Il Risorgimento italiano nel teatro e nel cinema

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Il Risorgimento italiano nel teatro e nel cinema

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792.0945 M48 Il Risorgimento italiano 01 GC

Senso Luchino

Visconti

Fonte di ispirazione per letterati ed artisti, il Risorgimento Italiano non ha lasciato impassibili sli autori teatrali e quelli cinematografici. Ne é conseguita una produzione indubbiamente interessante valorizzata da questo volume, il quale è sì suscitato dalla ricorrenza del primo Centenario dell'Unità d'Italia, ma s'impone indipendentemente dall'occasione in cui è realizzato; e sé è pertanto un atto di omaggio all'avvenimento, è anche un contributo di studio di ricerca e di documen:azione. T:airo e cinema

sono

affidane

al movimento

immagiri;

all'azicne,

mezzi

espressivi che si

e quindi

alle

in una pubblicazione come questa, per-

tanto, il ruolo delle riproduzioni fotografiche doveva essere di primo piano. Ecco così nei testi, tutta una serie di stampe dei primi dell'Ottocento, di vecchissime fotografie di drammi, attori e manifesti del secolo scorso, quando i testi erano contemporanei alle vicende che narravano, e di fotogrammi dei primi film ispirati al Risorgimento. Seguono immagini dei lavori teatrali e cinematografici più recenti, che per quanto ancor vive nella nostra memoria di spettatori contemporanei, hanno anch'esse una loro suggestività e una funzione rievocatrice. Questo volume, curato da Domenico Meccoli e

redatto da Giovanni

Calendoli

e da Guido

Cin-

cotti, è stato realizzato dall’EDITALIA con criteri grafici aderenti al suo contenuto, ponendo cioè

l’esperienza editoriale al servizio di una materia di grande

rispetto;

la tecnica,

insomma,

senza

menomor:' a valorizzato lo spirito dell’opera e I: :... conferito tutta la possibile dignità cercando di evitare l'altrettanto possibile retorica. le risorgimento italien dans le théatre et le cinéma Source d'inspiration pour des écrivains et des artistes, l'unification italienne n'a pas laissé inautérents, » > plus, les auteurs dramatiques et cinématographiques. Le résuitat en a été une production d'un intérét certain, mise en valeur par ce livre, qui, certes,

paraît à l'occasion du premier centenaire de l'Unité Italienne mais qui s'impose aussi indépendemment de cela. Si c'est un hommage rendu au Risorgiv.cento, c'est également un apport d' GRES de recherche ci de documentation. Le théatre et le cinéma sont des moyens d'expression qui se basent sur l'action, le mouve- .

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il risorgimento italiano nel teatro e nel cinema

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Il risorgimento nel teatro e nel cinema St. xay's College Library Winona,

a cura

di

Domenico testi

Meccoli

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Giovanni Guido

Calendoli

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i è, nel cinema italiano, una costante vocazione per la storia. O, meglio,

per lo spettacolo romanzesco a sfondo storico. Anche oggi che dal travaglio morale e sociale della seconda guerra mondiale si è andato sviluppando un nuovo e più sincero modo di osservare e di rappresentare la realtà e i problemi dell'uomo contemporaneo, la storia è la prodiga ispiratrice di una parte notevole della nostra produzione.

Una simile vocazione fu evidente fin dagli albori del cinema (e non soltanto piamo per quale ragione l’autore del primo film a soggetto registrato dagli annali liani, Filoteo Alberini, si convincesse a cercare nella storia il soggetto da portare chiara antitesi con quella che, negli esperimenti iniziali dei Lumière, esperimenti anni,

sembrava

un'indicazione

in Italia). Non sapcinematografici itasullo schermo, con già vecchi di dieci

realistica.

Né sappiamo perché, una volta decisosi in questo senso, optasse, con

"La presa di Roma”,

per un

episodio risorgimentale, anzi per l’episodio culminante del Risorgimento, a meno di non interpretare come un segno indicativo l'inserimento di Francesco Crispi nell’apoteosi conclusiva del film accanto a Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi: tentativo suggestivo che però non ci porterebbe a nulla di concreto: nel suo focoso amore per l’Italia, le contraddizioni di Crispi erano state tali e tante che una qualunque interpretazione sarebbe comunque opinabile. Se si bada, però, al particolare momento in cui il film fu realizzato, nel bel mezzo di quel primo decennio del secolo così vivo di nuovi impulsi dopo la crisi di assestamento seguita all'Unità, dopo la ventata positivistica, dopo le amarezze della guerra d'Africa, mentre nasceva e si sviluppava il nazionalismo, quel richiamo cinematografico al Risorgimento non manca di patriottico significato. Quasi contemporaneo manticismo”,

il dramma

(più vecchio di soli quattro storico di Gerolamo

anni

ma

frequentemente

rappresentato),

’ Ro-

Rovetta, ripeteva sulle scene un analogo richiamo.

Più di un ciglio si inumidiva al quadro finale del conte Lamberti che, teneramente abbracciato alla

sposa e in piena comunione spirituale con lei, aspetta di essere arrestato dalla polizia austriaca, certo della morte, una morte liberamente e coscientemente accettata per la Patria. Se, per ciò che riguarda il teatro, l'ispirazione risorgimentale è rimasta in seguito limitata, essa è invece costantemente viva nella produzione cinematografica italiana tanto nel periodo muto” quanto, in quello sonoro”; e anzi, quando più quando meno intensa, ne costituisce un filone a sé stante. In fondo, il cinema



evocativo

o apologetico o semplicemente cronistico e biografico — comin-

ciava là dove, alcuni decenni prima, il teatro aveva terminato la sua funzione, direttamente partecipe

degli eventi del Risorgimento. Come

i lettori vedranno con abbondanza

di informazioni.e di particolari nel saggio di Giovanni

Calendoli dedicato a questo argomento, il teatro preparò e riscaldò il Risorgimento e ne fu talvolta protagonista. Nonostante la vigilanza della censura, si susseguivano sui palcoscenici gli incitamenti alla libertà, le invocazioni a un'Italia unita chiamata ad alti destini, le invettive contro lo straniero Oppressore, l'esaltazione della nobile morte per la Patria. La tragedia patriottica, tipica di quel periodo, faceva i suoi personaggi antichi, consci e presaghi delle aspirazioni del tempo; e le recite si trasformavano in manifestazioni rivoluzionarie, erano per se stesse manifestazioni rivoluzionarie.

E Silvio Pellico trovò il modo, nella "Francesca da Rimini”, di includere anche Paolo fra gli antesignani delle aspirazioni patriottiche degli italiani. Fu questo, per il teatro (ivi compreso

il melodramma),

rappresentate più tardi, mentre le scene erano dominate

un momento

dalla commedia

eroico, e le medesime

tragedie

borghese e dal dramma

veri-

sta, non potevano continuare ad avere lo stesso significato né dare gli stessi fremiti. Ma quando il ci-

nema prese ad affondare le mani negli eventi del Risorgimento, il teatro patriottico divenne esso stesso, a giusta ragione, un evento: Luchino Visconti.

come

nei film su Verdi e come nel bellissimo inizio di Senso”, il film di

Il maggior numero di film sul Risorgimento appartiene al periodo del muto”. Di alcuni ci restano

solo i titoli, di altri le informazioni che si possono leggere sulle riviste del tempo, di pochi, copie complete o brani più o meno ampi. Per quanto riguarda questo periodo, Guido Cincotti, che del volume ha curato la parte dedicata al cinema, ha dovuto sobbarcarsi a un lavoro da certosino per fare un quadro esauriente del film risorgimentale. Ma sfogliare il volume, nel quale largo spazio si è dato alle illustrazioni, talune veramente rare, sarà come rivivere uno dei momenti più suggestivi della nostra storia. Nella ingenuità figurativa dei primi film certe immagini sono addirittura patetiche. Né bisogna dimenticare che questa opera non vuole essere critica ma espositiva e che, come è ovvio, il Risorgimento ha dato vita a film ora eccellenti, ora buoni, ora mediocri;

e a volte limitati

a un superficiale racconto oleografico senza approfondire né i

motivi risorgimentali né il relativo quadro storico. Ma anche qui bisogna rifarsi ai tempi (ci riferiamo sempre nati dall’estetismo dannunziano

al periodo muto

del cinema)

domi-

lontano dallo spirito "di fede e di amore” che, come scrisse Giuseppe

Cesare Abba, l’autore delle ’’Noterelle di uno dei Mille”, aveva

permeato

l’età del Risorgimento.

Tutto

sommato, le oleografie che, nelle case degli italiani, ricordavano allora i fatti o gli eroi della lotta per la libertà e per l'Unità, le battaglie e i martiri, e alle pareti trovavano posto accanto a quelle dei melodrammi più famosi, queste oleografie erano il segno di un romantico amore popolare che tali eventi aveva già tramutato in meravigliosa leggenda. Accostandosi al Risorgimento, il cinema non poteva non tener conto del sentimento popolare che lo

considerava con sacro rispetto. La spregiudicatezza romanzesca che gli permetteva di affrontare i temi storici dell'antichità con frutti talvolta ragguardevoli sul piano dello spettacolo, qui trovava limiti invalicabili nella suscettibilità di un patriottismo col quale non era lecito scherzare. Non solo gli eroi, e Garibaldi per primo, ma l’epoca stessa era intoccabile; e bisognerà aspettare 1860” di Blasetti e Senso” di Visconti, realizzati tuttavia in climi politici diversi, per avere un maggiore approfondimento culturale

e critico di quell'affascinante

stagione

della nostra storia.

Ecco, per l'appunto: affascinante. Affascinante con l'impresa dei Mille e le guerre di Indipendenza; affascinante con le Cinque Giornate di Milano e la rivolta di Brescia, leonessa d'Italia; affascinante con Silvio Pellico e i Martiri di Belfiore, con Goffredo Mameli e Federico Confalonieri, per non parlare

di Garibaldi, la figura più affascinante di tutte e dunque la più ripetuta sullo schermo. Inoltre, nei primi anni del secolo, certi temi erano ancora di attualità e l’Irredentismo si nutriva degli ideali del Risorgimento che fornì quindi al cinema soggetti patriottici atti a recare un contributo alla mobilitazione degli animi al momento dell’intervento nella prima guerra mondiale. mo

Pertanto

questa tematica mal si inquadra nel genere

che essa

tuttora

offre, nell'attuale

storico cui tuttavia appartiene. E ci accorgia-

diversa prospettiva,

nuove

e infinite possibilità cinematografi-

che, e che l’epoca, gli avvenimenti e i personaggi quali vediamo in varia maniera in questo

volume

a documentare

come

furono

interpretati

in passato,

continuano

ricordati e raffigurati a toccarci

nel senti-

mento e ad eccitare la nostra fantasia. Domenico

Meccoli

e cinéma italien a toujours eu une véritable vocation pour l’Histoire. Ou,

plus exactement, une véritable vocation pour le spectacle romanesque à fond historique. Méme de nos jours, bien que de la laborieuse maturation morale et sociale de la seconde guerre mondiale soit née une manière nouvelle et plus sincère d’observer et de représenter la réalité et les problèmes de l'homme contemporain, l’Histoire demeure la généreuse inspiratrice d’une partie fort importante de notre production. Cette vocation fut évidente dès l’aube du cinéma (et non seulement en Italie). Nous ignorons la raison pour laquelle l’auteur du premier film de fiction enregistré dans les annales cinématographiques italiennes, Filoteo Alberini, eut l’idée de chercher dans l’Histoire le sujet qu'il allait porter à l’écran, en

nette opposition avec ce qui, dans les premières expériences des frères Lumière, expériences vieilles déjà d’une dizaine d’années, semblait une indication réalistique. Et nous ignorons également pourquoi, une fois décidé en ce sens, il opta, avec” La presa di Roma”, pour un épisode du Risorgimento, l’épi-

il

sode culminant, méme, des luttes pour l’Unité italienne; à moins que nous ne voulions interpréter comme une intention spéciale l’insertion de Francesco Crispi auprès de Vittorio Emanuele II, Cavour et Garibaldi dans l’apothéose conclusive du film. Mais cet essai suggestif ne nous porterait à rien de concret: dans son amour impétueux pour l’Italie, telles avaient été — et si nombreuses — les contradictions de Crispi que n’importe quelle interprétation aurait été acceptable. Si l’on remarque, pourtant, le moment tout à fait particulier pendant lequel le film a été réalisé (exactement entre les deux premiers lustres de ce siècle si riche de nouvelles impulsions, après la crise de stabilisation qui suivit la constitution de l’Unité d’Italie, après le coup de vent positiviste, après les amertumes de la guerre d'Afrique, alors que le nationalisme naissait et se développait), ce rappel cinématographique du Risorgimento ne manque pas de signification patriotique. Presque dans le méme

temps, à peine plus vieux

de quatre ans mais fréquemment

représenté,

”’ Ro-

manticismo”, le drame historique de Gerolamo Rovetta, battait sur les scènes un rappel analogue. Et rares étaient les yeux qui ne se remplissaient pas de larmes au tableau final, quand le comte Lamberti

attend que la police autrichienne ne vienne l’arréter: tenant son épouse tendrement enlacée, en pleine communion spirituelle avec elle, il sait qu'il va mourir, d’une mort librement et consciemment acceptée pour la Patrie. Si par la suite, en ce qui concerne le théatre, l'inspiration puisée dans l’'histoire des luttes pour l’Unité d'Italie est demeurée fort limitée, elle est au contraire restée constamment vive dans la production cinématographique italienne, tant pendant la période du ” muet” que pendant celle du ” sonore”;

et l'on peut méme

dire que, plus ou moins intensément, ce moment historique a constitué pour

elle un véritable filon. Au fond, le cinéma — évocatif, apologétique ou simplement d’actualité et biographique — commencait là méme où, quelques dizaines d'années auparavant, le théàtre, participant direct des événements du Risorgimento, avait terminé sa propre fonction. Ainsi que pourront le voir les lecteurs dans l’exposé de Giovanni Calendoli dédié à cet argument et abondamment fourni d'informations et de détails, le théàtre prépara et soutint le Risorgimento, et il en fut méme, quelquefois, véritable protagoniste. Sur les scènes, malgré la vigilance de la censure, se suivaient incitations à la liberté, invocations à une Italie unifiée et appelée à un grand destin, invectives contre l’étranger oppresseur, exaltations de la noblesse de la mort pour la Patrie. La tragédie patriotique, ivpique de cette période, voulait les personnages anti-

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ques conscients et prévoyants des aspirations du moment;

les représentations se transformaient

en ma-

nifestations révolutionnaires, elles étaient des manifestations révolutionnaires. Et Silvio Pellico trouva méme le moyen, dans sa” Francesca da Rimini”, de faire de Paolo un porte-étendard des aspirations patriotiques des Italiens. Cette époque fut, pour le théàatre (y compris

le mélodrame),

une

époque héroique. Les mémes

tra-

gédies représentées plus tard, alors que les scènes étaient dominées par la comédie bourgeoise et par le drame vériste, ne pouvaient certes pas avoir la méme signification ni provoquer les mémes frémissements. Mais lorsque le cinéma se mit à puiser à pleines mains dans les événements du Risorgimento, le

théàtre patriotique devint lui aussi, et à juste raison, un de ces événements: dans les films sur Verdi, par exemple, et dans le très beau début de” Senso”, le film de Luchino Visconti. Le plus grand nombre de films sur le Risorgimento appartient à la période du” muet”. De certains d’entre eux il ne nous reste que les titres, de quelques autres les informations reportées par les revues spécialisées du temps, seulement d’un tout petit nombre l’on possède encore une copie complète ,

ou des extraits plus ou moins

importants.

Pour ce qui concerne cette période, Guido Cincotti, qui s'est

occupé de la partie de ce volume dédiée au cinéma, a dù s’astreindre à un véritable travail de patience afin de pouvoir brosser un tableau complet du film inspiré au Risorgimento. Mais feuilleter ce volume, dans lequel une très large part a été réservée aux illustrations dont quelques-unes extrémement rares, est comme

revivre un des moments les plus suggestifs de notre Histoire. Dans l’ingénuité figurative des pre-

miers films, certaines images sont méme pathétiques. Il ne faut pas non plus oublier que ce livre ne veut pas étre critique mais expositif et que, c'est l’évidence méme, le Risorgimento a inspiré des films quelquefois excellents, quelqguefois bons et quelquefois médiocres, certains d’entre eux se limitant à rendre une histoire décorative et superficielle sans chercher à approfondir le moins du monde ni les motifs de l’Unité italienne ni le relatif cadre historique. Mais, là aussi, il faut tenir compte de l’époque de la réalisation des films (nous nous référons toujours au temps du cinéma muet), époque dominée par l’esthétisme à la manière de D'Annunzio. Cet esthétisme était très éloigné de l’esprit ”’ de foi et d'amour” qui, comme l’écrivit Giuseppe Cesare Abba, auteur des ” Noterelle di uno dei Mille”, avait imprégné la période du Risorgimento. En fin de compte, les images qui, dans les maisons italiennes, rappelaient alors les faits et les héros de la lutte pour la Liberté et pour l’Unité, ses batailles et ses martyrs,

et trouvaient, sur les murs, place auprès d'autres images représen-

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tant certains des mélodrames les plus fameux, ces images n’étaient que le signe d’un romantique amour populaire qui avait déjà transformé ces événements en merveilleuse légende. Traitant du Risorgimento, le cinéma ne pouvait évidemment pas éviter de tenir compte du sentiment populaire

qui considérait

ce

moment

historique

avec un

respect

sacré. La romanesque

absence

de pré-

jugés, qui lui permettait d'affronter les thèmes historiques de l’antiquité avec de résultats parfois remarquables du point de vue spectaculaire, se trouvait, en ce qui concernait le Risorgimento, entourée de

barrières infranchissables dressées par la susceptibilité d’un patriotisme avec lequel il ne faisait pas bon plaisanter. Non seulement les héros, à commencer par Garibaldi, mais l’époque elle-méme était intouchable; et il faudra attendre ” 1860” de Alessandro Blasetti et ” Senso” de Luchino Visconti, réalisés toutefois dans des climats politiques différents, pour arriver à une recherche critique et culturelle plus profonde de cette période fascinante de l’Histoire italienne. | Fascinante, justement. Fascinante avec l’entreprise des Mille et les guerres d'Indépendance; fascinante avec les Cinq Journées de Milan et la révolte de Brescia, lionne d’Italie; fascinante avec Silvio Pellico et les Martyrs de Belfiore, avec Goffredo Mameli et Federico Confalonieri, pour ne pas parler de Garibaldi, héros fascinant plus, pendant

d’actualité:

les premières

puisque

entre

tous et, par conséquent,

années

l’Irrédentisme,

du siècle, certains

le mouvement

le plus souvent

thèmes

se trouvaient

évoqué étre

sur encore

les écrans.

De

parfaitement

pour le rattachement de Trieste et autres pays limi-

trophes à l’Italie, se nourrissait des idéals du Risorgimento, il sembla tout à fait normal que celui-ci fournît au cinéma des sujets patriotigques aptes à mobiliser les esprits au moment de l’intervention italienne dans la première guerre mondiale.

Il s'agit là de thèmes qui s'insèrent mal dans le cadre du filon historique;

pourtant, ils lui appar-

tiennent.

Et nous nous apercevons qu'ils offrent encore aujourd'hui, dans la différente perspective actuelle, de nouvelles possibilités cinématographiques infinies et que l’époque, les événements, les personnages du Risorgimento tels que nous les vovons évoqués et représentés dans ce volume pour documenter la manière dont ils furent interprétés dans le passé, continuent à nous émouvoir et à solliciter la fantasie de notre imagination. Domenico

14

Meccoli

Ordine

Palco

5 Sar Aprirette il Palco fud“all'Esibitorde sera

‘clusa ”

he Italian Cinema has always shown a vocation for History. Or rather, for fiction with an historical background. Even today, when from the moral and social disorders of the Second World War has been born a new and sincerer way of looking at the reproduction of reality and the problems of the contemporary world, our films still find in the past a most fruitful source of inspiration. A vocation for History was apparent from the early days of the cinema and not only in Italy. No one can tell why the first feature film that is registered in the story of the Italian Cinema should have been of historical inspiration and why its author, Filoteo Alberini, should have preferred this material rather than a realistic subject which had been the trend of the first experiments made by Lumière a decade before. Neither can we know why, having decided to make this sort of film, Alberini chose with ” La prea subject from an episode in the Italian Risorgimento, indeed the culminating episode of sa di Roma”

that historical process. Maybe the reason was that it gave him an opportunity to insert Francesco Crispi into the concluding apotheosis, putting him side by side with Victor Emmanuel II, Cavour and Garibaldi. Well-meaning perhaps, but leading to nothing concrete, for the contradictions of Crispi, however devoted he was to the Italian cause, were such that a certain objective treatment was more than recommendable. Yet if one consider the particular moment at which the film was made, right in the middle of that first decade of the century with all the new impulses that followed the first assessment made following the achievement of Unity, after the positivistic wave and the bitternesses of the war in Africa, while Nationalism was increasing, under these circumstances, there was a patriotic significance in filmmakers’ attraction to the Risorgimento. Almost contemporary (four years older but still frequently performed), historical play by Gerolamo Rovetta, repeated the same appeal for the stage. Many

a tear was

shed

over

the last scene

Romanticismo ” the

of the play in which Count Lamberti, after tenderly

embracing his wife with whom he is in full spiritual communion, waits to be arrested by the Austrian police, certain of a death which he has freely and conscientiously chosen on behalf of the Fatherland. If in the theatre the Risorgimental inspiration was later to diminish, it was still to dominate the Italian Cinema during the silent screen period and also when the film began to speak: indeed, it was to remain a constant theme.

Indeed, the cinema — whether evocative or apologetic, or just simply biographical and factual — began at the point where the Theatre had ended its function as a direct participant in the events of the Risorgimento. As readers of this book will be able to discover from the well-informed essay by Giovanni Calendoli which deals with this subject, the Theatre helped to prepare and keep heated the spirit of the Risorgimento and was one of the principal plavers in its drama. In spite of the vigilant censorship, the stage saw an endless succession of incitements to rebellion and invocations for freedom and a United Italy with greater destinies, not to mention the invective against foreign oppressors and exultation of death for the Fatherland.

The patriotic tragedy typical of that period made its characters the heralds of the aspirations of the time: and the performances were turned into revolutionary demonstrations.

16

Silvio Pellico even succeeded in his play ” Francesca da Rimini” defenders of the patriotic aspirations of Italians.

in including Paolo amongst

the

This was for the Theatre (and that includes Opera) an heroic moment; when the same plays were given years afterwards, while the theatres were dominated by the drawing room plays and the naturalistic dramas, it was obvious that they would not have the same significance or give the same thrill of excitement. When the cinema took on Risorgimental subjects, the patriotic theatre itself became an element of the drama : as in films about Verdi or in the superb opening sequence of Luchino Visconti's MiScnso”. Most of the Risorgimental films belong to the silent screen. Only the titles remain of some of them, of others only the information one can find out from the publications of the time, while others remain in their entirety or in part. In order to deal with this section of the book, Guido Cincotti has had no small task in ferreting out the material of the risorgimental cinema.

In looking through the pages of this book, in which such large space has been devoted to illustrations (many of them quite rare), it is like reliving one of the most exciting moments of our national history. The pictorial ingenuousness of certain of those first films is strangely pathetic. But one mustn't forget that these early works were not intended as critical study but as mere exposition; so it is obvious that the Risorgimento has inspired films of different levels, some excellent, some good, some mediocre, while others merely attempt a superficial sentimental story withoui either penetrating the reasons behind the Risorgimento or seeing the events in their historical perspective. But one must always remember that during the silent cinema period, Italy was dominated by D'Annunzio’s estheticism which was far from what Giuseppe Cesare Abba called the spirit of ”’ faith and love ”’ that permeated the period of the Risorgimento. In the homes of Italian families one found oleographs which depicted the facts and the heroes of the fight for freedom and unity, the battles and martyrs; and on the same walls were to be found prints of the operas that were most famous in that period, the emblem of a romantic and popular devotion which those events had transformed into wonderful legends.

In dealing with the theme of the Risorgimento,

the Cinema

could not help but take into account

17

the popular tradition which still considered those events with devout respect. The casual way in which film-makers romanticised the historic themes of antiquity often with considerable spectacular effects, found its limits in the susceptibility of patriotic material which it was hardly appropriate to make | light of. Not only the heroes, beginning with Garibaldi himself, were untouchable, but the epoch itself

was sacred; one had to wait until Blasetti's 1860”, and Visconti’s ”’ Senso” each made under different political conditions, to get that greater cultural and critical penetration which was justified by the importance of this fascinating season in our history. ,

Fascination is indeed the key word. Nothing could be more fascinating than the exploits of the Thousand and the wars of Independence; fascinating, too, were the famous Five Days of Milan and the revolt of Brescia, the lioness of Italy; fascinating with Silvio Pellico and the Martyrs of Belfiore, with Goffredo Mameli and Federico Confalonieri, not to mention Garibaldi, the most fascinating figure of all and consequently the one most frequently seen on the screen. Whatismore, early in the century, some

themes were still in the news, and Irredentism took strength from the ideals of the Risorgimento and consequently provided the cinema with patriotic material which was able to contribute to the spritual mobilization of the Italian people at the outbreak of the First World War. So it is difficult to see this subject in the simple terms of the period in which the events took place. One can see, in fact, that it still offers endless material for cinematic interpretation. The epoch,

with its events and characters which we can see recalled and illustrated in the pages of this volume as they were seen in the past, will continue to inspire our feelings and excite our creative faculties. Domenico

18

Meccoli

Il risorgimento nel teatro di Giovanni

Calendoli

,

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IOSERRO

(RS G ;

Il teatro è stato nel corso dell’intero Ottocento una delle forze più vive del processo che si è concluso con l’unità d’Italia; è stato una delle forze più vive, perchè, soprattutto con mezzi indiretti, ha contribuito ad una diffusione sempre più larga degli ideali patriottici e perchè è riuscito a creare una atmosfera passionale, a determinare una temperie morale negli spettatori convocandoli in quanto italiani mentre erano ancora politicamente divisi. Come questo risultato sia stato possibile è molto difficile ricostruire e documentare. Il rapporto fra il palcoscenico e la platea, fra l'attore e lo spettatore è costituito spesso da elementi misteriosi e impercettibili, i quali svaniscono e sfuggono ad ogni definizione quando, non essendo più succubi della suggestione che da essi si sprigiona, si tenta di esaminarli obiettivamente a distanza. Uno scrittore teatrale e specialmente un attore, in una determinata circostanza di tempo e di luogo,

comunicano

una impressione, trasmettono un sentimento,

suscitano

una

reazione

attraverso

il giuoco

di

una situazione scenica, attraverso un gesto allusivo, attraverso una intonazione polemica più che attraverso

una parola ed il suo significato letterale. E lo spettatore che sia nelle condizioni di spirito adeguate, raccoglie immediatamente il senso di quel linguaggio cifrato e gli risponde con la sua spontanea adesione stabilendo un dialogo. La storia del teatro italiano nel Risorgimento è la storia di questo dialogo sottile ed allusivo, del quale divengono via via partecipi assemblee sempre più folte. Da una parte la sensibilità degli spettatori si fa più pronta e più acuta; dall’altra gli scrittori e gli attori hanno più frequenti e più agevoli occasioni di pronunziare il loro messaggio. A renderlo intelligibile basta una sospensione, un accenno, un vago riferimento. Alcune opere teatrali sono divenute celebri; hanno assunto un valore emblematico nelle lotte del Risorgimento per una sola scena o per una sola battuta. E alcuni attori sono apparsi alla ribalta come il simbolo di una libertà sperata e contesa, qualunque fosse l’opera che recitavano, perchè il loro passato, la loro coerenza morale, la loro fede politica, la loro perseveranza in un repertorio intenzionalmente scelto, li rendeva portatori di un ideale oltre il limite delle ioro stesse interpretazioni. Le tragedie di Vittorio Alfieri offrono la dimostrazione più evidente di questo fenomeno per il quale un’opera o una persona divengono il pretesto per esprimere un significato che trascende la parola e che scaturisce direttamente dal rapporto fra il palcoscenico e la platea. Nell’intero arco storico del Risorgimento le tragedie dell’Alfieri sono continuamente rappresentate e via via si arricchiscono di un più profondo contenuto morale, soddisfano un’ansia più intensa dello spettatore, rispondono ad una sua richiesta più assillante e più urgente. E l’eloquenza che da queste tragedie promana sempre più calda e copiosa, ha varie fonti. Anzitutto essa deriva dal tema fondamentale al quale le tragedie stesse si ispirano : la lotta titanica dell’individuo anelante la libertà contro il tiranno. I sentimenti talvolta contrastanti di rivolta, di riscatto, di orgoglio, di dignità, di esasperazione,

di insofferenza,

di giustizia,

che

confluiscono

nell’azione

risorgimentale,

hanno in questo tema alfieriano un minimo denominatore comune. Nel 1880 Giacomo Zanella scriveva: « La gloria di Alfieri è più gloria di uomo che di scrittore. In ogni tragedia ha messo il fuoco della sua passione politica, ha versato nella folla i suoi odii, le sue speranze, i suoi sogni; predicando una libertà vaga, indeterminata, che ognuno poteva foggiarsi a suo senno, si conquistò l’amore di tutti i partiti, sia che aspirassero alle forme repubblicane di Atene e di Roma, o al più temperato ordinamento della costituzione britannica. «Libertà, fonte in me di caldi accenti», grida in un sonetto; e niuno scrittore al mondo fece per la libertà del suo paese quel che ha fatto l’Alfieri » (1). V'era poi il temperamento del poeta aspro, scontroso, volitivo, perennemente atteggiato ad un rifiuto della realtà contemporanea ; e v'era il suo linguaggio essenziale, contorto e severo: l’uno e l’altro si accordavano

con la condizione morale degli italiani, costretti

indicavano la soluzione la quale non poteva nascere

22

da innumerevoli

limitazioni

e quasi ne

se non da un tenace sforzo di tutte le volontà.

La dimora avita, dove Vittorio Alfieri visse ad Asti l’inquieta giovinezza, sì è rivelata in anni recenti un suggestivo scenario per la rappresentazione delle sue tragedie: nel 1959 il regista Gianfranco De Bosio vi ha allestito l’Antigone. La maison passa

natale de Vittorio Alfieri, où le poète une

jeunesse

tourmentée,

est devenue

un poétique décor pour la représentation de ses tragédies: en 1959, Gianfranco De Bosio y a mis en scène Antigone.

Vittorio Alfieri’s ancestral home at Asti, where he spent his restless youth, has proved to be a characteristic setting in recent years for performances of his tragedies: in 1959 Gianfranco De Bosio, the director produced Antigone there.



2 .)

Scriveva ancora Giacomo Zanella : « Nei giorni della Cisalpina e di Eugenio Beauharnais il verso di Alfieri era l’unico della nazione... La libertà predicata da lui affaceasi mirabilmente agli intelletti dei giovani sdegnosi di ogni freno: l’odio de’ tiranni generò le congiure contro lo straniero, e da queste congiure scoppiarono, come fiamme a lungo compresse, e divennero popolari le idee della indipendenza e dell'unità della patria. « Dall’Alfieri nacque Ugo Foscolo, da questo il Mazzini, che suscitarono le giovani forze più tardi raccolte in un fascio dal genio calcolatore di Camillo Cavour, che rappresenta coll’Alfieri quanto ha di più generoso e di più saggio la mente italiana » (2). Il 22 settembre 1796, per celebrare il principio del V anno della Repubblica Francese, la Virginia di Vittorio Alfieri è recitata alla Canobbiana di Milano. Fra gli spettatori, che durante gli intermezzi danzano in platea la « Carmagnola », sono Napoleone e Giuseppina Bonaparte. Durante la Repubblica Cisalpina le tragedie alfieriane più rappresentate sono quelle di argomento repubblicano. Nel 1799, al Teatro del Fondo di Napoli nel Bruto si rivela Paolo Belli Blanes, che doveva divenire uno dei più acclamati interpreti della Virginia, della Mirra, dell’Oreste, dell’Agamennone, del

Saul.

Negli anni seguenti tutte le tragedie dell’Alfieri sono recitate, qualunque ne sia l'argomento. Il nome dell’autore basta a conferire alla rappresentazione un’intonazione polemica. Giuseppe Mazzini ricorda l’opera del poeta astigiano nel suo saggio sul « Dramma storico »; Vincenzo Gioberti nei « Prolegomeni al Primato ». E infine, nel 1855 Adelaide Ristori trionfa a Parigi nella Mirra, riscuotendo gli elogi di George Sand, di Théophile Gautier, di Alfred de Musset, di Alexandre Dumas. E il Conte di Cavour, che aveva sostenuto e incoraggiato quelle recite, si compiace del successo dal quale è sottolineata ancora una volta la presenza del problema italiano (3). La proclamazione della Repubblica Cisalpina, sull'esempio francese, provocò anche in Italia l’improvvisa fioritura di un teatro giacobino violentemente polemico. E’ un altro segno della immediata partecipazione della letteratura e della vita teatrale agli avvenimenti, anche se si tratta di una partecipazione politicamente preordinata. Le opere, che obbediscono ad esigenze contingenti, sono tutte mediocri ; svolgono in forma esteriormente didascalica le tesi rivoluzionarie e democratiche più generali. Le invettive contro la nobiltà, in questi drammi frettolosamente raffazzonati, sono d'obbligo come gli elogi di Napoleone. La Rivoluzione, commedia per la prima volta rappresentata a Bologna nel 1796, si conclude con un coro declamato da tutti i personaggi intorno all’« Albero della libertà » : Sorgi felice pianta — sorgi beato segno, Caro ed eterno pegno — di nostra libertà. A’ piedi tuoi sospira — l’avaro Campidoglio, Per te l'antico orgoglio — l’Istro più non avrà.

24

L’attore Memo Benassi interprete di Saul con Lilla Brignone. La tragedia è stata rappresentata nel 1952 sul Sagrato della Basilica di S.M. Assunta di Carignano a Genova.

L’acteur Memo Benassi, interprète de Saul, avec Lilla Brignone. Cette tragédie a été représentée en 1952 sur le

parvis de l’Eglise de l’Assomption

de Carignano, a Génes. Memo

Benassi

in the name

part of Saul

with Lilla Brignone. The tragedy was performed in 1952 in the square before the Basilica of Santa Maria Assunta di Carignano in Genoa.

Per te fra sponde anguste — l’Eridano e la Dora Piangono mesi ognora — la lor temerità. Il traditor Britanno — per te dalla vicina Estrema sua rovina — come fuggir non sa. Dell’Adria nel seno — per te di cento e cento Tiranni in un momento — cessò la crudeltà. Per te d’Esperia il suolo — risuona in ogni parte Evviva Buonaparte — viva la libertà! (4) Il calabrese Francesco Saverio Salvi, nell'anno

ianti del popolo di Brescia la sua tragedia Virginia

VI della Repubblica

Francese

dedica

ai rappresen-

bresciana, maledicendo al re di Napoli che lo aveva

costretto all'esilio. La Virginia bresciana è Scomburga, figlia di Durunduno, che Ismondo, inviato dall'imperatore Carlo Magno a saccheggiare la città di Brescia, tenta di violare. Per impedire questo scempio Durunduno

uccide la figlia ed è poi ucciso; ma il popolo insorge e sopprime Ismondo, rivendicando la libertà che le è finalmente concessa dall’imperatore (5). Il teatro giacobino è un fenomeno di imitazione strettamente legato alla prima occupazione napo-

26

Due scene

di E. Guglielmetti per il Saul di Vittorio Alfieri (1954).

Deux

décors

d’E. Guglielmetti, pour Saul de Vittorio Alfieri (1954).

Two of E. Guglielmetti’s sets for Saul by Vittorio Alfieri (1954).

1 di

leonica durata dal 1796 al 1799. Stroncato dalla reazione esso non si rinnova quando nel giugno del 1800 il regime francese si ristabilisce in Italia con la vittoria di Marengo. Il più profondo risveglio morale degli italiani è sollecitato principalmente dall’influenza della tragedia alfieriana e dalla sua fortuna connessa con le alterne vicende degli avvenimenti politici, ma dotata anche di un’autonoma forza di espansione. Quando nei primi anni del secolo appare più chiaramente ai patrioti che l’ideale dell’indipendenza italiana non è un fine, ma un mezzo della politica napoleonica nella penisola, l'opera di Vittorio Alfieri ritorna ad essere uno dei punti di riferimento essenziali nella tradizione nazionale. L'Alfieri nella sua « Risposta al Calsabigi » aveva affermato che « gli uomini debbono imparare a teatro ad essere liberi, forti e generosi, trasportati per la vera virtù, insofferenti di ogni violenza, amanti della patria, veri conoscitori de’ propri diritti, e in tutte le passioni loro ardentissimi, retti e magnanimi ». Questa concezione

del teatro, improntata ad un

nobile ideale di azione morale, si manifesta in non

poche opere che, pur esprimendo fedelmente le più vive ed urgenti scono in un'atmosfera più elevata e duratura di passione civile.

aspirazioni

del tempo,

le trasferi-

Nel 1802 è rappresentata per la prima volta nel Teatro patriottico di Milano la tragedia Cajo Gracco di Vincenzo Monti. La figura del tribuno romano vi è rievocata in una prospettiva polemicamente attuale. Mario Fulvio, amante della sorella di Cajo Gracco, ne uccide il marito, e il console Opimio che intende sopprimere le libertà conquistate dalla plebe, quando Cajo Gracco che ne è il valido sostenitore ritorna da Cartagine, rigetta su di lui la colpa del delitto. Il Senato accusa Cajo Gracco il quale si uccide con il pugnale che .gli è offerto dalla stessa madre.

La tragedia è continuamente percorsa da scoperte Cajo lancia un'invettiva contro

allusioni

alla realtà

dell’Italia

contemporanea.

.. que’ tristi che, per vie di sangue Recando

libertà, recan

catene,

Ed infame e crudel più che il servaggio Fan la medesima libertà...

e con orgoglio si attribuisce il merito di aver unificato l’intera Italia nella cittadinanza romana.

Gli spettatori della prima rappresentazione raccolgono queste allusioni con ovazioni entusiastiche. Il poeta riceve la promessa di un premio governativo per ogni nuova tragedia che avesse composta. Ma al successo dello spettacolo non è estranea la sensibilità che l’opera dimostra, sia pure per accenni fugaci, alla delusione suscitata dalla stessa politica napoleonica. Gli anni passano e quelle invettive contro il dispotismo e contro la tirannide, che nel segno della libertà rivoluzionaria avevano accompagnato l’affermazione di Napoleone Bonaparte, si ritorcono gradatamente contro di lui. Si delinea sempre più nettamente l’ideale di una libertà integralmente italiana. Il sentimento della libertà si fa concreto, si adegua intimamente alle particolari condizioni della situazione politica italiana ed il teatro contribuisce in maniera determinante a questa evoluzione.

Nel 1804 Ippolito Pindemonte pubblica la tragedia Arminio : in essa è rappresentato l’urto della tirannide contro la libertà nel cuore di una famiglia. La libertà vi è appunto concepita come libertà patria e non più come idea astratta e come generico comandamento

di un codice universale.

La vicenda si svolge nel mondo barbarico. Arminio, che ha condotto la rivolta dei popoli germanici contro l’imperatore Tiberio, vuole divenire signore delle sue genti. Ma questa aspirazione tirannica gli è contrastata dallo stesso figlio Baldero e dal guerriero Telgaste, che è innamorato di Velante, anch'essa figlia di Arminio.

Per non combattere contro il padre, Baldero si uccide. Telgaste, per scagliarsi contro rinunzia all'amore di Velante e così giustifica la sua decisione:

28

il tiranno,

Due personaggi del Saul, David e Micol, interpretazione degli attori Enrico Maria Salerno

nella

e Valentina

Fortunato

(1954).

Deux personnages de Saul, David et Micol, dans l’interprétation d’Enrico Maria Salerno et de Valentina

Fortunato

(1954).

Two characters from Saul. David and Micol, as played by Enrico Maria Salerno and Valentina

Fortunato

(1954).

24

.- Ogni altro affetto Tace in un sano cor, se il patrio parla: L'innato della vita amor pur tace.

- In un combattimento fra i seguaci della tirannide ed i sostenitori della libertà Arminio è mortal. mente colpito e, spirando, si ravvede. A Telgaste, in questo estremo pentimento, egli affida non solo la figlia, ma anche il suo pugnale: ...Tua

Sia pur Velante. Un uom divino in Contempla, o figlia, e di tua sorte Genero, a te il mio brando. E’ ver, Sangue civil; ma per la patria il

lui godi. che il macchia tergi

5

Tu nel sangue nemico, e tu l’emenda.



Ed il coro finale così riassume il senso della tragedia:

t

i

Dalla breve tirannia,

Che turbò queste contrade Ecco sorger libertade Più gradita e bella più. Ma durare, o patria mia, Sol potrà co’ tuoi costumi. Temi sempre, o patria,

tt; :

iNumi;

»

Ama sempre la virtù. Quale diverso senso di ritorsione possano assumere, in esset

politica, le stesse opere n ae

magia di eetratseno e di speranza ratotu becioio dll i | evidente dalle vicende del Tieste, la prima tragedia del giovanissimo Ugo Foscolo.

a,

I Li ma

Una scena della tragedia La Congiura de’ Pazzi, che Vittorio Alfieri compose tra il 1778 e il 1781 «con una febbre frenetica di libertà » : gli attori sono Vittorio Sanipoli e Giulio Bosetti (Asti 1958).

Une

scène de la tragédie La Congiura de’ Pazzi. que Vittorio Alfieri composa entre

1778

et 1781,

« dans

une

fièvre frénétique de liberté » : les acteurs sont Vittorio Sanipoli et Giulio Bosetti (Asti 1958). A scene from the tragedy La Congiura de’ Pazzi which Vittorio Alfieri wrote between 1778 and 1781 «with a feverish frenzy for freedom » : the actors are Vittorio Sanipoli and Giulio Bosetti ( Asti 1958).

della tragedia entusiasmarono i giovani. Nella sua « Vita di Ugo Foscolo » il Pecchio testimonia che « del suo Tieste si valse il Foscolo come di un travestimento per avventurare alcune verità politiche » e che queste verità « quantunque velate, svegliarono la cent'occhiuta polizia ». Il clima di Venezia era rovente. Divenivano sempre più numerosi gli epigrammi contro il governo

(99)

che, mormorati diceva:

dall'uno

all’altro, circolavano

senza tregua. Al giovane poeta se ne attribuiva uno che

Son parrucconi di cervello privi Come conchiglie del museo d'’Olivi. Infatti nell'aprile dello stesso anno Ugo Foscolo, ammonito dall’Inquisizione, era costretto a partire da Venezia e si trasferiva a Bologna, dove si arruolava volontario nei Cacciatori a cavallo della Repubblica Cispadana. Ed a Bologna pubblicava, a coronamento del Tieste, l'ode « a Bonaparte liberatore ». Più di un decennio dopo, nell’agosto del 1808 il Tieste è rappresentato nel Teatro Carcano di Milano dalla compagnia di Salvatore Fabbrichesi, avendo ancora come protagonista Anna Fiorilli Pellandi. Ed in questa occasione il Tieste diviene oggetto di una corrispondenza fra il Ministro dell'Interno e il Direttore Generale della Polizia. Ii Ministro dell’Interno chiede « se sussiste che siansi rappresentate nel Teatro Carcano delle pezze (pièces) contenenti delle allusioni e dei tratti molto offensivi pel nostro Governo ». Il Direttore generale della Polizia risponde: « Niente, per quanto mi consti, si è mai esposto in pubblico spettacolo sopra le scene, sorvegliate dalla Polizia, che preventivamente non sia stato sottoposto all'esame dell’Uffizio della Libertà della Stampa, e da esso non ne abbia riportato la permissione... Ma rispetto ai teatri la cosa riesce d’un assai riflessibile difficoltà, non tanto per colpa dei drammi, quanto perchè fra quelli che concorrono agli spettacoli, alcuni sembrano non aver altra mira che quella di stillarsi il cervello per trovar, pure col sacrificio e ad onta di ogni buon senso, qualche maligna applicaZiIonco

A conclusione di questa corrispondenza la rappresentazione del Tieste è vietata (7). Un'opera, scritta appena un decennio prima quasi per salutare l'ingresso di Napoleone in Italia, è censurata ed interdetta dalla polizia napoleonica. Negli anni intercorsi la politica francese da una parte si era rivelata nei suoi reali interessi; ma d’altra parte gli spettatori avevano acquistato una capacità di reazione che di ogni opera rappresentata poneva polemicamente in risalto gli elementi che potevano riferirsi alla nuova situazione. Ed in questo attivo rapporto fra il palcoscenico e la platea, in questo « stillarsi il cervello » per scoprire di ogni dramma « qualche maligna applicazione » consiste l'elemento più aggressivo di partecipazione del teatro alla realtà operante del Risorgimento. Le opere appaiono via via in una luce nuova e diversa, come organismi che si sviluppino e crescano insieme con la storia, e gli spettatori, per il fatto di riunirsi in una sala, si inseriscono sia pure marginalmente, ma positivamente,

in quel processo,

del quale i cospiratori,

gli uomini

di azione, i condottieri

politici sono al centro. Una rete sottile ed invisibile lentamente avvolge tutta la penisola e la polizia non riesce a sciogliere la trama. La lettera dei drammi non è di per sè oggettivamente censurabile, nè sono

Da

Vittorio Gassman è l’attore alfieriano per antonomasia del teatro italiano contemporaneo: egli è stato il protagonista dell’Oreste in tre diverse edizioni della tragedia dal 1949 al 1957. Vittorio Gassman est l’interprète d’Alfieri par excellence, dans le théatre italien contemporain; il a été le protagoniste d’Oreste, dans trois versions différentes de cette tragédie, entre 1949 et 1957.

Vittorio Gassman is the Alfierian actor par excellence of the contemporary Italian theatre: he has starred in three different version of Oreste between 1949 and 1957.

imputabili gli spettatori per le loro manifestazioni di consenso e per i loro applausi. Priva di precisi elementi di riferimento, la polizia deve avventurasi nel problematico processo alle intenzioni. In questo giuoco, che è arduo ricostruire in tutti i suoi particolari momenti, si spiega il fascino straordinario esercitato da alcuni attori, l’importanza politica e morale che assunsero. Nel pericoloso e delicato giuoco essi costituiscono un elemento fondamentale. Com'è nel caso del Tieste, ripropongono una tragedia che per i suoi precedenti appare inattaccabile, in una mutata situazione politica che viceversa la rende polemica in un senso nuovo, e con la loro recitazione sottolineano quelle parole, quei versi, quei gesti che per forza degli eventi si sono caricati di un impulso critico.

33

Anche la seconda tragedia di Ugo Foscolo, l’Ajace, rappresentata alla Scala di Milano il 9 dicembre 1811, ormai non si sottrae alla sorveglianza della polizia. Si insinua che nel tiranno Agamennone sia raffigurata la ingannevole prepotenza di Napoleone, in Ajace il congiurato Moreau o addirittura lo stesso autore, in Ulisse il Ministro Galcante Pio VII.

della polizia Fouché

e in

Il 15 dicembre, con una circolare del Ministro dell'Interno, la tragedia è proibita non solo a Milano ma in tutto il regno (8).

Il poeta non ha mai riconosciuto che le allusioni vedute nell’Ajace fossero intenzionali. Ma ad ogni modo la tragedia non è più rappresentata e il Foscolo, certamente per invito della polizia, abbandona Milano. Si accende intanto la polemica fra i seguaci del classicismo ed i sostenitori del nuovo romanticismo. E’ una polemica europea che, estendendosi anche all’Italia, riflette le particolari condizioni politiche della Nazione. Quando, in seguito al tramonto della potenza napoleonica, si ristabiliscono le antiche supremazie, il classicismo

conservatore

diviene l'insegna di coloro che sostengono la restaurazione, mentre il roman-

ticismo, sovvertitore delle regole tradizionali, raccoglie nelle sue fila le nuove generazioni ribelli ai vincoli, non soltanto letterari, del passato. Ma, soprattutto nell’ambito del teatro, non sempre le distinzioni sono altrettanto nette. Il massimo esponente dello spirito classico nella letteratura drammatica è, infatti, Vittorio Alfieri, che è insieme

un banditore della libertà nazionale ed un premonitore del « pathos » romantico. Classicismo e romanticismo,

sulle scene,

non

di rado si incontrano,

trovando una base comune in quella più o meno scoperta

glorificazione degli ideali patriottici, che dalla caduta del Regno Italico fino al 1848 costituisce il carattere dominante della letteratura drammatica italiana più viva. Lentamente si elabora un tipo di tragedia, che può essere appunto definita « risorgimentale ». Subendo in maniera sempre più profonda l’influenza della polemica romantica, che distrugge il mito classico delle unità drammatiche e risveglia l'interesse per i temi di contenuto nazionale, questa tragedia si ispira alle vicende storiche del Medio Evo o del Rinascimento italiano. E fra le vicende, naturalmente, presceglie quelle che meglio si prestano ad una ricostruzione attuale, mettendo in rilievo la remota aspirazione del popolo all'indipendenza dallo straniero. Largo posto hanno in questa nuova letteratura drammatica i personaggi divenuti famosi per la rievocazione che ne ha fatto Dante nella « Divina Cominedia »: Dante è il poeta nel quale si riassumono durante l’intero Ottocento tutti i valori del sentimento nazionale e le sue creature appaiono sempre, sia pure indirettamente, come simboli e trasfigurazioni di questo sentimento.

La prima tragedia risorgimentale è infatti la Francesca da Rimini del ventiseienne Silvio Pellico. Rappresentata per la prima volta nel Teatro Re di Milano il 18 agosto 1815, Francesca da Rimini,

34

a pag. 35: la fosca reggia del tiranno nell'edizione dell’Oreste di Vittorio Alfieri allestita dal regista Luchino Visconti nel 1949,

a la page 35: la sombre demeure du tyran, dans l’édition d’Oreste d’Alfieri que mit en scène Luchino Visconti en 1949.

on page 35: the tyrant's gloomy palace in Luchino Visconti's version of Oreste (1949),

che ha come protagonista Carlotta Marchionni, ottiene un successo calorosissimo e, recitata in tutti i maggiori teatri d’Italia, dà una rapida fama al giovane autore. Fra gli elementi determinanti del successo è non soltanto l’interpretazione pateticamente romantica della favola dantesca, che nello spirito del tempo riveste di per sé un significato polemico, ma anche la conseguente presenza di un’allusione alle condizioni dell’Italia. Nel primo atto Paolo, che ritorna dall’Asia, dice al fratello:

Per chi di stragi si macchiò il mio brando? Per lo straniero. E non ho patria forse Cui sacro sia dei cittadini il sangue? Per te, per te che cittadini hai prodi, Italia mia, combatterò se oltraggio Ti muoverà la invidia. E il più gentile Terren non sei di quanti scalda il sole? Polve d’eroi non è la polve tua? Il Brofferio commenta: « Bastava quella breve apostrofe all'Italia per agitare tutte le platee e scaldarle di entusiasmo di libertà e di indipendenza: due parole che nel discorso non erano, ma che da tutti venivano

36

sottintese » (9).

