La prima Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione, commento 881020607X, 9788810206072

L'ampio commento alla Prima lettera ai Corinzi si articola in tre momenti: anzitutto un'analisi letteraria del

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16 Scritti delle origini cristiane

Introduzione, versione e commento di GIDSEPPE BARBAGLIO

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Questo ampio commento si articola in tre momenti: 1) anzitutto un'analisi letteraria della sezione e delle sue parti, per evidenziarne le caratteristiche formali e l'intelaiatura strutturale (in questa parte vengono affrontati tutti i problemi legati al testo sia quanto alla trasmissione che quanto all'autenticità); 2) poi una ricostruzione, basata sui dati certi e i più numerosi indizi offerti dalla lettera, del problema affrontato e della situazione della comunità destinataria della comunicazione epistolare (in questa parte i problemi delle comunità paoline e la soluzione proposta dall'apostolo sono ricostruiti attraverso illuminanti paralleli con fonti coeve classiche o ebraiche); 3) infine, una lettura analitica del testo, versetto per versetto (in questa parte si apprezzerà lo sforzo per una traduzione puntuale, capace di seguire da vicino il testo greco). L'attenzione dedicata al contesto culturale di origine giudaica e di matrice classica, greca ma anche latina, percorre tutte le parti del commento e gli dà forma. Il lavoro è condotto in costante dialogo con gli studiosi e con le ricerche più recenti; la bibliografia è fornita sezione per sezione e in fine ' volume. Per l'ampiezza, per l'attenzione agli aspetti testuali, storici e teologici, il commento di Barbaglio è uno strumento in grado di rispondere alle molteplici esigenze (religiose o laico-culturali) che portano un lettore a consultare o studiare il testo biblico.

GIUSEPPE BARBAGLIO ha studiato a Roma, Gerusalemme e Urbino, conseguendo la laurea in teologia, la licentia. in filosofia. Ha pubblicato Fede a.cquisita e fede infusa. in Duns Scoto, Occam e Biel, Brescia 1968; I Sa.Imi, in collaborazione con L. Commissari e E. Galbiati, Brescia 1972; L'a.nno della. libera.zione, Brescia 1974; n va.ngelo di Matteo, in I Va.ngeli, ABsiBi 81994; Le lettere di Pa.olo, voll. 1-2, Roma 21990; Il Nuovo Dizionario di Teologia, curato in collaborazione con S. Dianich, Cinisello Balsamo (Ml) 81991; ha curato la pubblicazione di Schede bibliche pastora.li, 8 voll., EDB, Bologna 1982-1987; Pa.olo di T81'So e le origini cristia.ne, ABsisi 21989; La. la.icità del credente: Interpreta.zione biblica., ABsisi 1987; Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristia.ne, ABsisi 1991; Nuovo Testa.mento greco e itaJia.no, EDB, Bologna 31993. Dirige per le Edizioni Dehoniane Bologna le collane La. Bibbia. nella. storia. e, con Romano Penna, Scritti delle docendi in scienze bibliche e la laurea

origini cristia.ne.

ISBN

88-10-20607-X

9 788810 206072

SCRITTI DELLE ORIGINI CRISTIANE Collana diretta da G. Barbaglio e R. Penna

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La collana «Scritti delle origini cristiane» prende in considerazione la prima letteratura cri­ stiana compresa tra gli anni 50e150 ca. Quindi ha per oggetto tutti gli scritti del Nuovo Te­ stamento, i padri apostolici e i più antichi apocrifi. I singoli volumi intendono caratterizzarsi per un rigoroso metodo scientifico di ricerca a li­ vello storico, letterario e teologico, e sono perciò destinati a una cerchia di lettori insieme ampia e qualificata.

l. Il Vangelo secondo Matteo 2. Il Vangelo secondo Marco 3 . Il Vangelo secondo Luca 4. Il Vangelo secondo Giovanni 5. Gli Atti degli apostoli 6 . La lèttera ai Romani 7. La prima lettera ai Corinzi (G. Barbaglio) 8. La seconda lettera ai Corinzi 9. La lettera ai Galati 10. La lettera agli Efesini (R. Penna) ll. La lettera ai Filippesi e a Filemone 12. Lettera ai Colossesi (J N Aletti) 13. La prima lettera ai Tessalonicesi (P. lavino) 14. La seconda lettera ai Tessalonicesi 15. Le lettere pastorali (G. Marcheselli-Casale) 16. La Lettera a- g li Ebrei 1 7 . La - lettèra di Giacomo 18. La prima lettera di Pietro 19. La seconda lettera di Pietro e l a lettera di Giuda 20 . Le lettere di Giovanni 2 1 . L'Apocalisse di Giovanni 22 . La D idaché 23 . La prima lette ra di Clemente 24. La seconda lettera di Clemente 25 . Le lettere di Ignazio 26 . La lettera e il martirio di Policarpo 27. Il pastore di Erma 28. La lettera di Barnaba 29 . La lettera a Diogneto 30 . I frammenti dei primi vangeli apocrifi (degli Ebrei ; degli Ebioniti ; di Pietro) 3 1. Il vangelo di Tommaso 32 . L'Apocryphon di Giovanni 33 . L'Apocalisse di Pietro 34 . L'Ascensione di Isaia .

.

LA PRIMA LETTERA AI CORINZI Introduzione, versione, commento di

GIUSEPPE BARBAGLIO

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

©

1995 Centro Editoriale Dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna

ISBN 88- 10-20607-X Stampa: Grafiche Dehoniane , Bologna 1996

Abbreviazioni

AT ANRW

Antico Testamento Aufstieg und Niedergang der Romischen W elt

Bib BibLit BiblTheolBull BibOr BJRL BS BZ

B iblica Bibel und Liturgie Biblical Theology Bulletin Bibbia e Oriente Bulletin of the John Rylands Library Bibliotheca Sacra Biblische Zeitschrift

CahBib CB Q CEI CThJ

Cahiers Bibliques Catholic Biblica! Quarterly Traduzione italiana della Bibbia a cura della Conferenza epi­ scopale italiana Calvin Theological Journal

DBS

Dictionnaire de la Bible , Supplément

EDB EphLtg EstBibl ETL EtudThéolRel EvQ EvTh

Edizioni Dehoniane Bologna Ephemerides Liturgicae Estudios Biblicos Ephemerides Theologicae Lovanienses Etudes Théologiques et Religieuses Evangelica! Quarterly Evangelische Theologie

FS

Festschrift (In onore di )

GLAT GLNT Greg

Grande Lessico dell'Antico Testamento Grande Lessico del Nuovo Testamento Gregorianum

6

Abbreviazioni

HThR

Harward Theological Review

IrBSt

Irish Biblica! Studies

JAAR JBL JBTh JSNT

Journal , American Academy of Religion Journal of Biblica! Literature Jahrbuch fi.ir Biblische Theologie Journal for the Study of the New Testament

KuD

Kerygma und Dogma

LingBibl

Linguistica Biblica

Mi.iTZ

Mi.inchener Theologische Zeitschrift

NHC NRT NT NT nt NTS

Nag Hammadi Codices Nouvelle Revue Théologique Novum Testamentum Nuovo Testamento neotestamentario New Testament Studies

Ò kRu

Òkumenische Rundschau

PG PL

Patrologia Graeca Patrologia Latina

RB RechSR RevExp RevSR RHE RHPhR RivBib RivLit RSB RSR RTLouv RThPh

Revue B iblique Recherches de Science Religieuse Review and Expositor Revue des Sciences Religieuses Revue d'Histoire Ecclésiastique Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Rivista Biblica Rivista Liturgica Ricerche Storico Bibliche Recherches de Science Religieuse Revue Théologique de Louvain Revue de Théologie et de Philosophie

SBL SBLDS

Society of Biblica! Literature Society of Biblica! Literature Dissertation Series Scuola Cattolica Sciences Ecclésiastiques (1948-1967) Science et Esprit ( 1968ss) Studia Evangelica Studia Theologica

se

ScEc ScEs StEv ST

Abbreviazioni

ThEx heute ThQ ThRev TLZ TM TRE TrierTZ TrinJ TS TZ

Theologische Existenz heute Theological Quarterly Theologische Revue Theologische Literaturzeitung Testo masoretico Theologische Realenzyklopedie Trier Theologische Zeitschrift Trinity Journal Theological Studies Theologische Zeitschrift

VigChr vt

Vigiliae Christianae veterotestamentario

WDienst WissWeis

Wort und Dienst Wissenschaft und Weisheit

ZEE ZKT ZNW ZTK

Zeitschrift Zeitschrift Zeitschrift Zeitschrift

fiir fiir fiir fiir

Evangelische Ethik Katholische Theologie die Neutestamentliche Wissenschaft Theologie und Kirche

7

Prefazione

Nel 1980 pubblicai un commento della l Cor all'interno di una più vasta ope­ ra di lettura degli scritti di Paolo . A distanza di un decennio e mezzo licenzio alle stampe un più approfondito studio del testo paolino. Si articola in tre momenti: anzitutto un'analisi letteraria della sezione e delle sue parti, per evidenziarne le caratteristiche formali e l'intelaiatura strutturale ; poi una ricostruzione , basata sui dati certi e i più numerosi indizi offerti dalla let­ tera, del problema affrontato e della situazione della comunità destinataria della comunicazione epistolare ; infine , una lettura analitica , versetto per versetto , del testo. Una non marginale attenzione ho dedicato al contesto culturale di origine giudaica e di matrice classica, greca ma anche latina. Si aggiunga Io sforzo per una traduzione puntuale capace di seguire da vicino il testo greco . Ho creduto bene poi di condurre il mio lavoro in costante dialogo con gli studiosi e le loro ri­ cerche , menzionati per ordine nell'elenco bibliografico a fine volume , sperando di non averne dimenticati troppi data l'imponente produzione attuale. In segno di gratitudine dedico questo lavoro ai padri Benedetto Calati e Jac­ ques Dupont, a me ugualmente cari.

INTRODUZIONE

Oltre ai commenti di Allo , Barbaglio, Barrett, Conzelmann, Fee , Lietz­ mann-Kiimme l , Merklein , Schrage, Senft , Weiss, Wendland vedi ALAND K. -B. ALAND , Il testo del Nuo vo Testamento , Marietti , Genova 1987 ; AUNE O.E . , The New Testament in its Literary Environment, Philadelphia 1 987 , 158-225 ; BAILEY K. E . , «The Structure of 1 Corinthians and Paul's Theological Method with Spe­ cial Reference to 4: 1 7» , in NT 25(1983) , 152-181; BARBAGLIO G . , «L'uso della Scrittura nel proto-Paolo» , in E. Norelli , a cura di , La Bibbia nell'antichità cri­ stiana , I, EDB , Bologna 1993 , 65-85 ; BARCLAY J . M.G. , «Thessalonica and Co­ rinth: Socia! Contrasts in pauline Christianity» , in JSNT 47( 1993) , 49-74 ; BAR­ RETr C . K . , «Christianity at Corinth» , in Essays on Pau l , London 1982 , 1-27 ; Io., «Cephas and Corinth» , in Essays on Paul , 28-39; BEATRICE P. F. , «Gli avversari di Paolo e il problema della Gnosis a Corinto» , in Cristianesimo nella storia 6(1985 ) , 1 -25 ; BELLEVILLE L . L., «Continuity or discontinuity ; a fresh look at 1 Corinthians in the light of first-century epistolary form and conventions» , in EvQ 59(1987) , 15-37 ; BERGER K . , «Apostelbrief und apostolische Rede/ Zum Formulare friihchristlicher B riefe», in ZNW 65(1974) , 190-231 ; lo., «Die impli­ ziten Gegner. Zur Methode des Erschliessens von «Gegnern» in neutestamentli­ chen Texten » , in Die Kirche (FS G.Bornkamm), Tiibingen 1980, 373-400 ; BRA­ NICK V . P. , The house church in the writings of Paul , Wilmington 1989 ; BUNKER M . , Briefformular und rhetorische Disposition im 1. Korintherbrief, Géittingen 1984; CARREZ M., «Paolo e la chiesa di Corinto» , in A. GEORGE-P. GRELOT, a cu­ ra di, Introduzione a l Nuovo Testamento , Roma 1978 , I I I , 44-74 ; CLARKE A. D . , Secular and Christian Leadership in Corinth: A Socio-Historical and Exegetical Study of 1 Corinthians 1 -6, Leiden-N . Y . -Kéiln 1993 ; CoNZELMANN H., «Korinth und die Màdchen der Aphrodite . Zur Religionsgeschichte der Stadt Korinth» , in Theologie a ls Schriftaus legung. Aufsiitze zum Neuen Testament, Miinchen 1974 , 152- 166; DE BoER M . C . , «The Composition of l Corinthians» , in NTS 40 (1994) , 229-245 ; DE LA SERNA E . , «Los origenes de 1 Corintios» , in Bib 72 (1 991) , 192-2 16; ELLIGER W. , Pau/us in Griechen/and. Philippi, Thessaloniki, Athen, Korinth , Stuttgart 1 978; ENGBERG-PEDERSEN T., «The Gospel and socia! practice according to 1 Corinthians, in NTS 33(1987) , 557-584 ; FEE G . D . , «To­ ward a Theology of 1 Corinthians», in Society of Biblica/ Literature, Seminar Pa-

