gratias agamus Domino Deo nostro. Dignum et iustum est. Vere dignum et iustum est, èquum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere, Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, per Christum Dominum nostrum. Per quem maiestatem tuam laudant Angeli, adorant Dominationes, tremunt Potestates, cèli cèlorumque Virtutes ac beata Seraphin socia exultatione concelebrant. Cum quibus et nostras voces, ut admitti iubeas, deprecamur, supplici confessione dicentes: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt cèli et terra gloria tua. Osanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini. Osanna in excelsis. —————— Casin. 127, pp. 326-328, con notazione neumatica; MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 65 o (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1437, n. 1702 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

52. (f. 50r) Te igitur, clementissime Pater, per Iesum Christum Filium tuum Dominum nostrum, supplices rogamus et petimus, uti accepta habeas, et benedicas hèc dona(a), hèc munera(b), hèc sancta sacrificia(c) illibata, in primis, què tibi offerimus pro Ecclesia tua sancta catholica, quam pacificare, custodire, adunare et regere digneris toto orbe terrarum, una cum famulo tuo papa nostro N. et abbate nostro N. et omnibus orthodoxis catholicè et apostolicè fidei cultoribus. Michi quoque indignissimo famulo tuo propitius esse digneris, et ab omnibus me delictorum offensionibus emundare. —————— (a) Sopra la -n- è un signum crucis (b) Sopra la -u- è un signum crucis (c) Sopra la prima -a- è un signum crucis —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. ed Expl. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, pp. 330-331; FIALA 1947, p. 210, n. 75 (ed. da: Vat. lat. 6082); REHLE 19721973, p. 356, n. 90 (Inc. da: Benevento, BC, 33); SALMON 1977, p. 276 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, pp. 349-350, n. 374 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 633, n. 52 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 66 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1433, n. 1635 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

53. (f. 50r) Memento, Domine, famulorum famularumque tuarum N. et N., nec non et omnium circumastantium, quorum tibi fides cognita est, et nota devotio, pro quibus tibi offerimus, vel qui tibi offerunt hoc sacrificium laudis, pro se suisque omnibus, pro redemptione animarum suarum, pro spe salutis et incolumitatis suè, tibique reddunt vota sua èterno Deo, vivo et vero. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 331; FIALA 1947, p. 210, n. 76 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT

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1980, p. 350, n. 375 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 53 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 473, n. 67 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1398, n. 965 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

54. (f. 50r-v) Communicantes, et memoriam venerantes, in primis gloriosè semper Virginis Mariè, Genitricis Dei et Domini nostri Iesu Christi, sed et beatorum apostolorum ac martyrum tuorum Petri, Pauli, Andrèe, Iacobi, Iohannis, Thomè, Iacobi, –f. 50v– Philippi, Bartholomei, Mathei, Symonis et Tathdei, Lini, Cleti, Clementis, Xysti, Cornelii, Cypriani, Laurentii, Vincentii, Chrisogoni, Iohannis et Pauli, Cosmè et Damiani, nec non et illorum, quorum hodie sollemnitatis in conspectu gloriè tuè celebratur triumphus in toto orbe terrarum, et omnium sanctorum tuorum, quorum meritis precibusque concedas, ut in omnibus protectionis tuè muniamur auxilio. Per eundem Christum Dominum nostrum. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. ed Expl. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, pp. 331-332; FIALA 1947, pp. 210-211, n. 77 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 276 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); ODERMATT 1980, p. 350, n. 376 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 54 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 68 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1357, n. 199 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

55. (f. 50v) Hanc igitur oblationem servitutis nostrè sed et cunctè familiè tuè, q(uèsumu)s, Domine, ut placatus accipias, diesque nostros in tua pace disponas, atque ab èterna damnatione nos eripi, et in electorum tuorum iubeas grege numerari. Per Christum Dominum nostrum. —————— Casin. 127, p. 332; FIALA 1947, p. 211, n. 78 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 276 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); ODERMATT 1980, p. 350, n. 377 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 55 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 69 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1392, n. 839 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

56. (f. 50v) Quam oblationem tu, Deus, in omnibus, q(uèsumu)s, benedictam(a), ascriptam(b), ratam(c), rationabilem, acceptabilemque facere digneris, ut nobis corpus(b) et sanguis(d) fiat dilectissimi Filii tui, Dei et Domini nostri Iesu Christi. —————— (a) Sopra la -i- è un signum crucis (b) Sopra la -p- è un signum crucis (c) Sopra la -t- è un signum crucis (d) Sopra la -g- è un signum crucis —————— Casin. 127, p. 332; FIALA 1947, p. 211, n. 79 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 350,

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n. 378 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 56 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 70 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1422, n. 1423 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

57. (f. 50v) Qui pridie quam pateretur, accepit panem in sanctas ac venerabiles manus suas, et elevatis oculis in cèlum ad te Deum Patrem suum omnipotentem, tibi gratias agens, benedixit(a), fregit, dedit discipulis suis, dicens: Accipite et manducate ex hoc omnes, hoc est enim corpus meum. —————— (a) Sopra la -n- è un signum crucis —————— Casin. 127, p. 332; FIALA 1947, p. 211, n. 80 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 276 (Inc. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 350, n. 379 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 57 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 71 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1422, n. 1424 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

58. (ff. 50v-51r) Simili modo posteaquam cenatum est, accipiens et hunc prèclarum calicem in sanctas ac venerabiles manus suas, item tibi gratias agens, benedixit(a), dedit discipulis suis dicens: Accipite et bibite ex eo omnes, hic est enim calix –f. 51r– sanguinis mei, novi et èterni testamenti, mysterium fidei, qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hèc quotienscumque feceritis, in mei memoriam facietis. —————— (a) Sopra la -n- è un signum crucis —————— Casin. 127, p. 332; FIALA 1947, p. 211, n. 81 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 276 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 351, n. 380 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 58 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 72 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1422, n. 1424 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

59. (f. 51r) Unde et memores, Domine, nos tui servi, sed et plebs tua sancta, eiusdem Christi Filii tui Dei et Domini nostri tam beatè passionis, nec non et ab inferis resurrectionis, sed et in cèlos gloriosè ascensionis, offerimus preclarè maiestati tuè de tuis donis ac datis, hostiam(a) puram, hostiam(a) sanctam, hostiam(a) immaculatam, panem(b) sanctum vitè èternè, et calicem(c) salutis perpetuè. Supra què propitio ac sereno vultu respicere digneris, et accepta habere, sicuti accepta habere dignatus es munera(d) pueri tui iusti Abel, et sacrificium patriarchè nostri Abraè, et quod tibi obtulit summus sacerdos tuus Melchisedech, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam. —————— (a) Sopra -am- è un signum crucis (b) Sopra la -n- è un signum crucis -c- è un signum crucis (d) -u- nell’interlineo

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(c)

Sopra la seconda

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—————— Casin. 127, pp. 332-333; FIALA 1947, p. 211, n. 82 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, pp. 276-277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 351, nn. 381-382 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, nn. 59-60 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 44, nn. 73-74 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1435, n. 1677 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33: unde et memores—salutis perpetuè), ibid., p. 1431, n. 1596 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33: Supra què propitio—immaculatam hostiam).

60. (f. 51r) Supplices te rogamus, omnipotens Deus, iube hèc perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectum(a) divinè maiestatis tuè, ut quotquot, ex hac altaris participatione sacrosanctum Filii tui corpus et sanguinem sumpserimus, omni benedictione cèlesti et gratia repleamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. —————— (a) c(on)spectu(m)] così —————— Casin. 127, p. 333; FIALA 1947, p. 211, n. 83 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (ed. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); ODERMATT 1980, p. 351, n. 383 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 61 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 75 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1431, n. 1590 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

61. (f. 51r-v) Memento etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum, quorum vel quarum nomina scripta habemus, et quorum vel quarum elemosinas recepimus, eorum qui nos prècesserunt cum signo fidei, et dormiunt in somno pacis N. et N. Istis, Domine, et omnibus in Christo –f. 51v– quiescentibus, locum refrigerii, lucis et pacis, ut indulgeas, deprecamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 333 (con la variante dormiunt in somno pacis Martinus et Raynaldus); FIALA 1947, pp. 211-212, n. 84 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); ODERMATT 1980, p. 351, n. 384 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 62 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 76 (ed. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1398, n. 966 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 33).

62. (f. 51v) Nobis quoque peccatoribus, famulis tuis, de multitudine miserationum tuarum sperantibus, partem aliquam, et societatem donare digneris, cum tuis sanctis Apostolis et Martyribus, cum Iohanne, Stephano, Mathia, Barnaba, Ignatio, Alexandro(a), Marcellino, Petro, Felicitate, Perpetua, Agatha(b), Lucia, Agne(c), Cecilia, Anastasia, et cum omnibus sanctis tuis,

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intra quorum nos consortium, non estimator meriti, sed veniè, q(uèsumu)s, largitor admitte. Per Christum Dominum. —————— (a) nell’interlineo, con la seconda -a- minuscola di tipo onciale (b) Nel cod. Agathè (c) Così: si intenda Agnete —————— Casin. 127, pp. 333-334; FIALA 1947, p. 212, n. 85 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); ODERMATT 1980, pp. 351-352, n. 385 (ed. da: Roma, BV, C 32, con l’aggiunta di Daria, subito dopo Agnese, nell’elenco dei santi); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, n. 63 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 77 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1401, n. 1014 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

63. (f. 51v) Per quem hèc omnia, Domine, semper bona creas, sanctificas(a), vivificas(a), benedicis(b) et prestas nobis. Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria per omnia sècula sèculorum. Amen. —————— (a) Sopra la seconda -i- è un signum crucis (b) Sopra la prima -i- è un signum crucis —————— Casin. 127, p. 334; FIALA 1947, p. 212, n. 86 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 352, nn. 386-387 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 634, nn. 64-65 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 78 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1410, n. 1190 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

64. (ff. 51v-52r) Oremus. Preceptis salutaribus moniti, et divina institutione formati, audemus dicere: Pater noster, qui es in cèlis, sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua, sicut in cèlo, et in terra. Panem nostrum cotidianum da nobis hodie, et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris, –f. 52r– et ne nos inducas in temptationem, sed libera nos a malo. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 335, con notazione neumatica; FIALA 1947, p. 212, n. 87 (Inc. ed Expl. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 352, n. 388 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, pp. 634-635, nn. 66-67 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 326: 231, 1-2 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 80 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1411, n. 1223 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

65. (f. 52r) Libera nos, q(uèsumu)s, Domine, ab omnibus malis, preteritis, presen-

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tibus, et futuris, et intercedente beata et gloriosa semperque Virgine Dei Genitrice Maria et beato Michahele archangelo tuo, cum omnibus ordinibus Angelorum et sanctis apostolis tuis Petro, Paulo, Andrea, Iohanne atque Bartholomeo, et beato Benedicto confessore tuo atque beata Scolastica cum omnibus sanctis. Da propitius pacem in diebus nostris, ut ope misericordiè tuè adiuti, et a peccato simus liberi semper, et ab omni perturbatione securi. Per Dominum nostrum Iesum Christum Filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia sècula sèculorum. Amen. —————— SALMON 1974, p. 201 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 336 (con la variante atque Bartholomeo et beatis confessoribus tuis Martino, Germano, Gregorio, Benedicto, Mauro atque beata Scolastica cum omnibus sanctis); FIALA 1947, pp. 212-213, n. 88 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 352, n. 389 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 635, n. 68 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con l’aggiunta seguente subito dopo Andrea: necnon et sanctis martyribus Secundo, Solutore, Adventore atque Octavio); RASMUSSEN 1984, pp. 202-203, n. 16 (ed. da: Roma, BV, B 141, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 326: 231, 3 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 81 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29, con varianti); III 1997, p. 1397, n. 947 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

66. (f. 52r) Pax Domini sit semper vobiscum. Et cum Spiritu tuo. —————— Casin. 127, p. 336, con notazione neumatica; FIALA 1947, p. 213, n. 88 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 352, n. 389 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 635, n. 69 (Inc. ed Expl. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); RASMUSSEN 1984, p. 203, n. 17 (ed. da: Roma, BV, B 141); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 327: 231, 4 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 474, n. 82 (ed. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1409, n. 1180 (ed. da: Benevento, BC: 19, 20, 33).

67. (f. 52r) Cum demittit particulam panis in calicem: Fiat hèc commistio et consecratio corporis et sanguinis Domini nostri Iesu Christi omnibus nobis sumentibus salus mentis et corporis, et ad èternam vitam capessendam preparatio salutaris. Amen. —————— SALMON 1974, p. 201 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 336 (cfr. EBNER 1896, p. 310); FIALA 1947, p. 212, n. 89 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 336 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 389, n. 66 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 352, n. 390 (ed. da: Roma, BV, C 32); BAROFFIO 1988, p. 72 n. 108 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 83 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1390, n. 801 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

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68. (f. 52r) Sequitur: Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 336 (cfr. EBNER 1896, p. 310); FIALA 1947, p. 212, n. 90 (Inc. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); ODERMATT 1980, p. 352, n. 390 (Inc. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 635, n. 70 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); RASMUSSEN 1984, p. 203, n. 18 (Inc. da: Roma, BV, B 141); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 84 (Inc. da: Benevento, BC, 29).

69. (f. 52r) Cum osculatur altare: Domine Iesu Christe, qui dixisti Apostolis tuis: pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, ne respicias ad peccata mea, sed ad fidem Ecclesiè tuè, eamque secundum voluntatem tuam pacificare semper et gubernare digneris. Qui vivis. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, pp. 336-337; FIALA 1947, p. 212, n. 91 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 353, n. 391 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 85 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 700 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

70. (f. 52r) Cum dat pacem circumstantibus: Pax Christi et Ecclesiè semper maneat in pectoribus nostris. —————— SALMON 1974, p. 202 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337, con varianti; FIALA 1947, p. 212, n. 93 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 86 (ed. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1409, n. 1178 (ed. da: Benevento, BC: 19, 20).

71. (f. 52v) Orationes antequam communicet: Domine Deus benignissime et clementissime Pater da michi facinoroso et omnium vitiorum sorde polluto, innumerabilibus etiam cotidianis excessibus meis exigentibus merito ad èternam damnationem diiudicato, hoc corpus et sanguinem dilectissimi Filii tui Domini mei Iesu Christi ita devote ac(a) fideliter sumere, ut per hoc merear omnium peccatorum meorum veniam a te in hac hora suscipere, et tuo Sancto Spiritu repleri, et ab eo in tua semper voluntate custodiri, quia tu es Deus solus(b), et prèter te non est alius, cuius gloriosum nomen permanet in sècula sèculorum. Amen. —————— (a) devote ac] nell’interlineo, con la a- minuscola di tipo onciale ——————

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(b)

solus] nell’interlineo

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SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 213, n. 94 (ed. da: Vat. lat. 6082, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 87 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1383, n. 681 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

72. (f. 52v) Alia: Domine Iesu Christe, Fili Dei Unigenite, propitius esto michi peccatori et ne respicias ad iniquitates et scelera mea, sed solius misericordiè tuè memor respice super me miserum, et tribue michi indulgentiam de omnibus peccatis et offensionibus meis, ut sacrosanctum hoc corpus et sanguinem tuum quem sumo, non michi sit ad iudicium, sed ad remedium potius animè meè proficiat in vitam èternam. Qui cum Patre et Spiritu Sancto vivis. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337; FIALA 1947, p. 214, n. 95 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 337 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 88 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 696 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 33).

73. (f. 52v) Alia: Domine Sancte Spiritus, Deus omnipotens, cordi meo dignanter illabere omniumque peccatorum meorum sordes et tenebras potentissimus et mirificus illustrator expelle, quatinus per gratiam tuam emundatus ab omnibus illecebris vitiorum, hèc sancta et vivifica sacramenta, munda et pura conscientia percipere merear. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 214, n. 96 (ed. da: Vat. lat. 6082, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 89 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29).

74. (ff. 52v-53r) Alia: Domine non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed fac cum servo tuo secundum magnam misericordiam tuam, et munda me intus et exterius ab omnibus sordibus scelerum et peccatorum et neglegentiarum mearum, –f. 53r– et concede ut hoc sacrosancti corporis ac sanguinis tui mysterium, quod indignus quidem et peccator omniumque scelerum et offensionum ac neglegentiarum reus, confidens tamen de immensitate pietatis tuè, percipere presumo, non sit michi in iudicium neque in condemnationem, sed per tuam ineffabilem misericordiam prosit michi ad indulgentiam et remissionem omnium peccatorum meorum, et protegat me ab omnibus insidiis et laqueis ac temptationibus inimici, et mundet ab omnibus inquinamentis et lasciviis et iniquitatibus et immunditiis corpus et animam meam, et faciat me tibi, Domino Deo meo, toto corde semper

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esse devotum. Qui cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas Deus per omnia sècula sèculorum. Amen. ——————

SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). ∙—

75. (f. 53r) Quando sumit in manibus dicat ter: Domine non sum dignus ut intres sub tectum meum. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337; FIALA 1947, p. 214, n. 97 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 91 (ed. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 705 (ed. da: Benevento, BC: 19, 20).

76. (f. 53r) Sequitur: Prosit nobis ad sanctificationem, vivificationem et salutem corporis et animè, Domine Deus, huius sacrosancti et terribilis sacramenti perceptio, et tuè ineffabilis pietatis et misericordiè votiva presumptio. Amen. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 214, n. 99 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 92 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1419, n. 1369 (ed. da: Benevento, BC: 19, 20).

77. (f. 53r) Postquam communicaverit item dicat: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis .III. —————— SALMON 1974, p. 202 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337 (cfr. EBNER 1896, p. 311); FIALA 1947, p. 215, n. 103 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 94 (ed. da: Benevento, BC, 29).

78. (f. 53r) Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio in sècula sèculorum, o beata Trinitas. Amen. —————— SALMON 1974, p. 202 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337; FIALA 1947, p. 215, n. 104 (ed. da: Vat. lat. 6082); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 95 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29).

79. (f. 53r-v) Sequitur oratio: Gratias tibi ago Domine, sancte Pater, omnipotens èterne Deus, qui me peccatorem et indignum satiare dignatus es sacrosancto corpore et sanguine Iesu Christi Filii tui Domini mei. Peto ergo te èterna misericordia, Domine Deus meus, ut hèc sacrosancta communio non sit

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michi in iudicium neque in condemnationem, sed per tuam ineffabilem misericordiam prosit michi in remissionem –f. 53v– omnium peccatorum meorum, et sit michi robur fidei et scutum bonè voluntatis ad evacuandas omnes insidias diaboli de corde et corpore meo, et illud me introire convivium quandoque concedas ubi lux vera est, et gaudia sempiterna iustorum. Per eundem dilectissimum Filium tuum Dominum nostrum Iesum Christum, qui per Spiritum Sanctum semetipsum tibi Deo Patri in ara crucis hostiam pro nostra salute obtulit, et nos suo sancto et pretioso sanguine redemit, et tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus per omnia sècula sèculorum. Amen. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 215, n. 105 (ed. da: Vat. lat. 6082); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 817, n. 48 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 392, n. 82 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 96 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1391, n. 824 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20).

80. (f. 53v) Sequitur alia: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi, qui ex voluntate Patris, cooperante Sancto Spiritu, per mortem tuam mundum vivificasti, libera me per hoc sacrosanctum corpus et sanguinem tuum quem sumpsi, a cunctis iniquitatibus et universis malis meis, et fac me semper tuis obèdire preceptis, et a te nunquam in perpetuum separari. Qui vivis et regnas. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, pp. 337-338; LEROQUAIS 1927, p. 444 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); FIALA 1947, p. 215, n. 106 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 337 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); BRAGANÇA 1971, p. 155, n. 54 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); REHLE 1972-1973, p. 356, n. 90 (ed. da: Benevento, BC, 33); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 817, n. 46 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); LEMARIÉ 1978, p. 391, n. 74 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 353, n. 393 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 635, n. 72 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); RASMUSSEN 1984, p. 203, n. 20 (ed. da: Roma, BV, B 141, con varianti); BAROFFIO 1988, pp. 72-73, n. 114 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 326: 231, 8 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 97 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 697 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 33); WITCZAK 1999, p. 407, n. 72 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti).

81. (f. 53v) Alia: Corpus tuum, Domine, quod sumpsi, et calix quem potavi, sanctificet viscera mea, et presta ut in me nulla remaneat scelerum macula quem pura et sancta refecerunt sacramenta. ——————

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SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 216, n. 107 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 353, n. 396 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 98 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29.

82. (ff. 53v-54r) Alia: Post communionem sacramentorum tuorum perceptam, fiat in me Domine remissio omnium peccatorum, ut ubi pura et sancta ingressa sunt sacramenta, ibi penitus nulla remaneat culpa, sed ablutam ab omnibus peccatis et iniquitatibus conscientiam, ab illorum deinceps contagione immaculatam –f. 54r– conservent in sècula sèculorum. Amen. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). FIALA 1947, p. 216, n. 108 (ed. da: Vat. lat. 6082).

83. (f. 54r) Ad communicandum alios: Corpus Domini nostri Iesu Christi conservet animam tuam in vitam èternam.

—————— SALMON 1974, p. 202 (ed. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 337 (cfr. EBNER 1896, p. 311, dove si legge meam e non tuam); FIALA 1947, p. 216, n. 109 (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 156, n. 58 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); ODERMATT 1980, p. 353, n. 394 (ed. da: Roma, BV, C 32, con la variante meam invece di tuam); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 635, n. 73 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 99 (ed. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1384, n. 697 (ed. da: Benevento, BC: 19, 20).

84. (f. 54r) Ad propinandum calicem: Sanguis Domini nostri Iesu Christi prosit tibi ad remissionem omnium peccatorum tuorum in vitam èternam. Amen.

—————— SALMON 1974, p. 202 (ed. da: Borg. lat. 211). EBNER 1896, p. 311 (ed. da: Casin. 127, p. 337); FIALA 1947, p. 216, n. 110 (ed. da: Vat. lat. 6082); ODERMATT 1980, p. 355, n. 395 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 100 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1428, n. 1542 (Inc. ed Expl., da: Benevento, BC: 19, 20).

85. (f. 54r) Expletis omnibus osculetur reverenter altare dicens apud se: Placeat tibi, sancta Trinitas, Deus omnipotens, obsequium servitutis meè, et presta ut sacrificium, quod oculis tuè maiestatis indignus et peccator obtuli, tam michi quam et omnibus fidelibus tuis(a) vivis atque defunctis, sit te miserante propitiabile. —————— (a) tuis] nell’interlineo

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—————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 338, con varianti; LEROQUAIS 1927, p. 444 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); FIALA 1947, p. 216, n. 111 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 337 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); BRAGANÇA 1971, p. 156, n. 60 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 818, n. 50 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); SALMON 1977, p. 277 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro H.58); LEMARIÉ 1978, p. 392, n. 85 (ed. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 354, n. 397 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 636, n. 75 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441, con varianti); RASMUSSEN 1984, p. 203, n. 24 (ed. da: Roma, BV, B 141, con varianti); BAROFFIO 1988, p. 73, n. 121 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 328: 232 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, n. 101 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1411, n. 1212 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20); WITCZAK 1999, p. 408, n. 79 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 220, n. 61 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

86. (f. 54r) Et sic revertatur cantando: Benedicite omnia opera Domini Dominum(1), et: Laudate Dominum in sanctis eius(2). Sequitur antiphona: Trium puerorum cantemus hymnum, quem cantabant in camino ignis, benedicentes Dominum. Kyrie. Christe. Kyrie. Pater noster. Capitula: Confiteantur tibi, Domine, omnia opera tua, et sancti(3). Exultabunt sancti in gloria, lètabuntur(4). Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini(5). Domine Deus virtutum converte nos, et ostende(6). Benedicat nos Deus, Deus noster, benedicat nos Deus, et metuant(7). Domine exaudi(8). —————— (1) Dan 3,57 (2) Ps 150, 1 (3) Ps 144, 10 (4) Ps 149, 5 (5) Ps 113 B, 1 (6) Ps 79, 20 (7) Ps 66, 7-8 (8) Ps 101, 2 —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, p. 338; FIALA 1947, pp. 216-217, n. 112 (ed. da: Vat. lat. 6082); BRAGANÇA 1971, p. 156, n. 61 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 393, n. 87 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303); ODERMATT 1980, p. 354, n. 398 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 328: 233, 1 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 475, nn. 102-105 (Inc. da: Benevento, BC, 29).

87. (f. 54r) Oratio: Deus qui tribus pueris mitigasti flammas ignium, concede propitius, ut per interventum eorum et omnium sanctorum nos famulos tuos non exurat flamma vitiorum. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). CO III, n. 2136. Casin. 127, p. 338 (con la variante per interventum eorum et merita invece di per interventum eorum); FIALA 1947, p. 217, n. 113 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956,

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p. 337 (Inc. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166); BRAGANÇA 1971, p. 156, n. 61 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 818, n. 53 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 393, n. 88 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 354, n. 400 (ed. da: Roma, BV, C 32, con varianti); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 637, n. 81 (Inc. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); BAROFFIO 1988, p. 74, n. 129 (ed. da: Roma, BV, E 62); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 328: 233, 3 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 476, n. 106 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1382, n. 653 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33). WITCZAK 1999, p. 408, n. 83 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 220, n. 64 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

88. (f. 54r) Alia: Actiones nostras, q(uèsumu)s, Domine, et aspirando preveni et adiuvando prosequere, ut cuncta oratio et omnis nostra operatio et a te semper incipiat et per te cepta finiatur. Per Dominum. —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). CO I, n. 74. LEROQUAIS 1927, p. 439 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); FIALA 1947, p. 217, n. 114 (ed. da: Vat. lat. 6082); KNIEWALD 1956, p. 337 (Inc. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 818, n. 54 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 393, n. 89 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303, con varianti); ODERMATT 1980, p. 354, n. 399 (ed. da: Roma, BV, C 32); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 637, n. 82 (Inc. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); BAROFFIO 1988, p. 74, n. 130, anche p. 65, n. 48 (ed. da: Roma, BV, E 62, con varianti); HÄNGGI – LADNER 1994, p. 328: 233, 4 (ed. da: Basel, “Codex Gressly”, con varianti); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 476, n. 107 (Inc. da: Benevento, BC, 29); III 1997, p. 1348, n. 23 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 33); WITCZAK 1999, p. 408, n. 84 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 220, n. 65 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

89. (ff. 54v-56r)

Item let(aniae) et orationes intra sollemnia Missarum: Christe audi nos, .III. vicibus. Pater de celis, Deus, miserere nobis. Fili redemptor mundi, Deus, miserere nobis. Spiritus Sancte, Deus, miserere nobis. Sancta Trinitas, unus Deus, miserere nobis. Sancta Maria, ora pro nobis. Sancta Dei Genitrix, ora . Sancta Virgo virginum, ora . Sancta Regina cèlorum, ora . Sancte Michahel, ora . Sancte Gabrihel, ora . Sancte Raphahel, ora . Omnes sancti Angeli et Archangeli, orate pro nobis.

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Sancte Iohannes, precursor Domini, ora . Omnes sancti Patriarchè et Prophetè, orate pro nobis. Sancte Petre, ora . Sancte Paule, ora . Sancte Andrea, ora . Sancte Iacobe, ora . Sancte Iohannes, ora . Sancte Thoma, ora . Sancte Iacobe, ora . Sancte Philippe, ora . Sancte Bartholomee, ora . Sancte Mathee, ora . Sancte Symon, ora . Sancte Tathdee, ora . Sancte Mathia, . Sancte Barnaba, . Sancte Marce, . Sancte Luca, . Omnes sancti Apostoli et Evangeliste, . Omnes Discipuli Domini, . Omnes sancti Innocentes, . Sancte Stephane, . Sancte Apollinaris, . Sancte Dionisi, . Sancte Laurenti, . Sancte Cesari, . Sancte Stephane, . Sancte Urbane, . Sancte Felix, . Sancte Corneli, . Sancte Cypriane, . Sancte Sebastiane, . Sancte Tyburti, . Sancte Chrisante, . Sancte Mercuri, . Sancte Cyriace, . Sancte Ianuari, ora . Sancte Herasme, ora . Sancte Pancrati, ora . Sancte Vite, ora . Sancte Adelberte, ora .

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Sancti Nazari et Celse, orate pro nobis. Sancti Iohannes et Paule, orate . Sancti Cosma et Damiane, orate . Sancti Nicander et Marciane, orate . Sancti Tiburti et Valeriane, orate . Sancti Sergi et Bache, orate . Sancti Faustine et Iovita, orate . Sancti Abdon et Sennen, orate . Sancti Prime et Feliciane, orate . Sancti Felicissime et Agapite, orate . Sancti Marce et Marcelliane, orate . Sancti Valentine et Hylari, orate . Sancti Quadraginta martyres, orate . Sancte Maurici cum sociis tuis, ora . –f. 55r– Omnes sancti Martyres, orate pro nobis. Sancte Silvester, ora . Sancte Gregori, ora . Sancte Martine, ora . Sancte Ambrosi, ora . Sancte Augustine, ora . Sancte Germane, ora . Sancte Savine, ora . Sancte Remigi, ora . Sancte Maxime, ora . Sancte Felix, ora . Sancte Pauline, ora . Sancte Nycolae, ora . Omnes sancti Pontifices et Confessores, orate . Sancte Benedicte, ora . Sancte Maure, ora . Sancte Antoni, ora . Sancte Hylarion, ora . Sancte Basili, ora . Sancte Saba, ora . Sancte Arseni, ora . Sancte Severine, ora . Sancte Romane, ora . Omnes sancti Monachi et Heremite, orate . Sancta Scolastica, ora . Sancta Agnes, ora . Sancta Cecilia, ora .

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Sancta Anastasia, ora . Sancta Savina, ora . Sancta Daria, ora . Sancta Ecaterina, ora . Sancta Phebronia, ora . Sancta Lucina, ora . Sancta Eufrosina, ora . Omnes sanctè Virgines, orate pro nobis. Omnes Sancti et Sanctè Dei, orate pro nobis. Propitius esto, parce nobis, Domine. Propitius esto, exaudi nos, Domine. Propitius esto, libera nos, Domine. Ab ira tua, libera . Ab insidiis demonum, libera . A periculo mortis, libera . A pènis inferni, libera . A delectatione carnis, libera . Ab immundis cogitationibus, libera . A dominatu omnium vitiorum, libera . A malis operibus, libera . A cecitate cordis, libera . Ab ira et odio et omni mala voluntate, libera . A spiritu superbiè, libera . A spiritu inanis gloriè, libera . Ab omni malo, libera . Per mysterium sanctè incarnationis tuè, libera . Per nativitatem tuam, libera . Per crucem et passionem tuam, libera . Per mortem et resurrectionem tuam, libera . Per gloriosam ascensionem tuam, libera . Per adventum Spiritus Sancti, libera . In die iudicii, libera . Peccatores, te rogamus, audi nos. Ut parcas nobis, te . Ut indulgentiam et remissionem omnium peccatorum nobis dones, te . Ut Ecclesiam tuam –f. 55v– pacificare, regere et defensare digneris, te . Ut congregationem nostram in sancta religione conservare digneris, te . Ut mentes nostras ad cèlestia desideria erigas, te .

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Ut fidem, spem et caritatem nobis augeas, te . Ut compunctionem cordis et fontem lacrimarum nobis dones, te . Ut hodie sine peccato nos custodias, te . Ut obsequium nostrè servitutis rationabile facias, te . Ut cunctorum in nobis vitiorum monstra mortifices, te . Ut omnium in nobis virtutum prerogativa vivifices, te . Ut per hoc sacrosanctum mysterium animas et corpora nostra renoves, te . Ut per hoc conscientias nostras purifices, te . Ut hoc terribile mysterium non sinas nobis fieri ad iudicium, te . Ut hoc ineffabile sacramentum mundis manibus tractemus, et puris mentibus sumamus, te . Ut indulgentiam prèteritorum et cautelam futurorum per hoc consequamur, te . Ut per hoc et tu in nobis et nos in te maneamus, te . Ut gratiam Sancti Spiritus cordibus nostris infundere digneris, te . Ut populum christianum pretiosissimo sanguine tuo redemptum conservare et defendere digneris, te . Ut nobis locum pènitentiè concedas, te . Ut nos exaudire digneris, te . Ut nobis misereri digneris, te . Fili Dei, te . Redemptor mundi, te . Mediator Dei et hominum, te . Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis. –f. 56r– Christe audi nos, .III. . Kyrie, . Christe, . Kyrie, . Pater noster. . Converte nos, Deus salutaris noster, et averte(1). Dignare Domine die isto sine peccatis. Miserere nobis Domine, miserere nobis(2). Fiat Domine misericordia tua super nos, sicut speravimus in te(3). Domine ne memineris iniquitates nostras antiquas. Cito nos anticipent(4). Adiuva nos, Deus salutaris noster, et propter honorem(5). Domine non secundum peccata nostra facias nobis, neque secundum(6). Domine misericordia tua

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preveniat nos(7) et subsequatur nos(8). Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo(9). Exurge Domine, adiuva nos et libera nos(10). Domine, exaudi(11). —————— (1) Ps 84, 5 (7) Cfr. Ps 58, 11 ——————

(2)

Cfr. Ps 122, 3 Cfr. Ps 22, 6

(8)

(3) (9)

Ps 32, 22 (4) Ps 78, 8 (5) Ps 78, 9 (6) Ps 102, 10 Ps 113 B, 1-2 (10) Cfr. Ps 43, 26 (11) Ps 101, 2

Sigle dei codici in beneventana qui collazionati, scelti per completezza di edizione e affinità di contenuto, ed elencati secondo l’ordine cronologico (per le segnature complete vd. supra: 4. Edizione dei testi. Lista dei manoscritti citati): O C M U V R

= = = = = =

BAV, Ott. lat. 145 (ed.: GAMBER – REHLE 1977, pp. 65-86) Casin. 442 (ed.: LENTINI 1970, pp. 17-24) Paris, BMaz, 364 (ed.: LENTINI 1970, pp. 17-24) BAV, Urb. lat. 585 (ed.: LENTINI 1970, pp. 17-24) BAV, Chig. D.V.77 (ed. DELL’OMO 2008a, pp. 228-236 (Lit. 1), pp. 259-265 (Lit. 2) BAV, Reg. lat. 334 (ed.: DELL’OMO 2008b, pp. 253-256)

Maria Vergine, Madre del N.S. Gesù Cristo Maria: Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R Dei Genitrix: Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C V1-2 R Virgo virginum: OSabb. C V1-2 Regina cèlorum: Ofer. VI M V2 R

Michele, arcangelo Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Gabriele, arcangelo Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Raffaele, arcangelo Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Giovanni Battista Ofer. III; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Pietro, apostolo Ofer. III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Paolo, apostolo Ofer. III C M U V1-2 R

Andrea, apostolo Ofer. III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Giacomo il Maggiore, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1-2 R

Giovanni, evangelista, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1-2 R

Tommaso, apostolo Ofer. III; V C M U V1 R

Giacomo il Minore, apostolo Ofer. III; V C M U V1-2 R

Filippo, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1-2 R

Bartolomeo, apostolo Ofer. III; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

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Matteo, evangelista, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1-2 R

Simone, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1 R

Giuda Taddeo, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1 R

Mattia, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1 R

Barnaba, apostolo Ofer. III; V; Sabb. C M U V1 R

Marco, evangelista Ofer. III; V; Sabb. C M U V1 R

Luca, evangelista Ofer. III; V C M U V1 R

Stefano, diacono, protomartire Ofer. II; III; IV; V; Sabb. C M U V1 R

Apollinare, vescovo di Ravenna, martire OSabb. C U

Dionigi (e compagni), martire in Gallia OSabb. V2

Lorenzo, diacono, martire Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V1 R

Cesario, martire di Terracina OSabb. V2

Stefano (I), papa, martire V2

Urbano (I), papa, martire CU

Felice (I), papa, martire Ofer. V; VI

Cornelio, papa, martire Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V2 R

Cipriano, vescovo di Cartagine, martire Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V2 R

Sebastiano, martire a Roma C M U V2

Tiburzio, martire a Roma ∙— Crisanto, martire a Roma C U V2

Mercurio, martire ad Eclano C M U V2

Ciriaco, martire Ofer. V V2

Gennaro, vescovo di Benevento, martire Ofer. V; VI C M U V2

Erasmo, vescovo, martire R

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Pancrazio, martire a Roma OSabb. U V2

Vito, martire Ofer. IV; Sabb. V2

Adalberto, vescovo di Praga, martire V2

Nazario e Celso, martiri a Milano OSabb. C M U V2

Giovanni e Paolo, martiri a Roma Ofer. III; VI; Sabb. C M U V2 R

Cosma e Damiano, martiri OSabb. C R

Nicandro, Marciano, , martiri in Egitto Ofer. V; Sabb. C M V2

Tiburzio e Valeriano, martiri a Roma C M U V2

Sergio e Bacco, martiri OSabb. C M U V2

Faustino e Giovita, martiri a Brescia C M U V2

Abdon e Sennen, martiri a Roma OSabb. C M U

Primo e Feliciano, martiri OSabb. C M U V2

Felicissimo e Agapito, diaconi, martiri a Roma C M V2

Marco e Marcelliano, martiri a Roma ∙— Valentino e Ilario, martiri a Viterbo V2

Quaranta martiri di Sebaste OSabb. C M U V2 R

Maurizio e compagni, martiri ad Agauno OSabb. C U

Silvestro (I), papa OSabb. C R

Gregorio (I), Magno, papa Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Martino, vescovo di Tours Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Ambrogio, vescovo di Milano Ofer. III; IV; V; VI; Sabb. C M U V2 R

Agostino, vescovo di Ippona Ofer. III; V; VI; Sabb. C M U R

Germano, vescovo di Capua OSabb. C M U R

Sabino, vescovo di Canosa CU

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Remigio, vescovo di Reims V2

Massimo, vescovo di Nola C U V2

Felice di Nola, prete C U V2

Paolino, vescovo di Nola C U V2

Nicola, vescovo di Mira V2

Benedetto da Norcia, fondatore e primo abate di Montecassino Ofer. II; III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Mauro, discepolo di s. Benedetto Ofer. III; IV; V; VI; Sabb. C M U V1-2 R

Antonio, abate Ofer. III; IV; VI; Sabb. C M U V1 R

Ilarione di Gaza, monaco OSabb. C M U V1

Basilio il Grande, vescovo di Cesarea OSabb. U V1

Saba, fondatore della Grande Laura OSabb. C M U V1

Arsenio il Grande, anacoreta in Egitto OSabb. M U V1

Severino, abate, apostolo del Norico C M U V1-2

Romano, monaco a Subiaco C M U V1-2 R

Scolastica, vergine Ofer. II; III; IV; V; Sabb. C (manca nell’ed. LENTINI) M U V1-2 R

Agnese, vergine e martire Ofer. III; IV; V; Sabb. C R

Cecilia, vergine e martire a Roma Ofer. IV; V; Sabb. C M U V2 R

Anastasia, martire CR

Sabina, martire OSabb. C (manca nell’ed. LENTINI)

Daria, martire a Roma (vd. supra Crisanto) C (manca nell’ed. LENTINI) U V2

Caterina di Alessandria, vergine e martire C U V2

Febronia, vergine e martire in Persia U

Lucina, martire ∙— Eufrosina di Alessandria, vergine V1 R

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(ORATIONES INTRA SOLLEMNIA MISSARUM) 90. (ff. 56r-57r) Oratio: *Amator humanè salutis, benignissime et clementissime Deus, qui non vis mortem peccatoris sed ut convertatur et vivat, qui confitentium tibi corda purificas, et accusantes se ante conspectum divinè maiestatis tuè ab omni vinculo iniquitatum potenter absolvis: ecce ante prèsentiam tremendi solii tui assisto reus, ac sacrosancti mysterii temerator prorsus indignus, qui nec invocare sanctum ac venerabile nomen tuum essem idoneus. Quippe qui sum innumeris sceleribus ac criminibus pregravatus, siquidem superbia inflatus, cenodoxia turgidus, invidia demolitus, acedia anxiatus, libidine fètidus, lascivia dissolutus, iracundia stimulatus, odio inveteratus, detractione perditus, protervia tumidus, ventris ingluvie et gulè appetitu immoderatus, fallacia repletus, immunditia sordidatus, amore sèculi nimis detentus, avaritia irretitus, iactantia elatus, ypocrisi subdolus, contentione pertinacissimus, pertinacia procacissimus, rancore cordis et pusillanimitate affectus, torpore ignavus, in iurando inconsideratus, scurrilitate assiduus, –f. 56v– verbis otiosis et superfluis atque criminosis deditus, fornicatione tam spirituali quam corporali graviter pollutus, et in cunctis voluptatibus, in quibus humana fragilitas labi potest, miserrime precipitatus, et in omnibus omnino vitiis atque criminibus, in quibuscumque cogitando, delectando, loquendo et operando peccari potest, graviter et multipliciter lapsus; sed tu piissime et misericordissime Deus ne intres in iudicium cum servo tuo, quia non iustificabitur in conspectu tuo omnis homo vivens; quippe qui est fènum arescens et corruptibilis caro cotidieque ad non esse tendens omnino. Quis ergo potest mundum de immundo conceptum semine facere, nisi tu qui solus es Deus? Sicut enim pannus menstruatè, sic immundi sumus ante maiestatem claritatis tuè, Domine. In tuo nanque conspectu nec ipsi cèli sunt mundi, quanto magis nos creati in carne corruptibili, atque homines terreni et immundi. Quid enim digne offerat mortalis immortali, corruptibilis incorruptibili, mutabilis immutabili? Sed ut hoc valeret fieri, incarnatus es pro nobis, unice(a) Fili Dei mundus et incorruptibilis permanens, sicut es. Sacramentum quoque corporis et sanguinis tui electis tuis tradidisti, quo efficeremur de immundis mundi, de peccatoribus sancti, de incestis casti, et de omni feditate nitidi, et(b) quo possemus ante maiestatem gloriè tuè apparere preclari. Ergo tu Domine, sacerdos summe, sanctificator et sanctificatio –f. 57r– sacerdotii, miserere michi homini peccatori, parce indigno sacerdoti, ignosce mysterii tui secreta tractanti, nec indignum misericordia tua iudices quem pro aliis rogare permittis, et in quo testimonium boni operis nec agnoscis officium

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saltem creditè nec recuses dispensationis, ut fiat michi hèc sacrosancti mysterii frequentatio omnium scelerum meorum indulta propitiatio*. Obsecro etiam Domine(c) *ut cunctis in corpore viventibus sive extra corpus manentibus, qui michi vel spirituali vel carnali coniunctione cohèrent, et qui se michi vel confitendo vel rogando commendaverunt, nec non et quorum pecunias vel elemosinas suscepi, vel qui per meam neglegentiam seu malitiam aliquo modo corrupti sunt, manum misericordiè tuè porrigas, et per ineffabilem largitatem tuam ad optatam eis indulgentiam peccatorum concedas, et ad requiem èternam perducas*, Salvator mundi. ——————

(a) unice] nell’interlineo d- nella forma minuscola

(b)

et] nell’interlineo

(c)

D(omine)] nell’interlineo, con la

—————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Per la sezione *Amator humanè salutis—propitiatio*: DELL’OMO 2008a, pp. 257-258, n. 37 (ed. da: Chig. D.V.77, con incipit diverso [Benignissime ac misericordissime], ed altre varianti). La sezione *ut cunctis—perducas* corrisponde a quella che figura nell’Ordo Missae renano: PL 138, col. 1314 = BONA 1753, p. IX (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990], con l’Incipit: Deus misericordiae et veritatis; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 498 [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]; cfr. DARRAGON 1991, n. 1359); per questa sezione: BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 810, n. 7 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 381, n. 19 (ed. da: Montpellier, Médecine 303, con varianti); DELL’OMO 2008a, p. 258, n. 38 (ed. da: Chig. D.V.77).

91. (f. 57r-v) Alia: Deus qui non mortem sed pènitentiam desideras peccatorum, me miserum fragilemque ac peccatorem a tua pietate ne repellas, neque aspicias ad scelera mea et immundas(a) turpesque cogitationes, quibus flebiliter a tua voluntate disiungor, sed ad misericordias tuas et fidem devotionemque eorum, qui per me peccatorem tuam misericordiam expetunt; sed qui me medium inter te et populum tuum fieri voluisti, talem, quèso, me effice, ut digne possim tuam misericordiam exorare pro me et pro eodem populo tuo. Adiunge, quèso, Domine, voces nostras vocibus sanctorum Angelorum tuorum, ut sicut illi te incessa|biliter –f. 57r|v laudant in èterna beatitudine, ita nos quoque eorum interventu te mereamur laudare inculpabiliter in hac peregrinatione. —————— (a) immundas] Nel cod. immunditias con il gruppo -itias depennato, e la desinenza -as con la a minuscola di tipo onciale nell’interlineo —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Casin. 127, pp. 314-315, con varianti; PL 138, col. 1329 = BONA 1753, p. XXIII (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990]; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 512 [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]; cfr. DARRAGON 1991, n. 1445); LEROQUAIS 1927, p. 442 (ed.

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da: Paris, BNF, Lat. 9432, con varianti); KNIEWALD 1956, p. 332 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); NOCENT 1972, p. 422 (ed. da: Roma, BV, B 23, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 811, n. 14 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÉ 1978, p. 382, n. 25 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine, 303); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, p. 627, n. 22 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); BAROFFIO 1988, pp. 66-67, n. 56 (ed. da: Roma, BV, E 62); MALLET – THIBAUT II 1997, p. 470, n. 28 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC, 29); DELL’ORO 2002, pp. 214-215 n. 31 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti); DELL’OMO 2008a, p. 259, n. 39 (ed. da: Chig. D.V.77).

92. (ff. 57v-58r) Alia: Conscientia quidem trepida, omnipotens Deus, ad altare tuum serviendum accedo utpote omnium scelerum et offensionum et neglegentiarum reus, qui dum spurcissimè carnis meè legibus et voluptatibus vixi, nunquam te de me gaudere permisi, sed semper te reprobè vitè meè flagitiis ad amaritudinem et iracundiam provocavi. Sed quoniam ineffabilis pietas tua peccata non solum mea sed etiam totius mundi exuperat, et ego si dimitto(a) reos(b) de inobèdientia seu neglegentia commissi michi officii condemnari, parce obsecro michi secundum multitudinem misericordiarum tuarum, qui licet ad tanta mysteria celebranda semper indignus inveniar, quoniam tamen fiduciam de immensitate benignitatis tuè retineo, dignare me, quèso, paterna pietate placidoque vultu respicere, et cordis mei interiora ab omnium vitiorum labe purgare, et quamvis innumerabilibus peccatis ac neglegentiis, nec non et immunditiis tam corporalibus quam spiritualibus multipliciter coram te sordeam, beatè tamen et gloriosè semper Virginis Mariè et beati Michahelis archangeli omniumque cèlestium virtutum, nec non et omnium sanctorum tuorum precum obtentu, sint tibi in omnibus mea ministeria placita et ac|cepta –ff. 57v|58r —, eque me indignum indulgentia et gratia tua iudices, quem tanti mysterii ministrum constituere dignatus es, sed sicut vis et sicut scis miserere mei Domine Deus meus. —————— (a)

-o corr. da a

(b)

-r- corr. da m

—————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211). Il testo, nonostante lo stesso Incipit, differisce del tutto rispetto a quello che recano i codici qui di seguito citati: PL 138, col. 1323 = BONA 1753, p. XVIII (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990], con varianti); FIALA 1947, p. 199, n. 16 (ed. da: Vat. lat. 6082); SALMON 1974, p. 199 (Inc. da: Ott. lat. 6); LEMARIÉ 1978, p. 380, n. 17 (Inc. ed Expl. da: Montpellier, Médecine 303); BAROFFIO 1988, p. 65, n. 47 (ed. da: Roma, BV, E 62); MALLET – THIBAUT III 1997, p. 1361, n. 265 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 29); DELL’OMO 2008a, p. 266, n. 43 (ed. da: Chig. D.V.77).

93. (f. 58r) Alia: Domine Iesu Christe, Fili Dei Unigenite, qui propter nos peccatores de sinu benedicti Patris venire, et nostrè humanitatis formam ex inteme-

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ratis beatè Mariè visceribus sumere dignatus es, immensam clementiam et pietatem tuam deposco, ut non irascaris michi indigno, quod immundo corpore et mente ad sanctum altare tuum serviendum accedere presumo, sed recordare obsecro quia mulierem fluxum sanguinis patientem a contactu gloriosè fimbriè vestimenti tui curasti(1), et non prohibuisti illam peccatricem flentem ac pènitentem osculari sanctos ac venerabiles pedes tuos(2). Ita Domine ne me pro innumerabilibus peccatis et neglegentiis ac immunditiis meis ab hoc tuo sancto servitio velut damnatum repellas, sed concede michi propter ineffabilem misericordiam tuam veram et piissimam indulgentiam et remissionem de omnibus peccatis et iniquitatibus meis, quatinus his tuis sanctis mysteriis digne et tibi placite valeam ministrare tuumque sanctum et gloriosum nomen digne possim laudare, benedicere et glorificare per omnia sècula sèculorum. —————— (1) Cfr. Mt 9, 18-22; Mc 5, 25-34; Lc 8, 43-48 —————— SALMON 1974, p. 202 (Inc. da: Borg. lat. 211).

(2)

Cfr. Lc 7, 37-38

∙—

94. (f. 58r-v) Alia: Altissime et piissime Deus ignosce michi misero et infelici. Quo enim vultu respiciam ad te Domine, vel quibus verbis coram tuis me conspectibus excusabo? Nec enim potero abscondi ante te, qui secreta cordium –f. 58v– consideras. Ve michi peccatori, qui sancto altari tuo assistens indignus nullos iuxta voluntatem tuam mentis ornatus exhibui. Sed tu Domine dominator et Deus misericors et miserator, qui cuncta creasti ex nichilo quique me miserum formasti et statuisti digne servire tibi, ne me repellas a cèlesti sacrario tuo, sed parce et miserere mei, Deus meus. Ego quidem Domine tibi placere promisi, sed pro mea neglegentia minime implevi. Ego tam in terrenis quam in cèlestibus me destitutum video, quia mandatorum tuorum non custodivi precepta. Nulla michi spes salutis est in operibus meis, sed anima mea in tuè solius pietatis immensitate suspensa est, et in sola misericordiarum tuarum multitudine confido, ut me salvum facias omnipotens Deus, qui es benedictus. —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 138, coll. 1323-1324 = BONA 1753, p. XVIII (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990], con varianti, in particolare nell’Incipit; inoltre MARTÈNE I 1736, col. 507 [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]; cfr. DARRAGON 1991, n. 1395); DELL’OMO 2008a, pp. 268-269, n. 47 (ed. da: Chig. D.V.77).

95. (ff. 58v-59r) Alia: Impellit me ad ministrandi officium hostia salutaris pro populi

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delicto, sed terret me conscientia indebiti sacerdotii pro reatu. Si quidem a me, omnium sacerdotum peripsima, sacrificium offertur, pollutè conscientiè crimen augetur; si autem tantè maiestati et universè carnis iudici non offertur, neglegentiè michi reatus ascribitur. Inter hèc, omnipotens Deus, tuè libramen pietatis supplex imploro, cuius ultionis diem accusante conscientia perhorresco, ne indignum, quèso, misericordia tua iudices quem a tempore pènitentiè non excludis. Parce michi, Domine clementissime, pènitenti, qui David lapsum clementer ad veniam revocasti; qui Petri amare flentis lacrimas misericorditer respexisti; qui latronem in cruce pendentem tanti –f. 59r– facinoris reum, divina gratia illustrasti, cuius mox optinuit confessio Dei Filium, fides premium, pena veniam, lamenta gaudia sempiterna, dum confessor in cruce possessor extitit paradysi post crucem; sed quia verba mea pietatis tuè indigent venia, què indigni sacerdotis opera non commendant, saltem astantium vota dignare suscipere, ut quia Omnipotens pro omnium peccatis factus es hostia salutaris, assis nobis sanctificatio in sacrificio pro delictis, Iesu Christe salvator mundi. —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 138, coll. 1318-1319 = BONA 1753, pp. XIII-XIV (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990], con varianti, in particolare nell’Incipit: Impellit me peccatorem ministrandi officium, hostiam salutarem offerre pro populi delicto; inoltre MARTÈNE I 1736, coll. 502-503 [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]; cfr. DARRAGON 1991, n. 1375); DELL’OMO 2008a, p. 269, n. 48 (ed. da: Chig. D.V.77, con testo mutilo).

96. (f. 59r) Alia: Facturus ego peccator memoriam salutaris hostiè totius mundi, cum illius dignitatem et meam intueor fèditatem, conscientia torqueor peccatorum, verum quia tu Deus multum(a) misericors es, suppliciter imploro ut digneris michi dare spiritum contribulatum, quod tibi gratum revelasti esse sacrificium, ut eo purificatus, vitali hostiè pias et mundas manus admoveam, què omnia mea peccata clementer aboleat, et ea deinceps in perpetuum vitandi michi cautelam infundat, omnibusque pro quibus offertur presentis et futurè salutis commercia largiatur. —————— (a) multu(m)] nell’interlineo —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 138, coll. 1329-1330 = BONA 1753, pp. XXIII-XXIV (ed. da: Wolfenbüttel, HAB, Helmst. 1151, cfr. FLACIUS ILLYRICUS 1557 [CLLA, n. 990]; inoltre MARTÈNE I 1736, coll. 512, 526 [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Wolfenbüttel, cfr. MARTIMORT 1978, p. 311, n. 547]; cfr. DARRAGON 1991, n. 1447); LEMARIÈ 1978, p. 387, n. 54 (ed. da: Montpellier, Médecine 303); DELL’ORO 2002, pp. 218-219, n. 49 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

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97. (f. 59r-v) Alia: Ante conspectum divinè maiestatis tuè Domine reus assisto, qui invocare sanctum et gloriosum nomen tuum presumo, miserere ergo michi Domine homini peccatori, ignosce indigno sacerdoti, parce peccatorum capitalium labe pre cèteris polluto, et non intres in iudicium cum servo tuo, quia non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens(1): recordare, quèso, Domine, quia caro sum. In tuo autem conspectu ipsi etiam cèli non sunt mundi, –f. 59v– quanto magis ego homo carnalis et terrenus. Indignus quidem sum Domine ut sim vivens, sed tu, qui non vis mortem peccatoris, da michi veniam in carne constituto, ut per pènitentiè labores vitam consequi merear sempiternam. Per te Iesu Christe. —————— (1) Ps 142, 2 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). KNIEWALD 1956, p. 332 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); BRAGANÇA 1971, p. 149, n. 15 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 18005, con varianti); LEMARIÈ 1978, p. 380, n. 16 (Inc. ed Expl. – quest’ultimo differente – da: Montpellier, Médecine 303); WITCZAK 1999, p. 409, n. 88 (ed. da: St. Gallen, 338, con varianti); DELL’ORO 2002, p. 218, n. 48 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

98. (f. 59v) Alia: Ante oculos tuos, Domine, reus conscientiè testis assisto, rogare non audeo quod impetrare non mereor. Tu enim scis Domine omnia què aguntur in nobis, erubescimus confiteri quod non timemus admittere, verbo tibi tantum obsequimur, corde mentimur, et quod velle nos dicimus, nolle nostris actibus approbamus. Sed parce confitentibus, ignosce peccantibus, miserere te rogantibus, et quia meus sensus in sacramentis tuis infirmus est, et apud te peccatores non habent verba sine crimine, presta, Domine, ut si ex nobis indignis et peccatoribus duri cordis verba non suscipis, per temetipsum nobis gratis veniam largiaris. Qui vivis. —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). KNIEWALD 1956, p. 333 (ed. da: Zagreb, Metrop. Kn., MR 166, con varianti); BAROFFIO – DELL’ORO 1975, p. 814, n. 26 (ed. da: Ivrea, BC, 9 [IV]) + Berlin, Staatsbibl., Hamilton 571, con varianti); LEMARIÈ 1978, p. 383, n. 27 (ed. da: Montpellier, Médecine 303, con varianti); MALLET – THIBAUT III 1997, p. 1352, n. 89 (Inc. ed Expl. da: Benevento, BC: 19, 20, 29); DELL’ORO 2002, p. 217, n. 41 (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4, con varianti).

99. (ff. 59v-63r) Item alia oratio: Omnipotens et misericors Deus qui solus(a) essentialiter bonus es, cuius gratia preventus homo sua peccata considerat, plangit, deserit, discutit et emendat, cuius respectu et munere incipit velle bonum et facere, confiteri misericordias tuas et abnegare impietates suas, quia nichil proprium boni habet ex se, sed conversio et provectus illius donum(b)

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tuum est, illumina cor meum ad agnoscendum(c) te, ac resera os meum ad confitendum tibi, et quia peccatis gravissimis obligatus sum, fac me intellegere(d) quomodo –f. 60r– tibi pro eis digne satisfaciam, ut invenire valeam misericordiam tuam. Pone fiduciam in corde meo postulandi necessaria animè meè, quoniam ut propheta dicit: volens misericordiam es(1). Tange cor meum tactu supervenientis gratiè tuè, què me ad amorem sancti nominis tui clementer accendat, tibique iugiter referre gratias doceat pro patientia tua magna, qua(e) diutius sustinuisti me in prèterito lascivientem, et reservasti(f) tempus correctionis, quo relicta prevaricatione converterer, ne peccatum incessanter persequens, in èternum cum peccato perirem. Et subvenisti michi, èternè consolationis Pater, per Iesum Christum Filium tuum Deum et Dominum ac(g) redemptorem nostrum, vitè nostrè pretium et vitam, in quo posuisti salutem(h) omnium nostrum(i), in cuius sola iustitia et sanctificatione omnis deletur iniquitas, et mortis evacuatur imperium. Qui purgationem peccatorum faciens te(j) pium Patrem pro impiis et peccatoribus cotidie(k) interpellat(l), qui(m) solus habet potestatem perdere et liberare, quia bene singulariter tibi in illo complacuit, cui ego ab ipsis infantiè rudimentis iuxta omnes abominationes(n), quas operari solet impius, gravissime me peccasse accuso, et(o) a cuius pietate veniam et misericordiam tota cordis intentione deposco. Unde Domine mi Iesu, Deus salutis meè, quia multè miserationes sunt in manu tua, omni conatu totisque viribus confugio ad fontem magnè et gratuitè misericordiè tuè. –f. 60v– Respice super me miserum peccatis mortuum, et noli a me avertere tuè pietatis intuitum. Excipe dignanter preces confessionum mearum, et tuo sancto nomini supplicantem miseratus exaudi. Perdidi certe operibus nequissimis animam meam, magno et ineffabili(p) pretio, glorioso videlicet sanguine tuo redemptam, diversisque dedi criminibus alligandam. Solve, quèso, vincula mea, quibus ad te clamo multipliciter obligatus, et lètali ac pessimo vulneri congruam miseratus adhibe medicinam. Concede propitius michi mentis et animè salutem, et vivat servus tuus sola gratia tua. Dirum siquidem vulnus meum argues, sed et ego ipsum dirum atque immanissimum esse confiteor. Te tamen omnipotentem et pium Dominum illud posse curare indubitanter(q) confido, quia nichil esse tibi difficile, nichil impossibile credo. Non enim minima culpa mea, neque peccatorum meorum parva congeries; ideo multi gemitus mei, et mens mea magnè perturbationis eversione mestissima(r). Tribulationes quoque animè meè dilatatè sunt, nocte et die torquentes cor meum. A(s) malo miser in deterius corrui, et de pessimis ad pessimiora defluxi. Nullius sceleris peccatum, nullius facinoris defuit vitium, cuius me sordibus non inquinaverim. Preceps ad libidinem, improbus ad petulantiam, frequens ad luxuriam, inverecundus –f. 61r– ad fornicationem, voluntate dirus, mente pravus, mori-

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bus inhonestus, corde pollutus, labiis blasphemus, iracundus et contumeliosus, sed(t) propter gratiam sancti nominis tui, Domine(u) Deus meus, confitenti tibi misero veniam tribue, nec memor sis peccatorum adulescentiè meè, cui exosa fuerunt semper lucis opera, et amantissima tenebrarum. Redime ab èterno(v) interitu animam meam, quia copiosissima est circa miseros pietas tua, nec alicuius peccatum, quamvis immanissimum, vincit misericordiam tuam. Hoc est enim ab initio opus tuum: iustos ex iniustis facere, et dignos ex indignis formare, erigere sursum elisos, et labentium antiquas reparare ruinas(w), quoniam, ut ipse protestaris: non est opus sanis medicus sed male habentibus(2). Hèc enim causa fuit(x) te in hunc mundum descendere, ut peccatores salvos faceres, et a perpetua morte salvares. Fidus ob hoc tibi pènitentiè meè preces ingero tuèque misericordiè atque clementiè me(y) totum trado. Restitue michi, Salvator omnium, gratiam tuam, atque inter temptationes et pericula graviter fluctuanti auxilium tuè defensionis impende. Noli esse michi Domine alienus in diebus angustiè, nec derelinquas me in tempore tribulationis. Confirma oculos tuos super me, ne peream, et salva me de manu diaboli. Esto animè meè simul et corporis vivificator et vita, omniumque infirmitatum mearum salvator et sanitas, ut vivam munere –f. 61v– gratiè tuè, et collaudem te in vita mea coram fratribus meis. Visita in virga disciplinè iniquitates meas, et in verberibus pietatis delicta(z) mea. Misericordiam autem et veritatem tuam ne auferas a me(aa). Sic autem(bb) flagello temporali(cc) culparum mearum excessus reseca, ut nichil in futuro quod punias sed quod beatifices derelinquas. Hic me, Domine Deus meus, ab omnibus emunda criminibus, hic ab omni vitiorum colluvione deterge(dd), hic ab omni peccatorum vinculo solve. Impiarum cogitationum seminatorem, et desideriorum inutilium incentorem repelle a me, et contra omnia temptamenta illius, auxilium defensionis tuè michi oppone. Tribue michi, Domine Deus meus(ee), ut obtemperet mens mea mandatis tuis, et voluntas mea tuè voluntati debito famulatu deserviat. Disciplinè tuè(ff) me regulis(gg) semper astringe, et ne ulterius decidam firmissime tene. Trahe me miserum(hh) post te Domine, ut curram infatigabiliter in odore unguentorum tuorum, quibus delectatus tibi inseparabiliter hèream, qui solus michi ad omnia sufficis. Presta ut sim in tuo timore sollicitus, in amore perfectus, in fide constans, in spe nullatenus(ii) dubius. Dilectione proximi ferveam, odii ardore non urar, invidiè livore non tabescam. Sanctum semper opus inspira ut cogitem, compelle ut faciam, suade ut diligam, confirma ut teneam, custodi ne perdam. Da michi in mansuetudine moderatum habere sermonem, –f. 62r– et amico subinde frui silentio, ut loquar quod te dignum sit tibique placeat, et taceam quod loqui non expedit(jj). Fac me sine aliquo errore sincerissimam atque purissimam(kk) tibi servare fidem, et iuxta fidem dignum esse opera-

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rium, ut quem bene credendo confiteor et adoro, male vivendo non denegem. Illumina oculos cordis mei luce tuè claritatis, quo tui amoris igne ita incalescat, ut preter te nichil aliud sapiat, nichil requirat(ll). Fac me(mm) in sancto conversantem proposito sequi iustitiam, diligere misericordiam, amare veritatem, refutare mendacium, falsum nec meditari nec loqui, caritatem simul cunctis(nn) offerre, nulli me prèferre, sed inferiorem omni infimo(oo) iudicare, principibus et potestatibus christianis in nullo resistere, in omnibus obtemperare, reverentiam et honorem exhibere, senioribus obèdientiam, èqualibus offerre(pp) caritatem, gratiam bone(qq) dilectionis iunioribus ostendere, fraterna onera sive pericula èquanimiter sustinere, amicum velut animam meam venerari(rr), parentem et proximum sicut me ipsum diligere, cunctis simul prodesse, nulli offendiculum ponere, iniuriarum mearum nec memorem nec vindicem esse, sed omnem malitiam bonitate superare, maledicenti benedictionem opponere, convicia et contumelias irascentium sustinere, in me peccantibus festi|nanter –f. 62r|v– ignoscere, ad veniam concedendam semper paratum esse, afflicto et lugenti compati, prèbere necessaria non habenti, victum, tegumentum, vestimentum dividere cum egeno, amplecti indigenam, fovere domesticum, amare peregrinum, redimere captivum, advenam suscipere, tueri pupillum, suffragari viduè, subvenire oppresso, prestare auxilium desolato. Miserere mei Deus, ut in salute te collaudem, in infirmitate semper gratias agam, in correptione non resultem, in flagello non murmurem, de bono opere non extollar, nichil boni facti michi ascribam, sed totum bonum meum omnisque delectatio et gaudium tu solus sis Domine(ss). Te corde et animo fidelissime credam, ardentissime diligam, te labiis constantissime laudem, te cogitatione humili semper adorem, tibi voluntas mea iugiter actusque deserviat, quatinus novum tibi hominem ex inutili vetustate, cunctis vitiorum vepribus concrematis, pènitentiè caminus restituat, et morum probitate vestitum extrema vita reformet. Cum vero vocationis tuè michi dies advenerit, adesto, precor, et subveni michi servo tuo, atque in manus tuas commendatum tibi spiritum meum suscipe, liberans animam meam de ore draconis et de manu inferni, ut auferas eam de medio umbrè mortis, immo educas per(tt) semitam lucis in clarissimam regionem viventium. Colloca me Domine in caulis tutissimis gregum tuorum, et numera cum ovibus tuis in supernarum tabernaculis mansionum, –f. 63r– quo sancti tui Abraam, Isaac et Iacob amènitate fruentes, lucis et refrigerii cum universa multitudine sanctorum tuorum inhabitant, de te viventes, te benedicentes, te in perpetuum collaudantes. Qui es Deus benedictus in sècula. Amen. —————— Data la sua rarità, il testo di questa preghiera è stato qui collazionato con quello della medesima conservato nella silloge di preghiere del Casin. 442 (= C); per comodità del lettore appaiono sottolineate le parti mancanti in C.

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(a) solus] manca in C (b) donum] preceduto dalla stessa parola vergata con inchiostro scolorito (c) agnoscendum] C cognoscendum (d) me i(n)tellegere] C intellegere me (e) qua] C quia (f) reservasti] C servasti (g) ac] C et (h) salute(m)] C vitam (i) n(ost)r(u)m] manca in C (j) te] C et te (k) cotidie] manca in C (l) interpellat] C interpellans (m) qui] manca in C (n) abominationes] C abhominationes (o) et] manca in C (p) ineffabili] C inestimabili (q) illud—indubitanter] C indubitanter illud curare posse (r) mestissima] C molestissima (s) A] manca in C (t) sed] C sed fac (u) D(omi)ne] manca in C (v) èterno] C interno (w) antiquas—ruinas] C antiquas ruinas reparare (x) fuit] C fecit (y) tuèque—me] C tuèque me misericordiè (z) delicta] C peccata (aa) In C segue lucemque vultus tui ne abscondas michi (bb) Sic autem] C hic (cc) temporali] C corporali (dd) Hic—deterge] C Hic ab omni vitiorum colluvione deterge, hic me domine Deus meus ab omnibus emunda criminibus (ee) m(eu)s] manca in C (ff) tuè] manca in C (gg) me regulis] C regulis me (hh) miseru(m)] manca in C (ii) nullaten(us)] C non (jj) invidiè—expedit manca in C (kk) atque purissima(m)] manca in C (ll) illumina—requirat manca in C (mm) me] manca in C (nn) simul cunctis] C cunctis insimul (oo) om(n)i infimo] C omnibus (pp) offerre] manca in C (qq) bone] manca in C (rr) amicu(m)—venerari] manca in C (ss) D(omi)ne] C D(eus) (tt) p(er)] C sup(er) con il gruppo su- sottolineato ad indicarne — come sembra — l’espunzione —————— (1) Cfr. Os 6, 6 (2) Mc 2, 17; Lc 5, 31 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). DELL’OMO 1992, pp. 330-334, n. 46 (ed. da: Casin. 442 [= C]).

100. (f. 63r-v) Alia oratio: Deus ineffabilis et incircumscriptè naturè, institutor omnium rerum et Domini nostri Iesu Christi Pater, qui eundem dilectum Filium de sinu tuo misisti ad publicum nostrum suscipere nostram vitam, ut nobis donaret suam essetque perfectus Deus ex te Patre, et perfectus homo ex matre, totus Deus et totus homo, unus idemque Christus, èternus et temporalis, immortalis et moriturus, creator et creatus, fortis et infirmus, nutritor et nutritus, pastor et ovis, temporaliter mortuus, tecum in eternum vivens. Qui(a) suis dilectoribus vitè municipatum promittens dedit, et nobis dixit: quodcumque petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis(1). Obsecro te ut des michi cum eodem Filio tuo te in omnibus benedicere et glorificare, quia quorum una est substantia, unum et datum. Des etiam michi per illum et cum illo peccatorum omnium veniam et mandatorum tuorum custodiam, dilectionem tuam et fraternum amorem, contra diabolum fortia arma et erga fratres caritatem perfectam, temperantiam cibi et potus, et libidinis continentiam, auditum castum et simplicem visum, puritatem cordis et munditiam corporis, cogitationem mundam et cordis orisque(b) custodiam, ut nec cor intus iniquitatem –f. 63v– concipiat nec lingua foras parturiat, ut nec falsa loquar nec vera taceam, nec salutifera abscondam nec mortifera proferam. Precor etiam ut des michi assiduitatem orationis, frequentiam lectionis, ut precepta tua infatigabiliter legam, et inexplebiliter diligam et efficaciter compleam, et quicquid in me pravum

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deprehendero corrigam, quod rectum teneam, quod deforme componam, quod pulchrum excolam, quod sanum servem, quod infirmum corroborem. Des insuper michi despicere temporalia et èterna diligere, ut mortuum michi deputem mundum, nec gaudens nec lugens de temporalibus, ut nec metuam aliquid temporale nec diligam, nec blandis corrumpar nec adversis concutiar. Et quia ipse tuus unice natus dixit: nemo potest venire ad me nisi Pater, qui misit me, traxerit eum(2), et nemo venit ad Patrem nisi per me(3), obsecro, Domine, et suppliciter rogo: trahe me tu ad ipsum, et ipse me perducat ad te, illuc ubi est in dextera tua sedens, ubi est sempiterna vita et beatitudo perpetua, èterna securitas et secura tranquillitas, felix èternitas et èterna felicitas, ubi est amor perfectus et nullus timor, ubi est dies èternus et unus omnium Spiritus, ubi tu cum illo et ille tecum in communione Sancti Spiritus èternaliter ac sempiternaliter vivis et regnas Deus per omnia sècula sèculorum. —————— (a) Qui] nell’interlineo (b) -q(ue)] nell’interlineo —————— (1) Gv 15, 16 (2) Gv 6, 44 (3) Gv 14, 6 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 101, coll. 473-474 = Alcuini opera 1777: Tomi II. Partis I. Opusculum secundum. De psalmorum usu liber, pp. 26-27 (ed. da: Paris, BNF, Lat. 1153); SALVINI 1933, pp. 4-5 (ed. dal disperso Manuale precum di s. G. Gualberto); WILMART 1936, p. 271, n. 4 (Inc. da: Roma, BN, Sess. 71); SALMON 1974, p. 139, n. 114 (Inc. ed Expl. da: Barb. lat. 497); BROWN 1989, p. 445, n. 85 (Inc. ed Expl. da: Arch. Cap. S. Pietro G.49): rist. in BROWN 2005, p. 577, n. 85.

101. (ff. 63v-64r) Alia oratio: Omnipotens Patris Unigenite, virtus et sapientia Patris, per quem facta sunt omnia cum non essent, imago invisibilis Dei, primogenite omnis –f. 64r– creaturè, splendor gloriè et figura substantiè eius, benedico te atque glorifico, et ex tota mente mea atque virtute gratias ago copiosè misericordiè tuè, quia cum sis rex et filius regis et Deus ac Dominus universè creaturè, per omnia èqualis Patri, in nullo inferior, temetipsum exinaniens servili indutus es forma, passibilis factus atque mortalis per veritatem assumptè carnis de Maria perpetua Virgine, in qua èdificasti tibi ante sècula domum, et sanctificasti in ea tabernaculum tuum, egrediens ex ea sine carnis corruptione, nostri per omnia similis, carens tantum peccato. In terris visus es et cum hominibus conversatus, ut qui eras in principio Deus apud Deum, esses in homine nobiscum Deus. Te volente captus et flagellatus es, levatus in lignum, clavis affixus, potatus felle, lancea vulneratus, mortuus es atque sepultus, offerens temetipsum hostiam Deo Patri pro salute nostra, et per ipsum pro redemptione nostra, destructoque principatu adversè et contrariè partis, et evacuatis numinibus falsorum

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deorum, quibus humana dementia nefandissimas et execrandas hostias immolabat. Replesti terram gloria tua, et offertur tibi in omni loco oblatio munda atque gratissima. Propterea laudent te cèli et abitatores(a) eorum, orbis terrarum et universi qui habitant in eo, ut sit tibi cum Deo Patre et Sancto Spiritu immortale et indeficiens regnum, una et singularis potestas, perpetuitas gloriè atque honoris per omnia sècula sèculorum. Amen. —————— (a) Così —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). SALVINI 1933, pp. 44-45 (ed. dal disperso Manuale precum di s. G. Gualberto); WILMART 1936, p. 282, n. 26 (Inc. ed Expl. da: Roma, BN, Sess. 71); SALMON 1974, p. 144, n. 161 (Inc. ed Expl. da: Barb. lat. 497); DELL’OMO 1992, p. 324, n. 24 (Inc. ed Expl. da: Casin. 442).

102. (ff. 64v-66r) (I). Summe sacerdos et vere pontifex Christe Iesu(a), qui temetipsum(b) obtulisti Deo Patri hostiam puram et immaculatam in ara crucis pro nobis peccatoribus, qui dedisti nobis carnem tuam ad manducandum, et sanguinem tuum ad bibendum, et posuisti nos in ministerium(c) illud in virtute Spiritus Sancti tui, dicens: hec quotienscumque feceritis, in mei memoriam facietis(1), rogo per sanguinem tuum pretiosum, magnum salutis nostrae pretium, rogo per hanc miram et ineffabilem caritatem tuam, qua nos miseros et indignos sic amare dignatus es, ut nos lavares a peccatis nostris in sanguine tuo. Doce me indignum servum tuum, quem inter cetera dona tua etiam ad officium sacerdotale nullis meis meritis vocare dignatus es, sed sola dignatione misericordiè tuè. Doce me, quèso, per Spiritum Sanctum tuum tantum tractare misterium ea reverentia et honore, ea devotione et tremore(d), quibus oportet et decet. Fac me Domine per gratiam tuam semper illud de tanto misterio credere et intellegere, sentire et firmiter retinere, dicere et cogitare quod tibi placet et(e) expedit animè meè. Intret, oro, Spiritus tuus bonus in cor meum, qui sonet ibi sine sono et sine strepitu verborum, et loquatur omnem veritatem tantorum mysteriorum. Profunda quippe sunt nimis et sacro tecta velamine. (II). Propter magnam clementiam tuam concede mihi missarum sollempnia puro corde et munda mente celebrare. Libera cor meum ab immundis et nefandis, vanis et noxiis cogitationibus. Muni me quaeso beatorum Angelorum pia et fida custodia atque fortissima tutela, ut hostes omnium bonorum confusi discedant. Per virtutem tanti mysterii et per manum sancti Angeli tui repelle a me et a cunctis servis tuis durissimum et nefandissimum spiritum superbiae et cenodoxiae, invidiae et blasphemiae, fornicationis et immunditiae, dubietatis et diffidentiae, ut tantum sacrificium cum omni puritate valeam offerre. Confundantur qui nos per-

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sequuntur; pereant illi qui perdere cuncta festinant. Rex virginum, amator castitatis et integritatis Deus, caelesti rore benedictionis tuae extingue in corde meo totum fomitem ardentis libidinis, ut maneat in me tenor totius castitatis animè et corporis. Mortifica in membris meis carnis stimulos omnesque motus –f. 65r– libidinosos, et da michi veram et perpetuam castitatis sanctimoniam cum ceteris bonis tuis, què tibi placent in veritate, ut sacrificium laudis casto corpore et mundo corde cotidie valeam tibi offerre. (III). Magna enim cordis contritione, multa reverentia et timore, maxima corporis et animi puritate illud divinum et cèleste mysterium celebrandum, Domine, ubi caro tua in veritate sumitur, ubi sanguis tuus in veritate potatur, ubi ima summis coniunguntur, ubi adest sanctorum presentia Angelorum, ubi tu es sacerdos et sacrificium mirabiliter et ineffabiliter. Quis digne hoc celebrare potest nisi tu, omnipotens Deus, offerentem feceris dignum? (IV). Scio vereque scio et idipsum bonitati tuè confiteor quod non sum dignus accedere ad tantum mysterium propter peccata mea nimia et infinitas iniquitates meas. Scio et vere scio et ex toto corde meo credo, et ore confiteor quia tu potes me facere dignum, qui solus potes facere mundum de immundo conceptum semine, et de peccatoribus iustos et sanctos facis. (V). Per hanc ergo omnipotentiam tuam, te rogo, concede michi peccatori hoc cèleste sacrificium celebrare cum timore et tremore, cum cordis puritate et lacrimarum fonte, cum omni devotione(f) ac lètitia spirituali et cèlesti gaudio. Sentiat, oro, mens mea dulcedinem beatè presentiè tuè et excubias sanctorum Angelorum tuorum in circuitu meo. Ecce enim memor venerandè passionis tuè, Domine(g), accedo ad altare tuum licet peccator, ut offeram tibi sacrificium quod tu instituisti et offerri precepisti in com|memoratione –f. 65r|v– tua pro salute nostra. (VI-VIII: vd. infra nota esplicativa) (IX). Peto clementiam tuam ut descendat super panem et calicem istum plenitudo divinitatis tuè. Descendat etiam, Domine, illa Spiritus tui invisibilis incomprèhensibilisque maiestas, sicut quondam in patrum hostiis descendebat, qui et oblationes nostras corpus et sanguinem tuum efficiat, et me indignum sacerdotem tuum doceat tantum mysterium cum omni cordis puritate et lacrimarum fonte ita celebrare(h), ut placide ac benigne suscipias sacrificium de manibus meis ad salutem omnium tam vivorum quam defunctorum. (X). Rogo Domine te per ipsum sacrosanctum ac vivificum mysterium tuum(i), quo cotidie pascimur ac potamur, per quod abluimur et sanctificamur atque unius summè divinitatis participes efficimur: da michi virtutes tuas sanctas, quibus repletus bona conscientia ad altare tuum accedam,

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ita ut hèc tua cèlestia sacramenta efficiantur michi salus et vita. Tu enim dixisti ore tuo sancto et benedicto: panis quem ego dabo, caro mea est pro mundi vita(2), et qui manducat me vivit propter me. Ipse manet in me et ego in eo(3). Ego sum panis vivus qui de caelo descendi. Si quis manducaverit ex hoc pane vivet in aeternum(4). Panis dulcissime, sana palatum cordis mei, ut sentiam suavitatem amoris tui, sana eum ab omni languore, ut nullam preter te quèrat(j) dulcedinem, nullum praeter te quaerat amorem, nullam(k) preter te amet pulchritudinem. Panis candidissime, habens omne delectamentum et omnem saporem, qui nos semper reficis et in te numquam deficis, comedat te cor meum, et dulcedine saporis tui repleantur viscera animae meae. Manducat te Angelus pleno ore; manducet te peregrinus homo pro modulo suo, ne deficere possit in via, tali recreatus viatico. Panis sancte, panis vive, panis pulcherrime, panis munde, qui descendisti de cèlo et das vitam huic mundo, veni in cor meum et munda me ab omni inquinamento carnis ac spiritus. Intra in animam meam, sana et sanctifica me interius et exterius. Esto michi tutamen et continua salus animè meè –f. 66r– et corporis. Repelle a me omnes insidiantes michi(l). (XI). Recedant procul a potentia tuè presentiè, ut foris et intus munitus per te rectum tramitem ad regnum tuum perveniam, ubi facie ad faciem te semper videam. Interim hoc agendum, hoc certe frequentandum commendasti Ecclesiae, quousque venias in finem saeculi, quando erit sanctorum requies, non adhuc in sacramento quo in hoc tempore consociantur membra tua, quamdiu bibitur quod de latere tuo manavit, sed iam in ipsa perfectione salutis aeternae, cum tradideris regnum Deo Patri, et Deus erit omnia in omnibus. Tunc enim me de te satiabor(m) satietate mirifica, ita ut neque esuriam neque sitiam in èternum, Salvator mundi, Deus qui cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sècula sèculorum. Amen. —————— Vasta diffusione ebbe questa preghiera, nota a partire dal sec. XII come oratio sancti Ambrosii, inserita nella stessa editio princeps del Messale Tridentino del 1570 (= T), e attribuita da WILMART 1932, pp. 114-124 (= W) a Giovanni di Fécamp; se ne dà qui il testo tràdito nel Borg. lat. 211, in aggiunta ai ventitré manoscritti collazionati da W, datati tra XI e XV secolo; in relazione a questi, il nostro segue di poco ai soli Parigino lat. 9436 (metà del sec. XI) e Metz, Bibliothèque municipale, 245 (seconda metà del sec. XI). Notevole la variante — rispetto al testo ufficiale (T) e alla tradizione manoscritta utilizzata da W — qui rilevata alla nota c. Dopo W, DELL’ORO – BAROFFIO 1981 (= D1; cfr. infra), DELL’ORO 1999 (= D2; cfr. infra), DELL’ORO 2002 (= D3; cfr. infra), — quest’ultimo per i nn. I-IX, X (Rogo—salus et vita) —, hanno offerto l’edizione del testo di Summe sacerdos. La versione del Borgiano, come quella di gran parte dei Messali, corrisponde alla forma breve e risulta perciò priva delle parti da W numerate VI-VIII (ed. W: pp. 118-121), comprese nella forma prolissa. Sottolineate appaiono le parti del testo tratte dall’edizione W. (a) C(h)r(ist)e Ie(s)u] nell’interlineo (b) temetipsum] -met- nell’interlineo (c) nos in ministeriu(m)] mysterium/misterium in tutti i mss. collazionati da W e in D1, D2, D3 (d) tre-

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more] timore in tutti i mss. collazionati da W e in D1, D2, D3 (e) et] nell’interlineo (f) cu(m) om(n)i devotione] manca in tutti i mss. collazionati da W e in D1, D2, D3 (g) D(omine)] nell’interlineo, con la d- nella forma minuscola (h) celebrare] W, D1, D2, D3 tractare (i) mysteriu(m) tuu(m)] W, D1, D2, D3 mysterium/misterium corporis et sanguinis tui (j) quèrat] W sentiat (k) nullam] la prima -l- nell’interlineo (l) om(ne)s—michi] W insidiantes mihi hostes (m) satiabor] W, D2 satiabis —————— (1) Cfr. I Cor 11, 25 (2) Gv 6, 52 (3) Cfr. Gv 6, 57 (4) Gv 6, 51-52 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). WILMART 1932, pp. 114-124 (ed. critica da più manoscritti); WILMART 1935, p. 39, n. 12 (Inc. ed Expl. da: Roma, BV, B 82); DELL’ORO – BAROFFIO 1981, pp. 621-623, n. 1 (ed. da: Berlin, Staatsbibl., Hamilton 441); DELL’ORO 1999, pp. 350-352, nn. I-XI (ed. da Trento, BC, 27); DELL’ORO 2002, pp. 215-216, nn. 35a-35g (ed. da: Oxford, BL, Lat. liturg. d. 4).

103. (ff. 66r-67r) Alia oratio: Domine Iesu Christe, fons bonitatis et pietatis origo, qui peccantem non statim iudicas sed ad pènitentiam miseratus expectas, miserere mei et salva me. Tu es enim Domine ille de quo dicit propheta: quia erit fons patens domus David in die illa habitantibus Ierusalem, in ablutionem peccatoris et menstruatè(1). Tu es enim Domine remissio omnium peccatorum, qui peccantes ut convertantur misericorditer expectas, conversos non despicis, merentes consolaris, elisos erigis, sanas contritos, et non solum revertentes ad te recipis et peccata dimittis, sed etiam ineffabili tuè pietatis dono premia èterna promittis. O Domine, quanti miseri et indigni, quanti peccatores et impii in te et per te, pietatis fontem, sunt abluti et purificati, et super nivem dealbati atque ad pristinam dignitatem misericorditer reservati. In te nanque et per te, pietatis fontem, abluta est Maria, què erat in civitate peccatrix famosissima. In te etiam Domine et per te, pietatis fontem, ablutus est Petrus post lapsum negationis, et non solum veniam de tua pietate promeruit, sed –f. 66v– etiam pristinam apostolatus prelationem(a), ac dignitatem ad integrum recepit. In te et per te, pietatis fontem, ablutus et purificatus est latro, qui in cruce levatus per admirabilem confessionem tuam confessus est deitatem, et suorum omnium meruit ad ultimum percipere peccatorum remissionem. O Domine Iesu Christe, Deus pietatis immense, qui tantos abluis, tantos purificas, tantos super nivem gratia tua dealbas, me solum miserrimum omnibus vitiis squalentem et sordidum habes relinquere impurificatum? Aut nunquid propter me solum breviabuntur termini pietatis tuè, intra quos multos et innumerabiles recepisti et recipis? Absit hoc a te, ut me solum miserum relinquas, qui per prophetam tuum misericorditer protestando proclamas: nolo — inquiens — mortem peccatoris sed ut convertatur et vivat(b) (2). Non est tuum, qui humano generi dignatus es et advocatus fieri et redemptor, ut conversum ad te gratia tua peccatorem aliquo pacto despiciendo relinquas, maxime cum in sancto

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evangelio tuo paterna pietate proclames: non — inquiens — sani medico egent, sed qui male habent(3), et item: non veni vocare iustos sed peccatores(4). O fons omnis innocentiè, qui per viscera misericordiè coram Iudèis lacrimatus es, et super Ierusalem civitatem pro peccatis miseriisque futuris inhabitantium de sanctis ac sincerissimis oculis tuis lacrimas fundere voluisti, gratias tibi ago et deprecor, da michi miserrimo fontem lacrimarum, ut meas neglegentias deflere possim. Eger sum, medicus es, –f. 67r– miser sum, misericors es, miserere mei. Omnia vulnera mea pando tibi, medicinam tuam ne deneges michi, salva me, Salvator mundi. Qui cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas Deus in sècula sèculorum. Amen. —————— Anche di questa preghiera, come di quelle che seguono (nn. 104-107), per la sua stessa rarità, il testo è stato collazionato con quello conservato nel Casin. 442 (= C). (a) p(re)latione(m)] C prèlationem (b) vivat] nel cod. vivivat —————— (1) Zc 13, 1 (2) Ez 33, 11 (3) Lc 5, 31 (4) Lc 5, 32 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). DELL’OMO 1992, pp. 350-351, n. 63 (ed. da: Casin. 442 [= C]).

104. (ff. 67r-68v) Alia oratio sancti Ambrosii: Peccavimus ante te Deus, ne des nos in opprobrium propter nomen tuum(1), quia tu es Dominus Deus noster, quem propitium expectamus. Tibi Domine placeat servitus nostra, te rogamus suppliciter ut non nos confundas dum veneris iudicare terram. Rogamus te, Domine Deus, quia peccavimus tibi, veniam petimus quam non meremur, manum tuam porrige lapsis, qui latroni confitenti paradysi ianuas aperuisti. Qui fecisti magnalia in Egypto, mirabilia in terra Cham, terribilia in mari Rubro(2), non tradas nos in manus impiorum, nec dominentur nobis qui oderunt nos. Circumdederunt nos mala, quorum non est numerus(3), da nobis auxilium de tribulatione(4), opera manuum tuarum ne despicias Deus(5). Si fecissemus precepta tua habitassemus cum securitate et pace omni tempore vitè nostrè; nunc quoniam peccavimus supervenerunt in nos omnes tribulationes. Pius es Domine, miserere nobis et dona remedium populo tuo, vide Domine afflictionem populi tui, quoniam amara est nimis, humiliati enim sumus pro peccatis nostris. Exaudi nos qui es in cèlis, quia non est alius prèter te Domine; Domine miserere nobis et libera nos, quia nescimus alium deum preter te, tu propitius esto plebi tuè. Aufer a me propitius delictum meum, et ne irascaris peccatis meis Domine; Domine si –f. 67v– inquiras cordis nostri secreta, rea est ante te omnis conscientia, et si respexeris in nobis plasma tuum, cito flecteris ut Deus ad misericordiam, et ideo clamat ad te omnis terra. Peccavimus, Domine(a),

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peccavimus tibi, dona nobis indulgentiam, sicut promisisti Omnipotens in Scripturis: ego occidam et vivificabo(6); qui quèrunt me invenient me(7); in die tribulationis clamabunt et exaudiam(8). Ecce tempus promissionis, tribulatos exaudi, et miserere; infirmorum propitiator, desperandorum salvator, Deus patris mei et Deus hèreditatis Israhel, dominator cèlorum et terrè, creator aquarum, rex totius creaturè, exaudi preces nostras. Respice Domine ad fragilitatem nostram, et require vulnera què curasti, quia quantum circa nos pietatem impenderis, amplius quibus miserearis invenies. Extende, q(uèsumu)s, medicas manus, et quod infirmum est cura, quod dubium repara, quod integrum fide perseverante conserva. Fac nobiscum misericordiam, da veniam, da indulgentiam, et miserere placatus; infunde, q(uèsumu)s, in cordibus nostris gratiam Spiritus tui, ut luceat in nobis lumen sapientie et scientiè, quatinus bonis operibus abundantes, tibi in perpetuum placere valeamus. Ascendat oratio nostra ad thronum maiestatis tuè, nec vacua revertatur ad nos postulatio nostra. Veni Domine ad salvandum populum tuum, rex ad captivos, medicus ad infirmos, pastor ad errantes, vita ad desperatos; ideoque, clamamus ad te, reple gaudio animas nostras, et miserere nobis. Gemitum populi tui exaudi, et angustias quas patimur vide, et celeri nobis miseratione succurre. Pecca|vimus –ff. 67v|68r– Deus, malum coram te fecimus, respice ut pius pater, parce et indulge nobis. Nisi acceleraveris(b) Christe liberare nos, simul peribimus cum peccatis nostris angustiati per singulos dies, deprecamur te Domine, miserere nobis. Quem deprecemur qui te mitiget omnium Domine, nisi ministros tuos, misericors, Michahel principem Angelorum, Gabrihel nuntium Virginis? Angelorum chori, iustorum animè intercedite pro nobis dicentes: miserere Deus tuo plasmati, tuam imaginem ne despicias Domine. Peccavimus Domine, peccavimus, parce peccatis nostris et salva nos, qui gubernasti Noe super undas diluvii; exaudi nos, qui Ionam de abisso verbo revocasti; libera nos, qui Petro mergenti manum porrexisti; auxiliare nobis Christe Fili Dei. Erigat nos dextera tua, quos peccatorum pondus inclinat, et quia ad terram corruimus, tua misericordia sublevemur. Propitiare Domine creaturè tuè, quia de terra facti sumus, plasma tuum suscepimus, sanguine tuo redempti sumus. Ecce precamur in tempore angustiè, sancte Omnipotens, subveni et miserere nobis. Non expandimus manus nostras ad Deum alienum, exurge Domine, adiuva nos et libera nos Deus noster. Inclina Domine aurem tuam et exaudi nos(9), respice de cèlo Deus, et vide afflictionem populi tui, propitiare Domine et esto placabilis. Ascendant ad te Domine preces nostrè, et ad aures misericordiè tuè supplicantium vota perveniant. Christe tuis famulis subveni, quos magno pretio redemisti, cèlesti protectione defende, quia pius es. Non est aliud refugium nisi in te sperare, –f. 68v– Christe precibus sanctorum tuorum libera nos. Ne obli-

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viscaris voces famulorum tuorum, intende et libera quos redemisti Domine sanguine tuo. Domine si iratus fueris adversum nos, quem adiutorem petimus? Quis miserebitur nostris infirmitatibus? Chananeam, Domine, et publicanum vocasti ad pènitentiam, et Petrum lacrimantem suscepisti; nostram pènitentiam suscipe miseratus, et salva nos Salvator mundi. Domine Deus, virtus et sapientia Patris, attingens a fine usque ad finem fortiter, suaviter disponensque omnia(10), veni ad docendum nos viam prudentiè. O Adonay veni ad redimendum nos; o radix Iesse veni ad liberandum nos; o Oriens veni et illumina nos; o Rex gloriè ne derelinquas nos orphanos, sed mitte in nos spiritum veritatis. Domine Iesu Christe Fili Dei vivi, qui es pius et clemens, dona iustis bonam perseverantiam, peccatoribus veram indulgentiam, et cunctis fidelibus defunctis requiem sempiternam. Domine, sicut vis et sicut scis, miserere nobis. Qui es benedictus in sècula sèculorum. Amen. —————— (a) D(omine)] nell’interlineo, con la d- nella forma minuscola; manca in C (b) acceleraveris] nel cod. accelaveris per mancanza del segno abbr. —————— (1) Ger 14, 21 (2) Ps 105, 21-22 (3) Ps 39, 13 (4) Ps 59, 12 (5) Ps 137, 8 (6) Dt 32, 39 (7) Cfr. Ger 29, 13 (8) Cfr. Gen 35, 3; Es 22, 27; Ps 90, 15 (9) Cfr. Ps 16, 6 (10) Cfr. Sap 8, 1 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). DELL’OMO 1992, pp. 352-354, n. 65 (ed. da: Casin. 442 [= C]).

105. (ff. 68v-70r) Oratio sancti Augustini: Deus universitatis conditor presta michi primum ut te bene rogem, deinde ut me agam dignum quem liberes, postremo ut liberes(a). Deus pater veritatis, pater sapientiè, pater verè summèque vitè, pater beatitudinis(b), te invoco, Deus veritas(c), in quo et a quo et per quem vera sunt què vera sunt omnia; Deus sapientia, in quo et a quo et per quem sapiunt què sapiunt omnia; Deus vera et summa vita, in quo et a quo et per quem vera sunt què vivunt omnia(d). Deus beatitudo, in quo –f. 69r– et a quo et per quem beata sunt què beata sunt omnia(e); Deus a quo averti cadere, in quem converti resurgere, in quo manere consistere est(f); Deus quem nemo amittit nisi deceptus, quem nemo quèrit nisi admonitus, quem nemo invenit nisi purgatus; Deus quem relinquere hoc est quod perire, quem attendere(g) hoc est quod amare, quem videre hoc est quod habere; Deus cui nos fides excitat, spes erigit, caritas iungit(h); Deus qui nos purgas et ad divina preparas premia, adveni michi(i) propitius unus Deus(j). Tu, tu veni, veni michi(i) in auxilium, una èterna veraque(k) substantia, ubi nulla discrepantia, nulla confusio, nulla transitio, nulla indigentia, nulla mors; ubi summa concordia, summa evidentia(l), summa constantia, summa plenitudo, summa vita(m); supra quem nichil(n), extra quem nichil(n),

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sine quo nichil(n) est, sub quo totum, in quo totum, cum quo totum est. Qui fecisti hominem ad imaginem et similitudinem tuam, quod qui se(o) novit agnoscit, exaudi, exaudi, exaudi me Deus meus, Dominus(p) meus, rex meus, pater meus, causa mea, spes mea, res mea, honor meus, domus mea, patria mea, salus mea, lux mea, vita mea. Exaudi, exaudi, exaudi me, more illo tuo paucis notissimo; nam(q) te solum amo, te solum sequor, te solum quèro, tibi soli servire paratus sum, quia tu solus iuste dominaris. Tui iuris esse cupio, iube, queso, atque impera quicquid vis, sed sana et aperi aures meas quibus voces tuas audiam: Sana et aperi oculos meos, quibus nutus tuos videam. Expelle a me insaniam ut recognoscam te; dic(r) michi(i) quo attendam(s) ut aspiciam te, et omnia me spero què iusseris esse facturum. Recipe, oro, –f. 69v– fugitivum tuum, clementissime Domine(t). Iam, iam satis pènas dederim, satis inimicis tuis, quos sub pedibus habes, servierim, satis fuerim fallaciarum ludibrium. Accipe me ab istis fugientem famulum tuum, quia et isti(u) me, quando a te fugiebam, acceperunt alienum. Ad te michi(i) redeundum esse sentio, pateat pulsanti(v) ianua tua, quomodo ad te perveniatur edoce(w) me. Nichil(n) aliud habeo quam voluntatem, nichil(n) aliud scio nisi fluxa et caduca spernenda esse, certa et èterna requirenda. Hoc facio Pater quia hoc solum novi, sed unde ad te perveniatur ignoro. Tu michi(i) suggere, tu ostende, tu viaticum prebe(x). Si fide te inveniunt qui ad te refugiunt, fidem da; si virtute virtutem, si scientia scientiam. Auge in me fidem, auge spem(y), auge caritatem. Admiranda(z) et singularis bonitas tua ad te ambio, et quibus rebus ad te ambiatur a te rursum peto. Tu enim si deseris peritur(aa), sed non deseris quia tu es summum bonum, quod nemo recte quèsivit et minime invenit. Omnis autem(bb) recte quèsivit quem tu recte quèrere fecisti, fac me, quèso, quèrere te(cc), vindica me ab errore quèrentem te, nichil michi(dd) aliud pro te occurrat, si(ee) nichil(n) aliud desidero quam te; inveniam te iam, quèso, Pater. Si autem est in me superflui alicuius appetitio(ff), tu ipse me munda et fac idoneum ad videndum te. Ceterum de salute huius mortalis corporis mei quandiu nescio quod michi(i) ex eo utile sit vel eis quos diligo, tibi illud committo(gg), Pater sapientissime atque optime, et pro eo quod ad tempus admonueris deprecabor. Tantum oro excellentissimam clementiam tuam, ut me penitus ad te –f. 70r– convertas, nichilque(n) michi(i) repugnare facias tendenti ad te(hh), iubeasque me, dum hoc ipsum corpus ago atque porto, purum, magnanimum, iustum, prudentemque esse, perfectumque amatorem perceptoremque sapientiè tuè et dignum habitatione(ii) beatissimi regni tui. Amen. —————— Il testo della preghiera, derivante dai Soliloquia di s. Agostino, cap. I (PL 32, coll. 868-872 [le parti corrispondenti al testo edito in PL sono sottolineate]; ed. CSEL 89, pp. 3-11), appare

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qui collazionato oltre che con quello del Casin. 442 (= C), recante una versione più lunga rispetto al Borg. lat. 211, anche con quello più antico (sec. IX2) conservato nel Casin. 575 (= A). (a) In A e C segue Deus per quem omnia què per se non se [C essent] tendunt esse; Deus qui ne id quidem quod se invicem perdit perire permittis; Deus qui de nichilo mundum istum creasti, quem omniumque [C omnium] oculi sentiunt pulcherrimum; Deus qui malum non facis sed [C et] facis esse ne pessimum fiat; Deus qui paucis ad id quod vere est refugientibus ostendis malum nihil [C nichil] esse; Deus per quem universitas etiam cum sinistra parte perfecta est; Deus a quo dissonantia usque in extremum nulla est [C sunt], cum deteriora melioribus concinunt; Deus quem amat omne quod potest amare sive sciens sive nesciens; Deus in quo sunt omnia, cuius tamen universè creaturè nec turpitudo turpis est, nec malitia nocet, nec error errat; Deus qui nisi mundos verum scire voluisti [C noluisti] (b) In A e C segue pater boni et pulchri, pater intelligibilis lucis, pater vigilationis [C evigilationis] atque inluminationis [C illuminationis] nostre, pater pignoris quo admonemur redire ad te (c) veritas] A veritatis (d) A in quo et a quo et per quem vivunt què vere summeque vivunt omnia; C in quo et a quo et per quem vivunt què vivunt omnia (e) In A e C segue Deus bonum et pulchrum, in quo et a quo et per quem bona et pulchra sunt [in C a sunt segue què bona et pulchra sunt] omnia; Deus intellegibilis lux, in quo et a quo et per quem intellegibiliter lucent què intellegibiliter lucent [in C a lucent segue omnia]; Deus cuius regnum est totus mundus, quem sensus ignorat; Deus de cuius regno lex etiam in ista regna describitur (f) In A e C segue Deus a quo exire mori, in quem redire vivescere [C viviscere], in quo habitare vivere est (g) attendere] A adtendere (h) In A e C oltre che in PL segue Deus per quem [per quem manca in A] accipimus [A accepimus] ne omnino pereamus [A periremus]; Deus a quo admonemur ut vigilemus; Deus per quem a malis bona separamus; Deus per quem mala fugimus et bona sequimur; Deus per quem non cedimus adversitatibus; Deus per quem bene servimus et bene dominamur; Deus per quem discimus aliena esse què aliquando nostra et nostra esse què [in A a què segue aliquando] aliena putavimus. Nei soli A e C segue Deus per quem malorum escis atque inlecebris [C illecebris] non hèremus; Deus per quem nos res inminutè [C minutè] non minuunt; Deus per quem melius nostrum deteriori subiectum non est; Deus per quem mors absorvetur [C absorbetur] in victoriam; Deus qui nos convertis; Deus qui nos eo quod non est exuis, et eo quod est induis; Deus qui nos exaudibiles facis; Deus qui nos munis; Deus qui nos in omnem veritatem inducis [Deus—inducis manca in C]; Deus qui nobis omnia bona loqueris nec insanes facis nec a quoquam fieri sinis; Deus qui nos revocas in via [C viam] (i) m(ich)i] A mihi (j) p(ro)pitius—D(eu)s] A, C propitius tu quicquid a me dictum est unus Deus (k) veraq(ue)] manca in A (l) In A summa evidentia precede summa concordia (m) In A e C segue ubi nihil [C nichil] deest, nihil [C nichil] redundat; ubi qui gignit et quem gignit unum est [C sunt], cui serviunt què serviunt omnia; cui obtemperat omnis bona anima; cuius legibus rotantur poli, cursus suos sidera peragunt, sol exercet diem, luna temperat noctem, omnisque mundus per dies vicissitudine lucis et noctis, per menses crementis detrimentisque lunaribus, per annos veris, estatis, autumni [A autumnis] et hiemis successionibus, per lustra perfectione cursus solaris, per magnos orbis [C orbes] recursus [C recursu] in hortus [C ortus] suos siderum magnam rerum constantiam quantum sensibilis materia patitur temporum ordinibus replicationibusque custodit. Cuius legibus in evo stantibus motus instabilis rerum mutabilium perturbatus esse non sinitur, frenisque circumeuntium sèculorum semper ad similitudinem stabilitatis revocatur; cuius legibus arbitrium animè liberum est, bonisque premia et malis pène fixis per omnia [A fixis omnia] necessitatibus distributè sunt; a quo manant [A manent] usque ad nos omnia bona, a quo [C quo] cohercentur [C coercentur] usque a nobis [C a nobis] omnia mala (n) nichil] A nihil (o) se] A se ipse (p) D(omi)n(u)s] A Domine (q) na(m)] A iam (r) dic] A des (s) quo attenda(m)] A qua adtendam (t) clem(en) tissime D(omine)] A Domine clementissime (u) isti] A ista (v) pulsanti] A pulsanti mihi (w) edoce] A doce (x) p(re)be] A, C prèbe (y) auge i(n) me fide(m), auge spe(m)] A auge

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in me spem (z) admiranda] A o admiranda (aa) perit(ur)] A peritur hic (bb) au(tem)] A autem qui (cc) fac—te] A fac et me Pater (dd) quèrente(m)—m(ich)i] A quèrenti te mihi nihil (ee) si] manca in A (ff) appetitio] A adpetitio (gg) com(m)itto] A commendo (hh) ad te] sottolineato con un tratto di penna, e, della stessa mano, ripetuto all’inizio del f. 70r (ii) habitatione] A habitatione atque habitatorem —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). PL 101, coll. 1397-1398 = MARTÈNE 1706, pp. 637-638 (ed. da: Orléans, BM, 184, con varianti [per le diverse edizioni di quest’opera, relativam. al ms. di Orléans, cfr. MARTIMORT 1978, p. 508, n. 1131]; cfr. DARRAGON 1991, n. 8780); DELL’OMO 1992, pp. 334-338, n. 48 (ed. da: Casin. 442 [= C]); DELL’OMO 2003a, pp. 271-274, n. 2 (ed. da: Casin. 575 [= A]).

106. (f. 70r) Oratio alia eiusdem: Domine Deus meus Iesu Christe, Fili Dei vivi, cuius pietas est quod iusti vivunt, quod etiam mortui vitam sperant, cuius solius misericordiè deputo si etiam ego aliquatenus vivo, cuius protectioni quod inter gravissima dèmonum temptamenta et huius vitè mala non usquequaque a fide, spe et caritate tua deficio. Quem in substantia Dei et hominis cum Patre Sanctoque Spiritu solum verum Dominum Deum meum adoro. In manus omnipotentis misericordiè tuè commendo spiritum et animam et corpus meum, credens et certissimum habens quod de manibus tuis spirituales nequitiè nil possunt eruere. Miserere queso(a) et propitius esto michi misero figmento tuo, ut a cunctis iniquitatibus et iniquitatum sordibus cor meum emundes. Adiuva me miserum, Domine clemens, et protege propter magnam misericordiam tuam in cunctis periculis et temptationibus, quas pro peccatis meis iusto iudicio tuo patior, et tua vera luce illumina iugiter tenebras animè meè, nec permittas me amplius iniquis cogitationibus vel noxiis perturbari. Qui vivis et regnas. —————— (a) C quèso —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). DELL’OMO 1992, p. 346, n. 54 (ed. da: Casin. 442 [= C]).

107. (ff. 70r-71v) Alia oratio: Omnipotens mundi conditor, cui omnia subiecta sunt, cèlestia simul et terrena, quem conscientiè secreta non fallunt, quem nulla latet cogitatio, qui solus nosti –f. 70v– corda omnium filiorum Adam, tibi confiteor universa delicta mea, quoniam peccavi et inique egi recedens a te, et(a) deliqui in omnibus, et precepta tua non audivi nec observavi, neque feci sicut preceperas michi. Pènitenda multa et pène universa commisi, commissa nunquam deflevi. Et quidem, Domine, si aliquando peccans penitui, penitens semper peccavi. Vilis factus sum nimis iterans vias meas, canis horribilis vomitum repetens, et sus lota in volutabro luti(1).

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Nullum peccatum super terrè faciem inveniri potest aut scelus, quorum fecibus inquinatus non sim. Nam sacrilegium commisi, periurium perpetravi, adulteria, fornicationes, immunditias sine cessatione frequentavi, iurgia, aniles fabulas, noxia colloquia, cachinnos iocos, ineptam lètitiam et scurrilitates(b), nullo imposito moderamine iteravi. Et nunc Domine, Domine sine quo ad vitam perpetuam nemo venit, qui sicut infinitè magnitudinis ita immensè misericordiè es, qui dixisti: non est voluntas mea mors impii(2); qui peccanti(c) animè et peccata indicas et ad pènitentiam adhortaris dicens: fornicata es cum amatoribus multis, verumtamen ad me revertere(3); qui cotidie peccatoribus clamitas: venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego vos requiescere faciam(4), te miserante, te preveniente, te vocante, te trahente ad te confugio. Suscipe me secundum eloquium tuum(5); tene manum dexterè meè, et in voluntate tua deduc me. Evelle vitia, auge virtutes, amputa –f. 71r– superbiam, enerva inanem gloriam, effuga invidiam, tolle iram, eice tristitiam, tempera ingluviem, restringe luxuriam; da vero humilitatem, auge fraternum amorem, largire patientiam, infunde gaudium sp(iritu)ale, dona largitatem, augmenta parsimoniam, cumula pudicitiam; detractiones autem, cogitationes pessimas, suggestiones pravas, delectationes immundas, somnolentiam, pigritiam, acediam, ebrietatem, crapulam, clamorem, blasphemiam, iram, indignationem, odium, susurrationem, murmurationem, ypocrisin, vagationem oculorum, novitatum presumptionem, levitatem, iactantiam, amorem proprium et omnem malitiam longe fac a me. Deducant oculi mei lacrimas per diem et noctem, et non taceant(6), ut iudicem memetipsum ne diiudicer. Quèram te dum inveniri potes, ut conspiciam te corde, et omnes actus meos sub tua presentia sollicita inquisitione discernam, et ab ipso inquiram fonte cogitationes(d), atque discernam ut omne quod turbidum profluit ex intimis exiccare studeam. Dominetur, obsecro, spiritus carni ut spiritu ambulem, et desideria carnis non perficiam, ne faciam curam carnis in desideriis, ne nutriam eam què est sterilis et què non parit. Accelera autem ad me, Iesu amator hominum, fidem, spem, caritatem, prudentiam, iustitiam, fortitudinem, temperantiam, simplicitatem, obèdientiam, modestiam, benignitatem, longanimitatem, sobrietatem, discretionem, timorem et amorem tuum, contritionem et humiliationem –f. 71v– cordis, taciturnitatem, fastidium presentis vitè, desiderium futurè beatitudinis, ut sim cogitatione mundus, actione precipuus, discretus in silentio, utilis in verbo, contemplatione suspensus, ut his omnibus comitatus virtutibus ambulem simpliciter, ambulem confidenter, ambulem de virtute in virtutem, ut videam te Deum deorum in Syon, ne de me dicatur: tollatur impius ne videat gloriam Dei. Ne dividas me et ponas partem cum impiis, ne dividar ab agnis, ne aggreger inter edos, ne extinctam habens lampadem pessi-

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mo illo genere mendicandi excludar a nuptiis, ne frustra ianuam pulsans audiam: nescio te(7); ne audiam: recepisti bona in vita tua(8); ne audiam: recepisti mercedem tuam(9); ne a malo illo auditu timeam, quo dicturus es impiis: ite maledicti in ignem èternum(10); ne cum zizaniorum fasciculis alliger ad comburendum, sed videam faciem tuam in iubilo, et audiam vocem laudis tuè, et habitem in domo tua in longitudinem dierum ad laudem et gloriam nominis tui, Domine Deus meus. Qui vivis et regnas in sècula sèculorum. Amen. —————— (a) et] preced. da altro et depennato (b) -u- nell’interlineo (c) -n- nell’interlineo (d) cogitationes] C cogitationis —————— (1) Cfr. 2 Pt 2, 22 (2) Cfr. Ez 33, 11 (3) Ger 3, 1 (4) Mt 11, 28 (5) Ps 118, 116 (6) Ger 14, 17 (7) Cfr. Lc 13, 25 (8) Cfr. Lc 16, 25 (9) Cfr. Mt 6, 2.5.16 (10) Cfr. Mt 25, 41 —————— SALMON 1974, p. 203 (Inc. da: Borg. lat. 211). DELL’OMO 1992, pp. 348-350, n. 62 (ed. da: Casin. 442 [= C]).

Indice degli Incipit* * Lp = Libellus precum

OM = Ordo Missae

Actiones nostras, quèsumus, Domine, et aspirando (OM) 88 Agnus Dei, qui tollis (OM) 68 Altissime et piissime Deus ignosce michi misero (Lp) 94 Amator humanè salutis, benignissime et clementissime Deus (Lp) 90 Ante conspectum divinè maiestatis tuè Domine reus assisto (Lp) 97 Ante oculos tuos Domine reus conscientiè testis assisto (Lp) 98 Aufer a nobis Domine (OM) 9 Aures tuè pietatis (OM) 6 Benedicite omnia opera Domini Dominum (OM) 86 Communicantes—: quo beatè Mariè intemerata virginitas (OM) 24 quo Dominus noster Iesus Christus pro nobis est traditus (OM) 28 quo Dominus noster Unigenitus Filius tuus unitam sibi (OM) 35 quo Spiritus Sanctus Apostolis (OM) 37 quo Unigenitus tuus in tua tecum gloria (OM) 26 resurrectionis Domini nostri Iesu Christi secundum carnem (OM) 32 tuè muniamur auxilio. Per eundem Christum Dominum nostrum (OM) 54 Conscientia quidem trepida, omnipotens Deus (Lp) 92 Corpus Domini nostri Iesu Christi conservet (OM) 83 Corpus tuum, Domine, quod sumpsi (OM) 81 Credo in unum Deum (OM) 12 Deus ineffabilis et incircumscriptè naturè, institutor omnium rerum (Lp) 100

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Deus qui: humanè substantiè (OM) 16 non mortem sed pènitentiam desideras peccatorum (Lp) 91 tribus pueris mitigasti flammas (OM) 87 Deus universitatis conditor (Lp) 105 Dirigatur ad te oratio mea (OM) 19 Domine Deus benignissime (OM) 71 Domine Deus meus Iesu Christe, Fili Dei vivi, cuius pietas (Lp) 106 Domine, exaudi (OM) 5 Domine Iesu Christe: fons bonitatis et pietatis origo (Lp) 103 qui dixisti (OM) 69 Domine Iesu Christe, Fili Dei Unigenite: propitius esto michi peccatori (OM) 72 qui propter nos peccatores (Lp) 93 Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi: qui ex voluntate Patris (OM) 80 qui in cruce (OM) 17 Domine non sum dignus (OM) 75 Domine non sum dignus—sed fac—toto corde semper esse devotum—Amen (OM) 74 Domine Sancte Spiritus (OM) 73 Et ideo cum Angelis (OM) 50 Exaudi Domine supplicum (OM) 8 Exurge, Domine (OM) 3 Facturus ego peccator memoriam salutaris hostiè (Lp) 96 Fiat hèc commistio et consecratio (OM) 67 Gloria in excelsis Deo (OM) 11 Gratias tibi ago Domine, sancte Pater, omnipotens (OM) 79 Hanc igitur oblationem—: in qua Dominus noster Iesus Christus tradidit (OM) 29 iubeas grege numerari. Per Christum Dominum nostrum (OM) 55 pro his quoque quos regenerare dignatus es ex aqua (OM) 33 Hanc igitur paschalem oblationem (OM) 38 Impellit me ad ministrandi officium hostia salutaris (Lp) 95 In spiritu humilitatis (OM) 15 Incensum istud a te benedictum (OM) 18 Iudica me, Deus (OM) 7 Kyrie (OM) 2 Libera nos, quèsumus, Domine (OM) 65 Memento, Domine, famulorum—èterno Deo, vivo et vero (OM) 53 Memento etiam, Domine, famulorum (OM) 61

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Nobis quoque peccatoribus, famulis tuis (OM) 62 Offerimus tibi Domine calicem (OM) 14 Omnipotens et misericors Deus qui: de indignis (OM) 10 solus essentialiter bonus es (Lp) 99 Omnipotens mundi conditor, cui omnia subiecta sunt (Lp) 107 Omnipotens Patris Unigenite, virtus et sapientia Patris (Lp) 101 Omnipotens sempiterne Deus, qui me peccatorem (OM) 22 Pax Christi (OM) 70 Pax Domini sit semper vobiscum (OM) 66 Peccavimus ante te Deus (Lp) 104 Per omnia sècula sèculorum—: sed libera nos a malo (OM) 49 Vere dignum et iustum est èquum et salutare nos tibi semper et ubique gratias agere—Dominus Deus Sabaoth (OM) 48 Vere dignum et iustum est, èquum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere—Osanna in excelsis (OM) 51 Per quem hèc omnia, Domine, semper bona creas (OM) 63 Placeat tibi, sancta Trinitas, Deus omnipotens, obsequium (OM) 85 Post communionem sacramentorum tuorum perceptam (OM) 82 Preceptis salutaribus moniti (OM) 64 Propitius esto Domine (OM) 4 Prosit nobis ad sanctificationem (OM) 76 Quam amabilia (OM) 1 Quam oblationem tu, Deus, in omnibus (OM) 56 Qui pridie quam: pateretur (OM) 57 pro nostra et omnium salute pateretur (OM) 30 Sanguis Domini nostri Iesu Christi prosit tibi (OM) 84 Simili modo posteaquam cenatum est (OM) 58 Summe sacerdos et vere pontifex Christe Iesu (Lp) 102 Supplices te rogamus, omnipotens Deus (OM) 60 Suscipe sancta Trinitas et vera Unitas (OM) 21 Suscipe, sancte Pater, omnipotens (OM) 13 Te igitur—me delictorum offensionibus emundare (OM) 52 Tibi laus, tibi gloria (OM) 78 Unde et memores, Domine (OM) 59 Veni sanctificator omnium Sancte Spiritus (OM) 20 Verbum caro factum est (OM) 77 Vere dignum et iustum est, èquum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere (OM: giorni feriali) 48

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Vere dignum et iustum est, èquum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere (OM: giorni festivi) 51 Vere dignum: (OM: Alia [Apostolorum]) 43 (OM: Alia [Defunctorum]) 47 (OM: Apostolorum) 42 (OM: Ascensionis) 34 (OM: Cenè Domini) 28 (OM: Crucis) 39 (OM: Dedicationis ecclesiè) 45 (OM: Defunctorum) 46 (OM: Epyphaniè) 25 (OM: Nativitatis Domini) 23 (OM: Omnium Sanctorum) 44 (OM: Pentecostes) 36 (OM: Quadragesimè) 27 (OM: Resurrectionis) 31 (OM: Sanctè Mariè) 41 (OM: Trinitatis) 40

5. Bibliografia Alcuini opera 1777 = Beati Flacci Albini seu Alcuini abbatis, Caroli Magni regis ac imperatoris magistri opera, post primam editionem a viro clarissimo D. Andrea Quercetano curatam, de novo collecta, multis locis emendata, et opusculis primum repertis plurimum aucta, variisque modis illustrata cura ac studio Frobenii , S.R.I. principis et abbatis ad S. Emmeramum Ratisbonae, tomi secundi volumen primum, [Ratisbonae] 1777. AMS = R.-J. HESBERT, Antiphonale missarum sextuplex édité d’après le graduel de Monza et les antiphonaires de Rheinau, du Mont-Blandin, de Compiègne, de Corbie et de Senlis, Bruxelles 1935. ANDRIEU PR 1940 = M. ANDRIEU, Le Pontifical romain au moyen-age. II. Le pontifical de la curie romaine au XIIIe siècle, Città del Vaticano 1940 (Studi e testi, 87). API = Archivio Paleografico Italiano, fasc. 74, vol. VIII, tavv. 38-57, ed. M. PALMA, Roma 1982. BANNISTER 1913 = H. M. BANNISTER, Monumenti vaticani di paleografia musicale latina (Testo), Leipzig 1913 (Codices e Vaticanis selecti phototypice expressi, 12). BAROFFIO 1988 = B. BAROFFIO, L’Ordo Missae del Rituale Messale Vallicelliano E 62, in Traditio et progressio. Studi liturgici in onore del prof. Adrien Nocent, OSB, a cura di G. FARNEDI, Roma 1988 (Studia Anselmiana, 95 – Analecta Liturgica, 12), pp. 45-79. BAROFFIO 2003 = B. BAROFFIO, Kalendaria Italica. Inventario, in Aevum 77 (2003), pp. 449-472. BAROFFIO – DELL’ORO 1975 = B. BAROFFIO – F. DELL’ORO, L’Ordo Missae del vescovo Warmondo d’Ivrea, in Studi Medievali, s. III, 16 (1975), pp. 795-823.

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Bibliografia 1987 = Bibliografia dei manoscritti Sessoriani, ed. V. JEMOLO – M. PALMA – L. MEROLLA – F. TRASSELLI, Roma 1987 (Sussidi eruditi, 41). BONA 1753 = J. BONA, Rerum liturgicarum libri duo, novissima ed. R. SALA, III (Appendices et supplementa), Augustae Taurinorum 1753. BRAGANÇA 1971 = J. O. BRAGANÇA, O Ordo Missae de Reichenau, in Didaskalia 1 (1971), pp. 137-161. BRANCHI 2011 = M. BRANCHI, Lo scriptorium e la biblioteca di Nonantola. Presentazione di G. Zanichelli, Modena 2011 (Centro Studi Nonantolani. Biblioteca, 49). BROWN 1980 vd. LOEW [LOWE] 1914 (II ed. BROWN 1980). BROWN 1984 = V. BROWN, A New Beneventan Calendar from Naples: The Lost ‘Kalendarium Tutinianum’ Rediscovered, in Mediaeval Studies 46 (1984), pp. 385-449: rist. in BROWN 2005, pp. 275-346 e tavv. 29-42 alle pp. 347-360. BROWN 1989 = V. BROWN, Flores Psalmorum and orationes psalmodicae in Beneventan Script, in Mediaeval Studies 51 (1989), pp. 424-466: rist. in BROWN 2005, pp. 549-607. BROWN 1998a = V. BROWN, Early Evidence for the Beneventan Missal: Palimpsest Texts (saec. X/XI) in Montecassino 271, in Mediaeval Studies 60 (1998), pp. 239306: rist. in BROWN 2005, pp. 65-145. BROWN 1998b = Scheda n. 38 (Casin. 127), in I Fiori e’ Frutti santi 1998, pp. 154156. BROWN 1999 = V. BROWN, Origine et provenance des manuscrits bénéventains conservés à la Bibliothèque capitulaire, in La cathédrale de Bénévent, sous la direction de T. F. KELLY, Gand-Amsterdam 1999, pp. 149-165: rist. (tr. ingl.) in BROWN 2005, pp. 663-697. BROWN 2003= V. BROWN, Il messale medievale e le ‘Missae votivae’: esempi di pratica monastica in area beneventana, in Il monaco il libro la biblioteca 2003, pp. 119153. BROWN 2005 = V. BROWN, Terra Sancti Benedicti. Studies in the Palaeography, History and Liturgy of Medieval Southern Italy, Roma 2005 (Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, 219). BROWN 2006 = V. BROWN, E.A. Lowe and the Making of The Beneventan Script, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 27-89. Chronica 1980 = Chronica monasterii Casinensis, hg. von H. HOFFMANN, Hannover 1980 (Monumenta Germaniae Historica. Scriptores, 34). Classica et Beneventana 2008 = Classica et Beneventana. Essays Presented to Virginia Brown on the Occasion of her 65th Birthday. Edited by F. T. COULSON and A. A. GROTANS, Turnhout 2008 (Textes et Études du Moyen Âge, 36). CLLA = K. GAMBER, Codices Liturgici Latini Antiquiores, secunda ed. aucta, pars I-II, Freiburg 1968 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 1). CLLA Suppl. = K. GAMBER, Codices Liturgici Latini Antiquiores. Supplementum. Ergänzungs-und Registerband unter Mitarbeit von B. BAROFFIO, F. DELL’ORO, A. HÄNGGI, J. JANINI, A. M. TRIACCA, Freiburg 1988 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 1a). CO I = Corpus orationum, I. A-C, Orationes 1-880, inchoante E. MOELLER †, subse-

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quente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1992 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160). CO II = Corpus orationum, II. D, Pars prima, Orationes 881-1707, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1993 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 A). CO III = Corpus orationum, III. D, Pars altera, Orationes 1708-2389, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1993 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 B). CO IV = Corpus orationum, IV. E-H, Orationes 2390-3028, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1994 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 C). CO V = Corpus orationum, V. I-O, Orationes 3029-3699, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1994 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 D). CO VI = Corpus orationum, VI. O-P, Orationes 3700-4334, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1995 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 E). CO VII = Corpus orationum, VII. P-Q, Orationes 4335-4954, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1995 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 F). CO VIII = Corpus orationum, VIII. R-S, Orationes 4955-5538, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1996 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 G). CO IX = Corpus orationum, IX. S-V, Orationes 5539-6121, inchoante E. MOELLER †, subsequente I. M. CLÉMENT †, totum opus perfecit B. COPPIETERS’T WALLANT, Turnholti 1996 (Corpus Christianorum. Series Latina, 160 H). CP (Q-V) = Corpus praefationum. Textus (Q-V), cura et studio E. MOELLER, Turnholti 1980 (Corpus Christianorum. Series Latina, 161 C). CSEL 89 = Soliloquiorum libri duo, ed. W. HÖRMANN, in Sancti Aurelii Augustini opera, sect. I pars IV, Vindobonae 1986 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 89), pp. 1-98. DARRAGON 1991 = B. DARRAGON, Répertoire des pièces euchologiques citées dans le De antiquis Ecclesiae ritibus de Dom Martène, Roma 1991 (Bibliotheca Ephemerides Liturgicae. Subsidia, 57). DD = J. DESHUSSES – B. DARRAGON: Concordances et tableaux pour l’étude des grands sacramentaires, I. Concordances des pièces, Fribourg 1982 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 9); Concordances et tableaux pour l’étude des grands sacramentaires, II. Tableaux synoptiques, Fribourg 1982 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 10); Concordances et tableaux pour l’étude des grands sacramentaires, III. 1-4. Concordance verbal, A-D, E-L, M-P, Q-Z, Fribourg 1982-1983 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 11-14). DELL’OMO 1992 = M. DELL’OMO, Cultura liturgica e preghiera a Montecassino negli anni dell’abate Desiderio (1058-1087) (con una giunta sulla raccolta di preghiere del cod. Casin. 442), in L’età dell’abate Desiderio, III, 1. Storia arte e cultura. Atti del IV Convegno di studi sul medioevo meridionale, Montecassino-Cassino, 4-8

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ottobre 1987, a cura di F. AVAGLIANO – O. PECERE, Montecassino 1992 (Miscellanea Cassinese, 67), pp. 279-361. DELL’OMO 1995 = M. DELL’OMO, Note su un manoscritto liturgico in beneventana di origine cassinese (Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 585), in Ecclesia Orans. Periodica de Scientiis Liturgicis cura Facultatis Sacrae Liturgiae in Pontificio Athenaeo Anselmiano de Urbe 12 (1995), pp. 279-309. DELL’OMO 2003a = M. DELL’OMO, Il più antico libellus precum in scrittura beneventana (Cod. Casin. 575, già Misc. T. XLV). Un testimone di rapporti tra Nonantola e Montecassino nel secolo IX, in Revue Bénédictine 113 (2003), pp. 235-284. DELL’OMO 2003b = M. DELL’OMO, Liturgia della memoria a Montecassino: il ‘libro dell’ufficio del capitolo’ nel codice Casin. 47, in Il monaco il libro la biblioteca 2003, pp. 155-167. DELL’OMO 2005 = M. DELL’OMO, Leone Marsicano (Leone Ostiense), in Dizionario biografico degli Italiani, 64, Roma 2005, pp. 552-557. DELL’OMO 2008a = M. DELL’OMO, Litaniae sanctorum, Libellus precum, Ordo Missae di S. Vincenzo al Volturno (Biblioteca Apostolica Vaticana Chig. D V 77), in Mediaeval Studies 70 (2008), pp. 203-274 e tavv. 1-2. DELL’OMO 2008b = M. DELL’OMO, Nel raggio di Montecassino. Il libellus precum di S. Domenico di Sora (Vat. Reg. lat. 334), in Classica et Beneventana 2008, pp. 235-291. DELL’OMO 2013 = M. DELL’OMO, I Libelli precum in beneventana, in Libri e testi 2013, pp. 213-229 e figg. 1-8 alle pp. 230-237. DELL’ORO 1999 = F. DELL’ORO, L’“Ordo ad Missam celebrandam secundum consuetudinem Romane Ecclesie” della Biblioteca Capitolare di Trento, in In factis mysterium legere. Miscellanea di studi in onore di Iginio Rogger in occasione del suo ottantesimo compleanno, a cura di E. CURZEL, Bologna 1999, pp. 333-357. DELL’ORO 2002 = F. DELL’ORO, Un Ordo Missae medievale proveniente dalla “Ecclesia S. Antoni extra muros” in Como, in Actuosa participatio. Conoscere, comprendere e vivere la Liturgia. Studi in onore del Prof. Domenico Sartore, csj, a cura di A. MONTAN – M. SODI, Città del Vaticano 2002, pp. 205-220. DELL’ORO – BAROFFIO 1981 = F. DELL’ORO – B. BAROFFIO, Un “Ordo Missae” monastico del secolo XI, in Mysterion. Nella celebrazione del Mistero di Cristo la vita della Chiesa. Miscellanea liturgica in occasione dei 70 anni dell’Abate Salvatore Marsili, Torino 1981 (Quaderni di Rivista Liturgica, n.s., 5), pp. 591-641. DESHUSSES 1992 = J. DESHUSSES, Le sacramentaire grégorien. Ses principales formes d’après les plus anciens manuscrits, I. Le sacramentaire, le supplément d’Aniane. Troisième édition revue et corrigée, Fribourg 1992 (Spicilegium Friburgense, 16). DUVAL-ARNOULD 1981 = L. DUVAL-ARNOULD, Un missel du Mont-Cassin chez les chanoines du Saint-Sauveur de Bologne (Vat. lat. 6082), in Rivista di storia della Chiesa in Italia 35 (1981), pp. 450-455. EBNER 1896 = A. EBNER, Quellen und Forschungen zur Geschichte und Kunstgeschichte des Missale Romanum in Mittelalter. Iter Italicum, Freiburg im Breisgau 1896. ELBA 2009 = E. ELBA, Between Southern Italy and Dalmatia. Missal MR 166 of the

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Zagreb Metropolitanska Knjiànica, in Zograf. A Journal of Medieval Art 33 (2009), pp. 63-73. ELBA 2011 = E. ELBA, Miniatura in Dalmazia. I codici in beneventana (XI-XIII secolo). Presentazioni M. S. Calò Mariani, G. Orofino, Galatina 2011 (Università degli Studi di Bari. Dottorato di ricerca in Storia dell’arte comparata, civiltà e culture dei paesi mediterranei, 2). ELBA 2013 = E. ELBA, I Messali ‘votivi’ in beneventana: funzione, struttura, decorazione, in Libri e testi 2013, pp. 261-283 e figg. 1-20 alle pp. 284-301. ENZENSBERGER 1971 = H. ENZENSBERGER, Borgia, Stefano, in Dizionario biografico degli Italiani, 12, Roma 1971, pp. 739-742. FAGIOLI VERCELLONE 1995 = G. G. FAGIOLI VERCELLONE, Federici, Placido, in Dizionario biografico degli Italiani, 45, Roma 1995, pp. 649-652. FEDELE 1910a = P. FEDELE, Un codice autografo di Leone Ostiense con due documenti veliterni del sec. XII, in Bullettino dell’Istituto Storico Italiano 31 (1910), pp. 7-26 e tavv. I-II. FEDELE 1910b = P. FEDELE, L’“Exultet” di Velletri, in Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École française de Rome 30 (1910), pp. 313-315. FIALA 1947 = V. FIALA, Der Ordo Missae im Vollmissale des Cod. Vat. lat. 6082 aus dem Ende des 11. Jahrhunderts, in Zeugnis des Geistes. Gabe zum BenedictusJubilaeum 547-1947, dargeboten von der Erzabtei Beuron. Beiheft zum XXIII. Jahrgang der Benediktinischen Monatschrift, Beuron 1947, pp. 180-224. FLACIUS ILLYRICUS 1557 = Missa Latina, quae olim ante Romanam circa 700. Domini annum in usu fuit, bona fide ex vetusto authenticoque codice descripta, [ed. M. FLACIUS ILLYRICUS], Argentinae excudebat Christianus Mylius, 1557. FRANZ I 1909 = A. FRANZ, Die kirchlichen Benediktionen im Mittelalter, I, Freiburg im Breisgau 1909. FRIEDBERG II 1881 = Corpus Iuris Canonici editio Lipsiensis secunda post Aemilii Ludovici Richteri … instruxit AE. FRIEDBERG, Pars secunda: Decretalium collectiones, Lipsiae 1881. GAMBER – REHLE 1977 = K. GAMBER – S. REHLE, Manuale Casinense (Cod. Ottob. lat. 145), Regensburg 1977 (Textus patristici et liturgici, 13). Graduale 1961 = Graduale sacrosanctae Romanae Ecclesiae de tempore et de sanctis SS. D. N. Pii X. pontificis maximi iussu restitutum et editum ad exemplar editionis typicae concinnatum et rhythmicis signis a Solesmensibus monachis diligenter ornatum, Parisiis – Tornaci – Romae – Neo Eboraci 1961. Guida a una descrizione 1990 = Guida a una descrizione uniforme dei manoscritti e al loro censimento, a cura di V. JEMOLO e M. MORELLI (contributi di B. BAROFFIO, M. GENTILI TEDESCHI, V. PACE), Roma 1990. GYUG 2008 = R. F. GYUG, From Beneventan to Gothic: Continuity and Change in Southern Italian Liturgical Ceremonies, in Classica et Beneventana 2008, pp. 293-310. HÄNGGI – LADNER 1994 = A. HÄNGGI – P. LADNER, Missale Basileense saec. XI. Textband, Freiburg 1994 (Spicilegium Friburgense, 35 A). HÄNGGI – LADNER 1994, Faksimileband = A. HÄNGGI – P. LADNER, Missale Basileense saec. XI (Codex Gressly). Faksimileband. Mit einem Beitrag von M. LUTOLF, Die Gesänge im Codex Gressly, Freiburg 1994 (Spicilegium Friburgense, 35 B).

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HOFFMANN 1965 = H. HOFFMANN, Der Kalender des Leo Marsicanus, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 21 (1965), pp. 82-148. HOFFMANN 1972 = H. HOFFMANN, Chronik und Urkunde in Montecassino, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 51 (1972), pp. 93-205. HOFFMANN 1973 = H. HOFFMANN, Studien zur Chronik von Montecassino, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 29 (1973), pp. 59-162. HÜLS 1977 = R. HÜLS, Kardinäle, Klerus und Kirchen Roms, 1049-1130, Tübingen 1977 (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 48). I Fiori e’ Frutti santi 1998 = I Fiori e’ Frutti santi. S. Benedetto, la Regola, la santità nelle testimonianze dei manoscritti cassinesi. Catalogo della mostra, Montecassino 10 luglio – 31 ottobre 1998, a cura di M. DELL’OMO, Milano 1998. Il monaco il libro la biblioteca 2003 = Il monaco il libro la biblioteca. Atti del Convegno, Cassino-Montecassino, 5-8 settembre 2000, a cura di O. PECERE, Cassino 2003. INGUANEZ 1923 = M. INGUANEZ, Codicum Casinensium manuscriptorum catalogus, Codd. 101-200, I/2, Montis Casini 1923. KELLY 2008 = T. F. KELLY, The Ordinal of Montecassino and Benevento. Breviarium sive Ordo officiorum 11th Century, Fribourg 2008 (Spicilegium Friburgense, 45). KNIEWALD 1956 = C. KNIEWALD, Ordo et canon Missae e missali S. Sabinae MR 166 saec. XI, in Ephemerides Liturgicae 70 (1956), pp. 325-337. Le Liber Censuum 1910 = Le Liber Censuum de l’Église Romaine, I, ed. P. FABRE – L. DUCHESNE, Paris 1910. LECCISOTTI 1965 = T. LECCISOTTI, Lo storico di Pomposa d. Placido Federici (17391785), in Analecta Pomposiana 1 (1965), pp. 377-412. LEMARIÉ 1978 = J. LEMARIÉ, Le Pontifical d’Hugues de Salins, son Ordo Missae et son Libellus precum, in Studi Medievali, III s., 19 (1978), pp. 363-425. LENTINI 1952 = A. LENTINI, Alberico di Montecassino nel quadro della Riforma Gregoriana, in Studi Gregoriani 4 (1952), pp. 55-109. LENTINI 1970 = A. LENTINI, Litanie di santi e orazioni salmiche in codici cassinesi del secolo XI, in Benedictina 17 (1970), pp. 13-29. LENTINI 1988 = A. LENTINI, Medioevo letterario cassinese. Scritti vari, a cura di F. AVAGLIANO, Montecassino 1988 (Miscellanea Cassinese, 57). LEROQUAIS 1927 = V. LEROQUAIS, L’Ordo Missae du sacramentaire d’Amiens, Paris, Bibl. nat. ms. lat., 9432 (IXe s.), in Ephemerides Liturgicae 41 (1927), pp. 435-445. Libri e testi 2013 = Libri e testi. Lavori in corso a Cassino. Atti del Seminario internazionale Cassino, 30-31 gennaio 2012, a cura di R. CASAVECCHIA – P. DE PAOLIS – M. MANIACI – G. OROFINO, Cassino 2013 (Studi e ricerche del Dipartimento di Lettere e Filosofia, 6). LOEW [LOWE] 1908 = E. A. LOEW [LOWE], Die ältesten Kalendarien aus Monte Cassino, München 1908 (Quellen und Untersuchungen zur lateinischen Philologie des Mittelalters, III. Band, 3. Heft). LOEW [LOWE] 1914 (II ed. BROWN 1980) = E. A. LOEW [LOWE], The Beneventan Script. A History of the South Italian Minuscule. Second Edition prepared and enlarged by V. BROWN: I. Text; II. Hand List of Beneventan Mss., Roma 1980 (Sussidi eruditi, 33-34) [I ed.: Oxford 1914].

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LOWE 1929 = Scriptura Beneventana. Facsimiles of South Italian and Dalmatian Manuscripts from the Sixth to the Fourteenth Century, by E. A. LOWE, I-II, Oxford 1929. MALLET – THIBAUT II/III 1997 = J. MALLET – A. THIBAUT: Les manuscrits en écriture bénéventaine de la Bibliothèque Capitulaire de Bénévent, II. Manuscrits 1923, 25-31, 33-40, 43, 44, 66, 68 et fragments. Formulaires liturgiques (messes), Paris-Turnhout 1997 (Documents, études et répertoires publiés par l’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes); Les manuscrits en écriture bénéventaine de la Bibliothèque Capitulaire de Bénévent, III. Formulaires liturgiques (offices). Tables et index, Paris-Turnhout 1997 (Documents, études et répertoires publiés par l’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes). MARTÈNE 1706 = E. MARTÈNE, Tractatus de antiqua Ecclesiae disciplina in divinis celebrandis officiis, Lugduni 1706. MARTÈNE I 1736 = E. MARTÈNE, De antiquis Ecclesiae ritibus: per le diverse ed. di quest’opera (Rotomagi 1700-1702; Antuerpiae 1736-1738; Bassani – Venetiis 1763-1788), cfr. MARTIMORT 1978; per le citazioni si fa riferimento al tomo I della seconda edizione (Antuerpiae 1736). MARTIMORT 1978 = A.-G. MARTIMORT, La documentation liturgique de Dom Edmond Martène. Étude codicologique, Città del Vaticano 1978 (Studi e testi, 279). MR = Missale Ragusinum. The Missal of Dubrovnik (Oxford, Bodleian Library, Canon. Liturg. 342). Edited with an Introductory Study by R. F. GYUG, Toronto 1990 (Monumenta Liturgica Beneventana, 1). NEWTON 1979 = F. NEWTON, Leo Marsicanus and the Dedicatory Text and Drawing in Monte Cassino 99, in Scriptorium 33 (1979), pp. 181-205. NEWTON 1999 = F. NEWTON, The Scriptorium and Library at Monte Cassino, 10581105, Cambridge 1999 (Cambridge Studies in Palaeography and Codicology, 7). NOCENT 1972 = A. NOCENT, Un missel plénier de la Bibliothèque Vallicelliana, in Mélanges liturgiques offerts au R. P. Dom Bernard Botte O.S.B. de l’abbaye du Mont César à l’occasion du cinquantième anniversaire de son ordination sacerdotale (4 juin 1972), Louvain 1972, pp. 417-427. ODERMATT 1980 = A. ODERMATT, Ein Rituale in beneventanischer Schrift, Roma, Biblioteca Vallicelliana, Cod. C 32, Ende des 11. Jahrhunderts, Freiburg 1980 (Spicilegium Friburgense, 26). PACE 1994 = V. PACE, Velletri, Archivio Diocesano, Exultet, in Exultet. Rotoli liturgici del medioevo meridionale, direzione scientifica G. CAVALLO, coordinamento G. OROFINO, O. PECERE, Roma 1994, pp. 265-267 e tavv. alle pp. 253-264. PIERCE – ROMANO 2011 = J. M. PIERCE – J. F. ROMANO, The Ordo Missae of the Roman Rite. Historical Background, in A Commentary on the Order of Mass of The Roman Missal, ed. E. FOLEY – J. F. BALDOVIN – M. COLLINS – J. M. PIERCE, Collegeville 2011, pp. 3-33. PL 32 = Patrologiae cursus completus. Series Latina, vol. 32, accurante J.-P. MIGNE, Parisiis 1841. PL 78 = Patrologiae cursus completus. Series Latina, vol. 78, accurante J.-P. MIGNE, Parisiis 1849. PL 101 = Patrologiae cursus completus. Series Latina, vol. 101, accurante J.-P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1851.

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PL 138 = Patrologiae cursus completus. Series Latina, vol. 138, accurante J.-P. MIGNE, Lutetiae Parisiorum 1853. RASMUSSEN 1984 = N. K. RASMUSSEN, An Early Ordo Missae with a Litania Abecedaria addressed to Christ (Rome, Bibl. Vallicelliana, Cod. B. 141, XI. Cent.), in Ephemerides Liturgicae 98 (1984), pp. 198-211. Regesto di S. Angelo in Formis 1925 = Regesto di S. Angelo in Formis, a cura di M. INGUANEZ, Montecassino 1925. REHLE 1972-1973 = S. REHLE, Missale Beneventanum (Codex VI 33 des Erzbischöflichen Archivs von Benevent), in Sacris Erudiri 21 (1972-1973), pp. 323-405. Repertorium 1997 = Repertorium Fontium Historiae Medii Aevi, VII. Fontes: L-M, Romae 1997. REYNOLDS 2012 = R. E. REYNOLDS, Liturgical Legislation and Musicians in the Early Medieval Canon Law Collections of Montecassino, in Musica e liturgia a Montecassino nel medioevo. Atti del Simposio internazionale di studi (Cassino, 9-10 dicembre 2010), a cura di N. TANGARI, Roma 2012, pp. 169-188. RITZLER – SEFRIN 1958 = R. RITZLER – P. SEFRIN, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, VI. 1730-1799, Patavii 1958. SALMON 1971= P. SALMON, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, IV. Les livres de lectures de l’office. Les livres de l’office du chapitre. Les livres d’heures, Città del Vaticano 1971 (Studi e testi, 267). SALMON 1974 = P. SALMON, Analecta liturgica. Extraits des manuscrits liturgiques de la Bibliothèque Vaticane. Contribution à l’histoire de la prière chrétienne, Città del Vaticano 1974 (Studi e testi, 273). SALMON 1977 = P. SALMON, Un “Libellus officialis” du XIe siècle, in Revue Bénédictine 87 (1977), pp. 257-288. SALVINI 1933 = A. SALVINI, Manuale precum sancti Ioannis Gualberti Vallisumbrosae fundatoris, Romae 1933. SPECIALE 1991 = L. SPECIALE, Montecassino e la riforma gregoriana. L’Exultet Vat. Barb. Lat. 592, Roma 1991 (Studi di arte medievale, 3). Stefano Borgia 2006 = Stefano Borgia: uomo dalle idee nuove, a cura di R. LANGELLA, Velletri 2006. SUPINO MARTINI 1987 = P. SUPINO MARTINI, Roma e l’area grafica romanesca (secoli X-XII), Alessandria 1987 (Biblioteca di Scrittura e civiltà, 1). TOUBERT 1971 = H. TOUBERT, Le Bréviaire d’Oderisius (Paris, Bibliothèque Mazarine, ms. 364) et les influences byzantines au Mont-Cassin, in Mélanges de l’École française de Rome 83 (1971), pp. 187-261: rist. in TOUBERT 1990, pp. 311-362. TOUBERT 1990 = H. TOUBERT, Un art dirigé. Réforme grégorienne et iconographie, Paris 1990. VOGEL – ELZE PRG I 1963 = C. VOGEL – R. ELZE, Le Pontifical romano-germanique du dixième siècle. Le texte, I (nn. I-XCVIII). Avec utilisation des collations laissées par Mgr. M. Andrieu (†1956), Città del Vaticano 1963 (Studi e testi, 226). VOGEL – ELZE PRG II 1963 = C. VOGEL – R. ELZE, Le Pontifical romano-germanique du dixième siècle. Le texte, II (nn. XCIX-CCLVIII). Avec utilisation des collations laissées par Mgr. M. Andrieu (†1956), Città del Vaticano 1963 (Studi e testi, 227). WALDHOFF 2003 = S. WALDHOFF, Alcuins Gebetbuch für Karl den Großen. Seine

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Rekonstruktion und seine Stellung in der frühmittelalterlichen Geschichte der libelli precum, Münster 2003 (Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen, 89). WILMART 1932 = Auteurs spirituels et textes dévots du moyen age latin. Études d’histoire littéraire, Paris 1932: VII. L’Oratio Sancti Ambrosii du Missel Romain, pp. 101-125 (già in Revue Bénédictine 39 [1927], pp. 317-339). WILMART 1935 = A. WILMART, Un livret de prières provenant de la chartreuse de Trisulti, in Ephemerides Liturgicae 49 (1935), pp. 28-45. WILMART 1936 = A. WILMART, Le manuel de prières de saint Jean Gualbert, in Revue Bénédictine 48 (1936), pp. 259-299. WITCZAK 1999 = M. G. WITCZAK, St. Gall Mass Orders (I): Ms. Sangallensis 338. Searching for the Origins of the Rhenish Mass Order, in Ecclesia Orans. Periodica de Scientiis Liturgicis cura Facultatis Sacrae Liturgiae in Pontificio Athenaeo Anselmiano de Urbe 16 (1999), pp. 393-410.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Borg. lat. 211, ff. 49v-50r.

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ABITI LITURGICI, CURIALI E RELIGIOSI IN UNA RACCOLTA (1699 CA.) DI ACQUERELLI DEL FRANCESCANO ANGELO MARIA DA BOLOGNA (VAT. LAT. 10998) Il fondo Vaticano latino conserva, sotto la segnatura Vat. lat. 10998, un codice tardo-secentesco che, allo stato attuale della ricerca, è l’unico testimone di una raccolta riccamente illustrata di Habiti soliti ad usarsi nella Corte Romana delineati da F. Angelo Maria da Bologna minore osservante. Per uso della Libraria del Convento della Nunciata di Bologna1. Fondato nel 1475, il convento dell’Annunziata è sito fuori Porta San Mammolo e diviene Studio Generale dell’Ordine a partire dal 15412. La libraria è attualmente una delle tre sedi in cui si articola la Biblioteca Provinciale dei Frati minori dell’Emilia3. Le notizie sull’autore/illustratore sono per ora incerte, dato che in ambito francescano nel XVII-XVIII secolo sono attivi diversi religiosi dal nome di Angelo Maria da Bologna: ad esempio un “Pr. Fr. Angelus Maria a Bononia sacerdos” annoverato nel 1623 tra i “Fratres de Familia ad Reformam acceptati”4; o ancora un p. Angelo Maria da Bologna eletto presidente del Capitolo provinciale dei Frati minori, a S. Maria di Quinzano (Brescia) il 9 febbraio 16785. Il codice si articola in tre parti dedicate, rispettivamente, agli abiti di Curia (Habiti soliti ad usarsi 1

G. B. BORINO, Codices Vaticani Latini. Codices 10876-11000, Città del Vaticano 1955, p. 308. 2 Sulla fondazione del Convento dell’Annunziata: Memorie storiche della provincia de’ minori osservanti detta di Bologna raccolte da padre F. Fernando di Bologna divise in tre parti. Consagrate al merito sublime del M.R. Padre Luca di Carpi lettore giubilato già ministro proncinciale della medesima e Teologo del Serenissimo di Modana, Bologna 1717, pp. 11-14. R. H. MOORMAN, Medieval Franciscan Houses, New York 1983, p. 79; si reperiscono notizie sulla sua storia anche nel sito dei frati minori di Bologna: http://www.fratiminorier.it/provbologna. php?id=3&prov=4&chiesa=3#storia 3 L’antica libraria ospita ora la Biblioteca Francescana “P. Benvenuto Bughetti”. 4 Atti Ufficiali della Provincia riformata francescana di Bologna, a cura di S. CELLI – D. GUIDARINI – G. MONTORSI, I (1597-1830), Bologna 1993, p. 70. 5 Acta Capitulorum et Congregationum ab anno 1626 ad annum 1798, custoditi nell’Archivio della Provincia dei frati Minori di Milano e riportati da P. M. SEVESI, I vicari e i ministri provinciali della Provincia Bresciana dei Frati Minori della Regolare Osservanza: Serie dei Ministri Provinciali dal 1626 al 1810, in Brixia Sacra. Bollettino bimestale di studi e documenti per la storia ecclesiastica bresciana, Brescia 1914, p. 166. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 291-317.

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nella Corte Romana, che dà il titolo all’intera raccolta), degli ordini religiosi maschili (Origine delle Religioni, et Habiti, che si usano dà Religiosi di esse) e degli ordini religiosi femminili (Habiti, che per l’ordinario usano le monache di varij Ordini). Ognuna delle tre parti, introdotta da stanze in rima che ne dichiarano il contenuto, comprende tavole acquerellate corredate di didascalie relative alle particolarità dell’abito raffigurato, o alla storia dell’ordine e della congregazione che lo ha adottato. [PARTE I] (ff. 2r-90r) Habiti soliti ad usarsi nella Corte Romana 83 tavole Stanze introduttive (ff. 2r-6r): “Descrittione di tutti li Personaggi Compresi nel seguente Sonetto6” (f. 2r) È un gran Teatro la Corte Romana/Di Personaggi, ch’hanno la divisa/Di forma, e di color in varia guisa,/ Chi di seta, di lino, e chi di lana./ E prima il Papa porta la Sottana/ Di Seta, ò lana bianca detta Frisa,/ E quando stà la Santità sua assisa,/ Si vede in lui la Maestà Sovrana./ Un Rocchetto sottil sopra di quella,/ Di Cremesin’ Veluto una Mozzetta,/ Con fodra d’Armellin candida, e bella./ In capo un’ berettin’, ò sia beretta,/ Ornato d’Armellino per cordella:/ Le Scarpe rosse, con una crocetta./ E quand’esce in Seggetta,/ Porta la Stola al Collo, & il Capello,/ E và benedicendo quest’, e quello./ Riesce più vago, e bello,/ In Capella sul Tron’ Pontificale,/ Portand’all’or la Mitra & il Piviale./ A’ questo poi prevale,/ Quand’in Pontifical và à celebrare,/ Veder quant’ornamenti suol portare./ Si comincij à contare;/ La longa falda di bianc’ormesino,/ Cintale pria di porle il Berettino./ Poi si pone in camino,/ E gionto in Chiesa sono preparati,/ Per ornarlo con pompa gl’Apparati,/ Che portan separati./ Prima l’Amitto, Camice, e Cordone,/ Il Succintorio, la Croce, e il Fanone;/ La Stola giù pendone,/ Tunicella, Dalmatica, e li Guanti,/ La Pianeta, e la Mitra con Diamanti,/ Altre Gioie brillanti. (f. 2v) Un Sotto Diacon Greco, & un Latino/ Assistono con gl’occhi, e capo chino/ Al Minister Divino:/ Un Diacon Cardinal, e un Diacon greco,/ Per cantar’ gl’Evangelij sono seco;/ Mà osservate meco;/ Li Diacon Cardinal primo, e secondo,/ À porre il Palio al Papa, e poi in fondo,/ Con un Spillone tondo,/ Nella Schiena, nel Petto, e Spalla destra,/ Dal Diacono Latin se le sequestra./ Il dire Omnes extra/ Si dice, quand’il Papa in Concistoro,/ Siede de Cardinali in mezzo al Choro;/ Dove ciascun di loro/ Le dice nell’orrecchio il suo parere/ Ascoltati da lui, com’è il dovere./ E qui è da sapere,/ Che veste con quell’habito già detto,/ Di Sottana, e Mozzetta con Rocchetto./ Tall’hora il Fazzoletto./ Al Coll’ la Stola, e in capo il Berettino;/ Sempre sedendo sotto il Baldachino./ L’Inverno il poverino/ Per difesa del freddo suol usare/ Zimarra bianca in Camera portare./ Quando non hà, che fare/ Esce alle volte fuori 6 Nelle trascrizioni dei componimenti poetici introduttivi e delle didascalie si rispetta la grafia del testo originale, di cui si riportano anche gli errori e le oscillazioni grafiche.

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in forma varia,/ Sù la Chinea, ò à piedi à pigliar aria./ È vero, che non svaria/ L’Habito usato, e sempre per honore,/ Và à accompagnarlo qualche Monsignore./ Anzi quand’hà l’humore,/ Piglia de Cardinali in compagnia,/ Coi qual và discorrendo per la via./ Nella funzione pia,/ Che fà il Giovedì Santo del Mandato,/ Porta il Zinal sul Camice legato:/ In tale guisa ornato,/ Benedicendo gl’Agnus Dei Pasquali,/ Coll’assistenza di due Cardinali,/ Che tengono i Zenali, (f. 3r) Legati su la rossa manteletta,/ Con Parato morell’ nell’antedetta./ Non porta la beretta/ La Settimana Santa al Mattutino,/ Mà il Capuccio alla Cappa cremesino./ Sotto del Baldacchino,/ Il dì del Corpo sempre in ginocchione,/ Il Santissimo porta in Processione./ Con molta devotione/ Gl’otto giorni di Pasqua usa portare/ L’habito bianco senza mai variare./ Ancor’è da notare,/ Due Domeniche in Sedia gestatoria,/ Colla Mitra, e Pivial segno di gloria,/ O vero di Vittoria,/ Che sono del Gaudete, e del Laetare,/ Con Rosa d’oro in man si fa portare,/ Che poi manda à donare/ À un Prencipe Christian, ò Gran Signore,/ Dal qual viene stimato à grand’honore./ Parliam’ d’altro tenore:/ De Cardinali adesso hò dà parlare,/ Che varietà di Vesti usan portare./ Ne vi è da dubitare,/ Che l’ordinario loro è la Mozzetta,/ La Sottana, il Rocchetto, e la Beretta./ Usan la Manteletta./ Quando son dov’il Papa si ritrova;/ Di soggettion tal’habito è la prova./ E spesso si rinova/ In rosso, ò pavonazzo, all’occasioni,/ Come diverse son’ l’obligationi./ Usan nelle funtioni,/ Portar la Cappa magna colorita,/ Conform’ haver si trovan le Vestita/ Si stia sù l’avvertita,/ Che Pavonazza in Concistoro l’hanno,/ Se ben d’altro color l’habito havranno./ S’avverta quando stanno/ In Capella, il Gaudete, et il Laetare,/ Che Pavonazza ancor l’usan portare;/ Perche non hà che fare, (f. 3v) Se veston’ Rosa secca que’ due dì,/ Però la Cappa non portan’ così./ Ma’ non si ferma qui,/ Il modo di vestir, ch’usano questi,/ Che devono avvertir, ed’ esser lesti,/ E fare, che s’appresti/ L’Habito all’occorrenze à proportione/ Del color, che richiede la funtione./ Come nell’occasione,/ Di visitare qualche Cardinale,/ L’Habito sempre dev’eßer eguale./ Quest’è punto essenziale,/ À Regij Ambasciator, anch’all’Altezze,/ Al par de Cardinal tali finezze./ E senza far gravezze/ Agl’altri, il Feraiuol, Vest’e Mozzetta,/ In casa, senza il primo, la beretta./ Ma’ non habbiate fretta,/ Andiamo nel Conclave, per vedere,/ I Cardinali con Croccia à sedere./ Ne posso qui tacere;/ Discorrer devo delle Cavalcate,/ Dove sù Mulla van certe giornate;/ E d’Inverno, e d’Estate/ In capo col Capell’ Pontificale,/ Sopra il Capuccio di color eguale,/ In forma trionfale./ Si vedono tall’hora à passeggiare,/ Con Feraiuol, Zimarra caminare,/ E il Capello portare,/ Il Feraiuol però esser suole,/ Di quel color, che la giornata vuole,/ O rosso, ò di viole./ Quando cognito in viaggio vuol’ andare,/ Habito corto sempre suol usare,/ E costuma portare/ Corto Mantell’, Sottanell’, e Mozzetta,/ Con il Capello, e in mano una Muletta,/ Over’ una Ferletta./ S’incognito lui poi vuole viaggiare,/ In nero il Vestimento dee cangiare,/ Ne la Mozzetta usare; (f. 4r) Mà rosse le Calzette, e il Berettino,/ E al Capell’ nero d’oro un cordonzino,/ E in mano un bastonzino./ Hò lasciato il più bell’, e l’essenziale,/ Che quand’il Papa celebra in Pontificale,/ Usa ogni Cardinale,/ Vescovo, Prete, ò Diacono, che sia,/ Sul Rocchetto l’Amitto poner pria;/ E preparato stia/ Col Piviale, ò Pianeta, ò Tunicella,/ Con Mitra di Damasco bianca, e bella./ Così stan’ in Capella./ Vi vanno pur li Patriarchi stessi,/ Gl’Arcivescovi, e Vescovi ancor essi,/ Vestono più dimes-

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si,/ Che portan’ il Pivial sopr’il Rocchetto,/ E la Mitra senz’or di Renso schietto./ Seguitiam il soggetto;/ L’Habito pavonazzo è il loro usato,/ Si come porta quasi ogni Prelato./ Sol è differenziato,/ Ch’un cordon verde porta nel Capello,/ E sempre in deto portano l’anello./ Bisogna stij in cervello,/ Per non smarrir di loro l’altre vesti,/ Perche informato ben ogn’uno resti./ Ne sciocco mi dicesti./ In Roma usan’ Sottana, e Manteletta,/ E sempre haver con loro la Beretta,/ Mà non già la Moz[z] etta,/ Il Rocchetto bensì, mà è d’avvertire,/ Con essi per Città non posson’ gire,/ Mà lo posson vestire,/ Nelle Funzioni, e Visite, che fanno/ À Personaggi grandi, anch’al Sovrano;/ Ne ciò vi paia strano:/ Nelle Diocesi lor posson portare/ Il Rocchetto, Mozzetta, e ancor andare,/ E parimenti usare/ La Cappa magna pur alle funzioni,/ Capell’ Pontifical in Processioni./ E poi nell’occasioni, (f. 4v) Di visitar, ò d’esser visitato,/ Usa Sottana con cinta legato,/ E seco accompagnato/ Portano la Mozzetta, e il Feraiuolo/ Fermato sù le spalle con lacciuolo,/ E di seta un faciuolo/ Porta un Staffier in man’, per porvi poi/ O Beretta, ò Capell’, uno dei duoi./ Ò via sù pur à noi:/ In Camera Zimarra usan’ portare,/ Come pur quando vanno à passeggiare,/ E seco pur portare/ Capello, Feraiuol, e Guanto in mano,/ E vanno hora vicin, ed’ hor lontano./ In questo modo vanno./ Discorriam’hora degl’altri Prelati,/ Che nel vestir non sono accompagnati,/ Che son differentiati/ Dal color, dalla forma, e dal modello,/ Ed’ hor portan Beretta, ed’ hor Capello;/ Sia Antian’, ò sia Novello/ Il Sacrista del Papa è Agostiniano,/ E al Quirinal, ò ver’ al Vaticano/ Dal Papa mai lontano:/ Porta l’habito nero Episcopale,/ E per lo più suol essere sempre tale,/ E se mi dite quale?/ Mantelletta, Mozzetta, con Sottana,/ Non d’ormesin, di seta, mà di lana./ Ne punto s’allontana/Da quel degl’Avvocati Concistoriali;/ Posciache sono nel color’ eguali:/ Non sono però tali,/ Non portando già questi la Mozzetta,/ Mà un Mantellon in vez’ di Mantelletta,/ Il Rocchetto, e Beretta;/ Col Capuccio una Cappa in le Funtioni,/ Con Armellin di color de Pavoni./ In simili occasioni,/ Li Camerier del Papa, e Capellani/ Tanto li Forastier, quant’i Romani,/ Anche gl’Oltramontani (f. 5r) Portan’ la Cappa di rosso colore,/ E col Capuccio i Camerier d’honore./ Avverti ben Lettore,/ Che questi fuori d’occasioni tali,/ Nel vestir pavonazzo sono eguali;/ Se bene non son quali,/ Portando questi una longa soprana,/ Con striscie longhe sopra la sottana/ Foderata di lana./ Habitij varij usa la Prelatura,/ Che per dar à curiosi qui pastura/ Hò fatto la figura./ Altri portan Sottana, e Manteletta/ Pavonazza, Rocchetto con Beretta,/ E rossa la Fodretta./ Questi son Monsignor Governatore,/ Il maggior d’huom del Papa, e l’Auditore,/ E ancora l’Assessore/ Del Sant’Ufficio, e tutti li Prelati/ Di Camera, che qui sono notati./ E prima nominati,/ Tesorier, Auditor, e Presidente,/ Il Comissario, e Chierici, s’hò à mente,/ I quali solamente/ Dodici sono, come gl’Auditori/ Di Rota, e seguon poi gl’Abbreviatori/ De Parco maiori/ Che Mantelletta nò, mà Mantellone,/ Il Rocchetto bensì, ch’è di ragione./ Scusa la digressione./ Vengon’ di Signatura li Votanti,/ Con li Protonotar Participanti,/ E se mi dite quanti?/ Dodici, e de Pover l’Avvocato,/ Et il Fiscal col Secretar di Stato;/ Ne mi sono scordato/ L’Avvocato Fiscal, e del Collegio/ Il Secretario, ch’hà tal privilegio,/ Come se fosse regio;/ E delle contradette il Cor[r]rettore,/ Con delle confidenze Monsignore,/ Il quale hà l’honore, (f. 5v) Che Giudice da tutti è apellato;/ E così vest’ogni Vicelegato./ E già ch’hò

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nominato/ Quei che con Mantelletta han’ il Rocchetto;/ Hor dirò quei, che van’ senz’il sudetto./ Adesso mi ci metto./ Della Consulta son’otto Prelati,/ E due Luogotenenti nominati,/ Che vengono chiamati/ Uno Civile, e l’altro del Vicario/ Del Sgravio, e buon’ governo il Secretario,/ Il quale non è vario/ Dagl’altr’otto Prelati delle dette,/ Con l’Auditore delle Contradette./ Aggiongo alle sudette,/ Che nera portan’ i Referendarij/ La Mantelletta coi Protonotarij,/ Mà questi sono varij,/ Però, che in Roma non la puon portare,/ Il Rocchetto bensì possono usare./ Adesso hò da narrare/ Que’ Prelati, che portan Mantellone,/ Senza Rocchetto, e con distintione/ Facendo osservatione,/ Che molti nel morell’ de vestimenti,/ Portan l’imbottiture differenti./ E tutti son contenti./ Rosse il Regente di Cancellaria,/ E quell’ancor di Pentitentiaria./ E per l’istessa via,/ Tal la porta de Brevi il Secretario,/ Gl’altri, che seguon poi di color vario,/ Nero per l’ordinario/ Gl’Abbreviatori di Parco minore,/ E delle Suppliche il Registratore./ Dell’istesso colore/ Portano gl’Apostolici Scrittori,/ E Mastri del Registro, e Revisori,/ Se ben’ non son’ Dottori./ Li Gianizzeri, il Piombo, et il Prefetto/ Delle Minute, con mio gran diletto./ Così vanno in effetto (f. 6r) Tutt’i Prelati, mà v’è altra gente/ Che serve nel Palazzo attualmente/ La quale continuamente/ Una Sottana sol portan’ morella,/ Mà non il Feraiuolo, come quella./ Nell’istessa sequella,/ Son’ gl’Extramuros con i Bussolanti/ Del Collegio, e de Poveri i Trincianti./ Dovevo dir avanti,/ Lo Scalco de medemi, e Capellani,/ Li Musici Tenor’, Bassi, e Soprani./ À lor non son lontani,/ Di Ceremonie i Mastri, però questi/ Nelle Funzioni rosse usan’ le vesti./ Ne pare che mi resti/ Niun’altro più, che li Palafrenieri,/ Scoppatori, Cursor, con i Mazzieri/ Anch’i Cavai leggieri,/ Con della Guardia i Suizzeri Soldati,/ E gl’Ufficiali suoi ben’ abbigliati./ Eccovi nominati/ Tutti quelli, che servono à Palazzo,/ Che qui hò descritti sol per mio solazzo. Didascalie delle tavole (ff. 7r-90r) (f. 7r) ill. 1: Sommo Pontefice nell’habito, che usa quando celebra in Pontificale. (f. 8r) ill. 2: Sommo Pontefice nel’habito, che usa i[n] Capella al Matutino li tre giorni della Settimana Santa. (f. 9r) ill. 3: Sommo Pontefice nell’habito, che usa quando lava li piedi a tredici Poveri il Giovedì Santo. (f. 10r) ill. [3 A]: Sommo Pontefice nell’habito, che usa in aprire la Porta Santa per l’anno Santo [il Papa con in mano un martelletto aureo, legge da un codice il versetto: «Aprite mihi portas iustitiae et / h[a]ec porta Domini iusti intrabu[n]t in eam»]. (f. 11r) ill. 4: Sommo Pontefice nell’habito, che usa alla beneditione degl’Agnus Dei che sogliono fare il prim’anno del Pontificato, poi ogni sett’anni, sempre però nel Sabbato in Albis. (f. 12r) ill. 5: Sommo Pontefice nell’habito, che usa, e positura che stá quando vien portato il giorno del Corpo di Christo nella Processione del Santissimo Sacramento. (f. 13r) ill. 6: Sommo Pontefice nell’habito, che usa, quando é in Capella Pontificia. (f. 14r) ill. 7: Sommo Pontefice in Capella in atto di rendersele l’obbedienza dai Cardinali/S’averti che se la mattina fosse Capella, e il doppo pranso si dicesse

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il Vespro, in questo non si renderebbe l’obbedienza, non costumandosi di far tal funzione due volte il giorno. (f. 15r) ill. 8: Sommo Pontefice nell’habito, che usa, quando vá fuori di Casa per la Citta. (f. 16r) ill. 9: Sommo Pontefice nell’habito, che usa in Camera in tempo d’Inverno. (f. 17r) ill. 10: Sommo Pontefice nell’habito, che usa nel dar il Capello a i Cardinali nuovi. (f. 18r) ill. 11: Sommo Pontefice nell’habito, e forma, che vien portato in Capella le Domeniche Terza dell’Avvento, e quarta di Quaresima, nelle quali fà la benedittione della Rosa d’Oro, che manda poi a donare a qualche Prencipe Christiano Cattolico, o a qualche Città. (f. 19r) ill. 12: Sommo Pontefice nell’habito, che usa ne Concistorij publici, qua[n]do riceve gl’Ambasciatori, o Personaggi Grandi. (f. 20r) ill. 13: Sommo Pontefice nel’habito, che usa ne Concistorij secreti, quando ascolta li Cardinali ad’un’ad’uno, che hanno negotij da conferirle. (f. 21r) ill. 14: Sommo Pontefice nell’habito, che usa ordinariamente in Camera. (f. 22r) ill. 15: Sommo Pontefice nell’habito, che usa dal Sabbato Santo, fino al Sabbato in Albis. (f. 23r) ill. 16: Sommo Pontefice nell’habito, che usa, quand’è portato in Seggetta per la Città. (f. 24r) ill. 17: Sommo Pontefice nell’habito, che usa andando fuori di Città a pigliar aria (f. 25r) ill. 18: Cardinali Vescovi in habito sacro, in Capella, o in Processione. (f. 26r) ill. 19: Cardinali Preti in habito sacro, in Capella, e in Processione. (f. 27r) ill. 20: Cardinali Diaconi in habito sacro in Capella, e in Processione. (f. 28r) ill. 21: Cardinali con Cappa Rossa. (f. 29r) ill. 22: Cardinali con Cappa Pavonazza. (f. 30r) ill. 23: Cardinali nell’habito, ch’usano, quando vanno in Concistoro. S’averti però, che ne giorni, ch’usano vestir di Pavonazzo, all’ora usano la sottana pur pavonazza. (f. 31r) ill. 24: Cardinali nell’habito ordinario, quando usano il Rosso, é da sapere, che li Legati nelle loro Legazioni, sempre il Rosso. (f. 32r) ill. 25: Cardinali in habito di color Rosa secca, ch’usano le Domeniche Terza dell’Avvento, e quarta di Quaresima. Li detti giorni però vanno in Capella con Cappa Pavonazza. (f. 33r) ill. 26: Cardinali in habito ordinario, quand’usano il Pavonazzo. (f. 34r) ill. 27: Cardinali nell’habito, che usano in render Visite fuor che a Cardinali, Ambasciatori Regij e Duchi Serenissimi, che fanno con Rocchetto. (f. 35r) ill. 28: Cardinali nell’habito, che usano in ricever Visite, fuor che d’altri Cardinali, d’Ambasciatori Regij e di Duchi Serenissimi. (f. 36r) ill. 29: Cardinali in abito di passeggio, quand[’] usano il color rosso. (f. 37r) ill. 30: Cardinali con Zimmarra, ch’usano ordinariamente in Camera. (f. 38r) ill. 31: Cardinali in habito di passeggio, quand’usano il color Pavonazzo.

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(f. 39r) ill. 32: Cardinali nell’habito, ch’usano, dov’é il Papa, li giorni, che s’usa il pavonazzo lo portano di detto colore, ma le fodre, e imbottiture e Beretta rosse. (f. 40r) ill. 33: Cardinali nell’habito, ch’usano in Cavalcata, in quella però delle Ceneri, portano la Cappa pavonazza, com’anche a quelle de Cardinali nuovi. (f. 41r) ill. 34: Li Cardinali Regolari, vestono del colore dell’habito della loro Religione, ne portano Rocchetto, ma nelle funtioni, usano la Cotta. Li Canonici Regolari però, e i Preti Regolari vestono, come gl’altri Cardinali. (f. 42r) ill. 35: Cardinali con la Croccia, ch’usano in Conclave, quando vanno ai Scrutinij. (f. 43r) ill. 35 A: Cardinali in habito da viaggio cogniti. (f. 44r) ill. 36: Cardinali in habito da Viaggio cogniti, in tempo di pioggia. (f. 45r) ill. 37: Cardinali nell’habito, ch’usano, andando incogniti. (f. 46r) ill. 38: Mastri di Camera de Cardinali, à quali tocca tener il Capello, quand’il Cardinale ha la Beretta, e la Beretta, quand’ha il Capello. (f. 47r) ill. 39: Barbieri de Cardinali, che portano la Mazza, quand’il Patrone hà la Cappa. Il Venerdì Santo però, e in tempo di Sede Vacante la portano col piede in alto. (f. 48r) ill. [39 A]: Arcivescovi in habito sacro. (f. 49r) ill. 40: Arcivescovi, e Vescovi in habito Pontificale. (f. 50r) ill. 41: Arcivescovi, e Vescovi con la Cappa. (f. 51r) ill. 42: Arcivescovi, e Vescovi nell’habito, che usano in Roma, e dove sono Cardinali per la Città di Roma però, non portano Rocchetto. (f. 52r) ill. 43: Arcivescovi, e Vescovi nell’habito, ch’usano in occasione di Processioni. (f. 53r) ill. 44: Arcivescovi, e vescovi nell’habito ordinario, ch’usano nelle loro Diocesi. (f. 54r) ill. 45: Arcivescovi, e Vescovi nell’habito, ch’usano in ricever Visite, e tener Esam[m]i. (f. 55r) ill. 46: Arcivescovi, e Vescovi in habito da Camera. (f. 56r) ill. 47: Arcivescovi, e Vescovi in habito da passeggio. (f. 57r) ill. 48: Arcivescovi, e Vescovi Greci, in habito Pontificale. (f. 58r) ill. 49: Arcivescovi, e Vescovi Greci in habito ordinario. (f. 59r) ill. 50: Monsig. Sacrista del Papa sempre Agostiniano. (f. 60r) ill. 51: Avvocati Concistoriali in habito ordinario. (f. 61r) ill. 52: Monsig: Governatore di Roma quand’è Prelato perch’alle volte sono Cardinali. (f. 62r) ill. 53: Avvocati Concistoriali in habito di funzione. (f. 63r) ill. 54: Habito, che usano li seguenti Prelati, che sono qui sotto notati/ Monsig. Tesoriere/ Il Fiscale/ XII – Li Protonotari participanti/ Auditor della Camera/ L’Assessore del S. Uffitio/ L’Avvocato de Poveri/ Presidente della Camera/ Ggl’Auditori di Rota, che sono 12./ Il Giudice delle Confidenze/ Comissario della Camera/ L’Auditore del Papa/ Il Secret[ari]o del Sac. Colleggio/ XII. Chierici di Camera/ Il Mastro di Camera del Papa/ Li Prelati Secretarij delle Congregationi, e quelli di Consulta/ Votanti di Signatura/ Il Maggiord’huomo del Papa/ Avvocato Fiscale/ Il Correttor delle Contradette/ Li Vicelegati nelle loro legationi/ Il Secreta-

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rio di Stato/ Abbreviatori di parco maggiore. Questi portano la mantelletta longa / L’Auditore delle Contradette. (f. 64r) ill. 55: Habito, che usano li seguenti Prelati./ Li Otto Prelati di Consulta./ Il Luogotenente Civile./ Il Luogotenente del Cardinal Vicario./ L’Auditor delle Contradette./ Li Otto Prelati della Congregazione degli Sgravij, e de bono Regimine. (f. 65r) ill. 56: Referendarij dell’un’, e l’altra Signatura in suo habito quale usano anche fuori di Roma li Protonotari Apostolici. (f. 66r) ill. 57: XII Protonotarij Participanti nell’habito, che usano. (f. 67r) ill. 58: Ufficiali varij qui sotto notati, ch’usano qust’habito/ XXIV Secretari de Brevi secreti./ Il Chierico della Cappella secreta/ Il Sotto Coppiere di SS./ Li Mastri di Cerimonie vestono ordinariamente così,/ ma nelle fun/tioni, dov’interviene i Papa vestono/con sottana rossa sotto la Cotta./ Il Sotto Scalco/ Il Sotto Mastro di Casa./ Il Sotto Guardarobba./ Li Cappellani. (f. 68r) ill. 59: Habito, che usano li qui sotto notati, cioé [il personaggio raffigurato regge un breve, dotato di sigillo, e in cui si legge chiaramente il nome di «Innocentius PP XII»]/ Il Secretario de Brevi*./ Gli Scrittori Apostolici./ Il Reggente di Cancellaria*./ Gli Maestri di Registro./ Il Reggente di Pentitentiaría*./ Gli Gianizzeri./ Gl’Abbreviatori di parco maggiore*. / Il Piombo./ Gl’Abbreviatori di parco minore./ Il Prefetto delle minute./ Gli Registratori di suppliche./ * questi 4 portano le fodre, e imbottiture Rosse (f. 69r) ill. 60: Il presente s’usa ordinariamente dalli seguenti: Li Camerieri d’honore./ Lo Scalco di S.S.ta/ Camerieri Secreti./ Il Trinciante di S.S.ta/ Il Medico di S.S.ta/ Il Foriere maggiore./ Il Coppiere di S.S./ Il Sotto Mastro di Camera./ Il Guardarobba Secreto. (f. 70r) ill. 61: Habiti che usano portare li seguenti, cioè:/ Li Capellani delle Guardie./ Li Due Medici della Famiglia./ Lo Scalco, e Trinciante del Sac[ro]. Collegio./ Quelli della Foresteria./ Quelli de Poveri. (f. 71r) ill. 62: Maestro del Sacro Palazzo sempre dell’ordine de Predicatori. (f. 72r) ill. 63: Subdiaconi Apostolici nell’habito, che usano portando la Croce avanti il Papa nelle funtioni solenni, perche quando vá privatamente, la porta uno de Capellani di Sua Santità. (f. 73r) ill. 64: Bussolanti del Papa. (f. 74r) ill. 65: Camerieri Extramuros. (f. 75r) ill. 66: Maestri di Cerimonie nell’habito, ch’usano nelle Capelle Pontificie. (f. 76r) ill. 67: Habito che portano in funzione/ Li Capellani del Papa; li Camerieri di S. Santità/Il Secretario del Sac[ro] Collegio. Il Computista, e il Clerico Nationale. (f. 77r) ill. 68: Musici di Capella. (f. 78r) ill. 69: Habito, ch’usano li Cursori del Papa nell’andare ad intimare il Concistoro à Cardinali. (f. 79r) ill. 70: Habito, ch’usano in Conclave li Conclavisti. (f. 80r) ill. 71: Habito, ch’usano li Caudatarij de Cardinali, quando hanno la Cappa.

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(f. 81r) ill. 72: Habito, ch’usano li Palafrinieri del Papa, alle volte vi sono stati de Pontefici che li facevano vestire, o di Raso, o di Damasco bianco. (f. 82r) ill. 73: Palafrenieri del Papa nell’habito, che usano à portare S. Santità. (f. 83r) ill. 74: Gentilhuomini, che mandano li Cardinali nelle Cavalcate, dove non int[er]vengono l’Eminenze loro. (f. 84r) ill. 75: Palafrenieri de Cardinali, che sono da essi mandati alle Cavalcate colle proprie mulle ed il Capello, quando non v’intervengono. (f. 85r) ill. 76: Mazzieri del Papa. (f. 86r) ill. 77: Guardia de Cavallegieri del Papa. (f. 87r) ill. 79 [sic]: Svizzeri della Guardia del Papa. (f. 88r) ill. 78 [sic]: Ufficiali de Svizzeri della Guardia di Sua Santità. (f. 89) ill. 80: Scoppatori del Papa. (f. 90r) ill. 81: Habito, ch’usano li Facchini, che servono in Conclave.

[PARTE II] (ff. 91r-185r) Origine delle Religioni, et Habiti, che si usano dà Religiosi di esse 90 tavole Stanze introduttive (ff. 92r-93r): “Sonetto” (f. 92r) Tutte le Religioni, che sono nel presente libro, sono descritte nel seguente Sonetto/ Havendo già di sopra figurato/ Della Corte di Roma i Personaggi,/ Chi per mondo diffuse li suoi raggi/ Additarvelo qui, mi son pensato./ Sarebbe ben un’ sciocco, e forsennato/ Chi contro il senso degl’huomini saggi/ Dicesse, che gl’ossequij con gl’omaggi/ Che se le prestan’ sia tempo gettato./ Ogn’uno dee pur credere, e sapere,/ Quando si dice la Corte Romana,/ Vuol dire dov’il Papa è à rissedere./ Ch’è Capo della Chiesa Christiana/ Cattolic’Apostolica, e potere/ Essercitar la Potestà sovrana./ Ne paia cosa strana,/ Se da Oriente all’Occaso è venerato;/ Perche da Regolar fù mostrato/ Da loro predicato,/ Nell’Europa, e nell’Asia primamente,/ Nell’Affrica, ed’America seguente./ Udite attentamente,/ Quanti Regni, e Provincie convertite/ Da Regolari, e rubbati a Dite/ E di gratia sentite;/ Lugdero, e Bonifacio, come appare,/ La Fè in Germania fecero abbracciare,/ Da tutti, e seguitare./ Suitberto la Sassonia, e Villebrordi./ Da Cirillo Boemia, e da Metodi/ Ed’ hebbe ancor le lodi/ Che la Moscovia, Russia, e la Polonia/ Adalberto, ch’ridusse, e la Panonia/ La Frisia, e la Franconia/ Da Valfrido; e la Svevia da Martino,/ E la Vuandalia fù da Vicellino./ E fù da Agostino,/ Come da Ascario Dacia; l’Inghilterra./ E Remigio alla Francia fece guerra,/ E acquistò quella terra. (f. 92v) Lamberto la Tessandria; ed’ Ottone/ Ridusse i Pomerani à devotione,/ Et à far Oratione,/ Come fece Patritio gl’Ibernesi,/ Non dico della Cina, e Giapponesi,/ De Tartar i Paesi/ Da Gusmani, Minori, e Giesuiti/ Alla Sposa di Christo furno uniti:/ Anzi son’infiniti/ Li Paesi, che son stat’aquistati/ Alla Chiesa da Monaci, e da Frati,/ E son stati osservati;/ E da dotti Scrittori s’è provata,/ Che ciascun’Eresia suscitata/ È stata contrariata/ Da qualche Regolar Monaco, ò Frate/ E dalla Chiesa poi furon dannate,/ E sempre reprovate./ Contro gl’Arriani Antonio, e S. Basilio/ In Oriente, e quest’andò in esilio;/ Seguiron’ tal consiglio/ Sant’Agostino, e San Bene-

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detto/ In Occidente oppostisi al predetto/ Errore maledetto./ Di Sabba Abbat’, e di Ianicio i Monaci/ Contro gl’Eutichian, ed’Iconomici;/ E lo dicon’ i Cronici./ Contro lo Scisma greco, e Cluniacesi/ Vallombrosiani coi Camaldolesi./ Et in altri paesi/ Contro i Nicolaiti i Cisterciensi,/ Li Certosini coi Premonstratensi./ E contro gl’Albigensi,/ E gl’Hussiti, Valdesi, e flagellanti,/ Insorser nella Chiesa i Mendicanti/ Che contro tanti, e tanti/ Di Domenico i figli, e del Minore/ Per diffender la Sposa del Signore/ Sgridavan’ogni errore,/ Contr’Almerico, & il Sagrell’ Gerardo,/ De Fraticell’ ed’ Armacan Riccardo,/ E contro del Solardo,/ Di Sant’Amor Guglielmo, e Patareni,/ Di Tanchelin Vuincleff, e Brussieni,/ Heresiarchi soleni,/ Di Carlostadio, e degl’Anabatisti,/ E un numero infinito d’altri tristi/ Nemici de Papisti. (f. 93r) Pugnaron del Riscatto i Trinitarij,/ E del Riscatto pur i Mercenarij,/ E non furono varij/ Quei di San Spirto, con i Celestini,/ Carmeliti, Serviti, e Silvestrini;/ Anch’i Geronimini/ Romiti, d’Osservanza, e Fiesulani/ Minimi, Giesuati, e Olivetani,/ Ancor de Francescani/ Reccoletti, Discalzi, e Reformati,/ E i Capuccini, che vengon stimati/ Da tutti, e venerati/ Contro i seguaci poi di Gio: Calvino,/ E di Lutero chiamato Martino,/ L’ordine Teatino,/ Sommaschi, Ben morir, e Bernabiti,/ Li Carmeliti Scalzi, e i Giesuiti,/ Da molt’altri seguiti,/ Da Chierici Minori, e Foglientini,/ Li Scalzi Agostinian coi Fillippini./ Ancora li Terzini/ Di S. Francesco cò suoi Reformati,/ E quei, che Scuole Pie son nominati,/ Che sono seguitati/ Da Chierici di Lucca secolari,/ E finalmente dalli Missionarij./ Dovevo por primari/ Canonic’ Regolari originati/ Dagl’Apostoli pria, poi regolati,/ E insieme radunati,/ Dal gran’ Dottor, che fù Sant’Agostino,/ E I Crucifer dall’habito Turchino,/ Hebber principio fino/ Dal Pontefice Cleto, che fù Santo;/ E li Carmelitan’ quant’al lor vanto,/ Numeran tempo tanto./ Pretendono da Elia principio havere,/ Ne crederò che si possin’ dolere,/ Se qui do a divedere/ Quello, ch’à lor la Regola prescrisse,/ E chi la confermò, come si disse./ Termina qui, e finisce/ Il Sonetto ch’ho fatto, e descrittione/ De Regolari d’ogni Religione. Didascalie delle tavole (ff. 95r-185r) (f. 95r) ill. 1: Canonici Regolari Luteranensi, hebber origine sin dagl’Apostoli. S. Agostino poi le diede la Regola e Papa Gelasio li pose a S. Gio. Laterano, però detti Lateranensi, e vi stettero per lo spatio d’800 anni. (f. 96r) ill. 2: Li medesimi nell’habito, ch’usano in Chiesa, nelle Processioni, e in Pulpito. (f. 97r) ill. 3: Li medesimi nell’habito, che usano fuori di Monastero. (f. 98r) ill. 4: Commessi de medesimi in habito, ch’usano in Monastero, e per Città. (f. 99r) ill. 5: Cruciferi fondati da S. Cleto Papa. Alessandro III gli diede la Regola. Pio V. l’habito ceruleo, e dà Alessandro VII. Furono suppressi l’anno 1658. (f. 100r) ill. 6: Li medesimi nell’habito, ch’usavano per la Città privatamente. (f. 101r) ill. 7: Monaci di S. Basilio fondati dal medesimo Santo l’anno 300. (f. 102r) ill. 8: Eremitani di Sant’Agostino fondati dal med[esim]o Santo l’anno 413. Vi sono varie Congregationi. (f. 103r) ill. 9: Li medesimi nell’habito, ch’usano in Convento.

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(f. 104r) ill. 10: Monaci Cassinensi fondati da San Benedetto l’anno 480. Vi sono più Congregationi, che poco diferiscono nell’habito. (f. 105r) ill. 11: Li medesimi nell’habito, ch’usano in Monastero. (f. 106r) ill. 12: L’Habito de sudetti nel di dietro fá la presente figura. (f. 107r) ill. 13: Loro Commessi in habito, ch’usano in Monastero, e in funtione. (f. 108r) ill. 14: Monaci Camaldolesi fondati da S. Romualdo del 904. in un luogo nella Toscana detto Maldolo. (f. 109r) ill. 15: Monaci di Vallombrosa fondati da S. Giovanni Gualberto Fiorentino l’anno 1076. sotto la Regola di S. Benedetto. (f. 110r) ill. 16: Certosini fondati da S. Bruno da Colonia Agripina su i Monti di Granoble nel Delfinato l’anno … 1084. (f. 111r) ill. 17: Loro Barbetti, o Conversi, e l’habito, ch’usano da Novizzo. (f. 112r) ill. 18: Monaci Cisterciensi fondati del 1099. dá Roberto Abbate Molisinese in un Eremo detto Cestello sotto la regola di San Benedetto. (f. 113r) ill. [18 A]: Li medesimi in varie solenita portano la Cocolla bianca. (f. 114r) ill. 19: Premonstratensi fondati da San Norberto in un deserto detto Premonstrato nella Diocesi di Lodon circa l’anno 1100 sotto la Regola di S. Agostino, che fù confermata da Honorio 2° e da altri Pontefici. (f. 115r) ill. 20: Monaci di Montevergine fondati da S. Guglielmo di Vercelli l’anno 1120. Alessandro III approvó l’instituto. (f. 116r) ill. 21: Canonici regolari del Salvatore, hebbero origine in Santa Maria di Reno fuori di Bologna del 1136, trasportati poi in Città del 1359 in S. Salvatore furono detti del Salvatore. (f. 117r) ill. 22: Li Medesimi nell’habito, ch’usano in funzione, cioé in Processione, e in Pulpito. (f. 118r) ill. 23: Loro Commessi (f. 119r) ill. 24: Trinitarij del Riscatto fondati da S. Gio: Matta e S. Felice di Valoÿs del 1198. in Roma sott’il Pontificato d’Innocentio III à causa di Visioni havute, e dal d.° Papa, e da essi, e havuta la Regola, andorono in Francia e fondarono Conventi, il p.° de quali fù Cervo freddo nella Dioce[si] Meldense. (f. 120r) ill. 25: Li medesimi nell’habito, che usano in Francia. (f. 121r) ill. 26: Li Medesimi nell’habito, che portano in Spagna. (f. 122r) ill. [26 A]: Umiliati fondati da S. Giovanni Meda, approvato l’Instituto del 1017. poi da Innocenzo III del 1200 confermato. Mà poi del 1571 il B. Pio V. estinse la Congregatione per la congiura d’alcuni di loro contro la vita di S. Carlo Borromeo. (f. 123r) ill. 27: Predicatori fondati da S. Domenico del 1203. Honorio III aprovò, e confermò l’Instituto sotto la Regola di Sant’Agostino. (f. 124r) ill. 28: Li Medesimi nell’habito, ch’usano in Convento, e in Villa. (f. 125r) ill. 29: Conversi delli Medesimi. (f. 126r) ill. 30: Frati di S. Spirito, fondati in Francia, e portatisi a Roma in tempo d’Innocentio III. Per l’approvatione, ne fece restare, e li pose a S. Spirito in Sassia. (f. 127r) ill. 31: Frati di S. Paolo primo Eremita fondati del 1215 da un tal’Euse-

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bio con la direttione d’un Bartolomeo Vescovo di Cinque Chiese sotto la Regola di S. Agostino, e Papa Giovanni XII nel 1317. confermó quest’Ordine. (f. 128r) ill. 32: Frati Minori fondati da S. Francesco d’Assisi del 1209, e nel 1210 Innoc:° III confermò la Regola, quale parendo assai rigorosa a tutti, pregò Dio, che le ispirasse ciò, che fose a maggior gloria sua, e udì una voce, che le disse, che ne facesse una più breve, quale scrisse in Fonte colombo, e nel 1223 questa fú confermata da Honorio III. Del 1436 poi fù diviso l’ordine in Conventuali et Osservanti, e del 1517 Leone X detterminò che li sigilli dell’Ordine si dassero al Generale degl’Osserva[n]ti e questo si chiamasse Ministro Generale di tutto l’ordine di S. Francesco. (f. 129r) ill. 33: Minori Conventuali in habito di Convento, e fuori (Tav. I). (f. 130r) ill. 34: Carmelitani, vantano la loro origine dalli Profeti Elia, e d’Eliseo, ma avanti il Concilio Lateranense da S. Alberto Patriarca Gerosolimitano, le fú prescritta una Regola, che fù approvata da Papa Honorio III l’anno 1225. (f. 131r) ill. 35: Li Medesimi nell’habito, ch’usano in Convento. (f. 132r) ill. 36: Monaci Celstini instituiti dal B. Pietro dal Morone detto Celestino V. sotto la Regola di S. Benedetto l’anno 1215. (f. 133r) ill. 37: Penitenti, o del Terz’Ordine fondato da S. Francesco d’Assisi, acció, ch’anche li Coniugati potessero servire á Dio nelle proprie case, e il primo, che vesti l’habito fu il B. Luchesio da Poggibonzi e la moglie del 1221. La loro Regola fu confermata da Nicolò IV del 1289. Di quest’Instituto fra huomini e Donne sono riusciti 270 fra Santi, e Beati, de quali si fá Ufficio di 36. (f. 134r) ill. 38: Frati della Mercede per la Redentione de Schiavi fondato da S. Pietro Nolasco á persuasione di S. Raymondo di Pegnafort; onde con Giacomo Ré d’Aragona tutti Tre fondorono questa Religione che fú approvata da Greg:° X sotto la Regola di S. Agostino del 1250. (f. 135r) ill. 39: Reformati della Mercede. Li primi autori di tale Riforma furono F. Gio: del SS° Sacramento, F. Gio: di S. Giuseppe, F. Michele delle SS. Piaghe e F. Luigi di Giesù M[ari]a e del 1604 ad istanza del P. Alfonso Monroy 35° G[e]n[er] ale Papa Clemento VIII la confermò, e nel 1627 Urbano VIII la cumulló di Privilegi. (f. 136r) ill. 40: Serviti fondati da sette Nobili Fiorentini, cioè Bonfigliuolo Bonaldi, Bartolomeo Amidei, Manetto dell’Altella, Sostegno Sostegni, Riccovero Uguccioni, Alessio Falconieri, e Bonaguisa Bonaguisi l’anno 1233. Gregorio IX approvó l’Instituto sotto la Regola di S. Agostino. (f. 137r) ill. [40 A]: Li Medesimi nell’habito, che usano in Germania. (f. 138r) ill. 41: Monaci Silvestrini fondati dal B. Silvestro Gozolino da Osimo in un luogo detto Montesano nella Diocesi di Camerino l’anno 1278. Innocentio IV approvó l’Instituto sotto la Regola di S. Benedetto. (f. 139r) ill. 42: Frati di S. Antonio Vienen[se], fondati in Francia da Gastone, e Girondo Padre, e figlio per una gratia ricevuta dal Santo, e da Bonifatio VIII fu confermato l’Instituto sotto la Regola di Sant’Agostino del 1297. (f. 140r) ill. [42 bis]: Reformati di S. Antonio. (f. 141r) ill. 43: Monaci Olivetani fondati da tre Gentilhuomini Senesi, cioé il B. Bernardo Tolomei, Ambrogio Piccolomini, e Patricio Patricij l’anno 1319 confer-

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mato da Giovanni XXII sotto la Regola di S. Benedetto e Pio II approvó, e amplió i loro Privileggi. (f. 142r) ill. 44: Li Medesimi nell’habito, che usano in Monastero. (f. 143r) ill. 45: Oblati de medesimi nell’habito, ch’usano in Monast[ero] e fuori. (f. 144r) ill. 46: Frati di S. Brigida fondati in Svezia dalla medesima Santa l’anno 1376. (f. 145r) ill. 47: Giesuati fondati da S. Giovanni Colombino Senese l’anno 1381, fú approvato l’Instituto da Martino V del 1428. Si dilettavano di distillar acque. Furono poi suppressi da Clemente IX del 1668. (f. 146r) ill. 48: Eremiti di S. Girolamo fondati del 1400 dal B. Pietro Gambacorta da Pisa, e da Martino V fú approvato l’Instituto del 1421. (f. 147r) ill. 49: Canonici Secolari di S. Giorgio in Alega fondati da due Nobili Veneziani Angelo Cor[n]aro, e Gabriel Co[n]dulmiero, a quali s’aggiunsero Lore[n] zo Iustiano (hora Santo) e Silvestro Morosini l’anno 1404: furono poi suppressi da Clemente IX del 1668. (f. 148r) ill. 50: Frati di S. Girolamo detti di Fiesoli fondati da Carlo Conte di Montegranello del 1406. Innoc[enti]o VII approvò l’Instituto, e Gregori XII confermò la Regola. Clemente IX poi li suppresse del 1668. (f. 149r) ill. 51: Monaci di S. Girolamo detti dell’Osservanza fondati da Fra Lupo d’Olmedo del 1443. (f. 150r) ill. 52: Li Medesimi nell’habito, che usano portare in Spagna, dove hanno molti Monasteri conspicui fra quali l’Escuriale. (f. 151r) ill. 51 [sic]: Carmelitani della Congregatione di Mantova. Hebbero il loro principio l’anno 1425. (f. 152r) ill. 53 [sic]: Minimi fondati da S. Francesco di Paola del 1450. Sisto IV confermó la Regola, con molti Privileggi. (f. 153r) ill. 55: Li loro Laici portano l’habito d’avanti, come gl’altri, má di dietro nella presente forma. (f. 154r) ill. 54 [sic]: Eremitani di S. Agostino della Congregatione di Lombardia Reformati in Crema dal Padre Rocco Portio da Pavia, e F. Gregorio da Cremona del 1444. (f. 155r) ill. 55 [sic]: Reccoletti di S. Francesco, reformati dalla B. Coletta Boyletta Fiaminga del 1440. Fioriscono grandemente in Fiandra, e in Francia. (f. 156r) ill. 56 [sic]: Minori Osservanti Reformati d’Italia hebbero principio del 1502. Detta Riforma fu approvata da Clemente VII del 1532. (f. 157r) ill. 57 [sic]: Chierici Regolari di S. Maiolo, o di Sommasca fondati dal R. Girolamo Miani del 1518 a fine di raccogliere poveri Orfani, Infermi, e Donne convertite. Paolo III del 1540 li concesse di poter eleggere il loro superiore e Pio V approvó l’Instituto del 1568 sotto la Regola di S. Agost[in]o. (f. 158r) ill. 58 [sic]: Minori Osservanti Scalzi di Spagna. Furono reformati l’anno 1517. (f. 159r) ill. 59 [sic]: Eremiti Camaldolesi reformati da Paolo Giustiniani a Monte corona del 1521. (f. 160r) ill. 60 [sic]: Chierici Regolari Teatini fondati da Gio: Pietro Caraffa,

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Gaettano Tieni, Bonifatio Colle, e Paolo Consilieri l’anno 1520. Clemente VII approvò l’Instituto. (f. 161r) ill. 61 [sic]: Li Medesimi nell’habito, che usano a predicare, e in Casa. (f. 162r) ill. 62 [sic]: Minori Capuccini fondati da F. Matteo da Basci Minor Osservante del 1526. (f. 163r) ill. 63 [sic]: Minori Osservanti Scalzi dell’Arabida in Portogallo, hebbero il suo principio del 1525. (f. 164r) ill. 64 [sic]: Chierici Regolari Barnabiti fondati da Giac:° Antonio Morigia, Bartolomeo Ferrari, e Antonio Maria Zaccaria, con Francesco Leuco, e Battista Soresina. Fú approvato l’Instituto da Clemente VII e fu confermato da Paolo III, quello del 1533, e[t] questo del 1535. Si chiamano veramente di S. Paolo Decolato, havendolo pigliato per Protettore. (f. 165r) ill. 65 [sic]: Giesuiti fondati da S. Ignatio Loyola Biscaglino, e da Paolo III del 1540 approvo l’Instituto. (f. 166r) ill. 66 [sic]: Li Medesimi nell’habito, che usano in Chiesa, e in Casa. (f. 167r) ill. 67 [sic]: Carmelitani Scalzi fondati da S. Teresa di Giesù Spag[nu] ola l’anno 1562 e da Papa Gregorio XIII fú approvato l’Instituto del 1580. (f. 168r) ill. 67 [sic]: Loro Donati nell’habito, ch’usano in Convento, e fuori di esso. (f. 169r) ill. 68 [sic]: Terz’Ordine Claustrale di S. Francesco, hebbe origine dalli Penitent instituiti da S. Francesco 1221, quali conforme il loro Instituto potevano, come possono habitare nelle proprie Case; ad’ognimodo alcuni ispirati da Dio del 1568 fondorono quest’Instituto, riducendosi a vivere in Clausura, come gl’altri Regolari. (f. 170r) ill. 69 [sic]: Fatebenefratelli fondati da S. Giovanni di Dio Spagnolo del 1570, e Pio V del 1572 ordinó, c’havessero un Sacerdote solo per Casa. Clem[ent]e VIII gl’obligó al voto di servire agl’Hospitali loro proprij del 1596 e Paolo V gl’obligó alla professione de tre Voti ordinarij, col 4° sud° del 1611 sono sotto la Regola di S. Agostino. (f. 171r) ill. 70 [sic]: Preti della Congregatione dell’Oratorio fondati da S. Filippo Neri del 1575 con Autorita Apostolica per Bolla di Gregorio XIII. (f. 172r) ill. 71 [sic]: Trinitarij del Riscatto Reformati approvati da Clemente VIII del 1589 e Paolo V li pose nel numero de Mendicanti. (f. 173r) ill. 72 [sic]: Chierici Regolari Ministri degl’Infermi fondati dal P. Camillo de Lelijs l’ultimo anno del Pontificato di Gre[gori]o XIII e del 1585 da Sisto V fu confermato l’Instit[ut]o e 1591 Greg[ori]o XIV la dichiaró Religione. Finalmente Clemente VIII di nuovo lo confermó 1600. (f. 174r) ill. 73 [sic]: Frati del Terz’Ordine di S. Francesco Reformati, hebbero principio in Francia in un luogo detto Picquepúcce. (f. 175r) ill. 74 [sic]: Cisterciensi Reformati da F. Giovanni Berreria nel Monastero Fogliense, però detti Foglientini in tempo di Sisto V del 1587 che gli approvò, e le concesse molti Privileggi, Clemente VIII gl’amplió, e Paolo V del 1606 ve ne aggionse, e li confermó l’Indulto de due Pontefici suoi Antecessori di fabricare di Cera gl’Agnus Dei. (f. 176r) ill. 75 [sic]: Chierici Minori fondati dal P. Agostino Adorni, fu appro-

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vato l’Instit[ut]o da Sisto V del 1588 e Greg[ori]o XIV gli concesse tutti li privileggi de Teatini del 1590. (f. 177r) ill. 76 [sic]: Eremitani Scalzi di S. Agostino Reformati da F. Francesco Maria da Savona, approvati da Clemente Ottavo del 1599. (f. 178r) ill. 77 [sic]: Chierici Secolari detti Poveri della Madre di Dio, o delle Sc[u]ole pie furono fondati dal P. Gioseffo Calasantij à tempo di Paolo V che approvó l’Instituto del 1614. Andavano scalzi ma Aless[andr]o VIII li concesse d’andar calzati. (f. 179r ill. 78 [sic]: Chierici della Madre di Dio detti di Lucca fondati da Gio: Leonardi Lucchese. Fú l’Instituto dichiarata Relig[ion]e da Greg[ori]o XV del 1621. (f. 180r) ill. 79 [sic]: Missionarij fondati in Francia dal P. Vincenzo de Paoli, circa l’anno 1638. (f. 181r) ill. 80 [sic]: Buonhuomini di Fiorenza, volgarmente detti Bacchettoni, furono instituiti da S. Antonio Arcivescovo di detta Citta circa il 1450. Sono anche in Bologna chiamati ordinariamente Zammarini e furono ivi fondati dal Senatore Cesare Bianchetti Signore di gran bontá del 1641. (f. 182r) ill. 81 [sic]: Chierici Recolletti dell’Immacolata Concezione in agiuto de Fedeli Defonti, fondati da Stefano Krzaston Vescovo di Posnania in Polonia del 1677. (f. 183r) ill. 82 [sic]: Solitarij di S. Girolamo fondati nel Rossilione dalli PP. Giuseppe Provenzale, e Lodovico Angelo di Linguad’occa del 1683. Sotto la regola di S. Agostino, con le Constitutioni di S. Domenico, hebbero principio in Mormos, e presentemente del 1699 hanno 4 Conventi. (f. 184r) ill. 83 [sic]: Monaci Cisterciensi detti della Trappa, riformati in Francia dall’Abbate D. Armando Giovanni di Bouthelier di Rancé, qual Riforma hebbe principio alli 13 di Luglio del 1664. Vivono con grandissima austerità. (f. 185r) ill. 84 [sic]: Li medesimi nell’habito, che usano in tempo del travaglio, o di coltivar l’horto, e di far la Cidra per bere, o di far il pane, o il bucato, o altr[e] Opere manuali.

[PARTE III] (ff. 186r-207r) Habiti, che per l’ordinario usano le monache di varij Ordini 20 tavole Stanze introduttive (f. 187r) “Tutte le Monache comprese in questo Libro sono descritte nel seguente Sonetto”. Hò stimato esser cosa conveniente,/ Delle Monache gl’habiti formare,/ Acciò che possi ciasched’un mirare,/ Come portar li sogliono sovente./ È però d’avvertirsi veramente,/ Che in varie forme li soglion portare;/ Il color però mai usan variare,/ Come veder si puole chiaramente./ Le Grech’, Canonichesse, e Agostiniane,/ Benedettin’, Cistell’, e Concezione,/ Clarisse, Vall’ombrosa, e Olivetane./ Camaldolesi, e dell’Annonciazione,/ Le Calzat’ e le Scalz’ Carmelitane,/ Domenicane, e la Visitazione./ In questa descrizione,/ Devono pur le Capuccine entrare,/ Perche niuno di voi m’habbi à beffare./ E pria di sigillare/ Il Sonetto: saper’ è necessario,/ Che se le

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Monache han’ vestito vario,/ Sempre per l’ordinario,/ Ad’uno delli già detti Instituti,/ Li Monasteri si riducon tutti. Didascalie delle tavole (ff. 188r-207r) (f. 188r) ill. [1]: Canonichesse Regolari di S. Agostino. (f. 189r) ill. [2]: Monache Greche. (f. 190r) ill. [3]: Monache Agostiniane. (f. 191r) ill. [4]: Monache Camaldolese. (f. 192r) ill. [5]: Monache Benedettine. (f. 193r) ill. [6]: Monache Cisterciensi. (f. 194r) ill. [7]: Monache di Vallombrosa. (f. 195r) ill. [8]: Domenicane Coriste, e Converse. (f. 196r) ill. [9]: Canonichesse Regolari del Salvatore (Tav. II). (f. 197r) ill. [10]: Monache della Concezione di Spagna, e dell’Annonciata in Francia sotto la Regola di S. Francesco. (f. 198r) ill. [11]: Monache Franciscane. (f. 199r) ill. [12]: Monache Carmelitane. (f. 200r) ill. [13]: Monache Capuccine, e Carmelitane scalze. (f. 201r) ill. [14]: Monache della Visitatione, fondate da S. Francesco di Sales. (f. 202r) ill. [15]: Oblate degl’Olivetani dette in Roma di Torre di Specchi. (f. 203r) ill. [16]: Terziarie Domenicane e Fraciscane. (f. 204r) ill. [17]: Agostiniane. Carmelitane. (f. 205r) ill. [18]: Monache Certosine. (f. 206r) ill. [19]: Monache Cisterciensi, che sono nell’Abbadia di Claré nella Diocesi di Ciartres, che fanno una vita austerissima, poco dissimile da i Monaci della Trappa. Sono 29 Religiose da Coro, e dieci Converse. (f. 207r) ill. [20]: Terziarie Francescane del Second’Ordine fondate in Bologna dal P. Pietro Francesco di Giesú Minor’ Oservante detto il Giesuita, sotto l’invocatione di S. Maria Egitiaca del 1690 in circa. Sec. XVII (circa an. 1699), mm 415 × 268-276, ff. i, 207, i Sovraccoperta posteriore alla realizzazione del codice, di pelle, di colore marrone scuro. Reca impressi fregi d’oro e di colore nero, a motivi geometrici e fitomorfi. Sul dorso, etichetta cartacea con segnatura a stampa. Stemma di Pio X (1903-1914) impresso sia sulla parte anteriore che su quella posteriore della sovraccoperta. L’interno della sovraccoperta, interamente profilato di fregi fitomorfi impressi in oro, presenta due lembi longitudinali piegati e fissati, ove si inseriscono i piatti. Il lembo corrispondente al piatto anteriore reca, pure impressa in oro, la dicitura “A Sua Santità Papa Pio X/In occasione/del suo/giubileo sacerdotale/offre/Emma Contessa Mac. Swiney”. Legatura coeva alla realizzazione del manoscritto, in assicelle di cartone, ricoperta di pergamena. I piatti sono a loro volta rivestiti di carta marmorizzata bicolore marrone/ocra. Il dorso reca: etichetta cartacea con segnatura a stampa; etichetta di pelle, di epoca posteriore alla realizzazione del codice, di colore nero bordata di fregi geometrici d’oro e riportante il titolo “Discrezioni delli abiti religiosi” impresso in oro. Il contropiatto anteriore reca un’etichetta cartacea

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con la segnatura; le annotazioni manoscritte, a matita, “Ec-Fach/ 302” [“autentico”; ciò che segue potrebbe essere una segnatura: “materia/settore 302”]; “600”, “Ms. aus der Zeit ca. 1620” [“Manoscritto risalente al periodo 1620 circa”], “his.” e traccia di altre annotazioni cancellate; ritaglio cartaceo recante la descrizione a stampa, in lingua tedesca, del codice. Foliazione contemporanea, apposta con mezzi meccanici sul margine inferiore destro del foglio; a matita (f. 1r). Consta di un totale di 193 disegni acquarellati corredati di didascalie a penna, generalmente numerati e ripartiti in tre sezioni differenti, ciascuna preceduta da un’introduzione in versi. Comprende tavole non numerate (ff. 189r-207r). Le tavole numerate recano una numerazione coeva, a penna; integrazioni di mano contemporanea, a matita (ff. 10r; 43r; 113r; 122r; 182r-185r; 188r); foliazione mancante (ff. 137r; 140r; 153r), oppure disordinata (ff. 86r-87r; 151r-185r). I soggetti sono generalmente raffigurati all’interno di una cornice il cui bordo è quasi sempre tracciato a matita; in alcuni casi, i bordi sono tracciati a penna (ff. 48r; 115r; 182r-185r; 206r), e/o colorati ad acquerello nero (ff. 12r, 18r; 21r-22r; 24r), oppure blu scuro (f. 13r). Alcune tavole sono invece del tutto sprovviste di cornice (ff. 7r-9r; 11r, 122r, 137r, 207r). Tracce leggere di disegni preparatori a lapis e/o sanguigna (ff. 8r; 13r; 23r; 36r; 39r; 42r-43r; 45r; 48r; 54r; 56r; 62r; 69r; 73r; 76r-84r; 86r-88r; 90r; 98r-101r; 104r-106r; 108r-109r; 111r; 115r-116r; 118r; 121r; 123r; 129r-132r; 137r; 143r-144r; 149r-151r; 155r-156r; 158r; 160r-161r; 164r-170r; 176r; 178r-180r; 184r-185r; 189r; 195r; 197r; 199r; 206r-207r). Due schizzi preparatori a tavola intera, al verso di altrettante tavole acquerellate: uno a sanguigna, raffigurante Cristo in croce (f. 115v); uno a lapis, raffigurante verosimilmente un personaggio in abito di curia (ff. 136v). Correzioni ad acquerello (ff. 79r; 125r; 127r). Lettere iniziali di modulo più grande (ff. 2r-6r; 92r-93r; 187r); di colore rosso (f. 7r). Angoli mutili al margine inferiore di alcuni fogli (ff. 170r-173v). Restauro non recente dei margini esterni (f. 12v; 17v; 115v) e interni (ff. 2r-7v; 16v-17r; 8v-11v; 13v; 18v; 20v-21r; 22v-23r; 24v-25r; 29v; 32v-33r; 36v-37r; 42v; 47v-48r; 49r; 65v; 88v-89r: 101v-101r; 105v; 111v-112v; 115r-v; 118v; 121v; 127v; 128v; 139v; 147v; 153v; 155v; 165v; 180v; 181v; 182v; 183v; 185v; 201v; 204r; 206v-207r) dei fogli, mediante applicazione di strisce cartacee di rinforzo; rattoppi (ff. 3r-4v; 12v; 42v; 115r).

Il codice presenta diversi elementi interni ed esterni che consentono di chiarire almeno in parte la sua origine e le circostanze nelle quali è pervenuto in Biblioteca. Innanzitutto, le tavole stesse forniscono riferimenti espliciti relativi all’epoca di realizzazione di almeno una delle raccolte, quella relativa agli abiti di Curia: a f. 68r si riscontra un chiaro rimando al pontificato di Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1615-1691-1700), il cui nome appare sulla raffigurazione di un breve (Tav. III); mentre la didascalia di una tavola successiva specifica l’anno in corso: “presentemente del 1699” (f. 183r). Quest’ultima indicazione, in particolare, è richiamata dallo scriptor Giovanni Battista Borino che la utilizza per situare cronologicamente la realizzazione del manoscritto7. 7

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BORINO, Codices Vaticani Latini cit., p. 308.

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Due elementi esterni al codice forniscono poi indizi circa la sua provenienza. Il primo è la dedica impressa in oro nel lembo anteriore della sovraccoperta, indicante che si tratta di un dono indirizzato a Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1835-1903-1914): A Sua Santità Papa Pio X/In occasione/del suo/giubileo sacerdotale/offre/ Emma Contessa Mac. Swiney.