Vittorio Gassman, interprete e regista, ha allestito nel 1951 l’Oreste di Vittorio sottolineandone

(L'altro

attore

il contenuto

è Raoul

Alfieri,

preromantico.

Grassilli).

Vittorio Gassman, interprète et metteur en scène, donna en 1951 Oreste de Vittorio Alfieri en ne soulignant particulierement le caractère pré-romantique. (L’acteur prés de Gassman est Raoul Grassilli). Vittorio Gassman, actor and director, produced Vittorio Alfieri°s Oreste, stressing its preromantic content. (The other actor is Raoul Grassilli).

La seconda tragedia composta da Silvio Pellico prima della condanna e della prigionia, Eufemio da Messina, non vede le luci della ribalta. La censura ne vieta la rappresentazione, definendola offensiva per la religione e soverchiamente « atroce ». Ma i motivi addotti sono evidentemente un espediente per impedire che risuoni sulla scena un’apostrofe all'Italia simile a quella contenuta nella Francesca da Rimini.

Eufemio da Messina racconta una fosca storia d'armi e d'amore accaduta durante l'invasione Saraceni in Sicilia, intorno all’830, ma il protagonista, con un chiaro riferimento all'occupazione

dei au-

striaca, nel quinto atto pronunzia queste parole:

..ignoto affetto Evvi l'amor che per la patria in core Eterno serba ogni europeo. Dagli avi

Questo affetto eredammo : in noi lo nutre La domestica istoria, e ad ogni passo Un monumento degli eroi che furo; E lo spirto che in noi ferve assetato Di fratellevol libertà e d'amore, Nulla estinguerlo può. Siederà il Moro Dominator di queste piagge indarno;

37

Addormentar con l'ignoranza e il ferro E il torpor de’ suoi barbari costumi Egli vorrà la conquistata gente; Ma folle speme fia la sua; segrete Sì, converranno, ma immortai le fiamme D’amor patrio e di gloria, e più tremende Quanto

più ascose...

Nel carcere Silvio Pellico aveva composto tre tragedie, Ester di Engaddi, Iginia d’Asti e Leoniero da Dertona.

La prima, insieme

con un’altra

tragedia dello

stesso

autore,

Gismonda

da Mendrisio,

è compresa

nel repertorio della Compagnia reale sarda per l’anno 1832. I copioni delle due opere sono consegnati personalmente da Silvio Pellico alla prima attrice, che è Carlotta Marchionni. « La prima rappresentazione di Ester — ricorda G. Costetti — fu una serata indimenticabile, si festeggiava il ritorno di Silvio. E la tragedia si prestava a far più solenni le manifestazioni; essendo sembrato al pubblico che il carattere del tristo pontefice Iefte fosse un guanto di sfida a Roma e al Papato » (10). « Non solo — aggiunge il Brofferio — si applaudivano tutte le scene con prolungata insistenza, ma il suo nome si udiva proclamare con mille salutazioni, e le donne dai loro palchetti sventolavano bianchi fazzoletti in segno di congratulazione al liberato prigioniero » (11). La tragedia rappresenta l’estrema difesa di una tribù di ebrei scampati allo scempio di Gerusalemme in una valle inaccessibile. Due religioni sono in lotta, il giudaismo e il paganesimo, mentre tra i profughi germoglia il Cristianesimo. Anche in Ester di Engaddi gli spettatori contemporanei scorgono allusioni polemiche ; ma l’entusiasmo con il quale l’opera è accolta è soprattutto una manifestazione di riconoscente affetto verso lo scrittore che aveva duramente scontatola sua fede patriottica. Ancora una volta il teatro e la vita si incontrano. Lo spettacolo è l'occasione attraverso la quale la folla oppressa può manifestare i propri sentimenti. « Indimenticabili pure furono — ricorda il Costetti — le accoglienze fatte alla Gismonda tragedia di assai meglio fattura che la prima, e che alle dimostrazioni del pubblico si prestava ancor più, per l'odio che dentro ispira contro il Barbarossa e gli Imperiali. Tutti in piedi gli spettatori, comprese le signore ne’ palchi. Non si applaudiva più, si urlava. I fazzoletti sventolavano come bandiere, i fiori piovevano sulla scena addosso alla Marchionni, a Ferri, alla Fabieti.. » (12).

38

I due volti dell’eroe risorgimentale nell’Oreste di Vittorio Alfieri: l’ira contro il tiranno e (alla pagina seguente) il dolore della libertà perduta. Vittorio Gassman e Elena Zareschi,

(1957).

Les deux expressions du héros du Risorgimento dans Oreste, de Vittorio Alfieri: la colère contre le tyran et (a la page suivante) la douleur de la liberté perdue.

Vittorio Gassman Elena

Zareschi,

et

(1957).

The two faces of the Risorgimental hero in Oreste by Vittorio Alfieri: fury against tyranny and (on the following page) grief for lost freedom. Vittorio Gassman and Elena

Zareschi,

(1957).

39

In tutte le tragedie scritte da Silvio Pellico in carcere aleggia una aspirazione all’unità ed alla libertà dei popoli. In /ginia d’Asti, pubblicata nel 1831 insieme con Ester di Engaddi lo sfondo della vicenda è costituito dalla lotta fra i Guelfi e i Ghibellini ; in Leoniero

da Dertona ancora una volta sono

rappresentate le discordie civili nel Medio Evo per ricordare « l’uopo che la società ha di mutua indulgenza e di sincere riconciliazioni fra i buoni ».

Nelle successive opere teatrali di Silvio Pellico, che durante la prigionia aveva subito una profonda

trasformazione spirituale, doveva divenire dominante un altro tema, quello della rassegnazione cristiana, che gli italiani, impegnati nella lotta per l'indipendenza non potevano in quel momento sentire con eguale intensità. Ed infatti l'entusiasmo delle serate del 1832 non si sarebbe più rinnovato : Silvio Pellico si era ormai sottratto al colloquio ed un’altra sua tragedia, Corradino, rappresentata dalla stessa Compagnia reale sarda nel 1835, fu addirittura fischiata.

40

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la sera del è 5;gernajo 1870.

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Donna

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gentil su questa scena apparve,

Onde

ognor l'alma si rammenta e gode,

Che il ver porgendo sotto infinte larve Scosse le menti, e n'ebbe applauso e lode.

E quella stessa poco indi riapparve, Ed intuonar soàve

un canto

s'ode:

Stupì ciascun; chè quasi un sogno parve

Quella voce sentir sciolta in melode.

Un sonetto che glorifica Maria

Internari

(1870);

all’attrice sono attribuite queste parole: « Son figliuola d’Italia... ».

Chi sei tu dunque il cui genio si pasce Del doppio arringo alla difficil scola, .E donde tal virtude in te venìa?..

— ‘Son figliuola d'Italia, ove chi nasce Porta il bello nel cor, e la parola È per se stessa un canto, un' armonia. —

on

Un sonnet en l’honneur de Maria Internari (1870); attribue à l’actrice les mots:

La Presidenza

«Je suis fille d’Italie... ». A sonnet glorifying Maria

the actress

Internari

is attributed with

(1870):

these words:

«I am Italy's daughter... ».

Belluno

Tip. Tissi

41

ARENA DEL SOLE

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Per il giorno di MARTEDI 4 Aprile 1848.

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RICONOSCENZA

AI MARTIRI

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10 Aprile 1858.

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che rappresentano le 47 Rivoluzioni d’ Italia, e i Nomi illustri dei Martiri che diedero

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During the 1848 « liberty season » the theatre becomes a political platform.

Un creatore della tragedia risorgimentale è anche Giovanni Battista Niccolini, banditore sulle scene di un liberalismo laico e repubblicano, scrittore tanto infiammato e violento quanto il Pellico era patetico e sommesso. Il Niccolini compie le sue prime esperienze teatrali nel rispetto del classicismo che è più consono con il suo temperamento. Ma dopo il Nabucco, che è pubblicato

anonimo

a Londra,

lo scrittore diviene

sempre più arrendevole all'influenza romantica, guardando al passato con lo spirito inteso alla lotta politica contemporanea. Già nel Nabucco, del quale lo stesso autore ha lasciato una « chiave » per l’esatta intelligenza della vicenda, i personaggi raffigurano i protagonisti dell’epilogo napoleonico. Gli Assiri, pavidi e discordi, si sottomettono a Nabucco dopo aver giustiziato per ansia di libertà il mite sovrano al quale erano precedentemente soggetti. Nabucco trascina il suo popolo in un turbine di guerre vittoriose. La Fenicia tenta di sollevare contro di lui gli Stati dell'Asia. Il desposta li sgomina dopo averli divisi. Occupa Susa, capitale della Media, e obbliga il re Dario a concedergli la mano della figlia Amiti. Ma Nabucco muove verso la sua rovina, quando decide di piegare anche la Scizia, dove invece le desolate pianure ricoperte di neve elevano contro il suo esercito una invalicabile e rovinosa barriera. Nabucco è Napoleone ; Amiti, Maria Luisa ; la Fenicia, l'Inghilterra ; la Media, l’Austria e così via... Ma nelle opere seguenti l'adesione del Niccolini al dramma della realtà italiana si fa ancora più intima. La tragedia Giovanni da Procida, che è rappresentata con grande successo a Firenze nel gennaio del 1830, suscita la preoccupazione dei governi, provoca incidenti diplomatici che ne determinano la proibizione fino al 1847. Persino un pretesto teatrale tipicamente romantico, la passione amorosa che unisce un fratello e una sorella i quali ignorano di essere consanguinei, serve al Niccolini per svolgere un tema patriottico. Davanti alla tomba del figlio, Giovanni da Procida dice:

TO}igelio: Or che l'Europa a vendicarti io corsi, E che dell’odio mio l'Europa è piena, Sia presso al tuo sepolcro il mio riposo. Io qui siedo, e non piango ; oh quanto devi A quest'avello, o patria! Esso mi diede Quella costanza di voler feroce Che fa via degli ostacoli, s’inoltra Lieto fra i rischi, e mai si volge indietro. Ira di cittadino, amor di padre,

E lunghi voti dell’Italia oppressa

43

Procida ha seco, e gli si infiamma il petto Alla memoria d’un’antica offesa, Ma sì crudel che, vendicata, ancora

Tacer le dee... La vicenda di Giovanni da Procida si svolge in Sicilia all’epoca del Vespro; ma il linguaggio è così immediatamente attuale non soltanto nel suo contenuto, ma anche nella sua forma, che si comprende come gli spettatori siano indotti a raccogliere nella tragedia anzitutto le sue chiare e ripetute allusioni politiche. Nella stessa opera è contenuta l’invettiva destinata a divenire famosa: ..Antica

Una legge d’amore

e santa

in cor di tutti

Quella mano segnò che mai non erra;

Ma l’oppressor la offende il primo: Ripassi l’Alpi, e tornerà fratello.

il Franco

Di Gian Battista Niccolini nel 1843 è edito a Marsiglia e a Capolago, l’Arnaldo da Brescia dove l’agitatore che attraverso la rivolta si propone di costituire una repubblica popolare, è raffigurato come un martire della libertà contro la tirannide imperiale impersonata da Federico Barbarossa e quella papale impersonata da Adriano IV. L’Arnaldo da Brescia, per questa tesi che è alla base della sua aspirazione, è considerato come lo « antidoto » del « Primato morale e civile degli Italiani », di Vincenzo Gioberti, che è per la prima volta pubblicato in quello stesso 1843 a Bruxelles, vaticinio di un’Italia futura restituita alla sua autonomia di vita ed alla sua missione di civiltà sotto la guida della Chiesa e del Papato. Non pochi esemplari dell’Arnaldo da Brescia, stampati oltre frontiera, pervengono anche in Italia e si diffondono clandestinamente fra i patrioti di spiriti repubblicani, che considerano quell’opera come un prezioso breviario (13). L'attività dello scrittore si conclude fiaccamente, ma coerentemente nel 1858 con la tragedia Mario e i Cimbri, dove in Mario è simboleggiato l’auspicato liberatore dell’Italia. Così parla infatti, il guerriero romano : ...E questo giorno

Or sia principio della tua grandezza, O patria mia: barbarico torrente Non più vedrai precipitar dall’Alpi;

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E di gloria sarà, non di salute, Guerra con te, grande non sol, ma prima.

«Il dì s'appressa Che alla vendetta delle antiche offese Sorgano tutti, e che dir possa ognuno: I barbari son vinti, e sempre chiuse

Rimangon

l'Alpi...

La tragedia Mario e i Cimbri è da Gian Battista Niccolini dedicata all'attore Gustavo Modena, che delle sue opere è stato uno dei maggiori interpreti. L'espressione liricamente più alta è data alla tragedia risorgimentale da Alessandro Manzoni, dal quale gli ideali romantici e quelli nazionali sono rivissuti alla luce della fede cattolica. Mentre Silvio Pellico e G.B. Niccolini con le loro stesse opere si pongono, senza preoccupazioni metafisiche, nel vivo della lotta politica, il Manzoni tende ad una rappresentazione che, pur ispirandosi alla realtà, si sforza di trascenderla in una superiore visione del destino umano. Per questo le sue tragedie, I! Conte di Carmagnola e VAdelchi, suscitano una viva delusione in alcuni patrioti più direttamente impegnati nell’azione. Alessandro Manzoni è al di sopra della mischia. Il teatro risorgimentale, anche quando è mera oratoria spoglia di ogni afflato poetico, nasce da un impulso di entusiasmo sostanzialmente ottimistico, cioè dalla sottintesa speranza che il popolo italiano, del quale si depreca la schiavitù e si addita la sventura, possa risollevarsi dalle tristi condizioni nelle quali è caduto.

La visione della vita, nella quale il Manzoni rievoca le tragiche vicende del Conte di Carmagnola e di Adelchi, è invece pessimistica per quanto riguarda la realtà della storia. Il Conte di Carmagnola, dopo aver sposato la figlia di Filippo Maria Visconti, passa al servizio della Repubblica Veneta sua nemica. Conquista la vittoria di Maclodio ; ma, ingiustamente sospettato di tradimento, è processato e il 5 maggio 1432 decapitato. Soltanto nella solitudine della sua ultima prigionia il fiero capitano di ventura, che era stato accecato dalla potenza, si eleva ad una serenità cristiana e, sco-

prendo la vanità delle ambizioni terrene, accetta come una liberazione l’ingiusta morte. Non diversamente Adelchi, che accanto al padre Desiderio è costretto a combattere una guerra nella quale non crede, ritrova la propria libertà morale, quando ferito a morte e prigioniero, nel distacco da ogni interesse mondano, può attingere il vertice della fede. Ai potenti, che con la violenza muovono la ruota della storia calpestando ogni diritto e ogni sentimento, si oppongono nelle due tragedie i deboli, gli umili, gli oppressi, i vinti, che però nell’oscurità e nel patimento, sono più vicini alla verità. La speranza di un riscatto mondano, di una rivincita terrena è esclusa. Esclama Adelchi, vicino ormai alla morte :

Due celebrati interpreti Paolo

delle tragedie risorgimentali: Belli Blanes e Anna Fiorilli Pellandi,

che nel 1796 impersonò

Erope

nella prima tragedia di Ugo Foscolo, Tieste. Deux célèbres interprètes des tragédies du

Risorgimento: Paolo Belli Blanes et Anna Fiorilli Pellandi, qui en 1796 campa le personnage d’Erope, dans la tragedie Tieste, la première d’Ugo Foscolo.

Two famous interpreters of Risorgimental tragedies: Paolo Belli Blanes and Anna Fiorilli Pellandi who in 1796 played Erope in Ugo Foscolo’s first tragedy, Tieste.

46

...loco a gentile, Ad innocente opra non v'è: non

resta

Che far torto, o patirlo. Una feroce Forza il mondo possiede, e fa nomarsi Dritto: la man degli avi insanguinata Seminò

l'ingiustizia;

i padri l’hanno

Coltivata nel sangue : e ormai la terra Altra messe non dù...

Le vicende del Conte di Carmagnola e dell’Adelchi, nella prospettiva di questa soluzione manzoniana del problema patriottico che Cesare Angelini ha definito « evangelica », svolgono un tema fondamentale: l’inutilità delle lotte fratricide e l'impossibilità di attendere la salvezza dal conquistatore straniero, che scaccia l’occupante sostituendosi a lui nella sopraffazione. Il Conte di Carmagnola è terminato nel 1820, l’anno in cui Silvio Pellico è ‘arrestato a Milano. L'Adelchi, dove gli Italiani appaiono ora servi dei Longobardi ora schiavi dei Franchi, è in parte composto nel 1821, quando la penisola, sgomberata dai Francesi, ritorna sotto la dominazione austriaca. Le due tragedie sono dettate da un sentimento patriottico che gli avvenimenti di quegli anni rendono urgente e che diviene eloquente soprattutto nei cori. La rievocazione della battaglia di Maclodio nel coro del Conte di Carmagnola è un malinconico canto nel quale, con sensibilità ottocentesca, è deprecata la divisione degli italiani:

Già le spade respingon le spade ; L’un dell'altro le immerge

nel seno;

Gronda il sangue; raddoppia il ferir.

Chi son essi? Alle belle contrade Qual ne venne straniero a far guerra?

Qual è quei che ha giurato la terra Dove nacque far salva, o morir? D’una terra son tutti: un linguaggio Parlan tutti: fratelli li dice Lo straniero: il comune lignaggio A ognun d'essi dal volto traspar. Questa terra fu a tutti nudrice, Questa

terra di sangue ora intrisa,

Che natura dall’altre ha divisa,

E recinta con l’alpe e col mar.

47

Ahi! Qual d'’essi il sacrilego brando Trasse il primo il fratello a ferire? Oh terror! Del conflitto esecrando La cagione esecranda qual'è? Non

lo sanno:

a dar morte,

a morire

Qui senz'ira ognun d’essi è venuto; E’ venduto ad un duce venduto,

Con lui pugna e non chiede il perchè. Nel primo coro dell’Adelchi il Manzoni riafferma con intimo vigore quella convinzione che, soprattutto dopo la dolorosa esperienza napoleonica, si era lungamente diffusa fra i patrioti: la necessità che gli italiani non attendano la libertà dallo straniero, ma la conquistino con le proprie forze:

Tornate alle vostre superbe ruine, All’opere imbelli dell’arse officine, Ai solchi bagnati di servo sudor! Il forte si mesce col vinto nemico, Col novo signore rimane l'antico, L’un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; Si posano insieme sui campi cruenti

D'un volgo disperso che nome non ha. Ma questi richiami, pur così intensamente sentiti, lasciano un senso di sconforto e di amarezza, per-

chè sono essi stessi pervasi da una sfiducia nella storia e nelle sue possibilità di soluzione. I patrioti cercano nel teatro una speranza, l’annuncio di un domani più propizio, che invece il Manzoni non promette. Ed infatti I! Conte di Carmagnola è rappresentato una sola volta nel 1828; l’Adelchi è messo in scena nel 1843 a Torino dalla Compagnia reale sarda; ma ambedue le tragedie sono accolte molto tiepidamente e non soltanto a causa della loro lentezza e della loro intonazione loro « animus » è assai diverso da quello ansioso ed euforico degli spettatori. Intorno ai tre maggiori fioriscono innumerevoli

lirica;

ma

perchè

il

altri scrittori teatrali, ripetendo tutti in diversa gui-

sa il medesimo schema di tragedia. Di Francesco Dall’Ongaro, mazziniano, compagno di cospirazione dell’attore Gustavo Modena, deputato alla Costituente romana del ’49, esule, diviene famoso /! Fornaretto, rappresentato per la prima volta dalla Compagnia reale sarda nel 1846.

48

Il teatro come

strumento

d’azione è l'ideale di Edoardo

Fabbri, convinto alfieriano ed ardente illu-

minista, che nel 1824 è accusato d’aver capeggiato una congiura per la liberazione ‘condannato all'ergastolo, dal quale è poi liberato durante i moti del 1831. Già in un discorso

sul « Teatro

educatore », tenuto nel marzo

delle

Romagne

e

del 1798 al Circolo costituzionale

di

Milano, egli aveva sostenuto quei principi ai quali doveva poi ispirarsi con coerenza tutta la sua opera. Il Fabbri scrive vari drammi per il « Teatro patriottico » di Milano e, anticipando Silvio Pellico, nel 1801 compone una Francesca sentimento patriottico.

da Rimini, dove la ricostruzione

dell'ambiente

storico tende all’esaltazione

del

Il suo ultimo dramma, I Cesenati nel 1377, nel quale è viceversa più decisa l'influenza shakespeariana, è quello che più fedelmente rispecchia il suo ideale artistico dominato dalla passione politica. Ne è protagonista il popolo di Cesena, dilaniato dalle compagnie di ventura, e a questo popolo diviso si rivolge Polidoro Tiberti, proclamando che non vuole dinanzi a sé Guelfi o Ghibellini, ma soltanto italiani. Angelo Brofferio, perseguitato politico, deputato della sinistra al Parlamento subalpino, ha segretamente da Carlo Alberto l’incarico di scrivere una tragedia, della quale è protagonista Vitige re dei Goti, cioè lo straniero. La rappresentazione dell’opera, che vede le luci della ribalta soltanto nel 1848, è vietata dalla censura, perché vi traspare chiaramente un’invettiva contro l’Austria. L'allocuzione, che Ubaldo insieme con altri italiani rivolge a Vitige assiso sul trono tra i suoi capitani nel palazzo reale di Ravenna, dà il clima della tragedia: ... Servi del vinto, al vincitor servire Dovrem noi sempre?...

La penisola attende un liberatore: ... L’itala gente all’armi è presta Per te, per la tua causa, ove la causa Dell’Italia diventi... Ma per Vitige l’Italia è una terra di schiavi e quindi egli prevede con tono sprezzante che non le potranno mai mancare

i tiranni.

L'azione, shakespearianamente, si infoltisce : mentre il figlio di Vitige, Emerico, si innamora di Ottavia, figlia dell’imperatore Belisario, Ubaldo trama una rivolta contro gli invasori ed è preso prigioniero. Ma, sanguinante ed in ceppi, grida a Vitige la sua fede: ... E fin a quando Credevi tu che un popolo in catene Di lungo sospirar stanco non fosse?

Noi d’implacabil ira i padri nostri Han fatto eredi. La vendetta è il solo Retaggio agli oppressori...

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Alla fine Ubaldo è liberato dal popolo e torna alla riscossa. Sorprende Vitige, mentre nei sotterranei del castello di Ravenna, sulla tomba di un suo figliuolo ucciso da Belisario, svena Ottavia. Ubaldo non

arriva a far giustizia di Vitige, perchè l’orgoglioso sovrano riesce prima a darsi la morte. La tragedia, che è pubblicata a Parigi nel 1840, si chiude con il grido di « Viva l’Italia! ». _ Angelo Brofferio rivolge apertamente a Carlo Marenco la stessa accusa che più velatamente colpisce il Manzoni: lo rimprovera di mostrare più le discordie degli italiani che non le loro lotte magnanime contro lo straniero (14). Il Marenco è autore di un Arnaldo da Brescia, anteriore a quello di G.B. Niccolini, di un Corradino di Svezia, di un Conte Ugolino, e di una Pia de’ Tolomei, che rappresentata per la prima volta dalla Compagnia reale sarda il 17 giugno 1836, diviene in seguito una delle interpretazioni preferite da Carlotta Marchionni e da Adelaide Ristori. Nella sua Beatrice di Tenda, apparsa nel 1825, C. Tedaldi Fores rappresenta un tumulto del popolo milanese contro Filippo Maria Visconti che ha imprigionato due innocenti. Ed un altro tumulto, quello scoppiato a Genova tra il 1546 e il 1547, il Tedaldi Fores, che scompare a soli trentasei anni nel 1829, rievoca nell’ultima sua tragedia I Fieschi e i Doria, pubblicata a Milano nel 1829. Nel 1839 Giuseppe Revere pubblica un Lorenzino de’ Medici che nel 1850 è rappresentato dalla Compagnia reale sarda; ma dello stesso autore due anni prima, nel 1848, si era recitata un’altra opera, il Sampiero, che è « un’allegoria dell’Italia oppressa dall'Austria » (15). Ad una tragedia, dove campeggia la figura di Arduino d'Ivrea, primo re d’Italia, si affida il ricordo di Stanislao Morelli, volontario nelle guerre di indipendenza del 1848 e del 1866. Rappresentata per la prima volta a Torino nell'autunno del 1869, quest'opera si propone di riprodurre nel personaggio del re Arduino i tratti di Carlo Alberto. Cinta la corona di ferro alla Dieta di Pavia e oppostosi con le armi all'Imperatore Arrigo, Arduino

L’attore Gustavo Modena, di Silvio Pellico.

Paolo nella Francesca

da Rimini

L’acteur Gustavo Modena, qui joue le ròle de Paolo, dans Francesca da Rimini, de Silvio Pellico,

Gustavo Modena

who played Paolo

in Silvio Pellico’s Francesca da Rimini.

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Una rappresentazione della Francesca da Rimini di Silvio Pellico al Teatro San Carlo di Napoli nel 1865: gli interpreti sono Tommaso

Salvini,

Fanny Sadowsky, Achille Majeroni e Paolo Fabbri. Une représentation de Francesca

da

Rimini,

de Silvio Pellico, au théatre San Carlo de Naples, en 1865: les interprètes étaient Tommaso Salvini, Fanny

Sadowsky, Achille Majeroni et Paolo Fabbri. A performance of Francesca da Rimini by Silvio Pellico at the San Carlo Theatre in Naples in 1865: the actors are Tommaso Salvini, Fanny Sadowsky, Achille Majeroni and Paolo Fabbri.

muore abbandonato dai suoi e si esilia volontariamente nella Badia di Fruttuaria additando nel figlio Ottone il nuovo re, nel quale può appunto riconoscersi Vittorio Emanuele II. Altro personaggio fondamentale della tragedia è il capopopolo milanese Erlembaldo, che invece è concepito come un eroe del Risorgimento. Perseguitato dalla polizia, il primo maggio del 1821, per non cadere prigioniero si uccide a Pistoia Francesco Benedetti. Alcuni suoi drammi erano stati interpretati da Paolo Belli Blanes. Ispirandosi alle « Historie fiorentine » del Machiavelli, aveva anche composto una Congiura di Milano, rappresentata pri-

SI

vatamente nel 1815 nel Teatro de’ Moderati di Firenze. Il Benedetti lascia, quasi interamente compiuta, un’altra tragedia, Cola di Rienzo.

Congiure, cospirazioni contro i tiranni e gli usurpatori, insurrezioni degli oppressi contro gli oppressori, rivolte di popolo sono i temi ricorrenti di tutte queste tragedie, che traggono la loro ispirazione dalla storia medievale o rinascimentale, perchè in essa si riconosce la vera scaturigine dell’attuale condizione morale e civile del popolo italiano. E come nei dominatori si adombrano i francesi o gli austriaci mediante una rievocazione che affronta l’anacronismo pur di apparire sempre immediatamente allusiva, così nei dominati e nei loro agitatori si prefigurano i caratteri spirituali dei combattenti del Risorgimento.

Il teatro rende popolare un’intera galleria di personaggi, ai quali assegna un valore simbolico, contraffacendone non di rado i connotati storici, e conferisce ad alcune figure della « Divina Commedia » una diffusione oleografica. Lo stesso Dante diviene il protagonista di una mitologia patriottica. Si rappresentano un Dante Alighieri di Pompeo di Campello e un Dante a Ravenna di G.C. Cosenza. Non suscita, dunque, meraviglia che nel 1842 il duca di Modena bandisca un concorso per premiare

Gustavo Modena, attore e cospiratore, ritratto al ritorno dall’esilio londinese. Gustavo Modena, acteur et conspirateur, dans un portrait fait lorsqu’il rentra de son exil à Londres. Gustavo Modena, actor and conspirator, as he appeared on return from his exile in London.

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le due compagnie drammatiche le quali meglio abbiano contribuito a non « ingenerare negli animi avversione o dispregio delle più rispettabili autorità ». Le censure dei vari Stati sono quotidianamente occupate a rileggere i copioni delle opere destinate alla rappresentazione: sopprimono questa o quella frase, sostituiscono questa o quella parola. Ma è un lavoro in gran parte vano, perchè gradatamente, muovendo dalle sparse e occasionali allusioni, la letteratura tragica è arrivata a creare un linguaggio cifrato, un'atmosfera, un catalogo di temi e di situazioni. Considerate a distanza tutte queste opere, se se ne escludono le eccezioni, sono destinate ad apparire artisticamente caduche, perché troppo direttamente orientate verso uno scopo di propaganda. Ma a tal fine tendono consapevolmente gli scrittori. Il teatro si è posto al servizio della lotta per l'indipendenza. Non vuole essere un teatro aulico, ma un teatro patriottico, e diviene infatti una delle forze più attive del risorgimento nazionale.

Il movimento segue all'unisono lo sviluppo degli avvenimenti politici, si confonde con esso e raggiunge il suo vertice intorno al 1848, quando esplodono i moti di indipendenza. Gli attori sono parte viva del movimento. Alcuni protagonisti della scena sono a loro modo protagonisti anche nella vita politica. Esemplare è la personalità di Gustavo Modena, per il quale il teatro è anzitutto strumento di azione civile. Nel 1829, a Padova, il Modena suscita una manifestazione antiaustriaca, recitando la Francesca da Rimini di Silvio Pellico. Nel 1831, a Bologna che si è sollevata contro il governo pontificio, incuora dalla scena i rivoltosi modificando il testo di un dramma. Lascia il teatro, imbraccia il fucile, combatte a Rimini, ad Ancona, a Cesena; è infine esule a Marsiglia, dove si incontra

con Giuseppe Mazzini, affiliandosi alla « Giovane Italia ». Dalla Francia passa in Svizzera, dalla Svizzera in Belgio e in Inghilterra. Qui nel « Queen's Theater » recita, nel 1839, la « Divina Commedia » ed appare solo sulla scena nelle vesti del poeta che, improvvisando, dettai suoi versi.

L’amnistia concessa dall'Imperatore d'Austria gli consente di ritornare in Italia. Costituisce una compagnia drammatica, ma alla vigilia del 1848 l’attività politica lo riprende completamente. Il 12 aprile scrive ad un amico: « Il teatro è morto per anni » (16). Durante i moti è fra i combattenti. A Firenze è eletto deputato all'Assemblea Costituente. Dopo questi avvenimenti

calca ancora

le scene,

ma

stancamente

fino alla morte

sopravvenuta

a To-

rino nel 1861. Dopo il 1848 la funzione oratoria e patriottica della tragedia decade lentamente e gli interessi della

letteratura drammatica si spostano gradatamente verso i problemi di carattere sociale e umanitario. Nel 1841 un’opera teatrale conquista rapidamente un non effimero successo proprio perché preannuncia questa conversione non soltanto nel suo contenuto, ma anche nel tono del suo linguaggio : è // poeta

e la ballerina di Paolo Giacometti, che sarà poi l’autore di uno dei più clamorosi drammi umanitari, La morte civile. Nel febbraio del 1860, ristampando JI! poeta e la ballerina, Paolo Giacometti premette al vecchio testo un’introduzione nella quale così si confessa:

53

« Vent'anni orsono, ne contavo allora ventidue, partii per la prima volta da Genova, dopo aver assistito ai trionfi di Fanny Cerrito ed alle mille accompagnie che gli accompagnarono. « Recatomi a Roma pieno di illusioni e di speranze, trovai in quella città silenzio, sonno e rovine, quasi per riscontro di idee, trovandomi fra due età tanto diverse, maturò nella mia mente il concetto della presente commedia. Dico maturò, perché già avevo avuto campo di meditare sdegnosamente sulla prostrazione delle lettere e delle utili arti in Italia, mentre a quella voluttuosa ed eviratrice della danza si profondevano da ogni parte onori e ricchezze, per non dire censi e tesori. Già avevo pensato alla necessità di rampognare il secolo ; e da allora mi parve che la scena, dove la inumana ingiustizia ed il vizio trionfavano, fosse il luogo più acconcio alla pugna. . fu somma avventura che non lo comprendessero che per metà i Regi Censori di quel tempo, dotati di una provvidenziale ignoranza, perché in caso diverso non avrebbero permesso la recita di una commedia, nella quale non si agitava una questione individuale, ma civile ed italiana ». Nel Poeta e la ballerina il motivo patriottico scaturisce già da una indagine psicologica e sociale, che nell'economia dell’opera ha il predominio. Nel secondo atto il poeta Odoardo Leoni, invitato a improvvisare « quattro versi in lode di Madamigella Fanny », la danzatrice, prorompe in questa invettiva:

Cingi d’ebbra baccante il molle ammanto, Poiché così mutata

è tua sembianza,

Che matrici del tuo genio santo, Treschi fra i balli nell’oscena stanza Ahi! Stolta Italia! Versa oro su lei,

Che i tuoi figli addormenta, empia sirena ; D’eroi già madre, ora de’ mimi il sei! Il tono oratorio della tragedia incomincia a spegnersi per lasciar posto alla polemica della commedia borghese, che rifletterà non più i problemi morali di un popolo che vuole la sua indipendenza, ma i problemi sociali di una Nazione di recente costituzione politica.. Il teatro di prosa è frequentato da una minoranza. Alla vigilia del 1848 l’ideale dell’indipendenza, che era stato fino a quel momento alimentato dalla passione degli eletti, diviene un movimento più vastamente popolare. Ed è questa la ragione per la quale il linguaggio della tragedia e la sua funzione di oratoria patriottica si trasferiscono gradualmente al melodramma che, per il tramite più immediato e più universale della musica, può parlare ad assemblee più numerose e stabilire una comunicazione incomparabilmente più ampia. Come nel primo Risorgimento erano passate di bocca in bocca le battute più polemiche delle tragedie, così nel secondo Risorgimento si ripetono quei motivi musicali, che in un melodramma acquistano un significato particolare perché rivestono una frase polemicamente allusiva.

54

Anche questo processo, come quello consimile che si è verificato

principio uno sviluppo incerto ed origini occasionali. Nel 1826 a La Fenice di Venezia si rappresenta dante. Un coro canta:

il melodramma

nell’ambito

Donna

della tragedia,

Caritea

di Saverio

ha in

Merca-

Chi per la patria muor Vissuto è assai;

La foglia dell’allor Non

langue mai.

Piuttosto che languir Sotto i tiranni,

E’ meglio di morir Sul fior degli anni. Quel coro suscita un entusiasmo inaspettato, diviene la voce dell’indipendenza sperata. La censura tenta di attenuare il valore allusivo dei versi, sostituendo la parola « gloria » a « patria »; ma l’espediente si rivela inutile. Quando, due anni dopo, il melodramma è ripreso al Teatro del Fondo di Napoli, si opera una modificazione più radicale. Si canta « in lunghi affanni » e non più « sotto i tiranni ». Ma le note musicali ormai sono sufficienti a comunicare quel sentimento che era espresso nel testo originale e il coro vola per tutta la penisola. Nel luglio del 1844 si sparge la notizia che i fratelli Bandiera, recandosi al luogo del supplizio, nel vallone di Rovito, hanno cantato insieme con i loro sette compagni il lento e lugubre coro di Donna Caritea. Allo stesso modo, uno dei condannati di Belfiore, in attesa dell'esecuzione

morerà

un'aria del Marin Faliero di Gaetano

il 7 dicembre

1852 mor-

Donizetti:

Il palco è a noi trionfo Ove ascendiam

ridenti;

Ma il sangue dei valenti Perduto non sarà. Arem

seguaci a noi

Più fortunati eroi; Ma s’'anche avverso ed empio Il fato lor sarà, Avran da noi l'esempio, Come a morir si va! (17)

Il melodramma di Vincenzo Bellini,

I Puritani

e i Cavalieri, rappresentato per la prima volta nel

55

LE COMTE

De Carmagnola ADEL

GHIS

1A ACI VA di Ali ei,

Le opere teatrali contribuiscono a far meglio conoscere le aspirazioni nazionali del popolo italiano: il frontespizio dell’edizione di una tragedia manzoniana pubblicata a Parigi nel 1834.

Aanone

1BADUITES DE L'IVALIEA

PAR M.-C., FAURIEL; MISIn?.

Les oeuvres dramatiques, contribuèrent à mieux faire connattre les aspirations nationales du peuple

italien; le frontispice de l’édition d’une des tragédies de Manzoni, parue à Paris en 1834.

“tastpica d'un article de Soctlye ct de dipers imarceane

sur la Theorie de Ari dramutigne.

Theatrical works, helped to make known the nationalistic aspirations of the Italians: the title-page of the edition of a Manzoni’s tragedy, published in Paris in 1834.

itoRAif

Li

Iqu sli

so

jiri

- Zante -

id

BOSSANGE FRERES, LIDRMRES, Alessandro Manzoni ne Il Conte di Carmagnola adombrò il destino sfortunato di Murat, banditore dell’indipendenza italiana. Alessandro Manzoni retraga, dans Il Conte di Carmagnola le triste destin de Murat, champion de l’indépendance italienne.

In the Conte di Carmagnola Alessandro Manzoni describes the unhappy fate of Murat who become a champion of Italian independence.

56

i

« Théatre Italien » di Parigi, offre ai combattenti dell’indipendenza famoso:

un motivo

che in breve diventerà

Suoni la tromba, e intrepido

Io pugnerò da forte. Bello è affrontar la morte Gridando : libertà! Ed un altro melodramma di Vincenzo Bellini, Norma, durante una rappresentazione che se ne dà alla Scala di Milano il 10 gennaio 1859, provoca un clamoroso e premonitore incidente. Nella sala sono presenti numerosi ufficiali austriaci. Quando è intonato il coro dell’ultimo atto « Guerra, guerra... », gli spettatori si levano in piedi e, ripetendo quelle parole a gran voce, improvvisano una manifestazione. In risposta anche gli ufficiali austriaci, rivolgendosi verso il palco di prima fila dove è il generale Gyulay, gridano: « Guerra, guerra... ». L'ultima disperata avventura di Gioacchino Murat, che ispira ad Alessandro Manzoni una canzone rimasta incompiuta « Il proclama di Rimini » e la tragedia I! Conte di Carmagnola, è documentata anche da una pagina musicale di Gioacchino Rossini. Pochi giorni dopo aver emanato il famoso proclama, con il quale invitava gli italiani all'indipendenza, il napoleonide ribelle la sera del 2 aprile 1815 entra con le sue truppe a Bologna. L'accoglie, nel teatro Contavalli, con la musica di Gioacchino Rossini un inno che nei suoi versi riecheggia le frasi dell'appello di Rimini: Sorgi Italia, venuta già è l’ora L'alto fato compir si dovrà; Dallo stretto di Scilla alla Dora Un sol regno l’Italia sarà.

Vari melodrammi del compositore pesarese sono disseminati di frasi e di motivi, che acquistano un valore allusivo. Il Mosè rappresentato per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli nel 1818 e nove anni dopo a Parigi in una nuova stesura, rievoca l’odissea del popolo ebraico e la figura del profeta chiamato a salvarlo dalla schiavitù : in quell’odissea gli italiani riconoscono il proprio destino. La preghiera con la quale l’opera si conclude diviene la preghiera dei patrioti: Dal tuo stellato soglio, Signor, ti volgi a noi. Pietà dei figli tuoi, Del popol tuo, pietà.

Una raffigurazione schiettamente, anche se ingenuamente romantica di due scene dell’Adelchi di Alessandro Manzoni nelle incisioni del Focosi per l'edizione milanese del 1845. Une reproduction franchement — et naivement — romantique

scenes de la tragédie Adelchi, de Manzoni, tirée des gravures que Focosi fit pour l’édition milanaise de 1845. A distinctly yet ingenuously romantic presentation of two scenes from Adelchi by Alessandro Manzoni from the Focosi engravings for the 1845 Milan edition.

de deux

Nel 1829 si rappresenta alla Scala di Milano Semiramide. Sulla scena gli attori cantano: Sconvolta

nell’ordine

interno

E’ natura in sì orribile giorno. La sala prorompe in un tumulto che, a stento sedato, si ripete ad un verso del terzetto finale: L’usato

ardir, il mio valor dov'è?

Nello stesso anno l’opera, evidentemente per la nuova attenzione che l’incidente aveva richiamato

58

su di essa, è ripresa in vari altri teatri. La censura,

le parole « libertà, patria, gloria » (18). Ma, pur spogliata delle parole, ancora una volta

in queste repliche, si affretta a cancellare dal libretto

la musica ormai conserva intatto in sé il significato

che quelle parole le hanno attribuito nell'atmosfera sempre più accesa della riscossa nazionale.

L'ultimo melodramma composto da Gioacchino Rossini, il Guglielmo Tell, rappresentato all'Opera di Parigi il 3 agosto 1829, è l’espressione di uno sforzo di rinnovamento intimo, determinato almeno in parte dall’urgenza delle preoccupazioni e delle ansie del tempo. Ne è un indice eloquente la scelta stessa del tema, che esalta la figura del rivendicatore della libertà nazionale elvetica. Il tema centrale del libretto è costituito dalla tragedia di un uomo che riassume in sè la tragedia di un popolo anelante all’indipendenza. Il melodramma si apre con una scena nella quale Guglielmo Tell, ascoltando il canto solitario di un pescatore, medita sull’incoscienza che fa felice quell’anima semplice:

Dolce è per lui la cura Del foco ond’arde in seno, Né prova il rio veleno Che mi divora il cor. Perché vivere ancora Da che non v'è più patria? Ei canta, e Elvezia

intanto

Ahi, quanto — piangerà. Il dilemma angoscioso dell’uomo combattuto fra l’amore per una donna e l’amore per la patria è impersonato nel melodramma da Arnoldo: Ah, Matilde, io t'amo, è vero,

Ma fuggirti alfin degg'io: Alla patria e al dover mio Io consacro un puro amor. Ma il dramma non può avere se non una soluzione, che la donna stessa indicherà al suo uomo quando

egli abbandona il combattimento per riabbracciarla : Riedi al campo della gloria Nuovi allori a conquistar ; Potrai sol con la vittoria La mia destra meritar. Nel terzo atto del Guglielmo Tell la scena del giuramento dei congiurati porta al più alto grado di incandescenza il contenuto civile del melodramma:

59

Giuriam giuriamo

Pei nostri danni Per gli avi nostri Pei nostri affanni... Di tutti abbattere Gli empi oppressor.

Alla tragedia del Risorgimento è mancato il respiro della poesia : è stata una vibrante manifestazione di oratoria intesa a sollecitare, con la violenza di elementari precetti morali, il patriottismo degli spettatori. Il Conte di Carmagnola e l’Adelchi di Alessandro Manzoni sono state, viceversa, due opere di poesia, ma in esse la passione civile è quasi svanita elevandosi all’astrazione sublime della più pura spiritualità. Il compito di trasfigurare poeticamente le passioni dell’ora attraverso un linguaggio che, pur divenendo popolare e cantabile, non decade all’oratoria, è assolto da Giuseppe Verdi. In lui culmina, trovando il più completo equilibrio, non solo un'esperienza musicale, ma anche una esperienza teatrale. Le situazioni drammatiche, i personaggi, i problemi morali, le condizioni umane, le aspirazioni civili che la tragedia e poi anche il melodramma ha lentamente definito e codificato, divengono nell’opera di Giuseppe Verdi dal Nabucco a La battaglia di Legnano, dal 1842 al 1849, nella fase culminante del Risorgimento italiano, un organismo vivo e coerente, sostenuto da una forza poetica rudimentale ma travolgente. Giuseppe Verdi sentì che la voce poeticamente più pura nella tragedia risorgimentale era quella di Alessandro Manzoni. Si provò certamente a musicare I! Conte di Carmagnola (e ne rimane il coro per quattro voci e pianoforte). Forse si avvicinò anche all’Adelchi (19). Ma poi non proseguì nell'impresa. Avvertì probabilmente che le due opere, le quali si concludono con la conversione intima di un personaggio, prima ancora di rappresentare la tragedia di una folla o di un popolo, rappresentano la tragedia di un individuo. E questo individuo non risolve i propri problemi nella realtà della vita ma nell’eternità dello spirito. Il mondo poetico di Giuseppe Verdi ha confini precisi e chiari, anche se ristretti : è il mondo dei sentimenti che in una folla definiscono l’elemento comune a tutti gli individui e conducono perciò la collettività alla coscienza di se stessa, imprimendole l’entusiasmo dell’azione. Lo stile omofono dei cori verdiani è la forma perfettamente aderente ad una ragione poetica: il compositore ha interpretato il momento culminante dell’azione risorgimentale proprio perchè ha espresso la poesia dell’unisono, ha cantato la gioia di ritrovarsi

oltre le divisioni, oltre le dissonanze, oltre la stessa

varietà del concerto. Tale ritrovamento nel melodramma verdiano è rappresentato sulla scena attraverso un'azione frenetica, rapida, concisa. Il risorgimento della Nazione italiana affretta ormai il suo tempo. In questa visione della vita si spiega da una parte la olimpica indifferenza che il Verdi ebbe sempre verso tutti i problemi riguardanti la forma verbale dei libretti e, d'altra parte, si giustifica il vigile interesse del compositore ai modi ed al ritmo dell’azione, allo sviluppo e soprattutto al concatenamento delle situazioni.

60

La prima manifestazione di questa poesia verdiana è nel Nabucco, rappresentato alla Scala di Milano il 9 marzo 1842, e in quel suo coro « Va, pensiero sull’ali dorate », che diventa rapidamente il canto della segreta o confessata aspirazione unitaria del popolo italiano : la frase melodica è irruente e, insieme, di una linearità limpida che la rende estremamente cantabile : tre voci vi si incontrano all'unisono. Giuseppe Verdi ha la forza di riportare alla loro primigenia vibrazione poetica quei valori elementari che sono stati logorati dall’oratoria : « O mia patria sì bella e perduta ». Il tema del Nabucco è un tema schiettamente risorgimentale: già Ugo Foscolo e G.B. Niccolini lo avevano svolto. L'interesse suscitato dalla tragedia manzoniana in Giuseppe Verdi e la sua scelta caduta infine su un soggetto che già aveva impegnato due scrittori, dimostrano

come

il compositore

abbia seria-

mente riflettuto sulla esperienza compiuta dalla letteratura teatrale al fine di trarne l'indicazione ai suoi fini più valida. La storia del popolo ebraico offre infatti la più chiara allegoria della condizione del popolo italiano oppresso. Giuseppe Verdi ritorna alla ribalta della Scala poco meno di un anno dopo, 1’11 febbraio 1843, con / Lombardi alla prima crociata.

Un’altra

(Edizione Une

autre

scena

dell’Adelchi.

milanese

del

1845).

scène d’Adelchi. (Encore dans l’édition milanaise de 1845).

Another scene from Adelchi. (Milan edition of 1845).

61

Mentre si prepara lo spettacolo, l'arcivescovo di Milano Gaisruck apprende che nell'opera avvengono processioni, conversioni, battesimi e manifesta la sua preoccupazione al direttore di polizia Torresani che convoca l’impresario Merelli, il librettista Solera (che già aveva steso il testo del Nabucco) e lo stesso Verdi. Il compositore rifiuta di presentarsi. L’assenso alla rappresentazione è tuttavia ottenuto con la modificazione di qualche parola. Ma l’intento risorgimentale del melodramma risulta dal carattere della vicenda e dallo spirito che

ne informa la ricostruzione e non da qualche singola frase: la crociata dei Lombardi appare come la crociata che il popolo italiano combatte in quei giorni per il suo riscatto. E il coro dei crociati diventa l’inno del popolo italiano: O Signore, dal tetto natio Ci chiamasti con santa promessa :

Noi siam corsi all'invito di un pio Giubilando per l’aspro sentier. Ma la fronte avvilita e dimessa Hanno i servi già baldi e valenti, Deh, non far che ludibrio alle genti Sieno, o Cristo, i tuoi fidi guerrier!

Invitato a comporre un’opera per La Fenice di Venezia, il Verdi musica un libretto di Francesco Maria

Piave che si ispira ad un dramma già celebre di Victor Hugo, l’Ernani. viene il 9 marzo 1844. Gli spettatori, specialmente nelle repliche, accompagnano impetuoso:

La prima rappresentazione

av-

con il loro canto le parole di questo coro

Noi fratelli in tal momento Stringa un patto, un giuramento, Si ridesti il Leon di Castiglia E d'Iberia ogni monte, ogni lito Eco formi al tremendo ruggito, Come un dì contro i Mori oppressor. Siamo tutti una sola famiglia, Pugnerem con le braccia, coi petti;

Schiavi inulti più a lungo o negletti Non sarem finché vita abbia il cor.

Nell'agosto del 1846 il melodramma è ripreso nel Teatro Comunale di Cesena. Qualche settimana prima, il 17 luglio, il Pontefice Pio IX ha concesso un'amnistia, risvegliando nei patrioti italiani la spe-

62

ranza di un rinnovamento politico più vasto. Una rappresentanza di cittadini cesenati chiede al delegato dei pubblici spettacoli che un'intera strofa del terzo atto sia sostituita con questa: O sommo Pio — al Unito a tutti — mi Grazie sian rese — Che ti fé salvo — Diede il perdono — Siamo fratelli —

tuo gran nome prostro anch'io al nostro Iddio dai traditor. nequizie ha dome.

amiamoci

ancor.

