La prima Lettera ai Corinti. Testo e commento 9788810407066, 8810407067

La Prima lettera ai Corinti è conosciuta come lo scritto forse più imme­diato e vivace del NT: una lettera in cui Paolo

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La prima Lettera ai Corinti. Testo e commento
 9788810407066, 8810407067

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Collana Studi biblici

1. S. A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica, vol. I, Il concil io di Gerusalemme 2. S. A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica, vol. II, Parola, Fede e Spirito

3. S. A. Panimolle, Il discorso di Pietro all'assemblea apostolica, vol. III, Legge e grazia 4. F. Lambiasi, L'autenticità storica dei vangeli 5. M. McNamara, I Targum e il nuovo testamento

6. C. K.

Barrett, La prima lettera ai Corinti

CHARLES KINGSLEY BARRETT

LA PRIMA LETIERA AI CORINTI Testo

e

commento

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Titolo originale

A Commentary on the first Epistle to the Corinthians

Traduzione di Umberto Neri e Cecilia Impera e controllata dalJ'Autore

c Ad a m & Charles Black, London 19712 c Centro editoriale dehoniano , Bologna 1979 V1a N osad el1la, 6

PREFAZIONE DELL'AUTORE

Molto di quanto ho scritto nella prefazione al commento della lettera ai Romani 1 può riferirsi anche al presente volume. Ancora una volta la traduzione si propone di aiutare il com­ mento con l'esprimere, nel modo più accurato possibile e in un linguaggio il più semplice possibile, ciò che Paolo ha detto. Ci sono più parole greche in questo libro che nel precedente, so­ stanzialmente perché non c'è nessun classico per 1 Cor e lo stu­ dente ha bisogno di essere maggiormente aiutato, avendo meno sussidi a sua disposizione. Ma sarà facile, per coloro che non conoscono il greco, leggere di seguito senza tener conto delle parole greche. Il debito del commentatore verso i suoi predecessori non è così rilevante come per il commento alla lettera ai Romani, ma ci sono libri utili dai quali ho imparato molto. La maggior parte di questi appare nell'elenco delle ((abbreviazioni ", ma nell'esa­ minare attentamente il mio manoscritto, sono sorpreso di non avere poi rimandato ai Commenti di G. G. Findlay e F. W. Grosheide, sebbene ne abbia avuto un aiuto. Altri libri che avrebbero potuto essere citati più spesso sono: Die Gnosis in Korinth (1956) di W. Schmithals e Weisheit und Torheit (1959) di U. Wilckens; ma ho rimandato a questi in Christia-

1 C. K. Barrett, A Commentary on the Epistle to the Romans, NT Commentaries », London 1 962.

«

Black's

5

nity at Corinth. Ho trovato più utile citare la Kirchliche Dog­ matik di Barth (che contiene molte esposizioni esegetiche di 1Cor) piuttosto che il suo libro su 1Cor. Mi sento obbligato verso il direttore di questa collana, il prof. Henry Chadwick, per avermi sollecitato ad affrontare le lettere ai Corinti, e per la sua pazienza nell'attendere che ve­ nisse alla luce questo commento di 1 Co r. Probabilmente dovrà avere ancora più pazienza per 2Cor, forse il libro più difficile del NT. Comunque spero di poter offrire, senza eccessivo ri­ tardo, una esposizione la più completa possibile dei rapporti di Paolo con la più difficile delle sue chiese, per quanto lo per­ mettono le fonti di cui disponiamo e i limiti delle mie capacità. Credo che la chiesa della nostra generazione abbia bisogno di riscoprire il vangelo apostolico, e per questo ha bisogno della lettera ai Romani. Ha pure bisogno di riscoprire il rapporto tra questo vangelo e l'ordine, la disciplina, il culto, la morale : per ciò ha bisogno di 1 Cor. Se fa queste scoperte, la chiesa può sen­ tirsi messa in crisi e questo potrà essere il significato di 2Cor.

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

'E abbastanza noto anche fuori della Gran Bretagna il com­ mentario biblico del NT dal titolo Black's New Testament Com­ mentaries: ogni volume porta un libro del NT in accurata tra­ duzione dai testi originali, cui viene dedicato un accurato com­ mento esegetico a livello di studenti di teologia. In questa col­ lana, il prof. C. K. Barrett ha curato il commentario alla lettera ai Romani, alla Prima Corinti e alla Seconda Corinti. Curando questa traduzione della 1 Cor, si è voluto mettere alla portata del pubblico italiano il commentario di Barrett forse meglio riuscito e per i temi che tratta e per il metodo se­ guìto. Già la 1 C or è conosciuta come lo scritto forse più imme­ diato e vivace del NT: una lettera in cui Paolo si trova conti­ nuamente in dialogo con la sua comunità attorno a problemi concreti, casi di coscienza, ipotesi teologiche, questioni disci6

plinari, prospettive evangeliche essenziali. Basti pensare ai brani relativi al matrimonio cristiano, alla cena del Signore, alla dottrina sui carismi, al capitolo sulla carità, al tema della risurrezione. In questo commentario, il Barrett accosta il lettore moderno a questi temi con molto tatto e con estrema chiarezza. Nell'introduzione, abbastanza breve, affronta i principali problemi relativi all'autore, al luogo e alla data di composizio­ ne della 1Cor: egli la farebbe risalire ai primi mesi del 54 d.C., se non alla fine del 53. Affronta anche il problema dell'unità letteraria della lettera, ma senza dargli eccessiva importanza: non trovando convincenti altre ipotesi, preferisce schierarsi per la sua unità, ma supponendo che Paolo vi abbia dedicato diver­ si mesi ad ultimarla. Il commento al testo biblico è chiaro, sobrio, molto bene informato, a volte anche caldo e convincente, tenacemente e strettamente legato al dato testuale obiettivo. Ciò non vuoi dire che lo si debba condividere sempre anche nei particolari. Anzi, qua e là affiorano posizioni chiaramente « minimiste» e quasi prevenute, specialmente se rapportate ai commentari più comunemente diffusi nel nostro ambiente italiano. In partico­ lare, ci sembra che vada preso con riserva il commento che viene fatto al c.11 sulla cena del Signore, almeno per quanto concerne il concetto generale di «cena» nel contesto e l'inter­ pretazione data alle parole: «Questo è il mio corpo». Abba­ stanza discutibili anche le sue riflessioni a proposito dei «do­ dici» in 1Cor 15,5 o a proposito dell'autorità dell'apostolo nella comunità. Molto ben riuscite, invece, e secondo noi particolarmente significative le pagine che il Barrett dedica ai grossi temi del matrimonio e del culto, della libertà e della disciplina cristia­ na, della carità e della risurrezione.

7

ABBREVIAZIONI

K. Barrett, From First Adam to Last,

Adamo

C.

Allo

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Bachmann Background

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B. D. Betz Bultmann, Theologie Calvi no Ce/a e Corinto

Cristianità Corinto

tl

Daube

8

1962.

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W. B. Harris, The First Epistle of St Paul to the Corinthians, 1958.

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Hurd

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Book of New

« New Testament Studies ». A. T. Robertson, A Grammar of the Greek New Testament in The Light of Historical

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Robertson-Plummer

Romani

RV

A. Robertson-A. Plummer, A Criticai and Exegetical Commentary on the First Epistle of St Paul to the Corinthians ( « Intematio­ nal Criticai Commentary ») 19 14. C. K. Barrett, A Commentary on the Epistle to the Romans ( « Black's New Testament Commentaries ») 1962. Revised Version.

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INTRODUZIONE

I. CORINTO Corinto era all'estremità sud-occidentale dell'istmo che con­ giunge la Grecia continentale al Peloponneso. Faceva parte di un complesso che includeva, a circa due chilometri a nord, Le­ cheo sul golfo di Corinto, e, a poco più di undici chilometri e mezzo a est, Cencrea sul golfo Saronico (Rm 1 6, 1 ) . La regione non era fertile, ma le sue risorse economiche erano rilevanti. Controllava la via di terra tra nord e sud, e serviva da anello di congiunzione « via terra », indispensabile fino al taglio del canale di Corinto (incominciato ma poi interrotto da Nerone, e completato soltanto nel 1 893), per il traffico « via mare » tra est e ovest. Di tanto in tanto questo controllo del trasporto delle navi assumeva importanza militare; 1 deve essere stata una città costantemente importante per il commercio, e fin da Omero esiste la frase 'ricca Corinto' (Iliade, Il, 570; XIII, 664) . La pianura in cui è Corinto è dominata dalla collina che serviva come Acropoli alla città, l'Acrocorinto, alta circa seicento metri. A favore di Corinto cospiravano insieme elementi vantaggiosi

1 Cf. Tucidide, VIII, 7: Gli spartani mandarono tre cittadini (con pieno diritto di cittadinanza: spartiatae) a Corinto, aflì:nclté, portate nel minor tempo possibile le navi al di là dell'istmo da un mare all'altro, le facessero salpare per Chio.

11

sia economici che militari/ e non sorprende che la città abbia assunto una posizione di grande importanza nel mondo antico; sorprende forse di più che essa non abbia mai raggiunto una posizione di preminenza . Una netta linea di divisione, nella storia di Corinto, viene tracciata nel 1 46, quando Roma pose fine alla lega Achea. Dopo la battaglia decisiva di Leucopetra, sull'istmo, il console Lucio Mummio poté occupare Corinto senza colpo ferire. I cittadini furono uccisi o venduti schiavi; la stessa città fu rasa al suolo e ne fu impedita la ricostruzione. Il territorio divenne terra pubblica di Roma, eccetto una parte che fu data allo stato con.. finante di Sicione, col patto che in seguito Sicione avrebbe in­ detto i giochi istmici al posto di Corinto. Solo dopo 1 00 anni di desolazione, Corinto fu fondata di nuovo da Giulio Cesare, come colonia romana. La nuova Corinto possedeva naturalmente le caratteristiche topografiche della vecchia città; per il resto aveva poco in co­ mune con essa. Oggi il viaggiatore può vedere dell'antica città greca poco più che una mezza dozzina di colonne del tempio di Apollo; le fondamenta romane sono molto meglio conservate. Ma, nella sostanza, queste era già vero ai tempi di Pausania,3 che nel suo resoconto confronta il vecchio col nuovo. Per esem­ pio : « sacrifici annuali venivano indetti in loro onore, ed era una figura del Terrore (oEi:�J.«). Quest'ultima è rimasta fino ai nostri giorni. .. Ma a partire dalla distruzione di Corinto da par­ te dei romani, e dalla scomparsa degli antichi Corinti , i sacrifici non sono più celebrati dai coloni, né i bambini si tagliano i ca­ pelli o indossano abiti neri » .4 I nuovi colonizzatori, per i quali le tradizioni di Corinto contavano poco, erano venuti da diverse parti dell'impero; molti dovevano essere soldati in congedo. •..

2

Cf. Plutarco, Aratus XVI-XVI I (1034): . l'Aoroco11into, montagna mol­ . .

to a:lta, che si eleva nel mezzo della Grecia (cioè tra il Peloponneso

e

l'Epiro), quando è presidiata, è un ostacolo, taglia fuori dal commercio, dal transito e da campagne militari tutte le terre dell'istmo, impedisce il traffico sia per mare che per terra, e rende colui che la governa e occupa il posto con una guarnizione, padrone... Per quel posto hanno combattuto tutti, re e governanti. .. 3 G. Roux, Pausanias en Corinthe ( 1958), p. 29, dà 1 55·170 ca. come data del secondo libro di Pausania, in cui descrive Corinto. 4 Pausania, 1 1/111 7.

12

Senza dubbio c'erano anche dei greci fra di loro, ma è impossi­ bile pensare che la Corinto del tempo di Paolo fosse una città tipicamente greca. Che vi fossero degli ebrei a Corinto è dimo­ strato da una iscrizione 5 di parole non complete « [sin] agoga degli ebr [ei] », probabilmente parte dell'architrave della porta della sinagoga . La data dell'iscrizione non può essere detenni­ nata con sufficiente precisione, ma basta per confermare At 1 8,4 («egli parlava nella sinagoga ogni sabato») . La nuova Corinto era così una città cosmopolita. La reputazione immo­ rale dell'antica Corinto (parole derivate dal nome Corinto pare che, nella commedia antica, fossero usate con il signifi­ cato di praticare la fornicazione, libertino e simili) non può essersi semplicemente conservata lungo i secoli ; d'altra parte non si può neppure dire che la nuova fondazione sia riuscita a redimere il passato. Ai tempi di Paolo, Corinto doveva pro­ babilmente essere poco meglio o poco peggio di ogni altro grande porto e centro commerciale dell'epoca. Probabilmente ciò . che spaventò Paolo, quando visitò Co­ rinto la prima volta, non fu tanto la pessima reputazione della città ( 1 Cor 2,3), quanto il senso della sua vocazione e della sua responsabilità. Non aveva altro da predicare che Cristo crocifisso (2,2), ed era risoluto a non fare uso di nessuna arte umana nel proclamare questo messaggio ( 1 , 1 7 ; 2, t). N onostan­ te ciò (o forse, come avrebbe detto Paolo, proprio per questo) , la sua predicazione determinò la conversione di molti a Co­ rinto, i primi dei quali (almeno i primi in Acaia, probabilmen­ te i primi a Corinto, dal momento che non si sa di nessuna cit­ tà acaica evangelizzata prima di Corinto) furono i familiari di Stefana ( 1 6, 1 5 ). Paolo aveva posto il solo possibile fondamen­ to di una chiesa cristiana : Gesù Cristo stesso (3 , 1 0s) ; altri do vettero costruire su questo fondamento, ma la sovrastruttu­ ra si rivelò meno soddisfacente che il fondamento su cui pog­ giava. La chiesa di Dio a Corinto non era affatto priva di di­ fetti e di falli. Ciò probabilmente dipese, in parte, dal numero e dalla varietà dei costruttori. Apollo lavorò certamente a Corinto (3 ,6) . � probabile, ma non certissimo, che anche Pie-

' �f.

Background, p. 50.

13

tro vi abbia lavorato.6 Il risultato fu che la comunità, forse anche a causa di una contenziosità da cui i Corinti non s'erano perfettamente convertiti divenendo cristiani, benché ancora non fosse completamente divisa in fazioni, tendeva a dividersi in gruppi, ciascuno dei quali si appellava al nome di un leader cristiano ( 1 , 1 1s) . La mancanza di unità della chiesa si mani­ festava in questi aspetti, ma forse anche in altri, come nella cena del Signore, in cui ricchi e poveri erano separati in gruppi diversi ( 1 1 , 1 8-22). Altri difetti affioravano nella vita della chie­ sa di Corinto. C'erano vertenze pubbliche tra i suoi membri (6, 1 -8) , un caso notorio di immoralità (5, 1-5) , dispute sulla legittimità del mangiare cibo sacrificato agli idoli (8, 1 - 1 3 ; 10, 1 4- 1 1 , 1 ) , disaccordi sulla legittimità del matrimonio ( 7 , 1 40) , e sull'ammissibilità o meno di relazioni sessuali al di fuori del matrimonio (6 , 1 2-20) . Sembrava che la dottrina della ri­ surrezione fosse stata negata ( 1 5 , 1 2) e che fosse messo in que­ stione lo stesso apostolato di Paolo (4,3 , 1 5 ; 9, l ss) . Nel frattempo, Paolo aveva lasciato Corinto, ma era rima­ sto in contatto con quella chiesa. Egli era stato informato, da membri della famiglia di Cloe, dell'esistenza di partiti diversi all'interno della chiesa ( 1 , 1 1 ) . Non sappiamo nulla e poco pos­ siamo congetturare su queste persone. � probabile che quel viaggio non lo facessero per conto della chiesa e per informare Paolo, ma fossero messaggeri occasionali, mentre si trovavano in viaggio per altri affari. Però sembra che Stefano, Fortunato e Acaico agissero in qualità di rappresentanti della chiesa ( 1 6, 1 7ss) . Non risulta che fossero portatori di doni (cf. al con­ trario Fil 4, 1 8), perché ciò certamente sarebbe stato detto in modo esplicito. Devono essere stati loro a portare la lettera citata a 1 Cor 7 , 1 (cf. le note) ; se non furono loro, non si sa chi possa averlo fatto. Paolo, da parte sua, aveva scritto una let­ tera a Corinto (5,9) , ma era stata fraintesa: egli si servi quindi di questa lettera per correggere le impressioni false che i co­ rinzi ne avevano avuto. Questa « lettera precedente», come viene spesso chiamata, deve essere totalmente perduta. Alcuni credono di averne trovato una parte in 2Cor 6, 1 4-7.1 ; questo

' Cf. 9, 5; anche Cefa e Corinto.

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punto verrà discusso nel commento a 2Cor. Circa il punto di vista, secondo il quale una parte o alcune parti della «lettera precedente » debbano essere in 1 Cor, si veda pp. 23-28 . La storia dei rapporti di Paolo con Corinto (ciò che si co­ nosce della loro storia è relativamente poco) , fino a oggi è stata abbozzata, com'è giusto, solo sulla base degli scritti cer­ tamente autentici dello stesso Paolo.7 Con questi dati concorda la storia narrata negli Atti. Secondo gli Atti, Paolo arrivò a Corinto dopo aver visitato Atene (Atti 1 8, 1 ), vi incontrò Aquila e Priscilla ( 1 8 ,2ss ; cf. 1 Cor 1 6, 1 9 , dove il nome della donna è Prisca) e frequentò la sinagoga con maggiore libertà quando Sila e Timoteo lo raggiunsero (At 1 8 ,4s) . Le difficoltà con gli ebrei portarono a dirigere la missione più specificamente verso i gentili (forse specialmente verso i timorati di Dio, che si situavano tra la sinagoga e il mondo pagano; cf. 1 8 ,7 che mostra Paolo all'opera nella casa di Tizio Giusto, un timorato di Dio) ; ma fu convertito il capo della si­ nagoga , Crispo (cf. At 1 8,6ss; l Cor 1 , 1 4) . Confortato da Dio, Paolo continuò il suo ministero per diciotto mesi. A questo punto ( 1 8, 1 2- 1 7), gli Atti narrano della compar­ sa di Paolo davanti a Gallione,8 che fu proconsole dell'Acaia probabilmente dall'estate del 5 1 d.C. � ragionevole dedurne (sebbene le date potrebbero variare di circa un anno) che Paolo sia arrivato a Corinto intorno al marzo del 50, e che vi si sia trat­ tenuto fino a circa il settembre del 51 . A suo tempo, Paolo lasciò Corinto per la Siria ( 1 8 , 1 8), fece una tappa a Efeso, dove promise di ritornare ( 1 8, 1 9ss) , quindi terminò il così detto suo secondo viaggio ( 1 8,22s) . A questo punto gli Atti parlano di Apollo, dell'istruzione che ricevette da Priscilla e Aquila, e quindi del suo viaggio in Acaia, che certamente deve avere incluso una visita a Corinto. Nel capitolo 1 9, Paolo è di nuovo a Efeso: il suo ministero colà viene riferito in At 1 9, 1-20, l , e durò due anni e tre mesi ( 1 9, 8 . 1 0; 20, 3 1 : «tre anni » , non contraddice questi dati) . 7

Cf. Hurd, pp. 41s. Le date del proconsolato di Gallione sono fomite da una iscri2Ji.one trovata a Delfi; cf. Background, pp. 48s, e Romani, pp. 4s. 8

15

Durante questo periodo è detto,·che Paolo mandò Timoteo ed Erasto in Macedonia ( 1 9, 22), mentre egli stesso stava facendo piani per tale viaggio ( 19, 22). Questi viaggi potrebbero be­

corrispondere a quelli ricordati in lCor 1 6, 5.10. Se è così, e per quanto è possibile far credito alla crono­ logia degli Atti, si ha modo di datare la nostra epistola in ter­ mini abbastanza precisi. Lasciandogli un certo periodo di tem­ po in Antiochia, e per il viaggio attraverso le «province supe­ riori » (At 19, l ) , Paolo deve avere raggiunti di nuovo Efeso nella tarda estate del 52 ; la pentecoste, che bramava passare a Gerusalemme (20, 1 6), dovrebbe essere quella del 55; la pentecoste di 1 Cor 1 6 , 8 è quella del 53, o più probabilmente quella del 54 . La data più probabile della 1 Cor è perciò da por­ re nei primi mesi del 54, oppure verso la fine del 53 . L'epistola ebbe poco successo. I problemi a Corinto, e i rapporti tra la chiesa di Corinto e l'apostolo andarono peggio­ rando. Pare che Paolo abbia visitato Corinto, ma la visi­ ta terminò forse in un disastro, certamente in una grande pena per lui (2Cor 2, l ; 1 2 , 1 4, 2 1 ; 1 3 , 2) . Scrisse una lettera severa che gli costò molte lacrime (2Cor 2, 4 ; 7 , 8) . Mandò Tito a Corinto, e fu pieno di gioia quando ricevette da lui buone notizie (2Cor 7, 6s) . Ma il seme dell'amarezza era stato get­ tato; Paolo fu insultato da coloro che avrebbero dovuto difen­ derlo (2Cor 12, 1 1 ), e il suo posto fu usurpato da rivali che, esternamente capaci di suscitare maggiore impressione, erano privi di interiore autorità, e di quella conformità con la passio­ ne di Cristo, che contraddistingueva l'opera apostolica di Paolo (2Cor 1 2, 1 2s) . Tali eventi possono essere ordinati e raccontati nei particolari solo sulla base di uno studio dettagliato di 2Cor; perciò saranno discussi con maggior precisione nella introdu­ zione del commento a quella epistola. Qui si può soltanto anno­ tare che, al termine del I secolo, la chiesa di Corinto appare ancora nella luce in cui ce la presenta 1 Cor, se dobbiamo dar credito a Clemente di Roma: degni presbiteri sono stati depo­ sti, e la chiesa si sta divedendo in fazioni (1 Clemente 44. ne

46. 47).

Si deve richiamare l'attenzione su due tentativi particolari di ricostruire più dettagliatamente la storia della chiesa di 16

Corinto. Il primo è quello di J. C. Hurd. Nel suo studio acuto e penetrante, Hurd,9 usando come fonte 1 Cor, indaga sul con­ tenuto della prima predicazione di Paolo a Corinto , sulla sua « lettera precedente », e sulla risposta dei Corinti . La sua con­ clusione, in poche parole, è che i Corinti erano rimasti attac­ cati al primo annuncio udito, assai più che Paolo stesso . Du­ rante il suo ministero a Corinto, Paolo (secondo Hurd) aveva sostenuto che « era meglio per l 'uomo non toccare donna >> ( 1 Cor 7, 1 ) . Egli stesso non era sposato e credeva che anche altri dovessero essere come lui. Approvava e incoraggiava « ma­ trimoni spirituali » . Circa il cibo sacrificato agli idoli, aveva insegnato che « tutte le cose erano lecite » ( 1 0, 23) e che gli idoli non avevano esistenza reale (8, 4). «Tutti abbiamo la scienza » egli disse (8, l ) , e si era comportato come uno al di fuori della Legge (9, 2 1 ) . Nel culto, egli stesso aveva par­ lato in lingue (1 4, 1 8) , e aveva permesso alle donne di andare senza velo (lo si deduce dal fatto che a 1 1 , 2 sembra esserci una rivendicazione dei Corinti di stare seguendo le istruzioni che Paolo stesso aveva dato) . Per quanto riguardava il fu­ turo, « aveva assicurato ai Corinti che la parusia sarebbe stata imminente, ma non aveva detto niente della necessità della trasformazione dei corpi o della risurrezione, per entrare nel regno. Non c'era nessun motivo per parlare di risurrezione, dal momento che il tempo, precedente la fine, era talmente breve che non ci si aspettava la morte; né c'era ragione di discutere sulla trasformazione dei corpi, poiché questo argomento ... di­ pendeva dalla successiva spiegazione, data da Paolo, sulla risurrezione dei credenti che erano morti >> . 10 Il battesimo e la cena del Signore « tenevano in scacco la morte e garantivano che tutti quelli che avrebbero creduto sarebbero rimasti vivi fino alla fine » .11 La predicazione entusiastica di Paolo di un vangelo libero daHa legge comprendeva questi punti . La « lettera precedente>> segnò un mutamento. Fu scritta per raccomandare e rafforzare le disposizioni del decreto apo­ stolico (cf. At 1 5 , 20, 29 ; 2 1 , 25), che toccava due punti prin9 Cf. Hurd, o.c., p. X. 10 lvi, p. 285. 11 lvi, p. 287.

