La lettera ai Romani. Testo greco, traduzione e commento

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La lettera ai Romani. Testo greco, traduzione e commento

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COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO CoUana internazionale pubblicata in lingua italiana, francese, inglese, tedesca e spagnola A CURA DI Serafin de Ausejo, Lucien Cerfaux, Joseph Fitzmeyr, Béda Rigaux, Rudolf Schnackenburg, Anton Vogtle

Segretari per l'Italia: G. Scarpa! e O. Soffritti EmTORI Paideia Editrice, Brescia Les Éditions du Cerf, Paris Herder and Herder, New York Verlag Herder, Freiburg, Basel, Wien Editoria! Herder, Barcelona ·

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TEST AMENTO

La lettera ai Romani Testo greco e traduzione Commento di HEINRICH ScHLIER Traduzione italiana di R. FAVERO e G. TORTI Edizione italiana a cura di 0MERO SoFFRITTI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

Der Romerbrief Kornmentar von Heinrich Schlier

·

Traduz. ital. di Roberto Favero e Giovanni Toni Revisione di Omero Soffritti

La traduxtane del testo biblico è di proprietà della Casa Paidei61 B C D syl' d e f vg bo sah Ambrstr. Non è il caso di indagare sull 'origine di que­ ste varianti. Diremo solo che f appare la meglio attes tata. È però da ritenere che I , I - r 6,2 3 fosse il testo originario della lettera al quale fu poi congruamente aggiunta la dossologia . Quel che non si spiega è soltanto perché pl6 abbia alterato questa disposizione cosl logica inserendo la dossologia tra r 5 , 3 3 e r 6 , r ss. Si può pensare che r 6, r - 2 3 non si trovasse ancora nel testo della lettera, ma anche in questo caso l'augurio di I 5 , 3 3 poteva già essere una chiusa adeguata. 2 . Anche il dettato non paolina, la terminologia e i concetti che non hanno riscon­ tro negli scritti dell'Apostolo indicano che la dossologia non è originaria. Comunque presenta uno stile liturgico tardivo. Per la terminologia si confrontino le espressioni caratteristiche atW\ILoc; i}E6c; ( Gen. 2 1 ,3 3 ; Is. 2 6 ,4 ; 40 ,28 ; Bar. 4 , 8 ; Susan­ na 42 ; 2 Mach. r ,2 5 ; hapax nel N.T . ), IJ.0\10 : Év 'Pt.:I!-Lll -rii XOC1J.10'Tp6� IG XIV, u o8 , «un compendio del mondo�> ( btL'TO!-L'i} ), Gal. 18 A 347; Athen. 1 ,2ob. Cfr. L. Friedlii nder, Darstellun-

lntrodtlZiowe

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men ti della lettera inviare i saluti non alle persone preminenti deJla comunità, bensi a vecchi e spesso indiretti conoscenti . 3 . 'E1taL\IE"t'Ot; quale a1ta.px1) "t'i) c; Aaiac; ( I 6,5 ) è da ricercare in Efeso e non in Roma . Quanto a Prisca e ad Aquila , si pen­ sa che essi si trovassero con la loro comunità domestica prima a Corinto e poi in Efeso (Act. r 8 , r o s. 2 6 ; I Cor. r 6 , r 9 ). 4 · Le urgenti ammonizioni ( r 6 , r 7-20 ) a guardarsi dai falsi cristiani che provocano scissioni tra i fedeli mal si adattano alla situa­ zione della chiesa romana quale ci è nota e all'atteggiamento così cauto che l'Apostolo tiene sempre nella lettera verso la comunità a cui si rivolge ( cfr. r , r o ss . ; 1 2 , 3 ss. ; 1 5 , 1 4 ss. ) . 5 · Le parole d i r 6,2 oh, dopo I 5 , 3 3 , costituiscono una secon­ da chiusa della lettera e di dò non si hanno altri esempi nel­ l 'epistolario paolino. Questi argomenti contro l'originaria appartenenza del cap. r 6 alla lettera hanno certamente un loro peso, ma , a parer mio, non sono convincenti. Della tradizione testuale abbiamo già parlato. Per quanto concerne i salu ti , di nove delle ven­ tisei persone menzionate si dovrà pensare che si fossero tra­ sferite dall'Oriente a Roma : Prisca e Aquila ( v . 3 ) , Epeneto ( v . 5 ) , Andronico e Giunia ( v . 7 ), Ampliato (v. 8 ) , Stachi (v. 9 ), Rufo e la madre di lui (v. q ). Non è detto poi che l'Apo­ stolo conoscesse di persona tutti coloro che manda a salutare. Ma quand'anche fossero conoscenze dirette, non sarebbero poi molte, se si considerano la quindecennale attività missionaria di Paolo e la grandezza della comunità romana 36• Per quanto riguarda, in particolare, Epeneto, la sua qualificazione al v. 5 si comprende meglio in una lettera inviata a Roma che ad E­ feso, dov'era conosciuto . Anche r 6 , r 6b s'intende meglio ri­ vol to alla comunità di Roma che a quella di Efeso . E perché 1

gc11 tlU$ der Sittengerchichte Roms r 9, t919, 17; U. Kahrstadt, Kulturgtrchichte der riimirchen Kairerzeit, 1944, IO:Z.2J6.245 ss. Hengd, op. cit . 183 accenna agli antichi rapporti che intercorrevano tra Corinto e Roma e trova ic essi una spi�·· gazione del lungo elenco di saluti in Rom. r6,3 ss. , 36. Anche Col. 4,10 ss . contiene saluti rivolti ai membri di una comun ità non pao· lina. Tali saluti, in effetti, ben più che !lelll plici . In effetti (è questo i l concetto su cui è impostata la prima parte della lettera da I , I 8 a 4,2 5 ) la manifestazione della giu­ stizia di Dio produce la giustificazione dei credenti. Prima che Dio riveli la propria giustizia, la sua 6py1), il giudizio della sua ira colpisce tutti gli uomini, siano essi pagani ( I , I 8 -3 2 ), o giu­ dei ( 2 , I -3 , 2 0 ), poiché tanto gli uni quanto gli altri sono sog­ getti al peccato ( 3 ,9 ss. ) e la legge non può soccorrerli ( 3 , 1 9 s . ). Quest'ultimo concetto qui viene accennato, m a non svol­ to. Così la prima parte della lettera ( r , I 8-3 , 2 o ) non tratta an­ cora specificamente dell'impotenza della legge a recare la sal­ vezza, bensì descrive soltanto la condizione di fatto dell'uomo, lontano ormai dalla luce e dalla potenza dell'originaria o6ça di Dio (cfr. 3 ,2 3 ) . Per un atteggiamento di fondamentale in­ gratitudine i pagani , commettendo l'ingiustizia, calpestano la verità, ossia la giustizia di Dio che essi, in quanto creature, av­ vertono istintivamente «nel cuore» , e si attirano così l'ira di Dio ( I , I 8- 3 2 ) . I Giudei che conoscono la volontà di Dio dal­ la legge che la incarna ( 2 , I 7 ss. ) - a loro in effetti sono s tati affidati i À.ort.a "t'OU i)eou ( 3,2 ) - condannano bensì i pagani e il loro agire, ma poi si comportano allo stesso modo e accu­ mulano su di sé l 'ira di Dio ( 2 , 1 ·3 ,8 ). Tutti quindi, pagani e giudei, sono colpevoli di fronte a Dio come già avevano detto i profeti e i salmisti ( 3 ,9-20).

§ 4, La struttura concettuale

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Se tale è divenuta la situazione dell'umanità, ora però (wvt ÒÉ [ 3 ,2 1 ] ) con Gesù Cristo e con l'evento espiatore di lui ha fatto irruzione nel mondo senza alcun concorso della legge la O �X(x.LOCTU\11] i}Eou per tutti coloro che hanno fede ( 3 ,2 1 - 2 6 ). In Gesù Cristo Dio ha riaffermato la sua «giustizia» e quindi la sua «verità» in mezzo a tutta la ingiustizia del mondo. E questa giustizia e verità di Dio in quanto iustitia iustificans non viene acquisita da chi compie le opere della legge, bensì viene donata a chi, nella fede, si apre docilmente ad essa . L'uomo, tanto giudeo quanto pagano, può essere giustificato soltanto per la fede . Ma proprio in tal modo la legge viene ti­ confermata nel suo significato originario quale disposizione divina ( 3 ,2 7-3 I ) . L'A. T. ci porge un « tipo» di questa fede giu­ stificante, ossia Abramo, padre dei credenti, siano essi di pro­ venienza giudaica o pagana, e insieme l'esempio anticipatore della giustizia per la fede. A motivo della sua fede Abramo ri­ cevette da Dio la promessa es c atologic a che sarebbe divenuto padre di molti popoli ( 4 , I - 2 5 ). È ben chiaro dunque che sol­ tanto in 3 , 2 I -4 , 2 5 l'Apostolo viene a parlare della sua tesi di fondo ( « tutti gli uomini finora sono falliti di fronte alla legge, ossia nel compimento di opere buone o empie; la legge non procura la salvezza » ), affrontando così il tema specifico, an­ nunziato in I , 1 6 s . , della sua lettera e del suo evangelo. Tutto il discorso da I , I 8 a 3 , I 8 è solo l'anticipata demonstratio per negationem della giustezza di quella tesi; è, per via negativa, una conferma, ricavata dalla situazione effettiva dell'uomo, della verità di quell'asserzione fondamentale. Ma solo in 3 , r 9 s . la tesi viene propriamente enunciata per negationem e soltanto in 3 , 2 I s s . viene collocata positivamente al centro della riflessione. Proprio a motivo della sua funzione la peri­ cape I , r 8-3 , I 8 nelle due parti in cui si articola ( r , r 8-3 2 e 2 , I -3 , I 8 ) non a caso assume in larga misura tradizioni polemi­ che e un linguaggio tradizionale. In realtà , ciò che qui vien detto non è ancora l'essenziale. Ma per l'esegeta il problema è di stabilire sino a che punto anche questa sezione possa già es­ sere interpretata in relazione al vero e proprio annuncio apo­ stolico entro il quale si trova incorniciata (cfr. r , 1 7 e 3 ,20).

lntroduuone

Con 5 , I incomincia la seconda parte della lettera ai Romani, che giunge sino a 8 , 3 9 . Se le ultime parole dd cap. 4 richia­ mano la nostra 8r.xaCwcnc; per la quale il Signore Gesù è stato risuscitato, 5, I prende l'avvio con ot.xau.ù�É'\rtEc; oùv Èx "Jtl­ CT-rEwc;, e procede a illustrare il processo della giustificazione per la fede, ossia la ot.xaLoavv1) �Eov , l'operazione di giustizia compiuta da Dio in Gesù Cristo con riferimento agli effetti che essa produce in noi , e quindi al suo provvisorio attuarsi in questo mondo. Che cosa comporta la iustificatio ex fide, va­ le a dire la «giustizia di Dio » proclamata nell 'evangelo per gli uomini che ad essa si abbandonano con fede? Anzitutto ( 5 , I · I I ) la ELpi)VT} 1tpòc; -ròv itE6v, la pace con Dio, e la ÈÀ."Jtl.ç -riic; o6ç1}c; 'tOV i)'Eou ' la speranza della gloria di Dio dalla quale saremo glorifica ti . Eppoi ( ' , I 2- 2 1 ) la swl}, la vita sic et sim­ pliciter. Questa però è una riproduzione molto schematica del contenuto di J , I 2 -2 1 . In effetti in 5 , I 2 l'Apostolo non passa semplicemente da un modo ad un altro di rappresentare la sal­ vezza dei giustificati, ma ancora una volta riprende il discorso da capo . Il tanto discusso OLà. -rov-ro ecc. ( 5 , 1 2 ) si richiama nella sostanza agli enunciati di 3 , 2 r ss . , sebbene grammati­ calmente costituisca un aggancio a 5, I I . Ma Paolo riprende i concetti di 3 ,2 I ss. perché ora intende esporre sotto un altro aspetto quel che è avvenu to nella manifestazione della giusti­ zia di Dio in Gesù Cristo, sotto l'aspe tto cioè della contrappo­ sizione fra Adamo e Cristo, il quale, mediante il dono che con­ siste nel suo &xaLW(.la, nella sua «opera di giustizia», si ap­ palesa come l'altro Adamo, l'Adamo della grazia sovrabbon­ dante. Mediante questa «azione di giustizia» il secondo Ada­ mo non solo controbilancia il peccato, ma elargisce all 'umani­ tà un eccesso di grazia per la vita eterna. Con l'evento di Ge­ sù Cristo, Dio ha in certo senso compiuto una nuova ed incom­ parabile creazione del mondo . Ma se il credente ha ricevuto in Gesù Cristo , insieme con la giustizia giustificante di Dio, la « speranza» e la «vita» , egli ( e questo è un terzo· aspetto che si inserisce nella concatena­ zione dei pensieri ) in quanto battezzato è fondamentalmente sottratto al peccato ( 6 , r - r I ), svincolato dalla potenza di esso.

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Perciò il credente non deve più essere schiavo della al-UX.p't'�O: ( 6,8 ); egli è invece soggetto alla OLXO:LOcrVVl) ricevuta per ser­ vire (oouÀ.EUEL\1) nella libertà ( 6 , I 2-2 3 ) . In tal modo però {e questo è il quarto aspetto) il credente è sottratto o « morto» anche a quella potenza che provoca il peccato, ossia alla legge ( 7, I - 2 5 ). Di per sé la legge che è «santa, giusta e buona» ( 7 , I 2 ) non mira certamente a suscitare il peccato. Ma essa cozza sempre contro l'uomo «venduto» al peccato ( 7 , I 4 ) e l'uomo, attaccato così nella sua condizione di creatura, va incontro alla morte commettendo quei peccati d 'ingiustizia o di «giustizia» autonoma che sono provocati proprio dalla legge. L'uomo pe­ rò ( ed ecco un quinto aspetto) può essere giustificato per la fede e allora, in virtù di quel 1CVEVJ,.La. 't'i)c; �wi)c; che ha espli­ cato l'efficacia sua in Gesù Cristo e quindi nella potenza giusti­ ficante di Dio, egli vien messo in condizione di accogliere e dunque di praticare il OLxa.LwJ,.Lo: -rou v6J,.Lou, la giustizia di Dio attestata e richiesta dalla legge; in altre parole l'uomo di­ viene capace di schiudersi alla l;wi} in quanto figlio ed erede di Dio, chiamato a ricevere in avvenire una o6J;o: ineffabile , alla quale insieme con lui parteciperà tutto il creato ( 8 , I - J O ). Dio quindi ci elargisce, insieme con Cristo, ogni cosa, e nessun evento e nessuna potenza varranno a separarci dall'amore di lui che è in Cristo Gesù ( 8 ,3 I - 3 9 ) . Queste considerazioni svol­ te nei capp . 6- 8, al pari di quelle del cap. 5 , non si presentano come esplicazioni sistematiche dell'evento della salvezza che dona al credente la giustizia di Dio; esse procedono invece con sempre nuove riprese, dovute in parte a esigenze retoriche ( 5 , I 2 ; 6, r . I 5 ; 7 , r . 7 ; 8 , 3 I ), e con trapassi ( 8 ,I . I J . I 8 ) , accompa­ gnandosi anche ad altri aspetti ( come il battesimo in 6,1 ss. ) e a digressioni , ad es . 7 ,7 ss. (peccato e legge), in uno stile di­ seguale, talvolta rigorosamente argomentativo ( 7 ,7 ss. ), tal­ volta liricamente mosso a guisa di inno ( 8 ,3 1 ss . ), sicché tut­ to risulta come sovraccarico di materia teologica. Quindi spes­ so è difficile seguire nei particolari lo svolgimento delle idee . Tuttavia, anche in questa parte della sua lettera, Paolo non perde mai di vista quello che è di volta in volta il tema parti­ colare e neppure dimentica il tema centrale, bensl gira conti-

Introduzione

nuamente intorno ad esso. Tant'è vero che alla fine di questa parte siamo in definitiva ricondotti all'inizio e ci ritroviamo al punto stesso da cui eravamo partiti, come risulta dai vocaboli tematici 86ça., ooç&.secraa.L ( cfr . 5 , I s . ; 8 , I 8 e 8 , 3 0 ). Proprio questa 86ça , la quale, mediante la Ot.xa.tocru'VT} ileou si è aperta ai Ot.XaLwilÉ'V't'Ec; come realtà futura ma insieme già in qualche modo presente, è ciò di cui sinora tanto i Giudei quanto i pa­ gani erano privi . E così la pericope 5 , I ss. o i capp. 5-8 si ti­ connettono addirittura ai capp. I -3 · La su tura è riconoscibile in 3 ,2 I ss. Che nella lettera ai Romani l'Apostolo abbia costantemen­ te in vista l'unico tema della otxat.OcrUV1') i)'eou con quanto at­ tiene ad esso ma lo esprima sotto aspetti sempre nuovi, risulta in special modo da questo, che nella terza parte della lettera egli tratta un tema il qùale, esteriormente considerato, appare affatto diverso, eppure nella sostanza è sempre lo stesso. I capp. 9 - I I hanno quasi l'aspetto di un excursus dopo il quale con I 2 , I ss. si ritorna in argomento riallacciandosi a 8 , 3 9 . Si potrebbero intitolare i capp. 9-I I «il mistero d'Israele» , qua­ lificandoli così apertamente come un 'intrusione. Ma chi guar­ di più da vicino scopre che anche in questa parte della lettera continua il tema della OLXCX.LOCT(N1') aeou : sotto l'aspetto pura­ mente terminologico la continuità risulta dal passo fondamen­ tale, che è il cardine di tutto il discorso : 9 , 3 0 ss . ; I 0 , 3 ss. I capp. 9- I I trattano il mistero di Israele, appuntandosi sul ri­ getto di quella «giustizia di Dio » la quale, come già avevamo letto in 3 , 2 I , è «attestata dalla legge e dai profeti » e in tal senso già era presente in Israele. L'articolazione concet tuale dei tre capitoli può essere indicata come segue : il fatto im­ pressionante della riprovazione d'I sraele , al quale erano state rivolte tutte le promesse di Dio, suscita il dolore dell 'Apo" stola , legato al suo popolo da un vincolo fortissimo ( 9 , 1 - 5 ) . Egli s a però che Dio non è venuto meno alla sua parola. Que­ sta, in effetti , era rivolta all''Icrpcx:hÀ. xa.'t'à. 1t'JEu(..La., all'Israele che vive in ogni tempo della promessa ricevuta da quel Dio il quale può sovranamente far suo chi vuole e può sovranamente respingere chi vuole ( 9 ,6- 2 9 ) . Israele nel suo complesso ha

j 4·

lA slru ttura concettuale

49

voluto stabilire la �o�a. OI.XrLLOCTU'JT}, la giustizia propria, au­ tonoma, e si è cosi privato dell a giustizia di Dio, la quale non si ottiene con la legge e con le opere che essa prescrive, ma con la fede suscitata dall'evangelo ( 9 ,30- I o, 2 I ). In questa «cadu­ t a » di Israele non è però coinvolto un «resto», un À.EtiJ.IJ.rL xa.­ "t' 'hÀ.oriJ\1 XlXPI."t'Oç ( I I , j ) ; d'altronde la «caduta» stessa ha un effetto salutare in quanto serve a «fare entrare» i gentili, i quali tuttavia non hanno motivo dì trattare Israele con arro­ ganza . La «caduta» di Israele è prov vi soria , e precisamente nel senso che ogni dato storico è p ro vvisorio . Apprendiamo infatti come ri vel azione di uno speciale «mistero» che, com­ piuta la salvezza dei gentili, Dio salverà «tutto» Israele, di­ mostrando cosl la sua m isericordia verso tutti gli uomini ( I I , I - 3 2 ) . La risposta conclusiva dell'Apostolo a tutto ciò è una commossa dossologia ( I I ,3 3-36 ). Già da questa presentazione sommaria e ovviamente schematica dei tre capitoli si può ve­ dere come Paolo si lasci trascinare di nuovo, e questa volta con forza tutta particolare, da un'altra variante del suo tema, a segno che questa variante appare quasi come un testo auto­ nomo nel cor po della lettera; ma si può anche vedere come, proprio nel mezzo di questo discorso, l'Apostolo faccia inten­ dere il legame occulto fra esso e la lettera nel suo insieme. Anche la quarta parte della lettera si ricollega , ancorché non esplicitamente, al tema centrale della ot.xa.tocrU'JTI �EOU. Ef­

fettivamente in questa parte, la quale da I 2 , I a I 5 ,1 3 contie­ ne « esor taz ion i » (una paraclesi, potremmo dire stando a I 2 , r ) , si esprimono ancora le esigenze e le richieste di quella 01.­ xcx.t.ocruVT} 1)Eov che si è manifes t ata in Gesù Cristo e che si ot­ tiene con la fede. Proprio tale «giustizia» in I 2 , I si trova in­ dicata con o i. otx·np!J.OL 'tOU Ì}Eou e in I 2 ,3 con xapt.c; (dr. I 5 , r 5 ) . Direttamente la o�oxa.t.ocru\11}, intesa come impegno dei credenti da assolvere nel 1t'JEU!J.Cl, è menzionata una sola volta ( I 4, I 7 } e senza grande risalto. Giustizia di Dio non è soltanto mi seri cordia e grazia di Dio, bensl anche richiesta e appello a coloro per i quali essa si è manifestata. In questo senso van­ no in te si i capp . I 2 ,I - I 5 , I 3 con le loro indicazioni concrete, che in par te si riferiscono alla situazione della comunità roma-

I!Jirodutione

na . La giustizia che è «grazia» di Dio rivelatasi in Cristo richie­ de dai credenti: I . fondamentalmente e in via generale il sacri­ ficio vivente, santo, accetto a Dio che consiste nell'offrire a lui se stessi ( 1 2 , I s . ) ; 2 . in particolare la vigile accortezza nell'e­ sercizio dei carismi e dei servizi comunitari, l 'umile carità fra­ terna a l 'agir bene in ogni senso ( I 2 ,3-2 I ) ; 3 · inol tre, la sotto­ missione al potere politico ( I 3 , I -7 : è questo un richiamo inci­ dentale ma non per ciò meno importante) e poi ancora l'à}..)..1). Àovç àya1tiiv in vista del ·giorno ormai prossimo della salvez­ za ( I J ,8 · I 4 ) ; 4 · infine, con un evidente riferimento a1la situa­ zione concreta della comunità romana, il reciproco rispetto fra coloro che si mostrano audaci o timorosi, forti o deboli nel­ l 'esercitare la libertà della fede ( I 4 , I - I , ,6 ) e in genere la di­ sposizione ad accogliersi gli uni gli altri «come Cristo ha ac­ colto noi per la gloria di Dio » ( I 5 ,7- 1 3 ) . Anche in quest'ul­ tima parte della lettera dove i creden ti vengono esortati a con­ fermare praticamente la giustizia di Dio ricevuta per grazia, Paolo svolge il suo tema in maniera solo frammentaria, ma co­ gliendolo sotto vari aspet ti. All'esordio della lettera ( 1 ,8 - 1 5 ) risponde la chiusa ( 1 5 , 1 4-3 3 ) , dove l' Apostolo torna a parlare del suo desiderio e proposito di visitare la chiesa romana. Seguono raccomanda­ zioni e saluti inviati da Paolo o a nome proprio o per conto di persone che gli erano vicine ; fra i saluti si trova inopinata­ mente un accorato ammonimento a guardarsi dai falsi maes tri fomentatori di scissioni nella comunità ( r 6 , I - 2 J ) . Una dosso­ logia aggiunta più tardi sostituisce la benedizione augurale, che manca alla fine ma che era già stata formulata in 1 5 ,33 e I 6,

20b ( I 6 ,2 5 - 2 7 ).

Testo, traduzione e commento

PARTE PRIMA

INTRODUZIONE ( I ,I- 1 7 )

I . INTES TAZIONE

( r , r-7)

I l IIa.uÀ.oç oouÀ.oc; XpLO'"'t'OU 'IT)O'"OU, XÀ.'r}'t'Òç OC1tO O'"'t' OÀ. o ç !Ìq>wpLO'"J.LÉVoç E�c; Eua.yyÉÀ.tov ilEou, 2 a 1tpoE1ti'JYYdÀ.a.'t'o otà 't'wv 7tpocp11.. wv a.u ..ou ÉV ypetcpai:ç ayla.tç 3 1tEpÌ. 't'OU U LOU etlhou 't'OU "(EVOI-f.É'II OV br. 0"1tÉpJ.La.'t'Ot; D.avì.S XU't'à. utipxet, 4 't'OU opLO'"ilÉV't'Oç u to u ilEOU È\1 OUVlliJ.EL Xet't'à. 1t\IEU­ !J.U à.yLwuuv'r}c; È� à:va.u"tauEwç vExpwv, 'l'r}O'"ou XpLO"'t'ou "tou xupiou 'ÌJ!J.WV, 5 OL'ou É.À.ct�OIJ.EV xcipw xa.ì. Ò:1tOO'"'tOÀ.Tjv dc; imaxo'Ì}v 1ttO'"'t"EWç Év 1tiiaw -.o�c; EWEO'"W U1tÈp 't"OV 6v6J.La"toc; a.u't'Ou, � Èv otc; Ècrn xa.t u!J.Ei:c; xÀ. TJ't'OÌ. 'ITJO'"Ou XptO'"'t' ou, 7 micrw 't"oi:c; ouuw Èv 'PWJ.LlJ !Ìya.1t'r}­ 't'oi:ç ilE ou , XÀ.T]'t'O�c; aytoLç, xtiptc; UJ.L�'V XCtÌ. ELPTJ\I'r} OC1tÒ ilEOU 1tCt'tpÒc; 'Ì)(J.WV xa.L xuptou 'IT]O"OU XpLO'"'t'OU. 1

Paolo, schiavo di Cristo Gesù , chiamato ad essere apostolo, trascelto 2 che egli ha promesso per bocca dei suoi profeti nelle sacre Scritture, 3 concernente il Figlio suo, nato dal seme di David secondo la carne, 4 ma costituito Figlio di Dio in po­ tenza secondo lo spirito di santità, con la resurrezione dai morti, Gesù Cristo Signore nostro s tramite il quale abbiamo ricevuto la grazia e la missione di suscitare ad onore del suo nome l'obbedienza della fede in tutti i gentili, � fra i quali siete anche voi chiamati di Gesù Cristo 7 a tutti, quanti sono in Roma diletti da Dio, chiamati santi: grazia e pace a voi da Dio, Padre nostro e del Signore Gesù Cristo.

per annunciare l'evangelo di Dio

Nella forma l 'intestazione della lettera ai Romani non ap­ pare diversa da quella di tutte le lettere dell'Apostolo. La sua struttura fondamentale è : «Paolo . . . a tutti i diletti da Dio in Roma . Grazia a voi . . . >> . Abbiamo dunque la menzione del mit­ tente, dei destinatari e la benedizione augurale. Di contro allo schema epistolare greco, che nel N.T. si trova attestato tale e quale nella lettera di Giacomo ( Iac. r , r ; cfr. Act. I 5,2 3 ; 2 3 , 2 6 ) e che consiste in una sola proposizione, lo schema paolina comprende due frasi secondo un uso orientale e anche giudai-

Rom. I,t · 7

54

co che forse risale allo s tile curiale delle cancellerie di Babi­ lonia e di Persia e che comunque si trova soprattutto negli scri tti ufficiali. Ecco a mo' d'esempio 1 Dan. 4 , I 8 : Na�ou­

xooovocrop Ò �aCTI.À.EÙc; 1taCTW 'toi:c; À.aoi:c;, (j)UÀ.ai:c; xat yÀ.WO'"­ CTaLc; Eipl]vl] UIJ.WV 1tÀ.T]ilV'Vil"ELn ( cfr. I Petr. I , 2 ; 2 Petr. I . .•.

Iudae i ; r Clem. I , I s. ). Ma si può ricordare anche Bar. syr. 78 , 2 : «Cosi dice Baruch , il figlio di Neria , ai fratelli che sono stati deportati. Grazia (come ) anche pace sia (con ) voi>) . E per citare un terzo esempio , T . Sanh . 2 ,6 ( 4 r 6) nella lettel"J di Rabban Gamaliele (90 d.C. ): «Ai nostri fratelli, abitanti nella Galilea superiore e nella Galilea inferiore . Grande sia la vostra pace» 2• Dall'uso di tale schema si può forse inferire che l'Apostolo considerasse in qualche modo anche le sue lettere come scritti ufficiali 3• Peraltro v'è da osservare che egli ha trattato assai liberamente questo schema d'intestazione, allar­ gandone e variandone in maniera affatto insolita gli elementi fondamentali. La titolatura del mittente si estende per ben cinque versetti ; l'indirizzo è invece piuttosto contenuto e la benedizione augurale riveste soltanto quella forma amplia­ ta 4 che si trova anche in I Cor. I ,3 . Evidentemente Paolo vuoi presentare in tutta la sua importanza il mittente, ossia se stes­ so, alla comunità che non lo conosce. Significativo è il modo in cui ciò avviene . Ai due titoli iniziali ( r ,I ) del mittente, che già mostrano una certa amplificazione, tien dietro, connessa a quelli in modo singolare, una caratterizzazione dell'evangelo 2;

r . Cfr. E. Lohmeyer, Probleme paulinischer Theologie 1 . Briefliche Grussiiber­ schri/ten : ZNW 26 (1927) I,S8·173; di opinione diversa è G. Friedrich, LohmeyeYr These uber das paulinische Briefp1'iiskript kritisch beleuchtet: ThLZ 8I ( I 9,S 6)

2. Strack-Billerbeck l I 54· 343· 346. J. Cfr. 2 Mach. r , r ss.; fra gli altri, Sanh. b. r rb ; Strack-Billerbeck I 154; m 1 ; Lietzmann 22 s.: excurrus sugli inizi delle lettere di Paolo. 4 · Ciò trova la sua ragione non tanto, come credono Zahn, Miche! ed altri, nel fat· to che Paolo, tenendo conto della lunghezza della lettera ai Romani, abbia dato anche all'intestazione un'estensione più ampia che in tutte le altre sue lettere, quanto invece nella particolare situazione in cui è stata scritta questa lettera, ossia, ad una svolta dell'attività missionaria di Paolo, nel fatto che i destinatari non conoscevano l'autore, e nell'intenzione di Paolo di far conoscere a questa impor­ tante comunità il suo vangelo. Lo Zahn, col suo confronto tra la lettera ai Romani e quella a Tito, lascia intravedere anche quest'ultima motivazione.

Rom. c, r -7 . 1

:; :;

di Paolo ( 1 ,2-4 ) e della missione di lui ( r ,j-6) 5 • L'Apostolo presenta se stesso qualificando con forte risalto, come avviene anche altrove ( ad es . I j , r 6 . r 9 [ r 6,2_5 s. ] ; r Thess. 2 A ) , il compito a lui affidato. Così facendo egli forza in certo modo la struttura e i limiti di un'intestazione . Dopo il v. 6 nessuno si aspetterebbe ancora un indirizzo, cosl come ai vv . 3 s. non ci si ricorda più del mittente. Eppure l'Apostolo non perde mai di vista la forma dell'intestazione. Soltanto, egli avverte la necessità di parlare subito alla comunità romana di se stes­ so, chiamato ad essere apostolo, del proprio evangelo e della pròpria missione. E cosl il trapasso dal mittente all'indirizzo risulta insieme abile e maldestro . Il v. 6 si riallaccia senza for­ zatura al v. 5 ; invece il dativo necessario del v. 7a cozza col nominativo del v . 6 . Ma Paolo non si cura di questa come di molte altre anomalie stilistiche. r.