(20)

Ed in altre occasioni il verso « A Carlo Magno sia gloria ed onor » è cantato « A Pio IX sia gloria ed onor » 0 « A Carlo Alberto sia gloria ed onor » (21). Il periodo risorgimentale dell’opera di Giuseppe Verdi si conclude con la prima rappresentazione de La battaglia di Legnano, che avviene nel Teatro Argentina di Roma il 27 gennaio 1849. All’Ernani, sono seguiti altri sette melodrammi, I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Macbeth, I Masnadieri e Il Corsaro. La frequenza delle allusioni politiche è tale in queste opere che il compositore è persino accusato di sfruttare abilmente i pretesti patriottici. In realtà Giuseppe Verdi è riuscito a creare un grandioso teatro popolare, nel quale l'assemblea degli spettatori diviene simile a quella di un vasto comizio che si trasforma anch'esso in un motivo di azione immediata. Carlo Gatti definisce La battaglia di Legnano

Il 27 gennaio 1849 il coro canta sul palcoscenico

un'« opera tribunizia » (22).

del Teatro Argentina:

Viva l’Italia! Un sacro patto Tutti stringe i figli suoi : Esso alfin di tanti ha fatto Un sol popolo d'’eroi... Viva Italia forte ed una Con la spada e col pensier! Questo suol che a noi fu cuna, Tomba fia dello stranier! Il 9 febbraio è proclamata la Repubblica romana

con il triumvirato di Mazzini, Saffi ed Armellini e

dalle barricate si leva il canto del poeta soldato Goffredo Mameli. Nell’intera storia europea il melodramma verdiano costituisce l'esempio più alto ed insieme più tenace di corrispondenza fra la realtà scenica e la realtà storica. Il periodo durante il quale si compie l’unità italiana è interamente occupato dal trionfo del melodramma. I suoi motivi musicali sono continuamente ripetuti nelle strade e nelle piazze. Le sue note fanno vibrare nell’aria la passione del popolo. Le sue frasi più violente, durante gli spettacoli, divengono il

63

segnale convenuto per le manifestazioni patriottiche. La musica costituisce la maggiore preoccupazione dei censori e dei gendarmi. E, dopo il compimento dell’Unità, negli ultimi decenni dell'Ottocento, la

rappresentazione del melodramma, che conserva tutto il suo favore popolare, assume il carattere di una celebrazione nazionale. Il teatro di prosa ha ormai un altro orientamento. I problemi sociali e psicologici hanno un posto sempre più largo nella letteratura drammatica italiana, che è dominata dalla preoccupazione nuova di inserirsi attivamente nella vita della scena europea. Se si considerano l'ampiezza del fenomeno del melodramma e la sensibile adesione alla storia nazionale che, soprattutto attraverso l’opera di Giuseppe Verdi, ne ha caratterizzato lo sviluppo, non possono non apparire povere le manifestazioni della letteratura teatrale che, dopo il compimento dell'Unità, traggono ispirazione dai fatti e dai personaggi del Risorgimento. I drammi che rievocano l’impresa dei Mille, che osannano alle figure dei grandi patrioti, come i fratelli Bandiera, Ugo Bassi, i Cairoli, sono tutte opere di contenuto ristrettamente agiografico, nelle quali spesso gli scrittori tradiscono il loro vero temperamento (23). Uno degli esempi più tipici di questo snaturamento al quale i commediografi si sottopongono nella

illusione di risvegliare nella propria fantasia una fiamma che si è spenta, perché ha consumato suo fuoco nella realtà operante della storia, è offerto

da un'opera

quasi sempre

dimenticata,

ma

tutto il a suo

modo significativa. E’ il dramma storico I Fratelli Bandiera, scritto nel 1916, in occasione del cinquantenario della liberazione di Venezia, da Carlo Bertolazzi in collaborazione con Raffaello Barbiera. Lo stile incisivo ed amaro del Bertolazzi, autore de La Gibigianna, del Nost Milan e de La Povera gent, vi è irriconoscibile. I problemi sociali della conquistata unità italiana sono ormai quelli di un popolo che, uscito

dall’epopea, deve riordinare la sua vita quotidiana e trovano un più vivo e colorito riflesso in opere semplici e dimesse come Le miserie di Monsù Travet di Vittorio Bersezio. In riduzioni, dalle quali è stata profondamente modificata nella sua struttura e nel suo significato, ha avuto una notevole fortuna in questi ultimi anni un’opera teatrale composta solitariamente da uno scrittore calabrese tra il 1864 e il 1865, Antonello capobrigante calabrese di Vincenzo Padula. La vicenda del dramma si svolge nei boschi della Sila, presso Cosenza, nel 1844. I fratelli Bandiera

con i loro compagni attendono di essere giustiziati. Il capobrigante Antonello, intimamente, anche se in-

consapevolmente percosso dalla purezza della loro impresa e del loro sacrificio, si offre di liberarli; ma i fratelli Bandiera non accettano l’aiuto del bandito, il quale comprende così di avere infranto non solo la legge degli uomini, ma anche la più alta legge morale. I patrioti cadono nel Vallone di Rovito ed intanto Antonello insieme con i suoi compagni è catturato con uno stratagemma dalla polizia borbonica. Il dramma è tratteggiato con un linguaggio approssimativo e rozzo e quello che vorrebbe essere il suo motivo centrale, cioè il tentativo di mettere a fuoco i punti di contatto insospettati fra le diverse maniere di uscire “on della legge (quella nobile ed eroica, quella misera e ribalda) è appena adombrato. L'opera di Vincenzo Padula mette semmai in rilievo, ed in maniera oscura, il limite che il Risorgimento ita-

64

liano non è riuscito a superare, lasciando fuori dalla sua influenza di Antonello capobrigante calabrese è un risorgimento capovolto. Meno problematico ed inquieto nella sua ispirazione, ma più è viceversa il dramma di Gerolamo Rovetta Romanticismo, che, 1903, riassume con fedele semplicità la concezione risorgimentale forse modesta, ma sana, integrale ed in conclusione ancora oggi Nel dramma di Gerolamo Rovetta il Risorgimento è rievocato cietà italiana dall'interno non soltanto nel suo ordine

Gualtiero

Tumiati

edizione

Tumiati

anche

nel suo ordine

morale

più se-

(Adelchi)

dell’Adelchi

allestita prima della guerra Gualtiero

lineare e conseguente nel suo sviluppo rappresentato per la prima volta nel dell’Italia borghese: una concezione attuale sotto alcuni aspetti. come un processo che rinnova la so-

(Desiderio)

e Filippo Scelzo nell’unica

politico, ma

alcune zone del popolo. Il risorgimento

(1938).

(Desiderio)

et Filippo Scelzo (Adelchi), dans la seule version de la tragedie de Manzoni qui fut donnée sur scène avant la guerre (1938). Gualtiero

Tumiati (Desiderio) and Filippo Scelzo (Adelchi) in the only version of Adelchi to be performed before the war (1938).

65

La reggia dell'Adelchì nella interpretazione di un pittore contemporaneo, Gino Sensani.

Les palais d'Adelchi dans l’interpretation de Gino un peintre contemporain. The as

palace seen

Gino

by

in a

Sensani,

Adelchi, contemporary

painter,

Sensani.

greto, nei sentimenti individuali più gelosi. In Romanticismo, due coniugi, che sono stati sempre estranei l'uno all’altro, ritrovano una reciproca confidenza ed una ragione fondamentale della propria unione nella passione patriottica. L'opera di Gerolamo Rovetta, che anche nel 1961 è stata ripresa con la regia di Maner Lualdi e nella interpretazione di illustri attori come Emma Gramatica, Gianni Santuccio e Lilla Brignone, contiene inoltre una pagina « storica » di sicuro effetto teatrale: è il giuramento pronunciato dal conte Lamberti, un neofita della cospirazione.

Nella letteratura del Novecento il tema risorgimentale ritorna periodicamente, assumendo il gusto e il tono del momento. Dai generosi e coloriti affreschi celebrativi di Gioacchino Forzano e di Domenico Tumiati si arriva alla garbata aneddotica di Enrico Bassano e Dario Martini, che ne La bella Rosin raccontano un retroscena galante di Vittorio Emanuele II, il « Re galantuomo », ed alla impegnata analisi psicologica di Giorgio Prosperi, autore di un dramma rappresentato, come La bella Rosin nel 1961, Il Re. In esso la figura di un altro sovrano, Carlo Alberto, rievocata in una luce di moderno

amletismo,

di-

viene il simbolo di una conquista spirituale della libertà. Nell'ultimo decennio numerosi studi critici sono stati dedicati alla ricerca delle fonti popolari del Risorgimento e tali ricerche nel 1961 hanno avuto inaspettatamente un felice esito nel campo teatrale con un « Bruscello » rappresentato a Montepulciano Zelindo il garibaldino, e con la commedia musicale di Garinei e Giovannini Rinaldo in campo, interpretata da Domenico Modugno e Delia Scala. In Zelindo il garibaldino, che Mario Guidotti ha scritto secondo i metri e lo schema drammatico tradizionale del « Bruscello », e che è stato cantato seguendo arie antiche o composte su vecchie cadenze proprie di questo particolare spettacolo toscano, si è avuta la conferma di quanto i motivi risorgimentali siano tuttora teatralmente vivi nell'anima popolare. Garibaldi è apparso, come nelle ingenue oleografie ottocentesche, e i personaggi che i « bruscellanti » hanno interpretato con perfetta aderenza, sembravano scaturiti dalle « storie » cantate dell’epoca. Rinaldo in campo, è la festosa storia di un brigante siciliano, che durante l’impresa dei Mille diviene garibaldino per amore di un’avvenente baronessina. Anche questa commedia è intessuta di musiche, di canti e di danze attinti a quel patrimonio tradizionale italiano attraverso il quale durante il Risorgimento, il popolo ha espresso spontaneamente la sua fede nazionale. E’ lo stesso patrimonio, che i grandi compositori del melodramma e Giuseppe Verdi per primo, hanno fatto rivivere spesso nella loro musica a volta a volta drammatica, toria, ma sempre schiettamente italiana.

polemica,

emotiva,

nobilmente

ora-

Questi ritorni, questi incontri su piani diversi a distanza di vari decenni dimostrano anch'essi come il teatro risorgimentale, che ha anticipato o immediatamente seguito gli eventi della storia, che in qualche caso di essi è stato addirittura il movente più urgente, abbia costituito una forza viva nel processo unitario della Nazione, riflettendone le successive fasi.

Con le sue sparse opere, tutte rivolte progressivamente con un'incidenza diversa ad un fine storico grandioso, questo teatro, che va dai velati preannunci di Silvio Pellico ai cori travolgenti di Giuseppe Verdi, rappresenta infatti la più autentica « canzore di gesta » dell’Italia contemporanea : una canzone di gesta » che, considerata nei suoi vertici messi in rilievo dalla prospettiva del tempo, appare oggi, pur con il suo eterogeneo

frammentismo,

come

la manifestazione unitaria di un intenso periodo storico, so-

prattutto per il suo costante amore di partecipazione e per la immediata civile.

verità

della sua ispirazione

67

note

nel

testo

GracoMO

ZANELLA,

Storia

della Letteratura

italiana

dalla metà del Settecento ai giorni nostri, Milano 1880, pag. 116.

GIACOMO ZANELLA, opera citata, pag. 119.

Onorato CasTELLINO, Interpreti dell’Alfieri, in Scritti sull’Alfieri, Torino

1949, pag. 607.

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DoMENICO

L'Ottocento, Milano

1949, pag. 153.

BULFERETTI, Foscolo, Torino

1952, pag. 59 e segg.

Ezio FLORI, Il teatro di Ugo Foscolo, Biella 1907, pag. 123 e segg. Ezio FLORI, opera citata, pag. 161 e segg.

ANGELO BROFFERIO, I miei tempi, Vol. VIII, Torino 1859, pag. 291. G. CostTETTI, La Compagnia ANGELO

BROFFERIO,

opera

reale sarda e il Teatro italiano dal 1821 al 1855, Milano

citata, pag. 296.

G. COSTETTI, opera citata, pag. 96 e segg. GuIpo MAZZONI, opera citata, pag. 935. GuIpo

MAZZONI,

opera

citata,

pag.

926.

GuIpo

MAZZONI,

opera

citata,

pag.

943.

GustAvo MODENA, Politica e Arte - Epistolario, Roma

1888, pag. 27.

RAFFAELLO MonTEROSssO, La musica nel Risorgimento, Milano

1948, pag. 284 e segg.

RAFFAELLO MONTEROSSO, opera citata, pag. 248 e segg. CARLO GATTI, Verdi, Vol. I, Milano RAFFAELLO

MONTEROSSO,

opera

1931, pag.

131.

citata, pag. 322.

G. BracagGNoLO e E. BETTAZZI, La vita di Giuseppe Verdi, Milano CARLO

GATTI, Revisioni

e rivalutazioni

verdiane, Torino

FEDERICO DoGLIO, Teatro e Risorgimento, Bologna 1961.

68

1905, pag. 73.

1952, pag. 56.

1893, pag. 96.

1891,

le risorgimento dans le théatre par Giovanni

Calendoli

Pendant tout le XIXème siècle, le théatre a été une des forces les plus vives du mouvement qui s'est terminé par l’unité de l’Italie; une des forces les plus vives surtout parce que, par des moyens indirects, il a contribué a étendre la diffusion des idéaux patriotiques et parce qu'il a réussi à créer une atmosphère imprégnée de passion, à déterminer un climat moral chez les spectateurs, en faisant appel à eux en leur qualité d’Italiens, alors qu’ils étaient encore politiquemente divisés. Un auteur dramatique et — temps et de lieu, communiquent

en particulier — un

acteur,

une impression, transmettent

dans un

des

circonstances

sentiment,

suscitent

déterminées des réactions

de à

travers le jeu d’une situation scénique, à travers un geste allusif ou une intonation polémique, plus que par

69

es mots et leur sens littéral. Et le spectateur, s’il est dans l’état d’esprit voulu, saisit immédiatement le sens de ce langage chiffré et y répond par son adhésion spontanée, établissant ainsi un dialogue. L'histoire du théatre italien dans le Risorgimento est l’histoire de ce dialogue subtil et allusif, auquel prennent part, petit à petit, des assemblées toujours plus nombreuses. D’une part, la sensibilité des spectateurs se fait de plus en plus prompte et aigué ; d’'autre part, auteurs et acteurs ont des occasions de plus en plus fréquentes et faciles de transmettre leur message. Il suffit, pour le rendre compréhensible, d'une pause, d'un mot, d'une vague allusion. Certaines ceuvres théatrales sont devenues célèbres, ont pris valeur d'emblèéme dans les luttes du

li

Risorgimento,

gràce à une

seule scène, à une

seule réplique. Et certains acteurs sont devenus

sur scène

comme le syvmbole d’une liberté désirée et disputée ; leur cohérence morale, leur foi politique, leur persévérance dans un répertoire choisi avec intention faisaient d'eux les propagateurs d’un idéal au-delà des limites de leurs interprétations elles-mémes. Les tragédies de Vittorio Alfieri sont la preuve la plus évidente de ce phénomène en vertu duquel une oeuvre ou une personne deviennent un prétexte pour donner un sens qui dépasse les mots et naît directement du rapport entre scène et salle. Pendant toute la période historique du Risorgimento, les tragédies d'Alfieri sont continuellement représentées et s'enrichissent, au fur et à mesure, d'un contenu moral toujours plus profond, répondent a l’anxiété toujours plus intense du spectateur et à une question de plus en plus angoissante et urgente. Et l'éloquence qui émane, toujours plus chaude et plus riche, de ces tragédies, a plusieurs sources Tout d'abord, elle dérive du thème fondamental qui inspire les tragédies elles-mémes: la lutte titanique, contre le tvran, de l’individu aspirant à la liberté. Les sentiments, parfois en contraste, de révolte, de rédemption, d'orgueil, de dignité, d'exaspération, d'intolérance, de justice qui se heurtent dans l’action du Risorgimento ont, dans ce thème d'’Alfieri, un dénominateur commun. Il y avait ensuite le tempéramenti du poète, àpre, hargneux, volontaire, continuellement prét à opposer un refus à la réalité contemporaine ; et il y avait son langage essentiel, détourné et sévère: l'un et l’autre répondaient à l’état moral des Italiens, obligés a d'innombrables restrictions et ils indiquaient presque la solution, qui ne pouvait naître que d'un effort tenace de toutes les volontés. Le 22 Septembre 1796, pour célébrer le début de l’An V de la République Francaise, Virginia, de Vittorio Alfieri, est représentée à la Canobbiana de Milan. Parmi les spectateurs qui, pendant les entr'actes, dansent la « Carmagnole » au parterre, se trouvent Bonaparte et Joséphine. Pendant la République Cisalpine, les tragédies d’Alfieri les plus représentées sont celles à thème républicain. En 1799, au « Teatro del Fondo », de Naples, dans Bruto, se révèle Paolo Belli Blanes, qui devait devenir l'un des interprètes les plus acclamés de Virginia, Mirra, Oreste, Agamennone, Saul.

Au cours des années suivantes, toutes les tragédies d’Alfieri sont représentées, quel qu’en soit le thème. Le nom de l’auteur suffit è donner à la représentation le ton d'une polémique. Giuseppe Mazzini rappelle l’oeuvre du poète piémontais dans son essai sur le « Dramma Storico »; Vincenzo Gioberti, dans « Prolegomeni al Primati ». Enfin,

en

1855,

Adelaide

Ristori

remporte

un

a pag.

à la page

69: costumi di Gino Sensani per i personaggi dell’Adelchi.

69: quelques costumes de Gino Sensani pour les personnages d’Adelchi. on

page 69: Gino Sensani's costumes for Adelchi.

I vittoriosi e i vinti dell’Adelchi rappresentano gli oppressori e gli oppressi del Risorgimento. (Bozzetto di Luciano Damiani per l’allestimento di Vittorio Gassman, 1959).

Les vainqueurs représentent

et les vaincus

d’Adelchi

et les opprimés du Risorgimento. (Maquette de Luciano Damiani, pour la version de la pièce mise en scène par Vittorio Gassman, 1959).

The

les oppresseurs

victors and the vanquished in Adelchi represent the oppressors and oppressed of the Risorgimento. (Sketch by Luciano Damiani for Vittorio Gassman's 1959 production).

triomphe à Paris, dans Mirra, faisant l’objet d’éloges de la part de George Sand, Théophile Gautier, Alfred de Musset, Alexandre Dumas. Et le comte de Cavour, qui avait soutenu et encouragé ces représentations, se montre satisfait de ce succès, qui souligne encore une fois la présence du problème italien. La proclamation de la République Cisalpine, à l’exemple frangais, provoqua, en Italie également, la floraison d'un théatre jacobin, violemment polémique. C'est encore un signe de la participation immédiate de la littérature et de la vie théàtrale aux événements, méme s'’il s’agit d'une participation politiquement prédisposée. Les oeuvres qui obéissent aux exigences contingentes sont toutes médiocres; elles développent, sous une forme extérieure de didascalie, les thèses révolutionnaires et démocratiques les plus générales. Dans ces drames hAtivement bAclés, les invectives contre l’aristocratie sont de rigueur, ainsi que les éloges à Bonaparte.

La Rivoluzione, pièce représentée pour la un choeur déclamé par tous les personages, autour Le Calabrais Francesco Saverio Salvi, en l’An VI du peuple de Brescia sa tragédie Virginia bresciana, a l'exil.

première fois à Bologne, en 1796, se termine par d'un « arbre de la liberté ». de la République Francaise, dédie aux représentants maudissant le roi de Naples qui l’avait contraint

La Virginia bresciana est Scomburga, fille de Durunduno, qu’'Ismond, envoyé par l’empereur Charlemagne pour saccager la ville de Brescia, tente de violer. Pour empécher ce crime, Durunduno tue sa fille et est tué ensuite; mais le peuple s’insurge et supprime Ismond, revendiquant sa liberté, qui lui est finalement accordée par l’empereur. Le théatre jacobin est un phénomène d’imitation, strictement en rapport avec la première occupation de Bonaparte, qui dura de 1796 à 1799. Brisé par la réaction, il ne se renouvela pas lorsque, au mois de Juin 1800, le régime francais fut rétabli en Italie, à la suite de la victoire de Marengo. Le plus profond réveil moral des Italiens est dù surtout à l’influence des tragédies d’Alfieri et à leur succès, qui suit la marche

des événements politiques, mais qui est doué également d’une force autonome intrinsèque. Quand, dans les premières années du XIXème siècle, il apparaît clairement aux patriotes que l’idéal de l’Indépendance italienne n’est pas une fin, mais un moyen pour la politique napoléonienne dans la Péninsule, l'oeuvre de Vittorio Alfieri redevient l’un des points de ralliement essentiels dans la tradition nationale. En 1802, la tragédie Cajo Gracco, de Vincenzo Monti, est représentée pour la première fois au « Théatre patriotique » de Milan. Le tribun romain y est évoqué dans une perspective de polémique et d’actualité. Marius Fulvius, amant de la soeur de Caîus Gracchus, tue le mari de celle-ci, le consul Opimius, qui

entend supprimer les libertés acquises par la plèbe ; quand Caius Gracchus, valeureux défenseur de ces libertés, revient de Carthage, la responsabilité du crime est rejetée sur lui. Le Sénat accuse Caius Gracchus, qui se tue avec un poignard que lui tend sa mère elle-méme.

72

Vittorio Gassman nel personaggio di Adelchi, romantica trasfigurazione dell’eroe risorgimentale.

Vittorio Gassman dans le personnage d’Adelchi, une transposition romantique du héros du Risorgimento.

Vittorio Gassman in the part of Adelchi, the romantic transfiguration of the Risorgimental

alle

pagg.

hero,

75-76-77:

lo

straniero oppressore in terra italiana: tre scene dell’Adelchi di Alessandro Manzoni nell’allestimento curato da Vittorio Gassman.

aux pages 75- 76-77: l’étranger, oppresseur du sol italien: trois scènes d’Adelchi d’ Alessandro Manzoni, dans la mise en scène de

Vittorio Gassman.

on pages 75-70-77: the foreign oppressor on Italian soil: three scenes from Adelchi by Alessandro Manzoni as staged by Vittorio Gassman.

La tragédie est continuellement émaillée d’allusions à la situation réelle, de l’Italie contemporaine. Caiîus lance des invectives contre ceux qui, se proclamant libérateurs, apportent l’esclavage et il s'attribue avec orgueil le mérite d’avoir unifié l’Italie entière dans la nation romaine. Les spectateurs de la première représentation accueillent ces allusions par des ovations enthousiastes. Le poète recoit la promesse d’un prix du gouvernement pour toute nouvelle tragédie qu'il composera. Mais au succès du spectacle contribue la sensibilité dont l’oeuvre fait preuve, ne serait-ce que par des allusions voilées, à l’égard de la déception causée par la politique de Bonaparte. Les années passent, et ces invectives contre le despotisme et la tyrannie qui, sous le signe de la liberté révolutionnaire, avaient accompagné l’ascension de Napoléon Bonaparte, se retournent graduellement contre lui. L’idéal d’une liberté intégralement italienne se dessine de plus en plus nettement. Le sentiment de la liberté prend une forme concrète ; il s'adapte intimement aux conditions particulières de la situation politique italienne, et le théAtre contribue d’une fagon déterminante à cette évolution. En 1804, Ippolito Pindemonte publie une tragédie, Arminio, où est représenté le heurt de la tyrannie contre la liberté au sein d’une famille. La liberté y est justement concue comme liberté de la patrie et non plus comme une idée abstraite et un commandement vague faisant partie d’une code universel. L'action se déroule dans le monde des Barbares. Arminio, qui a dirigé la révolte des peuples germaniques contre l’empereur Tibère, veut devenir le seigneur de son peuple. Mais son propre fils, Baldero, et le guerrier Telgaste, qui est épris de Velante, fille d’Arminio, s'élèvent contre cette aspiration tyrannique. Pour ne pas combattre contre son père, Baldero se tue. Telgaste, pour lutter contre le tyran, renonce à l'amour de Velante. Au cours d’un combat entre partisans de la tyrannie et défenseurs de la liberté, Arminio est frappé

mortellement et, en expirant, il se repent. A Telgaste, il confie non seulement sa fille, mais aussi son poignard. Le sens de rétorsion que peuvent prendre, dans un climat politique différent, ces mémes oeuvres nées dans l’enthousiasme et l’espoir du début de l’ascension napoléonienne, ressort de facon évidente de l'action de Tieste, la première tragédie du tout jeune Foscolo. Tieste fut représenté pour la première fois le 4 Janvier 1797, au Théatre S. Angelo de Venise: le role d'Erope était tenu par Anna Fiorilli-Pellandi, celui de Tieste, par Domenico Cern et celui d’Atrée, par Gaetano Businelli. Le thème de la tragédie est mythologique, mais l’inspiration politique y est constamment présente; Atrée représente la raison d’Etat, le Droit Divin, l’absolutisme ; Tieste, la révolution Les libéraux vénitiens attendaient l’arrivée du libérateur Bonaparte. Les accents jacobins gédie enthousiasmèrent les jeunes gens. Dans sa « Vita di Ugo Foscolo », Pecchio affirme que se valut de son Tieste comme d’un travestissement pour lancer quelques vérités politiques ces vérités « bien que voilées, éveillèrent l’attention de la police aux cent yeux ». A Venise, l’atmosphère était brùlante. De plus en plus nombreuses étaient les épigrammes

74

de la tra« Foscolo » et que contre le

t_

UA)

TIE

76

Gouvernement qui, murmurées de bouche à oreille, circulaient sans tréve. Au jeune poète, on en attribuait quelques-unes, raison pour laquelle, au mois d’Avril de la méme année, Ugo Foscolo, admonesté par l’Inquisition, était obligé de quitter Venise et il se transférait à Bologne, où il s’enròlait comme volontaire dans les chasseurs à cheval de la République Cispadane. A Bologne, il publia, pour couronner son Tieste,

l'ode à « Bonaparte

liberatore ».

Un peu plus de dix ans après, en Aoùt

1808, Tieste est de nouveau

représentée au Teatro Carcano

de Milan, par la troupe de Salvatore Fabbrichesi, ayant encore pour protagoniste Anna Fiorilli-Pellandi. A cette occasion; Tieste fait l’objet d’une correspondance entre le Ministre de l’Intérieur et le Directeur Général de la Police. Le Ministre de l’Intérieur demande « s’il est exact que l’on représente au Théatre Carcano des pièces contenant des allusions et des traits offensant gravement notre Gouvernement ». Le Directeur Général de la Police répond: « Rien, que je sache, n'a jamais été donné en spectacle public, sur les scènes surveillées par la Police, qui n’ait été, au préalable, soumis à l’examen de l'Office de

la Liberté de la Presse et n’ait été autorisé par ledit Office... Mais, quant aux théatres, la chose présente une difficulté fort réflexible, non tant è cause des drames en eux-mémes que parce que, parmi ceux qui assistent

aux

spectacles, certains

semblent

n’avoir d’autre but que de se creuser

le cerveau

pour trouver,

méme en dépit de tout bon sens, quelque application maligne ». En conclusion de cette correspondance, les représentations de Tieste furent interdites. Une oeuvre, écrite, à peine dix ans auparavant, comme pour saluer l’entrée de Bonaparte en Italie, est

censurée et interdite par la police de Napoléon. Au cours de ces dix ans, d’une part, la police francaise avait dévoilé ses intéréts réels, mais, d’autre part, les spectateurs avaient acquis une capacité de réaction qui leur permettait de mettre en relief et de polémiser sur tous les éléments qui pouvaient se référer à la nouvelle situation. C'est dans ce rapport actif entre la scène et la salle, dans le fait de se « creuser le cerveau » pour découvrir, dans chaque drame, « quelque application maligne », que consiste l’élément le plus agressif de la participation du théatre à l'action du Risorgimento. Les oeuvres apparaissent,au fur et à mesure, dans une lumière nouvelle et différente, comme des organismes qui se développeraient et croîtraient en méme

temps que l’Histoire;

et les spectateurs, par le

seul fait de se réunir dans une salle, viennent se joindre, en marge peut-étre, mais positivement, à ce mouvement dont les conspirateurs, les hommes d’action, les « condottieri » politiques sont le centre. Un filet subtil et invisible enveloppe lentement toute la péninsule et la police ne parvient pas à en défaire les mailles. Les drames, à la lettre, ne sont pas censurables en eux-mémes, pas plus d’ailleurs que les spectateurs ne sauraient étre considérés comme coupables en raison de leur approbation et de leurs applaudissements. Privée d’éléments précis, la police doit s'aventurer dans un problématique procès aux intentions. Dans ce jeu, qu'il est difficile de reconstituer dans toutes ses phases particulières, se déploient le charme extraordinaire exercé par certains acteurs, leur importance politique et morale. Dans ce jeu dan-

78

gereux et délicat, ils constituent un élément fondamental. Dans le cas de Tieste, par exemple, ils proposent de nouveau une tragédie qui, par ses antécédents, est inattaquable, mais qui, dans une situation politique qui a évolué, est devenue au contraire polémique, en vertu d’une signification nouvelle; ils soulignent, dans leur interprétation, les mots, les vers, les gestes qui, par la force méme des événements, sont riches de sens critique. La seconde tragédie d’Ugo Foscolo, Ajace, représentée à la Scala de Milan, le 9 Décembre 1811, n'échappe pas, elle non plus, à la surveillance de la police. On insinue que le tyran Agamemnon incarne la domination trompeuse de Napoléon ; Ajax, le conjuré Moreau ou encore l’auteur lui-méme; Ulysse, le Ministre de la police, Fouché; et Calcante, Pie VII. Le 15 Décembre, par une circulaire, le Ministre de l’Intérieur

interdit

la tragédie,

non

seulement

à

Milan, mais dans le royaume entier. Le poète n’a jamais reconnu comme

intentionnelles les allusions vues dans Ajace. Mais, en tout cas,

la tragédie ne fut plus représentée et Foscolo, certainement sur invitation de la police, abandonna Milan. Pendant ce temps, une autre polémique se développe entre les partisans du classicisme et les défen-

seurs du nouveau romantisme. C'est une polémique européenne qui, s'étendant à l’Italie, reflète les conditions politiques particulières de la Nation.

Quand, à la chute de la puissance napoléonienne, se rétablissent les anciennes suprématies, le classicisme conservateur devient l’emblème de ceux qui soutiennent la restauration, tandis que le romantisme accueille dans ses rangs les nouvelles générations rebelles aux entraves — non seulement littéraires —du passé. Mais, dans le domaine du théatre, les distinctions ne sont pas toujours aussi nettes. En effet, le principal représentant de l’esprit classique dans la littérature dramatique, Vittorio Alfieri, n’en est pas moins, à la fois, proclamateur des idées de liberté nationale et précurseur du « pathos » romantique. Il n'est pas rare que classicisme

et romantisme

se rencontrent

sur scène, trouvant une base commune

dans

la glorification, plus ou moins voilée, de l’idéologie patriotique ; glorification qui, de la chute du Royaume Italique à 1848, constitue le caractère dominant de la littérature dramatique italienne la plus vivante. Lentement, s'élabore un type de tragédie qui peut étre, à juste titre, qualifié de « risorgimental ». Subissant toujours plus profondément l’influence de la polémique romantique, qui détruit le mythe classique des unités dramatiques et éveille l’intérét pour des thèmes de caractère national, cette tragédie s’inspire des événements historiques du Moyen Age ou de la Renaissance italienne. Parmi ces événements, le choix tombe naturellement sur ceux qui se prétent le mieux à une reconstruction d’actualité, en mettant en relief la lointaine aspiration du peuple à l’indépendance. Una large place est faite, dans cette nouvelle littérature dramatique, aux personnages rendus célèbres par l’évocation qu’en a faite Dante dans sa « Divine Comédie »: Dante est le poète dans lequel se résument, au cours du XIXème siècle, toutes les valeurs du sentiment national, et ses créatures apparaissent toujours, ne serait-ce qu’indirectement, comme les symboles et les transfigurations de ce sentiment.

79

La première tragédie « risorgimentale » est, en effet, Francesca da Rimini, de Silvio Pellico, alors agé de vingt-six ans. Représentée pour la première fois au Théatre Re, de Milan, le 18 Aoùt 1815, Francesca da Rimini, dont l’interprète est Carlotta Marchionni, obtient un succès chaleureux ; jouée dans tous les plus grands théatres d’Italie, elle vaut à son jeune auteur une rapide célébrité. Les éléments déterminants de ce succès ne résident pas seulement dans l’interprétation pathétiquement romantiaue du récit dantesque qui, dans l’esprit de l’époque, revét en lui-méme une signification polémique, mais aussi dans la présence qui en dérive d'une allusion aux conditions de l’Italie. La seconde

tragédie écrite par Silvio Pellico avant

sa

condamnation

et son emprisonnement, Eufe-

mio da Messina, ne vit pas les feux de la rampe. La censure en interdisit la représentation, la jugeant comme une offense à la religion et la qualifiant d’excessivement « atroce ». Mais les raisons données n'’étaient évidemment que des prétextes pour empécher qu’une nouvelle apostrophe à l’Italie, semblable à celle contenue dans Francesca da Rimini, se fasse entendre sur scène. Eufemio da Messina raconte une sombre histoire d’armes et d'amour qui se déroule pendant l’invasion des Sarrasins en Sicile, aux environs de 830; mais au V° acte, le protagoniste fait une claire allu-

sion à l’occupation autrichienne, à l'amour de la patrie et à la haine de la domination étrangère. Dans sa prison, Silvio Pellico avait congu trois tragédies; Ester di Engaddi, Iginia d'Asti et Leoniero da Dertona. La première, ainsi qu’une autre tragédie du méme auteur, Gismonda da Mendrisio, est incluse dans le répertoire de la Troupe Royale Sarde, pour l’année 1832. Les textes en sont remis personnellement par Silvio Pellico à la première actrice, Carlotta Marchionni. «La première représentation d’Ester — rappelle G. Costetti — fut une soirée inoubliable; on fétait le retour de Silvio. La tragédie se prétait aux manifestations les plus solennelles, le public ayant eu l’impression que le caractère du triste pontife Iefte constituait un défi à Rome et à la papauté ». « Non seulement — ajoute Brofferio — on applaudissait toutes les scènes avec une insistance prolongée, mais on entendait proclamer le nom dc l’auteur avec mille salutations et, de leurs loges, les femmes agitaient leurs blancs mouchoirs en signe de félicitations au prisonnier libéré ». Une fois encore, le théAtre et la vie se rencontrent. Le spectacle est une occasion qui permet à la foule opprimée de manifester ses propres sentiments.

« Inoubliable fut — rappelle Costetti — l’accueil fait è Gismonda, meilleure, qui se préte plus encore aux manifestations du public, en raison de inspire à l’égard de Barberousse et des Impériaux. Tous les spectateurs étaient dans leurs loges. On n’applaudissait plus, on hurlait. Les mouchoirs flottaient fleurs pleuvaient sur la scène, sur la Marchionni, sur

tragédie de qualité bien la haine intérieure qu'elle debout, méme les dames, comme des drapeaux, les

Ferri, sur la Fabietti... » et autres interprètes.

Dans toutes les tragédies écrites par Silvio Pellico en prison, plane une aspiration à l’unité et à la liberté des peuples. Dans Iginia d'Asti, publiée en 1831, en méme temps que Ester di Engaddi, le

80

Adelchi (Vittorio Gassman) e Desiderio (Andrea Bosic):

l’immagine

dell’Italia

tradita.

Adelchi (Vittorio Gassman) et Desiderio (Andrea Bosic): image de l’Italie trahie.

Adelchi (Vittorio Gassman) and Desiderio (Andrea Bosic):

the symbol of Italy°s betrayal.

fond de l’action est constitué par la lutte entre les Guelfes

et les Gibelins;

dans

Leoniero

da Dertona,

ce sont, encore une fois, les discordes civiles du Moyen Age qui sont représentées, pour rappeler « le besoin que la société a d’indulgence mutuelle et de réconciliations sincères entre les bons ». Dans

ses oeuvres

théatrales

suivantes,

Silvio Pellico, qui, pendant

sa captivité, avait subi une pro-

fonde transformation spirituelle, donne la prédominance à un autre thème : celui de la résignation chrétienne, que les Italiens, engagés dans leur lutte pour l’indépendance, ne pouvaient, à cette époque, sentir avec intensité. En effet, l’enthousiasme des soirées de 1832 ne se renouvela pas: Silvio Pellico s’était dé-

sormais soustrait au colloque, et une autre de ses tragédies, Corradino, représentée également par la Troupe Royale Sarde, en 1835, fut carrément sifflée. Un des créateurs de la tragédie « risorgimentale » est Giovanni Battista Niccolini, proclamateur d'un libéralisme laîc et républicain, écrivain aussi enflammé et violent que Pellico était pathétique et calme. Niccolini fait ses premières armes théaAtrales dans le respect du classicisme, qui répond davantage à son tempérament. Mais après Nabucco, publié à Londres sans signature, l’écrivain se soumet de plus en plus à l’influence romantique, regardant le passé avec l’esprit tendu vers la lutte politique contemporaine.

Déjà, dans Nabucco, pièce de laquelle l’auteur a laissé une « clef » permettant d’avoir une vue exacte de l’action, les personnages incarnent les protagonistes de l’épilogue napoléonien. Les Assyriens, craintifs et querelleurs, se soumettent è Nobuchodonosor, après avoir justicié, par désir de liberté, le doux souverain auquel ils étaient précédemment soumis. Nabuchodonosor entraîne

son peuple dans un tourbillon de guerres victorieuses. La Phénicie tente de soulever contre lui les Etats

d'Asie. Le despote les bat, après les avoir divisés. Il occupe la capitale de la Médie et oblige le roi Darius à lui accorder la main de sa fille, Amiti.

Mais Nabuchodonosor marche vers sa ruine, quand il décide de plier également la Scythie, où, au contraire, les plaines désolées, couvertes de neige, dressent sable.

contre

son

armée

une

barrière

infranchis-

Nabuchodonosor, c'est Napoléon; Amiti, Marie-Louise ; la Phénicie, l’Angleterre ; la Médie, l’Autriche et ainsi de suite... Mais, dans les oeuvres suivantes, Niccolini adhère plus étroitement encore au drame de la situation italienne. La

tragédie

Giovanni

da Procida,

qui obtient

un grand succès à Florence, en Janvier 1830, suscite

l’inquiétude des gouvernements et provoque des incidents diplomatiques qui entraînent l’interdiction de la pièce jusqu’en 1847. Méme un sujet théatral typiquement romantique, la passion amoureuse, unissant un frère et une soeur qui ignorent leurs liens consanguins, sert a Niccolini de prétexte pour développer un thème patriotique.

L’action

82

de Giovanni

da Procida

se déroule

en Sicile, à l’époque des Vépres Siciliennes;

mais le

langage en est si actuel, non seulement dans son contenu, mais aussi dans sa forme, que l’on comprend comment les spectateurs sont amenés à retenir surtout, de la tragédie, les allusions politiques claires et répétées. De Gian Battista Niccolini,en 1843, est édité à Marseille

et à Capolago,

Arnaldo

da Brescia,



l’a-

gitateur qui, à travers la révolte, propose de constituer une république populaire, est présenté comme un martyr de la liberté contre la tyrannie impériale, personnifiée par Frédéric Barberousse, et la tyrannie papale, personnifiée par Adrien IV. En raison de cette thèse, qui est à la base de ses aspirations, Arnaldo da Brescia est considéré comme

l'« antidote » du « Primato morale e civile degli Italiani », de Vincenzo

Gioberti, publié pour la

première fois, en 1843, également, à Bruxelles, qui prédit une Italie future, rendue à son autonomie et à sa mission de civilisation sous la conduite de l’Eglise et de la Papauté. Nombreux sont les exemplaires d’Arnaldo da Brescia, imprimés au-delà des frontières, qui parviennent en Italie et se propagent clandestinement parmi les patriotes d’esprit républicain, pour lesquels cette oeuvre constitue un précieux bréviaire.

L’activité de l’écrivain s’achève faiblement, mais avec cohérence, en 1858, par la tragédie Mario e i Cimbri, où Marius symbolise le libérateur tant souhaité de l’Italie. La tragédie Mario e i Cimbri est dédiée, par Gian Battista Niccolini, à l’acteur Gustavo Modena, qui fut l'un des principaux interprètes de ses oeuvres. L’expression lyriquement la plus élevée est donnée à la tragédie « risorgimentale » par Alessandro Manzoni, dont les idéaux romantiques et nationaux sont ravivés à la flamme de ia foi catholique. Tandis que Silvio Pellico et G.B. Niccolini, par leurs oeuvres mémes, se placent, sans préoccupations d'ordre métaphysique, au sein de la lutte politique, Manzoni tend vers une expression qui, tout en s'inspirant de la réalité, s’efforce de la dépasser en une vision supérieure du destin humain. C’est pour cette raison que ses tragédies, I! Conte di Carmagnola et Adelchi, provoquent une vive déception chez certains patriotes plus directement engagés dans l’action. Alessandro Manzoni, lui, est au-dessus de la mélée. Le théatre « risorgimental », méme quand il est purement oratoire et dénué de toute exaltation poétique, naît d'un mouvement impulsif d’enthousiasme essentiellement optimiste, c'est-à-dire de l’espoir sous-entendu que le peuple italien, dont on déplore l’esclavage et montre le malheur, pourra se relever de la triste situation dans laquelle il se trouve. La vision de la vie, dans laquelle Manzoni évoque les histoires tragiques du comte de Carmagnola

et d’Adelchi, est, au contraire, pessimiste quant à la réalité historique. Le comte de Carmagnola, après avoir épousé la fille de Filippo Maria Visconti, passe au service de la République de Venise, son ennemie. Il remporte la victoire de Maclodio; mais, injustement soupconné de trahison, il est jugé et, le 5 Mai 1432, décapité. Ce n’est que dans la solitude de son ultime captivité que le fier condottiere, qui avait été aveuglé par la puissance, s’élève vers une sérénité chrétienne et, découvrant

la vanité des ambitions

terrestres, accepte comme une libération une mort injuste.

83

Il en est de méme pour Adelchi qui, aux còtés de son père, est contraint de combattre une guerre dans laquelle il ne croit pas et retrouve sa propre liberté morale quand, blessé à mort et prisonnier, dans le

détachement

des choses de ce monde, il peut parvenir au summum

de la foi.

Il Conte di Carmagnola et Adelchi, dans la perspective de cette solution, chère è Manzoni, du problème patriotique, solution que Cesare Angelini a qualifiée d’« évangélique », développent un thème fondamental: l’inutilité des luttes fratricides et l’impossibilité d’attendre le salut d'un conquérant étranger, qui chasse l’occupant en se substituant à lui dans la domination. L'évocation de la bataille de Maclodio dans le choeur du Conte di Carmagnola est un chant mélancolique dans lequel est déplorée, avec une sensibilité

toute

XIXème

siècle,

la division

des

Italiens;

dans le premier choeur d'Adelchi, Manzoni insiste avec vigueur sur une conviction qui, surtout après la douloureuse expérience napoléonienne, s’était largement répandue parmi les patriotes: la nécessité, pour les Italiens, de ne pas attendre leur liberté de l’étranger, mais de la conquérir par leurs propres

moyens. Mais ces appels, bien qu’intensément entendus, laissent une impression de découragement et d’amertume, du fait qu’ils manquent eux-mémes de confiance dans l’Histoire et dans ses possibilités de solution. Au théatre, les patriotes vont chercher un espoir, l'annonce d’un avenir propice que Manzoni, au contraire, lui, ne promet pas. Il Conte di Carmagnola est représenté une seule fois, en 1828; Adelchi est mis en scène en 1843 à Turin, par la Troupe Royale Sarde; mais les deux tragédies sont accueillies avec froideur, et non seulement

à cause

de leur lenteur et de leur intonation

lyrique, mais aussi parce que leur « animus » est

bien différent de celui des spectateurs qui est, lui anxieux et euphorique. Autour des trois écrivains principaux, fleurissent d'innombrables auteurs dramatiques, qui répètent tous, sur des tons différents, le méme thème de tragédie. De Francesco Dall’Ongaro, partisan de Mazzini, camarade de conspiration de l’acteur Gustavo Modena, député à la Constituante

romaine

de 1849, exilé,

un

drame

est

devenu

célèbre:

Il Fornaretto,

joué pour la première fois par la Troupe Royale Sarde en 1846. Le théatre, en tant qu’instrument

d’action, est l’idéal d’Edoardo

Fabbri, admirateur convaincu d’Al-

fieri et ardent illuminé qui, en 1824, est accusé d’'avoir organisé une conspiration pour la libération de la Romagne et est condamné au bagne; il est libéré par l’insurrection de 1831. Déjà, dans un discours sur le « Teatro educatore », tenu en mars 1798 au Cercle Constitutionnel de Milan, il avait soutenu les principes qui devaient par la suite inspirer toute son oeuvre avec cohérence. Fabbri écrit plusieurs drames pour le « Teatro patriottico » de Milan ; précurseur de Silvio Pellico, il compose en 1801 une Francesca da Rimini où la reconstruction du milieu historique tend à l’exaltation du sentiment

patriotique.

Son dernier drame, / cesenati nel 1377, où se sent plus nettement l’influence shakespearienne, est celui qui reflète le plus fidèlement son idéal artistique dominé par la passion politique. Le protagoniste en est le peuple de Cesena, déchiré par les troupes mercenaires; c'est à ce peuple divisé que s’adresse

84

nel

che

dans

L’attore Tommaso Salvini dramma di Paolo Giacometti La morte civile (1861)

segna il passaggio dal teatro patriottico al teatro sociale.

le drame

Tommaso Salvini, de Paolo Giacometti

La morte

civile

(1861),

qui marqua le passage du théatre patriotique au théatre à fond social. The

actor Tommaso Salvini in Paolo Giacometti’s drama La

morte

civile

(1861)

which marked the change from patriotic to social theatre.

85

Polidoro Tiberti, en proclamant

qu’il ne veut en face de lui ni Guelfes, ni Gibelins, mais seulement

des

Italiens. Angelo Brofferio, persécuté politique, député de gauche au Parlement subalpin, est secrètement chargé par Carlo Alberto d’écrire une tragédie, dont le protagoniste est Vitige re dei Goti, c’est-à-dire l’étranger. La pièce, qui ne voit les feux de la rampe qu'’en 1848, est interdite par la censure, parce qu'il y transparaît clairement une invective contre l’Autriche. La tragédie, publiée à Paris en 1840, se termine

par le cri de « Vive l’Italie! ».

Angelo Brofferio dirige ouvertement contre Carlo Marenco la méme accusation que celle, plus voilée, qui frappe Manzoni : il lui reproche de montrer davantage les discordes des Italiens que leur lutte magnanime contre l’étranger. Marenco est l’auteur d’un Arnaldo da Brescia, antérieur à celui de G. B. Niccolini, d’un Corradino di Svevia, d'un Conte Ugolino et d’une Pia de’ Tolomei qui, représentée pour la première fois par la Troupe Royale Sarde, le 17 Juin 1836, devient par la suite une des interprétations préférées de Carlotta Marchionni et d’Adelaide Ristori. Dans sa Beatrice di Tenda, parue en 1825. C. Tedaldi Fores évoque une insurrection du peuple milanais contre Filippo Maria Visconti, qui a fait emprisonner deux innocents. C'est une insurrection, celle qui éclata à Génes en 1546 et 1547, que Tedaldi Fores, disparu en 1829 à l’age de trente-six ans, retrace dans sa dernière tragédie I Fieschi e i Doria, publiée à Milan en 1829. En 1839, Giuseppe Rovere publie un Lorenzino de’ Medici qui est représenté en 1850, par la Troupe Royale Sarde; mais deux ans auparavant, en

1848, une autre oeuvre

été donnée: Sampiero, « allégorie de l’Italie opprimée par l’Autriche ». C'est à une tragédie où domine la figure d’Arduino d'Ivrea, premier

du méme

auteur avait déjà

roi d’Italie, qu’est confié le

souvenir de Stanislao Morelli, volontaire dans les guerres d’Indépendance, de 1848 à 1866. Représentée pour la première fois à Turin en automne 1869, cette oeuvre se propose de reproduire, dans le personnage du roi Ardouin, les traits de Charles-Albert de Savoie. Ayant ceint la couronne de fer à la Diète de Pavie et s’étant opposé par les armes à l’empereur Henri, Ardouin meurt abandonné des siens; il s'était retiré volontairement dans l’Abbaye de Fruttuaria, après avoir désigné comme nouveau roi son fils Otton, dans lequel on peut reconnaître Victor-EmmaLuuolels Un autre personnage fondamental de la tragédie est le chef de la faction milanaise, Arlembauld, qui, lui, est concgu comme un héros du Risorgimento. Persécuté par la police, Francesco Benedetti se tue, le Ier Mai 1821 à Pistoia, pour ne pas étre fait prisonnier. Certains de ses drames avaient été interprétés par Paolo Belli Blanes. Puisant son inspiration dans les « Historie fiorentine » de Machiavel, il avait également composé une Congiura di Milano, représentée en séance privée, au Teatro de’ Moderati, à Florence, en 1815. Benedetti a laissé une autre tragédie presque entièrement achevée: Cola di Rienzo. Conjurations, conspirations contre les tyrans et les usurpateurs, insurrections des opprimés contre les oppresseurs, révoltes du peuple sont les thèmes de toutes ces tragédies, qui sont inspirées de l’His-

re;

——-

86

Adelaide Ristori, la grande interprete dei drammi di Paolo Giacometti. Adelaide Ristori, la grande interprète des drames de Paolo Giacometti. Adelaide Ristori, the great interpreter of Paolo Giacometti’s dramas.

87

toire du Moyen Age et de la Renaissance, parce qu’en elle on reconnaît la véritable source de l’état moral et civil actuel du peuple italien. De méme que, dans les dominateurs, on devine Frangais et Autrichiens, gràce à une évocation qui n’hésite pas à affronter l'anachronisme pour étre plus allusive, dans les dominés et leurs agitateurs on reconnaît les caractéristiques spirituelles des combattants du Risorgimento.

Ce n’est pas surprenant, par conséquent, qu’en 1842, le duc de Modène annonce un concours pour récompenser les deux troupes dramatiques qui auront le mieux contribué à ne pas « susciter dans les esprits l’aversion ou le mépris pour les autorités les plus respectables ». Les censures des différents Etats sont constamment occupées à relire les textes des oeuvres destinées au théatre; elles suppriment telle ou telle phrase, remplacent tel ou tel mot. Mais c’est, en grande partie, un travail vain, parce que, partie d’allusions glissées ca et là dans les textes, selon l’occasion, la littérature tragique en est arrivée graduellement à créer un langage chiffré, une atmosphère, un catalogue de thèmes et de situations. Avec le recul du temps, toutes ces oeuvres, à part quelques exceptions, sont destinées à sembler caduques sur le plan artistique, parce que trop nettement orientées vers un but de propagande. Mais c'est bien vers ce but que tendent sciemment les auteurs. Le théatre s’est mis au service de la lutte pour l’Indépendance. Il ne vise pas à étre un théatre pur et simple, mais un théatre patriotique et, en effet, il devient une des forces les plus actives du Risorgimento. Le mouvement suit à l’unisson le déroulement des événements politiques, il se confond avec lui et atteint son point culminant vers 1848, quand éclatent les insurrections. Les acteurs font partie intégrante du mouvement.

Certains

protagonistes

de la scène

sont, à leur

facon, des protagonistes de la vie politique également. Gustavo Modena en est le grand exemple. Pour lui, le théàtre est avant tout un instrument d’action civile. En 1829, à Padoue, Modena provoque une manifestation anti-autrichienne, en jouant Francesca da Rimini, de Silvio Pellico. En 1831, à Bologne qui s’est soulevée contre le gouvernement pontifical, il encourage de la scène les révoltés, en modifiant le texte d’un drame. Il quitte le théatre, prend les armes, combat è Rimini, Ancòne, Cesena, Enfin, il s’exile à Marseille, où il rencontre Giuseppe Mazzini et s’affilie à la « Giovane Italia ». De France, il passe en Suisse; de Suisse, en Belgique et en Angleterre. Là, au Queen's Theatre, il interprète, en 1839, la « Divina Commedia », paraissant seul sur scène, dans le personnage du poète qui, improvisant, dicte ses vers.

