Lo studio dell'Islam in Europa nel XII e nel XIII secolo 8821004848, 9788821004841

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Lo studio dell'Islam in Europa nel XII e nel XIII secolo
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STUDI E TESTI —

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UGO MONNERET DE Y1LLARD

LO STUDIO DELL’ISLAM IN EUROPA NBL ΙΠ E NEL ΧΠΙ SECOLO

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MDCCCCXL1V

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STUDI E TESTI -------------------- 110 -----------------------

UGO MONNERET DE Y1LLARD

LO STUDIO DELL’ISLAM IN EUROPA NEL XII E NEL XIII SECOLO

C IT T À D E L V A T IC A N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MDCCCCXL1V

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IM PRIMATUR:

Datum in Civ. Vat., die 1“ aprilis 1944. f FT·. A. C. De Romanis, Ep. Porphyreonen., Vic. Gen. Civitatis Vaticanae

Ristampa anastatica Tipo-Litografia Oini s.n.c. - Modena 1996

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INDICE I -

Queste note debbono considerarsi come una introduzione all’opera di Ricoldo da Montecroce sul Corano. - Primi rapporti culturali fra l’Europa occidentale (Spagna, Lorena, Inghilterra) e il mondo islàmico. - Premi­ nenza assunta dalla Spagna e specialmente da Toledo. - Importanza del­ l’elemento ebraico e mozarabo nella trasmissione. - I traduttori inglesi. - Il gruppo salernitano. - Gli elementi isolati. - Durante questo primo periodo l’interessamento si dirige esclusivamente verso i testi scienti­ fici ................................................................ ............................................................ pag. I

II - Cluny e la Crociata nella Spagna. - Pietro il Venerabile inizia lo studio dell’islamismo. - L a traduzione del Corano. - I traduttori di Pietro il Venerabile: Pietro da Toledo, Roberto anglico ed Hermann dalmata. Identificazione di questi autori e delle loro opere. - Testi perduti delle traduzioni di Pietro da Toledo. - La traduzione del Corano di Euthymios Zigabenos. - Importanza della traduzione di Roberto anglico. - Lo scritto « Contra sectam Saracenorum » di Pietro il Venerabile. - Lo studio dell’islàmismo presso i bizantini. - Gli scritti di Sperandio da Cordoba, di Albarus e di St. Eulogio. - L a traduzione del Corano di Marco da Toledo. - L a personalità di Roderico Jiménez de Rada, vescovo di Toledo, e la sua azione per gli studi orientali. - I traduttori toledani del xxn secolo. - Povertà degli studi islàmici fuori della Spagna: Jacopo da Vitry. - Tra­ sformazione delle condizioni dello studio verso la metà del x m secolo. - Disinteresse italiano per gli studi sull’islàmismo. - Le traduzioni del Corano in catalano. - Grossolani errori sull’islàmismo circolanti in Europa. - Maometto considerato come una divinità. - L ’ adorazione delle im m a­ gini di Maometto. - Errori intorno alla vita del Profeta . . . pag. 8 III - I domenicani ed i francescani in rapporto agli studi orientalistici. - Im ­ portanza prevalente dell’azione domenicana. - La costruzione dello « stu­ dium » di Tunisi. - Alfonso el Sabio e lo studio dell’arabo all’università di Siviglia. - L ’opera di Humbertus de Romanis. - Lo « studium arabicum » di Murcia. — Raimondo Lullo ed il monastero di Miramar. - I dome­ nicani fondano lo «studium arabicum » di Valencia, e poi quello di Jativa. - Azione di Raimondo Lullo sino al Concilio di Vienne. - Decisioni del· Concilio ed il loro insuccesso pratico. - Gli studi arabi alla Curia Pontificia, a Parigi, ad Oxford, a Bologna ed a Salamanca. - L ’opera di Humbertus de Romanis e di Raimondo Martin. - L e traduzioni dall’ arabo alla corte di Alfonso el Sabio. - La traduzione del « K itàb al-mi ‘rag» ed i suoi rap­ porti con la « Divina Comedia ». - Importanza di Raimondo Martin. Arnaldo di Villanova. - San Pedro P a s c u a l.....................................pag. 35

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IV IV

Indice - Poca importanza dei movimenti degli studi arabi fuori della Spagna. - Esiguo contributo portato dai missionari. - I testi conservatici da Mathaeus Parisiensis. - Paragone fra il Califfo ed il Papa. - Roger Bacon. - Johannes Guallensis. - Pidenzio da Padova. - L a scoperta del « Liber Clementis ». - Oliverio vescovo di Paderborn. - Benedetto d’Alignan. - Gli interpreti dall’arabo. - Guglielmo da Tripoli e l’importanza della sua opera « De statu Saracenorum », la più notevole innanzi quella di Ricoldo da Montecroce. - Mutamento dello spirito europeo rispetto all’islam alla fine del x in secolo. - Documentazione europea sulla teologia dell’islàm. - Lo stato d’animo europeo al momento nel quale scrive Ricoldo da M o n te c r o c e ..................................................................... ...................pag. 59

Indice dei nomi........................................................................................................... pag. 79

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I Agli albori del

XIV

secolo un domenicano fiorentino, Eicoldo da

Montecroce, dopo aver passati molti anni in Oriente e specialmente a Bagdad, ha redatto un libro sulla religione islàmica che è certo quanto di meglio fu scritto snll’argomento, innanzi i grandi studi degli orientalisti moderni, da Ludovico Marracci in poi. L ’opera di Eicoldo, che ebbe una giusta celebrità ai suoi tempi e ancora nel XV secolo, fu in seguito dimenticata e, se qualche studioso ad essa ricorse, fu, cosa curiosissima, attraverso la traduzione latina di una sua traduzione greca; caso che credo unico, e che dimostra la com­ pleta ignoranza dell’originale. Ancora pochi anni or sono uno scrit­ tore tedesco, in una delle più celebri riviste d’orientalismo, dichia­ rava che esso era perduto. Fon solo ne abbiamo degli ottimi mano­ scritti, ma ancora delle antiche edizioni a stampa, cominciando dalla prima di Siviglia del 1500: prove convincenti della leggerezza di certe asserzioni. L ’opera di Eicoldo non è isolata: essa, si può dire, forma il punto d’arrivo di una serie di indagini sull’islam, che occupano quasi un secolo e mezzo, da quando Pietro il Venerabile, il grande abate di Cluny, provvedeva a far fare la prima traduzione del Corano e redi­ geva un primo scritto d ’analisi sulla religione musulmana, intorno alla metà del

x ii

secolo. È durante la seconda metà del

x ii

secolo e

per tutto il x m che tale lavoro di studio si svolge, con una intensità che, mi sembra, non è stata fino ad ora considerata. Credo quindi necessario, come introduzione allo stndio dell’opera di Eicoldo, trac­ ciarne rapidamente i lineamenti, e, senza per ora entrare nell’analisi e nella valutazione dei singoli scritti, indicarne l’esistenza e la suc­ cessione, presentare un quadro sommario di tutto il lavoro che l’Eu­ ropa ha compiuto fino al momento in cui Eicoldo redige il suo libro. i

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Lo studio dell’Isîâm in Europa *** Già al principio del x secolo il mondo cristiano occidentale aveva

cominciato ad interessarsi del pensiero e del movimento scientifico che così ampio sviluppo aveva avuto nell’ambiente islàmico, e si erano iniziati gli approcci, per quanto timidi, e anche si era dato mano alle traduzioni. Sembra che i primi scambi fra pensiero occidentale e pensiero islàmico abbiano avuto luogo nella Spagna, fenomeno facilmente comprensibile attraverso tutto lo sviluppo storico del paese, ove musulmani e cristiani vissero in continuo contatto ed in rapporti che non sempre erano ostili. 1 Sembra anche che tracce della scienza araba siano penetrate allora fino in Lorena, per i rapporti di questa regione con la penisola iberica: fatto di non trascurabile importanza per la storia della loro successiva diffusione in Europa.1 2 Si deve forse infatti a dei lorenesi, quali Roberto di Losinga, vescovo di Hereford (1079-1095), che Guglielmo di Malmesbury dice «om ­ nium liberalium artium peritissimus », ed a Walcher priore di Mal­ vern (non lungi da Hereford), la formazione del primo centro di studi arabi in Inghilterra. Ad ogni modo già nel secolo x i si sente il biso­ gno di compilare un glossario arabo-latino.3 Sarà Toledo che diverrà, subito dopo la conquista cristiana (1085), il vero centro di questi studi, per opera dell’arcivescovo Raimondo (1125-1151)4 e, soprattutto, di Domenico Gondisalvi (Dominicus

1 Si veda L ynn T horndike , A History of Magic and Experimental Science, New York 1923, I, 697-701; C. H . H askins , Studies in the History of Mediaeval Science, 2 ed., Cambridge Mass. 1927, 8-9; A . van de V yver , Les plus anciennes traductions latines médiévales (X e et X I ‘ siècles) de traités d’astronomie et d'astro­ logie, in Osiris, I (1935), 658-691, e Les premières traductions latines médiévales ( X e et X I* siècles) de traités arabes sur l’astrolabe, in Premier Congrès international de géographie historique, Bruxelles 1931; J. M. M ill a s y V allicrosa, Assaig d’historia de las ideas fisiques i matemàtiques a la Catalunya medieval, I, Bar­ celona 1931. 2 Si veda J. W . T hompson, The Introduction of Arabic Science into Lorraine in the Tenth Century, in Isis, X I I (1929), 184-193; M. C. W elborn , Lotharingia as a center of Arabic scientific influence in the X lth Century, in Isis, X V I (1931), 188-199 e X V I I (1932), 260-263. 3 Edito da (!. F. Seybold, Tübingen 1900; cf. E . B òhmer, in Romanische Studien, I (1871), 221-230, e Gòtz, Corpus glossariorum latinorum, I, 188 sg. * Su ll arcivescovo Raimondo si veda principalmente A . Gonzales P a -

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nel xi! e nel xili secolo

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Gundissalinus), arcidiacono di Segovia. Se analizziamo l’attività di questo studioso, vediamo subito affermarsi un fenomeno interessante e di notevole portata: il contributo assai grande, ed agli inizi fondamentale, che a questa opera di contatto fra pensiero cristiano e pen­ siero islàmico ha portato l’elemento ebraico. Questo aveva una grande importanza a Toledo, ove esisteva un vasto quartiere israelitico (ja-jj)1 e una classe rabbinica di alta cultura, addestrata a tutte le complessità del pensiero scientifico e filosofico, di un livello mentale infinitamente più alto di quello raggiunto allora dal mondo cristiano. Dalla prefazione preposta alla traduzione del « De Anima » di Averroe apprendiamo infatti che l’ebreo convertito Johannes Avendeath aveva tradotto il testo arabo parola per parola in vol­ gare (spagnolo) e che Domenicus Gundissalinus lo aveva poi reso dal vernacolo in latino. *1 2 Quella di Johannes Avendeath (e del nome abbiamo parecchie varianti grafiche) è personalità non del tutto fìn’ora ben chiarita: sembra essere un Giovanni figlio di Davide (ibn Dàwüd) e identificabile con un Johannes Hispalensis, detto anche de Toledo, oppure de Luna, che tradusse molte opere, fra il 1135 ed il 1153 circa, specialmente astrologiche: fu in rapporto anche con Plato da Tivoli e con Rodolfo di Bruges.3 Questi, ed altri dati analoghi,4 ci illuminano sul procedimento attraverso il

Noticias sobre don Raimundo, arzobispo de Toledo (1126-1152), in Spanische Forschungen der Gôrresgesèllschaft, I. Reihe, 6. Band, Münster i. W . 1937, che però (pag. 134-136) fa alcune restrizioni sul suo influsso nell’opera culturale. 1 Su tale quartiere si veda R. A mador de los R ios, Toledo en los siglos X I I y X I I I segun los doeumentos mozaràbigos, in Revista de archivos, bibliotecas y museos, III epoca, tomo X I (1904), 254-263; A. G onzales P alencia , Los mozàrabes de Toledo en los siglos X I I y X I I I , Madrid 1930, I, 74-76, 142-151. 2 M. Steinschneider , Die hebràische Uebersetz. (1893), 981 e 380, nota 2; l e n c ia ,

e l’opera di A lonso A lonso citata alla nota seguente. 2 Su di lui si vedano principalmente T horndike , op. cit., II, 73-78; H askins , op. cit., 13-14; G. Sarton , Introduction to the History of Science, II (1931), 169172; J. M illas V allicrosa , Un ouvrage astronomique inconnu de Johannes Avendaut Hispanus, in A tti del X I X Congresso Internazionale degli Orientalisti, Roma 1938, 597-602, nonché lo scritto di M. A lonso A lonso , Notas sobre los traduc­ tores toledanos Domingo Gundisalvo y Juan Hispano, in Al-Andalus, V i l i (1943), 155-188. 4 Così si deve tener conto dell’opera di Petrus Alphonsi, un ebreo nato nel 1062, convertito e tenuto a battesimo ad R'uesca nel 1106 da Alfonso I d’Aragona, che andò in Inghilterra come medico di Enrico I, e che con Walcher priore

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

quale avvenivano le traduzioni:1 l’avventuroso studioso europeo che prendeva la via della Spagna ed arrivava a Toledo, era comple­ tamente ignaro della lingua araba e prendeva i primi contatti con qualche membro del clero cristiano indigeno (mozarabo), che natu­ ralmente parlava il volgare romanico, conosceva più o meno bene l’arabo,*1 2 ma non aveva nessuna preparazione scientifica che potesse renderlo atto a comprendere le grandi opere islàmiche. I due assieme ricorrevano ad uno studioso ebreo: questo ignora il latino, ma sa bene l’arabo ed il volgare ed è uomo di cultura scientifica e filosofica. È lui che traduce frase per frase il testo arabo in volgare; il moza­ rabo dal volgare lo rende in latino, naturalmente con tutta la dif­ ficoltà della sua impreparazione scientifica, della sua imperfetta conoscenza della lingua e della differenza di pronuncia col latino che parla lo studioso occidentale; questo infine cerca di dare una forma letteraria al testo che gli viene trasmesso col doppio veicolo del mozarabo e dell’ebreo. Si comprende quindi, attraverso un pro­

di Malvern traduee degli scritti astronomici; e di quella dell’ebreo Abraham ben Ezra (1092-1167) che esso pure fu in Inghilterra nel 1158 dalla nativa Spa­ gna, e di molti altri ancora. 1 Si vedano le belle pagine di Charles and D orothea Singer , The Jewish Factor in Mediaeval Thought, in The Legacy of Israel 2, Oxford 1928, 204-206. 2 A Toledo dovevano anche esistere dei mozarabi che conoscevano bene la lingua araba: si veda ad esempio la lista di scribi, notai e segretari che inter­ vengono alia redazione di documenti arabi dal 1121 al 1303, data da A. G on ­ zales P alenoia , Los mozàrabes, cit., 223-224. Meno sicuro è che vi fosse una vera classe di studiosi dotti, oltre che nell’araba anche nella lingua latina, come già si ebbe anteriormente all’x i secolo e in altre parti della Spagna, classe di dotti fra i quali ha un primissimo posto quell’ Isacco Velasquez da Cordoba (Ishàq b. Balisak al-Qurtabi) che nel x secolo tradusse Luca e forse anche altri evangeli (cf. G. Graf , Die christlisch-arabische Literatur bis zur frànkischen Zeit, Freiburg i. B. 1905; H . Goussen , Die christlich-arabische Interatur der Mozaraber, Leipzig 1909, passim; A . B aumstark , Markus K a y . 2 in der arabischen Ubersetzung des Isaak Velasquez, in Oriens Christianus, X X X I (1934), 226-239; F r . T aeschner . Die monarchianischen Prologe zu den vier Evangelien in der syanisch-arabischen Bibelübersetzung des Isaak Velasquez nach der M ünchener Handschrift cod. arab. 238, in Oriens Christianus, 3 ser., X (1935), 80-99) oppure altri autori che nello stesso periodo tradussero altri testi (si vedano D ozt , Le calendrier de Cordone de Vannée 961, Leyden 1873; Carra de V a u x , L ’épître aux Laodicéens en arabe, in Revue Biblique, V [1896], 221226; E . T isserant , La version mozarabe de l’épîire aux Laodicéens, in Revue B i ­ blique, n. s. V II [1910], 249-253; D. de B ruyne et E . T isserant , Une feuille arabo-latine de l’épître aux Galates, in Revue Biblique, n. s. V II [191C], 321-343).

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nel xi! e nel xm secolo

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cedimento così travagliato, l’imperfezione di quelle traduzioni latine che sono giunte sino a noi. Se dobbiamo dunque ammirare la tenacia e la fatica di questi primi traduttori, non dobbiamo però pensare che essi fossero degli arabisti: in un primo periodo, quello che si può chiamare il tempo eroico delle traduzioni, probabilmente essi non sanno l’arabo e solo lentamente, e col tempo, hanno appreso i rudimenti della lingua. Come risulterà chiaramente da un testo che citerò più sotto, il primo traduttore europeo del Corano, Roberto anglico, era fiancheggiato da un interprete saraceno: questo alla metà del x n secolo. Ricordiamo ancora ciò che nella seconda metà del x n i secolo Roger Bacon dice delle traduzioni di Hermann Alamannus, morto nel 1272: 1 «ISTec Arabicum benesciuit, ut confes­ sus est, quia magis adiutor fuit translationum quam translator: quia Sarascenos tenuit secum in Hispania, qui fuerunt in suis trans­ lationibus principales». In questo primo periodo toledano delle traduzioni è in un certo qual modo preponderante l’opera degli ebrei. 1 2 È allora che Toledo attira studiosi di tutto il mondo, fra i quali primeggia, se non altro per la massa del lavoro, Gerardo da Cremona,3 che era aiutato da un mozarabo, chiamato Galippus (Gàlib ?). 4

1 R oger B acon , Compendium studii philosophiae, c. 8, ediz. Brewer, 472^ Anche il trattato Delas figuras delas estrellas fixas que son enei ochavo cielo, de Liber del saber de astrologia di Alfonso el Sabio, fu tradotto da un ebreo (Yhuda o Juda), cohen, faqih del re, e da uno spagnolo (Guillén Arremón d’Aspa), suo clerico: vedi O. J. T allgren , Survivance arabo-romane du catalogue d'étoiles de VAlmageste, in Studia Orientalia (Helsinki), I I (1928), 241. 2 Sull’importanza dell’elemento ebraico, tanto di ortodossi quanto di convertiti, nell’opera di traduzione sia in Spagna quanto nella Francia meri­ dionale poi, si veda la nota bibliografica in H askins , op. cit., 17, nota 57. Molti dati anche» nella rec.ente opera di J. M. M iei,as V allicrosa , Las traducciones orientales en los manuscriptos de la Biblioteca Catedral de Toledo, Madrid 1942. 3 K . Sudhoff , Die Kurze Vita und das Verzeichnis der Arbeiten Gerhards von Cremona, von seirten Schülern und Studiengenossen hurz nach dem Lode des Meisters (1187) zu Toledo verabfasst, in Archiv f. Gesch. d. Medizin, herausgeg. V. d. Puschmann-Stijtung an der Univèrsit. Leipzig, V i l i (1914). Sull’opera di Gerardo si veda B. B uoncompagni, Della vita e delle opere di Gherardo Cremonese, in A tti Accad. Pont, dei Lincei, IV (1851), 387-493, e la nota bibliografica in H askins , op. cit., 14, nota 43. 4 Si veda il testo .di Daniele de Morley, che era a Toledo contemporanea­ mente a Gerardo: « Galippo mixtarabe interpretante Almagesti latinavit »,

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

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Uno sviluppo un po’ diverso ha la scuola dei traduttori inglesi. Le sue origini risalgono a Walcher priore di Malvern, un lorenese andato in Inghilterra nel 1091: egli utilizza la collaborazione di un ebreo spagnolo convertito, Petrus Alphonsi o Petrus Anfusi. E se Eogerio di Hereford sembra dipendere solo dall’insegnamento locale, 1 Daniele di Morley o Merlai fa il suo tirocinio a Toledo sotto Gerardo di Cremona, *1 2 e Adelardo di Bath, la gloria del gruppo, mostra una ben più larga visione scientifica e il desiderio di utiliz­ zare una documentazione ed una istruzione più completa, sì che non si accontenta dell’insegnamento che riceve a Tours, ma va forse in Spagna, a Salerno ed anche si spinge in Oriente, dove sembra abbia visitato Tarso e Antiochia e forse la Palestina: la sua attività, segna­ lata fra il 1116 ed il 1142, è grandissima.3 Bicordo ancora la pre­ senza in Inghilterra (nel 1158-1159) dell’ebreo toledano Abraham ben Ezra. 4 Probabilmente la scuola francescana di Oxford del xrn se­ colo ha qualche connessione con questo gruppo di Hereford, in quanto il suo fondatore Roberto Grosseteste fu un membro della casata di William de Vere vescovo di Hereford (1189-1199); ma personalmente Grosseteste non esegue se non delle traduzioni dal greco.5 dal ms. Arundel 377, fol. 103Γ (xiii sec.). Cf. T horndike , A History of Magic and Experim. Science, II, 88. 1 Su di lui si veda H ask in s , op. cit., 124-126, e J. C. R ussell , Hereford and Arabie Science in England, in Isis, X V I I I (1932), 14-18. 2 Si veda T horndike , op. cit., II, 171-181; J. C. R ussell , op. cit., 22-23, e il testo edito da V . R ose, Ptolomdus und die Schule von Toledo, in Hermes, V i l i (1874), 347-349. Si veda in generale Ch . Singer , Daniel of Morley, an English Philosopher of the X I I th Century, in Isis, III (1920), 263 sg. 3 Su di lui si vedano i dati raccolti in T horndike , op. cit., II, 19-49; H as ­ kins , op. cit., 20-42; F. B liemetzrieder , Adelhard von Bath, München 1935. 4 Si veda J. J acobs, The Jews in Angevin England, London 1893, 29-38; R. L e v y , The Astrological Worhs of Abraham ibn Ezra (The Johns Hopkins Studies in Romance Literatures and Languages, V i l i ) , Baltimore-Pàris 1927. 5 Si veda E . F ranceschini, Boberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, e le sue traduzioni latine, in Atti del B . Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, X C I I I (1933-34), 1-138. In quanto all’orientalismo il Grosseteste non si inte­ ressò se non alla cultura ebraica, e per gli ebrei ebbe della benevolenza: vedi L . M. F riedman , Bobert Grosseteste and the Jews, Cambridge (Mass.) 1934. Un ottimo prospetto di tutta la sua produzione è dato da S. H arrisson TnOMSON, The Writings of Bobert Grosseteste, Bishop of Lincoln, 1235-1253, Cambridge 1940.

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nel xi! e nel xm secolo

Tutto affatto a parte sta il gruppo salernitano: qui sembra che sia prevalente l’opera diretta di ebrei o di mussulmani ortodossi o convertiti,1 di cui l’esempio più cospicuo

è

dato da Costantino

africano, nato a Cartagine intorno al 1015, che completò la sua edu­ cazione a Babilonia (Vecchio Cairo) e finì monaco di Montecassino, ove morì nel 1087. 1 2 Fra i suoi allievi vi

è

un Johannes Afflacius

detto il Saraceno, certo dalla sua origine. Al di fuori di questi gruppi o nuclei compatti troviamo ancora qui e là, durante il x i i secolo, degli studiosi che sembrano isolati. Così a Barcellona lavora Plato di Tivoli con la collaborazione del­ l’ebreo Abraham ben Hiyya chiamato Savasorda;3 un Hugo Sanctallensis dedica a Michele vescovo di Tarazona (1119-1151) parec­ chie delle sue traduzioni. 4 E qualche contributo portano anche dei latini emigrati o nati nel regno di Gerusalemme: così Stefano d ’Antiochia, un pisano che ha studiato a Salerno e in Sicilia, che appare ad Antiochia nel 1127 come traduttore delle opere mediche di ‘Ali ben ‘Abbas, alla fine delle quali unisce un glossario grecoarabo-latino; Bernardus Silvester, databile fra il 1164 ed il 1197, che traduce un trattato di divinazione; è Filippo da Tripoli vivente

1 Si veda C armoly , Histoire des médecins juifs, Bruxelles 1844, I, § X X I I I ; D e Renzi , Collectio Salernitana, Napoli 1852-1859, I, 106, 119 e passim; Sar ton , Introduction to the History of Science, Baltimore 1927-1931, I, 725-726; II, 69-71, 519. 2 L a sua vita ci è data da P ietro D iacono nella Chronica monasterii Casinensis, I II , 35, e nel He viribus illustribus Casinensibus, cap. 23. Sull’attendi­ bilità di questo cronista, si veda E . Caspar , Petrus Biaconus und die Monte Cassino-Eàlschungen, Berlin 1909. Sull’opera di Costantino africano vedi Thorn ­ dike , op. eit., I, 742-759; K . Sudhofe , Constantin, der erste Vermittler muslimischer Wissensehaft ins Abenland und die beiden salernitaner Friihscholastiker Maurus und Orso, ale Exponenten dieser Vermittlung, in Archeion, X I V (1932), 359-369. Si vedano inoltre alcune note di P. Novati, edite da A . M onteverdi in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, vol. L X X I V , Classe di lettere e scienze morali e storiche (1940-41), 709-715. 3 B. B uoncompagni, Belle versioni fatte da Platone Tiburtino, traduttore del secolo duodecimo, in A tti delVAccad. Pont, dei Lincei, IV (1851), 249-286; M. Curtze , Her « Liber embadorum » des Savasorda in der Uebersetz. des Plato von Tivoli, in Abhandl. zur Gesch. der mathematischen Wissenschaften, X I I (1902) [e sulla data di questo testo cf. H askins in Romanic Review, II (1911), 2, e English Historical Review, X X V I (1911), 491]; Thorndike , op. cit., II, 119,.

4 H askins , op. cit., 67-81.

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Lo studio dell’ Islam in Europa

nella prima metà del x m secolo, elle traduce il « Secretum secre­ torum » dedicato a Guido de Vere di Valenza o Valencia.1 Tutto questo lavoro, nel suo complesso gigantesco, compiuto nel XIX secolo, ha avuto si può dire lo scopo unico di mettere a dispo­ sizione del mondo occidentale delle traduzioni di opere scientifiche o filosofiche, alla ricerca soprattutto dei perduti capolavori del pen­ siero greco o di quelle cognizioni tecniche per le quali il mondo islà­ mico di tanto primeggiava sul cristiano. Ma quale fosse veramente l’animo di questo mondo islàmico, il suo pensiero intimo, in una parola la sua religione, pochi assai sembra se ne preoccupassero.

II Il più importante fra i primi tentativi di una conoscenza intima dell’islàm è collegato con l’abazia di Cluny, focolaio della vita cul­ turale e spirituale del medio evo, e specialmente col grande abate .y Pietro il Venerabile e il suo viaggio nella Spagna del 1141.1 2 Egli vi si recò per visitare i molti priorati dipendenti da Cluny e le chiese ed i monasteri affiliati,3 non solo, ma anche per sistemare non poche questioni politiche, e percorse una di quelle vie del pellegrinaggio a Compostella, che così bene ci descrive il « Codice di St. Jacopo », 4 probabilmente elaborato a Cluny come vuole il Bédier. Sembra che siano i cluniacensi ad aver organizzato il pellegrinaggio, preoc­ cupati come sempre della crociata contro gli infedeli, in quanto i

1 H askins , op. cit., 130-140, e specialmente K. Steele nella prefazione del Secretum secretorum di R. Bacon, in Opera hactenus inedita R ogeri B aconi, fase. V, Oxford 1920, pp. x i x -x x i . 2 Su questo viaggio si può vedere J.-H. P ignot, Histoire de l’Ordre de Cluny... jusqu’à la mort de Pierre-le-Vénérable, III, Paris 1868, 288-295. 3 Un elenco se ne può vedere in A . K ingsley P oeter , Romanesque Sculp ture of the Pilgrimage Roads, Boston 1923, I, 175. 4 P ita y V inson , Le codex de Saint-Jacques de Composteïle. Liber de m i­ raculis sancti Jacobi, Liber I V , Paris 1882. I dati dell’antico testo debbono essere completati, specialmente per la parte al di là dei Pirenei, con le ricerche dei moderni studiosi, principalmente L aveegne , Les chemins de Saint-Jacques en Gascogne, Bordeaux 1887; D ufourcet, Les voies romaines et les chemins de Saint-Jacques, in Congrès archéologique de Dax et Bayonne, 1888, 241 sg.; D a u x , Le pèlerinage de Saint-Jacques de Composteïle, Paris 1898.

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nel XII e nel xm secolo

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pellegrini facilmente si trasformavano in soldati; e, se in questa guerra convergevano reclute di tutta la Francia, si può dire che i baroni borgognoni vi avessero la prevalenza.1 II Mâle può ben osser­ vare 1 2 che la crociata fu sempre uno dei grandi pensieri di Cluny: lo si vide bene il giorno in cui Urbano II, antico monaco cluniacense, chiamò la Francia alla guerra santa. Ma gli abati di Cluny non ave­ vano atteso il concilio di Clermont per predicare la crociata3 e, commossi dalla lotta grandiosa che la Spagna sosteneva da secoli contro gli infedeli, l’aiutarono con tutte le loro forze. Chiamarono in soccorso persino gli antichi eroi e fecero di Carlo Magno e dei suoi paladini l’esempio che dovevano seguire i cavalieri: cioè Cluny non esitò ad adottare le « chansons de gestes » che si cantavano lungo le vie del pellegrinaggio. Da questo e dalla guerra di Spagna è nata la canzone di Eolando, e, dobbiamo aggiungere, anche la prima traduzione del Corano. In Spagna Pietro il Venerabile comprese, forse per la prima volta nella cristianità* che era vano combattere l’islamismo solo con le armi se veramente non se ne combattevano le teorie fondamentali: idea grandiosa che il suo tempo non doveva comprendere e che non fruttificherà se non oltre una cinquantina d’anni dopo, per merito soprattutto dell’ordine domenicano. Velia impossibilità, e anche nella incapacità, data l’ignoranza della lingua araba, nella quale si trovava di intraprendere personalmente il lavoro d’esplorazione dei testi musulmani, Pietro il Venerabile assoldò un gruppo di tra­ duttori che dovevano assolvere il compito. 4 Il primo lavoro fu la traduzione di un breve scritto apologetico arabo-cristiano, la « Summula brevis contra haereses et sectam

1 E . P etit , Croisades bourguignonnes contre les Sarrazins d’Espagne au X I e siècle, in Revue historique, X X X (1886), 259-272. 2 L ’art religieux du X I I e siècle en France, Paris 1922, 292. 3 Sull’intervento di Cluny nella .prima spedizione del 1064-1065 che con­ dusse alla presa di Barbastro vedi P. B oissonnade , Cluny, la Papauté et la première grande Croisade internationale contre les Sarrasins d'Espagne, in Revue des questions historiques, L X , 1932, 257-301. 4 L a cronologia e l’attribuzione di queste traduzioni fu per la prima volta in gran parte chiarita da P .-F . M andonnet , Pierre le Vénérable et son activité littéraire contre l’Islam, in Revue Thomiste, I (1893), 328-342.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

Saracenorum, sive Ismaelitarum ». 1 Essa fu fatta da un Pietro di Toledo, aiutato dal segretario dell’abate stesso, Pietro di Poitiers, come risulta dalla lettera del Venerabile a Bernardo di Chiaravalle: 2 « Mitto vobis, clarissime, novant translationem nostram, contra pes­ simam nequam Machumet haeresim disputantem. Quae nuper, dum in Hispaniis morarer, meo studio de Arabica versa est in Latinam. Peci autem eam transferri a perito utriusque linguae viro magistro P. Toletano. Sed quia lingua Latina non ei adeo familiaris vel nota erat, ut Arabica, dedi ei coadjutorem doctum virum, dilectum filium et fratrem P. notarium nostrum, reverentiae vestrae, ut aexistimo bene eognitum. Qui verba Latina impolite vel confuse plerumque ab eo prolata poliens et ordinans, epistolam, imo libel­ lum multis, ut credo, propter ignotarum rerum notitiam perutilem futurum perfecit ». Pietro da Toledo è poi nominato ancora da Pietro il Venerabile nel prologo del suo trattato polemico contro la setta saracena, dove rende conto di tutto il lavoro di traduzione da lui fatto eseguire: « Contuli ergo me ad peritos linguae Arabicae,... eis ad transferendum de lingua Arabica in Latinam perditi bominis originem, vitam, doctrinam, legemque ipsam quae Alchoran voca­ tur, tam prece quam pretio, persuasi. Et ut translationi fides ple­ nissima non deesset, nec quidquam fraude aliqua nostrorum noti­ tiae subtrahi posset, Christianis interpretibus etiam Sarracenum adjunxi. Christianorum interpretum nomina: Robertus Kecenensis (sic), Armannus Dalmata, Petrus Toletanus; Saraceni Mahumeth nomen erat. Qui intima ipsa barbarae gentis armaria perscrutantes, volumen non parvum ex praedicta materia Latinis lectoribus edide­ runt. Hoc anno illo factum est quo Hispanias adii, et cum domno Aldefonso, victorioso Hispaniarum imperatore, colloquium habui, qui annus fuit ab Incarnatione Domini 1141 ». 3 Qui non è distinta l’opera personale dei vari traduttori, ma la frase della lettera a Ber­ nardo di Chiaravalle dice nettamente come la « Summula » fosse

1 Edita, in Tu. B ibliander , Machumetis Saracenorum principis, eiusque successorum vitae ac doctrina, ipseque Alcoran etc., Basileae 1543, 2-6. 2 B ibliander , op. cit., 1; P . L ., C L X X X I X , coi. 339 e 649. 3 P . L „ C L X X X I X , coi. 671.