Com'è naturale, il mittente dichiara in primo luogo il pro­ prio nome nella forma in cui esso appare in tutte le sue let­ tere (e in Act. dal cap. r 3 in poi come cognomen o praenomen , eccezion fatta per i racconti della conversione 2 2 ,7 . 1 3 ; 2 6 ,1 4 ) ossia TictuÀoc; . L'Apostolo dunque non usa mai il nome giu­ daico Saul (Sa'ul, 1:ctouÀ.) che egli portava secondo la testimo­ nianza di Act. 9.4 . 1 7 ; 2 2 , 7 . 1 3 ; 2 6 , 1 4 ( da Luca grecizzato nel­ la forma I:ctuÀoc;), ma, da civis Romanus, adopera la forma la­ tina 6• Nella nostra lettera, diversamente da quanto avviene in I e 2 Cor. , Gal. , I e 2 Thess. , Philm. , Phil. , Paolo menziona se stesso come unico mittente (dr. anche Eph. r , r ). Ciò egli fa a ragion veduta . Ne risulta indirettamente che la lettera ai Romani è uno scritto apostolico esclusivamente di Paolo, che egli espone in essa il suo evangelo (cfr. 2 , 1 6 [ r 6 ,2.5 ] ) ed egli solo ne risponde. Al nome l'Apostolo aggiunge due titoli, disponendoli in questo modo significativo : prima 8ouÀoc; Xpt.O""'t'OV 'lT)CTou e 1· Cfr. Ed. Schweizer, Die Kirche als Leib Chrirti in den paulinischen Antilego­ mena: ThLZ 86 ( r96r ) 2J:Z s.

6.

Cfr. H .H. Wendt,

E. Haenchen, E. Conzelmann, Die Apg., ad l.

Rom. I,I

poi, volendo accentuare fortemente di fronte alla chiesa roma­ na la propria autorità (come in Gal. I , I ss. ), senza però alcun intendimento polemico, xÀ.T)'tÒ� . Troviamo qui Ja locuzione 7t'\IEU(J.C'L ay t.wo\Nl]c:; e anche indicato il rapporto fra lo « Spirito di santità» e la o6ça.. Infatti presso l 'albero del­ la vita nel Paradiso dimora la sekind di Dio 33 • Si può allora pensare che il senso della formula cris tologica n�ta a Paolo fosse questo : «Nato dal seme di David secondo la carne, co­ stituito Figlio di Dio secondo lo spirito della gloria dalla ( = in virtù della) resurrezione dai morti » 34, dove «nato dal seme di David secondo la carne» indicava semplicemente l'esistenza terrena di Gesù Cristo, il quale però xa."tà. '1N€UIJ.CZ. à.yt.wcru­ Vllç è stato costituito Figlio di Dio. Non si tratta dunque in alcun modo di una ha trasmesso all'Apostolo l'evangelo di Dio o più precisamente : «Tramite lui abbiamo ricevuto la grazia e l'ufficio apostolico» . I cristiani di Roma devono dunque safinitiva, «dichiarare>>, oppure . Così anche Vilmar, Cornely, Gutjahr, Bardenhewer, Huby, Haring, Jiilicher, Kiihl, Lagrange, Barretl, H.W. Schmidt, Nygren, Althaus, Leenhardt; di opinione con­ traria sono Zahn e Schlatter. 5 1 . «vntp è usato per indicare sia la causa per cui qualcosa sussiste ed accade sia il fine per cui qualcosa avviene» (Bcck .50). Cfr. W ine r S 4 7 , 1 ; Blass-Debr. S 23 1 . ,

Rom. 1,6-7

73

mediante la rive1azione di Gesù Cristo, la grazia e l'ufficio apo­ stolico. A questi popoli appartengono anche i membri della comunità romana , i quali per vero sono XÀT)-tot 'IT)CTOÙ Xpi.­ CT"tOÙ . Ad essi l'Apostolo rivolge direttamente la parola. Ciò avviene per la prima volta già nel v. 6 con una regolare propo­ sizione relativa che si riallaccia a quanto precede introducen­ do quanto segue : «Fra i quali siete anche voi , chiamati di Ge­ sù Cristo» 52 sicché - questo potrebbe essere il pensiero sot­ tinteso - io mi rivolgo anche a voi che pure avete ricevuto non tramite me, bensì trami te altri l 'effetto della grazia apostolica . Comunque anche i fedeli di Roma sono «chiamati di Gesù Cristo» e, in quanto tali, schiavi e proprietà di lui. 'lT)CTOÙ XpLCT"tOÙ è probabilmente genitivo possessivo e non genitivus auctoris �3 • Per Paolo colui che chiama è sempre Dio (dr. 8 , 3 0 ; 9 , 2 4 ; 1 Cor. 7 , I 5 . 1 7 . r 8 .2o ss . ; Gal. 1 ,6; 5 ,8 . 1 3 e passim) . M a Dio chiama « ad entrare i n comunione col Figlio suo, Ge­ sù Cristo, Signore nostro» ( I C or. r , 9 ) . Proprio questo fa sì che anche i cristiani di Roma, convertiti in maggioranza dal paganesimo, appartengano in proprietà a Gesù Cristo . Gli ap­ partengono in quanto sono in comunione con lui . 7 . Con una certa durezza sin tat tica Paolo accosta ora al nomi­ nativo un dativo e passa in questo modo a formulare l 'indiriz­ zo augurale ai destinatari, i quali vengono ancor meglio qua­ lificati con due appellativ i . L 'indirizzo è rivolto a tutti i mem­ bri della comunità romana (cfr . 1 ,8 ; 1 2 ,3 ; 1 5 ,3 3 ; 1 6 , 2 4 ) . Mi sembra improbabile che ciò implichi una contrapposizione (per i ndicare, ad es . , non soltanto i conoscenti di Paolo ma tutta la chiesa , oppure non soltanto i convertiti dal paganesimo ma anche i giudeocristian i } . Paolo ha di mira la comunità nel suo complesso e non i singoli membri di essa . E'V 'PWIJ.ll è omes· p. Beck 5 1 : «Qui XÀ'I)"'CCL è apposizione, con la quale Paolo designa il loro ( ici/. clei cristiani ) slatus rra i popoli pagani, dopo averli appena p rim a , con iv olç t.,--.t,

rompresi tv niicrw -.;oi:ç �lhltaW». �3· Così anche Blass-Debr. 5 I8J ; Kiihl 1 5 : «Proprietà di Cristo in virtù della chiamata » .

74

Rom. r,7

so senza ragione da qualche manoscritto 54• I destinatari ven­ gono, come abbiamo detto, qualificati i n due modi: anzitutto come a y(x.1tT)'t'OÌ. -.ou itEOU 1 espressione di cui non si hanno altri esempi in Paolo e il cui significa to si evince da 1 Thess. I , 4 : aOEÀ.q>oL. i]yam'}(l.ÉVOL ÙrtÒ itEOÙ (cfr. 2 Thess. 2 , 1 3 ; Col. 3 , 1 2 ; anche R o m. 9 ,2 5 ) . In quanto chiamati da Dio i fedeli di Roma sono amati da lui . Di questo amore si parla ancora in 5 ,5 . 8 ; 8 , 3 2 . 3 9 e v'è da osservare che non diversamente da XÀ. n•oc; anche l 'aggettivo verbale ayartT)'t'Oç (in luogo del per­ fetto passivo) indica uno stato, in questo caso il trovarsi nel­ l 'amore di Dio. Ma in tal modo i cristiani di Roma vengono anche designati come l'Israele del compimento. In fa t ti Israele è 11 «popolo amato da Dio» : 6 i)yart'T)(J.Évoç 'Io-p(Xl}À. (Is. 4 4 , 2 ) oppure o i. àyartT)•oi crou (Ps. 5 9 , 7 ; 1 0 7 , 7 ; cfr . Deut . 7 , 1 4 ; I O , I 4 s . ; 2 3 , 6 ; 3 2 , 1 5 ; 3 3 ,5 . 2 6 ; Os. 3 , I ; r r , 4 ; I 4 ,5 e passim ; l s. 4 3 , 1 5 ) . Quindi non solo l'evangelo è il compimento defini­ tivo delle profezie, ma anche la chiesa è il compimento di Israele. In quanto aya1t'T)'t'oL itEoù i cristiani di Roma (ed ecco la seconda definizione) sono altresì XÀ.T)'t'OL iiy LOL , che è la stes­ sa espressione con la quale Paolo si rivolge ai membri della comunità di Corinto ( r Cor. 1 , 2 ; 2 Cor. I , r ) 55. In virtù della chiamata di Dio essi sono trascelti dal mondo e divenuti pro­ prietà di lui. Ma forse XÀ.T)-.OL ayLOL intende anche quali6.­ care i cristiani di Roma e di Corinto come un'assemblea con­ vocata per il culto 56• In tal caso la locuzione paolina an­ drebbe ricollegata all'uso veterotestamentario di designare l 'adunanza del popolo di Israele come miqril qodeJ (Ex. r 2 , r 6 ; Lev. 2 3 ,2 ss . 2 I A . 2 4 . 2 7 . 3 5 ; Num. 2 8 ,2 5 ) , che i LXX ren­ dono con XÀ.T)'t'lJ ayia 57, dove XÀ.T)-.1) è sostantivo (cfr. Lev. 5 4 . c• Orig•'. Per ulteriori precisazion i dr. Lietzmann 27, excursus a Rom. 1 , 7. Di diversa opinione è Zahn 50 ss., excursus 1 6 r 5 ss. Anche A. Harnack, Zu Rom 1 ,F ZNW 3 (r9o2) 83-86.

55· Kuss r r ritiene che l'uso di XÀ.1}'t'O� ay�oL nel senso di «comunità santa» po­ rrebbe spiegare perché, a differenza di r TheiS. r , r ; 2 Thers. r , r ; r Cor. r , z ; 2 Cor. r , r ( cfr. Gal. 1 ,2) nel!'intestiiZione della nostra lettera è assente ixxÀ.1}CTVx. 56. Non però una «autodesignazione più antica» rispetto a

ÈxXÀ.1}cniX, come pensa

Schmithals 68. Ad ogni modo in Rom. r6,5 Paolo parla di i] XIX't''olxov a:,hwv h. x).1}cria.. 57- Con E1tCXÀ1}'t'O� ayta in Num. 2 8 , r 8 . 26; 29,L7 . 1 2 .

Rom. r,7

75

2 3 ,24 ) . xÀ:rr�o t ci.yLot. sarebbero quindi coloro che compon­

gono la XÀ.TJ"t'Ìl ciyt:a.. Come Israele, quando si radunava , era un popolo san to , perché Dio aveva convocato i membri di es­ so, così i cris tiani nella comunità radunata per il culto rappre­ sentano il nuovo popolo santo di Dio 58 • Anche in questo senso la comunità cristiana, sia essa in Roma o altrove, costituisce il compimento escatologico d'Israele . Ma in quanto amati da Dio e in quanto membri di un'assemblea cultuale santa i cri· stiani sono xÀ.TJ•ol 'IT)CTOu Xpt.cr•ou , chiamati da Dio e appar­ tenenti in proprietà a Cristo . Così vengono indicati e qualificati il mi ttente e i riceventi. L 'intes tazione si conclude col saluto che nelle lettere paoline è sempre una benedizione augurale 59 • Questa viene aggancia­ ta , come abbiamo visto, ad una seconda frase . Allo stesso mo­ do la benedizione si trova formulata in I Cor . 1 , 3 ; 2 Co r. r , 2 ; Gal. 1 , 3 ; Phil. 1 , 2 ; 2 Thess. 1 ,2 ; Philm. 3 ; Eph . r ,2 , mentre in I Thess. I , I abbiamo la forma breve xapt.ç Ù(J.L\1 xa.t dp1}­ \ITJ 60 . Forse la benedizione augurale ricalca una formula che nelle chiese paoline introduceva la celebrazione cultuale ; è certo comunque che essa appare liturgicamente stilizzata : vi si notano infatti tre nuclei, ciascuno di quat tro parole ; al fon­ do c'è una formula giudaica nella quale tuttavia all 'iniziale EÀ.EO si è accesa - senza il concorso di Paolo e prima di lui - ed è rimasta viva , e in ciò appunto sta il motivo per cui l'Apostolo prima di tut­ to dice grazie al suo Dio OLà 'IT)CTOU Xpt.CT't'OU . A ciò si aggiunge che tutto il mondo parla di questa fede dei Romani e deve quindi trattarsi di una fede davvero gagliarda e tale da destare forte impressione. Ma forse con Xa't'ayyÉÀ.ÀE't'a� s'intende qualcos'altro ancora . Il verbo infatti non significa propriamen­ te . Proprio questo giudizio punitivo avviene, secondo Paolo, già ora in modo inesorabile e in proporzioni globali 1 : il cielo infatti si è aperto sui pa­ gani in guisa tale , che essi attirano su di sé il giudizio punitivo di Dio, autodistruggendosi persino nella loro realtà somatica . L'Apostolo però non dice in modo generico e indeterminato che l'ira di Dio si abbatte dal cielo sui pagani , bensì che essa si manifesta «contro tutta l 'empietà e l'ingiustizia degli uomi­ ni , i quali conculcano la verità con l'ingiustizia>> . In proposito è degno di nota : r . che Paolo specifica qual è l'oggetto prima­ rio di questo giudizio dell'ira di Dio, ossia il peccato fonda­ mentale dell'uomo. Tale peccato è acrÉ�E!.(l xat &.ot.xi.a, ter3· H.

Schlier, Vo.'! detz Heide11, iu Die Zeit der Kircbe

29-37.

Rom. r,r8

mini che qui formano quasi un'endiadi. Si tratta dell'«empie­ tà», non però intesa nel senso di &.t}Eé"t'f)ç, bensì come l'oppo­ sto dell'EÙCTÉ�ELa, della pia adorazione di Dio con parole e azioni, con pensieri e fatti . Ma il mondo pagano non è forse pienò di EÙCTÉ�E!.a? Paolo non è di questo avviso, giacché pro­ prio nel culto degli dèi pagani egli, come dirà subito appresso, ravvisa l'origine dell'&.crÉ�E!.a e delle sue conseguenze . Egli non considera il senso religioso dell'umanità come la via ordi­ naria per giungere a Dio e la fede cristiana come la via straor­ dinaria. Chi segue la cosiddetta via ordinaria, cioè il senso re­ ligioso dei pagani, non approda in realtà a Dio, bensì a se stes­ so, sia pure per un inestinguibile bisogno di Dio . Con &.crÉ�E!.a Paolo intende quel rifiuto di riconoscere e ringraziare Dio di cui si parla al v . 2 r a e che sta ali 'origine di ogni comportamen­ to morale dissolvente; l'ira di Dio colpisce dal cielo i pagani che nel loro modo di essere e di agire sono empi e falsamente pii in quanto adorano la creazione in luogo del Creatore . Con &.crÉ�ELa si intende però anche quell'&.ot.x�a che è ad essa col­ legata, ossia la violazione del diritto che Dio ha stabilito nella sua creazione e nel quale impegna se stesso. Possiamo tradur­ re à&xia con �> . xa."t'ÉXE!.\1 significa 9 , in quanto è conoscibile e si dà a conoscere. c) E in che modo si è manifestato in guisa da esser noto agli uomini ? 2 0 . Il modo è così indica to : 't"lÌ a6 pa't"a aÙ't"OU . . . \IOOU!-LEVa xa­ llopii:'t'ClL. Il plurale del neutro accenna alla pienezza onnicom­ prensiva dell'essenza di Dio . Forse il plurale è usato anche perché in quel che segue ricorrono due sostantivi, ovva�-tt.c; e i}ELO't"T)c;, che definiscono più precisamente la realtà conoscibi­ le 10• 't"à ti6pa't"a . . . xallopa.'t"at. è un ossimoro 1 1 ed equivale a «viene percepito» , «guardato» (cfr . 3 Mach . 3 , I I ; Ios . , ant. 8 , 1 68 ecc . ) . Questo vedere o percepire viene poi ancora spe­ cificato da voov�-tEva. È un «vedere» intellettuale e conosci­ tivo (cfr. Hebr. I r ,3 ; anche Eph. 3 ,4 .2 0 ) . Esso determina a parte hominis il senso di cpavEpov É.O"'t'f..V É.v aÙ't"o�c; e di É.cpa­ vÉpWOyyoç cx.ù-rwv xr.xì. dç 't'lÌ 7tÉpcx.'t'a -ri)ç otxoutJ.Évr)c; -rà. pl)v.r.x-rr.x r.xu-.wv . ·

..

Cfr. anche Ps. 1 0 3 , 3 1 ; Ecclus 4 2 , 1 6 . Il creato come tale an­ nunzia in sé la gloria di Dio e cosi, mediante una parola che non è parola, fa sentire il Creatore. Illuminata nel suo cuore da questa o6�a, la creatura percepisce direttamente il Creato­ re e avverte in tal modo l'eterna e divina potenza di lui . Paolo conclude la sua frase (v. zo) con un 'aggiunta non del tutto comprensibile di prim 'acchito : Ei.c; "tÒ EÌ:'Vat �XÙ"t'oùc; Ct'Va.7tOÀ.oy'i)"touc;. L'Ei.c; "tÒ EL'Vat. è consecutivo 15, come , ad es ., in 3 ,2 6 ; 4 , 1 8 ; 6,1 2 ; 7,4 e passim. Grammaticalmente potrebbe essere anche finale 16; ma dal contesto non risulta un intendi­ mento di rendere gli uomini inescusabili; inoltre un tal con­ cetto snerverebbe non poco l'argomentazione dell'Apostolo. Qui Paolo vuoi menzionare semplicemente un fatto del quale verrà fornita in seguito la motivazione: che cioè i pagani sono inescusabili. Si chiarisce così anche la nota fondamentale di tutto questo discorso di Paolo sui gentili : 1 , I 8-32 è un'accu15. Cosl Oepke in ThWb n, 428 ; Kiisemann; di opinione contraria sono Zahn, r6. Blass.Debr. S 402,2. Kiihl, Schlatter, Nygren, Miche!; H.V. Schmidt.

Rom.

I ,2o. 2 I

I I I

sa. Ma perché i gentili sono inescusabili ? Ciò non è stato an­ cora dichiarato in tutti i sensi . Soltanto un aspetto è stato po­ sto in forte rilievo, cioè che Dio si è fatto conoscere dai pagani quale Creatore nella sua creazione. E prima ancora l 'altro a­ spetto è stato definito con ào�xi.cr. e con xcr.'tÉXEW 'tll'V à'ì..1}­ i)'E�cr.v . I pagani non hanno quindi scusa, perché, nonostante la rivelazione di Dio nel creato, hanno soffocato la verità , os­ sia la realtà palese ed effettiva , con la loro avversione a Dio e con la loro ingiustizia . Ma ci si potrebbe ancora chiedere: perché hanno . Dunque il fatto che sta all'origine dell'ao-É�Hcr. e dell'àotxLcx dei pagani è menzionato solo al v . 2 r a, mentre i vv. 2 rh s . indicano già le conseguenze di quel fatto, le qua l i so­ no a loro volta il presupposto di ciò che vien detto al v. 2 3 . Gli uomini hanno conosciuto Dio : così viene ora specificato il con­ cetto di 'VOOIJ!J.EVtx. xcr.i)'opiha.t. in riferimento al concreto modo di essere della creatura . Ma anche se l 'hanno conosciuto (be­ ninteso come colui che si dà a conoscere) oùx wc;, i)'Eòv E.o6t;a.­ o-cr.v f) l)ÙXtx.PLO"'t1)0"tx.V . oo�a�H'V significa « «onorare» e «loda­ re» . Dare lode a Dio significa rendergli onore, e viceversa . Nel contesto Oo�a�Et.\1 si potrebbe tradurre: «non gli hanno tri­ butato la considerazione che si deve a Dio» . Il verbo indica comunque un dato fondamentale e così pure 1'1)ùxa.pLO"'t1)0"t:x.V , che va inteso in senso assoluto e, per via della congiunzione i] ( = «né» in enunciati negativi) può esser considerato come una sorta di accrescitivo rispetto a oùx . . . Èo6�cr.o-av 17• Il no­ stro enunciato è assai vicino a 4 Esdr. 8 ,6o : « , a cui Paolo si è dianzi riferito, si raccoglie nella devozione che è propria della cono­ scenza di Dio quale Creatore. Questa devozione si manifesta nel ringraziamento. La conoscenza primordiale di Dio si col­ loca in definitiva nel ringraziamento, in cui la creatura si fa debitrice del Creatore . Ma proprio questa conoscenza di Dio, che consiste nel ooç si parla anche in Ier. 2 , 5 a proposito di coloro che si allontanano da Dio : altÉO""t'TJO"!X.V !J.!X.PKÒ:V alt'ElJ.OÙ xa.t bto­ pEMTJO"O:V Ò1t�O"W "t'WV !J.a."t'a.�t..>V xcx.ì. E!J.a.'tO:I.Wt}I}O"av . Qui il «divenir vano» 20 è una conseguenza dell'idola tria, del correr dietro agli dèi wha1.o1., irreali , e del ripudio del vero Dio (cf r . Sap. I 3 , r ) . Secondo il nostro passo la «vanità)> deriva dalla fondamentale ingratitudine e dallo spregio verso Dio quale Creatore e attiene ai Ota.ÀoyLO"lJ.O L , alle considerazioni , rifles­ sioni, idee degli uomini. Per Ol.a.À.oyt.O"!J.OL cfr. Le. 2 , 3 5 ; 5 , 2 2 ; 9 .4 6 s . ; Rom. 1 4 , 1 ; per or.aÀoyisEcrì}ar. Mc. 2 , 6 . 8 par. ; 9 ,3 3 e passim. Sovente s i parla d i Ot.a.Àoyi.O"lJ.OL del cuore (cfr . Mt. 1 5 , 1 9 ; Mc. 7 , 2 1 ; Le. 9 , 47 ) e in tal senso si esprime ora an­ che la frase seguente ( v . 2 re ) : «E il loro cuore ottuso si è oscu­ rato » . CTKO"t'LSELV al passivo e in senso metaforico si trova an­ che in r I , r o (Ps. 6 9 , 2 4 ) . lvi sono gli occhi ad oscurars i , a per­ dere la capacità visiva, diventando ciechi . Nel nostro passo O"XO't'tSEW, in quanto conseguenza di quella fondamentale av­ versione a Dio, è predicato della xapo �a, dell 'intimità e della forza più profonda dell'uomo. Il cuore è per Paolo 21 il centro della vita, inaccessibile in definitiva all 'uomo stesso ( I Cor. q , 2 5 ) ma senza segreti per Dio ( r Thess. 2 , 4 ; dr . Rom. 8 , 2 7 ) . Da esso procedono le inclinazioni ( r o , I ) , le concupiscen­ ze ( I , 2 4 ), le intenzioni ( r Co r. 4 , 5 }, le risoluzioni e le delibe­ razioni ( r Cor. 7 , 3 7 ) ; nel cuore si attuano la conversione ( 2 , 5 ) , l'obbedienza ( 6 , q ; Eph. 6 ,5 ) , la fede ( r o ,9 s . ) . I n esso o 19. Cfr. Bauernfeind in ThWb IV, 525-)30.

20. Cfr. il modo in

cui vengono carat terizzati gli EWTJ in Eph. 4,17 ss.

2 r . Cfr. H. Schlier, Das Mmschmherz nach dem Apostel Paul11s, in Dr�s Ende dt"r Zeit ( 197 d 184-2oo.

Rom.

:r,2Ih·2J

con esso l 'uomo in definitiva può anche «vedere» ( 2 Cor. 4 , 6 ; Eph. I , I 8 ) . E s e dunque, per effetto dell'irriconoscenza verso il Creatore, i pensieri della creatura son divenuti «null i » , tali cioè ç:la non cogliere più la realtà, ma da cadere nel vano e quindi nel vuoto, ciò è connesso col più profondo oscuramen­ to dell'esistenza umana, col fatto cioè che si è ottenebrato il cuore dell'uomo , la sua &.uu'II E"t'O ed a Ép1tna, « rettili>> (cfr . Iac. 3 ,7 ) . Vi è qui un'al­ lusione al culto egizio, che viene esecrato anche in Sap. I I , I .5 ; 1 2 , 2 4 . Nell 'OJJ.O,Wj..L a è presente dunque l 'Ei.xwv in quanto realtà effigiata . Si stabilisce una contrapposizione fra 1} 86!;a 25. Di diversa opinione è il Kiisemann.

Ro111. r, !J

I I6

-rou O:.cpi}cip-rov i}Eoù e OtJ.OLW!J.a. EiXo\loç v(l.la di per sé può essere usato in un senso neutro (come in Phil. I ,2 3 ; I Thess. 2 , 1 7 ; cfr. èmt}u(l.ELV : Gal. 5 , 1 7 ; I Tim . 3 , I ), ma in Paolo tanto al singolare quanto al plurale indica per lo più la bramosia egoistica, la ÉmiluiJ.ta crapx6c; (Gal. 5 , I 6 ; cfr. Rom. 7 , 1 2 ; 7 ,7 . 8 ; t 3 , r 4 ; Gal. 5 , 24 ecc.) che domina l 'uomo dall 'interno. Infine Paolo dichiara quel che significa esser dati in balla delle concupiscenze sessuali: 'tOU !Ì'tt.IJ.a­ sEcri}at. 'ttt O"W(l.rL'ta t::tÙ'twv Év aÙ'totc;. L 'infinito è consecuti­ vo. -r:à O"WIJ.a'ta t'XU'tW'V pone in risalto l a corporeità dell'uo­ mo, la quale è, per cosl dire, l'àmbito prossimo della sua esi­ stenza. Èv tx.Ù'toLc; può significare tanto « mediante se stessi», 2 6 . I n quanto lussuria, l'ci:xa.l}ttpCT(a. cara tterizza, agli occhi del Giudeo, del paganesimo (IGisemann).

l'es�a

27. Il concetto può anche essere formulato con una proposizione infinitiva, come ad es. in Act. 7 A2: 1tiXpÉBWXEY a.Ò't'OÙç Mt"t'pEVEL\1 -rii O'Tp1X"t'f4 't'OU ovpa.vou.

28. Non si rratta soltanto di una designazione dell'ambito «in cui gli uomini si per­ dono�. ma anche del modo in cui essi si perdono (K.A. Bauer, Lriblichkeit 141 s.; Kasemann, ad l.).

Il9

quanto «in se stessi » ; in ogni caso dà rilievo alla circostanza che gli uomini disonorano e sconciano se stessi, e in certo sen­ so rinforza 't'à. Ol�(.la't'a. a.Ù't'W\1 . Tutto ciò non è in contrasto col mxpaOLOO\Iat. da parte di Dio, bensì lo specifica , presentan­ do l ' «esser dati in balla>> come uno sconciare se stessi, ponen­ do cosl in risalto il momento della responsabilità. Dunque se gli uomini sconciano i propri corpi sessualizzando la vita e ob­ bedendo alla concupiscenza del cuore, ciò è una conseguenza del 7tapa.oto6va.L da parte di Dio e del giudizio dell'ira di lui . Con questo giudizio Dio risponde a quella autoapoteosi del­ l'uomo che ha la sua radice nell'ingratitudine e nella disobbe­ dienza verso il Creatore e trova espressione concreta nelle di­ vinità dei pagani . Il divinizzamento della creazione, a cui si devono questi fenomeni, conduce a disonorare se stessi e a pro­ fanare il mondo . Di ciò rendono testimonianza storica molte­ plici forme dell'antico culto pagano. Nell'au todeificazione ca­ ratteristica del mondo secolarizzato post-cristiano ritorna lo sconciamento dell'uomo mediante la sessualità ; eppure gli agnostici non lo avvertono e non lo presentano come uno scon­ ciamento, bensì come una glorificazione. Cosl i criteri di valu­ tazione e la stessa capacità di giudizio vengon distorti dal pen­ siero ambiguo dell'uomo che si nega a Dio. 2 5 . In questo versetto non si dice ancora in che consista l'à.'t't­

(.la�EO'itat (richiamato poi dai 7taitT} cX't'L!J.�a.c; del v . 2 6 ) , ben­

si viene ancora una volta ribadito, con un'altra formulazione complessiva e con una frase dal ritmo singolare, il motivo per cui Dio abbandona l 'uomo alla &.xa.itapcrt:a. . Il pronome rela­ tivo ohtvEc; all'inizio della frase ha valore giustificativo come quello del v . 3 2 . La causa del 7ta.pa.o!..o6vat. viene ravvisata ora in un lJ.E't'a.ÀÀacrcrEL\1, che significa «scambiare>>, come nel v. 2 6 . Ciò che nel v. 23 era chiamato "t''Ì]\1 o6�a.\l "t'OU àcpi} , «attizzare» ; aJ passivo «bruciare » . O pE�t.ç («desiderio» , «bra­ ma» , «avidità» , «fregola» ) è attestato a cominciare da Plato-

32.

v11.

dç "t'oùç �t{wvetç

è formula dei LXX che corrisponde all 'ellenistico Dio è lodato per tutti i tempi che si perdono nell'eternità.

ELc; 't'ÒV atw·

33- Cfr. test. Ios. 7,18: VTCO'ItL'It't'ELV 1t&.DE� hnl!u!J.(a.ç; r Thess. 4,5 : Èv 'lttii!E� lm­ lNIJ.La.c;; cfr. Col. 3,5. Quando 1tcil!oç indica la passione, si tratta prevalentemente della passione sessuale; cfr. Bauer, Wb. I I 9 5 · 34. Cosl anche nella letteratura ellenistica: Alciphr. J,JI,I: Èl;Ex�tulh]v Elç ltpw­ ecc. Cfr. Bauer, Wb. 478 ; anche Ecclus 16,16 e passim.

"t'tt

1 22

Rom. 1,26-27

ne, dai LXX ; ad es. Luc . , Tyr. 4 : 't'àç 't'W'V i}OO'VW'V opÉ!;Hç XIX· À L'VIl.j'Wj'E�'V, oppure Ecclus 2 3 , 1 6 : XOLÀ.taç opÉ!;Et.ç . Qu este pratiche omosessuali sono un 't''Ì]'V &.crxrHJ.OCTlJ'V1)'V xa't'Epya­ �Ecri}a�, come naturalmente sono (senza che ciò sia espressa­ mente indicato) le pratiche lesbiche menzionate dianzi . An­ che l 'à.CTX1)!-LOCTU'V1) è un concetto (e un vocabolo) comune nel­ la grecità e nel giudaismo ellenistico ; cfr . ad es ., Epict. , diss . 2 ,5 ,23 ; Philo, leg. all. 2 , 1 7 ; 3 1 ,5 8 ; Flav. los ., bell. 2 2 3 ; Sib . 5 , 3 8 9 ; Ecclus 26,8 ; 30, I 3 . La conseguenza di siffatto com­ portamento viene menzionata ancora alla fine del v. 2 7 ; gli uo­ mini ricevono in se stessi la ricompensa inevitabile della loro aberrazione. &.'V't'LI-L�crl)'t:a è « ricompensa>> , «remunerazione>) (cfr. 2 Cor. 6 , I 3 ) 35 • Si tratta, come abbiam detto, di una ri­ compensa inevitabile di quella 7tÀ.a'V1) (cfr. I Thess. 2 ,3 ; 2 Thess. z , I I ecc.), di quella depravazione del senno che è l'in­ nalzamento della creatura al grado di Creatore 36• Il OEi:: indica la necessità divina, come ad es . anche in I Cor. I 5 ,5 3 ; 2 Cor. J , r o ; Act. I , I 6 ; 3 ,2 1 ; 4, 1 2 ecc. Degno di nota è il giudizio che l'Apostolo pronunzia sulle perversioni sessuali da lui po­ ste in risalto come aspetti caratteristici del mondo pagano . Tale giudizio si può cosl riassumere: I . il pervertimento degli istinti e del comportamento sessuale è la risposta punitiva di Dio alla divinizzazione che l'uomo fa di se stesso e del mon­ do ; 2 . è la sua ritorsione divinamente necessaria; 3 . tale ritor­ sione si attua sin d'ora in questo mondo nei corpi dei pagani. Nella condanna di questa aberrazione Paolo va largamente d 'accordo con la polemica giudaica e giudeo-ellenistica contro i pagani (cfr. ep. ler . 4 3 ; Sap. 1 4 , 1 2 . 2 3 ss. ; ep . Ar. 1 5 2 ; Sib. 3 , 1 84 ss . 594 ss . ; 5 ,3 8 6 ss.; Hen. slav. I0,4-6 ) . Va detto però che anche scrittori ellenistici, per es . Musonio e Max. Tyr. , or. I 8 , levarono la voce contro l'omosessualità e contro l'esalta­ zione e gius tificazione di essa, quale si trova, ad es ., nel Saty­ ricon di Petronio. Ma nella motivazione specificamente teolo­ gica del suo rigetto delle perversioni sessuali Paolo non ha predecessori di sorta. 35· tiv-rt!J.I.aitLaV !itSovat -rLVL: 2 Clem. I,J; 9,7 ecc. 36. Il Kiisemann (diversamente dal Kuss) riferisce "Jtltivl} alla �dissolutezza�>.