L'amnistie accordée par l’Empereur d’Autriche lui permet de rentrer en Italie. Il forme une troupe de théatre, mais, à la veille de 1848, il est complètement repris par l’activité politique. Le 12 Avril, il écrit à un ami: « Le théatre est mort pour longtemps ». Au cours des insurrections, il est parmi les combattants. A Florence, il est élu député à l’Assemblée Constituante. Après ces événements,

il remonte

sur scène, mais avec lassitude, jusqu'à sa mort, survenue

à Turin,

en 1861.

Après 1848, la fonction oratoire et patriotique de la tragédie s’éteint lentement et l’intérét de la littérature dramatique se tourne graduellement vers les problèmes de caractère social et humanitaire.

88

Paolo Giacometti,

autore della polemica commedia Il poeta

Paolo

Paolo

Giacometti,

Giacometti,

e la ballerina

(1840).

auteur de la pièce polémique Il poeta e la ballerina (1840).

author of the controversial play Il poeta e la ballerina (1840).

Pisa © Pioti Paota #8 *

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En 1841, une oeuvre théatrale remporte rapidement un succès non éphémère, justement parce qu'elle fait entrevoir cette conversion, non seulement dans son contenu, mais aussi dans son langage. C'est Il poeta e la ballerina, de Paolo Giacometti humanitaires, La morte civile.

qui écrira, par la suite, l'un des plus retentissants

drames

Dans Il poeta e la ballerina, le motif patriotique naît déjà d'une enquéte psychologique et sociale qui, dans la construction de l’oeuvre, a la prédominance. Le ton oratoire de la tragédie commence à s’éteindre pour faire place à la polémique de la comédie bourgeoise, qui reflètera non plus les problèmes moraux d’un peuple qui aspire à son indépendance, mais les problèmes sociaux d’une Nation de récente constitution politique. Le théatre est fréquenté par une minorité. A la veille de 1848, l’idéal d’indépendance jusqu'alors

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alimenté par la passion d’une élite, devient un mouvement plus largement populaire. C'est la raison pour laquelle le langage de la tragédie et sa fonction oratoire et politique passent graduellement au mélodrame — dans le sens littéral du mot — qui, par l’intermédiaire plus universel de la musique, peut s’adresser à des assemblées plus nombreuses et établir une communication incomparablement plus ample. De méme que, pendant le premier Risorgimento, étaient passées de bouche en bouche les répliques les plus polémiques des tragédies, au cours du second Risorgimento, on se répète les motifs musicaux qui, dans un mélodrarne, acquièrent une signification particulière par le fait qu'ils accompagnent une allusion polémique. Comme celui de la tragédie, ce mouvement a, au début, un développement incertain et des origines nées de l’occasion. En 1826, est représenté à La Fenice, de Venise, le mélodrame Donna Caritea, de Saverio Mercadante, où le choeur chante la beauté d’une mort affrontée pour libérer la Patrie de ses tyrans et suscite un enthousiasme inattendu; il devient la voix de l’indépendance tant souhaitée. La censure tente d’atténuer la valeur allusive des vers, en remplacant certains mots ;mais l’expédient se révèle inutile. En Juillet 1844, le bruit se répand que les frères Bandiera, alors qu’ils allaient au supplice, dans le vallon de Rovito, chantaient, avec leurs sept compagnons, le lent et lugubre choeur de Donna Caritea. De méme, un des condamnés de Belfiore, dans l’attente de son exécution, le 7 Décembre 1852, fredonnera un air du Marin Faliero, de Gaetano Donizetti.

Le mélodrame de Vincenzo Bellini, I Puritani e i Cavalieri, représenté pour la première fois au Théatre Italien de Paris, offre aux combattants de l’Indépendance un air qui deviendra rapidement fameux, en tant qu'’incitation à la lutte pour la liberté. Un autre mélodrame de Vincenzo Bellini, Norma, au cours d'une représentation è la Scala de Milan, le 10 Janvier

1859, est cause d’un incident retentissant et prémoniteur. Dans la salle, se trouvent

de nombreux officiers autrichiens. Lorsque le choeur du dernier acte est entonné : « Guerra, guerra... » les spectateurs se lèvent et répètent ces mots à grands cris, improvisant une manifestation. Les officiers autrichiens SIAT en se tournant vers la loge où se trouve legénéral Gyulay et en criant, eux aussi: « Guerra, guerra..

L "ultime se l’aventure désespérée de Joachim Murat, qui inspire à Alessandro Manzoni un chant resté inachevé, « Il proclama di Rimini » et la tragédie Il Conte di Carmagnola, est également illustrée par une page musicale de Gioacchino Rossini. Quelques jours après avoir publié la fameuse prociamation par laquelle il invitait les Italiens à V’indépendance, le napoléonien rebelle, le soir du 2 Avril 1815, entre avec ses troupes à Bologne. Il est accueilli, au Teatro Contavalli, par la musique

de Gioacchino

pelle les phrases de l’appel de Rimini. Plusieurs mélodrames de Rossini sont parsemés

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Rossini, un hymme

qui, dans ses vers, rap-

de phrases et de motifs qui acquièrent une valeur allu-

Un ritratto di Gioacchino alle sorelle

Rossini

Barbara

dedicato

e Carlotta

nel 1868 Marchisio,

che furono acclamate interpreti delle sue opere nei teatri italiani e stranieri.

Un portrait

de Gioacchino aux soeurs

Rossini,

Barbara

dédié,

et Carlotta

en

1868

Marchisio,

qui étaient alors des cantatrices fort applaudies, interprètes de ses opéras, en Italie et à l’étranger.

Portrait of Gioacchino

Rossini

dedicated

to Barbara and Carlotta Marchisio,

in 1868

the actress

sisters who played in his operas and were acclaimed in theatres both in Italy and abroad.

L’attrice di prosa Carlotta Marchionni, che fu nel 1815 la prima protagonista della Francesca

da Rimini

di Silvio

Pellico,

iniziò le sorelle Marchisio ai segreti della scena. La tragédienne Carlotta Marchionni, qui fut. en 1815, la première interprète Francesca da Rimini, de Silvio Pellico, apprit aux soeurs Marchisio les secrets du théatre.

de

The stage actress Carlotta Marchionni the first star of Silvio Pellico’s Francesca da Rimini in 1815. It was she who first encouraged ihe Marchisio sisters towards the theatre.

sive; Moise, représenté au Teatro San Carlo de Naples, pour la première fois, en 1818 et, neuf ans plus tard, à Paris sous une forme nouvelle, évoque l’odyssée du peuple juif et la figure du prophète appelé à le sauver de l’esclavage; dans cette odyssée, les Italiens reconnaissent leur propre destin. La prière par laquelle l’oeuvre se termine devient la prière des patriotes. Le dernier mélodrame composé par Gioacchino Rossini, Guillaume Tell, représenté à l’Opéra de Paris le 3 Aoùt

1829, est l’expression méme

d'un effort de renouvellement

intime, déterminé, au moins

en partie, par les préoccupations et les angoisses de l’époque. Le choix méme du thème, qui exalte le champion de la liberté nationale helvétique, en est un indice éloquent.

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Le thème central du livret est constitué par la tragédie d'un homme qui résume en soi la tragédie d'un peuple aspirant à l’indépendance. Le souffle de la poésie faisait défaut à la tragédie du Risorgimento, qui a été une manifestation oratoire vibrante, destinée à éveiller, par la violence de préceptes moraux élémentaires, le patriotisme des

spectateurs.

Il Conte

di Carmagnola

et Adelchi,

d’Alessandro

Manzoni,

ont

été,

au

contraire,

deux oeuvres de poésie; mais, en elles, la passion civile est presque effacée pour atteindre à l’abstraction sublime de la spiritualité la plus pure. La taàche de transfigurer poétiquement les passions de l’époque au moyen d’un langage qui, tout en devenant populaire et « cantabile », ne tombe pas dans le style oratoire, est accomplie par Giuseppe Verdi. Il joint au maximum d’expérience musicale l’expérience théatrale, obtenant ainsi l’équilibre le plus complet. Les situations dramatiques, les personnages, les problèmes moraux, les conditions humaines, les aspirations civiles, que la tragédie d’abord et le mélodrame ensuite ont lentement définis et

codifiés, deviennent, dans l’oeuvre de Giuseppe Verdi, de Nabucco à La Battaglia di Legnano, de 1842 à 1849, dans la phase culminante du Risorgimento, un organisme vivant et cohérent, soutenu par une force poétique rudimentaire, mais irréristible. Giuseppe Verdi sentit que la voix poétiquement la plus pure, dans la tragédie du Risorgimento, était celle d’Alessandro Manzoni. Il tenta certainement de mettre en musique // Conte di Carmagnola (il reste le choeur pour quatre voix et piano). Peut-gtre s’approcha-t-il également d'Adelchi. Mais il ne persévéra pas. Il comprit probablement que ces deux oeuvres, qui aboutissent à la conversion intime d’un personnage, représentent, plus que la tragédie d'une foule ou d'un peuple, celle d'un individu. Et cet individu ne résout pas ses problèmes dans la réalité de la vie, mais dans l’éternité de l’esprit. Le monde poétique de Giuseppe Verdi a des limites précises et claires, bien que réduites: c'est le monde des sentiments qui, dans une foule, déterminent l’élément commun à tous les individus et amènent la collectivité à avoir conscience d’elle-méme, en imprimant aux esprits l’enthousiasme de l’action. Le style homophone des choeurs de Verdi est la forme parfaitement adhérente à un motif poétique: le compositeur a interprété le moment culminant de l'action du Risorgimento, justement parce qu'il a exprimé la poésie de l’unisson, chanté la joie de se retrouver au-delà des divisions, au-delà des dissonances, au-delà de la variété méme

du concert. Cette réunion dans l’oeuvre de Verdi est représentée sur

scène au moyen d'une action frénétique, rapide, concise. Désormais, le rythme du relèvement de la Nation italienne s’accélère. La première manifestation de cette poésie de Verdi se trouve dans Nabucco, représenté à la Scala de Milan le 9 Mars 1842, et dans le choeur « Va, pensiero sull’ali dorate », qui devient rapidement

le chant de l’aspiration, secrète ou avouége, du peuple italien à son unité: la phrase musicale est impétueuse,

mais

sa limpidité

linéaire

la rend extrémement

mélodieuse:

trois voix qui s'y rencontrent

à

l'unisson.

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Giuseppe Verdi a la force de rendre leurs vibrations poétiques primitives à ces valeurs élémentaires qui ont été usées par le style oratoire : « O mia patria sì bella e perduta ». Le thème de Nabucco est un thème essentiellement « risorgimental », déjà traité par Ugo Foscolo et G. B. Niccolini. L’intérét éveillé en Giuseppe Verdi par la tragédie de Manzoni et le choix du compositeur, arrété finalement sur un sujet qui avait déjà attiré deux écrivains, prouvent à quel point Verdi a réfléchi profondément sur l’expérience réalisée par la littérature théatrale, afin d’en tirer l’indication répondant le mieux au but à atteindre. L’histoire du peuple juif constitue en effet une claire allégorie de la position du peuple italien opprimé. Giuseppe Verdi reparaît sur la scène de la Scala moins d'un an après, le 11 Février 1843, avec I Lombardi alla prima crociata. Tandis que le spectacle est en préparation, l’archevéque de Milan, Mgr. Gaisruck, apprend que, dans l’opéra, il y a des processions, des conversions, des baptémes et il fait part de son inquiétude au Directeur de la Police, Torresani, qui convoque l’impresario, Marelli, le librettiste, Solera (qui avait déjà écrit le livret de Nabucco) et Verdi lui-méme. Mais ce dernier refuse de se présenter. L’autorisation pour la représentation est cependant accordée, après modification de quelques mots. Mais la tendance « risorgimentale » du mélodrame résulte du caractère de l’action, de l’esprit qui préside à sa reconstruction, et non pas de quelques phrases : la croisade des Lombards apparaît comme la croisade du peuple italien pour sa libération. Invité à composer un opéra pour le théàtre « La Fenice », de Venise, Verdi met en musique un livret de Francesco Maria Piave, tiré d’un drame déjà célèbre de Victor Hugo, Hernani. La création a lieu le 9 Mars 1844. Les spectateurs, surtout lors des représentations qui suivent la première, accompagnent de leur chant

les paroles de l’impétueux choeur guerrier qui marque le moment culminant de l’opéra. En Aoàùt 1846, le mélodrame est repris par le Théàtre Municipal de Cesena. Quelques semaines auparavant, le 17 Juillet, le Pape Pie IX a accordé une amnistie, réveillant dans les patriotes italiens l’espoir d’un renouvellement politique plus vaste. Une délégation d’habitants de Cesena demande au Conseiller aux spectacles publics qu’une strophe entière du troisième acte soit remplacée par une autre à la louange du Souverain Pontife. Et en d’autres occasions, le vers « A Carlo Magno sia gloria ed onor » est chanté « A Pio IX sia gloria ed onor » et « A Carlo Alberto sia gloria ed onor ». La période « risorgimentale » de l’oeuvre de Giuseppe Verdi prend fin avec la première représentation de La battaglia di Legnano, qui a lieu au Teatro Argentina, de Rome, le 27 Janvier 1849. Hernani a été suivi de sept autres mélodrames: I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Macbeth, I Masnadieri et Il Corsaro. Dans ces ceuvres, la fréquence des allusions politiques est telle que le compositeur en arrive à étre accusé d’exploiter habilement les prétextes patriotiques. En réalité, Giuseppe Verdi a réussi à créer un grandiose théatre populaire, où l’assemblée des

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fi VERDI: VIVA VERDI

a

de

Pres

ROL

Nel 1859 Giuseppe

Verdi

fu acclamato non soltanto perchè le sue musiche si propagarono in tutta la penisola; ma anche perchè nel nome del compositore si lesse quello del sovrano auspicato; «Viva Verdi» significò «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia ».

En 1859, Giuseppe Verdi fut acclamé, non seulement

parce

que sa musique

devenue populaire dans toute la

était

Péninsule, mais aussi parce que, dans le nom du compositeur, les patriotes lisaient celui du souverain qu’ils souhaitaient:

«Viva Verdi» contenait les initiales de « Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia ». In 1859 Giuseppe Verdi was acclaimed not only for his music which spread all over the country, but also because his name concealed the name of the so longed-for sovereign. « Viva Verdi » meant «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia ».

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spectateurs devient une sorte de vaste réunion politique qui, elle-méme, se transforme en un motif d’action immédiate. Carlo Gatti définit La battaglia di Legnano une « oeuvre tribunitienne ». Le 9 Février, est proclamée la République Romaine, avec le triumvirat de Mazzini, Saffi et Armellini et, des barricades, s’élève le chant du poète-soldat,

Goffredo Mameli.

Dans toute l’Histoire européenne, l’oeuvre de Verdi constitue l’exemple à la fois le plus élevé et le plus tenace de communion entre réalité scénique et réalité historique. Toute la période pendant laquelle s’accomplit l’Unité Italienne est occupée par le triomphe du mélodrame. Ses motifs musicaux sont continuellement répétés dans les rues et sur les places. Ses notes font vibrer dans l’air la passion du peuple. Pendant les spectacles, ses phrases les plus violente» deviennent le signal convenu de manifestations patriotiques. La musique constitue la principale préoccupation des censeurs et des gendarmes. Et, une fois que l’Unité est réalisée, dans les dix dernières

années

du

XIXème siècle, la représentation du mélodrame, qui garde toute la faveur populaire, prend le caractère d'une célébration nationale. Le théaAtre en prose a désormais une autre orientation. Les problèmes sociaux et psychologiques occupent une place toujours plus grande dans la littérature dramatique italienne, qui est dominée par le désir nouveau de s’insérer activement dans la vie théàtrale européenne. Si l’on tient compte de l’ampleur du phénomène du mélodrame et de son adhésion à l’Histoire nationale qui, surtout à travers l’oeuvre de Giuseppe Verdi, en a caractérisé le développement, on ne peut que considérer comme pauvres les manifestations de la littérature dramatique qui, après la réalisation de l'Unité, tirent leur inspiration des faits et des personnages du Risorgimento. Les drames qui évoquent les faits d'armes des Mille, qui chantent les louanges des grands patriotes, tels que les frères Bandiera, Ugo Bassi, les Cairoli, sont tous des oeuvres dont le contenu a un caractère que l'on pourrait presque qualifier d'hagiographique et dans lesquelles, souvent, les écrivains trahissent leur véritable tempérament. L'un des exemples les plus typiques de cette dénaturation à laquelle les auteurs dramatiques se soumettent, avec l’illusion de réveiller, dans leur propre imagination, un flamme qui s’est éteinte pour s’étre consumée dans la réalité agissante de l’Histoire, nous est fourni par une oeuvre presque oubliée, mais significative à sa facon. C'est le drame historique / fratelli Bandiera, écrit en 1916, par Carlo Bertolazzi en collaboration avec Raffaello Barbiera, à l’occasion du cinquantenaire de la libération de Venise. Le style incisif et amer de Bertolazzi, auteur de La Gibigianna, Nost Milan et La Povera gente, y est méconnaissable. Les problèmes sociaux de l’Unité Italienne conquise sont désormais ceux d’un peuple qui, sorti de l’'épopée, doit réorganiser sa vie quotidienne ; ils trouvent un reflet plus vif et plus coloré dans des oeuvres simples et modestes comme Le Miserie di Monsù Travet, de Vittorio Bersezio. Une oeuvre dramatique qui, remaniée et profondément modifiée dans sa structure et sa signification, a remporté un certain succès au cours de ces années, est celle — la seule d’ailleurs — écrite par un auteur calabrais, Vincenzo Padula, en 1864 et 1865, et intitulée Antonello, capobrigante calabrese. L'action se déroule dans les bois de la Sila, près de Cosenza, en 1844. Les frères Bandiera, avec

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Giuseppe Verdi in un ritratto eseguito da Guglielmo De Sanctis a Roma, al tempo della prima rappresentazione de Il Trovatore al Teatro Apollo (1853). Un

portrait

de Giuseppe Verdi, fait à Rome par Guglielmo De Sanctis, à l’époque de la première du Trouvère, au

Teatro

Apollo

(1853).

Guglielmo De Sanctis portrait of Giuseppe Verdi, painted in Rome at the time of the first performance of Il Trovatore

Apollo Theatre

at the

(1853).

97 si

leurs compagnons, attendent inconsciemment, touché par les frères Bandiera refusent hommes, mais aussi une loi à un stratagème, Antonello

d’étre justiciés. Le chef de brigands Antonello, profondément, méme si la pureté de leur entreprise et de leur sacrifice, offre de les libérer; mais l’aide du bandit, qui comprend ainsi avoir violé non seulement la loi des morale plus élevée. Les patriotes tombent dans le Vallon de Rovito et, gràce et sa bande sont capturés par la police des Bourbons.

Le drame est tracé dans un langage approximatif et rude, et ce qui devrait en étre le motif central — la tentative de faire ressortir les points de contact insoupconnés entre les différentes facons de se mettre hors la loi (l’une, noble et héroique, l’autre, misérable et scélérate) — est à peine dessiné. Si l’oeuvre de Vincenzo Padula met quelque chose en relief, et de facon plutòt obscure, c'est la limite que le Risorgimento n'est jamais parvenu à franchir, laissant en dehors de son influence certaines couches de la population. Le Risorgimento d'Antonello capobrigante calabrese est un Risorgimento à l’envers. Romanticismo, de Gerolamo Rovetta, est moins problématique, moins tourmenté dans son inspiration, mais plus simple et conséquent. Représenté pour la première fois en 1903, ce drame résume

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La facciata e la sala del Teatro alla Scala nel 1832. Molte rappresentazioni allestite nel teatro milanese assunsero il valore di autentiche battaglie politiche. (Incisioni di L. Rupp).

La facade et la salle de «La Scala» de Milan, en 1832. Bien des représentations données dans ce théatre furent en réalité des véritables batailles politiques.

(Gravures par L. Rupp).,

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Facade

and auditorium of the Scala Theatre in 1832. Many of the productions put on in the Milan theatre assumed the proportions of real political battles. (Engravings by L. Rupp).

fidèelement la notion que l’Italie bourgoise avait du Risorgimento: mais saine, complète et, en conclusion, encore

une

notion

modeste,

sans

doute,

actuelle de nos jours, sous bien des rapports.

Dans cette pièce, le Risorgimento est évoqué comme un processus de renouvellement de la société italienne à partir de l’intérieur, non seulement sur le plan politique, mais aussi sur le plan moral et plus secret, sur le plan des sentiments individuels les plus intimes. Dans Romanticismo, deux époux qui ont toujours été étrangers l’un à l’autre, retrouvent la confiance réciproque et une raison fondamentale de leur union dans l’amour de la Patrie. L'oeuvre

:

bike

de Gerolamo

Rovetta, qui a encore été reprise en 1961, sous la direction de Maner Lualdi

et dans l’interprétation d’acteurs illustres, tels qu'Emma Gramatica, Gianni Santuccio et Lilla Brignone, contient en outre une page « historique » d’un effet théatral certain: le serment prononcé par le comte Lamberti, un néophite de la conspiration. Dans la littérature du XXe siècle, le thème du Risorgimento revient péricdiquement, selon les goùts et l’intonation du moment. Des fresques généreuses et évocatrices de Gioacchino Forzano et de Dome-

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nico Tumiati, on arrive à la littérature anecdotique élégante et agréable

Martini — qui, dans La bella Rosin, nous racontent une

aventure

galante

d'Enrico Bassano peu

connue

et de

Dario

de Victor-Emma-

nuel II, le « Roi galant-homme » — ainsi qu’à la plus profonde analyse psychologique de Giorgio Prosperi, auteur d’un drame qui, comme La bella Rosin, a été représente en 1961. Ici, le personnage d'un autre souverain, Charles-Albert de Savoie, évoqué sous un jour hamlétique moderne, devient le symbole d’une conquéte spirituelle de la liberté. Pendant ces dix dernières années, de nombreux essais critiques ont été consacrés à la recherche des sources populaires du Risorgimento ; et ces recherches ont eu un résultat surprenant et heureux dans le domaine dramatique, avec un « Bruscello », représenté a Montepulciano: Zelindo il garibaldino, ainsi qu’avec la comédie musicale de Garinei et Giovannini Rinaldo in campo, interprétée par Delia Scala et Domenico Modugno. Dans Zelindo il garibaldino, que Mario Guidotti a écrit suivant le mètre et le plan dramatique traditionnel du « Bruscello », et qui a été chanté sur des airs anciens ou, en tous cas, composés sur de vieil-

les cadences particulières à cette sorte de chement profond de l’àme populaire pour molithographies naives du siècle dernier, une parfaite fidélité, semblent sortir des

spectacle toscan, nous avons eu une nouvelle preuve de l’attale Risorgimento. Garibaldi y apparaît comme dans les chroet les personnages, que les « bruscellanti » ont interprétés avec « histoires chantées » de l’époque.

L’épopée du Risorgimento a ainsi trouvé une expression dramatique appropriée et bien réussie dans

une des plus anciennes formes dramatiques italiennes (telles que le « Bruscello »). Rinaldo in campo est la joyeuse histoire d'un brigand sicilien qui, pendant l’exploit épique des Milie, devient garibaldien par amour pour une jolie baronne. Ici aussi, l’intrigue est tissée de musiques, de chants, de danses puisés à la tradition italienne à travers laquelle, pendant le Risorgimento, le peuple a exprimé spontanément ses sentiments nationaux.

C'est cette mème tradition musicale que les grands compositeurs d’opéras, Giuseppe Verdi en téte, ont fait souvent revivre dans leur musique, tour à tour dramatique, polémique, émouvante, noblement oratoire, mais toujours de pure souche italienne.

Ces retours, ces rencontres sur des plans différents, à des dizaines d’années de distance, prouvent aussi que le théatre inspiré par le Risorgimento, qui a devancé ou immédiatement suivi les événements historiques, qui en a méme parfois été le stimulant le plus direct, a été une force vive dans le processus d’unification nationale, en en reflétant les phases successives.

Par ses oeuvres variées, mais tendant toutes, progressivement et avec plus cu moins de force, à un but historique de plus nobles, ce théAtre, qui va des avertissements voilés de Silvio Pellico aux choeurs irrésistiblement entraînants de Giuseppe Verdi, représente en effet la plus authentique « chanson de ges-

te » de l'Italie contemporaine ;une < chanson de geste » qui, vue dans ses expressions les plus élevées,

mises en évidence par l éloignement du temps, nous apparaît maintenant, malgré son morcellement hété-

rogène, comme la manifestation harmonieuse d'une période historique intense, surtout à cause de son amour constant de la participation et à cause de la vérité immédiate de son inspiration.

100

the risorgimento in the theatre by Giovanni

Calendoli

Ordine

Palco

A prirette ilPalco fud'all'Esibitor del prefente per que ta sera sola efelusa ogra Chase, e gualung altro Violetto

The theatre throughout the entire 19th Century was one of the most vital forces in the process which concluded with the unity of Italy; and it was a really vital force because it contributed, mainly by indirect means, to an even broader diffusion of patriotic ideals and because it succeeded in creating an atmosphere of passion which sharpened the moral sense of the spectators appealing to them as Italians, even though they were still divided politically. A theatrical writer, and especially an actor, at a given time and place, can put over an impression, communicate feelings, cause a reaction by the plaving of a situation on-stage, through an allusive gesture, through controversial tone rather than by the word and its literal meaning. And the audience,

101

in a receptive frame of mind, immediately understands the code language and responds spontaneously, thus establishing a dialogue between them. The story of the Italian theatre is the story of this subtle and allusive dialogue whose collaborators gradually become legion. On one side the sensitivity of the spectator becomes quicker and more acute, and on the other the writers and actors have more frequent and easier opportunities of communicating their message. A pause, a gesture, a vague reference are enough to make it intelligible. Some plays became famous; they assumed an emblematic value in the Risorgimental struggles just through one scene or even one line. And some actors symbolised, behind the footlights, the hopedfor and contended freedom, no matter what play they were in, because their past, their moral coherence, political belief, their constancy to a deliberately selected repertoire made them the bearers of an ideal, far beyond the limits of their interpretations. The tragedies of Vittorio Alfieri give the clearest idea of this phenomenon by which a play or a person become the pretext to express a meaning which springs directly from the rapport between footlights and stalls. Alfieri's tragedies, covering the entire historic range of the Risorgimento, were continually produced and gradually become enriched by a deeper moral content, and satisfy the more intense concern of the spectator and meet his more urgent and harrying demands. And the ever warmer and fuller eloquence of these tragedies springs from many sources. Above all it comes from the basic theme which was the inspiration of the tragedies themselves: the mighty struggle of the individual who yearns for freedom against the oppressor. The often-conflicting feelings of revolt, of redemption, pride and dignity, exasperation and intolerance, of justice, which are churned together in the upheaval of the Risorgimento, have a lowest common denominator in this theme of Alfieri'’s. Then there was the temperament of the poet — bitter, morose, determined, perennially posing as contrary to contemporary reality; and then, too, there was his basic language — twisted and stern: both fitted in with the moral state of the Italians, restricted by innumerable limitations, and they almost pointed out the solution which could only come about by a mighty effort of will. On 22nd September, 1796, Virginia by Vittorio Alfieri was performed at the Canobbiana Theatre in Milan to celebrate the beginning of the fifth year of the French Republic. Among the spectators — who danced the « Carmagnola » in the aisles during the intervals — were Napoleon Buonaparte and Josephine. During the Cisalpine Republic the most frequently produced of Alfieri’s tragedies were those with a Republican flavour. In 1799 at the Teatro del Fondo in Naples, Paolo Belli Blanes was discovered in Bruto.

He was

later to become

one

of the most

acclaimed

interpreters

of Virginia, Mirra, Oreste,

Agamennone and Saul. . All Alfieri’'s tragedies were performed in the following years, no matter what their topics were. The name of the author alone was enough to give a controversial tone to the production.

102

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for the

families of those fallen in the War launched on 20th June,

1859 by Giuseppe Verdi who ras the first contributor

t00.

Giuseppe Mazzini recalls the works of the Asti poet in his essay on « Dramma storico »; Vincenzo Gioberti in Prolegomeni al Primato. And finally, in 1855 Adelaide Ristori triumphs in Paris in Mirra, winning eulogies from Georges Sand, Théophile Gautier, Alfred De Musset, Alexandre Dumas. And Count Cavour, the supporter and champion of those performances, is delighted at the way in which, once again, the presence of the Italian problem is stressed. The proclamation of the Cisalpine Republic, following the French example, brought about the sudden appearance of a violently controversial Jacobean theatre in Italy as well. This is another indication of the direct participation of literary and theatrical life in current events, even if it had been politically preordained. The plays, which fall in with contingent demands, are all mediocre ; they unfold the most general revolutionary and democratic themes in a manner which brings sub-titles to mind. In these hastily patched-up dramas, tirades against the aristocracy are the order of the day as are the eulogies of Napoleon.

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La Rivoluzione, a play which was performed for the first time in Bologna in 1796, ends with the entire cast declaiming a chorus around the « Tree of Liberty . In the sixth year of the French Republic, the Calabrian Francesco Saverio Salvi dedicated his tragedy Virginia bresciana, in which he curses the King of Naples who had forced him into exile, to the representatives of the people of Brescia. The Virginia bresciana is Scomburga, Durundun’s daughter. Ismondo, who has been sent ‘by the Emperor Charlemagne to sack the city of Brescia, tries to rape her, and Durundun kills his daughter to prevent this outrage and is, himself, killed. But the people of Brescia rebel and overpower Ismondo, vindicating the freedom which is finally granted to them by the Emperor. The Jacobean Theatre was a fantastic phenomenon, closely connected to the first Napoleonic occupation from 1796 to 1799. It was forced to close owing to reactionary censure and never got to its feet again even when the French régime was re-established in Italy with the Marengo victory in June 1800. The most profound moral awakening of the Italians was mainly hastened by the influence of Alfieri’'s tragedies and their good fortune in having points in common with the political events of the day, although they were endowed with a strength of their own. When, in the first years of the century, it became even more obvious to the patriots that the ideal of Italian independence was not an end, but a means for Napoleonic policy in the peninsula, the works of Vittorio Alfieri once again became a vital reference point for the national tradition. In 1802 Vincenzo Monti’s tragedy Cajo Gracco was performed for the first time at the Patriotic Theatre in Milan. In it the personality of the Roman Tribune is presented in a way that was controversially in keeping with the times. Marius Fulvius, the lover of Caius Gracchus'’s sister, kills her husband. The Consul Opimius is about to abolish the rights which have been granted to the plebeians when Caius Gracchus, who is their champion, returns from Carthage. He denounces Fulvius’s guilt but the Senate accuses him. He kills himself with a dagger given to him by his Mother. The tragedy is full of open allusions to the real state of affairs in Italy at that time. Caius launches a tirade against all those who proclaim themselves to be liberators, but who, instead, stand for slavery, and he proudly credits himself with having united all Italy in the townspeople of Rome. The audience at the first performance greeted these allusions with roars of enthusiasm. The author was promised a government bonus for every new tragedy that he wrote. But the sensitivity with which the play touches on — although onlv fleetingly — the disappointment caused by the Napoleonic policy, also contributed towards its success. The years go by and the attacks on despotism and tyranny which had accompanied the ascendancy of Napoleon Buonaparte, in the name of revolutionary freedom, gradually boomerang against him. The ideal of an integrated Italian liberty becomes more sharply outlined. The feeling of freedom

becomes firm, it adapts itself closely to the special circumstances of the Italian political situation and the theatre contributes decisively to this evolution.

104

Giuseppe

Verdi dirige l'8 aprile 1892 lo Stabat Mater di Gioacchino Rossini alla Scala di Milano. (Disegno tratto da un acquarello dal vero di A. Bonamore).

Giuseppe Verdi dirigea, le 8 avril 1892, le Stabat Mater de Gioacchino Rossini, à La Scala de Milan (Dessin tiré

d'une aquarelle d’après nature dA.

Bonamore).

Giuseppe Verdi conducts Rossini’s Stabat Mater on 8th April, 1892 at the Scala

Theatre,

Milan.

(Drawing taken from a water colour from life by A. Bonamore).

In 1804 Ippolito Pindemonte published the tragedy Arminio: it tells of the clash between freedom and tyranny within a family. In it freedom is conceived as paternal freedom and no more as an abstract idea or a generic commandment of a universal code. The events take place in barbarian times. Arminio, who has led the revolt of the Germanic peoples against the Emperor Tiberius, now wants to become the Chief of his peoples. But his despotic aspirations are opposed by his son, Baldero and by Telgaste, a warrior, who is in love with Velante, Arminio's daughter. To avoid fighting against his father, Baldero kills himself. Telgaste, to make a stand against tyranny, gives up Velante. In a battle between the followers of tyrannv and the supporters of freedom, Arminio is mortally wounded

and, on the point of death, he repents.

In the extreme

moment

of penitence, he entrusts

to

Telgaste not only his daughter but also his dagger.

The different retaliatory feelings which can be assumed, in the changed political climate, by the same plays which first appeared in the hopeful and enthusiastic atmosphere of the beginning of the Napoleonic ascent are clearly shown in Tieste, the first of the young Ugo Foscolo's tragedies. Tieste was performed for the first time on 4th Jannuary, 1797 in the Theatre of St. Angelo in Venice: Erope was played by Anna Fiorelli-Pellandi, Tieste by Domenico Camagna and Atreo by Gaetano Businelli. The story of the tragedy is mythological, but political inspiration is present throughout; Atreo represents « la raison d’étre » divine right, absolutism; Tieste represents revolution. The Venetian Liberals were awaiting the arrival of Napoleon Buonaparte, the liberator. The Jacobean tones of the tragedy fired youthful imaginations. Pecchio, in his « Vita di Ugo Foscolo », affirms that « Foscolo used his Tieste as a disguise for hazarding a few political truths » and that these truths as much as they were veiled, jerked the already vigilant police into even greater alertness. The atmosphere in Venice was red-hot. Anti-government epigrams became ever more numerous and, whispered from ear to ear, they spread like wildfire. Some of them were attributed to the voung poet and for this reason,

in April of the same year, Ugo Foscolo, cautioned by the Inquisition,

was forced to leave Venice. He went to Bologna, where

he enrolled as a volunteer

in the Cispadana

Republic Light Cavalry. And it was in Bologna that he published, as a sequel to Tieste, the ode to « Bonaparte liberatore ». More than ten years later, in August, 1808, Tieste was performed at the Carcano Theatre of Mi-

lan by Salvatore Fabbrichesi’'s company. Once again the star was Anna Fiorelli-Pellandi. And it was on this occasion that Tieste became the subject of a long correspondence between the Minister of Internal Affairs and the Chief of Police. The Minister of Internal Affairs enquired « if there is any truth in the allegation that « pezze » (pièces) have been performed

at the Carcano

very offensive to our Government ».

106

Theatre

containing

allusions

and

witticisms

which

are

(ARLAALAALA LIZA ALINA CON PERMISSIONE..

LL

ha

IASOLI SANVTRO DELL’ ILL*° PEL TEA SIGNOR MARCHESE D’'ANGENNES.

Î

Per la sera di Sabbato 10 Gennajo 1818

*

$

È

.SERATÀ DI BENEFIZIO DELLA PRIMA ATTRICE. i

CARLOTTA

| &.

MARCHIONNI

*

Invita questo colto, © rispettabile Pubblito

pa

alla sua serarà di benfizio. SÌ, mai fe fatiche dell’ Àttrice furono in Wuestà, ed in ‘altre stagioni Eotohîte iù 4 quest inclita Città da generoso accoglimento; ed onorevole successo; ella“ ne provò in cuore Sincera betisì , e rispettosa gratitudine, ma Scevra d'orgoglio se di soverchia ‘presuuzione di se stessa.

Quindi ella ben sa che nè l’indefesso suo zelo pè la bontà

di chi lo gradisce basterebbero è Riusifcari ìl presente suo invito quando non ‘avesse per gar to il merito della Rappreseftazione. ll Pubblico Piemontese

ne

meglio d'ogni nkro giudica ; ed applaudisce i dapi d' opera

‘bene pira Le Wiîgliori TAgette sono di un Gegio Pieri. Le:È

Sgella scenà ; ‘migliori Còmiedie

Gnde

Italia si arricchisce vengonsi

a mietere

‘trettanto bello; che fortunato :è durique lodevole compiacenza gentile che si ravvisa; da Chi Sta nel dovere di appagarlo.

. Ma le produzioni dell'ingegnb sono una tomune

in questo suolo al-

a

di patria il gusto

sa

proprietà in qualunque nazione

the nasconé; e sono un bene per tutti quando sono buone. © Tra la Sempre Commedia; > e la sethpre grave Tragedia PI ridicola È P 6

nacque q

in Geri

mania, ed in Francia un genere 0 misto; o medio che Sempre piace, e sempre ‘giova ; poichè senza di esso sarebbe defraudato il Tearto. delle lezioni morali, the si ttaggono dagli eccessi iniggiori delle passioni dalle vini, 6 dalle leggi emendati. Sia che figli uomini timanga dopo scosse straordinarie il bisogno di forza mag-

Un avviso della « serata di benefizio della prima attrice » Carlotta Marchionni: vi si esalta il «Teatro

delle

lezioni

Une affiche de la « soirée de bienfaisance de la première actrice » Carlotta Marchionni, exaltant

le « Théatre

des lecons morales » (1818).

An announcement of the « charity performance in honour of the leading lady » Carlotta Marchionni: in it, is exalted the « theatre of moral lessons» (1818).

«>

ss st 1A

straniere, the satebbe colpà otamai pelle Compagnie Italiane il non_arricchime il loro teper:

x. sg

LÀ FIGLIA MALEDETTA.

*

ti fatto, &

torio. Fra ques oguuno che lesse giornali, o fu a Parigi, sa con quanti elogj siasi bostenuto su quelle scene il Dramma nuovissimo in ire Ani, intitolazo;”

morali » (1818).

-* «8 =$

giore onde provare agitazioni d' affetti: ossia che il genere drammatico ‘tocchi finalmente a quel &rado di peifeione che respinge la rancida critica onde si accusava

di nou essere ‘nè tbbestedza tomico., nè tragico abbastanza. Ella .è tosa bppeti pc the i celebri Drammi vitennero così strepitoso successo presso fe Nazioni

*

. s

i

| Questo verrà tecitato colla tonvenevole decenza, ed esattezza. La Compagnia 3

temò la via » verfà augiunta unà nuova Farsa tutta giocosa,e piacevole, Ad) intitolata i sio dp

©

1 DUE CARLINI. Sn

SPUTI

Mio

at

Gradiscà in questa circostdnza il Pubblico i Torinese il zelo, e la gratitudine dell»i Anrice ché lo invita, e venga colla tiobile ;e desiderata bontà, che lo distingue , Ea

& giudicare chi tephra sua somina gloria;il tonseciargli le sue fatiche.: , a

PRESSE ca

eroe

PRAIA

107

The Chief of Police replied: « Nothing, as far as I know, is ever shown in premises for public spectacles, on the stage, which is under police supervision, which has not previously been examined by the Office for the Freedom of the Press and for which an authorisation by that Office is not granted... But in respect of theatres, the matter is confronted by a most ponderable difficulty, not so much through the fault of the plays, as because, among those persons who flock to such spectacles, some appear to have no other aim than to cudgel theirbrains in order to find, even with difficulty, and in spite of common sense, some malicious application ». At the end of this correspondence the performance of Tieste was banned. A play, written scarcely ten years previously, and almost to herald Napoleon's entry into Italy, is censored and banned by the Neapolitan police In the years between, on the one side, the real interests of French policy were revealed; but on the other, audiences had reached such a reaction pitch that in every play performed the elements which could refer to the new situation were underlined in the most controversial way. And in this active rapport between the stage and the stalls, in this « brain cudgelling » to prize out of every play « some harmful relevancy » is comprised the most aggressive element of the theatre's collaboration with the functioning reality of the Risorgimento. Gradually the plays appear in a new and different light, like organisms developing and growing up side by side with history. And the audiences, by the mere fact of coming together in an auditorium, are a positive, even though marginal factor in that process, of which the conspirators, the men of action, the political leaders form the core. A fine and invisible net slowly winds itself around the entire country and the police are unsuccessful in loosening its bonds. The performance of dramas is not, in itself, objectively censurable, nor can spectators be accused for their displays of agreement and their applause. The police, without any definite elements to refer to, must venture on in the difficult process, towards the purpose of it all. This game, which is difficult to reconstruct in all its facets, explains the extraordinary fascination wielded by some actors and the political and moral importance which they assumed. They

comprised a basic element in the dangerous and delicate game. As in the case of Tieste, they revive a tragedy, whose past seems to be above reproach, in a changed political climate which, in turn, makes the play controversial in a new way; and in their playing of it they underline those words, verses and gestures which are fraught with criticism by reason of current events. Ugo Foscolo's second tragedy, Ajace, which was performed at the Scala, Milan on 9th December, 1811 is also put under police surveillance. It is implied that Napoleon's deceitful arrogance may be recognised in the tyrannical Agamemnon, Moreau, the conspirator, or even Ulysses and Pius VII in Calcante.

On 15th December, by means

the author himself

Fouché

in

of a circular issued by the Minister for Internal Affairs, the tragedy

was banned, not in Milan alone, but in the whole Kingdom.

108

in Ajace, the Police Minister

The

poet never

the tragedy

was

admitted

that the allusions

not performed

In the meantime,

differences

again

and

of opinion

to be seen in Ajace were intentional. But, at all events,

Foscolo, certainly at the request of the police, left Milan. flared

up between

the followers

of classicism

and

the

supporters of the new Romanticism. This is a European controversy which, once it reached Italy, mirrored the nation’s particular political situation When the former supremacies re-established themselves once more, after the wane of Napoleonic power, manticism,

conservative classicism became the banner for the supporters of restoration, while Rothe traitor to tradition, claimed the new generations, rebellious to the ties (and not only

the literary ones) of the past. But the distinctions were not always so sharply-defined, and especially not in the world of the theatre. The most important symbol of the spirit of classicism in dramatic literature was, in fact Vittorio Alfieri who was both a flag-waver for liberty and a precursor of romantic « pathos ». Classicism and romanticism came together not infrequently, on the stage, and found a point in common in the more or less open glorification of patriotic ideals which from the time of the fall of the Kingdom of Ancient Italy up to 1848 constituted the dominating feature of the most lively Italian dramatic literature. Slowly there developed a type of tragedy which could be described as « Risorgimental ». Stamped ever more clearly by the influence of the Romanticism dispute — the destroyer ot the classicial mvth of the dramatic unities — it revived interest in nationalistic subjects. This tragedy was inspired by Medieval and Italian Renaissance historic events. And naturally, it first selected those which can be adapted to a contemporary reconstruction, accentuating the remote aspirations of the people to independence from foreign domination. An important place is reserved in this new dramatic literature for the characters made famous by Dante’s stories about them in the « Divina Commedia »: Dante is the poet from whom, throughout the 19th Century, values of nationalistic feeling were taken, and his creations always appear, even if only indirectly, as symbols and idealisations of this sentiment. The first Risorgimental play was Francesca da Rimini by the twentysix year old Silvio Pellico. Performed first at the King's Theatre, Milan on 18th August, 1815, Francesca da Rimini, with Carlotta Marchionni in the title role, was warmly received and, presented in all the major theatres of

Italy, it brought fame and success to its young author. The emotionally romantic interpretation of Dante'’s story, which in itself, because of the spirit of the times endows it with controversial meaning, is not the only reason for its resounding success; there are also allusions to conditions in Italy at that time. Silvio Pellico's second tragedy, written before his sentence and imprisonment, Eufemio da Messina, was never performed. The censor banned it defining it as offensive towards religion and over whelmingly « atrocious ». But such a measure is clearly only a means of preventing an appeal being made to the Italians, like the one made in Francesca da Rimini.

109

Giuseppe Verdi, cinto di lauri come artista « nazionale », in un medaglione allegorico tratto da un quadro di Domenico Morelli (1859). Giuseppe Verdi. entouré de lauriers, en tant qu«artiste national », dans un médaillon allégorique, inspiré par un tableau

de

Domenico

Morelli

(1859).

Giuseppe Verdi crowned with laurels as a « national artist », in an allegoric medal taken from a picture by Domenico Morelli (1859).

Eufemio da Messina tells a gloomy invasion of Sicily in about 830, and its the fifth act, makes a speech in which domination. In gaol Silvio Pellico wrote three Dertona. The first of these, together with

story of warfare and love which took place during the Saracen chief character clearly referring to the Austrian occupation, in he expresses sentiments of patriotism and loathing for foreign

tragedies, Ester another

di Engaddi,

of Pellico’s

Iginia

d'Asti

tragedies, Gismonda

and

Leoniero

da Mendrisio,

was

da in-

cluded in the repertory of the Royal Sardinian Theatre Company for 1832. The manuscripts of the two plays were handed over by Silvio Pellico personally to the leading lady, Carlotta Marchionni. « The first performance of Ester », writes G. Costetti, « was an unforgettable evening and Silvio's return

110

was

celebrated.

And

the tragedy

itself did much

make

the occasion

even

more

solemn,

for it

seemed to the public that the character of the sad enge to Rome and the Papacv ». « Not only », writes Brofferio, « was the applause tinually, and women in the boxes waved their white freed prisoner ». Once more the theatre and real life come face to express its real sentiments.

Pope Iefte was a gauntlet thrown down in challlong and loud, but his name was called out conhandkerchiefs to congratulate and welcome the face.

« The acclaim », recalls Costetti, « given to Gismonda

The

was

show

gives

also memorable.

the

crowd

This

its chance

tragedy was

to

much

better than the first, and appealed even more to public feeling because of the hatred it expressed of Barbarossa and the imperialists. The whole audience rose to its feet, including the ladies in the boxes. There was no more clapping of hands — just vells and shouts of approval. Handkerchiefs were waved like flags, flowers were

thrown

on the stage to Mme. Marchionni, Ferri and Mme. Fabietti... », and

to the other actors. All the tragedies written by Silvio Pellico in prison vibrate with a feeling of unitv and freedom of peoples. In /ginia d'Asti, which was published

together

with

Ester

di Engaddi

ground is the struggle between the Guelphs and Ghibellines; in Leoniero da of the Middle Ages was presented to give the message of « societv's need for sincere harmony between men of goodwill ». In Silvio Pellico’s successive theatrical works — he underwent a deep during his imprisonment — another theme was to become dominant: that which the Italians, intent as they were on the struggle for independence,

in

1831,

the

back-

Dertona the civil discord mutual indulgence and spiritual transformation of Christian resignation

could not, at that moment,

appreciate with equal intensity. And, in fact, the enthusiasm of those evenings in 1832 was not repeated: from them on Silvio Pellico was excluded from the conversation and another of his tragedies, Corradino, performed by the Roval Sardinian Company again in 1835, was howled down. Another Risorgimental tragedian is Giovanni Battista Niccolini, a champion, behind the footlights, of lay and republican liberalism. He was as fiery and violent as Pellico was emotional and subdued. Niccolini’s first theatrical experiences were with classicism which is more in keeping with his temperament. But after Nabucco, which was published anonymously in London, he became more susceptible to romantic influence, looking back into the past with a spirit of comprehension to the contemporary political struggle. In fact, in Nabucco, for which the author left a key so that its exact meaning could be understood, the characters

represent

figures of late Napoleonic times.

The Assyrians, fearful and discordant, vield to Nabucco after having — in their desire for liberty — destroyed the sovereign myth to which they were previously subject. Nabucco leads his people into a whirlwind of victorious battles. The Phoenicians try to make the Asian States rise against him. The

È dg

batto

Ò

111

tyrant divides them and roust them. He occupies Susa, to give him the hand of his daughter Amvthis.

the capital of Media

But Nabucco starts on the road to ruin when he decides

desolate snowy plains present his army with an insuperable Nabucco

is Napoleon;

Amythis,

Marie-Louise;

Phoenicia,

to conquer

and ruinous England;

and

Scizia

forces

King Darius

as well, and here, the

barrier. Media,

Austria,

and

so on...

But in his following plays Niccolini’s absorption with the drama of Italian reality is even stronger. The tragedy Giovanni da Procida, performed with great success in Florence in January, 1830, arouses the anxiety of governments, causes diplomatic incidents and these result in its being banned until 1847.

Even a typically romantic theatrical pretext — the passion of a brother and sister who are unaware of their relationship — is used by Niccolini as a patriotic theme. The action of Giovanni da Procida takes place in Sicilia at the time of Vespro; but its style is so intensely modern, not only in its content, but also in its form, that it is understandable how the audience is persuaded to pick up the clear and numerous political allusions. In 1843 Gian Battista Niccolini’'s Arnaldo da Brescia was published in Marseilles and Capolago. In it the agitator after the revolt, determines to set up a people's republic, and is shown as a martyr for freedom fighting against imperial tyranny personified by Frederick Barbarossa and Papal tyranny personified by Hadrian IV. Arnaldo da Brescia because of the theme which is its inspiration, is considered as the « antidote » for « Primato morale e civile degli Italiani », by Vincenzo Gioberti which was published for the first time, also in 1843 in Bruxelles. It prophesies an Italy of the future, independent once again, a leader of civilisation, under the guidance of the Church and the Papacy. Many copies of Arnaldo da Brescia, published abroad, arrived in Italy and passed secretly among the republican - minded patriots who regarded it almost as their Bible. The writer's activity concludes, somewhat feebly, but consistently, in 1858 with the tragedy of Mario e Cimbri, in which the long - awaited liberator of Italy is symbolised by Mario. Niccolini dedicated it to Gustavo Modena, the actor, who was one of the major interpreters of his plays. ; The highest tone of lyrical expression is given to Risorgimental tragedy by Alessandro Manzoni, and romantic and national ideals live once again through him in the light of the Catholic faith. While Pellico and Niccolini, in their work, plunged themselves, with no heed for the metaphysical, into the living political struggle, Manzoni leaned towards a style which, even though inspired by reality, strived bevond it in a higher vision of human destiny. Because of this his tragedies I/ Conte di Carmagnola and Adelchi caused bitter disappointment to some of the patriots who were most closely concerned with the struggle. Alessandro Manzoni was way above the fray. The Risorgimental theatre, even when it is mere oratory, completely stripped of any poetic inspi-

112

L'attore Renzo Giovampietro in Antonello capobrigante calabrese. Nel fondale del pittore Mischa Scandella è raffigurato un episodio della lotta che coinvolse borbonici, briganti

e patrioti

(1961).

L’acteur Renzo Giovampietro, dans Antonello capobrigante calabrese. Dans le fond, peint par Mischa Scandella,

on

voit

une

scène

de

brigands, bourboniens

la lutte

entre

et patriotes (1961).