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nel XII e nel xm secolo

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lavoro di Pietro da Toledo e di Pietro da Poitiers, e come questi non avessero parte nelle altre traduzioni, risulta chiaramente dalla continuazione del paragrafo che ho già riportato: « Sed et totam impiam sectam, vitamque nefarii hominis, ae legem, quam Alchoran, id est collectaneum praeceptorum, appellavit, sibique ab angelo Gabriele de coelo collutam miserrimis hominibus persuasit, nihilo­ minus produxi, interpretantibus scilicet viris utriusque linguae peritis, Boberto Eetenensi (sic) de Anglia, qui nunc Papilonensis ecclesiae archidiaconus est, Hermano quoque Dalmata, acutissimi et literati ingenii scholastico. Quos in Hispania circa Hiberum astro­ logiae arti studentes inveni, eosque ad haec faciendum multo pretio conduxi ». 1 La traduzione del Corano è opera esclusiva di Eoberto anglico (del nome parleremo in seguito), come ben risulta dal titolo della prefazione: « Prefatio Eoberti translatoris ad dominum Petrum abbatem Cluniacensem in libro legis Saracenorum quem Alchoran vocant », da molti passi della prefazione stessa e dal colophon che la chiude: «Illustri gloriosoque viro Petro Cluniacensi abbate prae­ cipiente, suus Angligena Eobertus Betenensis librum istud trans­ tulit. Anno Domini m c x l h i , anno Alexandri Mccccni, anno Alhigere Dxxxvrq anno Persarum quingentesimo undecimo ». 1 2 Eoberto ha dunque chiusa la sua traduzione fra il 16 giugno ed il 15 luglio 1143;3 il suo nome è dato diversamente nei codici manoscritti, in quanto abbiamo Ketenensis in quello della Bodleiana, Selden Supra 31, del x m secolo, 4 Ketevensis in quello del Corpus Christi College di Oxford c l x x x i V del xiv secolo 5 e così via. L ’opera di traduzione di Hermann il Dalmata consiste in brevi trattati che portano il suo sólo nome. Il primo ha per titolo: «D e generatione Mahumet et nutritura ejus. Quod transtulit Herman-

1 B ibliander , op. tsit. 1; P. L ., C L X X X I X , coi. 649. 2 B ibliander , op. cit., 7 e 188. 3 L a data dell’èra seleucide è errata: si dovrebbe .leggere MCCCCLIII 4 F alconer Madan and H. H. E. Chaster, A Summary Catalogue of Western Manuscripts in the Bodleian Library at Oxford, vol. II, part I, Oxford 1922, 626-627. 5 H . 0 . Co xe , Catalogus codicum mss. qui in collegiis aulisque Oxoniensibus hodie adservantur, II, Oxonii 1852, 74.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

nus Dalmata scholasticus subtilis et ingeniosus, apud Legionem Hispaniae civitatem » . 1 Che debba essere considerato come il primo dei trattati tradotti da Hermann risulta dall’enumerazione che fa Pietro il Venerabile:1 2 «... eis ad transferendum de lingua arabica in Latinam perditi hominis originem, vitam, doctrinam, legemque ipsam quae Alchoran vocatur ... ». La seconda delle traduzioni porta il titolo: «Doctrina Mahumet quae apud Saracenos magnae authoritatis est: ab eodem Hermano translata, cum esset peritissimus utriusque linguae, latinae scilicet et arabicae » . 3 In quanto al trat­ tato che Pietro il Venerabile qualifica di « Vita », è questo un breve scritto dal titolo: « Chronica mendosa et ridiculosa Saracenorum » e non è invero se non un riassunto della vita di Maometto e dei suoi primi sette successori, sino all’anno 683. 4 Questa non è detta opera di Hermann se non nella tavola del Bibliander, il che non è certo un documento probante. Invece nei due codici oxoniensi che ho sopra citati, tale cronaca è preceduta da una prefazione: «P ro­ logus Eoberti translatoris ad dominum Petrum Cluniacensem abba­ tem », che comincia: « Cum jubendi religio parendi que votum ... », mancante nelPedizione Bibliander. 5 II che trasse in inganno il Mandonnet.6 La traduzione della cronaca è dunque opera di Boberto. Boberto anglico ed Hermann dalmata erano certo due buoni amici: Pietro il Venerabile li trovò assieme nella regione dell’Ebro nel 1141; Boberto dedica ad Hermann la sua traduzione dei « ludieia » di al-Kindi con una prefazione che dell’amico fa grandi lod i;7 ed a Boberto, «unicus atque illustris socius studiorum omnium,

1 B ibliander , op.

cit., 201-212. 2 P. L ., C L X X X I X , coi. 671. 3 B ibliander , op. cit., 1S9-200. 4 B ibliander , op. cit., 213-223. 5 Nel codice di Torino, G. P asini , Codices manuscripts bibliothecae Begii Taurinensis Athenaei, l i , Torino 1749, codex C LV I, e. IV . 17, pp. 46-47, la Chronica veniva subito dopo la traduzione del Corano di Roberto, e prima della Doctrina Muhamedis ab Hermano translata. 6 Preceduto anche da M. Steinschneider , Polemische und apologetische Interatur in arabischer Sprache, Leipzig 1877, 231; mentre invece ben si appose H askins , op. cit., 47, attribuendo ad Hermann due soli trattati, e dando la Chronica a Roberto.

7 H askins , op. cit., 121.

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nel xi! e nel xm secolo

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specialis atque inseparabilis comes rerumque et actuum per omnia consors unice », Hermann dedica la versione di Albumasar e il « De essentiis ». Roberto l’anglico porta nei manoscritti diversi appel­ lativi: quello di Retinensis (da Reading) è appoggiato insufficiente­ mente e solo dalla traduzione del Corano; quello di Ketenensis, con varianti (da Ketene, nel Rutlandshire), e anche quello di Cestrensis (da Chester). 1 Era principalmente interessato in studi di geometria ed astronomia: lavora a Segovia nel 1145 sull’algebra di al-Huwarizm i1 2 e a Londra, nel 1147, a un trattato sull’astrolabio.3 Più ampia è l’opera di Hermann il Dalmata, o lo Slavo, o anche detto di Carinzia: la sua attività è documentata fra il 1138 ed il 1143. 4 Sappiamo che studia a Chartres, poi è probabilmente in Spagna, nel 1142 a Leon; poi nel 1143 lo troviamo a Tolosa 5 e a Béziers. Suo allievo è Rodolfo di Bruges. Più difficile a determinare è la figura di Pietro da Toledo, b o ­ tiamo intanto che un passo di Vincenzo di Beauvais accenna ad un’altra traduzione di Pietro Toledano: « Libello disputationis cujusdam Saraceni et cujusdam Christiani de Arabia super legem Sara­ cenorum et fide Christianorum inter se. Qui ambo probati Philo­ sophi, et in secta sua perfecti, Emirhelmomini6 Regis Saracenorum erant familiares ac noti, sibique invicem amici diarissimi. Hunc autem librum fecit dominus Petrus, abbas Cluniacensis, de arabico 1 Sui nomi si veda L anglois, Travaux sur la littérature du X I I e siècle, in Journal des savants, 1919, 69-70, ma principalmente H askins , op. cit., 120, nota 19. Notiamo che il codice del Corano del 1459 posseduto da Marsilio Ficino aveva lo forma Ketenensis (of. P . L ., C L X X X I X , 173-174) e quello già Torinese la forma Kertenensis (Pasini , II, 46, cod. lat. C LV I e. IV . 17). 2 L . C. K aepinski , Robert of Chester's Latin Translation of the Algebra of Al-Khowarizmi, New York 1915, con dati bibliografici e biografici a pp. 26-32. 3 H ash ins , op. cit., 120-123. 4 H askins , op. cit., 43-66. Alcuni lo confusero con un Hermann Alamannus che operava intorno al 1240-1244 e forse 1256; vedi H askins , 16, nota 51. 5 Mal si appose Cle k v al , Hermann le Dalmate, in Comptes rendus du con­ grès scientifique international des catholiques tenu à Paris du 1er au 6 avril 1891, ■5e section, Paris 1891, 163-169, nel costruire tutta una importante scuola tolosana su questo magro dato. 6 Cioè ‘ amir al-mu’minin. Nella Spagna abbiamo più tardi (dal 1213 se­ condo E . K . Neuvonen , Los arabismos del espanol en el siglo X I I I , in Studia orientalia, X 1, Helsinki 1941, 161) la forma Almiramomenin, dalla quale Miramamolin et similia.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

in latinum transferri a magistro Petro Toletano, juvante Petro monacho scriptore, cum esset idem abbas in Hispaniis constitutus cum imperatore Adelfonso, eo anno, quo idem Imperator Choriam civitatem cepit, et inde Saracenos fugavit » . 1 E alla fine del rias­ sunto scrive: « Haec de illa disputatione, duorum philosophorum, pagani et Christiani, breviter excerpsi, ad insinuanda figmenta et fallacias Machometi ». 1 2 Abbiamo dunque un’altra traduzione di Pietro da Toledo, fatta, come la prima, con l’aiuto di Pietro monaco, certo il segretario di Pietro il Venerabile. Mi sembra impossibile ammettere che Pietro Toledano sia da identificarsi con Petrus Anfusi o Alphonsi, al quale ho già accen­ nato: questo ebreo convertito era nato nel 1062 e quindi nel 1141 avrebbe avuto 79 anni, età che mi sembra troppo avanzata per pen­ sare potesse intraprendere la traduzione di un testo molto esteso, se giudichiamo dall’abbastanza lungo riassunto del Bellovacense. È vero che egli, oltre ai suoi lavori scientifici, 3 aveva scritto una « Disciplina clericalis » 4 e i « Dialogi cum Judaeo »,5 che contengono un paragrafo sulla religione musulmana, ma relativamente breve e che non offre i dati che ritroviamo in Vincenzo di Beauvais. Ed anche che Pietro il Venerabile, nel suo « Tractatus adversus Judeorum inveteratam duritiem» mostra di aver presa gran parte delle sue osservazioni proprio da Petrus Alphonsi. Ma sono influssi facil­ mente spiegabili. Se escludiamo dunque questa identificazione, la personalità di Pietro da Toledo ci sfugge completamente. Ben più grave è la perdita della sua opera, la traduzione del testo di questa disputa fra un filosofo musulmano ed uno cristiano, nel­ l’ambiente dell’amir al-mu’minìn, che doveva essere un qualcosa di simile al resoconto di una controversia tenuta avanti al califfo al-Ma’mùn, la Bisàlat ilâ ‘Abdallah ben Ismà’il al-HàSimi, ove la

1 Speculum historiale, X X I I I , cap. 40, in Bibliotheca mundi seu speculi maioris, IV , Duaci M D C X X I V , 913.

2 Op. cit., cap. 67, 922. 3 Su questi oltre S arton, Introduction cit., II (1931), 199-200, si veda J. M. M illàs V allicrosa in Tarbiz, I X (1937), 55-64. 4 Si veda in P . L ., GL V II, coll. 671-706. 5 Si veda in P . L ., C L V II, coll. 535-671.

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bei xit e bel Χιίι secolo

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parte cristiana fu sostenuta da un ‘Abd al- Masïh ibn Ishâq al-Kindi, ma che però si rivela essere un testo del x secolo.1 La traduzione del Corano fatta intrapprendere da Pietro il Vene­ rabile era impresa tutto affatto nuova per l’occidente cristiano: non così forse per i bizantini. Infatti Euthymios Zigabenos (Ζιγαβηνόε) nella sua Πανοπλία δογματική2 dice che Maometto aveva com­ posto un testo di 113 paragrafi, dei quali ne cita e ne confuta una ventina. È curioso questo numero di 113 paragrafi, come è dato anche da Mketas e da altri, in quanto noi ben sappiamo che il Corano si compone invece di 114 suwar, nè si può spiegare la differenza della numerazione se non constatando che la fatiha è omessa nel conto. Il monaco del convento Trjs Περιβλέπτου dispo­ neva egli di una completa versione di tutti i 113 paragrafi, od

1 II testo fu edito da A n . T ie n , Bisalat ‘Abdallah ibn Ism a‘il àl-Easim l ila ‘Abd al-Masïh ibn Ishaq al-Kindi wa risalat al-Kindi ila Ί -Hasimï, London [Turkish Mission Aid Society] 1880, e tradotto da W . M uir , The A-pology of al-Kindy written at the Court of al-Mamün in Defence of Christianity, London 1882. Su tale testo si veda E rd . F ritsch , Islam und Christentum im Mittelalter. Beitrage zur mittelalterlichen Geschichte der muslimischen Polemik gegen das Christentum in arabicher Sprache, Breslau, 1930, 122; L . Cheikho , Catalogue raisonné des manuscrits de la Bibliothèque Orientale, in Mélanges de l’ Univer­ sité Saint-Joseph, X I V , 1929, 43-48, n. 663-669. Il richiamo era stato già accen­ nato, su indicazioni di I. Guidi, da A . d ’A ncona , I l Tesoro di Brunetto Latini versificato, in A tti Accad. Lincei, serie IV , vol. IV (1888), 196, nota 3, e in La leggenda di Maometto in Occidente, in Giornale storico della letteratura italiana X I I I (1889), 231, nota 2. Debbo notare che un testo della Risàlah diverso da quello edito dal Tien si trova in un manoscritto del Patriarcato copto al Cairo, intorno al quale si veda G. G r a f , Catalogue de manuscrits arabes chrétiens con­ servés au Caire. (Studi e testi 63), Città del Vaticano 1934, η. 542, p. 204. 2 Cf. l’edizione in P . ~G., C X X X , § 9, col. 1341. Su Gòdipios Ziyafitivòs si veda K rumbacher , Gesch. der byzant. Litteratur1 2 (1897), 82-85, e Jacob W ickert, Die Panoplia dogmatica des Euthymios Zigabenos, in Oriens Chri­ stianus, V i l i , s. a, 278-388 (sulla parte relativa all’islàmismo si vedano spe­ cialmente 322-324). — Notiamo che il Corano era già stato tradotto in siriaco, nel IX secolo, da Abu Nüh al-Anbari, secondo il catalogo di libri dato da ‘ Abhdïsô‘ in A ssemani , Bibl. Orient., I l i , l a, 212.; cf. A . B aumstark , Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922, 218. È bene osservare che gli scrittori bizantini citano ogni sürah del Corano non secondo un numero, come hanno fatto i primi traduttori europei, ma col suo nome arabo, sia traducendolo, sia alcune volte trascrivendolo, come fa Niketas, in P . G., CV, 772, 776, quando scrive ei’s rò Άκκά (per al-hàqqa) e eis rò καρά (per al-qàri‘ a). Il primo europeo che citi col nome arabo della sürah mi sembra sia Johannes Guallensis che scri­ veva, come vedremo in Seguito, fra il 1260 e il 1283.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

aveva personalmente tradotti o si era fatti tradurre quelli che utilizza nella sua opera? Non sono proprio in grado di dare una risposta al quesito; ma a ad ogni modo se anche tale traduzione greca del Corano è esistita, essa è rimasta perfettamente ignota al mondo latino. Per questo l’apparizione del lavoro di Eoberto di Chester è stato un avvenimento notevole, se Alberico delle Tre Fontane pensa di ricordarlo nella sua Cronaca sotto l’anno 1143: « Quo anno per industriam abbatis Petri Cluniacensis, liber qui dici­ tur Alchoranus cum tota secta impii et pseudoprophetae Mahumet, de arabico in latinum translatus est, hoc ratione ut sciat catholica Ecclesia quam vilis et quam frivola et quam apertis mendaciis plena sit ista seductoris illius doctrina, quae a tempore b. Gregorii paulo post, id est a tempore imperatoris Heraclii, Saraccenorum populos infecit, et hic erat annus alhigere 537: alhigere autem dicitur sublimatio in prophetam, id est annus ille, in quo primum creditus est sive ab omnibus elevatus est Maghometus in prophetam. Et ab illo anno Sarraceni conputant annos suos, sicut nos ab incarnatione Domini conputamus ». 1 È notevole l’importanza che ebbe la tra­ duzione di Eoberto di Chester per tutto il medioevo ed il rinasci­ mento: è su di essa che si basano tutti gli studiosi dell’islam, sino a Nicola da Cues, che se ne serve per la sua « Cribratio Alchorani » e che ne aveva fatto fare una copia giunta sino a noi in un manoscritto dell’ospedale di Cues, come se ne servirono i suoi contemporanei Dionigi il Certosino nel trattato « Contra perfidiam Mahometi » e Giovanni da Segovia. E ancora 400 anni circa dopo la sua esecu­ zione, quando nel 1547 Andrea Arrivabene dava alle stampe, a Venezia, la sua traduzione italiana del Corano, diceva di averla fatta direttamente sul testo arabo, mentre in realtà non faceva se non tradurre la traduzione di Eoberto di Chester, da quattro anni stampata dal Bibliander. 1 2 Pietro il Venerabile aveva ben compreso che per combattere

1 A lbericus T eium F ontium , in M . G. E ., Ss., X X I I I , 837. 2 L a mistificazione, già vista dal Selden e dallo Scaliger, fu definitivamente dimostrata da A . J. Silvestre de Sact , Notice d'un manuscrit arabe de VA l ­ coran, in Notices et extraits des manuscrits de la Bibl. Impériale, I X (1813), 103109. Cf. G. P fannmuller , Eandbuch der Islam-Interatur, Berlin 1923, 148.

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nel XII e nel Xiii secolo



validamente i musulmani nel campo teologico, bisognava conoscere con esattezza i loro testi religiosi, come per combattere o conver­ tire gli ebrei era necessario indagarne i libri sacri. Così egli aveva intrapresa l’investigazione del Talmud con l’aiuto di ebrei conver­ titi, 1 seguendo l’esempio che gli era stato dato dall’inglese Stefano Harding (circa 1060-1134), secondo abate di Citeaux, cbe aveva fatta una revisione della Bibbia, per conoscere l’esatto significato dei termini ebraici per mezzo di ebrei convertiti cbe gli avevano tradotto in vernacolo (lingua romana) i loro testi. 1 2 E un’altra revi­ sione della Bibbia, con l’aiuto di libri conservati in una biblioteca ebraica, aveva anche fatta Nicola di Maniacoria.3 Pietro il Vene­ rabile non fece se non seguire il metodo di questi precursori, anti­ cipando le grandi imprese dei domenicani del x m secolo, cercando cioè di basare tutto il lavoro su di una completa e sicura conoscenza dei testi. Che quelli che egli aveva fatto tradurre non fossero certo tali, anche per il modo di traduzione, da offrire una vera base scien­ tifica, è un’altra questione. Ciò che importa notare, e ciò che è ve­ ramente notevole, sta nel principio dal quale egli era partito, di carattere schiettamente scientifico. I suoi sforzi, come quelli dei suoi immediati predecessori, come quelli che una schiera di studiosi com­ pieva parallelamente sui testi ebraici, 4 ci permettono di dire che la storia dell’orientalismo ha inizio alla metà del

x ii

secolo.

1 Si veda il suo testo in P . L ., C L X X X I X , col. 602 sg. 2 II manoscritto della Bibbia originaria di Stefano Harding andò perduto nel x v iii secolo; si veda però la nota copiata nell’esemplare eseguito da .uno dei suoi monaci nel 1109, ora alla Biblioteca di Dijon, cod. 9 bis, II voi., fol. 150 verso. Tale nota è riprodotta in P . L ., C L X V I, coll. 1373-1376. Sul lavoro di Stefano Harding si veda J. P. P. Martin , S. Étienne Harding et les premiers recenseurs de la la Vulgate latine, in Bevue des sciences ecclésiastiques, 1887-1888. 3 S. B erger , Quam notitiam linguae hebraicae habuerint Christiani medii aevi temporibus in Gallia, Nanceii 1893, 12-15; G. Mercati , Opere minori, II (Studi e Testi, 77), Città del Vaticano 1937, 48-51; J. V an den Gh e t n . Nicolas Maniacoria, correcteur de la Bible, in Bevue Biblique, V I I I , 1899, 289-295; A . W i l m a r t , Nicolas Manjacoria, cistercien à Trois-Fontaines, in Bevue Béné­ dictine, X X X I I I , 1921, 136-143. Notiamo che Nicolò cita anche la traduzione siriaca della Bibbia: vedi H . D enifle , in Archiv fiir Literatur-und KirchenGeschichte des Mittelalters, IV , 1888, 476. 4 D a cui la compilazione, avvenuta nel x ii secolo, di glossari ebraico-latini, come quelli di Avranches e di Tours. Cf. B erger , op. cit., 17.

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Lo studio dell’Islam in Europa Valendosi del materiale preparato dai suoi collaboratori, Pietro

il Venerabile preparò il suo libro «Contra sectam Saracenorum», di cui una parte è giunta sino a noi. 1 Prima però aveva cercato di indurre San Bernardo ad assumersi lui l’impresa d’intraprendere la lotta contro gli errori musulmani, accompagnandogli una copia della « Summula ». 1 2 Non abbiamo più la risposta di San Bernardo, ma è certo che egli non volle occuparsi dell’impresa. Tale corrispon­ denza ebbe luogo nella quaresima del 1144. Pietro portò con sè il suo lavoro in uno dei suoi due viaggi in Inghilterra compiuti innanzi il 1156, quando cioè il suo segretario Pietro di Poitiers non era più a Cluny;3 il monaco Giovanni, che l’aveva in custodia, ne perdette una parte, e Pietro il Venerabile dovette domandare a Pietro di Poitiers una nuova copia di quanto era andato smarrito, cioè i primi due libri, che fu mandata con una lettera che ci dà i particolari della faccenda. 4 Questa lettera ci conserva anche una serie dei titoli appo­ sti ai vari capitoli di tutti e quattro i libri, titoli però un poco diversi da quelli a noi pervenuti. Ora è solo la parte contenente i primi due libri quella che ci è stata conservata. 5 L’opera di Pietro il Venerabile rappresenta certo un grande pro­ gresso rispetto a tutto quanto si era scritto nel mondo latino durante l’x i secolo e prima metà del x n intorno a Maometto ed alla reli­ gione musulmana, ad esempio i paragrafi di Guiberto di Nogent (1052-1124) nelle sue « Gesta Dei per Francos » , 6 il poemetto di Hildebertus de Lavardin (1055?-1133),7 o quello di W alther,8 pro­

1 P . L ., C L X X X I X , coll. 663-720. 2 Si veda la lettera in P . L ., cit., eoli. 339-343 e il suo rifacimento come prefazione della Summula, ibid., coll. 649-652. 3 Cf. L ecointre -D upont , Notice sur Pierre de Poitiers, grand prieur de Cluny, abbé de S. Martial à Limoges, in Mémoires de la Société des Antiquaires de l'Ouest, I X (1843), 639-91. 4 P . L ., cit., coll. 661-664. 5 U n’analisi di tale testo è in J .-H . P ionot, Histoire de l’Ordre de Cluny, III, 536-550. 6 Recueil des historiens des Croisades, occid., IV , Paris 1879, 127-130. 7 Carmen de fraudibus Mahumetis, ediz. A . Beaugendre, Paris 1708, 12771295, e P . L ., C L X X I , 1345-1366. 8 Edito in D u M é r ii ., Poésies popul. lut. du moyen âge, Paris 1847, 368-405. Da questo deriva il Roman de Mahomet di Alexandre du P ont (1258), ediz. Francisque Mietei, Paris

1831.

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nel xi! e nel xiii secolo

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duzione della quale il D ’Ancona ebbe giustamente a scrivere: « Tra la fine dell’undicesimo e il principio del duodecimo, il nome e la vita del fondatore dell’islamismo erano ormai ... dominio della plebe, materia di popolare racconto: ne è da meravigliarsi se al vero della storia si fosse cosi largamente mescolata, anzi sovrapposta, la fa­ vola ». 1 Ma se la cultura di Pietro il Venerabile supera di gran lunga quella dei suoi predecessori latini, rimane però sempre molto al di sotto di quella degli scrittori greci, anche di qualche secolo anteriori, scrittori che la sua impreparazione linguistica gli rendeva inaccessibili. 1 2 Ignora quindi non solo quanto scrissero i cronografi, Theophanes,3 Georgios Monachos, 4 Kedrenos, 5 Zonaras,6 ma, la­ cuna ben più grave, l’opera dei polemisti. Così gli rimane ignoto il Πηγη yvwaews di Giovanni Damasceno,7 quanto il AiàXeÇis Σαρρακηνον καί Χριστιανού a lui attribuito;8 l’opera del Padre orien­

tale non doveva trovare il suo primo traduttore se non pochi anni dopo la redazione dello scritto di Pietro il Venerabile, intorno al 1148-1150, quando la compì Burgundio da P isa.9 Essendo state

1 A . d ’A ncona , La leggenda di Maometto in Occidente, in Giornale storico della letteratura italiana, X I I I (1889), 217 sg. 2 Una mediocre esposizione d’ assieme di tutti i dati bizantini sull’islàm è quella di W . E ichner , Die N achrichten iiber den Islam bei den Byzantinern, in Der Islam, X X I I I (1936), 133-162, 197-244. Non potei consultare M angana, The Transmission oj the Kur’an, I I : According to Christian Writers, in Journal of the Manchester Egyptian and Oriental Society, 1915-1916, 34-42. 3 Ediz. De Boor, 333-335. 1 Ediz. De Boor, II, 697-707. 6 Ediz. di Bonn, I, 738-745. e Ediz. Du Presne-Du Cange (1729), II, 68 sg. 7 P . G., X C IV , coll. 764-773. 8 P . G., X C V I, coll. 1336-1348. 9 Si vçda J. de Ghellinck , L'entrée de Jean de Damas dans le monde littéraire occidental, in Byzant. Zeitschr., X X I (1912), 448-457, e i due saggi precedenti in Revue des questions historiques, L X X X V I I I (1910), 149-160, e Bulletin de littérature ecclésiastique, Toulouse 1910, 278-285. La traduzione di Bur­ gundio da Pisa è poi nota al Salimbene: si veda H . D atisene, Johdnnes Dama­ scenus in der Chronik des Salimbene, in Theolog. Quartalschrift, C X V II I (1937), 173-192. Su una traduzione eseguita in Ungheria avanti il 1150, cf. R. I. Szi GEXi, Translatio latina Johannis Damasceni saeculo X I I , in Hungaria confecta, Budapest 1940. La posteriore traduzione del Grosseteste non è se non una cor­ rezione di quella di Burgundio, secondo E . H ocedez, Les trois premières tra­ ductions du « D e ortodoxa fide», in Le Musée Belge, X V I I (1913), 1 1 0 1 2 3 .

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

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dettate in arabo, naturalmente non conobbe le opere di Teodoro Abii Qurra,1 nè pur ebbe nozione degli scritti minori greci di Bartholomaios da Edessa,1 2 di M ketas,3 di Eutbymios Zigabenos4 e di Mketas Chômâtes.5 ïfè mi pare che l’abate di Cluny abbia conosciuto gli scarsi prodotti della polemica anti-islàmica spagnola del

XX

secolo. Questa si impernia intorno alla figura dell’abate Spe-

raindeo di Cordoba e dei suoi due allievi Albarus cordobense e Sant ’Eulogio. 6 Sembra che Speraindeo abbia scritto un’opera contro l’islam, citata da Eulogio: «vir disertissimus magnum temporibus nostris ecclesiae lumen Speraindeo abbas cum contra nugas huius nefandi (sc. Mahometi) stylum admoveret et uno opusculo ex eius deliramentis nonnulla niteretur arguere, in sexto ipsius libelli capi­ tulo ... ita disseruit » .7 Albarus, che era di origine ebraica, dimostra una certa conoscenza dell’arabo 8 e sembra che egli volesse scrivere un libro speciale contro l’islamismo.9 L ’opera di Pietro il Venera­ bile è tutto affatto personale, sorta nel suo animo sotto lo stimolo delle necessità presenti, tesa allo scopo di dare alla polemica una sicura base documentaria, se pur, quale primo tentativo precor­ rente i tempi, mostra delle inevitabili debolezze e delle gravi imper­ fezioni. La sua preparazione è stata possibile in virtù del grande lavoro di traduzione dall’arabo che si compiva in quel secolo nella

1 Su di esse Gl·. Graf , Oie arabisehen Schriften des Theodor Abu Qurra, Paderborn 1910. 2 P . £?., C IV , coll. 1384-1448. L ’ autore sarebbe del ix secolo secondo R rumbacher , Gesch. d. byzant. Litter., (1897), 78; ma al secolo x i terminante lo pone K . G'ùterbock , Der Islam im Lichte der byzantìnischen Polemik, Ber­ lin 1912. 3 P G., CV, coll. 669-805. 4 P . G., C X X X , coll. 1332-1360. 5 II θ ιισ-avpòs ορθοδοξίας ha dei paragrafi sulla legge di Maometto: P . G., C X L , coll. 105-121, 124-136. 6 Su di loro M. M anitius , Geschichte der lateinischen Literatur des M ittelalters, I, München 1911, 421-428. Le opere di Albarus stanno in P. I . , C X X I , coll. 513-556 (Indiculus luminosus); quelle di S. Eulogio in P . L ., C X V , coll. 731-818 (Memoriale sanctorum) e 851-870 (Apologeticus martyrum). 7 P . L ., C X V , § 7, col. 745. 8 Indiculus luminosus, § 23, 28, P . L ., C X X I , coll. 538 e 545. 9 Indiculus luminosus, § 24, P . L ., C X X I , col. 539; « Quae omnia in alio opere enucleatius et limatiori invectione si Deus vitam concesserit disseremus ».

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nel xi! e nel xm secolo

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Spagna: uno dei traduttori è spagnolo, Pietro da Toledo, gli altri due se sono uno inglese e l’altro dalmata, furono entrambi formati e lavoranti nella Spagna, affiancati tutti da un interprete arabo. Ancora più completamente spagnolo è il secondo movimento che si forma molti anni di poi e che s’impernia intorno ad una nuova traduzione del Corano, quella di Marco canonico di Toledo, ed alla figura di Eoderico Jiménez de Eada (1170-1247), arcivescovo toledano. Gli studiosi che della nuova traduzione del Corano ebbero ad occuparsi, la posero, senza dati sicuri, nella seconda metà del secolo

XII,

1 mentre il solo Asin Palacios, senza darne le ragioni,

la poneva nel xni: 1 2 ed era nel vero. La traduzione è esattamente datata del 1212,3 come risulta dal manoscritto della Bibliothèque Mazarine: 4 in questo il testo della traduzione è preceduto da una introduzione che comincia: «In nomine Patris et Filii et Spiritus sancti. Amen. Ex collisione ferri et lapidis ignis excutitur... » e termina: «... heresim suam evomere sexcentesimo sexto. Transtulit autem Marchus, Tholetane ecclesie canonicus, librum Alchorani, ad peticione Eoderici, venerabilis archiepiscopi Tholetani, salutem et persuasionem magistri Mauricii, Tholetane sedis archidiaconi, meritis et sanctitate commendabilium virorum ». Segue il testo che comincia: « Curat prohemii libri septimi verborum vel versuum. — In nomine Dei misericordis, miseratoris, gloria Dei creatori gencium vel seculorum, misericordi... »; e finisce (fol. 113): « Perfectus est liber Machometi cum laude Dei et ejus auxilio et Maiometum Deus acceptet et suos et sua salvat salvacione. — Translatus est hic liber Unionis a Marcho, Toletano canonico, de lingua arabica in latina et perfectus est in primo die junii, scilicet in vigilia Pente-

1 CosLS teinschneider , Polemische und αφοί. Literatur, 419 e Sitzungsber. Wien, 1905, 54; K ose in Hermes, V II I (1874), 338 nota 1; fino a Sarton , Intro­ duction cit., 344. 2 M. A sìn P alacios, La escatologia musulmana en la Divina Comedia, Madrid 1919, 313, nota 4. 3 Bisogna dire che quasi tutti gli studiosi che si sono occupati di Marco Toletano, hanno preso principalmente, anzi quasi esclusivamente, in consi­ derazione la sua operosità come traduttore di opere mediche. Ora nessuna di queste contiene dei sicuri dati cronologici. 4 A . M olinier , Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque Mazarine, I. Paris 1885, 377-378, n. 780 (1178). Il ms. proviene dai Grands Augustins,

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

costes, sub era Ma CO LIa, anno ab Incarnacione Domini millesimo CCm0 X II Im0, in mense junii, eodem anno quo victus a rege Castel­ lanorum Amir Almunum, in eodem anno quo captum est castrum Alcaram ab eodem rege Alfunsso illustrissimo. — Explicit liber Aichorani infedelissimi Sarraceni, scriptus per me Johannem Dogueti, clericum Macloviensis diocesis in Brittannia, sub anno a Nati­ vitate Domini millesimo quadrigentesimo, indictione octava et die vicesima tercia mensis octobris, tempore Benedicti tercii decimi, de nacione Cathalanorum ». La battaglia a cui si riferisce è quella di Las Navas de Tolosa del 36 luglio 1212. 1 Questo manoscritto è dunque risolutivo per stabilire l’epoca nella quale visse e lavorò Marco canonico di Toledo. 1 2 È per desiderio di Roderico arcivescovo toletano che l’opera viene intrapresa: è questi Roderico Jiménez de Rada (1170-1247), che in un certo qual modo ebbe ad assumere la stessa posizione di Pietro il Venerabile rispetto a Petrus Tole­ tanus e agli altri traduttori del suo ciclo, Roberto di Chester ed Hermann Dalmata; ed è una notevole figura del suo momento sto­ rico. 3 Notevole non solo ecclesiasticamente e politicamente, ma anche per gli studi orientali, in quanto durante la sua permanenza sulla sede toletana (1208-1247) è tutto un risveglio di tali ricerche. Convergeranno attorno a lui degli studiosi di cui il nome diverrà celebre: sarà principalmente Michele che dalla nativa Scozia fu

1 P. B. Gams, Die Kirchengeschichte von Spanien, III, Begensburg 1876, 123-128. Notiamo che nel nostro manoscritto l’anno 1213 è computato «a b incarnatione ». 2 Gli altri mss. che mi siano noti della sua traduzione del Corano sono i seguenti:'!) Parigi, Bibl. Nat. lat. 14503, del x iii see., proveniente da St. Victor [L. D elisle , Inventaire des manuscrits de l'abbaye de Saint-Victor conservés à la Bibliothèque Impériale, Paris 1869, 19]: sarebbe importante vedere se porta le stesse note cronologiche, ma tale riscontro oggi mi è impossibile. 2) Biblio­ teca Nazionale di Torino, lat. C L X IV , P. v. 35 [P asini , II, 49: cod. lat. C L X IV , e. IV , 32], del x v secolo. 3) Biblioteca Nazionale di Vienna, Theol. 903 [T a­ bulae codicum manuscript, in Bibi. Palat. Vindobon. asservatorum, I II , n. 4297], del x v secolo. 4) Bibi. Nat. di Parigi, lat. 3394, dei x v ii secolo. 3 Su di lui, oltre a Gams , op. cit., 111-154, si veda V icente de la P uente , Elogio del arzobispo D. Rodrigo y juicio critico de sus escritos históricos, Madrid 1862; J. A mador de los Bios, Historia critica de la literatura espanda, III, Madrid 1863, 411-430; Javier GorosteRRATzu , Don Rodrigo Jiménez de Rada, gran estadista, escritor y prelado, Pamplona 1925.