Rom. 1,28

!23

2 8 . Ritorna per la terza volta l'espressione 'lta.pÉÒWXE'V a.u't'OÙ9. JO

125

s i riferisce ad atrtouç ) s i ricollegano quattro membri di ugua1 terminazione ( omeoteleuti ), a !J.ECT"t'ouç cinque membri indi� canti i vizi concreti; alla fine ( v . 3 1 ) si trovano quat tro mem­ bri con a privativa. Da questo però risulta soltanto un uso irriflesso degli artifìzi retorici . Per il resto si può ancora rile­ vare, come nella diatriba fìlosofìco�popolare, una disposizione asindetica dei singoli memb ri 41 • Ma in proposito qui vi è ben poco da osservare 42 • 2 9 . Per tio�xLa cfr I ,8 , dove però si ha un' accezione «di prin­ cipio » ; per 'ltOVllpLa 43 I Co r 5 ,8 ; per xaxLa (malitia) I Cor. 1 4 , 2 0 ; Eph. 4,3 I . Sono vocaboli tra i quali è difficile cogliere una differenza . Caratteris tico è invece 1tÀ.EovEçLa ( avaritia) , u­ sato non nel senso fondamentale di cupidigia come in Eph. 4 , 1 9 ; 5 ,3 ; Col. 3 ,5 : ll' �ç ECT"t'tv dowÀ.oÀ.a'tpELa.. Dio ha dun­ que abbandonato i gentili, che non l 'hanno voluto riconosce­ re, al loro pensiero inetto e quindi all 'ingiustizia , alla malva­ gità, alla malizia , alla cupidigia, e di ciò ha riempito (1tE1tÀ1l· pW!J.Évouç) la loro vita . Questa dunque viene a trovarsi ricol� ma (!J.EO""t'ouç) di singole ma troppo numerose azioni e dispo­ sizioni ca ttive : invidia, (voglia di? ) omicidi 44 , litigiosità, ( ten­ denza alle ) contese, slealtà , malignità 45 . I versetti seguenti recano un lungo elenco di esponenti dell 'ingius tizia. In tutto sono dodici e vengono enumerati asindeticamente e disposti in maggioranza a coppie ; si notano infa tti quattro appaiamenti di vocaboli, cui tien dietro un gruppo qua ternario . .

.

4 1 . Le più l'ecenti considerazioni sugli elementi retorici sono di E. Kasemann 45 s .

42. Per u n esame particolare cfr. A. Vèigtle, Die Tugend- und Lasterkataloge im N.T. ( 1936}; S . Wibbing, Traditionsgeschichle ( 1.959); E . Kamlah, Katalogische'

Pariinese ( 1 964).

43· Invece di 1tOVl}p{a, Oavoç anche in Diod. S . .5 ,55 ,6 . Qui però U7tEp-i}q>a.voc; fa coppia con àÀa�ovEç. tmEp-i}q>avoc;, «superbo», « altezzoso» (cfr . Le. I ,J I ) , ricorre in un catalogo di vizi anche in 2 Tim. 3 , 2 accanto ad à.Àa�ovec;, �À.aO"q>T)IJ.Oi . I l contrario è "t a1t EW6c; (lac. 4,6 ; r Petr. 5 ,5 ; Prov. 3 ,3 4 LXX ); anche in Diodoro Si­ culo lo V7tEp-i}q>avoc; viene ripetutamente descritto come colui che è inviso agli dèi , ad es . I 3 ,2 1 ,4 ; 20, 1 3 ,3 ; 2 3 , I 2 , 1 ; 24, 9 ,2 . &.la�wv è il millantatore, il miles gloriosus e sim. (cfr. Sap. 5 ,8 ; 2 Tim. 3 , 2 ) ; à.Àa�ovEl.a ricorre in lac. 4, 1 6 ; I Io. 2 , r 6 . Èq>EUpE-tat xa.xwv possono essere coloro che escogitano cose cattive, ad es. Antioco E�ifane in 2 Mach . 7 ,3 I : O"Ù OÈ 7taO"T}ç xa.xiac; EVPE"ti)ç yev61J.. �toc; dc; 1:oùc; ' E � paiouc; 47 , op­ pure anche coloro che vanno alla ricerca del male o lo fanno ricercare da chi ha un buon fiuto. yovEuow tÌ7tEr..DEi:c; , come in D eu t. 2 I , I 8 ; 2 T im. 3 ,2 , vale «disobbedienti ai genitori » . 3 1 . Seguono ancora quattro aggettivi con a privative : àcru­ VE"toc; (cfr. Sap. 1 ,5 ; I I , r .5 ; Ecclus I 5 ,7 ; test. L. 7 , 2 ; Mt. 1 .5 , 1 6 ; Mc. 7 , I 8 ; Rom. I ,2 I ) , «dissennato» , > . rimanda ad una tra­ dizione prepaolina 20, cfr. Eph . 6 ,9 ; Col. 3 , 2 5 ; Iac. 2 , r ; Polyc. , ep. 6 , I 21 • Il verbo 1tpocrw7tOÀ.TJ!J.1t"t'Ei.:v ricorre in Iac. 2 ,9 e si­ gnifica «considerare la persona» , nel senso di tenere un com­ portamento parziale. È derivato da 1tp6crw1tov À.CX.!l�cl.vnv, os­ sia dal nesso con cui i LXX rendono nasa ' pànim (cfr. Ecclus 4, 2 2 ; 3 5 , I 3 s . ; I Esdr. 4 , 3 9 ) . Nel N.T. questa espressione ri­ corre in Le. 20,2 r e Gal. 2 , 6 per indicare un comportamento informato a parzialità . I passi in cui si afferma che Dio non ha riguardo alle persone nel suo giudizio (Rom. 2 , r r ; Eph. 6 ,9 ; Col. 3 ,2 5 ; Iac. -2 , r ; Polyc. , ep. 6 , r ) e più in generale nel suo agire (Act. r o , 3 4 ; Gal. 2 ,6 ) dimostrano che in definitiva Pao­ lo controbatte il xpivnv "t'Òv E"t'Epov con un argomento tradi­ zionale che risale fino all'A.T. (Gen. 30,6; Deut. I , r 7 ; 2 Chr. I , I o ) , dunque con una proposizione che, almeno teoricamen­ te, era indiscussa anche per il giudeo 22• II.

2 0 . Lohse i n ThWb

VI

780.

2 I . 1tpocrw1toÀ:r)I..L1t"t'lJ> . Il riferimento non va a tutti i pagani, ma neppure è inteso a por­ re in rilievo alcuni singoli pagani . "tà !J.Ìl 'VO!J.O'V EXO'V"tCX. chia­ risce appieno il significato di &.v6(.J.wç . Ma se anche i::i}vT) non hanno la torà , essi fanno però cpucrn quel che essa richiede . q>VCTEL significa qui «spontaneamente» , «da se stessi» e in que­ sto senso «per natura» 3 . Il contrario sarebbe ìl'Écrn , > , s'intende, del VOIJ..O> o «noachitici» e del loro adempi­ mento specifico da parte dei pagani , ed esclude altresl il ).wv, cpwc; "t'W\1 E\1 O'X6"t'EL, 20 na.tOEU"t"l)V aq>p6vwv, OtOfXC1'Xct).ov 'V'I')­ 'It!W\1, �xov't'a 't'TJ'V �6pcpwcnv 'tijc; yvwo-ewc; xat 't'ijc; Q:).'l'}l}dttc; Èv -.Q \IO�> . Cfr. Bar. syr. 3 ,4-9 . Il giudeo, che con­ sidera il proprio nome come un titolo d'onore, possiede an­ che la legge, o più precisamente confida nella legge 2, si fa for­ te di essa . È'JtCLVCL'JtCttiECTil'CL� � « appoggiarsi su» , « riposarsi su» , tanto i n senso letterale ( ad es . 4 B cxcr. 5 , 1 8 ; 7 , 2 . 1 7 ; Ez. 2 9 ,7 ; I Mach . 8 , 1 2 ) quanto in senso figura to : «fidarsi» , «confida­ re » ( ad es . Mich. 3 , 1 I : xcxt È.'JtCL\JE'JtO:U0\11:0 E'JtL 'tÒ\J xup�0\1 , cfr. I Hen. 6 1 ,3 : «perché essi [ i giusti ] confidino nel nome del Signore degli spiriti pei secoli dei secoli » ) . Ma anche nella letteratura ellenistica il verbo si trova con questo significato, ad es . Epic t . , diss. I , 9 ,9 . La legge è per il 'Iouocxi:oc:; un soste­ gno fidato e sicuro della sua vita. Ma nel possesso della legge anche Dio è la « gloria » del giudeo : xo:t xa.uxéicra.t È.\1 1}E(il r. Cfr. Kuhn; Gutbrod in ThWb the, in Ende des Gesetzes 76-9 2 .

m

3 5 6 ss . ; G. Bornkamm, Paulinische Anakolu­

2 . Non, come traduce i l Lagrange : « S U una legge».

I

Rom. J,I].r8

54

(cfr . Ier. 9 ,2 3 ; Ps. Sal. r 7 , r ) . xa.vxao-l}a.!. Év , come Èv in.t�E­ o-!.v ( 5 , 3 ) ; Év v6�� (Ecclus 3 9 , 8 ) . Qui xa.vxaO"i)a!. non signifì­ ca semplicemente « menar vanto», bensì « cercare la propria gloria in», « trarre le ragioni del proprio vivere da» e renderlo noto 3• È, per così dire, la fiducia, la quale diviene un vanto e si esprime nelle lodi (cfr. Phil. 3 ,9 s . ; 2 Cor. 1 0 ,7 s . ; anche 2 Cor. r , 1 2 ; 3 , 4 ). L'essere giudeo, l'aver la legge, l'avere Dio come proprio vanto e il farne un motivo di lode: ecco ciò che caratterizza gli Israeliti nel loro concetto e nel concetto dell'A­ postolo . Anche in questa presentazione del suo interlocutore Paolo si muove sulle orme della tradizione giudaica. Valga un esempio per tutti, Bar. syr. 4 8 , 2 2 ss . : «Noi abbiamo fiducia in te perché la tua legge è presso di noi; e sappiamo che non cadremo finché ci appoggeremo alle prescrizioni della tua al­ leanza . In ogni tempo noi ci rallegriamo di non essere mesco­ lati alle nazioni. Perché noi, tutti noi , siamo un popolo unico che porta un nome famoso perché da Uno soltanto abbiamo ri­ cevuto una legge. E questa legge che è in noi ci assiste e la scienza che è in noi ci sostiene» . r 8 . L'Apostolo continua a caratterizzare l 'interlocùtore : Et

I Cor. r 6 , È il vocabolo col quale i LXX traducono ra!on. Cfr. anche la formula giudaica j"hi ra!on , in aramaico jihe' ra'azii', e per es. I QS 8 ,6 : «Testimoni veraci della verità per il giudizio ed eletti della volontà» (rii!on) ; 9 , 2 3 : «La volontà è l a stessa>> ; 9 ,24 : «La volontà di Dio», e passim . I QS 5 , 1 .8 r o ; 8 ,6 ; 9 , 1 2 ss. 2 3 ;24 ecc. I Giudei co­ noscono della legge e sanno anche interpretarla adeguatamente. Quest'ultimo concetto vien reso con ooxt.wi.­ �EI.'V 't'à ot.a.q>Épov't'a, dove ooxt.�a�EW vale «esaminare» e «di­ s tinguere» e 't'à oLa.q>Épov't'a. (cfr. Phil. r , r o ) «ciò che impor­ ta>> , «l'essenziale» , in contrasto con aoLci , « semplice;> , detto del cristiano in I Cor. 3 , 1 ; Eph. 4 , 1 4 ecc . Per la tradizione giudaica si pos­ sono citare Philo, Abr. 98 ( = 1 9 ) ; vit. Mos . 1 4 9 ; Ios ., Ap. 2 , 4 1 ; Sib. 3 , 1 9 5 . 542 s . ; I Q H 2 , 9 . Ma ancora una volta codesto ufficio di guida dei ciechi e di luce dei popoli, di educatore del mondo, il giudeo se lo arroga in quanto possiede la legge . Come già al v. 1 B b , così anche al 2ob questa precisazione vie­ ne aggiunta con una frase participiale, dove il \IOIJ.oc; è desi­ gnato in termini che potrebbero essere il titolo di uno scritto 7· Cfr. Strack-Billerbeck

1

237;

Conzelmann in

ThWb

IX

307-349, 337 ss.

Rom. 2 , 2a . n

1 57

indirizzato ai proseli ti : i1 1-J.O p�w, ((Commettere adulterio», «ammazzare>>; Corp. Herm. 12_.5 : 1-lO�XEUCTa� xat ÌEpoCI'VÀ.EÌ:>J, e altri ancora. Cfr. �chrenk in TbWb 12. Strack-Billerbeck m I I 3 s s . m 254-2.56.

Rom. 2,2:l.:lJ.24

I

59

o-w

IJ."f}OÈ. auÀ.ii:v Ì.Epà �Evtxa. La prassi rabbinica nei confron­ ti di questo crimine era improntata a minor severità 1 3 • Paolo muove quindi ai Giudei l'aspro rimprovero di depredare i templi pagani contro l'espresso divieto fatto loro dall'A .T . , così come in Act. 1 9 ,3 7 i gentili ritengono possibile che Paolo e i suoi accompagnatori siano Ì.EpoauÀ.ot. e �À.ao-cp"f}IJ.OUV't"Eç . E qui può ravvisarsi anche il significato più ampio di tEpoau­ Àii:v , ossia «commettere un'azione sacrilega» , quale sarebbe , ad esempio, la ricettazione di un bene rubato dal tempio. 2 3 . Il versetto, composto da una frase relativa e da una prin­

cipale, va inteso come un riepilogo . Abbiamo qui una pro­ posizione non più interrogativa, ma asseverativa , che viene poi convalidata con un detto della Scrittura espressamente indi­ cato come tale. Il giudeo viene ora menzionato come uno che Èv VOIJ.� xauxaacu (cfr . v. I 7 = Èv D"EQ ) . xauxaai}w, indica qualcosa di più del precedente È1taV0:7tllVEaD"at. VOIJ.� . Ecco il rimprovero: colui che, professando e lodando Dio, imposta la propria vita sulla legge 14 e quindi concepisce l 'esser suo alla luce di Dio e della sua volontà , proprio costui trasgredisce la legge e in tal modo disonora Dio. E questo è già detto nella Scrittura, come Paolo aggiunge a mo' di conclusione per av­ valorare la sua accusa . 2 4 . Viene citato

Is. 5 2 ,5 : 't"aoE À.Éyn 6 xuptoç· ot.'ùiJ.aç [ o t.à 1tav't"6c; ] 't"Ò ovoiJ."f}IJ.Et't"at. Èv Ei}vEaw. I LXX ampliano il testo ebraico che cosl suona : «Di continuo, ogni giorno, il mio nome è oltraggiato» . Qui l'oltraggio è quello dei popoli che tengono schiavo Israele . Paolo intende il testo, r J . Sul gloriarsi della legge, dr. Bar. 3 ,37 s . : xpi.vEcr�ai. erE . Degno di no­

ta è inoltre il modo in cui viene concepita la storia umana : os­ sia come un processo che ha il solo scopo di far sempre meglio risplendere la giustizia di Dio.

5-6 . A queste considerazioni si riallaccia una seconda obiezio­ ne che Paolo formalmente rivolge ancora una volta a se stes­ so , sebbene potesse anche averla udita spesso sulla bocca d 'al­ tri. Si tratta di un 'obiezione che trae false conclusioni da quan­ to è stato detto sinora. La formulazione del v . 5 mostra che nella nostra esegesi non ci siamo ingannati. Quel che al v . 3 era designato con 1Ì1tLCT'tijCTtJ.V vien detto ora n aor.xi.a n�wv . Il 'tWÉc; è diventato i}�Ei:c;, sicché «noi» tutti siamo coinvol ti. I noltre n 1tLO"'tLc; 'tOU i}Eou è in effetti 11Eou OLX!XLOCT{JVij , dun­ que la or.xat.ocruvij che consiste nella fedeltà di Dio all'allean­ za e lo fa essere aÀ.ijl11]c; nel suo operare. E infine yi.vEcrl1a� aÀ. il�c; e OLX!XLwi}fi\lar. vengono resi, quanto al concetto, con �Eou OLX!Xt.OCTU\Iil\1 cruvt.cr-ravat. . cruvr.cr-ravar. significa «met­ tere in evidenza>> , «ottenere�> , «dimos trare» , come in Rom. 5 , 8 ; 2 Co r. 6 .4 ; 7 , I I ; Gal. 2 ,8 . Paolo insiste dunque sul con­ cetto già toccato al v. 3 , ossia che l'infedeltà di « alcuni>) non solo non ha vanificato la fedeltà di Dio al patto , ma al contra-

Rom. J,J·6

rio l 'ha pos ta in piena luce facendolo apparire incrollabile. Qui egli dà soltanto una diversa formulazione. La nostra in· giustizia serve a rivelare la giustizia di Dio (l}Eov OLXCX.LOCTtJ'Vl) è inteso in senso escatologico e insieme forense) 9 • Paolo ag­ giunge poi anzitutto una domanda la quale contiene di nuovo un'accusa velata , ma di altro genere, contro Dio. Se la nostra ingiustizia pone in risalto la giustizia di Dio, non è forse in­ giusto Dio se dà corso alla sua ira (nel giudizio escatologico) verso di noi ? Se in certo qual modo con la nostra ingiustizia sfidiamo Dio a dimostrare la sua giustizia -r� OU\1 EpOU(lE\1, «che dovremo dire ? » . La domanda è nello stile della diatriba, co­ me in 4 , r ; 6 , r ; 7 , 7 ; 8 ,3 1 ; 9 , 1 4 . 30 10. Non è forse ingiusto Dio quando ci punisce per la nostra aOLX�a. ? Ma questa conclu­ sione , tratta secondo la logica umana, è cosl assurda che Pao­ lo I . aggiunge xa-rà a\ll}pW"Jt0\1 ÀÉ.yw, come in Gal. J , I 5 (cfr . r Cor. 9 ,8 e Rom. 6 , r 9 : a\ll}pwm\lo\1 À.É.yw: > , «giusto» (cfr. Hebr. 2 , 1 2 ) . I "t'WÉç - Paolo non fa alcun nome -, i blasfemi calun­ niatori dell'Apostolo , i quali , come risulta dalle proposizioni precedenti, bestemmiano anche Dio, saranno da Dio stesso giustamente condannati. Forse questi "t'tviç erano attivi anche in Roma. Ad ogni modo la comunità dell'Urbe viene a cono­ scere il pensiero di Paolo su siffatta gente e su siffa tte af­ fermazioni. 9 ss. Paolo si è discostato assai dall'argomento che aveva preso a trattare nel cap. 2 . Ora nei vv. 9 ss. ritorna al tema , dap­ prima a quello di 3 , 1 poi a quello di 2 , 1 ss . , o anche di 1 , 1 8 ss . Con un retorico "t'L oùv («come stanno ora le cose ? >> ; cfr . 6 , I 5 ; r r ,7 ; 3 , 3 : "t'i. yap ) Paolo pone la domanda : 7tPOEXO!-I.E.t}a.; 7tpOÉXE.LV può significare: I . «essere superiore» , «avere un vantaggio» , « mettersi in vis ta » , «fare specie » , «avere un pri­ vilegio» 14 e sim. , ma su questa accezione non è attestato al me­ dio; 2 . al medio > , «metter fuori» e sim . ad es. Syll. 3 2 5 ( = 37 o 8 ) , r 5 : 'tLO"L\1 oÈ "t'W\1 1tOÀ.t.'tWV E ( te; ] À.U"t'PCX. 7tpO'tt.i)'dc; ( sci!. XPTJ!J.!X."t'(X.) EOET.. çE\1 ÈCX.U"t'ÒV 7tpoç 1t) da se stesso è stato escluso e ormai non trova più alcun posto nella sfera della sal­ vezza. Dio stesso l'ha bandito. La domanda prosegue ora in una guisa che sulle prime fa meraviglia, ma che poi si com­ prende con quel che segue. In che modo Dio ha escluso il vanto? Forse mediante una legge che richieda assai più della torà , sicché ben difficilmen­ te può esser praticata e recar vanto ? Pa0lo espone al v. 28 un concetto che già era stato toccato in 3 , 20. Ma egli gioca col termine \IO(J.Oç, il quale nella domanda O�à 7tO�ou 'VOIJ.OU; 'tW\J Epyw\1 ; designa ancora la legge giudaica imperniata sulle ope­ re, ma nello stesso tempo accenna già sommessamente al si­ gnificato generico di « regime>) , «ordinamento>> , che trove­ remo poi in 7,2 r .2 3 ; 8 ,2 . Nella risposta alla domanda («no, mediante la legge della fede» ) questo significato formale di 'VOp.oç risulta ben chiaro, senza tuttavia perdere il suo carat­ tere paradossale. \IO(J.Oç 7tLCT'tEWç è il nuovo regime di salvezza , la nuova legge salutare invalsa con la fede (cfr. Gal. 3 ,2 3 . 2 5 ) , l a quale a sua volta è giunta con Cristo. La fede è l a richiesta perentoria che si pone ora al mondo . Questa richiesta esclude l 'antica legge, la quale esige le «opere» e attraverso le «opere» provoca un «vanto». Ora Dio ha stabilito la fede come via di salvezza ed è la legge della fede che regola il mondo. 2 8 . Se ne dà conferma con un enunciato che attesta il convin­ cimento tanto dell'Apostolo quanto dei cristiani 26• À.oyt: so­ p.ct.L ha qui, come in 6 , n ; 8 , r 8 ; 1 4 , 1 4 ; 2 Cor. I I ,5 , il senso z6. In luogo di yocp che si legge in S A D* G 'l' 8l 326 ecc. vg sy• copt (sah bo) arm Orig lat Ambrstr ecc., abbiamo oiJ'J in B C D' k P 33 88 ecc . , Ephr Thdt ecc.

Rom. 3,28

206

di «essere convinto in forza di un giudizio» 27 ( naturalmente non è agevole cogliere l'esatta differenza di questo significato rispetto ad «ammettere», pw7toç ha tanta im· portanza?

Rom.

3,28.29

pere della legge » , opere cioè che la legge e le sue prescrizioni strappano all'occulto egoismo di ogni uomo che non crede, opere di ingiustizia e opere di «giustizia» autonoma. Il pen­ siero dell'Apostolo va a tutte le opere non ispirate dalla fede in colui che «si è fatto giustizia per noi» ( 1 Cor. 1 ,3 0 } , alle o­ pere legalistiche dell'uomo in genere , il quale, per essere di­ scendente di Adamo, è asservito dal peccato all 'egoismo peg­ giore e più sottile e non pecca solo quando trasgredisce la leg­ ge, ma anche quando l 'osserva con spirito di autosufficienza. La giustificazione quindi avviene soltanto per la fede, e non per le opere che , su prescrizione della legge , vengon fatte dal­ l'uomo prigioniero di se stesso, dall 'uomo che si «vanta» e dunque ravvisa nelle opere non la testimonianza feconda del­ la propria «edificazione » , bensl il fondamento di essa . Di con· tro a siffatte opere vi sono però le «opere della fede» (dr. Gal. 5 ,6; 1 Thess . r ,3 } , ossia deli 'uomo che, affrancato nella fede dalla propria autosufficienza , compie queste opere in quanto le riceve per grazia. Non è perciò vero che l 'uomo viene giu­ stificato solo per la fede senza riguardo alcuno alle opere . Non l 'operare in se stesso è inutile ai fini della salvezza , bensì un determinato modo di operare, che per vero ogni uomo si porta appresso dalla nascita, ossia l 'operare autosufficiente e sicuro di sé in cui è palese il «vanto » di chi si «edifica da se stesso» . L'Apostolo qui non si sofferma oltre su questi problemi, i qua­ li risultano piuttosto da tutto il complesso dei suoi enunciati sulla fede e sulla legge . L'assioma sulla fede e le opere della legge contenuto nel v . 28 va inteso alla luce di un'interpreta­ zione complessiva . E a questa appunto la lettera ai Romani ci condurrà gradualmente. 2 9 . Ora l 'Apostolo si premura di mettere il principio testé

formulato al riparo da una certa concezione giudaica che pro­ prio a quel principio si opponeva. Forse che il Dio della 8t.­ x.cx.t.ocruvn e del Ot.x.cx.t.oGv non è solo il Dio dei Giudei, il qua­ le, in forza della torà, non può rinunziare alla giustificazione per le opere? È questa un'idea che si trova espressa, ad es . , da Rabbi Shimeon ben Johai ( 1 5 0 d .C . ) . In Ex. R. 2 9 .4 ( 8 8d) si

Rom. J, 2 9 . JO

208

legge : . Dio è dunque creatore e giudice di tutti gli uo­ mini, ma soltanto per Israele è il Dio dell'alleanza , il Dio che lo ama e che lo ha destinato alla salvezza . Vero è che qui l 'A­ postolo, per garantire l 'assioma del v . 2 8 , in sos tanza altro non fa che specificare, applicandola all'agire salvifìco di Dio, quella professione di fede monoteistica (dr. Deut. 6 ,4) , rico­ nosciuta anche dai Giudei e da essi ripetuta nella quotidiana recita dello sema' . Al pari del 2 7 , il v_ 2 9 si articola in una do­ manda bipartita a cui segue la relativa risposta che viene poi motivata nel v . 3 o . 3 0 . Naturalmente Dio è anche i l Dio dei pagani, s e è vero (d­ I Cor. I 5 ,I 5 ; 2 Thess. I ,6 ; htELTIEP v. r ) com'è in effetti , o com'è certo 29 , che vi è un solo Dio il quale nella frase relativa viene indicato come colui che gius tifica per la fede ogni uomo, giudeo o pagano che sia . La frase relativa del v. 3 ob ha un certo ritmo e suona come una citazione . A proposito di Dio essa afferma semplicemente ciò che in effetti dovrebbe essere dimostrato e quindi ripete in altra guisa l'e­ nunciato del v. 2 8 . ÒLXIXLWG'EL è probabilmente futuro logico (Kuss) ; ma, se si ammette che Paolo abbia qui ripreso una formula tradizionale, andrà inteso in senso piuttosto escato­ logico . Ancora una volta i termini TIEPL't'O(.Li) e àxpoBuG''t'La de­ signano i circoncisi e gl'incirconcisi, quindi Giudei e pagani nella loro totalità, come già in 2 ,26( 2 7 ) . Non v'è differenza di significato tra Èìf. 1tLG''t'EW>, come ad es. r Mach. 2 ,27, dove Mattatia lancia nella città il suo grido: nàç ò �l]).wv "t� v6� xat tcr-rC:W ò�cdh'lxTJv EI;Eì-.ìlÉ"t"w émicrw lJ.OV. Cfr. 4 Mach. 5 ,2 5 : xaD�cr"t'!iva� -ròv v6llov (detto di Dio: serbare la legge nella sua validità ). 31. G. Klein, op. cit. r64 ss., in contrasto con U. Wilckens, Die -R echtfertigung Abrahams 11ach Riim 4, in Studien :utr Theologie der atl. Oberlieferungen. Fest-

Rom·.

2 10

J,JI

maggioranza dei commentatori intende in altro modo, dando cioè a 'VO(..L0 \1 Lo--rciVOJ..LEV il significato di «noi manteniamo la legge» . Non escono però dal generico quando si tratta di spe­ cificare più da vicino il senso di questo mantenimento. «Una cosa è certa, cioè che l 'evangelo è la volontà di Dio e non è quindi che il fine proprio anche della legge veterotestamenta­ ria » , dice , ad es . , il Kuss . Oppure : (. 13 E non soltanto per lui fu scritto che > (cfr. 2 r , 4 ) In 2 Mach. 7 ,2 8 si d ich ia ra: a�!.W CTE, 't'ÉX\10\1, ava�À.É�a\l't'U dc; 't'Ò\1 oupct\IÒ\1 xaL 't'll\1 yi'i\1, xat 't'lÌ. Év au't'oi:c; 'lttl\l't'a too'\l't'ct y"Vwva.T. , ihr. oux È� 0\l't'tù\1 E1tO�i1CTE\I au't'à o i)Eòc; xat 't'Ò 't'W\/ à'Vi)pt�l1ttù\l yÉvoc; oihw (t\IE't'ar.. Philo, de creat. princ. 7 dice : 't'lÌ yàp 1-Lll O\l't'a ÉxaÀ.ECTE\1 Elc; 't'Ò Et\lat. (cfr . op. mund. B r ; spec. leg. 2 , r 8 7 ; migr. Abr. r 8 3 ; leg. alt. 3 , r o ; mut. nom. 4 6 ; rer. div. .

3 7 . Lietzmann, Barrett, H.W . Schmidt , Kii semann.