Renzo Giovampietro as Antonello capobrigante calabrese. The back-cloth by Mischa Scandella shows one of the battle scenes which involved Bourbons, brigands and patriots (1961).

ration, arises from an essentially optimistic enthusiasm — that is, from the implicit hope that the Italian people, whose slavery and misfortune are deplored and stressed, may one day rise from condition into which it has sunk. The way which Manzoni described the tragedies of the Conte di Carmagnola and Adelchi and his conception of life in relation to historic reality was very pessimistic. The Count of Carmagnola, who has married the daughter of Filippo Maria Visconti, enters the service of the Venetian Republic, Visconti’'s enemy. He wins battle of Maclodio, but, he is unjustly suspected of treachery, tried and, on S5th May, 1432, is beheaded. Only in the solitude of his cell does the proud and gallant captain, who had been blinded by power, find Christian serenity and, realising the futilitv of earthly ambition, he accepts his unmerited death as a liberation. In the same

way, Adelchi who, side by side with his Father, Desiderio, is compelled to fight a war

which he does not believe in, and re - discovers his own moral liberty when, mortally wounded and a prisoner, he casts aside all earthly interests, and succeeds in attaining the peace of faith. In the two tragedies the weak, humble, oppressed, and defeated struggle against the mighty who move the wheels of history by violence, crushing all rights and sentiments in their path; but it is the former, in their obscurity and suffering, who come nearest to the truth . The Conte di Carmagnola and Adelchi, when viewed as the Manzoni solution to the patriotic problem, which Cesare Angelini defined as an « evangelic solution », have the same basic theme: the uselessness of civil war, brother killing brother, and the impossibility of expecting salvation from a foreign power which drives out the occuping force, only to take its place in the process. The description of the Battle ol Maclodio in the chorus of Conte di Carmagnola is a melancholy dirge in which — with the typical sensitivity of the 19th Century — the split amongst Italians is deplored. In the first chorus of Adelchi, Manzoni reaffirms with deeply-felt power that conviction which, especially after the painful Napoleonic experience, spread widely among the patriots: the urgent need for Italians to conquer liberty by themselves and not to wait for foreign powers to do it. But these appeals, even though deeply sincere, leave a feeling of discomfort and bitterness because they themselves exude an atmosphere of little confidence in the cause and its possibilities of success. Patriots look for hope in the theatre, the heralding of better days to come, and Manzoni does not give these promises. In fact, Il Conte di Carmagnola was performed only once in 1828 and Adelchi was put on in 1843 in Turin by the Royal Sardinian Company, but they were both received somewhat tepidly, not only because of their slowness and lyric tone, but because their « animus » was so vastly different from the spectators’ anxious and elated state of mind. Innumerable

other

theatre writers

flourish

around these three major ones, all of them repeating,

but in a different disguise, the blueprint of tragedy. Francesco Dall’Ongaro, a follower of Mazzini, a comrade

114

in conspiracy

of Gustavo

Modena,

the

actor, a deputy at the Roman Constituent Assenbly of 1849, and exile, is the author of Il! Fornaretto which becomes famous. This was performed for the first time by the Royal Sardinian Company in 1846. The theatre as a means

of action is the ideal of Edoardo

Fabbri, one

of Alfieri’s

disciples

and an

ardent Republican. In 1824 he was accused of heading a conspiracy for the liberation of Romagna and condemned to life imprisonment — he was later treed by the 1831 movement. In a speech on « The Theatre as a Means of Education » which he made in March, 1798 at the Milan

Constitutional Circle he had maintained the principles which were later to stamp his work. Fabbri writes several dramas for the “Patriotic Theatre” in Milan and, forestalling Pellico, he writes Francesca da Rimini, in 1801, which tends towards glorification of patriotic feeling. His last drama,

I Cesenati

nel 1377, in which

Shakesperian

influence

is very evident, is the one

which most faithfully reflects his artistic ideals which are demonstrated by his political beliefs. The biggest part is played by the people of Cesena, torn asunder by mercenaries, and Polidoro Tiberti makes an appeal to this divided populace, proclaiming that he does not want Guelphs or Ghibellines before him, but Italians. Angelo Brofferio, a left-wing and persecuted member of the Sub-Alpine Parliament, was secretly

entrusted with the task of writing a tragedy by Charles Albert. It was Vitige re dei Goti — that is to say, the symbol of a foreign power. The play, which was only produced in 1848, was banned by the censors for it was a clear attack on Austria. The tragedy, published in Paris in 1840, ends with the cry of « Long live Italy! ». Angelo Brofferio openly makes the same accusation to Carlo Marenco as the one more subtly aimed at Manzoni: he chides him for stressing the disagreements of the Italians between themselves rather than their heroic battles against « the foreigners ». Marenco wrote a play on Arnaldo da Brescia before Niccolini’s version, and he also wrote

Corradino

di Svezia, Conte

Ugolino and Pia de’ Tolomei which,

performed for the first time on 17th June, 1836 by the Royal Sardinian Company, later became one of the favourite parts of both Carlotta Marchionni and Adelaide Ristori. C. Tebaldi Fores’ Beatrice di Tenda (1825), tells of an uprising of the people of Milan against Filippo Maria Visconti because of the imprisonment of two innocent men. Tedaldi Fores who died in 1829 at only 36 years uses another uprising — which broke out in Genoa between 1546 and 1547 — in his last tragedy I Fieschi e i Doria, published in Milan in 1829. In 1839 Lorenzino de’ Medici was published by Giuseppe Rovere and in 1850 it was performed by the Royal Sardinian Company. Another of his plays, Sampiero, had been put on two years before in 1848 and is described as « the symbol of Italy oppressed by Austria ». Arduino d'Ivrea, by Stanislao Morelli, a volunteer in the Wars of Independence of 1848 and 1866, was first produced in Turin in the Autumn of 1869 and King Arduino (the first King of Italy) was modelled on the person of Charles Albert. After the Diet of Pavia and his armed struggle against the Emperor Harry, Arduina goes into

115 --

voluntary exile at the Abbey of Fruttuaria and dies, abandoned by his family. He names his son Ottone as the new king, and Victor Emmanuel II can clearly be recognised in him. Another important character in this tragedy is the leader of the people of Milan, Erlembaldo, who is represented as a hero of the Risorgimento. On I1st May, 1821, Francesco Benedetti, hounded by the police, kills himself at Pistoia to avoid falling into their hands. Paolo Belli Blanes played in some of his dramas. Machiavelli’s «Historie fiorentine » inspired him to write Congiura di Milano which was put on privately in 1815 in Florence at the Teatro de’ Moderati. Benedetti left another tragedy, which was nearly completed, Cola di Rienzo. Plots and conspiracies against the tyrant and usurper, uprisings by the oppressed against the oppressor, people's revolts and so on, appear again and again in all these tragedies which originate in Medieval or Renaissance history, because the real root of the moral and civil condition of the Italian people is to be reached there. And as the French of the Austrians are perceivable in the conquerors in story treatments which also have to face the anachronism of always appearing topically up-to-date, so the conquered and the agitators are endowed with the spiritual characteristics of the Risorgimental fighters. It is not surprising therefore, that in 1842 the Duke of Modena announced a competition in which prizes would be awarded to the two dramatic companies which most successfully contributed to not « causing in the mind of the spectator aversion or contempt in respect of the most worthy authorities ». The censors of the various States were daily occupied in re-reading the scripts of plays to be performed : they cut out a phrase here and there, and substituted this or that word. But on the whole it was futile work, because gradually, beginning from the scattered and chance allusions, tragic literature created its own coded language, its own atmosphere, its catalogue of subjects and situations. Viewed at a distance, all these works, not counting the exceptions, were fated to appear artistically transient because they were too obviously aimed towards propaganda. But the writers worked to this end quite consciously. The theatre had placed itself at the disposal of the battle for independence. It wanted

to become

a patriotic

theatre,

and it did, in fact, become

one of the most

active forces of

the national Risorgimento. The movement followed the development of political events step by step; it became an integral part of it and reached its culminating point in about 1848 when the independence evolution exploded. The actors were a living part of the movement. Some players on the stage played vital roles in political life as well. One example was Gustavo Modena for whom the theatre was, more than anything, an instrument of civil action. In 1829 Modena provoked an anti-Austrian display at Padua, when playing in Pellico’s Francesca da Rimini. In 1831, at Bologna which had uprisen against the Papal government, they heartened the rebels from behind the footlinghts by modifying the play’s text. He left the theatre and joined up. He fought at Rimini, Ancona and Cesena; finally, in exile in Marseilles, he met Mazzini and joined the « Young Italy » movement. From France he went to Switzerland and thence to Belgium and England. There, in 1839 at the Queen's Theatre he appeared in the « Divina Commedia » — he was alone on the stage, dressed as Dante who, improvising, dictated his verses.

116

La popolaresca personificazione di Giuseppe Garibaldi nel « Bruscello » intitolato Zelindo il garibaldino (1961). Le personnage

de Giuseppe Garibaldi, selon l’imagination populaire, dans le « Bruscello » intitulé Zelindo

il garibaldino

(1961).

The popular image of Giuseppe Garibaldi the « Bruscello » entitled Zelindo il garibaldino

in

(1961).

117

The amnesty declared company, but by 1848 April he wrote to a friend revolutionary movements. all this activity he returned

by the Austrian Emperor allowed him to return to Italy. He formed a dramatic he was completely absorbed by political activity once again. On 12th :« The theatre has died for years ». He took an active part, fighting, in the He was elected as a Deputy in Florence to the Constituent Assembly. After to the stage and once more wearily tred the boards until his death in Turin

in 1861.

After 1848 the oratory and patriotic usefulness of tragedy slowly dwindled and dramatic literature gradually turned its attention towards social and humanitarian problems. In 1841 a stage play rapidly achieved a lasting success just because it predicted this changeover, not only through its subject, but also through its dialogue tone. The play is Il poeta e la ballerina, by Paolo Giacometti,

who

later wrote

one of the mosti

resounding

humanitarian

dramas,

La morte

civile.

The patriotic motif in Il poeta e la ballerina derives from a psychological and social investigation which is the predominant feature of the play. The eloquent tone of the tragedy begins to fade to make way for the controversies of the bourgeois comedy which no longer reflect the moral problems of a people thirsty for independence, but the social problems of a newly-formed nation. The theatre is for the minority. Just before 1848 the ideal of independence, which until then was fired by the passions of the few, became more of a people's movement and on a wider scale. And this is why tragedy and its function of rhetorical patriotism gradually change over to melodrama which, assisted by the immediate and universal link of music, can communicate with larger audiences and establish a far broader mutual understanding. As in the first Risorgimento, when the most contentious witticisms in the tragedies were passed from mouth to mouth, so in the second Risorgimento musical fragments spread in the same way — and in opera they acquired a special significance because they frequently cloak controversial allusions. And this series of changes, too, like those which occurred in the field of tragedy originated quite by chance and their initial development was uncertain. Saverio Mercadante’s opera Donna Caritea was performed in 1826 at Venice’'s La Fenice Theatre. The choirs’ singing of the joy of facing death to rid the homeland from the tyrant met with unexpected enthousiasm, and the chorus became the voice of the long hoped-for independence. The censors tried to tone down the allusions and change a few words, but their efforts were in vain. In July, 1844 the story spread that the Bandiera brothers, when going to be executed in the Rovito Valley, sang the slow and doleful chorus from Donna Caritea in company with their seven comrades. Similarly, one of the condemned

men

of Belfiore, awaiting

execution

on

7th December,

1852, is hum-

ming an air from Gaetano Donizetti’s Marin Faliero. Vincenzo Bellini's opera, I Puritani e i Cavalieri, performed for the first time at the « Théatre Italien » in Paris, gave the independence fighters a verse which speedily becomes famous as an incitement to fight for freedom. Another of Bellini's operas, Norma, when performed at La Scala, Milan on 10th January, 1859,

118

caused a clamorous and prophetic incident. Numerous Austrian officers were in the audience and when the last act chorus « War, war... » is sung, the audience gets to its feet and, joining loudlv and wholeheartedly in the chorus, improvises a displav of patriotism. The Austrian officers, in rejoinder, turned towards the box where General Gyulay was sitting, and they, too, cried: “War, war... at the top of their lungs. Gioacchino Murat's final and desperate exploit — Manzoni's inspiration for a song, which is incomplete, « Il proclama di Rimini », and for the tragedy // Conte di Carmagnola — was also illustrated by some of Rossini’s music. A few days after the famous manifesto with which he spurred the Italians on towards independence, the Napoleonic rebel entered Bologna with his troops on the evening of 2nd April, 1815. He was greeted in the Contavalli Theatre by a song, set to Rossini's music whose words resound with the phrases of the Rimini appeal. Various of Rossini’s operas contain phrases and catch-lines which took on an allusive meaning; Mosè — first performed at the San Carlo Theatre in Naples in 1818 and nine vears later in Paris in a modified version — tells of the wanderings of the Jews and the prophet called to save them from slavery: the Italians recognized their own destiny from that odyssev and the praver which ends the opera became the prayer of the patriots. Rossini's last opera, Guglielmo Tell, presented at the Paris Opéra on 3rd August, 1829, expresses a vital and deeply-felt re-awakening which resulted, at least to some extent, from the pressing uneasiness and anxiety of the time. The choice of subject is an eloquent indication ot this: it extols the vindicator of Swiss national freedom; the libretto describes the tragedv of a man who takes upon himself the tragedy of a people, yearning for independence. Poetry is missing from Risorgimental tragedy: tragedy was a vibrant display ot eloquence, set on appealing — with a violent peremptoryness — to the spectators’ patriotic feeling. Manzoni’s Z/ Conte di Carmagnola and Adelchi were, however, poetic works, but their civil passion almost faded, when seeking, as it does, to rise towards the sublime abstraction of purest spirituality. The task of poetically symbolising topical emotions through a medium which, although becoming popular and singable, falls back on rhetoric, is admirably acquitted by Giuseppe Verdi. He has a wide — and perfectly balanced — experience of both music and the theatre. Dramatic situations, characterisations, moral problems, human conditions, civil aspirations which both tragedy and melodrama have painstakingly defined and docketed, develop, in Verdi's work, from Nabucco to La battaglia di Legnano, from 1842 to 1849 — the culminating period ot the Italian Risorgimento — into a living and consistent entity, supported by a crude, but vigorous, poetic force. Verdi understood that the purest poetry in Risorgimental tragedv was Manzoni's. It was certainly he who persuaded Manzoni to put I/ Conte di Carmagnola to music (a chorus for four voices and piano-

119

Due scene di Rinaldo in campo, la commedia musicale risorgimentale di Garinei e Giovannini. Gli interpreti sono Delia Scala, Domenico Modugno e Paolo

Panelli

a pag. 125: commedia,

(1961).

l’ultima

scena

della

Deux scènes de Rinaldo in campo, la comédie musicale inspirée par le Risorgimento à Garinei et Giovannini. Les interprètes sont Delia Scala, Domenico Modugno et Paolo

Panelli

(1961).

a la page 125: la dernière scène de la pièce. Two scenes from Rinaldo in campo, the Risorgimental musical comedy by Garinei and Giovannini, The stars are Delia Scala, Domenico Modugno and Paolo Panelli (1961). on page 125: the finale.

forte), and perhaps he tried with Adelchi as well, but he did not carry on with the undertaking. He was probably wary because the two plays, ending as they do with soliloquies, represent the tragedy of an individual rather than a crowd's or a nation’s, and in both cases the individual does not solve his problems in the reality of life, but in the eternity of the soul. Verdi’s poetic world has clear and precise frontiers and his territory is restricted: it is the world of sentiments which comprise the element common to all men, and which thus causes the « crowd » to be aware of itself, and imbues it with the enthusiasm of this discovery. The uniform style of Verdi’s choruses is perfectly in keeping with poetic reason: the composer interpreted the climax of the Risorgimental action just because it expressed the poetry of unison, it sang joyously of no more disunity, no more discord, and at the discovery of unity. In Verdi’s melo-

120

drama

this discovery

gimento is now

is symbolised

impatient

on-stage

by frenzied, rapid and concise action.

The Italian Risor-

to get under way.

The first display of this poetry comes with Nabucco, performed at La Scala, Milan on 9th March, 1842, and, precisely, in the chorus « Va, pensiero sull’ali dorate », which quickly becomes the theme song of the hidden or open aspirations of the Italian people towards unity: the melodic phase is impetuous, but the fluidity of the arrangement makes it easy to sing: three voices sing it in unison. Verdi managed to restore the basic values which have become frayed by an excess of eulogy, to their original poetic vibration in « O mia patria sì bella e perduta ». The story of Nabucco is purely Risorgimental: Ugo Foscolo and Niccolini have already used it. Verdi’s interest in Manzoni’s tragedy and his choice of a story which had already employed the talents

121

of two writers, indicate how seriously he had reflected on the results achieved by theatre literature in order to be able to select a sound pointer which would serve his own purpose. The story of the Jews provides startlingly clear symbol of the condition of the oppressed Italian people. Verdi returns once more to the footlights of La Scala little less than a year after, on 11th February, 1843, with Lombardi alla prima crociata. While the opera is being prepared and rehearsed, the Archbishop of Milan, Monsignor Gaisruck, hears that processions, conversions, baptisms occur in the opera and he voices his concern to the Chief of Police, Torresani who sends for Merelli, the impresario, Solera, who wrote the libretto (he had also

written the libretto for Nabucco), and Verdi himself. But Verdi refuses to appear. However, permission to go ahead is given after a few words have been exchanged. The Risorgimental flavour of the opera is apparent from the story itself and from the spirit which pervades the production, and certainly not just from some individual phrases: The Lombard Crusade is comparable with the Crusade of the Italian people for their redemption. Requested to write an opera for the Venice La Fenice Theatre, Verdi composed the music for one of Francesco Maria Piave’s librettos which is taken from Victor Hugo’s famous novel, Ernani. The first performance was on 9th March, 1844. The audience, and particularly during the later performances, joined in the fiery and stirring warriors’ chorus which follows the opera’s climax. In August, 1846 the opera was again performed at the Communal Theatre in Cesena. A few weeks previously, on 17th July, Pope Pius IX had granted an amnesty, re-awakening the patriots’ hopes for a new and broader line of policy. Representatives of the townsfolk of Cesena requested the Commissioner for Public Performances to substitute an entire section of Act III with another which sings the praises of the Pontiff. And on some other occasion the line « May there be glory and honour to Charlemagne » is sung: « Glory and honour to Pius IX » or: « Glory and honour to Charles Albert ». The Risorgimental period of Verdi’s work ends with the first performance of La battaglia di Legnano, in Rome at the Argentina Theatre on 27th January, 1849. Ernani is followed by seven other operas:

I due

Foscari,

Giovanna

d'Arco,

Alzira, Attila, Macbeth,

I

Masnadieri

and

Il Corsaro.

The frequency of political allusions in these operas is so great that Verdi was even accused of exploiting the pretexts of the patriots. In truth Verdi succeeded in creating a splendid popular theatre, where audiences gradually came to resemble a vast meeting which, in itself, could be transformed into a reason for immediate action. Carlo Gatti describes La battaglia di Legnano as a « tribunary opera ». On 9th February the Roman Republic was proclaimed. with the triumvirate of Mazzini, Saffi, and

Armellini; and from the barricades the singing of the soldier-poet Goffredo Mameli would be heard. Verdi’s opera is the finest, and at the same time, most tenacious example of the harmony and similarity between scenic and historic reality in the entire history of Europe.

122

Opera triumphed throughout the whole period in which Italian unity was fought for. Its tunes were heard over and over again in the streets and squares. Through it the passion of the people vibrated in the air. During performances the more violent phases became an agreed signal for patriotic displays. The music was the biggest worry for the censors and police. And after Italy was united, in the last ten years of the Eighties, opera, still extremely popular, assumed the character of a kind of national celebration. By now the theatre was heading in another direction. Social and psychological problems were occupying an ever broader section of Italian dramatic literature which was striving to play an active part in the European pattern of life. When considered beside the wide range of the operatic phenomenon and its definite influence on national history, especially through the work of Verdi which marked its greatest development, theatre literature which drew its inspiration from Risorgimental happenings and charcaccters after the achievement of unity, indeed seems to be meagre. The plays about the exploits of the Thousand, which sing the praises of great patriots like the Bandiera brothers, Ugo Bassi, the Cairoli and so on, are all restricted by their legendary content and the playwrights often misinterpreted their real spirit. One of the most tvpical examples of this kind of distortion, used by writers in the hope of rekindling a flame which was already dead, consumed by the close reality of history, is a play which although nearly always forgotten, is significant in its way. It is / Fratelli Bandiera, an historic drama written in 1916 of Carlo Bertolazzi in collaboration with Raffaello Barbiera for the fiftieth anniversary of the liberation of Venice. The bitter and cutting style of Bertolazzi, who wrote La Gibigianna, Nost Milan and La povera gente, is unrecognisable. The social problems of a united Italy are now those of a people which has emerged from the epic and hich now must re-organise its daily life, and they are reflected vividly in simple and humble plays like Vittorio Bersezio's Le Miserie di Monsù Travet. In the last few years a play which has enjoyed notable success is Antonello, capobrigante calabrese, by the Calabrian writer, Vincenzo Padula. It was written between 1864 and 1865 and when performed its structure and meaning were greatlv modified. The action of the drama

takes place in the Sila wods, near

Cosenza,

in 1844.

The Bandiera

bro-

thers and their comrades are waiting to be executed. The chief of the brigands, Antonello, is deeply, if unconsciously, impressed by the nobility of their deeds and sacrifice, and offers to free them; but the Bandiera brothers refuse the chief’'s aid.

He realises that not only has he broken the law of men

but also the highest moral law. The patriots die in the Rovito Valley and in the meanwhile Antonello and his band are trapped and captured by the police. The drama is related somewhat roughly and crudely and what is intended to be its main point, the attempt to underline the unapparent points of contact between the various ways of evading the

123

law (the noble and heroic, the shifty and mean) is hardly touched upon. Vincenzo Padulo's play more or less outlines, but somewhat obscurely, the limit that the Italian Risorgimento has never managed to go beyond: some sectors of the people are untouched by its influences. The Risorgimento in Antonello capobrigante calabrese is the Risorgimento in reverse. Compared with it, the Risorgimento as foretold by Pellico, Niccolini, Manzoni and and later lustily sung by Verdi, does not seem uncontroversial and exaggerated, but simply true: it is the Risorgimento which gave birth to Italy, with her painful problems, her bitter moral differences but with her spirit

of a modern nation as well.

i

The Risorgimental theatre which either anticipated history or speedily followed on its heels — and sometimes even made it happen — clearly indicates how unity was a spiritual rather than a political conquest. With the few works at its disposal, all of them aimed towards historic grandeur, the Risorgimental theatre is, in fact, the only real and true « epic song » of contemporary Italy. Gerolamo Revetta’s drama Romanticismo is less problematic and uneasy in its inspiration, but more direct and smooth in its development. It was first performed in 1903 and summarises the Risorgimental concept of bougeois Italy with faithful simplicity: a rather modest concept, but wholesome, complete and, in some respects, topical even to-day. In his play Rovetta views the Risorgimento as a process which rejuvenates Italian society from within, not only in respect of politicis, but also in its innermost morality, and most deeply cherished individual sentiments.. In Romanticismo, a married couple who have never been close, once more find mutual trust and basic understanding in the passion of patriotism. Rovetta’s drama was performed again in 1961, directed by Maner Lualdi and acted by famous players like Emma Gramatica, Gianni Santuccio and Lilla Brignone, and it includes an « historic » page of sure theatrical effect: the oath made by Count Lamberti, a ne wconvert to the conspiracy. The Risorgimental theme appears from time even in twentieth century literature, and assumes the style and tone of the moment. The warm and colourful frescoes of Gioacchino Forzano and Domenico Tumiati are followed by the admirable description of Enrico Bassano and Dario Martini who, in La

bella Rosin, tell the story of a gallant intrigue of Victor Emmanel II, the « chivalrous King », and then Giorgio Prosperi’'s penetrating psychological analysis in /I/ Re, performed like La bella Rosin, in 1961. In this, the personality of another sovereign, Charles Albert, disguised as a symbolises the spiritual conquest of liberty. In the last ten years numerous critical studies have been dedicated to the search gimento sources and in 1961 there were theatrical successes with a Bruscello-style lindo il garibaldino at Montepulciano, and the Garinei and Giovanni musical comedy with Domenico Modugno and Delia Scala. In Zelindo il garibaldino which Mario Guidotti wrote in accordance with the

124

modern

Hamlet,

for popular Risorproduction of ZeRinaldo in campo traditional

metric

lan!

ina

stvle and dramatic scheme of Bruscello, with songs, both original and composed on the pattern of the old ones typical to this special Tuscan show, there was the proof of how much the Risorgimento has taken root in the mind of the people. Garibaldi appeared, just as he was in the crude photographs of the Eighties, as well as other characters who, so closely and faithfully presented, seemed to have sprung out of the « stories » which were rhapsodised in that epoch. And it was just in one of the oldest Italian theatre forms (and Bruscello belongs there) that the Risorgimental epic has found a successful and dramatically adequate vehicle. Rinaldo in campo is the gay story of a Sicilian brigand who joins up with Garibaldi during the exploits of the Thousand for the love of a beautiful little Baroness.. This, too, is full of music, songs and dances which stem from the traditional heritage by which, in the Risorgimento, the Italians spontaneously expressed their national faith. It is the same heritage that writers of opera, and Verdi in particular, often revived in their music, sometimes dramatically, emotionally or eloquently, but always distintly with an Italian flavour. These revivals and adaptation over the years also show how the Risorgimental theatre, which anticipated or followed on the heels of history, and indeed sometimes caused it to be made, was a living force in the process of unity and how it faithfully mirrored its phases. This theatre, in spite of its narrow range, from Pellico’s veiled forebodings to Verdi’s mighty choruses, symbolises the truest « epic song » of contemporary Italy, and appears to-day, not-withstanding its scrappiness, as a display of unity over an intense historical period and especially represents the truth of a civil inspiration.

126

cinema

I. A ie

Il risorgimento nel cinema di Guido

Cincotti

2

toe idr i RR

LT e

ala TI,

Il cinema italiano sembra nascere sotto il segno del Risorgimento: nel 1905, infatti, quando l’attività cinematografica nel nostro paese è ancora limitata alla semplice esecuzione di riprese documentaristiche, il primo film a soggetto che veda la luce e ottenga un certo successo ha per titolo La presa di Roma e consiste appunto nella rievocazione di quell’evento storico. Poca cosa, intendiamoci : il cinema attraversa ancora la fase di una tenera infanzia, la sua tecnica

è rudimentale, balbettante il linguaggio, puerilmente lineari le idee e la loro esecuzione; 250 metri di pellicola, quanti ne misura questa specie di incunabolo cinematografico — pari a sei o sette minuti di proiezione — sono il massimo sforzo che anche cinematografie più progredite possano permettersi. Figu-

rarsi in Italia, dove l’industria del film è ancora a zero : Filoteo Alberini, produttore, regista e operatore

del film, può a buon diritto esser considerato un pioniere

audace

e lungimirante,

oltre che uno

spirito

patriottico.

Il film viene realizzato nel « Primo stabilimento italiano di Manifatture di Pellicole per Cinematografi » come orgogliosamente viene chiamato il capannone dal soffitto a vetri che Alberini, assieme al suo socio Dante

Santoni, ha attrezzato

in Roma,

fuori Porta San Giovanni, tra i prati e le osterie della zona

compresa tra Piazza Tuscolo, Via Veio e l’Appia Nuova : ultima Thule — è l’alba del secolo — della città in direzione sud. Ma la maggior parte delle riprese viene effettuata « en plein air », per dare un maggior senso di autenticità alle scene « di massa ». Non è impresa difficile ricostruire a posteriori la breve sceneggiatura del film, che si riduce — nella

edizione rimastaci — a quattro delle sette inquadrature originali, a macchina — inutile dirlo — fissa (carrellate e panoramiche appartenendo ancora al limbo di un imprevedibile futuro). L'azione è concentrata intorno al momento culminante dell’assedio posto dalle truppe italiane alla Città Eterna. Il generale Carchidio, emissario del generale Cadorna, arriva a cavallo a Ponte Milvio. Qui, dopo essere stato bendato,

viene fatto salire su una carrozza (il cocchiere, in tuba e redingote, saluta ossequioso), e condotto alla presenza del comandante la guarnigione pontificia, per proporgli le condizioni di una resa onorevole (questo è il primo quadro); nel salone ornato di arazzi rinascimentali, sotto lo sguardo ammonitore e presago del Pontefice, si svolge, in un secondo quadro di discreta lunghezza, il colloquio tra i due: più che un colloquio una pantomima,

diremmo, via via più vivace ed esagitata. I due ufficiali si scambiano

inchini,

sollevano fieramente le barbe, si avvicinano, si allontanano, agitano le braccia, sciorinano mappe e carte militari, annuiscono, tentennano, negano, imprecano,

danno in escandescenze. La danza tocca il suo acme

al momento in cui il capo dei presidii pontifici (Kanzler

in persona?)

ricusa

con

sdegno

le offerte

del

Cadorna, giudicate umilianti « Niente resa! », urla la didascalia —; Carchidio si lascia nuovamente bendare e dopo un fiero sbatter di tacchi sparisce dalla comune; Kanzler, rimasto solo, si abbandona a

scene di disperazione, percuotendosi la fronte e accasciandosi sulla poltrona, chiaramente consapevole di ciò che lo attende. E infatti (terzo quadro), « l'assalto » : dall’ampia breccia aperta nelle mura aureliane

nugoli di bersaglieri vanno all’assalto, irresistibili — assenti invece i fanti di Mazé de la Roche: già da tempo l'esattezza storica vien sacrificata alla suggestione di un mito ormai collaudato — armati di tutto punto e fedelmente abbigliati (grazie al concorso — si vanteranno gli autori nei fogli pubblicitari — del Ministero della Guerra « per la fornitura di uniformi, artiglierie, armi, ecc. »). L'azione è finita, sembrerebbe; ma no: c’è ancora l’ultimo quadro, e vale tutto il film. S’intitola « L’apoteosi »: vi si ammira, eretta su una nuvola di cartapesta e sullo sfondo di una Roma imperiale, una rigogliosa Italia turrita avvolta in un peplo romano e in una fluente capigliatura corvina;

con la mano

sinistra regge il tricolore,

con la destra una sorta di flabello piumato ; lo sguardo è affiso lontano, incontro ai futuri destini. Ai suoi lati, emergenti da nuvolette di più modesta entità, i quattro artefici dell'unità: Cavour, in atteggiamento napoleonico, Vittorio Emanuele II, in sciarpa e decorazioni, Garibaldi, sepolto nella sua stessa barba, e, infine, Mazzini? No: Mazzini è escluso da questa tendenziosa apoteosi di marca sabauda: al rango di

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Quattro momenti de La presa di Roma (1905) di Filoteo Alberini, primo film a soggetto realizzato in Italia: a pag. 129: l’arrivo del generale Carchidio a Ponte Milvio. Sopra: Il colloquio con Kanzler. Quatre moments de La presa di Roma (1905), de Filoteo Alberini, premier film a sujet réalisé en Italie:

a la page 129: l’arrivée Général Carchidio, Au

dessus:

son

entretien

Four scenes from (1905)

directed

Ponte avec

La presa

by Filoteo

Milvio du Kanzler.

di Roma Alberini.

The first « film with a story » to be made in Italy. on page 129: the arrival at Ponte Milvio of General Carchidio. Up: his meeting with Kanzler.

131

quarto grande viene inopinatamente

promosso

Francesco Crispi, che i suoi trascorsi repubblicani e rivo-

luzionari aveva presto riscattato con la conversione a una piena ortodossia monarchica, della quale sarebbe poi stato difensore dal pugno di ferro. L'immagine che La presa di Roma ci offre dell’episodio culminante della nostra unità nazionale è, come appare evidente, un'immagine convenzionale e dolcemente oleografica, in perfetto stile « tableaux vivants » o gran finale del ballo Excelsior. Ma non si imputi tale rozzezza d'impianto unicamente alla rudimentale primitività dei mezzi a disposizione del buon Alberini, pioniere e inventore di un alfabeto che molto dovrà stentare a comporsi in linguaggio : in realtà La presa di Roma appare oggi l'archetipo di un modo particolare di rivolgersi al Risorgimento, che sarà tipico del nostro cinema degli anni successivi e che a ben guardare, salvo poche ammirevoli eccezioni, non ha gran che mutato fino ad oggi. Senza dubbio, l'epoca non è la più favorevole a un'interpretazione dei fatti risorgimentali intimamente sentita e non superficialmente rivolta a una stanca celebrazione di comodo: il primo decennio del secolo, col declinare della società umbertina ancora sentimentalmente legata ai fatti, ai moti, alle passioni e ai contrasti del Risorgimento, va segnando l’avvento di una società più pragmatica e concreta, tesa a una visione utilitaristica del concetto di nazione, in cui han gioco interessi economici, lotte di classe, industrializzazione, spinta imperialistica e borghese volontà di potenza. E’ il momento dell'impresa libica, e poco dopo sarà il momento della prima guerra mondiale : ultima lotta per l'indipendenza nazionale, ma non più accesa e alimentata dagli eroici furori risorgimentali, bensì meditata e accolta — meglio accettata — come inevitabile coronamento a un'azione storica di cui, offuscate le più intime motivazioni

ideali, restano purtuttavia i concreti interessi politici.

Con la presa di Roma il momento eroico del Risorgimento è davvero compiuto, e l'omonimo film di Alberini ancora ne documenta con ingenuo candore e con una qualche celebrativa emozione, i fasti gloriosi. A questo lume possono essere in qualche modo giudicati e compresi i numerosi film risorgimentali che, sulla scia del pioniere Alberini, si realizzano in Italia negli anni successivi al 1905, e fino al momento in cui — in fortuita coincidenza, d'altronde, con quella più violenta modificazione strutturale della nostra società che fu causata dal fascismo — la grande crisi paralizzerà per alcuni anni la nostra attività cinematografica, fino all'avvento del sonoro. Roma e Torino sono, per un buon periodo di tempo, i due centri principali dove si polarizza la nascente industria del film: Roma, dove la società Alberini e Santoni si trasforma ben presto nella Cines, nome fatidico a cui saran legate le numerose morti e resurrezioni del nostro cinema; Torino, dove un intraprendente fotografo, Arturo Ambrosio, crea un complesso industriale di prim'ordine, attirandovi

celebrità d'oltr'alpe ma anche allevando ingegni locali. Alla Cines emerge ben presto il nome di Mario Caserini, autore — non ancora « regista »: il nome, e in certo senso la funzione, sono di là da venire — di un buon numero di soggetti patriottici; a Torino, Ambrosio si avvale dell’opera di un ingegno bizzarro,

Arrigo Frusta, avvocato-scrittore-poeta e dal 1908 inesauribile autore di copioni di ogni genere, tra i quali abbondano quelli di argomento risorgimentale, che solitamente vengono messi in scena da Luigi Maggi, o

la

132

7

I, LL a

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+

Le

La carica dei bersaglieri attraverso la breccia.

La charge des bersagliers à travers la brèche.

The Bersaglieri attack through the breach.

L’apoteosi. L’apothéose. The Apotheosis.

da Eleuterio Rodolfi, o da altri giovani « factotum » dell’allevamento torinese. Si allunga una lista di titoli, molti dei quali, purtroppo, restano tali, privi di una più ampia specificazione che l’opera del tempo distruggendo le copie — mezzo secolo pesa già tanto sulla labile storia del cinema, scritta sull'acqua — rende oggi assai improbabile e incerta: ma anche la serie dei titoli, le testimonianze rimaste, e qualche possibile « rilettura » delle poche opere sfuggite al massacro, consentono di formulare un giudizio non del tutto generico e futile. Un primo Garibaldi — dopo l’oleografica composizione ideata da Alberini nel finale della Presa di Roma — appare già nel catalogo Cines del 1907: non se ne sa altro, tranne che si tratta ancora di un breve ritratto, risolto in sommarie, rapide pennellate; non diversamente, d'altronde, dal ritratto che tre anni dopo, in Anita Garibaldi, Caserini abbozzerà della fiera compagna dell'eroe, della quale i momenti supremi —

la fuga avventurosa

attraverso

la Sabina, l'Umbria e San Marino, la morte tristissima in un

casolare di pescatori romagnoli — vengono rivissuti nella filmica finzione da Maria Gasperini: uno dei

primissimi nomi d’attrice che la storia del vecchio cinema italiano ci abbia consegnato. Ancora Garibaldi — o quanto meno i suoi seguaci — sono di scena in un Per la Patria del 1910, « epopea garibaldina » in 217 metri di cui ci sfugge, non meno che l'episodio che in essa veniva svolto, lo stesso nome del realizzatore. E l’indiretta presenza di Garibaldi — nume ispiratore, come si vede, di più di un cineasta del tempo — è ancora avvertibile in La fucilazione di U go Bassi e del garibaldino Giovanni Livraghi, che una ditta di Velletri realizza nel 1911, ad esaltazione di due tra i molti eroi che si erano illustrati, nella prima-

vera del ’49, nella disperata difesa della Città Eterna dagli assalti delle truppe dell’Oudinot, e che la repressione franco-pontificia aveva perseguito con accanimento dopo la fine della repubblica mazziniana. Ma la tematica garibaldina, finora affrontata nei suoi aspetti — se così può dirsi — minori, si arricchisce nel 1912 del suo motivo più eroico e suggestivo, conclusivo di tutti gli altri che ad esso fanno quasi

134

Da Amore e Patria (1909) prodotto dalla Ambrosio: Alberto Capozzi da solo...

Tiré de Amore e Patria par la firme Ambrosio: Alberto Capozzi seul... Amore

e Patria

(1909) produit

(1909),

produced by Ambrosio Films: Alberto Capozzi alone... .. e con Mary Cleo Tarlarini. .. et avec Mary Cleo Tarlarini. .. and with Mary Cleo Tarlarini.

da necessario preludio, con la realizzazione de I Mille, che Mario

Caserini,

transfuga

dalla Cines, gira

a Torino per Ambrosio, su soggetto di Vittorio Emanuele Bravetta. Questo film segna varii punti di progresso nei confronti della precedente produzione, e non solo per l’epica vastità del tema trattato, che a sua volta determina insolite dimensioni (più di ottocento metri, circa quaranta minuti di proiezione : uno dei primi mediometraggi italiani), ma soprattutto per l'impostazione più consapevolmente spettacolare,

per la maggiore scioltezza del linguaggio, per la più sorvegliata scansione del ritmo narrativo. Il biennio 1911-12 è un periodo chiave per la storia del cinema muto italiano: che ad opera soprattutto di Enrico Guazzoni, un giovane pittore divenuto scenografo di Caserini alla Cines e poi passato alla regia, acquista maggiore coscienza delle proprie possibilità spettacolari, frange i limiti delle ristrette impostazioni scenografiche di origine teatrale e, sostituendo ai miseri fondali dipinti ambiziose costruzioni architetto-

135

niche « en plein air », conquista la dimensione dello spazio prospettico entro il quale la si aggira liberamente a creare angolazioni sorprendenti e mutevoli. Caserini, emigrato a Torino, fa tesoro delle esperienze del suo antico assistente, nei Mille, dove il « plein air » è sfruttato con sapienza ad inquadrare plasticamente garibaldini, e la prospettiva architettonica conferisce realismo e vivezza alle scene

macchina da presa

e già se ne avvale nutrite masse di d'interni, non più

immiserite dal tradizionale fondale di tela. Altro elemento distintivo dell’opera è offerto dalla recitazione,

che Caserini si studia di rendere plausibile e realistica, sorvegliata e composta, lontana dalla magniloquenza del linguaggio gestuale invalso nelle prime « superproduzioni » di ambiente greco o romano che proprio la conquista dello-spazio, attuata dal Guazzoni, ha reso di moda negli ultimi mesi e a cui egli stesso, Caserini, non disdegna d’indulgere in opere come Catilina o Gli ultimi giorni di Pompei. Su Garibaldi e le sue imprese non ci risulta che in questo periodo vengano realizzati altri film, a meno che non si voglia far rientrare nella tematica garibaldina La campana della morte che un anonimo realizza nel 1913 per la Ambrosio puntando sulla figura di Rosolino Pilo, il patriota siciliano che dope essere stato a Sapri compagno di Pisacane, sfuggendo miracolosamente all’eccidio, concertò con Fran-

cesco Crispi la sollevazione della Sicilia e precedette Garibaldi nell'isola, trovando poi la morte in combattimento contro i borbonici ; oppure O Roma o morte! girato nello stesso anno per la romana Vera Films da Aldo Molinari, il quale vi celebra in rapidi quadri le ultime fasi della lotta per la conquista della città — dall’eroico sacrificio di Enrico e Giovanni Cairoli a Villa Glori all'episodio sfortunato di Mentana fino a Porta Pia (e sarà la seconda e penultima volta che il cinema italiano rievocherà la fatidica breccia); o infine un Ciceruacchio realizzato nel 1915 da Emilio Ghione e impersonato con irruente foga romanesca da Gastone Monaldi. Questo è quanto il primo cinema muto italiano sa più rappresentativa del nostro Risorgimento, e, per caratterizza, indubbiamente la più idonea ad eccitare In realtà, la visione che di Garibaldi ci offre il quella prima oleografia liberty che l’ottimo Alberini

offrirci di Giuseppe Garibaldi, della figura cioè quella componente avventurosa e mitologica che lo l'interesse del pubblico e la fantasia dei cineasti. cinema di questi anni non è mai troppo diversa da aveva immaginato a suggello della sua Presa di

Roma.

Più che ai personaggi, i cineasti del tempo si rivolgono agli episodi rimarchevoli delle guerre di indipendenza, scegliendo naturalmente quelli nei quali al valore dei nostri soldati aveva anche corrisposto un esito fortunato del fatto d’arme. Si tralasciano quindi il '49 e il '66 — quarant'anni dovranno passare perché sullo schermo vengano rievocate, rispettivamente in La pattuglia sperduta e Senso, le pagine sfortunate di Novara e della seconda Custoza — e ci si orienta a colpo sicuro verso la guerra del ’59, come quella che appare la più agevolmente corriva a una interpretazione in chiave eroica e celebrativa del mito risorgimentale. Già nel 1908, poco dopo, quindi, La presa di Roma e il primo Garibaldi, appare una Battaglia di Palestro di editore e autore ignoti, nella quale — a detta dello storico Roberto Paolella, l’unico che ne

faccia menzione — lo scontro tra franco-piemontesi ed austriaci appare ancora tenuto nelle dimensioni di

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Manifattura Cinematografica

|

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rTorIRO

Famvii Prn GRANOFI di L. 25.000 Î al CONCORSO CINEMATOGRAFICO

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ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE di TORINO 191!

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D’ORO

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as d’Oro-

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Da Nozze d’oro (1912) di Luigi Maggi. Il vecchio bersagliere, circondato dai familiari, rievoca i suoi trascorsi risorgimentali. Tiré de Nozze d’oro (1912) de Luigi Maggi. Le vieux bersaglier, entouré de sa famille, évoque son passé « risorgimental ».

Luigi Maggi's Nozze

d’oro

(1912).

The old Bersagliere, surrounded by his family, recalls his Risorgimental adventures.

137

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SIN:

Società Anon. AMBROSIO |



(Capitale Lire 700,000)

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Film vincifrice del Primo GRAND PRIN di L. 25.000 al CONCORSO CINEMATOGRAFICO ESPOSIZIONE

INTERNAZIONALE

di TORINO

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1911

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La Società Ambrosio, dal solido capitale, annuncia in un orgoglioso dépliant la vittoria ottenuta da Nozze d’oro al concorso indetto a Torino per il cinquantenario dell'Unità d’Italia. La Société Ambrosio, au capital solide, annonce dans un orgueilleux dépliant la victoire remportée par Nozze d’oro au concours organisé d Turin, pour le cinquantenaire de l’Unité de l’Italie.

The solidly-backed Ambrosio Films” triumphant announcement of the success of Nozze d’oro in the competition organised in Turin for the fiftieth anniversary of Italian Unity.

138&

una rissa estemporanea

e frenetica tra alcune decine

di individui

che si agitano

larve sotto l'occhio del microscopio, mostrando la sola preoccupazione

senza

motivo

di uscire e rientrare

come

continua-

mente nel campo visivo, per far numero. Siamo ancora, è evidente, su un piano di rozza improvvisazione, solo in parte, comunque, giustificata dall'anno di realizzazione : con ben altra compostezza e di-

gnità erano andati all'assalto, tre anni prima, i bersaglieri di Filoteo Alberini. La battaglia di Palestro — episodio chiave della seconda guerra d'indipendenza — è al centro anche di Nozze d'oro, realizzato due anni dopo — estate 1911 — dalla Ambrosio di Torino, che si afferma come

uno dei più grossi successi internazionali di questi anni. Regista è Luigi Maggi, operatore Giovanni Vitrotti,

interpreti Alberto Capozzi, Mary Cleo Tarlarini e lo stesso Maggi. Ma l'autentica paternità del film va forse attribuita a Luigi Frusta, che alla Ambrosio è una specie di « capo dell’ufficio soggetti » ma in realtà

animatore,

supervisore

e controllore

di tutta la produzione, e già nel 1909 ha curato un Amore

e Patria

con la medesima coppia d’interpreti che ora appare in Nozze d’oro. « Un vero capolavoro — scrive un foglio cinematografico del tempo — un gioiello dell’industria cinematografica, che torna ad onore della Grande Casa torinese la quale (...) è riuscita a far vibrare la corda del patriottismo evocando un brano di quella fortunosa storia che in quest'anno la nazione italiana sta glorificando, colle due grandi esposizioni Torino-Roma, e con generali festeggiamenti ». E’ infatti l’anno del cinquantenario, e appunto Nozze d’oro vince il primo premio del concorso cinematografico indetto per l'occasione dal Comitato dell’Esposizione internazionale di Torino (tra i giudici, Louis Lumière e il fotografo Paul Nadar). Il film viene proiettato per mesi in un apposito padiglione della Mostra, con un successo che si estende anche all’estero, dove se ne vendono più di 400 copie, di cui ben 60 nella sola Inghilterra. Nozze d’oro segna una felice fusione tra il sentimentalismo ingenuo e oleografico del raccontino (un veterano della guerra del ’59 festeggia le nozze d’oro, circondato di nipoti ed amici; e poiché proprio durante quella campagna egli aveva conosciuto la sua futura sposa, fiorisce naturalmente la rievocazione) e la robusta evidenza dell’episodio guerresco, ricostruito con vivo senso dello spettacolo e gusto

sorprendente della composizione figurativa. « Dopo alcune rapidissime visioni di battaglia per iscorcio e succedentisi con ritmo vertiginoso — ricorderà più di vent'anni dopo Nino Berrini — (Frusta) presentò una distesa di campi di grano in piena maturazione, con quell’onduleggiare lento delle spighe mature, inattesa visione di campi solitari, che fra i quadri di battaglia davano un senso misterioso di un silenzio tragico. Ed ecco improvvisamente giungere al galoppo Re Vittorio... sostava... dava uno sguardo... il trombettiere suonava la carica... Di colpo dalla distesa dei campi a grano balzavano bersaglieri in agguato... lanciandosi al grido di Savoia! Effetto stupendo. Una creazione originale, nuova, ricca di poesia in

azione ». A parte la inesattezza a proposito dei bersaglieri — nel film, come nella realtà, la famosa carica era effettuata dagli zuavi di Chabron — la rievocazione del Berrini rende efficacemente il carattere della scena: che appunto acquista, ci sembra, un non banale valore rappresentativo e cinematografico grazie a quella felice intuizione figurativa del campo di grano alto e maturo che improvvisamente si anima rive-

lando schiere di soldati pronti a balzare all'assalto... (E' curioso notare come a una simile intuizione si

139

rifarà quarant'anni dopo — certo inconsapevolmente — Luchino Visconti nel dare, in Senso, l'avvio alla battaglia di Custoza). A Nozze d’oro tocca un curioso destino ; nonostante il grandioso successo conseguito sia in patria che all’estero (« ... vere ondate di entusiasmo patriottico — scrive la Gazzetta del Popolo — si sollevano dal popolo di fronte allo spettacolo bello per gli occhi e sano per la mente e per il cuore... ») e gli elogi della Regina Margherita, che se lo fa proiettare a Stupinigi, esso viene sequestrato pochi mesi dopo la sua uscita per ordine di un Giolitti timoroso di colpire la suscettibilità del governo austriaco, potente e sospettoso alleato. Il film, proibito in Italia, continua a circolare e a mietere allori in tutti i paesi d’Europa, non eccettuati quelii sottoposti al dominio dell’imperial regio governo... Affine a Nozze d’oro per l'ambientazione risorgimentale e la delicatezza del tono narrativo è La lampada della nonna, realizzato sempre dalla Ambrosio nel 1913, con il medesimo « staff » di collaboratori (ma attori diversi: la dolce Fernanda Negri Pouget, Luigi Chiesa, Umberto Scarpellini): ma il risultato è meno felice, o almeno assai più fiacco il successo. La campagna del ’59 offre spunto in quegli anni ad un’altra pellicola, dal titolo San Martino, di cui non è rimasta comunque che una vaga citazione e un’incerta datazione al 1915; né si ha notizia in questa epoca di ulteriori rievocazioni cinematografiche delle grandi battaglie del Risorgimento. Maggiore attenzione, invece, società produttrici, autori di copioni e registi rivolgono agli episodi minori, agli sforzi sporadici, agli isolati tentativi di sollevazione più volte attuati da generosi spiriti di patrioti, alle società segrete, alla storia dei cospiratori, degli irredentisti, degli affiliati alle carbonerie che dai primi moti del ’21, e in tutte le successive fasi della lotta per l'indipendenza, portarono il lievito

ideale di un alto sentimento d'’italianità e di una più evoluta coscienza civile. E’ facile d'altro canto osservare come argomenti del genere posseggano, più che non gli episodi ufficiali, i requisiti idonei a comporre azioni cinematografiche congeniali al gusto dell’epoca: come già la figura di Garibaldi, quelle dei cospiratori e dei patrioti si convengono agevolmente all’idealizzazione romanzesca, alla deformazione mitica, all'invenzione drammatica non molto rispettosa, magari,

dell’esattezza

storica ma

abilmente

pla-

smabile, ormai, alle manipolazioni fantasiose e spettacolari. Vediamo così passare di volta in volta, sullo schermo del nostro cinema muto, Confalonieri, il martire dell’indipendenza italiana (Aquila Film di Torino, anno 1909) cui tien dietro, l’anno successivo, sempre a Torino, I carbonari : più vasto il tema nel secondo film, ma in entrambi modeste le dimensioni del racconto, ancora

chiuso in una breve serie di quadri stereotipi. A Silvio Pellico è consacrato nel 1915 un

film diretto da Livio Pavanelli, che segna l’inizio di una breve ma intensa attività cinematografica di Augusto Jandolo : uno degli esponenti tipici della cultura del tempo. E’ Jandolo a stendere il copione del film sul poeta di Saluzzo, del quale soprattutto i tristi anni trascorsi allo Spielberg vengono evocati — sulla scorta delle « Mie prigioni » — non senza un sentimentalismo delicato e affettuoso, che fa giudicare ancora

oggi quest'opera

come

un prodotto

tra i più dignitosi del nostro primo cinema risorgimentale.