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nel XII e nel xm secolo

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conosciuto come Scoto, che è a Toledo dal 1217 al 1220 circa (ove lavora aiutato dall’ebreo Andrea,1 da identificarsi probabilmente con quello che diverrà poi canonico di Palencia)1 2 e che sarà tenuto in gran conto per la sua conoscenza dell’arabo, dell’ebraico e del caldaico. 3 Michele Scoto sarà a Bologna nel 1220, poi alla curia papale fra il 1221-1227, apprezzatissimo per la sua conoscenza del­ l’arabo e dell’ebraico, 4 poi entrerà al servizio di Federico I I . 5 Meno celebre, ma pur sempre notevole, Hermann Alemannus, che vediamo lavorare a Toledo fra il 1240 e il 1256, aiutato da un interprete sara­ ceno, 6 in buon rapporto con Giovanni cancelliere del re di Castiglia e di Leon, vescovo di Burgos, e che avrà poi la cattedra vescovile di Astorga nel 1266 fino alla sua morte nel 1272.7 Forse in quel medesimo periodo è a Toledo anche Alfredo de Sareshel.8*il L ’atti­ vità di Marco canonico di Toledo come di tutti questi altri tradut­

1 R oger Bacon , Compendium studii, ediz. Brewer, 472. 2 Vedi C. H. H askins , Arabie Science in Western Europe, in Isis, V II (1925), 480, e Michael Scot in Spain, in Estudios eruditos in memoriam de Adolfo Bouille y San Martin (1875-1926), II, Madrid 1930, 132-133. 3 P ressuti, Regesta Honorii Papae I I I , η. 5445. 4 A u v r a y , Les registres de Grégoire I X , n. 61; H. D enifle -Chatelain , Cartularium Universitatis Parisiensis, I (1889), 110, n. 54; P otthast, Regesta, n. 7888; B T.iss, Calendar of Papal Letters, I, 117. 5 C. H. H askins , Michael Scot and Frederick I I , in Isis, IV (1921), 250275. In generale su Michele si veda L ynn T horndike , A History of Magic and Experimental Science, II, New York 1923, 306-337; C. H. H askins , Studies in the History of Mediaeval Science 2, 1927, 272-298; G. Sarton , Introduction to the History of Science, II, Baltimore 1927-1931, II, 579 e passim. La vecchia monografia di J. W ood B rown , A n Enquiry into the Life and Legend of M i ­ chael Scot, Edimburgh 1897, contiene molti errori. Alcuni accenni alle tradu­ zioni eseguite da Michele Scoto per Federico II sono in M. A mari, Storia dei Musulmani di Sicilia, ediz. Nallino, I II , Catania 1939, 715, 727. 6 Vedi il passo che ho già citato di R oger B acon , Compendium studii philosophiae, c. 8, ediz. Brewer, 472. 7 G .-H . L uquet , Hermann VAllemand, in Revue de l'histoire des religions, X L I V (1901), 407-422. 8 Su lui A . P elzer , Une source inconnue de'Roger Bacon, Alfred de Sareshel, commentateur des météorologiques d'Aristote, in Archivum Franciscan. H ist., X I I (1919) 49 sg .; C. H. H a sk in s , Michael Scot in Spain, cit., 129. L ’impor­ tanza culturale di Toledo si rivela anche dal fatto che degli stranieri prendono il loro nome dalla città: così alla metà del x m secolo un medico, astrologo, profeta e negromante inglese è conosciuto col nome di magister Iohannes T o ­ letanus; cf. Η . Grauert , Meister Johann von Toledo, in Sitzungsberichte der philos.-philol. und histor. Glasse d. K . Bayer. Ak d. W . zu München, 1901,111-325·

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Lo studio dell’ Islam in Europa

tori è prettamente scientifica, probabilmente in vista dei guadagni che vi si connettono: è evidente che per ottenere una traduzione del Corano, che non poteva essere direttamente lucrativa e che non sarebbe stata se non istrumento per una lotta spirituale, il vescovo Eoderico deve esser personalmente intervenuto presso il canonico Marco. Toledo possedeva una ricca biblioteca di manoscritti arabi,1 ove l’arcivescovo sapeva esistere molti testi indispensabili a un lavoro storico che egli aveva divisato di redigere, la « Historia Arabum »; 1 2 e inoltre non dobbiamo dimenticare che siamo all’inizio della pro­ paganda missionaria spagnola al Marocco e in generale in tutto il Magreb. Queste traduzioni erano un’arma polemica di più nelle mani dei missionari. Se a noi è pervenuta solo quella del Corano e la compilazione storica di Eoderico, è presumibile che molte altre opere furono passate dall’arabo in latino. Così Asin Pala­ cios ha dimostrato che Eoderico conosceva due redazioni del rac­ conto del mir‘ àg, che egli ha inserito nella sua storia;3 di altri testi tradotti disgraziatamente non trovo indizi, nè per lo studio pro­ priamente scientifico nè per la propaganda missionaria. Questa ha inizio al principio del x m secolo nel Marocco e in breve si estende per tutta l’Africa settentrionale: nel 1226 il vescovo di Toledo è autorizzato, con documento del 20 febbraio, dal papa Onorio III, a organizzare le missioni e a eleggere i vescovi.4

1 Si vedano le indicazioni sui testi che si trovano negli armarii arabum di cui parla Marco da Toledo stesso nella prefazione della sua traduzione di Galeno , De pulsu, secondo il codice di Erfurt, fol. 249, del x m see., riprodotta da R ose, in Hermes, V i l i (1874), 338, nota 1. 2 Ne abbiamo parecchie edizioni: Schott, Hispania Illustrata, II, Francofurtii 1605, 162-186; T h . E rpenius , Historia Saracenica... accedit et Boderici Ximenes, archiepiscopi Toletani, Historia Arabum, Lugduni Batavorum 1625; F . A . L orenzana , Patrum Toletanorum quotquot extant opera, III, Matriti 1793, 242-283. Cf. M. Serrano t S anz, Erudición ibero-ultramarina, II, Madrid, 1931, 379 sg. 3 A sin P alacios, op. cit., 314. Sarebbero la redazione A e B del ciclo 2. sulle quali vedi la stessa opera, 14-16, 18-19, 361-363. 4 Sbaralea , Bullarium Francise., I, 24, n. 24; P otthast, Begesta, I, 649, n. 7537; Pressutti, Begesta Honorii Papae I I I , II, 405, η. 5836. Si veda A . L o ­ p e z , Los obispos de Marruecos desde el siglo X I I I , in Archivo ibero-americano, nov.-dic. 1920, 399-502, e brevemente Gams, op. cit., 162-169; ma soprattutto le ampie informazioni raccolte da 0 . van der Y at , Die Anfange der Franzis-

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nel XII e nel xm secolo

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Come risulta da questa pur rapida esposizione, l’opera di studio dell’islam si svolge durante il x n secolo ed agli inizi del xm , esclu­ sivamente nella Spagna, anche se a tale lavoro prendono parte degli stranieri. Ciò che si fa nelle altre parti dell’Europa cristiana è cosa ben piccola e trascurabile: abbiamo notizia di un «Liber contra Saracenos », opera di un abate Adelphus di un monastero ignoto, che avrebbe lavorato intorno al 1140, secondo una notizia del Trithemio; 1 ma di più non ne sappiamo. E quel che scrive Burchardus vicedominus (1175) è cosa ben miserabile, *1 2 quanto quella vita di Maometto conservata in un manoscritto della chiesa di Uncas till o in Aragona.3 Lo stesso Jacopo di Vitry, pur colto e studioso, non sapeva l’arabo quando occupò la sede vescovile di ‘Akkà nel 1216: ciò risulta sicuramente da una sua lettera dell’anno dopo, alla badessa Luitgard di St.-Trond, quando dice della disputa sostenuta coi giacobiti « feci autem sermonem ad eos in ecclesia sua per interpretem, qui sciebat loqui lingua Sarracenorum », e della situazione linguistica di Tripoli « quia communis lingua civitatis erat lingua sarracena, per interpretes frequenter predicabam et confessionem audiebam ». Quindi, più avanti, la frase: « Quia vero in terra Sarracenorum pre­ dicari non poteram, in finio terre Christianorum et Sarracenorum, quam poteram, predicabam et per litteras, quas eis transmitte­ bam in sarraceno scriptas, errores eorum et legis nostre veritatem eis ostendebam » non vuol dir altro che egli aveva fatte tradurre le sue lettere di propaganda.4 Non pertanto nella sua « Historia orientalis » vorrebbe, sembra, far credere di aver attinto direttamente a delle fonti greche ed arabe, scrivendo: « Cum igitur causa recreationis et aviditate audiendi aliqua nova et incognita mihi

kanermissionen und ihre Weiterentwicklung im nahen Orient und in den mohammedanischen Ldndern wdhrend des X I I I . Jahrhunderts, Werl i. W . 1934, 201-237. 1 J. T rithEmius, De Scriptor, eeolesiast., Parigi 1512 fol. Ixxxvij, recto. 2 Nella cronaca di A rnoldo d i L ubecca, M . G. H ., Ss., X X I , 235-241. 3 Edita da M. Serrano t Sanz , Erudición ibero-nltramarina, II, Madrid 1931, 391-395.

4 KÔHRiCHT, Briefe des Jacobus de Vitriaco, in Zeitschrift fiir Kirchengeschichte, X I V (1894), 109, 115 e 117. Che egli invece sapesse l’arabo sembra essere ammesso da E . T isserant , La légation en Orient du franciscain Dominique d’Aragon, in Revue de l’Orient chrétien, X X I V (1924), 350 nota 2.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

varios libros ex armariis Latinorum, Graecorum et Arabum revol­ verem, regum orientalium historiae, proelia et gesta casu in manus meas devenerunt ». 1 L ’asserzione è falsa: nulla prova la sua cono­ scenza diretta delle fonti arabe,1 2 che certo egli non aveva potuto personalmente studiare durante la sua permanenza ad ‘Akkà. Ben povera cosa è quanto egli scrive sulla vita di Maometto e sulla pro­ paganda islamica. 3 La vita è un miserabile tessuto di favole, che ben riassume il D ’Ancona: 4 il diavolo provvide di maestri e di coo­ peratori Maometto, di per sè rude ed illetterato. Prima, dunque, fu un monaco apostata ed eretico, di nome Sosio, il quale pubbli­ camente convinto a Borna di eresia e condannato, espulso com’era da ogni consorzio con fedeli, fuggi in Arabia, cupido di vendetta. Mes­ sosi poi d’accordo con un giudeo, istigò Maometto a farsi profeta, e d’altra parte persuase il popolo a credere in lui, che con siffatti aiuti accozzò assieme dal vecchio e dal nuovo Testamento la nuova legge, introducendovi di proprio ciò che il diavolo stesso gli sugge­ riva. Siamo ben lontani dalla seria indagine di Pietro il Venerabile e Boderico arcivescovo di Toledo. Se noi diamo imo sguardo retrospettivo al cammino percorso, dobbiamo constatare che gli studi dell’islamismo nell’Europa cri­ stiana sino alla fine del primo terzo del x m secolo rimangono con­ centrati nella Spagna, anche se il loro sviluppo, anzi il loro inizio, sia stata l’opera di una grande personalità francese, Pietro il Vene­ rabile, e vi abbiano contribuito degli studiosi stranieri, come Boberto di Chester ed Hermann il dalmata. Per di più tali studi si cristal­ lizzano attorno a due grandi personaggi, Pietro il Venerabile e B o­ derico Jiménez de Bada, arcivescovo di Toledo, che ne sono i pro­ motori. Hanno dunque un carattere direi quasi personale. 1 I n B ongars, Gesta Dei per Francos, I , 1047. Su q u esto te sto si v e d a G. Z acher, Die Historia orientalis des Jacob von Vitry, ein quellehlcritischer Beitrag zur Geschichte der Kreuzziige, D is s e r t. K o n ig s b e r g 1885, e l ’ op era di Funk

133-144, 157-169. F u nk , Jacob von Vitry Leben und Werke, L e ip z ig u n d

c ita ta a lla n o ta s e g u e n te ,

2 Ph .

B e rlin ,

1909, 138. 3 B on GARS, op. cit., 1056-1060. 4 La leggenda di Maometto, c i t ., 2 3 4 . A lc u n e a g g iu n te a q u e sto la v o r o sono

date d a L . B ( o u vat ), L e prophète Mohammed en Europe. Légende et littéra­ ture, in Revue du monde musulman, I X , 1 9 0 9 , 2 6 4 -2 7 2 .

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nel XII e nel xm secolo

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Tutto cambia avvicinandosi alla metà del x m secolo; e cambia per diverse ragioni e l’intervento di nuove forze. Dapprima il sor­ gere e l’accrescersi rapido dei due grandi nuovi ordini religiosi, quello dei francescani e quello dei domenicani. Entrambi hanno fra i loro scopi quello della missione presso gli infedeli; ben presto i capi si rendono conto che un’opera di propaganda non può essere fatta se non nella lingua degli indigeni. Da ciò la necessità di studiare l’arabo. E poi che per combattere l’islam, bisogna conoscerlo, e perciò continuano lo sforzo, iniziato da Pietro il Venerabile, di esplora­ zione dei testi musulmani e lo studio diretto del pensiero religioso e delle regole dell’islamismo. Convergente con questa azione è lo sviluppo dei viaggi e dei pellegrinaggi in Oriente, che portano a contatto coi musulmani, e quindi con la possibilità di documentarsi direttamente delle loro costumanze religiose, non pochi uomini studiosi ed intelligenti. Inoltre il sorgere di una grande letteratura di propaganda per una nuova crociata, il che obbliga a studiare, anche dal punto di vista religioso, la vita dei popoli orientali. Tre azioni che si sommano, che si affiancano, che si intrecciano, in modo che la produzione scientifica prende uno sviluppo veramente no­ tevole. Saranno queste tre azioni ed i loro risultati dal punto di vista della conoscenza dell’islamismo che ora dovremo studiare, azioni che dilagano un po’ in tutta Europa, ma di cui i rappresentanti maggiori saranno nella Spagna, come nel primo periodo, ed in Fran­ cia. Le altre regioni restano in un certo qual modo in disparte; e la cosa non fa meraviglia, salvo che per l’Italia. Ci si attendeva qualcosa di diverso in Sicilia e nell’Italia meridionale, ove la cono­ scenza della lingua araba ha continuato abbastanza tardi* non solo alle corti'così filo-islàmiche di Federico II e di Manfredi, ma ancora sotto gli angioini. Conosciamo parecchi traduttori di opere arabe: Michele Scoto dapprima, del quale ho già fatto cenno, ma ancora altri meno celebri, Teodoro astrologo e notaio di Federico II, da lui mandato nel 1240 come ambasciatore a Tunisi; 1 Mosè di Pa­

1 M. A m a r i , Storia dei Musulmani di Sicilia, ediz. Naliino, III, 7] 1-713 e 715 nota 4.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

lermo, medico ebreo, che traduce un trattato di veterinaria e dei documenti legali nel 1277 e 1286;1 Stefano da Messina che traduce per Manfredi i « Flores de secretis astrologie » 1 2 o il tedesco che tra­ duce Aristotele; 3 e sotto Carlo I d’Angiò l’ebreo di Girgenti Farag ibn Salem che dà la versione della grande opera di ar-Kàzi e del Taqwim al-Abdàn di Ibn òazlah. 4 Sotto Roberto il Buono (13091343) l’ebreo di Arles, Kalonymus ben Kalonymus compie la tra­ duzióne della « Destructio destructionis » di Averroe, terminata nel 1328, e ancora nel 1342 risultano composti o scritti a Palermo due libri in arabo ma con caratteri ebraici, un dizionario arabo­ latino di droghe ed erbe medicinali ed un’opera sui sintomi delle malattie.5 Ma oltre ai traduttori vi sono in Sicilia e nell’Italia meri­ dionale altri strati sociali che dimostrano la conoscenza dell’arabo. Se l’ultimo documento arabo di Sicilia è del 1242,6 nel 1258 e nel 1286 dei notai fanno il transunto in latino di due atti arabi, datati

1 M. A mari, L a guerra del V espro S icilian o, 9a ediz., Milano 1886-1887, III,

407-488. 2 M. A mari, S toria eit., I l i , 708. Sulle traduzioni alla corte di Manfredi, si veda F . Schirrmacher , D ie leteten H ohenstaufen, Gottingen 1872, 214 sg. e note e documenti 622 sg. 3 R en an , A verroès2 (1861), 211-215; Sarton , In trod u ction eit., II, 832833. Sui rapporti di Federico II con la filosofia aristotelica ed araba si veda M. Grabmann , M ittelalterliches Geistleben, II, München 1936, 103-137. 4 A mari, S toria cit., I l i , 718, nota 1; W . Cohn , Jiidisehe Ucbersetzer am H ofe K a rls I . von A n jo u , K ônigs von S izilien , in M onastsschrift fü r Gesch. und W issen sch aft dis Judentum s, L X X I X (1935), 247-258. Di lui si è conservato anche un ritratto, nelle miniature del cod. Paris, B ibi. X a t., lat. 6912, termi­ nato nel 1282, su cuiD . K aufmann , in R evue des études ju ives, X I X (1 889), 153-154: la miniatura è riprodotta in The L egacy of Isra el, Oxford 1928, fig. 33. — Su altri traduttori alla corte di re Carlo I d’Angiò si vedano i documenti in G. D el Giudice , Una legge suntuaria in ed ita del 1290, Napoli 1887, pp. 291-292, in nota, e Codice diplom atico del regno di Carlo I e I I d’A n g iò, I II , Napoli 1902, pp. 171-177, in nota; C. M inier i -R iccio, I l regno di Carlo I d’ A n g iò, in A rch ivio storico italian o, sez. I l i , Æ ol. X X V I (1877), pp. 13, 206; sez. IV , vol. I (1878), p. 244. 5 M. Steinschneider . D ie arabische Literatur der Juden, Frankfurt a. M. 1902, p. 135. In generale sulle traduzioni eseguite nell’ Italia meridionale si veda O. H artwig , D ie Uebersetzungsliteratur U nteritaliens in der norm annisch-staufischen E poche, in Zentralblatt fü r Bibliotheksw esen, III (1886), 161 190, 223-225 e 505-506; sull’importanza delPelemento ebraico, R. Straus , D ie J ud en im K òn igreich S izilien , Heidelberg 1910. 6 Cusa , I diplom i greci e arabi di S icilia, Palermo 1868-1882, 602-605.

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nel xi! e uel xm secolo

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rispettivamente del 549 H. (1154) e del 571 H. (1175); oltre ai notai appaiono anche dei medici ebrei; 1 nel 1284 Riccardo di Lucerà (Rigard de Lugàra) firma in arabo un documento, con una scrittura e un’ortografìa che attestano la buona tradizione letteraria e con uno stile che si attiene alle regole della grammatica classica e con una terminologia giuridica corretta. 1 2 La colonia araba di Lucerà ha un suo notaio.34 Malgrado questa conoscenza della lingua, non abbiamo nessuna traccia di un qualsiasi interesse per la letteratura religiosa dell’islam in nessuna regione d’Italia. E non per questa soltanto: una riprova l’abbiamo in ciò che è avvenuto per la magnifica opera geografica di al-Idrïsï. Questa è composta a Palermo, è composta per ordine e con l’appoggio del sovrano, e rappresenta, come tutti sanno, un enorme progresso relativamente alle conoscenze geografi­ che di cui disponeva allora l’Europa cristiana. Tutte queste condi­ zioni sono le più favorevoli ad ima grande diffusione dello scritto e ci si attenderebbe una sua grande fama attraverso almeno a delle traduzioni. Avviene invece tutto il contrario: l’opera rimane igno­ rata al mondo cristiano, anche al mondo italiano e a quello siculo dove essa è sorta, e bisognerà attendere qualche secolo perchè gli studiosi europei abbiano a scoprirla. * La conoscenza italiana della produzione araba si restringe ad opere di valore pratico, principal­

1 A mari , Storia cit., I li, 892 nota 2. 2 G. L evi D ella V ida , La sottoscrizione araba di Riccardo di Lucerà, in Riv. studi orientali, X (1923-1925), 284-292. 3 E gidi , La colonia saracena di Lucerà e la sua distruzione, in Archivio storico prov. Napol., X X X V I (1911), 665, nota 1. 4 La conoscenza di al-Idrïfü cominciò con la stampa di quel compendio della sua opera che, col titolo di Geographia nubiensis, fu edita a Roma nel 1592, in quella celebre tipografìa Medicea, per opera e merito di Giovanni B at­ tista Raimondi, nato a Napoli, ma di famiglia cremonese. Sulla tipografia e sul Raimondi si vedano: A . M. B an din i , La stamperia medicea orientale, ediz. G. Palagi, Firenze 1878; G. E . Saltini , Della stamperia orientale medicea e di G. B . Raimondi, in Giornale storico degli archivi toscani, IV (1860), 257-308; A . B ertolotti, Le tipografie orientali e gli orientalisti a Roma nel secoli Χ Υ Ί e X V I I , in Rivista Europea, I X (1878), 217-268; G. L evi D ella V ida , Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana (Studi e Testi, 92), Città del Vaticano 1939, passim, ma spec. 263-268> 283, nota 3.

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

mente medico; il che non è certo prova di un vasto sviluppo cul­ turale. 1 L ’interesse per l’islâm continua invece nella Spagna, ove ancora nel

XIV

secolo si traduce il Corano in lingua volgare. Ee Pietro III

d’Aragona lo aveva fatto tradurre in catalano da un frate Guillermo Ses Comas,1 2 e abbiamo dei documenti che si riferiscono a due altre traduzioni. Il 18 nov. 1381 Pietro III d’Aragona incarica Ferrer Gilabért, suo procuratore nel regno di Maiorca, di far tradurre e copiare dal latino in romanico il Corano che si conserva nel mona­ stero dei frati Minori, e con due documenti del 10 e 11 ott. 1382 lo stesso re prega di nominare il frate Francesco Ponç ça Clota, che aveva tradotto in romanico il Corano, bibliotecario del monastero di Barcellona e gli dona « quinquaginta regales auxi » . 3 II lavoro

1 Una riprova della pochissima diffusione della cultura musulmana in Ita­ lia e soprattutto del nessun interesse die si aveva a sapere che cosa era detto nelle iscrizioni arabe che si trovavano su oggetti importanti in Europa e qui comunemente usati, risulta da un fatto assai significativo. Erano numerose in Italia nel medioevo quelle cassette di legno rivestite di lamine d’ avorio di­ pinte (erroneamente dette arabo-sicule, ma prodotti della Mesopotamia set­ tentrionale nei casi più importanti), cassette amatorie, con iscrizioni assai leg­ gere ed anche alcune volte spinte fino alla licenziosità la più cruda. Malgrado questo tali cassette furono generalmente usate per conservarvi reliquie (il che ha d’altronde permesso che giungessero fino a noi) senza riguardo alla contrad­ dizione fra lo scopo santo e la oscenità del testo. Qualche volta ci si è accorti della cosa recentemente, e dei prelati intelligenti hanno fatto vuotare la cas­ setta dalle reliquie e l ’hanno esposta come semplice oggetto d’arte; così avvenne a Trento dopo che il V enturi , in L 'A r te , X I I (1 9 1 0 ) pp. 5 3 -5 4 , pubblicò la traduzione dell’iscrizione data da I. Guidi della cassetta che è ora al museo diocesano, n. 4 1 . Ma conosco molti casi dove reliquie di santi stanno ancora (e rimarranno forse sempre) sotto una così poco conveniente egida. — Altre di queste cassette portano delle iscrizioni in lode d’Allah. Nell’un caso e nel­ l’altro penso che se nel medioevo si fossero sapute leggere quelle iscrizioni, non si sarebbero certo poste delle sacre reliquie in tali cassette. 2 Gabriel L labrìss, B ernardo D ez-G óll, in B evista de archives, hihliotecas y m useos, 1 9 0 3 , I s e m ., 9 3 (se n za cita re n è fo n t e nè d a t a ) . L a te n d e n z a a t r a ­ d u rre le op ere a ra b e d ir e tta m e n te n ella lin g u a v o lg a r e e n on p iù in la tin o si m a n ife s ta n ella S p a g n a g ià a lla fine d el x m 1 2 9 5 col q u a le G ia c o m o

II

seco lo : si v e d a il d o c . del 2 m arzo

d ’A r a g o n a fa p a g a r e a B e n v e n is t A b e n v e n is t di

Z a r a g o z a p e r la tra d u z io n e ch e s t a fa c e n d o di v a ri lib ri di m e d ic in a d a lla lin g u a a ra b a in r o m a n ic a .

V edi

R ubió y L luch , in E stu dis universitaria catalans,

III (1 9 0 9 ) , 3 9 5 . 3 A . R ubio y L luch , D ocum ents per Vhistoria de la cultura catalana mige v a l c i t ., I , 2 9 6 (n . C C C X X I I I ) ; I I , 261 (n . C C L X I X ) ; I , 3 0 5 -3 0 6 (n . C C C X X X I V ) .

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nel xi! e nel xm secolo

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era dunque durato un anno. Un’altra lettera di Pietro III, del 18 giugno 1384, prova che un «maestre Jacme Dom enech... havia feta e comensada una obra del compendi e de l’Alcora deis moros, de la qual obra fallen encara molts quaderne qui devien esser entro los ... libres et scriptures sues » lasciate alla sua morte, avvenuta dopo il 1367. 1 Notiamo che un esemplare della traduzione latina (non sappiamo quale) del Corano, figura nel catalogo dei libri di papa Benedetto X III (1394-1409) trasportati al castello di Peniecola.1 3 2 Ciò dimostra un ben più largo interessamento per i problemi spi­ rituali e religiosi nella Spagna che non in Italia,3 e dobbiamo dire

1 A . R ubio t L luch , op. cit., I, 322 (n. CCCLVI). 2 M. F aucon , L a librairie des P a p es d 'A vign on , Paris 1886, 124, n. 727 Notiamo che nello stesso catalogo (123, n. 726) è citato anche «Petrus Alfonsi contra Judeos et Sarracenos in vulgari catalano »; la traduzione deve esser stata fatta probabilmente nel x m secolo. In quanto alla biblioteca pontificia di Avignone, se in essa si trovavano ben 116 codici ebraici [F. E hrle , H istoria B ibliothecae R om anorum P ontificum tum B onifatian ae tum A ven ion en sis, Romae 1890, I, 362, n. 980; 376, n. 1184; 398, n. 1513], non sembra vi esistesse nessun altro manoscritto orientale di altro genere: le opere arabe citate negli inven­ tari debbono essere delle traduzioni latine. — Sarebbe interessante poter sapere che cosa era quel testo del Corano che esisteva nella biblioteca della Certosa di Salvatorberg, e che è cosi descritto nel catalogo di quella ricchissima col­ lezione redatto alla fine del x v secolo: « 621. Alchoranus liber quidam compo­ nitur a Machameto et tribus magistris eius, quibus dyabolus industriam et· auctoritatem ministrabat. Primus magister erat quidam Judeus astronomus maximus, secundus Johannes de Anthiochia hereticus, tercius Sergius Arrianus. Hic legem abominabilem confixerant reserantes quidquid arduum erat in credendo et difficile in operando et concedentes omnia, ad que mundani homines proni erant, scii, gulam, luxuriam, rapinam etc. De hiis habentur plura in Spec. hist. libi. 24. 39 et sequentibus». 3 È invece interessante osservare che la prima edizione a stampa del Co­ rano è italiana: uscì coi tipi del noto tipografo Paganinus de Paganinis di Bre­ scia, a Venezia, certamente poco prima del 1509. Ci è nota da una citazione dell’orientalfeta pavese Teseo Ambrosio morto nel 1540, che la ricorda nella opera: T heseus A mbrosius, In trod u ctio in Chaldaicam linguam , Pavia 1539, fol. 200v. Più tardi essa è ancora citata in una lettera del Postel, diretta al Masio il 4 marzo 1568 (J.-Gr. DE Chaufepié nel N ou veau D iction n a ire h isto­ rique et critique pou r servir de supplém ent ou de continuation au D iction n aire historique et critique de M r. P ierre B ayle, Amsterdam 1753, 232b), ma nessun esemplare ne è giunto sino a noi. Su di essa si veda J. B. D e R ossi, D e Corano arabico V en etiis P a g a n in i typ is im presso sub in . sec. X V I , Parmae 1805 (da cui Ch . F. Schnurrer , Bibliotheca arabica, Halae 1811, 402-404, n. 367). Nulla di nuovo aggiunge F ulin , in A rch iv io V eneto, X X I I I (1882), 211; cf. 133-134. — È stato ripetuto da molti che la totale scomparsa di tale edizione si deve

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32

Lo studio dell’Islam in Europa

anche nella stessa Francia. Qui, se una personalità di primo piano come Pietro il Venerabile ha potuto pensare un programma scienti­ fico (e tentarne l’attuazione) degli studi islàmologici, la grande massa della popolazione vi resta assolutamente estranea e lontana. Anche qui, e specialmente a Montpellier, conosciamo dei traduttori che mettono in latino delle opere arabe, come Giovanni da Brescia od Armengaud Blasii, che sfruttano la collaborazione dell’ebreo Gia­ cobbe ben Makir; ma traducono opere scientifiche. E dell’islam il mondo colto e letterario ha un’idea ben vaga ed erronea: come

al fatto che fu distrutta per ordine di Paolo III: nessuno però porta documenti in appoggio di tale opinione, nè io sono riuscito a trovarne. Tale edizione non appare nel Catalogo de libri li quali nuovam ente nel mese di m aggio dell’ anno presente M D X L V I I I sono stati condannati et scom unicati p er heretiei da M . G io­ vanni della Casa legato di V en etia et da alcuni fra li (riprodotto in H. R eusch , D ie In d ices librorum prohibitorum des sechzehnten Jarhunderts, Tübingen 1886, 138-142) dove V A lcoranus franciscanorum citato non ba nulla a che fare col Corano (cf. H. R eusch , D e r In d ex der verbotenen Bûcher, I, Bonn 1883, 163164). Solo vi appaiono le opere di Th. Bibliander, quindi anche l ’edizione della traduzione di Roberto di Chester. L a proibizione del Corano appare per la prima volta nell’indice redatto da Fernando Valdés, arcivescovo di Siviglia e inqui­ sitore generale, redatto nel 1551: A lcoran u s vel o lii libri in aravigo ubi sunt errores sectae M ahom eticae, e nel catalogo dello stesso del 1559 è detto ... in arabico vel alia quacunque lingua. L a traduzione latina del Corano di Roberto di Chester non è specificatamente proibita se non nell’ Indice di Paolo IV del 1559: A lchoranus M ahom etis, B asileae im pressu s (cf. H. Reusch , D ie In d ices librorum prohibitorum cit., p. 179). Dobbiamo però notare nell’ Indice di Pio IV (il così detto Indice Tridentino) del 1564: A lchoranus M ahom etis, B asileae im ­ pressus et sim iles rum seholiis et im p iis annotationibus et praefationibus. Ite m in vulgari lingua n on n is ex concessione inquisitorum haberi p ossit ». (Cf. H. R eusch . D ie In d ices librorum prohibitorum cit., 253), che si ripete nell’indice del Quiroga del 1583 nella forma: A lch oranu s M ahom etis B asileae im pressus et sim iles cum seholiis et im p iis annotationibus et praefationibus, sive vulgari lingua (H . R eusch , op. cit., 386). Non so se le citazioni degli Indici del 1551 e 1559 A lcoran us ... in arabico si possano riferire a tale edizione di Paganinus de Paga­ ninis, nè a quale traduzione si riferiscano le citazioni degli Indici del 1564 e 1583 ... in vulgari lingua ... Non mi è stato possibile ritrovare l’opuscolo: D i s ­ sertatio historico-theologica de A lcora n i prim a in ter E u ropaeos editione arabica, ante sesquiseculum et quod excu rrit in Ita lia p er P agan in u m B rixien sem facta, sed ju ssu P on tificis R om ani pen itu s abolita, quam ... sub praesidio J . M . L an gii publice defendet M ieh. Conv. Ludw ig, Altdorfii Norie. 1703, onde vedere se que­ sta è la prima fonte della notizia tante volte data che l’edizione fu soppressa per ordine della Curia romana, e quali prove egli dà dell’asserzione l’ assoluta mancanza di prove è ad ogni modo constatata da R. M e r l in , B ibliothèque de M . le baron S ilvestre de S a cy, I, 414.