Dato che per “giubileo sacerdotale” s’intende il cinquantesimo anniversario dell’ordinazione, il dono è dunque collocabile nel 1908 poichè Pio X fu ordinato prete nel 1858. Secondo elemento esterno, il ritaglio cartaceo apposto sul contropiatto anteriore recante una descrizione dettagliata del codice che permette di avanzare ipotesi circa l’acquisizione di quest’ultimo: 223. Habiti soliti ad usari nella Corte Romana. Delineati da F. Angelo Maria da Bologna, Minore osserva[n]te. Per uso della Libraria del Convento Nunciata di Bologna. 84 B[lätter]. In-Folio.- Origine delle religioni et habiti che si usano dá religiosi di esse. 91 B[lätter]. In-Folio.- Habiti che per L. ordinario usano le monache di varij ordini. 20 B[lätter] In-Folio.- Manuscript. Halbperg[ament-] b[an]d. 600- Sehr wertvolle Originalsammlung von Zeichnungen mit Gewändern der hohen Geistlichkeit, den Kleidungen der Mönche und Nonnen, herab bis zu den offiziellen Trachten der Zimmerreiniger und Lastträger des Vatikans auf 195 Folioblättern (Zeichenpapier) in Wasserfarben gemalt, mit den jeweiligen diesbezüglichen Unterschrift. Voran gehen 3 Sonette, welche zusammen 14 S[eiten]. einnehmen. Auch kulturgeschichtlich höchst interessantes Stück. Von einigen wenigen Gebrauchsspuren abgesehen sehr sauberes gut erhaltenes Manuskript. [223. Habiti soliti ad usari nella Corte Romana. Delineati da F. Angelo Maria da Bologna, Minore osserva[n]te. Per uso della Libraria del Convento Nunciata di Bologna. 84 fogli. In-Folio.- Origine delle religioni et habiti che si usano dá religiosi di esse. 91 fogli. In-Folio.- Habiti che per L. ordinario usano le monache di varij ordini. 20 fogli. In-Folio.- Manoscritto. Legatura in mezza pergamena. 600- Raccolta originale in ottimo stato di disegni di vestiti: dall’abbigliamento dell’alto clero, agli abiti di monaci e monache, fino alla tenuta ufficiale dei Camerieri e di coloro che detengono incarichi in Vaticano, [consta] di 195 fogli di formato in-folio (carta da disegno), colorati ad acquerello, ciascuno con la rispettiva didascalia. In apertura [di ogni serie di disegni] si trovano tre sonetti su un totale di 14 pagine. Un pezzo interessante anche dal punto di vista della storia della cultura. Un manoscritto di ottima fattura e ancora intatto, ad eccezione di qualche traccia d’usura].

Eccezion fatta per il numero di serie (“223”) e per qualche minima variante formale del testo, questa descrizione sprovvista di indicazione di

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data e luogo ricalca la notice n. 76 presente nel catalogo Manuscripte des Mittelalters und späterer Zeit8, pubblicato nel 1906 dal libraio antiquario di Lipsia Karl W. Hiersemann (1854-1924)9. È dunque più che verosimile che l’attuale Vat. lat. 10998 provenga proprio dalla libreria Hiersemann. Quanto al latore del dono, la dedica del codice fa chiaro riferimento alla contessa Emma Mac Swiney. Ludwig von Pastor, nella sua ricostruzione del pontificato di Innocenzo XII, accenna brevemente al codice menzionando però un altro membro della famiglia Mac Swiney: È interessante notare per la storia della cultura un manoscritto donato dal marchese Mac Swiney nel 1909 alla Vaticana: “Habiti soliti ad usare nella corte Romana, delineati da F. Angelo Maria da Bologna, Min. Osserv., per uso della libreria del Convento Nunciata di Bologna”, con acquerelli, opera del tempo d’Innocenzo XII. In principio un sonetto: “È un gran teatro la corte Romana”10.

I due personaggi sono strettamente correlati: la contessa è infatti la madre del marchese Mac Swiney. Emma Isabella Konarska Mac Swiney (1847-1934?) è una delle tre figlie del conte polacco Alexander Konarski. Nel 1870, Emma Isabella sposa il banchiere Valentin Patrick Mac Swiney, la cui famiglia è originaria di Mashanaglass, nei pressi di Cork (Irlanda del sud)11. La contessa è particolarmente attiva in Francia, soprattutto tra Parigi, Saint-Germain-en-Laye e Pau, ove dispiega i suoi talenti in campo sportivo e artistico. È infatti una rinomata amazzone, titolare di una scuola di equitazione, e la cui eleganza in sella non sfugge ai cronisti di moda dell’epoca (Tav. IV)12. Di cultura e gusti raffinati, la contessa non rifugge le mondanità13; nutre inoltre una grande passione per le antichità, che custo8 Manuscripte des Mittelalters und späterer Zeit. Einzel-Miniaturen. Reproduktionen, Leipzig 1906, p. 73. 9 T. DE MARINIS, Hiersemann, Karl W., in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Appendice I, 1950, pp. 708-709. 10 L. VON PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri Archivi, Roma, Vol. XIV. Storia dei Papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700). Parte II. Innocenzo XI, Alessandro VIII, Innocenzo XII (1676-1700). Versione italiana di P. CENCI, Roma 1962, p. 434 e nt. 3. 11 Family: McSweeney, in NUI Galway. Landed Estate Database, consultabile online: http://landedestates.nuigalway.ie/LandedEstates/jsp/family-show.jsp?id=3325 (ultimo accesso: 4 gennaio 2018). 12 C. KELL, A Secret Well Kept: The Untold Story of Sir Vernon Kell, Founder of MI5, London – New York 2017, p. 18. Emma Isabella Konarska MacSwiney è una zia acquisita di Vernon Kell, co-fondatore e primo direttore del servizio di intelligence britannico MI5. Il padre di Vernon, Waldegrave Kell, aveva infatti sposato in seconde nozze Georgiana Augusta Konarska, sorella di Emma Isabella. 13 H. SPONT, Sports d’hiver. La saison à Pau, in Les Modes: revue mensuelle illustrée des

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disce nella sua residenza parigina, ove vive circondata da sculture e oggetti d’arte, pare anche a scapito della comodità14. Il museo di Cluny a Parigi custodisce tuttora un capitello del XII secolo da lei donato nel 193415. Dall’unione tra la contessa Konarska e il banchiere MacSwiney nasce, a Parigi, un unico figlio: Valentin Emmanuel Patrick Mac Swiney (18711945). Il suo percorso biografico è, così come quello della madre, cosmopolita, sviluppandosi in particolare tra l’Irlanda e Roma. Uomo eclettico, di grande cultura e dotato per le lingue, Valentin E. Patrick raggiunge una posizione prestigiosa come diplomatico, facendosi strada nella corte vaticana: diviene infatti ciambellano onorario (1893), poi ciambellano privato (1895) di Leone XIII (Gioacchino Pecci, 1810-1878-1903), che in seguito lo nomina marchese (1896)16. Nel 1899 Mac Swiney fonda la rivista Cosmos Catholicus che ne pubblica a puntate i reportages da diverse città estere, corredati da foto a cura dell’autore17. È anche presidente della Royal Society of Antiquaries of Ireland; proprio in questa veste egli invia alla Biblioteca, nel marzo 1922, «una raccolta di pubblicazioni sulla storia e l’archeologia dell’Irlanda»18. Mac Swiney intrattiene poi rapporti epistolari con Giovanni Mercati (1866-1957), allora prefetto della Biblioteca Vaticana, il cui carteggio include lettere del marchese datate dal 13 novembre 1922 al 30 marzo 1927 e dal 27 maggio 1929 al 17 giugno 193619. Anche la contessa Emma Isabella Konarska Mac Swiney conosce Roma e gli ambienti vaticani, che frequenta. In un Diario Vaticano (rubrica di Cosmos Catholicus), ad esempio, la cronaca dell’udienza del 7 aprile 1909 dedicata da Pio X ai pellegrini provenienti dalla Polonia menziona anche la «contessa Konarska, contessa Mac-Swiney»20. Il dono al pontefice del manoscritto Vat. lat. 10998 è dunque maturato in tale contesto ed è veArts décoratifs appliqués à la femme, Paris, n. 15, mars 1902, p. 8. Au Golf Club de Billères, ne L’Indépendant des Basses-Pyrenées, n. 192, dimanche-lundi 4-5 juin 1916, p. 3. 14 KELL, A Secret Well Kept cit., p. 18. 15 Collections du Musée de Cluny. Sculptures des XIe-XIIIe siècles: Chapiteau engagé : le péché originel, consultabile online: http://www.sculpturesmedievales-cluny.fr/notices/notice. php?id=1166 (ultimo accesso: 4 gennaio 2018). 16 D. F. M’CREA, The Irish Residents in Rome, in The Irish Ecclesiastical Record 13 (1903), pp. 432-433. 17 È il caso, ad esempio, dell’articolo Cettigne, in Cosmos Catholicus. Grande rivista cattolica illustrata. Anno secondo, primo semestre, n. 8, seconda quindicina di aprile 1900, Città del Vaticano, pp. 294-309. 18 Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca vaticana, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, II, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466-467), p. 763. 19 Carteggi del card. Giovanni Mercati, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413). 20 Cosmos Catholicus. Grande rivista cattolica illustrata. Anno secondo, primo semestre, n. 8, seconda quindicina di aprile 1900, p. 254.

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rosimilmente stato consegnato in occasioni come questa, dalla contessa in persona, oppure mediante il figlio; il che spiegherebbe la ragione per la quale Ludwig Von Pastor cita Valentin E. Patrick come latore, se non artefice, del dono. Il dono di questa raccolta tripartita di Habiti, riccamente illustrata con cura per il dettaglio e senso del colore, è particolarmente prezioso perché il codice sembra essere un unicum. La mano che l’ha realizzata, quella di frate Angelo Maria da Bologna, è la stessa alla quale si deve un altro manoscritto, anch’esso illustrato con opulenza, interamente a colori: Araldo nel quale si vedono delineate e colorite le armi de’ potentati e sovrani d’Europa, databile all’inizio del XVIII secolo, e il cui unico testimone è ora custodito nella Biblioteca Estense Universitaria sotto la segnatura gamma. I. 2. 2321. L’Araldo proviene dalle collezioni che il marchese Giuseppe Càmpori, di Modena, poi suddivise «da profondo conoscitore qual era tra gli istituti più appropriati e adeguati ad ospitare ogni loro singolo segmento. Questa ragionata distribuzione egli la fece nel suo testamento, già molti anni prima di morire, e si tratta di una serie di raccolte che ancor oggi costituiscono una sostanziosa parte del patrimonio librario, artistico e documentario cittadino»22. I cataloghi delle collezioni Càmpori, di pertinenza di Giuseppe, o del fratello Cesare, anch’egli erudito e collezionista23, non recano però alcuna traccia della raccolta di Habiti24. La raccolta di frate Angelo Maria da Bologna non viene citata neppure nella letteratura relativa all’abbigliamento liturgico e religioso: Joseph Braun, ad esempio, autore dell’opera fondamentale Die Liturgische Gewandung pubblicata nel 1907, non fa cenno a frate Angelo Maria nella parte riguardante la produzione dei secoli XVI-XVII25. Gli autori di trattati e i compilatori di cataloghi relativi all’abbigliamento religioso e liturgico contemporanei di frate Angelo Maria, o a lui immediatamente successivi, non fanno riferimento alla raccolta di Habiti, 21

Biblioteca Estense Universitaria, Biblioteca Digitale. Manoscritti: notice n. 42, GAMMA. I.2.23 = CAM.766, http://bibliotecaestense.beniculturali.it/info/img/mss.html (ultimo accesso: 5 gennaio 2018). 22 A. R. VENTURI, Giuseppe Campori dal collezionismo estense alla cultura nazionale postunitaria, in Quaderni Estensi, Rivista, III – 2011 , p. 2. 23 Elenco dei manoscritti della collezione del marchese Cesare Campori, Modena 1860; R. VANDINI, Appendice prima al catalogo dei codici e degli autografi posseduti dal marchese Giuseppe Campori, Modena 1886; L. LODI, Catalogo dei codici e degli autografi posseduti dal marchese Giuseppe Campori, Modena 1875; 24 VENTURI, Giuseppe Campori cit., p. 3. 25 J. BRAUN, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient. Nach Ursprung und Entwicklung, Verwendung und Symbolik, Freiburg 1907, pp. 782-783.

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pur menzionando diverse raccolte anche più antiche, ma a stampa, dalle quali hanno tratto ispirazione. È il caso, ad esempio, del dizionario di ordini religiosi curato da padre Hélyot, e dato alle stampe a partire dal 171526. I due capitoli ivi dedicati alle fonti utilizzate dall’autore ignorano del tutto la raccolta bolognese27. Pure settecenteschi, i cataloghi illustrati curati dal gesuita Filippo Bonanni28 e in seguito ripresi da Vincenzo Maria Coronelli29 sono privi di rinvii all’opera di frate Angelo Maria. È dunque ipotizzabile che il manoscritto non fosse conosciuto, proprio perché non diffuso in virtù della sua unicità. D’altra parte, lo stesso frate Angelo Maria, pur curando nel dettaglio le raffigurazioni degli abiti e fornendo per la maggior parte di essi delle didascalie, non dichiara mai la provenienza delle informazioni da lui utilizzate. L’esame delle tavole e dei testi presenti nella raccolta di Habiti soliti non mostra segni di legami con tre celebri raccolte a stampa diffuse all’epoca: Historia sagra intitolata Mare Oceano di tutte le religioni del mondo di Silvestro Maruli, non illustrata, e pubblicata nel 161630; oppure De gli Habiti delle Religioni con le Armi, e breve Descrittion loro, del bolognese di origine 26 P. HÉLYOT, Dictionnaire des Ordres religieux ou histoire des ordres monastiques, religieux, et militaires et des congrégations séculières de l’un et de l’autre sexe, qui ont été établies jusqu’à présent; contenant: leur origine, leur fondation, leurs progrès, les événements les plus considérables qui leur sont arrivés, la décadence des uns et leur suppression, l’agrandissement des autres par le moyen des différentes réformes qui y ont été introduites, les vies de leurs fondateurs et de leurs réformateurs, avec des figures qui représentent les différentes habillements de ces ordres et de ces congrégations, par le R. P. Hélyot, religieux pénitent du tiers ordre de Saint-François, de la communauté de Picpus. Mise par ordre alphabétique, corrigée et augmentée d’une introduction, d’une notice sur l’auteur, d’un grand nombre d’articles ou parties d’articles, et d’un supplément où l’on trouve l’histoire des congrégations omises par Hélyot, et l’histoire des sociétés religieuses établies depuis que l’auteur a publié son ouvrage, par Marie-Léandre Badiche, Prêtre du clergé de Paris, licencié en théologie, membre de la Société asiatique, de l’Institut historique, de l’Académie Impériale et Royale d’Arezzo, etc. publié par M. l’Abbé Migne, éditeur des cours complets sur chaque branche de la science religieuse, Paris 1847, 4. voll., 1847-1859. 27 Catalogue des livres qui traitent des ordres monastiques, religieux, militaires et des congrégations séculières, que l’auteur a consultés, in HÉLYOT, Dictionnaire des Ordres religieux cit., I, pp. 58-102; Supplément au catalogue des livres que l’auteur a consultés, ibid., pp. 102-103. 28 F. BONANNI, Ordinum religiosorum in Ecclesia militanti catalogus eorumque indumenta in iconibus expressa, Romae, typis Antonii de Rubeis 1706-1710. 29 V. M. CORONELLI, Ordinum religiosorum in ecclesia militanti catalogus, eorumque indumenta, iconibus expressa, auctus, nec non moderatus posteriori hac editione anni 1707, Venetia 1710-1715. Per queste e altre raccolte di abiti religiosi, si rinvia a La sostanza dell’effimero. Gli abiti degli Ordini religiosi in Occidente. Catalogo della mostra, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (18 gennaio – 31 marzo 2000). A cura di G. ROCCA, [Roma] 2000, pp. 38-40 (introduzione); pp. 348, 395, 485, 570-571 (Bonanni); pp. 346, 485 (Coronelli); pp. 338, 420, 571-573 (Hélyot). 30 S. MARULI, Historia sagra intitolata Mare Oceano di tutte le religioni del mondo divisa in cinque libri. Composta da Monsignor D. Silvestro Maruli, o Maurolico messinese, Dottor

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savoiarde Odoardo Fialetti (Edouard Viallet, 1573-1638), pubblicata nel 162631; o, ancora, le Figures des différents habits des chanoines reguliers en ce siècle, dato alle stampe dal francese Claude du Molinet nel 166632. Per gli interrogativi che ancora permangono circa la biografia dell’autore/illustratore, la genesi e la realizzazione della raccolta di Habiti, il codice Vat. lat. 10998 merita ancora di essere studiato e valorizzato: l’eccellente stato di conservazione delle tavole, la pregevole fattura dei disegni acquarellati, l’originalità dei versi inediti che li corredano, e le circostanze del dono al pontefice fungono da richiamo invitando storici, storici dell’arte e specialisti di letteratura allo studio competente e approfondito.

Theologo, et Abbate di S. Maria di Roccamadore dell’Ordine Cisterciense. Dedicata alla Maestà Catholica di Filippo Terzo Re di Spagna, In Messina, nella Stamperia di Pietro Brea 1613. 31 O. FIALETTI, De gli Habiti delle Religioni con le Armi, e breve Descrittion loro. Libro Primo, opera di Odoardo Fialetti divisa in più volumi. Dedicata all’Ill.ma et Ecc.ma Madama Giovana Luillier Ambasciatrice di Franza, In Venetia del 1626, a instanza di Marco Sadeler. Su questa raccolta, La sostanza dell’effimero cit., pp. 341, 569-570. 32 C. DU MOLINET, Figures des différents habits des chanoines réguliers en ce siècle. Avec un discours sur les habits anciens et modernes des chanoines tant Séculiers, que Réguliers, A Paris, chez Simeon Piget, rue St. Jacques, à l’enseigne de la Prudence, 1666. Su questa raccolta, La sostanza dell’effimero cit., p. 252.

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10998, f. 129r: minori conventuali.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10998, f. 196r: canonichesse regolari del Salvatore.

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 10998, f. 68r: ecclesiastico in abito di curia con breve di Innocenzo XII.

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Tav. IV – Les Modes: revue mensuelle illustrée des Arts décoratifs appliqués à la femme (15 mars 1902), p. 8: la contessa Emma Mac Swiney in tenuta da amazzone nel 1902 [fonte: gallica. bnf.fr/Bibliothèque Nationale de France].

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À PROPOS DES MANUSCRITS VATICANS URB. LAT. 220 ET 221, NICOLETO VERNIA AURAIT-IL ÉCRIT « NON ERANT MEI » ? Il y a quelque trente ans, j’ai montré que les deux manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 221 avaient été corrigés, annotés et complétés par le maître averroïste padouan Nicoleto Vernia1. Mais ces deux manuscrits lui ont-ils vraiment jamais appartenu ? Marco Forlivesi a soulevé la question récemment en recensant un ouvrage d’Ennio De Bellis2. Forlivesi s’appuie sur un document autographe conservé à Padoue, Archivio di Stato, Archivio notarile n° 1573, fol. 80r ; Nicoleto Vernia y a dressé une liste d’ouvrages qui tous selon lui appartenaient alors au monastère San Giovanni di Verdara de Padoue3 ; c’est la raison pour laquelle, contrairement entre autres à un exemplaire du commentaire d’Albert le Grand 1 Cfr. R. HISSETTE, Le corpus averroicum des manuscrits vaticans Urbinates latins 220 et 221 et Nicoleto Vernia, dans Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 3 (1989) (Studi e testi, 333), pp. 257-356. Dans les lignes qui suivent, je maintiens une fois de plus pour le prénom la graphie du dialecte de Padoue (= Nicoleto au lieu de Nicoletto) ; cfr. ibid., p. 276, n. 80. 2 Cfr. M. FORLIVESI, Analisi de Ennio DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi sull’aristotelismo del XV secolo, Firenze 2012, dans Quaderni per la storia dell’Università di Padova 47 (2014), pp. 245-246 et nn. 14-15 ; E. DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi sull’aristotelismo del XV secolo (Istituto nazionale di studi sul Rinascimento – Quaderni di « Rinascimento », 59), Firenze 2012. 3 Cfr. ci-dessous planche n° III. Pour la transcription de ce document autographe, cfr. P. SAMBIN, Intorno a Nicoletto Vernia, dans Rinascimento 2 (1952), pp. 267-268 ; aussi DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi sull’aristotelismo cit., p. 80, n. 175. Noter toutefois que, dans ces deux publications, au lieu de : « Egidius super libris posteriorum in bona carta », il faut lire : « Egidius super libris Phisicorum in bona carta | Egidius super libris priorum in bona carta | » ; en outre, contrairement à ce qu’écrit De Bellis, ibid., p. 79, la liste de Nicoleto ne mentionne pas six textes d’Albert le Grand mais seulement cinq, et on n’y trouve aucun commentaire d’Albert sur les Analytica posteriora. La liste de Nicoleto a aussi été présentée par St. CAROTI, Note sulla biblioteca di Nicoletto Vernia, dans Vetustatis Indagator. Scritti offerti a Filippo Di Benedetto, a cura di V. FERA e A. GUIDA, Messina 1999 (Percorsi dei classici, 1), p. 184, n. 6 ; dans cette présentation rectifier pareillement ce qui concerne Gilles de Rome, mentionné en fait par Nicoleto, non pour son commentaire des Analytica posteriora, mais pour ceux de la Physique et des Analytica priora.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 319-327.

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sur la Métaphysique et un exemplaire de la Métaphysique d’Avicenne, les ouvrages indiqués ne portaient pas la marque de propriété, les armoiries (« arma ») de Nicoleto : « in libris meis inuenitur arma mea cum tribus pineis […]. In istis non est arma quia non erant mei »4. Or, au folio précédent (79r), le même Archivio notarile conserve l’attestation d’une donatio inter uiuos faite aussi par le maître Nicoleto Vernia le 16 janvier 1483 en faveur dudit monastère San Giovanni di Verdara ; à ce monastère Nicoleto lègue des livres lui appartenant et par la suite mentionnés (« infrascriptos »), ainsi que d’autres livres également siens mais peutêtre non mentionnés — car Nicoleto ne se rappelle plus bien —, qui tous se trouvent alors à Florence ou dans la région ; jusqu’à sa mort toutefois, il entend garder l’usufruit de ces livres5. Quels étaient ces livres légués par Nicoleto? Bien qu’elle évoque explicitement des livres ultérieurement mentionnés (« infrascriptos libros »), l’attestation de donatio ne comporte elle-même aucune liste et, sous l’intitulé final placé en milieu de ligne : « Libri de quibus supra sunt infrascripti uidelicet », il n’y a rien à lire dans l’espace resté disponible6. Quant au verso du folio 79, il est resté lui aussi non écrit, hormis l’indication placée en haut à droite : « donatio inter uiuos monasterio | Johannis de Viridaria facta per | magistrum Nicoletum »7. Mais on achève de voir que le folio suivant (80r) comporte une liste d’ouvrages. Malgré le fait que le copiste, Nicoleto lui-même, avertisse que les livres répertoriés dans cette liste ne sont pas les siens (et ne l’ont jamais 4 La marque de propriété de Nicoleto Vernia est spécialement mise en valeur sur la couverture de cet ouvrage : St. VILLANI, Un tesoro nascosto. Incunaboli decorati della Biblioteca Universitaria di Padova (= Catalogo della mostra bibliografica, Padova, Biblioteca Universitaria, 14-16 maggio 2007), Padova 2007 ; la même marque de propriété est reprise dans l’ouvrage, p. 19 ; couverture et ouvrage sont accessibles en ligne : cfr. respectivement : http://www. bibliotecauniversitariapadova.beniculturali.it/index.php?it/22/eventi/16/un-tesoro-nascostoincunaboli-decorati-della-biblioteca-universitaria-di-padova et http://www.bibliotecauniversitariapadova.beniculturali.it/getFile.php?id=259 (sites visités le 15 novembre 2017). On trouve aussi la même marque de propriété de Nicoleto Vernia au bas de la planche 14 (hors texte) dans une étude de G. M. CANOVA, Per la storia della Chiesa e della cultura a Padova : manoscritti e incunaboli miniati dal vescovo Pietro Donato ai canonici lateranensi di San Giovanni di Verdara ; cfr. Studi di storia religiosa padovana dal medioevo ai nostri giorni. Miscellanea in onore di mons. Ireneo Daniele, a cura di Fr. G. B. TROLESE, Padova 1997 (Fonti e ricerche di storia ecclesiatica padovana, 25), pp. 165-185. 5 Pour la transcription du texte complet de cette donatio, voir SAMBIN, Intorno a Nicoletto Vernia cit., pp. 266-267 ; aussi DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi cit., pp. 79-80, n. 175. 6 Cfr. ci-dessous planche n° I. Je remercie vivement Renzo SGARABOTTO de l’Archivio di Stato di Padova, qui m’a procuré une reproduction digitale des folios 79r-v et 80r du n° 1573 de l’Archivio notarile. Pour leur aide et leurs conseils, je remercie pareillement Silvia DONATI, Guy GULDENTOPS et Maurice LEQUEUX. 7 Cfr. ci-dessous planche n° II.

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été : « non erant mei »), mais appartiennent au monastère San Giovanni di Verdara, néanmoins Paolo Sambin n’a pas hésité à y reconnaître un répertoire de livres de Vernia : « un elenco... di libri del Vernia »8 : en fait, pour Sambin, les « libri infrascripti » annoncés dans la donatio de Nicoleto (folio 79r) sont aussi ceux qui sont répertoriés par le même Nicoleto au folio suivant9. Quelque cinquante années plus tard, en 1999, Stefano Caroti s’est rallié à son tour à cette interprétation10. C’est aussi ce qu’a fait en 2012 Ennio De Bellis, qui a même publié à la suite l’un de l’autre, comme s’il s’agissait d’un seul, les deux documents des folios 79r et 80r de l’Archivio notarile n° 1573 de Padoue11. Dans la liste établie par Nicoleto Vernia se trouve un « quidam paruus liber in papiro in quo est Auerrois in libros priorum et posteriorum »12. De toute évidence, il ne peut s’agir d’aucun des deux manuscrits Urb. lat. 220 et 221 : dans le ms. 220 il n’y pas de commentaire des Analytiques, et dans le ms. 221 les commentaires des Analytiques ne peuvent être isolés des œuvres qui les entourent, comme le montre l’agencement codicologique de l’ensemble13. Bref, dans la liste autographe de Nicoleto, nos deux mss Urb. lat. 220 et 221 ne sont pas mentionnés. Or, selon le texte de la donatio de 1483, les livres légués par Nicoleto se trouvaient alors à Florence ou dans la région. C’est que, à la suite de contrariétés rencontrées à l’université de Padoue, Nicoleto a songé partir enseigner ailleurs : à l’université de Pise ; durant l’été 1481, il y a envoyé des livres ; Nicoleto ne s’est toutefois pas rendu à Pise pour y assurer ses cours et, par représailles, les livres qu’il y avait envoyés ont été saisis par les autorités de l’université ; les livres ont ensuite été dispersés14. Comme l’a bien vu Giulio F. Pagallo, cela paraît s’appliquer sans difficulté au corpus des deux manuscrits Urb. lat. 220 et 221 : dans l’esprit de Ni8

SAMBIN, Intorno a Nicoletto Vernia cit., p. 262. Puisque pour Sambin, les livres de Nicoleto concernés par la « donazione » sont précisément ceux « oltre gli elencati, che potevano essere in Toscana, ma di cui il donatore non ha ricordo preciso » ; ibid., p. 262 (les italiques dans cette citation sont de moi). 10 Cfr. CAROTI, Note sulla biblioteca cit., p. 184, n. 6. 11 Cfr. DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi cit., pp. 79-80, n. 175. 12 Cfr. SAMBIN, Intorno a Nicoletto Vernia cit., p. 267 ; voir aussi DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi cit., p. 80, n. 175. 13 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 270-271 et 292-293. 14 Cfr. CAROTI, Note sulla biblioteca cit., pp. 184-185 et n. 7 ; voir aussi St. VILLANI, Un testamento inedito di Nicoletto Vernia e le vicende dei suoi libri, dans Quaderni per la storia dell’Università di Padova 34 (2001), p. 340 ; DE BELLIS, Nicoletto Vernia. Studi cit., pp. 35-38 et 42- 50 ; G. F. PAGALLO, L’animus averroisticus di Nicoletto Vernia e il vescovo Pietro Barozzi : alcuni ritocchi al quadro d’insieme (1487-1499), dans Pietro Barozzi, un vescovo del Rinascimento, atti del convegno di studi, Padova, Museo Diocesano, 10-20 ottobre 2007, a cura di A. NANTE, C. CAVALLI, P. GIOS, Padova 2012, pp. 124-142 ; FORLIVESI, Analisi cit., pp. 245-246. 9

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coleto, ils faisaient sans doute partie de sa donatio du 16 janvier 1483, mais à son insu et par l’intermédiaire probable du libraire florentin Vespasiano da Bisticci, ils avaient déjà été acquis, probablement en 1482, par le duc d’Urbino Federico da Montefelftro15 ; il semble, en outre, qu’ils n’étaient plus à la disposition de Nicoleto, quand il a préparé sa grande édition — parue en 1483 — des Aristotelis opera avec commentaires d’Averroès16. Mais, selon Marco Forlivesi, il n’est pas certain que Nicoleto était pro15 Cfr. PAGALLO, L’animus averroisticus di Nicoletto Vernia cit., pp. 135-138. Dans mon étude Le corpus averroicum cit., pp. 283 et 308-309, j’ai signalé que Federico da Montefeltro a dû acquérir les deux mss Urb. lat. 220 et 221 après le 21 août 1474 (date de son élévation à la dignité de duc par le pape Sixte IV) et même après le 2 novembre 1478 (date où un document notarial paraît mentionner leur donation par Nicoleto Vernia au couvent San Giovanni di Verdara, mais seulement après la mort de Nicoleto). Non sans raison, Pagallo estime l’acquisition des deux mss par le duc d’Urbino postérieure au 7 mars 1482, jour où les autorités de l’université de Pise ont décidé de vendre les livres qu’avait envoyés Nicoleto. C’est donc entre le 7 mars et le 10 septembre 1482, jour de la mort de Federico da Montefeltro, que nos deux mss seraient arrivés à Urbino ; cfr. G. F. PAGALLO, ibid., p. 136. À toutes fins utiles, je rappelle que les deux mss sont passés à la Biblioteca Apostolica Vaticana sous Alexandre VII ; cfr. R. HISSETTE, ibid., p. 268; voir aussi H. HOFMANN, Literary Culture at the Court of Urbino during the Reign of Federico da Montefeltro, dans Humanistica Lovaniensia. Journal of NeoLatin Studies 57 (2008), p. 5 et n. 2. Sur le contexte de l’acquisition des deux volumes par Federico da Montefeltro, voir aussi CAROTI, Note sulla biblioteca cit., p. 185 ; VILLANI, Un testamento inedito cit., p. 340; sur le rôle de Vespasiano da Bisticci dans la constitution de la bibliothèque de Federico da Montefeltro, cfr. HOFMANN, Literary Culture cit., passim et surtout pp. 12-13 (cfr. nn. 37-42) et p. 24. 16 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 301-309. Comme l’a bien noté M. Forlivesi (Analisi cit., p. 247, n. 17), à cause du style de Pâques suivi à Venise, les deux tomes datés de février 1483 (= d’une part Organon et d’autre part Ethica-Politica-Oeconomica) pourraient bien être les derniers de cette édition et donc dater de février 1484 ; à ce sujet, voir aussi R. HISSETTE, Préface, dans Commentum medium super libro Porphyrii. Translatio Wilhelmo de Luna adscripta, Lovanii 2016 (Averrois opera, Series B, Averroes latinus X), p. 33*. Je ne vois cependant pas comment Forlivesi (ibid., p. 248, n. 19) peut proposer de placer en septembre 1483 le début de la publication de cette édition d’Aristote-Averroès, alors que les cahiers du tome II dévolus au De caelo et mundo sont datés du 27 mai 1483 (cfr. R. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 299, n. 179 ; ID., Des éditions d’Aristote-Averroès produites par Lorenzo Canozi (1472-75) et Andrea Torresano, dans Gutenberg Jahrbuch 87 (2012), p. 105, n. 3). Quant à la manière dont est daté le tome dévolu à l’Organon : « quinto nonas februarias », au lieu de « calendas februarii » (= 1er février), ce n’est pas une erreur (« un refuso », comme l’a cru Forlivesi, ibid., p. 247, n. 17), du moins à en juger par plusieurs usages des formules analogues « quarto nonas februarias » (cfr. https://books.google.de/books?id=4j9MAAAAcAAJ&pg=PP38 6&dq=%22quarto+nonas+februarias%22&hl=de&sa=X&ved=0ahUKEwiIrt220o7XAhVLKc AKHU7JApYQ6AEIWzAH#v=onepage&q=%22quarto%20nonas%20februarias%22&f=false) et « quinto nonas februarii » (cfr. https://www.google.de/search?q=%22quinto+nonas+febru arii%22&dcr=0&source=lnms&tbm=bks&biw=1862&bih=902 ; sites visités le 15 novembre 2017). Noter que dans les incunables on rencontre aussi les formules « quinto nonas Junii » (cfr. VERSOR JOHANNES, Quaestiones super veterem et novam logicam Aristotelis, Köln, Konrad Welker, 1486 = GW M50244) et « quinto nonas Nouembris » (cfr. Obsequiale Eystettense..., Eichstätt, Michael Reyser, 1488 = GW M27388 / IGI 6943).

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priétaire des livres envoyés à Pise. En effet, comme pour Sambin, Caroti et De Bellis, pour Forlivesi les livres « infrascripti » annoncés dans la donatio de Nicoleto sont également ceux qui sont repris dans sa liste autographe. Or, des livres envoyés à Florence ou dans la région et qui ne sont pas mentionnés, la donatio stipule que Nicoleto n’a plus une mémoire précise. Peu importe ; à ceux-là aussi qui pourraient avoir été oubliés, Forlivesi applique les derniers mots de la liste autographe du maître padouan : « in istis non est arma, quia non erant mei »17. La conclusion de Forlivesi est-elle correctement tirée? À propos de la marque de propriété (« arma ») de Nicoleto, on peut noter qu’on la trouve au moins dans un incunable de Padoue18, et dans deux manuscrits de Venise19. Je ne sais pas si c’est tout, mais il est sûr qu’on chercherait en vain cette marque de propriété dans plusieurs volumes qui pourtant ont certainement appartenu à Nicoleto20. C’est dire que, parmi les livres envoyés en Toscane, certains n’étaient peut-être pas marqués : tout porte à croire que c’était effectivement le cas des deux manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 22121. Indépendamment toutefois de cette question de la marque de propriété, je ne vois pas comment Nicoleto aurait pu faire une donatio et revendiquer jusqu’à sa mort l’usufruit de livres dont il n’aurait pas été propriétaire22. Sous ce rapport, tout porte à croire également que les deux manuscrits vaticans Urb. lat. 220 et 221 ont été des instruments de travail de Nicoleto et partant sa propriété23. Il y a donc une erreur quelque part. Quelle en est la cause? Je me demande si ce n’est pas d’avoir cru que la liste autographe de Nicoleto ex17

Cfr. FORLIVESI, Analisi cit., pp. 245-246 et nn. 14-15. Voir à la Biblioteca Universitaria l’incunable portant la cote Sec. XV 717 (= JOHANNES DE JANDUNO, Questiones super libros De anima Aristotelis, Venezia, Franz Renner et Nikolaus von Frankfurt, 1473) ; à ce sujet, cfr. VILLANI, Un testamento inedito cit., p. 344 ; EAD., Un tesoro nascosto cit., p. 19 (dans l’exergue de cette page 19, lire: DE JANDUNO, et non: DE GANDAVO). 19 Cfr. S. Marco Lat. VI. 15 (= 2807) et Lat. VI. 18 (= 3014) ; voir VILLANI, Un testamento inedito cit., pp. 343-344 et n. 28 ; EAD., Un tesoro nascosto cit., p. 19. Noter que la planche 14 dans l’étude de Canova mentionnée ci-dessus (cfr. n. 4) ne reproduit pas seulement la marque de propriété de Nicoleto Vernia mais tout le folio du ms. S. Marco Lat. VI. 15 (= 2807), au bas duquel cette marque de propriété a été portée. 20 Voir à ce sujet HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 278-279, n. 87 ; CAROTI, Note sulla biblioteca di Nicoletto Vernia cit., p. 184, n. 6. 21 La marque de Nicoleto en est absente, mais évidemment pas celle de Federico da Montefeltro ; cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., p. 283. 22 Je ne vois pas non plus pourquoi Forlivesi (dans Analisi cit., p. 246, n. 15) retient l’hypothèse que, quand Nicoleto a écrit sa liste autographe, ses exemplaires de la Métaphysique d’Avicenne et du commentaire sur la Métaphysique d’Albert le Grand (cfr. supra, pp. 319320) avaient déjà été mis en dépôt à San Giovanni di Verdara. 23 Cfr. HISSETTE, Le corpus averroicum cit., pp. 297-300. 18

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plicite les « libros infrascriptos » mentionnés dans l’acte de donatio du même Nicoleto : en fait, cet acte de donatio et la liste autographe qui le suit, ne sont-ils pas peut-être deux documents, non complémentaires l’un de l’autre24, mais plutôt étrangers l’un à l’autre ? Pourquoi et comment sont-ils alors rapprochés dans les archives de Padoue ? La liste autographe de Nicoleto Vernia ne recense-t-elle pas peut-être, non des ouvrages légués, mais empruntés par le maître padouan au couvent San Giovanni di Verdara ? Pour suppléer ceux qui étaient égarés en Toscane ? Je ne puis plus poser ces questions à Paolo Sambin, mais les soumets volontiers aux chercheurs qui, comme Stefano Caroti, Stefania Villani, Ennio De Bellis, Giulio Pagallo, Marco Forlivesi et d’autres, travaillent sur la bibliothèque de Nicoleto Vernia et sur les documents qui concernent ses livres dans les dépôts d’archives, celles de Padoue en particulier. Nul doute que la réponse à ces questions ne pourra supposer l’invraisemblable : qu’au sujet de nos deux manuscrits urbinates, comme aussi des autres livres dont il réclamait l’usufruit jusqu’à sa mort, Nicoleto Vernia ait pu écrire « non erant mei ».

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Comme l’ont suppposé P. SAMBIN, et à sa suite St. CAROTI, E. DE BELLIS et M. FORLI-

VESI.

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Planche II – Padova, Archivio di Stato, Archivio notarile n° 1573, f. 79v.

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Planche III – Padova, Archivio di Stato, Archivio notarile n° 1573, f. 80r.

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NICHOLAS TREVET VISUALIZADO. EL USO DE LAS CONSTELACIONES EN EL COMENTARIO A LAS TRAGEDIAS DE SÉNECA* Los clásicos, esos antepasados «que nos han generado y a quienes nosotros generamos y re-generamos cada vez que los evocamos en el presente y para el presente»1. El Comentario a las Tragedias de Séneca escrito por Nicholas Trevet es también otra forma de regeneración, de evocación, en aquel presente medieval de las versiones trágicas del cordobés. Plantear nuevas relecturas de esta obra permite apreciar la «textura del tiempo», de la que habla Keith Moxey, esa que delata las diferentes apropiaciones que les han acompañado a lo largo de la historia y hasta nuestros días. Lo clásico es un concepto que ha provocado numerosos debates a lo largo de la historia; dado que la asimilación, la subversión, la redefinición o el cuestionamiento de sus principios es lo que define las corrientes de pensamiento. Precisamente, son estos continuos retornos a plantear, a leer, a generar lo que dificulta y a la vez enriquece ese ideal. No es lugar de ahondar en la teorización del concepto puesto que la obra a analizar algo tiene de clásica, para unos el texto de Séneca justifica tal consideración, para otros, más sensibilizados con la modernidad medieval será la figura de N. Trevet, un clásico de la literatura escolástica medieval. En cualquier caso, también se explica en los términos que propone Italo Calvino, sencillamente, «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire»2; y sobre las versiones manuscritas del Comentario a las Tragedias del siglo XIV todavía queda mucho por decir. La doble naturaleza de los textos comentados amplifica su proyección y con ello multiplica las posibilidades de apropiación de cada lector. Carla María Monti, en el caso del Séneca trágico, constata como «l’allestimento * Trabajo realizado durante el periodo de formación en el Programa III de Formación de personal investigador de la Universidad de Salamanca cofinanciado con el Banco de Santander. Agradezco sinceramente a la Profª. Francesca Manzari por tantas conversaciones en el Cortile della Biblioteca sobre este asunto; su generosidad intelectual y humana están presentes en muchos momentos del trabajo. 1 S. SETTIS, Futuro del classico, Torino 2004, p. 141. 2 I. CALVINO, Italiani, vi esorto ai classici, in L’Espresso, 28 giugno 1981, pp. 58-68 (Ed. Esp. Por qué leer los clásicos, Siruela 2012). Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 329-357.

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di un commento impresse una forte accelerazione alla diffusione di un’opera nella cultura medioevale e umanistica»3. Desde los lugares interlineares ocupados por la glosa primitiva, la hermenéutica ha ido conquistando el espacio del folio hasta llegar a constituir volúmenes independientes. Este último alcanza su fase más notoria en el ámbito universitario y, en particular, en los comentarios al derecho. Precisamente, estos movimientos del texto dentro de la página del manuscrito establecen una serie de relaciones jerárquicas que denotan los intereses de quienes las diseñaron, lectores y promotores. En este sentido, la obra de Trevet resulta sumamente ilustrativa, dado que se aprecian notables alteraciones en la disposición del aparato textual y figurativo. A propósito de uno de los ejemplares que fue expuesto en la muestra Vedere i Classici, con gran acierto, Loriano Zurli hace una apostilla que conviene retomar: « (per come il codice è impostato avrei detto meglio: il commento trevetiano accompagnato dalle tragedie di Seneca)»4. Este matiz es fundamental: ¿se trata de las Tragedias con un comentario o de un Comentario con las tragedias?; en él radican las tensiones entre unos y otros, dentro de las cuales los recursos visuales tienen un papel fundamental. El Comentario a las Tragedias de Séneca constituye una de las obras de referencia del autor inglés que, junto con el que realiza a la Consolatio Philosophiae de Boecio5, lo ha situado entre los clásicos del pensamiento escolástico tardomedieval. En lo fundamental ha sido la historia moral y la crítica textual donde, con mayor intensidad, se ha abordado su estudio6. La edición de los textos comenzó con el trabajo realizado por Ezio 3 C. M. MONTI, F. PASUT, Episodi della fortuna di Seneca tragico nel Trecento, in Aevum 73 (1999), p. 514. 4 L. ZURLI, Il testo iconico: Vedere i classici alla Vaticana, in Giornale italiano di filologia 49 (1997), p. 308. 5 Para una aproximación: L. NAUTA, The Consolation: The latin Commentary tradition, in The Cambridge Companion to Boethius, Cambridge 2010, pp. 255-278; L. NAUTA, The Scholastic context of the Boethius commentary by Nicholas Trevet in Boethius in the Middle Ages. Latin and Vernacular Traditions of the “Consolatio Philosophiae”, a cura di Maarten J. F. M. HOENEN – L. NAUTA, Leiden 1997, pp. 41-67. 6 V. FABRIS, Il commento di Nicola Trevet all’“Hercules Furens” di Seneca, in Aevum 27 (1953), pp. 498-509; V. USSANI Jr., Nicolai Treveti expositio Herculis furentis, Roma 1959; C. SPEGGIORIN, Il commento di Trevet alle Tragoediae di Seneca e i suoi riflessi sulle traduzioni catalana e castigliana, in Annali di Ca’ Foscari. Serie occidentale 36 (1997), pp. 599-615; S. MARCHITELLI, Nicholas Trevet und die Renaissance der Seneca-Tragödien. 1, in Museum Helveticum 56 (1999), pp. 36-63; EAD., Nicholas Trevet und die Renaissance der Seneca-Tragödien. 2, ibid., pp. 87-104; P. BUSONERO, Un classico e il suo commento: Seneca tragico nel Basso medievo, in Le Commentaire. Entre tradition et innovation. Actes du colloque international de l’Institut des traditions textuelles (Paris et Villejuif, 22-25 Septembre 1999), Paris 2000, pp. 127-136; S. MARCHITELLI Da Trevet alla stampa: Le Tragedie di Seneca nei commenti tardomedievali,

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Franceschini dónde se localizan hasta doce ejemplares con fragmentos de la obra, de los que solo cuatro la conservan completa7. Ofrece un concienzudo análisis de los volúmenes, con las transcripciones de los argumenta que encabezan cada pasaje trágico y se completa con las transcripciones de las cartas que intercambian Niccolò da Prato, cardenal y obispo de Ostia, y el comentarista para el encargo del trabajo. Precisamente, el análisis del contenido de estos documentos permitió a Simonetta Marchitelli apurar la datación sobre la ejecución del comentario y situarlo durante la década 1307 a 13178. A partir del estudio de Franceschini se han sucedido las ediciones del texto de manera fragmentada, en función del interés por cada tragedia. La división ha provocado un escalonamiento de las publicaciones efectuadas por varios autores prolongándose hasta la primera década del presente siglo. Esta particularidad ha impedido la elaboración de un estudio del contenido teórico en perspectiva de conjunto9. En el corpus de ejemplares utilizado en las ediciones se debe incluir un testimonio recientemente localizado en España con el texto completo. Se trata de un volumen de origen italiano que se conserva en la Biblioteca General Histórica de la Universidad de Salamanca y que perteneció al arzobispo Diego de Anaya10. Por lo tanto, el repertorio de volúmenes con la obra completa y del siglo XIV son los siguientes: — Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 355. — Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1650. — Padova, Biblioteca Universitaria di Padova, Ms. 896. ibid., pp. 137-146; P. BUSONERO, La Mise en page nei primi testimoni del commento trevetano a Seneca tragico, in Aevum 75 (2001), pp. 449-476. 7 E. FRANCESCHINI, Glosse e commenti medievali a Seneca tragico, in Studi e note di filologia latina medievale, Milano1938 (Pubblicazioni della Università cattolica del Sacro Cuore. Serie 4, Scienze Filologiche, 30), pp. 1-106. 8 MARCHITELLI, Nicholas Trevet cit., pp. 39-43. 9 E. FRANCESCHINI, Il Commento di Nicola Trevet al Tieste di Seneca, Milano 1938; USSANI Jr., Nicolai Treveti expositio cit.; P. MELONI, Nicolai Treveti expositio L. Annaei Senecae Agamemnonis, Roma 1962; M. PALMA, Nicola Trevet. Commento alle «Troades» di Seneca, Roma 1977 (Temi e testi, 22); R. JUNGE, Nicholas Trevet und die Octavia Praetexta. Editio princeps des mittelalterlichen kommentars und untersuchungen zum Pseudosenecanischen drama, Paderborn – München 1999; L. ROBERTI, Commento alla Medea di Seneca, Bari 2004; M. CHIABÒ, Commento alla Phaedra di Seneca, Bari 2004. 10 Este ejemplar de origen italiano procede de la biblioteca del Colegio Mayor de San Bartolomé de la Universidad de Salamanca, fundado por Diego de Anaya y que fue adquirido por él a finales del siglo XIV. Para una aproximación a este ejemplar vid. J. JIMÉNEZ LÓPEZ, La Materialización de un clásico: unas Tragedias de Séneca con Comentario de Nicholas Treveth (BGH/Ms.2703) de Diego de Anaya, in Doce siglos de materialidad del libro. Estudios sobre manuscritos e impresos entre los siglos VIII y XIX, Zaragoza 2017, pp. 169-183.

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— London, Society of Antiquaries of London, Cod. 63. — Salamanca, Biblioteca General Histórica de la Universidad de Salamanca, Ms. 2703. Frente al interés de la crítica por el contenido del Comentario de Trevet, el repertorio figurativo sobre el que se apoya el discurso ha pasado inadvertido. A pesar de que ya Franceschini destacó que el programa figurativo estaba contemplado desde el inicio por el propio autor, dado que incluye en la descripción de las constelaciones continuas referencias: «huius descriptio talis est», «ut patet in subiecta descriptione», «cuius sic describitur imago», «sub hac forma», etc11. Por lo tanto, es necesario considerar las imágenes dentro del entramado ideológico del texto puesto que «no existe texto fuera del soporte que lo da a leer (o a escuchar) y que no hay comprensión de un escrito cualquiera que no depende de las formas en las cuales llega a su lector»12. Desde el punto de vista de la filiación artística el trabajo de Francesca Manzari analiza y ahonda en el contexto cultural y artístico de la corte pontificia de Avignon donde fueron conformados el propio texto del comentario y dos de los volúmenes más destacados del conjunto, el Urb. lat. 355 y el Vat. lat. 165013. Por su parte, Dieter Blume aborda una investigación de tipo iconográfico en su estudio sobre las representaciones de las constelaciones en el periodo medieval dentro de las redes de circulación del saber científico14. El autor elabora una ficha catalográfica que describe el contenido figurativo de los cuatro manuscritos donde se conservan las representaciones estelares15. Una vez que se ha constatado la existencia de un movimiento de elementos dentro de la página, que apuntan a un cambio en las relaciones jerárquicas y que nos permiten consolidar la sugerencia de Zurli es necesario aunar los planteamientos de los estudios del texto y de las imágenes.

11 Estos ejemplos corresponden a las del Hercules Furens comentada por FABRIS, Il Commento di Nicola cit., p. 506. 12 R. CHARTIER, El mundo como representación: estudios sobre Historia Cultural, Barcelona 1999, p. 55. 13 F. MANZARI, La miniatura ad Avignone al tempo dei Papi, 1310-1410, Modena 2007, pp. 53-72. Para una descrpción catalográfica más reciente: A. STONES, Gothic Manuscripts. 1260-1320, II.1, London 2014, cat. VI.7, pp. 150-152; VI.11, pp. 158-159. 14 D. BLUME, M. HAFFNER y W. METZGER, Sternbilder des Mittelalters: der gemalte himmel zwischen wissenschaft und phantasie. 1200-1500, II, Berlin 2016. 15 El manuscrito de Salamanca queda fuera de las referencias de Blume por desconocimiento, a pesar de que no cuenta con las ilustraciones realizadas, sí que conserva los espacios y notas al margen para su ejecución.

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«Todos los elementos adyacentes al texto son consustanciales»16 y, por lo tanto, forman parte de las herramientas discursivas utilizadas por el autor para transmitir el mensaje inicial. Muchas veces alteradas por promotores o lectores y que permiten acercarnos a esas múltiples regeneraciones que de la obra hacen cada individuo o grupo social, de las que se apuntaban al comienzo, siguiendo a Settis. 1. La mise en page primitiva La estructura básica dónde se articulan las relaciones entre todos los elementos implicados en la transmisión del texto es el folio. Sobre este aspecto ha centrado su trabajo Paola Busonero, constatando variantes significativas dentro del corpus manejado17. Fundamentalmente, se identifican dos conjuntos de manuscritos en base a la disposición del texto y el comentario. El primero está compuesto por los ejemplares más antiguos — los cinco citados anteriormente — que presentan la misma disposición, a dos columnas, alternando el comentario con los fragmentos de Séneca, es decir, el comentario se dispone de manera intertextual. El segundo grupo, más reducido y avanzado en el tiempo con respecto a la ejecución inicial, lo representan dos manuscritos: París, Bibliothèque nationale de France, lat. 8032 y el BAV, Ott. lat. 1585; en este caso el comentario de Trevet se dispone al margen, enmarcando el texto trágico situado en el centro de la página. Busonero concluye que, en origen, el texto y el comentario debían ser dos unidades independientes. Esto le permite explicar las diferencias detectadas en relación con la mise en page y también por alguna variante en la división de los fragmentos textuales que intercalan texto y comentario, es decir, atribuye a una decisión del copista la división de los textos para su inserción entre la obra de Séneca. La salida al margen del comentario no comporta mayor significación que testimoniar la influencia del formato difundido por los códices jurídicos universitarios18. Sin negar la posibilidad de tal circunstancia, cabe ahondar en las razones que llevan a adoptar una disposición u otra en cada ejemplar. Detrás de la elección de la mise en page subyace algún tipo de razón, ya sea de carácter funcional, para facilitar la lectura, económico, para reducir la cantidad de pergamino utilizado, o bien por razones estéticas, preocupadas en 16 E. RUÍZ GARCÍA, Claves del documento artístico bajomedieval en Castilla, in El documento pintado: cinco siglos de arte en manuscritos, Madrid 2000, p. 33. 17 BUSONERO, Un classico cit., pp. 127-136; EAD., La Mise cit., pp. 449-476. 18 La autora solo tiene en cuenta el Ott. lat. 1585, pero también puede unirse el lat. 8032, con una composición similar. Vid. BUSONERO, La mise en page cit., p. 451 y pp. 472-473.

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presentar una distribución armoniosa de la página. En definitiva, la conquista del margen por los comentaristas aparece vinculado a la enseñanza universitaria y a un nuevo tipo de lectura frente al fenómeno opuesto «su interposición en el texto hace olvidar el texto mismo, hace que la hermenéutica se superponga a la literalidad y adquiera mayor importancia»19. En estos términos se puede afirmar que el grupo que presenta el comentario intertextual dispuesto a dos columnas, equipara la obra de Trevet a la de Séneca, es decir, el Comentario de Trevet con las Tragedias del que hablaba Zurli. Mientras que en el caso de los dos ejemplares que reservan el espacio central a los versos clásicos y relegan al margen la obra del dominico, sí que nos sitúa ante las Tragedias de Séneca con el comentario de Trevet. Este planteamiento se consolida al observar los repertorios figurativos de ambos modelos, como era de esperar, puesto que son parte integrante y fundamental en la transmisión del texto y, por tanto, de su mise en page. Es una certeza que el programa ilustrativo se corresponde con las enunciaciones indicadas en relación a la disposición del comentario. Para el caso donde se equipara visualmente a ambos autores, las únicas imágenes son las de las constelaciones descritas por Trevet, en este caso nunca aparecen representaciones historiadas de las secuencias trágicas. Por otra parte, el grupo de manuscritos donde se refuerza la autoridad del texto de Séneca sobre el comentario, situándolo en el centro de la composición, las escenas figuradas representan pasajes de este autor y, en ningún caso, se hallan imágenes de las composiciones estelares del comentario, a pesar de que sí mantienen las referencias del texto a su presencia. En definitiva, la salida al margen del texto de Trevet contiene una mayor significación que la mera influencia del manuscrito universitario. Hemos comprobado que no solo la disposición del texto varía, sino que esa doble concepción de la obra se refuerza con un repertorio figurativo preciso, en clara relación con la ideología y el horizonte cultural en el que se configuró el conjunto. Se notará como estos dos manuscritos — con la glosa encuadrante, lat. 8032 y Ott. lat. 1585 —, se sitúan cronológicamente en el último cuarto del siglo XIV20. En este punto, nos planteamos si se trata de un reflejo del fenómeno advertido por Settis ligado al deseo de recuperación de «lo clásico». El texto de Séneca fragmentado y llevado a un «estado de ruina» por la «modernidad» escolástica-medieval, recupera a finales de

19 J. D. RODRÍGUEZ VELASCO, La producción del margen, in La Corónica: a Journal of Medieval Hispanic Languages, Literatures & Cultures 39 (2010), p. 256. 20 Concretamente el Ott. lat. 1585 está datado por nota del copista en 1373.

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siglo la auctoritas clásica volviendo al centro de la página y recuperando su forma original, enfatizado gráfica y figurativamente21. 2. Contenido y forma escolástica del Comentario de Trevet El procedimiento escolástico del comentarista ya fue resaltado desde el primer estudio de Franceschini, cuya demostración más palmaria es la división del texto de Séneca en Actos, estos en carmina, dentro de los cuales todavía se distinguen partes o particulae; donde a su vez también se encuentran los dialoghi o sermones22. La compartimentación del texto permite al autor desplegar el comentario de manera ordenada y priorizando determinadas partes; algo característico de esta corriente intelectual. Esta metodología también está vinculada a un nuevo paradigma de lectura surgido en este momento y denominado por Jacqueline Hamesse «modelo escolástico» en el que el lector puede «encontrar con facilidad lo que buscaba en el libro, sin tener que hojear las páginas»23. La división introducida por Trevet por primera vez en las Tragedias permitió, unas décadas más tarde, al arzobispo Alonso Fernández de Madrigal citar con mayor precisión el texto de Séneca recurriendo a la terminología introducida por el dominicano24. Si la metodología y el contenido escolástico de la obra de Trevet es incuestionable, cabe plantearse si la forma en la que se presenta también se ajusta a principios afines. De entrada, esa fragmentación del discurso puede entenderse en términos próximos a lo que denominara Erwin Panofsky como el «principio de clarificación» de la escolástica cuyo planteamiento, asegura, «considera necesario hacer “más clara” la fe apelando a la razón y hacer “más clara” la razón apelando a la imaginación, se haya sentido obligada a hacer “más clara” la imaginación apelando a los sentidos»25. El autor alemán observa los diferentes niveles también en la literatura filosófico-teológica caso que «la articulación intelectual del sujeto implica la 21

Vid. SETTIS, Futuro del classico cit. Esta última división solo se da en el caso de la de Medea, donde se refiere indistintamente como sermones a monólogos y diálogos. Vid. ROBERTI, Nicola Trevet. Commento cit., p. 14. 23 J. HAMESSE, El modelo escolástico de lectura, in Historia de la lectura en el mundo occidental, a cura di R. CHARTIER, G. CAVALLO, Madrid 1998, p. 160. 24 La referencia a carmina concretos que realiza el Tostado en alguno de sus textos ha permitido concluir a G. Olivetto que el prelado utiliza la versión comentada y no sólo las Tragedias, con las posibilidades que esto abre. G. OLIVETTO, Séneca De amore en el gobierno ideal del Tostado, in Grandes y pequeños de la literatura medieval y renacentista, a cura di E. BLANCO, Salamanca 2016, p. 515. 25 Ed. Esp. E. PANOFSKY, La arquitectura gótica y la escolástica, Madrid 2007, p. 48. 22

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articulación acústica del discurso en frases recurrentes y la articulación visual de la página escrita en rúbricas, números y parágrafos»26 a lo que también se añaden las imágenes. Esta articulación visual de los elementos se identifica nítidamente en las páginas a través de las iniciales capitales que destacan el inicio de cada fragmento teatral y de cada comentario, las rúbricas anuncian brevemente el contenido, así como, los títulos corrientes que permiten localizar al lector en todo momento. Siguiendo con Panofsky, si el pensamiento escolástico llevó al arquitecto de la catedral gótica a concebir el edificio a partir de «la división y subdivisión uniforme de toda la estructura»27, el arquitecto de la página del Comentario se aprovecha de la unidad que aporta la composición a dos columnas, pero mantiene en su interior los fragmentos claramente diferenciados. De hecho, una de las características propias de esta obra, que advierten todos los autores, es la confusión que provoca la alternancia de textos, solo perceptible en algunos manuscritos por un ligero cambio del módulo de la letra o por el paso del verso a la prosa. Una última apreciación de Panofsky a propósito de la pintura y su relación con la escolástica es la aparición del encuadre en las miniaturas de los manuscritos. De esta manera, se atribuye el recurso a la viñeta con el mismo «principio de clarificación», es decir, frente a las figuras a pluma que flotan en el folio, ahora éstas se encuadran armoniosamente dentro del conjunto28. La aparición de las constelaciones enmarcadas supone también una novedad en la transmisión iconográfica de estos modelos. En las versiones clásicas del poema de Arato, durante la «orientalización» de las formas a su paso por el mundo árabe y a través de Al Sufi vuelven al occidente mediterráneo, las estrellas también flotan en el folio como en el propio firmamento29. Con todo esto, no se pretende afirmar que la mise en page utilizada en los primeros testimonios del Comentario de Trevet sea una creación 26

Ibid. Ibid. 28 Ibid. p. 49. 29 Sobre la transmisión de los modelos y la pervivencia de las formas clásicas en las composiciones iconográficas. Vid. E. PANOFSKY, F. SAXL, Mitología clásica en el arte medieval, Vitoria 2016. Solamente en el Cod. 96, London Antiquaries Society, las imágenes no aparecen enmarcadas en la correspondiente viñeta, pero como analizaremos a continuación, está utilizando referentes iconográficos de la tradición más antigua de los Aratea; esto explica ese recurso ciertamente arcaico, que no entraremos a valorar en este momento si implica un posicionamiento ideológico u otras connotaciones. Para un importante repertorio de imágenes de constelaciones reunidas a través de diferentes manuscritos se puede consultar en The Warburg Institute, Iconographic Database. Disponible en: https://iconographic.warburg. sas.ac.uk/vpc/VPC_search/main_page.php [Consultado: 1/10/2017.] 27

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escolástica o que su utilización implique tal condición. Ahora bien, sí que cabe plantear la posibilidad de leerla en esos términos, es decir, en determinados textos de carácter filosófico-literario la perspectiva escolástica se sirvió de un tipo determinado de composición para transmitir su discurso. Mientras que, en el ámbito universitario, condicionado a su vez por otros elementos de tipo económico o funcional, optaron por la glosa encuadrante. En cualquier caso, resulta sugerente trazar el análisis del resto de la producción de Trevet en términos formales que pudieran confirmar o rechazar tal idea. 3. La visualización del Comentario de Trevet De entre los cincos manuscritos indicados al comienzo que cuentan con la obra completa, solamente en tres se ha llegado a ejecutar el repertorio de imágenes previsto por el comentarista: Urb. lat. 355 y Vat. lat. 1650 de la BAV y el Soc. 63 de la Society of Antiquaries of London. Los otros dos volúmenes restantes de las bibliotecas universitarias de Padova (Ms. 896) y Salamanca (Ms. 2703) sí que cuentan con el espacio reservado a las ilustraciones, pero no se han llegado a elaborar, salvo algunos bocetos de poca entidad en el ejemplar padovano30. A pesar de ser un grupo poco numeroso se dan cambios muy concretos que permiten plantear una serie de hipótesis sobre la configuración del repertorio figurativo inicial. En todos los testimonios está previsto el mismo conjunto ilustrativo: la Tragedia de Hercules Furens contiene las constelaciones: Osa menor, Tauro, Orión, Perseo, Geminis, Corona, Hércules y (Leo)31; la Tragedia de Tiestes: Aries, Cáncer, Virgo y Libra, Escorpión, Sagitario, Capricornio, Acuario, Piscis, Serpiente, Osa mayor y Bootes; finalmente, la tragedia de Medea: Serpiente, Ophiuco e Hydra. A esta serie, el manuscrito Urb. lat. 355 incorpora al inicio del volumen dos imágenes a plena página, con los per30 El manuscrito de Padova cuenta con los 7 bocetos de las constelaciones de la primera tragedia, Hercules Furens, mientras que en Tiestes y Medea mantiene los huecos en blanco para las respectivas figuras. Mientras que en el caso salmantino solo conserva algunas notas al iluminador. Posiblemente la falta de las imágenes en ambos volúmenes, especialmente, en el Ms. 2703 de la BGH de Salamanca se deba a la necesidad de contar con una plantilla con los modelos iconográficos precisos para colocar las estrellas, dado que no se trata de iconografías genéricas. No obstante, este asunto lo estamos abordando en un estudio más detallado en la tesis doctoral en curso dirigida por la Dra. Lahoz en la Universidad de Salamanca con el titulo: «Cultura visual y libraria del Arzobispo Diego de Anaya. La biblioteca del Colegio Mayor de San Bartolomé de la Universidad de Salamanca. (1433-1440)». Agradezco a la Profª. Federica Toniolo la ayuda en las comprobaciones del manuscrito de la Biblioteca Universitaria di Padova. 31 Aparece mencionada pero solamente realizada en el Urb. lat. 355 más adelante plantearemos la razón.

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sonajes de la tragedia de Hercules Furens situados en la scena del teatro y la otra miniatura contiene una representación de la esfera terrestre y celeste. Desde el punto de vista estilístico, los únicos códices que han sido analizados son los conservados en la Biblioteca Apostólica Vaticana. Justamente, ambos son los que presentan una relación directa con el entorno artístico de la corte papal de Avignon, recuérdese que también es el ambiente donde surge el encargo de la obra. Por su parte, Gousset atribuye el Urb. lat. 355 al taller del «Liber Visionis Ezechielis», vínculo refrendado por Manzari, quien también añadió al grupo el Vat. lat. 165032. El taller se caracteriza por exhibir una cultura meridional, que con toda probabilidad operaba de manera itinerante por el sureste francés, entorno geográfico y cultural de Avignon, según define esta última autora33. En el caso del Cod. 63 de Londres, Blume especula sobre la posibilidad de que se trate de talleres franceses localizados en la capital británica34. Se desconocen los promotores o poseedores originales de cada ejemplar, lo que dificulta elucubraciones sobre cuestiones que pudieron provocar determinadas características de los mismos. No obstante, a la coincidencia de los dos volúmenes vaticanos con el contexto aviñonés, se une la riqueza artística de ambos encargos, pero convenimos con Manzari en la preeminencia del Urb. lat. 355 entre ambos. También se diferencia del Vat. lat. 1650 en que ha sido materializado de manera unitaria y completa, por lo tanto, tal y como fue concebido el proyecto inicialmente. El carácter extraordinario de esta obra refuerza la hipótesis planteada por la autora sobre la identificación con el ejemplar de Niccolò da Alberti, quien encomendara el trabajo a Trevet entre 1307-1317, como ya se recogió al comienzo. Manzari señala que se trata del único testimonio que cuenta con una imagen de la presentación de la obra, en la letra capital del íncipit35. En esta escena es claramente reconocible un dominico entregando la obra a un cardenal — según revela su indumentaria — y, de nuevo vuelve a aparecer, en la letra capital del inicio de la tragedia de las Troyanas (f. 107r) donde el comentarista dominico escribe el texto sobre un pequeño atril. 32

MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 53-69. El Urb. lat. 355 perteneció a la colección de Federico de Montefeltro, como anuncian sus armas en la parte inferior del íncipit de la obra (f. 5r). El Vat. lat. 1650 ha sido identificado desde M. Palma, y aceptado por todos los autores posteriores, como el volumen registrado en el inventario de la biblioteca pontificia de Aviñón en 1369. Vid. M. PALMA, Note sulla storia di un codice di Seneca tragico col Commento di Nicola Trevet, in Italia medievale e umanistica,16 (1973), pp. 317-322. Sobre la fortuna del códice véase una detallada recopilación en MANZARI, La miniatura ad Avignone cit. p. 53, p. 64 y nota 176. 34 BLUME, HAFFNER y METZGER, Sternbilder des Mittelalters cit., n. 111. 35 MANZARI, La miniatura cit., p. 64. 33

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3.1. El repertorio figurativo del Urb. lat. 355 [Láms. I-IV] A la serie de constelaciones referidas anteriormente, este ejemplar añade dos miniaturas a plena página, únicas en todo el corpus, donde a modo de argumentum figurativo se enuncia y se anuncia el contenido de toda la obra. En el verso del primer folio, la izquierda del dúo, se encuentra la imagen de la scena del teatro y, frente a ella en el fol. 2r, una imagen de la esfera terrestre y celeste; no hay duda de que ambas representaciones funcionan entre sí y son complementarias. La primera de ellas encarna la distribución en el espacio escénico de todos los personajes implicados en la representación teatral; la imagen alude a la descripción que el propio Trevet incorpora en el comentario al primer fragmento del Hercules Furens. […] in qua erat pulpitum super quod poeta carmina pronunciabat; extra vero eran mimi qui carmine pronunciacionem gestu corporis effigiebant per adaptacinonem ad quemlibet ex cuius persona loquebatur poeta36.

El poeta declama desde el edículo central y entorno a él los actores ponen gestos a la historia, como el pasaje citado detalla; todo ello frente a un público popular expectante «sempre più desideroso di un realismo spesso scabroso e truculento»37. Esa acentuada gestualidad que caracteriza a los «mimi» en la escena, parece trasladarse a la representación del Urb. lat. 35538. El lenguaje de las manos asume un rol esencial en este tipo de figuraciones, se trata de «le mani “enfatizzate”» propias de las imágenes que evocan la recitación mimada39. En el sentido de la lectura abre el relato la imagen de la diosa Juno representada en el único momento que protagoniza en toda la tragedia y que desencadena la misma. El relato literario comienza con su lamento por ser expulsada del cielo y condenada a vivir en la tierra. La diosa está caracte36 Edición latina en: USSANI, Nicolai Treveti expositio cit., p. 5, rr.14-19. El fragmento ha sido recogido por varios autores entre ellos también en MANZARI, La miniatura cit., p. 62. Stefano Pittalunga (vid. infra) propone la siguiente traducción: «Il modo in cui si rappresentavano in teatro tragedia e commedie era questo. Il teatro era un’area semicircolare, nel cui mezzo c’era una piccola castta, che era chiamata scena, nella quale c’era un pulpito; stando sul pulpito il poeta declamava i suoi versi; fuori, invece, stavano i mimi, i quali riproducevano con i gesti del corpo ciò che il poeta declamava, adattandolo alle parole di ciascun personaggio». 37 S. PITTALUGA, Voce e gesto nel teatro medievale, in Doctor Seraphicus 44 (1997), p. 72. 38 Agradezco al prof. P. M. Cátedra haber reparado en esta precisa observación, gracias a la cual he podido ahondar en ello. 39 Vid. G. DALLI REGOLI, Il gesto e la mano: convenzione e invenzione nel linguaggio figurativo fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 2000, p. 43.

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rizada con la indumentaria cortesana, coronada y señalando con su mano izquierda al cielo y con la derecha a la tierra. La bóveda celeste se convierte en una burbuja azul repleta de estrellas que presenta un tratamiento semejante a las utilizadas en las constelaciones unos folios más adelante. En el segundo acto, Anfitrión y Megara se lamentan de la opresión tiránica de Lico, el pasaje se relata en un extenso diálogo entre ambos donde muestran su aflicción por la ausencia de Hércules. En la imagen, aparecen ambos personajes dialogando y la ausencia del héroe, puede estar sugerida por el gesto del padre cuando apunta con el dedo índice de su mano derecha hacia el suelo. A pesar de que en esta secuencia ya aparece por primera vez el rey Lico con la intención de casarse con Megara, el iluminador ha reservado la imagen del monarca a la escena siguiente y más representativa de su papel en la historia. Es en el tercer acto y en la tercera escena donde Lico con todos los atuendos que le identifican como monarca terrestre, es atacado por un Hércules revestido con la piel del león y empuñando la maza hacia el monarca, preludio del asesinato inmediato. Cierra la secuencia Anfitrión, ya anciano, barbudo, con el pelo largo y cano que es retenido con firmeza por Teseo para evitar su amenaza de quitarse la vida si Hércules también lo hace. La figura del rey de Atenas contiene la mano derecha del padre, mientras pisa firmemente su pie, ambas son metáforas de su intervención. La acción del monarca es breve, pero esencial en el desenlace: evita el suicidio de ambos y recomienda a Hércules purificarse tras los terribles asesinatos y así superar el desasosiego que le provocó la muerte de su madre. El cuarto inferior de la semiesfera se reserva al chorus que está integrado por siete figuras que entrelazan sus manos y que se dirigen al populus expectans, situado en las esquinas superior e inferior del margen derecho. La gestualidad del pueblo que contempla la escena también denota la inquietud y la conmoción que las tragedias provocaban en el público inducidas por el deseo del realismo y lo escabroso que aludía Pittaluga40. En definitiva, la representación de la scena es más que una composición esquemática sobre la distribución de los espacios en el teatro clásico. La imagen que mantiene una práctica narrativa muy frecuente en el uso medieval, sintetiza el contenido del primer relato del repertorio trágico de Séneca. La ausencia de representaciones similares al comienzo de cada pasaje acentúa el valor retórico de ésta, puesto que la convierte en una sinécdoque figurativa del conjunto literario. En términos semejantes se explica la representación de la cara contigua de la esfera terrestre con los principales paralelos y la esfera celeste con 40

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sus almicantares (f. 2r). En ella se identifica el ecuador como «torrida» y matiza que es una «zona inhabitabilis per calorem». Las dos zonas tropicales, comprendidas entre el ecuador y los trópicos de Cáncer y Capricornio, que no nombra como tales, pero que puede percibirse con este sentido la línea de color negro que limita el color naranja y los verdes oscuros. Para estos advierte que se trata de zonas «habitabilis temprata». Completan la esfera, los círculos Ártico y Antártico que identifica en negro e indica que son «inhabitabilis por frigus». El esquema terrestre está circundado por otra rueda exterior de color azul oscuro que representa la esfera celeste. En ella se señalan los círculos, los trópicos estival y otoñal y el círculo ecuatorial. El dibujo se completa con los dos polos de la esfera celeste: «polus mundi», correspondiente con los polos geográficos de la tierra, y el «polus zodiaci» el correspondiente con los extremos del eje de la eclíptica desviado del otro 23º, que es la inclinación del eje terrestre respecto al plano de la eclíptica donde se sitúan los signos del zodiaco41. La representación de la esfera terrestre y su círculo celeste constituye el «escenario de las constelaciones» dónde se irán situando conforme vayan siendo desgranadas en el interior del comentario. Esta representación también encuentra su descripción en el interior del texto, en este caso en la tragedia de Tiestes donde se apostilla el Carmen VIII e inmediatamente antes de la descripción de las constelaciones del zodiaco. En esta ocasión Trevet va describiendo las divisiones de la tierra y del cielo «tam enim celum quam terra in quinque zonas secundum poetas solent distingui»42. Esta alusión a los poetas en el pasaje trasciende el mero recurso retórico y revela la fuente teórica e iconográfica de las constelaciones manejada por el autor. La circulación del saber celeste en este periodo se agrupa en dos campos: el científico ocupado en la medición y ordenación de la bóveda celeste, las tablas sobre las estrellas, instrumentos de medición para la navegación, etcétera. Por otra parte, el mundo literario recurre a la tradición mitológica y legendaria de la Antigüedad para transmitir el conocimiento estelar y su influencia en la vida y el carácter de los hombres. De este grupo de poetas, una de las obras más destacadas e influyente en este ámbito fue el poema de Arato, Phaenomena, que tuvo gran difusión desde la Antigüedad griega y el mundo árabe. A partir del XIII recalará en el occidente mediterráneo donde se recupera, ciertamente, alterado en las 41 Agradezco las precisas e ilustrativas explicaciones de la Azucena Hernández sin las cuales no hubiera podido comprender ni asimilar el complejo lenguaje de la representación astrológica. En cuyas conversaciones utilizó inesperada, pero muy elocuentemente, la metáfora de «escenario de las constelaciones», para comprender este conjunto. 42 FRANCESCHINI, Il commento di Nicola cit., p. 67.

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versiones conocidas como Aratus Latinus43. No obstante, a pesar de ser una de las obras más difundidas no es la única y la referencia genérica a los poetas puede aludir a otras fuentes o a que circulase de manera anónima, como se ha constatado en algunos testimonios. En cualquier caso, Trevet confirma que su fuente son las obras literarias a pesar de que, cuando la discusión lo precisa, recurre a los astrónomos para dilucidar la cuestión. A propósito de esto, un pasaje sumamente interesante lo encontramos en las descripciones de las constelaciones zodiacales en la tragedia de Tiestes. En la secuencia de la figura de Virgo y Libra se halla una precisión teórica sumamente elocuente: Quinto de septimo signo, quod est Libra, subdit dicens: et pondera iuste Libre cadent; Libram, que septimum signum est, tenet hec Virgo Astrea merita hominum ponderans et Iovi presentans; tamen secundum descriptionem ymaginum quam faciunt astronomi moderni, non Virgo tenet Libram sed alius quidam ut in descriptione patet. Hec duo signa lucent XLIIII stellis, ut patet in subiecta figura, quarum XXV sunt in Virgine et XVIII in Libra44.

El comentarista introduce la precisión de los «astronomi moderni» sobre la definición de Libra como constelación independiente de Virgo; lo que demuestra el conocimiento y el cuidado por la información que Trevet quiere exponer. El iluminador se enfrenta a una reinterpretación del conjunto, no muy extendida hasta este momento, por lo que propone como solución una viñeta doble. Virgo, en pie y como una figura femenina alada vestida a la clásica está acompañada por un hombre joven desnudo que soporta con la mano una balanza. La tradición científica se debatía desde la Antigüedad sobre la forma y el lugar del grupo de estrellas de Libra, en algunas versiones lo vemos como parte de las pinzas de Escorpión, como balanza independiente o a Virgo con ella en la mano. Se trata de una controversia de largo recorrido que Trevet constata y se inclina por el criterio de los astrónomos, la ciencia. Con la inclusión de este matiz el comenta43 Para una aproximación a la configuración y transmisión iconográfica de estos modelos la literatura es muy amplia, los trabajos más recientes y con bibliografía actualizada pueden consultarse el ya citado de D. Blume (2016); para Castilla vid. L. FERNÁNDEZ FERNÁNDEZ, La octava esfera. Biblioteca nacional de España, Ms 1197, Madrid 2015 y para los itinera de la difusión iconográfica astrológica en Italia Vid. G. MARIANI CANOVA, L’immagine degli astri nel manoscritto medievale, in L’uomo antico e il cosmo. Terzo Convegno internazionale di archeologia e astronomia (Roma, 15-16 maggio 2000), a cura di F. BERTOLA, Roma 2002, pp. 385-401; G. MARIANI CANOVA, Tracce per una storia dell’immagine astrologica nei manoscritti medievali italiani. La scienza tolemaico-islamica e le sue figure, in Immagine e ideologia, a cura di A. CALZONA, R. CAMPARI, M. MUSSINI, Milano 2007, pp. 376-385. 44 FRANCESCHINI, Il commento di Nicola cit., pp. 69-70. Agradezco a Laura Ranero Riestra la traducción, comentario y cotejo de este pasaje.

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rista condiciona un nuevo modelo iconográfico, reuniendo en una misma viñeta ambas constelaciones, pero individualizadas. Este modelo iconográfico se transmite al Vat. lat. 1650 pero con una alteración importante: se omite la referencia a los astrónomos quedando reducido el pasaje a «Libra que septimum signum est tenet hec Virgo Astrea merita hominum ponderans et Iovi presentans hec duo signa lucent ut patet in subiecta figura», (lin. 20, f. 57r, Vat. lat. 1650)45. A pesar de ello, la imagen de ambas constelaciones mantiene el modelo del Urb. lat. 355, pero en este caso, la figuración se aleja del rigor científico en favor de un criterio más artístico; es ciertamente paradójico que la balanza no contenga ninguna estrella, más bien funciona como atributo iconográfico. La importancia de este fragmento y su representación es fundamental para abordar el estudio de la transmisión textual y figurativa del Comentario a las Tragedias. La alteración del texto y la imagen que le acompaña es un síntoma de las estrechas relaciones entre ambos. Un breve apunte a los otros testimonios no esclarece la cuestión: el Soc. 63 de Londres se aleja todavía más de los modelos, el texto se mantiene en términos semejantes al Vat. lat. 1650 a pesar de que matiza el número de estrellas que componen el grupo. Sin embargo, la imagen que muestra vuelve a una composición iconográfica tradicional: Virgo soportando la balanza en su mano derecha. Los dos manuscritos restantes de Padova y Salamanca no han sido ejecutadas las imágenes ni sus bocetos, lo que entorpece las conclusiones en ese sentido, pero en ambos el texto sigue el relato del Vat. lat. 1650. En resumen, el Urb. lat. 355 es el único testimonio en el que se recoge la alusión de Trevet a la variante iconográfica propuesta por los astrónomos. El miniaturista de este ejemplar siguiendo esta indicación crea un modelo iconográfico para esta escena doble. El resto de manuscritos presentan una alteración notable del texto, que elimina la referencia a los científicos y, por tanto, dejan a la voluntad del iluminador la plantilla a seguir. Esto provoca que en la versión de Londres se recupere uno de los modelos tradicionales de las constelaciones de Libra y Virgo. Mientras tanto, el Vat. lat. 1650 a pesar de tener la versión alterada del texto, mantiene la composición iconográfica creada para el Urb. lat. 355. Esta circunstancia refuerza el vínculo común con el horizonte visual y artístico del lugar de producción, recuérdese que comparten taller de producción miniada, como destacó Manzari. No obstante, no se trata de una relación directa modelo-copia 45 Franceschini no hace alusión esta alteración tan significativa y claramente intencionada del texto en el aparato crítico de la edición. El texto que presenta sigue la versión del Urb. lat. 355 y, por tanto, mantiene la mención a los astrónomos, como se lee en el fragmento anterior. Agradezco a Jakub Kujawiñski la correcta transcripción de este fragmento.

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puesto que en el conjunto de ilustraciones los formatos se alejan bastante, como en el caso de Escorpión o la de Ofiuco. Otro aspecto que destaca el cuidado en la ejecución del Urb. lat. 355 es la inclusión en el margen inferior de la constelación de Leo en el f. 28v. En el pasaje correspondiente se hace alusión a la presencia de esta composición estelar (col. A; líns. 29-30) pero el copista olvidó dejar el espacio en el interior de la caja del texto. Esta corrección solamente se encuentra en este ejemplar, para el resto de volúmenes ha pasado desapercibida la mención al león y el error se ha mantenido en todos; siendo ésta la única ausente en el grupo zodiacal. Otra prueba de que Trevet sí contaba con su presencia es que, en el pasaje de Tiestes, junto al resto de las zodiacales, cuando se refiere a la de Leo, éste remite expresamente a la imagen del Carmen VIII de la primera tragedia46. Por lo que respecta al taller, existe consenso en atribuirlo al mismo que ejecuta el Liber Visionis Ezechielis47. Una de las características más destacables del Urb. lat. 355 es la unidad estilística de todo el ejemplar; a pesar de lo cual se aprecian dos manos o personalidades diferenciadas de un mismo taller. La primera de ellas se ocupa de las dos miniaturas a plena pagina del comienzo (ff. 1v-2r) y las tres constelaciones de la tragedia de Medea (ff. 140v-141r) y el segundo confecciona el conjunto de constelaciones de Hercules Furens y de Tiestes. El primer grupo de imágenes presenta una disposición poco sujeta al espacio de la viñeta, de hecho, en los tres casos superan y rompen el limite del marco compositivo, lo que aporta mayor plasticidad a su figura. A esta característica contribuye el marcado naturalismo de los personajes animados, buen ejemplo de ello es el contraste entre las dos constelaciones de Serpiente, que es la única que se repite en dos momentos de la historia, primero en Tiestes (f. 53r) y después en Medea (f. 140v). El resultado del dibujo de la cabeza en la primera versión presenta una mayor precisión y naturalismo, frente a un efecto más esquemático y rápido de la serpiente del segundo equipo del taller. Este último es más creativo como muestra en la composición excepcional para la constelación de Hidra (f. 141r) [Lám. IV], pero tiene poca pericia para alcanzar el naturalismo. Alterando el formato habitual, opta por 46 Otra corrección del iluminador del Urb. lat. 355 también se encuentra junto al segundo grupo de tres constelaciones (Serpiente, 140v, Ophiuco, 140v, Hydra, 141r). En el margen inferior se llegó a realizar un marco de viñeta siguiendo el esquema compositivo del resto, pero una nota al margen indica: «Hic figura de nichilo servit» (141r); lo que descarta que en este espacio falte una escena, que por otra parte el texto tampoco indica. 47 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 53-69. A. Stones lo denomina a este mismo tallar como Maestro de Queste.

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un marco rectangular que emerge del margen interior del folio e irrumpe de manera agresiva atravesando la primera columna de texto y avanza violentamente a la columna derecha. Esta composición tiene una gran fuerza plástica, rompe la rigidez y el canon de la mise en page. La cabeza del reptil muestra una actitud atacante que constriñe el texto contra el límite de su caja. No hay duda de que esta composición ha sido proyectada desde el inicio de la copia, de otra manera no hubiera sido posible alterar el espacio de la columna, por lo tanto, es un testimonio de la participación e implicación de todos los artífices de la obra en el proceso de planificación del códice48. Las dos miniaturas a plena página del comienzo están estrechamente relacionadas con la mano que ejecuta el último grupo de constelaciones. Tanto unas como las otras están enmarcadas por una fina cenefa cuyo único elemento ornamental en el interior es una hilera de líneas blancas oblicuas; a pesar de tratarse de un elemento menor, es suficientemente significativo para establecer el vínculo. Además, la otra serie de miniaturas atribuibles a la otra personalidad también muestra un rasgo que las uniformiza en el marco: tres líneas de color verde, rosa y blanco rematadas en las esquinas por cuadrados en cuyo interior se coloca un aspa blanca con puntos del mismo color en los espacios vacíos. No obstante, a pesar de esta sutil diferencia entre los dos conjuntos, las líneas de color rosa y verde grisáceo comunes en todas las viñetas dota de unidad cromática al conjunto. 3.2. El repertorio figurativo del Vat. lat. 1650 [Láms. V-VIII] A diferencia del esmerado cuidado del proyecto anterior se encuentra el Vat. lat. 1650 que presenta un trabajo en varias fases diferentes y diferenciadas. En cuanto a la copia del texto, Busonero ya ha advertido de la presencia de hasta cuatro manos diferentes49. En relación con el repertorio figurativo también son notables las diferencias, donde se identifican dos grupos de talleres claramente desiguales. El primero de ellos es el responsable del aparato ilustrativo hasta el f. 31r, con varias letras capitales y las siete constelaciones de la Hercules Furens. El siguiente taller completa la ejecución del manuscrito con el resto de letras iniciales y de constelaciones de las tragedias de Tiestes y Medea hasta el final del códice. La diferencia entre los dos talleres y fases de iluminación es clara y no48 La diferencia en el tratamiento de la constelación de Hydra que en el Urb. lat. 355 irrumpía hasta la columna derecha, puede obedecer a cuestiones compositivas y de gusto por tratarse de un planteamiento muy particular el del urbinate y no descartaría necesariamente una relación 49 «A 1-35rb; B 35v-140r; C 140v-151ra; 10 (transcendit); D 151ra,10 (avum)-189v, 28; E 189v,28 (face)-279rb». Vid. BUSONERO, La mise en page cit., p. 456.

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table, puesto que la segunda de ellas mejora considerablemente la calidad plástica del repertorio. El primero, no necesariamente lejano en tiempo y lugar al otro, deja sin acabar las constelaciones de la Hercules Furens, que siguen el esquema tradicional de representación «azul sobre azul»50 como las del Urb. lat. 355. La torpeza del resultado también se aprecia en la ejecución de las estrellas, puntos dorados pocos o mal definidos. Con respecto a las letras capitales a pincel solamente se realizan en el íncipit — en el inicio de la tragedia y del comentario — y en el resto se opta por modelos a pluma con sencillos motivos de filigrana. Manzari encuentra en este primer taller rasgos de carácter italianizante y de raíz Boloñesa51. El segundo taller de iluminación reconocible en el resto de iniciales capitales a pincel y en los conjuntos de las constelaciones del zodiaco de Tiestes y en las tres de Medea es la parte que Manzari vincula al taller del Liber Visionis Ezechielis. Las letras iniciales presentan rasgos de una clara vinculación italiana que despliegan un amplio catálogo de hojas de acanto, animales fantásticos y demás elementos ornamentales, como ya analizara la citada autora52. Centrando la atención en las figuras estelares de este segundo taller se notará como ha habido un cambio en la caracterización; del perfil negro recortado en el azul del cielo nocturno, se convierten en un conjunto de seres animados, volumétricos que flotan en el firmamento. Estos modelos se alejan de los anteriores que todavía conservaban el carácter sensiblemente científico de los Aratea latinus y prima la concepción artística sobre la científica. Se trata de un paso más en el proceso de asimilación occidental iniciado en el contexto carolingio, mientras que las formas «eran clásicas tanto en estilo como en significado mitológico, estaban bastante desprovistas de exactitud científica»53. En el repertorio del Vat. lat. 1650 el ejemplo más destacado de esta transformación lo constituye, de nuevo, el símbolo de Libra donde la propia balanza no contiene ninguna de las estrellas que componen el grupo, quedando reducida a la mera condición de atributo iconográfico. A esta preeminencia de lo artístico sobre otras cuestiones, se suma la alternancia del color del fondo que aludía al firmamento, donde se intercala el azul y el rojo oscuros. Se trata de un recurso meramente estético, puesto que no obedece a razones científicas, por supuesto, y además sigue un ritmo alterno entre uno y otro. En toda la amalgama de manos y procesos de ejecución proponemos 50

BLUME, HAFFNER, METZGER, Sternbilder des mittelalters cit., n. 109. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 66. 52 Ibid. 53 PANOFSKY, SAXL, Mitología clásica cit., pp. 39-40. 51

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como punto de inflexión que articula las diferentes fases el siguiente. En el folio 189v, línea 28, donde Busonero localiza el cambio de mano de copista54, tiene lugar algo más que una mera variante de amanuense. La caja del texto sufre una alteración considerable hasta el final del códice, el ancho de cada columna pasa de 6 cm a 8 cm y el número de líneas por columna de 44 a 41, que lo airea notablemente la masa textual. Nótese que esta modificación no está encaminada a constreñir el espacio que ocupa la escritura, con la intención de reducir costes o ajustarlo al material disponible, sino todo lo contrario, lo incrementa. Esta circunstancia nos lleva a apreciar cierta motivación compositiva, de carácter visual o estética. Dentro de esta maraña de manos y grupos proponemos el siguiente proceso de ejecución: El primer taller de tradición boloñesa, señalado por Manzari, interrumpe el trabajo en el punto en el que cambia el copista y la concepción de la página (f. 189v), las tareas de iluminación todavía se encontraban realizando las constelaciones de la primera tragedia y nunca fueron acabadas por ellos. Las letras capitales solo estaban previstas a pincel y en el inicio de tragedia y de comentario — como se ven en la parte inicial hasta el folio 31r, correspondiendo con el 4º cuaderno — momento en el que aparecen ya las iniciales a pincel claramente diferenciadas de las anteriores y vinculadas al taller del Liber Visionis Ezechielis55. Se notará como los espacios estaban previstos para letras de menor entidad y caligráficas, como las que se pueden ver en los primeros folios, y lo resuelven desplegando por los márgenes y el espacio intercolumnio el cuerpo de la inicial que mantiene un pequeño enlace con el espacio original. A partir de ese momento, el segundo equipo se hace responsable de finalizar el trabajo de copia e iluminación hasta el final. Es evidente que se trata de manos de mejor calidad técnica en la ejecución y con un cuidado compositivo y estético también mayor, como denota el cambio de la caja del texto. Todo esto en sintonía con el nuevo planteamiento visual de las constelaciones, alejado completamente del utilizado por el primer taller. Todo lo cual refleja una clara intención de reconsiderar el proyecto. Por último, a pesar de las diferencias en los procesos de materialización del Urb. lat. 355 y el Vat. lat. 1650 ambos mantienen un vínculo común importante que los convierte en los dos ejemplares más significativos del Comentario de Trevet a las Tragedias. Existen certezas de que los dos han sido ejecutados en el entorno de Avignon, a la sazón, origen cultural, lite54

Cfr. supra, nt. 40. Puede resultar significativo para este cambio la aparición de notas al margen en el primer bifolio del sexto cuaderno que indican «cum pincello». Estos elementos no son incuestionables ya que se sitúan junto al corte y que actualmente no se puedan leer no implica que nunca existieran. 55

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rario y visual de la obra. Además, son también los dos únicos ejemplares que han sido completamente acabados, aspecto que en otro momento nos tiene que llevar a plantearnos por qué. 3. Algunas conclusiones A través de los cambios en la composición de esta obra, ha sido posible apreciar esa textura del tiempo que se proponía al comienzo. El tránsito por el siglo XIV que muestra las continuas relecturas y apropiaciones que llevaron al clásico desde la modernidad medieval, en su versión fragmentada por la escolástica, de cuyas «ruinas» se ha nutrido para renacer convertido en la auctoritas clásica a fin de siglo, de nuevo, ante «la frontera entre muerte y vida»56. En este fenómeno han sido un testimonio fundamental las imágenes sobre las que el comentarista apoyaba su discurso, como parte esencial, para nada secundaría, de la mise en page. De hecho, la concepción del repertorio figurativo dentro de la articulación visual de la página, ha permitido determinar la composición primitiva diseñada por N. Trevet. Claramente dispuesto a dos columnas, con el comentario intercalado a los fragmentos de Séneca y apoyado en un relato visual que enfatiza el discurso hermenéutico. Por ello, es fundamental atender con rigor a la denominación de la obra, puesto que ésta siempre denota y condiciona su propia recepción. La versión original descrita, siguiendo la sospecha declarada por Zurli, debe enunciarse adecuadamente: Comentario de Trevet con las Tragedias de Séneca. Por otra parte, los ejemplares de final de siglo XIV, donde se regenera el texto clásico, relegando al margen el comentario y sustituyendo el repertorio figurativo inicial por escenas de los relatos trágicos, conviene identificarlo como: las Tragedias de Séneca con el comentario de N. Trevet. En este sentido, a través del planteamiento desgranado por Panofsky sobre el principio de clarificación de la escolástica ha permitido interpretar la obra nos solo en su contenido, sino también en su forma dentro de esta corriente de pensamiento. La fragmentación hecha para su análisis, tiene su resonancia en la visualización del texto, manteniendo la individualidad dentro de la unidad de conjunto. Para ello, se recurre a elementos tradicionales en la transmisión de textos, como las iniciales, rúbricas o títulos corrientes, pero también hay otros que sufren modificaciones, como la aparición del encuadre de las imágenes. Una vez que se ha constatado la composición inicial de la obra ha permitido centrar la atención en los cinco ejemplares conservados. Entre ellos 56

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SETTIS, Futuro del classico cit., p. 108.

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sobresalen los dos volúmenes de la Biblioteca Apostólica Vaticana, Urb. lat. 355 y Vat. lat. 1650, puesto que se tratan de los únicos que la literatura científica sitúa en el entorno de Avignon, núcleo de origen y creación de la obra. El primero de ellos, ya fue relacionado por Manzari, basándose en las imágenes de presentación — únicas en todo el corpus —, con el primer testimonio elaborado para Niccolò da Prato, el obispo de Ostia que encargó el comentario a N. Trevet. A esta sospecha se añaden las consideraciones sobre las particularidades iconográficas resaltadas, como la enmienda de Leo, la variante textual de Virgo y Libra o la inclusión de la scena teatral y la «scena» estelar que lo prologan. La esmerada factura de este volumen sobre el resto, nos inclinan por la propuesta de Manzari. Por último, el Vat. lat. 1650 supone un importante testimonio sobre la transmisión de los modelos iconográficos de las constelaciones en el contexto cultural y visual aviñonés. A pesar de eliminar la referencia a los astrónomos modernos en la secuencia de Virgo y Libra, sigue la plantilla iconográfica del Urb. lat. 355. El contacto solamente se da en esta escena, en el resto las diferencias compositivas son notables; por lo tanto, nos habla de un modelo difundido en el entorno y, no tanto, de una relación modelo-copia.

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Lám. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 355, f. 1v.

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Lám. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 355, f. 2r.

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Lám. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 355, f. 52v.

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Lám. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 355, f. 141r.

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Lám. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1650, f. 3r.

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Lám. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1650, f. 57r.

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Lám. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1650, f. 57v.

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Lám. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1650, f. 179v.

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ANCORA MINIATURE AVIGNONESI NELLA BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA: IL “MAESTRO DEL MESSALE ROSSELL” E BERNARD DE TOULOUSE NEL MS. PAL. LAT. 965 Le ricerche all’interno dell’ormai vasto corpus di manoscritti digitalizzati resi disponibili on-line dalla Biblioteca Apostolica Vaticana1 hanno portato alla luce un codice avignonese finora sconosciuto dal punto di vista storico-artistico (Tav. I)2. Il manoscritto costituisce una nuova acquisizione di straordinario interesse nel panorama della storia della miniatura avignonese, sia per il corredo miniato sia per il contenuto nonché per la destinazione originaria, desumibile da diversi indizi interni3. Si tratta di un’opera composta per soddisfare esigenze precise di un committente, che l’ha richiesto come pregiata opera di studio e di lavoro. Il codice miscellaneo, di contenuto prevalentemente storico, era stato descritto nel catalogo del fondo Palatino, nel quale è analizzato in particolare dal punto di vista testuale4: il manoscritto veniva correttamente collocato in ambito francese, grazie all’esame dei contenuti e della scrittura bastarda, e datato al 1360 circa, sulla base di indizi interni5. Questo 1 Mi riferisco alle indagini nei fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana condotte negli scorsi anni e finalizzati alla ricerca di nuovi esemplari biblici, in gran parte confluite nel volume Bibbia. Immagini e scrittura nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di A. M. PIAZZONI, in collaborazione con F. MANZARI, Milano 2017. Recenti ritrovamenti nelle collezioni della Biblioteca, frutto di uno spoglio dei libri litugici nel fondo dell’Archivio del capitolo di San Pietro, sono stati presentati in F. MANZARI, Manuscrits liturgiques réalisés à Avignon dans la première moitié du XIVe siècle. Nouvelles découvertes dans les collections du Vatican, in Culture religieuse méridionale. Les manuscrits et leur contexte artistique, ed. M. FOURNIÉ – D. LE BLEVEC – A. STONES, Toulouse 2016 (Cahiers de Fanjeaux, 51), pp. 215-245. 2 Integralmente visibile nel sito della Biblioteca: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Pal. lat.965. 3 Membr., mm 335 × 245, ff. 255. Per la foliazione, si segue qui la numerazione meccanica moderna apposta nell’angolo inferiore esterno. 4 D. WALZ, Pal. Lat. 965, in Die historischen und philosophischen Handschriften der Codices Palatini Latini in der Vatikanischen Bibliothek, (Cod. Pal. Lat. 921-1078), hrsg. von V. PROBST – K. ZIMMERMANN, Wiesbaden 1999, pp. 71-78. 5 WALZ, Pal. Lat. 965 cit., p. 71: La datazione è legata alla menzione, nel testo, del re di Francia Giovanni il Buono; si veda infra.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 359-373.

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FRANCESCA MANZARI

contributo intende analizzare il codice dal punto di vista della decorazione miniata, ascrivibile a due artisti attivi ad Avignone, già noti per altre opere, e proporre un’ipotesi per l’identificazione del committente e destinatario6. Il corredo miniato, sobrio ma raffinatissimo, era invece finora sfuggito all’attenzione degli studiosi7; esso è costituito da tre iniziali con figura (ff. 3r, 91r, 170r), da quindici iniziali decorate a tempera, anch’esse dotate di prolungamenti con tralci di vite nei margini, e da un ampio corredo di iniziali filigranate a penna e inchiostri rosso, blu e violetto. Anche solo la presenza dell’inchiostro viola sarebbe sufficiente per individuare con certezza una produzione in Francia meridionale8, ma l’analisi stilistica delle miniature permette di raggiungere una localizzazione ancora più puntuale, dal momento che è possibile riconoscere con precisione tanto il miniatore che opera con tempera e pennello quanto l’autore della decorazione filigranata a penna e inchiostro. Per giustificare la datazione al 1360 circa, nel catalogo del 1999 si faceva riferimento alla citazione del primo testo presente nell’indice che precede l’incipit del volume: in esso si legge che l’elenco dei re di Francia si estende dal primo sovrano fino all’attuale Giovanni “Primo origo regum et regni Francie et quot et qui fuerunt Reges Francie, a primo usque ad regem Johannem presentem” (f. 1r), ovvero Jean II le Bon, re di Francia tra il 1350 e il 1364. Un esame analitico del manoscritto permette, tuttavia, di datare con precisione la scrittura del testo all’anno 1360, certamente prima dell’inizio di quello successivo9. Il manoscritto costituisce in effetti la seconda parte superstite di un’opera in due volumi, particolare non rilevato precedentemente, poiché nell’intitolazione dell’indice si legge: “In ista secunda parte continentur ea que secuntur”. Il volume, dunque, si apre con la Genealogia dei re di Francia

6 Il manoscritto è stato oggetto di una prima presentazione, nel quadro di un più ampio intervento sulla miniatura avignonese, dal titolo Enlumineurs d’origine toulousaine en Avignon au milieu du XIVe siècle. Nouvelles découvertes sur le Maître du Missel Rossell et Bernard de Toulouse, in occasione del convegno internazionale, Toulouse au XIVe siècle. Arts et archéologie (Toulouse, 9-10 novèmbre 2017), e anche in un intervento intitolato Il contesto della miniatura avignonese alla metà del Trecento. Vecchie acquisizioni e nuove scoperte, nel corso della giornata di studi Il Messale Rosselli, Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, ms. D.I.21 (Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, 23 novembre 2017). 7 All’eleganza concorre la raffinata scrittura, l’impaginazione accurata, con ampi margini, e l’abbondanza di spazi bianchi alla fine dei vari testi, anche quando il passaggio tra diverse opere avviene all’interno di un fascicolo. Ringrazio per questa indicazione Jakub Kujawiñski. 8 F. MANZARI, La miniatura ad Avignone al tempo dei Papi. 1310-1410, Modena 2006. 9 Vedi infra.

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di Bernardo Gui (f. 3r)10, introdotta da un’iniziale con figura di un sovrano coronato, ritratto di profilo (Tav. I). A questo testo fanno riferimento tanto l’iniziale figurata, quanto lo stemma con i gigli di Francia miniato nel basde-page (ripetuti anche nel fondo della lettera); questo stemma infatti non indica la destinazione dell’opera, come abituale nei codici tardomedievali, ma è riferito iconograficamente al testo che accompagna, ovvero alla lista dei Re. Analogamente, a f. 91r, anche la Genealogia dei conti di Tolosa è impostata nello stesso modo, con l’iniziale raffigurante il conte, di profilo, e nel bas-de-page lo stemma della città. Si tratta di un uso piuttosto insolito dell’araldica, poiché in genere il margine inferiore dell’incipit è il punto deputato ad accogliere lo stemma del possessore11. La presenza della Genealogia dei conti di Tolosa indica un interesse per la Francia meridionale da parte del destinatario e si aggiunge dunque agli altri elementi che suggeriscono una confezione dell’opera nella Francia del sud. Le tre iniziali con figura — quella con il sovrano francese (f. 3r), quella con il conte di Tolosa (f. 91r) e la terza, che raffigura il busto di un uomo incappucciato con veste purpurea soppannata di ermellino, tipica degli eruditi, forse da identificare con l’immagine dell’autore del testo introdotto, relativo allo Scisma della Chiesa d’Oriente (f. 170r)12 — permettono di attribuire le miniature a tempera a un artista ben noto nel panorama avignonese. Si tratta di un miniatore finora testimoniato da una sola opera, un Messale eseguito per il cardinale di origine aragonese Nicolas Rossell (Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21), dotato di un imponente progetto illustrativo miniato a tempera e pennello13. I profili delle figure nelle tre iniziali del Pal. lat. 965 mostrano una assoluta sovrapponibilità con molte analoghe figurazioni del Messale Rossell, ricco di iniziali contenenti i busti di profeti e di personaggi biblici eseguiti con assoluta identità stilistica, con identici profili netti, dagli occhi allungati, su fondi decorati con colori vivaci (Tav. II). Il corredo miniato a tempera nel codice Palatino è stato dunque eseguito dall’artista conosciuto come “Maestro del Messale Rossell”, che prende il nome dal libro liturgico, la cui trascrizione è datata 10 Per una puntuale descrizione interna e per l’identificazione dei testi si rimanda alla scheda di Dorothea Walz: WALZ, Pal. Lat. 965 cit., pp. 71-78. 11 Non conosco altri esempi di un uso di questo genere. Sull’uso dell’araldica come marchio del possesso nel codice tardo medievale si veda, ad esempio, MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 22. 12 Il testo introdotto è la Disputatio latinorum et graecorum super scismate (ff. 170r-192r), datata al 1223, il cui autore non è identificato da Walz: WALZ, Pal. Lat. 965 cit., p. 74. L’interesse del destinatario nei confronti dello Scisma della Chiesa orientale è testimoniato anche da altri testi. 13 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 167-181.

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dal copista, che indica di aver terminato di trascrivere il testo nell’aprile 1361, dopo due anni e mezzo di lavoro (f. 423v)14. Nella prima metà del Novecento il Messale Rossell aveva suscitato discussioni riguardo alla sua possibile localizzazione ad Avignone, dove Rossell risiedette fino alla fine del 1361, o a Barcellona, dove il prelato si recò nei primi mesi del 1362, prima di morire a Palma di Maiorca nel marzo 136215; già nel 2006 tuttavia avevo potuto sciogliere tale interrogativo, dimostrando che il Messale è stato stato scritto, miniato e completato ad Avignone, come indicato anche nella elegante nota, apposta all’inizio del codice dallo stesso calligrafo che esegue l’apparato filigranato (Tav. III). Ciò è confermato anche dai successivi passaggi di proprietà, segnalati dagli stemmi aggiunti, che indicano come il Messale non avesse lasciato Avignone insieme al prelato: sul foglio d’incipit è stato infatti aggiunto lo stemma dell’arcivescovo Pierre II de Cros, che tra il 1371 e il 1383 dovette acquisirlo dal cardinale Guillaume de Bragose, che a sua volta doveva averlo acquistato dopo la morte di Rossell, tra il 1362 e il 1367. Lo stemma di Nicolas Rossell compare invece in diversi punti, ad esempio in un’iniziale figurata con Giovanni Battista, a f 34r16. La localizzazione avignonese del Messale Rossell e la sua datazione al 1361 trovano perfetta corrispondenza nella localizzazione in Francia meridionale negli anni sessanta del Trecento fin qui ipotizzata per il codice Palatino; altri elementi, inoltre, permettono di precisare ulteriormente tale ipotesi, confermando anche per quest’ultimo una localizzazione ad Avignone e una datazione puntuale al 1360, formulando anche un’ipotesi sul suo committente. Le miniature a tempera e pennello sono poche in questo volume, più sobrio del Messale Rossell — oltre alle tre iniziali con figura sono presenti solo iniziali decorate, per un totale di diciotto pagine d’incipit dotate di tralci di vite che riempiono i margini —, ma comunque elegantissimo, impostato nella mise-en-page come un libro di studio. Molteplici sono, invece, le decorazioni a penna e inchiostro rosso e viola, eseguite dallo stesso calligrafo e filigranatore che affianca il “Maestro del Messale Rossell” anche nello stesso Messale, realizzando un amplissimo corredo di decorazioni a penna e inchiostro (Tav. III). Tale calligrafo e 14

Ivi, p. 171. Su Rossell (Palma de Maiorca, 3 novembreo 1314 – 28 marzo 1362): R. DE ALÓS, El Cardenal de Aragón, fray Nicolás Rossell. (Ensayo bio-bibliográfico), Madrid 1912 (Cuadernos de trabajos de la Escuela Española de Arqueología é Historia en Roma); A. ESPONERA CERDÁN, Rossell, Nicolàs, in Diccionario Biográfico Español, XLIV, Madrid 2013, p. 495. 16 Per una puntuale analisi dell’apparato araldico: MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 175-178. 15

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filigranatore, inoltre, è a mio avviso identificabile con il miniatore Bernard de Toulouse, attivo ad Avignone tra gli anni sessanta e ottanta del Trecento, dove opera realizzando i corredi illustrativi a tempera e pennello e gli apparati di decorazione secondaria a penna e inchiostro all’interno di un corpus di manoscritti che ho ricostruito in passato17. Del tutto identico è infatti tanto il repertorio di figure di animali (Tav. IV) che arricchiscono le decorazioni a penna e inchiostro nei margini accanto alle lettere filigranate, spesso dotate di rotelle cigliate tipiche delle opere a tempera e delle decorazioni a penna e inchiostro del miniatore Bernard de Toulouse, quanto il corpus di volti grotteschi, spesso raffigurati nell’atto di suonare, soffiare, tenere un fiore in bocca (Tav. V), che pervadono sia il Messale Rossell che il codice vaticano. Identiche sono anche le lettere filigranate in cui una figura di animale — in genere conigli, uccelli, draghi — o umana è eseguita a risparmio contro un fondo operato tracciato a linee incrociate (Tav. IV). Due di queste, in particolare, raffiguranti busti maschili (Tav. V), segnalano punti evidentemente importanti nel Pal. lat. 965: l’iniziale con il busto della figura maschile tonsurata, con l’indice puntato, raffigurato entro un riquadro con roselline, che introduce l’incipit “Innocentius I” nel De Officiis Misse (f. 121v), e quella di un monaco tonsurato che introduce un capitolo in cui si parla dello Scisma della Chiesa Orientale, all’incipit della seconda parte di una raccolta di estratti dalle opere di Humbert de Romans (f. 206v)18. La datazione del codice miscellaneo ai primi anni sessanta, già ipotizzata da Dorothea Waltz sulla base dell’indicazione contenuta nell’indice del volume19, è confermata da confronti così puntuali con il Messale Rossell, eseguito, come si è detto, entro il 1361; tale datazione, inoltre, può essere precisata in modo inequivocabile attraverso un ulteriore indizio. L’elemento che permette di datare il codice in modo più preciso e di propendere per la sua destinazione originaria allo stesso cardinale Rossell è infatti contenuto nella rubrica che precede un elenco dei cardinali del tempo di Innocenzo VI (1352-1362), a f. 250r, indicati nella rubrica come quelli in carica precisamente nell’anno 1360: “Sequentes cardinales erant tempore domini nostri Innocentii pape VI anno domini m ccc lx et sunt numero xxiiii videlicet vi episcopi xii presbiteri et vi dyaconi cardinales sub titulis infrascriptis”. Sul verso del foglio (250v), inoltre, sono stati aggiunti 17

MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 181-187; EAD., Animals and funny faces in the pen-work decoration from the Avignon workshop of Bernard de Toulouse (1360-1390), in Le Manuscrit enluminé. Études réunies en hommage à Patricia Stirnemann, ed. C. RABEL (Cahiers du Léopard d’or, 16), Paris 2014, pp. 235-255. 18 Per entrambi i testi si veda WALZ, Pal. Lat. 965 cit., pp. 72, 75. 19 Vedi supra.

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da una mano diversa otto nuovi cardinali, creati dopo la morte di nove cardinali a causa di un’epidemia, nel 1361. Ciò autorizza dunque a datare entro il 1360 la scrittura del volume. La stesso testo contiene anche un indizio preciso relativo al committente dell’opera: nell’elenco dei cardinali presbiteri, infatti, l’ultimo personaggio elencato, l’unico ad occupare con i suoi titoli quattro linee di testo, invece che due come tutti gli altri, è proprio il cardinale Nicolas Rossell: “Dominus frater Nicolaus Rosselli ordinis fratrum predicatorum de civitate maioricensi de dominio aragonie. Titulus sancti sixti” (f. 250ra). Il codice è stato dunque scritto e miniato intorno al 1360, in parallelo con la produzione del Messale e verosimilmente per lo stesso Rossell. Al di fuori dei due stemmi già discussi, che sono da riferire alle dinastie raffigurate nelle due pagine d’incipit, il codice è privo di elementi araldici; non è tuttavia da escludere che la frequente presenza di piccole rose nella decorazione filigranata possa costituire un’allusione alla sua destinazione originaria, dal momento che lo stemma del cardinale conteneva sette rose. Verosimilmente, essendo un’opera destinata all’uso personale e non all’esposizione sull’altare, il committente non richiese lo sfoggio di araldica preteso invece per il libro liturgico. Il contenuto del manoscritto, estremamente vario e allo stesso tempo personale, conferma la sua destinazione alla biblioteca di un prelato dalle caratteristiche corrispondenti a Rossell: l’ampia serie di opere è mirata all’uso da parte di uno studioso dagli interessi incentrati sulla storia e sulle vicende della chiesa, poiché a un gran numero di testi di Bernardo Gui, come i cataloghi dei re di Francia, degli imperatori, e dei conti di Tolosa, e diversi suoi trattati, ad esempio sulla celebrazione dei Concili, sulla celebrazione della Messa, si alternano opere di autori diversi, come un testo sull’Ungheria del domenicano Riccardo di Ungheria, la descrizione della Gallia dello stesso Bernardo Gui, quella dell’Italia di Giovanni Mansionario, quella dell’Istria, un testo di Bernardo di Chiaravalle sulla Concezione di Maria20, la Storia degli Eremitani di Sant’Agostino, una Messa per i discepoli di Cristo, i benefici papali concessi ai re di Francia, una tavola sulle opere storiografiche, l’elenco dei cardinali, alcune glosse e commenti, la Storia della contea di Arles e addirittura una ricetta contro la gotta21. Non mi sembra dunque impossibile che il codice, certamente realizzato 20 L’interesse dei Domenicani per l’Immacolata Concezione di Maria, che nelle dispute teologiche l’Ordine in genere avversava (J. HALL, Dictionary of Subjects and Symbols in Art, London 1984, p. 326), è confermato anche nel Messale Rossell da una messa per questa festività (f. 287v). Vicini agli interessi di un prelato domenicano sono inoltre due testi del domenicano Humbert de Romans (Generale dell’Ordine dal 1254-1263. 21 Per l’elenco preciso dei testi, si veda, come già detto WALZ, Pal. Lat. 965 cit., pp. 71-78.

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dagli stessi artisti e negli stessi anni del Messale Rossell, potesse essere stato composto proprio per la sua biblioteca. Il manoscritto era certamente destinato a un prelato della curia avignonese, come mostra con evidenza il suo contenuto, che suggerisce che fosse stato ideato come un raffinato strumento di lavoro. Nicolas Rossell, è documentato ad Avignone proprio impegnato nell’elaborazione di opere di storiografia sull’Ordine domenicano e sul Papato, dunque anche da questo punto di vista appare come un committente del tutto verosimile per il manoscritto.

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Tav. I a-b – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 965, ff. 3r, 91r.

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Tav. II a-b – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 965, ff. 3r, 91r; c-d – Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21, ff. 314r, 280r, particolari (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione).

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Tav. III a – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 965, f. 1r; b – Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21, f. 423v (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione).

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Tav. III c – Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21, f. Ir, particolare (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione).

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Tav. IV a-c – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 965, ff. 160r, 102v, 108r, particolari; d-f: Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21, ff. 305r, 260v, 250v, particolari (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione).

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Tav. IV g – Avignon, BM, MS. 133, Messale, f. 1r.

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d Tav. V a-d – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 965, ff. 86v, 213v, 206v, 121v, particolari.

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g Tav. V e-g – Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, D.I.21, ff. 26r, 9r, 67r, particolari (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione).

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IL FABRETTI DE’ NOSTRO DÌ GAETANO MARINI ET L’INSCRIPTION BARBÉRINIENNE DE L’EMPEREUR CLAUDE (VAT. LAT. 9106 – BARB. LAT. 4325)* En 1815, l’année même du décès de Gaetano Marini (1742-1815) à Paris, la notice biographique francophone qu’Ennio Quirino Visconti (17511818) consacrait à Raffaele Fabretti (1618-1700) concluait : Un seul homme, et il est encore vivant, qui a rempli à Rome la même place de Préfet des Archives (le prélat Gaetano Marini), a montré dans ses ouvrages paléographiques, et notamment dans le recueil des Actes des frères Arvales, jusqu’à quel degré d’intérêt l’érudition et la sagacité de la critique réunies pouvaient élever l’étude des inscriptions latines1. * Ma reconnaissance et mes remerciements vont à Marco Buonocore, Archiviste en chef de la Bibliothèque apostolique vaticane et Président de l’Académie pontificale romaine d’archéologie qui, avec beaucoup de patience, a entouré ce travail de ses conseils et de la rigueur de ses révisions. Grâce à lui, et à bien d’autres chercheurs et collaborateurs de la Vaticane, l’attention et le soutien aux études mariniennes connaissent depuis 2015, un renouveau qui n’avait que trop tardé. S’ils voudront bien l’accepter, ce travail leur est dédié. 1 E. Q. VISCONTI, Fabretti, dans Biographie universelle ancienne et moderne, sous la dir. de M. MICHAUD, t. II, Paris 1815, pp. 27-54. Pour les notices biographiques de Fabretti, voir : H. LECLERCQ, Fabretti, dans Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie (à partir de maintenant DACL), sous la dir. de H. LECLERCQ – F. CABROL, t. V, Paris 1922, coll. 1064-1065 ; M. CERESA, sub voce dans Dizionario biografico degli Italiani (à partir de maintenant DBI), t. XLIII, Roma 1993, pp. 739-742 ; M. LUNI et F. NEGRONI, Raffaello Fabretti, archeologo urbinate “Principe della romana antichità”, sous la dir. de M. LUNI, Urbino 2001 ; S. PIETROBONO, Fabretti, Raffaele, dans Personenlexikon zur Christlichen Archäologie : Forscher und Persönlichkeiten vom 16. bis 21. Jahrhundert, sous la dir. de S. HEID – M. DENNERT, t. 1, Regensburg 2012, pp. 467-469. Pour les biographies de Marini : H. LECLERCQ, Marini (Gaetano) – Biographie et bibliographie, dans DACL, t. X, 2, Paris 1932, coll. 2145-2163 ; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano (Studi e testi, 272) 1973, pp. 200201, 336 ; P. BOUTRY, Souverain et pontife : recherches prosopographiques sur la curie romaine à l’âge de la restauration (1814-1846), Rome 2002, pp. 583-585 ; D. ROCCIOLO, sub voce dans DBI, t. LXX, Roma 2007, pp. 451-454 ; S. HEID, Gaetano Luigi Marini, dans Personenlexikon zur Christlichen Archäologie cit., Regensburg 2012, pp. 868-870, et surtout M. BUONOCORE (dir. & éd.), Gaetano Marini (1742-1815), protagonista della cultura europea. Scritti per il bicentenario della morte, t. I & II, Città del Vaticano (Studi e testi, 492-493) 2015. G. MARINI, Gli atti e monumenti de fratelli Arvali scolpiti già in tavole di marmo, Roma 1795, demeurent une référence pour les études épigraphiques car ils restituent l’histoire d’une institution latine avec pour seul fondement les inscriptions. Voir à ce propos la récente contribution de Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 375-426.

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Le lien idéal qui unit Fabretti à Marini n’est pas nouveau2. Au delà de la charge commune de Préfet des Archives du château Saint-Ange que l’un et l’autre occupèrent à quelques cent ans de distance — i.e. 1692 pour le premier et 1782, pour le second — ce lien consiste surtout dans l’approche systématique du sens intrinsèque de la titulature latine. Dans la pérennité d’un instrumentum entre temps devenu chrétien et, autrement, domesticum, Fabretti avait formulé, le premier, la nécessité d’une objectivation de l’histoire distante de l’idéal de l’ekphrasis littéraire baroque3. Marini n’aurait à son tour de cesse d’asseoir la rigueur de cette démarche totalisante. En 1771, tout juste entré comme scriptor Latinus à la Bibliothèque apostolique, il prenait soin de disséquer les leçons de feu J. J. Winckelmann († 1768) dans un très structuré Discorso sopra tre candelabri acquistati dal S.P. Clemente XIV 4. D’une plume encyclopédique et enjouée, le constat porté sur ces trois candélabres était pour lui l’occasion d’une lecture critique de l’œuvre du Prussien et programmatique de la sienne propre : il faudrait à l’avenir éviter des manipulations arbitraires sur des provenances archéologiques que l’on savait douteuses5, des divagations iconographiques contraires à la religiosité des Latins corroborée dans l’épigraphie6, la puJ. SCHEID, Gaetano Marini et les frères arvales, dans Gaetano Marini (1742-1815), protagonista cit., pp. 1187-1210. 2 Essentiellement : I. DI STEFANO MANZELLA, Gaetano Marini e l’Instrumentum inscriptum, dans Gaetano Marini (1742-1815) protagonista cit., pp. 1166-1186 ; I. CALABI LIMENTANI, La descrizione dei musei lapidari nel ’700 italiano’, dans Museo epigrafico – Atti del Colloquio AIEGL – Borghesi 1983, Faenza 1984, pp. 25-50, notamment pp. 35-37, 43. 3 Voir notamment le proème de R. FABRETTI, De columna Traiani syntagma Accesserunt Explicatio veteris tabellae anaglyphae Homeri Iliadem atque ex Stesichoro Arctino et Lesche Ilii excidium continentis & Emissarii lacus Fucini descriptio, Roma, ex officina Nicolai Angeli Tinassij, 1683, pp. 1-3. Une traduction partielle en français est donnée par R. CHEVALLIER, Découverte d’une iconographie : la colonne trajane, dans Caesarodunum 12 bis (1977), pp. 329348. Voir également les mises au point de L. MARIN, Visibilité et lisibilité de l’histoire : à propos des dessins de la colonne trajane, dans Caesar triumphans : rotoli disegnati e xilografie cinquecentesche da una collezione privata parigina. Catalogue de l’exposition de Florence, Institut français, Firenze 1984, pp. 33-44 ; et I. HERKLOTZ, Bellori, Fabretti e la Colonna Traiana, dans La Roma degli antiquari : cultura e erudizione tra cinquecento e settecento, Roma 2012, pp. 157170, en particulier p. 165 et nt. 33. 4 G. MARINI, Discorso sopra tre candelabri acquistati dal S.P. Clemente XIV, dans Giornale dè Letterati, t. 4 (1771), pp. 3-45. 5 Marini visait ouvertement le sculpteur antiquaire B. Cavaceppi († 1799) : cfr. MARINI, Discorso sopra tre candelabri cit., pp. 17-18. Le candélabre « Zelada » ainsi que les deux autres, de provenance barbérinienne, se sont avérés être partiellement reconstruits aux XVIe et XVIIIe s. : voir G. SPINOLA, Il Museo Pio Clementino, t. 3, Città del Vaticano 2004, cat. n. 53a CG IV ; cat. n. 44 et 51 CG II. 6 MARINI, Discorso sopra tre candelabri cit., pp. 20-23 ; 27-28 ; 36-37. Il cite d’ailleurs la version française de L’histoire de l’art chez les Anciens (1766) de Winckelmann. Ajoutons que Marini a probablement eu entre les mains les épreuves de la version italienne de la Geschichte

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blication de planches inexactes7 et, coup de grâce, des sources textuelles plutôt mal maîtrisées8. Pour Fabretti, comme pour Marini, la positivité des écritures dans le marbre soumise à une réflexion rigoureuse était le champ libre de leur recherche scientifique, leur liberté tout court. De là, à la fin du XVIIIe siècle, l’épigraphie n’avait plus à démontrer sa réelle longueur d’avance sur toutes les autres disciplines de l’Antiquité9. Pour autant, les réflexions de Marini sur l’œuvre manuscrite de Fabretti à propos de l’inscription de l’arc de Claude suppléée par Gauges de Gozze ne semblent pas avoir attiré l’attention de la recension historiographique – et encore moins épigraphique. De fait, bien que les Anedotti de son neveu Marino Marini10 (1822) les citent de manière circonstanciée, leur existence en regard du célébrissime fragment épigraphique romain, commémorant le triomphe impérial en Britannie de l’an 43, échappe au Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL VI, 920, 31203, 40416 – EDR 92880)11. Une part consistante de ces réflexions peut aujourd’hui être identifiée dans les diverses notes de la main de Marini récolées par A. Mai12 (1782-1854) en 1833 dans le ms. de la Bibliothèque apostolique vaticane, Vat. lat. 9106, ff. 171rv-172rv13. Constituée de 2 folios recto-verso numérotés de 4 à 5 (1782), comme l’attestent les frontispices vierges qu’il utilise pour ses notes dans les ms. Vat. lat. 9084, ff. 107v, 116v. 7 Ibid., pp. 31-32. 8 Ibid., p. 33. 9 A. MOMIGLIANO, Ancient History and the Antiquarian, dans JWCI 13 (1950), pp. 283-315, en particulier p. 304. 10 M. MARINI, Degli aneddoti di Gaetano Marini, Roma 1822, pp. 86-88 : « [...] Esistono parecchie sue riflessioni su l’operetta manoscritta, che ha per titolo, Osservazioni dell’Abate Fabretti sopra l’iscrizione dell’Arco di Claudio supplita da Gauges de Gozze [...] ». À notre connaissance, seul A. ADEMOLLO, Giacinto Gigli ed i suoi Diarii del secolo XVII, Firenze 1877, pp. 93-95, fait état de cette contribution. Signalons aussi que la recension de C. CARDINALI, Degli anedotti di Gaetano Marini commentario di suo nipote Marino Marini, dans Effemeride Letterarie di Roma 10 (1823), pp. 17-38, ainsi que les notes de celui-ci rassemblées dans les mss. de la Bibliothèque apostolique vaticane (à partir de maintenant BAV), Ferr. 651, ff. 250279 ; Ferr. 657, f. 20v ; Ferr. 652 n’en font pas état. Pour ces derniers, voir respectivement : L. BERRA, Codices Ferrajoli. Codices 426-736. Bibliothecae Apostolicae Vaticanae Codices manu scripti recensiti, t. II, Città del Vaticano 1948, p. 470 ; M. BUONOCORE, Gaetano Marini e i suoi corrispondenti, dans Gaetano Marini (1742-1815), protagonista cit., pp. 105-225, notamment p. 121. 11 Corpus Inscriptionum Latinarum. Consilio et auctoritate Academiae Regiae Borussiae, t. I-XVII, Berolini 1863-. 12 Pour les repères biographiques francophones d’A. Mai, voir BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 410-413. 13 Pour l’ordonnancement du fonds des mss. latins du Vatican (Vat. lat.), voir la contribution d’A. MANFREDI dans P. VIAN et F. D’AIUTO (dir. & éd.), Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, t. I, Città del Vaticano (Studi e testi, 466) 2011, pp. 623-640. Pour la place du ms. Vat. lat. 9106 dans l’entreprise « désespérée » du récolement

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[ff. 171-172], il s’agit d’un écrit achevé, sans ratures ni coquilles, bien qu’il faille le considérer — pour l’heure — lacunaire des pages 1 à 3. S’il s’avère privé de l’instrumentum inscriptum et de l’éventuel supplément auquel on aimerait songer, Marini livre néanmoins un portrait bibliographique inédit du grand archéologue urbinate, Fabretti. Il est publié dans l’Appendice I. Quant aux Osservazioni proprement dites de Fabretti sur le fragment épigraphique, elles sont intégralement attestées dans le ms. non autographe de la Bibliothèque apostolique vaticane, Barb. lat. 432514. Curieusement restées inédites, il convient de voir dans cette carence éditoriale l’anonymat et la chronologie inappropriée que quelques chercheurs persistent à leur attribuer15. Là encore, ni l’anthologie de H. Dessau (ILS 216) de 1892, ni les Additamenta de C. Hülsen de 1902 (CIL VI, 31203), ni la révision de G. Alföldy en 1998 (CIL VI, 40416) pas plus que celle des auteurs

réalisé par A. Mai sur les fiches épigraphiques préparatoires à l’œuvre restée inédite des Inscriptiones Christianae Latinae et Graecae aevi milliarii (mss. Vat. lat. 9071-9074), spécialement dans les mss. Vat. lat. 9104 à 9108 non retenus pour le volume : voir G. B. DE ROSSI, Inventarium Codicum Latinorum Bibliothecae Vaticanae, tomus XII a n° 9020 ad 9445, opera et studio J. B. de Rossi script(oris) linguae Latinae, an. 1856-1871. Lucianus Masciarelli scripsit an. 1889 (mss. II. 313 rosso) ; ainsi que la préface de celui-ci de L. G. MARINI et G. B. DE ROSSI, Iscrizioni antiche doliari, Accademia di conferenze storico-giuridiche, Roma 1884, pp. III-IV. Voir surtout M. BUONOCORE, Gaetano Marini e la genesi del primo corpus delle iscrizioni cristiane latine e greche, dans Acta XII Congressus Internationalis Epigraphiae Graecae et latinae – Barcelona, 3-8 Septembris 2002, sous la dir. de M. MAYER I OLIVÉ, G. BARATTA et A. GUZMÁN ALMAGRO, Barcelona 2007, pp. 203-209 ; ainsi que les renvois à l’index de M. BUONOCORE (dir. & éd.), Gaetano Marini (1742-1815), protagonista cit. 14 Constitué de 6 folios rv, il est identifié comme tel dans la reproduction anastatique de l’Index Codd. mm.ss. Latinorum et Occidentalium Bibliothecae Barberinianae redactus et digestus cura et tudio Reverendi Domini Sancte Pieralisi Bibliothecarii et in XLII tomos divisus = (à partir de maintenant S. PIERALISI, Sala Cons. Mss. Rosso) 129, p. 212 [ex Barb. XLVIIII, 93 ; N.A. 3341]. Voir également : CERESA, Fabretti cit. ; G. TEZI, Aedes Barberinae ad Quirinalem descriptae, (éd.) L. FAEDO – T. F. FARENGENBERG, Pisa 2005, p. 523, nt. 3, qui renvoient à E. VAIANI, Raffaele Fabretti, il “Signor Censore” : una polemica antiquaria sui medaglioni di Gaspare Carpegna, dans Studi Seicenteschi 46 (2005), pp. 211-228, notamment p. 228 et nt. 57 ; ainsi que S. PIETROBONO, Raffaele Fabretti “archeologo cristiano”, dans Raffaele Fabretti, archeologo ed erudito. Atti della Giornata di Studi (24 maggio 2003), sous la dir. de D. MAZZOLENI, Città del Vaticano 2006 (Sussidi allo Studio delle Antichità Cristiane XVII), pp. 115-149, notamment p. 136, nt. 64 — avec une erreur de transcription du nom de « Ganges de Gasse » – ainsi que S. PIETROBONO, Fabretti, Raffaele cit. 15 F. SOLINAS (éd.), Cassiano dal Pozzo : atti del Seminario internazionale di studi, Roma 1989, p. 114, nt. 77 ; W. STENHOUSE, Classical Inscriptions and Antiquarian Scholarship in Italy, 1600-1650, dans The Afterlife of Inscriptions, sous la dir. d’A. E. COOLEY, London 2000, pp. 77-89 ; ID., Ancient Inscriptions and the Paper Museum, dans Ancient Inscriptions, sous la dir. de W. STENHOUSE, London 2002 (VII, Series A – Antiquities and Architecture), pp. 19-33 ; I. HERKLOTZ, Girolamo Tezi, Francesco Barberini e Lucas Holste. Il progetto di una nuova edizione delle Aedes Barberinae, dans La Roma degli antiquari cit., pp. 101-120, notamment p. 104.

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des Supplementa Italica – Imagines16 de 1999 et 2016, ne les mentionnent. Tous sont cependant justifiés puisque Fabretti les publia en latin dans son œuvre la plus aboutie, l’Inscriptionum antiquarum quae in aedibus paternis asservatur explicatio17. Il n’en demeure pas moins, de la bouche même de Marini : « potrebbesi pur anche stampare18 ». Voilà qui est chose faite dans l’Appendice II. Il est nécessaire d’insister, les deux textes transcrits en Appendice I et II sont des textes parfaits, annotés par leurs auteurs. Pour cette raison, seules quelques références bibliographiques et épigraphiques actualisées sont ajoutées19. S’ils peuvent donc se suffirent à eux-mêmes, la convocation des deux plus talentueux épigraphistes de leur génération face à la tradition de cette épigraphe implique de préciser quelques-uns des éléments qui les ont poussé à s’y intéresser, dans quel contexte et à quelle date. En effet, l’intérêt de Marini réside ici autant dans les étapes du mûrissement de la critique scientifique de Fabretti que dans la manière dont celui-ci avait mis à profit la documentation épigraphique accumulée grâce au mécénat de la famille Barberini. Or, en amont, ce qui choque et détermine Fabretti à rédiger ses Osservazioni est la vision conflictuelle que lui renvoie l’exposition de l’épigraphe. De fait, au Palais des Quatre Fontaines, il a sous les yeux un artefact reconstitué, moitié marbre et moitié ciment, qui lui restitue un ensemble à la lecture incompréhensible de l’épigraphe de Claude. Bien qu’une étude sur la consistance des collections épigraphiques barbériniennes fasse encore défaut20, cette interférence très directe de Fabretti et de Marini n’est donc pas anodine. Elle revêt en outre un intérêt de premier plan dans la mesure où le témoin de l’ire de Fabretti est aujourd’hui encore visible sur les murs du palais Barberini (Pl. I). Visible, mais évincé 16

Respectivement : S. PANCIERA, G. L. GREGORI et M. MATTEI (dir. & éd.), CIL, Roma 1999, n. 418 ; R. CRIMI, Palazzo Barberini, dans CIL (Supplementa Italica – Imagines CIL VI, 5), sous la dir. de M. BERTINETTI, Roma 2016, pp. 203-227. 17 R. FABRETTI, Inscriptionum antiquarum quae in aedibus paternis asservantur explicatio et additamentum una cum aliquot emendationibus Gruterianis et indice rerum et verborum memorabilium, Roma, ex officina Dominici Antonii Herculis, 1699, pp. 726-728. Dans le texte, à partir de maintenant : Explicatio. 18 MARINI, Degli aneddoti cit., p. 87. 19 Les critères de transcription adoptés sont ceux de la philologie moderne, dans le sens d’une conservation substantielle du texte original. On a donc conservé l’h étymologique, le j et le i des formes plurielles, les élisions et les apostrophes des prépositions des substantifs masculins pluriels ainsi que les formes séparées ou fusionnées des mots. Pour faciliter la lecture, certaines orthographes, ponctuations et accentuations contemporaines de la langue italienne ont toutefois été restaurées. Les abréviations non latines ont été pour la plupart déliées. L’apparat critique, en chiffres romains, n’est donc autre que celui des auteurs intégré, le cas échéant, des références actuelles. 20 CRIMI, Palazzo Barberini cit., p. 203.

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de tous les corpora21, il figure à ce titre comme l’emblème historique de la vision dichotomique entre « la forme » et « le sens » de l’épigraphie dans sa dimension ostensive22. L’inscription honorifique de Claude : une antiquité barbérinienne La découverte de l’inscription de l’arc de Claude, au mois de novembre 1641 sur la via Lata, dans les fondations à l’entrée du palais du prince de Carbognano, n’avait pas vraiment été une surprise. En effet, vers la fin du XVIe siècle, quelques précurseurs de l’antiquariat européen avaient fait état de l’existence à cet endroit d’un arc dédié à l’empereur sur le parcours encore imprécis de l’aqueduc de l’Acqua Virgo. Au début du XVIIe siècle, le Corpus absolutissimum des inscriptions grecques et latines pensé par Joseph Juste Scaliger († 1609) et achevé par Jan Gruter († 1627) avait d’ailleurs restitué les premiers éléments de la nombreuse parentèle inscrite sur le monument23 tout en s’abstenant de mentionner les restitutions de Pirro Ligorio († 1583) qui, dans un dessin, esquissait au centre une dédicace illisible du Ve consulat de Claude24. Les circonstances avaient voulues que l’« antiquario di casa » du cardinal Francesco Barberini (1597-1679), Leonardo Agostini († 1676), assistât à cette découverte et qu’aussitôt départagée entre le pape Urbain VIII (1623-1644) Barberini et son cardinal-neveu, l’épigraphe soit portée au palais des Quatre Fontaines25. Elle devait y rester 21

À tel point que A. SPILA, Il Ponte Ruinante di Palazzo Barberini e il giardino della Guglia, dans Roma barocca : i protagonisti, gli spazi urbani, i grandi temi, sous la dir. de M. FAGIOLO, Roma 2013, pp. 663-665, émet l’hypothèse érronée d’une perte définitive du reste de l’inscription. 22 Pour les enjeux de ce débat considérable, voir au moins l’introduction de S. PANCIERA, (Supplementa Italica – Imagines CIL VI, 1) cit. ; ainsi que les contributions de G. SANDERS, Lapides memores. Païens et chrétiens face à la mort : le témoignage de l’épigraphie funéraire latine, Faenza 1991 (Epigrafia e Antichità, 11). 23 CIL VI, 921, 922, 923. Comme Marini, nous nous référons à partir de maintenant à la 4e édition de I. GRUTER, Inscriptiones antiquae totius orbis Romani in corpus absolutissimum redactae ingenio ac cura Jani Gruteri, auspiciis Josephi Scaligeri ac Marci Velseri, Heidelberg, Ex Officina Commelianiana, 1603. 24 Turin, ms. a.II.1 (vol. 14), f. 18r ; F. CASTAGNOLI, Due archi trionfali della Via Flaminia presso Piazza Sciarra, dans BCAR 70 (1942), pp. 57-82, p. 64 ; S. DE MARIA, Gli archi onorari di Roma e dell’Italia romana, Roma 1988, pp. 280-282, n. 69. A. A. BARRETT, Claudius’ British Victory Arch in Rome, dans Britannia 22 (1991), pp. 1-19. 25 La première notice officielle au Palais Barberini semble, vers 1650, celle de Cassiano dal Pozzo dans le Memoriale que transcrit G. LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano dal Pozzo protettore delle belle arti fautore della scienza dell’antichità nel secolo decimosettimo con alcuni suoi ricordi e una centuria di lettere per Giacomo Lumbroso, Torino 1875, pp. 52-53 (le ms. est aujourd’hui à Naples, Biblioteca Nazionale, ms V.E.10, mais de datation incertaine). Voir également F. SOLINAS et V. CARPITA (éd.), I segreti di un collezionista : le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo 1588-1657 : Roma, Galleria nazionale d’arte antica, Palazzo Bar-

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exposée jusqu’en 1938, murée dans l’enceinte de soubassement qui sépare les jardins de l’aile sud du palais et être montée, en 1942, sur un mur de l’atrium des musées du Capitole26 (Pl. II). De ce dispositif, attesté sur une gravure de Piranèse d’avant 174827 (Pl. III) ainsi que sur quelques photographies de la première moitié du XXe siècle28, il subsiste aujourd’hui la partie en ciment du supplément défectueux de l’inscription originale en marbre désormais aux musées. Il est cependant assez improbable que l’inscription ait été intégrée de la sorte dès 1641. En effet, selon les travaux de P. Waddy29, ce n’est qu’à partir des années 1670, avec le remaniement des salles de la bibliothèque du card. Antonio Barberini (1608-1671), au rez-de-chaussée, et notamment en 1678, avec la construction du grand mur de confinement séparant l’aile sud des jardins, que l’espace est agencé. Certes, le marbre figure dans le double inventaire des antiquités barbériniennes30, mais aucun élément ne confirme pour l’instant l’hypothèse qu’il ait pu être aménagé en dehors du dernier grand programme du card. Francesco autour de la réfection du « ponte ruinante » — parfois erronément attribué au Bernin — et de berini, 29 settembre-26 novembre 2000, Roma 2001, pp. 85-95. Les détails de la découverte sont quoi qu’il en soit publiés de manière autonome par A. DONATI, Roma vetus ac recens utriusque aedificis ad eruditam cognitionem expositis, Roma, ex Off. Philippi Rubej, 1665, pp. 384-385. Successivement, ADEMOLLO, Giacinto Gigli ed i suoi Diarii cit., pp. 93-95, la restranscrit quant à lui sur la base de MARINI, Degli aneddoti cit. Pour sa part, R. LANCIANI, Storia degli Scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità – Volume V (1605-1700), sous la dir. de R. LANCIANI – L. MALVEZZI CAMPEGGI – M. R. RUSSO, Roma 1994, p. 139, retient que l’ordre ne provienne pas directement du cardinal Francesco Barberini, mais de son plus jeune frère, le card. Antonio Barberini (1608-1671). Les inventaires de Nicolò Menghini (c. 1609-1655), sculpteur-conservateur des antiquités barbériniennes, n’apportent pas de détails supplémentaires sur la découverte, en dehors des dimensions — exactes — de l’objet. Après M. ARONBERG LAVIN, Seventeenth-Century Barberini Documents and Inventories of Art, New York 1975, p. 132 et p. 599, nous en donnons les cotes plus récentes : Arch. Barb. Indice II, 2434, f. 15r (320) :« E più un Iscrizione trovata a piazza di sciarra a l’arco di Claudio Imperatore longa palmi 13 e alta palmi 7 1/2 et grossa palmi 3 1/2 n.o. 13 ». Une variante non datée, mais identique, de cet inventaire se trouve dans le ms. Arch. Barb. Ind. II, 2733, f. 19r : « Robbe che restano fuori del’Anticaglia » : n. 13 « una iscrizione trovata a piazza di sciarra a l’arco di Claudio Imperatore longa palmi tredici alta palmi sette e mezo grossa palmi tre e mezo ». 26 Numéro d’inventaire NCE 2706 (ex. inv. 2745). Voir C. PIETRANGELI, Palazzo Sciarra, Roma 1987, p. 14. Pour les éléments susceptibles d’éclaircir l’acquisition de l’épigraphe par l’État italien, probablement avant la conclusion de la vente officielle du Palais Barberini en 1949, voir P. NICITA, Musei e storia dell’arte a Roma, Roma 2009, pp. 378-379. 27 J. WILTON-ELY, Giovanni Battista Piranesi : The Complete Etchings – An Illustrated Catalogue, San Francisco 1994, nr. 188. 28 P. WADDY, Seventeenth-Century Roman Palaces : Use and the Art of the Plan, New York – London 1990, fig. 179. 29 Ibid., pp. 251-261. 30 Cfr. supra, nt. 25.

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l’érection d’une base pour l’obélisque d’Antinoüs (Élagabale) qui, lui, gisait depuis 1632 dans la cour d’honneur31. Pour en revenir à l’année 1641, on pouvait enfin voir que les profonds sillons vidés de leurs lettres de bronze attestaient la titulature de l’ascendance onomastique de Claude et, dans un contre-poil anticipateur de Suétone32, sa fulgurante victoire britannique. Décrété en 42/43 par senatus consulte, ce titre honorifique nécessita dix années avant d’être hissé au centre de la façade principale de l’arc, en 51/52, fixant enfin l’élargissement juridique et sacré du pomerium de la cité dans l’évergétisme du programme édilitaire hydraulique que le monument, tout entier, sanctionnait33. Le 2 novembre 1641, Cassiano dal Pozzo (1588-1657), secrétaire du card. F. Barberini, adressait une lettre accompagnée d’un dessin de l’inscription à Giovanni Battista Doni (1593-1647) lequel, jusque-là en charge des recherches épigraphiques du cardinal-neveu, s’était depuis peu retiré dans sa Florence natale34. Avant la fin de l’année, Gauges de Gozze (ca. 1607-1660)35, de Pe31

Pour l’absence de documents concernant un plan antiquaire des jardins, voir L. CHELa riduzione del giardino Barberini nei secoli XIX-XX, dans Tra tutela e valorizzazione : i primi venti anni di attività della Soprintendenza per i Beni Archittonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, sous la dir. d’E. CAJANO – G. BELARDI, Roma 2013, pp. 139-151, notamment p. 148. En ce qui concerne l’obélisque d’Antinoüs, voir la mise au point de L. FAEDO, ‘Signa’ come segni. Riletture dell’antico per i Barberini, dans Arte-Potere. Forme artistiche, istituzioni, paradigmi interpretativi. Atti del convegno di studio tenuto a Pisa, Scuola Normale Superiore (25-27 novembre 2010), sous la dir. de M. CASTIGLIONE – A. POGGIO, Pisa 2012, pp. 361-364. 32 SVET., Claud. 2, 17, 2-3, du moins selon Gozze et Fabretti, cfr. Appendice II, nt. xvi. 33 E. RODRÍGUEZ-ALMEIDA, Forma Vrbis marmorea : nuovi elementi di analisi e nuove ipotesi di lavoro, dans MEFRA 89 (1977), pp. 219-256, notamment p. 247 ; ID., Il Campo Marzio settentrionale : Solarium e Pomerium, dans RendPontAc 51.52 (1982), pp. 195-212, notamment pp. 201-204 ; PIETRANGELI, Palazzo Sciarra cit., pp. 8-17 ; D. FASOLINI, Aggiornamento bibliografico ed epigrafico ragionato sull’imperatore Claudio, Milano 2006, pp. 101-103 ; P. BUONGIORNO, Senatus consulta Claudianis temporibus facta : una palingenesi delle deliberazioni senatorie dell’etá di Claudio (41-54 d.C.), Roma 2010, pp. 159-164. 34 Voir encore STENHOUSE, Ancient Inscriptions and the Paper Museum cit., nr. 189. On possède deux exemplaires du dessin : Londres, British Museum, ms. Franks 366 ; Florence, Biblioteca Marucelliana, ms. A 188, f. 396. 35 L’état-civil de Gauges de Gozze n’a pas encore été identifié avec précision. On peut cependant s’appuyer sur une lettre de F. Gualdi à Carlo Strozzi du 6 décembre 1641, conservée dans le ms. des Archives d’État de Florence (ASF), Carte Strozziane, serie III, vol. 158, f. 29r qui indique que le jeune de Gozze a « deux fois 17 ans » : cfr. F. FEDERICI, Il trattato ‘Delle memorie sepolcrali’ del cavalier Francesco Gualdi : un collezionista del Seicento e le testimonianze figurative medievali, dans Prospettiva 110/111 (2003), pp. 149-159, cfr. nt. 18. Il existe par ailleurs la copie d’une lettre de Mgr Pompeo Compagnoni (1602-1675) seniore, ami personnel du pape Urbain VIII, datée du 3 mars 1662 dans le ms. de la Bibliothèque Olivérienne de Pesaro (à partir de maintenant ‘BOP’), ms. 426, fasc. XXVI, f. 221rv, qui, avec la notice anonyme non paginée du ms. BOP, 965, atteste du décès de Gozze à l’hospice de Pesaro en 1660. Pour ces deux derniers mss., voir A. SORBELLI (éd.), Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, t. XLII, Firenze 1929, pp. 123-226. RUBINI,

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saro, procurait pour les presses de Vitale Mascardi in Romæ36 le feuillet volant de la lecture érudite de l’inscription ainsi que son supplément (Pl. IV) grâce à l’auctarium munus du Cavalier Francesco Gualdi (c. 1574-1657)37. Le morceau justifiait que Girolamo Tezi († 1645) l’introduise, l’année suivante, dans les Aedes Barberinae (1642) que le pape s’apprêtait à offrir aux nouveaux cardinaux. Le somptueux volume en restituait l’instrumentum et l’auctarium de Gozze, postulante Equite Gualdo, viro antiquitatis mire studioso, aux côtés de quinze autres inscriptions totalement privées de références et de très inégale valeur38. À vrai dire, le Cavalier Gualdi, patricien de Rimini et simple camérier secret à la cours pontificale d’Urbain VIII, n’avait eu de cesse d’asseoir sa renommée sur son cabinet de curiosités, un intérêt sincère pour la conservation des mémoires sépulcrales médiévales de Rome et quelques belles fantaisies monumentales au Capitole et au Panthéon39. Il en allait tout autrement pour Gozze qui avait eu la disgrâce de naître « naturale » dans une famille dalmate de l’aristocratie de Pesaro descendant des rois de Bosnie40. Son géniteur lui avait néanmoins donné l’éducation qui convenait à sa naissance et s’était même réjoui de ses aptitudes épigraphiques pour la collection familiale41. Mais, comme 36

Pour la notice de référence de l’éditeur, voir : http ://www.sudoc.fr/159424771 AE 2004, 38, pp. 29-30. Le folio, identifié par G. CAPECCHI, Dal corpus d’imagini del ms. A.1212 della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna : incisioni dall’antico e fogli a stampa illustrati, dans L’Archiginnasiio. Bollettino della Biblioteca comunale di Bologna 98 (2003), pp. 295-322, cfr. nt. 4, appartient au ms. A 1212, f. 42r, de la Bibliothèque de l’Archiginnasio de Bologne. Il existe également une réédition de l’année 1650, Romae, ex typographia Iohannis Petri Collinij (cf. Roma, Biblioteca Vallicelliana, S. Borr. O V 166, int. 119). 38 TEZI, Aedes Barberinae cit., pp. 522-523 et ci-après Tab. 1. 39 Voir F. FEDERICI, Alla ricerca dell’esattezza : Peiresc, Francesco Gualdi e l’antico, dans Rome-Paris, 1640. Transferts culturels et renaissance d’un centre artistique, sous la dir. de M. BAYARD, Paris 2010, pp. 229-273, pp. 21-22 ; ID., Battaglie per la tutela nella Roma barocca : Francesco Gualdi e la difesa delle « memorie antiche », dans Studi Romani 62 (2014), pp. 149172 ; S. MONETTI, In porticu celeberrimi Templi Pantheon : il monumentum paleocristiano idieato da Francesco Gualdi nel 1646, dans Bollettino dei Monumenti Musei e Gallerie Pontificie (à partir de maintenant : BMonMusPont 33 (2015), pp. 161-184. 40 Pour les origines aristocratiques des Gozze, cfr. G. DE’ GOZZE, Se dalle armi, o insegne, che parlano, overo se da’ corpi delle armi, che rappresentano i cognomi, si possi argomentare ignobiltà in quella famiglia, che le usa. Discorso di Gauges de’ Gozze da Pesaro. Al sig. Franc. Gualdi da Rimini caualier di santo Stefano, Roma, per Vitale Mascardi, 1637, p. 27. Pour la documentation sur l’ilegitimatio de Gozze, cfr. BOP, mss. 1549-II, ff. 1-8 ; ms. 458, vol. I (B), fasc. 23 ; ms. 965 (non paginé). Il faut le rappeler, le statut d’enfant naturel pouvait à l’époque surgir du fait d’une naissance avant le terme présomptif de la consommation légitime de l’union conjugale du père, bien que reconnue. Il n’est du reste pas à exclure, qu’avec la dévolution du duché d’Urbin aux États pontificaux en 1631, le sort du jeune homme soit alors passé des accommodements du droit commun aux pratiques plus sceptiques, bien que similaires, du droit canonique. Sur ce point, voir N. TAMASSIA, La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e decimosesto, Napoli – Palermo – Milano 1910, pp. 220-247. 41 Pour la collection Gozze publiée conjointement par le père et le fils, voir CIL XI2, 37

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les correspondances et les biographies respectivement conservées dans les mss. de la Bibliothèque Oliveriana de Pesaro42 et aux Archives de l’Académie des Lyncéens43 en attestent, c’est démuni de tout droits successoraux et entièrement dépendant du bien vouloir d’un père vieillissant devenu la proie d’une tertiaire franciscaine privée de scrupules financiers, que Gozze se retrouvait le plus souvent « al verde44 ». Grâce à l’amitié de Cassiano dal Pozzo, l’empressement de Gozze tombait donc fort à-propos vis-à-vis de la maison Barberini, d’autant plus, comme « dice haver inteso dal sig. Lucas Holstenio45 », qu’il espérait bien un emploi à la bibliothèque du cardinal. Le pauvre homme avait publié l’Iscrittione della base della Colonna rostrata46 (1635) qui faisait autorité et son traité, intitulé Se dalle armi o insegne che parlano ovvero se da Corpi delle armi che rappresentano i Cognomi si possa argomentare ignobilità in quella Famiglia che le usa (1637), figurait en bonne place dans la Bibliothèque Barberini47. Dans le sillage des grandes p. 938, ainsi que M. LUNI, Scoperte archeologiche e collezionismo di antichità a Pesaro, dans Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, sous la dir. de G. ARBIZZONI – A. BRANCATI – M. R. VALAZZI, t. IV, 2, Venezia 2009, pp. 121-137 ; V. PURCARO, La famiglia Baldassini Castelli de’ Gozze ed il palazzo del Monte a Pesaro, dans La raccolta di antichità Baldassini-Castelli. Intinerario tra Roma, Terni e Pesaro, M. E. MICHELI, V. PURCARO et A. SANTUCCI (éd.), Pisa 2007, pp. 65-83. 42 À la BOP, voir la correspondance du ms. 407, ff. 237-238, 260-267. Pour l’indexation codicologique : A. SORBELLI (éd.), Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, t. XXXIX, Firenze 1929, p. 17 ; ibid., t. XLVIII, Firenze 1931, pp. 59-61. 43 Une partie de la correspondance de Gozze avec Cassiano dal Pozzo est conservée dans le vol. VI des Archives dal Pozzo de l’Académie nationale des Lyncéens, ms. VI (4) : 1. Pesaro, 8 ottobre 1637 (f. 79rv) ; 2. Pesaro, 16 dicembre 1637 (f. 81rv) ; 3. Pesaro 18 gennaio 1638 (f. 83rv) ; 4. Pesaro, 18 febbraio 1638 (f. 85r) ; 5. Pesaro, 25 febbraio 1638 (f. 87rv) ; 6. Pesaro, 25 febbraio1639 (f. 89 rv) ; 7. Napoli, 16 febbraio 1647 (f. 91rv) ; 8. Napoli, 25 aprile 1648 (f. 92r) ; 9. Napoli, 11 maggio 1648 (f. 94rv) ; 10. Pesaro, 2 settembre 1648 (f. 96rv) ; 11. Pesaro, 12 novembre 1648 (f. 98r). Quelques références dans LUMBROSO, Notizie sulla vita di Cassiano cit., p. 23, et maintenant A. NICOLÒ RICCI, Il carteggio di Cassiano Dal Pozzo : catalogo, Ist. naz. studi sul Rinasc. Quaderni, Firenze 1991, pp. 234-240. 44 Rome, Acc. Linc., Archives dal Pozzo, ms. VI (4), f. 87rv. 45 C’est du moins ce qu’atteste la correspondance de Gozze conservée à la BAV : ms. Barb. lat. 6464, ff. 98-105, notamment la note non datée (entre 1638 et 1648) du f. 101r. Cfr. S. PIERALISI, Sala Cons. Mss. Rosso, 152, p. 552 (ex Barb. LXXIV, 10). 46 G. DE’ GOZZE, Iscrittione della base della Colonna Rostrata già nel Foro Romano dirizzata a Caio Duillio Console per la vittoria, ch’egli primiero riportò dalla Cartagine armata, e per altri suoi egregij fatti. Supplita, ed illustrata per Gauges de’ Gozze da Pesaro, Roma, ad instanza di Filippo de’ Rossi, 1635 = J. G. GRAEVIUS, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, Neapolis, Siciliae, Sardiniae, Corsicae, Melitae atque adjacentium terrarum insularumque, t. 9, VIII, Lugduni Batavorum, sumptibus Petri Vander Aa, 1723, pp. 2-16. Le cavalier Gualdi possédait d’ailleurs un important fragment de la colonne et avait insisté pour que le traité soit dédié à N. Fabri de Pereisc : cfr. C. FRANZONI, Il Museo di Francesco Gualdi nella Roma del Seicento tra raccolta privata ed esibizione pubblica, dans Bollettino d’Arte 73 (1992), pp. 1-42, en particulier pp. 28-29. 47 Inventarium codicum mm.ss. Bibliothecae Barberinae redactum et digestum a D. San-

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révisions littéraires de l’âge baroque, La discolpa d’Epicuro48 (1640) avait recueilli un certain succès, malgré que sa Difesa di alcuni luoghi principali dell’Adone fatta da Antonio Bassi49 sur la plus scintillante querelle littéraire du siècle n’ait pas laissé un souvenir impérissable. Le ms. Barb. lat. 2062, ff. 160r-176v, conserve le manuscrit d’une Antiquae Tabulae marmoreae Explicatio sive Iphigenia in Tauris dédiée à Cassiano dal Pozzo, «mihique mecenas », tandis que le même texte, conservé dans le ms. Vat. lat. 10486, ff. 107r-122v, s’avère sans dédicace et incomplet dans sa partie finale50. Quoi qu’il en soit, aucune étude n’échappait dès lors à la restitution épigraphique de Gozze du fragment claudien51. Toutefois, comme l’ont plus récemment relevé I. Herklotz52 et L. Faedo53, les antiquités déclarées dans les Aedes Barberinae ne pouvaient en aucun cas satisfaire la communauté des savants. Suite à l’élection au siège pontifical d’Innocent X (1644-1655) Pamphilj, les Barberini avaient entre temps choisi Paris pour échapper à des peines plus graves encore que celles prises par le nouveau pape à l’encontre de leur portefeuille. Ainsi, de 1644 à 1648, l’éruditissime bibliothécaire de la Barbérinienne, Lukas Holste (1596-1661), avait le champ libre pour mettre en place un forum de lettrés digne de ce nom. Ses faculcte Pieralisi bibliothecario et in tomos vigintitres sistributum, III-XXIII [BAV, Sala Cons. Mss., 335-355]. 48 G. DE’ GOZZE, La discolpa di Epicuro filosofo ateniese. Per Gauges de’ Gozze da Pesaro, Roma, appresso Vitale Mascardi, 1640. 49 BOP, ms. 1549-II, f. 29. Voir maintenant l’introduction de M. FUMAROLI à G. MARINO, Adone / Adonis, (éd.) M. PIERI – M. F. TRISTAN – M. FUMAROLI, Paris 2014. 50 S. PIERALISI, Sala Cons. Mss. Rosso 129, p. 210 (ex Barb. XXX, 135 ; N.A. 3040). P. VIAN et F. D’AIUTO (dir. & éd.), Guida ai fondi manoscritti cit., p. 353. Et aussi M. VATTASSO – E. CARUSI, Codices Vaticani Latini, t. IX (cod. 10301-10700), Roma 1920, pp. 234-236. Pour la précision, il manque au ms. Vat. lat. 10486, la correspondance des ff. 168r-176r du Barb. lat. 2062 qui proviennent très probablement d’une intégration de Marini réalisée par l’entremise d’Olivieri : cfr. BOP, ms. 335-I, f. 65r (17 juillet 1773) et infra nt. 64. 51 F. MARTINELLI, Roma ricercata nel suo sito, (2a ed.), Roma, nella stamperia di Alberto Tani, 1650, p. 109 ; DONATI, Roma vetus ac recens cit. (1665), pp. 384-385 ; F. NARDINI, Roma antica di Famiano Nardini alla Santità di N. S. Alessandro VII, Roma, per il Falco, B. Diversino e F. Cesaretti, 1666, p. 362 ; A. DONATI, Roma vetus ac recens utriusque aedificis illustrata, Amsterdam, ap. Jansson – Waesberg et J. Wolters, 1695, pp. 246-247 ; ainsi que F. NARDINI, Roma antica di Famiano Nardini, edizione terza romana con note ed osservazioni storico-critiche, Roma 1771, pp. 988-989. A. NIBBY, Itinerario di Roma e delle sue vicinanze, t. I, Roma 1830, pp. 33-34 ; J. HOGG, Notice of two Roman Inscriptions relative to the Conquest of Britain by Emperor Claudius Caesar, in which the spuriousness of the one, and the authenticity of the other, are attempted to be established, dans Transactions of the Royal Society of Letterature of the United Kingdom 3, 1 (1837), pp. 245-285, adopteront eux aussi la transcription de Gozze. 52 HERKLOTZ, Girolamo Tezi, Francesco Barberini e Luca Holste cit., pp. 103-104. 53 L. FAEDO, Aedes Barberinae. Osservazioni sulla fortuna di un’opera tra ecfrasi ed antiquaria, dans Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria 106 (2009), pp. 7-34, notamment pp. 14, 32-34.

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tés intellectuelles peu communes le rendaient non seulement capable de s’atteler à une refonte des Aedes Barberinae et de mettre la main à un vaste projet d’addenda, mais aussi, après le retour en grâce des princes, d’assumer la custodie de la Bibliothèque Vaticane (1653) et un siège à l’Académie Basilienne. Les épigraphistes, malheureusement, se faisaient rares : le sulfureux antiquaire Jean-Jacques Bouchard († 1641)54 venait d’être assassiné, le regretté Girolamo Aleandro († 1629) iuniore n’était plus, et Joseph-Marie Suarès († 1677) s’en était allé exercer son ministère épiscopal sous les cieux avignonnais. Agostini († 1676)55 était bien trop occupé par le marché antiquaire et sa propre collection pour empiéter sur l’assistant bibliothécaire de Holste à la Barbérinienne, Carlo Morone († 1685)56 — de toute façon, trop jeune encore — tandis que Leone Allacci († 1669), pour les lettres grecques, n’était pas d’un naturel collaborateur57. Malgré le retrait de Doni († 1647) et, quelques années plus tard, la mort de Cassiano († 1657), Holste avait réussi à préserver pendant un certain temps la répartition des tâches de chacun et les féconds épistolaires de l’érudite garde rapprochée du cercle Barberini58. Néanmoins, avec sa disparition en 1661, il importe de constater que les Barberini se retrouvaient privés des forces propulsives de leur mécénat antiquaire. D’ici la fin du siècle, comme l’a opportunément relevé R. de la Blanchère59, il ne restait guère que le lyonnais Jacob Spon (1647-1685) et Fabretti à la hauteur des mises à jour épigraphiques. Pour en revenir à l’instrumentum et à l’auctarium de Gozze, ceux-ci prévaudraient jusqu’à ce que Stefano Antonio Morcelli (1737-1821) accueille, 54 E. KANCEFF, Il testamento e la morte di Jean-Jacques Bouchard, dans Studi Francesi 26 (1965), pp. 262-269. 55 Pour les renvois à la biographie et le contexte, voir E. VAIANI, La collezione d’arte e antiquità di Leonardo Agostini. Nuovi documenti, dans Annali della Scuola Normale Superiore – Quaderni 6, 2 (1998), pp. 81-110. 56 Sub voce dans Dictionary of the Italian Humanists, vol. 3, Boston 1962, p. 2374 ; ainsi que TEZI, Aedes Barberinae cit., pp. 222-223. 57 Pour les personnalités gravitant autour de Holste et les options culturelles de F. Barberini, voir P. VIAN, Un bibliotecario al lavoro : Holste, la Berberiniana, la Vaticana e la Biblioteca della regina Cristina di Svezia, dans La Vaticana nel Seicento (1590-1700) : una biblioteca di biblioteche, sous la dir. de C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, pp. 206-240. À propos de la seconde édition des Aedes Barberinae, voir FAEDO, Aedes Barberinae. Osservazioni sulla fortuna cit., p. 32 ; EAD., ‘Signa’ come segni cit. Voir également I. HERKLOTZ, Accademia Basiliana, dans I Barberini e la cultura del Seicento. Atti del convegno internazionale (Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, 7-11 dicembre 2004), sous la dir. de L. MOCHI ONORI – F. SOLINAS – S. SCHUTZE, Roma 2007, pp. 147-154. 58 Pour chacun, voir enfin M. VÖLKEL, Römische Kardinalshaushalte des 17. Jahrhunderts : Borghese, Barberini, Chigi, Tübingen 1993, pp. 267-280. 59 R. DE LA BLANCHÈRE, Histoire de l’épigraphie romaine depuis les origines jusqu’à la publication du corpus rédigé sur les notes de Léon Renier, Paris 1887, p. 29.

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dans son De Stilo inscriptionum latinarum60 de 1781, ceux que Fabretti avait pourtant publiés en 169961. La publication de ce jésuite devenu bibliothécaire du cardinal Alessandro Albani (1692-1779) après le décès de Winckelmann, disposait désormais de tous les instruments pour continuer à composer des inscriptions selon les règles formelles du plus pur style de la latinité62. Elle coïncidait d’ailleurs avec la réédition d’une biographie de Fabretti, passée inaperçue en 1771, et signée de l’abbé Giuseppe Marotti (1741-1804), lui aussi jésuite. Secrétaire aux Brefs latins du gouvernement pontifical comme l’avait été avant lui Fabretti en 1689, il est digne de note que celui-ci demeure le seul et unique biographe de Fabretti à faire état des Osservazioni63. Le mérite de ce signalement, comme en atteste une lettre en date du 10 juillet 1773 adressée à Annibale degli Abati Olivieri Giordani (1708-1789) de la Bibliothèque Oliveriana de Pesaro, en revient sans nul doute à Marini64. La ponctualité, la clarté et la synthèse documentaire que l’archiviste est en mesure de mettre en œuvre sont stupéfiantes : 60

S. A. MORCELLI, Steph. Antonii Morcelli De stilo Inscriptionum Latinarum libri III., Roma 1780, p. 148. 61 Cfr. supra, nt. 17. 62 M. BUONOCORE, Morcelli e Gaetano Marini nel periodo romano, dans Stefano Antonio Morcelli 1737-1821. Atti del Colloquio (Milano – Chiari 2-3 ottobre 1987), sous la dir. de I. CALABI LIMENTANI, Brescia 1990, pp. 131-142 ; I. CALABI LIMENTANI, Scienza epigrafica. Contributi alla storia degli studi di epigrafia latina, Faenza 2010, pp. 65-66, 367-386. Ce n’est toutefois qu’à partir de la seconde moitié du XIXe s., qu’intervient la discussion — et donc la réception — du supplément de Fabretti : cfr. J. C. VON ORELLI, Inscriptionum Latinarum Selectarum Amplissima Collectio Ad Illustrandam Romanæ Antiquitatis Disciplinam Accommodata, t. 1, Turici 1828, p. 176, nr. 715 ; et surtout, après la publication en 1876 de l’inscription claudienne de Cysique (CIL III, 7061) : Th. MOMMSEN, Ephemeris epigraphica, IV, Berolini (1881, p. 544. Pour la collaboration entre Morcelli et Marini, voir A. CARAPELLUCCI, ‘Vias novas artis mostravit’ : Gaetano Marini, la collezione Albani e il codice Vat. lat. 9148, dans Gaetano Marini (1742-1815), protagonista cit., pp. 977-1016, notamment pp. 980-981. Le jésuite dédira d’ailleurs l’une de ses œuvres à Marini, les Inscriptiones Commentariis subreiectis, Roma 1783, cfr. BAV, ms. Ferr. 657, f. 12v (cfr. supra, nt. 10). 63 Pour la biographie de G. Marotti, voir A. DE BACKER et C. SOMMERVOGEL, Bibliothèque des écrivains de la Compagnie de Jésus ou Notices bibliographiques, Liège-Paris 1869-1876, t. 2, coll. 1102-1103. Pour la biographie de Fabretti, voir G. MAROTTI, Vita Raphaelis Fabretti Patritii Urbinatis Antiquitatis Consultissimi, Roma 1770 = A. FABRONI (éd.), Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis 17. et 18. floruerunt, t. VI, Pisa 1780, pp. 174-229 – que signale ponctuellement E. Q. VISCONTI, Fabretti, dans Biographie universelle cit., p. 34. 64 L’épistolaire entre les deux savants, bien que n’ayant pas encore fait l’objet d’une exploration systématique et comparative, illustre une période particulièrement intense des échanges entre Marini et Olivieri entre 1771 et 1779. Pour un panorama d’ensemble sur le fonds du Vatican, conservé dans le ms. Vat. lat. 9056, voir M. BUONOCORE, Il codice Vaticano latino 9056. Appunti per un bilancio sui rapporti Marini – Olivieri, dans Studia Oliveriana 16 (1996), pp. 85-103, ainsi que ID., Gaetano Marini e i suoi corrispondenti, dans Gaetano Marini (1742-

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[...] Nella vita che il G. Marotti gesuita stampò di Mons. Fabretti parlò per 1815), protagonista cit., p. 133. Pour la partie conservée à la BOP dans les ms. 335, vol. I. et II collationnés par SORBELLI, Inventari cit., t. XXXIII, Firenze 1925, pp. 114-115, nous donnons maintenant la chronologie des 123 lettres du ms. 335, vol. I, ff. 1-254 : 1. Roma, Casa Barberini, 29 gennaio 1770 (f. 1r) ; 2. Albano, 27 aprile 1771 (f. 2r) ; 3. Roma, 26 giugno 1771 (f. 3rv) ; 4. Roma, 10 luglio 1771 (f. 7r) ; 5. Roma, 17 luglio 1771 (f. 8rv) ; 6. Roma, extra Porta Salariam, 29 luglio 1771 (f. 9r) ; 7. Roma, 28 luglio 1771 (ff. 10r) ; 8. Roma, 3 agosto 1771 (f. 15r) ; 9. Roma, 17 novembre 1771 (f. 16rv) ; 10. Roma, il primo di dell’anno 1771 (ff. 17-18r) ; 11. Roma, 18 gennaio 1771 (f. 21v) ; 12. Roma, 4 febbraio 1771 (ff. 22rv-23r) ; 13. Roma, 12 marzo 1772 (ff. 25rv-26rv) ; 14. Roma, 23 maggio 1771 (ff. 27rv-28rv) ; 15. Roma, il di di S. Giovanni 1772 (f. 29rv) ; 16. Roma, 2 luglio 1772 (f. 30r) ; 17. Roma, 11 luglio 1772 (f. 31r) ; 18. Roma, 22 agosto 1772 (f. 35rv) ; 19. Roma, 12 settembre 1772 (f. 36rv) ; 20. Roma 19 settembre 1772 (f. 37rv) ; 21. Roma, 14 ottobre 1772 (f. 38rv-39r) ; senza data e lacunosa (f. 40) ; 22. Roma dal Palazzo Vaticano, 21 novembre 1772 (f. 43rv) ; 23. Roma, 26 dicembre 1772 (f. 44rv) ; 24. Roma, 23 gennaio 1773 (f. 45rv-46r) ; 25. Roma, 6 marzo 1773 (ff. 49-50) ; 26. Roma, 3 aprile 1773 (f. 51rv) ; 27. Roma, 24 aprile 1773 (f. 52rv) ; 28. Roma, 15 maggio 1773 (f. 53rv) ; 29. Roma, 29 maggio 1773 (f. 57rv) ; 30. Roma, 19 giugno 1773 (ff. 58-60rv) ; 31. Roma, 30 giugno 1773 (f. 61rv) ; 32. Roma, 10 luglio 1773 (ff. 62rv-63r) ; 33. Roma, 17 luglio 1773 (f. 65r) ; 34. Roma, il giorno di S. Ignazio (ff. 66rv-67rv) ; 35. Roma, 1 agosto 1773 (f. 69rv-70r) ; 36. Roma, 28 agosto 1773 (f. 71rv) ; 37. Roma, 8 settembre 1773 (f. 72rv) ; 38. Albano, 12 ottobre 1773 (f. 73rv) ; [59.] Castegandolfo, 26 ottobre 1774 (f. 74rv) ; 39. Roma, 13 novembre 1773 (f. 75rv) ; 40. Roma, 4 dicembre 1773 (f. 81rv) ; 41. Roma, 15 dicembre 1773 (f. 82r) ; 42. Roma, 22 dicembre 1773 (ff. 83rv-84r) ; 43. Roma, il primo di dell’anno nuovo 1774 (f. 87rv) ; 44. Roma, 19 gennaio 1774 (f. 88rv) ; 45. Roma, 26 gennaio 1774 (f. 89rv-90r) ; 46. Roma, 12 febbraio 1774 (f. 93rv-94r) ; 47. Roma, 12 marzo 1774 (f. 95rv-96r) ; 48. Roma, 1 aprile 1774 (f. 97rv) ; 49. Roma, 27 aprile 1774 (f. 98rv) ; 50. Roma, 18 maggio 1774 (f. 99r) ; 51. Roma, 28 maggio 1774 (f. 103r) ; 52. Roma, 11 giugno 1774 (f. 104rv) ; Roma, il di S. Pietro mio Nutritore (f. 105rv106r) ; 54. Roma, 20 luglio 1774 (ff. 109rv-110r) ; [65.] Roma, 18 gennaio 1775 (f. 111rv) ; 55. Roma, 13 agosto 1774 (f. 112r) ; 56. Roma, 17 agosto 1774 (f. 113r) ; 57. Da Bagni di Nocera, 26 agosto 1774 (f. 117r) ; 58. Roma, 18 settembre 1774 (f. 118rv) ; 60. Roma, 9 novembre 1774 (f. 119rv-120rv) ; 61. Roma, 3 dicembre 1774 (f. 123rv) ; [66.] Roma, 1 febbraio 1775 (f. 124r) ; 63. Roma, 11 gennaio 1775 (f. 125rv) ; 62. Roma, 4 gennaio 1775 (ff. 126rv-127rv) ; 64. Roma, 21 gennaio 1775 (f. 131rv) ; 67. Roma, 15 febbraio 1775 (f. 132rv) ; 68. Roma, 18 febbraio 1775 (f. 133r) ; 69. Roma, 25 febbraio 1775 (f. 137r) ; 70. Roma, 4 marzo 1775 (f. 138rv) ; 71. Roma, 15 marzo 1775 (f. 139rv) ; 72. Roma, 1 aprile 1775 (f. 143r) ; 73. Roma, il Sabato Santo (f. 144r) ; 74. Roma, 29 aprile 1775 (f. 143r) ; 75. Roma, 20 maggio 1774 (f. 149rv) ; 76. Roma, 12 luglio 1775 (ff. 150rv-151r) ; [78.] Sant’Arcangelo, 8 ottobre 1775 (f. 153rv) ; [77.] Roma, 29 luglio 1775 (f. 154rv) ; 79. Roma, 18 novembre 1775 (f. 155rv) ; 80. Roma, 23 dicembre 1775 (f. 156rv) ; 81. Roma, 13 aprile 1776 (f. 157rv-158r) ; 82. Roma, 4 maggio 1776 (f. 163rv) ; 83. Roma, 12 giugno 1776 (f. 164rv) ; 84. Roma, 19 giugno 1776 (f. 163r) ; 85. Roma, 26 giugno 1776 (f. 166rv) ; 86. Roma, 3 luglio 1776 (f. 167rv-168r) ; 87. Roma, 20 luglio 1776 (f. 173rv) ; 88. Roma, 22 luglio 1776 (f. 174r) ; 89. Roma, 16 novembre 1776 (f. 175r) ; 90. Roma, 4 gennaio 1777 (f. 176rv-177r) ; 91. Roma, 2 aprile 1777 (ff. 181rv-182r) ; 92. Roma, 19 aprile 1777 (f. 183r) ; 93. Roma, 24 maggio 1777 (f. 184rv) ; 94. Roma, 18 giugno 1777 (f. 185rv) ; (f. 186rv) : Ioseph Maria Porcelli, Tullianae Eloquentiae ac sapientiae cultoribus ; (f. 187) : Conspectus et ordo totius operis. ; (f. 188-190) : buste ; 95. Roma, 2 agosto 1777 (f. 191r) ; 96. Roma, 2 settembre 1777 (f. 192-193) ; (f. 194) ; 97. Roma, 9 ottobre 1777 (f. 195) ; 98. Roma, 8 novembre 1777 (f. 196rv) ; 99. Roma, 25 febbraio 1778 (f. 197r) ; 100. Roma, 4 marzo 1778 (ff. 198-199) ; (ff. 200- 202) : buste ; 101. Roma, 28 marzo 1778 (f. 203rv) ; 102. Roma, 28 marzo 1778 (f. 204r) ; 103. Roma, 23 aprile 1778 (f. 205r) ; (ff. 206-208) : buste ; 104. Roma, 8 luglio 1778

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mio suggerimento di certe osservazioni fatte dal Fabretti sopra l’iscrizione dell’Arco di Claudio, da esso illustrata alla p. 726 e 728 e in queste osservazioni, che sono nel cod. 3341 di detta Libreria (Barberini), si parla del Gozze, e si chiama uomo d’erudizione non volgare e s’impugna il supplemento da esso fatto a tale iscrizione. [...]65.

Marini est donc bien le premier, à notre connaissance, à identifier le ms. Barb. lat. 4325 comme une contribution de Fabretti. Le jeune scriptor Latinus s’était adressé pour la première fois à Olivieri le 19 janvier 1771 pour le remercier, « anche se non le sono cognito66 », de lui avoir fait parvenir un exemplaire de sa Dissertazione sulla lapide di L. Apuleio Brasida67 (CIL XI, 6358) par l’intermédiaire de son oncle, l’abbé Marino Zampini († 1782), chez qui il résidait alors in casa Barberini68. Derrière le geste détourné d’Olivieri d’un art de vivre aujourd’hui révolu, Marini savait fort (ff. 209r) ; (ff. 210-211rv) Prospectus Catalogi Musei Caesarei celeberrimi marmorum veterum ; (f. 212) ; 105. Roma, 22 luglio 1778 (f. 213rv) ; 106. Roma, 8 agosto 1778 (f. 214-215) ; 107. Roma, 26 agosto 1778 (f. 217rv) ; 108. Roma, 16 settembre 1778 (f. 218rv) ; 109. Roma, 30 settembre 1778 (f. 223r) ; 110. Roma, 11 novembre 1778 (f. 224rv) ; 111. Roma, 2 dicembre 1778 (f. 225rv) ; 112. Roma, 26 novembre 1778 (f. 226rv-227r) ; 113. Roma, 30 gennaio 1779 (ff. 231rv) ; 114. Roma, 21 luglio 1779 (f. 232r) ; 115. Urbino, 6 agosto 1779 (f. 233rv) ; 116. Urbino, 13 agosto 1779 (f. 234r) ; 117. Ravenna, 25 settembre 1779 (239r) ; 118. S. Arcangelo, 7 ottobre 1779 (f. 240r) ; 119. Pesaro, 16 ottobre 1779 (f. 241rv) ; 120. Pesaro, 18 ottobre (1779) (f. 245rv) ; 121. Roma, 6 novembre 1779 (f. 246rv) ; (f. 247) : une lettre du XVIIIe siècle ; 122. Roma, 20 novembre 1779 (f. 248rv) ; 123. Roma, 8 dicembre 1779 (f. 249r) ; (ff. 250-244) : enveloppes et un feuillet volant non numéroté : « Lettera di monsignor Gaetano Marini al Sig. Annibale Olivieri quale appendice ai marmi pesaresi ch’egli gradirebbe ardentemente fossero pubblicate ». Le ms. 335, vol. II, ff. 1-222, compte lui, 110 lettres, datées du 22 mars 1780 au 30 août 1784. Toujours à la BOP, signalons aussi que le ms. 1905, fasc. 8. contient deux lettres de Marini au marquis Antaldo Antaldi, respectivement datées des mois de juillet 1807 et octobre 1809, regroupant des références à la vie et à la descendance de Bramante ainsi que des notices d’histoire locale. Le ms. 1908 G’ contient deux lettres de Marini à Mario Fantuzzi, des 14 et 19 novembre 1803. Une lettre de Marini non datée se trouve également dans le ms. 1983, CXCVII. Pour ces références, voir SORBELLI, Inventari cit., t. LII, Firenze 1933, pp. 195, 200-201, 290. Il convient aussi de citer le ms. 329 vol. V, f. 300 (ibid.). Le ms. 376, fasc. II, recueille quant à lui des notes de Marini envoyées à Callisto Marini sur les brefs pontificaux, les comptes des dîmes et autres ressources ecclésiastiques : SORBELLI, Inventari cit., t. XXXVII, 1927, p. 147. Pour finir, il est à retenir qu’Olivieri a recopié dans le ms. 445, fasc. I (50), ff. 287r-289r, les Frammenti dei Fasti Calendari mandatimi dall’Ab. Gaetano Marini. 65 BOP, ms. 335, I, ff. 62rv-63r. 66 EAD., f. 1r. 67 A. OLIVIERI DEGLI ABBATI, Spiegazione di una delle due antiche basi di marmo scoperte il di 22. di novembre 1770 dal cavalier Domenico Bonamini, Pesaro 1771. 68 Marini succèdera à Zampini comme Préfet des Archives vaticanes en 1782. Voir notamment : G. VENDITTI, Gaetano Marini e gli Archiatri Pontifici, dans Gaetano Marini (17421815) protagonista cit., pp. 455-492, ainsi que ibid. les remarques de D. ROCCIOLO, Gaetano Marini di fronte alla Rivoluzione (1790-1809), pp. 78-102, notamment p. 78 ; et aussi ibid. I. MIARELLI MARIANI – S. ROSSETTI, Séroux d’Agincourt et ”l’amico carissimo”, pp. 1568-1593,

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bien qu’il avait là l’occasion de s’adresser à la mémoire épigraphique du siècle : digne de l’admiration de Scipione Maffei (1675-1755) qui avait vu en lui son héritier, le grand aristocrate de Pesaro était aussi apparenté aux Albani et le plus cher ami de Giuseppe Garampi (1725-1792)69. Marini était en contepartie devenu nécessaire à l’Olivieri afin de pouvoir continuer à « mettere da parte tuttociò che le capiterà alla mano di pesarese70 », notamment sur ses prédécesseurs épigraphistes des Marches, Gozze et Fabretti. Il tenait d’ailleurs du pape Benoît XIV (1740-1758) Lambertini en personne « la licenza di darmi tutto ciò che poteva appartenere a Pesaro, e questa notizia le serva a quietanza d’ogni scrupolo71 ». Il planait alors sur la figure de Fabretti un soupçon d’usurpation des récoltes épigraphiques barbériniennes pour le grand opus de l’Explicatio depuis qu’Anton Francesco Gori († 1757) avait publié, en 1731, la part en revenant à Doni72. Une fois de plus, le jeune Marini tirait au clair les éléments susceptibles de mieux comprendre ce dont il en relevait exactement : notamment p. 1579, nt. 62 et le renvoi à la correspondance marinienne dans les mss. Vat. lat. 9043-9044. 69 Pour l’Olivieri, voir M. LUNI, Ipsa ruina docet. Antichità riscoperta e collezionismo archeologico a Pesaro tra Quattrocento e Seicento, dans Pesaro nell’età dei Della Rovere, sous la dir. de G. ARBIZZONI – A. BRANCATI – M. R. VALAZZI, t. III, 2, Venezia 2001, pp. 111-126 ; ID., Scoperte archeologiche e collezionismo di antichità a Pesaro ; LUNI, Scoperte archeologiche e collezionismo di antichità a Pesaro cit., pp. 121-137. Pour les rapports entre Garampi et Olivieri, voir maintenant F. LO BIANCO, Il carteggio oliveriano Garampi-Olivieri : una finestra aperta sul XVIII secolo, dans Studia Oliveriana 2 (2017), pp. 103-115 ; et toujours CALABI LIMENTANI, Scienza epigrafica cit., pp. 98-99, 118. 70 Vat. lat. 9056, f. 36r (28 novembre 1773). 71 Ibidem. 72 G. B. DONI, Io. Baptistae Donii, ... Inscriptiones antiquae nunc primum editae notisque illustratae et XXVI indicibus auctae ab Antonio Francisco Gorio, A. F. GORI (éd.), Firenze 1731, p. XIX. Voir aussi DE LA BLANCHÈRE, Histoire de l’épigraphie romaine cit., p. 31, ainsi que les éclaircissements apportés depuis par D. MAZZOLENI, Raffaele Fabretti e l’epigrafia cristiana, dans Raffaele Fabretti, archeologo cit., pp. 61-72, en particulier p. 62. Pour sa part, Marini, en 1781, fera ultérieurement le point sur l’usage que Fabretti avait fait de ce trésor épigraphique à l’occasion d’une mise à jour des Fastes de Préneste, excluant que celui-ci ait eu recours à celles du Florentin. Voir G. MARINI, Fastorum Anni Romani a Verrio Flacco ordinatorum reliquiae ex marmo rearum Tabularum fragmenti Praenes nuper effossis collctaee Et illustratae cura Et Studio P. F. F. Romae Anno Salutis 1779. in P.F.F., dans Giornale dè Letterati 41 (1781), pp. 247-323, en particulier pp. 262-263. Pour la précision, quelques pages de l’article se trouvent dans les ms. Vat. lat. 9105, f. 153v. La ponctualisation marinienne concerne l’inscription CIL XIV, 278*, une fausse ligorienne, retenue par Fabretti quant à l’éventualité d’une base de la statue de Verrius Flaccus à Préneste. Si, comme le retient F. COARELLI, Il monumento di Verrio Flacco nel foro di Preneste, dans Revixit Ars, Rome 1996, pp. 455-469, la statue a très probablement existée, l’inscription relève effectivement d’une falsification que Marini est le premier à identifier. À ce propos, voir G. VAGENHEIM, La falsification chez Pirro Ligorio à la lumière des Fasti Capitolini et des inscriptions de Préneste, dans Eutopia 3, 1-2 (1994), pp. 67-113, nt. 59-60.

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Roma, 4 febbraio 1771 [...] Parte delle schede che ebbe in mano Fabretti esistono tuttora nella Biblioteca, ed io le ho trovate e poste assieme in due gran fascj, avendo separate quelle che ho potuto scoprire essere d’uomini insigni, come dell’Aleandro, dell’Olstenio, dell’Alacci, di Suarezio, di Moroni, e di altri tali, e me le sono anche ricopiate tutte quante erano, ne mi pento di averlo fatto, perché ci è ancora gran roba inedita e mal edita. Ora poi le dico che tra queste copiosissime carte e schedole trovai un mezzo foglio stampato, e segnate le pagine VII-VIII e da una parte avea INSCRIPTIONES dall’altra BARBERINAE, e conteneva iscrizioni antiche, la prima era segnata dal n. 50 e l’ultima col 65. E tutte aveano un cotal elogio, Suarezio descripsit, Alleatius descripsit, Holstenius, Aleander descripsit, ovvero ex ms. Barberino. La stampa, la carta e tutto è simile alla edizione delle iscrizioni di S. Paolo fatta d’ordine del card. Barberini, ed io ho poi ottimi argomenti per esser sicuro che Carlo Moroni era quello, il quale possiedeva e curava questa insigne raccolta, di cui più cose ci si dice nella prefazione del Gudio [...]73.

Il avait donc découvert que la mise en page, les caractères typographiques, jusqu’à la qualité du papier d’un imprimé intitulé INSCRIPTIONES BARBERINAE, aujourd’hui identifiable dans le ms. Barb. lat. 2141, f. 73rv, résultait des mêmes presses des Inscriptiones antiquae basilicae S. Pauli ad viam Ostiensem (1654), maintenant attribuées au moine cassinésien Cornelio Margarini († 1681)74. À l’instar de Maffei, qui avait déjà noté que la préface de la réédition de 1707 du Corpus absolutissimum de Gruter faisait état d’une impression anonyme, sans lieu ni date, des inscriptions de Cyriaque d’Ancône reconductible au card. Francesco Barberini, et en tout point semblable à l’édition anonyme des inscriptions de Saint-Paul-horsles-murs75, Marini s’appuyait pour sa part sur l’appendice très documenté de la préface des Antiquae Inscriptiones Graecae tum Latinae — posthumes — de Marquard Gude (1635-1689)76. L’autopsie des éditions que conserve 73

BOP, ms. 335, I, ff. 22rv-23r. [C. MARGARINI], Inscriptiones antiquae basilicae S. Pauli ad viam Ostiensem, Roma, excudebat F. Moneta, 1654. L’introduction de G. FILIPPI, Indice della raccolta epigrafica di San Paolo fuori le Mura, t. 3, Città del Vaticano (Inscriptiones Sanctae Sedis) 1998, p. 16, ne fait pas état du caractère barbérinien de l’édition. Signalons que d’importantes notices de Marini sur l’histoire des inscriptions de Saint-Paul-hors-les-murs sont réunies dans le ms. Vat. lat. 9106, ff. 49v-50v. Voir infra, nt. 86. 75 J. GRUTER, Inscriptiones antiquae totius orbis Romani in absolutissimum corpus redactae ac cura Jani Gruteri, auspiciis Josephi Scaligeri ac Marci Velseri, t. I, Amsterdam 1707, p. 3 ; cfr. G. PACI et S. SCONOCCHIA (dir. & éds.), Ciriaco d’Ancona e la cultura antiquaria dell’Umanesimo. Atti del convegno internazionale di studio (Ancona 6-9 febbraio 1992), Ancona 1998, pp. 284, 458 ; ainsi que ibid. la contribution de G. VAGENHEIM, Le raccolte di iscrizioni di Ciriaco d’Ancona nel carteggio di Giovanni Battista de Rossi con Theodor Mommsen, pp. 477-519. 76 M. GUDE, Antiquae Inscriptiones Graecae tum Latinae, olim Marquardo Gudio, Leeuwarden 1731. 74

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la BAV des Inscriptiones antiquae basilicae S. Pauli ad viam Ostiensem et des Inscriptiones reperta per Illyricum a Cyriaco Anconitano apud Liburniam (1660/1665 ?)77 ne laisse planer aucun doute sur le bienfondé de l’hypothèse. Si aucun autre témoignage n’est pour l’heure venu étayer la publication d’un volume dédié aux Inscriptiones Barberinae78, l’existence de ce double, voire triple, projet éditorial épigraphique autour des années 1650-1660 serait aujourd’hui corroborée par les éléments plus récemment apportés par F. Petrucci Nardelli79 sur l’installation d’une imprimerie, au palais de la Chancellerie. Ceci dit, l’attente exaspérée de l’Europe entière que documente la préface de Gude quant aux productions épigraphiques qui, à Rome, tardaient à voir la lumière, révèle que Morone était désormais resté bien seul dans cette entreprise80. Comme en atteste le reçu conservé dans le ms. Barb. lat. 646381, ff. 104r-105r, et doublement daté des 24 mars et 27 avril 1683, il est toutefois certain que c’est bien grâce à Morone — et au bon vouloir du card. Carlo Barberini (1630-1704) et de son petit-neveu, le jeune abbé Francesco Barberini (1662-1738)82 — que Fabretti a bénéficié des fiches barbériniennes : 77 Il convient en outre de la distinguer de l’édition identique mais intitulée Inscriptiones seu Epigrammata Graeca et Latina reperta per Illyricum a Cyriaco Anconitano apud Liburniam, elle aussi sans lieu ni date, et dont le contenu est encore réédité en 1747. Parmi les différents exemplaires conservés à la BAV, il est utile de se reporter au Stamp. Ferr. I. 161 (int. 1, 2, 3). D’une part parce que les inscriptions de Cyriaque y sont apostillées par C. Amaduzzi qui ajoute au bas : « Edidit Romae sine loci et typographi nomine Carolus Moronius Cremonensis, S. Laurentii in Damaso Canonicus et bibliothecae Barberinae praefectus, qui tamen se ab hoc opere publicii faciendo abstinuit, ut scribit Octavius Falconerius epistola ad Nicolaum Heinsium Roma kal. septembr. anni 1665 (syllog. epist. Burman. Tom V. p. 507) vid. Franc. Hessellium in prafeationis ad Gudianam collectionem appendice, quae seguitur post pag. 16. tum et Villoisonium prolegomen ad Homeri Iliad. pag. XXXII. ad not. (1). » ; d’autre part parce que le recueil comprend aussi l’intégration de l’Olivieri d’un Commentarium Cyriaci Anconitani nova fragmenta notis illustrata, Pesaro 1763, qui, à un siècle de distance des précédentes, bénéficie indiscutablement des caractères et des poinçons typographiques barbériniens. Ce dernier aspect mériterait d’être approfondi car il faut le reconduire à l’activité de Mgr Pompeo Compagnoni († 1774), ancien bibliothécaire de la Barbérinienne et ami d’Olivieri qui, devenu évêque d’Osimo, avait emporté avec lui nombre de notes et de fiches de la Bibliothèque. Pour l’instant, voir L.-G. PÉLISSIER, La Bibliothèque Barberini en 1777, dans Le Bibliographe moderne 6 (1902), pp. 185-187. 78 STENHOUSE, Ancient Inscriptions cit., p. 27, émet l’hypothèse, à vérifier, qu’il s’agisse de celles de Doni. 79 F. PETRUCCI NARDELLI, Il card. Francesco Barberini senior e la stampa a Roma, dans Arch. Soc. Rom. Stor. Patria 108 (1985), pp. 134-198. 80 Supra, nt. 76. 81 S. PIERALISI, Sala Cons. Mss. Rosso, 152, p. 453 (ex Barb. LXXIV, 9). 82 En Appendice I et II, Marini et Fabretti identifient en effet le card. Carlo Barberini, tandis que dans le ms. Barb. lat. 6463, Fabretti nomme expressément l’« abate D. Francesco ». Sur les deux, outre les dictionnaires biographiques d’usage, voir M. G. BARBERINI, La galleria

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Iscrizioni manoscritte dell’Ecc.ma Casa Barberina prestatemi dal Canonico Carlo Moroni d’ordine dell’Ill.mo Abate D. Francesco Barberini, e sono come appresso, cioè un tomo grosso in foglio di varie iscrizioni in carta reale unito senza coperte ; un altro tomo in foglio alto due ditta, con coperte di cartone ; due altri tomi in fogli volanti, uniti dentro cartelloni di carta pergamena verde, indorati, e legati con fettucce. Un mazzo di quinternioni piegati in lungo num. (illisible). Alcune poche carte volanti sciolte tra diversi quinternetti quali tengo in consegna per restituirle a detto Canonico ad ogni sua semplice requisizione. Oggi dì 24 marzo 1683. Raffaelle Fabretti e più dì 13 aprile 1683, ho ricevuto altri sei quinternioni oltre li 27 sopra notati e piegati in lungo. Il medesimo Raff. Fabretti.

Il ne sera pas aisé d’identifier, si elles existent, les fiches barbériniennes consultées par Fabretti et que Marini affirme avoir réunies83. Les comparanda de la récolte de Marini dans le ms. Vat. lat. 911884 avec les mss. Barb. lat. 2019 et 2109 offrent toutefois quelques points d’appui quant au démembrement réorganisé par ses soins en deux fascicules dans la mesure où ils ne revêtent pas, comme nombre d’autres, les armes de la maison Barberini. En attendant, la seule collation des inscriptions latines des Aedes Barberinae (Tab. 1) de Marini montre qu’il a parcouru — au delà de ce que rapportent les recenseurs du CIL — les chemins empruntés avant lui par Fabretti. Ainsi, pour épurer l’historiographie de ses leurres, le jeune Marini perpétuait d’abord une doctrine qu’il savait déjà intimement recueillie, ordonnée et pesée par ses prédécesseurs. Olivieri ne s’était d’ailleurs pas trompé sur l’importance de ce renouement avec l’antiquariat des XVIe et XVIIe siècles qu’il avait lui-même poursuivi : « Ella riscriva il Fabretti de’ nostro dì85 ».

dei ritratti nel mezzanino di Palazzo Barberini. una strategia di famiglia, dans I Barberini cit., Roma 2007. 83 Supra, p. 391. 84 Cfr. DE ROSSI, Inventarium cit. Au f. 1r, l’incipit du ms. Vat. lat. 9118, probablement de la main de G. B. De Rossi — qui tait cette recension sous un générique ejusdem dans son Inventarium est : Inscriptiones antiquae quad. e codd. Bibl. Barb. Cajetanus Marinus descripsit. Les inscriptions sont aussi reconnues par M. BUONOCORE, Prime esplorazioni sulla tradizione manoscritta delle iscrizioni greche pagane di Roma antica attraverso i codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, dans Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 6 (1998) [Collectanea in honorem Rev.mi Leonardi Boyle, O.P., septuagesimum quintum annum feliciter complentis], pp. 21-71. 85 Vat. lat. 9056, f. 40rv (Pesaro, 2 giugno 1774).

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Les séquences bibliographiques et épigraphiques comme lisibilité du passé Relativement aux notes mariniennes sur les Osservazioni du ms. Vat. lat. 9106, en particulier à partir du f. 48r, il convient de constater que le récolement de Mai les a insérées à la suite des Schede di Marini. Storia delle iscrizioni, loro collezioni, ed edizioni86. On peut ainsi apprécier le vaste instrument méthodique sur les fondamentaux dont Marini s’était doté. Rien n’étant plus difficile que de classer les documents que l’on n’a pas acquis soi-même, le classificateur a par ailleurs su réunir les Exerpta codd. Bibl. Albani (ex Barberini) dans le ms. Vat. lat. 911287 qui, lui, procure la double recension thématique et prosopographique de l’ancienne collection Barberini, notamment l’ensemble de la correspondance de Cassiano dal Pozzo (ff. 50-56) passée aux Albani — y compris un index nominal — et, à partir du f. 57r, l’Indice dello spoglio dè codici della Biblioteca Barberini e di altre biblioteche. L’envergure du panorama historiographique que supposent à eux seuls ces deux mss. précise donc le gain de temps considérable et l’extrême rigueur de Marini pour la réactualisation bibliologique et des problématiques épigraphiques. En Appendice I, le cas de la note ii atteste de l’acribie de ses lectures car il note ponctuellement que la réédition de 1788 du De aquis et aquaeductibus veteris Romae (1680) de Fabretti, à l’évidence, n’est pas encore sortie de presse. Si elle autorise bien sûr à fixer ante quem la rédaction des notes mariniennes, la réception de Fabretti, déjà tardive, allait y être censurée. En effet, le nouvel éditeur du De aquis et aquaeductibus veteris Romae (1788), Natale Barbiellini, ne trouvait rien de mieux que de proposer une version épurée des commentaires les plus caustiques de Fabretti au nom de la postérité du savant88. Ainsi, à la page 102, la désignation de « tractatiuncola » réservée par Fabretti à l’Aqua Virgo (1662) de Jean Chifflet (1614-1666) était retirée89. Ce chanoine besançonnais et professeur de médecine à l’Université de Pavie, avait eu le tort de mal transcrire deux inscriptions claudiennes relatives aux distances des cippes jugéraux de l’Acqua Virgo (CIL VI, 1253a, 31665a ; CIL VI, 1253b, 31565b)90. Malgré l’absence de preuves, 86

Cfr. nt. 74. Cfr. H. RIENSTRA, Gaetano Marini and the historiography of the Accademia dei Lincei, dans Arch. Soc. Rom. Stor. Patria 94 (1971), pp. 209-225. 88 Ce dont Barbiellini se justifie dans sa dédicace à Pie VI (1775-1791) Braschi. Cfr. R. FABRETTI, Raph. Fabretti Gasparis f. Urbinatis De aquis et aquaeductibus veteris Romae dissertationes tres, Roma, Apud Natalem Barbiellini, 1788, p. VI. Pour le libraire-imprimeur Barbiellini, voir quelques indications de VENDITTI, Gaetano Marini e gli Archiatri cit., p. 459. 89 Cfr. ibid., p. 102 = eiusd. 1680, p. 112. 90 J. CHIFFLET, Aqua virgo, fons Romae celeberrimus, et prisca religione sacer, Opus aedilitatis M. Agrippae in vetere annulari gemma, Anverso 1662, p. 22. Sur la polémique, voir égale87

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c’est d’ailleurs à ce dernier — nunc vero in Barberinis aedibus a Joanne Chiffletio, ut puto, instauratum asservatur — qu’il faudrait attribuer, selon l’abbé Marotti91, le supplément fautif du palais des Quatre Fontaines. Marini le savait, Fabretti avait des susceptibilités épigraphiques et archéologiques qui, parfois, dépassaient la bienséance d’une juste polémique. Jakob Gronov (1645-1716) en avait fait les frais au terme d’une argumentation mémorable que n’auraient pas reniée Plaute et Martial : tout cela pour dire qu’il connaissait Tite-Live par cœur ; bref, la capitulation face aux Romains attendait la «Gronoche » sur le mont Algide et à Corcyre92. La devise enrubannée, ΦΙΛΟΙΣ ΧΑΡΙΣΑΣΘΑΙ ΕΧΘΡΟΝ ΑΜΥΝΑΣΘΑ qui, au dessus d’un hérisson, signe le frontispice de toutes les œuvres de Fabretti, parlait pourtant clair. On pourrait la traduire : « Faire le bien à mes amis, me défendre de mes ennemis ». En somme, la devise d’un animal lent — il avait commencé à publier à l’âge de 60 ans — a priori inoffensif et discret — on ne sait encore rien de sa carrière diplomatique à la nonciature apostolique en Espagne dans des années pourtant cruciales (1651-1664) — mais fort utile dans la nature puisque cet infatigable chasseur ne craint pas de dévorer les nuisibles. Le paragraphe d’ouverture des Osservazioni, ne déroge pas à ce type de coquetterie, cette fois-ci sous la forme de l’agacement faussement modeste. Il ne s’agit pas tant pour Fabretti de revendiquer son propre travail sur l’inscription de Claude dont, à l’évidence, l’interlocuteur devait avoir été informé. Non, il entend protester du mépris réservé à l’auctarium de Gozze en raison de l’absurdité du supplément visuel qu’il a sous les yeux. Les références au corpus de Gruter qu’il attribue à Gozze93 — du moins faut-il le croire — n’appartiennent cependant pas à l’instrumentum publié chez V. Mascardi en 164194. Gozze n’avait fait que s’y livrer à l’exercice d’une critique philologique des sources étayant sa restitution de l’intégrité de l’épigraphe de Claude. Au risque d’une synthèse trop réductrice, il convient donc de discerner quelques-uns des éléments épigraphiques des Osservazioni, notamment en ment H. B. EVANS, Aqueduct hunting in the seventeenth century : Raffaello Fabretti’s ‘’De aquis and aquaeductibus veteris Romae’’, Ann Arbor 2002, pp. 141, 177. Pour la bio-bibliographie de la dynastie d’érudits des Chifflet, voir L. DELOBETTE – P. DELSALLE (dir.), Autour des Chifflet : aux origines de l’érudition en Franche-Comté : actes des journées d’étude du Groupe Chifflet, Besançon 2007. 91 Cfr. MAROTTI, Vita Raphaelis Fabretti (1770) cit., pp. 46-47 ; témoignage que reprend aussi MARINI, Degli aneddoti cit., p. 86. 92 [R. FABRETTI,] Jasithei ad Grunnovium Apologema in eiusque titivilitia sive somnia de Tito Livio adnimaversiones, Napoli, Novello De Bonis, 1686, p. 143. 93 Appendice II, nt. i. 94 Supra, nt. 37 ; Pl. IV.

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fonction de ce qui en subsiste dans l’Explicatio, non sans avoir, d’abord, tenté d’en circonscrire une possibile datation. Sur le plan bibliographique, tout d’abord. Le recours aux Annotationes ad Ph. Cluverii (1666) de Holste95 à propos de l’inscription téatine du CIL IX, 5973, ainsi qu’à la dissertation de Numism. dioclet. (1675) de Noris96, fixent la fourchette post quem des dates. Plus précise, cependant, est l’allusion circonstanciée à la correspondance de Fabretti avec le médecin lyonnais Jacob Spon (1647-1685)97. Celle-ci est à situer après la première édition du Liber I des Miscellanea eruditae antiquitatis : Sive Supplementi Gruteriani (1779), mais avant les éditions successives dont le privilège ne remonte pas avant 168198. Par ailleurs, étant donné que Spon n’a jamais inclus, ni l’inscription de Claude dans ses Miscellanea eruditae — pas plus que dans d’autres de ses œuvres —, ni les remarques que Fabretti a pourtant dû lui adresser, il devient possible de dater avec assez de précision les Osservazioni entre les années 1679 et 168599 — soit environ vingt ans après la mort de Gozze († 1660) et dix ans avant l’Explicatio (1699). En conséquence, on identifiera en la personne de Carlo Antonio dal Pozzo (1606-1689)100, frère cadet de Cassiano, le dédicataire « Commendatore dal Pozzo » des Osservazioni de Fabretti. Malgré la clarté, le style vif et somme toute familier de Fabretti, l’ampleur de son raisonnement demeure problématique car il manie avec une aisance à laquelle nous ne sommes plus habitués les références épigraphiques et littéraires. Commençons par relever qu’à l’exception de l’inscription de Téate (CIL IX, 5973) — fort utile pour assurer la titulature 95 Cfr. note i de l’Appendice II – L. HOLSTE, Annotationes in geographiam sacram Caroli a S. Paulo ; Italiam antiquam Cluverii ; et thesaurum geographicum Ortelii : quibus accedit Dissertatio duplex de sacramento confirmationis apud græcos, Roma, Typi s Jacobi Dragondelli, 1666, p. 154. 96 Cfr. Appendice II, f. 4r. E. NORIS, Duplex dissertatio de duobus nummis Diocletiani et Licinii : ex cimeliis sereniss. ac reverendiss. principis Leopoldi cardinalis Medici : cum auctario chronologico de votiis decennalibus imperatorum ac caesarum, Firenze, ex Typographia Nicolaj Navesij, 1675, pp. 22-30. 97 Les deux hommes se connaissaient depuis le voyage du Français en Italie, en 1675. E. VAIANI, Lettere di Raffaele Fabretti ad Antonio Magliabechi, dans Studi Seicenteschi 48 (2007), pp. 311-354, notamment p. 333. 98 Cfr. J. SPON, Miscellanea Eruditae Antiquitatis : Sive Svpplementi Grvteriani Liber Primvs : In quo euditiora & intellectu difficiliora Marmora à Grutero omisa enodantur, statuis, gemmis, nummis & toreumatis illustrantur, Francoforte – Venezia, apud I. H. Widerholdt – F. Rota, 1679. Voir H. POMMIER, Bibliographie de J. Spon, dans R. ÉTIENNE – J.-C. MOSSIÈRE (dir.), Jacob Spon. Un humaniste lyonnais du XVIIe, Paris 1993, pp. 53-78. 99 i.e. entre la première et la dernière édition du vivant de Spon. J. SPON, Miscellanea eruditae antiquitatis, Lugduni, Fratrum Huguetan & Soc., 1685. 100 F. SOLINAS, sub voce dans DBI, XXXII, Roma 1986, pp. 204-206.

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de l’empereur — et de celle du linteau marmoréen de Trajan aux Lares (CIL VI, 451, 30769) — sur laquelle on reviendra plus avant — qui n’appartiennent pas au corpus de Gruter101, toutes les références des Osservazioni seront citées dans l’Explicatio. Malgré la reconnaissance implicite d’un travail de Gozze que nous ignorons, l’établissement des chronologies des magistratures impériales, notamment celles du Ve consulat de Claude, n’était pas acquises. Mais bon, le cippe de la voie domitienne (CIL XVII2, 281 = XII, 5661 — Gruter 188, 3) et le titre ravennate du CIL XI1, 5 — malgré l’adjonction grutérienne corrompue au titre funéraire de Mariana Polycarpa qu’il lui faut utiliser (CIL XI1, 132 – Gruter 237, 5) — formaient le point de départ plutôt sûr que les désignations au IIe et au IIIe consulat concordaient avec un renouvellement II et III de l’imperium. Pour le passage du IIIe au IVe consulat, quelques certitudes de la prosopographie et de la littérature coïncidaient en accompagnant Claude d’un certain nombre de ses consuls102. De là, on pouvait se contenter du cippe de l’achèvement de l’agrandissement du pomerium (CIL VI, 1231a, 1537d/b – Gruter 196, 4) pour étayer qu’entre l’an 48 et 49 Claude portait effectivement sa IXe puissance tribunicienne et se revêtait pour la XVIe fois des victoires de l’Empire de ce qui n’était encore que son IVe consulat. Passons sur la fausse inscription panvinienne des consuls C. Minucius Fundanus et C. Vettennius Severus (CIL VI, 3098* – Gruter 188, 6) parce que damnavit Marinius103. S’ils avaient existé, ils auraient pu confirmer que la XIe puissance tribunicienne saluait le cours du Ve consulat puisque l’inscription, aujourd’hui perdue, du CIL VI, 710* – CIL VI, 36910 (Gruter 113, 3) certifiait que la Xe était à dater de l’an 50, c’est-à-dire celle de l’année où Claude s’apprêtait à quitter le IVe consulat de la IXe magistrature tribunice pour assumer le Ve consulat que l’année précédente lui avait désigné. Le dédicataire de Fabretti avait d’ailleurs droit à une petite leçon sur l’ordre de marche des consulats que n’avait pas eu Gruter. En effet, pas plus le consulat que l’imperium ne fonctionnaient alors sur la perpétuité du renouvellement de l’année solaire ce dont attestait, cela était nouveau, le linteau marmoréen de Trajan (CIL VI, 451 – CIL VI, 30769) récupéré sur l’île Tibérine (ou Licaonie) en 1682104. Cela ne changeait cependant rien au 101

Ces deux inscriptions feront chez l’auteur l’objet d’une étude à part : CIL IX, 5973 = FA-

BRETTI, Explicatio cit., p. 473, nr. 120 ; CIL VI, 451 = FABRETTI, De columna Traiani cit., p. 273. 102 Cfr. Appendice II, f. 2v. Ce qui coïncide avec une surprenante exactitude à ce qu’éta-

blit A. TORTORIELLO, I fasti consolari degli anni di Claudio [Atti della Accademia Nazionale dei Lincei – Serie IX – vol. XVII – Fasc. 3], Roma 2004, pp. 553, 563-565, 588. 103 Voir maintenant PIR2 V 453. Signalons toutefois que TORTORIELLO, I fasti consolari cit., p. 529, nr. 42, signale un possible consul Cnaeus Minicius en l’an 50. 104 Supra, nt. 101.

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fait que Claude, en 51, pouvait glorifier pour la XXIIIe fois l’empire tout en conservant son Ve consulat, ce qu’il renouvelait souverainement l’année suivante, en 52, alors que l’Empire avait encore progressé de quatre fois (Imp. XXVII), sur le fronton de la Porta Maggiore (CIL VI, 1256 – Gruter 176, 1), fort, cette fois-ci, d’une XIIe puissance tribunicienne. Avec de telles certitudes, Fabretti pouvait se passer des tituli plumbei (CIL VII, 1201 = RIC I, 62 = Gruter 238, 5 ; RIB II, 62) de Gozze dans l’Explicatio. D’une part parce que la lamina citée par Adolf Occo († 1606)105 n’apporte rien à la définition du Ve consulat, d’autre part, parce que les aurei claudiens, bien qu’ils confortent presque toutes les réitérations de la puissance tribunicienne, n’identifient pas l’existence architecturale réelle d’un ou des arcs de Claude106. Il sera néanmoins bien difficile de s’assurer que les honneurs associés à la famille de Claude, de part et d’autre des entablements de l’arc, aient pu être répartis selon la proposition de Fabretti (CIL VI, 712* – CIL VI, 921, 922, 923 – Gruter 236, 9) en raison des incohérences dans la rupture du fragment — pourtant intègre — du CIL VI, 921a. Comme l’a plus récemment suggéré A. A. Barrett107 et comme l’envisage aussi Fabretti, il serait toutefois possible que l’on ait eu affaire à deux longues plaques d’environ 3 mètres chacune, avec quatre dédicaces réparties en colonnes. Les défis épigraphiques au Vatican et « l’inversion du pensable » au siècle de Marini Le retournement méthodologique opéré par Fabretti, on le comprend, soumet à la structure analogique positive des épigraphes une vérité que les aléas littéraires, malgré leurs performances, ne pouvaient pas toujours servir. L’axe sémantique ne pouvait être on ne peut plus distant de ce que l’épigraphe de Claude montrait d’elle sur le mur du palais Barberini. Cette « inversion du pensable » que M. de Certeau108 a magistralement identifié comme l’un des moteurs de l’historiographie naissante au XVIIe siècle, invite cependant à dresser le constat des défis, très concrets en matière d’épigraphes, que Marini avait encore sous les yeux. En 1773, ni le musée profane, ni la galerie lapidaire du Vatican n’avaient 105 Cfr. Appendice II et A. OCCO, Impp. Romanorum Numismata A Pompeio Magno Ad Heraclium, Augustae Vindelicorum, ad Insigne Pinus, 1601, pp. 110-111. 106 Cfr. supra nt. 97 ; mais également RICHARD, Les images du triomphe de Claude sur la Bretagne, dans Y. BURNAND – Y. LE BOHEC – J.-P. MARTIN (dir.), Claude de Lyon. Empereur romain. Actes du colloque Paris-Nancy-Lyon novembre 1992, Paris 1998, pp. 355-371 ; et FASOLINI, Aggiornamento bibliografico cit., p. 106. 107 BARRETT, Claudius’ British Victory cit., pp. 7-9. 108 M. DE CERTEAU, L’écriture de l’histoire, Paris 1975, pp. 154-177.

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encore vu le jour. En matière d’inscriptions, les antécédents du Vatican étaient au demeurant chargés des tribulations des théories iconologiques de la La historia universale (1697) de Francesco Bianchini (1662-1729)109. En effet, ce contemporain de Fabretti avait tenté d’introduire les principes de l’unification continuelle du monde par l’expérience compréhensible des finalités externes, voire mécaniques des épigraphes dans un éphémère Museo ecclesiastico110 (1707/1716). Le pape Clément XI (1700-1721) Albani — un autre urbinate — n’avait quant à lui pas tardé de juger opportun d’y accommoder un Museo architettonico composé, entre autres « châteaux » et « machines » de Domenico Fontana († 1607), de quelques maquettes du Bernin († 1680) pour Saint-Pierre111. La République des Lettres s’était tu poliment face à ce gigantesque et docte fouillis112 ; en fin de compte voué à l’échec car il se soldait dans l’aberrante inversion d’un « effet chrétien » sur l’antériorité de la « cause biblico-cosmique » et du paganisme. Cela va sans dire, le Laocoon et les plus beaux antiques restaient dans l’obscurité de leurs niches placardées de volets rouges du Belvédère où une succession de Pontifes les avaient depuis plus d’un siècle et demi confinés113. La position de l’idolâtrie, bientôt révélée au grand jour dans les apparats du stille winckelmannien avait, comme on le sait, ses heures comptées. En attendant, Mgr Angelo Braschi († 1799) — le futur pape Pie VI — avait tout le loisir de convoquer le nouveau Raphaël (A. R. Mengs), pour décorer une salle de moindre dimension destinée à accueillir l’instrumentum domesticum des papyrus ravennates des VIe- VIIIe siècles : la Stanza dei papiri. Ces documents des chancelleries épiscopales tardo-antiques n’avaient pas encore été déchiffrés correctement, mais l’on se doutait bien, depuis Mabillon 109 Voir maintenant toutes les références indispensables de G. RICUPERATI, Francesco Bianchini e l’idea di storia universale “figurata”, dans Rivista Storica Italiana 97 (2005), pp. 872-973. 110 P. LIVERANI, Il ‘Museo Ecclesiastico’ e dintorni, dans Francesco Bianchini (1662-1729) und die europäische gelehrte Welt um 1700, sous la dir. de V. KOCKEL – B. SÖLCH, Berlin 2005 (Colloquia Augustana, 21), pp. 207-234, en particulier pp. 216-217. 111 Voir P. ZANDER, La tormentata storia del Museo Petriano e l’intramontato pensiero di un Museo di San Pietro in San Pietro, dans L’Archivio della Fabbrica di San Pietro in Vaticano come fonte per la storia di Roma, Rome 2015, pp. 155-186 , notamment p. 167. 112 F. HASKELL, L’historien et les images, Paris 1995, p. 230. 113 Voir G. P. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano o sia della sacrosanta basilica di S. Pietro, t. III, Roma 1767, p. 123 ; G. DALTORP, The Belvedere. The Beginning of the Collection of Classical Statues in the Vatican, dans The Vatican Collection – The Papacy and Art, New York 1982, p. 57 ; LIVERANI, Il ‘Museo Ecclesiastico’ cit., p. 212. Du reste, après avoir rejoint la Ville éternelle au mois de novembre 1755, Winckelmann avait dû s’acquitter de l’obole nécessaire à celui qui lui faisait voir les volets grands ouverts de l’Apollon du Belvédère : voir J. J. WINCKELMANN, Lettere, M. FANCELLI, J. RASPI SERRA et F. CAMBI (éds.), t. I, Roma 2016, n. 106 T ; n. 107 T ; n. 119 T.