2Jl

ber. 3 6 ) . Ma anche in Sanh. b . 9 I a si afferma : «Ciò che non era è venuto alla vita, e ciò che era non dovrebbe a maggior ragione poter ritornare alla vita ? » . Del primo cristianesimo giudeo-ellenistico ricordiamo Herm ., vis. I , I ,6 ; mand. I , I ; 2 Clem. I ,8 ; const. Ap. 8 , 1 2 ,7 . Cfr . anche los. et As. 8 ,9 : «Tu , o Dio altissimo e potente , che vivifichi (swo"Jtot.T}a-a.ç) l 'univer­ so e lo chiami dal buio alla luce e dall'errore alla verità e dalla morte alla vita » . La fede di Abramo si rivolgeva e aderiva al Dio che risveglia dalla morte alla vita e chiama dal non essere all'essere. Essa confida nell'onnipotente Dio crea tore e reden­ tore, il cui divino operare non può essere intralciato né dalla morte né dal nulla. Si osservi come i participi siano tutti pre­ senti : si tratta in effetti del Dio che continuamente agisce con sconfinata potenza nel presente. r 8 . Ma che significa tutto ciò per quanto attiene all 'Abramo credente, al modo in cui egli ebbe fede ? Nel v. I 8 la caratte­ ristica della fede di Abramo è brevemente delineata con una parafrasi di Ce n. I 5 ,6 e appresso viene illustrata più diffusa­ mente. Di Abramo e della sua fede deve dirsi che egli 1ta.p'D.. 7t�Oa. È1t'ÈJ.,1tLÒL È.1tLO"'tEUO'E\I . 1ta.p'ÈÀ.1tLOa. indica , con un 1ta.pa avversativo (quale si trova anche in Rom. I , 2 5 ; I I , 2 4 ; r 6 , I 7 ; Gal. 1 , 8 ) , che Abramo credette contro ogni speranza nel senso che nessuna realtà terrena poteva suscitare la sua spe­ ranza . Vi era « soltanto» l'E7ta.yyEÀ.La. di Dio, la sua parola, la sua promessa. Ma proprio questo svegliò la speranza credente di Abramo, sicché egli credette bt'D..1tLÒt., sul fondamento di una speranza siffatta . È1t,ÈÀ.7tiÒt. è un 'espressione formulare già nel greco profano e ritorna in Rom. 5 , 2 ; 8 , 2 0 ; r Cor. 9 , I o . La ÉÀ1tlç è intesa in senso tanto oggettivo quanto soggettivo . La caratteristica della fede di Abramo consiste in ques to, che egli, senza avere motivo alcuno di speranza e quindi senza spe­ ranza, prese nondimeno a sperare in virtù della parola di spe­ ranza pronunciata da Dio . La fede di Abramo è dunque spe­ ranza e poggia sulla speranza che la parola di Dio destò in lui che per la sua condizione terrena non aveva motivo alcuno di speranza . E proprio grazie a questa fede egli divenne, secondo

2 _3 Z

i l passo della Scrittura ( Gen. I 7 ,5 ) > . Ma l 'attes tazione di où è relativamente scarsa . Il senso del v. r 9a è piuttosto: «E senza indebolirsi nella fede egli con­ siderò il suo corpo già privo di vita . . . » 39• xa-ravoEL'\1 significa opE�crll"a.t. significa qui «es­ sere pienamente convinto» , «essere pienamente compenetra­ to» (cfr. Col. 4, 1 2 ) 42 . Ciò di cui Abramo era pienamente per­ suaso viene indicato con o·n . . . : che Dio può fare quel che ha promesso. Il passivo É7tl)yyEÀ:taL di per sé rimanda a Dio . Òu'Va.�òc; xat 7tO!.i] erat. è, alla maniera di Filone (Ab r. 3 2 -46 ; I os. 40 ; somn. 2 , 1 9 ; spec. leg. I , 4 ) , un predicato di Dio. In sintesi dunque la fede di Abramo è r . fede nella promessa d i Dio, manifestata dalle sue parole; 2 . fede nel Dio che fa vivere i morti e che, con la sua parola, chiama ad essere ciò che non è ; 3 . fede accompagnata ed animata da una speranza schiettis­ sima, la quale, lungi dal sorvolare sulla realtà di questo mon­ do, la considera con occhio disincantato, senza però lasciarsi indurre da essa a mettere in dubbio la parola di Dio; 4 . la fede di Abramo è quindi fede collaudata e rafforzata dalla tenta­ zione ; 5 . è fede persuasa che Dio è abbastanza potente da man.p. ar. anche test. G. 2,4; ÈTtÀ.'f)pocpopi)lh')I.J.E V 'tijt; !Ìva�pÉCTEWc; pienamente certi di ucciderlo». Cfr. Delling in ThWb vr 308.

av'tOU,

«eravamo

Rom 4,2r. 12-2j.24b

23 5

tenere la sua parola ; 6 . è una fede che, nel suo fondo, equivale a un «rendere gloria a Dim> .

2 1-2 5 . Di questa fede si può dire (v. 2 2 ) che Dio la mette in conto di 8t.Xctl.OCTU\IT), che essa riceve la &xa!.OUU\IT) di Dio. In tal modo Paolo ritorna, per concludere, sulla citazione scrittu­ ristica di 4 , 3 .9 , facendo cosi intendere che in realtà tutto lo svolgimento del capitolo altro non è che un midrash su Abra­ mo e sulla sua fede, un midrash agganciato a quella citazione e rivolto a spiegare la fede o, più precisamente, in rapporto a Dio (1tp6c;) 1• La lezione EXW­ IJ.EV è sicuramente meglio attestata di EXO!J.EV . Così leggono in­ fatti so� A B* G D K 3 3 8 r ecc . lat bo arm Mcion Tert Ambst Or1"t syP Chrys Thdt, inoltre vg Pelag , mentre hanno EXO(.WJ se B2 Ggr P 'l' o 2 2 o'·id 8 8 r o 4 al syh sah vgh rs Bas . Ephr . ecc . Eppure proprio qui abbiamo una dimostrazione che la critica testuale, nella cernita delle varianti, non può affidarsi soltanto ai dati della tradizione e che in defini tiva è tutto il contesto a decidere. E in questo caso, anche se nell 'originale si fosse trovato EXWIJ.EV perché l 'amanuense Terzo aveva udito male , il co.ntesto 2 esige, senz 'ombra di dubbio, una forma indica­ tiva e non esortativa 3. Qui infatti Paolo, come risulta anche da quel che segue, non ammonisce né pone richieste, bensì ri­ leva quel che è avvenuto a noi «giustificati per la fede» ed il nuovo stato di salvezza in cui ci troviamo . In fondo è poi que­ sto il tema di tutta la parte della lettera che va dal capitolo quarto all'ot tavo (cfr. subito dopo 5 , 2 ; 5 ,9 s . ) . Naturalmente anche il XCX.UXWIJ.Eita di 5 , 2 s . è indicativo e cosi pure xauxw1--iE VOI. di 5 ,I r . Vero è che nel primo caso non è possibile di­ stinguere, quanto alla forma, l 'indicativo dal congiuntivo, mentre nel secondo abbiamo un participio che sostituisce l 'in1.

Blass-Debr.

§

2 3 9,5.

3 · EXWJ.l.E\1 è l a lezione ammessa e altri .

e

2.

Foerster in ThWb

Il

4r4.

sostenuta d a Lagrange, Sanday.Headlam, Kuss

Rom. 5J

dicativo 4 • Ma , anche as traendo da queste considerazioni, E­ xnv nel senso di «acquis tare» , «O ttenere» , « acquisire �> non sarebbe paolino, mentre è paolina d pi)VT}\1 EXO!-lE\1 , come EÀ.EU­ ilEpia.v EXEtv di Gal. 2 ,4 , EÀ.1tioa EXE�\1 di Rom . 1 5 ,4 ecc . Questa pace che noi «abbiamo» in quanto giustificati per fede costituisce un tema ricorrente in Paolo . È la pace, la pace della salvezza (cfr. Is. 48 , r 8 ecc . ) , che viene dal «Dio della pace» (Rom. 1 5 , 3 3 ; r 6 , 2 o ; r Cor. 1 4 ,3 3 ; 2 Cor. 1 3 , I I ; an­ che I Tim. r ,2 ecc . ) , è la pace di cui ci «riempie)> il «Dio della pace>> (Rom. I 5 ' I 3 ), che il xvpLoc; '"L"f}t; ELPTJ'V1}c; ci dona ( 2 Thess. 3 , r 6) . Secondo Col. r , 2o ed Eph. 2 , 1 4 ss . è quella pace che Cristo, morendo sulla croce , ha fondato in cielo e in terra e che egli, > (Eph. 2 , 1 4 ) , in quanto glorificato an­ nunzia (Eph. 2 , 1 7 ; cfr. 6 , I 5 ) . È anche la pace alla quale ten­ de lo spirito (Rom. 8 ,6 ) e alla quale Dio nell'evangelo ci ha «chiamati�> (I Cor. 7 , 1 5 ) . In essa consiste tra l'altro la f3acn­ ldet 'tOU ilEou (Rom. I 4 , 1 7) , in essa vien serbata l'unità del corpo di Cristo, la chiesa , nell'unità dello spirito (Eph. 4 , 3 ) . È l a pace che l'Apostolo si augura che possa accompagnare ! ' « > , la chiesa (Gal. 6 , r 6 ; cfr . Eph. 6 ,2 3 ) , che possa regnare come pace di Cristo nei cuori (Col. 3 ,r 5 ); essa , in quanto pace inesauribile che supera ogni immaginazione, «custodirà i cuori in Gesù Cristo » (Phil. 4 , 7 ) , è la pace che noi dobbiamo sforzarci di ottenere (Rom. 1 4 , 1 9 ) . Nel nostro contesto si tratta in particolare della pace che, secondo 5 , I o , si è instaurata quando noi, «nemici d i Dio » , fummo riconci­ liati da lui con lui . È il regno della pace che Dio ha fatto spun­ tare. La «pace» non è quindi avwxa.ç '11UJ.(iç. 41 3 I ,I I : Eòcppcivlh}"tE ht xuptov il ayaÀ.À.tÌÌO'in, I>LXtlLOt, xat xavxiicri)E, 'ltaV't'Eç ot Eòltti:ç ""Ù xap5!�.

Rom, .5,2

Questo van to trova il suo compimento defini tivo nel tempo della salvezza escatologica , del quale è anzi uno dei contrasse­ gni (dr. Zach. 1 0 , 1 2 ; � 1 49 ,5 ; I Chr. 1 6 ,3 3 ss . ) . Anche qui, i n 5 , 2 , XCIUXWJJ.Etlcx. va inteso i n questo signifi­ cato fondamentale di profonda fiducia, a cui s'accompagna un '«edificazione» della vita che può talvolta prorompere in una giubilante sicurezza. Su che cosa poggi un tale xauxéicri}cx.r. e che cosa Io sorregga è detto con l'espressione È1t'ÈÀ.1tLOL "t'i) e la «giustizia>> sono tra loro col­ legate, anzi sono in definitiva la stessa realtà , considerata sot­ to aspetti diversi . La o6�a è la potenza divina e lo splendore della giustizia escatologica , la quale, in quanto «grazia>> regne­ rà per la vita eterna (Rom. 5 , 2 r ) . Riferendosi alla OLctXO'VLct "t'i)c; OLXIXLOO"UVl}c; dell'Apostolo, che è Ot.axovia 'tou 1tVEU(.lct­ 'toc;, Paolo in 2 Cor. 3 .9 può dire che essa m:pLO'O"EVEt. .. . o6çn . L'Apostolo distingue, anche nel concetto di o6�a, tra la «glo­ ria» presente e quella futura, tra la o6�a in cui già ci troviamo e quella che aspettiamo. Distingue, ma non separa. In effetti, quella in cui già ci troviamo non è altra o6ça da quella che ci attende. Noi ci troviamo nella o6�a anticipata. Il Gesù che le potenze del mondo hanno crocifisso è il xupt.oc; "ti)c; o6çl}c; ( I Cor. 2 , 8 ) . E la o6ça 'tOV XpLO''tOU risplende nell'evangelo (2 Cor. 4,4) . Attraverso l'evangelo noi siamo «chiamati» alla o6ça ( I Thess. 2 , 1 2 ) , la vediamo e, proprio in quanto la ve­ diamo nell 'evangelo, da o6ça a o6ça siamo trasformati nella o6ça celeste ( 2 Cor. 3 ' I 8 ) . Così Dio ci ha già posti nella o6ça (Rom. 8 ,3 0 ) . In quale ? Proprio in quella che «nel futuro si rivelerà su di noi» (Rom. 8 , I 8 ) , in quella della cui libertà go­ dono i figli di Dio (Rom. 8 ,2 I ) ' in quella o6ça alla quale tutro. Cfr. H. SchJiet, .Mt;a bei Paulus als heilrgeschichtlicher Begri/] : Stud. Paul. Congr. lntern . Cath. 1961 (AnBib q/r8) I, Roma 1963, 45-56.

Rom. 5,2.)

25 1

to anela e verso la quale si protende l'attesa del tutto (Rom. 8 , 1 7 ss . ) , nella o6ça che , secondo Col. 3 ,4 , apparirà con Cristo e sarà allora la nostra 1tEp!.7tO�l)cnç, il nostro possesso (2 TheSJ . 2 , 1 4 ) . Questa o6ça futura i giustificati per fede sin d'ora la posseggono e in pari tempo la sperano ; essi fanno così, di tutta la loro vita, un atto di speranza nello splendore ineffabile della gloria di Dio che già ora si dischiude con Cristo nell 'e­ vangelo e induce coloro che per la fede vengono giustificati ad un atteggiamento di « vanto>) , ossia di gratitudine e lode. Ecco dunque ciò che può risultare da 5 , 1 -2 : la iustificatio ex fide della nostra esistenza, la quale si decide nel battesimo e consiste nel nostro inserimento, mediante la fede, nella vi­ cenda della «giustizia di Dio>) in Gesù Cristo . Questa giustifi­ cazione della nostra esistenza da parte di Dio ci concede la pa­ ce con Dio, ci fa essere nella grazia di Dio e fa si che noi re­ chiamo a compimento questa grazia col nostro vanto nella spe­ ranza della gloria di Dio . Come si vede, in questi cinque mem­ bri delle proposizioni di 5 , 1 s. sono raccolti quasi tutti i con­ cetti fondamentali della teologia paolina : O!.Xa!.oGcri}aL (OL­ xa!.OCTtNl)) , ELp-i}vl) ( xa-raÀÀ.ay-1} ), xcipLç, o6ça, 7tLCT-rt.c; , ÈÀ7tL> (2 Cor. l , 9 ; 9 , 1 3 ; Phil. 2 ,2 2 ) ; in un caso desi­ gna quasi un « saggio» o una «Verifica» che rappresentano la «prova» di una realtà invisibile : 2 Cor. I 3 ,3 · In 2 Cor. 8 , 2 si parla di E.v 1tOÀ.À:fi ooxr.IJ.ii 1)lL\jJEwc;, di una «prova abbondan­ te data nella tribolazione» , che consiste poi nella gioia della semplice generosità. La pazienza che germina dalla speranza e che è manifestazione di speranza costituisce una solida verifi­ ca . Cosi essa si muove sulla via della speranza ; vale a dire , proprio perché la tntO!J.OVTJ sorge dalla speranza e mette alla prova colui che spera e pazien ta, da essa nasce continuamente una speranza nuova e più gagliarda . Ciò petò non avviene nel senso che dice il Kuss : « Da questa gioiosa certezza di aver dato una buona prova di sé nasce una nuova speranz a >) . In realtà Paolo non considera affatto i riflessi soggettivi della pro­ va superata e di certo non attribuisce ad essi, né in questo passo né altrove, la capacità di suscitare la speranza (nella glo­ ria di Dio ! ) neppure in un moto di orgoglio spirituale; del re­ sto egli rifugge sempre da riflessioni di natura psicologica . L 'Apostolo afferma con la massima chiarezza che la ooxr.(J.l) produce speranza, come come la \ntOIJ.OVTJ produce OOXLIJ.TJ e com e la i}li:\jJr.c; procura V1tOIJ.O'VTJ a chi spera. La prova a cui ci sottopone la V7tOIJ.OVTJ , figlia della 1))..1:\jJr.c;, conduce ad una nuova speranza . Ben si comprende quindi come coloro che so­ no giustificati per la fede possano anche «vantarsi» delle tri bo ­ lazioni e trarne anche l' «edificazione» della propria vi ta . GH è che esse corroborano il sorgere e il decl�nare della vita . 5 . E questa speranza, che non viene distrutta bensì ravvivata dalle tribolazioni, non ci porta alla delusione . Presa a sé , que­ sta affermazione suona come un aforisma sapienziale . Nell 'e­ di zione del Nestle la frase è stampata a mo' di citazione, ma in realtà essa contiene soltanto l 'eco di alcune espressioni dei salmi 1 7 • Xct't"(UO"XI.Jvnv in quanto tale significa «svergognare)> , I / . Così , ad

es . ,

in LXX

ojJ 2 r , )

si legge :

5

È1t� o-o� i]ì..mO"IX\1 o� 1tiX"tÉpEc; 1\f.Lwv, i]ì.ma-a\1, xo:t Éppv11w IX•hovç·

Rom. 5,5

257

o, al passivo, «essere svergognato», oppure anche «vergognar­ si» , per es. I Cor. 1 ,2 7 ; u ,2 2 ; 2 Cor. 7 , r 4 ; 9 .4 · Può avere altresì il senso di «disonorare» (I Cor. r r .4 s.), «portare alla vergogna» , «confondere» e, al passivo, «essere portato all'i­ gnominia)> , «essere confusO>> , come nel nos tro passo e in Rom . 9 , 3 3 ; r o , r r (citazione) ; 2 Cor. 1 0,8 (verbo semplice come in Phil. r ,20) 18. Si può leggere XIX"t'CUCTXUVEr. o Xll"t'!lLCTXVVE�, ma il riferimento va comunque al giudizio. Se coloro che sono giu­ stificati per fede hanno speranza nella o6ça di Dio, questa o61;a non li delude, non li porta alla vergogna . La o61;a fa sl che colui che spera non resti confuso, ossia (si potrebbe spe­ cificare con un'immagine apocalittica) che non si trovi a non avere alcuna parrhesia di fronte a Dio, a non potere né levare gli occhi davanti a lui, né parlare con lui . Ma perché la speranza nella quale ci troviamo e che addi­ rittura le tribolazioni stesse, attraverso la perseveranza e la prova, contribuiscono a render più gagliarda· e profonda, per­ ché questa speranza non inganna , non porta all'ignominia ? La risposta che ci attenderemmo sarebbe: perché questa speran­ za viene adempiuta, perché trova compimento, perché, se vo­ gliamo dirla con I Cor. I J , I J , « rimane» ciò che è. Invece qui la risposta è formulata in maniera più diffusa e, per cosl dire, più indiretta, già in vista del pensiero che sarà svolto subito dopo : quello cioè del sacrificio incomparabile di Gesù Cristo. Al v. 5b la motivazione suona anzitutto cosi : «Perché l 'amore di Dio si è riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito san-

o in LXX

6 1tpòç a-È ÈxÉxpal;cx,v xaì. �a-wih]crav �1tì. croì. ij}.mcrav X!IL oò XIX"\'TJClìCVV­ i}Ea-av, .3 xaL yà:p 'lt6.v-.Eç oi. v'lto!J,Évov't'tç erE oò [.I.'Ì) xa.-.a.Laxvvilwcrw, -r;fiv-tEç oi. dVO[.I.OUV­ 'tE>, «spiegare», « mettere in evidenza » , > ' come in 5 , I 4 . I 7 ; 7.5 ; I Co r. I 5 ,2 I . 2 2 . 2 6 (cfr . 24 ! ) ; r Cor. I 5 ,5 4bf; 2 Cor. 4 , I 2 , ma soprattut­ to in I Cor. 3 ,2 2 ; Rom. 8 ,3 8 s . ; della morte come potenza co­ smica. E questo regime della morte non si concreta soltanto nelle varie forme di distruzione fisica, psichica e spirituale, in­ somma nei fenomeni terreni di morte e di dissolvimento ; al contrario ò itciwnoc; in quanto tale è l 'estrinsecazione e la di­ mostrazione del giudizio annichilatore di Dio ( Xcx.""t'cixp�JJ.a) menzionato in 5 , I 6- I 8 ( cfr. xpiJJ.cx., Rom. 2 , 2 ), la manifestazio­ ne della òp-'(D di Dio (cfr. Rom. 2 ,5 . 8 ; .3 ,5 ; 5 ,9 ; Eph. 5 ,6 ; Col. 3 ,6 ; I Thess. I , I o ; 5 ,9 ) . È il itcivcx.-.oc; inteso come à1twÀ.wx. e ci"ItoÀ.À.uo-i)aL {cfr . Rom . 9 ,2 2 � Phil . I ,2 8 ; 3 , 1 9 ; Rom. 2 , 1 2 ; I Cor. I , I 8 ; 8 , I I ; I 5 , I 8 ; 2 Cor. 2 , I 5 ; 4 ,9 ) , come la rovina e la di�truzione per antonomasia che promanano dali 'ira di Dio. Poiché in dipendenza da Adamo ogni uomo pecca , ogni uomo deve anche morire ; ma poiché la morte è un effetto del­ l 'ira di Dio, essa viene a cessare quando non ha più corso l'ira di Dio . Quindi la morte a cui tutti siamo sottoposti è in parte un retaggio di Adamo e in parte colpa nostra , in quanto cioè , col modo nostro di agire , provochiamo l 'ira di Dio. Non è que­ sto l 'unico testo in cui Paolo istituisce una connessione molto. stretta fra peccato e morte. Non solo il peccato reca con sé la morte come sua punizione (Rom. 1 ,3 2 ) o ricompensa (ò�w­ 'VLcx., R om . 6 ,2 3 ) , ma anche la «carne» dominata dal peccato anela, aspira ( cppovEi:, « medita>> , «pensa» } alla morte (Rom. 8 , 6 ) , ha una brama perversa di morte. La morte è il ""t'ÉÀ.oc; del peccato ( Rom. 6 , 2 I ), è ciò a cui esso tende. Il peccato fa il gio­ co della morte (Rom. 7 , 5 ) . Esso stimola la morte a guisa di ·

276

Rom. 5,r2

XÉV't'pov (I Cor. I 5 , 5 6 ) . Il peccato - e questa è forse la formu­ lazione più comprensiva e pregnante - «regna nella morte» (Rom. 5 ,2 1 ). In altre parole : la morte è la forma e il modo in cui il peccato esercita il suo dominio. Il regime del peccato, che attira sull'umanità il regime della morte, esercita di fatto il suo potere appunto in questo regime di morte. Per i morti, col pri­ mo viene a cessare anche il secondo. Ma se la morte (insieme col peccato) è penetrata nel mondo, ciò vuol dire che essa ha raggiunto tutti gli uomini : xcd o\hw� E�c; 1tav•a� à:vi}pw7tovç ò i}fiva."t"o� OLT}Ài}Ev . OLÉPXEcri}a.t. significa «giungere a», > ( = tutti ) . La grazia è quin­ di una reazione immensamente più vasta del suo contrario. Ma ciò significa in sos tanza che «la grazia si trovava di fronte ad un compito infinitamente più difficile nel rispetto compara­ tivo . . » . Il v . 1 6b vuole «porre in evidenza , nel suo comples­ so, la potenza incomparabilmente superiore che l 'evento di grazia dispiega fin dall'inizio della sua azione salvifica . » (Brandenburger, Adam und Christus, p. 2 2 6 ) . &xrxiw(J.a, in­ teso come il traguardo a cui è approdato, movendo dalle mol­ te trasgressioni, il xap�ocr!J.a di Dio , il suo agire come xapt.c; in Gesù Cristo , va probabilmente inteso alla stregua della OL­ xa.!wcr�oc; swi]c; del v. r 8 (del resto D* L* vg portano anche qui l'integrazione swi)c; ). È quindi evidente che il vocabolo -

.

. .

22. Cfr. Schlatter, Michel, Barrett, Kuss, Ridderhos, Kasemann.

Rom _5,r!l. r 7

designa quella giustificazione escatologica la quale sin d 'ora è accessibile in anticipo a chi ha fede e proprio da chi ha fede vien colta (dr. Rom. 5 , 1 ) . Ecco dunque in che consiste non solo la superiorità, ma anche l'impareggiabilità dell'altro > , ) del itcx.pci'lt"tW(J.CX. (di Adamo) è uno svolgimento ed una dif­ fusione di quel fallo nei singoli 'ltCX.pCX.'It"tW(J.CX."tCX. della proge­ nie di Adamo. Al v. 2 0b anziché di un « mol t iplicars i » del 'lta.36. Diversamente intendono Zahn, Kiisemann.

37·

Strack-Billerbeck

I

245

ss.

Rom. J,20. 2 I

pan't'WIJ.CI si parla poi di un nÀ.eova�Er.v dell'èt iJ.ctp• {a . In che modo ciò avvenga per effetto del 'VOIJ..O c; sarà spiegato in 7 ,7

ss. Eppure quale conseguenza ebbe mai il nÀ.EO'Va�fW del na­ pan't'WIJ.ct, del fallo : ùnepnép�CICJEUCJE'V i) x a pL c; . In proposito è significativo: I . che ancora una volta si parli di un nEpLO'· CTEUELV della xaptc; e non, poniamo, del n À.Eova�E W (si pensi a U7tEpE7tÀ.E6vctcrE'V di I Tim. I , 1 4 ) e 2 . che il verbo semplice 1tE­ ptCICJEUEW non basti e, come in 2 Cor. 7 ,4, si parli di un unEp7tEp!.O"O"Eunv . Là dove, per effetto della legge, ha pigliato svi­ luppo e forza il regno del peccato, ivi la grazia ha sovrabbon­ dato eccedendo ogni misura 38 • In defìnhiva la legge ha solo in apparenza dispiegato la sua efficacia . La grazia ha ragione an­ che del peccato diffuso per effetto della legge. Qual era dun­ que nell'intenzione di Dio l'ufficio transitorio assegnato al­ Ia legge ? Il v . 2 r risponde a questa domanda, e così facendo ricapi­ tola ancora una volta in maniera conclusiva la nuova situazio­ ne di Cristo succeduta a quella di Adamo. Per questo motivo si trova ora (anche come variatio dell'ov OÉ del v . 2 ob) l'w0"1tEp-oihwc; nell'àmbito della seconda frase finale e consecu­ tiva (Kasemann ) . Il v . 2 r a porta, per dir cosi, a un minimo comun denominatore 5 , ua-c; 5 , I 4 . r 5 a . I 6b . r 7a . r 8a. Il regi­ me del peccato, che si concreta e si manifesta nei singoli atti peccaminosi, ha esercitato il suo potere Év •0 D-ava·� ( = otà 't'OU �ava• ov, cfr. Ol.à OLxatoO"U'Vl)c; in 2 1 b). La morte, intesa quale regime o potenza della morte, è lo strumento mediante il quale domina la potenza del peccato, o anche il modo in cui essa domina 39• Ma questa, vista alla luce della svolta degli eoni, è la situazione passata dell'umanità. Ora è venuta la gra­ zia sovrabbondante che ha sopraffatto il peccato e la morte. Questa grazia regna e, come viene poi specificato, regna : r . Ot.à. Ot.Xa.Loo-U\Il)c; , attraverso la OLXctt.OO"U'Vl) �Eou, apparsa ora e 21.

38. Cfr . .ruperabundan.r in 4 E.rdr. 4,.5o; Hauck in ThWb VI 59 · 39· Liet.tmann, Kuss, Barrett, MicheJ ; Brandenburger, Adam e altri; secondo il Kasemann tv -rcf! l)mvli-r� «indica la sfera, l'àmbito•. Ma che vuoi dire?

Rom. J,:J0·2I

303

attuatasi in Gesù Cristo, la «giustizia» della fedeltà di Dio al

patto, la quale tutti comprende nella «giustizia» della sua gra­ zia (cfr. 3,21 s.; 5 ,I 7). La > azione di Dio, che in Gesù Cristo dichiara giusto e rende giusto il credente e che ha di­ schiuso la Ot.xaLwcr�c; come nostro futuro, è il modo in cui la grazia esercita il suo potere; 2. essa regna ora otà. otX('ILOcruvl)c; E�c; �w-Trv a�wvtov, percorrendo cioè la strada dell a giustizia giustificante di Dio verso la meta della vita eterna che ora si apre èome traguardo e come realtà avvenire. La signoria del peccato ha anch'essa un traguardo e un futuro, che non è pro­ priamente un futuro, bensì un tramonto: la morte . Il regime della giustizia per grazia, instaurata ora da Gesù Cristo, mette capo invece alla �wi] cx.twv�oc;; 3. in una nuova chiusa solenne (otà 'IT}crou Xptcr'"t'ou '"t'Ou xvpl.ov TJ!J.Wv) il regno della grazia viene ancora una volta qualificato con riferimento alla sua realtà centrale. Nel contesto abbiamo già colto questi elemen­ ti: a) la grazia ci è stata già data e consiste «nell'unico uo­ mo Gesù Cristo» ( 5, I 5); b) attraverso il o�xcx.l.w!J.Cl di lui si è giunti alla Otxa.l.wcrtc;, e quindi alla �w1) (5,I8), e per la sua u1taxo1) tutti divengono giusti (5 , I 9 ) ; c) coloro che ricevono il dono della giustizia regneranno nella vita attraverso l'unico Gesù Cristo (in quanto egli agisce come Glorificato o nella sua parusia) ; d) così anche oggi attraverso la giustizia (di Dio) re­ gna la grazia per la vita eterna in virtù di Gesù Cristo glorifi­ cato, è l'aver «com­ battuto con grandi fatiche per vincere le cattive immagina­ zioni formatesi con loro, affinché non li trascinassero dalla vi­ ta alla morte» (7 ,92). Sulla medesima linea di 4 Esdr. e vit. Ad. si muove la cosiddetta Apocalisse siriaca di Baruch. An­ che secondo questa, le conseguenze del peccato di Adamo so­ no la morte e i travagli della vita. «Giacché, quando Adamo peccò e fu decretata la morte per tutti i nascituri da lui...» ( 23 , 4). Oppure: «Giacché, a causa del suo peccato, la morte entrò nel mondo arrivando prima del tempo e fu conosciuto per no­ me il dolore, preparata l'affiizione, creata la sofferenza, e la fatica fu compiuta e l'orgoglio cominciò ad imporsi» (56,6). Particolarmente chiaro è 4 8,42 s.: «Allora io risposi e dis­ si: 'O Adamo, che hai tu fatto a coloro che san nati da te? E che cosa si dirà alla prima Eva che diede retta al serpente, sicché per colpa sua tutta questa moltitudine soccombe alla perdizione ed innumerevoli sono quelli che il fuoco divora?'». Il peccato di Adamo ed Eva ha come conseguenza la miseria e la morte degli uomini. Ma in quale senso? Nel senso che do­ po quel principio la gran massa degli uomini ha peccato. Ciò

Adamo secondo Paolo

3I5

viene risolutamente affermato proprio in questa Apocalisse s i­ riaca di Baruch, per es. 5 4, I 5 : « Giacçhé, se il primo Adamo ha peccato e ha portato la morte prematura s u tutti quelli che ancora non erano, tuttavia di quelli che sono nati da lui cia­ scuno ha preparato alla propria anima i supplizi futuri e cia­ scuno a sua volta ha scelto la gloria futura». 5 4,I9: «Adamo dunque è stato causa per sé soltanto; ma in quanto a noi tutti , ciascuno è per se stesso Adamo» (cfr. anche r8 , I s . ; I9 ,I ss .; JI,Ij ss. e passim). Volendo ancora una volta riassumere, da questo e da altri passi risulta: I. che nel giudais mo apocalitti­ co era generale la convinzione che i discendenti di Adamo so­ no in prevalenza peccatori. Si ammette però l'eccezione rap­ presentata da pochi individui. Dagli stessi testi risulta inolt re: 2. che si parla di un rapporto di causalità che intercorre tra il fallo di Adamo (e di Eva) ed i malanni e la morte (precoce} dei suoi discendenti. Talvolta si dice pure (vit. Ad. o apoc. Mos.) che Eva ha reso peccatrice la sua progenie, ma non si chiarisce in che modo. 3. Un punto di riferimento centrale e normativo s embra essere l'idea che in ogni uomo si trovi , per cosl dire, il cuore di Adamo e di Eva nel quale è congenito il possente je�er hiira', che quasi sempre ha la meglio nella lotta con la legge (cfr., ad es., 4 Esdr. 3,21). 4· Con quest'idea ben s'accorda il forte rilievo in cui vengon poste, accanto al retag­ gio infausto di Adamo ed Eva , la necessità, la possibilità ed anche l'effettiva realtà della libera decisione individuale . Negli scritti rabbinici dei primi tre secoli d.C. vi sono trac­ ce di una concezione secondo la quale Abramo col suo fallo perdette la somiglianza con Dio non soltanto per sé, ma anche per la sua discendenza. Il suo splendore luminoso (o6�cx.), ri­ flesso della o61;a. di Dio, dopo il suo peccato , da Dio gli fu tolto. Sul Sinai quello splendore venne ridato agli Israeliti, ma fu passeggero per via del peccato commesso col vitello d'oro. Soltanto nell'età messianica esso ritornerà in maniera duratu­ ra. Allora i giusti risplenderanno come le stelle 2• Si può ricor­ dare anche Jeb. I o 3b ; A.Z. 22h; Shab. I4 6a . «Cosl disse R. 2.