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nel XII e nel xm secolo

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dice Humbert de Romanis «poche sono le persone che sappiano qualcosa di Maometto o dei Saraceni più che essi sono degli infe­ deli, non credono in Cristo, e che adorano Maometto come loro Dio, il che è falso ». Molto diffusa è l’opinione che Maometto non è il Profeta, ma è un dio e vi sono degli idoli che lo raffigurano e che gli arabi adorano; l’accenno ad una «ymage Mahom » ricorre fre­ quentemente nella letteratura partendo dall’opera apocrifa attri-, buita a Turpino: 1 « Idola et simulacra quae tunc in Hispania inve­ nit, penitus destruxit, praeter idolum quod est in terra Alandaluf, quod vocatur Salam Cadis: Cadis dicitur locus proprie in quo est; Salam in lingua arabica Deus dicitur. Tradunt Sarraceni quod ido­ lum istud Mahumet quem ipse colunt, dum adhuc viveret, in nomine suo proprie fabricavit ». E segue la descrizione dell’idolo, che si trova in quei primi capitoli dell’opera che sono stati redatti da un monaco di Compostella. Il Basset ha acutamente dimostrato come Alandaluf non sia altro se non al-Andalus, e Salam Cadis corri, sponda a Sanam

) Gades, l’idolo di Cadice, la famosa statua

intorno alla quale abbiamo un’ampia letteratura. 1 2 biella « Historia peregrinorum euntium Jerusolymam » il continuatore di Teudebodio racconta l’ingresso di Tancredi nel tempio di Gerusalemme convertito in moschea: « Ecce videt simulacrum argenteum Machumeth, quod erat fusile, stans in excelso throno, quod videlicet tanti ponderis erat, ut vix sex viri fortissimi ad portandum, vix etiam decem ad levandum sursum sufficerent » .3 E una analoga credenza si trova anche in uno scrittore che si direbbe voglia fare della storia, in Jacques de Vitry; egli scrive dunque della così detta moschea di Omar a Gerusalemme che ritiene essere il Tempio del Signore,

1 W ulff , L i chronique dite de T u rp in , Lund 1881, 46-47; T urpin , H istoria B a roli m agni et B otholandi, ediz. Castets, Montpellier 1880, cap. IV , de idolo Mahumet, 8-9. 2 René B asset , H ercule et M ahom et, in J ou rn al des savants, 1903, 391-402. La statua è stata distrutta nel 540 H. (1145-1146). 3 T udebodus imitatus et CONTINUATUS, H istoria P eregrinorum , in B ec. histor. des Croisades, occidentaux, III, 222: cf. F ulcherii Carnotensis , H istoria H ierosolym itana, ibid., 357, e R oberti monachi, H istoria lh erosol., ibid., 878: « O Mathome, Mathome, quis unquam venustiori te cultu colitur, in delubris auro argentoque insignitis, pulchrisque de te imaginibus decoratis ». 3

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U

Lo studio dell’ IsIàm in Europa

che i Saraceni l’hanno in gran reverenza e che vi convergono in pellegrinaggio da ogni parte. E continua: « Quociens autem sanc­ tam civitatem possident, ymaginem Machometi ponentes in templo, nullum Christianum permittunt intrare ». La credenza doveva essere molto diffusa, giacché tale frase è copiata nelPItinerario di Filippo di Savona, in Petrus de Pennis e nella guida per i pellegrini in Terra Santa contenuta in un codice di M onaco.1 Nella Chanson d’Aspre mont i saraceni, imitando i cristiani che portavano in battaglia le immagini sacre, portano sul campo le statue di Maometto, Giove, Apollo e Tervagant; 1 2 nella Chanson d’Antioche l’emiro Garsion, persuaso che suo figlio Sansadoine era stato ucciso, maledice Mao­ metto e minaccia di mettere a pezzi la sua statua; 3 e molti altri riferimenti si trovano sia in questi scritti quanto anche nella Chan­ son de Jérusalem. 4 Tutta questa stupida leggenda sembra abbia avuta la sua origine da una cattiva interpretazione di un passo di Fulcherio di Chartres. D ’altra parte una serie di testi narranti la vita del Profeta ne fanno un diacono della chiesa romana ed anche un cardinale,5 espulso dalla Chiesa e su questa vendicantesi; e narrano la sua vita nel modo il più strano e più stranamente ancora ricordano l’inse­ gnamento di un monaco Bahirà chiamato anche Sergio o di un Ni­ colao, e finiscono favoleggiando del suo sepolcro tenuto sollevato

1 J ac . de V itriaco , H istoria H ierosolim itan a, cap. L X I I I , ediz. Bongars, 1080; P hilippus Savonensis, ediz. M. 4 . Neumann, in Oesterr. Zeitschr. f. K ath òl. T héologie, X I (1872), 47; P etrus de P ennis , L ibellus de locis ultram arinis, ediz. Kohler, in R evue de VOrient latin, I X (1902), 355; Ms. Monac. lat. 14731, fol. 89r. 2 Ediz. L . Brandin, Paris 1923-1924 [Les classiques français du moyen âge, n. 25], I, 108 (laisses 182-188). Sul nome Tervagant si veda S. D a v id B eg , L e m ot Tarvaÿan dans les chansons de geste, in R evue des études arm é, nien n es, II (1922), 64-83. 3 Ediz. Paulin Paris, Paris 1848 [L es rom ans des D ouze P a irs, X I - X I I ] , t. II, 40, cap. V , V. 631-632. Sull’islàmismo nella Chanson d’Antioche si veda B. S. D arbishire , The C hristian Id ea of Isla m in M iddle A g e, according to the « Chanson d'A n tioch e », in The M oslem W orld, X X V I I I (1938), 114-124. 4 C. H ippeau , L a Conquête d eJ éru sa len , faisan t suite à la Chanson d ’ A n ­ tioche, Paris 1878 [Collection des poètes français du moyen âge], ad esempio 258, vv. 6462-6465. 5 E . D outté , M ahom et Cardinal, Châlons-sur-Marne 1889.

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nel xi! e nei xilt secolo

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in aria dalla forza misteriosa di una calam ita.1 E uno dei più antichi manoscritti contenente la traduzione del Corano e le altre opere sull’islamismo fatte preparare da Pietro il Venerabile, cioè il codice della Bibliothèque de l’Arsenal, 1 2 del x n secolo, proveniente dal Collège de Navarre, riproduce al fol. 11 un ritratto di Maometto in forma di pesce mostruoso a testa umana. Si è scritto 34che i poemi delle crociate, quelli che ho citato, non debbono nulla a nessuno storico; bisogna anche aggiungere che non debbono nulla nemmeno ad un serio studio dell’islamismo. È quanto, in un altro campo, ha constatato C. H. Haskins: « The Crusades as such had a surprisingly small part in the transmission of Arabic science to Christian Europe » .1 II mito dell’importanza fondamen­ tale delle crociate per la diffusione della cultura islàmica in Europa non regge ad una attenta critica.

Ili

La situazione che si era venuta formando e che ho sopra esposta si modifica radicalmente nel primo terzo del x i i i secolo, secolo inquieto, tempo di grandi crisi spirituali, uno dei più complessi della storia medioevale. Ho già accennato agli elementi del cambiamento: ora dovremo analizzarli più attentamente. Quello che mi sembra il più importante, e ad ogni modo quello che ha dato il maggior contributo alla trasformazione, fu lo svilup­ parsi dei due nuovi grandi ordini dei domenicani e dei francescani. Col loro programma di missione e di evangelizzazione, furono for­

1 Si v e d a in g en erale

D ’A ncona , La leggenda di Maometto in Occidente, (1 8 8 9 ) , 1 9 9 s g .; A . M ancini ,

in Giornale storico della letteratura italiana, X I I I

Per lo studio della leggenda di Maometto, in Pend. Acc. Lincei, ser. V I , v o l. X , 1 9 3 4 , 3 5 2 s g .; e p e r l ’id e n tità B a h irà = g iti al D ’A n c o n a , in F .

S e rg io, p a re c c h i te s ti o rie n ta li s f u g ­

N ati, L ’expansion nestorienne en Asie, in Annales du

Musée Guimet (B ib l. d e v u lg a ris a tio n X L ) , P a r is, s. a ., 2 1 4 -2 2 3 . 2 N.

1162

[1 0 5

H . L . ] , c a ta lo g o

H . M a r tin , I I , 3 1 5 -3 1 7 .

K atem , Les poèmes épiques des Croisades, P a r is 1 9 3 2 . 4 C . H . H askins , Arabic Science in Western Europe, in Isis, V I I ( 1 9 2 5 ) , 4 8 1 . N o n h o p o t u t o c o n s u lta re l ’ o p e r a di E . D reesbach , Der Orient in der alt3 A.

franzòsischen Kreuzzugslitteratur, B r e s la u

1901.

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

zatamente condotti a dover approfondire i metodi d ’azione sugli infedeli e quindi a prendere più seriamente in considerazione la necessità di disporre di un abbondante personale che padroneg­ giasse la lingua araba e che conoscesse gli usi di vita, le regole reli­ giose ed il pensiero dei musulmani. È a questa finalità, se i france­ scani agirono con semplice empirismo necessitato dalla loro azione in Terra Santa, i domenicani, con maggior metodo e più elaborata indagine delle contingenze, concepirono un vero e proprio pro­ gramma generale d’azione. « Ut studerent et praedicarent » è la consegna di San Domenico, 1 e quindi ogni convento deve essere una scuola, e non veniva aperto se prima non era designato un mae­ stro per l’insegnamento. Ad una iniziale ostilità agli scritti degli infedeli, si sostituisce ben presto la comprensione che lo studio della loro lingua è indispensabile; un primo avvertimento lo abbiamo già nel Capitolo generale di Parigi del 1236: «Monemus quod in omnibus provinciis et conventibus fratres linguas addiscant illo­ rum, quibus sunt propinqui ». 1 2 Eaimondo di Penafort appare come « zelator fidei propagande inter Saracenos » :3 nella sua vita ano­ nima è detto che « cum licentia magistri ordinis et cum auxilio D. Re­ gis Castille et D. Regis Aragonum studium lingue arabice fieri pro­ curavit, in quo viginti fratres ord. praedic, vel plures in lingua illa per ipsius diligentiam sunt instructi ». 4 E la vita scritta da Petrus Marsilius precisa: « Studia linguarum pro fratribus suis ordinis Tunicii et Murcie statuit, ad que fratres Cathalanos electos destinari procuravit » . 5 II Capitolo provinciale di Toledo del 1250 deputa 1 A c ta S S ., Aug. t. I, 573 A , § 72. 2 A cta capitulorum generalium ordinis Praedicatorum , ediz. Reichert, I, Romae-Stuttgardiae 1898, 9. Nella lettera che nel 1237 fr. Filippo, provinciale domenicano di Terra Santa, invia al papa (riportata in Chronica A id rici m o­ nachi T riu m P on tiu m , in M . G. H ., Ss., X X I I I , 941) è espresso il progetto di creare delle scuole di lingue per i missionari in Oriente. 3 Gerardii de F rancheto , V ita e fratrum , ediz. Reichert, Lovanii 1896, 309-310, 332. Non potei vedere F . V alls T aberner , San B am ón de P ew yafort,

Barcelona 1936. 4 M on um en ta ordinis fratrum praedicatorum historica, V I, I, B aym un d ian a, ediz. Fr. Balme et C. Paban, 1898, 32. Cf. H . D enifle , V ie U niversitàten des M ittelalters bis 1400, I, Berlin 1885, 495, nota 1102. 5 B aym un d ian a cit., 12; D enifle , op. cit., 495, nota 1101; M ortier , H i s ­ toire des M aîtres G énéraux de l'Ordre des F rères Prêcheurs, I, Paris 1903, 518-521.

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nel xi! e nel xm secolo

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i primi religiosi destinati allo «studium arabicum » di Tunisi; sono otto, Arnaldus Guardia, Petrus de Cadireta, Eaymundus Martin, Petrus Ariam, Petrus de Puteo, Petrus de Sancto Pelice, Didacus Stephani, Petrus de Canellis; Arnaud de Guardia è inviato « in prelatum ». 1 Quello che fra loro diverrà beh presto celebre è Eaimondo M artin,1 2 colto nell’arabo e nell’ebraico, il primo, si può dire, orien­ talista europeo. Nel 1256-1257 scrive l’« Explanatio symboli apo­ stolorum »,3 nel 1264 è a Barcellona, dove don Jayme lo nomina membro di una commissione incaricata di esaminare dei libri ebraici ed ivi, nel 1267, scrive il « Capistrum Judaeorum ». 45Nel 1268-1269 è di nuovo a Tunisi, nel 1278 lo ritroviamo a Barcellona ove ter­ mina il « Pugio fidei » 6 e nel 1281 vi ha la cattedra d’ebraico allo 1 Quétif -E chard , Scriptores ord in is P raed icatoru m , I, Lutetiae Paris. 1719, 396; D ouais, A c ta capitulorum provin cia liu m ord. fratr. P ra ed ic., 612. Una bolla di papa Alessandro IV del 15 luglio 1260 concede a Eaimondo de Penafort autorità delegata di mandare «Fratres Predicatores ... Tunisium et alias barbaras nationes, tam in convertione infidelium, quam etiam in corro­ boratione fidelium ... »; E ipoll, B ullar. P ra ed ic., I, 395, n. 275; P otthast , R egesta, n. 17923. 2 Si veda in generale J. J. B erthier , Un m aître orientaliste du X I 1 P siècle. R aym ond M a rtin O. P ., in A rchivum F ratrum P raedicatorum , V I (1936), 267311. L ’opera di E . Martin deve probabilmente esser stata conosciuta ed apprez­ zata da Eaimondo Lullo. E. L ongpré, L e B . R aym on d L ulle et R aym ond M arti O. P ., in B ull. Soc. A rqueol. L uliana, X X I V (1933), 269-271, osserva che il majorchino parla nel « Liber de acquisitione Terrae Sanctae » di un religioso celebre per le sue controversie con ebrei ed arabi, e ritiene che questo deve essere E . Martin. 3 Ediz. J. March , R am on M a rti y la seva E xp la n a tio sym boli apostolorum , in A n u a ri del In stitu t d’estudis catalans, 1908, 443-496. Cf. H . Sancho , L a E xp la n a tio Sym boli A postoloru m de R aim undo M a rti O. P ., in C iencia T o m i­ sta, X V (1917), 394-408. 4 Cod. Bibl. Universitaria Bologna, 1675 (cf. catalogo F rati , in Studi italia n i di filologia classica, X V I (1908), n. 865, p. 375) e Bibl. Nat. Parigi, lat. 3643. 5 E aym undi Martini , P u g io F id ei adversus M au ros et Judaeos hebraice et latine cum observationibus J osep h i de V oisin , Parigi 1651; 2a ediz. Leipzig 1687. Cf. Menéndez y P elayo , H istoria de los hétérodoxes espanoles, III, Ma­ drid 1917, 251-255. Contro la tesi che l’opera di E . Martin avesse influenzato la Sum m a Contra Gentes di S. Tomaso, ed anzi sostenendo la tesi contraria, vedi L u is G. A . Getino , L a Sum m a contra Gentes y ei P u g io F id ei, Ver­ gara 1905, e P. M andonnbt , S iger de Brabant, 2e partie, Louvain 1908, x x v ii i. L ’opera dell’Aquinate fu infatti composta fra il 1261 e il 1264 su preghiera di Eaimondo di Penafort ed il rapporto con l’ordinamento degli studi deciso al Capitolo generale di Valenciennes del 1259 o forse anche prima, nel 1258-1259.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

« studium hebraicum ». Egli muore verso il 1283-1285. Gli si attri­ buisce anche quel vocabulista arabico edito dallo Schiaparelli. 1 L ’esempio domenicano non è rimasto senza seguaci: il 28 die. 1254 Alfonso el Sabio istituiva una cattedra d’arabo alla Univer­ sità di Siviglia *1 2 e nel 1260 papa Alessandro IV emetteva ima bolla con la quale lo «studium» erariconosciuto quale «studium generale».3 Pare però che l’istituzione non abbia avuto lunga vita. Il generalato di Humbert de Romanis (1254-1263) sembra aver dato nuovo impulso allo studio dell’arabo nei conventi domenicani ed egli stesso conosce il Corano e le opere polemiche di Petrus Alphonsi. 4 Nella sua opera « de vita regulari » scriveva: « Licet autem de omni fructu animarum per ordinem faciendo sit ei multum curan­ dum, tamen specialiorem curam et zelum ferventiorem habere debet circa barbaras nationes, et paganos, saracenos, judaeos, haereticos, schismaticos, et hujusmodi qui sunt extra ecclesiam, ut per ordines laborem et sollicitudinem in viam dirigantur salutis, et Christi in eis gloria delatetur. Et ideo curandum est ei ut semper in ordine sint aliqui tractatus contra errores eorum, in quibus fratres exer­ citare se valeant competenter; et ut aliqui fratres idonei insudent

L aurent , Autour de la « Summa contra Gentiles ». Simple mise au point, in Angelicum, V i l i (1 9 3 1 ) , 2 3 7 - 2 4 5 , e A . E . M otte , Note sur la date du Contra Gentiles, in Bevue Thomiste, X L I V (1 9 3 8 ) , 8 0 6 - 8 0 9 . I n q u a n to Si v e d a su q u e s to : H .

al c o n c e tto ch e i te o lo g i a v e v a n o d elle m issio n i si v e d a in g en erale B .

Grabmann ,

Die Missionenidee bei den Dominikaner Theologen des X I I I . Jahrhunderts, in Zeitschrift für Missionswissenschaft, I ( 1 9 1 1 ) , 1 3 7 -1 4 6 . 1 Vocabulista in arabico pubblicato per la prima volta sopra un codice della Biblioteca Biccardiana di Firenze da E . Schiaparelli, F ir e n z e 1 8 7 1 . Su q u e ­ sta o p era si v e d a q u a n to scrisse C. A . N allino , in Rivista degli studi orientali, V ili

(1 9 1 9 -1 9 2 0 ),

4 5 3 -4 5 7 .

2 « O to rg o q u e a ia h i e stu d io s é escu ela g en erales d e la tin é d e a ra b ig o »:

Memorial histórico espandi, I , M a d r id 1 8 5 1 , 5 4 ; c fr. A . B allestreros t B e retta , Sevilla en el siglo X I I I , M a d r id 1 9 1 3 , 1 6 2 , d o c . 6 7 ;

I , 4 9 8 , n o ta 1 1 1 2 ;

D enifle , o p . c it ., H astings E ashball , The Universities of Europe in the M id ­

dle Ages, new edition by F . M . Fowicke and A . B . Emden, O x fo r d 1 9 3 6 , 9 0 -9 1 . 3 Memorial histórico cit., 1 6 3 ; P enifle , op. cit., 4 9 9 ; B allestreros t

B eretta , op. cit., doc. 1 0 9 ; H astings B ashdall , op. cit., 9 1 . 4 Si v e d a in g en erale B. B irckman , Die vermeintliche und die wirkliche Beformschrift des Dominikanergenerals Humbert de Bomanis, B erlin u n d L e ip z ig 1 9 1 6 ; e s o p r a t tu t to F. H ein tke , Humbert von Bomans (H isto r isc h e S tu d ie n , 2 2 2 ) , B e r lin 1 9 3 3 , con a m p ia b iblio g ra fìa .

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nel XII e nel xm secolo

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in locis idoneis ad linguas arabicam, hebraicam, graecam, et bar­ baras addiscendas. Et in provinciis quae sunt ad bujus modi fruc­ tum faciendum aptiores, debet super hoc excitare fratres; et non quoscumque, sed [eos] qui circa fructum hujusmodi fervent, et aliter sunt idonei ad hujusmodi negotia, deputare interdum ». 1 Una sua lettera del 1255 indica le direttive dello studio, indirizzato allo scopo di comprendere la mentalità dei popoli coi quali si vuole discutere e il loro punto di vista, e basando ogni inchiesta su docu­ menti originali (libri) o su informazioni dirette (conversazioni); 1 2 e un’altra dell’anno seguente prova che il suo appello è stato inteso.3 In Oriente accenna alle missioni presso i Cumani, i Maroniti, i Tar­ tari, i Georgiani; nella Spagna «fratres qui jam multis annis inter Saracenos in Arabico studuerunt, non solum laudabiliter in lingua proficiunt: sed, quod est laudabilius, ipsis Saracenis ad salutem cedit cohabitatio eorumdem, ut patet in pluribus qui jam baptismi gra­ tiam susceperunt ». Sotto il suo generalato, nel 1259, il capitolo generale di Valenza decide: « Iniungimus priori Hispaniae, quod ipse ordinet aliquod studium ad addiscendum linguam arabicam in conventu Barchinonensi vel alibi, et ibidem collocet fratres ali­ quos, de quibus speretur, quod ex hujusmodi studio possint profi­ cere ad animarum salutem. Quicumque autem et de quacumque provincia voluerit addiscere linguam Arabicam, scribet hoc magi­ stro ». 4 Tale «studium», sui quale non abbiamo altre indicazioni, è rimpiazzato nel 1281 da uno «studium hebraicum».5 E già nel 1257 il capitolo generale di Zaragoza aveva avvertito i padri di pensare « ad negocium arabieum » e raccomandato ai priori di invitarli a pregare di frequente nei capitoli per i religiosi assegnati « huic nego-

1 J . J . B erthier , B . Humberti de Romanis Opera de vita regulo,ri, K o m a e , II, 1 8 8 9 , 1 8 7 ; B. A h a n e r , Sprachstudien und SpracKkenntnisse im Dienste

der M ission des 13. und 14. Jahrh., in Zeitschr. für Missionswissenschaft, X X I (1 9 3 1 ),

119.

2 Si v e d a la su a d o m a n d a al c a p ito lo g e n e ra le di M ila n o d el 1 2 5 5 p e r lo d e ll’ a ra b o e d el g re co , R eichert , Monumenta ordinis fratr. Praedic, historica, V ( 1 9 0 0 ) , 1 6 -2 0 ; J . J . B erthier , o p . c i t ., 4 9 2 -4 9 3 .

stu d io

3 J. J.

B erthier , o p . c i t ., 5 0 1 -5 0 2 .

4 Acta capitul. gener., e d iz . R e ic h e r t c i t ., I , 9 8 . 5 D ouais , Acta capit, provincial., cit., 6 2 5 .

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Lo studio dell’Islam in Europa

tio » . 1 L ’interessamento di Humbert de Eomanis per gli studi arabi è ben notato da Gerardo de Fracheto. 1 2 Dopo l’installazione dei domenicani a Murcia (1265) e prima della morte di Eaymund de Penafort (1275) deve esser sorto per opera di Eaymund e con l’aiuto dei re di Castiglia e d ’Aragona, lo « studium arabicum » in quella città, dove venti e più frati dome­ nicani furono da lui istruiti in quella lingua. Ivi lavorò Domenico Marrothim, che, su preghiera del suo discepolo Bufino d’Alessandria, tradusse un libro sulla malattia degli occh i;3 egli tradusse anche le «Questiones Medicae Johannicii». 4 I francescani non potevano rimanere ciechi davanti a tutti questi esempi: Baimondo Lullo vuole imitarli e fonda il convento di Miramar nell’isola di Maiorca, 5 confermato dal papa Giovarmi X X I

1 D ouais , op. cit., 617. 2 V ita e fratrum , c it ., 1 5 1 . 3 Dal colophon del ms. Bernese 216, H. H ag en , Catalogus codicum B ernensium , 1875; Praga, Bibi, publica ed universitaria lat. 839, fol. 35a, 73a; Danzica, Mar. fol. 238 V ; Bibl. Amploniana, cod. fol. 271, fE. 11-25. La tra­ duzione è del 1271. 4 Steinschneider , D ie europ. Ucbersetzung. aus dem A ra b ., in Sitzungsb. A h . W ien , 1904, n. 105, p. 75, e Z D M G , X L V II (1893), 350. 5 V ita B . B a y m undi, cap. 2, in Salzinger , B . B aym un d i B ulli doctoris illu m in ati et m artyris opera om nia, Moguntiae 1721-1742, I, 4; A c ta S s., Iun. t. V II , p. 609, c. 2, n. 13. Sulla storia del convento si veda E . A llison P eers , B am on L ull. A B iography, London 1929, 131-137. Su questa fondazione e sulla successiva opera di Kaimondo Lullo per la diffusione degli studi arabi sono da ritenersi alcuni passi della sua vita edita da B. de Gaiffier in A n alecta B ollandiana, X L V I I ! (1930), 130-178, che qui cito una volta per tutte: § 17 (p. 154155) « Sub eodem tempore impetravit etiam Ravmundus a predicto rege Maioricarum unum monasterium construi in regno suo et possessionibus dotari sufficientibus, ac in eodem tresdecim Fratres Minores institui, qui linguam ibidem discerent arabicam pro convertendis infidelibus ut superius est expres­ sum; quibus, nec non et aliis succedentibus aliis in eodem monasterio perpetuo predictis possessionibus ad eorum necessaria ministrarentur singulis annis quingenti floreni ». § 18 (p. 155) «P ost hoc ivit Raymundus ad curiam Rom a­ nam, causa impetrandi, si posset, a domino Papa et cardinalibus huiusmodi monasteria pro diversis linguis discendis per mundum institui... ». Per la sua conoscenza dell’ arabo, si vedano nello stesso testo i paragrafi seguenti: § 12 (p. 152) « ... severum namque visum sibi fuit illum perimere, quo docente sibi linguam multum optatam, scilicet Arabicam, iam sciebat » e § 19 (p. 156): « Qui­

bus omnibus in Monte Pessulano rite expletis, iter arripiens venit ad Ianuam, ubi moram faciens non multam predictum librum scilicet Artis inventive trans­ tulit in arabicum. Quo facto direxit ad Romanam curiam gressus suos, cupiens

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con lettera da Viterbo del 1276, 1 diretta a « Jacobo, nato clarae memoriae regis Aragonum, qui statuit et etiam ordinavit, ut in insula Majoricensi, in loco qui dicitur Daja, in parrochia Sancti Bartholomaei Vallis de Musa, monasterium sive locus religiosus con­ struatur, in quo tredecim fratres ordinis Minorum, qui juxta ordinacionem et institutionem provintialis ministre continue in arabico studeant, et commemorentur, ut tandem instructi competenter in illo, ad terras paganorum se conferant animarum profectibus intendentes ». *1 2 La fondazione non durò molto: se ne hanno notizie fino al 1292 e deve essere finita nel 1295. ilei 1301 la costruzione passa nelle mani dei Cistercensi,3 ma le idee direttive della fonda­ zione saranno riprese e tenacemente ripetute dal Lullo sino al loro trionfo, sia pur effìmero, al concilio di Vienne. Intanto i domenicani continuavano le loro fondazioni di scuole d’arabo. Dal protocollo del capitolo provinciale di Estella, del 1281, vediamo l’organizzazione dello studio arabico di Valencia con sette monaci, un converso, col professore Giovanni de Podioventoso.4 Nel 1291 il capitolo provinciale di Palencia stabilisce la donazione ai monaci di Catalogna di una casa in Jativa, perchè vi si istituisca uno «studium hebraicum et arabicum » ; 5 nel 1303 il capitolo di

ibidem, ut alias, impetrare, monasteria fieri per mundum pro diversis linguis, ut supra dicitur, addiscendis ... ». Lullo ricorda ancora la fondazione di Mira­ mar nella sua poesia L o Cant de R am on, del 1299: Lo Monastir de Miramar Fiu à frares menors donar, Per Sarrahins â preyear. Vedi R o s e i .ló , Obras rim adas, Palma 1859,. 365. 1 II 1 6 di un mese che è dato diversamente dai diversi editori, come set­ tembre, ottobre e anche novembre. 2 Più volte pubblicato: vedi per ultimo B u bió t L l u c h , D ocum ents cit., η. II, 4-5. 3 0 . van deb V at , D ie A n fa n ge der F ra n ziskan erm ission en und ihre W eiterentw icklung im nahen O rient und in den moham m edanischen L andern wàhrend des X I I I . Jahrhunderts, W erl i. W . 1934, 178. Di nessun valore J oan Mau ba , L o B ea t R am ón L u ll, fundador del fr im e r colegi de llenguas orientals, in R evista L u lian a, II (1902), 260-266. 4 D ouais, A cta capitulorum provincialium , II, 626, η. 7; A n alecta Ord. P ra ed ic., I II , 422. 5 Maetêne -D uband , Thesaurus novus anecdoct., IV , 1847; Reichebt , op. cit., I, 263. 18; D eniele , D ie U n iversitattn cit., I, 497, nota 1108.

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

Valencia ordina al priore di Jativa « quod conducat et habeat unum judeum qui étiam in arabico sit instructus vel aliquen Sarracenum, ut simul cum dicto fr. Petro legat ibidem » : 1 si direbbe che il x n i se­ colo ha precorsa l’idea modernissima di affiancare il professore europeo di un lettore indigeno per l’insegnamento di una miglior pronuncia od una pratica conoscenza della lingua. Lo studio di Jativa esisteva ancora nel 1314, come risulta da un atto di Giacomo II d’Aragona confermante una delle clausole del testamento di sua mo­ glie la regina Bianca.1 2 Dobbiamo sorpassare i limiti cronologici che abbiamo fissato a queste note, per seguire le tracce di queste fondazioni domenicane. Il concilio generale di Piacenza del 1310 domanda una più larga fondazione di cattedre di arabo, di ebreo e di greco,3 anche fuori della Spagna; ma l’invito sembra non sia stato inteso. Nella pro­ vincia d’Aragona il provinciale Bomeu Sabraguera

(1312-1313)

deve aver operato per lo sviluppo dello studio dell’arabo, 4 ma le notizie di scuole propriamente dette mancano ormai. I francescani non hanno mai adottato, come ordine, un indi­ rizzo analogo a quello dei domenicani: si sono disinteressati dello studio dell’arabo e dell’islamismo. Bimane però l’azione personale di Baimondo Lullo, che aveva imparata la lingua da uno schiavo moro 5 così bene da poter scrivere delle opere in arabo. Dopo la fondazione di Miramar, di cui egli sempre trasse van to,6 conti­

1 D e n if l e ,

D ie U niversitaten cit., I, 497, nota 1108. 2 H. F inke , A c ta A ragon en sia, I, C L X X X , nota 5; A . B ekthier , Les écoles de langues orientales fondées au X I I I e siècle par les D om in ica in s en E sp a ­ gne et en A friq u e, in R evue A frica in e, 1932, 98; D enifle , D ie Universitaten cit., I, 495 8g. 3 A c ta capitulorum generalium 1304-1378, M onum enta ordinis fratrum Praedic, historica, IV , 50, linee 25-28. 4 Samuel B erger , Recherches sur les bibles provençales et catalanes, in R o ­ m ania, X I X (1890), 524-525. 5 V ita in A n a l. B ollan d., 1930, 151, n. I I . È difficile sapere fino a quai punto egli conoscesse tale lingua, in quanto le opere che egli ha redatto in arabo non ci sono pervenute. Bisogna però osservare che nel L iber super Psalm um « Quicum que vult » sive liber T artari et C hristiani egli esprime la sua ammira­ zione per la bellezza .della lingua nella quale è redatto il Corano; è la prima volta, credo, che uno scrittore medioevale cristiano faccia una tale osservazione. 6 Cf. le sue opere B lanquerna, c. 66, in Obres, ediz. Palma de Mallorca,

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nuò ad elaborare la sua teoria delle missioni presso i musulmani, dapprima col romanzo « Blanquerna » composto nel

1283-1285,

poi col « Felix de les Marayelles del Mon » del 1286-1287, dove pro­ poneva la fondazione di cinque collegi del tipo di Miramar,1 e con­ temporaneamente invia delle petizioni allo stesso scopo, a Filippo IV il Bello, all’Università di Parigi e ad un amico non meglio identi­ ficato. *1 2 Nel 1294 scrive la « Petitio pro conversione infidelium » ,3 insiste nel 1296 col «Liber de articulis fidei sacrosantae et saluti­ ferae legis cbristianae, sive liber Apostrophe » ;4 dopo il viaggio a Cipro e nella Piccola Armenia del 1301-1302, scrive a Montpellier la « Disputatio fidei et intellectus » nel 1303, e due anni dopo il suo famoso « Liber de fine »,5 ove insiste sull’importanza dello studio linguistico.6 Nel 1308, a Pisa, rifà in latino la sua « Disputatio Baymundi et Hamar Sarraceni », che dapprima aveva redatto in arabo, e poi, ritornato a Montpellier, scrive il « Liber de acquisitione Terrae Sanctae».7 Due anni dopo, a Parigi, redige il «Liber Natalis seu de Natali pueri parvuli Jesu Christi».8 Lo scopo delle sue fondazioni è essenzialmente missionario. Nella « Petitio pro recuperatione Terrae Sanctae et pro conversione infi­ delium » dei 1296, a Bonifacio V ili, scrive: « Quod in diversis locis ad hoc aptis per terram Christianorum ac in quibusdam locis etiam Tartarorum fiant studia idiomatum diversorum, in quibus viri sacra

I X (1914), 230; e Cant de R am on, cit. da L ongpré in V ie t, de théologie catho­ lique, I X , 1, 1078. 1 Obras, ediz. Palma d e Mallorca, II (1903), 210 sg. Per la data dell’opera cf. H auréau , in H iet, littéraire de la F ra n ce, X X I X , 345. 2 M a r tè n e -D u r a n d , Thesaùrus novus anecdot., I, Paris 1717, 1315 sg. 3 La P etitio p ro conversione infidelium ad B on ifa ciu m V i l i fu edita da E . L ongpré, V e u x opuscules in éd its du b. R aym on d L ulle, in F ra n ce fra n cis­ caine, X V I I I (1935), 145-154, in base al cod. Parigino, Bibl. Nat. lat. 15450, e meglio da H . W ieruszowski , R am on L u ll et Vidée de V ie u . Quelques n ou ­ veaux écrits sur la Croisade, in E stu dis fra n cise., X L V II (1935), 87-110, in base ai codd. Parigini, Bibl. N a t., lat. 15450, 17827, 16116.