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lntroduzione

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Introd uzione

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Introduzione

Questa era stata distrutta poco più di cent'anni prima da Lucius Mummius , nel

146.3 Si distinguono dunque due fasi della sua storia : come città greca prima, la cui origine dorica risale al 900 a . C . ,4 grande centro commerciale5 che conobbe periodi di straordinaria fioritura, l'ultimo dal 350 al 250,6 e poi come metropoli romana, chiamata ufficialmente Colonia Laus Julia Corinthiensis . Tra le due pe­

rò esisteva un'indiscussa continuità , che va oltre al dato obiettivo dell'identità geografica e si basa su ragioni di natura storico-culturale . Diversi monumenti co­ struiti in pietra sopravvissero all'incendio , per es . il maestoso tempio di Apollo ; soprattutto il luogo non rimase disabitato , come attesta il materiale archeologico riscoperto ,7 senza dire della testimonianza di Cicerone che visitò Corinto negli anni 79-77 a . C . 8 Al tempo di Paolo la lingua ufficiale era il latino ; l'attestano le iscrizioni del­ l'epoca anteriori a Adriano : su un totale di 104, 101 sono scritte in latino e solo 3 in greco;9 ma il greco doveva essere la lingua parlata se Paolo stesso può scrivere alla comunità locale in greco. La popolazione era varia: ai liberti romani fatti affluire da Giulio Cesare si devono aggiungere quanti erano rimasti in loco e soprattutto , con lo sviluppo della nuova città , i molti giunti attratti dalle grandi possibilità di lavoro e di com­ mercio offerte dalla città. 10

francati (tou apeleutherikou genou)» ; Dione Cassio 43 ,50,3s: «Il fatto di aver ricostruito Cartagine e Corinto era per Cesare fonte di fierezza». Nulla di paragonabile alla ricostruzione di altre città, con­ tinua lo storico : «Ma nel caso di Corinto e di Cartagine, queste antiche (archaias) , splendide (lam­ pras) e distinte (episemous) città cadute in rovina, egli non solo le colonizzò considerandole colonie romane (apoikias Romaion) , ma le restaurò a ricordo dei loro antichi abitanti»; Pausania 2,1,2: «Co­ rinto non è più abitata da alcuno degli antichi corinzi, ma da coloni mandati dai romani». 3 Vedi Strabone 8,6,23: «Essendo i corinzi sottomessi a Filippo ne avevano sposato la contro­ versia contro i romani. . . Un'armata condotta da Lucius Mummius distrusse le loro città da cima a fondo e il resto del territorio greco fino alla Macedonia passò sotto il dominio dei romani . . . La mag­ gior parte del territorio di Corinto toccò in sorte agli abitanti di Sidone». Più ricca la testimonianza di Pausania 7,16,7-9 : «Fattasi notte gli achei, che dopo la battaglia si erano rifugiati a Corinto, fuggi­ rono dalla città e con essi la maggior parte dei corinzi . Mummio esitò dapprima a entrare a Corinto benché le porte fossero aperte : temeva che gli fosse stata preparata un'imboscata dentro le mura. Ma il terzo giorno dopo la battaglia egli procedette ad assalire Corinto e a incendiarla» (n. 7) ; «La maggior parte di quelli che i romani trovarono in città li passarono a fil di spada, ma Mummio fece vendere schiavi le donne e i bambini . . . Mummio fece asportare gli ex-voto e le opere d'arte più insi­ gni» (n. 8) ; «Mummio fece abbattere le mura di tutte le città greche che si erano battute contro Ro­ ma» (n. 9). Sintetico Dione Cassio 21 ( Zonaras 9,31 ) : «Quanto a Corinto , egli fece vendere gli abitanti , confiscò le terre , fece demolire le mura e tutti gli edifici , per timore che degli stati non si alleassero di nuovo con questa città che è la più grande di tutte». 4 Cf. ELLIGER, Paulus in Griechenland, 203 . 5 La produzione e l'esportazione verteva su vasi di ceramica, bronzi e tappeti (cf. ELLIGER, Paulus in Griechenland, 206) . 6 Secondo ELLIGER, Paulus in Griechenland, 205 era allora la città greca con più abitanti : 10.000 liberi e 40/50.000 complessivi . 7 Cf. lo studio di OsTER, «Use», 55. 8 «lo stesso ho visto nel Peloponneso , al tempo della mia giovinezza, dei corinzi». Dalle loro caratteristiche esterne «avresti detto che erano di Argos o di Sidone e io fui commosso di più dal­ l'apparire improvviso delle rovine di Corinto che non dagli stessi corinzi» ( Tusculanae 3,53) . 9 Cf. il volume di MURPHY-O'CONNOR, St. Paul's, 5. 10 Strabone 8,6,20 così indica una fonte della prosperità della città al tempo di Augusto : «Co­ rinto è detta opulenta (aphneios) a causa del commercio (dia to emporion)». =

Introduzione

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Orazio la definisce con esattezza «Corinto dai due mari» menzionando le sue mura (bimarisve Corinthi moenia : Odi 1 ,7,2.3) , distante 2 km dal porto di Le­ cheo sul golfo di Corinto a ovest e 5 da Cenere , porto sul golfo Saronico a est. La sua posizione strategica era di raccordo tra l'Attica e il Peloponneso e special­ mente , con i due suddetti porti sullo Ionio e sull'Egeo , tra l'occidente , cioè l'Ita­ lia, e l'oriente , vale a dire l'Asia Minore , la Siria e l'Egitto . Ciò spiega, per un verso, l'antico splendore economico 11 e, per l'altro, il fatto che Giulio Cesare ne abbia voluto la ricostruzione : era nodo cruciale dei traffici commerciali tra ovest ed est, ma forse non erano assenti dall'iniziativa romana ragioni di strategia poli­ tica. Nel 27 a . C . Augusto divise l'impero in province «di Cesare» (eparchiai Kai­ saros) o imperiali, territori non del tutto sottomessi e governati da legati e pro­ curatori , e in quelle «del popolo» (eparchiai tou démou) o senatoriali , regioni del tutto pacificate e rette da pretori o proconsoli . Nell'elenco delle province del popolo è menzionata al settimo posto «l'Acaia, fino alla Tessaglia e Eolia e Acarnia e certe tribù dell'Epiro ai confini della Macedonia» . 12 Corinto divenne allora capitale di detta provincia romana, come più tardi l'acclamerà Apuleio: . . . Corintho, quod caput est totius Achaiae provinciae (Met. 10,18) . La sua amministrazione era quella tipica delle colonie romane : assemblea (in greco ekklésia) dei cittadini , consiglio cittadino dei decurioni (ordo decurio­ num) , magistrati in carica per un anno (duumviri jure dicundo) preposti alla giu­ stizia, due aediles , che sovrintendevano a strade , monumenti e mercati, in caso di emergenza un curator annonae, per non dire dell'ag6nothetés , presidente dei giochi istmici. Iscrizioni del tempo parlano anche del quaestor, cioè tesoriere , ma non si sa se sia stata carica municipale o provinciale , e del praefectus fabro­ rum , ingegnere capo . 13 Plinio il Vecchio la descrive così: «Al centro di questa lingua di terra che ab­ biamo chiamato l'Istmo si trova la colonia di Corinto il cui nome era un tempo Efisa; essa si adagia sul fianco di una collina distante dalla costa 7 miglia e mezzo da una parte e dall'altra ; alla sommità c'è la cittadella chiamata Acrocorinto , con la sorgente Pirene , e da cui la vista domina i due mari da una parte e dall'al­ tra» (Storia Naturale 4 , 1 1 ) . A Strabone invece siamo debitori di maggiori parti­ colari sulla cittadella che dominava Corinto : « . . . vi si vede una montagna alta tre stadi e mezzo circa che termina con una cima puntita; la strada che vi sale ha una lunghezza di 30 stadi ; a questa montagna si dà il nome di Acrocorin­ to; il suo versante settentrionale è particolarmente scosceso . In basso la città si estende su una terrazza in forma di trapezio ai piedi dello stesso Acrocorinto» ( Geografia 8,6,21) . 11 Strabone 8,6 ,20: «I mercanti che viaggiavano via mare , gli uni dall'Italia e gli altri dall'Asia, di buon grado evitavano il passaggio del capo Malea e venivano a scaricare qui le loro mercanzie . E anche le tasse sulle esportazioni o importazioni del Peloponneso che si facevano via terra procurava­ no una rendita a quelli che tenevano in mano le chiavi dell'Istmo» . 12 Cf. Strabone 17,3,25 . Dal 15 d.C. al 44 d . C . l' Acaia fu però provincia imperiale , come atte­ stano Tacito (Ann. 1 ,7,80) e Svetonio (Claudio 25 ,3). 13 Cf. in proposito la monografia di CLARKE , Secular and Christian Leadership, 9-21 .

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Nel punto più stretto l'Istmo raggiunge 595 metri . Già nell'antichità si erano fatti tentativi per tagliarlo , scavandovi un canale capace di congiungere le acque dei due mari . Secondo Strabone il primo progetto fu elaborato da Demetrio Po­ liorcete , re di Macedonia negli anni 336-282 a . C . , «che tentò di tagliare l'istmo di Corinto per farvi attraversare le sue navi , ma ne fu impedito dagli ingegneri che , prese le misure, avevano affermato che il livello del mare nel golfo di Co­ rinto era più alto di quello dalla parte di Cenere , cosicché se si fosse tagliato l'Istmo , le acque avrebbero inondato tutto il canale verso Egina , la stessa Egina e le isole vicine» ( 1 , 3 , 1 1 ) . Nerone cominciò anche i lavori e incoraggiò i preto­ riani impegnati dando lui stesso i primi colpi di piccone , ma non riuscì nell'im­ presa . 1 4 L'attuale canale di Corinto , iniziato nel 1 88 1 , fu ufficialmente inaugura­ to nel 1 893 . Le grandi navi potevano anche doppiare il capo Malea all'estremo sud del Peloponneso senza incorrere in rischi di naufragio , ma le medie e piccole imbar­ cazioni erano alla mercé di forti venti contrari . Strabone ci ha attestato il se­ guente detto popolare : «Se tu doppi il capo Malea , dimentica la tua casa» (8 ,6,20) . Per questo nella parte più stretta dell'Istmo a pochi km da Corinto si costruì una strada pavimentata, il famoso diolkos, che congiungeva il golfo di Corinto a quello Saronico , larga da 3 ,40 a 6 m. Le ruote della piattaforma mobi­ le in legno (holkos) , che trasportava i navigli da un mare all'altro , scorrevano su scanalature praticate nel pavimento , quasi dei binari con un'apertura di m 1 ,50.15 Doveva esserci anche un sistema segnaletico per evitare partenze si­ multanee dalle due parti . I giochi panellenici dell'Istmo , risalenti al VI sec. e secondi per importanza soltanto a quelli di Olimpia, con la partecipazione di atleti professionisti e dilet­ tanti di tutto il mondo greco , si celebravano ogni due anni di primavera e contri­ buivano non poco a rendere celebre Corinto , città organizzatrice . Soprattutto la metropoli ne traeva grandi vantaggi economici per l'afflusso di numerosi spetta­ tori provenienti dal mondo greco e anche da regioni più lontane . Oltre che un fatto sportivo , costituivano un'occasione straordinaria d'incontro e comunica­ zione culturale : al di là della gare allo stadio infatti la città organizzatrice offriva spettacoli teatrali , poetici e musicali di valore . Dopo la distruzione del 146 furo­ no trasferiti alla vicina Sicione , ma Corinto ne riebbe l'organizzazione a cavallo dell'èra cristiana. 16 In questa stessa data furono introdotte prove sportive riser-

14 SVETONIO, Nerone 19,2: «In Acaia intraprese i lavori di taglio dell'Istmo, arringò i pretoriani esortandoli a mettersi all'opera e al suono della tromba diede i primi colpi di piccone e riempita di terra la cesta la portò sulle sue spalle». 1 5 L'impresa sembra risalire a Periandro (625-585 a.C.), figlio di Cipselo , tiranno di Corinto (cf. MuRPHY-O'CoNNOR, St. Paul's , 55.62) . 16 Ecco la testimonianza di Pausania 2 ,2,2: «L'agone Istmico non venne meno neppure quando Corinto fu distrutta da Mummio , ma, fin quando la città rimase deserta, la celebrazione delle Istmie rimase affidata ai Sicionii , e quando poi fu rifondata l'onore passò agli attuali abitanti» . Il volume di MuRPHY-O'CoNNOR, St. Paul's , 14-15 riporta un'iscrizione in cui il merito di aver riportato i giochi a Corinto è riconosciuto a Lucius Castricius Regulus.

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vate alle donne , quali la corsa dei 200 m , esattamente di uno stadio , e la condu­ zione di carri di guerra: 1 7 un indizio eloquente del grado di emancipazione fem­ minile raggiunto allora a Corinto , che può contribuire a spiegare le manifesta­ zioni di libertà femminile nella comunità corinzia (lCor ll ,2ss) . Nella sua per­ manenza di un anno e mezzo a Corinto a cavallo della metà del secolo , si può congetturare che Paolo ne sia venuto a contatto , con probabilità nell'edizione 5 1 . Di fatto quando in l Cor 9,24-25 egli parla della ferrea disciplina cui gli atleti si sottopongono per vincere la gara (agon) e ricevere la corona di rami di pino o anche di sedano, 18 non sembra azzardato che vi si sia ispirato . Omero la chiama «opulenta» (aphneion te Korinthon) (Iliade 2,570) . Strabo­ ne ripete l'epiteto e lo spiega per ragioni commerciali: «Corinto deve la sua qua­ lifica di opulenta al commercio marittimo (aphneios . . . dia to emporion) ; situata sull'Istmo , domina su due porti di cui l'uno a portata dell'Asia , l'altro dell'Italia < . . . >ed essa facilita gli scambi di merci tra queste due regioni tanto lontane l'una dall'altra < .. . >. I commercianti venuti via mare , gli uni dall'Italia, gli altri dall'A­ sia, sono felici di poter rinunciare al passaggio attraverso il capo Malea, venendo a scaricare il loro carico a Corinto . A Corinto ugualmente le tasse sulle esporta­ zioni o le importazioni dal Peloponneso , che si facevano via terra, procuravano una rendita a coloro che tenevano le chiavi dell'Istmo» (8,6 ,20) . Lo stesso auto­ re subito dopo accenna a un'altra fonte di ricchezza di Corinto , i giochi istmici : «L'agone istmico (ho /sthmikos agon) , che vi si celebrava, attirava le folle» (8,6,20) . Alle tasse di transito , ai proventi del commercio e alle entrate del turi­ smo fiorente al tempo dei giochi istmici si aggiunga, infine , la lavorazione e l'e­ sportazione dei famosi bronzi di Corinto , chiamati «a Corinthiis» oppure «Co­ rinthiarii» . Plinio il Vecchio ne parla in questi termini : «Ci sono tre specie di bronzi di Corinto : il bianco , che richiama del tutto lo splendore dell'argento do­ minante in questa lega ; il secondo in cui domina il colore fulvo dell'oro ; il terzo in cui la lega·dei tre metalli è fatta in parti uguali» (Storia Naturale 34,8) . Aveva­ no invaso Roma, oggetti da esibire nelle case dei ricchi , come attesta Cicerone che così li descrive : «corazze e caschi cesellati in metallo di Corinto , alte brocche dello stesso materiale e anche artisticamente lavorate» , rimproverando Verre che se ne era impossessato ( Tu videlicet solus vasis Corinthiis delectaris) , mentre Scipione li aveva donati a un tempio (In Verrem 4 ,97) .19

17 In un'iscrizione greca, riportata da Dittenberger al n. 802 , sono celebrate le imprese di tre so­ relle : «Ermesianac ... (ha consacrato) ad Apollo Pizio le proprie figlie, Trifosa che ha vinto la corsa di uno stadio Edea che ha vinto nei giochi Istmici la corsa dei carri armati . . . e nei giochi di Nemea la corsa di uno stadio . . . Dionisia che ha vinto nei giochi Istmici la corsa di uno stadio». 18 Cf. PLUTARCO, Questioni conviviali 5 , 3 ,1-3: «Originariamente la corona del vincitore ai giochi Istmici era di pino, più tardi di sedano, ma ora di nuovo di pino». 1 9 Da una testimonianza di Plutarco si deduce che Corinto fosse un anche centro bancario e fi­ nanziario: i debitori «passano dall'uno all'altro, da un usuraio , o da un trafficante di Corinto a quelli di Patrasso , poi di Atene», indebitandosi sempre più con i tassi d'interesse (De Vitando Aere A lieno 7, in Moralia 83 1A). • • •