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(† 1707) et Maffei († 1755), que ce n’était pas que du « chinois »114. L’ornement de la stance concentrait à lui seul les inclinations érudites de chacun : le card. Alessandro Albani († 1779) exigeait un Moïse et un saint Pierre sur les contreforts de la voûte ; le card. Stefano Borgia († 1804), plus pragmatique, faisant pour sa part écarter le projet d’une allégorie du Gange en faveur des pélicans blancs et des joncs du paysage papyréen des lagunes de Ravenne. Conceptuellement, le programme iconographique alignait donc télamons et force sphinx et lionnes sur l’invention des rouleaux égyptiens en fonction du « paradigme hiéroglyphique »115 d’une théologie biblique de l’art antique venant rétablir une relative cohérence chronologique. La composition de Mengs ne résistait cependant pas, comme le suggère V. Casale116, à la redéfinition complète du panneau central survenue entre 1772 et 1773. En effet, l’introduction de l’inscription de marbre gisant aux pieds de Saturne, tout comme le petit génie ailé portant sous ses bras les rouleaux de papyrus, présumaient d’une métaphore du futur Lapidarium que l’on entendait d’ici peu consigner à l’Histoire. L’épigraphe ne prêterait pas à conjectures s’il ne s’agissait de l’épitaphe d’un affranchi d’époque julio-claudienne du nom de Primigenius, tabularius (comptable) des recettes du patrimoine impérial de son état (CIL VI, 8506). C’était là une nouveauté que venait d’officialiser l’abbé Cristoforo Amaduzzi († 1792) dans Le Novelle Letterarie de Florence, avec sept autres du même type117. Amaduzzi n’appartenait pas au corps prestigieux des Scriptores de la Vaticane118, mais était tout de même une personnalité en vue. Il ne cachait pas des amitiés anti-jésuites et anti-romaines mâtinées d’un jansénisme aux franches sympathies illuministes119. Tout en haut, une autre inscription, Museum 114 G. MARINI, I Papiri diplomatici, raccolti ed illustrati dall’ abbate Gaetano Marini, Roma, nella stamp. della Sac. Congr. de Prop. Fide, 1805, p. XXII. 115 Pour le «paradigme hiéroglyphique », voir maintenant P. GRIENER, La République de l’œil, Paris 2010, pp. 162-167. 116 V. CASALE, L’affresco di Mengs nella volta della Stanza dei Papiri : i risvolti di una sofferta esecuzione, dans BMonMusPont 26 (2007), pp. 157-174. Pour la salle des papyrus, voir également C. PIETRANGELI, La raccolta epigrafica nel settecento, dans BMonMusPont 12 (1992), pp. 21-31 ; ainsi que S. ROETTGEN, Anton Raphael Mengs 1728-1779 – Das Malerische und Zeichnerische, t. I, München 1999, pp. 318-325 ; ID., Anton Raphael Mengs 1728-1779 – Leben und Wirhen, t. II, München 2003, pp. 406-416. 117 O. COZZA LUZI, L’Aula dei Papiri nella Biblioteca Vaticana, dans Monumenta Papyracae Latina, O. MARUCCHI (dir.), Città del Vaticano 1895, pp. 35-57. La contribution de I. AMADUZZI, La Stanza dei Papiri nelle parole di Giovanni Cristofano Amaduzzi, dans Atti della settima e ottava giornata amaduzziana, Rimini 2011, pp. 29-43 ne relève pas l’existence de l’inscription du libertus. 118 Contrairement à ce qu’en dit ROETTGEN, Anton Raphael Mengs cit., t. II, p. 322. 119 Pour la personnalité d’Amaduzzi, voir E. CARUSI, Lettere inedite di Gaetano Marini, Città del Vaticano 1940 (Studi e testi, 83), p. XV, ainsi que M. BUONOCORE, Dal carteggio

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Clementinum, créée de toute pièce, achevait de modifier le programme original. Bref, l’irruption des deux inscriptions, celle du libertus et celle du futur musée, anéantissait le petit musée des papyrus car elle rompait l’équilibre biblique de l’ensemble qui, dès lors, s’affichait legibus solutus décomplexé vis-à-vis du champ théologique. L’élargissement libéral du panorama muséal du Vatican qui se profilait à l’horizon impliquait donc la remise en question sous-jacente de la doxa biblico-testamentaire qui, jusque là, avait dominé les projets muséaux. Marini ne se faisait d’ailleurs aucune illusion sur Amaduzzi et, le 22 novembre 1772, il s’épanchait avec l’Olivieri du spectacle qu’il a sous les yeux : [...] Ma beato dì, che non vede ciò che si fa nel Palazzo Vaticano per arricchire il nuovo museo, che cosa non sa della barbaria che in questi tempi ha posto piede nel più bel santuario delle arti. Si persuada che questo è un secolo pieno d’ignoranza e di presunzione, onde non è a farsi meraviglia delle proposizioni, e dè progetti che si danno tutto dì […]120.

Et pourtant ! En matière d’inscriptions, les nombreux lecteurs de Maffei étaient déjà avertis qu’une érudition chaotique des particularismes antiquaires risquait de condamner après elle la validité d’une lecture historique d’ensemble. À Vérone, son « museo universale e pubblico » avait parachevé dans le champ libre d’une image globale enfoncée dans le mur l’articulation de sens entre dédicaces, dédicants et dédicataires, tandis que les dispositifs historiques de l’écriture épigraphique s’harmonisaient à la chronologie sociale de la grécité et de la romanité. Les horizons de Maffei étaient encore plus enivrants que ses prouesses méthodologiques car, comme il s’en était expliqué, le monument-inscription se devait d’avoir la grâce amphipolon (parcourable) et à la fois isolée des Olympiques de Pindare121. Grâce à lui, les dispositifs épigraphiques formaient le tout d’une prise de distance du passé pour mieux le préserver d’aléatoires interprétations iconologiques. Ainsi, en 1756, le cardinal Francesco Stoppani († 1774), Légat pontifical à Urbin et en Romagne, avait pu inaugurer un Xystos urbinates public dans les loges supérieures du palais ducal122. La sobre majesté des lieux Amaduzzi alla Biblioteca Apostolica Vaticana : i rapporti con Gaetano Marini, dans Atti della Terza Giornata Amaduzziana. Rubiconia Accademia dei Filopatridi. Savignano sul Rubicone (30 marzo 2003), sous la dir. de G. DONATI, Savignano sul Rubicone 2004, pp. 70-103. 120 BOP, ms. 335 I., 43rv. 121 S. MAFFEI, Verona illustrata, Verona, per Jacopo Vallarsi e Pierantonio Berno, 1731, p. XI et ibid., coll. 207-211. 122 M. LUNI, Il Museo Archeologico nel Palazzo Ducale di Urbino, dans 1756-1986. Il Museo Archeologico di Urbino. I – Storia e presentazione delle collezioni Fabretti e Stoppani, sous la dir. de M. LUNI – G. GORI, Urbino 1986, pp. 13-50.

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se prêtait à cette palestre rhétorique pour laquelle Giovanni Battista Passeri († 1780), un éminent érudit de Pesaro, s’était vu confier le ré-ordonnancement de la collection personnelle de Fabretti et des magnifiques 72 bas-reliefs des machines des Montefeltro de l’art de la paix et de la guerre de F. di Giorgio Martini († 1502). Le dessin symétrique et rythmé des parois d’inscriptions latines et grecques, chrétiennes et profanes, entrecoupé de pilastres, vantait les acquis méthodologiques de Maffei, tandis que les progrès illustrés dans le magnifique lambris renaissance n’étaient encore redevables qu’aux études de Bianchini123. Somme toute, le card. Stoppani avait pu défendre haut et fort le succès de la récollection universelle des collections urbinates124, alors que l’année suivante, Benoît XIV Lambertini promulguait la Bulle Ad optimarum artium (1757) sanctionnant — il était temps ! — l’ouverture du Museo Sacro e Cristiano au premier étage du bras méridional de la Bibliothèque vaticane. Bien sûr, quelques-uns persistaient dans la réédition de Bianchini pour tenter de proposer à nouveau l’adoption de ses partitions chronologiques cosmico-arithmétiques125. Les conseils de Maffei n’étaient toujours pas entendus : le Museo Sacro e Cristiano s’ouvrait avec la scénographie architecturale d’un frontispice classique et coloré où trônaient, de part et d’autre, les statues assises du pieux rhéteur païen grec du IIe siècle, Ælius Aristide (IG XIV, 156*), et du supposé saint docteur de l’Église, aujourd’hui dit le pseudo-Hippolyte de Rome (ICUR VII, 19933-19935 = CIG IV, 8613). Si l’équitable installation des deux antiques mettait un terme à leur pérégrination de l’âge baroque entre la bibliothèque, la Loggia del papa et l’hémicycle du Belvédère126, une étude arithmétique de Bianchini127 de la statue d’Hippolyte constituait encore l’indiscutable référence. Elle avait en effet démontré que les inscriptions grecques du comput pascal inscrites en l’an 222 sur le dossier 123

Ibid. ainsi que G. B. PASSERI, Relazione del museo di antiche iscrizioni raccolto nel palazzo apostolico di Urbino dall’eminentissimo sig. card. Stoppani legato l’anno MDCCLVI, Pesaro 1756, pp. III-IV. 124 Cfr. LUNI, Il Museo Archeologico cit., p. 28 ; p. 41 ; CALABI LIMENTANI, Scienza epigrafica cit., p. 119. 125 Voir G. MORELLO, Il museo “cristiano” di Benedetto XIV, dans BMonMusPont 2 (1981), pp. 54-89 ; et l’attentive mise au point de C. LEGA, La nascita dei Musei Vaticani : Le antichità cristiane e il museo di Benedetto XIV, dans BMonMusPont 28 (2010), pp. 95-184. 126 Voir L. MICHELINI TOCCI, « La statue du bon Aristide », dans Mem. Soc. Rom. Storia Patria 23 (1973) [Studi offerti a G. Incisa della Rocchetta], pp. 337-353, notamment pp. 342345 ; M. GUARDUCCI, La statua di “sant’Ippolito” in Vaticano, dans RendPontAc 47 (1976), pp. 165-190, notamment p. 167. 127 F. BIANCHINI, De kalendario et cyclo Caesaris ac De paschali canone s. Hippolyti martyris dissertationes duæ, Roma, Typis Aloysii, & Francisci de Comitibus Impressorum Cameralium, 1703.

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du siège s’alignaient sur les calculs astronomiques du calendrier julien. Vraiment, cette fois-ci personne ne pouvait imputer à la chronologie des années de l’Incarnation du Christ d’avoir falsifié l’unicité historique. Pour être franc, on soupçonnait depuis quelque temps que Ligorio ait pu commettre une inscription faussement grecque sur le socle de la statue d’Aristides Syrneos128. Ceci dit, les gros genoux et la tête d’apothicaire dont ce dernier avait intégré le remploi tardo-antique du personnage féminin assis d’époque tardo-hellénistique d’Hippolyte passaient officiellement inaperçus129. Winckelmann130 était resté bizarrement prudent quant à ces deux statues qu’il jugeait plutôt bonnes. L’entrée du musée se complétait, dans les angles, par deux symétriques Bons Pasteurs issus de sarcophages tardo-antiques subrepticement passés à la ronde-bosse — mais, cette fois-ci, on le savait fort bien — par les soins du marchand-sculpteur Bartolomeo Cavaceppi († 1799)131. Marini savait aussi tout cela et se gardait bien d’entrer dans les discussions « visionnaires »132 militantes qui s’élaboraient désormais autour de l’anthropologie de l’idolâtrie : de manière pragmatique, il se contentait de relever « senza controversia » qu’il fallait y ajouter la réflexion que Fabretti tenait de Noris : à savoir que les dates liturgiques grecques des pâques d’Hippolyte concordaient avec celles du décès, en 463, d’un petit latin Severus, baptisé à sa naissance, en 457, sous le nom chrétien de Pascasius (ICUR VI, 15895)133. 128 Voir, entre autres, H. SOLIN, La raccolta epigrafica di Rodolfo Pio, dans Studi di Antiquaria ed epigrafia per Ada Rita Gunnella, Roma 2009, pp. 117-152. 129 Cfr. GUARDUCCI, La statua di “sant’Ippolito” cit., ainsi que les informations supplémentaires livrées par C. GENNACCARI, Museo Pio Cristiano. Documenti inediti di rilavorazioni e restauri settecenteschi sui sarcofagi paleocristiani, dans BMonMusPont 16 (1996), pp. 153-285. 130 Cfr. J. J. WINCKELMANN, L’Histoire de l’art chez les Anciens, t. II, Paris 1766, pp. 319, 327-328 ; ainsi que ID., Geschichte der Kunst des Alterthums – Allgemeiner Kommentar. Erste Auflage Dresden 1764, sous la dir. d’A. H. BORBEIN, M. KUNZE et AL., Mainz 2007 (J. J. W. : Schriften und Nachlaß. Bd. 4, 3), nr. 802, 8-10 et nr. 823, 3. 131 C. GENNACCARI, Le “statue” del Buon Pastore nei Musei Vaticani, dans RACr 75 (1999), pp. 461-47. 132 En effet, L. Lanzi n’hésitera pas à écrire, au mois de juillet 1778 : «Il nostro Marini [...] è affatto disgustato di antiche figure e tutto dato alle iscrizioni, nelle quali, dic’egli, è più facile ad accertare e men pericolo di divenir visionario ». Cfr. P. P. RACIOPPI, “Roma era il centro dei suoi desideri” : i principi metodologici di Luigi Lanzi alla luce dell’esperienza romana del 1778-1779, dans Atti del I convegno di studi lanziani – Treia, 2 dicembre 2006, Macerata 2008, pp. 25-55, notamment p. 33. 133 Cfr. Appendice I, f. 171r. Cfr. [E. NORIS], Annus et epochæ Syromacedonum in vetustis urbium Syriae nummis prasertim Mediceis expositae. Additis Fasti Consulares anonimi e manuscripto Bibliothecæ Caesareæ deprompti, Firenze, Typis Magni ducis, 1689, p. 53. Voir aussi R. GIULIANI, Raffaele Fabretti ed il cimitero di S. Castulo, dans Raffaele Fabretti, archeologo ed erudito cit., pp. 33-60. Pour la précision, Marini, dans le ms. Vat. lat. 9071, p. 27, préférera

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L’idée d’installer au rez-de-chaussée de l’Ambulacrum Iulianum de Bramante, c’est-à-dire dans le bras septentrional de la bibliothèque vaticane, les quelques 3500 inscriptions du grand désordre pontifical — soit dix fois plus qu’Urbin et Vérone — était le défi autrement plus complexe qui attendait Marini à partir dès 1772134. Avant tout, parce que l’accès à cette galerie longue de 200 mètres devait ménager l’unique entrée des musées et de la bibliothèque sur la cour du palais apostolique135 (Pl. V) ; ensuite, parce que l’ultime enjeu, comme Winckelmann136 avait eu le temps de s’en expliquer, devait être celui d’un Museo profano qui « corresponde » au Museo cristiano. On le comprend, la tâche relevait autant d’un défi scientifique hors normes que de l’exemplarité que le Saint-Siège entendait maintenir en projetant la conscience historique des sources épigraphiques. Ce fut un succès137. Le Lapidarium de Marini balayait à lui seul les conséquences des implications idéologiques des Lumières puisqu’il obligeait maintenant le visiteur à entrer dans le musée par les temps paléochrétiens avant de rejoindre l’époque républicaine. L’autonomie de la démarche historiographique donnait à la lecture proposée tout son sens : celui de refaire le chemin qui mène du christianisme à la Respublica et, de là, s’approprier des parcours de l’histoire pour que chacun s’approprie d’une autonomie respective. *

*

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L’approche conduite sur les Appendices I et II met en évidence deux mouvements critiques de la science épigraphique différents dans leur forme, leur origine et leurs aboutissements. Tous les ressors n’ont pu en être explorés. Marini et Fabretti ne manqueront pas de susciter, comme témoins d’une actualité lointaine mais vive, d’autres réflexions. Deux observations méritent, semble-t-il, d’être faites. La première s’en tenir à la restitution épigraphique de J. Gruter du comput d’Hyppolite, et non à celle de F. Bianchini, qu’il accostait au calendaire pascal liturgique des années 532-626 de Ravenne. Pour les rapports entre Fabretti et Noris, voir encore VAIANI, Lettere di Raffaele Fabretti cit. 134 Avec la bibliographie précédente, voir maintenant R. BARBERA & M. BUONOCORE, Gaetano Marini e la genesi della « Galleria Lapidaria », dans La Biblioteca vaticana e le arti nel secolo dei Lumi (1700-1797), sous la dir. de B. JATTA, Città del Vaticano 2016, pp. 215-227. 135 F. BURANELLI, Cecco Bonanotte e il nuovo ingresso dei Musei Vaticani, dans Cecco Bonanotte e la porta nuova dei Musei Vaticani, Città del Vaticano 2001, pp. 11-16 ; M. BUONOCORE, Ingresso principale della Biblioteca Vaticana, dans Leopardi a Roma. Catalogo della mostra (Roma, Museo napoleonico, 19 settembre – 19 novembre 1998), Roma 1998, pp. 391-392. 136 WINCKELMANN, Lettere cit., t. III, n. 559 It : lettre à R. Mengs du 3 février 1764. À cette date, Winckelmann n’est encore que Président des Antiquités de Rome, la charge de conservateur du futur musée des antiquités profanes ne lui a été que promise. 137 Voir BARBERA, Gaetano Marini e la Galleria lapidaria cit., p. 1450, appendice 9.

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concerne les musées épigraphiques au spectre large des XVIIe et XVIIIe siècles. I. Calabi Limentani138 a souligné combien les expériences muséales de Fabretti — dont nous ne savons presque rien —, de Maffei ou encore d’Olivieri, constituaient des manifestations, certes exemplaires, mais intimement liées aux capacités intellectuelles de leurs propriétaires, à leur discipline. Maffei reste sans nul doute celui qui a le plus réfléchi sur les modalités expositives de l’inscription. D’une manière ou d’une autre, les inscriptions étaient avant lui soumises aux plus diverses scénographies de la gloire, du pouvoir ou de la religion. Il les en a détachées. Marini pouvait ainsi opérer, au Lapidarium du Vatican, la totale rénovation des étapes thématiques et chronologiques. Conscient de ce qui se profilait à l’horizon, cela impliquait cependant un récit scindé de l’histoire et devenu, véritablement, historiographique. Y est-il parvenu ? Etait-ce voué à l’échec ? Pour introduire quelques éléments de réponse, il convient de soulever une remarque générale qui, selon notre point de vue, a son importance. En effet, aucun de ces musées épigraphiques139 (Vérone, Urbin, le Vatican) n’a connu de dépeçage ou de réquisitions belliqueuses. Certainement parce que les épigraphes furent considérées, de la décennie révolutionnaire qui s’empara de l’Europe à la fin du XVIIIe siècle et jusqu’à la première moitié du XXe siècle, comme une sous-espèce de l’antiquité. Les démantèlements d’Urbin140, de l’entrée des musées du Vatican141, du palais Barberini142 datent du XXe siècle ! Aujourd’hui, il suffit d’une simple visite auprès de n’importe quelle récolte épigraphique d’une capitale européenne pour se rendre compte que les épigraphes traversent l’âge du chemin de fer, quand ce n’est pas la mise au tiroir (toujours de fer). Au nom de l’autopsie de la pierre ? peut-être. Le trait caractéristique de l’inscription ne saurait pourtant se résumer à la chirurgie d’un corpus épigraphique. N’est-il pas, au contraire, celui de la manifestation de l’écrit sous sa forme la plus efficace, la plus visible ? N’est-t-il pas, en contrepartie d’une performativité que l’épigraphe possède rarement, la manifestation d’un acte direct, social, toujours interrogateur et finalement spirituel ? 138

CALABI LIMENTANI, Scienza epigrafica cit., pp. 115-133. À l’exception, toute relative, de Vérone. Cfr. M. BOLLA, Bonaparte e l’archeologia a Verona, dans 1797 : Bonaparte a Verona, sous la dir. de G. P. MARCHI – P. MARINI, Venezia 1997, pp. 135-145. 140 A. FERRUA, Corona di osservazioni alle iscrizioni cristiane incertae originis, Città del Vaticano 1979 (Atti della Pont. Acc. Romana di Archeologia, Serie III, Memorie in 8° – vol. III), p. 87. 141 I. DI STEFANO MANZELLA, Epigraphia tota nostra est, sous la dir. de A. PAOLUCCI – C. PANTANELLA dans 1929-2009 : I Musei Vaticani nell’80° anno della firma dei Patti Lateranensi 2009, pp. 129-135. 142 Supra, p. 380. 139

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La seconde observation revendique la biographie humaine de nos deux chercheurs. À Sainte-Marie-sur-la-Minerve, le sculpteur Camillo Rusconi († 1728)143 a su restituer au buste de Fabretti la tension énergique qui se dégage des traits de son visage (Pl. VI). Probablement réalisé de son vivant, il se montre au visiteur avec la légendaire chevelure en bataille dont parlent ses biographes, revêtu de la cappa hivernale en fourrure des chanoines de Saint-Pierre. Marini qui, comme Fabretti, ne fut jamais prêtre, est mort et enterré à Paris en 1815, on ne sait plus où. Pour des raisons que nous ignorons, Fabretti n’avait pas pu se consacrer à ce qui le passionnait le plus avant la soixantaine. Marini avait donné le meilleur de lui-même avant la cinquantaine, avant que les évènements napoléoniens le contraignent à taire les promesses qu’il portait encore144. Deux vies à l’espérance en miroir.

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R. ENGGASS, Early Eighteenth-Century Sculpture in Rome, London 1976, pp. 89-106. Sa plus grande œuvre, inédite et heureusement conservée dans les mss. Vat. lat. 90719074, demeure les Inscriptiones christianae latinae et graecae aevi milliari. Voir M. BUONOCORE, Gaetano Marini e la genesi cit. ; Gaetano Marini (1742-1815), protagonista cit. 144

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APPENDICE 1 Vat. lat. 9106, ff. 171-172 [+] L’operai delle Iscrizioni (1) di Fabretti può dirsi singolare in tal genere, essendo questi stato il primo a ridurre la cosa in sistema, con delle infinite e nuove osservazioni, con canoni, e leggi certissime, e moltissime, l’ignoranza delle quali ha fatto cadere in gravi errori quelli che inanzi ad esso hanno trattato tali studi, ne è possibile fare molti progressi nell’antiquaria senza aver più volte letta e riletta questa utilissima opera. Le iscrizioni poi anche che arreca contengono per lo più cose singolari, e nuove, e molte vagliano assaissimo per illustrar punti d’istoria, di cronologia, e d’altro appartenente all’antichità sacra e profana, giacché ci è anche gran roba per la nostra religione, avendo il Fabretti raccolte da 500 lapidi cristiane, quasi tutte estratte ai suoi di da sacri cimiteri, dè quali era custode. Per tutte basti l’aver citata quella che arreca nel cap. VIII. al n. LXX. che è senza controversia una delle più nobili e più interessanti per la storia ecclesiastica, e tale che avendola mandata al Noris suo amico e corrispondente questi gli scrisse: «Ella la stimi più di quante ha raccolte perché dopo il Canone pasquale di S. Ippolito, che sta nel marmo della Biblioteca Vaticana, questa sola antica iscrizione è pasquale, e quella d’Ippolito è greca, questa sua latina». In oltre pone li giorni della feria, che è un infallibile carattere degli anni 452-463 con gli Consoli: Lo stesso Noris illustrava dottamente nelle note a’ Fasti Consolari dell’Anonimo, ed altre sue osservazioni ci fece su il medesimo Fabretti. La collezione poi del Fabretti è composta d’iscrizioni che aveva raccolte egli stesso, e che mandò in Urbino per ornamento della casa paterna, e d’altre copiate in Roma, o nell’Agro Romano, o da lui stesso, o da alcuni suoi dotti amici, che nomina nella lettera premessa all’Opera, e scritta a suo nipote Gaspare, e sono Giuseppe Giusti Scrittore di cose greche nella Vaticana, il Senatore Filippo Bonarotti, Monsignor del Torre, fatto poi Vescovo di Adria, e il Canonico Francesco Bianchini di Verona, al quale dice avergli dato quell’aiuto che al Grutero diedero Pighio, Welsero, e Smezio, dotti e diligenti copiatori di lapidi. Ma il numero dè marmi raccolti dal Fabretti, e trascrittigli dagli amici è piccolo in proporzione di quello delle iscrizioni che trasse fuori dalle schede Barberine. Il Card. Francesco Barberini giuniore uomo di molta dottrina, ed insieme gran Mecenate pensò di fare un supplemento al Tesoro di Grutero, ed a tale effetto fece scrivere per tutto il mondo cercando copia delle lapidi che esistevano, e adoperando a ciò parecchi letterati, sia quali avea allora presso di sé Leone Allacci, Girolamo Aleandro Giuniore, Mons. Suarezio, Luca Olstenio e Carlo Moroni. [f. 171v] Tali ricerche diedero al buon cardinale un prodigioso numero di pietre erudite, ma o morisse egli, o altro accadesse che non so, il progetto di un nuovo tesoro d’iscrizioni non andò avanti, e restarono nella biblioteca Barberini tutte le schede, e i Codici, ne’ quali erano tali iscrizioni ricopiate. Ora il Fabretti ottenne dalla liberalità del card. Carlo nipote di [f. 171r (p. 4)]

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Def. hom. illustr. pag. 374 -5 ..c. 36. Aggiunsi all’opera del Fabretti una lettera concernente la spiegazione di una iscrizione antica, inserita nè Giornali dè Sapienti 17 nov. 1691. [ ]

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Francesco di poter adoperare tali schede a suo piacere, e di estrarre da esse quelle lapidi che più gli fossero piaciute, siccome fece; e dalle iscrizioni, che apporta nel suo libro ad ogni poco scrive e schedis Barberinis. Aggiungo che il novello tesoro ideato dal card. Francesco ebbe qualche principio, avendone io trovato un mezzo foglio stampato tra le vecchie carte di quella Biblioteca col titolo premesso nella sommità di ogni pagina INSCRIPTIONES BARBERINAE, i numeri di questa carta erano VII. e VIII. e la prima iscrizione era distinta col numero 50. onde è manifesto che altri fogli n’erano già stati stampati. Torniamo al Fabretti. L’opera delle iscrizioni è divisa in dieci capitoli, ed in tutto contengono 4682 lapidi, delle quali il Fabretti ne possedeva 433. Il libro è poco meno che postumo, essendosi finito di stampare nell’anno 1699. siccome notasi in fine dell’opera, ed anche nel Frontespizio di alcuni esemplari, giacché in altri se ne osserva un diverso coll’anno 1702. Io non so perché questo novello titolo, se non è forse che il libro per la malatia e morte del suo autore non potesse uscire allora subito, perché gli eredi pensassero ad esso se non due, o tre anni dopo, e così si facesse allora un nuovo Indice. Mons. del Torre avea certamente una tal opera nell’anno 1700 citandola nel suo libro, dove illustra alcuni Monumenti trovati a Capo d’Anzo; forse il Fabretti gliene aveva dato un esemplare (attesa l’amicizia che avea con esso) subito che fu terminata la stampa, e prima che lo avesse altri. Di questa opinione fu anche il Mazochi nel libro de’Ascia, il quale però non vide mai alcuna copia delle Iscrizioni di Fabretti col frontespizio segnato coll’anno 1699. Il Fabretti ebbe carteggio col Cupero, per quanto appare dalla p. 466 a 468 del libro citato. Ebbe lettere anche dal celebre Leibnizio, ed è notabile quella che gli scrisse intorno a’ vasi di vetro, che si trovano nelle Catacombe posti vicino alla testa dei SS. Martiri. Il Leibnizio, ed altri pensavano che quell’ umor rosso che sta attaccato alle pareti di esse ampolle non fosse altrimenti sangue, come [f. 172r (p. 5)] dicevano i cattolici, ma un qualche umor [scurreo] che avea penetrato il vetro; ed avea preso quel color sanguigno da’ luoghi pe’ quali era scorso, facendosi forti col detto di Cicerone lib. II. De Divinatione: decoloratio quaedam ex aliqua contagione terrena maxime potest sanguini similis esse. Ora il Leibnizio per mezzo della soluzione tentata col sale armeniaco trovò quello non dover essere altro che verissimo umor sanguigno, e ne scrisse, come si è detto, al Fabretti, che recò una porzione di tal lettera alla p. 556 e così confuse alcuni eretici, che in certe loro stampe lo aveano posto in ridicolo, perché nel mostrar loro le Catacombe, e que’ santi vetri, gli avesse detto quello essere sangue dè martiri, che i nostri antichi e buoni fedeli raccoglievano. Termini il discorso intorno alla collezione dè marmi di Mons. Fabretti il giudizio che ne diede il Marchese Maffei in certa sua opera postuma intitolata L’Arte critica lapidaria nel cap. 4 del libro III. Postrema, quæ Fabretti est, collectionum maximarum, atque e multis, diffitisque regionibus conquisitarum, cæteris ferme præstat singulis, quod prima dici possit, quæ spuriis et commentitiis Inscriptionibus tam fœdum in modum non scateat: non caret equidem; sed si maximum epigrammatum numerum spectes, ac cum hucusque recensitis συλλογαῖς compares, depuratissima longe est (27). Nell’anno 1756 volendo l’Em.mo Stoppani allora Presidente della Provincia metaurense ornare le loggie del celebre Palazzo Ducale in Urbino, ed essendogli venu-

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to in capo di ciò fare co’ marmi, ed altri antichi monumenti che avea raccolti da tutta la Provincia, ottenne dagli eredi del Fabretti anche le iscrizioni, che questi avea unite insieme, e le dispose coll’altre in quelle Gallerie, formando così un museo d’iscrizioni il più nobile, e il più numeroso che vedasi per lo mondo fuori di Roma. L’opera degli Acquedotti fu stampata nel 1680 e ristampata poscia nel gran Tesoro di Grevioii e divisa in tre dissertazioni, la prima è diretta a Giovanni Lucj Traguriense grandissimo letterato e suo vecchio amico; la seconda al card. Gaspare Carpegna Vicario di Roma, e gran mecenate del Fabretti; la terza a Giulio Conte di Monte Vecchio che nomina amicorum antiquissimum. Anche questa è un opera singolare nel suo genere, e prova quanto il Fabretti sapesse della topografia dell’antico Lazio, intorno a cui ci fece sperare qualche gran d’opera, ma inutilmente, non avendone [f. 172v] mai fatto nulla, e solo trovansi presso gli eredi diverse schede appartenenti a ciò con anche molte carte topografiche disegnate con grande accuratezza, ed eleganza. Presso questi stessi eredi esisteva pur anche una dissertazione sopra alcune correzioni del Lazio del P. Kircher, la quale fu poi communicata a’ Socj dell’Accademia etrusca di Cortona che la stamparono alla p. 221 del t. III dè Saggi di Dissertazioni di essa Accademia: questa è scritta in forma di lettera con molta grazia, e vivezza, ed è in lingua volgare. La data è: “Di Pesaro li 3 Aprile 1672”: e la sottoscrizione dice: “Ad obsequia manibus, pedibus parati R. F. et M.P. antiquarii extra muros”: cioè, siccome io interpreto, Rafael Fabretti, et Marcus Polus, che è notissimo essere stato il cavallo caro a quel valentuomo, e compagno in tutti i suoi viaggi: e per verità in essa dissertazione spesso si loda questo M. Polo come autore di bellissime osservazioni. Il Libro intitolato Apologema è scritto contra a Giacomo Gronovio, che per disprezzo chiamò Gronoccio, è il più fiero, e sanguinoso che io m’abbia mai letto, e può dirsi una collezione di ingiurie, e d’irrizioni indegne di ogni persona dabbene. Veramente il Fabretti fu provocato dal suo avversario con modi assai aspri, e questi avea anche il torto nella causa che trattava, la quale tutta si riduceva a fissare il preciso sito dell’antico Algido. Il Fabretti non pose il suo nome in quest’opuscolo, bastandosi di essere conosciuto col nome arcadico: finge anche che il libro fosse stampato in Napoli, ma la verità si è che fu stampato in Roma con que’ medesimi caratteri, con i quali furono stampate altre sue opere. L’opera intorno alla Colonna Trajanaiii non è altro che una ingegnosa illustraii Altra ristampa se n’è fatta in Roma in questi ultimi anni, ma non so perché non siasi ancor pubblicata. [R. FABRETTI, de aquis et aquaeductibus veteris Romae dissertationes tres, Roma, typis Ioannis Baptistae Bussotti, 1680 = J.G. GRAEVIUS, Thesaurus antiquitatum romanarum congestus a Joanne Georgio Graevio, IV, Leyden, apud Franciscum Halmam, 1697, coll. 1679-1778. = R. FABRETTI, de aquis et aquaeductibus veteris Romae dissertationes tres, Roma, apud Natalem Barbiellini, 1788.] iii Fu stampata l’anno 1683 siccome si ha in alcuni frontespizi, giacché vi sono altri esemplari che ne hanno un altro nell’anno colla data dell’anno 1690 simile al detto già del libro delle Iscrizioni. Ciò forse ha fatto qualche libraro per far credere a meno accorti quella essere una seconda edizione. [R. FABRETTI, De columna Traiani syntagma Accesserunt Explicatio veteris tabellae anaglyphae Homeri Iliadem atque ex Stesichoro Arctino et Lesche Ilii excidium continentis & Emissarii lacus Fucini descriptio, Roma, ex officina Nicolai Angeli Tinassij, 1683].

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zione di quel superbo monumento, ed una continua censura di ciò che intorno ad essa scrisse il Bellori, che il Fabretti non volle mai nominare, chiamandolo sempre Neotericus, d’altra parte poi fa quando vuole la diffesa al comentario del Ciaconio sopra essa colonna, attaccato spessissimo dal Neoterico. Aggiungesi a questo sintagma una illustrazione assai dotta di un fragmento di antica tavola anaglifa contenente l’Iliade d’Omero, e la ruina di Troja, indi la descrizione dell’emissario fatto da Claudio al Lago Fucino diretta a Mons. Giacomo Cantelmi Arcivescovo di Cesarea, a cui si professa ingenuamente obbligato d’infinite notizie intorno ad esso lago avute e per lettera.

APPENDICE II Barb. lat. 4325 (olim 3341), ff. 1-6 [f. 1r]

Per zelo, che il frammento della maestosa, e rarissima iscrizione di Ti. Claudio, avanzo dell’Arco erettogli in Via Lata in memoria del trionfo Britannico fosse al miglior modo supplito: offersi al Sig. Commendatore del Pozzo alcune osservazioni da me fatte sopra l’emenda della lettura di Gauges de’ Gozze ch’è la seguente: TI ∙ CLAV AVG PONTIFIc COS ∙ V ∙ IM apud Nardin. SENATVS ∙ PI Rom. antic. REGES ∙ BRIT p. 362. VLLA ∙ IACTV GENTESQ ∙ E vetus PRIMVS ∙ INDIC lapis

DIO ∙ DRVSI ∙ F ∙ CAISARI /STO ∙ GERMANICO ∙ PIO CI ∙ MAX ∙ TRIB ∙ POT ∙ IX PERATORI ∙ XVI ∙ PATRI ∙ PATRIAI pars OPVLVSQVE ∙ ROMANVS ∙ QVOD suppleta ~ANNIAI ∙ PERDVELLES ∙ SINE RA ∙ CELERITER ∙ CAEPERIT XTREMARVM ∙ ORCHADVM IO ∙ FACTO ∙ R ∙ IMPERIO ∙ ADIECERIT

Ma vedendo, che, ne della mia debol’opera, ne, qualche più è considerabile, del parere del Gozze, huomo d’erudizione non volgare, s’è fatto minimo conto: perciò, per isfogo se non per altro di trovar decurtato e senza senso un epigramma si celebre: ho voluto addurre in questi fogli le ragioni che ivi sono per conchiudere, che, da capo a piedi non vi è un verso che possa sussistere in questo modo in cui è stata in pubblico esposta:

vetus lapis

TI ∙ CLAVDIO ∙ CÆS AVG / STO PONTIFIC I ∙ MAX ∙ TR ∙ P ∙ IX COS ∙ V ∙ IM P ∙ XVI ∙ P ∙ P SENATVS ∙ P OPVLVSQ ∙ R ∙ QVOD REGES ∙ BRIT ANNIÆ ∙ ABSQ VLLA ∙ IACTV RA ∙ DOMVERIT GENTESQVE BARBARAS PRIMVS ∙ INDIC cIO ∙ SVBEGERIT

pars suppleta

La decurtazione ne’ due primi versi è evidente: perché, i titoli comunemente

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usati da Claudio, per distinguersi da Ti. Claudio figlio d’Augusto, e suo zio, sono quelli stessi che porta il Gozzei (toltone il titolo di PIO. insolito in questo Imperatore, e soprabbondante qui anco per ragione del sito, attesa la ritirata che fà il 2° verso da principio, a cui deve corrispondere quella del fine) ne si può credere che siano stati [f. 1v] tralasciati dal Senato nella parte più cospicua dell’Arco. Il 3° ricopiato dal Cambeno da cui ebbe il Grutero l’iscrizione che sta alla p. CCXXXVIII. 4. non s’applica al tempo del consolato V., perché la lamina del Cambeno o sia titolo di medaglia che si legge in Occone p. 111: TI ∙ CLAVDIVS ∙ CAESAR ∙ AVG ∙ P ∙ M TRIB ∙ P ∙ VIIII ∙ IMP ∙ XVI ∙ DE ∙ BRITAN non ha il consolato; onde non se ne può cavare argomento convincente: ma io aggiungo, che se l’havesse, non poteva essere il V° che qui habbiamo espresso, perché con questo cade la • Trib. Pot. XIa. e non altrimente la nona come provaremo. Che il V° consolato cadesse sotto l’XIa Trib. Pot. (o almeno sotto la Xa fino alli 24 Geno, giorno in cui fu sublimato all’imperio, et assunse la potestà tribunizia) si raccoglie dal consenso de Fasti, tanto d’Eusebio, o per dir meglio di Scaligero, quanto del Panvinio e del Golozio suo transcrittore. Ma chi ne volesse la dimostrazione, e presumesse di saperne più che l’istesso padre de’ Fasti (che di quest’encomio honorò Lipsio il Panvinio) questa si ha dal contesto di Dion Cassio e di Svetonio, e dalla rudezza dei marmi, e particolarmente dalla tavola de’ Fasti, non so se Augurali o Pontificali, appresso il Grutero, pag. CCC.1. È certo, dico, per il calcolo che fa Dioneii del tempo che durò l’imperio di Claudio, che sorti il suo principio adì 24 di Gennaio, l’anno di Roma (come provaremo poco doppo) DCCLXXXXIIII. Nel prim’anno, Claudio non occupò il Consolato, e ciò ancora pienamente si verifica, col presupporre che il 1° consolato gli fu dato da Caio Cesare Caligola suo nipoteiii, onde nel prim’anno dell’imperio vedendosi la designazione del consolato 2°, è segno che questo 2° consolato non fu preso se non nel second’anno: il che si conferma da che nel II. anno della tribunizia potestà (che in lui è l’stesso che il II anno dell’imperio) vi è la designazione del consolato III. Ecco l’una, e l’altra iscrizione:

i Grut. p. 153.5. 166.4, 176.1.4.5, 188.3.5.6.8, 196. 4, 237.5.7.8, 238.2; abiq Tĩo DRVSI . F [sic.] cum appellatione GERMANICI. 39.1, 113.1.3, 188.4.8.9, 237.6, 238.1.3, 1113.2; Holst. ad Cluvver., pag. 154 [L. HOLSTE, Annotationes in Geographiam sacram Caroli a S. Paulo, Italiam antiquam Ph. Cluverii et Thesaurum geographicum Ortelii, Roma, Typis Iac. Dragondelli, 1666, p. 154.]. ii Lib. LX. p. 685. B. ex emendazione Leunclavij Francofurti 1592 [D. CASSIO e J. LEUNCLAVIUS, Dionis Cassii Cocceiani Historiae Romanae libri XLVI, partim integri, partim mutili, partim excerpti, Francoforte, apud Andreae Wecheli Heredes, Claudium Marinum & Ioan. Aubrium, 1592, p. 685]. [CASS. DIO, LX, 34]. iii Dio. lib. LIX. pag. 641. C. et lib. LX. p. 662. D. [CASS. DIO, LIX, 5; LX, 2, 1]. Sveton. C.7. [SVET., Claud. 7].

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[f. 2r] TI ∙ CLAVDIVS ∙ DRVSI ∙ F ∙ CAESAR ∙ AVG TI ∙ CLAVDIVS DRVSI ∙ F ∙ CAESAR GERM ∙ PONT ∙ MAX ∙ TRIB ∙ POT ∙ II AVG ∙ GERMAN COS ∙ DESIG ∙ III ∙ IMP ∙ III ∙ P ∙ P ∙ DEDIT PONT ∙ MAX ∙ TRIB id. pag. OB ∙ MEMORIAM ∙ PATRIS ∙ SVI ∙ DEC ∙ VII Grut. p. 188.3. POTESTATE ∙ COS 237. 5. COLLEGI ∙ FABRVM ∙ M ∙ R ∙ HS ∙ C|À ∙ N ∙ LIBERALITATE DESIG ∙ II ∙ IMP ∙ II DONAVIT ∙ SVB ∙ HAC ∙ CONDITIONE ∙ VT REFEC QVOTANNIS ∙ ROSAS ∙ AD ∙ MONVMENTVM EIVS ∙ DEFERANT ∙ ET ∙ IBI ∙ EPVLENTVR ∙ &. c.

Il consolato 2° menzionato di sopra fu assieme con C. Largo com’esplica Dioneiv.

Continuo il terzo l’anno seguentev. Dione non esplica con chi, ne il saperlo fa il caso nostro. In quest’anno si trasferì di persona all’impresa britannica, e gli fu decretato il trionfo, e l’arcovi. Nel consolato di Crispo e Statilio fece ritorno l’anno seguente a Roma, e condusse il trionfovii. Seguì al consolato de’ già detti quello di Vinicio, e Corvinoviii e dopo questo, l’altro di Asiatico e Silanoix a quali succedé Claudio per la IIIIa volta assieme con L. Vitellio, anno Romae octingentesimo, dice Dionex, il che verifica, che il principio del suo imperio, fu (come dicemmo) l’anno di Roma DCCXCIIII. Indi avanti, tralascia Dione il bell’ordine fin qui tenuto d’enumerare i consolati del tempo di Claudio: ma ci soccorre la detta tavola de’ Fasti che registra il consolato V. di lui nell’anno DCCCIIII. di Roma. Né vi è scrupolo, che fra il computo di Dione, e questo della tavola s’incontri l’equivoco solito d’un anno, per la differenza che corre dal principio dell’epoca ab urbe condita secondo Varone, e quello secondo i Fasti, benissimo nota a’ Cronologi: poiché conta che Dione s’uniforma col calcolo della tavola dal confronto che in questi precisi tempi si ha delli consoli Silio e Aradalo A.V. DCCCXXI. e di Vespasiano, e Nerva A.V. DCCCXXIII. Con pochissime parole illustra, et autentica, quanto habbiano detto Svetonio cap. 14 Consulatus super pristinum (si riferisce al [f. 2v] primo sostenuto avanti l’imperio con Caio com’habbiamo provato, quattuor gessit; ex quibus duos primos incertum, sequentes per intervallum quarto quemque anno. Se a questa evidenza si volesse aggiungere il testimonio de’ marmi : eccone due contesti, che non solo la Trib. pot. IXa ma anche la Xa camini unita col consolato quarto, e non col V°.

iv

D. Lib. LX. p. 668. C. [CASS. DIO, LX, 10, 1]. ibidem p. 673. C. [CASS. DIO, LX, 17, 1]. vi ibid. p. 676. D. [CASS. DIO, LX, 22, 1]. vii ibid. p. 677. B. [CASS. DIO, LX, 23, 1]. viii p. 678. C. [CASS. DIO, LX, 25, 1]. ix p. 680. C. [CASS. DIO, LX, 27, 1]. x p. 681. D. [CASS. DIO, LX, 29,1]. v

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Grut. PRO ∙ SALVTE TI ∙ CLAVDIVS p. 196.4. DRVSI ∙ F ∙ CAESAR TI ∙ CLAVDI ∙ CAES ∙ GERMANICI AVG ∙ GERMANICVS PONT ∙ MAX ∙ TRIB ∙ POTEST ∙ X PONT ∙ MAX ∙ TRIB ∙ POT ∙ IMP ∙ XIIX ∙ COS ∙ IIII ∙ DESIGN ∙ V VIIII ∙ IMP ∙ XVI ∙ COS ∙ IIII ibid. p. SIGN ∙ ARGENTI ∙ P ∙ X ∙ ET 237.5. CENSOR ∙ P ∙ P PRO ∙ SALVTE AVCTIS ∙ POPVLI ∙ ROMANI [113.3.] NERONIS ∙ CAESARIS ∙ F ∙ AGRIPPINAE FINIBVS ∙ POMERIVM AVG ∙ SIGN ∙ ARG ∙ P ∙ V ∙ VOTO AMPLIAIT ∙ TERMINAITQ SVSCEPTO VIATORES ∙ ET ∙ SCRIB ∙ LIBR ∙ ET PRAEF ∙ PRINCEPS ∙ ET ∙ LATINVS FELIX ∙ DED

Riducendo hora in serie la da noi esplicata sequela d’anni d’imperio ovvero di tribunizia potestà, e di consolati, sotto l’occhio si rende manifesta la verità della già formata proposizione, che la Trib. pot. IXa e l’Imp. XVI non possono accoppiarsi col V. consolato. Anni Urbis DCCXC IIII V VI VII VIII VIIII DCCC I II III IIII

Consulatus Ti. Claudii olim I. hoc anno desig. II Imp. Ti. Claudius & C. Largus II idem & ... III Crispus & Statilius Vinicius & Corvinus Asiaticus & Silanus Imp. Ti. Claudius et L. Vitellius IIII …… …… …… Imp. Ti. Claudius & Orfitus V

Anni Imperii & Trib. Potest. I intellige II ex A. D. III IX. Kal IIII Febr. V VI VII VIII VIIII X XI

Tanto dunque dalla nostra serie, come dall’ultima iscrizione apportata, ove nell’anno della Trib. Pot. X. vi è la designazione del consolato V. per l’anno seguente ; si giustifica che il detto COS. V. richiede per lo meno la Trib. pot. XI., e così appunto si vedono per la prima volta [f. 3r] congiunti nelle qui sotto medaglie portate da Occone in Claud. pag. 111. TI ∙ CLAVD ∙ CAESAR ∙ AVG ∙ P ∙ M ∙ XI ∙ IMP ∙ P ∙ P ∙ COS ∙ V aversâ ∙ PACI ∙ AVGVSTAE ∙ Dea Pax alata, sinistra caduceum cum serpente, dextrâ bullam e’ collo dependentem ori admonens alia S ∙ P ∙ Q ∙ R ∙ P ∙ P ∙ OB ∙ C ∙ S ∙ corona quercea e nell’iscrizione appresso il Grutero pag. 188. 6.

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TI ∙ CLAVDIVS ∙ DRVSI ∙ F ∙ CAESAR ∙ AVGVSTVS ∙ GERMANICVS PONT ∙ MAX∙ TRIB ∙ POT ∙ XI ∙ IMP ∙ XXIIII ∙ COS ∙ V RESTITVIT C ∙ MINICIO ∙ FVNDANO ∙ ET ∙ C ∙ VETTENNIO ∙ SEVERO ∙ COS Ne contradice il vedersi qui apposto il consolato di Minicio e Vettennio, quasi che non sia questo l’istess’anno del consolato V. di Claudio, ma qualch’uno degli antecedenti, o degli altri tre che sopravvisse, ne quali pure continuò l’istessa intitolazione di COS. V. Posciaché non può esser veruno degli anni antecedenti, attesa la Trib. potestà Xa che stà col consolato IIII. ne tampoco de’ susseguenti ; perché, come habbiam osservato, il consolato V. continua con la designazione fatta nell’anno avanti : onde si rende chiaro, che Minicio, e Vetennio furono consoli suffecti, e non ordinarii ; non essendo nuovo di trovar le intitolazioni di questi tali consoli, benché gli ordinarii fossero quelli che regolarmente denominarono i Fasti, et apparivano per distinzione de gli anni nelle memorie pubbliche. Degli esempi ve ne sono di molti ; ma per la novità portarò solo il seguente d’un iscrizione trovata non ha guari nell’Isola Licaonia, ove nel consolato III. di Traiano a cui continuò immediatamente il quarto (che qui bisogna intendere nel poco che manca al fine del 6° verso) si fa’, come quivi menzione d’un paio di consoli Eliano, e Sacerdote, incogniti fin hora al mondo literario, e da inserirsi con questa notizia ne’ Fasti dopo di Plinio e Tertullo. [f. 3v]

LARIBVS ∙ AVGVSTIS ∙ ET ∙ GENIS ∙ CAESARVM

IMP ∙ CAESARI ∙ DIVI ∙ NERVAE ∙ FILIO ∙ NERVAE ∙ TRAIANO ∙ AVG ∙ GERM ∙ PONTIFICI ∙ MAXIMO ∙ TRIB ∙ POT ∙ IIII ∙ COS ∙ III ∙ DESIG ∙ ∙ ∙ PERMISSV ∙ E ∙ CASSl ∙ INTERAMNANI ∙ PISIBANI ∙ PRISCI ∙ PRAETORIS ∙ AEDICVLAM ∙ REG ∙ XIIII ∙ VICICENSORI ∙ MAGISTRI ∙ ANNI ∙ CVI VETVSTATE ∙ DILAPSAM ∙ INPENSA ∙ SVA ∙ RESTITVERVNT ∙ IDEM ∙ PR ∙ PROBAVIT L • ROSCIO • AELIANO CoS TI • CLAVDIO • SACERDOTAE

Restiamo in sicuro per le cose già dette, che il consolato V. espresso nel nostro marmo richiedeva almeno la Trib. pot. XI. e l’Imp. XXIV (se bene in questo titolo vi è poca fermezza perché l’acclamazione variava più volte in un anno come vedremo nell’iscrizione seguente dell’anno XII) ma non già che non potesse forse contenere le Tribunizie potestà XII.a XIII.a o XIIII.a, e le acclamazioni imperatorie sino alla XXVII., non havendo io osservata altra di maggior numero, e questa su gli archi di Porta Maggiore, che non sarà inutile di apportare per la continuazione della Trib. pot. XII. che porta scolpita sull’uno e l’altro lato dell’Acquedotto dell’Aniene nuovo. TI ∙ CLAVDIVS ∙ DRVSI ∙ F ∙ CAISAR ∙ AVGVSTVS ∙ GERMANICVS ∙ PONTIF ∙ MAXIM TRIBVNICIA ∙ POTESTATE ∙ XII ∙ COS ∙ V ∙ IMPERATOR ∙ XXVII ∙ PATER ∙ PATRIAE Se però non può dirsi certo, è almeno molto probabile, che l’anno medesimo che Claudio assunse il consolato V°, in honore di esso finisse d’erigere l’Arco già più

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di sett’anni prima decretatogli : ovvero reciprocamente, che trovandosi la fabbrica dell’Arco perfezionato, volesse inscriverlo e segnalarlo col titolo di questa nuova dignità. Potrebbe dirmisi, che l’arco apparisse già eretto prima, trovandosi espresso nelle medaglie una volta sotto la Trib. pot. VIa e l’altra sotto la IXa : da Occone pag. 110 et 111. Ma due risposte possiamo dare a questa obiezione. L’una, ch’essendo due gli Archi decretati a Claudio, cioè questo in Roma, et un altro in Franciaxi che com’è più semplice e di minor comparsa dovette più presto compirsi ; le medaglie alludono a quello di Francia ; tanto più che si vedono [f. 4r] mancare del S.C. il che maggiormente indica essere state impresse in provincia. L’altra risposta si è, che quando pure le medaglie fossero romane, e non provinciali, essendo stato decretato quest’Arco, come habbiamo provato coll’autorità di Dione fin dal 3° anno dell’imperio di Claudio, e della sua tribunizia potestà : basta cioè per dire che le medaglie perché non si contradichino con un documento si certo quale habbiamo del cos. V stampato fronte all’Arco nostro quando fu dedicato, si hanno in ogni caso a riferire all’Arco decretato, e non al compito e dedicato : che così più d’una volta vengono espressi i trionfi ne i nummi di quegl’Imperadori, c’hebbero bensì il decreto, ma non condussero il trionfo effettivo, come dottamente al suo solito prova il Noris de Numism. dioclet. dissert. I. cap. 4. Diciamo che questa fu la tavola del frontispizio dell’arco (et habbiamo di bisogno di valersi di tale assertiva) ; il che non credo possa recarsi in dubbio. Perché se è vero, come è verissimo, che fu eretto in Piazza di Sciarra, ove gli Antiquarii tutti del secolo passato d’haverne occularmente veduti li membri attestano ; e fra gli altri il Ligorio, che ne copiò le iscrizioni del basamento, supplendo quelle che il Grutero registra alla pag. 236.9. (che pure asserisce essere state trovate in Piazza di Sciarra, e trasmesse a lui fin dal 1562) nella forma seguente : OCTAVIAI CAISARI ∙ BRITANNICO TI ∙ CLAVDI TI ∙ CLAVDI ∙ CAISARIS CAISARIS AVGVSTI ∙ P ∙ P Hos duos AVGVSTI ∙ P ∙ P FILIO ultimos FILIAI versus omisit Ligor. retinet Gruter.

ANTONIAI IVLIAI ∙ AVG AVGVSTAI AGRIPPINAI DRVSI GERMANICI SACERDOTI ∙ DII CAISARIS ∙ F AVGVSTI TI ∙ CLAVDI ∙ CAISAR MATRI ∙ TI ∙ CLAVDI AVGVSTI CAISARIS ∙ AVG ∙ P ∙ P PATRIS ∙ PATRIAI

nell’altro basamento compagno, sotto le colonne : NERONI CLAVDIO ∙ AVG ∙ F ∙ CAISARI DRVSO ∙ GERMANICO PONTIF ∙ AVGVRI ∙ XV ∙ IR ∙ S ∙ F VII ∙ IR ∙ EPVLON COS ∙ III PRINCIPI ∙ IVENTVTIS

xi

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sequentem supplevit divinando Grut. sed inscriptio postea detecta ostendit, illum non litasse

τῇ ἐυδοξίᾳ

GERMANICO AGRIPPINAI CAISARI GERMANICI ∙ CAISARIS TI ∙ AVGVSTI ∙ F FILIAI TI ∙ CLAVDI ∙ CAISARIS DII ∙ AVGVSTI ∙ N DII ∙ IVL ∙ PRON AVGVSTI ∙ P ∙ P ∙ VXOR AVGVRI ∙ FLAM ∙ AVG NERONI ∙ CLAVDI ∙ ∙ ∙ COS ∙ II ∙ IMP ∙ II MATRI ∙ ∙ ∙ ∙ TI ∙ CLAVDI ∙ CAIS ∙ AVG ∙ FR

Dio. lib. LX. p. 676. D. [CASS. DIO, LX, 22, 1].

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[f. 4v] Se il sito (dico) di Piazza di Sciarra servì a quest’Arco ; e se ivi appunto questo bel marmo fu riscoperto, et estratto l’anno 1641. come il Nardini nel luogo da noi citato riferiscexii ; non dovrà dubitarsi che nell’Arco occupasse il sito principale, cioè il mezzo ; si come in questo luogo più degno, e non altrove si leggono le dedicatorie in tutti li cinque archi che vediamo disegnati dal Serlio, cioè di Sisto, di Settimio, e di Costantino in Roma, e di Traiano in Benevento, et in Ancona. Da che io cavo un’altro argomento, che in legge di buon architettura siamo in necessità d’allungare quest’iscrizione, e farne un parallelogrammo assai più lungo che alto ; affinché la cornice laterale posi sul rivo, come fa’ in tutti gli archi che abbiam nominato ; e non vengano sforzati a concepire un Arco non più largo di piedi 11 1/2 geometrici (che a tanti è stata ridotta la tavola) mentre nella sua debita forma a cui la ridurremo poco appresso in carta, se non in muro ne havrebbe p. 20 on 5 2/3 (formando la regola sulle 6 lettere del 4° verso lunghe piedi 5 e on. 7 a proporzione delle 22 che gli diamo) per lo che si renderebbe capace d’aprir sotto di sé un vano minore di due piedi dell’Arco di Costantino, ma d’altrettanti maggiore dell’altro di Sisto prossimo a questi tempi, ch’è il più simile per esser d’un vano solamente et è anche il più largo degli altri che habbiam mentovati.

Passando finalmente all’altre linee, per non tirar sempre la sega sopra una istessa : Il 4° verso, deve per le addotte ragioni emendarsi nell’IMP. XVI vedendosi non poter sussistere con la TR. P. XI. e con COS. V. quando l’anno antecedente della Trib. pot. Xa ha l’IMP. XIIX. riponendosi con l’esempio dell’altra iscrizione dell’istesso annoxiii l’IMP. XXIIII. et allungando le note abbreviate di P.P. Nel 5° verso, l’abbreviatura delle due note nel SENATVS. POPVLVSQ. R non è conforme allo stile che comunemente s’osserva ne marmi di porre queste parole ò tutte appuntate, o tutte distese ; e così leggiamo SENATVS. POPVLVSQVE ROMANVS molte volte nel Gruteroxiv : e solo ho osservato SENATVS. P. Q. R. nell’Arco di Ancona come cosa fuori dell’[f. 5r] ordinario, non comportato quindi dalla necessità d’allungare il verso per le ragioni accennate. Molto più riesce corto, e povero di concetti il 6° verso ridotto a tre miserabili parole : e tanto maggiormente, quanto che ivi il carattere l’è diminuito e divenuto (direm così) di 3a magnitudine, vedendosene questi 4 gradi : 1. il primo ne versi primo e 2° che hanno le tre d’altezza d’un piede romano, o geometrico. 2. il 2° ne versi 3. 4. e 5. che le hanno d’oncie 9. 3. il 3° in questo sesto verso di cui si tratta che le ha d’oncie 8. 4. et il 4° ne tre ultimi che le hanno d’oncie 7. ne questa paria minuzia o sofisticheria ; perché serve à conoscere la necessità di non regolarsi con proporzione aritmetica nell’uguaglianza delle sillabe, ma più toxii

fog. 362. [F. NARDINI, Roma antica di Famiano Nardini alla Santità di N. S. Alessandro VII, Roma, per il Falco, B. Diversino e F. Cesaretti, 1666, p. 362]. xiii Gruter. pag. 188.6. xiv pag. 136.2., 152.7, 172.4., 244.3., 247.4., 287.3. et alibi.

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sto geometrica in riempiere il verso che ha le lettere più minute con liberalità di qualche sillaba d’avantaggio. S’avverte anche in questo verso, quel che s’era lasciato correre nel 4° per attendere à riflessioni che più importavano, cioè a dire, che il diftongo Æ così scritto, non si trova ne’ marmi di quei buoni secoli ; e può ben essere che sia fra i caratteri de moderni scrittori Curione o Antonozzi, ma frà gli antichi (torno a dire di que’ secoli buoni per non esser colto in parola) raro, ò non mai si vedrà haver luogo. E basti il dire che Claudio in tante iscrizioni non l’habbia usato, per non ammettere questa singolarità nella presente. Anzi havendo noi l’ortografia del diftongo AI usata tante volte nelle parole del basamento di quest’Arco ; siam costretti à scriver CAISARI, PATRIAI, e BRITANNIAI come non a caso havrà riposto il Gozze. Ne’ versi 7° e 8° s’impiccolisce il carattere, e nulladimeno cresce maggiormente la carestia di buone parole. L’ultimo verso, coronat opus con un senso che non corre, e non è punto confacevole all’eleganza che in Claudio riconobbe Svetonioxv : ne a me pare che si possa intendere, se non con raziocinio, di raccordarsi che il Gozze mette INDICIO FACTO e qui si vuol sottintendere il FACTO con la scusa che non capisce nell’angustia del luogo. Io però non so allontanarmi dal leggere INDICTO BELLO in che s’esprime la formula feriale, come soggiungerò a suo luogo. [f. 5v] Hora per descendere all’opra : io supplisco parte del Gozze, parte con l’emenda necessaria di lui, e parte col mio poco talento governato dalle conglietture ch’andrò apportando, in questa maniera :

TI ∙ CLAVDIO ∙ DRVSI ∙ F ∙ CAISARI AVGVSTO ∙ GERMANICO PONTIFICI ∙ MAXIMO ∙ TRIB ∙ POTEST ∙ XI COS ∙ V ∙ IMP ∙XXIIII ∙ PATRI ∙ PATRIAI

SENATVS ∙ POPVLVSQVE ∙ ROMANVS ∙ QVOD REGES ∙ BRITANNIAI ∙ PERDVELLES ∙ ABSQVE VLLA ∙ IACTVRA ∙ SVORVM ∙ CAPTIVOS ∙ HABVERIT GENTESQVE ∙ BARBARAS ∙ VLTRA ∙ OCEANVM PRIMVS ∙ INDICTO ∙ BELLO ∙ IMPERIO ∙ ADIECERIT ∙

De’ primi quattro versi, più che a bastanza si è discorso. Nel 5° e così ne seguente ho disteso il QVE, come m’insegna il GENTESQVE del penultimo verso. Nel 6° havevo veramente riposto nella copia mandatame allo Sponio da inserirsi nel 2° tomo che aggiunge all’opera del Grutero TVMVLTVANTES, parola usata da Svetonioxvi nel descrivere questa impresa : ma parendomi così nobile, et espressiva xv xvi

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cap. 41. [SVET., Claud. 41, 3.]. cap. 17. [SVET., Claud. 2, 17].

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della lunga guerra sostenuta da quei Barbari la parola PERDVELLES del Gozze, ne ho poi depennata la mia. Nel 7° mi riprometterei dal Gozze il contraccambio nella reposizione del mio CAPTIVOS HABVERIT in vece del suo CELERITER CEPERIT, perché la mia frase include il personaggio principale, cioè il Re Caractaco mandato a Claudio da P. Ostorio in quest’istesso tempo consegnatogli dalla Regina Cartimandua che lo hebbe per fraude, e lo tradi sotto la fede come racconta Tacitoxvii ; il che non si verifica in quella del Gozze, atteso che Claudio fece prigioni solamente co’ figli, e ricevette in fede i fratelli di Caractaco, che se gli diedero ; ma non capturò alcuna testa coronata, ne era titolo degno di questo luogo il vanto d’haver fatti prigioni i fanciulli, e la madre. E qui viene in acconcio di concordare il detto luogo di Tacito, cum fidem Cartimanduae reginae Brigantum petivisset, vinctus ac victoribus traditus [f. 6r] est ; nono post anno, quam bellum in Britannia coeptum, col seguente nel 3° dell’istorie, che a Lipsio parvero contradittori, Cartismandua auxerat potentia posteaquam capto per dolum rege Carataco instruxisse triumphum Cl. Caesaris videbatur. Poiché se è vero che la guerra cominciasse nel Cos. III di Claudio come habbiamo detto di sopra con Dione, o poco prima per le parole eodem ferè tempore che ricevono qualche latitudine ; non puol esser vero che Caractaco preso doppo nove anni honorasse il trionfo di Claudio celebrato nel Cos. di Crispo e Statilio, e nell’anno 3° dell’Imperio. Ma con una leggera impropriazione si riducono a concordia questi due luoghi, se intenderemo l’instruxisse triumphum l’haver rifornito di nuovi pregii il trionfo, cioè quest’Arco che per occasione, et in memoria e sequela del trionfo fu a Claudio decretato et eretto. Nell’8° io vedo che il Gozze ha seguitato la Cronica d’Eusebio ex versione Hieronymi Claudius de Britannis triumphavit, et Orchadas Insulas Romano adiecit Imperio. Scaligero però che riconosce l’errore, discolpa Eusebio annotando così sopra le medesime parole, attexta eusebianis ab Hieronymo historia Eutropij : ma siasi Eusebio o Eutropio l’autore, l’equivoco è inescusabile perché per un solo testimonio che scriva le cose lontane dal suo tempo non si può gettar a terra l’autorità di chi registra i fatti a se cogniti e succeduti nella sua età. Giovenale che scrisse ai tempi di Domiziano allude alla conquista delle Orcadi come seguita a suo tempoxviii Arma quidem ultra Littora Iuvernae promovimus, et modo captas Orchadas, ac minima contentos nocte Britannos. il che mal si può retrotrarre a 40. anni adietro. Dione nella vita di Giulio Cesarexix lascia detto Successu temporis prius quodem sub Agricola Propretore, nostris autem temporibus sub Severo Imp. liquido depresensu est Britannia esse insula ; l’istesso ripete nella vita di Titoxx, eodem tempore alterum bellum extitit in Britannia, quo bello Cneus Iulius Agricola regionem hostium universam vastavit, primus per omnium xvii

ann. Lib. XII. [TAC., ann. 12, 35-40]. Sat. 2. 17. [IVV., Sat. 2, 159-161]. xix lib. XXXIX. pag. 113. C. [CASS. DIO, XXXIX, 50, 4]. xx lib. LXVI. p. 755. C. [CASS. DIO, LXVI, 20]. xviii

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Romanorum, quod sciamus Britannia circumfusa esse mari undique cognovit. Ma per convincere Eusebio di falso, basti l’asserzione di Tacito, che parla di materia a se notissima, e dell’impresa d’Agricola suo suocero nella di lui vita. Hanc oram novissimi maris tunc primus Romana Classis circumvecto Insula esse Britannia affirmavit, ac simul incognitas ad id tempus Insulas quas Orcadas vocant iuvenit domnit. Non dovrà dunque esser così fortunata questa menzogna che ne facciamo autore lo stesso Claudio [f. 6v] mentre né Svetonio, né Dione nella di lui vita ne parlano ; e mentre habbiamo più autori, e particolarmente Tacito testimonio oculato e domestico che apertissimamente la contradice. Per tanto volta di mezzo la sognata conquista delle Orcadi parmi che il dire VLTRA OCEANVM esprima nobilmente la verità, et amplifichi argutamente il soggetto, comeché si dicesse oltre i termini del nostro mondo. Circa l’ultimo verso : il dire come fece il Gozze, INDICIO FACTO, supporta per vera la fallace tradizione d’Eusebio, esplicarebbe propriamente, e con frase latina, la conquista d’un paese nuovo, et incognito. Ma non intendendo il suppletore, credo io, altre che la domatura de’ Re Britanni, e la soggezione di questi popoli ; la parola INDICIO (intesa anco per discrezione per INDICIO FACTO) non opera nulla in questo caso perché non vi era bisogno d’indizio per sapere che vi era la Britannia, cognita cent’anni prima per le espedizioni di Cesare gli anni di Romaxxi DCIC exxii DCC nella seconda delle quali pattuì da Britanni il tributo, e n’ottenne la consegna degli ostaggi. Sostituirei pertanto INDICTO BELLO per accennare l’osservanza del costume antico, e religioso per render la guerra giusta, introdotto da Anco Marzio, e seguitato poscia da posteri morem eum posteri acceperunt, soggiunge Livio nel riferirloxxiii. Ne dubiterei che Claudio rubasse le parole ad Horatioxxiv, adiectis Britannis imperio, siccome rubò la gloria della prima guerra a Giulio Cesare. Se pur non volessimo dire, che quella di Cesare non meritò il nome di guerra, comeché non fatta con autorità, e con formule legittime, ma debba dirsi una privata escursione ; laonde questa di Claudio fu veramente la prima guerra e conquista: il che tanto più ci necessita a riporre INDICTO BELLO. Quando però non impetrì la mia ambizione questo trionfo britannico di veder propriamente restaurate con le mie parole le memorie di Claudio : meritino almeno le mie suppliche a favore dell’affetto che ha l’Em.mo S. card. Barberino alle buone lettere promosse indefessamente dalla sua generosità, e dal suo esempio, che non si veda dalle finestre di quella celebre Biblioteca, resa più illustre dalla frequentazione de’ dottissimi Holstenio, Allazio, Suarez, che mi figuro a mirare torcendo il naso quest’infelice rappezzo ; non si veda (dico) un anacronismo così aperto, una mutilazione di titoli in luogo che ne deve abbondare, un laconismo vizioso, una frase non intelligibile, et un errore in architettura, con iscandalo delle eruditissime nazioni forastiere di trovar quivi rifugiato l’antica barbaria ch’essi hanno esiliato; e fiorir meglio che a Roma nelle loro Patrie più remote, le notizie e gli Studi Romani. xxi

Dio. lib. XXXIX pag. 113. B. [CASS. DIO, XXXIX, 50,1]. Id. lib. (cancellatura) p. 121. A. [CASS. DIO, XL, 1]. xxiii Lib. I. [LIV. 1, 32, 14]. xxiv Lib. IV. od. V. [HOR., carm. 3, 4, 5]. xxii

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CIL / Aedes Barb. CIL VI, 1056

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Fabretti (Explicatio)

mss. Barberini

p. 260, n. 91 Barb. lat. 2109, ff. 35r, 62r, 105r, 106r

p. 726 CIL VI, 920, 40416



mss. Marini

Vat. lat. 9123, f. 21r ; Vat. lat. 9118, f. 53r, n. 3 ; Inscr. Alb., n. 176 —

CIL VI, 23454

p. 65, n. 9

Barb. lat. 2019, f. 100r ; Barb. lat. 2141, f. 47r

Vat. lat. 9118, f. 21v, n. 6

CIL VI, 9294

p. 285, n. 193

Barb. lat. 2019, f. 98

Vat. lat. 9118, f. 5r, n. 2

Barb. lat. 2019, f. 87r

Vat. lat. 9118, f. 5r, n. 3 ; Vat. lat. 9130, f. 154r

Barb. lat. 2019, f. 39r ; Barb. lat. 2109, f. 40v ; Barb. lat. 1804, f. 231r

Vat. lat. 9118, f. 61r, n. 2

CIL VI, 11696 CIL VI, 1969

p. 433, 10

CIL VI, 1970

p. 433, n. 11 Barb. lat. 2019, f. 39r ; Barb. lat. 2109, f. 40v

Vat. lat. 9118, f. 61r, n. 3

CIL VI, 1748

p. 100, n. 228

Barb. lat. 2019, f. 101v ; Barb. lat. 2141, f. 65

Vat. lat. 9140, f. 216r

CIL VI, 16045

p. 386, n. 230

Barb. lat. 2019, ff. 87r et 93r

Vat. lat. 9118, f. 4v, n. 7

Barb. lat. 2019, ff. 87r et 93r

Vat. lat. 9118, f. 5r, n. 4 ; Vat. lat. 9139, f. 258

CIL VI, 23817 CIL VI, 8930

p. 352, 45

CIL VI, 2251 et 2252

p. 676, n. 20 Barb. lat. 1804, f. 133r ; Barb. lat. et 30 2019, f. 124r

Barb. lat. 2019, f. 124 ; Barb. lat. Vat. lat. 9118, f. 16v, n. 9 2063, f. 76rv ; Barb. lat. 2141, f. 73v Vat. lat. 9118, f. 16v, n. 7 et n. 8

Tab. 1 – Table de concordance des inscriptions latines publiées dans les Aedes Barberinae avec l’œuvre de Fabretti, les mss. Barbériniens latins et les mss. Vatican latins de Marini (en gras : recension absente du CIL)

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Pl. I – Rome, Galerie nationale d’art ancien – Palais Barberini, jardins, supplément de l’inscription de Claude (CIL VI, 920 = 40416), ciment et stuc, dim. H. 320 × L. 150 cm.

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Pl. II – Rome, Musées du Capitole, atrium du palais des Conservateurs, inv. MC S 2745, inscription de l’arc de Claude (CIL VI, 920 = 40416), marbre, dim. H. 320 × 169 cm.

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Pl. III – Cité du Vatican, Bibliothèque apostolique vaticane, Cabinet des dessins, Ashby, Stampe, Cartella, Piranesi, 15, f. 11r, Giovanni Battista Piranesi, vue du palais Barberini, inv. gravure à l’eau-forte et au burin (détail).

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Pl. IV – Bologne, © Bibliothèque de l’Archiginnasio, ms. A. 1212, f. 42r, imprimé.

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Pl. V – Rome, Musée de Rome, Cabinet communal des estampes, inv. M.R. 3371, dessin anonyme à la plume, dim. 112× 158 mm. © Comune di Roma- Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali-Museo di Roma.

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Pl. VI – Rome, Sainte-Marie-sur-la-Minerve, transept gauche, monument sépulcral de Raffaele Fabretti, détail du buste, Camillo Rusconi (1658-1728), avant 1700.

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GIOVANNI ANTELLI «SCRITTOR DI MUSICA» NELLA ROMA DEL SEICENTO I copisti di musica a Roma nel Seicento e le consuetudini della loro attività sono emersi come campo d’indagine poco più di una decina di anni orsono. Fino ad allora, grazie ai documenti d’archivio, si conoscevano al più i loro nomi, ma raramente essi venivano collegati alle partiture manoscritte che avevano realizzato. Sui motivi dello scarso interesse suscitato dal tema pesava soprattutto l’impostazione della musicologia novecentesca, focalizzata sulla definizione dei caratteri stilistici e formali delle composizioni, e sulla produzione dei singoli compositori. Tuttavia già dagli anni Ottanta del Novecento l’attenzione è andata gradualmente spostandosi dalle composizioni alle fonti che le trasmettono: Margaret Murata focalizzò le indagini sulle caratteristiche strutturali dei manoscritti di cantate, distinguendone le tipologie e chiarendone alcuni importanti aspetti connessi alla loro destinazione e alla loro funzione1. Claudio Annibaldi aprì prospettive di assoluta originalità tanto sulla collezione musicale dell’Archivio Doria-Pamphilj che su alcuni autografi di musica per tastiera di Frescobaldi e della sua cerchia2. Per quanto riguarda la musica italiana del Seicento le indagini più recenti sono state rivolte soprattutto ai manoscritti di arie e cantate, e specialmente a quelli prodotti in gran numero nella Roma seicentesca, tanto che il repertorio di cantate diffusosi manoscritto nei decenni centrali di quel secolo può dirsi coincidente in buona sostanza con quello romano3. Nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con manoscritti redatti da copisti professionisti, che mostrano ricorrenti caratteristiche materiali4. 1 Cfr. M. MURATA, Roman cantata scores as traces of musical culture and signs of its place in society, in Atti del XIV congresso della Società Internazionale di Musicologia, a cura di A. POMPILIO, D. RESTANI, L. BIANCONI, F. A. GALLO, Torino 1990, I, pp. 272-284. 2 Cfr. C. ANNIBALDI, L’archivio musicale Doria-Pamphilj: saggio sulla cultura aristocratica a Roma fra XVI e XIX secolo, in Studi musicali 11 (1982), pp. 91-120, 277-344; ID., La didattica del solco tracciato: il codice chigiano Q.IV.29 da “Klavierbüchlein” d’ignoti a prima fonte frescobaldiana autografa, in Rivista italiana di musicologia 20 (1985), pp. 44-97; ID., Musical autographs of Frescobaldi and his entourage in Roman sources, in Journal of the American Musicological Society 43 (1990), pp. 394-425. 3 Lo rileva L. BIANCONI, Cesti, Pietro (Antonio), in DBI, 24, Roma 1980, p. 292. 4 Formato oblungo, in «carta d’ariette» (90/100 × 270/280 mm) o «in carta reale» (180/200 × 270/280 mm); lettere iniziali calligrafiche o decorate con vignette; pregevoli legature in pelle

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 427-448.

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ARNALDO MORELLI

Superato l’iniziale scetticismo di taluni, è diventato chiaro che le grafie dei copisti professionisti riscontrabili in molti manoscritti romani erano relativamente poche. L’esame dei conti, che i copisti scrivevano di propria mano per essere pagati, ha permesso infatti di individuarne i nomi e di associarli a una parte significativa dei manoscritti musicali, e non soltanto quelli di arie e cantate, ma anche di opere e oratori5. Accertati per quanto possibile i nomi, i documenti d’archivio hanno permesso di stabilire con buona approssimazione anche l’arco di tempo in cui questi copisti furono attivi, offrendo perciò un prezioso contributo a una più precisa datazione dei manoscritti usciti dai loro atelier, e di fissarne quindi con certezza il luogo di confezionamento. Tra i copisti più noti finora documentati, spicca la figura di Giovanni Antelli, sia per il lungo periodo di attività, sia per la grafia elegante e precisa che lo contraddistingue. Studi di recente condotti da diversi studiosi hanno permesso di individuare un alto numero di composizioni da lui trascritte in bella copia per conto dei maggiori committenti romani6. Ma i dati — lo sappiamo bene — non parlano da soli e per ricavarne una storia con fregi in oro sulle copertine, talvolta recanti le armi dei loro antichi proprietari; pochi e ricorrenti tipi di filigrana (tra i più frequenti: santo nimbato e inginocchiato portante una croce, iscritto in uno scudo a tre cuspidi nel lato superiore; corona a sei punte sormontata da una stella a sei punte; giglio su trimonzio in doppio cerchio sormontato da corona). 5 Tra i contributi recentemente dedicati al tema delle fonti manoscritte del repertorio di cantate e arie vanno almeno ricordati: A. MORELLI, «Perché non vanno per le mani di molti...». La cantata romana del pieno Seicento: questioni di trasmissione e di funzione, in Musica e drammaturgia a Roma al tempo di Carissimi, Atti delle giornate di studio (Parma, 26-27 aprile 2005), a cura di P. RUSSO, Venezia – Parma 2006, pp. 21-39; ID., Per una storia materiale della cantata: considerazioni sulle fonti manoscritte romane, in Francesco Buti tra Roma e Parigi: diplomazia, poesia, teatro, Atti del convegno di studi (Parma 12-15 dicembre 2007), a cura di F. LUISI, Roma 2009, pp. 381-394; C. JEANNERET, «Armoniose penne». Per uno studio filologico sulle opere dei copisti di cantate romane (1640-1680), ibid., pp. 395-414; A. RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani cercano con grande diligenza in tutti i luoghi». La cantata romana del Seicento in Europa, in Journal of Seventeenth-Century Music 13/1 (2007), http://sscm-jscm. press.uiuc.edu/v13/no1/ruffatti.html; M. MURATA, A topography of the Barberini music manuscripts, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, Atti del convegno internazionale (Roma, 7-11 dicembre 2004), a cura F. SOLINAS, L. MOCHI ONORI, S. SCHÜTZE, Roma 2007, pp. 375-380; EAD., The score on the shelf: Valuing the anonymous and unheard, in Musical text as ritual object, a cura di H. SCHULZE, Turnhout 2015, pp. 199-212; A. MORELLI, Seventeenth-century Roman cantata manuscripts as a source for a material history’, ibid., pp. 191198; A. RUFFATTI, French sources of Roman cantatas. The European dissemination’, ibid., pp. 59-72; C. JEANNERET, The Roman cantatas manuscripts (1640-1680): A musical cabinet of curiosities, ibid., pp. 73-90. 6 Su Antelli e i suoi manoscritti cfr. RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani…» cit., § 5.9-11; A. NIGITO, Introduzione, in B. PASQUINI, Le cantate, a cura di A. NIGITO, Turnhout 2012, pp. XLI-XLII; A. MORELLI, La musica vocale in casa Borghese fra Sei e Settecento: contesti, produzione e consumo, in La fortuna di Roma. Italienische Kantaten und römische Aristokratie um 1700, a cura di B. OVER, Kassel 2016 (Musik und Adel im Rom des Sei- und Settecento, 3),

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occorre sempre interpretarli. Lo scopo del mio saggio è dunque quello di dare un senso storico alla biografia di Giovanni Antelli, cercando di far parlare, oltre ai documenti d’archivio, le pagine di musica da lui copiate con perizia e abilità nel corso di almeno tre decenni. Giovanni Antelli nacque a Campli, città dell’Abruzzo, feudo dei Farnese dal 1538 al 1731, intorno al 16347. Le prime tracce biografiche lo vedono già dalla metà del Seicento a Roma, dove visse stabilmente8: da novembre 1653 a luglio 1654, infatti, firmò mensilmente la ricevuta del salario per conto di Antimo Liberati, un musicista dipendente del principe Maffeo Barberini in un ruolo non precisato, ma al più alto livello di retribuzione9. La circostanza fa ritenere che Antelli possa essere stato allievo di Liberati, organista, maestro di cappella e cantore pontificio, competente teorico della musica e versato anche nel diritto, che fece un’esemplare carriera nella Roma del tempo10. All’ambiente barberiniano sembrano effettivamente legati i primi saggi di Antelli come copista di musica: di sua mano copiò un’intera cantata (Tav. I) e ne completò un’altra (Tav. II) nel manoscritto Barb. lat. 4220, datato 1654 e compilato per il resto da Marcantonio Pasqualini, celebre soprano alle dipendenze del cardinale Antonio Barberini11. Agli anni Cinquanta dovrebbe risalire un altro manoscritto barberiniapp. 121-155; C. JEANNERET, L’objet-musique: le mécénat et la collection musicale Chigi à Rome au XVIIe siècle, in Revue de musicologie 103 (2017), pp. 3-52 passim. 7 Lo stato delle anime della parrocchia di San Lorenzo in Lucina del 1694 lo definisce di «anni 60», Roma, Archivio Storico del Vicariato (d’ora in avanti ASVR), Parrocchia di San Lorenzo in Lucina, vol. 63 Stati delle anime 1694, f. 120r. Inverosimile invece l’età «di anni 50 in circa» indicata nell’atto di morte (ibid., Morti IX (1695-1708), f. 28v), perché in contrasto con i dati biografici. Il luogo di nascita si desume dall’atto di morte e dal testamento (Roma, Archivio di Stato, d’ora in avanti ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, serie Testamenti, vol. 5, ff. 635r-638v) su cui si ritornerà più avanti. Sulla città d’origine del copista, oggi in provincia di Teramo, cfr. R. RICCI, Campli città farnesiana, Roma 1982. 8 P. KAST, Biographische Notizen zur römischen Musikern des 17. Jahrhunderts, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, I, a cura di P. KAST, Graz 1963 (Analecta musicologica, 1), p. 41. ASVR, Parrocchia di San Lorenzo in Lucina, vol. 53 Stati delle anime 1684, f. 94r: «Comincia il vicolo della Lupa da Borghese a S. Nicolò mano destra […] Giovanni Martelli [recte Antelli] musico». 9 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in avanti BAV), Arch. Barb. Comp. 387, Ricevute de’ salariati da novembre 1653 a tutto aprile 1656, ff. 2r-25r passim. Il particolare conferma l’assoluta incongruenza dell’età attestata nell’atto di morte (cfr. supra nota 7): ben difficilmente a soli sette anni o poco più avrebbe potuto firmare la ricevuta di un compenso per il suo maestro. 10 In una delle ricevute Antelli annotò di aver ricevuto il salario per conto del «sig.r Antimo Liberati mio padrone»; cfr. BAV, Arch. Barb. Comp. 387, f. 19r. La precisazione «mio padrone» induce a pensare che svolgesse un lavoro ancillare presso il maestro, forse in cambio delle lezioni di musica. 11 Si tratta della cantata Un peccator pentito («Bellezza nel mio cor dà luogo a Dio») (ff. 13r-17v), su testo di Luigi Ficieni, e delle ultime 16 battute della cantata Sempre si piangerà,

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no interamente copiato da Antelli: si tratta del Barb. lat. 4208, un volume oblungo in quarto grande, che reca sui piatti anteriore e posteriore le armi dei Barberini e dei Giustiniani, con al centro il simbolo papale delle chiavi incrociate (Tav. III), che si riferiscono dunque a Olimpia Giustiniani, nipote di papa Innocenzo X, il cui matrimonio con Maffeo Barberini, nel 1653, aveva suggellato la riconciliazione tra la famiglia di quest’ultimo e i Pamphilj. Il manoscritto potrebbe dunque essere stato copiato non molto tempo dopo quell’anno12: esso, infatti, contiene brani attribuibili sulla base delle concordanze a Luigi Rossi, Carlo Caproli, Marco Marazzoli, Giacomo Carissimi e Marcantonio Pasqualini13, tutti musicisti (con la sola eccezione di Carissimi) legati ai Barberini da un vincolo di particolare fedeltà, che non venne meno neppure durante gli anni dell’esilio parigino dei familiari di Urbano VIII. Notiamo inoltre che la grafia del manoscritto Barb. lat. 4208 (Tavv. IV-V) appare leggermente diversa da quella più ordinata e misurata che Antelli fissò a partire dagli anni Settanta14. Le vicende biografiche di Antelli sembrano proseguire sulla scia del maestro: quando Liberati lascia il servizio presso il principe Barberini ed entra come cantore nella cappella della Salve in Santa Maria Maggiore15 — l’istituzione voluta da Paolo V e patrocinata dai Borghese, suoi discendenti, nella loro cappella familiare — Antelli entra nell’orbita di questa famiglia e dei Chigi. Dal 1658, infatti, le due famiglie erano legate da uno stretto vincolo di parentela grazie al matrimonio tra Maria Virginia Borghese, sorella del principe Giovan Battista, e il principe Agostino Chigi, nipote del pontefice Alessandro VII. Tracce tangibili dei servizi resi da Antelli ai Chigi restano le partiture d’opera e d’oratorio copiate interamente di sua mano, ancor oggi conservate nel fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana. basta che ’l guardo miri (ff. 147r-148v), su testo di Giovanni Lotti, entrambe messe in musica da Marcantonio Pasqualini; cfr. BAV, Barb. lat. 4220, Straccia foglio. Poesie del sig.r Gio. Lotti. Perdimento di tempo, per sfuggir l’ozio. Cfr. M. MURATA, Further remarks on Pasqualini and the music of MAP, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte, XII, a cura di F. LIPPMANN con la collaborazione di W. WITZENMANN, Köln 1979 (Analecta musicologica, 19), pp. 125-145. 12 Cfr. L. LINDGREN – M. MURATA, The Barberini manuscripts of music, Città del Vaticano 2018 (Studi e testi, 527), p. LXVII, che datano il manoscritto 1654-1670. Un vivo ringraziamento agli autori per avermi anticipato diverse informazioni da questo catalogo. 13 LINDGREN – MURATA, The Barberini manuscripts of music cit. 14 Confrontando la grafia del manoscritto Barb. lat. 4208 con i moduli scrittòri che Antelli adottò più tardi, notiamo che le chiavi sono simili e le note uguali, ma le lettere del testo poetico non sono sempre staccate e appaiono più tondeggianti e meno angolari. 15 La presenza di Liberati nella cappella Borghese è documentata dal 1654; cfr. J. LIONNET, La «Salve» de Sainte-Marie Majeure: la musique de la chapelle Borghese au 17ème siècle, in Studi musicali 12 (1983), pp. 111-113. L’ultima mensilità pagatagli dal principe Barberini è del dicembre 1654; cfr. BAV, Arch. Barb. Computisteria 387.

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Si tratta delle opere L’Ercole in Tebe (Chigi Q.V.59) di Jacopo Melani, andata in scena per la prima volta a Firenze nel 1661, e L’empio punito (Chigi Q.V.57) di Alessandro Melani, rappresentata a Roma nel palazzo Colonna in Borgo nel carnevale 1669. Le partiture delle due opere presentano significative affinità nella fattura (Tavv. VI-VII); ciò porta a ritenere che siano state copiate a non breve distanza di tempo, quindi dopo il 1669, e più probabilmente nei primi anni Settanta16. Allo stesso periodo potrebbero risalire le partiture, interamente di mano di Antelli, di due opere veneziane: lo Xerse (Chigi Q.V.64) e il Giasone (Chigi Q.V.52) di Francesco Cavalli17, quest’ultima ripresa al teatro Tordinona nel carnevale 1671. Va qui notato che il nome di Antelli non compare nei documenti dell’Archivio Chigi prima del 1672: nel luglio di quell’anno ricevette infatti 10 scudi per aver copiato «un’opera in musica» per conto del cardinale Sigismondo Chigi18. Al giovane porporato appartenne anche la partitura, interamente copiata da Antelli, dell’oratorio Caino e Abele (Chigi Q.VI.82) di Bernardo Pasquini, su testo di Giovanni Filippo Apolloni, eseguito nel 1671 nella cappella di palazzo Borghese19. La partitura dell’oratorio reca infatti sulla coperta anteriore e posteriore le armi del cardinale Sigismondo Chigi; il cappello cardinalizio, privo della croce di legato, porta a ritenere che il volume sia stato confezionato prima dell’aprile 1673, quando il porporato fu nominato legato di Ferrara (Tavv. VIII-IX)20. Ben più frequente la presenza di Antelli nella contabilità del cardinale Flavio Chigi: nel dicembre 1672 venne pagato per la copiatura dell’opera Il Tirinto di Pasquini, andata in scena nel palazzo Chigi di Ariccia nell’ottobre precedente21. Su commissione del cardinale, durante tutti gli anni 16 Per esempio, le lettere ornate con il titolo dell’opera che compaiono sulla coperta in cuoio e sul frontespizio sono identiche. L’Ercole in Tebe e L’empio punito compaiono in un elenco di ventotto partiture d’opera appartenute ai Chigi, tutte composte entro gli anni Settanta del Seicento. Cfr. J. LIONNET, Une partition inconnue d’Alessandro Scarlatti, in Studi musicali 15 (1986), p. 204. 17 JEANNERET, L’objet-musique cit., p. 11. Anche queste due partiture figurano nell’elenco di opere della collezione chigiana e sono tuttora conservate nel fondo Chigi; cfr. LIONNET, Une partition inconnue cit., p. 204. 18 JEANNERET, L’objet-musique cit., p. 10, nota 26. 19 G. MORELLI, L’Apolloni librettista di Cesti, Stradella e Pasquini, in Chigiana 39 (1982), p. 256; A. MORELLI, La virtù in corte. Bernardo Pasquini (1637-1710), Lucca 2016, pp. 22-23. 20 The cardinals of Holy Roman Church, created and produced by S. MIRANDA, http:// www2.fiu.edu/~mirandas/bios1667-ii.htm#Chigi/ 21 BAV, Arch. Chigi 489, alle date 16 dicembre 1672 e 25 gennaio 1673, pagamenti di scudi 36 e 46 «per la copiatura della commedia et altro recitati in ottobre prossimo passato nell’Ariccia». Cfr. J. LIONNET, Les activités musicales de Flavio Chigi cardinal neveu d’Alexandre VII, in Studi musicali 9 (1980), p. 302; R. LEFEVRE, Il «Tirinto» di Bernardo Pasquini all’Ariccia (1672), in Musica e musicisti nel Lazio, a cura di R. LEFEVRE, A. MORELLI, Roma

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Settanta, Antelli continuò a copiare diverse partiture d’opera: tra queste La Baldassarra ovvero la comica del cielo (1676) di Antonio Maria Abbatini; Il Trespolo (1679) e di nuovo Il Tirinto (1679) di Pasquini; I due simili (1679), forse da identificare con Gli equivoci nel sembiante di Alessandro Scarlatti22, e una cantata a quattro voci di Pasquini per «introduttione a una caccia» tenutasi nella villa della Versaglia a Formello, nel marzo 167723. Come emerge dai documenti contabili, il copista intensificò la sua collaborazione con il cardinale Chigi nella seconda metà degli anni Settanta, proprio in coincidenza con l’uscita di scena del precedente copista Bernardino Terenzi, che compare per l’ultima volta nei registri contabili chigiani nel 167424. È interessante osservare che le mani di entrambi i copisti si ritrovino nella partitura della cantata di Natale Ah troppo è ver di Stradella, poi pervenuta in possesso del duca di Modena Francesco II25. Più precisamente ad Antelli si devono i ff. 1r-47r e a Terenzi i restanti ff. 47v-62r26. Indizio di una relazione tra le due parti, e quindi di una possibile collaborazione tra i due copisti, sembra essere il fatto che i richiami posti al termine dei fascicoli siano tutti di mano di Antelli, compreso quello che precede la sezione copiata da Terenzi. I due copisti si ritrovano anche nel manoscritto di cantate Chigi Q.IV.18, in cui il primo brano è copiato da Terenzi, mentre il resto è opera di Antelli. Oltre che dei classici autori come Rossi, Carissimi, Cesti, nel volume compaiono brani di compositori quali Stradella, Carlo Ambrogio Lonati, Pasquini, Atto e Alessandro Melani. Come emerge dai dati, dall’inizio degli anni Settanta la produzione di Pasquini fu quasi sempre associata al lavoro di Antelli, e la carriera del copista sembra intrecciarsi sempre più strettamente a quella del compositore. Il fatto non sorprende: dall’inizio degli anni Sessanta Pasquini aveva fatto parte dell’entourage di Flavio Chigi, e quando il cardinale aveva licenziato i suoi musicisti, dopo la morte di Alessandro VII, dal novembre 1985 (Lunario romano, 15), p. 266; F. A. D’ACCONE, Cardinal Chigi and music redux, in Music observed. Studies in memory of William f. Holmes, a cura di C. REARDON, S. PARISI, Warren 2004, p. 82. 22 V. GOLZIO, Documenti artistici sul Seicento nell’Archivio Chigi, Roma 1939, p. 347; D’ACCONE, Cardinal Chigi cit., p. 88. 23 D’ACCONE, Cardinal Chigi cit., pp. 86-87; MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 50-51. 24 LIONNET, Les activités musicales de Flavio Chigi cit., p. 302. 25 La partitura della cantata è ancor oggi conservata nella collezione estense a Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Mus.F.1145. La cantata fu composta a Roma negli anni Settanta, ma non oltre il 1676, dal momento che — come è noto — all’inizio del 1677 Stradella fuggì a Venezia. La presenza della mano di Terenzi fa pensare che la partitura sia stata copiata in quegli anni. 26 Una riproduzione digitale è consultabile nel sito della Biblioteca Estense Universitaria di Modena http://bibliotecaestense.beniculturali.it/info/img/mus.html

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1667 era entrato al servizio del principe Giovan Battista Borghese27. Un iter professionale quasi identico fu quello percorso da Antelli: dopo aver lavorato per i Chigi, da metà degli anni Settanta egli divenne il copista di fiducia dei Borghese28, anche se, proprio come il compositore, continuò a prestare i suoi servizi al cardinale Flavio Chigi fino alla fine di quel decennio. Di conseguenza venne a stringersi ancor più strettamente il legame di collaborazione fra il compositore e l’amanuense, fino a che Antelli divenne il copista personale di Pasquini29. Dal 1674 al 1695 lavorò con regolarità per i Borghese, come mostrano i conti per la copiatura di musiche periodicamente presentati al principe — in genere controfirmati da Pasquini per approvazione —, in cui vengono elencati gli incipit testuali di composizioni vocali, in larga parte cantate da camera per voce sola e arie tratte dalle opere romane di maggior successo, e alcune composizioni sacre30. Nei conti di Antelli, oltre a otto (o forse nove) cantate e almeno quarantadue arie d’opera di Pasquini, possiamo identificare altre composizioni di Agostini, Stradella, Scarlatti, e di alcuni autori della precedente generazione, come Rossi, Cesti e Carissimi, ormai apprezzati come classici su scala europea. Tra le composizioni elencate dal copista notiamo che un numero significativo sono di genere spirituale o devozionale, ed è da ritenere che in buona parte fossero destinate alle musiche che il principe Borghese era solito far eseguire per la novena di Natale o per la settimana santa nell’oratorio (o cappella) del palazzo31. Della cantata «Nasce al rigor, a solo con violini» destinata alla novena natalizia, presente nel conto del primo dicembre 1682, sopravvive nella collezione estense la partitura, copiata da Antelli, con la musica di Giuseppe Pacieri32, un compositore alle dipendenze del 27

MORELLI, La virtù in corte cit., p. 17. Forse non è una coincidenza che dal 1666 fino alla morte Antelli abitò al vicolo della Lupa, quasi su piazza Borghese. Cfr. KAST, Biographische Notizen cit., p. 41. Nell’atto di morte, avvenuta il 17 maggio 1696, si attesta che morì «nella casa dove abitava al vicolo della Lupa»; cfr. ASVR, Parrocchia di San Lorenzo in Lucina, Morti IX (1695-1708), f. 28v. Nell’inventario dei suoi beni, redatto il 18 maggio 1696, viene annotato che la casa del defunto si trova «prope plateam ill.mi principis Burghesij juxta suos fines». Cfr. ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Istromenti, vol. 440, f. 312r. 29 MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 30-32, 235-239 e passim. In un conto per la copiatura di alcune delle cantate del compositore presentato a Benedetto Pamphilj nel 1682 Antelli viene menzionato quale «copista del sig.r Bernardo Pasquini». Cfr. H. J. MARX, Die «Giustificazioni della casa Pamphilj» als musikgeschichtliche Quelle, in Studi musicali 12 (1983), p. 146; NIGITO, Introduzione cit., p. XLI. 30 Questi conti sono integralmente presentati e analizzati in MORELLI, La musica vocale in casa Borghese cit., pp. 121-155. 31 MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 22-27. 32 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Mus. F.1349. Cfr. MORELLI, La musica vocale in casa Borghese cit., p. 128. 28

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cardinale Alderano Cybo, di cui sono documentati i rapporti con i Borghese durante il decennio 1680-169033. Allo stesso copista di devono anche le partiture di tre cantate spirituali con strumenti di Pasquini: due per la settimana santa (Or ch’in ciel fra densi orrori, e Padre Signore e Dio), e una per il Natale (S’apriro i cieli)34, tutte particolarmente adatte alle pratiche devozionali documentate nella cappella di palazzo Borghese. Le accurate note giustificative, compilate personalmente da Antelli, ci mostrano che questi si occupava della completa fattura dei volumi: oltre alla copiatura delle pagine, provvedeva infatti alle legature, alle fettucce e in qualche caso alle «fibbie gettate d’argento» utili a chiuderli. È molto probabile che il copista eseguisse personalmente i cosiddetti ‘letteroni’, vale a dire le lettere iniziali ornate: nei diversi manoscritti esse appaiono caratterizzate da un inconfondibile tratteggio aghiforme, che ricorre identico nella stragrande maggioranza delle copie da lui realizzate nell’arco di decenni35. Ciò fa pensare che, a differenza di altri copisti, Antelli preferisse non affidare ad altri la realizzazione dei letteroni e non ornare i capilettera con delle vignette36. I conti ci informano inoltre sui due formati della carta impiegata e sui costi di copiatura: per il formato «in carta reale», di solito utilizzato per le partiture con strumenti, venivano richiesti 2 giuli (= 20 baiocchi / scudi 0,20) a foglio; per la «carta d’ariette», di solito utilizzato per la musica a voce sola e basso continuo, 1 giulio (= 10 baiocchi / scudi 0,10) a foglio37. 33 Nel dicembre 1686 un’altra sua cantata per il tempo di Natale venne eseguita nella cappella del palazzo; cfr. MORELLI, La virtù in corte cit., p. 24, nota 96. Nella settimana santa 1690 vi fu cantato anche il suo oratorio La vittoria innocente (testo Gregorio Della Rosa); cfr. S. FRANCHI, Drammaturgia romana, Roma 1988, p. 629. 34 Fano, Biblioteca Comunale Federiciana, Ms. 90; cfr. NIGITO, Introduzione cit., pp. xlvii, clxxx. 35 Fanno eccezione i manoscritti BAV, Chigi Q.IV.13 e Q.IV.17, i cui letteroni sono vergati da una mano diversa da quella di Antelli (copista principale) e degli altri copisti. Nel caso di questi due volumi possiamo presumere che Antelli avesse tracciato le cornici quadrate, destinate ad accogliere le vignette-capolettera. Tuttavia, non essendosi poi realizzato questo progetto, una diversa mano disegnò dentro la cornice i letteroni, in uno stile diverso da quello tipico di Antelli. 36 L’unica eccezione, a mia conoscenza, è la partitura dell’oratorio Sant’Agnese di Pasquini. Si tratta della lussuosa copia, di mano di Antelli, che nel 1677 Benedetto Pamphilj, autore del testo, fece indorare e abbellire con un splendido frontespizio e una vignetta-capolettera, opera di Silvestro Nola, per inviarla all’imperatore Leopoldo I a Vienna, dove è tuttora conservata (Österreichische Nationalbibliothek, Mus. Hs. 18665); cfr. MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 48, 293. Di particolare significato la vignetta-capolettera, che apre l’aria di Flavio, figlio dell’imperatore, Chi nasce agl’imperi, in cui è raffigurata una barca su cui sta un giovane di alto lignaggio, il cui palazzo si scorge in lontananza, probabile allusione all’imperatore Leopoldo; cfr. E. OZOLINS, The oratorios of Bernardo Pasquini, Ph.D. diss., University of California Los Angeles 1983, pp. 10-11. 37 In entrambi i casi un foglio equivale a otto pagine.

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Dai conti presentati al principe si comprende che Antelli, quale «cupista di casa»38, aveva il compito di trascrivere in bella copia le musiche sia per le esigenze domestiche della famiglia, sia per soddisfare le richieste che giungevano al principe al fine di ottenere brani di quei compositori su cui aveva autorità, in special modo di Pasquini39. Ne dà chiaro esempio una lettera che il gentiluomo Antonio Lunardi di Ravenna scrisse a Francesco Zalloni, mastro di casa del principe, per pregarlo dei «suoi soliti favori alla mia servitù di qualche diligenza col cupista di casa, acciò ella potesse haver noticia di alcune opere manoscritte di comedie e così sopra le nove ariette [che] le havea promesso il nostro sig. Bernardo [Pasquini]»40. È interessante notare che, quando Antelli lavorò per altri committenti, lo fece quasi sempre per fornire copia delle composizioni di Pasquini. Il nome del copista, per esempio, compare in un conto non datato, ma archiviato fra le giustificazioni di Benedetto Pamphilj dell’anno 1672, per aver copiato la cantata a quattro voci con strumenti Erminia in riva al Giordano di Pasquini, quasi certamente su testo del prelato41. Nel 1677 Antelli dovette approntare la partitura dell’oratorio Sant’Agnese, messo in musica da Pasquini, che, indorata e ornata da un splendido frontespizio e da una vignetta-capolettera, opera di Silvestro Nola, fu inviata in dono all’imperatore Leopoldo I da Benedetto Pamphilj, autore del testo42. Sempre per il prelato romano, nel frattempo diventato cardinale, nel 1682 copiò alcune 38

L’espressione compare in una lettera del 1677 (cfr. MORELLI, La virtù in corte cit., p. 32) e nella giustificazione di un rimborso fatto a Pasquini nel 1694 per la copiatura di «un duetto di Bononcino che non fu scritto dal cupista [sic] di casa». Cfr. F. DELLA SETA, I Borghese (1691-1731). La musica di una generazione, in Note d’archivio per la storia musicale n.s., 1 (1983), p. 160. 39 Se ne trova conferma nei brani trascritti in duplice o triplice copia, segno evidente di omaggi ad altre persone, come si evince pure da qualche annotazione aggiunta dal copista nel conto accanto all’incipit del brano («per la signora principessa Pallavicina»; «per le monache di Campo Marzio», «per le moniche di S. Marta»). Cfr. MORELLI, La musica vocale in casa Borghese cit., p. 130. 40 Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Arch. Borghese 6576, f.n.n., 11 aprile 1677. Cfr. MORELLI, La virtù in corte cit., p. 32. 41 Si tratta della cantata rilegata all’interno un elegante manoscritto, appartenuto a Benedetto Pamphilj e pervenuto per vie ereditarie ai Colonna, discendenti di una pronipote del cardinale, oggi conservato a Roma, Biblioteca Casanatense, Ms. 2240. L’Erminia di Pasquini è ai ff. 131-192; nei restanti fogli si trovano cantate per voci e strumenti di Antonio Masini e Alessandro Melani, copiate da altri copisti. Cfr. NIGITO, Introduzione cit., p. XLII. Per una ricostruzione dei passaggi del manoscritto e della collezione Pamphilj cfr. C. PELLICCIA, La libraria musicale del cardinale Benedetto Pamphilj. Un inventario ritrovato, in Fonti musicali italiane 20 (2015), pp. 59-72. 42 La lussuosa partitura è tuttora conservata a Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mus. Hs. 18665. Cfr. OZOLINS, The oratorios of Bernardo Pasquini cit., pp. 10-11; MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 48, 293.

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cantate del compositore, venendo esplicitamente menzionato nel conto come «copista del sig.r Bernardo Pasquini»43. Per conto del principe Lorenzo Onofrio Colonna Antelli realizzò due copie della partitura dell’opera La Tessalonica di Pasquini, andata in scena nel teatro di palazzo Colonna per il carnevale 168344. Un’unica volta fu remunerato dal cardinale Ottoboni, per aver copiato la partitura e alcune parti dell’Eudossia, l’ultima opera composta da Pasquini, rappresentata per il carnevale 1692, prima al Seminario Romano e poi nel teatro del palazzo della Cancelleria45. Oltre che alle musiche di Pasquini il lavoro di Antelli si estese anche alle opere di altri compositori di almeno due generazioni: da quelli in auge negli anni Quaranta-Sessanta, del Seicento, come Rossi, Tenaglia, Carissimi, Cesti, Atto Melani e Colista, ai più recenti Stradella, Agostini, Alessandro Melani e Giuseppe Vecchi, in auge negli anni Settanta-Ottanta, quasi tutti operanti nell’ambito di quella rete familiare che aveva come punti nodali i Borghese, i Chigi e i Pamphilj46. Lelio Colista, oltre che «scudiere» di Alessandro VII, fu aiutante di camera di Flavio Chigi, dal 1657 al 166747. Cesti visse a Roma dal 1659, quan43

MARX, Die «Giustificazioni della casa Pamphilj» cit., p. 146; NIGITO, Introduzione cit.,

p. XLI. 44 «La scrittura di musica per la Tessalonica sono fogli reali trecento e due fogli e mezzo, a due carlini il foglio, essendo stato così sodisfatto in tutti gl’altri luoghi dove ho scritto l’opere, che sono scudi quarantacinque e baiocchi trentasette e mezzo. Dico sc. 45:37 ½ / Le due copie dell’opera il solito di tutti, che uno originale resta al s.r Bernardo Pasquini e l’altro si ristituisce / Io Gio. Antelli». Cfr. DE LUCCA, The politics of princely entertainment. Music and patronage during the lives of Lorenzo Onofrio and Maria Mancini Colonna, New York, in corso di stampa. Sulle spese per l’allestimento dell’opera, comprendenti anche il pagamento ad Antelli, cfr. E. TAMBURINI, Due teatri per il principe. Studi sulla committenza teatrale di Lorenzo Onofrio Colonna (1659-1689), Roma 1997, pp. 153-154, 472. Ad Antelli si deve anche l’unica partitura completa pervenutaci dell’opera di Pasquini La caduta del regno delle Amazzoni (Londra, British Library, Add. 16150-16152), rappresentata nel teatro Colonna nel 1690. 45 BAV, Comp. Ott. 23, f. 595, conto di copiatura: «Opera scritta in musica all’em.mo sig. re il sig.r cardinale Ottoboni / Per L’Eudossia opera fatta in Seminario romano in musica scritta da Gio. Antelli in carta reale fogli n° 59 / Per la parte di Filandro fogli n° 6 / E più per essere stato e portata l’opera per tre sera [sic] continue quando fu fatta da Sua Em.za, e per la sudetta scrittura e fatiche l’em.mo sig.r cardinale mi promise darmi dodoci [sic] scudi / Io sottoscritto ho ricevuto dal sig. Arcangelo Spagna mastro di casa dell’em.mo s.r card. Ottoboni scudi dieci moneta a saldo del sudetto conto et in fede questo dì 31 luglio 1692. Io Gio: Antelli mano propria». Cfr. H. J. MARX, Die Musik am Hofe Pietro Kardinal Ottobonis unter Arcangelo Corelli, in Studien zur italienisch-deutschen Musikgeschichte V, a cura di F. LIPPMAN, Köln-Graz 1968 (Analecta musicologica, 5), p. 132; MORELLI, La virtù in corte cit., p. 85. 46 Il principe Giovan Battista Borghese era fratellastro del principe Giovan Battista Pamphilj, come pure i loro rispettivi fratelli e sorelle, essendo tutti figli di Olimpia Aldobrandini, sposata in prime nozze con Paolo Borghese e in seconde con Camillo Pamphilj. 47 H. WESSELY-KROPIK, Lelio Colista. Un maestro romano prima di Corelli. Con un cata-

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do per volontà di Alessandro VII fu ammesso nella cappella pontificia, e vi rimase fino al 1661, lavorando nel contempo per Flavio Chigi, che lo pagò per copiature di musiche, stipendi e viaggi in quegli stessi anni48; Atto Melani soggiornò a Roma nel 1661, sotto la protezione dello stesso cardinale49. Marazzoli fu «cameriere extra muros» di Alessandro VII, componendo pure alcune cantate per la villeggiatura di questo pontefice a Castelgandolfo50. Stradella, nel 1668, compose la cantata a tre voci La Circe, su testo di Giovanni Filippo Apolloni, gentiluomo di Flavio Chigi, «fatta rappresentare nella sua villa detta il Belvedere» a Frascati, dalla principessa di Rossano Olimpia Aldobrandini Pamphilj, per celebrare la nomina cardinalizia di Leopoldo de’ Medici51. Nell’agosto di quell’anno il compositore collaborò alle musiche per il banchetto offerto da Flavio Chigi nel giardino alle Quattro fontane in onore di Caterina e Maria Maddalena Rospigliosi, nipoti di papa Clemente IX allora regnante52. Stradella era in così stretti rapporti con il cardinale che osò chiedergli in prestito un’ingente somma di denaro53. Piersimone Agostini compose su commissione di Flavio Chigi il dramma per musica L’Adalinda, rappresentato nel palazzo di Ariccia nell’autunno 1673 e una serenata da cantare a Siena nel 167754; fu pure al servizio dei logo tematico delle sonate a tre, a cura di A. D’OVIDIO, Roma 2002, pp. 35-59; LIONNET, Les activités musicales de Flavio Chigi cit., pp. 288-300. 48 BIANCONI, Cesti, Pietro (Antonio) cit., pp. 281-297. 49 B. NESTOLA, Melani, Atto, in DBI, 73, Roma 2009, pp. 238-241. 50 A. MORELLI, Marazzoli, Marco, ibid., 69, Roma 2007, pp. 466-471. 51 MORELLI, L’Apolloni librettista cit., pp. 228-229. 52 A. ADEMOLLO, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo, Roma 1888 (facs. Roma 1969), pp. 106-108. Una dettagliata descrizione dello spettacolare banchetto si legge nella relazione a stampa di C. FONTANA, Risposta [...] alla lettera del signor Ottavio Castiglioni, Roma, per Angelo Bernabò, 1668. Il 6 agosto 1668 Stradella ricevette un dono da Flavio Chigi, probabilmente da mettere in relazione con la festa nel giardino delle Quattro Fontane; cfr. D. M. BRIDGES, The social setting of musica da camera in Rome, 1667-1700, Ph.D. diss., George Peabody College, 1976, pp. 32-33. Per quest’occasione compose «un bellissimo recitativo interrotto da un echo doppio replicato», anch’esso su versi di Apolloni, cantato dal celebre soprano Giulia Masotti, che possiamo identificare con la cantata Eco amoroso («Arsi già d’una fiamma»), per soprano due violini e basso continuo, che presenta, per l’appunto, «l’artifizio di due echi». Cfr. MORELLI, L’Apolloni librettista cit., p. 244; A. MORELLI, Teatro della vista e dell’udito. La musica e i suoi luoghi in età moderna, Lucca 2017, pp. 57-58. La partitura della cantata è conservata a Modena, Biblioteca Estense, Mus. F.1152. 53 Da una lettera del musicista a Flavio Chigi del 27 novembre 1670 apprendiamo della richiesta di un prestito di ben 2000 scudi. Cfr. C. GIANTURCO, Alessandro Stradella (1639-1682). His life, his music, Oxford 1994, pp. 262-263. 54 Cfr. R. LEFEVRE, La rappresentazione all’Ariccia nel 1673 dell’Adalinda di P. S. Agostini, in Strenna dei Romanisti 51 (1989), pp. 239-258; D’ACCONE, Cardinal Chigi cit., pp. 84, 87.

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Pamphilj, come maestro di cappella della chiesa di Sant’Agnese in Agone, da gennaio 1675 a maggio 167955. Alessandro Melani fu maestro della cappella Borghese dal 1672 alla morte, nel 170356. Nel 1676 compose le solenni musiche a quattro cori per la laurea di Benedetto Pamphilj57, e per questo prelato mise in musica l’oratorio Il sacrificio d’Abel, eseguito nella quaresima 167858. Compose poi alcune opere patrocinate dai Chigi a Siena59. Giuseppe Vecchi, rinomato soprano del tempo, dal 1662 al 1692 fu cantore della cappella Borghese, ma in particolari occasioni cantò anche per i Chigi60. Dal 1663, durante il pontificato di Alessandro VII, fu cantore della cappella pontificia. Le poche cantate che di lui si conoscono sono copiate di mano di Antelli su fascicoli inseriti all’interno di volumi confezionati da altri copisti per i Barberini (Tav. X)61. Non è casuale, dunque, che nei volumi interamente copiati da Antelli si incontrino quasi sempre musiche di autori che orbitavano intorno alle famiglie Borghese, Chigi e Pamphilj. Ne dà esempio l’elegante manoscritto di cantate Chigi Q.IV.11, in cui il copista ebbe cura di redigere di sua mano anche la tavola con l’indice dei brani (Tav. XI). La legatura del volume è decorata con fregi in oro e reca lo stemma bipartito Chigi-Borghese, riferibile quindi a Maria Virginia Borghese moglie di Agostino Chigi e sorella di Giovan Battista Borghese, ed è presumibile che venisse confezionato per la principessa. Nel volume sono inclusi brani di Rossi, Carissimi, Cesti, Marazzoli, Caproli, Savioni, Atto Melani (Tav. XII) e dei più recenti Piersi55

A. NIGITO, La musica alla corte di Giovanni Battista Pamphilj, Kassel 2012, p. 27. LIONNET, La «Salve» de Sainte-Marie Majeure cit., pp. 113-114. 57 L. MONTALTO, Un mecenate in Roma barocca. Il cardinale Benedetto Pamphilj (16531730), Firenze 1955, pp. 23-131; A. MORELLI, La musica a Roma nella seconda metà del Seicento attraverso l’archivio Cartari-Febei, in La musica a Roma attraverso le fonti d’archivio, Atti del convegno (Roma, 4-7 giugno 1992), a cura di B. M. ANTOLINI, A. MORELLI, V. VITA SPAGNUOLO, Lucca 1994, pp. 112-113, 126-127. 58 MARX, Die «Giustificazioni della casa Pamphilj» cit., pp. 125, 145; A. MORELLI, Il tempio armonico. Musica nell’oratorio dei Filippini in Roma (1575-1705), Laaber 1991 (Analecta musicologica, 27), pp. 49, 184-185. 59 C. REARDON, A sociable moment: Opera and festive culture in Baroque Siena, New York 2016, pp. 66-67, 276-277. 60 Nel 1668 al banchetto nel giardino delle Quattro fontane; nelle opere date ad Ariccia. 61 Tre composizioni nel Barb. lat. 4147, una nel Barb. lat. 4156 e una nel Barb. lat. 4158. Cfr. LINDGREN – MURATA, The Barberini manuscripts of music cit. Data l’entità della somma, potrebbe riferirsi ad esse il rimborso fatto a Vecchi dal depositario del principe Maffeo Barberini nel 1662: «Detto [sig. Vincenzo Baccelli n.ro depositario], le piacerà pagare al sig.r Gioseppe Vecchi scudi nove baiocchi 20 moneta, quali gli facciamo pagare per suo rimborso d’altre tanti da lui spesi in diverse copiature d’ariette et altro, in conformità del conto esistente nella nostra computisteria. Che etc. li 5 dicembre 1662». Cfr. BAV, Arch. Barb. Computisteria 380, Registro de’ mandati dal 1662 al 1672, p. 47. 56

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mone Agostini e Bernardo Pasquini. Un altro volume interamente dovuto alla mano di Antelli, appartenuto alla biblioteca personale dell’imperatore Leopoldo I e oggi conservato a Vienna, include cantate di Stradella, Pasquini, Colista, Alessandro Melani ed Ercole Bernabei62. Ciò conferma — come ho già avuto modo di sostenere — che i copisti professionisti non agivano in modo autonomo, ma esclusivamente su ordine di pochi committenti che in virtù del loro rango avevano la disponibilità del repertorio prodotto dai loro musicisti, e ne controllavano oculatamente la circolazione manoscritta63. Sembra provarlo indirettamente un piccolo dettaglio biografico relativo ad Antelli: negli stati d’anime della parrocchia in cui visse trent’anni venne qualificato sempre come «musico», vale a dire cantante, anche se non risulta che avesse mai cantato, e non come copista; segno dunque che esercitava questo mestiere in forma privata, per i Borghese e pochi altri, e non pubblica. I conti presentati durante gli anni Ottanta-Novanta da Antelli ai Borghese mostrano elencati, accanto alle cantate e alle arie dalle opere di Pasquini e Scarlatti, brani risalenti al decennio precedente, come quelli di Stradella e di Agostini, che avevano lasciato Roma rispettivamente nel 1677 e nel 1679, oltre che di autori come Rossi, Cesti e Carissimi, ormai percepiti come classici a distanza di qualche decade. Ciò lascia pensare che il copista disponesse anche di una sorta di archivio personale da cui, all’occorrenza, poteva approntare copie di singoli brani. Se ne trova conferma nelle disposizioni testamentarie che Antelli stilò un paio d’anni prima della morte. Giovanni Antelli morì a Roma, il 17 maggio 1696, nella casa al vicolo della Lupa, dove aveva abitato per trent’anni64. Qualche giorno prima aveva avuto cura di depositare presso il notaio il testamento in precedenza redatto da lui personalmente65. Non avendo moglie né eredi diretti, lasciò le sue sostanze ad alcune istituzioni religiose di Campli, sua città natale, 62 Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mus. Hs. 17758. Ercole Bernabei, maestro di cappella della basilica lateranense, di San Luigi dei Francesi e infine della basilica vaticana, come successore di Benevoli alla guida della Cappella Giulia, lasciò Roma nel 1674 per assumere la direzione della Hofkapelle di Monaco di Baviera, rimanendovi fino alla morte nel 1687. 63 MORELLI, «Perché non vanno per le mani di molti» cit., p. 24. 64 ASVR, Parrocchia di San Lorenzo in Lucina, Morti IX (1695-1708), f. 28v: «Adì 17 d° [maggio 1696] / Gio: Antelli della città di Campli in Abruzzo in età di anni 50 in circa figlio del q.m Mercurio del sud° loco nella comunione della S.M.C. nella casa dove abitava al vicolo della Lupa; ricevé tutti li s.mi sac.ti e fu sepolto in questa nostra chiesa». L’età di morte, come si è detto a nota 7, è da ritenersi errata. 65 ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Testamenti, vol. 5, ff. 635r638v, 14 maggio 1696. Il testamento olografo allegato all’atto è datato e sottoscritto il 24 settembre 1694. La prima e l’ultima pagina sono riprodotte in RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani…» cit., § 5.9, immagine 27. Devo la conoscenza di questo testamento ai ma-

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designando come esecutore testamentario il concittadino Severino Sabatini. Il primo pensiero andò alle musiche che conservava in casa, come apprendiamo dall’inventario dei beni redatto all’indomani della morte66. Nel testamento, infatti, il copista disponeva che le musiche in suo possesso andassero alla cappella della Beata Vergine del duomo di Campli, ad uso dei cantori che ogni sera vi cantavano le litanie mariane67. «Item per raggion di legato et in ogni altro miglior modo lascio tutti li miei scritti di musica, cioè salmi, messe, mottetti, oratorij, et ogn’altra scrittura ecclesiastica e sacra, che serva al culto divino, alla venerabile cappella della Beata Vergine Maria, posta e situata nel duomo di detta città di Campli mia patria, dove dalli ss.ri musici si cantano ogni sera le letanie della SS.ma Vergine, et acciò che dette scritture siano ben custodite, li lascio siano messi in una credenza bianca d’albuccio con sua serratura e chiave, o vero li sig.ri deputati di detta cappella assieme col capitolo di detta chiesa cadedrale [sic] si contenteranno fare una credenza per tener serrate dette compositioni musicali, e che solamente il s.r maestro di cappella di detta chiesa debba tenere appresso di sé la chiave, che li detti scritti debbano servire per servitio di detta chiesa e che detto maestro di cappella solo possa disponere e portarle per altre chiese di detta città, et anco per altri luoghi e città per cantarle, con questo però che non si debba dar la copia a nessuno; e venendo che col tempo si consumino, il sud. maestro o le copij da sé o ne faccia copia, ma che si conservino per sempre vergini per uso di detta chiesa e per honor di Dio e della B. Maria sempre vergine».

In un codicillo al testamento volle specificare trattarsi di «opere, sì manoscritte come stampate, musicali, spirituali e profane», concedendo al «maestro di cappella pro tempore […] di farle copiare come cantarle o farle cantare, sì in detta mia patria come fuori d’essa»68. È interessante sapere che Antelli possedeva una discreta raccolta di musica sacra — «salmi, messe, mottetti» —, non sappiamo se copiata da lui, teriali archivistici raccolti da Jean Lionnet, cortesemente messi a mia disposizione da Livia Puccinelli Lionnet, che ringrazio vivamente. 66 Vi si trovano elencati: «una credenza […] con dentro diverse scritture manuscritte di musica», «un tavolino vecchio d’albuccio con due tiratori con dentro diverse carte di musica. Un credenzino con dentro diverse carte di musica. Un credenzino con dentro diverse compositioni di musica». ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Istromenti vol. 440, f. 313r, «Inventarium bonorum hereditatoriorum q. Ioannis Antelli», 18 maggio 1696. 67 ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Testamenti, vol. 5, f. 636r-v, 14 maggio 1696. Si tratta probabilmente della cappella musicale istituita dal teatino Giovanni Vespoli Casanatte, vescovo di Campli dal 1675 al 1716, particolarmente devoto alla Beata Vergine. Cfr. R. RICCI, I vescovi di Campli e Ortona a Mare (1600-1818), Teramo 1980, pp. 31-32. 68 ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Testamenti, vol. 5, f. 638v.

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come è probabile, o no. Infatti, per quanto se ne sappia, non si conoscono musiche da chiesa da lui trascritte, anche se di tanto in tanto ne dovette copiare alcune per le esigenze dei Borghese69. Viene da pensare, tuttavia, che, essendo il lascito destinato a una cappella che aveva come principale funzione quella di cantare la devozione quotidiana delle litanie, solitamente accompagnate dal canto di un’antifona mariana, come la Salve regina o altre, Antelli potesse conservare nel suo archivio personale i brani del repertorio della cappella Borghese a Santa Maria Maggiore, impegnata ogni sabato nel canto delle litanie durante la devozione cosiddetta della Salve70. Alla «venerabile compagnia del Santissimo Rosario, posta e situata nella chiesa della Misericordia nella città di Campli» Antelli lasciò i suoi «libri spirituali stampati», perché tutte le volte che si recitava il rosario si leggesse «uno di essi più proportionato per frutto dell’anima»71. Alla chiesa della Misericordia lasciò la sua «mostra d’orologio, con il cimbalo», perché dal prezzo ricavato si potesse comprare una «custodia d’argento per l’espositione del Santissimo, e quattro luoghi di monte per comprare «tanta cera sufficiente per l’espositione del santissimo Sacramento da farsi all’altare maggiore in tutte le domeniche dell’anno finito il vespro»72. Principale beneficiaria del testamento fu però la «venerabile compagnia della Misericordia della città di Campli», a cui Antelli lasciò tutto il resto del suo patrimonio, consistente in «ragioni, attioni, crediti stabili, luoghi di monte, censi, cambij e mobili», perché fossero reinvestiti in beni mobiliari o immobiliari, e che i frutti ricavati fossero impiegati «per salario e provisione di sovrapiù al maestro di grammatica della comunità»73. Del lascito di Antelli continuarono a beneficiare a lungo le istituzioni di Campli. Tuttavia, nel 1768 i proventi destinati al maestro di grammatica furono convogliati su un nuovo seminario da erigersi nella diocesi74. Quelli destinati alla 69 Per i Borghese copiò antifone mariane (Alma redemptoris, Salve regina), litanie, lamentazioni, una messa e alcuni mottetti; Cfr. MORELLI, La musica vocale in casa Borghese cit., p. 129. 70 J. LIONNET, La «Salve» de Sainte-Marie Majeure cit., pp. 97-119, e DELLA SETA, I Borghese cit., pp. 153, 202-205. Sulla pratica della Salve cfr. anche A. MORELLI, «Con musica eccellentissima di cose pie». Salve, litanie ed altre devozioni: pratiche religiose e patronage a Roma in età moderna, in Atti del congresso internazionale di musica sacra in occasione del centenario di fondazione del PIMS (Roma, 26 maggio – 1 giugno 2011), a cura di A. ADDAMIANO e F. LUISI, Città del Vaticano 2013, pp. 723-731. 71 ASR, Trenta not. cap., uff. 23, not. Hilarius de Bernardinis, Testamenti, vol. 5, f. 635v. 72 Ibid., ff. 635v-636r. 73 Ibid., f. 637r-v. 74 N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli detta dagli antichi Praetutium; ne’ bassi tempi Aprutium oggi città di Teramo e diocesi aprutina, Teramo 1834, IV, p. 333.

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compagnia della Misericordia, legati a luoghi di monte romani, andarono invece persi a causa dei dissesti bancari occorsi nel primo Ottocento75. Grazie ai volumi usciti dal suo piccolo atelier, oggi disseminati nelle maggiori biblioteche europee e americane, Antelli emerge come un artigiano perfettamente inserito in quel «formidabile centro di consumo del lusso»76, che fu la Roma del Seicento. A giudicare dal considerevole numero di questi volumi viene da pensare che la conservazione di importanti lavori dei maggiori compositori del suo tempo e del suo mondo debba qualcosa anche all’opera di questo eccellente «scrittor di musica» e all’eleganza delle pagine da lui così accuratamente copiate77.

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PALMA, Storia ecclesiastica e civile cit., p. 121. R. AGO, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Roma 2006,

p. XX. 77

Elenchi dei manoscritti redatti da Antelli sono stai forniti da RUFFATTI, «Curiosi e bramosi l’oltramontani…» cit., § 5.10-11, tavv. 6-7; e NIGITO, Introduzione cit., pp. XLII-XLIII (limitatamente alla produzione di Pasquini). A questi vanno aggiunti almeno due volumi contenenti arie d’opera di Pasquini (MORELLI, La virtù in corte cit., pp. 32, 237) e alcune partiture d’opera del Fondo Chigi (cfr. JEANNERET, L’objet-musique cit. pp. 10-11).

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4220, f. 13r, [Marco Antonio Pasqualini], Bellezza nel mio cor.

Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4220, f. 148v, [Marco Antonio Pasqualini], Sempre si piangerà. Antelli completa le ultime sedici battute del brano.

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4208, piatto anteriore con le armi Barberini e Giustiniani.

Tav. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4208, f. 51r, Luigi Rossi, Pazienza tocca a me.

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Tav. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4208, f. 130v, [Luigi Rossi], Affetto più bizzarro.

Tav. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.V.59, Jacopo Melani, L’Ercole in Tebe, f. 112r.

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Tav. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.V.57, Alessandro Melani, L’empio punito, f. 92r.

Tav. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.VI.82, Bernardo Pasquini, Oratorio a cinque [Caino e Abele}, piatto anteriore con le armi del cardinale Sigismondo Chigi.

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Tav. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.VI.82, f. 16v, Bernardo Pasquini, Oratorio a cinque Caino e Abele, aria di Satàn Fieri mostri all’armi all’armi.

Tav. X – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4147, f. 116r, Giuseppe Vecchi, In prigioniera mole.

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Tav. XI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.IV.11, f. 205r, indice del volume di mano di Antelli.

Tav. XII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi Q.IV.11, f. 67r, Atto Melani, Ove tra sponde d’oro l’indico Gange.

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UN TESTIMONE DELL’HISTORIA LANGOBARDORUM APPARTENUTO A GIORDANO ORSINI: IL VAT. LAT. 4917* 1. Un prezioso testimone dell’Historia Langobardorum Il manoscritto Vat. lat. 4917, un codice membranaceo di sec. XI originario dell’Italia centrale (probabilmente di area romana), è uno dei testimoni più antichi e importanti dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Tra gli oltre 115 esemplari dell’opera, infatti, esso è stato identificato dagli editori dei Monumenta Germaniae Historica1 come testimone di grande rilevanza della classe di codici A, giudicati «di particolare valore per la ricostruzione testuale in quanto non presentano le corruttele proprie delle altre classi»2. Il codice è stato studiato approfonditamente anche per le tre Formulae de patricio, iudice civeque romano faciendo, trascritte nei fogli finali (ff. * Il presente contributo rappresenta un primo risultato dell’esercizio di descrizione che sto attualmente conducendo sui manoscritti Vat. lat. 4917-4961, corrispondenti ai codici latini del cardinale Guglielmo Sirleto acquistati nel 1612 da papa Paolo V. Desidero ringraziare il dott. Antonio Manfredi, che mi ha assegnato questo compito e lo accompagna costantemente con la sua guida e i suoi suggerimenti. 1 Pauli Historia Langobardorum, edd. G. WAITZ – L. BETHMANN, Hannover 1878 (MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum), pp. 45-187 (ms. A2 a p. 29). Il manoscritto era già stato censito e descritto negli studi preparatori di H. G. PERTZ, Bemerkungen über einzelnen Handschriften und Urkunden, 1: Die Geschichtsschreiber, in Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde 5 (1824), pp. 119-121 e L. BETHMANN, Bemerkungen über einzelne Handschriften und Urkunden. Pauli Diaconi Historia Langobardorum, in Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde 7 (1839), pp. 274-358: 310. 2 In P. CHIESA, Paulus Diaconus. 4: Historia Langobardorum, in La trasmissione dei testi latini del Medioevo. Mediaeval latin texts and their transmission. TE.TRA 2, a cura di P. CHIESA – L. CASTALDI, Firenze 2005 (Millennio Medievale, 57. Strumenti e studi, n.s., 10), pp. 491495: 494; come giustamente nota lo studioso, l’identificazione ‘in negativo’ di una classe di codici sulla base dell’assenza degli errori propri delle altre famiglie suscita qualche perplessità. Per un censimento completo e aggiornato dei testimoni dell’Historia Langobardorum cfr. L. PANI, Aspetti della tradizione manoscritta dell’Historia Langobardorum, in Paolo Diacono: uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio. Atti del Convegno internazionale, Cividale del Friuli – Udine, 6-9 maggio 1999, Udine 2000, pp. 367-412; sulla tradizione dell’opera si rimanda ancora a P. CHIESA, Caratteristiche della trasmissione dell’Historia Langobardorum, in Paolo Diacono e il Friuli altomedievale. Atti del XIV Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Cividale del Friuli – Bottenicco di Moimacco, 24-29 settembre 1999, Spoleto 2001 (Atti dei congressi, XIV), pp. 45-66. Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 449-460.

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146v-147v) e corrispondenti alla sezione conclusiva della Graphia aureae urbis Romae: un testo forse compilato da Pietro Diacono nella prima metà del XII secolo e interamente tradito dal solo ms. Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plut. 89 inf. 413. Nel Vat. lat. 4917, la terza formula si interrompe ex abrupto in fondo al f. 147v, per la probabile caduta dei fogli finali. Dal momento che il medesimo guasto si rinviene anche nel Laurenziano (dove però non coincide con una cesura materiale)4, H. Bloch ha ipotizzato che il testo sia stato inserito nella compilazione proprio a partire dal Vat. lat. 4917, corrispondente all’archetipo conservato della tradizione. Tale analisi trova sostegno in un’ulteriore e più approfondita analisi codicologica e paleografica del manoscritto, di cui forniamo una descrizione sul modello delle Leges Vaticanae: Sec. XI, membr., Italia centr. (Roma?), mm 210 × 140, ff. , a, 149 (- f. 42 omesso dal copista), ; ff. a, 149 membr., sec. XV, Roma. 1. (ff. 1r-186v) Historia Langobardorum. Libro I: ff. 1r23v; libro II: ff. 23v-43r; libro III: ff. 43r-66r; libro IV: ff. 66r-93v; libro V: ff. 93v118r; libro VI: ff. 118r-146v. Rubr. In nomine domini incipiunt capitula de historia 3 Vd. infra alla n. 4. La Graphia aureae urbis Romae comprende quattro distinte sezioni: l’Ystoria gentis Troyane a Noe usque ad tempora sua; una versione rimaneggiata dei Mirabilia urbis Romae, databile post 1154 per la presenza di un riferimento alla tomba di papa Anastasio IV; il Libellus de caerimoniis aulae imperatoris, un trattato su cariche, cerimonie e abiti di corte della Roma antica sostanzialmente basato sulle Etymologiae di Isidoro e derivante dal Liber dignitatum Romani imperii di Pietro Diacono; le tre formule conclusive sulla creazione di un console, un giudice e un cittadino romano, mutile del finale. Sull’opera ricordiamo almeno P. E. SCHRAMM, Kaiser, Rom und Renovatio. Studien und Texte zur Geschichte des römichen Erneuerungsgedankes vom Ende des karolingischen Reiches bis zum Investiturstreit, I-II, Leipzig – Berlin 1929: I, pp. 193-217 e II, pp. 68-104; R. VALENTINI – G. ZUCCHETTI, Codice topografico della città di Roma, III, Roma 1946 (Fonti per la Storia d’Italia, 90), pp. 77-110; H. BLOCH, Der Autor der Graphia aureae urbis Romae, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 40 (1984), pp. 55–175: 87-89; M. DELL’OMO, Le tre redazioni dell’‘Autobiografia’ di Pietro Diacono (Codici Casin. 361, 257, 450). Contributo alla storia della cultura monastica medievale, in Florentissima proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica Reginaldo Grégoire O.S.B. XII lustra complenti oblata, a cura di D. GOBBI, Trento 1996 (Biblioteca civis, 9), pp. 145-231: 207-209 e da ultimo J. PETERSOHN, Kaisertum und Rom in spätsalischer und staufischer Zeit. Romidee und Rompolitik von Heinrich V. bis Friedrich II., Hannover 2010 (MGH Schriften, 62), pp. 49-57. 4 Gli altri due testimoni conservati delle formule, mss. Vat. lat. 1983 e Ott. lat. 941, sono entrambi come vedremo descripti del Vat. lat. 4917. Il Laur. Plut. 90 inf. 41, di secolo XIII con aggiunte del XIV, è l’unico testimone completo della Graphia aureae urbis Romae, copiata ai ff. 33vA-37vB: cfr. le descrizioni del codice in A. CRIVELLUCCI, Per l’edizione della Historia romana di Paolo Diacono, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo 40 (1921), pp. 7-103: 73-76 e in Seneca: una vicenda testuale. Mostra di manoscritti ed edizioni (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 2 aprile – 2 luglio 2004), a cura di T. DE ROBERTIS e G. RESTA, pp. 397-398.

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langobardorum; inc. [cap.] De germania quod plures nutriat; [text.] Septentrionalis plaga quanto magis; expl. francorum avarumque pacem custodiens; rubr. Explicit liber sextus de historia langobardorum. Finis., cfr. Pauli Historia Langobardorum cit., pp. 45-187. 2. (ff. 146v-147v) . 1 Rubr. Qualiter patricius sit faciendus, inc. Patricii ergo dignitas taliter disponenda est; expl. Tunc ponat ei in caput aureum circulum et dimittat eum. 2 Rubr. Qualiter iudex constituendus sit, inc. Quando iudex constitui debet veniat autem ad imperatorem; expl. et det ei osculum et dimittat eum. 3 Rubr. Qualiter romanus fieri debeat, inc. Si quis romanus fieri desiderat humiliter ad imperatorem fideles suos mittat; expl. illum quem vos hodie mihi denuntiastis romanae legis iubemus [sic], cfr. VALENTINI – ZUCCHETTI, Codice topografico cit., pp. 109-1105. Pergamena di qualità piuttosto modesta, con lato carne bianco e lato pelo giallastro. Buona la conservazione, anche grazie a due distinti interventi di restauro, il primo nel sec. XIX (in connessione con la legatura) e il secondo datato al 29 gennaio 2001 da etichetta sulla controguardia inferiore. I primi e gli ultimi fogli appaiono comunque i più danneggiati, forse perché privi per un certo tempo di protezione. Le guardie a e 149 sono costituite da due frammenti membranacei del sec. XV, mal conservati e quasi illeggibili; il margine superiore del f. a, reciso, è stato recentemente integrato con un inserto di materiali opachi di restauro in Biblioteca Vaticana. Il codice appare leggermente rifilato. Diciotto quaternioni disposti in ordine e seguiti da un fascicolo conclusivo composto di tre fogli; a seguito del restauro, le guardie a e 149 risultano aggregate rispettivamente al primo e all’ultimo fascicolo: II + 19 (8 + 1°) (ff. a, 1-8), 28 (ff. 9-16), 38 (ff. 17-24), 48 (ff. 25-32), 58 (ff. 33-40), 68 (ff. 41-49), 78 (ff. 50-57), 88 (ff. 58-65), 98 (ff. 66-73), 108 (ff. 74-81), 118 (ff. 82-89), 128 (ff. 90-97), 138 (ff. 98-105), 148 (ff. 106-113), 158 (ff. 114-121), 168 (ff. 122-129), 178 (ff. 130-137), 188 (138-145), 194 (3 + 4°) (ff. 146-148, 149) + II’. I fascicoli 1-18 sono segnati con numeri romani nel verso dell’ultimo foglio, in calce al centro (ad eccezione del fasc. 8, che omette il numero al f. 65v), mentre il fasc. 19 è numerato nel recto del primo foglio, sempre in calce al centro; è presente un unico richiamo, alla fine del fasc. 18 (f. 145v), disposto in orizzontale nel margine inferiore a destra. Lato carne e lato pelo sempre affrontati, con l’unica eccezione dei ff. 147v-148r. L’ultimo fascicolo, scritto fino alla fine del f. 147v e seguito da un foglio vuoto già preparato per la scrittura, appare eccentrico rispetto al resto. A seguito dei restauri, la sua composizione risulta però di difficile definizione, e la probabile caduta di fogli tra 147 e 148 non può essere dimostrata con assoluta certezza; rimane comunque l’ipotesi più verosimile per spiegare le attuali condizioni del testo. Le guardie a e 149 sono stati inserite nel sec. XV e si presentano scritte rispettivamente in senso trasversale e capovolto; in età più recen5

Le tre formule alla fine del Vat. lat. 4917 sono state identificate ed edite a partire da F. BLUHME, Miszellen, in Rheinisches Museum für Jurisprudenz 5 (1833), pp. 119-140: 123126; ID., De patricio, iudice civeque romano faciendo, Hannover 1868 (MGH, Leges Langobardorum), pp. 661-662; W. VON GIESEBRECHT, Geschichte der deutschen Kaiserzeit, I, Leipzig 18815, pp. 892-893.

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te sono state aggiunte altre guardie, stavolta cartacee e non numerate (ff. II-I’ del sec. XIX, in connessione con la legatura, e ff. I-II’ aggiunti in occasione del restauro del manoscritto nel 2001). Nel recto di ogni foglio, al centro del margine superiore, titoli correnti dell’Historia Langobardorum. Foliazione cinquecentesca a penna nell’angolo in alto a destra di ogni foglio, in cifre arabe; spesso è stata ripassata successivamente (XVII sec.) con un tratto più scuro, che corregge anche l’errore di conteggio ai ff. 42-43 (omissione del n. 42, poi aggiunto accanto al 43). Il foglio di guardia a è stato numerato a matita in concomitanza con l’ultimo restauro. Rigatura a punta secca con doppia giustificazione; fori per la squadratura e fori di rigatura laterali realizzati a margine, vicino all’estremità della colonna scritta; le linee rettrici talvolta sconfinano nel margine. Una colonna, 24 ll. per foglio. Campo scrittorio di mm 150 × 90 circa. Quasi interamente di un’unica mano in minuscola carolina posata dell’XI secolo, in inchiostro bruno chiaro. La scrittura è tondeggiante e di modulo piuttosto grande, caratterizzata da aste ascendenti con coronamento a forcella; la separazione delle parole è irregolare. Nel fasc. 19 (ff. 146rv-147rv) intervengono almeno altre due mani, sempre del sec. XI, più impacciate e discontinue; nell’ultima, che ha copiato interamente le tre formule ai ff. 146v-147v, appaiono più evidenti gli elementi propri della tipizzazione romanesca6, in particolare l’appiattimento del corpo delle lettere compreso nel binario centrale dello schema quadrilineare e la compresenza di d con asta diritta e d con asta inclinata molto appiattita, disposta quasi orizzontalmente. Al f. 147v, ll. 21-22, un punto interrogativo è preceduto, all’inizio della proposizione, dal segno di domanda tipico della scrittura beneventana a forma di 2. Le guardie quattrocentesche ar e 149v sono in minuscola cancelleresca. Iniziali decorate oppure contornate, in nero e rosso o interamente in rosso; la morfologia delle lettere è stata accostata da Laura Pani7 a quella degli elementi decorativi nel ms. St. Gallen, Stiftsbibliothek, 635 dell’Historia Langobardorum e ricondotta a «un modello comune tale da influenzare, almeno nello stile delle iniziali, una parte non indifferente della tradizione manoscritta». Inscriptiones, incipit ed explicit sono rubricati e in maiuscola. Suddivisione in capitula, ciascuno con il primo rigo in maiuscola a lettere nere con tocchi di rosso, oppure nere e rosse alternate, e iniziale calligrafica o decorata, anch’essa in rosso oppure in inchiostro nero con tocchi di rosso. I capitula sono contraddistinti con numeri romani in rosso e preceduti dai rispettivi sommari, che presentano iniziale rubricata in modulo medio sporgente rispetto al testo; lo stesso avviene nelle sezioni in poesia per la lettera iniziale di ciascun verso. In generale, la decorazione è piuttosto disomogenea: variano l’inchiostro rosso impiegato e lo stile delle iniziali, mentre spesso (soprattutto nella seconda metà del codice) il primo rigo dei capitoli e i capilettera sono vergati in nero, senza intervento del rubricatore, oppure si omettono i numeri romani. Sul codice hanno operato tra XII e XVI secolo numerose mani correttrici, alcune con interventi isolati e altre in modo sistematico. La serie di interventi più rilevanti è da ricondurre ad almeno una mano dei secc. XII-XIII in textualis di piccolo 6 Cfr. H. HOFFMANN, Italienische Handschriften in Deutschland, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 65 (2009), pp. 29-82: 60. 7 Cfr. L. PANI, Aspetti della tradizione manoscritta cit., p. 399.

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modulo, operante su tutto il codice con un inchiostro quasi nero: a margine questo stesso annotatore interviene con glosse e segni di Notabene ora più ora meno elaborati, nel corpo del testo invece corregge punteggiatura, ortografia e separazione delle parole; più raramente apporta correzioni di indole testuale (ad es. ai ff. 7v, 15r-16r, 20v) e brevi aggiunte esplicative in interlinea o a margine (ad es. ai ff. 11r, 14v-15r, 15v). Le correzioni a testo e gli interventi marginali di maggior estensione appaiono concentrati nei fogli iniziali, mentre si diradano dalla metà circa del II libro. Una seconda mano correttrice, in corsiva umanistica del sec. XV, appone notabilia marginali in modo sistematico all’inizio del codice (ff. 1-14r), talvolta sopra rasura (ff. 8r e 14r); in seguito gli interventi si fanno più radi e discontinui (ff. 32r; 85v-93r e 99r-111v). I notabilia sono incolonnati e a volte connessi a formare caratteristici piccoli diagrammi (ff. 5v, 6v, 8v, 11rv, 13v); solo al f. 108r è riportata una variante testuale. Alla stessa mano si possono far risalire le note apposte al f. av (Paulus uuarnefrit filius foroiulianus patria Langobardus gente / vir doctissimus hanc historiam conscripsit / ut infra comperies libro iiii° c.° xxxviii) e nel margine superiore del f. 1r (Paulus Foroiulianus), nonché una manicula molto sbiadita al f. 1v e un richiamo verticale al f. 91r. Sul codice sono infine presenti annotazioni marginali (ancora notabilia e, al f. 120r, una manicula) di mano corsiva del sec. XVI, operante in inchiostro bruno rossastro a partire dal f. 16v. Al f. 148r, bianco, compaiono alcune probationes calami tra cui Paulus servus Ihesu Christi (sec. XIIIXIV). Il manoscritto è giunto nel sec. XVI nella collezione libraria del card. Guglielmo Sirleto8, ed è censito nell’inventario completato subito dopo la sua morte, tra 1585 e 1588 (Vat. lat. 6163, f. 328v: 125. Langobardorum historia); insieme al resto della sua biblioteca, è stato quindi acquistato prima dal cardinale Ascanio Colonna (1588) e poi dal duca Giovanni Angelo Altemps (1611). È infine censito nella lista degli 84 codici sirletiani acquisiti da Paolo V per la Biblioteca Apostolica Vaticana 8 Sulla storia del fondo Sirleto si rimanda a L. DOREZ, Recherches et documents sur la bibliothèque du cardinal Sirleto, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 11 (1891), pp. 457-491; G. MERCATI, Codici latini Pico Grimani Pio e di altra biblioteca ignota del secolo XVI esistenti nell’Ottoboniana e i codici greci Pio di Modena con una digressione per la storia dei codici di S. Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1938 (Studi e testi, 75), pp. 106-143; J. BIGNAMI ODIER, La Bibliotèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), pp. 53-55 e 101; I. BACKUS – B. GAIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto (1514-1585), sa bibliothèque et ses traductions de saint Basile, in Melanges de l’École française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes 98 (1986), pp. 889-955; F. RUSSO, La biblioteca del card. Sirleto, in Il card. Guglielmo Sirleto (1514-1585). Atti del Convegno di studio nel IV centenario della morte (Guardavalle, S. Marco Argentano, Catanzaro, Squillace, 5-7 ottobre 1986), a cura di L. CALABRETTA – G. SINATORA, Catanzaro – Squillace 1989, pp. 219-299: 292; P. PIACENTINI, Marcello Cervini (Marcello II). La Biblioteca Vaticana e la Biblioteca personale, in La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), pp. 105-143: 124-125; S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, ibid., pp. 145-188; A. DI SANTE – A. MANFREDI, I Vaticani latini: dinamiche di organizzazione e di accrescimento tra Cinque e Seicento, in La Vaticana nel Seicento (1590-1700): una biblioteca di biblioteche, Città del Vaticano 2014 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 3), pp. 461-502: 483-484.

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nel 1612 (n. 32 della lista dei codici latini in Arch. Bibl. Vat., t. 33, f. 99v), quando al f. av è stata apposta la notazione tipica di questo gruppo di provenienze Emptum ex libris Cardinalis Sirleti. Al 1619-1620 risale la copia allestita su richiesta del duca Altemps (precedente proprietario della collezione) dopo l’ingresso del manoscritto in Vaticana, corrispondente all’attuale Ott. lat. 941. Nell’angolo superiore sinistro del f. 1r è ancora leggibile la segnatura della biblioteca del Sirleto 125. Segnature e timbri vaticani del sec. XIX ai ff. av, 1r e 147v. Legatura del 1860-1866 con quadranti di cartone rivestiti di pergamena chiara; sul dorso compaiono stemmi in oro di Pio IX (1846-1878) e del bibliotecario card. Antonio Tosti (1860-1866); al centro del dorso, tassello in cuoio con segnatura attuale impressa in oro. Due etichette cartacee con la segnatura vaticana sono incollate all’estremità inferiore del dorso e sulla controguardia iniziale; su quella finale, etichetta del laboratorio di restauro della Biblioteca, di cui si è già fatto cenno, con la data dell’ultimo restauro (29 gennaio 2001).

Importanti indizi per la storia recente del manoscritto sono offerti dai fogli di guardia a e 149. Si tratta di pergamene di scarto in cui sono riportati documenti emessi sotto il pontificato di Martino V (1417-1431) dal cardinale vescovo di Albano Giordano Orsini: il primo è datato 31 marzo 1428 e indirizzato al vescovo di Tournai Jean de Thoisy, il secondo (con data illeggibile) è indirizzato a Pietro Emiliani, vescovo di Vicenza dal 1409 al 14339. Proprio sulla base di questi documenti, Giovanni Mercati ha già ipotizzato che «il codice si trovasse a Roma nel secolo XV, e che forse è l’“Ystoria Langobardorum” posseduta dal cardinale Giordano»10. Il manoscritto, prima di giungere nelle mani del Sirleto, sarebbe stato cioè di proprietà di Giordano Orsini, e corrisponderebbe all’Ystoria Langobardorum censita negli inventari della ben nota raccolta manoscritta allestita dal porporato romano, destinata per eredità a una biblioteca pubblica da costituirsi nell’Urbe. L’Ystoria compare infatti nell’inventario/rotolo del 1426/7 ca., nell’elenco del testamento dell’Orsini del 1434 e infine nell’inventario del 143911; 9 Per il primo documento cfr. f. ar: inc. Venerabili [in xpo.] pri .. dei [gra] Epo. Tornacen. [vel eius vicario ... / miser]atione divina E[ps.] Albanen; expl. Romae apud Sa[nctos apo]stolos ii kal. Aprilis Pont. dni. Mar[tini] pp. v A[nno] U[ndecimo]. Per il secondo documento cfr. f. 149v: inc. Venerabili in xpo. pri. .. dei gra. Epo. Visen. vel eius v[icario]; expl. Pont. d[ni. Mart]ini. 10 Cfr. MERCATI, Codici latini Pico Grimani Pio cit., p. 131. 11 Per il rotolo del 1426/27 cfr. F. CANCELLIERI, De secretariis basilicae vaticanae veteris ac novae libri II…, Romae, 1786, pp. 906-914: 907; il testamento dell’Orsini, conservato in BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Perg., caps LVIII, fasc. 206 è invece edito in C. S. CELENZA, The will of Cardinal Giordano Orsini (ob. 1438), in Traditio 51 (1996), pp. 257-286: p. 279, par. 22. Per l’inventario del 1439 cfr. infine BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 3, ff. 71r-74v: 73v.

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insieme alla gran parte della collezione libraria, è quindi passata al Capitolo di S. Pietro ed è stata trasferita entro il 1454 nella sagrestia nuova della Basilica12, dove la ritroviamo censita prima negli inventari dei soli manoscritti orsiniani (datati 1454 e 1456) e poi nell’inventario complessivo del Capitolo redatto nel 1484 ca.13. Sul Vat. lat. 4917 non rimane invece traccia della segnatura in numeri romani apposta ai codici del Capitolo nella seconda metà del sec. XV, forse recisa con il margine superiore del foglio di guardia a. Negli inventari successivi, dal 1567 in poi, non si trova più alcuna menzione di un’Ystoria Langobardorum: è possibile che il manoscritto sia andato disperso con il sacco di Roma del 1527 o con una vendita di libri considerati inutili nel 1535, oppure che il Sirleto stesso ne sia entrato in possesso direttamente dal Capitolo poco dopo la metà del secolo. L’identificazione del Vat. lat. 4917 con il codice di Giordano Orsini è stata proposta da Mercati con una certa cautela, in quanto come si è visto sul manoscritto non compaiono indizi materiali che possano dimostrare questo passaggio. L’ipotesi può ora essere confermata grazie all’esame di un secondo testimone dell’Historia Langobardorum, copiato come vedremo proprio presso il Capitolo di S. Pietro alla metà del sec. XV: il Vat. lat. 1983. 2. Il ms. Vat. lat. 1983: una silloge storica copiata al Capitolo di S. Pietro Il Vat. lat. 1983 è un manoscritto membranaceo di mm 338 x 234, ff. I, 131, allestito a Roma tra 1440 e 1464 per il cardinale Pietro Barbo (poi papa Paolo II tra 1464 e 1471), il cui stemma cardinalizio è riportato nel margine inferiore del f. 1r14. Il manoscritto, elegantemente decorato con 12

Sulla biblioteca di Giordano Orsini e sul suo iter dopo la morte del cardinale cfr. MERCodici latini Pico Grimani Pio cit., pp. 144-168; G. LOMBARDI – F. ONOFRI, La biblioteca di Giordano Orsini (c. 1360-1438), in Scrittura, Biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Aspetti e problemi. Atti del Seminario 1-2 giugno 1979, a cura di C. BIANCA – P. FARENGA – G. LOMBARDI – A. G. LUCIANI – M. MIGLIO, Città del Vaticano 1980 (Littera Antiqua, 1.1), pp. 371-382; G. LOMBARDI, Inventari di biblioteche romane del Quattrocento: un panorama, in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secoli IX-XV). Fonti, testi, utilizzazione del libro. Livres, Lecteurs et bibliothèques de l’Italie médiévale (IXe-XVe siècle). Sources, textes et usages. Atti della Tavola rotonda italo-francese (Roma, 7-8 marzo 1997), cur. D. NEBBIAI DALLA GUARDA – G. LOMBARDI, Paris – Roma 2000, pp. 349-372; C. E. CELENZA, voce Orsini, Giordano in DBI 79, Roma 2013, pp. 657-662. 13 Cfr. rispettivamente BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 2, ff. 17r-20r: 17v e Inv. 4, ff. 21r26r: 22r e BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 2, ff. 71r-81r: f. 78v, all’ultima voce della sezione In quinta banca a dextris. Per l’elenco degli inventari del Capitolo cfr. LOMBARDI, Inventari di biblioteche romane del Quattrocento cit., pp. 361-363. 14 Per una descrizione del manoscritto cfr. B. NOGARA, Codices Vaticani Latini, III: Codices 1461-2059, Città del Vaticano 1912, pp. 386-387 e ancora CRIVELLUCCI, Per l’edizione della «Historia romana» cit., nr. 47 a p. 90. Sul codice si vedano anche J. RUYSSCHAERT, Miniaturistes «romains» sous Pie II, in Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II. Atti del Convegno per il CATI,

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iniziali «a bianchi girari» da Gioacchino de Gigantibus, è stato copiato da un’unica mano estremamente regolare in antiqua rotunda della metà del sec. XV. La stessa mano trascrive anche tutte le rubriche di incipit ed explicit, nonché i numerosi notabilia apposti ai ff. 85r-130v (contenenti l’Historia Langobardorum); le note più fitte riportate ai margini dei ff. 1r10v sono invece attribuibili a una mano differente, in corsiva umanistica15. Il codice comprende tre distinte opere storiche: 1. (ff. 1r-44v) Pauli Diaconi Historia romana. Inc. Primus in Italia ut quibusdam placet; expl. libello promenda sunt, cfr. Pauli Diaconi Historia romana, ed. A. CRIVELLUCCI, Roma 1914 (Fonti per la storia d’Italia, 51), pp. 5-238; Eutropi Breviarium ab urbe condita (MGH, AA, II) pp. 6-224. F. 45rv: vuoto. 2. (ff. 46r-84v) Leonardi Bruni Arretini De bello italico adversus Gothos libri I-IV. Inc. Etsi longe mihi iocundius fuisset; expl. anni decimi octavi huius belli, ed. Basileae ex officina Petri Pernae, 1531; H. BARON, Leonardo Bruni Aretino. Humanistisch-philosophische Schriften mit einer Chronologie seiner Werke und Briefe, Leipzig 1928 (Quellen zur Geistesgeschichte des Mittelalters und der Renaissance), pp. 147-149 (praefatio). 3. (ff. 85r-130v) Pauli Diaconi Historia Langobardorum libri I-VI. Rubr. In historiam Langobardorum Pauli Foroiuliani Viri doctissimi liber primus incipit. De germania quod plures [...]; inc. Septentrionalis plaga quanto magis; expl. Avarumque pacem custodiens; rubr. In historiam Langobardorum Pau. For. liber VI explicit, cfr. Pauli Historia Langobardorum cit., pp. 45-187. Accedunt in fine (f. 130rv) formulae III de patricio, iudice civeque romano faciendo. Rubr. Quemadmodum per Imperatorem patricius constitui consueverit; inc. Patricii ergo dignitas taliter disponenda est; expl. romane legis iubemus, cfr. VALENTINI – ZUCCHETTI, Codice topografico cit., pp. 109-110. quinto Centenario della morte e altri scritti, a cura di D. MAFFEI, Siena 1968, pp. 245-282: 273; J. FOHLEN, Les manuscrits classiques dans le fonds Vatican latin d’Eugène IV (1443) à Jules III (1550), in Roma Humanistica. Studia in honorem Rev. adm. Dni. Dni. Iosaei Ruysschaert, edidit I. IJSEWIJN, Leuven 1985 (Humanistica Lovaniensia, 34A), pp. 1-51: 10, 26, 49; J. HANKINS, Repertorium Brunianum. A critical guide to the writings of Leonardo Bruni, I, Roma 1997 (Fonti per la storia dell’Italia medievale. Subsidia, 5), p. 200; A. MANFREDI, I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 359), pp. 230 e 234; L. B. MORTENSEN, The Diffusion of Roman Histories in the Middle Ages. A List of Orosius, Eutropius, Paulus Diaconus, and Landulfus Sagax Manuscripts, in Filologia mediolatina 6-7 (1999-2000), pp. 101-200: 196; J. KUJAWIÑSKI, Alla ricerca del contesto del volgarizzamento della Historia Normannorum di Amato di Montecassino: il manoscritto francese 688 della Bibliothèque nationale de France, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo 112 (2010), pp. 91-135: 121. Ruysschaert segnalava che il blasone al f. 1r potrebbe forse essere stato dipinto sopra uno stemma precedente (secondo una pratica ben attestata tra i codici del futuro Paolo II); a seguito di un esame diretto del manoscritto, tuttavia, non sono emerse ulteriori indizi in questo senso. 15 Cfr. già NOGARA, Codices Vaticani Latini cit., p. 386.

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Il volume si compone di tredici quinioni non numerati disposti in ordine: 111 (ff. I, 1-10), 210 (ff. 11-20), 310 (ff. 21-30), 410 (ff. 31-40), 510 (ff. 41-50), 610 (ff. 51-60), 710 (ff. 61-70), 810 (ff. 71-80), 910 (ff. 81-90), 1010 (ff. 91-100), 1110 (ff. 101-110), 1210 (ff. 111-120), 1311 (ff. 121-130, 131). Richiami disposti in orizzontale nell’ultimo foglio di ciascun fascicolo, nel margine inferiore del verso a destra. Doppia squadratura a secco, 47 ll. per foglio. Legatura romana di inizio XVII secolo (1623-26) in assi di legno ricoperte di cuoio bruno chiaro con impressioni dorate. Entrambe le coperte presentano due cornici rettangolari a secco formate da tre filetti, congiunte ai quattro angoli da quattro api araldiche della famiglia Barberini in oro; al centro dei due specchi, grandi stemmi dorati di papa Urbano VIII Barberini (1623-1644) nel piatto anteriore e del bibliotecario card. Scipione Cobelluzzi (1618-1626) in quello posteriore. In entrambi i piatti sono visibili due gruppi di tre fori ciascuno nel margine laterale esterno, in corrispondenza del punto di attacco di due bindelle ora cadute. Sul dorso, quattro nervature delimitate da triplici filetti a secco; nel primo e nel terzo compartimento sono incollate due etichette cartacee con l’attuale segnatura vaticana, mentre sul secondo, sul quarto e sul quinto è impressa in oro l’ape dei Barberini. Cucitura in spago; doppi nervi in pelle allumata.

La divisione del manoscritto in tre parti dal punto di vista contenutistico non si riflette sul suo allestimento materiale, evidentemente rispondente a un progetto unitario, quanto piuttosto sulle caratteristiche testuali delle tre opere, discendenti da modelli differenti e, almeno in due casi, ben riconoscibili. Per la sua terza sezione, in particolare, il Vat. lat. 1983 è stato identificato come descriptus del Vat. lat. 4917 sin dagli studi preparatori di Pertz e Bethmann all’edizione dell’Historia Langobardorum16: ne riproduce infatti fedelmente il testo, presentando anche le tre formulae in fondo (ovviamente mutile del finale)17, copiate senza soluzione di continuità proprio come le leggeva nel modello. A seguito di un esame diretto del Vat. lat. 1983, tale rapporto di dipendenza è risultato evidente non solo su base testuale, ma anche per la presenza nel descriptus di precise riproduzioni dei marginalia quattrocenteschi apposti nel Vat. lat. 4917 dalla mano correttrice in corsiva umanistica, a volte leggermente modificati oppure arricchiti. A titolo di esempio si possono citare le note ai primi due capitoli del libro I18: Germania; Gothi, Wandali, Rugi, Heroli, Turicilingi, Vuinnili idest Langobardi; Scandinavia; Plinius (Plinius secundus Vat. lat. 4917)19, oppure quelle al capitolo vente16

Cfr. supra alla n. 1. Cfr. la nota deficit apposta dallo stesso copista nel margine esterno del f. 130v, dopo la fine della terza formula (alla l. 37); gli ultimi 10 righi del foglio sono lasciati bianchi. 18 Hist. Lang., pp. 47,25-48,16 ed. WAITZ-BETHMANN: cfr. Vat. lat. 4917, ff. 1r-2r e Vat. lat. 1983, f. 85r. 19 Subito dopo (capitoli 3-4 del primo libro) il Vat. lat. 1983 riproduce anche, con lievi 17

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simo20: Claffo VI; Tato VII; feld; Rodulfus herulorum; Germanus eius (om. Vat. lat. 4917); Rumetruda; nefanda mors (mors nefanda Vat. lat. 4917); heroli nudi; arbor; herolia; Rodulfus ceditur (Rodulfus rex herulorum occiditur Vat. lat. 4917); lina (Camporum lina Vat. lat. 4917); victoria; preda (om. Vat. lat. 4917); bandum idest vexillum (vexillum – bandum Vat. lat. 4917)21. Non solo: se infatti nel Vat. lat. 1983 i notabilia dell’Historia Langobardorum sono trascritti dalla stessa mano del copista, le fitte note marginali che si rinvengono nella prima sezione del codice (ff. 1r-10v, corrispondenti all’inizio dell’Historia romana di Paolo Diacono) sono attribuibili alla stessa mano in corsiva quattrocentesca che già aveva annotato il Vat. lat. 491722. La mano è caratterizzata primariamente dalla forma della g stretta e allungata sotto il rigo, con i due occhielli collegati da un tratto verticale pronunciato; dalla r di tipo moderno tondo (eseguita in un solo tratto) o diritto (in due tratti); dalla s minuscola di forma stretta e allungata, leggermente inclinata verso destra (spesso anche in fine di parola, dove però compare anche, più raramente, la forma ‘a sigma’); dalla h con il secondo tratto prolungato sotto il rigo verso sinistra; dalla linea ondulata con cui spesso due nomi incolonnati vengono collegati esternamente in modo da formare diagrammi stilizzati. Su queste basi, sembra dunque possibile ipotizzare che un unico lettore abbia apposto i propri marginalia (di interesse sostanzialmente storico e geografico, com’è logico data la natura delle opere) da un lato al testo dell’Historia Langobardorum nel Vat. lat. 4917, dall’altro a quello dell’Historia romana nel Vat. lat. 1983; le note dell’antigrafo per l’opera di Paolo Diacono sono state quindi fedelmente copiate nel descriptus dalla mano del copista principale. L’Historia Langobardorum non è l’unica opera del Vat. lat. 1983 per cui alterazioni, due note apposte in precedenza nell’antigrafo Vat. lat. 4917 dalla mano correttrice di XII-XIII secolo: De Ibor et Aio fratribus e De VIIem dormientibus. Proprio in virtù della stratificazione cronologica dei marginalia nel modello, egualmente confluiti nel descriptus, è possibile escludere l’ipotesi inversa quanto al rapporto tra i due codici: che cioè l’apparato di note sia nato direttamente nel Vat. lat. 1983 e che poi la mano in corsiva quattrocentesca l’abbia in parte copiato nel Vat. lat. 4917. 20 Hist. Lang., pp. 57,14-59,15 ed. WAITZ-BETHMANN: cfr. Vat. lat. 4917, ff. 11v-14r e Vat. lat. 1983, ff. 88r-89r. 21 Come si è visto, il Vat. lat. 4917 presenta questi marginalia soltanto ai ff. 1-14r; 32r; 85v-93r e 99r-111v: il copista del Vat. lat. 1983 ha invece completato la campagna di annotazioni per tutta la lunghezza del testo. 22 Cfr. ad esempio i marginalia incolonnati al f. 1r: Fanus; Saturnus qui et deus; Saturnia; Pycus qui in avem; Faunus; Carmetis nycostrata; Latinus inde Latini: Capta Tr | Iado | Tautanes | Thous | Principi | Diluvium | Abraham | Ninus | Moyses | Urbs cond | Olympias; Eneas: Turnus | Lavinia | Lavinium oppidum; Ascanius Iulius: Creusa | Alba longa | Silvius posthumus | Ascanius Iulius inde Iulii; Silvius posthumus inde Silvii; Silvius; Latinus Silvius: David; Alba Silvius; Athis Silvius.

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sia possibile identificare l’antigrafo: a seguito di un esame diretto, infatti, la prima sezione del codice (contenente l’Historia romana) si è rivelata descripta di un altro manoscritto orsiniano confluito nel Capitolo di S. Pietro: Arch. Cap. S. Pietro E. 3123. Si tratta di un codice in umanistica rotunda di ff. 128, mm 205 × 150, copiato nel 1427 da Antonio de Sicheriis da Padova24, la cui provenienza dalla collezione di Giordano Orsini è resa certa dalla presenza delle armi del cardinale all’interno dell’iniziale decorata al f. 3r. Nel manoscritto è inoltre ancora leggibile in testa al f. 2r la segnatura in numeri romani (CCXLVIII) apposta ai codici del Capitolo di S. Pietro verso la fine del sec. XV: possiamo dunque identificare con certezza Arch. Cap. S. Pietro E. 31 con l’Eutropius censito nel rotolo di Orsini del 1426/725 e poi negli inventari del Capitolo di S. Pietro a partire dal 148426, ipotizzando 23 Tra gli errori condivisi da Arch. Cap. S. Pietro E. 31 e Vat. lat. 1983 all’inizio dell’opera possiamo citare: p. 8,9 David regnabat] in iude(a) regnabat, om. David; p. 8,11 egyptus sive Atys] epius sive artus; p. 8,13 qui Capuam in Campania condidit] qui Campaniam condidit, om. Capuam in; p. 9,1-2 Dehinc Remus Silvius Agrippe superiori filius, regnavit annis decem et novem] Post Agrippam Silvium regnavit Aventinus Silvius [sic] filius superioris Agrippe (annis) XIX; p. 9,2-3 Iste praesidium Albanorum inter montes, ubi unc Roma est, posuit] Iste enim predium Albanorum mutavit et inter montes ubi nunc Roma est posuit; p. 10,9 filius] Silvius (quasi tutti questi errori nel Vat. lat. 1983 sono corretti a margine dalla mano in corsiva umanistica, che evidentemente per questi primi capitoli stava sistematicamente collazionando un altro testimone; le correzioni si interrompono a partire dal f. 2r). I due codici condividono inoltre l’inserzione di numerose rubriche preposte ai paragrafi dell’Historia romana, a partire da p. 13,8: Numa pompilius .II. (cfr. Arch. Cap. S. Pietro E. 31, f. 6v; Vat. lat. 1983, f. 2r) fino a titoli più complessi e articolati come quelli all’altezza di p. 17,1: Hinc ceperunt consules regnare videlicet Lucius Iunius et Brutus e di p. 17,13: Ubi bellum rex Tarquinius qui fuerat expulsus egit cum Romanis et Brutus cum Arrone Tarquini filio in vicem se occiderunt (cfr. Arch. Cap. S. Pietro E. 31, ff. 8v-9r; Vat. lat. 1983, f. 3r). Gli errori comuni ai due codici (e il loro carattere singolare) sono stati identificati in relazione all’apparato di Crivellucci, che però si basa su soli 11 manoscritti dell’Historia romana rispetto ai 218 testimoni censiti da MORTENSEN, The Diffusion of Roman Histories cit.: in attesa di uno studio più completo della tradizione dell’opera, questi dati andranno quindi considerati come provvisori. 24 Si veda la sottoscrizione apposta alla fine dell’Historia romana, f. 127r: Explicit liber eutropii rerum gestarum romanorum / factus per me antonium de sicheriis de padua / Inceptus die sabati quinto decimo mensis mar/cii anni 1427. Expletus vero fuit die decimo septimo Iunii eiusdem milesimi ad laudem dei). Per una descrizione del manoscritto cfr. CRIVELLUCCI, Per l’edizione della «Historia romana» cit., nr. 41 a p. 86; Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, Catalogue établi par É. PELLEGRIN et J. FOHLEN, C. JEUDY, Y.-F. RIOU, avec la collaboration d’A. MARUCCHI, I: Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni, Paris 1975 (Documents, Études et Répertoires publiés par l’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes, 21), p. 38; MORTENSEN, The Diffusion of Roman Histories cit., p. 192. 25 Cfr. CANCELLIERI, De secretariis basilicae cit., p. 909. 26 BAV, Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 2, ff. 71r-81r: f. 78v, sempre nella sezione In quinta banca a dextris evidentemente dedicata alla storia profana. Purtroppo non è stato possibile identificare il modello della sezione intermedia del Vat. lat. 1983 (ff. 46r-84v), comprendente l’Historia gothorum di Leonardo Bruni: l’inventario del Capitolo del 1454 non cita infatti nessun testimone dell’opera.

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che appunto presso il Capitolo il suo testo sia stato trascritto nel codice di Pietro Barbo. In conclusione: se il Vat. lat. 1983, approntato a Roma tra 1440 e 1464 (gli anni del cardinalato del futuro Paolo II), ha ricavato il testo dell’Historia romana da un manoscritto collocato presso il Capitolo di S. Pietro, è verosimile che nello stesso luogo abbia avuto accesso anche all’antigrafo da cui ha copiato l’Historia Langobardorum, ossia il Vat. lat. 4917: è dunque possibile confermare l’identificazione di quest’ultimo manoscritto con l’Ystoria di Giordano Orsini passata al Capitolo, secondo l’ipotesi già avanzata da Mercati. L’analisi testuale e paleografica di un descriptus, unita alla considerazione degli inventari dell’Archivio Capitolare di S. Pietro, ha così permesso da un lato di dimostrare la provenienza del codice di Sirleto dalla collezione orsiniana; dall’altro di riconoscere il Vat. lat. 1983 come apografo di Arch. Cap. S. Pietro E. 31 per il testo dell’Historia romana, con la conseguenza di ‘eliminare’ in termini stemmatici il codice dal lungo elenco dei testimoni dell’opera. Il suo valore andrà ora contestualizzato all’interno della ben poco nota collezione libraria di Paolo II, confluita — come pure il codice di cui si è fatto qui cenno — nella raccolta palatina alla morte del pontefice veneziano.

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UNA SCONOSCIUTA VERSIONE LATINA DI GIOVANNI BATTISTA GABIA DELLE ORAZIONI DI GIORGIO SCOLARIO E DELLA APOCRIFA DIFESA DEL CONCILIO DI FIRENZE (MS. BONC. A.4) Nell’estate del 1578 Giovanni Battista Gabia era incaricato dal cardinale Giulio Antonio Santoro di tradurre in latino le orazioni di esortazione all’unione tenute ai connazionali greci al Concilio di Firenze del 1439 da Giorgio Scolario; di propria iniziativa aggiungeva la versione del trattato in difesa del Concilio e del decreto di unione che andava sotto il nome di Gennadio Scolario, patriarca di Costantinopoli. Le due versioni, inedite e fin qui quasi del tutto sconosciute, sono contenute nel manoscritto della Biblioteca Apostolica Vaticana Bonc. A.4, dedicato a papa Gregorio XIII. Si intende presentare il manoscritto e delineare il profilo del poco noto traduttore, esaminando il suo ruolo e la genesi della versione dei due testi nel contesto della Roma della Controriforma. Ci si interrogherà sulla conoscenza che si aveva a Roma di Giorgio-Gennadio Scolario; sulla funzione che la traduzione latina delle due opere aveva nelle intenzioni della committenza, e sulle ragioni per cui le versioni di Gabia rimasero inedite. Il manoscritto Bonc. A.4 non sembra essere stato finora studiato1. Solo il contenuto è sommariamente registrato nell’indice alfabetico degli autori del Fondo Boncompagni2. Ne offro una descrizione completa nell’Appendice I. 1 È segnalato in P. O. KRISTELLER, Iter Italicum. A finding list of uncatalogued or incompletely catalogued humanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and other libraries (d’ora in poi: KRISTELLER, Iter), VI, London – Leiden 1992, p. 410a. La traduzione di Gabia è citata in maniera vaga nel registro delle udienze col papa del cardinale Santoro, parzialmente pubblicato da J. KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro and the Christian East. Santoro’s audiences and consistorial acts, edited with notes by J. KRAJCAR, Roma 1966 (Orientalia Christiana analecta, 177), pp. 27 e 108 (cfr. infra ntt. 42, 89 e contesto). V. LAURENT, L’édition princeps des actes du Concile de Florence (1577). Auteurs et circonstances, in Orientalia Christiana periodica 21 (1955), p. 174, e V. PERI, Ricerche sull’editio princeps degli Atti greci del Concilio di Firenze (d’ora in poi: PERI, Ricerche), Città del Vaticano 1975 (Studi e testi, 275), pp. 32-33, hanno nozione dell’esistenza della versione di Gabia dalle udienze del Santoro (Laurent attinge direttamente al registro, Peri all’edizione Krajcar), ma non la conoscono né conoscono il manoscritto. 2 L’indice, manoscritto, fu compilato da Carlo Rosa di Somasca nel 1757; cfr. J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 461-496.

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Quando il cardinale Santoro si rivolge a lui, Giovanni Battista Gabia è docente di greco allo Studium Urbis e ha al suo attivo alcune versioni in latino. Come traduttore gode di qualche fama. Il gesuita di Colonia Johannes Rethius (Rheitt, Reidt) lo ha incontrato nel 1573 a Roma, tappa finale di un iter Europaeum che aveva come scopo di reclutare studiosi cattolici da contraporre a quelli protestanti, attivissimi dagli albori della Riforma, per trasferire in latino i Padri greci3. L’anno dopo gli propone di fare una versione del commento di Cirillo Alessandrino ai dodici Profeti Minori. Nel suo vasto programma sono coinvolti, con Gabia, l’illustre Marc-Antoine Muret, Fabio Benvoglienti — che incontreremo ancora — Matteo Devaris e altri grecisti romani, nonché numerosissimi studiosi di vari paesi europei (tra cui il benedettino Jacques de Billy, Bonaventura Vulcanio, allora cattolico ma che sarebbe poi passato al calvinismo, il filologo classico Willem Canter)4. Il progetto non ebbe attuazione, perché l’ideatore perdeva la vita lo stesso anno, il 26 ottobre, per mano di un confratello uscito di senno5. Della biografia di Gabia (Gabius, Gabbia, Gabio) conosciamo poco; non sembra ci siano sue lettere, né parla di sé nelle dediche6. La data di nascita, a Verona, e quella della morte sono ignote. I termini estremi della sua attività sono il 1543, data della sua prima versione a noi nota, e il 1583, de manuscrits avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), p. 53; una copia, segnata 207(2), è consultabile nella Sala Manoscritti della Biblioteca Vaticana. 3 Rethius ne parla nel suo diario; cfr. J. HANSEN, Rheinische Akten zur Geschichte des Jesuitenordens, 1542-1582, Bonn 1896, p. 641. 4 Risulta da due lettere del Rethius. La prima al cardinale Guglielmo Sirleto, senza data, è pubblicata da LAURENT, L’édition princeps cit., p. 188, dal manoscritto Reg. lat. 2023, f. 414r: Rethius gli chiede di usare la sua autorità presso Gabia, Muret e Benvoglienti, affinché «te authore, reiectis haereticis, catholicos sibi obtigisse interpretes hi et simili Graeci Patres gaudeant et in caelesti gloria Deum pro te orent». L’altra, datata 16 marzo 1574, diretta al confratello gesuita Pietro Canisio, pubblicata in PETRI CANISII Epistolae et acta, collegit et annotationibus illustravit O. BRAUNSBERGER, VII: 1572-1581, Friburgi Brisgoviae 1922, pp. 198-199, illustra più ampiamente il progetto facendo il nome di un gran numero di traduttori e indicando come futuro editore Christophe Plantin. 5 Il commento di Cirillo Alessandrino ai dodici Profeti minori, in greco e latino, sarebbe uscito poi a Ingolstadt, il maggior centro gesuita della Controriforma in Germania, ad opera di Giacomo Pontano (Jakob Spannmüller) nel 1607. 6 Un profilo sommario in F. NIUTTA, Zosimus Historicus, in Catalogus translationum et commentariorum. Mediaeval and Renaissance Latin translations and commentaries. Annotated lists and guides. 11, G. DINKOVA-BRUUN editor in chief, J. HAIG GAISSER and J. HANKINS associate editors, Toronto 2016, pp. 185-189. La voce Gabia, Giovan Battista di E. DEL GALLO, in Dizionario biografico degli Italiani (d’ora in poi: DBI), 51, Roma 1998, pp. 20-21, è piuttosto approssimativa; l’elenco dei lavori di Gabia è incompleto; è senza fondamento la data di morte, circa 1590, che gli viene attribuita, visto che il suo ultimo lavoro uscì nel 1583, e non risulta che egli insegnasse alla Sapienza oltre il 1582.

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quando uscì l’ultima. Possiamo quindi presumere che fosse nato intorno al 1520; dopo il 1583 non se ne hanno più notizie. La sua carriera si divide in due fasi distinte. Inizia nella patria veneta. A Venezia nel 1543 pubblica una versione latina di Sofocle che illustra con i suoi scolii; è la prima traduzione di Sofocle edita a stampa7. Appartiene a questa fase la versione della Storia nuova di Zosimo (sec. V-VI). Gabia la esegue su richiesta del concittadino e amico Onofrio Panvinio, che la utilizza ampiamente e ne riporta uno stralcio, l’excursus sui ludi saeculares (II 1,1-7,2), in appendice al proprio De ludis saecularibus liber uscito a Venezia nel 1558; Panvinio menziona la versione eseguita per lui da Gabia anche in un manoscritto autografo, il Vat. lat. 6783, come ha fatto scoprire J.-L. Ferrary8. Nel frattempo Gabia compone anche versi apprezzati dai contemporanei9. Nel 1559, regnante Paolo IV, troviamo Gabia a Roma, docente di greco alla Sapienza, dove insegnò almeno fino al 158210. Il suo stipendio annuo, inizialmente di 90 scudi (contro i 40 del collega Duranus Pellotius per lo stesso insegnamento) arriverà progressivamente a 300 scudi. È giudicato «assiduus et benemeritus» nelle relazioni sull’attività accademica, che dal tempo di Pio V (1566-1572) sarà sottoposta a rigido controllo. Fra il 1568 7 Su cui É. BORZA, Sophocles redivivus. La survie de Sophocle en Italie au début du XVIe siècle. Éditions grecques, traductions latines et vernaculaires, Bari 2007, pp. 101-106. 8 ONUPHRII PANVINII Veronensis De ludis saecularibus liber, Venetiis, In officina Erasmiana apud V. Valgrisium, 1558. Nel Vat. lat. 6783 J.-L. FERRARY (Onofrio Panvinio et les antiquités romaines, Paris – Rome 1996, p. 47 nt. 34 sulla versione di Gabia) ha riconosciuto il progetto di una grande opera sulle antichità romane; in una rassegna di cinquanta storici latini e greci Panvinio inseriva Zosimo, informando che l’aveva tradotto in latino per lui il suo concittadino Giovanni Battista Gabia; cfr. anche NIUTTA, Zosimus Historicus cit., p. 164 e nt. 43. 9 I suoi epigrammi furono giudicati da Ludovico Domenichi (m. 1564) degni di figurare in una raccolta (manoscritta, composta nel 1560, Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 485, ff. 17r-18) a fianco dei versi di autori di ben altra fama postuma, come Vittoria Colonna, Angelo Colocci, Paolo Giovio. Lo stesso Giovio trascrisse di suo pugno alcuni componimenti di Gabia, e negli Elogia virorum bellica virtute illustrium, usciti a Firenze nel 1551, ne utilizzò uno per il ritratto del Grande Conestabile Carlo di Borbone. Nel suo Zibaldone, conservato presso la Biblioteca Comunale di Como, ms. Sup. 2.2.42, si trovano sia questo (p. 122, autografo di Giovio) che altri tre epigrammi di Gabia (pp. 110, 120, 142). Ringrazio vivamente per il suo aiuto Chiara Milani, responsabile scientifico della Biblioteca di Como. 10 E. CONTE, I maestri della Sapienza di Roma dal 1514 al 1787. I rotuli e altre fonti, Roma 1991 (Fonti per la storia d’Italia pubblicate dall’Istituto storico italiano per il Medio Evo, 116, 1-2), I, ad indicem. Non ha fondamento l’illazione di G. MARINI, Lettera al chiarissimo monsignor Giuseppe Muti Papazzurri già Casali, nella quale s’illustra il ruolo de’ professori dell’Archiginnasio romano per l’anno 1514, Roma, M. Puccinelli, 1797, p. 134 nt. 4, ripresa da DEL GALLO, Gabia cit., che Gabia sia succeduto a Nicolò Majorano nel 1553, quando il Majorano venne nominato vescovo di Molfetta. Dopo il 1582 Gabia non compare più, ma per gli anni immediamente successivi mancano fonti, che riprendono nel 1587; in questo anno e nei seguenti (fino al 1601) non figura nemmeno un insegnamento di greco.

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e il 1570 è anche impiegato come scriptor Graecus dal cardinale bibliotecario Marcantonio Da Mula11. Fu probabilmente il suo più giovane amico Onofrio Panvinio (Verona 1530 – Palermo 1568), che godeva di prestigio e della protezione del cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), e che con lui condivise l’abitazione, ad accoglierlo e introdurlo nell’ambiente della Curia e della cultura romana. Panvinio, morto prematuramente, prima che uscissero i maggiori lavori di Gabia, lo annoverava già con parole altamente elogiative fra i letterati veronesi illustri. Ci informa che vissero insieme a Roma a lungo e suavissime; ne loda l’ottimo carattere, l’humanitas e la singolare dottrina: Gabia conosceva greco, latino ed ebraico, era peritissimus di filosofia e teologia, nonché di matematica e astrologia, ed era autore di traduzioni dal greco e dall’ebraico. Panvinio pronosticava che le sue opere, utili a tutta l’umanità, avrebbero dato a lui e alla patria grande gloria («non modicum sibi et patriae nostrae splendoris, caeteris vero mortalibus utilitatis allatura»)12. Ma a Roma Gabia appare figura appartata, priva di un protettore. Tuttavia riuscirà a fare apprezzare le sue capacità di grecista, e poi anche di matematico. Abbandonati i classici e la letteratura profana (ma alla Sapienza legge Demostene, la Poetica di Aristotele e l’Iliade), pone al servizio delle alte gerarchie ecclesiastiche le sue competenze, dedicandosi alle opere utili alla lotta contro gli eretici d’Occidente e d’Oriente. Roma è, e più sarà negli anni successivi, fortemente impegnata sul fronte di un’editoria da contrapporre a quella protestante, della Germania e della Svizzera, che ha rivolto da tempo la sua attenzione agli autori cristiani an-

11 Risulta dai pagamenti effettuati in suo favore dalla Camera Apostolica; Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi: ASR), Cam. I 924, ff. 237v e 248v (anno 1568); f. 264v (1569); f. 283v (1570), e inoltre Cam. I 925; cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 289. 12 Questa la testimonianza di Panvinio, l’unica che abbiamo sulla sua biografia: «Amicissimus mihi est Ioannes Baptista Gabia Veronensis, cum quo diu Romae suavissime vixi, cuius mores, humanitatem, doctrinam singularem perspectissima habeo. Hic, quum trium linguarum peritissimus sit, multa e Graeco et Hebraeo in Latinum vertit; in his septem tragaedias Sophoclis ad verbum Latinas fecit scholiisque illustravit. Zosimi historiarum libros Graecos Italico sermone, me petente, donavit. Hymnos Davidis multos ex Hebraica veritate Latinos elegantissime Flaminii more reddidit. Hic praeter linguarum peritiam theologiae, philosophiae, mathematicarum et astrologiae peritissimus est, multaque in omni genere disciplinarum adornat, non modicum sibi et patriae nostrae splendoris, caeteris vero mortalibus utilitatis allatura. Vivit nunc Romae et in Academia Romana publice litteras Graecas profitetur», in ONUPHRII PANVINII Antiquitates Veronenses, [Padova], Typis P. Frambotti, 1648, p. 157; l’opera fu pubblicata postuma. Non ho trovato la versione in versi dei Salmi di David che Panvinio, certo bene informato, gli attribusce. SCIPIONE MAFFEI, Verona illustrata, parte seconda: Contiene l’istoria letteraria o sia la notizia de’ scrittori veronesi, Verona, J. Vallarsi e P. Berno, 1731, pp. 319-320, attinge a Panvinio aggiungendo le versioni fatte dopo la morte di questo. Gli ascrive anche la traduzione del commento di Teodoreto al Cantico dei Cantici, che è invece di Francesco Zini (Roma, P. Manuzio, 1563).

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tichi13. Nel biennio 1562-1563, sotto il pontificato di Pio IV (1559-1565), il papa che nel 1562 ha riconvocato il Concilio di Trento, Gabia è incaricato per conto del pontefice dal cardinale Vitellozzo Vitelli, camerlengo e dal 1564 membro del Santo Uffizio, della traduzione di due scritti di Teodoreto di Ciro, autore che risulta assai congeniale alla Chiesa romana per i suoi scritti polemici contro gli eretici (nonché contro gli Ebrei)14. Traduce il commento alle Visioni di Daniele, dedicandolo a Pio IV, e quello a Ezechiele che dedica al Vitelli — dal quale ricorda di essere stato ospitato, per volere del papa, per compiere il lavoro15. Le due versioni escono dalla nuova Stamperia del Popolo Romano creata nel 1571 da Paolo Manuzio, figlio di Aldo, che il papa ha chiamato a Roma appositamente perché pubblichi i libri «sacrorum ecclesiasticorumque scriptorum» (così nel privilegio che accompagna il commento a Ezechiele). Morto nel 1565 Pio IV, gli succede Pio V (1566-1572); Vitelli muore nel 1568. Ma intanto si è affacciato un nuovo committente: il cardinale bibliotecario Marcantonio Da Mula (Amulio; 1565-1572). Per lui Gabia traduce l’opera di un altro storico bizantino, Giovanni Scilitze (XI secolo), che abbraccia gli anni 811-1057, ricevendone nel 1567 dalla Camera Apostolica un compenso di dieci scudi16; la traduzione sarà pubblicata a Venezia, città natale del cardinale, nel 157017. Ha rilevato Agostino Pertusi che, dopo che la storiografia bizantina era stata scoperta e fatta conoscere usandola e adattandola ai propri obiettivi dalla Riforma protestante, «si cercava di strumentalizzare di nuovo gli storici bizantini ai fini della

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P. PETITMENGIN, Les éditions patristiques de la Contre-Réforme romaine, in I Padri sotto il torchio. Le edizioni dell’antichità cristiana nei secoli XV-XVI. Atti del Convegno di studi, Certosa del Galluzzo, Firenze, 25-26 giugno 1999, a cura di M. CORTESI, Firenze, 2002, pp. 3-31, mostra alti e bassi nella produzione patristica romana fra Cervini e Sisto V; un elenco provvisorio delle edizioni alle pp. 22-27. 14 Per la funzione attribuita a Teodoreto cfr. L. BOSSINA, Zini traduttore dei Padri negli anni del Concilio di Trento, nello stesso volume I Padri sotto il torchio cit., pp. 254-256. 15 THEODORETI urbis Cyri episcopi In Visiones Danielis commentarius, IOANNE BAPTISTA GABIO Veronensi interprete, Romae, Apud P. Manutium, 1562; Beati THEODORETI episcopi Cyrensis In Ezechielem commentarius, IOANNE BAPTISTA GABIO Veronensi interprete, Romae, Apud P. Manutium, 1563. Queste versioni furono riprodotte, con le dediche di Gabia, nel II volume delle opere di Teodoreto edite da J. SIRMOND, Beati THEODORETI episcopi Cyri Opera omnia in quatuor tomos distributa, Lutetiae Parisiorum, Sumptibus S. Cramoisy et G. Cramoisy, 1642. 16 Roma, ASR, Cam. I 922, f. 109v. 17 IOANNES SCYLITZES, Historiarum compendium quod incipiens a Nicephori imperatoris a Genicis obitu ad imperium Isaaci Comneni pertinet, a Ioanne curopalate Scyllizzae... conscriptum, nunc recens a IOANNE BAPTISTA GABIO e Graeco in Latinum conversum, Venetiis, Apud D. Nicolinum, 1570.

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Controriforma»18. Nella lunga dedica al cardinale Gabia, attaccando l’uso distorto che gli eretici fanno della storiografia, afferma che «nihil sit in quo Graecorum natio a vera Latinorum fide dissentiat»: i Greci non erano nelle loro pratiche e credenze lontani dalla Chiesa di Roma. L’esistenza del Purgatorio, per esempio, negata dagli Ortodossi (ma anche dai Protestanti) era uno dei punti di contrasto apparentemente insanabili con la Chiesa romana. Si domanda Gabia: avrebbero gli imperatori bizantini disposto lasciti per la celebrazione di riti e sacrifici per la salvezza dell’anima, come Scilitze racconta, se non fossero stati convinti della loro utilità dopo il trapasso? Gabia lamenta la penuria di fonti bizantine e loda l’Amulio che ha provveduto a far conoscere Scilitze. Fu difatti merito suo aprire un varco nella cultura romana alla storiografia bizantina — che non avrà peraltro un seguito immediato. Ma l’Amulio (membro dal 1563 dell’Inquisizione romana) è anche colui che nei primi anni ’70 del secolo, sotto il regime inquisitorio di Pio V, pone l’interdetto sulla Storia nuova di Zosimo (che Gabia molti anni prima a Venezia aveva tradotto per Panvinio); perché Zosimo, tardo rappresentante di una storiografia pagana recisamente avversa al cristianesimo, attribuisce al suo avvento la decadenza dell’impero romano e attacca in particolare l’intoccabile imperatore Costantino (nonché Teodosio). Il bando sarà rigorosamente osservato anche dal successore nella carica di cardinale bibliotecario Guglielmo Sirleto (1572-1585). La versione di Gabia scomparve, forse per prudenza condannata all’oblio dal traduttore19. La lettura che Gabia dà di Scilitze testimonia l’affiorare a Roma di un certo atteggiamento di conciliazione verso i Greci; si cerca di attenuare i contrasti, di mostrare l’inconsistenza delle divergenze. Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), succeduto a Pio V l’anno dopo la vittoria cristiana di Lepanto che, come testimoniava anche Gaspare Viviani (che incontreremo più avanti), faceva auspicare una nuova apertura all’Occidente da parte dei Cristiani orientali, mette in atto nuove strategie per un riavvicinamento: istituisce la Congregazione per la riforma dei Greci d’Italia, che col cardinale Santoro professa una tolleranza inedita verso le loro consuetudini liturgiche, prima condannate, difformi da quelle romane; istituisce 18 A. PERTUSI, Storiografia umanistica e mondo bizantino, in Bisanzio e i Turchi nella cultura del Rinascimento e del Barocco. Tre saggi di A. Pertusi a cura di C. M. MAZZUCCHI, Milano 2004, p. 68. 19 Cfr. su tutta la vicenda NIUTTA, Zosimus Historicus cit., pp. 164-165, 185-186; EAD., Per la biblioteca manoscritta greca di Marc-Antoine Muret, relazione al convegno Marc-Antoine Muret, un humaniste français en Italie. Colloque international, Roma 22-25 maggio 2013, in attesa di pubblicazione (Genève, Droz).

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il Collegio Greco per istruirvi studenti che, tornati in patria, vi portino la pastorale romana; fa pubblicare, nel 1577, gli Atti greci del Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-39. Insieme a questi, nello stesso volume, sono edite le orazioni a favore dell’unione che Giorgio Scolario aveva rivolto ai compatrioti a Firenze e il trattato in difesa del decreto di unione sottoscritto il 6 luglio 1439 (e in realtà mai applicato dai Greci). L’anno seguente Gabia è chiamato dal cardinale Santoro a fare la traduzione latina delle orazioni. Negli ultimi anni Gabia, anziano e malandato, non è più così solerte come in passato nell’adempimento dei suoi compiti all’università; l’incaricato del controllo dell’attività dei docenti rileva nella relazione del 15811582 che col maltempo Gabia si astiene dall’insegnamento «ratione pituitae et senectutis». Ma salta le lezioni anche «ratione congregationis coram cardinali Sanctae Severinae»20, cioè il Santoro, con cui evidentemente continua la collaborazione. La sua attività di grecista al servizio della Chiesa difatti prosegue: nel 1581 pubblica l’editio princeps di dieci omelie di (o attribuite a) Giovanni Crisostomo, avute dal Sirleto21. L’edizione è rivolta ai Greci (ma la prefazione di Gabia è in latino). Esce dalla tipografia di un altro veneziano passato a Roma, Francesco Zanetti, lo stesso che pochi anni prima ha stampato gli Atti greci. Zanetti acclude una lunga dedica a Gregorio XIII, in cui spiega che il fine della versione è far sì che attraverso la conoscenza di questi testi i Cristiani d’Oriente siano indotti ad abbracciare pienamente «priscis erroribus abolitis» la dottrina di Roma, forse da loro abbandonata per ignoranza («ab iis fortasse ignoratione destitutam»). Il nome di Gabia non figura sul frontespizio, ma è lui che firma la prefazione ai lettori: le omelie di Giovanni Crisostomo possono fornire ai pii ed eruditi lettori armi valide contro le eresie. (Annuncia anche come prossima la traduzione latina del testo; che non pare abbia visto la luce). Ma negli ultimi anni anche le sue competenze matematiche e astronomiche22, in abbinamento con quelle di grecista, sono messe a frutto da Gre20

CONTE, I maestri cit., p. 118. 21 IOANNES CHRYSOSTOMUS, Τοῦ ἐν ἁγίοις πατρὸς ἡμῶν Ἰωάννου τοῦ Χρυσοστόμου … ὁμιλίαι δέκα

διάφοροι... τὰ νῦν πρῶτον ἐκδεδομέναι, Romae, [F. Zanetti], 1581. Delle dieci orazioni solo tre (la terza, la sesta e la settima) furono ritenute autentiche da Henry Savile che le riprenderà nella sua edizione completa del Crisostomo (Eton 1612-1613), indicandole come editio Romana. Su Giovanni Crisostomo cfr. M. CORTESI, Giovanni Crisosostomo nel secolo XVI: tra versioni antiche e traduzioni umanistiche, in I Padri sotto il torchio cit., pp. 127-146; J.-L. QUANTIN, Du Chrysostome latin au Chrysostome grec. Une histoire européenne (1588-1613), in Chrysostomosbilder in 1600 Jahren. Facetten der Wirkungsgeschichte eines Kirchensvaters, herausgegeben von M. WALLRAFF und R. BRÄNDLE, Berlin – New York 2008, pp. 267-346, pp. 270, 277, 317 sull’edizione romana. 22 Sono attribuite a Gabia nei cataloghi delle rispettive biblioteche due traduzioni, manoscritte, di opere matematiche, la versione del commento di Proclo al primo libro degli Ele-

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gorio XIII. Che dapprima gli chiede un parere sulla proposta di riforma del calendario23; Gabia gli risponde con una relazione, senza data, conservata nel ms. Vat. lat. 6210 (f. 89r-v), inedita e — sembrerebbe — sconosciuta24. Gli affiderà poi la versione in greco del nuovo calendario perpetuo, forse il compito più delicato e importante, per la rilevanza politica che aveva, di tutta la sua carriera. Il calendario gregoriano viene pubblicato nel 158225; l’anno dopo esce la versione greca che lo riproduce in tutto, bolla di Gregorio XIII in greco compresa, con l’aggiunta di una lettera ai lettori26. La riforma che giungeva da Roma, con la cancellazione di dieci giorni fra giovedì 5 e venerdì 15 ottobre per riportare al 21 marzo astronomico l’equinozio di primavera, e la conseguente modifica della data della Pasqua che in base a questo si calcola, avrebbe trovato prevedibilmente opposizione nel Levante. Gregorio XIII è attento a non urtare la suscettibilità religiosa e politica degli Ortodossi. Nella lettera ai lettori, firmata dal traduttore ma certo ispirata alle istruzioni pontificie27, Gabia, oltre a spiegare le ragioni menta di Euclide (Milano, Biblioteca Ambrosiana, P 51 sup.) e quella degli Spiritalia di Erone di Alessandria (Vat. lat. 4575, ff. 21r-72r): per la prima, che non ho visto, cfr. Inventario Ceruti dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, 4, Trezzano s/N. 1978, p. 421, e KRISTELLER, Iter, I, London – Leiden 1963, p. 306; per la seconda, su cui il nome di Gabia non compare, cfr. l’inventario manoscritto della Biblioteca Vaticana (305 rosso), e KRISTELLER, Iter, II, London – Leiden 1967, p. 328. 23 Secondo V. PERI, Due date un’unica Pasqua. Le origini della moderna disparità liturgica in una trattativa ecumenica tra Roma e Costantinopoli (1582-84), Milano 1967, p. 15 nt. 4, senza fonte, Gabia fu chiamato da Gregorio XIII a far parte della commissione internazionale di teologi, giuristi e matematici incaricata della riforma del calendario; ma non lo trovo menzionato tra i membri delle varie commissioni che si succedettero, sulle quali non c’è peraltro grande chiarezza. La bibliografia sull’argomento è assai vasta, ma Gabia mi pare sia citato solo da A. ZIGGELAAR, The papal bull of 1582 promulging a reform of the calendar, in Gregorian reform of the calendar. Proceedings of the Vatican conference to commemorate its 400th anniversary, 1582-1982, edited by G. V. COYNE, M. A. HOSKIN and O. PEDERSEN, Città del Vaticano 1983, p. 208. 24 Gabia vi illustra i principali punti della riforma di Luigi Lilio (che è quella che venne alla fine fatta propria dalla apposita commissione) e si dichiara favorevole alla sua adozione. Nello stesso manoscritto c’è anche, al f. 31v, un epigramma in greco di Gabia in lode di Gregorio XIII, sicuramente una copia perché si trova insieme ai componimenti di altri autori. (Non ho potuto rivedere il manoscritto perché attualmente, 2017, non consultabile; ma anni fa mi era parso che la scrittura della relazione di Gabia non richiamasse quella del Bonc. A.4). 25 Kalendarium Gregorianum perpetuum, Romae, Ex officina D. Basae, 1582. 26 Καλενδάριον γρηγοριανὸν ἀΐδιον, Ἐν Ῥώμῃ, Διὰ Φ. τοῦ Ζανέτου, 1583. 27 Le trattative segrete col patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos per giungere all’adozione di un calendario comune (preludio di un riavvicinamento auspicato da entrambe le parti) sono state ricostruite da PERI, Due date cit., alla luce di nuovi documenti; l’accordo raggiunto nel 1583 fu poi vanificato perché il patriarca, avversato da parte del clero e del laicato colto, venne imprigionato dal governo turco ed esiliato (pp. 64-79). Diversa l’interpretazione di HANNICK in C. HANNICK – K.-P. TODT, Jérémie II Tranos, in La théologie byzantine et sa tradition, II: XIII-XIX s., sous la direction de C. G. CONTICELLO – V. CONTICELLO, Turnhout

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della necessità della riforma, insiste che l’adozione del nuovo calendario non comporterà alcun cambiamento nelle pratiche cultuali degli Ortodossi: ogni Chiesa sarà libera di continuare a celebrare nel modo consueto i propri riti. Si vuole evitare l’impressione che il calendario gregoriano contrabbandi un tentativo occulto di ricondurre i Greci nell’ovile romano. Sebbene felpato, era un passo verso quell’unione cui Gregorio XIII tendeva (e indirettamente comportava la riaffermazione del primato del papa). Gli Atti greci del Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-1439 con le orazioni di Giorgio Scolario e il trattato apologetico del decreto di unione (Defensio Concilii Florentini) uscirono dunque nel 1577 dalla tipografia di Francesco Zanetti28. La stampa fu finanziata dal papa29. Nel fondamentale volume Ricerche sull’editio princeps degli Atti greci del Concilio di Firenze Vittorio Peri offre una ricostruzione delle fasi che precedettero la pubblicazione ricca di documenti di grande interesse e ne illustra le finalità nell’ambito della politica religiosa, mirante a ricostituire l’unità delle Chiese, del papato Boncompagni30. L’edizione, promossa dal cardinale Guglielmo Sir2002, pp. 563-566: Geremia II avrebbe sempre solo preso tempo, senza mai essere in realtà favorevole al cambiamento di calendario (e a fortiori ad un riavvicinamento a Roma). 28 Ἡ ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ ἐν Φλωρεντίᾳ γενομένη σύνοδος; i due testi di Scolario alle pp. 233406. Cfr. É. LEGRAND, Bibliographie hellénique ou description raisonnée des ouvrages publiés en grec par des grecs aux XVe et XVIe siècles, II, Paris 1885, pp. 24-25. Gli atti del Concilio di Firenze sono stati editi modernamente da J. GILL, Quae supersunt actorum Graecorum Concilii Florentini, Romae 1953 (Concilium Florentinum. Documenta et scriptores, Ser. B, 5). Le orazioni di Scolario al Concilio sono edite da M. JUGIE in GEORGIUS GENNADIUS SCHOLARIUS, Oeuvres complètes, publiées par L. PETIT – X. A. SIDÉRIDES – M. JUGIE, I: Oeuvres oratoires. Traités théologiques sur la Providence et sur l’âme, Paris 1928, pp. 295-371, e da J. GILL, Orationes Georgii Scholarii in Concilio Florentino habitae, Romae 1964 (Concilium Florentinum. Documenta et scriptores, Ser. B, 8); si leggono inoltre in Patrologiae cursus completus. Series Graeca, accurante J.-P. MIGNE (d’ora in poi: PG), 160, Lutetiae Parisiorum 1866, coll. 385524, con la versione latina di Giovanni Matteo Cariofilo. Del trattato in difesa del Concilio non c’è un’edizione moderna; può leggersi in PG, 159, Lutetiae Parisiorum 1866, coll. 11091394, tra le opere di Giovanni Plusiadeno, che dal secolo XVIII se ne considera il vero autore. 29 Si evince dal sommario del volume in cui è detto: «Γρηγόριος τρισκαιδέκατος [...] τυπωθῆναι καὶ ἐκδοθῆναι προσέταξεν»; cfr. inoltre la minuta di una bolla di Gregorio XIII redatta da Viviani, pubblicata da PERI, Ricerche, p. 175: « eiusdem disputationes ac gesta [...] nostra tamen impensa imprimi fecimus». 30 Non era la prima volta che si pensava di stamparli. Nel 1542 Antonio Eparco chiedeva in prestito al cardinale Marcello Cervini il manoscritto di Bessarione degli atti fiorentini in greco per ricopiarli e stamparli (M. CERESA, Eparco, Antonio, in DBI 43, Roma 1993, p. 15). Ma l’iniziativa dovette arenarsi. La loro presenza nella biblioteca di Bessarione doveva risultare a Eparco da qualcuno degli inventari, ma evidentemente a Venezia non riesce a trovarli. Sono infatti registrati («Acta octavi Concilii Florentiae celebrati, in pergameno») nell’inventario del 1468 della biblioteca di Bessarione e compaiono ancora in quello del 1474 (cfr. L. LABOWSKY, Bessarion’s library and the Biblioteca Marciana. Six early inventories, Roma 1979 (Sussidi eruditi, 31), pp. 165 e 199), ma non figurano più nei successivi; per questo proba-

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leto, fu curata sotto la sua direzione da una piccola équipe, in particolare da Gaspare Viviani e Nicola Stridoni31. Ne aveva suggerito la pubblicazione lo stesso Viviani (1525-1605), vescovo di Sitia e Ierapetra, vicario generale a Creta dell’arcivescovo Pietro Lando e vicario del patriarca latino di Costantinopoli (infine vescovo di Anagni dal 1579). Nei ventitré anni trascorsi in Levante (1553-1575) aveva sperimentato che la loro lettura era capace di far comprendere ai Greci l’errore in cui erano piombati a causa delle calunnie antilatine di Marco di Efeso, e di indurli a «conformarsi con Latini»32. Indicava l’opportunità di stampare insieme agli Atti alcuni trattati scritti «per giusta diffesa della verità catholica et per confutazione delle inique scritture di Marco Epheso» (dal cardinal Bessarione, da Giovanni Vecco, da Giorgio Trapezunzio), e in particolare quello di Gennadio Scolario. Giungendo a Roma nel 1575 aveva difatti portato con sé, insieme ad altri libri e al «Concilio», «li trattati di Gennadio»33. Li menzionerà sempre in abbinamento con gli Atti e ne raccomanderà la lettura e l’uso per controbattere gli errori e le calunnie dei Greci34. Il volume era destinato ad essere distribuito gratuitamente ai Greci d’Italia e di Levante. Il cardinal Santoro domenica 4 marzo 1578 annotava nel suo registro delle udienze col papa: «Del Concilio fiorentino e Gennadio da distribuirsi tra Greci», con l’elenco dei destinatari, stabilito d’accordo col Sirleto35. Si evince da questo piccolo appunto l’importanza che si annetteva al Gennadio, nominato espressamente pur se incluso nel medesimo volume bilmente Eparco li cercò a Roma. Sarebbe da indagare quale sia stato il destino della copia di Bessarione. 31 LAURENT, L’édition princeps cit., ha dimostrato che l’edizione, diversamente da quanto in precedenza creduto, si deve non a Matteo Devaris, che provvide solo alla correzione, ma a Viviani e Stridoni sotto la direzione del Sirleto; PERI, Ricerche, pp. 50-57, offre nuovi documenti al riguardo. Su Viviani e Stridoni cfr. PERI, ibid., pp. 58-70 e passim; cfr. anche LAURENT, L’édition princeps, pp. 167-171. 32 Quello, dopo la vittoria di Lepanto del 1571, era per Viviani un momento adatto a tornare ad un’unione cui erano propensi anche i Greci, che «altro più non desiderano che essere da Latini aggiutati et soccorsi per levarsi un giorno da tanta oppressione [dei Turchi] et miseria». Queste interessanti considerazioni si leggono nella minuta autografa di un discorso (Biblioteca Vallicelliana, ms. K 17, ff. 65r-66v) pubblicata da PERI, Ricerche, pp. 158-161, che la data al 1575-1576 (p. 64). 33 Ibid., p. 110, con l’elenco (pp. 111-113) degli altri libri greci da lui portati. Gli atti autentici, redatti al Concilio insieme da notai latini e greci sulla base del confronto dei verbali bilingui, erano andati perduti, e i nostri Atti greci sono una ricostruzione, basata in parte su fonti ufficiali (i discorsi), per il resto su scritti privati, fatta da Giovanni Plusiadeno (1429?1500); cfr. J. GILL, Il concilio di Firenze, Firenze 1967, pp. XI-XII (traduzione dell’edizione originale Cambridge 1958); PERI, Ricerche, pp. 1-2. 34 Come si vede da altri documenti pubblicati da PERI, ibid., pp. 30 e nt. 7, 167, 168, 174 nt. 104, etc. 35 KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro cit., p. 23; PERI, Ricerche, pp. 171, 173, ri-

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degli Atti; e se ne evince anche che ad occuparsi della diffusione era lo stesso Santoro, il committente della versione di Gabia. Giulio Antonio Santoro (o Santori; Caserta 1532 – Roma 1602), noto come cardinale di Santa Severina dalla sua prima sede vescovile in Calabria dove c’erano folte comunità greche (ma all’epoca di Gabia cardinale del titolo di S. Bartolomeo all’Isola), dedito fin da giovanissimo alla lotta contro l’eresia, membro del Santo Uffizio, più di una volta arrivato vicino alla tiara senza mai raggiungerla, era figura centrale nei rapporti della Sede Apostolica con i Greci ortodossi e con l’intero Oriente; fu l’ispiratore della Congregazione dei Greci in Italia e il primo Protettore del Collegio Greco36. Non è compito di poca importanza quello che egli affida a Gabia nell’estate del 1578. Le orazioni continuarono a comparire regolarmente nelle successive edizioni degli Atti greci37 di cui furono considerate un complemento; non vi comparve invece più il trattato, che all’inizio del secolo seguente venne riconosciuto spurio. Pur distratto da numerosi impegni («etsi multis occupationibus distinebar», scrive nella dedica a Gregorio XIII, che si legge qui in Appendice II), Gabia si affrettò ad assolvere il compito. Il suo incarico riguardava soltanto le orazioni («suasu sive potius impulsu illustrissimi cardinalis Sanctae Severinae [...] orationes illas in Latinum sermonem converti quibus Georgius cognomento Scholarius graece conscriptis suae nationis homines olim ad synodum convocatos, ad verae ecclesiae, id est Romanae, unitatem, unde desciverant, cohortatus est»). Ma zelantemente aggiunse di propria iniziativa la versione del lungo trattato in cinque capitoli (circa 250 fogli contro i 154 delle orazioni): «Converti item [...] quinque apologias quibus ille definita per oecumenicam eandem Florentinam synodum et decreta quinporta le notizie inviate a Sirleto e Santoro sulla felicemente effettuata diffusione degli Atti in Oriente. 36 Per la sua biografia cfr. S. RICCI, Il sommo inquisitore. Giulio Antonio Santori fra autobiografia e storia, Roma 2002. Giovanissimo Santoro aveva composto un trattato Pro confutatione articulorum et haeresum recentiorum haereticorum et pseudo apostolorum ex utriusque Testamenti textu decerpta (Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. lat. 12233, inedito). Fu inquisitore del Santo Uffizio in vari importanti processi (Campanella, Giordano Bruno). Breve profilo di Santoro nell’introduzione di KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro cit., pp. 5-11. La sua autobiografia è edita da G. CUGNONI, Autobiografia di monsignor Giulio Antonio Santori cardinale di Santa Severina, in Archivio della Società romana di storia patria 12 (1889), pp. 327-372, e 13 (1890), pp. 151-205. Per la sua attività riguardo alle chiese d’Oriente cfr. V. PERI, La Congregazione dei Greci e i suoi primi documenti, in Studia Gratiana 13 (1967), pp. 129-256; ID., Chiesa romana e «rito» greco. G.A. Santoro e la Congregazione dei Greci (15661596), Brescia 1975 (Testi e ricerche di scienze religiose); ID., Ricerche, passim, con ampie notizie e documenti. 37 A partire dall’edizione generale dei concili ecumenici, Τῶν ἁγίων οἰκουμενικῶν συνόδων τῆς Καθολικῆς Ἐκκλησίας ἅπαντα. Concilia generalia Ecclesiae Catholicae Pauli V pont. max. auctoritate edita, Romae, Ex typographia reverendae Camerae Apostolicae, IV, 1612, pp. 601-671.

