Lettera ai Galati 9788821167157, 8821167151

La lettera, scritta da Paolo di Tarso tra il 54 e il 57, fu composta per controbattere una predicazione fatta da alcuni

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Lettera ai Galati
 9788821167157, 8821167151

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LETIERA AI GALATI a cura di Bruno Corsani

MARIEITI

I Edizione 1990

Redazione: Giuseppe Cestari

©1990 Casa Editrice Marietti S.p.A. Via Palestro 10/8 - Te!. 010/891254 16122 Genova ISBN 88-211-6715-1

Indice

9

Prefazione Introduzione generale l. La lettera ai galati nel corpus paolino e il suo testo 2. I destinatari: località e origine delle comunità cristiane della Galazia; data della lettera 3 . Scopo della lettera 4. Forma, stile e analisi letteraria della lettera ai galati 5. L'interpretazione della lettera ai galati nel corso dei secoli

13 15 24 32 39

Preambolo ( 1 , 1 - 12) Introduzione al preambolo ( 1 , 1 - 12) l. Saluto apostolico di Paolo alle comunità cristiane della Galazia

(Prescritto) : 1 , 1-5 2. Paolo entra in materia (Esordio): 1 ,6-9 3. Paolo dichiara la sua situazione (atciatç): 1 , 10- 12

51 53 63 75

Prima parte ( 1 , 13-2,2 1) Introduzione alla prima parte ( 1 , 13-2,2 1 ) Paolo ricorda il suo passato nel giudaismo, l a svolta della sua vita e i soggiorni in Arabia e a Damasco ( 1 , 1 3 - 1 7) Excursus: Paolo e l a «rivelazione del Figlio»: conversione o vocazione? 5 . L a prima visita di Paolo a Gerusalemme ( 1 , 18-20) 6. Attività di Paolo fra la prima e la seconda visita a Gerusalemme (1,21-24 )

87

4.

91 101 107 1 12

6

INDICE

7. La seconda visita di Paolo a Gerusalemme (2 , 1 - 1 0) 8. Paolo rimprovera Pietro per l'abbandono della comunione di mensa e per le conseguenze di questa scelta (2 , 1 1 - 1 4) 9. Le motivazioni teologiche dello scontro (2 , 15-2 1)

1 16 147 160

Seconda parte (3,1-5, 12) Introduzione alla seconda parte (3, 1-5, 12) 10. Paolo si appella all'esperienza cristiana dei galati che non si fondava sulla legge (3 , 1 -5) 1 1 . Primo riferimento ad Abramo, padre (per promessa divina) di tutti quelli che sono giustificati in base alla fede (3,6-9) 1 2 . La maledizione della legge è annullata grazie all'opera di Cristo, e la promessa si compie per chi crede (3, 10- 1 4) 1 3 . La legge non può invalidare la promessa perché questa fu data precedentemente (3,15- 1 8) 1 4 . La legge ha avuto una funzione limitata nel tempo (3 , 19-24) 1 5 . La vera progenie di Abramo sono quelli che appartengono a Cristo: in lui si ricostituisce la famiglia di Abramo (3,25-29) Excursus: L'influenza di Gal 3 ,28 sull a riflessione ecumenica 1 6 . L'emancipazione dalla tutela della legge e la condizione di figli di Dio attestate dall'esperienza dello Spirito (4 , 1 - 7) Excursus: Yi6ç e uiòç 9toù nella lettera ai galati 1 7 . Appello a non ricadere nella schiavitù (4,8- 1 1) 18. L'affetto iniziale dei galati e la sollecitudine presente dell' apostolo per loro (4, 12-20) 19. L'insegnamento delle figure di Agar e Sara ai fini dell'identificazione della vera famiglia di Abramo (4,2 1-3 1) 20. Chi è stato liberato da Cristo deve vivere la sua libertà con coerenza e non lasciarsi asservire da imposizioni legalistiche (5 , 1- 12)

1 85 188 195 202 2 12 217 234 249 253 268 270 277 292 307

Terza parte (5, 1 3-6, 10) Introduzione alla terza parte (5 , 1 3-6, 10) 2 1 . La libertà come vocazione: ciò che è, ciò che non è (5 , 13-15) Excursus: Evangelo ed esortazioni etiche nelle lettere di Paolo 22. Sia lo Spirito a guidare il vostro cammino di libertà! (5 , 16- 18)

335 337 347 35 1

INDICE

7

23. Il contrasto tra vita governata dalla aapç e vita guidata dal 7tVEÙJ.1« (5 , 19-24) 358 Excursus: La parenesi catalogica in Paolo 368 24. Frutti dello Spirito nelle circostanze più comuni dell'esistenza (5 ,25-6, 10) 377 Epilogo (6, 1 1- 1 8) 25. Conclusione della lettera (6, 1 1- 1 8)

40 1

Sigle bibliche

4 15

Bibliografia generale

417

Indice dei passi biblici

46 1

Indice dei nomi

48 1

Prefazione

Questo commento alla lettera di Paolo ai galati si propone di mettere in luce il significato storico dell'epistola, dei fatti che essa riporta e di ciò che Paolo scrive. È la linea implicita nel nome della collana: Commentario storico ed esegetico all'Antico e al Nuovo Testamento (C SANT) . Chiunque potrà ri­ salire dal significato storico del testo di Paolo alle possibili attualizzazioni e applicazioni. Per ognuna delle sezioni in cui ho diviso il testo fornisco una mia pro­ pria traduzione, chiaramente redatta dopo aver scritto il commento . Nel te­ sto tradotto indico talvolta, in nota, delle traduzioni alternative. Dò per scon­ tato che chi utilizza i volumi dello CSANT abbia sotto gli occhi un' edizione critica del Nuovo Testamento in lingua originale. Poiché nella collana C SANT è già stato pubblicato il volume di K. e B. Aland Il Testo del Nuovo Testamen­ to (CSANT/Strumenti 2, Marietti, Genova 1987), ho utilizzato di regola il testo greco curato da (Nestle)-Aland, 26• edizione, pur confrontando anche altre edizioni critiche. Le lezioni varianti indicate dopo ogni sezione del testo tradotto sono una scelta, ispirata dal desiderio di segnalare soprattutto le va­ rianti che comporterebbero una traduzione diversa. La decisione di dare solo una selezione di varianti viene dalla certezza che i lettori abbiano sotto gli occhi il (Nestle)-Aland o altra edizione critica del testo greco. Per ogni sezione è fornita la bibliografia degli autori moderni citati nel commento. I dati di queste bibliografie di sezione sono abbreviati, ma nella bibliografia generale il lettore troverà tutte le indicazioni necessarie . I commentari (elenco: pp. 39-4 7) sono citati di regola solo col nome del­ l' autore, in carattere di testo. I riferimenti agli altri autori, nelle bibliografie iniziali delle singole sezioni e nell'apparato delle note, vengono dati in «maiu­ scolo/maiuscoletto», con la data di pubblicazione, e questo consente una più immediata ricerca nella bibliografia generale (disposta in ordine alfabetico) . S'intende che il riferimento ai commentari è sempre al commento del passo che è sotto esame. Solo col nome (o sigla) sono anche indicati alcuni strumen­ ti di lavoro o opere di consultazione molto comuni, come indicato per ciascun caso nella bibliografia generale.

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PREFAZIONE

Le sigle delle riviste, tranne poche ovvie eccezioni, sono quelle della Theo­ logische Realenzyk/opiidie (De Gruyter, Berlin 1976).

Terminando desidero ringraziare i colleghi Mauro Pesce e Romano Penna che mi hanno voluto invitare a collaborare allo CSANT con questo volume, il prof. Antonio Balletto che è stato largo di cordiali incoraggiamenti, il Deut­ scher Akademischer Austauschdienst di Bonn e il prof. Georg Strecker, che hanno reso possibile e facilitato in ogni modo un soggiorno di un semestre accademico a Gottingen, il prof. Gian Luigi Prato che ha rivisto la traslittera­ zione delle parole ebraiche, i funzionari e i tecnici dell'editrice Marietti che hanno seguito con pazienza e con cura il passaggio dal manoscritto al testo stampato, la signora B. Subilia che ha aiutato nella lettura delle bozze . Dedico questo scritto a mia moglie, che anche durante questo lavoro ha praticato Gal 6,2: 'AÀÀ�Àrov -rà 136.Ptll3aa't'6.�en:, Kal ou-rroc; àvanÀtlpcbae-re 'tÒV V61J.OV 't'OU XplO't'OU.

Facoltà Valdese di Teologia, Roma Dicembre 1989

Bruno Corsani

Introduzione

generale

l. La lettera ai galati nel corpus paolina e il suo testo

Bibliografia ALANO K. 1963; ALANO K. 1979; ALANO. K. E B. 1987; BENOITJ.-D. (Éo.) 1975ss.; BucK 1949; CAMPENHAUSEN 1968; EsBAUGH 1979; FREDE 1973; GRANT 1970; HARNACK 19242; HARNACK 1926; KNoxJ. 1942; MALFELD-METZGER 1949; METZGER 1964; MoULE 1971, 247-287; RATHKE 1967; SAND 1981; ZuNTZ 1953.

Per quanto ne sappiamo, la lettera ai galati ha sempre fatto parte della raccolta delle lettere di Paolo. Anche prima dei più antichi manoscritti ed elen­ chi di epistole, abbiamo reminiscenze del suo testo nei Padri apostolici. Il re­ pertorio delle citazioni patristiche dell'università di Stra�burgo registra i se­ guenti passi: nell'epistolario di Ignazio di Antiochia, Gal l, l Phil. l, l; l, lO Rom. 2 ,1; 5 , 7 Phil. 2,2; 5,11 Eph. 18 ,1; 6,14 Rom. 7,2. Nella lettera di Policarpo ai filippesi, Gal l, l Phil. 12 ,2; 2,2 = Phil. 9,2; 4,26 Phil. 3 , 3 ; 5 ,14 Phil. 3 ,3; 6,7 Phil. 5 , 1 . Nella lettera di Clemente Romano ai corinzi, Gal 2,9 Cor. 5,2; 3 , 6-9 Cor. 2 1 ,2. In un repertorio prodotto per mezzo del computer è anche possibile che le allusioni siano ac­ colte con una certa larghezza'. Sicuramente nessuno di questi tre scrittori cita nel senso moderno del termine, menzionando la lettera citata2• Un terreno molto più solido è costituito dalle più antiche liste di espi­ stole paoline negli scritti di autori cristiani, e soprattutto dai manoscritti con il loro testo. A quanto riferisce Tertulliano, il canone di Marcione comprendeva: Ga­ lati, Corinzi, Romani, Tessalonicesi, Laodicesi, Colossesi, Filippesi, Filemo­ ne (le «dieci lettere», con esclusione delle lettere pastorali). Qui non ci inte­ ressa l'ordine delle epistole, ma solo il fatto che Gal fosse presente (com'è ovvio, dato il contenuto dell'epistola che poteva fornire un supporto di pri­ m'ordine alla teologia anti-legalista di Marcione)3. Il canone muratoriano, ri­ salente al II secolo, elenca le epistole: Corinzi, Efesini, Filippesi, Colossesi, Galati, Tessalonicesi, Romani, Filemone, Tito, 1-2 Timoteo. Arriviamo cosi al più antico testo dell'epistola, il P46, databile intorno al 2004• Il papiro, teoricamente completo, ha subìto le ingiurie del tempo e =

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1 Biblia Patristica, Index des citations et allusions bibliques dans la littérature patristique, éditions du Centre National de la Recherche Scientifique, I, Paris 1975, 481-489 (compilato a cura del CADP [ = Centre d' Analyse et de Documentation Patristique]). Molto più riservato nel riconoscere citazioni o allusioni paoline in Ignazio è RATHKE 1967; Harnack trovava in Policarpo l'eco di l Cor, Gal, Rm, 2 Ts, Ef, Fil, 1·2 Tm (HARNACK 1926, 72, n. 4). 2 «Solo con Ire neo comincia un'epoca nuova. Ora si può parlare di citazioni, sia dai vangeli che dalle lettere di Paolo, nel senso moderno del termine» (Al.AND K. 1979, 32). J Adv. Mare. IV, 5: CCL l (1954, 441-726, a cura di E. Kroymann), 550 s. • ALANO K. E B. 1987, 109; METZGER 1964, 252. Al testo di K. e B. Aland rimando anche per la classificazione dei mss. menzionati in seguito.

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LETTERA AI GALATI

non è privo di piccole lacune per deterioramento. Secondo la classificazione di K. e B. Aland, esso fornisce un esempio di «testo libero» dell'epistola5• Il P46 contiene, nell'ordine, Rm, Eb, 1 -2 Cor, Gal, Ef, Fil, Col, l Ts; le prime e le ultime 7 pagine sono andate perdute. In seguito, il testo della lettera è giunto a noi attraverso i codici S (Si­ naiticus, IV sec . , Londra, testo egiziano) , A (A iexandrinus, V sec., Londra, I cat . per le epistole), B (Vatìcanus, IV sec . , Roma, ugualmente di I cat.), C (Ephraemi rescriptus, V sec., Parigi, III cat . ) ; G (0 12, Boemerianus, IX sec., Dresda, III cat.); I (Freerianus, V sec., Washington, testo egiz. , II cat.), K (Mosquensis, IX sec., Mosca, testo biz.); L (020, Angelìcus, IX sec . , Mosca, testo biz.), P (025 Porphirianus, IX sec., Leningrado, III cat. per le epp.); 'P (Athous Laurensis, VIII/IX sec., Athos, III cat.); 049 (IX sec., Athos, testo biz .); 05 6 (X sec . , Parigi, testo biz.); 075 (X sec . , Atene, III cat.), 0 1 42 (X sec . , Parigi, testo biz.) . Altri codici maiuscoli contengono solo parzialmente il testo della nostra epistola: H (Euthalianus, VI sec., parti dei cc. 1.2 . 5 ) ; 062 (4, 15-5 , 14); 0 122 (5, 1 2-6,4) ; 0158 ( 1 , 1-13); 0 1 76 (3, 14-24); 0254 (5 , 1 3 - 1 7); 0261 ( 1 , 9- 12. 19-22; 4,25-3 1 ) . Il più importante è lo 0254 del V secolo, I categoria; gli altri sono tutti della III categoria, salvo lo 0 1 5 8 che è inferiore. Fra i minuscoli meritano menzione quelli di I categoria (il 3 3 , del IX sec., «re dei corsivi»; e il 1739, del sec. X), di II categoria (8 1 , del 1044; 1 1 75, dell'XI sec.; 1 88 1 , del XIV sec. ; 2464, del X sec.). In III categoria abbiamo i codici 6, 104, 326, 365 , 436, 6 1 4, 629, 630, 124 1 , 1877, 2495 . La loro

data va dal X al XIV/XV secolo. Possiamo dunque dire che il testo dell'epistola è molto ben attestato, e che nei suoi testimoni non c'è nessuna oscillazione per quanto riguarda i destinatari e l'autenticità dell'epistola.

' ALAND K. E B. 1987, 101 e 109. E.J. Epp de scrive il Jl46 come a metl strada fra il testo «neu· trale,. e quello «occidentale» (EPP 1974, 397); G. Zuntz invece non vede nessun rappor to particolare tra 1'>. Ma limitare a questo l'atteggiamento di Paolo sarebbe riduttivo. Non bisogna dimenticare l'importanza che ha, in Paolo, l'elemento cristologico e l'importanza che, dopo l' incontro con Cristo, ha nella sua vita e nel suo pen­ siero la comunione con Cristo e il vivere in Cristo. Non bisogna neppure di­ menticare la dimensione escatologica della sua esperienza, che lo porta a con­ cepire la sua vocazione come una chiamata ad avvertire le nazioni che sono giunti gli «ultimi tempi» nei quali tutti devono afferrare la salvezza prima che sia troppo tardi. Ciò che ho appena detto ci porta direttamente al cuore di un'altra linea prospettica: i rapporti di Paolo col giudaismo e la legge. Qui l'opera che ha fatto epoca è senza dubbio quella di E.P. Sanders, nei suoi due testi, Paolo e il giudaismo palestinese (tr. i t.) e Pau/, the Law and ]ewish People, successivo, in cui risponde alle critiche e precisa la sua posizione. La tesi di Sanders che riguarda più da vicino l'epistola ai galati è che la legge, nel giudaismo, non era un entrance requirement, ossia che l'obbedienza alla legge non costituiva un pre-requisito per essere ammessi al patto con Dio, ammissione che avveni­ va solo per la gratuita misericordia del Signore; l'obbedienza ai suoi comanu WATSON

14 THEISSEN

1986, 19 ss. 1987, 5 1 .