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Corinto poteva vantare anche numerosi monumenti e splendide opere d'ar­ te . Con ammirazione Pausania ne parla nella sua Guida della Grecia, testimo­ nianza diretta di un attento visitatore della seconda metà del sec. II , che dunque enumera anche opere realizzate dopo il soggiorno paolino: «Le cose degne di menzione , in città, sono, in parte , quelle che sopravvivono fra le antiche , ma per lo più appartengono alla seconda fioritura della città» (2,2 ,6) . E continua descri­ vendone in tutto 26 : statue , come quelle di Artemide Efesina, Dioniso , Atena, Afrodite , Ermes, Zeus , templi dedicati ad Apollo , alla Fortuna, a tutti gli dèi (theois pasin), ad Atena , a Ottavia, sorella di Augusto , a Zeus Capitolino , a De­ metra e Core ; sulla sommità dell'Acrocorinto s'innalzava il tempio di Afrodite , mentre nella zona dei giochi istmici oltre allo stadio c'era il grande santuario di Poseidone Istmico (Pausania 2,2,6-2 ,6,7) . Gli scavi archeologici, effettuati a Co­ rinto e Cenere , hanno portato alla luce anche resti di templi dedicati alle divinità egizie Iside e Serapide. Si aggiungano numerose terme , attestate da Pausania in 2,3,5,20 un teatro costruito nel sec. V a.e. e restaurato dai romani , capace di 14.000 spettatori, un macellum o mercato pubblico di carne , restaurato al tempo di Augusto, e la grande agora , anch'essa descritta da Pausania in 2,2,6-3 , 1 , in cui si ergeva il bema , tribuna da cui il giudice emetteva le sentenze giudiziarie .21 Ancora oggi si possono ammirare le sette colonne doriche e monolitiche del tempio di Apollo , risalente alla metà del sec. VI.22 Corinto era una città cosmopolita, abitata da genti diverse , romani , greci, orientali e , tra loro , giudei. 23 La presenza di questi ultimi è attestata da Filone che parla di una colonia ebraica nella città dell'Istmo24 e dagli Atti degli apostoli che narrano della partecipazione di Paolo a riunioni sinagogali a Corinto e men­ zionano un certo Crispo, arcisinagogo della città, convertito al cristianesimo dal­ la parola dell'apostolo (18,4ss) . Invece la testimonianza dell'iscrizione «Sinago­ ga degli Ebrei» (g6ge Hebr ) , scoperta nel 1898, incisa sull'architrave di una sinagoga, non è adducibile qui per la sua datazione tardiva, assegnata re­ centemente a una data compresa tra il 170 d.C. e la prima èra post-costantinia­ na. 25 Accanto ai riti propri della religione greca e romana erano praticati anche culti egiziani, attestati dalla presenza di templi eretti a onore di divinità egizie, come si è detto , ma anche da Apuleio , convertito alla religione di Iside, che ci ha 20

«In molti altri luoghi di Corinto ci sono bagni (loutra)». In At 18,12 si afferma che i giudei , avversari di Paolo, lo condussero al tribunale : égagon au­ ton e_gi to bema. Cf. ELLIGER, Paulus in Griechenland, 215s. 23 Impossibile è la determinazione del numero degli abitanti (cf. MuRPHY-0' CoNNOR, St. Paul's, 3 1-32). Si può supporre che più grandi e popolose fossero soltanto Roma, che doveva conta­ re un milione di abitanti , e Alessandria d'Egitto con 600.000 . 24 Legatio ad Caium 281 : Gerusalemme è «la capitale (métropolis) non solo della regione della Giudea m a anche della maggior parte degli altri territori a causa delle colonie (dia tas apoikias) che essa ha inviato , secondo le epoche , nei paesi limitrofi .. . , altre nelle regioni più lontane . . . , allo stesso modo in Europa , in Tessaglia, Beozia, Macedonia, Etolia, Attica, a Argos, a Corinto , nella maggior parte delle migliori regioni del Peloponneso». 2 5 Cf. OsTER, «Use» , 54-58. 21

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lasciato la descrizione , non priva di toni emozionanti , dell'annuale processione dei fedeli di Iside marittima. 26 È dunque giustificato parlare di uno spiccato sin­ cretismo religioso presente , allora , nella cosmopolita Corinto . Si è poi molto favoleggiato sui costumi morali della città dell'Istmo in base a testimonianze indubbie ma non sempre correttamente valutate . Aristofane (450-385 a . C . ) ha creato il verbo korinthiazesthai («comportarsi da corinzio») nel senso di fornicare . 27 Platone (421-347 a . C . ) attribuisce all'espressione ko­ rinthia kore («ragazza corinzia») la valenza di prostituta. 28 Elio Aristide (1 17-180 d . C . ) la definisce «la città di Afrodite» ( Discorsi 46,25) , ma l'espressione di tono retorico non si riferisce alla prostituzione, bensì alla città in cui , come precisa l'oratore , c'è grande abbondanza di «bellezza , desiderio e amore». Comunque la sua fama di città licenziosa è dovuta soprattutto alla testimonianza di Strabo­ ne : «Il santuario di Afrodite rigurgitava a tal punto di ricchezza da possedere co­ me ierodule più di mille cortigiane (hetairas ) , che donatori dell'uno e dell'altro sesso avevano offerto alla divinità ; esse attiravano , ben inteso , una folla di per­ sone a Corinto e contribuivano ad arricchirla» (8 ,6,20c) . In realtà , vi si tratta della Corinto greca, come appare dalla stessa testimonianza dell'autore che sta parlando dell'antico tempo aureo della città, non della colonia romana che , a detta dello stesso Strabone (8 ,6,2 1 ) , che l'aveva visitata nel 29 a.C. , possedeva un piccolo tempio ( naidion ) di Afrodite . Inoltre , si dubita dell'esattezza dell'in­ formazione di Strabone , che avrebbe confuso la partecipazione delle cortigiane al culto della dea, privilegiate interceditrici presso la patrona Afrodite del suo aiuto a favore della città, 29 con la prostituzione sacra diffusa in oriente ma scono­ sciuta al mondo greco. 3° Forse però pecca di minimismo il giudizio di Murphy­ O'Connor St. Paul's 56, secondo cui Corinto non era più licenziosa di qualsiasi altra città portuale del Mediterraneo orientale dell'epoca. La prostituzione , non quella sacra , doveva essere stata invece un fenomeno di grande rilievo nella città dell'Istmo , se il nome stesso di corinzio vi era stato collegato .3 1 Ora ciò costituì26

Cf. OsTER, «Use» , 60. Framm. 133 ; cf. il Vocabolario del Rocci. 28 PLATONE, La Repubblica 4040: «Tu biasimi allora anche che gli uomini che hanno da essere in perfetta condizione fisica abbiano per amica una ragazza corinzia» (korinthian koren philen einai). 29 Ateneo in I Deipnosofisti 13 ,573E attesta che Pindaro in un 'ode cantata nelle feste del sacrifi­ cio si rivolge con queste parole alate alle cortigiane unitesi al rito sacrificale offerto da Senofonte ad Afrodite : «Voi giovani donne (neanides) che date ospitalità a tanti stranieri, servitrici della Persua­ sione nell'opulenta Corinto, voi che fate fumare all'altare gocce d'oro di vergine incenso e spesso col pensiero volate verso Afrodite , la celeste Madre degli amori , è a voi , ragazze (paides), che ella con­ cede senza biasimo di cogliere il frutto della dolce giovinezza in letti pieni di cose amabili . Tutto è bene quando si è forzati da necessità» . E sempre secondo Ateneo il grande poeta conclude così : «0 regina di Cipro, qui nel tuo bosco sacro Senofonte, mosso da gioia per la realizzazione del suo voto, ha condotto un gregge di cento giovani prostitute» . Questo «volo» di Pindaro è pubblicato come framm. 122 (87) nell'ed . The Loeb Classica/ Library. 30 Oltre al volume di MuRPHY-O'CONNOR, St. Paul's , 55-57 vedi lo studio di Conzelmann che conclude trattarsi di «una favola» (così anche nel suo commentario 26) e l'articolo di SAFFREY, «Aphrodite». 31 Oltre tutto Corinto si era fatta la fama di avere le prostitute più belle ; tra queste la più esalta­ ta Laide . Dopo aver parlato della sua tomba presso Corinto Pausania così continua : «Anche in Tes­ saglia c'è una cosidetta tomba di Laide : infatti essa venne anche in Tessaglia, perché era innamorata v

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sce uno sfondo socio-culturale capace di spiegare il fatto che forme di liberti­ naggio e licenziosità abbiano potuto manifestarsi nella stessa chiesa corinzia (lCor 5 , lss; 6 , 1 2-20) . Comunque Corinto era meta preferita di visitatori attirati dalle sue bellezze e anche dalla prospettiva di piaceri, come appare attestato in un passo delle Let­ tere di Orazio : «non cuivis homini contingit adire Corinthum» ( 1 , 127,36) .

2. PAOLO A CORINT032 Il libro degli Atti degli apostoli ci ha lasciato nel c. 18 un resoconto lacunoso e approssimativo , non privo però di qualche dato prezioso . Paolo vi arrivò dopo aver lasciato Tessalonica e quindi Berea sotto l 'incalzare di giudei ostili e con al­ le spalle l'insuccesso patito ad Atene (At 17) . Vi incontrò Aquila e Priscilla, ar­ rivati da poco , espulsi dalla capitale dell'impero «in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei» (v . 2).33 Di fatto entrò come operaio nel­ la loro bottega di lavorazione del cuoio o di tende e fu anche ospitato nella loro casa (v. 3 ) . Le riunioni sinagogali della diaspora giudaica di Corinto gli permet­ tevano di parlare in pubblico cercando «di persuadere giudei e greci» (v . 4).34 In seguito fu raggiunto dai collaboratori Sila e Timoteo ( v. 5) , rimasti più a lungo a Berea , da cui invece egli era stato espulso per i niziativa di giudei (At 17, 1 4) .

di Ippostrato. Si dice che fosse originaria di Icara in Sicilia, e che, ancora fanciulla, fosse fatta prigio­ niera da Nicia e dagli aten iesi; che poi, venuta a Corinto, primeggiasse per bellezza tra le etere della sua epoca, e godesse di tale ammirazione da parte dei corinzi, che questi ancor oggi la rivendicano come propria» (2,2,4-5). Così la ricorda Plutarco: «Avete senz'altro sentito parlare di Laide, tanto cantata dai poeti ed essenza dell'amore, come avesse incendiato di desiderio la Grecia o piuttosto fosse contesa da un mare all'altro» (Amatorius 21, in Moralia 767F). 32 Per le determinazioni cronologiche vedi soprattutto la seconda parte del volume di Murphy­ O'Connor (pp.129-152). 33 A tale provvedimento accenna Svetonio nella Vita di Claudio: « Egli scacciò i giudei eia Roma perché, istigati da Cresto, continuavano a suscitare tumulti (Iudaeos impulsore Chresto assidue tu­ multuantes Roma exp u lit ) » (25,5). Purtroppo lo storico romano non precisa la data, che più tardi, nel sec. V, Paolo Orosio fisserà nell'anno nono del regno di Claudio, dunque nel 49 (Hist. 7,6,15: «Nel­ l'anno nono dello stesso regno i giudei furono scacciati dall'Urbe»). Dione Cassio però, vissuto tra il I I e il Hl secolo, dice che nel 4 1 Claudio proibì ai giudei di Roma cli riunirsi, espellendo solo i fautori dei disordini scoppiati all'interno della diaspora giudaica (Hist. 60,5,6). Una testimonianza che si fa preferire a quella di Orosio. Cf. su tutta la questione lo studio cli Liidemann circa la cronologia paoli­ na, il quale per questo anticipa cli un decennio circa l'arrivo di Paolo a Corinto. Ma la connessione stabilita negli Atti tra l'editto di Claudio e la venuta cli Aquila e Priscilla a Corinto che poco dopo en­ trano in rapporto con l'apostolo non appare sicura. Già altrove l'autore di Atti e del terzo Vangelo ha collegato erroneamente fatti del suo racconto con eventi della grande storia, come quando dice che il viaggio di Maria e Giuseppe a Betle mme avvenne al tempo del censimento cli Quirino (Le 2,2). Per questo si può ritenere che l'apostolo sia giunto a Corinto non nel 41 ma a cavallo ciel 50, fatto questo eia sincronizzare con il proconsolato di Gallione. Su tutta la questione vedi il volume citato cli MuRPHY-O'CoNNOR, St. Paul's, 130-140. :w Questa seconda categoria doveva comprendere i pagani convertiti al giudaismo, in pratica i «timorati cli Dio».

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Poté così dedicarsi con intensità all'annuncio del vangelo (v . 5) , ostacolato pe­ rò dall'ostile colonia giudaica cittadina (v. 6) . Allora trasferì la sede della sua predicazione nella casa di un certo Tizio Giusto (v . 7) . Qui gli arrise un discre­ to successo : l'arcisinagogo Crispo «credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia ; e anche molti dei corinzi , udendo Paolo, credevano e si facevano bat­ tezzare» (v. 8) . Sempre secondo l'autore degli Atti , «Paolo si fermò un anno e sei mesi , inse­ gnando fra loro la parola di Dio» (v. 1 1 ) . Soprattutto il testo , narrando la tradu­ zione dell'apostolo davanti a Gallione per opera della locale diaspora giudaica , ci informa della simultanea presenza nella città dell'Istmo di Paolo e di Gallione , fratello maggiore di Seneca , proconsole della provincia romana di Acaia: «Es­ sendo poi proconsole dell'Acaia Gallione , i giudei insorsero in massa contro Paolo e lo condussero al tribunale» (v. 12) . Siamo così in grado di determinare , con grande approssimazione , la data dell'evangelizzazione paolina di Corinto . Infatti, in un'iscrizione frammentaria trovata a Delfi nel 1905 , pubblicata in modo incompleto da A. Deissmann ,35 stu­ diata recentemente da A. Plassart che ne ha decifrato altri frammenti36 e ritocca­ ta da J . H . Oliver,37 si dice che Claudio, acclamato imperatore per la ventiseiesi­ ma volta , prese in esame il quesito del proconsole Gallione circa l'auspicabile ri­ popolamento di Delfi.38 Ma a che anno risale la 26a acclamazione cli Claudio? Le verifiche fatte su dati incrociati39 permettono di collocarla «nel breve periodo che va eia gennaio-febbraio ad agosto dell' anno 52» .40 A questo periodo dunque deve essere assegnato il rescritto di Claudio e, di conseguenza , anche il procon­ solato di Gallione . D 'altra parte sappiamo che l'incarico proconsolare durava un

35 A. 212-22 1 . 36 A.

D EISSMANN , Paulus. Eine kultur- urul religionsgeschichtl iche Skiz ze,

Tlibingen 1925,

PLASSART, «L'inscription d e Delphes mentionnant l e Proconsul Gallion», in Revue 'des Ewdes Grecques 80( 1967), 372-378 . 37 J . H. OuvER, «The Epistle of Claudius which Mentions the Proconsul Junius Gallio», in He­ speria 40(1971 ), 239s. 38 Ecco il testo nella traduzione di R. PENNA , L 'ambiente storico-culturale delle origini cristiane,

EDB, Bologna 1986, 25 1-253 : «Tiberio Claudio Cesare A ugusto Germanico (nel 120 anno della sua) potestà tribunizia, acclamato imperatore per la 26a volta, padre della patria, saluta ( . . . ) Già da tem­ po verso la città di Delfi sono stato non solo ben disposto , ma ho avuto cura della sua prosperità e sempre ho protetto il culto di Apollo Pitico. Ma poiché ora si sente dire che viene abbandonata an­ che dai cittadini, come mi ha da poco riferito L. Giunio Gallione (h6s moi arti apeggeile L. /ounios Gal/ion ) , amico mio e proconsole (h o philos mou kai anthypatos ) , desiderando che Delfi conservi in­ tatta la sua primitiva bellezza, vi o rdino di chiamare anche da altre città a Delfi degli uomini liberi come nuovi abitanti e che a essi e ai loro discendenti sia integralmente concessa la stessa dignità di quelli di Delfi, in quanto cittadini in tutto e per tutto uguali ( . )». Il testo greco è riportato dal volu­ me di Murphy-0' Connor in appendice , p. 173 . 39 Si tratta, in concreto, di una notizia di Frontino su Claudio che terminò e dedicò il primo ago­ sto dell'anno 803 di Roma i due acquedotti dell'acqua Claudia iniziati da Gaio (De acq1mluctu urbis Romae 13s) e di un'iscrizione latina sull'acquedotto dell'Acqua Claudia alla Porta Maggiore di Ro­ ma che data l'impresa al dodicesimo anno della potestà tribunizia di Claudio (CIL VI 1 526) , cioè dal gennaio 52 al gennaio 53. 411 PENN A , L 'ambiente , 252 . MuRPHY-O'CoN NOR, St. Paul 's , 143- 144 la f a decorrere dall'aprile a tutto luglio dello stesso anno . .