Dopo Silvio Pellico, Jandolo prosegue nella serie dei suoi ritratti di patrioti con Brescia, leonessa d’Italia diretto da lui stesso, in cui appaiono tutte le figure principali che avevano animato la sollevazione del

140

La lampada della nonna (1913): altro exploit risorgimentale del trio Ambrosio-Frusta-Maggi. La

lampada della nonna (1913): autre exploit « risorgimental » du trio Ambrosio-Frusta-Maggi.

La lampada della nonna (1913): another Risorgimental effort of the Ambrosio-Frusta-Maggi trio.

marzo ‘49: primo fra tutti Tito Speri, cui presta volto e fierezza di accento mimico Gioacchino Grassi, attore specializzatosi nella caratterizzazione appunto di figure risorgimentali: era già stato Silvio Pellico, e sarà ancora una volta Tito Speri in Imperial regio capestro, un altro film scritto da Jandolo — ma diretto, stavolta, da Alberto Carlo Lelli per la romana Augusta Films. L’apporto di Jandolo al cinema risorgimentale si conclude con Altri tempi, altri eroi del 1916 (tutti i suoi film precedenti erano del ‘15: anno della nostra entrata in guerra e del conseguente massimo impulso ai soggetti di intonazione antiaustriaca — le caute censure di un Giolitti non hanno più ragione di essere, ormai... —) del quale purtroppo non sappiamo dir nulla di più circostanziato, se non che in esso, accanto alla Vittorina Moneta, appariva Emma Saredo, la quale nel '15, sempre per la Augusta Films, era

141

stata protagonista di una Spigolatrice di Sapri che traduceva in sdilinquite immagini cinematografiche la romantica ballata del Mercantini in lode di Carlo Pisacane. Infine, anche i mazziniani trovano un anonimo aedo nell’autore di Notti Romane ovvero I martiri della Giovane Italia, prodotto nel 1915 a Torino da una casa che, ironico gioco del caso, s'intitola Savoia Films. La tematica risorgimentale del nostro cinema degli anni che precedono la prima guerra mondiale è pressoché esaurita. Ma vi è ancora una fonte di ispirazione a cui produttori e registi attingono non infrequentemente, pur se con scarsa, anche in questo caso, varietà di scelta: è la fonte letteraria, costi-

tuita dalle opere di narrativa o di teatro che nei decenni intercorsi tra la conclusione del nostro processo

142

unitario e la nascita del cinema avevano assunto episodi e figure del Risorgimento — immaginari o reali, ma in ogni caso romanzati e adattati alle esigenze della raffigurazione scenica o narrativa a proprio oggetto. Il cinema, che aveva cominciato assai presto a far ricorso ai servigi delle più antiche consorelle (non peritandosi di cimentare fin dagli inizi il suo balbettante linguaggio in disinvolte riduzioni di Omero e di Dante) scopre il filone della letteratura patriottica e se ne serve, per qualche anno, in discreta misura. Poche, in realtà, le opere che vengono tradotte nel nuovo linguaggio : ma su quelle poche si torna con una certa insistenza. E’ il caso del « Dottor Antonio », il fortunato romanzo del Ruffini che nei primi anni del secolo costituisce ancora un pezzo d'obbligo nelle letture del pubblico femminile, con la sua pervicace insistenza sugli aspetti più lacrimosi della passione amorosa fusi non senza scaltrezza ai motivi patriottici sentiti in chiave di acceso romanticismo. Un trasferimento di quelle pagine sullo schermo cinematografico è inevitabile, ed infatti avviene puntualmente, una prima volta nel 1910, ad opera di Caserini (interpreti: Mario Monti e Maria Gasperini, troppo florida e ben piantata nei panni di miss Lucy dalla fragile caviglia; ma non si bada gran che, in quest'epoca, al « phisique du ròle », soprattutto quando è in questione la moglie del regista...), e una seconda quattro anni dopo. Questa volta è Arrigo Frusta il Il cinema

fa

ricorso

Le cinéma a recours «risorgimentale »: The

cinema

Ecco

alla

letteratura

a la littérature

turns to Risorgimental

Il dottor Antonio

attrice Fernanda

risorgimentale:

literature:

della Ambrosio

(1914)

Negri Pouget...

Voici Il dottor Antonio de la Société Ambrosio

(1914)

Fernanda

Negri Pouget...

Ambrosio

Films’

avec

Il dottor Antonio

(1914),

Fernanda Negri Pouget...

..e

quello

di Enrico

Guazzoni

(1938)

Maria

attrice

Gambarelli.

..et celui réalisé par Enrico Guazzoni (1938) avec Maria Gambarelli. ..Enrico Guazzoni’s

production of the same film (1938), Maria Gambarelli.

riduttore: e si può pensare che l’accurato autore di Nozze d’oro, favorito anche dalla maggiore scioltezza conseguita nel frattempo dal linguaggio cinematografico, dalle dimensioni più estese dell’opera (che è quasi un lungometraggio), nonché dalla presenza di una interprete più adatta (la delicata Fernanda Negri Pouget, affiancata dall’inglese Hamilton A. Revelle) riesca a suscitare sullo schermo un'’atmosfera abbastanza equivalente della romantica mestizia che spira dalle pagine del romanzo, specie in talune descrizioni evocatrici di paesaggi della riviera ligure, che il romanziere si era studiato di portare su toni quasi manzoniani.

L’esule mazziniano Ruffini è egli stesso figura romantica e risorgimentale di stimolanti suggestioni, che ben si offrirebbe ad una cinematografica celebrazione, magari appoggiata alle pagine autobiografiche del « Lorenzo Benoni »: ma al nostro cinema muto fa abbastanza difetto « l’esprit de finesse » perché possa conoscere di lui altro che non siano i possibili esiti commerciali di filmiche illustrazioni del suo « best-seller ». Una sola volta il Ruffini apparirà sullo schermo; ma, come vedremo tra poco, con esito disastroso.

Un altro « best-seller » dà luogo anch’esso a molteplici riduzioni cinematografiche: è « Cuore » di Edmondo De Amicis, di cui i numerosi episodi e « racconti mensili » costituiscono una autentica miniera per soggettisti e produttori in caccia di sicuri successi. Per quel che ci interessa in questa sede, è « Il tamburino sardo » ad attrarre l’attenzione dei cineasti: nel 1911 la Cines ne effettua una riduzione in 250 metri, che si conquista un premio, nella categoria « film didattici », a quello stesso concorso di Torino in cui abbiamo visto laurearsi Nozze d’oro (e di Nozze d’oro, seguirà la sorte, quando la censura governativa interverrà a imporre il sequestro); nel ‘15 alla Gloria Films di Torino se ne fa una seconda versione (« la prima — avverte M.A. Prolo — delle otto riduzioni dal « Cuore » allestite poi nel 1916 ») di più ampio respiro. Né è escluso che ad entrambe le edizioni abbia in qualche modo posto mano l’irrequieto Caserini, che nell'11 era numero uno alla Cines e nel ‘15, dopo il breve soggiorno presso Ambrosio, già da tempo ha raggiunto la Gloria Films regalandole l’esito favoloso di Ma l'amor mio non muore. Più complesso è il caso di « Romanticismo ». Il dramma di Rovetta, che dal 1901, anno della sua prima rappresentazione, aveva conosciuto frequenti riprese da parte delle maggiori compagnie di prosa, era come predestinato a trovare accoglienza sul bianco telone dello schermo cinematografico ; esso realizzava — quali che fossero il suo effettivo valore scenico e il suo pregio letterario, ampiamente discutibili — una sintesi perfetta di quegli elementi che nell'Italia post-umbertina potevano blandire il gusto cor-

rente: un cliché romantico sufficientemente stemperato nei colori tenui della rievocazione, che ad esso dava un sapore lievemente nostalgico e tutto sommato poco impegnativo; piccolo — o grande — mondo antico di cui si sollevava con discrezione il velo di polvere sotto cui il tempo lo andava imbalsamando, ma senza la pretensione di ridar vita a una presenza ingombrante, bensì quella, più modesta e accettabile, di eccitare un fremito fuggevole nelle tranquille coscienze borghesi, al ricordo di quanto i padri avevano saputo osare, di come altamente avevano saputo sentire e agire.

Sta di fatto che Romanticismo — a cui probabilmente

144

già si son rifatti nel 1911, nel quadro delle

Il dottor Antonio di Hamilton (nella edizione Ambrosio)...

A. Revelle

Il dottor Antonio de Hamilton (dans l’édition Ambrosio)...

A. Revello

Hamilton A. Revelle as Dottor (Ambrosio Films’ version)...

Antonio

da JI

citate celebrazioni del cinquantenario, gli anonimi autori di un La marchesa Ansperti dell’Itala Film: « soggetto (scrive La vita cinematografica”) romantico e patriottico, il di cui spunto potrebbe adattarsi ad uno dei tanti episodi della travagliata lotta per la conquista dell'unità patria » — Romanticismo, dicevamo, conosce nel breve spazio di pochi mesi, fra il '13 e il 14, ben tre riduzioni cinematografiche, di cui due ad opera dell’Ambrosio e l’altra della Gloria Films. A quest'ultima provvede l’immancabile Caserini, su sceneggiatura di Camillo De Riso, che vi interpreta anche una parte accanto a Fanny Ferrari e Felice Metellio, romantici protagonisti. Punto sul vivo, Ambrosio realizza, in concorrenza con la Gloria, la sua versione, affidandola ad Eleuterio Rodolfi che si avvale di due veterani attori della casa: Hamilton A. Revelle e Mary Cleo Tarlarini; poco in carattere — specie quest'ultima — con i tratti iconografici dei personaggi. Forse è per questo che il film scivola inosservato ed Ambrosio, caparbio, ne organizza subito un’altra edizione, sontuosa e definitiva, affidandosi al fiuto e all'esperienza dell’inesauribile Frusta, il quale affronta per la prima e forse ultima volta la responsabilità diretta della regia. Il « cast » è lussuoso : il conte Lamberti è impersonato da Tullio Carminati, quanto di meglio offra il mercato in fatto di romantici eroi ; a fianco gli sta Elena Makowska, diafana e bionda bellezza slava, che equilibra con la sua composta dolcezza gli esuberanti furori del protagonista. Ancora una volta Frusta ottiene l’« en plein » : il successo del film — che si inserisce nella nuova fioritura di opere patriottiche destinate ad alimentare gli entusiasmi antiaustriaci, e a cui il governo con provvedimento speciale concede automaticamente il « nulla osta » — è grande. Per sfruttarlo, Frusta dà di piglio ad un altro romanzo risorgimentale : « Val d’Olivi », di Barrili, in cui ancora una volta la coppia ormai collaudata MakowskaCarminati suscita sospirosi consensi nelle romantiche effusioni di un patriottico amore.

Su questi letterari approcci il cinema muto italiano può dirsi che chiuda i suoi contatti con il Risorgimento : ben poco, infatti, è dato rinvenire negli anni che seguono. L'incremento alla produzione patriottica favorito nel 1915 dall’intervento in guerra dell’Italia ha breve durata : presto si preferisce affrontare il tema antiaustriaco con opere più direttamente legate all’attualità bellica o alla propaganda continDelle:

D'altra parte il cinema italiano, che negli anni tra il 1910 e il 1915 ha dominato i mercati stranieri, comincia ad avvertire i sintomi di una crisi che si farà via via più profonda. Superproduzione, dilatazione dei costi, atomizzazione della concorrenza, rarefazione degli ingegni, divismo, mancanza di una poli-

tica industriale, incapacità di tenere il passo con le conquiste tecniche e di linguaggio che, spesso da noi attuate per primi, sono ormai patrimonio comune ad altre cinematografie che le hanno perfezionate e superate: queste, alcune componenti di quel complesso di fattori che molto fuggevolmente si possono in questa sede accennare. Ad esse se ne aggiungono altre, più strettamente legate alla essenza stessa della nostra cinematografia del decennio 1905-15, a quella che è stata la sua vocazione ideale: il gusto, cui già si è accennato, tipicamente liberty e piccolo borghese per il grande spettacolo, identificato nei due poli, apparentemente distanti ma assai strettamente connessi tra loro, della rievocazione classica e del melodramma d’alcova. L’uno e l’altro — si è soliti dire — si svolgono sotto il segno di D'Annunzio; ma

146

..e quello

di Ennio Cerlesi (nella versione di Guazzoni).

.. et celui d’Ennio Cerlesi (dans la version Guazzoni). ... Ennio

Cerlesi in the same role (Guazzoni edition).

un D'Annunzio colto nei suoi aspetti deteriori e più decadenti, quelli in fondo, che meno gli appartengono e che fan corpo piuttosto con la sua leggenda, sciattamente alimentata dagli epigoni. Cabiria e Ma l'amor mio non muore

restano, in una direzione e nell’altra,

i prodotti

più

caratteristici

del

nostro

cinema muto: ma ad essi presiede piuttosto Da Verona che D'Annunzio, e gli eroi dei « cuori infranti e robusti divani » dei nostri cinedrammi somigliano assai più ad un Luca Cortese che a un Andrea Sperelli. Alla fine del conflitto mondiale la nostra cinematografia entra disastrosamente in crisi. L'orga-

147

ì

L'inglese Hamilton A. Revelle è ancora il protagonista di una delle tre edizioni di Romanticismo allestite a Torino tra il 1913 e il 1914.

L'Anglais Hamilton A. Revelle est encore le protagoniste d'une des trois éditions de Romanticismo réalisées a Turin en 1913 et 1914.

deste Artena Vf

4 vii Da

agi

Do35)

alati I Il

Hamilton A. Revelle, the English actor, again stars in one of the three versions of Romanticismo which were made in Turin between 1913

and

1914.

nizzazione industriale rende patente la sua incapacità ad attuare seriamente la riconquista di quei mercati che la congiuntura della guerra aveva fatto perdere, e che adesso appaiono dominati dall’industria americana — sta nascendo Hollywood — e, su un piano europeo, da quella tedesca. Un estremo velleitario tentativo viene compiuto agli inizi del 19, quando le maggiori case rimaste in piedi — la Caesar Film di Barattolo, la Tiber (poi Itala) di Mecheri — si consorziano assorbendo le ditte minori e dan vita alla Unione Cinematografica Italiana, appoggiata finanziariamente dalla Banca Commerciale e dalla Banca Italiana di Sconto. Ambrosio, che ha smantellato la sua attività industriale, viene chiamato come

consulente al nuovo trust: ma complesse vicende economiche, il fallimento della Banca di Sconto, e soprattutto la incapacità di rinnovare criteri produttivi e impostazioni programmatiche, determinano l’insuccesso dell'iniziativa, che quattro anni dcpo viene ingloriosamente posta in liquidazione. Da allora e fino

148

Silvio

Laurenti Rosa, regista e interprete di Dalle cinque

giornate di Milano alla breccia di Porta Pia (1925?), in attesa della sentenza...

Silvio

Laurenti

Rosa,

metteur

en

scene et interprete de Dalle cinque giornate di Milano alla breccia di Porta Pia (19252), dans l’attente de la sentence... Silvio

Dalle

Laurenti

Rosa,

director and star of cinque giornate di Milano alla breccia di Porta Pia

(19252),

awaits

the sentence...

alla ripresa che, favorita dall’avvento del sonoro, comincerà timidamente ad attuarsi intorno al 1929, della

nostra produzione cinematografica non restano che briciole : scarse, magre, povere briciole scampate a un festino che per essere stato troppo lauto aveva dato l’avvio a una lunga stagione di carestia e d’inedia. In questo periodo di forzato letargo ben poche sono le occasioni di ritorni al Risorgimento, che oltre tutto la nuova retorica instaurata dal regime al potere va più che mai relegando tra le eredità di un’Italia ammuffita da lasciarsi dietro le spalle. Come sempre, è Garibaldi a salvarsi. L'unico autentico mito che la nostra storia abbia saputo erigere e alimentare con costanza trascorre pressoché indenne attraverso le più fortunose vicende: e riesce ancora a trovare un po’ di posto nello squallido panorama del cinema italiano degli anni venti. E’ una breve galleria di ritratti dei quali, al solito, sfumano

i contorni

e si confondono i tratti, d'altronde presumibilmente assai simili gli uni agli altri, e nessuno di essi diffe-

149

|

renziato dall’immoto cliché creato in quel fatidico 1905 da Filoteo Alberini, rimasto a suggello dell’intero successivo periodo. Possiamo dunque ricordare il Garibaldi personificato da Ciro Galvani in La cavalcata ardente (1925) di Carmine Gallone (in cui tra l’altro fa l’ultima sua patetica apparizione uno spettrale Emilio Ghione nei panni del capo della polizia dell’ultimo Borbone), quello di Guido Graziosi in un L'eroe dei due mondi, adespota, del 1926, dove i rudi panni della plebea Anita sono indossati con aristocratica dignità da Rina de Liguoro; e, infine, una sconcertante preziosità: il... triplice Garibaldi e i suoi tempi diretto nel 1926 da Silvio Laurenti Rosa. Triplice perché il Laurenti Rosa, non pago di aver inserito nel film ampi brani di un suo precedente Dalle cinque giornate di Milano alla breccia di Porta Pia (1925?) — che coinvolgeva in un frenetico guazzabuglio Carlo Alberto e Mazzini, Silvio Pellico e Giovanni Berchet, il Nicotera e il Cattaneo, Radetzky e D'Azeglio, Ciro Menotti e Francesco Giuseppe, Luciano Ma-

nara e Fanny Essler, Vittorio Emanuele e Costantino

Nigra, Alfonso Lamarmora e Piero Maroncelli, oltre

che (superfluo dirlo) l'eroe dei due mondi —

successivo

e di un

I martiri

d’Italia, da lui realizzato

nel

1928 per la bolognese Italia Film, rimanipolerà il tutto verso il 1932 aggiungendo, assieme ad un'allucinante sonorizzazione, un buon numero

di scene girate ex novo, nelle quali taluni attori (tra cui lui stesso,

nei panni di Giovanni Ruffini) appariranno invecchiati di colpo come per un malefizio occulto, ed alcuni proditoriamente sostituiti con altri: tal che l’opera nella sua edizione definitiva ha la rara caratteristica di offrirci un Garibaldi uno e trino, perennemente dissimile da se stesso e in una delle tre incarnazioni — attore Dino Raffaelli — inequivocabilmente strabico. Il « pastiche » di Silvio Laurenti Rosa chiude un’epoca, e la chiude, sia pure in chiave involontariamente grottesca, con Garibaldi. La figura del quale può nonostante tutto essere assunta a ideale motivo di collegamento tra il cinema risorgimentale muto e quello sonoro, a simbolo di una continuità indubbiamente casuale ed estrinseca, ma tuttavia non completamente fittizia nè priva di alcuna significazione. E’ un fatto che non appena il cinema italiano, rinato dalle sue stesse ceneri con l’introduzione del sonoro (il quale ridà slancio e respiro vitale alle cinematografie nazionali prima schiacciate sotto il peso massiccio del silenzioso dominio hollywoodiano) ambisce rivolgersi a quei temi patriottici e storici che così inadeguatamente,

nel loro complesso, erano stati serviti nel periodo muto,

esso trova naturale

far

ricorso all’emblematico personaggio dell’eroe dei due mondi, alla chiarezza cristallina della sua figurasimbolo, autentico punto di forza in una tradizione per altri aspetti tanto fragile e controversa. Nel 1933 la rinata Cines, alla cui attività presiede per breve tempo un manipolo di autentici uomini di cultura — primo di essi Emilio Cecchi — progetta la realizzazione di un film sulla spedizione dei Mille e ne affida l’incarico ad Alessandro Blasetti, tra i registi della nuova generazione il più promettente ed entusiasta. E l'entusiasmo è appunto la qualità prima che appare profusa in 1860, realizzato quasi interamente fuori dai teatri di posa, nei luoghi stessi ch’erano stati teatro delle gesta garibaldine in Sicilia e facendo ricorso a volti autentici di contadini e pastori siciliani. Blasetti va alla ricerca di un’autenticità umana e ambientale che lo affranchi dalle tradizionali ricostruzioni accademiche, lo liberi dai cliché stereotipi, animi con una fresca ventata vivificatrice una materia rimasta per anni stranamente mummificata, fac-

150

cia risonare le corde di un patriottismo sincero e non manierato. Il risultato è una felice mistione di epica coralità e di realistica forza di osservazione, in un'opera che sa tratteggiare con imponenza il disegno frastornante della grande battaglia garibaldina di Calatafimi, ma nella stessa riesce ad isolare con delicatezza di tocco le vicende dei singoli, facendo vibrare i sentimenti individuali all'unisono con la grande passione collettiva. Dramma di uomini che si fanno moltitudine, /860 è perciò un film popolare nel senso più pieno e più nobile : ed è significativo che in questa epopea dello spirito garibaldino la presenza di Garibaldi non venga mai resa visivamente se non per rapidissimi scorci, fuggevoli e lampeggianti visioni; il che non toglie forza al mito, anzi lo irrobustisce e lo nobilita, ma sottraendolo alle grevi determinazioni iconografiche prima d’ora consuete. Certo, /860 offre ancora una visione romantica e acritica dell’epopea risorgimentale : Blasetti è lontano, per sua stessa inclinazione di temperamento e di gusto, dalle introspezioni analitiche, dagli approfondimenti critici, dalle interpretazioni storicistiche. Quando ne tenta la prova, quando cerca di indivi-

..che lo porterà ad affrontare con fierezza l’imperial regio capestro.

.. qui l’amenera à affronter avec fierté le « gibet impérial ». «.which results in his proud death on the imperial gallows.

I54

L’addio

alla madre garibaldino

del giovane (da

Alessandro

1860

di

Blasetti).

Les adieux du jeune garibaldien à sa mère (dans 1860 d’ Alessandro Blasetti).

The young « Garibaldino » bids his Mother farewell (from 1860.) directed by Alessandro

152

Blasetti).

Medaglioni Médaillons

du

risorgimentali: Risorgimento:

Risorgimental

Il conte (1934;

cameos:

Aquila

in Teresa Confalonieri attore Nerio Bernardi).

Le comte Aquila dans Teresa Confalonieri (1934; acteur Nerio Bernardi).

Count Aquila Teresa

in

Confalonieri (1934; Nerio Bernardi). =

DI

-

z

z -

duare i contraddittori legami d’ordine politico, diplomatico, ideale, tra l'impresa siciliana e l’azione delle cancellerie europee o l’atteggiamento degli esponenti del già variegato panorama politico italiano, la sua vena s’infiacchisce, il discorso si fa ingenuo e semplicistico, la salda tensione del suo filo narrativo si allenta in una serie affrettata e meschina di notazioni stereotipe. Sono le parti caduche del film, che per questo verso lo apparentano in qualche modo all’angusta visione caratteristica delle opere precedenti, vietandogli di acquisire una dimensione storica ampia e sostenuta e segnando il limite della sua effettiva incidenza

in una

materia

così viva ed eloquente, ma che non vietano all'opera nel suo com-

plesso di stagliarsi, nel panorama della letteratura non solo cinematografica sul Risorgimento, come un monumento di robusta struttura, di aperta e spiegata coralità, di sincera ispirazione, di autentico sentimento popolare. La riuscita di /860 — la prima indiscutibile riuscita del nostro cinema patriottico — rimarrà in

(nul(9)

certo senso

irripetibile:

non

ci sembra

che mai, negli anni successivi e anche in epoca recente, i nostri

uomini di cinema abbiano saputo accostarsi sentimento e, diremmo, purezza di cuore.

al Risorgimento

con

altrettanto

entusiasmo,

altrettanto

Quanto il film di Blasetti è scarso, asciutto, realistico e sinceramente patriottico, il coevo Villafranca

di Gioacchino Forzano, appare pletorico ed esteriore nel rievocare in un affresco confusamente animato gli avvenimenti che portarono alla vittoriosa campagna del ’'59 e alla « vittoria mutilata », come con semplicistico parallelismo storico e capziosa linea interpretativa viene presentato l’armistizio imposto dall'infido Napoleone all’entusiasta Cavour. Ad un secondo filone — per il quale il Risorgimento è un semplice pretesto, romantica tappezzeria in cui inquadrare romanzesche vicende d’intrigo e d'amore — appartiene tutta una serie di opere delle quali lo scrupolo cronistico non consente di annotare più che qualche titolo, mancando la materia per un più approfondito discorso. Così si può registrare nel 1935 un Amo te sola diretto da Mario Mattoli, in cui Vittorio De Sica, smilzo e romantico

compositore

partenopeo,

viene

coinvolto

dapprima

a

Firenze e poi a Milano in complicate vicende sentimentali, cospiratorie e musicali, per poi partire in divisa, allo scoppio della prima guerra d’indipendenza, alla testa di un manipolo di prodi che cantano « L'inno del volontario » da lui composto. Mattoli insiste l’anno successivo con La damigella di Bard, un « feuilleton » incentrato nel personaggio patetico di un'’Emma Gramatica rievocante la sua romantica e sfortunata passione per il conte Costantino Nigra; mentre qualche anno dopo (1939) Carlo Campogalliani imbastisce in La notte delle beffe una movimentata avventura condita di assalti alla diligenza, rapimenti di fanciulle, matrimoni imposti e sventati, il tutto posto sotto l'insegna del brigantaggio antiborbonico legato alla sfortunata impresa di Sapri. Non si elevano a vertici d’arte cinematografica altre opere che, pur prendendo spunto da personaggi autentici e da reali episodi di storia risorgimentale, li trasformano e li svisano costringendoli nei termini del romanzo d’appendice a sfondo amoroso, rifiutando qualsiasi impegno d’interpretazione storica o sia pur semplicemente di evocazione ambientale: così abbiamo nel 1942 una Contessa Castiglione (regista Flavio Calzavara) dibattuta tra l’amore per un giovane carbonaro esule e le crude necessità della « realpolitik » cavurriana che le impongono di circuire l'Imperatore dei Francesi ; e nello stesso anno una Luisa Sanfelice (autore Leo Menardi) che affronta risolutamente la ghigliottina borbonica meno per patriottico ardore che per le delusioni procuratele da un avvenente cospiratore dal pavido cuore. Non mancano, anche in questo primo quindicennio di cinematografia sonora, i frequenti ricorsi alle fonti letterarie, che hanno il pregio di fornire personaggi già formati e in certo modo familiari al pubblico contemporaneo. Dà il via nel 1934 Guido Brignone, realizzando una Teresa Confalonieri che sfrutta il successo recente di un dramma fatto rappresentare dallo scrittore triestino Rino Alessi e dedicato alla figura del Conte Aquila. Nel film viene posto in primo piano, grazie anche a una convulsa ma efficace interpretazione di Marta Abba, il personaggio di Teresa, di cui la fede patriottica, l’amore coniugale, lo spirito di sacrifizio, l'energia nel tener testa a un bieco Metternich, la risolutezza nel com-

154

promettere il proprio onore pur di salvare la vita al marito, vengono colorati con le forti tinte del melodramma ottocentesco e conditi di un effettismo abbastanza « grossier » perché solleciti l’emotività di un pubblico popolare. Qualche anno dopo, com'è inevitabile, torna la volta del Dottor Antonio, alla sua terza incarnazione cinematografica : uno stanco Enrico Guazzoni, sopravvissuto al naufragio che l'avvento

del sonoro ha provocato tra le vecchie leve del nostro cinema, ripropone in tono scialbo e dimesso la vicenda che trent'anni fa ispirò il suo maestro Caserini.

Più peregrina la fonte a cui attinge, nel 1940, Carmine Gallone: le stendhaliane « Chroniques Italiennes », dalle pagine delle quali emerge una figura di donna, Vanina Vanini, che pur nella sommarietà del tratteggio (la novella è più che altro una serie di appunti, un'apertura fugace e vivida sulla società e l'ambiente della Roma papalina del 1830, di cui vengono schizzati con segno nervoso una serie di fi-

Vittorio Emanuele II in Villafranca (1933; attore Annibale Betrone).

Victor Emmanuel II dans Villafranca (1933; acteur Annibale Betrone).

Victor

Emmanuel II in Villafranca (1933; Annibale Betrone).

155

gure prive di vera corposità ma animatrici di un gioco drammatico suggestivo e poetico) ha carica sufficiente per comporsi come autentica eroina romantica. Gallone viceversa la interpreta in chiave di puro melodramma, ad onta della buona interpretazione di una intensa Alida Valli.

Prima di Oltre l’amore (questo il titolo, già per sé indicativo, attribuito al racconto di Stendhal) Gallone realizza, nel '38, un Giuseppe Verdi di inusitate proporzioni, che costituisce uno degli sforzi industriali più considerevoli operati dal nostro cinema sonoro di anteguerra, e che, pur restando al livello della biografia di gusto popolare, profusamente romanzata e avvolta nella musica come una scatola di cioccolatini in un involucro di cellophane, riesce in qualche modo, attraverso la prolissa cavalcata che la longeva esistenza del compositore consente di fare lungo più che mezzo secolo di vita italiana, a evocare per scorci sommarii, ma non privi di qualche attendibilità, la vita culturale, artistica e politica dell’Italia risorgimentale,

alla quale la biografia di Verdi è così indissolubilmente

connessa ; e trova in talune se-

quenze — come quelle in cui la rappresentazione di opere verdiane accende la miccia all’esplodere di manifestazioni popolari di patriottismo, e lo stesso suo nome viene scandito come acrostico di una invoca. zione inneggiante all'unità d'Italia — un suo piglio di efficace coralità. Nel campo delle filmistiche riduzioni di romanzi più o meno noti si può ancora registrare un Mater dolorosa (1942) di Giacomo Gentilomo, che sulla scorta delle pagine non illustri di Gerolamo Rovetta (« Romanticismo » è stranamente assente in questo periodo, ma il momento del suo ritorno non tarderà) svolge una patetica vicenda di amori contrastati e di sublimi sacrifici materni ai quali s'innestano abbastanza casualmente episodii di circa un ventennio di storia risorgimentale, aperti e conclusi rispettivamente dalle due sfortunate campagne del ’48 e del ‘66 ; e — assai più degno di menzione — Piccolo mondo antico (1940) di Mario Soldati, che costituisce uno degli incontri più felici, nella storia del cinema ita-

liano, tra la sensibilità, il gusto e la cultura di un cineasta e un mondo poetico già espresso in forma letteraria, e la traduzione del quale in immagini cinematografiche appaia compiuto sotto il segno del rispetto e dell'amore. Il film di Soldati s'inserisce in un filone nuovo del nostro cinema, di cui i principali esponenti — Soldati appunto, Lattuada, Chiarini, Poggioli, Castellani — andranno ponendo negli anni successivi un'attenzione impegnata e puntigliosa ai fatti stilistici, in dichiarata reazione alla sciatta corrività del cinema del decennio precedente, che tranne poche eccezioni si era orientato verso la duplice direzione del macchinoso film storico a sfondo propagandistico e della commedia salottiera a sfondo evasivo. Anche la nuova corrente, intellettuale e raffinata, letteraria e formalistica, costituisce una sorta di evasione dalla grettezza del clima imperante, ma ha tuttavia il merito di avvicinare forse per la prima volta il cinema italiano al mondo e ai modi della cultura letteraria e figurativa, creando le premesse per quella configurazione del cinema come fatto autentico di cultura che si attuerà pienamente, nell’immediato dopoguerra, ad opera della scuola neo-realistica, la quale pur nascendo in perfetta antitesi con l’accennato indirizzo formalistico gli sarà debitrice di non poche suggestioni.

In un tale clima di sottili influenze letterarie, di raffinate suggestioni intellettualistiche e formali, anche le brevi occasioni di ritorni al Risorgimento appaiono nobilitate da una nuova coscienza culturale.

156

èdar

PI

Giuseppe

Verdi

Giuseppe nom

of the same

nel film omonimo (1938; attore Fosco Giachetti).

Verdi, dans le film du méme (1938;

acteur Fosco

Giachetti).

Giuseppe Verdi in the film name (1938; Fosco Giachetti).

157

E’ per l’appunto il caso di Piccolo mondo

antico che, nel romanzo

mente, anche se gli avvenimenti politici sono tangenti

tico elegantemente evocato;

al fatto narrativo,

come

nel film, respira piena-

un clima

romantico

e patriot-

ed è anche il caso di un altro romanzo del tardo Ottocento, Giacomo l’idea-

lista di Emilio De Marchi, che un altro regista di raffinata

educazione

letteraria,

Alberto

Lattuada,

tra-

duce cinematograficamente nel 1942, anch'egli inserendo in una cupa storia familiare fugaci ma suggestive aperture sugli avvenimenti risorgimentali. E’ in questo clima che in qualche modo s’inserisce, pur non rientrando direttamente nella « scuola »,

un film che — a chiusura di questo quindicennio bruscamente interrotto dalla fine della guerra, la quale segna forzosamente una seconda morte per la cinematografia italiana — appare come l’opera più significativa che dopo 1860 il Risorgimento abbia finora ispirato a un nostro regista : Un garibaldino al convento, realizzato nel 1942 da Vittorio De Sica. Anche qui una vicenda immaginaria, d’intonazione decisamente e pateticamente romantica, viene dipanata su uno sfondo risorgimentale. Ma, a differenza di quanto è riscontrabile in alcune delle opere precedenti, i due motivi non appaiono rozzamente e faticosamente giustapposti per lenocinio spettacolare, bensì armoniosamente integrati e fluidamente connessi per genuina necessità

espressiva.

La storia d'amore



fresca, commossa,

gozzanianamente

malinconi-

ca — e l'episodio patriottico — eroico quanto basta ma sfrondato di ogni orpello di falsa grandiosità — concerrono intrecciandosi a tessere la trama di un ricamo lieve, elegante, sottilmente rabescato con gusto squisito ma alieno da compiacimenti formalistici, in un risultato che sul piano espressivo e stilistico appare tra i più compiuti che il cinema italiano abbia a tutt'oggi raggiunto. Un garibaldino al convento chiude nobilmente il secondo capitolo nella storia del nostro cinema risorgimentale, così felicemente inaugurato da /860. Un terzo capitolo, tuttora aperto, si svolge negli anni del dopoguerra, in un'atmosfera profondamente mutata per il nostro cinema, al quale la folgorante apparizione della scuola neorealistica schiude orizzonti e prospettive nuove, propone orientamenti tematici e modi espressivi inusitati, offre una libertà di ricerca critica e di approfondimento storico di cui mai esso aveva goduto in passato. Non è questa la sede per ricordare sia pure per rapida sintesi quale sia stata l’importanza del fenomeno neorealistico nella nostra vita culturale e come esso abbia determinato una svolta decisiva negli atteggiamenti e nell’indirizzo del nostro cinema migliore, esercitando su di esso una influenza non contingente ma realizzata in prospettiva e verificabile ancora oggi che il fenomeno sembra aver concluso il suo ciclo storico per trasfondersi in forme nuove e più aggiornati indirizzi. Quel che interessa il nostro discorso è che le aperture realizzate dal nuovo cinema italiano, la libertà da esso conquistata, la maturità conseguita non tanto sul piano del linguaggio quanto sul piano essenziale della consapevolezza dei propri compiti e delle responsabilità storiche ad esso pertinenti, non sembrano investire se non con grande ritardo, e pur sempre in maniera sporadica e incompleta, l’annosa vicenda dei rapporti tra il cinema e la nostra storia nazionale dell'ultimo secolo. La figura di Garibaldi — perenne motivo conduttore nella storia dei rapporti tra il nostro cinema e i fatti del Risorgimento — continua ad esercitare suggestioni frequenti anche se di modesta rilevanza

158

Anita

attrice

Garibaldi

Anna

in Camicie

Anita Garibaldi dans Camicie

actrice Anna

Rosse

(195 2

Magnani). rosse (195 2;

Magnani),

Anita Garibaldi Anna Magnani).

in Camicie

rosse

(195 25

159

Il Garibaldi di Silvio Raffaelli

(1926)...

Le Garibaldi

de Silvio Raffaelli (1926)... Silvio Raffaelli as Garibaldi (1926)...

..quello di Raf

Vallone

(1952)...

Raf Vallone

..celui de (1952)...

...Raf Vallone’s Garibaldi

160

(1952)...

161

artistica. La ricorrenza centenaria del ’49 ispira a Mario Costa un Cavalcata di eroi che rievoca con sbrigativa sommarietà la breve vita e le fortunose vicende della Repubblica romana, raggiungendo una efficace robustezza di impianto narrativo e una certa epicità nelle fasi relative alla difesa del Vascello, che acquistano realismo e vigore grazie anche al disinvolto espediente di far scoppiare autentiche cariche di polvere al passaggio degli ignari cavalli e cavalieri impegnati nella cinematografica « bagarre ». Tre anni dopo Camicie rosse di Goffredo Alessandrini ripropone la figura di Anita, riprendendo il tema già trattato dal vecchio Caserini e affidandosi alla icastica espressività e alla forza interpretativa di Anna Magnani. Un episodio garibaldino appare infine nell’antologia cinematografica Cento anni d'amore realizzata nel 1953 da Lionello De Felice, servendo più altro da cornice a una vicenda sentimentale.

Un motivo ripreso frequentemente in questi anni è quello della lotta condotta nell'Italia meridionale contro la dominazione dei Borboni, ma dà luogo ad opere di diverso livello che puntano di preferenza sugli elementi avventurosi e romanzeschi offerti da una letteratura di carattere popolare, in cui brigantaggio e patriottismo, cospirazione carbonara e intrigo amoroso s’intrecciano assiduamente, approdando a risultati di autentico carattere feuilletonesco. E’ il caso di un Conte di Sant'Elmo realizzato nel 1950 dal veterano Guido Brignone, nel quale l’eroe di cui al titolo sembra impegnare maggiore zelo nel condurre a buon fine la sua vicenda sentimentale

con la figlia del Cassano, bieco ministro di polizia, e nel distri-

carsi dai gelosi maneggi di una celebre cantante sancarliana, che non nell’attivizzare la lotta carbonara antiborbonica della quale è uno dei capi segreti ; è ancora il caso di Eran trecento... (1952: regista Gian Paolo Callegari) in cui l’eroica e sfortunata spedizione di Carlo Pisacane è pretesto per imbastire la romanzesca vicenda di un capo brigante animato da patriottici ardori e della sua dolce fidanzata, che sarà la spigolatrice destinata a indicare a Pisacane ed ai suoi la via del combattimento ; è, infine, il caso di Il segreto delle tre punte, diretto nello stesso anno da Carlo Ludovico Bragaglia, che trattando un episodio di cospirazione borbonica, tramata da un gruppo di legittimisti siciliani dopo l'avvenuta liberazione dell'isola da parte dei garibaldini, si lascia sfuggire le possibilità, insite nell'argomento, di inquadrare da un'angolazione nuova gli eventi che portarono all'unione delle terre meridionali al Regno d’Italia e di cogliere il senso di certe tenaci resistenze e nostalgie borboniche, per ripiegare comodamente su un intrigo sentimentale-avventuroso.

Non mancano — a riprova del fatto che non son troppo mutati lo spirito e gli intendimenti con cui la maggior parte dei cineasti si avvicinano ai temi risorgimentali — quelli che possono chiamarsi « i grandi ritorni »; cioè film che riprendono argomenti e personaggi già trattati, spesso più di una volta, nel ventennio precedente o addirittura in epoca muta. Ecco inevitabilmente un ennesimo Romanticismo (1950, regia di Clemente Fracassi) non migliore né peggiore dei suoi predecessori muti; e affiancarglisi un nuovo Tamburino sardo, inserito da Blasetti con garbo e gusto rievocativo nel suo zibaldone ottocentesco Altri tempi (1952); ed ecco riapparire il

162

.. e quello di Renzo

Ricci

(1960).

.. et celui de Renzo Ricci (1960). Renzo

Ricci’s

.. and (1960).

163

La contessa Castiglione (attrice Doris Duranti). combattuta tra l’amore per un romantico carbonaro

(attore

Andrea Checchi)...

La contessa Duranti),

Castiglione

combattue

(actrice Doris

entre

un romantique carbonaro Andrea La

l'amour

pour

(acteur

Checchi)...

contessa

Castiglione

(Doris

Duranti),

torn between

her love for a romantic

?Carbonaro”

(Andrea

.. e la ragion

Checchi)...

di stato che le impone di blandire Napoleone III (attore

.. et la raison

Enzo

Biliotti).

d’Etat, qui lui impose de séduire Napoléon II (acteur

Enzo

Biliotti).

..and the patriotic reasons which force her to conquer the heart of Napoleon III (Enzo Biliotti).

cigno di Busseto in un Giuseppe Verdi (1954) di Raffaello Matarazzo, che nel confronto col più anziano confratello diretto da Gallone nel ’38 può solo segnalarsi per essere il primo film che a immagini risorgimentali conferisca il prestigio del colore, in una veste cromatica sufficientemente vivida ed elegante. Quasi punto sul vivo, l'anziano Gallone riprende anch'egli il personaggio di Verdi — e lo affida al medesimo attore, Fosco Giachetti, che lo aveva incarnato nella

prima edizione — inserendolo in una colorata caval-

cata storica su Casa Ricordi (1954) priva anche essa di pregi particolari ma abbastanza felice nell’intersecare più volte alla storia della gloriosa casa editrice eventi, figure ed episodi risorgimentali, secondo la formula da lui attuata appunto nel primo Verdi. Ed ecco un nuovo Conte Aquila (1955) diretto da Gui-

164

do Salvini, in cui Rossano Brazzi fa rivivere la figura

di Federico Confalonieri ; e ancora una Contessa

di

Castiglione (1954) diretta dal francese George Combret, che spinge più che mai in secondo piano l’intelaiatura politica su cui poggia l’attività parigina della nipote di Cavour, ed accentua al contrario il romanzesco delle vicende sentimentali del personaggio ; per finire con la seconda Vanina Vanini (1961) in cui un regista come Roberto Rossellini, fuorviato da un argomento estraneo alle sue corde e ai suoi genuini interessi, si limita a fare una semplice illustrazione, talora vividamente decorativa, altre volte piattamente oleografica, dell'ambiente e della società schizzati da Stendhal. Il panorama è ormai pressoché esaurito. Sgombriamo il campo rapidamente di film come La taverna della libertà (1950) di Maurice Cam, Un giglio infranto (1955) di Giorgio W. Chili e La trovatella di Milano (1956) di Giorgio Capitani nei quali le vendite carbonare, le cospirazioni degli affiliati alla Giovane Italia, le insurrezioni antiaustriache vengono incolpevolmente coinvolte in complicatissimi intrighi condotti nel più puro stile dei romanzi d’appendice e chiudiamo questa rapida e forse incompleta rassegna con un accenno meno fuggevole a quel gruppo di opere che per nobiltà di propositi, serietà di

concezione, rigore storico e compiutezza formale si stagliano nettamente non solo nel quadro della produzione di questi ultimi anni, ma in quello più vasto e generale dell'intera storia della nostra cinematografia risorgimentale. Il brigante di Tacca del Lupo, diretto nel 1952 da Pietro Germi, ha già in partenza il merito di appoggiarsi a una robusta pagina narrativa di Riccardo Bacchelli, e di rompere quindi il cerchio della dipendenza pressoché totale dei nostri registi da una deteriore letteratura a sfondo retorico o apologetico. Ad esso aggiunge quello di trattare un argomento — il banditismo politico di marca borbonica allignato « dai boschi della Sila alle montagne di Abruzzo » all’indemani della proclamazione del Regno d’Italia — che in sé contiene motivi sufficientemente inediti e stimolanti, che la nostra letteratura storiografica e politica ha eluso costantemente o affrontato con superficialità; ed ancora quello di sfiorare il problema dei rapporti tra gli italiani del nord e quelli del meridione, della persuasione, viva in quelli, di essere portatori di civilizzazione e di progresso in un paese semicoloniale, e di un atteggiamento, in questi ultimi, d’istintiva difesa e repulsa verso sistemi e mentalità troppo contrastanti con sedimenti di tradizioni secolari. La pattuglia sperduta realizzato nel 1953 da Piero Nelli, traccia l’esile vicenda di un drappello di soldati piemontesi che nelle giornate che precedono la « fatal Novara » si trovano isolati, vaganti tra le campagne e le risaie attraversate dal Ticino, sottoposti all’insidia delle pattuglie nemiche che nel corse di varie scaramucce mettono fuori combattimento molti di loro. L'eco lugubre del cannone guida i pochi superstiti sul campo di Novara. E’ la sera del 23 marzo: il film si chiude sulla visione agghiacciante del campo di battaglia dove tra i mucchi di cadaveri e le macerie fumanti sembrano esser morte le entusiaste speranze degli italiani. La debolezza del film è appunto nel non saper trarre tutte le conclusioni da una simile impostazione

« antieroica » e, diremmo,

intimista;

pur evitando i pericoli della oleografia, a una interpretazione deamicisiana locarli in una prospettiva storica cogliendone il senso più intimo e vero.

di restar

fermo

in sostanza,

dei fatti del ’49 senza col-

Una concezione antieroica e anticonvenzionale, appoggiata però a una interpretazione che si allontana deliberatamente dalla tradizione storica corrente, per assumere un’angolazione critica solo parzialmente adombrata in certi settori della storiografia e comunque affatto nuova per il cinema, è alla base anche di Senso, realizzato nel 1954 da Luchino Visconti: l'opera indubbiamente più ambiziosa e per molti aspetti più singolare che il cinema italiano di argomento risorgimentale abbia mai espresso. Anche Senso, come La pattuglia sperduta, fa leva su un episodio sfortunato della lotta per l’indipendenza nazionale: la campagna del 1866, col suo fulmineo svolgimento e la subitanea catastrofe di Custoza. Ma gli avvenimenti bellici, e tutte le vicende che ad essi preludono come naturale premessa e preparazione, eludono ogni intento celebratorio per assumere soprattutto una funzione catalizzatrice: che è di porre in evidenza il contrasto tra forze che la tradizione è solita accomunare in un acritico giudizio encomiastico, di puntualizzare l'equivoco che — nella tesi del film — è alla base del processo formativo dell’unità nazionale. Contrasto ed equivoco nati dalla diversità d'interessi tra la classe domi-

166

Giuseppe

Verdi accompagna al pianoforte Giuseppina Strepponi (1938: regia di Gallone,

attore

Fosco

Giachetti)...

Giuseppe Verdi accompagne au piano Giuseppina Strepponi (1938;

metteur

acteur

en

scène

Fosco

Gallone,

Giachetti)...

Giuseppe Verdi accompanies Giuseppina Strepponi at the piano (1938: directed by Gallone; Fosco Giachetti is the leading man)...

nante, per la quale l’Unità d’Italia significa espansione d’interessi ed affermazione egemonica, e le forze popolari, che la sentono invece come inizio di un nuovo periodo storico, caratterizzato dall’avvento di quelle classi appunto di cui finora si sono costantemente ignorate o compresse le aspirazioni. Le classi popolari fomentano la lotta unitaria, a cui partecipano attivamente; ma sono osteggiate e neutralizzate dall’oligarchia aristocratica, che avverte confusamente l'avvicinarsi del proprio tramonto, e pure vi si

oppone con disperata Italia ed Austria, ma « gottendiammerung » ancora illusoriamente

resistenza. Per cui la guerra del '66 non è tanto un episodio dell’annosa contesa tra tra ceto dominante e classe popolare; e Custoza diventa simbolo di un generale definitiva condanna di una società che ha perso ogni slancio vitale e sopravvive a se stessa.

.e ringrazia il pubblico dopo la prima rappresentazione di « Rigoletto » (1954:

regia di Matarazzo, attore Pierre Cressoy). . et remercie le public après la première de « Rigoletto » (1954: metteur en scène Matarazzo, acteur Pierre Cressoy).

and thanks the public after the first performance of « Rigoletto » (1954: directed by Matarazzo. Pierre

Cressoy

is the star).

Ambientazioni di « esterni » in film risorgimentali:

Vues

d’extérieurs de films à thème «risorgimental »: The

Risorgimental «on

1860 - (1933) Alessandro

168

film

location »:

Blasetti.

egli P3 :dea Beda n

La w

Frutto di un’acuta sensibilità artistica, Senso si pone al vertice delle esperienze risorgimentali del cinema italiano. Queste a tutt'oggi si conchiudono, ancora una volta, con un ritorno a Garibaldi. Viva l’Italia!, realizzato nel 1960 da Roberto Rossellini, ripercorre la strada dell'impresa dei Mille nelle sue tappe che partendo da Quarto e passando per Marsala, Calatafimi, Palermo, Napoli e il Volturno terminano a Teano, e vuol celebrare alla maniera di un canto rapsodico d’'intonazione popolare il cammino finale percorso dall'idea unitaria. Diversamente da /860, in cui l'impresa garibaldina era vista con gli occhi del pastore siciliano, aperti a uno spettacolo nuovo e quasi arcanamente rivelatore di una realtà inimmaginata ma solo confusamente

sognata, e che trova la sua piena

rivelazione

in un

solo momento

cruciale,

169

Oltre

l’amore

(1940) Carmine

Gallone.

identificato nello scontro di Calatafimi, il film di Rossellini cerca la sua angolazione piuttosto dalla parte degli « altri », dei piemontesi cioè, o comunque degli uomini del nord che partecipano all'impresa. Sono essi che lungo il corso della loro anabasi verso l'attuazione dell’ideale unitario si trovano a scoprire un mondo

nuovo, vengono

a contatto con una realtà inimmaginata, che pur nella sua concretezza

assume in più occasioni i colori del mitico e del meraviglioso, come mune

il ritrovamento

di una origine co-

i cui segni fossero andati smarriti. L'incontro fra le due Italie, fra la cosciente e lucida passione

politica degli uni e le più indistinte ma non meno appassionate aspirazioni degli altri, avviene appunto sul terreno di questa scoperta, è illuminato dal senso di questo ritrovamento. In tale prospettiva l’opera è ricca di felici intuizioni, soprattutto nella parte siciliana, e appare un omaggio commosso allo spirito d’italianità ; pur se il suo filo narrativo è più volte frammentario ed episodico, non sorretto da un ritmo

170

ie

Un garibaldino al convento (1942) Vittorio

De

Sica.

costante, e se il tentativo di smantellare il mito retorico di Garibaldi per ricondurne

la figura alla sua

dimensione umana, concreta e realistica, e perciò più accettabile e vera, risulta solo parzialmente riuscito.