28

LETTERA A I GALATI

damenti invece era un requisito di permanenza nel patto : chi appartiene al patto è tenuto a vivere in conformità a certe regolel5. Questa funzione attribuita alla legge porta Sanders a definire la struttu­ ra religiosa del giudaismo con la formula Covenantal Nomism16• Che l'elezione divina e la misericordia divina avessero un posto molto importante in vasti settori dell'A. T. e del giudaismo, è una realtà che nessu­ no potrebbe negare . Ma come si spiega allora la polemica di Paolo in Gal con­ tro la tesi della giustificazione t!; �pywv v6�ou? A questa domanda si possono dare diverse risposte. Alcune pongono il problema in prospettiva storica: - forse accanto al giudaismo descritto da Sanders c'erano anche dei set­ tori più legalistici o più inclini a dare importanza alle opere e ai meriti; - oppure le fpya v6�ou non erano il mezzo per acquistare perdono, giu­ stificazione e salvezza, ma il distintivo di appartenenza al popolo del Signore, alla nazione eletta (identity marker) 17; - oppure la presentazione della legge e delle �pya V6J.LOU come via per la giustificazione e la salvezza erano non una caratteristica del giudaismo, ma una sottolinea tura polemica del giudeo-cristianesimo rigorista, come forma di ritorsione contro un paolinismo frainteso1s. Altre ipotesi di soluzione privilegiano invece l' ambito psicologico: - la polemica non sarebbe tanto contro «la legge di Mosè» quanto contro il «principio legalistico». Era la tesi di Lightfoot e poi di diversi studiosi an­ glosassoni, che davano alla formula fpya v6�ou il valore di �2) . Come l'ultima sezione dev'essere inserita nella finalità dell'epistola con­ siderata globalmente, così dev'esserlo anche la parte iniziale, evitando di so­ pravvalutare l'elemento «apologetico». Sieffert, Burton, Schlier, Mussner, Bru­ ce, Borse (per ricordare solo alcuni dei commentari più usati) difendono la tesi del carattere apologetico dei cc. 1-2 : Paolo insisterebbe sul fatto di aver ricevuto il suo apostolato )2°, quindi pleonastico, pos18 Il radicalismo esclusivista di Paolo presuppone la situazione in Galazia. È ai convertiti dal pa­ ganesimo che non debbono essere imposte osservanze rituali che rischierebbero di essere prese come mezzo o condizione di salvezza. In altre situazioni, Paolo, senza rinunziare al soltJ fide, non esige la rinunzia alle tradizioni religiose dei padri (cfr. l C or 9 ,20) . 19 C fr . Elllorr 1969, che dimostra ampiamente l'equivalenza dei due termini, e lo sforzo dei co­ pisti neo-atticisti per ripristinare in alcuni mss. un corretto uso di fT&poç (che dovrebbe adoperarsi solo quando si parla di alternanza fra due). Cfr. anche BikHSEL 1933c. 1 0 BLASS·DEBRUNNER, § 306,8 cita due passi di Epitteto: TITotç àl..l..o ç &1 1111 oo (Diss. I, 25 ,4) e TI yàp àl..l..o • • • &! 11'1 (Diss. l, 16,20).

GAL 1 ,6-9

69

siamo intendere: vi state volgendo a un altro evangelo «il quale [in realtà] non esiste, ecc.». Cioè quello a cui si stanno volgendo i galati non è più un «evan­ gelo», non è più una buona notizia di liberazione e salvezza; è ritenuto tale o spacciato per tale21, ma in realtà non lo è. L'evangelo è annullato, quando viene trasformato nel suo contrario (Ebeling) . Ciò a cui ora i galati si rivolgono non è dunque un evangelo, d Iln nvtç datv . . . La formula &i ll'l1 è usata generalmente senza un verbo seguente; Gal l, 7 è un'eccezione22. Nel N . T. si trova anche &i Iln al posto di àì..ì.. a , scam­ bio favorito forse dall'aramaico che ha lo stesso termine ( 'il/a') per entrambe le espressioni grech&J Questa osservazione permette di evitare il Paolo dà ora due precisazioni: a) sono persone che sconvolgono, che mettono nello scompiglio le co­ munità cristiane della Galazia. Il verbo usato qui al participio (tapaaaov-reç) può venire adoperato in senso materiale ( Gv 5, 7: l'acqua della piscina) o più spesso, almeno nel N.T., in senso morale, per esempio Gv 14, 1 (il cuore dei discepoli) o Mt 2 , 3 (il re Erode «sconvolto» dall a notizia della nascita di un 2 1 Non mi sembra necessario supporre che Paolo citi ironicamente affermazioni degli avversari, come se fossero stati loro a usare il termine > (un evangelo presentato in altra forma) per indicare la loro predicazione e farla accettare più facilmente. Paolo usa questo slogan anche in 2 Cor 1 1 ,4. Lì f>? Per Schmithals23, Paolo vuole accreditarsi analogamente agli agitatori che avrebbero preteso di aver ricevu­ to l'evangelo da una immediata rivelazione divina. Ma questo sarebbe da di­ mostrare. È più probabile che ci sia un riferimento implicito agli apostoli di Gerusalemme . Se essi avevano ricevuto l'evangelo dal Signore (questo Paolo non lo dice, ma è sottinteso) e quindi non solo da un uomo o da uomini, «nep­ pure io . . . » (Lipsius, Sieffert, Schlier, Bligh) . Bonnard, Mussner, Lyons24 pre­ feriscono escludere riferimenti polemici diretti e riferiscono l' oMt a tutta la frase precedente: non solo il suo vangelo non è di natura umana, ma non lo ha neppure ricevuto da parte d'uomo. Però questa interpretazione indebolisce molto il pronome èycfl25 . Questo fa preferire l' altra interpretazione. Come gli apostoli, sottintende Paolo (oppure, ma con minore probabilità: come affer­ mano gli agitatori), «neppure io l'ho ricevuto da parte d'uomo», napà c'xv9pcb­ nou. Abbiamo qui una quarta preposizione dopo an6 e oui del v. l e Ka-ra del v. 1 1 . Oltre a non aver avuto origine umana, qualità umana e mediazione umana, l'evangelo predicato da Paolo non ha neppure provenienza umana im­ mediata. A questa prima precisazione segue immediatamente una seconda: o(\TE èoloax.911V. Se è vero che questa può essere considerata un' aggiunta plerofori­ ca rispetto al precedente «non l'ho ricevuto da parte d'uomo» (Schlier), e che la differenza tra e «venire indottrinati» può a volte anche essere modesta (Bruce rinvia a Fil 4 , 9 dove 1J.UV9avw e napaAai.J.I3. Nella seconda parte bisogna ovviamente supplire con un verbo, per esempio Eiaiv. Rimane comunque una strana perifrasi: forse è dovuta al fatto che l'aggettivo «cristiano» non esisteva ancora (cfr. A t 1 1 ,26) . Paolo comunque non lo usa mai, neanche negli scritti più tardivi5. Il costrutto con èv esprime un rapporto più profondo che se Paolo usasse un genitivo6• Tuttavia non sarebbe neppure da scartare l'ipotesi di una èv strumentale (le chiese della Giudea che esistono per mezzo di Cristo, cioè che devono la loro origine e la loro esistenza presente all'opera e alla predicazione di Cristo) . È interessante e problematico che Paolo, dopo aver parlato del suo pri­ mo viaggio a Gerusalemme dopo l'episodio della via di Damasco, adoperi qui l'indicazione locale «della Giudea». Vien da chiedersi se è di proposito che non ha scritto «di Gerusalemme». La spiegazione più ovvia è che oltre a quel­ la (o quelle) di Gerusalemme vi fossero altre chiese o gruppi di cristiani anche nella regione circostante. Ma l'indicazione «della Giudea» è inclusiva o esclu­ siva di Gerusalemme? Bengel commenta: «extra Jerusalem», e questa esegesi è seguita da diversi commentatori che non vogliono mettere Paolo in contrad­ dizione con At 7,58 e 9,26-29 (Meyer, Sieffert, B. Weiss, Zahn) . Ma un'e­ ventuale distinzione tra Giudea e Gerusalemme avrebbe dovuto essere mag­ giormente precisata, specialmente per dei lettori d'un altro paese7. A questi cristiani (o chiese) Paolo era aul­ ltyoov («riunendo i capi in colloqui riservati e la moltitudine in assemblea»). 19 Reso da Riv. con «vale a dire» e da Barbaglio con «Parlo della giustizia di Dio». 2° Cosl Lightfoot, Sieffert, Bousset, Burton, Bonnard, Oepke, Gonzalez Ruiz, Mussner, H.-D. Betz, Schneider (implicitamente), Vanni. 21 Cosl DIBELIUs-KiiMMEL 1 96 43 , CONZELMANN 19772, Maurer, Beyer-Althaus, Bligh, Borse, Liihrmann, CEI (non solo per influenza della descrizione di At 1 5 che sembra avvenire in una cerchia relativamente ristretta di delegazioni delle chiese). Schlier, nel commento, sembra riferire a6Totç alla co­ munità, mentre quelli che devono decidere sono solo i lioKollvt&c;. In nota, invece, osserva che Paolo non esprime contrapposizione. Ma forse Schlier allude alle conclusioni, non al fatto che vi fossero state due riunioni. Per Girolamo la riunione fu privata: «sic intelligi ut abscondite cum Apostolis gratiam evangeli­ cae libertatis et legis abolitae vetustatem contulerit propter multitudinem credentium ]udaeorum [ . . . ] . Non quod Paulus timuerit ne per decem et septem annos falsum in gentibus evangelium praedicasset, sed ut ostenderet praecessoribus suis non se in vacuum currere aut cucurrisse, sicut putaverunt ignorantes». (MI­ GNE, PL 26, 358B). 22 Lietzmann, Betz, Bruce, Liihrmann, Borse, BARRE'IT 1 9 5 3 ; HAHN 1963, 68 s . ; ScHfrrz 1975, 1 4 1 , ci . l ; BoRNKAMM G. 19772, 5 7 ; BARBAGLIO 1985, 9 3 . >J Bonnard, Schlier, Mussner, Becker, KASTING 1 9 6 9 , 98, n. 83 .

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LETTERA AI GALATI

nario (1 Cor 1 5 , 8 s.) [che] entrasse in contatto con gli apostoli vecchi e ordi­ nari» (Schlier) . Se invece non cercava approvazione, ma coordinamento delle diverse strategie missionarie, il suo atteggiamento di fronte alla chiesa di Ge­ rusalemme e ai SoKOUVT&ç dev'essere stato tutto l 'opposto: ,.24• Anche questa ricostruzione della situazione, che è di H.­ D. Betz, sembra eccessiva. Persino dalla descrizione di Paolo, che è di parte e che rientra nel contesto polemico della lettera in funzione della situazione che si è creata in Galazia, non sembra che egli si sia recato a Gerusalemme con un simile atteggiamento. Già il fatto di farsi accompagnare da Barnaba e Tito rivela da parte sua una grande prudenza e diplomazia: Barnaba era sta­ to per molti anni l'uomo di fiducia di Gerusalemme ad Antiochia ed era di origine giudaica; Tito rappresentava invece i cristiani di origine pagana. Pao­ lo non sembra aver avuto alcuna certezza di come sarebbe finito l'incontro: perciò il suo sguardo doveva essere rivolto anzitutto a Dio, e in secondo luo­ go alle «SUe» comunità, alle sorelle e ai fratelli che aveva «generato» alla fede in mezzo alle nazioni pagane. L'istanza suprema dalla quale soltanto poteva venire un'approvazione o una sconfessione del suo evangelo non era Gerusa­ lemme, ma quel Dio che gli aveva rivelato il suo Figliuolo affinché farebbe riferimento implicito alla chiesa come nuovo tempio escatologico97 • Betz ricorda il passo di l Clem. 5,2 che applica l'immagine congiuntamente a Pietro e Paolo, «le più grandi e le più giuste colonne». Quest' applicazione fa pensare a un significato meta­ forico, in riferimento all'importanza della loro attività per la missione, più che a una carica occupata. Un' altra ipotesi di soluzione del problema di identità o distinzione fra «notabili>> e «colonne» è fondata sulla diversità dei tempi dei verbi : i vv. 6-8 rispecchierebbero la situazione della dirigenza nella chiesa di Gerusalemme all ' epoca dell'incontro: il gruppo dirigente era costituito dai OOKOUVTE (oTÙÀ.ot) . A loro si allude, adesso, con verbi al presente (oi &oKouvn:ç eìvat) . Paolo vorrebbe far notare che sono gli attuali dirigenti giudeo-cristiani che già allora, all'epoca dell'in­ contro, furono d' accordo con lui9B. Essi dunque , o «ci raccomandarono». In tutti e tre questi casi, avrebbe un significato eccettuativo108. Tuttavia si può anche sostenere un senso restrittivo rispetto al contesto precedente (Burton), purché non si dia al v. 10 un carattere di imposizione che contraddirebbe il v. 6d. Nei versetti precedenti nulla viene imposto, e questa dichiarazione di principio non deve venire scalfita dal seguito1°9. «Soltanto», aggiunsero la rac­ comandazione di ricordarsi dei poveri. Subito dopo il i-L6vov Paolo detta --cwv x--croxwv, che viene a trovarsi in posizione enfatica, prima ancora dell'ivallo. Di questi poveri bisogna ricor­ darsi (1-LVTJI-LOV&Uwi-LEV) . È ovvio che non si tr.atta soltanto di averli presenti alla memoria o di richiamarli alla memoria di altri: è implicito un impegno di assistenza. Tuttavia è interessante che a questo impegno Paolo e· le chiese etnico-cristiane siano esortati con un verbo che implica il > (SANDERS J.N. 1955). 23 T.W. Manson pensa che il plurale potrebbe essere nato per influenza di At 15,1 (MANSON 1 940 , 70 [rist. 1962, 1 7 9]) . A favore del plurale, B . M . Metzger fa valere che il singolare potrebbe essere sorto per analogia con i vari verbi in -Ev che precedono o seguono il nostro, o con lo OTE 5t 1'iÀ9tv del v. 1 1 (METZ­ GER 1973, 592 s.). Il parallelo con l'inizio del v. 1 1 suggerisce un'altra possibilità per 12b: �quando egli (cioè Cefa) venne, cominciò a ritirarsi e separarsi•> - supponendo che gli uomini di Giacomo siano giunti ad Antiochia prima di Pietro, il quale, giungendo a sua volta, non prese più parte a pasti fraterni. Perciò, �quando egli giunse», Paolo gli resistette in faccia. 2< CuLLMANN 1959, 1 10 e n. 56 [GLNT X, 1 5 3 e n. 56].