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anno , da aprile ad aprile. 41 Per sapere dunque in che anno Gallione fu proconso­ le dell' Acaia bisogna chiedersi se al tempo del rescritto di Claudio egli era all'i­ nizio del suo mandato o alla fine . Nel primo caso il suo proconsolato è da datare dall'aprile del 52 all'aprile del 53 , nel secondo la data è aprile 51 - aprile 52. Ma Seneca ci dice che il fratello Gallione non ultimò il suo mandato per ragioni di salute . 42 Dunque sembra imporsi la prima ipotesi , con la precisazione che egli non durò in carica sino all'aprile del 53 . Si deve pertanto concludere che Paolo fu deferito al suo tribunale nel 52, con probabilità verso la fine del suo soggiorno a Corinto , come sembra dire il racconto degli Atti . 43 Di conseguenza, possiamo congetturare che l'apostolo giunse a Corinto verso la fine del 50 e che il suo sog­ giorno nella città dell'Istmo , durato un anno e mezzo , si protrasse fino alla pri­ ma parte del 52 o poco più. Altri elementi preziosi ci offrono le lettere di Paolo alla chiesa corinzia. An­ zitutto egli precisa così la sua missione ricevuta da Cristo : «questi lo ha mandato non a battezzare , bensì ad annunciare il vangelo , non con sapienza di parola , perché non venga svuotata la croce di Cristo» (lCor 1 , 17). Dunque a Corinto si è presentato nelle vesti non di un mistagogo , iniziatore ai misteri cultuali , né di un retore facondo fiducioso nella sua arte di persuasione degli ascoltatori , bensì di un «evangelista» proclamatore della croce. Certo , ha battezzato qualcuno , Crispo , Gaio e la casa di Stefana, ma si è trattato di eccezioni ( 1 , 14-16) . Il croci­ fisso è stato l'oggetto della sua parola: «noi invece proclamiamo Cristo crocifis­ so , per i giudei pietra d'inciampo e per i gentili insensatezza, ma per gli stessi chiamati, sia giudei che greci , Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 ,2324) ; «Ritenni infatti di non sapere alcunché tra voi che non fosse Gesù Cristo e questi crocifisso» (2,2) . Simbolo di debolezza e impotenza e di squalificante in­ famia, ma proprio per questo segno della manifestazione potente e sapiente di Dio risuscitatore del crocifisso e in questo salvatore degli uomini , la croce di Cri­ sto , oltre che contenuto del vangelo , contrassegna , per un verso , la forma della sua parola e, per l'altro , la sua stessa persona, come possiamo leggere in 2,4 e 2 , 3 : «Inoltre la mia parola e il mio annuncio non fecero ricorso a parole di sa­ pienza capaci di persuadere , bensì alla dimostrazione resa dallo Spirito , cioè dal- . la potenza divina» ; «E io mi presentai a voi in stato di debolezza e con grande ti­ more e tremore» . In 3 , 10- 1 1 e 4 , 15-16 ricorre a due chiare immagini per qualificare la sua azio­ ne nella capitale della provincia romana di Acaia. La prima: «Secondo la grazia di Dio a me data , quale perito architetto ho gettato il fondamento , un altro poi

4 1 Dione Cassio in 60,17,3 attesta che i governatori (archontes) dovevano partire per il luogo del loro incarico «prima della metà di aprile». 42 « . . . ricordavo che mio fratello Gallione , trovandosi in Grecia e sentendosi assalire dalla feb­ bre , s'imbarcò subito, affermando che il male gli veniva dal luogo , non dal suo corpo» (SENECA, Ep. 104,1 . 4 At 1 8 , 1 8 : Paolo, rimandato libero dal proconsole , vi si trattenne ancora parecchi giorni; dun­ que non se ne andò subito dopo , ma neppure troppo tempo dopo.

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costruisce sopra. Ciascuno però stia attento a come costruisce sopra. Un altro fondamento infatti nessuno può gettare che sia diverso da quello che vi sta , fon­ damento che è Gesù Cristo» . La seconda: è un padre che ammonisce i corinzi quali figli carissimi ; «Infatti potreste anche avere diecimila pedagoghi in Cristo , eppure non molti padri , perché io vi ho generati in Cristo Gesù mediante il van­ gelo». Due immagini che sottolineano la sua peculiare posizione rispetto a tutti gli altri predicatori del vangelo venuti dopo di lui a Corinto . Durante il suo soggiorno , comunque , non si è limitato a proclamare il vange­ lo (cf. anche 1 5 , 1-2) e a suscitare la fede degli ascoltatori. Ha anche trasmesso tradizioni liturgiche protocristiane già consolidate , quali il battesimo (1 , 1 3 ; 12,13) e la cena del Signore ( 1 1 ,23ss) . Si è impegnato pure a insegnare u n nuovo stile di vita coerente con l'adesione di fede , indicando «vie» da percorrere (4 , 17) e modi di comportamento tradizionali ( 1 1 ,16: synetheia/ consuetudine) . E solo l'immaturità persistente dei corinzi gli ha impedito di introdurli nella sapienza divina, incentrata nel mistero della croce di Cristo e donata dallo Spirito operan­ te in quanti si abbandonano alla sua azione interiore (2 ,6-16) . Come strategia missionaria h a scelto d i non farsi mantenere , m a di guada­ gnarsi da vivere lavorando .44 Già a Tessalonica si era affaticato notte e giorno per non essere a carico di nessuno dei cristiani locali ( 1Ts 2 ,9) . Altrettanto aveva fatto a Corinto : «Ci affatichiamo lavorando con le nostre proprie mani» (4, 12) . Ma nella città dell'Istmo il suo comportamento controcorrente aveva suscitato malumori e aperte ostilità.45 Per questo egli si difende con forza nel c. 9, affer­ mando il suo diritto, in quanto apostolo del vangelo , di essere mantenuto , e pa­ rimenti rivendicando il valore della sua scelta di non avvalersene per amore del vangelo stesso : Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti . . . Nessuno riuscirà a rendere vano il mio motivo di vanto . Se infatti annuncio il vangelo, non è per me un motivo di vanto , perché un destino mi sovrasta. Guai infatti è per me se non annunciassi il vangelo . Se infatti faccio questo di mia spontanea iniziativa, ho un salario; ma se lo faccio non di mia spontanea iniziativa, mi è sta­ to affidato un incarico . Quale dunque il mio salario? Nell'annunciarlo proporre il vangelo gratuitamente , così da non avvalermi pienamente del mio diritto nella sfera del vangelo» (vv. 15-18) . II motivo del vanto ritornerà in 2Cor 1 1 ,10 con tono di giuramento : «Per la verità di Cristo che è in me dico che questo vantarmi (kauchesis) non mi sarà impedito (phragesetai) nelle regioni dell' Acaia» . In real­ tà, si è messo a servizio dei corinzi , rifiutando di farsi servire : «Ho forse com-

44 G. THEISSEN , «Legittimazione e sostentamento . Un contributo alla sociologia dei missionari del cristianesimo primitivo», in Sociologia del cristianesimo primitivo , Genova 1987, 179-206, ha illu­ strato bene la diversa strategia di Paolo rispetto a quella dei predicatori in Palestina che si facevano mantenere. Vedi anche la monografia di R.F. HocK, The Socia[ Context of Pau/'s Ministry. Tentma­ king and Apostleship , Philadelphia 1980. 45 Cf. in proposito il volume di Marshall che interpreta i rapporti difficili di Paolo con i corinzi alla luce della relazione patronus,-clientes , fondamentale nella società romana del tempo: i pochi fa­ coltosi della chiesa di Corinto pensavano di essere i «patroni» dell'apostolo e dunque di prestargli di che vivere ; ma Paolo si rifiutò di assumere nei loro confronti le vesti del «cliente».

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messo una colpa abbassando me stesso per esaltare voi , dal momento che vi ho annunziato gratuitamente (dorean) il vangelo di Dio? Ho spogliato altre chiese ricevendone sostentamento per il servizio a voi reso (pros tén hymon diako­ nian ) Trovandomi da voi e versando nel bisogno mi sono mantenuto senza ag­ gravio di alcuno, perché alle mie necessità hanno provveduto i fratelli venuti dalla Macedonia. In tutto mi sono mantenuto come persona non a carico vostro (abaré hymin) e tale mi manterrò» (2Cor 1 1 ,7-9) . Infine , la menzione di Febe , diaconessa della chiesa di Cenere , in Rm 16, 1-2 sta a dimostrare che il raggio di azione missionaria di Paolo dovette estendersi oltre alla capitale e interessare i centri vicini , di certo il porto di Cenere . .

3.

LA CHIESA CORINZIA46

3. 1 . Gli inizi e gli sviluppi

Paolo era riuscito a creare a Corinto una comunità cristiana viva e l'aveva guidata di persona nei suoi primi passi, aiutato certo da Sila e Timoteo , forse an­ che da Sostene . Vi facevano parte , senza dubbio , i credenti da lui battezzati , cioè Crispo , Gaio e la famiglia di Stefana ( lCor 1 , 14- 15) , ma non erano i soli , se è vero che suo compito specifico non era quello di battezzare , bensì di annuncia­ re il vangelo (1 , 17) . Vi si devono aggiungere Tizio Giusto , presso il quale , dopo la rottura con la sinagoga, l'apostolo aveva predicato ( At 18,7) ; Fortunato e Acaico , andati con Stefana in visita a Paolo , con probabilità come delegazione della chiesa corinzia ( l Cor 16, 17) e latori della lettera dei corinzi all'apostolo (7 , 1 ) ; forse Sostene , ca-mittente della lettera ( 1 , 1 ) ; 47 infine Erasto , «tesoriere della città» dell'Istmo, Quarto , di origine romana, e Terzo , amanuense di Rm , dei cui saluti Paolo si fa portavoce in Rm 16, 21-23 . La coppia Aquila e Prisca, che lo avevano accolto in casa e gli avevano dato lavoro nella loro bottega, dovevano essere già cristiani al suo arrivo , come lascia credere l'autore di Atti ; d'altra parte non facevano parte dei pochi battezzati da Paolo . Ma è certo che a Corinto non esisteva ancora una comunità cristiana, se l'apostolo può rivendicarne con forza la fondazione , come sapiente architetto (3 , 10) , e la creazione , come unico padre (4 , 15) . Dopo la sua partenza, a Corinto giunsero altri missionari cristiani , la cui azione è qualificata da lui con il verbo epoikodomein (3 , 10 . 12. 14) , «costruire so­ pra» le fondamenta gettate da lui , continuare cioè un'azione già ben definita , che ha costituito «l'edificio di Dio (theou oikodomé)» , cioè il popolo escatologi­ co del Signore (3 ,9) . Di loro però conosciamo di nome soltanto Apollo, «ales-

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Vedi gli studi di Barclay, Barrett, B ranick , Engberg-Pedersen , Suhl , Vielhauer. Non sappiamo se all'omonimia con il capo della sinagoga di Corinto (At 18, 17) corrisponda un'identità di persona. 47

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sandrino di nascita, uomo colto (aner logios) che era versato nelle Scritture» ( At 18 ,24) , la cui permanenza a Corinto è attestata anche da At 19, 1 . Si è ipotizzato , da parte di B arrett, che vi fosse venuto pure Pietro . È una supposizione che spiega bene l'esistenza nella chiesa corinzia di un «partito» che si richiamava a Cefa ( l Cor 1 , 12 ; cf. 3 ,22 e anche 9,5 ) ; ma sembra più probabile che vi siano arri­ vati anonimi missionari giudeo-cristiani legati al principe degli apostoli . E tutti avevano fatto degli adepti ; di questo comunque abbiamo certa testimonianza a proposito di Apollo , come riconosce Paolo in 3 ,5 : siamo «servitori di Cristo per mezzo dei quali voi siete giunti a credere » . Momento qualificante della vita della comunità era la riunione periodica, d i cui la nostra lettera offre non poche notizie . I n 14,23-26 s i parla d i convocazione (synerchesthai) plenaria o cittadina (he ekklesia hole/ tutta la chiesa ) per l'ascol­ to della parola dei carismatici, con la partecipazione eventuale di estranei (idio­ tai) . Il brano eucaristico di 1 1 , 17-34 invece dice riferimento a riunioni (syner­ chesthai/ convenire : vv. 17.34 ) ecclesiali (en ekklesia-il in assemblea: v. 18 ) di ca­ rattere conviviale (eis to phagein/ per mangiare: v. 33 ; kyriakon deipnon/ cena del Signore : v. 20) . Non diversa l'assemblea implicitamente richiamata in 10, 1422 dove si parla di bere al calice , spezzare il pane, sedersi da commensali alla ta­ vola del Signore . La riunione attestata in 5,4, espressa con il verbo parallelo sy­ nagesthail radunarsi in assemblea , ha invece lo scopo di emettere un verdetto di scomunica sul «fratello» incestuoso . Ma anche in 1 1 ,2-16, sia pure in assenza di ogni esplicito riferimento , è fin troppo ovvio che l'attività di cui si tratta ( abbi­ gliamento decente per quanti pregano in modo ispirato o profetizzano ) suppone un «luogo» sociale , appunto una comunità riunita. L'interrogativo è se si tenevano diversi tipi di assemblee . In concreto, a par­ te quella particolare di 5 ,4, le assemblee di parola e conviviali erano le stesse , con abbinati i due momenti complementari , eucaristico-conviviale e discorsivo o della parola (Mahlfeier e Wortgottesdienst) , oppure riunioni distinte? Le due eventualità hanno i loro sostenitori. Parimenti si discute della composizione dei partecipanti alla riunioni : l'assemblea del c. 14 è certo plenaria o di tutta la città, come attesta il v . 23 ; 48 ma le assemblee eucaristiche o conviviali , se distinte dalla suddetta di tipo «Verbale» , erano plenarie o settoriali? In mancanza della speci­ ficazione di totalità si è ipotizzato che fossero riunioni più ristrette di credenti le­ gati da vincoli di amicizia o parentela, proprie di una comunità domestica. Ma il «voi» di 1 1 ,33 : «quando vi riunite a mangiare» (synerchomenoi eis to phagein) e la formula introduttiva dello stesso versetto : «Pertanto , fratelli miei. . . » non sembrano riferirsi ai membri di una «chiesuola» ; Paolo pare rivolgersi a tutta la comunità di Corinto . Dopo tutto , la stessa formula, con il verbo synerchesthai (convenire ) riferito al «Voi» dei destinatari della lettera, appare sia in 14,26 sia, più volte , in 1 1 , 17-34, e se là si riferisce all'assemblea plenaria, come mostra il

4 8 Si veda anche Rm 1 6 ,23: « ekklesias)».

. . .