17

cipali : l'immoralità e l'idolatria (a: pasti idolatrici ; b: conta­ minazione degli ido li) . La « lettera precedente », come ricostrui­ ta da Hurd, tratterebbe appunto di questi punti. Raccoman.. dava il matrimonio come rimedio contro la fornicazione, ed esigeva la separazione da uomini immorali; condannava le pratiche idolatriche, proibendo rigidamente l'uso di cibo sacri­ ficato agli idoli ; esortava alla cautela nell'uso delle lingue; or­ dinava che le donne si velassero. Inoltre, la « lettera preceden­ te » spiegava che i cristiani deceduti sarebbero risorti, per ricevere la loro parte nel regno di Dio , e infine accennava alla colletta per i poveri. Quando ricevettero questa lettera, i co­ rinti naturalmente furono perp lessi, e scrissero a Paolo, sotto­ ponendogli un certo numero di domande. Che cosa intendi veramente? Dobbiamo sposarci o no? Dobbiamo mangiare il cibo sacrificato agli idoli o no? Le donne debbono portare veli o no ? Pretendi che si creda che i corpi risorgeranno dalle loro tombe? Come mai alcuni sono morti , pur essendo stati battezzati e pur avendo preso il pane e il vino alla cena del Si­ gnore? Per rispondere a questi quesiti Paolo scrisse 1 Cor, un di­ scorso equilibrato dove evitava i due estremi : quello del suo primitivo entusiasmo, e quello dell'eccessiva cautela della « let­ tera precedente » . � bene, pensa Hurd, avere il pensiero ma­ turo della lettera canonica, ma è evidentemente con rammarico che egli nota come il Paolo più giovane e vigoroso, acceso di entusiasmo per la nuova fede, meno cauto nelle affermazioni teologiche di quanto divenne in seguito, poco con sapevole del­ le debolezze della natura umana, 12 sia andato perduto per noi. Ci sono molte sottili intuizioni nel libro di Hurd, e ci siamo riferiti abbondantemente a quest'opera nella speranza che stu­ diosi di l Cor vorranno, da parte loro, verificare le argomenta.. zioni di Hurd, e segui rle per quanto possibile. Tali studi po­ tranno chiarire il significato di l Cor. Su due punti, tuttavia, occorre avanzare dei dubbi, riguardo alla ricostruzione ora proposta: 12

18

lvi, p. 287.

1 ) Viene concesso uno spazio molto breve al pensiero di Paolo, perché esso, come si sostiene, possa passare dalla tesi all'antitesi, e infine alla sintesi. Precedentemente si è detto che forse Paolo lasciò Corinto nel settembre del 5 1 circa, e scrisse 1 Cor nei primi mesi del 54, o forse anche del 53. Cioè, in un intervallo di circa ventisette mesi (forse addirittura di quindici) , Paolo avrebbe cambiato radicalmente le sue prime idee rivoluzionarie con la « lettera precedente », e infine avreb­ be assestato il suo pensiero come ora lo vediamo fermamente espresso in l Cor. Questo non è impossibile : ma non si può dire che sia probabile. 2) Né in 1 Cor né altrove Paolo ricorda il « decreto aposto­ lico». Il suo silenzio potrebbe essere dovuto a imbarazzo : ma è più probabile che sia dovuto a ignoranza o al fatto che egli non riconoscesse alcuna autorità a tale decreto, almeno sopra le sue chiese. Quanto noi sappiamo sull'origine, lo scopo, l'in­ tenzione e l'autorità di questo decreto è, di fatto, tanto poco, che ricostruire su ciò porta inevitabilmente a basare un 'ipotesi sull'altra. Mi sembra estremamente improbabile che uno degli scopi che si proponeva Paolo nello scrivere la « lettera pre­ cedente» fosse di raccomandare il decreto a Corinto. Nel suo insieme, 1 Cor dà poco l'impressione che Paolo si preoccupi della « sicurezza », con interventi di « riassesto e di restaurazione teologiche e istituzionali ».13 C'è molto poco istituzionalismo in 1 Cor, mentre c'è molto pensiero teologico nuovo, creativo e stimolante. H. W. Montefiore, nel suo commento all'epistola agli E­ brei,14 ha avanzato l'ipotesi che quest'ultima sia stata scritta dal collega di Paolo, Apollo, dopo il ritorno dell'apostolo da Corin­ to a Efeso, secondo quanto è riferito in At 1 9 , 1 , e dopo avere saputo delle difficoltà all'interno della chiesa di Corinto . . Apol­ lo, impossibilitato ad andare a Corinto, o non volendolo (cf. lCor 1 6, 1 2), avrebbe scritto invece la lettera . La lettera, per quanto ispirata da buone intenzioni e ammirevole in sé stessa, non ebbe un risultato molto felice: e ciò si può constatare da tCor, u

14

lvi, p. 288. In Black's New Testament Commentaries (1964). 19

scritta da Paolo non molto più tardi per affrontare una situa­ zione in parte identica a quella con cui aveva avuto a che fare Apollo, ma che, in parte, era nata dall'intervento stesso di Apollo. Montefiore riesce a trovare, in l Cor (specialmente in l Cor l , 4) , un certo numero di passi che rifletterebbero le situazioni create dalla lettera agli Ebrei. La lettera agli Ebrei , scritta da Apollo, determinò la for­ mazione di un partito di Apollo; ed è questo (pensa Monte­ fiore) che Paolo aveva in mente quando parla delle fazioni. «Si parla anche di Cefa » (lCor 1 , 1 2 ; 3, 22) , ma la vera que­ stione del momento riguarda soltanto Paolo e Apollo ( 1 Cor 3, 5 ; 4, 6) ».15 Paolo si trovava in una posizione difficile. Si vede come stimasse moltissimo Apollo; pare sia stato, succes­ sivamente, anche suo amico e compagno (Tt 3 , 1 3) . Egli non scrisse neppure una parola contro di lui, eppure sembrerebbe voler alludere all'epistola scritta da Apollo e all'uso scorretto di essa da parte dei Corinti ribelli}6 Fra la lettera agli Ebrei e 1 Cor, Montefiore presenta i seguenti punti di contatto : l

Ebrei

2, 3 (nota l'uso di

(3Ef3tx."ouv)17

la lettera agli Ebrei è

uno scritto molto eloquente 5, 14; 6,1: avevano indotto i corinti a pensare di essere maturi (-tÉ}.,EI.OL), mentre Paolo ne dubita 4, 12, 13; 5, t3ss. 5,12

6, 7s

6,1.3

6,8

Corinti

l, 6.8 2, 1.4

2, 2.6 2, 10-16; cf. 4,5: Paolo sostiene che il cristiano può giudicare solo in base a un dono dello Spirito. 3,2 3,6.8.9 3, 10.11 3, 13-15: Paolo «sembra attenua­ re il rigorismo di Apollo » .'s

15 H. W. Montefiore, in Black's NT Commentaries, p. 22. 16 lvi, p. 22. 17 Questa differenza non sembra giustificare la descrizione dell'autore della lettera agli Ebrei come « semi-pelagiano » e di Paolo come « semi-ago­ stiniano ». 18 H. W. Montefiore, o.c., p. 25.

20

I Corinti avevano dedotto dalla lettera di Apollo che l 'unico vero tempio era nei cieli. Perché dun­ que avrebbero dovuto vivere una vita santa sulla terra?

3, 16s.;

3, 2-6

ls., 4 4, 6: Paolo richiama i Corinti «ai

La

lettera agli Ebrei si esprime in termini di interpretazione del­ l'AT.

3, 1.12; 6, 1; cf. 13,7: Apollo chiama i suoi lettori « fratelli » 10,25.26.27: Apollo rimprovera i suoi lettori di non partecipare al culto cristiano che includeva l'eucaristia, e considera questo imperdonabile. ·

cf.

2Cor

6; 16

limiti biblici dell'insegnamento di Apollo »19 o forse li avverte che l'esegesi di Apollo va oltre certi lin1iti. Paolo può chiamare i corinti suoi figli. 11, 20.25.27.29.30.32: in un se­ condo momento i Corinti parte­ cipavano alla eucaristia, ma ne usavano male. Paolo è ancora una volta meno rigido, e come con­ seguenza di ciò vede un castigo, piuttosto che una condanna. 4, 14.16:

Se l'ipotesi di Montefiore è corretta, essa cresce di molto la nostra comprensione della situazione storica da cui è uscita l Cor. Ma deve essere considerata con cautela, e in questo commento non se ne farà uso . Se veramente Apollo abbia scritto la lettera agli Ebrei , non è un problema da discutere in questa sede.20 Può darsi che egli ne sia l'autore; ma, pure in questo caso, se la mia interpretazione di lCor 1 -4, e special­ mente del c. 3, è corretta, Paolo vede un pericolo per la sua opera non tanto in Apollo quanto in Cefa . Apollo fu sempre suo amico e collega, come giustamente sottolinea Montefiore, e Paolo cita spesso il suo nome piuttosto che quello di altri rivali, proprio perché poteva farlo con maggiore tranquillità . La maggior parte dei paralleli di Montefiore sono troppo deboli e fantasiosi per essere convincenti . 2 triste non potere

19

l vi, p. 26. L'ipotesi, come sottolinea Montefiore, non è nuova: fu fatta da Lutero. Molti elementi sono a suo favore, per quanto non abbastanza per farla ap­ parire più che una congettura. 10

21

conoscere di più delle circostanze storiche nelle quali 1 Cor stata scritta, ma ci si deve probabilmente rassegnare a non conoscerle ; e forse possiamo permetterei di farci eco del con­ siglio dato da Paolo stesso in 1 Cor 4, 6 in questa forma: � meglio non leggere troppo tra le righe .

è

II . L'EPISTOLA Il resoconto che è stato dato dei rapporti di Paolo con la chiesa di Corinto si basa sull'ipotesi sia dell'autenticità che dell'integrità di 1 Cor. Per l'autenticità non c'è bisogno di nes­ suna difesa, dal momento che nessuno studioso serio la mette in dubbio . Produrre un documento che rifletta in ogni riga le preoccupazioni degli anni cinquanta del primo secolo, e le caratteristiche personali di Paolo, è un compito che avrebbe superato di molto le capacità di qualsiasi cristiano della fine del secolo. Per di più Clemente di Roma, scrivendo ai Corinti nel 95 d. C. circa21 non soltanto cita, ma si riferisce specifica­ mente a questa epistola (1 Clemente 41, 1 -3): Considerate l'epistola del beato apostolo Paolò, che cosa vi ha scritto in primo luogo, all'inizio del vangelo? In verità egli vi accusa di coinvolgere lui , Cefa e Apollo, perché anche allora avevate formato dei partiti. Nella pagina seguente, al capitolo 49, Clemente compone un inno all'amore, evidentemente basato su 1 Cor 1 3 , per quan­ to ne sia una pallida ombra. Vi sono altre citazioni e allusioni. Anche in Ignazio di Antiochia (circa 1 1 2 d.C.) risuona il linguaggio di lCor. Si veda di Ignazio: Ejesini 16,1 (coloro che corrompono le case, non erediteranno il regno dei cieli); 18, 1 (Dov'è l'uomo sapiente? Dov'è il ragionatore?) ; Tralle­ si 1 2 ,3 ; Romani 4, 3 (lo non vi accuso come Pietro e Paolo; essi erano apostoli ... essi erano liberi) ; 5, l; 9, 2 (lo sono l'ul21 E' la data di solito accettata per la 1 Clemente; cf. comunque E. T. Mer­ rill, Essays in early Christian History, (1924), pp. 235-241, che propone una data intorno al 140 d.C. Ciò diminuirebbe, ma non seriamente, il valore del­ l'epistola come documento.

22

timo fra loro, e uno venuto alla luce prima del tempo (lx't'pwJ.la) ; Filadelfesi 3 , 3 . . . Non c'è bisogno di continuare nelle citazioni . La testimonianza dell'uso di l Cor è più diffusa che per qualsiasi altro libro del NT . Non c'è dubbio che i cri­ stiani dell'età post-apostolica la trovassero di grande utilità pratica. L'integrità di l Cor è un'altra questione. Questo testo è sta­ to scritto da Paolo; ma è stato scritto tutto nello stesso tempo? Non include parti di lettere diverse? La discussione di questi problemi deve cominciare dall'osservare che i rapporti di Paolo con Corinto furono più complicati di quanto appaia da un esame superficiale del nuovo testamento. � certo che : a) Paolo h a visitato Corinto in una occasione non ricor­ data negli Atti : 2Cor 2, l ; 11 , 1 4 .2 1 ; 1 3 , l s esige che si sup­ ponga una « visita piena di dolore » (cf. At 20, 2), il che farebbe della visita seguente (cf. At 20, 2) non la seconda ma la terza visita. b) Paolo scrisse almeno quattro lettere a Corinto ( l Cor 5, 9; 2Cor 2, 3-9; 7, 8) . Potrebbe essere successo che di que­ ste quattro lettere solo due siano state conservate ( 1 e 2Co­ rinti) , e che le altre siano andate perdute completamente.

Vale comunque la pena esaminare l'ipotesi secondo la quale alcune parti dei due documenti originali in più sareb­ bero state combinate insieme, nelle due lettere canoniche. Mol­ tissimi studiosi considerano 2Cor una lettera composita; que­ sto punto sarà affrontato nel commento a 2Cor. Pochi, invece, hanno adottato · una ipotesi simile per 1 Cor. J. Héring propone una analisi semplice;22 sottolinea tre punti dell'epistola come segni di una possibile combinazione con parti di lettere diverse: a) la contraddizione tra 4, 19 (do­ ve Paolo dice che andrà presto a Corinto), e 1 6, 5-9 (dove spiega che la sua venuta sarà posticipata) ; b) la contraddizio­ ne tra 10, 1-22 (che assume una posizione rigorista circa il ci­ bo sacrificato agli idoli) e 8, 1 - 1 3 e 1 0, 23- 1 1 , 1 (dove la que­ stione è considerata semplicemente una questione di carità verso i deboli) ; c) la ripresa improvvisa, al capitolo 9, del 22

Cf.

« Abbreviazioni », o�c., p. 9.

23

discorso sull'apostolato di Paolo , che pareva conclusa al capi­ tolo 4. Sulla base di queste osservazioni, Héring ricostruisce due lettere, che ritiene prive di contraddizioni : A : l, 1 -8.13; 10, 23-11. 1 ; 1 6, 1 -4.10-14. B: 9, 1-10.22; 11, 2-15.58 (per quanto il capitolo 1 3 stia a parte) ; 16, 5-9.15-24. L'ordine degli eventi sarebbe il seguente : a) Paolo ricevette notizie dalla gente di Cloe .

b) Quelle stesse persone, o forse Sostene, gli diedero una lettera da parte dei Corinti , con domande circa il matritnonio e il cibo sacrificato agli idoli. c) Paolo scrisse A, che annunciava e prometteva l'arrivo di Timoteo, che probabilmente era già in viaggio, e promet­ teva che a sua volta egli stesso sarebbe presto arrivato. Que­ sta lettera potrebbe essere stata portata dalla gente di Cloe. d) Stefana , che aveva preso le parti di Paolo a Corinto, ar­ rivò a Efeso con notizie allarmanti : i Corinti mettevano in dub­ bio la dignità apostolica di Paolo, dubitavano della risurre­ zione e in generale erano insubordinati . e) Paolo scrisse B, mandandola attraverso Stefana, che sperava potesse arrivare prima di Timoteo. Da parte sua, egli rimaneva a Efeso.

Un compilatore congiunse B con A, forse perché l'inizio di era diventato illeggibile; spostò il brano 1O, 23-11, l dalla posizione originale e lo unì a 10, 1-22, perché trattava dello stesso argomento, e raccolse le note personali formando il ca­ pitolo 16. Un esempio di una teoria più elaborata sulla natura com­ posita di questa lettera è proposto da J . Weiss .23 Quella parte della teoria che si riferisce a 1 Cor può essere più semplicemente citata con le stesse parole di Weiss nella sua . . . Storia del Cri­ stianesimo primitivo, (1937, p. 356s). B

25 Nel suo commento (cf. « Abbreviazioni », p. 10) e in The History of primitive Christianity (19.37).

24

a) Prima lettera di Paolo (A) che conteneva un forte attacco contro la partecipazione a cerimonie idolatriche, contro la forni�azione, il non portare veli da parte delle donne e contro il comportamento sconveniente durante la cena comune; scritta da Efeso non molto prima della sua partenza ( l Cor 16, 8s) . � costituita da 1 Cor 1 0, 1 -23 ; 6, 12-20; 1 1 , 2-34 ; 1 6, 7(?)8s ; forse 16, 20s; 2Cor 6, 1 4-7, l . In questa lettera Paolo annuncia una visita. b) Lettera a Paolo da parte della chiesa ( l Cor 7, 1 ), for­ se portata da Stefana, Fortunato e Acaico; raggiunge l'apostolo forse mentre è ancora a Efeso, o forse solo do­ po che è partito pe� qualche altro luogo della provincia . c) Paolo è in pericolo di vita a Efeso; lascia la città, va a stare nella provincia . Manda Timoteo ed Erasto in Ma­ cedonia (At 19, 22) e a Corinto (lCor 4, 1 7 ; 1 6, l Os) , l 'ultimo probabilmente con una lettera con tutte le sue risposte alle domande dei Corinti; questa comprende l Cor cc. 7 ; 8; 9; 10, 24-1 1 , l ; 1 2 ; 13; 14; 1 5; 16, 1 -6, e forse anche i versetti 7 e 15- 1 9 (questa è la lettera B l l ). Annuncia ancora la sua andata ( 1 6, tss) . d) Paolo riceve una relazione dalla Macedonia circa la sollecitudine di quelle chiese nella partecipazione alla colletta, forse attraverso Gaio e Aristarco (At t9, 29) ; manda Tito e due fratelli a Corinto attraverso la Mace­ donia, a terminare la colletta (2Cor 8) . A questo punto circa, o forse appena dopo, e) i familiari di Cloe arrivano con una relazione sulle dispute tra partiti contrapposti. /) Paolo scrive, in considerevole turbamento, la lettera B l 2, comprendente l Cor l , t -9 ; 1 , 10-6, 1 1 ; 1 6, 1 0-14, forse anche i vv. 22ss . Manda questa lettera a Corinto insieme a B/t, oppure , nel caso che quest'ultima fosse già stata spedita , per conto suo . Ancora una volta, annun­ cia una sua visita imminente.24 24 La ricostruzione di Weiss della storia di Corinto continua, ma il resto riguardo solo la 2 Co r . ·

25

Gli studiosi dovrebbero mettere in ordine i testi secondo la ricostruzione proposta da Héring e da Weiss (che sono degni rappresentanti del metodo impiegato) , e leggerli di fila. Ci si accorgerà che, nel contesto storico che questi studiosi hanno- fornito, i due documenti danno un testo che in se stesso ha senso. Il fatto che ambedue le ricostruzioni diano un testo di per sé ragionevole, è un argomento a sfavore di entrambe, perché non possono avere ambedue ragione; e il significato dell 'una, e assai probabilmente il significato d'am­ bedue, è solo quello che ha in mente lo studioso che ha com­ piuto tale ricostruzione. Spesso viene avanzato, come argomento contro le teorie sulla natura composita della lettera, il fatto che non ci sia alcuna prova testuale a loro favore. Quest'argomento non ha peso. La testimonianza dei mss. non ci può dire assolutamente nulla circa lo stato della letteratura paolina (per quel proble­ ma o qualsiasi altro) prima della sua pubblicazione. � certo che quella che chiamiamo 1Cor è stata pubblicata nella forma da noi ora conosciuta; ma ciò non prova che la forma che co­ nosciamo non sia frutto dell'unione di diverse parti . La domanda essenziale che ci si deve porre, e a cui si deve dare una risposta è se l Cor abbia senso nella sua forma attua­ le, oppure sia così chiaramente contraddittoria che si possa porre rimedio alla sua struttura illogica e alle contraddizioni interne soltanto separando le parti discordanti in lettere di­ verse, scritte in momenti diversi.25 � essenzialmente un pro­ blema di esegesi : una introduzione deve portare il lettore a ri­ ferirsi al commento che seguirà, dove, caso per caso, le que­ stioni saranno discusse man mano si presentano. Si deve an­ . che ricordare che vi sono problemi molto più difficili in 2Cor che in 1 Cor, e spero di ritornare su tutta la questione delle varie parti e dell'integrità di questa lettera, nella introduzione al commento di 2Cor. Per ora esprimo la tesi che nessuna teoria sulla natura composita di 1 Cor appare più probabile dell'ipotesi secondo cui la lettera sarebbe stata scritta tutta in25 Quando si tratta di coerenza teologica, non si vede quale vantaggio potrebbe ricavarsi separando di un intervallo di qualche mese gli elementi supposti contraddittori.

26

sieme, incominciando dal capitolo l e terminando col capi­ tolo 1 6 . D o ora in sintesi alcuni degli argomenti a favore d i questa tesi : a) l Cor è una lettera lunga. Quando la scrisse, Paolo era fortemente impegnato in una vigorosa attività evangelica e pastorale; può darsi che in quel momento si guadagnasse anche da vivere facendo un mestiere. Quanto tempo potesse avere per scrivere, non lo si può sapere ; probabilmente non molto. Ciò significa che la stesura della lettera deve essersi prolungata per un lungo periodo di tempo; molto probabil­ mente deve essere stata lasciata da parte di tanto in tanto, e ripresa dopo un intervallo. Ci si può aspettare che una let­ tera scritta in tali circostanze presenti incongruenze accidenta­ li, e vi siano passi in cui si affronta, da punti di vista diversi, lo stesso argomento . Di tanto in tanto, nuove notizie potreb­ bero essere arrivate, e avrebbero potuto essere mutati i pro­ getti col cambiare delle necessità e delle opportunità.

b) Non c'é nessuna seria difficoltà in rapporto ai program­ mi di Paolo circa i suoi spostamenti. A parte il lungo periodo di tempo che può essere trascorso tra la stesura dei cc. 4 e 16, i due capitoli sono concepiti in modo diverso . Al c. 4, Paolo dà un vivace avvertimento a uomini che si comporta­ vano come fosse cosa improbabile, che potessero di nuovo vedere il loro apostolo . « Non ingannatevi ! Ritornerò a Co­ rinto, e prima di quanto alcuni di voi pensino. Allora sapremo non solo ciò che queste persone sono capaci di dire, ma anche ciò che sono capaci di fare » . Al c. 1 6 Paolo esprime in modo conciso i suoi programmi : « Verrò, e abbastanza presto, a Corinto, ma sono impegnato a Efeso fino a pentecoste » . c) La questione di Timoteo è un po' più difficile d a ri­ solvere : 4, 1 7 dice che era già stato mandato; 1 6, 1 0 non dice "quando verrà", ma "se verrà": c'è dunque qualche dubbio circa il suo arrivo . Si veda il commento a questi passi. La soluzione più probabile è che Timoteo (solo o con Erasto) fosse stato mandato in Macedonia, e che fosse lasciato alla sua discrezione continuare o meno il viaggio fino in Acaia. 27

d) Il punto più difficile si trova al capitolo 9. Si pongono questi problemi : perché viene riaperto il tema dell'apostolato ? Come è connesso il capitolo 9 con 1'8 ? Perché la trattazione sul cibo sacrificato agli idoli , iniziata al capitolo 8, viene la­ sciata cadere e poi ripresa (apparentemente in modo diverso) al capitolo 10? Basta un'unica risposta a tutti questi proble­ mi, ma richiede l'appoggio di un'esegesi dettagliata, che si trova nel commento. Nella questione del cibo sacrificato agli idoli, Paolo tratta un problema molto complesso. Ed è com­ plesso per due motivi : 1 ) si deve distinguere tra una semplice consumazione di quel cibo, e la consumazione del cibo in un contesto particolare, che dia all'atto del mangiare un significa­ to idolatrico; 2) si deve tenere presente non solo la libertà cri­ stiana, ma anche l'amore cristiano, che talvolta potrebbe limi­ tare la libertà . Queste osservazioni spiegano le apparenti in­ congruenze della trattazione fatta da Paolo sulla questione del cibo sacrificato agli idoli ; esse danno. ragione del capitolo 9 . Paolo s i appella ai Corinti per la limitazione volontaria della loro libertà e l'abbandono dei loro diritti . Aggiunge immedia­ tamente che non chiede loro niente che egli stesso non voglia dare, dal momento che ha volontariamente rinunziato ai suoi diritti di apostolo . A questo punto, avrebbe potuto fermarsi e riprendere il filo del discorso, ma, secondo il suo stile, si fer­ ma per chiedere : perché? La risposta è che si è limitato nel­ l'uso dei suoi sicuri diritti, nell'interesse del vangelo (9 , 1 2 . t 5. 1 8 .22s) . Ciò lo porta a considerare la natura del vangelo, e quindi la pericolosa follia di coloro che, in virtù dei sacra­ menti , credono di essere automaticamente preservati dal pec­ cato e dal giudizio. A questo punto riprende il tema principale del cibo sacrificato, alla luce dei nuovi dati emersi nella di­ gressione . L'integrità della t Cor è un problema su cui conti­ nueranno ad esistere diversi punti di vista. Le ricostruzioni suggerite, di cui sono stati dati quei due esempi, sono certa­ mente possibili, nondimeno la loro varietà sta a indicare come l'elemento soggettivo sia in esse determinante ; e quanto più esse sono elaborate, tanto più è difficile comprendere il proces­ so redazionale che ha dato all'epistola la sua forma attuale. Tuttavia, finché parrà che l'epistola abbia storicamente e teo­ logicamente un senso plausibile così come sta, il bilancio 28

delle probabilità rimarrà a favore dell'opinione che l'epistola che abbiamo è sostanzialmente quella uscita dalle mani dello autore. 1 1 1 . IL

CONTRI B U TO DELLA

«

PRIMA AI CORINT I »

l . Per lo sviluppo della teologia

1 Cor è tutt'altro che un'opera di teologi a sistematica. � una lettera pratica, rivolta a una situazione singola per quan­ to complessa, con lo scopo di dire ai suoi lettori non tanto ciò che dovrebbero pensare, ma ciò che dovrebbero o non dovrebbero fare. Tuttavia, il consiglio pratico è coscientemen­ te basato su principi teologici , che di solito è possibile scor­ gere ; ma, cosa anche più importante, sembra che i problemi trattati da Paolo abbiano avuto un certo effetto sulle sue idee teologiche, o per lo meno abbiamo avuto un effetto ca­ talizzatore nel produrre certi sviluppi che, altrimenti , si sareb­ bero verificati molto più lentamente. La teologia sottostante i consigli di l Cor è meglio studiarla ma n mano che emergerà dall'epistola : occorre quindi vederla nel corso del commento . N elle pagine seguenti , non si fa alcun tentativo per dare un re­ soconto completo di "teologia paolina", e nemmeno della teo­ logia di 1 Cor; ci proponiamo piuttosto di indicare alcuni punti nei quali le circostanze della chiesa di Corinto obbligarono Pao­ lo a svilupare il suo pensiero teologico. a) Cristologia A Corinto non c'era nessun evidente errore cristologico, che costringesse Paolo a sviluppare un pensiero cristologico ela­ borato; due elementi, tuttavia, lo indussero a riflettere su temi cristologici. Il primo è in rapporto alla sapienza ( o-ocpt:a) . Più avanti, nel commento,26 si mostrerà che la parola sapienza vie­ ne usata in almeno quattro modi diversi in l Cor. A Corinto 2"

Cf. anche Christianity at Corinth, pp. 275-286.