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LETTERA A I GALATI

il suo «apostolato dei circoncisi» (2 ,8) vedendo o udendo che praticava la

Kotvoq>ay{a25. Questo riguardo poteva essere legittimo nel campo missiona­ rio di Pietro (corrispondeva del resto a l Cor 9 , 1 9-23), ma Paolo sembra giu­ dicarlo fuori luogo nelle comunità «etniche» e in quelle miste. Per Paolo lo spirito dell'accordo con le «colonne», nonostante la separazione dell'attività apostolica di Pietro e di Paolo, non doveva comportare la separazione dei cri­ stiani fra loro . Pietro, secondo Conzelmann26, lo avrebbe capito anche lui, e la sua partecipazione alle «cene» con i fratelli ex-pagani lo dimostra. Il suo ritiro, invece, sarebbe avvenuto per paura di una pressione esterna, cioè per ragioni improprie e irrilevanti. Questa lettura dell'episodio giustificherebbe tanto l' accusa di ). Tuttavia il v. 14 non può essere separato dai vv . 1 1 - 1 3 , che resterebbero in sospeso. Il v. 14 riassume bene il punto critico della situazione esposta in precedenza, e può essere di-

" RtcHARDSON 1969, 94, n. l . 3 8 Bligh, 329. 39 Anche il Nestle·Aland26, pur senza andare a capo dopo i l v. 14, indica con uno spazio la cesu­ v. 14 e il v. 1 5 , ), o come l'affermazione che le norme rituali della legge fossero ancora una precondizione per diventare cristiani (Ebeling) . Così Pietro caricava un peso sulle coscienze che l'evangelo aveva liberate. I oul5a�w è, come già l'avverbio toul5a\Kroç, un hapax legomenon: chia­ ramente qui non ha il significato di ), con questa limitazione ai costumi, poteva sembrare una richiesta modesta, più formale che sostanziale. Un adiaphoron. Abbiamo già notato come non esistano tali adiaphora in astratto, e che la valutazione dipende sempre dalle circostanze (v. supra, ad 2 , 5 ) . Se l'esempio di Pietro por­ tava la gente a pensare che òç ThWNT I I I ( 1 938) 3 8 5 [GLNT I V , 1 1 74- 1 1 76] i n art. 'IapaljÀ. K.t .À.. 1938. Cfr. RArSANEN 1 987, 406: «Practices rather than doctrine are in focus». " Quest'ultimo inciso è contestato, com'è noto, da E.P. Sanders: la legge e la sua osservanza non sono, nel giudaismo, u n requisito di accesso al patto con Dio, ma un requisito di permanenza (cfr. SANDERS E . P . 1983, 17-57). Per un'ampia critica di questo punto: GuNDRY 1985.

" LVTERO, WA 40, l, 2 1 1 .

9 . Le motivazioni teologiche dello scontro (2 , 15-2 1 )

Bibliografia BARTH M . 1 969; BAUERNFEIND 1954; BERÉNYI 1 984; BULTMANN 1952; BULTMANN (WEISER) 1 956 b ; BuSCEMI 1 98 1 a; CoNZELMANN (ZIMMERLI) 1973; CosGROVE 1987a; DiiLMEN 1 968; DUNN 1 982-83 ; DUNN 1 983; DUNN 1 985b; FELD 1973; GoonwtN 1886; GuTBROD (KLEINK­ NECHT) 1 942; H AHN 1976a; HAHN 1976b; HASLER 1969; HowARD 1974; Hii'BNER 1985; HULT­ . GREN 1 980; KIEFFER 1 982 ; KLEIN 1 964 ; KRAMER l963; KUMMEL 1973; LAMBRECHT 197 7-78; LJUNGMAN 1964; LoHMEYER 1 929; LoNGWORTH 1 964; MrcHAELIS 1 927; MrcHEL 1 929a; MuNDLE 1 9 32 ; PoPKEs 1967; RArsANEN 1 985; RArsANEN 1 987 ; RENGSTORF 1933b; Ro MANIUK 1962; SLATEN 1919; SNODGRASS 1988; STRECKER 1975; TYSON 1973; WAGNER 1 96 1 ; WILCKENS 1982; ZIESLER 1972. 15 Noi che siamo «g iudei di nascita e non di quei peccatori [che sono i] paga­ ni», 16 consapevoli però• che nessuno è giustificato in base alle opere della leg­

ge, ma solo mediante la fede in Gesù Cristo, anche noi abbiamo creduto in Cristo Gesù , affinché fossimo giustificati in base alla fede in Cristo e non in base alle opere della legge, perché in base alle opere della legge 'nessun mortale sarà giustificato' • . 17 Ma se noi, cercando di essere giustificati 'in Cristo'2, sia­ mo troyati [essere] anche noi peccatori, allora Cristo sarebbe promotore di pec­ cato? E escluso! 18 Se infatti rimetto in piedi ciò che ho abolito, rivelo me stesso [quale] trasgressore. 19 Infatti attraverso la legge io morii nei riguardi della legge, per vivere a[l servizio di] Dio. Sono stato crocifisso con Cristo: 20 e non [sono] più io [che] vivo, ma [è] Cristo [che] vive in me . La [vita] che ora io vivo nella carne, la vivo nella fede, la [fede] nel figlio di Diob che mi ha amato' e ha dato se stesso per me. 2 1 [Così] non annullo la grazia di Dio: se infatti la giustizia di Dio si ottenesse mediante la legge, Cristo, allora, sareb­ be morto senza motivo. •

b

1"'6 A ))2 'l' syh omettono il �però�.

1"'6 B D* F G (b) MVict invece di «nel figlio di Dio» hanno �in Dio e in Cristo,.. ' Marcione leggeva: �riscattato» invece di «amato». 1 Altra possibile traduzione: 'nessuna carne sarà giustificata'.

2 Oppure: 'per mezzo di Cristo' .

Anche per 2, 15-21 la ratio può essere un'argomentazione a fortiori. Si può dire questo tanto del fatto in sé che della concezione che esso presuppo­ ne. Fra le righe, sembra trasparire questo pensiero: persino davanti all' apo­ stolo della circoncisione (cfr. 2, 7 s . ) e ai seguaci di Giacomo ho sostenuto aper­ tamente che anche per i giudei la giustificazione è possibile solo mediante la fede in Cristo1 • Questo per il fatto . Per i princz'pi soggiacenti, la stessa argo­ mentazione può essere formulata così: se «anche noi» (v. 16), giudeo-cristiani, riconosciamo che non c'è altra giustificazione possibile se non in Gesù Cril

FELD 1973, 125.

GAL 2 , 1 5-21

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sto, quanto più gli etnico-cristiani, che non hanno ereditato la legge dai loro padri, dovranno cercare la loro salvezza unicamente in Cristo! Se il passo volesse solo dire questo, Paolo avrebbe anche potuto formu­ larlo più concisamente. Invece lo ha caricato di allusioni, formule e slogan («abbreviazioni», le chiama H.-D. Betz) che richiamano nozioni e tendenze della cristianità primitiva2• È l'inserimento di queste «abbreviazioni» (allu­ sioni) che crea l'impressione di un sovraffollamento di concetti. La loro con­ cisione, poi, crea un'ulteriore difficoltà. Ma queste caratteristiche si attenua­ no verso la fine della sezione, perché Paolo passa insensibilmente dalla pole­ mica alla libera espressione della sua fede e della sua pietà cristocentrica. Fino a che punto i vv. 15-2 1 possono essere considerati la continuazio­ ne reale del v. 14, cioè il «discorso» tenuto da Paolo a Pietro nella circostanza accennata dai vv. l l - 14a? Per molti commentatori le parole dei vv. 15 ss. in realtà sono già dirette ai lettori della letteraJ. Per altri, nel ricordare il suo discorso a Pietro, Paolo passerebbe gradualmente ad affrontare la problema­ dca delle chiese di Galazia lasciando da parte la questione contingente delle agapi fraterne nella chiesa di Antiochia4• Gli argomenti portati fino al secolo scorso a favore dell'unità di 2 , 14. 15-2 1 come «discorso a Pietro» (sia pure non «stenografato» ma riassunto dopo un lasso di tempo abbastanza lungo) erano soprattutto: il fatto che solo in 3 , 1 Paolo s i rivolge esplicitamente ai galati; che la definizione «noi giudei di na­ scita» non si addice direttamente ai lettori; e che la gravità del problema di­ scusso con Pietro esigeva una trattazione approfondita e non soltanto le po­ che parole del v. 145 . Si può anche osservare che se i vv. 15-2 1 fossero la fine della na"atio, non ci sarebbe nessuna forma di transizione alla parte esegetico-dottrinale della lettera (probatio) . In realtà, non ci potrebbe essere miglior transizione di que­ sta, perché qui Paolo riassume i punti di consenso fra le parti (vv. 1 5 - 1 6), poi i punti di conflitto, (vv . 1 7- 1 8) , quindi dà un breve sommario di quanto tratterà in seguito (vv. 1 9-20). La conclusione (v. 2 1), concisa ed energica, respinge, con un ragionamento per absurdum, una possibile accusa6. Appare qui la radicalità con cui Paolo osservava la situazione ad Antiochia (Schlier) - ma anche la lucidità con cui ne ricavava implicitamente una lezione per la situazione in Galazia. Per la struttura del brano si possono proporre soluzioni diverse, secon­ do il criterio che si sceglie per stabilire i punti nodali del testo. Se il criterio 2 Formule cristologiche: ò ulòç toù 9toù (v 20 ), toO ... I!Opa36vroc; toUtòv l'l!tèp tJJ oO (v. 20); for­ mule degli anti-paolinisti: Xpunòç llJJaptlaç oui >< ovoç (v. 17), otll v6JJOU &t>. 16 Cfr. Jeb. 1 1 ,2 e T.Jeb. 12,2 ave l'adesione di un non-giudeo al giudaismo è definita ingresso nella q> fuori del giudaismo, ma solo «peccatori». RE.NGSTORF 1933a, 320-339, spec. 328 ss. [GLNT I, 861-910, spec. 882 ss.]. Da n l'uso di chiamare •peccatori» tutti i nemici (non-giudei): Sal. Salom. 1 , 1 : «Ho gridato al Signore quando ero nella '2

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LETTERA AI GALATI

per dare maggior valore di convinzione al suo discorso Paolo citi qui ipsissima verba di giudeo-cristiani o persino di Pietro17• Infatti questa precisazione ne­ gativa, dopo l'affermazione d'identità formulata in positivo, poteva anche essere superflua o controproducente per i lettori dell'epistola, tutti provenienti dal paganesimo. Alla fine del v. 1 5 , se non si è supplito con un verbo finito basterà come punteggiatura una virgola. Se invece si è trasformato in proposizione autono­ ma con un «siamo», occorrerà un punto o un punto e virgola. V . 16a - Struttura e contenuto del v. 16 sono di grande complessità. Ma prima di addentrarci in questo, dobbiamo valutare il M iniziale. Il M, pur mancando in P46, ha una buona attestazione (anche se Nestle­ Aland26 lo pone tra parentesi quadre) e può dare alla frase un valore avver­ sativo rispetto al v. 1 5 : Noi, giudei di nascita e non «peccatori» del mondo pagano, consapevoli però che nessuno è giustificato tàv l.l.Tt 5tà 1t{o-rE riprende quello di 16a, ma preceduto da un Ka( che può avere un semplice significato aggiuntivo (non solo dei pa­ gani estranei al patto e alle promesse hanno accolto l'evangelo di Gesù Cristo e hanno creduto in lui, ma anche noi, che siamo nati nel giudaismo)45. Op­ pure il Ka( può avere un significato enfatico: «persino noi», che vivevamo nella dispensazione divina caratterizzata dalle promesse di Dio e dal dono della leg­ ge . . . Pare quasi di sentire accennata la tematica della gelosia e della riammis­ sione, sviluppata in Rm 1 1 , 1 1 ss. Ma qui la spinta all a fede è identificata in qualcosa di molto più valido della gelosia: cfr. l' eìMn:c; di 16a. Nel seguito della frase, si deve notare l' aoristo È7tto't&Uaa1J.&V, che indi­ ca il momento puntuale della loro decisione per l'evangelo; e l'uso dell' accu­ sativo con ⁣. Questa formula può essere considerata l'interpretazione au­ tentica (perché data da Paolo stesso) della formula di 16a &tà 7t(O't&roc; 'I11ooù Xpto'toù. Ora Paolo parafrasa questa prima formula in modo da escludere che essa possa significare «la fede (o fedeltà) di Gesù Cristo»46. Il Xpta't6v pri­ ma di 'I11aoùv, pur essendo testualmente discusso, potrebbe ritenere il suo valore titolare, consentendo la traduzione «nel messia Gesù». Segue, a questo punto, una finale con tva . La proposizione principale («abbiamo creduto in Cristo») è cosl motivata, da un lato, dall'eì&6'tec; e, dal­ l' altro, da questo «affinché»47. Gli appartenenti al giudaismo che sono diven­ tati cristiani sono stati convinti dalla predicazione dell'evangelo, e questa è avvenuta affinché fossero giustificati . La proposizione finale non dà uno sco­ po utilitaristico alla decisione di fede dei giudeo-cristiani, perché iva normal­ mente indica lo scopo che Dio (e non l'uomo) persegue (Bonnard, Mussner) . L' accento è sul verbo della giustificazione, più che sugli altri elementi della -

44 l>uNN 1983 , 36 s . ., Cosl KLEIN 1964, 1 3 1 (rist. 1969, 185). 46 nlotEU&lv con tlç e l'accus. non si trova nei LXX; in Paolo solo qui, in Rm 10,4 e in Fil 1 ,29. C'è chi ha voluto vedere un'analogia di costruzione con lla11t1o9ijva• tlç Xplot6v (Gal 3,27; Rm 6,3) e quindi un' allusione al battesimo (KIEFFER 1 982, 52; cfr. Schlier, che però non insiste sul parallelismo dei costrutti). R. Bultmann insiste invece sull'equivalenza di 11lottlltlV tlç con 11\0ttOtlV 6n ( . . . che Gesù è il messia; che Gesù è morto e risuscitato . . . ), e evidenzia il parallelismo con t11lOtptq�&tv h! o 11p6ç in l Ts 1 , 8 e 9 (BULTMANN 1956b, 221-222) [GLNT X, 462-466]) . Osservare il parallelismo fra giustificazione e battesimo, tuttavia, è superficiale, se non si osserva anche che per Paolo la giustificazione è una nozione primaria e ha una «tibergreifende Funktion» (HAHN 1 976b, 1 1 8). 47 BuLTMANN 1952, 41 s. Sull'importanza e il valore delle proposizioni finali nel N.T. cfr. STAUF­ FER 1938, 324-334, spec. 324-325 [GLNT IV, 1 0 1 1 - 1042, spec. 1 0 1 1 - 1 0 1 4] (ove al rigo ! leggi per rendere queste parole applicabili ai suoi lettori. Onde il commento di Bligh: «Essi avevano visto la crocifissione coi propri occhi». 5 ScHRENK 1933c, 7 7 1 [GLNT II, 680), che propone questa parafrasi: Ai quali è stato m.,sso di­ nanzi agli occhi, come un pubblico annuncio, Gesù Crocifisso. «Intesa cosl, la parola è una ulteriore con­ ferma dell'impostazione data da Paolo alla sua predicazione, ossia di un solenne annunzio in nome di Dio, paragonabile appunto a un editto». Solo H.-D. Betz sostiene che le analogie con la retorica ellenistica e romana facciano propendere per un riferimento alla descrizione per immagini.

1 90

LETTERA AI GALATI

Notiamo ancora, prima di passare al v. 2, che il participio To6Tou. Alla fine hanno aùToùç (al maschile, per concordare con «parole»). Non entro nella que­

stione di un' eventuale dipendenza di Paolo da un testo greco del Dt diverso da quello che conosciamo, tesi favorita da MICHEL 1929b, 7 5 . Cfr. anche il commento al v. 1 3 . ' H. Schlier, che rinvia a R m 2,27.29; 2 Cor 3 , 6 s. 4 Si può osservare che formule simili si trovano in Dt 28,58 (Tll 'YEYPUIJIJt\oU tv Téil fi.PJ..(q> To�np) e 30, 10 (Tilç 'YEYPUIJIJtvaç tv Ti!> Jl.PI..lcp TOU v61'01J TOUTou), e il loro trasferimento al passo citato può essere stato involontario, come puro fatto mnemonico - forse anche suggerito dal ytypmtTaL dei vv. 10 e 13 (WILCKENS 1 982, 166, e n. 30). ' Lietzman11., Burton, Oepke, Vanrù, Borse; BRlNG 1 966a, 22; WILCKENS 1982, 166; HOBNER 1978, 20 e n. 12a. E la cosiddetta «interpretazione quantitativa» delle opere della legge (P.E. SANDERS 1983, 17).