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que capita [...] tuetur atque defendit». La versione è pronta il 7 settembre, prima dello spuntar del sole: ha dunque lavorato anche di notte!38 Però ha lesinato sulla dedica a Gregorio XIII che appare piuttosto stringata rispetto alle sue abitudini (quattro pagine quella a De Mula dello Scilitze e cinque quella al Vitellozzi nelle quali, oltre agli ampi omaggi di rito al papa e ai committenti, illustra i testi tradotti e la loro utilità, parla dei manoscritti usati e, per Scilitze, delle difficoltà incontrate nella traduzione). Non sappiamo nulla del compenso che ricevette per il suo lavoro; sappiamo solo che più tardi gli venne negata dal pontefice la provvigione di dieci scudi d’oro che era stata assegnata a Benvoglienti per la versione del trattato (cfr. infra, p. 476) Gabia non accenna all’originale su cui ha condotto la versione; ma Santoro doveva averlo fornito di una copia degli Atti del 1577 con i due testi, su cui la traduzione è fatta, come mostra una collazione a campione. La sua è una diligente versione ad verbum, metodo da lui adottato fin dal Sofocle veneziano del 1543; tanto fedele che il manoscritto Bonc. A.4 riproduce per quanto possibile anche l’aspetto dell’edizione, riportando alla stessa maniera i titoli delle orazioni e dei capita del trattato (disposti al centro della riga), i titoli correnti, le spaziature (Tavv. I-II). Gabia aggiunge poche postille, soprattutto ad integrazione di omissioni, anche lunghe, nel testo; corregge errori di scrittura, sostituisce qualche parola; aggiunge la spiegazione di un paio di termini greci39. Talvolta indica anche i luoghi degli autori, sia latini che greci, citati nel testo40. Per il decreto di Costantino, interamente riportato nel quinto capitolo del trattato, dedicato al primato del papa, e che stava certamente a cuore alla sua committenza, fornisce (f. 342v) la fonte in cui reperirlo, la distinctio 96 di Graziano («Habetur hoc decretum in decretis dist. 96° cap. de eodem quod incipit: Constantinus imperator quarta die»). (Tav. III). Nelle tre orazioni rivolte da Giorgio Scolario all’assemblea dei prelati orientali, precedute da un lungo proemio programmatico, il tema è la necessità per i Greci di raggiungere la pace e l’unione con Roma per poterne ricevere aiuti contro il Turco (Sapientissimi Georgii Scholarii de pace et ope ferenda patriae adhortatio ad orientis synodum Florentiae coactam è il titolo, 38

Così nel colophon del manoscritto Bonc. A.4, f. 409r: «Absoluta est haec conversio per dominum (cassato) Ioannem Baptistam Gabium septimo Idus Septembris paulo ante ortum solis 1578 Romae». 39 Nel secondo capitolo del trattato, f. 254v: «Synaxaria sunt quaedam collectiones»; nel quarto capitolo, f. 322v: «Octisonus liber est qui a Graecis dicitur ὀκτώηχος». 40 Per esempio alle citazione di Cirillo Alessandrino (f. 200v), di Gregorio Magno (f. 202v), di Agostino (f. 205v) nel primo capitolo del trattato; di Gregorio Magno (f. 269v), nel capitolo terzo.

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che riproduce quello dell’edizione del 1577, Τοῦ σοφωτάτου Γεωργίου τοῦ Σχο-

λαρίου ὑπὲρ εἰρήνης καὶ βοηθείας τῇ πατρίδι παράκλησις πρὸς τὴν ἀνατολικὴν σύνοδον ἐν Φλωρεντίᾳ). Scolario intende dimostrare che gli ostacoli sia dottrinali che di fedeltà alla tradizione bizantina sono superabili; non esistono reali divergenze fra la fede ortodossa e quella cattolica, come risulta dal consensus Patrum. Nella prima orazione, che Gabia intitola De pace. Unitatem illam esse faciendam quae dogmate sanciatur, non autem pacem oeconomicam ut quidam volunt; et quaenam ipsa sit (ricalcando il titolo greco Ὑπὲρ εἰρήνης· ὅτι δογματικὴν ἕνωσιν δεῖ ποιεῖν, οὐκ εἰρήνην οἰκονομικὴν ὥς τινες βούλονται· καὶ τίς ἐστιν αὕτη) sostiene che una pace stabile può essere basata solo sulla condivisione dei dogmi; si doveva arrivare al consenso sulla questione cruciale della processione dello Spirito Santo e del Filioque nel Credo, sulla quale egli mostra che i Padri latini e greci concordano. Per Scolario un cambiamento pur dopo tanti secoli non doveva essere considerato vergognoso per i prelati presenti al Concilio se portava alla verità, e tutto il popolo greco sarebbe stato grato per averla da loro ricevuta (nella seconda orazione; Oratio secunda, in qua evertuntur huiusce pacis impedimenta); la pace si sarebbe ottenuta se i Greci avessero considerato le discrepanze che apparentemente li dividevano dai Latini alla luce delle Scritture, dei santi Padri e dei concili (terza orazione; Oratio tertia, in qua exponuntur quae talem pacem factura sint). Ben più ampie erano le tematiche del trattato con l’apologia del Concilio (Ἑρμηνεία Γενναδίου τοῦ Σχολαρίου πατριάρχου Κωνσταντινουπόλεως ὑπὲρ τῆς ἁγίας καὶ οἰκουμενικῆς ἐν Φλωρεντίᾳ συνόδου ὅτι ὀρθῶς ἐγένετο, ὑπεραπολογουμένου τῶν ἐν τῷ ὅρῳ αὐτῆς πέντε κεφαλαίων, tradotto Interpretatio Gennadii Scholarii patriarchae Constantinopolitani pro sacra et oecumenica Florentina synodo quod recte habita sit, et pro quinque capitibus in definitione ipsius contentis respondentis et defendentis). Ricchissimo di citazioni dalle Scritture, dai Padri della Chiesa latini e greci, dalle deliberazioni dei concili, nei suoi cinque capitoli preceduti da un proemio e seguiti da un epilogo difendeva con ricchezza di argomentazioni polemiche verso i Greci gli articoli del decreto di unione concernenti ciascuno un punto del contrasto con i Latini41: la processione dello Spirito Santo (Spiritum sanctum ex Filio quoque procedere et non ex solo Patre sicut asserunt ii qui synodum non approbant), 41

Osserva M. CANDAL, La «Apologia» del Plusiadeno a favor del Concilio de Florencia, in Orientalia Christiana periodica 21 (1955), p. 39, che si incontrano discordanze negli autori dell’epoca riguardo al numero delle definizioni fiorentine. Nel decreto di unione la beatitudine dei santi (cioè delle anime senza peccato, che secondo i Latini possono vedere Dio subito dopo il trapasso, mentre per i Greci tutti, giusti e improbi, devono attendere la resurrezione e il giudizio finale), che qui è posta come quarto articolo, non è a sé stante ma è inclusa nella risoluzione sul purgatorio.

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l’Eucaristia col pane azimo o fermentato (nel cap. secondo, Demonstratio alterius capitis eorum quae in decreto synodi continentur de mystico videlicet et sacro sacrificiis quemadmodum per azymum et fermentatum recte et vere Christi Dei corpus consecratur), il Purgatorio e l’intercessione dei viventi per le anime purganti (nel cap. terzo, Demonstratio tertii capitis eorum quae in decreto synodi continentur, animas videlicet eorum qui poenitentes decesserint purgari post mortem), la beatitudine dei trapassati (nel cap. quarto, Demonstratio quarti capitis eorum quae in synodi decreto continentur, de beatitudine qua sancti fruuntur), la potestà universale del papa (Apologia quinti capitis eorum quae in decreto synodi continentur, iure videlicet ac vere dictum esse, papam esse totius Ecclesiae Christi caput). Si vede che la dedica al papa è stata composta in fretta; Gabia non indulge ad espressioni di ossequio, e solo in chiusura si concede un filo di iperbole ricordando i meriti di Gregorio XIII per l’istituzione di collegi «per totum terrarum orbem». Nella presentazione delle orazioni si limita a lodare la loro capacità di persuasione senza descriverne il contenuto: «certe (scil. Georgius Scholarius) nullum argumentandi genus, quod ad flectendas eorum mentes et ab erroribus ad veriorem sententiam revocandas quamplurimum valere, et ipse sibi persuaderet et alii omnes facile intelligerent, praetermisit». Per il trattato rileva solo la superiorità di Gennadio rispetto ai Latini nella confutazione delle obiezioni dei Greci, senza accennare a quali fossero: «ille definita per oecumenicam eandem Florentinam synodum et decreta quinque capita ita tuetur atque defendit, ut Latini homines non potuerint firmiora tela ad profligandos veritatis hostes excogitare aut acriorem pro religione vera contra haereticos et schismaticos conservanda ac retinenda propugnationem suscipere. Etenim auctoritates omnes tum Graecorum tum Latinorum ea confirmantes ita collegit, ita dilucide disseruit, ita enucleate interpretatus est, ut ad eius doctrinam falsa omnia adversariorum argumenta convincentem nihil addi sanorum hominum iudicio posse videatur». Ma c’è un punto nella dedica che attira subito l’attenzione: l’accenno alla paternità del trattato. Dovremo tornarvi più avanti. Il lavoro di Gabia sarà presentato a Gregorio XIII qualche mese più tardi. Santoro annota al 30 dicembre 1578 l’annuncio al papa della prossima visita del traduttore: «Di messer Giovanni Battista Gabio, che ha tradotto il Gennadio in latino che verrà a portarlo e baciarli i piedi, etc.»; e la risposta del papa: «Ch’el vedrà volentieri, et che è un buon povero uomo etc.»42. Il papa seguiva dunque personalmente le versioni che servivano per l’apologia verso i Cristiani dissidenti. Nel marzo precedente il cardinale 42

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KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro cit., p. 27.

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Santoro annotava nel suo registro delle udienze, al giorno 20: «Della traduttione di Mastro Fabio Benvogliente, che vi si avverta; dico, del Gennadio Patriarca — Che vi si avverta »43. Era un’altra versione del trattato — che Gabia, certo ignaro che altri la stava conducendo e l’aveva forse già completata, pur incalzato dalla fretta aggiunse a quella delle orazioni. La versione di Benvoglienti (Siena 1518 – Roma 1581)44 fu pubblicata a stampa (col titolo Defensio quinque capitum etc.) alla fine del 1579 con dedica a Gregorio XIII45. Sia Gabia che Benvoglienti fanno dunque capo a Santoro, che agisce da tramite presso il papa. A Gabia la traduzione delle orazioni era stata affidata dal Santoro, e fu condotta sull’edizione a stampa del 1577; Benvoglienti ha cura di precisare che aveva concepito personalmente un interesse per la Defensio, in cui si era imbattuto («incidi») prima che essa venisse pubblicata con gli Atti greci46, e che per la traduzione si servì di quattro manoscritti47. Chi lo indusse a fare la versione fu l’arcivescovo di Corcira Antonio Cocco, di cui egli era familiaris et domesticus, che si adoperò — stando alle parole dello stesso Cocco — perché l’opera venisse pubblicata e provvide — sembrerebbe — alle spese di stampa: «Suasi ut tam egregium opus cum Latinis communicaret [...] pollicitus pro hac re peragenda omne meum studium atque opem»48. Ma un compenso per la tra43

Ibid., p. 23. Su di lui si può vedere la voce anonima Benvoglienti, Fabio in DBI, 8, Roma 1966, pp. 698-702, che però contiene alcune inesattezze: l’incarico a Benvoglienti di tradurre il testo di Gennadio è attribuito a Gregorio XIII; il manoscritto vaticano Reg. lat. 2023 è citato erroneamente come 2033, e non contiene una lettera a Gregorio XIII con la notizia dell’imminente pubblicazione della traduzione del Gennadio, ma il memoriale al Sirleto citato infra, nt. 51; è detta sconosciuta la data di morte, che è fornita invece da G. MERCATI, Alla ricerca dei nomi degli «altri» traduttori nelle Omilie sui Salmi di s. Giovanni Crisostomo e variazioni su alcune catene del Salterio, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 158), p. 139 nt. 2: morì nel 1581 in casa dell’arcivescovo di Corfù e fu sepolto nella chiesa di S. Caterina da Siena in via Giulia. 45 GENNADII SCHOLARII patriarchae Constantinopolitani Defensio quinque capitum quae in sancta et oecumenica Florentina synodo continentur FABIO BENEVOLENTIO Senensi interprete, Romae, In aedibus populi Romani, 1579; descrizione in É. LEGRAND, Bibliographie hellénique ou description raisonnée des ouvrages publiés par des grecs aux XVe et XVIe siècles, IV, Paris 1906, pp. 219-220. La traduzione di Benvoglienti accompagna il testo greco in PG, 159, Lutetiae Parisiorum 1866, coll. 1109-1394. L’edizione è analizzata da PERI, Ricerche, pp. 32-37 (che a p. 32 data la dedica, credo per svista, 15 invece che I novembre). 46 E comunque dopo il 1575, come arguisce PERI, ibid., p. 34. 47 Li indica nell’indirizzo Ad lectorem; per la loro identificazione cfr. ancora PERI, ibid., pp. 36-38 48 Lo scrive nella prefazione al volume. Il Cocco (o Cauco; Venezia 1531 – Roma dopo il 1581; la data di morte è incerta, ma deve essere successiva a quella di Benvoglienti), di illustre famiglia veneziana, aveva lungamente soggiornato in Oriente, aveva dedicato a Gregorio XIII un’opera De haeresibus iuniorum Graecorum (o Adversus errores Graecorum), e doveva essere ascritto, ma non lo fu, alla Congregazione dei Greci di Santoro. Al Concilio di Trento, 44

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duzione dovette venire anche dal papa, dal quale Benvoglienti ricevette una provvigione di dieci scudi d’oro. Pochi giorni dopo la sua morte (gennaio 1581) intervenne Gabia a reclamarla per sé. La risposta del papa fu «ch’è estinta e non la vuol dare e che gli è stata richiesta da altri»49. Perché mai Gabia riteneva di avere titolo al compenso di Benvoglienti per la versione del trattato? Forse perché l’aveva anche lui — incautamente — tradotto sua sponte confidando in una remunerazione. I rapporti di committenza appaiono comunque tutt’altro che lineari. Ma quello che importa è che c’era un diffuso interesse nella Sede Apostolica per il Gennadio. Un terzo soggetto compare difatti come patrocinatore dell’edizione di Benvoglienti: il cardinale Guglielmo Sirleto, che non poteva mancare di interessarsi alla versione di un testo da lui stesso raccomandata già nel 156150. Qualche tempo prima della pubblicazione della sua versione, dopo il 1575 e prima che uscissero gli Atti greci, Benvoglienti aveva manifestato in un memoriale rivolto a Sirleto una certa impazienza, supplicandolo che «si mettesse ala stampa il Gennadio tradotto da me»51. Gli chiedeva anche alcuni testi, e anzitutto che «si facessi diligenza di cercare il concilio florentino latino in Firenze et in Ferrara» (ma sappiamo che gli Atti latini erano scomparsi). Gli chiedeva l’opera di Giorgio Trapezunzio de primatu Petri52 e l’epistola di Bessarione ai Greci53. (Le citerà entrambe nella dedica al pontefice, condividendo il giudizio di Gabia sulla superiorità di Gennadio: «Verum hi longo intervallo ab eloquentia Gennadii absunt»). E gli chiedeva di verificare se il decreto di Costantino in greco fosse a Venezia nella biblioteca di Bessarione. nel 1562, aveva tenuto un’orazione, poi stampata (ANTONII CAUCI... Oratio habita in secunda sessione sacri Concilii Triden., Brixiae, Ad instantiam I. B. Bozolae, 1564). 49 La testimonianza, del fiammingo Gerhard Voss (autore a sua volta di versioni di Padri dal greco, morto nel 1609 a Liegi), è riportata, purtroppo senza fonte, da P. M. BAUMGARTEN, Neue Kunde von alten Bibeln. Mit zahlreichen Beiträgen zur Kultur- und Literaturgeschichte Roms am Ausgang des sechszehnten Jahrhunterts, Roma 1922, p. 338. 50 Cfr. infra, nt. 65 e contesto. 51 Il memoriale, nel ms. Reg. lat. 2023, f. 36r, senza data, è pubblicato da LAURENT, L’édition princeps cit., p. 187; cfr. PERI, Ricerche, pp. 40 e 86, che lo pone dopo il 1575, «nella fase preparatoria dell’edizione [degli Atti], conclusa alla fine del 1576 o nei primissimi giorni del gennaio ’77». 52 Credo sia da identificare col trattato indirizzato nel 1457 al clero cretese perché si unisse alla sede di Pietro, su cui Cristo aveva fondato la sua Chiesa; cfr. MONFASANI, The pro-Latin apologetics of Greek émigrés to Quattrocento Italy, in ID., Greek scholars between East and West in the fifteenth century, Farnham 2016 (già pubblicato in Byzantine theology and its philosophical background, eds. A. RIGO – P. ERMILOV – M. TRIZIO, Turnhout 2011, pp. 160-186), pp. 15-17 (paginazione del saggio nel volume di Monfasani). 53 Probabilmente intende l’epistola che Bessarione indirizzò ai Greci nel 1463, in occasione della sua elevazione al patriarcato di Costantinopoli: MONFASANI, ibid., pp. 12, 14.

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Dunque Benvoglienti dovette eseguire il lavoro a contatto col Sirleto, al quale fornì anche la propria collaborazione. Il memoriale esordisce difatti con l’annuncio dell’invio di «un sommario del Concilio florentino greco; dico greco, perché la traduttion vecchia è in molti luoghi imperfecta»54, di cui il cardinale doveva averlo incaricato. Ma di lui, anche se fu con Gabia tra gli ellenisti romani interpellati nel 1573 da Johannes Rethius per il progetto di traduzioni cattoliche dei Padri, non si conoscono altre versioni dal greco. Non è chiara la sua connessione, se come fruitore o catalogatore, con la biblioteca Sforziana ricca di codici greci55; al cardinale Alessandro Sforza (1534-1581), uno dei creatori della biblioteca, aveva dedicato nel 1571 un’operetta del suo avo Bartolomeo Benvoglienti (m. 1486) tradotta in volgare56. In corrispondenza con rinomati letterati (l’Aretino, Claudio Tolomei, Annibal Caro), autore di versi, ben introdotto nel mondo della Curia57, appare figura ben diversa da Gabia. Il suo Discorso per quale cagione per la religione non si sia fatta guerra fra’ gentili, e perché si faccia tra Christiani. Con alcune cose ad esaltazione della fede cattolica et depressione degl’heretici, frutto della partecipazione ad una accademia promossa nel 1567 dal cardinale bibliotecario Da Mula, conteneva una digressione de status ecclesiastici praestantia, con una enfatica esaltazione del principato ecclesiastico58. Quello che aveva destato l’entusiasmo di Benvoglienti per l’opera di Gennadio era proprio la difesa del primato del pontefice romano (ultimo capitolo, Quod iuste vereque dictum sit papam caput esse totius Ecclesiae Christi), tema nevralgico per i rapporti con l’intera cristianità dissidente. Su questo è focalizzata la dedica al papa 54

È la traduzione latina del cretese Bartolomeo Abramo pubblicata nel 1526 con dedica a Benedetto Accolti: Acta generalis octavae synodi ... e Graeco in Latinum nuper traducta, interprete BARTHOLOMAEO ABRAMO Cretensi, Romae, Apud A. Bladum, 1526; venne poi giudicata inadeguata. 55 Cfr. G. MERCATI, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 164), pp. 16-17; LAURENT, L’édition princeps cit., pp. 173-175. 56 Trattato de l’origine et accrescimento de la citta di Siena, Roma, G. Degli Angeli. Nel 1578 pubblicò un opuscoletto di poche pagine con un Discorso sopra la materia de gli affetti per dichiarazione del secondo libro della Retorica d’Aristotile (Siena, presso Luca Bonetti). 57 Il suo volume contiene anche due epigrammi in lode di Gennadio e del suo traduttore composti dai curiali Cesare Mazzutelli di Camerino, autore di una Collectio diversarum constitutionum et litterarum Rom. Pont. a Gregorio VII usque ad … Gregorium XIII uscita a Roma in quello stesso anno 1579, e Girolamo Catena di Norcia, che nel 1586 avrebbe pubblicato la Vita del gloriosissimo papa Pio V. Il Mazzutelli collaborò anche al volume elaborando uno dei due indici (peraltro molto limitato rispetto al secondo). Un terzo epigramma è di Pietro Contestabile di Genova, che non ho identificato.. 58 Lo scritto è analizzato in Benvoglienti, Fabio cit.; cfr. PERI, Ricerche, pp. 33-34. Il testo ebbe una certa diffusione sia a stampa (Firenze, B. Sermartelli, 1570; Siena, L. Bonetti, 1575), sia manoscritta.

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— che non poteva non compiacersene. Gennadio forniva le fonti sacre e canoniche su cui la potestà papale era basata; i suoi argomenti valevano anche contro gli «haeretici nostrae tempetastis», Luterani e Ugonotti che, come prima i Greci, incorrono ora in gravi calamità a causa dei Turchi per la loro disobbedienza al papa. La versione di Gabia era stata fatta nel volgere di un’estate e poco dopo consegnata al papa. Benvoglienti nell’attesa della stampa (trascorrono almeno due anni fra il memoriale al Sirleto e la pubblicazione) ebbe agio di continuare a documentarsi. L’edizione si presenta assai accurata: offre a margine l’indicazione dei passi citati dalle Scritture (rilevandone le differenze dalla Vulgata) e dai Padri e identifica le fonti a cui il testo fa solo cenno; è corredata di due indici. Il volume include anche una lettera di Benvoglienti Ad lectorem, una prefazione dell’arcivescovo Cocco e una pagina Studioso lectori del teologo Francesco Pinta, incaricato dal Magister Sacri Palatii Paolo Costabile dell’esame dell’ortodossia del lavoro. Nonché una Vita Gennadii Patriarchae Constantinopolitani. Come Gabia, come Benvoglienti, e come l’arcivescovo Cocco, anche il teologo Pinta esprime ammirazione per il testo: «multa in eo (scil. libro) sese mihi obtulere scitu dignissima quae nusquam hactenus legeram apud Latinos auctores». Conosce evidentemente anche le orazioni di Scolario (per averle lette nel testo greco a stampa, o forse anche nella traduzione di Gabia, da lui del pari sottoposta a verifica). E si premura di avvertire che l’autore, Gennadio patriarca di Costantinopoli, è lo stesso personaggio che nell’ultima sessione del concilio fiorentino è chiamato Giorgio Scolario, e che al concilio tenne ai Greci le orazioni per raggiungere la concordia con i Latini («de Gennadio admonuisse sufficiat eum ipsum esse autorem qui sessione ultima Florentini concilii Georgius Scholarius dicitur, qui et in eodem concilio celebres pro ineunda cum Latinis concordia orationes ad Graecos habuerit»). Giorgio e Gennadio (circa 1400 – circa 1472) sono difatti la stessa persona, e appare dagli Atti che il suo intervento, insieme a quello del Bessarione, fu determinante nella sessione finale del Concilio per indurre i Greci ad accedere all’unione59. Sue sono per consenso pressoché unanime le orazioni al Concilio60; non è suo il trattato. Quello che Pinta e i suoi contemporanei 59 Sul suo ruolo al Concilio cfr. nel fondamentale volume di M.-H. BLANCHET, Georges-Gennadios Scholarios (vers 1400 – vers 1472). Un intellectuel orthodoxe face à la disparition de l’empire byzantin, Paris 2008 (Archives de l’Orient chrétien, 20), pp. 316-333. 60 Cfr. JUGIE in GEORGIUS GENNADIUS SCHOLARIUS, Oeuvres complètes cit., I, p. LII; GILL, Orationes Georgii Scholarii cit., pp. IX-XI; p. VIII-X sulla loro divisione; F. TINNEFELD, Georgios Gennadios Scholarios, in La théologie byzantine, cit., pp. 493-494, 522-524; MONFASANI, The pro-Latin apologetics cit., pp. 5-6. BLANCHET, Georges-Gennadios Scholarios cit., pp. 333-

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ignoravano è che al ritorno in patria, divenuto monaco e cambiato il nome in Gennadio, Scolario era passato alla parte avversa abbracciando le posizioni violentemente antilatine di Marco Eugenico (1392-1444), vescovo di Efeso, l’unico fra i Greci che era rimasto per tutto il Concilio tenacemente ostile all’unione e che non aveva firmato il decreto del 6 luglio 143961. Né sapevano che alla morte di Marco Eugenico Gennadio aveva assunto il ruolo di capo del partito antilatino, e che dopo la conquista turca fu, col nome di Gennadio II, il primo patriarca ortodosso di Costantinopoli ricevendo l’investitura — dicono le fonti bizantine — dal sultano Maometto II nel 1454. Il trattato è riconosciuto opera del cretese Giovanni Plusiadeno (1429?-1500), che lo scrisse dopo il 1455. Noto come Giuseppe vescovo di Modone (antica Methone, in Messenia), legato al Bessarione, aveva fatto il cammino inverso a quello di Scolario: da oppositore dell’unione, dopo avere studiato gli Atti del Concilio, di cui curò la redazione, ne era divenuto un fervente sostenitore, e alla sua difesa consacrò una parte notevole della propria produzione62. Il trattato dello pseudo-Gennadio era conosciuto e apprezzato a Roma, dove ne circolavano alcuni manoscritti già prima che Viviani lo portasse dall’Oriente63. Aveva attirato l’attenzione anche di Pierre Morin (1531344, ha riesaminato a fondo la questione, concludendo a favore dell’autenticità — che è negata solo da qualche studioso di osservanza ortodossa (in particolare da T. N. ZESES, Γεννάδιος Β’ Σχολάριος. Βίος, συγγράμματα, διδασκαλία, Thessalonike 1980), su cui cfr. TINNEFELD, Georgios Gennadios Scholarios cit., p. 523. Tuttavia gli studiosi non concordano sul numero, sul modo in cui vanno divise e sul momento in cui le orazioni furono composte; cfr. l’analisi dettagliata offerta da BLANCHET, Georges-Gennadios Scholarios cit., pp. 333-345. 61 Il processo che lo portò a mutare convinzione riguardo alle possibilità di intesa con la Chiesa romana è ricostruito ampiamente da BLANCHET, Georges-Gennadios Scholarios cit., pp. 344-382; cfr. GILL, Orationes Georgii Scholarii cit., p. X. Su Marco Eugenico K. N. TSIRPANLIS, Mark Eugenicus and the Council of Florence: a historical reevaluation of his personality, Thessalonike 1974 e da ultimo N. CONSTAS, Mark Eugenikos, in La théologie byzantine cit., pp. 411-475. 62 CANDAL, La «Apologia» del Plusiadeno cit., pp. 36-57; M. MANOUSSACAS, Recherches sur la vie de Jean Plousiadénos (Joseph de Methone) (1429?-1500), in Revue des études byzantines 17 (1959), pp. 28-51; BLANCHET, Georges-Gennadios Scholarios cit., pp. 44-45, che spiegano la ragione della errata attribuzione a Gennadio; MONFASANI, The pro-Latin apologetics cit., pp. 4-5, 20-21; cfr. anche T. N. ZISSIS (ZESES), Die Glaubwürdigkeit der Schriften von Johannes Plousiadenos (Joseph von Methone) in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 32, 4 (1982) [Akten des XVI. Internationalen Byzantinenkongresses], pp. 347-355. Dopo la Defensio Plusiadeno scrisse la Responsio ad libellum Marci Eugenici sul Concilio di Firenze (PG, 159 cit., coll. 1023-1094) e un dialogo De differentiis inter Graecos et Latinos et de sacrosancta Florentina synodo (ibid., coll. 959-1024). 63 C’era l’attuale Ott. gr. 196 di Marcello Cervini (nel 1555 papa Marcello II), che fu poi acquistato dal Sirleto; su questo codice lo scriptor vaticano Emanuele Provataris eseguì nel 1553 una copia per la Biblioteca, il Vat. gr. 838; cfr. PERI, Ricerche, p. 37, dove sono registrati altri codici, come l’attuale Neapol. gr. 77 (già II C 9) della Biblioteca Nazionale di Napoli,

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1608), uno dei curatori della futura editio Romana dei concili generali, che, avendolo visto nella Biblioteca Vaticana «multo ante [...] quam ederetur», si era proposto di farne un commento64. Sirleto, si è detto, ne caldeggiava la traduzione ben prima, nel 1561: «Il Protonotario Sirletto giudica che si debbia incominciare a tradurre di greco l’infrascritti libri di dottori greci antiqui», tra i quali «Gennadio de intercessione sanctorum, de Purgatorio et de primatu pontificis»; e le prescrizioni di Sirleto non erano senza peso65. In particolare si apprezzava il capitolo quinto con l’apologia del primato papale66. Benvoglienti riferisce nella dedica al papa che il famoso grecista Nicolò Majorano (1491 o 1492-1584 o 1585) soleva ripetere che nei cinquanta anni passati al servizio della Santa Sede e dei pontefici non aveva trovato un’opera che più di questa accendesse la sua venerazione verso di loro67. Osserva Peri che fu proprio «il suo potenziale apologetico in favore del primato pontificio», valevole verso tutta la cristianità dissidente, a farlo tenere in gran conto68. Ma qualche perplessità su Giorgio/Gennadio e sull’autore del trattato doveva aleggiare. Nell’edizione degli Atti non è stabilita alcuna relazione fra Giorgio e il patriarca. Gabia accenna alla questione scrivendo: «Converti item Gennadii eodem Scholarii cognomine sive alius ille fuerit sive idem, ut quidam volunt, Georgius, mutato tanto nomine proptereaquod il più antico, appartenuto al cardinale Alessandro Farnese. Sul Vat. gr. 838 P. CANART, Les manuscrits copiés par Emmanuel Provataris (1546-1570). Essai d’étude codicologique, in Études de paléographie et de codicologie. Reproduites avec la collaboration de M. L. AGATI et M. D’AGOSTINO, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 540), I, pp. 89, 110 (già pubblicato in Mélanges Eugène Tisserant, Città del Vaticano 1964 (Studi e testi, 236), VI, pp. 241-271). 64 Ne parla in una lettera, senza data e destinatario, in PETRI MORINI Parisiensis Opuscula et epistolae ... opera et studio J. QUÉTIF, Parisiis 1675, pp. 379-386. In un’altra lettera indirizzata Prusto, cioè al nipote Nicolas Proust des Carneaux, a Parigi, anch’essa senza data ma chiaramente successiva (pp. 410-411), parlava degli errori nella traduzione di Benvoglienti; aveva preparato con Benvoglienti stesso — quindi prima del 1581, data della morte di questo — una copia con correzioni manoscritte, che chiedeva al nipote di far stampare a Parigi; non se ne hanno altre notizie. 65 PERI, Ricerche, pp. 28 e 176-177. Sirleto raccomandava anche la versione del commento di Teodoreto ai Salmi, che fu pubblicata poco dopo, nel 1564, a Padova, da Antonio Carafa, il quale nella dedica ricorda l’incitamento avuto dal Sirleto. 66 Una copia a sé stante, fatta nel 1574, è nel manoscritto della Biblioteca Casanatense 1561. 67 «Nulla alia magis ad eorum (scil. Sanctae Sedis et pontificum) cultum sum accensus et inflammatus quam ex huius voluminis lectione». Sul Majorano, custode della Vaticana e docente allo Studium per oltre vent’anni, vescovo di Molfetta (1553-1566), curatore di edizioni di Padri greci, e, precedentemente, della famosa edizione degli scolii di Eustazio a Omero (1542-1550) promossa dal cardinale Cervini, cfr. M. CERESA, Majorano, Niccolò, in DBI, 67, Roma 2006, pp. 660-663. 68 PERI, Ricerche, p. 38.

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Constantinopolitanus patriarcha delectus fuit, satis probabili ex orationis ac styli similitudine coniectura ducti, quinque apologias». Alcuni dunque sostenevano che l’autore dell’apologia non era lo stesso Scolario delle orazioni, mentre altri congetturavano in modo abbastanza attendibile dalla somiglianza dello stile di orazioni e trattato («satis probabili ex orationis ac styli similitudine coniectura ducti») che l’autore fosse Giorgio, che aveva cambiato nome dopo l’elezione al patriarcato. Gabia non dice chi siano i sostenitori delle diverse posizioni, né si pronuncia a favore dell’una o dell’altra ipotesi; ma quell’«ut quidam dicunt» rivela che un sospetto che l’autore del trattato non fosse lo stesso delle orazioni fiorentine c’era. Che Gabia stesso avesse qualche sentore che non poteva essere il patriarca Gennadio? Peri ha mostrato che il Concilio cosiddetto di unione era stato dimenticato in Occidente — ma anche in Oriente — fin quando non cominciò a valutarsi la prospettiva di un nuovo concilio ecumenico. Nel 1526 era stata pubblicata la versione latina di Abramo degli Atti del Concilio di Firenze. Subito dopo ci fu lo iato del Sacco di Roma. La questione dei Greci scismatici si riaffacciò nuovamente sulla scia delle istanze universalistiche del Concilio di Trento. Ma ben poco si sapeva degli sviluppi politico-religiosi intervenuti a Costantinopoli dopo la fine del Concilio di Firenze e la caduta dell’impero bizantino. Perfino Viviani che aveva soggiornato tanto a lungo in Oriente aveva notizie estremamente vaghe; sempre attribuisce la responsabilità del venenum contro i Latini al solo Marco di Efeso; conosce Giorgio Scolario come vir eruditus et catholicus, fervente sostenitore della dottrina romana e collaboratore del patriarca Gregorio Mamma; e non stabilisce alcuna connessione fra Giorgio e Gennadio Scolario69. Onofrio Panvinio nel Chronicon ecclesiasticum, pubblicato nel 1568, tentava di ricostruire la successione degli eventi e dei patriarchi di Costantinopoli — impresa notoriamente quanto mai ardua. Datava al 1452 l’elezione di Gennadio: «Gennadius Scholarius primus ex Graecia post captam Constantinopolim patriarcha Constantinolopolitanus»70; nello stesso anno 1452 poneva la 69 Cfr. anche il suo opuscolo sui patriarchi cattolici dopo la caduta di Costantinopoli (Vat. gr. 1497, ff. IIr-IIIv) pubblicato da PERI, Ricerche, pp. 154-156, secondo cui Giorgio Scolario aveva continuato il lavoro di Gregorio Protosincello (Mamma) contro Marco di Efeso, poi completato da Bessarione — il che non risulta altrimenti — e Bessarione sarebbe succeduto a Gregorio Mamma; non nomina fra i patriarchi Gennadio. 70 ONUPHRII PANVINII Veronensis Chronicon ecclesiasticum a C. Iulii Caesaris dictatoris imperio usque ad imp. caesarem Maximilianum II Austriae, Coloniae, Apud M. Cholinum, 1568 (la dedica a Ludovico Torres è datata Romae Kal. Octobris 1557), p. 128. Registra nel 1440 (p. 127) l’elezione come centoventinovesino patriarca di Costantinopoli Gregorio III Mamma e nel 1460 (p. 129) quella di Sofronio come centotrentunesimo; quindi Gennadio, patriarca fino al 1460, era per lui il centotrentesimo.

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conquista turca di Costantinopoli (e anche la nomina di Bessarione a patriarca latino di Costantinopoli, che è del 1463). Gli storici bizantini che narravano gli eventi contemporanei (Ducas, il Chronicon di Sfranze che comunque nulla offriva su Scolario, al contrario del ricchissimo Chronicon maius a lui attribuito, ma composto proprio in quegli anni da Macario Melisseno) all’epoca probabilmente non erano ancora disponibili a Roma71. Con l’eccezione di Laonico Calcocondila72. Gabia, pressato dall’urgenza di completare il lavoro, non poté forse svolgere ricerche (o forse scoprì qualcosa che era più opportuno tacere; perché il tempo per consultare alcuni dei testi citati dallo pseudo-Gennadio, apponendo a margine il riferimento preciso, lo aveva pur trovato). Benvoglienti invece, mostrando di essersi documentato, include nel suo volume una biografia di Giorgio/Gennadio (Vita Gennadii Patriarchae Constantinopolitani). Raccoglie informazioni da varie fonti: dagli Atti greci e dallo stesso Gennadio, dal Chronicon ecclesiasticum di Onofrio Panvinio, dai propri corrispondenti in particolare per le opere di Scolario; il che non gli evita di mescolare vero e falso. Da Panvinio deduce che Scolario fu eletto patriarca alla morte di Gregorio III Mamma nel 1452 (morto invece a Roma nel 1459) e che morì nel 1460, poiché Panvinio registra Sofronio nel 1460 come 131° patriarca costantinopolitano: ne evince che Gennadio, suo predecessore, era morto in quell’anno (la data di morte, peraltro ignota, è posta intorno al 1472). Passa anche in rassegna gli scritti di Scolario: le orazioni al Concilio, il trattato, la risposta polemica ai Capitoli sillogistici contro i Latini di Marco Eugenico73, «praecipuus inter Graecos schismatis autor», la monodia per Costantinopoli, e altri su cui ha notizie («audivi») più o meno esatte74; sa che tradusse e commentò Tommaso d’Aquino. 71 Il Chronicon di Sfranze fu copiato per Sirleto nell’Ott. gr. 260 da Michele Glinzunio «fra gli anni ’70 e ’80 del XVI secolo» (MAISANO in GIORGIO SFRANZE, Cronaca, a cura di R. MAISANO, Roma 1990, p. 52*; cfr. anche pp. 71*-74*); Macario Melisseno redasse a Napoli fra il 1573 e il 1576 il cosiddetto Chronicon maius (ibid., p. 67*). Quanto a Ducas, fu conosciuto tardi. 72 Erano allora presenti alla Vaticana due manoscritti delle Ἀποδέξεις ἱστοριῶν di Laonico Calcocondila, acquistati uno nel 1551 (Vat. gr. 159), l’altro nel 1553 (Vat. gr. 158); cfr. Codices Vaticani Graeci. Recensuerunt I. MERCATI – P. FRANCHI DE’ CAVALIERI, I: Codices 1-329, Romae 1933, rispettivamente alle pp. 181 e 180; R. DEVREESSE, Le fonds grec de la Bibliothèque Vaticane des origines à Paul V, Città del Vaticano 1965 (Studi e testi, 244), pp. 421, 426, 448, 452. 73 MONFASANI, The pro-Latin apologetics cit., pp. 5-11, analizza questo scritto e ne rivendica l’autenticità, non da tutti gli studiosi accettata, dimostrando che va collocato prima del Concilio di Ferrara-Firenze. 74 Pochi manoscritti di Scolario figurano negli inventari dell’epoca della Biblioteca Vaticana: un commento all’Isagoge di Porfirio (Vat. gr. 942), la sua grammatica greca (Vat. gr. 17), l’orazione funebre per Elena Paleologina (nel miscellaneo Vat. gr. 1014), sui quali DEVREESSE,

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Attinge anche alle Storie di Laonico Calcocondila. Non sappiamo se usasse un manoscritto col testo greco, o la versione latina di Conrad Clauser apparsa a Basilea nel 155675. Ma le legge a modo suo. Calcocondila riferisce nel libro sesto che, dopo che i Greci al ritorno da Firenze «noluerunt amplius in religionis negotio adherere Romanis» (trad. Clauser pp. 91-92), Eugenio IV inviò a Costantinopoli alcuni dotti per discutere con gli oppositori dell’unione, e cioè con Marco vescovo di Efeso, che sempre, fin dal principio, in Italia, l’aveva totalmente rifiutata, e con Scolario, che eccelleva allora fra i Greci per dottrina76. Gli avversari dell’unione che gli inviati del papa dovevavo convincere erano dunque Marco Eugenico e Scolario. Ma Benvoglienti chiude gli occhi davanti a questa scomoda testimonianza da cui estrapola solo una frase, scrivendo: «Laonicus Chalcondyles Atheniensis libro VI Historiae Turcicae meminit huius (scil. Gennadii) tanquam primas apud Graecos sapientiae partes obtinentis»77. Così la fedeltà di Gennadio all’unione era salva. Secondo Peri la biografia era stata «forse sollecitata da Santoro e comunque approvata personalmente da Gregorio XIII»78; non mi pare che ci siano testimonianze o indizi al riguardo. In ogni caso, Benvoglienti non poteva deludere i committenti, quali che fossero. Le fonds grec cit., ad indicem, s.v. Scholarius. Non c’erano ancora i suoi scritti antilatini. Il Vat. gr. 1145 col trattato De processione Spiritus Sancti contro i Latini sarebbe arrivato con Paolo V (1605-1621): ibid., p. 478; cfr. S. LILLA, I manoscritti vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 415), pp. 18-19: Paolo V li avrebbe donati alla Biblioteca Vaticana «forse nella fase iniziale suo pontificato». 75 LAONICI CHALCONDYLAE Atheniensis De origine et rebus gestis Turcorum libri decem nuper de Graeco in Latinum conversi CONRADO CLAUSERO Tigurino interprete. Adiecimus... diversa opuscula. Basileae, Per I. Oporinum, 1556. La Biblioteca Vaticana ne conserva una copia segnata R.I.II.57, che non sembra però fosse presente all’epoca in cui Benvoglienti faceva la traduzione di Gennadio. Essa non figura difatti nell’ inventario inedito degli stampati del 1604, come mi ha gentilmente comunicato Massimo Ceresa, al quale va il mio ringraziamento. 76 LAONICI CHALCOCONDYLAE Atheniensis Historiarum libri decem, ex recognitione E. BEKKERI, Bonnae 1843, p. 295: «εἰς διάλεξιν ἀφιξομένους τοῖς τῶν Ἑλλήνων σοφοῖς, oἳ οὐ προ-

σίεντο τὴν γενομένην σφίσι ξύνοδον κατὰ τὴν Ἱταλίαν, Μάρκῳ τε τῷ Ἐφέσου ἀρχιερεῖ οὐδὲ τὴν ἀρχὴν τιθεμένῳ τῷ τῶν Λατίνων δόγματι τὸ παράπαν, καὶ Σχολαρίῳ τῷ τότε παρ’Ἕλλησι τὰ ἐς σοφίαν εὐδοκιμοῦντι».

77 Un travisamento uguale e contrario troviamo nella traduzione dell’evangelico Clauser. Calcocondila attribuisce il rifiuto totale dell’unione fin dall’inizio al solo Marco Eugenico («Μάρκῳ τε τῷ Ἐφέσου ἀρχιερεῖ οὐδὲ τὴν ἀρχὴν τιθεμένῳ τῷ τῶν Λατίνων δόγματι τὸ παράπαν»); ma Clauser traduce: «Marcus Ephesi episcopus et Scholarius Graecorum doctissimus ne ab initio quidem Latinorum dogmati consensum praestare voluerunt», attribuendo anche a Scolario il rifiuto ab initio ad aderire alla dottrina dei Latini. Se il teologo Francesco Pinta proclamava che Giorgio Scolario, autore delle orazioni filolatine, divenuto il patriarca Gennadio aveva composto la Difesa del Concilio, Clauser preferiva al contrario convincersi che egli era stato fin dall’inizio un oppositore dell’unione con Roma. 78 Ricerche, p. 36.

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Se qualche sospetto ci fu su Gennadio venne probabilmente accantonato, tale era il plauso per la difesa del Concilio a lui attribuita, che tanto più efficace appariva in quanto rivolta ai connazionali proprio dal patriarca greco — come Benvoglienti rilevava nella dedica79. Finché non arrivò a scompigliare le carte Giovanni Matteo Cariofilo (1566 o 1568-1633), ellenista cretese educato nel Collegio Greco80, col quale il dubbio velatamente avanzato da Gabia («sive alius ille fuerit») diventava certezza. Nel 1612 pubblicò, nel quarto volume della collezione generale dei concili, gli Atti del Concilio di Firenze e le orazioni di Scolario — non il trattato. Allegava una lettera al lettore in cui sosteneva che erano esistite due persone di nome Giorgio Scolario, perché quella che era intervenuta a Firenze non poteva essere la stessa che aveva scritto contro i Latini e il Concilio81: Cariofilo era venuto forse a conoscenza del manoscritto Vat. gr. 1145 col trattato di Gennadio De processione Spiritus Sancti contro i Latini pervenuto alla Vaticana con Paolo V (supra, nt. 74). Poi, nel 1628, realizzò una versione del trattato in lingua demotica in cui l’attribuzione a Gennadio viene rifiutata fin dal frontespizio: «falso antea Gennadio Patriarchae adscripta»82. 79 Non avrà dubbi sul suo autore il gesuita Antonio Possevino, che pubblicava nel 1583 a Ingolstadt un prontuario a domanda e risposta sulla processione dello Spirito Santo per i Ruteni, Interrogationes et responsiones de processione Spiritus Sancti a Patre et a Filio desumptae ac breviore et dilucidiore ordine digestae ex libro Gennadii Scholarii Patriarchae Constantinopolitani, attingendo al primo dei cinque Capita; e raccomandava: «Legant Ruteni, nec legisse ac credidisse unquam eos poenitebit». Sull’uso della Defensio da parte di Possevino cfr. PERI, Chiesa romana e «rito» greco cit., p. 25. 80 Su Cariofilo (Caryophyllis, Kariophyllis, Karyophyllis), alunno del Collegio Greco dal 1583, dal 1622 arcivescovo di Iconio in partibus (odierna Konya, nell’Anatolia centro-occidentale), A. FYRIGOS, Caryophyllis primo editore della ‘Vita Nili’, in Atti del Congresso internazionale su s. Nilo di Rossano, 28 settembre – I° ottobre 1986, Rossano – Grottaferrata 1989, pp. 197-215. Cfr. anche, in particolare per la sua attività di copista, G. DE GREGORIO, Spigolature dai codici greci della Biblioteca Nazionale di Roma: un volume della fine del XVI secolo fra Collegio Greco e Collegio Romano (fondo Greci 13), in Sit liber gratus quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi per il suo 90° compleanno, a cura di P. CHERUBINI e G. NICOLAI, II, Città del Vaticano 2012 (Littera antiqua, 19), pp. 1072-1082. 81 Τῶν ἁγίων οἰκουμενικῶν συνόδων cit., pp. 599-600. Più tardi Cariofilo pubblicò, anonima e senza data (1629?), stampata da Stefano Paolino, la più nota edizione greco-latina in due volumi, Ἡ ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ ἐν Φλωρεντίᾳ σύνοδος. Sancta generalis Florentina synodus, in cui riprese la propria versione latina degli Atti (nel vol. I) e delle orazioni di Scolario (nel vol. II). Sfugge sia a PERI, Ricerche, p. 32 nt. 13, che a FYRIGOS, Caryophyllis primo editore cit., p. 211, che la versione degli Atti greci e delle orazioni di Scolario era stata pubblicata per la prima volta da Cariofilo nell’editio Romana dei concili generali. 82

Ἑρμηνεία τῶν πέντε κεφαλαίων ὅπου περιέχει ἡ ἀπόφασις τῆς ἁγίας καὶ οἰκουμενικῆς συνόδου τῆς Φλωρεντίας... μεταγλωττισμένη εἰς τὸ ἰδιωτικὸν μίλημα … ψευδῶς εἰς τὸ ὄνομα Γενναδίου πατριάρχου. Explanatio quinque capitum definitionis s. generalis Florentinae synodi ... vernaculo eorum sermone donata, falso antea Gennadio Patriarchae adscripta, Romae, Typis Sac. Congr. de Propag. Fide, 1628. Il nome di Cariofilo non vi compare.

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Cariofilo spiega nella prefazione le ragioni del disconoscimento. Ormai è a conoscenza, dai tempi della sua edizione del 1612 del Concilio di Firenze (di cui cita la sua lettera)83, che Scolario ha scritto contro i Latini. Sa anche dal Chronicon maius allora attribuito al protovestiario Sfranze, nuova fonte comparsa di recente, che Giorgio Scolario, seguace di Marco Eugenico, era divenuto alla morte di questo capo del partito antiunionista; che dopo la caduta di Costantinopoli era stato eletto patriarca col beneplacito del sultano; e che aveva cambiato il nome in Gennadio. Ma non può ammettere che Gennadio sia lo stesso Scolario filolatino che al ritorno dal Concilio ha abbracciato le posizioni di Marco Eugenico, come invece sostengono i Greci, con i quali polemizza fortemente. La sua soluzione è che c’erano state due persone diverse con lo stesso nome. Essendo antilatino, Gennadio non poteva essere l’autore del trattato; però neppure poteva esserlo lo Scolario filolatino, morto prima della caduta di Costantinopoli della quale nel trattato si parla; quindi il trattato perdeva l’autore (Cariofilo suggerisce anche ipoteticamente che esso fosse stato scritto da un terzo Giorgio Scolario, pio sacerdote)84. Il trattato tradotto in lingua demotica doveva essere distribuito gratis ai Greci per contrastare la propaganda protestante. Di cui Cariofilo nella chiusa evoca l’incombente pericolo («nova zizania, quae diabolus per discipulos Calvini infausti nominis disseminat»), attaccando violentemente il patriarca di Costantinopoli Cirillo Lucaris «qui, cum pastoris titulum usurpet, in Calvinistarum numero sese proiecit»85. Poco importava che l’autore dell’Ἑρμηνεία non fosse un patriarca costantinopolitano; evidentemente si era giunti alla conclusione che quello che contava era la sua intrinseca forza di persuasione. Nonostante il disconoscimento di Cariofilo, la stessa Congregazione De Propaganda Fide sarebbe tornata pochi anni dopo, nel 1637, a pubblicare permissu superiorum la versione latina di Benvoglienti, con la sua prefazione, sotto il nome di Gennadio (omettendone la biografia e la lettera al lettore del dottor Pinta). Una svista, o era preferibile conservare per il pubblico occidentale l’attribuzione al patriarca greco? 83

«Non est ergo unus et idem hic Georgius Scholarius et alter ille Georgius Scholarius qui scripsit contra Ephesium, ut etiam probavimus in Annotatione ad Orationes Scholarii, quae affixae sunt Concilio Florentino». 84 Nel chiedersi chi potesse essere l’autore, sfiora la soluzione prendendo in considerazione Giovanni Plusiadeno, che però scarta perché negli altri suoi scritti contro Marco Eugenico «stylo utitur vehementiori et acriori». 85 Sulla controversa figura del filocalvinista Lucaris cfr. K.-P. TODT, Kyrillos Loukaris, in La théologie byzantine cit., pp. 617-658, e da ultimo gli interessanti saggi raccolti nel volume Trame controluce. Il patriarca ‘protestante’ Cirillo Loukaris / Backlighting plots. The ‘protestant’ Patriarch Cyril Loukaris, a cura di V. NOSILIA – M. PRANDONI, Firenze 2015.

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Le versioni di Gabia, come quella di Benvoglienti, furono sottoposte per incarico del Maestro del Sacro Palazzo all’esame del teologo Francesco Pinta86. Si intendeva quindi presumibilmente darle alle stampe. Si stampò difatti la versione del trattato di Benvoglienti, patrocinata dall’arcivescovo Cocco e dal Sirleto e soprattutto finanziata dal Cocco, della quale quella spontaneamente eseguita da Gabia si rivelò forse un duplicato superfluo. Ma c’è da chiedersi perché non fu stampata la traduzione delle orazioni di cui Gabia era stato espressamete incaricato. Non fu certo perché non venne trovata soddisfacente — non era comunque la qualità letteraria che interessava — o inaffidabile: più tardi difatti, nel 1583, Gregorio XIII avrebbe incaricato Gabia del compito assai delicato della traduzione in greco del calendario, una delle principali realizzazioni del suo pontificato, che venne immediatamente pubblicata. Pochi furono probabilmente a conoscenza del lavoro su Giorgio-Gennadio Scolario dell’appartato buon povero uomo, perché il manoscritto rimase confinato nella biblioteca privata di Gregorio XIII. Forse questa è una delle ragioni per cui non venne pubblicato neanche in seguito, e sicuramente la ragione per cui non venne usato più tardi per l’edizione generale dei concili. Ma la ragione principale al tempo di Gregorio XIII e del Santoro dovette essere un’altra, legata all’uso che di queste versioni si intendeva fare e ai loro destinatari potenziali. Le orazioni di Scolario e il trattato dello pseudo-Gennadio in greco erano destinati al mondo orientale; è evidente che le versioni latine erano invece rivolte agli occidentali. Il trattato era utile a fini apologetici su entrambi i versanti, poiché gli argomenti della polemica con i Protestati non erano diversi da quelli del dissidio con i Greci87. Le orazioni viceversa, che trattavano della pace e dell’unione tra le due Chiese in funzione degli aiuti latini di cui Costantinopoli al tempo del Concilio aveva necessità, riguardavano esclusivamente i rapporti tra Roma e il mondo bizantino; erano quindi spendibili solo nell’Oriente greco. Forse i committenti — il Santoro e lo stesso pontefice — si resero conto soltanto quando l’ebbero tra le mani che non valeva la pena stamparne la traduzione latina, visto che non poteva essere di alcuna utilità apologetica verso i Cristiani dissidenti d’Occidente. Il Gennadio latino di Benvoglienti fu pubblicato nuovamente durante il pontificato di Gregorio XIII nel 1581 86 Si legge in un più tardo appunto del cardinale Santoro, in KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro cit., p. 108, su cui si veda anche infra, p. 487. 87 Questa funzione è messa in luce da PERI, Ricerche, pp. 28-29: «Appare chiaro che il Sirleto [...] riconosceva al libro una considerevole efficacia, tale da meritargli la traduzione in latino e la diffusione nel mondo culturale e teologico d’Occidente in funzione antiprotestante»; più avanti (p. 31) ne rileva la «duplice funzione apologetica».

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a Dillingen, e poi ancora nel secolo seguente88. Le orazioni di Scolario furono poi incluse, in quanto appendice degli Atti, nell’edizione generale dei concili — ma non nella traduzione di Gabia. Delle traduzioni di Gabia e Benvoglienti, ormai scomparsi, si era tornati a parlare poco dopo l’elezione di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605). Gregorio XIII era morto nel 1585; nello stesso anno era venuto a mancare anche il Sirleto; quattro papi si erano succeduti dopo Gregorio XIII; dell’équipe che aveva promosso la pubblicazione e la traduzione degli Atti e del Gennadio sopravviveva solo il cardinale Santoro. Che ne riparla nell’udienza col papa del 19 novembre 1592: «Con Nostro Signore. Della traduttione del Gennadio del Benvogliente e del Gabbio, rivedute per ordine del P. Mastro di S. Palatio dal dottor Francesco Pinta Palentiensis diocesis»89. Perché ricordare che i testi erano stati controllati dal dott. Pinta? Erano forse i primi passi verso quella che sarà l’editio Romana che doveva includere tutti i concili, con traduzione latina dei testi in greco. I quattro volumi dei concili generali uscirono sotto il pontificato del successore di Clemente VIII, Paolo V (1605-1621), fra il 1608 e 161290. Per gli Atti greci del Concilio di Firenze si usò l’edizione del 1577; per la loro versione latina si era ventilata la possilità di utilizzare, opportunamente corretta, quella fatta nel 1526 da Abramo91. Invece ne venne fatta una nuova da Giovanni Matteo Cariofilo. Che tradusse anche le orazioni di Scolario, poste di seguito agli Atti nell’ultimo volume. Santoro era morto nel 1602. Sepolta nella biblioteca privata di Gregorio XIII passata agli eredi92, la versione di Gabia era stata dimenticata. Il suo manoscritto sarebbe arrivato alla Vaticana con la biblioteca Boncompagni Ludovisi a metà del secolo XIX93.

88 Oltre che a Roma nel 1637 dalla tipografia della Congregazione De Propaganda Fide, fu ristampato a Venezia da Alvise Pavini nel 1694. 89 KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro cit., p. 108. 90 Τῶν ἁγίων οἰκουμενικῶν συνόδων cit. 91 PERI, Ricerche, pp. 13-14. 92 Suo erede fu il figlio Giacomo, primo duca di Sora (Bologna 1548 – Isola del Liri 1612). La biblioteca tornò a Roma alla metà del secolo XVIII con Gaetano Boncompagni Ludovisi (Isola del Liri 1706 – Roma 1777). 93 Cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 277 nt. 62; W. REINHARD, Akten aus dem Staatssekretariat Pauls V. im Fondo Boncompagni-Ludovisi der Vatikanischen Bibliothek, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte 62 (1967), p. 95.

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APPENDICE I Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Bonc. A.4 Si compone di un fascicoletto contenente la dedica e di due unità, come indica la fascicolazione indipendente, peraltro in tutto omogenee e associate anche dalla dedica; verrà pertanto descritto come unico codice. Sec. XVI (1578); cart., senza filigrana; ff. I, 1-410, III (numerato 411); numerazione meccanica nell’angolo inferiore destro del recto; vacui i ff. 1, 3v, 65v, 158v-159v, 409v-410v; mm 230 × 151; fascicolazione: 14-1 (ff. 1-3), 2-218 (ff. 4-159), 226 (ff. 160165), 23-388 (ff. 166-285); 396 (ff. 286-291); 40-428 (ff. 292-315); 438-1 (tagliato il primo foglio del bifolio centrale; ff. 316-322); 44-548 (ff. 323-410); segnatura sull’angolo inferiore esterno del recto dei primi quattro fogli del fascicolo, indicata con lettere A-V (fasc. 2-21, che corrispondono al primo testo), A-Z (fasc. 22-45) e Aa-Ii (fasc. 46-54); richiami orizzontali sul margine inf. interno del verso dei primi tre o quattro fogli del fascicolo, talvolta anche sugli altri; rigatura non visibile; specchio scritto mm 155 × 111; linee 18 (ff. 2-3), 13 (da f. 4), 14 (da f. 156), 17 (ff. 160-409); testo a piena pagina. Decorazione: privo di pretese di eleganza, il manoscritto riproduce l’aspetto dell’editio princeps degli Atti (1577), con rubriche per autore e titoli al centro e titolo corrente su ogni recto. Legatura: piatti di cartone, coperta in pelle marrone; residui di legacci rossi sui bordi esterni; stemma dorato di Gregorio XIII in cornicetta sui due piatti con piccolo tassello di cuoio incollato su quello anteriore; arme Boncompagni sui compartimenti del dorso; margini rifilati, taglio dorato. Metà del sec. XVIII (cfr. infra, Storia del manoscritto). Stato di conservazione: lieve ossidazione dell’inchiostro, qua e là più pronunciata. Storia del manoscritto; copisti e altri artefici: a f. 409r la sottoscrizione: «Absoluta est haec conversio per dominum (cassato) Ioannem Baptistam Gabium septimo Idus Septembris paulo ante ortum solis 1578 Romae». La traduzione, compiuta il 7 settembre, fu effettuata nell’estate 1578 da Giovanni Battista Gabia su commissione del cardinale Giulio Antonio Santoro, come si legge nella dedica, f. 2r. Dedicato a Gregorio XIII, il manoscritto entrò nella sua biblioteca, e passò al figlio Giacomo. Il suo discendente Gaetano Boncompagni Ludovisi (1706-1777), principe di Piombino, a metà del secolo XVIII trasferì la biblioteca a Roma, dove il sacerdote Carlo Rosa di Somasca (Lecco) provvide a riordinare i manoscritti, farli rilegare e compilare l’indice degli autori (1757), come si legge nella dedica che apre il volume dell’indice. Il manoscritto giunse alla Vaticana con la biblioteca Boncompagni Ludovisi a metà del secolo XIX. Scrittura di unica mano. In assenza, allo stato attuale, di documenti di sicura autografia di Gabia, non è possibile accertare se fu lui stesso a vergare il manoscritto; di altra mano sembra la firma in calce alla dedica «Servus humillimus Io. Baptista Gabius» (f. 3r); assumendo che sia di Gabia stesso, se ne dovrebbe evincere che la traduzione sia stata copiata da altri; lo indicherebbe forse anche la cancellazione

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di «dominum» nel colophon. La realizzazione del manoscritto va comunque collocata entro l’anno 1478, poiché il codice era pronto per essere consegnato al papa il 30 dicembre, come si apprende da una testimonianza esterna94. Alcune correzioni e aggiunte sono di altra mano, forse quella che firma la dedica (Gabia stesso?). Revisioni e annotazioni: postille con correzioni interlineari e aggiunte marginali di omissioni; talvolta indicazioni di fonti soprattutto nell’ultima parte e sporadiche glosse esplicative. Possessori: Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, papa dal 1572 al 1585), da cui dovette passare in eredità al figlio Giacomo, primo duca di Sora (Bologna 1548 – Isola del Liri 1612) e ai discendenti di questo, tra cui Gregorio (1642-1707) che acquisì il titolo di principe di Piombino per il matrimonio con Ippolita Ludovisi, e Gaetano Boncompagni Ludovisi (Isola del Libri 1706 – Roma 1777), che trasferì la biblioteca a Roma. A f. 2r, nell’angolo superiore esterno, timbro con blasone Boncompagni sormontato da corona di principe. Bibliografia manoscritta: Indice alfabetico degli autori del Fondo Boncompagni compilato da Carlo Rosa di Somasca nel 1757; consultabile in copia, segnata 207(2), nella Sala Manoscritti della Biblioteca Vaticana. Bibliografia a stampa: P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, VI, London – Leiden 1992, p. 410a. Le due versioni, inedite, sono basate sul testo stampato a Roma nel 1577 da Francesco Zanetti di seguito all’editio princeps degli Atti del Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-1439 (Ἡ ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ ἐν Φλωρεντίᾳ γενομένη σύνοδος; le due opere rispettivamente alle pp. 233-289 e 291-406).

1. ff. 2r-3r: Giovanni Battista Gabia, Dedica a Gregorio XIII. inc.: Sanctissimo domino domino nostro Gregorio decimo tertio pontifici optimo maximo. Aestate proxima, beatissime pater, etsi multis occupationibus distinebar, attamen suasu, sive potius impulsu illustrissimi cardinalis Sanctae Severinae expl.: teque vere sanctissimum ac vigilantissimum pastorem [f. 3r] Magnique illius Gregorii imitatorem beatissimumque et Deo acceptissimum agnoscens, immortalem tuam gloriam, nec ulla unquam oblivione delendam immortali memoria prosequetur. Segue, più in basso: Servus humillimus Io. Baptista Gabius.

2. ff. 458r: Giorgio Scolario, Orationes. Tit. del ms.: Sapientissimi Georgii Scholarii de pace et ope ferenda patriae adhortatio 94

J. KRAJCAR, Cardinal Giulio Antonio Santoro and the Christian East. Santoro’s audiences and concistorial acts. Edited with notes by J. KRAJCAR, Roma 1966, p. 27 (Orientalia Christiana analecta, 177), p. 27; cfr. supra testo, p. 474.

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ad orientis synodum Florentiae coactam (tit. orig.: Ὑπὲρ εἰρήνης καὶ βοηθείας τῇ πατρίδι παράκλησις πρὸς τὴν ἀνατολικὴν σύνοδον ἐν Φλωρεντίᾳ). ff. 4r-26v: [Prooemium]. inc.: Divinae et sacrae synodo nostrae sanctae ecclesiae optimis et maxime venerandis patribus Georgius Scholarius debitam reverentiam. Commune sapientum omnium praeceptum est neminem debere alteri consilium dare expl.: at vos plures et prudentiores et sanae mentis maxime compotes, meliora persequimini. Haec enim synodi et omnis reipublicae omnisque concilii et prorsus hominum naturalis est lex. ff. 27r-65r: [Oratio prima, nel tit. corrente]. Eiusdem ad oecumenicam synodum Florentiae de pace; unitatem illam esse faciendam quae dogmate sanciatur, non autem pacem oeconomicam (corretto su oecumenicam) ut quidam volunt; et quaenam ipsa sit. inc.: Adhortari vos ad pacem scio non opus esse, ad quam et vestra sponte iam pridem incitati estis, et quantae vobis curae sit, quantoque studio illam expetatis, rebus ipsis ostendistis expl.: Si enim e contrario non promptissima fuissent, illinc speranda erat recte agendi facultas, sine quo nihil fieri potest. Ipsius igitur hoc opus fuerit, ut et quod utilissimum vobis futurum est, eligatis, et quam minimum defatigati illud ad exitum perducatis. ff. 66r-105r: Eiusdem oratio secunda, in qua evertuntur huiusce pacis impedimenta. inc.: Primum, venerandi patres, Deo gratias ago pro vestra animi ad bona alacritate, qua adducti boni aliquid proponentibus mentem adhibendam censetis, non ipsa verba perpendentes sed verborum vim studiose examinantes et pro ipsius erga me benignitatem cuius opus re ipsa conspicuum fuit expl.: hunc igitur ante oculos semper vobis proponentes et utilitatem atque gloriam quam ex recte factis consequemini, debile et infirmum quicquid adversetur, ostendetis, et optatissimam pacem quam celerrime utilissimamque decernetis. ff. 106r-158r: Eiusdem oratio tertia in qua exponuntur quae talem pacem factura sint. inc.: Quae igitur pacis huius maxima et difficillima impedimenta vobis visum iri quaeque vos rursus considerantes nihili facturos existimavi, at ipsi, utraque ut dicitur manu, ac strenue opitulaturos, nihil praetermittentes expl.: Vestrum fuerit deinceps minime cunctari, sed vel haec exequi, si quid nos dicere videamur, vel meliora quaerere, utriusque Deo vobis ascito duce. Per il testo originale cfr. Ἡ ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ ἐν Φλωρεντίᾳ γενομένη σύνοδος, pp. 233-289; PG, 160, coll. 385-524, con traduzione latina di Giovanni Matteo Cariofilo. Le edizioni moderne del testo greco, condotte sui manoscritti, presentano divisioni diverse delle orazioni: cfr. GEORGIUS GENNADIUS SCHOLARIUS, Oeuvres complètes, publiées par L. PETIT – X. A. SIDÉRIDES – M. JUGIE, I: Oeuvres oratoires. Traités théologiques sur la Providence et sur l’âme, Paris 1928, pp. 295-372; GEORGIUS GEN-

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SCHOLARIUS, Orationes Georgii Scholarii in Concilio Florentino habitae. Ad fidem manuscriptorum edidit addita versione Latina J. GILL, Romae 1964 (Concilium Florentinum. Documenta et scriptores, Ser. B, 8).

NADIUS

3. ff. 160r-409r Giovanni Plusiadeno (Gennadio Scolario patriarca di Costantinopoli nel ms.), Defensio Concilii Florentini. Tit. del ms.: Interpretatio Gennadii Scholarii patriarchae Constantinopolitani pro sacra et oecumenica Florentina synodo quod recte habita sit et pro quinque capitibus in definitione ipsius contentis respondentis et defendentis (tit. orig.: Ἑρμηνεία Γενναδίου

τοῦ Σχολαρίου πατριάρχου Κωνσταντινουπόλεως ὑπὲρ τῆς ἁγίας καὶ οἰκουμενικῆς ἐν Φλωρεντίᾳ συνόδου ὅτι ὀρθῶς ἐγένετο, ὑπεραπολογουμένου τῶν ἐν τῷ ὅρῳ αὐτῆς πέντε κεφαλαίων)

ff. 160r-165v: Prooemium. inc.: Magnum religionis mysterium quum pura mente et sincero animi studio perquiritur et animae et corporis oculos explanat et aperit solisque radiis efficit illustriores expl.: Nos vero cum charitate et pace divino auxilio demonstrabimus ex Filio quoque procedere Sanctum Spiritum sicut omnino et ex Patre, non contumeliis utentes irati sed illius discipuli qui dixit: Pacem persequimini et ne irascamini in iis quae dicitis. ff. 165v-228v: Caput primum (tit. corrente). Spiritum sanctum ex Filio quoque procedere et non ex solo Patre sicut asserunt ii qui synodum non approbant. inc.: Incipiendum igitur ab eo qui primus nobis hanc theologiam indicavit. Ipse enim in Evangelio secundum Ioannem capite septimodecimo haec apud discipulos ait: Multa habeo vobis dicere, sed non potestis portare modo expl.: et illius ecclesiam sequi et imitari quam ratiocinationes hominum opinionibus imbutorum qui sacrae scripturae testimoniis temerarii et vani dicti sunt. Segue: Finis primi capitis. ff. 228v-263v: Demonstratio alterius capitis eorum quae in decreto synodi continentur de mystico videlicet et sacro sacrificiis quemadmodum per azymum et fermentatum recte et vere Christi Dei corpus consecratur. inc.: Et ad alterum decreti caput accedimus ut convenientem apologiam reddamus ad id in quo nos arguitis et reprehenditis, asserentes [229r] eos qui sequuntur ecclesiam, quae non sunt honore prosequi, de quo etiam explicat sanctae synodi decretum expl.: deceptis pereant et cum ipsis illi quoque in impietatis incidant praecipitium. Segue: Finis secundi capitis. ff. 263v-303v: Demonstratio tertii capitis eorum quae in decreto synodi continentur, animas videlicet eorum qui poenitentes decesserint purgari post mortem. inc.: Tempus igitur est de tertio quoque capite in decreto posito disserere. Quod-

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nam vero hoc est, animarum expiatio post mortem quod apud Graecos catharterium (a marg.: καθαρτήριον), apud Latinos dicitur purgatorium expl. 303r-v: quia non licet ullo alio modo credere quam ut [303v] Ecclesiae luminaria docent. Segue: Finis tertii capitis. ff. 303v-336v: Demonstratio quarti capitis eorum quae in synodi decreto continentur, de beatitudine qua sancti fruuntur. inc.: Quartum vero decreti caput quodve lubricum et a recta opinione alienum repraehendunt, sancti videlicet sane in gloria Dei et eius contemplatione laetantur et perfecte quatenus animae illius divinae beatitudinis participes; sane quidam quidem ex ipsis approbant videlicet schismaticis expl.: Christum et salvatorem nostrum ut nos quoque ipsorum coetu ac statione dignetur. Fiat fiat. Segue: Finis quarti capitis. ff. 336v-406v: Apologia quinti capitis eorum quae in decreto synodi continentur, iure videlicet ac vere dictum esse, papam esse totius Ecclesiae Christi caput. inc.: Ecce quintum quoque et ultimum decreti caput accedit, ut apologiam idest defensionem ut superiora consequatur. Quia igitur haud veritus sum de superioribus capitibus dicere quae mihi viderentur expl.: obediamus atque in ipsa maneamus et in eius obedientia precemur nos in omne saeculum permanere ut in die illa horribili retributionis dominum nobis propitium inveniamus. ff. 406v-409r: Epilogus. inc.: Iam quantum in nobis fuit pollicitationem nostram [407r] explevimus, quum pro quinque articulis in Florentinae synodi decreto contentis responderimus. Haec autem diximus a communibus patribus et doctoribus expl.: et sanctissimum atque vivificantem Spiritum qui ex Patre ut a productore ab aeterno et principaliter et producitur et procedit et per ipsum scaturiens et emanans essentialiter atque substantialiter procedit et subministrat unam increatam virtutem, et nunquam finem habiturum regnum et immortalem vitam atque beatitudinem, quam utinam nos omnes consequamur, et ne a recta via diversi in montes et solitudines et barathra incidamus et loca quae non aspicit lumen vultus Domini nostri et Salvatoris Iesu Christi cui gloria et potestas in saecula saeculorum. Amen. Segue: Finis quinti capitis et totius tractatus Gennadii. Segue colophon: Absoluta est haec conversio per dominum (cassato) Ioannem Baptistam Gabium septimo Idus Septembris paulo ante ortum solis 1578 Romae. Il testo, attribuito nei manoscritti e nell’ed. 1577 al patriarca di Costantinopoli Gennadio Scolario (circa 1400 – circa 1472), si considera opera di Giovanni Plusiadeno (Giuseppe vescovo di Methone, Creta 1429?-1500). Per il testo originale cfr. Ἡ ἁγία καὶ οἰκουμενικὴ ἐν Φλωρεντίᾳ γενομένη σύνοδος, pp. 291-406; PG, 159, coll. 1109-1394, con traduzione latina di Fabio Benvoglienti. Non ne esiste un’edizione moderna.

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APPENDICE II Ms. Bonc. A.4, ff. 2r-3r. Dedica di Giovanni Battista Gabia a Gregorio XIII Sanctissimo domino domino nostro Gregorio decimo tertio pontifici optimo maximo. Aestate proxima, beatissime Pater, etsi multis occupationibus distinebar, attamen suasu sive potius impulsu illustrissimi cardinalis Sanctae Severinae, communis utilitatis, ut Christianum hominem decet, studiossimi, orationes illas in Latinum sermonem converti quibus Georgius cognomento Scholarius graece conscriptis suae nationis homines olim ad synodum Eugenii quarti felicis recordationis pontificis maximi auctoritate Ferrariae primum coeptam, deinde eiusdem iusssu Florentiam translatam, convocatos, ad verae ecclesiae id est Romanae unitatem, unde desciverant, cohortatus est, ubi certe nullum argumentandi genus, quod ad flectendas eorum mentes et ab erroribus ad veriorem sententiam revocandas quamplurimum valere, et ipse sibi persuaderet et alii omnes facile intelligerent, praetermisit. Converti item Gennadii eodem Scholarii cognomine, sive alius ille fuerit sive idem, ut quidam volunt, Georgius, mutato tanto nomine proptereaquod Constantinopolitanus patriarcha delectus fuit, satis probabili ex orationis ac styli similitudine coniectura ducti, quinque apologias quibus ille definita per oecumenicam eandem Florentinam synodum et decreta quinque capita [f. 2v] ita tuetur atque defendit, ut Latini homines non potuerint firmiora tela ad profligandos veritatis hostes excogitare aut acriorem pro religione vera contra haereticos et schismaticos conservanda ac retinenda propugnationem suscipere. Etenim auctoritates omnes tum Graecorum tum Latinorum ea confirmantes ita collegit, ita dilucide disseruit, ita enucleate interpretatus est, ut ad eius doctrinam falsa omnia adversariorum argumenta convincentem nihil addi sanorum hominum iudicio posse videatur. Idque, ut libentissime facere aggrederer, tuae verae sanctitatis non dixerim aemulatio sed potius debita mea erga illam observantia me concitavit. Tua enim praeclarissima in Christianam rempublicam merita et immensa erga humanum genus caritas ac benevolentia, qua cunctas nationes amplecteris plurimis per totum terrarum orbem instituendis, fovendis, liberalissime sustentandis omnique prorsus beneficio iuvandis collegiis, et mortalibus omnibus nunc elucent, et omnis posteritas admirata ac summis laudibus extollens teque vere sanctissimum ac vigilantissimum pastorem [f. 3r] Magnique illius Gregorii imitatorem beatissimumque et Deo acceptissimum agnoscens, immortalem tuam gloriam, nec ulla unquam oblivione delendam immortali memoria prosequetur. Servus humillimus Io. Baptista Gabius

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Tav. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Bonc. A.4, f. 160r.

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Tav. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Barb. C.VIII.10, p. 291.

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Tav. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Bonc. A.4, f. 342v.

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GIOVANNI MERCATI E IL CODICE RAVENNATE DI S. AMBROGIO «… molto più che curare il materiale restauro del codice, il cardinale Mercati ha resuscitato il codice stesso, restituendolo alla storia e alla scienza» (E. Tisserant a S. Baldassarri, 19 novembre 1957)

Giovanni Mercati (1866-1957)1, mentre era dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano (negli anni 1893-1898) poté rinvenire nell’Archivio arcivescovile di Ravenna (oggi Archivio storico diocesano di RavennaCervia: ASDRa)2 alcuni antichissimi fogli pergamenacei con testi di opere di Ambrogio di Milano — noti come codice (ravennate) di s. Ambrogio e oggi identificati come nr. 1 dell’Archivio – ed ebbe il privilegio di studiarli a Milano per qualche tempo. Passato poi in Vaticana, ottenne di avere nuovamente il codice anche in questa nuova biblioteca per farne effettuare il restauro e per studiarlo ulteriormente. Solo dopo la sua morte questo codice fu riportato alla sua sede di Ravenna, dove da tempo ne era richiesta la restituzione. Per quanto ho potuto verificare, il trasferimento del codice ravennate a Milano non è stato sinora adeguatamente conosciuto, e di conseguenza si sono fatte congetture erronee sui tempi di studio di Mercati a Ravenna in 1 Giovanni Mercati, ordinato sacerdote nel 1889, entrò in Ambrosiana nel 1893 come dottore; nel 1898 passò in Vaticana come scriptor, divenendo pro-prefetto nel 1918 e prefetto l’anno seguente; dal 1936 alla morte fu cardinale bibliotecario. Della ricca bibliografia su di lui, mi permetto segnalare esclusivamente la recente pubblicazione, in corso di stampa nella collana Studi e testi, I fratelli Mercati nella storia e nella cultura del Novecento, a cura di F. D’AIUTO, C. DEBBI, C. GAZZINI, P. VIAN, Città del Vaticano (che raccoglie gli interventi presentati al convegno su I fratelli Mercati nella storia e nella cultura del Novecento, tenutosi a Roteglia il 13 e 14 ottobre 2012, insieme a numerosi altri contributi sull’argomento), nella quale si troveranno indicazioni sulla precedente bibliografia. 2 Il nuovo nome venne assunto nel 2011. Sull’Archivio, nelle sue diverse denominazioni, cfr. ASSOCIAZIONE ARCHIVISTICA ITALIANA, Guida degli Archivi diocesani d’Italia, a cura di V. MONACHINO, E. BOAGA, L. OSBAT, S. PALESE, III, Roma 1998 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 85), pp. 283-293 (Archivio diocesano di Ravenna-Cervia); I manoscritti datati della Classense e delle altre biblioteche della provincia di Ravenna, Firenze 2004 (Manoscritti datati d’Italia, 11), pp. 9-10 (Archivio arcivescovile); ARCHIDIOCESI DI RAVENNA-CERVIA, Archivio storico diocesano. Mostra di documenti dal 557 al 1927, a cura di G. Rabotti, Ravenna 2014.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 497-552.

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quei primi anni3. In questo contributo intendo ripercorrere le vicende del manoscritto ravennate dal “rinvenimento” di Mercati nel 1894-1895 sino alla restituzione dalla Vaticana a Ravenna nel 1957. Riferisco anzitutto di una lettera inedita di Mercati ad Antonio Maria Ceriani (1828-1907), prefetto della Biblioteca Ambrosiana4, nella quale descrive il suo viaggio a Ravenna il 2 agosto 1895 per riportarvi il codice di s. Ambrogio (1.), e raccolgo inoltre la documentazione concernente il precedente trasferimento del manoscritto a Milano (2.); dedico poi un paragrafo alla vicenda della copia manoscritta del codice, fatta a Milano da Mercati, della quale tuttavia si perdono le tracce dopo gli anni Quaranta del secolo scorso (3.); accenno successivamente al trasferimento del codice in Vaticana nel 1907, in previsione di un restauro che interessò anche molte pergamene dell’Archivio ravennate (4.); mi soffermo quindi sulla delicata vicenda della restituzione del codice e degli altri materiali alla loro sede (5.); ed esprimo infine alcune considerazioni conclusive (6.)5. 3

Come verrà indicato nel testo, tali congetture furono avanzate da Augusto Campana nel 1958 (cfr. nt. 29 infra e contesto); solo nel 1997 Giovanni Montanari documentò il trasferimento del codice a Milano (cfr. nt. 55 infra e contesto). 4 Antonio Maria Ceriani, ordinato sacerdote nel 1852, entrò in Ambrosiana nel 1855 come custode del catalogo; nel 1857 fu promosso dottore e nel 1870 fu eletto prefetto, rimanendo tale sino alla morte. Fra i contributi più recenti su Ceriani segnalo anzitutto gli atti del convegno tenutosi a Uboldo, suo paese natale, nel 2007 nel centenario della sua morte, pubblicati in Monsignor Antonio Maria Ceriani. Convegno nel centenario della morte. Uboldo, 4 marzo 2007, Saronno 2007; inoltre: F. PARENTE, Ceriani, Antonio Maria, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 737-743; F. RUGGERI, Ceriani, Antonio Maria, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, II, Milano 1988, pp. 787-788; G. DE GREGORI – S. BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo. Dizionario bio-bibliografico 1900-1990, Roma 1999, pp. 58-59; C. PASINI, Il Collegio dei Dottori e gli studi all’Ambrosiana sotto i Prefetti Ceriani e Ratti, in Storia dell’Ambrosiana. L’Ottocento, Milano 2001, pp. 77-127: 80-90; ID., Ceriani all’Ambrosiana e i suoi contatti con i siriacisti, in L’eredità religiosa e culturale dei Sirioccidentali tra VI e IX secolo. Atti del 6° Incontro sull’Oriente Cristiano di tradizione siriaca. Milano, Biblioteca Ambrosiana, 25 maggio 2007, Milano 2012, pp. 19-34. 5 Questo lavoro è stato letto, mentre era in preparazione, dai dottori Massimo Rodella e Paolo Vian: li ringrazio vivamente per la condivisione e per i preziosi suggerimenti e aiuti. Molti ringraziamenti vanno alla professoressa Chiara Faraggiana di Sarzana e a mons. Giuseppe Rabotti, direttore dell’Archivio storico diocesano di Ravenna-Cervia, e in particolare al vice direttore dottor Massimo Ronchini e alla dottoressa Nina Liverani, per avermi fornito preziose informazioni e avermi fatto pervenire riproduzioni del materiale conservato in quell’Archivio. Similmente ringrazio mons. Bruno M. Bosatra, direttore dell’Archivio storico diocesano di Milano, e i suoi collaboratori, per le ricerche effettuate presso quell’Archivio. Molte altre persone che mi hanno in vario modo aiutato, compiendo verifiche e fornendo documentazione, indicazioni e suggerimenti, saranno ringraziate nelle note. A tutte desidero esprimere la mia sincera riconoscenza: pur conservando il gusto di “curiosare e indagare fra le carte” (imbattendomi nelle vicende di tante persone e accostandone un poco la loro fisionomia interiore), riconosco che non saprei condurre in porto alcuna ricerca, se non fossi

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1. La restituzione del codice a Ravenna La lettera inedita, da cui è partita questa ricerca e che documenta la restituzione del codice di s. Ambrogio a Ravenna, fu inviata da Mercati a Ceriani il 10 agosto 1895 da Roteglia6. In essa Mercati descriveva il viaggio che aveva compiuto dal 28 luglio al 9 agosto in varie biblioteche dell’Emilia, della Romagna e della Toscana, ragguagliando dettagliatamente in merito alle visite da lui fatte alla Capitolare e all’Estense di Modena, all’Universitaria di Bologna, all’Archivio arcivescovile di Ravenna, alla Laurenziana di Firenze, alla Fabroniana, alla Forteguerriana e alla Capitolare di Pistoia: in quelle biblioteche aveva raccolto materiale di studio, che avrebbe utilizzato in successive pubblicazioni grazie alle consultazioni di manoscritti ivi effettuate. Mercati, in particolare, così descriveva la visita fatta a Ravenna il 2 agosto, nella quale restituì il codice di s. Ambrogio (fra l’altro dopo aver “girovagato” dal 28 luglio al 2 agosto fra Modena, Bologna e infine Ravenna, avendo con sé le preziose pergamene!) ed ebbe l’opportunità di rinvenire altri frammenti pergamenacei nell’Archivio arcivescovile (per comodità di identificazione pongo fra parentesi quadre una numerazione continua dei frammenti, raggruppandoli sotto il segno distintivo della lettera L): Il 2° faceva a Ravenna la restituzione del manoscritto di S. Ambrogio [L1]. L’E[minentissi]mo Card. Arcivescovo volle che io lo racconciassi alla meglio, ne numerassi i fogli e lo assicurassi come sono assicurati(a) i nostri mss. in fascio. L’ho fatto, e, credo, non male. Nel frattempo frugai per tutti gli antri(b) dell’Archivio in cerca di altri fogli del S[an]t’Ambrogio: in vece d’essi trovai sopra uno scaffale altri tre fogli del mss. della Vulgata del sec. V°, tutti degli Atti Apostolici [L2]. Li ho copiati, come pure ho copiati quattro foglietti di Daniele [L3] in una scrittura minuscola vicina assai alla semiunciale, la cui età certo assai antica non saprei definire. A prima vista mi parvero dall’8 al 9 secolo: ma ora ne dubito. Il testo è quello della Vulgata. Cogli stessi foglietti di Daniele(c) e nello stesso formato era un codice delle Vitae Patrum in semiunciale dell’8° secolo circa [L4]. Ho(d) riattato alla meglio queste reliquie, indicandone il contenuto e raccomandandole(e) alla custodia dei presenti e dei futuri Archivisti, che forse chi sa cosa avrebbero lasciato farne. ——————— a nel testo originale: accurati b nel testo originale: altri c nel testo originale: Danieli testo originale: Ha e nel testo originale: raccomandondole

d nel

attorniato e sostenuto dalla generosa e competente benevolenza di molti. Anche per questo, un grazie caloroso a tutti! 6 Biblioteca Ambrosiana, W 28 bis inf., nr. 129. Per il testo di questa lettera e per ogni altra informazione al riguardo, rimando all’edizione dell’epistolario intercorso fra Mercati e Ceriani, di cui sto approntando l’edizione (ne prevedo la pubblicazione entro il 2018 nella collana Studi e testi della Biblioteca Apostolica Vaticana).

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Prima di commentare ciascuno dei gruppi di frammenti, è opportuno riportare anche la descrizione che nel 1897 Mercati, nell’Appendice A alle Titulationes nelle opere dogmatiche di sant’Ambrogio, diede di una sua precedente visita a Ravenna il 19 febbraio 18947 (anche in questo caso, per comodità di identificazione pongo fra parentesi quadre una numerazione continua dei frammenti, raggruppandoli sotto il segno distintivo della lettera T): Ricorderò sempre col massimo piacere la fredda sera del 19 Febbraio 1894, quando l’ottimo M[onsigno]r C[anoni]co Teol[ogo] Peppi, introdottomi nell’arcivescovile Archivio di Ravenna, mi pose sott’occhio un rotolo di laceri fogli in pergamena, la cui somma antichità appariva dalla stessa scrittura. Nel rotolo mi attrassero subito tre fogli d’un bel codice biblico in onciale del sesto secolo, di cui poscia trovai altri due [T1], un foglio in grossolana onciale del sec. VII, contenente un frammento della passione dei SS. MM. Agapio, Secondino e Compagni» [T2]; due fogli in minuscola piena d’elementi corsivi, sec. VIII-IX, di Daniele, VI, 4-24 [T3], e più che tutto il numero grande di fogli contenente opere di S. Ambrogio [T4].

Il cardinale di cui parla la lettera è Sebastiano Galeati (1822-1901), arcivescovo di Ravenna; quanto al canonico mons. Paolo Peppi, segretario personale del cardinale, fu poi prevosto del Capitolo e infine vicario generale della diocesi8. La notizia principale consiste nel fatto che il 2 agosto 1895 Mercati restituì a Ravenna il «manoscritto di S. Ambrogio» [L1], cioè il codice pergamenaceo del V-VI secolo, oggi Ravenna, Archivio storico diocesano di Ravenna-Cervia, nr. 1, contenente, in forma frammentaria, il De fide, il De incarnationis Dominicae sacramento e il De Spiritu sancto di Ambrogio di Milano9. Mercati, in quell’occasione, su indicazione del card. Galeati, prov7 G. MERCATI, Le Titulationes nelle opere dogmatiche di s. Ambrogio, con due appendici, in Ambrosiana, Milano 1897, nr. VIII, p. 26; riedito in ID., Opere minori, I, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 76), pp. 446-481: 464. 8 Sul card. Sebastiano Galeati e sul suo segretario mons. Paolo Peppi cfr. F. TEODORI, Guido Maria Conforti arcivescovo di Ravenna, I: Dalla nomina e consacrazione alla presa di possesso, Città del Vaticano 1992, pp. 27-39 (per le successive travagliate vicende di mons. Peppi, quale erede del card. Galeati, si veda passim, oltre che in questo volume, anche nel seguente: ID., Guido Maria Conforti il Buon Pastore di Ravenna, II, Città del Vaticano 1993); cfr. inoltre M. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate dalla rivoluzione francese a oggi, in Storia di Ravenna, V: L’età risorgimentale e contemporanea, a cura di L. LOTTI, Ravenna – Venezia 1996, pp. 133-198: 145-147, 156-157, 189 ntt. 161-167. 9 Su questo manoscritto cfr. MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), pp. 26-33 (pp. 464-469 della riedizione); E. A. LOWE, Codices latini antiquiores. A palaeographical guide to latin manuscripts prior to the ninth century, IV, Oxford 1947, nrr. 410a-410b (d’ora innanzi: CLA; Lowe distingue due mani, la prima che copia i primi 135 fogli, in semi-onciale del V-VI secolo, nr.

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vide a ordinare il codice meglio che poté. Stando poi alla testimonianza del 1897 [T4], quei fogli costituivano il nucleo principale del “rotolo” che mons. Peppi aveva presentato a Mercati nel febbraio 1894. Bisogna tuttavia segnalare che non si trattò di una scoperta in senso assoluto. Già prima di quel giorno, nel 1854, esplorando le biblioteche e gli archivi italiani per i testi da pubblicare nei Monumenta Germaniae historica, Ludwig Bethmann aveva raccolto un’informazione, pubblicata nel 1874, sulla presenza nell’Archivio arcivescovile di Ravenna di un manoscritto in onciale che erroneamente attribuì al VII o VIII secolo e di cui imprecisamente seppe dire soltanto che conteneva un De spiritu sancto in tre o quattro libri, di cui inizio e fine erano andati perduti (o piuttosto strappati)10; e nel 1882-1883 l’archivista arcivescovile Antonio Tarlazzi (1802-1888) ricopiò dal codice ravennate, attribuendolo al V secolo, il testo della lettera, da lui ritenuta inedita, dell’imperatore Graziano ad Ambrogio tramandata in capo al De Spiritu sancto11. Riguardo agli altri rinvenimenti, è possibile precisare, con una minima rettifica, quanto indicato in merito ai frammenti della Vulgata: Mercati asserisce di aver trovato nell’agosto 1895 «altri tre fogli del mss. della Vulgata del sec. V°, tutti degli Atti Apostolici» [L2], mentre nell’aprile 1894 era rimasto subito attratto da «tre fogli d’un bel codice biblico in onciale del sesto secolo, di cui poscia trovai altri due» [T1]. I fogli, quindi, sarebbero cinque, e in nota12 Mercati indicava i brani biblici che vi sono contenuti: gli Atti degli Apostoli in quattro fogli e la Prima lettera di Giovanni nel quinto 410a, la seconda che copia i soli sei altri fogli in semi-onciale del VI secolo); A. CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio, in Italia medioevale e umanistica 1 (1958), pp. 15-68 e tavv. I-XII; riedito in ID., Scritti, a cura di R. AVESANI, M. FEO, E. PRUCCOLI, II: Biblioteche, codici, epigrafi, I, Roma 2017 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 241), pp. 249311; M. FERRARI – G. FRASSO, Petrarca «Hospes Ambrosii»: catalogo della mostra di codici e stampe (Milano, 22 novembre – 6 dicembre 1974), in Aevum 50 (1976), pp. 360-374: 361; G. MONTANARI, Il codice ravennate di S. Ambrogio, in Tesori nascosti. Momenti di storia e di arte nelle antiche chiese della Romagna. Catalogo della mostra a cura di F. FARANDA, Milano 1991 (Ravenna Capitale, 2), pp. 85-92. 10 «[…] ein Werk De spiritu sancto in drei oder vier Büchern, Anfang und Ende verloren, und auch sonst verletzt»: L. BETHMANN, Nachrichten über die von ihm für die Monumenta Germaniae historica benutzten Sammlungen von Handschriften und Urkunden Italiens, aus dem Jahre 1854, in Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtkunde 12 (1872-1874), pp. 201-426, 474-758: 583. 11 A. TARLAZZI, Nuovo documento rinvenuto nell’Archivio arcivescovile di Ravenna, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna s. III, 1 (1882-1883), pp. 472-473, tav. XI. Tarlazzi fu autore, fra l’altro, di un noto volume di Memorie sacre di Ravenna, Ravenna 1852. Su di lui cfr. la scheda redatta da Angelo Barisani pubblicata alla pagina web, consultata il 12 gennaio 2018: http://www.parrocchiasancristoforo-mezzano.it/ storia/donantoniotarlazzi.html. 12 MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), p. 26 nt. 1 (p. 464 nt. 1 della riedizione).

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foglio13. La lettera, scritta appena pochi giorni dopo la visita nell’Archivio ravennate, è quindi fededegna quando afferma che in agosto 1895 furono trovati tre fogli, mentre probabilmente lo scritto del 1897 si confonde, attribuendo a febbraio 1894 il rinvenimento di tre fogli, limitando a solo due fogli il ritrovamento dell’agosto 1895. Una controprova di quanto sto affermando è offerta dall’introduzione all’edizione di questi frammenti della Vulgata fatta da Mercati nel 191714: anonima ma verosimilmente redatta da Ambrogio (Guerrino) Amelli (1848-1933)15, l’introduzione propone in ogni caso un’informazione evidentemente proveniente da Mercati16: Il primo e l’ultimo [frammento] furono comunicati a Mons. Giovanni Mercati della Vaticana nel Febbraio del 1894 da Mons. Peppi Archivista; gli altri dal medesimo Mons. Mercati furono rintracciati nell’Agosto del medesimo anno, in mezzo a molti frammenti di documenti del sec. XI e XII che si stavano catalogando.

I fogli trascritti nella pubblicazione sono, nell’ordine, i quattro degli Atti degli Apostoli e, ultimo, quello della Prima lettera di Giovanni. Per quanto posso arguirne, Amelli, pur confondendosi riguardo all’anno della seconda 13 Oggi denominato manoscritto nr. 2a dell’Archivio. Cfr. anche LOWE, CLA, IV, nr. 411 (Lowe indica sei fogli, in onciale del VI secolo, perché ai cinque fogli noti a Mercati e conservati in Vaticana al momento in cui scrive, aggiunge un sesto foglio non noto a Mercati e rimasto a Ravenna, contenente un frammento della Vulgata dell’Apocalisse; questo foglio è oggi denominato manoscritto nr. 2b). 14 Cfr. G. MERCATI, Frammenti antichissimi ravennati della Volgata (dall’Archivio arcivescovile di Ravenna), in Alcuni scritti e brevi saggi di studii sulla Volgata pubblicati in occasione del cinquantenario monastico di Sua Eminenza il cardinale Gasquet, Roma 1917, pp. 50-62 (con edizione dei testi); riedito, per le pp. 50-53 (senza l’edizione dei testi), in ID., Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 79), pp. 1-6. 15 Il benedettino Ambrogio (al secolo: Guerrino) Amelli era originario di Milano; ordinato sacerdote diocesano nel 1870, divenne poi benedettino a Montecassino nel 1887. Sia a Milano sia a Roma fu in contatto con Mercati. Su di lui cfr. Amelli, Ambrogio Maria, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 759-760; S. PAGANO, Nuove ricerche sul codice biblico latino purpureo di Sarezzano, in Benedictina 34 (1987), pp. 3-143: 6-26; M. FERRARI, Il Ballerini editore di sant’Ambrogio, in Paolo Angelo Ballerini. Arcivescovo di Milano. Atti della Giornata di studio in occasione del I Centenario della morte. 1897-1997. Milano, Seminario di Corso Venezia, 22 marzo 1997, Milano 1998 (Archivio ambrosiano, 77), pp. 117-130: 120-122; F. BAGGIANI, L’abate Ambrogio Amelli [1848-1933]. Aspetti della Riforma della Musica Sacra in Italia dal carteggio Ambrogio Amelli – Angelo De Santi, Montecassino 2008 (Fonti e ricerche storiche sull’abbazia di Montecassino, 5); C. PASINI, Traduzione di un opuscolo di Franz Xaver Witt in un manoscritto giovanile di Achille Ratti ritrovato, in Studi in onore del Cardinale Raffaele Farina, II, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 478), pp. 941-981: 972-978. 16 Cfr. MERCATI, Frammenti antichissimi ravennati cit. (nt. 14), p. 50 (p. 1 della riedizione). Benché l’introduzione si presenti anonima, al termine del contributo di Mercati (nella forma completa dell’edizione originaria), Amelli appose la propria firma, esprimendo altresì alcune conclusioni personali.

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visita (che non fu il «medesimo» ma il successivo), offre invece un’indicazione esatta, e per noi preziosa, riguardo alla sequenza nel rinvenimento dei fogli: nel febbraio 1894, come già ipotizzato, Mercati aveva potuto riconoscere due fogli (uno con il testo degli Atti degli Apostoli, l’altro con quello della Prima lettera di Giovanni), nell’agosto dell’anno successivo si era poi imbattuto negli altri tre fogli, tutti degli Atti degli Apostoli, come giustamente dice nella lettera. Quanto al resto, sembrerebbe da attribuire alla visita di febbraio 1894, perché solo quella volta vi è citato, la scoperta del «foglio in grossolana onciale del sec. VII, contenente un frammento della passione dei SS. MM. Agapio, Secondino e Compagni»17 [T2], che Lowe, nei Codices latini antiquiores, indica come scritto in semi-onciale del VI-VII secolo18. Alla visita di agosto 1895 deve essere invece collegato il rinvenimento del «codice delle Vitae Patrum in semiunciale dell’8° secolo circa» [L4] rinvenuto con gli «stessi foglietti di Daniele e nello stesso formato», dei quali si dirà appresso. Lowe, confermando la datazione al secolo VIII, lo dice composto di 28 fogli e scritto in onciale; Gabriele Sarti, in una recente monografia su questo testo, lo ritiene «scritto intorno all’anno 700 probabilmente in area ravennate»19. Lascia invece qualche incertezza l’informazione sui frammenti del pro17

Cfr. MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), p. 26 e nt. 2 (p. 464 e nt. 2 della riedizione); Note varie di letteratura specialmente patristica, in Studi e documenti di storia e diritto 20 (1899), pp. 89-125: 104-107 (con edizione del frammento); riedito in ID., D’alcuni nuovi sussidi per la critica del testo di s. Cipriano. Seguono: Note varie di letteratura specialmente patristica, Roma 1899, pp. 72-108: 87-90; nuovamente riedito in ID., Opere minori, II, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 77), pp. 226-261: 240-244. 18 Oggi denominato manoscritto nr. 3 dell’Archivio. Cfr. LOWE, CLA, IV, nr. 412. 19 Oggi denominato manoscritto nr. 4 dell’Archivio. Cfr. ibid., nr. 413; G. SARTI, Un libro ravennate di spiritualità monastica dell’inizio del secolo VIII nell’Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia. Studio codicologico, trascrizione, traduzione, commento linguistico. Saggio introduttivo di R. SAVIGNI con un preambolo di G. RABOTTI, Ravenna 2017, p. 63 (il codice è descritto alle pp. 63-115; in particolare p. 79 per la datazione e p. 80 per l’origine). Sulla risguardia anteriore del manoscritto è incollato un foglietto, di mano di Mercati, con una sommaria descrizione – «Vitae SS. Patrum. / (cfr. ed. Rosweid) [scil. Heribert Rosweyde] / praecedunt orationes duae / sine nomine auctoris. / Codex saeculo circiter VII-VIII / (fol. 28) diligenter custodiendus» — e, in calce, la sua firma e la data: «Vidit J. M. Mercati» e «4/Aug./1895»; una riproduzione dell’intero manoscritto — e della risguardia anteriore con il foglietto — è rinvenibile alle pagine web www.ravenna-cervia.chiesacattolica.it/archiviomanoscritto4 e www. webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/s2magazine/index1.jsp?idPagina=45240 (consultate il 9 dicembre 2017); la nota, che rivela somiglianze con quella apposta dallo stesso Mercati sui fogli biblici (conservata nel Mss. fot. 126: cfr. nt. 111 infra), è trascritta in SARTI, Un libro ravennate cit., pp. 81-82 (anche se l’autore non ritiene di mano di Mercati la descrizione, la firma e la data (e non comprende il senso dell’abbreviazione del nome come «J[ohannes] M[ichäel]», come indicato in nt. 111 infra), mentre attribuisce a Mercati la nt. 1 (che riferisce che il f. 23 è «stracciato quasi interamente»), che invece riterrei di altra mano. ID.,

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feta Daniele, che Mercati, nella lettera [L3], pone dubitativamente a fine VIII-inizio IX secolo e che similmente il Lowe pone alla fine del secolo VIII20, definendo come antica minuscola la «scrittura minuscola vicina assai alla semiunciale» di Mercati. Questi nella lettera parla di quattro fogli, mentre nello scritto del 1897 [T3] riferisce di due fogli in una «minuscola piena d’elementi corsivi», in ogni caso attribuiti al «sec. VIII-IX» e contenenti «Daniele, VI, 4-24»21. Lowe conferma il contenuto (Dn 6,4-7.10-16.2024) e precisa il numero dei fogli in quattro, come indicato nella lettera. Il riferimento di Mercati in ambedue i casi è quindi, evidentemente, ai medesimi frammenti, ma, nella imprecisione dei dati, non saprei spiegarmi perché collochi questa scoperta sia la prima sia la seconda volta. Resta infine da registrare che Mercati afferma di essere stato a Ravenna nel febbraio 1894 e nell’agosto 1895. Sull’argomento ritorno nel paragrafo seguente, ma già ora segnalo che, nel 1957, quando si procedette alla restituzione del codice di s. Ambrogio, si diede per assodato che Mercati l’avesse trovato nel 1895 e non l’anno prima: così affermò Eugène Tisserant (1884-1972)22, da poco succeduto a Mercati quale cardinale bibliotecario, nella lettera al vescovo di Ravenna, Salvatore Baldassarri (1907-1982)23, datata 19 novembre 1957 (App. nr. 4), dove asserì che Mercati aveva trovato i fogli «Quand’Egli, giovane dottore dell’Ambrosiana, fu a Ravenna nel 1895»; e analogamente lascerebbe intendere l’Informazione di fatto, preparata a Ravenna il 10 novembre 1957 (App. nr. 3), nella quale tuttavia il riferimento è, per sé, allo studio del manoscritto (che potrebbe dirsi effettivamente iniziato nel 1895)24.

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Oggi denominato manoscritto nr. 5 dell’Archivio. Cfr. LOWE, CLA, IV, nr. 414. Cfr. MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), p. 26 (p. 464 della riedizione). 22 Eugène Tisserant entrò in Vaticana nel 1908 come scriptor orientalis e assunse il compito di pro-prefetto dal 1930 al 1936, quando fu creato cardinale; tornò in Biblioteca nel 1957 come bibliotecario (con nomina del 14 settembre), rimanendovi sino al 1971. Su di lui cfr. J. MEJÍA – Chr. GRAFINGER – B. JATTA, I cardinali bibliotecari di Santa Romana Chiesa. La quadreria nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2006 (Documenti e riproduzioni, 7), pp. 329-333; É. FOUILLOUX, Eugène cardinal Tisserant (1884-1972). Une biographie, Paris 2011. 23 Salvatore Baldassarri, ordinato sacerdote nel 1929, fu vescovo di Ravenna dal 1956 al 1975. Su di lui cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 177-183, 196-198 ntt. 333-404; ID., La diocesi di Ravenna: Salvatore Baldassarri, un vescovo «fuorviato» dal concilio?, in Il Vaticano II in Emilia-Romagna. Apporti e ricezioni, a cura di M. TAGLIAFERRI, Bologna 2007, pp. 189-213. 24 Sui contenuti di questi documenti poté influire la ricostruzione che ne fece Augusto Campana e che confluì l’anno seguente in CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9), come documento nel paragrafo seguente. 21

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2. La copia del codice a Milano Mentre il testo della lettera dell’agosto 1895 riferisce semplicemente in merito alla restituzione del codice, altra documentazione ci permette di comprendere come si sia arrivati al suo trasferimento a Milano. Cito anzitutto, dal testo del 1897, un paragrafo25 nel quale Mercati ringrazia, per aver potuto effettuare una copia del codice, il card. Galeati, a cui era stato raccomandato dal card. Andrea Carlo Ferrari (1850-1921)26, arcivescovo di Milano: La somma grazia di S. E. il Card. Sebastiano Galeati, Arcivescovo di Ravenna, a cui l’Em[inentissi]mo nostro Arcivesc. Card. A. C. Ferrari si degnò di raccomandarmi colla più viva premura, mi permise di trarre copia di tutto con la comodità, che esigeva la lunghezza e la difficoltà del lavoro. Buona parte dei fogli di S. Ambrogio, guasti ai margini e spesso ridotti all’apparenza di un cribro, non poteva trascriversi che lentissimamente col favore d’una grande luce.

Mercati non esplicita dove avvenne una simile trascrizione «con la comodità, che esigeva la lunghezza e la difficoltà del lavoro» e «col favore d’una grande luce». Augusto Campana (1906-1995)27, a cui non era nota la lettera dell’agosto 1895 né altra documentazione ora disponibile a Milano e a Ravenna di cui riferirò nel seguito, pubblicando nel 1958 una Notizia inedita di G. Mercati sul codice ravennate (1895)28 — cioè una descrizione 25

MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), pp. 26-27 (p. 464 della riedizione). Andrea Ferrari fu vescovo di Guastalla dal 1890 e di Como dall’anno seguente; dal 1894 alla morte fu vescovo di Milano, assumendo in questa sede anche il nome di Carlo. Sul suo episcopato milanese cfr. C. SNIDER, L’episcopato del cardinale Andrea C. Ferrari, 2 voll., Vicenza 1981-1982 (Fontes ambrosiani, 67 e 70); A. MAJO, Ferrari, Andrea Carlo, beato (1850-1921), in Dizionario della Chiesa ambrosiana, II, Milano 1988, pp. 1198-1208; N. RAPONI, Milano «capitale morale» e Chiesa ambrosiana. L’età del cardinal Ferrari (1894-1921), in Diocesi di Milano (2a parte), a cura di A. CAPRIOLI, A. RIMOLDI, L. VACCARO, Brescia 1990 (Storia religiosa della Lombardia, 10), pp. 759-816, 954-955; G. PIGNATELLI, Ferrari, Andrea, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVI, Roma 1996, pp. 506-512. 27 Studioso di filologia e letteratura medievale e umanistica, Campana fu per quasi un quarto di secolo in Vaticana, dove entrò il 1° aprile 1935, divenendo scriptor latinus il 1° settembre 1938, e rimase sino al 1959. Originario di Santarcangelo di Romagna, fu particolarmente attento alla sua terra d’origine. Risulta pertanto facilmente comprensibile il suo interesse per i materiali ravvennati approdati in Vaticana: come si dirà a suo luogo, nel settembre 1938 fu incaricato della restituzione di un gruppo di pergamene (cfr. nt. 121 infra) e nel 1957 verrà ricordato dal vescovo Baldassarri come persona che si potrà utilmente consultare per le cose ravennati e in specie per il codice di s. Ambrogio (cfr. n. 164 infra e contesto). E a questo codice, l’anno seguente, dedicherà la più volte citata monografia su Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9). Su Campana in Vaticana cfr., oltre alla documentazione nella cartella personale conservata in Biblioteca, M. BUONOCORE, Augusto Campana e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Rubiconia Accademia dei Filopatridi 18 (1996), pp. 23-47, tavv. I-XXXVII. 28 Cfr. CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9), pp. 65-67 (pp. 308-310 della riedizione). 26

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del codice (in doppia redazione) di mano dello stesso Mercati, conservata a Ravenna e datata precisamente al 3 agosto 1895 (in occasione della visita) —, pensava che Mercati si fosse sbagliato nel riferire i suoi viaggi. A suo avviso, infatti, Mercati sarebbe stato a Ravenna due volte ma solo nel 1895, prima nel febbraio e poi per un ininterrotto periodo da aprile ad agosto29. Verosimilmente immaginò quest’ultima prolungata presenza, fraintendendo la frase della Notizia inedita: «Codicem hunc […] totum diligentissime describsi describtumque bis quandoque ter quaterue contuli, a.D. 1895 mensibus Aprili-Iulio»; la collegò infatti all’indicazione conclusiva «Scribebam Rauennae A.D. 1895 / die 3 Mensis Augusti» e immaginò che la copia dei mesi aprile-luglio fosse avvenuta a Ravenna e che qui si concludesse con la stesura della scheda il 3 agosto30. Una prolungata presenza di Mercati in Ravenna per la copia del manoscritto è immaginata, si direbbe per influsso di Augusto Campana, anche da Tisserant nella citata lettera a Baldassarri del 1957 (App. nr. 4), quando scrisse che Mercati per la sagacia e l’intuizione acute e profonde che erano Sue doti precipue, riconobbe il manoscritto [scil. il codice di s. Ambrogio] con grandissima gioia, lo ordinò, lo studiò, e, non contento di collazionarlo, si fermò a Ravenna parecchi giorni per trascriverlo tutto di suo pugno.

Ora, il periodo aprile-luglio 1895, cui accenna Mercati, indicava senza dubbio il tempo in cui egli poté studiare e copiare il manoscritto, non però a Ravenna, ma a Milano. Peraltro, che Mercati non si trovasse all’Archivio 29 Campana immagina infatti che le date del 1894 (febbraio per il testo del 1897 e febbraio e agosto per il testo del 1917) debbano essere tutte intese, per errore di memoria o di stampa, come riferite al 1895. 30 Di conseguenza scrisse che Mercati «stese, come mi sembra certo, il suo lavoro a Milano sugli appunti, senza però aver davanti a sé le membrane originali» (ibid., p. 17; p. 252 della riedizione), immaginando un suo previo ampio soggiorno a Ravenna a questo scopo. Lo stesso Campana, tuttavia, in una lettera del 3 dicembre 1957 indirizzata all’archivista arcivescovile Mario Mazzotti (conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1, non numerata ed edita in G. MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio storico arcivescovile di Ravenna, in Augusto Campana e la Romagna, a cura di A. CRISTIANI e M. RICCI, Bologna 2002 [Emilia Romagna Biblioteche Archivi, 43], pp. 197-226: 202-203), avanzò l’ipotesi, poi evidentemente accantonata, che Mercati potesse aver portato il codice a Milano: «Egli [scil. Mercati] non lo dice, ma dalle sue parole si potrebbe anche sospettare che abbia avuto il permesso di portarsi a Milano il codice. Tu che ne pensi?». Riguardo alla b[usta] 1 del Carteggio Archivio ricordo — come mi scriveva il 10 novembre 2017 il dott. Massimo Ronchini, Direttore della Biblioteca diocesana di Ravenna-Cervia “San Pier Crisologo” e Vice Direttore dell’Archivio — che in esso sono conservati i materiali inerenti la restituzione del codice di s. Ambrogio. Ringrazio il dott. Ronchini per avermi fatto pervenire le riproduzioni dei documenti di cui dirò specificamente a suo luogo. Negli scritti dell’archivista Giovanni Montanari, ai quali faccio ampio riferimento in questo contributo, compaiono talora altre segnature per tali documenti, che riporto quando necessario ma che mi sembrano oggi non più utilizzate.

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ravennate in quel tempo, ce ne fa certi anche una lettera di mons. Peppi a Mercati datata 15 luglio 1895, nella quale gli dichiarava la propria disponibilità ad accoglierlo quando avesse voluto venire a Ravenna (come appunto avvenne il 2 agosto successivo)31. A proposito del trasferimento del codice a Milano possiamo utilizzare altri documenti: in primo luogo una cartolina postale, indirizzata il 7 gennaio 1895 a Mercati da Filippo Meda (1869-1939)32 a nome del cardinale arcivescovo di Milano33, nella quale Meda informava Mercati che «S[ua] Eminenza il Cardinal Ferrari la attende per favorirla di quanto occorre per la collazione del codice Ambrosiano di Ravenna del quale discorremmo. Voglia quindi passare da S[ua] Eminenza quanto più presto le è possibile». La cartolina reca l’intestazione «Il XV Centenario della morte di s. Ambrogio. Periodico illustrato», fornendo un implicito collegamento — che risulterà evidente nella minuta presentata qui di seguito a ulteriore conferma del trasferimento del codice a Milano — fra questa operazione di Mercati e le celebrazioni che nel 1897 avrebbero commemorato la morte di Ambrogio (avvenuta, come noto, il 4 aprile 397). Tale minuta (App. nr. 1), non datata, è conservata in Vaticana fra i Carteggi Mercati34 accanto a una lettera di mons. Paolo Peppi, datata 3 marzo 189835, nella quale lo scrivente ringrazia, fra l’altro, per aver ricevuto il 31 Biblioteca Vaticana, Carteggi Mercati, cont. 2, f. 387: Carteggi del card. Giovanni Mercati. Inventario, I: 1889-1936, Introduzione, inventario e indici a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2003 (Studi e testi, 413; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 7) (d’ora innanzi: VIAN, Carteggi), p. 14 nr. 188. 32 Filippo Meda fu protagonista del movimento cattolico italiano. Su di lui cfr. A. CANAVERO, Meda, Filippo (1869-1939), in Dizionario della Chiesa ambrosiana, IV, Milano 1990, pp. 2141-2145; ID., Meda, Filippo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXIII, Roma 2009, pp. 2-8; P. VIAN, Il diario di Achille Ratti viceprefetto e prefetto della Biblioteca Vaticana (13 ottobre 1913 – 8 aprile 1918), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIII, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 516), pp. 673-724: p. 694 nt. 82. Mercati sarebbe rimasto in contatto con lui, nelle successive iniziative che Meda intraprese in merito all’impegno politico dei cattolici in Italia (cfr. F. ACCROCCA, Liberi e fedeli, «ortodossi romani fino al midollo». I fratelli Mercati e il modernismo, in I fratelli Mercati cit. [nt. 1]), in corso di stampa). 33 Carteggi Mercati, cont. 2, f. 308: VIAN, Carteggi, p. 11 nr. 141. 34 Carteggi Mercati, cont. 5, ff. 1084-1085: VIAN, Carteggi, pp. 41, 43 nr. 662. 35 Carteggi Mercati, cont. 5, ff. 1082-1083: VIAN, ibid. La lettera è successiva di un giorno a quella del card. Galeati al card. Ferrari, datata appunto 2 marzo 1898: ASDMi (Archivio storico diocesano di Milano), carteggio card. Ferrari, lettera nr. 2201: in essa Galeati ringrazia Ferrari per il volume Ambrosiana (cfr. nt. seg.), che gli era stato inviato, e prende l’occasione per invitare Ferrari nel 1900 per l’«ottavo Centenario della prodigiosa venuta in Ravenna della taumaturga Immagine Greca venerata» nella «basilica di Porto»; fa anche cenno al «nostro bravo Dottor Mercati venuto qui» (e che doveva aver certamente veduto quell’immagine). Debbo la segnalazione di questa lettera (e dell’altra, nr. 2200, che cito più oltre, a nt. 59) alla gentilezza di mons. Bruno M. Bosatra, Direttore dell’Archivio, e dei suoi

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volume Ambrosiana, che raccoglie una serie di contributi su s. Ambrogio in occasione del XV centenario della sua morte36, fra cui quello di Mercati su Le Titulationes37 (nel quale aveva dato indicazione delle scoperte fatte a Ravenna). Tuttavia quella minuta si rivela distinta dalla lettera di Peppi e a essa anteriore, perché menziona come futuro il «centenario vicino della morte del Santo», che si sarebbe celebrato appunto nel 1897. Il testo, copiato da una mano a me non nota ma con correzioni autografe di Mercati e di fatto composto da lui nel gennaio 189538, contiene un’esplicita richiesta di prestito, motivata sia dalla necessità di «fissare più sicuramente il testo del Santo», visto che non si era potuto utilizzare il manoscritto «nell’ultima edizione di S. Ambrogio, in cui il “de fide” compare testificato per la massima parte solo da codici molto posteriori»39, sia dal fatto «che il manoscritto per la sua antichità e per le disgraziate vicende a cui è andato incontro si trova in uno stato di deperimento progressivo così, che tra non molto purtroppo non sarà più leggibile, almeno per la maggior parte». Inoltre, Per istituire la collazione, che la Commissione per le feste centenarie del Santo40 desidera vivamente si faccia41, occorrerà tempo non poco, né saranno opportune, se non le giornate più splendide, nelle quali la vivezza della luce permette di percepire le lettere svanite. Per questa ragione, e per l’altra, che nell’archivio arcivescovile mancherebbe forse il servizio di stampati e manoscritti occorrenti, ed anche di personale, sarebbe desiderabile di poter avere qui a Milano il manoscritto stesso con tutte le guarantigie dovute. collaboratori, in una lettera del 20 settembre 2017: a loro il mio più vivo ringraziamento. MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 208, accenna alle lettere che Ferrari e Mercati avevano inviato a Galeati rispettivamente il 6 e l’8 febbraio 1898 per accompagnare il volume Ambrosiana. 36 Ambrosiana. Scritti varii pubblicati nel XV centenario dalla morte di s. Ambrogio, Milano 1897. 37 MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7). 38 Si direbbe fra il 7 e il 13 gennaio: cfr. nt. 56 infra e contesto. 39 «molto posteriori» è correzione interlineare di mano di Mercati, in sostituzione di «recenti». Probabilmente l’edizione, cui il testo allude, è S. AMBROSII MEDIOLANENSIS EPISCOPI De fide ad Gratianum Augustum libri quinque. Edidit et commentariis auxit H. HURTER, Londini – Mediolani 1875 (Sanctorum Patrum opuscula selecta, 30): Mercati era peraltro in contatto con il curatore dell’edizione, Hugo Hurter (cfr. C. PASINI, La collaborazione di Angelo e Giovanni Mercati negli anni Ottanta del XIX secolo, in Miscellanea di Studi in occasione dei 70 anni di S.E. Mons. Sergio Pagano, Città del Vaticano 2018, in corso di stampa). È meno probabile che il riferimento fosse all’edizione SANCTI AMBROSII MEDIOLANENSIS EPISCOPI Opera omnia, ad Mediolanenses codices pressius exacta, curante P. A. BALLERINI, Mediolani 18751883, 6 voll. (sulla quale cfr. FERRARI, Il Ballerini editore di sant’Ambrogio cit. [nt. 15]). 40 Riguardo a questa Commissione si veda infra nel testo. 41 Nelle righe precedenti era stato precisato che, nel caso il codice ravennate «presentasse divergenze notevoli», sarebbe stato utilissimo «communicarle al pubblico in un supplemento all’edizione stessa, od anche in una nuova edizione».

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Seguivano indicazioni sulla spedizione del codice, che avrebbe dovuto essere «chiuso in una cassettina di legno o di latta costrutta appositamente», e sul luogo di conservazione, che «non potrebbe essere, che l’Episcopio o meglio ancora la biblioteca ambrosiana, che conserva molti altri tesori del genere ed è costrutta così da rendere remotissimi i pericoli d’incendio e di furto»42. Si faceva inoltre presente che «Non è a pensare ad alcuna altra biblioteca pubblica, perché sta nell’interesse della Chiesa possidente, che il pubblico non ne sappia nulla»: ecco il motivo per cui non si lasciò trapelare dove Mercati avesse effettuato la copia del codice, e poterono così nascere i fraintendimenti sin qui illustrati43. La lettera si concludeva con l’auspicio che «l’Emin[en]t[issimo] Arcivescovo di Ravenna acconsentendo il prestito concorra così ad onorare il Santo ne’ suoi scritti». Prima di procedere nella ricostruzione dei fatti, ritengo utile offrire qualche precisazione sulle celebrazioni per il XV centenario della morte di s. Ambrogio44, al quale era dedicato il periodico il cui titolo era riportato nell’intestazione della cartolina di Filippo Meda, e per la cui preparazione nella minuta appena citata si faceva riferimento a una Commissione costituita a quello scopo. Di fatto dal 7 dicembre 1894 all’8 agosto 1898 uscì un periodico dedicato al centenario santambrosiano45: una prima serie, costituita da 12 numeri oltre a quello iniziale pubblicato come “numero di saggio”, recava il titolo Il XV centenario della morte di s. Ambrogio. Periodico 42 Le precisazioni qui citate rivelano — come indicato — la evidente paternità di Mercati della minuta. 43 Anche MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 209, concludendo la trattazione sul trasferimento del codice ravennate di s. Ambrogio a Milano per qualche mese nel 1895, osservava che «il Mercati tutore dei Codici (soprattutto di quelli della Vaticana) non poteva scrivere apertamente che tale prezioso manoscritto avesse viaggiato, in treno, sia pure da una antica capitale all’altra». Si ricordi, come osservavo nel contesto di nt. 6 supra, che per la restituzione Mercati “girovagò” con il codice dal 28 luglio al 2 agosto fra le biblioteche di Emilia e Romagna, avendo con sé le preziose pergamene! 44 Si veda qualche cenno in E. APECITI, Il patriarca Ballerini e i suoi successori, in Paolo Angelo Ballerini arcivescovo di Milano cit. (nt. 15), pp. 53-104: 84-86 (vi si afferma, fra l’altro, che le celebrazioni iniziarono con un solenne pontificale il 16 aprile 1896 e culminarono in una «trionfale processione» il 14 maggio 1897). Fra le pubblicazioni promosse per il centenario di s. Ambrogio, oltre alla raccolta di studi Ambrosiana, del 1897 (cfr. nt. 36 supra), si veda anche il volume a dispense, uscito in successivi fascicoli, intitolato Conferenze santambrosiane. Gennaio-febbraio 1897. 15° centenario della morte di s. Ambrogio, Milano 1897 (anch’esso gentilmente segnalatomi da mons. Bosatra). 45 Il periodico è di difficile reperibilità: ringrazio mons. Ennio Apeciti e don Virginio Pontiggia, direttore della biblioteca del Seminario arcivescovile di Milano a Venegono Inferiore, per avermi concesso la consultazione della copia conservata in quella biblioteca; ringrazio altresì la professoressa Paola Sverzellati, bibliotecaria della biblioteca del Seminario vescovile di Lodi, per avermi fornito la riproduzione di due fascicoli (nrr. 39 e 40 della serie II) mancanti nella copia di Venegono Inferiore.

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mensile illustrato46 e fungeva da organo ufficiale della citata Commissione. Il numero del 7 dicembre 189447 conteneva la documentazione riguardante la costituzione della Commissione, approvata dal card. Ferrari il 15 novembre precedente. Filippo Meda vi figurava quale vice-presidente. Il nr. 3, uscito il 31 marzo 1895, in un breve trafiletto intitolato Studii ambrosiani48 conteneva, fra l’altro, un cenno allo studio di Mercati sul codice ravennate (pur senza identificarlo esplicitamente): Sappiamo che già alcuni studiosi preparano per il centenario lavori speciali diretti ad illustrare le opere del grande Arcivescovo milanese. Tra gli altri, se siamo bene informati, il sac. Giovanni Mercati dottore della nostra Ambrosiana avrebbe alle mani l’interpretazione e la collezione [sic] di un codice finora ignorato, pregevole per l’antichità e il quale per la parte delle opere di S. Ambrogio che contiene, dovrebbe ritenersi, antecedente a tutti quelli che finora si conoscono.

L’ultimo triplice fascicolo (nrr. 10-12), uscito nel febbraio 1896 con la generica indicazione cronologica di ottobre novembre dicembre 1895, recava49 la documentazione riguardante la costituzione del Comitato per la celebrazione del XV centenario della morte di s. Ambrogio, costituito dal card. Ferrari nel gennaio 1896 e di cui da quel momento diventava organo il periodico. Il Comitato era presieduto dal vicario generale e vescovo ausiliare Angelo M. Meraviglia Mantegazza (1837-1902)50 ed era composto da quaranta membri, fra i quali Filippo Meda rivestiva il compito di segretario generale51. Il periodico continuò pertanto le pubblicazioni in una Serie II 46 I fascicoli sono tutti di 8 pagine, salvo due di 16 pagine: nrr. 7-8 e 10-12. Per la rarità del periodico, indico qui in sequenza le date di uscita dei 13 numeri della I serie: 7 dicembre 1894 (numero di saggio), 15 gennaio 1895 (nr. 1), 15 febbraio (nr. 2), 31 marzo (nr. 3), 31 [sic] aprile (nr. 4), 30 maggio (nr. 5), 30 giugno (nr. 6), luglio agosto (nrr. 7-8), settembre (nr. 9), ottobre novembre dicembre (nrr. 10-12). 47 Alle pp. 2-3. 48 A p. 8. 49 Alle pp. 1-3. 50 Divenuto sacerdote nel 1860, fu ordinato vescovo nel 1894, come ausiliare dell’arcivescovo di Milano (cfr. R. RITZLER – P. SEFRIN, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, VIII: 1846-1903, Patavii 1979, pp. 268, 496-497; e la pagina web, consultata il 9 dicembre 2017, www.catholic-hierarchy.org/bishop/bmera.html. 51 Del Comitato era membro anche Achille Ratti, allora dottore dell’Ambrosiana (ne fanno cenno anche E. CATTANEO, Achille Ratti prete e arcivescovo di Milano, in Pio XI nel trentesimo della morte (1939-1969). Raccolta di studi e di memorie, Milano 1969, pp. 107-162: 123; e G. GALBIATI, Bio-bibliografia di Achille Ratti dal 1857 al 1932, in ID., Papa Pio XI evocato, Milano 1939 (Fontes ambrosiani, 4), pp. 253-335: 272). Radunatosi la prima volta il 14 gennaio 1896 sotto la presidenza del card. Ferrari, il Comitato nominò una Commissione per la celebrazione del XV centenario della morte di s. Ambrogio, della quale entrò a far parte lo stesso Meda.

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di 50 fascicoli in tutto, a cadenza discontinua (prevalentemente bimestrale), con il titolo leggermente ritoccato in XV centenario della morte di s. Ambrogio. Periodico illustrato, dal 4 aprile 1896 all’8 agosto 189852. Mercati, come risulta dal primo numero, fu membro di due delle cinque commissioni costituite dal Comitato: quella Per gli studii ambrosiani e quella Per la mostra ambrosiana53. Nel contesto delle celebrazioni centenarie qui richiamate, il codice ravennate dovette giungere a Milano per esservi consultato e studiato in Ambrosiana da Mercati, «a.D. 1895 mensibus Aprili-Iulio» come suggerisce la citata scheda redatta da Mercati il 3 agosto 1895 a Ravenna. Una simile ricostruzione trova una definitiva conferma in ulteriori documenti, che si aggiungono a quelli sin qui considerati54: Giovanni Montanari, archivista dell’Archivio storico arcivescovile di Ravenna dal 1987 al 2011, in una relazione al convegno su Augusto Campana e la Romagna tenuto a Santarcangelo di Romagna nel 1997 (edita nel 2002 negli atti del convegno55), segnala una «lettera di richiesta del Card. Ferrari del 12 gennaio 1895» al card. Galeati e l’«avallo dato dallo stesso cardinale [Ferrari] il giorno dopo, 13 gennaio, alla Memoria, sul codice, richiesta al Mercati e composta dal Mercati»56, quest’ultima da identificarsi con la già ricordata minuta 52 Considerata la rarità del periodico indico qui in sequenza le date di uscita dei 50 numeri della II serie: 4 aprile 1896 (nr. 1), 6 maggio (nr. 2), 6 giugno (nr. 3), 18 giugno (nr. 4), 27 giugno (nr. 5), 17 luglio (nr. 6), 8 agosto (nr. 7), 28 agosto (nr. 8), 17 settembre (nr. 9), 4 ottobre (nr. 10), 22 ottobre (nr. 11), 4 novembre (nr. 12), 21 novembre (nr. 13), 4 dicembre (nr. 14), 24 dicembre (nr. 15), 18 gennaio 1897 (nr. 16), 28 gennaio (nr. 17, ma erroneamente stampato con il nr. 18), 10 febbraio (nr. 18), 20 febbraio (nr. 19), 2 marzo (nr. 20), 12 marzo (nr. 21), 24 marzo (nr. 22), 2 aprile (nr. 23), 5 aprile (nr. 24), 17 aprile (nr. 25), 28 aprile (nr. 26), 7 maggio (nr. 27), 14 maggio (nr. 28), 21 maggio (nr. 29), 23 maggio (nr. 30), 20 giugno (nr. 31), 28 giugno (nr. 32), 7 luglio (nr. 33), 17 luglio (nr. 34), 31 luglio (nr. 35), 14 agosto (nr. 36), 21 agosto (nr. 37), 13 settembre (nr. 38), 16 settembre (nr. 39), 23 settembre (nr. 40), 1° ottobre (nr. 41), 13 ottobre (nr. 42), 15 ottobre (nr. 43), 4 novembre (nr. 44), 16 novembre (nr. 45), 15 dicembre (nr. 46), 16 dicembre (nr. 47), 9 gennaio 1898 (nr. 48), 8 luglio (nr. 49), 8 agosto (nr. 50). 53 Alle pp. 7-8. I compiti delle cinque commissioni erano: I. Per le feste religiose, per la nuova urna [di s. Ambrogio nella basilica di S. Ambrogio] e pellegrinaggi; II. Per gli studii ambrosiani (di cui fu membro, oltre a Mercati, anche Meda); III. Per il Congresso di musica sacra; IV. Per la mostra ambrosiana (di cui fu membro, oltre a Mercati, anche Ratti); V. Per la raccolta dei fondi. 54 Debbo confessare di essere venuto a conoscenza di questi documenti solo in fase avanzata nella redazione di questo contributo: mi hanno gradevolmente permesso di confermare un’intuizione che era sorta, pur con qualche iniziale incertezza, dalla valutazione dei primi documenti rinvenuti. 55 Cfr. MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), pp. 206-209. Montanari è attualmente presidente dell’Archivio (ora denominato Archivio storico diocesiano di Ravenna-Cervia). 56 Ibid., p. 206.

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non datata conservata in Vaticana fra i Carteggi Mercati57. Quindi, se Meda chiamò Mercati da parte del card. Ferrari il 7 gennaio precedente, dovette essere probabilmente per segnalargli l’imminente invio di tale richiesta e per chiedergli di approntare la Memoria che avrebbe accompagnato la richiesta. Montanari accenna poi, di sfuggita, a una risposta positiva del card. Galeati58: di fatto è la lettera datata 27 gennaio 1895, oggi rinvenibile nell’Archivio storico diocesano di Milano59. In essa il card. Galeati, dopo aver fatto espresso riferimento alla lettera di Ferrari del 12 gennaio60 e — pur senza nominarlo esplicitamente — al codice di s. Ambrogio, e scriveva: Di tutto buon grado annuirò alla domanda che mi fa Vostra Eminenza con la sua veneratissima lettera del 12 corrente; e siccome si tratta di cosa che, a quanto ne giudico, non è di urgenza, così ad evitare e la pubblicità e qualunque pericolo del codice nella trasmissione, preferirò di mandarlo a mano per mezzo del mio Secretario, che già conosce personalmente il S[igno]r don Mercati. Il mio Secretario poi potrebbe fare la gita nel principio della prossima Quaresima. Mi atterrò a questo partito, qualora l’Eminenza Vostra non lo disapproverà.

Montanari trascrive quindi «l’atto di ricevimento del codice, scritto di pugno del Mercati»61, datato 27 marzo 1895 e firmato dal card. Ferrari e dal canonico mons. Peppi, che quindi portò di persona il manoscritto contrariamente a quanto proposto nella Memoria (ma, come citato qui appresso, in una «cassetta di latta», secondo le indicazioni fornite)62. Nel documento si affermava, fra l’altro che il card. Galeati di buon grado e non solo per far piacere all’Emo Card. Ferrari, ma per giovare eziandio alla Religione ed alla Scienza, annuiva al trasporto del codice suddetto e ne dava formale ed espresso incarico con sua lettera in data […] Marzo 1896 (sic)63, che si allega, al proprio Segretario Mons. Paolo Peppi canonico te57 Carteggi Mercati, cont. 5, ff. 1084-1085: VIAN, Carteggi, pp. 41, 43 nr. 662. Cfr. nt. 34 supra e contesto. 58 MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 206. 59 ASDMi (Archivio storico diocesano di Milano), carteggio card. Ferrari, lettera nr. 2200. 60 Mons. Bosatra mi scrive che della lettera del 12 gennaio non si ha traccia in Archivio. 61 MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 206; il testo è trascritto, quasi integralmente, a p. 207; in nt. 20 se ne dà la collocazione nell’Archivio: Segreteria Arcivescovile 1885 – Posizioni 45 – 88 – 1895 Posizioni 2-27, Carpetta n. 12 (Marzo 1895). 62 Deve riferirsi a questo viaggio e all’accoglienza di Ferrari a Milano, quanto Peppi scrisse nella citata lettera del 15 luglio 1895 a Mercati (cfr. nt. 31 supra): «La Classense è accessibile sempre; e però Lei potrà venire secondo il Suo progetto certo di trovarci tutti quanti. L’E[minentissi]mo, anche per un riguardo al Card. Ferrari che a me fece paterne accoglienze, darà a Lei ospitalità in questo palazzo». 63 Così nella trascrizione, senza identificazione del giorno e con errore per l’anno, che è evidentemente il 1895.

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ologo della Metropolitana di Ravenna, consegnadogli il codice rinchiuso entro una cassetta di latta recante i propri sigilli, il quale codice recato in Milano dal medesimo Mons. Peppi, alla presenza dei sottoscritti testimonii64 rotti i sigilli viene estratto e consegnato oggi stesso in nome di S. E. il Card. Arcivescovo Sebastiano Galeati nelle mani dell’Emo Card. Andrea Carlo Ferrari.

L’Atto precisava che il card. Ferrari assumeva «l’obbligo di restituirlo non più tardi del 31 Luglio 1895». Il codice, giunto a Milano a fine marzo, fu oggetto di studio — dall’aprile al luglio, come già documentato — da parte di Mercati, che trasse «copia di tutto con la comodità, che esigeva la lunghezza e la difficoltà del lavoro»65. Il 23 luglio 1895 Ferrari scriveva a Galeati una lettera, consegnata a Mercati, con la quale autorizzava quest’ultimo a restituire il manoscritto66. Sulla copia dell’Atto conservata a Ravenna una mano, che Montanari ritiene di mons. Peppi, scriveva: «Restituito il 2 agosto 1895 per mano del D[otto]r. Don Mercati dell’Ambrosiana di Milano»67. 3. La copia manoscritta di Mercati Passato Mercati in Vaticana nel 1898, nel 1900 la copia da lui trascritta fu richiesta dalla Kommission zur Herausgabe des Corpus der lateinischen Kirchenväter (nota come Lateinische Kirchenväterkommission) della Österreichische Akademie der Wissenschaften di Vienna, perché potesse essere utilizzata per l’edizione, nel Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL), del De fide, De Spiritu sancto e De incarnationis Dominicae sacramento di Ambrogio di Milano. La richiesta fu inviata a Mercati da August Engelbrecht (1861-1925)68 con lettera del 28 febbraio 64 MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 207 nt. 20 li indica come «P. Giuseppe Polvara e Mario (o Maria) Aldo (?) teste (scritto da Ferrari). Forse un domestico, o domestica, del Cardinale». Probabilmente si tratta di don Giuseppe Polvara, caudatario del card. Ferrari, e di Aldo Mora, suo cameriere: cfr. G. RADICE, I cardinali Ferrari e Schuster e altri grandi nella cronaca domestica dei Crociferi o Camilliani edificatori in Milano di Santa Maria della Sanità, Milano 1990 (consultato il 9 dicembre 2017 alla pagina web www.camilliani.org/repository/file/pdf/Ferrari_e_Schuster.pdf), pp. 77, nt. 148, 78, 79 nt. 158. 65 MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), p. 26 (p. 464 della riedizione) 66 Cfr. MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 207 (in nt. 21 si indica come posizione la medesima dell’Atto del 27 marzo). 67 Ibid. 68 Filologo viennese, dal 1899 Engelbrecht era alla guida dello CSEL e “Hauptgeschäftsträger” della Kommission. Nella lettera, scritta in italiano, egli si firma con il nome di battesimo curiosamente tradotto in “Agosto”. Su di lui cfr. E. HAULER, Nekrolog, in Almanach der Akademie der Wissenschaften in Wien 75 (1925), pp. 243-255; W. WEINBERGER, August Engelbrecht, in Biographisches Jahrbuch für Altertumskunde 46 (1926), pp. 40-49; R. MEISTER, Geschichte der Akademie der Wissenschaften in Wien 1847-1947, Wien 1947, pp. 128, 138, 162163, 171, 272; Österreichisches biographisches Lexikon 1815-1950, I, Graz – Köln 1957, p. 251.

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190069: avendo avuto notizia del codice ravennate e della trascrizione fattane da Mercati, Engelbrecht inoltrava «devotissima domanda, se volesse cedere questo apografo all’Accademia verso un conveniente indennizzo». Come risulta dalla minuta (che sappiamo abbreviata nella lettera effettivamente spedita70) datata all’8 marzo seguente71, Mercati rispose affermativamente, chiedendo tuttavia che quella copia fosse restituita una volta compiuta l’edizione, così da poterla lasciare in morte alla Biblioteca Ambrosiana: Io eseguii una copia integrale e — per quanto potei — accurata del codice ravennate per due motivi: 1° perché il ms. lavato, non molti anni fa, in un catino d’acqua va deperendo, e forse un tempo in più fogli non si leggerà più; 2° perché l’accesso all’Archivio, specialmente per una durata alquanto lunga, è tutt’altro che facile, se pure verrà concesso, attesa la mancanza del servizio e per altre ragioni che non giova esporre. Quest’apografo ho destinato di lasciare morendo alla Biblioteca Ambrosiana sia per riconoscenza del molto che debbo ad essa, sia perché è conveniente siano gli scritti di S. Ambrogio raccolti là dove sono venerate le sue ossa. Perciò io sono alieno dal cederne la proprietà. Tuttavia posso — e questo mi sembra bastante allo scopo voluto da codesta spettabile Accademia — posso (dico) o fornire tutte le varianti del ms. ravennate ovvero anche lasciare in uso degli editori il mio apografo tanto tempo, quanto loro occorrerà, fosse pure per anni.

Dalle successive lettere di Engelbrecht a Mercati apprendiamo che l’Accademia accettò l’offerta del prestito, decidendo di ricompensarlo con 400 lire72, e ricevette effettivamente la copia promessa73. Nei Prolegomena al De fide pubblicati nel vol. 78 dello CSEL74 nel 1962, il curatore, padre Otto Faller (1889-1971)75, faceva riferimento a questa copia di Mercati, che 69 Carteggi Mercati, cont. 7, ff. 1717-1718: VIAN, Carteggi, p. 68 nr. 1094. Sulla richiesta di Engelbrecht e sui successivi contatti con Mercati cfr. anche M. BANDINI, Giovanni Mercati, l’Accademia delle Scienze di Vienna e i codici di Lucca, in Codex Studies 1 (2017), pp. 3-12: 5-6; ID., Giovanni Mercati e i codici di Lucca, in I fratelli Mercati cit. (nt. 1), in corso di stampa. 70 Mercati annotò sulla minuta che, per indicazione del prefetto Franz Ehrle, aveva abbreviato, nella stesura definitiva, il testo preparato. 71 Carteggi Mercati, cont. 7, ff. 1719-1721: VIAN, Carteggi, p. 68 nr. 1095. 72 Lettera di Engelbrescht dell’11 maggio 1900 (Carteggi, cont. 7, f. 1769: VIAN, Carteggi, p. 70 nr. 1130). 73 Lettera di Engelbrescht del 7 giugno 1900 (Carteggi, cont. 7, ff. 1795-1796: VIAN, Carteggi, p. 72 nr. 1148). 74 Sancti AMBROSII Opera, pars octava: De fide. Recensuit O. FALLER, Vindobonae 1962 (CSEL 78). 75 Otto Faller, gesuita tedesco, filologo e patrologo, fu editore di varie opere di Ambrogio di Milano nello CSEL. Su di lui cfr. MEISTER, Geschichte der Akademie der Wissenschaften cit. (nt. 68), p. 199; W. SEIBEL, Faller, Otto, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús biográfico-temático, II, Roma – Madrid 2001, p. 1374.

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— precisava — da aprile a luglio del 1895 aveva trascritto personalmente l’intero codice76, riferendo in nota la Notizia di Mercati del 3 agosto 1895, lasciata a Ravenna. Faller ricordava inoltre che quell’apografo era stato poi gentilmente inviato all’Accademia di Vienna, che gliel’aveva consegnato; e precisava che nel 1942 aveva potuto collazionare e correggere a Roma in alcuni passi l’apografo con il codice ravennate, che nel frattempo era stato fatto restaurare da Mercati (in Vaticana)77. Concludeva indicando di avere peraltro avuto poi a disposizione una riproduzione fotografica del codice stesso78. Faller, infatti, in quegli anni era a Roma dove insegnava alla Gregoriana ed era superiore della Casa degli Scrittori, e poté quindi studiare il manoscritto originale in Vaticana, confrontandolo con la copia di Mercati che doveva possedere da tempo. Che poi, ormai negli anni quaranta del secolo scorso, potesse avere una riproduzione fotografica, appare ben comprensibile. La richiesta, che la copia tornasse al suo estensore e che questi potesse lasciarla in eredità all’Ambrosiana, non sembra tuttavia essere stata esaudita. Per quanto a oggi verificato, non risulta infatti conservata nella biblioteca milanese79, né è rinvenibile in Vaticana, dove, una volta restituita, avrebbe potuto rimanere, per inosservanza, cosciente o meno, delle ultime volontà di Mercati80. Di essa, anzi, sembra essersi persa ogni traccia: non è 76 «[…] qui cum iuvenis editionem hanc ipse facere intendisset, totum codicem mensibus Aprili usque ad Iulium anno 1895 sua manu descripsit»: Sancti AMBROSII Opera, pars octava cit. (nt. 74), p. 21*. Quanto al fatto che Mercati intendesse fare egli stesso l’edizione del De fide, come intende qui Faller, mi risulta incerto: nel richiedere il codice, infatti, egli ne aveva indicato l’importanza per un’adeguata edizione critica delle opere di Ambrogio, ma non aveva espresso l’intenzione di fare personalmente quell’edizione (cfr. nt. 41 supra). 77 In merito alla consultazione del codice da parte di Faller in Vaticana troviamo ulteriore conferma in MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 210 (al riguardo, l’autore riferisce la testimonianza di padre Antonio Casamassa, «assai vicino al Mercati, e professore nelle Università del Laterano e di Propaganda»). 78 «Quod apographum Academiae Vindobonensi postea liberalissime traditum mihique ab ea commissum anno 1942 Romae cum codice interim ab eodem cl. v. restaurato contuli atque aliquibus locis corrigere potui. Praesto praeterea mihi fuit imago codicis photographica»: Sancti AMBROSII Opera, pars octava cit. (nt. 74)., pp. 21*-22*. Nell’altro volume di opere di s. Ambrogio per le quali venne utilizzato il codice di Ravenna (Sancti AMBROSII Opera, pars nona: De Spiritu sancto libri tres, De incarnationis Dominicae sacramento. Recensuit O. FALLER, Vindobonae 1964, CSEL 79), Faller non diede ulteriori informazioni riguardo alla copia di Mercati. Aveva invece anticipato la sostanza della notizia posta in CSEL 78, nell’introduzione a CSEL 73: Sancti AMBROSII Opera, pars septima: Explanatio symboli, De sacramentis, De mysteriis, De paenitentia, De excessu fratris, De obitu Valentiniani, De obitu Theodosii. Recensuit O. FALLER, Vindobonae 1955, p. 3*. 79 Ringrazio Massimo Rodella per aver compiuto accurate ricerche a questo proposito nella Biblioteca Ambrosiana. 80 Non risulta presente, per quanto ho potuto verificare, neppure fra le Carte del card.

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infatti rinvenibile nella documentazione conservata presso l’archivio dello CSEL81 e neppure fra i libri, le carte o altri materiali di padre Faller. Ne è stata fatta ricerca, purtroppo senza esito: nel Kolleg St. Blasien a St. Blasien nel Baden-Württemberg (dove padre Faller concluse la sua vita), nella cui biblioteca sono conservate le pubblicazioni a stampa di padre Faller ma non le sue carte di ambito scientifico82; presso l’Archiv der Deutschen Provinz der Jesuiten di Monaco di Baviera, dove è pur conservato un piccolo lascito d’archivio di padre Faller83; nell’Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, dove egli insegnò ma da cui portò via con sé, concludendovi l’insegnamento, il materiale personale e accademico84; e nell’Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), dove il manoscritto avrebbe potuto essere lasciato quando padre Faller partì da Roma dopo aver diretto la Casa degli Scrittori negli anni della seconda guerra mondiale85. La copia di Mercati rimane pertanto a tutt’oggi dispersa o perduta. Giovanni Mercati, costituite da 126 contenitori in cui sono raccolti appunti, note ed estratti inerenti gli studi e altri materiali di Mercati (cfr. Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO e P. VIAN, I, Città del Vaticano 2011 [Studi e testi, 466], pp. 438-440), così come nei Depositi A-E, dove sono conservati materiali vari, in parte provenienti anche da Mercati (cfr. ibid., pp. 413-415). Ringrazio Paolo Vian per aver potuto consultare, al riguardo, l’inventario delle Carte, che sta preparando, e una prima descrizione dei Depositi da lui approntata. 81 Ringrazio il professor Kurt Smolak, presidente della Kirchenväterkommission dell’Österreichische Akademie der Wissenschaften di Vienna dal 2001 al 2012, e in particolare la dottoressa Victoria Zimmerl-Panagl, collaboratrice dello CSEL all’Università di Salzburg, per la ricerca — purtroppo infruttuosa — della copia di Mercati nell’archivio dello CSEL attualmente conservato nell’Archiv dell’Österreichische Akademie der Wissenschaften (email del 10 maggio e del 20 giugno 2017). 82 Ringrazio, per il gentile interessamento e per la ricerca compiuta, padre Peter Leutenstorfer, del Kolleg St. Blasien, che ha inoltre suggerito di ricercare tali carte nell’Archivio dei Gesuiti a Monaco (email del 14 settembre 2016). 83 Nell’archivio si trova un “Archivkarton” con segnatura archivistica: ADPSJ, Abt. 47, Nr. 866. Il dottor Clemens Brodkorb, direttore dell’Archiv, che ringrazio vivamente per la ricerca compiuta, mi ha comunicato che quei documenti — da lui scorsi uno per uno, essendo essi ordinati in modo solo approssimativo — comprendono scritti personali, note spirituali (esercizi), prediche, qualche corrispondenza, documenti d’identità e attestati, e simili. Nessuna traccia invece della trascrizione del manoscritto di Ravenna. Il dottor Brodkorb aveva peraltro ipotizzato che dopo la morte di padre Faller — secondo una prassi diffusa sino a tempi recenti — il “wissenschaftlicher Nachlass” fosse separato dal “persönlicher Nachlass” (conservato nel Provinzarchiv di Monaco) e fosse stato lasciato là dove aveva svolto la sua attività di ricerca. Ma, avendo saputo che tale materiale non era rimasto a St. Blasien, suggeriva di chiedere all’Archivio della Gregoriana ed eventualmente all’Institutum Romanum Societatis Iesu, in considerazione della permanenza di padre Faller per alcuni anni nella Casa degli Scrittori (email del 20 ottobre 2016). 84 Ringrazio padre Martín Maria Morales, direttore dell’Archivio della Gregoriana, per l’informazione fornitami (lettera del 2 novembre 2016). 85 Ringrazio padre Mauro Brunello, Direttore dell’ARSI, per l’informazione fornitami (email del 19 settembre 2017).

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4. Il codice in Vaticana Quando Elias Avery Lowe pubblicò nel 1947 il quarto fascicolo dei suoi Codices latini antiquiores, riguardante anche i manoscritti conservati nell’Archivio arcivescovile di Ravenna, segnalò — come già riferito — che il codice ravennate di s. Ambrogio si trovava in quel tempo in Biblioteca Vaticana, oltre a cinque dei sei fogli del Nuovo Testamento (i quattro degli Atti degli Apostoli e l’altro della Prima lettera di Giovanni) e ai quattro fogli di Daniele86. Già padre Faller, nel 1942, come ugualmente indicato, aveva potuto confrontare la copia di Mercati con l’originale del codice di s. Ambrogio allora presente in Vaticana87. I tre manoscritti citati, infatti, vi erano giunti nel 1908, per essere sottoposti a un restauro, che tuttavia avrebbe avuto luogo più in là nel tempo. Infatti, come già segnalato da Campana nella sua accurata trattazione su Il codice ravennate di S. Ambrogio, in quegli anni, sotto la prefettura del gesuita tedesco Franz Ehrle (1845-1934)88 e di Achille Ratti, il futuro papa Pio XI (1857-1939)89, il laboratorio di restauro della Biblioteca Vaticana 86

Cfr. LOWE, CLA, IV, rispettivamente nrr. 410a e 410b, 411, 414. Sancti AMBROSII Opera, pars octava cit. (nt. 74), pp. 21*-22*. 88 Originario del Württemberg, Ehrle fu prefetto della Vaticana dal 1895 al 1914 e cardinale bibliotecario dal 1929 alla morte. Su di lui cfr. M. BATLLORI, El pare Ehrle, prefecte de la Vaticana. En la seva correspondència amb el cardenal Rampolla, in Collectanea Vaticana in honorem Anselmi M. card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, I, Città del Vaticano 1962 (Studi e testi, 219), pp. 75-117; riedito in ID., Cultura e finanze. Studi sulla storia dei Gesuiti da s. Ignazio al Vaticano II, Roma 1983 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 158), pp. 367-413; e poi in ID., Obra completa, XVI: Del Vuit-Cents al Nou-Cents: Balmes, Ehrle, Costa i Llobera, Casanovas, Edició a cura d’E. DURAN (dir.) i J. SOLERVICENS (coord.), Pròleg de R. CORTS, València 2002 (Biblioteca d’estudis i investigacions, 33), pp. 153-209; DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit. (nt. 4), pp. 76-77; R. S. GERLICH, Ehrle, Franz, in Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, II, Roma – Madrid 2001, pp. 1221-1223; R. FARINA, «Splendore veritatis gaudet ecclesia». Leone XIII e la Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XI, Città del Vaticano 2004 (Studi e testi, 423), pp. 285-370: 306-310; MEJÍA – GRAFINGER – JATTA, Cardinali Bibliotecari cit. (nt. 22), pp. 317-321; A. NÚÑEZ GAITÁN, Los albores del Laboratorio de “restauración de códices” de la Biblioteca Vaticana. Franz Ehrle y sus colaboradores (1895-1914), in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina. A cura di A. M. PIAZZONI, II, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 478), pp. 789-809; si vedano anche gli atti — in corso di stampa — del convegno su Franz Kardinal Ehrle (1845-1934): Jesuit, Historiker und Präfekt der Vatikanischen Bibliothek / Le cardinal Franz Ehrle (1845-1934), jésuite, historien et préfet de la Bibliothèque vaticane, tenutosi il 19 e 20 febbraio 2015 presso il Römische Institut der Görres-Gesellschaft e l’École française de Rome. 89 Achille Ratti, dottore dell’Ambrosiana dal 1888 e prefetto dal 1907 al 1914, nel 1912 fu nominato anche vice prefetto della Vaticana, di cui divenne prefetto nel 1914; nel 1918 fu mandato quale visitatore apostolico in Polonia, divenendone nunzio l’anno seguente, quando formalmente concluse la prefettura; nel 1921 fu nominato arcivescovo di Milano e il 6 febbraio dell’anno seguente fu eletto papa con il nome di Pio XI. Su Ratti in Vaticana cfr. C. PASINI, 87

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fu occupato a restaurare «non meno di 905 pergamene dell’Archivio Arcivescovile» e, successivamente, sotto la prefettura di Mercati, i «papiri dello stesso Archivio»90. Si trattava di una prassi adottata a favore di varie istituzioni italiane prevalentemente ecclesiastiche, delle quali la Vaticana si sentiva in qualche modo responsabile. La documentazione è raccolta in Arch. Bibl. 242 e 243, suddivisa in numerose sezioni: l’ultima ampia sezione dell’Arch. Bibl. 242, la XV, è dedicata ai restauri dei materiali provenienti da Ravenna91. Si può supporre che il restauro dei manoscritti e delle numerose pergamene ravennati abbia avuto in Mercati un vigoroso fautore: lasciando Ravenna nel 1895, non dovette dimenticare il codice di s. Ambrogio e l’Archivio arcivescovile con i suoi tesori, e immaginiamo che abbia nutrito il desiderio di provvedere a un degno restauro di quei preziosi materiali. Il primo cenno, che troviamo a questo proposito, segnala l’incarico che Mercati ricevette «dalla Biblioteca Apostolica Vaticana di recarsi a Ravenna per cooperare alla sistemazione del preziosissimo Archivio Arcivescovile di quella città»: ne parla una lettera92 a lui indirizzata dal Segretario di Stato card. Rafael Merry del Val (1865-1930)93 l’11 novembre 1907, nella quale, rendendolo partecipe dell’interesse di papa Pio X (1835-1914)94 «per Achille Ratti bibliotecario, in 1929-2009. Ottanta anni dello Stato della Città del Vaticano, a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2009, pp. 49-62; ID., Un foglietto di istruzioni di Achille Ratti Nunzio in Polonia e il suo addio agli studi, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVI, Città del Vaticano 2009 (Studi e testi, 458), pp. 325-367; P. VIAN, «Una cambiale scontata prima di presentarsi ufficialmente allo sportello»? Achille Ratti prefetto della Biblioteca Vaticana (1914-1918), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XVIII, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 469), pp. 801-870; ID., VIAN, Il diario di Achille Ratti cit. (nt. 32). 90 CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9), pp. 17-18 nt. 1 (pp. 252-253 nt. 7 della riedizione). 91 Assomma a 224 fogli. Devo la segnalazione di questa raccolta alla dottoressa Andreina Rita, che ringrazio di cuore. Nei documenti citati di seguito mi riferisco sempre a questa sezione (salvo esplicita differente indicazione), segnalandone semplicemente i fogli. Inoltre identifico tacitamente in Mercati il destinartario delle lettere intestate a un «Ill[ustrissi]mo e Rev[erendissi]mo Monsignore» e nel prefetto padre Franz Ehrle il destinatario di quelle intestate a un «Ill[ustrissi]mo e Molto Rev[eren]do Padre». Ulteriore documentazione è conservata nell’Archivio arcivescovile di Ravenna: cfr. G. MONTANARI, Storia del ritrovamento della «Canzone ravennate», in Ravenna. Studi e ricerche 11/1 (2004), pp. 23-42: 30-42; ID., Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), pp. 206-209. 92 Ff. 1-2. 93 Merry del Val fu cardinale Segretario di Stato dal 1903 al 1914 e successivamente prefetto della Congregazione del S. Uffizio. Su di lui cfr. V. DALPIAZ, Attraverso una porpora. Il cardinale Merry del Val, Torino 1935; V. von HETTLINGEN, Raphael Kardinal Merry del Val. Ein Lebensbild, Einsiedeln – Köln [1937]; P. CENCI, Il cardinale Raffaele Merry del Val, Roma – Torino 1955; J. M. JAVIERRE, Merry del Val, Barcelona 1965; A. GARNICA SILVA, Merry del Val y Zulueta, Rafael, in Diccionario biográfico español, XXXIV, Madrid 2009, pp. 778-782. 94 Pio X fu papa dal 1903 al 1914.

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la più gelosa custodia e la più intelligente conservazione degli Archivi ecclesiastici», gli manifestava la «viva soddisfazione» dello stesso Pontefice per l’incarico ricevuto e coglieva l’occasione per affidargli «un analogo e rilevantissimo mandato nei riguardi dei Capitoli Metropolitani di Ancona e di Perugia». Si trattava di provvedere al restauro dei due Evangeliari in onciale conservati in quelle cattedrali, e Mercati era invitato dal Papa a esortare i due Capitoli «ad accogliere di buon grado l’onore ed il vantaggio di questa generosa offerta». Tale offerta — che, come si intuisce, riguardava anche i materiali conservati a Ravenna — comprendeva la gratuità e l’alta professionalità degli interventi: Ella vorrà innanzi tutto assicurarli che gli accennati restauri saranno fatti senza spesa alcuna dei Rev[erendissi]mi Capitoli, ed avranno a base i più perfetti sistemi, approvati dal Comitato permanente internazionale per il restauro dei Codici antichi.

Quanto espresso in questa lettera — giova ricordarlo — indica lo spirito e il significato con cui la Santa Sede e specificamente Mercati si ponevano nei confronti delle biblioteche ecclesiastiche italiane: si trattava di un profondo senso di responsabilità (specialmente verso i più antichi fra questi archivi e biblioteche e verso i reperti più preziosi in essi conservati), che accompagnerà e guiderà l’azione di Mercati nei decenni successivi, in particolare come cardinale bibliotecario e archivista. Di fatto, per quanto concerne Ravenna, già alla fine del 1907, si cominciò a preparare le pergamene da inviare95, e a fine gennaio dell’anno seguente avvenne la spedizione96, che comprendeva inizialmente 68 perga95 Se ne veda un primo cenno nel biglietto inviato a Mercati da don Alfredo Cavagna (1879-1970), segretario del vescovo Pasquale Morganti, il 20 dicembre 1907 (f. 5). In esso Cavagna, riferendosi alle «pergamene del fondo di S. Andrea», domandava se dovesse spedirle «tutte o solo quelle da riparare». Di origine veneziana ma ordinato per la diocesi di Milano dal card. Ferrari nel 1902, Cavagna fu segretario del vescovo Morganti a Bobbio e poi a Ravenna; dal 1922 al 1958 fu nominato assistente centrale della Gioventù femminile di Azione cattolica; scelto nel 1958 da papa Giovanni XXIII come proprio confessore, nel 1962 fu ordinato vescovo titolare di Tio. Su di lui cfr. F. RUGGERI, Cavagna, Alfredo (1879-1970), in Dizionario della Chiesa ambrosiana, II, Milano 1988, pp. 773-774; A. G. RONCALLI – GIOVANNI XXIII, Pace e Vangelo. Agende del Patriarca. 1956-1958, edizione critica e annotazione a cura di E. GALAVOTTI, Bologna 2008 (Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, 6.2), p. 757 nt. 766; e la pagina web: http://www.isacem.it/fondi-archivistici/ alfredo-maria-cavagna-1915-1970 (consultata il 6 gennaio 2018). Nelle vesti di confessore del papa, Cavagna è ampiamente citato in A. G. RONCALLI – GIOVANNI XXIII, Pater amabilis. Agende del pontefice. 1958-1963, edizione critica e annotazione a cura di M. VELATI, Bologna 2007 (Edizione nazionale dei diari di Angelo Giuseppe Roncalli – Giovanni XXIII, 7). 96 Cavagna, nella lettera del 27 gennaio 1908 a Mercati (ff. 8-9), assicurava che la spedizione sarebbe avvenuta l’indomani o, al più tardi, il giorno seguente. MONTANARI, Augusto

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mene del fondo di S. Andrea (provenienti dal monastero di S. Andrea Maggiore di Ravenna) e alcuni manoscritti, fra i quali i tre ben noti a Mercati, così descritti97: 5. N° 15798 fogli membranacei delle opere di S. Ambrogio «De Fide» e «De Spiritu Sancto et de Dominicae Incarnationis Sacramento». 6. Folia Quattuor ex Daniele. 7. Folia quinque membranacea ex Actibus Ap. et 1 Ioh.

La citata Informazione di fatto del 1957 (App. nr. 3), ricorda che il 5 febbraio 1908 il prefetto Ehrle attestò l’arrivo in Vaticana di quei materiali: All’inizio dell’anno 1908 esso [scil. il codice di s. Ambrogio] assieme a pergamene e ad altri “folia membranacea”, fu mandato in Vaticano “per essere restaurati”. In data 5 febbraio 1908 il P. F. Ehrle, prefetto, rilasciava regolare ricevuta colla clausola “da restituirsi ad ogni richiesta”.

Nei mesi successivi furono effettuate numerose altre spedizioni di pergamene, del fondo di S. Andrea e del fondo arcivescovile, che non mette conto segnalare qui in dettaglio99 (le pergamene furono poi restituite entro il 1924100). Mi concentro piuttosto sul codice di s. Ambrogio (e sui frammenti di Daniele, Atti e Prima Giovanni, che di fatto devono essere considerati insieme a esso). Dopo circa un quindicennio di silenzio dal suo arrivo in Vaticana, l’interesse per il codice fu manifestato dall’archivista

Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 208 riferisce di «una nota di mano dell’archivista A. Bendazzi» nella quale si afferma «che il codice fu spedito alla Biblioteca Vaticana il 28 gennaio 1908». 97 L’elenco, compilato da Cavagna, è scritto su un bifoglio, genericamente datato al gennaio 1908 (ff. 11-12), ma verosimilmente compilato il 16 gennaio (come indica la data posta in calce): al f. 11r-v sono elencate le pergamene (divise in due pacchi di 31 e 37 elementi); al f. 12r sono elencati altri materiali, numerati da 1 a 7, fra cui i tre manoscritti citati nel testo); al f. 12v Mercati scrive: «Baule giunto fine Gennaio», e annota che la ricevuta era stata inviata il 5 febbraio seguente. 98 Il numero è su correzione e non corrisponde precisamente al numero di fogli del manoscritto indicato in LOWE, CLA, IV, nrr. 410a e 410b (cfr. nt. 9 supra). 99 Indico tuttavia, per il differente materiale inviato per il restauro, la lettera del 25 agosto 1908 di don Cesare Uberti a Ehrle (ff. 16-17), nella quale lo scrivente informa di avere spedito «la cassetta cogli Indumenti pontificali del B. Rinaldo», vescovo di Ravenna dal 1303 al 1321. 100 A questo anno sono datate alcune lettere (Cesare Uberti a Mercati, 19 giugno 1924: f. 177; Mercati a Uberti, 4 luglio 1924, copia: ff. 182-183; Uberti e vescovo Antonio Lega a Mercati, 18 luglio 1924: ff. 185-186) che si riferiscono alla restituzione delle pergamene rimaste in Vaticana e alla difficoltà di rinvenire un gruppo di esse, che Mercati diceva non essere in Biblioteca, ma che a Ravenna non si trovavano nonostante ripetute ricerche e verifiche (si veda nel testo un cenno all’argomento nel brano di Lega, trascritto dalla seconda lettera).

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arcivescovile don Cesare Uberti (†1925)101, in una lettera del 18 luglio 1924 a Mercati. La missiva aveva per argomento principale la restituzione delle ultime pergamene, 49 in tutto, che non si ritrovavano, ma toccava appunto anche l’argomento del codice di s. Ambrogio102: Passo ora a chiederLe un favore. In cotesta Biblioteca fu consegnato (non mi è noto l’anno) un Ms. delle Opere di S[an]t’Ambrogio, caratteri onciali, bisognoso di restauro. L’Ill[ustrissi]mo P. Ehrle, ora E[minentissi]mo Card., in una sua lettera in data 23 settembre(a) 1909, scriveva a questo Archivista: «Appena passati 6 mesi metteremo mano al Ms. di S[an]t’Ambrogio». Ora non solo io, ma anche Mons[igno]r Arcivescovo, siamo desiderosi sapere a qual termine si trovi il restauro di questo nostro Cimelio, e saremo grati a V. S. E[ccellentissi]ma se avrà la bontà di darci questa notizia. ———————— a nel testo originale: 7mbre

Nella stessa lettera, l’arcivescovo Antonio Lega (1863-1946)103, confermando di proprio pugno quanto espresso dall’archivista, oltre a ripresentare la questione delle pergamene da trovare e restituire, tornava a porre la domanda in merito al codice di s. Ambrogio. Succedendo infatti il 18 dicembre 1921 a Pasquale Morganti (1852-1921)104, al quale si doveva il trasferimento delle pergamene e dei manoscritti in Vaticana, desiderava evidentemente chiarire la situazione dei materiali dell’Archivio arcivescovile che da un quindicennio stavano in Vaticana: Aggiungo una riga per ringraziarla per quanto ha fatto per la restituzione delle pergamene e di quello che farà, perché le mancanti sieno, se è possibile, rintracciate e recuperate. La stessa cosa dico per il codice di S. Ambrogio, la cui mancanza, qui in Archivio, è stata notata sfavorevolmente da alcuni, fra cui il

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Cenni a don Cesare Uberti, cerimoniere arcivescovile e poi archivista, sono in TAGLIALineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 152, 188 nt. 139, 189 nt. 150. MONTANARI, Storia del ritrovamento della «Canzone ravennate» cit. (nt. 91), p. 33 lo dice archivista dal 1914 (come mi conferma gentilmente il dott. Massimo Ronchini). La data di morte è nella Guida degli Archivi diocesani d’Italia, III, cit. (nt. 2), p. 293. 102 Lettera citata in nt. 100 supra (ff. 185-186). 103 Ordinato sacerdote nel 1886, divenne vescovo di Trivento nel 1914; passò a Ravenna come vescovo coadiutore di mons. Morganti succedendogli nel dicembre 1921. Su di lui cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 166-175, 192-195 ntt. 239-312; R. AUBERT, Lega (Antonio), in Dictionnare d’histoire et de géographie ecclesiastiques, XXXI, Paris 2015, col. 151. 104 Pasquale Morganti fu vescovo di Bobbio dal 1902 al 1904, quando fu chiamato alla sede di Ravenna, ove rimase sino alla morte. Su di lui cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 159-166, 190-192 ntt. 191-238; M. MALPENSA, Morganti, Pasquale, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVI, Roma 2012, pp. 753-756. FERRI,

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custode dell’Archivio della Biblioteca di Classe105.

Mercati, che si trovava in vacanze a Marola106, il 28 luglio dovette scrivere una lettera interlocutoria a mons. Lega, riferendo della necessità di consultare in merito papa Pio XI, ma intanto anticipando una preziosa informazione sul restauro del codice avvenuto in tempi relativamente recenti. Ci è infatti pervenuta una prima stesura, mutila, di quella lettera107: Il S[ant]o Ambrogio non fu punto restaurato da miei antecessori; l’ho dato io a restaurare e ha richiesto molti mesi e molte spese ed ora è finito. Siccome però al S[ant]o Padre dovetti riferire in proposito e ne ebbi(a) istruzioni, non posso dar ordini al mio supplente in Roma. Converrà quindi attendere il mio ritorno in Roma e(b) ——————— a nel testo originale: ebbe

b

frase interrotta nell’originale

Sui tempi nei quali fu compiuto il restauro, possiamo riferirci a una nota del Laboratorio di restauro della Biblioteca, datata 28 gennaio 1943 e firmata dal restauratore Arbo Magliocchetti108, che colloca il restauro nel periodo dal 20 novembre 1922 al 10 marzo 1923109. 105 Non so identificare a chi mons. Lega faccia riferimento, salvo ipotizzare che il vescovo indichi, con imprecisione di linguaggio, il direttore della Biblioteca di Classe, Santi Muratori. Potremmo arguirlo da quanto ricordava Angelo Rossini, nella lettera del 16 novembre 1957 citata infra nel testo, quando asseriva che «Il Prof. Muratori col quale raccontavamo il pericolo di perdere il codice, si ribellava e insisteva per la restituzione» (cfr. nt. 118 infra e contesto): forse il riferimento era lo stesso. 106 Marola, oggi frazione del comune di Carpineti in provincia di Reggio Emilia, era sede del seminario diocesano di Reggio per la parte montagnosa della diocesi: cfr. E. COTTAFAVI, I seminari della diocesi di Reggio nell’Emilia. L’università reggiana nel secolo XVIII, seconda edizione, Reggio Emilia 1907, pp. 336-343; Marola. Notizie storiche dell’Abbazia e del Seminario (Per il 1.° Centenario della fondazione del Seminario), s.l. [1924], pp. 69-71, 75-83; MILANI, Il territorio di Marola da Matilde di Canossa ai nostri tempi. Ristampa con Appendice, Reggio Emilia 1992, pp. 149-190, 247-248; G. GIOVANELLI, Il seminario di Marola e la formazione dei fratelli Mercati, in I fratelli Mercati cit. (nt. 1), in corso di stampa. Lì trascorreva abitualmente le vacanze estive Mercati. 107 F. 187. 108 Arbo Magliocchetti, come risulta dalla cartella personale conservata in Biblioteca, era nato a Roma nel 1882, entrò in Vaticana nel 1917 come apprendista legatore (lavorando a metà tempo anche per la Legatoria dell’Archivio Segreto); nel 1920 venne assunto in ruolo in Biblioteca come restauratore, divenendo poi capo restauratore e rimanendo in funzione sino al 1952. Su di lui cfr. anche NÚÑEZ GAITÁN, Los albores del Laboratorio de “restauración de códices” cit. (nt. 88), pp. 805 nt. 68, 808. Magliocchetti firmò due analoghi resoconti (datati rispettivamente 27 dicembre 1938 e 18 gennaio 1939), riguardo al restauro di codici di Vercelli, in Arch. Bibl. 242, IV, ff. 11-12. 109 Nella annotazione (f. 156), in riferimento all’Archivio arcivescovile di Ravenna, si indicano due restauri: «Cod. di Ravenna – in Rest[auro] 20-XI-1922 / Restaurato e leg[ato] e

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Dal canto suo Mercati, rientrato a Roma, sull’ultima facciata, non scritta, della lettera di Uberti e Lega del 18 luglio 1924, scrisse, fra l’altro: il 6 sett. 1924 S[u]a S[anti]tà (che mi aveva detto di trattenere il S. Ambrogio fino a nuova disposizione) mi ha detto di restituirlo a chi sarà incaricato del ritiro da M[onsi]g[or]r Arcivescovo di Ravenna e di porre(a) un punto fermo circa la faccenda delle 49 perg. che si dicono mandate e che(b) non si trovano. ——————— a parola corretta, di lettura incerta

b

che: ripetuto due volte (a fine e inizio riga)

Ciò nonostante, il codice rimase in Vaticana. Sul cambio di prospettiva — che sembrerebbe costituire persino un modo di procedere differente da quello prescritto da papa Pio XI! — abbiamo documentazione da una annotazione a firma di Mercati, datata 27 aprile 1925110, scritta su un foglietto ora incollato all’interno della legatura del facsimile fotografico del codice di s. Ambrogio (Mss. fot. 125)111 che fu approntato in Vaticana quando il codice ravennate venne restituito nel 1957112. Ecco il testo del foglietto: conf[ezionato] 10-3-1923» e «N[umero] 138 Perg[ame]ne – in Rest[auro] 5-XI-1923 / Spianate e restaurate 18-XII-1923». L’informazione riguardo al codice di s. Ambrogio è tratta dal Registro nr. 1 del Laboratorio di restauro (ivi conservato), al f. 129r («Settimana, 20-25 Novembre 1922. […] Codici in restauro. […] Codice di Ravenna») e al f. 159r («Settimana, 5-10 Marzo 1923. […] Codici restaurati. […] Codice di Ravenna»). 110 Il testo dell’annotazione è copiato dal prefetto Anselm María Albareda nel ragguaglio intitolato Relazioni intercorse tra la Biblioteca Vaticana e l’Archivio arcivescovile di Ravenna, datato 9 novembre 1957 (ff. 207-209), cui farò cenno più oltre nel testo. 111 Venne anche eseguita una copia fotografica degli altri fogli ravennati (i cinque degli Atti degli Apostoli e della Prima lettera di Giovanni e i quattro di Daniele): Mss. fot. 126. Il f. 1r (fotografato) reca la scritta, di mano di Mercati, a modo di titolo: «Folia quattuor continentia / Daniel VI, 4-7; 10-16; 20-24. / Vulgatae editionis, / Litteris semiuncialibus descripta / saec. circiter octavo?» e, sotto i timbri dell’Archivio Arcivescovile di Ravenna e della Bibliotheca Apostolica Vaticana, ancora di mano di Mercati: «Vidit et exscribsit J[ohannes] M[ichäel] Mercati 3/Aug./1895». Il f. 4r (fotografato) reca la scritta, ugualmente di mano di Mercati, a modo di titolo: «Folia quinque membranacea / Litteris uncialibus saec. circ. V-VI conscripta. / Continent Act. XVI, 11-25; XVII, 32-XVIII, 17; XIX, 6-10, 18-22; / XXI, 11-26: 1 Joh. III, 17-IV,11. editionis uulgatae. / Codicis huius Vulgatae edit. antiquissimi, Fuldensi certe / uetustioris, fragmenta describsit J[ohannes] M[ichäel] Mercati a[nno] 1895, Deo favente, editurus. / Cimelium cautissime seruandum» e, a fianco, il timbro dell’Archivio Arcivescovile di Ravenna. Per quanto riguarda l’abbreviazione “M.” sciolta in “Michäel”, come indica CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9), p. 66 nt. 1 (p. 309 nt. 95 della riedizione), il secondo nome era usato da Mercati in alcuni scritti giovanili negli anni dal 1894 al 1896: infatti lo si ritrova («ego Ioh. Michäel Mercati») in ambedue le redazioni della più volte ricordata Notizia scritta da Mercati a Ravenna il 3 agosto 1895 (cfr. ibid., pp. 66-67; pp. 309-310 della riedizione). 112 L’idea di eseguire una fotografia del codice di s. Ambrogio (e degli altri fogli) fu suggerita al prefetto Albareda da Augusto Campana (cfr. ibid., pp. 15-16 nt. 2; p. 250 nt. 2 della riedizione).

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S[ua] Ecc[ellenza] M[onsigno]r A[ntonio] Lega Arcivescovo di Ravenna mi ha detto oggi, 27 aprile 1925, di ritenere questo ms. di S. Ambrogio fino a che Egli non mi darà ordine diverso. G[iovanni] M[ercati].

Non è facile interpretare il senso di questa affermazione e comprendere con precisione il contesto. A una prima considerazione si potrebbe congetturare che Mercati abbia informato il vescovo Lega del grande lavoro fatto in Vaticana a favore dell’Archivio arcivescovile di Ravenna, in qualche modo suggerendogli di assumere un atteggiamento di gratitudine più che pretendere risolutamente una restituzione; forse poté aggiungere che in Vaticana il manoscritto sarebbe stato adeguatamente studiato e valorizzato e anche meglio conservato. Peraltro, la scritta riveste il tenore di un promemoria o di una “autocertificazione”, non di una concessione formalmente sottoscritta da mons. Lega, e men che meno di una sua autorizzazione a trattenere il codice “per sempre”. Se intuisco correttamente, Mercati dispiegò tutta la forza di convincimento che gli derivava dal desiderio di non privarsi del manoscritto, per i motivi detti, tanto da far mutare, almeno parzialmente, l’intendimento del vescovo nel giro di meno di un anno, dal luglio 1924 all’aprile 1925. Il mutato clima dovette favorire nel maggio 1927 l’arrivo in Vaticana di cinque papiri da restaurare (prontamente restituiti nel gennaio 1929)113, o forse fu la promessa di tale restauro a strappare il consenso del vescovo Lega. In ogni caso era ormai aperta la via alla richiesta di più alto profilo: poter tenere definitivamente il codice in Vaticana. Mercati giunse a questo traguardo nel maggio 1931, come rileva un’altra annotazione, ugualmente incollata all’interno della legatura del facsimile fotografico del codice di s. Ambrogio. Ancora una volta — giova subito osservarlo — non si tratta di un documento sottoscritto da mons. Lega, a garanzia della concessione,

113 Furono spediti da Ravenna il 16 maggio 1927, come scrive il canonico Anacleto Bendazzi (1883-1982), archivista arcivescovile (dal 1909 al 1913 e dal 1925 al 1936), dandone l’elenco (f. 189); il giorno seguente, come annota Mercati sulla stessa lettera, fu mandata la debita ricevuta. Il viaggio, come apprendiamo dalla lettera del 13 maggio del Sovrintendente Domenico Fava (1873-1956), della R. Sovrintendenza Bibliografica dell’Emilia (f. 194), dovette avvenire nel pomeriggio del 16, con arrivo alla stazione Termini poco dopo la mezzanotte. Compiuto il restauro e restituiti i papiri, mons. Lega ne ringraziò Mercati in una lettera del 19 gennaio 1929 (ff. 200-201). Faceva parte di questo gruppo «il papiro di Pasquale I°» specificamente ricordato nella citata Informazione di fatto (App. nr. 3). Su Bendazzi cfr. G. MONTANARI, Mons. Mario Mazzotti nei rapporti con vescovi ed ecclesiastici ravennati, in Ravenna studi e ricerche 14 (2007), pp. 33-47: 35 (dove l’autore promette di tornare a parlare di Bendazzi nel prosieguo dell’articolo, senza tuttavia compiere quanto promesso). Devo al dott. Massimo Ronchini le date dei periodi in cui Bendazzi fu archivista. Su Fava cfr. C. RONZITTI, Fava, Domenico, in Dizionario biografico degli Italiani, XLV, Roma 1995, pp. 407-408.

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ma di una “autocertificazione”, esposta fra l’altro da una terza persona, il pro-prefetto Eugène Tisserant114: Il presente codice, S. Ambrogio de Fide, ecc., mandato alla B[iblioteca] V[aticana] per esservi restaurato, rimase, d’ordine di S. E. Mons. Antonio Lega, arcivescovo di Ravenna, il quale disse a Mons. Giovanni Mercati, che dovrebbe venire incorporato alla B[iblioteca] V[aticana] in compenso dell’ingente lavoro fatto per il restauro delle pergamene e di altro aiuto dato alla diocesi dal S. Padre Pio XI. Dichiarazione di Mons. G[iovanni] Mercati li 13 maggio 1931 E[ugène] Tisserant

Per comprendere lo stato d’animo con cui mons. Lega dovette fare la concessione registrata da Tisserant, possiamo riferirci alla lettera che il 16 novembre 1957115, quando ormai il rientro del codice a Ravenna era imminente, fu inviata dall’arcivescovo di Amalfi, mons. Angelo Rossini (18901965), al canonico Mario Mazzotti, archivista arcivescovile di Ravenna116. Rossini era stato ordinato sacerdote nel 1915 nella diocesi di Ravenna, dove rimase sino al 1947, assumendo dal 1942 il compito di vescovo ausiliare117. Rievocando quanto avvenuto negli anni dell’episcopato di mons. Lega, scriveva: ricordo che Mons. Lega, nell’occasione del ritorno di un gruppo di pergamene restaurate, o dei papiri restaurati, ebbe a dire: La Santa Sede ci fa un gran regalo restaurandoci pergamene e papiri, ma temo che dovremo pagare con la cessione del Codice di S. Ambrogio. Il Prefetto della Biblioteca Vaticana mi ha detto che il S. Padre chiede il codice di S. Ambrogio. Noi l’abbiamo mal custodito, e possiamo negare al S. Padre un favore dopo quello che abbiamo ricevuto? Ma Mons. Lega non mi ha mai parlato di un impegno scritto rilasciato a garan-

114 Come per l’annotazione del 1925, anche questa è copiata dal prefetto Albareda nel testo intitolato Relazioni intercorse tra la Biblioteca Vaticana e l’Archivio arcivescovile di Ravenna (cfr. nt. 110 supra). Sul foglietto (ora inserito nel Mss. fot. 125), nello spazio lasciato libero, al momento della restituzione dell’originale nel 1957 Albareda aggiunse (trascrivo il testo lasciando gli errori di ortografia): «Questo manoscritto, dovutamente ristaurato, è stato restituito d’acordo con l’Eminentissimo Cardinale Bibliotecario, il 5-XII-1957. A[nselm] M[aria] Albareda». 115 La lettera è conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. Cfr. anche MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 204. 116 Nella lettera è indicato semplicemente come «don Mario». Su di lui cfr. nt. 144 infra. 117 Su di lui cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 171, 173; e la pagina web, consultata il 9 dicembre 2017, www.catholic-hierarchy.org/ bishop/brossini.html.

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zia di una cessione. Il Prof. Muratori118 col quale raccontavamo il pericolo di perdere il codice, si ribellava e insisteva per la restituzione. […] I due foglietti dei quali parli sono uno di Mercati, ed uno di Tisserant che esprimono un pensiero di Mons. Lega: mi sembrano poco probativi, e possono essere una coercizione di un beneficato che non si arrischia di negare davanti alla grandezza del Papa.

L’affermazione, secondo cui Pio XI volesse trattenere il codice in Vaticana, contrasta con quanto Mercati attestatava nel 1924, asserendo che il Papa, dopo avergli detto, in antecedenza, «di trattenere il S. Ambrogio fino a nuova disposizione», gli ingiungeva invece «di restituirlo a chi sarà incaricato del ritiro» dal vescovo di Ravenna. Significa che il Papa era tornato al suo primitivo parere? Forse per insistenza di Mercati? Anche se sappiamo che Pio XI non era persona da lasciarsi influenzare! In ogni caso così avrebbe riferito Mercati, argomentando sia la mancata cura del codice a Ravenna sia l’impegnativo restauro di esso (e di molti altri materiali) a totale carico della Santa Sede in quegli anni. Il tono di mons. Rossini è comunque veramente energico nel rilevare la decisa e decisiva pressione subita da mons. Lega da parte di Mercati: come si sarebbe potuto «negare al S. Padre un favore», dopo aver ricevuto così grandi benefici? Ma si trattava, senza dubbio e senza attenuazioni, della «coercizione di un beneficato che non si arrischia di negare davanti alla grandezza del Papa»! Rossini ne concludeva che i due foglietti erano ben «poco probativi». Le reazioni alla mancata restituzione del codice in Vaticana non tardarono comunque a manifestarsi, sulla scia di quella del direttore della Biblioteca comunale Classense di Ravenna Santi Muratori (1874-1943)119, di cui sembrerebbe non essere pervenuta altra documentazione, se non la si voglia ricollegare alla reazione sfavorevole di quel bibliotecario che mons. Lega definisce imprecisamente come «custode dell’Archivio della Biblioteca di Classe» in calce alla lettera di Cesare Uberti del 18 luglio 1924120. Negli anni quaranta121 ne è indizio una nota, scritta a macchina e non 118

Su di lui si veda nt. seguente. Fu direttore della Classense dal 1914 alla morte: su di lui cfr. DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit. (nt. 4), p. 133. 120 Per l’aggiunta di mons. Lega alla lettera di Uberti cfr. nt. 105 supra e contesto. 121 Negli anni trenta non sono registrate altre reazioni (oltre a quella di Muratori), né eventi degni di nota. Segnalo tuttavia la notizia della restituzione di sei pergamene all’Archivio arcivescovile di Ravenna nel settembre 1938 da parte di Augusto Campana. Questi, scriptor latinus dall’inizio di quel mese (cfr. nt. 27 supra), il 2 settembre firmò di aver ricevuto in Vaticana le pergamene da riconsegnare a Ravenna (f. 203); il 10 settembre scrisse all’archi119

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datata122, in cui si riporta la richiesta del sacerdote Marcello Morgante (1915-2007), poi vescovo di Ascoli Piceno123, presentata in Vaticana mentre era studente all’Apollinare124. Ne riporto il testo125: Il Rev. Marcello MORGANTE, della Diocesi di RAVENNA, attualmente in Roma come alunno dell’Apollinare, detentore della tessera n. 653 di quest’anno della Biblioteca Apostolica Vaticana, espone quanto segue: Diversi anni fa [non è facile precisare in che anno, neanche all’incirca; si afferma solo che regnava il Sommo Pontefice Pio XI] Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Ravenna mandò alla Biblioteca Vaticana un codice (a quanto pare rarissimo, vista arcivescovile di Ravenna don Giovanni Zambotti, preannunciando il suo arrivo in uno dei giorni della settimana seguente (la lettera è trascritta in MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. [nt. 30], p. 201); e il 17 settembre don Giovanni Zambotti attestò di averle ricevute (f. 204). Don Zambotti fu prefetto dell’Archivio arcivescovile dal 1936 al 1945: cfr. MONTANARI, Storia del ritrovamento della «Canzone ravennate» cit. (nt. 91), p. 29; ID., Augusto Campana e l’Archivio cit., p. 200 nt. 11 (il dott. Massimo Ronchini, a cui debbo una prima identificazione del cognome di Zambotti, non facilmente decifrabile nel documento vaticano, mi segnala che Zambotti avrebbe interrotto il suo incarico di archivista già dal 1944). 122 F. 155. 123 Marcello Morgante studiò a Roma dal 1935 al 1945 in Laterano, prima quale alunno del Seminario Romano Maggiore, poi, dal 1940, studente al Pontificium Institutum Utriusque Iuris; nel 1938 era stato ordinato sacerdote per la diocesi di Ravenna; dal 1947 al 1957 fu vicario generale a Ravenna, con il vescovo Giacomo Lercaro (1891-1976) sino al 1952 e successivamente con il vescovo Egidio Negrin (1907-1958), venendo infine chiamato a reggere la sede di Ascoli Piceno dal 1957 al 1991: su di lui cfr. La Pontificia Università Lateranense. Profilo della sua storia, dei suoi maestri e dei suoi discepoli, Roma 1963, pp. 507-508; e le pagine web, consultate l’8 dicembre 2017, www.catholic-hierarchy.org/bishop/bmorgante.html e www. webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/PagineDiocesi/index1.jsp?idTable=-1&idUfficio=5043. Su Lercaro, arcivescovo di Ravenna dal 1947 al 1952 (prima di passare alla sede di Bologna che tenne sino al 1968) cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 175-176, 195-196 ntt. 313-329; G. BATTELLI, Lercaro, Giacomo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVIII, Roma 2013, pp. 696-700. Su Negrin, arcivescovo di Ravenna dal 1952 al 1956 e quindi di Treviso, cfr. ancora TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit., pp. 176-177, 196 ntt. 330-332. 124 Il nome di Apollinare si riferisce al collegio situato nel palazzo di S. Apollinare, dove venne ospitato il Seminario Romano dal 1814 e nel quale, dal 1853, furono costitute anche le facoltà giuridiche; queste ultime, quando nel 1913 l’Ateneo con le facoltà di teologia e filosofia fu trasferito al Laterano, trovarono sede al Collegio Leoniano e dal 1920 ancora a S. Apollinare. Nell’anno accademico 1938-1939 furono trasferite anch’esse in Laterano, avendo nel frattempo assunto la denominazione di Pontificium Institutum Utriusque Iuris ma conservando ugualmente il nome tradizionale di Apollinare: cfr. P. PASCHINI, IV. Pontificio Ateneo Lateranense, in Enciclopedia Cattolica, VII, Città del Vaticano 1951, col. 349 (nella voce complessiva: Istituti di studi superiori, coll. 345-353); V. DE MARCO, Il secolo XX, in Il Seminario Romano. Storia di un’istituzione di cultura e di pietà, a cura di C. MEZZADRI. Presentazione di C. RUINI, Cinisello Balsamo 2001, pp. 143-211: 154-176. 125 Come per le note del 1925 e del 1931, anche questa è riportata dal prefetto Albareda nel ragguaglio intitolato Relazioni intercorse tra la Biblioteca Vaticana e l’Archivio arcivescovile di Ravenna (cfr. nt. 110 supra).

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forse il “De Trinitate”) di Sant’Ambrogio(a), assieme a numerose altre pergamene, perché il tutto venisse restaurato e restituito poi in sede. Mentre le pergamene fecero regolare ritorno a Ravenna, il codice invece no, perché S. E. l’Arcivescovo, in segno di gratitudine, lo avrebbe lasciato alla Vaticana. Risaputa la cosa, furono a ciò sollevate obiezioni da parte del Capitolo, del Clero e degli studiosi di Ravenna, finché l’Arcivescovo stesso [con rimando in nota a pie’ di pagina: Sua Eccellenza Monsignor ANTONIO LEGA] riconobbe di avere ecceduto in magnanimità ed ora richiederebbe la restituzione. ____________ a nel testo originale: Santo e, a capo Ambrogio

Poiché Marcello Morgante fu a Roma, alunno dell’Apollinare, negli anni dal 1940 al 1945, a quel periodo deve essere riferita l’annotazione. Anzi, può essere più probabilmente collocata non molto prima di quel 28 gennaio 1943, quando sappiamo che Magliocchetti informò sulle date di restauro del codice di s. Ambrogio, avvenuto dal 20 novembre 1922 al 10 marzo 1923126. Infatti proprio a queste date fanno riferimento alcune indicazioni aggiunte in calce alla nota127. Questa richiesta conferma l’interpretazione della concessione di mons. Lega come frutto in qualche modo di forzatura; ma d’altro canto essa non sembra aver prodotto alcun risultato concreto. Il prefetto Albareda (1892-1966)128, nell’ampio ragguaglio intitolato Relazioni intercorse tra la Biblioteca Vaticana e l’Archivio arcivescovile di Ravenna129 e datato 9 novembre 1957, dopo aver riferito in merito al restauro di 138 pergamene avvenuto a fine 1923, per il codice di s. Ambrogio poteva riferire solo tre documenti che ho or ora presentato: la dichiarazione di Mercati (a firma Tisserant) del 1931, la dichiarazione di Mercati del 126 F. 156: anche la contiguità di conservazione delle due note, depone a favore della datazione proposta. 127 Sotto il titolo «Problemi:» si elencano le voci (anch’esse scritte a macchina): «Codice intitolato: / Restaurato in data: / Entrato nel nostro fondo: / col numero: / in data:». A mano è poi aggiunto, quanto al titolo: «“de Trinitate”? (di S. Ambrogio, È SICURO»); quanto alla data di restauro: «dal nov. 22 al marzo 1923» (il testo è posto nell’interlinea, sopra una frase cancellata, in cui era stato per errore copiato quanto si riferiva al restauro delle pergamene, come indicato in quella nota: «dal 5 nov. al 18 dic. 1923 (se attiene alle pergamene)»); quanto al fondo: «Vaticani latini», nulla per il numero e, quanto alla data: «marzo 1923» (cfr., per queste date, nt. 109 supra). 128 Joaquin Albareda i Ramoneda, benedettino con il nome di Anselm María, ordinato sacerdote nel 1915, fu prefetto della Biblioteca Vaticana dal 1936 al 1962 (quando fu nominato cardinale da papa Giovanni XXIII). Su di lui cfr. S. PRETE, Introduction, in Didascaliae. Studies in honor of Anselm M. Albareda, New York 1961, pp. VII-XI; J. MASSOT I MUNTANER, El cardenal Albareda, in Estudios Lulianos 12 (1968), pp. 217-228; ID., Albareda Ramoneda, Anselmo Maria, in Diccionario biográfico español, II, Madrid 2009, pp. 233-234. 129 Ff. 207-209.

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1925, la nota di Marcello Morgante: di questa confermava che è «senza data», propendendo più genericamente a collocarla, in base al contesto, «al principio dell’attuale Pontificato» di Pio XII130. Il ragguaglio di Albareda riferiva infine dell’esistenza in Vaticana di «9 fogli della Volgata provenienti da due diversi codici antichi (quattro da uno e cinque da un altro), visti e studiati da Giovanni Mercati nel 1895, come si legge nelle copertine che li racchiudono, le quali recano il timbro dell’Archivio Arcivescovile di Ravenna»131. Di essi, aggiungeva, «né sulla copertina, né nel registro di ingresso della Vaticana, né altrove in Biblioteca risultano ulteriori notizie». Come accennavo, infatti, essi seguono il codice di s. Ambrogio, quasi scomparendo all’ombra di questo reperto principale. Dopo la nota di Marcello Morgante, a partire dall’anno 1947, si assiste a una svolta nell’interesse per il codice di s. Ambrogio (e degli altri fogli ravennati) a seguito del loro inserimento, quell’anno, fra i Codices latini antiquiores di Elias Every Lowe132. Venne infatti resa nota ufficialmente e universalmente la collocazione in Vaticana del codice di s. Ambrogio e degli altri fogli pergamenacei — come indica la citata Informazione di fatto del 1957 (App. nr. 3) — e si originò di conseguenza «un’attenzione particolare da parte degli studiosi e degli ambienti autorevoli ravennati». Ne nacquero svariati interventi (che trascrivo dall’Informazione di fatto, integrando, ove possibile, con le opportune identificazioni): — nel 1949 una lettera (sin qui non rintracciata) di Augusto Torre (1890-1977)133, «attuale [1957] incaricato di storia moderna presso l’Università di Bologna […] all’allora arcivescovo mons. Lercaro»134, esprimeva la richiesta «d’interessarsi fattivamente affinché il tutto tornasse alla sua sede originaria, l’archivio arcivescovile»; — nel dicembre 1950 un articolo della rivista Felix Ravenna «denunziava la persistente presenza in Vaticano dei documenti ravennati, puntualizzando l’importanza del “Codice di S. Ambrogio, e se ne invocava il ritorno»: in verità quell’articolo, a firma di Giacinta Gatti Crosara, riferiva

130 Pio XII fu eletto papa nel 1939; ma — come detto — ritengo più verosimile collocare quel documento nel 1943. 131 Cfr. nt. 110 supra. 132 LOWE, CLA, IV, nrr. 410a, 410b, 411, 414. 133 Augusto Torre dal 1948 al 1955 ebbe la reggenza dell’Archivio di Stato di Ravenna (cfr. G. PLESSI, Vicende e consistenza dell’Archivio di Stato di Ravenna, in Rassegna degli Archivi di Stato 19 (1959), pp. 181-188: 185); dal 1956 al 1960 ricevette l’incarico di insegnamento di Storia moderna presso la Facoltà di lettere dell’Università di Bologna. Su di lui cfr. A. VASINA – L. LOTTI, Ricordi di Augusto Torre, in Studi romagnoli 29 (1978), pp. 229-244. 134 Su Lercaro a Ravenna cfr. nt. 123 supra.

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dei codici ravennati conservati in Vaticana senza enfasi, anzi esprimendo riconoscenza per le pergamene restaurate, poi rientrate in sede135; — fu inoltre avanzata la proposta (che la diocesi era riuscita a non far attuare e di cui non ho trovato ulteriore documentazione) di costituire, allo scopo di far pressione per il rientro del codice, «una specie di Commissione locale, formata da personalità di ogni tendenza, che già di fatto avevano aderito»; — varie personalità della cultura manifestarono il loro vivo interesse per il rientro del codice; fra essi: Manara Valgimigli (1876-1965), già bibliotecario della Classense136; il citato Augusto Torre, Francesco Zaccherini, bibliotecario della “Oriani”137, Fausto Saporetti (1903-1959), già vice diret135

Cfr. G. GATTI CROSARA, Tesori ravennati all’estero: il Liber traditionum detto «codice Bavaro», in Felix Ravenna 54 (1950), pp. 43-53. Si vedano, in particolare, le pp. 50-51: «Non tutti i viaggi delle nostre pergamene sono stati dannosi: varie di esse ebbero tempo fa le cure della benemerita Officina Vaticana del Restauro, che nei vasti locali sopra la Biblioteca dispone di un’attrezzatura degna del suo nome; riportate a Ravenna offrono ora un felice contrasto con le altre ancora sciupate. Alcuni codici del nostro archivio dopo il restauro, sono invece rimasti in deposito presso l’Archivio Vaticano [scil. la Biblioteca Vaticana] per ragioni di studio; quando essi torneranno aggiungendosi ai pochissimi rimasti, un altro nucleo del nostro archivio potrà dirsi felicemente ricostituito» (pp. 50-51); nelle note sono elencati i codici ancora in Vaticana (codice di s. Ambrogio, frammenti di Daniele e frammenti del Nuovo Testamento, fatta esclusione per quello dell’Apocalisse conservato a Ravenna: pp. 52-53 nt. 25) e quelli a Ravenna (i frammenti della Passione di Agapio, Secondino e compagni: p. 53 nt. 26). 136 Critico letterario e filologo classico, Valgimigli, dopo essere passato per varie sedi universitarie, dal 1926 al 1948 insegnò all’Università di Padova; nei primi anni del suo pensionamento, dal 1948 al 1955 fu direttore della Biblioteca Classense, tornando poi a risiedere a Padova. Su di lui cfr. D. PIERACCIONI, Manara Valgimigli (1876-1965), in Nuova Antologia 1977 (1965), pp. 3-14; I. DE LUCA, Manara Valgimigli, in Giornale storico della letteratura italiana 143 (1966), pp. 155-160; E. MAZZALI – G. DE ROBERTIS, Manara Valgimigli, in Letteratura italiana. I critici, IV, Milano 1976, pp. 2437-2463 (Notizia biografica alle pp. 2460-2461). Contatti di Valgimigli con la Vaticana nel 1950 sono attestati da due sue lettere (conservate in Arch. Bibl.), con le quali affidava a Giuliano Gondoni, della Biblioteca Classense, l’incarico di ritirare codici che vi erano stati depositati «per consultazione e restauro»: in un primo caso, il cod. Classense 374, Gandinus (Arch. Bibl. 242, XV, f. 205: lettera datata 9 maggio 1950), e, in un secondo caso, i volumi quarto e quinto del cod. Classense 485, Consilia et allegationes (Arch. Bibl. 209, f. 19: lettera datata 23 dicembre 1950); nel primo caso Gondoni dichiarò di aver ritirato il codice il 27 maggio (scrivendo in calce alla lettera di Valgimigli), nel secondo caso fece analoga dichiarazione il 30 dicembre (su foglio autonomo: Arch. Bibl. 209, f. 20). 137 Nel 1963 lo stesso Zaccherini, iniziando un suo contributo riguardante la Biblioteca Alfredo Oriani di Ravenna, ricordava di averne assunto la direzione da circa un ventennio: «Volgerà fra breve il XX anno della mia appartenenza quale bibliotecario, all’Ente Casa Oriani» (F. ZACCHERINI, La biblioteca «Alfredo Oriani» di Ravenna, in Studi romagnoli 14 (1963), pp. 55-58: 55). Nel catalogo on line della Biblioteca Classense (alla pagina web, consultata il 26 agosto 2017, www.classense.ra.it/main/index.php?id_pag=224&m=santimuratori&skip_ cass=240&id_smu_cassetto=258&skip=34&count=1&counter=2) è riprodotta una scheda del catalogo di Santi Muratori intestata a «Zaccherini Francesco / Direttore della Biblioteca

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tore della Classense138; Luigi Fontana, direttore e primario dell’ospedale di Ravenna139; — espresse il suo interessamento anche la Società degli Amici di Ravenna140, presieduta dal senatore Aldo Spallicci (1886-1973)141 e da Antonio Serena-Monghini (1880-1958)142, presidente di Cassazione a riposo; Oriani», con segnalazione dell’articolo: Il Professor Zaccherini lascia l’“Oriani”, in Il Nuovo Ravennate, 14/nr. 33 (1972), p. 4. Dovette quindi reggere la biblioteca per un trentennio, dal 1943 circa al 1972. Nel 1949 Zaccherini fu anche tra i fondatori della Società di studi romagnoli, divenendo membro del Collegio dei probiviri dal 1965 al 1989: cfr. La Società di studi romagnoli nel cinquantesimo della fondazione, 1949-1999, Cesena 1999 (consultato il 5 dicembre 2017 alla pagina web www.societastudiromagnoli.it/pdf/indici_studi_romagnoli_50.pdf), pp. 5, 9. 138 Fausto Saporetti fu vice direttore della Classense dal 1932 al 1956, assumendo il ruolo di reggente dalla fine del 1943 (alla morte del direttore Santi Muratori) sino al 1945 (quando fu nominato Bruno Nediani) e ancora dal giugno 1946 (alla morte di Nediani) sino al 1948 (quando fu nominato Manara Valgimigli). Dal 1946 al 1948 assunse anche la reggenza dell’Archivio di Stato (che poi passò ad Augusto Torre). Se ne veda la profonda e commossa commemorazione, a un anno della sua morte, il 4 gennaio 1960, di Vincenzo Strocchi, pubblicata in un fascicolo senza data e senza luogo intitolato Fausto Saporetti nel 1° anniversario della morte (ne ho consultato una riproduzione delle copie conservate alla Biblioteca Oriani e alla Biblioteca Classense di Ravenna: ringrazio il personale di queste Biblioteche per il gentile aiuto e la dottoressa Michela Ghera per la ricerca di questa e altre pubblicazioni); si vedano anche PLESSI, Vicende e consistenza cit. (nt. 133), p. 155 (per la reggenza all’Archivio di Stato) e F. GÀBICI, Salvò libri dalla guerra ma è stato dimenticato. Cinquant’anni fa moriva Fausto Saporetti, in Il resto del Carlino (Ravenna), 5 gennaio 2009 (consultato il 27 agosto 2017 alla pagina web www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/2009/01/05/142333-salvo_libri_dalla_guerra_stato_dimenticato.shtml). 139 Un suo breve ritratto biografico (purtroppo senza indicazione di date) è offerto da F. GÀBICI, “Dai bombardamenti alla rinascita”, in Origine e racconti. L’Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna. Atti del seminario, 19 settembre 2009, Ravenna, Casa Matha, ideato da S. MUZZARELLI con la collaborazione di A. CORELLI, S. MINARDI, C. COLLI, Faenza 2010 (consultato il 9 dicembre 2017 alla pagina web www.ausl.ra.it/files/patrimonio artistico/volume_ORIGINI.pdf), pp. 15-20: 18 (vi si afferma che succedette a Francesco Schiassi, che sappiamo morto nel 1941, e che precedette Angelo Bendandi). 140 Non so identificare con sicurezza tale Società. Se ne veda un cenno in riferimento ad Antonio Serena Monghini, alla nt. 142 infra. 141 Aldo Spallicci fu repubblicano militante e deputato della costituente e senatore nella prima (1948-1953) e seconda (1953-1958) legislatura; fu anche medico e apprezzato poeta dialettale. Su di lui cfr. Spallicci, Aldo, in Enciclopedia italiana, III appendice (1949-1960), Roma 1961, p. 788; da completare con Enciclopedia italiana, IV appendice (1961-1978), Roma 1981, p. 892 (Obituario). A Spallicci fu dedicato un convegno a Forlì nel 1983, i cui atti sono editi in Aldo Spallicci. Studi e testimonianze, Bologna 1992 (Saggi e repertori, 20). A suo riguardo non ho trovato alcuna documentazione in merito alla Società “Amici di Ravenna”. 142 Pur essendo indicato il solo cognome nell’Informazione di fatto, deve trattarsi del magistrato Antonio Serena Monghini, che divenne presidente di sezione in Corte di Cassazione e andò in congedo come Primo presidente onorario della Corte di cassazione; fu anche presidente dal 1948 al 1957 della Cassa di risparmio di Ravenna; il 2 giugno 1956, inoltre, ricevette l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Su di

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— nel 1953 un articolo di Francesco Montanari nella cronaca ravennate del Giornale dell’Emilia del 14 agosto143, invocava il ritorno in sede «di alcuni preziosi documenti che sono patrimonio geloso non solo della Chiesa ravennate, ma della nostra città e fra i quali primeggia il famoso codice di S. Ambrogio». Quindi la richiesta era tenuta continuamente viva, e — segnalava onestamente l’Informazione di fatto —, se si era «sempre ottenuto di rimandare la soluzione dell’annosa questione», ciò era avvenuto solo in nome del card. Mercati «e per un riguardo personale». Questa osservazione e la documentazione riferita, pur provenendo da Ravenna e quindi essendo in un certo senso di parte, si rivela tuttavia fededegna e tratteggia in modo sostanzialmente esatto il clima che si era creato. 5. La restituzione Ma, appunto, all’indomani della morte del card. Mercati, avvenuta il 22 agosto 1957, la situazione non poteva essere ulteriormente sostenuta, e l’Informazione di fatto registra che l’«annosa questione […] è riportata alla ribalta più vivamente», anche attraverso una non meglio precisata «interrogazione verbale in merito». In questo contesto si creò un’impetuosa accelerazione degli eventi, e il 5 dicembre successivo il canonico Mario Mazlui cfr. L. MONTANARI, Antonio Serena Monghini, in Studi romagnoli 10 (1959), pp. 1-10; e, nel sito della Banca popolare di Ravenna, la pagina www.lacassa.com/ita/Banca/La-Storia/IPresidenti (consultata il 2 settembre 2017). È in questo sito che trovo l’unica segnalazione a me nota della Società “Amici di Ravenna”, della quale si afferma che Antonio Serena Monghini fu presidente. 143 Il testo a firma di Francesco Montanari compare sotto il titolo Voci della città. A proposito di San Vitale [nel testo: Vitate!]: questioni futili e altre che non lo sono – Una lettera dei medici sull’assistenza INAM. Montanari prende spunto da una lettera, pubblicata a p. 4 dell’edizione ravennate del Giornale dell’Emilia del 5 agosto, nella quale venivano fatti «apprezzamenti e proposte» (a giudizio di Montanari «assai discutibili») sull’esercizio del culto in San Vitale che male si concilierebbe […] con gli interessi turistici» (cioè celebrazioni liturgiche che disturberebbero le esigenze turistiche del luogo). Montanari ne prendeva spunto per segnalare che, piuttosto, altri tesori si sarebbero dovuti valorizzare. Fra essi citava, in un crescendo conclusivo, il codice di s. Ambrogio: «Ed infine perché il nostro “lettore” […] non spezza una lancia per il ritorno dall’Archivio Vaticano — dove furono inviati pro-tempore, per ragioni di studio, come si desume da Felix Ravenna del dicembre 1950 [scil. l’articolo di Gatti Crosara cit. in nt. 135 supra] di alcuni preziosi documenti che sono patrimonio geloso non solo della Chiesa ravennate ma della nostra città e fra i quali eccelle il famoso codice di S. Ambrogio risalente nientemeno al V o al VI secolo?». Ho ricevuto una riproduzione dell’articolo di Montanari dalla Biblioteca Classense di Ravenna e dalla Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza: ringrazio sinceramente il personale di queste Biblioteche per il gentile aiuto, e la dottoressa Michela Ghera per la ricerca di questo articolo. Una copia dattiloscritta (parziale) dell’articolo è conservata anche in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1.

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zotti (1907-1983), archivista arcivescovile di Ravenna144, poteva ritirare in Vaticana tutto quanto vi era ancora conservato per riportarlo in sede145. Già nel settembre da Ravenna era venuto in Vaticana lo stesso Mazzotti; tornando, egli aveva potuto riferire al vescovo — che dal maggio 1956 era mons. Salvatore Baldassarri — una disponibilità di massima alla restituzione da parte della Biblioteca Vaticana. Il vescovo ne riferì in una lettera del 1° novembre 1957 al prefetto Albareda146, nella quale preannunciava un imminente nuovo viaggio dell’archivista, in occasione del primo Convegno degli archivisti ecclesiastici, che si sarebbe tenuto a Roma dal 5 all’8 di quel mese147. Affermava che si sarebbe potuto finalmente procedere, perché — scriveva — è «nominato ormai da un mese il nuovo Bibliotecario ed Archivista di S. Romana Chiesa», cioè il card. Tisserant148. Esprimeva quindi la propria fiducia che «sia possibile finalmente accontentare i desideri più volte chiaramente espressi dagli studiosi di Ravenna e di fuori, di riavere in sede tutto il materiale archivistico ravennate». Anche questa frase ribadisce, se pur sinteticamente, sia la forte pressione che da tempo era stata esercitata verso l’autorità diocesana di Ravenna sia, al contempo, il freno che era stato imposto per rispetto all’anziano card. Mercati. Per procedere nella linea intrapresa, il 10 novembre il vescovo scrisse una lettera al card. Tisserant (App. nr. 2)149 e un’altra al prefetto Albare144 Mario Mazzotti, ordinato sacerdote nel 1933, fu segretario del vescovo Lega (oltre che parroco di S. Maria Porta Fuori), divenendo nel 1944 direttore dell’Archivio arcivescovile (sino alla morte); fu inoltre studioso di archeologia e docente di antichità ravennati. Su di lui cfr. la [Presentazione] alle pp. 11-13 e l’Elenco delle pubblicazioni di mons. Mario Mazzotti alle pp. 15-20 nel numero di Felix Ravenna 113-114 (1977) a lui dedicato; C. CURRADI, Vita e scritti di Mario Mazzotti, in Studi romagnoli 34 (1983), pp. 613-641; R. FARIOLI CAMPANATI, In memoria di Mario Mazzotti, in Felix Ravenna 127-130 (1984-1985), pp. 7-8; TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 167-168, 171-172, 176, 183; i contributi di E. RUSSO, S. PASI, G. MONTANARI, G. RABOTTI alla giornata di studi Mons. Mario Mazzotti tenutasi a Ravenna il 20 ottobre 2007, editi in Ravenna. Studi e ricerche 14 (2007), pp. 13-55. Il ruolo svolto da Mazzotti per il rientro del codice di s. Ambrogio a Ravenna è ritenuto fondamentale da G. MONTANARI, Mons. Mario Mazzotti nei rapporti con vescovi ed ecclesiastici ravennati, in Ravenna. Studi e ricerche 14 (2007), pp. 33-47: 46; vi accenna anche G. RABOTTI, Mons. Mario Mazzotti e gli archivi, ibid., pp. 49-55: 52. 145 Anche la documentazione inerente a quest’ultima fase è conservata in Arch. Bibl. 242, XV. Come in precedenza, indico semplicemente i fogli dei documenti citati. 146 F. 206. La copia in carta carbone di questa lettera è conservata anche in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. 147 Cfr. Il Primo convegno degli archivisti ecclesiastici (Roma, 5-8 novembre 1953), in Archiva Ecclesiae 1 (1958), pp. 21-30. Nell’Elenco dei partecipanti (pp. 24-30), a p. 28 figura Mario Mazzotti. 148 Come detto (in nt. 22 supra), la nomina di Tisserant a bibliotecario avvenne il 14 settembre 1957. 149 La lettera è conservata al f. 210. Una copia in carta carbone e una sua prima stesura manoscritta sono conservate in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1.

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da150: all’una e all’altra allegò un ampio memoriale, intitolato Informazione di fatto per l’Archivio storico arcivescovile di Ravenna (App. nr. 3)151, che Giovanni Montanari afferma scritto da Mazzotti con la collaborazione di Augusto Campana152. Nella lettera al cardinale il vescovo diceva di rivolgersi allo studioso Tisserant «insigne a tenere in benevola considerazione i “desiderata” nostri, degli studiosi, delle Autorità e di gran parte della cittadinanza ravennate», e allo stesso tempo faceva leva sulla situazione sociopolitica: «troppe malignità in proposito, che da anni stanno serpeggiando nell’ambiente ravennate più ostile alla Chiesa, saranno definitivamente stroncate; questo con beneficio di tutti!». Concludeva dichiarando la capacità dell’Archivio arcivescovile di Ravenna di conservare adeguatamente beni così preziosi. La lettera ad Albareda non nascondeva un velo di preoccupazione: il vescovo, dopo aver accennato al colloquio che l’archivista Mazzotti aveva avuto in biblioteca con lo stesso Albareda in occasione del Convegno, aggiungeva l’ulteriore richiesta che, con la restituzione, si togliesse ogni ombra dalla memoria del vescovo Lega: Io voglio ancora sperare che le cose si risolvano in nostro favore, anche per quel senso di equità e di munificenza, che distingue la S. Sede. Ma l’Arcivescovo di Ravenna continua ad insistere per un sollecito ritorno di tutto, anche perché la venerata memoria del suo Predecessore, mons. Lega, possa esser libera da qualsiasi ombra di malevolo rimprovero di fronte agli studiosi presenti e futuri, di fronte a questa Ravenna, che è gelosissima custode di ogni suo tesoro.