Strack-Billerbeck

IV

887.

Ex�mrsus

Johanan: 'Quando il serpente si accostò ad Eva le arrecò una contaminazione (o un'impurità: lo�ama'). Gli I sraeliti, che stavano sul monte Sinai, perdettero quella macchia; i pagani, che non stavano sul monte, mantennero la contaminazione'». Va detto però che qui la «contaminazione» ha un significato specifico: si tratta dell'inclinazione lussuriosa contro natura . Va anche detto che affermazioni del genere sono del tutto mar­ ginali. Quasi sempre i rabbini accettano l'idea del je�er hara' congenito che per principio dev 'essere sconfitto in virtù della torà data da Jahvé appunto a questo scopo. «Se vuoi, puoi (s'intende se poni mente alla torà) dominarlo (scil. il je�er hii­ ra' )» (S. Deut. 4 5 a n,r8)3• Adamo (o Eva) furono soltanto i primi peccatori. B) Nel nostro testo (Rom. 5,1 ss.) il discorso non verte più soltanto sul peccato e sulla morte, che attraverso Adamo sono entrati nel mondo, bensì anche sull'Adamo che è tipo di èolui che deve venire, in quanto al «primo Adamo}> si contrappone l'«unico uomo Gesù Cristo» . Più chiara, come abbiamo visto, risulta questa contrapposizione del primo e dell'ultimo Ada­ mo in I Cor. I 5 ,2o ss . 4 5 ss . Si posson trovare anche per que­ sta concezione addentellati giudaici? Se si pon mente ai testi rabbinici e apocalittici, o anche agli scritti sapienziali, la ri­ sposta non può essere che del tutto negativa . In tutti questi scritti non si trova neppure, in riferimento al solo Adamo, l'i­ dea (implicita invece nella contrapposizione paolina dei due Adami) di un Adamo che racchiude in sé la sua discendenza e la rende partecipe del suo destino. Non basta, a questo pro­ posito, rifarsi alla concezione di un capostipite che determina l'inclinazione al bene o al male dei suoi discendenti, alla dot­ trina cioè della corporate personality4. Persino in un enuncia­ to dal senso così ampio come Iub. 22,20 s. («Tutta la sua pro­ genie sarà sradicata dalla terra. Infatti, a causa della prevari­ cazione di Cham, Canaan ha peccato e tutta la sua progenie sa­ rà cancellata dalla faccia della terra e nessuno dei suoi discen­ denti si salverà per il giorno del giudiziO>>) non v'è propria3·

Strack-Billerbeck

III

130.



Cfr. Kiisemann

134.

Adamo secot�do Paofo

3 17

mente l'idea di una discendenza presente nel capostipite; il senso è piuttosto che «i discendenti agiscono come il caposti­ pite e vanno incontro al suo stesso destino». Anche Hebr. 7,9 non fa al caso nostro; si badi al «per così dire» e si consideri che il testo allude ad un solo discendente. Neppure si può rav­ visare un parallelo della dottrina di Paolo nella concezione rabbinica di Adamo quale guf («contenitore»). È questa una concezione sorta ed attestata in età relativamente tarda e d'al­ tra parte essa riguarda, e per giunta soltanto in pochi testi, a) la «presenza» delle anime nel corpo di Adamo; b) questa presenza si riferisce ad un'epoca remota, all'epoca delle origi­ ni; c) non si dice mai che le anime, per il loro essere in Adamo, siano da lui segnate nelle proprie inclinazioni. Eppure gli enunciati paolini su Adamo hanno un loro sfon­ do e un loro addentellato, anche se difficile da cogliere, ma in tutt'altro àmbito. È un àmbito che prende a delinearsi non appena si consideri che, nel cap. r 5 della r Cor., Paolo si vol· ge manifestamente contro una particolare concezione di Ada­ mo sostenuta dagli entusiasti di Corinto. Era una concezione che distingueva un Adamo celeste da un Adamo terrestre, di­ sposti appunto in quest'ordine di successione. L'Adamo terre­ stre viene chiamato, sulle orme di Gen. 2,7, �u xi) swcra, o �UXLXO\i, ma non nel senso inteso dal Genesi, di > e si afferma che il regi­ me o la potenza del peccato ha fatto il suo ingresso nel mon­ do attraverso Adamo, ciò significa che l'esistenza adamitica non è semplicemente una fatalità di morte , intesa come il de­ stino di un essere celeste decaduto, bensì è una decisione per­ sonale sia dell'uomo dal quale io provengo, sia anche di me stesso. Si tratta allora di un 'adesione radicalmente egoistica alla mia origine, di un'adesione che questa origine mi ha, sì imposto, ma pur sempre per via di proposta. Per gli uomini di tutti i tempi l'esistenza è una fatalità determinata da altre fatalità. Per il cristiano essa è il continuo rinnovamento del peccato già avvenuto e una sempre nuova accettazione di quel regime del peccato che si è instaurato con l'uomo. 4· Ma la patetica figura gnostica dell'uomo celeste decaduto che ha no­ stalgia di se stesso e (mediante la gnosi) ritorna a se stesso, vien meno soprattutto perché, secondo Paolo, l'Adamo terre­ stre, oltre ad essere il primo, non è identico al secondo, all'A­ damo celeste . Questi è Gesù Cristo, ossia non è sempre lo stesso uomo visto soltanto in un altro modo di essere. L'Ada­ mo celeste è una figura affatto diversa, anche se vien chiamato «l'uomo Gesù Cristo » . Egli è l 't:crxcx:toc; 'AOa!J., nel quale Dio ha manifestato la sua giustizia, vale a dire la sua grazia, della quale diviene partecipe chi, nella fede, accetta quest'evento salvifico . E così Paolo strappa agli Gnostici anche l'idea della salvezza intesa quale conversione e ritorno dell'uomo a se stes­ so (mediante un 'illuminazione sulla propria natura) . Per l'A­ postolo la salvezza si ottiene abbandonandosi all'Adamo se­ condo e ultimo, diverso dal primo e donatore di vita.

320

Excursus

Possiamo così riassumere : r . Adamo , stando a Rom . 5,1 2 ss .; r Cor. 15,2Is .; rCor. 1 5 ,44b-49 , è > ; 2 . ma da ciò trae una conclusione : noi, in quanto morti al peccato, non possiamo più «vivere in esso» e quindi «rimanere in esso». Si badi come la frase relativa che contiene la motivazione dell'enfatico (-L'i) yÉvo�-.o venga anticipata con forte rilievo: o�,;LVEç (quippe qui giustificativo) , per far subito risaltare l 'evento sconvolgente e l'assurdità dell 'obiezione . La domanda posta dagli avversari · è non solo maligna , ma anche insensata. Essa infatti non considera e non comprende chi sia­ mo « noi» in quanto cristiani, o, per essere più precisi, non considera e non comprende che la nostra esistenza attuale si distingue dall'esistenza precristiana come la vita dalla morte . La nostra è un 'esistenza che si muove non più nella dimensio­ ne della potenza del peccato, bensl in tutt'altra . Per il peccato, nei confronti del peccato e della sua morsa possente, noi sia­ mo dei «morti» . E dei morti come potrebbero vivere nel pec­ cato? Dove potrebbero rimanere i morti, se non nella morte ? Ma quando ed in che modo è avvenuto che noi morissimo al peccato? A questa domanda Paolo risponde nelle proposizio­ ni seguenti. J . Anzitutto al v . 3 · Anche altrove, per esempio 7 , 1 , Paolo si appella al «sapere>> dei cristiani di Roma, naturalmente al loro scire per fidem: in questo caso si tratta di sapere che il nostro morire al peccato è avvenuto nel battesimo. È però difficile s tabilire se quest'appello, di tono retorico, a ciò che i lettori sanno (appello che Paolo rivolge anche con altre formulazioni, ad es . oùx oioa.-rE Rom. 6 , r 6 ; r r ,2 ; I Cor. 3 , r 6 ; 5 ,6 ; 6,2 .3 . 9 · 1 5 . r 6 . r 9 ; 9 , I J .24) presupponga e �ttivamente certe cono­ scenze oppure abbia soltanto un sigmc'ato più o meno pedago­ gico, quello di esortare gli uditori al sapere . Ad ogni modo, ciò che conta è questo : oo-o1. ( = 'l'ta'V't"Eç, oL. . . ) 4 È�t:x.'l't't"tcrl}l}-



4 · Blass-Debr.

S 304.

Rom. 6,3

325

�E'V E Le; Xpt.cr-ròv 'I T)Cf'Oùv, dc; -.òv ll"civa.-.ov a.ù-.ou É�a.n-.lcrDT}­ �Ev. II verbo �a.'1t"'tt�El.V qui, come in altri passi degli scritti paolini , è già termine tecnico per designare l 'amministrazio­ ne del battesimo (cfr. I Cor. r , r 3 . 1 4 . 1 7 ; r o,2 ; 1 2 , 1 3 ; 1 5 , 2 9 ; Gal. 3 ,2 7 ) , in rispondenza all'uso generale del vocabolo nella chiesa primitiva. Sembra da escludere che, proprio rivol­ gendosi a una comunità non sua, l 'Apostolo volesse dare al verbo il significato originario di «immergere» 5• Si dovrà allora tradurre �a.it"'t��ELV EL'll(J.E'V in luogo di cruva'ltEl)livo(J.E\1 , o forse nep­ pure l 'avrebbe aggiunto all'« essere battezzati nella morte di Cristo» , se non avesse avuto presente l'hlicp11 della professio­ ne comunitaria di fede (dr. r Cor. 1 5 , 3 s . ; Col. 2 , 1 2 } . Ma an­ cora una volta vien ripetuto che noi siamo sepolti (con Cristo) &à -tou �ll.'lt't"�CT(J.Il."COC:, Ei.c:, 't"Ò'V i)liva""tov, parole che vanno considerate come un nesso unico 9• Certo sarebbe stato più corretto dire, come osserva il Kuss , Ot.à. -cou �ll.'lt't"�CT(J.Il."'t'OC:, "'t'ou dc; -ròv 1)6:va't"O'V aù-c ou . Ma una correttezza del genere non 8. E. Stommel, op. cit.

9· Blass-Debr. §§

I

7,

II



rq. Kiihl, H.W. Schmidt, Kiisemann; cosl anche R. Schnackenburg, Dar Heilsgeschehen bei der Taufe 30. D'altro av­ viso sono G. Bornkamm, Taufe und neues Leben bei Paulus, in Das Ende dr?r Gesetzer

( 19)1.)

269.27 2. K. Radermacher

J4·jO, 38

n.

6;

Kuss,

Tauflehre

r 24

n.



Rom.

6,4

sempre si trova neppure nel greco classico. Inoltre B6.7t"tt.CTIJ.a. deverbale nomen actionis ammette anche un simile nesso sen­ za articolo. Il battesimo, che ci associa alla morte di Cristo e ci fa morire con Cristo, ci unisce con lui anche nella tomba . Ora però interviene il pensiero fondamentale di tutto il contes to . Il battesimo, che ci consegna alla morte e alla tomba di Cristo e quindi ci fa partecipi della sorte di lui, non ha solo questo aspetto. Esso ha anche un altro fìne e un altro effetto , voluti da Dio, per i quali è impossibile la permanenza nel pec­ cato (per aumentare la grazia) : si tratta del nostro comporta­ mento Év xa.t.\IO"tl}"tt. �wiic; che corrisponde alla resurrezione di Cristo ( v . 4b) . L'tva. ha valore fìnale. La frase finale si arti­ cola ancora una volta sulla correlazione W0'1tEp-o\hwc;. In tal modo non vengono contrapposti tra loro due avvenimenti, bensi da un lato la resurrezione di Gesù Cristo dai morti , dal­ l 'altro ciò che Dio col ba ttesimo persegue ed esige ; la nuova vita del cristiano , cioè del battezzato. La frase introdotta da W0'7tEp concerne la resurrezione di Cris to dai morti. Sullo sfon­ do è sempre più riconoscibile una formula di professione di fede : a7tÉi}a.\IEV - È"tnq>T} - i}yÉ"Pll'Tl . Da Rom. 8 , 34 e 2 Cor. 5 . 1 5 (cfr. I Thess. 4 , 1 4 , con ti.vÉO""til ) risulta che tale formula esisteva anche in versione bimembre. Qui Paolo in aggiunta all 'i}ytpi}T} precisa il modo in cui la resurrezione è avvenuta : ot.à "t'ii> e la «poten­ za)) sono la stessa cosa . Questo , dunque , è avvenuto col Cristo morto e sepolto . Ma che è avvenuto di noi, battezzati e quindi morti e sepolti con lui ? Siamo stati resuscitati con lui ? Sì e no. Se l 'Apostolo avesse inteso dire che con lui siamo resu­ scitati, la frase con o\hwc; dovrebbe suonare precisamen te : o\hwç xat "hi-LEtç O'UVT}yÉpllT)!J.E\1 o sim . ; dovrebbe avere in­ somma una formulazione analoga a quella di Col. 2, 1 2 e 3 , 1 . 3 (dr . Eph. 2,5 s . ) . Ma cosl non è , e alla fìne abbiamo alcune

Ram. 6,4

considerazioni che si riferiscono al nostro 7tEpL7tCX."t'EL\I e che, presentandosi come integrazione della frase introdotta da t\ICX. col congiuntivo aoristo ( = presente) , acquistano un larvato senso imperativo. 7tEPL7tCX."t'EL\I in senso metaforico si trova an­ che i n Epict ., diss. I ,I 8 ,2 0 e in LXX 4 Bau. 20,3 ; Prov. 8 ,2 o ; Eccl . I I , 9 ; nel N .T. è vocabolo usato solo d a Paolo, per indi­ care la condotta di vita, il «camminare» in senso figurato (cfr. Rom. 8 ,4 ; 1 3 ,1 3 ; J 4, I 5 ; I Cor. 3 ,3 e passim) . Paolo dunque vuoi dire che nel battesimo sia mo morti e sepolti con Cristo, non propriamente perché anche noi fossimo con lui risusci­ tati, bensì perché potessimo condurre la nostra vita in modo retto e conforme alla resurrezione di lui . Ma allora non si par­ la affatto della nostra resurrezione dai morti ? Al contrario! Essa è implicita nella frase finale con t\la ed è poi espressa nel­ la formula Èv xawo"t'T)"t"L �wf}c; . Solo sul presupposto della no­ stra resurrezione è possibile e doveroso un siffatto 7tEpL7tCX.­ "t'E�V. E questa «novi tà di vita» è prodotta dal battesimo e fon­ data nella resurrezione di Gesù Cristo. È la xaw6•11c; 7t\IEV­ IJ.Cl"t'Oc; (Rom. 7 ,6 ), il nuovo modo di essere creato dallo Spi­ rito appunto nel battesimo, la sfera nella quale viviamo e nel­ la quale perciò dobbiamo anche vivere . Nel battesimo, per vir­ tù dello Spirito, siamo Èv XpLO""t'� e qùindi xawi) X"t'i.O"Lc; ( 2 C or. 5 , 1 7 ; Gal. 6 , I 5 ), «nuova creatura » , dove non si deve tra­ scurare il senso escatologico di xaw6c; e xat.'VO"t'l) con riguardo alla nostra origine e al nostro passato adamitici , (v. 8 ) e cru�l}croiJ.EV aÙ"t'{i:> (v. 8 ) . Nel battesimo il nostro ti1to:l; : una volta per tutte 19• La sua morte fu un even­ to unico, straordinario, definitivo, che, come tale, non può es­ sere ripe tu to ma può essere ripetutamente rappresentato . L'A­ postolo però non fa parola di quest'ultima possibilità , anche se , come dimostra r Cor. I I ,26, essa entrava nel suo orizzon­ te. Nell' «azione>> cultuale proprio quest'evento unico ed irri­ petibile della morte di Cristo viene «proclamato » , ossia vien reso presente in tutta la pienezza delle sue legittime richies te. L '«esser morto una volta per tutte>> ha messo capo - attraver­ so la resurrezione dai morti - allo �iiv , e precisamente ad un «vivere» che sempre , ed ora più che mai , è uno �i}v 1:il} DE� , un vivere per Dio e, in quanto tale, anche un «vivere» per noi . 8 OÈ sn equivale ad un "t'Ì1V sw1Jv . ftv �ii- Il dativo "t� 1h:@ è un dativus commodi. Esso esprime il docile orientamento a Dio e la pronta dedizione a lui, ossia quell 'atteggiamento di Cristo che contiene in sé un'eternità d 'amore per noi e di in­ terve "'to a nostro favore (Rom. 8 , 3 4 ).

.

l

1 1 . M� che cosa risulta da tutto ciò per i cristiani ai quali è

rivolto il discorso ? Secondo l'Apostolo ne risulta un partico­ lare giudizio , che i fedeli pronunziano su se stessi, una deter­ minata convinzione che essi acquisiscono riguardo a sé, un 'au­ tocomprensione che essi devono fare propria. Per questo Ào­

YLSEcrDa�o cfr . Rom. J ,2 8 ; 8 , I 8 ; r Cor. 4 , I ; 2 Cor. 3 , 5 ; I I ,5 ; Phil. J , I e passim . Esso non significa ( bisogna dirlo a scanso di fraintendimenti) . Nella riflessione del ÀoyL�EcrDaL si appalesa ai credenti una realtà di cui essi non erano dianzi consapevoli , ossia la realtà del loro essere « morti per il peccato, ma vivi per Dio in Gesù Cristo » . A que­ sto punto l 'esser morti con Cristo nel battesimo vien designa­ to, con riferimento ai suoi effetti, come un vExpòc; dvaL "tTI à�J.ap"tL� . E se di Cristo si è detto che "tfl a!J.ap"tL� a1tÉi}avEv ( v . r o ) , proprio per questo dei cristiani, dei ba ttezza ti,' si può 19. Stahlin in ThWb

1

382

s.

Rom. 6, 1 1

affermare: VExpoi d.aw 't TI Ù!J.CtP't�Q.. E del resto anche di loro si era detto : CL1tEi}rivo!J.EV 'tTI Ù!J.Ctp't�Q. ( v . 2 ; cfr. 6 , 6 . 7 ) . L'es­ ser morti al peccato ha come suo corrispettivo (giacché ancora una volta all 'enunciato negativo si contrappone il positivo) lo �wvnc; (Elvat) 'ti;! i}Et;l Èv Xptcr'ti;l 'IT} crov. Una cosa dunque risulta chiara : l 'Èv xatvo'tT}"t't Z:,wiic; '7tEPt'7tCt'tE'i:v, che si fonda sulla possibilità di esser partecipi in avvenire della resurre­ zione di Gesù Cristo (v. 5 ) o su un futuro «vivere con lui >) (v. 8), proprio per questo può esser definito un «vivere per Dio» già nel presente. Il vivere insieme con Cristo ( v . 8) è una pos­ sibilità che si apre ai cristiani con la loro rinascita battesimale. Essi quindi non solo possono, ma devono vivere per Dio (e non più per se stessi ) . Attingendo a quel futuro che si è loro dischiuso, essi già nel presente vivono per Dio, e in questo senso devono comprendere se stessi . L'esistenza umana è sem­ pre caratterizza ta e qualificata dal suo futuro. Questo può coincidere col passato adamitico a cui l 'uomo si attacca , e così avviene per i non battezzati . Ma quando si è stati battezzati e incorporati in Gesù Cristo, il futuro si chiama Dio. L'uomo al­ lora nel modo suo di agire e di pensare , nel suo '7tE.pt'7ta'tE'i:v e cppovE'i:v , palesa la direzione in cui vive: o vive in direzione di un futuro che in realtà non è tale, ma è solo un passato a­ pertosi con Adamo e quindi necessariamente limitato all'am­ bito di questo mondo e dell 'esistenza finita , oppure vive in di­ rezione di un altro futuro; vive cioè del futuro di Gesù Crì­ sto al quale il battesimo lo ha destinato e che rimane aperto nella fede . E il vivere in direzione di questo futuro , che non è nostro, significa sWV'tE> già nel presente. II vivere insieme con Cristo (v. 8 ) è una pos­ sibilità che si apre ai cristiani con la loro rinascita battesimale. Essi quindi non solo possono, ma devono vivere per Dio (e non più per se stessi ) . Attingendo a quel futuro che si è loro dischiuso, essi già nel presen te vivono per Dio, e in questo senso devono comprendere se stessi . L'esistenza umana è sem­ pre caratterizzata e qualificata dal suo futuro. Questo può coincidere col passato adamitico a cui l 'uomo si attacca , e cosl avviene per i non battezzati . Ma quando si è stati battezzati e incorporati in Gesù Cristo , il futuro si chiama Dio . L'uomo al­ lora nel modo suo di agire e di pensare, nel suo 7tEp1.1trL"tEL\I e � significa «mettere a disposizione» , «ap­ prestare» , «presentare», «esibire» e sim . Qui , come i n Rom. 6, I 6 . I 9 ; I 2 , I (dove forse vi è un'eco del linguaggio sacrifi­ cale ), i l suo significato è «mettere a disposizione» 23• -rà !J.EÀ.T} ùf.J,Wv sono le membra del nostro corpo nelle quali esistiamo in quanto uomini, sono lo strumento del nostro agire (dr. Rom. 3 , 1 0- r 8 ) e quindi, in Col. 3 ,5 , le azioni stesse. Le membra sono quindi l'Io in quanto agisce di volta in volta in un modo o nell 'altro 24 • Nelle membra io metto a disposizione me stès­ so, come del resto -rà. (.dÀ.'T} V!J.W'V del v . r 3a s 'alterna con Éau­ -rovc; nel v . r 3b. Obbedire alle concupiscenze del corpo signi­ fica che io mi metto a disposizione del peccato nel mio agire .23. Horst in ThWb

IV

566; Reicke in ThWb

v

839 .

.24. Alle «membra» non si collegano quindi solo i peccati, come si potrebbe pen­ sare leggendo E. Schweizer, Die Siinde in den Gliedern , in Abraham unser Va­ ler, Festschrift fiir O. Michel (r963) 437 ss.

Rom.

34 2

6. l 2·I4

ed in ciò che serve al mio agire , cioè nelle mie membra, quali 01tÀ.a. ocOt.x�o:c; . 01tÀa. può indicare tanto gli «strumenti» quan­ to le « armi» . In Paolo , qui e altrove , il vocabolo ha il secondo significato (dr. Rom. 1 3 , 1 2 ; 2 Cor. 6 , 7 ; r o ;4) . Nel nostro passo anche il contesto rimanda a questa accezione, giacché il peccato consegue il suo dominio naturalmente con le «armi» e non con gli «strumenti» 25. Il valore dei genitivi tiotxtrL) in questo modo : «Il servo libero dal suo padrone si riferisce agl 'Israeliti ; infatti quando un uomo è morto, è libero dall'osservanza dei comandamen­ ti » 4• Questo principio giuridico secondo cui la legge ha po­ tere - xvpt.EVEL, dr. Rom. 6,9- 1 4 ; 1 4 ,9 = Jiila! - e comanda sull'uomo finché egli vive, voi ben lo conoscete , dice Paolo rivolto ai cristiani di Roma . Ma quali conseguenze discendono da ciò? Se consideria mo che a questo punto l 'Apostolo, movendo da tutto il discorso precedente, intende parlare di quella legge che già da tempo fa da sfondo alle sue parole, ci aspetteremmo un enunciato di questo genere : «Ma voi siete morti (cfr. 6,7), e quindi la legge non vige più per voi » . 2 . L'Apostolo invece preferisce illustrare i l xvpt.EUEt.\1 della legge specificando anzitutto l'universal e principio giuridico con un esempio tra tto dal diritto matrimoniale e dandone un 'e­ spressione inattesa al v. 2 . Qui egli spiega la durata a vita del vincolo legale col caso della donna sposata. Questa è legata al marito finché quegli vive, ma se il marito muore, la moglie è affrancata dalla legge che la vincolava a lui . ihtex.vopoc; è voca­ bolo ellenistico e significa «maritata » , ad es. Polyb. 1 0 ,2 6 , 3 ; Aelian . 3 .4 2 p. 7 7 ,3 ecc . ; ma anche LXX Num. 5 ,2 0 . 2 9 ; Prov. 6 , 2 4 .2 9 ; Ecclus 9 . 9 ; 4 1 , 2 3 . Per Xa."ta.pyEiCT�t:X.L a7t6 cfr . Rom.

3· Sanday-He adlam, Michel, H.W. Schm idt � altri. Diversamente in tende il Kase­ «L'ordinamen to regolato per legge>> ( come Bultma n n , Theolog)l' 260 ).

mann:

4 · Strack-Billcrbeck

III

2 3 4 ; cfr. NTSr 8 ( 1 962) 272 s .

Rom. 7,l.J·4

7 ,6 ; Gal. 5 .4 nel senso d i « esser messo fuori causa r ispe t to a q ualcos a » , «essere liberati » , «essere es one ra t i>> e s i m . o "VOJJ.Oc:; -rou &.vop6c:; indica la legge da cui la donna è vincolata all'uo­ mo (più e sat tam en te si sarebbe dovuto dire, come osserva B . Weiss, ·o v6JJ.o> , « ne­ gozi a re >> , oppure «dare un avvertimentm> , bensì «portare un nome» , «esser chiama tm> 5 . ÈÀ.Eui}Éprx a1tÒ -rou "VOIJ.OU fa le veci di un genitivo di separazione 6 . Nella similitudine si era detto che la donna , se si unisce ad un altro dopo la morte del mari­ to, non vien chiamata a du lter a , men tre sarebbe chiamata così , se lo facesse vivente il mari to . Il v . 4 reca subito l' applicazio­ ne dell'esempio e mette in luce a che cosa Paolo mira e che co­ sa evidentemente gli s ta molto a cuore, come risulta dalla nuo­ va apostrofe aÒEÀ.cpoL. Ess i , i cristiani di Roma , sono morti alla legge a cui erano vincolati e ora possono app a r ten ere ad un altro, cioè al Cristo resuscitato dai morti. Quella realtà che dianzi si voleva illustrare con un esempio , per la verità non moJto perspicuo, trat to dai rapporti giu ridic i , è ora esposta chiaramente e senza ricorrere a paragoni . Si può anche notare che essa non viene accordata in tutti i particolari con la simili). Moulton 265 ; Bauer, Wb_ r n r ; dr. Miche!.

6 . Blass-Debr.

§

r 8 2,3.

Rom. 7,3-4

tudìne dei vv . 2 e 3 · Gli è che all 'Apostolo, come osserva il Kuss , preme in sostanza dar rilievo alla libertà che si acquista con la morte che rende possibile contrarre un nuovo vincolo . opouv·m;. La frase finale è naturalmente ancora una volta un imperativo indiretto , quale dopo non si ritrova più . Infatti le proposizioni seguenti nei vv . 5 s . hanno u n altro compito. Esse intendono cioè motivare perché il «recar fru tti a Dio» è possibile solo ora, solo a colui che è morto alla Jegge e appartiene al Signore Gesù Cristo. Ma nel far questo con­ trappongono ancora una volta il vecchio ed il nuovo modo di essere e anticipano così brevemente da un lato il tema di 7 ,72 5 , dall 'altro quello di 8 , r - r r . .5 . Questo versetto richiama ancora una volta 10. Blass-Debr. § 402,2.

il vecchio modo

Rom. 7,5

di essere, cessato col battesimo , e nel far questo si avvale di formulazioni in parte nuove . Il passato ormai trascorso viene ora definito come un dvtX!. Èv G'!Xpxi. 1 1 • Con ciò non s 'intende naturalmente il modo di essere terreno in quanto tale, come, per es . , in Gal. 2 , 20; 2 Cor. I0,3 ; Phil. I , 2 2 , bensì questo mo­ do di essere in quanto esso era un dvtXL xa"t'Ò: G'apxa o un 7tEpt.7t non verrà più superata e non invecchierà mai: wcr-tE EL -tLc;

Èv X p t cr-t@ xa.w'D x-ttcrLc;' -tà &.pxa.'La. -rta.pf]À.ikv, i.ooù yÉyo­ \IE\1 x a wa ( 2 Cor. 5 , 1 7 ) . L 'esistenza nuova , creata da1lo Spi­ rito, è l 'esistenza escatologica. L'esistenza ormai antiquata e . a., che è poi la stessa cosa trascorsa era dominata dal ypaiJ.!J. del VO!J.oc;, nostro carcere di allora. L'antitesi 7t\IEUIJ.CX.-ypa!J.IJ..Cl fa capolino già in Rom. 2 , 2 9 ; e si trova esposta soprattutto in 2 Cor. 3 ,6 ss . Qui appunto balza evidente che non si tratta del­ l 'opposizione idealistica fra «spirito e lettera» bensì del con­ trasto fra la legge che uccide e condanna (in quanto suscita sempre il peccato) e lo Spirito vivificante che dona la «giusti­ zia>> . Per l 'Apostolo «l 'antitesi fra Spirito e lettera è identica a quella fra carne e Spirito» (Kasemann) . «e:òc;, "t'Q 'Aoà(J. À.Éywv . . . tbtò oÈ. "t'ou !;uÀ.ou "t'ou ywwa-xsw xa­ À.òv xa.t 7tO'V'l') p6v, où q>aye:o-1)-e: &.7t'rx.ù-tou . n oÈ liv i}!J.ÉP� cpci­ Y1J"t'e: &.7t'tx.ù"t'ou, 1)-rx.v ci "t' w tÌ 1t o 1l a.v e: � a-i"e: . Fu proprio que­ sto comando (e con esso l'ÈV"t'OÀTI in generale) a chiamare in vi­ ta il peccato (che Paolo intende però nel suo significato più am­ pio) . &.vrx.siiv non è «rivivere» ; bensl ha senso incoativo (co­ me, ad es., &.va.�ÀÉ1tE!.v = vedere ): «giungere alla vita>) . 1 o.

Ma la conseguenza fu : Èyw OÈ Ù1tÉi"rx.vov . Il pece� to , come

6. Cfr. anche Lietzmann, Lagrange, Huby, Michel; Bauer, W b. 665 e molti altri. Di opinione diversa è Bornkamm, Siinde 58 s.