4 Salzinger , o p . c i t ., I V . 5 Edito in A d . G ottron, R am on L ulls K reuzzu gsid een , Berlin 1912, 63-93. 6 In Gottron, op. cit., 67-68, 88-89. 7 Ediz. L ongpré, in C riterion (Barcellona), I II (1927), 265-278. 8 Edito da Guido Mercator a Parigi nel 1499, nel volume dal titolo Rie con tin en tu r libri R em u nd i p ii erem ite ..., fol. 56v-66v.

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

doctrina competenter imbuti, tam religiosi quam saeculares, qui cultum divinum per orbem terrarum desiderant ampliari, valeant ipsorum infidelium idiomata diversa addicere et ad eorum partes pro praedicando Dei evangelia utiliter se transferre ». E nella « Di­ sputatio Raymundi et Hamar Sarraceni: «... quod Dominus Papa et Reverendi Cardinales fecerunt in perpetuum quattuor vel quin­ que monasteria, in quibus religiosi et seculares literati et devoti et ferventes mori propter Deum addiscerent idiomata infidelium, et deinde irent ad praedicandum Evangelia per universum mun­ dum, ut praeceptum est ». Dalla teorica passa all’azione: all’apertura del concilio di Vienne (1 ott. 1311 ) egli domanda l’istituzione di tre collegi di lingue orien­ tali, a Parigi, a Roma ed a Toledo, con la sua « Petitio Raymundi in concilio generali »; 1 il concilio abonda, ne delibera cinque, cioè Roma (o più esattamente «ubicumque Romanam curiam residere contigerit »), 1 2 Bologna, Parigi, Oxford e Salamanca. La Chiesa do­ veva provvedere alle spese di quelle di Roma e di Salamanca; re Filippo avrebbe provveduto a quella di Parigi; Bologna ed Oxford dovevano essere sostenute dai principi secolari. L ’insegnamento doveva comprendere l’arabo, l’ebraico, il siriaco ed il greco.3 Ma l’impresa di Raimondo Lullo era destinata a non aver seguito: se qualche traccia di insegnamento di lingue orientali ritroviamo nel 1 Cf. H auréau , H ist. litt. de la F ran ce, X X I X (1885), 340-341. n. 252; A . R. P ascijal, V id a del beatoR aym undo L u lio, Palma 1890, II, 191 sg.; E . L ongprìì, in D iction n a ire cit., I X (1927), 1109. Per le edizioni di questo testo si ve­ dano gli scritti di E . L ongpré e di H. W teruszowski citati alla nota 7, pag. 42. L a stessa proposta dei tre monasteri per lo studio delle lingue la ripete nel Liber de acquisitione Terrae Sanctae, ediz. L ongprL, in C riterion (Barcellona), III (1927), 271; poi nel L iber natalis p u eri parvu li Christi J esu , ediz. M. M üller , in W issen sch aft und W eish eit, I I I (1936), 139-146 (cf. H ist, littéraire de la F rance, X X I X [1885], 238), nella D isp u ta tio clerici et R aym un d i phantastici, e in altri scritti. 2 Sullo spostamento dello Studium Curiae Romanae con la corte ponti­ ficia, si veda R. Ore y tens , L e « Studium R om anae Curiae » et le M a ître du Sacré P a la is, in A rch ivu m F ratrum P raedicatorum , X I I (1942), 18-22. 3 C orpus lu r is C anonici, pars secunda. D ecretalium Collectiones. C onsti­ tutiones Clem entinae, liti. V , t. I, c. I, Lipsiae 1922, 1179. — Una esposizione dettagliata di tutta l’attività di R. Lullo è data accuratamente da B . A l t a n e r , R aym undus L u lu s und der Sprachenhanon (can. 11) des K on zils von V ien ne, (1 3 1 2 ), in H istorisches Jahrbueh, L U I (1933), 190-219.

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nel xi! e nel xm secolo

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seguito del xiv secolo, di una vera e propria cattedra d’arabo in queste cinque località non abbiamo notizia. 1 Che essa abbia esistito alla Curia papale non parliamone nem­ meno: la Curia, durante il tredicesimo secolo ebbe qualche persona che sapeva l’arabo, ma non, per quanto ci consti, continuamente. Così fra il 1224 ed il 1227 risiedette in Curia Michele Scoto, come già ho accennato; più tardi sappiamo che una lettera araba del Sul­ tano d’Egitto del 25 maggio 1246 ad Innocenzo IV sarebbe stata tradotta [verbo ad verbum fideli interpretatio] da un cardinale di Curia. 1 2 La sua identificazione è diffìcile: Tisserant34 pensa ad un cardinale di origine spagnola, o che avesse soggiornato in Oriente; Altaner 1 suggerisce l’inglese Giovanni di Toledo, che aveva studiato medicina in quella città e che potrebbe avervi appreso l’arabo.5 Ma più tardi, e specialmente dopo il concilio di Vienne, non abbiamo alcuna notizia di un conoscitore d’arabo in Curia: si sa, nel 1317, di un « Conrado electo magistro linguarum in curia », ma quali lingue

1 S u lle co n se g u en z e d ella d ecisio n e di V ie n n e m o lti d a ti h a r a c c o lto B . A l ­ Die Durchführung des Vienner Konzilsbeschlusses iiber die Errichtung von Lehrstiihlen fiir orientalische Sprachen, in Zeitschr. fiir Kickengeschichte, L I I ( 1 9 3 3 ) , 2 2 6 - 2 3 6 , e L ’execució del decret del Concili Yienès sobre creació de càtedres de UengHes orientals, in Estudis francise., X L V I (1 9 3 4 ) , 1 0 8 -1 1 5 . È i n t e ­ taner,

r e ss a n te o sse rv a re ch e è a lle d e cisio n i del con cilio d i V ie n n e ch e si a p p e lla a n co ra nel 1 6 9 8 L u d o v ic o M a e r a c c i a g iu stific a z io n e del su o Alcorani textus uni­ versus, P a ta v ii 1 6 9 8 , v o l. I I , P r a e fa tio a d L e c t o r e m , p . 7. Su q u e s t ’o p e ra co sì n o te v o le si v e d a lo stu d io di C . A . X a l l in o , Raccolta di scritti editi ed inediti, I I , R o m a 1 9 4 0 , 9 0 -1 3 4 : p e r il n o stro rife r im e n to si v e d a 1 3 3 , n o ta 1.

2 M atthaeu s

P a r is ie n s is , e d iz. L u a r d , I V , 5 6 6 . Su a ltri d o c u m e n ti arabi

a rr iv a ti in C u ria fr a il 1 2 4 5 ed il 1 2 4 7 si v e d a B . A l t a n e r , Die Dominikaner-

missionen des 13. Jahrhunderts, H a b e ls c h w e r d t 1 9 2 4 , 5 2 , 7 4 , 1 2 8 ; P . P e l l io t , in Revue de l’Orient chrétien, X X I V ( 1 9 2 4 ) , 2 3 3 , e X X V I I I ( 1 9 3 1 -3 2 ) , 3 ; 0 . v a n

V a t , Die Anfange der Franziskanermissionen, 1 5 4 sg.; G o l u b o v ic h , Bibl. bio-bibliogr., I I , 3 3 2 -3 4 5 : il tr a d u tto r e d e v e se m p re esser s ta to lo stesso . 3 I n Revue de VOrient chrétien, X X I V (1 9 2 4 ) , 3 5 0 , n o ta 2. 4 I n Zeitschr. fiir Kirchengeschichte, 1 9 3 6 , 1 0 0 , n o ta 4 4 . 6 S u di lu i si v e d a H . Grauert , Meister Johann von Toledo, in Sitzungsber. der Bayer. A k. d. W ., 1901, 111-325, È v e ro ch e R. L ullo , Blanquerna, II, 134, e d iz . d e lla Revista de Madrid [c ita to da J ulian R ibera , Origenes de la filo­ sofia de R. Lulio, in Romenaje a Menéndez y Pelago, M a d r id 1899, II, 196] p a r la der

di u n « secretario d e la le n g u a a ra b ic a c h e te n ia el P a p a ». M a la n o tiz ia n on tro va

c o n v a lid a z io n e nei d o c u m e n ti.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

conoscesse è ignoto; 1 si citano un Baynerio de Costansa e un Ale­ xandro Petri « nuntiis regis Ermenie, qui debent docere in curia linguas eorum », 1 2 si conoscono dei professori di greco, come il famoso Barlaam, ma di professori d’arabo non abbiamo alcuna traccia. Nemmeno della fondazione di una cattedra d’arabo a Parigi abbiamo notizia. Le condizioni anzi, nel x m secolo, rispetto alla conoscenza di tale lingua dovevano essere ben cattive in Francia, se è vero quanto scrisse Boger Bacon che Luigi I X non avrebbe trovato nel suo regno nè all’università di Parigi nessuno che avesse potuto tradurgli uno scritto del Sultano d’Egitto; 3 nella sua spe­ dizione in Oriente ebbe invece come interpreti non solo dei grandi signori, come Baudouin d’Ibelin, ma anche dei prelati come frate Ivo le Breton, provinciale dei Domenicani di Terra Santa, o dei giu­ risti, come maitre Nicole d’Acre. 4 Ora nello stesso periodo abbiamo dei documenti che ci informano dell’esistenza a Parigi di un’isti­ tuto che, credo erroneamente, fu paragonato ad un collegio orien­ tale. 56Un documento di Innocenzo IV del 22 giugno 1248 indicale contribuzioni che Saint-Pierre-de-Chartres e Sainte-Marie-du-Pré do­ vevano versare per il mantenimento di « pueris orientalibus Parisius studentibus »; un atto di Alessandro IV del 22 aprile 1258 al can­ celliere dell’Università di Parigi riguarda le abazie di Prémontré, di Oluny e di Marmoutier che si rifiutavano di pagare la loro parte di spese allo stesso scopo; infine una bolla di Onorio IV del 23 gen­ naio 1286, indirizzata anch’essa al Cancelliere dell’Università, dà 1 K . H . Sch afer , D ie A usgaben der A postolisch en K am m er unter J ohann X X I I . (1911), 564. Di lui si hanno notizie sino al 1328. 2 D al 1321 al 1323, S ch a fer , op. cit., 573. 3 R oger B acon , O pus m aiu s, III: L inguarum cognitio, ediz. J. H . B r i d ­ ges , III (1900), 120: « ...u t intellexi quod Soldanus Babilomae scripsit domino Regi Franciae que nun est, et non fuit inventus in toto studio Parisiensi nec in toto regno Franciae qui sciret literam sufficienter exponere, nec nuntio ut oportuit respondere. E t dominus Rex de tanta ignorantia multum mirabatur, et valde ei displicuit quod sic invenit clerum ignorantem ». 4 N. de W a i l l y , J ea n de J oin ville. H istoire de St. L ou is (1874), 193, nota 354; cf. n. 268, 339, 344, 357; 243, nota 444; 251, n. 458 sg.; 197, n. 361; 199, n. 363. B . A l t a n e r , D om in ikan erm issionen , cit., 33 sg. 6 Ch . J o u r d a in , U n collège oriental à P a ris au X I I I e siècle, in R evue des sociétés savantes, 2e série, t. V I (1861), 66-73 [e in E xcu rsion s historiques et philosophiques à travers le m oyen âge, Paris 1888, 219-230],

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nel XII e nel xnt secolo

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ordine di provvedere con tutti i mezzi di diritto alle spese dei « 20 clericos tam in arabica, quam in aliis linguis partium orientalium eruditos ». 1 Ora questa non è una scuola d’insegnamento d’arabo o altre lingue orientali, ma un collegio per la formazione di un clero indigeno atto alla propaganda cattolica in Oriente. 1 2 Nel xiv secolo invece abbiamo notizia di un vero e proprio insegnamento. Papa Giovanni X X II, in data 24 febbraio 1319, scrive al vescovo di Parigi in favore di «Joanni Salvati de Xova Villa Begis » [Villeneuvele-B>oi], ebreo convertito, perchè gli sia conferito l’incarico di inse­ gnare l’ebraico ed il caldeo.3 Di arabo non se ne fa parola. In data 25 luglio 1326 papa Giovanni X X II domanda al vescovo di Parigi informazioni dettagliate sull’insegnamento delle lingue orientali ( ... in ebrayca, grece, arabice, et chaldee linguarum) all’Università, 4 ed è del 1325 una lettera papale al cardinale legato in Francia perchè si sorvegli che fra i professori di lingue non si infiltrino dottrine straniere (peregrina dogm ata).5 Xon ritengo che questi due docu­ menti provino l’esistenza di ima cattedra d’arabo a Parigi: hanno l’aspetto di richieste circolari e generiche. Ad ogni mòdo sarebbe ben strano che una tale cattedra non avesse lasciata altra traccia della sua esistenza.6

1 D e n ifl e , Chartularium oit., I, nn. 181-182, pp. 212-213; n. 324, p. 372; n. 527, p. 638-639. 2 Come ben interpretò B. A lt a n e r , D ie E eranbildung eines einheim ischen K leru s in der M issio n des 13. und 14. Jahrhunderts, in Zeitschr. fiir M ission sw issenschaft, X V I I I (1928), 193-208. Infatti il documento di Innocenzo IV dice: « .... 10 pueros tam in arabica quam in aliis linguis orientalium partium peritos Parisius mitti disposuimus ad studendum, ut in sacra pagina docente vias man­ datorum Domini eruditi alios in ultramarinis partibus erudiant ad salutem ». 3 D e n if l e -Ch â te la in , Chartularium , II, 228, n. 777. Cf. ibidem, II, 237, n. 786 dei 2 febbraio 1320. Il J o u r d a in , op. cit., 66, ha pubblicato un docu­ mento del 1319 dal quale risulta che i canonici di una chiesa di Digione in unione col clero della diocesi di Langres pagano una somma di 12 denari per tale inse­ gnamento. 4 D e n if l e -Ch a te la in , Chartularium , I I , 293, n. 857. 5 Cr e v ie r , H istoire de V U n iversité de P a ris, II, 227; H istoire littéraire de la F ra n ce, X X I V (1862), 386. 6 In quanto alla fondazione di Humberto II duca del Delflnato del 1° di­ cembre 1349 per pagare le spese del soggiorno di 120 studenti (B ourchenu de V al bo n n a y s , H istoire du D au ph in é, Genève II (1721), 613 sg.) non sap­ piamo se ha avuto nemmeno un principio di attuazione.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa Nemmeno per Oxford siamo meglio documentati. Eoger Bacon

aveva scritto con eloquenza e profondità di vedute sulla necessità dello studio delle lingue orientali, 1 ma per quanto egli avesse rico­ nosciuto l’importanza dell’arabo per lo studio della filosofia e per la conversione degli infedeli, pure non aveva nessuna conoscenza di questa lingua. « De Arabico tango locis suis: sed nihil scribo arabice, sicut hebraee, graece et latine ... Nam pro studio théologie parum valet, licet pro philosophia multum, et pro conversione infi­ delium ». 1 2 I testi arabi egli non li ha conosciuti se non attraverso traduzioni latine,3 Gli ultimi indizi di insegnamento di lingue orien­ tali ad Oxford sono un documento del 1320, dal quale risulta che una speciale tassa fu imposta sui beni ecclesiastici a Canterbury per lo stipendio dell’insegnante d’ebraico ad Oxford, ed uno del 1325 relativo al contributo ricevuto dall’abate di Westminster da una delle sue chiese per le spese dell’insegnante di ebraico, caldeo ed arabo all’università. 4 Sembra che vi sia stato un insegnante per le tre lingue, che probabilmente aveva tale titolo, ma che pra­ ticamente, penso, non conosceva forse se non l’ebraico e qualche rudimento di arabo. Certo è però che in Oxford si ha sempre traccia di interessamento per i problemi islàmici, come prova l’opera di John of Wales, alla quale accenneremo in seguito, con una conti­ nuità che risale, attraverso il Grosseteste, al gruppo di Hereford. Nessuna traccia dello studio dell’arabo a Bologna od a Sala­ manca: in questa ultima città bisogna scendere al xvi secolo per trovare ima « eàtedra de lenguas » per ebreo, caldeo ed arabo.5 Pra-

1 In g e n e r a le si v e d a s u lla c u ltu ra filo lo g ica del B a c o n : S. A . H irsch , Roger Bacon and Philology, in Roger Bacon Essays ... collected and edited by A . G . L it ­ tle , O x fo r d 1 9 1 4 ; B. V a n d e r w a l x e , Roger Bacon dans Vhistoire de la 'philo­ logie, in La France franciscaine, 1 9 2 8 , 3 1 5 -4 1 0 ; 1 9 2 9 , 4 5 -9 0 ; G . B r e g o la , I l valore delle lingue e delle scienze nell’apologetica di Ruggero Bacone, in Scuola cattolica, L X V (1 9 3 7 ) , 3 7 2 -3 9 1 . 2 Opus tertium, c. 2 5 , e d iz . B r e w e r, 8 8 , « P r o co n v e rsio n e a u te m in fid e ­ liu m m u lt u m v a le t lin g u a a ra b ic a ». C f. a n ch e c. 2 6 , p . 9 5 . 3 M . B o u yg es , Roger Bacon a-t-il lu des livres arabes? in Archives d’his­ toire doctrinale et littéraire du moyen âge, V (1 9 3 1 ) , 3 1 1 -3 1 6 . 4 A . G . L it tle , Studies in Early Franciscan History, M a n c h e ste r 1 9 1 7 . 5 M. B a t aillo n , L ’arabe à Salamangue au temps de la Renaissance, An Hespéris, X X I (1 9 3 5 ) , 1 -1 7 . U n a fra se d el « p e lle g r in a g g io » di fr a te F ra n cesco

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nel xi! è nel xm secolo

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Ideamente la decisione del concilio di Vienne non ha avuto alcun seguito: l’interessante movimento per l’insegnamento della lingua araba del x m secolo, rimane limitato alla Spagna ed è una gloria culturale esclusiva (salvo il poco riuscito caso di Miramar) dell’or­ dine domenicano. In quanto se, come meglio vedremo in seguito, Alfonso el Sabio ha risvegliato un intenso movimento di traduzioni dall’arabo, non è riuscito, sembra, a dar vita perenne alla cattedra da lui istituita a Siviglia. Il movimento domenicano riceve la sua prima realizzazione con Eaimondo de Penafort e la fondazione dello studio di Tunisi: subito si presenta la grande figura di Eaimondo Martin. Ma il suo apogeo lo abbiamo per opera di Humbertus de Eomanis con lo sviluppo dello studio di Murcia e la fondazione di quello di Barcellona, seguite, dopo il suo ritiro dal generalato, da quelle di Valencia e Jativa. Due personalità eminenti campeggiano: Humbertus de Eomanis e Eaimondo Martin. Il primo ci ha lasciato principalmente il « Trac­ tatus de predicatione crucis contra Saracenos infideles et paganos »,*1 composto probabilmente fra il 1266 ed il 1267, la prima di una lunga serie d’opere di predicazione della crociata che si moltiplicheranno specialmente nel xiv secolo. Ai predicatori della crociata il de E o­ manis domanda non solo la conoscenza geografica della Terra Santa,

Pipino da Bologna: « Audivi a quibusdam saracenis quod ibi sunt reliquiae ...» [Cf. edizione L . M am zoni , F rate F rancesco P ip in o da B ologna de’ P P . P r e d i­ catori, geografo storico e viaggiatore, in A tti e m em orie della 72. D epu tazione di storia patria p er le provin cie di Bom agna, 1895, 327; un’ampia bibliografìa sul Pipino in D. P lan zee , D i e Tabula privilegioru m ordinis F ratru m P ra ed ica ­ torum des F ranciscus P ip in u s O. P ., in A rch ivu m F ratru m Praedicatorum , X (1940), 222, nota 1], deve certo essere interpretata nel senso ebe un interprete gli ha tradotta Pinformazione dell’indigeno. 1 Oltre ai parecchi manoscritti (io utilizzo il Vaticano lat. 3847, foli. 126) ne abbiamo una edizione a stampa nell’incunabolo H a in , n. 9029, senza luogo, nè data nè tipografo [ma forse Leipzig, Mart. Landssperg, circa 1492], del quale si conservano copie al British Museum (474. b. 16), alla Bibl. Maza­ rine η. 263 (p. 713 del catalogo degli incunaboli), alla Bibl. Universitaria di Freiburg. I manoscritti a me noti sonò oltre al Vaticano lat. 3847 cit., Monaco, codd. lat., 449, 3780, 18383, 26810; W ien, Staatsbibl., 4239, 4663; W ien, Con­ vento Domenicano 38; Korimberga, Stadtbibl., Cent. II. 17; Basel, Bibl. Universit., A . I X . 15. Su questo scritto si può vedere V. Ckam er , H um bert von B om ans’ Traktat « TJeber die K reu zp red ig t», in D a s H eilig e Band, L X X I X (1935), 132-153; L X X X (1936), 11-23, 43-60, 77-98.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

ma anche una cultura islàmica, basata sulla storia di Maometto, sulla conoscenza diretta del Corano del quale raccomanda la let­ tura, dell’opera polemica di Petrus Alphonsi, 1 della storia dei pro­ gressi della setta musulmana e delle sue lotte coi cristiani. 1 2 L ’opera del generale dei domenicani è più che tutto un manuale per i pre­ dicatori della crociata; ma ben presto questo genere di scritti evol­ verà verso una maggiore precisione tecnica, sia geografica quanto militare e politica sul modo di organizzare e condurre la crociata. Uno però sta a parte, lo scritto che nel 1306 redasse Pierre Dubois, che, malgrado il titolo « De recuperatione Terre Sancte », è non pro­ priamente un piano tecnico di riconquista della Palestina quanto un trattato di politica generale.3 Probabilmente sotto l’influsso delle idee così vigorosamente sostenute da Eaimondo Lullo, tanto in quest’opera 4 quanto nel suo scritto di due anni anteriori « Sup­ plication du pueble de France au roy contre le pape Boniface V i l i »,5 egli insiste sulla necessità di conoscere le lingue orientali ed elabora tutto un progetto per la creazione di una scuola d’interpreti da costituire nei priorati dei Templari e degli Spedalieri.6 L’idea, dagli

1 È interessante rimarcare la celebrità di quest’opera già vecchia da oltre un secolo: riprova ne è anche il fatto che essa fu tradotta in catalano. Infatti nel catalogo della Biblioteca di Benedetto X I I I a Peniscola, troviamo: « Petrus Alfonsi contra Judaeos et Sarracenos in vulgari Catalano »: F aucon , op. cit., 123, n. 726. Non sappiamo l’ epoca però di questa traduzione, solo che è ante­ riore alla fine del trecento. 2 Cod. Vaticano lat. 3847, fol. 18v, col. a. 3 Se ne veda l’edizione di Ch . V. L anglois , D e recuperatione Terrae Sanctae, traité de politique générale pa r P ierre D ubois [.Recueil de textes pour servir à l’enseignement de l ’histoire], Paris 1891. Su quest’opera si veda E . B o utaric , in N ot. et extr. des m anuscrits, X X , 2a, 166 sg. e G. B . A cad . In ser. et B . L ., 1864, 84 sg.; E. R e n a n , in H istoire littéraire de la F rance, X X V I (1873), 471-536; R . Scholz , D ie B ublizistik zur Z eit P h ilip p s des Schònen und B on ifa z V 1 IT ., Stuttgart 1903, 375 sg.; Z eck E ., D ie P u blizistik P . D u b ois’ , seine Bedeutung im B ahm en der Politile P h ilip p s I V . des Schònen, Phil. Dissert., Berlin 1911; B . A l t a n e e , in Zeitschr. fü r M issionsw issenschaft, X V I I I (1928), 200-201; M. W . I. B r a n d t , in A m erican H istorical B eview , X X X V (1930), 507-521; P. J. I d enburg , P . D u bois en zijn statenbondsplan, ip D e Gids (Amsterdam), X C V (1931), 207-224. 4 Ediz. Langlois cit., § 59-67, pp. 47-57. 5 Ms. Parigi Bibl. N at., lat. 10919, fol. 103, c. 2, e P. D upuis , H istoire du différend d'entre le pape B on iface V i l i et P h ilip p e le B el, Paris 1655, 214-219. 6 D a un punto di vista di politica generale è assai interessante e precor·

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nel XII e nel xm sècolo

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ambienti religiosi, era penetrata dunque profondamente anche nella società laica. Nella Spagna già mezzo secolo prima però l’aveva ben com­ presa Alfonso el Sabio e lo aveva dimostrato con la creazione della cattedra d ’arabo all’Università di Siviglia. Ma i risultati pratici di questa iniziativa ci rimangono totalmente ignoti. Certo è che intorno a quel sovrano, nel suo ambiente, e probabilmente da lui

ritrice dei tempi, la sua idea della necessità di una colonizzazione europea della Palestina e dell’ Egitto: cf. l ’appendice al D e recuperatione, nell’ediz. Langlois, 134-140. Debbo notare che tutti i testi redatti alla fine del x m od al principio del XIV secolo intorno alla organizzazione di nuove crociate attenuano l’im ­ portanza del concetto religioso, usandolo quale un incitante alla spedizione contro i musulmani, più che non metterlo in primo piano come ragione fondamentale della spedizione in Terra Santa. Manca perciò in questi scritti ogni e qualsiasi contributo ad una più profonda e precisa conoscenza dell’islàm. Cosi nello scritto di G alvano d e L e v an to , L ib er sancti passagli [edito in· parte da K ohler , T ra ité du recouvrem ent de la T erre S ainte adressé, vers Van 1925, à P h ilip p e le B el p a r Galvano de Levanto, m édecin génois, in R evue de l’ O rient latin, VI (1898), 343-369. e dello stesso M élanges p ou r servir à l’ histoire de l’ O rient latin et des Croisades, I, Paris 1900, 212-240; cf. G olubovich , B ibi, bio-bibliogr., I, 357 sg.], nell’opera di H a t t o n , L a flor des estoìres de la terre d'O rient, presentato nel 1307 a Papa Clemente V a Poitiers, malgrado che il II libro sia dedicato alla storia e alle leggi musulmane [vedine l ’edizione in R ecu eil des historiens des Croisades, D ocum ents arm éniens, II, Paris 1 9 6], nell’importantissimo soritto di M arin San udo T o rselli , L ib er secretorum fidelium crucis, edito dal Bongars, ma di cui si desidera una migliore edizione: [studi di preparazione, con tutta la bibliografia anteriore, sono quelli di A . M agnocavallo , I codici del L iber secretorum fidelium C rucis di M a rin Sanudo il vecchio, in R endic. Istitu to Lom bardo, 1898, 1113 sg., e M a rin Sanudo il vecchio e il suo progetto di crociata, Bergamo 1901], l’opera redatta fra il 1317 e il 1318 d a . G uillelmus A d a e , D e modo Sarraqenos extirpandos, dedicati» a Raimondo de Farges, cardinale diacono di S. Maria Novella e nipote di Clemente V , morto vescovo di Antivari [edito in R ecu eil des historiens des Croisades. D ocum ents arm éniens, II, 521-555: cf. D elà v ille le R o u lx , L a F rance en O rient -au X I V ‘ siècle, Paris 1885, 62-63, 70-77; R evue de l’O rient latin, X , 16-36; X I I , 104-111; H istoire littéraire de la F ran ce, X X X V (1921), 280-282], al quale autore si attribuisce anche quel D irectoriu m ad passagium faciendum , indirizzato nel 1332 a "Filippo V I re di Francia da un domenicano missionario in Oriente, e che va erroneamente sotto il nome di Brocardus [edito in R ecueil des historiens des Croisades, D ocum ents arm éniens, II, 367-517], nei due rap­ porti del 1306-1307 del Gran Maestro dell’ordine dei Templari J. de Molay [in V itae paparum A venionansium , ediz. Moliat, I II , Paris 1921, 145-149] e del Gran maestro degli Ospedalieri, Fulco de Villaret [edito da J. P e t it , M é ­ m oire de F oulgues de V illaret sur la Croisade, in B iblioth. de l’É cole des chartes, L X (1899), 002-610],

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Lo studio dell’Islam in Europa

promosso, vi era stato un intenso lavoro di traduzioni dall’arabo, diretto però principalmente ad opere cbe non hanno rapporto con la religione islàmica: si ritradurrà, ad esempio, il Quadripartitum di Ptolomeo 1 intorno al 1256 per opera di Aegidius de Thedaldis da Parma in unione con Pietro da Reggio, 1 2 dei testi astrologici come il « libro de las cruces » nel 1259 3 o quell’opera del misterioso Picatrix, voltata in spagnolo nel 1256, 4 degli scritti di zoologia o di economia domestica per opera di Petrus Gallego vescovo di Car­ tagena (1250-1267),5 delle opere letterarie come il Kalila e Digma tradotto nel 12516 o il romanzo dei Sette Saggi tradotto nel 1253 per l’infante Federico,7 e così via. Yi concorreranno traduttori di tutti i paesi, spagnoli, italiani, ebrei.8 Per quanto riguarda la cono­

1 Che era già stato tradotto nel 1138 da Plato da Tivoli e nel 1206 da un anonimo traduttore (cf. ms. Wolfenbtìttel, Gud. lat. 147, foli. 162-194; Parma, Palatina, ms. 719, foli. 311-343; Firenze, Nazionale, San Marco 200 = Con­ venti soppressi J. II. 10). Vedi Ste in sch n e id e r , D ie hebràischen Uebersetz. des M ittelalters, 525 sg., H a sk in s , op. cit., 111-112. 2 Ste in sch n e id e r , in Sitzungsber. A h . W ien , C X L I X , 3, n. 9. 3 A . G. S o lalin d e , A lfon so X astrologo, in B evista de filologia escanola, X I I I (1926), 350-356. 4 L ynn T h o r n d ik e , A H istory of M a g ic and E x p erim en ta l S cien ce, cit., II, 1923, 812-824. Non si sa quando è stato tradotto in latino. 6 Vedi A . P e l ze r , Un traducteur in con n u : P ierre Gallego, franciscain et prem ier évêque de Carthagène, in M iscellanea F r. E hrle, I (Studi e Testi, voi., 37), Pom a 1924, 407-456; A . L ópez , F r. P ed ro Gallego, in A rch ivo ibero-am ericano, X I I (1925), 65-91. 6 Cliffo rd G. A l l e n , L 'an cien n e version espagnole de K a lila et D igm a, Mâcon 1906; edizione A . G. So lalin d e , Madrid 1917. Questo testo arabo ha avuto molta influenza sull’opera di E . L ullo , F e lix de les m eravélles del m on ; cf. H ist, littéraire de la F ran ce, X X I X (1885), 347, 355-360. È difficile dire se il maiorchino ha conosciuto direttamente la redazione araba o solo questa traduzione spagnola. 7 D . C om paretti , B esearehes respecting the B ooh of Sindibad, London 1882; L ibro de los enganoz et los asayam ientos de las m ujeres, ediz. A dolfo B onilla y San M a r t in , Bibl. hispanica n. 14, Barcelona 1904. 8 Su questo cf. specialmente Μ. Ste in sch n eider , D ie hebràischen TJebersetzungen des M ittelalters, §§ 388, 583, 585, pp. 616-626, 975-976, 979-980. Sulle traduzioni dall’arabo fatte eseguire da Ee Alfonso si veda in generale G aspar I ba S e z d e Se g o v ia , M em orias históricas del B e i D on A lfo n so el Sabio y observaciones a su C rònica, Madrid 1777, 453-457; e sulla loro accuratezza (pren­ dendo esempi dalle opere di astronomia) si veda J. M illas V allicro sa , E l literalism o de los traductores de la corte de A lfon so el Sabio in A l-A n d a lu s, I (1933), 155-187.