29

c'erano alcuni per cui la sapienza era soprattutto un modo di predicazione, e comportava l'uso di mezzi logici e retorici al fine di convincere l'ascoltatore, il cui convincimento, se rag­ giunto, si sarebbe basato sui mezzi impiegati. La forza della argomentazione era quella con cui l'oratore riusciva a presen­ tare il suo tema. Paolo sentiva di dovere me.ttere in chiaro che egli non intendeva la predicazione cristiana in questo mo­ do, ma che per lui essa era un annuncio di quella follia asso­ lutamente non convincente che è Cristo crocifisso; un annun­ cio che deriva la sua efficacia non dalla sapienza umana con cui lo si presentava, ma dal suo contenuto : Cristo stesso e la potenza autoevidenziantesi dello Spirito di Dio che accompa­ gnava l'annuncio . Cristo è la vera sapienza . . . Ma, in aggiunta, la sapienza (talvolta forse conoscenza, yvCxr�.46 e Clemente omettono 't'Ò'J DE6'J (Dio) , app oggiat i da s • e 3 3 che hanno \m' a.Ù't'ov, da lui (in questa traduzi one: da Dio) . Zu ntz. pp. J l s. pensa che la lettura più lunga sia rovinosa per il senso; un'opinione diversa è presentata nel commento. 3 Invece di trv'VT)DEC�, la maggior parte dei mss., compresi D G e il Latino, hanno CTU'J�t.OTtO'Et.; cf. il commento.

235

loro cibo come qualcosa sacrificato a un idolo, e la loro coscienza, che è debole, viene contaminata. 8"Il cibo non ci raccomanda a Dio": se non mangiamo, non ci viene a man­ care niente; se ne mangiamo, non ne abbiamo alcun vantag­ gio. 4 9State attenti che questa vostra autorità non diventi un inciampo per coloro che sono deboli. 10Poiché, se qualcuno vede voi,5 che avete la conoscenza, sedere a tavola in un san­ tuario di idoli, non sarà la sua coscienza, la coscienza di que­ st'uomo debole, fortificata a mangiare cose sacrificate agli idoli ? 11Perché l'uomo debole perisce per la vostra cono­ scenza, il tuo fratello, per amore del quale Cristo è morto. 12E così, peccando contro i tuoi fratelli, e ferendo la loro co­ scienza, debole com 'è, tu pecchi contro Cristo. 13Perciò, se il cibo offende mio fratello, non mangerò mai più carne, così che io non offenda mio fratello. 1

Circa le cose sacrificate agli idoli: Paolo passa a trattare un nuovo argomento, posto (pare) dalla lettera dei Corinti (cf. 7, 1 e la nota) . Molto, benché non tutto,6 del cibo in vendita nelle antiche città era passato, totalmente o in parte, attra­ verso riti sacri compiuti in luoghi religiosi pagani . Comune­ mente veniva descritto come "sacrificato per scopi sacri " (�ep6ì}u"tov, usato da Paolo in 1 0, 28; era usato anche ì}EòthJ"tov) ; ma giudei e cristiani , che avevano una loro opinione su tali azioni sacre, preferivano chiamarlo "sacrificio agli idoli " ( etòwÀ6ihJ"to'V) .

Questo cibo era proibito ai giudei per tre motivi : a) era contaminato da idolatria; b) non si poteva supporre che i pa­ gani , per questo, avessero pagato la decima; c) se si trattava di carne, non si poteva presumere che fosse stata macellata in mo­ do ritualmente corretto. Non c'è dubbio che anche a Corinto vi fossero giudei locali o di passaggio che insistevano che la • L'ordine di questa frase è invertito da S D G e dalla maggioranza dei mss. 5 a"E , voi, è omesso da p46 B G e il Latino, cosi che si dovrebbe tradurre: « . . .vede uno che ha conoscenza, sedere » . Questo modo di tradurre gene­ ralizza e indebolisce una affermazione più forte. 6 Per questo, e per altri temi relativi al cibo sacrificato agli idoli, e per molti particolari riguardanti le questioni trattate in questo capitolo, cf. sotto « abbreviazioni »: « Cose sacrificate agli idoli ». ...

236

stessa proibizione fosse obbligatoria anche per la chiesa. Con­ tro di loro, gli gnostici cristiani, la cui presenza è rivelata non solo dalla rivendicazione di essere in possesso della gnosi (cf. oltre) , ma anche dalla libertà e dall'autorità che godevano in conseguenza di essa/ sottoposero a critica l'argomentazione dei giudei, dimostrando che era priva di fondamento . Che cosa si doveva fare dunque? Paolo tratta la questio­ ne in due passi : qui (c.8) e ancora in 1 0, 1 4-33 . Talvolta si sostiene che le due trattazioni dello stesso problema sono in disaccordo fra loro, e che in origine devono essere state parti di due diverse lettere. Ciò spiegherebbe anche il fatto che ora, in 1 Cor, siano separate. Il motivo per cui si interpone il c.9 è discusso più avanti ;8 solo una esegesi dettagliata può detenninare se Paolo non si contraddice nelle due parti in cui si articola la sua discussione.9 Noi sappiamo che "noi tutti abbiamo la conoscenza". Co­ me in 7, 1 e in altri passi, sembra che Paolo citi la lettera dei Corinti ; egli ammette la pretesa che tutti abbiamo la cono­ scenza, perché il suo primo passo è di mostrare le limitazioni della conoscenza in se stessa e, ciò facendo, mostra di aver parte alla conoscenza degli "gnostici". Al v. 7 , considerando la questione da un'altro punto di vista, l'apostolo nega che tutti abbiamo la conoscenza, e afferma che coloro che non l 'hanno, hanno tuttavia dei diritti, e possono esigere la carità dei loro fratelli, che non deve essere né ignorata né negata. . Il termine conoscenza (yvwcnç)10 probabilmente (a questo punto) era usato in senso ampio, e i pochi versetti successivi mostrano che includeva la teologia speculativa cristiana in generale, portando a certe conclusioni relative al comporta­ mento sociale e morale dei cristiani . Però, pare che fosse fo­ calizzato sulla dottrina di Dio; evidentemente gli gnostici pre­ tendevano di conoscere Dio ( l Gv 2 , 4) . Paolo, benché fosse critico nei confronti del movimento gnostico, condivideva pe­ rò molte delle loro opinioni, come vedremo. 7 Bultmann, Theologie, p. 180. 1 Vedere a pp. 248s. 9 Per un sommario delle conclusioni a cui conduce l'esegesi, cf. Intro­ duzione, pp. 28s. 10 Cf. sopra, p p . 30 e 9 1 s. 237

La sua critica principale appare nel suo primo commento. La conoscenza gonfia, l'amore invece edifica. Era una caratte­ ristica dei Corinti quella di essere gonfiati (4, 6 . 1 8 . 1 9; 5, 2 ; da confrontare con 1 3, 4); e d era una caratteristica di Paolo quella di essere preoccupato dell'edificazione della chiesa (3 , 9 . 1 0 . 1 2 . 14; 1 0, 23 ; 14, 3 .4.5 . 1 2 . 1 7 .26) . Il presente para­ grafo procede con la dimostrazione delle conseguenze di una gnosi senza amore (vv.9- 1 3) . C i si può chiedere se esista una tensione necessaria tra conoscenza e amore. Era impossibile che vi fosse uno gnostico che anche amasse? Paolo stesso è prova del fatto che le due cose non erano del tutto incompatibili ; egli aveva opinioni sostanzialmente gnostiche, insieme ad una amorosa preoccu­ pazione per la chiesa nel suo insieme. Ma lo gnosticismo di Corinto comportava essenzialmente un egoismo incompatibile con l'amore cristiano; non si trattava semplicemente di un complesso di dottrine (che lo stesso Paolo poteva sostenere) ma di un modo di affrontare la vita e la religione possessivo (erotico, nel senso più ampio del termine) e perciò incompa­ tibile con l'amore (&.ya1tl'); cf. c. 1 3) . I l versetto seguente mostra le difficoltà terminologiche in cui si trova Paolo. Se qualcuno pensa di avere raggiunto qual­ che elemento di conoscenza (alla lettera: pensa se stesso come uno che è giunto a conoscere qualcosa) , egli non è ancora arrivato alla conoscenza che dovrebbe avere (alla lettera : non è ancora giunto a conoscere come dovrebbe conoscere).

2

.

Sembra che la distinzione (che queste proposizioni piuttosto impacciate cercano di esprimere) sia tra gli elementi di conoscenza (gnosi) su Dio da un Iato, e la condizione di es­ sere in rapporto con lui in modo personale e giusto dall'altro. Essere cristiano, ed edificare la vita della chiesa cristiana, non consiste nell'acquisire e nell'insegnare un certo numero di pro­ posizioni su Dio, anche se di fatto si tratta di cose vere, e tali che un apostolo debba non solo condividerle, ma anche ripeterle e insegnarle e, precisandole, basarsi su esse. Possedere questa sana dottrina e vantarsene è molto diverso dalla cono· scenza di Dio in cui consiste il cristianesimo (p. es. Gv 1 7 , 3); questa è la conoscenza che si dovrebbe avere; e c'è una vera 238

gnosi cristiana, anche se i Corinti ancora non l'hanno conse­ guita così pienamente come credono. Anche così, tuttavia, la parola-chiave non è conoscenza, 3 ma amore. Ma se qualcuno ama Dio, egli è stato conosciuto da Dio. L'apodosi di questa frase è oscura; alla lettera dice : "questa persona è stata conosciuta da lui"; non sarebbe im­ possibile intendere la frase nel significato : "Dio è stato cono­ sciuto da lui" ; cioè, se ami Dio (invece di speculare su di lui), conosci Dio (cf. 1 Gv 4, 7). Si confronti, tuttavia, 1 3 , 1 2; 1 4, 38; Gal 4, 9 ; 2Tm 2, 1 9 . L a risposta fondamentale di Paolo all'idea tipicamente gnostica della ascesa spirituale dell'anima a Dio è l'afferma­ zione del primato dell'iniziativa divina sia nel prendere cono­ scenza dell'uomo, sia nell'agire a suo favore mandando il proprio Figlio. La frase non significa : se un uomo ama Dio, Dio lo compensa riconoscendolo (ciò sarebbe contrario al pen­ siero di Paolo espresso in modo chiaro altrove) . Ma il senso è piuttosto : se un uomo ama Dio, è segno che Dio ha preso la iniziativa. E più caratteristico di Paolo descrivere la rispo­ sta dell'uomo a Dio come fede piuttosto che come amore. Per l'amore verso Dio, si veda tuttavia 2, 9; Rm 8 , 28; e pure Rm 5 , 5; 2Ts 3, 5 . Probabilmente qui viene scelta questa e­ spressione, perché Paolo sta ponendo in antitesi la conoscenza e l'amore, e vede che l'amore del cristiano per il suo prossi­ mo (e essere questo amore, piuttosto che la gnosi, a determi­ nare le sue azioni) deriva dal suo amore riconoscente per Dio. Il linguaggio della conoscenza reciproca tra Dio e l'uomo è gnostico nella formulazione; ma Paolo assume da fonti gno­ stiche solo il linguaggio; il contenuto è la dottrina biblica del­ la elezione e della comunione con Dio (Es 33, 1 2 . 1 7 ; Am 3, 2 ; Ger l , 5 11 ) . Si confronti il v.6. Ma qual è la posizione gnostica sostanzialmente corretta 4 in rapporto al cibo sacrificato agli idoli? In quanto a mangia­ re cose sacrificate agli idoli, sappiamo che (cf. v. l ; le parole introducono ancora una citazione dalla lettera dei Corinti) ''non c'è idolo nel mondo", e che "non c'è Dio se non uno �

11

Cf. Lietzmann; anche Bultmann, in ThWI, 709s.

239

solo". La prima proposizione probabilmente significa che non c'è nel mondo nessun idolo che abbia esistenza reale, benché in vista di 1 0, 20s, per non dire del v.S , questa affermazione esiga una attenta esposizione. Paolo stesso credeva, senza dubbio, all'esistenza di esseri demoniaci e che questi esseri facessero uso di riti idolatrici ; il fatto che essi fossero stati sconfitti, .e finalmente completa­ mente soppressi da Cristo, non toglieva una minaccia, da parte loro, contro i cristiani; né l'eliminava il fatto che l'og­ getto adorato non fosse altro che un pezzo di legno o di pietra . t facile, in un contesto come questo, usare un linguaggio im­ preciso; e probabilmente così fecero i Corinti, volendo dire che, p . es., la proposizione : "questa statua è Zeus o Atena", non è vera. In particolare, non è vero che o la statua o la figura mitica da essa rappresentata sia ciò che un cristiano intende con "Dio". Quello che i cristiani intendono per "Dio" non può essere altro che uno. Si può trovare questa convinzione dell'AT (p. es. Dt 6, 4 ; Is 44 , 8; 45 , 5) ; i Corinti forse devono questa idea, in parte, anche alla tendenza monoteistica della filosofia greca (in particolare tra gli stoici, non senza precedenti più antichi ; ma anche altri/2) . Ciò che Paolo intende per unicità di Dio è espresso nei versetti seguenti . Poiché, di fato, benché vi siano (El1tEP, concessivo 13) co5 siddetti dèi, sia in cielo che in terra, come vi sono di fatto 6 molti "dèi" e molti "signori", tuttavia per noi c'è un solo Dio. Sarebbe stato sciocco negare che la parola dio fosse di uso comune; nell'opinione comune, il mondo antico era fittamen­ te popolato di esseri divini che, benché la loro dimora naturale fosse in cielo, agivano liberamente e di tanto in tanto appa­ rivano sulla terra. Paolo sembra andare oltre. La parola dio, come è usata dai pagani, senza dubbio non indica il Dio dell'AT, il Dio e Padre del Signore Gesù Cristo; ma da ciò non deriva che essa non indichi niente, e che que­ gli esseri che i pagani chiamano dei non abbiano un'esisten­ za. L' AT stesso presuppone la loro esistenza, per esempio in 12 13

240

Cf. l'argomento nell'interessante dialogo di Plutarco: De Ei Delphico. Come in Omero (B. D. § 454).

Dt 1 O, 1 7 , che mette insieme i termini dei e signori come questo versetto. In questo versetto Paolo non sembra esprimere un'opinio­ ne precisa sulla questione; sarebbe esagerare in una dire­ zione, supporre che neghi l'esistenza di esseri né veramente divini né veramente umani ; ma sarebbe esagerare nella di­ rezione opposta se prendessimo le sue parole vi sono come affermazione della realtà degli esseri menzionati . La succes­ siva trattazione del problema sul cibo sacrificate (cf. 1 0, 20s) mostra il pensiero di Paolo in materia. Egli non parla solo di molti dei, ma anche di molti signori, in previsione della duplice affermazione che sta per seguire, su Dio Padre, e il Signore Gesù Cristo; questa affermazione era perciò proba­ bilmente una fonnula che Paolo aveva usato prima, e non co­ niata a quel punto. La forza dell'argomento è nell'asserzione che, per quanti esseri spirituali o demoniaci vi possano essere, per noi c'è solo uno che riconosciamo come Dio, in cui confidiamo e al quale ubbidiamo in un unico senso, in quanto origine della vita e della redenzione. Questo riconoscimento ha luogo sul­ la base non della speculazione, ma dell'azione di questo Dio nella storia, mediante il suo Figlio . Quindi egli è descrit­ to come il Padre (in primo luogo del suo unico Figlio Gesù Cristo; in secondo luogo anche di coloro che, mediante Cri­ sto, hanno una figliolanza derivata) , da cui vengono tutte le cose (cioè, egli è il Creatore) e a cui il nostro stesso essere con­ duce (alla lettera, e noi a lui; cioè, noi esistiamo per servirlo, e il nostro destino lo si deve trovare in lui) , e un unico Signore Gesù Cristo, mediante 14 il quale tutte le cose, compresi noi stessi, vengono all'esistenza (questo modo di tradurre per rendere il rapporto, tende ad oscurare la distinzione tra tutte le cose e noi stessi: Cristo è I' agente della creazione, ed è anche l'agente della redenzione; ed è come frutto della redenzione che noi veniamo ali'esistenza 15) .

1.. « Questo òtci ha il suo fondamento esegetico nel be di Gn l , 26 : b• fQl­ menu » (Schlatter) . 15 Cf. Bultmann, Theologie, p. 1 3 1 . 24 1

Come in un passo precedente,l6 Paolo fa uso della termi­ nologia religiosa ellenistica. Si confronti anche Rm 1 1 , 36.17 Gesù Cristo non viene descritto come Dio, e il fatto che U termine Signore (xvpt-oc;) nel grevo vetero-testamentario ser­ visse molto spesso da equivalente del nome ebraico di Dio (YHWH) perde parte della sua forza per il fatto che lo stesso termine era usato con una molteplicità di altri significati : per esempio poteva voler dire niente di più che "signore", forma cortese per rivolgersi a qualcuno. t sempre importante notare il contesto in cui la parola Signore viene usata. Qui evidente­ mente è in stretto rapporto, ma non si identifica con il ter­ mine Dio. Cristo, nell'uso paolina, di rado è più di un secon­ do nome personale; ma il suo uso significa che Paolo accetta­ va la convinzione che Gesù fosse il Messia, la cui venuta era attesa dal giudaismo; in lui le promesse dell'A T si erano adem­ piute (cf. 2Cor l , 20) . Per il mondo ellenistico, il termine Signore era un modo di esprimere la regalità divina di Gesù, più significativo di quanto non potesse essere la terminologia messianica. Come si è notato in precedenza, Gesù Cristo Signore è riferito sia alla creazione che alla redenzione. Come giustamente fa notare O. Cullmann/8 il Padre e il Figlio non sono distinti per le loro sfere di operazione (creazione e redenzione) , ma per le prepo­ sizioni, da e a riferite a uno, e mediante riferita all'altro. Nel­ la creazione e nella redenzione Gesù occupa il posto tenuto dalla Sapienza e dalla Legge, personificate, nel giudaismo .19 Questa osservazione, benché utile e importante, non ren­ de per se stessa il pieno significato di ciò che è detto, che certamente è indipendente dalla speculazione sulla Sapienza e sulla Torah. Gesù Cristo è l'agente divino, e nella sua azione si percepisce Dio; egli sarebbe visibile nella sua opera 16

Cf. pp. 1 1 9. 192s. Cf fra i tanti passi che possono essere citati, M. Aurelio IV, 23: Da te (natura, q>uaLç) sono tutte le cose, in te sono tutte le cose, a te sono tutte le cose ». 18 Cf. Cristologia del nuovo Testamento (trad. it., Bologna 1957) pp. 2, 264, 356; Cristo e il tempo (trad. it., Bologna 1965) p. 135. 19 Cf. W. D. Davies, pp. 147-1 76, benché senza riferimento specifico a questo passo. 17

242

.•

di creazione se non fosse che la creazione è stata deturpata. lnvero, è nell'opera di restaurazione che egli, e in lui Dio,. possono essere percepiti e incontrati .20 Queta è la rappresentazione che Paolo dà della gnosi dei Corinti (che può avere reso migliore mentre la citava e la sviluppava, cf. Col 1 , 1 5-20) . E non è così irrilevante rispetto al tema principale, come da alcuni si è sostenuto, dal momento che le riflessioni sulla realtà del culto e della fede idolatrica sono in connessione con il problema del cibo sacrificato agli idoli : Paolo, di fatto, non avrà difficoltà a ritornare al pr� blema pratico di ciò che i Corinti possono e non possono man­ giare. Se tutti riconoscono la fondamentale irrealtà degli idoli (come si pretendeva al v. l : noi tutti abbiamo la conoscenza) , non ci sarebbe stato problema; ma non è così semplice. 7 Non è che ciascuno abbia questa conoscenza. Si confronti il v . l , e la nota relativa; non c'è bisogno di supporre 21 che Paolo usi il termine conoscenza (yvwat.c;) con due diversi si­ gnificati nei due versetti . � facile, per i cristiani illuminati� dimenticarsi dell'esistenza dei loro fratelli più deboli che, benché come cristiani credessero nell'unico Dio e nell'unico Signore, non erano giunti a dedurre da questo che i cosiddetti dei e signori, e gli esseri demoniaci di ogni specie, ora non potevano più separare il cristiano da Dio (Rm 8, 38s) . Alcuni, mediante la familiarità fino ad ora con l'idolo, mangiano il loro cibo (le due ultime parole non sono nel testo greco, ma nella traduzione il verbo mangiare ha bisogno di un oggetto; si intende che ciò che viene mangiato è giunto da una fonte idolatrica) come qualcosa sacrificato a un idolo, e la loro coscienza, che è debole, viene contaminata. Una lezione bene attestata 22 dà : "Alcuni, mediante la loro consapevolez­ za (cruvet.oi}cret.) dell'idolo, ... ", ma probabilmente questa lezio­ ne è derivata dalla rassomiglianza tra familiarità (cruvf)Det.a) e consapevolezza (conoscenza, cruvei01')0"t.c;) e dal fatto che coscien­ za ricorre alla riga seguente. A Corinto vi sono uomini che hanno mangiato cibo sacri21 21

22

Cf. Adam, pp. 87s. Con Héring. Cf. qui sopra, nota 3.