7 · «Scryov (cfr. 2 Cor. 1 ! ,3 : 6 ocpLc; È!;T}'Ttcl�T}O'E\1 Eva.\1, I Tim. 2 , 1 4 : i} OÈ yvvi) È!;a7ta�T}1}e:i:pw'ltov, 2l �ÀÈ1tw OÈ. �"t'Epov v6JJ.oV Èv 'totc; JJ.ÉÀEO'�v JJ.OU à:.v-rLO''tpa'tEUOIJ.E\I0'\1 't(ij VOJJ.4J "t'eu vo6c; JJ.OU xat ettx­ JJ.ClÀW"t'LSOV'tcl JJ.E E'V -r{i:l V OIJ.4J 'tljc; aJj.ap"t�ac; 't(ij O'V't'L EV 't"Oi:c; JJ.ÉÀEa(v JJ.OV. 24 "t'ClÀCl�7twpoc; Èyw avil'pW 7t oc; 'tic; JJ.E pUa'E't'ClL Ex -cou a'WJJ.ct-roc; -rou il'avthou 'tOV'tOV; 25 xapLc; OÈ -ci;> il'EQ OL!Ì: 'I7]aou XpLa''tOU 'tOU xv­ plou i!JJ.wv. lipa ou\1 a.u-ròc; Èyw -rQ JJ.È\1 vot oouÀEvw v6JJ.4l itEov 'tU oÈ aetpx.t v6JJ.4l CÌJJ.a.p-r(r.w:c;. ·

14 La legge, come sa ppi am o , è spirituale; io invece appa rten go alla car­ ne e sono vendu to in po te re del peccato. 1 5 Quello che faccio non lo comprendo. Non compio infatti ciò che voglio, ma ciò che odio ; 16 ora, se ciò che faccio è quel che non voglio, riconosco che la legge è buona. 17 E allora non sono più io che a g i sco, ma il peccato che abita in me. 18 Io posso volere il bene, ma non mi è d a to di compierlo; 19 giacché io non faccio quel che voglio, ossia il bene, ma quel che non voglio, ossia il male. 20 Ma se faccio quel che non voglio, non sono io che agi­ sco, ma la forza del peccato che dimora in me. 21 Io trovo dunque in me questa legge che, mentre voglio fare il bene, soltanto il male è alla mia portata. 22 Il m io uomo interiore si compiace della legge di Dio, � ma vedo poi un'altra legge nelle mie membra che si oppone alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge d el peccato, che è nella mia carne. 24 Oh , me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? 25 S i ano rese grazie a Dio per Gesù Cris to nostro Signore. Dunque io stesso con la ragione sono soggetto alla legge di Dio, ma con la carne alla legge del pecca to.

Nef v. I 4 Paolo non tanto conclude l'argomentazione di Rom. 7 ,7- 1 3ab , quanto piuttosto introduce il discorso dell'ul­ tima sezione del nostro capitolo ( 7 , 1 4- 2 5 ) . Questo discorso è impostato in senso non più soteriologico, bensì antropologico. In sostanza, nella parte che segue non si trovano più enunciati sulla legge, sul peccato e sulla morte, bensì sulle particolari caratteristiche dell'uomo che è soggetto al peccato. Si potreb­ be dire che 7 , 1 4-25 contiene un'analisi esistenziale dell'uom9 come concretamente si presenta. Infatti gli effetti della legge stravolta dalla potenza del pec-

cato vengono ora mostrati nello specchio della concreta esi­ stenza dell'uomo . Già a priori vi sono due indizi in questo sen­ so : I . il fatto che dal v . I 4b in poi non si parla più al passato bensì al presente ; si confrontino oux E"'(\IW\1 , oux nonv, xa­

't'E�pyacra"t'o, esw'V , avÉsncrc:v-rmÉitavov , c:upéitn , E.!;n1ta"t'tJ­ crc:v , et1tÉX"t'EWEV in 7,7 - I 3 1 coi presenti usati dal v. r 4 b in poi : Et�i - xa•EpyasoiJ.aL - où ywwcrxw - 1tpaO"crw - IJ.�crw X"t' À.. ; 2 . il fatto che in 7,7- I 3 solo una volta si dice che la po­ tenza del peccato ha suscitato È\1 È(J.OL la concupiscenza egoi­ stica (v. 8 ) e quindi solo una volta viene esplicitamente asse­ rito che si tratta di un evento che si esplica e si manifesta solo «nell'interno », cioè come modo di essere dell 'uomo. Invece in 7 , I 4 ss . si infittiscono e si corrispondono espressioni di que­ sto genere, v . I 7 : i] E\IOLXOUO"a E.v EIJ.OL a(J.ap"t'L(l ' v . I 8 : OLXE� 1

\

E\1 E!-LOL, V . 2 0 : l"] OLXOUCT(l EV E(J.O!. !X.(J.CIP"t" La., V . 2 2 : X(l't'!X. "t'OV ecrw rt'VitpW1tO\I , v. 2 3 : Èv 't'OL> migliore, più alto, bensì è anch'esso un imposto dalla potenza del peccato 5• Con riguardo a 7 , 2 3 possiamo anche dire : noi siamo sottratti alla norma ferrea che ci determina nelle nostre 'ITJCTOÙ . Certamente "t"Ò 7tVEÙ!J.a., il 7tVEÙ· !J.a. '"tOÙ 1)-Eoù ( vv . 9a . r 4) che è 7tVEÙ�J.a. "t"OÙ XpLCT"t"OÙ (v. 9b; . .

cfr. I oa), ci ha sottratti all' « ordinamento» stabilito dal pecca· to e dalla morte; ma è pur certo che ciò è stato fatto anche da 6 VO�J.oc; "t"OÙ '1tVEU�J.a.-roc;, cioè dal nuovo «ordinamento» o « di­ sposizione» , che è efficace nello Spirito e che lo Spirito ha po­ sto a sé ponendo se stesso come norma 6 . Abbiamo qui lo stes­ so uso di VO�J.oc; che conosciamo da Rom. 3 , 2 7. Possiamo tran­ quillamente rendere la parola con , che ci regoliamo secondo il 'lt\IEVIJ.Il , assol­ vessimo le richieste della legge, Dio , mediante il Figlio suo, ha condannato all'impotenza il peccato. Evidentemente fu il 'lt\IEU!J.!l, secondo il quale noi ora camminiamo, a rendere ma­ nifesta e presente quest'opera di Dio. Dio in Gesù Cristo ha . tolto ogni potere al peccato ed ha fatto questo perché la giu­ sta richiesta della sua volontà fosse adempiuta da noi nel mon­ do . Ciò presuppone che noi comprendiamo e conduciamo la no�tra vita alla luce di quest 'opera di Dio. Ciò è possibile in quanto tale opera viene dischiusa a noi dallo Spirito : dal suo Spirito, si potrebbe quasi dire . Spodestamento del peccato in Gesù Cristo, presenza di questo evento nello Spirito, condotta di vita conforme allo Spirito : ecco in che modo si attua ciò che nel v. 2 vien presentato come una liberazione dovuta alla richiesta sovrana ·e normativa dello Spirito.

_5-8. Questi versetti forniscono la motivazione 18 del v. 4, in

quanto corroborano l 'imperativo in esso contenuto, specifi­ cando 1 . quali sono le tendenze rispettivamente della a-&.p� e quindi degli appartenenti alla a-&.pç da un lato, e dall'altro del 'lt\IEU(..L!l e di chi lo segue; 2 . come sia esclusiva l'opposizione fra a-ap� e 'lt\IEV(..LCI . Il v. 5 deve poi essere considerato nella sua precisa formulazione. Paolo dice ora : ot Xa"t"à a-lipxa ov­ "t"Eç, anziché 'ltépl.'ltCI"t"OV'V"t"Eç , considera cioè povEi:), accede a questo cppOV"f1lJ.Cl., ossia all'aspirazione ed all'inclinazione della carne, alla morte. L'aspirazione e la tendenza dello Spirito, si potrebbe quasi dire: la sua «volon19. Bauer, W b. 1712

s.

20. Ma cfr. a d e s . Flav. Ios., be/l_ 1 ,2o4; ed aspirare alla libertà.

2,358: cpp6'11l]JU1: H.EU�Ep!ou

=

pensare

Rom. 8,5-8

ta » , sono la �wi) (cfr. 8 , 2 ) e l 'E�pi)vl} (cfr. J , I e 1 4 , I 7 ) . Quin­ di la volontà dello Spirito è volontà di Dio, il quale, come spes­ so Paolo mette in rilievo, è 6 i}Eòç "t'fjç Ei.pi)vl}ç ( Rom. I 5 , 3 3 ; I Cor. 1 4 ,3 3 ; 2 Cor. 1 3 ,I I ; Phil. 4,9 ; r Thess. 5 , 2 3 ) . L'dpi)­ 'Vi] rappresenta il regno di Dio (Rom. r 4 , I 7 ) , ad essa egli ci chiama ( r Cor. 7 , I 5 ) e ce la dona (2 Thess. 3 , 1 6 ) . Questa d­ PTJ'Vi] secondo Col. 3 , 1 5 è n E�PTJ'Vi] "t'OV Xp!.O'"t'OU , secondo Eph. 2 , 1 4 è Gesù Cristo stesso, che la crea e l'annunzia (Eph. 2 ,IJ . I 7) . È l'dpi)vn di Phil. 4,7 che supera ogni comprensio­ ne. A coloro che sono orientat i verso lo Spiri to , purché si im­ pegnino nel senso dello Spir i to , si dischiudono la vita e la pace della salvezza a cui lo Spirito tende e che lo Spirito con­ cede. Ma perché o fino a qual punto 21 la tendenza della ucip� è i}ciwx-roç? Perché o in quanto, dice Paolo al v . 7 , la carne e le sue tendenze sono avverse a Dio. EXi}pa significa «ostilità» (cfr. Eph. 2 , r 4 . r 6 ; Iac. 4.4) in senso attivo . Non solo un'av­ versione a Dio, ma un'inimicizia attiva « contro Dio» . Il suo intendimento è mortale, perché è l'intendimento di un ne­ mico di Dio e di un'inimicizia verso Dio. Ma ciò d ipende e si riconosce dal fatto che essa non obbedisce a Dio, an,zi non può obbedirgli (v. 7 b ). Il ycip è esplicativo : «Poiché è così . . . » . La carne non si subordina a Dio, non si assoggetta a lui 22 , non si sottomette alla sua legge in cui si esprime la sua volontà di­ spensatrice di vita. E non soltanto non si assoggetta alla leg­ ge di Dio, ma ou�È yàp �vvcx."t'at., «neppure 23 può farlo» . Non è dunque disobbediente solo di fatto, come s 'è dimostrato in Rom . r , r B-3 ,20 essere il caso dei pagani e dei Giudei, bensì è disobbediente per natura sua, in quanto carne dominata dal­ la potenza del peccato, in quanto «carne venduta in potere del peccato» di Adamo, come Paolo dice in Rom. 7 , r 4 . Si deve dunque dire, con il v . 8 , che « coloro i quali sono nella carne», «non possono piacere a Dio» . Si tratta naturalmente dei xcx.-rà O'apxcx. O'V"t'Eç del v. 5 i quali ,(t "t'Tjç O"apxòç cppovouO'L'V e xa"t'à 2r. Il 5�6--� ( = s�oc -.oii'to o�) alternante con ih� (cfr. Rom. I ,l9.2 1 j 3,20) non sempre significa precisamente (cfr. Blass-Debr. §§ 294,4; 456,r). 22. trrco-.aO'O'Eai}aL passivo con valore mediale, come in Rom. 13,1.5; I Cor. 14, 23. Blass-Debr . § 45 2,2 . 32.34; 16,16 ecc.

Rom. 8 ,8 . 9

crO:pxa 1tEpL'ltt:t"t'oÙcrLv (v. 4). Ma chi è «nella carne » , ossia in potere di lei, non può «piacere a Dio » . rtpÉC1XEL'\I i}Ef;l (cfr. I Thess. 2 , 1 5 : 4 , 1 ; inoltre I Cor. 7 , 3 2 ) significa «suscitare» o «trovare il compiacimento di Dio» . Chi vive «nella carne» non può destare il compiacimento di Dio . Ma ciò significa la morte . 9· «Voi però non siete nella carne, bensì nello Spirito» . Con

questa affermazione, che ha il tono di un incoramento, Pao­ lo si rivolge di nuovo ai suoi lettori e nella sostanza si rial­ laccia all'enunciato del v . 2 , includendo però termini e conce t­ ti dei vv. 5-8 . Paolo ritorna all 'apostrofe, solo che, al posto di cru , dice ora Ù�Ei:> , più precisamente «adozione» 6 come atto J. Cfr. Bultmann in ThWb

6. Di

VI

223 ; Balz in ThWb

altro avviso sono Zahn e Kasemann.

IX uo.

Rom.

8, 14- 1 7

giuridico, come accettazione di qualcuno nello status legale di figlio. Il concetto di adozione è sconosciuto al giudaismo, proviene dalla cultura ellenistica . In Rom. 9,4 si parla dell'a­ dozione di Israele a figlio di Jahvé ( [ Ex. 4 , 22 ] !s. I ,2 ecc . ) . Lo stesso vocabolo vloi)EcrLa non è attestato nei LXX . Riferito a i cristiani si trova, oltre che qui , in Gal. 4,5 , dove sta ad indi­ care il fine per cui il Figlio fu inviato a riscattare coloro che vi­ vono sotto la legge, ed in Eph. r ,5 , dove la utoi)EcrLa del cristia­ no è definita alla stregua di una destinazione eterna . Infine, la vtoDEcrla è anch'essa un fenomeno escatologico . Noi siamo à7tEXOEXOJ.lEVOL vtoi)gaÙx.v , "t'Ì")V èmoÀ,hpwcrw "t'OU CTW!l-IX"t'Ot;. n11-wv (Rom. 8 ,2 3 ). Lo Spirito dell'utoi)EcrLa, lo Spirito che ci investe e con il quale la utoDECTLa ci penetra, lo Spirito che ci dischiude la ui.oìh:crLa l 'abbiamo già ricevuto (nel battesimo) 7 • E questo Spirito non si accorda con l'angoscia, bensl ci muove ad invocare fiduciosamente Dio, il Padre. L'uomo dev'essere accolto come figlio e Dio lo costituisce suo figlio adottivo. Ma è lo Spirito che rivela all'uomo questa sua adozione a figlio. Nello Spirito quindi si leva il «grido» «Abbà, Padre ! » . Con ciò lo Spirito dimostra quel che noi siamo in lui . In proposito si ponga mente ancora a questi dati: I . xpasELV è un verbo che indica il grido dell'ispirato. Cosi, ad es. già in LXX Ps. 2 9 , 2 ; I 0 7 , 1 3 , in riferimento specifico all'ispirazione profetica. Nel N.T. si tratta dell'ispirazione che proviene dai demoni o di quella dei profeti ( cfr. Mc. J , I I ; 5 ,5 .7 ; Act. I 6 , I 7 e Mc. r r ,9; Io. I , 1 5 ; 7 ,2 8 . 3 7 ; I 2 ,4 4 ; anche Rom. 9 , 2 7 [ Is. 2 2 , i s . ] ). 2 . «Noi » gridiamo nello Spirito dell'adozione a fi­ gli ( 8 , 1 5 ). Secondo Gal. 4,6 il 7tV EU I-ltX stesso «grida» nel nostro cuore quando noi «gridiamo » . Egli grida tramite noi e noi in lui. 3 . a��a è una sorta di acclamazione come ma­ rana!ha ( I Cor. r 6 , 2 2 ; Did. r o , 6 ) o come awfrv, WO"awa, aÀÀ1)ÀOUt.a ecc. Qui esso viene tradotto (cfr. Le. I I ,2 : 7t0C­ "t'Ep ) . Secondo l'uso linguistico del tempo della Mishnà e dei T argumim potrebbe anche significare 6 7ttX"t'Ì)p ll!-J.WV ( 'abbun) . Non è un'angosciosa evocazione del Dio assente, bensì l a fidu7· Schweizer in ThWb

VIII

394 s.

Rom. 8, r4-I7

420

dosa invocazione al Dio presente 8 , che è «il Padre» per eccel­ lenza, al quale , secondo Ep h . 2 , 1 8 , abbiamo accesso tramite lo Spirito 9• 4 · La forma aramaica e l'uso della prima persona plu­ rale accennano con ogni probabilità ad un 'esclamazione cul­ tuale. Lo Spirito fa si che i cristiani , nella li turgia comunita­ ria 10, gridino, mossi dallo Spirito e nello Spirito : « Abbà , Padre ! �> . Ecco dunque : coloro che s i lasciano guidare dallo Spirito e troncano il loro agire egois tico, vivranno. Essi sono infatti fi­ gli di Dio e hanno ricevuto lo Spirito che fa di essi, già schiavi colmi di angoscia radicale , figli di Dio ripieni di fiducia; hanno ricevuto lo Spirito dell'adozione da parte di Dio , del Padre . Nella comunità riunita essi gridano nello Spirito : «Abbà , Padre ! » . I l v . 1 6 ci spiega quel che ciò significa . Lo Spirito stesso attesta così al nostro spirito che noi siamo figli di Dio 1 1 , altri­ menti non grideremmo « Abbà » . I cristiani dunque non sol­ tanto sono figli di Dio grazie allo Spirito, ma apprendono an­ che di esser tali dalla testimonianza dello Spirito in virtù del quale gridano «Abbà » . O"U!J.!J.CX.P'"t'Upe.i:v 't'l.'V� non significl:\ « atte­ stare insieme con qualcuno » , bensì « a ttestare a qualcuno » ( cfr. Rom. 9 , 1 ; [ 2 , 1 5 ] ). Nella koiné il verbo composto sovente 12• In che modo Paolo concepisca l'at­ sta in luogo del semplice tuazione di questo o-u��cx.p't'U pEL'V non si può dire con sicurez­ za. Probabilmente egli pensa che il nostro grido di « Abbà» , dal quale apprendiamo nella liturgia comunitaria di avere lo Spirito, sia in pari tempo un grido dello Spirito che ci rende certi del suo dono. Ad ogni modo, lo Spirito non ci lascia nell 'iB. Schlatter, Michel.



tu

Cfr. .test. L.

17,12: «Egli parla con Dio come con suo padre»; sei un padre per tutti [i figli] della tua verità . . . » .

xo.

r

QH

Zahn, Kuss; Delling, Gottesdienst 75; Nielen, Gebet r r 3 .

9,35: « S ì ,

Non si tratta però, come intendono S chweizer (ThWb I V 434) e Kiisemann, Spirito donato al singolo e come tale d imorante in lui. Perché mai lo Spi­ rito santo che è in noi dovrebbe conoscere la nostra adozione a figli dalla testimG­ nianza dello Spirito santo che è nella comun ità? Non la conosce da sé? Cfr . Lietzmann, Althaus, Kuss e altri. u.

dello

·

12. Srrathmann in ThWb

v

5 l 6 ; Leenhardr, H.W.

Schmidt, Kasemann.

Rom. 8,I4-17

gnoranza o nell'insicurezza della nostra adozione a figli che egli stesso ci ha dischiuso nel battesimo. Rivelazione appunto di ciò è il grido ispirato «Abbà, Padre ! >> , il quale richiama la no­ s tra condizione di figli che si attua come dono battesimale, pur­ ché ci lasciamo guidare dallo Spirito. Lo Spirito del battesi­ mo ci fa essere «figli di Dio» . Se noi ci abbandoniamo a lui , che continua a penetrare in noi anche dall'evangelo , ci appro­ priamo, nella nostra esistenza, questo modo di essere nello Spirito. Noi però manifestiamo il nostro «essere figli» anche quando, in mezzo alla comunità unita, leviamo il grido «Abbà, Padre ! » . Questo grido è anche un segno che lo Spirito con­ forta e sorregge il nostro spirito, assicurandoci che noi siamo «figli di Dio» 13• Ma se, nell'abbandono allo Spirito e secondo la testimonianza del grido « Abbà, Padre ! » , noi, ammaestra­ ti dallo stesso Spirito, siamo «figli di Dio» , allora anche il no­ stro avvenire è davvero al sicuro ed in buone mani.

I-7 � Questo era implicito già nello sTJO"EO"itE di 8, I 3 , che viene ora ripreso con una formulazione diversa . Ai � (cfr . Rom. 3 . 3 0 ; 8 ,9 ; 2 Thess. I ,6 e passim ) . Se il v. 1 7c viene inteso così e non, come pure sarebbe possibile, alla stregua di una frase condizionale indirettamente parenetica , assume maggior peso la proposizione finale che conclude il versetto e che all'Apo­ stolo importa come transizione ali 'enunciato di 8 , I 8 ss. Paolo vuoi dire : , che è «erede di Dio» e coerede di Gesù Cristo . In tal modo viene a gravare sull'uomo una responsabilità sconfinata: quel­ la cioè di dare compimento all 'anelito della terra e del cielo, non però nel senso, poniamo, di «svolgere» quell'anelito nel­ la tensione verso un'altra realtà , bensì nel senso di esaudire l'attesa della creazione sopportando da «figlio di Dio», nella fede e nella speranza, l 'eone presente per essere poi, assieme a tutta la creazione, inondato e pervaso dall 'eterna e sovrab­ bondante pienezza della o61;tX. 2o. Ma perché la creazione può e deve attendere quell'evento escatologico? Per dare una risposta a questa domanda occor­ re, secondo Paolo, considerare il presente modo di essere della creazione. Ciò appunto avviene nel v. 20 il quale motiva ( yap ) il v. I 9 . Senza alcun concorso da parte sua la creazione è sta­ ta trascinata, per cagione di Adamo, nella «vanità» della sua presente esistenza storica; le rimane però la «speranza», ap­ punto nei «figli di Dio». «La creazione è stata sottoposta alla vanità» , questa è la prima affermazione . Il passivo ti'TtE'ta)"ìJ

43°

Rom. 8,20

significa naturalmente : «da Dio >> . Quel che ora domina la creazione è la IJ.tx"t"at.6·n1c;, la > o anche in Os. I r ,r : «Quando Israele era giovane, mi affezionai a lui. Dall 'Egitto io chiamai mio figlio» . In tal caso u�oitECTLa è la figliolanza che si realizza tramite l'adozione. Dio ha adottato Israele . Israele è figlio di Dio, ma come possa la figliolanza essere tolta a lui e venire trasferita alla ecclesia sta come domanda dietro questa affermazione . Agli Israeliti appartiene anche la o6!;a, il kebod jhwh, la gloria di Dio. Essa accompagnava Israele durante la sua pere­ grinazione nel deserto ( Ex. r 6, r o ; 24 , r 6 ; 40 , 3 4 s . ; Lev. 9 , 6 . 2 3 ecc . ) e in seguito dimorava come segno della presenza di Dio nel tempio di Gerusalemme. «E quando il profeta Isaia ebbe contemplato questa gloria nel tempio, credette proprio di dover morire>> (Peterson ) (fs. 6 , r ss. ). Essa è ·la o6!;a d'I­ sraele, ma adesso si può dire: aù·n'i) i} 86!;a Èv -rti ÈXXÀ.r)CTLq_ xat Èv XpLcr-rQ 'Il)crou (Eph. 3 ,2 r ) . M a Dio ha anche stipulato 6 con Israele a � OLctitf)xaL, le al­ leanze - al plurale anche in Sap. r 8, 2 2 ; Ecclus 44 , I 2 . r 8 ; 4 5 , r 7 ; 2 Mach . 8 , 1 5 -, col progenitore Noè ( Gen. 6 , r 8 ; 9 ,9 ss . ), con Abramo ( Gen. r 5 , r 8 ; 1 7,2 ss. ecc. ) , con Isacco e Giacob­ be (Lev. 2 6 ,4 2 ), con Israele al Sinai (Ex. 1 9 ,5 ; 3 4 , 1 6 ecc.), e ora Dio ha concluso il patto con la chiesa, composta di Giu­ dei e pagani (Gal. 4,24; Eph . 2 , 1 2 ). Ad Israele fu data la leg­ ge, la torà, o più precisamente, la VO!J.Oi}EcrLa, la legislazione 6. P''

D G hanno il

singolare.

47°

Rom 9,4.5

(Ex. 20; Deut. 5 ) . 'VO(..LO�EOÙX. è un termine del giudaismo elle­ nistico (cfr. 2 Mach. 6 , 2 3 ; 4 Mach. 5 ,3 5 ; 1 7 , r 6 ; Philo, vit. Mo s. 2 ,3 5 ·3 1 e passim; Flav. Ios . , ant. 6 , 9 3 e passim ). Ed ora al v6(-LoO:VEp6v ... > ), ove ciò sia stato detto ai pagani . Il il"Eòc; �wv manifesta la sua forza vitale col chiamare i pagani suoi «figli » , cioè col renderli tali . Paolo contraddice così la concezione giudaico-apocalittica e quella rabbinica ( cfr. Iub. 2 , 1 9 ; 4 Esdr. 6 ,5 5 .5 9 ; 7 , 1 1 ) 9 . Dunque il passo di Osea vale per i pagani. Come ad «< sraele » non appartengono tutti co­ loro che provengono da Israele, ma solo quelli che sono chia­ mati da Dio, cosl possono appartenere ad « > , nel « se­ me rimasto» , Israele è debi tore non alla propria forza salva­ trice ( 9, r r . I 6 ), ma unicamente e solo al miracolo della po­ tenza divina ( 9, I 7 2 2 ) e della m isericordia divina ( 9 , I 5 . r 8 a . 2 3 )» ( Maier q o ) . Detto in breve , il corso dei pensieri da 9 , 6 in poi era il se­ guente : la parola di Dio non è stata annullata. Non tutti quel­ li che p rovengono dall 'I sraele carnale sono il vero Israele, m a solo quelli che sono scelti da Dio ( in !sacco e Giacobbe) ( 9 , 6 r 3 ) . Perciò Dio non ha abbandonato la sua Ot Xato> d'I sraele rimane , per gr azia , nel nuovo popol o di Dio . M a qual è il motivo di quest 'ultima e della prima affermazione? Oltre al sovrano agire di Dio, che manifesta la giustizia, si può dire ancora qualcos'altro ? C'è qualcosa da dire sul co mportamento responsabile d'Israele e dei pagani , che frutta loro rovina e 10• salvezza ? La pr ima ri spos ta in merito viene da 9 , 3 0 - 3 3 _

r o . Il Kiisemann con Gutjahr, Bardenhewer ed altri collega 9,30-33 al cap. ro , il che in senso lato può essere oggettivamente giusto. Ma anche se in generale il te­ ma dei due passi è affine, 9,30 ss. come transizione pone termine a 9,24 ss. e quin­ di a tutto il brano da 9,6 ss. in poi. E formalmente l'introduzione del cap. ro se­ para questo cap. dal cap. 9· Più che altro 9,3o-33 è dunque da intendere come transizione conclusiva (Miche!, Gaugler). Del resto, anche il Klisemann con Sa n · day-Headlam considera 9 ,30 s s . come una «dichiarazione riassuntiva».

Rom. 9,JO-J I

49 8



Vinciampo d'Israele ( 9 , 30-3 3 )

� TL ovv ÈpouiJ.EV; o-. L �WTJ 'tà J.L'ÌJ Otwxov-.a. Otxa.toa{r.rf)v xa.'tEÀ.a.(lEv otxa.tocrU\ITJ'V , o txtuocruVTJ'V OÈ 'tlJV ix "Jt�CT'tEwç, 31 'Iapa.Tj}. oÈ Otwxwv voiJ.ov &txo:toa-UVT}c; Etc; v6J.Lov oùx EEou , quindi nella giustizia dimostrata da Dio (in Cristo} . Dunque popoli pagani sono stati accolti nella giustizia di Dio e han­ no raggiunto la giustizia ; ne erano molto lontani , ma si sono aperti ad essa nella fede . Quanto ad Israele, invece, tenuto conto di tutto l ' insieme, si deve dirè e si può desumere dalla profezia citata che esso corse dietro alla legge che esigeva e prometteva giustizia , ma non la raggiunse (v. 3 1 ) . 'VO!J.o) . Merita d 'essere notata l 'espressione wc; è:� itpyw'V . Es­ sa vuol dire «presuntivamente» , come Israele suppone, e di­ mostra che Paolo considera dal punto di vista d 'Israele 3 (cfr . 2 Co r. 2 , r 7 ; r I , I 6 ) . Ma perché Israele non viveva È.x 'lt�· O"·nwc; ? Perché si scandalizzò della « pietra>> , che è il fonda­ mento di Sion. 7tpOO'X07t"tEW è « urtare contro » , « scandalizzar­ si » , « avere in antipatia » , « rifiutate » , «respingere» 4 (cfr . Rom. J 4 , 2 I ; [ Ecclus 3 2 ,2 0 ] ; I Petr. 2 , 8 ) . 'ltPOO'XO(J.IJ.f'J.. significa « in­ ciampo>> ; À.Li}oc; 'ltpOO'XOIJ.IJ.IX."tOc; è la pietra in cui si urta, in cui s 'inciampa o si cade . Se Israele non crede, questa è la ragione e la dimostrazione che Israele non crede : ha urtato nella pie. tra che Dio pose a fondamento di Sion ed è cadu to su di essa . La conferma viene nuovamente dalla Scrittura . La citazione è composta da una reminiscenza di Is . 2 8 , r 6 e 8 , 1 4 . Il nostro testo si scosta alquanto da quello dei LXX , ma è affi ne alla col­ lezione di citazioni che si trovano in I Petr. 2 ,6-8 5': Secondo 3· Cfr. Radermacher, Grammatik 26.

4· Il vocabolo è già d'uso ellenistico, ad

es .

Diod . S. 4,6 r ,7. Bauer, Wb. 14,20:

j. Cfr. Stiihlin in ThWb vr 751 s . Cfr. anche B11rn. 6,2-4. Si suppongono tracce dì una collezione di tertimonia o dì una tradizione orale chC" portò alla raccolta di testimonia.

JOI

la combinazione d i Paolo , la disposizione d i Dio i n Sion ha un duplice effetto : a) essa prepara l'ostacolo nel quale Israele i nciampa : 7tp6crXOlJ.lJ.!l è 7tÉ't'pa cn>.

6. 1;1)-rE�"Y

con l'infinito si trova in Gal. r ,r6; 2,r7 nel senso di «darsi cura di».

7· Cfr. Bar. syr. 67,6: «E il profumo d'incenso balsamico della giustizia provenien­ te dalla legge è spento da Sion»; anche apoc. Bar. 5r,3.

Rom. ID,J-4

nobbe la giustizia di Dio e si diede premura per Dio con un falso zelo, se non aspirò propriamente a Dio, ma « s 'infervorò per Dio» (Peterson ), ciò avvenne in modo tale da presumere di CT'tf)CTa.L essi stessi la loro giustizia (dr . Rom. 3 ,2 r ; 1 4 ,4 ) , di instaurarla, realizzarla (nel senso dell'ebraico f?eqim); vol­ lero qu indi attuare una propria giustizia, un 'auto-giustizia. E ciò significa 3 . che essi non si sottomettono alla giustizia di Dio, a quella giustizia che Dio fa valere e sperimentare come sua 7tLCT'tL ( Maier, Kase­ mann ), bensì come >. 4 Ma che cosa gli dice il responso divino? «Mi s ono riservato settemila uo m ini , i quali non piegarono il ginocchio da­ vanti a Ba ah> . ·1 Così anche in questo tempo s'è formato un resto per

J> nel senso di �eletth> , che - come negli seritti di Qumran - viene formal­ mente contrapposta al popolo giudaico nella sua totalità.

Rom. I I ,J.8·9

Ora invece viene la limi tazione che suscita speranza : i) ÒÈ €KÀ.oy1} È7tÉ'tUXEV , e che può far notare che Dio non ha ri­ gettato Israele. Stando al senso origin ario, il À.EiiJ.(.lCX è quali­ 9 ,3 I .

ficato come ÈxÀ.oy1} in senso oggettivo 9. Esso sta ad indicare una collettività concreta , precisamente i « se rtemila » , sui qua­ li l'oracolo profetico ha già richiamato l'attenzione ( cfr. r Clem. 2 9 , 1 ). Ma il v . 7 non è soltanto conclusione del ragio­ namento fatto finora , bensì anche inizio di un nuovo pensiero . Infatti nel v. 7b si afferma: «Ma i rimanenti vennero indu­ riti>> . La luce dell'elezione ha un'ombra cupa accanto a sé . Se­ condo il v. :tb si deve dire : Israele non è stato «indurita>> o (< reso ostinato » . Nel senso traslato e radicale di «ostinazione» , 1twpovv s i trova anche i n Mc. 6 ,5 2 ; 8 , 1 7 ; Io. 1 2 ,40 a propo­ sito della xapola.., e in 2 Cor. 3 , 1 4 dei vo1J!-La."t"a.. d'Israele, il che ha come conseguenza la sua cecità nei riguardi di Cristo o del vo!J.oc; transitorio . Il sostantivo 7twpwcnc; viene usato nel medesimo senso in Rom . 1 1 , 25 ed Eph. 4 , 1 8 ( per l'indurì­ mento dei cuori dei pagani ! Cfr . anche Mc. 3 , 5 in riferimen­ to ai Giudei circostanti ) .