L’ampio allegato, la più volte citata Informazione di fatto — dopo aver richiamato i motivi archivistici che rendevano necessario il «recupero del materiale disperso, al fine di potere in ogni modo ricostituire l’integrità ed unità archivistica», come era stato ribadito al Convegno degli Archivisti Ecclesiastici — riprendeva la storia del trasferimento in Vaticana del codice nel 1908, con tutti i particolari che ho già richiamato in questo contributo, e adduceva «una ragione di massima opportunità»: sarebbe «umiliante e può esser pericoloso», mentre lo Stato italiano proprio allora 150

La lettera è conservata al f. 217. Una copia in carta carbone è conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. 151 Il memoriale allegato alla lettera a Tisserant, firmato dal vescovo, è conservato ai ff. 211-213; il memoriale allegato alla lettera ad Albareda, in copia in carta carbone, anch’esso firmato dal vescovo, è conservato ai ff. 214-216; un’altra copia in carta carbone e una sua prima stesura dattiloscritta sono conservate in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. 152 MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 203 scrive che «il memoriale sul Codice è uno scritto di Mazzotti»; ibid., p. 204 aggiunge che il memoriale e la lettera a Tisserant furono «preparati con il concorso di Campana; ibid., p. 203, l’autore prometteva di pubblicare, «forse», il memoriale in appendice, ma di fatto non adempì la promessa.

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stava mettendo «a disposizione di archivi e biblioteche ecclesiastiche somme notevolissime per restauri e scaffalature» e lo stesso Archivio arcivescovile di Ravenna aveva «ottenute sovvenzioni per circa due milioni e senza condizione od aggravio veruno»153, dover confessare che la S. Sede invece tratteneva il codice di s. Ambrogio per ripagarsi dei restauri fatti. Si aggiungevano due aspetti: da un lato l’«amore fattivo per le cose ravennati» da parte dei pur differenti contesti politici e dello stesso ambiente anticlericale, d’altro lato, presentato come «la cosa più preoccupante del momento», un non meglio specificato utilizzo in negativo della mancata restituzione: «la cosa potrebbe esser sfruttata ampiamente, specie in un futuro molto… prossimo, contro il Sommo Pontefice, la S. Sede, l’Autorità ecclesiastica locale». Forse un riferimento a imminenti elezioni? o a possibili ritorsioni da chi deteneva il potere? oppure una forzatura da parte del vescovo, per far finalmente “capitolare” le ultime resistenze vaticane?154 Il 16 novembre da Amalfi, come più sopra riferito, l’arcivescovo Angelo Rossini scriveva a Mario Mazzotti, affermando che, a suo avviso, le due scritte apposte sul codice da Mercati nel 1925 e da Tisserant a nome di Mercati nel 1931 non avessero effettivo valore155. Era un ulteriore segno delle iniziative poste in essere da Ravenna per arrivare a ottenere finalmente la restituzione del codice di s. Ambrogio. In ogni caso il 19 novembre Tisserant rispondeva affermativamente a Baldassarri, con una lettera (App. nr. 4)156 nella quale ripercorreva alcune 153 A conclusione dei lavori compiuti grazie a quelle sovvenzioni, il 18 ottobre 1959 si tenne l’inaugurazione dell’Archivio e della Biblioteca: cfr. L’Archivio e la Biblioteca dell’Arcivescovado, in Felix Ravenna 80 (1959), pp. 72-73; [M. MAZZOTTI], L’inaugurazione dell’Archivio e della Biblioteca arcivescovili di Ravenna, in Rassegna degli Archivi di Stato 20 (1960), pp. 137141; RABOTTI, Mons. Mario Mazzotti e gli archivi cit. (nt. 144), pp. 52-53. 154 Non ho trovato, nella situazione politica di quei mesi, eventi specifici ai quali ricollegare le allusioni del vescovo. È peraltro nota la difficile situazione della Chiesa ravennate in quei decenni, come emerge dal contributo, più volte utilizzato, di TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8). Si vedano le considerazioni generali esposte nella Premessa (pp. 133-136): «Proprio l’anticlericalismo nelle sue manifestazioni postunitarie […] doveva poi divenire una costante nella storia della chiesa di Ravenna», con la conseguenza di una «monopolizzazione del potere da parte dello stato e una sua intolleranza per ogni forma di ingerenza della chiesa. Nel ravennate questo significava il tentativo di eliminare la presenza della chiesa nella vita sociale, e soprattutto l’abbattimento delle sue opere» (pp. 134-135). Anche se, con il concilio Vaticano II, il vescovo Baldassarri sarebbe stato protagonista di un profondo mutamento di atteggiamento, in quell’inizio di episcopato la situazione risentiva sostanzialmente ancora delle difficoltà descritte. 155 Cfr. nt. 116 supra e contesto; e ancora MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), p. 204. 156 La lettera è conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. Copia in carta carbone della lettera è conservata al f. 218. È stata edita in MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), pp. 225-226.

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tappe della vicenda, cominciando da quando Mercati volle il codice «nella Vaticana per sorvegliarne il restauro»; aggiungeva poi che egli «lo riprese e studiò» — anche se, a quanto mi risulta, non dovette pubblicare nulla su di esso dopo il 1917 — e che infine, dopo averlo segnalato a Lowe per i Codices latini antiquiores, «lo tenne presso di sé con l’infinito amore che Gli ispiravano le venerande reliquie del passato». Tisserant chiedeva di avere quindi una valutazione corretta dei fatti e di tutte le circostanze, e giungeva a giustificare mons. Lega, che aveva fatto la nota concessione, indotto dalle «grandi benemerenze» di Mercati verso il codice di s. Ambrogio. Forse Tisserant forzò qualche aspetto, per meglio giustificare Mercati (come peraltro il vescovo di Ravenna nei suoi scritti aveva forzato la descrizione di tensioni e pericoli). Tuttavia quando, concludendo e sintetizzando, Tisserant chiedeva di riconoscere che «molto più che curare il materiale restauro del codice, il cardinale Mercati ha resuscitato il codice stesso, restituendolo alla storia e alla scienza», la sua valutazione appare assolutamente schietta e veritiera, e quindi pienamente condivisibile. Dalla risposta positiva di Tisserant tutto procedette in modo spedito. Tuttavia il 23 novembre il vescovo di Ravenna, non avendo ancora ricevuta quella risposta, mentre informava il prefetto Albareda157 che nei giorni seguenti sarebbe venuta a Roma un’auto per trasportare «un pezzo del Nostro Museo, che lo Stato restaurerà gratuitamente», coglieva l’occasione per chiedere di poter «approfittare dell’occasione per riportare in sede tutto il materiale di archivio che è possibile, specie i 20 fasci di pergamene non restaurate, il cui trasporto per treno sarebbe assai pericoloso e difficile», insieme agli «altri frammenti di codici» (intendiamo i fogli con i testi biblici). «In questi giorni — spiegava — si intensificano le richieste in proposito del materiale archivistico a Roma; il ritorno, almeno parziale di esso, alla sua sede naturale taciterebbe, per ora, i richiedenti e toglierebbe noi da un vero imbarazzo». Appena spedita questa lettera, giungeva la risposta del card. Tisserant: l’archivista Mazzotti si premurava di rispondere quello stesso giorno ad Albareda158, ringraziandolo per il ruolo svolto nella faccenda: «Pieno l’animo di gioia tengo ad esprimere anche a nome dell’Ecc[ellentissi]mo mio Arcivescovo tutta la nostra gratitudine per l’opera fattiva da Lei svolta in nostro favore; la medesima cosa farà l’Arcivescovo con l’Em[inentissi]mo card. Bibliotecario. Ma è soprattutto a Lei, Padre Rev[erendissi]mo, che devo la soddisfazione più bella della mia vita d’archivista, per questo ho voluto immediatamente inviarLe il presente biglietto». Preannunciava che sarebbe venuto a Roma, per il motivo già b. 1

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spiegato dall’arcivescovo al cardinale, e di «esser in Vaticano la mattina del 5 dicembre». Quest’ultima informazione veniva ufficialmente confermata da mons. Vincenzo Brandolini159, vicario generale della diocesi, a nome dell’arcivescovo, in una lettera del 28 novembre ad Albareda160, nella quale preannunciava che sarebbe venuto anche lui per l’occasione e rinnovava il ringraziamento «a nome di S. Ecc. Mons. Arcivescovo» (assente da Ravenna), «della Diocesi e degli Studiosi (in mezzo ai quali la notizia del ritorno del materiale archivistico ha già suscitato la più favorevole impressione)». La più volte citata Informazione di fatto si richiamava anche ad Augusto Campana, scriptor latinus della Biblioteca, «la cui serietà ed obbiettività è nota a tutti e che le vicende lontane e vicine dell’archivio storico arcivescovile di Ravenna conosce a fondo», suggerendo che potesse «esser utilmente consultato per dissipare eventuali dubbi, per dare ulteriori informazioni». La richiesta era avanzata anche a motivo della «stima indiscussa ch’egli gode nel ceto culturale di tutta Romagna». Campana era infatti originario di Santarcangelo di Romagna e, pur a Roma in Vaticana in quei decenni, era rimasto pienamente coinvolto nelle iniziative culturali locali, figurando nel 1949 tra i fondatori (e presidente per un quinquennio) della Società di Studi Romagnoli, e pure iniziatore nel 1950 della rivista Studi romagnoli161, oltre a condurre numerose ricerche sulla Storia, civiltà, erudizione romagnola162 e in particolare a pubblicare nel 1958 — come noto — una fondamentale monografia sul codice ravennate di s. Ambrogio163. Nei momenti chiave, nei quali si era organizzato il rientro a Ravenna del codice di s. Ambrogio, egli era tuttavia fuori sede. Come racconta in una lettera datata 3 dicembre 1957, indirizzata a Mario Mazzotti164, rientrato a Roma 159 Il suo nome figura al primo posto fra i sacerdoti segnalati «come elementi notevoli» nella relazione inviata dal vescovo Lega nel 1945 su richiesta della Sacra Congregazione Concistoriale Vaticana: cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), p. 173. 160 F. 221. Una copia in carta carbone della lettera è conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1. 161 Cfr. La Società di Studi Romagnoli nel cinquantennio cit. (nt. 137), pp. 5-8; A. CAMPANA, Le origini della Società di Studi Romagnoli, in Omaggio ad Augusto Campana, a cura di C. PEDRELLI, Cesena 2003, pp. 491-503. 162 Negli Scritti di Campana usciti presso le Edizioni di Storia e Letteratura, il terzo volume, in due tomi, è appunto dedicato a questa ampia sezione dei suoi studi: A. CAMPANA, Scritti, a cura di R. AVESANI, M. FEO, E. PRUCCOLI, III: Storia, civiltà, erudizione romagnola, 2 tomi, Roma 2014 (Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, 242). Cfr. anche il volume degli Atti del Convegno tenuto a Santarcangelo di Romagna nel 1997: Augusto Campana e la Romagna, a cura di A. CRISTIANI e M. RICCI, Bologna 2002 (Emilia-Romagna Biblioteche Archivi, 43). 163 Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9). 164 Conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1; edita in MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), pp. 202-203.

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dalla Sicilia il 17 novembre, era stato colpito dall’influenza asiatica che ne aveva bloccato le attività per vari giorni; solo il 3 dicembre poteva scrivergli, informandolo altresì che l’indomani avrebbe ripreso il suo lavoro in Vaticana. Assicurava di essere «contentissimo della soluzione» raggiunta «e anche di aver potuto, credo, contribuirvi, sebbene indirettamente». Campana non precisava ulteriormente questa collaborazione e continuava la lettera discorrendo del codice e di altri aspetti correlati; segnalava soltanto di non essere stato consultato in merito dal card. Tisserant. Possiamo tuttavia immaginare con buona probabilità che da tempo Campana non solo fosse interessato al codice di s. Ambrogio (e alle pergamene ravennati ancora a Roma), ma nei consueti contatti e confronti in Biblioteca avesse espresso o anche sostenuto la necessità che quei preziosi materiali rientrassero nella loro sede. Il riferimento puntuale a Campana nel memoriale potrebbe peraltro riguardare lo specifico suo contributo alla preparazione del rientro e della lettera che lo accompagnava, come sappiamo affermato dall’archivista Giovanni Montanari165. Per i giorni successivi, restano da segnalare alcuni ultimi documenti: anzitutto il foglio, datato 5 dicembre, a firma dell’archivista Mazzotti, con l’elenco dei materiali ricevuti166; poi la lettera di ringraziamento del vescovo Baldassarri al card. Tisserant, in data 15 dicembre167: «questa ricchezza incomparabile, che ritorna a Ravenna dopo tanti anni e dopo premurose cure di restauro, fa sì che nel cuore dei Ravennati rimanga indelebile a perpetua riconoscenza il nome dei due Cardinali Eugenio Tisserant e Giovanni Mercati, veri benefattori della città»; infine un articolo di mons. Mario Mazzotti (App. nr. 5), apparso quasi identico su due quotidiani168: l’11 dicembre su Il resto del Carlino169 e il 18 dicembre, sotto lo pseudonimo Ravennatensis, su L’osservatore romano170. L’autore, che aveva contribui165

Cfr. ibid., p. 204. Ff. 222-223. L’elenco comprendeva: «1) Codice pergamenaceo di 157 fogli, contenente scritti di S. Ambrogio e precisamente “De fide, de Spiritu Sancto et de Dominicae Incarnationis Misterio (sic)”; / 2) Fogli quattro contenenti parte del libro di Daniele; 3) Fogli cinque membranacei contenenti frammenti del Nuovo Testamento (ex Actibus Apost. et ex Apoc.); 4) n. 20 pacchi di pergamene e frammenti di pergamene». Si noti la somiglianza con le voci dell’elenco del gennaio 1908 (cfr. nt. 97 supra e contesto). 167 F. 224. Copia della lettera fu pubblicata sul Corriere della Romagna, domenica 15 dicembre 1957, p. 6 (la pagina è conservata in ASDRa, Carteggio Archivio, b. 1). 168 Ne ho trovato indicazione in CAMPANA, Il codice ravennate di S. Ambrogio cit. (nt. 9), pp. 15-16 nt. 2 (p. 250 nt. 2 della riedizione). 169 M. MAZZOTTI, Prezioso codice del VI secolo ritornato all’archivio arcivescovile, in Il resto del Carlino, 11 dicembre 1957, edizione ravennate. Ringrazio il personale della Biblioteca Classense di Ravenna per averne fornito copia e la dottoressa Michela Ghera per la ricerca di questo articolo. 170 RAVENNATENSIS [M. MAZZOTTI], Le vicende d’un antico manoscritto, in L’osservatore 166

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to al rientro del codice a Ravenna, si rallegra del suo arrivo all’Archivio arcivescovile «nella tarda sera del 6 dicembre», vigilia della festa di s. Ambrogio, e ne ringraziava il card. Tisserant e il prefetto Albareda; ripercorre poi sinteticamente le vicende del codice e, più in genere, dei materiali ravvenati restaurati in Vaticana, cogliendo altresì l’occasione per «ricordare che negli ultimi tempi, anche lo Stato italiano è venuto incontro ai bisogni dell’archivio arcivescovile di Ravenna»171. 6. Considerazioni conclusive Il codice ravennate di s. Ambrogio — ora Ravenna, Archivio storico diocesano di Ravenna-Cervia, nr. 1 — ebbe una vicenda movimentata nei decenni che abbiamo preso in considerazione: fu a Milano, in Biblioteca Ambrosiana, da fine marzo a fine luglio del 1895, e fu a Roma, in Biblioteca Vaticana, dal gennaio 1908 al dicembre 1957. Il primo trasferimento fu di breve durata, strettamente motivato dalla trascrizione che Giovanni Mercati doveva farne in previsione del XV centenario dalla morte di s. Ambrogio del 1897: doveva servire a migliorare l’edizione delle tre opere dogmatiche di Ambrogio (De fide, De incarnationis Dominicae sacramento e De Spiritu sancto), ma di fatto, dopo l’importante contributo di Mercati sulle Titulationes nelle opere dogmatiche di sant’Ambrogio apparso nel 1897 nella miscellanea Ambrosiana, non uscirono pubblicazioni di rilievo: il trasferimento di Mercati in Vaticana dovette distoglierlo personalmente da questo lavoro e, d’altro canto, la prevista edizione critica nel Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum — per la quale Mercati prestò all’Österreichische Akademie der Wissenschaften di Vienna la copia da lui eseguita — fu lungamente intralciata dalle gravi vicende di quei decenni: il primo conflitto mondiale, con la caduta dell’Impero Austro-Ungarico, e la faticosa ripresa, ulteriormente ostacolata dal secondo conflitto mondiale (sino alle edizioni di padre Otto Faller nel 1962 e nel 1964). Del trasferimento a Milano rimasero tracce sufficienti negli archivi; e da esse si è potuto ricostruire quanto esposto in questo contributo. Resta tuttavia evidente che né l’interessato né le altre Istituzioni coinvolte (l’Arromano, 97/nr. 293 (18 dicembre 1957), p. 3. Rispetto al precedente, questo articolo, oltre ad avere diverso titolo e firma, introduce alcune varianti, dovute alla differente collocazione in ambito vaticano (e non più ravennate), oltre a minime differenze nell’uso delle virgole, delle maiuscole, degli apostrofi, degli accapo, dei corsivi o delle virgolette, delle abbreviazioni, dei numeri in cifre o lettere, dei punti di sospensione e simili. 171 Il riferimento era al restauro di alcuni codici e altri materiali e alla fornitura di scaffalature per la riapertura al pubblico la Biblioteca arcivescovile. Più circostanziata al riguardo era la citata Informazione di fatto (cfr. nt. 153 supra e contesto).

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chivio ravennate, l’Ambrosiana di Milano e la Curia milanese) ritennero opportuno divulgare la notizia: certamente, soprattutto quando il manoscritto doveva essere soggetto al trasferimento, per evitare sgradevoli intromissioni nel corso delle decisioni e per scongiurare possibili pericoli da parte di malintenzionati durante il viaggio (o forse anche per non dover affrontare eventuali suscettibilità, originabili da orgogli o campanilismi locali, che si opponessero al trasferimento altrove di un proprio cimelio). Successivamente, a mantenere la sostanziale ignoranza del fatto sino a oggi poté concorrere anche la sensibilità sempre più attenta alla conservazione dei manoscritti — che faceva ritenere a Mercati persino inopportuno che essi venissero concessi in mostra172 — e l’evidente contrasto con il trattamento subìto dal codice di s. Ambrogio, trasferito in treno dal segretario del cardinale di Ravenna in un contenitore di latta da Ravenna a Milano nel fresco clima di inizio primavera, e riportato da Milano a Ravenna, nel pieno della calura estiva, dallo stesso Mercati (che, avendo con sé quel prezioso carico, si attardò per alcuni giorni a studiare in altre biblioteche!). Il trasferimento a Roma fu di ben più lungo periodo: quasi cinquant’anni. Era motivato dalla necessità di restaurare il codice e dal desiderio di studiarlo ulteriormente. Nel contesto dei molteplici lavori di restauro documentati per quei decenni in Vaticana a favore di molte Istituzioni, prevalentemente ecclesiastiche, il codice di s. Ambrogio restò in attesa per molti anni, sino al 1922-1923, non saprei per qual motivo. E anche gli studi di Mercati (o di altri) non sembrano essere proceduti oltre173. Nasce la domanda se, accanto ai consueti ritardi che sono comprensibili e non rari nella vita delle biblioteche, sia per gli studi sia per i lavori (di restauro o altri) da compiere, non si debba veder affiorare come una convinzione che il manoscritto — a differenza di altri giunti in Vaticana da varie biblioteche e restituiti dopo il loro restauro e a differenza delle stesse pergamene che, pur con qualche eccezione, lentamente rientrarono a Ravenna — potesse (o dovesse) rimanere in Vaticana. Si apre qui una non semplice riflessione e valutazione sulla lunga permanenza a Roma del codice e sulla sua restituzione solo dopo la morte di Mercati. Nella lettera in cui affermava la decisione che il codice di s. Ambrogio potesse tornare a Ravenna, Tisserant assicurava il vescovo Baldassarri che Mercati, «molto più che curare il materiale restauro del codice», aveva «resuscitato il codice stesso, restituendolo alla storia e alla scienza». Questa preziosa indicazione ci dice non solo quanto Mercati fece e fu per 172 Cfr. P. VIAN, Il cardinale che non amava le mostre. Una lettera di Giovanni Mercati al card. Luigi Maglione (22 maggio 1939), in Strenna dei romanisti 69 (2008), pp. 727-740. 173 Salvo una pubblicazione riguardante altri fogli pervenuti in Vaticana: MERCATI, Frammenti antichissimi ravennati cit. (nt. 14).

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il codice ravennate, ma anche donde nacque il desiderio (o il progetto o il sogno) di poterlo conservare per sempre in Vaticana. Tisserant suggerisce infatti, al tempo stesso, un motivo culturale e un legame che oserei definire “affettivo”. Il motivo culturale, in linea di principio, poteva comprendere vari aspetti: il bisogno di studiare e far studiare il codice in una sede dove ciò fosse più facilmente attuabile, per la presenza di Mercati e di altri studiosi (si pensi ad Augusto Campana) e per l’adeguata strumentazione bibliografica che la Vaticana offriva; poi una preoccupazione conservativa, che, compiuto il necessario iniziale lavoro di restauro, si allargava a voler garantire al manoscritto una collocazione adeguata (che nell’Archivio arcivescovile di Ravenna non poteva essere offerta, almeno sino ai lavori di rammodernamento della fine degli anni cinquanta)174. Il legame “affettivo”, per quanto riesco a percepire, aggiungeva semplicemente un tono emotivo alla preoccupazione di lasciare un manoscritto così importante in un constesto dove probabilmente non sarebbe stato adeguatamente studiato e conservato. Non pongo in primo piano, invece, l’aspetto di ricompensa per gli altri restauri, gratuitamente condotti, per quanto noto, su un consistente numero di pergamene e su alcuni papiri: evidentemente anche un simile aspetto era plausibile, ma mi appare più una giustificazione “esteriore” che non il motivo effettivo, più o meno espresso che fosse. Aggiungo invece che l’aspetto “affettivo”, soprattutto con il trascorrere degli anni, poté assumere anche il tono di un legame con le prime ricerche di Mercati: gli anni in Ambrosiana e un codice appunto con testi di sant’Ambrogio, studiato nell’anno quindici volte centenario della morte del vescovo. Anche il codice dell’Ambrosiana con le Esaple dei salmi rinvenute nella scrittura inferiore accompagnò Mercati nella sua lunga vita di studio-

174 Si potrebbe ulteriormente esaminare — con la necessaria accortezza e prestando attenzione a valutare nel contesto del loro tempo i fatti e i criteri adottati — quale fosse la “politica” della Vaticana in merito a queste tematiche. Nel Novecento, in particolare, la Biblioteca tendeva a trattenere i manoscritti (o anche i volumi a stampa) che le rispettive Istituzioni (ecclesiastiche) non fossero capaci di conservare e tutelare adeguatamente e che avrebbero potuto essere dispersi (o persino andare perduti) a causa di improvvide alienazioni da parte di proprietari meno avveduti o anche a causa di furti o di danni ancor più gravi (pericoli bellici, incendi). Era una “politica centralistica”, che tuttavia salvò molti volumi da quella dispersione e perdita che di fatto subirono altri in Istituzioni meno attrezzate e avvedute. Mercati vive di questa sensibilità, che oggi sentiamo non rispettosa della conservazione in loco dei beni culturali che ineriscono a una specifica regione o località. Ma non possiamo negare la motivazione retta che sosteneva quella scelta (garantire la conservazione dei beni culturali e facilitare gli studi in Biblioteche meglio attrezzate e più accessibili) e anche la concretezza di risultati che essa permetteva di raggiungere.

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so; e proprio nella sua vecchiaia egli lo riprese in mano per concludere la pubblicazione che lo riguardava175. Il versante ravennate è di più facile interpretazione: dai momenti della scoperta, quando Mercati si domandava se in quell’Archivio fossero stati in grado di percepire il valore del reperto in loro possesso, si passò sempre più alla comprensione del valore di quel bene e al desiderio di poterlo conservare, accanto ai “tesori” che documentavano la propria storia, nella sede che gli era propria. Che a tale sensibilità si aggiungessero anche motivi più genericamente sociali o persino politici176 — e quindi fosse anche in gioco il giudizio che si dava all’opera della Chiesa e della Santa Sede — e che ancor più si interessasse alla faccenda il mondo culturale di Ravenna, è più che naturale. Sono evidenti le forzature, e qualche espressione da parte degli esponenti della Chiesa di Ravenna poté andare in quella linea. Ma a sostegno della loro posizione stava il motivo di fondo: la conservazione in sede di un bene storico che era giunto a Roma non per rimanervi ma solo temporaneamente per essere meglio conosciuto e conservato. Si apre qui l’ultima questione: il senso dei due testi di Mercati-Tisserant, del 1924 e del 1931. E il coinvolgimento del vescovo mons. Lega. Certamente, come ho osservato, vi fu forzatura da parte di Mercati; e, poiché questi riferiva un desiderio che veniva dallo stesso Pontefice, la pressione da lui esercitata era certamente molto forte. La documentazione esposta e commentata (che tuttavia non ci ragguaglia degli incontri di persona fra i due) permette di intuire, in mons. Lega, un atteggiamento di deferenza (o anche di sottomissione) e, forse, una minor valutazione della gravità della richiesta che gli era rivolta e delle conseguenti reazioni che un suo “sì” avrebbe prodotto. Anche per questo motivo (di intesa o trattativa di “basso profilo”) non si arrivò mai a un documento scritto, che sancisse il trasferimento del codice in Vaticana. 175 La pubblicazione definitiva uscì postuma in Psalterii Hexapli Reliquiae, cura et studio I. MERCATI, pars prima: Codex rescriptus Bibliothecae Ambrosianae O 39 sup. phototypice expressus et transcriptus, in Bybliotheca Vaticana 1958 (Codices ex ecclesiasticis Italiae bybliothecis delecti phototypice expressi, 8), e pars prima «Osservazioni»: Commento critico al testo dei frammenti esaplari, in Bybliotheca Vaticana 1965 (Codices ex ecclesiasticis Italiae bybliothecis delecti phototypice expressi, 8). Alle pp. XI-XIII del volume stampato nel 1958 Mercati forniva La storia dell’edizione, che aveva preso avvio appunto con la scoperta delle Esaple dei salmi nella scrittura inferiore del palinsesto O 39 sup. dell’Ambrosiana e di cui diede notizia nel 1896: G. MERCATI, D’un palimpsesto Ambrosiano contenente i Salmi esapli e di un’antica versione latina del commentario perduto di Teodoro di Mopsuestia al Salterio, in Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino 31 (1896), pp. 655-676: 658-663; riedito in ID., Opere minori, I, Città del Vaticano 1937 (Studi e testi, 76), pp. 318-338: 321-325. 176 A Ravenna e in Romagna, come già ricordato (cfr. nt. 154 supra), era presente una forte componente anticlericale e massonica, che dovette influire sul clima generale e anche spingere con maggior forza i vescovi e la comunità ecclesiale a prendere posizione in merito.

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Di più i documenti non mi sembrano dire. Verrebbe da constatare che la “storia” fece il suo corso, come era giusto che fosse, e che un manoscritto, rimasto accanto al suo “scopritore” per tanto tempo, poté infine rientrare là dove era la sua collocazione doverosa. E mi sembra di poter ugualmente osservare — e non è cosa di poco conto — che ogni persona coinvolta (Mercati e Tisserant, Albareda e Campana, Lega e gli altri vescovi di Ravenna, gli archivisti dell’Archivio ravennate) si mostra in queste vicende con le sue capacità, le sue attenzioni e le sue debolezze, dalle quali emergono le caratteristiche e la realtà di ciascuno; e allo stesso tempo noto che la “buona volontà” di tutti (la pazienza e la tenacia, la difesa dei propri “interessi” e la comprensione per quelli degli altri) permise di percorrere ogni tappa fino alla conclusione in un clima di rispetto e di ricerca della soluzione. Che fu infine trovata. APPENDICE177 App. nr. 1 Richiesta del codice ravennate di S. Ambrogio Biblioteca Apostolica Vaticana, Carteggi Mercati, cont. 5, ff. 1084-1085: due fogli, di cui sono scritte da mano non identificata tre pagine, con correzioni autografe di Mercati. Minuta (di lettera verosimilmente inviata il 12 gennaio 1895).

Nell’archivio arcivescovile di Ravenna si conserva un prezioso manoscritto contenente il “de fide” ed altri opuscoli di S. Ambrogio: ad esso(a) sono aggiunti due fogli d’un antichissimo manoscritto del Nuovo Testamento(b) antigeronimiano. Il manoscritto sembra appartenere al secolo quinto: la scrittura è un’unciale bellissima e regolare. Per la sua antichità il codice(c) è il più importante testimonio per il testo delle opere del Santo, essendoché sia di poco posteriore all’età di lui e derivi forse immediatamente dall’archetipo. Specialmente poi egli deve essere eccellentemente conservato(d) nelle citazioni bibliche, le quali è noto quanto siano state modificate negli esemplari posteriori in seguito alla prevalenza della vulgata. Questo manoscritto sconosciuto non si poté purtroppo utilizzare nell’ultima edizione di S. Ambrogio, in cui il “de fide” compare testificato per la massima parte solo da codici molto posteriori(e). Sarebbe pertanto utilissimo e per fissare più sicua nel testo originale: adesso, corretto in ad esso con una barra divisoria b nel testo originale: nuovo testamento c codice: correzione interlineare che sostituisce manoscritto d deve essere eccellentemente conservato: nel testo originale era inserito, poi cancellato; poi di nuovo inserito (con l’aggiunta di egli) alla fine del periodo, ma con indicazione — sembra — per essere collocato allo stesso punto e molto posteriori: correzione interlineare che sostituisce recenti

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Ai testi pubblicati in appendice evito di apporre annotazioni, rimandando tacitamente alle spiegazioni date lungo il testo, fatta eccezione per nomi (o altro) di cui non si è detto nel corso della trattazione.

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ramente il testo del Santo e per verificare il tenore della versione biblica usata nella chiesa milanese dei primi secoli, l’istituire un’esatta collazione d’esso codice coll’ultima edizione(f): e nel caso che presentasse divergenze notevoli, communicarle(g) al pubblico in un supplemento all’edizione stessa, od anche in una nuova edizione. Il centenario vicino della morte del Santo sarebbe l’occasione opportuna. Ma altra ragione e pure più(h) stringente è, che il manoscritto per la sua antichità e per le disgraziate vicende a cui è andato incontro si trova in uno stato di deperimento progressivo così, che tra non molto purtroppo non sarà più leggibile, almeno per la maggior parte. Così è avvenuto anche di codici(i) meglio conservati di quell’età(j). Per istituire la collazione, che la Commissione per le feste centenarie del Santo desidera vivamente si faccia, occorrerà tempo non poco, né saranno opportune, se non le giornate più splendide, nelle quali la vivezza della luce permette di percepire le lettere svanite. Per questa ragione, e per l’altra, che nell’archivio arcivescovile mancherebbe forse il servizio di stampati e manoscritti occorrenti, ed anche di personale, sarebbe desiderabile di poter avere qui a Milano il manoscritto stesso con tutte le guarantigie dovute. La collazione in Ravenna riuscirebbe troppo dispendiosa per la lunghezza del tempo e troppo incomoda al possessore non meno che al collatore del codice. Il prestito potrebbe farsi alle condizioni stesse, colle quali viene fatto dai governi rispetto ai manoscritti di loro proprietà. Cioè si farebbe una regolare ricevuta del manoscritto, in cui fosse esattamente indicato il numero dei fogli; e si porrebbe la condizione che il codice venisse conservato gelosamente in un luogo sicuro da incendi e da furti, e per mezzo sicuro venisse rimandato. Attesa la condizione deplorevole del codice, converrebbe spedirlo per posta chiuso in una cassettina di legno o di latta costrutta appositamente. Sarebbe meno conveniente, che lo si andasse a pigliare, per il caso possibile d’un qualche accidente nel ritorno: il danno allora sarebbe tutto a carico nostro. Il luogo adatto a conservare il manoscritto non potrebbe essere, che l’Episcopio o meglio ancora la biblioteca ambrosiana, che conserva molti altri tesori del genere ed è costrutta così da rendere remotissimi i pericoli d’incendio e di furto. I Governi esteri spesso non hanno dubitato di depositare in essa i loro cimelii(k). Ivi s’avrebbero pure tutti i mezzi occorrenti ad una commoda collazione. — Non è a pensare ad alcuna altra biblioteca pubblica, perché sta nell’interesse della Chiesa possidente, che il pubblico non ne sappia nulla. Vogliamo sperare che l’Emin[en]t[issimo] Arcivescovo di Ravenna acconsentendo il(l) prestito concorra così ad onorare il Santo ne’ suoi scritti e a promuover il progresso(m) della patrologia e della scienza(n) biblica. f

nel testo originale: colle ultime edizioni g nel testo originale: communicarla (ut videtur) h pure (ut videtur) più: correzione interlineare che sostituisce non meno i Così è avvenuto anche di: inserito nell’interlinea, lasciando maiuscola la parola Codici, con cui iniziava il periodo, e cancellando la seguente parola anche j nel testo originale, segue, cancellato: presentano siffatti fenomeni. k nel testo originale: cimeglii (con g cancellata) l il: correzione su un (ut videtur) m progresso: correzione interlineare che sostituisce vantaggio n patrologia e della scienza: correzione interlineare che sostituisce scienza letteraria e

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App. nr. 2 Salvatore Baldassarri al cardinale Eugène Tisserant, 10 novembre 1957 Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 242, XV, f. 210: lettera, su carta intestata de L’Arcivescovado di Ravenna. Un foglio dattiloscritto solo nel recto, con firma autografa. Una copia in carta carbone e una prima stesura manoscritta sono conservate in Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia, Carteggio Archivio, b. 1.

10 novembre 1957 Eminentissimo Principe. All’Eminenza Vostra Rev.ma sono note le vicende, che hanno accompagnata la consegna per restauro e la sosta ormai cinquantennale presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di parecchio materiale dell’Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna, specie del Codice con gli scritti di S. Ambrogio. Rivolgendomi al Bibliotecario ed Archivista di S. Romana Chiesa, al Presidente della Commissione Pontificia per gli Archivi Ecclesiastici d’Italia(a), sottoponendo all’attenzione dell’Em.za Vostra l’unito memoriale, vorrei pregare sopratutto lo Studioso insigne a tenere in benevola considerazione i “desiderata” nostri, degli studiosi, delle Autorità e di gran parte della cittadinanza ravennate. Se alle Autorità di ogni colore, sempre pronte ad attaccare il Clero per qualsiasi ragione, plausibile o meno, noi potremo dire che per il personale intervento dell’Em.mo card. Tisserant un prezioso tesoro documentario è tornato in sede sapientemente restaurato, non solo ciò tornerà a vantaggio della S. Sede ed a decoro della Chiesa, ma sarà un merito per l’Em.za Vostra, che qui ricordano ancora solennemente pontificante in S. Vitale nel maggio del 1949178; un merito che gli studiosi difficilmente potranno dimenticare. Nel contempo troppe malignità in proposito, che da anni stanno serpeggiando nell’ambiente ravennate più ostile alla Chiesa, saranno definitivamente stroncate; questo con beneficio di tutti! D’altra parte l’Archivio arcivescovile, che già conserva con scrupolosa gelosia tanto materiale di prim’ordine e che sta adeguandosi ai tempi d’oggi, merita bene la fiducia, che gli si vorrà dimostrare coll’invocato ritorno del “Codice”, suo più prezioso pezzo. Chino al bacio della S. Porpora, voglia accogliere l’Em.za Vostra il mio umile ossequio. + Salvatore Baldassarri Arcivesc.

a

nel testo originale: di e, a capo Italia

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Riguardo alla presenza di Tisserant a Ravenna in quei frangenti si veda il cenno più ampio che ne fa Tisserant nella lettera di risposta del 19 novembre seguente (App. nr. 4: cfr. nt. 180 infra e contesto).

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App. nr. 3 Memoriale allegato al documento precedente, 10 novembre 1957 Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 242, XV, ff. 211-213: tre fogli dattiloscritti solo nel recto, con firma autografa. Una copia in carta carbone, con firma autografa, è conservata ai ff. 214-216. Un’altra copia in carta carbone e una prima stesura dattiloscritta sono conservate in Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia, Carteggio Archivio, b. 1.

INFORMAZIONE DI FATTO per l’Archivio Storico Arcivescovile di Ravenna. Durante il 1° Convegno degli Archivisti Ecclesiastici, tenutosi a Roma nei giorni 5-8 corrente novembre, una delle direttive date e sulla quale si è ripetutamente insistito, è stata quella del recupero del materiale disperso, al fine di potere in ogni modo ricostituire l’integrità ed unità archivistica. A tale scopo a nome della Commissione Pontificia per gli Archivi Ecclesiastici d’Italia e della Associazione degli Archivisti Ecclesiastici è stata assicurata la più ampia e fattiva assistenza. L’Archivio Storico arcivescovile di Ravenna, che tra quelli d’Italia ha un posto di primaria importanza e che attraverso gli ultimi secoli, dal XVIII al XX ha avuto archivisti d’indiscusso valore (dall’Amadesi, al Tarlazzi, allo Zattoni179), i quali ne hanno difeso sempre la integrità, si trova al presente con un buon gruppo di suoi documenti lontani dalla sede, tuttora in deposito presso la Biblioteca Vaticana. Tra questi primeggia il C O D I C E con gli scritti di S. Ambrogio, che fu oggetto di studio di Giovanni Mercati sino dal lontano 1895 (posizione d’archivio del 3 agosto 1895, a mano del Medesimo). All’inizio dell’anno 1908 esso assieme a pergamene e ad altri “folia membranacea”, fu mandato in Vaticano “per essere restaurati”. In data 5 febbraio 1908 il P. F. Ehrle, prefetto, rilasciava regolare ricevuta colla clausola “da restituirsi ad ogni richiesta“. Passarono molti anni, venne la prima guerra mondiale; il restauro dei documenti, ai quali si aggiunse il papiro di Pasquale I°, fu ripreso; i documenti in parte ritornarono a Ravenna, in parte no. Studiosi ravennati e di ogni nazione domandavano notizie, richiedevano fotografie, specie del codice di S. Ambrogio; costantemente l’archivista doveva e deve destreggiarsi per dare risposte temporeggianti. Venne finalmente la pubblicazione del Lowe (Codices Latini Antiquiores, Oxford 1947), dalla quale a Ravenna e fuori si seppe che i documenti di cui ai nn. 410, 410b, 411, 414, pure essendo indicati di pertinenza dell’archivio ravennate 179 Giuseppe Luigi Amadesi (1701-1773), fu archivista dal 1734: su di lui cfr. A. PETRUCCI, Amadesi, Giuseppe Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 607-608; A. VASINA, Ravenna medievale fra storia e storiografia, in Storia di Ravenna, III: Dal Mille alla fine della Signoria Polentana, a cura di A. VASINA, Ravenna – Venezia 1993, pp. 11-32: 20-21. Su Antonio Tarlazzi (1802-1888) cfr. nt. 11 supra e contesto. Girolamo Zattoni (1874-1905) fu archivista dal 10 settembre 1902 alla morte: su di lui cfr. TAGLIAFERRI, Lineamenti della Chiesa istituzionale ravennate cit. (nt. 8), pp. 157, 190 nt. 169; P. VIAN, Giuseppe Toniolo e la Società Cattolica Italiana per gli Studi Scientifici. I rapporti con gli eruditi ambrosiani e vaticani (Ehrle, Mercati, Ratti: 1897-1900), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIX, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 474), pp. 569-637: 625-632.

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(ed è sintomatica questa indicazione in una pubblicazione che dovette esser preventivamente conosciuta dai Preposti alla Biblioteca Apostolica), venivano detti presentemente in Vaticano. Questa pubblicazione fu l’inizio di un’attenzione particolare da parte degli studiosi e degli ambienti autorevoli ravennati; attenzione che si concretò in una lettera scritta nell’anno 1949 dal prof. Augusto Torre, attuale incaricato di storia moderna presso l’Università di Bologna, ed inviata all’allora arcivescovo mons. Lercaro. Con essa si chiedeva d’interessarsi fattivamente affinché il tutto tornasse alla sua sede originaria, l’archivio arcivescovile. La rivista “Felix Ravenna” nel suo fascicolo del dicembre 1950, in una nota a pag. 53, denunziava la persistente presenza in Vaticano dei documenti ravennati, puntualizzando l’importanza del “Codice” di S. Ambrogio, e se ne invocava il ritorno. Data da quel tempo un intensificarsi di domande, proteste, ecc., tendenti al ritorno a Ravenna, sempre nella sua sede arcivescovile, specie del tante volte ricordato “Codice”. Evitammo la costituzione di una specie di Commissione locale, formata da personalità di ogni tendenza, che già di fatto avevano aderito; sino ad oggi si è riusciti, non a distornare frequenti domande in proposito, ma un’azione più impegnativa, ciò sopratutto per un riguardo al venerando cardinale Mercati, che al “Codice” era personalmente interessato. Manara Valgimigli, già bibliotecario della Classense, il detto prof. Torre, il prof. F. Zaccherini, bibliotecario della “Oriani”, il dott. Fausto Saporetti, già vice direttore della Classense, il prof. Luigi Fontana, direttore e primario dell’Ospedale di Ravenna, la Società degli Amici di Ravenna, presieduta dal sen. Spallicci e dal dott. Serena-Monghini, presidente di Cassazione a riposo, si interessarono allora, continuano ad interessarsi ora della cosa; tanto più che il “Giornale dell’Emilia”, nella cronaca ravennate del 14 agosto 1953, a firma di Francesco Montanari, di nuovo invocò il ritorno in sede “di alcuni preziosi documenti che sono patrimonio geloso non solo della Chiesa ravennate, ma della nostra città e fra i quali primeggia il famoso codice di S. Ambrogio…”. Oggi, morto l’Em.mo Mercati, in nome del Quale e per un riguardo personale si è sempre ottenuto di rimandare la soluzione dell’annosa questione, questa è riportata alla ribalta più vivamente, ed è pochissimo tempo fa un’interrogazione verbale in merito. Lo scrivente conosce le due annotazioni del 27 aprile 1925 e del 13 maggio 1931 a firma, rispettivamente, G. Mercati ed E. Tisserant, colle quali si fa cenno ad una dichiarazione verbale dell’arcivescovo Lega, secondo la quale il “Codice” “dovrebbe” rimanere stabilmente in Vaticano. Pur non mettendo minimamente in dubbio le parole degli Em.mi Firmatari, ci si permetta osservare che mai mons. Lega ha manifestato in diocesi tale sua offerta; che mai interrogò in proposito il Capitolo Metropolitano; che nessun documento scritto noi abbiamo ritrovato alla morte del Lega. Anzi ci risulta di positivo di un eventuale pentimento del defunto Arcivescovo in proposito, il Quale inviò in Biblioteca un giovane sacerdote nostro, don Marcello Morgante, ora vescovo di Ascoli Piceno, per chiedere informazioni del “Codice”; questo certo dopo il 1931, perché il Morgante fu a Roma per gli studi solo dopo tale data. Ora, se Ravenna invoca dalla benignità della S. Sede il ritorno al suo archivio arcivescovile del materiale ancora in Vaticano ed in modo precipuo del “Codice” di S. Ambrogio, lo fa non solo per i principi archivistici e storici comuni, ma anche

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per una ragione di massima opportunità. Proprio in questi tempi in cui lo Stato italiano mette a disposizione di archivi e biblioteche ecclesiastiche somme notevolissime per restauri e scaffalature (noi stessi abbiamo ottenute sovvenzioni per circa due milioni e senza condizione od aggravio veruno), dover confessare che la S. Sede ritiene in ricompensa di restauri fatti un “codice”, il cui valore supera forse le stesse spese incontrate negli altri restauri, è umiliante e può esser pericoloso. Ben difficilmente potrà d’ora innanzi evitarsi la diffusione, anche a stampa, della notizia della mancata restituzione e nell’ambiente repubblicano ed anticlericale ravennate (si noti che il sen. Spallicci sopra ricordato è repubblicano, altri sono liberali: tutti uniti però nell’amore fattivo per le cose ravennati), la cosa potrebbe esser sfruttata ampiamente, specie in un futuro molto… prossimo, contro il Sommo Pontefice, la S. Sede, l’Autorità ecclesiastica locale. Ed è questa la cosa più preoccupante del momento! Per quella liberalità che la Sede Apostolica ha dimostrato e continua a dimostrare per la scienza storica ed archivistica, il ritorno a Ravenna del “Codice” potrà esser un ulteriore merito, che gli studiosi locali e le Autorità civili non potranno sottovalutare. In ogni modo lo scrittore della Biblioteca Apostolica, dott. Augusto Campana, la cui serietà ed obbiettività è nota a tutti e che le vicende lontane e vicine dell’archivio storico arcivescovile di Ravenna conosce a fondo, potrà forse esser utilmente consultato per dissipare eventuali dubbi, per dare ulteriori informazioni. Questo anche per la stima indiscussa ch’egli gode nel ceto culturale di tutta Romagna. Ravenna, 10 novembre 1957 + Salvatore Baldassarri

App. nr. 4 Eugène Tisserant a Salvatore Baldassarri, 19 novembre 1957 Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia, Carteggio Archivio, b. 1: lettera, su carta intestata. Un foglio dattiloscritto nel recto e nel verso, con firma autografa. Edita in MONTANARI, Augusto Campana e l’Archivio cit. (nt. 30), pp. 225-226. Copia in carta carbone della lettera è conservata in Biblioteca Apostolica Vaticana, Arch. Bibl. 242, XV, f. 218.

Vaticano, 19 novembre 1957 Eccellentissimo e Reverendissimo Signore, la sua lettera del 10 corrente, con l’unito esposto, ha richiamato, fra l’altro, alla mia memoria la giornata ravennate del maggio 1949, peraltro mai dimenticata, con la solenne funzione in S. Vitale, che chiudeva la settimana di storia, arte e liturgia bizantina180. Ed ha anche richiamato molti ricordi i quali hanno per oggetto il codice 180 Su questa visita e celebrazione, accennata già da Baldassarri nella lettera a Tisserant del 10 novembre (App. nr. 2: cfr. nt. 178 supra e contesto) si veda un cenno in S. POP, Études et missions scientifiques du cardinal Eugène Tisserant, in Recueil cardinal Eugène Tisserant. «Ab Oriente et Occidente», publié par S. POP avec la collaboration de G. LEVI DELLA VIDA,

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prezioso che tanto sta a cuore a Vostra Eccellenza, e, oggi, anche agli studiosi di costì, come Ella giustamente e premurosamente espone. Quel codice, come Ella sa, fu, in un certo senso, scoperto dal compianto cardinale Mercati. Quand’Egli, giovane dottore dell’Ambrosiana, fu a Ravenna nel 1895, trovò i fogli, che oggi compongono il codice, in assoluto abbandono, disordinati e negletti, insieme con importanti frammenti di codici della Volgata anche essi oggi depositati presso la Vaticana. Egli, per la sagacia e l’intuizione acute e profonde che erano Sue doti precipue, riconobbe il manoscritto con grandissima gioia, lo ordinò, lo studiò, e, non contento di collazionarlo, si fermò a Ravenna parecchi giorni per trascriverlo tutto di suo pugno, insieme con gli altri frammenti suddetti. Più tardi, volle il codice nella Vaticana per sorvegliarne il restauro, di nuovo lo riprese e studiò, lo segnalò al Lowe per i suoi Codices latini antiquiores, lo tenne presso di sé con l’infinito amore che Gli ispiravano le venerande reliquie del passato. Queste grandi benemerenze indussero l’Arcivescovo di Ravenna Lega ad esprimersi nella nota maniera. Ho tenuto a dirLe tutto questo, Eccellenza Reverendissima, affinché si conoscano esattamente e si possano vagliare tutte le circostanze, e soprattutto perché si sappia bene da parte di chiunque che, molto più che curare il materiale restauro del codice, il cardinale Mercati ha resuscitato il codice stesso, restituendolo alla storia e alla scienza. Ciò posto, e in considerazione di quanto mi è stato prospettato dal Rev.mo P. Albareda, Prefetto della Vaticana, e di quanto, per gli interessi della Sua Archidiocesi, mi è stato esposto da Vostra Eccellenza Reverendissima, ho deciso che il codice ravennate di S. Ambrogio e i frammenti della Volgata ritornino all’Archivio Arcivescovile di Ravenna. Nel comunicarLe questa decisione, La prego di gradire, Eccellentissimo e Reverendissimo Signore, i sensi di venerazione con i quali mi confermo dell’Eccellenza Vostra Reverensissima affe[zionatissi]mo](a) come fratello + Eugenio Card. Tisserant Vesc. di Ostia, Porto e S. Rufina A Sua Eccellenza Reverendissima Mons. SALVATORE BALDASSARRI Aricescovo di Ravenna RAVENNA

a

nel testo edito: affetto

G. GARITTE et O. BÂRLEA, 2, Louvain 1955 (Travaux publiés par le Centre international de dialectologie générale près l’Université catholique de Louvain, 2), pp. 725-807: 782.

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App. nr. 5 Articolo di Mario Mazzotti su Il resto del Carlino dell’11 dicembre 1957 e su L’osservatore romano del 18 dicembre 1957 M. MAZZOTTI, Prezioso codice del VI secolo ritornato all’archivio arcivescovile, in Il resto del Carlino, 11 dicembre 1957. RAVENNATENSIS [= M. MAZZOTTI], Le vicende d’un antico manoscritto, in L’osservatore romano, 18 dicembre 1957. I due testi sono sostanzialmente identici, salvo — oltre al titolo e alla firma — alcune varianti dovute alla differente collocazione dell’articolo in ambito ravennate o vaticano. Trascrivo il testo de Il resto del Carlino (RC), segnalando in nota le varianti più significative de L’osservatore romano (OR) (non invece le minime differenze nell’uso delle virgole, delle maiuscole, degli apostrofi, degli accapo, dei corsivi o delle virgolette, delle abbreviazioni, dei numeri in cifre o lettere, dei punti di sospensione e simili).

Prezioso codice del VI secolo ritornato all’archivio arcivescovile Fu studiato dal Cardinale Mercati e restaurato dalla Biblioteca Vaticana – Nuova sistemazione della Biblioteca Arcivescovile(a) Proprio nella vigilia dell’annua festività di S. Ambrogio, nella tarda sera del 6 dicembre scorso, è ritornato a Ravenna, dopo lunghissima sosta presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, il pezzo più prezioso dell’archivio storico arcivescovile. Si tratta di un codice in pergamena, che consta di 141 fogli, oggi in parte mutili, contenenti scritti del grande e santo Vescovo milanese; scritti noti col nome comune «de Fide libri novem», e precisamente i 5 libri «de Fide», i 3 «de Spiritu Sancto», l’unico «de dominicae incarnationis Sacramento». L’avvenimento riveste particolarissima importanza, perché ci troviamo qui di fronte al codice più antico, che si conservi negli archivi e biblioteche ravennati. Questo codice, materialmente, si divide in due parti, ambedue scritte in lettere semionciali; il suo contenuto è disposto su due colonne. Bellissima la scrittura della prima parte, che il Ceriani giudicò del secolo V, il Mercati assegnò al secolo VI, il Lowe al secolo V-VI. L’amanuense della seconda parte usa una scrittura meno regolare e più povera ed è, forse, posteriore di alcuni decenni al primo scrittore. Il codice fu scoperto dal nostro(b) Tarlazzi, il quale ne dette notizia negli Atti della Deputazione di Storia Patria dell’anno 1883. Ma chi veramente seppe vederne subito tutta l’importanza fu l’allora giovane dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano,(c) Giovanni Michele Mercati, che nell’inverno di undici anni dopo se lo copiò pazientemente e che ricordò, poi, con commossa compiacenza la fredda sera del 19 febbraio 1894, quando mons. Peppi gli mise tra le mani «un rotolo di laceri fogli di pergamena… che, non ostante la gelosa cura onde è custodito, in un non lungo volgere di anni… sarebbe divenuto sempre meno leggibile, con qual danno

a

stro

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OR ha il titolo (senza sottotitolo) Le vicende d’un antico manoscritto c OR: Dottore dell’Ambrosiana

b

OR omette no-

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per la critica del testo del Santo ognun vede»181. Passato il Mercati alla Biblioteca Vaticana, ottenne dall’arcivescovo(d) Morganti che «i laceri fogli» fossero colà(e) trasportati nel febbraio 1908(f), al fine di poterli meglio studiare e pubblicare integralmente; ma, anche e soprattutto, perché il codice potesse venire restaurato nel laboratorio all’uopo(g) creato presso la Biblioteca stessa. Assieme ai(h) papiri dell’archivio arcivescovile, assieme a tante pergamene e documenti del medesimo archivio, unitamente alle preziose e antiche stoffe, che ora sono esposte nel Museo arcivescovile, la S. Sede(i) fece sottoporre a cure sapienti, che lo hanno salvato dalla perdita totale, anche il codice ambrosiano, oggi unito in unico volume, legato in pergamena. Ma il Mercati, divenuto successivamente(j) prefetto prima, cardinale bibliotecario poi, per quella «incontentabilità crescente per il già fatto»182, com’egli scrisse di sé stesso; per quella scrupolosa oggettività, che caratterizzò tutta la sua lunghissima vita di studioso insigne, non arrivò mai a completare l’opera desiderata, ed alla sua morte nell’agosto scorso, anche l’edizione del codice ravennate degli scritti di S. Ambrogio fu trovata non condotta a termine. È stato per una benevola disposizione del cardinale Tisserant, divenuto successore del Mercati, e al quale Ravenna deve esser molto grata, e per la fattiva opera dell’abate Albareda, prefetto della Vaticana, se oggi questo pezzo unico e preziosissimo, fa di nuovo parte del patrimonio archivistico della nostra città. La S. Sede, per la cui premura molti anni fa, fu restaurata la raccolta di xilografie più preziosa del mondo (così ho trovato scritto nella posizione della Biblioteca Vaticana)(l), quella della Classense, e che per la Classense stessa, e sotto la direzione del dott. A. Campana, fece condurre il restauro di altri tre codici della Biblioteca Comunale(m), ha acquistato così un nuovo e specialissimo titolo alla gratitudine degli studiosi ravennati(n). Ma qui giova ricordare che, negli ultimi tempi, anche lo Stato italiano è venuto incontro ai bisogni dell’archivio arcivescovile di Ravenna col restauro fatto eseguire a cura della Soprintendenza Bibliografica di Bologna, di alcuni codici miniati e di altro materiale dell’archivio stesso. Salutiamo questi avvenimenti con animo schiettamente ravennate, mentre anche la Biblioteca arcivescovile, sino ad ora inaccessibile al pubblico, ma ricca di d OR aggiunge di Ravenna, Mons. e OR omette colà f OR aggiunge in Vaticano g OR omette all’uopo h OR: Ed assieme coi i OR: la Vaticana (per S. Sede) j OR: successivamente divenuto l OR omette il testo fra parentesi m OR: ravennate (per Comunale) n OR omette ravennati

181

MERCATI, Le Titulationes cit. (nt. 7), pp. 26-27 (pp. 464-465 della riedizione). 182 Mazzotti dovette trarre la frase da A. M. ALBAREDA, Gli scritti del cardinale

Mercati. Settant’anni di lavoro di un grande erudito, in L’osservatore romano, 97/nr. 220 (22 settembre 1957), p. 3; riedito in Gli scritti del cardinale Mercati. Articolo apparso su «L’Osservatore Romano» preceduto da «Appunti biografici», Città del Vaticano 1957, pp. 15-45: 15. La frase faceva parte di un Lebenslauf di Mercati preparato nell’agosto 1947 per l’Accademia Austriaca delle Scienze di Vienna: rimasto inedito, nel 2000 fu pubblicato in P. VIAN, Un “Lebenslauf” del card. Giovanni Mercati per l’Accademia Austriaca delle Scienze di Vienna (agosto 1947), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, VII, Città del Vaticano 2000 (Studi e testi, 396), pp. 461-479: 469, 479.

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oltre 5.000 volumi, tra cui vari incunaboli, sta per passare in nuovi locali, annessi all’archivio storico, in modo tale che gli studiosi trovino un complemento agli antichi documenti. Ciò è possibile, perché la Direzione Generale delle Biblioteche, mercé il fattivo interessamento della dott.ssa Luisa Risoldi183, soprintendente bibliografico di Bologna, ha messo a disposizione una moderna scaffalatura metallica e, ci è stato promesso, fornirà pure, appena possibile, un moderno mobile-schedario, che agevolerà la ricerca del materiale bibliografico. Così Ravenna per il concorde buon volere di uomini insigni, dall’Em.mo Tisserant, bibliotecario di S. Romana Chiesa, al comm.(o) Arcamone184, direttore generale delle Biblioteche d’Italia, vede sempre più e sempre meglio valorizzato il suo patrimonio archivistico, bibliografico e documentario, che non è certo, per importanza, inferiore al più noto e non meno insigne patrimonio monumentale. Mario Mazzotti(p)

o

OR: dottor (per comm.)

p

OR: Ravennatensis (per Mario Mazzotti)

183 Luigia (nota come Gina) Risoldi Candoni (1913-2000), indicata da Mazzotti con il nome di Luisa, fu Soprintendente bibliografico per Bologna, la Romagna e le Marche dal 1952 al 1954 e dal 1956 al 1961: su di lei cfr. A. PAOLI, Luigia (Gina) Risoldi Candoni, in Dizionario biografico dei Soprintendenti bibliografici (1919-1972), Bologna 2011, pp. 495-507. 184 Guido Arcamone (1895-1972) fu direttore generale delle accademie e biblioteche dal 1947 al 1960: su di lui cfr. DE GREGORI – BUTTÒ, Per una storia dei bibliotecari italiani cit. (nt. 4), pp. 19-20.

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ENTRE AVIÑÓN Y ROMA: UN MISAL DE LA CURIA ROMANA ILUMINADO POR UN ARTISTA CATALÁN EN TORNO A 1400 (S. MARIA MAGG. 106) El examen exhaustivo del fondo procedente del Archivo de Santa María la Mayor de Roma conservado en la Biblioteca Apostólica Vaticana, ha permitido asociar al manuscrito 106 con la producción miniada de la Corona de Aragón1. Se trata de un misal al uso de la curia romana “Ordo missalis secundum curie Romane”, según indica la rúbrica del íncipit y reafirman cada una de las estaciones que componen el Temporal. El contenido litúrgico de este misal plenario y el estilo de las ilustraciones que integran su reducido programa iconográfico, establecen vínculos con la curia papal de Pedro Martínez de Luna — Benedicto XIII — hipótesis que se tratará de demostrar a continuación2. Este códice está formado por un núcleo textual cuya datación oscila en torno al año 1400, organizado del siguiente modo3: 1 Desde estas líneas deseo agradecer a Francesca Manzari la información relativa a la existencia de este misal y la generosa ayuda ofrecida para efectuar su estudio. Este reconocimiento se hace extensivo a Silvia Maddalo y a Paolo Vian. Sus comentarios y aportaciones arrojaron nueva luz sobre aspectos específicos de este manuscrito. A Patricia Stirnemann y a Lola Massolo les agradezco el envío de bibliografía de difícil acceso desde las bibliotecas españolas. 2 Este manuscrito, que ha pasado inadvertido hasta la fecha por los estudiosos de la miniatura, solo fue reseñado brevemente en el repertorio de códices litúrgicos de la Biblioteca Vaticana, elaborado por Pierre Salmon, investigador que lo consideró de origen lombardo. P. SALMON, Les manuscrits liturgics latins de la Bibliothèque Vaticane, II. Sacramentaires Épistoliers Évangeliers Graduels Missels, Città del Vaticano 1969 (Studi e testi, 253), p. 146 n. 146. Víctor Saxer efectuó una escueta descripción en su estudio dedicado a los fondos procedentes de la basílica de Santa María la Mayor de Roma: V. SAXER, Sainte-Marie-Majeure une basilique de Rome dans l’histoire de la ville et de son église (Ve-XIIIe siècle), Roma 2011 (Collection de l’École Française de Rome, 283), p. 668 n. 106. Este códice también aparece citado en el repertorio de Giacomo Baroffio, como un ejemplo del calendario genuinamente romano: G. BAROFFIO, Kalendaria Italica. Inventario, en Aevum 77 (2003), p. 470. 3 Olim BB. II. 17, EE. II. 17. Encuadernación: 380 × 270 mm. Pergamino. III + 259 + III folios. Dimensiones de los folios: 360 × 257 mm. Caja de escritura: 222 × 165 mm. Escritura a dos columnas. Espacio inter-columnar: 20 mm. 27 líneas. Está formado por veinticinco cuadernos quiniones, menos el número doce que está desorganizado, con ausencias que hacen sospechar una intervención posterior, y el número dieciocho irregular, a causa del mayor número de folios, con respecto al resto. Este misal posee una doble numeración: la original

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 553-585.

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— I Calendario (ff. 2-7). — II Propio del Tiempo, “Incipit ordo missalis secundum curie Romane” (ff. 9-192v [I-CLXXXVIv). Comprende desde la Primera Dominica de Adviento hasta la veinticuatro después de Pentecostés (f. 191v [CLXXXv]). Entonaciones de Gloria y prefacios con notación musical cuadrada. Los folios CXXVIII y CXXIX fueron sesgados (f. 136v [CXXXv] y ss. Canon de la Misa). — III Santoral, “Incipiunt missarum sollempnia in festivitatibus sanctorum per circulum anni” (ff. 192v-241r [CLXXXVIv-CCXXXVr]). — IV Común de los Santos, “Incipit Comune Sanctorum de missali” (ff. 241r-264r [CCXXXVr-CCLVIIIr]). Misas votivas y de difuntos (ff. 264v-265v [CCLVIIIv-CCLIXv] + f. 266r)4. El calendario fue copiado por una mano diferente al resto del misal, mediante el uso de una caligrafía gótica textual más angulosa que la utilizada en el resto del manuscrito. Estas diferencias también son perceptibles en la composición de los folios, independientes al conjunto del manuscrito. Las conmemoraciones recopiladas en el calendario siguen las pautas marcadas por el santoral común de Roma que coincide, en líneas generales, con el de la basílica de Santa María la Mayor, destino final de este misal5. Sin embargo, no consta la dedicación de la basílica de San Salvador de Letrán (9-XI), mientras que por el contrario se caligrafió la festividad de Santa Eulalia de Barcelona (12-II)6. La presencia de santa Eulalia propone la posible relación del códice con un promotor catalán, dado que el en tinta de color carmín y números romanos, situada en la zona superior del folio que comienza a partir del Propio del Tiempo y una impresa arábiga, con tinta negra, localizada en el extremo inferior derecho de cada uno de los folios. 4 Las cubiertas originales de este misal plenario debieron ser de madera, siendo remodeladas después de su ingreso en la Biblioteca Apostólica Vaticana. En concreto, fue restaurado el día 8 de Abril de 1978, según informa una inscripción situada en la contratapa. Esta remodelación respetó las cubiertas originales de la tapa y de la contratapa, añadiendo seis cierres (dos ante el corte frontal; uno en la zona superior y otro en la inferior). Ambas cubiertas están reforzadas por cantoneras con bullones. El lomo fue restaurado y el original fue pegado en el folio de guarda. Sobre este folio también fueron adheridas una serie de cartelas donde se leen las antiguas signaturas: XIII, 35, 17; Parte IX, Nº II, Letra B y “Messale antico manoscrito in pegameno”. 5 SAXER, Sainte-Marie-Majeure cit., pp. 305-308; ID., Il culto dei martiri romani durante il Medioevo centrale nelle basiliche Lateranense, Vaticana e Liberiana, en Roma antica nel Medioevo. Mito, rappresentazioni, sopravvivenze nella “Respublica Christiana” dei secoli IX-XIII. Atti della quattordicesima Settimana internazionale di studio (Mendola, 24-28 agosto 1998), Milano 2001, pp. 131-161. 6 Victor Saxer afirma que la festividad de San Cerbonio, caligrafiada el día 10 de Octubre (fol. 6) es una adición posterior, opinión que no compartimos, puesto que la escritura es de la misma mano que el resto del calendario. SAXER, Sainte-Marie-Majeure cit., p. 331.

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culto a la santa barcelonesa, en ocasiones confundido con Santa Eulalia de Mérida (10-XII), fue de ámbito restringido a manuscritos dependientes de un modo u otro con la Corona de Aragón o a lo sumo, de otros reinos cristianos de la península ibérica7. Otra particularidad digna de mención, al menos desde la óptica catalana, es la conmemoración de la Concepción Inmaculada de la Virgen María (f. 7v). Si bien es cierto que desde el siglo XIII hubo una notable contribución al desarrollo cultual de la fiesta en la península italiana, no fue hasta la tercera década del siglo XIV cuando la concepción sin mácula de la Virgen y la sanctificatio Marie se introdujeron en los misales romanos8. Sin embargo se debe recordar que los teólogos de la Corona de Aragón adquirieron un papel destacado en la defensa del dogma inmaculista a lo largo de los siglos medievales. San Pedro Nolasco, tutor de Jaime I de Aragón, fundó en 1218 la orden de nuestra Señora de la Merced, impulsando el culto de la Inmaculada Concepción de la Virgen9. Hacia fines del mismo siglo, Ramón Llull creó una teoría sobre este dogma, cuya huella fue duradera en los territorios de la Corona de Aragón. La popularidad de esta creencia defendida por la orden franciscana, permitió que la fiesta de Concepción comenzara a celebrarse tempranamente en la catedral de Barcelona (1281), bajo el obispado de Arnau de Gurb y más tardíamente en otras diócesis catalanas10. En este marco histórico, resulta muy significativa la comunión de sentimientos existente entre el poder civil y una serie de teólogos influyentes en el consejo real de los tres últimos reyes de la casa de Barcelona, aunque detrás de todo ello estaba Benedicto XIII, pontífice decantado abiertamente hacia las tesis franciscanas, apoyado incondicionalmente, por la monarquía de la Corona de Aragón11. 7

A. FABREGA Y GRAU, Santa Eulalia de Barcelona, en Divulgación histórica de Barcelona XI, Barcelona 1960, pp. 21-28; M. GOLFERICHS LOSADA, Santa Eulalia mártir barcelonesa, en Boletín de la Real Academia de Buenas Letras 8 (1915-1916), pp. 233-237. 8 SAXER, Sainte-Marie-Majeure cit., pp. 318-319. 9 F. D. GAZULLA, Los Reyes de Aragón y la Purísima Concepción de María Santísima, en Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona 17 (1905), pp. 3-4. 10 J. PERARNAU I ESPELT, Política, Lul.lisme i Cisma d’Occident. La campanya barcelonina a favor de la festa universal de la Puríssima els anys 1415-1432, en Arxiu de Textos Catalans Antics 3 (1984), pp. 78-79. 11 El rey Juan I de Aragón promulgó un edicto, el día 14 de marzo de 1394, ordenando celebrar en todos sus dominios la fiesta de la Inmaculada Concepción. Con anterioridad, su antecesor el infante Pedro — futuro Pedro IV de Aragón — había constituido el día 8 de Mayo de 1333, en Zaragoza, la Cofradía del señor rey puesta bajo la advocación de la Concepción de la Virgen María. En la actualidad se conserva un ejemplar de lujo que recopila los estatutos de esta congregación regia (Llibre de la Confraria del Senyor Rei, ms. 1.35 de la Biblioteca del monasterio de Poblet) (c. 1400). J. PLANAS, El Llibre de la Confraria del Senyor Rei, un manuscrito miniado del monasterio de Poblet, en Locus Amoenus 1 (1995), pp. 95-105.

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El misal de la curia romana se adapta a la liturgia afianzada en la Urbe a fines del siglo XIII que los papas desearon implantar a través de este libro litúrgico de uso universal. Nicolás III lo impuso desde su pontificado de la mano de la orden franciscana, pero no debió tener una aceptación global cuando, a principios del siglo XIV, Juan XXII emitió una bula desde Aviñón con el objetivo de que los libros de uso litúrgico fueran adoptados en todas las iglesias12. No obstante, hay una variante litúrgica que señala su relación con los territorios de la zona meridional de Francia: la oración sobre las ofrendas se denomina “sacra” (ff. 254, 255 y 256 [CCXLVIII, CCXLIX y CCL]). El uso de este término con funciones de rúbrica se asocia a los misales galos meridionales desde el siglo XI13. Esta consideración es muy significativa por convertirse en uno de los indicios más representativos a la hora de asociar a este misal con la curia papal establecida en Aviñón. Al núcleo textual de este misal se anexionaron diversas oraciones periféricas con la finalidad de facilitar su adaptación a las advocaciones propias de Santa María la Mayor de Roma. Destaca la presencia de dos misas: una dedicada a San Jerónimo (f. 264v [CCLVIIIv]) y otra a Santa María de las Nieves (f. 265r [CCLIXr]). La basílica de Santa María la Mayor celebraba la fiesta de San Jerónimo el día 30 de septiembre y la translación de sus restos, el día 9 de mayo14. La relevancia adquirida por el culto a San Jerónimo fue potenciada por Bonifacio VIII, pontífice que lo ascendió al rango de doctor de la Iglesia, en 1298, como reflejan tres adiciones efectuadas en un misal (S. Maria Magg. 52) que ha suscitado cierta controversia entre los liturgistas, por considerarlo una adaptación al uso de Santa Maria la Mayor de Roma del misal utilizado en la capilla papal15. Según el relato 12 S. A. VAN DIJK, Three Manuscripts of a Liturgical Reform by John Cajetan Orsini (Nicholas III), en Scriptorium 6 (1952), pp. 213-242; M. ANDRIEU, Le missel de la chapelle papale à la fin du XIIIe siècle, en Miscellanea Francesco Ehrle: scritti di storia e paleografia, Roma 1924, II (Studi e testi, 38), pp. 348-376; M. GOZZI, I libri litrugici, en Jubilate Deo. Miniature e melodie gregoriane. Testimonianze della Biblioteca L. Feiningen, catalogo a cura di G. BAROFFIO – D. CURTI – M. GOZZI, Trento 2000, p. 31. 13 B. G. BAROFFIO – S. JUNG KIM, Liturgia e Musica nei codici Vaticani dei secoli XV e XVI, en Liturgia in Figura: codici liturgici rinascimentali della Biblioteca Apostolica Vaticana (Biblioteca Apostolica Vaticana, Salone Sistino, 29 marzo – 10 novembre 1995), a cura di G. MORELLO e S. MADDALO, Biblioteca Apostolica Vaticana 1995, p. 37; F. MANZARI, La miniatura ad Avignone al tempo dei Papi (1310-1410), Modena 2006, p. 338 nt. 34. 14 S. DE BLAAUW, Cultus et Decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. Basilica Salvatoris. Sanctae Mariae. Sancti Petri, I, Città del Vaticano 1994 (Studi e testi, 335), p. 409. 15 SALMON, Les manuscrits cit., II, p. 24; ID. Les manuscrits liturgics latins de la Bibliothèque Vaticane, III, Città del Vaticano 1970 (Studi e testi, 260), p. 81; SAXER, Il culto dei martiri cit., p. 155; ID., Sainte-Marie-Majeure cit., pp. 328-330, 659-664; G. BAROFFIO, Iter Liturgicum Italicum, Padova 1999, p. 503; F. MANZARI, Nuovi materiali per la miniatura romana

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hagiográfico, San Jerónimo había sido enterrado en la iglesia de la Natividad de Belén, aunque ya en el siglo XII se afirmaba que en ese lugar no había restos del santo. La tradición referente a su traslado a Roma es un tanto oscura, pero surgió a raíz de la colocación de sus restos en un altar próximo al lugar donde se veneraban las reliquias de la Natividad, con el objetivo de mantener la idea de continuidad existente en Belén sobre los restos mortales del padre de la Iglesia16. La fiesta de las Nieves, consignada entre las conmemoraciones marianas que fueron integradas en los códices de la basílica romana de Santa María la Mayor, a lo largo de los siglos XIV-XV, tiene sus orígenes en el pontificado del papa Honorio III (1216-1227). En concreto, el día 23 de Julio de 1223 el papa concedió indulgencias y declaró solemne esta conmemoración, dotándola de misa y oficio propio17. La festividad de las Nieves reproduce la leyenda del milagro acaecido el día 5 de Agosto del año 352, bajo el pontificado de Liberio, fecha que además, coincide con la fundación de la basílica18. A estas misas se agregaron (f. 266r), una Sequentia pro defunctis y las oraciones de Gloria y Credo (f. 266v) con un tipo de caligrafía ligeramente posterior a la anteriormente descrita, a pesar de situarse en el mismo cuaderno. Esta escritura también se aprecia en el f. 1 de la numeración impresa, emplazado ante el calendario, reproduciendo las oraciones de Gloria y el Credo19. El resto de folios que integran este misal fueron copiados con una littera textual gótica, característica de la Corona de Aragón, prácticamente uniforme a lo largo del manuscrito20. Su contenido se articula mediante títulos y rúbricas, de la misma mano del texto y un conjunto de iniciales, del Duecento: I libri liturgici dei canonici delle basiliche di Santa Maria Maggiore e di San Pietro, en Il Libro miniato a Roma nel Duecento. Riflessioni e proposte, a cura di S. MADDALO con la collaborazione di E. PONZI, I, Roma 2016, pp. 274-275. 16 G. BIASOTTI, Le memorie di S. Girolamo in Santa Maria Maggiore di Roma, en Miscellanea Geroniminana. Scritti vari pubblicati nel XV centenario della morte di San Girolamo, Roma 1920, pp. 237-244; F. LANZONI, La leggenda di S. Girolamo, ibid., pp. 19-42; DE BLAAUW, Cultus et Decor cit., p. 409. 17 SAXER, Il culto dei martiri cit., pp. 153-154; ID., Sainte-Marie-Majeure cit., pp. 320-331. 18 DE BLAAUW, Cultus et Decor cit., p. 437. 19 Este folio parece una adición posterior al corpus original del manuscrito. El folio 8r acoge una Secuencia de Pentecostés, copiada con un tipo de escritura más tardía que el resto del misal. Por sus características, da la sensación que este folio fue insertado entre dos cuadernos. 20 Entre los folios 140 y 142 [CXXXIV y CXXXVI] se interpoló un folio copiado con una escritura redondeada perteneciente a la segunda mitad del siglo XV. Este folio no sigue la numeración original, efectuada en tinta de color carmín. Este tipo de caligrafía, diferente al resto del misal también se advierte en el folio 142r [CXXXVIr].

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que por sus características, se agrupan en tres apartados. En primer lugar, destacan las que tienen el tamaño de una línea, decoradas con trazos de color azul o carmín que se alternan con decoración de filigranas de color contrario. Les suceden una serie de letras capitales que encabezan ferias, lecciones, oraciones e incluso perícopas evangélicas. Estas iniciales ocupan varias líneas y siguen unas pautas miméticas a las anteriores, reinterpretadas con ligeras variantes que incluyen la incorporación de pan de oro sobre el fondo monocolor de los trazos de la inicial. Se prolongan mediante una serie de rasgueos y filigranas dispuestos sobre los márgenes del folio o el espacio inter-columnar (pl. II). Estas letras de filigranas son análogas a las existentes en algunos de los códices más relevantes del denominado Gótico Internacional catalán: Misal de Santa Eulalia (Barcelona, Archivo Capitular, ms. 116) (1403), Breviario del rey Martín (París, BnF, ms. Rothschild 2529) (c. 1400), una biblia en tres volúmenes relacionada con Martín el Humano (Barcelona, Biblioteca de Catalunya, ms. 1142, 1143 y 1144) o el Salterio-Libro de Horas de Bernat Martorell (A.H.C.B., ms. A-398) (c. 1430-1440)21. Las afinidades señaladas entre este tipo de letras capitales y la producción miniada de Cataluña, cobra un nuevo sentido si se valora la presencia de artífices catalanes en la ciudad papal asentada junto al Ródano. Uno de los testimonios más singulares es el de Rafael Destorrents, sin duda alguna el artista catalán más relevante del Gótico Internacional. Destorrents recibió en 1402 el encargo, por parte de Benedicto XIII, de transcribir el texto de unos Maitines. Los vínculos con la curia cismática de Pedro Martínez de Luna se mantuvieron, porque seis años más tarde Destorrents adquirió una serie de materiales necesarios para la confección de manuscritos de lujo, costeados por el pontífice. Estas noticias documentales prueban que Destorrents ejercitó las prácticas propias de un scriptorium, armonizando la copia y ornamentación caligráfica, con la ilustración de manuscritos22, actuando del mismo modo que otros miniaturistas de este período, ya que durante la época del Gran Cisma los artistas compaginaron con relativa asiduidad las labores de amanuense y miniaturista en las sedes de Roma y Aviñón23. 21 J. PLANAS, El esplendor del gótico catalán. La miniatura a comienzos del siglo XV, Lleida 1998, pp. 116 y ss.; EAD., El Breviario de Martín el Humano. Un códice de lujo para el monasterio de Poblet, Valencia 2009, p. 33; EAD., La ilustración del libro en la Corona de Aragón en tiempos del compromiso de Caspe: 1396-1420, en Artigrama 26 (2011), pp. 450-453. 22 J. PLANAS, Rafael Destorrents (n. 1375 (¿) – m. 1443/1445). Santa mártir. Sant Miquel, en Convidats d’honor. Exposició commemorativa del 75è aniversari del MNAC, Barcelona 2009, pp. 158-163; EAD., Más sobre Destorrents. El Liber de Angelis de Ramón Llull conservado en la Bayerische Staatsbibliothek de Munich, en Arte Medievale s. 4°, 3 (2013), p. 172. 23 F. MANZARI, Mobilité des artistes et migrations de styles: les cours papales d’Avignon et de

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Siguen en cuanto a categoría iniciales que suelen ocupar tres o más espacios interlineares. Son letras polícromas situadas generalmente sobre un campo tendente a la regularidad geométrica cubierto con pan de oro. Sus trazos están formados por carnosas hojas de acanto de color azul o rosa, de cuyos extremos derivan otras formaciones vegetales que se prolongan sobre el folio, acompañadas por pequeños circulitos dorados, propios de la decoración marginal tardo-gótica desarrollada en la cuenca occidental del Mediterráneo. En paralelo a esta tendencia, se advierte la existencia de iniciales decoradas con hojas de hiedra que conectan directamente con las propuestas artísticas de la ciudad papal de Aviñón y otras que adquieren formas tridimensionales, similares a estructuras arquitectónicas, de idénticas características a las observadas en manuscritos iluminados en la Corona de Aragón durante este período24. Con respecto a estas últimas y sin un afán de exhaustividad, destacan las representadas en los folios 76v, 88v y 242v [LXVIIIv, LXXXv y CCXXXVIv]. También son muy sugerentes las que se inclinan hacia el texto generando un espacio triangular25, apto para la disposición de una serie de rostros deudores de una tradición representativa inaugurada en el taller del artista barcelonés Ferrer Bassa (2º cuarto del siglo XIV) (ff. 40r, 94r, 99r, 105r [XXXIIr, LXXXVIr, XCIr, XCVIIr]) (pl. III)26. Los rostros masculinos, plasmados de perfil, generan una secuencia icónica paralela al programa iconográfico del manuscrito, introduciendo un elemento transgresor y fabuloso, cuyos orígenes remontan a la época clásica. De las cuatro imágenes enunciadas, la más bella es la perteneciente al f. 105r [XCVIIr], debido a la presencia de un hermoso rostro, moldeado con sutiles pinceladas de color verde, encajado en el interior de una inicial monumental (pl. IV)27. La tercera categoría de iniciales no difiere sustancialmente de las anteriores, la única diferencia notoria radica en sus dimensiones. Los trazos de Rome durant le Grand Schisme, en Les Transferts artistiques dans l’Europe gothique (XIIe-XVIe siècles). Repenser la circulation des artistes, des oeuvres, des thèmes et des savoir-faire, a cura de J. DUBOIS – J.-M. GUILLOÜET – B. VAN DES BOSCHE, Paris 2014, pp. 289-302. 24 J. PLANAS, El alfabeto del gótico Internacional en Cataluña, en Fragmentos 17-19 (1991), pp. 73-84. 25 Estas letras capitales conectan con las que aparecen en el Catholicon de Juan Balbi de Génova, custodiado en el Cabildo Metropolitano de Zaragoza (ms. 10-8). J. PLANAS, Un códice inédito conservado en el Archivo Capitular de Zaragoza y su filiación con el gótico Internacional de la Corona de Aragón, en La miniatura y el grabado de la Baja Edad Media en los archivos españoles, coord. M. DEL CARMEN LACARRA DUCAY, Zaragoza 2012, pp. 157-202. 26 R. ALCOY, Els rostres profans del Mestre de Baltimore i la seva incidencia en les arts catalanes. Qüestions puntuals, en Lambard 4 (1985-1988), pp. 139-158; EAD., Rostres profans i marginalia a Catalunya. Qüestions d’enfocament, en D’Art 15 (1989), pp. 77-93. 27 Las variaciones existentes entre la decoración de las letras capitales y la ornamentación marginal que las envuelve, pone de manifiesto la intervención de varios iluminadores.

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estas letras están formados por hojas de acanto y el campo se decora con hojas de hiedra, aplicando un sincretismo inédito que aúna en un mismo manuscrito, las dos tendencias estilísticas que convivieron a lo largo del proceso de recepción y asimilación del Gótico Internacional en Cataluña: por una parte, las formas elaboradas en las cortes septentrionales de Francia y por otra, las dependientes de Aviñón28. Las letras capitales más audaces se aprecian en los ciclos de Pascua y de Pentecostés (ff. 142v, 155r, 158v, 165r y 166v [CXXXVIv, CXLIXr, CLIIv, CLIXr y CLXv]) (pl. V). De los extremos de estas iniciales de mayor tamaño surgen hojas de acanto y pequeños circulitos dorados que, en momentos puntuales, remiten a la ornamentación del tercer volumen de la Biblia del rey Martin I de Aragón (Barcelona, Biblioteca de Catalunya, ms. 1144)29. Las iniciales polícromas solían ser generalmente obra del propio calígrafo o incluso del iluminador responsable de realizar las escenas “historiadas”30. Por ejemplo, cuando Rafael Destorrents iluminó en 1410 un misal para los consejeros del gobierno municipal de Barcelona, se hizo cargo de las imágenes historiadas y de la decoración marginal que acompañaba a dichas ilustraciones: “… iluminar d’aur, d’azur e d’altres colors, ab istòries, e en en altre manera solemnament lo missal que los altres consellers precessors d’aquests que voy son…”31. Estas precisiones se habían efectuado, con anterioridad, en el documento de contratación del Misal de Santa Eulalia (Barcelona, Arxiu Capitular, ms. 116), redactado el día 8 de Marzo de 1403, pero no siempre fue así32. Además, no se debe olvidar que tras estos matices semánticos, cabe la posibilidad de reconocer la existencia de diversas 28 En este escenario artístico destaca el papel protagonista desempeñado por el monasterio de San Cugat del Vallès, centro que concentró ambos lenguajes figurativos, con obras tan sobresalientes como el Misal de San Cugat (Barcelona, Archivo de la Corona de Aragón, ms. 14) (1402), realizado para el abad Bernat de Rajadell que conecta con el lenguaje figurativo de Jean de Toulouse o, el denominado Libro de Horas de Estocolmo (Stockholm, Nationalmuseum ms. B 1792). J. PLANAS, La miniatura catalana del Período Internacional. Primera generación, I, tesis doctoral inédita leída en la Universitat de Barcelona 1991, pp. 265-331; MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 255-257. 29 PLANAS, La ilustración del libro cit., pp. 450-453. 30 En julio de 1443, la viuda del iluminador Simó Llobregat saldaba una antigua deuda contraída con Andreu García, presbítero beneficiado de la catedral de Valencia. García, según los argumentos expuestos ante el Justicia Civil de la Ciudad, tenía en prenda varios objetos propiedad de la viuda, entre ellos “un llibre de mostres de letres grans florejades. E. MONTERO TORTAJADA, El oligarca y los pinceles: breve semblanza del presbítero Andreu García, en Espacio, tiempo y Forma 1 (2013), pp. 401-418; PLANAS, El miniaturista cit., p. 84 nt. 114. 31 J. M. MADURELL MARIMÓN, El pintor Lluís Borrassà, su vida, su tiempo, sus seguidores y sus obras, en Anales y Boletín de los Museos de Arte de Barcelona 10 (1952), p. 201, doc. 645; pp. 201-202, doc. 646; ID., Rafael Destorrents, sacerdote y miniaturista, en Scrinium 11-14 (1954), p. 2. 32 MADURELL MARIMÓN, El pintor cit., p. 166, doc. 597.

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categorías profesionales relacionadas con el proceso de iluminación de un manuscrito. El programa iconográfico del misal El aparato ilustrativo de este misal de la curia romana comienza en el f. 9r [Ir], inicio del Temporal (pl. I). Este folio que actúa de frontispicio, se decora con una gran orla dispuesta sobre los cuatro márgenes, formada por hojas de hiedra. Los vástagos vegetales se entrelazan creando un entramado vegetal que se repite rítmicamente, generando formas geométricas que reproducen el lenguaje formal de los códices elaborados en Aviñón o dependientes de esta estética33. Los límites externos de la orla acogen los tradicionales circulitos dorados, junto a aves de bella ejecución: pavo real, búho, perdiz y ánade, en sintonía con las pautas representativas catalanas desarrolladas hacia 140034. El espacio inter-columnar está ocupado por un largo vástago vegetal, que se encorva en la zona superior para servir de base a una ingrávida ave. El texto, organizado en dos columnas, comienza con la primera dominica de Adviento que contiene la lección de la epístola de San Pablo a los romanos: “Incipit ordo missalis secundum curie Romane. Dominica prima de adventu Stacio ad sanctam mariam maiorem”. La letra “A” (Ad te levavi) de las primeras palabras del introito es un claro testimonio de la yuxtaposición de estilos perceptible en este códice litúrgico: sobre un fondo de pan de oro se disponen los vástagos de la inicial, reforzados con carnosas hojas de acanto, mientras el campo se decora con tallos vegetales, finalizados en hojas de hiedra. En el margen inferior del folio campean unas armas que se erigen en protagonistas de este discurso. El emblema heráldico revela la personalidad de uno de los posesores de este misal, en una fase cronológica más avanzada al período analizado y por ese motivo se describirá más adelante. La primera inicial historiada es la Elevación de la Sagrada Forma (f. 136v [CXXXv]) (750 × 770 mm), correspondiente al Canon de la Misa, preparación inmediata para la consagración y punto culminante del oficio litúrgico (pl. VI-VII). El tema de la Elevación de la Sagrada Forma tiene sus orígenes en la Fiesta del Corpus Christi, celebrada en honor de la Eucaristía. Esta nueva manifestación iconográfica, frente a la anterior que reflejaba el sacrificio del calvario, se documenta por primera vez en un misal 33 Por sus afinidades formales recuerda a la decoración marginal de los Usatges i Constitucions de Catalunya en latín (A.C.A. Códices Generalidad 2, cámara V, fol. 1r). PLANAS, La miniatura catalana cit., I, pp. 253-255. 34 PLANAS, El esplendor del gótico catalán cit. Quizás la presencia de estas aves no está exenta de connotaciones simbólicas alusivas al Tiempo de Adviento.

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iluminado por un artista que se hace eco de los postulados de Jean Pucelle (Lyon, Bibliothèque municipale, ms. 5122, f. 142v) (c. 1340-1350). En el misal de Lyon, Cristo es el celebrante, elevando la Sagrada Forma frente a un altar, servido por un ángel que sostiene un cirio encendido. El tema de la Elevación fue reproducido en misales aviñoneses de la segunda mitad del siglo XIV: un ejemplar conservado en Avignon (Bibliothèque muncipale, ms. 135, f. 187r) o el Misal de Clemente VII (París, BnF, ms. lat. 848, f. 194r)35. Pero en estos manuscritos es un simple sacerdote el responsable de elevar la Sagrada Forma. La mutación icónica descrita no se contempla en un libro de horas aviñonés de fines del siglo XIV, donde Cristo vuelve a ser el oficiante (París, BnF, ms. lat. 10527, f. 33v)36. La promulgación de la fiesta del Corpus Christi, en 1317, por el Papa Juan XXII, fue el punto de arranque de esta nueva iconografía que desde la ciudad papal situada a orillas del Ródano, penetró hacia Cataluña37. La exaltación del cuerpo de Cristo en el misal procedente de Santa María la Mayor de Roma, se desarrolla en el interior de una iglesia, cuya arquitectura se ha obviado, convertida en un simple fondo de retícula. El oficiante eleva sus manos ante un altar sobre el que dispone un cáliz, cubierto con un purificador y un pequeño retablo dorado. Un acólito arrodillado sostiene la casulla del sacerdote, mientras sujeta un cirio con una de 35 F. AVRIL, Trois manuscrits de l’entourage de Jean Pucelle, en Revue de l’Art 9 (1970), pp. 37-48. Este tema aparece representado en numerosos ejemplos. Al respecto, vide: F. MANZARI, La miniatura ad Avignone nel XIV secolo, en Roma, Napoli, Avignone. Arte di Curia, Arte di Corte 1300-1377, Roma 1996, p. 220; EAD., La miniatura ad Avignone cit., p. 260. 36 AVRIL, Trois manuscrits de l’entourage de Jean Pucelle, pp. 37-48; MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 216-220. 37 Se representa en el Misal de Bertrán de Casals (Madrid, BNE, ms. Res. 10, fol. 161v), encargado por este speciayre catalán, para la Confraternidad de la Santa Cruz en 1409. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 257 ss. Este tema gozó de gran difusión en la península italiana. Sin ánimo de exhaustividad, se señala su presencia en un breviario napolitano conservado en Madrid (Biblioteca Nacional de España, ms. Vit. 21/6, fol. 199v), iluminado hacia 1345-1350 y en un Missale secundum consuetudinem Romanae curiae (Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 276) (L’Aquila, Abruzos, c. 1375). A. BRÄM, Illuminierte Breviere: zur Rezeption der Anjou-Monumentalkunst in der Buchmalerei, en Medien der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in Italien. Ausdrucksformen politischer Macht und ihre Rezeption, en Atti del Convegno (Frankfurt a M., 1997), a cura di T. MICHALSKY, Berlin 2001, pp. 295-317; F. MANZARI, Ross. 276 (olim VIII, 214), en Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana, I, I manoscritti Rossiani, 1, Ross. 2-413, a cura di S. MADDALO con la collaborazione di E. PONZI e il contributo di M. TORQUATI, Città del Vaticano 2014 (Studi e testi, 481), pp. 497-511. A estos dos códices se suman dos misales relacionados con el norte de Italia: el Misale Nardini (Milano, Biblioteca Capitolare, ms. II. D. 2.32, y un ejemplar conservado en la Biblioteca Vaticana (Arch. Cap. S. Pietro B. 64), ambos de mediados del siglo XIV. F. MANZARI, Indagini su un Messale del Capitolo di San Pietro (Arch. Cap. S. Pietro B.64): componenti emiliane nella miniatura milanese della metà del Trecento, en Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 21 (2015) (Studi e testi, 496), pp. 221-258.

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sus manos. Esta representación, por sus características formales, surgió de los pinceles de un artista catalán inmerso en las formas artísticas del Gótico Internacional que no alcanza las elevadas cotas de lirismo conseguidas por Rafael Destorrents, pero que sin embargo es un artista de calidad, capaz de crear sutiles volúmenes, perceptibles en la túnica del acólito y en la elegante factura de las manos de los dos personajes representados. Esta composición muestra analogías con el mismo tema reproducido en el Misal de Santa Eulalia (Barcelona, Arxiu Capitular, ms. 116, f. 219r) y con tres ilustraciones del misal mixto Galcerán de Vilanova (La Seu d’Urgell, MDU63) (c. 1396) que hacen énfasis en la glorificación de la Sagrada Forma38. La exaltación de la presencia real de Cristo en la Eucaristía, es fruto de los contactos septentrionales y de las preocupaciones religiosas que convergieron en la ciudad de Barcelona a fines del siglo XIV y principios del siguiente39. Las afinidades estilísticas adquieren mayor consistencia cuando recordamos que Rafael Destorrents, pintor, miniaturista y calígrafo fue el artífice del Misal de Santa Eulalia (Barcelona, Arxiu Capitular, ms. 116) (1403) relacionado, desde hace años, con en el Misal del obispo Galcerán de Vilanova (La Seu d’Urgell, MDU63) (c. 1396)40. El promotor del Misal de Santa Eulalia (Barcelona, Arxiu Capitular, ms. 116) fue el obispo de Barcelona Joan Ermengol (1398-1409), anterior abad del monasterio de San Cugat del Vallès, precisamente en el momento que el monasterio contaba con uno de los scriptoria más activos de Cataluña. Las excelentes relaciones mantenidas con el monarca Martín el Humano y su esposa, María de Luna, facilitó el nombramiento de Joan Ermengol como consejero real, obteniendo la acreditación ante el rey Carlos VI de Francia, para mediar en el proceso de finalización del Cisma de la Iglesia41. Con independencia a los resultados obtenidos en estas embajadas, los desplazamientos favorecieron la recepción de las nuevas formas artísticas en los territorios de la Corona de Aragón. Joan Ermengol murió en Perpiñán cuando defendía la causa de Pedro Martínez de Luna en el sínodo de 1409. Las similitudes 38 Celebración del oficio de Pascua (fol. 150r); Conmemoración del Corpus Christi (fol. 181r) y Elevación de la Sagrada Forma (fol. 255r). 39 J. PLANAS, El poder religiós: llibres il.luminats per als bisbes catalans baixmedieval (segles XIV-XV), en Ars Longa 20 (2011), pp. 37-48. A título simplemente ilustrativo, deseamos añadir una escena inédita representada en el fragmento de un misal conservado en el Museu Nacional d’Art de Catalunya (MNAC nº 64023) (2ª mitad del siglo XIV), procedente de la colección Muntadas. 40 PLANAS, El esplendor del gótico catalán cit., pp. 91-103. 41 J. VIELLARD – J. MIROT, Inventaire des lettres des Rois d’Aragon à Charles VI et à la cour de France conservés aux archives de la Couronne d’Aragon à Barcelone, en Bibliothèque de l’École des Chartes (1942), pp. 131-132 nn. 121,123-125.

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estilísticas que orientan al Misal del obispo Galcerán de Vilanova (La Seu d’Urgell, MDU63) hacia Barcelona, se fundamentan en los estrechos contactos personales establecidos entre el obispo de la Seu d’Urgell y Joan Ermengol. Barcelona, aparte de ser la ciudad más importantes del Principado, era la capital de la diócesis más frecuentada por el obispo Galcerán y el núcleo de creación artística donde encargó un suntuoso cáliz, obra de un orfebre barcelonés (Seu d’Urgell, Museu Diocesà nº inv. 903) que contiene representaciones afines al misal42. La ausencia de los ff. CXXVIII y CXXIX en el misal de la curia romana hace presumir la existencia de un bifolio con las dos imágenes solemnes que solían preceder al Canon de la Misa: la Crucifixión y Cristo en Majestad. Los restos del talón de un folio, sesgado en una época indeterminada, refuerzan esta hipótesis43. El Santoral “Incipiunt missarum sollempnia in festivitatibus sanctorum per circulum annum (!)” (f. 192v [CLXXXVIv]) (pl. VIII-IX), comienza con la antífona del introito correspondiente a la vigilia de San Andrés: “Dominus secus mare Galilee vidit duos fratres, Petrum et Andream, et vocavit eos…”. La inicial “D” (47 × 50 mm) (f. 193r [CLXXXVIIr]) reproduce, sobre un fondo de retícula, a San Pedro tonsurado, vestido con túnica y manto, sosteniendo en sus manos un volumen y a San Andrés, evocado como un hombre de mayor edad, con larga barba44. Ambos sujetan la cruz, símbolo 42 PLANAS, El Obispo Galcerán de Vilanova y la promoción del libro ilustrado: el misal de la catedral de la Seu d’Urgell, en Miscel∙lània. Homenatge a mossèn Jesús Tarragona, Lleida 1996, pp. 289-304; EAD., El poder religiós cit., pp. 37-48. 43 El Musée d’Art Sacré de Ille-sur-Têt, Hospici d’Illa conserva un díptico constituido por una Crucifixión y una Majestad divina procedentes, con toda probabilidad, del canon de un misal. Los folios de pergamino fueron recortados para adaptarlos a este objeto artístico de madera que tiene la facultad de cerrarse sobre sus goznes. Las dos imágenes fueron obra de un miniaturista catalán sumamente expresivo que participa del lenguaje figurativo del gótico Internacional, creado en las cortes situadas más allá de los Pirineos en una fase primigenia. Este díptico demuestra el proceso de extracción y posterior reutilización de un bifolio iluminado, procedente de un misal coetáneo al analizado. A. LETURQUE – M. CASTIÑEIRAS, Crucifixión et Majesté divine, montées en diptyque, en Trésors enluminés de Toulouse à Sumatra, Musée des Augustins, Musée des Beaux-Arts de Toulouse, Toulouse 2013, pp. 125-128. No es el único fragmento de estas características conservado en la actualidad: el Museu Nacional d’Art de Catalunya expone en una de sus vitrinas una imagen de la Crucifixión y otra del Cristo en Majestad procedentes de un misal (MNAC 64023-CJT) (2º cuarto del siglo XIV). En origen, estos folios, procedentes de la colección Muntadas también se presentaban enmarcados a modo de díptico. La Colección Muntadas, Barcelona 1931, p. 11, nº 44. 44 La festividad de San Andrés, el día 30 de Noviembre, era una celebración importante. León III, después de su retorno a Roma el año 799, ofició una misa en la basílica de San Pedro durante la vigilia de San Andrés que contó con la participación de una multitud de fieles. Esta celebración fue considerada una fiesta propia de la basílica vaticana, debido al énfasis que se dio a la relación fraternal establecida entre Pedro y Andrés. DE BLAAUW, Cultus et Decor cit., pp. 601, 723.

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compartido de su martirio que actúa de eje de la composición45. A pesar del deterioro sufrido, se aprecia la sutil ejecución de los pliegues que configuran la indumentaria de los dos apóstoles y en consecuencia, resulta factible identificar a la misma personalidad artística que realizó la escena anterior (f. 136v [CXXXv]). El folio se rodea mediante una orla distribuida por los cuatro márgenes, articulada en torno a un vástago dorado sobre el que se enrollan hojas de acanto bicolor: azul-minio o azul-rosa. Alrededor de esta ornamentación se dispone un tipo de fauna recurrente, por estas fechas, en la decoración marginal de los códices miniados catalanes. Sus orígenes remontan a la segunda mitad del siglo XIV, recibiendo un nuevo impulso con la implantación del Gótico Internacional: se trata de pavos reales, ánades, perdiz, búho y conejo, plasmados con un elevado grado de verosimilitud46. El mismo concepto naturalista se aplica al búho y al gallo situados en el margen inferior, apoyados sobre un soporte vegetal, del que existen testimonios en obras de la envergadura del Pontifical de Pierre de la Jugie (Narbonne, Trésor de la cathédrale, ms. 2) (tercer cuarto del siglo XIV)47. Una primera lectura hace creer que estamos una fauna ornamental reproducida con un sentido naturalista, análogo a las aportaciones de la miniatura lombarda surgidas a fines del siglo XIV e inicios del siguiente48. Pero no se puede negligir, al menos en este contexto, la presencia del gallo asociado a San Pedro y a las tres negaciones efectuadas en casa del gran sacerdote Caifás (Mt 26, 69-75)49. 45

Una de las particularidades observadas en los códices iluminados en Cataluña es que suelen comenzar el ciclo del Santoral con la representación de San Esteban (26 de Diciembre) o incluso con San Pablo de Narbona (11 de Diciembre) al margen de la tradición litúrgica dependiente de Roma. 46 El abanico de testimonios es tan amplio y tan variado que con la finalidad de ofrecer una visión de conjunto, remitimos a nuestros estudios. PLANAS, El esplendor del gótico catalán cit.; EAD., El Breviario de Martín el Humano cit. 47 Concretamente, en las creaciones del artista catalán que decoró el Pontifical del arzobispo de Narbona. Este artista, a su vez, se inspiró en el Pontifical de Saint-Martial (París, Bibliothèque Sainte-Geneviève, ms. 143), reproduciendo aportaciones de biblias y misales de origen napolitano que durante la segunda mitad del siglo XIV circularon por la ciudad papal situada a orillas del Ródano. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 159; EAD., La miniatura nel secolo di Giotto, en Giotto e il Trecento: il più sovrano maestro stato in dipintura. Catalogo della mostra, Roma, Complesso del Vittoriano (6 marzo – 29 giugno 2009), a cura di A. TOMEI, Milano 2009, pp. 283-284; E. NADAL, Le Pontifical de Pierre de la Jugie. Le Miroir d’un Archevêque, Turnhout 2017, pp. 217-221. 48 P. STIRNEMANN – A. RITZ-GUILBERT, Cultural Confrontations, en Under the Influence. The Concept of Influence and the Study of Illuminated Manuscripts, a cura di J. LOWDEN – A. BOVEY, Turnhout 2007, pp. 237-238. 49 G. DUCHET-SUCHAUX – M. PASTOREAU, Le bestiaire médiéval. Dictionnaire historique et biblographique, Paris 2002, p. 56.

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Por todo lo expuesto se deduce que el misal de la curia romana fue elaborado en la zona meridional francesa, posiblemente en Aviñón, para un religioso perteneciente a la curia cismática del Papa Benedicto XIII. Este promotor anónimo, hizo caligrafiar este misal a un escriba procedente de la Corona de Aragón e iluminar a un miniaturista catalán, partícipe del nuevo vocabulario formal gestado en las cortes septentrionales francesas. A fines del siglo XIV las élites religiosas cultas de la Corona de Aragón, en permanente contacto con los principales focos de creación artística, situados más allá de los Pirineos y en especial con la ciudad papal de Aviñón, se convirtieron en elementos clave a la hora de condicionar el perfil de los miniaturistas y las particularidades de los códices iluminados50. Bajo el pontificado de Benedicto XIII (Pedro Martínez de Luna) hubo un aumento significativo de la presencia de iluminadores y copistas oriundos de la península ibérica que trabajaron para cardenales y otras personas establecidas al servicio de elevadas dignidades eclesiásticas, ya que generalmente, los miembros de la nunciatura que realizaban los encargos, compartían la misma nacionalidad que los artistas51. Hacia este mercado del libro, de tintes cosmopolitas, también se dirigieron los monarcas de la Corona de Aragón. El duque de Montblanc, futuro rey Martín I de Aragón, encargó en 1396 la adquisición de manuscritos en Aviñón con el fin de abastecer la recién creada biblioteca de la cartuja de Valldecrist. El mismo monarca, escribía al papa Benedicto XIII en 1406, solicitándole una compilación de Séneca, en dos volúmenes, de la que se ignora si contenía imágenes miniadas52. Los últimos folios del misal al uso de la curia romana son fruto de la adaptación de este códice al culto específico de la basílica romana de Santa María la Mayor. Las conmemoraciones periféricas agregadas ofrecen un tratamiento estético que coincide con las formas artísticas existentes en Roma hacia 1470. La letra capital “P” inicio de la palabra “Placuit” perteneciente al introito de la misa de Santa María de las Nieves (f. 265r [CCLIXr]) es un testimonio de esta afirmación. Pese a la parquedad ornamental de la 50

PLANAS, El poder religiós cit., pp. 37-48. L. H. LABANDE, Les miniaturistes avignonnais et leurs oeuvres, en Gazette des BeauxArts 49 (1907), pp. 213-240; F. MANZARI, Contributi per una storia della minatura ad Avignone nel XIV secolo, en La vie culturelle, intellectuelle et scientifique a la cour des Papes d’Avignon, Turnhout 2006 (Textes et études du Moyen Âge, 28), p. 138; EAD., La minatura ad Avignone cit., pp. 273-284; EAD., Mobilité des artistes cit., pp. 289-302. 52 A. RUBIÓ I LLUCH, Documents per a l’estudi de la cultura catalana mig∙eval I, Barcelona 1908, pp. 340-342, doc. CCCLXXX; M.-H. JULLIEN DE POMMEROL – J. MONFRIN, La bibliothèque pontificale à Avignon et à Peñiscola, I, Roma 1991 (Collection de l’École française de Rome, 141), p. 61. 51

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inicial, se pueden establecer analogías con la decoración de algunos libros de horas iluminados en Roma, durante este período53. Miniaturistas de la Corona de Aragón al servicio de Benedicto XIII durante sus desplazamientos por el sur de Francia Después de la precipitada huida de Pedro Martínez de Luna del palacio papal, la noche del 11 al 12 de Marzo de 1403, el pontífice residió en la abadía de San Víctor de Marsella, viéndose obligado a desplazarse constantemente por Provenza y Liguria en un intento por alcanzar Roma que nunca se consumó54. Tras este estéril periplo se instaló con su curia, el mes de julio de 1411, en la antigua fortaleza de la Orden del Temple en Peñíscola55. Estas circunstancias facilitaron la existencia de contactos artísticos entre Aviñón y el escritorio establecido en el reino de Valencia. La documentación demuestra, de forma explícita, el pago por parte de Benedicto XIII, de una serie de trabajos a iluminadores relevantes, algunos de los cuales habían estado bajo sus órdenes en un período de tiempo anterior a la sustracción de la obediencia. Uno de ellos fue Sancho Gontier, miniaturista de origen hispano pero de formación boloñesa, que en 1406 acompañó a Benedicto XIII junto con los calígrafos Juan Martini, Juan Bernardi y el miniaturista Bernardo de Benevento56. Artista este último, del que existe constancia documental de su paso por Barcelona, formando parte integrante del séquito papal de Pedro Martínez de Luna57. Debido a las afinidades estilísticas señaladas con el misal objeto de este 53 V. GUÉANT, Dévotion et production de livres d’heures dans la Ville pontificale au XVe siècle, en Des Heures pour prier. Les livres d’heures en Europe meridionales du Moyen Âge a la Renaissance, textes réunis et mis en forme par CHR. RAYNAUD, Pairs 2014, (Cahiers du Léopard d’Or, 17), pp. 43-63. Con respecto a los valores formales de otros manuscritos iluminados durante este período de tiempo, vinculados con Santa María la Mayor de Roma, vide: A. DELLE FOGLIE – F. MANZARI, L’inventario dei beni della basilica conservato nell’archivio di Santa Maria Maggiore, en Humanis Divina Iuguntur. Un percorso museale della Basilica Liberiana, a cura di M. JAGOSZ, Roma 2011, pp. 51-71. 54 S. PUIG Y PUIG, Pedro de Luna último Papa de Aviñón (1387-1430), Barcelona 1920, pp. 121-134. 55 ID., Itinerari del Papa Luna de Perpiñán a Tarragona, en Miscellanea Francesco Ehrle. Scritti di storia e di paleografia, Roma 1924, III (Studi e testi, 39), pp. 130-138; M. BETÍ, Itinerario de Benedicto XIII en España 1409-1423, en Boletín de la Sociedad Castellonense de Cultura 4 (1923), pp. 54-80. 56 P. PANSIER, Histoire du livre et de l’imprimerie à Avignon du XIVe au XVIe siècle, I, Avignon 1992, p. 21; MANZARI, Mobilité des artistes cit., pp. 293-294. 57 La noticia se fecha el día 31 de Enero de 1410 y se le denomina Bernat de Benavent. Benedicto XIII había entrado con gran solemnidad en la Ciudad Condal el 29 de Septiembre de 1409, saliendo de la capital del Principado el día 18 de Junio de 1410. J. HERNANDO, Instruere in litteris, servire et docere officium. Contractes de treball, contractes d’aprenentatge i instrucció

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estudio, son más relevantes dos noticias documentales — citadas con anterioridad — referentes al destacado miniaturista y pintor barcelonés Rafael Destorrents, alias Gregori, que prueban su paso por Aviñón con el objetivo de realizar encargos para el pontífice en una etapa anterior al establecimiento definitivo de la biblioteca papal en Peñíscola58. Estos documentos son notables, porque permiten aquilatar el protagonismo ejercido por la ciudad papal en la penetración del Gótico Internacional en Cataluña. El traslado de la curia a los territorios de la Corona de Aragón no interrumpió la relación profesional mantenida entre Benedicto XIII y los calígrafos que habían estado a su servicio durante los continuos desplazamientos por el sur de Francia. Uno de los testimonios más significativos es el de Antonio Sancho de Astigia, otro el de Guillem Coma, calígrafo este último que había copiado un misal en septiembre de 140859. Esta situación también se debió reproducir entre los miniaturistas, sin embargo la documentación exhumada no permite poner en paralelo los códices adscritos directamente con el escritorio de Peñíscola y los artistas consignados nominalmente en la documentación: Simó Pere, Pere Metge, Pere Soler o Pedro Crespí, de los que se desconoce cualquier referencia estilística60. Sin duda alguna, estos artistas estuvieron inmersos en el trasvase formal existente entre los núcleos de creación artística situados en un hipotético eje norte-sur (Aviñón, Barcelona, Peñíscola y Valencia), centros que concentraron clientes de la envergadura de la monarquía, del papado o de elevadas dignidades eclesiásticas61. Las representaciones de la Epifanía (f. 1r) o el Anuncio a los pastores (f. 1v) correspondientes al primer volumen (Biblioteca Apostólica Vaticana, Vat. lat. 4764) de un misal integrado por varios volúmenes, repartidos entre de lletra, gramàtica i arts en la Barcelona del segle XV, en Acta historica et archaeologica mediaevalia 26 (2005), p. 263 nt. 33; PLANAS, El miniaturista cit., pp. 73-74. 58 Vide nt. 24. 59 Con toda probabilidad, se trata de uno de los ocho volúmenes de un misal promovido por Benedicto XIII, sobre el que incidiremos a continuación. MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., p. 296. 60 J. PLANAS, Un manuscrito desconocido perteneciente a la Biblioteca pontificia de Pedro Martínez de Luna (Benedicto XIII), en Boletín del Museo e Instituto Camón Aznar 108 (2011), pp. 285-330; EAD., Benedicto XIII y el scriptorium papal instalado en Peñíscola: nuevas reflexiones, en Il Codice miniato in Europa. Libri per la chiesa, per la città, per la corte, a cura de G. MARIANI CANOVA – A. PERRICCIOLI SAGGESE, Padova 2014, pp. 375-400; EAD., El scriptorium de Benedicto XIII y el Cisma de la Iglesia: códices iluminados en Peñíscola, en Der Papst un das Buch im Spätmittelalter (1350-1500). Bildungsvoraussetzung, Handschriftenherstellung, Bibliotheksgebrauch, Münster 2018 (Erudiri Sapientia, XIII), pp. 11-134. 61 J. PLANAS, Valence, Naples et les routes de la meditérranée: le Psautier-Livre d’Heures d’Alphonse le Magnanime, en Des Heures pour prier cit., p. 79; EAD., El miniaturista cit., pp. 69-78.

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la Biblioteca Apostólica Vaticana (Vat. lat. 4764 y 4765) y el monasterio de Montecasino (Montecassino, Archivio dell’abbazia, ms. 539), parecen responder a la intervención de un miniaturista de origen meridional, durante el intervalo temporal establecido entre el abandono del Palacio papal de Aviñón en 1403 y el asentamiento definitivo del escritorio papal en el reino de Valencia (1411)62. Estas dudas también planean sobre un breviario en dos volúmenes conservado en la Biblioteca Apostólica Vaticana (Ross. 125, pt. I-II). En su ilustración intervinieron artistas que conocían el mundo representativo francés, flamenco, italiano y de forma puntual, de la Corona de Aragón, variedad de propuestas que dificulta una cómoda adscripción del mismo a un foco artístico determinado63. La presencia de miniaturistas de la Corona de Aragón también se deja sentir en la obra Flores chronicorum catalogus pontificum romanorum. Catalogus imperatorum Romanorum. De originis prima Francorum, a la que se suman, en un solo volumen misceláneo otros textos redactados por el dominico Bernard Gui (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 267 inf.). Este manuscrito perteneció a Benedicto XIII, como revelan en la actualidad los vestigios de sus armas, visibles al trasluz que fueron raspadas en una época imprecisa, con la finalidad de eliminar cualquier referencia alusiva a su primitivo posesor64. La Cronica Guidona (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. A 267 inf.) fue copiada por Antonio Hyspanus (Antonio Sánchez de Balbuena) y en su ilustración intervinieron dos personalidades artísticas. El miniaturista más importante parafrasea las novedades estilísticas septentrionales, especialmente flamencas, manifiestas a través de un tratamiento refinado de las formas y de una elegancia cortesana inspirada en modelos aristocráticos creados en las cortes ultra pirenaicas. La segunda personalidad, traduce a unas formas más reductivas las propuestas representativas del iluminador más importante. La filiación estilística efectuada con otros ejemplares iluminados entre el sur de Francia y el reino de Valencia, en concreto con la representación de San Jerónimo perteneciente a las Vitae Summorum Pontificum. Martinus Polonus Cronica (Paris, BnF, lat. 5142, f. 102r), abogan por un proceso de iluminación realizado en el escritorio de Peñíscola, sin 62

MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 294-299. A esta serie litúrgica que en origen estaría formada por ocho volúmenes, se suma una inicial historiada con la Crucifixión, obra del Maestro de Orosio, en cuyo verso se advierte la intervención de Sancho Gontier (New York, The Metropolitan Museum of Art, 28.140), procedente de un volumen perteneciente a este mismo grupo de manuscritos. Otro volumen de este ambicioso misal encargado por Benedicto XIII ha sido identificado en el Archivo Capitular de Toledo (ms. 38.4). MANZARI, Mobilité des artistes cit., pp. 289-293. 63 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 299-325; EAD., Ross. 125/1-2, Catalogo dei Codici miniati della Biblioteca Vaticana, I, I manoscritti Rossiani, 1, cit., pp. 195-205. 64 PLANAS, Un manuscrito desconocido cit., pp. 285-330.

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descartar la posibilidad de que hubiera sido iniciado en la zona meridional francesa, por un artista de la Corona de Aragón65. Una casuística similar se reproduce en un volumen de Preparación a la misa para uso del papa Pablo II conservado en la biblioteca Capitular de Toledo (ms. 38.13), complemento litúrgico del misal en ocho volúmenes de Benedicto XIII, citado más arriba66. En su iluminación, ejecutada a instancias de Pedro Martínez de Luna, se detecta la presencia de un exquisito Sancho Gontier (ff. 1r y 22v), arropado por un equipo de miniaturistas dependiente de sus propuestas artísticas. A partir del f. 18v se asiste a un cambio en la concepción del códice. Al frente de la oración Trium puerorum (f. 22v) figuran dos ángeles tenantes con las armas del cardenal Pierre de Foix. Por su estilo, estos seres celestiales son afines a las creaciones de los miniaturistas valencianos del Gótico Internacional y se erigen en un preludio de las imágenes concebidas por Leonardo Crespí para el Salterio-Libro de Horas de Alfonso el Magnánimo (London, British Library, ms. Add. 28962). Si tenemos en cuenta que en el complejo proceso de elaboración del Salterio-Libro de Horas intervinieron varios miembros de este linaje y que entre la documentación papal, perteneciente al escritorio de Peñíscola consta en varias ocasiones Pedro Crespí en calidad de iluminador, quizás no resulte ociosa esta aproximación. Además, esta hipótesis está reforzada por el hecho de que Pedro y Leonardo Crespí habían colaborado juntos en varios proyectos artísticos67. El problema del emblema heráldico y la inscripción de Baldassare Roche En la segunda columna del f. 266v se lee la siguiente inscripción: “Iste liber est domini Baldasaris Roche beneficiati in Basilica beate Marie Maioris de Urbe et Decani Cassanensis”, caligrafiada con una bella escritura gótica formada (pl. X). 65 Ibid., pp. 285-330. Uno de los dos ejemplares correspondientes a las actas del concilio de Perpiñán, conservados en Aviñón (Bibliothèque municipale, ms. 2602) posee una bella inicial polícroma que por sus características, es análoga a la misma letra capital situada en el primer folio del Liber Instrumentorum (Valencia, Archivo Capitular, ms. 162) (c. 1414). Esta copia oficial del proceso verbal mantenido a favor de la unidad de la iglesia fue certificada por Guigon Flandin, secretario del concilio y hombre próximo a Benedicto XIII. De ser cierta esta hipótesis, nos hallaríamos frente a la intervención de otro miniaturista de la Corona de Aragón, que trabajó a las órdenes de Benedicto XIII, iluminando un documento expedido por la curia pontificia. B. VON LANGEN-MONHEIM, Le rapport sur les actes de Benoît XIII et la dernière versión de l’Informatio seriosa, en Études Roussillonnaises 24 (2009-2010), p. 81. 66 MANZARI, Mobilité des artistes cit., p. 293. 67 Otro manuscrito asociado con la biblioteca papal de Peñíscola es el texto de Iohannes de Paguera Barcinonensis, Martyrologium (París, BnF, lat. 7300B) con textos en catalán. PLANAS, Un manuscrito desconocido cit., p. 304; EAD., El scriptorium de Benedicto XIII cit., p. 116, nota 24.

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Esta inscripción identifica al posesor de este misal, después de su ingreso en la basílica de Santa María la Mayor de Roma, a la vez que tiende puntos de conexión con la abadía de Montecassino, monasterio benedictino que conserva el tercer volumen de un ambicioso misal que había sido costeado por el papa Benedicto XIII68. Esta coincidencia parece esbozar uno de los caminos seguidos por algunos manuscritos originarios de la biblioteca papal instalada en Peñíscola y su posterior traslado a la península italiana, pese a que el misal objeto de este estudio no se identifica entre los diferentes inventarios elaborados a la muerte de Pedro Martínez de Luna (1423). Después de la abdicación del efímero Clemente VIII (Gil Sánchez Muñoz), hecho que tuvo lugar en 1429, el cardenal Pierre de Foix tomó posesión de los bienes concentrados en Peñíscola69. El legado cardenalicio hizo transportar los bienes papales a Aviñón, ciudad donde residía en nombre de Martín V, con el objetivo de unirlos a la antigua colección de libros que había permanecido depositada desde 1411. De este modo, las dos colecciones de libros volvían a formar parte de las posesiones pertenecientes a los pontífices romanos. Pierre de Foix que sucedió en el cargo de legado papal a François de Conzié obispo de Narbona, remitió a Roma actas, privilegios e insignias del poder pontificio70. La actividad del legado Pierre de Foix en los territorios de la Corona de Aragón no estuvo exenta de dificultades, especialmente por el rechazo mostrado hacia su persona, al menos en un primer momento, por el rey Alfonso V de Aragón71. Los li68 MANZARI, La miniatura ad Avignone cit., pp. 294-299; EAD., Libri liturgici miniati nel palazzo di Avignone: tre serie di messali solenni per l’uso del papa, en Medioevo: la Chiesa e il Palazzo. Atti dell’VIII Convegno internazionale di studi (20-24 settembre 2005), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Milano 2007, pp. 58-65. 69 Un número indeterminado de volúmenes fue trasladado a Valencia, con el fin de entrar en los circuitos comerciales de la época y otros pasaron a formar parte de los bienes particulares de Gil Sánchez Muñoz. C. J. WITTLIN, Les manuscrits dits “del Papa Luna” dans deux inventarires de la bibliothèque de Gaspar Johan Sánchez Munyoz à Teruel, en Estudis Romànics 11 (1962) a cargo de R. ARAMON I SERRA, pp. 11-30. 70 M. DYKMANS, D’Avignon à Rome. Martin V et le cortège apostolique, en Bulletin de l’Institut historique belge de Rome 39 (1968), pp. 203-308; JULLIEN DE POMMEROL – MONFRIN, La bibliothèque pontificale à Avignon et à Peñiscola cit., pp. 50-51; A. MANFREDI, Da Avignone a Roma codici liturgici per la Cappella Papale, en Liturgia in Figura cit., p. 58. 71 Una parte de los fondos librarios procedentes de la biblioteca papal instalada en Peñíscola fueron trasladados y vendidos en Valencia, entre el mes de junio de 1426 y 1427. Algunos ejemplares fueron comprados por el capítulo valentino, otros fueron adquiridos por los monarcas Alfonso V el Magnánimo y René de Anjou y otros pasaron a manos de particulares, mediante ventas, regalos o enajenaciones. R. ROBRES LLUCH, Volúmenes procedentes de la Biblioteca Papal de Peñíscola en el Archivo de la Catedral de Valencia, en Boletín de la Sociedad Castellonens de Cultura 56 (1980), pp. 580-584; J. PERARNAU, Taules dels dos inventaris: I. De volums i de llur destí. II. De receptors de volums de la biblioteca papal de Peñíscola. III. De preus dels volums. IV. De volums identificats, en Arxiu de Textos Catalans Antics 6 (1987),

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bros pasaron a formar parte del Colegio de Foix en Toulouse, pero algunos de los volúmenes custodiados en la antigua residencia de los Papas fueron expedidos a Roma, en unas circunstancias un tanto oscuras, porque no todos los ejemplares ingresaron en las colecciones vaticanas72 e incluso otros entraron a formar parte de lo que se conoce como la “colección dispersa”73. La unidad de la biblioteca creada en Aviñón se había resquebrajado después del abandono de la ciudad papal por Benedicto XIII a manos del Papa de obediencia pisana, Juan XXIII (Baldassarre Cossa). Durante ese período turbulento los canónigos aviñoneses vendieron libros a los que les fueron sustraídos los emblemas heráldicos originales, con la voluntad de adaptarlos a la identidad de los nuevos propietarios74. Probablemente, fue en esta etapa convulsa o en la inmediatamente posterior, cuando el misal fue transportado a Roma, quizás previo paso por el monasterio de Montecassino, siendo depositado finalmente en la basílica de Santa María la Mayor, según acredita la inscripción de Baldassare Roche (f. 266v). Además, los misales son códices litúrgicos que fácilmente se regalan, se pierden o se estropean por el uso en un ambiente eclesiástico, pero también son libros muy preciados75. La permanencia de este misal en la basílica liberiana se refleja en las descripciones efectuadas por Paolo de Angelis: “Item unum Missale, quod íncipit Ordo Missalis, et ante habet unam cartam cum Gloria in excelsis, et Credo, et retro se habet Kalendarium, ante quod est benedictio aquae signalatum I”76 y en el inventario de los volúmenes que procedentes de este fondo pp. 227-291; F. AVRIL, Quelques observations sur le destin des libres et de la “bibliothèque” du roi René, en Splendeur de l’enluminure. Le roi René et les livres, Angers 2009, pp. 73-83; PLANAS, Benedicto XIII cit., pp. 392-393. 72 K. RUDOLF, Archiv und Bibliothek der Päpste im 15. Jahrhundert Untersuchungen I, en Römische Historische Mitteilungen 21 (1979), pp. 59-81; A. MANFREDI, Per la ricostruzione della biblioteca di Martino V, en Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431). Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), Roma 1992, pp. 163-185. 73 Se conservan relaciones de libros elaboradas durante este período. Sin embargo, se sospecha que algunas listas se han perdido o están incompletas y todavía existen discrepancias numéricas entre ciertos inventarios, circunstancias que dificultan una visión nítida, distorsionada además, por el proceso de disolución de esta biblioteca. A. MANFREDI, “Ordinata iuxta serenitatem et aptitudinem intellectus domini nostri pape Gregorii undecimi”. Note sugli inventari della Biblioteca papale avignonese, en La vie culturelle, intellectuelle et scientifique à la cour des papes d’Avignon, Turnhout 2006 (Textes et études du Moyen Âge), pp. 87-109. 74 MANFREDI, Da Avignone a Roma cit., p. 52. 75 T. LAGUNA PAÚL, La biblioteca de Benedicto XIII, en Benedicto XIII, El Papa Luna, VII Muestra de Documentación Histórica Aragonesa, Zaragoza 1994, p. 87. 76 Esta descripción coincide con el códice analizado, si bien se constata la ausencia de la ceremonia de bendición del agua. No obstante, en esta parte inicial del misal existen folios sesgados. P. DE ANGELIS, Basilicae S. Mariae Maioris de Urbe a Liberio Papa I usque ad

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ingresaron en la Biblioteca Apostólica Vaticana, el día 19 de Mayo de 1931, a instancias del pontífice Pío XI (1922-1939)77. Este manuscrito consta catalogado en dos ocasiones: “Messale antico. Manoscritto in pergamena (106). Scaffale 2º”78 y “Missel selon l’usage de la Curie romaine. XIV siècle. Cote ancienne: BB.II.17”79. Con respecto a Baldassare Rocca (Rocha o Roche) de Castrovillaro, la documentación exhumada informa con relativa prodigalidad sobre sus vínculos con la basílica romana de Santa María la Mayor. Rocca fue notario del capítulo, desde principios del año 147780 y ese mismo año, concretamente el día 25 de Octubre, se le cita como capellán de la basílica81. Las tareas de notario las ejerció, según la documentación exhumada, hasta el año 1517, fecha a partir de la cual desaparece su rastro, quizás coincidiendo con su óbito82. Baldassare Rocca fue testigo de excepción del proceso de construcción del espléndido artesonado que cubre la nave central de Santa María la Mayor, impulsado por el arcipreste y vicecanciller Rodrigo Borgia, futuro Alejandro VI (1492-1503)83. El día 8 de Febrero de 1499, Rocca consignó la muerte del maestro Alessandro de Tívoli, mientras “faciebat tertiam partem balchi Sanctae Mariae Maioris de Urbe versus plateam”, bajo la dirección de Antonio da Sangallo il Vecchio84. Dos noticias documentales, la primera fechada el día 9 de Noviembre de 148085 y la segunda el 25 de Enero de 148786, aluden a Rocca en calidad de Paulum V Pont. Max. descriptio et delineatio, Roma, Tipografia Bartolomaei Zannetti 1621, p. 150. Con respecto a los inventarios pertenecientes a los fondos manuscritos de Santa María la Mayor de Roma, vide: G. LOMBARDI, Inventari di biblioteche romane del Quattrocento: un panorama, en Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secolo IX-XV). Fonti, testi, utilizzazione del libro. Atti della tavola rotonda italo-francese (Roma 7-8 marzo 1997), a cura di G. LOMBARDI – D. NEBBIAI-DALLA GUARDA, Paris 2001, p. 369 n. 24. 77 P. PARODI, S. Maria Maggiore, en Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011, I (Studi e testi, 466), pp. 527-530. 78 SAXER, Sainte-Marie-Majeure cit., p. 568 n. 17. 79 Ibid., p. 589 n. 106. 80 J. COSTE, Il fondo medievale dell’Archivio di Santa Maria Maggiore, en Archivio della Società Romana di storia patria s. 3°, 27 (1975), p. 7 nt. 7, p. 19 nt. 52, p. 20 n. 13. 81 G. FERRI, Le carte dell’archivio liberiano dal secolo X al XV, en Archivio della R. Società Romana di Storia Patria 30 (1907), p. 166. 82 COSTE, Il fondo medievale cit., p. 19 nt. 52. 83 Sobre este particular: M. JAGOSZ, Arcipreti della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma dalle origini fino al 1800, Roma 2012 (Studia Liberiana 6). 84 Santa Maria Maggiore a Roma, a cura di C. PIETRANGELI, presentazione di G. ANDREOTTI, Roma 1988, p. 31. 85 FERRI, Le carte dell’archivio liberiano cit., p. 166. 86 Ibid., p. 167.

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beneficiado de la basílica de Sancte Marie Maioris de Urbe, fechas que grosso modo, coinciden con las características paleográficas de la esmerada inscripción efectuada por su mano en el f. 266v87. El desempeño de estos cargos eclesiásticos justifican, en cierta medida, la incautación del misal analizado; códice litúrgico que fue utilizado en las ceremoniosas religiosas celebradas en la basílica, como delatan los restos de manchas de cera perceptibles sobre la superficie de sus folios. La interpretación del emblema heráldico en losange que campea en el f. 9r [Ir], ha sido una tarea ardua, pero fundamental para comprender la fortuna de este manuscrito. El espacio romboidal generado por estas armas debió quedar vacío durante el período de elaboración de este misal, porque en la actualidad no existen vestigios de haber sido raspado ni repintado sobre unas armas anteriores. Esta hipótesis cobra sentido cuando se comprueba que esta figura heráldica fue utilizada con frecuencia en la Corona de Aragón y que en contrapartida, el pigmento de color azur que ocupa su campo es diferente al empleado en otras partes de este folio, de lo que se deduce que corresponde a una etapa inmediatamente posterior. Además, la densidad de esta pintura difiere del resto de la página, puesto que impregna el pergamino y sobresale por el verso del folio, circunstancia que no tiene réplica con el resto de aplicaciones de este color. El león rampante que sostiene entre sus zarpas un castillo, obedece a un tipo de concepción naturalista que se aleja de las formas artísticas del estilo internacional. La técnica empleada evidencia el uso de una pincelada sutil que modela el cuerpo del animal, mediante el uso de un pigmento conseguido con oro disuelto y no con pan de oro, como ocurre en otras zonas del mismo folio. La visión ampliada de este emblema con una lente de aumento, permite visualizar la precisión con la que se definieron los bloques de piedra del castillo y la existencia de una serie de vanos. El tratamiento pormenorizado de estos elementos no suele existir en las figuras heráldicas habituales, compuestas por superficies planas88. El decalage cronológico establecido entre la fecha de realización del misal y este emblema heráldico de difícil interpretación, solo se explica si se admite que estas armas son ficticias, fruto de una “recreación” efectuada

87 Jean Coste en su publicación del año 1975 mantenía que la mano de Rocca era fácilmente reconocible, gracias a su presencia en numerosos protocolos. A pesar de no poder corroborar este extremo, no hay dudas sobre sus cualidades como calígrafo, si se admite que la inscripción del fol. 266v surgió de su cálamo. COSTE, Il fondo medievale cit., p. 26 nt. 72. 88 Estas precisiones técnicas se realizaron gracias al análisis efectuado por Ángela Núñez, restauradora de manuscritos de la Biblioteca Apostólica Vaticana, a la cual desde estas líneas deseamos hacer llegar nuestro reconocimiento.

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por Baldassare Rocca de Castrovillaro, a fin y efecto de legitimar la posesión de un códice que en origen no le pertenecía. En definitiva, el misal al uso de la curia romana de la Biblioteca Apostólica Vaticana procedente del fondo de Santa Maria Maggiore fue confeccionado para un promotor de la Corona de Aragón, vinculado con la curia cismática de Pedro Martínez de Luna (Benedicto XIII). Este misal plenario, iluminado por un miniaturista catalán, en una fase en la que la ciudad de Aviñón concentraba elevadas dignidades eclesiásticas, diplomáticos o ricos mercaderes de diversas procedencias, es un fiel reflejo de carácter cosmopolita de la ciudad papal. Este artista anónimo es un miniaturista cercano a las realizaciones de Rafael Destorrents, el máximo exponente del Gótico Internacional en Cataluña, del que conocemos sus desplazamientos desde Barcelona a Aviñón para realizar encargos del pontífice aragonés. El posterior traslado a Roma y su adaptación a los cultos de la basílica liberiana, seguramente a iniciativa de Baldassare Rocca de Castrovillaro, perfilaron definitivamente el contenido de este misal, claro exponente de las relaciones existentes entre la Corona de Aragón y la curia pontificia durante los años del Cisma de la Iglesia.

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Pl. I – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 9r [f. Ir]: incipit de la I dominica de Adviento.

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Pl. II – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 17r [f. IXr].

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Pl. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 40r [f. XXXIIr].

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Pl. IV – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 105r [f. XCVIIr].

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Pl. V – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 142v [f. CXXXVIv].

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Pl. VI – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 136v [f. CXXXv]: Elevación de la Sagrada Forma.

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Pl. VII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 136v [f. CXXXv]: Elevación de la Sagrada Forma (detalle de la inicial).

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Pl. VIII – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 193r [f. CLXXXVIIr]: San Pedro y San Andrés.

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Pl. IX – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 193r [f. CLXXXVIIr]: detalle del margen inferior del folio.

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Pl. X – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Maria Magg. 106, f. 266v: inscripción de Baldassarre Roche.

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UN MAGNIFICAT A OTTO VOCI COMPOSTO DA NICOLA PORPORA PER IL CARDINALE ENRICO STUART DUCA DI YORK (VAT. MUS. 583) La biblioteca del seminario vescovile di Frascati1, istituita dal cardinale Enrico Benedetto Clemente Maria Stuart2, nei giorni 2, 3 e 11 marzo del 1944 fu trasferita, insieme all’archivio della curia di Frascati, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, al fine di tutelare il patrimonio librario superstite, trovatosi pericolosamente esposto in seguito agli avvenimenti bellici occorsi nella città. I manoscritti della collezione confluirono nel fondo dei Vaticani latini (Vat. lat. 12901, 12907, 13052, 13254-13255, 14935-14938, 14948-14949, 15120-15169) fatta eccezione per l’unico testimone musicale, il Magnificat a otto voci di Nicola Porpora, che fu collocato nel fondo dei Vaticani musicali (Vat. mus. 583)3. Si tratta, secondo l’indicazione presente nel recto della prima carta del manoscritto, di un’opera composta «per espresso, e venerato comando» dell’ultimo rappresentante della casa reale Stuart, dinastia inglese di fede cattolica che aveva trovato accoglienza a Roma, presso papa Clemente XI, in seguito agli effetti dell’approvazione, in Inghilterra, della Bill of rights4, una carta di diritti che vietava il regno a 1 Sulla biblioteca si vedano i saggi nel catalogo della mostra tenutasi a Frascati in occasione del bicentenario della morte di Enrico Stuart La biblioteca del Cardinale, Enrico Benedetto Clemente Stuart Duca di York a Frascati 1761-1803, a cura di G. CAPPELLI e M. BUONOCORE, Roma 2008, nonché M. BUONOCORE, Per un’edizione dell’Inventario dei manoscritti e libri a stampa del Cardinale Henry Stuart Duca di York alla Biblioteca Apostolica Vaticana (Vaticani latini 14948-14949, 15169), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 9 (2001) (Studi e testi, 409), pp. 7-33. 2 Per la biografia di Enrico Stuart si veda A. SHIELD, Henry Stuart, cardinal of York and his times. With an introduction by Andrew Lang, London – New York 1908; P. BINDELLI, Enrico Stuart cardinale duca di York, Frascati (RM) 1982. 3 M. BUONOCORE, La biblioteca del Cardinale Henry Stuart Duca di York dal codice Vaticano latino 15169, Città del Vaticano 2007 (Studi e testi, 440), pp. 23-24. 4 Sulle origini di questa dichiarazione dei diritti politici e civili accettata da Guglielmo d’Orange e Maria II Stuart contestualmente all’atto di ricevere la corona dal parlamento inglese, dopo la deposizione di Giacomo II nel 1689, con la quale ebbe origine la prima monarchia i cui poteri erano costituzionalmente limitati, si veda L. W. LEVY, Origins of the Bill of Rights, Yale 1999. Il documento, oltre al divieto di regnare nei confronti di monarchi cattolici o coniugati con un cattolico, stabiliva che il sovrano non potesse sospendere leggi, imporre tributi o mantenere un esercito stabile in tempo di pace senza l’approvazione del Parlamen-

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 587-604.

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monarchi cattolici o coniugati con un cattolico e dopo la revoca del diritto di asilo da parte di Luigi XIV, re di Francia. Nato a Roma il 5 marzo 1725, Enrico Benedetto Maria Clemente Tommaso Francesco Xavier Stuart fu battezzato da Benedetto XIII, del quale gli venne imposto il secondo nome. Principe di Inghilterra e Scozia, cardinale della Chiesa Cattolica, appellato dai giacobiti come Enrico IX e I, re di Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia (1788-1807), Enrico, figlio di Giacomo Francesco Edoardo Stuart, conosciuto come il “Vecchio Pretendente” (The Old Pretender) e di Maria Clementina Sobieski, figlia del principe Giacomo Sobieski e nipote del re Giovanni III di Polonia (colui che nel 1683 aveva salvato Vienna dall’invasione dei Turchi), fino alla morte (avvenuta nel 1788) del fratello maggiore Carlo Edoardo (Bonnie Prince Charlie, o anche The Young Pretender) veniva appellato — come attestato anche nell’intitolazione del manoscritto del Magnificat — duca di York, titolo nobiliare di pari del regno della Gran Bretagna spettante al maschio secondogenito dei sovrani d’Inghilterra. Nel 1747 papa Benedetto XIV lo creò cardinale e nel 1748 lo ordinò sacerdote: per la carriera ecclesiastica, iniziata ad appena ventidue anni con l’elezione al cardinalato, Enrico aveva optato anche in conseguenza della situazione dinastico-famigliare. Motivato senza meno da un autentico sentimento religioso — come ebbe modo di dimostrare durante il suo ministero — il fallimento delle azioni politiche e militari intraprese da suo padre e da suo fratello nella riconquista del trono lo avevano convinto ad abbandonare ogni aspettativa in tal senso per seguire, piuttosto, la sua vocazione. L’elevazione alla porpora di Enrico aveva provocato, peraltro, una frattura — in seguito ricomposta — dell’equilibrio familiare, poiché il primogenito della casa, Carlo Edoardo, aveva accusato il fratello di averlo lasciato solo nel perseguimento della comune causa dinastica. Nel 1761 Enrico fu nominato vescovo della diocesi suburbicaria di Frascati (Tusculum): la sua opera non si limitò alla cura della cattedrale e delle altre chiese — che pure furono dotate di numerosi e preziosi arredi liturgici — ma, attraverso imprese di recupero edilizio o di finanziamento, al sostentamento di diversi istituti per fini didattico-assistenziali. Il principale impegno dello Stuart fu rivolto verso la riorganizzazione del seminario Tuscolano, che si rese possibile quando nel 1770, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, l’istituto venne nuovamente posto alle dipendenze del vescovo diocesano. Oltre 100.000 scudi vennero spesi dal cardinale per il seminario, con interventi e donazioni personali continue, volte non solo al miglioramento della vita comunitaria, ma anche alla to; che i membri del Parlamento fossero eletti liberamente e godessero di piena libertà di espressione e di discussione; che non vi fossero limitazioni di libertà per i sudditi protestanti.

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dotazione di nuovi arredi, al restauro degli ambienti, all’incremento della biblioteca e allo sviluppo dell’attività della tipografia annessa. Dal 1803 Enrico, sebbene nominato vescovo di Ostia e Velletri e decano del Sacro Collegio, continuò a vivere nel palazzo episcopale di Frascati, dove morì il 13 luglio del 1807, essendo stato cardinale per oltre sessanta anni. Complesso e radicato, ancor prima della nascita di Enrico, era presso la corte giacobita il ruolo della musica: elemento insostituibile della socialità in grado di intrattenere anche i membri delle più importanti famiglie, costituiva allo stesso tempo un fondamentale fattore di aggregazione che univa i cortigiani al sovrano de iure d’Inghilterra. Dopo che i reiterati tentativi di reperimento di soggetti disposti a finanziare l’invasione dell’Inghilterra e la restaurazione della casa Stuart non avevano dato i frutti sperati e la condizione transitoria dell’esilio era divenuta una situazione definitiva, la corte si radicò in Roma, rimanendo comunque fondamentalmente inserita, soprattutto dal punto di vista sociologico, nel complesso quadro politico-religioso delle relazioni internazionali europee della prima metà del diciottesimo secolo. Nell’Urbe gli Stuart erano giunti dopo che Giacomo III aveva ottenuto, nella visita resa a Clemente XI tra il maggio e il luglio 1717, l’assegnazione da parte del papa del palazzo ducale di Urbino come residenza. Il trasferimento a Urbino aveva segnato effettivamente una svolta nella vita della corte, che però non aveva tardato a mostrarsi presto piuttosto insofferente anche nei confronti di quella collocazione. Fu pertanto in virtù degli avvenimenti legati alle nozze con Maria Clementina che Giacomo, dopo aver inutilmente tentato di ottenere dal pontefice l’adattamento di Castel Gandolfo a sua nuova dimora, optò per una residenza in Roma, con il compiacimento dei cortigiani. Già dai tempi della permanenza della corte in Urbino la musica era divenuta rapidamente la migliore forma di intrattenimento che il re offriva ai cortigiani: per un breve tempo, durante il 1718, «Urbino divenne uno tra i più importanti centri musicali dello Stato Pontificio»5. L’attività musicale aveva subito un incremento in seguito all’arrivo del duca di Mar (uno dei nuovi servitori scozzesi), il quale aveva portato con sé numerosi manoscritti di musica “nuova”, in particolar modo arie tratte proprio dalle opere di Nicola Porpora, come pure da quelle di Antonio Vivaldi6. Le musi5 E. CORP, I giacobiti a Urbino 1717-1718. La corte in esilio di Giacomo III re d’Inghilterra, Bologna 2013 (edizione italiana a cura di Tommaso di Carpegna Falconieri), p. 131. 6 Alcuni pezzi, in seguito portati in Scozia, si sono conservati proprio grazie alla raccolta organizzata a Urbino in una biblioteca di partiture di valore: è il caso, come ricorda CORP, I giacobiti a Urbino cit., p. 134, di alcune arie tratte da La costanza trionfante di Vivaldi che «non sopravvivono in alcun’altra fonte». L’iniziativa del duca di Mar trovò ampio favore presso Giacomo e la biblioteca musicale, purtroppo dispersa, era costituita da numerose opere di

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che portate a corte da Mar, di stile italiano, orientarono in una dimensione nuova le preferenze musicali di Giacomo, favorendo la transizione della considerazione reale dall’opera francese, maturata in precedenza durante l’esilio di Saint-Germain, a quella italiana, quasi certamente anche per un fattore politico-religioso: l’opera italiana, infatti, proprio in quanto considerata contigua al sentire cattolico romano, in Inghilterra era stata sostituita da arie e soprattutto oratori, con chiaro intento anticattolico nonché antigiacobita. Ad ogni modo, poiché — quantunque la musica contribuisse all’intrattenimento dei membri della corte — costoro continuavano a mostrarsi insoddisfatti della sistemazione urbinate, l’eventualità di un trasferimento in un luogo più soddisfacente era stata considerata indispensabile, soprattutto in vista del matrimonio di Giacomo. Quest’ultimo, anche se in alcune occasioni precedenti il papa era stato poco incline ad esporsi in suo favore, riuscì a sfruttare i rapporti, mantenuti solidi, sia con il pontefice che con alcuni cardinali (in vista della eventuale successione), come pure con gli esponenti di varie famiglie nobili romane. Roma era pertanto la migliore sede dell’esilio di Giacomo, il quale continuava comunque a sperare nella restaurazione, confidando soprattutto nell’aiuto finanziario e militare della Spagna. All’inizio del 1719, durante la Guerra della Quadruplice Alleanza, fu progettata l’invasione dell’Inghilterra, che avrebbe dovuto restituire il trono a Giacomo: tuttavia la flotta spagnola venne distrutta dalle tempeste e la restaurazione sfumò. In questo contesto le vicende legate al matrimonio del re ne favorirono l’insediamento definitivo in Roma. L’imperatore, infatti, dietro pressione di Giorgio I, il quale era determinato ad impedire il matrimonio, aveva fatto arrestare la futura sposa e sua madre, Elisabetta di Neuburg, in viaggio verso l’Italia. Giacomo, che nel frattempo aveva già lasciato Urbino per incontrarsi segretamente con Maria Clementina per celebrare il matrimonio, non vi volle più tornare, cercando in ogni modo di ottenere una sistemazione a Roma. Nonostante il fallimento del tentativo spagnolo, che aveva segnato una battuta d’arresto nei progetti di Giacomo, dopo la liberazione di Maria Clementina il matrimonio fu celebrato nel settembre 1719 nel palazzo episcopale di Montefiascone. Con il beneplacito del pontefice, infine, Giacomo e la sua corte poterono trasferirsi stabilmente nel palazzo Muti, sito in Piazza Santi Apostoli, che sarebbe divenuto l’ultima dimora del re, della famiglia e della corte in esilio. compositori italiani, come nota Corp, Music at the Stuart Court at Urbino. 1717-18 in Music and Letters 81 (2000), p. 357: «James III and the Duke of Mar continued to build up their library of music. Thirty-six arias were brought back from Fano, and further works were soon sent from Rome, including extracts from operas by Domenico Scarlatti, Nicola Porpora and Giuseppe Maria Orlandini, as well as by Mancini and Gasparini».

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Se l’interesse per la musica di Giacomo fu essenzialmente strumentale alla valenza sociale dei trattenimenti musicali, tanto privati quanto — a maggior ragione — pubblici, sua moglie mostrò sempre una vera passione per la musica. Nella residenza romana degli Stuart Maria Clementina era solita offrire concerti per l’esecuzione dei quali ingaggiava i migliori cantanti e musicisti, non disdegnando di esibirsi personalmente, talvolta, nel canto o agli strumenti; già all’indomani dello stabilimento in Roma, inoltre, aveva cominciato a recarsi nei teatri dell’Urbe, divenendone ben presto presenza ambita e poi patrona. Alla fine del 1720 il Teatro d’Alibert dedicò a Maria Clementina il dramma per musica intitolato Il Faramondo7 (libretto di Apostolo Zeno, musica di Francesco Gasparini): poiché però la consorte di Giacomo si trovava nelle ultime settimane di gravidanza, l’impresario del teatro, il conte Antonio d’Alibert, organizzò una rappresentazione nel palazzo romano residenza della corte: «Comminciate la sera di S. Stefano le prime doglie leggere alla Maestà della Regina d’Inghilterra Clementina Subieski, verso le ore due e tre quarti dell’orologia italiano, mentre si procurava vestirla in presenza di molte signore Principesse e Noblità numerosa di 100 e più persone, colla prova dell’opera che deve farsi al Teatro del Sig. Conte d’Alibert, furono avvertiti il dì seguente li Sign. Cardinali, le Sign. Principesse, li Signori Prelati, il Magistrato di Roma e tutti gli altri Personaggi scelti per l’assistenza del parto di Sua Maestà la Regina, la quale non sentì molto accresciute le doglie, se non la sera del 30, quando furono di nuovo avvertiti gli Assistenti sul tardi per rendersi alla di lei Abitazione»8. Tra il 1721 e il 1730 risultano dedicate a Maria Clementina dal Teatro d’Alibert, in seguito denominato Teatro delle Dame, le seguenti opere: Eumene, libretto di Apostolo Zeno, musica di Nicola Porpora, 17219 Flavio Anicio Olibrio, libretto di Apostolo Zeno e Pietro Pariati, musica di Nicola Porpora, 172210 Adelaide, libretto di Antonio Salvi, musica di Nicola Porpora, 172311 Scipione, libretto di Apostolo Zeno, musica di Luca Antonio Predieri, 172412 7 S. FRANCHI, Drammaturgia Romana, II: 1701-1750, Roma 1997 (Sussidi eruditi, 45), p. 162. 8 Diario di Roma (4 gennaio 1721), riportato da A. DE ANGELIS, Nella Roma Papale. Il teatro Alibert o delle Dame (1717-1863), Tivoli (RM) 1951, p. 137. 9 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 175. 10 Ibid., p. 186. 11 Ibid., p. 194. 12 Ibid., p. 204. Nello stesso anno anche il Teatro della Pace dedicò un’opera a Maria

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Il Valdemaro, libretto di Apostolo Zeno, musica di Domenico Natale Sarro, 172613 Siroe Re di Persia, libretto di Pietro Metastasio, musica di Nicola Porpora, 172714 Artaserse, libretto di Pietro Metastasio, musica di Leonardo Vinci, 173015. Nel 1721, per decisione autonoma o altrui, Antonio d’Alibert, in considerazione delle crescenti difficoltà finanziarie, aveva deciso di rivolgersi a Nicola Antonio Porpora16, all’epoca già affermato compositore, nonché esponente più rappresentativo della scuola napoletana, prossima all’egemonia17. Il musicista ebbe dunque modo di conquistare anche il pubblico romano, nonché di far debuttare nell’Urbe il suo ex allievo Carlo Broschi, il leggendario Farinelli18; ma soprattutto, ottenuto il favore di Maria Clementina, Porpora fu incaricato di comporre la musica di ben quattro tra le sette opere a lei dedicate, negli stessi anni in cui venivano alla luce Carlo ed Enrico Stuart, ai quali dunque fin dalla nascita venne infuso dalla madre un profondo amore per la musica. Insegnante di canto e di composizione, maestro di cappella in diverse istituzioni, nato a Napoli il 17 agosto 1686 da Caterina di Costanzo e dal libraio Carlo, titolare di una bottega in S. Biagio dei Librai sita accanto a quella di Antonio Vico, padre di Giovan Battista, Nicola svolse la sua attività tra Napoli, Venezia, Londra, Dresda e Vienna. La sua fama è legata Clementina, Partenope, libretto di Silvio Stampiglia, musica di Domenico Sarro (FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 205). 13 Ibid., p. 218. 14 Ibid., p. 228. 15 Ibid., p. 264. 16 Per la biografia di Nicola Antonio Porpora si veda F. WALKER, A Chronology of the Life and Works of Nicola Porpora, in Italian Studies 6 (1951), pp. 29–62; U. PROTA-GIURLEO, Per una esatta biografia di Nicolò Porpora, in La Scala 86 (1957), pp. 21-29, nonché K. MARKSTROM, Porpora, Nicola Antonio Giacinto, in DBI, 85, Roma 2016, pp. 41-46. 17 E. ZANETTI, La presenza di Francesco Gasparini in Roma. Gli ultimi anni (1716-1727), in Francesco Gasparini (1661-1727). Atti del primo convegno internazionale, a cura di F. DELLA SETA e F. PIPERNO, Firenze 1981, p. 269. 18 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 181, n. 284, sottolinea che Broschi «era qui al suo vero debutto teatrale (aveva 17 anni!), avendo in precedenza cantato (a Napoli) in serenate, oratori, e in un melodramma di Sarro (Andromeda, 1721) rappresentato privatamente per nozze. Ebbe subito gran successo. Certo il suo lancio fu dovuto a Porpora, che era stato suo maestro e che aveva dall’anno prima la direzione musicale dell’Alibert; fu un atto di coraggio fare esordire il giovanissimo sopranista nei ruoli di prima donna sulle scene di uno dei maggiori teatri d’Italia: evidentemente le audizioni in cui Porpora lo presentò ai nuovi gestori del teatro furono del tutto convincenti».

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fondamentalmente alla produzione teatrale, che annovera circa sessanta opere, ma scrisse anche musica sacra e da camera, sia vocale che strumentale19. In qualità di convittore, dietro pagamento — grazie alle condizioni benestanti della famiglia — di una retta di diciotto ducati annui frequentò dal 1696 il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, nel quale ricevette anche una istruzione letteraria, come d’uso nei conservatori napoletani. Già dopo tre anni circa dal suo ingresso nell’istituto era in grado di mantenersi agli studi da solo, non pagando più la retta ma prestando invece servizi musicali nelle funzioni esterne, attività che costituivano uno dei redditi del conservatorio stesso. Porpora esordì sulle scene pubbliche all’età di ventidue anni con l’Agrippina, rappresentata il 4 Novembre 1708 al Palazzo Reale e successivamente, il 13 novembre, al Teatro S. Bartolomeo. Dal 1711 al 1723 fu maestro di cappella del principe Filippo d’Assia Darmstadt, appassionato musicista e mecenate; nel 1713 nel libretto Basilio Re d’Oriente risulta maestro di cappella dell’ambasciatore del Portogallo. Dal luglio 1713 al 1722 fu attivo come maestro presso il Conservatorio di S. Onofrio, ma già dal 1712 si era dedicato all’insegnamento privato del canto; dalla sua scuola, in questo periodo, uscirono i più celebrati cantanti dell’epoca: in primo luogo il sopra ricordato Carlo Broschi, ma anche Antonio Hubert, detto Porporino, Gaetano Majorano (poi Caffarelli), Felice Salimbeni20. Tale indiscutibile capacità didattica di Porpora, degli insegna19 Nonostante la scarsa fortuna delle sue opere dopo la morte, il talento di Porpora — se si eccettuano alcuni giudizi negativi, relativi peraltro quasi esclusivamente all’ultima fase produttiva — ebbe vasta risonanza, come attestato dal suo profilo di G. GROSSI, Iconografia italiana degli uomini e delle donne celebri dall’epoca del Risorgimento delle scienze e delle arti fino ai nostri giorni, IV, Milano 1843, p. 2: «Questo gran maestro conosceva a fondo le teorie de’ suoni. Conosceva con chiarezza i rapporti numerici delle vibrazioni dei corpi sonori, e le leggi e i fenomeni ch’essi offrono. Conosceva le leggi della propagazione del suono, ed era anche buon conoscitore della parte acustica che riguarda la sensazione del suono e l’organo dell’udito. Ecco perché possedeva in grado eminente l’abilità di accompagnare al cembalo: cosa molto più difficile di quello che credesi comunemente, e che da rarissimi maestri si possiede con perfezione. Egli anche si distingue nelle sue composizioni pel grande e serio. Profondissimo nella teorica e nella pratica del contrappunto, arricchì la chiesa, la camera e la scena de’ suoi capi d’opera. (…) Ma nel recitativo vien riguardato come modello. Padre e fondatore di questo nuovo modo di cantare, fu colui che rinvenne la vera declamazione musicale. I più grandi compositori l’han sempre riguardato come modello dell’arte del piacere melodico; e i Sommi Pontefici credevano di fare un dono molto gradito ai Principi allora quando lor davano un’opera originale di Porpora». 20 A testimonianza della stima diffusa ancora nella seconda metà dell’Ottocento nei confronti delle capacità di insegnamento del canto di Porpora è la pubblicazione, nel 1858 a Londra, dei Porpora’s elements of Singing. Adopted by Righini and alla eminent Masters since his time. Extracted from the Archives at Naples. Marcia Harris, l’insegnante di canto che ne curò l’edizione, affermava che tutti gli esercizi erano stati esemplati sugli autografi del maestro, indicandoli come essenziali per ogni studente di canto. Ancora attualmente, infine, a conferma della validità degli insegnamenti del maestro, presso i corsi di prassi esecutive e re-

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menti musicali del quale purtroppo non si sono sinora rinvenuti appunti o testimonianze superstiti, è riverberata però in qualche modo nel primo dei due volumi del libro intitolato The Singers preceptor, pubblicato a Londra nel 1810 da Domenico Corri21, ex allievo del compositore. Di sicuro interesse è, del resto, la testimonianza offerta da Corri nei cenni autobiografici che aprono la sua opera: «After having continued my studies for some time under Urisicchio and Lustrini, I repaired to Naples for the purpose of obtaining instruction from the celebrated Porpora, who, it was reported, had arrived in that city. This was the famous Professor who, during his residence in England, had the contest of musical talent with Handel, which occasioned much talk at the time, and became the subject of many able pens. At Naples I lived and boarded with Porpora for five years, attended with great expense to my parents, and at his death returned again in Rome. The name of my Preceptor Porpora was a great weight and service in my introduction to the first society in Rome; among whom were then residing many English noblemen and gentlemen, to whom I had soon the honour of becoming known, namely, the Duke of Leeds and Dorset; Mess.rs Harley, Jones, Lighton, Hanbary, Sir William Parsons, &c. &c. and particularly my highly-esteemed friend Dr. Burney. These fortunate connections contributed to place me in a situation consonant to my wishes and interest, being appointed to conduct the Concert parties, which then took place among the Roman and English nobilty. The period was the pontificate of Ganganelli, who was the friend of Prince Charles, the pretender, brother of Cardinal York: that prince frequently gave entertainments and concerts to the nobilty, the conducting of which was also assigned to me. With Prince Charles I had, previously to this period, lived two years, during which time he had kept entirely private, not seeing any one whatever, it being the reign of the preceding Pope, who had refused to acknowledge the title he assumed. In this retired life Prince Charles employed his hours in exercise and music, of which he was remarkably fond. I usually remained alone with him every evening, the Prince playing the violoncello, and I the harpsicord, also composing together little pieces of music; yet these tete à tete were of a sombre cast; the apartment in pertori di canto rinascimentale e barocco di alcuni conservatori di musica in Italia risultano in uso i suoi 25 vocalizzi ad una voce e a due voci (fugate) con accompagnamento di cembalo o pianoforte, a cura di P. M. BONOMI, Milano 1997 (ristampa). 21 Corri, nato a Roma il 4 ottobre del 1746, nel rivolgersi al pubblico della sua opera afferma di essere stato allievo di Porpora dal 1763 fino alla morte del maestro. Dopo aver studiato sia canto che composizione fece il suo debutto a Roma nel 1770, ove le relazioni stabilite con alcuni influenti inglesi gli ottennero, l’anno seguente, l’invito alla conduzione della Musical Society di Edimburgo. Ottenuto ampio consenso come direttore, compositore, insegnante di canto, impresario ed editore musicale, a causa delle azioni poste in essere dai creditori contro di lui per il pagamento dei debiti contratti per lo sviluppo della sua attività, nel 1790 riparò a Londra, ove dopo aver esercitato l’attività di editore musicale, il 22 maggio 1825 morì.

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which we sat was hung with old damask, with two candles only, and on the table a pair of pistols, (instruments not at all congenial to my fancy,) which he would often take up, examine, and again replace on the table; yet the manners of this Prince were always mild, affable, and pleasing»22.

Nel 1723 Porpora si recò a Vienna, senza però ricevere particolari commissioni; fu poi a Venezia, dove dal 1726 al 1733 insegnò nella scuola di musica femminile dell’Ospedale degli Incurabili. All’epoca ormai già celebre, le sue opere venivano costantemente rappresentate nei teatri di Monaco, Roma, Vienna, Milano e Torino. Nel 1733 concorse insieme a Lotti (in seguito vincitore) e Pollarolo per il posto di maestro di cappella in San Marco; nello stesso anno venne chiamato a Londra, ove in qualità di compositore presso l’Opera of the Nobility si confrontò con Händel, direttore della Royal Academy of Music, impiegando un gruppo di virtuosi (tra i quali Farinelli e Senesino). Lasciata Londra alle prime avvisaglie di decadenza dello stile da lui proposto, fece brevi soste a Venezia (1737) e Roma (1738) per rientrare a Napoli nell’ottobre 1738. Qui compose per il nuovo Teatro S. Carlo, ma anche per il Nuovo e il Teatro dei Fiorentini, che gli commissionarono due opere buffe, rispettivamente Il Barone di Zampan e L’Amico Fedele; contemporaneamente ricoprì la carica di primo maestro al S. Onofrio, fino a quando non accettò, nel 1742, la direzione del coro dell’Ospedaletto dei SS. Giovanni e Paolo in Venezia. Resosi vacante il posto di primo maestro della Regia Cappella di Napoli, tentò di ottenerlo tramite suppliche al re. Non potendo però recarsi personalmente a Napoli per sostenere le prove, oltremodo amareggiato per il rifiuto alle sue ulteriori lettere di supplica, Porpora seguì l’ambasciatore veneziano prima a Vienna e poi, nel 1747, a Dresda, preferendo scrivere musica sacra piuttosto che melodrammi. Nel 1748 venne nominato Kapellmeister; tre anni dopo gli venne assegnata una pensione di quattrocento talleri l’anno, con la quale si mantenne a Vienna, dove lo si ritrova dal 1752. Durante il suo soggiorno viennese Porpora si dedicò soprattutto alla scrittura di composizioni strumentali (dodici sonate per violino e cembalo, 1754) e all’insegnamento del canto, avendo tra i suoi allievi il giovane J. H. Haydn. Quando per la sconfitta della Sassonia nella Guerra dei Sette Anni Porpora perdette la pensione di cui godeva, si trovò ad essere, come attestato dalla premura del Metastasio23, del tutto privo di mezzi di sostentamento: il poeta invitò 22 Il testo è tratto dalla riproduzione facsimilare dell’opera di Corri contenuta in The Porpora Tradition, edited by E. FOREMAN, Champain (IL) 1968 (Masterworks of singing 3), p. 20. 23 Porpora aveva accolto subito la nascente poetica arcadica, mettendo in musica la prima produzione drammatica del giovane Metastasio, la serenata a 6 voci Angelica e Medoro (1720) — in cui si esibì il quindicenne Carlo Broschi — e la serenata Gli Orti Esperidi (1722).

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Farinelli a chiedere al re di Spagna un modesto sussidio per il maestro, il quale ormai non godeva più del favore del pubblico di molti teatri europei. Tornato a Napoli nel 1758, l’ormai anziano compositore accettò il posto di maestro straordinario al Conservatorio di S. Maria di Loreto, che mantenne sino all’aprile del 1760, per passare poi a S. Onofrio. Dimessosi nel settembre del 1761, Porpora visse in uno stato di estrema indigenza fino alla morte, avvenuta il 3 marzo 1768 in seguito alle complicazioni di una pleurite. Le spese per i funerali vennero sostenute dalla Congregazione dei Musici dell’Ecce Homo ai Banchi Nuovi di Napoli. Nonostante il successo riscontrato in Roma dalle opere di Porpora, nel 1722 la situazione debitoria del teatro non era risolta, pertanto al conte d’Alibert si affiancarono — per subentrare in seguito definitivamente — nella gestione alcuni impresari esterni (indicati nel libretto del Flavio Anicio Olibrio come «gl’interessati del teatro»), i quali si adoperarono per risollevare le sorti finanziarie dell’impresa. A tal fine costoro puntarono ad ottenere il patronato degli Stuart, dedicando a Giacomo la Sofonisba (libretto di Francesco Silvani, musica di Luca Antonio Predieri24) e — come si è visto — a Maria Clementina il Flavio Anicio Olibrio: «Madama, Dal magnanimo sguardo, e dal clementissimo Core della M. V. affidato, comparirà sù le Scene il Flavio Anicio Olibrio; E siccome Roma godè in quei tempi riacquistare dal di lui valore la perduta libertà, così mercè l’alto Patrocinio della M. V., di cui presentemente và adorno, speriamo unitamente far palese all’Universo l’immenso giubilo, che ci ridonda dalla sua Reale assistenza nel confermarci con profondissimo inchino Di V. Maestà, Umilissimi, Divotissimi, Ossequiosissimi, Servitori Gl’Interessati del Teatro»25. L’operazione ebbe esito felice e con il sostegno di Giacomo e di Maria Clementina l’attività del teatro poté proseguire, mentre la fama di Porpora non cessava di accrescersi. Alla morte della madre, avvenuta il 18 gennaio 1735, Carlo ed Enrico — rispettivamente in età di quindici e nove anni — erano non solamente appassionati di musica, ma musicisti dilettanti essi stessi26: secondo la testimonianza di Charles de Brosses relativa al suo soggiorno a Roma 24

FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 186. Flavio Anicio Olibrio, Roma 1722, pp. 3-4. 26 E. CORP, The Stuarts in Italy, 1719-1766. A royal court in permanent exile, Cambridge 2011, p. 251, ritiene che maestro di violoncello di Carlo fu Giovanni Costanzi (più noto come Giovannino del Violoncello, fino al 1740 a servizio di Pietro Ottoboni) mentre insegnante di canto di Enrico fu Domenico Ricci, castrato originario di Fano (così si legge nel libretto del Ciro riconosciuto di Metastasio, con musica di Rinaldo di Capua, rappresentato al Tordinona nel 1737), probabilmente allievo di Francesco Gasparini. Ricci risulta presente in tutte le opere rappresentate al Tordinona tra il 1735 e il 1737. 25

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dall’ottobre del 1739 all’aprile del 1740, Enrico cantava magnificamente arie italiane con la sua splendida voce di fanciullo27. Giacomo, anche dopo la scomparsa di Maria Clementina, continuava sia a offrire nella sua residenza, soprattutto ad alti prelati e altri esponenti della corte pontificia, concerti con i più importanti musicisti presenti in Roma, sia a patrocinare l’opera in musica, con un impatto di notevole rilevanza nella vita musicale della città28, senza tuttavia mancare di interessarsi anche all’opera seria, come dimostra il suo precipitoso rientro a Roma dalla residenza di Albano nel 1735 per la prima, al teatro Tordinona, dell’Olimpiade di Pergolesi, di cui volle assistere a ben altre cinque repliche, una delle quali in compagnia dei figli29. Proprio a entrambi i principi Stuart fu dedicato il S. Maurizio e Compagni martiri30, messo in scena a Civitavecchia il 28 aprile 173631. Tra il 1740 e il 1743 Giacomo, Carlo ed Enrico frequentarono con grande assiduità il teatro32; a Enrico, in quegli anni, furono dedicate le seguenti opere: Siroe, libretto di Pietro Metastasio, musica di Gaetano Latilla33, 174034 Semiramide riconosciuta, libretto di Pietro Metastasio, musica di Giovanni Battista Lampugnani, 174135 Tito Manlio, libretto di Gaetano Roccaforte, musica di Gennaro Manna, 174236 Merope, libretto di Apostolo Zeno, musica di Domenico Terradellas, 174337 27

C. DE BROSSES, Lettres d’Italie, II, p. 81, riportato da CORP, The Stuarts in Italy cit., p. 251: «The young princes both have a passion for music, and are very knowledgeable about it; the elder boy plays the cello very well; the younger one sings Italian arias in a lovely little child’s voice in the best of taste». 28 Ibid., p. 213: «Indeed the two decades of the 1730s and 1740s were the heyday of the Stuart court in Rome, when the Palazzo del Re was at its most splendid and when the Stuarts themselves made their greatest impact on Roman society». 29 Ibid., p. 270. 30 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 288; C. SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, V, Cuneo 1992, n. 20564. 31 F. BARBARANELLI, E. CIANCARINI, Civitavecchia e il teatro: rappresentazioni e teatri dal XVIII secolo ad oggi, Roma 2015, p. 24. 32 Nel 1739 furono rispettivamente dedicati a Giacomo l’Achille in Aulide (musica di Geminiano Giacomelli) e a Carlo il Vologeso re de’ Parti (musica di Rinaldo da Capua). 33 La prima opera a cui nel 1737 l’appena dodicenne Enrico aveva assistito da solo, senza il padre Giacomo, era stata il Temistocle di Gaetano Latilla, compositore che per primo godette del patrocinio del giovane Stuart, come testimoniato dal libretto del Siroe in cui è definito «virtuoso del duca di York». 34 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 303; SARTORI, I libretti italiani cit., n. 22065. 35 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 306; SARTORI, I libretti italiani cit., n. 21548. 36 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 308; SARTORI, I libretti italiani cit., n. 23238. 37 FRANCHI, Drammaturgia Romana cit., p. 312; SARTORI, I libretti italiani cit., n. 15524.

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Nel 1744 e del 1745 non furono rappresentate opere in Roma, a causa di una epidemia di peste nel regno di Napoli38, mentre nel 1746 Carlo ed Enrico non erano nell’Urbe. Nal 1747, anno in cui fu creato cardinale, Enrico, ritenendo inappropriato alla natura della dignità ecclesiastica della quale era stato investito frequentare i teatri, decise di terminare di assistere alle opere. Il suo patrocinio per i musicisti39, tuttavia, non s’interruppe, orientandosi a suggerire ai compositori e agli esecutori di dedicarsi con maggiore dedizione alla musica sacra. È il caso — tra gli altri — di Niccolò Jommelli40, al quale nel 1749 il cardinale Stuart commissionò l’oratorio La passione di Gesù Cristo e musica per il servizio liturgico nella chiesa di S. Maria in Portico in Campitelli, della quale era diacono41. Nel novembre del 1751 Enrico divenne arciprete della Basilica di S. Pietro in Vaticano, favorendo — molto probabilmente — la nomina di Jommelli come maestro di cappella coadiutore della medesima basilica, avvenuta poco prima42. Quando Jommelli, nel 1753, decise di lasciare Roma per proseguire la sua carriera come compositore di opere teatrali, il cardinale Stuart incaricò di prendere il suo posto, quale maestro di cappella coadiutore, Giovanni Costanzi, il quale fu nominato maestro di cappella dopo la morte, avvenuta nel 1753, del maestro titolare, Pietro Paolo Bencini43. In quest’ottica, per la quale favoriva i compositori dei quali fin dalla gioventù aveva avuto modo di apprezzare la musica, è plausibile che Enrico — forse su sollecitazione di qualche amico o ex allievo dell’anziano musicista, o per la memoria del favore che questi aveva goduto presso sua madre Maria Clementina — abbia voluto commissionare a Nicola Porpora il Magnificat in segno di ammirazione, nonché di concreto aiuto. Il manoscritto, originariamente nella biblioteca del cardinale, poi in quella del seminario 38 DE ANGELIS, Nella Roma Papale, p. 164. 39 Sul mecenatismo musicale del cardinale si vedano i due contributi di P. LEECH, Prince-

ly splendour: Cardinal Henry Stuart and music patronage in 18th-century Rome, in Consort 71 (2015), pp. 51-73; Prince, priest and patron: Cardinal Henry Benedict Stuart and musical patronage in eighteenth-century Rome in Society for Eighteenth-century Music Newsletter 27 (2016), pp. 1, 11 e 12. 40 Per la biografia di Niccolò Jommelli si veda A. ROMAGNOLI, Jommelli, Niccolò, in DBI, 62, Roma 2004, pp. 555-565; ora anche G. ROSTIROLLA, Musica e musicisti nella Basilica di San Pietro. Cinque secoli di storia della Cappella Giulia, Città del Vaticano 2014 (Archivum Sancti Petri. Studi e documenti sulla storia del Capitolo Vaticano e del suo clero), pp. 549566 e passim. 41 M. P. MCCLYMONDS, Jommelli, Niccolò, in The New Grove Music Dictionary of Music and Musicians, XIII, London 2001, p. 178. 42 EAD., Jommelli, Niccolò, in The New Grove Dictionary of Opera, II, London 1992, p. 907. 43 M. LOPRIORE, Costanzi, Giovanni Battista, in DBI, 30, Roma 1984, pp. 380-383; H. J. MARX, Costanzi, Giovanni Battista, in The New Grove Music cit., VI, pp. 526-528; G. ROSTIROLLA, Musica e musicisti cit., pp. 567-606 e passim.

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e oggi in quella Vaticana, è stato senza dubbio allestito per Enrico, come attesta la fattura squisita del manufatto. La produzione musicale di Porpora, che attende ancora una catalogazione44, per quanto riguarda in modo particolare la musica strumentale e quella sacra necessita senza dubbio di uno spoglio sistematico, oltre che dei cataloghi, dei fondi musicali presenti in archivi e biblioteche. L’indagine condotta sul Répertoire international des sources musicales (RISM) ha evidenziato i seguenti quattro Magnificat manoscritti (dei quali solo il terzo è senza dubbio autografo), i cui incipit differiscono da quello dedicato al cardinale Stuart: Magnificat | del signore | Nicolo Porpora, per coro e orchestra, conservato a Stoccolma, presso la Musik- och teaterbiblioteket (RISM 190018133) Magnificat (copia di Josef Antonín Sehling) in Do maggiore, per 5 voci e strumenti, conservato a Praga, presso l’Archiv Praàského hradu (RISM 550268203) Magnificat | a 2. Cori con Istrumenti | Porpora Nicola. Maestro del Coro del P.o | Ospedale d[e]lla Pietà | In Venezia | 1742, in Sol minore per soli, due cori e strumenti, conservato a Londra, presso la British Library, Add. 14128 (RISM 800265844) Magnificat φ Sonis musicis expressum, | dal Sigr: Porpora. in Sol maggiore, per 4 voci, archi e basso continuo, conservato a Lipsia, presso la Leipziger Stadtbibliothek — Musikbibliothek (RISM 225004095)

Anche i Magnificat conservati presso la biblioteca del Conservatorio musicale di S. Pietro a Majella in Napoli (Mus. Rel. 1626 e 1627) sono diversi da quello composto per il cardinale Stuart trasmesso dal manoscritto Vat. mus. 583, probabilmente unicum. Il Magnificat di Porpora si colloca nella comune prassi liturgica dell’epoca: il testo latino del cantico è reso nello stile più elaborato proprio della musica figuralis, a più voci, nonché con l’impiego, insieme a due organi, di due violoncelli concertanti. La preziosa legatura del manoscritto, romana di pieno XVIII secolo, è a cinque nervi, con la coperta in cuoio marrone su piatti di cartone; sia sul piatto anteriore che in quello posteriore sono presenti, impressi in oro, una cornice a motivi floreali con sviluppo nei quattro angoli e, nel mezzo, lo stemma del cardinale (mm 140 × 100) sormontato dalla corona ducale e crescente al centro. Nel retro del piatto anteriore, in alto a sinistra, sul foglio di risguardia è presente l’antica segnatura “S. III. 26”. Sul dorso sono presenti sei tasselli (sul secondo — dall’alto — dei quali è apposta l’etichetta 44 Si segnala, a tale riguardo, l’iniziativa The Porpora Project () del musicologo James Sanderson, «established in order to display and support the investigations into the life and music of Nicola Porpora», in cui è possibile leggere un ampio (per quanto non esaustivo) elenco delle opere del compositore.

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della Biblioteca Apostolica Vaticana con l’indicazione dell’attuale segnatura) con impressioni in oro a motivi floreali. Il manoscritto, che misura mm 210 × 280, è costituito da diciassette fascicoli numerati — ad eccezione del primo — di mano del copista nell’angolo superiore sinistro del recto di ogni rispettiva prima carta, i primi sedici dei quali binioni e l’ultimo bifolio, per un totale di sessantasei fogli — privi di filigrana e considerevolmente consistenti — con numerazione meccanica a timbro apposta in epoca recente. In ognuno dei fogli, sia nel recto sia nel verso, la notazione è disposta su dieci righi musicali, lasciati in bianco nel recto e nel verso dell’ultimo foglio dell’ultimo fascicolo. Il timbro della Biblioteca Apostolica Vaticana è ai ff. 1r, 41r e 66r. Presenti un risguardo decorato e una carta di guardia anteriore bianca e un risguardo decorato e una carta di guardia posteriore bianca; le carte di guardia non presentano filigrana e sono di minore consistenza di quella dei fogli dei fascicoli. I tagli sono dorati. Trova effettivo riscontro nella partitura l’indicazione «a otto Voci»45 dichiarata a f. 1r, nella quale è il titolo dell’opera, di cui si fornisce di seguito la trascrizione facsimilare: Magnificat | a otto Voci | Composta [sic] per espresso, e venerato Comando | Di S. A. R. E.ma | Il Sig.r Cardinal Duca di Jorch [sic] | Da Niccolò Porpora | 1760

Se la paternità dell’opera può ritenersi più che plausibile, nonostante modi e tempi della committenza — diretta o tramite mediazione di terzi — restino ancora oscuri, è invece quasi certamente da escludere, anche alla luce dei raffronti eseguiti sugli autografi che è stato possibile esaminare, in riproduzione fotografica46 o copia digitale47, l’autografia del manoscritto, sia pure in presenza di alcune caratteristiche proprie dell’autore nella scrizione della notazione musicale (in particolare la realizzazione in un solo tratto dell’asta delle semiminime, che presentano una coda a curvatura ampia priva di angolazione). La mise-en-page estremamente ordinata, postulata da un esemplare su commissione, si accompagna ad una notevole riduzione della spontaneità nell’esecuzione delle lettere delle parole del testo, nonché ad una nitida precisione del tratto, non riscontrabile nelle 45

Non esatta è quindi l’indicazione “a sette voci” presente in Manoscritti Vaticani Latini 14666-15203. Catalogo sommario a cura di A. M. PIAZZONI e P. VIAN, Città del Vaticano 1989 (Studi e testi, 332), p. 136, ripresa da CORP, The Stuarts in Italy cit., p. 274. 46 NICOLA PORPORA, Oratorio per la nascita di Gesù Cristo, New York – London 1986 (The Italian oratorio 1650-1800, 20), riproduzione facsimilare del manoscritto London, British Library, Add. 14124. 47 ID., Orig.le | Ouerture Roiale | Di Nicola Porpora | 1763, Napoli, Biblioteca del Conservatorio di musica S. Pietro a Majella, Rari 1.6.22.

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altre partiture autografe del compositore48. È noto del resto che Porpora conservava le sue partiture, interamente o parzialmente autografe: ad esempio, quando lasciò l’Ospedaletto nel 1747, chiese e ottenne che tutte le opere da lui lì composte venissero ricopiate, per potersene tenere gli originali49. Purtroppo dopo la morte la sua raccolta personale andò dispersa: in parte restò a Napoli (dove oggi si trova nella biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Majella), in parte fu acquistata da Charles Compton, marchese di Northampton, per il tramite del melomane e bibliofilo Gaspare Selvaggi (attualmente nella British Library50). Ad ogni modo si deve postulare la supervisione diretta del compositore nell’allestimento dell’esemplare della partitura del Magnificat per il cardinale Stuart. Circa l’anno (assente ogni riferimento al luogo), va notato che l’indicazione presente a f. 1r — 1760 — non agevolmente può essere ricondotta, per conformazione morfologica come pure per l’inchiostro di colore più scuro utilizzato, alla mano che ha scritto il titolo dell’opera. Comunque, trattandosi di una mano della stessa epoca, la datazione non sembra affatto inverosimile, soprattutto alla luce delle vicende biografiche degli ultimi anni di vita di Porpora. Nel manoscritto che trasmette il catalogo ordinato alfabeticamente della consistenza libraria della biblioteca del cardinale al momento della cessione al seminario di Frascati (attuale Vat. lat. 15169), a f. 78v (p. 154) il Magnificat è indicato «sine loco, et Anno»51: poiché la compilazione del catalogo52 — che però contiene vari errori e omissioni — risale all’anno seguente l’atto di donazione, da parte del cardinale, della sua biblioteca al seminario tuscolano53, è presumibile assumere come termine post quem per l’apposizione della data, al netto di errore da parte del compilatore del catalogo, il 1777. Nel manoscritto le chiavi dei due cori indicano le voci (Soprano, Contralto, Tenore e Basso), mentre le parti dei due organi sono scritte su un 48 Era prassi comune, al tempo, far preparare a un copista professionista una copia in bella dell’opera, per farne omaggio a committenti o dedicatari. 49 Arte e musica all’Ospedaletto, a cura di G. ELLERO – J. SCARPA – M. C. PAOLUCCI, Venezia 1978, p. 60. 50 D. FABRIS, L’art de disperser sa collection: le cas du napolitain Gaspare Selvaggi, in Collectionner la musique: érudits collectionneurs, a cura di D. HERLIN – C. MASSIP – V. DE WISPELAERE, Turnhout 2015, pp. 359-394. 51 BUONOCORE, La biblioteca del Cardinale Henry Stuart cit., p. 185; si veda anche a p. 25 dell’introduzione. 52 Ibid., p. 16. 53 L’atto di donazione, rogato dal notaio Francesco Grilli, è attualmente conservato, come riporta BUONOCORE, La biblioteca del Cardinale Henry Stuart cit., p. 13, «presso l’Archivio di Stato di Roma (sede succursale di via Galla Placidia) nella busta 401 (Notaio Francesco Grilli, 1776-1777) del fondo Archivio Notarile di Frascati, ai ff. 258r-260v+318r-319v».

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rigo solo con chiave di Basso e le numerazioni del continuo (che indicano le armonie da suonare). L’incipit, in Do maggiore, è in tempo ordinario 4/454. La partitura si apre, a f. 1v, con l’ampio movimento «Largo» per il versetto Magnificat, affidato ai due cori con l’accompagnamento dei due organi. Ai ff. 3v-7v si trova, con il medesimo organico, l’ampio «Andante» del versetto Et exultavit. Il successivo versetto Quia respexit (ff. 7v-17r), per la sua prima metà affidato ai soli della prima e terza voce dei due cori, cui seguono «Tutti», prevede quale sviluppo della seconda metà (ff. 10r-17r), «Andante 3/4» con organico identico al precedente, l’esecuzione del primo e secondo dei soli dei due cori (ff. 10r-12v), con «Tutti» in conclusione (ff. 13r-17r). Di considerevole estensione (ff. 17v-24r) il versetto Quia fecit, la prima parte del quale, «Andante», prevede l’intervento dei soli della prima e seconda voce del primo coro (ff. 17v-22r), mentre la seconda, «Larghetto», è affidata solamente al primo coro, con l’accompagnamento dell’organo (ff. 22v-24r). Il successivo versetto Et misericordia (ff. 24r-29r) è un «Adagio» l’inizio del quale è affidato ai soli della prima e terza voce del secondo coro, accompagnati dall’organo, mentre la conclusione prevede l’intervento di «Tutti». L’organico del versetto Fecit potentiam (ff. 29v-38v), «Andante 3/4», contempla i due cori, i due violoncelli e i due organi. Dopo l’introduzione strumentale, nell’ordine, del violoncello e dell’organo primo e del violoncello e dell’organo secondo, la prima parte del versetto prevede l’intervento dei soli della prima e seconda voce del primo coro e poi dei soli della prima e seconda voce del secondo coro, mentre la seconda parte è affidata a «Tutti», con all’interno una ripresa della prima parte (ff. 34v-37r) dei soli delle quattro voci del secondo coro, con il violoncello e l’organo. Il versetto Deposuit potentes (ff. 39r-42v), riservato per la prima parte ai soli della terza e quarta voce del primo e secondo coro, con accompagnamento dell’organo, prevede per la sua conclusione (ff. 40v-42v) l’intervento di «Tutti». Al «Grave» per primo e secondo coro, con l’accompagnamento dell’organo, del versetto Exurientes (ff. 43r-47v) segue il breve «Adagio» per primo coro, con l’accompagnamento dell’organo, del versetto Suscepit Israel (ff. 48r49v). «Moderato» è infine il movimento dell’ultimo versetto del cantico, Sicut locutus (ff. 50r-52v), per primo e secondo coro, in sequenza, con l’accompagnamento dell’organo. Il Gloria Patri (ff. 53r-57r) è un «Andante» di contenuta dimensione per primo e secondo coro, in sequenza, con l’accompagnamento dell’organo, mentre il Sicut erat (ff. 57v-65v) è un «Allegro» nel quale l’esordio spetta al 54 Si ringrazia il M° Robert Michaels per le indicazioni circa la tonalità e le voci del Magnificat.

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primo coro, sostituito successivamente dal secondo (ff. 58v-59r), al quale subentra di nuovo il primo (ff. 59v-63v). Con il «Tutti» dell’Amen finale (ff. 63v-65v) termina il Magnificat, senza dubbio una tra le più rilevanti testimonianze — finora trascurata — del mecenatismo musicale del cardinale duca di York55, ma al tempo stesso una sorta di congedo di Porpora, con l’ossequio al suo ultimo rappresentante, da quella casa reale d’Inghilterra in esilio la quale con il suo favore nell’Urbe aveva non poco contribuito all’incremento della sua fama, consentendogli di riscuotere per molti anni ampio successo, prima in patria e poi oltre Manica.

55 LEECH, Prince, priest and patron cit., p. 12: «the Stuart cardinal, in terms of musical patronage, was arguably the heir of his illustrious predecessor Cardinal Pietro Ottoboni (1667-1740). That Henry, until recently, has languished in obscurity as a mere footnote in Western musicology».

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ANTIQUITATES CONSTANTINOPOLITANAE IM OSMANISCHEN REICH: JOHANNES MALAXOS UND SEINE AUFZEICHNUNGEN IM VAT. REG. GR. 166* Die rege, in weiten Kreisen aber wenig bekannte literarisch-antiquarische Tätigkeit im osmanischen Konstantinopel unter den gebildeten Griechen im Umkreis des Patriarchats hat zu verschiedenen, oft recht verborgenen Einzeluntersuchungen, aber noch zu keiner Gesamtstudie geführt, die auf der Durchsicht eines umfangreichen handschriftlichen Materials basieren müsste. So stellt auch der vorliegende Beitrag nur einen Baustein zu diesem Ziel dar, indem er eine relativ geschlossene, weitgehend unbekannte Textsammlung in einer vatikanischen Handschrift, dem Reg. gr. 1661, herausgreift. Sie stammt aus der Feder des Johannes Malaxos aus Nauplion, der nach der Übergabe der Stadt an die Osmanen 1540, zusammen mit einem älteren, namensgleichen Verwandten, Manuel Malaxos2, die Heimat verließ und in Konstantinopel am Patriarchat und in der griechischen Gemeinde eine neue Wirkungsstätte fand3. Er trat als Kopist * Die vorliegenden Texte hat Peter Schreiner bei Recherchen in der Bibliotheca Apostolica Vaticana in den achtziger Jahren entdeckt, transkribiert und mit verschiedenen Erläuterungen versehen, die schließlich auch zur Identifizierung des Autors führten und es erlaubten, sie in Zusammenhang mit anderen antiquarischen Tätigkeiten in Konstantinopel zu sehen (s. unten Anm. 5). Die Weiterarbeit setzte dann über 30 Jahre aus, ehe sie in Verbindung mit Andreas Rhoby (Wien) und in engem Kontakt mit ihm als grundlegendem Kenner der epigraphischen Literatur des byzantinischen Reiches wieder aufgenommen wurde. Er widmete sich der Durchsicht der Textgestaltung, der Kontrolle der Übersetzungen, der Erweiterung der Kommentare insbesondere im Hinblick auf metrische Fragen, und trug zu verschiedenen Identifizierungen bei, besonders in der Zuweisung von Text V an Petros Serblias, mit dem auch ein neuer byzantinischer Epigrammatiker entdeckt wurde. Auch Ihor Ševçenko († 2009) hat mit Peter Schreiner zu einem frühen Zeitpunkt die Texte durchgesehen. 1 Auf die in diesem Beitrag vorgestellte Textsammlung gingen bislang nur zwei Studien näher ein, nämlich P. SCHREINER, John Malaxos (16th century) (and his collection of Antiquitates Constantinopolitanae, in Byzantine Constantinople. Monuments, Topography and Everyday Life, ed. N. NEÇIPOGL ½ U, Leiden 2011, S. 203-214 und jüngst J. BURKE, Mainstream Texts, Viral Media and Hidden Agendas in the Tradition of Patria Texts, in Byzantine Culture. Papers from the Conference ‘Byzantine Days of Istanbul’ held on the occasion of Istanbul being European Cultural Capital 2010 (Istanbul, May 21-21, 2010), ed. D. SAKEL, Ankara 2014, S. 387-398: bes. S. 389-394. 2 Zu Manuel s. G. DE GREGORIO, Il copista greco Manouel Malaxos. Studio biografico e paleografico, Città del Vaticano 1991 (Littera antiqua, 8). 3 DERS., Studi su copisti greci del tardo Cinquecento: II. Ioannes Malaxos e Theodosios Zygomalas, in Römische Historische Mitteilungen 38 (1996), S. 189-270, sowie jüngst DERS., Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 605-657.

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zahlreicher Handschriften4, aber auch von Epigrammen, meist Bauepigrammen, hervor, für die ihm originale, aber überwiegend handschriftliche Vorlagen zur Verfügung standen, wobei es oft schwer ist, sich zwischen beiden zu entscheiden5. Die Handschrift6 Die heute in zwei Bände aufgeteilte Handschrift wurde zwischen 1869 und 1878 (Wappen Pius IX, 1846-1878, und Kardinal J. B. Pitra, 18691889) neu gebunden. In diesem Zusammenhang wurde der originale Kodex auseinandergenommen, und die ursprünglichen, wahrscheinlich bereits ungeordneten Blätter wurden auf 217 neue Seiten im Format 198 × 130 mm geklebt. Der alte Codex setzte sich aus zwei Teilen (A, B) zusammen, deren Lagenbezeichnungen (falls vorhanden) durch die Neubindung und Einzelaufklebung verloren sind. Der erste Teil (A) umfasste die (heutigen) ff. 1-12v, 39-206v sowie 215-217v der Manasses-Chronik7, mit den vv. 74 (κυαναυγής Bonn, Lampsidis) bis 6520 δεικνύει (Lampsidis = 6630 Bonn). Teil A ist auf Bombyzinpapier Ende 13. / Anf. 14. Jahrhundert geschrieben und weist deutliche Elemente der Fettaugenmode auf (Abb. I, f. 206v). Das Papierformat beträgt 160 × 112 mm, der Schriftspiegel 120 × 80 mm. Mit diesem (heute lückenhaften) Codex wurden (wohl schon vor der Neubindung im 19. Jh.) Teile einer anderen Handschrift der Chronik des Manasses (B) zusammengebunden, die folgende Teile dieser Chronik enthalten: v. 1 (Bonn, Lampsidis) bis 594 (Lampsidis = 593 Bonn) auf den ff. 18-38, vv. 714 (Lampsidis = 713 Bonn) bis 729 (Lampsidis = 728 Bonn) Contra Iudaeos: manoscritti a Costantinopoli dalla corte di Andronico II Paleologo al Patriarcato ecomenico nel XVI secolo, in Atti della XIV Giornata AISB 2017, im Druck. 4 Siehe dazu die in Anm. 3 genannten Titel. 5 Hinweis auf diese Handschriften (neben Reg. gr. 166, Vindob. med. gr. 43, Vindob. hist. gr. 98, Ott. gr. 309 und Cambridge Trinity College O. 2. 36) bei SCHREINER, John Malaxos cit., S. 206-207. Zu Kopien von Inschrifen im Vind. Med. gr. 43 s. auch G. DE GREGORIO, L’iscrizione metrica di Andreas panhypersebastos nella chiesa meridionale del monastero del Pantocrator a Costantinopoli, in Lesarten. Festschrift für Athanasios Kambylis zum 70. Geburstag, herausgegeben von I. VASSIS u.a., Berlin 1998, S. 161-179. 6 Erste Beschreibung bei H. STEVENSON, Codices Manuscripti Graeci Reginae Suecorum et Pii PP II Bibliothecae Vaticanae, Città del Vaticano 1888, S. 112-114. Im Hinblick auf die Edition der Chronik ist der Codex beschrieben von O. LAMPSIDIS, Πρὸς παραμερισμὸν κώδικες τῆς Χρονικῆς Συνόψεως Κωνσταντίνου τοῦ Μανασσῆ γιὰ τὴν κριτικὴν ἔκδοσή της. Ἐπιλογὴ τετάρτη, in Byzantiaka 12 (1992), S. 353-384, bes. 373-374, und DERS., Constantini Manassi breviarium chronicum (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, 25). Athen 1996, S. XCIII. Lampsidis datiert die Handschrift in das „14.-16. Jh.“, erwähnt aber die antiquarischen Texte nicht. Stevenson führt dagegen die Epigramme mit incipit an. 7 LAMPSIDIS ed. cit. Die Verszählung weicht geringfügig von der Ausgabe im Bonner Corpus ab.

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auf f. 207v, sowie vv. 6510 (Lampsidis = 6620 Bonn) ὁ γάρ τοι Δοῦκας bis 6620 (Lampsidis = 6733 Bonn) auf den ff. 208-211, gefolgt vom Widmungsepigramm auf demselben f. 211v (ed. Lampsidis S. 4). Teil B hatte ein von A unterschiedliches Format mit einem Umfang von 150/155 × 115 mm bei einem Schriftspiegel von 105 × 80mm. Auf f. 13 findet sich vor dem unten edierten Text I (über die Bronzetore der H. Sophia) ein vom Kopisten mit * nachgetragenes Stück der Manasses-Chronik (vv. 1763-1769 ed. Lampsidis), doch lässt der fragmentarische Zustand von B heute nicht mehr erkennen, wo dieser Teil ausgelassen (vergessen) wurde. Unter Epigramm VII (f. 207), abgetrennt durch einen Strich, hat Kopist B eine (unedierte) kurze Inhaltsangabe der Anfangsteile der Chronik notiert (inc. Τὸ βιβλίον τοῦ μανασσῆ ἄρχεται ἀπὸ τῆς ἐξαμηρίου). Teil B lässt sich durch das Wasserzeichen „Engel mit Stern“ (ff. 18, 21, 23, 26 in unterschiedlicher Qualität) und der exakten Kontramarke PB mit Trifolium auf das 5. Jahrzehnt des 16. Jh. festlegen, da das Wasserzeichen genau Briquet 629 (a. 1547) entspricht. Die Schrift des Kopisten B ist Johannes Malaxos zuzuweisen. Sein Interesse für die Chronik des Manasses ist bekannt. Stephan Gerlach hat 1578 von ihm eine Handschrift dieser Chronik erworben, den heutigen Mon. gr. 254 aus der Zeit um 14008, und eine heute in Straßburg befindliche Handschrift mit dem Text des Chronisten (Argent. 1903) wurde 1557 von ihm kopiert9. Wahrscheinlich befand sich auch Teil A der vorliegenden Handschrift in seinem Besitz. Es ist aber kaum anzunehmen, dass er es war, der die von ihm kopierten Teile der Chronik (B) mit Teil A zu einem Band vereinte. Vielmehr geschah dies erst nach seinem Tod, als Teil B (und bis zu einem gewissen Grad auch Teil A) nur mehr lückenhaft und ungeordnet vorlagen, da anders die chaotische Ordnung und der Verlust von Teilen (wohl auch unter den unten edierten Texten) nicht erklärbar ist. Die Anordnung der Texte Die bisher untersuchten antiquarischen Textsammlungen des Johannes Malaxos sind uns in zusammenhängender Folge überliefert, die kodikologisch gesehen den Charakter von (nicht immer vollständigen) Heften hatten10. Text I (unten) ist mit der Manasses-Chronik verbunden, da ihm die vv. 1763-1769 von derselben Hand vorausgehen. Noch klarer ist dies bei Text VII (f. 207) der Fall, dem auf dem Verso (bis f. 211) wiederum 8

K. HAJDÚ, Katalog der griechischen Handschriften der Bayerischen Staatsbibliothek München. Bd. 4, Wiesbaden 2012, S. 353-355, DE GREGORIO, Studi cit., S. 192. 9 DE GREGORIO, Studi cit., S. 193 und Anm. 15. 10 Dazu SCHREINER, John Malaxos cit., S. 206-208.

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Verse dieser Chronik folgen. Malaxos hat offensichtlich frei gebliebene Blätter seiner eigenen Kopie der Manasses-Chronik benutzt, um die antiquarischen Texte festzuhalten. Ein Ordnungsprinzip ist im vorliegenden Zustand nicht auszumachen, so dass die Edition von der Reihenfolge in der Gesamthandschrift ausgeht. Die Texte werden in diplomatischer Edition unter Berücksichtigung der originalen Zeichensetzung herausgegeben (Abkürzungen sind stillschweigend aufelöst). Schwer verständliche Wortbildungen erfahren im Apparat eine Erklärung. I. (f. 13r) INSCHRIFT AUF DEN BRONZETOREN DER HAGIA SOPHIA11 (Abb. II) Τὰ ἔτη ἀπὸ κτίσεως κόσμου ἅτινα τὴν τῆς Ἁγίας Σοφίας κτίσιν δηλοῖ :Die Jahre seit Erschaffung der Welt, welche die Gründung der Hagia Sophia darlegen.

Darunter die Nachzeichnungen der beiden Monogramme, die wie folgt aufzulösen sind: Eτους ἀπὸ κτίσεως | κόσμου ͵Ϛμθ´, ἰνδικτιῶνος δ´ Im Jahr 649, Indiktion 4, seit Erschaffung der Welt.

Kommentar: Die Inschrift findet sich als Monogramm auf den Bronzetüren zum Narthex der Hagia Sophia, doch hat sie Johannes Malaxos entweder nicht genau betrachtet oder eine fehlerhafte Vorlage benutzt. Er ließ nämlich das am Original deutlich lesbare τ (das Zahlzeichen für 300) aus und vertauschte bei der Wiedergabe des Monogramms M und ΟΥ (beim Wort κόσμου) gegenüber dem Original. Es fällt schwer anzunehmen, dass ein gelehrter Autor keine Vorstellung von der Regierungszeit Justinians besaß und die Erneuerung der Bronzetüren im Jahr 6447 (= 839) (so richtig, wie unten zu zeigen ist) mit dem Bau der Kirche gleichsetzte. Wenn eine anonyme Kleinchronik denselben Fehler begeht12, so verwundert dies vielleicht weniger als wenn auch einem literarisch gebildetem Theologen, Makarios Chrysokephalos, im 14. Jahrhundert derselbe Irrtum (wenn es ein Irrtum war) unterlief13. 11 Ein erster Hinweis auf den Text in dieser Handschrift bei S. G. MERCATI, Sulle iscrizioni di Santa Sofia, in Bessarione 26 (1922), S. 200 Anm. 2 = DERS., Collectanea Byzantina, Bd. 2, Bari 1970, S. 276 Anm. 2. Er nimmt die untere Hälfte der Handschriftenseite ein und ist von den Versen der Manasses-Chronik durch einen Strich abgetrennt. 12 P. SCHREINER, Die byzantinischen Kleinchroniken. Bd. 1 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae 12/1), Wien 1975, Chr. 50 B/2 (S. 362). 13 Ibid., Chr. 88 A/8, lin. 7 (S. 616). Der Autor erwähnt den bekannten Einsturz der Kup-

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Bereits C. G. Curtis und S. Aristarchis, später erneut E. Antoniadis14 haben darauf hingewiesen, dass die ursprüngliche chronologische Angabe „6347, Indiktion 2“ (anno 839) in die jetzige Form „6349, Indiktion 4“ (anno 841) verändert worden war. C. Mango schließlich zeigte überzeugend, dass die Korrektur auf die inzwischen erfolgte Geburt Kaiser Michaels III. Rücksicht nimmt15. Diese Tatsache war natürlich Manuel Chrysoloras und Johannes Malaxos nicht bekannt, und sie interpretieren die Zahlen wie sie diese vorfanden. Die am Original deutlich sichtbare Korrektur ist ihnen nicht aufgefallen, oder sie haben die Zahl aus einer unbekannten Quelle übernommen, die diese Veränderung nicht enthielt. II. (f. 13v) EINE INSCHRIFT UNBEKANNTER PROVENIENZ (Abb. III) + Οὗτοι οἱ αμβικοὶ στίχοι, εὑρέθησαν εν Folgende jambische Verse wurden gefunden in

Kommentar: Die Zeile ist durchgestrichen. Das Iota von ἰαμβικοὶ dürfte tatsächlich fehlen, da ein Adjektiv ἀμβικός als Nebenform zu ἰαμβικός nicht belegt ist16. Am ehesten liegt eine Haplographie vor. Die Präposition (εν) deutet darauf hin, dass Malaxos eine Ortsangabe hinzufügen wollte, diese aber — aus welchen Gründen auch immer — nicht feststellen konnte, und daher die gesamte Zeile tilgte. Wenn sich das folgende Epigramm doch in der Kirche pel im Jahr 1346 und bringt dann einen historischen Zusatz: ἦν δὲ κτισθεὶς ὡς ἐν τῇ χαλκῇ αὐτοῦ πύλῃ εὕρομεν, ἐν ἔτει τῶν ἀπὸ κτίσεως ͵Ϛτμθ´. Wenngleich das Wort κτίσις auch für die Erneuerung von Bauteilen (oder der Verschönerung einzelner Gegenstände) verwendet wird, ist es hier jedoch eindeutig auf den Bau unter Justinian bezogen. So hatte also auch Johannes Malaxos (der nicht am Original kontrollierte) keine Zweifel an der Richtigkeit der Zahl für den Baubeginn. 14 C. G. CURTIS – S. ARISTARCHIS, in Ὁ ἐν Κωνσταντινουπόλει Ἑλληνικὸς Φιλολογικὸς Σύλλογος, Ἀρχ. Ἐπιτροπή. Suppl. zu 16 (1885), S. 30 (mit Tafel III); E. ANTONIADIS, Ἔκφρασις τῆς Ἁγίας Σοφίας. Bd. 1, Athen 1907, S. 147-149. 15 C. MANGO, When was Michael III born?, in Dumbarton Oaks Papers 21 (1967), S. 253258. 16 Nicht in die Irre geführt werden darf man durch über den Online-Thesaurus Linguae Graecae (http://stephanus.tlg.uci.edu/) auffindbare Belege (Abfragedatum 31.12.2017): ἀμβικά τετράμετρα und τοῖς ἀμβικοῖς entpuppen sich, wenn man die Ausgaben blickt (Scholia in Aristophanem IV/2, Groningen – Amsterdam 1960, Nub. 1034a [p. 622-623]; I/3/1, Groningen 1977, 700c [p. 149]), als Phantome. Zweifelhaft ist auch die Angabe βιβλίον οἰ (sic) κανῶνες ἀμβϊκόν (ohne weiteren Kontext) im Verzeichnis der Bücher der Kirche des Johannes Prodromos in Riaki (Zypern, 14. Jh.): M. COUROUPOU – P. GÉHIN, Nouveaux documents chypriotes, in Revue des Études Byzantines 59 (2001), S. 147-164: 157. Man wird daher von einem simplen Abschreibfehler ausgehen müssen. Auch auf f. 15v ist im Titel ein Buchstabe ausgelassen: Εἰς τήλην, was auch als Haplographie gesehen werden kann.

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des Gregorios Theologos in Konstantinopel befand, könnte sich die getilgte Zeile auf diesen Ort beziehen. Unterhalb der durchgestrichenen Überschrift steht: Εἰς Γρηγόριον τὸν Θεολόγον Γρηγόριος Μούσας πολλῶ πλέον ἤπερ Ὅμηρος, θειτάτων ἐπέων δεῖξεν ὑπηρέτιδας. ἢ τόγε πᾶν μᾶλλον Μουσῶν ὕπο λέξεν Ὅμηρος Γρηγορίω δ᾿ ἔπνει πνεῦμ᾿ ἄρα θειότατον. ——— 2 lege θειτάτων 3 ἣ DBBE | μᾶλλον τόγε πᾶν Löwenklau

Auf Gregorios den Theologen Gregorios zeigte viel mehr als Homer die Musen als Dienerinnen göttlicher Worte. Wenn Homer auch ganz und gar mehr von den Musen sprach, so atmete dem Gregorios doch ein sehr göttlicher Geist.

Kommentar: Das Epigramm ist (anonym) auch im Cod. Athon. Meg. Laur. I, 29 (Eustratiades 1113), f. 142v, einer Miszellanhandschrift, überliefert17: vgl. BHG Novum Auctarium 730y (Kat. Spyridon Lauriotes – Eustratiades, S. 177, Nr. 14, nur V. 1 angegeben: ἢ anstatt ἤπερ); Datierung dieser Handschrift in das 17. Jh. Vollständig nach dem Vat. Reg. gr. 166 ediert sind die Verse bislang nur in der Online-Database of Byzantine Book Epigrams (DBBE): http://www.dbbe.ugent.be/occ/4366. An anderen Stellen ist nur V. 1 aus dem Vaticanus angegeben18. Das Epigramm ist aber auch noch an anderer interessanter Stelle überliefert, nämlich in einer Publikation, die kaum ein Vierteljahrhundert nach der Handschrift zu datieren ist: Operum Gregorii Nazianzeni tomi tres … quorum editio … elaborata est per Ioannem Leuvenklaium (= Johannes Löwenklau), Basel 1571 (ohne Paginierung, 2 Seiten vor dem Beginn von Gregor von Nazianz’ Gedicht De vita sua); von dieser Edition wurde das Epigramm in PG 35, 356C übernommen. In der Ausgabe von 1571 17 Vgl. A. RHOBY, Aspekte des Fortlebens des Gregor von Nazianz in byzantinischer und postbyzantinischer Zeit, in M. GRÜNBART (ed.), Theatron. Rhetorische Kultur in Spätantike und Mittelalter / Rhetorical Culture in Late Antiquity and the Middle Ages, Berlin – New York 2007 (Millennium-Studien zu Kultur und Geschichte des ersten Jahrtausends n. Chr. / Millennium Studies in the culture and history of the first millennium C.E., 13), S. 409-417: 413-414. 18 STEVENSON, Codices cit., S. 113; J. SAJDAK, Historia critica scholiastarum et commentatorum Gregorii Nazianzeni, Krakau 1914, S. 273.

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steht es im Anschluss an von Löwenklau selbst verfasste Epigramme (auf Gregor von Nazianz, dessen Bruder Kaisarios und Elias, den Bischof von Kreta) mit dem Titel Σκιπίωνος τοῦ Καρτερομάχου. Hinter diesem Scipio Carteromachus verbirgt sich der Grammatiker und Humanist Scipione Forteguerri, detto Carteromaco aus Pistoia (04.02.1466-16.10.1515)19. Ist er der ursprüngliche Autor des enkomiastischen Epigramms auf Gregor von Nazianz20? Angesichts dieser Überlieferungslage ist es weniger wahrscheinlich, dass das Epigramm aus der Kirche des Gregor von Nazianz in Konstantinopel stammt oder Malaxos es gar dort selbst kopiert hat, zumal wir nicht wissen, ob die Kirche im 16. Jh. noch existierte21. Es handelt sich um ein elegisches Distichon; auch im Codex sind die Pentameter optisch etwas eingerückt. V. 3: Die im Reg. gr. 166 überlieferte Abfolge τόγε πᾶν μᾶλλον ist metrisch einwandfrei, wohingegen die bei Löwenklau gedruckte und später in die PG eingegangene Abfolge μᾶλλον τόγε πᾶν schwere Verstöße gegen die Prosodie ergibt. III. (f. 13v) EIN EPIGRAMM AUS ATHEN (Abb. III) Ἐπίγραμμα ὃ εὑρέθη ενεχαραγμενον ἐνὶ τῶν μαρμάρων ἐν ᾿Αθήναις. Ὅστις καὶ τίνος εἰμὶ τὰ πρῶτα γράμματα φράσει ἀμφὶ δ᾿ ἐμῆς μοίρης πᾶς ἐδάκρυσε λεὼς οὕνεκεν οὐκ ἔφθην χλαῖναν περὶ αὐχένα θέσθαι κώμω ἐν ἠγαθέῳ παυσάμενος βιότου :Epigramm, das eingeritzt auf einem der Marmorstücke in Athen gefunden wurde Wer ich bin und von wem ich abstamme sagen die vorne angebrachten Buchstaben22. 19 Vgl. F. PIOVAN, Forteguerri (Carteromaco), Sciopione, in DBI, 49, Roma 1977, S. 163167. Das Prosopographische Lexikon der Palaiologenzeit (Nr. 15174) nennt einen Nicolaus Fortiguerra de Pistorio, Kardinal 1460-1473. 20 Die lateinische Übersetzung des Gedichts stammte von Löwenklau (interprete Leuvenklaio). 21 R. JANIN, La géographie ecclésiastique de l’empire byzantin. Première partie: le siège de Constantinople et le patriarcat œcuménique, tome III: les églises et les monastères, Paris 1969², S. 80-81. 22 Den auf der Vorderseite befindlichen Text hat Malaxos nicht notiert, weil vielleicht ein Blatt aus den Notizen verloren gegangen ist. Er ist aber auf der originalen Herme erhalten und lautet folgendermaßen: Ψηφισαμένης τῆς [ἐ]ξ Ἀρείου Πάγου βουλῆς τὸν ὑὸν τοῦ κοσμητοῦ Αὐρ. Ἀφφιανὸν Χρήστου Μαραθώνιον οἱ περὶ τὸ Διογένειον συνάρχοντες ἀρετῆς ἕνεκεν, ed. I. KIRCHNER, Inscriptiones Atticae Euclidis anno posteriores. Pars tertia: Dedicationes, titulos honorarios, titulos sacros, titulos sepulcrales continens. Fasc. Prior: Dedicationes, tituli honorarii, tituli sacri, Berlin 1935, 177, Nr. 3765.

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Wegen meines Schicksals weinte das ganze Volk. Daher konnte ich auf dem göttlichen Festzug das Kleid nicht umlegen, denn ich war aus dem Leben geschieden.

Der Gegenstand, der das Epigramm trug, eine Herme, hat sich nie in Konstantinopel befunden, sondern immer in Athen. Es bleibt daher die Frage, wie Johannes Malaxos die Inschrift kennengelernt hat. Da es im vorliegenden Fall unwahrscheinlich ist, dass der Text durch eine Epigrammsammlung bekannt war, hat er ihn wohl in Athen gesehen, als er sich, Nauplion verlassend (im Jahr 1540) nach Konstantinopel begab. Er hat also offenbar auch Inschriften aus anderen Orten gesammelt, die bis heute unentdeckt oder überhaupt verloren sind23. August Boeck machte die Inschrift des in Oxford befindlichen Objektes erstmals bekannt24 und beschrieb auch dessen Provenienz: olim Athenis prope turrim Andronici Cyrrhetrae25 herma a Dawkinsio Oxonium delatus; deest caput, supersunt mammae et pudenda virilia. Prior pars tituli inter mammas et pudenda collecta est, altera sub pudendis. Boeck entnahm diese Information dem ersten Inventar der Oxforder Marmorbildnisse aus dem Jahr 176326, die auch von späteren Ausgaben des Epigramms übernommen wurden27. Die Statue hatte James Dawkins, Mitglied der „Dilettanti Society“, nach England gebracht, wo sie nach seinem Tod (1759) dessen Bruder der Universität Oxford geschenkt hatte28. 23 Eine Parallele liegt bei dem ebenfalls aus Nauplion stammenden Theodosios Zygomalas (1544 – nach 1605) vor, der eigenen Angaben zufolge Athen mehrfach besucht und dort alles genau studiert hatte, bevor er nach Konstantinopel gelang und dort eine Stelle am Patriarchat antrat: siehe A. RHOBY, Beitrag zur Geschichte Athens im späten 16. Jahrhundert: Untersuchung der Briefe des Theodosios Zygomalas und Symeon Kabasilas an Martin Crusius, in Medioevo Greco 2 (2002), S. 177-191. 24 CIG 427. Später edierte Sp. LAMPROS (in Neos Hellenomnemon 1 [1904], S. 270) die Verse aus dem Reg. gr. 166 (er las in Vers 2 μοίρας u. πῶς u. in Vers 4 κομω [sic]). 25 Damit ist wohl der sogenannte „Turm der Winde“ auf der Agora gemeint, der von Andronikos Kyrrestes (vermutlich aus Kyrros in Syrien) erbaut wurde, vgl. J. V. FREEDEN, OIKIA KYPPEΣTOY. Studien zum sogenannten Turm der Winde in Athen (Archaeologica 29), Rom 1983. Die Erinnerung daran war auch noch im 17. Jahrhundert vorhanden, wie durch den Bericht von A. G. GUILLET, Athènes ancienne et nouvelle. Et l’estat present de l’empire des Turcs. Avec le plan de la ville d’Athènes, par le Sr. de la Guilletière, Paris 1675, S. 216 ersichtlich ist: „Après dette Mosquée, nous allâmes voir la maison des Vents, que le Vulgaire appelle Anemoi. C’est la Tour d’Andronicus Cyrrhestes“. 26 R. CHANDLER, Marmora Oxonensia. Oxford 1963, Bd. V, 61. 27 R. F. PH. BRUNCK, Analecta veterum poetarum Graecorum, 3 Bde., Strassburg 17721776, Bd. 3, 314, Nr. 747, und F. JACOBS, Anthologia Graeca sive Poetarum Graecorum lusus ex recensione Brunckii, Leipzig 1794-1795, Appendix nr. 275. Heute am bequemsten zugänglich bei G. KAIBEL, Epigrammata graeca ex lapidibus collecta, Berlin 1878, nr. 114 (der Ausgabe Boeck entnommen). 28 A. MICHAELIS, Ancient Marbles in Great Britain, Cambridge 1882, S. 115.