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scenza dell’islam, è stato scritto da d. Juan Manuel che « fizo trasladar toda la secta de los moros, porqùe paresçiesse por ella los errores en que Mahomad, el su falso profeta, les puso et en que ellos estân oy en dia ». 1 E il testo continua, dicendo che re Alfonso aveva anche fatto tradurre il Talmud e la Cabala. L ’indicazione « toda la secta de los moros » si dovrebbe riferire ad una nuova traduzione del Corano o di almeno una sua parte, in spagnolo: a meno che non accenni ai capitoli sulla vita di Mao­ metto contenuti nella « Crònica generai » composta, per ordine del re, fra il 1260 ed il 1268. 1 2 Asin Palacios ne ha analizzato il racconto del mPràg, ed ha ben dimostrato come dipenda da un testo di atTabari e da uno di as-Suyütï. 3 Ma non mi sembra che il dotto orien­ talista abbia tenuto conto di un dato molto importante. Si conserva alla biblioteca Bodleiana4 uno scritto francese dal titolo « Livre de leschiele Mahomet » tradotto, per ordine di Alfonso X, dall’arabo in spagnolo da Abraham ebreo e poi dal notaio Bonaventura senense voltato in francese nel 1264. Esso comincia « Ce est li livre qi hom appelé en Sarrazinois Halmacreig qe volt tant dire en francois come monter en alt et ce livre fist Mahomet » e finisce: « Le livre fu de espaignol en francois tornez en lan nostre Sire Dieux mil et ducenz et sessant et quatre ou mois de may ». Halmacreig è certamente al-mi'ràg: siamo dunque davanti ad un che fu tra­ dotto dal medico ebreo di Alfonso X . E, forse, dello stesso testo abbiamo una traduzione latina nel cod. della Bibliothèque Natio­ nale di Parigi, lat. 6064, del xiv see., incipit (fol. 105v): « Hic inci1 L ibro de ceteria, citato da M e n é n d e z y P e l a y o , H istoria de los hété­ rod oxes espanoles, I II , 1907, 251; ma meglio D on J u an M a n u e l , E l libro dela Caza, ediz. Gl·. Baist, Halle 1880, 1. 2 P rim era C rònica General. E storia de Esporta que mandò com poner A lfon so el S abio y se continuaba bajo Sancho I V en 1289, pulilicada por Ramon Menén­ dez Pidal, tomo I, Madrid 1906, §§ 466-467, 471, 472, 475, 478, 483, 486-489, 493-494. Su tale testosi veda R. M e n é n d e z P i d a l , L a Crònica General de Esporta, Madrid 1916. 3 L a escatologia cit., 24-30, 46-48, 365-368. Sono le redazioni che questo studioso chiama Ciclo 3 e Ciclo 2, redazione C. Su uno sviluppo dell’origine della leggenda studiata dall’Asin, si veda A . C a b a t o n , L a D iv in e Comédie et V Islam , in R evue de Vhistoire des religions, L X X X I (1920), 333-360. 4 H. 0. Co xe , Catalogi codicum m anuscriptorum biblioth. Bodleianae pars II: Cod. lat., Oxonii 1858-1885, n. 537 (del x iv see.), coll. 389-390,

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Lo studio dell’Islam in Europa

pit liber qui arabice vocatur Halmahereig, quod latine interpreta­ tur “ in altum ascendere” ; hunc autem librum fecit Machometus et imposuit ei hoc nomen »; e desin. (fol. 126v): « Nos autem supradicti Halbubekar et Habnez testificamus corde vero et conscientia pura quod omnia que Machometus in praecedentibus enarravit vera sunt. Ita quod omnes qui ea recitari audierunt debent ipsa certissime sic extitisse per singula credere prout ea conscripsimus et in antea conscribemus. Explicit liber scale Machometi qui ara­ bice dicitur Halmahereig. Herveus Keynhouarn Brito Leonen(sis) dioc(cesis) scripsit ». Non dispongo ora se non di questi dati, i quali, come ben si vede, sono insufficienti per stabilire se il teste dei codice Bodleiano e quello del codice Parigino sono la traduzione di imo stesso o di due diversi originali arabi. E il confronto e lo studio accurato degli scritti mi è, disgraziatamente, impossibile nelle attuali circostanze. Ad ogni modo è certo che dell’Ascensione di Maometto il x m secolo disponeva delle traduzioni spagnole, francese e latina di uno o due testi arabi molto ampi, uno dei quali probabilmente fu noto a Pedro Pascual [Pietro Pascasio], la fonte forse della notizia che ne ebbe Brunetto Latini quando visitò Alfonso X nel 1260. Non è quindi necessario ricorrere, come fa Asm Palacios, per spie­ gare tale notizia, ad una ipotetica traduzione di Ibn ‘Arabi, ipotesi contro la quale si schierò il Nallino:1 basterebbe pensare che un esemplare del Kitàb mi‘ràg an-nabi in una delle versioni soprari­ cordate, fosse venuto nelle mani del Latini perchè egli avesse avuto del viaggio celeste maggiori dettagli di quelli che poteva offrirgli la Cronaca generale o gli altri scritti indicati: e ben facilmente poteva trasmettere tali dati all’ambiente fiorentino e forse anche a Dante. 1 2

1 Recensione dell’opera del Asin Palacios in R ivista degli studi orientali, V i l i (1919-1921), 809-811, e in R accolta di scritti ed iti ed in ed iti, II, 443-446. 2 L ’ipotesi secondo la quale il viaggio ultraterreno di Maometto sarebbe pervenuto alla conoscenza di Dante per il tramite di Ricoldo da Montecroce, esposta da P. M an do nn et , D an te et le voyage de M ahom et au P aradis, in C o­ m ité franç. catholique pou r la célébration du sixièm e centenaire de la m ort de D ante A ligh ieri. B ulletin du ju bilé, n. 5 (1921-1922), 544-555, non mi pare da pren­ dersi in considerazione. Ricoldo ritornò in Italia, dopo il suo lungo soggiorno in Oriente, solo negli ultimi anni del X I I I secolo (vedi U . M onnebet de V il lak d ,

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Nè siamo obbligati a presupporre il tramite necessario del’ Latini, chè la traduzione del Kitàb mi'ràg an-nabi spagnola latina, e fran­ cese esistente come opera a sè stante, facilmente poteva giungere in uno o più esemplari a Firenze per una qualsiasi via, recata magari da uno dei molti commercianti pisani che in quel tempo larga­ mente trafficavano con la Spagna tanto cristiana quanto musul­ mana. Il problema del come Dante può aver avuto notizia dell’Ascen­ sione di Maometto viene dunque di molto semplificato e diviene ancor più interessante lo studiare le traduzioni esistenti che ho indi­ cato in rapporto al problema sollevato dal Asin Palacios, ed iden­ tificare, se è possibile, l’originale arabo del testo. 1 La « Historia Arabum » di Eoderieo Jiménez de Rada, il testo sul mir‘ àg, i paragrafi della «Crònica generai », sono tutti lavori di tradu­ zione o di compilazione: i soli nuovi studi sull’islam che siano usciti da questo intenso movimento creato dai domenicani nella Spagna durante il x m secolo con le loro scuole di lingue orientali sono gli scritti di Raimondo Martin, quelli di Pedro Pascual e infine, ina al di là del limite cronologico che mi sono fissato, quelle di Raimondo Lullo, che si è messo nella stessa linea di attività dei frati predica­ tori. Raimondo Martin è una forte mentalità teologica ed un cono­ scitore profondo della letteratura ebraica e dell’araba; ma è certo che le sue due opere più importanti, la « Explanatio symboli apo­ stolorum » del 1256-1257 e il «Pugio fidei» del 1278 sono molto più dirette contro gli ebrei che non contro i musulmani,*1 2 quindi non

L a v ita , le opere e i viaggi di frate R icold o da M on tecroce O. P ., in O rien ta lia C h ristia n a P eriod ica , I X (1944), 266-267), dunque troppo tardi perchè le noti­ zie elle egli può aver portato influissero sulla composizione della C om edia. 1 Per lo studio delle fonti di questo scritto bisognerà tener conto, olter agli elementi raccolti da A sìn P alacios , op. cit., 357-368, del manoscritto di Leyden 882 ( d e G o e je -J u y n b o ll , Catal. codio, arah. B ib l. A ca d . L u gd u n oB atavae, edit, secunda, Lugduni 1907, 44); del manoscritto Gayangos 241 acefalo e mancante della fine, alla E . Acad. de la Historia di Madrid; dei manoscritti elencati da V. Ch a u v in , B ibliographie des ouvrages arabes ou relatifs au x A r a ­ bes, X I , Leyde-Leipzig 1909, 207. 2 È notevole anche osservare che le citazioni ebraiche sono date, oltre che in traduzione, anche in caratteri ebraici; ma per le arabe si dà soltanto la traduzione. Ì3ulle traduzioni dall’ebraico di Eaimondo Martin si vedano le inte­ ressanti osservazioni di S. L ie bekm an n -Sh k iin , A few W ord s on som e J ew ish L eg en d s, C ustom s and L itera ry S ources fou n d in K a r a ite and C h ristian W ork s,

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

molto vi si trova che ci illumini sulla conoscenza ed il concetto che il domenicano aveva dell’islam. Nonpertanto è evidente che egli conosce a fondo molti testi arabi, che cita non solo nel loro titolo arabo ma anche in una esatta traduzione di questo: si veda quanto Asin Palacios dice a proposito dello scritto di al-Gazzàlï «Tehàfot».1 Scolaro di Eaimondo Martin è il celebre medico Arnaldo di Vil­ lanova: *1 2 da lui aveva imparato l’arabo e dall’inventario della sua Jerusalem 1939 [in ebraico con riassunto inglese]. Per curiosità ricordo degli atti di pagamento a due ebrei « scribentibus ebraicam litteram in Pugione » fatti nel 1396 per un esemplare della biblioteca papale d ’Avignone: cf. E hrle , op. cit., 172. Per la famosa disputa del 1263 e la susseguente espurgazione di libri ebraici anche su giudizio di E . Martin, si veda J. L o e b , L a controverse de 1263 à B arcelone entre P a u lu s C hristiani et Mo'ise hen N ahm an, in B evue des études ju ives, X V (1887), 1-18, e J. R é g n é , Catalogue des actes de Jaim e I " , P ed ro I I I et A lfo n so I I I , rois d’A ra gon , concernant les J u ifs , in B evue des études ju ives, L X (1910), 198-200, n. 207, e L X I (1911), 7-8, n. 249, con ampia bibliografia. 1 Sens du m ot Tehâfot dans les œuvres d’ E l-G hazali et d’A verroès, in B evue A frica in e, 1906, 185-203, e L ’influence m usulm ane dans la D iv in e Comédie. H istoire et critique d’une ‘p olém ique, in B evue de. littérature com parée, 1924, 392393, e in L a escatologia m usulm ana en « la D iv in a Comedia » in II giornale dan­ tesco, X X V I I (1924), 17, nota 2. Sulla conoscenza che di al-G-azzàlì ebbe l ’occi­ dente e specialmente Eaimondo Martin si veda D. Salm an , A lgazel et les L atin s, in A rch iv. hist. litt. doctr. du m ogen âge, X (1935-1936), 103-127; M. A sìn P alacios , M ohodin, in H om enaje a M enéndez y P elago, II, Madrid 1899, 21721 8, dove assevera che la prima parte del P u g io fidei « es un verdadero calco de otro libro de Algazel, L a destrución de los filósofos, encaminado à refutar las objeciones que contra la fe del islam levantaban los peripatéticcs arabes », e L a espiritualidad de A lgazel y su sentido cristiano, Madrid 1934 sg., spec. I, 97; 264, nota l; II, 280, nota 1; 469, nota 1; 557, ove assevera che E . Martin usò di varie opere di al-â-azzâlî, cioè Mïzàn al-‘ amal (liber qui Statera dicitur), Ihyâ’ (liber qui dicitur V erificatio scientiarum ), Tahâfut, Maqsad al-asma, Munqïd, Maqàsid, Miskât al-anwàr. Si veda anche l’ articolo dello stesso autore sui precedenti musulmani del « Pari » di Pascal, in B oletin de la B iblioteca M e ­ néndez y P ela g o (Santander), 1920, e ristampato in H uellas del Islam , Madrid 1941, 161-233, spec. 226. 2 Su di lui E . L a l a n d e , A rn a u d de V illeneuve. Sa vie et ses œuvres, Paris 1896; P. M arti de B arcelona , B egesta de documents arnoldians coneguts, in E stud. fra n cise., X L V I I (1935), 261-300; P. M a s t i d e B arcelo na , N o u s do­ cuments p er a la biografia d’ A rn a u de V ilanova, in A n alecta sacra Tarraconensia, X I (1935), 85-113; P. D ie pg en , S tudien zu A rn old von Villanova, in A rch iv f. Gesch. d. M e d i z i n , l l l (1909-1910), 115-130, 188-196, 369-396; V (1911-1912), 88-120; e dello stesso Die W eltanschauung A rnolds von V illanova, in Scientia, L X I (1937), 38-47. Sui suoi rapporti con papa Bonifacio V i l i : H. E in k e , A u s den Tagen B on ifa z V i l i . (Vorreformationgeschichtliche Porschungen, II), Münster i. W . 1902, 190-226.

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biblioteca apprendiamo cbe possedeva anche dei libri in quella lin­ gua. 1 Ma fra i moltissimi suoi scritti, 1 2 se vi sono anche delle tra­ duzioni dall’arabo,3 non mi pare che nessuno studi il problema dell’islam. Invece un contributo notevolissimo porta, alla fine del secolo xni, San Pedro Pascual, frate mercedario, vescovo di Jaen dal 1296, fatto prigioniero dai mori, e morto martire a Granata il 6 dicembre 1300.4 Due dei suoi scritti sono da prendersi in consi­ derazione, il « Tratado del libre albedrio contra los fatalitas mahometanos » 5 e l’altra dal titolo « El Obispo de Jaen sobre la seta Mahometana » , 6 che gli autori moderni citano sovente come « Impugniación de la seta mahometana ». In questi scritti egli dà prova di una larga cultura islàmica: cita sovente il Corano, indicando qualche volta il capitolo col suo nom e;7 trascrive delle intere frasi arabe;8 ricorda sovente ciò che è scritto nei « libros de los moros » ; 9 ed alcuni di questi scritti cita precisamente. Così menziona le raccolte di hadit

1 R oque Chabas , In v en ta rio de los libros, ropas y demàs efectos de A . de V illanueva, in B evista de archivos, bibliotecas y m useos, 1903, 189-203; J. Car ­ reras A rtau , L a llibreria d’ A rn a u de V ilanova, in A n a lecta sacra T arraco­ nensia, X I (1935), 63-84, spec. 68-69. Cf. R ubió t L lijch, in E studis u n iver­ sitarie catalans, I II (1909), 395, nota 3. 2 J. C a r r e r a s A r t a u , L e s Obres teolôyiques d 'A rn au de V ilanova, in A n a ­ lecta sacra T arraconensia, X I I (1936), 217-231. 3 A d esem pio il G a l e n i liber de rigore et tenore translatus B arellinone a mag. A rn a ld o de V illanova a. Ώ . 1282; cf. W ù' s t e n f e l d , D ie Uebersetzungen arabischer Werlce in das L ateinische seit dem X I . Jahrh., G ottin g en 1877, 117-118. 4 Su di lui si veda P. A r m e n g o l V a l e n z u e l a , V ida de 8 . P edro Pascual, religioso de la M erced, obispo de J aen, Roma 1901, con ampia bibliografia. 5 S. P e d r o P a s c u a l , Obras, ediz. P. Fr. Pedro Armengol Valenzuela, Roma 1905-1908, III, 54-91. 6 Obras cit., tutto il vol. IV. 7 Capitulo del defendimiento. Obras, IV , 44, § 11. Ne traduce dei versetti, IV , 37, 38, 39, 40. Anche il francescano John of Wales cita i vari suwar secondo il loro nome arabo e non secondo una numerazione progressiva; se, come vedremo in seguito, l’ autore è morto poco dopo il 1283, è anch’egli anteriore a Ricoldo da Montecroce. Erra dunque il M a n d o n n e t , in B evue B iblique, 'II (1893), 598, scrivendo che un criterio sicuro per distinguere quale traduzione si usava del Corano è tale diverso modo di indicare i vari suwar; « quand ils citent le Coran en indiquant le numéro du chapitre, ils ont sous les yeux la traduction de Robert de Rétines; quand ils désignent le nom du chapitre, ils tirent leur information des œuvres de Ricoldo ». 8 Obras, IV , 106, ,§ 121; 116, § 156. 9 Obras, IV , 29, 35, 36, 45, 51, 56, 60 etc.

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(alhadiz),1 indicandole come « moslimi », cioè dalla collezione cano­ nica di Moslim; ricorda che « los moros tienen escripto en sus libros del nascimento, e del començamiento, et de la muerte de Maho­ met, et de su seta »; 1 2 poi un libro « del parayso e del inferno », cioè un compendio di tradizioni scatologiche che non possiamo meglio precisare; infine un testo de «Alquindo que fué de Arabia, e Chri­ stiano », 34che è la risàlah di ‘Abd al-Masih al-Kindi di cui ho già parlato;1 le opere di Habenabes o Abenabes, cioè di Ibn ‘A bbas;5 e infine « un libro que dizen Elmerigi » (o miragi, myeregi, mjeregi) cioè il Kitàb al-mi‘ràg, che è lo stesso che utilizzò Alfonso el Sabio e che conosciamo nella traduzione dell’ebro Abraham.6 Pedro Pascual scrive la sua opera durante la prigionia a Granata; non dispone certo di una biblioteca e quanto mette sulle carte è quello solo che la sua mente ricorda. Ciò comprova ancor più la profonda co ­ noscenza che aveva di quei testi, e quindi, indirettamente come essi erano entrati nella cultura generale della Spagna alla fine del XHi secolo.

1 Obras, IV , 37, 41 etc. 2 Obras, IV , 4. 3 Obras, IV , 34, 41, 46; 66. Notiamo che l ’uso del testo di al-Kindi viene

consigliato per la polemica anti-musulmana quasi contemporaneamente da R aimondo L ullo , L iber de fine, ediz. Gottron, 88: « E t si nolebat converti, saltim ipsos doceant fidem nostrum et rationes, quas habemus difficiles contra ipsos, et probent eis quod Macometus non fuit verus profeta, quod si bene velint avertere, facile multum est ad probandum per unum librum, qui vocatur Alchindi et per alium, qui Telifi nominatur, et per alium quem fecimus de gentili ». Che cosa sia questo Telifi non so identificarlo. 4 Vedi sopra nota 1, p. 1δ. 5 Obras, IV , 136. 6 Obras, III, 55, 72, 83: IV , 53, 55, 66, 90 etc. Lo riassume IV , 90-138: cf. A sìn P alacios , L a escatologìa cit., 313-316. È curioso vedere che questo testo viene ancora utilizzato, due secoli dopo, nello « Specchio della Fede » di frate Roberto Caracciolo da Lecce (1425-1495), composto nel 1490 (cf. A . de F ab r iz io , I l « M ira g » di M aom etto esposto da u n frate salentino del X V secolo, in Giornale storico della letteratura italiana, X L I X [1907], 299-313). Egli lo cita come un « libro chiamato da Saracini in lingua arabica Helmacrich, el quale se interpreta in alto salire, et in vulgare si dice la scala di Macometh », la stessa dicitura cioè che usa Abraham (cf. D e F ab r izio , 304-305). Il testo del Carac­ ciolo fu stampato per la prima volta a Venezia nel 1495 da Johannes Rubeus per Lorenzo da Bergamo (H a in , 4494; P roctor , 5140; E ssling , 883). Un esem­ plare è alla Vaticana, Inc. Barb. B B B . IV . 30.

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nel XII e nel xm secolo

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IV Tutto il lavoro per la conoscenza dell’islam di cui abbiamo fino ad ora riassunti brevemente i punti principali, è, si può dire, esclu­ sivamente spagnolo. Quanto si fa fuori della penisola iberica non gli è confrontabile nè per quantità e profondità di ricerche, nè per chiarezza di una linea di svolgimento. È quasi sempre frutto di una azione personale, opera di studiosi isolati, giacché non si può nemmeno dire che lo sviluppo delle missioni nel x m secolo abbia data una grande spinta a queste ricerche. Certo però ha diffuso in un più largo ambiente una conoscenza meno rudimentale di alcuni caposaldi della religione islàmica. Basta vedere quale è la povertà delle conoscenze di Alanus de Insulis nel suo IY libro del « Contra haereticos », che è appunto diretto « contra paganos seu mahometanos » , 1 scritto dopo il 1179 certamente, quando cioè da un secolo l’Europa, attraverso le crociate, si sarebbe detto avesse dovuto avere una men rudimentale cultura, scritto probabilmente a Mont­ pellier, se teniamo conto della sua dedica, cioè in una città dove non erano mancati gli studi arabici. Eppure con un metodo tutto affatto scolastico, egli non sa altro se non rifiutare le obbiezioni contro la vera natura del Cristo, respingere una presunta concezione troppo materialistica delle beatitudini che attendono i giusti oltre tomba, e negare il valore delle abluzioni per la remissione dei peccati, misco­ noscendone cioè completamente il loro significato. Cìteaux si mostra infinitamente meno bene informato di Oluny. Le missioni1 2 hanno uno scopo essenzialmente pratico,- la predi­

1 P . L ., C C X , 421-430. Su Alanus de Insulis (e. 1120-1202) si può vedere M. J acqu in , Alain de Lille, in Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésia­ stiques, I (1912), 1299-1304; M. G r a bm a n n , Geschichte der scholastischen M e ­ thode, I I, 452-476; F. U e b e e w e g , Grundriss der Geschichte der Philosophie, II 11 (1928), 245-247. 2 Per la storia delle missioni domenicane si veda B. A lt an er , Die Dominïkanermissionen des 13. Jahrhunderts, Habeìschwerdt 1924; per quella delle francescane 0 . van d e r Y a t , Die Anfange der Franziskanermissionen und ihre Weiterentwicklung im nahen Orient und in den mohammedanischen Landern wahrend des X I I I . Jahrhunderts, Werl i. W ., 1934, entrambe con ampi riferimenti bibliografici.

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cazione, l’apostolato, la conversione degli infedeli; sono ben pochi i missionari che studiano abbastanza profondamente l’islam, pochis­ simi quelli che dalle loro ricerche traggano uno scritto che valga ancor oggi la pena d’esser preso in considerazione per le nostre inda­ gini. Di questi dò qui alcuni accenni, in ordine cronologico. Dapprima alcuni testi che ci sono stati conservati nella « Chro­ nica » di Matthaeus Parisiensis: « de quodam scripto misso ad domi­ num Papa [Gregorio IX , nel 1236] de lege Machometi... de par­ tibus orientalibus, per praedicatores partes illas peregrantes », che contiene una breve vita di Maometto, con le inevitabili storie della sua libidine, e notizie della sua morte avvenuta nel mese « qui apud Arabes dicitur Rabea rauguil [Rabì al-auwal] », seguita da una povera esposizione « de fide sarracenorum », delle solite invettive contro la poligamia e le superstizioni della setta, specialmente il digiuno rituale.1 Poi un più breve testo, con leggende specialmente sull’arca di Eoè e sugli ultimi giorni e morte del Profeta. 1 2 Eon si conosce l’autore degli scritti: la loro attribuzione a Guglielmo da Tripoli, avanzata dal Ròhricht, 3 è assolutamente insostenibile, tanto per ragioni di tempo quanto perchè questo scrittore dimostra nel suo lavoro, di cui parleremo più sotto, una ben altra conoscenza dell’islam. Matteo ci ha conservato ancora l’estratto da una lettera recata a S. Albano dal «summus magister ecclesie Sancti Thomae de Achon [A cri]... veniens a partibus orientalibus et transitum faciens per Romanam curiam », trascritta in data 1257, 4 nella quale si narra che l’anno prima «imago Machomethi, quae pependit sollempniter apud Mecham veneranter adorata, Deo irato fulgure con­ trita est, velut ultrici et Vehementi, quasi octo columpnis ignitis. Prima templum dirupit, et statuam, quae quasi per inane adaman­ tibus, eo quod in ea ferrum continetur, pendula in aere libratur, in frusta contrivit. Alia autem columpna terram aperuit et imaginis

1 M atth ae i P ar isien sis , C hronica m aiora, ediz. H. L . Luard, III, 343-355. 2 Op. cit., 355-361. 3 R. R òhricht , Geschichte des K on igsreich s Jerusalem (1100-1291), 843, nota 6. Contro B . A l t a n e r , D ie D om in ikan erm issionen des 13. Jahrh., 87, nota 90. 4 Op. cit., V I, 348-350: cf. II, 630-631.

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frusta in ipso hiatu demersit ». Troviamo qui una curiosa variante della leggenda intorno alla tomba di Maometto, tenuta sospesa in aria dall’attrazione di una calamita, oltre alla stupida credenza sulle statue di Maometto, che, se era possibile in qualche ignorante scrittore occidentale, diviene veramente strana nella bocca di una persona che, come il sacerdote di una chiesa a San Giovanni d’Acri, dovrebbe conoscere le moschee e l’assoluto culto aniconico dei mu­ sulmani. È vero che il testo di Matteo continua con la notizia del­ l’inondazione avvenuta a Bagdad, ove è detto: « de Civitate autem quae Baudas dicitur, ubi videlicet calipha Saracenorum manet, quem totus Oriens veneratur sicut Christiani Papam et omnes occi­ dentales venerantur, non minor plaga flagellavit... ». Questo errore di paragonare la figura religiosa, e quindi le attribuzioni del Califfo a quelle del Papa sarà non solo ripetuto dallo stesso cronista nella stessa opera,1 ma anche da Jacopo de Vitry, da Alfonso el Sabio nella « Primera Crònica generai » e da Boger Bacon; e il continua­ tore di Guglielmo da Tiro, secondo il manoscritto di Bothelin, im­ magina per il califfo delle funzioni veramente papali: « cil Kalififez asouloit et exeoumenioit et donnoit indulgence, remissionz et pardonz des peehiez aus mescreanz Mahommetoiz et ausint con li apostoles de Borne fait aus Crestienz», attribuendogli possibilità di in­ dulgenza, remissione dei peccati, assoluzione e scomunica, tutte cose ignote assolutamente all’islam. Ma l’errore di assimilare la figura religiosa del Califfo a quella del Papa è ben più antico del x in secolo e la troviamo già in scrittori della prima crociata. Così nella «H i­ storia Jherosolimitana.» di Balderico, vescovo di Dole, si immagina una lettera araba indirizzata al califfo, che si inizia con le parole « Caliphae, nostro p apae... », e Boberto Monaco, citando il mede­ simo fatto, riproduce l’ordine dato all’amanuense con i termini: «scribe religioso papae nostro C aliph ae...».1 2 È dunque un gros­

1 Op. cit., I I, 400. 2 L ’accenno di Jac. da Vitry si trova nel 3° libro della Ristoria orientalis (che probabilmente non è suo), ediz. Bongars, I, 1126: « Baudas, ubi est papa Saracenorum, qui vocatur Cabatus sive Caliphas, qui colitur, adoratur et tenetur in lege eorum tamquam romanus episcopus apud nos ... In ista civitas Baudas iste Machomet est Deus, et Calyphas est Papa, quae civitas est caput totius

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

solano errore quello nel quale è caduto il ballino scrivendo che tale falsa concezione del Califfato, presso gli scrittori europei, risale tutto al più alla fine del secolo xvni, e facendone responsabile il D ’Ohsson. Essa, come abbiamo visto dai documenti citati (e molti più avrei potuto riferirne), è assai più antica. Risale all’xi secolo. Ma ritorniamo a Matthaeus Parisiensis e ai testi da lui riportati. Se egli è assai male informato dai missionari, è certamente ben poco edotto delle cose dell’islàm, tanto che un bel momento ci dà questa*I,

gentis et lege Saracenorum, ut Roma est in populo Christiano »; — Per Alfonso el Sabio, vedi Frimera Crònica general, ediz. R. Menéndez Pidal, I (1906), 658 b. 42: « et el califfa de Baldac que es papa de los moros alaraves, corno es el papa de Roma de los cristianos »; — R. B acon , Opus maius, ediz. Bridges, I, 266; — per la continuazione di Guglielmo di Tiro vedi Recueil des historiens des Croisades, Occid., II, 524; — per B ald r ici episcopi Dolcnsis, Historia Jherosolimitana, vedi Recueil cit., IV , 62; — Per R oberti monachi, Historia Iherosolimitana, vedi Recueil cit., IV , 811. Ancora nel x iv secolo P etrus de P e n ­ n is , cod. Vaticano lat. 976, fol. 53v, scriveva: « Quod advertens quidam calipha de Baldacho papa Sarracenorum, hedificavit in Baldacho scolas sollempnes, et reformavit studium A lcborani... ». Mi sembra inutile moltiplicare gli esempi. Invece con ben maggiore esattezza Oliverus di Paderborn scriveva « Calipha interpretatur “ successor ” vel “ heres ” , eo quod locum teneat sui primi pro­ phète ». Vedi H oogew eg , Die Schriften des Kolner Domscholasters, spateren Bischofs von Paderborn und Kardinalbischofs von S. Sabina, Oliverus (Bibliotek des Litterarischen Vereins in Stuttgart, CCII), Tübingen 1894, 122. Nello stesso modo Jac. de Vitry in un’opera certamente sua, la Historia Jherosol., ediz. Bongars, 1060, scrive: « Quendam autem ex discipulis Machometi loco eius elegerunt, quem vocaverunt Calypham, quasi successorem sive heredem ». È inutile dire che l ’errore degli scrittori occidentali relativamente alla figura ed alla funzione del Califfo deriva dal fatto che la loro mentalità era incapace di concepire una religione senza casta e gerarchia sacerdotale. Lo stesso errore lo ripetono per la figura del qàdi. Nel suo itinerario in Terra Santa, L ud o l phus de S udh eim , ediz. G. A . Neumann, in Archives de l’Orient latin, II (1884), 373, scrive: « Habent eciam Sarraceni cados et episcopos in civitatibus, qui regunt et ordinant suos prophanos presbyteros, quos cadi ostendit esse filios episcoporum, et quidem talem ortum habent ». E J acopo da V eron a , Liber peregrinationis, cap. X I , scrive: « . .. caddi, id est episcopo c iv ita tis...» e più avanti: « Item habent Saraceni moscetas et ecclesias suas, in quibus habitant sui sacerdotes, qui vocantur cazes ... »; un testo relativo ad alcuni avvenimenti del 1314 ad Erzingan (in G olubovich , Bibl. bio-bibliograf., II [1913], 67) è detto: « Caddi, eorum (Sarac.) episcopus » e « Caddi, id est episcopus Sarace­ norum ... ». — Notiamo infine che l’errore di identificare la funzione del Papa con quella del Califfo si trova anche presso gli scrittori arabi come Abu Ί -Fidà e Qalqasandi: si vedano i dati raccolti da H. L ammens , Relations officielles entre la Cour Romaine et les sultans mamlouks d'Égypte, in Revue de l’Orient chrétien, V II I (1903), 102 e 109.

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assai divertente etimologia: « Alehoranus, vel Althoranus: Al Ara­ bice idem est quod totum, thoram autem lex dicitur » . 1 Ad Oxford le cose andavano un po’ meglio: attraverso Roberto Grosseteste, che aveva ereditato i principi del gruppo d’arabisti di Hereford, Adamo di Marsh,1 2 suo scolaro, deve aver appreso il gusto degli studi orientali, tanto che il suo scolaro Roger Bacon lo dice uno dei pochi latini i quali « sciverunt de linguis alienis ». Intorno al 1250 egli redasse un trattato politicó-réligioso, nel quale (al cap. 9) espo­ neva l’argomento, poi ripreso da Raimondo Lullo, che nón solo con la spada, ma più ancora con la persuasione si dovesse tentare la con­ versione degli infedeli.3 Roger Bacon, che tanto insistette per lo studio dell’ebraico e dell’arabo, accenna nei suoi scritti parecchie volte all’islamismo, senza pertanto dedicargli una trattazione particolare. Invece Johan­ nes Guallensis, che era già ad Oxford avanti il 1260 e morì poco dopo il 1283, 4 scrisse un trattato per l’istruzione dei predicatori dal titolo «D e origine, progressu et fine Mahumeti et quadruplici reprobatione prophetiae ejus », del quale non si conoscono se non delle edizioni della metà del xv i secolo.5 La mancanza di mano­ scritti ci mette in un grave imbarazzo, in quanto è esistito un secondo Johannes Guallensis, John of Wales, che viveva alla metà del xiv se­ colo, cioè circa cento anni dopo quello a cui il testo in questione è attribuito. Per quanto tutti gli autori, J. de Soto, L. Wadding, van der Vat, siano concordi nell’attribuire il lavoro in questione al più antico dei due omonimi, la sicurezza ci fa difetto. Ciò è spia-

1 M atth aei P a r isie n sis , Chronica maiora, ediz. Luard, l i , 401. 2 Su di lui A . G. L it t l e , The Grey Friars in Oxford, Oxford 1892, 134-139; A . de Sè r e n t , in Dictionn. d'histoire et de géographie ecclésiastiques, I, 1912, 482-484. 3 Tractatus politicus-religiosus fr. A d am i de M arisco O. M. ad dominum. Papam, in B r e w e r , Monumenta Franciscana, I, Londini 1858, 413-437. 4 Su di lui A . G. L it tle , Studies An English Franciscan History, 174-192 The Grey Friars in Oxford, Oxford 1892, 143-151, e The Franciscan School at Oxford, in Archivum Franciscanum Historicum, 1926, 845-846; H a u r e a u , in Histoire littéraire de la France, X X V , 177 sg. 5 La prima è: De Saracenis et Turcis chronicon V olfgangi D re ch sler i , Item de origine et progressu et fine Machometi et quadruplici reprobatio prophetiae ejus JoHANNis G alensis Angli liber, Argentorati 1550.