243

ficato per tutta la vita, e l'hanno sempre considerato come sacrificato ad un idolo che aveva un'esistenza reale, e quin­ di con significato e forza spirituale reali . Diventando cristia­ ni, non hanno cessato di credere nella realtà degli esseri spiri­ tuali che sono dietro gli idoli , e di conseguenza non hanno ces­ sato di considerare il cibo stesso come provvisto di significato religioso. Sono deboli (cf. 9, 22; anche Rrn 1 4, 1 .2 .2 1 : ma si noti che in questo passo i "deboli" non possono essere di origine giudaica, dal momento che hanno avuto familiarità con l'ido­ latria) , deboli nella coscienza, perché sono scrupolosi, e la scrupolosità si fonda su un errore; mangiare del cibo sacri­ ficato agli idoli è contrario alla loro coscienza, e, se ne man­ giano, la loro coscienza è contaminata. Tutto ciò è stolto, e Paolo non difende questo comportamento, benché, continuan­ do nel discorso, difenda il posto dell'uomo debole nella chie­ sa e il suo interesse per il comportamento del suo fratello forte. Paolo argomenta citando di nuovo formule che esprimo­ no le convinzioni dei Corinti (e forse la loro lettera) e quindi, 8 nell'approvarle, le precisa : "Il cibo non ci raccomanda a Dio" (cioè l'osservare le leggi relative al cibo non costituisce un diritto nei confronti di Dio; cf. Rm 1 4, 1 7) : se non mangiamo, .non ci viene a mancare niente; se ne mangiamo, non ne abbia­ mo alcun vantaggio. La prima proposizione è chiaramente in armonia con la posizione dei cristiani forti di Corinto, che non vedono nessuna difficoltà nel mangiare il cibo sacrificato, e Paolo è d'accordo . Una interpretazione alternativa è: il cibo non ci porterà davanti al giudizio di Dio (cf. Rm 1 4, 1 0; 2Cor 5 , 1 0); non saremo né ricompensati né puniti per il mangiare o il non mangiare. La differenza di significato è piccola. Con la seconda e la terza frase Paolo comincia a correg­ gere la posizione dei Corinti . I cristiani forti le avrebbero formulate in modo diverso: se mangiamo cibo sacrificato, non perdiamo niente della nostra condizione di cristiani o della no­ stra ricompensa cristiana ; se non ne mangiamo, e ci asteniamo dal farlo come i cristiani deboli per motivi rigoristici, non ne traiamo alcun vantaggio. Ciò è senza dubbio vero; ma Paolo è preoccupato di indicare che anche l'opposto è ugual244

mente vero : Nessun uomo si salva perché è un cristiano "pro­ gredito", con idee liberali; né si danna perché segue i det­ tami di una coscienza troppo scrupolosa: una applicazione conseguente del loro principio teologico può quindi costituire un freno per gli stessi gnostici. Segue una considerazione ancora più importante . I cri­ stiani devono camminare nell 'amore e tener conto delle neces9 sità dei loro fratelli . State attenti che questa vostra autorità (t;owl4, · qui non è spiegata, ma certamente si intende o com­ porta autorità di mangiare ogni genere di cibo; probabilmente la parola ricorreva nella lettera dei Corinti, ed etimologica­ mente richiama il "tutte le cose mi sono permesse" di 6, 1 2 ; 1 0 , 23 ; cf. 9 , 4 . 1 2 . 1 8 23) non diventi un inciampo (1tp6crxoJJ.p..a ; cf. Rm 1 4, 1 3 . 20) per coloro che sono deboli (cf. v. 7 , coloro che hanno una coscienza debole) , come potrebbe, se essi fos­ sero indotti da ciò a fare quanto è contrario alla loro co­ scienza. ' 10 L'argomento viene chiarito con un esempio concreto. Perché, se qualcuno vede voi, che 24 avete la conoscenza, se­ dere a tavola (letteralmente, giacere) in un santuario di idoli (come mostra il c . 1 0 ; ma vi sono molti altri modi, oltre que­ sto, in cui si può mangiare cibo sacrificate) , non sarà la sua coscienza, la coscienza di quest'uomo debole (è un tentativo di imitare l'insolito ordine lessicale del greco) , fortificata (let­ teralmente : edificata: 25 la parola di solito viene usata da Pao­ lo in senso positivo) a mangiare cose sacrificate agli idoli? Molti greci 26 che, per motivi razionalistici , avevano smes­ so di credere negli dei e nell'efficacia del sacrificio, continua­ vano a partecipare, per motivi sociali, a riti in cui non vede­ vano più alcun significato. Un cristiano, a più forte ragione, non poteva forse non solo accettare inviti in case private ( l O, 2 7 ), ma anche mangiare in templi pagani coi suoi amici, nel contesto di riti idolatrici? Che male c'era? Non era anzi una cosa buona? 23

Secondo Lietzmann è un termine gnostico. Cf. qui sopra, nota 5. 25 Cf. sopra, p. 237 . � Come nota Schlatter. 24

245

Questo versetto probabilmente riflette la pretesa dei Co­ rinti forti : Se do un buon esempio prendendo pubblicamente parte a una festa idolatrica, poiché so che il cibo è soltanto cibo e niente di più, i nostri fratelli cristiani meno illuminati saranno incoraggiati, edificati a fare lo stesso. È vero, commenta Paolo; ma, a differenza di voi, essi agi­ ranno contro la loro coscienza, e quindi peccheranno, poiché, qualunque cosa non derivi da convinzione di fede, è peccato (Rm 1 4, 23) . Ciò sarà a loro distruzione, qualunque possa 1 t essere la verità teologica sugli idoli.27 Perché (quel che accade è questo) l'uomo debole perisce per la vostra conoscenza, il tuo fratello, per amore del quale Cristo è morto. Poiché tu agisci ispirato dalla conoscenza piuttosto che dall'amore, e trovi op­ portuno esercitare la tua coscienza forte, il tuo fratello, che induci al peccato, perisce, e Cristo per lui soffre invano . 12 E così, peccando contro i tuoi fratelli (in greco, i fratelli, la comunità nel suo insieme, ma specialmente il debole) , e ferendo la loro coscienza, debole com'è, tu pecchi contro Cri­ sto (cf. Mt 25, 40) . Fino a tal punto i possessori della cono­ scenza possono essere in errore! E dovremmo forse aggiun­ gere : fino a tal punto possono essere peccatori quelli che si dicono i membri più spirituali della chiesa! Paolo non comanda agli altri (e questo è interessante per farci capire come intendesse il proprio ministero) , ma la sua 1 3 conclusione è chiara. Perciò, se il cibo (in particolare il cibo idolatrico; ma, come mostra il resto della frase, s'intendono anche altri tipi di scrupolo riguardo al cibo) offende (fa in­ ciampare, ma il verbo non è etimologicamente in rapporto col sostantivo di v .9; si veda piuttosto l , 23) m io fratello (lo di­ stoglie dalla fede cristiana) , non mangerò mai più carne, cosl che io non offenda mio fratello (Ap 2, 1 4) . Carne, non cibo sacrificate ; per i cristiani vegetariani si veda Rm 1 4, 2 . È più difficile dedurre da questo versetto che a Corinto fosse diffuso questo tipo di vegetarianismo; Paolo generalizza e amplia sem­ plicemente la situazione.28 71

Héring. Schlatter cita Giuseppe Flavio, Vita 14: « Certi sacerdoti giudei, man­ dati a Roma, vivevano di fichi e noci per evitare di contaminarsi » . 28

246

Paolo è disposto a ridurre la propria libertà (cf. 9, l , e la nota per la connessione) a qualunque grado, nell'interesse dei suoi fratelli. Egli non considera la possibilità che questa li­ mitazione in qualche circostanza possa dare una falsa impres­ sione della verità cristiana; non c'è dubbio che non c'era nes­ sun pericolo che la posizione del cristiano forte scomparisse a Corinto. Vale la pena notare, prima di concludere con questo bra­ no, che si può avere una descrizione completa della posizione dei Corinti, congiungendo le citazioni che sono state fatte ai vv . 1 .4.8 : Noi tutti abbiamo conoscenza (8, 1 ) : non c'è idolo nel mondo, c'è solo un Dio unico (8, 4) ; perciò mangiare della carne offerta agli idoli è cosa indifferente (8 , 8) . Quindi anche qui si applica il "tutto è lecito" ( l O, 23) . � un procedi­ mento di pensiero chiaro e irresistibile, del tutto conforme al pensiero di Gesù (Mc 7, 1 5a) , apparentemente!29 Si può anche notare che Paolo, trattando del problema del cibO' offerto agli idoli, non fa nessun riferimento, né qui né al c. l O, al cosiddetto decreto apostolico (At 1 5, 20 .29 ; 2 1 , 25).30

2f

J. Jeremias, « Studia Paulina », p. 1 52. Introduzione, p . 19.

3Q Cf.

247

xx 9 , 1 -27 : ANCHE UN APOSTOLO RI NUNCERÀ AI SUOI DIRITTI PER AMORE DEL VANGELO

1Non sono io libero ? Non sono io un apostolo? Non ho io visto Gesù, il nostro Signore? Non siete voi opera mia nel Signore? 2Se io non sono un apostolo per altri, tuttavia al­ meno per voi lo sono, perché voi siete il sigillo del mio aposto­ lato nel Signore. 13La mia difesa contro coloro che desiderereb­ bero esaminare me, è questa: 4Non abbiamo noi il diritto di mangiare e bere? 5Non abbiamo noi il diritto di portare con noi una sorella cristiana come moglie, come fanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? 60ppure sia.mo Barnaba e io gli unici che non abbiamo il diritto di non lavora­ re per il nostro sostentamento ? 'Chi mai va in guerra a pro­ prie spese? Chi pianta un vigneto e non ne mangia il frutto ? O ppure 31 chi sorveglia un gregge e non beve del latte che produce il gregge? 8Supponete forse che io dica queste cose solo con auto­ rità umana ? Non è anche la legge? 9Poiché, nella legge di Mosè sta scritto: "Non metterai la museruola al bove quando trebbia". A Dio importano i buoi? 100ppure non sta egli semplicemente parlando per noi? Sì, è stato scritto per noi, poiché colui che ara deve poter arare nella speranza, e colui

31 � è omessa da B D G, da altri mss. greci e dalle nota interessante in Zuntz, pp. 104s.

248

ws.

latine;

-

cf.

una

che trebbia deve poterlo fare nella speranza di avere la sua parte di raccolto. 11Se abbiamo seminato per voi cose spiritua­ li, è gran cosa se raccogliamo cose materiali? 12Se altri han­ no parte all'autorità su di voi, non l'abbiamo noi più ancora? Ma noi non abbiamo usato questa autorità, ma sopportiamo tutto, per non porre alcun ostacolo nella via del vangelo di Cristo. 13Non sapete voi che coloro che prestano servizio in cose sante,- . mangiano le cose che vengono dal luogo santo? Che coloro che sono al servizio dell'altare, hanno insieme la loro parte all'altare? 1 4Allo stesso modo, anche il Signore ha or­ dinato, per coloro che predicano il vangelo, che debbano vi­ vere col vangelo. 15Ma io non ho fatto uso di nessuno di que­ sti privilegi. Né ho scritto queste cose affinché, nel mio caso, le cose siano fatte in questo modo. Perché preferisco morire piuttosto che. .. No, nessuno svuoterà questo mio vanto.32 16Poiché, se io predico il vangelo, ciò non mi dà motivo per van iarmi.33 Poiché sono sotto coercizione: guai a me, infatti, se non predicassi il vangelo! 11Perché se faccio questo di mia volontà, ho un compenso, ma se, senza scelta da parte mia, mi è stato affidato un compito, 18qual è dunque il mio compen­ so ? Che quando predico il vangelo, io lo presenti senza prezzo, così da non fare uso della mia autorità nel vangelo. 19Benché io sia libero da tutti gli uomini, mi sono fatto schiavo di tutti gli uomini, affinché io possa conquistare i più di loro. ']JjPer i giudei sono diventato come un giudeo, al fine di poter conqui­ stare i giudei. Per coloro che erano sotto la legge io divenni come se fossi sotto la legge (benché io non sia sotto la legge) perché potessi conquistare coloro che sono sotto la legge. 21Per coloro che erano fuori della legge, sono diventato come se fossi fuori della legge (benché non sia libero da obbligo legale verso Dio ma sotto obbligo legale verso Cristo) per poter conquistare coloro che sono fuori della legge. 12Per i deboli divenni debole, per poter conquistare i deboli. Sono

32 Ci sono parecchie varianti, delle quali tv« -tl. è quella più attestata. Tutte sembrano volte ad appianare un testo difficile 33 s• D G e la Vetus latina hanno xap� (grazia) invece di XOCUX1lJ..I4 (mo­ tivo di vanto) .

249

diventato tutto per tutti gli uomini, perché in tutti i modi io possa salvare alcuni. 23Ma qualsiasi cosa io faccia, la fac­ , cio per amore del vangelo, affinché anch io possa avere la mia parte in esso. 24Non sapete che tutti i competitori nello stadio corrono, ma che solo uno di essi riceve il premio? Correte in modo tale da poterlo vincere. 25Chiunque prende parte alla gara, �i sottopone a disciplina in ogni maniera. Essi lo fanno per rice­ vere una corona corruttibile, noi per ricevere una corona in­ corruttibile. 26Così, per parte mia, ecco come corro: non come se non sapessi dove vado; ecco come faccio il pugilato: non come se colpissi l'aria. nMa schiaffeggio il mio corpo e lo tengo in schiavitù, affinché, dopo aver predicato ad altri, io non debba rivelarmi respinto.

Alla fine del c.8, Paolo si impegnava ad astenersi dal man­ giar carne per il resto della vita, se il mangiar carne si di­ mostrava cosa dannosa per il suo fratello cristiano . Dal mo­ mento che nella fede cristiana, compresa rettamente, non c'è niente che impedisca al cristiano di mangiar carne (a parte il motivo umanitario) , ciò significa che Paolo stesso era di­ sposto e, implicitamente invitava i suoi lettori, ad imporre una seria limitazione alla propria libertà cristiana. Sembra che egli avesse buoni motivi per sospettare che questo atteg­ giamento avrebbe soltanto provocato dell'opposizione tra i cristiani di Corinto, la cui parola d'ordine era la libertà spiri­ tuale, nì.a avrebbe anche indotto a mettere in discussione la sua stessa autorità. "Se quest'uomo fosse un vero apostolo, e avesse l'autorità di un apostolo, non consentirebbe di venire limitato in questo modo, e in altri modi, come abbiamo visto nel suo comporta­ mento a Corinto". A questo tipo di protesta, Paolo risponde im­ mediatamente nel c.9 : non c'è quindi motivo di vedere que­ sto capitolo come un'interpolazione tra due trattazioni sepa­ rate e distinte circa la questione del cibo sacrificato agli idoli. Non c'è ragione per sostenere qui la teoria della divisione della lettera, benché ci siano elementi che mostrano una certa tendenza alla digressione, e forse anche che la composizione si è estesa in un periodo piuttosto ampio; fatto, comunque, 250

probabile.34 Ed è anche vero che Paolo difficilmente avrebbe speso tanto tempo sul problema dei diritti apostolici se, a Co­ rinto, non fosse stata in discussione la sua stessa qualifica di apostolo. Paolo accoglie l'obiezione e contrattacca nel vigoroso stile t dialettico della diatriba.35 Non sono io libero? : come lo è ogni cristiano (benché vi sia ragione di sospettare un certo senso gnostico della parola "libertà" a Corinto) . Pensate che la mia libertà non esista, per il fatto che la limito per amore? Se qualunque cristiano può sostenere di essere libero, anch'io lo posso, perché non sono io un apostolo? Si veda l , l , con la nota e i riferimenti ; anche 1 5 , 8- 1 0. Nei versetti seguenti Pao­ lo mostra quali siano le basi dell'ufficio apostolico, e i privi­ legi che gli sono connessi; ma risulta chiaro che tali privilegi erano intesi in modo diverso dai diversi apostoli. Questo tema viene sviluppato in modo molto più completo (e in una situa­ zione di più grave necessità) in 2Cor, specialmente ai cc. l 01 3 ; ma Paolo era cosciente di tali possibili diversi modi di in­ tendere i privilegi apostolici fin da quando scriveva la 1 Cor. Non ho io visto Gesù, il nostro Signore? Si confronti 1 5, 8, dove l'apparizione di Gesù risorto è messa in rapporto con la chiamata all'apostolato, come accade anche qui. Anche Luca assunse il principio che tale chiamata, che comporta la capacità di testimoniare di prima mano il fatto della risurrezione, era fondamento indispensabile dell'apostolato (At 1 , 22) . Non tutti coloro che videro Gesù dopo la risurezione divennero apostoli (ma cf. 1 5, 6 e la nota; è possibile che Paolo pensas­ se che tutti i cinquecento fossero diventati apostoli) , ma solo coloro che egli delegò a questo scopo. Come si potevano di­ stinguere queste persone? Oltre che dal fatto che essi stessi rivendicavano questa unione (cosi p. es . fa Paolo in Gal l , 1 . 1 6) , dai risultati della loro attività apostolica. Un vero apo­ stolo era un evangelizzatore di successo, che non aveva biso­ gno di edificare su fondamenta poste da altri (cf. Rm 1 5 , 20) , ma costituiva egli stesso nuove chiese. 34

Of. Introduzione, p. 27. 35 Cf. le parole del cinico in Epitteto I I I/XXI I 48: « Non sono io libero

dal dolore? Non sono io libero dal timore? Non sono io libero'! ».

25 1

Quindi la successiva domanda retorica di Paolo è parte della sua dimostrazione del suo ufficio apostolico. Non siete voi opera mia nel Signore? Si confronti 3, 6. 1 0 ; 4, 1 5 : Paolo ha piantato o fondato la chiesa a Corinto; egli era il padre di questa chiesa, nel senso che era lo strumento usato da Dio (3 , 7) . Si confronti anche 2Cor 1 0, 1 3- 1 6 ; 1 2 , 1 2 . L'esi­ stenza della chiesa certifica e autentica il ministero apostolico del suo fondatore, come nessun'altra cosa potrebbe fare. 2 Se io non sono un apostolo per altri (cioè nella loro stima; le epistole danno una prova adeguata del fatto che il ruolo di Paolo era messo in dubbio) , tuttavia almeno per voi ( àÀ.À.ti YE VIJ.L'J ; come fanno notare i gratmnatici,36 VIJ.L'J yE o àÀ.À.'uiJ..L'J yE, sarebbero stati meglio; tuttavia è un tentativo di rendere l'aÀ.À.ti di Paolo, che presumibilmente era inteso con particolare for­ za avversativa) lo sono, perché voi siete il sigillo del mio apo­ stolato nel Signore. Per sigillo si confronti 2Cor l , 22, e in modo particolare Rm 4, 1 1 . � un segno visibile di qualcosa che già esiste; quindi non è la chiesa di Corinto che fa di Paolo un apostolo, e il suo apostolato non dipende da essa (non più di quanto dipenda dalla chiesa di Gerusalemme; cf. Gal l , 1 ) , ma la sua esistenza è un segno visibile del suo apo­ stolato. Ora, dopo aver affermato quali sono gli elementi probanti del suo apostolato (un mandato del Cristo risorto e il chiaro suo successo come evangelizzatore) , Paolo continua, usando un linguaggio legale, tecnico, col difendersi dai propri oppo­ sitori (la cui esistenza abbiamo per ora potuto solo dedurre; 3 tale deduzione ora viene giustigicata) . La mia difesa (a1toÀ.oy�a., usato altrove per difesa in tribun ale : At 22, l ; 25, 1 6 ; Fil l , 7 . 1 6 ; 2Tm 4, 1 6 ; cf. 1 Pt 3, 1 5 ; invece in 2Cor 7, 1 1 sono i Corinti che devono presentare una difesa) contro coloro che desidererebbero (considerando il participio presente come di conato) esaminare (cf. 4, 3s ; forse controverificare) me, è que­ sta (la posizione del pronome alla fine della frase suggerisce, come del resto il senso del passo, che ora segue la difesa ; ma forse sarebbe possibile riferire questo a ciò che precede (vv. 1 -2) . 36

252

Per

es.

Robertson, pp. t 148 (B. D. § 439) .

·

Evidentemente, a Corinto c'era qualcuno (o di origine lo­ cale o di passaggio) che desiderava mettere l'apostolo alla prova, presumendo in qualche modo che un esame rigoroso avrebbe denunziato la sua mancanza di autorità. Paolo con­ tinua con la sua risposta. 4 Non abbiamo no i il diritto (i�oua-ia, autorità) di mangiare e bere? 2 comune intendere questa frase nel senso di non ab­ biamo noi il diritto di mangiare e bere a spese della comunità, cioè di essere da essamantenuti ? Cf. v 6 Questa interpretazio­ ne è confortata dal fatto che al v 6 il "noi" del soggetto è spie­ gato come "Barnaba e io", che perciò sono messi a confronto con altri apostoli, così che il diritto in questione diventa un diritto peculiare agli apostoli e non proprio dei cristiani, che (Paolo è d'accordo) hanno il diritto di mangiare e bere ciò che vogliono. In questo argomento vi è una forza notevole; vale la pena ricordare che il filosofo che insegnava a pagamento veniva spesso attaccato.37 Quando invece si considera il tema del c.8 , che ha portato direttamente al presente sviluppo, appare che è molto probabile anche l'interpretazione secondaria cui Paolo qui rivendicherebbe il diritto di mangiare e bere senza preoccuparsi dell 'origine, idolatrica o altro, del suo cibo, di­ ritto negato dai deboli a Corinto, ma rivendicato ed esercitato (nonostante l'opposizione) dai forti; si veda 8, 9, dove si usa la stessa parola E�oucr!a. (là tradotta autorità) . Forse l'interpretazione più probabile è che benché Paolo (come mostra già v . l ) si stia volgendo a trattare il tema del­ l'apostolato, egli inizi in questo modo perché la questione del cibo idolatrico è fresca nella sua mente : "sto parlando della rinuncia volontaria ai propri diritti nell'interesse di altri. Bene : non abbiamo noi il diritto di mangiare e bere ciò che vogliamo, e di farlo a spese della comunità?". L'autorità (tçow6a.) che rivendicano gli gnostici è (al momento giusto) una bella cosa; e chi potrebbe averla più degli apostoli ? Sul significato di noi si veda oltre. 5 Anche la frase ha un duplice significato. Non abbiamo noi il diritto di portare con noi una sorella cristiana (aOEÀ.qni ; cf. .

.

.

37 C'è una buona raccolta di testi in Betz, p. 1 14, nota 3.

253

7 , 1 5 , e 1 , l per "fratello") come moglie (yu-va.txa. è predica­ tivo,38 ma ci si può chiedere se sia questo il senso migliore; l'altra possibilità è "una moglie che sia una sorella cristiana"), come fanno gli altri apostoli, e i fratelli del Signore, e Ceja? Qui il primo punto è che gli apostoli , come gli altri cristiani, hanno il diritto di essere (e molti di loro lo sono) sposati (quindi viene confermata l'argomentazione del c.7) ; il secon­ do è che gli apostoli, a differenza di altri cristiani, hanno il diritto che le loro mogli (è una forzatura del testo vedere qui, con Allo, un riferimento ad assistenti femminili, che potreb­ bero essere, ma non necessariamente, mogli degli apostoli) siano mantenute dalle comunità nelle quali operano. Questa non è solo teoria apostolica ma pratica apostolica. Chi siano gli apostoli dipenderà da ciò che si pensa sulla natura dell' "apostolato" al tempo di Paolo. In Atti, gli apo­ stoli sono i dodici discepoli di Gesù (con Mattia al posto di Giuda lscariote), insieme a Paolo, e forse una o due altre persone (cf. At 1 4, 4 . 1 4) . Però non si deve pensare che l'idea di Luca fosse presente già una o due generazioni prima. Per il significato di 1 5 , 1 - 1 1 si vedano le note; in un altro passo sembra che siano apostoli Andronico e Giunia (Rin 1 6 , 7) e in 2Cor Paolo non parla solo di falsi apostoli ( 1 1 , 1 3), ma anche di "super-apostoli" ( 1 1 , 5 ; 1 2, 1 1 ) . Gli apostoli sono i servi più importanti della chiesa ( 1 Cor 1 2, 28), ma sarebbe incauto, sulla base della testimonianza paolina, dire qualcosa di più di questo: che cioè essi erano evangelizzatori e pastori itineranti, che avevano ricevuto un mandato da Gesù risorto. Paolo non dice mai né sottintende che erano apostoli, oltre a lui, solo i dodici; quanti ve ne fossero (secondo lui) non lo sappiamo . La maggioranza era pre­ sumibilmente di persone sposate, che prendevano con sé le proprie mogli nei loro viaggi. Così facevano i fratelli del Signore : si veda Mc 3 , 3 1 ; 6, 3 ; At 1 , 1 4; Gal l , 1 9 . L'espres­ sione di Paolo si intende nel modo più naturale, figli di Maria e di Giuseppe; si può pensare che sia riferita a figli di Giu­ seppe avuti da una prima moglie. A quanto pare, alcuni di questi fratelli viaggiarono per le chiese. Non abbiamo alcun'al38

254

Secondo M. I I I 246.

tra prova in questo senso; vediamo che Giacomo, l'unico fra­ tello di cui abbiamo notizie serie, ha . concentrato la sua opera a Gerusalemme. Tuttavia Paolo non avrebbe avuto nessun motivo per nominare qui i fratelli, se il fatto asserito non fosse stato sicuro, e se non fosse stato almeno possibile che i suoi lettori lo conoscessero;. benché i fratelli possano aver limitato i loro viaggi alla Palestina. Infine viene nominato Cefa da solo (cf. sopra 1 , 1 2) . Egli certamente è incluso tra gli altri apostoli, e sarebbe difficile capire perché sia stato scelto per essere menzionato in parti­ colare qui, se non aveva visitato Corinto personalmente aven­ do, è da presumere, sua moglie con sé. Si veda nella bibliogra­ fia, "Cefa e Corinto". Forse furono coloro che "apparteneva­ no a Cefa" a mettere in dubbio l'apostolato di Paolo . 6 Paolo continua la sua argomentazione. Oppure siamo, Barnaba e io, gli unici che non abbiamo il diritto (È;ovo-�a, come al v .4) di non lavorare per il nostro sostentamento ? Le ultime quattro parole sono una aggiunta per rendere più chiaro il sen­ so. Si veda sopra v.4, e si confronti At 20, 33ss ; t Ts 2 , 9 ; 2Ts 3 , 8 . Gli apostoli hanno il diritto di essere mantenuti dalle chiese, ma il fatto che Paolo e Barnaba non abbiano usufruito di questo privilegio non significa (benché probabilmente lo affermassero, cf. 2Cor 1 1 , 1 1 ) che non fossero apostoli o che fossero soltanto apostoli di second'ordine . C'erano altri mo­ tivi a giustificazione del loro atteggiamento, che saranno spie­ gati più avanti. Sembra probabile che, quando Paolo al v .4 è passato dall'uso della prima persona singolare (usata ai vv . 1 -3) al plurale, ciò sia accaduto perché cominciava ad associare a se stesso un altro (o altri) ; il plurale maiestatico non si può supporre se non lo si vede usato in tutto il passo. L'associarsi di Paolo con Barnaba viene ricordato in At 9 , 27- 1 5 , 39; al tempo in cui furono scritte le epistole, era già avvenuta la defezione descritta in Gal 2, 1 3 (forse una versione più ac­ curata di At 1 5 , 37-40) , e sentiamo parlare ancora di Bar­ naba solo indirettamente in Col 4, 1 0 . Tuttavia, il presene ver­ setto deve essere considerato come prova del fatto che egli si sia di nuovo congiunto con la missione paolina, benché non si sappia assolutamente nulla di suoi contatti con Corinto. A 255

quanto pare, Paolo lo considerava un apostolo; si confronti At 1 4, 4. 1 4 . Per quanto Paolo e Barnaba non s e n e siano serviti, l'usan­ za da parte delle comunità di provvedere al mantenimento de­ gli apostoli era ragionevole, e basata sia sul senso comune che sulla prassi comune 7 Chi mai va in guerra a proprie spese ? Un soldato in servizio ha diritto di essere mantenuto; e perché non un apostolo ? Chi pianta un vigneto e non ne mangia il frutto? Si confronti 3 , 6 . Un vignaiolo prevede di nutrirsi di ciò a cui dedi ca il suo lavoro ; perché non potrebbe farlo un apostolo ? Oppure chi sorveglia un gregge e non beve (il verb o (a�!Et.v di solito è tradotto con "mangiare"; "consumare" sarebbe ricercato ; "be­ re" è l'unica alternativa possibile) del latte che produce il gregge? Un pastore trae vantaggio dal gregge di cui ha cura; perché non un apostolo ? K. Beyer 39 asserisce che la paratassi delle prime due domande è molto più comune nelle lingue semitiche che in greco ; questa dovrebbe essere considerata una ragione per omettere l'avversativa oppure davanti alla terza domanda.40 Queste sono analogie umane utili nei loro limiti, ma non costrittive . Vi sono motivazioni più forti; anzi c'è la prova 8 più forte di tutte, la Scrittura . Supponete forse (tJ.1}) che io dica queste cose solo con autorità umana (xa'"t'a a:vl)pw1tov, all'inizio della frase in greco, è enfatico 41) ? Non è anche la legge (cioè l 'AT , benché quèsto passo sia nel Pentateuco, Dt 25, 4) a dire queste cose (oppure, le stesse cose, se si scrive '"t'av't'a invece di 't'av't'a : ma c'è poca differenza nel senso) ? Per Paolo è sem­ pre della massima importanza poter citare l'A T a sostegno del9 la propria opinione. Poiché nella legge di Mosè sta scritto: ,, non metterai la museruola al bave quando trebbia"; e na­ turalmente l'animale coglie l'occasione di saziarsi mangiando di ciò a cui sta lavorando . "La legge presenta un altro esem­ pio della umanità tipica del Deuteronomio, che si deve eser.