• Girolamo osserva: «lncertum habemus utrum LXX interpretes addiderunt "omrùs homo" et "in omnibus", an in veteri hebraico ita fuerint, et postea aJudaeis deletum sit . . . ». Girolamo avanza quest'ipo­ tesi per due motivi: perché ha trovato il kol anche nel Pentateuco Samaritano e perché «Apostolus vir Hebraeae peritiae et in lege doctissimus, numquam protulisset nisi in Hebraeis voluminibus haberet».

204

LETTERA AI GALATI

scetticismo sulla possibilità dell'ubbidienza viene dalla cristologia7. Per San­ ders, l'enfasi polemica del passo citato non sta sul 1tàcnv, ossia sulla possibili­ tà di adempiere quantitativamente la legge, ma sulla natura stessa della via della legge, contrapposta alle testimonianze bibliche sulla via della fede. Pao­ lo ricorre a Dt 27 ,26 non perché contiene (in greco) il 1tàiÀ.m auv&i.96vt&ç ÈI;TJ'Y6paaav Kal È!;,antot&ti.av Ei.ç tflv 'HUa5a ( 1 5 ,5 ) . L'immagine dell'acquisto o riscatto21 ha dunque come sfondo il normale mercato degli schiavi e il caso 2 1 Cfr. l'articolo di BiiCHSEL 1933a, 126 [GLNT l, 339]

e

di PAx 1 962, 248-250.

208

LETTERA A I GALATI

dell'emancipazione, cioè di un acquisto reale finalizzato non a servirsi dello schiavo acquistato, ma a rimetterlo in libertà (come nell'esempio citato so­ pra) . A. Deissmann vedeva l'analogia piuttosto nella prassi della «manumis­ sione sacra», cioè l' acquisto fittizio dello schiavo da parte di una divinità, per esempio al santuario di Delfi o in altri famosi centri di devozione pagana. Questa possibile derivazione è contestata da W. Elert: si tratterebbe invece del ri­ scatto dei prigionieri di guerra, caduti in mano ai nemici e impiegati nei lavo­ ri forzati. Praticamente essi venivano riscattati e reintegrati nella loro condi­ zione di uomini liberi e nei loro diritti civili22• Questi paralleli possono essere interessanti dal punto di vista linguisti­ co. In realtà, nessuno dei passi in cui Paolo usa il verbo É�ayopciçew (Gal 3 , 13 ; 4,5)23 e nessuno dei passi con il verbo semplice ( l Cor 6,20 e 7,23) entra in particolari sulle modalità dell' acquisto o del riscatto, non dice in che cosa sia consistito il pagamento24, né a chi sia stato pagato25. Sembra che all' aposto­ lo interessi soprattutto il fatto del riscatto, cioè della fine della dipendenza dal «padrone» di prima. < Ap 5, 9 dice �col suo sangue». " MARSHALL 1974, 156, nota: «C'è il problema di chi abbia ricevuto il pagamento, e non ci può essere dubbio che è Dio, semmai, a ricevere il riscatto». Tuttavia DuNN 1974, pur mettendosi nello schie­ ramento conservatore di Marshall e di Morris, contesta queste conclusioni affermando che è difficile so­ stenere che «Dio ha dato Gesù come mezzo per propiziare Dio» (p. 138). Mussner si chiede: forse il riscat­ to è pagato al «carceriere» che è la legge (v. 23)? 1 26 MoRRis 1955, 59. Morna D. Hooker vede anche qui lo schema di intercambio proposto da Paolo in vari passi (2 Cor 5,21; 8,9; l Ts 5 , 1 0 e, in forma meno pregnante, Rm 5 , 12-19; 8, 1-4, e altrove) (HOOKER 197 1 , e HOOKER 1977-78). Alla fine dell'articolo del 1977-78, la Hooker nota come Paolo si diffonda sulla necessità della redenzione (per es. Rm 1-3 , 1 9) e sulle sue conseguenze, ma sia invece molto parco di parole sul come si è realizzata (Rm 3,21-31). La sua intenzione è pastorale, non sistematica o filosofica. Cfr. anche ScHWARTZ D.R . 1983, 260: Paolo non spiega in che modo la morte di Gesù liberò i giudei dall a loro maledizione.

209

GAL 3, 10- 14

C'è un certo parallelismo tra questo passo e 2 Cor 5 ,2 1 . Anche lì è det­ to di Cristo, che Dio lo fece ll7tÈP lÌJ.LWV UJ.LapT(av. n verbo è diverso, ma c'è il medesimo Ò7t&p tiJ.L&v e poi un sostantivo dove ci aspetteremmo un aggettivo27. Nei due passi si ha l'impressione che Paolo rifugga dal dire esplicita­ mente che Cristo è diventato «maledetto» o è stato fatto «peccatore», e che per questo motivo usi gli astratti «maledizione» e «peccato». In questo modo cerca di rendere l'idea che Cristo si identifica con il peccato e la maledizione che affliggono e distruggono l'esistenza dell'uomo, per annientare la loro po­ tenza negativa. La costruzione della frase è fatta con molta cura, anche dal punto di vista formale: ciascuna delle due parti del v. 13 è centrata sul V yàp O eeòç poo­ ptro nel v. precedente), lasciando cadere l'eventuale aspetto didattico e quello disciplinare. Cfr. GoRDON 1989.

GAL 3 , 19-24

233

Le ultime parole del v. 24 non fanno che schiudere la pienezza del signi­ ficato implicito in &ìç Xptot6v. In lui, e non nella legge, vi è salvezza, vi è creazione di un corretto rapporto con Dio, fondato non sulle realizzazioni del­ l'operosità umana che cerca di salvarsi, ma sull'accettazione della promessa di salvezza che si è fatta realtà proprio in Cristo . A questo punto, potremmo domandarci se includere il v. 25 nella sezio­ ne esaminata sinora, o considerarlo come il primo della sezione conclusiva del c. 3 . A favore di quest'ultima ipotesi c'è lo stacco dal v. 24 con un M, mentre tra i vv. 25 e 26 lo stacco è più debole, anzi non c'è, perché il v. 26 è la spie­ gazione del v. 24 (yap)4'. Per il collegamento del v. 25 ai versetti precedenti si può citare l'uso di 7tat&ayroy6ç . Il primo argomento mi sembra più forte di quest'ultimo, perciò considero chiusa la sezione in cui Paolo ha affrontato il tema «Perché la legge?» (v. 19) e passo alla successiva iniziando dal v. 2 5 .

°

Cfr. l a punteggiatura delle traduzioni bibliche RSV e Riv.

1 5 . La vera progenie di Abramo sono quelli che appartengono a Cristo: in lui si ricostituisce la famiglia di Abramo (3 ,25-29)

Bibliografra BETZ H.-D. 1974b; BoUTI1ER 1976; BULTMANN 1985; CULLMANN 197 la; DErssMANN 19252; 0IETRICH 1939; GAYER 1976; HARNACK 1 906 ; KXsEMANN 1972a; LEIPOLDT 1953-54; McDo­ NALD 1987; NEUGEBAUER 196 1 ; PASTOR RAMOS 1977; PAULSEN 1980; SANDERS E.P. 1986; SA· RACINO 1980; ScHULZ S. 1973; ScHi.iSSLER FIORENZA 1983; ScHWEITZER 1930; ScROGGS 1972; SELWYN 1 946; STAUFFER 1935b; STENDAHL 1966; WrLCKENS 1964a. 25 Una volta giunta la fede, noi non siamo più sotto sorvegliante; 26 infat ti, siete tutti figli d i Dio 'in'1 Cristo Gesù 'med iante la• fede'2• 27 Infatti, quan­ ti foste battezzati in Cristo, vi siete vestiti di Cristo. 28 Non c'è giudeo né greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio e femmina: perché tutti voi siete unob 'in'3 Cristo Gesù. 29 E se voi siete di Cristo, allora siete discen­ denza di Abramo, eredi secondo (la) promessa. • J>46 P 2464 tralasciano l'articolo. b F G 3 3 leggono: �siete una cosa [numerale neutro] in Cristo Gesù,.; J>'6 A leggono: «siete di Cri­ sto»; S* legge: «siete in Cristo». Il testo con «siete uno» (al maschile) è quello di S2 B C D 'l' pm.

1 Altra possibile traduzione: 'per mezzo di'. 2 Oppure: 'perché avete creduto in lui' .

l

Oppure: 'per mezzo di'.

La sezione conclusiva del c. 3 di Gal descrive una situazione opposta a quella tratteggiata nei versetti precedenti: quella era una vita «sotto peda­ gogo», sotto la custodia di una legge che non era capace di produrre la vita. Questa di adesso è una vita segnata da Cristo e dall'appartenenza a lui, e Pao­ lo ne indica brevemente le caratteristiche. V. 2.5 Il versetto comincia con una personificazione del credere. 'E)..9o6all ç &è -rfiç 1t!an:coç vuoi dire sostanzialmente: da quando la vita uma­ -

na dei «figli di Abramo)> ha ricominciato ad avere come principio informatore la fede nelle promesse di Dio, e quindi non è più sotto il controllo della legge che evidenziava e addirittura chiamava in vita le trasgressioni (v. 19). L'ini­ zio della via della fede e la cessazione della funzione di vigilanza e coazione della legge coincidono. Alla legge di Mosè subentra la fede nel Cristo Gesù. Un pensiero analogo si trova in 2 C or 3 , 1 1 - 1 3 dove il ministero della legge è definito transitorio, caduco {'tò Ka-rapyoUJ.1&Vov) fin dal momento del suo inizio (Mosè) . Se in Rm appare più positiva la valutazione della legge, ciò va imputato alla diversa situazione dei destinatari e allo scopo parzialmente apo­ logetico che Paolo assegna a quella lettera. V. 26 Cessata la tutela sotto la legge, tutti sono ora a pieno titolo. Non sfugga il passaggio dalla prima persona plurale alla seconda: -

235

GAL 3 ,25-29

la fede ha consentito anche ai galati (emblematicamente, per tutti i gentili) di diventare anch'essi figli di Abramo otà 'ti'j ç 1tfcnewc; l . A queste parole se­ gue tv Xpta'tcp 'IT]aou . Le traduzioni bibliche collegano spesso le due espres­ sioni: mediante la fede in Cristo Gesù2. Ma i commentatori in genere fanno notare che gli esempi sicuri della costruzione 1tfanç tv . . . sono nelle lettere post-paoline (Ef 1 , 1 5 ; Col l , 4 ; l Tm 1 , 14; 3 , 1 3 ; 2 Tm 1 , 1 3 ; 3 , 1 5 ; 2 Pt 1 , 1). Nelle lettere generalmente riconosciute abbiamo solo due passi molto discus­ si, che non bastano a stabilire che Paolo usasse questa costruzione: uno è il nostro passo, l'altro è Rm 3,25. Ma in Rm 3 ,25 è molto più probabile che tv 'tep aù'tou aiJ.ta'ti dipenda da ÌÀ.aa'tnptov e non da otà 'tijc; 1ticnewç. Mutatis mutandis si può forse dire lo stesso per il nostro passo3• E la venuta di Cri­ sto, il nuovo rapporto che si è creato con lui e per mezzo di lui con Dio, a fare dei membri delle comunità paoline dei figli di Dio. La fede è la via per la quale giungono al possesso di questa realtà, di questo nuovo rapporto; è l'atto col quale riconoscono che Dio li ha fatti figli suoi (Bonnard) . �tà 'ti'jc; 7t(a'teroç si legge in l Ts 3,7 (con ÙJ.1WV intercalato), Gal 3 , 14.26; Rm 3,25. 3 1 ; senza l'articolo in 2 C or 5, 7; con la precisazione 'IT]aou Xpta'tou in Rm 3,22; Gal 2, 16; Fil 3,9 (senza 'IT]aoù) . Può dunque essere considerata un'espressione caratteristica di Paolo. In Rm 3,25 si tratta probabilmente di un'inserzione paolina in una formula pre-paolina4• Se un fenomeno analogo fosse avvenuto in Gal, vorrebbe dire che Paolo chiarisce, attraverso il riferi­ mento alla fede, l'idea di adozione in Cristo (o grazie alla comunione con Cri­ sto). Ma che chiarimento vuoi portare? Una possibilità è che Paolo riprenda e prolunghi i pensieri esposti ai vv. 2 . 5 . 7 . 1 1 .22.24: arrivando alla fine di questo ragionamento sulla priorità del­ la fede nell'esperienza cristiana dei galati (vv. 1-5) e nell'esperienza di Abra­ mo (vv. 6-8 e 15-18) , Paolo vorrebbe sottolineare ancora una volta che i gala­ ti sono diventati figli di Dio per fede (sottinteso: non per le opere della legge) . Un'altra possibilità è che 1tfanç qui si riferisca solo al contesto imme­ diato (v. 2 3 : «prima che venisse la fede»; v. 2 5 : > (Sal 35 ,26) . Ci sono poi numerosi passi in cui i LXX usano Èvéoua&v per indicare che Io Spirito di Dio «investh> (CEI, PAOL) o «si impossessò di» (Riv.) una persona destinata a una missione speciale, come Gedeone (Gdc 6,34), o chiamata a dire una parola d'interpretazione della situazione (Amasai in l Cr 12, 18) . Ma più importanti sono i passi nei quali l' abito dà a chi lo indossa l'impronta del suo stato: Gn 4 1 ,42; Est 6,8. A un determinato «stato» corrisponde un deter­ minato abbigliamento9• Nel Siracide, la Sapienza indossa una veste di gloria della quale vuoi rivestire i suoi discepoli (6,29 ss.) . In Enoc et. : «i giusti ed eletti si eleveranno dalla terra . e indosseranno la veste della gloria . . . , veste . .

• WILCKENS 1 964a, 689 [GLNT XII, 1280]. Cfr. anche Gn 3 5 , 2 : al ripudio delle divinità stra­ niere si accompagna il cambiamento di abiti. In Lv 16,23 s. 32, si parla del cambiamento di vesti del som­ mo sacerdote. In Nm 20,26, Aronne muore dopo che i suoi paramenti sono stati t ras fe ri t i a Eleaz aro .

238

LETTERA A I GALATI

della vita presso il Signore degli spiriti>> (62 , 15 s.). Cfr. la veste bianca dei redenti in Ap 6, 1 1 ; 7,9. 1 3 s . Altrettanto interessanti sono i simboli del rivestimento nei riti d i ini­ ziazione dei culti misterici, anche se il loro uso per l'interpretazione del no­ stro passo è discutibile, nonostante certe analogie superficiali. Le sacerdotes­ se di Iside indossavano paramenti identici a quelli della divinità. Lo stesso si può dire dei sacerdoti di Anubi. Ma soprattutto quelli che si iniziavano al culto di Iside indossavano paramenti divini. Lucio, nell Asino d'oro di Apu­ leio, esce in pubblico consacrato da dodici vesti, che deve indossare una dopo l' altra, simbolo del passaggio mistico attraverso le dodici zone cosmiche, a cui Iside lo autorizza, e con una clamide preziosa sulle spalle, che scende fino ai piedi. Deve però sottoporsi a una nuova iniziazione a Roma, perché )u , o che Dio lo associa a Cristo, lo inserisce nella propria azione salvifica in Cristo14• Come dice M. Bouttier, «rivestire Cristo non significa lasciarsi av­ volgere da qualche potenza sovrannaturale e fondersi in essa, ma sapere che si è passati sotto la sua sovranità [ . ], introdotti in un'esistenza nuova, incor­ porati nel popolo messianico»15. Dopo le analisi di E. G. Selwyn16 sullo schema deponentesfinduentes nella l Pt e nei passi paralleli di altre epistole, si può pensare all'esistenza di una tradizione parenetica primitiva centrata su quei due verbi. Paolo potrebbe es­ sere debitore di questa tradizione, pur precisandone la natura e i limiti con l'inserzione di B1à 1tion:roç. Non accetterei la tesi di Schlier, che qui si tratta di un «rapporto antologico» con Cristo, «partecipazione all'essere di CristO>), perché tale tesi è basata su passi paralleli tratti da epistole contestate (Col, E f) o sulla «storia del concetto>) (interpretazioni patristiche) . Preferisco vede­ re l'immagine del «rivestire Cristo>) nella prospettiva della nuova relazione con Dio donata al credente grazie all'opera salvatrice di Cristo; il credente si presenta a Dio «ricoperto>) da colui che si è dato per lui: Cristo se ne fa garante, avalla il suo diritto ad accedere a Dio come figlio, non per meriti acquisiti attraverso l'ubbidienza alla legge, bensì per dono di grazia ricevuto mediante la fede. Dio vede il peccatore attraverso· Cristo17• Nel v. 27 Xpto-ròv &VEMoao9E è parallelo a Eiç Xpto-ròv &J3a7t-rio9r!-rE. Dopo il verbo Pa7t-rfç�:w si può trovare il dativo semplice (uBan, in Le 3 , 16; At 1 , 5 ; 1 1 , 16), il dativo con tv (generalmente per indicare l'elemento, ma an. .