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Lo studio dell’Islam in Europa

cevòle, in quanto il testo dimostra nel suo autore una interessante documentazione araba. Non solo egli conosce il Corano sul testo originario, in quanto cita oltre una quindicina di suwar col loro nome arabo e non col numero progressivo, come avrebbe fatto se avesse utilizzato ima delle traduzioni latine esistenti, ma ha anche famigliarità con quelli che chiama gli interpreti del Corano (Alco­ rani interpres), cioè i raccoglitori di ahàdxt, e specialmente con due fra i più importanti, cioè Muzlim ( = Muslim) e Boari (— al-Buhàri). 1 Ricorda poi ancora « Alcuandius Alcorani interpres » ( = alK indi?), « Caali ( = Salih ?) glossator Alcorani » e poi «Abenrostus ( = Ibn Rustah) philosophus », Cyar (= Siyar) id est actus Machometi » e infine un libro chiamato Hayn. Se qualcuno di questi nomi e di queste opere non possiamo identificare, non si può dire se per deformazione dovuta all’autore oppure all’imperizia del tardo tipo­ grafo, è certo che Johannes Guallensis conosce molti testi che erano rimasti ignoti ai suoi predecessori, cosa veramente notevole se dob­ biamo ritenere che fra i due personaggi di quel nome, l’autore del­ l’opera in questione è quello che viveva nella seconda metà del x m secolo: questione su cui sarà bene ritornare. Riprendendo le notizie sulle opere dei missionari propriamente detti, un solo testo, dopo i due riportati da Matthaeus Parisiensis, deve fermare la nostra attenzione. Esso è il « De recuperatione Terrae Sanctae » scritto nel 1291 da frate Eidenzio da Padova, vicario pro­ vinciale, cioè superiore generale di tutta la provincia francescana di Palestina. 1 2 Fidenzio conosce bene l’arabo, in quanto non solo

1 È perciò errato che « il Marracci sarebbe stato il primo europeo a far uso del Sahih (di al-Buhârï) » come scrive il N a llin o , Le fonti arabe manoscritte del­ l’opera di Ludovico Marracci sul Corano, in Rendic. Acc. Lincei, ser. V I, voi. V II (1932), 328, e Raccolta di scritti editi e inediti, I I, Roma 1940, 114. Tanto al-Buhàri quanto Muslin erano noti a K aimithd M ab.t in , Pugio fidei, Lipsiae 1687, 750: «Legitur item in libris authenticis apud Sarracenos, quorum unus vocatur Albokari, alter vero Moselim ... ». Muslim sarà anche usato da San Pedro Pascua! (vedi sopra p. 57, nota 5). Cf. A sìn P alacios , Huellas del Islam, Madrid 1941, p. 65. 2 Su di lui G olubovich , Bibl. bio-bibliogr. cit., II, 1-7. Il testo, conservato nel cod. Parigino Bibl. N a t., lat. 7242, è ivi pubblicato, 9-60. Si può anche vedere S. Sala v ille , Missionnaires franciscains en Orient, in Échos d’Orient, X V I I (1914), 349-352.

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tiene delle dispute con musulmani senza uso di interprete,1 ma cita correntemente passi del Corano; 1 2 riassume lungamente la vita di Maometto, insiste naturalmente sulla sua sensualità, motivo abi­ tuale dei polemisti cristiani, ma ba il buon senso di negare la sua identità col fantastico Nicholaus, intorno al quale tanto si era sbiz­ zarrita la più bassa letteratura polemica occidentale.3 Nei musul­ mani non trova se non difetti: infedelitas, feditas, crudelitas, cupi­ ditas, sagacitas (che spiega «subtiles et malitiosi in faciendo mala»), stolliditas, instabilitas. Ma è notevole osservare che egli cita un nuovo testo che fino allora non era stato utilizzato per quanto da tempo conosciuto dagli scrittori occidentali: cioè la versione araba delle profezie apocrife che vanno sotto il nome di Clemente papa, il « Liber Clementis », conosciuto anche col nome di Jl^H o JLSJl Questo testo era venuto a conoscenza degli europei nel 1221, durante la guerra damiatina, come ce ne informa una let­ tera di Jacopo da Yitry e un passo della « Historia Damiatina » di Oliverus da Paderborn. Scrive infatti il primo: «.... hoc presenti anno Suriani, qui nobiscum erant in exercitu, librum antiquissi­ mum lingua Sarracenica scriptum de antiquis armariis suis nobis ostenderunt, cujus erat superscripcio: Bevelaciones Beati Petri Apostoli a discipulo ejus Clemente in uno volumine redacte. Qui­ cumque autem auctor hujus libri exstiterit ita aperte et expresse de statu ecclesie Dei a principio usque ad tempora Antiehristi et finem mundi prenunciavit, quod ex complecione preteritorum indu­ bitatam facit fidem futurorum... Hunc predictum Apocalypsis librum postquam universo populo in sabulo ante Damiatam ad verbum Dei congregato causa consolacionis et recreacionis osten­ dimus ... ». Ed Oliverus scrive: « Sane post captam Damiatam legatus apostoljce sedis recitari fecit in auribus multitudinis summatim et interpretative librum Arabice scriptum, cuius considerantes et 1 G olubovich , op. cit., II, 21. 2 G olubovich , op. cit., 18, 20-23: i passi citati sono II, 13, 23-24, 223, 227-23 0;III, 13, 37, 40-44, 52; IV , 3, 24, 28, 60; V II, 156-158; X L V II, 34-37. 3 G olubovich , op. cit., 19. Sulla leggenda di Nicholaus, oltre allo studio del D ’Ancona più volte citato, si veda A . M a n c in i , Per lo studio della leggenda di Maometto in Occidente, in JRendic. Accad. Lincei, serie V I, vol. X (1934), 325-349. 5

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contemplantes ligaturam cum cartis vetustum invenimus eundem. Qui liber Clementis intitulatur, scriptus, ut aiunt, ab ore principis apostolorum ab ipso Clemente de revelationibus factis Petro inter ressurrectionem et ascensionem a Domino. Incipit autem Uber iste a creatione mundi et terminatur in consummatione seculi, in quo precepta salutis et consilia leguntur. Interserit autem prophetias, quarum quedam iam evidenter apparent completae, quedam pen­ dent de futuro ... ». 1 È strano che tale testo, al quale si era data tanta pubblicità, sia rimasto in seguito trascurato od ignorato in Europa, tanto da non esser citato, se non settantanni dopo, solo da uno scrittore che evidentemente lo ha conosciuto in Oriente. 1 2 Il libro di Pidenzio da Padova è Punico scritto interessante, dal punto di vista dell’islàmologia, che ci abbiano lasciati i missionari del

X III

secolo 3 innanzi Eicoldo da Montecroce. Lo scopo loro non

era di studio, ma di propaganda: se molti conoscevano anche bene la lingua araba, questo doveva servir loro per propagare il cristia­ nesimo, non per studiare l’islàm. In un certo qual senso molto di più ci hanno lasciato coloro che si recarono in Terra Santa o per partecipare alle crociate del x m se­ colo od a scopo di pellegrinaggio. Fra i primi sono da ricordarsi Oliverus vescovo di Paderborn, poi cardinale di S. Sabina, e Benedetto da Alignan. Oliverio fu all’assedio di Damietta del 1217 e morì nel 1227.4 Nella «Historia regum Terrae Sanctae», nella «Historia

1 La lettera di J. da Vitry è in R òhricht , Briefe des Jacobus de Vitriaco, in Zeitschr. fiir Kirchengeschichte,· X V I (1896), 111-112; il passo di Oliverus di Paderborn sta nella edizione Hoogeweg (vedi pag. 62, in nota), 258-259. Del testo arabo si veda l ’edizione M. D. G ibso n , K itàb al Magali, or the Book of the Bolls, Studia Sinaitica, V i l i , London 1901. Sulla letteratura pseudo-clementina si veda P. N a u , Clémentins [apocryphes), in Oictionn. de théol. cathol., vol. I l i (1910), 201-223. L a citazione di Fidenzio da Padova è riportata in G olubovich , op. cit., 26. 2 E vero che gli Annales prioratus de Dunstaplia, ediz. Luard, in Berum Brit. medii aevi script.. Annales monastici, III, 62, dicono che il testo arabo fu tradotto in latino da Pelagius, legato della Sede Apostolica, e mandato a Roma. Ricordo che Pelagius, vescovo di Albano, era spagnolo. 3 Ron conosco quel « Tractatus de Tureis collectus a quibusdam fratribus ordinis praedicatorum » citato, da un manoscritto della Biblioth. Paulina di Leipzig, da Q u é t if -E ch a rd , S s. Ord. Praed., I, 475-476. 4 Su di lu i si ved a J. S c h a e f e r s , Olivers, des Bischofs von Paderborn und

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nel

X II

e nel xiit secolo

6?

Damiatina » e nella « Epistula salutaris regi Babilonie Mechi Memel », cioè Malik al-Kamil, del 1221, egli ha introdotte alcune citazioni dal Corano, 1 alcune regole della vita islàmica, quali la proibizione del vino e delle carni di maiale, *1 2 una considerazione generale dalla quale risulta che anch’egli, come molti altri in Europa, considerava l’islamismo quale una eresia cristiana, 3 ed una curiosa spiegazione dell’origine della sunnah e delia âî'ah: « Hali ... volebat enim maior illo propheta dici et ab hominibus habere. Predicabat etiam publice, legem per angelum Gabrielem ad se, non ad Mehemet transmissam, sed errore deceptum Mehemet tradidisse divina precepta, et huiusmodi exortationibus invenit populum, qui sibi crederet. Unde scisma factum est inter eos usque in hodiernum diem, aliis asserentibus, hunc perversorem potiorem fuisse, aliis maiorem auctoritatem Mehe­ met concedentibus. Qui Mehemet sequuntur, Sunni dicuntur, qui vero Hali, Sya nominantur ». 4 Benedetto d’Alignan, benedettino e poi forse minorità, vescovo di Marsiglia dal 1229 al 1268, fu in Oriente nel 1239-1241 con Tibaldo Y, re di Navarra e conte di Sciampagna, e poi vi ritorna nel 1260-1263. Durante questo secondo soggiorno scrive, probabilmente in S. Giovanni d’Acri, il suo « Tractatus fidei contra diversos erro-

Kardinalbischofs von 8 . Sabina (f 1227), Kenntnis des Mohammedanismus, in Théologie und Glaube, IY (1912), 535-545, e H oogeweg , Die Kreuzpredigt des Jahres 1224, in Zeitschr. fiir Geschichtwissenschaft, IV (1892), 54-74, oltre alla prefazione all’edizione delle sue opere, H oogeweg , Die Schriften des Kòlner Domscholasters, spateren Bischofs von Paderborn und Kardinalbischofs von S. Sa­ bina, Oliverus (Bibliotek des Litterarischen Vereins in Stuttgart, CCII), Tü­ bingen 1894. 1 H oogeweg , Die Schriften cit., 205, 299. 2 H oogeweg ; Die Schriften cit., 129. 3 H oogew eg , Die Schriften cit., 204. A questo proposito debbo notare una curiosa alterazione che già nel x m secolo fu fatta di un passo della sua Historia Damiatina, § 24. Egli scriveva: « Lex autem eorum quam diabolo dic­ tante ministerio Sergi monachi et apostate ac heretici Macbometus Sarracénie dedit arabice scriptam, a gladio cepit, per gladium tenetur et in gladio termi­ nabitur ». Tale passo fu copiato nella Chronica S. Petri Erfordiensis moderna e nella Chronica Beinhardsbrunnensis [in M . G. I I ., Ss., X X X , 388, 1. 16-18 e 593, 1. 35-37], ma con questa variante « ... arabice scriptam, q u e sic incipit: A gladio cepit et a gladio tenetur et per gladium terminabitur ». Evidente­ mente i dire cronisti non hanno alcuna idea delle parole con cui si inizia il Corano. 4 H oogew eg , Die Schriften cit., 122-123.

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Lo studio dell’Islam in Europa

res », del quale conosciamo due manoscritti, il Parigino Bibl. Nat., lat. 4224, e il Romano, Alessandrina 141, ma che è ancora inedito. È un voluminoso trattato di teologia pratica, esposta per domande e risposte. 1 Nè i pellegrini propriamente detti ci hanno dato un contributo interessante per il nostro studio: ciò che essi ripetono con una mo­ notonia esasperante sono le solite leggende su Maometto ed i soliti improperi contro l’islam. Solo qualche breve testo dimostra una meno volgare mentalità: così quello scritto « De Saracenis et de ritu ipsorum » conservato in un codice di Torino* un breve riassunto delle regole religiose e di vita musulmana con qualche accenno ai riti del pellegrinaggio. 1 2 Ma la maggior delusione ce la riserba, salvo una sola ma grande eccezione, un’altra classe di persone, dalla quale invece credo eravamo in diritto di attenderci molto, cioè dai messi inviati in Oriente dalla corte papale. Il fatto fondamentale che dob­ biamo subito rilevare, è che non ci risulta, per la massima parte di essi, che conoscessero la lingua araba, in quanto la Curia non fece allora nessuno sforzo per avere permanentemente a sua disposizione un gruppo di orientalisti per l’interpretazione o la redazione di atti in lingue asiatiche. Ben diversamente il Gran Maestro dell’Ordine del Tempio teneva sempre a sua disposizione un « écrivain sarrazinois » e pure lo avevano il Gran Siniscalco del Tempio e i Com­

1 Su Benedetto d’Alignan si veda P etit B a d e t , in Hist. liti, de la France, X I X , 84-91; J. H . A lb a n ÈS, Histoire des archevêchés, évêchés et abbayes de France, II, Marseille (Gallia Christ. Novissima), Valence 1899; G olubovich , op. cit., I, 236-253; van d e e V a t , op. cit., 99, nota 77. 2 Torino, cod. lat. M L X V I, E . v. 8, foli. 16a-17a (P a s in i , II, 359, cod. M L X V I. L , IV , 25), edito in G olubovich , Bibl. bio-bibliogr., I, 400-401 Questa, infelice documentazione si riflette nelle grandi compilazioni storiche della se­ conda metà del x m secolo; J acopo d a V it r y , Historia Hierosólim., in B ongars , Gesta B ei per Francos (1611), 1056; V incenzo d a B e a u v a is , Speculum histo­ riale, lib. X X I I I , cap. 40, il quale usa un « Libellus in partibus transmarinis de Machometo fallaciis » e poi la relazione di una polemica cristiano-musul­ mana, risalente ad almeno un secolo avanti, della quale ho già parlato (vedi p. 14); T omaso T usco , Gestà Imperat, et Pontif., in M .G .H ., Ss., X X I I , 492-494, il quale attinge a un testo conservato in una chiesa di Bologna (Haec de Maumet in quadam extraordinaria legi historia, quam in sacristia Bononiensis ecclesie repperi, in antiquissimo quodam libro); J acopo d a V arazze , Legenda aurea, ediz. Graesse, Leipzig 1850, cap. 181.

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nel xit e nel xm secolo

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mendatori delle città di Gerusalemme, di Tripoli e di Antiochia. i Così i genovesi, da buoni commercianti, avevano ben compresa l’utilità di disporre di funzionari che conoscessero la lingua araba: nel 1247 abbiamo notizia di uno «scriba comunis (Janue) littera­ rum saracenarum» e, nel 1271-1274, di uno «scriba lingue saracenice communis Janue »; 2 non solo, ma anche l’arcivescovo di Genova aveva un suo speciale dragomanno che conosceva bene tanto l’arabo d’Egitto quanto quello del Magreb. 3 Ee Carlo I d’Angiò aveva un «Turcimannus curie», che nel 1270 era un certo iTovellone, che accompagnò in Sicilia gli inviati del Soldano di Babilonia; 4 nello stesso modo anche i re d’Aragona ebbero sempre degli inter­ preti per la lingua araba, generalmente ebrei. Sotto Jaime I (12081276) abbiamo un Bahiel5 e un Nastruc,6 che è probabilmente Astrae Bonsenior morto nel 1280; sotto Pedro III conosciamo Samuel figlio di Abraftim Abinnaxim nel 1280; 7 sotto Alfonso III (1265-1291) e Jaime II (1260-1327) ci è noto Jahuda Bonsenior figlio di Astrae, che non solo redige dei documenti arabi,8 ma anche traduce dei libri di medicina.9 Nello stesso modo un sovrano musulmano come il re di Tunisi aveva un interprete europeo « Johanni Gii, pintor, turcimany del molt alt et molt noble rey de Tunis ». 10 La Curia, non avendo un personale suo proprio, ricorre a dei religiosi che, probabilmente per lunga dimora in Oriente, sapevano l’arabo. Tale

1 La règle du Temple, ediz. H. de Curzori, Paris 1886, 75, 86, 100, 102. 2 L o pez , Studi sulla economia genovese del medio evo, Torino 1936, 25, nota 2. 3 Vedi il documento del notaio Salmonis del 1° aprile 1224, in A tti Soc. Ligure Storia Patria, X X X V I (1906), p. 345, doc. n. D C CC IX. 1 Vedi il documento in M in ie r i -R iccìo , Saggio di codice diplomatico, I, Napoli 1870, doc. n. L X X . 5 J. *R:é g n é , Catalogues d'actes pour servir à l’histoire des Juifs de la cou­ ronne d’Aragon, in Revue des études juives, L X X V II (1923), 193, n. 3141. 6 J. R ég n é , Catalogue des actes de Jaime I er, Pedro I I I et Alfonso I I I , rois d’Aragon, concernant'les Juifs, in Revue des études juives, L X I (1911), 25, n. 358. 7 J. R é g n é , op. cit., Revue des études juives, L X I V (1912), 69, n. 800. 8 J. R ég n é , op. cit., Revue des études juives, L X X V (1922), 158, n. 2556.; R ubió t L luch , Documents per l’historia de la cultura catalana mig-eval, I, Barcelona 1908, 11-12, η. X I I . 9 R ubió t L luch , in Estudis universitarie catalans, III (1909), 395 (del­ l’ anno 1313). 10 R ubió y L lu ch , Documents civ , I, 62-64, nn. L 1V e L V I (dell’anno 1314).

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Lo studio dell’Islam in Europa

è il domenicano Giovanni di Monferrato che, con altri due, è man­ dato nel 1237 dal patriarca nestoriano,1 o André de Longjumeau, che era stato lungamente in Terra Santa, forse dal 1228, prima di esser mandato in missione a Tabriz nel 1245-1217 e poi ancora presso i Tartari nel 1249 o dopo il 1251 per incarico di San Luigi, *2 e che aveva imparato l’arabo a Tunisi. 3 Nella seconda missione André de Longjumeau ha come compagni Jean de Carcassonne e un Gu­ glielmo, che forse può identificarsi con Guglielmo da Tripoli, che ci ha lasciato uno scritto dal titolo «D e statu Saracenorum et Mahomete pseudopropheta eorum et eorum lege et fide», redatto nel 1273, una delle più obbiettive ed importanti opere europee sull’islam avanti quelle di Ricoldo da Montecroce. Non so se l’identificazione proposta dal Pelliot 4 può essere accettata; ad ogni modo possiamo ritenere che Guglielmo sia nato a Tripoli di Siria verso il 1220, fu domenicano al convento d’Acri, e nel 1271 fu designato con Nicola da Yicenza per accompagnare i Polo a Pechino; ma i due frati ben presto abbandonarono la spedizione. Il testo del suo trattato fu edito dal Prutz 5 in base a tre codici parigini6 e col controllo di una antica traduzione francese;7 un’edizione definitiva dovrà tener conto di molti altri manoscritti esistenti.8 Uno di questi, il Vati­ cano Reginense lat. 314, porta (fol. 106 a) il titolo « Incipit fiber

? M atthaeus P ab isie n sis , ediz. H . R. Luard, III, 397 sg. ; M . G. H ., Ss., X X I I I , 941 sg. 2 P. P elliot , Les Mongols et la Papauté, in Revue de l’Orient chrétien, X X V I I I (1931-1932), 1 segg. 3 Vedi Grandes chroniques de Trance, IV , 426-427: « ... il savoit une partie du langage de Tunes: car aucunes fois avoit iceluy frère André preschié à Tunes par le commandement le roy de Tunes, qui moult l’aimoit ... ». Cf. P e llio t , op. cit., 83. 4 P e llio t , op. cit., 41-42. 5 H. P e u tz , Kulturgeschichte d. Kreuzzüge, 1883, 575-598. 6 Cod. Parigino Bibl. N a t., lat. 5510; lat. 17187; lat. 7470. 7 Berna, A . 280, del x v sec. (Catalogo H ag en , [1875], 305-306). Una gran parte del testo è edito da J. R. Sin n ek , Catalogus codicum mss. Bibliothecae Bernensis, II, Berne 1770, 281-329. 8 Cito quelli a me noti: Liège, Bibl. de i’Université (Catalogo G eand jean [1875], n. 731, pp. 355-356); Paris, Bibl. Mazarine 1652 [1019], (Catalogo M o li n ie e , II [1886], 151); Cambridge, University, Dd. I. 17 (Catalogue of the M anu­ scripts, I [1856], 23); Cambridge, Caius College, n. 162 (Catalogo J. J. Smith [1849], 80); Vaticano lat. 7317; Vaticano Reginense lat. 314.

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de adventu et gestis infelicissimi Machumeti et de introductione fidei saracenorum et eorum lege et moribus et vita editus a fratre Eiculdo ordinis fratrum praedicatorum ». Questo dimostra l’inte­ resse che Ricoldo da Montecroce aveva per l’opera del suo prede­ cessore e la stima nella quale la teneva. L ’opera è dedicata « ad Tbeobaldum archidiaconum leodensiem, », il futuro papa Gregorio X , e si può considerare composta di tre parti: dapprima una storia di Maometto (§ I-III), poi una storia dell’espansione araba dopo la morte del Profeta (§ TY-XXIII) e infine delle considerazioni sulla religione islàmica, sulla formazione del Corano e la sua analisi nei punti che interessano la teologia cristiana (§ X X IY -L III). L ’autore asserisce di appoggiarsi a dei testi arabi, come proverebbero le frasi «sicut legitur in cronicis orientalium..., sapientes eorum glossant..., hic glossatores Alcorani... »; 1 ma è notevole constatare che le poche frasi o parole arabe che egli cita sono orribilmente storpiate. Così la ben nota professione di fede diviene « La hit Alla Mahomad zuralla, hoc est: Non est deus nisi Deus, et Macometus est nuncius eius ». 1 2 Solo un’edizióne critica del testo potrà mettere in chiaro se tali alte­ razioni dipendono dalla poca attenzione degli amanuensi che hanno copiato i codici utilizzati dal Prutz, o la colpa ne risale all’autore. Con questi cenni all’opera di Guglielmo da Tripoli abbiamo finita la rassegna del lavoro compiuto in Europa in un secolo e mezzo, dall’epoca di Pietro il Yenerabile, intorno alla religione islàmica. Siamo al momento nel quale Eicoldo da Montecroce prepara il suo scritto sul Corano: ebbe egli a conoscere tutto il lavoro accumulato dai suoi predecessori ? E ne approfittò ? Questo non potremo dirlo se non analizzando dettagliatamente gli scritti del domenicano fio­ rentino e confrontandoli con tutti quelli di cui abbiamo rapida­ mente fatto cenno. Ma quello che dovremmo innanzi tutto poter precisare è lo spi­ rito che si era formato nell’Europa cristiana rispetto all’islàm, nel momento in cui Eicoldo studia, opera e scrive. Alla fine del

x iii

se­

colo era svanito gran parte di quell’entusiasmo religioso che era

1 Ediz. Prutz, §§ IV , p. 577; X X I I I , p. 589; X L I I I , p. 594. 2 Ediz. Prutz, § V i l i , p. 579.

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Lo studio dell’IsIàm in Europa

così vivo ed operante all’epoca di Pietro il Venerabile: il sentimento della Crociata si era ben profondamente trasformato e neppure la caduta di San Giovanni d’Acri, che pur tanta ripercussione ebbe nel mondo occidentale, potè vivificarlo; si può dire anzi che si era formato uno spirito anti-crociato generato da parecchie cause morali e materiali,1 non ultime l’insuccesso delle spedizioni militari contro i musulmani,1 2 la rivolta dello spirito popolare contro la corruzione ecclesiastica,3 e lo sfruttamento dell’idea di crociata come mezzo di tassazione. Se non fu la causa, questo stato d’animo deve almeno aver favorito il concetto che la conversione degli infedeli poteva essere ottenuta con mezzi diversi dalla violenza; lo stesso Raimondo Lullo, il più fanatico fra quanti erano invasati dall’idea di conver­ sione, arriva a proporre nel suo « Liber de partecipazione Christia­ norum et sarracenorum », redatto nel luglio 1312 ed inviato a Fede­ rico III di Sicilia, di mandare dei cristiani « bene literati et lingua arabica habituati » a Tunisi per far conoscere la fede cattolica ai musulmani, e ricevere in cambio, in Sicilia, dei dotti saraceni che possano discutere coi loro colleghi cristiani: « et forte per talem mo­ dum posset esse pax inter Christianos et sarracenos habendo talem modum per universum mundum non quod Christiani vadant ad destruendum sarracenos nec sarracini Christianos » . 1

1 Una interessante analisi in P . A . T h roop , Criticism, of the C rusade: A Study o f P u b lic O p in ion and Crusade P ropagan d a, Amsterdam 1940, e l’arti­ colo del medesimo autore C riticism of P a p a l Crusade P o licy in Old F rench and P rovençal, in Speculum , X I I I (1938), 379-412. Anche M. C o lle ville , L es chan­ sons allem andes de Croisade en m oyen haut-allem and, Paris 1936, raccogliendo tali canti che vanno dal 1189 al 1229, constata fra i poemi della III crociata e quelli della V e V I delle differenze morali che vanno dall’entusiasmo sino alla disillusione ed alla stanchezza. 2 Humbert de Eomanis scrive a papa Gregorio X (circa 1272) dicendo che non comprende come ai suo tempo Dio permettesse così frequenti disastri nelle crociate contro i Saraceni. H . d e E omanis , O pus tripartitum , in E . B ro w n , A p p en d ix ad fasciculum rerum expetendarum et fugiendarum ..., London 1690,192. Sulla data dello scritto vedi K. M ichel, D a s O pus T ripartitum des H u m ­ berts de E om anis, Graz 1926, 11 sg. 3 Si veda M. M. W ood , The S p irit o f P rotest in Old F rench Literature (Colum­ bia University Studies in Eomance Philology and Literature), Hew York 1917. * Si veda la prefazione del L iber, edita da H. W ieru szo w ski , B am on L ull et Vidée de la C ité de D ie u , in E stu dis franciscans, X L V II (1935), 109-110. Il testo completo del L iber si può vedere nel cod. Vaticano Jat. 9344.

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nel xi! e nel xm secolo

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Si facevano strada non dico delle idee di tolleranza nel senso moderno (cioè una delle idee le più alte e perciò delle più difficili a possedersi) ma almeno di comprensione. 1 I musulmani non sono più considerati solamente come degli esseri pieni di credenze im­ monde, e per quanto questo concetto ritorni anche più tardi negli scrittori poco colti e poco intelligenti quale Jacopo da Verona, i migliori fra gli uomini della fine del x m secolo ne ammirano la pro­ fondità della fede, l’intensità del sentimento religioso, l’alto concetto dei loro doveri. Lo scritto di Guglielmo da Tripoli è specialmente notevole per questo suo aspetto; ma il più grande riconoscimento verrà da Eicoldo da Montecroce; il quale scrive: «... et attendimus diligenter legem eorum et opera et obstupuimus, quomodo in lege tante perfìdie poterant opera tante perfectionis inveniri ». 2 1 Questa trasformazione non dipende solamente da una più sicura e seria conoscenza della vita islàmica, ma anche da una più ampia documentazione rispetto alla teologia dell’islam. 3 È stato infatti uno fra i molti meriti di Miguel Asia Palacios l’aver mostrato come

1 Si può vedere, con precauzioni, B. A lt a n e r , Glaubenszwang und Glaubensfreiheit in der Missionstheorie des Raymundus Lullus, in Historisches Jahrbuch, X L V I I I (1928), 586-610. In un certo qual senso è parallela la modifica­ zione che si viene attuando su alcuni altri personaggi musulmani, ad esempio su Saladino, e il sorgere della sua leggenda in certo modo più favorevole all’uomo di quanto egli meritasse tanto da arrivare all’encomio delle Cento novelle antiche: « E l Saladino fo si valoroso, largo, cortese signore e d’anemo gentile, che ciascuno ch’ ai mondo era en el suo tempo diceva che senza alcun difetto era, onne bontà in lui compiutamente ». Sull’argomento si veda G aston P a r is , La légende de Saladin, in Journal des Savants, 1893, 284-289; 354-365; 428-438; 486-498. 2 Itinerarium, c. X X I , § 10; ediz. Laurent, 131. 3 II Lullo, che in certi momenti dimostra una profonda comprensione, in altri veramente si rivela di una altrettanto grande incapacità di aderire alla realtà. Cqsì nel De acquisitione Terrae Sanctae, ediz. Longpré cit., 272: « Sarraceni sunt aliqui in philosophia bene litterati et sunt homines bene rationa­ biles, sed de essentia Dei et dignitatibus suis parum sciu n t... Sarraceni bene litterati non credunt vere quod Mahometus sit propheta: nam in Alcorano in quo est lex eorum inveniunt multa inconvenientia contra sanctitatem ct veram prophetiam. E t quaerunt a mercatoribus christianis, qui sunt inter ipsos, de fide nostra catholica, et quia mercatores sunt laici, nesciunt satisfecere eis et sic interrogant Judaeos de eorum lege, qui nesciunt eis satisfacere rationa­ biliter, cum sint grossi et duri, et ideo tales Sarraceni philosophi manent sine lege ». In altri scritti mostra una migliore comprensione del sentimento reli­ gioso presso i musulmani: si veda J. R ib e r a , Origenes de la filosofia de Raimundo Lulio, in Homenaje a Menéndez y Pelago, II, Madrid 1899, 193-197.

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Lo studio dell’ IsIàm in Europa

il medio evo ha conosciuto la teologia dell’islam attraverso una delle sue espressioni le più alte, l’opera cioè di al-(ïazzàli. 1 Non solo i più addestrati studiosi hanno conosciuto i suoi scritti diret­ tamente nella redazione araba, come certamente fu il caso di Rai­ mondo Martin, ma altri possono averne conosciuto almeno una parte nella traduzione latina. Così il Maqàsid al-fìlàsifat era stato tradotto da Domenico Gundisalvi e da Johannes Hispalensis. 1 2 E non dimentichiamo che gli studiosi occidentali avevano un’altra fonte di informazioni: dato i loro rapporti con gli studiosi ebraici, possono da questi aver conosciuto l’opera di al-Gazzàli attraverso le traduzioni ebraiche;3 e non solo il Maqàsid, che non è strettamente teologico, 4 ma ancora il Mizàn al-'amal, 5 e probabilmente altre che più non conosciamo. Il Tahàfot al-filàsifat può esser anche stato in gran parte noto attraverso la replica di Averroe, Tahàfot at-Tahàfot, che ne riporta gran parte. Nello stesso modo l’aS-Sifà’ di Avicenna è stata certamente nota ad Alberto Magno ed a S. To­ maso. Mi sembra impossibile negare che la teologia islàmica sia stata conosciuta nel x m secolo, più o meno profondamente secondo

1 M. A sìn P alacios , Un aspecto inesplorado de los origines de la teologia escolastica, in Biblioth. Thomiste (Mélanges Mandonnet, II) X I V (1930), 55-66. L a risposta di E usebio G ómez , Muslim Theology in its Bearing on Scholasti­ cism, in The Clergy Beview, V I (1933), 99-109, negando che non si erano tra­ dotte opere teologiche (Were there 'Arabic theological works translated into Latin? ... In general it must be said that such versions, if extant, have not been discovered. 106) e che la scolastica non si interessa alla teologia islàmica, dimo­ stra la più grande ignoranza dei dati fondamentali del problema. 2 Un esemplare era nella biblioteca di D . Sancho d’Aragón, arcivescovo di Toledo: cf. M. A lonso , Bibliotecas medievales de los arzobispos de Toledo, in Bazón y Be, C X X I I I (1941), 298. Il testo fu più tardi stampato col titolo Logica et philosophia Algazelis arabis a Venezia nel 1506. E . Lullo ha scritto un Compendium logicae Algazelis nel 1290, ancora inedito e conservato nei due mss. di Monaco 10538 e 10544 (Hist. lift, de la France, X X I X , 296, n. 137). Il Maqàsid è anche citato da S. Tomaso. Sulla conoscenza di questo testo si veda M. B o uyg es , Notes sur les philosophes arabes connus des latins au moyen âge, in Mélanges Université de Beyrouth, V II (1914-1921), 397-399, 404-406. 3 In generale M. Ste in sch n e id e r , Oie hebrdischen Uebersetzungen des Mittelalters, Berlin 1893, 208 sg. 4 Tradótto da Albalag col titolo Tiqqun ha-filusufim. Vedi H eimann A u e r ­ ba ch , Albalag und seine Uebesetzung des Maqüsid al-Qazzülîs, Diss. Breslau 1907. 5 Tradotto col titolo Mozene zedeq da Ibn Hasdai: ediz. Jacob Goldenthal, Leipzig 1839.

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nel XII e nel xiii secolo

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gli scrittori che se ne sono occupati* da Eaimondo Martin, che certo è la mente la più forte che si sia travagliata su questi argomenti, sino a Eaimondo Lullo. 1 Naturalmente esula dalla mentalità medioevale lo studio del­ l’islam diretto al solo scopo di conoscere realmente l’origine, lo sviluppò, la storia tutta di questa religione, e i suoi caratteri intrin­ seci e peculiari: esula dalla mentalità del

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e del x m secolo, come

sarà estranea alla mentalità del rinascimento. Petrus de Pennis, 1 2 come il Cardinal da Cusa,3 o Dionigi il certosino 4 e Giovanni da Torquemada,5 (nessuno dei quali sa l’arabo e tutti lavorano su tra­ duzioni), 6*lo per citare alcuni grandi nomi, studiano il Corano solo per combatterlo, non per comprenderlo.