8-9. Quali effetti

eserciti questa 1twpwcnc; Paolo non dice più con parole proprie, ma con citazioni dall'A .T. Egli le adduce di nuovo come conferma di tali inaudite affermazioni, quasi volesse far capire che non lui, ma un'autorità superiore e so­ prattutto riconosciuta anche d� Israele, cioè la Scrittura, parla d 'Israele in questo modo. Sono due passi scritturistici tratti dalla torà e dai Ketubim, nei quali la prima citazione ( v . 8 ) rappresenta una combinazione della torà (Deut. 2 9 ,3 ) coi Nebiim (Is. 2 9 , 1 0 ), mentre la seconda cita Ps. 69,22- 2 3 ; 3 5 , 8 . L'indurimento d'Israele ( ad eccezione del « resto» o della «parte eletta » ) consiste dunque nel fatto che Dio diede loro un 7t'VEU(l!l xa.'ta.vuçEwc;. Nei LXX xa. dei pagani. Corrispondentemente, qui 1tÀ.TJPW!J.IX. potrebbe voler dire la totalità dei Giudei , forse col senso secondario del completamento ( 1tÀ.i)pwcnc;) sino alla totalità 4• Questo evento escatologico o questa condizione esca­ tologica supera ciò che lo ll't'"t"Yl!J.IX. dei Giudei ha apportato in ricchezza ai pagani. Quindi 'ltÀ.i}pW!J.tl. si avvicina al concetto di piena realizzazione. E llTt'l}!J.tl. non sarebbe l'esatto con­ trario di 'TtÀTJpW(.ltl., il che certamente non è neppure neces­ sario. In ogni caso , 1tÀTJpW(.l(l. è in linea con 1tÀ.o\hoc; x6criJ.ou 'JtÀ.OU"toc; èi}vGrv , ma con notevole eccedenza su questo con­ cetto. In altre parole: già nel v . r 2 Paolo prevede, al di là del primo effetto della disobbedienza d'Israele, la O'W"t'Y)pLa dei pagani, il frutto escatologico della loro conversione. -

1 3 . 0ra ( v . 1 3 ) Paolo si rivolge direttamente e in generale a­ gli etnico-cristiani (non soltanto di Roma ), ai quali natural­ mente aveva già parlato anche in precedenza, ma senza inter­ pellarli personalmente. Avendo egli parlato d'Israele in tono 3· Kiisemann seguendo Maier, Israel genze che sono state p os te» .

uo:

« L 'essere inadeguato rispetto alle esi­ 4· Delling

in ThWb

III

303 .

Rom. I I , I J

molto aspro - ma non senza alludere alla speranza che nutri­ va -, ora deve rivolgersi ai cristiani provenienti dal paganesi­ (presenti in Roma ed effettivamente dappertutto) per impe­ dire che si propaghino tra loro dei malintesi . La prima grande sezione si estende dal v. 1 3 fino al v. 24. In essa rientrano an­ zitutto i v v. 1 3 - r 5 . I vv. I 3- I4 riprendono un pensiero del v. r I e lo variano nel senso che ora viene indirizzata una parola particolare agli etnico-cristiani. Il v. 1 .5 , come s'è visto, corri · sponde al v. I 2 . Nel v. I I si affermava molto genericamente che la salvezza derivante ai pagani doveva rendere Israele ge­ loso ( e quindi zelante ) ; ora Paolo rivolge il pensiero a se stes­ so venendo a parlare del suo ruolo in questo avvenimento d'in­ teresse mondiale . Il cambiamento di discorso, rivolto agli et­ nico-cristiani, è molto accentuato nel v. I 3 : Ù!-1�V oÈ À.É.yCJ.) 'totc; ElNe:aw vuoi dire : «>, cioè i suoi crvyyE'VEtç xa't"tl. crapxa ( 9 ,3 ), l'Israele terreno ; 2 . per «salvare alcuni di loro » . Il 't"L­ vàc; Èç rt..Ù't"W'V è forse una espressione di modestia, forse è in­ tenzionalmente anche messo in contrasto con 'ti)v O"cipxa o con ( l'intero ) Israele terreno . O"WSEtv, un termine del linguag­ gio missionario ellenistico, vuoi dire naturalmente «portare all'obbedienza di fede» e così « salvare>> . Ciò che riesce a fare la ot.a.xovla sua di Èilvw'V à.1toO"'toÀ.oc; e il motivo per cui egli , l'Apostolo dei pagani, dà lode a Dio è dunque di rendere ge­ loso tutto Israele verso i gentili 15 e cosi di inquietarlo e incal­ zarlo, di tener vivo il loro problema circa la salvezza e suscitare la fede in «alcuni». Ovviamente questa dichiarazione non va intesa in senso esclusivo. Paolo rende onore al suo servizio per l'evangelo anche perché gli premono i pagani e la loro «sal­ vezza» , come attestano Rom. r ,8 e similmente I Cor. r ,4 ;

Phil. r,3 ; I Thess. 1 ,2 ; 2 , 1 3 ; 2 Thess. 2 , r 3 ; Eph. r , r 6 ; Col. r ,3 . La frase de i vv. r 3 s . è piuttosto da intendere come punto culminante nel contesto dei capp . 9-r r , dove nei confronti de­ gli etnico-cristiani si tratta di mostrare l'indurimento d'Israe­ le nella sua completa verità, che è ques ta: in un «resto » , in J· Cfr. Deut. 32,2r .

Rom. 1 1 ,14. I J. I 6

5 37

«alcuni » Israele viene salvato diret tamente , nel suo comples­ so è reso «geloso>> del cambiamento dei pagani che si salvano e quindi riceve un impulso alla riflessione e forse anche aUa conversione . Il pensiero viene continuato nel v . 1 5 , che, come il v. I 2 , rivolge nuovamente lo sguardo alle prospettive esca­ tologiche , chiedendosi quale salvezza sopraggiungerà quando I sraele sarà riaccolto da Dio . 1 5 . Del

v. I 5 abbiamo già parlato , ma dobbìamo aggiungere una considerazione. Questo versetto riprende il v . I 2 e rap­ presenta una motivazione dei vv . 1 3 s. ( j&.p). Ma in che sen­ so? Forse la connessione è da interpretare in questo senso : io lodo il mio servizio apostolico in favore dei pagani e spero che Dio mi conceda di ingelosire Israele per loro e di salvar ne alcuni. I nfatti Israele è il destino e la speranza di tutto il co­ smo. Se già la sua riprovazione è riconciliazione del mondo 6, la sua riaccettazione sarà vita esca tologica , inizio della sovra­ nità di Dio vincitrice della morte. Quindi l'ingelosire Israele e il salvarne « alcuni» significa introdurre la salvezza escato­ logica . Nel v . 1 .5 lo stato di cose viene formulato più chiara­ mente che nel v. I 2 ; infatti «ricchezza del mondo» diventa «riconciliazione del mondo » . In considerazione della sua causa e del SUO effettO ll't''t'TJ�C'L prende ora il nome di a1tO�OÀ.TJ (l'a1to�OÀ.TJ da parte di Dio). Inveçe di 1tÀ.TJPW!J..C'L si trova 1tp60'­ À.TJ(J.t!J�s (anch'essa sempre da parte di Dio) 7• Compare nuo­ vamente l'idea di Dio che domina e sceglie con tutta libertà , ma ora nel senso che Dio ancora una volta salva , elegge, riac­ cetta, riaccoglie a sé Israele per effetto di una misericordia senza fondo . r6. Fin qui Paolo agli etnico-cristiani ha parlato (come nei vv. I I s.) soltanto d'Israele e ha menzionato la salvezza del mon­ do solo in connessione con la caduta e riprovazione d 'Israele. 6. Secondo Johanan ben Zakkai (Tos. zione per il

mondo (Dahl, Volk 78). 7· Per l'an titesi cbto�oÀ'I'}-'ItpOCTÀTJIJ.IJi�c;

B

Q 7 .3 ),

i

figli della torà

dr. Ecclus 10,20.

sono riconcilid·

Rom. n,r6

Anche nel v. I 6 continua a considerare Israele e incomincia giustificando le due affermazioni dei vv . I 2 e r 5 ; questa giu­ stificazione compenetra poi anche le considerazioni dei vv. I 724. Il v. I 6 è il fondamento della esposizione fino al v . 24 e consiste in un duplice paragone. Il primo (v. I 6a ) è desunto dalla legge del rituale giudaico ( Num. I J , I 7-2 I ), secondo cui gli Israeliti sono tenuti a o ffrire a J ahvé ogni anno una piccola parte (re'flt = a1tapxi), inizio, rimasuglio ) della prima pas ta lievitata del nuovo raccolto del grano come sacrificio di pre­ lievo (palla, aramaico paWba') 8• In tal modo anche il pane ri­ manente, cotto dal nuovo raccolto, doveva essere consacrato a Dio ( à.yl.a.. ). Qui dunque &.1ta..pxi) è un termine tecnico del linguaggio sacrifìcale ( = palla), il che è accertato dal signifi­ cato di pasta che ha ( cfr. Rom. I 5 , 1 5 ; 2 Cor. I , I 4 ; anche Rom. I5,I5 ; 2 Cor. 2,5 ). &.-rtò !J.É.povc; va collegato av­ verbialmente con yÉ"(OVE'V e natur almente è un richiamo al « resto» . 3 · L'ostinazione durerà iixp�o ou 't"Ò -rtÀ.Tjpw!J.a 't"W'V Èwwv ELO"ÉÀ.1ln. 't"Ò 7tÀ.TJPWIJ.a 't"W'V i1l"vw\l è la totalità 5 apoca­ littica dei popoli pagani, prevista da Dio, quindi né tutti i pa­ gani presenti sulla terra che sarebbero diventati cristiani, né tutti i popoli del mondo che si sarebbero convertiti, ma quel numero di popoli stabilito da Dio in quanto è stato raggiunto, un numero che soltanto Dio conosce. Ciò non contraddice al fatto che prima l'evangelo debba esse re annunciato a tutti i popoli (Mc. I J , r o ) . Qui si può confrontare 4 Esdr. 4,3 5 s . , dove s i dice che «le anime dei giusti» nelle «loro camere» chiedono : «Per quanto tempo dovremo ancora star qui ? Quando si vedrà finalmente sull 'aia il frut to della nostra ri­ compensa ? » . L'arcangelo Jeremiel ri sponde loro : «Quando il numero dei vostri pari sarà completo» . Anche Bar. syr. 2 3 , 4 ; 3 0 , 1 ss . è u n pa rallelo , ed è risapu to che l 'idea del numero pieno dei martiri compare anche nell'A­ pocalisse di Giovanni ( 6, I I ) e in I 4 , r viene espressa in altro modo col numero 1 44 .ooo (Apoc. 7 , 4 ; 1 4 , 1 ) . Analogo è il concetto del 7tÀ.i}pw(J.a del tempo o dei tempi ( Gal. 4 . 4 ; Eph. I , I o). Qui si può prendere i n consider azione anche Le. 2 r, 24: Gerusalemme sarà calpestata dai pagani, finché si siano com­ piuti i tempi dei pagani. In 7tÀi}pw!J.a 6 inteso in tal senso è 5· Per questa completezza cfr.

I

Clem. 59,2 :

-r:wv ÈXÀ.EX'tWV CtU'tou èv 8À.!ti -r:{jl x6CT!Jò!!l. 6. Cfr. Delling in ThWb IV 283-309.

"t'CV &;p�D[J.Òv "t'ÒV XCt"t'TJP��T]IJ.Évov

Rom. 1 1 . 2 5

549

sempre contenuta I . l'idea di pienezza e completezza , 2 . l'idea che Dio ha stabilito il tempo o il nÙmero, e 3 . quella che così il 7tÀ.i)pw!J.a. è sottratto al calcolo e tuttavia è una grandezza ben preci sa Di ciò si deve tener conto anche nel nostro con­ testo. L'indurimento parziale d'I sraele durerà fino a che la totalità dei pagani, determinata da Dio, incalcolabile, sarà «en­ trata ». Quindi l'EÌ.CTEÀ.i}dv è forse l'entrare EL> . XllL oihwc; è introduzione della conclusione trionfale. Es­ so non si riferisce al xa.ih�c; yE:ypcm't'a.L . Ma non lo si deve intendere in senso puramente temporale , come in Act. 1 7 , 3 3 ; 2 0 , 1 I 8, bensì vuoi dire anche : dimodoché l'ostinazione d'I­ sraele si deve supporre fino all 'escatologico affluire in massa dei pagani. L'accento cade su 1ttic; 'IcrptlTJÀ.. Fino a questo mo­ mento escatologico, la proclamazione apostolica salvatrice de­ ve rendere Israele «geloso». Anche prima di allora > di Dio Paolo ha già parlato in Rom. 9 ,2 3 ; I O , I 2 . È la pienezza della sua benedi­ zione, che i gentili e i Giudei , essendo divenuti credenti, han­ no ricevuto (Phil. 4, I 9 ; Col. I ,2 7 ; anche Rom. 2 ,4 ) e che è stata data in Gesù Cristo (cfr. Eph. I , 7 ; 2 ,4.7 ). Ma anche l'a­ bisso della «sapienza» di Dio l'Apostolo esalta . È la sapienza di cui egli parla anche in I Cor. I ,2 I come sapienza del crea­ tore e nella creazione e in I C or. I ,24.30; 2 , 7 ss. in connessio­ ne con Cristo, ossia col misterioso operare di Dio in Cristo, il Crocifisso ( cfr. Eph. 3 , I o ) . Essa risplende nella sorte impene­ trabile di Israele e dei pagani, determinata dalla misericordia di Dio. Sapienza abissale di Dio è la storia del cosmo. La pro­ fondità della yvwo-Lc; i}e:ou si potrebbe intender� come endiadi rispetto a quella della O'o> o « far s tare in­ nanzi agl i occhi » [ I Cor. 8 , 8 ; 2 Cor. 4, 1 4 ; 1 1 , 2 ] , il che fa rico,rdate il linguaggio fmense ), si tradurrà 7t!XptxO"'t"TlO"aL con «preparare» o > di Roma ad essere al tempo stesso sacerdoti e vittime, perché ciò che interessa è precisamente la l}ua'la. swt1a. ày�a. 'tQ l}EQ EucipEO'"toç. Giu­ stamente il Leenhardt fa osservare che si tratta . La misericordia di Dio stimola ad un sacrificio concreto , che è « vivente , santo e gra­ dito a Dio » , poiché viene offerto da « viventi , santi , graditi a Dio» e cosi di per se stesso produce vita , santità , compiaci­ mento di Dio. I 0\l"t"L Èv Ù].I.L\1 ].I.'Ì'j Ù7tEpcppovEi:v 1to:p'8 OEi: cppo'.IEt'\1 àÀ.À.à cppo'II EL'V Etç -rò O'"Wcppo'II Eiv, hti0'"-r� wc; ò l}Eòc; È].I.ÉptO"E\1 ].I.É-rpov TILO""tEWc;. 4 xo:l>0.1tEp yàp È'J Èvt O'"W].I.O:'t'L 7toÀ.).à ].I.ÉÀ.l) EXO!-LE'V , -rà oE. ].I.ÉÀ.l) mi:v-ro: où -r'Ì]v o:Ù-r'Ì'jv EXEt 7tpiiçw, � oihwc; oi. ltOÀ.À.ot E'V O"W].I.O. EC"].I.E\1 E'V XpLa-rQ, -rò OÈ xo:l)''etc; aÀ.À.l)À.wv ].I.ÉÀ.YJ. 6 EXO\I"t"Eç oÈ Xt'LPLO"].I.O:"t"O: XO:'"t"à "t"'Ì'j\1 xtip�v '"t"TJV SoDEL0'"0:'\1 i}!J.Lv &�ciouofl, ò ÈÀ.EW\1 Èv tÀ.ap6'tl]'t�. 9 i) ciycim1 civ1moxpt'toç. a'!>OCT'tVj'OV'II'tEpovd\1, O'Wq>pO'VEL'V , che difficilmente si può rendere in italiano. Con ciò si possono confrontare I Cor. I I ,2 I s. ( 2 9 ss . ) ; 2 Cor. I 0 , 2 s . ; Gal. 5 , 7 s . ; 2 Thess. 3 , I I . Nei vv. 6-8 lo stile muta, in rispondenza al mu tare del pensiero . La frase s'inizia con un participio : EXOV't'Eç oÉ, che sta probabilmente per un verbo finito . Poi non si trova più nessun verbo . Forse, ma non è probabile , il senso di EXO'V"t'Ec; oÉ è impera tivo (cfr. 1 Petr. 3 ,7 s . ) . Sicuramente l 'imperativo

Rom. r:z,J-2 I

( senza verbo) qualifica le quattro frasi introdotte con EL'tE ( vv. 6- 8a) e le ultime tre parti della proposizione , giustapposte a­ sindeticamente ( v. 8 b ) . Per una certa somiglianza si può con­ frontare Rom. 2 , I 7 -2 0 . 2 1 s . ; 3 , 2 1 s. 2• Comunque, nell'insie­ me è sorprendente il parallelismo dei membri, la stringatezza retorica delle frasi 3 e l'insistente mancanza dell' articolo in 7tpOcpT}'t'ELa, ÒLaXo'VLa e negli astratti del v . 8b 4 • È come se Paolo qui passasse ad esclamazioni carismatiche. Ma ancora più sorprendente è lo stile nei vv. 9-2 I . Qui si trovano 1 . un asindeto ripetuto, anzi mantenuto quasi dap­ pertutto ; 2 . un uso costante del participio in luogo di un ver­ bo finito, senza collegamento con un verbo finito all'impera­ tivo, ma con un senso imperativo ( vv. 9- 1 3 ; cfr. Eph. 4 , 1 ss. ; J Petr. 3 , 7 ecc . ), interrotto da aggettivi 5 ; e si trova 3 · anche un infinito che sta per un imperativo ( v . I 5 ; cfr . Phil. 3 , 1 6 6); tra questi, direi quasi per conservare il tenore dell'intera se­ zione, compaiono, specialmente verso la fine , 4 - degli impera­ rivi : vv. q . x 6b . 1 9 . 2 0 . 2 1 ; non si deve dimenticare neppure 5 . l'homoioteleuton nel v . 1 5 (cfr . I Tim. 3 , I 6 ) . Riassumendo : gli elementi retorici che caratterizzano 1 2 , 3 - 2 1 sono numerosi e molteplici : una quartina , anacoluti, a­ sindeti, paronomasia , assenza di articolo, pochi verbi finiti, sostituiti da participi e infiniti, inframezzati da i mperativi ac­ centuanti, una parte dei quali è dovuta senz'altro alle citazio­ ni (vv. x 6b . 2 o ). Per di più la compagine delle frasi , più volte spezzate, si allenta gradualmente : dai vv. 3 - 5 ai vv. 6-8 e ai vv. 9-2 1 . A ciò s 'aggiunge dell 'altro : 1 . le singole esortazioni - in ogni caso a partire da I 2 ,9 , come vedremo - non sono, per contenuto , collegate fra loro , o il collegamento sta soltanto sullo sfondo e quindi quasi non esiste uno sviluppo logico or­ dinato e pres tabilito . Lo prova chiaramente la successione dei termini caratteristici ( v . I 3 s . ) OLWXO'V"t'Eç-Òl..wxov'tac; . 2 . Que­ ste esortazioni non sono ( e non vogliono essere) in alcun sen2.

Bl.ass-Debr.

4 - Blass-Debr.

§ 4H.3· § 2 58,t .

5

lbid_ §

46!!,2 .

3· Bultmann, Stil 7 5 · 6. lbid.

§

389.

Rom.

I 2,)- : H

so complete. Non c'è traccia di sis tematicità o anche solo di un'articolazione più precisa ( eccetto quella che separa , grosso modo, i vv. 3-8 dai vv. 9-2 1 ). Nei vv. 9-2 1 compaiono esempi monchi e nei vv. 3-8 un punto di vista probabilmente condi­ zionato dalla situazione della comunità romana, anch'esso il­ lustrato da esempi isolati. Se si tien conto di queste osserva­ zioni, si potrà dire che il 7tapaxaÀ.E�v dell'Apostolo , là dove esso viene concretamente sviluppato, dopo una breve istru­ zione nei vv . 3-5 , s'intensifica in avvertimenti e richiami s pon ­ tanei (vv. 6-8) e poi, col cambiamento del punto di vi s ta og­ gettivo, ossia col passaggio alla esemplificazione morale più precisa del «sacrificio», prorompe - se così si può dire - in richiami pneumatici. La voce della misericordia di Dio e l'an­ nuncio della grazia concessa all'Apostolo, quindi la paraclesi apostolica, dov 'essa diventa concreta, sono un discorso cari­ smatico . Ma ciò non escl ude l'accentuazione di elementi tra­ dizionali e di parole s critturistiche . Il parallelo formale più prossimo al nostro capitolo è I Thess. 5, 14-2 2 , dove, dopo imperativi asindetici (vv. 1 4 . 1 5 ), nel v. r 6 subentrano analo­ ghi richiami, che, brevemente in terrotti nel v . r 8b, termina­ vano nei vv. 1 9-22 in concise proposizioni asindetiche. La pa­ raclesi apostolica è cer ta mente istruzione esortativa, ma è an­ �he - particolarmente nel nostro capitolo - allocuzione reli­ giosa spontanea, che effettivamente sollecita e risveglia inces­ santemente il pensiero e assieme la vita attiva dei cristiani, in­ dirizzandoli precisamente ver so il senso vero e proprio dell'e­ sistenza cristiana : quel sacrificio che rende liberi e altruisti . In tal modo, grazie alla paraclesi apostolica, la vita cristiana viene còlta nel suo tratto essenziale e nel suo svariato compor­ tamento concreto, che si esplica nell'ambito della comunità e del mondo. 3 · Con un ycip di trapasso, che ha anche un lieve senso causa­ le, si fa l'allacciamento del v. 3 · Pertanto a 7tCX.po:.xaÀ.w corri­ sponde À.Éyw, il quale va inteso quindi anche tenendo conto di questo rapporto 7• Così pure a o�à. 'tWV OÌ.X"t'Lp!J.W'\1 'tOV ilEOU 7· Quindi difficilmen te esso è da rendere con Lietzmann, Miche!, H.W. Schmidt ed

Rom . .I2,J

5 90

corrisponde OLà ·d)ç xapvtoç "tf)ç ooaELIT'JlpovE�'V , verbo che in Paolo significa «giudicare» ( r Cor. 1 3 , I I ; Phil. 1 ,7 ), ma anche «essere intenzionato» o «di­ sposto », « avere. certe idee » o «certi sentimenti» (Phil. 2,2 .5 ; 3 , 1 5 ; 4 , 2 ; I Cor. 1 3 , 1 1 ), «mirare a» (Rom. 1 2 , r 6 ; J 4 , 6 ; Phil. 3 , 1 9 ; Col. 3 ,2 ), «aspirare » , «tendere», « sforzarsi>> (Rom . 8 ,5 s . ), «volere» ( Gal. 5 , r o ), tenendo conto che tali distinzioni sono naturalmente relative. Questo cppovE�v, che qui in Rom . I 2 , 3 vuoi dire più che altro «aspirare», « tendere» , «cercare » , «ambire>>, non dev'essere un Ù7tEpq>pOVEL\J 1ta.p'o 9 O d q>pOVE�\J . Ù7tEpq>povE�V indica un q>povE�V che oltrepassa i limiti propri e si spinge al di là di ciò che è necessario e possibile; oppure un cppovE�v , che - in confronto a ciò che è comandato e per­ messo - rappresenta un eccesso, un q>po'VEL'V rivolto contro la volontà di Dio ( od, cfr. Rom . 8 , 2 6 ; I Cor. 8 , 2 ; 2 Cor. 1 1 , 3 0 ; r z , r ecc. ). L'esortazione positiva lo spiega un po' meglio : aJ.,).à q>pOVEL\J EÌ.ç 't'Ò O"Wq>pOVELV : il q>pOVE�V deve avere il SUO scopo nel O"WcppovEi:v , che diventa cosl la norma del cppovEi:v ; esso deve quindi mantenersi entro i limiti del O"wcppovEi:v , cioè della ponderatezza, assennatezza, equilibrio, moderazio­ ne (dr. 2 Cor. 5 , 1 3 ; I Tim. 2 ,9 . 1 5 ; 2 Tim. 1 , 7 ; Tit. 2 ,6 . 1 2 ; r Petr. 4 , 7 ) . Di conseguenza, l'ù7tEpq>povEi:v , che la grazia me­ diante Paolo proibisce, è un'aspirazione o ambizione sconside­ rata, irragionevole, esagerata, un errato ÈXO"'t'ijO"a.t. ( 2 Cor. 5 , :r 3 ). Ma che cos'è il O"WcppoVELV comandato 10? Un suo aspetto è chiarito da 1 2 , 3c: É.xliO"'t'� o DEòc; È(.lÉpt.O"EV (.lÉ"t'pov 1tLO""t'EWc; . 9· "'ta:p'8 equivale a «a paragone di», «in confronto a», > ­ Èv "t'TI 7tapaxÀ.1}ou; 6 O Lo ci crxwv significa colui che insegna con metodo didattico, che X«X"t'T}XEt ( I Cor. 1 4, 1 9 ; Gal. 6 ,6 ) e ma­ gari interpreta anche la Scrittura. Del OLOcio-xELV dell'Aposto­ lo stesso si parla in I Cor. 4 , 1 7 ; Col. 1 , 2 8 ecc., di un'attività didattica della comunità in Col. 3 , 1 6 ; I Tim. 2 , 1 2 ecc. Non è ancora un incarico stabile, ma è - pensa giustamente lo Zahn ­ «uno stato» il cui servizio normale è appunto l'insegnamen­ to. Secondo le lettere pastorali, gli insegnanti sono 1tl.O""t"OL èiv­ �pW7tOL, ai quali Timoteo deve trasmettere la dottrina aposto­ lica ( 2 Tim. 2 ,2 ) , perché essi Lxa.voi. EO"OV"t'IXL xcd È"t"Épouç or.­ ocio-XEL'V_ Nella cerchia paolina ( I Cor_ I 2 ,2 8 s.) i Ot.ocio-xa.À.ot. vengono menzionati dopo gli a1tOO""t"OÀ.OL e 7tpO!.a. e si termina con la men­ zione del la q>�À.o1;EVLCX. 35. Ad eccezione dell' ult i mo membro, gli (ad es . in

7, I 9;

·

altri incominciano tutti con un dativo, che però ha di volta in volta un senso diverso, il che dimostra il sopravvento della retorica sulla connessione concettuale . Tutti questi ammoni­ menti concernono i rapporti reciproci fra i componenti della comunità.

Nella lingua greco-ellenistica l' « amo re fraterno» è l'amore tra fratelli e tra fratell i e sorelle in senso proprio, e prima del N.T. non è usato metaforicamente. Se ne parla anche in 1· I o.

Thess.4,9; Hebr. r3,r; rPetr. I,22; 2Petr. r,7ab (rClem. 48,r; 47,5). Il dativo 'tU q>LÀ.tx.OEÀ.qù� qui vuoi dire « in for­ ma di» o anche semplicemente «nell'amore fraterno» s iate cpt.À.O> del mondo 'ltpo Éxo\j;Ev , dove il verbo 7tpOX07t't'EtV sta ad indicare l'avanzare, il progredire del tempo 9• Essa non è ancora finita, ma sta per finire. Correlati­ vamente si dice che il giorno «si è avvicinatm> . Questo enun­ ciato corrisponde a Mc. I , I 5 ; Iac. 5 , 8 ; I Petr. 4 , 7 . I l kairòs in cui gli uomini adesso si trovano - dice l'Apostolo - è quindi l'ora in cui la notte del mondo sta per passare e il giorno del Signore risplende e la scaccia. In quest'alba o nel primo mat­ tino bisogna alzarsi dal sonno. Continuare a «dormire» signi­ ficherebbe perdere il giorno prossimo a sorgere . In questo passo di Paolo la prossimità del giorno è intesa in un senso anzitutto temporale, a cui fa riferimento il v. ub. Adesso il giorno è più vicino di allora, quando «noi» - Paolo e i cristiani in genere - «eravamo giunti alla fede» , fatto che finì per con­ cludersi nel battesimo. E'lttCT"t'EUCTopdcril'w. 6 o (jl(JO\IW\1 -.i}v TJ!J.Épa.v xupt4J q>pOVEL' xa.t o Èo1l'twv xup�4J oux Ècril'lEL, Euxapt.O'"t'EL yàp ,;fil i}Efil' xa.ì. o !J.TJ f.cri}(.wv xupt4J oux ÈcrtHEL xa.ì. EUXCl.PLO''tEL ,;Q il'EQ. 7 ouodc; yà.p i}(..lW\1 ÈO.:U'tfil sfl xa.t oùodç Èa.U't{il Ò:1tothriJrrxE1." s Mv "t'E yàp �W(..lE\1, ,;Q XIJ­ P�4l swlJ.EV, Mv 'tE Ò:Tiowncrxw(..lEV, 't@ xup(.4J Ò:'!towuaxo(..lE\1. Mv 'tE ouv l;w[J.EV Mv "t'E Ò:1towncrxw!J.EV, ,;ou xup�ou ÈO'(..lÉV . 9 dc; "t'OU"t'O ycìp Xp�O''toç Ò:7tÉil'a.:vEv xaì. E�'l'JCTEV, tva.: xa.:ì. vExpwv xa.:ì. l;wv,;wv xupt.EUCTTJ . 10 crù oÈ "t't xp i.vEt.ç 'tÒV Ò:OEÀq>ov o-ou; fì xa.:t O'Ù ,c E.çouil'EVE�c; 'tÒV àOEÀ.­ q>6v rrou; '!tÒ:V'tEc; ycìp 1ta.:paO'"t''l'JCTO!J.Ei1a. -cQ �'i](..lO.:'tL 't'OU il'E où , 11 yÉ­ ypcx.TI'tO.:L ycip · sw Éyw, ÀÉyEL xupt.oç, O'tL E(..lOÌ. Xct(..l�EL '!tliv y6vu xa.:ì 1tlicra. yÀwrrrra.: Éço(..loÀoyi]rre-ca.:t. "t'0 lJE{il. n &p a. [ ovv ] Ex�cr'toc; i}p.wv 1tEpÌ. Èa.:u'tou Myov OWO'EL [ 'tt{j l1eQ ] . 1 Accogliete colui che è debole nella fede, senza che avvengano di�cus­ sioni sulle opinioni . 2 L un o crede di poter mangiare di tutto, mentre il debole mangia (soltanto) verdura . 3 Colui che mangia non disprezzi colui che non mangia, ma colui che non mangia non giudichi colui che mangia; infatti Dio l'ha accolto . 4 Tu chi sei, che giudichi un servitore d'altri? Per il proprio Signore egli si regge o cade; ma si reggerà ; il Si­ gnore infatti è capace di farlo s tare in pi ed i . 5 C'è infatti chi p refe risce '

un giorno all'altro e chi invece stima buono ogni giorno; ciascuno sia convinto del proprio modo di pens are. 6 Chi presta attenzione al gior­ no, lo fa per il Signore; e chi mangia, mangia per il Signore, infatti ren­ de grazie a Dio; e colui che non mangia, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio. 7 Poiché nessuno di noi vive per se stesso, e nes­ suno muore per se stesso. 8 Infatti se viviamo, viviamo per il Signore , e se moriamo, moriamo per il Signore. Dunque sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9 Per questo infatti Cristo morì e riprese a vivere, per essere Signore e dei morti e dei viventi. 10 Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? O tu anche , perché disprezzi il tuo fratello? Tutti veramente ci presenteremo al tribunale di Dio. 1 1 Sta scritto in­ fatti : , «disputa » , anche «lite», «controversia» , «polemica» e sim. 4• O LaÀoyLCTIJ.OL non sono tan to pensieri, riflessioni ( Kii hl ), come in Rom. r , 2 1 ; I Cor. 3 , 2 0 , o anche esitazioni, dubbi, come in Phil. 2 , 1 4 ; I Tim. 2 ,8 , ma piuttosto convinzioni, comportamenti, forse an­ che - come in Iac. 2 ,4 - opinioni o decisioni . I cristiani di Roma devono prendersi cura dei deboli nella fede, ma non per discutere le loro scrupolose convinzioni o opinioni 5, ben­ sì - si potrebbe formulare in breve - per rispettarli . Ciò de­ v'essere un riconoscimento vicendevole dei fratelli, i quali non litigano fra loro, ma hanno rispetto l'uno dell'altro e delle rispettive convinzioni, che dopo tutto sono convinzioni di fe­ de. Altrimenti « l'unione dei due gruppi si trasforma in una insopportabile discussione teologica» (Schlatter ; cfr. Barrett). -

2 . Ma quali sono le ragioni di questi possibili litigi ? Formu­ lando diversamente la domanda: in qual senso gli uni sono «forti» , gli altri sono «deboli » nella fede ? Paolo lo accenna soltanto . Il v. 2 risponde a questa domanda cosl : «L'uno cre­ de di poter mangiare di tutto» 6, il «debole mangia solo ver4· Cfr. lita.xp'v�O'»aL nel senso di > . IO.