12 Non è un parallelo significativo l'uso di tvlloo11a1 in Dionigi di Alicarnasso (Ant. Il, �2) nel senso di recitare una parte, indossare una maschera (tòv TapKOVIOV to e l

PASTOR RAMOS 1977, 86.

24 In Col 3 , 1 1 la coppia di opposti greco/giudeo è ribadita con una coppia di opposti sinonimi a questi: ntpiTOJ!l\/llKpofloot(a e poi ancora sviluppata retoricamente nell'ulteriore coppia 1\cipflo.poç/I:KilOTJç. Non è chiaro se questa sia una coppia di «opposti» come le precedenti o se si tratti di una progressione retorica che enfatizza la distinzione precedente aumentando sempre più la distanza delle popolazioni no­ minate rispetto ai giudei (greco-barbaro-scita). 2' GAIO, Instit. 1,9: «Et quidem summa divisio de jure personarum haec est, quod omnes homi­ nes aut liberi sunt aut servi».

244

LETIERA AI GALATI

In che senso si deve intendere la menzione del superamento di queste tre distinzioni in Gal 3,28? Per la prima coppia di opposti il criterio ermeneutico ci è fornito da 2 , 1 1-14. Lì Paolo sostiene che la fraternità in Cristo deve manifestarsi anche esteriormente, nella vita sociale della comunità (agapi fraterne} e non solo in dichiarazioni verbali disgiunte da comportamenti coerenti con le medesime. I consigli di tolleranza e rispetto per i più deboli che Paolo dà in l Cor 8, 7- 1 3 e R m 14, 13-23 non inficiano il principio dell'uguaglianza fra «giudei e greci», cioè fra credenti in Cristo appartenenti a queste due diverse aree . È istrutti­ vo l'elenco di fratelli e sorelle (alcuni dei quali sono anche collaboratori di Paolo) in Rm 16, nel quale si alternano nomi di origine ebraica e nomi greci senza discriminazione alcuna. Per la coppia schiavo/libero il discorso è in parte analogo: la condizione di servitù non fa problema per il credente. Rimane però aperto il problema se schiavo e libero siano sullo stesso piano per ciò che riguarda la religione26, o anche sul piano socio-politico. Nei casi concreti Paolo si esprime con molta prudenza: nella lettera a Filemone, pur affermando che Onesimo dev'essere per Filemone un fratello «e nella carne e nel Signore>> (v. 16), cioè sul piano umano e sul piano della fede, fa appello alla generosità e all'umanità del desti­ natario più che al principio di Gal 3 ,28; e in l Cor 7,2 1 , anche tenendo conto della possibilità di interpretare in modi diversi la conclusione del passo27, il contesto suggerisce l'idea che la condizione servile non fa problema per il cre­ dente. La terza coppia di opposti è in un certo senso la più problematica per­ ché mette in crisi l'interpretazione concreta delle altre due: è evidente che «in Cristo» l'uomo continua a rimanere uomo e la donna continua a rimanere donna. Paolo voleva soltanto dire che sono eliminati i pregiudizi e le disegua· glianze derivanti da una cultura patriarcale? Riportato alle altre due coppie di opposti, ciò implicherebbe che gli schiavi rimangono schiavi e i padroni padroni, purché abbiano fra loro un rapporto di stima e fraternità28; che i cri26 Cfr. il commento di A. Barnes riportato nell'e%crm11s a p. 249. Analog amente H. Olshausen ( 1 840) . Ancora Beyer-Althaus chiosano: « È davanti a Dio, nella chiesa, che non ci sono più divisioni». STAUFFER 1935b, 439 [GLNT III, 300] scrive: Nella chiesa, «le differenze tra ricchi e poveri, liberi e schiavi sono accettate, non eliminate [ _ _ _ ]_ La donna deve tacere nella comunità dei fedeli non perché sia poco dotata o troppo ciarliera, ma perché donna, l Cor 14,34 s. La sottomissione della donna all'uomo nori viene per così dire "superata" nella chiesa: viene piuttosto definitivamente stabilita». Stauffer non cita nemmeno l Cor 1 1 , 5 : «Ogni donna che prega o profetizza . . . >>; quanto agli schiavi IGNAZIO, Pol. 4,3 accenna alla possibilità di manumissione a spese della comunità, ammonendo gli schiavi a non diventare schiavi di quel desiderio, e raccomanda prudenza a Policarpo. Forse ammetteva il riscatto solo per iniziati­ va della comunità, come un dono? 27 L'uso dell'aoristo sarebbe più appropriato per un invito a prendere un'iniziativa, più che a per­ manere in uno stato. Harnack non pensava che quel passo fosse sufficiente per supporre che gli schiavi cristiani avessero più opportunità di manumissione degli altri (HARNACK 1906, 126, n. 3). 28 La chiesa creava un ambiente nel quale era irrilevante il fatto di essere schiavi (F.F. Bruce). L'osservazione che la non-modificabilità, sul piano biologico, del binomio uomo/donna implichi il perma­ nere anche delle altre due coppie può essere rovesciata prendendo come punto di partenza la prima coppia di opposti: la concretezza con cui Paolo si applica al superamento della barriera rituale e sociale fra giudei e gentili nella missione e nella vita della chiesa obbliga, per coerenza, a supporre che egli pensasse, in ter­ mini altrettanto concreti, a una possibilità di superamento non solo intimistico della seconda e terza cop­ pia di opposti. Mentre la posizione dei cristiani schiavi di padroni pagani era di difficile soluzione (a meno di ricorrere al riscatto), forse Paolo avrebbe messo in questione la legittimità che cristiani schiavi potesse-

GAL 3 ,25-29

245

stiani di origine ebraica e di origine pagana rimangono legati alle rispettive tradizioni culturali e sociali, con le lo!o agapi separate, purché non si critichi­ no e I:!On si disprezzino a vicenda. E solo questo che il testo voleva dire? E noto che vi sono, nel mondo gnostico, testi che accennano a una abolizione della: sessualità, per esempio il § 7 1 del vangelo gnostico di Filippo: Quanto Eva era in Adamo, non c'era la morte; ma quando essa fu separata da lui, venne la morte. Ma se essa ritorna a lui, ed egli la accoglie in sé, la mor­ te non sarà più29.

Anche il Vangelo di Tommaso va in questa direzione. Esso riporta un detto che è molto vicino a quelli riportati in 2 Clem. 12, e in Strom. III, 1 3 ,92 che Clemente Alessandrino attribuisce al Vangelo degli Egiziani. Mettiamo questi tre passi in forma sinottica, usando per il vangelo di T ommaso la traduzione greca proposta da R. Kasser. Vang. di Tommaso, 63-64 Rispondendo alla doman­ da: «Quando entreremo nel Regno?», Gesù disse:

2 Clemente, 12 Interrogato ... quando ver­ rebbe il suo Regno, il Si­ gnore disse:

WOtav JÌtt tà Mro fv, K al tò tl;ro Queste convenzioni sociali, a loro volta, erano la conseguenza di una valut112ione dd carattere della donna tale da far ricadere su di lei ogni e qualsiasi responsabilità in materia di seduzione; così si scaricavano su di lei le colpe dei maschi e l'incapacità educativa dei genitori. 16 Questo livello minimo di condivisione, da parte di Paolo, della linea espressa dal v. 2 8 mi sem· bra irrinunciabile. Si spingono anche più avanti STENDAHL 1 966, 33, e soprattutto ScHULZ S. 1973, 484 s. A suggerire prudenza nell'interpretare il pensiero di Paolo in campo di etica sociale e famigliare non de­ v'essere l'idea moderna di una separazione fra il «religioso» e il mondano, ma la sua relativizzazione del presente di fronte alla tensione escatologica (l C or 7!) rafforzata dagli eccessi degli «entusiasti». In questa situazione è ben possibile che Paolo, pur aderendo in linea di principio alla tesi di l Cor 3 ,28, ne abbia condiviso e accentuato soprattutto l'elemento teologico, menzionando il superamento dei contrasti sul piano storico-religioso, sociale e famigliare in funzione della speranza della nuova creazione che esso annunzia e anticipa, più che l'elemento rivoluzionario del sociale (nel qual caso l' annunzio o il presentimento della Katvli Ktlcnç nel corpo cristiano sarebbe stato funzionale all'esortazione a nuovi rapporti famigliari, sociali e storico-salvifici e non il contrario). In questa direzione {prevalenza delle accentuazioni teologiche rispet· to a quelle sociali) conclude PAULSEN 1980, 94-95 .

GAL 3 ,25-29

247

Una risposta diversa all'obiezione di insufficiente coerenza è quella del­ l'uso da parte di Paolo di una formula (battesimale?) del cristianesimo elleni­ stico o giudeo-ellenistico in 3 ,28 e nei passi paralleli di l Cor {e poi in Col) . Il fatto che Paolo abbia introdotto in questo testo preesistente (che potrebbe comprendere tutti i versetti che usano la seconda persona plurale, da 3,26) delle precisazioni tipicamente paoline, come il «mediante (la) fede» al v. 26, e, forse, tutto il v. 29; e che Io abbia ulteriormente interpretato negli altri passi in cui lo utilizza (specialmente in l Cor 7), può essere la prova che l' apo­ stolo si riconosce sl in quel testo, ma solo fino a un certo punto. Il testo pre­ paolino potrebbe rispecchiare I' esaltazione di ambienti entusiasti, come sem­ bra suggerire l' accostamento fatto da E. Kasemann che cita Gal 3,28 nel qua­ dro di una descrizione dell'entusiasmo a Corinto: Chi si sente cittadino del cielo, e sa di essere fisicamente ricolmo della potenza celeste, non può più dar peso alla terra. Tanto più se già prima aveva partecipa­ to ai culti orgiastici delle religioni misteriche e se - abituato nella sua esisten­ za proletaria al variare del caso e della sorte - era ben poco propenso all'ordi­ ne, già nel suo vecchio Adamo. Una traboccante vitalità religiosa travolge tut­ te le dighe e non s'arresta dinanzi ad alcun tabù borghese. Cosl compare all'o­ rizzonte, tra l'altro, il problema dell'emancipazione della donna e degli schia­ vi, sebbene non ancora nella versione moderna. Col battesimo prorompe il gri­ do di Gal 3 ,28: > che in Gal si situano alla fine dei rispettivi sviluppi: 4,7 e 4,28 (p. 393). Per giungere a queste conclusioni, Saracino deve minimizzare il contenuto rivoluzionariamente escatologico di 3 ,28, ed escludere che questa formula sia un segno di «escatologia realizzata» e di superamento delle differenze etniche, sociali, ecc. («elisione delle fondamentali polarizzazioni mondane nell'universo simbolico e fat­ tuale che è la chiesa») (p. 395 e note 3 5 . 36), attribuendo questi sviluppi esegetici alla volontà di attualizza­ re a rutti i costi (n. 36). La sua tesi è che le tre polarizzazioni siano semplicemente un artifizio reto ri co comune negli autori greci e usato anche non di rado da Paolo per esprimere l'idea di totalità o di moltepli­ cità (pp. 396-403), e che in questo caso esse anticipano l'dç che si oppone al noivttç ( 2 8b) . Queste osserva­ zioni esegetiche sulla struttura del pensiero dei vv . 26-28 e di tutto il brano 3 , 1 5 - 19 sono giuste e condivi­ sibili, però non chiariscono perché Paolo si sarebbe espresso con tre polarizzazioni passibili di un frainten­ dimento «entusiastico», riprendendole di nuovo in altri passi dove ne precisa criticamente il significato, se queste non fossero già state in circolazione nelle comurùtà. Cfr. HERMAN 1986, 45-48 e n. 1 1 9 . )8 GAYER 1976, 1 3 5 - 1 5 3 . ' 9 S i veda in proposito Kii.SEMANN 1972a, 77-92.

248

LETTERA AI GALATI

V. 29 Paolo conclude questa sezione ragionando nuovamente per mez­ zo di un periodo ipotetico. La premessa delle due conclusioni che egli propo­ ne ai suoi lettori è la loro appartenenza a Cristo: Ei l)� UJ.1Eiç Xpto'TOÙ. Lipsius, H.-D. Betz, Bruce connettono queste parole alle ultime del v. 28: «siete uno in Cristo GesÙ», quindi siete suoi. Ma è più logico collegarle al v. 2 7 : essendo stati battezzati in Cristo, avendo rivestito Cristo, essi gli appartengono. Questa certezza fa da premessa (protasi) a due conclusioni: la prim,a è che entrano di diritto e di fatto nella discendenza (c:mépJ.1a) di Abramo. E la conclusione che ci aspettavamo dopo il v . 25, ma Paolo l'ha ritardata fino a questo punto perché l' appartenenza alla famiglia di Abramo fosse fondata non solo sul cre­ dere, ma anche sull' appartenenza a Cristo. La seconda conclusione, implicita nella prima, è che, in quanto figli di Abramo, i cristiani di Galazia sono «eredi», non secondo la legge (ipotesi già scartata al v. 1 8), ma secondo la «promessa» - quella promessa che era stata fatta ad Abramo e alla sua progenie «che è Cristo» (v. 16). Ora, essendo in Cristo e di Cristo, la promessa si compie per loro . Essi sono giustificati per fede, come Abramo, indipendentemente dalla legge e dalle sue osservanze . Si chiude così un discorso iniziato in 3 , 6-7 (Paulsen) . -

Excursus: L'influenza di Gal 3 ,28

sulla riflessione ecumenica

Bibliografta CoNSEIL OECUMÉNIQUE DES EcusEs 1955; FEDE E CosTITUZIONE 1982; KAm.ER 1960; MANN 1 985b; MAllTYN 1985b; SARTORI (A C. DI) 1977.

KAsE­

Se si scorre la storia dell'esegesi di Gal 3,28 nel secolo scorso e anche nella prima metà di questo, non si può non rimanere colpiti dalla tenacia con cui i commentatori hanno cercato di escludere ogni responsabilità di Paolo per un'applicazione di questo versetto all'ambito sociale e politico, cioè alla concretezza della vita di tutti i giorni. Vorrei documentare quest'affermazione con due esempi. Il primo è una citazione dalle Notes on the New Testament, di Albert Barnes, che cito dall'e­ dizione inglese curata da Cumming (Routledge & Co. , London 1 849) : Tutti sono sullo stesso piano [ ]. Questo però non vuoi dire che tutte le di­ stinzioni civili fra gli uomini debbano essere trascurate, che non si debba ri­ spetto alle persone in autorità, o di rango elevato [ ]. Soltanto che tutti sono sullo stesso piano per ciò che riguarda la religione. Infatti non corrisponde alla realtà che gli uomini siano sullo stesso piano in ogni cosa, né che il vangelo abbia lo scopo di spezzare le distinzioni della società [ . ]. Non vedo in questo passo nessuna evidenza che la religione cristiana intenda abolire la schiavitù più di quanto il seguito (né uomo né donna) significhi che intende abolire la distinzione dei sessi [ . ]. Rispetto alla salvezza, i due sessi sono sullo stesso piano. Questo non significa, ovviamente, che debbano essere considerati uguali da ogni punto di vista, o che non possano avere particolari doveri o privilegi riguardo ad altre cose [ . ]. Non dimostra che i doveri del ministero debbano essere compiuti dal sesso femminile, né che i vari doveri sociali e della vita domestica dovrebbero essere svolti senza alcun riferimento alla distinzione dei sessi [ . ] . ...