Gaio che ospita me e tutta la comunità ecclesiale (kai ho/es tes

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passo parallelo 14,23 , non c'è motivo di riferirla qui a riunioni più ristrette . Che poi per le riunioni del c. 14 sia prevista la presenza di estranei, impossibilitati di certo a partecipare alla cena del Signore riservata ai credenti , non pare un'obie­ zione insormontabile : nella stessa riunione ecclesiale ci poteva essere sia la cena sia, successivamente , la liturgia della parola , in cui ai commensali si potevano aggiungere altre persone , anche degli estranei. In conclusione , la questione resta aperta, essendo non decisivi gli argomenti messi in campo dall'una e dall'altra parte . Allo stesso modo , in mancanza di dati documentali, non possiamo dire in che giorno e con quale scadenza49 i credenti di Corinto si riunissero . 50 Dal punto di vista organizzativo si deve richiamare qui una diffusa lettura presente soprattutto in campo protestante . Ci riferiamo alla contrapposizione tra carisma e Spirito , da una parte , e istituzione e diritto , dall'altra, enunciata da Sohm , rielaborata da Harnack e precisata in seguito da altri.51 Ecco in forma di tesi le posizioni indicate : 1) con l'introduzione di forme istituzionali nella chiesa è andata tradita l'originaria ispirazione carismatico-spontaneistica delle comuni­ tà protocristiane (Sohm) ; 2) nello stesso protocristianesimo esistevano due for­ me antitetiche di comunità, quelle basate sul trasporto dello Spirito , appunto le chiese paoline , e quelle guidate da capi gerarchici , come appare nelle Pastorali e in Luca, prototipi del protocattolicesimo (Harnack) ; 3) lo Spirito è all'origine sia dei cosidetti carismi sia dell'ufficio («das Amt») : soluzione irenica assai diffusa anche in campo cattolico. In realtà , il termine carisma in Paolo dice riferimento «in primis» non alla spontaneità dello Spirito , antitetica al peso dell'autorità , bensì alla grazia divina , di cui è dono , in antitesi con l'orgogliosa ostentazione di sé da parte dell'uomo. Soprattutto gli studi più recenti di B . Holmberg52 e di Clarke hanno fatto giusti­ zia delle posizioni di Sohm e Harnack. Il primo ha messo in evidenza che l'auto­ rità esercitata dagli apostoli , in concreto da Paolo , e ancor più dai leaders locali , era un misto di carisma, come la vocazione apostolica , e di elementi tradizionali e razionali a cui egli fa appello qua e là (cf. per es. 15 ,3-5 e 1 1 , 14-15) . Se Weber chiamava tutto questo carisma di routine , Holmberg preferisce parlare di istitu­ zionalizzazione . Clarke poi ha mostrato come Paolo abbia criticato con durezza

49 Ciò che dice 16,2 a proposito della colletta: «A ogni primo giorno della settimana sabatica ciascuno di voi . . . » può alludere a una pratica eucaristica domenicale . 50 Per riferimenti bibliografici e una trattazione più completa rimandiamo all'introduzione della sezione dei cc. 12-14. 51 Vedi soprattutto il volume di U . BROCKHAU S , Charisma und Amt. Die paulinische Chari­ smenlehre auf dem Hintergrund derfriihchristlichen Gemeindefunktionen, Wuppertal 1 975 , 7-94 e gli studi di S . ScnuLz , «Die Charismenlehre des Paulus» , in Rechtfertigung (FS E. Kiisemann) , Gottin­ gen-Tiibingen 1976, 443-460; R. ScHNACKENBURG , «Charisma und Amt in der Urkirche und beute», in Mii TZ 37( 1 986) , 233-248 ; U . Luz , «Charisma und lnstitution in neutestamentlicher Sicht», in EvTh 49(1989) , 76-94. 52 B. HoLMDERG, Paul and Power. The structure of authority in the primitive Church as reflected in the Pauline epistles, Lund 1978 .

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l'introduzione nella comunità delle modalità di leadership proprie dell'ambiente secolare di Corinto , offrendo in cambio un modo nuovo di leadership ecclesiale fondata non sul prestigio della persona bensì sulla sua dedizione . Di fatto , in l Cor l'autorità apostolica di Paolo , ampiamente difesa, è spesso al centro delle soluzioni da lui date a questo o a quel problema , come nella se­ zione dei cc. 1-4, in cui egli rivendica il ruolo unico ed esclusivo di «padre» della comunità , legittimato dunque ad «ammonirla» , presentarsi come modello da imitare , inviare Timoteo a ricordarle «le vie» che egli insegna ovunque (4, 1417 ) . Del resto la lettera stessa è prova «in actu exercito» del suo autorevole ruo­ lo , riconosciuto dalla chiesa di Corinto che gli ha scritto (7 , 1 ) per sottoporre alla sua parola questioni da risolvere. Inoltre, come autorità locale, valeva la fami­ glia di Stefana , che si era guadagnata sul campo il ruolo di leadership e che Pao­ lo riconosce e invita a riconoscere di fatto : «hanno messo se stessi al servizio per i santi. Sottomettetevi anche a tali persone e a chiunque collabora e si affatica con loro» ( 16, 15-16) . Si noti che non c'è alcuna investitura dall'alto , per consa­ crazione istituzionale o sacramentale : sono persone - oltretutto un numero aperto : «chiunque collabora e si affatica con loro» - affermatesi come guide au­ torevoli per la loro azione . D'altra parte, si deve però riconoscere che nella chiesa paolina di Corinto la partecipazione attiva dei credenti appare illimitata: tutti sono beneficiari di que­ sto o di quel carisma dato per «l'edificazione» della comunità (cc. 12 e 14 ) . E le ricorrenti assemblee plenarie sono il luogo in cui «il corpo» cresce vitalmente con il concorso attivo di tutte le membra: «Quando vi riunite , ciascuno ha un sal­ mo , ha un insegnamento , ha una rivelazione , ha una parola glossolalica , ha un'interpretazione : tutto si faccia a scopo di edificazione» ( 14,26 ) . In rapporto all' ambiente , come ha rilevato Barclay , era una comunità in pa­ ce , per nulla osteggiata, tanto meno perseguitata ; in questo appare assai diversa dalla chiesa tessalonicese . Infatti , non solo l Cor non dice nulla di una crisi di ri­ getto , ma anche positivamente testimonia il fatto di una coabitazione pacifica e di rapporti normali di buon vicinato . I credenti sono invitati in casa di non­ cristiani e ci vanno ( 10,27ss ) . Alcuni poi della chiesa si siedono a tavola nei re­ staurants annessi ai templi pagani ( 8 , 10 ) . Le assemblee comunitarie erano aper­ te alla partecipazione di persone estranee ( 14,23ss ) . Per risolvere una vertenza si va al tribunale cittadino ( 6, lss) . La retorica greco-romana è apprezzata e ricer­ cata (cc. 1-4) . In breve , la chiesa corinzia era una comunità bene integrata nella società cittadina. ·

3.2. Comunità divisa Nella sua monografia A . Schreiber ha applicato alla chiesa di Corinto il mo­ dello socio-psicologico di gruppo , rileggendone la movimentata storia alla luce delle relative dinamiche . All'inizio , ancora presente Paolo , l'interazione perso­ nale nel gruppo non poteva non essere armonica: un solo capo riconosciuto , un piccolo gruppo di persone unite dalla nuova e intensa esperienza spirituale . Ma

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quando la guida parte e lascia un vuoto , si verifica un naturale processo di diffe­ renziazione dei ruoli, si creano divisioni e hanno origine conflitti e contestazioni dello stesso Paolo . Di fatto , solo i cristiani della prima ora conoscevano l'apostolo e si può sup­ porre che fossero loro i più vicini a lui . Quelli invece che si erano convertiti in se­ guito guardavano ad altri capi o leaders o comunque sbandieravano propri slo­ gans di appartenenza. Si erano create delle fazioni all'insegna di un esclusivo e totale rapporto , affermato e vissuto , di alcuni con Paolo , di altri con Apollo , di questi con Cefa e di quelli con Cristo ( 1 , 10-12) . Sembra però che la divisione più macroscopica fosse tra i paolinisti e gli apollinisti. Rimandando la conferma alla lettura della prima sezione della lettera, ci basti qui rilevare che nel contesto so­ lo Paolo e Apollo e i loro adepti sono il «cantus firmus» della sezione ( cf. 3 ,4 . 515.22 ; 4,6) . 53 Di certo , il nocciolo della questione riguardava la valutazione del discorso sapienziale , cioè di un parlare retoricamente forbito e ricco di intuizio­ ni, riguardante sempre la realtà cristiana , ma capace di andare oltre al semplice annuncio evangelico . È probabile che Apollo fosse considerato da quelli del suo «partito» un maestro di sapienza e che Paolo fosse da loro disprezzato - dai suoi però difeso ed esaltato -, perché carente di sophial sapienza e di logosl parola retorica. In ogni modo , nella chiesa corinzia era in atto un processo di culto della personalità religiosa dei leaders a scapito della centralità di Cristo , cui si deve la salvezza, per grazia, dei credenti. 54 La fronda antipaolina doveva essere abbastanza ampia e variamente motiva­ ta: guardava con supponenza all'apostolo ed era critica nei suoi riguardi ( 4,6. 18) , non gli perdonava di aver rifiutato di farsi mantenere ( c. 9) , assumeva atteg­ giamenti contestativi ( 1 1 , 16) , forse si riteneva superiore e non soggetta alla sua autorità (14 ,37) . 55 Per questo ci spieghiamo il carattere apologetico di diverse pagine dello scritto . Sempre di divisioni parla il c. 1 1 , 17-34, ma di divisioni (schismata) di altro genere , che vedevano la contrapposizione di tipo sociale tra due fronti: quelli che possiedevano case e potevano permettersi lauti pranzi e i nullatenenti . Nei suoi aspetti discriminanti la frattura si materializzava quando ci si riuniva per consumare la cena del Signore (kyriakon deipnon) : quelli si presentavano prima e mangiavano tutte le provviste da loro portate ; questi , trattenuti dal lavoro, giungevano più tardi e restavano a stomaco vuoto , esclusi dal pasto comune (koinon deipnon) e partecipi del solo pane e del solo vino eucaristici .

53 Cefa ritornerà solo in 3 ,22 ma in un elenco più vasto di realtà che tutte appartengono ai cre­ denti: panta hyrnon! tutto è vostro . Del partito di Cristo invece non si parlerà più . 54

1 CLARKE, Secular, 89ss ritiene che vi abbia influito il contesto cittadino: i rapporti nella società romana erano all'insegna dell'arnicitia che legava patroni e clientes : questi si vantavano di appartene­ re a �uesto o a quel patronus . 5 Soprattutto è il commentario di Fee che insiste su questo aspetto e parla espressamente di cri­ si dell'autorità di Paolo nella chiesa corinzia.

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Nella sezione dei cc. 8- 1 0 poi abbiamo l a testimonianza d i u n terzo tipo di frazionismo all'interno della comunità a proposito del consumare liberamente o meno le carni immolate agli idoli : carni vendute al mercato pubblico (makellon) oppure offerte sulla tavola di un ospite ( 10 ,23ss ) o anche piatto forte di pranzi sacri presi con amici o parenti nell'area stessa del santuario pagano dopo la ri­ tuale offerta a questo o a quel dio ( 8 , 1 0 ; 10, 14-22 ) . Alcuni non avevano alcun scrupolo in materia, anzi esibivano orgogliosamente la loro libertà interiore che scaturiva dalla conoscenza che esiste un solo Dio e un solo Signore e che gli dèi a cui si sacrificava sono nullità. Altri invece , «i deboli», se ne astenevano per mo­ tivi di coscienza , timorosi di fare atto idolatrico e scandalizzati dal comporta­ mento di quelli . Pure le riunioni comunitarie dedicate alla comunicazione della parola cari­ smatica erano occasioni in cui la chiesa di Corinto denunciava fratture e divisio­ ni. Nei cc. 12-14 Paolo prende posizione di fronte a una comunità divisa in cre­ denti possessori di fenomeni spirituali (ta pneumatika) , in pratica di diverse for­ me glossolaliche , e in credenti che ne erano privi , i primi affetti da un complesso di superiorità e i secondi in stato di depressione , tutti convinti che la glossolalia fosse , se non l'unica, la più grande manifestazione dello Spirito. Su questo sfon­ do di vita reale si comprende , nello sviluppo paolino del paragone dell'organi­ smo umano, la rassicurazione data al piede e all'orecchio che dicono : «Poiché non sono mano/ occhio , non appartengo al corpo» , espressa con una duplice ne­ gazione che equivale a un'affermazione : «non per questo non appartiene al cor­ po» ( 12, 15-16 ) . Il riferimento sembra ai credenti deprivati di Corinto che soffri­ vano di sentimenti d'inferiorità. Mentre la dichiarazione impossibile (ou dyna­ tail non può ) dell'occhio alla mano: «Non ho bisogno di te» e della testa ai piedi : «Non ho bisogno di voi» ( 1 2 ,2 1 ) si comprende se chi scrive ha presente i boriosi estatici e glossolali della chiesa corinzia. Questi ultimi dovevano chiamarsi «spi­ rituali» (pneumatikoi) , persone manifestamente investite dallo Spirito ispirato­ re , che per questo potevano ritenersi autosufficienti e contestare interventi auto­ ritari dal di fuori , come lascia intendere 14 ,37 , in cui Paolo chiede con forza ade­ sione alle prescrizioni date appena prima nei vv. 26-36: «Se uno ritiene di essere un profeta (prophetés) o uno "spirituale" (pneumatikos) , riconosca che quanto scrivo è comando del Signore» . Infine c'è da menzionare la presenza di alcuni che a Corinto megavano la ri­ surrezione dei morti ( 1 5 , 12 ) : una negazione che , a detta di Paolo, mette in di­ scussione tutto l'impianto cristiano , comportando «de iure» la negazione della risurrezione di Cristo e, di conseguenza, l'esclusione di qualsiasi prospettiva di salvezza per quanti in lui hanno sperato . Doveva trattarsi di un numero non rile­ vante di credenti , perché Paolo li distingue dalla comunità, interpellata di regola con il «voi» e a cui egli si rivolge per metterla in guardia da loro e soprattutto preservarla dalla loro posizione da lui giudicata semplicemente «nichilistica» . 3.3. Comunità composita

Se il libro degli Atti attesta che giudei e pagani si convertirono alla sua predi­ cazione , come si è visto sopra , la l Cor offre un dato più preciso : la comunità cri-

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stiana di Corinto doveva essere costituita in m aggioranza da credenti di origine pagana . Solo così si spiega che Paolo abbia potuto rivolgervisi nei seguenti ter­ mini: «Sapete che quando eravate gentili , come vi si conduceva, venivate tra­ sportati verso gli idoli muti» (12 ,2) . Ora è in questa maggioranza di ex-pagani che sembra di dover ravvisare i credenti «deboli» di Corinto : «alcuni piuttosto per la consuetudine56 (avuta) finora con l'idolo , mangiano (la carne) come carne immolata agli idoli , e la loro coscienza che è debole viene contaminata» (8,7) . È anche verosimile che i comportamenti di degenerazione e di lassismo sessuale denunciati in 5 , 1-13 e 6 , 12-20 siano da attribuire a credenti gentili ; i giudei, a dif­ ferenza dei pagani , si attenevano a codici etico-sessuali assai rigorosi . Allo stes­ so modo la condotta spavalda di alcune profetesse corinzie che nelle riunioni co­ munitarie prendevano la parola a capo scoperto ( 1 1 ,2-16) , pare pensabile sol­ tanto di ex-pagane , essendo il costume giudaico molto severo in materia. Anche la compresenza di credenti maschi e femmine ha suscitato qualche problema . Testimonianza indubbia è 1 1 ,2- 16 che tratta dell'abbigliamento del­ l'uomo e della donna durante le assemblee comunitarie: il primo , afferma Pao­ lo , deve avere la testa scoperta, mentre la seconda ha l'obbligo di portare un co­ pricapo . In realtà, la sua esortazione e il problema sollevato riguardano diretta­ mente il caso delle donne , come si vedrà nell'analisi del brano. Tuttavia , poiché ciò mette in discussione la differenza tra i due sessi, egli parla anche dell'abbi­ gliamento dell'uomo . Il cuore della questione per lui è il fatto che le carismati­ che della chiesa di Corinto si travestissero da maschi . E con tutta probabilità si trattava veramente di un comportamento in atto , non di una pura possibilità, se al v. 16 l'apostolo vi si riferisce come a una consuetudine (synetheia) , che dichia­ ra né sua né delle chiese siro-palestinesi. D ' altra parte , deve essere stata una no­ vità introdotta a Corinto dopo la sua partenza, perché presente non l'avrebbe potuta di certo tollerare , vista la sua decisa presa di posizione in 1 1 ,3-16. Ma anche il c. 7 sottintende che in materia di astinenza sessuale le credenti di Corinto dovevano essere in prima fila a far valere scelte non consuete . Infatti nei vv. 10- 1 1 è alle mogli che soprattutto l'apostolo si rivolge nel richiamarsi alla pa­ rola di Gesù che proibisce il divorzio . Inoltre , con probabilità, erano special­ mente loro che volevano vivere la continenza sessuale all'interno del matrimo­ nio (cf. vv . 2ss e la lettura che ne sarà data) . Infine è del comportamento da te­ nere verso le vergini che tratta la sezione dei vv . 25ss. Senza dire dei versetti fi­ nali del c. 7 che riprendono il caso complessivo della donna nel suo duplice stato di sposata e di non sposata.57

5 6 La variante «coscienza» dei codd. Sinaitico (corretto) , D G e minuscoli si spiega forse per in­ flusso , sullo scrivano, del vocabolo successivo . 57 Cf. M . Y . MACDONALD, «Women Holy in Body and Spirit: The Socia! Setting of 1 Co­ rinthians» , in NTS 36(1990) , 161-181 . Vedi anche A. ScRooos , «Paul and the Eschatological Wo­ men», in JAAR 40( 1972), 283-303 , che ha sostenuto la presenza a Corinto di credenti «escatologi­ che» , donne affascinate dall'ideale celibatario o comunque di astinenza sessuale , nella convinzione di essere già nel mondo nuovo.