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Das Epigramm ist auch in den Codices Mailand, Ambr. 469 (N 234 sup.), f. 6r (A) und 13r (B), und 703 (Q 114 sup.), f. 24r (C), überliefert sowie in einem unbekannten Codex des Athos-Klosters Megisti Lavra (D), wie Spyridon Lampros mitteilte. In letzterer Handschrift lautet der Titel des Epigramms Ἑπίγραμμα ἐγκεχαραγμένον ἐν πέτρᾳ ἐνὶ τῶν μαρμάρων ἐν Ἀθήναις29. Auch bei diesem Epigramm handelt es sich um ein elegisches Distichon, wobei die Pentameter in der Handschrift interessanterweise anders als beim Gedicht auf Gregor von Nazianz nicht eingerückt wurden. Ein schwerer metrischer Verstoß liegt in Vers 4 vor, da die zweite Silbe von κώμῳ kurz gemessen wird. Kommentar: V. 1: Ähnlich formulierte Epigrammanfänge sind in byzantinischer Zeit vor allem in metrischen Siegellegenden zu finden: Οὗ σφραγίς εἰμι usw., siehe A.-K. Wassiliou-Seibt, Corpus der byzantinischen Siegel mit metrischen Legenden. Teil 2: Siegellegenden von Ny bis inklusive Sphragis (Wiener Byzantinistische Studien 28/2), Wien 2016, S. 134-159. V. 3: Die alternative Schreibweise αὐχένα anstatt αὐχένι könnte dem Phänomen des Verlust des Dativs im byzantinischen Griechisch und im Neugriechischen geschuldet sein30. IV. (f. 14r) DIE INSCHRIFT AUF DEM FRIES DES ARCHITRAVS UND BAKCHOS-KIRCHE (Küçük Aya Sofya). (Abb. IV)

DER

SERGIOS-

† ταῦτα τὰ ἔπη εἰσὶν ἐν τῷ τουρλέω τῆς Ἁγίας Σοφίας κτισθὲν ὑπὸ τοῦ Ἰουστινιανοῦ τοῦ βασιλέως. Ἔγραψε τὰ παρόντα Ἰωάννης μητροπολίτης Μελιτήνης

5

Ἄλλοι μὲν βασιλῆες ἐτιμήσαντο θανόντας ἀνέρας ὧν ἀνόνητος ἔην πόνος. ἡμέτερος δὲ εὐσεβίην σκηπτοῦχος Ἰουστινανὸς ἀέξων Σέργιον αἰγλήεντι δόμω θεράποντα γεραίρει Χριστοῦ παμμεδέοντος ὃν οὐ πυρὸς ἀτμὸς ἀνάπτων.

29 Sp. LAMPROS, Σύμμεικτα, in Neos Hellenomnemon 2 (1905), S. 375-376; DERS., Σημειώ­ ματα περὶ ἀρχαίων ἑλληνικῶν ἐπιγραφῶν ἐν μεσαιωνικοῖς κώδιξι καὶ χειρογράφοις συλλογαῖς ἑσπερίων λογίων, in Neos Hellenomnemon 1 (1904), S. 257-279: S. 271-273 (abweichende Lesungen nach Lampros: v. 1 φράσσει ABC, φράσσοι D; v. 2 δ’ deest in D, μοίρας D; v. 3 χλαίναν BC, αὐχένι D; v. 4 κώμῳ D, βιότοιο BC). 30 Zum Phänomen E. TRAPP, Der Dativ und der Ersatz seiner Funktionen in der byzantinischen Vulgärdichtung bis zur Mitte des 15. Jahrhunderts, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinischen Gesellschaft 14 (1965), S. 21-34; G. HORROCKS, Greek. A History of the Language and its Speakers. Chichester 2014, S. 496 (Index: „dative case“).

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oὐ ξίφος, οὐχ ἑτέρη βασάνων ἐτάραξεν ἀνάγκη ἀλλὰ θεοῦ τέτληκεν ὑπὲρ Χριστοῖο δαμῆναι αἵματι κερδαίνων δόμον οὐρανόν. ἀλλ᾿ ἑνὶ πᾶσι κοιρανίην βασιλῆος ἀκοίμητον φυλάξοι. 10 καὶ κράτος αὐξήσειε θεοστεφέος Θεοδώρης. ἧς νόος εὐσεβίη φαιδρύνεται. ἧς πόνος αἰεὶ ἀκτεάνων θρεπτῆρες ἀφαιδέες εἰσὶν ἀγῶνες :———— 2 lege ἀνόητος

Dies sind die Worte in der Kuppel der Hagia Sophia, erbaut von Kaiser Justinian. Es schrieb sie Johannes, der Metropolit von Melitene. Andere Herrscher haben sterbliche Männer geehrt, deren Mühe ohne Sinn war. Unser zeptertragender Justinian aber, der die Frömmigkeit mehrt, ehrt den Diener (Gottes) Sergios mit einem glänzenden Haus 5 des Allherrschers Christus; diesen (d.h. Sergios) versengte nicht der Rauch des nicht ein Schwert, nicht ein anderes Folterwerkzeug erschreckte ihn, [Feuers, sondern er erduldete es, um Christi willen bezwungen zu werden, und er erwarb mit seinem Blut den Himmel als Wohnstätte. Nun aber möge er in die immer wachende Herrschaft des Kaisers behüten [allem 10 und die Macht der gottgekrönten Theodora vermehren, deren Geist durch die Frömmigkeit erleuchtet wird und die jede Mühe daransetzt, die Besitzlosen freigebig zu ernähren31.

Die metrische Inschrift, die als Interpolation auch im Geschichtswerk des Johannes Skylitzes (162, 28-39 Thurn) überliefert ist, hat durch Silvio Giuseppe Mercati eine ausführliche bibliographische und philologische Untersuchung erfahren, deren Ergebnisse hier nicht wiederholt, sondern zugrunde gelegt und in wenigen Einzelheiten modifiziert werden32. Da die Kirche zwischen 1506 und 1513 in eine Moschee umgewandelt und die Inschrift dabei übertüncht worden war33, hat sie Malaxos nicht 31 Eine (teilweise abweichende) deutsche Übersetzung des Epigramms findet sich bei N. ASUTAY-EFFENBERGER – A. EFFENBERGER, Byzanz. Weltreich der Kunst, München 2017, S. 98. 32 S. G. MERCATI, Sulla tradizione manoscritta dell’iscrizione nel fregio dei SS. Sergio e Baccho a Costantinopoli, in Rendiconti della pontificia Accademia Romana di Archeologia 3 (1925), S. 197-205, wieder abgedruckt in DERS., Collectanea Byzantina II cit., S. 311-319. Neuere Diskussionsansätze sind bei B. CROKE, Justinian, Theodora, and the Church of Saints Sergius and Bacchus, in Dumbarton Oaks Papers 60 (2006), S. 25-63 zu finden (Text u. engl. Übersetzung des Epigramms auf den Seiten 47-48). 33 W. MÜLLER-WIENER, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls, Tübingen 1977, S. 182.

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anders gesehen als der heutige Betrachter oder Philipp Anton Dethier, der die einzige Edition im Originalzustand publizierte34. Die Frage ist jedoch, ob Malaxos die Inschrift überhaupt im Original kopiert hat. Sie ist eher negativ zu beantworten. Gegen eine Autopsie spricht die ungenaue Lokalisierung, auch wenn man bei großzügiger Betrachtung den umlaufenden Fries in die Kuppel miteinbeziehen kann. Auch war die Bezeichnung Ἁγία Σοφία gerade in türkischer Zeit verbreitet und gab der Mosche den Namen. Es ist wenig wahrscheinlich, dass eine in übertünchtem Zustand schwer lesbare Inschrift eine besondere Beachtung gefunden hätte, wenn sie nicht abschriftlich bereits existiert hätte. Mercati und zuletzt John Burke35 wiesen darauf hin, dass außer dem Reginensis noch vier weitere, teilweise ältere Handschriften diese Inschrift publizieren: Es sind dies die SkylitzesHandschriften Paris, BN Coisl. gr. 136 (f. 61v-62r) aus dem 12. Jh., Wien, Nationalbibl. Hist. gr. 35 (f. 65), ebenfalls aus dem 12. Jh., und die aus dem 14. Jh. stammenden Escorial, Real Biblioteca T.III.9 und Mailand, Ambr. 912 (C 279 inf.); darüber hinaus findet man die Verse auch in den Handschriften Bibliotheca Vaticana Pal. gr. 141 (f. 117v) aus der ersten Hälfte des 14. Jhs. (inmitten von Werken des Maximos Planudes) und Vat. gr. 162 (f. 39v) (zwischen den Origines Constantinopolitanae und De officiis) aus dem 16. Jh. Man kann also davon ausgehen, dass Malaxos die vorliegende Inschrift wohl einer Sammlung entnommen hat. Burke argumentierte, dass Malaxos die Verse aus dem Vind. hist. gr. 35, der bis zum Jahr 1562 in Istanbul verblieb, kopierte, da in diesem Codex Übereinstimmungen mit dem Reginensis zu finden sind36. Allerdings sind auch im Palatinus Übereinstimmungen mit dem Original zu entdecken37. Die Zuweisung an Johannes von Melitene (der lange mit Johannes Geometres gleichgesetzt wurde) ist vom Kopisten an der falschen Stelle angebracht und bezieht sich am ehesten auf Text VIII, dessen Autor tatsächlich Johannes von Melitene ist38. Der anonyme Dichter, der wohl von Justinian selbst den Auftrag zum Verfassen des Epigramms bekam, hat regelkonforme daktylische Hexameter konzipiert. Wie bereits von Mercati festgestellt,

34

PH. A. DETHIER, Fac-simile der Inschrift in der kleinen Hagia Sophia zu Konstantinopel zum ersten Male nach etwa 600 Jahren in der Kirche selbst kopiert, in Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften zu Wien, phil.-hist. Cl. 27 (1858), S. 164-173. 35 BURKE, Mainstream Texts cit., S. 388. 36 Ibid., S. 389. 37 Vgl. MERCATI, Collectanea II cit., S. 317-318. Siehe auch Kommentar S. 12. 38 Sp. Lampros, der die Inschrift in Neos Hellenomnemon 12 (1915), S. 371-372 isoliert aus unserer Handschrift herausgab, hat die Zuweisung an Johannes von Melitene (den er wohl nicht mit Johannes Geometres aus dem 10. Jh. identifizierte) nicht in Frage gestellt.

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ist das Vokabular an Nonnos von Panopolis, den bekannten Autor des 5. Jahrhunderts, angelehnt39. Kommentar: Titel: τουρλέῳ: Die Form τὸ τουρλέον (oder ὁ τουρλέος) ist bisher nicht belegt, aber parallel zu sehen mit anderen metathetischen Formen zu τροῦλλος in der Umgangssprache wie ἡ τούρλα40 und ὁ τοῦρλος41. κτισθὲν: volkssprachliche Konstruktion, korrekt müsste es κτισθείσας (wenn übereingestimmt mit τῆς Ἁγίας Σοφίας) oder κτισθέντι (wenn übereingestimmt mit τῷ τουρλέῳ) heißen. V. 1: Der Bezug auf und der Vergleich mit früheren Herrschern ist ein Topos, der auch in byzantinischer Zeit in ähnlich gestalteten Stifterepigrammen zu finden ist, z.B. im aus dem Jahr 1142/43 stammenden Epigramm in der Cappella Palatina in Palermo. Inc.: Ἄλλους μὲν ἄλλοι τῶν πάλαι βασιλέων / σεβασμίους ἤγειραν ἁγίοις τόπους42. Bei den „sterblichen Männern“ dürfte ein Bezug auf den heiligen Polyeuktos vorliegen43, für den Justinians Rivalin Juliana Anica eine Kirche gegründet hatte, die ebenfalls mit einem langen Stifterepigramm in Hexametern versehen ist44. V. 2: ἀνόνητος: ebenso im Original, im Pal. gr. 141 ἀνόνᾳτος (sic)45. V. 5: παμμεδέοντος: im Original und im Pal. gr. 141 παγγενέταο. ὃν: im Original und im Pal. gr. 141 τὸν. V. 8: πᾶσι: Original πᾶσιν, im Pal. gr. 141 ebenso πᾶσι. V. 9: ἀκοίμητον: Original ἀκοιμήτοιο, im Vind. Hist. gr. 35 ebenso ἀκοί­ μητον. 39

MERCATI, Collectanea II cit., S. 317. Diese Form ist in einem in das Jahr 1547 zu datierenden Graffito in der Hagia Sophia in Trapezunt belegt: C. MANGO, Notes on Byzantine Monuments, in Dumbarton Oaks Papers 23/24 (1969/70), S. 369-375: 369, Nr. 2. Auch im Neugriechischen wird τούρλα verwendet, allerdings in der Bedeutung „(kuppelförmiger) (Erd)hügel“: siehe G. D. BABANIOTIS, Λεξικό της νέας ελληνικής γλώσσας με σχόλια για τη σωστή χρήση των λέξεων, Athen 2002², s.v. 41 E. VITTI, Die Erzählung über den Bau der Hagia Sophia in Konstantinopel. Kritische Edition mehrerer Versionen (Bochumer Studien zur neugriechischen und byzantinischen Philologie 8), Amsterdam 1986, S. 600 (Index). 42 A. RHOBY, Byzantinische Epigramme auf Stein (= W. HÖRANDNER – A. RHOBY – A. PAUL, Byzantinische Epigramme in inschriftlicher Überlieferung, Bd. 3), Wien 2014, Nr. AddI32. 43 So ASUTAY-EFFENBERGER – A. EFFENBERGER, Byzanz cit., S. 98. 44 Zum Epigramm in der Polyeuktos-Kirche, das zum Teil heute noch erhalten ist (die entsprechenden Architekturfragmente befinden sich im Archäologischen Museum zu Istanbul), und zur Interaktion mit dem Epigramm in der Sergios und Bakchos-Kirche siehe C. L. CONNOR, The Epigram in the Church of Hagios Polyeuktos in Constantinople and its Byzantine Response, in Byzantion 69 (1999), S. 479-527. Handschriftlich ist das Polyeuktos-Epigramm Bestandteil der Anthologia Palatina (I 10). 45 ἀνόνατος ist als dorische Nebenform zu ἀνόνητος in ein paar antiken Stellen belegt, vor allem Euripides: z.B. Alc. 412, Hipp. 1145 u. Or. 1501. 40

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V. 12: ἀγῶνες: auch im Original: αἰῶνες im Pal. gr. 141. V. (ff. 14v-15r) EPIGRAMM DES PETROS SERBLIAS (?) AUF DEN PHILOSOPHEN PORPHYRIOS (Abb. V-VI) Ἐπίγραμμα εἰς τὸν Πορφύριον Πέτρου τοῦ Σερβίλου. Σὺ πορφυροῦν πέδιλον ἐν λόγοις φέρων. αὐτοκράτωρ πέφηνας ἐν φιλοσόφοις· τῇ κογχύλη δὲ τῶν σοφῶν νοημάτων βάπτεις ἐρυθρὰς τῶν νοσούντων τὰς φρένας. 5 ὦ πορφυρόχρουν ἄνθος ἐνθυμημάτων ὦ νοῦς διαρκοῦν εἰς πλοκὰς Σταγειρίτου ἃς ἐξαπλοῦν ἔοικας ἐντέχνως ἄγαν σειρὰς λύων μάλιστα τῶν αἰνιγμάτων Σφίγγων γὰρ αὐτὰς ἰσχυρῶς Σταγειρίτης, 10 αἰνιγματώδεις ἐξανίσχει τοὺς λόγους. ἀλλ’ ἡ προσοῦσα τῷ σοφῶ Πορφυρίω χαρὶς ἀνεξάντλητος, ἡ βρύσις λόγων ἐρυθροποιεῖ τὰ σκότει κεκρυμμένα λαμπρῶς τὰ παμφαίνοντα δεικνύει τάδε 15 εἰς ὠκεανὸν ὡσπερεὶ λελουμένα :­

f. 15

———— 11 lege παροῦσα ? 12 lege χάρις

Epigramm des Petros Serbilas auf Porphyrios Du, eine purpurne Sohle an deinen Worten tragend, bist der Kaiser unter den Philosophen. Mit der Purpurfarbe deiner weisen Ideen färbst du die Sinne der Kranken rot, 5 o purpurfarbene Blüte der Gedanken. O Geist, der du gewachsen bist den komplexen Wendungen des Stagiriten, die du nur allzu gekonnt zu vereinfachen scheinst, indem du in höchstem Maße Serien von Rätseln löst. Denn indem der Stagirite sie fest schnürt, 10 stärkt er die rätselhaften Worte, aber die dem weisen Porphyrios eigene nie versiegende Anmut, der Quell seiner Worte, macht das im Dunkeln Verborgene rot, lässt es hell aufglänzen, 15 wie im Ozean gereinigt.

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Das Epigramm ist aus anderen Quellen nicht bekannt, wie auch der Name des Autors in dieser Form nur an dieser Stelle begegnet. Es hat den Anschein, als hätte Malaxos bei der Übertragung des Titels einen Fehler begangen: Der Name des Autors dürfte nicht Petros Serbilas/-os sein, zumal dieser Bei- bzw. Familienname sonst nicht belegt ist. Sehr wohl attestiert ist allerdings Serblias: Stand in Malaxos’ Vorlage einst Σερβλίου, dann ist dies der von Σερβλίας (eventuell auch, aber eher unwahrscheinlich Σέρβλιος) gebildete Genitiv. Ein Leon Serblias ist um die Mitte des 11. Jahrhunderts als anagrapheus Iberias kai Mesopotamias belegt, der im Auftrag des Kaisers Konstantin IX. Monomachos nach Iberia und Mesopotomia geschickt wurde, um eine Steuerschätzung durchzuführen. Auch einige weitere Mitglieder dieser Familie sind in den Quellen vom 11. bis 13. Jahrhundert nachweisbar; im 11. Jahrhundert sind auch einige Personen mit dem Namen Petros Serblias (wie oben) belegt46. Um das Jahr 1140 schreibt der bekannte Polyhistor und (gelegentlich) Auftragsautor des Kaiserhauses Johannes Tzetzes einen Brief, in dem er über die unerträglichen Zustände in seinem Haus berichtet, an den mystikos Nikephoros Serblias, den er als „Auge des Senats“ (ὀφθαλμὸς τῆς γερουσίας) anspricht47. Wohl um seinem Adressaten zu schmeicheln, bringt Tzetzes — in der ihm eigenen Vorliebe, Namen (pseudo-)etymologisch zu erklären — den Namen Serblias mit dem Geschlecht der Servilii, der bekannten Patrizierfamilie im alten Rom, in Verbindung48. Das vorliegende Gedicht würde ebenfalls sehr gut in das 12. Jahrhundert passen. Die Verse, prosodische Zwölfsilber, enthalten ein Vokabular, das sehr stark an die Rhetorik im Umfeld des Komnenenhofs erinnert. Die Wertschätzung des Porphyrios weist ebenfalls in das 12. Jahrhundert: 46 A. KAZHDAN, Serblias, in Oxford Dictionnary of Byzantium, S. 1875; A.-K. WASSILIOUSEIBT, Der Familienname Serblias und seine Träger in Byzanz. Eine sigillographisch-prosopographische Studie, in Studies in Byzantine Sigillography 11 (2012), S. 35-55; siehe auch DIES., Georgios Serblias πραίτωρ Θρᾴκης καὶ Μακεδονίας. Ein Beitrag zur byzantinischen Verwaltung vor 1261, in Средновековият човек и неговият свят. Medieval Man and His World / Studies in Honor of the 70th Anniversary of Prof. Dr. Dr. habil. Kazimir Popkonstantinov, Veliko Tarnovo 2014, S. 163-168. 47 Tzetz. ep. 18 (S. 31-34 Leone); zum Brief M. GRÜNBART, Prosopographische Beiträge zum Briefcorpus des Ioannes Tzetzes, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 46 (1996), S. 175-226: 187-188; WASSILIOU-SEIBT, Der Familienname Serblias cit., S. 52-53; CHR. SETTIPANI – J.-F. VANNIER, Généalogie et rhétorique à Byzance (XIe-XIIe siècle), in Travaux et Mémoires 21/1 (2017) (= Mélanges Jean-Claude Chegnet), S. 657-674: 670-671; P. A. AGAPITOS, John Tzetzes and the blemish examiners: a Byzantine teacher on schedography, everyday language and writerly disposition, in Medioevo greco 17 (2017), S. 1-57: 35-36. 48 Der Name dürfte allerdings slawischen (wahrscheinlich serbischen) Ursprungs sein: vgl. GRÜNBART, Prosopographische Beiträge cit., S. 187-188, Anm. 63; SETTIPANI – VANNIER, Généalogie et rhétorique cit., S. 671.

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Der erwähnte Tzetzes hatte eine Vorliebe für ihn. Er verfasste — wohl in den frühen 1140er-Jahren — ein (bislang fast vollständig unediertes) 1700 Zwölfsilber umfassendes Gedicht auf die Εἰσαγωγὴ εἰς τὰς Ἀριστοτέλους κατηγορίας (oder περὶ πέντε φωνῶν) des Porphyrios49, dessen wichtigster Überlieferungsträger50 der aus der ersten Hälfte des 14. Jahrhunderts stammende Cod. Vindob. phil. gr. 300, f. 63r-81r, ist51. Sollte das im Reginensis erhaltene Epigramm auf Porphyrios ebenfalls in das Umfeld des Tzetzes zu verorten sein, könnte man daran denken, dass Malaxos bei der Übertragung des Familiennamens des Autors keinen Fehler machte, sondern im Rahmen einer Spielerei à la Tzetzes bewusst Σερβίλου anstatt Σερβλίου schrieb. Epigramme auf Porphyrios sind bisher aber auch aus der Feder anderer Autoren bekannt, nämlich des Johannes Geometres52 und des Leon Philosophos. Letzteres lautet: Τῇ τῶν λόγων σοῦ κογχύλῃ, Πορφύριε, βάπτεις τὰ χείλη καὶ στυλίζεις τὰς φρένας53.

Im Ausdruck τῇ κογχύλῃ … βάπτεις unseres Epigramms (Verse 3-4) zeigt sich ein deutlicher Bezug zu den Versen Leons, die vielleicht das Vorbild für Serbilas/Serblias waren. 49 CHR. HARDER, Johannes Tzetzes’ Kommentar zu Porphyrius, in Byzantinische Zeitschrift 4 (1895), S. 314-318; E. CULHED, Diving for pearls and Tzetzes’ death, ibid. 108 (2015), S. 53-61. In beiden Beiträgen sind ein paar wenige Verse des Gedichts ediert. 50 Kurz zur Überlieferung des Gedichts W. HÖRANDNER, Visuelle Poesie in Byzanz. Versuch einer Bestandsaufnahme, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 40 (1990), S. 1-42: 4-5; N. AGIOTIS, Tzetzes on Psellos revisited, in Byzantinische Zeitschrift 106 (2013), S. 1-9: 5, Anm. 28. 51 Zu dieser philosophischen Sammelhandschrift H. HUNGER, Katalog der griechischen Handschriften der Österreichischen Nationalbibliothek. Teil 1: Codices Historici, Codices Philosophici et Philologici, Wien 1961 (Museion N.F. IV, 1, 1), S. 394. Eine Edition dieses Gedichts ist im Rahmen des vom Fonds zur Förderung der wissenschaftlichen Forschung (FWF) finanzierten und an der Abteilung Byzanzforschung des Instituts für Mittelalterforschung der Österr. Akad. d. Wissenschaften beheimateten Projekts „Byzantine Poetry in the ‚Long‘ Twelfth Century: Texts and Contexts“ (P 28959-G25) (Projektleiter: Andreas Rhoby) durch Nikos Zagklas (Wien) vorgesehen. 52 PG 106, 921, Nr. 28, vv. 1-2 (= J. A. CRAMER, Anecdota Graeca e codd. manuscriptis Bibliothecae Regiae Parisienis, IV. Oxford 1841, S. 284, 15-16 = M. TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης, Ιαμβικά Ποιήματα. Κριτική έκδοση, μετάφραση και σχόλια. Thessalonike [unpubl. Diss.] 2014, S. 85, Nr. 35); einen Bezug zu Porphyrios könnte auch das Geometres-Epigramm PG 106, 921, Nr. 28, vv. 9-10 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 284, 23-24 = TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης cit., S. 86, Nr. 37, siehe auch S. 293) aufweisen. 53 Anonym in Anth. Pal. IX 214; L. G. WESTERINK, Leo the Philosopher: Job and Other Poems, in Illinois Classical Studies 11 (1986), S. 193-222: 199, Nr. V; siehe auch B. BALDWIN, The Epigrams of Leo the Philosopher, in Byzantine and Modern Greek Studies 14 (1990), S. 1-17: 9.

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Malaxos kopierte das Epigramm nicht von einem Objekt, sondern aus einer Epigrammsammlung in einer Handschrift. Kommentar: V. 1: Der einzige prosodische Verstoß im Epigramm liegt in φιλοσόφοις vor, da die zweite Silbe lang gemessen wird. V. 3: κογχύλη bedeutet grundsätzlich „Muschel“ bzw. (speziell) „Purpurschnecke“, ist in byzantinischer Zeit aber auch anderenorts mit der Bedeutung „Purpurfarbe“ belegt54. V. 5: πορφυρόχροος/-ους ist ein relativ selten belegtes Adjektiv55. In einem in das 12. Jahrhundert zu datierenden Epigramm im Cod. Marc. gr. 524 erscheint es als Attribut zu ῥόδον56. V. 6: Die falsche Schreibung διαρκοῦν könnte durch die Endung von πορφυρόχρουν im Vers davor beeinflusst worden sein. V. 11: Die Handschrift bietet προσοῦσα; in der Vorlage könnte παροῦσα gestanden sein, doch wäre auch bei einer literarischen Edition des Textes nicht unbedingt zu konjizieren. V. 12: Bei der Akzentuierung χαρίς wird es sich wohl um einen simplen Lapsus des Kopisten handeln, auch wenn im TLG vereinzelt Formen wie χαρίς, χαρίν, χαρίτος und χαρίτι zu finden sind. V. 13: Das Verbum ἐρυθροποιέω ist nur an einer weiteren Stelle attestiert, nämlich in der vormetaphrastischen, als Palimpsest überlieferten Lobrede auf die heilige Euphemia: … ἐρυθροποιεῖ παλάμας57. In Vers 4 des Epigramms ist die gleiche Aktion als βάπτεις ἐρυθρὰς (… τὰς φρένας) ausgedrückt. VI. (f. 15v) EPIGRAMME AUF DIE NEMESIS (Abb. VII) Εἰς τήλην Νεμέσεω Ἡ Νέμεσις προλέγει τῶ πήχεϊ τῶ τὲ χαλίνω μήτ᾿ ἀμετρόν τι ποιεῖν, μήτ᾿ ἀχάλινα λέγειν.

——

tit. lege Νεμέσεως

54

Siehe Lexikon der byzantinischen Gräzität s.v. κογχύλη. Siehe ibid., s.v. πορφυρόχροος. 56 Sp. LAMPROS, ῾Ο Μαρκιανὸς κῶδιξ 524, in Neos Hellenomnemon 8 (1911), S. 1-59.113-192: 21, Nr. 52, v. 11. 57 P. CANART, Le palimpseste Vat. gr. 1876 et la date de la translation de Sainte Euphémie, in Analecta Bollandiana 87 (1969), S. 91-104: 100, Z. 3. 55

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Auf eine Stele der Nemesis Nemesis verkündet mit Elle und Zügel, nichts über das Maß hinaus zu tun, nichts Zügelloses zu reden.

Εἰς τὸ αὐτό Ἡ Νέμεσις πῆχυν κατέχω. Τίνος οὕνεκα λέξεις; Πᾶσιν παραγγέλω· Μηδὲν ὑπὲρ τὸ μέτρον Auf dieselbe Ich, Nemesis, halte die Elle. „Weswegen?“ wirst du fragen. Allen verkündige ich: „Tut nichts über das Maß hinaus.“

Beide Epigramme, jeweils prosodisch korrekte elegische Disticha (in Vers 2 des zweiten Epigramms müsste das Ny ephelkystikon von πᾶσιν entfernt werden), entstammen der Appendix Planudea (Anthol. Palatina, Buch 16, Nr. 223, 224). Malaxos hat sie der handschriftlichen Überlieferungstradition entnommen58. Bei der Übertragung hat er einige Buchstaben ausgelassen, so — ähnlich wie im Titel von Nr. II (f. 13v) — fehlt das Sigma von τήλην. In beiden Fällen liegt wohl eine Haplographie vor. Die Pentameter sind optisch jeweils leicht eingerückt. Die Enden der Verse des ersten Epigramms sind durch Kreise markiert, wobei ein solcher am Ende von Vers 1 oberhalb des letzten Buchstabens in einer Form, die ein Herz andeutet, angebracht ist. VII. (f. 207r) INSCHRIFT AUF DEM GRAB DER KONSTANTINA, DER GATTIN DES KAISERS MAURIKIOS (Abb. VIII) Ἅδ’ ἐγὼ ἡ τριτάλαινα καὶ ἀμφοτέρων βασιλήων Τιβερίου θυγάτηρ Μαυρικίου τε δάμαρ, ἡ πολύπαις βασίλεια καὶ ἡ δείξασα λοχείη ὡς ἀγαθὸν τελέθει καὶ πολυκοιρανίη, 5 κεῖμαι σὺν τεκέεσσι καὶ ἡμετέρω παρακοίτη δήμου ἀτασθαλίη καὶ μανίη στρατιᾶς. Αἲ, αἲ τῆς Νιόβης ἐμπνεόμενος νέκυς τῆς Ἑκάβης ἔτλην πολὺ χείρονα τῆς Ἰοκάστης ναὶ ναὶ τὸν γενέτην· τί μάτην τὰ νεογνὰ ἔκτειναν 10 ἀνθρώπων κακίης μηδὲν ἐπιστάμενα 58 Vgl. R. Aubreton (avec le concours de F. Buffière), Anthologie Grecque, Tome XIII: Anthologie de Planude, Paris 22002, S. 164-165.

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ἡμετέροις πετάλοισι κατάσκιος οὐκέτι Ῥώμη ῥίζα γὰρ ἐθλάσθη Θρηϊκίοις ἀνέμοις.

——–

7-8 ἔσφαλται in margine perturbatum versuum ordinem indicans

Diese hier, ich, dreifach Unglückliche und (als solche) beiden Kaisern (zugehöTochter des Tiberios und Gattin des Maurikios, [rend), als Kaiserin mit vielen Kindern und als solche, die sich im Kindbett zeigt, als eine, die das Gute entstehen lässt und über viele herrscht, 5 liege ich (hier) mit den Kindern und unserem Gatten durch den Frevel des Volkes und die Raserei des Heeres. Ach, ach, als der lebende Leichnam der Niobe ertrug ich viel Schlimmeres als Hekabe, als Iokaste. Ja, ja beim Vater. Warum töteten sie die Neugeborenen umsonst, 10 die nichts verstehen von dem Übel der Menschen? Durch unsere Blätter liegt Rom nicht mehr im Schatten, denn die Wurzel wurde durch die thrakischen Winde zerdrückt.

Kommentar: Zwei prosodische Vergehen sind feststellbar: In Vers 1 wird die zweite Silbe von ἐγὼ kurz gemessen, in Vers 7 wird das dritte Epsilon von ἐμπνεόμενος lang gemessen. V. 11 (Übersetzung) Gemeint ist: „Da der Baum unseres kaiserlichen Stammes (nun, durch den Tod des Kaisers und der männlichen Nachfolger) ohne Blätter ist, ist die Kaiserstadt keine Konkurrenz mehr zu Rom“. Vgl. zu dieser besonders seit dem 12. Jh. auch literarisch hervortretenden Idee F. DÖLGER, Rom in der Gedankenwelt der Byzantiner, in Zeitschrift für Kirchengeschichte 56 (1937), S. 1-42, und P. SCHREINER, Feindliche Schwestern? Grundlinien der politischen und kulturellen Auseinanderentwicklung von Rom und Byzanz zwischen 330 und 1500, in Orthodoxes Forum 19 (2005), S. 17-24. Auch diese Stelle zeigt, dass das Grabgedicht nicht dem 7. Jh. angehören kann, da die Vorstellung einer Konkurrenz der beiden Städte in dieser Form vor dem 11. Jh. nicht begegnet. V. 12: Die „thrakischen Winde“, der Boreas, sind ein bildhafter Ausdruck für die thrakischen Truppen aus dem nördlichen Balkanraum, mit deren Hilfe Phokas die Hauptstadt eroberte und die kaiserliche Familie des Maurikios beseitigte. Kaiser Maurikios und seiner Familie, d.h. seiner Frau Konstantina59 und deren neun Kinder (sechs Söhne, drei Töchter), widerfuhr durch 59

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Zur Person Prosopography of the Later Roman Empire IIIA, Constantina 1, S. 337-339.

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Phokas ein ungewöhnlich grausames Schicksal, bei dem sie alle den Tod fanden60. Dieses hat es wohl mit sich gebracht, dass die Überlieferung der Grabinschrift eine selten erreichte Dichte gefunden hat, wenngleich einschränkend darauf hingewiesen werden muss, dass es sich — ebenso wie beim Grabepigramm auf Kaiser Nikephoros II. Phokas (siehe unten Nr. VIII) — um eine fiktive Grabinschrift gehandelt hat61, da der klar gegen die Gräuel des Usurpators gerichtete Inhalt nicht auf dem tatsächlichen Grab angebracht hätte werden dürfen und zudem eine Bestattung des kaiserlichen Gemahls (Maurikios) und der Söhne mit den historischen Tatsachen nicht übereinstimmt, da die Leichenteile der Ermordeten dem Meer anvertraut wurden. Die Grabverse sind in folgende byzantinische Geschichtswerke eingegangen: 1) Symeonis magistri et logothetae chronicon (CFHB XLIV/1), rec. ST. WAHLGREN, Berlin 2006, S. 155, app. crit. ad lin. 20 (= Leon Grammatikos, ed. I. BECKER, Bonn 1842, S. 144, 23 – 145, 10) 2) Georgios Kedrenos, ed. L. TARTAGLIA, Georgii Cedreni historiarum compendium, Rom 2016, II, S. 678, 80 – 679, 1 3) Johannes Zonaras, ed. TH. BÜTTNER-WOBST (CSHB), Bonn 1897, (III), S. 198, 1-12 4) Theodoros Skutariotes, Chron., ed. R. TOCCI (CFHB XLVI), Berlin / Boston 2015, S. 119, 2 – 120, 13 5) Nikephoros Kallistos Xanthopulos, Hist. eccl., PG 147, S. 412 BC Bekannt war der Epitaph auch zwei weiteren Autoren aus dem 10. Jahrhundert, nämlich Nikephoros Uranos und Johannes Geometres, wie aus deren Werken hervorgeht62. Darüber hinaus fand das Epigramm auch Eingang in die Anthologie des Planudes63. Neben der Überlieferung der Verse in den genannten Historikern gibt 60 Der zeitlich am nächsten stehende Bericht bei Theophylaktos Simokates, ed. DE BOOR, Leipzig 1887, S. 304-305. Siehe auch Theophylaktos Simokates, Geschichte, übers. P. SCHREINER, Stuttgart 1985, S. 216-217 und P. SCHREINER, Der brennende Kaiser. Zur Schaffung eines positiven und eines negativen Kaiserbildes in den Legenden um Maurikios, in Byzance et ses voisins. Mélanges à la mémoire de Gyula Moravcsik, Szeged 1994, S. 25-31. 61 M. D. LAUXTERMANN, Byzantine Poetry from Pisides to Geometres. Texts and Contexts. Vol. I, Wien 2003 (Wiener Byzantinistische Studien XXIV/1), S. 232. 62 Belegstellen bei LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 232, Anm. 52. 63 Vgl. AL. CAMERON, The Greek Anthology from Meleager to Planudes, Oxford 1993, S. 215216; siehe auch E. COUGNY, Epigrammatum Anthologia Palatina cum Planudeis et appendice nova, Paris 1890, S. 214, Nr. II 732.

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es eine reiche handschriftliche Einzelüberlieferung, von der wir hier uns bekannt gewordene Beispiele anführen: 1) Florenz, Laur. plut. V, 10, f. 195r 2) Madrid, Matrit. gr. 149 und dessen Kopie in gr. 145. Aus dem cod. 145 (17. Jh.) herausgegeben von J. IRIARTE, Regiae Bibliothecae Matritensis codices graecae mss., Madrid 1769, S. 36564. Es handelt sich um eine Abschrift aus dem von Andreas Darmarios im Jahr 1575 kopierten gr. 149, wie TH. PREGER, Die angebliche Chronik des hl. Kyrillos und Georgios Pisidas, in Byzantinische Zeitschrift 7 (1898), S. 129-133 nachgewiesen hat. 3) Paris, BN, suppl. Gr. 690, f. 108r 4) Rom, Bibl. Vat., Vat. gr. 29, f. 484r65 5) Wien, Österr. Nationalbibliothek, phil. Gr. 165, f. 189v. Daraus ediert von L. STERNBACH, Meletemata Graeca. Pars I, Wien 1886, 186 (hier allerdings ohne die letzten beiden Verse) u. DERS., Analecta Byzantina, in Çeske Museum Filologické 6 (1900) 291-322: 293-297. Siehe auch J. H. CHR. SCHUBART, in Zeitschrift für Alterthumswissenschaft 1 (1834), S. 114366. 6) Wien, Österr. Nationalbibliothek, med. gr. 31, f. 165r 7) Wien, Österr. Nationalbibliothek, hist. gr. 98, ff. 3r-3v. Aus dieser Handschrift ediert von R. FÖRSTER, De antiquitatibus et libris manuscriptis Constantinopolitanis commentatio, Rostock 1877, S. 1567. Auch diese Handschrift wurde von Johannes Malaxos kopiert68. In zwei Handschriften (Vat. gr. 29, Vind. phil. gr. 65) wird das Epigramm einem Agathias, wohl dem bekannten Dichter gleichen Namens, zugeschrieben69. Dies ist jedoch chronologisch unmöglich: Konstantina 64 Nach Iriarte ist V. 8 folgendermaßen wiedergegeben: ἔτλην τὶς Ἑκάβῃ, πολυχείρονα τῆς Ἰοκάστης. In dieser Reihenfolge ist die erste Hälfte des Hexameters korrupt.

65 Zu dieser Handschrift siehe nun F. VALERIO, Analecta Byzantina, in Medioevo greco 16 (2016), S. 255-302, bes. S. 257-259 und S. 281 u. Anm. 96, wo unser Epigramm erwähnt ist. 66 In diesem Codex sind nach Sternbach folgende Abweichungen feststellbar: v. 3: λο­ χείην; v. 5: τέκεσι καὶ ἡμετέρῳ παρὰ κοίτη; v. 6: μανία στρατιῆς; v. 7: ἔμπνοος εἰμὶ; v. 9: γενέταν. 67 Vgl. dazu die Anmerkungen von BURKE, Mainstream Texts cit., S. 394, die allerdings auf falschen Lesungen des Reginensis beruhen. 68 DE GREGORIO, Studi cit., S. 231-237. Zu dieser Handschrift jetzt auch M. D. LAUXTERMANN, ‘And many, many more’: A Sixteenth-Century Description of Private Libraries in Constantinople, and the Authority of Books, in Authority in Byzantium, ed. P. ARMSTRONG, Farnham 2013, S. 269-282. 69 Vgl. TH. PREGER, Inscriptiones Graecae metricae ex scriptoribus praeter anthologiam, Leipzig 1891, S. 21-23.

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starb entweder 605 oder 60770, Agathias jedoch war zu dieser Zeit längst verstorben, da sein Tod um das Jahr 580 angenommen wird71. Im Reginensis ist auffallend, dass die ersten sechs Verse optisch (wie oben bei Nr. II u. VI) dem Schema des Distichons insofern angepasst sind, als die Pentameter jeweils leicht eingerückt sind. Diese Ordnung ist aber in den übrigen Versen aufgegeben. Dies liegt wohl daran, dass die Verse 7 und 8 vertauscht sind, d.h. dass zwei Pentameter aufeinander folgen, was Malaxos auch am Rande vermerkt (ἔσφαλται). Dass dies kein Versehen des Malaxos war, sieht man in der Überlieferung der Chronika des Skutariotes: Dessen codex unicus Vat. gr. 1889 (13. Jh.) bietet ebenfalls diese Reihenfolge. Man kann also davon ausgehen, dass in Malaxos’ Vorlage die Verse gleichermaßen vertauscht waren; Malaxos erkannte dies, brachte die Verse aber nicht in die richtige Reihenfolge; er verzichtete jedoch darauf, die Verse 7-12 optisch dem Schema des Distichons anzupassen. Es fällt auf, dass die Grabinschrift keinen Titel trägt, wie alle anderen Texte der vorliegenden Sammlung und die aus den Chroniken bekannten Varianten. Man muss daher vermuten, dass sich dieser auf einem heute verlorenen Blatt (welches f. 207 voranging) befand. Die von Malaxos kopierten Verse stehen der bei Johannes Zonaras vorliegenden Überlieferung am nächsten. Handschriften dieses Historikers gab es noch in Konstantinopel, als Malaxos dort lebte, wie Codices aus der Bibliothek des Antonios Kantakuzenos zeigen, die 1554 von Johannes Dernschwam gekauft wurden72. Während Theophylaktos Simokates allein den Tod des Maurikios und seiner Söhne schildert, erwähnt die (nur in äthiopischer Übersetzung erhaltene) Chronik des Johannes von Nikiou, dass die Kaiserin mit ihren Töchtern in ein Kloster eintreten musste, welches in den Patria als jenes der Metanoia angegeben ist73. Aus einigen kontaminierten Versionen der Chronik des Symeon Magistros geht erstmals hervor, dass sich der Sarkophag der Kaiserin und der Kinder und jener des Maurikios in der Kirche des H. Mamas befanden, eine Nachricht, die auch vom Sarkophag-Verzeichnis in De Ceremoniis bestätigt wird74. Die im 6. Buch des Theopha70

Prosopography of the Later Roman Empire IIIA 338. B. B[ALDWIN], in Oxford Dictionary of Byzantium, S. 35-36; vgl. auch CAMERON, The Greek Anthology cit., S. 215-216. 72 G. K. PAPAZOGLOU, Βιβλιοθῆκες στὴν Κωνσταντινούπολη τοῦ ις´ αἰῶνα (κωδ. Vindob. hist. gr. 98), Thessalonike 1983, S. 274-275 (Mon. gr. 274, Pal. gr. 271). 73 Quellenhinweise zu diesen verschiedenen Angaben bei Theophylaktos Simokates, Geschichte, übers. SCHREINER cit., S. 364, Anm. 1180. 74 Konstantin Porphyrogennetos, De ceremoniis aulae byzantinae. II, cap. 42, Bonn 1829, S. 647, 1-6. Zum Mamas-Kloster s. JANIN, Les églises cit., S. 314-319. Ausführlich zur Frage 71

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nes Continuatus (ed. I. Bekker, Bonn 1838, S. 403, 20 – 404, 3) erwähnte Verlegung ist wohl nie realisiert worden, da sie auch bei Zonaras nicht erwähnt ist, der von der Bestattung im Mamaskloster spricht und auch das Grabgedicht zitiert75. VIII. (ff. 212r-213r) EPIGRAMM (Abb. IX-XI)

AUF DEM

GRAB

VON

NIKEPHOROS PHOKAS

+ Οὗτοι οἱ ἰαμβικοὶ στίχοι εὑρέθησαν ἐν τῇ λάρνακι τοῦ Νικηφόρου βασιλέως τοῦ Φωκᾶ

ὃς ἐτάφη ἐν τη Περιβλέπτω μονῆ τῆς Παναγίας ἣ καλεῖται τανῦν Σούλουνα μοναστήρι· ὃ τὸ τῶν Ἀρμενίων γένος οἶμοι οἰκοῦσιν κατὰ θεοῦ παραχώρησιν

Ὁ ταῖς μάχας πρὶν καὶ τομώτερος ξίφους, πάρεργον ὤφθη καὶ γυναικὸς καὶ ξίφους ὃς τω κράτει πρὶν γῆς ὅλης εἶχε κράτος ὅς τις μικρὸς γῆς μικρὸν οἰκεῖ νῦν μέρος· 5 τὸν πρὶν δὲ φρικτὸν βαρβάροις καὶ θηρίοις ἀνεῖλεν ἡ σύγκοιτος ἓν δοκοῦν μέλος, ὁ μηδὲ νυξὶ μικρὸν ὑπνώττειν θέλων ἐν τω τάφῳ νῦν μακρὸν ὑπνώττει χρόνον· θέαμα πικρόν. ἀλλ’ ἀνάστα νῦν, ἄναξ, 10 καὶ τάττε πεζούς, ἱππότας λογχηφόρους τὸ σὸν στράτευμα, τὰς φάλαγγας, τοὺς λόχους ὁρμᾶ καθ’ ἡμῶν Ῥωσικὴ πανοπλία Σκυθῶν ἔθνη σφύζουσι σὴν μάκαρ πόλιν (λεηλατοῦσι πανστενῶς τὴν σὴν πόλιν) οὓς ἐπτόει πρὶν καὶ γεγραμμένος τύπος, 15 πρὸ τῶν πυλῶν σὸς ἐν πόλει Βυζαντίου· ναὶ μὴ παρόψει ταῦτα· ῥίψον τὸν λίθον τὸν σὲ κρατοῦντα. καὶ λίθοις τὰ θηρία τὰ τῶν ἐθνῶν διώκε· δὸς δὲ καὶ πέτρας· στηριγμὸν ἡμῖν ἀρραγεστάτην βάσι 20 εἰ δ’ οὐ προκύψαι τοῦ τάφου μικρὸν θέλεις. κἂν ῥῆξον ἐκ γῆς εἰς ἔθνη φωνὴν μόνην φωνὴ γὰρ εἰς φόβητρον αὐτοῖς ἀρκέσει

f. 212v

der Grablegung PH. GRIERSON, Tombs and Obits of Byzantine Emperors, in Dumbarton Oaks Papers 16 (1962), S. 47 u. Anm. 88. 75 Ioannis Zonarae epitomae historiarum libri XIII-XVIII, ed. TH. BÜTTNER-WOBST. Bonn 1897, S. 197,13-198, 10. Zonaras hat das Gedicht der literarischen Überlieferung entnommen, und es existiert kein Hinweis, dass er es selbst am Sarkophag gesehen hat. Umso mehr gilt dies für Malaxos, und es gibt auch kein Zeugnis, dass das Mamas-Kloster über 1453 hinaus noch bestand.

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εἰ δ’ οὐδὲ τοῦτο; τῶ τάφω τῶ σῶ δέχου σύμπαντας ἡμᾶς: καὶ νεκρὸς γὰρ ἀρκέσεις 25 σώζειν τὰ πλήθη τῶν ὅλων χριστωνύμων, ὦ πλὴν γυναικὸς τἄλλα γοῦν Νικηφόρε:·

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f. 213r

———— 1 lege μάχαις : μάχαι(ς) Stevenson 13 versus post v. 13 deest in V 18 lege δίωκε

Diese jambischen Verse wurden auf dem Sarg des Kaisers Nikephoros Phokas gefunden, der im Peribleptos-Kloster begraben wurde, das nun Sulu-Kloster76 genannt wird und nun, ach, mit Gottes Zustimmung, die Armenier bewohnen.

5

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Er, der früher durch die Schlachten schärfer war als sogar das Schwert, wurde ganz nebenbei ein Opfer der Frau und des Schwertes, er, der durch seine Stärke früher die Macht über die ganze Erde innehatte, bewohnt nun wie ein ganz Geringer ein kleines Stückchen Erde. Den früher für Barbaren und wilde Tiere Furchterregenden beseitigte jetzt die Bettgenossin, obwohl er, wie es scheint, ein Teil (von ihr) war. Er, der nachts auch nicht ein wenig schlafen wollte, schläft nun für lange Zeit im Grab. Ein bitterer Anblick. Aber steh auf jetzt, Herrscher, und ordne die Fußtruppen, die lanzentragenden Reiter, dein Heer, die Schlachtreihen, die Scharen. Es rückt gegen uns die russische Streitmacht vor, die skythischen Heidenvölker wollen deine, Seliger, Stadt schlagen, (deine eigene Stadt mit aller Macht verwüsten) (Heidenvölker), die früher in Furcht versetzte sogar schon dein gemaltes Bild vor den Toren in der Stadt Byzanz. Übersieh dies nicht! Werfe den Stein (von dir), der dich birgt, und verfolge mit Steinen die Heidenvölker, die sich wie wilde Tiere gebärden! Gib uns auch Felsbrocken als Stütze, als ganz unzerbrechliche Grundlage. Wenn du dich nicht schon ein wenig aus dem Grabe herausneigen willst, dann lass doch allein deine Stimme aus der Erde gegen die Heidenvölker hervorDenn deine Stimme wird ihnen schon zur Einschüchterung genügen. [brechen. Wenn aber auch das nicht? (Dann) nimm in dein Grab auf uns alle. Denn auch als Toter wirst du genügend Kraft haben, die Menge aller nach Christus Benannten zu retten und, o, außer deiner Frau, alles Übrige freilich, Nikephoros.

Marc Lauxtermann suchte in seiner ausführlichen inhaltlichen, histori76

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Die exakte Wiedergabe aus dem Griechischen wäre „Suluna“-Kloster.

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schen sowie überlieferungsgeschichtlichen Analyse des Gedichts, das aus prosodischen Zwölfsilbern besteht, zu beweisen77, dass die Verse rund 20 Jahre nach dem Tod des Nikephoros Phokas († 969) verfasst wurden (988989), doch ist, wie unten zu zeigen ist, diese Chronologie nicht akzeptabel. Allerdings ist Lauxtermann zurecht der Überzeugung, dass der Epitaph, wie andere Kaiserepitaphien ebenfalls (und der oben [Nr. VII] angeführte Epitaph auf Konstantina), als Text verfasst wurde, der nie für die inschriftliche Verwendung vorgesehen war. Dennoch verdient der Vorspann über den Begräbnisort, das Peribleptos-Kloster, Beachtung. Neben den von Lauxtermann vorgebrachten Argumenten, die eine fiktive Grabinschrift annehmen lassen (z.B. explizite Zuweisung der Schuld am Tod des Nikephoros an Theophano, was für ein offizielles Grabepigramm auszuschließen ist)78, ist zu konstatieren, dass das im Titel genannte Peribleptos-Kloster beim Tod des Nikephoros überhaupt noch nicht existierte, sondern erst von Romanos III. Argyros (1028-1034) gegründet wurde79. Umgekehrt ist die Bestattung des ermordeten Kaisers in der Apostelkirche, in der bis in das Jahr 1028 die meisten Kaiser ihre Grabstätte fanden, sicher bezeugt. Aus dem Bericht des Leon Diakonos geht hervor, dass Nikephoros heimlich des Nachts in einem der kaiserlichen Sarkophage in dieser Kirche bestattet worden war80. Aber erst der Bericht des Nikolaos Mesarites zeigt, dass für den Kaiser nun auch ein eigener Sarkophag existierte81. Das Peribleptos-Kloster wird als Grabstätte allerdings auch in einer 77

LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 232-236, 305-310. Zuletzt wurde das Epigramm ausführlich analysiert von J. BURKE, Nikephoras Phokas as Superhero, in Byzantine Culture in Translation, ed. A. BROWN – B. NEIL, Leiden – Boston 2017 (Byzantina Australiensia, 21), S. 95-114, doch die im Folgenden diskutierten Fragen werden nur am Rand gestreift. 78 Ibid., S. 233, 234. 79 JANIN, Les églises cit., S. 218-222 F. ÖZGÜMÜ‹, Peribleptos (‘Sula’) Monastery in Istanbul, in Byzantinische Zeitschrift 93 (2000), S. 508-520 und Ö. DALGIÇ – TH. F. MATHEWS, A new interpretation of the church of Peribleptos and its place in middle Byzantine architecture, in A. ÖDEKAN ET ALII (Hrsg.), Change in the Byzantine world in the twelfth and thirteenth centuries, Istanbul 2010, S. 424-431. 80 Leon Diakonos, Historia, S. 91, 6-13; siehe zuletzt A. MARKOPOULOS, L’assassinat de Nicéphore Phokas et „la mort des persécuteurs“ chez Léon le Diacre, in Travaux et Mémoires 21/1 (2017) (= Mélanges Jean-Claude Cheynet), S. 375-384. Dort im Komplex der Apostelkirche erwähnt ihn auch noch vor der Eroberung der Stadt durch die Kreuzfahrer Nikolaos Mesarites, cf. G. DOWNEY, The Church of the Holy Apostels, in Transactions of the American Philosophical Society, n.s. 47 (1957), cap. 49. Nr. 11 (S. 915). 81 Wie Anm. 79; s.a. G. DOWNEY, The tombs of the Byzantine emperors at the church of the Holy Apostels in Constantinople, in The Journal of Hellenic Studies 79 (1959), S. 27-51, bes. S. 42-44; Downey geht auf Nikephoros nicht ein, ebenso wenig GRIERSON, Tombs and Obits cit. Vgl. auch N. ASUTAY-EFFENBERGER – A. EFFENBERGER, Die Porphyrsarkophage der Oströmischen Kaiser, Wiesbaden 2006, S. 122.

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weiteren Handschrift erwähnt, nämlich dem wohl im Zirkel des Malaxos zwischen 1567 und 157382 entstandenen Cod. Ott. gr. 309, f. 168r83. Das Kloster war zwischen 1461 und 1480 von Mehmet II. den (monophysitischen) Armeniern übergeben worden84, was Malaxos mit „ach“ kommentiert. Es bleibt die Frage, wie die Zuweisung an das Marienkloster, die schwerlich völlig erfunden sein kann, zu erklären ist. Man kann nicht ausschließen, dass das Grab, als 1462 die Apostelkirche auf Befehl des Sultans Mehmet abgerissen wurde85, ins Peribleptos- Kloster transferiert wurde, da die Phokaden, deren einziger Kaiser Nikephoros war, einer verbreiteten, aber nicht nachweisbaren Tradition zufolge86, Armenier waren. Der Text des Epigramms findet sich zunächst in Zusammenhang mit dem Tod des Kaisers in drei Handschriften des Geschichtswerkes des Skylitzes87, in zwei Handschriften mit epigrammatischen Sammlungen88 und 82 Zur Datierung siehe SCHREINER, John Malaxos‘ Antiquitates Constantinopolitanae cit., S. 207. 83 Auf die Handschrift machte erstmals aufmerksam S. G. MERCATI, Epigramma di Giovanni Geometra sulla tomba di Niceforo Foca, in: DERS., Collectanea Byzantina II cit., S. 255. Dort lautet der Text des Vorspanns: Ταῦτα τὰ γράμματα εὑρίσκονται ἐν τῇ σορῷ τοῦ ἀοιδίμου

βασιλέως κυροῦ Νικηφόρου τοῦ Φωκᾶ ἐν τῇ μονῇ τῆς παναγίας μου τῆς καλουμένης Περιβλέπτου, τανῦν δὲ περικρατοῦν αὐτὴν οἱ Ἀρμένιοι, καὶ καλεῖται παρ᾿ αὐτῶν Σούλουνα μοναστῆρι: Ἰωάννου μητροπολίτου. Zur Handschrift auch E. FERON, F. BATTAGLINI, Bibliothecae Apostolicae

Vaticanae … Codices manuscripti graeci Ottoboniani, Vatikan 1893, S. 144-146. Die Handschrift besteht aus Texten verschiedenster Art mit unterschiedlichen, teilweise zugeschnittenen Papierformaten aus dem 15. und 16. Jh. Die ff. 164-171 bilden einen geschlossenen Faszikel (Quaternio, 195 × 158 mm gegen die Angaben im Katalog) mit Texten zur Stadtgeschichte Konstantinopels. Dieser Faszikel enthält mehrfach das Wasserzeichen „Anker im Kreis mit Stern“, sehr ähnlich den Beispielen bei G. PICCARD, Wasserzeichen Anker, V, Stuttgart 1978, Nr. 101-106 aus den Jahren 1557-1573. Eine weitere Datierungshilfe ist (ff. 164-167) ein Bericht über den Besuch Sultan Selims II. in der H. Sophia im September 1567. 84 MÜLLER-WIENER, Bildlexikon cit., S. 200. Zumindest seit dem Jahr 1495, aber vielleicht auch schon früher, wirkte die Peribleptos-Kirche auch als Sitz des armenischen Prälaten: siehe M. RAHN, Die Entstehung des armenischen Patriarchats von Konstantinopel (Studien zur orientalischen Kirchengeschichte 20), Münster 2002, S. 68, 155. 85 V. KIDONOPOULOS, Bauten in Konstantinopel 1204-1328. Verfall und Zerstörung, Restaurierung, Umbau und Neubau von Profan- und Sakralbauten, Wiesbaden 1994 (Mainzer Veröffentlichungen zur Byzantinistik, 1), S. 101. 86 Vgl. J.-CL. CHEYNET, Les Phocas, in G. DAGRON – H. MIHÐESCU (eds.), Le traité sur la guérilla de l’empereur Nicéphore Phocas, Paris 1986, S. 289-325 (= J.-CL. CHEYNET, La société byzantine. L’apport des sceaux, Bd. II [Bilans de Recherche 3/2], Paris 2008, S. 473-497). Die Verwendung des Vornamens Bardas bei den Phokaden deutet zumindest auf einen kaukasischen Hintergrund der Familie hin (für diese Information, die sich ansatzweise auch bei Cheynet befindet, danken wir Alexandra-Kyriaki Wassiliou-Seibt). 87 Vindob. hist. gr. 35, f. 106r, Coisl. gr. 136, 101v, Matrit. Vitr. 26-2 (Scylitzes Matritensis), f. 157r. Aus diesen drei Handschriften als Interpolation in die Skylitzes-Ausgabe von Thurn (S. 282) aufgenommen. 88 Jerusalem, H. Taphos 441 (MERCATI, Epigramma cit.,256), f. 155r und Venedig, Marc. gr. XI 22, f. 87v.

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einzeln überliefert in vier Handschriften89. Ebenso wie bei Epigramm Nr. IV, der Inschrift in der Sergios und Bakchos-Kirche, ging Burke zuletzt davon aus, dass Malaxos die Verse aus dem Skylitzes-Codex Vindob. hist. gr. 35 kopiert hatte90. In zwei Handschriften ist der Text ohne Autor überliefert91, in einer (fälschlich) dem Johannes Mauropus92 und in allen übrigen einem Johannes, Bischof von Melitene, zugeschrieben, der lange Zeit mit Johannes Geometres gleichgesetzt wurde, da auch dieser Epigramme auf Nikephoros verfasst hatte93; mittlerweile ist Johannes von Melitene, Verfasser mehrerer Gedichte, als Autor des Epitaphs hinreichend identifiziert94. Nach Lauxtermann95 ist eine gewisse stilistische Nachahmung des Geometres bei Johannes von Melitene feststellbar, wenngleich es sich bei den relevanten Passagen auch um zeitgenössische literarische Charakteristika handeln könnte, die bei beiden Autoren zum Tragen kommen96. Johannes von Melitene dürfte auch als Verfasser eines weiteren Grabepigramms 89 Einzelüberlieferung nach MERCATI, Epigramma cit., Ott. gr. 309, f. 168r, Ott. gr. 361, f. 186v, Reg. gr. 86, f. 122r sowie der vorl. Reg. gr. 166. 90 BURKE, Mainstream Texts cit., S. 389. Siehe auch unten im Kommentar S. ***. 91 Im Matrit. Vitr. 26-2 (Skylitzes Matritensis) und im Ott. gr. 361. 92 Im Cod. Marc. gr. XI 22 auf f. 87v folgen auf vier Gedichte des Johannes Mauropus (ed. P. DE LAGARDE – J. BOLLIG, Ioannis Euchaitorum metropolitae quae in codice vaticano graeco 676 supersunt [Abhandlungen der könglichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen 28], Göttingen 1882, Nr. 10, 12-14) drei weitere Gedichte, die mit dem Titel τοῦ αὐτοῦ versehen sind, die jedoch allem Anschein nach dem Johannes von Melitene zuzuschreiben sind. Die ersten beiden Epigramme sind ediert bei W. HÖRANDNER, Miscellanea epigrammatica, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 19 (1970), S. 109-119: 115-116 (Nr. 6-7); siehe auch LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 310-311. 93 PG 106, 901C-903A, Nr. 1 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 266, 21-267, 21 = TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης cit., S. 44-45, Nr. 2), 920A-B, Nr. 24 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV, S. 283, 16-26 = TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης cit., S. 81, Nr. 31), 927A, Nr. 41 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 290, 2-13 = E. M. VAN OPSTALL, Jean Géomètre. Poèmes en hexamètres et en distiques élégiaques. Edition, traduction, commentaire [The Medieval Mediterranean, Peoples, Economies and Cultures, 400-1500, 75], Leiden – Boston 2008, S. 210, Nr. 61), 932A-B, Nr. 56 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 295, 10-21 = VAN OPSTALL, Jean Géomètre cit., S. 282, Nr. 80), 941B, Nr. 90 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 305, 1-2). Das Gedicht PG 106, 920A-B, Nr. 24 ist eigentlich an Samuel, den Zaren des westbulgarischen Reiches gerichtet, doch wird der bereits verstorbene Nikephoros von Geometres angerufen, aus dem Grab heraus den Byzantinern beizustehen, vgl. F. SCHEIDWEILER, Studien zu Johannes Geometres, in Byzantinische Zeitschrift 45 (1952), S. 277-319: 313 u. LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 234-235. 94 LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 305-310; Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit Nr. 23161. 95 LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 305, 311, 314. 96 In Epigramm PG 106, 920B-C, Nr. 24 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 283, 25 = TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης cit., S. 81, Nr. 31, v. 10) heißt es μικρὸν προκύψας τοῦ τάφου βρύξον, λέον, vgl. dazu unseren Text Z. 20. Im Grabepigramm auf Johannes Tzimiskes PG 106, 904B, Nr. 2 (= CRAMER, Anecdota Graeca IV cit., S. 268, 34 u. 269, 3 = TOMADAKI, Ιωάννης Γεωμέτρης cit., S. 48, 45 u. 49, 49, Nr. 3) wird πρίν stilistisch ganz ähnlich verwendet wie hier in Z. 1 und 5.

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auf ein Mitglied der Phokas-Familie zu identifizieren sein: Es bezieht sich auf den Tod eines Bardas Phokas, der vielleicht im Zuge der militärischen Operation auf Kreta im Jahr 961 sein Ende gefunden hatte97, und ist im berühmten Scylitzes Matritensis, Cod. Matrit. Vitr. 26-2, f. 182v, erhalten98. Der unter anderem in unserem Codex überlieferte Epitaph des Johannes von Melitene auf Nikephoros Phokas wurde von Marc Lauxtermann auf der Basis der gesamten Handschriftenlage neu ediert99 und in den Zeitraum Sommer-Herbst 989 datiert, da er annahm, dass sich der in Vers 12 erwähnte russische Vormarsch auf das von Vladimir, dem Großfürsten von Kiev, Basileios II. geschickte Kontingent von Warägern bezieht (988). Die Verse 12-13a nehmen aber auf die gemeinsame Aktion der Russen und Bulgaren im Jahr 971 (April-Juli) Bezug, als die Entscheidung noch nicht gefallen war und erinnern inhaltlich an die Situation des Jahres 915, als man unter dem Eindruck der Bulgarengefahr den „bilderstürmenden“ Kaiser Konstantin V. zurücksehnte und man an seinem Grabe Wunder inszenierte, wie auch dieses Poem zu einem Wunder am Grab und dem Eingreifen des Nikephoros aufruft100. Zuletzt meinte Burke, dass das Epigramm ein Produkt des literarischen Milieus des 11. Jahrhunderts sei101. Kommentar: V. 1: Das von Malaxos kopierte Ὁ ταῖς μάχας findet man nur in einer weiteren Handschrift (allerdings richtig mit μάχαις), nämlich im Vind. hist. gr. 35. Die anderen Handschriften bieten Τὸν ἀνδράσι. V. 6: Dieser Vers ist nicht einfach zu verstehen: J. Wortley in seiner englischen Übersetzung des Geschichtswerkes des Skylitzes, in welches die Verse interpoliert sind, übersetzte ἀνεῖλεν ἡ σύγκοιτος ἓν δοκοῦν μέλος als „Whom … his wife has slain as though he were a sheep“102. Hier muss der Übersetzer etwas missverstanden haben, am ehesten ist daran zu denken, dass er μέλος mit μῆλον („Schaf“) verwechselte103. Lauxtermanns Übersetzung „But his wife, supposedly his other half, killed him“104 trifft den Sinn, 97

Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit Nr. 20806. Ed. I. ŠEVÇENKO, Poems on the Deaths of Leo VI and Constantine VII in the Madrid Manuscript of Scylitzes, in Dumbarton Oaks Papers 23-24 (1969/70), S. 187-228: 191 (Nr. XI), dazu LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 314. 99 LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 305-310. 100 P. J. ALEXANDER, The Patriarch Nicephorus of Constantinople, Oxford 1958, S. 111-125. 101 BURKE, Nikephoras Phokas as Superhero cit., S. 112. 102 J. WORTLEY, John Skylitzes. A Synopsis of Byzantine History, 811-1057. Introduction, Text and Notes, Cambridge 2010, S. 270. 103 Für diesen Hinweis danken wir Krystina Kubina (Wien). 104 LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 233. 98

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doch würde man bei dieser Deutung δοκοῦσα anstatt δοκοῦν erwarten. Dieser Interpretation folgt auch die französische Übersetzung: „son épouse l’a tué, elle qui semblait êre un membre de son corps“105. Die Wendung ἓν δοκοῦν μέλος dürfte (inhaltlich, nicht grammatikalisch) auf Nikephoros zu beziehen sein, wodurch sich die Übersetzung „… beseitigte ihn jetzt die Bettgenossin, obwohl er, wie es scheint, ein Teil (von ihr) war“ ergibt. V. 13f.: Wie bereits oben angezeigt, fehlt in der Überlieferung des Reginensis der auf Vers 13 folgende Vers. Darüber hinaus weicht auch Vers 13 in der zweiten Hälfte von der sonstigen Überlieferung (Σκυθῶν ἔθνη σφύζουσιν εἰς φονουργίαν) ab. Es hat daher den Anschein, als hätte Malaxos bei der Übertragung des Epigramms die Verse 13-14 seiner Vorlage vermengt und nur einen Vers daraus gemacht. Vers 13 trug er als Σκυθῶν ἔθνη σφύζουσι σὴν, μάκαρ, πόλιν ein, Vers 14 λεηλατοῦσι πανσθενῶς106 τὴν σὴν πόλιν ließ er aus. Da der Angriff auf die Stadt durch den Sieg des Johannes Tzimiskes abgewendet worden war, sind die beiden präsentischen Verbformen als praesens de conatu zu verstehen und mit „sie hatten die Absicht“ zu übersetzen107. V. 14: Dieser Vers weist darauf hin, dass ein Bildnis des Kaiser Nikephoros Phokas πρὸ τῶν πυλῶν … ἐν πόλει Βυζαντίου gemalt war. Lauxtermann übersetzt die Ortsangabe mit „on the gates of Byzantium“108, doch eigentlich sollte es „vor den Toren“ heißen. Man wird sich dies so verstellen können, dass ein Bild des Kaisers neben den Toren auf vorgelagerten Mauern angebracht war. Eine Parallele zur Darstellung eines Herrschers bei einem Stadttor findet man in einem Epigramm in dem aus der Mitte des 16. Jahrhunderts stammenden Cod. Monac. gr. 131. Dort heißt es auf f. 71r Μάρκου

μοναχοῦ στίχοι εἰς τὴν Κόρινθον καὶ εἰς τὴν στύλην τοῦ ἁγίου ἡμῶν αὐθέντου δεσπότου τοῦ πορφυρογεννήτου· εἰς τὴν πύλην τῆς Κορίνθου109. Im Epigramm selbst, das sich auf den Despoten (ab 1376) Theodoros I. Palaiologos bezieht, wird darauf hingewiesen, dass sich dessen Darstellung ὕπερθεν (wohl „oberhalb (des Tors)“) (von Akrokorinthos) befand110. V. 22: φωνὴ γὰρ εἰς φόβητρον αὐτοῖς ἀρκέσει bieten nur der Reginensis 105 Jean Skylitzès. Empereurs de Constantinople. Texte traduit par B. FLUSIN et annoté par J.-CL. CHEYNET. Paris 2003, S. 237. 106 Konjekturvorschlag von G. Stadtmüller in PREGER, Inscriptiones Graecae metricae cit., S. 23-24 (von LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 308-309 übernommen). Die handschriftliche Überlieferung bietet πᾶν ἔθνος. 107 R. KÜHNER – B. GERTH, Ausführliche Grammatik der griechischen Sprache. Satzlehre. 1. Teil. 4. Aufl. (Nachdruck) Leverkusen 1955, S. 140-142. 108 LAUXTERMANN, Poetry cit., S. 233. 109 K. HAJDU, Katalog der griechischen Handschriften der Bayerischen Staatsbibliothek München, Band III, Codices graeci Monacenses 110-180, Wiesbaden 2003, S. 139. 110 RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 266-269, Nr. GR73.

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und der Cod. Vind. hist. gr. 35. Die anderen Handschriften überliefern ἴσως σκορπίσῃ ταύτῃ καὶ τρέψῃ μόνῃ. XI. (f. 213r) EPIGRAMM (Abb. XI)

DES

MAKSIM GREK

AUF

MANUEL

VON

KORINTH

Μανουὴλ τῶ μεγάλῶ ῥήτορι καὶ φιλοσόφῶ Μάξιμος ὁ μοναχός + Ῥητῆρος μεγάλου τὰ μυρίπνοα ἄσματα ταῦτα

5

μουσῶν καὶ χαρίτων ἔκγονα καὶ σοφίης Μοῖσαι ἐμελίην γάρ, ἀτὰρ χάριτες πολύολβοι εὐεπίην· πειθῶ τῶδ᾿ ἔπορε σοφίη. Μὴ μῆκος δ’ ὦνερ ἐπιδίζεο, ἀλλ’ ἐνὶ τυτθοῖς γράμμασι τὰν αὐτοῦ θαύμασον ἠνορέην Εἰ δ’ ὁπόθεν καὶ ὅπως κικλήσκεται τῶδε Μανουήλ οὔνομ᾿ ἀτὰρ πάτρη Ἰσθμιάς ἐστι πόλις.

———— 2 Μοισῶν Denissoff 3 ἐμμελίην Ambros. Treu Denissoff 5 ὦναξ Treu ὧνερ Denissoff | τυτθοίς Denissoff 6 τὴν Treu 7 κικλήσκετο Ambros. Denissoff : Ševçenko in apparatu „read κικλήσκεται ?“ 8 ἐστὶ Ambros.

Manuel, dem Megas Rhetor und Philosophen, Maximos der Mönch

5

Des Megas Rhetors nach Salböl duftende Lieder (sind) dies, der Musen und Grazien und der Weisheit Abkömmlinge. Denn die Musen (gaben ihm) den Wohlklang der Stimme, die überreichen Grazien aber die Schönheit des Wortes. Überzeugungskraft gab ihm die Weisheit. Suche nicht nach der Länge, Mann, sondern bewundere in den nährenden (musikalischen) Noten seine Tüchtigkeit. Wenn (du) aber (wissen willst), woher er ist und wie er heißt: Manuel (ist) sein Name, seine Heimat aber ist die isthmische Stadt.

Verfasser des Epigramms ist der unter dem Namen Michael Trivolis geborene Schriftsteller, Übersetzer und Mönch Maximos (ca. 1470-1556?), der aufgrund seines jahrzehntelangen Aufenthalts in Russland Maxim Grek genannt wird. Spyridon Lampros111, Elie Denissoff112 und zuletzt Ihor Ševçenko edierten die Verse aus dem Codex Ambros. N 234 sup. (MartiniBassi 569), f. 12v113, der unter anderem Verse des bekannten Kopisten und 111

SP. LAMPROS, in Neos Hellenomnemon 3 (1906), S. 480. E. DENISSOFF, Maxime le Grec et l’Occident …, Paris – Louvain 1943, S. 412, Nr. 2. 113 I. ŠEVÇENKO, On the Greek Poetic Output of Maksim Grek, in Byzantinoslavica 58 (1997), S. 1-70: 69, Nr. 7 (die wichtigste Literatur zu Maksim Grek ist S. 1, Anm. 1 genannt). 112

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Schriftstellers Konstantinos Laskaris (1434 – ca. 1501)114 enthält. Der Reg. gr. 166 war den genannten Editoren nicht bekannt. Das Epigramm entstammt somit nicht der Feder des Maximos Planudes, wie von Stevenson angenommen115; dies wurde bereits von Maximilian Treu richtig gestellt, bei dem sich bislang auch die einzige Edition der ersten beiden Verse aus dem Vat. Reg. gr. 166 befindet116. Der Adressat der lobenden Verse ist Manuel von Korinth (ca. 1460 – ca. 1551), der an der Hagia Sophia in Konstantinopel das Amt des Megas Rhetor (und danach des Skeuophylax) ausübte und auf theologischem Gebiet als antilateinischer Kontroverstheologe und Verfasser polemischer Schriften gegen Plethon und Bessarion schriftstellerisch tätig war. Er wird als überaus weise beschrieben, verfügte über eine gute Kenntnis des Lateinischen und dürfte ein Schüler des bekannten Gelehrten Matthaios Kamariotes gewesen sein117. Daneben dürfte Manuel auch musikalische Kompositionen, d.h. Kirchendichtung118, geschaffen haben, und wie Lampros und Ševçenko vermuteten, könnten die Verse des Maksim Grek als Buchepigramm für eine solche Ausgabe verfasst worden sein119. Terminus postquem für die Entstehung des Epigramms ist vielleicht das Jahr 1483/84, da Manuel bereits in diesem Jahr als Megas Rhetor der Großen Kirche belegt sein könnte; der Zeitraum 1504-1530 gilt als gesichert für seinen Dienst als Megas Rhetor120. Malaxos könnte das Epigramm direkt aus dem Buch des Manuel Korinthios kopiert haben. Das Epigramm besteht aus vier elegischen Disticha, wobei die Pentame114

Prosopographisches Lexikon der Palaiologenzeit 14540; Repertorium der griechischen Kopisten, Bde. I-III (I-II erstellt von E. GAMILLSCHEG u. D. HARLFINGER, III erstellt von E. GAMILLSCHEG unter Mitarbeit von D. HARLFINGER u. P. ELEUTERI), Wien 1981-1997, I 223 = II 313 = III 362. 115 STEVENSON, Codices cit., S. 114. 116 M. TREU, Maximi monachi Planudis epistulae. Breslau 1890 (Reprint Amsterdam 1960), S. 255. 117 PH. MEYER, Die theologische Literatur der griechischen Kirche im 16. Jahrhundert. Mit einer allgemeinen Einleitung, Leipzig 1899 (Reprint Aalen 1972), S. 35-37; ST. RUNCIMAN, The Great Church in Captivity. A Study of the Patriarchate of Constantinople from the Eve of Turkish Conquest to the Greek War of Independence, Cambridge 1968, S. 209-210; G. PODSKALSKY, Griechische Theologie in der Zeit der Türkenherrschaft (1453-1821). Die Orthodoxie im Spannungsfeld der nachreformatorischen Konfessionen des Westens, München 1988, S. 87-88. Literatur zu Manuel von Korinth ist auch bei ŠEVÇENKO, On the Greek Poetic Output of Maksim Grek cit., S. 63, Anm. 2 aufgelistet. 118 Dazu ŠEVÇENKO, On the Greek Poetic Output of Maksim Grek cit., S. 70. 119 SP. LAMPROS, in Neos Hellenomnemon 3 (1906), S. 481; ŠEVÇENKO, On the Greek Poetic Output of Maksim Grek cit., S. 70. 120 CH. G. PATRINELES, Οἱ Μεγάλοι Ῥήτορες Μανουὴλ Κορίνθιος, Ἀντώνιος καὶ Γαλησιώτης καὶ ὁ χρόνος τῆς ἀκμῆς των, in Deltion tes Historikes kai Ethnologikes Hetaireias 16 (1962), S. 17-38.

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ter auch in der Handschrift jeweils etwas eingerückt sind. Einige metrische Auffälligkeiten sind zu konstatieren: In Vers 3 ist wie im Ambros. ἐμμελίην zu lesen, um die Prosodie zu bewahren. In Vers 4 liegt durch ἔπορε ein metrischer Verstoß vor, der durch die Hinzufügung des Ny ephelkystikon (ἔπορεν) vermieden werden könnte. In Vers 5 wird das Epsilon von ὦνερ lang gemessen: Eine Alternative wäre der Nominativ ὠνήρ in vokativischer Verwendung. Das bei Treu abgedruckte ὦναξ — wenngleich ohne Beleg in den Handschriften — passt in das metrisch-prosodische Schema des Hexameters. Kommentar: V. 3: Bei ἐμμελία handelt es sich um eine sonst kaum belegte Nebenform zu gebräuchlichem ἐμμέλεια. Interessanterweise hat der in der Suda aufgefundene Beleg121 nicht Eingang in die Lexika gefunden122. Ἐμμελία ist auch als weiblicher Eigenname attestiert, wobei der einzige Beleg jener für die Mutter des Basileios des Großen sein dürfte123. V. 4: Die in V vorliegende Akzentuierung πειθῶ ist auch in anderen Texten zu finden, z.B. H. J. M. TURNER, The Epistles of St Symeon the New Theologian. On the basis of the Greek text established by J. Paramelle, SJ (Oxford Early Christian Texts), Oxford 2009, ep. 3, 21-22 (S. 84): … οἱ δὲ παῖδες τὴν πειθῶ καὶ τὴν ὑποταγὴν τοῖς γονεῦσι προσαπονέμοντες …124. V. 5: ἐπιδίζημαι ist ein sehr seltenes Wort, das an zwei Stellen bei Herodot (I 95, 1; V 106, 13) und bei Moschos (2. Jh. v. Chr.) belegt ist125. Aus Herodot könnte Maksim Grek das Wort auch geschöpft haben. X. (ff. 213v-214r) INSCHRIFT AUF DER AUSSENSEITE DES PAREKKLESION DER PAMMAKARISTOS-KIRCHE (Abb. XII-XIII) Ταῦτα εἰσὶν περιγραμμένα ἔξωθεν τοῦ ναοῦ τῆς Παμμακαρίστου· ὃς πατριαρχεῖον ἐγεγόνει. Mὴ πάλιν εὑρὼν ὁ στρατός σε συγχάση, κἂν δεῦρο τὸν χοῦν ἐκτινάξας ἐκρύβης; ἢ τοῦ πάχους ῥεύσαντος ἡρπάγης ἄνω 121 ε 279, I , S. 256 ADLER: Ἐμμέλεια: χορικὴ ὄρχησις. διχῶς, Ἐμμέλεια καὶ Ἐμμελία, ἡ εὐρυ­ 2 θμία. οἶσθα γάρ, ὅπως διακείμεθα περὶ τὴν ἐμμελίαν τὴν σήν. καὶ ἡ μετὰ μέλους τραγικὴ ὄρχησις καὶ ἡ πρὸς τὰς ῥήσεις ὑπόχρησις. 122

Auch im Lexikon der byzantinischen Gräzität findet sich kein Eintrag. W. PAPE, Wörterbuch der griechischen Eigennamen, 3.Aufl. v. G. E. BENSELER, 4. Abdruck, Braunschweig 1911, s.v. 124 Weitere Belege im Thesaurus Linguae Graecae. 125 Liddell-Scott s.v. 123

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πάνοπλον ἀφεὶς ἐκκρεμὲς τῶ πατάλω; Τὰς γὰρ ἐπὶ γῆς ἐβδελύξω παστάδας ἐν εὐτελεῖ τρίβωνι φυγὼν τὸν βίον καὶ πρὸς νοητοὺς ἀντετάξω σατράπας, στερὰν μετ’ ἐνδὺς ἐκ θεοῦ παντευχίαν· ὡς ὄστρεον δ᾿ οὖν ὀργανώσοι τὴν στέγην ἡ κοχλοκὴ κάλυκα κεντρώδους βάτου· μάργαρέ μου πορφύρα γῆς ἄλλης ῥόδον εἰ καὶ τρυγηθὲν ἐκπιέζει τοῖς λίθοις. ὡς καὶ σταλαγμοὺς προξενεῖν μου δακρυων αὐτὸς δὲ καὶ ζῶν καὶ θεὸν ζῶντα βλέπων ὡς νοῦς καθαρὸς τῶν παθῶν τῶν ἐξ ὕλης τὸν σὸν πάλιν θάλαμον εὐτρέπιζε μοι ἡ σύζυγος πρὶν ταῦτα σοι Μάρθα γράφει. πρωτοστράτωρ κάλλιστε καὶ τεθαμμένων :­

f. 214r

———— 1 Σαγχάλη Stevenson 4 πᾶν ὅπλον Miller Rhoby 8 lege μετενδὺς 10 lege ἢ κόχλον ἢ 12 τρυγενγηθὲν V 15 τῶν ἐξ ὕλης παθῶν ἐξ ὕλης V

9 lege ὀργανῶ σοι

Dies ist außen der Kirche der Pammakaristos umschrieben, die Patriarchat geworden ist. Damit dich nicht wieder das Heer findet und in Verwirrung stürzt, auch wenn du hier verborgen bist, nachdem du den Staub abgeschüttelt hast, oder, da die Leiblichkeit zerflossen ist, hinauf entführt wurdest, nachdem du die Vollbewaffnung an den Nagel gehängt hattest. 5 Du verabscheutest nämlich die (Braut)gemächer auf Erden, entflohst in einem schlichten abgetragenen Mantel dem Leben und stelltest dich den bösen Satrapen entgegen, nachdem du von Gott feste Waffenrüstung angelegt hattest. Wie eine Austernmuschel errichte ich dir nun das Dach 10 oder wie ein Schneckenhaus oder eine Knospe an einem stacheligen Dornbusch. Meine Perle, Purpur, Rose einer anderen Welt, wenn du auch gepflückt von den Steinen beschwert wirst, sodass es mir auch Ströme von Tränen erweckt, bereite du selbst aber, der du lebst und den lebendigen Gott siehst, 15 als Geist, rein von den irdischen Leidenschaften, mir wieder dein Schlafgemach! Deine einstige Gattin Martha lässt dir das schreiben, bester Protostrator auch unter den Verstorbenen!126 126 Übersetzung (leicht der Überlieferung in V angepasst) nach Rhoby, Epigramme auf Stein cit., S. 663-664.

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Die vorliegende Inschrift stellt das Fragment der Grabinschrift des zwischen 1305 und 1308 verstorbenen Feldherrn und Stifters Michael Tarchaneiotes Dukas Glabas127 aus der Feder des bekannten Auftragsdichters Manuel Philes dar128. Das originale, in zahlreichen Handschriften129 überlieferte Gedicht, umfasste 23 prosodische Zwölfsilber130. Neben der handschriftlichen Überlieferung gibt es eine auch tatsächlich noch vorhandene inschriftliche Überlieferung, wobei heute nur mehr die Verse 10-23 (bzw. 5-17 des obigen Textes) vorhanden sind131. Der Rest ist durch Um- bzw. Zubauten an der im 16. Jahrhundert als Patriarchat wirkenden Kirche verloren gegangen. Neben dem Reginensis liegen zwei weitere Handschriften des 16. Jahrhunderts vor, in welche der inschriftlich erhaltene Teil des Epigramms kopiert wurde: der Cod. Vindob. hist. gr. 98, f. 6v7r132 und der Cod. Vindob. med. gr. 43, f. 143r-v133. Beide Wiener Codices wurden ebenfalls von Johannes Malaxos kopiert134. Der Med. gr. 43 ist eine medizinische Sammelhandschrift, an deren Ende verschiedene Inschriften aus Konstantinopel hinzugefügt wurden. Der Text aus dem Hist. gr. 98 wurde von R. Foerster im Jahr 1877 herausgegeben135. 127

Ausführlich zum Leben des Stifters und seiner Frau H. BELTING – C. MANGO – D. MOUThe Mosaics and Frescoes of St. Mary Pammakaristos (Fethiye Camii) at Istanbul, Washington, D.C. 1978, S. 11-18; Prosopographisches Lexikon der Palaiologenzeit Nr. 27504; A. EFFENBERGER, Zur Restaurierungstätigkeit des Michael Dukas Glabas Tarchaneiotes im Pammakaristoskloster und zur Erbauungszeit des Parekklesions, in Zograf 31 (2006-2007), S. 79-94. 128 Zu Philes siehe Prosopographisches Lexikon der Palaiologenzeit Nr. 29817; G. STICKLER, Manuel Philes und seine Psalmenmetaphrase (Dissertationen der Universität Wien 229), Wien 1992; zuletzt A. RHOBY, Wie lange lebte Manuel Philes? In Koinotation Doron. Das späte Byzanz zwischen Machtlosigkeit und kultureller Blüte (1204-1461), hrsg. v. A. BERGER – S. MARIEV – G. PRINZING – A. RIEHLE, Berlin / Boston 2016 (Byzantinisches Archiv, 31), S. 149-160. 129 Siehe die Auflistung in RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 662, Anm. 1038. 130 Ed. MILLER I 117-118 (CCXXIII). 131 Edition der inschriftlichen Version bei RHOBY, Epigramme cit. III, Nr. TR76 (mit der älteren Bibliographie u. der erstmaligen vollständigen photographischen Dokumentation). Die Verse 1-5 können aus der handschriftlichen Tradition des Gedichts ergänzt werden: Ἄνερ, τὸ φῶς, τὸ πνεῦμα, τὸ πρόσφθεγμά μου, / καὶ τοῦτό σοι τὸ δῶρον ἐκ τῆς συζύγου· / σὺ μὲν γὰρ ὡς ἄγρυπνος ἐν μάχαις λέων / ὑπνοῖς ὑπελθὼν ἀντὶ λόχμης τὸν τάφον, / ἐγὼ δέ σοι τέτευχα πετραίαν στέγην – Mein Mann, mein Licht, mein Atem, mein Ansprechnerpartner, / auch dies (sei) dir Gabe von der Gattin. / Denn du als (früher) schlafloser Löwe in Kämpfen / schläfst jetzt ins Grab statt ins Gebüsch geduckt, / ich aber errichte dir ein Dach aus Stein (Übersetzung nach RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 663). 132 HUNGER, Katalog, Teil 1 cit., S. 107. 133 H. HUNGER (unter Mitarbeit von O. KRESTEN), Katalog der griechischen Handschriften der Österreichischen Nationalbibliothek. Teil 2: Codices juridici, Codices medici, Wien 1969, S. 94-95. 134 DE GREGORIO, Studi cit., S. 201-205, 231-237. 135 R. FOERSTER, De antiquitatibus et libris manuscriptis Constantinopolitanis commentatio, Rostock 1877, S. 16; wiederholt bei SP. LAMPROS, Ἡ κτίσις καὶ ὁ κτίτωρ τῆς ἐν Κωνσταν­ RIKI,

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Dass Malaxos mehrfach unterschiedlich las, liegt wohl daran, dass er einige sprachlich schwierige Stellen in seiner Vorlage bzw. seinen Vorlagen nicht hinreichend verstanden hatte. Im Folgenden sind die Lesungen aus dem Vindob. hist. gr. 98 und dem Cod. Vindob. med. gr. 43 im Vergleich zum Cod. Reg. gr. 166 angeführt (V = Reg. gr. 166, H = Vindob. hist. gr. 98, M = Vindob. med. gr. 43, inscr. = inschriftliche Überlieferung): Tit. Ταῦτα τὰ κάτωθεν γράμματα εἰσὶν γύρωθεν τῆς καθολικῆς μεγάλης ἐκκλησίας του πατριαρχίου· M 1 συγχάση VM : συγχέει H, συγχέῃ inscr. 2 ἐκτινάξας VM inscr. : ἐκτεινάξας H 3 ἡρπάγης VHM inscr. : ἁρπαγῇς male corr. Foerster 4 πατάλω V : παττάλῳ H inscr. πατάλῳ M 6 ἐν εὐτελεῖ VM inscr. : ἐνευτελεῖ Η | τρίβωνι VM inscr. : τρίβονι H 7 ἀντετάξω VM inscr. : ἀντιτάξω H 8 στερὰν VHM : στερρὰν inscr. | μετ᾿ ἐνδὺς VM : μετενδὺς H inscr. | παν­ τευχίαν VM inscr. : πανοπλίαν H 9 ὀργανώσοι V : ὄργανωσε (sic) H, ὀργανῶ σοι M inscr. 10 κοχλοκὴ κάλυκα VM (M sine accent.) : κοχλονηκαλύκα H | κόχλον ἢ καλυκα inscr. 11 μάργαρέ VH : μάργερέ M 12 ἐκπιέζει VM : ἐκπιέζη H inscr. 13 προξενεῖν H inscr. : προξενεῖ VM | μοῦ V : μοι HM inscr. 16 εὐτρέπιζε V : εὐτρέπιζέ HM inscr. 18 πρωτοστράτωρ VHM : πρωτοστράτορ inscr. Wie in dieser Auflistung zu erkennen ist, liegen die meisten gemeinsamen Lesungen zwischen dem Reginesis (V) und dem Vindob. med. gr. 43 (M) vor. Zum Vindob. hist. gr. 98 sind die Abweichungen jeweils größer. Auf eine ausführliche inhaltliche sowie philologische Analyse des Gedichts kann an dieser Stelle verzichtet werden, da dies zuletzt an anderer Stelle hinreichend dokumentiert wurde136.

τινπουπόλει μονῆς τῆς Παμμακαρίστου, in Neos Hellenomnemon 1 (1904), S. 287-288; DERS., Ἔρευναι ἐν ταῖς βιβλιοθήκαις καὶ ἀρχείοις, in Neos Hellenomnemon 17 (1923), S. 381. Ganz an Förster orientiert sich die weithin unbekannt gebliebene Edition von M. GEDEON, Ὁ ναὸς τῆς Παμμακαρίστου, in Ἐκκλησιατικὴ Ἀλήθεια 5 (1884/85), S. 513-517, bes. S. 515 Anm. 118. Zu den Wiener Handschriften s. DE GREGORIO, Studi cit., S. 201-205 u. 231-237; RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 662. 136 RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 661-666.

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Kommentar: Im Reginensis ist die offenbar hastig angefertigte Abschrift auffallend: So kann man sich erklären, dass in Vers 15 ἐξ ὕλης zweimal geschrieben wurde; in Vers 12 wurde im Wort τρυγηθὲν die Silbe γη unabsichtlich zweimal kopiert. Beide Versehen dürften aber bereits Malaxos selbst aufgefallen sein, da die jeweils überschüssigen Silben und Wörter durchgestrichen sind. V. 1: BURKE, Mainstream Texts cit., S. 394 behauptet, dass das von Stevenson edierte Σαγχάλη auch im Reginenis zu lesen sei, doch dies ist eindeutig falsch. V. 8: Die Schreibung στερός (mit einem Rho) ist möglich: Diesbezüglich zu vergleichen ist die Erklärung im Lexikon des Pseudo-Zonaras 1668 (Tittmann): Στερεός. τὸ στεῤῥὸς τοῦ στερεὸς ἐστὶ συγκοπή. στερὸς καὶ πλεονασμῷ τοῦ ρ στεῤῥός. Auch literarisch ist die Schreibung belegt, z.B. Theodoros Prodromos, Hist. Ged. 18, 42 (Hörandner) 18,42: οὐδὲ στρατάρχης ἰσχυρὸς οὐδὲ στερὸς ὁπλίτης. V. 13: μου anstatt μοι ist dem bereits oben (S. 613) erwähnten Dativverlust in der byzantinischen Umgangssprache bzw. im Neugriechischen geschuldet. Verfasser des Epigramms ist Manuel Philes, in dessen Werken es ebenfalls überliefert ist, so dass wir den Fall vor uns haben, dass das Original des Dichters, die Inschrift am Bauwerk (teilweise) und deren Kopien heute noch verglichen werden können137. XI. (f. 214v) DIE INSCHRIFT AUF DER KONSTANTINSÄULE (Abb. XIV) Εἰς τὸν προφυρὸν κίονα ὁ νῦν Κιζήστας παρὰ τοῖς βαρβάροις καλεῖται :~ Τὸ θεῖον ἔργον ἐνθάδε φθαρὲν ἐν χρόνω καινοῖ Μανουὴλ εὐσεβὴς αὐτοκράτωρ :———— tit. lege πορφυφὸν | κιζήλτας ante correctionem

137

Manuelis Philae Carmina, ed. E. MILLER, Bd. 1. Paris 1855, 117-118 (Nr. 223). Editionen nach dem Original bei A. VAN MILLINGEN, Byzantine Churches in Constantinople, Paris 1912, S. 158-159; J. EBERSOLT, A. THIERS, Les églises de Constantinople, Paris 1913, S. 229230; C. MANGO, E. J. W. HAWKINS, Report on field Work, in Dumbarton Oaks Papers 18 (1964), S. 337; RHOBY, Epigramme auf Stein cit., Nr. TR76. Philes kann auch als Autor weiterer, tatsächlich noch in situ vorhandener Epigramme identifiziert werden: siehe Ibid., S. 96-97 u. A. RHOBY, Byzantinische Epigramme auf Ikonen und Objekten der Kleinkunst (= W. HÖRANDNER – A. RHOBY – A. PAUL, Byzantinische Epigramme in inschriftlicher Überlieferung, Bd. 2), Wien 2010, S. 37-38.

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Auf der Purpursäule, die jetzt von den Barbaren Kizi›ta› genannt wird: Das göttliche Werk hier, das durch die Zeit zerstört ist, erneuert Manuel, frommer Selbstherrscher138.

Die Lesung der Inschrift, zweier prosodischer Zwölfsilber aus der Zeit Manuels I. Komnenos139, stimmt mit dem Original grosso modo überein140. Interessanterweise weist der Reginensis mit dem ebenfalls von Malaxos im Vindob. hist. gr. 98, f. 1r141 kopierten Text dieselbe orthographische Besonderheit καινοῖ auf, obwohl die Inschrift ΚΑΙΝΕΙ bietet142. Dies kann als itazistische Verschreibung interpretiert werden, doch ist festzuhalten, dass der handschriftlichen Form der Vorzug gegenüber καινεῖ zu geben ist143, da ein Wort καινέω (als Alternativform zu καινόω) sonst nicht belegt ist144. Dies könnte darauf hindeuten, dass Malaxos die Verse einer Vorlage entnahm, zumal die Inschrift, wegen der Höhe, in der sie angebracht ist, mit freiem Auge vom Erdboden aus nicht leicht zu lesen ist. In der Nennung des türkischen Namens Kizi›ta› zeigt sich die Gegenwartsbezogenheit des Textes. Kizi›ta› könnte auf kızıl ta› („roter Stein“) beruhen; im Cod. Vindob. hist. gr. 80145, der ebenfalls von Johannes Malaxos kopiert wurde146, wird die Säule nämlich κόκκινο λιθάρι („roter Stein“) genannt147. Ihren heutigen Namen Çemberlita› („bereifter Stein“) dürfte die Säule erst nach der Mitte des 16. Jahrhunderts bekommen haben; die Bezeichnung rührt von den um die Säule gelegten Eisenringen, welche die Konstruktion 138

Übersetzung nach RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 615. Zur Interpretation ibid., S. 615-616. 140 Heute verloren sind die ersten drei Buchstaben von Vers 1, in Vers 2 das erste Epsilon von εὐσεβής ebenso wie das End-Rho von αὐτοκράτωρ: siehe RHOBY, Epigramme auf Stein cit., Nr. TR55. 141 Zum Codex siehe oben S. 637. 142 R. JANIN, Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique, Paris 21964, S. 80; F. A. BAUER, Stadt, Platz und Denkmal in der Spätantike, Mainz 1996, S. 183; Foerster, De antiquitatibus et libris manuscriptis Constantinopolitanis commentatio cit., S. 14; RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 615. 143 Im Cod. Ott. gr. 309, f. 169r, der ebenfalls von Johannes Malaxos geschrieben wurde, ist καινεῖ wie in der Inschrift wiedergegeben. In dieser Handschrift wird der Text mit ἐν τῷ πλακοτῷ eingeleitet, so auch im Cod. Ambr. O 123 sup., siehe BURKE, Mainstream Texts cit., S. 395 (dort auch die Überschriften in anderen Codices). 144 Vgl. RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 616. Der eine im Lexikon von LiddellScott-Jones angeführte Beleg entpuppt sich als Phantom: siehe H. G. LIDDELL – R. SCOTT – H. STUART JONES – R. MCKENZIE, Greek English Lexicon. Revised Supplement, Oxford 1996, s.v. καινέω. 145 HUNGER, Katalog, Teil 1 cit., S. 87-88. 146 DE GREGORIO, Studi cit., S. 207, 216. 147 BURKE, Mainstream Texts cit., S. 393. 139

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sichern. Die Maßnahme könnte eine Reaktion auf die Beschädigung der Säule durch einen Brand im Jahr 1515 gewesen sein. Des Weiteren ist auch die Bezeichnung Dikilita› belegt148. Kommentar: Titel: προφυρὸν ist wohl eine simple Verschreibung für πορφυρὸν. Die Akzentuierung auf der letzten Silbe ist ungewöhnlich, aber auch an anderer Stelle belegt149. XII. (f. 214v) GRABINSCHRIFT (Abb. XIV)

DES

STIFTERS

DER

PAMMAKARISTOS-KIRCHE

Im unmittelbaren Anschluß an die Inschrift auf der Konstantinsäule wird die auch in der Cambridger Inschriftensammlung150, im bereits oben erwähnten Codex Vindob. Med. gr. 43, f. 142v151, bei Stephan Gerlach und bei Salomon Schweigger152 überlieferte Grabinschrift im Parekklesion der Pammakaristoskirche in unserer Handschrift orginalgetreu in der Monogrammform kopiert. Mιχαὴλ Δούκας Γλαβὰς Ταρχανειώτης πρωτοστρατορας· ὁ κτητωρ

Im Vindobensis sind die Monogramme folgendermaßen aufgelöst: Μι-

χαὴλ· Δοῦκας· Γαβρᾶς· Τραχανιώτης· πρωτοςτράτωρας ὁ κτήτωρ· Inschriftlich ist die mit zahlreichen Kürzungen versehene monogrammatische Inschrift durch Ziegel in die Südfassade, oberhalb von Epigramm Nr. X, des Parekklesions der Pammakaristos-Kirche eingefügt. G. Velenis glaubte, auch dahinter eine metrische Inschrift, bestehend aus zwei Zwölfsilbern, deren Prosodie jedoch nicht eingehalten wäre, zu erkennen; allerdings muss hierfür am Ende von Vers 2 ein Wort mit zwei Silben ergänzt werden. Nach dem Vorschlag von Velenis ist die Inschrift wie folgt zu lesen: Μ(ι)χ(αὴλ) Δούκ(ας) Γλαβ(ᾶς) Ταρχαν(ει)ώτης 148

MÜLLER-WIENER, Bildlexikon cit., S. 255. Vgl. Lexikon der byzantinischen Gräzität s.v. πόρφυρος. 150 P. SCHREINER, Eine unbekannte Beschreibung der Pammakaristoskirche (Fethiye Camii) und weitere Texte zur Topographie Konstantinopels, in Dumbarton Oaks Papers 25 (1971), S. 217-248, bes. S. 222 (Nr. 4). 151 Siehe RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 667. 152 Zitiert nach A. M. SCHNEIDER, Arbeiten an der Pammakaristos-Kirche (Fetihiye camii), in Archäologischer Anzeiger. Beiblatt zum Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts 1939, S. 188-196: 195, Anm. 3. 149

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ὁ πρωτοστράτ(ωρ) (καὶ) π(ρωτο)κτήτωρ 153. Michael Dukas Glabas Tarchaneiotes, Protostrator und erster Gründer dieses (Hauses)154.

Unterhalb der Monogramme liest man: Οὗτος ἐστὶ κτήτωρ τῆς μονῆς Παμμακαρίστου ἣ νῦν πατριαρχεῖον ἐστί. Dies ist der Gründer des Klosters der Pammakaristos, das nun Patriarchat ist.

In der Cambridger Inschriftensammlung, im Vindob. Med. gr. 43 und bei Stephan Gerlach ist der Familienname als Τραχανιώτης metathetisch wiedergegeben, was der Inschrift widerspricht. In der Handschrift durch einen Querstrich von den obigen Monogrammen getrennt findet sich eine Abschrift des Lemmas τελώνης, wörtlich aus dem Suda-Lexikon genommen155. Zusammenfassung Die von Johannes Malaxos entweder in situ oder eher aus Sammlungen kopierten Epigrammtexte im Cod. Reg. gr. 166 stellen einen wichtigen Beitrag zu den Antiquitates Constantinopolitanae dar. Die Sammlung in diesem Codex, von Burke zu Unrecht und inadäquat als „a mess“ tituliert156, steht jedoch nicht allein dar: Inschriftliche Texte wurden auch in andere Codices des 16. Jahrhunderts aufgrund eines gesteigerten antiquarischen Interesses an der Vergangenheit Konstantinopels kopiert. Für manche dieser Handschriften ist wieder Malaxos als Kopist nachzuweisen, so für die beiden heute in Wien aufbewahrten Codices Vindob. hist. gr. 98 und Vindob. Med. gr. 43 und den Cod. Ott. gr. 309. In diesem Zusammenhang ist auch der erwähnte Codex Cambridge, Trinity College 0.2.36 anzuführen157, aber etwa auch die etwas jüngere Handschrift Ambr. G 50 sup. (MartiniBassi 395), in die unter anderem auch die Grabverse auf Nikephoros Phokas (f. 253r) eingefügt sind158. Das Interesse an antiquarischen Texten, die 153 Wiedergegeben auch bei RHOBY, Epigramme auf Stein cit., Nr. TR77 (dort auch zu den Belegen des Wortes πρωτοκτήτωρ bzw. ­κτίτωρ). 154 Übersetzung nach RHOBY, Epigramme auf Stein cit., S. 667. 155 Suidae Lexicon, ed. A. ADLER Bd. IV. Leipzig 1938, s.v. τελώνης. Aus dem Umkreis des Patriarchats ist ein Suda-Lexikon in der Bibliothek des Theodosios Zygomalas bekannt, vgl. PAPAZOGLOU, Βιβλιοθῆκες cit., S. 172, Nr. 111. 156 BURKE, Mainstream Texts cit., S. 389. 157 SCHREINER, Beschreibung cit. 158 BURKE, Mainstream Texts cit., S. 390-393.

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im 16. Jahrhundert von Malaxos und anderen in Handschriften eingetragen wurden, setzt die Tradition der Patria Konstinupoleos und Parastaseis Syntomoi Chronikai159 der mittelbyzantinischen Zeit fort. Auch in diplomatischer Mission Reisende dieser Zeit (Stephan Gerlach, Salomon Schweigger) hatten daran Interesse und nahmen Aufzeichnungen aus Konstantinopel in ihren Briefen und Tagebüchern auf, doch liegen diesbezügliche weiterreichende Untersuchungen nicht im Rahmen dieser Studie160. Malaxos’ Hauptmotiv beim Niederschreiben dieser Texte dürfte allerdings der Wunsch gewesen sein, die christliche Tradition von Byzanz in einer Zeit, in der bereits die meisten Kirchen zu Moscheen umgewandelt worden waren, zu bewahren161. Er und sein Kreis zeigen, dass bis in die zweite Hälfte des 16. Jh. hinein unter den Griechen Konstantinopels und ihren westlichen (und osmanischen?) Kontaktpersonen ein lebhaftes Interesse an den archäologischen und literarischen Altertümern aus byzantinischer Zeit bestand, das damals durch die Politik des Sultans nicht behindert wurde.

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AV. CAMERON – J. HERRIN, Constantinople in the Early Eighth Century: The Parastaseis Syntomoi Chronikai, Leiden 1984. 160 MARTIN CRUSIUS, Turcograecia, Basel 1584, Stephan Gerlachs des Aelteren Tage-Buch ... Frankfurt 1674 und SALOMON SCHWEIGGER, Ein newe reissbeschreibung aus Teutschland nach Constantinopel und Jerusalem, Nürnberg 1613 (Nachdruck Graz 1964). Weitere Materialien in diesem Zusammenhang würde eine Durchsicht der Handschriften der Universitätsbibliothek Tübingen erbringen, die aber dadurch erschwert wird, dass der von Dieter Harlfinger seit langem angekündigte Katalog immer noch nicht erschienen ist. Weitere Aufzeichnungen von Crusius, Gerlach und ihrem Umkreis finden sich in der Würtembergischen Landesbibliothek Stuttgart, vgl. W. V. HEYD, Die historischen Handschriften der kgl. Öffentlichen Bibliothek zu Stuttgart. 2 Bde., Stuttgart 1889-1891, index (besonders Cod. fol. 601). Siehe auch O. KRESTEN, Das Patriarchat von Konstantinopel im ausgehenden 16. Jahrhundert: der Bericht des Leontios Eustratios im cod. Tyb. MB 10, Wien 1970, M. PAVAN, I correspondenti greci di Martin Crusius e la conoscenza della Grecia nel XVI secolo, in Römische Historische Mitteilungen 31 (1989), S. 185-209, A. RHOBY, The ‘Friendship’ between Martin Crusius and Theodosios Zygomalas: A Study of Their Correspondence, in Medioevo Greco 5 (2005), S. 249-268, DERS., The Letter Network of Ioannes and Theodosios Zygomalas, in Ιωάννης και Θεοδόσιος Ζυγομαλάς. Πατριαρχείο – θεσμοί – χειρόγραφοι, ed. St. PERENTIDIS – G. STEIRIS, Athen 2009, S. 125-152 u. Chr. GASTGEBER, Ioannes and Theodosios Zygomalas – Stefan Gerlach – Martin Crusius. Der Sammelcodex Chart. A 386 der Forschungsbibliothek Gotha zwischen Konstantinopel und Tübingen, in ibid., S. 39-124. 161 SCHREINER, John Malaxos cit., S. 213-214.

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Abb. III – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. gr. 166, pt. 1, f. 13v.

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FESTE E TORNEI ALLA CORTE DEI BARBERINI: BERNINI E L’«ORDIGNO DEL CAVALLO» NEL GIARDINO ALLE QUATTRO FONTANE1 Dal libro mastro del cardinale Francesco Barberini una nota di spesa dell’anno 1627 riferisce di una stima redatta dal cavalier Bernini sul lavoro dello scultore Domenico de Rossi relativo all’intaglio di un cavallo ligneo «per correre al giardino», fatto realizzare su richiesta di Domenico Cinquini, cavallerizzo del cardinale2. Le poche righe trascritte nella monumentale opera di Marilyn Aronberg Lavin del 1975 sono state brevemente riprese quasi vent’anni dopo da David Coffin come un significativo esempio di giostra nell’ambito degli intrattenimenti alla moda nei giardini della Roma papale fra i secoli XVI e XVII3. Nel 1627 la grande reggia sul Quirinale era in piena fase di progettazione sotto la guida di Carlo Maderno. Maffeo Barberini già dall’anno successivo alla sua elezione al soglio pontificio (1623) aveva avviato la lunga realizzazione di una delle maggiori imprese architettoniche private di tutto il XVII secolo, attraverso l’acquisto da parte dei nipoti Taddeo e Francesco dell’allora palazzo Sforza in piazza Grimana e dei terreni retrostanti sino 1 Parte dei contenuti di questo intervento sono stati presentati in Esplorare le arti nella Roma di Bernini, convegno internazionale tenuto a Roma, Bibliotheca Hertziana 29-30 novembre 2017, a cura di S. ALBL, S. EBERT-SCHIFFERER, J. VAN GASTEL. Alla luce di nuovi riscontri documentari sono state ampliate e riviste alcune tematiche illustrate in: A. SPILA, Il Ponte Ruinante di Palazzo Barberini e il giardino della Guglia, scheda in M. FAGIOLO, Roma Barocca, i protagonisti, gli spazi urbani, i grandi temi, Roma 2013, pp. 663-665. Desidero ringraziare il prof. Tod Marder per l’assistenza e i consigli nella stesura finale di questo articolo. 2 M. ARONBERG LAVIN, Seventeenth-century Barberini documents and inventaries of arts, New York 1975, I, pp. 38 e 47; su Domenico Cinquini documentato come maestro di stalla del cardinal Francesco fra il 1626 e il 1633, cfr. A. ANSELMI, Il diario del viaggio in Spagna del cardinale Francesco Barberini scritto da Cassiano dal Pozzo, Madrid 2004, pp. 241, 251, 437; L. FAEDO, T. FRANGENBERG, Hieronymus Tetius. Aedes Barberinae ad Quirinalem descriptae, Descrizione di Palazzo Barberini al Quirinale: il palazzo, gli affreschi, le collezioni, la corte, Pisa 2005, p. 229. Il padre Lelio Cinquini era stato autore del noto trattato di equitazione: Il cavallo ammaestrato Opera di Lelio Cinquini Nobile Romano Cameriero Secreto di Spada e Cappa di Nostro Signore Papa Paolo V. Diviso in quattro Libri, due copie manoscritte rispettivamente in: Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Sess. 408; Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi: BAV), Vat. lat. 15005 e 15016. 3 D. R. COFFIN, Gardens and gardening in papal Rome, Princeton/N.J. 1991, pp. 227-229.

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 659-689.

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alla strada Pia, ma i lavori del nuovo edificio si protrarranno sino oltre il 1639. Il palazzo con l’apporto dei giovani Bernini, Borromini e Pietro da Cortona, venne concepito con un’innovativa forma speculare, con due ali simmetriche rispetto a un corpo centrale per consentire un’ingegnosa suddivisione fra ala secolare destinata al principe nipote Taddeo, futuro prefetto di Roma, e quella cardinalizia del futuro vicecancelliere Francesco, destinando a quest’ultimo l’ala sud (Tavv. I-II) e i relativi giardini di pertinenza nella parte alta verso il Quirinale4. Gli aspetti innovativi dell’edificando palazzo furono molteplici, in un certo qual modo sempre desunti dalla precedente tradizione ma reinterpretati in un’ottica di superamento, nel segno della straordinaria ambizione propria dello «stile Barberini»5. Il ruolo rivestito dall’allora vasto giardino non doveva certamente essere di secondo piano6. Come il palazzo anche il giardino doveva assolvere le plurime incombenze della complessa quotidianità, privata e di rappresentanza, della corte Barberini: soprattutto la vasta tipologia di eventi e intrattenimenti promossi e offerti da una famiglia principesca secondo una consolidata abitudine7. Nella moltitudine dell’universo ludico romano, nei primi decenni del Seicento si assiste a un vero e proprio apice della moda degli spettacoli di tipo cavalleresco: la tradizione equestre durante il regno di Urbano VIII vede a Roma una delle sue massime espressioni. Una tradi4 Per un’analisi puntuale, supportata da riscontri documentari, della lunga fase progettuale dal 1623 al 1628 e il successivo avvio del cantiere, fra la vasta letteratura si rimanda soprattutto a P. WADDY, Seventeenth-century Roman palaces: use and the art of the plan, Cambridge/Mass. 1990, pp. 227-242; si veda inoltre A. BLUNT, The Palazzo Barberini: the contributions of Maderno, Bernini and Pietro da Cortona, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 21 (1958), pp. 256-287; M. FAGIOLO, M. FAGIOLO DELL’ARCO, Bernini. Una introduzione al “Gran teatro del Barocco”, Roma 1966, scheda 68; H. HIBBARD, Carlo Maderno and Roman architecture: 1580-1630, London 1971 (Studies in architecture 10), pp. 80-84, 22-230; T. A. MARDER, Gian Lorenzo Bernini, Milano 1998, pp. 59-62. 5 Per una sintesi dei principali aspetti che caratterizzarono il mecenatismo Barberini nei molteplici campi delle arti e delle scienze si veda F. SOLINAS, Lo stile Barberini, in I Barberini e la cultura europea del Seicento. Atti del convegno internazionale tenuto a Roma, 7-11 dicembre 2004, a cura di L. MOCHI ONORI, S. SCHÜTZE, F. SOLINAS, Roma 2007, pp. 205-212. 6 Il complesso soggetto del giardino Barberini con le sue componenti (per gran parte andate perdute nel corso delle lottizzazioni Otto-Novecentesche) manca a oggi di uno studio esaustivo. Per alcuni primi approcci si rimanda a E. B. MACDOUGALL, Fountains, statues, and flowers: studies in Italian gardens of the sixteenth and seventeenth-centuries, Washington 1994, pp. 219-347; WADDY, Seventeenth-century cit., pp. 21, 193, 247, 267-268; FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., pp. 16, 18, 191, 227, 233-235, 549-550; A. CAMPITELLI, Gli horti di flora nell’età dei Barberini, in I Barberini e la cultura cit., pp. 571-580; L. C. CHERUBINI, La riduzione del giardino Barberini nei secoli XIX e XX, in Tra tutela e valorizzazione, i primi venti anni di attività della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, a cura di E. CAJANO, G. BELARDI, Roma 2013, pp. 139-151. 7 Sulla tipologia degli intrattenimenti alla moda nei giardini romani fra Rinascimento e Barocco si rimanda a COFFIN, Gardens and gardening cit., pp. 227-243.

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zione certamente non nuova: cavalcate, quintane, corse all’anello, tornei, fin’anche le tauromachie avevano rappresentato nel secolo precedente le tipologie di intrattenimento più attese soprattutto nel carnevale romano. Avvenimenti particolarmente in voga senza soluzione di continuità anche nella Roma rinascimentale (basti ricordare i caroselli e le battaglie inscenate nel belvedere vaticano) ma particolarmente in uso nell’ambito degli eventi promossi da papa Paolo III Farnese, a cui già Vincenzo Forcella nel 1885 dedicò un intero libro attraverso una paziente opera di ricostruzione dalle cronache dell’epoca8. Fra le molteplici chiavi di lettura del mecenatismo Barberini, in particolare quello maggiormente legato all’ambizione dello stesso Urbano VIII, affiora abbastanza nitidamente il tarlo del superamento della supremazia dei Farnese e della loro immagine che aveva dominato il secolo precedente, proprio grazie a Bernini, che il pontefice, secondo la celebre testimonianza di Baldinucci ambiva a far divenire il «Michelangelo del suo tempo»9 (Tav. III). Gli spettacoli cavallereschi nella tradizione barocca I tornei erano avvenimenti per lo più allestiti in spazi pubblici ma sovente inscenati altresì nei giardini delle ville e nei cortili dei palazzi in occasione di nozze, cerimonie e altre ricorrenze. Coffin riporta una cospicua serie di tali intrattenimenti nei giardini romani, e spazi stabili adibiti ai tornei si registrano nelle ville Farnesina, Medici, Ludovisi e Aldobrandini a Frascati10. Nei primi decenni del XVII secolo erano particolarmente in voga nello Stato Pontificio, anche a seguito della proibizione a dar vita a spettacoli cruenti imposta già a partire da Pio V nel 1567 con la bolla De salute Gregis, e il divieto dei duelli stabilito dal Concilio di Trento e ribadito da Clemente VIII nel 159711, le così dette «opere-torneo» ossia dei veri e propri spettacoli ludico-teatrali, esaltazione dei mai estinti valori cavallereschi dell’uomo d’arme, in cui un combattimento simulato era preceduto da un’introduzione recitata e cantata. Fra essi in particolare erano assai gra8 Fra i vari avvenimenti descritti il riferimento va in particolare alla giostra in piazza SS. Apostoli del 1549, vedi V. FORCELLA, Tornei e giostre, ingressi trionfali e feste carnevalesche in Roma sotto Paolo III, Roma 1885, pp. 113-116. 9 Vedi da ultimo G. MORELLO, Intorno a Bernini: Studi e documenti, Roma 2016, p. 228. 10 COFFIN, Gardens and gardening cit., pp. 228-229; T. L. EHRLICH, Landscape and identity in early modern Rome: villa culture at Frascati in the Borghese era, Cambridge/Mass. 2002, p. 218. Nell’ambito di tali avvenimenti allestiti in spazi privati si può aggiungere anche una Quintana offerta nel 1588 da Felice Orsini nel cortile di palazzo Colonna ai SS. Apostoli in onore della futura sposa del giovane contestabile Marcantonio III, Felice Orsina PerettiDamasceni, cfr. Subiaco (Roma), Archivio Colonna, III TE 29 (1584-1585), f. 231v. 11 Cfr. M. CAVINA, Il sangue dell’onore: storia del duello, Roma 2005, pp. 116-117.

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dite le così dette «barriere»o tornei a piedi, i cui complessi cerimoniali e le singole fasi, proprio nel 1627 erano stati codificati dal trattato Il torneo di Bonaventura Pistofilo nobile ferrarese12. La stessa città di Ferrara aveva dato i natali a un giovane astro della scenografia e della scenotecnica del tempo, Francesco Guitti (1600?-1640) che già nel 1627 figurava come primo scenografo e ingegnere per il completamento del teatro Farnese di Parma. Protagonista del celebrato corso delle feste farnesiane nel primo Seicento e già allievo di Francesco Aleotti, Guitti viene notato dai Barberini nel 1626, per l’allestimento degli Intramezzi ferraresi nel teatro degli Intrepidi in occasione della visita del principe Taddeo alla legazione di Ferrara. Due anni dopo, Guitti acquisisce piena fama a seguito delle spettacolari celebrazioni a Parma in onore delle nozze di Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici, contestuali all’inaugurazione del teatro a palazzo della Pilotta. Nella stessa occasione è artefice dell’allestimento di strabilianti apparati e macchine per gli spettacoli all’aperto, su tutti il Torneo e giostra del saracino in piazza Grande13. Il legame di Guitti con i Barberini fu strettissimo: nel 1631 allestisce sempre a Ferrara il torneo La Contesa offerto dal legato in quella città Giulio Sacchetti, vero e proprio familiare dei Barberini (Tav. IV); dal 1633 si trasferisce a Roma lavorando direttamente alle prime scene del Sant’Alessio nel camerone delle Commedie nel palazzo alle Quattro Fontane e soprattutto nel 1634 è fautore della grande e famosissima Giostra del Saracino in piazza Navona voluta dal cardinale Antonio14.

12 B. PISTOFILO, Il torneo di Bonauentura Pistofilo nobile ferrarese dottor di legge e caualiere nel Teatro di Pallade, Bologna 1627. Sull’opera-torneo barocca si rimanda a G. ADAMI, L’ingegnere-scenografo e l’ingegnere-venturiero: le macchine e le scene di Francesco Guitti ideate per il torneo de La Contesa; Ferrara 1631, in Barocke Inszenierung. Atti del convegno tenuto a Berlino, 20-22 giugno 1996, a cura di J. IMORDE, F. NEUMEYER, T. WEDDIGEN, Emsdetten 1999, pp. 158-189, pp. 165-166; CAVINA, Il sangue dell’onore cit., pp. 120-121. Su questi spettacoli si veda da ultimo J. GOETHALS, The patronage politics of equestrian ballet: allegory, allusion and satire in the course of seventeenth-century Italy and France, in Renaissance quarterly 7, N. 4 (2017), pp. 1398-1448. 13 Sulla figura di Guitti si rimanda a I. LAVIN, Lettres de Parme (1618, 1627 - 28) et débuts du théâtre baroque, in Le lieu théâtrale à la renaissance, colloques Internationaux tenu à Royaumont, 22-27 mars 1963, par des J. JACQUOT, Paris 1964, pp. 105-158; ADAMI, L’ingegnerescenografo cit., p. 166; ID., Scenografia e scenotecnica barocca tra Ferrara e Parma (1625-1631), Roma 2003, pp. 18-23; R. FARAGLIA, voce Guitti, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXI, Roma 2004, pp. 542-544; E. TAMBURINI, Gian Lorenzo Bernini e il teatro dell’arte, Firenze 2012, in particolare pp. 45-46 per i possibili rapporti con Bernini a Parma. 14 Cfr. F. HAMMOND, Music & spectacle in baroque Rome: Barberini patronage under Urban VIII, New Haven 1994, pp. 205-208, 214-224. Sulla celebre giostra: G. BENTIVOGLIO, Festa fatta in Roma alli 25. di febraio MDCXXXIV, Roma 1635; M. BOITEUX, Les Juifs dans le Carnaval de la Rome Moderne (XVe-XVIIIe siècles), in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen âge, temps modernes, 88 (1976), pp. 745-787; EAD., Les Barberini, Rome et la France: fête et

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Il Catadromus nel giardino Barberini e l’ordigno del cavallo Nella recente traduzione del famoso componimento celebrativo di Girolamo Tezi Aedes Barberini ad Quirinalem edito nel 1642, Lucia Faedo e Thomas Frangenberg hanno individuato la posizione di quello che Tezi chiama Catadromus (ossia pista per la corsa dei cavalli), nella parte alta del giardino alle Quatto Fontane subito a ridosso della via Pia, altresì ipotizzando qui la collocazione di un ancora poco definito cavallo beniniano. In un passo inerente la descrizione del giardino Tezi infatti riporta: «Presso la porta del percorso più alto si protende in lungo e in largo una pista [catadromus] tagliata da un lauroregio dove la nobiltà della nostra corte e quella romana […] si esercitano per il combattimento a cavallo». La porta in questione è evidentemente il portale sulla strada Pia, che insieme a un antico viale di lauri costituiva forse una delle preesistenze dei cinquecenteschi orti di Rodolfo Pio da Carpi, com’è noto divenuti poi Sforza. Il termine catadromus, inconsueto per questi spazi come riconosciuto dagli stessi autori della traduzione, è stato però individuato proprio perché usato contestualmente dallo stesso Tezi nella successiva descrizione del celebre dipinto di Andrea Sacchi raffigurante la citata Giostra del Saracino di piazza Navona, per identificare la pista rettilinea allestita al centro della vasta piazza agonale per antonomasia15 (Tav. V). Alcune inedite «misure e stime» fra le giustificazioni del cardinale Francesco ci consentono oggi di fare maggiore chiarezza sulle componenti di questa parte del giardino Barberini. Nella Misura e stima delli lavori di muro […] quali lavori ha fatto mastro Nicolò Scala et compagni capi mastri muratori, datata 6 dicembre 162716, fra le varie opere si descrivono «Lavori fatti al portone a strada Pia bugnato dove sono l’aquile che reggono li festoni antichi». Si tratta evidentemente del citato portale che viene in quest’occasione rimaneggiato e successivamente privato del suo attico con il famoso bassorilievo con aquile (quest’ultimo montato solo nel 1678, politique, in I Barberini e la cultura europea cit., pp. 345-360, p. 349; FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., p. 458 nt. 144. 15 Ibid., pp. 239-239 e fig. 36, n. 9. 16 Cfr. doc. 1 in appendice documentaria. L’inizio dei lavori al giardino alle Quattro Fontane promossi dal cardinale Francesco già a partire dal 1626 era noto dagli elenchi di spese del Libro Mastro: Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio Barberini (d’ora in poi BAV, AB), Computisteria 49, ff. 130, 198 e 290, cfr. J. MERZ, Il cardinale Francesco Barberini mecenate di architettura, in I Barberini e la cultura europea cit., pp. 513-520, p. 516. L’inedita «misura e stima», assieme ad altre relative agli anni successivi, sarà nel suo insieme studiata in una prossima pubblicazione da parte di chi scrive. È interessante altresì notare come a partire dagli stessi anni siano registrati ingenti lavori di ristrutturazione del neo-acquistato palazzo Sforza ancora prima dell’inizio del grande cantiere per il nuovo edificio avviato nel 1628.

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assieme ad altri, sulla facciata est di palazzo Barberini), ben raffigurato nell’appendice alle edizioni seicentesche delle Regole delli cinque ordini del Vignola del 161017. Nello stesso conto vengono descritti i vicini «Lavori fatti all’ordegno del cavallo per di dentro del giardino». Le opere murarie rendicontate consistono essenzialmente nella realizzazione di «dui pozzi dove calano li contrapesi delle rote del cavallo uno dei quali è stato riempito che non servia […] fondo palmi 17 dal piano da basso sino in cima» (circa 3,7 metri)18. Maggiori informazioni sul manufatto, quasi interamente ligneo, si desumono dalle opere realizzate lo stesso anno e registrate dalla Misura e stima delli lavori di legname fatti da maestri Alessandro Nave e Francesco Bartolomeo compagni falegnami. La complessa documentazione ci consente di capire in modo dettagliato la struttura di questa articolata macchina19. Tralasciando in questa sede la descrizione puntuale del macchinario, l’ordigno era costituito in primo luogo da «il corso dove corre il cavallo», ossia un doppio binario ligneo a «due ordini di archarecci cioè uno per banda dove si mette il cavallo […] longo steso insieme per due faccie palmi 620» (circa 70 metri) ed era costeggiato da una palizzata di «passoni n.° 30 piantati in terra quali formano il detto corso alti l’uno palmi 4» (1, 5 metri di altezza). Il cavallo vero e proprio, la cui fattura viene subappaltata al citato scultore Domenico Rossi20, era montato su di una pedana a sua volta inserita fra binari e provvista agli spigoli di «4 piastre coribice […] acciò corresse più forte» (presumibilmente delle piastre scorrevoli ossia rotelle a cuscinetto) e un «rotino messo nel mezzo […] fatto di tavolone d’olmo» 17 Cfr. doc. 1, f. 303r; J. BAROZZI DA VIGNOLA, Regole delli cinque ordini. Nuova et ultima aggiunta delle Porte d’Architettura di Michel Angelo Buonaroti Fiorentino Pittore Scultore et Architetto Eccell.mo, Roma 1610, tav. XXXXV. Sul portale e il suo rilievo vedi M. PAPINI, Palazzo Barberini: i rilievi della facciata sul giardino, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 100 (1999), pp. 281-324, pp. 306-309, dove l’autore ritiene che il portale sia stato demolito proprio nel 1626, riprendendo quanto riportato in D. R. COFFIN, The villa in the life of Renaissance Rome, Princeton/NJ 1979, p. 198, nt. 63. Il documento a sostegno di questa tesi, trascritto da O. POLLAK, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII, I: Kirchliche Bauten (mit Ausnahme von St. Peter) und Paläste, Wien 1928, p. 363, sarebbe stato tuttavia male interpretato. Il portale demolito si trovava infatti «al Palazzo di Monte Cavallo quale era nella facciata di strada pia incontro alla Porta del Giardino [di palazzo Barberini]». Anche il documento qui presentato confuterebbe tale ipotesi dal momento che i lavori per il portale non descrivono una demolizione quanto piuttosto il solo allargamento del fornice con relativa scalzo e ricollocamento di una delle due colonne poste nel lato interno al giardino. Nella stessa misura e stima si riferisce invece di un altro e diverso «portone dov hoggi e al presente escano quali si ha da levar via verso Monte Cavallo», cfr. doc. 1, f. 302v. 18 Cfr. doc. 1, f. 298v. 19 Cfr. doc. 2 f. 21v e sgg. 20 Cfr. doc. 3.

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(Tav. VI). Particolarmente ingegnoso doveva essere il meccanismo di propulsione, verosimilmente azionato dal citato contrappeso che per mezzo di un argano veniva lasciato cadere nella profondità del pozzo sopra descritto, trasmettendo per mezzo di una fune la forza a una grande ruota dentata. Sintetizzando la dettagliata descrizione di ogni singola componente, è possibile riconoscere un’elaborata tipologia meccanica che consentiva di generare un moto orizzontale da un contrappeso calato verso il basso. Questa sembrerebbe rispondere a un dispositivo utilizzato per le citate nozze parmensi del 1628, descritto tanto dal noto codice autografo di Francesco Guitti che dalla relativa relazione a stampa di Marcello Buttigli del 1629, per la realizzazione di un carro semovente. Tale meccanismo era governato infatti da una «ruota dentata e rocchetto a lanterna», che sembrerebbe grosso modo calzare col sistema a «rotone grande» dentato con «36 piroli e ruotino» del nostro ordigno: un marchingegno connesso tramite funi al citato contrappeso da calare nel pozzo per generare la forza motrice21. La particolarità dell’ordigno, che in base alle conoscenze attuali non trova nessun riscontro nei giardini coevi, doveva certamente essere stata concepita da un ingegnere di particolare esperienza in questo campo. Non è da escludere che i Barberini e Bernini si siano avvalsi della consulenza dello stesso Guitti (del resto, come mi suggerisce generosamente Francesco Solinas, il casato di Urbano VIII già dal 1625 aveva ingaggiato per l’allestimento del giardino altri artisti di casa Farnese come il celebre giardiniere Tobia Aldini)22. In concomitanza con l’affermarsi dell’opera-torneo e le sue articolate dinamiche si assiste infatti nei primi anni del XVII secolo a uno straordinario sviluppo della scenotecnica e dell’invenzione di congegni meccanici. Grazie ai fondamentali studi di Giuseppe Adami sappiamo oggi che Guitti fu a lungo allievo e collaboratore dell’ingegnere militare Pietro Paolo Floriani, figura centrale per l’evoluzione della scenotecnica del primo Seicento proprio per la trasposizione della meccanica militare applicata alla scenografia dinamica, richiesta in particolar modo dalli spettacoli guerreschi e dalle opere-torneo23. 21

Cfr. ADAMI, Scenografia e scenotecnica cit., pp. 131-132, f. 2r e tav. 26. Il celebre medico e botanico cesenate Tobia Aldini, autore nel 1625 di una descrizione a stampa degli Orti farnesiani sul palatino, dallo stesso anno risulta alle dipendenze del cardinale Barberini, ed è pagato nell’anno successivo per il trasporto di «mortari di bronzo e di pietra per stillare l’acqua dal palazzo di piazza Madama; leoni altre robe dal palazzo del già Card. Farnese a Monte Cavallo [la villa Aldobrandini a Magnanapoli]», cfr. BAV, AB, Giustificazioni I, b. 46, n. 696: «Nota della spesa fatta da me Tobia Aldini per far andar diverse robbe al Palazzo dell’ill.mo sig. card. Barberino alle Quattro Fontane dal giardino degli heredi del sig. card. Del Monte di Ripetta e da Madama». 23 Cfr. ADAMI, L’ingegnere-scenografo cit., p. 163. 22

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L’ordigno del giardino Barberini in base ai documenti rintracciati doveva essere collocato a ridosso del nuovo muro sulla strada Pia, confermando l’intuizione di Lucia Faedo. Sulla base delle parole di Tezi che descrive il citato Catadromus intersecato dal viale dei lauri (lauroregio), la stessa studiosa ha ipotizzato il corso della pista attorno al viale alberato. Volendo accogliere anche questo presupposto, la corriera (ossia i binari lignei) del cavallo in base alle dimensioni descritte doveva essere posizionata su uno dei due lati lunghi (Tav. VII). Alla data di costruzione dell’ordigno, nei frequenti richiami ai pagamenti presenti nel libro mastro oltre al termine «cavallo per correre» compare altresì l’indicazione «per giostrare»24. La più volte citata ma più tarda testimonianza di Tezi (1642), edita quando ormai il palazzo Barberini era stato completato in quasi tutte le sue componenti, riferisce della pista utilizzata dalla nobiltà per se excertent (esercitarsi) al combattimento a cavallo25. Riguardo alle opere-torneo, al di là del grande evento promosso in piazza Navona, non disponiamo a oggi notizie di tale tipologia di intrattenimenti (analoghi a quelli in voga a Ferrara, Parma o Bologna), o di altri spettacoli cavallereschi promossi direttamente dai Barberini a Roma e soprattutto allestiti nel loro palazzo e giardino alle Quattro Fontane, tuttavia l’utilizzo dell’ordigno non doveva essere privo di una qualche forma di cerimoniale, di carattere forse più intimo. Né del resto è da escludere che nelle intenzioni iniziali il catadromus dovesse essere destinato ad accogliere avvenimenti di grande portata, da svolgersi tanto nella pista quanto nei diversi ambienti interni adibiti alle rappresentazioni teatrali26, secondo lo schema ideale di un’opera-torneo col vantaggio di simulare un tenzone vero e proprio invece di una tradizionale quintana o di una modesta «barriera» a piedi. Proseguendo la lettura del poema, la descrizione di spettacolari tornei inscenati 24 Cfr. supra, nt. 1. Coffin riporta altri riferimenti dal Libro Masto del cardinale Francesco dove compare la dicitura «cavallo per giostrare», cfr. ARONBERG LAVIN, Seventeenthcentury cit., p. 47; COFFIN, Garden and gardening cit., p. 229. I documentati elementi di cartapesta potevano riguardare le rifiniture del cavallo ma anche la fattura di un fantoccio ivi posizionato, vedi infra nt. 27. 25 Tale terminologia appare necessaria ricordando il vigente divieto di Clemente VIII, il quale già dal 1596 aveva aggiunto all’indice dei libri proibiti i trattati sul duello nonché le esaltazioni della pratica di combattimento, risulta abbastanza comprensibile che quest’ultimo potesse essere inscenato ed esaltato soltanto come simulazione o pratica a scopo di esercizio, si veda ad esempio; CAVINA, Il sangue dell’onore cit., pp. 116-117. 26 Per alcuni pagamenti relativi all’arte di cavalcare negli anni Venti dai Libri Mastri di Taddeo Barberini cfr. F. CALCATERRA, La spina nel guanto: corti e cortigiani nella Roma barocca, Roma 2004 (Roma: storia, cultura, immagine 13), p. 75; Per i vari ambienti adibiti a spettacoli teatrali, anche nel giardino cfr. TAMBURINI, Gian Lorenzo Bernini e il teatro cit., pp. 46-49.

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in casa Barberini che fornisce lo stesso Tezi ci viene ulteriormente incontro nell’immaginare le possibili modalità di utilizzo dell’ordigno da parte dei nobili cortigiani in bonaria sfida fra loro: «[il cavaliere] Appena il dà il segnale […] lancia il cavallo [quello vero]. E dopo aver abbassato dapprima la lancia leggera oltre la coscia, e averla poi di nuovo alzata, e lentamente portata al petto, come se tagliasse nel mezzo le orecchie del cavallo, con un colpo frontale assale il fantoccio che simula il nemico; infine tirate le redini arresta il cavallo riluttante alla fine della pista e per una diversa via ritorna alla barriera mostrando la lancia spezzata»27. Lo scontro fra il cavaliere e il «fantoccio», verosimilmente posizionato sul cavallo meccanico a sua volta lanciato dal congegno, doveva avvenire circa a metà strada. Il cavaliere svoltava poi dopo il tornante percorrendo il secondo lato della pista per fare ritorno alla sbarra, posizionata di fronte al palco degli spettatori verso il lato della via Pia. Non è quindi forse un caso che nella stessa misura e stima dei lavori di falegnameria sia riportata fra altri numerosi lavori al giardino anche la descrizione di una «ringhiera» a ridosso del nuovo muro sulla strada Pia, allestita altresì con una «bussola» — un fastoso mignano ligneo intagliato con termini figurati e provvisto di gelosie — forse adibita proprio per ospitare qualche spettatore d’onore28. Il Catadromus e il giardino della guglia In base alle conoscenze attuali, il settore intorno alla pista, almeno dal 1632, prenderà il nome di «giardino della guglia»29. Nel 1633 il cardinale Francesco aveva fatto spostare alle Quattro Fontane il noto obelisco (oggi al Pincio) acquistato l’anno precedente, con l’intenzione di innalzarlo in questo sito30. La nuova documentazione reperita consente tuttavia di anti27

Cfr. FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., pp. 230-241. Cfr. doc. 1, f. 303r : «Per haver fatto il muro del fondo passato la ringhiera […] Per haver fatto il muro accanto alla ringhiera fatta sopra il muro vecchio quale è stato fatto per mostra […]»; doc. 2, f. 24r e sgg.: «Bussola di noce fatta sopra alla ringhiera in Strada Pia […]». 29 Archivio di Stato di Roma (ASR), Congregazioni Religiose Maschili, Teatini, S. Andrea della Valle, b. 2200, I, fasc. 2, f. 26, cfr. FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., p. 550, contrariamente all’ipotesi degli autori, dalla lettura della misura e stima il giardino citato non risulta essere la parte del giardino inferiore dove l’obelisco fu posizionato in attesa di essere restaurato, quanto piuttosto il giardino superiore dove esso andava innalzato. Altri documenti in POLLAK, Die Kunsttätigkeit cit., p. 331; ripresi da C. D’ONOFRIO, Gli obelischi di Roma, Roma 1967, p. 231. 30 Sulla storia dell‘obelisco Barberini si rimanda a: ibid., pp. 230-233 e pp. 295-297; WADDY, Seventeenth-century cit., pp. 206, 261-263, 267-261; L. FAEDO, Storie di idoli ed obelischi alle Quattro Fontane: note sulle antichità egizie nelle collezioni barberiniane, in Culti orientali, tra scavo e collezionismo. Atti del convegno internazionale tenuto a Roma, 2006, a cura di B. PALMA VENETUCCI, Roma 2008, pp. 123-142, p. 124 nt. 11 con altra bibliografia. 28

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cipare l’intenzione di erigere un obelisco nel giardino, proprio nel settore verso la strada Pia, già dal 1627 (cinque anni prima dell’acquisto dell’obelisco ritrovato nei pressi dell’Anfiteatro castrense), come attestato dal coevo conto di Domenico Bolla stagnaro, che riporta: «A di 22 di Maggio 1627 […] a di’ 17 settembre ho dato condotti di piombo per mandar l’acqua alla spalliera nuova de cedri nel giardino della Guglia»31. Se il simbolo solare per eccellenza nel giardino della «reggia del Sole» rappresentava un elemento quasi doveroso e quindi previsto sin dai progetti iniziali, il suo posizionamento in asse con uno spazio agonale, in richiamo di un circo antico, diveniva quasi logico. In un’ottica di rievocazione dell’antico, la stessa pista per cavalli richiamava direttamente all’Hippodomus della villa di Plinio32 dove oltretutto la componente arborea — qui assolta pienamente dai lauri — costituiva uno dei principali elementi. Lo stesso Circo variano presso l’Anfiteatro castrense, luogo dove fu scavato l’obelisco, poteva rappresentare un vicino esempio, fra l’altro oggetto di una ricostruzione grafica da parte di Giacomo Lauro (Tav. VIII), studioso di antichità la cui grande raccolta di incisioni rappresentò una ben nota fonte di ispirazione per la formazione dei giovani Bernini, Borromini e Pietro da Cortona33. Ma il riferimento più diretto nell’ambito del mecenatismo promosso dai Barberini potrebbe essere ravvisato nello stadio della tiburtina villa Adriana, privilegiato luogo di scavo per la passione antiquaria del cardinale Francesco, nonché nuovo oggetto degli studi promossi da Cassiano dal Pozzo che di li a poco affiderà a Francesco Contini l’incarico

La data di acquisto (1632) e di trasporto al giardino (1633) in ARONBERG LAVIN, Seventeenthcentury cit., pp. 124-125. L’esatta posizione dell’obelisco in asse con la pista è certificata da un codice della BAV databile fra il 1632 e 1644 in cui viene dichiarata l’intenzione di innalzarlo davanti al «ponte levatoio», cfr. D’ONOFRIO, Gli obelischi cit., p. 230 nt. 3; la stessa posizione è nuovamente certificata nei documenti della fase di ristrutturazione dell’ala sud promossi dal cardinale Francesco fra il 1672-1679 e dalla stampa di Alessandro Specchi. Per il ponte levatoio che diverrà successivamente il Ponte Ruinante, cfr. infra, nt. 50. 31 Cfr. BAV, AB, Giustificazioni I, b. 46, n. 1004, f. 263r (anno 1627). La voce è riportata immediatamente prima e dopo altri lavori registrati alla «gelosia del giardino in strada Pia». 32 Cfr. FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., p. 238, nt. 140. 33 Giacomo Lauro, Antiquae Urbis Splendor, Roma, appresso Giacomo Mascardi, 16121615, tav. 83. Sull’importanza dell’opera per gli architetti barocchi si rimanda a D. DEL PESCO, Borromini e la Roma antica di Giacomo Lauro, in Francesco Borromini. Atti del convegno internazionale tenuto a Roma, 13-15 gennaio 2000, a cura di C. L. FROMMEL et alii, Milano 2000, pp. 284-296; D. DEL PESCO, La Roma antica di Giacomo Lauro, in Il disegno di architettura 37 (2010), pp. 10-18, in particolare pp. 12-16 per le influenze sulla cerchia Berberini; V. P. TSCHUDI, Baroque antiquity: archaeological imagination in early modern Europe, New York 2017.

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di eseguire nuovi rilievi sulla base dei disegni di Pirro Ligorio almeno dal 1633 entrati a far parte della biblioteca del cardinale34. La rievocazione antiquaria nell’ambito dei propositi del cardinale Francesco per il giardino alle Quattro Fontane non doveva essere certamente una componente di poco conto, soprattutto dopo il ritrovamento proprio in data 1627 delle pitture antiche — il famoso ninfeo Berberini — proprio nelle grotte a ridosso del catadromus, in quella zona dove era in procinto di edificarsi l’ala meridionale del nuovo palazzo da destinare appunto agli appartamenti cardinalizi35. L’avvio dei lavori al giardino coincide infatti con un primo allestimento di tali reperti, come certificato dal citato documento di misura e stima in cui si registrano altresì le prime opere provvisionali volte a salvaguardare il sito con un nuovo tetto e l’istallazione di un cancello36, a cui seguirà poi una nuova esposizione una volta edificati gli ambienti del palazzo37. La manipolazione simbolica delle antichità ritrovate o raccolte nel palazzo, oggetto di esegesi encomiastiche da parte di scrittori e poeti di corte come Alessandro Donati e Luca Holstenio, del resto rappresentava una prassi fondamentale nell’ambito delle strategie auto-celebrative del casato38. Prassi che si sposava perfettamente con la passione antiquaria di Francesco Barberini, che si indirizzava in quegli anni sempre di più anche verso i culti orientali ed egizi, forse proprio sulla scorta dei ritrovamenti presso la villa tiburtina. Una passione che lo porterà a raccogliere una considerevole quantità di statue e reperti egittizzanti39, 34 Cfr. MERZ, Il cardinale Francesco Berberini cit., p. 518. Il cardinale era stato già a partire dal 1624 governatore di Tivoli, sulla vicenda si veda da ultimo G. E. CINQUE, Le rappresentazioni planimetriche di Villa Adriana tra XVI e XVIII secolo: Ligorio, Contini, Kircher, Gondoin, Piranesi, Roma 2017, pp. 28-38. 35 H. LAVAGNE, Une peinture romaine oubliée: le paysage du nymphée découvert au Palais Barberini en 1627, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité 105 (1993), pp. 747-777; L. FAEDO, Vivere con gli antichi: una pittura antica a Palazzo Barberini e la sua fruizione tra XVII e XVIII secolo, in I Barberini e la cultura europea cit., pp. 381-392, pp. 383, 390 nt. 11, 391 nt. 25. 36 Cfr. doc. 1, f. 302r: «Lavori fatti al giardino dove s’è trovato le pitture antiche»; BAV, AB, Giustificazioni I, b. 46, n. 1009 (anno 1627): «Conto […] de lavori fatti al Palazzo delle 4 fontane da Mastro Cencio Corado Ferraro […] A di’ 15 d’agosto per un catenaccio pieno con suo staffettone limato messo in opera a una porta nuova della grotta sotto al giardino, scudi -:55». 37 Cfr. WADDY, Seventeenth-century cit., p. 255; FAEDO, FRANGENBERG, Hieronymus Tetius cit., p. 550; FAEDO, Vivere con gli antichi cit., p. 391 nt. 25. 38 Sulle celebrazioni del ninfeo Barberini vedi da ultimo ibid., pp. 387-389; G. MORELLO, Olstenio, in I Barberini e la cultura europea cit., pp. 173-180. 39 Per la raccolta di manufatti egizi del cardinale si rimanda a FAEDO, Storie di idoli ed obelischi cit., in particolare p. 125; per quelli esposti nel giardino alle Quattro Fontane ibid., pp. 129-130. Faedo ipotizza la posizione della celebre statua di Antinoosiris, oggi al Museo

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fra cui diverse figure del celebre Antinoo in veste di Osiride in parte allestiti nei pressi del giardino della guglia, e che culminerà con la chiamata a Roma di Athanasius Kircher (Tav. IX) proprio per la traduzione dei geroglifici scolpiti sull’obelisco40. Bernini: l’obelisco, l’elefante e il Ponte Ruinante In questo indubbio contesto di pluralità di modelli, il ruolo centrale di Bernini per la sistemazione del giardino potrebbe emerge dal ben noto disegno oggi a Windsor41 (Tav. X), che in base ai nuovi riscontri documentari andrebbe a mio avviso collocato cronologicamente fra il 1627 e il 1632, proprio perché legato agli altri elementi del giardino realizzati in quegli anni: oltre alla pista, anche il ponte levatoio posto a collegamento con il piano nobile, che evolverà anni dopo nel Ponte Ruinante su cui si tornerà a breve. Si tratta del celebre progetto dell’obelisco Barberini posizionato sul dorso di un elefante, tema che verrà ripreso molti anni dopo per la piazza della Minerva. Com’è noto, l’obelisco acquistato dal cardinale Francesco nel 1632 non venne mai innalzato nel giardino alle Quattro Fontane nonostante ne sia documentata l’intenzione in almeno due successive occasioni: nel 1658 e nel 1672-167942. Diverse ragioni tuttavia inducono a ipotizzare Gregoriano Egizio, almeno dal 1806 al 1930 nel giardino grande poco più a nord del catadromus (come visibile dall’incisine di Baltard), non lontano da dove si trova ancora oggi la grande stele egizia. Si veda anche A. NEGRO, Rione II. Trevi, Roma 1980 (Guide rionali di Roma, 2), I, p. 217. Per entrambi gli elementi non è tuttavia attualmente possibile attestarne la presenza nel giardino già nel Seicento. 40 FAEDO, Storie di idoli ed obelischi cit., pp. 123-125 con bibliografia. Per i rapporti di padre Kircher con i Barberini e gli studi su villa Adriana si rimanda da ultimo F. CINQUE, Le rappresentazioni planimetriche cit., pp. 111-116 e relativa bibliografia. Per un quadro esaustivo dei rapporti fra il gesuita e Bernini, anche in relazione alla bibliografia precedente, si veda T. A. MARDER, Borromini e Bernini a piazza Navona, in Francesco Borromini cit., pp. 140-145, pp. 141-142. 41 Cfr. H. BRAUER, R. WITTKOWER, Die Zeichnungen des Gianlorenzo Bernini, Berlin 1931 (Römische Forschungen der Bibliotheca Hertziana 9-10), I, pp. 145-147; ibid., II, taf. 14a, dove il disegno è genericamente ascritto cronologicamente al pontificato di Urbano VIII (1623-1644); A. BLUNT, The Roman drawings of the XVII & XVIII centuries in the collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, London 1960 (The Italian drawings at Windsor Castle, 8), rl. 5628. 42 Il disegno di Windsor viene da molti datato al 1658 sulla base della lettera a Carlo Strozzi che riferisce della nuova intenzione del cardinale di erigere l’obelisco nel suo giardino come nel disegno già fornitogli da Bernini, cfr. M. PIACENTINI, L’epistolario di L. Agostini e due notizie sul Bernini, in Archivi d‘Italia (1940), pp. 113-116; la tesi è accolta in FAGIOLO, FAGIOLO DELL’ARCO, Bernini. Una introduzione cit., scheda 170; V. GOLZIO, Palazzi romani dalla rinascita al neoclassico, Bologna 1971, p. 390; WADDY, Seventeenth-century cit., pp. 261-262; D. DEL PESCO, Luca Holstenio e il Colonnato, in Il barocco romano e l’Europa, a cura di M. FAGIOLO, M. L. MADONNA, pp. 151-191, p. 175. In D’ONOFRIO, Gli obelischi cit., p. 232 nt. 6,

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che la prima idea di Bernini fosse trasposta su carta prima dell’acquisto dell’obelisco stesso, nell’ambito di un geniale programma iconografico per il giardino Barberini elaborato forse dall’artista fiorentino sulla scorta degli studi dei colti letterati annoverati fra l’entourage del cardinale Francesco. Va osservato in primo luogo che il disegno in questione raffigura una guglia assai diversa dal ben più alto e diversamente istoriato obelisco di Antinoo acquistato nel 1632. L’obelisco del disegno sembrerebbe ancora un elemento generico, tutt’al più rapportabile per proporzioni a quello del Pantheon, allora posizionato in piazza S. Macuto (né è del tutto da escludere che le iniziali intenzioni di Urbano VIII per l’edificanda reggia alle Quattro Fontane fossero rivolte proprio a quel manufatto antico)43. Se si confrontano i disegni di Bernini relativi alla più tarda progettazione della Fontana dei Fiumi o le molteplici soluzioni dell’obelisco della Minerva, l’attenzione verso il dato dimensionale concreto, ossia le corrette proporzioni delle guglie da erigere, appare costante. Già Anthony Blunt44 prendendo in esame il disegno berniniano ne riconosce un’idea giovanile. Su questo progetto molti autori hanno ipotizzato un chiaro richiamo all’elefante obeliscoforo dell’Hypnerotomachia Poliphili (Tav. XI), il celeberrimo combattimento amoroso che nella tradizione rinascimentale aveva sempre più rappresentato un vero e proprio manuale d’ispirazione per l’elaborazione di giardini fantastici, concepiti come percorso di meraviglie45. Ancora Cesare D’Onofrio ribadisce (oltre alla datazione precoce del disegno) questo accostamento ricordando la presenza, immediatamente accanto al luogo dove doveva essere innalzato l’obelisco, del citato celebre elemento di chiara matrice berniniana che caratterizzerà la post-datazione viene rifiutata ascrivendolo invece ai primi anni Trenta. Personalmente mi trovo nella stessa posizione, osservando che la lettera pur citando il disegno di Bernini non riferisce, né lascia intendere, che questo sia stato fatto in quell’anno. 43 Sulla storia dell’obelisco macuteo prima dello spostamento in piazza del Pantheon e le possibili altre destinazioni suggerite anche da G. B. Mercati si rimanda a T. A. MARDER, Piazza della Rotonda e la fontana del Pantheon: un rinnovamento urbanistico di Clemente XI, in Arte illustrata 7 (1974), pp. 310-320, p. 313. 44 Cfr. A. BLUNT, The Roman drawings cit., p. 24; per una prima analisi sull’opera di Francesco Colonna si veda ID., Artistic Theory in Italy, 1450-1600, Oxford 1940, pp. 39-47. 45 Si veda M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980 (Ars fingendi 1), in particolare pp. 72-76 per l’iconografia dell’elefante legata ai valori di fortuna e sapienza, e p. 96 per l’ipotesi di riappropriazione intellettuale dell’opera nell’ambito delle strategie di autocelebrazione dei Barberini, soprattutto in relazione al neo acquisito feudo di Palestrina contrattualizzato proprio nel 1627 a seguito del matrimonio fra Taddeo e Anna Colonna; S. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili e Roma: metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Roma 2012, p. 249; sull’opera e i giardini vedi anche S. COLONNA, La nascita dell’architettura del giardino rinascimentale nell’Hypnerotomachia Poliphili, in Bollettino Telematico dell’Arte 562 (2010), pp. 1-23.

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il giardino della guglia: il Ponte Ruinante (effettivamente realizzato però quasi cinquant’anni dopo), non senza richiami all’illustre precedente del giardino di Bomarzo e le sue fantastiche rovine46 (Tav. XII). Proseguendo sull’ipotetico collegamento con l’opera di Francesco Colonna, Marcello Fagiolo individua il probabile prototipo figurativo nella tavola del tempio di Plutone (Tav. XI) nella città in rovina di Polyandrion — i magnifici resti di un mondo antico e senza tempo — sottolineando il binomio fra obelisco e arco diruto ivi raffigurato47. A sostegno di queste supposizioni oggi siamo in grado di aggiungere qualche ulteriore elemento che sembrerebbe confermare ancora una volta l’idea di un programma iconografico per il giardino della guglia in nuce già a partire dal 1627. Nella più volte citata misura e stima dei lavori di muratura di quell’anno infatti sono insolitamente registrate con una certa enfasi laboriose e difficili manovre per il posizionamento in prossimità della pista del cavallo di una palma di considerevole altezza48. Derivato dalla simbologia orientale, il significato della palma nella tradizione evangelica rimandava alla vittoria, all’ascesa, alla rinascita e all’immortalità. La scelta di inserirla nel giardino della guglia appare in sintonia con la simbologia solare attribuita all’obelisco, sempre nell’ambito di un generale processo di auto celebrazione della famiglia e del pontefice in cui le antichità pagane divenivano strumenti allegorici ricondotti nell’alveo della tradizione cristiana49. La possibile ispirazione dall’Hypnerotomachia Poliphili si ravviserebbe ancora una volta nella stessa veduta di Polyandrion, dove oltre alla palma a fianco

46 D’ONOFRIO, Gli obelischi cit., pp. 231-232; M. CALVESI, L’elefante con obelisco tra Colonna e Barberini, in Innocenzo X Pamphilj, arte e potere a Roma nell’età barocca, a cura di A. ZUCCARI, S. MACIOCE, Roma 1990, pp. 17-25. Sul Ponte Ruinante si rimanda a FAGIOLO, FAGIOLO DELL’ARCO, Bernini. Una introduzione cit., pp. 104-106; M. FAGIOLO, Il Teatro della Morte e del Tempo, in La festa a Roma dal Rinascimento al 1870, I: Atlante, Roma 1997, pp. 270-277; WADDY, Seventeenth-century cit., pp. 251, 262, 268-271; MARDER, Gian Lorenzo Bernini cit.; SPILA, Il Ponte Ruinante cit. 47 M. FAGIOLO, Il trionfo del tempo: caducità ed eternità, in Roma Barocca. Catalogo della mostra tenuta a Roma, 16 giugno-29 ottobre 2006, a cura di ID., P. PORTOGHESI, Milano 2006, pp. 312-319, p. 317; FAGIOLO, Roma Barocca cit., pp. 661-662. 48 Cfr. doc. 1, f. 298r: «Lavori fatti intorno alla Palma […]»; doc. 2, f. 20v: «Per aver fatto il strascico per condurre la Palma et armature atorno a detta Palma […]». 49 Sulla simbologia della palma nell’ambito della tradizione barocca vedi S. BOZZI, Gli alberi e la vegetazione, in La Festa a Roma cit., pp. 244-248, p. 246; sulla simbologia dell’obelisco nel giardino Barberini in sintonia con la celebrazione barberiniana della Divina Sapienza cfr. FAEDO, Storie di obelischi cit., pp. 124-125. La palma accanto all’obelisco figura anche nel frontespizio dell’Oedipus Aegyptiacus di A. Kircher del 1654, disegnato da G. A. Canini e inciso da C. Blomaert, sullo sfondo della scena che immortala la vittoria di Oedipus sull’enigma della Sfinge.

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dell’obelisco e del ponte diruto, salta agli occhi la presenza fra le macerie di un elemento a forma di circo antico. Il legame fra pista — intesa come circo con il suo obelisco — e ponte si rafforza se pensiamo che quest’ultimo avrebbe potuto altresì rivestire un ruolo non secondario nei tornei ivi inscenati. Ci viene incontro nuovamente Tezi nella descrizione degli epiloghi di tali avvenimenti: «Con lo stesso sfarzo e con la stessa sequenza gli altri cavalieri proseguono questa battaglia […] finché a un segnale si recano nel vicino teatro coperto da alloro trionfale e sono generosamente colmati di doni dal benevolissimo principe». Prima della costruzione del teatro Barberini nel sottostante cortile della cavallerizza, le rappresentazioni erano solitamente allestite nel citato camerone delle commedie50, adiacente alla sala in diretto asse con il ponte, che costituiva pertanto un passaggio obbligato. I lavori iniziati al giardino nel 1626-27 dovevano certamente essere connessi ai progetti del palazzo, in quella data già pronti se si pensa che il grande cantiere verrà avviato di li a poco51 (Tav. XIII). Tutto si chiarisce ulteriormente se pensiamo alla ricorrente ambientazione classico-mitologica e simbolica delle opere teatrali che, nella tradizione letteraria del tempo, precedevano e concludevano un torneo, rappresentazioni che si svolgevano secondo atti scenici e quasi sempre secondo lo stesso copione. La citata Contesa di Ferrara del 1631 rimarcava la sua ambientazione in un mitico e antico mondo in rovina, contesto sottolineato per tutto il corso della rappresentazione dalla decorazione dell’arcoscenico52 (Tav. IV). L’approdo o il superamento per mezzo dell’intervento divino ex machina di varchi createsi a seguito di crolli improvvisi e terremoti 50

Il camerone delle commedie venne presumibilmente utilizzato per la prima volta per la rappresentazione del Sant’Alessio del 1632. La precedente recita del Marsia nel 1628 venne inscenata in un non individuato ambiente dell’ala Sforza, cfr. HAMMOND, Music & spectacle cit., pp. 200-201. Il teatro esterno al palazzo fu inaugurato nel 1639, mentre altri ambienti dell’ala Sforza avevano accolto cerimonie e festeggiamenti già dal 1626, cfr. WADDY, Seventeenthcentury cit., p. 392 nt. 199; vedi anche supra nt. 26. 51 La stessa e successiva ristrutturazione dell’ala sud degli anni 1672-1679 non fu altro che una tardiva esecuzione dei progetti iniziali, con il completamento dell’appartamento terreno ancora parzialmente interrato, la costruzione del terrapieno a ridosso del giardino alto verso la strada Pia e il conseguente ampliamento del cortile con realizzazione del Ponte Ruinante, in luogo del quale esisteva precedentemente un piccolo ponte levatoio ligneo, cfr. WADDY, Seventeenth-century cit., pp. 251-263. 52 Il legame fra il Ponte Ruinante e la scenografia di Guitti nell’ambito della simbologia delle rovina è stato sottolineato in FAGIOLO, FAGIOLO DELL’ARCO, Bernini. Una introduzione cit., p. 104; FAGIOLO, Il Teatro della Morte cit.; cfr. anche ADAMI, L’ingegnere scenografo cit., p. 170 nt. 138.

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era pressoché una costante delle recite e nei preamboli ai tenzoni di cui gli stessi cavalieri erano parte attiva53, non è quindi difficile immaginare i protagonisti e i convitati recarsi dal luogo del torneo al teatro o viceversa — dove l’evento iniziava e terminava — attraverso un repentino azionamento del ponte levatoio con stupore di tutti54. Fra i molteplici riferimenti nell’ambito della vasta letteratura del genere si potrebbe richiamare ad esempio un passo della descrizione del torneo fatto a Bologna nel 1639 in onore di Giulio Sacchetti — un testo che compare fra i titoli della biblioteca privata di Bernini — dove si narra dell’approdo, dopo un fragoroso crollo provocato da un fulmine scagliato da Giove, alla mitica città di Laurento in rovina55, grazie ad una prodigiosa comparsa: «scesero per un ponte, che improvviso e senza vedersi come, montò dal pavimento della gran sala ad unirsi col pavimento della nobilissima scena». Il ponte concepito da Bernini in quegli anni (e realizzato soltanto cinquant’anni dopo nell’ambito di un tardivo completamento dell’ala sud di palazzo Barberini nuovamente abitata dal cardinale Francesco a partire dal 1671) secondo questa ipotesi non sarebbe altro che la traduzione in architettura stabile di un artificio scenografico proprio delle opere-torneo di consolidata tradizione, inscenate o da inscenarsi nel vicino catadromus del giardino Barberini che, con il suo ordigno del cavallo, costituisce pertanto l’elemento che da vita all’intero scenario. Resta pertanto particolarmente affascinante l’ipotesi che attraverso la rievocazione della battaglia amorosa di Polifilo, Bernini volesse a coniugare il tema delle rovine di mitici mondi del passato, in cui erano ambientate altresì le moderne rappresentazioni cavalleresche56, con il tema del 53

Vedi ad esempio ibid. p. 171, nt. 144. Anche il Ponte Ruinante, in sostituzione del precedente collegamento ligneo, verrà dotato di un meccanismo a ponte levatoio, cfr. WADDY, Seventeenth-century cit., p. 261, p. 400 ntt. 388-389. 55 G. B. MANZINI, Del torneo ultimamente fatto in Bologna all’Eminenza Sacchetti…, Bologna, Giacomo Monti, Carlo Zenero, 1639, p. 38; l’analogo evento si registra in un momento successivo stavolta dietro lo scenario di una grande macchina rappresentante la città di Roma antica «cadente e rovinosa»con i suoi «più famosi teatri, gli archi, i tempij, le statue, e i colossi più gloriosi» da cui «Smontati [i cavalieri] dalla macchina e sollecitati i cavalli a transitar dalla scena al teatro, sorse repentino dal pavimento della sala un ponte, quale appunto nelle opposte occorrenze della scena rivale descrivemmo pur testè», cfr. ibid. pp. 5255. Per l’appartenenza del volume alla biblioteca privata di Bernini cfr. S. MCPHEE, Bernini’s books, in The Burlington magazine 142 (2000), pp. 442-448, p. 445; M. FAGIOLO DELL’ARCO, L’immagine al potere: vita di Giovan Lorenzo Bernini, Roma 2001, p. 379. 56 Un‘interessante analogia fra l’Hypnerotomachia Poliphili e l’Orlando Innamorato di Boiardo è stata evidenziata in M. CALVESI, Bomarzo e i poemi cavallereschi: le fonti delle iscrizioni, in Arte Documento 3 (1989), pp. 142-153; per il rapporto fra le opere-torneo barocche e i 54

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giardino e la sua guglia, aggregando i diversi elementi che vi dovevano comparire, il tutto probabilmente ricondotto nell’alveo del tema cristiano cardine dell’autocelebrazione di Urbano VIII, ossia il trionfo della Divina Provvidenza sul vizio e sulle barbarie celebrata l’anno successivo dal noto poema di Francesco Bracciolini e dall’immane dipinto di Pietro da Cortona nel salone centrale del palazzo57. In conclusione: Carlo Maderno, Francesco Guitti, Cassiano dal Pozzo, il folclore degli spettacoli ludici, l’erudizione antiquaria, la «Sapientia Aegypti», la tradizione del giardino rinascimentale e altro ancora. È indubbio che i personaggi e gli elementi che concorsero alla definizione del giardino della guglia siano stati molteplici, e riferibili a modelli artistici già in voga. Ma è altresì molto probabile ipotizzare Bernini come il possibile regista di una sapiente fusione di elementi colti da influenze eterogenee. In un’ottica di superamento dei modelli vigenti reso possibile proprio da una pluralità di riferimenti, nella affannosa ricerca di una sapienza universale, secondo una prassi avviata a Roma dal mecenatismo Barberini. Una palestra fondamentale per il Michelangelo del tempo.

poemi cavallereschi di Ariosto, Boiardo, Pulci e Tasso (basti ricordare le giostre dell’Orlando Furioso) cfr. ADAMI, L’ingegnere scenografo cit., p. 165. 57 F. BRACCIOLINI, L’elettione di Urbano Papa VIII…, Roma, A. Brogiotti, 1628. Per una analogia di significati fra il poema e il relativo affresco di Cortona con il vicino Ponte Ruinante si veda da ultimo FAGIOLO, Roma barocca, i protagonisti cit., p. 661.

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Biblioteca Apostolica Vaticana Archivio Barberini Giustificazioni I, b. 46 (Francesco Barberini seniore, cardinale) nn. 926-1012, ottobre 1626 – gennaio 1628 [doc. 1] n. 1010 (ff. 285-311) A di’ 6 decembre 1627 Misura e stima delli lavori di muro et altri rappezzi ch’ha fatto fare l’Ill.moet R.mo Cardinale Barberino al palazzo et giardino di Ss.ia Ill.ma alle quattro fontane et anco fora da detto palazzo et giardino quali lavori ha fatto mastro Nicolò Scala et compagni capi mastri muratori, misurati e stimati da noi sotto scritti e prima […] Lavori fatti intorno alla Palma [f. 298r] Per haver fatto l’armatura attorno alla detta palma quando fu portata al giardino fatta detta armatura di travicellotti quali erano n:° 20 alti l’uno palmi 12 ed averli legati con corda et armatura per di sotto di tavoli et legati ancora loro di corde e fatto il strascino dove fu portata sopra d. palma et cond.a et tornata di piu a piantarla nella fossa già fatta, et di nuovo tornato a disarmarla, messo l’argano per addirizzarla et datoli un travicello da una banda per addirizzarla quale ci è oggi al presente, scudi 20:Lavori fatti all’ordegno del cavallo per di dentro del giardino [f. 298v] Per aver fatto dui pozzi dove calano li contrapesi delle rote del cavallo uno dei quali è stato riempito che non servia lon. insieme l’uno il muro per di 4 facce palmi 19 fondo palmi 17 dal piano da basso sino in cima, g. palmi 1 1/2 pietra et tevolozza masticata che insieme tutti fanno canne 4 :84 1/2, monta scudi 11:62 Per la cavatura della terra per fare li detti due fossi lon. p. 6 1/2 lar. p. 6 1/2 fondi palmi 17 insieme tutti e due cavat.e di terra fa canne 1 palmi 48 monta scudi 4:29 Per Aver rialzato il bottino avanti per 4 facce lon. insieme p. 18 1/2 alt. p. 4 g. p. 1 1/2 tevoloza fa canne 1 p. 11, monta scudi 2:44 Per aver rotto il muro et murato un cancano da novo al portone che dal viale del giardino va al viale al cortile grande innanzi alla sala monta scudi -:10 Per aver tagliato il muro della vascha grande nel giardino verso strada Pia con la detta tagliatura palmi 12 1/2 alta palmi 4 1/4 g. palmi 1 3/3 monta scudi -:30 Per aver fatto di nuovo la detta sponda a detta vascha lon. p. 18 alt. dal piano dell’astrico in su p. 4 g. p. 1 3/4 tev., fa canna 1 :26, ed aver fatto il suo ammattonato sopra di mattoni grossi lon p. 18 lar. p. 1 1/2 et fatto più rappezzi d’ammattonato attorno a detta vascha quadri palmi 15, insieme monta scudi 3:47 Per haver spicconato et ricciato et incollato di nuovo per 3 facce per di fora a detta vascha lon. per 3 facce palmi 6 1/2 alt. palmi 4 1/2 rag.to et fatta l’altra colla in su il muro novo lon. p. 18 alt. p. 4 1/4 fa insieme canne 5:95 monta scudi 1:66 Per haver fatto la colla battuta attorno a detta cioè sopra al muro novo lon. p. 15 rag.to alt. p. 4 et la resarcita lon. p. 25 alt. p. 1/2 spicc.to et ricc.to di novo insieme p. 84 monta scudi -:20 Per haver fatto il fosso et cavato la terra per fare la chiavicha et condotto quali

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porta l’acque Per adacquare le spalliere longo palmi 65 largo palmi 3 alto palmi 4 […], scudi -:40 Per haver fatto il mattonato sotto alla chiavica […], scudi 4:69 per aver fatto le sponde sopra a detto mattonato per fare d. chiavica longhe assieme per 2 bande palmi 130 alte palmi 1 1/2 g. p. 1 di tevolozza […], scudi 4:29 Per haver messo il condotto di terra et murato attorno aa sua calcestruzzo di diametro d. condotto p. 1/2 […] et ad haver murato un pezzo di canna di piombo a capo a detto condotto […] et tornato a riempire di sopra a detta chiavicha monta scudi 2 Per haver levato via la canna di piommo quale è stata messa nelle scanzie del giardino et poi il detto travio tornato a rimurare alto palmi 12 ed quello che va sotto terra largo palmi 1 grosos palmi 1 di tevolozza, monta scudi -:30 Per haver tagliato il muro che risalta più in fora in faccia alla cercia del cavallo et messo la detta canna di nuovo in detta di palmi 16 ed quello che va sotto terra grosso il muro palmi 1 largo p. 1 murato er tagliato a simile misura et ad haver fatto cioè tagliato il muro che passa da una banda all’altra per scolare l’acqua insieme monta scudi -:50 Lavori fatti alle botti de Termine dove si piglia l’acqua che va al giardino di SS.a Ill.ma [f. 299v] […] Lavori fatti al giardino dove s’è trovato le pitture antiche in mezzo alla cava del giardino da basso [f. 302r] Per haver fatto di novo il tetto sopra a detto locho longo inpendenza palmi 15 largo ragguagliato palmi 15 fatto co tevoli e canali solamente ad sue piane sotto et murato dalle bande in detto dietro alli muri, scudi 2:[…] Lavori fatti al portone dov’ hoggi e al presente escano quali si ha da levar via verso Monte Cavallo [f. 302v] […] Lavori fatti al portone a strada Pia bugnato dove sono l’aquile che reggono li festoni antichi [f. 303r] Per la levatura della colonna di marmo a mano dritta all’uscire di detta porta, rotto il muro e levato via li caretti non la rompessimo et di poi rimessa di nuovo et tornata a rimurare, alta detta colonna et quello che va sotto palmi 9, grossa p. 1 1/2 largo il muro murato palmi 1 1/2 alto palmi 3 grosso palmi 1 1/2 di tavolozza, monta insieme scudi 1:20 Per la mettitura in opera della colonna di legno messa dove stava la retro ditta colonna di marmo murata attorno et di poi tornata a levar via, scudi 1:20 Per haver fatto un pezzo di cortellata in anti al muricciolo lungo palmi 81? largo 1 1/4 con suo muro sotto monta, scudi -:25 Per haver messo n.° dui pezzi di guida di travertino long. assieme palmi 5 1/2 fattoci il muro sotto monta scudi -:15 Per haver levato via n.° doi pezzi di zoccoli di travertino cioè da tutt’e due le bande di ditto portone acciò le carrette potessero passare lung. assieme palmi 8

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3/4 alte palmi 2 1/2 grosse palmi 1/2 et ritornati a rimurare di nuovo et rimurati, scudi -:60 Per aver abozzato un pezzo di basa da una banda di detto portone sotto alle bugne longo palmi 3/4 alto palmi 1 1/2 et risarcito le bugne in più luoghi et rimesso una bugna di nuovo da una banda quale era cascata or di novo monta scudi -:30 Lavori fatti avanti tutta al cortina del muro verso strada Pia Per aver fatto la fodera avanti al muro vecchio di detto giardino verso strada Pia lungo tutto palmi 756, alto dal fondo sin in dove more palmi 17 riguagliato, grosso riguagliato palmi 1 1/2 tevolozza, assieme […] del muro vecchio fa canne 192 palmi 78, monta scudi 424:11 Per haver fatto il muro del fondo passato la ringhiera […] andando vero Porta Pia lungo cominciando verso Porta Pia lungo cominciando rincontro la chiesa et andando verso strada Pia per in sino alla cantonata palmi 346 fondo al piano della selciata in più palmi 3 1/2 grosso palmi 3 1/6 pietra fa canne 18 palmi 15 monta scudi 43:56 Per haver rotto il muro et fatto di nuovo il dato in detto cortina di muro lung. tutto palmi 695 alto palmi 1/2 di aggetto palmi 1/4 insieme monta scudi 17:20 Per haver in opera il zoccolo di travertino messo sotto alla cantonata lung. di facce palmi 9 alto palmi 4 1/4 grosso palmi 2 1/2 monta scudi -:30 Per la mettitura in opera di n.° 9 bugne di tufo lunghe l’una con la rivolta palmi 8 et insieme palmi 13 grosse palmi 2 1/2 […], scudi 1 Per il muro che riesce per difora dalle bande di dette bugne dalla banda verso le monache di S. Susanna alto palmi 15 a quello che va sotto, largo in faccia palmi 1 […] monta scudi -:6 Per haver levato via la cantonata assieme con il zoccolo quale per prima era in detta cortina alta palmi 16 ins. tutte le sudette bugne, larga l’una larg. l’una palmi 3, grosa l’una palmi 2 1/2 insieme monta scudi -:90 Per il muro fatto nel sudetto vano dove sono state levate le sudette bugne […], scudi 1:90 Per haver rabbonato il muro vecchio accanto alla strada, et vicino al muro fatto di nuovo […], scudi -:64 Per haver fatto un pezzo di dado sopra al sudetto lungo palmi 12 […], scudi -:36 Per haver fatto il muro accanto alla ringhiera fatta sopra il muro vecchio quale è stato fatto per mostra lungo palmi 25, alto rig.to palmi 11 1/2 grosso palmi 2 tevolozza fa canne 5 palmi 75 insieme scudi 12:65 Per haver fatto un pezzo di cornice sopra al sud.to muro lung. palmi 4 […], scudi -:85 Per il muro di n.° 16 pilastri fatti sotto al retro detto muro lungo l’uno palmi 13 fondo rig.to palmi grosso rig.to palmi 5 1/2 fa canne 82 palmi 20 monta scudi 219:64 Per n.° quindici archi fatti tra li sudetti pilastri lunghi l’uno di vano palmi 13 1/2 larghi l’uno palmi 4 1/2 g. in cima palmi 2 tevole fa canne 89 palmi 40 rinfiancati in cima […], scudi 64:68

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Giustificazioni I, b. 47 (Francesco Barberini seniore, cardinale) nn. 1013-1094, sett. 1627 – luglio 1628 [doc. 2] n. 1013 Misura e stima delli lavori di legname fatti da maestri Alessandro Nave e Francesco Bartolomeo compagni falegnami quali lavori sono stati fatti per servizio dell’Ill.mo et R.mo Sig.re Cardinale Barberino al palazzo e giardino alle Quattro Fontane et suoi membri. Misurati et stimati da noi sotto scritti […] Giardino [f. 20r] […] Ordegno del cavallo Per haver fatto il corso dove corre il cavallo, messo due ordini di archarecci cioè uno per banda dove si mette il cavallo et incastrate a coda di rondine con n.° 33 traverse d’olmo che fanno tellaro a detti arcarecci, messe n.° 22 traverse di ferro sopra alle testate di detti travicelli inchiodati lon. steso insieme per due faccie palmi 620 con suoi passoni n.° 30 piantati in terra quali formano il detto corso alti l’uno palmi 4 et con n.° 22 arcarecci d’incastro palmi 1/4 e di sfondato palmi 1/4 et mettitura e più palmi 9 1/2 di arcarecci simile quale cresce accanto alla rota lon. palmi 1 et le dette traverse sono n.° 34 con uno ch’estato messo da poi lon. […] lar. p.mi 3/4 grosso palmi 1 d’olmo et haver levato et rimesso li due castelli nella testa di detto corso cn 4 chiodi grossi del mastro, scudi 75:15 Per haver fatto il tellaro d’olmo dove si posa su il sudetto cavallo che entra nell’incastro dell’altro telaro incastrato lon. p. 23 con le rivolte larg. p. 1 1/2 g. p. 1/4 con l’incastro per le tavole dov’entra il cavallo inchiodato con n. 4 chiodi grossi ed havere fatto l’incastro nelle 2 testate et messoli li due pilastri di ferro con n.° 7 chiodi per ciascheduno et haver fatto l’incastro sotto ad. dove s’è messo le altre piastre di ferro dov’è l’anello nelle due testate lon. l’uno p. 3 1/4 ed haver messo n.° 10 chiodi per ciascheduna, rebattuti ed havere fatto l’incastro dove sono state messe le 4 piastre coribice lon. l’una p. 3/4 co n.° 4 chiodi per ciascheduno sotto a dette nelle 4 teste di detto tellaro acciò corresse più forte et 4 altre piastre messi nella grossezza della tavola lon. l’una p. 1/3 co suo incastro et fatto l’altro incastro dov’era prima le bandelle quali sono stati levati via et fatti n.° 4 busci nelli quali entrano li perli quali sono sotto alle zampe del cavallo che poi si inzeppano in detto acciò non caschi quando corre, scudi 6:Per la mettitura di doi bandelloni in detto tellaro dove si attacca il canapo con doi bandelloni nelle teste incastrate, scudi -:60 Per una tavola nel mezzo di detto tellaro incastrata a coda di rondine da levare et mettere alt. p. 3 1/4 p. 1/4 g. p. 1 1/4 d’olmo, scudi -:20 Per n.° 2 legni dov’è incastrato il tellaro modenate nelle teste con un ovolo lon. l’uno p. 24 uno gr. p. 1 1/2 et l’altro p. 1 3/4, politi per 3 facce, scudi 8:Per n.° 2 legni impiedi dove reggano il rotino messo nel mezzo alti l’uno palmi 33 larghi palmi 1 1/4 grossi palmi 11/12 polliti, scudi 16 Per n.° 4 saettoni doi per banda cioè doi per legni alti l’uno p. 16 incastrati di travicelli et anco messo n.° 8 traversette quali fanno scalini palmi 2 monta scudi 2:-

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Per n.° 3 travicelli messi per di sotto il tavolato che fa tetto ove uno del mastro et il resto di SS. Ill.ma alti l’uno palmi 12, incastrati in detti legni e travicelli, scudi -:70 Per il tavolato ed sua armatura sotto di filagne di castagno che fa tetto, quale piove a due acque long. steso per due facce palmi 31 alto palmi 11 se ne defalca per il vano dove va la corda alto palmi 7 e palmi 3 et più l’altro difalco lon. p. 2 1/2 alto p. 2 1/2 polliti da una banda, scudi 7:77 Per il tamburo sopra a detto tavolato del tetto che copre il rotino piccolo fatto di castagna con suoi regoli alli conventi delle tavole lon. steso per 4 facce p. 32 alto p. 13 polliti, scudi 12:40 Per il tavolato di sostegno a detto tamburo che copre il rotino di sopra lon. p. 9 lar. p. 9 3/4, scudi 2:18 Per il rotino fatto di tavolone d’olmo sopra posti con quattro traverse con chiaviccie [?] tondi n.° 12 col anime di mezzo il fuso lon. p. 7 lavorato accanto p. 3/4 di diametro p. 4 p. 4 et con haver messo li doi dadi di metallo nel sudetto rotino et suoi paletti di ferro et altri doi ciechi di ferro, scudi 4 Per n.° 2 tavole di castagna sopra poste sopra al rotino piccolo, scudi -:40 Per n.° 2 modelli che reggono il fusto di detto rotino messi attaccati a doi legni lon. l’uno p. 2 3/4 g. p. 1/2 al. p. 1 modanati nelle teste, scudi -:50 per n.° 2 pezzi di tavole di castagna sotto al ponte lon. p. 4 lar. insieme p.mi 1 1/2 monta scudi -:12 Per il rotone grande di tavole sopra poste d’olmo lon. p. 49 steso di diametro 3/4 p.mi […] p.mi […] con n.° 8 travicelli polliti lavorati con la piana a grossezza et larghezza lon. p. 7/12 g. p. 1/2 monta scudi 8:72 Per n.° 36 piroli torniti polliti messi in d. giro della rota grande lon. l’uno p.mi 2 3/4, scudi 2:per il fuso d’olmo con il rocchetto di tavole di castagna et nelle teste d’albuccio lon. il fuso p. 7 alt. p. 1 grosso palmi 1, scudi 2:50 Per haver messo li doi dati incassati dentro nel legno di metallo dov’è il fusto della rota, scudi -:80 Per haver messo le due aquile nelle teste di d. fusto lon. l’uno p.mi 2 1/2 et ad averci messo le due cerchie di ferro incassate nelle teste del fuso, scudi 1:30 Per haver fatto il modello del cavallo con sue sponde et fatto dietro alla rota et rotoni ad una onda nel mezzo dove corre il cavallo lon. p. 14 alt. p. 3/4, scudi 4 Per il cavallo fatto di legname d’albuccio di tavolone fatto con sua testa panza e zappa e coda al. p. 10, scudi 12:Per il passa mento sotto cioè due tavole impiedi quale posa sotto detto cavallo alt. l’una p. 4 lar. p. 1 1/2 l’una, scudi -:50 Per n.° 2 pezzi di tavolone d’olmo dove sono messi li bandelloni dove fa motivo [?] il cavallo alt. l’una p. 4 alto p. 2 g. p. 1/4, scudi 1 Per l’ossatura di legname del cavallo di coccepiste con sua tavola contornata nel collo e gambe et attorno alla panza et con suo tellaro di tavole d’olmo sotto lon. p. 10, scudi 4:50 Per haver fatto il coperchio sopra co n.° 6 regoli per lon. et n.° 4 squadre lon. l’uno li regoli p. 11 1/2 lar p. 1/3 le squadre lon l’una p. 7 con quattro asciadoni dentro inchiodati in detta squadra, scudi 2

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Per haver fatto una conocchia con 4 maniche per tirare addietro il cavallo con suo corpo d’olmo lon. p. 3 3/4 lon. l’uno li manichi p. 4 1/2 scudi 1:60 Per il canepo di corda per il corso del cavallo che pesò libre n.° 296 che a scudi giulj 10 la libra così d’accordo con Delio Felippino quale ha fatto detta corda come per recevuta inserta nell’horiginale dice, scudi 29:60 Per l’argano di legname di castagna con quattro pezzi di travicelli lon. l’uno p. 6 1/2 con n. 6 traverse lon. l’una p. 2 1/4 con tavola nel mezzo lon. p. 2 lar. p. 2 et fuso di noce lon. p. 6 1/4 infacciasto [?] di tavole e ingrossato dov’è la corda, scudi 3:50 Per una canaletta co quattro asciadoni con 2 tavole lon. p. 7 1/2 lar. p. 1 1/2 g. p. 1/6 rustichi con 3 altre asciadoni et due altre tavole che fanno piede alt. p. 5 l’uno lar. p. 1 1/4 g. p. 1/6, scudi -:90 Per n.° 2 passoni impiedi di travicelli di castagna alt. co quello sotto terra p. 7, scudi -:30 Per n.° 3 girelle di castagna et un carlo lon. p. 7 con due cerchie nelle teste et un carlo sottile dove si tira lon. p. 6 et un mazzolo con suo manico et un pezzo di tavolone d’olmo dove il cavallo ha da restare lon. p. 5 lar. p. 3/4 g. once 5 che monta scudi 1:20 Per haver fatto le tavole dov’è segato l’horlogio di fuste incollato con sue traverse dietro pollite per 2 facce lon. steso p.mi […] alto ragg.to palmi 11 3/4 et sue facce per di fora che regirano attorno a dette simile, scudi 5:64 Bussola di noce fatta sopra alla ringhiera in Strada Pia Per la ringhiera fatta sopra il lastrone di travertino et piani scorniciati attorno lon. per tre facce p. 23 1/4 alt. p. 11 monta scudi 37:85 Per n. 4 termini intagliati in d. ringhiera montano insieme scudi 8:Per palmi 44 di basa che ricorre attorno a detta ringhiera al primo piano dentro e fora alt. p. 3/4 d’agetto p. 1/6 monta scudi 2:86 Per p. 24 di cimasa et basa che seguitano sotto alli termini monta scudi 1:56 Per la basa che seguita dalle parti di fora sotto a detti termini lon. p. 24 alt. p. 1/4 monta scudi 1:56 Per p. 24 cornice in cima a d. ringhiera co suoi membretti e collarini alt. p. 2/3 d’agetto p. 7/12 monta scudi 4:80 Per la soffitta di noce fatta dentro a detta ringhiera co n.° 3 sfondati fatti a quadri scorniciati et tagliati et co sua cornice che rigira attorno et co suoi modelli intagliati et rosette in mezzo lon. p. 14 1/2 e p. 3 1/2 monta scudi 24:24 Per li pilastri che fanno agetto che ricrescono dentro e fora a detta gelosia che fanno doi ordini uno sotto et l’altro sopra lon. steso insieme p. 70 in faccia p. 5/6, scudi 4:20 Per il tavolato sopra a detta gelosia dove è fatto sopra il coperchio di piombi, lon. p. 16, lar. p. 4 3/4 di tavoli di castagna ed sua armatura sotto fatta da disfare intellaro che si leva tutto di un pezzo et messo n.° 4 staffoni nel muro che reggono d. tavolati monta scudi 2:28 Per la fascia di noce per quanto tiene la porta lon. p. 8 1/2 lar. p. 3/4 modenata conforme che fa il stipite dalla parte di fora, scudi -:50 Per il fusto d’albuccio sopra a d. che serra detta porta co n.° 3 traversi dentro polliti alt. p. 4 1/4 e p. 7 di tavoli interzati, scudi 1:19

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Per n.° 2 ordini fatti di noce scorniciati con suo becco di civetta e suoi collarini et sua tavola contornata lon. l’uno p. 2 1/4 lar. p. 1 2/3 alt. p. 2 3/4 g. li tavoli p. 1/6 monta insieme scudi 4:Per il fusto della porta che va alla detta ringhiera d’albuccio foderata di castagna di 2 pezzi di vano p. 7 e p. 10 inchiodata a mandola co chiodi dalla testa piccola co n.° 2 sportelli maschiettati g.o il fusto p. 1/6 co haver messo una tavola per di sopra a detta porta per quanto è grosso e il stipido lon. p. 7 lar. p. 1 1/4 d’albuccio di tavoli interlati et politi, scudi 7:30 Per haver fatto n.° 2 gelosie alle fenestre verso detta strada Pia co n.° 2 sportelli grandi et n.° 2 nella testa lon. p. 6 1/4 e p. 9 co li rivolti fregio di regoli d’albuccio si possa mettere dentro dette finestre et fatto li regoli per […] scudi 5:90

Giustificazioni I, b. 50A (Francesco Barberini seniore, cardinale) nn. 1355-1404 dell’anno 1629, nn. 1461-1500 degli anni 1630-1631 [doc. 3] n. 1395 Dalli 24 dicembre 1628 sino li 30 giugno 1629 Conto delli lavori di legnami fatti al palazzo alle quattro fontane […] et fuori della fabbrica da mastra Alessandro Nave e Francesco Bartolomei compagni, e prima […] Giardino dove è la carriera del cavallo A di’ 13 settembre 1627 Per il resto della valuta di d. cavallo, quale fu mentata scudi dodici nella misura passata sotto il di sud. e però li mastri devono havere per intero pagamento del detto cavallo altri scudi venti, et questo si è perché li mastri hanno pagato in contanti scudi diciotto all’Intagliatori di sua mercede propria come per sua ricevuta di detto intagliatore, et di poi vi è di più tutto il legname chiodi, colla e compunitura d’opera di quadro com’esso insieme con sue gambe esiste e coda conforme che però detti mastri restoni creditori de sopradetti scudi venti, scudi 20.

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Tav. I – Roma, palazzo Barberini. Pianta del piano nobile. Da Waddy 1990. In evidenza l’ala sud.

Tav. II – G. B. FALDA, Nuova pianta et alzata della città di Roma. 1676. Particolare del palazzo e giardino Barberini: 1) teatro 2) cortile della Cavallerizza 3) stalle e rimesse 4) giardino segreto 5) sferisterio 6) giardini selvaggi 7) giardino di sopra 8) giardino grande 9) giardino della Guglia con il viale di lauri e il catadromo (rielaborazione da FAEDO, FRANGENBERG 2005, tav. 36).

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Tav. III – H. VAN CLEVE III, Tauromachia in Piazza Farnese, inc. P. Galle. 1557-1612.

Tav. IV – F. GUITTI, Prospetto della scena et ultima comparsa del Sig. Mantenitore, da La contesa torneo fatto in Ferrara per le nozze dell’illustrissimo signor Gio. Francesco Sacchetti coll’illustrissima signora d. Beatrice Estense Tassona …, Ferrara 1632.

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Tav. V – G. B. FALDA, Nuova pianta et alzata della citta di Roma. 1676. Particolare; G. FERRI, particolare dalla Giostra del Saracino in Piazza Navona. 1634. Museo di Roma. Particolare.

Tav. VI – Restituzione grafica dell’“Ordigno del Cavallo” sulla base dei documenti. Disegno dell’autore.

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Tav. VII – Restituzione grafica del catadromus con l’ordigno del cavallo, l’obelisco e il ponte. Disegno dell’autore.

Tav. VIII – Hippodromus Aureliani. Da G. LAURO, Antiquae Urbis Splendor, 1612.

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Tav. IX – Obeliscum olim Veranum modo Barberinum Eminentissimo Principi Francisco Cardinali Barberino.... Da A. KIRCHER, Oedipi Aegyptiaci…, 1654.

Tav. X – G. L. BERNINI, studio per l’Obelisco Barberini. Ante 1632. Windsor Castle; A. SPECCHI, Palazzo Barberini dal Giardino, da Il Quarto Libro del Nuovo Teatro delli Palazzi in prospettiva di Roma moderna …, 1699.

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Tav. XI – F. COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, 1499. Obelisco ed Elefante e Rovine di Polyandrion, inc. BENEDETTO BORDONE (attr.).

Tav. XII – Roma. Palazzo Barberini, il Ponte Ruinante (foto dell’autore).

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Tav. XIII – Pianta del piano nobile di palazzo Barberini. In evidenza il Camerone delle commedie, in asse con il ponte e il catadromus. Elaborazione dell’autore.

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«PEL BUON ANDAMENTO» DELLA BIBLIOTECA VATICANA. DOCUMENTI RELATIVI A PIO MARTINUCCI, SECONDO (1850-1876) E PRIMO CUSTODE (1876-1880) A Christine M. Grafinger, con gratitudine PROH DOLOR QVANTVM REFERT IN QVAE TEMPORA VEL OPTIMI CVIVSQ. VIRTVS INCIDAT1

«Piombò su di me come uno sparviero su un pollo che ha appena beccato un chicco appetitoso, e mi vietò col tono più severo d’infrangere d’ora in poi i regolamenti». A distanza di anni il futuro premio Nobel per la letteratura nel 1910 Paul Heyse rievocò così un incidente occorso nella sala degli «scrittori» della Biblioteca Vaticana nella mattina dell’8 gennaio 1853, che ebbe penosi strascichi anche in ambito diplomatico. A piombare su di lui «come uno sparviero su un pollo» era stato il secondo custode Pio Martinucci, accortosi che il giovane tedesco stava trascrivendo da un manoscritto in flagrante violazione del Regolamento che poco più di un anno prima proprio Martinucci aveva steso e Pio IX promulgato (20 ottobre 1851)2. Schiacciata fra le grandi figure di due primi custodi come Angelo Mai e Franz Ehrle, la personalità di Martinucci stenta ad assumere un profilo dai contorni definiti. Il rischio è quello di ridurlo alla sua rigorosa intransigenza e al suo cattivo carattere, lamentato in anni diversi e da molteplici parti, da Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff 3 a Cesare Guasti 4, a 1 Epigrafe sul monumento funebre per Adriano VI in S. Maria dell’Anima; V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, III, Roma 1873, p. 447, nr. 1078. 2 R. BERTOZZI, L’immagine dell’Italia nei diari e nell’autobiografia di Paul Heyse, Firenze 2011 (Biblioteca dell’«Archivum Romanicum», ser. I: Storia, letteratura, paleografia, 382), pp. 689 (735); ma cfr. anche pp. 25 (236-237), 27-28 (241), 34 (255), 42 (270), 43 (272), 52 (288), 56 (294-295), 58-59 (298), 506, 508, 519, 526, 528, 530, 533, 689-691 (734-737). Già il 17 novembre 1852 Martinucci aveva vietato ad Heyse, accompagnato da fama sospetta in quanto autore della Francesca da Rimini (1850) e studioso di componimenti ritenuti licenziosi, di trascrivere dal codice. 3 U. von WILAMOWITZ-MOELLENDORFF, Filologia e memoria, introduzione di M. GIGANTE, Napoli 1986 (Micromegas, 15), p. 197.Wilamowitz, che fu a Roma negli ultimi mesi del 1872 e nei primi del 1873, ricorda che Karl Justi definiva Martinucci un «mostro»; dal canto suo nota che «faceva di tutto per tormentare i visitatori (...)». 4 C. GUASTI, Roma, aprile 1869. Diario di viaggio, a cura di N. VIAN, Roma 1970 (Collectanea Urbana, 8), pp. 56-57 (9 aprile 1869), 74 (13 aprile 1869).

Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIV, Città del Vaticano 2018, pp. 691-810.

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Ferdinand Gregorovius5; oppure, più banalmente (e sarebbe forse ancora più mortificante), di rimpicciolirlo nelle caratteristiche di accuratezza e scrupolosità6. Eppure Martinucci ha segnato una stagione della Biblioteca Vaticana, quasi perfettamente coincidente col lungo pontificato di Pio IX (1846-1878). Secondo custode dal 1850 al 1876, primo custode dal 1876 al 1880, fu di fatto per un trentennio il dominus della Biblioteca, che resse accanto all’evanescente figura dell’antico nunzio a Bruxelles Alessandro Asinari di San Marzano. Nella secolare storia della Vaticana solo Giuseppe Simonio Assemani, con i suoi quasi quarant’anni di mandato da secondo (1730-1738) e primo custode (1738-1769), ha superato il longum aevi spatium di Martinucci, che portò la Biblioteca dalla seconda Repubblica Romana alla svolta impressa da Leone XIII all’Archivio Segreto e alla Biblioteca Apostolica. Questa raccolta di documenti provenienti dall’Archivio della Biblioteca Vaticana7 accompagna e giustifica una ricostruzione del trentennio di Martinucci8, dalla quale dunque non va disgiunta. Nella maggior parte dei casi il protagonista dei testi, come estensore e come destinatario, è Martinucci, di cui sarà così possibile comprendere, al di là dei luoghi comuni, mentalità e tendenze, modi di pensare e inclinazioni. L’obiettivo infatti è quello di comprendere, prima ancora di giudicare, una Biblioteca che si sente assediata e minacciata dall’evoluzione politica e culturale della modernità e reagisce di conseguenza. «Questo è il mio ordine!»: avrebbe detto Martinucci ad Heyse in quella agitata mattina dell’8 gennaio 1853 chiudendogli il codice sotto il naso, portando via il foglio e indicando la porta della Biblioteca dalla quale veniva espulso9. Nell’im5

F. GREGOROVIUS, Diari Romani, 1852-1874, a cura di A. M. ARPINO, Roma 1982 (Storia e tradizioni, 3), p. 499 (28 marzo 1870). Nel 1853 Heyse lo aveva invece descritto «laconico ma cortese» («der wortkarge aber höfliche Custode Monsignor Martinucci»), BERTOZZI, L’immagine dell’Italia cit., pp. 689 (735). Cfr. anche N. VIAN, Bibliotecari della Vaticana, un secolo fa, in Almanacco dei bibliotecari italiani 1954, Roma 1954, pp. 165-171 [rist. in ID., Figure della Vaticana e altri scritti. Uomini, libri e biblioteche, a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 2005 (Studi e testi, 424), pp. 41-47]: 168-170 [44-46]. 6 J. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l’histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1973 (Studi e testi, 272), p. 214. 7 Molti documenti sembrano essere pervenuti in Biblioteca a seguito di uno spoglio delle carte e delle corrispondenze private di Martinucci. Lo farebbero pensare indicazioni come Carte Martinucci o Schede Martinucci frequentemente presenti nel margine superiore del primo foglio di molti documenti; cfr., per esempio, per la prima indicazione, Arch. Bibl. 5, f. 128r. Analogo sembra il significato di Carte Baldi G.E. in Arch. Bibl. 60, f. 219r. 8 P. VIAN, La Biblioteca Vaticana di Pio IX (e di Pio Martinucci). Dalla seconda Repubblica Romana ai tempi nuovi, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, V, a cura di A. RITA, Città del Vaticano 2018. 9 BERTOZZI, L’immagine dell’Italia cit., pp. 42 (270).

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periosità dell’ingiunzione vi è al tempo stesso la forza e la debolezza, la fermezza e la fragilità della Vaticana di Martinucci e della stessa Chiesa di Pio IX, in bilico fra proclamazione dell’infallibilità e rivolta e apostasia dell’Occidente. Anche per capire la novità del pontificato di papa Leone è indispensabile conoscere i decenni, faticosi e difficili, che immediatamente la precedettero10. I. Traduzione di un trafiletto pubblicato nell’Allgemeine Augsburger Zeitung, 13 maggio 185011 Alla metà dell’Ottocento la percezione della Biblioteca Vaticana dal mondo esterno era quella di un mondo chiuso e indisponibile, poco incline ad agevolare gli studiosi e gli studi. Tali impressioni erano diffuse e condivise soprattutto in Germania, ove il malcontento poteva alimentarsi anche di avversioni confessionali, e non erano ignorate all’interno della Biblioteca, come dimostra la presenza nell’Archivio della Biblioteca di una traduzione di un trafiletto pubblicato nell’Allgemeine Augsburger Zeitung del 13 maggio 1850, nr. 133. Il breve testo è interessante perché, al di là dello scontato e ritenuto «inutile» lamento sulla ristrettezza del tempo a disposizione per gli studiosi, caratterizzava i diversi atteggiamenti dei primi custodi Mezzofanti, Laureani e Molza e soprattutto sottolineava l’ampio spazio lasciato all’interpretazione e all’applicazione dei regolamenti, che potevano aprire o chiudere, al di là o al di qua delle speranze dei ricercatori, le possibilità di studio. In altri termini, molto, moltissimo dipendeva dalle persone chiamate ad applicare i regolamenti. Accanto alla «lettera de’ Statuti» vi era dunque l’«opera del capriccio, del caso».

Dalla Gazetta universale di Augusta del 13. Maggio 1850. numero 133. Italia. Roma 4 Maggio. La Gazetta di Roma del 27. aprile portò la nomina officiale di Monsignor Andrea Molza a Primo Custode della Vaticana12. 10 Per l’edizione dei documenti, sono stati osservati questi criteri: si rispettano le forme dell’originale, nella grafia, nella punteggiatura, nell’uso di maiuscole/minuscole, nell’articolazione dei capoversi. Le abbreviazioni vengono conservate se per troncamento ma sciolte, senza alcuna indicazione, se per contrazione. Il testo pubblicato rappresenta lo stato finale dell’elaborazione, senza indicare, se non in casi ritenuti particolarmente importanti e significativi, il contenuto di cancellature e depennamenti, mentre viene rilevato il contenuto di aggiunte marginali o interlineari. Le parentesi uncinate, < >, indicano un’integrazione; quelle quadre con tre puntini […] parole o lettere non lette. Le sottolineature originali (non di lettori successivi) sono rese col corsivo; le doppie sottolineature col maiuscoletto. 11 Arch. Bibl. 7, f. 205r. Due bifogli, ove il testo è trascritto nella terza pagina. Sulla prima pagina (= f. 204r), a penna, è indicato: «Anno 1850. Estratto di un articolo pubblicato nella Gazetta Universale di Augusta sull’orario di studio della Biblioteca Vaticana». 12 Nato a Modena nel 1783, scolopio sino al 1810, Andrea Molza fu nominato «scrittore»

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Ai Letterati Tedeschi, dai quali come da quelli d’altri Paesi d’Europa, si consuma sempre quì inutilmente tempo, e danaro, perché entrati nella Vaticana con troppo alte speranze, le seguenti osservazioni possono dar qualche cenno sul presente livello delle speranze. Sarebbe inutile il muovere ulteriori querele intorno al tempo di lavoro misurato con braccio rigoroso di sole 93. mezze mattine (dalle 9. alle 12.) in tutto l’anno. Il vento disperderebbe siffatte querele, perché l’orario è stato stabilito da Brevi e Bolle Pontificie. È più importante di sapere, se sotto la nuova amministrazione, l’accesso, e l’approfittarsi delle ricche sorgenti d’ogni letteratura della Vaticana sarà più libero, meno impedito, meno subordinato di prima. Ciò fu sempre dipendente quasi solo dalla personalità del Primo Custode. Il dotto Mezzofanti, che provava la più intima gioja a promuovere con ogni mezzo la scienza, era un benevolo Superiore13. Il Laureani morto in Ottobre latino il 1° maggio 1821, con l’obbligo di prestarsi anche per l’ebraico; «scrittore» ebraico dal 22 gennaio 1828, conservatore del Gabinetto numismatico nel 1838, docente di ebraico nell’Archiginnasio e membro del suo collegio filologico dal 1826 al 1851, divenne primo custode l’11 giugno 1850; si suicidò il 6 luglio 1851, morendo il giorno dopo; [G. DELL’AQUILA VISCONTI], Successio S.R.E. Bibliothecarii vices-agentium qui sub-bibliothecarii S.R.E. dicuntur, 1878-1895. Custodum primariorum seu maiorum Bibliothecae Vaticanae, 1481-1895. Et custodum minorum qui ad I. custodiam haud promoti fuere, 1481-1895. ordinatim descripta [1895], in Novae Patrum Bibliothecae ab Ang. Card. Maio collectae, X, editus a I. COZZA-LUZI, Romae 1905, pp. 385-417: 410-411; N. SPANO, L’Università di Roma, Roma 1935, pp. 112, 340; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 213, 227 nt. 88, 311, 341, 343, 351 nt. 55; J. VERNACCHIA-GALLI, L’Archiginnasio romano secondo il diario del prof. Giuseppe Settele (1810-1836), Roma 1984 (Studi e fonti per la storia dell’Università di Roma, 2), p. 173 e nt. 483 e passim; M. R. DI SIMONE, La facoltà umanistica dalla restaurazione alla caduta dello Stato pontificio, in Storia della facoltà di lettere e filosofia de «La Sapienza», a cura di L. CAPO e M. R. DI SIMONE, Roma 2000, pp. 359-400: 379, 380, 383-384, 390, 395; Ph. BOUTRY, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Rome 2002 (Collection de l’École française de Rome, 300), p. 724; E. FLAIANI, L’Università di Roma dal 1824 al 1852. Docenti programmi ed esami tra le riforme di Leone XII e quelle di Pio IX, Città del Vaticano 2012 (Collectanea Archivi Vaticani, 86), pp. 65 e nt. 269, 68 nt. 277, 72 nt. 298, 196, 284, 298. 13 Docente di arabo nell’Università di Bologna, a Roma dal 1831, Giuseppe Mezzofanti divenne primo custode il 16 aprile 1833, in seguito alla nomina di Mai a segretario della Congregazione di Propaganda Fide; membro del collegio filologico dell’Università di Roma dal 1835 al 1837. Fu coinvolto nel contrasto di Mai con un gruppo di «scrittori» capeggiati da Lanci. Creato cardinale il 12 febbraio 1838, fu prefetto delle Congregazioni degli Studi e della Revisione dei libri liturgici della Chiesa orientale. Celebre poliglotta, era noto per la cortesia verso gli studiosi stranieri con i quali conversava nella loro lingua; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 69, 105; N. DEL RE, Mezzofanti, Giuseppe, in Enciclopedia cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952, coll. 927-928; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 213, 215, 223 nt. 55, 224 nt. 62, 226 nt. 84, 341; Ch. WEBER, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates. Elite-Rekrutierung, Karriere-Muster und soziale Zusammensetzung der kurialen Führungsschicht zur Zeit Pius’ IX (1846-1878), II, Stuttgart 1978 (Päpste und Papsttum, 13: 2), pp. 485-486; VERNACCHIA-GALLI, L’Archiginnasio romano cit., p. 233 e nt. 610 e passim; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 427-429; H. WOLF, Pros-

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dello scorso anno poteva esser compiacente, quando non aveva giornate di angustia14. Monsignor Molza promosso per buona protezione15, e per l’anzianità del servizio ha minor sentimento pei delicati riguardi, che erano un bisogno di natura pei due ultimi suoi antecessori16. In compenso di libera amichevole prevenienza potranno però li futuri drapelli di Letterati, che in avvenire si porteranno a Roma, calcolare con confidenza sopra tutti quei favori, che sono loro garantiti dalla lettera de’ Statuti della Biblioteca17. Il di più sara opera del capriccio, del caso. opographie von Römischer Inquisition und Indexkongregation, 1814-1917, II: L-Z, hrsg. von H. H. SCHWENDT unter Mitarbeit von T. LAGATZ, Paderborn 2005 (Römische Inquisition und Indexkongregation. Grundlagenforschung III: 1814-1917, hrsg. von H. Wolf), pp. 1000-1003; FLAIANI, L’Università di Roma cit., p. 298; V. TIZZANI, Effemeridi romane, I: 1828-1860, a cura di G. M. CROCE, Roma s.d. [ma 2015] (Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Biblioteca scientifica. ser. II: Fonti, 104), pp. CLVII nt. 278, CDXXI nt. 12, CDLI, 107 nt. 116, 297, 374 e nt. 80. 14 Gabriele Laureani (1788-1849), di Roma (ma di padre calabrese), allievo di Ignazio De Rossi nel Seminario romano; ordinato prete, divenne docente di letteratura greca e di retorica al Collegio Romano e, nel 1820, custode generale dell’Arcadia (il mandato fu replicato in anni successivi). Il 19 agosto 1831 divenne secondo custode della Biblioteca Vaticana e fu suo primo custode il 12 febbraio 1838; membro del collegio filologico dell’Università di Roma dal 1835 al 1849; G. SPEZI, Elogio di monsignor Gabriele Laureani, Roma 1852; F. FABI MONTANI, Elogio storico di monsignor Gabriele Laureani, Roma 18562; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 215, 216, 217, 225 nt. 70, 227 nt. 87, 230, 242 nt. 1, 341, 351 ntt. 52 e 54; A. PIOLANTI, L’Accademia di Religione Cattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo. Ricerca d’archivio, Città del Vaticano 1977 (Biblioteca per la storia del tomismo, 9), p. 128; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 712-713; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 835-837; D. REZZA – M. STOCCHI, Il capitolo di San Pietro in Vaticano dalle origini al XX secolo, I: La storia e le persone, Città del Vaticano 2008 (Archivum Sancti Petri, I: 1), p. 347; FLAIANI, L’Università di Roma cit., p. 298. 15 Erano ben noti i rapporti di parentela di Molza, di famiglia marchionale, con importanti figure della corte di Francesco IV, duca di Modena. 16 Secondo un allievo di Emiliano Sarti, Gaetano Pelliccioni, Molza era «una di quelle tempere poco buone per sé e dannose a cui in esse si incontri»; era ancora descritto come «una specie di gigante che parlava poco e spesso non diceva che stravaganze», VIAN, Bibliotecari della Vaticana cit., pp. 166-168 [42-44]. Insomma forte e marcato doveva apparire dall’esterno il confronto fra lui e i suoi predecessori, Mezzofanti e Laureani. 17 Nel 1850 il riferimento era alle disposizioni settecentesche di Clemente XII Corsini, Dignissimam regibus, 24 agosto 1739, e di Clemente XIII Rezzonico, Ancorché i Sommi Pontefici, 4 agosto 1761, a proposito delle quali cfr. Ch. M. GRAFINGER, Regolamenti, modalità di accesso, frequentatori e consultazioni: i documenti, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, IV: La Biblioteca Vaticana e le arti nel secolo dei lumi (1700-1797), a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2016, pp. 413-440: 414-418. Cfr. infra, ntt. 62, 65, 82-83, 85. Sulle aspettative e le condizioni della ricerca prima del 1880, A. ESCH, Leone XIII, l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano e la storiografia, in Leone XIII e gli studi storici. Atti del Convegno Internazionale Commemorativo, Città del Vaticano, 30-31 ottobre 2003, a cura di C. SEMERARO, Città del Vaticano 2004 (Atti e documenti, 21), pp. 21-43: 21-32; il giornale di Augsburg era particolarmente sensibile al problema. Trent’anni dopo, nel maggio 1880, tornò a lamentare l’inac-

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II. Cronaca di una visita di Pio IX alla Biblioteca Vaticana (giugno-settembre 1850)18 Rientrato a Roma da Gaeta il 12 aprile 1850, Pio IX volle simbolicamente riprendere possesso delle varie istituzioni minacciate di «nazionalizzazione» nei mesi della seconda Repubblica Romana. Espressione di questa volontà di riappropriazione fu una visita, nei primi mesi dopo il ritorno del pontefice, allo Studio del mosaico, ai Musei e alla Biblioteca. Per la datazione, si tenga conto che Antonelli fu pro-segretario di Stato fra il 6 dicembre 1848 e il 18 marzo 1852; più precisamente si può rilevare che la visita avvenne dopo l’11 giugno 1850, poiché Molza nel testo è nominato come «novello Primo Custode», ma prima del 22 ottobre 1850, perché nella cronaca si fa riferimento alla visita di Pio IX a Pompei (22 ottobre 1849) come avvenuta «nel 22 Ott. p.p.». La cronaca, che potrebbe avere un’origine giornalistica, si riferisce dunque a una visita avvenuta il 22 di un mese fra giugno e settembre 1850.

Il giorno 22. nelle ore pomeridiane la Santità di Nostro Signore Papa Pio IX. accompagnato dall’Eminentissimo, e Reverendissimo Signor Cardinal Antonelli Pro-Segretario di Stato, da suoi Camerieri Segreti partecipanti, e dalla Guardia Svizzera propostosi di far visita a varii stabilimenti situati entro il Palazzo Vaticano si recò primamente allo studio del Musaico19, ove fu ricevuto da Monsignor Lucidi Economo e Segretario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro Presidente di quello Stabilimento20, e dal Signor Commendatore prof. Filippo Agricola Direttore del medesimo21. cessibilità in Archivio Vaticano di «atti che forse modificherebbero il nostro giudizio su età passate», ibid., p. 29. 18 Arch. Bibl. 5, ff. 170r-171v. Un bifoglio, di cui sono scritte le quattro pagine. Nell’angolo superiore sinistro del f. 170r, a penna, è indicato: Monsig. Molza 1° Custode. 19 Costituitosi a partire dal Cinquecento per le esigenze della basilica di S. Pietro, posto alle dipendenze della Reverenda Fabbrica, favorito da Sisto V e riorganizzato nel 1727 sotto la direzione di Fabio Cristofari, che ne fu il primo sovrintendente, lo Studio del mosaico era stato insediato nel 1814 da Pio VII nel Palazzo Giraud in Borgo; Leone XII nel 1825 lo aveva riportato in Vaticano, N. DEL RE, Vaticano. Studio del Musaico della Rev. Fabbrica di S. Pietro, in Enciclopedia cattolica, XII, Città del Vaticano 1953, coll. 1122-1123. 20 Lorenzo Lucidi (1802-1856), prefetto del Seminario romano per quindici anni, canonico di S. Pietro e diacono della cappella pontificia, dal 22 gennaio 1844 era economo e segretario della Fabbrica di S. Pietro. Pio IX lo nominò assessore del S. Uffizio (10 marzo 1853), BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 576. 21 Filippo Agricola (1795-1857), figlio del pittore Luigi, seguì le orme paterne come esponente del tardo neoclassicismo romano aprendosi però verso il 1830 a suggestioni romantiche; accademico di merito (1821), primo cattedratico di pittura (1836) e infine presidente (1854-1855) dell’Accademia di S. Luca. Dal 1840 era direttore dello Studio Vaticano del mosaico, Agricola, Filippo, in Dizionario biografico degli Italiani, I, Roma, 1960, pp. 501-502.

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Nel vedere con quanta perfezione fosse eseguita la Serie Cronologica dei ritratti de’ Sommi Pontefici in Quadri a Musaico destinati a decorare la rinascente Basilica Ostiense22 non poté trattenersi dall’esprimere la sua meraviglia per i progressi di un arte che formò già, e restituita all’antico splendore forma oggi ancora una delle prime glorie artistiche di Roma. Ma quando si fù assicurato con particolare soddisfazione che il lavoro era già molto innanzi e che i Quadri dei Pontefici condotti già al loro termine erano in gran numero diede ordine, che fossero prontamente collocati nella citata Basilica. Vedendo poi tante altre belle produzioni dell’arte serbate intatte nelle passate tristissime vicissitudini se ne compiacque oltre modo, e degnò dirigere parole di benevolenza allo stesso Monsignor Economo per lo zelo che ripone nel governo, e buon andamento dello studio suddetto, e per essersi con prontezza, e diligenza adoperato a ristorar qualche danno, da cui non andò lo stabilimento immune. Quindi col medesimo corteggio il Santo Padre passò al Museo, ove gli si fece incontro per riceverlo il Signor Commendatore Giuseppe De-Fabris23 Direttore generale de’ Musei, e Gallerie Pontificie. Il quale dopo che l’ebbe accompagnato per tutto il Corridore delle Iscrizioni24, e ricevute parole di somma consolazione lo introdusse nel Museo Chiaramonti25, e gli fece invito di portarsi ad osservare la celebre statua dell’Atleta collo strigile26 collocata dirimpetto all’ingresso del nuovo braccio dello stesso Museo. Avendo il Santo Padre attentamente esaminato quel nuovo ornamento de’ Pontificii Musei, la trovò degna della comune ammirazione, ed esternò il

22 Dopo il disastroso incendio del 15-16 luglio 1823; Pio IX avrebbe consacrato l’intera basilica nel 1854. 23 Giuseppe De Fabris (1790-1860), di Vicenza, autore di monumenti in onore di Antonio Canova (1828), ora nella Protomoteca Capitolina, e Torquato Tasso (1857), nella chiesa di S. Onofrio al Gianicolo. A S. Pietro fu autore della statua di s. Pietro (1840) collocata accanto alla scalinata di accesso (in sostituzione di quella quattrocentesca) e del monumento a Leone XII (1836), dopo la Cappella della Pietà, di fronte al monumento a Cristina di Svezia; M.C., Statue di s. Pietro e s. Paolo poste innanzi la basilica Vaticana, in Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma 18652, pp. n. nn.; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. 744 e nt. 154, 774. 24 La Galleria lapidaria, che collega il Museo Chiaramonti all’Appartamento Borgia, Guida generale alla Città del Vaticano, Milano-Città del Vaticano 2012, pp. 320-321. 25 Realizzato da Pio VII a partire dal 1806 nel corridoio orientale che delimita il Cortile della Pigna, frutto di una vasta campagna di acquisti come reazione all’emorragia di antichità verificatasi col Trattato di Tolentino (1797), Guida generale cit., pp. 318-320. 26 La celebre statua dell’«Apoxyomenos», in marmo pentelico, copia romana del I secolo d.C. del capolavoro bronzeo eseguito da Lisippo intorno al 320 a.C. (Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, inv. 1185); Guida generale cit., p. 329.