,

39

Semitische Syntax im NT 1/1, 1962, p. 281 . Cf. qui sopra, nota 3 1 . 41 Per una importante discussione di questa formula et Daube, pp. 394400. 40

256

citare anche nei confronti degli animali" .42 Ma Paolo non con­ divide l'opinione del commentatore moderno. A Dio importano i buoi? Si confronti Filone : 43 "La legge non è fatta per es­ seri privi di ragione, ma per coloro che hanno intelletto e ra­ gione"; ma, dello stesso, ricordare anche : "Ho menzionato le regole indulgenti e benevole relative ai buoi quando trebbia­ no " .44 I tentativi di dimostrare che Paolo non intendeva che a Dio non importasse degli animali, s'infrangono contro la l O frase successiva : Oppure non sta egli semplicemente (1tci.'J"ttùt;) parlando per noi? L'unica interpretazione non forzata è che, nella legge vetere-testamentaria. Dio non aveva in mente i buoi, ma i predicatori cristiani e le loro necessità. Ciò non significa che Paolo negasse la verità,45 che Dio è interessato persino alla caduta di un passero; ma la verità che trovava neli'AT ed esprimeva qui era ben diversa. La sua argomenta­ zione non è del tipo a minori ad maius (qal wahomer) , di cui vi sono paralleli rabbinici : 46 "A Dio importano i buoi , perciò gli uomini a maggior ragione".47 Paolo prosegue con la risposta alla sua domanda. Sì (ytip, usato per introdurre la risposta a una domanda 48) , è stato scritto per noi, poiché (oppure che; cf. sotto) colui che ara deve poter arare nella speranza, e colui che trebbia deve po­ ter/o fare (quest'ultima parola viene aggiunta per completare il senso) nella speranza di avere la sua parte di raccolto (paro­ la aggiunta) . Per il precedente riferimento all'AT si veda l Pt l , 12. La parola (a"t�,) qui tradotta con poiché, significa anche che, e la proposizione introdotta può o indicare la ragione per cui fu dato da Dio quel comando figurato, o ripetere la so­ stanza del comando con parole diverse (�·n, dichiarativo o esplicativo � . Si è notato che il bove che trebbia, ara anche 42 S. R. Driver, A Criticai and Exegetical Commentary on Deuteronomy, 1895 , p. 220. 43 De specialibw legibus I, 260. 44 De virtutibus 1 46. 4 5 Citato qui da Calvino; cf. pure Barth, Kirchliche Dogmatik 1 1 1 / 1 1 1 , 1 74. 46 S. B. I I I 385. 41 Weiss. 41 B. D. § 452 . .., Bachmann, Allo. 257

il campo; esso è colui che ara e colui che trebbia, e il co. mando di Dt 25, 4 gli dà di compiere entrambe le opera­ zioni con la speranza di ricevere una ricompensa per le sue fatiche. Questa interpretazione sembra ricercata; per cui sì deve preferire il poiché. Una terza possibilità è che Paolo introduca qui una citazione da una fonte non canonica : "Sta scritto : colui che ara . . . ". Ma è improbabile. Paolo intende che il comando veniva dato per sostenere il principio vero che un operaio (l'apostolo compreso) deve ricevere un compenso per 1 1 la sua fatica. Non è una pretesa eccessiva. Se abbiamo semi­ nato per voi cose spirituali, cioè portandovi il vangelo e ren­ dendo possibile l'elargizione di doni spirituali (p. es . 1 , 4-7) dandovi i più grandi di tutti i doni, è gran cosa se raccoglia­ mo cose materiali (alla lettera, cose della carne, artpxt.xa; la parola, come viene usata qui, non ha quelle risonanze logiche che ha talvolta il termine carne in Paolo) da voi? L'argomen­ tazione non ha bisogno di altri chiarimenti : il sostentamento di un apostolo è un prezzo esiguo per il vangelo . 12 C'è un altro modo di argomentare. Se altri hanno parte all'autorità su di voi (genitivo, dopo è;ova�a, come in Mt 1 0, 1 50) , non l'abbiamo noi più ancora? Mediante Paolo i Corinti furono convertiti e la loro chiesa fu fondata. Per questo mo­ tivo, egli aveva una parte maggiore, non minore, dell'autorità di cui si servivano alcuni missionari al fine di provvedere a se stessi. Ma noi non abbiamo usato questa autorità (cf. v. 1 5 ; e per autorità vv.4.5:6) , ma sopportiamo (lo stesso verbo a-tÉyEt.v è usato a 1 3 , 7) tutto (avversità, fame e cose simili ; cf. 4, 1 1 ss) per non porre alcun ostacolo nella via del vangelo di Cristo. Qui è espresso il motivo fondamentale del comportamento abituale di Paolo (cf. v .23 , qualsiasi cosa io faccia, la faccio per amore del vangelo) . I l suo servizio al vangelo gli conferi­ va dei diritti, ma egli vi rinunziava nell'interesse dello stesso vangelo. E tale interesse del vangelo comportava almeno il tener conto del fatto che i nuovi eventuali convertiti avrebbero po­ tuto pensare due volte, prima di accettare il vangelo, se aves­ sero visto che esso comportava impegni finanziari a favore ·



258

Robertson, p. 500.

dei missionari. Ma più importante era il fatto che Paolo desi­ derava che non si avesse una falsa immagine delle collette ( 1 6,4) ; e cosa più importante di tutte, il vangelo, che s'incen­ trava sull'amore e sul sacrificio personale di Gesù, non po­ teva essere presentato in modo degno da predicatori che insi­ stessero sui propri diritti, che ci tenessero a esercitare rauto­ rità, e approfittassero quanto potevano della loro opera di evan­ gelizzazione. Un esempio eminente di questa comprensione non paolina dell'apostolato è dato da Peregrinus di cui Lu­ ciano narra la storia .51 Ma lo studio di 2Cor è sufficiente per indicare esempi molto più vicini e pericolosi. Nondimeno, Paolo continua a difendere i diritti dei pre­ dicatori con una nuova serie di argomentazioni . Egli era tan­ to preoccupato che fossero riconosciuti i diritti apostolici quan1 3 to deciso a non fame uso. Seguono altri esempi . Non sapete voi (cf. 3 , 1 6; s'intende che i Corinti avrebbero dovuto sapere quello che stava per dire : il riferimento quindi può essere a pratiche pagane, benché possa valere anche per pratiche giu­ daiche 52) che coloro che prestano servizio (la parola epya�e:�a.t. usata al v.6, è generale; ma in questo contesto deve avere un significato di questo genere) in cose sante, mangiano le cose che vengono dal luogo santo ? La frase successiva, in certo modo, generalizza : che coloro che sono al servizio (cf. sopra 7, 3 5 , e la nota; essi servono Dio, all'altare : �� tl'uata.CT-tTJP�4> è "puro locativo"53) dell'altare, hanno insieme la loro parte all'altare (poco probabile, parte con l'altare, benché la costru­ zione potrebbe indicare questo significato) ? Le usanze a cui si riferisce Paolo erano assai diffuse nell'antichità . Coloro che compivano uffici sacri . per altri, potevano a ragione esi­ gere il sostentamento. 14 Anche Gesù la riconosceva. Allo stesso modo, anche il Signore ha ordinato per (così dire il senso piuttosto che a, che pure è linguisticamente possibile) coloro che predicano il van­ gelo (quali gli apostoli, ma ciò non significa che la regola sia 51 De morte Peregrini: è interessante che Peregrinus alla fine venga in dissenso con i cristiani per aver mangiato cibi proibiti. 52 Cf. J. Jeremias, ferusalem zur Zeit ]esu, 1958, II A 21, 29 . 53 Robertson, p. 52 1 .

259

valida solo per loro) , che debbano vivere col vangelo (cioè, che i loro convertiti li mantengano) . Si confronti Mt 10, 1 0 ; Le 1 0, 7; e anche l Tm 5 , 1 8 . Come s i è notato sopra,54 d i rado Paolo cita parole del Signore. Qui egli rimanda a esse perché intende costruire una argomentazione particolarmente forte, per un uso di cui personalmente non si serviva (non prendeva quindi affatto l'insegnamento di Gesù come una nuova ha­ lakah) . Ragione ed esperienza comune, antico Testamento, pratica religiosa universale, insegnamento di Gesù stesso: tutto ciò appoggiava l'usanza per cui gli apostoli (e altri ministri) erano mantenuti a spese della chiesa fondata mediante il loro mi• 5 nistero ; ma io (in posizione enfatica in greco) non ho fatto uso di nessuno di questi privilegi. Riguardo al fatto che Paolo aveva una occupazione comune per mantenersi, si veda 4, 1 2 . Né ho scritto queste cose (nelle righe immediatamente prece­ denti) affinché d'ora in poi nel mio caso (letteralmente in me, Év liJ.oL) le cose siano fatte in questo modo. Paolo ha già dato (v . 1 2) una ragione del rifiuto dei pri­ vilegi dei quali avrebbe potuto godere. Ritorna ora a ripetere con passione la sua decisione, e, sfortunatamente con un linguaggio oscuro, dà ulteriori ragioni della sua scelta. Domi­ nato dall'emozione, il discorso si fa concitato : Perché preferi­ sco morire piuttosto che . . . No, nessuno svuoterà questo mio vanto (che consiste n�l fatto di non essere pagato per essere apostolo) . La costruzione spezzata è tipicamente paolina (cf. p. es . Rm 1 , 1 1 s ; 5, 6s ; 1 Cor 1 5 , l s ; 2Cor 1 2 , 6. 1 7 ; Gal 2, 3ss) . Viene corretta nella maggior parte dei manoscritti, che leggo­ no : "Preferisco morire piuttosto che qualcuno svuoti questo mio vanto" : 55 però il testo che determina un anacoluto è il più difficile, ed è da preferirsi.56 La differenza non consiste nel senso, ma nell'intensità dell'espressione. Vantarsi (gloriarsi) è sempre un argomento difficile in Paolo : l'uomo non ha nessuna cosa di cui vantarsi , o gloriarsi, se non nel Signore (cf. sopra l , 3 1 ) . C. H . Dodd ha notato !>4

55 ·�

260

Cf. p. 249. qui sopra, nota 32. Nonostante B. D. §§ 369, 393. Cf.

questo passo e, per la sua diversità con altri delle lettere po­ steriori, ha supposto che tra la 1 Cor e la 2Cor 'S1 ci sia stata, nella vita di Paolo, una crisi . In uno stadio successivo (dopo una "seconda conversione") Paolo avrebbe rinunziato al suo desiderio di avere qualche motivo di vanto. Tuttavia è dif­ ficile basare questa ipotesi sul nostro versetto, perché esso espri­ me già il paradosso del gloriarsi nella debolezza che, secondo Dodd, caratterizzerebbe i testi successivi sull'argomento. Pao­ lo non si glorierà solo in circostanze che comportino fame e stanchezza, ma anche in una situazione che può avergli pro­ curato niente altro che derisione e insulti. E procede spiegando : 16 Poiché se io semplicemente predico il vangelo, ciò non mi dà motivo per vantarmi. :t eccessivo leggere, fra le righe di questa frase, un forte desiderio di qualche ragione di van­ to.58 Tutto ciò che Paolo dice è che la predicazione non costi­ tuisce per lui un credito, perché egli non ha scelta ! Non può non predicare. Poiché (riguardo a ciò) sono sotto coercizione.· guai a me, infatti, se non predicassi il vangelo (cf. Ger 20, 9) . Paolo è stato afferrato da Gesù Cristo (Fil 3, 1 2) e ora è schia1 7 vo di Cristo (Rm l , l , e passim) . Perché se faccio questo (pre­ dicare) di mia volontà, ho un compenso; ma senza scelta da parte mia mi è stato affidato un compito (il linguaggio richia­ ma la nomina di segretari imperiali, che di regola erano o 1 8 schiavi o liberti) , qual è dunque il mio compenso? La prima proposizione significa che se Paolo, padrone di se stesso, si fosse volontariamente impegnato a predicare , po­ trebbe legittimamente rivendicare non solo un pagamento da parte delle sue chiese, ma un compenso da parte di Dio, al quale avrebbe fatto un favore. Ciò comporta che si intenda la frase condizionale come irreale : Se io facessi questo ... avrei . . ; e non è impossibile, dal momento che, almeno teoricamente, la questione non è ancora risolta. La seconda proposizione pre­ senta l'altra possibilità alternativa che, di fatto, è quella vera. Paolo non è un operaio libero, che presta la sua opera (a Dio) in base a un contratto. :t uno schiavo che Dio si è acquistato .

57 NTSt ( 1 953) 79·82. 58 C. H. Dodd, o.c. , pp. 79s.

26 1

e che mette al lavoro come vuole. Ciò significa che rapostolo non è nella condizione di pretendere un pagamento o un com­ penso; è quindi naturale, a questo punto, la domanda : allora, qual è il mio compenso ? E la risposta è: io non ho diritto ad alcun compenso. Questo sembra il modo migliore di intendere i vv . 1 7 e 1 8a; di solito, tuttavia, alla fine del v. 1 7 si mette un punto, così che il senso diventa : Se faccio questo di mia volontà, ho un compenso; ma se lo faccio non di mia volontà, mi è stato affidato un compito . "Ho un compenso" e "mi è stato affidato un compito " sono poste come due alternative; la dif­ ficoltà consiste nel fatto che non sembra esservi un buon mo­ tivo per cui siano alternative. Perché mai, se mi è stato affi­ dato un compito, non dovrei essere ricompensato per averlo svolto? ti. meglio considerare sinonimi (o quasi) "faccio que­ sto" e "mi è stato affidato un compito", come nel testo. Ritorniamo alla domanda di Paolo. Predicare egli deve; e non può rivendicare nessun credito né alcun compenso per fare ciò che deve. Tutt'al più sarà un servo inutile (Le 1 7 , 1 0) . Qual è dunque il mio compenso? Che quando predico il van­ gelo, io lo presenti senza prezzo (cf. 1 0 , 8 ; 2Cor 1 1 , 7), così da non fare (oppure, per non fare) uso della mia autorità (Eçovat:a; Paolo continua a insistere nel sostenere che egli ha tanta autorità quanto chiunque goda dei privilegi apostolici) nel vangelo (cioè, come predicatore del vangelo) . Paolo non vuoi dire che il suo costume di non ricevere un pagamento dagli uomini, lo porterà a ricevere un compenso da Dio ; la predicazione gratuita (il parallelo con v . 1 6 dimostra che senza prezzo è enfatico) è essa stessa la ricompensa, perché si­ gnifica che egli non mette alcun inciampo nella via del van­ gelo (v. 1 2), e quindi ha una possibilità migliore di vedere fiorire il vangelo, di quanto altrimenti non sarebbe possibile. La questione qui affrontata è più ampia di quanto non sia quella del pagamento per la predicazione del vangelo. E, più conforme al ruolo di un apostolo o di un evangelizzatore, ri­ nunciare ai propri diritti piuttosto che rivendicarli . La legge del suo comportamento non dovrebbe essere il proprio van­ taggio, e nemmeno i propri desideri e le proprie inclinazioni, il vantaggio e i desideri di coloro che lo ascoltano. Quindi : 262

19

benché io sia libero da tutti gli uomini (o forse, cose; è libero, perché essendo stato reso libero come cristiano, non può di­ ventare schiavo di uomini : 7, 23) mi sono fatto schiavo di tutti gli uomini (cf. 2Cor 4, 5 , noi stessi vostri schiavi) affin­ ché io possa conquistare (cioè, come cristiani) i più di loro (o forse la maggior parte di essi : per "t'oùc; 1tÀ.Et.6va.ç cf. 1 0, 5 ; 1 5, 6 �.

La parola conquistare riflette l'uso giudaico,(,() e la pratica missionaria giudaica era consapevole del significato dell'adat­ tamento, del servizio e dell'umiltà nei suoi metodi,61 benché naturalmente non in quella forma radicale che Paolo mostra nei versetti seguenti . Mentre i giudei erano disposti a far sì che la legge non fosse più sgradevole e gravosa del necessario, Paolo era pronto ad abbandonarla del tutto. Non si può ca­ pire Paolo se non si afferra questo fatto. È vero e importante che, come hanno sottolineato recenti ricerche , Paolo sia ri­ masto per molti aspetti non solo un ebreo, ma un fariseo e un rabbino : tuttavia era diverso da tutti i farisei non cristiani, in qu anto era pronto (nell 'interesse del vangelo, v 2 3 ) a non essere più un ebreo . .

Paolo non inizia qui questo discorso, ma il suo nuovo at20 tacco non è meno impressionante . Per i giudei (--roic; 'Iov&a.Go�; secondo Moule 62 l'uso dell'articolo, che in Paolo non è nor­ male, dimostra che deve riferirsi a una occasione particolare, forse quella della circoncisione di Timoteo ;63 F. Blass nota lo stesso fatto ma lo interpreta in modo più probabile : "per coloro con i quali ho avuto a che fare in ogni occasione") so­ no diventato come un giudeo, al fine di poter conquistare i giudei. Ma Paolo (come afferma in altri passi , in particolare 2Cor 1 1 , 22; Fil 3 , 5) era già un giudeo . Poteva diventare un giudeo solo se, essendo stato giudeo nel passato, ora non fosse più tale e fosse diventato qualcos 'altro. Il suo giudaismo non

59 B. D. § 244.

«

60 Daube, pp. 352-361 ; Schlatter confronta anche la formula evangelica: pescatori di uomini » (Mc 1, 17) . 6 1 Daube, pp. 336-35 1 . 62 M. I I I 1 69. 63 B . D. § 262, citato da Turnert che però non rimanda alla fonte.

263

era più parte del suo essere, ma una sembianza da assumere o abbandonare a piacere . La sua adozione del giudaismo è illustrata in At 2 1 , 23-26 : ma l'autore di Atti è poco cosciente del radicale non-giudai­ &mo di Paolo. Non era questione di indifferenza per la legge, o di insofferenza per la scomodità che doveva comportare la vita sotto la torah : si trattava piuttosto della convinzione che in Gesù Cristo il giudaismo era stato compiuto, e che la legge era stata condotta al suo termine stabilito (p. es . Rm 1 0,. 4. Infatti , quando Paolo parla di "essere un giudeo", cer­ tamente non pensa a una fedeltà determinata semplicemente da una discendenza razziale . Conquistare dei giudei sembra voler dire che Paolo guidasse una missione verso i giudei ;64 si confronti Gal 2, 7ss . Il giudaismo viene definito ulteriormente sulla base della legge. Per coloro che erano sotto la legge io divenni come se fos­ si sotto la legge (benché io non sia sotto la legge) perché po· tessi conquistare coloro che sono sotto la legge. Essere giudeo significa essere sotto la legge, e quindi essere in rapporto con Dio mediante la legge . Paolo non è più in rapporto con Dio in questo modo; al massimo, può fare come se il suo rapporto con Dio fosse questo . Non è sotto la legge ; si comporta come se fosse sotto la legge. La legge qui significa la legge di Mosè ; ma se si ripudia questa, a fortiori tutte le leggi meno impor­ tanti e meno direttamente divine vengono ripudiate . Paolo ora è in rapporto con Dio mediante Gesù Cristo (cf. l , 30) , e non c'è più posto per la legge. Sarebbe naturale prendere questa affermazione nel senso che Paolo non debba più a Dio l 'ubbidienza che il giudeo riconosceva come suo debito, e che cercava di esprimere con­ formandosi alla torah. Sarebbe fraintendere. Se Paolo non è più un giudeo, non è nemmeno un gentile, per quanto sia in 2 1 rapporto coi gentili mediante il vangelo. Per coloro che erano fuori della legge (la legge di Mosè : si intendono i gentili , ben­ ché, come Paolo afferma altrove, essi non fossero senza un certo tipo di legge , Rm 2 , 1 4) sono diventato come se fossi fuo­ ri della legge (benché non sia libero da obbligo legale verso 64

264

Weiss.

·Dio ma sotto obbligo legale verso Cristo) per poter conquistare 'coloro che sono fuori della legge.

� una delle frasi più difficili nell'epistola, ed è anche una delle più importanti , perché Paolo dimostra come il nuovo rapporto con Dio, che egli ha in Cristo, assolve al suo debito di ubbidienza a Dio. Si confronti Rm 6, dove Paolo risponde alla domanda (vv. 1 e 1 5) : perché mai un cristiano, se è in rapporto con Dio non mediante la legge (che vieta il male e comanda la virtù) ma mediante la grazia (che significa l 'amore di Dio per l'uomo nella sua condizione presente di peccato) , non potrebbe continuare a peccare come gli piace? Cioè, per­ ché un cristiano deve preoccuparsi di essere buono? Paolo, come nel versetto precedente dice che in certe cir­ costanze si è comportato come se fosse sotto la legge, così qui dice che, in certe circostanze, si comporta come se fosse fuo­ ri della legge . E come prima s'intendeva dire che egli non era una persona la cui vita fosse determinata dalla legge, così ora s 'intende dire che egli non è al di fuori della legge. Paolo lo afferma in termini espliciti. Non è libero da obbligo legale verso Dio (avotJ.oc; ilEov) ma sotto obbligo le­ gale verso Cristo (EvvotJ.oc; XpLCT'tou) . L'interpretazione precisa di queste frasi greche è discussa. t possibile 65 sottolineare i genitivi in rapporto alla legge (v6�-toc;) di cui si parla, e tra­ durre : "non soggetto alla legge di Dio", "sotto l 'obbligo del­ la legge di Cristo" .66 � a favore di questa interpretazione il fatto che altrove Paolo si riferisce esplicitamente alla legge di Cristo; Gal 6, 2 : Adempiere la legge di Cristo . Cf. Rm 8 , 2, e anche 1 3 , Bss , dove Paolo si riferisce al comandamento del­ l'amore, citando Lv 1 9 , 1 8 in modo simile a Mc 1 2 , 3 1 . t a favore di questa interpretazione anche il fatto che una delle parole di Paolo ( èivoiJ.oc;) , quando viene usata precedentemente in questo versetto, si riferisce senza dubbio a coloro che, es­ sendo gentili , stavano fuori dell'ambito della legge (di Mosè) ; contro questa interpretazione, depone tuttavia il fatto che il 65 Moule, p. 42; B. D. § 182; M. I I I 2 1 5 riproduce i riferimenti ma non spiega la formula. 66 C. H. Dodd, ENNOMOl: XPil:TOY, in « Studia Paulina », pp. 96- 1 10.