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Il carattere composito della comunità cristiana di Corinto era ancor più il ri­ sultato di fattori socio-economici.5 8 Di fatto lo status sociale dei componenti non era omogeneo. In passato si sono avanzate varie ipotesi in materia, prive però di una precisa metodologia d'indagine , soprattutto affette da gratuite generalizzazioni . 59 Così A. Kautsky in Der Ursprung des Christentums del 1908 aveva sostenuto che il movimento cristiano era originariamente un movimento politico di proletari (pp. 338-508) , trasformatosi in seguito, per opera di revisionisti di marca religio­ sa, «nel contrario della sua natura originaria» (p. 496) . Gli aveva risposto A . Deissmann sostenendo che i l cristianesimo delle origini è stato u n movimento prettamente religioso ,60 ma finendo per convenire con lui sul fatto che fosse un movimento dei ceti inferiori . 6 1 La stessa lingua in cui gli scritti sono stati vergati dice , a suo parere , che si trattava di gente del popolino . 62 E . A . Judge invece so­ stiene il contrario : «Non solo dunque i cristiani - se i corinzi possono esserne considerati in certo modo gli esponenti tipici - non erano uno strato socialmente oppresso , ma il loro elemento prevalente proveniva dall'orgoglioso strato socia­ le superiore delle metropoli» .63 M. Hengel ha creduto di poter affermare che i primi cristiani appartenevano in maggioranza alla classe media dell'antichità64 e altrettanto ha detto R . M . Grant in Cristianesimo primitivo e società (Paideia, Brescia 1987 , or. 1977) . Un salto di qualità è stato fatto nella ricerca da G . Theissen che ha delimita­ to rigorosamente il campo d'indagine valutando precisi dati rilevabili. Il suo stu­ dio «La stratificazione sociale nella comunità di Corinto»65 lo ha portato a indivi­ duare nella chiesa corinzia l'esistenza di una minoranza di credenti di ceto socia­ le medio e medio-alto , vera forza traente della comunità, e una maggioranza di appartenenti agli strati più umili , inclusi gli schiavi. Si è basato sulle affermazio­ ni generali di l Cor 1 ,26-29 e su quanto è detto nelle lettere paoline e in At sui singoli componenti , avendo proposto come criteri di valutazione di uno status

5R Per completezza facciamo riferimento alla compresenza di romani e greci : dei nomi infatti di 17 credenti corinzi , attestati nelle lettere paoline e in At, 8 sono latini : Aquila e Priscilla, Fortunato , Gaio , Lucio (Rm 16,21 ) , Quarto , Tizio Giusto, Terzo (Rm 16,22) . 59 Cf. G. BARBAGLIO, «Rassegna di studi di storia sociale e di ricerche di sociologia sulle origini cristiane», in RivBib 36(1988) , 397-410 (377-410; 495-520) . 60 A. DEISSMANN , Licht vom Osten , Tiibingen 1 923 , 19 e 403-405 . 61 DEISSMANN , Licht, 36. Si noti inoltre il titolo significativo della sua opera Das Urchristentum und die unteren Schichten (Gottingen 1 908) . 62 «Contadini e artigiani , soldati e schiavi e madri ci parlano delle loro preoccupazioni e occu­ pazioni: gli sconosciuti e i dimenticati , assenti dai fogli degli annali, arrivano nelle alte sale dei nostri musei e si allineano nelle biblioteche» (Das Urchristentum , 10) . 63 E . A . JuoGE, Christliche Gruppen in nichtchristlicher Gesellschaft. Die Sozialstruktur christli­ cher Gruppen im ersten Jahrhundert, Wuppertal 1 964, 59 (cit. in THEISSEN , «La stratificazione» , 207) . 64 M. HENGEL, Property and Riches in the Early Church. Aspects of a Socia{ History of Early Christianity , London-Philadelphia 1974, 36-38. 65 Pubblicato originariamente in ZNW del 1 974 è stato ripresentato nella raccolta Sociologia del cristianesimo primitivo , Genova 1 987, 207-241 .

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sociale medio o medio-alto il possesso di una casa, il fatto di poter intraprendere viaggi che costavano parecchio , l 'aver ricoperto cariche importanti (e qui si rife­ risce soprattutto a Erasto) , il tipo di lavoro . Ed ecco la sua conclusione: «In defi­ nitiva , il cristianesimo primitivo ellenistico non è stato né un movimento prole­ tario degli strati sociali inferiori né un fenomeno legato solo agli strati superiori . Il tratto distintivo della sua struttura sociale è dato piuttosto dal fatto che esso comprendeva diversi strati» (p . 238) . Da parte sua A.J. Malherbe in Socia/ Aspects of Early Christianity (1977) re­ gistra un largo consenso sul fatto che lo status sociale del cristianesimo primitivo è più alto di quello affermato da Kautsky e Deissmann e insiste nel sottolineare che il greco di Paolo non era quello delle persone incolte . W . A . Meeks in The First Urban Christians ( 1983 , tr. it. Il Mulino, Bologna 1994) , dopo aver esami­ nato l'evidenza delle testimonianze prosopografiche riguardo alla comunità di Corinto (pp . 54ss) , conclude che gente di diversi livelli faceva parte delle chiese paoline ; con una duplice assenza però , del primo livello della scala sociale del tempo , cioè di aristocratici di campagna, di senatori , cavalieri e decurioni , ma anche dei più poveri , vale a dire contadini , schiavi agricoli e giornalieri - le chie­ se paoline erano urbane -. E afferma che il tipico cristiano paolino era l'artigia­ no libero e il piccolo commerciante , mentre alcuni ricchi erano in grado di ospi­ tare dei fratelli o la comunità intera (pp . 72-73) . Ma recentemente Schèillgen ha avanzato qualche critica denunciando gene­ ralizzazioni e troppo facili conclusioni. Come poter dire che il tipico cristiano delle comunità paoline fosse un artigiano libero o un piccolo commerciante? Non si può dar per scontato che tutte le chiese paoline avessero la stessa stratifi­ cazione sociale . Ma anche i criteri di benessere della ricostruzione di Theissen , che ha i l merito d i limitarsi alla specifica comunità di Corinto , non sono così con­ clusivi. «Le nuove ricerche fanno capire che la maggioranza degli abitanti del­ l'impero romano ha vissuto nell'oikos (casa) della propria piccola famiglia» (p. 74) ; non si può dunque dedurne uno status sociale alto . E altrettanto si dica, continua Schèillgen, del fatto che numerosi cristiani di Corinto intraprendessero dei viaggi : sono spesso viaggi a spese della comunità (lCor 16,6) o a carico e per incarico di altre persone , per non dire dei viaggi a costo quasi zero perché effet­ tuati a piedi e sfruttando l'ospitalità altrui . La conclusione di Schèillgen è piutto­ sto nel senso di una «docta ignorantia» : «La massa dei cristiani paolini resta dal punto di vista sociologico nell'oscurità» (p. 76) . Ultimamente Clarke , nella sua monografia dedicata allo studio sociologico di l Cor 1-6, ha proposto la tesi di un influsso sulla comunità di Corinto della lea­ dership secolare dell'omonima colonia romana. I criteri di valore , le posizioni di rilievo, le consuetudini dell'ambiente sono state trasferite nella chiesa per meri­ to , o meglio per demerito , di alcuni credenti di alto livello sociale , della cui pre­ senza attesta il passo 1 ,26 e che ha in Erasto un indubbio esempio. Le divisioni della comunità, di cui parla l , lOss , con l'annesso motivo del vantarsi di questo o di quel leader, nascerebbero non da diversità teologiche ma dalla trasposizione dei rapporti tipici della società romana tra patroni e clientes nella nuova aggrega-

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zione . Anche la citazione in tribunale di un fratello (6 , 1 - 1 1 ) e l'acquiescenza del­ la comunità di fronte all'incestuoso (5 , 1 - 1 3) si spiegherebbero per la suddetta presenza di persone ricche e influenti , le sole che potevano ricorrere in tribunale e contare su una mancanza di coraggio della chiesa di espellerli . Intromissione di una sapienza umana e mondana e di criteri di leadership pagana che Paolo de­ nuncia nella sua lettera, proponendo come valori ciò che è spregevole agli occhi del mondo . Tirando le fila del discorso , sembra di poter dire che la chiesa di Corinto era composta, di certo , da pochi sapienti , potenti e nobili (sophoi, dynatoi, euge­ neis) , mentre la maggioranza non brillava affatto per formazione intellettuale, ricchezza e nobiltà di lignaggio ( 1 ,26) . In tale minoranza sono da annoverare Gaio , possessore di una casa capace di ospitare Paolo e tutta la chiesa di Corinto (Rm 16 ,23) ; Crispo , arcisinagogo convertito da Paolo (At 1 8,8) , la cui carica comportava un indubbio benessere , dovendo sovrintendere anche di tasca pro­ pria alla manutenzione dell'edificio sinagogale ;66 Erasto , amministratore della città (oikononos tes poleos: Rm 16 ,23) ; 67 con probabilità anche Stefana, che con la sua famiglia si era dedicato al servizio della comunità (lCor 16, 17) ;68 si ag­ giungano Aquila e Prisca e Febe «patrona» (prostatis) e diaconessa della chiesa di Cenere (Rm 1 6 , 1 -2) . Non vi mancava un certo numero , non esattamente quantificabile, di nullatenenti (hoi me echontes: 1 1 ,22) . Dovevano esserci anche degli schiavi , se è potuta sorgere la rivendicazione o il desiderio di un'automati­ ca liberazione dalla schiavitù in forza della nuova condizione di cristiani (7 ,2123) . I dati , per altro abbastanza ricchi se confrontati con quelli riferibili ad altre comunità paoline , sono anche significativi, ma non ci permettono di tracciare un preciso diagramma della composizione sociologica della chiesa di Cqrinto .69 Sembra di dover comunque superare la categoria sociologica moderna di classe , perché «diversi fattori concorrevano , nella antichità, a stabilire lo status sociale di una persona o di un gruppo : la cittadinanza romana, i natali, la condizione di libertà o di schiavitù , l'occupazione , la ricchezza , la formazione intellettuale , il sesso e , non ultimo , l'ambiente ecologico , cioè l'essere di campagna o di città,

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Cf. THEISSEN, «La stratificazione» , 210-21 1 . Gli sono stati dedicati molti studi ( vedi THEISSEN, «La stratificazione» , 2 1 1-219 e CLARKE, Se­ cular, 46-56) , incentrati in tre questioni distinte . Anzitutto oggetto di ricerca è la famosa iscrizione latina di Corinto incisa su una lastra di un pavimento vicino al teatro romano , risalente al periodo paolino , così letta : (praenomen nomen) ERASTUS PRO A EDILITATE. S. P. . ­ STRA VIT; i l riferimento è a un'opera pubblica sostenuta d i tasca propria d a Erasto a d adempimen­ to della promessa fatta in vista dell'elezione alla carica municipale di aedilis. In secondo luogo si trat­ ta di valutare il dato di Rm 16,23 che nomina un certo Erasto oikonomos ti!s pole6s: è stato un sem­ plice impiegato dell'amministrazione della città o, più probabilmente , un esponente di rilievo e de­ tentore di una carica degna di nota da parte di Paolo, forse equivalente all'aedilis della colonia roma­ na? Infine si discute del rapporto di identità personale o meno dei personaggi omonimi , con una qualche propensione in senso affermativo , atteso il fatto che Erasto non era un nome diffuso allora e che l'Erasto della comunità di Corinto era , a quanto sembra , un credente di ceto alto. 68 In proposito vedi gli studi di Theissen e per Erasto anche Clarke. 6 9 La maggioranza oltre che da nullatenenti e schiavi da quali altre categorie era formata? 67

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che differenziava al suo interno gli appartenenti a una stessa categoria sociale di persone , per es . gli artigiani».7° Così per es. Paolo , che esercitava un lavoro umi­ le, come quello di cuoiaio o di artigiano di tende (At 18,3) , dal punto di vista in­ tellettuale , lo documentano i suoi scritti, non apparteneva certo agli strati infe­ riori della società. Che poi la condizione sociale dei membri della comunità ab­ bia influito sulla vita di questa è fatto indubbio , meritevole di maggior attenzio­ ne di quanto non si sia fatto in passato nella cerchia degli esegeti. Gli studi di Theissen e di Clarke , per citare solo quelli che interessano qui, stanno a dimo­ strare la fecondità di una ricerca attenta all'interrelazione tra spessore sociale dei credenti e vita spirituale delle comunità. 3. 4. Teologia corinzia?71