Strack-Billerbeck

n

366

s.

carne e dal vino (Dan. 1 ,5 . 8 . 1 2 ; r o,2 ss. ; cfr . anche 4 Esdr. 9 , 2 1 - 2 6 ; 1 2 ,5 1 ) . Come opera penitenziale troviamo la mede­ sima astinenza in test. R. 1 , 1 0 ; test. Iud. 1 5 >4 ( cfr. 1 0 , 3 ) 11 ; come preservazione dalla tentazione, in test Ios. 3 , 1 5 . Ma .

queste sono tutte situazioni particolari e momentanee, in cui si pratica tale ascesi, e non si tratta di un'astinenza p er prin­ cipio come in Rom. 1 4 , 1 ss. D'altra parte si sa che il giudaismo palestinese ed ellenistico metteva in particolare rilievo non solo il sabato o i giorni di digiuno, ma anche altri periodi d i tempo, che si dovevano os­ servare . Ma anche in questo caso Paolo non caratterizza più precisamente la situazione romana, sicché non è possibile far­ sene una idea chiara . Lo Schlatter pensa al calendario giudaico e agli inizi della celebrazione domenicale. Ma basta questo ? La distinzione di giorni e di tempi ha un suo ruolo specialmen­ te nell'apocalittica giudaica , soprattutto nell'Henoch etiopico e nel libro dei Giubilei. Ad es . , in I Hen. 8 2 , 7 ss. si dice: «Davvero le stelle, i mesi, le feste, gli anni e i giorni egli mi ha mostrato e rivelato, Uriel . . . » . Anche nei testi di Qumran si trovano tali tempi eccezionali, ad es. in Dam. 3 , 1 2 ss. : «E i capi dei loro reparti di servizio coi loro arruolati si presente­ ranno nelle loro scadenze festive, nei noviluni, nei sabati e nei giorni dell 'anno, dai cinquant'anni in su . . >> 12• Contro tale valutazione religiosa di determinati tempi polemizza in segui­ to il Ker. Petr. in Clem . Al . , strom. 6 , 5 >4 1 : nre che una convinzione sia sincera perché sia vera. Il cristiano non è libero: egli pensa per il Signore (XVPL!tl)� (Leenhardt). 2 5 . Strack-Billerbeck m 309; Beyer in ThWb n 758; G. Harder, Paulus tmd das 2 6 . H.W. Schmidt parla d i «stile innico». Giitersloh 1936, 1 2 1 .

Gebet,

Rom_ I4,7-9

pensieri di Rom. r 4 , r ss. Inoltre i vv. 7-9 passano all'uso del­ la prima persona plurale. Va notato infine che ques ti versetti sono ritmici, sicché , anche se non è il caso di pensare ad una «professione di fede battesimale» (Michel) - ne mancano i contrassegni specifici -, si può però pensare a un inno a Cri­ sto, formulato spontaneamente dall 'Apostolo, con una chiusa ( v . 9) che echeggia una breve omologia 27 o comunque ne im­ piega i motivi . A questa chiusa tende l' «inno», che attinge in essa il suo culmine . Di fronte a questi enunciati il problema romano sprofonda al livello di questione secondaria . Come si può motivare l'asserzione del v. 6 del xv p i� T}fJ.E�\1 è un'espressione forte (Mi­ che! ), che però non vuole alludere soltanto ai «deboli » , o ai «forti», o ai non�cristiani 9, bensl include coìne soggetto tutti questi gruppi con la loro tendenza : i «deboli» , che giudicano il «forte» ; i «forti », che col loro comportamento ledono l'à.­ y6:.7tT} ; e infine i non-cristiani, i quali guardano con disprezzo e schetno la cristianità divisa dai litigi a causa del �PWfJ.OC. e la oltraggiano . In favore di questo BÀ.oc.D" .

:zr. -ijv manca, probabilmente per errore, in bo sah Orig D G vg ann ecc. (Lietz­ rnann; diversamente Zahn, Kiihl, Barrett e altri).

22. «EV iii lìox��!;EL: in ciò che egli - in base ad un esame accurato - ritiene op­ portuno e corrispondentemente manifesta nel suo agire» {Ktihl). H.W. Srhmidt : «nelle sue decisioni�>.

Con un gioco di parole, che ha inizio già nel v . 2 2b con 6 x.p�­ \IW\1 e che ora prosegue in OLcx.x.pC\IEO"-itcx.� e x.cx.-rcx.X.pL\IEcr-itcx.L , a

lui viene fatto notare il pericolo in cui si trova e che non è cosa da poco. 8tcx.x.pC\IEO'ltcx.t significa « trovarsi in dissidio con se stesso» e, in questo senso, «dubitare» 23 , e precisamente come si dice in Rom. 4 , 2 0 - "t'TI cimcr"t' L�. Colui che «mangia» con tale insicurezza, quindi contro la propria fede, che glielo vieta e gli proibisce di mangiar carne , esperimenta già fìn d'ora la condanna nel giudizio. È un atto che si compie oùx. Éx. 7tL­ O""t'EWc;, dove 1tLO""t'Lc; ha certamente qualcosa in comune con la O"tJ\IELOTJ CTtc; di I Cor. 8 , r o . r 2 , ma non è assolutamente iden­ tica ad essa. La fede è una questione di coscienza, la coscienza invece non è sempre una questione di fede. Che qui 7tLCT"t'Lc; sia in senso completo l'obbedienza di fede, concessa ad ognuno secondo la misura di Dio e che dev'essere abbracciata e com­ provata dalla fede, risulta, nel v . 2 3 , non solo dalla sua oppo­ sizione a Òt.cx.x.pL\IEO"'itcx.t, ma anche dalla conseguenza a cui si allude con X.a"t'ax.Éx.pL'tClL, e sopra ttutto dalla frase del v . 2 3 b che conclude i n senso categorico e non d à l'impressione di es­ sere soltanto generica, ma è intesa anche in tutta l'ampiezza di ciò che vuole affermare. Qualsiasi azione - così probabil­ mente si deve intendere - che non sia compiuta nella fede e non sia sorretta dalla obbedienza di fede, è «peccato » . Questa fede include in sé, in particolare, convinzioni e azioni di vario genere, ad es. quelle dei «forti» e quelle dei «deboli» , poiché essa - se è veramente fede - è indirizzata a Cristo e vive « in lui» considerato come il Kyrios (v v . I 4 ,6 ss . ) e , vincolata in questo senso, decide tutto, sicché in essa può essere legittimo anche un comportamento diverso. Se però questo vincolo col Kyrios s 'interrompe e se il giudizio e il comportamento non sono più ispirati dalla fede , allora tutto ciò che si pensa e si fa è un aperto o nascosto autocompiacimento (dr. Rom. I 5, I ) e perciò 1), B lat Cl leggono Èypacp1), D legge 7tpocrEypciq>1). Dopo EXW(..LE\1 B Cl aggiungono ·d)c; 7t ( Michel ), ma l'intera sua «opera » , croce e resurrezione; 2 . questa fu compiuta u1tEP "t'fie; liÀr}'llE�ctc; �Eoù , che , secondo Rom. 3 .4 s . , è da interpretare come la OLXctLocn)v"r) nel senso della fedeltà di Dio all'alleanza ; 3 · tale fedeltà si dimostrò nel �E�ctLWCTCX.L "t'àc; È7tctyyEÀLaç "t'WV 7ta"tÉpwv . �E�cttoÙ'V ha an­ che qui un senso giuridico e significa al tempo stesso «confer­ mare » , « convalidare» e « adempiete>> , « portare a compimen­ to » 6• L'accento cade su tmÈp •fie; liÀ"r)�Elaç �Eou . Il servizio prestato da Cristo per la 1tEPt.•owf} ( = i circoncisi ) consiste appunto nel valorizzare e rendere manifesta questa verità . 2.



Sanday-Headlam, Lagrange. Lietzmann , Miche!, Barrett, Kiisemann.

«TJ!-lii

4 · Bauer, Wb.

5 . Lo

929.

( Leenhardt)_

Zahn preferisce leggere rtvÉuDa� con B C•' DpCX.L\IE�!X. L , CX.Ì.V d \l, bta.L\I EL\1 , È.À.7tLSEL\I [ Miche! ] ). Il v . 9a cita rispettivamente Ps. I 7,50 e .2 Sam. 2 2 ,50 quasi alla lettera, senza il vocativo xÙpLE. Ma que­ sto non vuoi dire che il soggetto dell'ÈçOIJ.OÀ.oyEi:crllcx.L sia Cri­ sto (H .W. Schmidt ) . Non si dovrà pensare nemmeno ad una persona incaricata d'intonare la preghiera (Michel), ma l'a­ rante può essere ogni singolo membro della comunità che ne sia idoneo . Lo Èv iti}\IECTL\1 può applicarlo a se stesso, nella sua confessione, tanto il giudeo-cristiano quanto l'etnico-cristiano . In altri termini : il v . 9b è - per così dire - l'intestazione delle lodi di Dio successive, che espongono due esortazioni rivolte ai pagani e una promessa per loro. -

-

I o-r r . Solo di qui in avan ti si presenta anche la successione di Torà, Nebiim , Ketubim . Dopo l'introduzione ( « E inoltre [ la Seri t tura ] dice » ) il v. r o cita la terza riga dal cantico di Mosè (Deut. 3 2 ,4 3 ) . In essa i pagani venivano esortati a unirsi 7· «aÀ.TjitELO:. ed rì.toc; (hered we'emel ) sono le parole da lungo tempo co!legat� fra loro, che assieme descrivono il comportamento benevolo, soccorritore di Dio'' (Schlatter). 't'Ò EÀ.toç è la condotta tenuta da Dio coi pagani secondo Rom. 9 , r:; t6.23; I I ,J I .

Rom. I 5,IO-I I . I2 . I 3

68o

coralmente ad Israele nel canto di glorificazione 8, quindi nel nostro contesto ci si rivolge agli etnico-cristiani uniti in Cristo ai giudeo-ctistiani, ripensando a questo D.Eoc; che li ha rag­ giunti . o pò: 'tWV Èwwv Etl1tpécroEX"toc;, i)yLOCCT!J.ÉVT) Év 'Tt'II EVJJ.OC'tL &:.yi41. 17 ÉXW o uv [ •iJv ] xocuxncrw È'.l Xptcr'tQ 'Itjcrou -tà 1tpòc; "tÒ'II i}Eo\1 ' 18 où yà.p -.o ì.." JJ.ncrw "tL loclEiv w\1 où xoc•ELpyaCTa"to XptO"'tÒc; ot'É�cu Etc; tntocxci]v ÈWW\1, À.6y41 xaì. Épy�, 19 É'V Ouva�EL O"'"f)IJ.ELWV xat 'tEpa'tW\1, Èv ow6:­ �E� 'Tt'VEUIJ.OC't"Oç [ &Ecu ] . WCT'tE �E à1tÒ 'lEpouCTaÀiJJJ. xat xux>..� �ÉXP'­ i:CV 'I).).uptxov 1tE1tÀtjpWxÉva� "t"Ò EÙayyÉÀtov 't'CV XptCT'tcv, 2 0 oihwc; oÈ cptÀ.c'tt�v�Evo'\1 EuayyEÀ.i�EocL cvx o1tov �JvoJJ.acrllT) Xpt..é""t"ptov i}Ef.l.ilto'\1 ctxoooJJ.W, 21 ò:>..>..à xcdlwc; yÉypa1t"toct·

ore; oux Ò:.vT]yyÉÀ'"f) 1tEpÌ. aU'tOÙ otjJoV'tiXL, xoct c'L cux àxT)x6acrw CTuvi]crova-w . 14 Ma sono convinto, fratelli miei, anch 'io personalmente a vos t ro ri­ guardo, che anche voi siete pieni di re t t i t u di n e ricolmi di tutta la co­ noscenza , così da potervi anche esortare tra di voi . 1 5 Ma in parte vi scrissi con una certa au d ac i a , per richi a m a re qualcosa alla ( vostra) m e ­ moria in virtù della grazia che mi è stata d a ta da Dio , 1 ., sicché io fossi ministro di Cristo Gesù per i gentili, inviato ad amministrare da sacer­ dote l'evangelo di Dio, affind1é l abl a zione dei gentili sia bene acce t t a , santificata nello Spirito santo . 17 Ho dunque questo vanto in Cristo Gesù, in ciò che riguarda Dio. 1� Non oserò infa t ti annunciare qualcosa di quello che Cristo non operò per mezzo mio per l 'obbedienza dei gen­ tili, con parole e con opere, 19 con la potenza di segni e di p rod ig i con la forza dello Spiri to . Quindi da Gerusalemme e in vasto raggio fino all'Illirico portai a compimento l 'evangelo del Cristo. 10 E cosl ho im­ pegnato il mio onore nell'evangelizzare non dove Cristo era già cono­ sciuto, affinché non edificassi sul fondamento a l trui , 2 1 ma come sta seri tto : ,

'

,

Rom_ IJ,I4

« Q uel li ai q uali non fu annunciato ( nulla) di lui, vedranno, e quelli che non avevano udito, capiranno» .

Con Rom . I 5 , 14-2 1 Paolo ritorna ancora una volta a ciò che gli stava a cuore all 'inizio della sua lettera : esporre i suoi rapporti con la comunità romana e, direttamente e indiretta­ mente, chiarire il senso della sua lettera, e ciò all'interno del­ l 'illustrazione del suo incarico apostolico in genere. Così I 5 , I 4 ss. e 1 , 8 ss. si corrispondono sotto vari aspetti . Entrambe le pericopi comprendono ciascuna il testo dottrinale della let· t era e fanno poi capire a modo loro che l 'evangelo proposto nel « testo dottrinale» è un messaggio attuale in forma episto­ lare per la comunità romana . 1 4 . Il v . 1 4 reca anzitutto una captatio benevolentiae, che pro­

babilmente - detto con tutta semplicità - contiene '6 S C D G pL 5,12; lgn_, Rom. 3 , r .

686

Rom.

1 J,IJ

dice di nuovo limi tando , solo «in parte» . L 'audacia riguarda tanto il fa tto della lettera stessa , indirizzata a una tale comu­ nità come quella di Roma, che Paolo né ha fondato né, a pre­ scindere da alcuni componenti , conosce con preci sione , guan­ to la sua vasta e profonda tematica e la sua teologia della grazia senza compromessi 8 • à1tb !J.Épouc; non si riferisce a certe parti della lettera, ma - se s'intende rettamente - qualifica !'« audacia » come non del tutto audace 9. Il v. r 5 b apporta un'ulteriore giustificazione dell' « audacia» di Paolo o dell 'esi· stenza di questa lettera troppo audace, ma adduce anche una motivazione incontestabile della sua stesura. Paolo l'ha scrit­ ta wc; È1tri.Vri.IJ.�IJ.VTJCTXWV 1 0 . Ciò significa : «Come uno, che ( sol­ tanto ) richiama alla mente » , nel senso che ripete una tradi­ zione già nota e consolidata. Si tratta di una limitazione simile a quella che provocò anche l 'inserzione di Rom . 1 , 3 s. nell'in­ testazione della lettera come base comune per la comunità romana e per l'Apostolo . L'esistenza e il contenuto della let� rera sono alquanto audaci , però, se li si intende rettamente, solo un poco . In essa si trova anche solo una ripetizione e un ricordo schie ttamente paolini della tradizione cristiana, che anche la comunità romana conosce, non di più. A ciò s'ag­ giunge ancora una cosa, che adesso rende certamente super­ flua l'intera concessione e caratterizza indirettamente l'espres­ sione wç È1tri.Vri.IJ.l.(l.VTJCTXWV . Questo «richiamo alla memoria» , rappresentato da1la lettera alla comunità romana, è una remi­ niscenza tale, che è data per amore della grazia concessa da Dio all'Apos tolo, ossia nell'ambito del suo incarico e del suo mandato di compiere la «liturgia» dell'evangelo per i popoli . Nel bel mezzo della frase, Paolo «dalla giustificazione passa d'impeto ad affermare il suo diritto» ( Kasemann). Ma il suo diritto si basa sul fat to che a lui è stata data la «grazia » di 8 . Barth 1 1 1 rimanda a 2 Petr. 3,15-16. I l parallelo non riguarda soltanto la parte parenetica, come ultimamente anche lo Zeller (op. cit. 66 ) sostiene. 9·

Lagrange , L. Gaugusch , Untersuch�ngen zum Romerbrief. Der Epilog (IJ,I4· r6,27); BZ 24 ( ( 1938/39} r 64-I84 .252-z66, r 65 . r o . Hapaxlegomenon biblico. Altrove tl\111(-U.!J.vi}cnm\1 ( r Cor. 4 , 1 7 ; 2 Tim. 1 ,6).

Rom. 1 5,15

6 8 ;:

Dio ' ' . In Paolo xaptç è ciò d i cui egli vive, o meglio : ciò che egli v ive . La chi ama ta della grazia di Dio ha f a tto di lui l'A­ pos tolo ( Gal. I , 1 5 ) . Essa esercita il suo influ s so sulla sua vo­ cazione e missione . Dio gliel 'affidò, ed egl i fu affidato ad essa e assorbito da essa e precisamente nel, col e fra il suo apos to­ lato. Essa s i trasmise a lui , sicché egli - in vir tù di essa - di­ venne ed è apo s t olo . Pro prio questo è detto nel nostro passo da una locuzione ripetu ta da Paolo ( cfr . Rom. 1 2 , 3 ; I Cor. 3 , I O ; Gal. 2 ,9 [ Ep h . 3 , 2 . 7 s . ] ) . 'Ìj xa pLc;, si potrebbe d i r e , è l ' a­ postola to in r iferi m en t o alla sua inti m a natura, che esso espri­ me in parole. Inoltre essa è, e proprio nella forma della mis­ sione, « data da Di o » ( tX'1tÒ "t'ou i}Eou ) 12 e da parte di Paolo è « ricevu ta » per mezzo di Cristo (Rom. 1 , 5 ). S eco ndo Gal . 1 , I 2 . 1 5 s . , que s t ' ult i mo particolare è da intendere nel senso che Gesù Cristo si rivelò a lui nella suA parol a , in quanto egli - se qui possiamo u t i lizz are 2 Cor . 4,6 - rifulse nel cuore d i Paolo. Questo Gesù Cri s to è pr oprio lui s t ess o «la grazia di Dio » ( Rom . 5 , I 5 ) . Essa fa sl che egli sia ciò che è nel servizio di lei , ed essa si « affat i ca » adesso m edi ;;;nte lui nel suo ufficio a p o s t olico , il quale però come « incarico » è compiuto con es sa , e grazie ad essa non rimane «vuoto » , n on privo di effetti ( 1 Cor. I 5 , 9 s. ). Nella missione dell'Apostolo, che abbraccia e de­ termina la s ua esistenza , si manifest a la > e così offre il mondo pagano a Dio come sacrificio gradito 16 • In tal modo so­ no caratterizzati in modo significativo il suo apostolato e la «grazia» conferitagli da Dio. A proposito della sua missione , non si tratta di un servizio profano, e nemmeno di quello del­ la propaganda religiosa o filosofica o anche della missione so­ ciale, ma di un servizio divino in ragione della sua origine, dei suoi mezzi , del suo fine e dei suoi risultati. Inoltre questo ser­ vizio è essenzialmente pubblico e ufficiale. La sua azione sa­ crificale non è un'iniziativa personale-carismatica, ma l 'esecu­ zione di un mandato autorizzato, legittimato e delegato all'A­ postolo da Dio. Come tale , essa è anche una prestazione di ser­ vizio d' indole esca tologica . Essa è proprio compimento e per­ fezionamento del servizio sacrifìcale veterotestamentario, è - per cosl dire - la li turgia nuova, propriamente detta e defi­ ni tiva . «Ciò che il culto vuoi significare , si adempie alla fine della storia» ( Miche! ). Non si tratta della «spiritualizzazione>• di un fenomeno o di un concetto cultuale, ma di un'innovazio­ ne che ha luogo alla fine dei tempi . Adesso, che in Gesù Cri­ s to si è adempiuta la fedeltà di Dio all 'alleanza , che pone in atto e fa prevalere la giustizia ( Rom. 3 ,2 r ss . ; cfr. I 5 ,8 ) , e co­ sì è venuto «il giorno della salvezza» promesso dal profeta ( 2 Cor. 6 , 2 ), la cui presenza si dimostra nell'evangelo, adesso il sacrificio non viene più offerto con un apparato rituale nel tempio di Gerusalemme, ma i popoli, di cui l'evangelo apo­ stolico si è impossessato, sono il sacrificio , « santificato dallo Spirito santo » , il quale agisce efficacemente nell'evangelo, ed essi sono quindi il sacrificio gradito a Dio . Questa universa· lità viene particolarmente accentuata nel nostro testo. Tre vol­ te, nei vv. I 6 . I 8 , sono menzionati esso si trova anche in I Cor. 3 , 1 ; 2 Cor_ 4 , 1 3 (Eph. 6 , 2 0 ; Col. 4 . 4 ecc.). Si 1 7 . Blass-Debr.

§

1 60.

Rom. 1 5 ,18. 1 9

69I

potrebbe d i re che è i l L­ À1}J.Ul't'L &.yttp . &.cr7ta�O'\I"tllL VlJ,riç at ÉXXÀTJCTLrLL 7tricrat -.ou XptCT't'Ou.

S aluta te Prisca e Aquila, i miei co1l a bora to ri i n C ri sto Gesù , 4 i qu ali per l a mia vita hanno ri schi ato il proprio collo. Ad essi non io solo ren­ do grazie, ma anche tu t te le chiese dei gent ili . 5 (Salutate) a nche la co­ munità che si riunisce in casa loro. Salutate Epeneto, il mio diletto, che è la primizia de l l 'Asi a per Cri s to . 6 Salutat e Maria, la quale si è da­ ta molto da fare per voi. 7 Salutate An dronico e Giunia, i miei conna­ zionali e (un tempo) miei compagni di prigionia, i quali sono molto stimati fra gli apostoli e che anche prima di me erano in Cristo . 8 Sa­ luta te Ampliato, il mio dile tto nel S ignore . 9 Salutate Urbano, il no­ stro collaboratore in Cristo e S tac h i , il mio di let to . 10 S al u ta te Apelle, che è stato provato in Cristo . Salutate quelli della casa di Aristobulo. 11 Salutate H mio connazionale Erod ion e . Salutate quelli della casa di Narciso, che sono nel Signore. u S alutate Trifena e Trifosa, che si dàn­ no molto da fare nel Signore. Salutate la dil e t ta Perside, che si è da ta molto da fare nel Signore . JJ S alut ate Rufo, l'eletto nel Signore, e la m a dre sua e mia. 14 Salutate Asincrito, Flegonte, Ermes, Pa trob a , Er­ ma e i fratelli che sono con loro. 15 Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e Olimpa e tutti i santi che sono con loro . 16 Salutatevi l 'un l 'altro con un bacio santo. Vi salutano tutte le comunità del Cristo.

3

Senza alcuna transizione segue ora una lunga serie di saluti ai membri della comunità interpellata, siano essi menzionati per nome oppure appartenenti alle menzionate comunità ca­ salinghe. In questo catologo sorprende : r. il sempre uguale a0'7taO"acri)'e:, che rende la comunità trasmettitrice dei saluti, presentando ad essa le persone salutate (dr. Schlatter ). Cer­ tamente, durante la lettura della lettera nel servizio liturgico anche gli stessi salutati udivano i saluti; 2 . di contro, svariate caratterizzazioni dei salutati e 3 . la molteplice accentuazione dell'intimo rapporto dell'Apostolo con essi, membri di una comunità composita, che si rispecchiano nei nomi giudaici o pagani. 3 · L'elenco s'inizia con l'invito a salutare Prisca e Aquila. Essi ci sono noti dagli Atti degli Apostoli : Act. r 8 , r s s . ricorda che Paolo aveva incontrato quella coppia di coniugi giudeo­ cristiani in Corinto dopo la loro espulsione da Roma, avve-

Rom. 1 6,3 4- 5

nuta in seguito all'editto di Claudio, e che essa con lui era venuta ad Efeso ( Act. 1 8 , 1 8 s. 26 ). Da quella città essi e la loro comunità domestica mandano saluti alla comunità di Co­ rinto ( I Cor. 1 6 , 1 9 ) . In 2 Tim. 4 , 1 9 Timoteo deve salutarli a Roma. In Act. r 8 , 2 il marito Aquila è menzionato prima di sua moglie Priscilla ( che quindi passa in second'ordine ) ed an­ che in I Cor. r 6 , 1 9 Aquila è preposto a Prisca ; invece nel no· stro passo e in 2 Tim . 4 , 1 9 sorprendentemente avviene il con­ trario, il che fa arguire una considerevole importanza di que­ sta donna nella comunità . Con uno sguardo retrospettivo a Co· rinto ed Efeso entrambi vengono chiamati collaboratori dell'A. postolo «in Cristo GesÙ)>, cosl come nel v. 9 Urbano , nel v . 2 1 Timoteo e d al trove alcuni dei suoi aiutanti missionari (dr. 2 Cor. 8 , 2 3 ; Phil.- 4 , 3 ; Philm . 1 . 2 4 ) . 4 · Di queste due persone si ricorda che esse per la vita dell'A­ postolo hanno rischiato il collo 1 , cioè la loro vita. In quale occasione ciò sia avvenuto, non si può precisare. Ma Act. r 8 , 1 2 ; 1 9 ,2 3 ; I Cor. 1 5 , 3 2 ; 2 Cor. 1 , 8 ; 6,5 ; I 1 ,2 3 indicano che per un soccorso del genere si presentarono parecchie occasioni . Paolo sa di esser tenuto a ringraziare entrambi (e si tratta di giudeo-cristiani ! ), ma non lui soltanto; sanno infatti di dover essere riconoscenti a loro tutte le comunità etnico-cristiane, di cui egli è appunto apostolo. 5 . Ma assieme a Prisca ed Aquila dev'essere salutata anche la

loro comunità domestica , ossia i cristiani che si radunano nella loro casa per il culto liturgico ( cfr. Act. 1 2 , 1 2 ; I Cor. 1 6 , 1 9 ; anche Col. 4 , 1 5 ; Philm . 2 ) . Al saluto alla coppia di coniugi cri­ stiani segue nel nostro elenco quello all'etnico-cristiano Epe­ neto . II nome è greco ed è attestato in iscrizioni . Epeneto, co­ me Ampliato ( v . 8) e Stachi ( v . 9 ), viene designato, nel suo rapporto con Paolo, come cX.ya.7tTJ '!Ot;, IJ.ov ; essi dunque, come gli &.ya1tT]'t"OL di Rom. 1 ,7; 1 2 , 1 9 ; r Cor. 1 0 , 1 4 ; Phil. 2 , 1 2 ( cfr. cX.oeÀ.» , «fare attenzione » 2. Si trovano in un pericolo e devono ben tenerlo presente. Devono cioè fare attenzione a certe persone ( anche qui non se ne fa il nome) che provocano nella comunità scissioni e scandali, e precisamente guardarsi da coloro che contraddicono la dot­ trina che essi come cristiani hanno imparato . Si suppone quin­ di che vi sia una OLoa.xn che si può « a pprendere» , çol che s i pensa a una determinata fides, quae creditur, che forse si è depositata in una trad izione formula ta , come ad es . quella di Rom. 1 ,3 ; r Cor. 1 1 , 2 3 ; r 5 , 1 s . È il •{moc; O Loa.xfic; d i Rom. 6 , 1 7 , al quale i cristiani sono affidati e che esige «obbedien­ za » , tanto che solo all'interno di esso il carisma può diventare adeguatamente efficace . Con ciò è «offerto l'aggancio per i l quale l e Pastorali possono parlare della sana dottrina e appel­ larsi ad essa» (Kasemann). Coloro ai quali la comunità deve ac­ curatamente badare vogliono evidentemente falsificare ed an­ che eliminare questa OLoa.xi}, provocando nella comunità OLXO­ CT't'arti.a.L, «discordie » , «scissioni» - in Gal. 5 , 2 o accanto ad Èpd}E�CIL e ai.pÉcrEt.c; - e scandali di seduzione (cfr . Apoc. 2 , r 4 ) . Cfr. z Clem. 46,5 ; 5 1 , 1 ; Herm . , sim. 8 , 7 , 5 ; r o , 2 ; Herm . , vis. 3 ,9,9 ; Herm . , mand. 2 ,3 ; anche r Cor. 3 , 3 p46 .5\ D G pm i t s y lren Cypr accanto a sflÀ.oc; xai. EpLc; . S i scongiurano gli in­ terpellati di guardarsi da tali falsi maestri , che distruggono la dottrina della comunità . Ma essi vengono anche esorta ti : Èx­ xÀ.�VE't'E à7t'aù't'wv , a sfuggirli e ad allontanarsi da loro , quin­ di ad evitare i rapporti con loro ( cfr. Mt. r 8 , r 7 ; 2 Thess. 3 ,6 ; Tit . 3 , 1 0 ) 3 • È chiaro che a proposito di questi avversari non si può pensare, per es . , ai avEpOÙV fa ri­ cordare Rom. 3 , 2 I ; Col. 1 ,2 6 ; 2 Tim . I , I o ; Tit. r , 3 e signi­ fica « venire alla luce » , «apparire in piena luce>> e così far com­ parire manifestamente nel tempo il mis tero eterno come tale. Come ciò avvenga è detto in una seconda frase participiale pas­ siva, che è collegata a ciò che precede con un 'tE 6 enclitico e nella quale l'autore fa nuovamente appello al suo evangelo e al kerygma di Gesù Cristo , in un modo peraltro particola­ re . La frase è sovraccarica , e si ha l 'i mpressione che proprio in essa siano condensati motivi della lettera ai Romani , per quanto è stilisticamente possibile in una dossologia . In es­ sa si dice che il (J.IJO"-t1}p�ov non solo è stato rivelato , ma è stato anche «comunicato» ,