265

termine positivo (l\lvoiJ.oc;) non lo riferisce mai ai giudei, che erano sotto la legge. La difficoltà linguistica deriva dalla difficoltà teologica di comprendere l 'insegnamento di Paolo riguardo alla legge, che, pur non essendo contraddittorio (come talvolta si dice) , è nondimeno poliedrico e complesso. Qui si può soltanto de­ lineare l'argomento.67 La legge data da Dio era santa, giu­ sta e buona, un dono prezioso, per nulla contrario alle pro­ messe gratuite di Dio, ma in accordo con esse, e capace di mantenere un uomo bene intenzionato nella via della vita. Essa esprimeva la dipendenza dell'uomo dalla bontà del suo creatore, e il suo debito di ubbidienza . Di questo dono buono si era impadronito il peccato che lo aveva corrotto, e quindi esso era diventato non uno strumento di vita ma di morte . Potremmo dire (usando una parola che sfortunatamente non faceva parte del vocabolario di Paolo) che la legge si era corrotta in legalismo. Fu sotto forma di legalismo che Paolo stesso incontrò la legge, sia nella sua vita come giudeo, sia nelle attività dei giudei cristiani che (forse dandosi delle ottime ragioni) scon­ volgevano le sue chiese. Ma la condizione dell'uomo era stata cambiata radicalmente dalla venuta di Cristo; non perché Cristo avesse portato un messaggio completmente nuovo (egli parlava sempre in termini di misericordia gratuita di Dio e del suo diritto assoluto all'ubbidienza) , ma perché portò a com­ pimento ciò a cui la legge poteva soltanto mirare. Egli fu la fine della legge in quanto la compì e rese così superfluo il codice scritto. Il Cristo aveva parlato dell'amore di Dio in un modo tale per cui esso non poteva diventare motivo di vanto per gli uomini; e rappresentando l'umanità intera,68 aveva of-. ferto a Dio una ubbidienza perfetta. Inoltre, mediante la sua opera , era ora possibile ottenere il dono dello Spirito santo, perché rinnovasse gli uomini a immagine di Dio . Questa è una storia coerente e completa, benché espressa per sommi capi. Il codice scritto era però veramente super­ fluo? Unà occhiata alla chiesa di Corinto basta per dimo67

68

266

Cf. l'esame del problema anche in Romans, specialmente alle pp.140-153. Come l'ultimo Adamo ( 1 5 , 45) .

strare che non tutti i cristiani sapevano, per ispirazione, che cosa dovevano fare, e che, persino quando lo sapevano, non necessariamente lo facevano. Era necessario ripetere che la redenzione in Cristo non poneva termine all'obbligo dell'uo­ mo di essere figlio ubbidiente di Dio ; era anche necessario fornire una norma a coloro che desideravano essere ubbidien­ ti, ma non sapevano in che modo . Questa esposizione ora ha chiarito la difficoltà in cui si trovava Paolo . Deve indirizzare l'ubbidienza dei Corinti nella via di Cristo, ma lo deve fare senza permettere che il cristia­ nesimo diventi un'altra legge. Studi del cristianesimo post­ paolino (dal secondo secolo al ventesimo) dimostrano come fosse e come sia pericolosa questa eventualità. Sembra probabile che in Gal 6, 2 Paolo (senza accorger­ sene) cada in una espressione rabbinica;69 mentre qui, in 1 Cor, pare che si dia cura di evitarlo; non dice di essere "sotto la legge del Messia" (\ntò 'tÒV v61-1ov 'tou Xpt.cr�ou) . Tuttavia non è "un senza-legge di Dio" (a:vo�-toç �eou : considerando il geni­ tivo, secondo la grammatica, come retto dal soggetto, quindi uguale Paolo stesso) ; è "sottomesso alla legge di Cristo " (ÉvvoiJ.oç Xpt.cr'tou 70) . Quindi Paolo può adottare un atteggia­ mento che varia in base alle situazioni - per i giudei come un giudeo, per i gentili come un gentile - perché riconosce di avere, nei confronti di Dio, un debito non minore ma mag­ giore di quanto non comporti il legalismo. Non è in rapporto con Dio mediante l'osservanza legale, ma mediante la fede e la grazia, e in Cristo, solo ; ma proprio in questo rapporto non legale, è Io schiavo di Cristo, che deve un'ubbidienza assoluta non a un codice (per quanto egli possa dare dei precetti ai suoi convertiti in certe occasioni e con la dovuta cautela) ma a Cristo in persona, e al principio assoluto dell'amore universale, che Cristo ha insegnato e di cui ha dato l'esempio. Tale sembra essere la linea del pensiero di Paolo, anche se questa traduzione, o qualche altra, o lo stesso greco di 69 Per i dati di cui dispone, cf. W. D. Davies, Torah in the Messianic Age and or the Age to come, 1 952, pp. 50-83. 70 Per questo uso di !vvo(..Lo 46 S* A C e alcuni altri mss . 286

La conclusione di questo (sviluppando ot61tEP, congiunzione argomentativa che Paolo usa soltanto qui e a 8, 1 3) , miei cari amici, è: ''Fuggite l'idolatria" (cf. 6, 1 8) . Non è sufficien­ te esprimere disapprovazione per l'idolatria; il cristiano deve fuggirla, cioè deve evitare quelle occasioni (quali feste in tem­ pli pagani, se hanno un contenuto marcatamente religioso, v . 20s ; da confrontare con 8 , 1 0 ; 1 0, 27) che lo pongono in contatto diretto con essa. Moulton 115 sottolinea la presenza del­ l'articolo determinativo (in greco) con il termine idolatria (-tf}ç El8wÀ.oÀ.�-tpELa�) e vi attribuisce il significato di 'quel culto di idoli che voi ben conoscete', ma l'illazione non è legittima .. La lingua greca richiede l'articolo, a differenza di certe lingue come l'inglese. Questa obiezione non è per dire che i Corinti non sapes­ sero gran che sull'idolatria. La loro comprensione della situa­ zione era qualcosa di cui si facevano vanto. Questo è il moti1 5 vo per cui Paolo continua: Parlo come a persone sensate ( cppov!J,.Lot�; cf. 4, 1 0 , e cedi oltre) : giudicate voi stessi ciò che dico. Sembra che i Corinti tenessero in gran conto il loro buon senso, come senza dubbio tenevano in grande conside­ razione la loro sapienza carismatica e la loro gnosi. Si confron­ ti 2Cor 1 1 , 1 9 . Ciò li poneva su un certo piedistallo di supe­ riorità da cui potevano disprezzare talvolta le sofferenze e le· umiliazioni sperimentate dall'apostolo; qui Paolo fa appello a questo buon senso. Uomini sensati certamente non possono non afferrare l'idea. Uomini sensati, espressione in cui vi è un poco d'ironia, non significa di per sé gnostici; ma essi erano coloro che affer­ mavano di sapere la verità su Dio e sull'idolatria (8, 1 -6 e 7) , mentre altri non l'affermavano. Se avessero riflettuto, avreb­ bero visto che questa conoscenza doveva portarli in direzione opposta a quella che pensavano. Giudicate voi stessi non è una testimonianza del potere dell'intelletto umano di pensare, da se stesso, i pensieri di Dio; presuppone semplicemente una dose normale di buon senso, e di buona volontà ad usarlo. Forse l'idea di Paolo (a differenza di alcuni Corinti) è che

14

115 M .

I I I 173.

287

egli fa appello non a un discorso (che si pretenda) ispirato, ma ad una argomentazione razionale 1 16 (si veda 1 4, 1 9) . Non espri­ me comandi, ma desidera guadagnare i Corinti al suo punto di vista . 16 Il calice della benedizione, su cui (per la costruzione cf. Mc 6, 4 1 ; 8 , 6s ; 14, 22s, notando i paralleli) diciamo la bene­ dizione (cioè, il rendimento di grazie a Dio) : questo versetto, insieme al seguente, è uno dei due riferimenti di Paolo alla cena del Signore (cf. anche 1 1 , 23-26, con le note). In questo · nostro commentario non è possibile fare una relazione sulla cena del Signore, dalle sue origini nel ministero di Gesù ai suoi successivi sviluppi neotestamentari. Si deve ricordare che Paolo, più che altro, fa allusioni alla cena come egli la cono­ sceva e la intendeva ; non ne dà una descrizione esauriente. La presente allusione ha una sola intenzione : rafforzare l'avverti­ mento dell'apostolo contro l'idolatria; ma rende possibile al­ cune deduzioni sul modo in cui, al tempo di Paolo, s'inter­ pretava la cena. Il calice della benedizione 1 17 era un termine tecnico ebraico per il calice di vino bevuto alla fine di un pasto, come sua con­ clusione fonnale (cf. 1 1 , 25) . Su di esso si diceva il rendimen­ to di grazie, o il grazie, per il vino : "Benedetto sei tu, o Si­ gnore, nostro Dio, che ci dai il frutto della vite". Nel pasto pasquale, questo calice era il terzo dei quattro che si dovevano bere. In Paolo acquista un significato nuovo . Non è (la domanda significa che i Corinti avrebbero do­ vuto sapere e ricordare la verità qui affermata , che non è un argomento coniato ora) una partecipazione comune (le due parole sono necessarie per tradurre xot.vwvl.a) al sangue di Cristo ? Queste parole evidentemente sono collegate con quelle che Paolo citerà in 1 1 , 25 dalla tradizione delle parole di Gesù nell 'ultima cena : "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue". In questo versetto Paolo, a differenza di Matteo e di Marco (Mt 26, 28 ; Mc 1 4, 24; cf. Gv 6, 53) , non identifi116

Heim.

117 S .

B. IV 72, 628; cf. pure espressioni simili in De /oseph et Asenath VI I I 5, 9; XV 5; XVI 6; XIX 5. 288

ca né il calice, né il vino in esso contenuto, con il sangue di Cristo. Si deve tener presente questa annotazione nell'interpre­ tazione di partecipazione comune, di cui si farebbe una sem­ plificazione eccessiva se si intendesse che tutti bevono in­ sieme il sangue di Cristo, bevendo dallo stesso calice di vino. Come dimostra il parallelo ai vv . 1 6a e 1 7 , Paolo pensa alla partecipazione che tutti i cristiani hanno, e che godono insie­ me, ai benefici loro assicurati dal sangue di Cristo . Tutta la espressione significa 'che i cristiani, bevendo il vino nel cali­ ce, ricevono un interesse nella morte di Cristo, che, secondo Rm 3, 25; 5, 9, è mediatrice per l'uomo della giustificazione ed espiazione data da Dio' . 118 Si confronti 1 , 9 : comunione con il suo Figlio non significa semplicemente essere con lui, ma partecipare ai benefici che egli conferisce. Christum cognosce­ re, beneficia eius cognoscere. Come vedremo, non è impossibile risalire dai vv. 1 8 e 20 all'interpretazione del v. l 6 , dal momento che Paolo non inter­ preta la cena cristiana alla luce dei sacrifici giudaici o paga­ ni; tuttavia, l'uso della parola corrispondente partecipanti (xot.vwvol) in questi versetti è significativo . I giudei non ave­ vano comunione col loro altare; essi partecipavano ai benefi­ ci che ne venivano (v. 1 8). Al v.20 è possibile pensare a uo­ mini che hanno comunione con i demoni, perché essi sono es­ seri spirituali per quanto malvagi; tuttavia, se si considera tutto il capitolo, si può supporre che Paolo abbia in mente anche l'influsso (cattivo) che i demoni esercitano nella sfera, per esempio, della moralità sessuale. Quindi il calice, su cui noi (si noterà che Paolo non sem­ bra voler limitare le parole di rendimento di grazie a un grup­ po limitato di cristiani) diciamo la benedizione, è un mezzo mediante il quale i cristiani condividono i benefici della pas­ sione di Cristo; la partecipazione non è tuttavia impersonale, dal momento che sia Cristo che i cristiani sono persone, e hanno fra loro un rapporto personale. m Ktimmel. 289

Il pane che noi (si veda sopra : noi diciamo la benedizio­ ne) spezziamo, non è una partecipazione comune al corpo di Cristo ? In rapporto con l'ordine seguito al c . l l , in cui si no­ mina il pane prima del calice come in Matteo e Marco (vi sono problemi particolari in Luca 119) , sorprende vedere che qui Paolo nomina prima il calice e . quindi il pane. L'opinio­ ne secondo cui Paolo darebbe una testimonianza di un modo di celebrare la cena, in cui il bere precedeva il mangiare, sem­ bra insostenibile in considerazione di 1 1 , 23ss, benché sembre­ rebbe esserci un parallelo isolato in Didaché 9, 2s. I n verità è probabile che al tempo di Paolo la celebrazione della cena non avesse raggiunto 1:1na forma liturgica costante; ma la successione dei termini al v . 1 6 ha una spiegazione suf­ ficiente nella connessione che introduce al v . l 7 . Soltanto un riferimento al corpo poteva portare Paolo alla conclusione a cui voleva arrivare; quindi sarebbe stato scomodo nominare il termine per primo, e poi introdurre ciò che sarebbe stato un riferimento soltanto parentetico per il sangue. Di conse­ guenza Paolo, che non sta né creando né riproducendo una liturgia, ma sostenendo un'argomentazione teologica, capo­ volge la successione consueta per rafforzare la connessione. Per lo spezzare del pane, si veda 1 1 , 23 . Era un atto co­ mune in ogni cena giudaica e in particolare nella cena pasqua­ le . La condivisione del pane è considerata un mezzo per par­ tecipare al corpo di Cristo. :t estremamente improbabile che ciò sia un riferimento al corpo umano di Cristo nella sua di­ mensione fisica, perché questo viene descritto da Paolo in al­ tro modo (usando la parola carne; si veda specialmente Col l , 22) , mentre per lui "il corpo di Cristo" (p . es. 1 2, 27) , o "il corpo (che è) in Cristo" (p . es . Rm 1 2 , 5) si riferisce alla chiesa. Mangiare il pane significa avere parte (con altri) a quella comunità di uomini che, mediante la sua unione con Cristo, è entrata per anticipazione nel secolo nuovo che è al di là della risurrezione. Soltanto se si interpretano le parole in questo modo, Paolo può procedere con l'idea successiva, che è probabilmente giu119

290

Cf. quanto dice Leaney nel suo

«

commentario » al vangelo di Luca.

sto vedere come suo personale sviluppo delle convinzioni che condivideva con i Corinti. Le parole al v . 1 6 possono es­ sere introdotte dall'espressione « Non é? » (si veda sopra) : , t 7 non così per il v . 1 7 .120 Poiché c è un unico pane, noi, quanti siamo, formiamo un unico corpo, perché tutti condividiamo (non è possibile distinguere (.lE"tÉXEt.v da xor.vwvEtv) l'unico pane. Si può dare a questo versetto una punteggiatura diver­ sa e quindi tradurlo in modo diverso: "poiché noi, quanti siamo, siamo un unico pane, un unico corpo; noi tutti infatti condividiamo l'unico pane". La parola introduttiva 'poiché' (5'tt.) ora è da collegare al v. 1 6 ; tuttavia non si deve prefe­ rire questo modo di intendere il versetto.121 Quello offerto nel­ la nostra traduzione manca di un nesso grammaticale con il v . 1 6 ; ma ciò è comprensibile e naturale se si considera che Paolo al v . 1 6 sta citando una credenza comunemente accetta­ ta e al v . 1 7 vi pone a fianco la sua deduzione, pensata di re­ cente. Si confronti 1 2 , 1 3 per il rapporto tra il battesimo e l 'unico corpo . L'argomentazione di Paolo è analoga a quella di 5 , 7s. Là si argomentava che, dal momento che il sacrificio pasquale cristiano era stato offerto nella persona di Cristo, i cristiani non celebravano solo la festa, ma erano essi stessi (per una specie di metonimia) i pani azimi con cui la festa era celebra­ ta. Ora resta per loro il compito di essere azzimi, e di rendersi tali liberandosi del lievito (malizia e malvagità) che rimane in loro . Qui Paolo, sulla base del fatto che un unico pane è stato spezzato e distribuito, giunge alla conclusione che coloro che condividono l'unico pane, sono, malgrado la loro molteplicità, un unico corpo (cf. Didaché 9, 4) . La realtà, al di sotto della argomentazione (che può sembrare alquanto speculativa) , è che, in ogni caso, questi uomini sono stati effettivamente uniti a Cristo . Per il fatto che egli è senza peccato, essi sono ideal­ mente senza peccato, e devono diventare tali in concreto . Per il fatto che egli è uno, essi sono idealmente uno, e devono 120 121

Bultmann, Theologie, p. 145. M. II I 303 ; i commentatori sono discordi. 29 1

diventare tali in concreto. Come al c.S (che tratta della moralità sessuale) , così qui Paolo scrive in termini estremamente pratici. La cena del Signore rientra nella discussione del cibo of­ ferto agli idoli , e quindi nel problema dell'idolatria, in tre mo­ di : a) Non fornisce nessuna garanzia contro il peccato, né contro il rifiuto e la punizione divina. Non può essere consi­ derato (come sembrava che facessero molti Corinti) un opus operatum dietro cui ripararsi , in rapporto e ciò che conviene fare riguardo ai sacrifici pagani e alle pratiche idolatriche in genere. b) Era un mezzo per essere uniti a Cristo nella fede e nella fedeltà. Alla luce di ciò, la partecipazione effettiva al­ l'idolatria (distinta dal semplice mangiare cibo sacrificato) co­ stituiva un tradimento impensabile. c) L'unico pane, spezzato nella cena, rappresentava la realtà dell'unico corpo di Cristo ; tutti coloro che lo condividevano erano uniti l 'uno con l'altro, perché uniti a Cristo. Questa unità del corpo cristiano pote­ va essere adeguatamente espressa soltanto nell'amore, e l'amo­ re per il proprio fratello (faticoso quanto si voglia) comporta­ va il rispetto dei suoi scrupoli di coscienza (cf. vv .28s; e 8, 7 . l Oss) . Dopo avere espresso le sue idee fondamentali, Paolo cerca delle analogie per renderle più chiare (non argomenti per pro­ varie) . Essendosi precedentemente riferito ( 1 0, 1 - 1 0) all 'errore e al peccato di Israele , ora l'apostolo si volge a considerare 18 le legittime attività religiose d'Israele (cf. 9, 1 3) . Considerate l'Israele storico (letteralmente, Israele secondo la carne; cf. Rm l , 3 ; 4, t ) : coloro che mangiano i sacri/ici, non sono par­ tecipi (l'uno con l'altro) dell'altare ? Era privilegio dei sacerdoti consumare parti di certi sacri­ fici (cf. Lv 1 0, 1 2- 1 5) . Anche fedeli non-sacerdoti consumava­ no parte di altri sacrifici (cf. l Sam 9, 1 0-24) . In questo senso materiale, vi era una partecipazione comune ai benefici che derivavano dall'altare ; in più , naturalmente, i fedeli parteci­ pavano ai benefici spirituali che procurava il sacrificio. Non c'è bisogno di dire che era questa la ragione fondamentale del sacrificio : coloro che partecipavano all'atto, partecipavano ai suoi benefici . Come dice Paolo, essi erano partecipi dell'altare. C'è un 292

sorprendente parallelo 122 di questa espressione in Filone 123 che dice che, colui al quale è stato offerto il sacrificio, rende il gruppo dei fedeli "partecipi dell'altare, e commensali (con esso)" (xot.vwvòv 'tOU awiJ.OU XtXL O(.lO'tf>tl1tE�ov) . Il senso di questo passo sembra essere che Dio, il munifico benefattore, condivide con i suoi fedeli il buon dono che essi gli hanno offerto, invitandoli, per così dire, a sedere a tavola con lui . Essi quindi sono in comunione con lui, e conseguono benefi­ cio dalla loro cena. Ancora, sembra più probabile che le af­ fermazioni del v . 1 8 (e, benché in senso diverso, del v.20) dipendano da quelle del v . 1 6 (partecipazione comune al san­ gue, e al corpo, di Cristo), piuttosto che il contrario. Se il rap­ porto tra i versetti è questo, è piuttosto difficile accettare la conclusione 124 secondo cui il parallelismo prova che "Paolo considerava che mangiare l'eucaristia fosse una cena sacrifi­ cate". L'analogia derivata dai sacrifici di Israele è giunta ad un punto illuminante, ma deve essere considerata con cautela; potrebbe dimostrarsi eccessiva se applicata troppo ampiamen1 9 te . Dunque: che cosa intendo con questo ? (letteralmente, che cosa sto dicendo ?) . Che il cibo sacrificato a un idolo sia qual­ che cosa (cioè, qualcosa d'altro che semplice cibo) ? Oppure che un idolo stesso sia qualche cosa ? 125 Le ultime sei parole, benché siano omesse da alcuni antichi e buoni manoscritti, devono essere lette. Potrebbero essere cadute per homoioteleu­ ton , ossia perché finiscono in modo uguale ("tL ta,;r.v "tL ECi"tt.v), oppure perché l'implicita negazione dell'esistenza di idoli sem­ brava contrastare con le affermazioni dei versetti seguenti . Viceversa, questi possono essere intesi a suggerire 126 che Paolo non avrebbe scritto le parole omesse; ma il paradosso - non sto dicendo che un idolo sia qualche cosa, ma è meglio •••

•••

122 Discusso da S. Aalen, Das Abendmahl als Opfermahl im Neuen Testament, in : NT 6 ( 1 963) pp. 128-152; cf. p. 137. 123 De specialibus legibus l 22 1 . 124 Con E. B. Allo. 125 Cf. qui sopra, nota 1 1 4. IM CJark , in « Studia PauJina » pp. 59s, cf. Ki.immel.

293

che ve ne guardiate comunque - è molto tipico della sua pre­ sente argomentazione.127 Tutto il testo è conforme a 8, 4. Infatti l 'idolo non è ciò che i fedeli pagani pensavano che fosse ; è un oggetto materiale, ma non corrisponde a nessuna realtà spirituale. Questo è il motivo per cui il cibo sacrificato all'idolo non è qualche cosa. Niente gli accade al momento del sacrificio : è lo stesso sia prima che dopo. Ne consegue che colui che mangia non riceve, semplice­ mente in virtù del processo di consumazione fisica del cibo, né un dano religioso né un beneficio religioso ; per questo mo­ tivo Paolo dirà ai suoi lettori che essi possono comprare e mangiare qualsiasi cosa venduta al mercato ( 1 0, 25) , e quando sono invitati a cena, possono mangiare qualunque cosa i loro ospiti mettano loro davanti ( l O, 27) . 20 Tutto questo è vero; ma (uso classico di &.À.À.a : Che cosa intendo ? No , ma piuttosto .. . 128) il problema ha un altro aspetto da considerare. Le cose che essi (P 46 e altri antichi manoscritti portano come soggetto i gentili; è una interpretazione corretta, perché certamente Paolo non intende i giudei , ma l 'interpreta­ zione è secondaria rispetto al testo dato qui) sacrificano, le sacrificano ai demoni, non a Dio. Paolo qui allude a un certo numero di passi vetere-testamentari, specialmente a Dt 32, 1 7 , nei LXX : "essi sacrificano ai demoni non a Dio". Altri passi n eU 'A T greco riflettono la convinzione che i sacrifici non giudei , e quelli che i giudei imitano dai pagani, sono compiuti a beneficio dei demoni (Sal 95 [96] , 5 : "Tutti gli dèi dei gen­ tili sono demoni"; 1 05 [ 1 06] , 3 7 : "Essi sacrificano i loro fi­ gli . . . ai demoni". Nel contesto attuale - cf. v.2 1 - è partico­ larmente interessante Is 65, 1 1 : "che preparate una tavola ['tprt1tE�Civ] per il demonio". Si confronti anche l Enoc 1 9, 1 ; 94, 7 ; Giubilei t , 1 1 ) !29 Il termine demonio rappresenta per Paolo, come per altri giudei ellenistici prima di lui , un modo proporzionato e con­ ciso per esprimere una verità, che altrimenti non sarebbe stata 127

Cf. inoltre Zuntz, p. 229. B. D. § 448. 129 Per la stessa credenza nelle Clementine, cf. Schoeps, Aus frilhchristli­ cher Zeit, 1950, pp. 73-81 . ua

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facilmente esprimibile in parole. Egli era convinto che l'im­ magine usata nel culto idolatrico non fosse altro che un pezzo di legno o di pietra; non era qualche cosa nel mondo. Contem­ poraneamente, l'apostolo credeva alla realtà di un mondo spi­ rituale invisibile (elementi a favore di ciò si trovano in ogni capitolo : p. es . 2, 6.8 ; 4, 9; 5 , 5 ; 6, 3; 8, 5) , e che l'idolatria non fosse un puro non-senso, ma una cosa realmente cattiva. Era una cosa cattiva, prima di tutto perché privava il vero Dio della gloria dovuta a lui solo (cf. Rm 1 , 23) ; ma era cattiva anche perché significava che l'uomo, impegnato in un atto spirituale e volgendo il suo culto a qualcos'altro che non fosse il vero Dio, era condotto a un intimo rapporto con potenze spi­ rituali inferiori e cattive. Quindi l'efficacia dannosa dell 'ido­ latria non consisteva nel mangiare cibo , contaminato in senso quasi fisico, ma nel fatto che, chi faceva questo atto di culto, si consegnava a una potenza maligna, per quanto subordinata. Quindi era in realtà un crimine sia contro l 'uomo che contro Dio, una perversione della vera natura dell'uomo. Di conseguenza Paolo aggiunge: Non voglio che voi siate partecipi dei demoni. Circa il modo di esprimersi, si confronti­ no i vv . 1 6 e 1 8 . L'effetto del sacrificio non consiste nel man­ giare (come nota Kummel, Paolo non intende che i Corinti mangino i demoni) , ma nel rapporto personale e nelle conse­ guenze che ne derivano .130 Non è il mangiare il cibo dei sacri­ fici (cosa che Paolo permette) , ma la partecipazione diretta all 'idolatria che separa il cristiano da Cristo, ed egli non scam­ perà dalla condanna, come non scamparono gli israeliti di un tempo; i suoi sacramenti non lo preservano dalle conseguenze dell'idolatria, dal rifiuto e dal castigo, come i sacramenti de­ gli israeliti non li preservarono da tali cose. 21 Paolo riassume la situazione in modo inequivocabile : Voi non potete bere il calice del Signore (il calice della benedi­ zione, v . 1 6, che significa partecipazione ai benefici derivanti dallo spargimento del sangue di Cristo) , e il calice dei demoni;

130 Aalen, o.c., pensa a una condivisione coi demoni nella consumazione dei rsacrifici ; Schweitzer (p. 269) sottolinea che P.aolo non interpreta la cena cristiana ·al1la luce dei banchetti pagani ma questi alla luce di quella. 295

non potete condividere la tavola (qui e nella frase successiva il termine tavola, ua-r.c;) in Rm l, 26; 2, 1 4 .27 ; 1 1 , 2 1 .24 ; Gal 2 , 1 5 ; 4, 8 (cf. Ef 2, 3) . Questi passi non esprimono esattamente la stessa idea, ma la nozione comune a tutti è quella di una corrispondenza con le cose come sono in realtà, senza cambiamenti artificiali . Il miglior parallelo a questo passo è Rm l , 26 (cf. l'uso di cpucnxéç in Rm l, 26s) . L'idea non è astrusamente teologica; Paolo pensa al mondo naturale come è stato fatto da Dio, piuttosto che (a modo degli stoici) alla natura come ipostasi divina. La natura (cioè Dio) ha fatto gli uomini diversi dalle don­ ne e ha fornito una indicazione visibile di tale differenza nella quantità di capelli eh� ha dato loro in sorte; di fatto , gli uo27 Schlatter confronta Genesi Rabbah V III 8 («L'uomo non è senza la donna, né la donna se nza l'uomo, né i due (sono) senza la Shrkinah »): que­ sta frase si riferisce comunque più esplicitame nte alla procreazione della prole .