. . .

. .

.

.

..

. .

I l secondo esempio è una citazione che Exell, nel Biblica/ Illustrator (ad loc. ) attribuisce a Trapp: Le anime non hanno sesso, e Cristo non ha riguardi personali. Lo schiavo pa� gava le didramme esattamente come l'uomo libero (Es 30).

Qui abbiamo da un lato una spiritualizzazione dell'ideale di libertà, che viene limitato all' anima, nel più completo disinteresse della condizione socia­ le dell'individuo, e dall'altra una dimostrazione di uguaglianza davanti a Dio non nei privilegi dati dalla libertà, ma nei doveri imposti dalla legge. Si potrebbe continuare con altri esempi del secolo scorso. Per questo secolo, H.-D. Betz offre una piccola selezione ad loc. , n. 68, osservando che molto spesso il commento fa dire al testo esattamente il contrario di quanto Paolo intendeva, restringendo l'applicazione della dichiarazione di Gal 3,28 al solo ambito religioso, anzi, a quello della salvezza individuale, con esclusio­ ne persino dell'ambito comunitario e dei ministeri.

250

LETTERA AI GALATI

In contrasto con questa tendenza piace citare anche commento di Giinther Dehn (Berlin 1934, 19382) :

un

paragrafo del

Non si può relativizzare il valore di queste parole dicendo che si tratta di «veri­ tà religiose» [ . . ] . Naturalmente in questo c'è qualcosa di vero. Sarebbe follia sostenere che nella realtà peccaminosa dell'esistenza queste differenze non hanno un posto; chi ha tentato di annullarle violentemente è stato «schwarmer», ha dimenticato che il Regno di Dio è ancora una realtà futura e ha ancora aumen­ tato la disgrazia degli uomini sostenendo che la liberazione completa era già venuta e possibile. Ma anche se una verità è verità religiosa, questo non vuol dire che sia una verità inefficace . Anzitutto la chiesa deve darne testimonian­ za. Certo anche la chiesa è un'entità terrena, che porta, anche se con sofferen­ za, una veste terrena; ma se non avesse dentro e sotto questa veste la potenza di vita del suo Signore, cesserebbe di essere chiesa. Se la chiesa non è co n t i ­ nuamente disturbata dalla sua invisibilità, vuoi dire che ha tradito il suo Signo­ re. Gal 3 ,28 deve perciò in qualche modo diventare realtà in essa. La chiesa antica lo ha fatto [. ]. Inoltre la chiesa deve chiamare il mondo, se non a di­ ventare cristiano (questo lo fa lo Spirito Santo) , almeno a riflettere. L'esisten­ za di un popolo di Dio che non è uguale al mondo deve avere un effetto distur­ bante e positivo per il mondo stesso. .

..

Un pensiero come quello formulato in Gal 3 ,28 (anche se Paolo lo aves­ se desunto da un testo o da uno slogan nato nelle comunità di convertiti, il suo uso ripetuto attesta che l'apostolo, con qualche riserva o rettifica, lo ha fatto suo) può avere benissimo uno spazio nel quadro del pensiero paolino, come conseguenza dell'incontro con il Cristo risorto. La risurrezione di Gesù è il segno che il tempo ultimo ha avuto inizio, che è sorta l'alba del giorno escatologico che fa saltare i vecchi schemi e i condizionamenti del passato: no . . . ), 3a (flllEV Vl11!10t) , 4 a (litE lit t'ìÀ9tv Tò nÀ\jpo>l'a TOù xpovou), 5a (unò v611ov), 5b (ulo9ta(av), ottiene una struttura «Concentrica» o speculare, che include tutta la sezione e che fa perno sulle inclusioni seguenti: KÀ�pov611o (MouLE 1957, 9 1 -92). 1 9 Varrebbe la pena di approfondire la questione se questi due punti non siano anche i due cen­ tri della parte «dottrinale» della lettera e se non ci sia un parallelo con il centro della parte «storico-biografica» in 1 , 15-16. 2° Cfr. ScHWEIZER 1966; KRAMER 1963, 108- 1 1 2 ; Luz 1968, 282 s.

GAL 4,1-7

261

le promesse messianiche usano un altro linguaggio, accennano all ' intronizza­ zione del Figlio, l'iniziativa è attribuita al Padre, l'ambito è il popolo d'Israe­ le non il mondo delle nazioni. Il linguaggio usato da Paolo e da Giovanni è più vicino a quello del giudaismo di lingua greca della diaspora, come lo cono­ sciamo da Filone e dagli scritti sapienziali21 . S e Paolo h a fatto uso di un linguaggio e forse di una formula protocri­ stiana, ne ha però spostato l' accento su un momento particolare: la croce . Nel nostro passo il riferimento alla croce è implicito in tçayopti!J;tv (cfr. 3 , 13), in Rm 8,3 in m:pl cliJ.O.pTfo.ç. La scelta di Paolo di introdurre il tema della salvezza compiuta dal Fi­ glio mediante la Sendungsformel ha avuto, non certo per caso, due conseguen­ ze importanti: da un lato viene attribuita a Dio l'iniziativa della salvezza22, dall'altro viene accennata, sia pure implicitamente, l'idea di preesistenza. Tut­ tavia questi punti rimangono marginali: quello che interessa a Paolo in questo passo è l'intervento divino che si è manifestato storicamente in un momento preciso, {m; TjA.6Ev TÒ 7tA.-rlproJJ.O. Tou xp6vou. Il verbo all' aoristo indica anche qui un momento specifico, puntuale, e contrasta efficacemente con gli imper­ fetti del v. 3 che descrivevano la condizione duratura dell'asservimento. In 7tA.-rlproJJ.O. TOU xp6vou, 7tA.l'ipro1J.o. ha un senso che non è quello mate­ riale dell'oggetto che riempie un vuoto o che si distingue dal vuoto (Mc 6,43; 8,20; 2,2 1 ) . Non è neppure la totalità (Rm 1 1 ,25) o l'abbondanza (Rm 15,29) . Siamo più vicini ai testi che parlano di compimento o adempimento totale, come Rm 1 3 , 10: 1tAll P(i) IJ.0. V61J.OU ti ayti1tTJ. Se ne distingue però in questo: che il tempo, nel nostro passo, non è il soggetto attivo o agente (come in Rm 1 3 , 10 l'ayti1tll è ciò che adempie compiutamente l'intenzione della legge) : non c'è qui l'idea che il tempo si sviluppa, si matura in modo simile allo sviluppo dell'adolescente che diventa donna o uomo. C'è un'analogia con la 7tpo6Ea1J.(O. menzionata al v. 2 : è il padre che determina il momento in cui l'erede potrà godere dei suoi diritti e dei suoi beni, non è la sua maturazione fisica o intel­ lettuale a determinarlo. Così qui il tempo non raggiunge autonomamente la pienezza, m.!l è oggetto di un'iniziativa che incide sul suo trascorrere e marca una svolta. E la decisione di Dio che stabilisce quando sia il momento oppor­ tuno per la venuta del Cristo, e in questo consiste il 7tA.1'j pro1J.O. Tou xp6vou. Paolo avrebbe potuto usare la forma verbale (nE è1tATJ pffi6TJ ò xp6voç23, così la forma passiva avrebbe implicato e suggerito l'azione di Dio e avrebbe con­ sentito di evitare il sostantivo 7tA.1'jpro1J.O. con tutte le assonanze filosofico­ gnostiche che lo appesantiscono . Ma anzitutto Paolo non poteva prevedere la storia futura del termine . Poi può darsi che abbia voluto usare di proposito il verbo EPXEa6at che nei cc . 3-4 di Gal è usato esclusivamente per fatti pieni di significato nei rapporti fra Dio e gli uomini: 3 , 1 9 fino a che fosse venuta la discendenza . . . 3 ,23

M a prima che venisse l a fede . . .

21 Cfr. ScHWEIZER 1 96 8 , 122 s. 22 Per la coesistenza dei due modi di vedere la salvezza in prospettiva teologica e la prospettiva cristologica, cfr. CoNZELMANN 1972, 256, che cita emblematicamente 2 Cor 5 , 2 1 e 8,9 (due passi conte­ nuti ora nella stessa epistola) che rappresentano i due punti di vista. 23 DEl.LlNG 1 9 5 9 , 303 [GLNT X, 694].

262

LETTERA AI GALATI

3,25 Una volta giunta la fede. . . 4,4 Ma quando giunse l a pienezza del tempo . . .

L a scelta d i questa forma leggermente retorica mette dunque l'afferma­ zione di 4,4a in linea con le altre ora ricordate, accentuando il significato di «svolta» che Paolo vede in quel momento particolare in cui Dio mandò il Fi­ glio suo24 • Se l'invio del Figlio fu il risultato di un'iniziativa di Dio stesso, non stu­ pirà che Paolo metta subito in risalto che la sua venuta fu diversa da come gli uomini avrebbero potuto immaginarla o desiderarla. 4bc caratterizzano que­ sta venuta con due apposizioni participiali: y&v6J,t&voç tK yuvatK6 ç y&v6J,t&voç imò v6J,tov.

Non c'è un vero parallelismo fra questi due incisi, nonostante l'uso del medesimo participio: infatti la prima volta esso è qualificato dalla preposizio­ ne &K, la seconda dalla preposizione Ù7t6. Siccome il verbo yi(y)vo�a\ ha, di per sé, un significato molto generico, è sempre la costruzione in cui si trova a definirlo con più precisione . Nel primo caso la &K lo orienta verso il signifi­ cato JJ.an &v9pmov ysv6JJ.svoç) . L' analogia vale anche sul piano sociale e religioso, perché Paolo aggiunge ysv6JJ.&voç ù1tò v61.t0v26• L'assenza di articolo non è motivo sufficiente per interpretare v6�oç in senso qualitati­ vo: si tratta sempre della stessa legge di 3, 1 3 . 19.23 e di 4,5, ossia della legge giudaica. Per Mussner si potrebbe parafrasare: tA.(aç. L'appello all'amicizia o al comune sentire aveva un valore limitato, specialmente se era puramente retorico, però faceva parte del genere letterario, serviva ad allentare la tensione e permetteva di ripren�ere l' argomentazione più profonda con nuove bordate logiche o polemiche. E un po' quanto accade qui, perché dopo la sezione di reminiscenze personali ri­ tornerà l'argomento esegetico con il brano su Agar e Sara. Nonostante il minor rigore logico del brano in esame, si può tuttavia tentare di mettere in luce una struttura. Ebeling divide la sezione in tre parti con un'introduzione: 12 13- 1 5 16- 1 7 1 8-20

introduzione ricordo del passato il triste presente uno sguardo al futuro

Tuttavia mi sembra preferibile l'ipotesi che Paolo applichi ai suoi rap­ porti con i cristiani di Galazia lo schema allora/adesso della sezione preceden­ te {vv. 8- 1 1) . Nella prima metà del brano i verbi sono all'aoristo: 1)litK1'joa't't,

EÒTJ'Y'YEAlO. Questa frontiera tra il prima e il dopo corrisponde alla «grande svolta» delle due sezioni precedenti, costituite dall' invio del Figlio {v. 4) e dall ' inizio della relazione personale fra Dio e i galati {v. 9a: conoscere/essere conosciuti) me­ diante la predicazione dell'evangelo . Al prima, appartengono le sofferenze di Paolo che suscitarono la premurosa accoglienza dei galati. Adesso, c'è la pre­ murosa attenzione {ironica!) dei predicatori dell'altro evangelo nei riguardi dei galati e viceversa, e questo è causa di una nuova, diversa sofferenza per Paolo. La scelta del verbo çTJMW richiama alla mente la struttura tipica dei drammi della gelosia con il loro tradizionale triangolo {Paolo - i galati - gli avversari)4• V. 12 - Questo versetto anticipa l'appello che dovrebbe essere la con­ clusione del contrasto fra il «prima» e il ç non designa soltanto un'equivalenza o un'analogia effettive. Questo è il caso di l Cor 3,10: «Come esperto architetto, io ho posto il fondamentO>). Con questa analogia, Paolo accetta di identificarsi con la tecnica dell'architetto. Oppure di l Pt 2,2: «Come bambini pur ora nati, appetite il puro latte spirituale»: dal momento che spi­ ritualmente, attraverso il battesimo, siete nati alla comunione con Cristo e con il popolo di Dio . . . Ma a volte ci>ç fa riferimento ad analogie che sono tali solo nell'opinione dell'interlocutore, o del volgo (l Cor 4, 7: « . . . Perché ti van­ ti come se tu non l'avessi ricevuto?», cioè come se fosse una tua qualità inna­ ta o acquisita con i tuoi sforzi - come tu pensi, ma non è cosl!). Altre volte, ci>ç introduce un' analogia che non ha nessun fondamento: Quando mi vanto, parlo «come se fossi pazza>) (2 Cor 1 1 , 1 7 ) . 7 I n Rm 6,16 il aut con l'accu sativo s i configura come u n complemento d i circostanza concomi· tante. Nel nostro passo non può avere quel valore, ma dev'essere preso, secondo BLAss·DEBRUNNER, § 222,2, come indicazione di causa. 8 In 2 Cor 12,7 Paolo allude probabilmente alla sua malattia quando parla di >.

314

LETTERA Al GALATI

t ava ad insistere sul «mangiare assieme» (2, 12) una forma visibile dell' ac­ cogliersi gli uni gli altri che raccomanderà in Rm 15,7- di fronte all'impor­ tanza attribuita alla circoncisione e al suo valore simbolico da parte degli agit­ tori in Galazia, Paolo si vede costretto ad assumere una posizione radicale, da status confessionis, e a mettere i credenti davanti all'alternativa: o l'evan­ gelo della salvezza per grazia (che implica la sufficienza della persona e dell'o­ pera di Cristo per la salvezza) o le osservanze della legge. -

Vv. 2-.3 Le due prime premesse, quelle dei vv. 2 e 3, riguardano la circoncisione e hanno tutte e due il verbo al presente (un congiuntivo e un participio). Se Paolo avesse usato al v. 2 un aoristo, si sarebbe riferito all'atto concreto di una circoncisione effettuata su un cristiano galata. Invece usa il presente per indicare la durata, la continuità dell'atteggiamento favorevole alla circoncisione: Paolo parla a tutti quelli che dovessero essere favorevoli a quella pratica o farsene promotori nelle comunità (periodo ipotetico dell'e­ ventualità) . E al v. 3 non usa un participio perfetto perché non intende rife­ rirsi a quelli che già portano il segno della circoncisione (come lo portano tut­ ti i giudeo-cristiani ed egli stesso), ma a quelli c�e da ora in avanti se ne fanno adepti pur essendo convertiti dal paganesimo. E a questo tipo, a questa cate­ goria di cristiani che Paolo si riferisce (nonostante l'apparente portata uni­ versale di 3a: 1tavT\ àv9p&IÀtnJç indica il debitore (di denaro, in affari), ma anche chi è tenuto a una prestazione, ha l'obbligo o l'impegno di renderla (è il nostro caso). Infine può anche indicare chi è responsabile di una trasgressione, un'offesa o altra colpa (i «debitori» del Padre Nostro), cfr. BAUER, s.v., e HAUCK 1954.