Purtroppo non abbiamo notizie dirette della chiesa di Corinto e dei suoi orientamenti spirituali . È vero , ha scritto all'apostolo (7 , 1 ) , ma poco o nulla sap­ piamo dei contenuti . Ce ne ha parlato Paolo nella sua lettera, ma senza riportar­ ci, di regola, esplicite prese di posizione , tesi formali . Certo , in 1 5 , 12 ci dice che alcuni credenti a Corinto negavano la risurrezione dei morti ; 6 , 12 e 10,23 ripor­ tano con tutta probabilità uno slogan dei corinzi: «Tutto (mi) è permesso». Si aggiunga anche quello di 6,13: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi , e Dio distruggerà e questo e quelli». Forse anche 8 , 1 . 4: «Sappiamo che tutti noi abbiamo conoscenza»/ «Sappiamo che non c'è alcun idolo al mondo e che non c'è dio se non uno solo» rientrano nei casi eccezionali in cui l'apostolo cita espresse affermazioni dei suoi interlocutori .72 Ma sembra tutto : anche 7 , l b (« È bello per un uomo non toccare donna») non pare essere un detto dei corinzi, an­ che se probabimente corrisponde a un certo ascetismo di un settore della chiesa corinzia. 73 Le altre tematiche probabili della lettera ai corinzi (7 ,25 ; 8, 1 ; 12 , 1 . 12) indicano solo l'argomento trattato senza entrare in merito . Gli studiosi però non si sono arresi davanti a questa difficoltà obiettiva , lan­ ciandosi in ricostruzioni a volte poco attendibili o addirittura arbitrarie . Non per nulla Vielhauer nella sua Storia della Letteratura protocristiana ha potuto dire : «Una ricostruzione completa della "teologia corinzia" o della "gnosi a Corinto" non si può fare sulla base delle fonti, bensì soltanto con l'aiuto della fantasia» (p. 139) . Da parte sua, Berger ha richiamato a un necessario rigore metodologico



Così concludevo, anni or sono , a p. 410 la mia rassegna citata sopra alla nota 59. Il problema è sviluppato in una ottima sintesi dal commento di Schrage , 38-63 . 72 Cf. qui lo studio di H uRo , The Origin , 1 15-131 che presenta pure l'opinione di chi ritiene slo­ gan dei corinzi anche 8,8, tutto o solo la prima parte : «Non sarà però un cibo a presentarci a Dio : né se non mangiamo manchiamo di qualcosa, né se mangiamo abbondiamo». Su questa linea si veda J. MuRPHY-O'CoNNOR, «Food and Spiritual Gifts in l Cor 8:8», in CBQ 41(1979) , 292-298 che però , per dare plausibilità alla sua ipotesi, sceglie una variante testuale scarsamente attestata . Vedi anche J. MuRPHY-O'CoNNOR, «Corinthian Slogans in 1 Cor 6,12-20» , in CBQ 40(1978) , 391-396. 73 Secondo SELLIN, «Hauptprobleme», 3003 invece l'unico a professare ascetismo era Paolo, non la chiesa corinzia. 71

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quando si vuole tratteggiare l 'identikit degli avversari impliciti negli scritti del NT; e più voci si sono levate nel mettere in guardia da un uso troppo facile del metodo deduzionistico o del rispecchiamento , che conclude all'esistenza di posi­ zioni formali a partire dalle tesi di Paolo , viste come antitesi. 74 Soprattutto ulti­ mamente si è contestato il presupposto che tutti i problemi della chiesa di Corin­ to fossero di pretta marca teologica, per cui alla teologia paolina di lCor deve corrispondere a Corinto una teologia corinzia altrettanto elaborata , anche se di segno opposto . Così nella sezione prima dei cc. 1-4 si tende a mostrare che sullo sfondo , più che una speculazione cristologica sulla sophia (sapienza) identificata con Cristo glorioso disceso dal cielo, c'è una tendenza autopromozionale al par­ lare forbito e acculturato , proprio dei retori e assai stimato nell'ambiente cittadi­ no , che ha come ideale umano il sophos (sapiente) , uomo colto e buon parlatore in pubblico . 75 Sembra preferibile pensare che nella chiesa corinzia, più che un preciso sistema teologico , dovevano essere presenti orientamenti e sensibilità spirituali di vario genere e prive di sistematicità . Infine , il carattere composito della comunità rilevato sopra porta a congetturare la presenza di posizioni varie, non riconducibili a un comune denominatore. La storia della ricerca moderna, in realtà, registra una grande varietà di opi­ nioni e di ipotesi ,76 a partire dal famoso studio di F.Ch . Baur77 che nel 1 83 1 ha individuato la presenza di due fronti contrapposti : da una parte il partito di Cefa (e di Cristo) , di indirizzo giudaistico , dall'altra il partito di Paolo unito a quello di Apollo, caratterizzato dalla libertà dalla legge e dalla circoncisione . Che il contesto storico-culturale che sta sullo sfondo delle lettere paoline , anche di l Cor, non diversa in questo da Gal , sia l'antipaolinismo di marca giudaico­ conservatrice è difeso ancora a spada tratta da Liidemann 1983 . Ma in lCor non c'è alcun passo che possa essere letto nella chiave della nota antitesi: osservanza della legge , in particolare del precetto della circoncisione , e libertà paolina.78 Decenni più tardi W. Liitgert79 ha impresso alla ricerca storica una direttrice nuova e feconda: Paolo ha a che fare con il partito di Cristo , opposto al suo e ca­ ratterizzato da forme di entusiasmo libertario in campo pratico e di esaltazione di segno gnostico . Erede principe di questa ipotesi può essere considerato W.

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«Satze» «Gegensatze», dice per es. ScHRAG E , «I Korinther» 40. Rimandiamo qui alla presentazione dei cc. 1-4. Ma si veda anche il volume di Clarke che , a sua volta , ha ricercato nell'ambiente della città di Corinto ragioni e motivazioni capaci di spiegare le posizioni della comunità corinzia che stanno sullo sfondo dei cc. 1-6. 7 6 Vedi soprattutto lo studio ben documentato di Beatrice e quello più recente di Hyldahl , «The Corinthian "Parties"». 77 F. CHR . BAUR, «Die Christuspartei in der korinthischen Gemeinde , der Gegensatz des pauli­ nischen und petrinischen Christentum in der altesten Kirche, der Apostel Petrus in Rom» , in Tiibin­ ger Zeitschrift fiir Theologie, Heft 4 (183 1 ) , 61-206. 78 lCor 15 ,56: «Ora il pungiglione della morte è il peccato , e la forza del peccato è la legge» è stato ritenuto una glossa; ma anche se fosse autentico , nulla dimostrebbe in contrario , perché è solo un'affermazione di complemento in un contesto che tratta d'altro , appunto della vittoria escatologi­ ca del credente sulla morte . 79 W. LùTGERT, Freiheitspredigt und Schwarmgeister in Korinth , Giitersloh 1908. 75

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Schmithals ,80 che ha approfondito l'ipotesi , a lungo prevalente in ambito tede­ sco , del fronte gnostico contro cui in tutto l'epistolario con i corinzi Paolo si sa­ rebbe battuto. 8 1 In concreto , l'autore scorge in 12,1-3 le tracce di una cristologia gloriosa dei corinzi che rifiutano il Gesù «Secondo la carne» (pp . 45ss) . 82 Nei cc. 12- 14 c'è , a suo avviso , l'indicazione di una pneumatologia gnostica che vede nell'irruzione dello spirito divino la metamorfosi della persona elavata a essere «pneumatico» (pp. 138ss) . Di conseguenza , chi è beneficiario di una «gnosi» li­ berante è libero di consumare gli idolotiti (pp . 189ss) : una libertà acquisita che si estende anche a praticare la porneia/ immoralità, perché non intacca l'io interio­ re del soggetto (pp . 194ss) , e a sovvertire consuetudini tradizionali che prevede­ vano un preciso e qualificante abbigliamento per le donne attivamente partecipi nelle assemblee comunitarie (pp. 201ss) . Nei negatori di 1 5 , 12 infine Schmithals scorge l'influsso di una concezione antropologica ed escatologica di marca duali­ stico-spiritualistica che nega la risurrezione somatica, perché disprezza la dimen­ sione corporea dell'uomo (p. 70) , esclude che ci sia bisogno di speranza, perché i gnostici «naturalmente possiedono già la loro salvezza» (p . 73) , appunto nel loro io interiore divinizzato , e anelano alla liberazione totale dell'anima «pneumatiz­ zata» dalla sarxl carne (pp . 223ss) . Oggi si è assai critici in proposito : come sistema filosofico-teologico lo gno­ sticismo è del II sec. In particolare , la gnosisl «conoscenza» rivendicata dai co­ rinzi in 8 , 1 . 4 è semplicemente un sapere oggettivo e una ferma convinzione sog­ gettiva di carattere monoteistico , non la conoscenza esoterica ed elitaria delle profondità di Dio (ta bathe tou theou) che s'incontrerà nella letteratura gnostica successiva. In 12, 1-3 poi non si contrappone affatto Gesù a Cristo o al Signore , essendo sempre Gesù il soggetto delle formule di identità negativa («è anate­ ma») e positiva («è Signore») . E quanto ai negatori della risurrezione di Corin­ to , per altro distinti dalla maggioranza della comunità, si deve osservare che l'ar­ gomentare di Paolo non combatte posizioni dualistiche ; altrimenti avrebbe do­ vuto contrapporre la risurrezione all'anima beata e glorificata.83 Anche R. Baumann (Mitte und Norm des Christlichen , Miinster 1 968) ha in­ dividuato come veri interlocutori di Paolo gli «entusiasti» di Corinto ,84 contrad80 ScHMITHALS , Die Gnosis in Korinth . Purtroppo non ci è stata accessibile l'edizione terza del 1969 . 81 Anche U. Wilckens nel suo famoso studio del 1959 dedicato ai primi due capitoli della l Cor (Weisheit und Torheit) (cf. pure la «voce» sophia del GLNI) , ha sposato tale posizione , salvo poi a distaccarsene con un contributo del 1979 (FS E. Dinkler) . Priimm in due articoli di ZKT 1965/1966 comunque ne aveva fatto una critica puntuale . 82 In dettaglio, per Schmithals i corinzi proclamavano con buone ragioni il loro essere cristiano proprio perché esclamavano anathema Jesous I Gesù anatema; a Corinto infatti «c'erano persone per cui non era contraddittorio confessare Kyrios Christos e gridare anathema Jesous» (p. 46) ; si trattava di «gnostici che respingevano uno stretto legame tra il celeste Cristo pneuma e l'uomo Gesù» ( Gno­ sis, p. 48) . 83 Nelle letture delle diverse sezioni della lettera si mostrerà come l'ipotesi gnostica non sia af­ fatto una valida chiave interpretativa dello scritto di Paolo . 84 È una categoria questa usata per la prima volta da Liitgert e poi assai diffusa (cf. ScHRAGE, «I Korinther» , 48) .

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distinti però come carismatici , non come gnostici ; sono dunque gli stessi con cui Paolo si confronta sia in 1-4 sia in 12-14. Ma si noterà nella lettura della prima sezione di lCor che la sophia/ «sapienza» e il logos/ «parola» di cui vi si parla non sono di natura carismatica , bensì di marca retorico-culturale . Essendo però lo gnosticismo un fenomeno non anteriore al sec. 11, 85 diversi autori si sono mantenuti sulla scia di Liitgert , usando tuttavia per la «teologia corinzia» formule attenuate : «gnosi in statu nascendi» (Conzelmann 30) , pre­ gnosi, protognosi, stadio primitivo della gnosi , una specie di gnosi (McL. Wil­ son) , pneumatici gnosticizzanti, tendenza gnosticizzante . Formule che sono sta­ te proposte come chiave di lettura della propensione dei corinzi per la sophial sapienza (cc. 1-4) , dello slogan da essi sbandierato che tutto è loro permesso (6 , 12 e 10,23) - slogan che spiega la prassi libertaria in campo sessuale (6 , 12ss) e, come altra faccia della stessa medaglia , l'astinenza dai rapporti sessuali anche all'interno del matrimonio (c. 7) e della tranquilla consumazione degli idolotiti (cc. 8-10) . Ma in questo modo si congettura l'esistenza di un fenomeno abba­ stanza nebuloso che , come tale, non può spiegare la posizione degli interlocutori di Paolo . Non sono poi mancati coloro che hanno ipotizzato l'esistenza nella chiesa di Corinto di una forma particolare di entusiasmo, vissuto in prospettiva escatolo­ gica. In altri termini, si pensa che Paolo si sia confrontato in l Cor con una posi­ zione di escatologia realizzata: i corinzi erano persuasi di essere ormai degli arri­ vati, persuasione documentata, si ritiene , in 4,8 caratterizzato dall'avverbio ri­ petuto «già» : «Già siete sazi , già siete diventati ricchi ; senza di noi siete giunti a regnare , e volesse il cielo che foste giunti a regnare , perché anche noi potessimo regnare insieme con voi ! » . Vi ha insistito con forza ultimamente Thiselton, che ha letto l Cor in questa chiave , ma già H.F. von Soden nel 193 1 86 aveva afferma­ to che la comunità corinzia , affetta da entusiasmo spiritualistico , si riteneva già risuscitata, anticipando così gli eretici menzionati in 2Tm 2 , 1 8 che affermeran­ no: tén anastasin édé gegonenail la risurrezione si è già compiuta. Ma, come si vedrà nell'esegesi del passo , 4,8 non riflette la posizione degli interlocutori , bensì di Paolo che ironicamente mette alla berlina chi si vanta di essere sapiente (sophos ) , dunque una persona umanamente realizzata, un per­ fetto ( teleios ) . E dello stesso tipo è la comprensione dello slogan di 6 , 12 e 10,23 : «Tutto mi è permesso»/ panta moi exestin , motivo questo di stampo stoico­ cinico . In ogni modo , di certo , nel c. 15 non appare che l'argomentazione paoli­ na sia diretta a provare il carattere futuro della risurrezione , negato , si afferma, dagli «eretici» di Corinto . Certo , i verbi relativi sono usati da Paolo al futuro , -

85 Vedi in proposito le precisazioni a cui è giunto il Colloquio di Messina del 1966, i cui Atti so­ no stati pubblicati a cura di U. BIANCHI, Le origini dello Gnosticismo , Leiden 1967. E su Corinto ve­ di gli studi di R. McL. Wilson. 86 H.F. voN SoDEN , «Sakrament und Ethik bei Paulus. Zur Frage der literarischen und theologi­ schen Einheitlichkeit von 1 . Kor 8-10» , in K.H. RENGSTORF, a cura di, Das Paulusbild in der neueren deutschen Forscfmng, Darmstadt 1969 , 361 n .