317

mini hanno i capelli corti, le donne li hanno lunghi , e benché l'intervento dell'uomo possa capovolgere questa differenza, questo rovesciamento sarebbe artificiale, e sarebbe sentito come tale. Corrisponda o no all'osservazione scientifica, questo è il dato dell'osservazione di Paolo: e noi pure possiamo vedere le cose in tal modo, se consideriamo la ritrattistica ellenistica. In Epitteto 28 c'è un buon parallelo a questo pensiero di "Lasciamo le opere (lpya) maggiori della natura (cpuaw.c;) e con­ sideriamo le sue opere minori (1tapepya). C'è qualcosa di me­ no utile dei peli sul mento ? E allora? Non ha forse la natura usato anche questo nel modo più conveniente possibile? Non ha forse distinto il maschio e la femmina mediante questo? Non ha forse la natura di ciascuno di noi gridato immediata.. mente da lontano : sono un uomo? Comprendendo che sono ta­ le , avvicinati a me e parlami , senza cercare nient'altro. Ecco i segni del mio essere uomo. Ancora, in rapporto alle donne, co­ me la natura ha composto in modo più dolce la voce, così ha eliminato i peli (sul mento) ... Per questa ragione dobbiamo conservare i segni che Dio ha dato, non dobbiamo rigettarli, e, finché possiamo, non dobbiamo confondere la distinzione dei sessi». Che sia analogamente innaturale che una donna si rasi (come i più virili, àvopwoEt.c;, fra gli atleti) è esplicita­ mente sostenuto da Luciano.29 Se questo dialogo è da conside.. rarsi un indice valido di un certo modo di pensare diffuso (e sembra possibile che l'orrore per l'omosessualità sia dietro a gran parte dell'argomentazione di Paolo in questo passo) certamente non è conveniente che una donna si tagli i capelli. I suoi capelli lunghi sono una gloria per lei. Gloria è qui usa­ to in senso diverso rispetto a v. 7 . Gli esseri umani devono dar gloria a Dio essendo (p . es. nella loro differenziazione dei sessi manifesta e non pervertita) ciò che Dio ha voluto che siano ; nello stesso tempo, conformarsi nell'ubbidienza a ciò che Dio ha voluto per loro, è la maggior gloria che gli esseri umani pos­ sono raggiungere. 28

Epitteto l/XVI 9-14. 29 Luciano, Dialogi meretricii, v 3.

3 18

Portare i capelli lunghi , secondo il costume femmi nile, è un segno esterno che una donna adempie il suo ruolo nella creazione. Di ciò si dà un'ulteriore motivazione : Poiché i suoi lunghi capelli le sono stati dati per servire come (&.v'ti, letteralmente: al posto di) copertura. Paolo (fondamentalmen­ te giudeo) non credeva che solo le donne dovessero essere co­ perte; anche un uomo deve nascondere la sua nudità. Ma, alla donna, è stata data nei capelli una forma di copertura primi­ tiva, che all'uomo manca. In questo essa è avvantaggiata ri­ spetto ali 'uomo, e deve seguire l'indicazione che le forniscono naturalmente i suoi capelli lunghi. Paolo, probabilmente sentendo di aver discusso abbastanza 1 6 di cose irrilevanti, interrompe l'argomento. Ma se qualcuno intende (la costruzione non è classica, quest'uso di ooxE� in­ fluenzato dall'uso corretto di ooxEi: t.J.Ot., benché non sia Io stesso) essere polemico (su quest'argomento) , noi non ab­ biamo questo costume, né lo hanno le chiese di Dio. Paolo non può impedire che ci siano opinioni diverse, o addirit­ tura dispute. Dicendo : giudicate voi stessi (v. 1 3) egli stes­ so sembra avere sollecitato l'emergere di queste opinioni; e così ha fatto appellandosi alla natura, cioè in realtà a ciò che si intendeva per natura, all'epoca ellenistica. L'amore alla disputa (cf. Le 22 , 24, dove si trova il sostan­ tivo corrispondente a questo aggettivo di Paolo; il termine non ricorre in nessun altro passo del NT ; un osservatore cini­ co considererebbe l'amore alla disputa come caratteristica dei filosofi 30) non è tuttavia una virtù cristiana; chiunque desi­ deri argomentare contro l'opinione di Paolo su questo proble­ ma dovrebbe ricordarsi che si isola in una minoranza, e do­ vrebbe quindi pensarci due volte. Se noi significa Paolo (come è probabile) , il senso è : Non ho mai permesso la prassi di un pregare o profetizzare a capo scoperto da parte di donne, né tale prassi è mai stata ammessa da alcuna chiesa. Oppure si può intendere che noi significhi Paolo e la chiesa di Efeso (dove fu scritta la lettera 31) , oppure la chiesa di Corinto (fino ad ora) ; in tal caso, le chiese di 30 31

Luciano, Icaromenippo 29. I ntroduzione p. 45.

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vorrebbe dire le altre chiese.32 Il plurale qui è usato come in Rm 1 6 , 4; 1 Cor (4, 1 7) ; 7 , 1 7 ; 1 4 , 33 .(34) ; 16, 1 . 1 9 ; 2Cor 8, 1 . 1 8. 1 9.23.24; 1 1 , 28; 12, 1 3 ; Gal l, 2.22; l Ts l, 4. E il modo più comune, per Paolo, di riferirsi alla totalità del po­ polo di Dio, benché di tanto in tanto egli usi il singolare in questo senso ( 12, 28; 1 5 , 9). Questo uso sottolinea il fatto che la chiesa universale è composta da un certo numero di chiese locali che, in alcuni particolari, si differenziano l'una dall'altra, mentre non si differenziano riguardo alla prassi di cui si è discusso. Sono le chiese di Dio/3 e quindi sono sotto la sua autorità. Con il termine costume, Paolo sembra intendere quello di pregare e profetizzare da parte di donne non velate ; non può intendere l'amore alla disputa.34 "C'era bisogno di dire che gli apostoli non avevano l'abitudine dell'amore alla dispu­ ta ?" .35 Dio,

32 33

34

320

Sulla chiesa, cf. inoltre pp. 45s. Vedi nota a l, 2. Bachmann.

·

xxv

1 1 , 1 7-34 LA CENA DEL SIGNORE r

1'Nel darvi quest'ordine, non ho di che lodarvi;� perché, quando vi riunite, non è per rendere migliori le cose ma per render/e peggiori. 18Poiché, in primo luogo, sento che, quando vi riunite in assemblea, vi sono divisioni fra di voi, e in parte lo credo : 19poiché ci devono essere delle discordie fra di voi, affinché quelli che sono sinceri fra di voi possano distinguersi. 20Così dunque, quando vi riunite insieme, non è per mangiare una cena in onore del Signore; 21poiché, nel mangiare, ciascu­ no procede con la sua cena, e uno ha fame e un altro si ubria­ ca. 22Che dunque! Non avete le vostre case per mangiare e be­ re? Disprezzate la chiesa di Dio, e volete far vergognare il po­ vero ? Che cosa vi devo dire ? Vi devo lodare? n In questo caso non vi lodo. 23Poiché io ricevetti dal Signore ciò che vi consegnai : che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pa­ ne, 24e quando ebbe reso grazie, lo spezzò e disse : "Questo è , il mio corpo, che è per voi; fate questo come mio memoriale '. 25Allo stesso modo egli prese anche il calice, dopo che ebbero

-'6 H testo tradotto, 1tapayyiÀÀ.w'V ovx È1ta.t.vw, è )etto da S G e la maggioranza dei mss.; A C"", il Latino e il Siriaco hanno ;ça.payytÀÀ.w ovx l1tCX.!.'VW'V; 8 ha 1tCX.payyÉÀÀ.W'V oùx E1t«WW'V; o• e un minuscolo hanno n:apa.yyÉJ�À.w oux É1taL'VW: vedi il commento. n É1ta.w taw; la forma É1t aww (P46 B e altri) è probabilmente assimila­ zione al successivo (Zuntz, p. 92).

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mangiato, dicendo : "Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che bevete, come mio memo­ riale". 26Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane, e bevete il calice, proclamate la morte del Signore, finché egli venga. 21Ne segue che, chiunque mangia il pane del Signore o beve il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore. 28Uno esamini se stesso : cioè come debba mangiare del pane e bere del calice. 29Poiché colui che mangia e beve,38 mangia e beve il giudizio su di sé, se non di­ scerne il corpo. 39 YJÈ per questo che molti fra voi sono deboli e malati, e un certo numero dorme. 31Ma se ci esaminassimo, non saremmo giudicati, 32perché quando siamo giudicati dal Signore, siamo castigati, affinché possiamo non essere condan­ nati col mondo. 33Così, fratelli miei, quando vi riunite per un pasto, aspet­ tatevi run l'altro. 34Se qualcuno ha fame, mangi a casa, affin­ ché la fine della vostra assemblea non sia il giudizio. Le altre questioni le sistemerò quando verrò.

Sempre parlando del disordine nell'assemblea cristiana, Paolo passa a trattare un nuovo argomento, forse più serio di quello re lati vo alle donne che volevano imitare gli uomini, argomento che gli si deve concedere di introdurre con le sue 1 7 stesse parole. Nel darvi quest'ordine (il 't OV'to di Paolo dovreb­ be riferirsi a ciò che precede; un riferimento a ciò che segue sarebbe reso più naturalmente con �a.oe; se s 'intendesse tutto l'insieme degli ordini , cc.7- 1 4, non sarebbe stato usato il prono­ me non ho di che lodarvi; perché, quando vi riunite, non è per rendere migliori le cose ma per render/e peggiori. I manoscritti presentano molte varianti nelle forme dei verbi dare un ordine (1Mpa:yyÉÀÀ.Et.v) e aver di che lodare (È1t«LVEi:v) .40 Nella traduzione si seguono quei manoscritti che danno il primo al participio e il secondo all'indicativo; questa 38 Il 39 H

Testo Testo del Signore », 40 Cf. qui

322

Occidentale aggiunge à:va;!wc;, indegnamente. Occidentale, seguito dalla maggioranza dei mss., ha: « il Corpo "tÒ O"W(.1« 'tou xvpiou. sopra , nota 36.

lettura sembra la migliore perché la frase successiva (poiché quando vi riunite . . . ) dà la ragione per cui Paolo non loda i suoi lettori. Alcuni preferiscono seguire i manoscritti che danno all'in­ dicativo il primo verbo, e al participio il secondo, quindi : Io do questo ordine, perché non lodo . . . (uso causale di costrutto participiale) . Ma in tale lettura, questo ('t'ou'to) dovrebbe rife­ rirsi a ciò che segue, mentre è meglio intenderlo di ciò che precede. Altri 41 seguono pochissimi manoscritti, che danno ambedue i verbi al modo finito: Do quest'ordine . . . Non lo­ do . . . Questa lettura, con l'asindeto, probabilmente è un errore accidentale. Paolo intende dire : vi ho dato un ordine in rappor­ to a una questione riguardante il riunirsi della chiesa per il culto. Non posso trattare di questo argomento con piacere, perché non meritate lode ma biasimo. Finché le vostre assem­ blee vanno così male, che invece di edificare la comunità la danneggiano, voi non diventate migliori ma peggiori per il fat­ to di esservi riuniti . 18 C 'è un esempio particolare. Poiché, in primo luogo (non segue in secondo luogo, ma al v .34 Paolo si riferisce ad altre questioni, e nei cc. 1 2 e 1 4 procede a trattare altri aspetti deplorevoli dell'assemblea di Corinto; per cui il suo 7tpW'tov plv, senza il 8É corrispondente, è per lo meno scusabile 42) , sento che (è necessario far precedere queste parole nella tra­ duzione, per poter esprimere la giusta connessione di pensie­ ro) , quando vi riunite in assemblea (oppure in chiesa, tv ixxÀ.1]0"L�; cf. sotto) , vi sono divisioni fra di voi. � naturale richiamare le divisioni di l , 1 Oss, ma non si deve supporre 43 che qui si tratti delle stesse.44 Le divisioni che si manifestano nella cena sono, almeno in parte, il risul­ tato di una distinzione di classe tra ricchi e poveri, anche se resta possibile che un pasto abbia offerto ai cristiani di origine giudaica - che avessero insistito perché il cibo fosse ritual­ mente puro - l'occasione di separarsi dai loro fratelli di ori?l B. D. § 430. � B. D. § 447 . 43 Come, per es., da parte di Lietzmann e Schlatter. 44 G. Bornkamm, Gesammelte A ujsiitze I l , 1959, p. 1 4 1 .

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gine pagana. Sembra, comunque, che malgrado le divisioni, l'intera comunità dei credenti si riunisse in un 'unica assemblea. Il termine assemblea traduce una parola greca (ÈxxÀ.T)cr!a.) di solito tradotta con chiesa (p . es. in l , 2) . Nel greco non bi­ blico, però, indica l'insieme dei cittadini riuniti in assemblea per scopi deliberativi o esecutivi , e nel greco vetero-testamen­ tario traduce la parola ebraica qahal che spesso si riferisce al popolo di Dio riunito. Così, in un certo numero di passi, spe­ cialmente in l Cor 1 4, la parola non significa semplicemente il popolo di Dio, ma il popolo di Dio riunito in assemblea. Qui, il senso sembra questo. Quindi l'assemblea (ixxÀ.T)al,a,) di Co­ rinto è segnata dalla divisione. Non si è ancora raggiunta l'uni­ tà di l O, 1 7 ; anzi, tale unità viene negata proprio durante la cena . Ciò non è considerato una ragione per porre fine alla cena che, secondo Paolo non esige che l 'unità perfetta sia già realizzata, ma è piuttosto un mezzo perché si realizzi. Fin qui si tratta di cose sentite dire : sento . Non sembra , probabile che i Corinti, orgogliosi com'erano di. ciò che face­ vano (p . es . l , 4ss ; 5, 2) , abbiano riferito a Paolo, nella loro lettera (7, l , ecc.) delle divisioni che si verificavano durante la cena. L'apostolo seppe probabilmente della cosa dalla gente di Cloe ( l , 1 1 ) , oppure da Stefana, Fortunato e Acaico ( 1 6 , 1 7) . E in parte lo credo : in parte, perché non vuole dar credito a una storia cosi scandalosa; tuttavia credo perché gli informa­ tori sono persone degne di fede; e anche perché la divisione 1 9 è di per sé un fatto facilmente credibile: perché ci devono essere delle discordie (Paolo usa una parola nuova , tltpÉO"EL�, sen­ za alcun notevole cambiamento di significato; se tale cambia­ mento vi fosse , verrebbe meno il nesso del discorso) fra di voi, affinché quelli che sono sinceri fra di voi possano distinguersi (oppure : affinché quelli che sono sinceri, possano distinguersi fra di voi) . Cioè, a meno che non vi siano discordie, colui che è sin­ cero non potrà distinguersi dagli altri; i sinceri ( oéxtiJ.OL) indica in primo luogo coloro che Dio approva (per il contrario, cf. 9, 27, à86xt.1J.oç) ; ma Rm 1 6 , l O (la parola si trova anche in Rm 1 4, 1 8 ; 2Cor 1 0, 1 8 ; 1 3 , 7) mostra che il termine può es­ sere usato in senso morale : Apelle non era l 'unico uomo ''ben accetto a Dio"; era un cristiano importante. Così qui : i sinceri .

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sono tali , in ultima istanza, a causa della scelta e dell'approva­ zione divina; ma sono anche designati come veri cristiani per il loro comportamento. Paolo non vuoi dire che... coloro che sono cristiani per elezione divina possano emergere fra coloro che non lo sono; ma. . . che coloro che si comportano in un modo veramente cristiano possono emergere rispetto a coloro che non si com­ portano in tal modo . Tuttavia, è anche vero 45 che Paolo in questa frase non è semplicemente rassegnato o ironico ; il ver­ setto "descrive una necessità divina, escatologica (cf. 1 5 , 25 5 3 ; 2Cor 5, 1 0 . . ) : la presenza di divisioni contribuisce a un di­ scernimento chiaro nel giudizio (cf. 3 , 1 3) " . Un'analoga pre­ dizione delle divisioni era attribuita a Gesù .46 La divisione può essere inevitabile, ma non è edificante, 20 né contribuisce all'onore della chiesa in cui si verifica . Così dunque, quando vi riunite insieme (la traduzione è pleonasti­ ca , ad imitazione del greco; !1tt -rò a.ù-r6 è molto vicino nel si­ gnificato a é:v ÈxxÀ.1}0'L� del v. 1 8) , non è per mangiare una cena in onore del Signore. Le ultime quattro parole esprimono un aggettivo greco (xvpt.ttx6v) , che qualifica la parola cena e significa "appartenente al Signore'' (xupr,o�) . "La cena del Signore" è un 'espressione familiare, ma il possessivo non chiarisce il rapporto fra la cena e il Signore. "In memoria del Signore", "sotto l 'autorità del Signore", "alla presenza del Signore": sono altrettante espressioni che potrebbero chiarire questa formula; solo il testo che segue, preso nel suo insieme, chiarisce il senso in cui la cena è "del Signore". Il contrasto stabilito col versetto successivo giusti­ fica, per il momento, la semplice traduzione: "del Signore". La cena (come è celebrata a Corinto) non dà onore al Si2 1 gnore (come dovrebbe) , poiché, nel mangiare, ciascuno pro­ cede con (1tpoÀ.aiJ.�a'JEt., si ciba prima che altri abbiano la loro parte ; cf. v.33) la sua cena, e uno ha fame e un altro si ubriaca (IJ.EihJEt. non può significare meno di così) . E manifesta­ mente sottinteso che la circostanza comportava sia un pasto or­ dinario, sia dei gesti simbolici e delle parole significanti . .

.

45

46

Come sottolinea Kiimmel, in contrapposizione Cf. J. Jeremias, Agrafa.

a

Lietzm ann.

325

2 male che uno abbia fame e un altro sia ubriaco; se la cena fosse stata celebrata nel modo giusto, nessuno avrebbe avuto fame, nessuno sarebbe stato ubriaco, ma tutti si sareb­ bero moderatamente rifocillati con cibo e bevanda. Un'altra implicazione (cf. specialmente v .22) è che si poteva esigere che i membri della chiesa dividessero le loro risorse, che i ric­ chi presumibilmente portassero più di quanto avessero bisogno e che provvedessero ai poveri. Di fatto, i ricchi portavano, ma mangiavano e bevevano essi stessi quel che avevano portato in più . Ciò non era mangiare la cena del Signore, ma la propria. C 'è poco da stupirsi che Paolo fosse indignato. 22 Che dunque! Non avete le vostre case per mangiare e bere ? A prima vista sembra che ciò voglia dire che il mangiare e bere comune, non cultuale, dovesse essere fatto a casa, e ciò sarebbe in contraddizione con quanto sopra si è detto, che cioè la cena a Corinto includeva un pasto ordinario. Ma l 'idea di Paolo è che, se i ricchi vogliono mangiare e bere le cose pro­ prie, gustando cibo migliore di quello dei loro fratelli più po­ veri , debbano farlo a casa; se non possono attendere gli altri (v.3 3), se devono indulgere a eccessi, devono almeno far sì che il pasto di tutta la chiesa sia libero da comportamenti che pos­ sono soltanto discreditarlo . Il loro comportamento mostra disprezzo per la comunità nel suo insieme. Disprezzate la chiesa (o forse dovremmo di nuovo tradurre con assemblea, come a v. 1 8 ; cf. la nota) di Dio, e volete far vergognare (il verbo xa"tat.crxvvE-tE è al pre­ sente, e deve essere inteso come di conato) il povero (letteral­ mente, coloro che non hanno, 'tovc; ll'Ìl !xov-tac;; forse, coloro che non hanno case) ? Il povero , che può portare con sé poco da mangiare o nien­ te, si sentirà naturalmente, benché a torto , pieno di vergogna quando vedrà il cibo e la bevanda portati e mangiati dai suoi fratelli ricchi . Le azioni del ricco non sono regolate dall'amo­ re (cf. Rm 1 4, 1 5 ; anche Gc 2, 1 s, e Taanith 4, 8) . Quindi è come se essi disprezzassero non solo i poveri, ma anche Dio, che ha chiamato nella sua chiesa non molti sapienti, non mol­ ti potenti, non molti di nobile nascita ( l , 26) . Dio ha accettato il povero, così come ha accettato chi è debole nella fede e nel­ la coscienza (8, 9- 1 3 ; 1 0, 29s ; Rm 14, 1 - 1 3 ; 1 5 , 1 .7) ; colui 326

che è più forte (sia nei mezzi umani che nella fede) deve anche egli accettarli. ti. per loro colpa che i Corinti profanano l'aspetto sacra­ mentale della cena : non per errore liturgico o per una sua sottovalutazione, ma perché fanno precedere alla cen a un atto non fratemo.47 Questa interpretazione viene rafforzata se vediamo in come mio memoriale (v.24s) uno speciale accen­ to posto sul precetto del discepolato e dell'imitazione di Gesù.48 Ciò che accade a Corinto è una negazione cosi evidente del principio e della pratica cristiana, che persino un apostolo è disorientato. Che cosa vi devo dire? Vi devo lodare? (leggen­ do È1ta.tvÉuw, e considerandolo un congiuntivo aoristo 4� . Si confrontino i vv .2 e 1 7 ; semb ra che i Corinti volessero essere lodati dall'apostolo, e che quindi descrivessero la loro chiesa nella miglior luce possibile. In questo caso non vi lodo. Sar e b­ be anche possibile la seguente punteggiatura: V i devo lodare in questo caso? No, non vi lodo. Ma la punteggiatura da no i scelta è migliore. C'erano casi in cui Paolo poteva esprimere una lode per lo meno condizionata; ma ora no. Paolo non rimane perplesso a lungo. Egli affronta la que­ stione, nella misura in cui può essere trattata per lettera (cf. v. 34) , ri chiamando le parole e gli atti di Gesù nell'ultima cena : si tratta solo di richiamare, perché egli ha già trasmesso questi dati ai Corinti . Non si deve senz'altro pensare (benché lo si faccia spesso) che le parole che seguono (ai vv. 1 3ss) fossero già di uso liturgico nella celebrazione della cena del Signore. Paolo non dà alcuna indicazione che egli stia usando parole che i Corinti dovrebbero riconoscere in questo senso, né affer­ ma che il comportamento dei Corinti fosse incoerente con le parole che essi stessi usavano nel corso del loro pasto. Era proclamata la morte del Signore (v .26) , e ciò poteva includere una narrazione dell'ultima cena (come è presente nella narrazione della passione nei vangeli), ma questo non è la stessa cosa che una formula liturgica. Paolo qui afferma, 47

41 411

Borkamm, o.c., p. 145. Con H. Kosmala, NT4, Cf. qu i sopra, nota 37.

81-94. 327

senza pretendere che raffermazione fosse già familiare, che le parole e gli atti di Gesù nell'ultima cena devono essere in­ tesi come la norma per la celebrazione della cena compiuta 23 dalla chiesa . Questa è la ragione del poiché ( yci.p) con cui inizia ·il versetto seguente. lo ricevetti dal Signore, ciò che vi consegnai. La termino­ logia è quella della tradizione in senso tecnico, e corrisponde al linguaggio che si trova nel giudaismo. Ricevetti (7t«pÉÀcx.�ov) corrisponde all'ebraico qibbel, e consegnai (7taptowxtt) a masar (cf. 1 5 , 1 .3) . Tuttavia, si dovrebbe ricordare che entrambi i termini erano usati in questo senso anche nel greco antico, molto prima che esso fosse in qualsiasi modo influenzato dal­ l'uso giudaico; sarebbe quindi erroneo, senza ulteriori ele­ menti di prova, leggere queste formule come se avessero un significato interamente rabbinico.50 � certo che si erano trasmessi dall'uno all'altro, nella chie­ sa primitiva, racconti di ciò che Gesù aveva detto e fatto; fu da questi racconti che si formarono i vangeli . Dire questo, non significa di per sé pronunziare un giudizio, favorevole o me­ no, sul valore storico dei vangeli (oppure di passi come que­ sto) , perché le tradizioni sono conservate talvolta accurata­ mente, talvolta in modo inesatto e tendenzioso ; e ci sono pochi elementi per dire che le elaborate tecniche della tradizione giudaica fossero applicate dai cristiani al loro materiale tanto diverso e trasmesso in ambienti diversissimi . In che senso Paolo ricevette questa tradizione dal (a1to) Signore ? La ricerca biblica conclude abitualmente a due ipo­ tesi . a) Il Signore stesso fu l'origine della tradizione, nel senso che fu il primo anello di una catena che andava da lui a Paolo. Testimoni oculari riferirono ad altri ciò che il Signore aveva detto e fatto; questi lo ripeterono ad altri ancora; e così di anello in anello la tradizione giuse a Paolo, che quindi l'eb­ be dal Signore non direttamente, ma attraverso una trasmis­ sione ininterrotta. b) Il Signore comunicò direttamente a Pao­ lo questa verità, nell'esperienza della via di Damasco, o in so Schlatter, per es., sottolinea l'impiego di entrambi i termini , con una parola d'ordine militare, in Giuseppe Flavio, Antiquitates XIX 3 1 .