3 15

GAL 5, 1-12

La conseguenza indicata al v. 3 (l'obbligo di osservare tutta la legge, senza eccezioni) non ha un' attestazione unanime nel giudaismo. Sifra Lev. 3 3 ,9 1 a afferma: ttl.ttlOU't'ttt . . . ày0.7t�aEtc; tòv 1tATIOiov aou . . . ) 17. Poiché questa è la prima volta in Gal che Paolo menziona il v611oc; in senso non ostile (Mussner) , si pensa qualche volta che lo abbia fatto per ri­ guardo verso i galati frastornati da un insegnamento concorrente col suo. Ma è molto improbabile che Paolo abbia messo la vita cristiana (riassunta nell'a­ more e nel servizio) sullo stesso piano della legge predicata dai suoi avversari : è più logico pensare che ne abbia parlato come parte o risultato della vocazio­ ne alla libertà, e come frutto dello Spirito . E chi è condotto o determinato dallo Spirito non è più sotto legge (v. 1 8 ) . L' amore del prossimo è veramente tale solo quando si realizza nella libertà e nel disinteresse . Se è vissuto solo «per dovere», non è più amore ma legalismo. E se ha un fine interessato, non è più amore ma egoismo. Liberato da questi due scogli, quello dell'osservanza legalistica e quello del fine interessato, il credente può vivere l'amore del pros­ simo nella libertà della riconoscenza per il Signore e nella dedicazione a lui di tutta la sua esistenza. Il prossimo non sarà più un mezzo per qualificarsi agli occhi di Dio, ma sarà amato per se stesso, come persona che Dio ama e per la quale Cristo è morto (Rm 1 3 , 15). Amando così il prossimo, il creden­ te, nell'esercizio della libertà cristiana, adempie tutta la legge nella sua inten­ zione profonda (Maurer). In questo senso si può far tesoro anche di un ele­ mento positivo del significato di 1tATIPOÙV che abbiamo scartato sopra: effet­ tivamente il comandamento dell'amore è anche il culmine e l'essenza della volontà di Dio espressa attraverso la legge. Questi due sensi dell' amore «com­ pimento della legge» sono strettamente apparentati; infatti Paolo li usa en­ trambi in Rm 1 3 , menzionando il primo al v. 8 (7tE7tl.l'j pro KEv) e il secondo ai VV. 9 (àVO.KEq>O.AO.lOU't'O.t) e 10 (7tl.l'jp(t)IJ.O. 't'OÙ V6 1J. OU iJ àyci1t11) . È invece da escludere l'ipotesi che Paolo, nell 'esprimersi a quel modo, volesse dire implicitamente che l' amore del prossimo, al quale ripetutamente esorta i suoi lettori negli ultimi due capitoli della lettera, debba sgorgare dal­ l'osservanza della legge, e che l'esortazione all'amore discenda direttamente dall a sottomissione alla stessa. Ciò che opera nell' àyci7tTJ non è la legge ma la fede (5 ,6) . Nei vv . 1 6- 1 8 il cammino etico del cristiano è descritto come un lasciarsi dominare e orientare dallo Spirito, e con la precisazione che ciò è opposto all 'essere sotto la legge. Paolo si limita a dire che la legge non ha null a da obiettare e non può essere invocata da nessuno contro chi cammina grazie all'orientamento e alla forza dello Spirito e ne porta il frutto (5 ,23). L'etica di Paolo non è un'etica di sottomissione alla legge (anche se spesso i comportamenti del cristiano coincidono con norme etiche della legge mosai­ ca e soprattutto con il suo cardine che è l' amore di Dio e del prossimo), ma un'etica che discende dalla professione di fede in Cristo morto e risorto1s. 17 L'�ycin11 adempie la legge perché vi pone fine, scrive O. Wischmeyer. In questo senso è l'op­ posto della circoncisione, che impegna a una ulteriore osservanza dei comandamenti (WISCHMEYER 1 986, 185, n. 106). 18 Cfr. LiNDEMANN 1986, 264-265.

GAL 5,13-15

343

Ma perché Paolo ha concentrato l'etica della libertà, che è la vocazione del cristiano, nell'amore del prossimo, passando sotto silenzio l'amore per Dio che pure nella tradizione ebraica aveva un rilievo ancora maggiore? Cfr. Dt 6,4 s. e l'uso che ne fanno i vangeli sinottici in contesti diversi (Mc 1 2 ,28 s . e par . M t 22,36 s . ; L e 10,27)19. Calvino dedica molto spazio a questo pro­ blema, e conclude che l' amor fraterno è raccomandato non perché sia supe­ riore all'amore per Dio, ma perché ne è la prova; senza di esso l' amore per Dio è ipocrisia. Il Dio invisibile si presenta a noi nei fratelli, e ci chiede di dare a loro ciò che a lui è dovuto. Per Lagrange, Viard, Bonnard, l' amore per Dio è compreso nella concezione paolina della fede20. L'importanza dell' amo­ re del prossimo era comunque convinzione diffusa anche nel giudaismo: ri­ cordiamo la risposta data da Hillel a chi gli chiedeva di insegnargli tutta la legge mentre stava ritto su una gamba sola: «Non fare al tuo prossimo quello che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la legge, il resto è spiegazio­ ne»21. Esso però era distinto dall'amore per Dio che non poteva essere equi­ parato a nessun altro comandamento, essendone il presupposto e il fonda­ mento22. Come dice Agostino, «Chi può amare il prossimo, se non ama Dio?» (Jacono) . In Lv 1 9 , 1 8b sembra che si debba limitare il concetto di prossimo al connazionale, perché la frase è parallela a quella di 1 8a: «non serberai rancore contro i figliuoli del tuo popolo». Tanto è vero che Lv 1 9 , 3 4 deve esortare ad amare allo stesso modo anche il ger, il forestiero (Mussner) . Nella tradizio­ ne evangelica la parabola del samaritano estende il concetto di prossimo oltre ogni limitazione etnica e religiosa (Le 1 0,30-3 7), sicché almeno per Luca il comandamento di amare il prossimo, che viene subito prima (v. 27), doveva avere un'estensione supra-nazionale. Paolo non è categorico su questo punto: ai tessalonicesi raccomanda di abbondare nell' amore dç àUJ1>..ouç (probabil­ mente tra fratelli in fede) e dç 7ttivtaç (tutti gli umani, in generale: l Ts 3, 12) e in Gal 6 , 1 0 rovescia i termini dicendo prima 7tpòç 7ttivtaç ma aggiungendo: «soprattutto verso quelli della famiglia della fede». In Rm 1 3 , 8 - 1 0 non c'è alcuna limitazione, ma l'orizzonte è più marcatamente escatologico (cfr. i vv . 1 1 ss . ) . È in quest'orizzonte che si può capire l' importanza data da Paolo al comandamento dell'amore. L'àyti7t11 non è solo il centro e il culmine della legge (Rm 1 3 , 1 0) : è anche la via per eccellenza (l Cor 12,3 1 ) , ciò che non viene meno, anzi dura e supera persino la speranza e la fede (l Cor 1 3 , 8 . 1 3 )23. 19 Cfr. gli scritti di ScHRAGl! 1961 e 1982a; SPicQ 1966', FURNlSH 1972; PENNA 1985. Sul «Som­ mario della legge», nell'insegnamento di Gesù si può vedere, in italiano, BoRNKAMM G. 1970. '0 ]. Bligh ricorre alla supposizione che m'Ile parole «tutta la legge» del v. 14 sia sottinteso «della seconda tavola del decalogo», quindi senza pregiudizio di quanto è dovuto a Dio (la prima tavola) . " Shabbat 3 la, in BoNSIRVEN 1955, § 633. " Per questo K. Berger sostiene che l'associazione dei due precetti nel «Sommario della legge» sia una combinazione di elementi eterogenei (BERGER 1972, 64); però essi sono abbinati anche in scritti del giudaismo, come Test. Iss. 5,2: «Amate il Signore e il prossimo, e abbiate compassione del povero e del debole»; e in FILONE, De Spec. Leg. 2,63. " Nella chiesa primitiva si registra una certa limitazione dell'amore del prossimo insegnato da Gesù con tanta larghezza. Ciò può essere dovuto alla situazione sociologica di minoranza delle comunità cristiane, che portava a un certo isolamento dall'ambiente, e anche a un forte senso di solidarietà reciproca all ' interno.

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LETTERA AI GALATI

Il soggetto del v. 14 ha un' analogia apparente con il complemento og­ getto del v. 3 . Lì Paolo ricordava ai suoi lettori che chi si fa circoncidere è debitore di osservare tutta la legge, come una conseguenza deprecabile; qui invece l'idea dell'adempimento di tutta la legge attraverso l' amore del prossi­ mo è presentata come un traguardo positivo . A così breve distanza, la con­ traddizione di questi due passi dev'essere solo apparente , e non pochi tentati­ vi sono stati fatti per spiegare che cosa Paolo intendeva dire senza essere in­ coerente. Così Viard ricorda che il termine poteva essere usato in modi diversi, ora per precetti che riguardavano solo il popolo giudaico (per farne un popolo separato dagli altri) , ora per norme morali valide per tutti gli uomi­ ni, che avrebbero il loro culmine nella legge della carità. A questa e altre in­ terpretazioni simili24 si può obiettare che Paolo non propugna solo la libertà dalla legge cerimoniale, che è la più facile da osservare. La legge che è maledi­ zione, perché nessuno riesce a praticarla fino in fondo, è proprio la legge morale25. E infatti Paolo ha praticato una grande libertà non solo nei con­ fronti della legge cerimoniale, ma anche in campo etico: matrimonio e celiba­ to, divorzio, poligamia (cfr. Dt 2 1 , 1 5 ) , ecc.26. Bisogna piuttosto badare alla diversa costruzione delle due frasi: al v. 3 l'>À.ov tòv V61J.OV significa la somtpa di tutti i singoli precetti della legge; invece al v. 14 ò nciç v611oç indica la legge come un tutto, lo spirito e l'intenzione della legge27. La posizione at­ tributiva di nciç (tra I' articolo e il nome; eccezionale in Paolo) accentua anco­ ra l'idea di totalità in prospettiva unitaria (Oepke) . La legge è adempiuta glo­ balmente - non quantitativamente nei suoi singoli precetti - quando si è adempiuta la singola parola (Èv Èvl Mycp) dell' amor del prossimo . Questo dar rilievo a un comandamento ha dei paralleli nel giudaismo rabbinico, dove si indica a volte la carità verso i poveri (B.B. 10a, Textes rab­ biniques, § 1 8 0 2 ) , l' assenza di malizia nell' interpretare la condotta del prossi­ mo (B. Shabbat 27b, Text. rab. , § 689), l'onestà (Mechilta Ex. 15 ,26, Text. rab. , § 1 0 5 ) , il rispetto del sabato (Mech. Ex. 16,25 , Text. rab. , § 1 10)28. Qui Pao­ lo sceglie come «unica parola» il comandamento dell'amor del prossimo. Nel contesto del Levitico esso sta in parallelismo antitetico con la pratica della vendetta e con il sentimento di rancore. Questo contrasto suggerisce che I' a­ more del prossimo dovrebbe consistere in un atteggiamento di benevolenza29, di misericordia, forse anche di perdono. Ma il significato dato da Lv 1 8 , 1 9 >< HAUFE 1966, suggerisce che Paolo possa aver usato v611o� per indicare ora la legge cultuale e cerimoniale (a cui si oppone) ora la «legge di Cristo» (cioè quella dell'amore e del servizio reciproco) che raccomanda ai galati. H. Raisanen insiste sulla distinzione tra l'aspetto cultuale e l'aspetto etico della legge (RAISANEN 1983 , 25-28). 20 BULTMANN 1977a, 247-262. 26 ScHRAGE 196 1 , 237. 21 J. Bligh (Galatians in Gn.'ek . . . ) ; HiiBNER 1975 e 1978, 37-39. La distinzione però è respinta come artificiosa da BARCLAY 1988, 1 3 7, che alle pp. 140 s. invece vede la differenza fra il v. 3 e il v. 14 nell'uso di due verbi diversi: al v . 3 il verbo noLElv (la legge vista come obbligo di poveç K.T.À.. - àKoì..O. a-rouç, àvataKov-rouç, àofKouç, ào&!J.vouç, ÒÀ.ty6q>povaç K.-r. ì.. . )3. Nel libro della Sapienza ( 14,2 1-29) abbia­ mo una descrizione delle colpe degli uomini che in parte segue il modello ebraico (azioni peccaminose, vv. 2 1-24 e 28-29: chiamarono dio la pietra o il legno, si buttarono a una vita turbolenta, chiamarono pace il disordine, celebrarono sacrifizi umani, misteri clandestini, orge, non praticano la purezza, uccidono, si oltraggiano coi loro adulteri, dànno in insania, mentiscono, spergiurano) , ma contiene anche un elenco di vizi in forma nominale ai vv. 25 s . (aitJ.a Kal q>96voç, KÀ.01t-n Kal 06À.Oç, q>9op6., à1ttOT(a , T6.paKoç, èmOpK(a, 96pu�oç àyae&v, x,O.pt-roç àtJ.Vll Ofa, 'lfux.&v IJ.laOtJ.6!afMyoç. Inoltre oap� ha un carattere più marcatamente ostile (BRANDENBURGER 1968, 186 e 180). 4 C fr . anche Sap 8, 7 (elenca le quattro virtù cardinali) . 5 Cfr. WIBBING 1959, 29 s. 6 ViiGTI.E 1 9}6, 57. Sui documenti catalogici non-letterari: 84-9 1 .

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LETTERA AI GALATI

i cristiani di Corinto di tollerare fra di loro una fornicazione tale che non si trova neppure fra i «gentili» ( l Cor 5 , 1}; e alla fine del catalogo di l Cor 6,9 s. commenta «e tali eravate alcuni»7. C'è dunque un rapporto esplicito tra la parenesi paolina e il disordine morale del paganesimo, tale da giustificare i paralleli con le esortazioni dei moralisti del mondo ambiente8 • Cataloghi di vizi e di virtù si trovano negli scritti della Stoà, nella dia­ triba, in testi panegirici (anche su iscrizioni}, nei trattati di retorica, nelle de­ scrizioni delle qualità cui deve tendere un capo e dei difetti che deve evitare, nell' insegnamento dei doveri dei vari ruoli (nella famiglia, nella società} , ecc. Vogtle , riconoscendo l'eredità della parenesi pre- ed ex tra-cristiana nei cata­ loghi paolini, esclude però che sia stata determinante: manca in Paolo lo sche­ ma classico delle quattro virtù cardinali; le voci comuni sono spesso presenti nei LXX ; molte «virtù» dei cataloghi del corpus pautinum sono estranee sia alla diatriba che allo stoicismo, o sono usate in senso diverso9. Certamente Paolo ha ripreso dall'ambiente in cui sono nate le sue comunità l' uso della parenesi catalogica, ma l' apporto dell' ambiente non supera quello di un con­ tributo e di una utilizzazione non determinante10• Un altro campo nel quale si sono cercate affinità con la parenesi catalo­ gica paolina è quello del giudaismo palestinese: W.D. Davies osserva che l' uso di una parenesi battesimale è comune ai rabbini e a Paolo 1 1 : per gli uni come per l'altro il convertito è una «nuova creatura» e come tale va istruito e messo in guardia. Ma, nell'ambito di questo discorso generale sulla parenesi, Davies non entra nell'analisi dei cataloghi e non porta paralleli rabbinici. Invece D . Daube vede u n possibile segnale di comune discendenza nell' uso del partici­ pio con valore imperativo come in Rm 12,9- 1 9 e in altre lettere non proto­ paoline e cattoliche, che potrebbe essere fatto risalire all'uso rabbinicol2. Strack-Billerbeck cita un elenco di 48 virtù in Aboth 6,5 . Il passo indica tutto ciò che è necessario per pervenire alla Torah (più di quanto sia necessa­ rio per pervenire al sacerdozio o al trono reale: per queste cariche bastano rispettivamente 24 e 20 doti}. Le prime 25 voci sono sostantivi, le altre sono verbi che descrivono come si comporta l' uomo della legge U . Negli anni successivi all'opera d i Davies è stato possibile estendere la ricerca e il confronto ai testi di Qumran. Nella Regola della setta troviamo dei «cataloghi» di virtù appena abbozzati in 1 , 5 e in 2,24; 5,4 ; 8,2; 10,25-26 7 Cfr. 0EPKE 1 92 0 , 22 s. 8 Bibliografia e lista di •cataloghi» in BERGER 1 984b, 1088- 1092. ' 'AydnYJ , &lp1\V1J, �aocpo9ui!lo., xap!i;l:o9al à1.1.1j1..> e limitato. L'etica cristiana, nella sua totali­ tà, li trascende, perché include una critica e un'alternativa alla morale tradi­ zionale22. Non si può tuttavia escludere che Paolo, pur seguendo una )27 . Più recentemente, E. Schweizer, nel suo libro sullo Spirito Santo, scrive: «Lo Spirito, la potenza di Dio che viene a noi come puro dono, diventa anche la norma secondo cui viviamo. Paolo considera un dono dello Spirito il fatto che noi possiamo imparare a distinguere in questioni concrete 24 SCHWEIZER 1979, 208; ScHRAGE 196 1 , 44 BuLTMANN 197 7a, 83 1 . 26 WEJSS J. 1 9 1 7 , 432-4 3 3 . 27 LiETZMANN 1 9 3 3 ' , 7 1 . n

S.