La storia del nostro cinema risorgimentale, per il momento, si arresta a questo punto. E' una storia varia e naturalmente ricca di contrasti, caratterizzata da un assiduo alternarsi di opere modeste e ingenuamente rievocative e di altre invece felicemente impegnate sul piano dell’interpretazione storica e della rappresentazione artistica. Una storia comunque che con le sue luci e le sue ombre testimonia l’indubbia suggestione esercitata dalla nostra vicenda risorgimentale sugli uomini di cinema ; i quali da essa, conformemente alle capacità di ciascuno e alle vicende stesse fortunosamente vissute in sessant’anni dalla nostra cinematografia, hanno saputo trarre efficaci stimoli ideali e frequenti motivi di ispirazione.

171

Piccolo

mondo

(1940)

Don!

lie]

N

Mario

Soldati.

antico

le risorgimento dans le cinéma par Guido

Cincotti

Le cinéma italien semble naître sous le signe du Risorgimento : en 1905, en effet, alors que l’activité cinématographique de notre Pays se borne encore à la simple réalisation de prises de vues documentaires, le premier film à sujet qui voit le jour et obtient un certain succès est intitulé: La presa di Roma et consiste justement en l’évocation de cet événement historique. Le producteur, metteur en scène et opérateur du film est Filoteo Alberini, l’un des pionniers de la cinématographie italienne. Il n'est guère difficile de reconstruire a posteriori le bref scénario du film, réduit — dans l’édition qui nous reste — à quatre plans, sur les sept qui avaient été faits à l'origine, avec — inutile de le préciser — un appareil fixe (les travellings et les panoramiques étant encore dans les nuées d'un avenir impossible

173

à prévoir). L'action est concentrée autour du point culminant du siège de la Ville Eternelle par les troupes italiennes. Le général Carchidio, émissaire du général Cadorna, arrive à cheval Ponte Milvio. Là, on lui bande les yeux, on le fait monter dans une voiture (le ccecher,

salue obséquieusement) et on l’accompagne chez le commandant

en

chapeau

haut-de-forme

et

redingote,

de la garnison pontificale pour lui faire

connaître les conditions d’une reddition honorable (c’est le premier tableau); dans le salon orné de tapisseries Renaissance, sous le regard prescient et admoniteur du Souverain Pontife, se déroule, en un second tableau relativement long, l’entretien entre les deux officiers: plus qu’un entretien, c'est, pourrait-on

dire, une pantomime qui se fait de plus en plus vive et agitée. Les deux officiers échangent des courbettes, redressent fièrement leurs barbes, s’approchent, s’éloignent, agitent les bras, étalent des cartes topographiques, acquiescent, branlent du chef, nient, lancent des imprécations, se mettent en colère. La danse atteint son paroxysme au moment où le commandant en chef des armées pontificales (Kanzler en personne?) repousse avec mépris l’offre de Cadorna, jugée humiliante — « Nous ne nous rendrons pas! », hurle la didascalie —; Carchidio se laisse à nouveau bander les yeux et, après un fier claquement de talons, sort de la scène ; Kanzler, resté seul, s'abandonne à des manifestations de désespoir, se frappant le front et s’effondrant sur un fauteuil, clairement conscient de ce qui l’attend. En effet (troisième tableau, « L’assaut »), par l’ample brèche ouverte dans les murs de la ville, une nuée de bersagliers montent à

l’assaut, irrésistibles — totalement absents, au contraire, sont les fantassins de Mazé de la Roche: depuis longtemps déjà, l’exactitude historique est sacrifiée à la suggestion d'un mythe qui, désormais, a fait ses preuves —, armés de pied en cap, fidèlement habillés (gràce au concours — diront les auteurs des feuillets publicitaires —

du Ministère de la Guerre,

« pour

la fourniture

des uniformes,

artillerie,

armes, etc... »). L’action est finie, semble-t-il; mais non : il y a encore le dernier tableau, et celui-là vaut tout le film. Il est intitulé :« L’apothéose ». On peut y admirer, se dressant sur un nuage de carton-pàte, avec, pour toile de fond, une Rome impériale, une plantureuse Italie, le front ceint de la couronne crènelée, enveloppée d’un peplum romain et d’une flottante chevelure noir corbeau; elle tient, dans la main gauche, un drapeau tricolore et, dans la main droite, une sorte d’éventail de plumes; son regard est perdu dans le lointain, vers les destinées futures. A ses cOtés, émergeant de petits nuages plus modestes, les quatre artisans de l’Unité: Cavour, dans une attitude à la Napoléon, Victor Emmanuel II, avec grand cordon et

décorations, Garibaldi, enfoui dans sa propre barbe et, enfin, qui? Mazzini? Non! Mazzini est exclu de cette tendancieuse apothéose qui porte la marque des Savoie : promu, de facon inattendue, au rang de quatrième Grand, arrive Francesco Crispi, qui n’avait pas tardé à se racheter de son passé républicain et révolutionnaire par une conversion à une orthodoxie monarchique, dont il fut par la suite un défenseur à poigne de fer.

L'image que La presa di Roma nous offre de l’épisode le plus saillant de notre Unité nationale est, de toute évidence, une image conventionnelle, genre chromolithographie, dans un style parfait de « tableaux vivants » ou de grande finale du ballet « Excelsior ». Il ne faut surtout pas imputer cet aspect de la réalisation aux moyens primitifs et rudimentaires dont disposait le bon Alberini, pionnier et inven-

174

E is

pag. 173: Camicie rosse (1952) Goffredo Alessandrini.

rg

Il brigante di Tacca del Lupo (1952) Pietro

Germi.

175

teur d’un alphabet qui aura bien du mal à devenir un langage: en réalité, La presa di Roma apparaît aujourd'hui comme le prototype d’un style particulier appliqué au Risorgimento, style qui sera typique de notre cinéma dans les années suivantes et qui, à bien réfléchir, sauf quelques rares exceptions, n’a pas beaucoup changé jusqu’à présent. Sans doute, l’époque n’est-elle pas des plus favorables à une interprétation intimement sentie et non “superficiellement tournée vers une célébration des événements du Risorgimento: les dix premières années du siècle qui, avec le déclin de la société du règne d'Umberto encore sentimentalement attachée aux événements,

aux

mouvements,

aux

passions

et aux

contrastes du Risorgimento, voient l’avènement d’une

société plus pragmatique et concrète, tendue vers une vision utilitaire de l’idée de Nation, où sont en jeu ‘es intéréts économiques, les luttes de classes, l’industrialisation, la poussée impérialiste et la volonté d’une bourgeoisie avide de puissance. C'est l’époque de l’expédition de Libye ; peu de temps après, ce sera celle de la première guerre mondiale : dernière phase de la lutte pour l’Indépendance nationale, phase qui n’est plus allumée et alimentée par les fureurs héroiques du Risorgimento, mais méditée et accueillie — ou, plutòt, acceptée — comme le couronnement inévitable d’une action historique dont subsistent des intéréts politiques concrets, si les causes idéales les plus profondes en sont désormais atténuées. C'est sous cet aspect que l’on peut, en quelque sorte, juger et comprendre les nombreux films sur le Risorgimento qui, dans le sillage du pionnier Alberini, sont réalisés en Italie entre 1905 et le moment où la grande crise — qui, par pur hasard, coincide d’ailleurs avec la violente modification de la structure de notre société causée par le fascisme — paralysera notre activité cinématographique pendant plusieurs années, jusqu’à l’avènement du film sonore.

Rome et Turin sont, pendant assez longtemps, les deux centres principaux où se polarise la naissante industrie

du film:

Rome,

où la Société Alberini

ct Santoni

se transforme

bientòt

en

Cines,

nom

fa-

tidique auquel seront liées les nombreuses morts et résurrections de notre cinéma; Turin, où un photographe entreprenant, Arturo Ambrosio, crée un ensemble industriel de premier ordre, y attirant des célébrités étrangères, mais formant également des talents locaux. La Cines voit bientòt émerger le nom de Mario Caserini, auteur d’un certain nombre de sujets patriotiques : à Turin, Ambrosio utilise l’oeuvre d'un personnage bizarre, Arrigo Frusta, avocat-écrivain-poète, auteur inépuisable, depuis 1908, de scénarios de tous genres, parmi lesquels abondent les sujets basés sur le Risorgimento; ces scénarios sont généralement mis en scène par Luigi Maggi ou Eleuterio Rodolfi, cu encore par d'autres jeunes « factotums » de « l’élevage » de Turin. On voit s’allonger une liste de titres, dont beaucoup, hélas, restent à l’état de titres, privés d'une plus ample spécification que le temps, en détruisant les copies — un demi-siècle est déjà lourd pour la fragile histoire du cinéma, écrite sur l'eau — rend aujourd’hui très incertaine; mais la série méme des titres, les témoignages restés et quelques possibilités de « lecture » des rares oeuvres épargnées par le massacre permettent d’exprimer quelque-chose de plus qu'un jugement vague et futile.

Un premier Garibaldi — après la chromolithographie qui avait été composée par Alberini dans la finale de La presa di Roma — fait son apparition dans le catalogue de la Cines en 1907; on sait seule-

176

Senso (1954) Luchino

Visconti.

177

TI

Viva l'Italia! (1960) Roberto Rossellini.

178

Vanina

(1961) Roberto

Vanini Rossellini.

179

ment qu'il s'agit d’un bref tableau, sommairement tracé à coups de pinceau rapides; il n’en est pas autrement, d’ailleurs, du portrait que, trois ans plus tard, dans Anita Garibaldi, Caserini esquissera de la fière compagne du héros, dont les moments suprémes — la fuite aventureuse à travers la Sabine, l’Ombrie et la République de San Marino, sa triste mort dans une cabane de pécheurs Romagne — sont vécus, dans le film, par Maria Gasperini: un des tout premiers noms d’actrice que l’histoire du cinéma italien ‘nous ait transmis. C'est encore Garibaldi —

ou, tout au moins, ses hommes



qui est en scène dans Per

la Patria, « épopée garibaldienne », film de 217 mètres, tourné en 1910, dont on a cublié, non seulement l’épisode qui y était retracé, mais le nom méme du réalisateur. Et la présence de Garibaldi — dieu inspirateur, comme on voit, de plus d’un cinéaste de l’épeque — est encore sensible dans La fucilazione di Ugo Bassi e del garibaldino Giovanni Livraghi, qu'une firme de Velletri réalise en 1911 pour exalter deux des nombreux héros qui s’étaient illustrés, au printemps 1849, pendant le défense désespérée de la Ville Eternelle contre les assauts des troupes d’Oudinot et que la répression franco-pontificale avait persécutés avec acharnement après la chute de la république de Mazzini. Mais le développement du thème garibaldien, jusqu’alors affronté dans ses aspects — si l’on peut dire — mineurs, s’enrichit, en 1912, de son motif le plus héroique et le plus suggestif, venant en conclusion de tous les autres qui lui servent presque de prélude, avec la réalisation de I Mille, que Mario Caserini, transfuge de la Cines, tourne à Turin pour le compte d’Ambrosio, d’après un sujet de Vittorio Emanuele Bravetta. Ce film marque plusieurs points de progrès sur la production précédente, en raison, non seulement de l’étendue épique du thème, étendue qui, à son tour, est cause des dimensions insolites du film (plus de huit cents mètres, soit quarante minutes de projection environ, l’un des premiers moyens

métrages italiens), mais surtout de la présentation plus spectaculaire, de la plus grande aisance de langage, de la cadence plus soignée du rythme narratif. Les années 1911-1912 constituent une période-clef pour l’histoire du cinéma muet italien qui — gràce surtout è Enrico Guazzoni, jeune peintre devenu d’abord architecte-décorateur

de Caserini

à la Cines, puis metteur

en

scène



acquiert

une

plus grande

cons-

cience de ses possibilités spectaculaires, franchit les limites restreintes du décor d’origine théatrale et, remplagant les misérables toiles de fond par d’ambitieuses constructions architectoniques « en plein air », conquiert l'espace perspectif dans lequel la caméra se déplace librement pour créer des angles surprenants et changeants. Caserini, émigré à Turin, I Mille, où le « plein air » est ses de garibaldiens, et où la d’intérieur, qui ne sont plus

tire profit des expériences exploité avec science pour perspective architectonique appauvries par la toile de

de son ancien assistant et, déjà, s'en sert dans encadrer artistiguement des masses nombreudonne du réalisme et de la vivacité aux scènes fond traditionnelle.

Il ne semble pas que, pendant cette période, d'autres films aient été réalisés sur Garibaldi et ses faits d’armes, à moins qu'on ne veuille faire entrer dans le thème garibaldien La campana della morte, qu'un réalisateur anonyme a tourné en 1913, pour le compte de la firme Ambrosio, en prenant pour sujet Rosolino Pilo, le patriote sicilien qui, après avoir été à Sapri le compagnon de Pisacane et avoir échappé

180 es e

miraculeusement

au massacre, prépara avec Francesco Crispi le soulèvement de la Sicile, où il précéda

Garibaldi, et trouva la mort en se battant contre les Bourbons;

ou

bien

O Roma

o morte!,

tourné

la

méme année pour le compte de la société romaine Vera Films, par Aldo Molinari, qui y célèbre, en tableaux rapides, les dernières phases de la lutte pour la conquéte de la ville — de l’héroîque sacrifice d’Enrico et Giovanni Cairoli à Villa Glori et l’épisode malheureux de Mentana jusqu'à Porta Pia (et ce sera la seconde et avant-dernière fois que le cinéma italien évoquera la brèche fatidique) — ou, enfin, Cice-

ruacchio, réalisé en 1915 par Emilio Ghione et interprété, avec une fougue impétueuse toute romaine, par Gastone Monaldi. Les cinéastes se tournent plus volontiers que vers les personnages, vers les actions les plus saillants des guerres d’'Indépendance, choisissant celles où, à la valeur de nos soldats, correspond une issue fa-

vorable de la bataille. C'est ainsi que les années 1849 et 1866 devront

passer

pour

que

soient

Senso, les pages malheureuses

évoquées

de Novare

coup sùr vers la guerre de 1859, comme

à l’écran,

sont laissées

respectivement

et de la deuxième

Custoza

dans

—,

de còté — La

pattuglia

tandis

quarante

ans

sperduta

et

que l’on s’oriente

à

étant celle qui se préte le plus aisément à une interprétation sur

le ton héroique et louangeur du mythe « risorgimental ».

Déjà en 1908, c’est-à-dire peu de temps après La presa di Roma et le premier Garibaldi, fait son apparition une Battaglia di Palestro, de producteur et auteur inconnus, dans laquelle — selon l’historien Roberto Paolella, le seul qui en fasse mention — la bataille entre Franco-Piémontais et Autrichiens est encore limitée aux dimensions d’une rixe improvisée et frénétique entre quelques dizaines d’individus, qui s'agitent sans raison comme des larves sous l’oeil du microscope et semblent uniquement occupés à sortir continuellement du champ et à y rentrer pour faire nombre. La bataille de Palestro — épisode-clef de la seconde guerre d’Indépendance — est également le noyau de Nozze d'cro, réalisé deux ans après — été 1911 — par la société Ambrosio, de Turin, film qui s'affirme comme un des plus gros succès internationaux de l’époque. Le metteur en scène est Luigi Maggi, l’opérateur,

Giovanni

Vitrotti, les interprètes,

Alberto Capozzi, Mary Cleo Tarlarini et Maggi lui-méme.

Mais la paternité authentique du film doit probablement étre attribuée à Luigi Frusta qui, dans la firme Ambrosio, est une sorte de « chef du service sujets », mais, en réalité, l’animateur, le superviseur et le

contròleur de toute la production. « Un véritable chef-d’oeuvre — dit une publication cinématographique de l’époque —, un joyau de l’industrie cinématographique, qui est tout è l’honneur de la grande Maison de Turin, qui (...) a réussi à faire vibrer la corde patriotique en évoquant un épisode de cette heureuse Histoire que la Nation italienne célèbre cette année, par les deux grandes expositions TurinRome et par des fétes ». En effet, c'est l'année du cinquantenaire, et Nozze d'oro remporte le premier prix au concours cinématographique organisé pour la circonstance par le Comité de l’Exposition Internationale de Turin (dans le jury, Louis Lumière et le photographe Paul Nadar). Le film est projeté pendant plusieurs mois dans un pavillon spécial de l’Exposition, avec un succès qui s’étend à l’étranger, où l'on en vend 400 copies, dont 60 rien qu’en Angleterre.

181

Interni

Vues

risorgimentali:

d’intérieurs

Interiors

de films

à thème

of the Risorgimental

La lampada

della nonna

«risorgimental »:

films:

(1913)

Luigi Maggi.

Nozze d’oro marque une fusion heureuse entre le sentimentalisme naif du sujet et la robuste évidence du fait d’arme, reconstitué avec un sens très vif du spectacle et un goùt surprenant de la composition figurative. « Après quelques rapides visions de bataille se succédant à un rythme vertigineux — rappellera Nino Berrini, plus de vingt ans après — (Frusta) présentait une étendue de champs de blé avec cette ondulation lente des épis mùrs, vision inattendue de champs solitaires qui, entre les tableaux de bataille, donnait une impression mystérieuse de silence tragique. Et, tout-à-coup, arrivait au galop le roi Vittorio... il s'arrétait... jetait un coup d’oeil... le trompette sonnait la charge... D'un seul coup, de l’étendue des champs de blé, bondissaient des bersagliers... au cri de « Savoia »! Effet extraordinaire. Une création originale, nouvelle, riche de poésie en action ».

Nozze d’oro eut un curieux destin. Malgré le succès grandiose remporté tant en Italie qu’à l’étranger (« ... de véritables vagues d’enthousiasme patriotique — écrit « La Gazzetta del Popolo » — soulèvent le peuple devant le spectacle, beau pour les yeux et sain pour l’esprit et le coeur... ») et les éloges de la Reine Marguerite, qui se le fait projeter à Stupinigi, le film est séquestré, quelques mois après sa sortie, sur ordre d’un Giolitti qui craint de froisser la susceptibilité du Gouvernement autrichien, allié puissant et soupgonneux. Le film, interdit en Italie, continue à circuler et à cueillir des lauriers dans tous les pays d'Europe, y compris ceux qui sont sous la domination du Gouvernement impérial... La lampada della nonna, réalisé également par Ambrosio en 1913, avec la méme équipe de collaborateurs (mais des acteurs différents: la douce Fernanda Negri Pouget, Luigi Chiesa, Umberto Scarpellini), présente des affinités avec Nozze d’oro, par l’atmosphère « risorgimentale » et la délicatesse du ton narratif, mais le résultat est moins heureux ou, tout au moins, le succès est beaucoup moins grand.

182

La campagne de 1859, toujours à la méme époque, offre encore un sujet à un autre film intitulé San Martino, dont il n'est resté qu’une vague citation et une date incertaine : 1915. Il ne nous résulte pas non plus qu'il y ait eu, à cette époque, d'autres évocations cinématographiques des grandes batailles du Risorgimento. Au contraire, l’attention des maisons de production, des scénaristes, des metteurs en scène est attirée davantage par des épisodes de moindre importance, des etforts isolés, des tentatives de soulèvement dues à de généreux esprits patriotiques, ou par l'action des sociétés secrètes, l'histoire des conspirateurs, des irrédentistes, des membres des diverses « carbonerie », qui, dès les premiers tumultes de 1821 et dans 1860 (1933). Alessandro TE

Blasetti

toutes les phases de la lutte, pour l’Indépendance, apportèrent le ferment idéal d’un sentiment patriotique élevé et d'une conscience civile plus évoluée. Nous

voyons

ainsi défiler sur l’écran de notre

cinéma

muet:

Confalonieri,

il martire

dell’indipen-

denza italiana (Aquila Film, de Turin, 1909), puis, l'année suivante, toujours à Turin, I carbonari; le thème de ce dernier film est plus étendu que celui du précédent, mais, dans l’un comme dans l’autre, l’histoire est de dimensions modestes et contenue encore dans une série de tableaux stéréotypés. A Silvio Pellico est consacré, en 1915, un film dirigé par Livio Pavanelli, qui marque le début de l’activité cinématographique brève, mais intense, d'Augusto Jandolo, l’une des figures typiques du monde culturel de l’époque. C'est Jandolo qui a préparé le scénario du film sur le poète de Saluzzo, évoquant surtout les tristes années passées au Spielberg —

le scénario est

tiré de « Le mie prigioni » — non sans un sentimen-

talisme délicat et affectueux, qui amène, aujourd’hui encore, à juger ce film comme un des produits les plus dignes de notre premier cinéma « risorgimental ». Après Pellico, Jandolo continue sa série de portraits de patriotes avec Brescia, leonessa d’Italia, dirigé par lui-méme, où paraissent toutes les figures principales du soulèvement de mars 1849: tout d’abord, Tito Speri, interprété, avec un fier accent mimique, par Gioacchino Grassi, acteur spécialisé dans les personnages du Risorgimento: il avait déjà été Silvio Pellico, il sera, encore une fois, Tito Speri dans Imperial regio capestro, un autre film écrit par Jandolo

— mais dirigé par Alberto Carlo Lolli pour le compte de la société romaine Augusta Films. La contribution de Jandolo au cinéma « risorgimental » se termine par Altri tempi, altri eroi, de 1916 (tous ses autres films datent de 1915, année de notre

entrée

en

guerre

et, par conséquent,

de la

plus grande orientation vers des sujets anti-autrichiens — les prudentes censures d’un Giolitti n’ont plus de raison d’étre, désormais...) dont, malheureusement, nous ne pouvons rien dire de plus circonstancié si ce n’est que, aux còtés de Vittorina

Moneta,

paraissait

Emma

Saredo

qui avait été, en

1915,

toujours pour l’Augusta Films, la protagoniste de La Spigolatrice di Sapri, film qui traduisait en images cinématographiques sans force la romantique ballade composée par Mercantini à la louange de Carlo Pisacane:

Enfin, les partisans de Mazzini trouvent un aède anonime en l’auteur de Notti romane ou I martiri della Giovane Italia, produit en 1915 à Turin, par une firme qui, ironie du sort, s'appelle Savoia Films. Une autre source d’inspiration à laquelle producteurs et metteurs en scène puisent assez souvent, faisant preuve, là encore, d’une certaine pauvreté dans la variété du choix, est la littérature. Peu nom-

breuses, en réalité, sont les oeuvres traduites dans le nouveau langage ;mais on y revient avec insistance. Tel est le cas du Dottor Antonio, le roman à succès de Ruffini qui, dans les premières années du siècle, constitue encore une lecture obligatoire pour le public féminin. La transposition de ces pages à l’écran était inévitable et, en effet, elle se manifeste ponctuellement, une première fois, en 1910, dans un film de Caserini (interprètes: Mario Monti et Maria Gasperini, trop florissante et bien plantée pour le role de miss Lucy, à la cheville fragile; mais on ne préte pas grande attention, à cette époque, au

« physique du réle », surtout quand il s’agit de la femme du metteur en scène...), et une deuxième fois, quatre ans plus tard. La réduction est d’Arrigo Frusta, et l’on peut imaginer que l’auteur méti-

= ___

184

Piccolo

mondo

antico

(1940) Mario

Soldati.

Giacomo

l’idealista

Alberto

Lattuada.

(1942)

Il Conte

di Sant'Elmo

(1950)

Guido

Brignone.

celeux de Nozze d’oro, favorisé par la plus grande aisance acquise entre temps par le langage cinématographique, par les dimensions plus étendues de l’oeuvre (presque un long métrage) ainsi que par la présence d’une interprète plus adéquate (la délicate Fernanda Negri Pouget qui a, pour partenaire, l’anglais

Hamilton

A. Revelle),

réussit

à obtenir

à l’écran

une

atmosphère

assez

semblable

à la mé-

lancolie romantique qui s’exhale des pages du roman, surtout dans certaines descriptions évocatrices de paysages de la còte ligurienne, auxquelles le romancier s’est appliqué à donner un ton dans le style de Manzoni.

Un autre « best-seller » donne lieu, lui aussi, à de muitiples réductions cinématographiques: c'est « Cuore » d'Edmondo De Amicis, dont les neombreux épisodes et « contes mensuels » constituent une véritable mine d’or pour les scénaristes et les producteurs à la recherche de succès assurés. Dans le domaine qui nous intéresse, c'est « Il tamburino sardo » qui retient l’attention des cinéastes: en 1911, la Cines en fait une réduction de 250 mètres, qui remporte un prix dans la catégorie des « films didactiques », à ce méme concours de Turin qui, comme ncus l’avons vu, prima Nozze d’oro (et il aura le méme sort que Nozze d’oro, lorsque la censure gouvernementale interviendra pour imposer le sé-

questre); en 1915, la Gloria Films, de Turin, en fait une seconde version plus ample (« la première — avertit M. A. Prolo — des huit réductions de « Cuore » réalisées en 1916). Il n'est pas exclu que le turbulent Caserini ait mis la main à l’une comme à l’autre de ces éditions; en effet, en 1911, il était le numéro un

186

= eli mo. bei vo

pus, PRELZIAA

Il brigante di Tacca (1952) Pietro

del Lupo

Germi,

187

de la Cines et, en 1915, après un court séjour chez Ambrosio, il était déjà passé depuis un certain temps à la Gloria Films, lui faisant don du résultat fabuleux de Ma l'amor mio non muore. Le cas de « Romanticismo » est plus complexe. Le drame de Rovetta qui, depuis 1901, année de la première représentation, avait été fréquemment repris par les troupes théatrales les plus importantes, était, en quelque sorte, destiné à étre accueilli sur l’écran cinématographique ; il réalisait — quelle que fùt sa valeur effective, —

une

synthèse

des éléments

qui, en Italie, dans

la période

faisant

suite au

règne d'Umberto, pouvaient flatter le goùt courant: un cliché romantique suffisamment empreint des nuances ténues de l’évocation pour en tirer une saveur légèrement nostalgique qui, tout bien considéré, n’engageait è rien; un petit — ou grand — monde d’autrefois, dent on soulève avec discrétion le voile de poussière sous lequel le temps est en train de l’enfouir, sans toutefois avoir la prétention de rendre la vie à une présence encombrante, mais dans l’intention, plus modeste et acceptable, d’éveiller un frémissement fugace dans les tranquilles consciences bourgeoises, en rappelant combien était élevée la facon de sentir et d’agir de leurs pères et ce qu'ils avaient su oser. C'est un fait que Romanticismo connaît, en l’espace de quelques mois, entre 1913 et 1914, trois réductions cinématographiques, dont deux exécutées par Ambrosio et la troisième par la Gloria Films. Cette dernière est réalisée par l’inévitable Caserini, sur un scénario de Camillo De Riso, qui y tient également un ròle, aux còtés de Fanny Ferrari et Felice Metellio, protagonistes romantiques. Piqué au vif, Ambrosio réalise, lui aussi, sa version, en concurrence avec

la Gloria;

il la confie à Eleuterio

Rodolfi, qui

choisit pour interprètes deux vétérans de la Maison: Hamilton A. Revelle et Mary Cleo Tarlarini. Ceux-ci, d’ailleurs, répondent peu — surtout la seconde — aux traits iconographiques des personnages. Peut-étre est-ce pour cette raison que le film passe inapercu et Ambrosio, obstiné, met immédiatement en chantier une autre édition, somptueuse, celle-là, et définitive, qu'il confie au flair et à l’expérience de l’inépuisable Frusta; c'est la première et, peut-étre, la dernière fois que celui-ci affronte la responsabilité directe de la mise en scène. La distribution est luxueuse : le comte

Lamberti

est incarné

par Tullio

que le marché offre de mieux en fait de héros romantique ; à ses cOtés, Elena Makowska,

Carminati,

ce

blende et dia-

phane beauté slave, qui équilibre, par sa douceur posée, les fureurs exubérantes du protagoniste. Une fois encore, Frusta fait mouche: le succès du film — qui vient s’insérer dans la nouvelle floraison destinée à alimenter les enthousiasmes anti-autrichiens, et auquel le Gouvernement, par mesure spéciale, accorde automatiquement l’autorisation — est grand. Pour l’exploiter, Frusta commence tout de suite un autre roman « risorgimental »: « Val d’Olivi » de Barrili, dans lequel, cette fois encore, le couple Makowska-Carminati qui, désormais, a fait ses preuves, soupire dans les romantiques effusions d’un amour patriotique.

On peut considérer que, par ces approches littéraires, le cinéma muet italien met le point final à ses contacts avec le Risorgimento; c'est fort peu de chose que l’on trouve, en effet, au cours des années suivantes.

D'autre part, le cinéma italien qui, entre 1910 et 1915, a eu la suprématie sur les marchés étrangers, commence à sentir les effets d’une crise qui se fera de plus en plus profonde. Super-production, dilatation

188

aaa

we Pu

pg

(1954)

Luchino

isconti.

(ON

tape

des prix de revient, atomisation de la concurrence, raréfaction des talents, exigences des vedettes, absen-

ce d'une politique industrielle, incapacité de se mettre au pas avec les conquétes de la technique et du langage qui, souvent réalisées en premier lieu par nous, appartiennent désormais au patrimoine commun,

à d'autres cinématographies qui les ont perfectionnées et dépassées. Ce sont là quelques-uns des facteurs gue nous pouvons brièvement signaler dans ce volume. D’autres viennent s’y ajouter, qui sont plus étroitement liés à l’essence méme de notre cinématographie des années 1905-1915, à ce qui était sa vocation idéale : le goùt, typiquement « liberty » et petit-bourgeois, pour le grand spectacle, qui s’identifie en deux pòles, apparemment distants mais, en réalité, en étroite liaison entre eux: l’évocation classique et le mélodrame d’alcòve. L’un et l’autre — dit-on — se développent sous le signe de D'Annunzio, mais un D'Annunzio considéré sous ses aspects les plus décadents, ceux qui, au fond, lui appartiennent le moins, qui font plutòt corps avec sa légende, alimentée par les épigones. Cabiria et Ma l'amor mio non muore sont, dans un sens et dans l’autre, les produits les plus caractéristiques de notre cinéma muet; mais ils sont davantage sous le signe de Da Verona que sous celui de D'Annunzio; les héros des « coeurs brisés et divans robustes » de nos « mélos » cinématographiques ressemblent beaucoup plus à un Luca Cortese qu'à un Andrea Sperelli. A la fin de la guerre mondiale, notre cinématographie entre dans une crise désastreuse. L'organisation industrielle rend évidente son incapacité à reconquérir les marchés que la guerre lui a fait perdre et qui sont, maintenant, dominés par l’industrie américaine — c'est le moment de la naissance de Hollywood — et, pour l'Europe, par l’industrie allemande. Dès lors et jusqu’à la reprise qui, favorisée par l’avènement du film sonore, commencera à se manifester timidement vers 1929, il ne reste que des miettes de notre production cinématographique, quelques pauvres miettes maigres, résidus d’un festin qui, pour avoir été trop copieux, a amené une longue saison de famine.

Pendant cette période de léthargie forcée, bien rares sont les occasions de retour au Risorgimento, que la nouvelle rhétorique instaurée par le régime au pouvoir relègue plus que jamais avec l’héritage d'une Italie moisie à laisser derrière soi. Comme toujours, c'est Garibaldi qui s’en tire. Le seul mythe que notre Histoire ait su créer et maintenir avec constance

passe,

à peu

près indemne,

à travers

les

aventures les plus hasardeuses et parvient encore à se faire un peu de place dans le pàle panorama du cinéma italien de l’époque 1920. C’est une brève galerie de tableaux dont, comme d’habitude, les contours sont estompés et les traits confus, assez semblables d’ailleurs, est-il permis de supposer, les uns aux autres; et aucun d’eux ne se différencie de l’immuable cliché créé, en cette fatidique année 1905,

par Filoteo Alberini, et demeuré comme le cachet de toute la période suivante. Nous pouvons donc rappeler le Garibaldi interprété par Ciro Galvani dans La Cavalcata ardente (1925) de Carmine Gallone (dans lequel un spectral Emilio Ghione fait son ultime apparition pathétique, dans le ròle du chef de la police du dernier Bourbon), celui de Guido Graziosi dans L’eroe dei due mondi, (1926), où les rudes vétements de la plébéienne Anita sont portés avec une aristocratique dignité par Rina de Liguoro; et, enfin, un Garibaldi e i suoi tempi, dirigé, en 1926, par Silvio Laurenti Rosa.

190

PRAIA;

}

Vanina

Vanini (1961)

Roberto

Rossellini.

191

La figure de Garibaldi peut étre prise comme motif idéal de liaison entre le cinéma « risorgimental » muet et le cinéma « risorgimental » sonore, comme un symbole de continuité, indubitablement fortuit et extrinsèque, mais pas entièrement factice ni dénué de signification. C'est un fait certain que, dès qu'il renaît de ses cendres avec l’avènement du film sonore (qui donne un élan aux cinématographies nationales jusque-là écrasées sous le poids massif de la domination hollywoodienne tacite), ° le cinéma italien aspire à se tourner vers des thèmes patriotiques et historiques qui avaient été adaptés, d'une facon si peu adéquate dans leur ensemble, au temps du cinéma muet. Il trouve tout naturel de recourir à ce personnage emblématique qu’est le héros des deux mondes, à la cristalline clarté de cette figure-symbole, authentique point de force dans une tradition si fragile et controversée sous d'autres aspects. En 1933, la Cines, ressuscitée et au destin de laquelle président, pendant quelque temps, un groupe d'hommes de culture élevée — en primer lieu, Emilio Cecchi —, projette la réalisation d'un

film sur l’expédition des Mille et la confie à Alessandro Blasetti, celui des jeunes metteurs en scène qui promet le plus et se montre le plus enthousiaste. Et l’enthousiasme est justement la qualité première que nous offre avec profusion /860, presque entièrement réalisé en dehors des studios, sur les lieux mémes qui furent le théàtre des exploits garibaldiens en Sicile, avec le concours de bergers et de paysans siciliens. Blasetti se met à la recherche d’une authenticité humaine et d’une authenticité d’'atmosphère qui puissent le libérer des traditionnelles reconstitutions académiques et des clichés stéréotypés, animer d’un souffle frais et vivifiant une matière étrangement momifiée depuis des années, faire vibrer les cordes d'un patriotisme sincère et non plus maniéré. Le résultat est un heureux mélange d'harmonie épique et de puissance d’observation réaliste à la fois, dans une ceuvre qui sait retracer de facon imposante l’éclatant tableau de la grande passion collective. Drame d’hommes qui se font multitude, /860 est donc un film populaire dans le sens le plus complet et le plus noble du mot; fait particulièrement significatif dans cette épopée d’esprit garibaldien : la présence de Garibaldi est rarement visible, et seulement en apergus rapides, en visions-éclairs ; ce qui, loin d’affaiblir le mythe, le renforce et l’ennoblit en le soustrayant aux lourdes représentations iconographiques en usage jusqu-là. La réussite de 1860 — la première réussite indiscutable de notre cinéma patriotique — ne se répètera, en quelque sorte, pas; il nous semble que jamais, au cours des années suivantes et récemment méme, nos hommes de cinéma n’ont su s’approcher du Risorgimento avec autant d’enthousiasme, autant de sentiment et, dirions-nous, autant de pureté

de coeur.

Autant le film de Blasetti est décharné, net, réaliste et sincèrement patriotique, autant Villafranca, de Gioacchino Forzano, est grandiloquent et superficiel, dans l’évocation — en une fresque animée mais désordonnée — des événements qui conduisirent à la victorieuse campagne de 1859 et à la « victoire mutilée »; de méme, c'est avec un parallèle historique simpliste et une ligne captieuse d’interprétation qu'il présente l’armistice imposé par le déloyal Napoléon III à l’enthousiaste Cavour.

C'est à une deuxième catégerie — celle pour laquelle le Risorgimento est un simple prétexte, une tapisserie romantique servant de décor à de romanesques histoires d’intrigues et d'amour — qu'’ap-

1020

partiennent toute une série d’oeuvres dont, par scrupule, la chronique ne peut retenir que quelques titres, la matière manquant pour approfondir davantage la question. On enregistre ainsi, en 1935, un Amo te sola, dirigé par Mario Mattoli, où Vittorio De Sica, svelte et romantique compositeur napolitain, se trouve engagé, d’abord à Florence puis à Milan, dans des histoires compliguées d'amour, de conspiration et de musique, pour partir ensuite, en uniforme, quand éclate la première guerre d’indépendance, à la téte d'un bataillon de preux qui chantent « L'hymne du volentaire », composé par lui. Mattoli insiste, l'année suivante, avec La damigella di Bard, un feuilleton construit autour du personnage pathétique campé par Emma Gramatica évoquant sa passion romantique et malheureuse pour le comte Costantino Ni-

gra; tandis que, quelques années après (1939), Carlo Campogalliani bAtit, dans La notte delle beffe, une aventure

mouvementée,

assaisonnée

d'’attaques

de diligences,

d’'enlèvements

de jeunes

filles,

de ma-

riages imposés et démasqués, le tout sous le signe du brigandage anti-bourbonnien lié à la malheureuse entreprise de Sapri. De tout cela ne sortent guère d’oeuvres réellement artistiques, mais seulement des films qui, s'inspirant de personnages authentiques et d’épisodes réels de l’histoire du Risorgimento, les transforment et les déforment pour répondre aux exigences de romans-feuilletons à fond sentimental, se refusant à toute interprétation historique ou méme, plus simplement, à toute évocation d’atmosphère ; c'est ainsi que nous avons, en 1942, La Contessa di Castiglione (metteur en scène, Flavio Calzavara) par-

tagée entre l'amour pour un jeune carbonaro en exil et les dures nécessités de la « realpolitik » de Cavour, qui lui imposent de séduire l’empereur des Francais; et la méme année, une Luisa Sanfelice (auteur: Leo Menardi), qui affronte résolument la guillotine des Bourbons, moins par ardeur patriotique qu’en raison de la déception que lui a infligée un beau conspirateur au coeur craintif. Au cours des quinze premières années du cinéma sonore, nombreux sont également les recours aux sources littéraires, qui ont l’avantage de fournir des personnages déjà formés et, en quelque sorte familiers au public contemporain. Le départ est donné, en 1934, par Guido Brignone, avec la réalisation de Teresa Confalonieri, qui bénéficie du succès récemment remporté par un drame de l’écrivain triestin, Rino Alessi, dédié au « Comte Aquila ». Quelques années plus tard, c'est inévitablement le tour du Dottor

Antonio,

à sa troisième

réincarnation

capé du naufrage qui, à l’avènement

nous offre, sur un ton fade et négligé, le roman Caserini.

Plus

nouvelle

est

la source

cinématographique : un Enrico Guazzoni fatigué, res-

du film sonore,

à laquelle

a englouti les vieilles classes

qui, trente

puise, en

ans

auparavant,

1940, Carmine

avait

Gallone:

de notre

inspiré

son

cinéma, maître,

les « Chroniques

Ita-

liennes », de Stendhal, d’où émerge une figure de femme, Vanina Vanini, qui, malgré le tracé sommaire, a une force suffisante pour se présenter comme une authentique héroine romantique. Gallone, au con-

traire, donne à son film le ton du pur mélodrame, Alida Valli. Avant

Oltre

l’amore

(c’est le titre, une

en dépit de la bonne

interprétation

d'une intense

indication déjà, donné au récit de Stendhal), Gallone avait

193

Il riposo degli austriaci in La pattuglia sperduta (1953) di Piero Nelli...

Le repos des Autrichiens dans La pattuglia sperduta (1953) de Piero Nelli...

194

The Austrians relaxing in La pattuglia sperduta (1953), Piero Nelli...

.. e quello dei garibaldini

in

..and

Viva l’Italia! (1960) di Roberto Rossellini.

.. et celui l’Italia!

des

(1960),

garibaldiens de Roberto

dans

Viva

Rossellini.

Viva

« Garibaldi » resting in VItalia!

(1960),

Roberto

Rossellini.

La Calatafimi epica di Blasetti... La Calatafimi

196

épique de Blasetti...

Blasetti°s epic treatment of the Calatafimi...

.. e quella realistica .. et celle réaliste

di Rossellini.

.. and Rossellini’s realistic one.

de Rossellini.

197

réalisé, en 1938, un Giuseppe Verdi de proportions inaccoutumées, qui constitue l’un des efforts industriels les plus considérables de notre cinéma sonore d’avant-guerre. Tout en restant au niveau de la biographie de goùt populaire, abondamment romancée et enveloppée dans la musique comme une boîte de chocolats dans la cellophane, le film réussit en quelque sorte è évoquer, au moyen d’apergus sommaires mais non dépeurvus d’exactitude, la vie culturelle, artistique et politique de l’Italie « risorgimentale », à laquelle la biographie de Verdi est indissolublement liée; et il trouve, dans certaines séquences — commes celles où la représentation des opéras de Verdi met le feu aux poudres en provoquant des manifestations populaires de patriotisme, où le nom méme de Verdi est scandé comme l’acrostiche d’une invocation à l’Unité de l’Italie — matière à une harmonie efficace. Dans

le domaine

des adaptations

un Mater Dolorosa (1942), de Giacomo vetta

(« Romanticismo

è l’écran

de romans plus ou moins célèbres, on peut citer encore

Gentilomo,

» est étrangement

absent

qui, d’après des pages peu connues de Gerolamo Rode cette période, mais

son

retour ne va pas tarder),

raconte une pathétique histoire d'amours combattues et de sublimes sacrifices maternels sur lesquels viennent se greffer, un peu au hasard, des épisodes s’échelonnant sur une vingtaine d’années d'’histoire du Risorgimento, commencant et se terminant par les deux campagnes malheureuses de 1848 et de 1866;

mais

il faut citer surtout

Piccolo

mondo

antico

(1940),

de Mario

Soldati,

qui constitue,

dans l’histoire du cinéma italien, l’une des rencontres les plus heureuses de la sensibilité, du goùt et de la culture d’un cinéaste avec un monde poétique déjà exprimé sous une forme littéraire, dont la traduction en images cinématographiques semble accomplie sous le signe du respect et de l’amour. Le film de Soldati appartient à un nouveau filon de notre cinéma, dont les principaux réalisateurs — Soldati lui-méme, Lattuada, Chiarini, Poggioli, Castellani — s’appliqueront, dans les années qui vont suivre, à traiter avec une attention méticuleuse des faits empreints de style, en réaction ouverte contre le cinéma facile et fade des dix années précédentes qui, à quelques exceptions près, s’'était orienté à la fois vers le film historique à fond de propagande et vers la comédie de salon à fond divertissant. Dans un tel climat de subtiles influences littéraires, de suggestions intellectuelles raffinées, mème les brèves occasions de retour au Risorgimento sont ennoblies par une nouvelle coscience culturelle. C'est le cas de Piccolo mondo antico qui, dans le roman comme dans le film, baigne, méme si les événements politiques ne sont que tangents au sujet du récit, dans une atmosphère romantique et patriotique élégamment évoquée. C’est également le cas d’un autre roman de la fin du XIXème siècle, Giacomo l’idealista, d'Emilio De Marchi, qu’un autre metteur en scène de formation littéraire raffinée, Alberto Lattuada, traduit à l’écran en 1942, en insérant, lui aussi, dans une sombre histoire

de famille, des apergus, rapides mais suggestifs, d’événements du Risorgimento. C'est encore à ce filon que vient s’ajouter, bien que n’appartenant pas directement à cette « école », un film qui — en conclusion de cette période brusquement interrompue par la fin de la guerre, cause d'une seconde mort pour la cinématographie italienne — peut étre considéré comme l’oeuvre la plus significative — depuis /860 — inspirée du Risorgimento: Un garibaldino al convento, réalisé en 1942

198

par Vittorio De Sica. Là aussi, une histoire imaginaire, d’intonation nettement et pathétiquement romantique, se déroule sur un fond « risorgimental », mais avec cette différence, par rapport aux oeuvres précédentes, que les deux motifs ne paraissent pas grossièrement et péniblement juxtaposés par artifice spectaculaire ; ils sont, au contraire, harmonieusement intégrés et liés entre eux par une pure nécessité d’expression. L'histoire d'amour — fraîche, touchante, mélancolique — et l’épisode patriotique — héroique dans une juste mesure et dépouillé d’oripeaux de faux grandiose — tissent, en s'entremélant, la trame d'une broderie légère, élégante, aux arabesques subtiles d'un goùt exquis, mais dénuée de complaisances de forme, donnant un résultat qui, sur le plan du style et de l’expression, compte parmi les plus accomplis du cinéma italien jusqu'à ce jour.

Un garibaldino al convento clòt noblement le second chapitre de l’histoire de notre cinéma « risorgimental », si heureusement inauguré par 1860. Un troisième chapitre, encore ouvert, prend naissance dans l’après-guerre, dans une atmosphère profondément transformée pour notre cinéma, auquel la foudroyante apparition de l’école néo-réaliste ouvre des perspectives et des horizons

nouveaux,

propose des orientations inusitées quant aux thèmes et

aux modes d’expression, offre une liberté de recherche jamais bénéficié par le passé. Mais

les réalisations

critique

du nouveau

et d’étude cinéma

historique

dont

il n’avait

italien, la liberté qu'il a con-

quise, la maturité à laquelle il est parvenu — pas tant dans le domaine du langage que dans celui, essentiel, de la conscience de ses tàches et des responsabilités historiques qui lui incombent — ne semblent toucher qu’avec un grand retard, et toujours de facon sporadique et incomplète, les rapports du cinéma et de notre Histoire nationale du siècle dernier. Garibaldi — éternel leitmotiv dans l’histoire des rapports entre notre cinéma et les faits du Risorgimento — continue à fournir des inspirations fréquentes, bien que de modeste importance artistique. Le centenaire de 1849 inspire à Mario Costa un Cavalcata d’eroi qui évoque hàtivement et sommairement la brève existence de la République Romaine, atteignant une force efficace dans la construction du récit et un certain ton épique dans les phases de la défense du Vascello. Trois ans plus tard, Camicie rosse, de Goffredo Alessandrini, nous offre à nouveau le personnage d'Anita, en reprenant le thème déjà traité par le vieux Caserini et en s’appuyant sur la puissance d’interprétation d'Anna Magnani. Enfin, un épisode garibaldien fait son apparition dans l’anthologie cinématographique Cento anni d'amore, réalisée en 1953 par Lionello De Felice, servant surtout de cadre à une histoire sentimentale. Un thème fréquemment repris au cours de cette période est celui de la lutte menée, en Italie du Sud, contre la domination des Bourbons, mais il n'a donné lieu qu'à des oeuvres inégales, axées de préférence sur les éléments romanesques offerts par une littérature de caractère populaire. C'est le cas d'un Il Conte

di Sant'Elmo,

réalisée en

1950 par le vétéran Guido Brignone ; de Eran trecento... (1952 -

metteur en scène Gian Paolo Callegari); de // segreto delle tre punte, dirigé, la mème Ludovico Bragaglia.

année, par Carlo

Assez nombreux sont ce que l’on peut appeler « les grands retours » (et c'est la preuve que l'esprit

199

Motivi ricorrenti: il teatro come manifestazione patriottica:

occasione

Sujet plusieurs fois traité: le théatre, casion de manifestations patriotiques:

di

Recurring themes: the theatre presents portunities for patriotic demonstrations:

op-

oc-

i Romanticismo

(1914)

-. Rodolfi:

et les intentions avec lesquels la plupart des cinéastes s’approchent des thèmes du Risorgimento n’ont pas tellement changé), c’est-à-dire les films qui reprennent des sujets et des personnages traités, souvent plus d’une fois, au cours des vingt années précédentes cu méme au temps du cinéma muet. Voici, inévitablement, un Romanticismo (1950 - mise en scène de Clemente Fracassi), ni meilleur ni pire que ses prédécesseurs muets; puis un nouveau Tamburino sardo, inséré par Blasetti, avec gràce et goùt de l’évocation, dans son album XIXème siècle Altri tempi (1952); et nous retrouvons le cygne

200

Giuseppe

Verdi

(1954) Matarazzo.

de Busseto

dans un Giuseppe

Verdi (1954), de Raffaello Matarazzo,

qui, comparé

à son frère aîné di-

rigé par Gallone en 1938, ne se signale que par le fait qu'il est le premier film donnant le prestige de la couleur à des images « risorgimentales », dans une gamme assez vive et élégante. Comme piqué dans son orgueil, le vieux Gallone reprend, lui aussi, le personnage de Verdi — et en confie l’interprétation à l’acteur Fosco Giachetti, qui l’avait incarné dans la première édition —, l’insérant dans une chevauchée historique colorée, Casa Ricordi (1954), dénuée, elle aussi, de qualités particulières mais assez heu-

201

reuse par l’inclusion, dans l’histoire de la glorieuse maison d’éditions, d’événements, de personnages et d’épisodes du Risorgimento, selon la formule déjà appliquée par Gallone pour son premier Verdi. Et c'est encore un La Contessa di Castiglione (1954), dirigée par le frangais Georges Combret, qui relègue plus que jamais au second plan l’échafaudage politique sur lequel repose l’activité parisienne de la nièce de Cavour et accentue, au contraire, les romanesques histoires sentimentales du personnage ; pour finir, » nous

citerons

la seconde

Vanina

Vanini

(1961),

dent un metteur

en scène

comme

Roberto

Rossellini,

égaré par un sujet étranger à ses cordes et à ses intéréts purs, se borne à faire une simple illustration, tantòt plate et chromolithographique, du milieu et de la société esquissés par Stendhal. Le panorama est à peu près terminé. Nous conclurons ce tour d’horizon rapide, et peut-étre incomplet, en signalant, un peu moins hàtivement, un groupe d’oeuvres qui, par la noblesse d’intentions, le caractère sérieux de leur conception, la rigueur historique et la correction de la forme, se détachent nettement, non seulement de la production de ces dernières années, mais de l’entière histoire de notre cinématographie « risorgimentale ». Il brigante di Tacca del Lupo, dirigé en 1952 par Pietro Germi, a, au départ, le mérite de s’appuyver sur une robuste page narrative de Riccardo Bacchelli et de briser le cercle de la soumission presque totale de nos metteurs en scène à une littérature à fond rhétorique ou apologétique. Il y ajoute celui de traiter un sujet — le banditisme politique de marque bourbonienne implanté « des bois de la Sila aux montagnes des Abruzzes », au lendemain de la proclamation du Royaume d’Italie — qui contient en sci des motifs suffisamment inédits et stimulants et que notre littérature historique et politique a constamment exclu ou affronté superficiellement ; il a encore le mérite d’effleurer le problème des rapports entre les Italiens du nord et ceux du sud: les premiers ayant la conviction d’apporter la civilisation et le progrès dans un pays semi-colonial, les seconds témoignant de répulsion et de défense instinctive à l’égard de systèmes et de mentalités trop en contraste avec les sédiments de traditions séculaires. La pattuglia sperduta (1953), de Piero Nelli, retrace la mince aventure d’un peloton de soldats piémontais qui, dans les journées précédant la « fatale Novara », se trouvent isolés, errant dans les campagnes et les rizières traversées par le Tessin ; ils tombent dans les embuscades de patrouilles ennemies qui, au cours de diverses escarmouches, mettent plusieurs d’entre eux hors de combat. L’écho lugubre du canon guide les quelques survivants vers le champ de bataille où, parmi les monceaux de cadavres et les ruines fumantes, l’espoir enthousiaste des Italiens semble avoir trouvé la mort. La faiblesse du film est justement de ne pas savoir tirer toutes les conclusions d’une semblable présentation « antihéroique »; de s’en tenir, dans l'ensemble, bien qu’évitant les dangers de la chromolithographie, à une interprétation dans le style de De Amicis des événements de 1849, sans les situer dans une perspective historique en soulignant leur signification la plus vraie et la plus intime. Une conception anti-héroîque et anti-conventionnelle, appuyée sur une interprétation qui s’éloigne délibérément de la tradition historique courante pour permettre un angle critique, seulement en partie estompé dans certains secteurs de l’Histoire, et en tout cas entièrement nouvelle pour le cinéma, est également à la base de Senso, realisé en 1954 par Luchino Visconti, l’oeuvre indubitablement la plus

202

Senso

(1954) Visconti.