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desiderio, che lo scavo del Vicolo delle Palme già abbastanza celebre continui a produrre nuovi frutti anche migliori27. Inoltrandosi quindi fra i capolavori situati nel Chiaramonti, e nel PioClementino28, e negli annessi Etrusco29 ed Egizio30 osservò con grande sua soddisfazione, che tutto era nel suo primiero e regolare collocamento. Si compiacque darne lode al Direttore, i cui sensi di particolare attaccamento, e fedeltà gli erano ben noti. Si compiacque anche molto nell’osservare disposte in bell’ordine una raccolta di Antichità Egiziane mandatagli in dono dal celebre Clot Bey già Medico del defunto Vicerè Mechmet Alì, e Direttore degli Spedali, e di tutti gli Stabilimenti Medici di Egitto, personaggio distintissimo, che in altre occasioni ancora aveva date prove del suo attaccamento alla S. Sede, ed alla persona del Sommo Pontefice31. Ma quello che fissò in particolar modo l’attenzione del Santo Padre fù il vedere la Raccolta degli oggetti di Antichità trovati a Pompei negli scavi fatti in sua presenza nel 22 Ott. p.p. Mandatigli questi in Roma dopo la sua partenza da Napoli dalla cortesia del suo Ospite illustre Ferdinando II. Re delle due Sicilie erano stati riuniti, ed elegantemente disposti per cura del prelodato Direttore. Spiccavano fra questi una grande Caldaja di bronzo anticamente restaurata, una Conca ellittica a due manichi pur essa di bronzo, una macina da molino, un grazioso vasetto di terra cotta, ed altri vasi e frammenti di terra cotta, di vetro, di bronzo e di ferro: ma su tutti primeggiava un prezioso basso rilievo in marmo rappresentante Alessandro giovane, che doma il Bucefalo in quella forma che lo descrivono le antiche memorie. Nel rivedere questi oggetti espresse il S. Padre la sua singolar compiacenza, e diede ordine al Direttore, che fossero collocati stabilmente 27 La statua fu rinvenuta il 3 ottobre 1849 nello scavo di un edificio di età imperiale a Trastevere, nel vicolo delle Palme, che assunse in quella circostanza l’attuale nome di Vicolo dell’Atleta. Già il 22 novembre la statua era esposta ai Musei Vaticani, con i restauri provvisori di Pietro Tenerani, P. MORENO, Apoxyomenos, in Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale. Secondo supplemento 1971-1994, I, Roma 1994, pp. 283-285. 28 Creato da Clemente XIV e terminato da Pio VI con lo scopo di esporre al pubblico godimento i capolavori scultorei delle collezioni pontificie, all’interno e nelle adiacenze del Palazzetto del Belvedere di Innocenzo VIII; Guida generale cit., pp. 327-340. 29 Voluto da Gregorio XVI, fu inaugurato il 22 febbraio 1837; Guida generale cit., pp. 341-352. 30 Istituito anch’esso da Gregorio XVI nel febbraio 1839, ebbe inizialmente le cure di un allievo di Ippolito Rosellini, il barnabita Luigi M. Ungarelli; Guida generale cit., pp. 314-318. 31 Antoine-Barthélemy Clot (1793-1868), noto come Clot-Bey, fu medico (1825-1849) del pascià d’Egitto e suo primo modernizzatore Mehemet Alì. Dopo un secondo soggiorno in Egitto (1854-1858), rientrò definitivamente in Francia; fu seppellito a Marsiglia nel cimitero Saint-Pierre, in una cappella funeraria col suo motto: «Inter infideles fidelis». Fu collezionista di antichità che vendette alla città di Marsiglia; P. HAMON, Clot (Antoine-Barthélemy), in Dictionnaire de biographie française, IX, Paris 1961, coll. 29-30.

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in elegante scanzia nel fregio della quale avesse luogo apposita iscrizione che nel far nota alla posterità le circostanze di un fatto particolare eccitasse gli animi loro a riconoscere la speciale Divina Provvidenza che fu visibile all’occhio di tutti negli avvenimenti strepitosi de’ nostri giorni32 Dopo ciò portossi Sua Beatitudine alla visita della contigua Biblioteca alla quale recava nobilissimi doni. Ricevuto nel suo ingresso da quel novello Primo Custode Monsignor Molza ne percorreva le Gallerie, e la gran Sala Sistina, trattenendosi in graziosi discorsi sullo stato della Biblioteca, e sulle cose più pregiate, che ne formano l’ornamento, godendo nel sentire, e vedere che la Biblioteca Apostolica non aveva per singolar divino ajuto sofferto alcun danno nelle passate luttuose vicende33. [Seguono alcune righe depennate: Fece dono pel Museo Sacro di un bellissimo basso rilievo in legno rappresentante la Passione rinchiuso in elegantissima Croce di argento34. Arricchì la raccolta dei libri con miniature di un preziosissimo volume in pergamena] III. Pio Martinucci, Nota sulla sua nomina a secondo custode (17 dicembre 1850) e sui primi tempi del mandato, s.d.35 Dopo la tardiva scoperta, nell’estate 1849, del clamoroso furto perpetrato ai danni del Medagliere vaticano dallo «scrittore» Demetrio Diamilla, dopo gli imba32 Il 22 ottobre 1849, durante una visita di Pio IX a Pompei, fu rinvenuto, probabilmente non per caso, insieme con altri reperti, un bassorilievo in marmo pentelico, originale greco o magno-greco ora datato fra I secolo a.C e I secolo d.C. (Musei Vaticani, Galleria Clementina I, inv. 64092). L’iniziale identificazione del soggetto con Alessandro sul cavallo Bucefalo, già sostenuta nel 1850 da Francesco Maria Avellino e l’anno successivo da Domenico De Guidobaldi, venne in seguito respinta. A ricordo della giornata, Ferdinando II di Borbone inviò il bassorilievo con altri oggetti rinvenuti e ulteriori reperti pompeiani e forse del Museo di Napoli a Roma, ove furono collocati nei Musei Vaticani in una vetrina con iscrizione che ricorda il fatto. Sulla visita, Pio IX a Pompei. Memorie e testimonianze di un viaggio, a cura di G. ASCIONE – B. CONTICELLO, Napoli 1987; sul bassorilievo, A. COMELLA – G. STEFANI, Un vecchio e discusso ritrovamento di Pompei: il rilievo votivo greco col cavaliere, in Rivista di studi pompeiani 18 (2007), pp. 27-39. Sugli oggetti inviati da Clot-Bey, su quelli rinvenuti a Pompei e sulla statua dell’atleta con lo strigile, G. MORONI, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica […], L, Venezia 1851, p. 272. 33 Era stata questa la valutazione diffusa già nell’estate 1849 da Laureani e Molza; che poi avevano però dovuto con imbarazzo constatare il grave furto perpetrato da Demetrio Diamilla nel Medagliere. 34 Al dono del bassorilievo («tre intagli esprimenti la Passione del Signore») accenna anche G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica […], LXXXVIII, Venezia 1858, p. 246. 35 Arch. Bibl. 5, ff. 167r-169r. Autografo, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra

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razzanti ritardi nella comunicazione dei fatti da parte del primo custode Gabriele Laureani e del secondo custode Andrea Molza, le autorità dovettero sentire il bisogno di inviare in Biblioteca un uomo di assoluta fiducia e di comprovata lealtà, per riportare ordine e sicurezza nell’istituzione. Se la promozione di Molza a primo custode (11 giugno 1850) appariva «di dovere» anche perché accontentava i potenti protettori dell’antico scolopio nella corte estense, la nomina di Martinucci a secondo custode (17 dicembre 1850) era espressione della volontà del papa — rientrato da Gaeta da pochi mesi — di riprendere pieno possesso della Vaticana attraverso una figura a lui nota e affidabile, appartenente a una famiglia tradizionalmente legata alla Santa Sede. I primi mesi del mandato di Martinucci furono però particolarmente difficili, per l’ostilità di Molza, che avrebbe preferito un altro candidato, e soprattutto per il drammatico suicidio (6-7 luglio 1851) del primo custode, una tragedia fra i libri in qualche modo senza precedenti. Il testo, più che un rapporto una sorta di memoria redatta forse a fini personali, deve essere stato steso da Martinucci a una certa distanza dagli eventi degli anni 1850-1851. Lo inducono a credere non solo la scrittura della sezione principale del testo, di modulo ampio, che sembra quella di Martinucci maturo, ma anche altri tre fatti: a) la non precisazione dell’anno della nomina, il 1850, e dell’inizio del pagamento dell’assegno del compenso, il 1851; b) l’errore quanto al giorno del suicidio di Molza, che fu il 6 luglio, non il 1°, come scrisse Martinucci; c) il riferimento alla vecchia governante di Molza, collocata per interessamento di Martinucci nel monastero romano di S. Susanna alle Terme, «ove sopravvisse per circa tre anni» (il testo deve dunque essere almeno successivo al 1854).

Per la morte di Monsignor Gabriele Laureani primo custode della Bibl. Vat. fu eletto all’ufficio vacante Monsignor Andrea Molza, com’era di dovere. Quindi vacando il posto di secondo custode, piacque alla Santità di Nostro Signore di nominarmi a quest’ufficio, non ostante le difficoltà che stimai di fare in proposito quando me lo propose Monsignor Pacifici36 a nome del Card. Lambruschini37. delle pagine rimasta bianca. Due bifogli, di cui sono scritte le pagine dalla terza alla settima. Gli ultimi due capoversi, dalle parole Avea in casa sino alla fine, sono state scritti in un secondo momento, in un modulo di scrittura leggermente più piccolo e in un inchiostro che ora risulta più chiaro di quello utilizzato per il testo precedente. Nella parte superiore del f. 167r è indicato, da mani diverse, Custodi e Monsig. Martinucci. Al f. 166r, che precede le note di Martinucci, indicazione di contenuto: «Anno 1852. Rapporto ed altre carte relative ai Custodi 1° e 2°». Le parole ed […] 1° e 2° sono state poi depennate da Franz Ehrle che, sopra e sotto, ha scritto: «di Mgr. Martinucci sulla morte di Mgr. Molza. — Una visita di Pio IX ai Musei ed alla Biblioteca». L’ultimo riferimento è al testo conservato ai ff. 170r-171v (cfr. doc. II). 36 Luca Pacifici (1802-1870), dal 22 giugno 1843 segretario delle Lettere latine e dal 26 giugno 1848 segretario dei Brevi ai principi; fu segretario (1° giugno 1848) della commissione teologica per la preparazione della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione e collaborò alla redazione della bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854); BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 609; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 836 (s.v. in indice). 37 Luigi Lambruschini (1776-1854), barnabita, arcivescovo di Genova (1819), nunzio in

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Dai fatti che poscia avvennero si conobbe chiaramente essersi fatta questa nomina dal S. Padre a dispetto di persone più potenti, le quali coll’impegno di costoro ambivano di conseguirlo38. Ebbi la nomina nel fine di Novembre 18… mi fu negato l’assegno di Dicembre e si principiò il pagamento coll’anno 18…39. Dippiù la fel. mem. di Monsignor Molza mi disse candidamente che egli si era opposto alla mia nomina e che volea altra persona di sua fiducia. Epperò mi diede formale proibizione d’interessarmi di qualsiasi cosa, che potesse avere relazione colla biblioteca. Quindi per più mesi mi convenne stare al mio scrittorio senza poter far nulla e senza poter avere la cognizione pratica del locale e degli oggetti in esso contenuti. Dopo la Pasqua40 s’infermò Monsignor Molza, né si sapeva a qual genere di malattia fosse soggetto. Anche durante la sua assenza dava gli ordini allo scopatore Gio. Battista Mariani41 di quello che si dovea fare. Finalmente la mattina del 1 luglio che fu di domenica42, mi venne ad Francia (1827), richiamato a Roma nel 1831 e creato cardinale il 30 settembre dello stesso anno, prefetto della Congregazione degli studi, fu segretario di Stato dal 1836 al 1846 e cardinale bibliotecario dal 19 dicembre 1834 al 27 giugno 1853. Avverso a ogni idea di sovranità popolare e di liberalismo, da prefetto della Congregazione degli studi fu severo contro le moderne idee filosofiche e politiche che si diffondevano dalle università; da segretario di Stato, riconoscendo nei congressi scientifici finalità politiche, proibì di parteciparvi; F. FONZI, Lambruschini, Luigi, in Enciclopedia cattolica, VII, Città del Vaticano 1951, coll. 844-845; L. M. MANZINI, Il cardinale Luigi Lambruschini, Città del Vaticano 1960 (Studi e testi, 203); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. XIII nt. 16, 215, 226 nt. 86, 340, 351 nt. 53; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 475-476; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 402-405; G. MONSAGRATI, Lambruschini, Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIII, Roma 2004, pp. 218-223; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 823-828; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 819 (s.v. in indice). 38 La frase sembra mal formulata e andrà invece così intesa: «[…] di persone più potenti che col loro impegno ambivano di farla conseguire [scil.: la nomina] a loro favoriti». Non è chiaro a chi faccia qui riferimento Martinucci. Per la sua nomina si mosse invece il fratello Filippo che raccomandò Pio al segretario di Lambruschini, Giacomo Gambaro, Roma, 16 ottobre 1849 (Arch. Bibl. 5, f. 72r-v). Nella stessa data il passo fu replicato con Agostino Rempicci, facendo notare che Pio, a differenza di un «certo Matranga Armeno», era italiano e poteva vantare il fatto che quell’impiego di secondo custode era stato occupato «da molti anni tanto fedelmente dal nostro zio canonico D. Giuseppe Baldi» (ibid., ff. 73r-v, 74v). 39 Martinucci fu nominato secondo custode il 17 dicembre 1851; Arch. Bibl. 5, ff. 167r169r. La comunicazione di Lambruschini a Molza relativa alla nomina, dal Palazzo della Consulta, 17 dicembre 1850, ibid., f. 108r.; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 343. 40 La Pasqua nel 1851 cadde il 20 aprile. 41 Il 12 aprile 1850 Giovanni Battista Mariani era uno dei tre «scopatori» che comparivano nel quadro del personale della Biblioteca, insieme a Lorenzo Brugiotti e Alessandro Boaselli, Arch. Bibl. 5, ff. 95v, 96v. 42 A distanza di tempo Martinuccì sbagliò data; il 1° luglio 1851 era un martedì; Molza si suicidò domenica 6 luglio e morì il giorno dopo.

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avvertire il detto Mariani che Monsignor Molza stava malato e sembrava che la malattia fosse mentale e che però mi spronò a visitarlo, quantunque vi fossi andato spesso, ed il più delle volte rispondeva di essere incomodato e di non voler vedere chicchesia43. Nel dopo pranzo di quel giorno andai a visitare Monsignor Molza e trovai una confusione ed un abisso indescrivibile, di cui nulla potei intendere. Uscì allora il parroco e mi domandò chi poteva chiamarsi per farlo confessare. L’interrogai qual cosa era avvenuto, e mi narrò che nella mattina, si chiuse in un camerino e che si segò la gola con un rasojo. Dopo che fu medicato si chiamò il Parroco per dargli i Sacramenti e rispose da pazzo, che cioè con quell’atto avea pensato a far ridere i suoi nemici. Io suggerii al parroco di chiamare il nipote gesuita44, che era al Collegio Romano, come fece, ed in tal modo anche con opera di altri suoi amici riuscì di calmarlo e fargli ricevere i Sacramenti. Avrebbe forse potuto sopravvivere alla ferita, se fosse stata regolarmente curata. Ebbe la disgrazia d’imbattersi in un chirurgo che ha il soprannome di spiccialetti, il quale legò la ferita esternamente, e così la ferita seguitò a sgorgare il sangue nell’interno, per la cui perdita morì svenato. Appena avuta questa notizia scrissi al Card. Lambruschini Bibliotecario, che era fuori di Roma, da cui ebbi risposta d’interessarmi della Biblioteca e delle carte e danaro che potevano essere presso il defunto, e ciò anche coll’intesa del S. Padre e del Card. Antonelli. Presi gli ordini dal S. Padre e dal Card. Antonelli, che m’ingiunsero di presiedere e sorvegliare l’andamento della Biblioteca. L’assistenza all’inventario del defunto Molza durò molti giorni, e si ebbe tutto quello che spettava alla Biblioteca stessa dalla R. C. de’ Spogli45, che fu l’erede, giacché Monsignor Molza avendo professato l’istituto delle scuole pie, né avendo fatto uso della facoltà ottenuta di poter fare il testamento s’impossessò della eredità la suddetta Camera de’ spogli46. Avea in casa una vecchia cadente, che l’assisteva dal tempo in cui venne 43 Oltre all’abitazione di servizio, che doveva trovarsi al di sopra della Biblioteca, Molza disponeva di un domicilio in città, che si trovava in via di Monserrato 43, a non grande distanza dal Vaticano, [DELL’AQUILA VISCONTI], Successio cit., p. 411. 44 Ugo Molza (1821-1891) fu inizialmente rettore del noviziato di S. Eusebio all’Esquilino, dal 1860 del Collegio Romano e dal 1890 del Collegio Greco; Catalogus defunctorum in renata Societate Iesu ab a. 1814 ad a. 1970, collegit R. MENDIZABAL, Romae 1972, p. 134; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1013-1016. 45 La Reverenda Camera de’ Spogli si occupava dei beni e delle rendite dei benefici ecclesiastici divenuti vacanti alla morte di un ecclesiastico che ne usufruiva in vita. Come è noto, presso di essa lavorò per un certo periodo il giovanissimo Giuseppe Gioacchino Belli, M. TEODONIO, Introduzione a Belli, Bari 1992 (Gli scrittori, 32), p. 12. 46 Martinucci intendeva dire che Molza era stato scolopio ma aveva poi ottenuto la fa-

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in Roma. Pregai il S. Padre ad averne compassione e si degnò di assegnarli una somma mensile mi pare di scudi (?) 15. che le si pagava dalla Propaganda. Con questo mezzo mi riuscì di collocarla nel monastero di S. Susanna alle Terme47, ove sopravvisse per circa tre anni. Quanto alla biblioteca trovai una gran confusione negli armarii dei codici, che stanno nella prima camera di Paolo V48. Ve ne era una gran quantità confusa e disordinata né si sapeva che cosa vi si contenesse. Coll’ajuto degli scrittori Matranga49 e Castellini50 in breve tempo li riordinai e li numerai, e così feci nelle altre serie della Regina, della Palatina, dell’Urbinate e dell’Ottoboniana51. Feci il rincontro di tutt’i codici e mi spavantai

coltà di fare testamento. Non avendo fruito di questa possibilità, i suoi beni erano entrati in possesso della R. Camera dei Spogli. 47 «Sisto V affidò la chiesa e il contiguo monastero alle monache [cistercensi] di S. Bernardo [scil.: della vicina chiesa di S. Bernardo alle Terme] dopo che l’ebbero abbandonato gli Agostiniani di S. Maria del Popolo», M. ARMELLINI, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX. Nuova edizione […] a cura di C. CECCHELLI […], I, Roma 1942, p. 332. 48 Sulle Sale paoline, G. CURCIO, «La gran mole della libraria Vaticana nel Belvedere» del XVII secolo, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, III: La Vaticana nel Seicento (15951700): una biblioteca di biblioteche, a cura di C. MONTUSCHI, Città del Vaticano 2014, pp. 601-649: 606-607. Le due Sale, allestite sotto Paolo V fra il 1610 e il 1611, sono sulla destra uscendo dal Salone Sistino, lungo la galleria occidentale che costeggia il Cortile della Pigna, Guida ai fondi manoscritti, numismatici, a stampa della Biblioteca Vaticana, I: Dipartimento Manoscritti, a cura di F. D’AIUTO – P. VIAN, Città del Vaticano 2011 (Studi e testi, 466), p. 678; II: Dipartimento Stampati – Dipartimento del Gabinetto Numismatico – Uffici della Prefettura. Archivio – Addenda, elenchi e prospetti, indici, […] (Studi e testi, 467), pp. 750, 757; Guida generale cit., p. 406. 49 Pietro Matranga (1807-1855), di Piana dei Greci (poi Piana degli Albanesi; Palermo), partecipò senza successo al concorso per la nomina di uno «scrittore» greco (29-30 gennaio 1840); coadiutore dello «scrittore» greco Jacopo Sozzi il 26 gennaio 1844, gli subentrò il 25 settembre 1854. Morì il 5 ottobre 1855. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 213-214, 217-218, 225 nt. 69, 311; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 674 e nt. 102. Per la sua biografia, N. CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga scrittore greco della Vaticana, Firenze 1858 (estratto dall’Imparziale fiorentino, an. II); A. AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga segretario del card. Angelo Mai. Le delusioni di un uomo dotto, in Bergomum 27 (1953), nr. 1, pp. 13-33; ID., Enrico Tazzoli ed il clero cattolico del Lombardo Veneto. Il card. A. Mai ed una causa alla S. Congregazione dell’Indice, ibid. 28 (1954), nr. 1, pp. 25-45. 50 Vincenzo Castellini (1816-1861), di Roma, coadiutore di Michelangelo Lanci per la lingua araba il 24 febbraio 1844, divenne «scrittore» per l’arabo e il siriaco il 2 dicembre 1845; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 111, 340; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 217, 228 nt. 105, 311; PIOLANTI, L’Accademia di Religione Cattolica cit., p. 127; DI SIMONE, La facoltà umanistica cit., p. 388; FLAIANI, L’Università di Roma cit., pp. 67 e nt. 274, 284; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. 496 e nt. 46, 649 e nt. 50 (con bibliografia), 687, 720. Viene citato in una lettera di Matranga a Mai, Roma, 20 maggio 1844, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 28. 51 I fondi Reginensi, Palatini, Urbinati e Ottoboniani avevano progressivamente occupato ambienti della galleria occidentale, perpendicolare al Salone Sistino.

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al numero grande che mancava52. Non potei però conoscere la cosa con certezza, perché il Card. Mai avea la facoltà di portare in sua casa i codici, e non si poteva mai sapere qual numero ne avesse53. IV. Pio Martinucci, Nota sulle più urgenti necessità della Biblioteca Vaticana, s.d. (ma metà 1851)54 Nonostante la marginalizzazione patita a causa dell’insofferenza di Molza per un secondo custode che non avrebbe voluto, Martinucci nei primi mesi del suo mandato osservò con attenzione la vita della Biblioteca e redasse un testo sui suoi più urgenti bisogni, concludendo che era necessario un nuovo Regolamento «adattato alle circostanze de’ tempi». L’idea in verità non era nuova perché era già stata formulata da Molza in una lettera a Lambruschini del 15 gennaio 185055, anche se è difficile sapere se Martinucci ne fosse o meno consapevole. Il testo può essere approssimativamente datato alla metà del 1851, forse prima del suicidio di Molza (6-7 luglio 1851) perché le valutazioni di Martinucci sembrano ancora di carattere 52

I frutti di questo lavoro si trovano in Arch. Bibl. 58 e 59. Il 20 novembre 1848 Mai scrisse da Albano a Laureani trasmettendo la lista dei codici che deteneva «con licenza sovrana» e per i quali il primo custode aveva regolari ricevute. I più importanti e preziosi erano i Vat. gr. 1209 e 2125. La restituzione doveva avvenire con grande riservatezza, «senza alcuno strepito», anche con gli impiegati della Vaticana. Alcuni manoscritti erano scuciti «per necessità della copiatura» e Mai prometteva di farli ricucire a sue spese. Rientrando a Roma Mai ne avrebbe però ripresi alcuni per terminare le edizioni in corso, G. COZZA LUZI, Epistolario del cardinale Angelo Mai. Primo saggio di cento lettere inedite, Bergamo 1883, p. 129. Probabilmente proprio pensando ai disordini provocati dai prestiti a Mai, nella stesura preparatoria del Regolamento del 1851 Martinucci aveva previsto un art. 34 che recitava quanto segue: «Finalmente prevedendo la circostanza in cui debba estrarsi qualche codice si darà il permesso da Noi e dai Nostri Successori in iscritto, per gravissime ragioni, e colle condizioni che il numero di essi sia limitatissimo, e sempre colla regolare ricevuta ed esatta restituzione, cioè che si consegnino personalmente dal Custode a cui sarà fatta in iscritto la ricevuta notandosi il numero della raccolta alla quale appartiene il codice, il numero delle pagine o fogli, e la qualità della legatura, affinché dentro lo spazio di tempo da determinarsi nella licenza, debba essere restituito ed esaminato, ed in caso contrario sia dal Custode ripetuto, e Ci renda puntualmente intesi di tutto che riguardi la restituzione suddetta», Arch. Bibl. 7, f. 236r. Nel testo definitivo l’intero contenuto dell’articolo fu soppresso, cfr. P. VIAN, Pio IX, Pio Martinucci e il Regolamento della Biblioteca Vaticana del 20 ottobre 1851, in Miscellanea in onore di padre Sergio Pagano per il suo LXX compleanno (in corso di stampa). Forse nell’ambito di queste ricerche Martinucci allestì un piccolo registro a forma di rubrica relativo ai codici presi in prestito da Mai, ora segnato Vat. lat. 13185, cfr. Inventario dei codici Vaticani latini 12848-13725 (Biblioteca Vaticana, Sala Cons. Mss. 316 rosso), f. 70. 54 Arch. Bibl. 60, ff. 398r-399r. Autografo, con rare correzioni e integrazioni, anche nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime tre pagine. Altra stesura, precedente, sempre autografa di Martinucci, in Arch. Bibl. 60, ff. 404r-405r. Al f. 397r, a penna, è indicato: «Rapporto sullo stato della Biblioteca del Custode Mons. Martinucci». 55 Arch. Bibl. 79, pt. A, ff. 178v, 183r; altro esemplare della lettera ai ff. 181r-182v. 53

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puramente teorico, senza cioè il coinvolgimento diretto di una responsabilità di governo.

Pel buon andamento, e per la conservazione de’ codici ms. de’ libri, e degli altri oggetti esistenti nella Biblioteca Apostolica Vaticana è necessario completare l’inventario dei codici, fare l’inventario e l’indice dei libri stampati, ordinare e descrivere i musei sacro e profano, la collezione de’ quadri ec. Compiuti gl’inventarii si potrebbe dare la consegna legale ai custodi, e da ciò ne seguirebbe che le chiavi rimarrebbero presso di essi solamente, né starebbero più in mano di persone estranee alla Biblioteca, col pericolo che vadano pure in mano di persone incognite le quali forse potrebbero profittarne maliziosamente con danno della medesima56. La compilazione degli inventarii spetta agli scrittori57, i quali eccettuatone alcuno, rarissime volte e per pochi momenti intervengono alla Biblioteca, in cui, anche intervenendo, si occupano solamente de’ loro proprii lavori58. Quindi è necessario richiamarli al dovere loro, e se alcuno non può prestarsi nelle ore e nei giorni stabiliti, potrebbe dar luogo ad altri soggetti, oppure se per circostanza particolare si stima da’ Superiori che debbano rimanere nell’ufficio, dovrebbero adempire alle loro obbligazioni almeno in altre ore. Per riscontrare con esattezza le mancanze o rubbamenti de’ codici è indispensabile averli tutti sott’occhio, affine di poter esaminare la serie, il numero, e la materia contenuta, confrontandoli cogli inventarii già esistenti, o con quelli che si faranno. Quindi dovrebbero restituirsi tutt’i codici che sono fuori della Biblioteca, e richiamare qualunque facoltà accordata di estrarre i codici ed i libri finché non siano compiuti gl’inventarii59. Co56 Il Regolamento del 1851 avrebbe sancito il principio nell’art. 3: «Presso loro [scil.: i custodi] saranno le chiavi di tutti gli armadii dei codici, dei libri e di qualunque altro oggetto si conserva nella Biblioteca (Clem. XII § 3)», Moto-proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio IX dei 20 ottobre 1851 col quale si prescrive il regolamento per la biblioteca apostolica vaticana, in D. ZANELLI, La Biblioteca Vaticana dalla sua origine fino al presente, Roma 1857, pp. 118-122: 118. 57 L’art. 6 del motu proprio stabiliva che «cura primaria» dei custodi fosse «l’occuparsi con premura al compimento ed al perfezionamento degli inventari e indici, non solo dei codici ma ancora di ogni altra cosa che si conserva nella biblioteca e locali annessi, invigilando altresì che con sollecitudine siano descritti nell’inventario e nell’indice gli oggetti i quali progressivamente si acquisiscono dalla biblioteca. A questo fine si varranno dell’opera degli scrittori», Moto-proprio cit., pp. 118-119. 58 L’accusa agli «scrittori» di non occuparsi che dei propri lavori era ricorrente, prima e dopo Martinucci. 59 Anche alla luce di quanto Martinucci avrebbe scritto in seguito sui primi tempi del suo mandato, non vi è dubbio che il secondo custode qui si riferisca a Mai e alla facoltà di cui godeva di estrarre codici della Biblioteca trasferendoli nella sua dimora romana.

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nosciuta poi la mancanza de’ codici potrebbe rintracciarsi se siano stati rubbati, col mezzo della polizia. Chi estrae i codici per publicarli, adduce la ragione che la Biblioteca è abbandonata, né vi ha chi si occupi in illustrare e publicare i codici stessi. A ciò si potrebbe porre rimedio per mezzo degli scrittori, che cioè compiuti i lavori in servigio della Biblioteca, possano fare degli studii utili su i codici della Biblioteca stessa, e pubblicarli. A facilitare siffatte publicazioni potrebbe riattivarsi la Tipografia Vaticana la quale è nei pianterreni della Biblioteca60, e per animare gli autori potrebbono porsi a parte del lucro che si ritrarrebbe dalla vendita delle stampe rispettive. Dippiù rimettendosi in attività la stamperia farebbesi utile alla Biblioteca che avrebbe una rendita forse non piccola collo spaccio delle opere o da pubblicarsi se nuove, o di ristampa se esaurite, e dippiù s’impiegherebbono molti lavoranti stampatori che non hanno donde vivere61. Da non molto tempo si è introdotto l’abuso di far vedere l’indice de’ codici a chiunque lo richieda62. Se dagli estranei si dimanda esaminare qualche codice, che dai custodi si neghi, perché contenente materie, quali non è spediente che da tutti si esaminino, quelli ottengono per altre vie di vederli, di esaminarli, ed anche di trascriverli, e perciò avviene che dalla Biblioteca Apostolica si somministrino notizie, quali non conviene siano pubblicate63. Sarebbe perciò necessario fare la nota o l’elenco de’ codici 60 V. ROMANI, Tipografie papali: la Tipografia Vaticana, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, II: La Biblioteca Vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città del Vaticano 2012, pp. 261-279: 269-277; cfr. anche: [N. VIAN], Introduzione. L’opera editoriale della Biblioteca Vaticana, in I libri editi dalla Biblioteca Vaticana MDCCCLXXXV-MCMXXXXVII. Catalogo ragionato e illustrato, Città del Vaticano 1947, pp. XI-LII: XVIII-XIX; N. VIAN, Vaticano. Tipografia Vaticana, in Enciclopedia cattolica, XII, cit., coll. 1135-1136; Tipografie romane promosse dalla Santa Sede. Mostra di edizioni, [a cura di N. VIAN], Biblioteca Apostolica Vaticana 1972, pp. 12-15. 61 L’idea di un redditizio sfruttamento economico della tipografia si ripresenta periodicamente, in realtà mai confortata dai risultati. 62 Il Regolamento del 1851 avrebbe affermato all’art. 2: «[…] né sia permesso senza nostro speciale ordine in iscritto farli vedere ed esaminare [scil.: inventari e indici] da chicchesia (Clem. XII § 3)», Moto-proprio cit., p. 118. Per le precedenti disposizioni cfr. Clemente XII, Dignissimam regibus, in Bullarum Diplomatum et Privilegiorum Sanctorum Romanorum Pontificum Taurinensis editio […], XXIV, Augustae Taurinorum 1872, pp. 571-576: § 3 (p. 573). 63 Qualche anno primo, nel 1841, aveva suscitato scalpore la pubblicazione su un giornale di S. Pietroburgo di una relazione sul concilio di Firenze «piena di errori e di menzogne, che si diceva fatta da un monaco scismatico e desunta poi da un manoscritto della Biblioteca Vaticana per opera di un certo Scevireff, che era stato in Roma due anni prima», MANZINI, Il cardinale Luigi Lambruschini cit., p. 300. Come conseguenza, Lambruschini aveva impartito a Laureani disposizioni restrittive sulla comunicazione di codici e documenti. Le preoccupazioni non erano solo di Martinucci. Qualche anno dopo un uomo intelligente e certo non di anguste prospettive come Tizzani esercitò una sorta di «censura preventiva» nei confronti di un lavoro di Augustin Theiner, suo collega come consultore nella Congregazione dell’Indice,

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riservati, quali da niuno debbano vedersi64. Vi è pure un altro abuso da non molto tempo introdotto, di fare cioè copiare e collazionare i codici da chiunque li dimandi. Sarebbe eziandio necessario richiamare su di ciò i regolamenti65. Sarebbe spediente di stabilire i giorni ne’ quali dare l’accesso ai forastieri per osservare la biblioteca, evitando le ore dello studio, perché dai scopatori per accompagnare i forastieri si lasciano gli scrittori, ed i custodi, né sorvegliano gli estranei che studiano su i codici66. Così anche dovrebbe limitarsi il numero delle persone che si ammettono in ciascuna comitiva per vedere la Biblioteca, perché lo scopatore non può sorvegliare tutti quei che lo seguono, e potrebbe esservi chi con mala intenzione recasse qualche danno forse non piccolo67. In una parola occorrerebbe un nuovo regolamento adattato alle circostanze de’ tempi68. V. A proposito del suicidio di Andrea Molza (6-7 luglio 1851) Il suicidio di Molza fu un evento drammatico e inaspettato che suscitò generale scalpore e unanime costernazione. Il secondo custode Martinucci sentì suo dovere informare sia il papa sia il cardinale bibliotecario di quanto accaduto con una serie per evitare la pubblicazione di documenti «compromettenti» per il papato a proposito delle reazioni romane alla notizia della strage degli Ugonotti nella notte di S. Bartolomeo, TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCXXXII, CDXXII-CDXXIII. 64 Un elenco di codici con valutazioni sulla loro consultabilità (Appunti di mons. Martinucci sui codici da non comunicare) si trova in Arch. Bibl. 42, f. 108r. 65 Clemente XIII aveva proibito trascrizioni da codici senza particolari permessi; si escludeva poi che ministri della Biblioteca lo potessero fare per altri, Ancorché i Sommi Pontefici, § 6, in Bullarii Romani continuatio […], II, Romae 1837, pp. 259-264: 260-261. 66 Per accompagnare i «forastieri» nelle loro visite e ottenerne «mance», gli «scopatori» trascuravano la sorveglianza degli estranei ammessi allo studio, abbandonando il campo ai custodi e agli scrittori, impegnati in altre mansioni. La distinzione fra orario di visita e orario di studio (che riprendeva una norma del regolamento napoleonico del 1813), il contenimento numerico dei visitatori furono fra le novità del Regolamento del 1851 e furono probabilmente il motivo che scavò un fossato fra il secondo custode e gli «scopatori», che vedevano economicamente ridimensionate le loro entrate. 67 Nella stesura precedente Martinucci aveva aggiunto: «È necessario porre in un armario coi cristalli i codici che si mostrano affinché non vadano a perire coll’atrito delle mani», Arch. Bibl. 60, f. 405r. Nel 1867 Xavier Barbier de Montault, La Bibliothèque Vaticane et ses annexes: le Musée chrétien, la Salle des tableaux du Moyen Age, les Chambres Borgia, etc., Rome 1867, p. 7, prevedeva che i visitatori fossero sempre accompagnati da uno «scopatore» al quale era di abitudine lasciare una «mancia» di un paolo per persona. 68 Per la stesura del nuovo Regolamento da parte di Martinucci e per il ruolo di Pio IX, cfr. VIAN, Pio IX, Pio Martinucci e il Regolamento cit.

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di lettere che permettono di seguire la vicenda. Il primo messaggio fu indirizzato a Giacomo Gambaro69, segretario del card. Lambruschini70, la sera del 6 luglio, giorno dell’insano gesto del primo custode.

[6 luglio 1851, sera] Monsignore Veneratissimo, Mons. Molza da alcuni giorni era infermo, né poteva comprendersi il male di lui. Questo oggi circa le ore 4 è venuto da me lo scopatore della Biblioteca ad avvertirmi che ieri lo trovò alquanto aggravato. Non ho perduto tempo e vi sono subito andato; ed ho trovato una grandissima confusione, poiché ho saputo che da due giorni non volea cibo di sorte alcuna. Oggi poi circa un ora dopo il mezzo giorno mentre non vi era il servitore si è alzato dal letto, si è chiuso in un camerino, e con un rasoio si è segata la gola. È stato subito curato, ma il male è irrimediabile. Sul far della notte vi ho mandato il nipote che è Gesuita per persuaderlo a confessarsi, giacché nulla hanno valso le insinuazioni del Parroco, e di altre persone per fargli ricevere i Sacramenti. Tutto effetto della pazzia, cui già fu soggetto alcuni anni indietro. Se il Signore non disponesse altrimenti, mi porrò di concerto coll’Eminentissimo Antonelli come Segretario di Stato (in assenza dell’Eminentissimo Bibliotecario) per far biffare la casa a nome della Biblioteca, giacché ha in mano la cassa e tutte le carte dell’amministrazione che non conosco affatto, e mi si suppone che vi possano essere circa 1.000 scudi appartenenti alla libreria. Avrei direttamente scritto a Sua Eminenza ma nella certezza che le avrei recato disturbo, mi prevalgo della sua bontà e la prego a farle conoscere l’avvenuto nella maniera che stimerà opportuna. La prego de’ miei ossequi a Sua Eminenza, mentre con tutta la stima ho l’onore di rassegnarmi[.] Il giorno dopo Martinucci comunicò a Francesco de’ Medici di Ottaiano71, maggiordomo di Sua Santità, allora a Castel Gandolfo, l’avvenuta morte di Molza, pregando il destinatario di informarne il papa72. 69 Giacomo Gambaro era il segretario di Lambruschini. Nelle Notizie per l’anno MDCCCLI, Roma 1851, p. 279, compare fra i camerieri segreti soprannumerari. 70 Arch. Bibl. 5, ff. 123r-v, 124v. Minuta, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime due pagine. Nella parte superiore sinistra del f. 123r, Martinucci ha scritto: «Lettera scritta a Mons. Gambaro Segretario del Card. Lambruschini la sera dei 6 Luglio 1851». Sulla quarta pagina, al f. 124v, a penna è indicato: «Morte di Mons. Molza primo Custode della Bibl.». 71 Francesco de’ Medici di Ottajano (1808-1857) dal 17 maggio 1850 era maggiordomo e prefetto dei Palazzi apostolici; fu creato cardinale da Pio IX il 16 giugno 1856; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 457-458; BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 592. 72 Arch. Bibl. 5, f. 122r. Minuta, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un f., scritto nel recto.

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Roma li 7 luglio 1851 Eccellenza Reverendissima, Questa mattina alle ore 71/2 è morto Monsignor Molza primo Custode della Biblioteca Vaticana. Mi affretto di notificarlo a V. Eccellenza Reverendissima affinché si compiaccia renderne inteso il S. Padre nella maniera che stimerà più spediente. Suppongo che già siano giunte le notizie per altre parti e chi sa quanto alterate. Spero che presto tornerà Sua Santità, e potrò ragguagliarla dell’avvenuto che deve essergli di grandissimo dispiacimento. L’assicuri però che Monsignor Molza ha dato segni di contrizione, ed ha dichiarato la sua pazzia. Ho l’onore di confermarmi con sentimenti di stima ed ossequio Di V. Eccellenza Reverendissima Mons. Medici Maggiordomo di S. Sant. Castel Gandolfo L’8 luglio Martinucci scrisse ancora a Gambaro, avvertendo così il cardinale della morte di Molza e comunicando particolari della penosa vicenda73.

[8 luglio 1851] Ieri mattina circa le ore 71/2 morì Monsignor Molza. Andai subito alla casa da lui abitata, e vi trovai il Sig. Giuseppe Valentini commissionato dal Sig. Conte Simonetti Incaricato di Modena per far porre le biffe a nome degli eredi, giacché non vi è testamento74. Per cui non mi diedi altra premura per la garanzia degli oggetti e carte spettanti alla Biblioteca, essendo stati assicurati. Conobbi pure che nella sera antecedente al nipote Gesuita riuscì di farlo confessare, e fargli emettere una dichiarazione che erasi da se stesso ferito, perché senza tal dichiarazione la polizia avrebbe proceduto contro i famigliari. Questa mattina si porranno le biffe all’appartamento di lui nel Vaticano, per semplice formalità, ma col permesso dell’Eminentissimo Antonelli. Scrissi ancora immediatamente a Monsignor Maggiordomo affinché ne avesse reso inteso il S. Padre75. Dalla ricognizione del cadavere fatta dalla polizia si conobbe che poteva guarire, se la medicatura fosse 73

Arch. Bibl. 5, f. 121r. Minuta con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un f., scritto nel recto. 74 Il 1° agosto 1851, Luigi Simonetti, «incaricato d’affari estense presso la S. Sede», comunicò a un cardinale (probabilmente Antonelli) l’intenzione di effettuare l’inventario degli oggetti nell’abitazione di Molza, chiedendo dunque la designazione di una persona che seguisse l’inventario da parte della Santa Sede, Arch. Bibl. 5, f. 128r. 75 Si tratta della lettera di Martinucci a Medici di Ottajano, del 7 luglio 1851, pubblicata supra.

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stata fatta regolarmente, poiché non era offesa né la carotide né la vena jugulare, e per tale motivo ha sopravissuto molte ore76. L’8 luglio Gambaro rispose, da Civitavecchia, al primo messaggio di Martinucci, quello del 6 luglio77:

Civitavecchia, 8 Luglio 1851 Monsignor Mio Veneratissimo, Ricevuto questa mattina il pregiato di Lei foglio del 6. andante, non lasciai di comunicarne il contenuto all’Eminentissimo Signor Cardinal mio Padrone, e il feci nel miglior modo per me possibile onde rendergli meno dolorosa la prima impressione ch’era per produrre in Lui il triste caso di Monsignor Molza. Questo però, com’Ella può ben imaginare, fu oltremodo sensibile ed affligente, anche perche tale avvenimento era del tutto imprevveduto e inaspettato. Sua Eminenza ignorava che il detto Prelato fosse andato altre volte soggetto ad accessi di pazzia, come sicuramente dev’essere quello che lo portò a tentare di privarsi della vita78; tentativo che disgraziatamente pare abbia avuto o sia per avere il suo effetto. Anche il rilevare ch’egli non vuol sentir parlare di sacramenti amareggia l’animo di Sua Eminenza. Raccomandiamolo alla misericordia di Dio. Intanto nella previsione che il Prelato, come vi è a temere, passi all’altra vita, l’Eminenza Sua approva ch’Ella faccia quanto si era proposto di fare, dipendendo in tutto dall’Eminentissimo Signor Cardinal Antonelli, onde veder di salvare ciò che può appartenere alla Biblioteca. Riceva i saluti dell’Eminentissimo, il quale ha gradito la premura con cui Gli ha Ella dato la notizia, sebbene dispiacentissimo, del fatto di Mon-

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Dopo ore. Martinucci aveva scritto e poi depennato la seguente frase, di un certo interesse: «Come pure sembra certo che fosse spinto a tal eccesso per violenza di nervi alterati dal chinino». 77 Arch. Bibl. 5, f. 125r-v. Originale, autografo. Un f., scritto nel recto e nel verso. 78 Nella lettera del 6 luglio 1851 a Gambaro Martinucci aveva effettivamente segnalato che Molza era stato vittima «alcuni anni addietro» di altri e gravi disturbi nervosi. Il fatto è confermato da quanto Martinucci scrisse a Vito Capialbi il 16 agosto 1851, precisando anche l’anno della precedente crisi: «Credo che avrà conosciuto già la disgrazia di quest’ottimo mio collega, che ha fatto trasecolare quanti il conoscevano. Fu certamente un aberrazione totale di mente il procacciarsi la morte, ossia per meglio dire ricadde nell’infermità di cui fu soggetto nel 1836 [segue, depennato: infermità che forse era tanto più irrimediabile, attesa l’età accresciuta, la perdita dei soli due suoi amici, la circostanza di qualche dispiacere sofferto, e di altri motivi che quantunque piccolissimi, nella sua fantasia erano giganti]. Preghi il Signore che gli dia pace e riposo», Arch. Bibl. 49, f. 237r; minuta, autografa. Chi erano i due amici? Uno potrebbe essere Emiliano Sarti, morto prematuramente il 22 ottobre 1849 (BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 224 nt. 57), anche se, sui suoi reali rapporti con Molza, Gaetano

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signor Molza, e creda ai sensi della ben distinta stima colla quale mi pregio di essere Di V.S. Illustrissima Devotissimo Obbligatissimo Servitore G. Gambaro Monsignor Pio Martinucci Secondo Custode della Biblioteca Vaticana Roma Il 9 luglio, da Allumiere, Gambaro rispose al messaggio di Martinucci dell’8 luglio79. Sulla tragica fine di Molza scendeva il silenzio, mentre per Martinucci si apriva un periodo di impegno molto intenso:

Allumiere, la sera del 9. Luglio 1851 Monsignor mio Veneratissimo, La sua lettera in data d’ieri mentre ci ha annunziato quello che purtroppo si prevedeva riguardo a Monsignor Molza, aumentò pure il dolore di Sua Eminenza da me resa informata dell’accaduta di Lui morte. In mezzo a questa afflizione, bisogna ringraziar Dio, che siasi almeno riuscito a farlo confessare. Ciò è di conforto all’animo dell’Eminentissimo mio Padrone. È stata pur buona cosa la dichiarazione emessa dal defunto Prelato, poiche senza di questa i di Lui servitori poteano benissimo andare soggetti a qualche Processura per parte della Polizia. Colle Biffe messe in Casa del Defunto pare anche a Sua Eminenza che rimanga provveduto alla garanzia degli oggetti, e delle Carte che possono appartenere alla Biblioteca. Ella avrà ricevuto il mio riscontro alla sua precedente80. E non avendo per ora altro ad aggiungerle, le rinnovo i complimenti di Sua Eminenza Reverendissima, e con sensi della solita distinta stima passo a confermarmi Suo Devotissimo Obbligatissimo Servitore G. Gambaro All’Illustrissimo Signore Signor Padrone Colendissimo Monsignor D. Pio Martinucci 2do Custode della Biblioteca Vaticana Roma

Pelliccioni aveva vedute che non farebbero pensare a una reale e sincera amicizia; cfr. VIAN, Bibliotecari della Vaticana cit., p. 167 [43]. 79 Arch. Bibl. 5, ff. 126r, 127v. Originale, autografo. Un bifoglio, che ospita nella prima pagina il testo e nella quarta l’indirizzo con il sigillo di ceralacca. 80 Il riferimento è alla lettera di Gambaro, Civitavecchia, 8 luglio 1851, in risposta a quella di Martinucci, [6 luglio 1851], entrambe pubblicate supra.

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VI. Pio Martinucci al card. Giacomo Antonelli e al card. Luigi Lambruschini, a proposito del nuovo Regolamento per la Biblioteca Vaticana, s.d. (ma metà 1851)81. Rispetto al testo del doc. IV, le Osservazioni, indirizzate al segretario di Stato e al cardinale bibliotecario, rappresentano sicuramente uno stadio più avanzato delle riflessioni di Martinucci e si possono dunque datare dopo la morte di Molza (7 luglio 1851), nel momento in cui Martinucci si sentì chiamato a dirigere la Biblioteca da secondo custode, in attesa di raggiungere la pienezza della titolarità dell’incarico che dovette invece attendere per venticinque anni.

Osservazioni sopra il nuovo Regolamento per la Biblioteca Vaticana Pel buon andamento della Biblioteca Apostolica al Vaticano, e pel regolamento da tenersi dagli impiegati al servigio di essa, si stabilirono già alcune ordinazioni dalla sa. me. di Clemente XII colle lettere Apostoliche in data dei 24 Agosto 173982 quali furono ampliate da Clemente XIII di sa. me. anzi il motuproprio da lui spedito il giorno 1 agosto 1761 si può dire in parte una dichiarazione del Breve suddetto83. Volendosi richiamare l’osservanza dei regolamenti già esistenti sembrerebbe indispensabile aggiungerne qualche altro più confacente o alla pratica finora tenuta, ovvero alla circostanza dei tempi. Quindi sembrerebbe necessario stabilire primo che tanto degli indici, quanto dell’inventario dei codici ne siano responsabili i due Custodi, ai quali sia espressamente proibito di mostrarli o farli esaminare da CHICCHESSIA, e ciò per ottenere lo scopo di evitare il disordine che siano estratte e pubblicate notizie le quali per ogni rapporto non conviene siano somministrate dalla Biblioteca Apostolica, e la cui pubblicazione può essere anche di pregiudizio alla rarità ed al pregio dei manoscritti84. Secondo. Converrebbe richiamare quello che si stabilisce nel Breve al § VII e nel Motoproprio al num. 6 riguardo allo studio ed alla copiatura dei codici e dei manoscritti85. Anzi se si stimasse spediente potrebbe stabilirsi più det81

Arch. Bibl. 7, ff. 262r-263v. Minuta, autografa, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio, di cui sono scritte le quattro pagine. Il titolo, con alcune correzioni, è stato depennato. 82 Clemente XII, Dignissimam regibus cit. Cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 163, 174 nt. 55, 231, 235, 303. 83 Clemente XIII, Ancorché i Sommi Pontefici cit. Cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 167, 177 nt. 97, 184, 231, 235. 84 Il Regolamento del 1851, all’art. 2, avrebbe affermato che i custodi «riterranno le chiavi degl’inventari e degl’indici», Moto proprio cit., p. 118. 85 Il Regolamento del 1851, agli art. 26 e 27, avrebbe escluso la possibilità di studio e di trascrizione dei manoscritti senza permessi specifici; qualora autorizzate, le trascrizioni

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tagliatamente il metodo da serbarsi nell’accordare siffatte licenze quando inevitabilmente si dovessero concedere. A ciò già si provvede in parte dal Moto proprio al num. 6. Anzi si suggerirebbe di stabilire due altri impiegati col titolo di copisti SENZA ALCUN SALARIO pel solo oggetto in cui dandosi facoltà di fare qualche copia, rimanessero incaricati i medesimi per l’esecuzione della copia, convenendo sul prezzo con chi dimanda la copia stessa86. Terzo. Per prevenire gli abusi, e per togliere in parte ai Custodi l’odiosità che seco porta una legge di rigore, sembrerebbe pure necessario prevedere la circostanza, in cui gli scrittori trascrivessero qualche codice per loro uso, e poi ne communicassero copia agli estranei, ed in tal guisa eludessero alle leggi che già vi sono di nulla trascrivere87. Quarto. È necessario provedere con qualche mezzo energico alla mancanza degli scrittori nel loro ufficio, non essendo giusto che alcuni siano gravati di soverchio, ed altri si esentino arbitrariamente da ogni fatica88. Quinto. Si vuole dal § V del Breve che i forestieri siano ammessi ad osservare la Biblioteca nelle ore soltanto dello studio. Atteso il maggior numero dei forestieri nei nostri tempi, è impossibile di osservare la legge suddetta. Potrebbe però inculcarsi l’osservanza del metodo introdotto, che cioè ciascun estraneo sia accompagnato da uno scopatore; che lo scopatore di accompagno sorvegli la comitiva se è numerosa, onde non ne vengano danni alla Biblioteca, e che nelle ore dello studio almeno uno degli scopatori rimanga nella sala dello studio per servizio degli scrittori89. Sesto. Dovrebbe pure adottarsi andavano poi controllate dal personale della Biblioteca, Moto-proprio cit., pp. 120-121. Per le disposizioni precedenti, cfr. Clemente XII, Dignissimam regibus cit., § VII (p. 574); Clemente XIII, Ancorché i Sommi Pontefici, § 6 (pp. 260-261). 86 Martinucci proponeva l’assunzione di due copisti che non sarebbero stati però a carico dell’istituzione ma dei committenti delle trascrizioni. In questo modo si sarebbe ottenuto un controllo sulla qualità delle trascrizioni ma si sarebbe anche garantito un ulteriore esame del contenuto dei testi trascritti. Pio IX non approvò l’idea che infatti è assente nel Regolamento del 1851, VIAN, Pio IX, Pio Martinucci e il Regolamento cit. 87 Martinucci chiedeva dunque che venisse esplicitamente vietata la trascrizione di testi da parte degli «scrittori» per terze persone. La prassi doveva dunque essere diffusa, come dimostrò il caso di Matranga che dopo l’espulsione di Paul Heyse, dell’8 gennaio 1853, si offrì a pagamento per trascrizioni clandestine in suo favore (cfr. infra); e Martinucci intendeva stroncarla, con il duplice obiettivo, ancora una volta, di evitare il perseguimento di interessi privati da parte del personale durante le ore di ufficio e di garantire un maggiore controllo sui testi trascritti da manoscritti vaticani. Il Regolamento del 1851 avrebbe esplicitamente affermato all’art. 17: «Non sia lecito loro [scil.: agli scrittori] comunicare copia dei codici e dei manoscritti agli estranei e di estrarre notizie e scritture ad istanza dei medesimi, qual mancanza sarà severamente punita», Moto-proprio cit., p. 120. Gli stessi «scrittori» dovevano chiedere il permesso per studiare e trascrivere codici (art. 18), ibid. 88 Martinucci ribadiva quanto già sottolineato nel testo sulle più urgenti necessità della Biblioteca (doc. IV) a proposito della necessità di stroncare l’assenteismo degli «scrittori». 89 Qui Martinucci non sembra affermare con forza quanto aveva invece segnalato nel

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qualche regolamento sulle dimande tanto di copiare gli oggetti esistenti nel museo sacro e nel museo profano, nella galleria de’ quadri sacri, quanto di lucidare i codici per ritrarre le lettere iniziali, le figure, le arme ec.90 Settimo. Riguardo alla legatoria dei codici non essendovi più i legatori collo stipendio mensile si potrebbe adottare qualche determinazione da communicarsi in voce91. A queste riflessioni si aggiunge che è necessario completare gl’inventari dei codici, e di fare gl’inventari dei libri stampati, del medagliere, dei musei sacro e profano, dei quadri, e dei vasi etruschi: che per la sicurezza e conservazione di tutti gli oggetti suddetti è necessario pure richiamare la legge della consegna legale ai Custodi: che per potere riordinare i codici è necessario averli tutti sott’occhio sì per conoscere con esattezza le mancanze, sippure per poterli sistemare ordinatamente e commodamente affinché non soffrano colla positura in cui sono stati finora e che finalmente dovrebbe proibirsi ogni alienazione arbitraria di qualunque oggetto che esista nella Biblioteca92. Sono queste le riflessioni che si umiliano alla saviezza dell’Eminentissimo Bibliotecario e dell’Eminentissimo Pro-Segretario di Stato nella circostanza in cui si vogliono ristabilire i regolamenti per la sicurezza e per la conservazione della Biblioteca Apostolica.

doc. IV, cioè la necessità di distinguere l’orario delle visite da quello dello studio. Era consapevole che la misura era osteggiata dagli «scopatori» che vedevano così ridotte le possibili visite con le relative «mance»; e la frase potrebbe essere interpretata come un parziale cedimento di fronte alle loro pretese. 90 Le copie da oggetti del Museo Sacro e Profano sarebbero state regolamentate dall’art. 9 del Regolamento del 1851, escludendo di «dilucidare i codici, copiare le miniature, le lettere iniziali, il fare i fac-simili, ecc.», Moto-proprio cit., p. 119. 91 Ancorché i Sommi Pontefici cit., § 7 (p. 261), prevedeva l’attività di due «legatori di libri» e di due «scopatori, o famuli». Di fatto nel quadro del personale del 12 aprile 1850 per i «legatori di libri» sono presenti due righe in bianco (Arch. Bibl. 5, ff. 95v, 96v). Anche il Regolamento del 1851, auspicando nell’art. 25 che gli «scopatori», oltre a saper scrivere, fossero anche abili nel «legare i libri» (Moto proprio cit., p. 120), sembrava andare nella direzione del riassorbimento delle funzioni dei legatori in quelle degli «scopatori». La scomparsa dei legatori di ruolo induceva dunque Martinucci a pensare a strategie alternative, individuate nell’impiego di personale avventizio. In questa direzione si mosse sin dai primi tempi del mandato, chiamando in Biblioteca Raffaele Marucci e altri. 92 Nell’ultima parte del capoverso si concentrano e ribadiscono le disposizioni fondamentali: necessità degli inventari in tutte le articolazioni della Biblioteca; consegna legale ai custodi; restituzione dei codici per verificarne l’esistenza; esclusione della possibilità di alienare oggetti della Biblioteca.

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VII. Pietro Matranga a Pio Martinucci, 21 gennaio 185293 Fra le preoccupazioni del secondo custode Martinucci, chiamato ad assumere la responsabilità della direzione della Biblioteca dopo la morte di Molza, una delle più gravi fu quella del grande numero dei manoscritti estratti dalla Biblioteca e detenuti per motivi di studio dal card. Angelo Mai presso di sé. L’estrazione era stata autorizzata già nel 1838 da Gregorio XVI, derogando alle severissime norme di Sisto V. Da allora il cardinale aveva conservato anche per più di dieci anni manoscritti vaticani, talvolta smembrati per favorire le esigenze delle trascrizioni dei copisti e delle composizioni tipografiche. Nel suo programma di ristabilimento dell’ordine in Biblioteca, Martinucci avvertì questo come un problema particolarmente serio e i suoi rapporti con Mai dovettero divenire difficili. In tale quadro si inserì la lettera di Pietro Matranga indirizzata a Martinucci il 21 gennaio 1852. Una lettera lunghissima, in cui Matranga, sempre in attesa di essere promosso da coadiutore a «scrittore» effettivo, narrò le sue vicende per difendersi da accuse e calunnie che potevano danneggiarlo in Biblioteca agli occhi di Martinucci. Il testo era ricco di particolari e di notizie che dovettero confermare Martinucci nelle sue preoccupazioni acuendo la criticità dei rapporti del secondo custode con Mai e confermando il giudizio negativo sul comportamento del cardinale già biasimato implicitamente nei testi di Martinucci del 1851. La lettera di Matranga gettò quindi copiosa benzina sul fuoco fornendo a Martinucci le prove di un comportamento che doveva apparirgli sconveniente, disinvolto e foriero di disordini. Agli occhi di Martinucci, il documento era particolarmente importante perché promanava da uno stretto collaboratore di Mai che, come pochi altri, poteva essere testimone autorevole del modo di agire del cardinale. Da questo punto di vista, la lettera appare un capolavoro di ambiguità o, se si vuole, un perfetto elaborato di eloquenza secondo i canoni della retorica («Bruto e Cassio sono uomini d’onore…»). Mai veniva infatti inizialmente presentato come «Personaggio illustre, famoso per sapere e per dottrina, a buon diritto chiamato ornamento del Sacro Collegio» e a lui Matranga professava venerazione «per dignità che indossa, e per dottrina che lo adorna». Ma poco per volta, quasi impercettibilmente, nel quadro venivano introdotti elementi, fatti e notizie che inducevano a mutare radicalmente il giudizio. Mai appariva uno spregiudicato e ingrato sfruttatore che «all’idea di codici e stampe posponeva ogni 93

Arch. Bibl. 5, ff. 193r-203r. Dieci ff., scritti da Matranga nel recto e nel verso, tranne l’ultimo rimasto bianco nel verso; nel margine superiore del f. 193r, con matita viola, è indicato Matranga e Schede Martinucci. Il testo presenta, oltre alle sottolineature a penna dello stesso Matranga, numerose sottolineature a matita e a penna rossa, presumibilmente di lettori posteriori (forse anche dello stesso Martinucci). Sempre con penna rossa vengono inseriti nei margini le virgolette accanto alle citazioni e alcune maniculae, per evidenziare punti particolari. La lettera è stata scritta in momenti diversi, come mostra il cambiamento di inchiostro all’interno del f. 195r. Il f. 197, di formato minore, contiene indicazioni relative a «Signora Inglese, Mad. Isabella d’Orbinay», e alle sue intenzioni di convertirsi al cattolicesimo; di mano diversa da quella di Matranga, non ha nulla a che fare con la lettera a Martinucci. Appunti ed estratti del testo in Arch. Bibl. 63 (Schede Stevenson), f. 86r-v.

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convenienza». D’altra parte la stessa figura di Matranga, sulla base dei documenti che lo riguardano, non sembra né limpida né lineare. Dopo essere stato forse in lizza per la successione a Laureani e avere conteso, almeno stando all’affermazione di Filippo Martinucci, il posto di secondo custode poi ottenuto da Martinucci, nei primi anni del mandato del cerimoniere pontificio il sacerdote siciliano si schierò apertamente al suo fianco, cercando di favorirne l’ascesa al ruolo di primo custode, forse col disegno di occupare lui il posto di secondo custode così divenuto vacante. Interessanti in questo senso sono alcune lettere di Matranga a Martinucci successive a quella del 21 gennaio 1852. Il 2 marzo 1852 Matranga scrisse a Martinucci che sperava che il secondo custode potesse ottenere quanto desiderava, cioè la promozione a primo custode94. L’11 gennaio 1853, spiegando a Martinucci i motivi per cui negli ultimi tempi non era potuto andare in Vaticana, gli narrò un sogno che annunciava fatti positivi per il secondo custode (e Matranga sperava anche per lui)95. Il 25 giugno 1853, quando era ormai imminente la nomina di Asinari a primo custode, Matranga scrisse a Martinucci: «Ecco quanto chiede; badi però a non consegnar l’Originale, poiché si perderebbe la difesa delle calunnie, di cui imbevono chi comanda, cioè che bisogna porre ordine e persona energica a calmare le dissensioni e i partiti!!! Stasera verrò a dir quanto ho potuto penetrare, ma Ella si mostri fermo, e costante». Il problema evidentemente riguardava la nomina del primo custode; Martinucci aveva ottenuto l’appoggio degli «scrittori» ma le manovre contro di lui continuavano, cercando di dare della Biblioteca l’immagine di un campo di battaglia e di Martinucci il profilo di un custode privo di energia. Matranga si offriva dunque di aiutarlo96. Si può immaginare quale trauma sia stato per entrambi, Martinucci e Matranga, la contemporanea nomina, il 27 giugno 1853, di Mai a cardinale bibliotecario e di Asinari a primo custode. Di fatto solo dopo la morte di Mai (9 settembre 1854), Matranga tornò a scrivere al secondo custode Martinucci, il 20 settembre 1854: essendo morto «sabato scorso» Sozzi, di cui Matranga era coadiutore per la lingua greca sin dal 1844, chiedeva di subentrargli nella percezione degli emolumenti97. Martinucci trasmise la notizia ad Antonelli, quale prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici, il 21 settembre98; e quattro giorni dopo Antonelli comunicò finalmente ad Asinari la nomina di Matranga a «scrittore greco»99. Il sacerdote siciliano non godé però a lungo del raggiungimento dell’agognata posizione: morì l’anno dopo, il 5 ottobre 1855, appena quarantottenne, a tredici mesi di distanza da Mai. Contro il quale promosse un processo, poi proseguito dai suoi eredi che alla fine ottennero un compenso risarcitorio dalla comunità di Schilpario100. Ma la più clamorosa conferma sull’ambiguità discutibile e un po’ inquietante della figura di Matranga proviene ancora dal caso Heyse. Nel novembre 1852 Matranga era stato incaricato di controllare le trascrizioni effettuate da Heyse con esplicita 94

Matranga a Martinucci, 2 marzo 1852; Arch. Bibl. 5, f. 177r. Matranga a Martinucci, 11 gennaio 1853; Arch. Bibl. 5, ff. 189r-v, 190v. 96 Matranga a Martinucci, 25 giugno 1853; Arch. Bibl. 5, f. 192r. 97 Matranga a Martinucci, di casa, 20 settembre 1854; Arch. Bibl. 5, f. 206r. 98 Martinucci ad Antonelli, 21 settembre 1854; Arch. Bibl. 5, f. 207r. 99 Antonelli ad Asinari, dalla Segreteria di Stato, 25 settembre 1854; Arch. Bibl. 5, f. 208r. 100 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 214, 225 nt. 69. 95

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autorizzazione (ma dopo i controlli sembra che le trascrizioni non venissero restituite). Il 10 marzo 1853 un amico di Heyse, Anton Marstaller, gli riferì che, a due mesi dalla clamorosa espulsione dalla Biblioteca (8 gennaio 1853), Matranga aveva fatto sapere di essere disposto a trascrivere, dietro adeguato compenso, le poesie trobadoriche che Heyse avrebbe indicato. Heyse — che conosceva Matranga e definiva, forse inconsapevolmente, con terminologia per un siciliano ricca di evocazioni, «oscuro uomo d’onore» — rifiutò sdegnato notando che trovava ignobile che dovesse pagare per farsi copiare degli inediti da una persona che per giunta non conosceva il provenzale101. La notizia, della quale non vi sono motivi di dubitare, apre uno squarcio piuttosto squallido e sconsolante sul panorama della Biblioteca agli inizi degli anni Cinquanta, ove il secondo custode si batteva per far osservare le norme espellendo uno studioso per una trascrizione non autorizzata, mentre uno «scrittore», che a parole sosteneva Martinucci, sotto banco si proponeva per fornire le stesse trascrizioni: una pratica vietatissima da tutte le normative ma, proprio per questo, probabilmente diffusa102. Era forse l’inganno l’unico modo per convivere con la rigida normativa dell’istituzione? Tornando alla lettera del 21 gennaio 1852, essa rappresenta un documento di particolare interesse per la ricostruzione della figura di Mai e delle diverse posizioni interne alla Biblioteca. La difesa di Matranga, dalle calunnie che, con tutta evidenza, doveva ritenere provenissero dallo stesso Mai, si trasformò in un fermo atto di accusa contro il cardinale. Con la lettera Matranga si “riposizionò” divenendo, da concorrente di Martinucci, suo alleato contro il nemico comune, Angelo Mai. Martinucci dovette quindi riservare molta attenzione a tutte le informazioni relative a codici vaticani disinvoltamente trasmessi a Matranga per le trascrizioni; erano le prove del disordine che il secondo custode aveva trovato in Biblioteca e fermamente biasimato; significative le sottolineature in rosso, forse dello stesso Martinucci.

Dalla Biblioteca Vaticana questo dì 21 di Gennaio 1852 Monsignore Riveritissimo, Più volte meco medesimo richiamando a memoria il mio stato poco prospero dopo 16. anni di dimora in questa dominante, dimora non per caso, o per mendicar un pane, o per isperanza di vagheggiate ambizioni avvenuta, ma per comando espresso della B.M. di Gregorio XVI., che dal Febbraio 1837 mi volle quì trattenere per Vicerettore, e Professor di Greco 101

BERTOZZI, L’immagine dell’Italia cit., pp. 27-28 (241), 63 (306), 691 (736-737). AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 21, nota «una naturale sua [scil.: di Matranga] tendenza ad accumulare quanto più denaro possibile» e formula a proposito del personaggio un giudizio morale severo («era della stoffa degli invidiosi, degli arrivisti, dei ricattatori», ibid., p. 22). Nel 1867, dunque a una certa distanza di tempo dal «fattaccio» Heyse, Barbier de Montault sembrava considerare normale che gli «scrittori» rilasciassero, «à des prix convenus, des copies authentiques des manuscrits, tant anciens que modernes, orientaux ou occidentaux», BARBIER DE MONTAULT, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 7. 102

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nella primitiva ristaurazione del Collegio di S. Atanasio103; anni spesi tutti in servizio della S. Sede, ed in una vita laboriosamente applicata, come il testificano VI. Tomi in 4° delle antichità Cristiane del Mamachio per mia cura ristampati104, i miei due tomi di Aneddoti Greci105, il S. Sofronio con anticipato onore associato al IV. Tomo dello Spicilegio Romano dell’Eminentissimo Cardinal Mai106, ed altre opere archeologiche di minor mole illustranti antichità cristiane e profane; non posso far di meno a non lagnarmi di quella tale sventura, compagna talora indivisibile di alcuni viventi sempre tapini, sempre contrariati anche nelle operazioni le più ingenue, le più irriprensibili. Se poi a tutto ciò si aggiunge la malignità di invide cattive lingue, che per terrena fragilità soglion trovare nei deboli spiriti pronto e facile accoglimento; allora a quel tale, vittima di sventura e d’iniquità umana, non resta che la tutela di pura coscienza, e l’abbandonarsi in balia del vecchio unico galantuomo, al tempo, il quale sa spontaneamente svelare la santa verità indarno offuscata, oppressa, e bandita. Convinto, Monsignore riveritissimo, da coteste filosofiche teorie, mio 103 Per il trasferimento a Roma, l’incarico nel Collegio Greco e l’inizio del rapporto con Mai, CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., pp. 7, 13; AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 13-14. Nessun riferimento invece in Il Collegio Greco di Roma. Ricerche sugli alunni, la direzione, le attività, a cura di A. FYRIGOS, Roma 1983. 104 Th. M. MAMACHI, Origines et antiquitates Christianae. Editio altera auctorum exemplaribus collata ac recensita, curante P. MATRANGA, I-VI, Romae, ex typographia Salviucci, 1841-1851. La prima edizione aveva visto la luce a Roma, per i tipi di Nicola e Marco Pagliarini, fra il 1749 e il 1755. 105 Anecdota graeca e mss. bibliothecis Vaticana, Angelica, Barberiniana, Vallicelliana, Medicea, Vindobonensis deprompta, I-II, edidit et indices addidit P. MATRANGA, Romae, typis C. A. Bertinelli, 1850. Per la pubblicazione, che avrebbe dovuto permettere a Matranga l’accesso allo scrittorato vaticano e che invece comportò solo un forte esborso economico non compensato dal mancato successo editoriale, CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., pp. 13-29; AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 18-20. In difficoltà, Matranga chiese aiuto a Mai, senza risultato, e il fatto acuì il suo risentimento. A proposito del volume, critico è il giudizio di Camarda: «tutto quanto ripieno di roba greca, e non bene digerita»; «[…] parte per colpa propria e parte per furia di fare presto [Matranga] lasciò, che l’acqua andasse per la china», CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., p. 14. 106 Spicilegium Romanum, IV, Romae 1840, pp. 49-125, con l’edizione curata da Matranga delle odi anacreontiche di Sofronio di Gerusalemme; ibid., p. XVII, lettera di Matranga a Mai. Per l’edizione di Sofronio, basata sul Barb. gr. 310, di cui esiste un apografo allacciano in Biblioteca Vallicelliana, CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., pp. 7-13; AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 16, 19; C. CRIMI, Michele Sincello, Per la restaurazione delle venerande e sacre immagini, Roma 1990 (Bollettino dei Classici dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Supplemento 7); F. CICCOLELLA, Cinque poeti bizantini. Anacreontee dal Barberiniano greco 310, testo critico, introduzione, traduzione e note, Alessandria 2000 (Hellenica, 5) [Crimi e Ciccolella ripubblicano alcuni dei componimenti contenuti nel manoscritto Barberiniano, ma non quelli di Sofronio]. Per il manoscritto Barberiniano, M. L. AGATI, La minuscola bouletée, I, Città del Vaticano 1992 (Littera antiqua, 9), pp. 202, 227 e passim. Per queste e altre indicazioni in margine alla lettera di Matranga, ringrazio Francesco D’Aiuto.

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malgrado ho dovuto esercitarle su di me medesimo, e alle reiterate persecuzioni di ogni maniera ho risposto col silenzio. Provo ora non poca ripugnanza a dover rompere questo prediletto silenzio, perocché alcune voci da qualche mese van sussurrando contro di me, e trattandosi di onoratezza e di vita civile, per quel poco che mi è stato dato a intendere, stimo natural mio dritto armarmi a difesa107. Ricorro quindi a Voi, Monsignore, che parimente avete ogni ragione di conoscere la illibata fedeltà delli Scrittori Vaticani, ed averne la piena fiducia, specialmente dopo la recente prevaricazione di un mio miserando Collega108. Duolmi che in garanzia di mia difesa io debba tesser l’apologia a me medesimo. e svelare in questa circostanza fatti incontrastabili, avvalorati da venerandi autografi, da lungo tempo tenuti sotto il più scrupoloso segreto, benché il mondo n’abbia supposto alcun che, e n’abbia a buon dritto parlato. [aggiunto nel margine esterno con un richiamo all’interno del testo: Nella satira «Gran lotteria in benefizio del popolo Romano in compenso delle spese del conclave» nel 1846. fu detto con arguzia: La chimerica repubblica di Platone, codice Greco con le interpretazioni dell’Abate Matranga-Mai — E ciò alludendo ai miei lavori, fa scorgere che i segreti erano manifesti alla pubblica fama109]. Duolmi che in garanzia di mia difesa non posso rivocare a vita i due morti Custodi, Vostri predecessori, i quali dal Marzo 1837. al Decembre 1843. in questa Biblioteca Vaticana mi videro estraneo110, indi Scrittor di Greco, ed ebbero prove non dubbie di mia fedeltà, e quindi concessami 107 L’intento della lettera di Matranga era dunque apparentemente difensivo, a tutela personale dalla «malignità di invide cattive lingue», ma, come presto si vedrà, gli obiettivi erano in realtà diversi e più complessi: rivoltarsi contro l’antico patrono Mai, che si era mostrato cinicamente ingrato, e trovare così un nuovo alleato in Martinucci. Collante della nuova solidarietà doveva appunto essere l’avversione alla personalità e alle pratiche di Mai. 108 L’accenno dovrebbe essere a Diamilla e al clamoroso furto che aveva compiuto al Medagliere. Sull’unanime compatezza del collegio pare lecito dubitare, anche alla luce di quanto Matranga avrebbe scritto a Martinucci il 25 giugno 1853 a proposito de «le dissensioni e i partiti» che infestavano allora la Vaticana. Tale situazione rende sospetta la presa di posizione, unanime, del collegio degli «scrittori» per la promozione di Martinucci a primo custode, nel marzo 1852 (doc. VIII). Il documento fu probabilmente provocato da Martinucci per raggiungere un obiettivo che invece clamorosamente mancò. 109 Un componimento satirico con lo stesso titolo si trova nel manoscritto composito Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, ms. Vitt. Em. 918. Il manoscritto, che raccoglie satire dal pontificato di Pio VI a quello di Pio IX, proviene dalla biblioteca del conte Alessandro Moroni e fu acquistato nel 1922, cfr. https://manus.iccu.sbn.it//opac_SchedaScheda.php?ID=69045. Già da questo accenno, iniziale, si comprende quale sarà il motivo dominante della lettera: il lavoro oscuro di Matranga a servizio di Mai, poi ripagato dall’ingratitudine del cardinale. 110 Il riferimento era a Mezzofanti e Laureani, primi custodi rispettivamente fra il 1833 e il 1838 e fra il 1838 e il 1849; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 341.

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ogni agevolezza pei miei studii paleografici, siccome io ne resi pubbliche grazie alla fine della Prefazione de’ miei aneddoti Greci pubblicati in Agosto 1850111. Ma, la Dio mercé, vivono due Scrittori più antichi di me nel servizio della Biblioteca, l’Abate Nebbia112, e il Prof. Massi113, che mi ha sempre nel posto a canto, vivono il resto delli Scrittori, vivono li Scopatori, da’ quali insieme Voi, Monsignore, potete accertarvi sul mio conto. [aggiunto nel margine esterno con un richiamo all’interno del testo: Quando il misterioso furto della numismatica Vaticana divenne soggetto di pubblica indignazione114, io proposi al fu Monsignor Molza i mezzi di poter riacquistare parte di medaglie ancora esistenti in questa Roma; egli in compenso di questi servizii mi rimunerò di brusche parole. Quindi volsi le mire in Germania, ove senza dubbio era ita gran parte delle più distinte medaglie: marte proprio impresi a chiederne notizie, e lessi le mie corrispondenze al Signor Marchese Sacchetti115, che è pieno di vita, e potrà attestar la verità]. Invoco poi sopra ogni altro la vostra coscienza ad essermi di giusta 111

Anecdota graeca, I, cit., p. 37. Già impegnato in Archivio Vaticano, Antonio Nebbia fu reclutato per la Biblioteca Vaticana da Angelo Mai agli inizi della sua prefettura, fra gli «impiegati docili e operosi»; «scrittore» soprannumerario il 1° marzo 1822, divenne effettivo il 15/19 marzo 1825; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 213, 217, 225 nt. 65, 229 nt. 107, 311. 113 Francesco Massi (1804-1884), romano, di famiglia tradizionalmente legata alla Santa Sede (il padre era soprastante del Museo), fu «scrittore» aggiunto dal 1834, effettivo dal 1840, «emerito» dal 1881. Ebbe la cattedra di eloquenza italiana e latina alla Sapienza dal novembre 1851 al 5 ottobre 1871, quando, essendosi rifiutato di prestare giuramento al nuovo governo, decadde dall’incarico. Nell’aprile 1871 partecipò alla «Protesta» contro il documento di adesione a Ignaz von Döllinger e alle sue idee anti-infallibiliste di alcuni docenti dell’Università di Roma, reso pubblico qualche giorno prima. Nel 1883 Vincenzo Tizzani lo propose per la stesura latina della trattazione di storia della Chiesa che avrebbe dovuto prendere origine dalla lettera di Leone XIII sugli studi storici (18 agosto 1883); SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 112, 126, 172, 338; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 228 nt. 106, 217, 312; DI SIMONE, La facoltà umanistica cit., pp. 371, 377-378, 392, 408; G. MONSAGRATI, Verso la ripresa, 1870-1900, in Storia della facoltà di lettere cit., pp. 401-449: 408; G. BIANCO, Massi, Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXI, Roma 2008, pp. 770-772; FLAIANI, L’Università di Roma cit., pp. 65 e nt. 268, 284; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CVI e nt. 5, CCCVII nt. 108, CCCXII nt. 128, CCCXL nt. 91, CCCLXXIII-CCCLXXIV; N. VIAN, Il cardinale che sapeva leggere. Storie di libri e scritture, a cura di P. VIAN, Genova 2017 (Collana di saggistica, 142), pp. 200-202. Effettivamente, come Matranga afferma subito dopo, al tavolo di lavoro Massi e Matranga erano vicini, cfr. la pianta della sala degli «scrittori» (prima del 22 ottobre 1849), con l’attribuzione dei diversi posti, Arch. Bibl. 42, f. 479r. 114 Matranga qui ometteva di ricordare, e pour cause, i suoi legami con l’autore del furto, Demetrio Diamilla, attestati dall’articolo Lapidi antiche possedute dal sig. Demetrio Diamilla, illustrate da D. Pietro Matranga, pubblicato nel marzo 1849, ove Diamilla era definito «mio carissimo collega in biblioteca Vaticana, del quale è abbastanza noto l’amore che nutre per la numismatica non solo, ma per ogni specie d’antichità». Parole che alla luce degli eventi più recenti era bene far dimenticare. 115 Girolamo Sacchetti (1804-1864), quinto marchese di Castelromano, foriere dei Sacri 112

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protezione, e di portare queste mie rimostranze avanti a chi si conviene, onde tacciansi alfine le pestilenti lingue, si vergognino, e così i Superiori si rimuovino dalle tristi impressioni forse ricevute. Né aborro io da un processo, comunque persuaso non potersi procedere senza fondamento di almeno apparente delitto, né sentenziare senza prove non di probabilità, non di calunnie, ma di fatti più chiari del meriggio. Voi, Monsignore, senza mistero oramai capirete da questo mio risentito preambolo, che si va spargendo contro la mia onestà, e fedeltà qualche poco gradevole imputazione, dubbia, non manifesta, ma pronunziata fra denti: arte diabolica, misleale, arte propria de’ figli dell’Erebo, nutriti nelle tenebre, e per le tenebre viventi. Io poi, che non amo simigliante arte, manifestando a Voi, Monsignore, la verità di fatto, non posso esimermi dal chiamarvi in testimone di mia condotta. Voi conoscete l’amore immenso che porto a questa Biblioteca, con quanta esattezza e ubbidienza la frequento: ricordatevi che in Agosto passato mi presi tutta la premura indicarvi persona esistente in Londra, la quale si offriva a ricuperare in genere le sempre deplorabili perdite di questa Vaticana116, e ricordatevi averne dato parte all’Eminentissimo Bibliotecario, e all’Eminentissimo Segretario di Stato. Rammentatevi ancora, Monsignore, delle cure prese da me in riferirvi nel passato ottobre la vendita privata di un codice, e le iterate verificazioni fatte sugl’Indici per accertarci che non apparteneva a questa Biblioteca117. Trattando poi i codici Vaticani per commissioni di persone estere e lontane, nulla ho mai operato senza il consenso de’ superiori: fra le carte del fu Monsignor Molza v’ha più d’un documento di mio pugno testificante la verità, e v’ha ancora uno che mi difende dalla forse imputatami destrezza, ed è appunto quello che riguarda la richiesta di Monsieur Renan in Febbraio 1850. su certi squarci del Cod. Lat. Vat. 3491., di cui avevo il proemio da me estratto nel 1839. per ordine del fu Monsignor Laureani in servizio di Monsieur Ambrogio Firmin-Didot118. Palazzi Apostolici, svolse un ruolo di particolare importanza durante l’allontanamento di Pio IX da Roma (24 novembre 1848-12 aprile 1850). 116 Non è chiaro se si tratti del recupero di manoscritti e/o di stampati sottratti o del nuovo acquisto di copie di stampati spariti. Sembra preferibile la prima ipotesi. 117 Come si ricava dai testi “programmatici” (docc. IV, VI, IX, X), Martinucci era molto preoccupato per le sottrazioni di manoscritti e stampati vaticani, rese possibili dalla situazione di disordine che aveva constatato nell’istituzione. Le parole di Matranga dovevano quindi confermarlo nelle sue valutazioni. 118 Ernest Renan, in occasione del suo iter Italicum (1848-1849) compiuto per ragioni scientifiche con Charles-Victor Daremberg, ebbe contatti con Matranga, proseguiti per via epistolare, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 17. Una sua lettera a Matranga, Paris, 11 dicembre 1852, di presentazione dell’archeologo e filologo Conrad Bursian, in AGAZZI,

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Ma riguardo la mia fedeltà son deboli prove le già enumerate a paragone delle varie e inconcusse, che son per addurre. Giova quì chiamare in testimone di mia religiosissima probità un Personaggio illustre, famoso per sapere e per dottrina, a buon dritto chiamato ornamento del Sacro Collegio. Egli è l’Eminentissimo Cardinale Angelo Mai; a niuno meglio che a Lui incombe difendermi dalle obbrobriose calunnie; a Lui son io notissimo per più anni di mia vita studiosa passata in di Lui aiuto presso di se; a Lui avutomi compagno nei multiplici viaggi d’Italia e di Sicilia119; a Lui testimone dell’affetto e della stima, che ovunque Egli trovava mostrarmisi da’ miei conoscenti; a Lui servito da me con amor senza pari, poiché finora niuna ricompensa ho ricevuto di mie fatiche e servizii, neppur il costo di un bicchier di acqua, servito con indefessa assiduità [aggiunto nel margine esterno con un richiamo all’interno del testo: N.B. L’Eminentissimo, in quel tempo Segretario di Propaganda120, sin dall’Aprile 1837. mi ordinò la trascrizione di un codice del Collegio Greco; era il Nomo-canone di Matteo Blastare, che mi occupò lungamente avendo empito di mia scrittura quasi una risma di carta; e fu lavoro inutile, poiché Monsignore non volle persuadersi esser quel trattato già ab antiquo edito: si accorse poi l’anno seguente quando diede a stamparlo, e impressi alcuni fogli cessò l’inganno]121, con fedeltà Patriarcale. E perché, Monsignore, le mie parole non Vi paian vendita di lucciole per lanterne, vengo con le prove alla mano, e dico che se l’Eminentissimo Mai avesse avuto il minimo sospetto di fidatezza a mio carico, non avrebbe consegnato in mio privato potere i preziosi Codici Vaticani dal 1838 in quà122, onde io esemplarli, ed Egli pubblicarli. So che anche questa è gratuita asserzione, e so che ha bisogno di prove, ed io son pronto a darle allegando opportunamente il numero de’ Codici non solo,

L’abate don Pietro Matranga cit., p. 30. Il Vat. lat. 3491 è un codicetto cartaceo di pochi ff. che contiene il De dignitate ac praestantia basilicae Principis Apostolorum. Dunque, la disinvolta «destrezza» di Matranga nel fornire a studiosi esterni trascrizioni clandestine di manoscritti vaticani non era ignota ai superiori. 119 Per i viaggi eruditi di Matranga con Mai in Sicilia e altrove, CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., p. 13; AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 16. 120 Mai fu nominato segretario di Propaganda Fide il 15 aprile 1833. 121 Sul testo di Matteo Blastare già edito da Johannes Leunclavius, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 22. Il manoscritto al quale Matranga fa riferimento è il ms. 15 della biblioteca del Collegio Greco di Roma, Sp. P. LAMPROS, Τὸ ἐν Ῥώμῃ Ἑλληνικὸν Γυμνάσιον (Collegio Greco) καὶ οἱ ἐν τῷ ἀρχείῳ αὐτοῦ ἑλληνικοὶ κώδικες, in Νέος Ἑλληνομνήμων 10 (1913), pp. 3-32: 23. 122 Le estrazioni di codici della Vaticana a favore di Mai incominciarono nel 1838 e proseguirono per dieci anni, sino al 1848, come mostrano le registrazioni in Arch. Bibl. 58, ff. 68r-82r. Mai era stato creato cardinale in pectore nel concistoro del 19 maggio 1837 ma la nomina fu pubblicata in quello del 12 febbraio 1838. Il prelievo dei manoscritti vaticani incominciò dunque in concomitanza col cardinalato.

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ma le lettere e le memorie che l’Eminentissimo Mai m’indirizzava, delle quali Voi, Monsignore, verrete mano mano confrontando gli originali. Se quanto allegherò sarà sufficiente a convincere la stessa ostinazione, mi si presterà ben anche credito per altri lavori in servizio del Card. Mai, e che son mancanti di documenti, per averli io donati a varie pubbliche Biblioteche, e persone private che han voluto un autografo. [nel margine: 1838.] Nella Biblioteca pubblica del Comune di Palermo esiste un biglietto dell’Eminentissimo Mai direttomi con un Cod. Vat. Greco, dal quale estrassi non mi rammento quai frammenti di Santi Padri stampati nell’ultimo tomo dei Classici Auctores: n’ho però in pronto uno con mia copia stampato ivi a pag. 483.; e son dubbioso se da un Cod. G. Ott. anche estrassi una orazione di Gregorio Antiocheno ivi pag. 560; ove trovo aver così notato: Huius orationis pars prima extat latine in C.V. 4222. f. 92123. [nel margine: 1839. Spic. Rom. T. II.] Questa è la data del frontispizio, quantunque nell’Agosto 1842. fossero stati stampati i frammenti Tusculani, che ocupan l’ultima parte del detto Tomo. Il lavoro sul palimpsesto di Grotta-ferrata fu eseguito in Villa Montalto al cader di Maggio dell’anno 1842.; l’Eminentissimo Mai nella prefazione de’ detti frammenti pag. 5. mi onorò coi seguenti termini parlando di quel palimpsesto. «Huius specimen, quantum una pagina codicis continebatur, cudendum aere curavi delineatum affabre a meae rusticationis comite Petro Matranga, viro non minus stirpe quam doctrinis cluente». Passo sotto silenzio la istoria della trascrizione di quel palimpsesto, perché non fa all’uopo; il seguente brano di autografo del Card. Mai è solo riportato per provare ch’io ero a parte di segrete confidenze dell’Eminentissimo, e che mi aveva piena fiducia. «Nell’annunzio non si aggiunga nulla oltre a quanto ho io scritto della cosa Tuscolana. Anche verbalmente V.S. si astenga dal dare notizie e dettagli a chichessia, attesa la malizia degli uomini»124. 123 Classicorum auctorum e Vaticanis codicibus editorum tomus X (…), Romae 1838, che contiene, oltre al Commento a Luca di Cirillo di Alessandria, «aliorum Patrum fragmenta»; ibid., pp. 560-570, l’edizione del sermone di Gregorio di Antiochia. 124 I quattro frammenti occupano, con paginazione autonoma, l’ultima parte di Spicilegium Romanum, II, Romae 1849, pp. 1-28; furono editi sulla base del palinsesto criptense Ζ.α.XXXIV, a proposito del quale E. CRISCI, I palinsesti di Grottaferrata. Studio codicologico e paleografico, I, Napoli 1990 (Pubblicazioni dell’Università di Cassino. Sezione di studi filologici, letterari, storici, artistici e geografici, 2), pp. 252-254, 278, 280, 317; l’edizione è chiusa da uno «specimen». Villa Montalto a Frascati, oggi Villa Grazioli nel territorio di Grottaferrata, fu costruita verso la fine del Cinquecento dal card. Antonio Carafa; dopo vari passaggi di proprietà, pervenne ai Peretti di Montalto, nipoti di Sisto V; era stata acquistata da Propaganda Fide per la villeggiatura degli alunni nel 1833, quando Mai era segretario della Congregazione. Sui lavori filologici a Villa Montalto, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 24.

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[nel margine: 1840. Spic. Rom. T. IV] Nella prefazione del Card. Mai pag. VII. n°. 3. leggesi quanto segue in mia lode: «Sequuntur venustissima Sophronii carmina anacreontica, quorum laus merito pertinet ad ingeniosissimum siculum Sacerdotem Petrum Matrangam, Athanasiani Grècorum collegii in alma urbe prorectorem. Itaque ipse verbis suis in prèfatione atque in scholiis a se additis spartam hanc pro dignitate exornabit». E quella mia prima produzione letteraria è dedicata all’Eminentissimo medesimo, con prefazione e indici di altri autori, che poi pubblicai in Agosto 1850125. [nel margine: Ivi pag. 31-48.] Nel corso del 1839. l’Eminentissimo Mai mi mandò a casa il Cod. Ott. Greco n° 459., e n’estrassi il commentario liturgico di S. Sofronio scritto minutissimamente126. [nel margine: 1841. Spic. Rom. T. V. pag. 161. a tutta la pag. 401.] Nel detto anno 1839. o sul cominciar del 1840. l’Eminentissimo mi fece pervenire il Cod. G. V. 1409., dal quale estrassi il lungo commentario di Eustazio Tessalonicese sull’inno di Pentecoste del Damasceno. Mi rammento che io, allora Vicerettore in Collegio Greco, chiamai in aiuto a collazionar la mia copia con l’originale l’alunno Demetrio Camarda; riferii ciò all’Eminentissimo, il quale per mano mia alla fin del confronto regalò al Camarda una medaglia di argento di quelle che si dispensano per il giorno di S. Pietro e un libretto. Il resto dei saggi di simili commentarii fu da me copiato da codici Vaticani, tenuti in casa, n° 305. f. 30, 308. f. 349, e dai Palatini 21. e 219. f. 22127. [nel margine: Ivi pag. 410. a pag. 463.] Le orazioni del sofista Coricio furon da me estratte da un codice tenuto lungamente in casa per la difficile disposizione di scrittura, e per l’inchiostro sbiadito su carta bombicina, anticamente intesa di umidità. Non ho memoria del n°. del codice, ma dai confronti da me fatti per la correzione della stampa serbai alcuni periodi della II. declamazione, che l’Eminentissimo credé non pubblicare, e che io tengo scritti a pie’ di pagina di detto volume128. [nel margine: Ivi pag. 464.] I tre frammenti di Dion Cassio furon da me 125 Spicilegium Romanum, IV, cit., p. VII. L’altro riferimento è agli Anecdota graeca pubblicati da Matranga nel 1850, cfr. supra, nt. 105. 126 Spicilegium Romanum, IV, cit., pp. 31-48. 127 Spicilegium Romanum, V, Romae 1841, pp. 161-401. Per la collaborazione con Camarda, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 23. Demetrio Camarda (1821-1882), di Piana dei Greci (oggi Piana degli Albanesi, dunque conterraneo di Matranga), sacerdote italoalbanese di rito cattolico-bizantino; filologo, si occupò di linguistica albanese raccogliendo, fra l’altro, canti popolari italo-albanesi e albanesi; la sua opera più celebre è il Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese (1864). 128 Spicilegium Romanum, V, cit., pp. 410-463.

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trascritti dal Cod. Vat. 1144., e scelti gl’inediti dal f. 266-8. vennero dal medesimo Eminentissimo stampati129. [nel margine: 1843. Spic. Rom. T. IX. pag. 1-28. e 652 a tutta la pag. 713.] Per 4. continui mesi sul cominciar del 1842. lavorai sul Cod. Vat. G. 1633. recatomi a casa per copiare dalla difficile scrittura i XVI. lunghi sermoni di Eusebio Alessandrino. L’Eminentissimo col detto codice mi inviò il seguente ricordo: «Fol. 326 b. sqq. Eusebii Alexandrini sermones XVIII. Si ometta quello de die festo dominico, che è edito dal Gallandi. Si ometta pure quello de secundo Christi adventu, edito da me. Gli altri XVI. si posson copiare a comodo; ma che niuno veda né sappia nulla. Si ometta il sermone del Grisostomo εἰς τὸν μάταιον βίον, perché si prenderà da codici migliori che esistono»130. [nel margine: Ivi pag. 549. sqq.] Ai due trattati del Panvinio sulla gente de’ Fabiii, e de’ Massimi, stampati dall’Eminentissimo Mai, doveva unirsi un albero genealogico, lavoro ben lungo e intricato. L’Eminentissimo prima di partir pei bagni di Civitavecchia consegnommi parte del Cod. Vat., e mi affidò la trascrizione de’ stemmi. In quell’epoca io ebbi offerto il Presidentato del Collegio Greco di Calabria, e il Vescovato annesso a detta carica. Ne chiesi consiglio all’Eminentissimo, esprimendogli nel tempo medesimo l’impossibilità che l’anima mia sentiva potersi separar da Lui, e gli diedi notizia aver finito il lavoro de’ stemmi suddetti. Egli in una da Civitavecchia de’ 7. Maggio 1843. così si esprime al proposito: «La ringrazio della copiatura che ha fatto de’ due stemati de’ Fabii e de’ Massimi, che altrimenti non si potevano mandare a stampa, ed attenderò le prove, non però gli originali»131. Sul conto poi della mia destinazione in Calabria, siccome mi vedevo quasi costretto ad accettare per la benevolenza dell’impareggiabile mio Sovrano Ferdinando II°, né ero tanto atterrito dalla difficoltà della carica, quanto costernato dalla privazione di un tanto uomo, l’Eminentissimo Mai, e dalla sicurezza di non poter mai più vedere Codici Greci, così al detto Eminentissimo significai con tutta ingenuità i miei sentimenti; ed 129

Spicilegium Romanum, V, cit., p. 464. Spicilegium Romanum, IX, Romae 1843, pp. 1-28, 652-713, col testo di quindici sermoni dello pseudo-Eusebio Alessandrino, con tre testi connessi. Per le edizioni dei sermoni dello pseudo-Eusebio Alessandrino, cfr. Clavis Patrum Graecorum, III: a Cyrillo Alexandrino ad Iohannem Damascenum, cura et studio M. GEERARD, Turnhout 1979 (Corpus Christianorum), pp. 68-75 (nrr. 5510-5533). Il sermone attribuito a Crisostomo dovrebbe essere invece di Efrem, Clavis Patrum Graecorum, II: ab Athanasio ad Chrysostomum, cura et studio M. GEERARD, Turnhout 1974 (Corpus Christianorum), pp. 427-428 (nr. 4031). 131 Spicilegium Romanum, IX, cit., pp. 549-574 (De Fabiorum familia), 575-591 (De Maximorum familia). Gli stemmi non vennero poi pubblicati, ibid., p. 591 e nt. 1. Sul «posto» in Calabria, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 14. 130

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Egli in una data in Roma a 19. Agosto 1843. così scrissemi in Napoli fra le altre cose: «Spero di presto rivederla in Roma». [nel margine: Ivi pag. 713-39.] Verso la metà di Agosto 1841. ebbi mandato in casa dall’Eminentissimo Mai il Cod. G. Vat. della Regina n°. 92, dal quale estrassi gl’inni sacri del Damasceno, ma con indicibile difficoltà, per essere sbiadito l’inchiostro a segno da non comparire la scrittura in alcuni fogli logori di carta bombicina. L’Eminentissimo mi fu largo di lode nella prefazione al detto Tomo IX. p. XXII., in cotal guisa dicendo: «In quibus (hymnis) rite ad grècè liturgiè normam ac leges constituendis commodam mihi operam prèbuit R. Petrus Matranga Grèco-siculus, quem et alias honoris caussa appellavi». Però l’Eminentissimo si serbò metà dell’onore, al quale in coscienza io non posso rinunziare, cioè l’aver io sudato nella trascrizione della difficoltosa scrittura del Codice. Ed autentico la mia asserzione dicendo, che quel Codice non è stato più veduto da me dopo l’Agosto e Settembre 1841., cioè da quasi 11. anni; ciò non ostante mi rammento che avendo tutto l’agio di esaminarlo in casa a parte a parte, vi scuoprii un principio di altro inno in lode di S. Michele Arcangelo, intersecato al Pindaro di detto Codice, di che non si accorse forse l’Eminentissimo, e Voi, Monsignore, potreste avverarlo. Oltre a ciò è tuttora in mio potere la copia mia dei detti inni con in cima di mano dell’Eminentissimo: «Reg. Cod. 92». Più, in una del 3. Settembre 1841. così mi scrisse l’Eminentissimo su di questi inni: «Don Pietro stimatissimo — Potrebbe la copiatura di quei frammenti del Damasceno farsi tosto? Io li situerei nella Prefazione già allestita, in cui se ne parla»132. Ma l’Eminentissimo non si degnò neppur nominarmi per la fatica di più mesi nel 1841., quando assegnai il luogo proprio ai testi dell’Itala antica, i quali ora non rispondon più alla Volgata. L’opera attribuita a S. Agostino è distinta in rubriche, ed ogni rubrica ha per titolo un vizio, o una virtù; acconciamente poi si recitan varii passi della Scrittura Santa, ma alla rinfusa: io con l’aiuto del testo Greco de’ LXX., e più con l’aiuto della pazienza assegnai ad ogni passo il posto suo: e questo lavora occupa 80. pagine nel detto IX. Tomo dello Spicilegio. L’Eminentissimo così scriveami per alcune difficoltà ivi occorse: «È necessario fare un altro confronto col Manoscritto e la Volgata. Se Don Pietro non puo (sic) farlo da se, potremo farlo insieme martedì»133. 132 Spicilegium Romanum, IX, cit., pp. 713-739, col testo di sei inni di Giovanni Damasceno; ibid., p. XXII, il riferimento a Matranga nella Editoris Praefatio. Per gli inni del Damasceno e per quello in lode di Michele Arcangelo, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 16, 22. 133 Spicilegium Romanum, IX, cit., pp. 1-75 (paginazione autonoma). L’edizione dei Fragmenta è preceduta da una De Italicae veteris fragmentis admonitio, pp. I-VIII, seguita da Ex Italica vetere variae lectiones, pp. 76-86, e da un Index palaeographicus, p. 87.

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[nel margine: Ivi pag. 739-743.] Gl’inni di Fozio ivi stampati furon da me copiati, ed estratti dal codice de’ melodi, de’ quali si parlerà fra poco: il dice lo stesso Eminentissimo nella nota della pag. 739.: «En autem has demum odas a cl. viro P. Matranga exscriptas exhibeo»134. Le prove in più addotte basterebbero a confermare la somma fiducia che aveva di me l’Eminentissimo Mai, il quale mi ammetteva all’intime sue confidenze letterarie; e pertanto io mi riputava fortunato in servir il dottissimo porporato. Sicché niun incomodo, niuna difficoltà mi stancava, ma dopo lavori scabrosi, animosamente ero pronto a novelle fatiche. Io citerò altre carte, che sempre contestano ch’Egli mi affidava in privato potere i preziosi Codici Vaticani. [nel margine: 1842.] Quando in Maggio si villeggiava in Montalto, e si lavorava sul palimpsesto di Grottaferrata, io dovetti recarmi in Roma, e l’Eminentissimo mi scrisse in tai termini: «Se l’ottimo Don Pietro torna a Frascati sarà bene che prevenga lo scrivente con viglietto. In tale occasione potrebbe portar seco ben involto e ben guardato il codice latino che è presso…». [nel margine: 1844. ?] L’Eminentissimo volendomi seco in Villa Montalto così scriveami nel Maggio (1844?): «M’imagino che il cattivo tempo l’abbia distornata dalla scorsa a Montalto, come aveva fatto sperare. Nel caso che si risolvesse nel Giovedì prossimo, potrebbe portarmi l’originale composto del S. Cirillo e del S. Niceforo, avendo cura di non discostare dalla sua persona tali pergamene. Potrebbe recarmi tutti i fogli stampati del S. Cirillo ecc. Il foglio del S. Niceforo, che oggi rimando, abbisogna di qualche collazione col codice, come ho segnato con le crocette; ma amerei anche io stesso vedere i luoghi, altrimenti lo farò in Roma. Sono con vera distinta stima etc.»135. Parimenti invitandomi l’Eminentissimo di andar in Villa Montalto in Giugno 1844., fra le altre cose in una del 4. detto dice così: «Ella poi tornerà a Roma quando Le piacerà. Intanto io Le acchiudo il foglio del S. Cirillo bisognoso delle ispezioni del Codice; il qual foglio se Ella quà viene potrebbe riportarmelo: altrimenti La pregherei di collazionarlo col Codice nei luoghi dove è bisogno. Perdoni tante seccature: poiché mi sembra veramente che io abusi della di Lei esimia cortesia». [nel margine: 1845.] In questo anno dopo la trascrizione ben lunga di varie materie di SS. Padri, chiesi l’Eminentissimo di volermi dar altri lavori; 134 Spicilegium Romanum, IX, cit., pp. 739-743 (con i testi dei tre inni di Fozio); ibid., p. 739 nt. 1, il riferimento a Matranga. 135 Per Niceforo patriarca di Costantinopoli il riferimento dovrebbe essere a Spicilegium Romanum, X, Romae 1844, pp. 152-160 (della seconda paginazione). Testi di Cirillo Alessandrino erano stati editi in Spicilegium Romanum, IV, cit., pp. 248-252; (…), V, cit., pp. 119-122.

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ed Egli garbatamente rispose che per allora si asteneva dal farmi trascrivere un pezzo di codicetto diabolico tanto, che non sarei potuto riuscir a copiarlo, ma se vi fussi riuscito, sarei giunto all’apice dell’arte paleografica. Bastò ciò a muovere il mio amor proprio, e chiedergliene coraggiosamente l’esperimento; ed Egli inviandomi un pezzo di Codice Vat. così scrissemi nel 1. Settembre 1845: «Troverà nel libro che Le mando il quaderno dell’Arpocrazione. Un largo principio è dato dal Mingarelli annesso, che Le servirà d’introduzione alla difficile scrittura accresciuta dalla non comune materia dell’autore. Il tutto col solito pieno secreto verso chiunque». Ed in realtà io trovai così difficile quella minutissima, e compendiata scrittura, che volli serbarne memoria in due righe di fac-simile, che posseggo, e che Voi, Monsignore, avete osservato. Del mentovato quaderno del Codice furon frutto 4. buoni quinterni di mia copiatura, che allora non furon tutti confrontati con l’originale tra me e l’Eminentissimo, come era solito136. [nel margine: 1846.] Pertanto l’Eminentissimo a’ 5 Luglio 1846. scriveami quanto segue: «L’eccessivo caldo non sembra permettere parecchie ore meridiane di occupazione. Differiremo adunque alquanto più tardi quel confronto» [aggiunto nel margine esterno con un richiamo all’interno del testo: Questo confonto dovea esser della Bibbia Vaticana, per la quale un anno intero quasi nel 39. e 40. si era faticato; ma insorti alcuni dubbi, voleva far una nuova recensione, in alcuni luoghi137]. Più tosto gradirei che adesso mi finisse il riscontro e correzione del medico Arpocrazione per non più pensarvi». Poiché non reggeva la di lui vista alla minutezza del Codice. [nel margine: 1843.] A 20. Giugno 1843. mi mandò alla Corsiniana per certo riscontro, e in iscritto ingiunsemi il secreto: «Non serve dire ad alcuno il fine mio per tal cosa, anzi deve tacersi per ogni buon titolo». Sin dal Giugno 1846. io mi applicai seriamente a porre in ordine alcuni miei lavori e stamparli; quindi non potei più prestar la mia assidua opera all’Eminentissimo Mai, il quale non pertanto mi si mostrò sempre affezionato, specialmente quando le sventure delle tristissime passate vicende lo ridussero in Napoli138: [nel margine: 1849.] né stimo recar in testimonianza di ciò tutte le lettere di là speditemi in vario tempo, in una delle quali scritta in Greco diceami: εἴθε καὶ παρόντα σε ἐν Ῥώμῃ ἴδοιμι! «Oh ch’io potessi vedervi presente in Roma!». 136 [G. L. MINGARELLI], Graeci Codices manu scripti apud Nanianos patricios Venetos asservati, Bononiae 1784, pp. 440-442. 137 Per il lavoro di Mai sul Vat. gr. 1209, cfr. infra, doc. XXV. 138 Durante la Repubblica Romana del 1849 Mai non lasciò subito la città. Quando lo fece, non si recò a Gaeta, dove si trovava il papa, ma a Napoli, ove studiò manoscritti della Biblioteca borbonica; rientrò a Roma dopo il ritorno del papa (12 aprile 1850), A. CARANNANTE, Mai, Angelo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, pp. 517-520: 519.

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Il medesimo Cardinale fu da me pregato di proteggermi presso l’Eminentissimo Bibliotecario, allorquando passò a miglior vita Monsignor Laureani. Io mi pensavo che verificandosi un ascenso di cariche in questa Vaticana, potesse rimanere una vacanza di posto con paga, e conferirmisi dopo le mie fatiche. Egli intanto così risposemi il 14. Ottobre 1849.: «Non tardai punto a far leggere la di Lei lettera al personaggio, cui si doveva. Mi rispose che già vi erano impegni provenienti da Roma durante ancora la malattia dell’ottimo Monsignor Laureani, e che non erano senza commendatizie. Ritornai dopo alquanti giorni per la risposta e mi si disse affermativamente che ora non si prendea alcuna risoluzione e che in tal senso si era nettamente già scritto a Roma. Ella vede dunque un dilata sul tutto. Corrisposto così ecc.»139. Né v’ha dubbio che l’Eminentissimo Mai mi avesse ogni fiducia, altrimenti non mi avrebbe raccomandato all’Eminentissimo Card. Lambruschini. [nel margine: 1850.] Durava ancora nel 1850. ogni buona opinione sulla mia persona nell’Eminentissimo Mai, e in conferma di ciò trascrivo un pezzettin di carta tarpato da stamponi mandatimi: «Essendo questa la Rubrica di una messa Greca, non pare doversi stampare senza udire il giudizio di un dotto sacerdote greco, quale è Don Pietro Matranga. Onde è pregato di correggere, e ammonire se v’ha errore». Parmi, Monsignore, da’ documenti riferiti bastanza provato che dal 1838 sino ad un terzo del 1850., che l’Eminentissimo Mai mi aveva piena confidenza, e che mi affidava i Codici Vaticani. Più, mi affidò affari concernenti la S. C. de Propaganda e quando Egli n’era Segretario, e quando avveniva ch’Egli fosse ponente di Congregazione spettante a’ riti Greci. Due miei voti almeno, per quanto mi sappia, sono stampati: uno è per le Liturgie Greche che il Patriarca Mazlum tradusse in Arabo, ed è stampato [nel margine: 1837.] in Luglio 1837.; l’altro è per le innovazioni fatte da Monsignor Missir sui riti Greci in S. Atanasio, innovazioni che egli pretendeva sanzionate dalla S. C., [nel margine: 1847.] la quale votò sfavorevolmente alle pretese di questo Monsignor Missir nel 1847140. Dalla testé citata epoca in quà, e precisamente dal 25. Maggio 1850. io non ho veduto né parlato coll’Eminentissimo Mai. Se Voi, Monsignore, gradite che n’esponga in iscritto la ragione, volentieri ubbidirò; ma non celerò il rammarico che ne sento, poiché capisco bene quanto poco vantaggio ne risulterà alla opinione di tant’uomo, che io altronde sempre venero per dignità che indossa, e per dottrina che lo adorna. 139 Sembra di capire che dopo la morte di Laureani (14 ottobre 1849), l’intervento di Mai in favore di Matranga non fosse per i ruoli di primo e secondo custode ma per una stabilizzazione della sua situazione, che era ancora precaria, in quanto semplice coadiutore. 140 Per il «severo esame di tutte le carte» riguardanti «varii Riti della Chiesa greca», AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 23.

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Da più anni, qualora mi rimaneva tempo dalle diuturne e gelose occupazioni prestatemi dall’Eminentissimo Mai (si avverta che non ho tutto quì registrato; i domestici del Card., e i due compositori della Tipografia di Propaganda Saverio e Camillo141 possono attestare la quantità di miei mss. da loro composti, e che fra breve vedran la luce ne’ X. tomi in 4° della Nova SS. Patrum collectio142), io erami applicato a raccoglier dai Cod. Vat., ed altronde, materiali di classica letteratura Greca, aspettando che un giorno la fortuna mi sorridesse a pubblicarli. E a ciò vieppiù tenevo pronta la mia intenzione, onde si cessasse una volta dagli esteri a tacciar d’inerzia il corpo dei Scrittori di questa Pontificia Biblioteca143, mentre eglino ben ne profittavano. I miei desiderii furon in parte secondati dalla spontanea liberalità di vecchia rispettabile Signora di Colonia, Mad. Mertens144, notissima anche all’Eminentissimo Card. Antonelli. Stampai in fatti fra le turbolenze delle deplorabili passate vicende le svariate materie, ma prima di consegnar al torchio la mia prefazione, stimai cosa regolare che l’Eminentissimo Mai la leggesse, la correggesse, me ne ammonisse, in tutto e per tutto facendolo padrone come di cosa propria145. Ma ohimè! Inde mali labes. Era il giorno 25. di Maggio 1850., e l’Eminentissimo con espansione di animo la più tenera accettò la mia preghiera, augurandomi dopo la mia imminente pubblicazione un certo, certissimo cambiamento di fortuna; e nell’accomiatarmi, mi abbracciò, e mi accompagnò abbracciato per tutta la sala del trono baciandomi formalmente 6. volte, e dicendomi: «Don Pietro sa fare, e far bene: non ha bisogno di chi lo corregga; ma giacché vuole 141 Si trattava di Saverio Rossi e Camillo Grifon, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 24, 26, 32. Entrambi furono esplicitamente ricordati nel testamento di Mai, A. MAI, Testamento [Albano, 20 ottobre 1853], in Nel primo centenario di Angelo Mai. Memorie e documenti pubblicati per cura dell’Ateneo di Bergamo il 7 ottobre 1882, Bergamo 1882, pp. 168-170: 169. 142 Novae patrum bibliothecae tomi I-X, Romae 1852-1905. Quando Matranga scriveva a Martinucci erano stati pubblicati i volumi III (1845), IV (1847), V (1849); sarebbero seguiti nel 1852 il I, nel 1854 il II, nel 1853 il VI, nel 1854 il VII. Dopo la morte di Mai, per cura di Cozza Luzi, avrebbero visto la luce gli ultimi tre volumi, dall’VIII al X, rispettivamente nel 1871, 1888, 1905. 143 Da rilevare quest’accusa, ricorrente, agli «scrittori» vaticani di inerzia, riecheggiata anche da Martinucci nei docc. IV, XXII. 144 Sybille Mertens-Schaaffhausen (1797-1857), di Colonia, alla quale erano stati dedicati da Matranga gli Anecdota graeca, pubblicati per la sua liberalità (Anecdota graeca, I, cit., pp. 5-6). Collezionista d’arte, musicista, interessata di archeologia ed esperta di gemme e monete, dal 1816 era moglie del banchiere di Colonia Joseph Ludwig Mertens. Viaggiò e soggiornò in Italia. 145 Il riferimento è alla Praefatio ad Anecdota graeca, I, cit., ove Mai è citato alle pp. 11-12, a proposito del carmen di Teodoro Prodromo per le nozze di Manuele Comneno con Berta di Sulzbach (Irene), an. 1143, edito ibid., II, pp. 552-554. dal ms. Ott. gr. 234; a p. 12 nt. 1 si rinvia al cenno che ne aveva dato Mai in Spicilegium Romanum, V, cit., p. 396.

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ch’io ammiri la sua prefazione, di buon grado la leggerò, e dimani l’avrà a casa». Ma non passaron 5. ore di quel giorno, dapoiché lasciai l’Eminentissimo verso le 2. p.m., ch’io uscendo di casa incontrai per istrada il suo domestico Checco il Perugino146 recarmi il cartolare. Il presi, e fui ispirato d’incamminarmi verso il Collegio Romano, e presentare il mio scritto al P. Passaglia147. Tre giorni dopo, 28. Maggio 1850., ritornai in Palazzo Altieri148 per riscontrare una citazione degli Aneddoti del Cramer, posseduti dal solo Eminentissimo Mai149, ma l’incontrai che usciva dall’appartamento per una Congregazione; così discendendo per le scale, e parlandomi il Cardinale di varii libri, né per gentilezza alcun motto facendomi della mia prefazione, ne lo interrogai io, e alto alto risposemi potersi stampare, molto più che il P. Maestro dei SS. P. A.150 avevavi apposto l’Imprimatur. La domane, vigilia della festa del Corpus Domini151 mi portai da capo in Palazzo Altieri, e alla imbasciata passata all’Eminentissimo lusingaimi al solito dovermisi recar la chiave della Biblioteca (per ordinar la quale e catalogarla aveva io con altri tanti mesi e poi tanti giorni e tanti faticato), 146 Checco il Perugino, domestico di Mai; fu lui a trasmettere la lettera del cardinale a Matranga del 14 gennaio 1852, cfr. infra, testo e nt. 164. Non compare però nel testamento del cardinale ove i domestici ricordati sono solo Pietro Ganzani e Luigi Monti, MAI, Testamento cit., p. 169. 147 Carlo Passaglia (1812-1887), gesuita dal 1827, docente dal 1844 al 1848 al Collegio Romano, lasciò Roma viaggiando in Inghilterra, Francia e Belgio. Rientrato nell’Urbe nel 1850, fu attivo nella preparazione della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Per sua richiesta secolarizzato (20 gennaio 1854), ottenne una cattedra di filosofia alla Sapienza. Progressivamente conquistato alla causa del regno di Piemonte, dopo uno scritto favorevole all’unità italiana (1861) si trasferì a Torino proseguendo l’attività pubblicistica; sospeso a divinis, lasciò l’abito ecclesiastico; per un breve periodo fu deputato al Parlamento italiano (1863-1864), C. TESTORE, Passaglia, Carlo, in Enciclopedia cattolica, IX, Città del Vaticano 1952, coll. 908-909; L. MALUSA, Passaglia, Carlo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXI, Roma 2014, pp. 609-611. 148 Palazzo Altieri, accanto alla chiesa del Gesù, era la residenza romana di Mai, particolarmente legato al card. Ludovico Altieri, che designò fra i suoi esecutori testamentari (cfr. infra, testo e ntt. 168, 221); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 231. 149 Anecdota graeca e codd. manuscriptis Bibliothecae Regiae Parisiensis, edidit J. A. CRAMER, I-IV, Oxford 1839-1841 (l’esemplare, allora rarissimo a Roma e ricercato da Matranga nella biblioteca di Mai, è ora segnato in Biblioteca Vaticana Lett. gr. ant. II.13 (1-4). Cons.; precedentemente recava le segnature: I.VI.5-8; Mai O.II.6-9). Mai possedeva anche la prima edizione dell’opera, Oxford 1735-1737, ora segnata Lett. gr. ant. II.12 (1-4). Cons. (olim I.VI.912; Mai XI.O.II.10-13). Nella Praefatio ai suoi Anecdota graeca, Matranga fa riferimento, a proposito dell’edizione degli scholia di Giovanni Tzetze all’Iliade pubblicati da Cramer sulla base di un manoscritto parigino, al ritardo con cui ne aveva avuto notizia e alla difficoltà di reperire il volume, I, pp. 20-21; l’edizione degli scholia ibid., II, pp. 552-554. 150 Gli Anecdota editi da Matranga recano (II, p. [800]) l’imprimatur del maestro dei Sacri Palazzi Apostolici Domenico Buttaoni e del vicegerente Giuseppe Canali. 151 Nel 1850 la festa del Corpus Domini cadde il 30 maggio.

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onde riscontrare il Cramer; ma invece l’Eminentissimo mi onorò di brusco rifiuto e non mi ricevé dicendo non aver tempo a perdere: insistei, pregai il Perugino che almeno l’Eminentissimo dicesse quando volesse ch’io ritornassi, ed ebbi per risposta: «Ditegli che lo manderò a chiamar io». E son due anni quasi passati e non mi ha chiamato ancora! Il Perugino nel riferirmi detta risposta dissemi che il Cardinale era divenuto una furia, ed io ancora non percepiva a che attribuir quelle stranezze, e in verità l’inattesa ripulsa mi trasecolò. A poco a poco riflettendo, concepii sospetti varii, ma niuna certezza mi si dava dello sdegno dell’Eminentissimo Mai, sdegno manifestato dopo la lettura della mia prefazione, e dell’elenco degli autori che andavano a esser pubblicati. Per calmare dunque l’Eminentissimo Mai stimai prudenza inviargli persona proba, confidente, e amica; e narrato l’accadutomi al Signor Prof. Giuseppe De-Matthèis152, lo scongiurai di esporre all’Eminentissimo Mai la mia costernazione; che così mal mi si compensavan tanti anni di gratuiti servizii, poiché niuna sospirata mercede n’aveva ricevuto; che per conservar la di Lui nuda benevolenza io avevo rinunziato ad un Vescovato, né volerla perdere a qualunque costo; e poiché la lettera del mio cartolare avevalo dispiaciuto, offrir io all’Eminentissimo tutto ciò che anche era già stampato, cedevo tutto, purché parlasse. Lodò il Prof. De-Matthèis la mia generosa proposta, e umiliazione, la riferì all’Eminentissimo, il quale simulò, e dissimulò totalmente, e nel dissimulare fece ben travedere lo sdegno contro il povero Don Pietro Matranga, negando che si potesse riscontrare il Cramer. Addolorato da questa inaspettata risposta, fui dal P. Passaglia per riprendere la mia prefazione, e narrai le mie angustie a quel buon Padre, che appena credeva alle mie parole, mentre assicuravami che ogni qualvolta egli vedeva l’Eminentissimo Mai sempre si veniva a parlar di Don Pietro, e il cardinale mi encomiava per tutti i riguardi. Investitosi il P. Passaglia delle mie pene volea prendersi cura di chiarir la faccenda; io però gliel vietai, sebbene il mio divieto riuscisse inutile. Perciocché Giovedì 13. Giugno 1850. recatosi il P. Passaglia dal Cardinale, e uditolo parlar di me coi soliti sperticati elogii, prese animo a dirgli che teneva per fermo doversi Don Pietro molto più acquistar di onore per la imminente pubblicazione di Due Tomi di Aneddoti Greci. Che il P. 152

Giuseppe de Mattheis (o Matthaeis) (1777-1857/1858), figlio di medico e medico lui stesso, assistente nell’arciospedale di S. Spirito in Sassia, docente soprannumerario nell’Università romana dal 1810, dal 1815 effettivo sulla cattedra di clinica medica, fu membro del collegio medico-chirurgico dal 1825; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 67, 76, 113, 114, 238, 335; VERNACCHIA-GALLI, L’Archiginnasio romano cit., passim; L. STROPPIANA, Storia della facoltà di medicina e chirurgia. Istituzioni e ordinamenti (sintesi cronologica). Dalle origini al 1981, Roma 1985 (Studi e fonti per la storia dell’Università di Roma, 9), p. 80; FLAIANI, L’Università di Roma cit., pp. 54 nt. 224, 284, 296. Particolarmente legato a Mai che nel testamento lo definì «mio ottimo amico e medico», MAI, Testamento cit., pp. 169-170.

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Passaglia non avesse pronunciato queste innocue parole! Mi riferì il Padre Passaglia che allora il Cardinale cambiò subitaneamente di viso, e di voce; fu invaso da furie contro il povero Don Pietro perché stampava, e stampava cose erotiche; che quel Don Pietro non avrebbe mai avuto nulla, che avrebbe perduto anche la Vaticana, e che gli verrebbe addosso fine miseranda come all’Abate Girolamo Amati153. A tai acerbi risentimenti il P. Passaglia si scuoprì conscio delle materie che io avevo stampato e in Greco solamente, e non si persuadeva ove si fossero le poesie erotiche: l’Eminentissimo ripigliò che c’erano poesie per nozze d’Imperatori Bizantini154; e fu inutile la risposta del P. Passaglia che le nozze cristiane si son celebrate da poeti d’ogni tempo, e quì anche avanti l’augusta presenza de’ Romani Pontefici; e furono inutili tutte le ragioni di quell’ottimo e dotto Padre, che anzi ebbero accoglimento di bassissimo sdegno. Alle nuove di sì inaspettata tristizia dovetti gridare in cospetto del P. Passaglia, che l’Eminentissimo Mai mi pagava con ingratitudine non meno, che con arti subdole tirava a nuocermi nella riputazione. Imperocché celò Egli al Prof. De-Matthèis, da me a bella posta inviatogli con le cennate generose offerte, la vera ragione delle sgarbatezze usatemi; d’altro canto supponendo che il P. Passaglia non fosse conscio di quanto io stampavo, tirò un colpo maestro per diffamarmi. E il Prof. De-Matthèis, allorquando seppe da me la relazione del P. Passaglia, non poté contenersi da enfatiche espressioni Romagnuole, e condannare la perversità degli uomini. Voi, Monsignore, interrogatene i due citati personaggi, e troverete la esposta verità. E pure in patrocinio e difesa della stampa delle pretese poesie erotiche, io al solito chiamerò a farmi da avvocato il mio accusatore, lo stesso Eminentissimo Mai. Il quale in Agosto 1838., chiamatomi fortunatissimo per aver trovato e trascritto dalla Vallicelliana il codicetto de’ melodi Greci155, aspettò ch’io di lì a poco partissi per Sicilia, e s’introdusse in quella 153 Girolamo Amati senior (1768-1834), di Savignano di Romagna, «scrittore» greco nel 1804, previo concorso, e coadiutore di Domenico Calabresi, fu in relazione con eruditi e filologi, svolgendo un’attività ricca e molteplice e collaborando con Gaetano Marini anche nel trasferimento di archivi e biblioteche tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento; conservatore della Biblioteca fra il 1813 e il 1814, fu però in seguito accusato di scarso rendimento e di detenere troppi codici nella sua immediata disponibilità; fu avverso a Mai; A. PETRUCCI, Amati, Girolamo, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 673-675; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 188, 213, 222 nt. 54, 310, 339, 351 nt. 50. 154 Sul canto epitalamico contenuto negli Anecdota graeca, CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., p. 17. A proposito di questa e di altre poesie notava ancora Camarda: «Tutte queste or belle ed ora mediocri poesie pubblicate dal Matranga non furono accolte col plauso ottenuto dalle sofroniane odi» (ibid., p. 28). 155 Dovrebbe trattarsi del ms. CXXXII dell’«Appendix Allatiana» in Biblioteca Vallicelliana, cfr. E. MARTINI, Catalogo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, II: Ca-

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Biblioteca; né mai sazio di gloria letteraria si fece Egli ritrovator di quel codicetto, sebbene confessò che un uomo dotto lo avrebbe finalmente pubblicato, e quel tale ero io, come conseguentemente si detegge. Son queste le parole dell’Eminentissimo Mai estratte dalla prefazione al Tomo X. delli Scriptorum Veterum pag. XIV. paragrafo VII., discorrendo di altro simile codice Barberiniano creduto smarrito: [nel margine: 1838. Script. Vet. T. X.] «Atque ut ille abs quovis erudito divulgaretur hortatus sum, quod tamen hactenus nemo attentavit. Nunc idem fatum vallicelliano instare prorsus non iudico, quia vir industrius non deerit a quo tamdiu muta dictorum melodorum cithara pulsetur»156. Quindi l’Eminentissimo Mai dà degli estratti di quelle poesie, e degli autori delle medesime dà notizie, estratti copiosi poiché occupano più di 4. pagine della citata prefazione157. Queste poesie sono le medesime da me poi pubblicate nel 1850. Ma Voi, Monsignore, osservaste meco il catalogo separato de’ XXII. vol. pubblicati dall’Eminentissimo Mai sino al 1838., ove feci rimarcare che la notizia ivi data dei predetti poeti è fuor di luogo, ed è appiccicato il cartesino fatto ristampare dopo la mia partenza per Sicilia158. In fatti nei simili cataloghi datimi a spargere in Napoli e Sicilia mancava quella aggiunta; e l’Eminentissimo fidandosi della mia onoratezza mi consegnava detti cataloghi pria della pubblicazione delli volumi, e così scrissemi a’ 9. Settembre 1838: «Mi son dimenticato di avisare il Signor Don Pietro, che quei cataloghi non li mostri a veruno in Roma, non essendo ancor tempo. Sono per Napoli e Sicilia». Ho detto poco fa che sotto quelle parole — vir industrius — dell’Eminentissmo Mai ero io significato, e n’è prova evidente parte di quel codicetto da me stampato nel 1840, e pubblicato nel 1842. nel T. IV. dello Spic. Rom. del medesimo Cardinale, cui è consacrato quel mio lavoro; e pubblicai insieme un lungo indice delle materie di quelle poesie, e una distesa notizia bibliografica degli autori delle medesime: anzi alquanto guardingo dalla malizia umana, dissi al pubblico in quella mia prefazione pag. XXX., che avrei tantosto stampato le poesie degli altri autori, e che niuno osasse macchiarsi di plagio159. talogus codicum Graecorum qui in Bibliotheca Vallicellana adservantur, Milano 1902, p. 224 (sub nr. 208). 156 Scriptorum veterum nova collectio e vaticanis codicibus edita ab A.M., X, Romae 1838, p. XIV (ma nel paragrafo VIII). 157 Scriptorum veterum (…), X, cit., pp. XIV-XVIII. 158 Non ho ancora individuato questo «catalogo separato» dei ventidue volumi pubblicati da Mai sino al 1838, ove evidentemente vi era un’aggiunta relativa all’edizione degli estratti di quelle poesie della quale Mai non voleva fosse consapevole Matranga. 159 Spicilegium Romanum, IV, cit., pp. 585-592 (Petri Matrangae animadversiones criticae ad S. Sophronii odas), 593-619 (Eiusdem Petri Matrangae ad S. Sophronii odas adnotationes

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Ora, Monsignore, ditemi ingenuamente, avrebbe dovuto il Card. Mai denigrar la mia riputazione spargendo che io stampavo poesie erotiche, non convenienti a Sacerdote, quando Egli Card. medesimo colle sue parole, in seno alle proprie opere per ben due volte aveva dato ricovero alle identiche poesie, ed aveva desiderato che si stampassero? Avrebbe Egli mai dovuto compensar con sì poco decoro i miei lunghi servizii per mal’intesa concorrenza di mestiere, Egli che è pieno di onori, di gloria, e di fama immortale? E di questi servizii chiederò quella mercede, che mi merito [aggiunto nel margine con un richiamo all’interno del testo: N.B. Io ho avuto in dono dal Cardinale le sue opere; mal con esse Egli intese compensarmi in parte la lunga fatica dell’intero confronto della celebre Bibbia Vaticana co’ V. Tomi in 4°. di stampa, nel cui margine v’ha varianti assai di mia mano. Ciò fu nel 1839. e 1840., né le opere suddette son compenso di più mesi di grande applicazione160]; perocché, deluso oramai da qualunque speranza concepita, dai narrati aneddoti io ho non mal fondati sospetti a credere che ogni traversia ripete origine dall’Eminentissimo Mai [aggiunto nel margine con un richiamo all’interno del testo: Si cuopron per ora con silenzio varii e assai importanti fatti, tutti documentati, che un giorno scuopriranno fin dove giunse la slealtà dell’Eminentissimo verso di me, poiché all’idea di codici e stampe posponeva ogni convenienza], il quale per la sua cospicua posizione, e pel suo sapere troverà facile credito in quelle sole persone dabbene, che non avranno l’onore di leggere questo mio scritto161. Ma un viglietto di recente data, cioè del 15. corrente Gennaio 1852., del più volte mentovato Eminentissimo Mai manifestante tuttora su di me fiducia inalterabile, mi fa nascere un dubbio, che agevolmente si dee risolvere nella chiara questione su due inevitabili conclusioni, cioè o che io mi sia ingannato in supporre quell’Eminentissimo quale autore delle orrende criminazioni spacciate a mio svantaggio, o che il medesimo Card. Mai è della mia identica condizione, e che a viso scoperto potrebbe anch’Egli dirsi eiusdem furfuris. Eccone la ragione. philologicae). Segue, aperta da un Monitum, una Anacreonticorum Sancti Sophronii soluta editoris interpretatio, pp. 619-636. Nella Praefatio altera relativa alle anacreontiche, pp. XVIIIXXXV, Matranga scriveva: «Eia nunc finem praefationi imposituri, breviatas notitias demus ceterorum melodorum, quos codex continet, quosque quam primum evulgaturi notum litteratis lubenter facimus, ne aliquis eos plagiaria fraude edere audeat» (p. XXX). Seguono, pp. XXX-XXXV, le indicazioni relative alle altre composizioni del codice. 160 Per il lavoro di Mai sul Vat. gr. 1209, cfr. infra, doc. XXV. Il riferimento anche nella lettera accompagnatoria dell’esposto al card. Altieri (cfr. infra, testo e nt. 168), AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 32. 161 Si deve dedurre che Matranga si ritenesse oggetto di una campagna diffamatoria che minava la sua reputazione in Biblioteca Vaticana e che pensasse che essa avesse come primo e nascosto motore Mai. Di qui la reazione.

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[nel margine: 1852.] Il 14. corrente Gennaio 1852. inviai all’Eminentissimo Mai una mia letterina nella quale gli significavo volergli offrire un proemio premesso alle vite del Card. di S. Eustachio, e degli Acciaioli, proemio inedito di Vespasiano Fiorentino, i di cui scritti occupan il I. Tomo dello Spic. R., e da me trascritto da codice ignoto al detto Eminentissimo, quindi mancante nelle di Lui stampe162. Ed Egli il 15. corrente alle 10 1/4 antimeridiane pel suo domestico Checco il Perugino mi mandò la seguente risposta di suo pugno, all’apertura della quale risposta trovavasi presente in casa mia il detto Perugino, e il Monsignor Tito Bárberi-Borghini163, e Voi, Monsignore, n’avete letto l’originale: «Senza dubbio gradirò molto quel proemio delle vite de’ due Cardinali, e La ringrazio in prevenzione. In fretta perché parto per una Congregazione a ora trascorsa»164. Ma se io son l’uomo, di cui non si debba fidare in questa Biblioteca Vaticana, perché il Card. Mai con avidità accetta da me uno squarcio di un ignoto manuscritto inedito, e del quale ignora la provenienza? Ciò posto, Monsignore, io vi prego per le viscere del nostro Redentore a volermi esser giusto patrocinatore in causa sì manifestamente a me ingiuriosa: né io punto esiterei di far giungere le mie ragioni sino a’ piedi di Sua Santità medesima, che nella sua innata clemenza farebbe giustizia a’ miei reclami, se non conoscessi in Voi quelle care doti di animo ben fatto, che a ragione Vi fanno amare e rispettare insieme. Né in verità mi aspettavo di simili tristizie in pensando, che io solo nel corpo delli Scrittori Vaticani ho cercato l’onore della Biblioteca con le mie pubblicazioni, le quali in luogo di dar sollievo alle mie povere finanze, e coraggio ad ulteriori lavori, quì solo mi han prodotto disastri, dispiaceri e infamie165. Perdonate, Monsignore, queste mie risentite espressioni, e credetemi ingenuamente, che mentre ricevo le presenti tribulazioni come visita del 162 Spicilegium Romanum, I, Romae 1839, contiene il testo delle Vite di Vespasiano da Bisticci. La Parte II, pp. 155-233, è dedicata ai «Cardinali della Santa Romana Chiesa». La lettera di Matranga, del 14 gennaio 1852, si trova all’inizio del Vat. lat. 9608, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 29. 163 Tito Barberi-Borghini collaborava a L’album. Giornale letterario di belle arti; cfr. il suo articolo Di un vaso di bronzo del fonditore Luigi De Rossi romano, destinato per la grand’esposizione industriale di Londra, in L’album 18, 29 novembre 1851, pp. 313-315. Fu autore di Cenni storici intorno a Giovanni Antonio e Cesare Campana, illustri italiani del secolo XV, Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1851. 164 La lettera, del 14 gennaio 1852, recata da Checco il Perugino, presente Tito BarberiBorghini (cfr. nt. 146), è conservata, con altre di Mai a Matranga, nella Biblioteca Comunale di Palermo, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 28. 165 Matranga rivendicava il merito di essere stato l’unico nel collegio degli «scrittori» ad aver curato l’onore della Biblioteca con pubblicazioni che però invece della fama gli avevano procurato solo «disastri, dispiaceri e infamie».

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Signore, son certo che, mercé la Vostra protezione e la giustizia de’ Superiori, avrò di che lodarmi di questa sorda persecuzione, e pieno di rispetto e di venerazione ho l’onore di dirmi Di V. S. Illustrissima Monsignor Pio Martinucci Secondo Custode Vostro umilissimo Servitore e Devotissimo Sacerdote Pietro Matranga Scrittore Greco Un’ultima parola sul senso complessivo del testo. Il lettore, dopo aver appurato che, secondo Matranga, i suoi rapporti con Mai dal 1838 al maggio 1850 furono eccellenti e che il cardinale riservava piena fiducia al sacerdote siciliano, al punto di affidargli codici vaticani estratti per le trascrizioni, può legittimamente domandarsi quale sia stata la «vera ragione delle sgarbatezze» di Mai, per usare le parole del sacerdote siciliano, a partire dal maggio 1850. In altri termini, quale sia stato il motivo della rottura così brusca e radicale. Stando alla ricostruzione di Matranga, il quesito non ha risposta. Alberto Agazzi, che nel 1953 si è occupato della questione, sottolinea che i rapporti peggiorarono nel 1847 e sembra ricondurre la rottura al disinvolto passaggio di Matranga dall’orbita di Mai a quella di Antonelli, divenuto cardinale l’11 giugno 1847, anche se «l’aver perduto l’amicizia dell’antico protettore» fu a Matranga «più di danno che di giovamento»166. Un accenno del biografo più amichevole di Matranga, Niccolò Camarda, potrebbe fare pensare anche a una coloritura politica del passaggio, dalle vaghe simpatie liberali di Mai al conservatorismo di Antonelli: un’interpretazione peraltro respinta dalla stesso Camarda ma non completamente da scartare167. Certo è che la lettera del 21 gennaio 1852 fu per Matranga un passo decisivo. A essa egli fece riferimento trasmettendo al card. Altieri, verso la fine del 1854, qualche settimana dopo la morte di Mai, un esposto per ottenere un compenso economico per le sue fatiche168. Comunque la si interpreti, la lettera è un documento importante per la conoscenza di Mai ma anche per comprendere la complessa situazione della Vaticana nei primi anni Cinquanta.

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AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 17-18. «Laonde senza andar cercando in voci o bugiarde o maligne, od esagerate che attribuivano a zelo verso la reazione non sempre onesto, la cagione che al Matranga avea quel favore [scil.: il posto di «scrittore» alla Vaticana] procurato (…)», CAMARDA, Biografia di Pietro Matranga cit., p. 28. Il 27 giugno 1853 Pio IX conferì a Matranga, tramite Martinucci, una medaglia d’argento «per dimostrare la soddisfazione per l’impegno con cui si è prestato», AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 18. 168 La lettera di accompagnamento dell’esposto è pubblicata da AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., pp. 32-33. In essa Matranga fa cenno allo scritto «già depositato in Biblioteca Vaticana e consegnato a M.r Pio Martinucci, Secondo Custode, sin dal 21 di Gen.o 1852» (cfr. anche ibid., pp. 20-21). Dell’esposto esiste una prima versione in Biblioteca Vaticana, Ferr. 887, ff. 11-17 (Codices Ferrajoli, III: Codices 737-977, recensuit F. A. BERRA, in Bibliotheca Vaticana 1960 [Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti], p. 305); e una stesura più elaborata, conservata nella Biblioteca nazionale di Palermo (AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 20). 167

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VIII. Gli «scrittori» della Biblioteca Vaticana a Pio IX, per la promozione di Martinucci a primo custode, s.d. (ma marzo 1852)169 A più di un anno dalla nomina di Martinucci a secondo custode, gli «scrittori» della Vaticana all’unanimità si rivolsero al papa chiedendo che fosse nominato primo custode Martinucci: «avendo sperimentato nella Persona di Monsignor Pio Martinucci, attuale II.do Custode, ottime qualità al buon reggimento di quella Biblioteca, imperocché alla energia del comando unisce obbligante dolcezza, allo zelo attività inimitabile, alla schiettezza cortesia senza pari sì che ogni animo comunque ritroso è costretto a rispettarlo, e ad amarlo». La lettera è senza data ma accenni di Martinucci nelle lettere al card. Luigi Lambruschini, s.d. (ma fine 1852) (doc. IX) e a Pio IX, s.d. (ma primi mesi del 1853) (doc. X), permettono di datare l’iniziativa degli «scrittori» al marzo 1852. L’unanimità della presa di posizione contrasta con quanto Matranga aveva scritto il 21 gennaio 1852 a Martinucci (doc. VII) a proposito de «le dissensioni e i partiti» allora presenti in Biblioteca. È quindi plausibile pensare che il passo degli «scrittori» sia stato auspicato e promosso dallo stesso Martinucci, per quanto il secondo custode abbia affermato il contrario nella lettera a Pio IX [«(…) ebbe l’onore che gli Scrittori spontaneamente gli dessero una testimonianza tanto più gradita quanto meno aspettata (…)»].

Beatissimo Padre I sotto segnati Scrittori della Pontificia Biblioteca Vaticana con tutto il dovuto ossequio rappresentano alla Santità Vostra, che avendo sperimentato nella Persona di Monsignor Pio Martinucci, attuale II.do Custode, ottime qualità al buon reggimento di quella Biblioteca, imperocché alla energia del comando unisce obbligante dolcezza, allo zelo attività inimitabile, alla schiettezza cortesia senza pari sì che ogni animo comunque ritroso è costretto a rispettarlo, e ad amarlo. È perciò che supplichevoli si prostrano innanzi al Trono di Vostra Beatitudine implorando che voglia benignamente degnarsi di promovere il lodato Monsignor Martinucci alla carica sinora vacante di Primo Custode della già mentovata Biblioteca. Che della Grazia Antonio Nebbia Scrittore Pietro Matranga Luigi Zappelli170 169 Arch. Bibl. 5, ff. 178r, 179r, 180v, 181v. La lettera originale, con le firme autografe degli estensori, è ai ff. 178r, 181v. Al suo interno, ai ff. 179r, 180v, è inserita una copia, priva delle firme. 170 Luigi Zappelli, soprannumerario il 12 dicembre 1851, emerito dal 1886, fu autore del catalogo degli incunaboli (Vat. lat. 14615-14618) e dell’indice dei manoscritti Capponiani

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Prof. Giuseppe Spezi171 Jacopo Sozzi172 Professor Francesco Massi Francesco Finucci173 Vincenzo Castellini Scrittore di Arabo e Siriaco Professor Paolo Scapaticci174 (Vat. lat. 10956); nel novembre 1883, il successore di Martinucci, Stefano Ciccolini, ebbe parole di apprezzamento per il suo lavoro in Vaticana; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 232, 234, 236, 237, 245 nt. 34, 312; P. VIAN, «Una sede conveniente, commoda, definitiva degli stampati». Un progetto di Giovanni Battista De Rossi per l’ampliamento della Biblioteca Vaticana (7 maggio 1885), in Vaticana et mediaevalia. Études en l’honneur de Louis Duval-Arnould, réunies par J. M. MARTIN, B. MARTIN-HISARD et A. PARAVICINI BAGLIANI, Firenze 2008 (Millennio medievale, 71; Strumenti e studi, n.s., 16), pp. 472-486: 477 nt. 12. 171 Giuseppe Spezi (1817-1871), di Foligno, coadiutore di Antonio Nebbia il 2 aprile 1844, «scrittore» effettivo il 13 ottobre 1855, docente alla Sapienza. Nell’aprile 1871 aderì alla protesta anti-döllingeriana di numerosi docenti dell’Università di Roma ma nell’ottobre 1871 giurò fedeltà al nuovo governo e fu anzi il primo preside della facoltà di lettere sotto l’amministrazione italiana. Già prima del 1870 aveva avuto noie per un articolo sull’unità della lingua che era stato letto in chiave politica; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 113, 125, 126, 340; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 217, 229 nt. 107, 234, 242 nt. 1, 244 nt. 19, 245 nt. 36; DI SIMONE, La facoltà umanistica cit., pp. 371, 380-382, 392, 407; FLAIANI, L’Università di Roma cit., pp. 67 e nt. 276, 208 nt. 376, 284; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCCVIII nt. 108, CCCXII nt. 128, 514 e nt. 103 (con bibliografia); VIAN, Il cardinale che sapeva leggere cit., pp. 132-134, 162-164, 180. 172 Jacopo Sozzi, «scrittore» greco il 13 dicembre 1821; aderì alla Repubblica Romana del 1849; morì il 16 dicembre 1854. Negli ultimi anni non si recava in Biblioteca per motivi di salute, che coprivano forse anche imbarazzo e difficoltà per il passo compiuto; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 213, 225 nt. 67. 173 Francesco Finucci (1772-1852), di Roma, allievo del Collegio Romano, sacerdote secolare, succedette al suo maestro e amico Ignazio De Rossi come docente di teologia dogmatica al Collegio Urbano di Propaganda Fide; «scrittore» ebraico il 16 febbraio 1838; membro del collegio filologico dell’Università di Roma dal 1839; consultore di congregazioni, fu particolarmente legato a Giuseppe Mezzofanti; SPANO, L’Università di Roma cit., p. 343; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 217, 228 nt. 103, 231; BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 696; FLAIANI, L’Università di Roma cit., p. 298. 174 Paolo Scapaticci, di Santopadre (Frosinone), allievo di Michelangelo Lanci, il 12 dicembre 1851 divenne «coadjutore con futura successione» dello «scrittore» ebraico Francesco Finucci; fu docente alla Sapienza e nel Seminario Romano. Nell’aprile 1871 partecipò alla «Protesta» contro il documento di adesione a Döllinger e alle sue idee anti-infallibiliste di alcuni docenti dell’Università di Roma, reso pubblico qualche giorno prima. Il 5 ottobre 1871 non prestò giuramento di fedeltà al nuovo governo e decadde dall’insegnamento nella facoltà di filologia; nel novembre 1883 Stefano Ciccolini ebbe parole piuttosto critiche sulla sua dedizione al lavoro in Biblioteca; negli ultimi anni pubblicò un Corso di spirituali esercizj indirizzato agli ecclesiastici da un vecchio sacerdote della provincia romana […], Roma 1883; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 112, 126, 340; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 231, 234, 236, 245 nt. 34; DI SIMONE, La facoltà umanistica cit., pp. 371, 384, 392; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCCVII nt. 107, CCCXI nt. 121, CCCXII nt. 128; VIAN, «Una sede conveniente» cit., p. 477 nt. 10.

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IX. Pio Martinucci al card. Luigi Lambruschini, sullo stato della Biblioteca, s.d. (ma fine 1852)175 Alla fine del 1852 Martinucci inviò al cardinale bibliotecario Lambruschini un rapporto sullo stato della Biblioteca a diciotto mesi dall’inizio del suo mandato, cioè a partire dalla morte di Molza (8 luglio [in realtà 7] 1851). Come la lettera di poco successiva, indirizzata nelle prime settimane del 1853 a Pio IX, la lettera faceva parte di una strategia di auto-promozione in vista della nomina a primo custode.

Eminenza Reverendissima, Col terminare l’anno 1852 decorrono dieciotto mesi da che l’attuale secondo Custode della Biblioteca Apostolica Vaticana trovasi a capo della Biblioteca stessa, dalla morte cioè del primo Custode Mons. Andrea Molza avvenuta nel giorno 8 Luglio 1851176. Credesi perciò in dovere di dar conto in iscritto all’Eminenza V. Reverendissima come suo Superiore di tutto ciò che nel periodo indicato ha eseguito colla dipendenza della stessa Eminenza V. Reverendissima. Appena avuta la notizia della nota disgrazia del primo Custode, ritirò immediatamente le chiavi della Biblioteca, ed avvenuta la morte di lui si adoperò che nell’appartamento del defunto fossero legalmente poste le biffe a nome di V. Eminenza come Bibliotecario di S. Chiesa onde fossero tutelati gl’interessi e la proprietà della Biblioteca, sì riguardo alla amministrazione delle rendite di questo stabilimento, e sippure a riguardo di qualsiasi oggetto, che forse poteva trovarsi presso il medesimo. Dové per conseguenza assistere a tutte le sessioni dell’inventario legale che si prolungò a più settimane, esaminare gli scritti, i rendiconti, le stampe e tutt’altro che potesse avere relazione collo stesso scopo nei mesi i più incommodi, in cui poteva profittare delle vacanze, e nelle ore le più calde adattandosi per convenienza agli altri cointeressati alla eredità177. Né ciò fu sufficiente, perché conosciutosi essere volere di Sua Santità178 che si ritirassero tutt’i manoscritti con altri oggetti di pertinenza del defunto, si 175 Arch. Bibl. 5, ff. 161r-163v. Minuta, vergata su tre ff., scritti nel recto e nel verso, con numerose correzioni, riscritture e aggiunte interlineari e marginali, nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Una copia in Arch. Bibl. 63, f. 82r-v. 176 In realtà Martinucci qui sbagliò nuovamente la data della morte di Molza, avvenuta il giorno prima, cfr. il doc. V; per un altro errore nella ricostruzione a distanza di anni, cfr. doc. III. 177 Martinucci in un primo momento aveva scritto al commodo degli altri cointeressati (…); in un secondo momento ha depennato al commodo e ha soprascritto nell’interlineo agli, senza però eliminare degli. 178 Anche in questo caso Martinucci in un primo momento aveva scritto avendo l’ordine

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doverono vincere moltissime difficoltà per condurre il tutto all’esito bramato; e ciò al 13 Maggio 1852 cioè dopo più di dieci mesi di brighe e di noie, affinché non venisse fraudata la Biblioteca ne’ suoi interessi e fosse adempiuta la volontà che il S. Padre si degnò esternare. Per cui dall’eredità Molza si acquistarono num. duecentottantanove codici in varie lingue, num. duecentodieciotto medaglie o monete in oro in argento ed in bronzo, ed alcuni oggetti Arabi antichi riposti nel museo profano179. Le fatiche straordinarie del secondo Custode non si limitarono alla sola eredità Molza, ma nel tempo stesso furono dirette ad altro affare non meno rilevante che odioso. Dappoiché andati in disuso da circa trent’anni i prudentissimi regolamenti prescritti per la Biblioteca dei Sommi Pontefici, ed essendosi indispensabilmente introdotti non pochi abusi180, il S. Padre nella sua sapienza volle che si formasse un nuovo regolamento, in cui richiamate le leggi di già emanate, si dichiarassero quelle che potevano sembrare oscure, alle quali si soleva tribuire una interpretazione arbitraria. Perciò dové il secondo Custode disporre i materiali pel nuovo regolamento, significare ciò che poteva sembrare equivoco, suggerire i mezzi che potevano stimarsi convenienti, e quando fu pubblicato, fu costretto sorbire le amarezze né poche, né piccole, indispensabili a chi è obbligato a far eseguire una legge che è più odiosa al confronto della trascuranza usata nel passato in osservarla. Oltre gli estranei si aggiunsero pure i domestici, da’ quali alcuni di malincuore sopportano la riforma perché assuefatti al proprio commodo ed interesse sentivano il peso di un freno giustissimo per richiamarli al loro dovere181. Il secondo Custode quantunque vessato dalle lagnanze e talvolta anche insultato da chi meno dovea aspettarlo, ebbe la compiacenza di avere incontrato il gradimento dei suoi Superiori, ed ebbe l’onore che gli Scrittori spontaneamente gli dessero una testimonianza tanto più gradita quanto meno aspettata quando nel mese di Marzo scorso per mezzo di V. Eminenza Reverendissima umiliarono al S. Padre una supplica da loro firmata con cui mostravano il desiderio che venis-

da Sua Santità (…); in un secondo momento ha depennato avendo l’ordine e ha soprascritto nell’interlineo conosciutosi essere volere di, senza però eliminare da. 179 I manoscritti appartenuti a Molza furono smistati nei fondi dei Vaticani ebraici, indiani, latini, siriaci, turchi; le monete e le medaglie furono trasmesse al Medagliere, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 233, 244 nt. 15; Guida ai fondi, I, cit., pp. 577, 618, 653, 660. 180 Martinucci faceva dunque incominciare il periodo dei disordini approssimativamente dall’inizio della prefettura di Mai (1819), comunque dalla ripresa della Biblioteca dopo le vicende della prima Repubblica Romana e dell’annessione della città all’Impero francese. 181 Sul Regolamento promulgato il 20 ottobre 1851, cfr. VIAN, Pio IX, Pio Martinucci e il Regolamento cit.

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se il secondo Custode promosso all’ufficio del primo182, siccome in altre circostanze fu praticato, ed ai giorni nostri vi è l’esempio dei Monsignor Laureani e Molza183. Richiamata la maggior parte degli scrittori agli ufficii della Biblioteca, e conoscendosi che gl’inventarii dei codici erano imperfetti fu suo pensiero di completare gl’inventarii medesimi. Quindi in breve tempo coll’aiuto loro svanì la confusione che vi era in alcuni armarii specialmente nella prima sala di Paolo V, si riordinarono i codici traslocati e confusi, molti de quali che si stimavano perduti, trovatisi fuori di posto si restituirono alla rispettiva loro serie, e si conobbe che il timore dei codici smarriti o derubbati quantunque fondatamente suscitato, col nuovo riordinamento veniva a dileguarsi. Quindi il lavoro dell’inventario che da principio recava spavento per la sua vastità, dal Novembre 1851 al Dicembre 1852 presso la diligenza degli scrittori ai quali si retribuisce giusta lode, può dirsi compiuto riguardo ai codici Vaticani latini, cioè nel giro di sei mesi computandosi le vacanze estive e le altre di consuetudine sono stati descritti i codici né numerati né inventariati dal num. 8462 al 9020184. Si disse quasi compiuto perché si stanno ora ordinando da due scrittori185 le miscellanee di Monsignor Gaetano Marini di cui vi era un inventario186, e le miscellanee di Francesco Cancellieri, di cui vi è un indice o descrizione187, con 182

Questo accenno, se esatto, permette di datare al marzo 1852 il doc. VIII. Sia Laureani sia Molza erano stati promossi da secondo a primo custode rispettivamente il 12 febbraio 1838 e l’11 giugno 1850, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 341, 343. Va notato che al papa il fatto delle promozioni dei precedenti secondi custodi non venne ricordato, evidentemente per non limitarne la volontà sovrana con la invadente pressione del richiamo di un precedente. 184 Sono descritti nella parte finale del tomo X (Sala Cons. Mss. 311 rosso = Vat. lat. 15349, pt. 10B), nel tomo XI (Sala Cons. Mss. 312 rosso = Vat. lat. 15349, pt. 11) e per un manoscrito nel tomo XII (Sala Cons. Mss. 313 rosso = Vat. lat. 15349, pt. 12) dell’inventario manoscritto dei Vaticani latini. 185 Sia nella lettera a Lambruschini sia in quella a Pio IX (doc. X), Martinucci fece riferimento all’opera di due «scrittori». Nella memoria del dicembre 1871 (doc. XXII) Martinucci affermò che il lavoro, sia per le carte Marini sia per quelle Cancellieri, era stato compiuto da Giovanni Battista De Rossi. Il fatto fu confermato nella nota sugli «scrittori», della seconda metà degli anni Settanta (doc. XXIII), ove però si specificò che il lavoro di De Rossi fu relativo solo ai manoscritti di Marini. Resta dunque da precisare chi realizzò il lavoro per i manoscritti Cancellieri; anche se probabilmente De Rossi svolse una revisione finale per entrambe le sezioni perché, come si affermava nella lettera a Pio IX, «per la relazione che hanno tra loro le materie suddette è necessario [che il lavoro] si eseguisca da uno solo perché riesca con esattezza». 186 Vat. lat. 9020-9151; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 200 nt. 33. 187 Vat. lat. 9155-9205, 9672-9711, 9728-9733; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 216, 228 nt. 94; Guida ai fondi, I, cit., p. 629. I manoscritti erano stati acquistati da Laureani il 6 aprile 1840 e costituivano allora un’accessione recente. 183

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alcuni pochi fasci di carte, che sembrano inconcludenti coi quali finisce la serie dei codici suddetti. Quindi dagli altri scrittori si è già posto mano a proseguire la descrizione dei Codici Urbinati latini non ancora descritti, poiché l’inventario è fino al num. 1677 ed il numero dei codici è di 1761188. Rimangono pure a descriversi i codici dell’eredità Molza per la maggior parte in lingue orientali, de quali vi è l’elenco189. Dippiù era mancante del tutto l’inventario dei Codici Capponiani in num. 276, del quali (sic) si è occupato Monsignor Nebbia Decano degli scrittori, e già ne ha descritti 267, per cui potrà vedersi condotto quanto prima al desiderato compimento190. Conoscendo poi che era indispensabile un timbro regolare per segnare i Codici, le stampe ed i libri della Biblioteca, ne fece incidere due di dimensione diversa, aventi nel mezzo il triregno colle chiavi, e nel giro l’epigrafe «Bibliotheca Apostolica Vaticana» con cui furono subito segnati tutt’i codici Vaticani latini non descritti, e dipoi i Codici Capponiani, i codici Urbinati latini, greci ed ebraici, i codici Vaticani ebraici, i codici Palatini latini e greci, i codici della Regina latini e greci, i codici greci di Pio II, i codici miniati che si mostrano ai forastieri, i codici dell’eredità Molza, ed alcune delle principali raccolte delle stampe, operazione che si proseguirà nei mesi della prossima estate191. Dippiù ai rispettivi armarii ha fatto porre il titolo ed il numero dei codici racchiusi, acciò sia facile trovarli quando occorre192. Ha riordinato tutti i codici trasportati dal salone di Sisto V. per i nuovi abbellimenti in num. di193. 188

Sostanzialmente l’ultima parte del fondo, Codices Urbinates Latini, recensuit C. STORIII: Codices 1001-1779, Romae 1921 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti), pp. 588-684; Guida ai fondi, I, cit., p. 552. 189 A proposito dei diversi elenchi, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 233, 244 nt. 15; Guida ai fondi, I, cit., p. 577. 190 Frutti del lavoro di Nebbia in Vat. lat. 10956, ff. 354r-369r; Guida ai fondi, I, cit., p. 398. 191 I codici requisiti dai Francesi sulla base del trattato di Tolentino erano stati timbrati, per la prima volta, dalla Bibliothèque nationale; i timbri vaticani non furono dunque apposti poco dopo il rientro dei codici recuperati ma, pare di capire, negli anni Cinquanta, con due tipologie, iniziando dai manoscritti non descritti ed estendendosi poi ad alcuni fondi. 192 L’operazione fu probabilmente contestuale alle nuove decorazioni delle ante degli armadi, opera di Filippo Cretoni, MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, L, cit., p. 272; LXXXVIII, cit., p. 245. 193 L’indicazione numerica non è stata inserita. A proposito degli abbellimenti del Salone Sistino (nuova pavimentazione di marmo bardiglio; ornamentazione delle ante con decorazione floreale e animale, collocazione di due colonne di alabastro accanto alla porta che conduce alla sala degli «scrittori»), che comportarono il temporaneo trasferimento dei manoscritti dagli armadi, cfr. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, L, cit., p. 272; LXIX, Venezia 1854, pp. 253-254; LXXXVIII, cit., pp. 245-246. Per indicazioni dettagliate a proposito degli interventi e sulla lapide apposta nel 1851 (l’anno del Regolamento) «sulla NAJOLO,

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Ha inoltre riordinate tutte le chiavi, rettificando a ciascuna le iscrizioni, ed apponendo tanto nell’armario quanto alle chiavi una cartelina incisa in ottone colle catenelle simili, giacché per alcune variazioni arbitrarie era confuso il titolo delle chiavi colle materie contenute. Ha pure assicurato i codici preziosissimi che si mostrano ai forastieri, affinché siano conservati[.] Incominciò eziandio a riordinare l’Archivio della Biblioteca e ne ha già formati altri sei volumi194, qual lavoro ha dovuto sospendere per ultimare l’inventario da darsi al copiatore, poiché volendosi averlo esatto è necessario esaminare e riscontrare coi codici le schede già fatte dagli scrittori, correggerle e ricomporle anche di nuovo, affinché l’inventario riesca per quanto è possibile di una medesima forma. Del medesimo inventario si fa la copia regolare, e ne sono già scritti dieci quinterni della medesima forma degli altri volumi195. Siccome poi nello spazio di molti anni è stata trascurata la legatura dei codici, di modo che toltine pochissimi, quasi tutti hanno bisogno di essere racconciati o rilegati, così appena gli fu dato poter unire una somma di danaro per iscorta, ha posto mano a far rilegare i codici, e ne sono stati legati in pergamena ed in pelle num. millecinquecentodiecisette196 e lusingandosi di proseguire nel sistema adottato, spera che in breve si conoscerà il vantaggio di tal riparazione, necessarissima alla conservazione dei codiporta, che dalla camera degli scrittori dà accesso al grandioso salone di Sisto V», cfr. M.C., Biblioteca Vaticana, in Le scienze e le arti cit., pp. n. nn. Cfr. anche le descrizioni di BARBIER DE MONTAULT, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 7-31; e l’indicazione di Martinucci nella memoria a Pio IX del 23 febbraio 1871, Ch. M. GRAFINGER, Monsignore Pio Martinuccis Aufzeichnungen zum Anwachsen der Bestände der Biblioteca Apostolica Vaticana. Zwei an Papst Pius IX. gerichtete Memoranden aus dem Jahre 1871, in Römische Historische Mitteilungen 30 (1988), pp. 295-325: 321. 194 In un primo momento, dopo formati, Martinucci aveva inserito tre puntini, riservandosi di completare l’indicazione. A matita, successivamente, ha aggiunto nell’interlineo altri e scritto sui puntini sei. Su Martinucci e l’Archivio della Biblioteca, Ch. M. GRAFINGER, Monsignore Pio Martinucci und das Archiv der Präfektur der Biblioteca Vaticana in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, II, Città del Vaticano 1988 (Studi e testi, 331), pp. 21-98. 195 Dovrebbe trattarsi del tomo XI dell’inventario manoscritto dei Vaticani latini, che risale agli anni 1852-1855, anche se poi fu copiato da Luciano Masciarelli solo nel 1880 (Sala Cons. Mss. 312 rosso = Vat. lat. 15349, pt. 11). L’allestimento di un tomo comportava prima la stesura delle descrizioni su schedine mobili, la loro correzione, poi il loro incollaggio su registri; le descrizioni così vagliate venivano poi trascritte su volumi di grande formato utilizzati per le consultazioni. 196 Come nel caso dei nuovi volumi allestiti per l’Archivio della Biblioteca, l’indicazione numerica è a matita, inserita in un secondo momento in uno spazio inizialmente rimasto in bianco. Nel margine interno del f., all’altezza dello stesso punto Martinucci aveva scritto (1179 ai 16 Nov.), indicazione poi cassata a matita, insieme ad altre cifre.

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ci197. Dovendo poi limitare le spese, ed attendere alla sicurezza dei codici stessi, col mezzo di quattro legatori, ai quali li da in regolare consegna, si eseguiscono le legature nella Biblioteca stessa, che è stata fornita all’uopo degli attrezzi occorrenti198. Non ha nel tempo stesso trasandata la legatura dei libri editi o stampati, avendone fatto legare num. 314 volumi di varie opere di diverso sesto199. Di tutto l’esposto è pronto ad esibire i documenti, che stima superfluo annetterli. Dai fatti genuinamente esposti risulta chiaro che il secondo Custode attuale si è assoggettato a fatiche non piccole alle quali non era obbligato, ed ha dimostrato l’impegno dal quale è animato per conservare ed ordinare uno stabilimento di grande onore alla S. Sede. Quindi sul riflesso delle fatiche suddette e dell’aver200 supplito esattamente con non piccoli sagrificii all’ufficio del primo e del secondo Custode nello spazio di due anni, poiché Monsignor Molza fu infermo circa mesi sei201, prega l’Eminenza V. Reverendissima ad interporre i suoi valevoli ufficii presso il S. Padre acciò siano retribuite col promuoverlo al posto del primo Custode. Tale si fu la pratica pel passato, e tale si fu pure l’odierna, come dagli esempi recentissimi accennati. In tal guisa dandosi all’Oratore di poter dimorare dappresso alla Biblioteca con altro mezzo di sussistenza che ora gli manca, potrebbe con maggior impegno e con maggiore facilità ridonare alla Biblioteca l’ordine desiderato, che è il principale ufficio di chi ora ne assume la custodia202.

197 Dopo la parola codici Martinucci ha vergato un segno di richiamo, che però non è stato ripreso in altro punto del f. 198 Documenti relativi alle legature di manoscritti e stampati in Arch. Bibl. 43-44. Si noterà la differenza numerica fra le indicazioni per Lambruschini (dicembre 1852) e per Pio IX (gennaio-febbraio 1853); curiosamente però con diminuzione, anziché aumento. 199 Anche qui va rilevata la differenza numerica fra le indicazioni dei due testi; qui però la differenza è plausibile perché i numeri crescono (da 314 a 350). 200 Nel manoscritto, dell’ dell’aver. 201 Dopo sei, Martinucci aveva vergato un segno di richiamo, ripreso nella metà sinistra della pagina rimasta bianca, con le parole «e per l’impegno dimostrato nel riordinamento della Biblioteca, a cui non era obbligato dai regolamenti Pontificii», poi depennate. 202 L’ultimo capoverso della minuta è in parte aggiunto nella metà sinistra della pagina rimasta bianca, con depennamenti e integrazioni. In un primo momento Martinucci invece della attuale stesura aveva scritto: «L’esposizione genuina dei fatti confida il sottoscritto incontrare la sodisfazione di V. Eminenza Reverendissima come suo superiore, degli altri superiori i quali conosceranno le fatiche da lui fatte per la Biblioteca Vaticana non per stretta obbligazione ma per l’affetto ad uno stabilimento che reca tanto lustro alla S. Sede. Se gli fosse dato potervi dimorare dappresso con altri mezzi di sussistenza, potrebbe con maggiore impegno e con più brevità ridonare alla Biblioteca stessa l’ordine desiderato, che è il principale officio di coloro cui è affidata la custodia».

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X. Pio Martinucci a Pio IX, sullo stato della Biblioteca, s.d. (ma gennaio-febbraio 1853)203 Il documento è privo di data ma l’accenno ai «due anni in cui [Martinucci] ha supplito alle veci del primo custode» induce a collocarlo nei primi mesi del 1853, come fa pensare anche il riferimento al «principiare delle ferie prescritte per l’annuo studio della Biblioteca stessa», cioè alla sospensione delle attività per le vacanze natalizie. Martinucci faceva infatti incominciare il periodo in cui fece le veci del primo custode approssimativamente dal gennaio 1851 perché, come scrisse a Lambruschini alla fine del 1852 (doc. IX), supplì «con non piccoli sagrificii all’ufficio del primo e del secondo Custode nello spazio di due anni, poiché Monsignor Molza fu infermo circa sei mesi». La datazione ai primi mesi del 1853 è confermata dal riferimento al caso di Paul Heyse (assente nella lettera a Lambruschini), esploso l’8 gennaio 1853. Il testo è sostanzialmente identico a quello trasmesso a Lambruschini, con qualche significativa differenza. Il testo per il cardinale precedette quello per il papa, seguendo una studiata strategia di coinvolgimento progressivo dei superiori che andavano conquistati all’idea della promozione di Martinucci. Entrambi i testi, spesso con le stesse parole, miravano infatti al medesimo fine auto-promozionale di Martinucci, in vista di una nomina che allora fu clamorosamente mancata.

Beatissimo Padre Il secondo custode della Biblioteca Apostolica al Vaticano Oratore e Suddito devotissimo di Vostra Santità nel principiare delle ferie prescritte per l’annuo studio della Biblioteca stessa si fa ardito di assoggettare all’alta sapienza e somma giustizia di Vostra Beatitudine tutto ciò che egli ha eseguito col pieno consenso de suoi superiori nei due anni in cui ha supplito alle veci del primo Custode204. Appena intesa la notizia della nota disgrazia di Mons. Molza primo custode, ritirò immediatamente le chiavi della Biblioteca, ed avvenuta la morte di lui si adoperò che si ponessero all’istante le biffe a nome della Biblioteca nell’appartamento in cui abitava del defunto [sic, a seguito di corre203 Arch. Bibl. 60, ff. 411r-414r. Minuta, autografa, con numerose correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Due bifogli, di cui sono scritte le prime sette pagine. Nell’angolo superiore sinistro del f. 411r è indicato, a penna, Copia. Una copia parziale, per la parte non compresa nella lettera a Lambruschini, in Arch. Bibl. 63, f. 82v. 204 In un primo momento Martinucci aveva scritto, con alcune correzioni: «Non per vanto di scopo di riportare laudazione o compensi, ma solamente per porre al chiaro le sue operazioni forse per malignità da qualcuno interpretate [talvolta dalla] s’induce il devotissimo oratore ad assoggettarle al giudizio alla sapienza ed alla [somma] giustizia di Vostra Beatitudine»; la frase era poi stata depennata e sostituita, nella metà bianca del f., da quella riportata a testo.

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zione marginale] per tutelare gl’interessi e la proprietà della Biblioteca sì riguardo all’amministrazione delle rendite di questo stabilimento e sippure a riguardo di qualsiasi oggetto di essa, che forse poteva ritenersi dal defunto suddetto. Dové per conseguenza assistere a tutte le sessioni dell’inventario legale che si prolungò a più settimane, esaminare gli scritti, i rendiconti, le stampe, tutt’i libri ed ogni altra cosa che potesse avere relazione allo scopo suddetto nei mesi più incommodi, in cui poteva profittare delle vacanze, e nelle ore più calde cioè dalle 10 antemeridiane alle 3 pomeridiane costretto ad adattarsi agli altri cointeressati alla eredità. Conosciuto poi l’oracolo di Vostra Santità che si ritraessero tutt’i manoscritti con altri oggetti di pertinenza al defunto, dové superare moltissime difficoltà per raggiungere l’esito bramato, e ciò avvenne ai 13 Maggio 1852 vale a dire dopo oltre dieci mesi di brighe e di noie affinché non fosse fraudata la Biblioteca ne suoi interessi e fosse esattamente adempiuta la volontà di Vostra Santità. Per cui dall’eredità Molza si acquistarono num. duecento ottantanove codici di lingue diverse, duecento diciotto medaglie o monete in oro, in argento ed in bronzo, ed alcuni oggetti Arabici antichi riposti nel museo profano. Le fatiche straordinarie del secondo Custode non furono limitate alla sola eredità Molza, ma nel tempo stesso furono dirette ad altro affare non meno rilevante che odioso. Dappoiché andati in disuso da circa trent’anni i prudentissimi regolamenti prescritti per la Biblioteca dai Sommi Pontefici ed essendosi indispensabilmente introdotti non pochi abusi, la Santità Vostra nella sua sapienza volle che si formasse un nuovo regolamento, in cui richiamate le leggi di già emanate, si dichiarassero quelle che potevano sembrare oscure, alle quali si soleva tribuire una interpretazione arbitraria. Perciò dové il secondo Custode disporre i materiali pel nuovo regolamento, significare ciò che s’interpretava come equivoco, suggerire i mezzi stimati più convenienti, e quando fu pubblicato fu soggetto a sorbire le amarezze né poche né piccole, indispensabili a chi è obbligato a far eseguire una legge che è più odiosa al confronto della trascuranza usata nel passato in osservarla. Agli estranei si aggiunsero i domestici de’ quali alcuni che affettano zelo, di malincuore sopportano la riforma ossia l’ordine, perché assuefatti al proprio commodo ed interesse, sentono il peso di un freno impostogli giustamente affine di richiamarli al dovere. Il secondo Custode quantunque vessato e talvolta anche insultato da chi meno dovea aspettarselo, ebbe tuttavia la compiacenza di avere incontrato il gradimento de suoi superiori ed ebbe l’onore che gli scrittori spontaneamente gli dessero una testimonianza tanto più gradita quanto meno aspettata quando nel mese di Marzo scorso per mezzo del Sig. Cardinale Bibliotecario umiliarono a Vostra Beatitudine una supplica da essi firmata con cui mostravano il loro desiderio che l’Oratore venisse promosso all’ufficio di primo custode.

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Richiamati dal nuovo regolamento gli scrittori agli uffici della Biblioteca e conoscendosi che gl’inventari dei codici erano imperfetti, fu suo pensiero completare gl’inventari medesimi. Quindi in breve coll’aiuto degli scrittori medesimi svanì la confusione di alcuni armarii specialmente nella prima sala di Paolo V, si riordinarono i codici traslocati e confusi molti de quali, che si credevano perduti, trovatisi fuori di posto, si restituirono alle rispettive serie, e si conobbe che il timore dei codici smarriti o derubbati, quantunque appreso fondatamente, si dileguava col nuovo riordinamento. Quindi il lavoro dell’inventario che da principio recava spavento per la sua vastità, dal Novembre 1851 al Dicembre 1852 presso la diligenza di molti scrittori, ai quali deve retribuirsi giusta lode, può dirsi compiuto riguardo ai codici Vaticani Latini, cioè nel giro di sei mesi, computandosi le vacanze estive e le altre di consuetudine sono stati descritti i codici non ancora distinti con numero, né registrati nell’inventario dal num. 8462 al 9020. Si disse quasi compiuto, perché si stanno ordinando da due scrittori le miscellanee di Monsignor Gaetano Marini di cui vi è un repertorio, e le miscellanee di Francesco Cancellieri di cui vi è una descrizione, con alcuni pochi fasci di carte che sembrano inconcludenti, qual lavoro per la relazione che hanno tra loro le materie suddette è necessario si eseguisca da uno solo perché riesca con esattezza. Si è pure compiuto l’inventario dei codici Urbinati non descritti cioè dal num. 1677 al num. 1761. Rimangono a descriversi i codici acquistati dall’eredità Molza, de’ quali vi è l’elenco. Conoscendo poi che era di molta utilità avere un timbro per segnare i codici, le stampe, ed i libri almeno più interessanti, ne fece incidere due di varia dimensione, ed in esso vi è il triregno colle chiavi nel mezzo e nel giro l’epigrafe «Bibliotheca Apostolica Vaticana» con cui furono subito segnati tutt’i Codici Vaticani latini non descritti nell’inventario, e dipoi i Codici Capponiani, i codici Urbinati latini, greci ed ebraici, i codici Palatini latini e greci, i codici greci della Regina latini e greci, i codici greci di Pio II, i codici miniati che si mostrano ai forastieri, i codici acquistati dall’eredità Molza ed alcune delle principali raccolte delle stampe, quale operazione si eseguisce nei mesi di estate. Agli armarii rispettivi ha fatto porre il titolo coi numeri dei codici ivi racchiusi per trovarli con agevolezza quando occorre. Ha riordinato pure tutt’i codici latini e greci trasportati dal Salone di Sisto V. per i nuovi abbellimenti, che ascendono al numero di diecimila circa. Ha riordinato inoltre tutte le chiavi, rettificando a ciascuna le iscrizioni ed apponendo tanto all’armario quanto alle chiavi stesse una cartellina incisa in ottone colle catenelle simili, dopoche per alcune variazioni arbitrarie era stato confuso il titolo delle chiavi colle materie contenute.

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Ha pure assicurato i codici preziosissimi che si mostrano ai forastieri affinché siano conservati, avendone a tal uopo tolta la chiave agli scopatori che a tutti li mostravano. Incominciò a riordinare l’Archivio della Biblioteca, e ne aveva già formati altri sei volumi quando dové sospendere quel lavoro per ultimare l’inventario da darsi al copiatore, poiché volendosi averlo esatto è necessario esaminare e riscontrare coi codici le schede già fatte dagli scrittori, correggerle e ricomporle anche di nuovo, affinché l’inventario riesca di una medesima forma per quanto è possibile. Del medesimo inventario si fa la copia regolare e già ne sono scritti quindici quinterni della forma degli altri volumi. Questo lavoro si continua anche nelle vacanze del secondo Custode, e non da altri, quantunque vi sia chi impudentemente spacci di far tutto, e che senza di lui non potrebbero procedere le cose della Biblioteca, mentre col fatto si prova l’opposto. Siccome poi nello spazio di molti anni fu trascurata la conservazione dei codici, di modo che toltine pochissimi, quasi tutti hanno bisogno di essere rilegati o racconciati, così appena poté unire una somma di danaro per iscorta ha posto mano a far rilegare i codici, e già ne sono stati rilegati in pergamena ed in pelle num. mille duecento sessanta e lusingandosi di proseguire nel sistema adottato spera che in breve si conoscerà il vantaggio di tal riparazione necessarissima alla conservazione dei codici, molti de quali si trovano pieni di vermi. Dovendo poi limitare le spese ed attendere alla sicurezza dei codici stessi col mezzo di quattro legatori librai, ai quali li da in regolare consegna, si eseguiscono le legature nella Biblioteca stessa che ha fornito a tal uopo degli stigli occorrenti. Non ha trascurato nel tempo stesso la legatura dei libri stampati, avendo fatto legare num. 350 volumi circa di varie opere di sesto diverso. Ha pure acquistato molti codici, quali già degnossi Vostra Santità esaminare, tra quali ve ne sono alcuni interessanti. Finalmente la questione suscitata dal Dottor Paolo Heyse Prussiano ben cognita alla Santità Vostra mentre ha procacciato all’oratore molte amarezze, in pari tempo ha recato vantaggio alla Biblioteca, perché da quel tempo i forastieri ammessi allo studio, scorta la fermezza dell’oratore, si sono contenuti nei modi i più soddisfacenti per educazione, per convenienza e per subordinazione205. 205 Per il caso di Heyse, presentato anche ad Antonelli che si era espresso a suo proposito con durezza («Scacciatelo subito»), cfr. supra. Dal settembre 1852 all’agosto 1853, Heyse fruì di una borsa di studio del governo prussiano per ricerche su manoscritti in lingue romanze in biblioteche italiane. A Roma insieme all’amico Otto Ribbeck impegnato in ricerche su manoscritti virgiliani, era ospite dello zio Theodor Heyse. Nel 1856 pubblicò Romanische Inedita auf Italiänischen Bibliotheken gesammelt. Per la biografia di Heyse, I. M. BATTAFARA-

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Beatissimo Padre questa è la genuina narrazione succinta dei fatti avvenuti da due anni in cui il secondo Custode della sua Biblioteca vi presiede. Al cuore benefico di Vostra Santità è riservato di fargli ora godere i vantaggi di un ufficio cui ha adempiuto coll’assenso e come si lusinga, colla piena soddisfazione di Vostra Beatitudine. Entrambi i testi, a Lambruschini e a Pio IX, che utilizzano largamente le stesse parole e gli stessi brani e si potrebbero porre in sinossi (notando anche le significative, piccole ma mai casuali differenze), erano dunque mossi da un evidente fine auto-promozionale di Martinucci. Il 27 giugno 1853, contemporaneamente alla nomina di Mai a cardinale bibliotecario, fu invece nominato primo custode Alessandro Asinari di San Marzano, succeduto a Gioacchino Pecci quale nunzio a Bruxelles, ove però non aveva particolarmente brillato provocando il malcontento del papa e rimanendovi per poco più di due anni (gennaio 1846-ottobre 1848)206.

XI. Pio Martinucci, Nota sulla necessità dell’assunzione di un indicista, s.d. (ma post an. 1855 ca.)207 Nell’impegno di catalogazione chiaramente indicato come obiettivo primario della Biblioteca nei testi del 1851 (cfr. docc. IV, VI), Martinucci avvertì la necessità dell’assunzione di una figura che potesse stilare un indice generale non solo dei manoscritti ma anche degli stampati e degli Indirizzi. Oltre alla globalità, altro eleNO, Profilo bio-bibliografico di Paul Heyse (1830-1914), in Il carteggio Paul Heyse – Pio Spezi. Un’amicizia intellettuale italo-tedesca tra Otto e Novecento, a cura di I. M. BATTAFARANO – C. COSTA, Roma 2009 (Quaderni della Biblioteca Vittorio Emanuele, 14), pp. 33-43 (p. 34, per l’espulsione dalla Vaticana). Per il caso di Heyse, cfr. anche Ch. M. GRAFINGER, Die Forschungen des deutschen Dichters Paul Heyse in Rom und sein Ausschluss aus der Vatikanischen Bibliothek, in Römische Historische Mitteilungen 36 (1994), pp. 219-229; A. FORNI, Dalle «stanze del tesoro della storia». Sogni di scoperte, ispirazioni romane e vite di studiosi, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, V, cit. Disavventura simile a quella di Heyse era comunque capitata a Ernest Renan venuto a Roma nell’ottobre 1849 in missione scientifica (cfr. supra, nt. 118). Molza gli sequestrò alcune trascrizioni fatte da un copista di siriaco e Renan, «infuriato, ricorse alla sua ambasciata, ottenendo che il Cardinale Segretario di Stato Lambruschini promettesse di fare giustizia», N. VIAN, Biblioteche romane prima del ’70, in Almanacco dei bibliotecari italiani 1972, Roma 1972, pp. 165-171 [rist. in ID., Figure della Vaticana cit., pp. 59-67]: 140-142 [64-66]. 206 Per Alessandro Asinari di San Marzano (1795-1876), della famiglia nobile piemontese alla quale apparteneva un omonimo (1830-1906) che fu militare, senatore del Regno e ministro, VIAN, Bibliotecari della Vaticana cit., pp. 168-170 [44-46]; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 225 nt. 67, 231, 233, 234, 244 nt. 13, 245 ntt. 27 e 32, 343, 351 nt. 56; BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 202; H. WOLF, Prosopographie von Römischer Inquisition (…), I: A-K, (…), pp. 76-78; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 486 nt. 11. 207 Arch. Bibl. 5, f. 231r-v. Minuta, autografa, con correzioni e integrazioni, anche nella metà sinistra della prima pagina rimasta bianca. Un f., scritto nel recto e nel verso.

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mento di originalità della proposta di Martinucci era la forma che l’indice avrebbe dovuto assumere: non solo un volume ma anche «altrettanti Cartelli staccati per agevolare la ricerca di quanto può venire richiesto, non che di prestarsi a tutte e qualsiasi altre operazioni inerenti a tale uffizio». Dunque Martinucci pensava, modernamente, a un indice a schede mobili, suscettibile di continui aggiornamenti. Non sappiamo se la proposta di assunzione di Girolamo Sabatucci sia andata a buon fine, ma già solo l’idea appare un merito del bibliotecario Martinucci. Il testo, forse pensato più per il segretario di Stato (che era anche prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici) che per il cardinale bibliotecario, è privo di datazione ma il riferimento alla biblioteca Waltson, giunta in Vaticana intorno al 1855, e agli «innumerevoli indirizzi che tuttogiorno i fedeli umiliano al trono pontificio» permette una datazione a dopo il 1855, forse agli anni Sessanta.

Se in ogni tempo sarebbe stato necessario per la Biblioteca Vaticana la compilazione d’un Indice esatto il quale indicasse i libri, la Classe, il luogo ove son posti, in oggi coll’aumento delle opere acquistate dalle Biblioteche appartenute al Card. Mai ed al Waltson208 e coll’aggiunta degli innumerevoli indirizzi che tuttogiorno i Fedeli umiliano al Trono pontificio209, si rende ad ogni modo indispensabile. Esiste a dir vero un antico indice ma oltre al non essere esatto in veruna guisa, per la traslocazione e per la unione delle varie collezioni, che una volta erano separate, si aggiunga ancora che trovasi arretrato in modo da non indicare se non una parte delle opere esistenti nella suddetta Biblioteca210. Ad ovviare pertanto agl’inconvenienti che tratto tratto si producono per siffatta mancanza, e ad attivare altresì un sindicato ed una verifica dei tomi e codici, alcuni de’ quali v’è luogo a dubitare sieno o mancanti, o manomessi, il sottoscritto Riferente conoscendo quanto stia a cuore dell’Eminenza Vostra Reverendissima anche questo dotto e letterario Vaticano monumento, sommessamente si fa a proporre quanto la prattica istessa ha fatto rilevare in bene tanto nelle grandi estere biblioteche quanto in quelle Italiane, di nominare cioè un Indicista cura del quale sia la formazione d’un Indice Generale di tutte le Opere, Codici, indirizzi esistenti, non che la 208

La biblioteca Waltson (ma il proprietario era forse Robert Watson), di carattere orientalistico, giunta intorno al 1855 ma non rimasta in Vaticana, Guida ai fondi, II, cit., p. 758. 209 Per gli Indirizzi ai pontefici, cfr. B. HORAIST, La dévotion au pape et les catholiques français sous le pontificat de Pie IX (1846-1878) d’après les archives de la Bibliothèque Apostolique Vaticane, Rome 1995 (Collection de l’École française de Rome, 212); ID., Indirizzi al papa, in Dizionario storico del papato, diretto da Ph. LEVILLAIN, [II]: I-Z, Milano s.d. (ma 1996; ed. originale: 1984), pp. 772-773; Guida ai fondi, I, cit., pp. 729-736. 210 L’«antico indice» dovrebbe essere quello compilato dallo «scrittore» greco Giorgio Grippari fra il 1686 e il 1690 (ora Vat. lat. 14748-14749), poi fornito di un indice allestito sotto Clemente XI (ora Vat. lat. 14741-14747), Guida ai fondi, II, cit., pp. 747-748.

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continuazione per tutti quelli che saranno per venire, riproducendo mano mano l’Indice istesso in altrettanti Cartelli staccati per agevolare la ricerca di quanto può venire richiesto, non che di prestarsi a tutte e qualsiasi altre operazioni inerenti a tale uffizio211. Alla prestazione di questa opera, potrebbe assegnarsi quel mensile compenso che l’attuale condizione dei tempi varrebbe a consigliare. Se l’Eminenza Vostra Reverendissima stimasse annuire a tale utile progetto, il sottoscritto si farebbe ardito proporre a tale Ufficio il Cavalier Girolamo Sabatucci mano socio di varie accademie nostrane ed estere il quale, imitando l’esempio lasciatogli dall’Avo Avvocato Faustino Corsi, va tuttodì coltivando gli studj letterari212. XII. Pio Martinucci, Istruzioni per la presa di possesso del nuovo cardinale bibliotecario Antonio Tosti, an. 1860213 Per un cerimoniere quale era Martinucci l’osservanza delle regole nei momenti salienti della vita dell’istituzione non era questione di forme ma di sostanza. Perché i gesti erano pregni di significati. Per la presa di possesso di Antonio Tosti, nominato il 13 gennaio 1860, Martinucci stese dunque un’Istruzione pel possesso, interessante per le forme osservate. Va notato che in Arch. Bibl. 42, ff. 359r-362r, vi sono alcuni appunti, forse riconducibili a Giuseppe Baldi, che rivelano la difficoltà negli anni Venti di stabilire le modalità della presa di possesso del Bibliotecario. La frattura dell’epoca rivoluzionaria e francese (il ruolo non fu occupato fra la morte di Luigi Valenti Gonzaga, nel 1808, e la nomina di Giulio Maria Della Somaglia, nel 1827) aveva evidentemente creato una cesura dolorosa anche di coscienza storica.

Istruzione pel possesso da prendersi della Biblioteca Apostolica al Vaticano da Sua Eminenza Reverendissima Sig. Card. Antonio Tosti Bibliotecario di Santa Chiesa e Protettore della stessa Biblioteca Vaticana214 211 Martinucci dunque propose un indice cumulativo, che riguardasse sia i manoscritti sia gli stampati (ma anche gli Indirizzi); tale indice cumulativo doveva essere anche su schede mobili, per permettere i continui, necessari aggiornamenti. Per l’epoca, si trattava di un’idea interessante e innovativa. 212 Non ho raccolto notizie su Girolamo Sabatucci, mentre il suo «avo» Faustino Corsi (1771-1845), avvocato, molto citato da Gaetano Moroni, fu studioso e collezionista di «pietre antiche», autore sull’argomento di un trattato pubblicato nel 1833, che ebbe in seguito diverse edizioni (l’ultima nel 2001). 213 Arch. Bibl. 5, ff. 250r-251r. Minuta, autografa, con correzioni e integrazioni. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime tre pagine. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. XIII nt. 16. 214 Antonio Tosti (1776-1866) fu cardinale bibliotecario dal 13 gennaio 1860 al 20 marzo

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Il Sig. Cardinale Bibliotecario farà conoscere preventivamente ai Prefetti, o Custodi della Biblioteca Vaticana il giorno e l’ora in cui vorrà prendere il possesso della Biblioteca stessa, per avvertirne gli Scrittori ed il Notajo. Nel giorno ed ora stabilita si condurrà il Sig. Cardinale al Palazzo Apostolico Vaticano con treno di gala con due carrozze ed i servitori avranno le livree nobili. Vestirà l’abito Cardinalizio col rocchetto, mantelletta e mozzetta di colore rosso, ovvero pavonazzo a seconda del tempo. Il caudatario vestirà la sottana nera col ferrajolone simile. Non condurrà i Prelati di corteggio, poiché l’atto si eseguisce nel Palazzo Apostolico. Avvertirà a far portare il Breve con cui gli è conferita la suddetta carica. Giunto al Palazzo Vaticano, scenderà dalle carrozze nel cortile delle loggie alla scala chiamata della Floreria215, per la quale vi ha l’accesso alla Biblioteca. Al corridore delle lapidi216 sarà incontrato dai due Prefetti, o Custodi della Biblioteca stessa ed alla porta principale della Biblioteca217 sarà atteso dagli Scrittori e dagli altri inservienti. Entrato nella sala grande di Sisto V. sederà alla sedia ivi preparata, e consegnerà il Breve al Notajo che lo leggerà. Compiuta la lettura del Breve Mons. primo Custode gli presenterà le chiavi della Biblioteca con breve discorso, cui Sua Eminenza potrà rispondere. Dipoi riceverà all’abbraccio i due Custodi, al bacio della mano gli Scrittori ed al bacio della Porpora gli altri inservienti. Si alzerà, andrà a uno degli armarii dei Codici che aprirà e chiuderà, e con quest’atto sarà compiuta la formalità del possesso. 1866. Precedentemente si era mostrato capace uomo di amministrazione e governo. Incaricato d’affari della Santa Sede a Torino, tornò a Roma nel 1834 divenendo tesoriere generale e svolgendo un’opera importante e significativa nell’ambito delle finanze. Fu creato cardinale e riservato in pectore da Gregorio XVI nel concistoro del 12 febbraio 1838; la nomina fu pubblicata in quello del 18 febbraio 1839 ma, per espressa volontà del papa, Tosti mantenne l’incarico di tesoriere generale, dal quale si dimise all’inizio del pontificato di Pio IX. Si occupò del restauro di chiese romane e della ricostruzione della basilica di S. Paolo fuori le mura, dedicando particolari cure all’Ospizio apostolico di S. Michele a Ripa Grande, che divenne un conservatorio di arti e mestieri fra i più rinomati d’Europa; M. DE CAMILLIS, Tosti, Antonio, in Enciclopedia cattolica, XII, cit., coll. 366-367; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 230, 232, 342, 351 nt. 57; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 524-525; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 477-478; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1489-1491; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. 70 e nt. 5 (con ampia bibliografia), 858 (s.v. in indice). 215 G. P. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano o sia del Palazzo Apostolico di San Pietro, II, in Roma 1766, pp. 102-103, 111, 123, 320, 467. 216 Si tratta della Galleria lapidaria, cfr. supra, testo e nt. 24. 217 È il massiccio portone di ferro con lo stemma di Urbano VIII Barberini che si affaccia sulla Galleria lapidaria e introduce alla «sala degli scrittori» (oggi più comunemente denominato Vestibolo del Salone Sistino).

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Quindi accompagnato dai Custodi e dagli Scrittori partirà dalla Biblioteca per fare ritorno alla sua residenza. Se bramasse percorrere la Biblioteca, potrà uscire dalla parte delle Sale Borgia ove si conservano i libri stampati218. XIII. Pio Martinucci, Nota a proposito della biblioteca di Angelo Mai, s.d. (ma post an. 1861)219 L’avversione di Martinucci per Angelo Mai traspare con evidenza anche in questa nota sull’acquisto, nel 1855, da parte della Santa Sede della biblioteca del cardinale. Se è necessario fare la tara sulle affermazioni del secondo custode, non assumendo le sue prospettive come le uniche valide e fededegne, non è però possibile negare a Martinucci la puntualità, la precisione, la completezza nelle indicazioni fornite, formulate da persona competente che conosceva come pochi il soggetto di cui scriveva. Il testo, in cui si accenna alla morte dello «scrittore» Vincenzo Castellini, avvenuta nel 1861, è dunque non di poco posteriore all’acquisto della biblioteca del cardinale.

Biblioteca del Cardinale Angelo Mai Nel giorno 9 settembre del 1854 morì in Albano il Cardinale Angelo Mai Bibliotecario di Santa Chiesa220. Dispose nel suo testamento che la sua biblioteca si dovesse rilasciare a metà del prezzo fissato nella stima, se si acquistava dal Governo Pontificio. Una gran parte di questi libri apparteneva alla Biblioteca Vaticana, quali per essere dupplicati si fece donare il suddetto Cardinale, che era molto abile negli interessi suoi. Scelse perciò le migliori edizioni e gli esemplari più conservati senza dare compenso alcuno alla Biblioteca stessa. 218

L’uscita poteva dunque avvenire dall’estremità meridionale del «corridoio di ponen-

te». 219 Arch. Bibl. 14, ff. 46r-48r. Originale, autografo, con una sola integrazione marginale. Due bifogli, di cui sono scritte le prime cinque pagine, lasciando in bianco le altre. La scrittura occupa la metà destra dei ff. È insostenibile l’affermazione di BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 222 nt. 48, che considera la nota indirizzata al card. Lambruschini (morto il 12 maggio 1854, quindi addirittura prima di Mai). Il testo va invece datato agli anni Sessanta. 220 Per la morte al 9 settembre, MAI, Testamento cit., p. 168; C. TESTORE, Mai, Angelo, in Enciclopedia cattolica, VII, cit., col. 1852; R. RITZLER – P. SEFRIN, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi (…), VII, Patavii 1968, p. 29; secondo altri, la morte sarebbe avvenuta l’8 settembre; cfr. B. PRINA, Elogio di Angelo Mai, in Nel primo centenario cit., pp. 1-89: 75; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 211, 342; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 478-479; CARANNANTE, Mai, Angelo cit., p. 519. Il cardinale si trovava ad Albano forse per sfuggire al colera che allora infuriava a Roma.

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Il Sig. Card. Altieri221 e D. Domenico Mostacci222 già caudatario del defunto furono gli esecutori testamentarii. Si fece la perizia dei libri dai libraj Agazzi e Bonifazi223 e con esempio nuovo fu loro promessa e pagata una somma sul valore della stima medesima, ragguagliata ad una data quota per ogni centinajo di scudi romani224. Mi è rimasta ignota a quale somma ascendesse la stima, o perizia, e quale fosse il numero dei volumi, ma la spesa importò qualche migliajo di scudi romani225. Il S. Padre, cui erano ignoti questi fatti, si risolvé a farne l’acquisto per la Biblioteca Vaticana, giacché colla riputazione, che meritatamente si era procacciata quel Cardinale, si dimandava da molti di acquistarla, e perciò si poteva tacciare il governo pontificio di avere trascurato un tesoro, che aveva presso di se, e che poteva acquistare con vantaggio226.

221 Ludovico Altieri (1805-1867), nunzio a Vienna nel 1836, cardinale in pectore nel 1840, pubblicato nel 1845, fu pro-segretario e segretario dei Memoriali (1845-1847, 1855-1857) e presidente di Roma e Comarca (1847), camerlengo (1857), prefetto della Congregazione dell’Indice (1861). Vescovo suburbicario di Albano (1860), vi si prodigò durante un’epidemia di colera contraendo il morbo e morendo l’11 agosto 1867. Si volle vedere in lui il fulcro dell’opposizione ad Antonelli; inviso all’Austria, raccolse simpatie di liberali e conciliatoristi; V. E. GIUNTELLA, Altieri, Ludovico, in Dizionario biografico degli Italiani, II, cit., pp. 559-560; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 222 nt. 48; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 426-427; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 303-305; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 776 (s.v. in indice). 222 Domenico Mostacci, «maestro di casa» del cardinale al quale prestò un «lungo fedelissimo servizio»; fu così ricordato nel testamento di Mai, MAI, Testamento cit., pp. 168, 170; citato in lettera di Mai a Matranga, forse del 1838, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 26. Sulla nomina dei due, Altieri e Mostacci, a esecutori testamentari, MAI, Testamento cit., p. 170. 223 Noti librai romani, già in relazione con Mai. Il primo è citato come «Ajazzi» in lettera di Mai a Matranga, forse del 1838, AGAZZI, L’abate don Pietro Matranga cit., p. 26. A proposito di Filippo Agazzi, morto nel 1863, con negozio nei pressi della chiesa di S. Ignazio, TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 686 nt. 139; a proposito di Filippo Bonifazi, con negozio a piazza Venezia, continuatore dell’attività del padre Antonio, anche lui con negozio nella piazza di S. Ignazio, ibid., pp. 392 nt. 122, 585. 224 Pare di capire che i due librai percepissero una somma di denaro percentuale all’ammontare complessivo della stima. Quindi maggiore era la stima, maggiore era la cifra proporzionalmente riservata ai librai. Un tale, singolare meccanismo non poteva che indurre a una sopravvalutazione della collezione di Mai nel suo complesso, come Martinucci mostrerà subito dopo con alcuni esempi. 225 Secondo MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXVIII, cit., p. 246, la biblioteca fu stimata per scudi 19.733 e acquistata per mille scudi in più della metà del prezzo della stima. Anche per M.C., Biblioteca Vaticana cit., la biblioteca sarebbe stata acquistata per scudi 10.866. 226 Interessante osservazione che mostra come il papa fosse condizionato da quella che in termini contemporanei si definirebbe «opinione pubblica».

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S’interessò di tutto il professore Pietro Tessieri227 custode del gabinetto numismatico, profittando della inesperienza di Mons. Di Sanmarzano primo Custode, e lo scopatore padrone228. Per ovviare in qualche parte alla spesa, che vi occorreva, il Card. Antonelli Prefetto del Palazzo Apostolico, cui incombeva lo sborso del danaro, s’impossessò di una rendita consolidata di scudi centoventi annui, che era proprietà particolare della Biblioteca Vaticana, sulla quale rendita a mio suggerimento era stato dal Card. Lambruschini Bibliotecario assegnato un aumento di salario agli scopatori, sul riflesso che l’assegno di scudi nove mensili che hanno dal Palazzo Apostolico non può essere ora sufficiente ai bisogni della vita, se si vuole che essi prestino un servizio esatto e fedele229. In tal modo il pagamento suddetto è rimasto a carico della Biblioteca colla diminuzione, ossia danno della legatura e dell’acquisto dei codici, dovendosi dall’assegno meschino dato a quest’oggetto prelevare la somma di scudi nove mensili per gli scopatori230. 227

Pietro Tessieri (1802-1873) ebbe la direzione del Medagliere vaticano ufficiosamente dal 1850, ufficialmente dal 1854; ci si avvalse delle sue competenze numismatiche prima per valutare i danni perpetrati dal furto di Diamilla, poi nel processo contro lo «scrittore» infedele. Per compensare le perdite, anche quelle avvenute durante l’occupazione francese, promosse diversi, importanti acquisti. Lasciò la Compagnia di Gesù, alla quale apparteneva, nel 1854 e fu attivo nel Medagliere sino all’inizio degli anni Settanta; Guida ai fondi, II, cit., pp. 901-903; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCLXXVI e nt. 272. 228 Lo «scopatore padrone» era Alessandro Boaselli, una vera «bestia nera» agli occhi di Martinucci che sul suo caso si soffermerà a lungo in testi successivi (cfr. docc. XIV, XV), intrattenendo un «braccio di ferro» che alla fine portò all’espulsione di Boaselli nel giugno 1866 (cfr. doc. XVII). Sin da queste note, Boaselli, con il suo invadente prepotere, fa da pendant, nella ricostruzione di Martinucci, all’inesperienza e all’abulica inattività di Asinari di Sanmarzano. Per quanto così presente nella vita della Biblioteca e nella documentazione di Martinucci, non ho individuato dati su Boaselli nell’Archivio della Biblioteca né altrove. Solo in Arch. Bibl. 60, f. 381r, in calce a un appunto relativo a codici Palatini mancanti, mano posteriore ha indicato: «Mano di Alessandro Boaselli?? scopatore». Una scheda su Boaselli, probabilmente ricavata dai testi di Martinucci, in Arch. Bibl. 63, f. 69r. 229 Per far fronte, almeno parzialmente, alle spese, gonfiate, per l’acquisto della biblioteca Mai, Antonelli, come prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici, s’impossessò di una cifra, di proprietà della Vaticana, destinata a incrementare mensilmente il compenso degli «scopatori». Tale aumento era stato fra le prime deliberazioni (30 ottobre 1851) di Martinucci secondo custode dopo la morte di Molza (cfr. Arch. Bibl. 5, ff. 146r; 148r, 149v). Esso serviva a compensare gli «scopatori» della riduzione delle entrate derivata da una più rigida disciplina delle visite degli «estranei» introdotta nel Regolamento del 20 ottobre 1851: le visite venivano infatti escluse durante gli orari di studio, con la conseguente diminuzione dei proventi delle «mance». 230 Non potendo contare su questa «rendita consolidata» e volendo confermare l’aumento di stipendio erogato agli «scopatori», Martinucci fu costretto a tagliare le spese per l’acquisto di nuovi manoscritti e per le legature dei codici. L’acquisto della biblioteca Mai, gravato da evidenti interessi personali, aveva così un disastroso “effetto domino” nei diversi ambiti della Biblioteca. Nella memoria presentata a Pio IX il 15 febbraio 1871 Martinucci si espresse

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Per pochi momenti ebbi a caso in mano la stima, o perizia e vi lessi che la dottrina del Bellarmino, che si paga baiocchi dieci era stimata per baiocchi trenta231, che l’opera del Piranesi che si vende per scudi novanta era stata apprezzata scudi trecento232, e così si dica delle altre233. Nulla dico dei manoscritti del Cardinale defunto, la cui somma era favolosa234. Anzi avvertii che la maggior parte di essi erano inconcludenti, e che erano stati tolti i più interessanti, tra i quali mancava un repertorio a me noto delle materie contenute nei codici della Biblioteca Vaticana235. Ne parlai subito al Cardinale Antonelli, da cui dipendeva la cosa sì come Prefetto del Palazzo Apostolico, cui era addossata la spesa, e sippure come Segretario di Stato, che suppliva alla mancanza del Card. Bibliotecario. Al mio discorso si strinse nelle spalle e mi rispose che il contratto era già firmato, né più poteva avere luogo un esame della perizia236. Per collocare e sistemare questa biblioteca si tolsero dalle ultime due sale Borgia i marmi antichi che vi erano. Il Tessieri e lo scopatore padrone più laconicamente: «All’acquisto della biblioteca del Card. Mai vi concorse la bibl. vat. che cedé al Pal. Apost. alcune cartelle di Consolidato», GRAFINGER, Monsignore Pio Martinuccis Aufzeichnungen cit., p. 315 (cfr. anche p. 316). 231 Della Dichiarazione più copiosa della dottrina christiana del Bellarmino vi sono attualmente nel fondo Mai cinque edizioni, fra il 1664 e il 1847. 232 Di opere piranesiane nel fondo Mai sono presenti attualmente due raccolte (1767, 1835). 233 Vi era dunque, nella stima di Agazzi e Bonifazi, una sostanziale triplicazione del valore effettivo dei volumi. 234 Vat. lat. 9529-9668; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 222 nt. 46. 235 Martinucci usava qui il termine «inconcludenti», già utilizzato nelle lettere a Lambruschini e a Pio IX della fine del 1852 e degli inizi del 1853 a proposito di alcune carte che accompagnavano le «miscellanee» di Francesco Cancellieri. Al modesto valore dei manoscritti di Mai pervenuti, Martinucci contrapponeva l’interesse di quelli non pervenuti, come questo «repertorio delle materie contenute nei codici della Biblioteca Vaticana», a lui noto e non trasmesso alla Biblioteca. I manoscritti di Mai di cui Martinucci denunciava la mancata accessione arrivarono probabilmente in un secondo momento in Vaticana e potrebbero essere identificati con i Vat. lat. 13179 (Codices praestantiores Bibliothecae Vaticanae; appunti su manoscritti di vari fondi disposti in parte in una rubrica alfabetica, con notizie delle opere in essi contenute), 13180 (ai ff. 1r-239r: Adversaria Latina secunda; rubrica alfabetica con appunti relativi a codici di vari fondi), 13181 (ff. 6v-212r: rubrica alfabetica con appunti relativi a manoscritti vaticani, in particolare greci; ff. 213r-257v: rubrica alfabetica con appunti relativi a manoscritti di vari fondi), cfr. Inventario dei codici Vaticani latini 12848-13725 cit., f. 70. 236 In quel momento Antonelli si interessava della vicenda in una triplice veste: come segretario di Stato, come prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici ma anche come facente funzione del cardinale bibliotecario dopo la morte di Mai (la vacanza sarebbe durata sino alla nomina di Tosti, il 13 gennaio 1860). Nonostante il cumulo delle cariche o forse proprio in ragione della molteplicità degli impegni, il cardinale non sembrò dare alla vicenda dell’acquisto della biblioteca di Mai troppo peso, con un gesto, stringersi nelle spalle, che il secondo custode gli vide fare anche nel caso del pericolo di occupazione violenta da parte italiana della Biblioteca Vaticana, dopo la breccia di Porta Pia, nel settembre 1870 (cfr. doc. XX).

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s’interessarono del trasporto, della sistemazione e dell’ordine degli scafali, che furono fatti di nuovo, di forma miserabile come gli altri che sono nelle dette sale Borgia237. Questa biblioteca è disordinata, perché a motivo della grandezza della sala non si poterono collocare i libri coll’ordine, con cui erano nell’appartamento del Card. Mai. Cominciai a farlo rettificare sull’indice, che esisteva238, e se ne occupò per alquanti mesi il Prof. Castellini scrittore orientale insieme con Perugini239 e con Marucci240. Morto il Castellini241 proseguirono i suddetti Perugini e Marucci il riordinamento. Mi convenne dismettere quest’opera per le brighe di Tessieri, giacché dopo che era stata ordinata una scanzia, si trovavano nuovamente i libri confusi e disordinati, e si conobbe che egli li disponeva diversamente senza mai avere un’utilità da questo lavoro. Queste notizie potranno servire di regola in caso ec. ec. P. Martinucci XIV. Memoria sui primi anni del mandato di Pio Martinucci e sul prepotere dello «scopatore» Boaselli, s.d. (ma post marzo 1863)242 Gustosa memoria, anonima e priva di datazione, per mostrare le difficoltà e resistenze incontrate da Martinucci nei primi anni del suo mandato, in particolare dopo l’accessione della biblioteca Mai nel 1855. Nel testo Pitra è considerato già cardinale ma non ancora bibliotecario; esso può dunque essere datato fra il 16 marzo 1863, data della creazione cardinalizia di Pitra, e il 19 gennaio 1869, data della sua nomina a bibliotecario di S.R.C. Redatta dunque a distanza di anni dagli eventi che descriveva, la memoria presentava Alessandro Boaselli, lo «scopatore padrone» 237 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 222 nt. 48; Guida ai fondi, II, cit., pp. 828-830. Lo «scopatore padrone» era sempre Boaselli, in questo caso operante in sinergia col gesuita Tessieri. 238 Vari cataloghi della biblioteca Mai in Vat. lat. 14556, 14557, 14558; ma cfr. anche Guida ai fondi, II, cit., pp. 829-830 (Inventari di stampati, 76-77). 239 Agostino Perugini, addetto alla fonderia annessa alla Biblioteca col titolo di «incisore di caratteri», dagli anni Cinquanta si dedicò, con Raffaele Marucci, al restauro e alla legatura di manoscritti e stampati. Era stato chiamato, insieme a Mariano Prunetti, a lavorare nella tipografia di Leone XII, [VIAN], Introduzione. L’opera editoriale cit., p. XXIV. 240 Assunto il 29 ottobre 1851 come «amanuense o copista» (Arch. Bibl. 5, f. 138r), Marucci si dedicò in seguito al restauro e alle legature. Marucci e Perugini erano uomini di fiducia di Martinucci. 241 Castellini morì nel 1861, cfr. supra, nt. 50. 242 Arch. Bibl. 41, ff. 1r-4v. Tre bifogli, di cui sono rimaste bianche le ultime quattro pagine (= ff. 5r-6v). I bifogli centrali sono di formato minore rispetto al primo. La mano sembra unica ma una ripresa di scrittura è evidente nel capoverso Estornandosi con un certo tale.

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descritto spesso nei testi di Martinucci come suo acerrimo nemico, nelle vesti di subdolo manovratore che ingannava Asinari e compiva angherie e prevaricazioni sui «librari», cioè i legatori, personale non di ruolo ma strategicamente essenziale nei programmi di Martinucci, «considerando che i codici esistenti da molti anni andavano in rovina, se non si fosse fatta una sollecita riparazione». Per colpire Martinucci non si badava però né all’ordine papale, che sosteneva il secondo custode, né al danno dei legatori, delle loro famiglie e dei codici «che erano, e sono purtroppo rovinati dal tempo, ed intemperie, dalle tarle, e dall’inchiostro che sono tutti corrosi». Le accuse contro Martinucci di ignoranza e debolezza, i soprusi contro i legatori si colorarono, immancabilmente, anche di politica e di ideologia perché Boaselli venne presentato nel testo come un liberale, pronto a realizzare una drastica purga interna all’avvento, atteso, del nuovo regime. Poiché nel testo, certamente opera non di un letterato, compare due volte il nome del legatore Luigi Minerva (e gli eventi narrati lo riguardano da vicino), si potrebbe ricondurre proprio a lui la stesura della memoria, che comunque promanava dall’entourage di Martinucci e accoglieva le prospettive dei legatori. Appare infatti evidente che gli «scopatori», o almeno una parte significativa di essi, era ostile a Martinucci, forse per l’antico risentimento nei confronti di chi, col Regolamento del 1851, aveva ridotto gli orari delle visite e quindi l’ammontare delle «mance» in loro favore, mentre i «librari» sostenevano il secondo custode, alle cui preoccupazioni conservative dovevano la loro presenza in Biblioteca (peraltro già prevista da Clemente XII in Dignissimam regibus). Fra «scopatori» e «librari», i primi di ruolo e in posizione di forza, i secondi avventizi e in condizione sempre precaria, la tensione era elevata.

Poco dopo la venuta di Monsignor di S. Marzano, fu unita alla Biblioteca Vaticana la Biblioteca Mai, ed in quel tempo si disse togliere i Consolidati alla medesima Biblioteca onde sopperire alle spese della suddetta libreria Mai, motivo per cui il Signor A. B. nell’istante tolse ai Librari una parte del loro guadagno dicendo, che erano stati tolti i suddetti Consolidati, quali poi furono tolti un Anno dopo, e tutto ciò per principiare a tartassare i Librari243. Consolidato Monsignor di S. Marzano al Posto di Custode il suddetto B.i244 per far onta a Monsignor M.i245, che avea istallato il lavoro, cercò cavare una gherminella, cioè di far conoscere al novello Custode246 che non vi 243 Si noterà la coerenza con quanto affermato da Martinucci nella nota sulla biblioteca Mai (doc. XIII). 244 Il testo inizialmente indica le persone con le lettere iniziali e finali del cognome; poi, poco per volta, con lenta progressione, il cognome viene reso per esteso. In questo caso si tratta di Alessandro Boaselli, lo «scopatore padrone», che comparirà anche in seguito nei docc. XV e XVII. Secondo Martinucci, Boaselli godeva della fiducia di Asinari di Sanmarzano, che a lui si affidava in molte questioni, suscitando la reazione indignata del secondo custode. 245 Si tratta di Martinucci. 246 Le due parole (novello Custode) sono aggiunte nell’interlineo, sopra Monsignore di S. Marzano, depennato.