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LETTERA AI GALATI

quello che è giusto da quello che è sbagliato (l C or 7, 40) . Questo non è una nuova legge . Lo Spirito non ci porta mai, come dice Paolo, a metterei l'un l' altro una corda al collo>rls . Bultmann, generalizzando, sostiene che ogni eti­ ca che pretenda dare una risposta alla domanda: «Che debbo fare?», sottraen­ dola al singolo, fraintende l'esistenza umana in quanto rapporto fra l'io e il tu29. Altri studiosi di Paolo preferiscono lavorare sulla centralità dell'àya:JtTJ nelle sue lettere. Così V.P. Furnish riduce l' etica paolina al puro mandato del­ l' amore, anche dal punto di vista del discernimento della volontà di Dio per l'uomo, considerando lo Spirito più una forza per l' azione che una guida per la conoscenza e il discernimento. L' àyli:JtTJ è «la legge di Cristo» (6,2) e la vita nuova in Cristo consiste nell' abbondare in àya1tl] (l Ts 3, 12; 4, 10; Fil 1 , 9; 2 Cor 8, 7): in questa formula si riassume sia lo sguardo all'indietro, verso il dono d' amore grazie al quale il credente vive, sia lo sguardo in avanti, all'a­ more che il credente è chiamato a vivere3o. Radicalizzando in questo modo la centralità dell' àya:JtTJ (Furnish) ed an­ che impostando tutta la vita del cristiano sull'idea della guida offerta dallo Spirito (Weiss, Schweizer, ecc.), diventa difficile trovare una collocazione per i «Cataloghi» (presi in senso legalistico) nel pensiero di Paolo, tanto che H . C onzelmann può concludere: «E sbagliato mettere assieme i cataloghi d i vizi e virtù per ricavarne una descrizione dell'etica di Paolo. L'elemento cristiano non si trova in questi cataloghi : essi sono sostanzialmente tradizionali e pro­ prio per questo mostrano dove non sta la speciale caratteristica dell'etica cri­ stiana . . . ». Accanto al giudizio negativo, Conzelmann offre dunque anche una spiegazione della presenza di questa parenesi catalogica in Paolo: l' imprestito dal mondo ambienteH . Una soluzione diversa è proposta da W. Schrage: per lui, la necessità e la legittimità delle esortazioni specifiche nel campo della condotta sono mo­ tivate dalla vulnerabilità dell'uomo credente, che nonostante la rottura col passato è ancora esposto al pericolo di cadute e di apostasia (cfr. 5 , 1 7) . Egli conosce il posse non peccare ma non il non posse peccare. Questo fa parte del «vivere nella carne» (cfr. 2,20) e del «camminare per fede e non per visione» (2 Cor 5, 7). Perciò Paolo non si limita a una parenesi generica (per es. 1tVEUJ.1an xeplltU'tEi'te) , ma l' accompagna sempre con esortazioni concrete, e questo non solo scrivendo a cristiani di recente conversione (l Ts), ma anche quando scrive a comunità presso le quali aveva soggiornato a lungo ( l Cor)32• Che Paolo sia lontano dal legalismo, comunque, appare chiaro dai passi in cui propone solu­ zioni etiche alternative ( l Cor 6 , 1 ss. ; 7 , 1 ss.)33. La legittimità delle esortazioni etiche specifiche, nonostante il dono dello Spirito Santo e la posizione riservata all' àyaltl] nella vita del credente, po­ trebbe anche essere motivata dal desiderio di escludere un'interpretazione en21 ScHWEIZER

1 988, 93. 1977b, 252. Jo FuRNISH 1968, 235. H CONZELMANN 1972, 356 l2 ScHRAGE 196 1 , 32 SS. H ScHRAGE 1982b, 447.

29 BuLTMANN

S.

PARENESI CATALOGICA

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tusiastica, unilaterale del v. 1 8 . Di fronte alla tentazione delle comunità elle­ nistiche, influenzate dalle religioni misteriche, a considerare la vittoria di Cristo sulle potenze come una realtà già compiuta e presente nella storia e non solo in speranza (sia pure una speranza ancorata alla risurrezione di Gesù) , Paolo vuol ricordare che il credente e la comunità si manifestano come nuova crea­ tura o nuova creazione appunto attraverso l'obbedienza quotidiana nel con­ creto delle circostanze della loro esistenza in questo mondo, e cosl rendono testimonianza che Cristo è il Signore34 . Probabilmente Paolo è stato spinto su questa posizione polemica dagli eccessi spiritualistici di Corinto (e forse anche di altre comunità ellenistiche) ed egli la sostiene con fermezza, pur sen­ za rinunciare alla fiducia nella forza dello Spirito che dà vita nuova alla comu­ nità e ai credenti, cfr. l Ts 5 , 1 9 («non spegnete lo Spirito») e la stessa corri­ spondenza corinzia. Egli si muove sul filo di una dialettica che da un lato fa fiducia alla potenza dello Spirito e alla libertà che esso dona ai credenti (con­ tro ogni legalismo giudeo-cristiano radicale) , dall'altro vuole impedire allo spi­ ritualismo ellenistico di annullare la dimensione escatologica per sostenere il pieno possesso delle realtà ultime già ora, nella storia. Questa dialettica illu­ mina anche un passo difficile come quello di Gal 5 , 5 . Infine, non va dimenticato che i due cataloghi d i Gal 5 non s i presenta­ no come legge (quello che devi fare, quello che non devi fare) . Altri cataloghi hanno una forma parenetica più accentuata, per esempio quelli che invitano a deporre ira, collera, malignità, maldicenze (Col 3 ,8; cfr. Ef 4,22; Gc 1 ,2 1 ; E h 12, 1 ) e , i n positivo, a indossare misericordia, bontà, umiltà, mansuetudi­ ne, pazienza . . . (Col 3 , 12; cfr. Ef 4,24; 6, 1 1 ss . ; l Ts 5,8; Rm 1 3 , 12). Qui invece la forma è più descrittiva che parenetica35. Ma non allo stesso modo e con lo stesso fine per i due cataloghi. Il «catalogo dei vizi» mostra alla comunità in quale misura il mondo, l'eone presente, sia ancora presente nel suo seno (e ai singoli cristiani in che misura la a6.p� determini ancora la loro condotta) . Implicitamente, poi, quali siano le manifestazioni concrete dell'esistenza quotidiana che impediscono loro di essere identificati come la comunità escatologica del Signore. Il catalogo dei vizi ha dunque funzione di linea di demarcazione36. Il «catalogo delle virtÙ>>, all'opposto, è la descrizione di come possa e debba manifestarsi concretamente la signoria di Cristo nella vita dei credenti e della comunità, sotto la guida dello Spirito. Questo catalogo non è, come ho detto, da prendere in senso legalistico (lista delle «cose da fare») , bensl quale esemplificazione di come si possa rendere visibile a «quelli di fuori» ( l T s 4 , 12) di chi sono sudditi i membri della comunità cristiana, sotto quale signoria essi vivono la loro esistenza37. Se mancano i segni della fruttifica­ zione dello Spirito, vuoi dire che non si è in Cristo38• I due «cataloghi» non sono dunque da prendere come nuova e «the circumcision party», ci­ tando gli Atti di Pietro e Paolo (§ 63) in cui Simone dice dei due apostoli oùtot oi 7tf:pttf:I!V61!evot 7tavoupyof �:ìo1v. Analogamente Schlier rende il participio con «die Beschneidungsleute» (nella traduzione italiana: «quelli della circon­ cisione») . In questo caso il participio è considerato come causativo o acroni­ co, cioè non insiste sul quando sono (o sono stati) circoncisi, ma sul fatto che essi per principio si fanno circoncidere e che la loro posizione a favore di que­ sto rito dura nel presente9• Chi interpreta nel suo valore abituale il partici­ pio presente lo traduce «coloro che vengono circoncisi» o «coloro che si fanno circoncidere» (con Bauer) ed è costretto a identificare in loro non gli agitatori ma le loro vittime, che stanno cedendo alla propaganda: ma questo è incompa­ tibile con il seguito: «non osservano nemmeno loro la legge, ma vogliono che ve­ niate circoncisi per avere un [motivo di] vanto nella vostra carne». Le persone di cui si parla in 13b.c devono essere le stesse di cui si parla in 13a. Altre solu­ zioni del problema, come quella di postulare una chiesa galatica divisa in partiti, uno di chi si fa circoncidere ( 1 3a) senza peraltro osservare il resto della legge, l' altro di chi si oppone e che i primi vorrebbero costringere alla circoncisione per potersene vantare (13b.c) 1 0, sono troppo complicate e urtano contro la constatazione che Paolo non sembra scrivere ai galati come se fossero divisi in due partiti, né rivolgersi a quello dei cristiani che non hanno ancora cedu­ to. Come nota Schlier, nel contesto non è importante per Paolo che essi siano o no circoncisi (o quando lo siano stati) ma che siano per la circoncisione. L'altra difficoltà, cioè l ' accusa mossa a queste persone di non osser­ vare la legge, ha già avuto una spiegazione implicita: potrebbe significare che la propaganda per la circoncisione è fatta per opportunismo e non per devo­ zione alla legge . Tuttavia è anche possibile che si tratti di un riflesso della convinzione paolina che è impossibile, per gli umani, osservare la legge nella sua interezza: come Paolo ha spiegato in 2 , 16, l' accettazione dell'evangelo da 9

Cfr. in Bruce i riferimenti alle grammatiche che sostengono questa possibilità di interpretare

il participio presente. 1 ° Cfr. MUNCK 1954, 79-8 1 ; ScHOEPS 1959, 59.72; HIRSCH 1930. Lietzmann: erano etnico­ cristiani circoncisi, ma non esperti nella legge.

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parte dei giudeo-cristiani implicava la confessione di non potersi salvare at­ traverso il compimento della legge. Perciò - è la deduzione di Paolo - la propaganda dei (o di alcuni) giudeo-cristiani a favore della circoncisione deve avere altre motivazioni. V. 14 - Ai due versetti polemici che abbiamo esaminato ne seguono ora due che non sono meno polemici, però contrastano con i precedenti (cfr. il M iniziale: Buscemi) perché l' argomento non è più ciò che fanno gli avversari di Paolo (e le loro motivazioni), ma la convinzione che egli cerca di trasmette­ re ai suoi lettori: le uniche cose che contano non sono i riti esteriori, ma la croce di Cristo e la nuova creazione. Il contrasto con il contesto precedente risulta, oltre che dal Bt iniziale, anche da altre contrapposizioni dirette: 1 3 aòto( 1 3 tc au x� o(l)vt at 13 èv tij u�uépQ. oap1d

-

14 è�o( 14 Kau x iio9at 1 4 èv te'i> otauiJ4'1 tou Kup(ou fU.Lrov 'ITJOOU

Xpto'tOU

Queste ultime due contrapposizioni sono anche in forma chiastica: nel v. 13 abbiamo prima il complemento poi il verbo; nel v. 14 prima il verbo poi il complemento. Paolo oppone dunque alla propaganda degli agitatori iri primo luogo l'im­ portanza della croce di Cristo, indicandola come l'unico oggetto del suo «van­ tarsi». Questo è uno dei casi in cui Paolo ammette, per il cristiano , la possibi­ lità di vantarsi di qualcosa (cfr. supra, il commento a 6,4), ma solo perché il «vanto» perde la sua connotazione specifica di auto-glorificazione e diventa ringraziamento e dossologia. Infatti Paolo, con queste parole , esalta la croce di Cristo contro l'esaltazione che gli agitatori fanno della circoncisione . Non è un vanto di autosufficienza, anzi equivale a una confessione di dipendenza dalla grazia di Dio manifestata in Cristo e al massimo grado nella sua croce. Qui nella parola croce Paolo riassume tutta l' azione salvifica di Gesù . La scel­ ta di questa parola è certamente dovuta alla centralità che la croce ha nel pen­ siero di Paolo, ma non si può escludere anche la ricerca di un effetto retorico (un ossimoro, con Meyer e Sieffert) attraverso la giustapposizione del verbo «vantarsi» e del termine «croce», che faceva parte del linguaggio patibolare dell'epoca e che nessuna persona civile avrebbe voluto sentir pronunziare («no­ men ipsum crucis absit . . . a cogitatione, oculis, auribus») 1 1 • La croce di cui Paolo si «vanta» non è un patibolo qualsiasi, ma è quella su cui è morto «il nostro Signore Gesù Cristo». Il genitivo non è soggettivo, di proprietà, ma oggettivo : è la croce che lo ha straziato e ucciso. Il seguito del v. 14 è collegato alla prima parte con un relativo retto da l>ui: l>t' où. Il collegamento è problematico perché il genitivo où potrebbe ri11 CICERONE, Pro C. Rab. perd. 16, citato da HENGEL 1988, 77. La contrapposizione della croce (v. 14a) al �mondo» (v. 14b) fa pensare che qui �mondo» sia una sigla per i valori che Paolo denunzia nel v. 12 e dichiara superati nel v. 15. Con queste forti espressioni, Paolo vuole convincere di questo i galati (MINEAR 1979, 397 s . : dove finisce il mondo, comincia la nuova creazione).

GAL 6 , 1 1- 18

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ferirsi tanto a ' Il]aoù XptaToù quanto a aTaup6ç. In realtà il problema è teo­ rico, perché sia l' uno che l' altro riferimento hanno lo stesso significato: è at­ traverso l'opera redentrice di Gesù Cristo che si è verificato quanto l' aposto­ lo descrive nel seguito. Comunque, è più probabile che il riferimento sia alla croce, che è il termine centrale del v. 14a, mentre la menzione del Signore Gesù Cristo è solo un complemento di specificazione. L'effetto dell'opera redentrice di Cristo è descritto con una doppia espres­ sione: «il mondo per me è stato crocifisso», e «io [sono stato crocifisso] rispet­ to al mondo». K6aJ,1oç non è un termine usatissimo in Paolo, se si eccettua la l Cor dove compare 2 1 volte (Rm: 9 volte; 2 Cor: 3; Gal: 3; Fil: 1 ) . Spesso Paolo usa al suo posto aìcbv, e come a quel termine così anche a K6aJ,1oç attri­ buisce spesso una valenza negativa, in contrasto con l' attesa del mondo nuo­ vo di Dio. Questa valenza negativa trova espressione quando il dimostrativo ne accentua il carattere relativo: ò K60J.10ç oÒToç (l Cor 1,20; 3, 19; 5 , 10; 7,3 1); ma anche in assenza del dimostrativo si può dedurre dal contesto la negativi­ tà del mondo, come avviene nel nostro passo. Grazie all'opera di Cristo, il mondo è stato, per così dire, inchiodato, fermato nel suo strapotere che tene­ va l' uomo legato come un suo schiavo, e l'uomo è stato restituito alla libertà dei figli di Dio. Ciò perché la morte di Cristo ha determinato il tracollo del «malvagio eone presente» ( 1 ,4) in cui il peccato e la morte erano i dominatori assoluti (Buscemi). L' altra frase , ellittica («e io rispetto al mondo») , descrive la conseguen­ za dell'opera redentrice di Cristo in termini antitetici a quelli di 2 , 1 9 . Lì Pao­ lo aveva dettato XptaT(9 auv&aTauproJ,lal per indicare partecipazione o comu­ nione alla sofferenza di Cristo e ai suoi frutti. Qui, ancora col dativo, esprime invece separazione, rottura rispetto al mondo. Paolo gioca sui due significati del verbo aTaup6ro, che oltre a significare