328

qualche simile visione. Paolo la ricevette direttamente dal Si­ gnore, senza alcun tipo di mediazione . È contro (b) il fatto che Paolo usi il linguaggio della tradizione ; ed è contro (a) il fatto che altrove (Gal 1 , 1 2 : ovoà . 1tttpÉÀtt�ov) egli sottolinei la sua indipendenza dall'insegnamento umano. ..

Si è molto discusso sulla preposizione usata; questo ele­ mento non sembra decisivo,51 ma alcuni pensano che indichi l'origine della tradizione, e non la persona da cui Paolo la ricevette direttamente. Una soluzione di compromesso possi­ bile è che Paolo ricevette la tradizione che riguarda i fatti per via umana, e la sua interpretazione direttamente dal Si­ gnore; forse, meglio,S2 possiamo vedere l'autorità del Signore operante con e mediante la tradizione umana (che ora è custo­ dita nella Scrittura) . Quindi Paolo in precedenza aveva imparato, e già aveva insegnato ai Corinti che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito (o, forse meglio, fu consegnato cioè, da Dio , - a morte; cf. Rm 4 , 25 ; 8, 32; ma il termine potrebbe essere stato usato in modo diverso nella tradizione, della cui formulazione 24 Paolo non era responsabile), prese del pane, e quando ebbe reso grazie, lo spezzò. La notte a cui ci si riferisce probabil­ mente è quella prima della crocifissione, quando, come rac­ contano tutti gli evangelisti, Gesù cenò con i suoi discepoli . Giovanni non narra nessun atto o parola particolare di Gesù in rapporto al pane e al calice (ma cf. Gv 6, 5 1 -58) ; Matteo, Marco e Luca contengono una narrazione simile a quella di Paolo, ma diversa da essa nei particolari , che per la maggior parte saranno notati più avanti. La cena deve essere interpretata nell'immediato contesto della crocifissione. Quello che qui si narra compiuto da Gesù, doveva essere compiuto in ogni pasto (ma con particolare so­ lennità a un pasto pasquale) dal capo di ogni famiglia giudaica. La benedizione (cf. 1 0, 1 6) o rendimento di grazie, sul pane, era : "Benedetto sei tu, o Signore nostro Dio, re eterno, che -

51

M. I 237, 246.

Urkirche . anche Bomkamm, Christologische Hoheitstitel, 1 964 p. 93. 52 Cf. O. Cullmann,

. .

o.c.,

p.

148;

F.

Hahn,

329

produci il pane dalla terra". Non è necessario dire che né Pao­ lo né alcuno degli evangelisti pensava di narrare semplici atti di ogni giorno: quegli atti derivavano la loro importanza dal contesto, e dalle parole che seguono. Gesù disse : Questo è il mio corpo, che è per voi (potremmo dire, è dato ; ma, benché molti manoscritti aggiungano spezzato, il greco non porta il verbo; si tratta di un'aggiunta maldestra, corretta in senso più fine in Le 22, 1 9) ; fate questo come mio memoriale. Le parole sono attribuite a Gesù stesso, presente di per­ sona (nell'ultima cena) , e fisicamente distinto dal pane di cui parla. Si deve notare la parola corpo (anche se può sostener­ si 53) che ciò che Gesù storicamente disse fu : la mia carne; qui si può notare, una volta per tutte, che questo commento non può trattare della questione storica di ciò che veramente accadde nell'ultima cena, ma può solo trattare dell'uso che Paolo ha fatto dell'avvenimento) e probabilmente la parola deve essere intesa alla luce del riferimento, in Pesahim 1 0, 4, al 'corpo dell'agnello pasquale'. "Questo, dice Gesù del pane, è il mio corpo". Si è già visto (v.7) che Paolo considerava Gesù come la nuova pasqua cristiana; qui egli sembra affermare la stessa cosa. La pasqua per i giudei era il sacrificio e la festa della liberazione. 'Egli ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dal dolo­ re alla gioia, dal lamento alla festa, dalle tenebre alla grande luce, dalla schiavitù alla redenzione'.54• Cristo, il crocifisso (cf. l , 23) , con la sua morte aveva compiuto una liberazione si­ mile (cf. Rm 3 , 25 , e la nota) , e tale liberazione era rappre­ sentata nella cena. � in questo senso che il corpo di Gesù è per voi. Vale la pena notare che non c'è nessun riferimento al tema di 1 0, 1 7 ; Paolo poteva vedere diverse piste d'interpre­ tazione della cena. In 1 Cor (e in Le 22, 1 9b, ma non in Mt e Mc) , le parole sono seguite da un comando : Fate questo (cioè, dite un ren­ dimento di grazie, e spezzate e distribuite il pane) come mio memoriale. Queste parole, in quanto sono in un testo greco, Jeremias, Le parole dell�ultima cena (trad. it., Brescia 1973) . Haggadah di pasqua.

'3 Con

54

330

fanno pensare naturalmente alle feste commemorative, che non erano rare nella vita greca e romana. Weiss e Jeremias portano molti esempi ; uno dei più notevoli è tratto dal Testa­ mento di Epicuro,S5 che provvede per una celebrazione annuale · 'in memoria (d.� -r'i)v IJ.'V-riiJ.'llV) di noi (cioè, di me) e di Metro­ doro' . La tradizione primitiva 56 non conteneva questo elemen­ to, ed è probabile che la sua formulazione debba molto all'uso ellenistico , per quanto sia vero che i pasti commemorativi pa­ gani sembra siano stati celebrati meno frequentemente che quelli cristiani. Tuttavia le differenze non stupiscono; p . es. non si credeva che Epicuro fosse risorto dai morti come è stato per Gesù . Riguardo a ciò, c'è un parallelo più simile nella relazione di Luciano 57 delle feste in 'memoria della passione' (IJ.vrlJJ..'ll -rov 1tciil'Eo� 58) di Adone . Tuttavia, le feste commemo­ rative pagane non devono avere determinato totalmente il con­ tenuto di questa formula, e non sono sufficienti a interpre­ tarla. La pasqua stessa, come abbiamo visto, era un rito com­ memorativo (cf. Es 1 3 , 9) ; ma non ricordava tanto una per­ sona quanto un atto divino . Anche la cena cristiana ricorda un'opera di liberazione, ma è ancora più strettamente connes­ sa a una persona, Gesù Cristo che ha importanza anche più grande; e il memoriale è naturalmente memoriale di lui. Egli ha dato se stesso per il suo popolo, il quale partecipa dei be­ nefici della sua passione quando i suoi membri si cibano insie­ me di un pane, in una cena celebrata in sua memoria.59 25

Allo stesso modo (cioè, prendendolo nelle sue mani, dicendo un rendimento di grazie, e dandolo ai suoi discepoli) egli prese anche (egli prese non è nel greco ma è un 'integra­ zione necessaria) il calice, dopo che ebbero mangiato (cf. 1 0, 1 6 ; il calice della benedizione era bevuto dopo che il pasto era stato consumato; Bomkamm 60 qui vede un'indicazione del Diogene, Laerzio X 16-22. Jeremias, o.c. 57 De Syria Dea 6. 58 Cf. Giustino, Dialogo con Trifone 4 1 . 59 Cf. anche, qui sopra, a p . 264, H richiamo a Kosmala. 60 G. Bomkarnm, o.c., p. 1 54.

55

S6

33 1

fatto che, secondo la tradizione paolina, l'intero pasto avvie­ ne tra il pane e il calice, e vede in ciò un argomento decisivo a favore di una datazione della relazione paolina precedente a quella di Marco) , dicendo : Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue. La formulazione di Paolo è qui notevolmente diversa da quella dei vangeli : Mt 26, 27s : Bevetene tutti; perché questo è il mio san­ gue del patto, che è versato per molti, per il perdono dei peccati. Mc 1 4, 24 : Questo è il mio sangue del patto che è ver­ sato per molti. Le 22, 20 : Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi.

Spesso si sostiene che la formulazione paolina è seconda­ ria, perché evita l'identificazione diretta del vino contenuto nel calice col sangue, e il pensiero sottointeso di bere sangue, cosa particolarmente ripugnante per un giudeo. Quest'argo­ mento è probabilmente valido, ma non è impossibile rovesciar­ lo. Gesù stesso era un giudeo, e quindi avrebbe potuto evitare (o, per essere più prudenti, avrebbe dovuto evitarlo la tradi­ zione palestinese) l'identificazione del vino col sangue; questa identificazione avrebbe potuto essere fatta - e quindi la for­ ma originale dell'espressione avrebbe potuto essere modificata - in un periodo successivo, quando il vangelo si era spostato in ambiente pagano, e quindi il parallelismo di Questo è il mio corpo forzò l'espressione correlata : Questo è il mio san­ gue. La differenza di significato tra Questo è il mio sangue del patto, e Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue è poco rilevante . Ciascuna delle due espressioni presuppone che lo spargimento del sangue di Cristo abbia inaugurato un nuovo patto tra Dio e l'uomo (è meglio collegare nel mio sangue a patto piuttosto che a calice) . Sullo sfondo ci sono due passi vetere-testamentari : Es 24, 8 e Ger 3 1 , 3 1 -34.61 Quando fu 61 Sul significato del secondo passo nella teologia del NT, cf. C. H. Dodd, According to the Scriptures.

332

sancito il patto del Sinai , Mosè asperse il popolo con il sangue delle vittime del sacrificio, usando le parole : "Ecco il sangue del patto che il Signore ha fatto con voi"; e Geremia, dopo il fallimento del patto antico, predice l'istituzione di un nuovo patto, che avrebbe incluso il perdono dei peccati, la conoscenza personale di Dio e la comunione con lui . � sottinteso che ora il nuovo patto è stato inaugurato, e inaugurato, come l'antico, mediante il sacrificio. Il nuovo sa­ crificio non è (come quello di Es 24, 5) sacrificio di buoi, ma è il sacrificio di Gesù. Lo spargimento del suo sangue è la fondazione del nuovo patto, in cui vengono perdonati i pec­ cati degli uomini (cf. 1 5 , 3) e comunicata la conoscenza di Dio . La struttura pasquale dell'ultima cena e della crocifissia. ne (cf. 5, 1) fornisce tuttavia, un nuovo contesto in cui è in­ serita l'idea del sacrificio del patto; in particolare essa costi� tuisce un mezzo nuovo mediante il quale il sangue del sacri­ ficio può essere applicato a coloro che dovranno trarne bene� ficio . Il calice della benedizione, bevuto da tutti coloro che par­ tecipano al pasto, diventa in Paolo (non realmente il sangue del patto, ma) il mezzo con cui entrare nel patto. Bere al calice significa entrare nel patto, nel patto stabilito nel (cioè, median� te, o forse a prezzo del) sangue di Cristo. In questo modo il bere al calice si collega a ciò che è detto in l O, l 7 riguardo al mangiare il pane, che è l'unico corpo in cui sono uniti i credenti : coloro che entrano nel patto con il Signore, natu­ ralmente entrano contemporaneamente in un patto con l'al­ tro, e viene quindi istituita una comunità fondata su un patto. Il paralellismo col v .24 viene completato da un 'altra fra­ se: Fate questo (cf. nota al v.24; né qui né là, fate (1toLE�-v) ha di per sé un contenuto necessariamente sacrificate; significa : Prendete un calice, dite su di esso la benedizione, e distribui­ telo) , ogni volta che bevete, come mio memoriale. Bevete non ha un oggetto espresso. � possibile considerare come oggetto il calice che è stato appena nominato; ma forse è meglio inten­ dere "il vino". Questa espressione supplementare (che non ha parallelo in v .24) ha un effetto limitante. I cristiani devono fare que­ sto non ogni volta che consumano un pasto, ma ogni volta che bevono del vino. Il pane era sempre disponibile in famiglie di 333

condizioni comuni (cf. 1 , 26), non lo era il vino. Era forse più probabile che ci fosse del vino nelle riunioni della comunità, piuttosto che in circostanze domestiche comuni : ma in tali riunioni non si doveva sempre bere vino. Quando il vino non era disponibile, il pane spezzato avrebbe rappresentato in modo adeguato la morte del Signore e i benefici che ne deri­ vano (ciò può essere perché Paolo , a differenza di Mc, aggiun­ ge che è per voi) ; il calice del vino, e il sangue che rappresen­ tava, avrebbero espresso più chiaramente il significato del sa­ crificio del patto. � probabile che il materiale che Paolo ricevette dalla tra­ dizione (v.23) finisca al v.25 ; può essere stato lui ad aggiun­ gere le parole che è per voi (cf. sopra) . Ora egli aggiunge un'altra frase, che sottolinea la connessione tra la cena e la morte di Cristo, e che indica il senso che egli dava alle parole : 26 Fate questo come mio memoriale. Poiché (ya p, che dà la ra­ gione di qualche cosa; la nuova frase non può spiegare altro che il carattere commemorativo della cena) , ogni volta che (òcraxtc;, come al v.25 ; non è una parola paolina, ma Paolo poteva ben ripeterla qui , dal momento che poco prima l'aveva citata dalla tradizione) voi mangiate questo pane, e bevete il calice (cioè, ogni volta che fate questo; vv.24ss) , proclamate la morte del Signore, finché egli venga. Proclamate (xa"ta.yyÉÀÀE"tE) è stato inteso 62 nel senso di : "Rappresentate simbolicamente, mediante il pane spezzato e il vino versato", come con una parola visibile (visibile verbum, da Agostino detto del battesimo 63) ; tuttavia sembra certo 64 che significa proclamare, annunciare con la parola della boc­ ca. Cioè, quando i cristiani compivano il pasto comune, ricorda­ vano a voce alta l'evento su cui era fondata la loro esistenza. Questo ricordo (che assomiglia da vicino alla narrazione del­ l'esodo dali 'Egitto nella pasqua giudaica) deve aver avuto un contenuto narrativo, e ciò aiuta a spiegare la relativa continui­ tà e la forma costante della narrazione della passione nei van62 63

. 64

334

Per es. da Weiss. In lohannis Evangelium LXXX 3 J. Schniewind, in ThW l, 68-7 1 .

.

geli. La storia era stata ripetuta molto spesso prima di essere scritta. La ripetizione della storia della morte del Signore deve continuare finché egli venga (ritorni dal cielo, s'intende) . Que­ sta espressione può significare di più che un termine di tempo. La formula greca usata (iiXP'- o� con il congiuntivo aoristo, e senza èiv) "introduce sempre la prospettiva del conseguimento del fine escatologico : Rm 1 1 , 25; 1 Cor 1 5 , 25; Le 2 1 , 24".65 Jeremias collega questo passo con la sua interpretazione del­ la parola memoriale (&:v��J.V1]C1t.�) , che egli intende in rapporto a Dio : l'intenzione è, perciò, che Dio ricordi il suo Messia facendo venire la parusia. Questa interpretazione può forse es­ sere valida per uno stadio primitivo della tradizione, benché, sembra, non lo sia per Paolo; nondimeno, la conclusione di Jeremias può ben essere, a questo punto, corretta. L'espressione greca èixpt. où tÀ.iln "fa eco evidentemente al maranatha della liturgia, con cui la chiesa prega per la venuta escatologica del Signore . Il pasto è quindi un memoriale (àvci�J.'VT)CiL�) del Kyrios, non perché ricorda alla chiesa l'evento passato dalla passione, ma perché proclama l'inizio del tempo della salvezza, e prega per l'irruzione del compimento finale" .f:IJ (Cf. Didaché 1 0, 5 ; ma si veda la trattazione su maranatha a 1 6, 22) . Per la venuta del Signore si veda 1 5, 23 . Non c'è dubbio che Paolo, quando scriveva 1 Cor, si attendesse di vivere fino a vedere questo evento . La chiesa riunita intorno alla tavola per la cena avrebbe formato un anello vivente tra l'inizio e la fine dell'intervallo che unisce le due venute del Signore. Col­ pisce il fatto che Paolo qui non faccia nessun riferimento alla risurrezione. Può darsi che la ragione sia che per lui la risurrezione era l'esaltazione di Gesù piuttosto che il ritorno a una vita comune con coloro che erano stati in comunione con lui . � vero che Gesù era loro apparso ( 1 5 , 5-8), ma il sus­ seguirsi delle apparizioni durò poco, ed evidentemente era stato eccezionale . Per Paolo (qualsiasi cosa potesse essere stata 65 Jeremias, o.c. 66 J eremias, ivi.

335

per altri gruppi di cristiani) , la cena non era una semplice ri­ petizione dei pasti comuni tra Gesù e i suoi discepoli. Egli evita di identificare il vino col sangue di Gesù (v.2 5 ; cf. Mc 1 4 , 24) , e benché citi le parole relative al pane: Questo è il mio corpo, egli intende, come abbiamo visto : Questo è il (o un) mezzo, mediante il quale si può ricevere il beneficio de­ rivante dal mio corpo spezzato . Più tardi, Ie liturgie eucaristi­ che ben presto inclusero il tema della risurrezione,67 ma non è questo che Paolo sottolinea ; e in questo sembra che la for­ mulazione di Paolo fosse conforme alla comprensione origi­ nale della cena. Il pasto storico, nell a notte in cui Gesù fu tradito, fu un'anticipazione, all 'ombra della · croce, del ban­ chetto glorioso del regno di Dio ; la risurrezione non alterava in modo essenziale la situazione, benché confermasse la spe­ ranza e la fede dei discepoli che partecipavano al pasto. Essi mangiavano ancora in circostanze di "vergogna" e guarda­ vano a una "gloria" che ancora non avevano sperimentato (per questa terminologia, si vedano le norme per la pasqua in Pesahim l O, 4; nel narrare la storia, il capo famiglia "inizia con la vergogna e termina con la gloria") .68 Quindi la cena cristiana era fondata sulla morte sacrificate di Gesù, un atto di liberazione divina con cui erano perdona­ ti i peccati ed era stabilito un nuovo patto tra Dio e gli uomi­ ni, che essendo stati riconciliati a Dio, ora erano uniti fra di loro. Essa doveva essere accompagnata dalla recita dell'atto di espiazione , in cui l'amore di Dio veniva elargito agli uomini peccatori (cf. Rm 5, 8) . In pratica, quindi , come si doveva fare? Certo, non come a Corinto. Perciò Paolo continua con forti ammonizioni e con rimproveri. Kasemann 69 nota qui la concorrenza di termini giuridici e legali, e dice : "Si deve ricordare ai Corinti il contenuto par­ ticolare della cena perché, nel loro entusiasmo, essi stoltamente immaginano di essere stati sottratti alla giurisdizione di que­ sta giustizia e al tribunale che l'amministra, L'auto-rivelazione 67 Per es. la Traditio apostolica di lppolito, IV 1 1 : tis et resurrectionis ». 68

69

336

Cf. inoltre l 'introduzione a p.

Aufsiitze ...

39.

«

memores igitur mor­

del Cristo chiama gli uomini all'ubbidienza, e ciò significa che contemporaneamente li chiama a rendere conto davanti al Giudice ultimo che già oggi sta operando all'interno della sua comunità, come farà nei confronti del mondo nell'ultimo giorno ; egli elargisce la salvezza ponendo gli uomini sotto la sua signoria; ma qualora respingano la sua signoria, gli uo­ mini sperimentano questo rifiuto come una sentenza di morte che si siano inflitti da se stessi ". 27 Ne segue che (t:la"tE, che esprime risultato) chiunque mangia il pane del Signore o beve il calice del Signore (del Signore "tov xup!ou , ricorre solo una volta in greco, ma si riferisce sia a pane che a calice) indegnamente, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore (cioè, di una colpa contro il corpo e il sangue del Signore : l'uso poco comune della parola greca E'Joxo� potrebbe riflettere la costruzione del rabbinico & ayyab) . Ciò che Paolo vuoi dire con indegnamente viene spiegato dai vv. 2 1 s; egli pensa alle colpe morali della divisione e del­ l 'avidità che segnavano l'assemblea di Corinto. Uno che mangia così, non mangia la cena del Signore, ma la propria (v.2 1 ) . In che senso è colpevole del corpo e del sangue del Si� gnore? Paolo non pensa che esso sia presente fisicamente o so­ stanzialmente perché, come abbiamo visto, non identifica il vino col sangue del Signore, e l'identificazione del pane col corpo significa che il pane è un mezzo per partecipare ai benefici del­ l'opera di Cristo . Che la parola corpo qui non sia intesa come equivalente a chiesa è dimostrato dall'aggiunta di sangue. Sembra necessario interpretare il v.2i alla luce del v.26 . Il mangiare e il bere sono accompagnati e interpretati dalla proclamazione della morte del Signore, in virtù della quale il suo corpo e il suo sangue sono intesi essere per noi. Ma man­ giare e bere indegnamente (nel senso indicato sopra) significa smentire sia il fine dell'offerta personale di Cristo, sia lo spi­ rito con cui essa fu compiuta, e quindi mettersi tra coloro che furono responsabili della crocifissione, e non fra coloro che, per fede, ne ricevono il frutto (cf. 8 , 1 2) . Che cosa doveva fare dunque chi avesse voluto partecipare 28 alla cena? Uno esamini (8oxt.ll«�€"tw) se stesso; cioè come deb­ ba (letteralmente, e così mangi ... ) mangiare del pane e bere del calice. Il termine esaminare rimanda all'altro del v . 1 9 : i sin337

ceri (cf. anche 2Cor 1 3 , Ss) . La decisione è di Dio, ma l'uomo può chiedersi di quale decisione possa essere degno. Paolo non chiede che un uomo sia moralmente senza peccato prima di partecipare al pasto; egli chiede che l 'uomo compia un esame morale della sua vita e del suo comportamento . 29

Poiché (cptip, che introduce la ragione, o un'ulteriore affermazione della ragione data al v .27, perché un uomo deb­ ba esaminarsi) colui che mangia e beve, 70 mangia e beve il giu­ dizio su di sé,71 se non discerne il corpo (molti manoscritti ag­ giungono del Signore 72) . Le parole aggiunte da alcuni mano­ scritti rappresentano una possibile interpretazione del testo originale; esse sono secondarie nel testo, ma l'interpretazione che offrono non è per questo necessariamente errata : il ri­ sultato di queste aggiunte è l'identificazione del mangiare e bere indegnamente con il mancato discernimento del corpo del Signore . Converrà tuttavia accostare questo versetto no­ tando un certo numero di paralleli con altre espressioni nel contesto. Il versetto nel suo insieme tratta di uno che mangia e beve: uno che partecipa alla cena del Signore . Chi fa così, mangia e beve il giudizio (xp!p.a.) su di sé; cioè si espone al giudizio, non semplicemente nel senso che tutti gli uomini devono appa­ rire davanti a Dio per il giudizio (Rm 1 4, 1 0 ; 2Cor 5, 10) , ma in un senso particolare. Ciò richiama evidentemente il v.27, dove colpevole (lvoxo46 e B hanno è omesso da J»46 s• D* G . 384

Parlereste infatti al vento. 10Ci sono nel mondo non so quante specie di linguaggio e nulla è senza il proprio linguaggio. 11Se dunque io non intendo il significato della lingua, sarò uno straniero per colui che sta parlando e, dal mio punto di vista,'6 sarà uno straniero chi sta parlando. 12Così anche per voi, poi­ ché siete uomini che aspirate a doni spirituali, cercate di ab­ bondare in essi per l'edificazione della chiesa. 13Così, colui che parla in lingua, preghi per saperla inter­ pretare. 14Perché, se io prego in lingua, il mio spirito prega, ma la mia mente è inoperosa. 15Che cosa allora si deve fare? Pre­ gherò 77 con lo spirito, ma pregherò anche con la mente. Canterò lodi con lo spirito, ma canterò lodi anche con la mente. 16Per­ ché, se pronunci una benedizione in spirito, in che modo po­ trà, colui che tiene il posto del semplice uditore, dire l'Amen al tuo rendimento di grazie? Poiché non comprende ciò che dici. 11Tu senza dubbio rendi grazie bene, nza l'altro non viene edificato. 18Grazie a Dio, io parlo 78 in lingue più di tutti voi, 19ma nell'assemblea desidero dire cinque parole con la mia in­ telligenza, per istruire anche altri, piuttosto che diecimila pa­ role in lingua. 1JJFratelli: non siate fanciulli nell'intelletto; nella malizia siate semplici infanti, ma siate maturi nell'intelletto. 21Sta scritto nella legge : "Parlerò a questo popolo per mezzo di uo­ mini dalle lingue ignote e per mezzo di labbra di stranieri;19 tuttavia anche così non mi daranno ascolto, dice il Signore. 22Ne consegue che le lingue servono come segno non per i cre­ denti ma per i non credenti; la profezia come un segno non per gli increduli, ma per i credenti. 23Qualora dunque l'intera chiesa si riunisca insieme e tutti i suoi membri parlino in lin76 lv è omesso. erroneamente, da P46 D G 1739. o per rendere questa frase simile alla precedente, o per evitare l'interptetazione possibile: « Co­ lui che parla in me (cioè lo Spirito) sarà uno straniero » (Zuntz, p. 1 04). 77 In ognuno di questi casi, il congiuntivo (1tpocrEu;wJ.U1r.) sembra un'al­ ternativa al futuro indicativo. 78 Traduco À.o:À:w; la maggioranza dei mss. h a À.o:À.w'll ; P* ha À.a.M�v. So­ no, probabilmente. dei « miglioramenti », quindi da rifiutare. 79 Invece di É't'Épw'll , p46 D G, la maggioranza dei manoscritti greci, il la­ tino e il siriaco hanno É't'Épor.