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erano denari per acquistare nuovi Codici, e che l’unico scampo era di atterrare il suddetto lavoro, e con quel denaro acquistar de’ Codici, facendogli conoscere il grand’onore che ne avrebbe ricavato, non ostante che questo lavoro messo da Monsignore Marti. era per ordine espresso di Sua Santita considerando, che i Codici esistenti da molti anni andavano in rovina, se non si fosse fatta una sollecita riparazione; ma contuttociò per togliere tutto quello che aveva fatto Monsignore M.i non si guardava 1° All’Ordine Papale. 2° Al danno che ne avrebbero sofferto i legatori e loro famiglie. 3° Al danno dei medesimi Codici che ora si potrebbe dire (qui una volta fu la Biblioteca Vaticana) stante che erano, e sono purtroppo rovinati dal tempo, ad intemperie, dalle tarle, e dall’inchiostro che sono tutti corrosi; ma con tuttociò fu calato per metà il suddetto lavoro247. Si cercò inoltre per danneggiare i medesimi legatori dire dal B.i a Mons. di S. Marzano che il legatore M.a248 non sapeva lavorare, onde far scomparire Monsignore M.i che lo aveva messo nella medesima per libraro non che danneggiare il suddetto con farlo mandare via dalla medesima Biblioteca innocentemente, ma a ciò riparò Mons. M.i con far conoscere al suddetto Custode che era tutto falso, e che lavorava benissimo. Item per la 2.a volta si provò far cacciare il medesimo legatore con dire che aveva da vivere e che non aveva bisogno di lavorare, tutt’opera del suddetto B.i per volerci mettere un suo amico, e della stessa sua maniera di pensare liberale249. I Signori Scopatori della Biblioteca ebbero ancora l’ardire di spargere per il S. P. Apostolico che Monsignore Mi. era un Asino, e non era buono per l’Amministrazione per cosi aver maggior aggio, a rimuovere tutto ciò che era stato fatto ed operato dal medesimo nella Biblioteca Vaticana non che furono gli Autori ancora per linee oblique, per non far restare 1°. Custode il medesimo Mons. Mart.250. 247 Secondo Martinucci, Boaselli fece dunque credere ad Asinari che, per l’acquisto di nuovi codici, che sarebbe risultato a onore del primo custode, fosse necessario tagliare le spese per il restauro dei manoscritti gravemente danneggiati e in rovina. Si trattava evidentemente di un modo per colpire Martinucci a proposito di un soggetto che gli stava molto a cuore ma era anche un colpo sferrato dal personale di ruolo, gli «scopatori», al personale avventizio, i «librai», dai quali i primi si sentivano minacciati. 248 Si tratta, come apparirà in seguito, di Luigi Minerva, vittima di angherie e provocazioni di Boaselli. Come Marucci e Perugini, era un uomo di fiducia di Martinucci. Colpire Minerva significava colpire Martinucci ma anche danneggiare l’intera categoria dei legatori. 249 Il testo suggeriva che Boaselli fosse di pensiero «liberale», introducendo nelle rivalità personali e di categoria una nota politica e ideologica che tornerà in seguito, nelle minacce di Boaselli di procedere a un «repulisti» interno al momento del futuro, auspicato cambiamento di regime. 250 Il testo avanzava qui l’ipotesi che fossero stati gli «scopatori» a brigare per ostacolare la nomina di Martinucci a primo custode. La ricostruzione non appare plausibile perché la

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Minacciò il suddetto Boas.i il povero legatore Minerva con spaccargli un Codice che avea legato dicendogli, che se proseguiva in quella maniera di lavorare, lo avrebbe accusato ai Superiori ma il Minerva avvedutosi del dispetto che si cercava fargli, risposegli, che andasse dai Superiori, e mostrasse il suddetto Codice, che lui stesso ne avrebbe risposto ai medesimi, motivo per cui conoscito (sic) dal Boaselli, che era stata scoperta la trama si quietò nell’istante. Ha cercato inoltre far legare un Codice della Biblioteca ad altro libraro facendo conoscere al 1°. Custode, e ad altri, che se si voleva legare un Codice con una certa pulitezza i legatori della Biblioteca non erano buoni come ancora lo dice a chicchessia ed ovunque onde far scomparire i legatori, e chi li ha messi nella medesima Libreria. Conoscendo il suddetto Boas.i che quante volte avea provato a far mandare via dalla Biblioteca i suddetti Librari, ovvero, cercare di togliere il lavoro, e non essergli riescito, volle provarne una più buona via, ed era quella di togliergli l’onore e principiò in questa guisa. Il tempo in cui si preparava la Tavola nella Biblioteca per il Pranzo dato da S. Santita ai Reverendi Vescovi venuti in Roma per la Santificazione251 disse ai Librari, che dovendosi riporre nella Camera attigua ove lavoravano le posate ed argenterie che servivano per la Tavola, non sarebbero potuti venire nella Biblioteca per tutti quei giorni, per cosi fargli perdere tutte le giornate sul lavoro, ed ancora fargli conoscere che non erano fidati, dopo dodici anni252, che sono nella medesima Biblioteca, e niuno puote addebitarli di niente sul zelo, ed onoratezza con cui si sono comportati. Oltre a ciò dopo

nomina di Asinari aveva diverse e più complesse motivazioni. Va però rilevato il fatto che nel punto il testo considerasse l’intera categoria degli «scopatori» avversa a Martinucci, non soltanto Boaselli. Come si è accennato, appare probabile che la frattura fra il secondo custode e gli «scopatori» si sia consumata al momento della stesura e della promulgazione del Regolamento del 20 ottobre 1851 che, introducendo la distinzione fra gli orari di studio e di visita e riducendo quindi lo spazio dedicato a queste ultime, danneggiava economicamente gli «scopatori», che vedevano ridotte le entrate derivanti dalle «mance». 251 Per le indicazioni cronologiche che seguono immediatamente nel testo si potrebbe ipotizzare che la canonizzazione in questione sia quella dei ventisei martiri giapponesi crocifissi a Nagasaki il 5 febbraio 1597 e canonizzati da Pio IX l’8 giugno 1862. La canonizzazione fu salutata da numerosi Indirizzi, che costituiscono oggi la serie IV fra gli Indirizzi Pio IX (Guida ai fondi, I, cit., p. 733). In quell’occasione il papa offrì dunque un pranzo nel Salone Sistino ai vescovi giunti a Roma per la cerimonia. 252 Il riferimento è utile per datare il testo. Se Martinucci procedette all’inserimento, anche se non nei ruoli, di personale di sua fiducia dopo la morte di Molza, fra il 1851 e il 1852 (cfr. il caso di Raffaele Marucci, assunto come «amanuense e copista» il 29 ottobre 1851, cfr. supra, nt. 240), il documento anonimo sarebbe stato redatto fra il 1863 e il 1864. L’indicazione verrebbe confermata dal successivo accenno a Pitra.

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alquanti giorni disse ai suddetti Legatori, che nell’entrare ed uscire253, che facevano dalla Biblioteca, volevano i scopatori vederli prima di entrare nella Camera destinata al Lavoro di più tolsero le chiavi, e per mascherare il fatto fecero vedere che il medesimo ordine scopatorio era applicato anche ai Religiosi Benedettini, ed il Boaselli, ebbe la sfacciataggine di dirlo al P. Pitra allora semplice religioso in oggi Cardinale il quale se ne offese in modo soppranaturale (sic)254. Nella Sala dei Scrittori della Biblioteca non vergognò dire un giorno di Ottobre, che per l’apertura del nuovo studio, voleva mettere nuovi ordini ed in abbada (?) tutti gli scrittori Professori della Biblioteca, del che sentendolo uno dei Professori, ne fece molte meraviglie e lagnanze che uno scopatore volesse mettere nuove leggi ai Professori255. Estornandosi con un certo tale nella Biblioteca Vaticana disse, che quando veniva Vittorio Emmanuele sarebbero restati nella Biblioteca soltanto pochi scrittori, e nominolli, non che lui solo scopatore con scudi 45. mensili ma dei Preti non doveva essercene nessuni, e per il primo doveva andar via Monsignor Martinucci, e si dovevano mettere superiori del tutto nuovi, dicendo che era di già tutto combinato dal Comitato Romano. Ai 253

Le parole ed uscire sono state ripetute, anticipandole, da mano successiva, nell’inter-

lineo.

254 Gli «scopatori» rivendicavano dunque il diritto di un controllo fisico sulle entrate e sulle uscite dei «librari», affermando così la loro subordinazione. Per giustificare la pretesa, estesero la richiesta anche ai benedettini ammessi allo studio e a Jean-Baptiste Pitra, che li guidava. Con un gruppo di benedettini, Pitra si occupava allora di una serie di manoscritti acquistati nel 1804 dal card. Joseph Fesch, arcivescovo di Lione, e acquisiti dalla Vaticana nel 1843 (Vat. lat. 9852-9875). Si trattava delle carte di benedettini della congregazione di SaintMaur che avevano preparato un’edizione di atti conciliari, poi abortita; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 216, 228 nt. 95. Dal 7 giugno 1858 Pitra e i benedettini avevano ottenuto il permesso di lavorare in Biblioteca anche durante le vacanze. Jean-Baptiste Pitra (1812-1889), dal 1841 benedettino a Solesmes, nel 1843 priore di St.-Germain-des-Prés a Parigi, stese l’elenco e scelse le edizioni dei Padri greci e latini per le due Patrologiae del Migne; a Roma dal 1858, cardinale nel 1861, bibliotecario di S.R.C. dal 19 gennaio 1869. Editore di testi, si occupò in modo particolare di Padri della Chiesa e di diritto canonico e innografia bizantini; F. CABROL, Histoire du cardinal Pitra (…), Paris 1893; A. BATTANDIER, Le card. JeanBaptiste Pitra, évêque de Porto, bibliothécaire de la S.te Église Romaine, Paris 1893; C. VOGEL, Pitra, Jean-Baptiste, in Enciclopedia cattolica, IX, cit., coll. 1584-1585; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 507-508; G. M. VIAN, Bibliotheca divina. Filologia e storia dei testi cristiani, Roma 2001, pp. 235-237; WOLF, Prosopographie, II, cit., 1197-1200. 255 All’inizio di un nuovo anno accademico, che si apriva agli inizi di novembre, Boaselli annunciava la volontà di riformare i regolamenti relativi agli «scrittori». Nella tabella dei giorni lavorativi stabilita dal card. Angelo Maria Querini la chiusura estiva della Biblioteca andava dalla metà del mese di giugno al 5 novembre; le vacanze natalizie dal 21 dicembre al 6 gennaio, Ch. M. GRAFINGER, Regolamenti, modalità di accesso, frequentatori e consultazioni: i documenti, in Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, IV: La Biblioteca Vaticana e le arti nel secolo dei lumi (1700-1797), a cura di B. JATTA, Città del Vaticano 2016, pp. 413-440: 414.

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scopatori suoi compagni poi ha detto molte volte, che quando veniva V. E. sarebbero stati meglio, perché avrebbe aumentato le mesate a tutti i scopatori a scudi (?) 24. per ciascuno, dal che risulta che esso n’era bene informato ed intrigato256. Ha minacciato molte volte, e minaccia tuttora i legatori di libri, che verrà fra poco un tempo che vuol far pagare i conti tanto a loro, che ad altri (a seconda la sua maniera di pensare). Non ha guari tempo, che ha minacciato far giubilare il Suo Compagno Lorenzo Brugiotti257, quale ha Moglie e sette Figli, onde metterlo in mezzo di una strada e metterci in suo luogo un altro che avrebbe pensato come il nostro campione, senza badare alla rovina di quella Famiglia. Ora poi macchina di troncare del tutto il lavoro con maniere le più fini, ed atroci, tutto istinto di un anima iniqua, ed irrequieta, come è la sua, che gli è piaciuto, e gli piace di non far restare in pace alcuno, e cosi vedere al fine andar mendicando le due povere famiglie dei Legatori, e finir di troncare tutto ciò, che è stato fatto dal Monsignor Martinucci. Tutto ciò che è qui soprascritto, è per la pura verità, e molte altre che si tralasciano per brevità, essendo innumerevoli[.] XV. Pio Martinucci, Pro-memoria al card. Giacomo Antonelli, 22 agosto 1865258 Ancora una volta protagonista dell’indignazione di Martinucci era lo «scopatore Boaselli», che si permetteva di ammettere alla consultazione degli indici e all’esame dei codici studiosi esterni senza permesso alcuno; per di più in periodi dell’anno che già per la loro scelta inducevano a far credere che si stesse consumando qualcosa di losco. Nell’agosto 1865, dopo aver scoperto gli abusi di Boaselli che aveva 256 Oltre a minacciare un radicale rinnovamento del collegio degli «scrittori», Boaselli prefigurava una Biblioteca Vaticana purificata dalla presenza dei «preti» e nella quale gli «scopatori» avrebbero ricevuto un congruo aumento di stipendio. Il non meglio precisato «Comitato Romano» enunciava dunque programmi per il momento in cui Vittorio Emanuele avesse preso la città. 257 Lorenzo Brugiotti compare già, come «scopatore», nel quadro del personale della Vaticana del 12 aprile 1850 (cfr. supra, nt. 41). Il testo sottolineava dunque che Boaselli non godeva dell’unanime appoggio degli «scopatori». 258 Arch. Bibl. 7, ff. 275r-276r. Il testo, autografo, è l’originale spedito ad Antonelli, che nella parte sinistra del f. 275r, rimasta bianca, ha scritto le seguenti parole: «Adi 22 Agosto 1865. Essendo un grande inconveniente (?) quanto fu pratticato dallo scopatore Boaselli non si trova alcun inconveniente alla providenza che si propone di adottare. G. Cardinale Antonelli». Un bifoglio, di cui sono scritte le prime tre pagine, lasciando bianca la metà sinistra delle pagine. Al f. 274r, indicazioni sul contenuto del documento che segue: «Anno 1865. 22 Agosto. Ordine di togliere le chiavi dei Codici alli Scopatori».

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ammesso in Biblioteca senza alcun permesso Costantino Corvisieri, Martinucci chiese al segretario di Stato che venissero ritirate le chiavi degli armadi dei codici e degli oggetti preziosi che gli «scopatori» detenevano da più di dieci anni in seguito a un’infelicissima concessione di Asinari. Il passaggio delle chiavi, che il Regolamento del 1851 voleva solo nella disponibilità dei custodi, nelle mani degli «scopatori» appariva a Martinucci l’atto simbolico di una devoluzione di poteri che riteneva innaturale e inaccettabile. Martinucci aveva dunque deciso di regolare definitivamente i conti con Boaselli e con il suo protettore interno, Asinari.

Pro-memoria a Sua Eminenza Reverendissima il Sig. Card. Antonelli Segretario di Stato 22 agosto 1865 Quando Mons. di S. Marzano prese il possesso dell’officio di primo Custode della Biblioteca Vaticana, stimò spediente di consegnare agli scopatori della Biblioteca stessa le chiavi dei codici e degli altri oggetti preziosi, quali eransi per lo passato ritenute dal suddetto primo Custode. Al sottoscritto sembrò la cosa poco regolare, ma non ne fece rimarco ai suoi Superiori, perché vi erano due scopatori, cioè il defunto Mariani259 ed il vivente Brugiotti, sulla cui onestà poteva contarsi260. Il sullodato Mons. di S. Marzano nel mese decorso nel partire per Torino, disse al sottoscritto che non avea dato facoltà a chicchesia di studiare nella Biblioteca Vaticana, e perciò gli servisse di norma per rispondere alle dimande che non sarebbono mancate. Lo scopatore Boaselli, che colla morte di Mariani è mancato chi lo sorvegli261, ha stimato farla da superiore assoluto, e senza l’intesa di alcuno ammette in alcuni giorni allo studio il Sig. Costantino Corvisieri262, anzi nello scorso Sabato per circa due ore gli 259

Con Boaselli e Brugiotti, Giovanni Battista Mariani compariva, come «scopatore», nel quadro del personale della Vaticana del 12 aprile 1850 (cfr. supra, nt. 41). 260 Il problema delle chiavi degli armadi date al personale subalterno non era nuovo. Già Giuseppe Antonio Reggi, primo custode fra il 1782 e il 1800, verso la fine del suo mandato adottò questa pratica che sarebbe stata all’origine delle sparizioni di manoscritti denunciate in seguito, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 184, 191 nt. 14. In realtà Dignissimam regibus cit., § 3 (p. 573), mentre sottolineava che le chiavi degli indici dovevano rimanere presso i custodi, considerava possibile, ad arbitrio degli stessi custodi, la trasmissione agli «scopatori» delle chiavi degli armadi dei manoscritti da mostrare ai «forestieri». Come spesso accade, però, il principio, in sé plausibile, era degenerato. 261 La scomparsa di Mariani aveva dunque eliminato ogni freno al prepotere di Boaselli, che evidentemente non temeva Brugiotti. 262 Costantino Corvisieri (1822-1898), fra i promotori della Società Romana di Storia Patria, ebbe un ruolo importante nell’organizzazione culturale di Roma italiana; nel novembre 1870 fu chiamato a far parte della «Commissione per gli istituti scientifici e letterari di Roma» e nel gennaio 1871 ebbe l’incarico dalla Luogotenenza del Re di Roma di stendere una relazione sullo stato degli archivi governativi di Roma e provincia. Si occupò, fra l’altro, delle posterule tiberine fra la Porta Flaminia e il Ponte Gianicolense (1877), del trionfo romano di

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fece consultare gl’indici dei codici263: dippiù con esempio nuovo lo conduce agli armarii, affinché scelga i codici più confacenti alle sue ricerche. Di ciò si arbitrò pure nelle vacanze della Pasqua e ne fu rampognato da Monsignor di S. Marzano264. Per togliere questo abuso, da cui possono provenire conseguenze non piccole, si opinerebbe di togliere la chiave dei codici agli scopatori. Si dimanda dal sottoscritto il permesso a V. Eminenza Reverendissima, per essere liberato dalle molestie, alle quali sarebbe soggetto per parte dei molti e potenti protettori del Boaselli, avvertendosi che gli altri due scopatori desiderano sia adottata questa determinazione per loro quiete265. Con profondissimo ossequio si protesta al bacio della S. Porpora Di Vostra Eminenza Reverendissima Umilissimo Divotissimo Obbligatissimo Servo Pio Martinucci XVI. Alessandro Asinari di San Marzano a Pio Martinucci, a proposito delle dimissioni dall’ufficio di primo custode, 16 novembre 1866266 La richiesta di ritirare le chiavi agli «scopatori» colpiva indirettamente Asinari che, secondo Martinucci, era il responsabile di quella innaturale detenzione. Fra il 1865 e il 1866 il conflitto a bassa intensità che costantemente aveva contrapposto Eleonora d’Aragona nel giugno 1473 (1878), dei processi del S. Uffizio di Roma da Paolo III a Paolo IV (1880) e fu editore dei Notabilia temporum di Angelo de Tummulillis da Sant’Elia (1890). «[…] fu oggetto di accuse personali, senza conseguenze giudiziarie, per essere raccoglitore e commerciante di libri e documenti […]», G. BATTELLI, La Società Romana di Storia Patria, in Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche, a cura di P. VIAN, Roma 19932, pp. 733-766: 734-736, 738, 741, 743 nt. 45, 746. Le sue carte sono conservate alla Società Romana di Storia Patria, L. LANZA – G. ROMANI, Inventario delle carte di Costantino Corvisieri, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 110 (1987), pp. 245-323. 263 Dunque Boaselli non solo ammetteva senza alcun permesso Corvisieri, in un periodo dell’anno in cui la Biblioteca Vaticana doveva essere totalmente deserta, ma gli faceva consultare gli indici, pratica esplicitamente vietata dal Regolamento del 1851. L’ammissione lamentata da Martinucci, con la messa a disposizione degli indici, era avvenuta il 19 agosto 1865. 264 Si direbbe che agli occhi di Martinucci la scelta da parte di Boaselli dei periodi di vacanza (Pasqua nel 1865 cadde il 16 aprile), per le arbitrarie ammissioni, sia già un chiaro indizio di un comportamento inammissibile e colpevole. 265 Boaselli aveva dunque, secondo Martinucci, «molti e potenti protettori», mentre non era sostenuto dagli altri due «scopatori» (uno di essi era Lorenzo Brugiotti). 266 Arch. Bibl. 5, ff. 254r-255r, 256r. Originale, autografo; un bifoglio di cui sono scritte le prime tre pagine; al f. 256, busta con sigillo di ceralacca di chiusura; nel recto della busta è indicato: All’Illustrissimo, Reverendissimo / Monsignore Pio Martinucci / secondo prefetto della biblioteca / Vaticana & c. / Palazzo Sinibaldi. Il palazzo si trova in via di Torre Argentina;

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Martinucci ad Asinari giunse all’apice. Senza venir meno al rispetto delle forme, dallo scontro Asinari uscì sconfitto e assunse un atteggiamento di distacco dalle vicende della Biblioteca che approfondì ulteriormente la distanza dall’istituzione di cui pur era responsabile. La presentazione delle dimissioni, peraltro respinte dal papa, dall’ufficio di primo custode, nell’ottobre 1866, segnò di fatto l’uscita di scena dell’antico nunzio. Dal 1866 la corrispondenza d’ufficio indirizzata al primo custode in linea di massima non presentò più l’indicazione del nome ma solo il titolo. Martinucci aveva dunque prevalso ma con una soluzione compromissoria che, lungi dall’averlo soddisfatto, dovette anzi moltiplicarne l’amarezza e il risentimento. Rimaneva infatti secondo custode ma con un peso aggravato dall’effettivo ritiro del primo custode, che però manteneva il titolo.

Roma, 16 novembre 1866 Monsignore mio Pregiatissimo, Sendo imminente la riapertura dello studio alla biblioteca vaticana267 mi corre il dovere di far conoscere alla S.V. Reverendissima che nel trascorso mese di Ottobre ricorsi per lettera alla segreteria di Stato perché fosse supplicato il Santo Padre a volersi degnare dispensarmi dall’uffizio di primo custode attesi alcuni studii da me intrapresi sin dagli scorsi anni e che, a volergli proseguire, sarebbero male conciliabili con le assidue cure che porta seco quell’onorevole carica268. La S. S. ricusando il congedo implorato trovò, pur tuttavia, per atto di rara clemenza, il modo di soddisfare indirettamente al desiderio da me manifestato licenziando che io restassi provisoriamente libero dalle cure inerenti al proprio ufficio e che fossi rappresentato alla Biblioteca da Monsignore secondo custode. Questo benevolo provvedimento del S. Padre mi fu partecipato per foglio che ricevetti in Piemonte e confermato a voce dopo il mio ritorno in Roma che ebbe luogo la sera della trascorsa domenica269. Non è bisogno avvertire che se in qualche straordinaria occorrenza come p.e. nei lavori della impressione della bibbia greca vaticana che sta per intraprendersi dalla stamperia di Propaganda270, Monsignore credesse io fossi in grado di alleggerirla non dirò le noje, ma le cure Ella potrà disporre di me. Mi valgo pertanto di questa occasione per rinnovare a V.S. Illustrissima

costruito nel Seicento per i Sinibaldi di Monteleone, presso Spoleto, nell’Ottocento fu sede di diverse accademie. 267 Cfr. supra, nt. 255. 268 È quasi superfluo notare che Asinari non pubblicò mai i risultati di questa e altre ricerche. 269 L’11 novembre 1866. 270 Il riferimento è all’edizione in facsimile tipografico del Vat. gr. 1209, che sarebbe incominciata qualche settimana dopo, cfr. infra, testo e nt. 401.

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l’attestato di quella singolare stima con che, profferendomi a’ di Lei comandi, mi do l’onore di essere Divotissimo Obbligatissimo Servitore Alessandro di San Marzano Arc. di Efeso XVII. Pio Martinucci a Pio IX, 7 gennaio 1867271 Una vicenda, occorsa nel 1866, mostrò la sostanziale mancanza di comunicazione fra primo e secondo custode, le cui vite e attività sembravano muoversi su parallele mai destinate a incontrarsi. Il fatto, insieme alla richiesta del ritiro delle chiavi agli «scopatori nell’agosto 1865 e all’espulsione di Boaselli nel giugno 1866, dovette rendere più acuta la crisi sfociata nelle dimissioni di Asinari nel giugno 1866. Può stupire che il secondo custode non si periti di informare il papa di fatti in fondo così secondari; in realtà è la prova da un lato dell’attenzione che il papa doveva riservare alla Biblioteca, dall’altro un’espressione del bonario governo ancien régime dei papi, che non si occupavano solo di grandi strategie e non disdegnavano curare e seguire anche vicende minute e particolari.

7 gennaio 1867 Beatissimo Padre, L’anno decorso il Sig. Narducci272 Segretario del Principe D. Baldassarre Boncompagni273 col mezzo di Mons. di Sanmarzano ottenne la facoltà di 271 Arch. Bibl. 60, ff. 379r-380v. Minuta, autografa, con numerose correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio, di cui sono scritte le quattro pagine. 272 Enrico Narducci (1832-1893), «il più fervido catalogatore del secondo Ottocento italiano […] garibaldino, direttore de Il Buonarroti, storico della scienza, poligrafo», catalogò nel 1862 e di nuovo nel 1892 i manoscritti della biblioteca del principe Baldassarre Boncompagni Ludovisi; dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia, fu bibliotecario dell’Universitaria Alessandrina e si impegnò nell’acquisizione del patrimonio librario ecclesiastico e nella creazione della nuova Biblioteca Nazionale romana; autore di numerose ricerche storiche e bibliografiche, spesso di soggetto romano, editore di testi di Ristoro d’Arezzo, Giordano da Pisa e Bernardino Baldi e dei Nuptiali di Marco Antonio Altieri (1873), promosse un catalogo unificato delle biblioteche italiane. Molti suoi lavori ebbero per oggetto manoscritti vaticani. Di spirito apertamente filo-italiano, scrisse in memoria di Vittorio Emanuele II. La sua opera maggiore è il Catalogus codicum manuscriptorum praeter graecos et orientales in Bibliotheca Angelica, venuto alla luce nell’anno della sua morte; A. PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli, Roma 20012 (Beni culturali, 24), pp. 32-33. Accanto a lui, sempre per Boncompagni, lavorava un «Santucci» ricordato da Heyse: «lo scrivano grasso e calvo del principe di Piombino», che avrebbe ostacolato Heyse, BERTOZZI, L’immagine dell’Italia cit., pp. 43 (272), 109 (377). Tracce del lavoro di Santucci per Boncompagni in Bonc. Q.1, f. 11r. 273 Baldassarre Boncompagni Ludovisi (1821-1894), storico della matematica e delle scienze, dedicò importanti studi ai traduttori dall’arabo (Platone da Tivoli, Gherardo da Cremona) e a Leonardo Pisano, di cui pubblicò gli scritti in edizione critica; dal 1868 al 1887 ani-

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far trascrivere un codice Vaticano274, che contiene un trattato di mattematica, ed è testo di lingua275. Dopo alcune settimane da che era incominciata la detta trascrizione, per ordine del Sig. Card. Antonelli ne fu impedito il proseguimento e furono ritirati i fogli trascritti276, quali dal sullodato Mons. di Sanmarzano si consegnarono allo scopatore Boaselli perché li custodisse. Di tutto ciò ne era ignaro277, essendo stato costume del sullodato Mons. di Sanmarzano di rivelare tutto solamente al detto scopatore. Quando Vostra Santità nel giorno 5 giugno dimise il detto scopatore Boaselli278, ritirai da lui le chiavi della Biblioteca ec. meno quella del cassetto parziale (?) che ha ogni scopatore, giacché asserì il Boaselli di avere ivi alcuna somma di danaro di sua proprietà ed alcune carte, quali avea ivi lasciato nella lusinga, anzi nella sicurezza di essere reintegrato nel suo officio grazie (?) il patrocinio valevole di persone distinte, le quali si erano interessate della sua difesa279. mò il Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche, stampato nella Tipografia delle scienze matematiche e fisiche da lui creata e ospitata prima al pianterreno del Palazzo Simonetti al Corso, poi nel Casino Aurora al quartiere Ludovisi. Di sentimenti diversi dal suo segretario Narducci, si astenne dal partecipare ai lavori della nuova Accademia dei Lincei creata dal governo italiano e declinò l’offerta di un seggio al Senato propostogli da Quintino Sella; nell’aprile 1871 partecipò alla «Protesta» contro il documento di adesione a Döllinger e alle sue idee anti-infallibiliste di alcuni docenti dell’Università di Roma, reso pubblico qualche giorno prima. Alla morte la sua biblioteca (650 manoscritti, 20.000 stampati) fu dispersa. La Biblioteca Vaticana acquistò in momenti diversi un certo numero di manoscritti, ora fra i Vaticani latini, in parte provenienti dalla Biblioteca Albani, V. CAPPELLETTI, Boncompagni Ludovisi, Baldassarre, in Dizionario biografico degli Italiani, XI, Roma 1969, pp. 704-709; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 160, 199 nt. 32, 256, 267 nt. 5, 314; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCLXXI, CCCVII nt. 108. 274 Dopo Vaticano, Martinucci ha depennato le parole di cui neppure conosco il numero. 275 Il riferimento dovrebbe essere all’articolo poi pubblicato da E. NARDUCCI, Intorno ad una traduzione italiana, fatta nel secolo decimoquarto, del trattato d’ottica d’Alhazen, matematico del secolo undecimo, e ad altri lavori di questo scienziato, in Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche 4 (1871), pp. 1-48, sulla base del Vat. lat. 4595. La rivista, diretta e animata da Boncompagni, ospitò non infrequentemente articoli su manoscritti vaticani; cfr., per esempio, Memorie concernenti il marchese Giulio Carlo de’ Toschi di Fagnano fino al mese di febbraio dell’anno 1752 inviate dal padre don Angelo Calogerà abate benedettino-camaldolese al conte Giovanni Maria Mazzuchelli, e contenute nel codice Vaticano n° 9281, ibid. 3 (1870), pp. 37-46. 276 Antonelli era dunque minutamente informato di quanto accadeva in Biblioteca. Da chi? Si potrebbe pensare che fonte delle notizie fosse proprio Martinucci, interessato a far conoscere ai superiori disordini e abusi permessi dal primo custode in combutta con lo «scopatore padrone». In questo caso però Martinucci affermò esplicitamente di essere stato all’oscuro della vicenda sino alla defenestrazione di Boaselli. 277 Dopo ignaro Martinucci ha depennato le parole il secondo Custode. 278 L’espulsione di Boaselli dalla Biblioteca avvenne dunque il 5 giugno 1866. Appare naturale collegare il fatto alle dimissioni dall’ufficio di primo custode presentate da Asinari nell’ottobre successivo. 279 Torna qui l’accenno alle potenti protezioni godute da Boaselli, già presente nel promemoria ad Antonelli del 22 agosto 1865 (doc. XV).

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Nominato il nuovo scopatore in sostituzione del Boaselli dimesso280, aprii il cassetto e feci rimettere al Boaselli tutte le carte ed altro, che vi si conteneva, giacché si protestò che era tutto di sua proprietà. Trovai i detti fogli de’ quali ignorava la storia: ne interrogai gli altri scopatori, ed essi pure asserirono di saperne nulla. Vedendo che si conteneva in essi una materia indifferente, glie la feci ricapitare per la ragione di evitare ulteriori dispiaceri e pettegolezzi. Nello scorso venerdì lo scopatore Virginio Mariani281 s’incontrò col Sig. Narducci il quale gli disse di avere ricevuto da Boaselli i detti fogli. Entrai in sospetto di qualche dolo, ed avendo conosciuto lo stato della cosa, personalmente andai dal Sig. Narducci richiedendo da lui i fogli sequestrati282. Mi promise il Narducci, che quanto prima me li avrebbe restituiti per mia quiete283. Questa mattina il Principe Boncompagni mi ha spedito il suo cameriere per farmi sapere che i detti fogli sono in sue mani, credendo di avere un diritto di possederli dappoiché sborsò scudi venti per la copia del codice indicato284. Tutto ciò mi reco a dovere di assoggettarlo alla cognizione di Vostra Santità per mio discarico e garanzia ed imploro l’Apostolica Benedizione. XVIII. Pio Martinucci, Nota sugli Indirizzi ai pontefici, s.d. (ma post an. 1867)285 Nel clima di solidale appoggio dell’orbe cattolico al papa minacciato nella sua sovranità territoriale prese forma, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il ge280 Non si può affermare che lo «scopatore» che prese il posto di Boaselli fosse Virginio Mariani, citato subito dopo. 281 Nel 1864, Virginio Mariani, «secondo soprannumero ai scopatori», prese il posto fra gli effettivi precedentemente occupato dal padre, Giovanni Battista, nel frattempo defunto, Antonelli ad Asinari, 14 giugno 1864; Arch. Bibl. 5, f. 248r-v. 282 Martinucci temeva di essere stato raggirato e che la consegna dei fogli della trascrizione, da lui effettuata senza rendersi conto della natura del documento, garantisse a Narducci e quindi a Boncompagni il raggiungimento dell’obiettivo in forma abusiva e scorretta. 283 Dopo quiete, vergato con segno di inserimento nella metà rimasta bianca del foglio, Martinucci ha scritto e poi depennato le parole ed io gli promisi che mi sarei interessato presso i Superiori di farglieli riavere. 284 Da notare la diversità delle reazioni del principe e del suo segretario. L’ultimo accenno nella risposta del principe induce a credere che per la trascrizione Narducci si fosse rivolto a un copista che era stato compensato con venti scudi. Sul problema, decisamente fondamentale, delle trascrizioni dai codici si era soffermato il Regolamento del 1851, cfr. supra, ntt. 85-87 285 Arch. Bibl. 64, f. 118r-v. Autografo. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime due pagine, occupando la metà destra delle pagine.

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nere degli «Indirizzi», attestati di devozione e di fedeltà al papa redatti, individualmente o in gruppo, da ecclesiastici, religiosi e laici, spesso in concomitanza di un evento politico o religioso, con l’assicurazione di preghiere e opere spirituali, talvolta accompagnati da un’offerta in denaro (la pratica dell’«obolo di s. Pietro» fu formalizzata nel 1860 da Pio IX, in seguito a un’iniziativa di Charles de Montalembert)286. Pio IX mostrò grande interesse e attenzione per questi documenti, raccomandando la loro ordinata conservazione, possibilmente in un’unica sede. Come mostra un appunto di Martinucci, successivo al 1867.

Nel 1867 Sua Santità mi consegnò gl’indirizzi che avea ricevuto per la ricorrenza del centenario dei Ss. Pietro e Paolo287 ed ordinò che si custodissero nell’armario appositamente costruito nel mezzo della cappella di S. Pio V288. Tra gl’indirizzi suddetti vi era anche quello dell’Episcopato Cattolico. Non ricordando il S. Padre ove fossero gli altri avuti in simili circostanze289, mi disse di dimandare al P. Theiner290, se li aveva ricevuti e se si trovavano nell’archivio segreto. Tornato in Roma il suddetto P. Theiner 286

Per gli Indirizzi, cfr. le indicazioni bibliografiche supra, nt. 209. Nel 1867 ricorreva il diciottesimo centenario del martirio dei ss. Pietro e Paolo a Roma. Le celebrazioni furono particolarmente solenni e diedero luogo a una ricca produzione di Indirizzi inviati a Roma, che costituiscono ora una serie particolare, la VI, all’interno degli Indirizzi Pio IX, Guida ai fondi, I, cit., p. 733. Cfr. anche G. MARTINA, Pio IX (18671878), Roma 1990 (Miscellanea historiae pontificiae, 58), p. 39. 288 L’aula mediana della cappella di s. Pio V, dedicata a s. Pietro martire, ove Pio VII dal 1818 aveva collocato il Medagliere, fu la prima sede degli Indirizzi, che poi si estesero in sale prossime, Guida ai fondi, I, cit., p. 731. Per una descrizione coeva cfr. BARBIER DE MONTAULT, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 183-185. 289 Gli Indirizzi avevano dunque cominciato a confluire a Roma già precedentemente ma solo poco per volta si imposero all’attenzione del papa che decise di conservarli insieme. 290 Augustin Theiner (1804-1874); di padre tedesco e luterano e di madre polacca e cattolica, dopo aver scritto in gioventù contro il celibato ecclesiastico e aver compiuto numerosi viaggi, si trasferì a Roma e si riconciliò con la Chiesa nel 1833. Docente di letteratura ecclesiastica nel Collegio Urbano di Propaganda Fide, ordinato prete, entrò (1839) nella congregazione dell’Oratorio dedicandosi alla storia ecclesiastica. Con posizioni anti-rosminiane ma anche anti-gesuitiche, consultore di congregazioni e membro di commissioni, divenne coadiutore con futura successione di Marino Marini prefetto degli Archivi Vaticani (4 marzo 1851) e gli succedette il 29 novembre 1855. Ripubblicò (1864-1883), integrandoli e aggiornandoli sino a Gregorio XIII, gli Annales ecclesiastici di Cesare Baronio; fu privato del suo ufficio per aver comunicato alla minoranza conciliare anti-infallibilista il regolamento del concilio di Trento e di fatto sostituito (9 giugno 1870) da Giuseppe Cardoni; S. FURLANI, Theiner, Augustin, in Enciclopedia cattolica, XII, cit., coll. 45-46; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 199 nt. 32, 233, 242 nt. 18; L. PÁSZTOR, Per la storia dell’Archivio Segreto Vaticano nei secoli XIX-XX. La carica di Archivista della Santa Sede, 1870-1920. La prefettura di Francesco Rosi Bernardini, 1877-1879, in Archivum historiae pontificiae 17 (1979), pp. 367-423: 367-369; G. MARTINA, Pio IX (1851-1866), Roma 1986 (Miscellanea historiae pontificiae, 51), pp. 629-636; BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 755-757; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1458-1467; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 857 (s.v. in indice). 287

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non potei intendere se vi erano o nò, e quindi nell’incertezza lo ritenni tra gli altri, per averne ragione a tempo debito. Avendo ora conosciuto dal R. Sig. D. Enrico Debellini291 che esistono nell’archivio della S. Sede gl’indirizzi dell’Episcopato cattolico, si consegna il suddetto per eseguire gli ordini del S. Padre292. In quella circostanza mi disse pure che nell’archivio segreto dovea esservi una composizione umiliatali nella sua esaltazione al pontificato dagli ebrei del Ghetto di Roma. Avvertiva che la custodia di quel libro poco si addiceva all’archivio suddetto e quindi me lo facessi consegnare per riporlo nella Biblioteca. Se esiste il libro indicato, si potrà ritirare per riporlo nella Biblioteca indicata293. In data non precisata, ma probabilmente non molto dopo la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, Pio IX inviò una nota autografa a Martinucci, raccomandando la cura di quei documenti che erano la testimonianza evidente dell’affetto e della devozione del mondo cattolico per il papa e quindi, contemporaneamente, la prova della falsità di quanto affermato dai «nuovi spudorati padroni di Roma»294:

Speriamo che Monsignor Martinucci Secondo Custode della Biblioteca Vaticana abbia già pensato a mettere in salvo quei magnifici Volumi d’Indirizzi inviati al Santo Padre da tutte le parti del mondo, li quali sono collocati in una o più camere della detta Biblioteca; ma se non lo avesse ancor fatto lo preghiamo a farlo, poiché se disgraziatamente li nuovi spudorati Padroni di Roma giungono a impossessarsi del Museo e Biblioteca295 è 291

Enrico Debellini (1818-1874) fu archivista del Capitolo di S. Pietro; suoi manoscritti entrarono in Biblioteca Vaticana negli anni Settanta, durante il pontificato di Pio IX; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 233, 244 nt. 22; REZZA – STOCCHI, Il capitolo di San Pietro in Vaticano cit., p. 324; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCLXXIV nt. 259. 292 Come mi comunica Alejandro M. Dieguez, dell’Archivio Vaticano, in Archivio Vaticano sono conservati Indirizzi ai pontefici raccolti per temi o per determinate circostanze. Sono raccolti a volte in alcune rubriche della Segreteria di Stato, a volte negli Spogli, ma anche conservati in posizioni autonome. Manca comunque un censimento completo. 293 Non ho sinora individuato il manoscritto né fra i Vaticani latini né in Archivio Vaticano (ringrazio Alejandro Mario Dieguez, dell’Archivio Vaticano, per le ricerche compiute). Per precedenti forme di omaggio della comunità ebraica romana ai papi, «Et ecce gaudium». Gli ebrei romani e la cerimonia di insediamento dei pontefici. [Catalogo della mostra] Museo Ebraico di Roma, 17 gennaio-11 marzo 2010, a cura di D. DI CASTRO, Roma 2010. Da rilevare comunque la chiarezza di idee di Pio IX nella ripartizione dei documenti fra Archivio e Biblioteca. 294 Arch. Bibl. 41, f. 287r. Un bifoglio, di cui è scritta la prima pagina. La nota non è firmata e si può ricondurre al papa sulla base del contenuto e della scrittura. 295 Da rilevare il timore del papa che gli «invasori» italiani s’impadronissero anche della Biblioteca Vaticana e dei Musei. In questo clima si collocano le discussioni parlamentari e la reazione espressa nell’articolo di Martinucci ne L’osservatore romano del 21 dicembre 1870 (doc. XX).

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certo che li suddetti Volumi saranno distrutti, formando essi un argomento troppo convincente a provare tutto il contrario di quello che infamemente asseriscono. Il 20 maggio 1871, il nipote di Martinucci, Luigi, comunicò allo zio che il «comm. Spagna» aveva fatto sapere che il papa approvava l’ordinazione di nuovi armadi per gli indirizzi «che intanto questa mattina stessa appena uscito dall’appartamento saranno trasportati in Biblioteca ove potrà Lei collocarli provvisoriamente in luogo che non sieno veduti fintantoché non saranno stati rinchiusi nei nuovi armadj suindicati»296.

XIX. Pio Martinucci, Memoria sulla stamperia del Concilio Vaticano, 20 aprile 1870297 La convocazione del concilio Vaticano I apparve a Martinucci un’occasione straordinariamente propizia per rilanciare l’antica tipografia Vaticana, istituita da Sisto V nei locali della nuova Biblioteca ma da allora progressivamente decaduta in uno stato di abbandono dal quale non si riprese per le iniziative, effimere e personali, di Angelo Mai e di Augustin Theiner. La Memoria, probabilmente redatta a uso dei superiori (come fa pensare la clausola finale: «Tutto ciò per regola ecc.»), fu ancora un’occasione per rinverdire i Leitmotive di Martinucci, i suoi temi più cari e costanti: gli interessi personali di Mai, che in tutte le questioni mirava innanzi tutto al suo tornaconto; l’«obbrobrio» consumato ai danni della Santa Sede da Theiner, che prese accordi con vescovi tedeschi per il rilancio della tipografia, «senza l’intesa del Governo pontificio»; la consueta sventatezza di Asinari, che aveva consegnato all’oratoriano tedesco la tipografia senza alcuna formalità. In controluce si intuisce però anche una critica allo stesso «governo pontificio» incapace di tutelare e mettere a frutto un bene di cui era storicamente proprietario. E si intravede anche la delusione di Martinucci per questa ulteriore occasione mancata. Già agli inizi degli anni Cinquanta il secondo custode aveva pensato a un rilancio della tipografia Vaticana, nei locali della Biblioteca, con vantaggi economici e di prestigio per quest’ultima (cfr. supra, doc. IV). Nel 1870 dovette però assistere a un ennesimo esproprio, con l’affidamento di responsabilità direttive a Paolo e Francesco Lazza296 Arch. Bibl. 64, f. 135r. In Arch. Bibl. 201, pt. A, ff. 1r, 2r, 3r-11r, 13r-v, sono conservati elenchi di Indirizzi trasmessi a Pio IX, 11 aprile e 23 agosto 1869. Nella memoria del 23 febbraio 1871 indirizzata a Pio IX, Martinucci ricorda l’invio da parte del papa di «qualche migliaio d’indirizzi spediti dai Cattolici di tutto il mondo in varie circostanze», GRAFINGER, Monsignore Pio Martinuccis Aufzeichnungen cit., p. 323. 297 Arch. Bibl. 42, ff. 376r-377v. Originale, autografo, senza interventi di correzione o integrazione. Un bifoglio, di cui sono scritte le quattro pagine, utilizzando la metà destra delle pagine.

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rini, rappresentanti di una dinastia di tipografi particolarmente legati alla Santa Sede (anche se prontissimi a tradirla in occasione della prima Repubblica Romana e dell’annessione della città all’Impero francese)298. Martinucci fu così ridotto a fare da portiere, aggravato dal mortificante «peso di aprire e di chiudere la porta agli stampatori in tutte le ore del giorno ed anche nella notte avanzata». Una mortificazione personale, ma anche istituzionale.

Memoria sulla stamperia del Concilio Vaticano 20 aprile 1870 Il Sommo Pontefice Sisto V. nello stabilire la Biblioteca Apostolica nel locale appositamente da lui fabbricato, ove ora si trova, vi stabilì ancora la stamperia vaticana, da cui si pubblicarono le edizioni della Bibbia secondo la volgata, della Greca colla versione dei settanta, le opere di s. Bonaventura e moltissime altre celebri per la loro bellezza e che sono ora molto rare299. Questa stamperia, che formava una parte della dote della biblioteca, nel pontificato di Clemente XI. si stimò più spediente unirla a quella della Reverenda Camera Apostolica con alcune condizioni, che non sono state mai attese300. La sa. mem. di Leone XII. ad istanza di Mons. Mai primo custode la ripristinò con una spese ingente301. Morto quel Pontefice e promosso Monsignor Mai alla segreteria della Propaganda302, affine di essere solo a pubblicare le opere inedite della Vaticana, portò seco, senza pagarla, tutta la carta fatta venire appositamente da Fabriano, che costò la somma di scudi dieci otto mila, e stava nel gran magazzino sotto la sala della scrittoria. Per più mesi fu caricata la carta coi carri. Dippiù portò seco tutte le matrici ed i punzoni e tutt’i caratteri, eccettuati alcuni di scarto, che rimasero nel

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A proposito dei Lazzarini, S. FRANCHI, Lazzarini, in Dizionario biografico degli Italiani, LXIV, Roma 2005, pp. 217-218; VIAN, Il cardinale che sapeva leggere cit., pp. 100, 117-118. 299 Cfr. supra, testo e nt. 60. 300 [VIAN], Introduzione. L’opera editoriale cit., pp. XIX-XX; VIAN, Vaticano. Tipografia Vaticana cit., col. 1136; Tipografie romane cit., p. 12. 301 MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXIX, cit., p. 254 (nel 1854 era «da vari anni inoperosa»); [VIAN], Introduzione. L’opera editoriale cit., pp. XXIV-XXV; VIAN, Vaticano. Tipografia Vaticana cit., col. 1136; Tipografie romane cit., pp. 27-28. Le pubblicazioni di Mai uscite dai torchi della tipografia Vaticana si collocano fra il 1825 e il 1838: dal Catalogo dei papiri egiziani della Biblioteca Vaticana (1825) ai Classici Auctores e Vaticanis Codicibus editi (1828-1838), alla Scriptorum veterum nova collectio e vaticanis codicibus (1825-1838). Ma vi furono pubblicate anche l’omelia De eligendo pontifice (1831) pronunciata da Mai il 14 dicembre 1830 e le Memorie istoriche degli archivi della Santa Sede di Gaetano Marini (1825). 302 Leone XII morì il 10 febbraio 1829; Mai fu promosso alla segreteria di Propaganda Fide il 15 aprile 1833.

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locale della suddetta stamperia. A questo locale vi era l’accesso dal cortile dell’armeria e sulla porta vi era la lapide coll’arme di Leone XII303. Nel 1857 fu ceduta la stamperia coi caratteri al P. Theiner, il quale la ebbe senza alcuna consegna e coi caratteri, torchi ed altri attrezzi che vi erano rimasti. Il suddetto P. Theiner l’aumentò di altri caratteri e di un piccolo torchio a macchina. Eseguì ciò con obbrobrio della S. Sede, perché andò in Germania e questuò dai Vescovi una somma per ripristinare la stamperia Vaticana, senza l’intesa del Governo Pontificio. Vi stampò qualche opera, ma poi tralasciò l’impresa, perché non volle assoggettarsi alla revisione del P. Maestro del S.P.A.304. 303 Tornava qui il biasimo, costante in Martinucci, per l’eccessiva cura degli interessi personali da parte di Mai («molto abile negli interessi suoi», aveva scritto circa quindici anni prima nella nota sulla biblioteca del cardinale, cfr. doc. XIII). Il «gran magazzino sotto la sala della scrittoria», ove era depositata la carta di Fabriano poi portata via da Mai, dovrebbe corrispondere all’attuale Sala dei Manoscritti II o «Sala degli inventari», al di sotto del Vestibolo del Salone Sistino. Il «gran magazzino» era contiguo al «locale della […] stamperia», che corrisponde all’attuale Sala di consultazione dei manoscritti. Alla stamperia si arrivava dall’attuale Cortile della Biblioteca («cortile dell’armeria»), al quale si accedeva dal lato dell’attuale «stradone dei Musei». La porta con la «lapide coll’arme di Leone XII» deve essere scomparsa assai presto (come Martinucci precisò subito dopo), con i successivi rimaneggiamenti nella zona, poi totalmente modificata dalla costruzione del piccolo edificio in un angolo del cortile della Biblioteca per collegare il livello del Salone Sistino a quello della Sala Leonina, durante il pontificato di Leone XIII. 304 Le indicazioni sono precise e corrispondono all’evidenza delle pubblicazioni di Theiner che videro la luce nella tipografia della Biblioteca. Esse si collocano infatti nel quinquennio fra il 1859 e il 1864: Monuments historiques relatifs aux règnes d’Alexis Michaélowitch, Féodor III et Pierre le Grand, czars de Russie, extraits des archives du Vatican et de Naples, Rome, Imprimerie du Vatican, 1859; Vetera monumenta historica Hungariam sacram illustrantia, I-III, Romae, typis Vaticanis, 1859-1860; Vetera monumenta Poloniae et Lithuaniae gentiumque finitimarum historiam illustrantia, I-IV, Romae, typis Vaticanis, 1860-1864; I due concili generali di Lione del 1245 e di Costanza del 1414 intorno al dominio temporale della S. Sede, con documenti storici inediti, Roma, coi tipi Vaticani, 1861; Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis. Recueil de documents pour servir à l’histoire du gouvernement temporel des états du Saint-Siège, extraits des archives du Vatican, I-III, Rome, Imprimerie du Vatican, 1861-1862; Vetera monumenta Slavorum meridionalium historiam illustrantia, I, Romae, typis Vaticanis, 1863 (un secondo volume fu pubblicato a Zagabria nel 1875); Vetera monumenta Hibernorum et Scotorum historiam illustrantia, Romae, typis Vaticanis, 1864. Secondo Giacomo Martina, Theiner «poteva comunicare direttamente [scil.: in tipografia] gli originali leggibili», MARTINA, Pio IX (1851-1866) cit., p. 632. Precedentemente Theiner aveva utilizzato la tipografia di Propaganda Fide (così per esempio nel 1849 per la Storia del ritorno alla Chiesa cattolica delle case regnanti di Brunswich e di Sassonia e del ristabilimento del culto cattolico in quegli Stati nel XVIII secolo) e la Tipografia Tiberina (così nel 1856 per i tre volumi della continuazione degli Annales ecclesiastici baroniani, per gli anni 1572-1575). In quegli anni il maestro del Sacro Palazzo, al quale competeva concedere o meno l’imprimatur alle pubblicazioni sottoposte, era il domenicano Gerolamo Gigli (1800-1873), in carica dal 1859. Curiosamente sia nella questione rosminiana sia su altri soggetti, Gigli aveva opinioni moderate e fama di teologo non retrivo. La fine del suo mandato, nel 1867, sarebbe anzi legata

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Intimato dal S. Padre il Concilio Vaticano si dové allestire una stamperia per uso del Concilio. Si pensò a ripristinare la stamperia vaticana e dal Card. Antonelli furono acquistati i caratteri e la macchina dal P. Theiner, cui a titolo di compenso si assegnarono scudi dieci mensili sua vita naturale durante. Il Card. Antonelli mi richiese della consegna data al P. Theiner: risposi che Monsignor Di Sanmarzano lo pose in possesso senza alcuna consegna. Avendomi fatto su ciò qualche rimarco gli feci riflettere che la Biblioteca era diretta dallo scopatore, cui l’avea consegnato (sic) lo stesso Sanmarzano305. Si chiuse la porta esterna, fu tolta la lapide e lo stemma di Leone XII, fu riattivata la scala interna, e si ebbe l’accesso dalla porta della Biblioteca306. Vi furono portati altri caratteri ed altre macchine, compresi i caratteri che esistevano nella stamperia segreta al Quirinale307. Il direttore di questa stamperia è il medico fisico Sig. Dottor Paolino Lazzarini col suo figlio Francesco308. Epperò mi si aggiunse il peso di aprire e di chiudere la porta agli stamall’addebito mossogli «di aver aderito alle posizioni di quanti auspicavano una riforma del clero in senso liberale», C. FORTUZZI, Gigli, Gerolamo, in Dizionario biografico degli Italiani, LIV, Roma 2000, pp. 672-673; cfr. anche TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. 532 e nt. 162, 557 e nt. 225, 559, 679. A. MERCATI, Il decreto d’unione del 6 luglio 1439 nell’Archivio Segreto Vaticano, in Orientalia christiana periodica 11 (1945), pp. 5-44: 19 nt. 1, considera Theiner «feracissimo ma poco accurato editore di documenti»; valutazione più positiva in ESCH, Leone XIII cit., p. 28. 305 Dopo una diecina d’anni dalla cessione a Theiner, la Santa Sede riacquistò quindi la Stamperia. In un circostanziato pro-memoria del card. Giovanni Mercati sui pericoli degli incendi in Archivio Vaticano, 18 settembre 1949, si accenna a un incendio che distrusse «fra il 1860 e il 1870 la tipografia vaticana e le pubblicazioni del Theiner ivi rimaste», Carteggi Mercati, cont. 66 (an. 1949), ff.n.nn. Nelle parole di Martinucci ritornava implicitamente la deplorazione per la superficialità di Asinari, che trasmise «senza alcuna consegna» a Theiner il possesso della Tipografia, e per il prepotere di Boaselli, al quale Asinari aveva sostanzialmente affidato la direzione della Biblioteca. 306 Tornata nell’esclusivo ambito della Biblioteca, la tipografia non aveva più bisogno di un accesso esterno; per essa bastava il collegamento interno, garantito da una scala, fra il livello del Salone Sistino e il livello sottostante, dell’attuale Sala Leonina. L’accesso all’esterno era dunque garantito dal tradizionale ingresso principale della Biblioteca, il portone di Urbano VIII sulla Galleria Lapidaria. 307 Dalla fine del Settecento stamperie «segrete», cioè a uso diretto del pontefice, esistevano sia al Quirinale sia in Vaticano, ed erano affidate ai Lazzarini, MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXIX, cit., pp. 253-254; VIAN, Vaticano. Tipografia Vaticana cit., col. 1136. 308 Dalla stamperia diretta dai Lazzarini («ex typographia Concilii Vaticani») uscirono diverse pubblicazioni, fra le quali gli atti del concilio e il testo della costituzione Pastor aeternus, sul primato e l’infallibilità del papa, approvata nella sessione pubblica del 18 luglio 1870, Pio IX a cento anni dalla morte (1878-1978). Mostra commemorativa, [a cura di N. VIAN], Biblioteca Apostolica Vaticana [1978], p. 20.

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patori in tutte le ore del giorno ed anche nella notte avanzata309. Dopo molto tempo si poté ottenere che fosse posto un campanello esterno che corrispondesse al locale della stamperia. Furono ancora poste altre porte alla scala della mia casa, alle camere custodiali ed un’inferriata alla piccola finestra interna nella camera d’ingresso. Tutto ciò per regola ec. P. Martinucci XX. L’articolo per L’osservatore romano sulla proprietà della Biblioteca Vaticana, 21 dicembre 1870310. L’entrata in Roma delle truppe piemontesi fu seguita con comprensibile preoccupazione da quanti ancora ricordavano e temevano le vicende della seconda Repubblica Romana. Quando nel parlamento italiano si decise il prossimo trasferimento a Roma della capitale del regno e si considerò la possibilità di una nazionalizzazione dei Musei e della Biblioteca, la Biblioteca, meglio la parte più consapevole e pensosa di essa, credette opportuno di reagire con un articolo, pubblicato da L’osservatore romano il 21 dicembre 1870311. In esso si rivendicava la proprietà della Biblioteca Vaticana da parte del papa non come soccombente sovrano temporale, i cui beni potevano essere confiscati, ma come vescovo di Roma e capo della Chiesa cattolica, che ne doveva disporre per l’adempimento del suo spirituale e universale mandato. Era la linea già adottata dalla Biblioteca nel 1849. Merito di Martinucci fu quello di ricollegarsi efficacemente a quel precedente. Ma il 1870 non era il 1849 e la calata dei «barbari» questa volta non doveva rivelarsi un’altra parentesi, come erano state la prima e la seconda Repubblica Romana e l’annessione della città all’Impero francese, ma uno stato nuovo e definitivo. Anche per motivi tattici, Martinucci insistette nel testo sulla natura ecclesiastica della Biblioteca Vaticana, al servizio del papa nello svolgimento del suo ministero di ve309

Comprensibile appare il disappunto di Martinucci che vedeva la Biblioteca posta al margine della vicenda, espropriata di un bene che era stata la sua gloria e per il quale sin dagli inizi degli anni Cinquanta il secondo custode aveva pensato a un rilancio, con sin troppo ottimistiche previsioni di positive conseguenze per l’onore della Vaticana e per il vantaggio delle sue finanze (cfr. doc. IV). 310 Arch. Bibl. 42, f. 380r. 311 Il giornale era allora diretto da Augusto Baviera. Dopo l’occupazione della città il quotidiano non uscì per quasi un mese; riprese le pubblicazioni il 17 ottobre 1870, assorbendo le funzioni del soppresso Giornale di Roma, e spostandosi di conseguenze su posizioni più ufficiali, G. M. VIAN, Osservatore romano (L’), in Dizionario storico del papato, [II], cit., pp. 1057-1060: 1058; G. ROMANATO, La fine dello Stato pontificio, in Singolarissimo giornale. I 150 anni dell’«Osservatore romano», a cura di A. ZANARDI LANDI – G. M. VIAN, Torino et alibi 2010, pp. 39-54: 52. Sull’articolo e su altri interventi, contemporanei e successivi, sulla proprietà della Vaticana, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 231.

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scovo di Roma e di pastore della Chiesa universale, non come sovrano temporale. Cosa accadrebbe, si domandava Martinucci, se il papa, privato della Biblioteca, ma impegnato in un concilio (il Vaticano I era stato sospeso solo da qualche mese), avesse dovuto chiedere «documenti relativi alla credenza cattolica ed alla disciplina ecclesiastica» a un «governo laico» o peggio se avesse dovuto «cercarli dai protestanti, dagli scismatici ed anche dagli ebrei»? La domanda è abilmente retorica ma rivela in profondità la concezione che Martinucci aveva della Biblioteca Vaticana: istituzione palatina al servizio del papa nell’adempimento della sua missione. Gli studiosi e gli studi in questa visione non potevano avere che un ruolo marginale, ammessi per una liberalità che non doveva far dimenticare lo scopo e gli obiettivi primari dell’istituzione. Lo scontro con Heyse, di quasi vent’anni prima, aveva queste profonde motivazioni. L’articolo di Martinucci, non firmato, su L’osservatore romano, 21 dicembre 1870, p. 1, senza titolo, era di seguito a un articolo intitolato Paure, che prendeva spunto e commentava, con riferimenti alla situazione nazionale e internazionale, «il voto con cui dal comitato della Camera di Firenze fu risoluto il sollecito trasferimento della capitale a Roma».

La Biblioteca Vaticana è denominata Apostolica. Sino dal tempo di S. Antero Papa, che visse nel 235, esisteva una biblioteca per uso dei Sommi Pontefici, siccome si dimostra da Monsig. Gaetano Marini (Memorie storiche pubblicate dal Card. Mai)312 da Mons. Angelo Rocca (Bibl. Apost. Vatic.)313 e dagli Assemani (cod. mss. Bibl. Vat. tom. I in praefat.)314. Questa biblioteca che era nel patriarchio Lateranense, ove dimoravano i Papi, fu poi trasferita nel Palazzo Vaticano. I monumenti, che in essa hanno adunato i Sommi Pontefici, la più parte manoscritti, sono totalmente ecclesiastici e contengono il deposito della fede nelle raccolte degli atti dei Concilii, dei Padri, delle decretali de’ Papi, ec. Per cui S. Girolamo, che fu segretario del Papa Damaso, ci assicura che da tutte le parti del mondo si ricorreva all’archivio dei Papi, in cui si aveano gli atti dei Concilii per lo scioglimento delle controversie e per conoscere se qualche canone fosse alterato o corrotto dagli eretici315. Se si dichiarasse stabilimento nazionale la biblioteca Vaticana sarebbe pure una cosa strana che il Papa ed i Vescovi adunati in Concilio dovessero essere soggetti al governo laico per consultare i documenti relativi alla credenza cattolica ed alla disciplina ecclesiastica. Peggio ancora sarebbe 312 G. MARINI, Memorie istoriche degli archivi della Santa Sede, e della Biblioteca Ottoboniana ora riunita alla Vaticana opuscoli due, Roma 1825, p. 5. 313 A. ROCCA, Bibliotheca Apostolica Vaticana (…), Romae 1591, pp. 52-53. 314 Praefatio generalis in catalogum codicum mss. Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, in S. E. ASSEMANI – J. S. ASSEMANI, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codicum manuscriptorum catalogus (…), I: complectens codices ebraicos et samaritanos, Romae 1756, pp. XIII-LXXIII: XIX. 315 ROCCA, Bibliotheca Apostolica Vaticana cit., p. 52.

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se questi documenti fossero distratti, giacché dovrebbe cercarli dai protestanti, dagli scismatici ed anche dagli ebrei. Questa ragione è tanto convincente che ne furono persuasi gli stessi repubblicani nel 1849. Nel principio del Marzo dell’anno accennato M. Gabriele Laureani primo custode e gli altri impiegati della Biblioteca Vaticana furono invitati a dare atto di adesione al governo repubblicano. Risposero che né egli né gli altri addetti ad essa Biblioteca non erano soggetti a quella legge, perché la Biblioteca Vaticana incontestabilmente apparteneva al Papa non come a Sovrano di Roma ma come a Pontefice e Vescovo di essa, e Capo della Chiesa Cattolica, e come tale era annessa al Palazzo Apostolico Vaticano316. Fu quindi rispettata questa proprietà, che rimase indipendente dal governo repubblicano, anzi lo stesso governo somministrò sempre il fondo, o rendita pel mantenimento della medesima senza alcuna eccezione. Nel margine superiore del f. del giornale Martinucci ha vergato una nota: «L’articolo sulla Biblioteca Vaticana fu da me compilato per ordine del Sig. Card. Antonelli. Attesa l’urgenza non avvertii a notare che la Biblioteca è privata, e che studiandosi per tre ore, è una grande indulgenza, perché si danno i manoscritti. I giorni dello studio, sono i medesimi delle scuole dell’Archiginnasio. P. Martinucci»317. Il secondo custode avrebbe dunque voluto sviluppare l’idea del carattere privato della Biblioteca, la cui apertura agli studiosi «per tre ore», con un orario simile a quello delle «scuole dell’Archiginnasio», era «una grande indulgenza». La prospettiva era diametralmente opposta a quella dell’Augsburger Allgemeine Zeitung e degli studiosi che mordevano il freno dinanzi alle limitazioni che per Martinucci erano ampie e liberali concessioni. Sulla genesi dell’articolo Martinucci si soffermò più a lungo in una nota di particolare interesse, dalla quale risultano il ruolo svolto nella vicenda dal prete bergamasco Antonio Uccelli, le reazioni del papa e di Antonelli, il disinteresse di Asinari e l’attivismo di Pitra318:

Sull’articolo della Biblioteca Vaticana inserito nell’Osservatore. La casa in cui abito sopra la Biblioteca Vaticana319 è fuori del centro 316 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 230, 242 nt. 1. Le copie autentiche dei documenti del 1849, posseduti dal vicegerente di Roma Giuseppe Angelini (1810-1876), furono un sussidio essenziale nella stesura dell’articolo di Martinucci per L’osservatore romano. 317 Arch. Bibl. 42, f. 380r. 318 Arch. Bibl. 42, ff. 374r-375r. Originale, autografo, senza interventi di correzione o integrazione. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime tre pagine. Dopo Osservatore è aggiunta con matita blu da mano successiva la data: il 21 Dec. 1870. La stessa mano interviene sulla minuta della lettera di Martinucci a Margotti, sempre del 21 dicembre 1870. 319 Il secondo custode occupava dunque, forse dopo il 1866, l’appartamento sopra la Biblioteca, probabilmente quello che era già stato degli Assemani e in cui era scoppiato l’in-

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delle altre abitazioni. Avvicinandosi l’occupazione di Roma per parte del governo subalpino, né sapendosi in qual maniera si regolassero le faccende, stando a mio carico la custodia della Biblioteca, stimai di ritenere in mia compagnia altra persona, che fu il Sig. D. Antonio Uccelli Prete della diocesi di Bergamo320, il quale ora accede alla Biblioteca per i suoi studii sulle opere inedite di S. Tommaso d’Aquino. Questi nella sera del 17 Dicembre 1870 mi diede la notizia che in Firenze erasi discussa nelle Camere la questione se doveasi occupare i musei e la biblioteca Vaticana, e che la risoluzione era stata rimessa ad una commissione di deputati della Camera stessa321. Mi spronò quindi a fare qualche pratica per impedire almeno l’occupazione della biblioteca e degli archivi della S. Sede. Progettò di fare una protesta ragionata da firmarsi dal Card. Bibliotecario, dai custodi della Biblioteca e dai prefetti dell’archivio322. Nei giorni precedenti avea già parlato al Papa e al Card. Antonelli di nascondere qualche codice e qualche oggetto. Essi me lo esclusero, né saprei dire la ragione323. Nella mattina seguente 18 Dicembre essendo occupato per la tradizione del S. Pallio al Card. Decano324, pregai il detto D. Ant. Uccelli di visitare in mio nome il Card. Pitra Bibliotecario e Mons. Di Sanmarzano primo cendio del 30 agosto 1768. Forse Martinucci si divideva fra l’abitazione in città (Palazzo Sinibaldi?) e quella in Vaticano. Quest’ultima era stata privilegiata prima e dopo il settembre 1870, per tutelare meglio la Biblioteca dalle minacce italiane. 320 Pietro Antonio Uccelli, sacerdote della diocesi di Bergamo; si dedicò in particolare a ricerche su s. Tommaso d’Aquino, pubblicando anche edizioni degli scritti, in parte dagli autografi della Biblioteca Vaticana; sue trascrizioni e collazioni di testi di Tommaso e di Alberto Magno, con alcuni suoi scritti, furono lasciati alla Vaticana con testamento del 2-3 aprile 1880 e costituiscono ora i Vat. lat. 10141-10150; cfr. Arch. Bibl. 14, ff. 354r-357r; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 241, 254 nt. 113. 321 Sulla questione e per i dibattiti politici e parlamentari, Ch. M. GRAFINGER, Italienischer Staat und Papsttum unter besonderer Berücksichtigung der italienischen Ansprüche auf Vatikanische Bibliothek und Museen, in Römische Historische Mitteilungen 31 (1989), pp. 507530. 322 L’idea di Uccelli era dunque quella di una «protesta ragionata», firmata dal cardinale bibliotecario e dai custodi e prefetti di Biblioteca e Archivio. Sull’atteggiamento della Santa Sede, cfr. C. M. FIORENTINO, Dalle stanze del Vaticano: il venti settembre e la protesta della Santa Sede, 1870-1871, in Archivum historiae pontificiae 28 (1990), pp. 285-333; ripubblicato in ID., La questione romana intorno al 1870. Studi e documenti, Roma 1997 (Archivio italiano, 4), pp. 45-112. 323 Martinucci propose al papa e ad Antonelli di nascondere i codici e gli oggetti più preziosi, come si era fatto nel 1798. Ma essi, per motivi ignoti al secondo custode, rifiutarono. 324 Dall’8 ottobre 1870 il card. Costantino Patrizi Naro (1798-1876), decano del Sacro Collegio, aveva optato per la sede suburbicaria di Ostia e Velletri, M. DE CAMILLIS, Patrizi, Costantino, in Enciclopedia cattolica, IX, cit., coll. 965-966; WEBER, Kardinäle, II, cit., pp. 500-501; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1134-1137.

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Custode per ragguagliarli della cosa e spronarli a fare qualche pratica efficace. Nella mattina stessa parlai al Card. Antonelli, che secondo il solito si strinse nelle spalle325: mi escluse il progetto della protesta, la quale avrebbe luogo, quando seguisse l’occupazione e che trovandosi in Roma il Papa, dovea farsi dal Card. Segretario di Stato a nome di Sua Santità326. Il Card. Pitra presso le mie premure parlò al Card. Antonelli ed ottenne che si facesse un articolo da inserirsi in qualche giornale327. Mons. di Sanmarzano non si diede alcun carico della cosa, anzi ricusò ricevere il mio messo, seppure non fu una buona grazia del servitore328. Perciò scrissi in tutta fretta l’articolo inserito nell’Osservatore romano e spedii una lettera alla direzione dell’Unità cattolica329 per farlo ripetere in essa; siccome si fece con mia pochissima soddisfazione, perché si tacque il fatto della Repubblica, fatto che per la circostanza presente è molto significante330. Dopo l’articolo su L’osservatore romano, Martinucci pensò infatti opportuno diffonderlo anche attraverso le colonne del combattivo quotidiano cattolico torine325 Martinucci descrisse lo stesso gesto e lo stesso atteggiamento che Antonelli aveva manifestato circa quindici anni prima di fronte alla questione dell’acquisto, a dir poco non vantaggioso per la Santa Sede, della biblioteca di Mai (cfr. doc. XIII). L’indicazione «secondo il solito» mostra che Martinucci considerava la reazione del segretario di Stato per lui abituale; e si intuisce un sottinteso biasimo. 326 L’idea della «protesta», avanzata da Uccelli, venne respinta da Antonelli perché essa doveva seguire e non precedere l’occupazione di Biblioteca e Musei. Essa poi doveva avere carattere diplomatico ed essere quindi formulata dal segretario di Stato e non da altri (sulle «note» di Antonelli dopo le occupazioni degli edifici da parte delle autorità italiane, cfr. infra, nt. 338). 327 Nel colloquio fra Pitra e Antonelli prese forma l’idea di un articolo giornalistico, affidato a Martinucci, che già aveva scritto per giornali, come nel caso dell’acquisto nel 1869 del disegno del Giudizio Universale di Tommaso Minardi (cfr. infra, testo e nt. 342). 328 Asinari, allora forse residente a Frascati, nella villa Conti, non ricevette neanche l’inviato di Martinucci. Altra espressione del suo disinteresse per la Biblioteca ma anche manifestazione di quell’atteggiamento sdegnato da «Achille sotto la tenda» assunto dopo le dimissioni dell’ottobre 1866. 329 Sul quotidiano, fondato a Torino nel 1863 da don Giacomo Margotti e trasferito nel 1893 a Firenze, dove proseguì le pubblicazioni sino al 1929, M. TAGLIAFERRI, L’unità cattolica. Studio di una mentalità, Roma 1993 (Analecta Gregoriana. Series Facultatis Theologiae, B: 36). Espressione della linea intransigente del movimento cattolico, il giornale (che subì sequestri e processi) uscì, dal 1870 al 1898, listato a lutto. 330 Agli occhi di Martinucci il precedente del 1849 era decisivo e non andava taciuto. È la prova che il secondo custode tendeva a vivere gli eventi del 1870 come una ripetizione delle vicende della seconda Repubblica Romana. In realtà in vent’anni lo scenario era profondamente mutato. L’occupazione era destinata a essere non più una parentesi ma uno stato nuovo e permanente.

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se L’unità cattolica. Il giorno stesso della pubblicazione sull’Osservatore, il secondo custode scrisse quindi al direttore de L’unità cattolica, don Giacomo Margotti331, per coinvolgere nella campagna di stampa l’organo di punta della nascente intransigenza cattolica332:

Roma dalla Biblioteca Apostolica al Vaticano, 21 dicembre 1870 Pregiatissimo Signore, Nell’Osservatore Romano che è stato pubblicato questa mattina ho fatto inserire un breve articolo sulla Biblioteca Vaticana, cui ora presiedo per beneficenza di Sua Santità. L’oggetto si è di far conoscere che questa appartiene al Papa non come a Sovrano temporale ma come a Capo della Chiesa Cattolica. Sotto questo rapporto non potrebbe essere occupata dal governo attuale. Prego perciò V.S. a compiacersi inserire333 qualche altro articolo nel suo benemerito giornale in quella maniera, che stimerà più confacente allo scopo d’impedire se si potrà questo latrocinio. Si compiacerà farmi avvertire dal Sig. Avvocato Giordani334 quale somma abbia da retribuire per la spesa. Anticipandole i ringraziamenti con distinta stima ed ossequio ho l’onore di rassegnarmi Sig. D. Giacomo Margotti. Torino L’unità cattolica del 25 dicembre 1870, p. 2, infatti non riprese ad verbum l’articolo di Martinucci ma lo inserì in un quadro più ampio335:

331

Il sacerdote Giacomo Margotti (1823-1887) fu, nel 1848, tra i fondatori a Torino de L’armonia della religione colla civiltà, organo dell’opposizione cattolica al liberalismo cavouriano; ne lasciò la direzione nel 1863 per fondare, sempre a Torino, L’unità cattolica, dai toni più moderati, R. U. MONTINI, Margotti, Giacomo, in Enciclopedia cattolica, VIII, cit., coll. 74-75; M. F. MELLANO, Margotti, Giacomo, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, II: I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 330-332; G. LUPI, Margotti, Giacomo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXX, Roma 2008, pp. 176-180. 332 Arch. Bibl. 42, f. 373r-v. Minuta, autografa, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime due pagine. Coprendo in parte il testo, mano successiva, a matita blu, ha scritto: «Lettera del Martinucci al Direttore dell’Unità cattolica per trasmettergli l’articolo dell’Osservatore intorno alla Biblioteca Vaticana». 333 inserire: in un primo momento Martinucci aveva scritto inserirlo, evidentemente pensando a una semplice ripresa dell’articolo dell’Osservatore da parte del giornale torinese; in un secondo momento corresse il termine in inserire, aggiungendo nella metà rimasta bianca del f. le parole qualche altro articolo, quindi suggerendo la pubblicazione di altro articolo sullo stesso soggetto, come effettivamente avvenne. 334 Personaggio non meglio identificato. 335 Arch. Bibl. 42, f. 382v.

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La Biblioteca Vaticana Dal momento che la città di Roma venne dichiarata “stabilimento nazionale,” e come tale occupata dalle truppe italiane; dacché quale “stabilimento nazionale” si aprì il Quirinale furtivamente336 e si invase il Collegio Romano, cancellandone dalla porta il santo Nome di Gesù337, tutti i Romani debbono stare in sull’avviso che, per un decreto della Luogotenenza od una circolare del Ministero338, non vengano dichiarate “stabilimenti nazionali” anche le loro proprietà private. Ora si sta adocchiando la Biblioteca Vaticana, e forse è già pronto qualche parere legale che la dica proprietà del Principe di Roma e non del Capo della Chiesa. Sarebbe una nuova prova della buona fede e delle rette intenzioni del nostro Governo. Sarebbe una perdita inestimabile se la Biblioteca Vaticana dovesse cadere in mano dei rigeneratori di Roma. Come hanno fatto Dio sa quali guasti per ammodernare il Quirinale, così sarebbero capaci di grattare le vecchie pergamene per iscrivervi i loro plebisciti. Essi rispondono che non lo faranno: ma a che giova questa promessa se, riconoscendo la Biblioteca Vaticana come loro proprietà, essi hanno potestà di farlo? Meno di ogni altra cosa una biblioteca è suscettiva di essere dichiarata “stabilimento nazionale,” dovendo necessariamente dipendere non dai mutamenti della politica, ma dalla stabilità del proprio carattere. Un edifizio può mutare destinazione senza essere distrutto per ciò; si commetterà un latrocinio, un sacrilegio, ma l’edifizio non è distrutto. Diversamente accade di una biblioteca. Mutatene il carattere, e la biblioteca è distrutta. È dunque essenziale ad una biblioteca di mantenerle il suo carattere. Anche largheggiando coi nostri padroni, fino a conceder loro la facoltà di occupare ed usurpare, noi crediamo però che si vergognerebbero di rivendicarsi, come un privilegio, la facoltà di distruggere. Or bene, togliere al Papa la Biblioteca Vaticana gli è un mutarne il carattere e quindi un distruggerla. Tanto è vero che quella Biblioteca appartiene al Papa come Papa e non 336 Le autorità italiane presero «formale possesso» del Palazzo del Quirinale il 1° novembre 1870; l’8 novembre seguì la «formale occupazione», MARTINA, Pio IX (1851-1866) cit., p. 251. Cfr. anche TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCCIV. 337 G. MARTINA, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia 2003 (Storia, 1), pp. 125-133; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCCIV. 338 Dopo la presa di Roma, Alfonso Ferrero della Marmora (1804-1878) era stato nominato luogotenente generale del re per Roma e per le province romane (9 ottobre 1870), incarico ricoperto fino al febbraio 1871, P. CASANA TESTORE, Ferrero della Marmora, Alfonso, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 44-47: 47. A proposito dell’occupazione degli edifici ecclesiastici di Roma il 5 marzo 1871 Gregorovius notò: «A poco a poco [scil.: gli Italiani] s’impadroniscono degli edifici pubblici e dei conventi per stabilirvi i ministeri. Antonelli scrive note sopra note, noiose come gli articoli di alcuni giornalisti; nessuno vi presta attenzione», GREGOROVIUS, Diari Romani cit., p. 539.

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come Re, che è anche detta da tutti Biblioteca apostolica, archivio della Santa Sede. La sua indole stessa, il suo scopo affatto religioso lo dimostrano luminosamente. Ma che più? La Biblioteca Vaticana fu incontrastabilmente fondata fin dai tempi in cui i Papi non avevano ancora dominio temporale. Quest’argomento ci sembra decisivo, e non v’è sofisma di leguleio che lo possa abbattere. Se quella Biblioteca apparteneva ai Papi quando essi non erano ancora Principi temporali, come può darsi che dessa sia una conseguenza, un accessorio, una proprietà del Principato temporale? Si concepisce benissimo una Biblioteca Vaticana senza Re, ma non si può concepire senza Papa. Noi qui omettiamo ogni altro argomento; ma vorremmo si rispondesse a quest’unico: — È vero, sì o no, che la Biblioteca Vaticana appartenesse ai Papi quando non erano ancora Principi temporali? — E questo essendo verissimo, chi potrà negare che essa appartenga loro come Papi, e non come Principi? Del resto è certissimo che la biblioteca apostolica esisteva fin dal terzo secolo. Ai tempi di S. Antero, eletto pontefice nel 235, esisteva una libreria nel palazzo Lateranense, la quale dicevasi Biblioteca ed archivio. Veggansi a tal riguardo le Memorie storiche del cardinale Mai, la Biblioth. Apost. Vatic. di monsignor Rocca, i Codic. mss. Biblioth. Vatic., tom. I, Praef. degli Assemani. San Girolamo, che fu segretario di S. Damaso I, papa del 367, afferma che da tutte le parti del mondo cristiano solevasi ricorrere all’Archivio romano, in cui si custodivano i Concilii generali per lo scioglimento delle controversie339. Nel Concilio Romano, celebrato da S. Gelasio I nel 496, si fa frequente menzione dell’Archivio e de’ bibliotecarii340. Il Panvinio poi, come si può vedere nel Rasponi, De Basilic. Lateran., lib. III, cap. XV, attribuisce l’istituzione di quella Biblioteca a S. Clemente I, creato Papa l’anno 93341. L’impostazione di Martinucci era squisitamente storica; L’unità cattolica allargava il discorso con un’impostazione più politica, culturale, ideologica. Il motivo di fondo era lo stesso ma il taglio era diverso. L’ultimo capoverso era dedicato alla storia ma sembrava attingere anche ad altre fonti, rispetto all’articolo di Martinucci. Va ricordato che Martinucci non era del tutto nuovo a interventi giornalistici. L’anno precedente, il 7 aprile 1869, sul Giornale di Roma, aveva pubblicato un 339 In questo capoverso si riprende e si sintetizza quanto Martinucci aveva sostenuto nel suo articolo. 340 Il riferimento a Gelasio e al concilio già in ASSEMANI, Praefatio generalis cit., p. XX. 341 C. RASPONI, De basilica et patriarchio Lateranensi libri quattuor (…), Romae 1656, pp. 246-247 (lib. III, cap. XV). Un lungo estratto di Panvinio, con riferimento a papa Clemente, nel capitolo precedente, pp. 242-246. Questi ultimi due riferimenti non erano presenti nell’articolo di Martinucci.

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articolo sull’acquisto da parte di Pio IX e sulla collocazione in Biblioteca Vaticana del disegno di Tommaso Minardi del Giudizio universale michelangiolesco in vista di una incisione commissionata a Luigi Longhi342.

XXI. Pio Martinucci, Memoria sulla chiave della porta dell’Archivio Segreto, 4 gennaio 1871343 Secolare era il problema dei rapporti di vicinato, non sempre amichevoli e cordiali, fra Biblioteca Apostolica e Archivio Segreto344. La «memoria» di Martinucci rappresentava dunque un momento di un lungo e faticoso confronto. Al di là della questione, in realtà piuttosto minuta e secondaria, va rilevato che il testo precede di alcuni mesi un’altra «memoria» di Martinucci, sulla commissione istituita nel dicembre 1871 per occuparsi dei cataloghi della Biblioteca Vaticana (doc. XXII). Entrambi i documenti presentano un secondo custode sempre più insofferente e risentito, a crescente disagio nell’ultima fase del pontificato di Pio IX, dopo la nomina di Pitra a cardinale bibliotecario (19 gennaio 1869), qualche anno prima della definitiva uscita di scena del primo custode Asinari di San Marzano (2 luglio 1876).

Memoria sulla chiave della porta dell’Archivio Segreto Dalla Biblioteca Vaticana 4 Gennajo 1871 Nel Maggio del 1870 Monsignor Cardoni Arcivescovo di Edessa fu nominato Archivista della S. Sede345. Il titolo è nuovo, perché vi sono sempre stati due Prefetti dell’Archivio, e la direzione dell’Archivio era affidata al 342 Arch. Bibl. 64, ff. 131r-132r. Dal 1811 Minardi lavorò al disegno per quasi dieci anni. Rimasto a Milano, il disegno passò, dopo la morte di Longhi, all’incisore Antonio Schiassi, allievo di Paolo Mercuri, che lo riportò a Roma. Pio IX acquistò il disegno per 4.000 scudi pari a 25.000 lire; fu collocato in Biblioteca Vaticana il 27 aprile 1869; attualmente reca la segnatura Disegni generali 5; Conoscere la Biblioteca Vaticana. Una storia aperta al futuro, a cura di A. M. PIAZZONI e B. JATTA, Città del Vaticano 2010, p. 222. 343 Arch. Bibl. 42, ff. 378r-379r. Originale, autografo, senza interventi di correzione o integrazione. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime tre pagine, utilizzandone la metà destra. 344 V. PERI, Progetti e rimostranze. Documenti per la storia dell’Archivio Segreto Vaticano dall’erezione alla metà del XVIII secolo, in Archivum historiae pontificiae 19 (1981), pp. 191237: 221-227. 345 Giuseppe Cardoni (1802-1873), dopo una «carriera» tutta romana e vaticana, il 15 settembre 1848 divenne presidente della Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici e fu consacrato vescovo in partibus il 7 novembre 1852; dal 1863 al 1867 vescovo di Recanati e Loreto, rientrò a Roma nel 1867 e nel 1870 fu nominato Archivista della Santa Sede, per mettere fuori gioco Theiner (cfr. supra, nt. 290); A. PIOLANTI, in La Pontificia Università Lateranense. Profilo della sua storia, dei suoi maestri e dei suoi discepoli, Roma 1963, p. 123; BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 675; WOLF, Prosopographie, I, cit., pp. 275-277; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. 478 e nt. 151, 486 e nt. 11, 602 e nt. 55, 640 e nt. 25, 702 e nt. 23.

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Card. Bibliotecario. Uno di questi Prefetti è il P. Agostino Theiner dell’Oratorio, convertito dal Protestantesimo, uomo di qualche merito, ma d’idee confuse, come dimostra dalle opere che ha pubblicato. Per lo spazio di 17 anni è stato l’unico Prefetto ed erasi costituito qual padrone assoluto dell’archivio segreto, finché avvedutisi troppo tardi i Superiori dell’errore commesso nominarono l’altro ed inibirono al P. Theiner di più accostarsi all’Archivio346. Anzi profittando della critica circostanza de’ tempi gli chiusero con muro tutte le porte esterne, delle quali la prima fu quella che dalla casa del P. Theiner si passava all’Archivio e ne aprirono una nuova nell’interno del Palazzo nella galleria chiamata degli arazzi347. L’altra porta è nella sala grande della Biblioteca Vaticana, perché una volta l’archivio segreto era unito alla Biblioteca Apostolica, ed i Custodi di essa erano anche i Prefetti dell’Archivio348. Avvenuta l’invasione di Roma ai 20 Settembre di quest’anno, e volendosi ammettere gli estranei a visitare il Museo fu chiusa la galleria degli arazzi con una porta distinta. All’archivista furono date le chiavi di tutte le porte, meno di questa. Dopo vani dibattimenti si risolvé che l’archivista avesse l’accesso all’archivio per la porta che è nella Biblioteca349. Il custode della biblioteca ha la chiave esterna della porta dell’archivio per la sicurezza della biblioteca stessa, nel modo stesso con cui il Prefetto dell’archivio ne ha un altra diversa per sicurezza dell’archivio medesimo350. Questa mattina 4 Gennaio 1871 circa le ore 9 antem. si è presentato alla biblioteca Monsignor Cardoni e per parte del Card. Antonelli mi ha significato questa disposizione ed in conseguenza mi ha dimandato la chiave suddetta351. Ho fatto una protesta, dicendo che finché la chiave era presso l’Ab. Debellini addetto all’archivio segreto, che è persona della cui onestà, esattezza e rettitudine non può dubitarsi, ero sicuro della biblioteca, perché avendosi questa chiave potevasi in qualunque tempo 346 Martinucci qui non ricordava la vicenda della comunicazione da parte di Theiner, durante i lavori del concilio Vaticano I, del regolamento del concilio Tridentino alla minoranza anti-infallibilista (cfr. supra, nt. 290). 347 Collocata fra la Galleria dei Candelabri e la Galleria delle Carte Geografiche; Guida generale cit., pp. 352-353. 348 A proposito della porta nel Salone Sistino che introduce ad ambienti dell’Archivio Vaticano, MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXXVIII, cit., p. 245; M.C., Biblioteca Vaticana cit. 349 Cioè dal Salone Sistino. 350 Il sistema della doppia chiave era studiato in modo tale che non si potesse passare da una parte all’altra, senza il consenso di entrambe le istituzioni, Biblioteca e Archivio, detentrici delle chiavi. Da quanto viene affermato in seguito sembra di intuire che però, per praticità, anche la chiave della Biblioteca era nella disponibilità dell’Archivio e viceversa. 351 Pare di capire che all’inizio di gennaio 1871, con una nuova disposizione, di cui si ignorano motivazioni e genesi, il sistema della doppia chiave fu abolito provocando le vibranti proteste di Martinucci.

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entrare occultamente nella biblioteca ed io non potevo più garantire la sicurezza della medesima. Si aggiunge con questa disposizione un’altro peso al custode di rispondere cioè all’esigenza dell’archivista. Ho consegnato la suddetta chiave lasciando questa memoria dell’avvenuto per regola ec. ec. P. Martinucci XXII. Pio Martinucci, Memoria sulla commissione istituita nel dicembre 1871 sui cataloghi della Biblioteca Vaticana, dicembre 1871352 L’espressione più chiara del crescente disagio di Martinucci agli inizi degli anni Settanta fu la sua presa di posizione a proposito della commissione costituita da Pio IX il 4 dicembre 1871 per esaminare la questione dei cataloghi della Biblioteca Vaticana. Dagli inizi del suo mandato di secondo custode, nei primi anni Cinquanta, Martinucci aveva insistito sulla necessità di completare e mantenere aggiornati i cataloghi e dei risultati ottenuti si era detto soddisfatto (cfr. docc. IX, X). La costituzione di una commissione sul soggetto, voluta da Pitra e appoggiata da De Rossi, significava dunque mettere in discussione l’operato di Martinucci su uno dei punti che gli stavano maggiormente a cuore. Significava soprattutto prestare ascolto, secondo il secondo custode, alle calunnie interessate di quanti, per impadronirsi della Biblioteca, sostenevano che in essa neanche si conosceva quanto vi era conservato. Si trattava dunque di un cedimento alle pressioni esterne dei nuovi «spudorati padroni di Roma», che si aggiungevano e si saldavano alle costanti e crescenti pretese degli studiosi esterni ma anche alle impazienze e alle insoddisfazioni di quanti all’interno della Biblioteca (in primis De Rossi e Pitra) erano più sensibili alle esigenze degli studi e delle ricerche che alle preoccupazioni sulla riservatezza dei documenti che tanto angustiava Martinucci determinandone scelte e comportamenti. Probabilmente mai come in questa occasione Martinucci dovette sentirsi isolato e accerchiato, all’interno e all’esterno della Biblioteca, forse non capito e difeso neanche dal papa del quale portava il nome. Molto eloquente è l’incipit del testo, che rivela in maniera inequivocabile lo stato d’animo del secondo custode. In questo quadro profondamente alterato Martinucci non sembrava più rivolgersi ai contemporanei; aveva perso ogni speranza per il presente e non gli restava che «lasciare qualche memoria affinché si conosca dai posteri il vero stato 352 Arch. Bibl. 60, ff. 408r-410r. Minuta, autografa, con numerose correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Due bifogli ai quali è aggiunto un f. iniziale (ff. 406-410). Sulla prima pagina (f. 406r) è indicato a penna: Anno 1871 / Rapporto di Mons. Martinucci sulla Biblioteca. Dopo tre pagine, rimaste bianche, sono scritte le pagine dalla quinta alla nona (= ff. 408r-410r) ed è rimasta bianca l’ultima (f. 410v). I ff. presentano tracce di ceralacca, che presistevano alla scrittura. Ai ff. 410v e 408v-409r, quasi in coincidenza con la piegatura, è indicato trasversalmente il nome di Martinucci, come destinatario di messaggi (Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor / Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Monsignor D. Pio Martinucci). Una copia in Arch. Bibl. 63, f. 83r-v. Alla memoria allude BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 232, 243 nt. 10.

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delle cose». Nella stessa direzione, probabilmente non apprezzata da Martinucci, si colloca il motu proprio di Pio IX del dicembre 1877, che aumentava le ore di apertura della Biblioteca per lo studio e quelle di impegno per la Biblioteca degli «scrittori»353. Per Martinucci, probabilmente, un altro cedimento ai sempre più soverchianti idola fori.

Sulla commissione per la Biblioteca Vaticana. Decembre 1871. Ella è cosa ben malagevole l’essere costretti a vivere tra persone, le quali o non ricordano le loro azioni, oppure le ricordano per narrarle a loro modo354. Quindi è spediente lasciare qualche memoria affinché si conosca dai posteri il vero stato delle cose. Nel Decembre 1850 fui nominato da Sua Santità PP. Pio IX all’officio di secondo custode della Biblioteca Vaticana, vacato per la promozione di Monsignor Andrea Molza all’officio di primo. Incontrai355 nel primo custode un ottima persona, ma oltremodo strana, siccome lo dichiara il fine infelice che fece nel principio di luglio 1851 in cui si suicidò con un rasojo per effetto di pazzia. Rimasto a capo della Biblioteca stessa conobbi la necessità di ordinare qualche migliajo di codici, ed erano oltre quelli acquistati dal Card. de Zelada356, tutti gli altri che trasportati quivi dai monasteri e conventi soppressi dal Governo Francese, non furono mai restituiti agli antichi possessori, e molti altri acquistati nel tratto di tempo successivo357. Coll’intesa del Card. Lambruschini Bibliotecario e coll’assenso di Sua Santità chiamai gli scrittori e significai loro questa determinazione superiore. Gli scrittori che si prestarono furono D. Pietro Matranga, D. Antonio Erculei358, 353 BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 775 nt. 2; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 234, 245 nt. 33. Cfr. anche Arch. Bibl. 7, f. 344v (Rapporto Ciccolini, p. 18). 354 In un primo momento Martinucci aveva esordito diversamente: Ella è cosa malagevole / odiosissima di tessersi il proprio elogio contro ciò che insegna lo Spirito Santo… Quando però siamo. Le parole sono poi state depennate. 355 Prima di Incontrai Martinucci aveva scritto Disgraziatamente, poi depennato. 356 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 184, 192 ntt. 17, 21, 219 nt. 23; GRAFINGER, Monsignore Pio Martinuccis Aufzeichnungen cit., p. 319. 357 BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 207-208. 358 Antonio Maria Erculei (1810-1868), di Ferentillo, in diocesi di Spoleto; prete secolare, dottore in teologia, era ritenuto uno dei migliori grecisti di Roma. Legato a Giuseppe Mezzofanti, succedette ad Antonio Nibby come «scrittore» greco il 2/9 marzo 1840, a seguito del concorso svoltosi il 29-30 gennaio precedenti, al quale parteciparono con altri anche Pietro Matranga e Luigi Vincenzi; fu docente di patrologia al Collegio S. Ignazio (1848-1853) e di letteratura greca nel Seminario romano (dal 1853); fu consultore di congregazioni; R. BOMBELLI, Notizie biografiche del professore Antonio Maria Erculei, Roma 1868; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 216-217, 228 ntt. 101-102, 234, 311; BOUTRY, Souverain et pontife cit., p. 692.

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D. Luigi Vincenzi359, D. Paolo Scapaticci, il Cav. Gio. Battista De Rossi, Vincenzo Castellini, e lo scrittore soprannumerario D. Luigi Zappelli. Lo scrittore sig. Francesco Massi non si poté prestare, perché occupato dal grave pensiero di 12 figli360. Il cav. De Rossi procurava di avere il primato sopra i suoi colleghi, ma attesa la mia fermezza non gli riuscì. Conviene però dargli il vanto di avere lavorato più degli altri, perché ordinò tutte le carte appartenenti a Monsignor Gaetano Marini e molte delle altre acquistate dalla eredità dell’Ab. Francesco Cancellieri. Con questo lavoro giovò è vero allo stato della Biblioteca, ma giovò ancora agli studi suoi di archeologia361. Quindi in tempo limitato furono fatte le schede a molti codici, il numero dei quali non saprei ora indicare con esattezza. Nel Giugno 1852 fu nominato primo custode Monsignor Alessandro Asinari di Sanmarzano Arcivescovo di Efeso, soggetto eccellentissimo, ma non adattato affatto a quell’ufficio. Dal contegno da lui adottato sembra che avesse avuto istru359

Luigi Vincenzi (1808-1880), di S. Mauro di Romagna (Forlì), dopo aver partecipato senza successo al concorso per lo scrittorato greco del 29-30 gennaio 1840, il 4 aprile 1845 divenne coadiutore dello «scrittore» ebraico Francesco Finucci; fu membro del collegio filologico dell’Università di Roma dal 1845; con altri aiutò De Rossi nella redazione dei tomi XI-XIII degli inventari dei Vaticani latini. Nell’aprile 1871 partecipò alla «Protesta» contro il documento di adesione a Döllinger e alle sue idee anti-infallibiliste di alcuni docenti dell’Università di Roma, reso pubblico qualche giorno prima; il 5 ottobre non giurò fedeltà al nuovo governo e decadde dall’insegnamento nella facoltà di filologia dell’Università di Roma. Nel dicembre dello stesso anno fu nominato membro della commissione per esaminare la questione dei cataloghi della Vaticana (presieduta da Pitra e composta inoltre da Asinari, Martinucci e De Rossi); dal 1874 divenne sotto-archivista dell’Archivio Vaticano, mantenendo comunque il suo posto in Biblioteca Vaticana; Arch. Bibl. 7, f. 278r; SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 112, 126, 170, 340; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 216-217, 228 nt. 101, 231, 244 nt. 13; DI SIMONE, La facoltà umanistica cit., pp. 371, 384-388, 392; FLAIANI, L’Università di Roma cit., pp. 66 nt. 272, 208, 284, 298; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCCVII e nt. 107, CCCXII nt. 128, 649-650 e nt. 50 (con bibliografia), 720. 360 L’osservazione a proposito di Massi, anche alla luce di quanto Martinucci scrisse a suo riguardo nella nota sugli «scrittori» vaticani nella seconda metà degli anni Settanta (cfr. infra, doc. XXIII), appare polemicamente ironica. 361 Dunque si riferiscono a De Rossi gli accenni di Martinucci all’ordinamento delle carte Marini e Cancellieri nei docc. IX-X, ove però il lavoro veniva attribuito a due «scrittori» (ma cfr. supra, nt. 185). Il secondo custode lamentò poi la volontà di De Rossi di prevalere sugli altri «scrittori», rintuzzata e frenata dalla sua «fermezza». Martinucci peraltro non negò l’operosità di De Rossi ma l’attribuì in parte anche al calcolo di giovare «agli studi suoi di archeologia». La posizione particolare di De Rossi doveva essere chiara, comunque, anche a Pio IX. Il 27 giugno 1853, quindi nella data della duplice nomina di Mai e Asinari, il papa, «per dimostrare agli Scrittori della Biblioteca Vaticana la soddisfazione per la diligenza da loro usata nel servizio della Biblioteca», inviò loro, tramite Martinucci, una medaglia d’argento. De Rossi fu privilegiato con una medaglia d’oro, «volendo con ciò riconoscere anche l’impegno che ha dimostrato nella commissione di Archeologia sacra», cfr. la lettera di Martinucci a De Rossi, Biblioteca Vaticana, 27 giugno 1853 (Vat. lat. 14239, f. 142r). Si può immaginare la poca soddisfazione del secondo custode nel compiere l’incarico.

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zione di fare in maniera che fosse ligio a De Rossi ed al Prof. Tessieri, e dippiù che desse il comando ad uno scopatore che poi fu espulso nel Giugno 1866362. Quindi il De Rossi si fece capo di questo lavoro, ed ottenne di essere il censore de’ suoi colleghi. Non nego che molte schede meritavano una qualche revisione e correzione. Conosciutasi questa cosa dagli altri scrittori si gravarono giustamente presso Mons. di Sanmarzano, ma inutilmente. Quindi cessò il lavoro, che rimase imperfetto. Furono fatte trascrivere in un volume molte di quelle schede, alcune delle quali con qualche errore. Proseguì poi a camminare la faccenda della Biblioteca nell’inerzia, perché gli scrittori non intervenivano allo studio, o se intervenivano studiavano a conto proprio363. Nel 1866 fui chiamato dal Papa e poi dal Card. Antonelli e pregato a pormi a capo della Biblioteca per far cessare la confusione ed il disordine, che era giunto al colmo, poiché l’andamento ordinario della Biblioteca dipendeva in tutto dal detto scopatore, che in quell’epoca fu espulso364. Più e più volte pregai i superiori a richiamare all’ordine dovuto gli scrittori, ma tutto riuscì inutilmente, giacché volevano che io ne assumessi tutta la responsabilità. Rispondeva che mi dessero un ordine in iscritto, acciò lo potessi loro mostrare, colla minaccia di sospendere il salario a chi non si fosse prestato. Non potei ottenere nulla365. Nel 1869 fu nominato Bibliotecario di S. Chiesa il Card. Pitra Francese, il quale non vede non sente e non intende altro che quello che gli dice e

362 Nella prospettiva di Martinucci, Asinari era stato istruito (non si precisava da chi) a conformarsi alle indicazioni di De Rossi e Tessieri, lasciando poi la Biblioteca nelle mani dello «scopatore padrone», Alessandro Boaselli, poi espulso dalla Biblioteca nel giugno 1866. A distanza di anni, ancora una volta, Martinucci è tradito dalla memoria; data al giugno 1852 la nomina di Asinari, avvenuta in realtà un anno dopo, il 27 giugno 1853. 363 L’avvento di Asinari permise a De Rossi, secondo Martinucci, di ribadire le sue pretese di primato sugli altri «scrittori», provocando la loro reazione risentita. Sarebbe questo il motivo dell’arresto dell’inventario dei Vaticani latini. Effettivamente il tomo XI dell’inventario dei Vaticani latini, relativo ai Vat. lat. 8472-9019, allestito negli anni 1852-1855, fu trascritto e messo a disposizione solo nel 1880, Guida ai fondi, I, cit., p. 638. Il motivo dello scarto cronologico andrebbe allora individuato in questi dissidi interni alla Biblioteca e al collegio degli «scrittori». 364 Quanto scrisse Martinucci conferma che il 1866 fu un anno cruciale per la Biblioteca in cui le tensioni accumulatesi negli anni sfociarono in una crisi risolutiva: Boaselli fu allontanato, Asinari ridimensionato, il potere di Martinucci rafforzato, ma senza giungere alla titolarità della protocustodia alla quale aspirava dall’inizio degli anni Cinquanta. 365 Sconfitta la fronda degli «scopatori» e confinato Asinari in un ruolo di pura titolarità nominale, Martinucci doveva ora affrontare l’«inerzia» degli «scrittori», buona parte dei quali parteggiava per De Rossi. Martinucci confessò quindi su questo fronte il suo fallimento, confermato dalla disincantata nota sugli «scrittori» redatta nella seconda metà degli anni Settanta (doc. XXIII).

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gli suggerisce il De Rossi366. Il detto Cardinale mi ha parlato più volte di compiere gl’inventari e gl’indici, e ciò ancora per trarre giovamento per i suoi studi, giacché gli piace di trovare i lavori già fatti siccome lo prova il fatto del P. Nikes ora defunto367. Nulladimeno non fece altro che lodare il De Rossi, dicendo che lui solo avea fatto l’inventario, e che per questo riguardo gli era molto tenuta la Biblioteca Vaticana. Non si poteva dirgli nulla in contrario, perché non volea udire ragione alcuna. Invasa la nostra città dai Buzzurri ossia dal supposto ladro ed infame governo italiano, fu per tratto speciale della misericordia di Dio che non potessero penetrare nella Biblioteca. I maligni che voleano fare un guadagno su di essa procurarono tutt’i modi d’impossessarsi della medesima, né mancarono con articolacci dei loro spudorati giornali di dire che non vi erano indici, non vi erano gl’inventari, che non si sapeva quello che vi era ed altre simili calunnie. Il Card. Pitra profitto (sic) di questa circostanza ed annojò tanto il Santo Padre ed il Cardinale Antonelli, che alla perfine nominarono una commissione per completare i detti inventari ed indici368. Il De Rossi fu dal 366 Il legame fra Pitra e De Rossi aveva in realtà ragioni e radici ben più profonde di quanto, piuttosto superficialmente, venne qui affermato da Martinucci. Pitra era infatti un monaco della congregazione di Solesmes, guidata da quel Prosper Guéranger che era stato determinante per la maturazione spirituale e la fede di De Rossi, cfr. P. VIAN, Un’amicizia segreta: Giovanni Battista De Rossi e Prosper Guéranger, in Strenna dei Romanisti 75 (2014), pp. 475-486. Sia De Rossi che Pitra condividevano la passione e l’impegno per gli studi in una prospettiva apologetica che però era sicuramente lontana dalle visioni meramente difensive e polemiche di Martinucci e che si sarebbe presto rivelata distante anche dai programmi di Leone XIII, nei quali il medioevo prese il posto delle antichità cristiane. Sui difficili rapporti di Martinucci con Pitra, BATTANDIER, Le card. Jean-Baptiste Pitra cit., pp. 587-588, 777-778, 780-782; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 232, 274 nt. 54. 367 Come aveva fatto per De Rossi, anche per Pitra Martinucci ridusse l’interesse per il progresso degli inventari al tornaconto per gli studi personali. Come era accaduto per Mai, Martinucci stentava a comprendere le ragioni della ricerca e degli studi. Johannes Anselmus Nickes (1825-1866), benedettino tedesco, a lungo residente a S. Paolo fuori le mura; si occupò di critica testuale vetero-testamentaria e del concilio di Firenze, H. HURTER, Nomenclator literarius theologiae catholicae […], V, Oeniponte 19115, pp. 1229-1230. 368 Il 4 dicembre 1871 il card. Antonelli comunicò a Martinucci, la costituzione di una commissione affinché «i Cataloghi della Biblioteca Vaticana siano meglio regolati e completati nelle singole parti»; la Commissione avrebbe dovuto esaminare e proporre «tutte quelle misure che stimerà necessarie ed opportune al conseguimento dello scopo». Presidente della Commissione era Pitra; membri erano Asinari, Martinucci, Vincenzi e De Rossi (Arch. Bibl. 7, f. 278r). Martinucci ricollegò dunque la costituzione della Commissione all’interessata pressione esterna del «supposto ladro ed infame governo italiano», attraverso una campagna di «articolacci dei loro spudorati giornali», alla quale si sarebbe congiunta la linea Pitra-De Rossi, con altre motivazioni, per l’interesse degli studi, ma con il medesimo obiettivo, il potenziamento degli inventari. Sulla commissione, cfr. G. B. DE ROSSI, La Biblioteca della Sede Apostolica ed i cataloghi dei suoi manoscritti, in Studi e documenti di storia e diritto 5 (1884), pp. 317-368: 323; BATTANDIER, Le cardinal Jean-Baptiste Pitra cit., p. 775; CABROL, Histoire du

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Cardinale stesso nominato attuario, segretario e regolatore. In questa circostanza di nuovo disse il De Rossi essere sua opera l’inventario già scritto, e dippiù che volea porvi una memoria di elogio non già ai suoi colleghi ed al Card. Bibliotecario di quel tempo, ma all’attuale Card. Bibliotecario ed alla sua persona. Procurai di avere tutte le schede quali ho gelosamente conservate per far conoscere quanto sia lontano dal vero che esso solo si sia adoperato in quel lavoro, e prego che siano conservate per giustificazione di quanto ho detto sopra369. Dippiù mi dispiace che siasi dato ascolto alle menzogne dei giornali italiani, lo scopo de’ quali si è di avversare tutti gli atti della S. Sede. Colla nomina della commissione suddetta si è sanzionato quanto è da essi asserito gratuitamente e falsamente. Sarebbe quindi necessario di smentire le loro calunniose asserzioni, con pubblicare l’elenco degli indici e degli inventari370. [Con inchiostro diverso, in un secondo momento Martinucci ha scritto: Nel congresso tenuto li 22 Gennajo 1872 il Cav. De Rossi convenne nella mia opinione di porre la scheda a capo di ciascun codice, per conoscere le materie in esso contenute. In questo modo mi riuscì ottenere l’intento di conservare le schede dalle quali apparirà che l’inventario non fu fatto da lui solamente, ma anche dagli altri scrittori]371. cardinal Pitra cit., pp. 302-303; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 244 nt. 13. Il biglietto di Antonelli per la costituzione della Commissione, 4 dicembre 1871, in Arch. Bibl. 7, f. 278r. 369 Per contestare il ruolo di De Rossi nell’esecuzione del lavoro, Martinucci conservò le schede che, poi trascritte in volume, avrebbero costituito gli inventari. Dalla scrittura delle schede si sarebbe potuto ricavare la reale paternità delle descrizioni. Già nel gennaio 1853 ca., scrivendo a Pio IX, Martinucci aveva stigmatizzato, pur senza nominarlo, le pretese di «chi impudentemente spacci di far tutto» (cfr. doc. X). Dopo la costituzione della Commissione videro effettivamente la luce ben cinque tomi dell’inventario dei Vaticani latini: in ordine cronologico, il X (negli anni 1876-1878), i tomi XI-XIII (nel 1880), l’VIII (nel 1882); Guida ai fondi, I, cit., pp. 637-638. Come se si fosse tolto il tappo che ostruiva il passaggio di un liquido. 370 Per smentire le interessate calunnie di quanti sostenevano la carenza di inventari e indici, Martinucci auspicava la pubblicazione dell’elenco degli inventari e degli indici esistenti. Lui stesso aveva in passato steso accurate note su cataloghi e inventari disponibili per i diversi fondi (Arch. Bibl. 42, ff. 487r-489v). L’articolo auspicato da Martinucci sarebbe stato paradossalmente scritto dal suo “nemico” De Rossi e avrebbe visto la luce proprio nell’anno della morte di Martinucci, il 1884, DE ROSSI, La Biblioteca cit. 371 Nell’ambito dei lavori della Commissione Martinucci ottenne dunque, il 22 gennaio 1872, di inserire la scheda descrittiva originaria «a capo di ciascun codice». Le ho cercate, sinora senza successo, concentrandomi sui Vat. lat. 8472-9019, che sono poi le segnature comprese nel tomo XI dell’inventario dei Vaticani latini. Le schede di cui scrive Martinucci furono comunque conservate e sono ora raccolte in diversi manoscritti Vaticani latini: Vat. lat. 13166, pt. 1 (descrizioni dei Vat. lat. 7245-7599, confluite nel tomo X, pt. 1, dell’inventario dei Vaticani latini); Vat. lat. 13166, pt. 2 (descrizioni dei Vat. lat. 7600-8066, confluite nel tomo X, pt. 1); Vat. lat. 13167 (descrizioni dei Vat. lat. 8067-8471, confluite nel tomo X, pt. 2); Vat. lat. 13173, pt. 1 (descrizioni dei Vat. lat. 8472-9019, confluite nel tomo XI); Vat. lat. 13173, pt. 2 (descrizioni dei Vat. lat. 9020-9445, confluite nel tomo XII); Vat. lat. 13174 (de-

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XXIII. Pio Martinucci, Nota sugli «scrittori» della Vaticana, s.d. (post 8 agosto 1876)372 La conferma della poca stima di Martinucci per il collegio degli «scrittori» nella seconda metà degli anni Settanta giunge da una breve nota in cui venivano passati in rassegna i diversi nominativi, con brevi appunti sulla disponibilità al lavoro, sulla presenza in Biblioteca, sulle diverse situazioni personali e familiari. Il testo è privo di datazione ma l’inclusione fra gli «scrittori» di Agostino Ciasca, nominato l’8 agosto 1876, permette di considerare questa data come termine post quem. Nei giudizi di Martinucci, dal tono oggettivo, di constatazione più che di valutazione, sembrano salvarsi soltanto Zappelli e Vincenzi. Sono lontani gli anni in cui il collegio, apparentemente unanime, si era schierato, nel marzo 1852, a favore della nomina di Martinucci a primo custode.

Scrittori della Bibl. Vat. Prof. Francesco Massi scrittore in lingua latina — Gli scrittori latini erano due. Gregorio XVI ad istanza della fel. mem. Monsignor Laureani assegnò la dote per un terzo scrittore latino per prendere il suddetto Massi373. Non si presta mai al suo officio e neppure si presenta mai per occupare il posto, che gli spetta. Commendatore Gio. Battista De Rossi scrittore in lingua latina. Si è occupato pel passato nell’ordinare le miscellanee archeologiche del celebre Monsignor Gaetano Marini. Qualche volta si presenta alla Biblioteca nelle ore non assegnate allo studio. Ha assunto l’impegno di continuare l’indice, dei codici aggiunti scrivendolo in sua casa — Si è assunto l’altro incarico di rivedere l’inventario, che si compila dal sig. Marchetti. Ve ne sono tre volumi, ma incompleti, né si possono usare perché tuttora sciolti374. scrizioni dei Vat. lat. 9446-9849, confluite nel tomo X). Descrizioni di De Rossi poi confluite nel tomo X si trovano anche nel Vat. lat. 13161, ff. 166r-200r. Stesure più antiche del tomo VIII nel Vat. lat. 13165, del tomo X nel Vat. lat. 13164; cfr. Inventario dei codici Vaticani latini 12848-13725 cit., ff. 67-69. 372 Arch. Bibl. 5, ff. 331r-332v. Autografo, con correzioni e integrazioni, nell’interlineo e nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un bifoglio di cui sono scritte le prime tre pagine. Sulla quarta pagina Martinucci ha indicato alcuni nomi di primi custodi con alcune date (non sono quelle di nomina ai diversi ruoli occupati in Vaticana): «Felix Contelorius 9. Jan. 1634. Emman. Schelstrate 20 Apr. 1687. Carolus Maiella 5 Jan. 1721. Jos. Simonius Assemani 18 Jan. 1739. Ang. Mai 20 Apr. 1823. Jos. Mezzofanti 12 Febr. 1833. Gabr. Laureani 2 Febr. 1844». Una copia in Arch. Bibl. 63, f. 85r-v. 373 Secondo Martinucci, la nomina di Massi fu dunque fatta da Gregorio XVI nel 1834 e poi nel 1840 «ad personam», ampliando a suo favore l’organico che sino allora prevedeva solo due «scrittori» latini. 374 Al momento in cui Martinucci scriveva, nella seconda metà degli anni Settanta, il riferimento è sicuramente ai tomi XI-XIII dell’inventario dei Vaticani latini, che furono trascritti

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Can. D. Luigi Zappelli terzo scrittore latino — Si presta con assiduità ed a motivo della vista molto lavora in sua casa. Ha composto il catalogo delle edizioni del sec. XV. e delle edizioni di Aldo. Ora si occupa dell’inventario dei codici Capponiani375. Prof. D. Luigi Vincenzi scrittore in lingua ebraica. Si è sempre prestato per la Biblioteca ed ha supplito all’ufficio del 2°. Custode quando questi era infermo. Da circa tre anni fu impiegato nell’archivio segreto, volendo il S. Padre dargli un ajuto[.]376. Prof. D. Paolo Scapaticci scrittore in lingua ebraica. Frequenta la Biblioteca non sempre e presentandosi circa l’ora della chiusura377. Ha ora ottenuto la facoltà di estrarre due codici di un dizionario siriaco, promettendo di completarlo per darlo alle stampe378. Conte Augusto della Porta scrittore greco379 — È minutante nella segreteria dei Brevi, e si occupava a fare scuola nel liceo della Pace380 — Coll’impiego dei Brevi difficilmente può occuparsi della Biblioteca.

e messi a disposizione nel 1880, cfr. supra, nt. 369. Odoardo Marchetti collaborò con De Rossi nel rifacimento del tomo X, negli anni 1876-1878, BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 231; Guida ai fondi, I, cit., p. 638. Per gli indici, compilati da De Rossi con l’aiuto di Giuseppe Gatti e Alfredo Monaci fra gli anni Settanta e Novanta, ibid., p. 639. Strumenti e stesure preparatorie per l’allestimento degli indici nei Vat. lat. 13168-13172. 375 Per Zappelli, cfr. supra, nt. 170. 376 Per Vincenzi, impegnato anche in Archivio Vaticano, cfr. supra, nt. 359. Il secondo custode qui evocato dovrebbe essere Martinucci, non Johann Bollig. 377 In un primo momento Martinucci aveva scritto qualche volta [volta aggiunto nell’interlineo] tre quarti d’ora prima della chiusura; in un secondo momento ha depennato le parole qualche […] prima, lasciando però volta, che aveva aggiunto nell’interlineo. 378 Verso la fine del pontificato di Pio IX, Scapaticci chiese al papa di poter estrarre due manoscritti «di un Lexicon Siro Latino»; il supplicante aveva in animo di pubblicare «un Lexicon per comodo della gioventù studiosa, essendo già tutte esaurite le copie del Lexicon compilato dal Michelis [Johann David Michaelis, 1717-1791] non scevro certamente di gravi errori». Sulla copia della supplica Martinucci indicò che nel corso dell’udienza del 6 dicembre 1876 il papa aveva accolto la richiesta; nel corso dell’udienza del 6 aprile 1878 Leone XIII approvò la proroga del prestito. I codici furono restituiti il 26 febbraio 1879 (Arch. Bibl. 5, ff. 337r, 338v). Non risulta che il dizionario sia poi stato pubblicato. 379 Augusto della Porta Rodiani, conte, fu coadiutore degli «scrittori» latini il 16 gennaio 1846 e succedette ad Antonio Erculei come «scrittore» greco il 31 agosto 1867; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 217, 229 nt. 108, 234, 246 nt. 40. Probabilmente era parente di Giuseppe della Porta Rodiani (1773-1841), cardinale in pectore dal 1834 e vicario di Roma dal 1838, BOUTRY, Souverain et pontife cit., pp. 362-363; WOLF, Prosopographie, I, cit., pp. 469-471. 380 Attivo sino al 1870, il liceo della Pace aveva anche un ginnasio che sopravvisse sino al 1878, quando si fuse con il ginnasio di Via delle Botteghe Oscure assumendo il titolo di «Angelo Mai», G. MARTINA, La fine del potere temporale nella coscienza religiosa e nella cultura dell’epoca, in Italia, in Archivum historiae pontificiae 9 (1971), pp. 309-376: 364 nt. 86.

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P. D. Giuseppe Cozza Monaco Basiliano381 — altro scrittore in lingua greca. Si occupa della edizione della Bibbia greca. È necessario rilegare quel codice preziosissimo qual’è tuttora sciolto per comodo del detto P. Cozza, che estrae i fogli che gli servono382. È ancora occupato negli officii del suo ministero stando a capo del collegio e della stamperia per cui spesso è obbligato a stare ivi383. P. Agostino Ciasca Agostiniano scrittore per le lingue orient. Si occupa del catalogo dei codici arabici per completarlo384. Tutti i suddetti hanno l’assegno di £. 96.75. al mese. Prof. Egisto Ceccucci scrittore aggiunto coll’assegno di £. 123.62385. 381

Giuseppe Cozza Luzi (1837-1905), di Bolsena (Viterbo), monaco (1860) e abate (1870) dell’abbazia basiliana di Grottaferrata; «scrittore» greco il 24 febbraio 1873, il 30 marzo 1882 fu nominato vice-bibliotecario di S.R.C. Cultore della memoria di Angelo Mai, continuatore delle sue edizioni ed editore dei suoi scritti, si occupò anche delle edizioni fototipiche del Vat. gr. 1209 (1889-1890) e del Codex Marchalianus, Vat. gr. 2125 (1890); BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 128 nt. 111, 192 nt. 22, 211, 212, 234, 236, 238, 239, 240, 246 nt. 41, 247 ntt. 53 e 66, 252 nt. 92, 254 nt. 103, 344; V. PERI, Cozza-Luzi, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, XXX, Roma 1984, pp. 547-551; L’abate Giuseppe Cozza-Luzi archeologo, liturgista, filologo. Atti della giornata di studio, Bolsena, 6 maggio 1995, a cura di S. PARENTI – E. VELKOVSKA, Grottaferrata 1995 (Ἀνάλεκτα Κρυπτοφέρρης, 1); L. CARBONI, La caduta dell’ultimo sotto-bibliotecario, in Studi in onore del cardinale Raffaele Farina, I, a cura di A. M. PIAZZONI, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 477), pp. 87-122. 382 Per l’impegno di Cozza Luzi per l’edizione del Codice B, dopo la morte di Vercellone, cfr. infra, doc. XXV. 383 Nell’abbazia di Grottaferrata era stato istituito nel 1850 un liceo (PERI, Cozza-Luzi, Giuseppe cit., p. 547) e vi era attiva una tipografia. 384 Agostino Ciasca (1835-1902), di Polignano a Mare (Bari), agostiniano, fu allievo alla Sapienza di Luigi Vincenzi e dal 1866 resse la cattedra di ebraico nel Collegio Urbano di Propaganda Fide; nominato «scrittore» per le lingue orientali l’8 agosto 1876, divenne «onorario» nel 1885; prefetto degli Archivi Vaticani il 19 maggio 1891, segretario di Propaganda Fide il 19 giugno 1893, fu creato cardinale il 19 giugno 1899. Partecipò al concilio Vaticano I come teologo e interprete dei vescovi orientali; aderì alla «Protesta» anti-döllingeriana dell’aprile 1871. Nel 1879, durante una missione per Propaganda Fide, acquistò manoscritti arabocristiani; A. C. DE ROMANIS, Ciasca, Agostino, in Enciclopedia cattolica, III, Città del Vaticano 1949, coll. 1578-1579; A. GIACOMINI, in La Pontificia Università Lateranense cit., pp. 137-138; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 248 nt. 69, 234, 236, 246 nt. 43, 252 nt. 89, 237; J. A. SOGGIN, Ciasca, Agostino, in Dizionario biografico degli Italiani, XXV, Roma 1981, pp. 223-224; WOLF, Prosopographie, I, cit., pp. 316-319; Guida ai fondi, I, cit., pp. 360, 361, 366, 367, 369, 370, 381, 382; 560, 563, 564; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCCVII nt. 108. Il catalogo cui fa riferimento Martinucci non riguarda solo i manoscritti arabi ma è un supplemento per le allora nuove accessioni dei fondi orientali: Supplementum ad catalogum codicum orientalium (riproduzione fotografica del manoscritto: Sala Cons. Mss. 79 rosso; l’originale manoscritto è attualmente segnato Vat. lat. 15379; cfr. Guida ai fondi, I, cit., pp. 564, 571, 573, 652-653, 654). 385 Egisto Ceccucci, «scrittore» aggiunto nel 1860, fu l’artefice del rifacimento del tomo VIII dell’inventario dei Vaticani latini andato distrutto alla fine del Settecento; «emerito» dal 1886; anche Stefano Ciccolini, nel novembre 1883, notò che «non bastandogli alla vita l’ono-

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Dall’epoca del 20 sett. 70 è assente da Roma e dimora in Firenze. Poco si prestava quando era in Roma. Al Medagliere è addetto il sig. Carlo Visconti386, che ne ha la consegna. Il sig. Guidi387 vi si occupava due giorni la settimana, ed ha descritto una porzione delle medaglie e monete. Ha l’assegno mensile di £. 134.37388. Conviene compire il catalogo dettagliato e stabilire qualche massima, perché sia conservato. XXIV. Pio Martinucci al card. Alessandro Franchi, prefetto dei SS.PP.AA., 18 maggio 1878389 Dopo la morte di Pio IX (7 febbraio 1878), il clima incominciò presto a cambiare. Lo si comprende da piccole cose, come questa vicenda che ebbe ancora per protagonista le chiavi, peraltro sempre emblematiche dei rapporti di forza fra persone e istituzioni (come si è visto a proposito delle chiavi delle porte fra Biblioteca rario che riceve dalla Biblioteca», si era rivelato «poco diligente a frequentarla, occupandosi nel dare lezioni»; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 234, 236, 237, 245 nt. 37; VIAN, «Una sede conveniente» cit., p. 476 nt. 9; Guida ai fondi, I, cit., p. 637. Si noterà, senza saper dare una spiegazione, che Ceccucci percepiva più degli altri, pur essendo meno presente. 386 Carlo Ludovico Visconti (1828-1894), discendente dalla «dinastia di archeologi che ha governato gli interessi monumentali della città [di Roma] per lo spazio di cento e due anni (1768-1870)» (R. Lanciani), succedette a Pietro Tessieri, nel novembre 1876, nella direzione del Medagliere che guidò sino alla morte, inaugurando la prassi di redigere registri delle accessioni; nell’aprile 1871 aderì alla protesta anti-döllingeriana di alcuni docenti dell’Università di Roma; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 202 nt. 40, 251 nt. 86; La Raccolta e la Miscellanea Visconti degli Autografi Ferrajoli. Introduzione, inventario e indice a cura di P. VIAN, Città del Vaticano 1996 (Studi e testi, 377; Cataloghi sommari e inventari dei fondi manoscritti, 5), pp. XLI-XLIII; Guida ai fondi, I, cit., pp. 425-426; II, cit., p. 903; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. CCCVII nt. 108. 387 Ignazio Guidi (1844-1935), di Roma, figlio dell’ultimo intendente di finanza dello Stato pontificio, fu uno dei maggiori orientalisti italiani fra Ottocento e Novecento; docente di ebraico e lingue semitiche comparate all’Università di Roma (1879-1919), vi insegnò anche storia e lingua d’Abissinia (1885-1919); senatore del Regno dal 1914, si occupò di studi arabomusulmani ma anche delle letterature cristiane d’Oriente, divenendo il maggiore cultore di quella etiopica; nella guida del Medagliere Vaticano affiancò nel 1871 Tessieri, ammalato; nel suo breve mandato (1873-1876) iniziò una nuova catalogazione scientifica e acquistò monete di estrema rarità; G. LEVI DELLA VIDA, Guidi, Ignazio e Michelangelo, in Enciclopedia cattolica, VI, Roma 1951, coll. 1284-1286; B. SORAVIA, Guidi, Ignazio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXI, Roma 2004, pp. 272-275; Guida ai fondi, I, cit., p. 560; II, cit., p. 903. 388 Anche in questo caso non si comprende come mai Visconti percepisse più di tutti gli altri. 389 Arch. Bibl. 41, f. 240r-v. Minuta, autografa, con un depennamento e integrazione nella metà sinistra della seconda pagina. Un bifoglio, di cui sono scritte le prime due facciate.

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e Archivio, cfr. doc. XXI). Da sempre Martinucci era angustiato dai problemi della sicurezza; e tale si confermò in questa circostanza, dopo l’arrivo nella Torre dei venti del fratello del nuovo papa e le conseguenze che ne erano derivate per la disciplina e per la sorveglianza degli ambienti.

Dalla Biblioteca Vaticana, 18 maggio 1878 Eminenza Reverendissima, Nella porta di communicazione dell’ingresso tra il braccio nuovo del Museo390, e la Biblioteca, vi è il cancello con due chiavi, una differente dall’altra, per la sicurezza reciproca dei locali suddetti. Quando il Prof. sig. D. Giuseppe Pecci391 mostrò desiderio di abitare la Specola Vaticana392, avvertii a questa difficoltà e progettai di trasportare il cancello di ferro allo stipite prossimo alla Biblioteca. Con questo temperamento era salva la sicurezza dell’uno e dell’altro locale. Questa mattina dal giovine del chiavaro mi si è presentata la nuova chiave del cancello, colla quale l’ingresso è libero tanto per la Biblioteca, quanto pel Museo393. È perciò mio obbligo di significare a Vostra Eminenza Reverendissima che colla disposizione accennata394, sono libero di ogni responsabilità sulla custodia della Biblioteca. Mi permetta ancora di notare che fino ai 20 Sett. 1870. l’ingresso della scala che conduce alla specola era guardata da un picchetto di soldati 390

Progettato da Raffaele Stern e inaugurato da Pio VII il 14 febbraio 1822, il Braccio nuovo dei Musei delimita a sud il Cortile della Pigna e mette in comunicazione le gallerie del Museo Chiaramonti con quelle dei Musei della Biblioteca; Guida generale cit., pp. 323-327. 391 Giuseppe Pecci (1807-1890), fratello di Gioacchino; dal 1824 nella Compagnia di Gesù, ne uscì dopo il 1848; docente di filosofia nel Seminario di Perugia (1849-1859) e dal 1861 alla Sapienza di Roma, nell’aprile 1871 aderì all’indirizzo anti-döllingeriano di un gruppo di docenti della Sapienza e, non avendo giurato il 5 ottobre 1871 fedeltà al nuovo governo, decadde dall’insegnamento nella facoltà di filosofia e matematica. Leone XIII lo nominò vice-bibliotecario di S.R.C. (9 settembre 1878) e lo creò cardinale il 12 maggio 1879; nel 1889 rientrò nella Compagnia di Gesù; sostenitore della filosofia tomistica, contribuì alla preparazione dell’enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1879); SPANO, L’Università di Roma cit., pp. 113, 126, 333, 338; M. DE CAMILLIS – C. TESTORE, Pecci, Giuseppe, in Enciclopedia cattolica, IX, cit., coll. 1041-1042; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 235, 246 nt. 50, 342; WEBER, Kardinäle, II, cit., p. 503; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1143-1146; P. PAGANI, Pecci, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXII, Roma 2015, pp. 50-53; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCCVII nt. 107, CCCXI nt. 121, CCCXII nt. 128, CCCXXXVII nt. 81 (con bibliografia), CCCLXX. 392 La Specola Vaticana, creata da Gregorio XIII per la riforma del calendario, aveva sede nella Torre dei Venti; fu donata da Pio VI alla Biblioteca Vaticana, fornita di nuovi strumenti dal card. de Zelada e diretta da Francesco Gilii (1756-1821), che fu anche direttore dell’Orto botanico e del museo di storia naturale; cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., pp. 304-305; Guida generale cit., p. 233. 393 Pare di capire che la nuova chiave annullasse il precedente sistema permettendo a chi ne era in possesso di muoversi senza difficoltà fra gli ambienti della Biblioteca e dei Musei. 394 Dopo accennata, sono state depennate le parole adottata non so da chi.

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veterani: ora è totalmente abbandonato specialmente nella notte, e che la scala suddetta corrisponde immediatamente alla Biblioteca395. Io non farò uso di questa chiave finché V. Eminenza non siasi degnata di darmi le istruzioni opportune. Con profondissimo rispetto ho l’onore di rassegnarmi Di Vostra Eminenza Reverendissima Umilissimo devotissimo obbligatissimo servo P. Martinucci primo custode della Bibl. Vat. Sig. Card. Franchi Prefetto del S. Pal. Apost.396

XXV. Pio Martinucci a Mariano Rampolla del Tindaro, 16 luglio 1879, a proposito del prestito del Vat. gr. 1209397 Già negli anni Quaranta Constantin von Tischendorf aveva tentato un’edizione del Codice B (Vat. gr. 1209), il manoscritto del IV secolo che offriva il testo quasi completo dell’Antico e del Nuovo Testamento nella traduzione greca dei LXX, ottenendo anche l’appoggio di Gregorio XVI ma incontrando l’opposizione del card. Lambruschini poiché Mai, fra il 1828 e il 1838, «aveva già fatto stampare tutto il testo in cinque grandi volumi in quarto, senza tuttavia decidersi a renderli di pubblica ragione fino alla sua morte»398. Dopo la pubblicazione (1856) dell’edizione critica del testo greco dei LXX a opera di Tischendorf, il biblista barnabita Carlo Vercellone399 rivide e in poche settimane mise a disposizione del pubblico i volumi di Mai. Nel 1859 Tischendorf scoprì il Codex Sinaiticus, che pubblicò nel 1862, a spese di 395

Cioè introduce alla Biblioteca. Alessandro Franchi (1819-1878) dal 5 marzo 1878 era il nuovo segretario di Stato e prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici, succedendo negli incarichi a Giovanni Simeoni (lo fu per pochi mesi, morendo il 31 luglio 1878); precedentemente era stato nunzio in Spagna (1868-1869), inviato straordinario presso il sultanato (1871) e prefetto della Congregazione di Propaganda Fide (1874-1878); M. DE CAMILLIS, Franchi, Alessandro, in Enciclopedia cattolica, V, Città del Vaticano 1950, col. 1622; WEBER, Kardinäle, II, cit., p. 466; WOLF, Prosopographie, I, cit., pp. 609-611. 397 Arch. Bibl. 50, f. 118r-v. Minuta, autografa, con correzioni e integrazioni nella metà sinistra delle pagine rimasta bianca. Un f., scritto nel recto e nel verso. 398 PERI, Cozza-Luzi, Giuseppe cit., p. 548. Per l’iniziativa di Mai, per i prestiti e i recuperi, per i lavori di Vercellone, Cozza Luzi, Fabiani, [VIAN], Introduzione. L’opera editoriale cit., pp. XXIV-XXV; Tipografie romane cit., p. 28; G. CARDINALI, Le vicende vaticane del Codice B della Bibbia dalle carte di Giovanni Mercati, II: I prestiti e le cessioni esterne, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXII, Città del Vaticano 2016 (Studi e testi, 501), pp. 177236: 209-221. 399 Carlo Vercellone (1814-1869), di Sordevolo, presso Biella, barnabita dal 1829, sacerdote nel 1836, insegnò in vari collegi dell’Ordine; a Roma dal 1847, fu anche procuratore e preposito generale del suo Ordine; proseguendo l’opera del confratello Luigi Ungarelli (1779396

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Alessandro II zar di Russia. Nel 1866 il biblista tedesco venne a Roma per proporre di fare altrettanto con il codice vaticano, perfezionando la poco felice edizione postuma di Mai. Negli ambienti romani nacque allora l’idea di realizzare l’edizione nell’Urbe e da studiosi cattolici. Tischendorf desistette così dall’idea, limitandosi a consultare il codice per la sua edizione del Nuovo Testamento. La pubblicazione «del cimelio biblico con le proprie forze» sembrava ormai divenuto «un punto d’onore per la S. Sede e il suo prestigio»400. Del lavoro fu incaricata la tipografia di Propaganda Fide, da poco rilevata da Pietro Marietti, che per l’iniziativa acquistò i caratteri fatti fondere per l’edizione del codice Sinaitico. La responsabilità scientifica dell’impresa fu affidata a Vercellone, che volle quale compagno Cozza Luzi. A partire dal 1866 fu così avviata la riproduzione in facsimile tipografico del Codice B. Essa vide la luce fra il 1868 e il 1881 in sei volumi401. In vista del lavoro, il 14 gennaio 1867 Antonelli aveva autorizzato Martinucci a scucire il codice e a consegnare al barnabita, con tutte le cautele del caso, cinque fogli per volta del manoscritto402. I prestiti incominciarono il 22 gennaio 1867 e proseguirono per ventuno anni, ben oltre la custodia di Martinucci, sino al 26 giugno 1888403. Per accelerare il lavoro, il 22 marzo 1867 Martinucci fu autorizzato a consegnare a Vercellone, coadiuvato dal confratello G. M. Sergio, un nuovo quinterno anche qualche giorno prima che il barnabita avesse restituito il precedente404. Morto prematuramente Vercellone nel 1869, l’incarico venne affidato a Cozza Luzi, ancora non divenuto «scrittore», che vide confermate l’8 febbraio 1869 le agevolazioni precedenti405. Dieci anni dopo, nel 1879, a lui si aggiunse Enrico Fabiani406. Per le esigenze del lavoro i fogli del manoscritto erano comunicati non solo agli studiosi responsabili dell’iniziativa ma anche alla tipografia e l’andirivieni dei fascicoli del prezioso manoscritto inquietò molto Martinucci che, ormai alla vigilia del pensionamento, scrisse il 16 luglio 1879 da Ariccia a Mariano Rampolla del Tindaro407, allora segretario di Propaganda 1845), si occupò di critica testuale biblica; A. PENNA, Vercellone, Carlo Giuseppe, in Enciclopedia cattolica, XII, cit., coll. 1253-1254; WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1539-1546. 400 PERI, Cozza-Luzi, Giuseppe cit., p. 548. 401 Bibliorum sacrorum graecus codex Vaticanus, auspice Pio IX. Pontifice maximo […] editus, I-VI, Roma, Tipografia di Propaganda, 1868-1881; Pio IX a cento anni cit., p. 18 (nr. 102). In Arch. Bibl. 63, f. 7r, è conservato un piccolo bifoglio a stampa con l’annuncio editoriale dell’impresa. 402 Arch. Bibl, 50, f. 104r-v. Copia della lettera nel Vat. lat. 14042, f. 659r-v. 403 Arch. Bibl. 61, ff. 2r-23v. 404 Arch. Bibl. 50, f. 107r. 405 Arch. Bibl. 50, f. 110r-v. 406 Arch. Bibl. 50, f. 117r-v. Enrico Fabiani (1815-1883), canonico di S. Maria Maggiore, attivo anche sulla stampa pubblicistica romana, partecipò con Giuseppe Cipolla, curato di S. Tommaso in Parione, alla celebre disputa del febbraio 1872 fra cattolici e protestanti sulla venuta dell’apostolo Pietro a Roma, TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 634 nt. 8. A proposito della disputa cfr. anche GREGOROVIUS, Diari Romani cit., pp. 568-569. 407 Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913) dal 1877 fu segretario della Congregazione di Propaganda Fide per il rito orientale e dal 1880 segretario dell’intera Congregazione, nunzio in Spagna (1882-1887) e segretario di Stato (1887-1903); in assenza di Alfonso Capecelatro, residente a Capua, svolse le funzioni di bibliotecario e fu particolarmente vicino a Franz

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Fide per gli affari di rito orientale, per chiedere che venisse reiterato personalmente dal nuovo papa il permesso concesso dal predecessore per l’estrazione.

Ariccia, 16 luglio 1879 Fino dalla mattina del giorno 9. mi trovo quì, giacché nella mia abitazione in Roma è impossibile dimorarvi l’estate a motivo della malaria, essendo stato soggetto per tre anni continui alle febbri perniciose408. Questa mattina mi è stata ricapitata la lettera di V.S. Illustrissima e Reverendissima relativa ai fogli della Bibbia greca vaticana che è il codice il più prezioso e più raro che vi abbia nella Biblioteca stessa. Per estrarre i codici o anche parte di essi si richiede la licenza del409 Sommo Pontefice firmata da lui stesso, altrimenti vi è la pena della scomunica maggiore riservata al Papa stesso. Questa è la legge cui non è stato mai derogato. La sa. me. di Pio IX. attesa la malattia diede facoltà al sig. Card. Segretario di Stato di fare il rescritto a nome suo per i codici di S. Bonaventura richiesti dal P. Gen. degli Osservanti410. Trattandosi di cosa che riguarda la coscienza, ritengo che Ella troverà equa la mia riflessione. Amerei che Lei s’interessasse di ciò presso il S. Padre e ad un suo cenno avvertirò il Prof. D. Luigi Vincenzi da me incaricato ad eseguire gli ordini dei Superiori411. Io non conosco che cosa si facesse al principio di quella edizione, giacché s’incaricò di tutto la bo. me. di Monsignor di Sanmarzano e nulla si è trovato tra le carte di lui. In attenzione di grazioso riscontro con rispettosa ossequiosa stima mi pregio rassegnarmi[.]412. Ehrle; ebbe la pienezza del titolo fra il 1912 e il 1913; S. FURLANI, Rampolla del Tindaro, Mariano, in Enciclopedia cattolica, X, Città del Vaticano 1953, coll. 517-518; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 450 (s.v. in indice); WOLF, Prosopographie, II, cit., pp. 1235-1238. 408 Martinucci negli ultimi anni del mandato dovette fronteggiare crescenti problemi di salute; cfr. le lettere a: un Illustrissimo e Reverendissimo Signore, Ariccia, 29 luglio 1876 (Arch. Bibl. 5, f. 323r); ad Alberto Rusconi, Ariccia, 6 agosto 1876 (ibid. 49, f. 347v); a Pietro Viarengo, 25 novembre 1876 (ibid. 14, f. 240r); a Rampolla, 16 luglio 1879 (ibid. 50, f. 118r-v). 409 Per un intervento di correzione, la preposizione è stata duplicata. 410 Per le vicende dell’edizione delle opere di Bonaventura, per la quale fu permessa, dal 1877 al 1879, l’estrazione di manoscritti vaticani utilizzati da due francescani, cfr. B. FAES, Bonaventura da Bagnoregio. Un itinerario tra edizioni, ristampe e traduzioni, Milano 2017 (Fonti e ricerche, 26). L’esperienza fu replicata in seguito con la concessione ai Domenicani di particolari agevolazioni e il permesso di esportare codici vaticani per l’edizione leonina delle opere di s. Tommaso d’Aquino, Ch. M. GRAFINGER, Die von der Commissione Leonina verwendeten Handschriften zur Herausgabe der Gesamtwerke des heiligen Thomas von Aquin, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte 99 (2004), pp. 82-102. 411 Vincenzi si confermava come l’uomo di fiducia che si occupava di alcune questioni in assenza di Martinucci; come già era stato segnalato da Martinucci nella nota sugli «scrittori» della Vaticana (doc. XXIII). 412 Ancora una volta Martinucci lamentava la mancata condivisione, da parte del primo custode nei confronti del secondo, delle più elementari notizie sulla vita della Biblioteca.

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Rampolla rispose prontamente il 23 luglio affermando di aver creduto che la questione fosse stata già affrontata e risolta da Cozza, di concerto con Pitra, e che l’autorizzazione fosse stata concessa; avrebbe comunque chiesto a Pitra di chiarire la situazione e di ottenere l’autorizzazione necessaria413 Che le preoccupazioni non fossero solo di Martinucci è dimostrato dal fatto che il suo successore, Stefano Ciccolini, fra i primi atti compiuti, scrisse il 3 giugno 1880 una lettera a Rampolla per chiedere l’interruzione della prassi che, per non ritardare ulteriormente il lavoro, permetteva a due «scrittori», evidentemente Cozza Luzi e Fabiani, di portare a casa i fogli del manoscritto ed esponeva a rischio di smarrimenti «uno dei più preziosi gioielli della collezione Vaticana»414. Il 24 giugno 1880 Rampolla rispose che la Congregazione di Propaganda non era responsabile né dell’uso disinvolto del codice né dei ritardi della pubblicazione415.

XXVI. A proposito di Pio Martinucci e della sua famiglia La biografia più accurata di Martinucci è dovuta a Giuseppe Dell’Aquila Visconti (1829-1912), un sacerdote di Curia vicino a Cozza Luzi416, che attinse a informazioni attentamente vagliate e di difficile reperimento417. Pio era figlio di Vincenzo Sante Martinucci, architetto dei Palazzi Apostolici, e vide la luce nel Palazzo del Quirinale il 2 giugno 1812. Per parte di madre, Irene Baldi, Pio si ricollegava a Giovanni Elia Baldi e al figlio Giuseppe, che fu secondo custode della Vaticana dal 1818 al 1831. Il padre morì il 26 luglio 1831 e il fatto venne registrato da Vincenzo Tizzani con sapide osservazioni anche a proposito del figlio primogenito Filippo, succedutogli nella carica: Oggi, 1/4 dopo mezzo giorno, è morto in Roma Martinucci, architetto di palazzo vecchio, di circa 80 anni. Di statura giusta, un poco curvo, col bastone andava sempre, secco assaissimo, di una fisionomia flebile, pinzochero, galantuomo ma piccolo di cervello, ignorante. È andato vestito da abate fino al pontificato di Leone XII, il quale proibì a chi aveva moglie di portare quell’abito ecclesiastico. È morto di etisia senile. Il suo figlio 1° genito gli è succeduto nel posto ma senza la scienza necessaria al medesimo. Niuna meraviglia però, giacché in Roma si provvede alle persone e non si provvede ai posti418. 413

Arch. Bibl. 50, f. 126ar. Arch. Bibl. 50, f. 120r-v. 415 Arch. Bibl. 50, ff. 121r-122r. 416 La firma di Dell’Aquila Visconti, col titolo di «abbreviator», in calce al testo della bolla di Pio IX per la definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria, 8 dicembre 1854, insieme a quelle di Leone XIII, del pro-datario Carlo Sacconi e del vice-cancelliere Teodolfo Mertel, nel Vat. lat. 13946, f. 32r. Il testo è trascritto «charactere latino», parallelamente a quello in scrittura «bollatica», conservato in Archivio Vaticano 417 [DELL’AQUILA VISCONTI], Successio cit., pp. 412-413; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 243 nt. 8, la considera «peu bienveillante». 418 TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 312 e nt. 204. Vincenzo Sante fu sepolto nella 414

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Dopo gli studi e l’ordinazione sacerdotale, Pio entrò nel 1834 fra i cerimonieri pontifici dando prova della sua perizia in un’opera che fu lodata con una sua lettera da Pio IX. Nominato secondo custode della Biblioteca Vaticana il 17 dicembre 1850, Martinucci non lasciò mai l’ambito delle cerimonie pontificie, pubblicando diversi volumi419 e divenendo intorno al 1854 segretario della Congregazione Cerimoniale420 e intorno al 1872 prefetto delle cerimonie pontificie421. Fu anche basilica dei Ss. Apostoli, con un’iscrizione sepolcrale preparata dai figli Filippo, Pio e Maria, che però indica la data della morte al 27 luglio, VI kal. sextil., all’età di settantacinque anni, cfr. V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e d’altri edificii di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, II, Roma 1873, p. 292, nr. 897. L’iscrizione fu apposta dopo il 1850 perché Pio vi compare come «can. Eustachianus» ma anche «a caerim. pontif. praefectus alter Bibliothecae Vaticanae». La scarsa stima di Tizzani per Filippo Martinucci è costante: il 6 dicembre 1859 lo definì «(sedicente architetto) de SS. Palazzi apostolici», TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 684 e nt. 132 (con bibliografia; ma cfr. anche pp. 686 nt. 138, 771 nt. 234). Filippo fu autore della scala fatta realizzare da Pio IX per collegare il «portico del Vaticano al palazzo» (Tizzani), cioè dal portico di Costantino costruito dal Bernini sul lato destro della basilica al cortile di S. Damaso, ma anche del palazzo di S. Felice, in via della Dataria, e del rinnovamento della cappella di S. Sebastiano in S. Andrea della Valle. Sulla scala, realizzata in nove mesi (ma l’affidamento dei lavori risaliva al giugno 1856) e aperta al pubblico il 27 dicembre 1860, G. SERVI, La nuova scala al Vaticano opera dell’architetto cav. Filippo Martinucci. Discorso (…) letto nella tornata della Pontificia Accademia Tiberina il dì 11 marzo 1861, Roma 1861; M.C., Scala papale; F.C., Nuova scala al Vaticano, in Le scienze e le arti cit., pp. n. nn.; M. FERRAZZA, Le realizzazioni dal 1870 ad oggi, in Il Palazzo apostolico Vaticano, a cura di C. PIETRANGELI, Firenze 1992, pp. 309-317: 309-310; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 771 e nt. 234. A proposito di Filippo cfr. anche s.v. in Indice generale alfabetico delle materie del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, IV, Venezia 1878, p. 301. Filippo morì nel gennaio 1874, cfr. Vat. lat. 14253, f. 40r. Potrebbe essere suo, non di Pio, il messaggio a De Rossi per un appuntamento, 16 agosto 1858, Vat. lat. 14241, f. 282r. 419 Manuale sacrarum caeremoniarum, in libros octo digestum a P. MARTINUCCI, I-VIII, Romae, typis Bernardi Morini, 1869-1872; con diverse edizioni. Martinucci pubblicò anche un Manuale ecclesiasticorum seu collectio decretorum authenticorum Sacrae Rituum Congregationis […], giunto nel 1845 alla seconda edizione e nel 1853 alla terza, cfr. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LVIII, Venezia 1852, p. 50. Di lui sono noti anche diversi pareri a stampa su questione liturgiche e un articolo, pubblicato nel 1845 negli Annali delle scienze religiose, sull’uso del lume a gas nei sacri templi (con atteggiamento, ça va sans dire, critico contro lo «spirito di novità» che si faceva scherno delle «costumanze le più ragguardevoli»; l’intervento venne ripreso ne L’amico cattolico, XI, Milano 1846, pp. 428-438 e sunteggiato in G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica (…), XL, Venezia 1846, pp. 135-137). Ancora per una posizione a difesa della tradizione, contro l’uso dei drappi tessuti con vetro in ambito sacro, cfr. ibid., LI, Venezia 1851, pp. 161-162. Frutto invece delle sue ricerche in Biblioteca Vaticana è l’edizione della Collectio canonum di Deusdedit: DEUSDEDIT presbyteri cardinalis […] Collectio canonum e codice Vaticano edita a P. MARTINUCCI, Venetiis, ex typographia Aemiliana, 1869. 420 Compare per la prima volta con questo titolo in Notizie per l’anno MDCCCLIV, Roma 1854, p. 228 (abitava allora a S. Felice al Quirinale). Ma già nel 1851 era «segretario coadiutore con futura successione» di Giuseppe De Ligne, Notizie per l’anno MDCCCLI cit., p. 220. Sulla Congregazione, N. DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico-giuridici, Roma 19703 (Sussidi eruditi, 23), pp. 429-431. 421 Compare per la prima volta con questo titolo in La gerarchia cattolica e la famiglia pontificia per l’anno 1872, Roma 1872, p. 331.

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consultore della Congregazione di Propaganda Fide e negli anni 1855-1856 fu chiamato a far parte della commissione incaricata di riprendere il lavoro, intrapreso sotto Benedetto XIV, per la revisione del Breviario romano422. A quegli anni risale il disegno di Francesco Podesti che ritrae Martinucci, poco più che quarantenne, in vista della realizzazione degli affreschi della Sala dell’Immacolata Concezione ove il cerimoniere compare nella parete principale fra le figure che circondano il papa al momento della proclamazione del dogma423. Sono sostanzialmente gli anni in cui incominciò la sua presenza in Vaticana. Dopo la morte di Asinari di San Marzano, il 13 luglio 1876 Pio divenne primo custode della Biblioteca Vaticana. Meno di due anni dopo Martinucci svolse un ruolo non secondario negli ultimi giorni di Pio IX, nella preparazione e quindi nello svolgimento del conclave. Scrisse tutto di sua pugno un Diario sulla sede vacante e sul conclave, una fonte preziosa largamente utilizzata da Edoardo Soderini nel suo lavoro su Leone XIII, nella quale il primo custode della Vaticana metteva ancora in luce la sua attenzione minuziosa ai particolari e, al tempo stesso, l’attaccamento alla tradizione e l’ostilità alle novità e agli aggiornamenti. Anche in alcune osservazioni del testo Martinucci si rivela «di carattere non facilissimo» e Soderini prese talvolta le distanze da alcuni giudizi del prefetto delle cerimonie424. Ancora agli ultimi tempi del mandato rinvia un piccolo scambio epistolare fra Giovanni Battista De Rossi e Louis Duchesne che ritrae il primo custode fornire un’informazione inesatta a Duchesne a proposito della mancanza di catalogazioni vaticane dei manoscritti greci di Pio II: una notizia infondata definita da De Rossi un’enormità e commentata da Duchesne con la riflessione che Martinucci evidentemente non voleva mostrargli l’inventario425. Si sia trattato o meno di un “depistaggio”, certo è che la fama del carattere difficile dovette costantemente accompagnare Martinucci

422 Della commissione facevano parte anche Prosper Guéranger, il domenicano Tommaso Tosa, il canonico regolare Giovanni Strozzi, Andrea Maria Frattini, Vincenzo Tizzani e Annibale Capalti. Ma la commissione ebbe vita breve e il lavoro si arenò — secondo le parole di Tizzani — per l’«imprudenza di un prelato francese». Sulla vicenda, cfr. TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., pp. CCLV-CCLX. 423 Vat. lat. 13949, f. 12r; cfr. L. DONATI, Pastelli inediti del Podesti, in Ecclesia 9 (1950), pp. 643-645; N. DEL RE, Gli affreschi di Francesco Podesti nella Sala dell’Immacolata in Vaticano, in Pio IX 17 (1988), pp. 79-92 (a p. 88, per la presenza di Martinucci); FERRAZZA, Le realizzazioni dal 1870 cit., p. 309; M. CALZOLARI – P. ZAMPETTI, La Stanza dell’Immacolata, in Francesco Podesti, a cura di M. POLVERARI, Milano 1996, pp. 67-72; La Sala dell’Immacolata di Francesco Podesti. Storia di una committenza e di un restauro, a cura di M. FORTI, Città del Vaticano 2010. 424 E. SODERINI, Il pontificato di Leone XIII, I: Il conclave. L’opera di ricostruzione sociale, Milano 1932, p. 5 nt. 1; per le numerose citazioni cfr. in III: Rapporti con la Germania, Verona 1933, p. 588 (s.v. in indice). Il diario era entrato in possesso di mons. Francesco Riggi, prefetto delle cerimonie. 425 Correspondance de Giovanni Battista De Rossi et de Louis Duchesne (1873-1894), établie et annotée par P. SAINT-ROCH, Rome 1995 (Collection de l’École française de Rome, 205), pp. 123 (De Rossi a Duchesne, Roma, 20 febbraio 1880), 127 (Duchesne a De Rossi, Paris, 24 febbraio 1880).

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se Dell’Aquila Visconti sentì il bisogno di scrivere, chiamando in causa la sua malferma salute, queste affermazioni: O utinam in meliori corporis temperatione acquievisset, ut ulteriorum laborum oneri resistere valuisset! At non unius morbi vim et incommoda sustinebat; humoribus atrae bilis ita obnoxius, ut ne loqui quidem pacifice posse videbatur, quod invidis causa fuit eius laudes obtrectare, bonis hallucinari, superioribus id aegre ferre426. Sempre secondo Dell’Aquila Visconti l’insofferenza e la malevolenza verso Martinucci si espressero in una sorta di congiura, per metterlo da parte all’avvento del successore di Pio IX, quel Leone XIII che peraltro era già stato in rapporti col cerimoniere pontificio ai tempi del suo episcopato perugino: Leone Pp. XIII, in solium Petri evecto An. 1878, ob epistularum commercium dum esset Perusiae Sacrorum Antistes purpuratus, amico et in rebus liturgicis cliente, nihil sibi contrarium plane et oppositum obtingere posse suspicabatur. At quid non excogitat ficta calliditas? Muneris Praefecti Caeremoniarum Pontificis cupiditas, et hominem praesertim a persona novi Pontificis separandi conspiratio, facile finem pietatis specie attigerunt, ut eidem Pontifex, ab omni munerum exercitio causariam missionem daret, absque cuiusvis salarii et emolumenti detrimento, ut ex quo nulla cura et sollecitudine iactatus, commode valere posset. Et actum est427. Il 23 marzo 1880, all’età non decrepita di sessantotto anni, Martinucci cessò quindi da qualsiasi incarico, con prevedibile amarezza e risentimento, certo non temperati dalla qualifica di emerito. Dopo essere stato colpito da paralisi, morì il 16 giugno 1884 nella sua casa romana, che doveva essere nei pressi della chiesa dei Ss. Angeli Custodi al Tritone, nel rione Trevi, demolita negli anni 1928-1929 per l’allargamento di via del Tritone e la costruzione del tunnel sotto il Quirinale428. Dalla parrocchia dei Ss. Vincenzo e Anastasio, dopo i funerali, il corpo fu trasferito nel sepolcro familiare al Verano. Per il tumulo il gesuita Francesco Tongiorgi preparò un’iscrizione. Un’erma raffigurante Martinucci, opera dello scultore Augusto Cuttica, era in possesso del nipote Luigi, che collaborò con lo zio, fungendo anche da sua longa manus in Biblioteca nei periodi di assenza. Un altro nipote, figlio di Filippo, che aveva ripreso il nome del nonno, Vincenzo, già coadiutore del padre nella carica di «sottoforiere», facente funzione di architetto dei Palazzi Apostolici e direttore delle Guardie del fuoco del Palazzo Apostolico, dopo essere stato esonerato dal suo ufficio dal papa nel marzo 1879, mosse una vertenza presso tribunali italiani contro il cardinale segretario di Stato e contro il maggiordomo di Sua Santità Augusto 426

[DELL’AQUILA VISCONTI], Successio cit., p. 412. [DELL’AQUILA VISCONTI], Successio cit., p. 412. 428 Lo si deduce dall’accenno di [DELL’AQUILA VISCONTI], Successio cit., p. 412: «[…] in suo domicilio in Urbe, Via Sancti Angeli a Custodia». Martinucci non si era dunque molto allontanato dal luogo ove era nato. 427

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Theodoli per alcuni lavori per il conclave del 1878 a suo avviso non retribuiti. La causa provocò una animata discussione sulla giurisdizione dei tribunali italiani sul Vaticano. Per esaminare la questione nel 1882 venne costituita una commissione cardinalizia composta dai cardinali Lorenzo Nina, Domenico Sanguigni, Lorenzo Randi e Ludovico Jacobini. Il caso divenne diplomatico provocando la reazione della Santa Sede che ritenne l’intervento italiano nella vicenda «una breccia morale aperta nelle mura del Vaticano», denunciando «le conseguenze che derivano da questa nuova offesa ai diritti, alla dignità e alla sicurezza del Santo Padre e soprattutto l’assurdo concetto che ne emerge della sudditanza del Sommo Pontefice; si protesti contro questo nuovo aggravio chiamandone responsabile il Governo insediatosi a Roma nel 1870»429. Con la vertenza Martinucci-Theodoli giungeva al termine, con un esito per certi versi paradossale, la parabola ottocentesca della famiglia Martinucci.

XXVII. A proposito di manoscritti di Pio Martinucci Dopo la morte di Martinucci alcuni manoscritti a lui appartenuti, forse scelti all’interno di una più ricca biblioteca di stampati e manoscritti di cui si ignora il complessivo destino, furono proposti per l’acquisto alla Vaticana. Lo scriptor latino Generoso Calenzio430, fra aprile e maggio 1886, ne descrisse il contenuto formulando un parere sull’opportunità o meno dell’acquisto431. Tutti i manoscritti ruotavano intorno al cerimoniale pontificio, alla Congregazione Cerimoniale e alla figura stessa di Martinucci. Per quanto a proposito di alcuni manoscritti, Calenzio avesse espresso parere favorevole all’acquisto da parte della Vaticana, essi non sono stati individuati fra i Vaticani latini e si può quindi ipotizzare che l’acquisto non sia avvenuto. Alcuni manoscritti sono invece stati reperiti nell’Archivio dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice432. Ecco una sommaria descri429 A. M. DIEGUEZ, «Gli Eminentissimi Padri nella loro alta prudenza e saggezza vedranno cosa proporre». Fonti vaticane per la ricostruzione dell’attività dei cardinali, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée 127 (2015), pp. 349-376: 360-361. Cfr. anche E. SODERINI, Il pontificato di Leone XIII, II: Rapporti con l’Italia e con la Francia, Milano 1933, pp. 90-100; M. SANFILIPPO, Le fonti dell’Archivio Segreto Vaticano, in L’amministrazione comunale di Roma. Legislazione, fonti archivistiche, storiografia, a cura di M. DE NICOLÒ, Bologna 1997, pp. 325-341: 326-327; F. JANKOWIAK, La Curie romaine de Pie IX à Pie X. Le gouvernement central de l’Église et la fin des États pontificaux (1846-1914), Rome 2007 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 330), p. 451 nt. 72; TIZZANI, Effemeridi romane, I, cit., p. 684 nt. 132. 430 Generoso Calenzio (1836-1915) era divenuto scriptor latino il 23 giugno 1885; cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 252 nt. 88 e passim (cfr. p. 399, s.v. in indice); P. VIAN, Il diario di Achille Ratti viceprefetto e prefetto della Biblioteca Vaticana (13 ottobre 1913-8 aprile 1918), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XXIII, Città del Vaticano 2017 (Studi e testi, 516), pp. 673-724: 687 nt. 54. 431 Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, ff. 45r-80v. 432 Ringrazio la dottoressa Chiara Maragoni, dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche

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zione dei manoscritti, che trae l’essenziale dalle più diffuse note di Calenzio; in fondo all’item viene indicata, quando individuata, la segnatura presso l’Archivio dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche (ACP) e si segnalano alcuni dati relativi al manoscritto: [1] «Miscellanea Liturgico-Pontificia lasciata da Mons. Giuseppe De Ligne, Prefetto delle Ceremonie, morto nel 1853433, a Monsig. Pio Martinucci, e da lui ordinata e emendata, è degna che resti in Biblioteca Vaticana, potendo essere un documento storico-liturgico dell’età nostra», 7 aprile 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 45r) [= ACP 739]; ff. 381; con annotazioni iniziali e indice di Martinucci. [2] Mons. Pietro Palazzi, Il Maestro di Camera instruito, opera in cinque tomi, lasciata da Giuseppe De Ligne a Martinucci; «Opera veramente degna che resti in Biblioteca Vaticana, poiché ci fa conoscere gli usi della Corte Romana nel suo maggior splendore, ossia al secolo XVII, allorché essa fu scritta»; «Il Palazzi fu per quarantacinque anni in corte di Roma e scrisse quest’opera sotto Clemente XI. Il tipo scelto è la stessa Corte di Roma (tom. I, pag. 15) siccome la primaria, la principale e la più ordinata di tutte le corti del mondo» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 47r-v) [= ACP 701-705]; ACP 701: pp. 448; 702: pp. 395; 703: ff. 271; 704: pp. 491; 705: ff. non numerati. [3] «Atti della canonizzazione dei cinque Santi fatta nel 1839 descritti da Monsig. Pio Martinucci con relativi documenti»434; «Quest’opera storica e liturgica è ben degna di essere acquistata per la Biblioteca Vaticana, come quella che narra particolarità e minute notizie che invano si troverebbero in altre memorie contemporanee e per decidere quistioni che potrebbero sorgere in altri Atti di Canonizzazzione (...)», Biblioteca Vaticana, 8 aprile 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 49r) [= ACP 738]; pp. 814; autografo di Martinucci, con numerosi stampati. [4] «Istruzioni e descrizioni di funzioni per l’ufficio di un Cerimoniere Apostolico scritte e composte per proprio uso da Monsignor Martinucci con scritture di antichi Prefetti di Cerimonie o di altri regalate allo stesso Monsignore (...)». «L’acquisto (...) di questo volume autografo di Mons. Martinucci uno dei più bravi cerimonieri che abbia avuto la Santa Sede per la Biblioteca Vaticana può tornare utile e per la Liturgia e per la Storia Ecclesiastica», Biblioteca Vaticana, 10 aprile 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 51r). [5] Pascalis Amati Sabinianensis. De restitutione Purpurarum Liber; dell’opera, «pubblicata in due edizioni del secolo passato» (Lucae 1781; Caesenae 1784), era prevista anche un’edizione a Roma, a cura di Pietro Borghesi e Giovanni Cristofano Amaduzzi; «Essendo opera inedita molto eruditamente scritta ed in elegante latino la reputo ben degna di stare tra i Codici della nostra Biblioteca Vaticana, del Sommo Pontefice, per il prezioso aiuto nelle identificazioni dei manoscritti presenti nell’elenco di Calenzio. Per alcune notizie storiche sull’archivio, cfr. Brevis notitia et catalogus archivi Sacrae Congregationis Caeremonialis, cura G. PALMIERI, Rome 1893 (Bibliothèque des Analecta Ecclesiastica, 1). 433 Sul De Ligne, cfr. MORONI, Indice generale alfabetico, IV, cit., p. 149 (s.v. in indice). 434 Sulla canonizzazione del 26 maggio 1839, G. LÖW, Canonizzazione, in Enciclopedia cattolica, III, cit., coll. 569-607: 600.

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facendosene acquisto», Biblioteca Vaticana, 5 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 53r). [6] «Notizie della Santificazione del 1767»435, raccolte o scritte da Vincenzo Mandonio, «Segretario della S.C. dei Riti e Prelato Economo sovrintendente della Santificazione»; il manoscritto passò poi ad Agostino Mariotti436, a Giuseppe De Ligne e infine a Martinucci, che preparò un indice e vi stese alcuni appunti; «Questo libro può esser utile non tanto per la Biblioteca Vaticana quanto per la S.C. dei Riti (...)»; in margine al titolo Calenzio ha indicato: «Collezione De Ligne», Biblioteca Vaticana, 5 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 55r) [= ACP 121A]; pp. 376, con indice autografo di Martinucci. [7] «Brevi Indicazioni per le Attribuzioni ed Esercizio dei Ceremonieri Pontificij in tutte le Cappelle Papali, Cardinalizie, Prelatizie, Funebri, e le Prediche dell’Avvento e Quaresima nella Sala del Palazzo Apostolico (...) compilate ed offerte agli amatissimi colleghi suoi da Giovanni Fornici Ceremoniere Pontificio e Segretario della S. Congregazione Ceremoniale437. 1822. Al fine è aggiunta la Descrizione del solenne Pontificale del Sommo Pontefice da Mons. Felice Maria Renazzi438 con altre aggiunte più recenti»; opera trascritta di suo pugno da Martinucci, «uomo di somma perizia nelle cose liturgiche e delle costumanze della Corte Pontificia»; «L’acquisto di questo volume manoscritto non credo che sia superfluo per la nostra Biblioteca Vaticana, specialmente per la parte storica liturgica pontificia», Roma, 7 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 57r) [= ACP 735]; pp. 443; autografo di Martinucci, con alcuni stampati. [8] «Istruzioni diverse Ceremoniali per recar berrette cardinalizie, per ricevere sovrani, per offerire la rosa d’oro, per possesso di un Cardinale Protettore ecc. Si può ben dire il Cerimoniale della Corte di Roma»; «Avendo in fine un indice a rubricella mi fa temere che esso pure sia un libro già appartenuto alla S.C. Cerimoniale. Il titolo che reca questo volume è Miscellanea n 4: quale indicazione sempre più conferma che era libro d’Archivio della detta Congregazione Ceremoniale» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 59r) [= ACP 700]; pp. 686 + ff. non numerati. [9] «Paridis de Crassis tractatus de funeribus», trascritto da Martinucci; «(...) tractatus de oratoribus Romanae Curiae», fatto trascrivere da Martinucci e da lui collazionato e corretto con l’originale; «Essendo entrambi trattati storici sarà bene che anche in copia se non in originale stieno in Biblioteca Vaticana per uso degli 435 Sulla canonizzazione del 16 luglio 1767, L. von PASTOR, Storia dei papi dalla fine del medioevo (...), XVI/1: Benedetto XIV e Clemente XIII (1740-1769), Roma 1933, pp. 1028-1029; LÖW, Canonizzazione cit., p. 600. 436 Sul Mariotti (1724-1806), che era avvocato della Congregazione dei Riti, cfr. BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 129 nt. 111, 179 nt. 107, 295; Guida ai fondi, II, cit., pp. 901, 914, 945. 437 Sul Fornici, cfr. G. MORONI, Indice generale alfabetico delle materie del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica [...], III, Venezia 1878, p. 192 (s.v. in indice); G. MERCATI, Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX, Città del Vaticano 1952 (Studi e testi, 164), p. 82. 438 Sul Renazzi, cfr. G. MORONI, Indice generale alfabetico delle materie del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica [...], V, Venezia 1879, p. 430 (s.v. in indice).

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studiosi di cose storiche e cerimoniali, non essendo a tutti permesso penetrare nell’Archivio dei Cerimonieri», Roma (Biblioteca Vaticana), 10 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 61r) [= ACP 741]; ff. non numerati; prima parte autografa di Martinucci. [10] «Memorie della ultima infermità, della morte e dei funerali di Gregorio XVI di sa. me. del Conclave seguito, della Elezione, della Coronazione e del Possesso del seguente Sommo Pontefice Pio IX raccolte e corredate de’ documenti autentici e relativi da P. M. (Pio Martinucci) Ceremoniere Pontificio. Un gran volume. Monsignor Martinucci in queste memorie narra per lo più quello che egli vide e che fece eseguire: e queste memorie non solamente sono interessanti per la parte ceremoniale, ma soprattutto per la storia contemporanea». Per i particolari che racconta a proposito dell’autopsia di Gregorio XVI, «non è bene che rimanga in mani dei privati questo volume. Il Martinucci poi nel possesso di Pio IX ebbe la parte principale nelle quistioni eccitate (pg. 74): ed essendo stata la cavalcata dopo molto tempo non più usata allora ripristinata, per questo altro riguardo, narrando cose che potrebbero esser di norma nei tempi futuri, mi par degnissimo di rimanere questo volume o presso l’Archivio dei Cerimonieri Pontifici, ovvero meglio nella Biblioteca Vaticana nella collezione che io provvisoriamente ho intitolato Liturgica-Martinucci439, in cui abbiamo una bella raccolta di quattro Prefetti delle Ceremonie, cioè di Mons. Dini440 (un indice), di Mons. Fornici (quattro volumi), di Mons. De Ligne (due volumi) e di Mons. Martinucci (cinque volumi). Questo tomo poi è anche per un altro titolo utilissimo alla Santa Sede per le molte osservazioni liturgiche e ceremoniali fatte dallo stesso Monsignor Martinucci» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 63r-v) [= ACP 796]; pp. 661; autografo di Martinucci, con documenti a stampa intercalati e con 83 altri documenti a stampa in fondo. [11] Volume in due parti; I: «(...) regolamenti per il funerale solenne della Regina Maria Luisa di Borbone moglie di Carlo IV morta in Roma il 3 Gennaio 1819», con carte riguardanti lo stesso funerale raccolte da Fornici e poi passate a Martinucci; II: «Ceremoniale o sia Raccolta di Ceremonie particolari occorrenti in molte circostanze ed occasioni = Opera particolare con sue annotazioni ed animadversioni con tutta diligenza raccolte da un Prefetto delle Cerimonie Pontificie e trascurate dagli altri che non ne hanno lasciata alcuna memoria. Questo Prefetto anonimo pare sia il Dini. Il Cerimoniale però non riguarda che una sola persona cioè Mons. Governatore e perciò ben si può chiamare, come fa Mons. Martinucci nell’indice di sua mano apposto al volume, Regolamento pel Governatore di Roma. (...) Repertorio al certo unico e degno di non andare in mani private»; carte appartenute a Fornici e quindi a Martinucci «che le riunì in un volume mettendovi l’indice di suo pugno», 439 Effettivamente diversi volumi individuati in ACP recano sul dorso un talloncino cartaceo con l’indicazione manoscritta Collezione Liturgica Martinucci; cfr. per esempio, ACP 719, 736-737, 740-742, 796. 440 Su Giuseppe Dini, cfr. G. MORONI, Indice generale alfabetico delle materie del Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica [...], II, Venezia 1878, p. 471 (s.v. in indice). Alcuni manoscritti di Dini pervennero in Biblioteca Vaticana intorno al 1812 insieme a stampati zeladiani (sono i Vat. lat. 8260, 8275, 8325 e seguenti); cfr. MERCATI, Note per la storia cit., p. 82; BIGNAMI ODIER, La Bibliothèque Vaticane cit., p. 219 nt. 23.

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Roma (Biblioteca Vaticana), 11 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 65r-v) [= ACP 737]; ff. 184, con indice autografo di Martinucci. [12] «Indice dei X tomi raccolti da Monsignor Dini Cerimoniere Pontificio sotto Clemente XIV e Pio VI»; «Credo che quest’Indice fosse fatto fare per uso particolare o di Mons. Martinucci o di altro Cerimoniere Pontificio. Se mancasse nell’Archivio dei Cerimonieri vi si dovrebbe mettere: ma se fosse una copia è bene che stia in Biblioteca Vaticana, potendo bisognare ai cultori delle ceremonie pontificie state in uso nel secolo passato», Roma, 12 maggio 1886 (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 67r). [13] «Indice dei Voti, Pareri, Istruzioni, Risposte contenute nei dodici Tomi della seconda collezione ai quesiti e dubbij proposti a Mons. Giovanni Fornici Maestro delle Cerimonie Pontificie e Segretario della Sagra Congregazione Ceremoniale 1820»; indice acquistato da Martinucci, come mostra il timbro sul frontespizio: Ex Bibl. Pii Martinucci; «è un indice senza opera!» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 69r) [= ACP 719]; pp. 83. [14] «(...) miscellanea liturgico-ceremoniale, in cui trovansi istruzioni di possessi o pubblici o privati presi da alcuni cardinali alla fine del secolo scorso ed al principio di questo, istruzioni per funzioni cardinalizie nei titoli o nelle Patriarcali presente o assente il Papa, istruzioni per Messe Vescovili alla presenza dei Cardinali, istruzione per consacrazione di Vescovo fatta dallo stesso Sommo Pontefice o nei palazzi Apostolici o in chiese dallo stesso indicate, e finalmente il cerimoniale per un cardinale nuovo. Miscellanea utile per Maestri di Cerimonie Pontificie. Monsignor Martinucci le raccolse dai precedenti cerimonieri, le ordinò e vi pose l’indice» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 71r) [= ACP 736]; ff. 179, con indice autografo di Martinucci. [15] «Miscellanea», «contiene scritture e documenti originali sul modo di ricevere cavalieri di diverse Religioni ed ordini ecc. (...) In fine ritrovasi il Cerimoniale Episcoporum corretto e riveduto dopo Clemente VIII»; «Questo tomo starebbe meglio che in Biblioteca Vaticana nell’Archivio della Cerimoniale, al quale credo che appartenesse, come prova l’indice in fine» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 73r). [16] «Collecta a Reverendissimo D. Cornelio Firmano Episcopo Auximano olim Magistro Ceremoniarum S.D.N.», forse copia «estratta dall’Archivio dei Cerimonieri dal Diario scritto dal citato Mons. Firmano441 ad uso dei Segretarii della S.C. Cerimoniale»; «Contiene: Tractatus de Legato (...) Tractatulus de quibusdam Caeremonialibus circa Annum Iubilei, Io. Paulo Mucantio etc. auctore»; Calenzio si dichiarò favorevole all’acquisto per la Vaticana (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 75r-v) [= ACP 46A]; pp. 1099. [17] «Miscellanea ab anno 1487 ad an. 1506 tomus I. Miscellanea ab anno 1506 ad an. 1536 tomus II», «relazioni di cose importanti storiche ricavate dai Diarii dei Cerimonieri Pontificii e riguardano funzioni o ricevimenti di grandi personaggi e possono servire di norma e regola specialmente ad uno Segretario della S.C. Cerimoniale» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 77r) [= ACP 697-698]; ACP 697: pp. 507; 698: pp. 496. [18] «Paridis de Crassis Caeremoniale S.R.E.», copiato da Martinucci; «Benché 441

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Sul Firmano, MORONI, Indice generale alfabetico, III, cit., p. 174 (s.v. in indice).

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questo Cerimoniale sia copia mi pare degno della Biblioteca Vaticana per commodo degli studiosi che non possono penetrare nell’Archivio dei Cerimonieri ed anche perché trascritto dalla mano di un Prefetto della Biblioteca stato egli pure un gran liturgista e sommo conoscitore degli usi della Corte Romana» (Arch. Bibl. 221, pt. B, fasc. VIII, f. 79r) [= ACP 740]; pp. 343 + ff. 205 + ff. 15 + ff. non numerati; interamente autografo di Martinucci. Dei diciotto numeri dell’elenco di Calenzio risultano dunque senza corrispondenza in ACP quattro item (4, 5, 12, 15), che andranno individuati. Ma in ACP vi è almeno un volume che sicuramente proviene da Martinucci e non compare nell’elenco di Calenzio: ACP 742: Miscellanea di funzioni papali, cardinalizie e vescovili raccolte da Pio Martinucci Ceremoniere Pontificio, e Segretario della Sacra Congregazione Ceremoniale; pp. 765, con ff. non numerati; quasi interamente autografo di Martinucci, con alcuni stampati. Non si può dunque escludere, anzi appare probabile che ACP contenga altri documenti collegati alla figura di Martinucci.

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Vincenzo Tizzani giudicò Vincenzo Martinucci, il padre di Pio, «galantuomo ma piccolo di cervello». Sarebbe ingiusto e ingeneroso applicare a Pio quanto fu detto di Vincenzo. Dai documenti pubblicati, dagli altri presenti nell’Archivio della Biblioteca e da quelli che si auspica possano venire alla luce dall’Archivio Segreto Vaticano emerge invece l’impegno serio e competente di un bibliotecario che cercò di riportare ordine nella biblioteca dei papi. Un ordine che, dalla fine del Settecento, era stato sconvolto dalle manomissioni rivoluzionarie, da grandi e disordinate accessioni librarie che avevano fatto deragliare i sistemi e le prassi precedenti, ma era stato anche minato da interessi privati, da costanti disaffezioni e assenze, da lotte sorde e intestine che avevano logorato e consumato la Biblioteca dal suo interno. Anche il trentennio di Martinucci fu segnato da continui ed endemici conflitti: quello, a bassa intensità, fra il primo custode Asinari e il secondo custode Martinucci ma anche quello, più aperto, fra Martinucci e Mai, richiamato a un uso più rispettoso dei manoscritti; e poi quelli fra gli «scopatori» e i «librari»; fra Martinucci e Boaselli, lo «scopatore padrone» al quale, nella ricostruzione del secondo custode, Asinari aveva consegnato la Biblioteca; fra Martinucci da un lato e Jean-Baptiste Pitra e Giovanni Battista De Rossi dall’altro; fra gli stessi «scrittori». Nel caotico quadro di questo «bellum omnium contra omnes», i propositi del secondo custode «pel buon andamento» della Biblioteca rimasero,

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per buona parte, solo tali. D’altra parte, i limiti caratteriali, le invidie, le gelosie, le difficoltà a comprendere il senso e il valore degli studi impediscono qualsiasi tentativo di fare di Martinucci, disinvoltamente, un eroe. Eppure non sarà neanche possibile tacerne i meriti. A questo cerimoniere pontificio, abituato al rigore puntuale, ordinato e ripetitivo dei riti, a questo difensore dell’istituzione e assertore delle regole contro gli abusi e il prevalere degli interessi personali dobbiamo il Regolamento del 1851, che pur in un’ottica di gelosa e ansiosa chiusura, recò non pochi aggiornamenti alle normative settecentesche di Clemente XII e Clemente XIII; a lui dobbiamo un iniziale impulso alla catalogazione dei manoscritti che recò frutti cospicui, anche se a lungo paralizzati dai dissidi interni al collegio degli «scrittori»; a lui dobbiamo la ripresa di pratiche virtuose in Biblioteca e il ripristino di un certo ordine in una situazione per certi versi uscita fuori controllo; a lui dobbiamo, nel mezzo di diffuse rassegnazioni e apatie, la prima, ferma reazione alle minacce di nazionalizzazione e confisca della Biblioteca dopo Porta Pia e soprattutto a lui dobbiamo se la Vaticana non mancò al fatidico appuntamento del 20 settembre 1870 e di quanto seguì con la consapevolezza di un’identità storica che andava ben al di là delle rivendicazioni di proprietà da parte italiana. Fedele alla Santa Sede, senza protagonismi, nella linea dello zio, Giuseppe Baldi, Martinucci ebbe un senso alto e vivo della dignità della Biblioteca Vaticana e del ruolo che in essa era chiamato a ricoprire. Lo interpretò come richiedevano i tempi e secondo le caratteristiche della sua personalità: non ebbe rapporti né con l’Accademia dell’Arcadia (come, prima e dopo di lui, Gabriele Laureani e Stefano Ciccolini) né con la Sapienza, sulla quale gravitarono molti «scrittori» ottocenteschi. Martinucci appartenne squisitamente ed esclusivamente al Palazzo e alle sue cerimonie e fu sicuramente l’espressione di una Vaticana assediata e ristretta nei suoi spazi e anche nelle sue prospettive. Ma probabilmente proprio per questo fu scelto. La sua figura, la sua opera, il suo trentennio non furono certo privi di ombre ma contribuirono a preparare la Biblioteca alla novità di papa Leone. Perché un’istituzione come la Vaticana non conosce mai cesure ma anche nei profondi cambiamenti vive sempre in una più profonda continuità.

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INDICE DEI MANOSCRITTI E DELLE FONTI ARCHIVISTICHE Athos, Μεγίστη Λαύρα I 29

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Avignon, Bibliothèque municipale 133 371 tav. IVg 135 562 2602 570 Barcelona, Arxiu de la Corona d’Aragó 14 560 – Arxiu capitular 116

560, 563

– Arxiu històric de la Ciutat A-398 – Biblioteca de Catalunya 1142 1143 1144 Basel, Bistum “Codex Gressly”

558 558 558 558, 560

192, 194, 217, 220-223, 225-227, 239-240, 244, 246-247

Benevento, Biblioteca Capitolare 19 192-193, 200, 218, 222-223, 225-247, 258, 261 20 192-193, 200, 218, 222-223, 225-227, 230-247, 258, 261 29 192-193, 200, 218, 220-247, 258, 261 33 193, 218, 223, 228-232, 234-240, 242, 244, 247 Berlin, Staatsbibliothek Hamilton 441 192-194, 200, 218, 220-224, 234, 235-241, 244-247, 270 Hamilton 571 194, 200, 218, 220-221, 223, 227, 244, 246-247, 257-258, 261 Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio A 1212 383, 424 Cambridge, Trinity College O.2.36

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Città del Vaticano, Archivio dell’Ufficio dei Cerimonieri Pontifici 46A 808 121A 806 697-698 808 700 806 701-705 805 719 807, 808 735 806 736 807, 808 737 807, 808 738 805 739 805 740 807, 809 741 807, 807 742 807, 809 796 807 – Archivio della Penitenzieria Poenitentiarie Acta Cardinalium Poenitentiariorum Maiorum seu Acta Sacrae Paenitentiariae 1 a m. Maio 1569 usque ad m. Ianuarium 1641 – Archivio Segreto Vaticano Arch. Borghese 6576 Arm. XXXIX, 16A Arm. XXXIX, 18 Arm. XXXIX, 20 Cam. Ap., Div. Cam. 46 Fondo Albani 12 Fondo Albani 20 Reg. Vat. 769

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435 124, 126 123 124 124, 131 97, 98 97 131

– Biblioteca Apostolica Vaticana Arch. Barb., Comp. 49 663 Arch. Barb., Comp. 380 438 Arch. Barb., Comp. 387 429, 430 Arch. Barb., Comp. II, 14 62 Arch. Barb., Comp. II, 16 62 Arch. Barb., Comp. II, 30 62 Arch. Barb., Comp. II, 42 62 Arch. Barb., Comp. II, 45 62 Arch. Barb., Comp. II, 55 62 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 1 73, 77

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 1-65 74 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 2 75, 78, 80 tav. I Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 2-28 74 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 13 77 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 28 78 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 64 76, 78, 79 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 66-90 79 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 91 79 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 92 79 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 92-94 74 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 93 77 Arch. Barb., Comp. II, Baliaggio 94 76, 77, 78, 81-84 tavv. II-IV Arch. Barb., Giustif. I, 43 665 Arch. Barb., Giustif. I, 46 668, 676-678 Arch. Barb., Giustif. I, 47 679-682 Arch. Barb., Giustif. I, 50A 682 Arch. Barb., Indice II, 805 60 Arch. Barb., Indice II, 814 60 Arch. Barb., Indice II, 815 60 Arch. Barb., Indice II, 817 60 Arch. Barb., Indice II, 821 60 Arch. Barb., Indice II, 824 60 Arch. Barb., Indice II, 836 60 Arch. Barb., Indice II, 880-924 59 Arch. Barb., Indice II, 892 59, 60 Arch. Barb., Indice II, 899 60 Arch. Barb., Indice II, 894 59 Arch. Barb., Indice II, 895 59 Arch. Barb., Indice II, 896 59 Arch. Barb., Indice II, 901 60 Arch. Barb., Indice II, 965 68 tav. I Arch. Barb., Indice II, 988-990 66 Arch. Barb., Indice II, 2434 381 Arch. Barb., Indice II, 2559 56 Arch. Barb., Indice II, 2733 381 Arch. Bibl. 5 692, 696-699, 699-704, 708, 709, 709-710, 710-711, 711, 714, 715-737, 738-739, 740-745, 750-752, 752-754, 756, 765-767, 769, 792-795, 799 Arch. Bibl. 7 693-695, 704, 712-714, 763-765, 787, 788, 790 Arch. Bibl. 14 112, 754-758, 779, 799 Arch. Bibl. 33 100, 102-103 fig. 1, 453-454 Arch. Bibl. 36 143 Arch. Bibl. 41 758-763, 771-772, 795-797 Arch. Bibl. 42 707, 720, 752-754,

22 indici.indd 812

772-776, 776-778, 778-780, 781-783, 784-786, 791 Arch. Bibl. 43 745 Arch. Bibl. 44 745 Arch. Bibl. 49 710, 799 Arch. Bibl. 50 797-800 Arch. Bibl. 58 704, 722 Arch. Bibl. 59 704 Arch. Bibl. 60 692, 704-707, 746-750, 756, 767-769, 786-791 Arch. Bibl. 61 798 Arch. Bibl. 63 715, 740, 756, 786, 792, 798 Arch. Bibl. 64 769-771, 772, 784 Arch. Bibl. 79, pt. A 704 Arch. Bibl. 196 28 Arch. Bibl. 201, pt. A 772 Arch. Bibl. 202 23 Arch. Bibl. 206 20 Arch. Bibl. 209 530 Arch. Bibl. 218, pt. A 100 Arch. Bibl. 221, pt. B 804-809 Arch. Bibl. 230, pt. C 93 Arch. Bibl. 242 518-539, 522, 545-549 Arch. Bibl. 243 518 Arch. Bibl. 247 24 Arch. Bibl. 272, 7 Arch. Bibl. 279 25 Arch. Bibl., Posizione Patetta 23-24 Arch. Cap. S. Pietro B.64 562 Arch. Cap. S. Pietro E.31 459-460 Arch. Cap. S. Pietro G.49 200, 217, 266 Arch. Cap. S. Pietro H.58 192-193, 217, 234-241, 244, 246 Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 2 455, 459 Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 3 454 Arch. Cap. S. Pietro, Inv. 4 455 Arch. Cap. S. Pietro, caps. LVIII, fasc. 206 454 Arch. Cap. S. Pietro, Privilegi e att. not. 16 118, 146-182 Arch. Chigi 489 431 Autogr. Patetta 31 34 Autogr. Patetta 34 33 Autogr. Patetta 160-161 27 Barb. gr. 310 718 Barb. lat. 497 200, 217, 266-267 Barb. lat. 603 193 Barb. lat. 1804 420 Barb. lat. 2019 393, 420 Barb. lat. 2062 385

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Barb. lat. 2063 Barb. lat. 2109 Barb. lat. 2141 Barb. lat. 3250 Barb. lat. 4147 Barb. lat. 4156 Barb. lat. 4158 Barb. lat. 4208

420 393, 420 391, 420 53 438, 447 tav. X 438 438 430, 444 tavv. II-IV, 445 tav. V Barb. lat. 4220 429, 430, 443 tavv. I-II Barb. lat. 4325 378, 389, 410-419 Barb. lat. 5688 111, 112 Barb. lat. 5689 111 Barb. lat. 6463 392 Barb. lat. 6464 384 Bonc. A.4 461, 471-474, 486-493, 494 tav. I, 496 tav. III Borg. lat. 182 204, 206, 214, 216-217 Borg. lat. 211 183-184, 186-187, 190, 192-193, 197-200, 202, 220-227, 235-236, 238-247, 257-261, 265-267, 269-271, 273, 276, 278, 290 tav. I Carteggi Mercati 2 507, 512 Carteggi Mercati 5 507-509, 511-512, 543-544 Carteggi Mercati 7 513-514 Carteggi Mercati 66 775 Carte Mercati 515-516 Chig. A.II.28 111 Chig. A.III.54 111 Chig. D.V.77 190, 193, 198-200, 217, 222-223, 227, 252, 257-260 Chig. Q.IV.11 438, 448 tavv. XI-XII Chig. Q.IV.13 434 Chig. Q.IV.17 434 Chig. Q.IV.18 432 Chig. Q.V.52 431 Chig. Q.V.57 431, 446 tav. VII Chig. Q.V.59 431, 445 tav. VI Chig. Q.V.64 431 Chig. Q.VI.82 431, 446 tav. VIII, 447 tav. IX Comp. Ott. 23 436 Dep. A 803 (Carte Laurent) 25 Dep. C 41 (Carte Berra) 24 Ferr. 651 377 Ferr. 652 377 Ferr. 657 377, 387 Ferr. 887 737 Mss. fot. 125 523, 525

22 indici.indd 813

813

Mss. fot. 126 Ott. gr. 196 Ott. gr. 234 Ott. gr. 260 Ott. gr. 309 Ott. gr. 361 Ott. gr. 459 Ott. lat. 6 Ott. lat. 145 Ott. lat. 941 Ott. lat. 1035 Ott. lat. 1195 Ott. lat. 1585 Ott. lat. 1904

523 479 730 482 606, 629, 630, 640, 642 630 724 200, 217, 258 198, 217, 252 450, 454 136, 168 150 333, 334 138, 149, 150, 154, 157, 168, 170, 177 Pal. gr. 21 724 Pal. gr. 219 724 Pal. gr. 141 615, 616, 617 Pal. lat. 965 359-365, 366 tav. I, 367 tav. IIa-b, 368 tav. IIIa, 370 tav. IVa-c, 372 tav. Va-d Pal. lat. 1759 179 Patetta 2170 26 Patetta 2172 26 Patetta 2175 26 Patetta 2176-2181 26 Patetta 2184 26 Patetta 2185 26 Patetta 2191 26 Patetta 2208 26 Patetta 2553-2909 26 Patetta 2910-2979 26 Patetta 2910-3438 26, 27 Patetta 2910-4688 27 Patetta 3251-3328 22 Patetta 3439-3713 22, 27 Patetta 3714 23 Patetta 3733-3744 26 Patetta 3735-3872 27 Patetta 4463-4609 22, 27 Patetta 4647-4688 27 Perg. Patetta, b. 1, nn. 44-45 35 Perg. Patetta, b. 2, n. 35 44 Perg. Patetta, b. 2, n. 36 43 Perg. Patetta, b. 3, n. 4 42 Perg. Patetta, b. 3, n. 14 40 Reg. gr. 86 630 Reg. gr. 92 726 Reg. gr. 166 605-657, tavv. I-XIV Reg. lat. 334 198-199, 217, 252 Reg. lat. 2023 462, 475, 476

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Racc. Patetta 88-138 22 Racc. Patetta 164, fasc. 3 41 Racc. Patetta 227 27 Racc. Patetta 232-246 34 Racc. Patetta 334-339 26 Ross. 125, pt. I-II 569 S. Maria Magg. 196 553-585, tavv. I-X Urb. lat. 220 319, 321-323 Urb. lat. 221 319, 321-323 Urb. lat. 355 331, 332, 337-345, 346, 347, 349, 350-353 tavv. I-IV Urb. lat. 585 186, 198-199, 217, 252 Urb. lat. 1624 111 Urb. lat. 1625 111 Urb. lat. 1677 743 Urb. lat. 1677-1761 748 Vat. ar. 120 128 Vat. gr. 17 483 Vat. gr. 29 624 Vat. gr. 158 482 Vat. gr. 159 482 Vat. gr. 162 615 Vat. gr. 305 724 Vat. gr. 308 724 Vat. gr. 838 480 Vat. gr. 942 483 Vat. gr. 1014 483 Vat. gr. 1144 725 Vat. gr. 1145 483, 484 Vat. gr. 1209 704, 728, 735, 766, 794, 797-800 Vat. gr. 1409 724 Vat. gr. 1497 481 Vat. gr. 1633 725 Vat. gr. 1889 625 Vat. gr. 2125 704, 794 Vat. lat. 84 157 Vat. lat. 102 153 Vat. lat. 337 157 Vat. lat. 342 157 Vat. lat. 349 157 Vat. lat. 353 157 Vat. lat. 357 157 Vat. lat. 358 157 Vat. lat. 361 157 Vat. lat. 365 157 Vat. lat. 430 157 Vat. lat. 433 157 Vat. lat. 574 158 Vat. lat. 663 170 Vat. lat. 664 170

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Vat. lat. 848 Vat. lat. 870 Vat. lat. 935 Vat. lat. 971 Vat. lat. 1065 Vat. lat. 1202 Vat. lat. 1428 Vat. lat. 1430 Vat. lat. 1477 Vat. lat. 1506 Vat. lat. 1562 Vat. lat. 1650

Vat. lat. 1666 Vat. lat. 1874 Vat. lat. 1893 Vat. lat. 1920 Vat. lat. 1983 Vat. lat. 2127 Vat. lat. 2128 Vat. lat. 2265 Vat. lat. 2319 Vat. lat. 2323 Vat. lat. 2330 Vat. lat. 2561 Vat. lat. 2563 Vat. lat. 2613 Vat. lat. 2663 Vat. lat. 2667 Vat. lat. 2704 Vat. lat. 3491 Vat. lat. 3823 Vat. lat. 3940 Vat. lat. 3947 Vat. lat. 3948 Vat. lat. 3949 Vat. lat. 3950 Vat. lat. 3951 Vat. lat. 3952 Vat. lat. 3953 Vat. lat. 3954 Vat. lat. 3955

Vat. lat. 3966 Vat. lat. 3967 Vat. lat. 3968

127 160 169 160 169 186-187 150 150 182 180 180 331, 332, 337, 338, 343, 345-348, 349, 354-357 tavv. V-VIII 182 179 176 175 450, 455-460 161 161 148 150 150 151 148 129 168 152 149 147 721 162 152 117, 138, 142, 179 138 138 138 139, 150, 157, 166 117, 129, 138, 143 117, 138 117, 138 138, 147-151, 153-154, 157-159, 168, 169, 170, 172, 175, 177, 179, 182 121, 158 139, 146, 149, 153, 157, 171, 180 139, 150-152, 160, 165, 172, 175, 176, 179

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 3969

139, 150, 153, 157, 158, 170 Vat. lat. 4034 165 Vat. lat. 4098 170 Vat. lat. 4203 181 Vat. lat. 4222 723 Vat. lat. 4268 156 Vat. lat. 4269 166 Vat. lat. 4307 166 Vat. lat. 4462 180 Vat. lat. 4575 468 Vat. lat. 4595 768 Vat. lat. 4604 161 Vat. lat. 4764 568, 569 Vat. lat. 4765 569 Vat. lat. 4833 180 Vat. lat. 4917 449-455, 457-458, 460 Vat. lat. 4917-4961 449 Vat. lat. 5612 162 Vat. lat. 5907 168 Vat. lat. 6082 190, 192-193, 200, 218, 220-247, 258 Vat. lat. 6163 453 Vat. lat. 6210 468 Vat. lat. 6783 463 Vat. lat. 7005 150 Vat. lat. 7131 147, 150-153, 157, 160, 162, 166, 169, 170, 175, 179, 180, 181, 182 Vat. lat. 7133 148 Vat. lat. 7134 138, 161, 167 Vat. lat. 7135 138, 146-148, 150, 152, 154, 157, 158, 162, 164, 168-170, 173-177, 179-182 Vat. lat. 7136 138, 152, 154, 162-164, 169, 172-176, 180 Vat. lat. 7245-7599 791 Vat. lat. 7577 173 Vat. lat. 7600-8066 791 Vat. lat. 7680 166 Vat. lat. 7717 176 Vat. lat. 8067-8471 791 Vat. lat. 8172 172 Vat. lat. 8260 807 Vat. lat. 8275 807 Vat. lat. 8325 807 Vat. lat. 8462-9020 742, 748 Vat. lat. 8472-9019 789, 791 Vat. lat. 8895 175 Vat. lat. 9020-9151 742, 748 Vat. lat. 9020-9445 791 Vat. lat. 9043-9044 390

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815

Vat. lat. 9056 387, 390, 393 Vat. lat. 9071-9074 378, 403, 406 Vat. lat. 9084 377 Vat. lat. 9105 390 Vat. lat. 9106 377, 391, 394, 407-410 Vat. lat. 9112 394 Vat. lat. 9118 393, 420 Vat. lat. 9123 420 Vat. lat. 9130 420 Vat. lat. 9139 420 Vat. lat. 9140 420 Vat. lat. 9155-9205 742, 748 Vat. lat. 9256 157 Vat. lat. 9281 768 Vat. lat. 9446-9849 791 Vat. lat. 9529-9668 757 Vat. lat. 9608 736 Vat. lat. 9672-9711 742, 748 Vat. lat. 9728-9733 742, 748 Vat. lat. 9852-9875 762 Vat. lat. 10141-10150 779 Vat. lat. 10471-10494 110, 111 Vat. lat. 10475 108, 111 Vat. lat. 10476 111 Vat. lat. 10477 111 Vat. lat. 10478 86, 111 Vat. lat. 10479 86, 111 Vat. lat. 10480 86, 111 Vat. lat. 10481 86, 111 Vat. lat. 10485 111 Vat. lat. 10486 385 Vat. lat. 10956 738, 743 Vat. lat. 10998 291-316, tavv. I-III Vat. lat. 11327-11413 139 Vat. lat. 12233 471 Vat. lat. 13161 791 Vat. lat. 13164 791 Vat. lat. 13165 791 Vat. lat. 13166, pt. 1 791 Vat. lat. 13166, pt. 2 791 Vat. lat. 13167 791 Vat. lat. 13168-13172 792 Vat. lat. 13173, pt. 1 791 Vat. lat. 13173, pt. 2 791 Vat. lat. 13174 791 Vat. lat. 13179 757 Vat. lat. 13180 757 Vat. lat. 13181 757 Vat. lat. 13185 704 Vat. lat. 13190 139 Vat. lat. 13502 164 Vat. lat. 13946 800

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Vat. lat. 13949 802 Vat. lat. 14042 798 Vat. lat. 14241 801 Vat. lat. 14253 801 Vat. lat. 14475 131 Vat. lat. 14556 758 Vat. lat. 14557 758 Vat. lat. 14558 758 Vat. lat. 14615-14618 738 Vat. lat. 14741-14747 751 Vat. lat. 14748-14749 751 Vat. lat. 15005 659 Vat. lat. 15016 659 Vat. lat. 15169 601 Vat. lat. 15349, pt. 10B 742 Vat. lat. 15349, pt. 11 742, 744 Vat. lat. 15349, pt. 12 742 Vat. lat. 15379 794 Vat. mus. 583 587-603, 604 tav. I Laboratorio di restauro, Registro 1

522-523

Como, Biblioteca Comunale Sup. 2.2.42

463

El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo T.III.9 615 Fano, Biblioteca comunale Federiciana ms. 90 434 Firenze, Archivio di Stato Carte Strozziane, serie III, vol. 158 Ceramelli Papiani 377 Decima Granducale 2292 Decima Granducale 2302 Decima Granducale 2492 Mediceo avanti il Principato 137 Notarile Antecosimiano 3138

382 73 78 78 74 125 70

– Biblioteca Marucelliana A 188

382

– Biblioteca Medicea Laurenziana Plut. 89 inf. 41

450

– Biblioteca Nazionale Centrale II. II. 256 123, 128, 130 Grottaferrata, Biblioteca del Monumento Nazionale Ζ.α.XXXIV 723, 727

22 indici.indd 816

Ivrea, Biblioteca Capitolare 9 (IV) 194, 200, 218, 220, 223, 227, 244, 246, 247, 257-258, 261 Jerusalem, Πατριαρχικὴ Βιβλιοθήκη H. Taphos 441

629

Leipzig, Stadtbibliothek – Musikbibliothek Becker III.2.149 599 – Universitätsbibliothek 515

169

London, British Library Add. 14128 Add. 14124 Add. 16150-16152 Add. 28962

599 600 436 570

– British Museum. Department of Manuscripts Franks 366 382 – Society of Antiquaries Cod. 63 Lyon, Bibliothèque municipale 5122

332, 337 562

Madrid, Biblioteca Nacional de España gr. 145 624 gr. 149 624 Res. 10 562 Vitr. 21/6 562 Vitr. 26/2 629, 630, 631 Metz, Bibliothèque municipale 245

269

Milano, Archivio Storico Diocesano Carteggio card. Ferrari, nr. 2200 507, 512 Carteggio card. Ferrari, nr. 2201 507 – Biblioteca Ambrosiana A 267 inf. C 279 inf. G 50 sup. N 234 sup. O 39 sup. O 123 sup. P 51 sup. Q 114 sup. W 28 bis inf., n. 129 – Duomo, Biblioteca Capitolare II. D.2.32

569 615 642 613, 633 541-542 640 468 613 499 562

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Modena, Biblioteca Estense Universitaria Gamma. I.2.23 311 Mus. F.1145 432 Mus. F.1152 437 Mus. F.1349 433 Montecassino, Archivio dell’Abbazia 98 187 99 184, 187 127 188, 190, 192-193, 200, 207, 209, 214, 218, 225-241, 243-244, 246, 257 339 187 442 184, 198-200, 202, 218, 252, 264-265, 267, 271, 273, 276, 278 451 186 453 187 539 569 575 200, 218, 276 1057 186 Montpellier, Bibliothèque interuniversitaire, Section Médecine 303 194, 200, 219-221, 223, 225-227, 240, 244, 246-247, 257-258, 260-261 München, Archiv der deutschen Provinz der Jesuiten Abt. 47, Nr. 866 516 – Bayerische Staatsbibliothek Clm 485 Clm 4623 cod. gr. 131 cod. gr. 254

463 186 632 607

Napoli, Biblioteca del Conservatorio di musica San Pietro a Majella Mus. Rel. 1626 599 Mus. Rel. 1627 599 Rari 1.6.22 600 – Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” gr. 77 480 VIII C 4 186 Narbonne, Trésor de la cathédrale 2

565

Orléans, Bibliothèque municipale 184 200, 219, 276 Oxford, Bodleian Library Lat. liturg. d. 4 194, 200, 219-223, 227, 246-247, 258, 260-261, 270

22 indici.indd 817

817

Padova, Archivio di Stato Archivio notarile 1573 319-321, 325-327 tavv. I-III – Biblioteca Universitaria ms. 896

331, 337

Paris, Bibliothèque Mazarine 364 186, 198, 219, 252 – Bibliothèque nationale de France Coisl. gr. 136 615, 629 lat. 820 194, 219, 221-222, 227 lat. 848 562 lat. 1153 200, 219, 266 lat. 7300B 570 lat. 8032 333, 334 lat. 9432 192-193, 200, 219, 226-227, 244, 246-247, 258 lat. 9436 269 lat. 10527 562 lat. 18005 193, 200, 219-224, 226-227, 244-247, 261 Rothschild 2529 558 Suppl. Gr. 690 624 Vélins 280 142 – Bibliothèque Sainte-Geneviève 143

565

Pesaro, Biblioteca Oliveriana – Ente Olivieri 335-I 385, 388, 389, 391, 401 335-II 389 407 384 426, fasc. XXVI 382 458-I (B), fasc. 23 383 965 382, 383 1549-II 383, 385 1905, fasc. 8 389 1908 389 1983, CXCVII 389 Poblet, Biblioteca del Monestir 1.35

555

Praha, Archiv Praàského hradu 1004

599

Ravenna, Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia Carteggio Archivio, b. 1 506, 525-526, 532-538, 545-549 ms. 1 497-552 ms. 2a 501-503, 517, 520, 523, 529-530, 538, 546

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818

INDICE DEI MANOSCRITTI

ms. 2b ms. 3 ms. 4 ms. 5

502 503, 530 503 503-504, 517, 523, 529-530, 538, 546 Segreteria Arcivescovile 1885 – Posizioni 45 – 88 – 1895 Posizioni 2-27, Carpetta n. 12 (marzo 1895) 512 – Biblioteca Classense 374 485

530 530

Roma, Archivio di Stato Archivio dei Trenta Notai Capitolini, uff. 6, vol. 210 86 Archivio dei Trenta Notai Capitolini, uff. 23, Istrumenti 440 433, 440 Archivio dei Trenta Notai Capitolini, uff. 23, Testamenti 5 429, 439, 440, 441 Archivio dei Trenta Notai Capitolini, uff. 25, vol. 419 86 Camerale I, 922 465 Camerale I, 924 464 Camerale I, 925 464 Camerale I, Chirografi, Collezione A, vol. 171 93 Camerale I, Chirografi, Collezione C, vol. 250 93 Congregazioni Religiose Maschili, Teatini, S. Andrea della Valle, b. 2200, fasc. 2 667 Famiglia Albani, b. 53, Testamenti, n. 8 113 Notai segretari e cancellieri della Reverenda Camera Apostolica, vol. 1940 91, 92, 93, 97, 107 Notai segretari e cancellieri della Reverenda Camera Apostolica, vol. 1962 98, 99, 106, 107 Notai segretari e cancellieri della Reverenda Camera Apostolica, vol. 2103 113 – Archivio Storico Capitolino Fondo Boccapaduli, b. 159, Pozzo, mazzo VIII 91, 95 – Archivio Storico del Vicariato S. Lorenzo in Lucina 53, Stati delle

22 indici.indd 818

anime 1684 429 S. Lorenzo in Lucina 63, Stati delle anime 1694 429 S. Lorenzo in Lucina, Morti IX (1695-1708) 433, 439 – Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana Archivio dal Pozzo, ms. VI (4) 384 ms. 40 86 – Biblioteca Casanatense 489 1561 2240

143-144 480 435

– Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” Sess. 71 200, 219, 266-267 Sess. 408 659 Vitt. Em. 918 719 – Biblioteca Vallicelliana B 23 201, 219, 223, 227, 258 B 82 201, 219, 270 B 141 194, 219, 221-223, 240-241, 244, 246 C 32 192-193, 202, 215-216, 219-223, 225-227, 234-241, 244-247 E 62 192, 194, 200, 219, 222-227, 240, 244, 246-247, 258 G 50 70 K 17 470 Appendix Allatiana, ms. 132 727, 733-734 – Collegio Greco, Biblioteca ms. 15

722

Salamanca, Biblioteca General Histórica de la Universidad ms. 2703 332, 337 Seu d’Urgell, Museu Diocesà 63

563, 564

St. Gallen, Stiftsbibliothek 338 194, 200, 220-223, 225-227, 244, 246-247, 261 635 452 Stockholm, Musik- och teaterbiblioteket KO-R 599 – Nationalmuseum B 1792

560

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INDICE DEI MANOSCRITTI

Strasbourg, Bibliothèque nationale et universitaire Argent. 1903 607 Stuttgart, Württembergische Landesbibliothek cod. fol. 601 643 Subiaco, Biblioteca del Monumento Nazionale di Santa Scolastica Archivio Colonna, III TE 29 661 Toledo, Archivo Capitular 38.4 38.13

569 570

Torino, Archivio di Stato a.II.1 (vol.14)

380

– Biblioteca Nazionale Universitaria D.I.21 361-363, 365, 367 tav. IIc-d, 368 tav. IIIb, 369 tav. IIIc, 370 tav. IVd-f, 373 tav. Ve-g Trento, Biblioteca Capitolare 27 201, 220, 270 Valencia, Arxiu Capitular 162

570

Vallombrosa, Biblioteca dell’Abbazia Manuale di preghiere (deperditus) 200, 218, 266-267 Velletri, Archivio Diocesano Exultet

22 indici.indd 819

Veroli, Biblioteca Giovardiana 14

819

127

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana lat. VI. 15 (= 2807) 323 lat. VI. 18 (= 3014) 323 gr. 524 620 gr. XI 22 629 Wien, Österreichische Nationalbibliothek hist. gr. 35 615, 616, 629 n. 87, 630, 631, 633 hist. gr. 80 640 hist. gr. 98 606, 624, 637, 638, 640, 642 med. gr. 43 606, 637, 638, 641, 642 mus. 17758 439 mus. 18665 434, 435 phil. gr. 65 624 phil. gr. 165 624 phil. gr. 300 619 Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek Helmst. 1151 193, 200, 220-222, 227, 257-260 Zagreb, Metropolitanska Knjiànica MR 166 193, 200, 220-221, 225-227, 240, 242, 244, 246-247, 258, 261 Zaragoza, Cabildo Metropolitano 10-8

559

185, 187

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INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana Ashby Stampe, Cartella Piranesi 15 (11) 423 Disegni generali 5 784 Inc. I.73 (2) 168 Inc. II.2 173 Inc. II.3 171 Inc. II.9 175, 178 Inc. II.12 (1) 175 Inc. II.13 180 Inc. II.24 156 Inc. II.30 151 Inc. II.48 (1) 176 Inc. II.48 (3) 176 Inc. II.69-70 153 Inc. II.83 166 Inc. II.90 173 Inc. II.154 (2) 154 Inc. II.187 (PP) 154 Inc. II.199 181 Inc. II.219 173 Inc. II.222 (2) 161 Inc. II.227 160 Inc. II.254-257 153 Inc. II.271 158 Inc. II.286 173 Inc. II.295 (1) 172 Inc. II.297 (1) 171 Inc. II.298 171 Inc. II.314 171 Inc. II.344 182 Inc. II.392 174 Inc. II.412 179 Inc. II.426 180 Inc. II.441 173 Inc. II.444 154 Inc. II.446 149 Inc. II.456 (2) 165 Inc. II.472 152 Inc. II.500 171 Inc. II.507 156 Inc. II.529 173 Inc. II.532 171

22 indici.indd 820

Inc. II.569 Inc. II.573 Inc. II.613 Inc. II.623 Inc. II.630 (2) Inc. II.632 Inc. II.664 Inc. II.681 Inc. II.753 Inc. II.784 Inc. II.785 Inc. II.811 Inc. II.819 (2) Inc. II.840 Inc. II.863 Inc. II.930 Inc. II.941 Inc. III.1 Inc. III.10 Inc. III.12 (3) Inc. III.21 Inc. III.27 Inc. III.33 (1) Inc. III.40 Inc. III.50 Inc. III.65 Inc. III.66 (3) Inc. III.67 (1) Inc. III.67 (2) Inc. III.83 Inc. III.85 Inc. III.101 (1) Inc. III.101 (2) Inc. III.114 Inc. III.128 Inc. III.129 (1) Inc. III.137 Inc. III.139 (2) Inc. III.183 Inc. III.189 Inc. III.214 Inc. III.226 Inc. III.227 Inc. III.228

153 176 171 165 172 154 152 173 153 175 177 152 151 172 161 172 174 173 172 163 172 175 171 174 166 159 155 155 155 177 178 177 174 162 181 152 172 163 158 159 159 152 151 167

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Inc. III.229 Inc. III.250 Inc. III.278 Inc. III.344 Inc. III.346 Inc. III.347 Inc. III.349 Inc. III.351 Inc. III.414 (2) Inc. III.423 (1) Inc. III.423 (2) Inc. III.482 Inc. III.504 Inc. III.510 Inc. III.517 Inc. III.543 Inc. IV.7 (1) Inc. IV.7 (29) Inc. IV.41 Inc. IV.42 Inc. IV.43 Inc. IV.45 Inc. IV.51 (4) Inc. IV.56 Inc. IV.64 Inc. IV.73 Inc. IV.76 (29) Inc. IV.80 Inc. IV.83 (2) Inc. IV.87 Inc. IV.105 Inc. IV.214 Inc. IV.244 (1) Inc. IV.244 (2) Inc. IV.258 (29) Inc. IV.285 Inc. IV.337 Inc. IV.344 (1) Inc. IV.349 Inc. IV.351 Inc. IV.361 (1) Inc. IV.361 (2) Inc. IV.363 (5) Inc. IV.371 (20) Inc. IV.413 Inc. IV.466 (3) Inc. IV.473 (1) Inc. IV.476 (4) Inc. IV.478 (3) Inc. IV.491 Inc. IV.509 (4)

22 indici.indd 821

INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA

821

Inc. IV.529 Inc. IV.531 Inc. IV.539 (12) Inc. IV.539 (13) Inc. IV.578 Inc. IV.621 Inc. IV.624 Inc. IV.646 (1) Inc. IV.675 Inc. IV.687 Inc. IV.730 Inc. IV.735 Inc. IV.738 Inc. IV.772 Inc. IV.776 Inc. IV.839 Inc. IV.846 Inc. IV.920 (2) Inc. IV.920 (30) Inc. IV.963 Inc. V.63 (2) Inc. V.70 Inc. V.149 Inc. V.104 Inc. V.161 Inc. S.1 Inc. S.7 Inc. S.8 Inc. S.10 Inc. S.15 (1) Inc. S.19 Inc. S.20-21 Inc. S.25 (1) Inc. S.29 (1) Inc. S.29 (2) Inc. S.35 Inc. S.37 Inc. S.38 Inc. S.48 Inc. S.49 Inc. S.57 Inc. S.59 Inc. S.76 Inc. S.86 Inc. S.87 Inc. S.96 Inc. S.98 (4) Inc. S.101 (1) Inc. S.101 (2) Inc. S.111-112 Inc. S.118

169 153 180 182 153 152 177 152 166 142 163 163 182 177 169 174 174 147 147 174 163 177 177 167 169 158 153 147 153 148 147 147 148 149 149 151 151 151 151 147 147 151 150 148 146 146 169 147 147 149 147

172 178 167 158 159 173 175 159 173 173 173 173 152 173 158 174 147 147 158 142 152 166 163 156 152 180 147 166 178 166 163 176 147 147 147 169 164 164 169 152 174 174 164 164 164 177 164 182 152 178 164

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822

INDICE DEGLI ESEMPLARI A STAMPA

Inc. S.119 Inc. S.136 Inc. S.149 Inc. S.155 Inc. S.171-172 Inc. S.182 Inc. S.183 Inc. S.186 Inc. S.229 Inc. S.230 (2) Inc. S.135 Inventari di stampati 76 Inventari di stampati 77 Lett. gr. ant. II.12 (1-4) Lett. gr. ant. II.13 (1-4) Membr. S.12 Prop. Fide I.68 R. I II.57 Sala Cons. Mss. 79 rosso Sala Cons. Mss. 129 rosso Sala Cons. Mss. 152 rosso

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147 166 149 147 147 151 151 149 146 147 154 758 758 731 731 150 166 483 794 378, 385 384, 392

Sala Cons. Mss. 308 rosso 468 Sala Cons. Mss. 311 rosso 742 Sala Cons. Mss. 312 rosso 742, 744 Sala Cons. Mss. 313 rosso 742 Sala Cons. Mss. 316 rosso 704 Sala Cons. Mss. 335-355 rosso 385 Sala Cons. Mss. 382 (1-10) rosso 47 Sala Cons. Mss. 438 (6-8) rosso 27 Sala Cons. Mss. 438 (9) rosso 27 Sala Cons. Mss. 439 (1) rosso 31 Stampe V.21 10-17, fig. 1 Stamp. Barb. C.VIII.10 495 tav. II Stamp. Ferr. I.161 (int. 1, 2, 3) 392 Stamp. Ross. 2052 164 Oggetti d’arte 35

7-17, figg. 2, 3, 4, 7, 9

Padova, Biblioteca Universitaria Sec. XV 717

323

Roma, Biblioteca Vallicelliana S. Borr. O V 166, int. 119

383

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