1 Fra i vari studi sull’argomento si vedano principalmente O. K eich er Baymundus Lullus und seine Stellùng zur arabischen Philosophie, Miinster 1909; Sa in z R o dr ig u ez , Baimundo Lulio y sus relacìones con la mistica semitica, in Investigación y Progreso, I (1927); E. L . Sm it , Baymundus Lullus. De erste zendling onder de Mohammedanen, Haag (Zendings studienraad) 1928. 2 Foco si sa su questo autore: vedi Bevue de l'Orient latin, I X (1902), 328 sg. La sua opera è inedita: se ne vedano i manoscritti Vaticano lat. 976; Toulouse 329; Bayeux, Chapitre, 42; Paris, Bibl. R a t., lat. 3646. 3 Lo scritto del Cusano, Cribratio Alcorani, è stampato oltre che nelle grandi edizioni di Basilea e di Strasburgo delle sue opere, anche nel volume del Bibliander già citato. 4 Contra perfidiam Mahometi e Disputatio inter Christianum et Sarracenum sono in D io n y s ii Ca r t e sia n i opera omnia, Monstrolii 1896 sg., vol. X X X V I . 5 Del Tractatus contra principales errores perfidi Machomet, oltre ad un incunabolo stampato a Parigi s. a (H a in -C o pinger , 15746), si ha anche una edizione di Roma 1606. 6 Non è detto però che qualcuno dei primi umanisti non raccogliesse anche codici arabi: così un esemplare del Corano in arabo era posseduto dal Cardi­ nale Giuliano Cesarini, presidente del Concilio di Basilea inaugurato il 14 di­ cembre 1431, di cui si conoscono i rapporti col Cusano. Egli morì il 10 novembre 1444 alla battaglia di Varna, e la sua biblioteca fu portata a Roma. « Vidi inter spolias relata R o m a m ... nostris quoque mixtos assirios lib ro s... inter quos libuit minorem Algorajn, clarissimum apud illos [i Turchi], latina lingua tra­ ductum aperire'... »: R. S a b b a d in i , Da codici Braidensi, Milano 1908, 20. Dove siano finiti i libri dei Cesarini, non lo so. Dei codici arabi di Pico della Miran­ dola e di quelli di Giorgio Valla dà qualche notizia G. L e v i D el la V id a , B icerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblio­ teca Vaticana, Città del Vaticano 1939, 97, nota 1. Bisogna tener conto che lo studio dell’ arabo (e quindi dell’islam condotto sulle fonti dirette) declina rapidamente in Europa dopo il primo terzo del x iv secolo. Si deve però ancora ricordare il domenicano spagnolo Alfonso Buenhombre, che tradusse parecchi

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Lo studio dell’IsIàm in Europa Malgrado ciò, il travaglio di un secolo e mezzo, da Pietro il Vene­

rabile sino a Eicoldo da Montecroce, non era stato invano: molte verità erano venute in luce e gli spiriti si erano, poco a poco, modi­ ficati sotto parecchi aspetti. Si arrivava a riconoscere la grande religiosità dei musulmani, e si cominciava a vedere l’islam come

opuscoli, fra i quali una Disputatio Abutalib sarraeeni: su di lui si veda M. A . van den OUDERIJN, De opusculis arabicis quae latine vertit fr. A lf. Buenhombre O. P ., in Anal. 8 . Ord. Pratr. Praedic., X I V , 2 (1920), spec. 162-165 per lo studio dell’islâm; G. M eerssem an , La chronologie des voyages et des œuvres de frère Alphonse Buenhombre O. P ., in Archivum Fratrum Praedicatorum, X (1940), 77-108, e F. H alk in La légende de 8 . Antoine traduite de l’arabe par Alphonse Bonhome, 0 . P ., in Analecta Bollandiana, L X (1942), 143-156; È abbastanza interessante riportare un suo passo: « Sciendum autem quod inter Judaeos multum glo­ riantur illi, qui arabicarum obtinent peritiam litterarum, tum quia istae lit­ terae sunt in antiquorum philosophorum scientia copiosae, tum quia in eis ut pote paucis Iudaeis et paucioribus Christianis notis scribunt confidentius secreta sua quae volunt ab aliis occultare »: M o rtier , Histoire des Maîtres Géné­ raux de l’Ordre des Frères Prêcheurs, I I I (1907), 156, nota 1. Qualche conoscenza del Corano dimostra Frate Symeonis nel suo pellegrinaggio in Terra Santa del 1322-1324: vedi G olubovich , Bibl. bio-bibliogr. cit., I l i , 246 sg. Al prin­ cipio del XV secolo abbiamo il Libellus de notitia orbis di Jean de Gaillefontaine (Galonifontibus), su di cui si veda A . K e r n , Der « Libellus de notitia orbis » Johannes’ I I I . (de Galonifontibus?) O. P ., Erzbischofs von Sulthanyeh, in Archi­ vum Fratrum Praedicatorum, V i l i (1938), 83-123, e R. L oenertz , Évêques D o­ minicains des deux Arménies, nella stessa rivista, X (1940), 258-268. Una copia completa del suo manoscritto trovasi nell’archivio Vaticano, fondo Garampi, cassetta X I . Tale testo comprende lunghi brani sull’islàm. Tutto affatto a parte è la curiosa figura dell’ebreo siciliano Guglielmo Raimondo de Moncada, poi convertitosi, conosciuto anche col nome di Flavius Mithridates (U. Ca s suto , Wer war der Orientalist Mithridates?, in Zeitschr. f. die Gesch. des Judentums in Deutschland, V (1934), 230-236. Visse a Roma fra il 1477 ed il 1483 e sapeva abbastanza l’arabo per aiutare il Platina nella redazione dell’inventario della Vaticana del 1481. Egli tradusse parecchi scritti arabi e le sure 21 e 22 del guz’ 17° del Corano su domanda di Federico da Montefeltro duca d’ Urbino. [Su di lui si vedano, oltre allo scritto già citato del Cassuto, R. S t a r r a b b a , Guglielmo Baimondo Moncada, in Archivio storico siciliano, n. s., II, 1878; 1. Ca r in i , Guglielmo Baimondo Moncada, stessa rivista, n. s., X X I I , 1898; G. L e v i D ella V id a , Bicerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1939, 92-97]. Ma questi (ed altri che si potranno citare) conoscitori dell’arabo sono sempre delle rare eccezioni; gli studi islàmici languiscono e quasi muoiono, tutto quanto si fa è su opere di seconda mano, su antiche traduzioni, senza una diretta cono­ scenza nè della lingua nè dei testi. Il rinascimento di queste ricerche non avverrà se non nel x v i i secolo. Su tutto il lavoro di questo periodo si può vedere lo studio sommario di R. F . M e r k e l , Der Islam im Wandel abendlàndischen Verstehcns, in Studi e materiali di storia delle religioni, X I I I (1937), 68-101.

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nel XII e nel xm secolo

77

una religione e non come una semplice soperchieria, una contraf­ fazione del cristianesimo, l’inganno voluto da uno spirito ribelle. Se alcune particolarità esteriori del culto e del rituale erano quelle che più frequentemente richiamavano l’attenzione, se questa più si accentrava su quei passi del Corano che avevano qualche rap­ porto coi dogmi cristiani, gli spiriti migliori guardavano più lon­ tano, alle vere e proprie caratteristiche dell’islam. Certo queste le hanno a pena intrawedute, ma se pensiamo che più lontano non sono andati di molto neppure tutti gli altri studiosi europei per quattro secoli ancora, e bisogna scendere al secolo x v m per rilevare una nuova orientazione delle ricerche, possiamo comprendere tutto il valore dello sforzo compiuto fra il x n e il x m secolo. Tale, esposta a grandi linee, la situazione che trova Eicoldo da Montecroce, gli studi che erano stati compiuti e il materiale che era stato raccolto dai suoi predecessori. 1 Di tutto ciò bisognerà tener conto nello studio dell’opera del domenicano fiorentino, per vagliare quanto a lui appartiene in proprio e quanto dipende dalle fatiche di chi l’ha preceduto.

1 Cu. K o h ler , Mélanges pour servir à L'histoire de l’Orient latin et des Croi­ sades, I, Paris 1900, pubblica (p. 259-265) un interessante testo sulle dottrine dei saraceni, dal ms. British Museum, Burney 73. Egli lo ritiene scritto da un autore che viveva probabilmente alla corte pontificia alla fine del x m secolo, che avrebbe estratto le indicazioni da un’opera alla quale avrebbe anche attinto Eicoldo da Montecroce; io penso invece che lo scritto sia posteriore a Eicoldo e dipenda da questi. Mi riserbo di ritornare sull’ argomento per precisare la mia opinione e dimostrarne la fondatezza.

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INDIGE DEI NOMI 'A bd al-Masih ibn Ishâq al-Kindi, 15, 58. 'Abdallah ben Ismâ’ïl al-Hâsimï, 14. Abenabes, 58. Vedi Ibn 'Abbas, 58. Abenrostus, 64. Abenvenist Benvenist, 30. 'Abhdïsô', 15. Abraftim Abinnaxim, 69. Abraham ebreo, 53, 58. Abraham ben Ezra, 4, 6. Abraham ben H iyya, 7. A bù ’l-Fidà, 62. Abü Nüh al-Anbarï, 15. Abu Qurra, 20. Achon, 60. Vedi Acri e 'Akkà. Acre, vedi Nicole d’ — , 46. Acri (S. Giovanni d’— ), 60, 61, 67, 70, 72. Vedi Achon e 'Akkà. Adamo di Marsh, 63. Adelardo di Bath, 6. Adelfonso rè di Spagna, 14. Vedi Aldefonso, Alfonso X , Alfonso el Sabio, Alfunsso. Adelphus abate, 25. Aegidius de Thedaldis, 52. Afflacius Iohannes, 7. Africa, 24. 'Akkà, 25, 26. Alamannus. Vedi Hermann Alamannus, 5, 23. Alandaluf, 33. Alanus de Insulis, 59. Albalag, 74. Alban (St.), 60. Albano, 66. Albarus cordobense, 20. Alberico delle Tre Fontane, 16. Alberto Magno, 74. Albokari, 64. Vedi al-Buhârï. Alcaram, 22. Alchindi, 58. Vedi 'A bd al-Masih ibn Ishâq al-Kindi, 15, 58. Alchoran, Alchoranus, 10, 11, 12, 16, 21, 22, 63, 64, 71, 73.

Alcuandius, 64. Aldefonso rè di Spagna, 10: vedi Adel­ fonso, Alfonso, Alfonso X , Alfonso el Sabio, Alfunsso. Alessandria, vedi Bufino d’Alessandria, 40. Alessandro IV , 37, 38, 46. Alexandro Petri, 46. Alfonso I d’Aragona, 3. » III d’Aragona, 69. » X di Castiglia e Leon, vedi A l­ fonso el Sabio. » Buenhombre, 75. » el Sabio, 38, 49, 51, 52, 53, 58, 61, 62. Alfredo de Sareshel, 23. Alfunsso rè di Spagna, 22. Algoram, 75. Vedi Alchoran. Alhadiz, 58. Vedi Hadit. 'Ali ben 'Abbàs, 7. Alignan, vedi Benedetto d’Alignan, 66, 67, 68. Almiramomenin, 13. Almunum, 21. Altaner, 45. Alquindo, 58. Vedi al-Kindi (’A bd alMasih). Amir al-Mu’ minim, 13. Amir Almunum, 21. al-Andalus, 33. André de Longjumeau, 70. Andrea ebreo, 22. Antiochia, 6, 7, 69. Vedi Stefano d’ — , 7. Antioche, chanson d’ — , 34. Antivari, 51. Apollo, 34. Arabia, 26. Aragona, 25, 30, 36, 40-42, 69. Vedi Jacobus d’Aragona, 41. Ariam Petrus, 37. Arles, 28. Aristotele, 28. Armannus Dalmata, 10. Vedi Hermann di Carinzia, Hermann Dalmata.

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Indice dei nomi

Armengaud Blasii, 32. Armenia (piccola — ), 43. Arnaldo de Villanova, 56. Arnaldus Guardia, 37. Arnaud dé Guardia, 37. Arremón Guillén d ’Aspa, 5. Arrivabene Andrea, 16. Asin Palacios, 21, 24, 53, 54, 55, 56, 73. Aspremont, chanson d’ — , 34. Aspa (d’ — ). Vedi Arremón Guillén d’Aspa, 5. Astorga, 23. Astruc Bonsenior, 69. Avendeath Iohannes, 3. Avranches, glossario d’ — , 17. Averroe, 3, 28, 74. Avicenna, 74. Avignone, 31, 56.

Babilonia, 7. Babilonia, Soldanus de — , 46, 67, 69. Bacon Roger. Vedi Roger Bacon, 5, 46, 48, 61, 63. Bagdad, 1, 61. Bahiel, 69. Bahïrâ, 34, 35. Vedi Sergius monaco, 34, 35, 67. Baldac, 62; Baldacho, 62. Balderico di Dòle, 61. Barbastro, 9. Barcellona, 7, 30, 37, 49. Barchinona, 39. Barlaam, 46. Bartholomaei (S.) parochia, 41. Bartholomaios d’Edessa, 20. Basset, 33. Bath, vedi Adelardo da — , 6. Baudas, 61. Vedi Bagdad, 1, 61. Baudouin d’ Ibelin, 46. Beauvais, vedi Vincenzo di — , 13, 14. Bédier, 8. Benedetto X I I I , 31, 50. » d’Alignan, 66, 67, 68. Benvenist Abenvenist, 30. Bergamo, vedi Lorenzo da — , 58. Bernardo (S.) da Chiaravalle, 10, 18. Bernardus Silvester, 7. Béziers, 13. Bianca, regina d’Aragona, 42.

Bibbia, 17. Bibliander Th., 12, 16, 32. Blasii Armengaud, 32. Boari, 64. Vedi al-Buhàrï, 64. Bologna, 23, 44, 48, 49, 68. Bonaventura Senese, notaio, 53. Bonifacio V i l i , 43, 50, 56. Bonsenior Astruc, 69. Bonsenior Jahuda, 69. Breton (le) Ivo, 46. Brescia, 31. Brittania, 22. Brocardus, 51. Bruges, vedi Rodolfo di — , 3, 13. Brunetto Latini, 54. Buenhombre Alfonso, 75. al-Buhârï, 64. Burchardus vicedominus, 25. Burgos, 23. Burgundio da Pisa, 19.

Caali, 64. Cabala, 53. Cabatus si ve Caliphas, 61. Caddi 62. Cadice, 33. Cairo [vecchio], 7. Caliphae, Calyphae, 61, 62. Canellis (de) Petrus, 37. Canterbury, 48. Carcassonne. Vedi Jean de — , 70. Carracciolo Roberto da Lecce, 58. Carinzia. Vedi Hermann di — , 13. Carlo I d’Angiò, 28, 69. » Magno, 9. Cartagena, 52. Cartagine, 7. Castiglia, 23, 40. Catalogna, 41. Cazes [ =

__ 5], 62.

Cesarini Giuliano cardinale, 75. Chartres, 13. Vedi Fulcherio da — , 34 Chester, 13. Chiaravalle. Vedi Bernardo (S.) da — 10, 18. Choria, 14. Cipro, 43. Cistercensi, 41. Citeaux, 17, 59.

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Indice dei nomi Clemente (S.) papa, 65, 66. » V, 51. Clermont, concilio di — , 9. Cluny, 1, 8, 9, 18, 20, 46, 59. Constansa. Vedi Raynerio de — , 46. Compostella, 8, 33. Conrado magister linguarum, 45. Corano, passim. Cordoba, vedi Speraindeo de — , Isacco Velasquez de — . Costantino Africano, 7. Cremona. Vedi Gerardo da — , 5, 6. Cusa (da) Cardinale, 75. Cues, 16. Cumani, 39. Cyar, 64.

D aja, 41. Damasceno Giovanni, 19. Damiata, Damietta, 66. D ’Ancona, 19, 26. Daniele di Morley, 5, 6. Dante, 54, 55, Didacus Stephani, 37. Digione, 47. Dionigi il certosino, 16, 75. Doguetus Iohannes, 22. D ’ Ohsson, 62. Dole, 61. Domenech Jacme, 31. Domenico (S.), 36. » Gondisalvi, 2, 74. » Marrothin, 40. Dubois Pierre, 50.

Ebro, 12. Edessa, vedi Bartholomaios d’ — , 20. Egitto, 51, 69» Egitto, sultano d’ — , 45, 46. Elmerigi, 58. Emirhelmoinini, 13. Enrico I d’ Inghilterra, 3. Ermenia, 46. Erzingan, 62. Estella, capitolo d’ — , 41. Eulogio (S.), 20. Euthymios Zygabenos, 15, 20.

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Farag ibn Salem, 28. Farges, vedi Raimondo de — , 51. Federico l i imperatore, 23, 27, 28. » III di Sicilia, 72. » di Montefeltro duca d’Urbino, 76." » infante di Spagna, 52. Ferrer Gilabert, 30. Ficino Marsilio, 13. Fidenzio da Padova, 64, 66. Filippo IV il Bello, 43, 44. » V I di Francia, 51. » frate, provinciale di Terra San­ ta, 36. » da Savona, 34. » da Tripoli, 7. Firenze, 55. Flavius Mithridates, 76. Fracheto (de) Gerardo, 40. Francesco Pipino da Bologna, 48, 49. Francesco Ponç ça d o t a , 30. Francia, 5, 9, 27, 32, 46, 50. Fulcherio di Chartres, 34. Fulco de Villaret, 51.

Gabriel (Angelo), 11, 66. Gaillefontaine (de) Jean, 76. Gàlib, 5. Galippus, 5. Galonifontibus, 76. Gallego Petrus, 52. Garampi, 76. Garsion, 34. al-â-azzàlï, 56, 74. Genova, 69. Georgiani, 39. Georgios monachos, 19. Gerardo da Cremona, 5, 6. » de Fracheto, 40. Gerusalemme, 7, 33, 69. Giacobbe ben Makir, 32. Giacomo II d’Aragona, 30, 42, Gii Johannes, 69. Gilabert Ferrer, 30. Giovanni monaco, 18. » cancelliere di Castiglia e Leon, » »

23. X X I I , 47. da Brescia, 32.

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Indice dei nomi

Giovanni Damasceno, 19. » ibn Dàwüd, 3. » da Monferrato, 69. » . Hispalensis, 3, 74. » di Podioveutoso, 41. » di Segovia, 16. >i di Toledo, 44. Vedi Johan­ nes de Toledo, 3. » di Torquemada, 75. Giove, 34. Girgenti, 28. Gondisalvi Domenico, 2, 74. Granata, 57, 5.8. Gregorio (S.), 16. » I X , 60. » X , 71. Grosseteste Roberto, 6, 19, 48, 63. Guardia Arnaldus, 37. » (de) Arnaud, 37. Guglielmo di Malmesbury, 2. » da Tiro, [continuatore di — ], 61, 62. » da Tripoli, 60, 62, 7 0 , 71, 73. » Raimondo de Moncada, 76. Guibert de Xogent, 18. Guidi I ., 15. Guido de Vere, 8. Guillén Arremón d’Aspa, 5. Guillermo Ses Comas, 30. Gundissalinus Dominicus. 2. 3. Vedi Gondisalvi Domenico.

Habenabes, 58. Vedi Ibn 'Abbàs, 58. Habnez, 54. Hadìt, 58. Vedi Alhadiz. Halbubekar, 54. Hall, 67. Halmacreig, 53. Halmacrich, 58. Halmahereig, 54. Hamar, 44. Harding Stefano, 1 7. Haskins 0 . H ., 35. Hayn, 64. Heraclius imper., 16. Hereford, 2, 6, 48, 63. Vedi Rogerio di — ; William di — . Hermann Alamannus, 5, 23. » di Carinzia, 13.

Hermann Dalmata, 11, 12, 13, 22, 26. » lo Slavo, 13. Herveus Keynhouarn Brito, 54. Hiber, 11. Hildebertus de Lavardin, 18. Hispania, 5, 10, 11, 12, 33, 39. Huesca, 3. Hugo Sanctallensis, 7. Humbert de Romanis, 33, 38, 40, 49, 72. Humberto II duca del Delfinato, 47. al-Huwarizml, 13.

Ibelin (d’ ) Baudouin, 46. Ibn 'Aobàs, 58. Ibn 'Arabi, 54. Ibn Dàwüd Giovanni. 3. Ion Graziali, 28. Ibn Hasdai, 74. Ibn Rustah, 64. al-Idrïsï, 29. Inghilterra, 2, 3, 4, 6, 18. Indice Tridentino, 32. Innocenzo IV, 45. 46, 47. Insulis (de) Alanus, 59. Isacco Velasquez de Cordoba, 4. Ishaq b. Balisak al Qurtabi, 4. Ismaelitarum, 10. Italia, 27, 28, 29, 30. Ivo le Breton, 46.

Jacme Domenech, 31. Jacobus d’Aragona, 41. Jacopo da Verona, 73. » da Vitry, 25, 33, 61, 62, 65. Jaen, 57. Jahuda Bonsenior, 69. Jaime I d’Aragona, 69. » II d’Aragona, 69; Janua, 69. Jativa, 41, 42, 49. Jayme (don), 37. Jean de Carcassonne, 70. » de Gaillefontaine, 76. Jérusalem, chanson de — , 34. Jiménez de Rada Roderico, 21, 22, 24, 26, 55.

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Indice dei nomi Johannes Afflacius, 7. » de Anthiochia, 31. » Avendeath, 3. » Doguetus, 22. » Hispalensis, 3, 74. » Gii, 69. » Guallensis, 15, 63, 64. » de Luna, 3. » Rubeus, 58. » Salvati, 47. » de Toledo, 3. » Toletanus, 23. John of Wales, 48, 57, 63. Juan Manuel (don), 53. Juda, 5.

Kalila e Digma, 52. Kalonymus ben Kalonvmus, 28. Kedrenos, 19. Ketene, 13. al-Kindì, 12.

'JUU ò"5^ 65·

ju sfi ótr',

65

.

K itàb mi'ràg an-nabi, 54, 55, 58.

Langres, 47. Latini Brunetto, 54. Lavardin. Vedi Hildebertus de Lavardin, 18. Lecce, 58. Legionem, 12. Leon, 13, 23. Leonensis dioecesis, 54. Londra, 13. Longjumeau. Vedi André de — , 70. Lorena, 2. Lorenzo da Bergamo, 58. Losinga. Vedi Roberto di — , 2. Lucerà, 29. Vedi Riccardo di — , 29; Rigard de Lugara, 29. Lugàra (de) Rigard, 29. Luigi I X , 46, 70. Luitgard di St. Trond, 25. Lullo Raimondo, 37, 40, 41, 42, 43, 44, 50, 55, 63, 72, 73, 74, 75. Luna (de) Johannes, 3.

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MacloviensÌ8 diocesis, 22. Machamet 'profeta, 31. Machomet profeta, 14, 21, 34, 54, 58, 60, 61, 62, 64, 67, 68. Machumet profeta, 71. Machumeth profeta, 33. Mafometum profeta, 21. Maghometus profeta, 16. Magreb, 24, 69. Mahom (Ymage), 33. Mahomad profeta, 53, 71. Mahumet profeta, 11, 16, 33, 63. Mahumet interprete, 10. Majorca, 30, 40, 41. Mâle, 9. Malvern, vedi Walcher di Malvern, 2, 3, 6. Malik al-Kam il, 67. al-Ma’ mün, 14. Malmesbury. Vedi Guglielmo di — , 2. Mandonnet, 12. Manfredi re, 27, 28. Maniacoria (de) Xicolao, 17. Manuel Juan (don), 53. Maometto, passim. Marco di Toledo, 21, 22, 23, 24. Marmoutier, 46. Marocco, 24. Maroniti, 39. Marracci Ludovico, 1, 45, 64. Marrothin Domenico, 40. Marsilio Ficino, 13. Marsilius Petrus, 36. Marsh. Vedi Adamo di — , 63. Marsiglia, 67. Martin Raimondo o Raymund, 37, 49, 55, 56, 74, 75. Masio, 31. Mathome, 33. Matthaeus Parisiensis, 60, 61, 62, 64. Maumet profeta, 68. Mauricius arcidiac. di Toledo, 21. Mecham, 60. Medicea tipografia, 29. Mehmet, profeta, 67. Mechi Memel, 67. Merlai, 6. Vedi Morley. Mesopotamia, 30. Messina. Vedi Stefano da — , 28. Michele Scoto, 22, 23, 27, 45.

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Indice dei nomi

Michele vescovo di Tarazona, 7. Milano, capitolo di — , 39. al-mi'ràg, 53, 55. Miramamolin, 13. Miramar, 40, 41, 42, 43, 49. Mirandola (della) Pico, 75. Molay (de) J ., 51. Monaco, 34. Moncada (de) Guglielmo Raimondo, 76. Monferrato, vedi Giovanni da — , 69. Montecassino, 7. Montecroce. Vedi Ricoldo da — , 1, 54, 57, 66, 70, 71, 73, 76, 77. Montefeltro. Vedi Federico da — , 76. Montepessulano, 40. Montpellier, 32, 43, 59. Morlev. Vedi Daniele de — , 5, 6. Mosè di Palermo, 27. Moselim, 64. Moslim, 58. Murcia, 36. 40, 49. Muslim, 64. Muzlim, 64.

Naliino, 54, 62. Napoli, 29. Nastruc, 69. Navarra, 67. Navarre, collège de — , 35. Navas (las) de Tolosa, 22. Nicola da Cues, 16. Vedi Cardinale da Cusa, 75. » di Maniacoria, 17. » da Vicenza, 70. Nicholaus, 65. Vedi Nicolao. Nicolao, 34. Nicole d’Acre, 46. Niketas, 15, 20. » Chômâtes, 20. Noè, 60. Nogent. Vedi Guibert de — , 18. Nova Villa Regis, 47. Novellone, 69.

Oliverus di Paderborn, 62, 65, 66. Omar, moschea di — , 33. Onorio III, 24, 46. » IV , 46. Oxford, 6, 44, 48, 63.

Paderborn. Vedi Oliverus di — , 62, 65, 66. Padova. Vedi Fidenzio da — , 64, 66. Paganinus de Paganinis, 31, 32. Palencia, 23: capitolo di — , 41. Palermo, 28, 29. Palestina, 6, 51, 64. Papilonensis ecclesiae, 11. Paolo III, 32. » IV , 32. Parigi, 43, 44, 46, 47: capitolo di — , 36; università di — , 43, 46. Parma, 52. Pascal, 56. Pascasio Pietro, 54. Vedi Pascual P e­ dro. Pascual Pedro, 54, 55, 57, 64. Pechino, 70. Pedro III d’Aragona, 30, 31, 69. Pelagius legato, 66. Pelliot (P.). 70. Penafort, vedi Raimondo di — , 36, 37, 40, 49. Peniscola, 31, 50. Pennis. Vedi Petrus de — , 34, 75. Περιβλέπτου (τηε), 15. Petri Alexander, 46. Petrus apost., 65. » frate, 42. » Alphonsi, 3, 6, 14, 31, 38. 50. » Anfusi, 6, 14. » Ariam, 37. » de Cadireta, 37. » de Canellis, 37. » Gallego, 52. » Marsilius, 36. » monachus, 14. i. de Pennis, 34, 75. » de Puteo, 37. » de 8 aneto Felice, 37. Piacenza, concilio di — , 12. Picatrix, 52. Pico della Mirandola, 75. Pietro III d’Aragona, 30, 31, 69. » frate, 42. » Pascasio, 54.Vedi Pascual Pedro. » da Reggio, 52. » da Poitiers, 11, 18. » da Toledo o Toledanus, 10, 11, 13, 14, 21, 22.

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Indice dei nomi Pietro il Venerabile, 1, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 26, 27, 32, 35, 71, 72, 76. Pipino Francesco, 48, 49. Pirenei, 8. Pisa, 43. Vedi Burgundio da — , 19. Platina, 76. Plato da Tivoli, 3, 7, 52. Podioventoso. Vedi Giovanni da — , 41. Poitiers. Vedi Pietro da — , 11, 18. Polo, 70. Ponç ça d o t a Francesco, 30. Postel, 31. Prémontré, 46. Prutz, 70, 71. Ptolomeo, 52.

QàdT, 62. Vedi Cadi. Qalqasandi, 62. Quiroga, 32.

Rabea rauguil [Rabì al-auwal], 60. Raimondi Giovanni Battista, 29. Raimondo arcivesc., 2. » de Farges, 51. » Lullo, 37, 40, 41, 42, 43, 44, 50, 55, 63, 72, 73, 74, 75. » Martin, 37, 49, 55, 56, 74, 75. » de Penafort, 36, 37, 40, 49. Raymundus Martin, 37. Vedi R ai­ mondo Martin. Rainerio de Constansa, 46. ar-Râzï, 28. Reading, 13. Reggio. Vedi Pietro da — , 52. J_^JI Jaij, 3. Riccardo di Lucerà, 29. Ricoldo da' Montecroce, 1, 54, 57, 66, 70, 71, 73, 76, 77. Rigard dë Lugâra, 29. Roberto anglico, 5, l i , 12, 13. » il Buono, 28. » Groevtoste, 6, 19. » di Losinga, 2. » monaco, 61. Robertus di Chester, 16, 22, 26, 32. » Cestrensis, 13.

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Robertus Kecenensis, 10. » Kertenensis, 13. » Kertevensis, 13. » Ketenensis, 11, 13. » Retenensis de Anglia, 11. » Retinensis, 13. » de Rétines, 57. Roderico Jiménez de Rada, 21, 22, 24, 26, 55. Rodolfo di Bruges, 3, 13. Roger Bacon, 5, 46, 48, 61, 63. Rogerio di Hereford, 6. Rôhricht, 60. Rolando, canzone di — , 9. Roma, 26, 44, 61, 62, 66, 75, 76. Romanis (de) Humbert, 33, 38, 40, 49, 72. Romeu Sabraguera, 42. Rufino d’Alessandria, 40. Rutlandshire, 13.

Sabraguera Romeu, 42. Saint-Pierre-de-Chartres, 46. Sainte-Marie-du-Pré, 46. Saladino, 73. Salam Cadis, 33. Salamanca, 44, 48. Salerno, 6, 7. Sàlih, 64. Salimbene, 19. Salmonis notaio, 69. Salvatorberg, 31. Samuel, 69. Sanam Gades, 33. Sancho d’Aragón, 74. Sanctallensis Hugo, 7. Sancto Felice (de) Petrus, 37. Sansadoine, 34. Saraceni, passim. Sareshel. Vedi Alfredo di — , 23. Savasorda, 7. Savona. Vedi Filippo di —-, 34. Scaliger, 16. Schiaparelli, 38. Sciampagna, 67. Scozia, 22. Segovia, 3, 13. Selden, 16. Sergius arrianus, 31.

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Indice dei nomi

Sergius monaco, 34, 35, 67. Vedi Bahïrâ. Ses Comas Guillermo, 30. Sicilia, 7, 27, 28, 69, 72. Silvester. Vedi Bernardus Silvester, 7. Siviglia, 1, 32, 38, 49, 51. Sivar, 64. Sosio, 26. Soto (de) I., 63. Spagna, 2, 4, 5, 6, 8, 9, 13, 21, 25, 26, 27, 30, 39, 42, 49, 51, 55, 58. Spedalieri, 50, 51. Speraindeo da Cordoba, 20. Stefano da Antiochia, 7. » Harding, 17. » da Messina, 28. Stephani Didacus, 37. Sumni, 67. as-Suyütï, 53. Sya, 67. Symeonis fr., 76.

at-Tabari, 53. Tabriz, 70. Talmud, 17, 53. Tarazona, 7. Vedi Michele da — , 7. Tarso, 6. Tartari, 39, 43, 70. Teliff, 58. Teodoro Abu. Qurra, 20. » Astrologo, 27. Templari, 50, 51. Terra Santa, 36, 46, 49, 51, 66, 70, 76. Tervagant, 34. Teseo Ambrosio, 31. Teudebodio (continuatore di — ), 33. Thedaldis (de) Aegidius, 52. Theodebaldo arcidiac., 71. Theophanes, 19. Thomae (S.) eccl. de Achon, 60. Tibaldo V di Navarra, 67. Tiro. Vedi Guglielmo da — , 61, 62. Tisserant (card. E .), 44. Tivoli. Vedi Plato da — , 3, 7, 52. Toledo, 2, 3, 4, 5, 6, 23, 24, 44, 74: Ca­ pitolo di — , 36. Tolosa, 13. Tomaso (S.) d’Aquino, 37, 74. Torquemada (di) Giovanni, 75.

Tours, 6: glossario di — , 17. Trento, 30. Tripoli, 25, 69, 70. Vedi Filippo da — Guglielmo da — . Trithemio, 25. Trond (St.). Vedi Luitgard de — , 25. Tunes, 70. Tunisi, 27, 36, 37, 49, 69, 70, 72. Turpino, 33. Uncastillo, 25. Ungheria, 19. Urbano II, 9. Urbino, 76. Valdés Ferdinando, 32. Valencia 8, 41, 49; Capitolo di — 42. Valenciennes, capitolo di — , 37. Valenza, 8; Capitolo di — , 39. Valla Giorgio, 75. Vallis de Musa.. 41. Varna, 71. Vat, van der — , 63. Vecchio Cairo, 7. Velasquez Isacco da Cordoba, 4. Venezia, 16, 31, 58. Vere, vedi Guido de — ; William de — Verona, vedi Jacopo da — , 73. Vicenza, vedi Nicola da — , 70. Vienne, concilio di — , 41, 44, 45, 49. Villanova, vedi Arnaldo di — , 56. Villaret (de) Fulco, 51. Villeneuve-le-Koi, 47. Vincenzo da Beauvais, 13, 14. Viterbo, 41. Vitry. Vedi Jacopo da — , 25, 33, 61 62, 65. Wadding L ., 63. Walcher di Malvern, 2, 3, 6. Wales. Vedi John of — , 48, 57, 63. Walther, 18. William de Vere, 6. Yhuda, 5. Zaragoza, 30: Capitolo di — , 39. ZryajSfjvós, 15. Zigabenos Euthymios, 15, 20. Zonaras, 19.

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