2-

03

ambitieuse et, sous beaucoup d’aspects, la plus singulière du cinéma italien à sujet « risorgimental ». Tel La pattuglia sperduta, Senso s’appuie, lui aussi, sur un épisode malheureux de la lutte pour l’Indépendance nationale: la campagne de 1866, avec sa foudroyante évolution et la catastrophe subite de Custoza. Mais les batailles, et tous les événements qui les précèdent comme une prémisse naturelle

204

#

$

Le

Les The

Alida

Valli

due

Vanine:

deux

Vanina

Vanini:

two

Vanina

Vanini:

- Amedeo

i

Nazzari

(1940)

Sandra Milo - Laurent Terzieff (1961)

n

et une préparation, éludent toute intention louangeuse pour assumer surtout une fonction de catalyseur: mettre en évidence le contraste entre la classe dominante, pour laquelle l’Unité de l’Italie signifie expansion d’intéréts et hégémonie, et les forces populaires, qui la sentent, elles, au contraire, comme la naissance d’une nouvelle période historique, caractérisée par l’avènement de ces classes dont, jusqu’alors, les aspirations ont été constamment ignorées et réprimées. Les classes populaires fomentent la lutte unitaire, à laquelle elles participent activement; mais elles sont combattues, neutralisées par l’oligarchie aristocratique, qui sent confusément venir son propre déclin et, cependant, s'y oppose en une résistance désespérée. D’où le fait que la guerre de 1866 n'est pas tant un épisode de la vieille lutte entre l’Italie et l’Autriche qu’un épisode de la lutte entre la classe dominante et la classe populaire ; et Custoza

devient

le symbole

d’un crépuscule

des dieux général, la condamnation définitive d’une société

qui a perdu tout élan vital et a encore l’illusion de se survivre. Fruit d'une sensibilité tales » du cinéma italien. Ces expériences

artistique

aigué, Senso

se terminent, à ce jour, par un

se place au sommet nouveau

retour

des expériences

à Garibaldi.

Viva

« risorgimen-

l’Italia!, réalisé

en 1960 par Roberto Rossellini, veut célébrer à la manière d'une rhapsodie d’intonation populaire la route parcourue par l’idée d’unité. Contrairement à /860, où l’épopée garibaldienne était vue avec les yeux du berger sicilien, le film de Rossellini cherche plutòt sa mise au point du còté des « autres », c’est-à-dire des Piémontais, ou, en tout cas, des hommes du nord qui participent à l'action. Ce sont eux qui, au cours de leur progression vers la réalisation de l’idéal unitaire, découvrent un monde nouveau, entrent

en contact

avec

une

réalité insoupconnée,

qui, pour

concrète

qu'elle soit, prend,

en certaines

occasions, les nuances du mythe et du merveilleux, comme le retour à une origine commune dont les signes auraient été perdus. Vue dans cette perspective, l’oeuvre est riche d’intuitions heureuses, surtout dans la partie sicilienne, et apparaît comme un hommage ému è l’esprit d’« italianité » ; cependant, le fil du récit, qui est à plusieurs reprises fragmentaire et épisodique, n’est pas soutenu par un rythme constant et la tentative faite pour détruire le mythe rhétorique de Garibaldi et en ramener la personnalité à sa dimension humaine, concrète et réaliste, par conséquent plus acceptable et vraie, n’est qu’en partie réussie.

C'est ici que s’arréte, pour le moment, l’histoire des rapports entre notre cinéma et le Risorgimento. Une histoire variée et riche en contrastes; dans laquelle alternent des oeuvres naivement évocatrices et d'autres qui ont sensiblement mieux réussi, sur le double plan historique et artistique. Une histoire qui, en tous cas, avec ses lumières et ses ombres, prouve l’attrait certain des événements du Risorgimento sur les cinéastes. Ceux-ci ont su y puiser, chacun dans la mesure de ses possibilités et pour autant parfois que l’ont permis les vicissitudes à travers lesquelles est passé le cinéma italien en soixante ans de vie, d’excellents encouragements idéaux et de fréquentes inspirations.

206

the risorgimento in the cinema by Guido

Cincotti

The Italian cinema, it seems, was born under the sign of the Risorgimento: in fact, in 1905, when cinema activity in Italy was still limited to the simple shooting of documentary subjects, the first film with a story which appeared and which had a certain success was called La presa di Roma, and was indeed the evocation of that historic event. The producer, director and camerman was Filoteo Alberini, one of the pioneers of the Italian cinema. It is not a difficult task to look back and reconstruct the short screen play of the film which comprises — in the copy which has been left to us — four out of the seven original sequences, shot, needless

to say, with a fixed camera (tracking and panning still belong to the hazes of an unpredictable future). The action is concentrated around the culminating point of the attack by Italian troops on the Eternal City.

i 207

General Carchidio, General Cadorna’s emissary

arrives on horseback

blindfolded, helped into a carriage (the coachman in top hat and frock-coat

at Ponte Milvio. Here he is salutes

him

obsequiously),

and led into the presence of the commander of the Pontifical garrison, to propose to him conditions for an honourable surrender (this is the first sequence).In the hall hung with Renaissance tapestries, and — under the admonishing and foreboding gaze of the Pontiff,in a second sequence of fair length, the conversation between the two of them takes place: it is more of a pantomime than a conversation — gradually becoming more lively and frenzied. The two officers exchange bows, proudly raise their bearded faces, they approach one another, move away from one another, wave their arms, spread out maps and military plans, they assent, waver, refuse, they curse and fly into a rage. The ballet reaches its climax when the chief of the Pontifical garrison (Kanzler in person?) disdainfully neglects Cadorna’s offers, adjudged humiliating — « No surrender », shrieks the sub-title. Carchidio once more allows himself to be blindfolded, and, clicking his heels haughtily, he disappears from sight. Kanzler, now alone, abandons himself to scenes of desperation, clutching his brow, and slumping into an arm chair, obviously aware

L’inesauribile garibaldina:

L’inépuisable garibaldien:

tematica

thème

The inexhaustible Garibaldi theme:

pag. 207: Camicie rosse (1952) Goffredo Alessandrini.

Cento

anni

d’amore

(1953)

Lionello

208

De Felice.

Viva

l’Italia! (1960)

Roberto

Rossellini.

of what awaits him. It is, indeed, « the assault » : from

the wide

breach

made

in the Aurelian

walls, a

multitude of Bersaglieri attack unresisted — but the infantry of Mazé de la Roche are not to be seen: for some time no historical accuracy is sacrificed to the suggestions of a myth which has by now been tested — armed to the teeth and faithfully uniformed

(thanks

to the collaboration —

say the promoters

proudly in the publicity pamphlets — of the Ministry of War «in supplying uniforms, artillery, weapons, etc. »). It would seem that the action has ended; but no: there is still the last sequence and it is worth

the whole film. It is called « The Apotheosis ». Here one admires, set up on a pasteboard cloud with Imperial Rome in the background, a flourishing Italy. ina Roman robe a turretted head dress and flowing raven tresses. In her left hand she holds the tricolor, in the right a sort of feathery fan; she gazes into the distance towards future destinies. Beside her, emerging from the little clouds of more modest size are

209

the four architects of Unity: Cavour, in a Napoleonic attitude, Victor Emmanuel II, in sash and decorations, Garibaldi buried in his own beard, and, finally, Mazzini? No: Mazzini has been left out of this purposeful deification, which carries the emblem of Savoy. Francesco Crispi is unexpectedly promoted to the fourth important place. He had lost no time in redeeming his republican and revolutionary past on the establishment of a full monarchic orthodoxy, of which he was later to be an iron-fisted champion.

The picture which La presa di Roma gives us of the culminating point of our national unity is, as is evident, a conventional faintly sugary one, in the perfect style of « tableaux vivants » or the grand finale of the Excelsior ball. But such clumsiness of treatment cannot be blamed entirely on the primitive and rudimentary means at the disposal of Alberini, pioneer and inventor of an alphabet with which many will struggle to form a language. In reality La presa di Roma appears today to be the synthesis of a particular way of dealing with the Risorgimento and which is typical of our cinema in the years to come and which, when examined closely, apart from a few admirable exceptions, has not changed much up to today. Without doubt the epoch is not the most favourable

for an interpretation

of Risorgimental

happen-

La commozione dell'ufficiale e del sergente piemontesi... ... dinanzi al sacrificio dell’eroico

tamburino

(da

tempi

Alîri

sardo

di Blasetti,

1952).

L’émotion de l’officier et du sergente piémontais... .. devant le sacrifice héroique du petit tambour sarde

(tiré de Altri tempi, de Blasetti, 1952). The emotion of the Piedmontese officer and sergeant...

.. at the sacrifice of the heroic little Sardinian drummer-boy (from Blasetti's Altri tempi, 1952).

210 #

CS

211

ings which are deeply felt and not superficially aimed a tired and convenient commemoration : the first ten years of the century with the decline of King Umberto'’s society still sentimentally attached to facts, movements, passions and contrasts of the Risorgimento, marks the advent of a more matter-of-fact and solid society which leans more to a practical idea of the concept of the nation, in which economic interests, class struggle, industrialisation, imperialist urges and middle-class thirst for power are in play. It is the ° time of the Libyan expedition and shortly afterwards there will be the First World War: the last battle for national independence, but no longer kindled and fed by the heroic furies of the Risorgimento, but carefully planned and welcomed — or rather, accepted — as the inevitable crowning of an historical deed in which, there nevertheless

remain

concrete

political

interests,

even

if its

closest

idealistic

motivations are shadowed. In this light one can, to a certain extent, judge and understand the numerous films on the Risorgimento, which are made in Italy in the wake of the pioneering Alberini in the years after 1905 up to the time of the great crisis which — strangely coinciding with the more violent structural change in our society which was caused by Fascism — will paralyse our cinema activity for many years until the advent of sound. Rome and Turin, for a considerable time, are the two main hubs of the growing film industry. In Rome there is the Alberini and Santoni Company which very shortly changes its name to Cines — a fateful name to which are bound the numerous deaths and resurrections of cur cinema. In Turin an enterprising photographer, Arturo Ambrosio, creates an industrial empire of major importance, attracting foreign celebrities, and also building up local talents. There emerges at Cines the name of Mario Caserini, author of a fair number of patriotic subjects; at Turin Ambrosio makes use of the work of a bizzarre talent, Arrigo Frusta, lawyer, writer and poet, and from 1908 a tireless writer of scripts of every kind, including numerous ones on the Risorgimento which

are usually produced by Luigi Maggi or by Eleuterio Rodolfi or other young « jack-of-all-trades » cf the Turin « stable ». The list of titles grows longer. Many of them, unfortunately, remain mere titles, with no fuller specification, which time, in destroying the copies — (half a century weighs so heavily on the fleeting history of the cinema, written on water) — today renders very improbable and uncertain: but even the list of titles and the remaining evidence and the possibility of glancing at the few works which escaped the massacre, allow us to make a judgment which is not completely generic and futile. The first Garibaldi — after the idealistic composition put together by Alberini in the finale of

La presa di Roma — first appeared in Cines’ 1907 catalogue. No more is known about it, except that once again it was a brief portrait painted in short, swift strokes ; no different, moreover, from the sketch which three years later, in Anita Garibaldi, Caserini draws of the hero’'s companion, whose supreme moments

— the adventurous flight over the Sabine hills, Umbria and San Marino, her miserable death in a fisherman's poor hut in Romagna, are played in the film by Maria Gasperini : one of the major names which the history of the old Italian cinema has passed on to us. Garibaldi once again — or rather his followers —

212

Salotti Les The

salons

du

Risorgimental

risorgimentali: Risorgimento: drawing-room:

Dalle cinque giornate di Milano alla breccia di Porta Pia (19252)

Silvio Laurenti Rosa.

return in Per la Patria (1910), a « Garibaldi epic », 217 metres long, from which is missing not only the event which took place in it, but also the name of the director. And the indirect presence of Garibaldi, the inspiration, as is seen, of more than one film-maker of that time, is still felt in La fucilazione di Ugo

Bassi e del garibaldino Giovanni Livraghi, which a company in Velletri made in 1911 in honour of two of the many heroes who fought in the spring of 1849 during the desperate defence of Rome against the assault of Oudinot’s troops and whom Franco-Papal repression persecuted relentlessly after the fall of the Mazzini Republic. But the Garibaldi theme, treated up to now in what may be described as its minor aspects, is devel-

213

4 |

si i‘ i I

La Contessa Castiglione (1942)

Flavio Calzavara.

$

oped and enriched in 1912 in its most heroic and characteristic motif, a conclusion of all the others which up to now have been an almost necessary prelude, with / Mille which Mario Caserini, who has deserted

Cines, makes at Turin for Ambrosio from the story by Vittorio Emanuele Bravetta. This film shows a cer: tain progress in comparison with previous production, and not only because of the epic vastness of its theme, which, in turn, is of unusual dimensions (more than 800 metres in length, about 40 minutes’ projection time : one of the first Italian medium-length films), but above all for the more consciously

spectacular treatment, the greater ease through sound, and the more carefully supervised scanning of the narrative rhythm. The two-year period 1911 to 1912 is a peak period in the history of Italian cinema:

MR

LI14

above all as a result of the efforts of Enrico Guazzoni,

a young painter, who became a screen writer under

Caserini at Cines and then progressed to directing. It acquires more consciousness of its possibilities for spectacle, it breaks the barrier of décor restrictions of theatrical origin and substitutes the miserably painted backdrops with ambitious architectural construction « en plein air », conquering the dimension of perspective space through which the camera moves freely to create surprising and changing angles. Caserini, who has emigrated to Turin, takes advantage of the experience of his former assistant and

makes much of it in I Mille, where « plein-air » is skilfully exploited in the shooting of plaster-of-Paris Garibaldini and where architectural perspective adds realism and life to interior scenes, no longer impover-

ce



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rasi

x

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SIE AIN Cavalcata

d’eroi

(1949)

Mario

Costa.

ished by traditional canvas backdrops. It does not appear that other films were made on Garibaldi and his exploits during this period unless La campana della morte is counted as being part of the Garibaldi theme. This film was made in 1913 for Ambrosio by an anonymous producer. The story was about Rosolino Pilo, the Sicilian patriot who once was a comrade of Pisacane at Sapri. He miraculously escaped the slaughter, organised the Sicilian rebellion with Francesco Crispi, and preceeded Garibaldi to the island ‘where he met his death in battle against the Bourbons. Or there is O Roma o morte!, made the same year for Vera Films of Rome by Aldo Molinari who recalls, in rapid images, the final phases of the struggle to conquer the city — from the heroic sacrifice of Enrico and Giovanni Cairoli at Villa Glori, to the unfortunate Mentana episode as far as Porta Pia (and this is the second and last time the Italian cinema recalls the fateful breach). Or, finally, Ciceruacchio, made in 1915 by Emilio Ghione, and played with an impet-

uous

fire — completely Roman — by Gastone Monaldi. The film makers of the time prefer the battle episodes to the characters of the Wars of Independence, naturally selecting those in which our soldiers’ bravery also coincided with a victory. Hence the years 1849 and 1866 are set aside — forty years must pass before there is a screen comeback in La pattuglia sperduta and Senso, respectively, of the unhappy pages of Novara and the second Custoza, and a firm step is made towards the 1859 war which is the one which appears to be the easiest to adapt for a heroic and commemorative interpretation of the Risorgimental myth. Already in 1908, that is to say, shortly after La presa di Roma and the first Garibaldi, the Battaglia di Palestro appears, made by an unknown producer and author, in which — according to Roberto Paolella, the historian, and the only one to mention it — the clash between Franco-Piemontese and Austrians stili appears to be treated as an extempory and frenzied brawl between a few dozen individuals who rush arcund for no reason, like microbes under a microscope, their only worry being that of continually dashing off — and on — screen, to make up numbers. The Battle of Palestro, the major event in the Second War of Independence, is also the hub of Nozze

d’oro, made two years later, in the summer of 1911, by Ambrosio of Turin. It is one of the greatest international successes of these vears. The director is Luigi Maggi, the cameraman Giovanni Vitrotti, and its stars Alberto Capozzi, Mary Cleo Tarlarini and Maggi himself. But the real paternity of the film is probably attributable to Luigi Frusta, a kind of « Head of the Story Department » at the Ambrosio Studio, but who was really the animator, supervisor and controller of the whole production. « A true masterpiece », writes a trade paper of the time, « a jewel of the cinema industry which once again brings honour to the great Turin Company (...), which has succeeded in striking a note of patriotism bv recalling a fragment of that glorious story which the Italian nation is commemorating this year with the two great exhibitions at Rome and Turin, and with general rejoicings ». It is, in fact, the year of the 50th Anniversary of Italian Unity, and Nozze d’oro takes the first prize at the cinematographic contest, especially organised for the occasion by the Committee of the International Exhibition of Turin (Louis Lumière and the photographer Paul Nadar are among the judges). The film is shown

216

Giuseppe Verdi (1954) Raffaello Matarazzo.

217

for months in a special pavilion at the Exhibition with resounding success which also spreads abroad, more than 400 copies are sold, sixty of them at least in England alone. Nozze d’oro is a happy mixture of the ingenuous sentimentality of the little story and stronger meat of battle scenes, combined with a lively sense of spectacle and a surprising taste for figurative composition. « After a few very rapid battle scenes, each one following the other at a dizzy pace », recalls Nino ‘ Berrini more than twenty years later, « (Frusta) showed a landscape of ripe cornfields and that slow rippling of golden corn. The unexpected sight of lonely fields between the battle scenes evoked a mysterious feeling of tragic silence. Then suddenly, unexpectedly, King Victor Emmanuel came gallopping up... he stopped... glanced around... the bugler sounded the charge... all of a sudden there sprang from the rolling cornfields the Bersaglieri who had been lying in wait... they hurled themselves forward at the crv of Savoy! A stupendous effect. A new and original creation, rich with poetry in action ». A curious destiny is reserved for Nozze d’oro, notwithstanding

the

enormous

success

it obtained

both at home and abroad (« ... real waves of patriotic enthusiasm..., » writes the « Gazzetta del Popolo », « arose from the people before this spectacle which is a delight to the eye and wholesome for mind and heart... »), and the eulogies of Queen Margherita who had it shown at Stupinigi. It was withdrawn a few months after it came out on the orders of Giolitti, fearful of wounding the susceptibilities of the Government of Austria, a powerful and suspicious ally. The film, although banned in Italy, continues to circulate and reap laurels in all European countries, those subjected to the dominion of the Imperial Government not excepted... Similar to Nozze d’oro as regards Risorgimental atmosphere and delicacy of narrative tone is La lampada della nonna, also made by Ambrosio in 1913 with the same staff of collaborators (but different actors:

the lovely Fernanda Negri Pouget, Luigi Chiesa, Umberto

Scarpellini):

but the outcome was disappointing, or at least its success was much more limited. The 1859 campaign inspired another film in those years called San Martino, but there is only a vague mention of it and an indefinite date, sometimes in 1915. Nor are there any indications during this period of other film records of the important Risorgimento battles. But on the other hand, production companies, script writers and directors do pay greater attention to minor happenings, to sporadic endeavours, isolated attempts of rebellion, frequently carried out by generous patriotic spirits, the activities of secret societies, conspiracy stories, the unredeemed, members of the « Carboneria » organisation who, from the first movement in 1821 and during all the successive phases of the battles for independence, brought with them the ideal leavening of the noblest sentiments of Italianism and of a more developed civil conscience. So, from time to time, we see passing over the screen of our silent cinema:

Confalonieri, il martire

dell’indipendenza italiana, (Aquila Films of Turin in 1909); then, the following year, in Turin again, / carbonari : the theme in the latter is wider than that of the first, but the story dimensions are modest in both, still limited to a brief series of stereotyped pictures. In 1915, the film Silvio Pellico, directed by Livio Pavanelli, marks the beginning of a brief, but intense, cinema activity by Augusto Jandolo : a typical

218

Vanina

Vanini

(1961) Roberto

Rossellini.

219

Le battaglie del Risorgimento: Les batailles du Risorgimento:

Battles

of the

Risorgimento:

La prima Custoza (Altri tempi di Blasetti).

La première bataille de Custoza (Altri tempi de Blasetti).

The First Battle of Custoza (Blasetti’s Altri tempi).

cultural leader of the time. Jandolo wrote the script for the film on the Saluzzo poet, whose final drab years, passed at Spielberg, are particularly stressed in it, on the lines of « Le mie prigioni » — but not without warm and delicate feeling, which even to-day, causes the film to be considered as one of the most dignified productions of our early Risorgimental cinema. After Pellico, Jandolo continues with his series of portraits of patriots with Brescia, leonessa d’Italia, which he directs, and in which all the main characters of the March, 1849 Rebellion appear. First among these is Tito Speri, who is played with proud mimicry by Gioacchino Grassi, a specialist in the characterisation of Risorgimental personalities: previously he had been Silvio Pellico and now, once more, he is Tito Speri in [Imperial regio capestro, another film written by Jandolo but directed, this, by Alberto Carlo Lolli for Augusta Films of Rome.

220

Jandolo's contribution to the Risorgimental cinema ends with Altri tempi,, altri eroi, in 1916. (All his

previous films were made in 1915, when Italy entered the War — the year of the resulting maximum attraction to stories with anti-Austrian undertones. Giolitti's cautious censorship has no reason to exist now...). But unfortunately, nothing more precise can be said of the film except that Emma Saredo appeared in it with Vittorina Moneta.

In 1915, Emma

Saredo, once more for Augusta Films, was the star

of La Spigolatrice di Sapri, which translated Mercantini's romantic ballad to Carlo Pisacane to the screen in languid pictures. Eventually, even Mazzini’s followers find an anonymous champion in the author of Notti romane, or rather I martiri della Giovane Italia, produced in Turin in 1915 by a company called, ironically enough, Savoia Films.

Novara

(La pattuglia sperduta . Nellt).

221

The Risorgimental theme of the Italian cinema in the years before the First World War is more or less exhausted, but there is another source of inspiration to which producers and directors frequently turn, although, even in this case, there is little variety of choice : the literary source. In all truth, its translations into the new medium are few: but those few are returned to with a cer-

. tain insistence. And this is the case of « Dottor Antonio », Ruffini’'s best-selling novel which, at the beginning of the century, was compulsory reading for the feminine public. Its transfer to the screen is inevitable and it comes about almost automatically, first in 1910 by Caserini (its stars: Mario Monti and Maria Gasperini, too buxom-and solid for-the part of the slender-ankled Miss Lucy; but not too much attention is given to the « physique du réle » in this period, especially when the actress concerned is the di-

Il Vascello

(Cavalcata

d’eroi

- Costa).

222. I

è

2

Le Mandriole

(Camicie rosse - Alessandrini).

rector’s wife...), and once again four years later. This time it is adapted by Arrigo Frusta: and it may be said that the punctilious author of Nozze d’oro, aided by the greater smoothness of action which has,

in the meantime, resulted from sound, by the broad dimensions of the film (which is nearly full-length) and the presence of a more suitable star (the exquisite Fernanda Negri Pouget, partnered by the English actor Hamilton A. Revelle), manages to fire an atmosphere on the screen which is nearly identical to the romantic sadness which permeated the pages of the novel, particularly in some of the descriptions of the Ligurian countryside which the writer had striven to picture in Manzoni-like tones. Another best-seller is also frequently adapted for the screen: « Cuore » by Edmondo De Amicis. Its

223

numerous episodes and « to be continued next month » stories are a veritable gold-mine for writers and producers in search of sure « hits ». The one which interests us is « Il Tamburino Sardo » which attracted the attention of the film-men: in 1911 Cines made a film of it — 250 metres’ long — and it won a prize in the « educational films » category at the same Turin contest which had heaped laurels on Nozze d'oro (and this film will follow the lot of Nozze d’oro when government censorship causes it to be withdrawn) ° in 1915 Gloria Flms of Turin makes a second version of it (« the first, » notes M.A. Prolo, « of the eight adaptations from « Cuore » which were made in 1916 »), which was more fully treated. It cannot be excluded that the restless Caserini had a hand in both editions in some way, for in 1911 he was the « Number One » at Cines and in 1915, after a short time with Ambrosio, he had already been with Gloria

Films for some time and had presented the company with the fabulous results of Ma l’amor mio non muore. The case of Romanticismo is more complex. The drama of Rovetta which, from 1911, the year of its first showing, had frequently been revived by many important theatrical companies, and was almost fated to be welcomed by the screen, managed to achieve its true value which, is a perfect combination of those elements which in Italy, in the period following Umberto’s reign, were a sop to current taste: a romantic setting, sufficiently diluted into the pastel shades of times gone by which endowed it with a slightly nostalgic flavour — all in all none too convincing; a miniature — or life-size world of the past where time stood still and whose film of dust was discreetly blown away, without any pretext of breathing life into an encumbered present, but rather the more modest and agreeable one of making easy bourgeois consciences twinge a little when they saw on the screen how much their forefathers had dared, how noble they had felt and how bravely they had acted. It is a fact that Romanticismo,

in the brief space of the few months between

1913 and 1914, was

adapted three times for the screen by Gloria Films. The latter was made by the unfailing Caserini, with screenplay by Camillo De Riso, who also takes part in it together with Fanny Ferrari and Felice Metelio as the lovers. Wounded to the quick, Ambrosio goes into competition with Gloria Films and makes its own version, directed by Eleuterio Rodolfi, and stars two of its veteran actors, Hamilton A. Revelle and Mary Cleo Tarlarini who have little in common — especially the latter — with the portraits of the characters.

Perhaps

it is for this reason

that

the

film

fades

away,

unnoticed,

and

Ambrosio,

stubborn, immediately organises another edition which is sumptious and definite, relying on the flair and experience of the tireless Frusta who, for the first and perhaps the last time, bears the entire responsibility of the direction. The cast is lavish. Count Lamberti is played by Tullio Carminati, and there is no better than he in the way of romantic heroes. He is partnered by Elena Makowska, a fragile, blonde Slav who, with her gentle composure, balances the frenzied exuberances of the star. Once more Frusta hits the jack-pot: the success of the film -— one of the new crop of patriotic subjects, aimed to arouse anti-Austrian feeling, and automatically granted a permit — was enormous. To take advantage cf it, Frusta sets to work on another Risorgimental novel : « Val d’Olivi » by Barri-

224

Palestro

(Nozze

d’oro

Maggi).

li, and once again, the now proved couple Makowska-Carminati arouse assenting sighs during the romantic effusions of patriotic love. i It may be thought that with these literary approaches the silent Italian cinema puts an end to its contact with the Risorgimento. In fact, very little is done to re-discover it in the years that followed. On the other hand, the Italian cinema which, in the years between 1910 and 1915 dominated fo.reign markets, begins to feel the symptoms of a crisis which gradually becomes graver. Super-production, rising costs, struggling against competition, lack of talent, the star system, no industrial policy, inability to keep up with technical feats and progress in sound which, though originally developed by us, are now the common heritage of other cinema industries which have perfected and overcome the difficuties of such techniques. These are a few of the elements of that complexity of facts which can only be indicated briefly in this volume. But others may be added to them, those which are more closely bound to the essence of our cinema in the ten years from 1905 to 1915 — to what was its ideal vocation: the typical « Liberty » and middle-class taste for big-scale spectacle, identified in two poles, apparently far apart, but in reality closely linked together: classic story-telling and boudoir melodrama. Both the one and the other — it is said — are developed by the influence of D'Annunzio; but by a D'Annunzio who was contemplated in his poorer and more decadent aspects, those which, basically, belong the least to him, but more to his legend, clumsily embellished by his followers. Cabiria and Ma l’amor mio non muore, are, in one way or the other, the most typical products of our silent cinema: but it is Da Verona rather than D'Annunzio who reigns over them: the heroes of the « shattered hearts and solid divans » of our cine-melodramas are much more like a Luca Cortese than an Andrea Sperelli. The Italian cinema enters into a disastrous crisis at the end of the world conflict when industrial organisation makes obvious its incapacity to carry out a decisive re-conquest of the markets which the war has caused it to lose and which now seem to be controlled by the American industry — Hollywood has sprung to life — and, on the European plain, by the German one. Thenceforth, and up to its rally which was helped by the arrival of sound (which timidly staggers to its feet in about 1929) there only remain fragments — leftovers of a banquet which, because it had been too sumptuous, paved the way to a long season of famine and dearth. In this period of forced lethargy there are few opportunities of going back to the Risorgimento which the new rhetoric established by the régime in power had bound more firmly than ever to the heritage of a musty Italy which must be firmly left behind. As always, Garibaldi saves the situation. The only authentic myth that our history has managed to create and nurture with constancy, he passes unharmed through the most fantastic adventures: and again succeeds in finding a place in the squalid patchwork of the Italian cinema of the twenties. It is a modest gallery of portraits whose outlines, as usual, are blurred, whose features are confused, but which are presumably very similar to one another, none of them differing much from the die-stamp engraved in the fateful year of

226

1905 by Filoteo Alberini, which never changed during the whole successive period. Thus we can recall Garibaldi played by Ciro Galvani in La cavalcata ardente (1925), made by Carmine Gallone (in which a spectral Emilio Ghione makes a final and pathetic appearance as the chief of police of the last Bourbon

King), and, once more in 1926, by Guido Graziosi

in

L'eroe

dei

due

mondi

(anonymous),

in

which the simple dress of the plebeian Anita is worn with noble dignity by Rina de Liguoro ; and finally Garibaldi

e i suoi

tempi,

directed

in 1926 by Silvio Laurenti Rosa.

In spite of everything, the image of Garibaldi can be used as an ideal reason for linking the silent Risorgimental cinema and the sound cinema, symbolised by an undoubtedly casual and extrinsic continuity which, however is not completely unreal or absolutely lacking in significance. It is a fact that just when the Italian cinema is re-born from its own ashes at the introduction of sound (giving strength and vitality to the national cinema industry, previously crushed under the massive weight of silent Hollywood dominion) and aspires to bringing back those patriotic and historic days which, on the whole, were so inadequately exploited during the silent period, it automatically turns to the emblomatic personality of the Hero of the Two Worlds, to the crystal clarity of his symbolism, the authentic stronghold of a tradition which is so fragile and controversial in other ways. In 1933 the re-formed Cines whose activities are controlled for a short time by a group of real cultural leaders — the first of these, Emilio Cecchi, plans making a film on the expedition of the Mille and hands the job ever to Alessandro Blasetti, the most promising and enthusiastic of the directors of the new generation. And enthusiasm is precisely the prime quality which appears lavishly in /860, shot, almost entirely, externally, on the very spots which had been the backdrop for Garibaldi’s Sicilian exploits, using the real faces of Sicilian peasants and shepherds. Blasetti strives to find the human and local authenticity which mark him as being apart from traditional, academic constructions and liberate him from stereotyped patterns, which animate, with a gust of fresh, life-giving air, material which for years has been curiously atrophied — the bells of a sincere and unaffected patriotism are joyously rung. The result is a smooth mixture of the epic anthem and realistic power of observation in a creation which treats the agitated pattern of Garibaldi’s great battle at Calatafimi with magnificence, but simultaneously manages

to isolate with

delicacy

the activities

of individuals

whose

sentiments

vibrate

in

unison with the great mass passion. A drama of men who are a multitude, /860 is therefore a popular film in its fullest and noblest sense: and it is significant that in this epic of the Garibaldi spirit, Gari-

baldi himself is not seen, except for distant shots, fleeting and lightning glimpses; weaken the myth — to the contrary it strengthens and pictorial definitions which were custemary up to then.

ennobles

it, salvaging

but this does not

it from

the clumsy,

The success of /860 — the first indisputable hit of our patriotic cinema — will remain, in a certain

sense, unrepeatable: it seems that never in the following years or even recently have our cinema men managed to treat the Risorgimento with the same enthusiasm, the same sentiment and, we would say, purity of heart.

227

Calatafimi (1860

- Blasetti).

While Blasetti’'s film is definite, dry, realistic and sincerely patriotic; Forzano’s Villafranca ap. pears superficial and rhetorical in its animated but confused fresco of the events which led to the victorious campaign of 1859 and to the « mutilated victory », when the armistice forced on the enthusiastic Cavour by the treacherous Napoleon is presented with mere historic parallelism and misleading interpretation.

A whole series of films, only a few titles of which can be noted here, for the sake of narrative scruple and because there is not enough material for a closer study, belongs to the second category — the category for which the Risorgimento is a mere pretext, a romantic tapestry on which to embroider novelettish intrigues and love themes. Thus Amo te sola (1935), directed by Mario Mattoli, can be indicated. In this Vittorio De Sica, a slender and romantic Neapolitan composer, gets involved, first at Florence and then in Milan, in complicated sentimental, conspiratorial and musical affairs, and then goes off in uniform at the « Hymn of the First War of Independence », at the head of a handful of gallants who are singing the « Hymn of the Volunteer » which he composed. Mattoli tries again the following year with La damigella di Bard, a « feuilleton » based on the patethic characterization of Emma Gramatica, once more living her romantic and luckless passion for Count Costantino Nigra; while a few years later (1939) Carlo Cam-

228

pogalliani, in La notte delle beffe, tacks together an animated adventure, spiced with stage-coach holdups, the kidnapping of young girls, contracted and thwarted marriages, all of it run together under the banner of anti-Bourbon brigantry and the hapless Sapri affair. Of the other films, there are none

which, even though the cue is taken from authentic characters

and real episodes of the Risorgimento, do not alter them or distort them, forcing them into the atmosphere of the love story with a romantic background, rejecting all attempts at historically accurate interpretation or even genuine atmosphere: so, in 1942 we have the Contessa Castiglione, (directed by Flavio Calzavara), struggling between love for a young exiled « Carbonaro » and the harsh necessity of the « Realpolitik » of Cavour which forced her to ensnare the French Emperor; and the same year Luisa Sanfelice appears (written by Leo Menardi). She resolutely faces the Bourbon guillotine, less for patriotic ardour than for the heartbreak caused by a handsome conspirator with a cowardly heart. In these first fifteen years of sound cinema, frequent recourse to literary sources is not missing. They have the advantage of supplying ready-made rersonalities which are familiar to the public to a certain extent. In 1934 Guido Brignone paves the way with Teresa Confalonieri which takes advantage of the recent success made by the drama of ihe Trieste writer, Rino Alessi, on the subject ot « Count Aquila ». Inevitably, a few years afterwards Dottor Antonio returns — his third cinema incarnation: a tired Enrico Guazzoni, a survivor of the wreck caused by the beginning of sound for the old guard of our cinema, once more brings us, wanly and resignedly, the story which inspired his master Caserini thirty years ago. The source which attracts Carmine Gallone in 1940 is more unusual: the Stendhal-like « Chroniques Italiennes », from whose pages emerges the figure of a woman, Vanina Vanini and, in spite of the brevity of the treatment, she has enough spirit to behave as an authentic romantic heroine. Gallone, on the contrary, interprets her in a purely melodramatic key notwithstanding fine, intense acting by Alida Valli. Before Oltre l’amore (the title in itself is indicative and is attributed to Stendhal's story), Gallone makes Giuseppe Verdi, a film of unusual proportions which is one of biggest industrial efforts made by our sound cinema before the war. This is also a biography which meets with popular taste — very romantic and wrapped up in music like a box of chocolates in cellophane. It somehow manages to picture Risorgimental Italy's cultural, artistic and political life in fits and starts—and fairly reliably — the background to which Verdi’s own life was so closely linked. And in some sequences — like those in which the representation of Verdi operas lights the fuse for the explosion of patriotism, where the name Verdi itself is chanted as an exultant call for a united Italy — it puts over an effective and joyous feeling of unison. In the category of film adaptations of novels which are more or less well-known, Mater dolorosa, made in 1942 by Giacomo Gentilomo can once more be pointed out. It is on the lines of the none too distinguished story by Gerolamo Rovetta (« Romanticismo » is curiously absent during this period,

229

but the moment of its return is near at hand) and tells a pathetic story of contrasting loves and sublime maternal sacrifices, to which are grafted — rather casually — episodes of about twenty years of Risorgimental history which open and end respectively with the two unfortunate campaigns of 1848 and 1866; and —

much more worthy of mention —

Mario

of the best blendings in the history of the Italian cinema

Soldati’s

Piccolo

mondo

of a film directors own

antico (1940), one

sensitivity, taste and

.culture, and a world of poetry which has already been expressed in literary form, whose translation into pictures appears to have been done with the guidance of respect and love. Soldati’s film flows into a new trend of our cinema and its principal leaders in the years to come, Soldati, of course, Lattuada, Chiarini, Poggioli, Castellani will pay conscientious and punctilius attention to style — a steady rebellion against the slovenly haphazardness of the films of the previous decade which, apart from a few exceptions, leaned towards the double aim of intricate historical films with publicity value and escapist drawing-room comedies. In a climate of subtle literary influences like this, of genteel suggestion, both intellectual and formal, even the few opportunities for a return to the Risorgimento seem to be enobled by a new consciousness of culture. A case in point is Piccolo mondo antico where both in the novel and in the film an elegantly evoked romantic and patriotic atmosphere breathes to the full even if political events are treated in a narrative style. And it is the same with Giacomo l’idealista by Emilio De Marchi, another late eighteenth century novel which another director of literary polish, Alberto Lattuada, brings to the cinema in 1942. He, too, flavours a gloomy family story with fleeting but imaginative glimpses of the Risorgimento. And another film somehow slips into this atmosphere even though it does not really belong to the « school ». It is a film which at the end of this fifteen-vear period, suddenly interrupted by the conclusion of the war, which remorselessly rings a second death knell for the Italian cinema — appears as the most significant work (after /860) ever inspired one of our directors up to the present time: Un garibaldino al convento, made in 1942 by Vittorio De Sica. Once again, an imaginary event, decisively and pathetically romantic in tone, is spread over a Risorgimental background. But, unlike what is comparable in nearly all the previous films, the two themes do not seem to be roughly and clumsily coupled and pandering to spectacle, but rather harmoniously integrated and smoothly blended into genuine expressive necessity. The love story — fresh, moving, tearfully melancholic — and the patriotic sequence — heroic, but stripped of every whit of false grandeur — run together, entwined, and weave a light and elegant tapestry, subtly arabesque, in exquisite taste, with no formal complacency, into a result which, as regards expression and style, is among the most accomplished that the Italian cinema has ever reached up to now. Un garibaldino al convento proudly closes the second chapter of the story of our Risorgimental cinema which opened so splendidly with /860. A third chapter, as yet incomplete, is written in the vears after the war in an atmosphere which has changed profoundly for our cinema, for which the

230

Volturno (Viva VItalia!

- Rossellini).

231

dazzling vision of the neo-realistic school opens new horizons and prospects, fresh trends and extraordinarily expressive means; it offers a freedom of critical research and historical study which it had never enjoyed before. But the ground covered by the Italian cinema, the freedom it conquered, the maturity it attained, not so much in relation to expression as to the essential consciousness of its proper tasks and the ‘historical responsibility belonging to it, do not seem to make any impression except in a sporadic and incomplete way, at least not until much later, on the old question of the relationship between the cinema and our national history in the last century. The person of Garibaldi — a perennial spur in the story of the rapport between the Italian cinema and the Risorgimento — still inspires ideas, even if only of modest artistic importance. The 1849 Centenary gave Mario Costa the idea of Cavalcata d’eroi which tells with haste and brevity of the short life and fortunate times of the Roman Republic, which brings off an effective installation of narrative strength and a certain epic-like tone in the sequences relating to the defence of Vascello.

Three years after in Camicie rosse, made by Goffredo Alessandrini, Anita appears once again — the theme is the same one already treated by the veteran Caserini — and Anna Magnani stars in it with typical expressiveness and strength. A Garibaldian episode appears also in the cinema anthology Cento anni d'amore, made in 1953 by Lionello De Felice, who uses it more as the framework for a maudlin love story than anything else. A theme which is frequently taken up again in these years is that of the battle fought in Southern Italy against the Bourbon domination, but it gives rise to films of a various level which prefer the adventurous and romantic elements provided by popular literature. This is the case with I/ Conte di Sant'Elmo,

made

in 1950 by the veteran

Guido Brignone ; with Eran trecento..., (1952, directed by Gian

Paolo Callegari); with // segreto delle tre punte, directed by Carlo Ludovico Bragaglia in the same vear. There is no lack — another proof that the spirit and intentions of the majority of producers when adapting Risorgimental subjects, have not changed so much — of what can be called « the great remakes »; that is to say, films on stories and personalities which have been done before, very often more than once, in the previous twenty years, or even during the period of silent films. Inevitably there is another and umpteenth Romanticismo, directed by Clemente Fracassi in 1950, no better and no worse than its silent forerunners, and together with it a new Tamburino sardo, gracefully and tastefully inserted by Blasetti in his eighteenth century medley Altri tempi, (1952), and Busseto’s swan turns up again in Giuseppe Verdi (1954), made by Raffaello Matarazzo which, compared with its elder brother (directed by Gallone in 1938) is remarkable only for being the first film which confers the prestige of colour on pictures of the Risorgimento, in a chromatic guise which is sufficiently vivid and elegant enough. Almost caught off-guard, the elderly Gallone picks Verdi once again — and the same actor, Fosco Giachetti, his incarnation in the first edition, plays him once more. The sketch is in-

232

La seconda

The Second Battle of Custoza (Visconti’s Senso).

Custoza

(Senso di Visconti). La deuxième bataille (Senso de Visconti)

de Custoza

233

cluded in an historical cavalcade in colour Casa Ricordi (1954). This also was without particular merit, but fairly skilled in putting together the history of the famous publishing house with events, figures and episodes of the Risorgimento, according to the formula he used in the first Verdi. Again the Contessa di Castiglione turns up in 1954, directed by the French director, Georges Combret who, more than ever, pushes the political framework which surrounds the Parisian activities of Cavour's ‘ niece into the background and stresses her romantic love affairs for all he is worth. Finally there is the second Vanina Vanini (1961) in which a director like Roberto Rossellini, slightly bewildered by a subject which is cutside his field of genuine interests and which means little to him, limits himself to a simple illustration, sometimes extremely decorative, frankly stereotyped at other, of the atmosphere and society sketched by Stendhal. The panorama « inspired by the history of the Risorgimento », is more or less at the end. Let us end this rapid and perhaps incomplete survey with a fleeting indication of that group of films which for nobility of ideas, serious conception, historical accuracy and achievement clearly established themselves, not only as regards production in these last years, but also in that wider and more general field ot the history of our Risorgimental cinema. Il brigante di Tacca del Lupo, directed in 1952 by Pietro Germi, already in starting has the merit of being held up by a good story by Riccardo Bacchelli and so breaks the barricade of our directors’ more or less total dependence on inferior literary material of eulogistic and rhetorical background. Then there is the story treatment — the political banditry of the Bourbons, flourishing « from the Sila woods to the Abruzzi mountains », up to the proclamation on the morrow of the Kingdom of Italy — containing in itself sufficiently unedited and stimulating ideas which Italian historical and political literature has constantly excluded or treated superficially. Also noteworthy is the touching on the problem of the relationship between Northern and Southern Italians, of their common conviction — burning and alive in them — that they are the bearers of civilisation and progress in a semi-colonial country, and the Southern Italians’ instinctive attitude of defence and repulsion towards systems and mentalities which contrast too strongly with the remains of secular traditions. La pattuglia sperduta (1953) directed by Piero Nelli, tells a thin story of an isolated platoon of Piedmontese soldiers who, in the days before the « fatal Novara » are wandering through the countryside and rice fields near the Ticino River. They are the prev of enemy reconnaissance patrols which put many of them out of action during the various skirmishes.. The lugubrious echo of cannon leads the few survivors to the Novara camp. It is the evening of 23rd March: the film ends with a bloodcurdling shot of the battlefield, where amid the piles of corpses and smoking ruins, the enthusiastic hopes of the Italians seem to lie dead. The film’s weakness is, of course, the inability to draw all the conclusions from its « anti-heroic » and, we would say, intimate treatment; its tendency to remain motionless, even though stereotyping is avoided, on the « deamicisiana » interpretation of the 1849 events, and it fails to link them into an historic perspective from which the most intimate and truest sense can be perceived.

234

Porta Pia (La presa di Roma - Alberini).

239

An anti-heroic and unconventional conception, reinforced, however, by an interpretation which deliberately goes far away from current historical traditions to assume a critical slant which is only partially shaded in certain sectors of its historic aspect and thus definitely not new for the cinema, is also the basis of Senso (1954), made by Luchino Visconti:

undoubtedly

the most

ambitious

and

in

many ways, the most remarkable film ever made by the Italian cinema industry on the Risorgimento .theme. Senso, like La pattuglia sperduta is about an unlucky episode in the struggle for national independence : the 1866 campaign, its rapid development, the unexpected catastrophe of Custoza. But the battles and all the events which precede them as natural premise and preparation avoid all celebratory intention and perform, above all, the function of a catalyst: to make obvious the contrast between the ruling class, for whom a united Italy means expanding interests and supremacy, and the masses who, instead, feel it as the start of a new era, characterised by the advent of the very classes whose aspirations up to now have been consistently ignored and stifled. The masses stir up the battle for unity and join it with zest. But they are opposed and neutralised by the aristocratic oligarchy who, dazedly, see their decline approaching and combat desperately against it. For them the war of 1866 is not so much another chapter in the old quarrel between Italy and Austria, but one between the ruling class and the people: and Custoza becomes the symbol of a general twilight of the gods, the definite condemnation of a lifeless society which still survives illusively for itself. Fruit of on acute artistic sensitivity, Senso tops the list of the Risorgimental experiments made by the Italian cinema. And to-day they conclude once more with Garibaldi. Viva l’Italia!, made in 1960 by Roberto Rossellini, aims to glorify in a people's rhapsody, the last steps on the road to the unitarian ideal. Unlike 1860 where Garibaldi’s campaign is seen through the eyes of Sicilian shepherds, this film is angled more from the point of view of the « others » — the Piedmontese or men of the North who take pari in it. It is they who, while marching towards the actuation of the unitarian ideal, discover a new world. They run into an unimagined reality which is solid enough to take on the colours of the mythical and marvellous, like the discovery of a common origin whose traces had been lost. In this perspective, the film is fully intuitive, especially in the Sicilian part and it is a moving tribute to the spirit of Italianism. But the story is often fragmentary and episodic, with no steady rhythm, and the attempt to dismantle the Garibaldi myth and present him as human, solid and real, only partly comes off. i The history of the Italian Cinema during the Risorgimento stops, for the moment, at this point. It is a varied history and naturally full of contrasts, charactised by an assiduous alternating between works which are modest in pretension and naive in their attempt to evoke historic events, and those which more happily interpret history on an artistic level. It is a History, however, which with its lights and shades is a witness of the undoubted hypnotic influence that the events of the Risorgimento have exercised upon our film-makers. In sixty years of our cinema, it has provided them, each according to his ability and according to the scope of the subject, with outstanding intellectual stimulus and inspiration.

236

traduzioni Parisini

di Raymonde

Todini

e Elena

John

Francis

per il francese,

Lane per l'inglese.

fotografie di Astifoto, Bosio, Coluzzi, Di Paolo, Gabo, Pierluigi, Pressphoto,

Rampazzi, Vaselli.

Ronald,

Museo

Trevisio,

del Cinema

Turconi, di

|

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Torino.

|

in copertina fotocolor di Paul Ronald

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|

francaise

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| il risorgimento nel teatro version francaise english

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Ai risorgimento nel cinema version francaise english

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Finito di stampare in Roma nel mese di febbraio 1962 con i tipi della Eliograf per conto della EDITALIA - Edizioni d’Italia Zinchi della Fotoincisione Artistica Romana Printed in Italy

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295

ment et donc les images; dans un ouvrage tel que celui-ci, le ròle des reproductions photogra>:

phiques devait par conséquent étre essentie!

pourquoi, auprès du texte, nous trouvons une sé rie d’'estampes du début du XIXe siècle, de tre» vieilles photographies de drames, d'acteurs, d'affiches du siècle dernier, lorsque les év*-»monts étaient contemporains des pièces qui les recon

taient et de scènes des premiers films inspir s par le Risorgimento. Viennent ensuite des images d'oeuvres théatrales et cinématographiques plus récentes qui bien qu'elles soient encore vivantes dans notre souvenir de spectateurs modernes, ont encore leur charme et leur pouvoir évocateur. Ce livre, élaboré par les soins de Domenico Meccoli et rédigé par Giovanni Calendoli et Guido Cincotti, a été réalisé par EDITALIA suivant des principes graphiques appropriés à sa teneur, en mettant l’expérience éditoriale au service d’une matière digne du plus grand respect; la technique, enfin, sans s'abaisser, a surtout mis en valeur l’esprit de l'ouvrage et lui a donné toute la dignité possible, en s'afforcant d'’éviter l’auire pos-

sibilité: celle de la réthorique.

the

italian

in the

risorgimento

theatre

and

cinema

A source of inspiration for writers and artists, the Italian Risorgimento has also attracted men of the theatre and cinema. They have left some works of undoubted interest of which this volume is the witness. This publication, coming in the vear of the First Centenary of Italian Unity, as well as being a tribute to the occasion itself, serves a contribution to study, research and documentation. Theatre and film are mediums of expression

which depend on action and movement and consequently on the visual image; so, in a publication such as this the role of the illustrations was bound to be foremost. That is why we have inserted into the text a series of early 19th Century engravings, old photographs of plays, players and posters of the same period, as well as stills reproduced from the early films on the Risorgimento. These are followed by illustrations from more recent films and plays, those still alive in our own

memories

as contemporary

audiences,

too have their evocative purpose. This book, edited by Domenico

which

Meccoli, with

essays by Giovanni Calendoli and Guido

Cincotti,

has been published by EDITALIA using printing criterions worthy of the material, thus putting publishing at the service of a highly respected subject matter. The modern technique of the publisher has, in other words, set out t0 valorize the work in question and has tried to; substitute a dignified treatment for what could/have beer rhetorical

editalia - edizioni d’ italia

- roma

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