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ma è ovvio che sia così per una realtà attesa. Inoltre , non si comprende come la negazione del v. 12: «non c'è risurrezione dei morti» possa equivalere all'affer­ mazione : «è già avvenuta la risurrezione».87 Parte integrante dell'ipotesi dell'escatologia realizzata è la congettura, suf­ fragata, si pensa, da 10, 1 -22 e 1 1 , 17-34, di un orientamento sacramentalistico dei corinzi a tinte più o meno magiche : il sacramento della cena del Signore ga­ rantisce automaticamente la salvezza del credente, rendendolo libero di parteci­ pare , senza alcun pericolo , ai riti della religiosità pagana. 88 Ma in 10,1-22 Paolo ha di mira il pericolo dell'idolatria da cui mette in guardia gli interlocutori (cf. l'imperativo del v. 14: pheugete apo tes eidololatrias/ fuggite dall'idolatria) , non una pretesa falsa sicurezza d'impronta sacramentalistica . Ultimamente non pochi e importanti studi hanno proposto come marchio della teologia corinzia un orientamento sapienziale-spiritualistico di derivazione giudeo-ellenistica, in perfetta sintonia con il libro della Sapienza e soprattutto con Filone. 89 I corinzi erano cioè degli spiritualisti che , sotto l'influsso della con­ cezione dualistica giudeo-ellenistica, ritenevano che la piena realizzazione della persona (teleiosl perfetto) consistesse nel distacco dalla materialità, nella dedi­ zione alla sapienza (sophos/ sapiente) e nell'essere animati dallo spirito divino (pneumatikos/ spirituale) . Ecco per es . come Sellin legge il c. 15 in chiave reli­ gionistica : i negatori di Corinto erano persuasi di aver ricevuto nella fede e nel battesimo il dono di una sapienza e di uno spirito superiori , capaci di divinizzare il loro io interiore , reso non solo inattaccabile dall'esterno e dalla stessa corpo­ reità dell'uomo , ma anche immortale e pienamente libero . Il ricupero di una corporeità oltre la morte , lungi dall'essere necessario alla felicità eterna, costi­ tuisce una ricaduta e una perdita di libertà . 90 Non c'è dubbio che ci siano chiare analogie del testo paolino con passi filo­ niani e della Sap , come si mostrerà soprattutto nell'analisi di 2 ,6- 16 e di 15 ,4549 , ma resta valida un'obiezione generale : la griglia interpretativa di quanto si muoveva nella comunità corinzia è da cercare in ambito filosofico o, comunque, in precise correnti di pensiero , oppure dobbiamo congetturare posizioni meno teoriche , più legate a un vitale entusiasmo suscitato dalla nuova esperienza reli­ giosa, motivate magari, in parte , dall'esempio e dalla parola dello stesso Paolo che , cosciente della novità apportata da Cristo morto e risuscitato e donatore dello Spirito , insegnava e praticava una vita di totale libertà? 87 Anche Kasemann attribuisce agli entusiasti di Corinto una escatologia realizzata , cui Paolo opporrebbe la riserva escatologica (cf. «Sul tema dell'apocalittica cristiana primitiva» , in Saggi ese­ getici, Marietti , Genova 1985 , 106-132) . Ma è stato criticato , non senza ragione , da D . J . DoumITY, «The Presence and Future of Salvation in Corinth» , in ZNW 66(1975) , 61 -90. 88 Cf. lo studio suddetto di von Soden, il commento di Fee, 362s , ancor più i famosi articoli di Bornkamm e Kasemann sulla cena del Signore che saranno citati a proposito del brano 10,1-22. 89 Cf. Pearson , Horsley e soprattutto G . SELLIN, Der Streit um die A uferstehung tier Toten. Eine reiigionsgeschichtliche und exegetische Untersuchung von 1 Korinther 15, Gottingen 1986. Ma si veda come pioniere E. BRANDENBURGER , Fleisch und Geist. Paulus und die dualistische Weisheit, Neukir­ chen-Vluyn 1968. 90 In sintesi Sellin afferma: dietro alta negazione della risurrezione dei morti del v. 12 ci sono «motivi di antropologia dualistica» ( Der Streit, 36s).

Introduzione

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In questo senso si è espresso nella sua monografia ( The Origin , 273-288) Hurd, che ha indicato nella predicazione entusiastica dell'apostolo a Corinto la fonte dell' «entusiasmo» della chiesa di Corinto . Egli vi aveva predicato un estre­ mo ascetismo sessuale: « È bello per un uomo non toccare donna» (7 , 1 ) ; a lui ri­ salgono gli slogans: «Tutto è permesso» ( 6,12; 10,23 ) ; «Non c'è alcun idolo nel mondo e che non c'è dio se non uno solo» ( 8,4 ) e dunque gli idolotiti possono benissimo essere mangiati ; le donne hanno il diritto di parlare nell'assemblea a capo scoperto (cf. 1 1 ,2ss ) ; la fine è a portata di mano (c . 15 ) . Ma poi il decreto apostolico di Gerusalemme ( cf. At 15 e Gal 2 ,lss ) gli ha letteralmente fatto fare dietrofront. Segno di questo cambiamento è la lettera previa (5 ,9 ) che contene­ va nuove direttive , diametralmente opposte a quanto aveva insegnato e all'inse­ gna di una netta separazione dei credenti dal mondo (cf. in 5 ,9 il me synanami­ gnysthai pornois: «non mescolarsi con i debosciati» ) . Allora i corinzi gli hanno risposto con la loro lettera per esprimergli stupore e risentimento . La nostra lCor è la presa di posizione dell'apostolo che media tra l'orientamento libertario della predicazione e il rigorismo della lettera previa . Ma ipotizzare come fattore centrale di ricostruzione il decreto apostolico di cui Paolo non parla mai sembra un azzardo. In conclusione , si deve rinunciare al sogno utopistico di ricostruire una teo­ logia corinzia unitaria non solo per mancanza di documentazione , ma anche per­ ché inesistente . Nella chiesa della città dell'istmo c'erano senz'altro impulsi spi­ rituali molto forti , tendenze , sensibilità, ma non sembra un sistema dottrinale preciso. Così, si sovrastimava la sophia logou! «sapienza di parola» umana e mondana, cioè il valore di un eloquio formalmente forbito e oggettivamente va­ lido ( cc. 1-4) . Inoltre le esperienze carismatiche straordinarie , di cui alcuni cre­ denti erano beneficiari , venivano desiderate da tutti come segno di appartenen­ za al gruppo dei pneumatikoil spirituali . Lo rileva a chiare lettere Paolo in 14,12: «poiché siete bramosi di manifestazioni dello Spirito» e soprattutto in 14,la con un imperativo concessivo : «Agognate pure ai fenomeni spirituali (ta pneumati­ ka)» . In concreto , i corinzi bramavano la glossolalia, espressione di sicuro pos­ sesso dello spirito divino , inteso come forza travolgente che in qualche modo si sostituisce all'intelligenza umana (nous) . La ricchezza dei doni carismatici più spettacolari e l'esaltazione per il posses­ so di una sapienza, che Paolo qualificherà negativamente come umana e antiteti­ ca alla sapienza di Dio , avevano portato a forme di orgoglio (kauchasthai: 1 ,29 . 3 1 ; 3,21 ; 4,7 ) e arroganza (physioun : 4,6. 18. 19; 1 3 ,4 ) , meritevoli di severa de­ nuncia. In campo sessuale , poi, si rivendicava, non sappiamo da parte di chi esatta­ mente , un libertarismo sfrenato , da una parte ( cf. 6, 12-20; cf. anche 5 , lss ) , e , dall'altra , una chiara tendenza encratistica (c. 7 ) , l'uno e l'altra figli d i u n orien­ tamento di tendenze spiritualistiche che perseguivano l'ideale della libertà del­ l'uomo dalle cose e , tra queste , dal sesso , libertà consistente nell'usarne cosisti­ camente unendosi alle prostitute oppure nell'escludere ogni contatto . Un ideale di libertà che si esprimeva anche nella consumazione di carni im­ molate agli dèi , intesa non come atto idolatrico di culto formale , bensì come

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Introduzione

espressione di socialità , e che si fo ndava sul possesso di una «gnosi» oggettiva , riguardante l'un icità di Dio e la nullità degli dèi idolatrici . Una libertà però di cui erano privi i cristiani «deboli» , che reagivano aggressivamente nei confronti dei > , 140 e 147, che sarà citato nella pericope seguente . 42 Su palin che introduce una seconda o terza citazione vedi il volume di Kocu , Die Schrift, 28. ,

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l Cor 3 , 1 8-23

il giudizio svalutativo di Dio e così contrassegnare la sua theologia cru cis con il sigillo autorevole della parola divina . Il vocabolo dialogismoi I pensieri ha sem­ pre connotazione negativa in tutto i l NT e dunque anche in Paolo , come appare da Rm 1 ,2 1 (gli idolatri hanno vaneggiato nei loro ragionamenti) e 1 4 , 1 (Paolo esorta a non giudicare le riflessioni scrupolose dei deboli che ritengono peccami­ noso cibarsi degli idolotiti) . 427 I pensieri e i ragionamenti dei sapienti di Corinto sono pure futilità (mataioi) , 428 ed è Dio , che parla nella Scrittura , a dirlo ! .

v. 2la «Pertanto nessuno si vanti di uomini (kauchastho en anthropois)» . La seconda parte del brano (vv . 2 1 . 23) è parallela alla pri m a , come si è rilevato so­ pra : all'esigenza del rifiuto della sapienza mondana tiene dietro quella del rifiuto del vantarsi di uomini . 429 Non m anca un rapporto più stretto tra le due : i corinzi si vantavano dei loro corifei i n quanto comunicatori di sapienza . Perciò rifiutare tale sapienza è anche rifiutare di esaltarsi del loro infl usso . Così si spiegherebbe la particella conclusivo-consecutiva hoste che introduce il v . 2 1 . Ma l'accento di chi scrive non cade ora sulla sapienza data e ricevuta , bensì sul rapporto corinzi­ leaders : il binomio sottolineato è medeis (hymon) : «nessuno di voi» I en anth ro­ pois : «di uomini» . Ritorna il tema del brano 3 ,5 - 1 7 : Paolo e Apollo, ma anche tutti i maestri succedutisi a Corinto , sono «Servitori» del Signore a servizio della vita di fede dei corinzi (v. 5 ) . 430 Se questi se ne fanno motivo di vanto dipenden­ do da loro , di fatto finiscono per viverli come «signori» , mentre sono loro «servi­ tori » . 4 ' 1 I l rapporto è capovolto ; a Paolo di ristabilirlo n e l l a s u a verità, deducen­ done l 'esigenza di non vantarsi . Del tema tipicamente paolino della kauchesis I «vanto» si è detto sopra a commento di 1 ,29 . 3 1 . I l confronto del nostro passo con questo mostra l 'esisten­ za di una chiara antitesi : en kyrio-i kauchast6 I vantarsi del Signore ( 1 ,3 1 ) ; me kauchastho en anthropois I non vantarsi di uomin i . Il diverso oggetto e motivo del vanto spiega l a forma negativa e quella positiva dell'imperativo : vantarsi del Signore I non vantarsi di uomini. Questa negazione trova poi un perfetto paral­ lelismo in 1 ,29 : «perché nessun essere vivente si possa vantare davanti a Dio» (me kauchesetai pasa sarx enopion tou theou) . In breve , l 'uomo non ha di che vantarsi davanti a Dio né in sé né negli altri uomini ; può solo menar vanto dell'a­ zione di grazia del Signore (cf. 1 ,30) . Epitteto in 3 , 22 ,49 mette in bocca al filoso-

• � 7 Cf. K . L . Schmidt in GLNT II. 994 . Vedi anche Fil 2,4 che tratta di «rimuginamenti ansiosi» , come dice Schmidt (c. 995 ) . ' " L'abbinamento di dialogismoi e d e l verbo corrispondente mataiousthai è attestato in R m 1 ,2 1 citato sopra . L o stesso agget tivo in 1 5 , 1 7 invece ha il senso di inefficace . inoperante (mataia pi­

stis ) .

" 0 La particella e n indica c i ò di c u i ci s i vanta, n o n l'ambito del vanto (vantarsi tra g l i uomini ) . Cf. G a l 6 . 1 3 : h ina en te-i hymetera-i sarki kauches6ntai ; vedi anche 2Cor I O , 1 5 : vantarsi c n allotriois kopois (delle altrui fatiche missionarie) . "0 B ARREIT , La prima �ettera , 1 25 : sono vostri . nel senso di vostri servitori di 3 .5b. ' -' ' S E N FT , La Première Epitre, 63: è un'imperdonabile assurdità quella dei corinzi perché . pos­ sedendo tutto , si mettono alle dipendenze degli uomini. per averne prestigio , un sovrappiù di essere e avere .

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Commento

cinico questa autoproclamazione : «Chi vedendomi non crede di vedere il suo re e il suo signore (ton basilea ton heautou . . . kai despoten)?».

fo

v v . 2lb-22 Come ragione dell'imperativo negativo ( cf. gar I infatti) Paolo presenta un'affermazione di totalità «tutto è vostro» ripetuta in modo chiastico (A-B-A') alla fine del v . 22: «perché tutto è vostro (panta hymon)»; in mezzo abbiamo un elenco di concretizzazioni del pronome «tutto» : «sia Paolo , sia Apollo, sia Cefa , sia il mondo, sia la vita, sia la morte , sia il presente , sia il futu· ro» , che si dividono in alcuni blocchi: prima tre persone , poi una grandezza glo· baie , il mondo , quindi due coppie di termini contrapposti, vita I morte , presente I futuro . In realtà la menzione di Paolo, Apollo e Cefa sarebbe bastata a motiva­ re l'esortazione , ma l'apostolo allarga il quadro con un'evidente amplificazione del discorso: non solo i corifei , ma anche tutto il resto appartiene ai credenti (hy­ mon è genitivo di appartenenza) . La libertà del credente non ha limiti terrestri, essendo lo stesso mondo realtà di cui disporre, senza dipenderne. Sull'esistenza dei cristiani non pesa alcuna ipoteca umana e mondana. Una signoria, la loro, qualificata dal pronome «tutto». Vostro è sia Paolo, sia Apollo , sia Cefa : l'esatto opposto degli slogans dei corinzi riportati in 1 , 12: «"lo sono di Paolo" , "Io invece di Apollo" , "E io di Ce­ fa"» . La mancanza del riferimento allo slogan del quarto gruppo si spiega da sé: il rapporto dei credenti con Cristo non può essere capovolto . L'appartenenza e la connessa dipendenza valgono ma cambiando i termini correlati : non il «voi» della comunità di Corinto esiste in funzione dei leaders , ma viceversa. La loro subalternità di servitori a Cristo e a Dio si abbina alla subalternità ai credenti. Un passo analogo è 2Cor 1 ,24: «Non che vogliamo fare da padroni (kyrieuomen) della vostra fede» . Non solo , tutto i l mondo appartiene ai credenti , i n particolare vita e morte, le realtà presenti e quelle future . Sono specificazioni che interessano l'esistenza umana e la storia e indicando gli estremi di una linea retta significano tutta la realtà mondana. Qualcosa di molto simile è riscontrabile in Rm 8 ,38-39 , dove Paolo presenta un catalogo di grandezze che potrebbero separarlo dall'amore di Dio in Cristo , ma per grazia non rappresentano alcun pericolo per lui ; ebbene tra queste enumera gli ultimi due binomi del nostro elenco : morte I vita; cose presenti I cose future . 432

432 Elenchi simili sono attestati anche in ambito greco . Epitteto afferma in questi termini !'indi· pendenza dell'uomo : «Semplicemente né morte né esilio né dolore (thanatos I phyge I ponos) né al· cun'altra cosa di questo genere sono causa del nostro agire o non agire» ( 1 , 1 1 ,33) . Per dire non c'è diversità di sorte tra gli uomini Marco Aurelio elenca una serie di realtà di segno opposto , positivo e negativo : «Indubbiamente morte e vita (thanatos kai z6e) , fama e oscurità (doxa kai adoxia), dolore e piacere (ponos kai hedone) , ricchezza e povertà (ploutos kai penia) , tutto ciò in modo eguale tocca così ai buoni che ai cattivi» (2,1 1 ) . E Filone in De vita Mos. 2,16 dice che non hanno potere sul sa· piente «carestia né peste (limos I loimos) , né guerra, né re , né tiranno , né rivolta dell'anima, del cor· po, delle passioni , dei vizi» .

l Cor 3 , 18-23

21 1

La ripetizione di «tutto è vostro» (panta hymon) serve a rimarcare il con­ cetto . Sono indubbie le somiglianze con l 'ideale dell'uomo sapiente secondo lo stoicismo . Diogene Laerzio 7 , 125 afferma che «tutto è dei sapienti» (ton sophon de panta einai) , perché la legge ha conferito loro il potere assoluto (pante/e exou­ sian ) su ogni cosa. Seneca sviluppa questo motivo a lungo in De beneficiis: om­ nia illius sunt (7 ,2,5 ; 3 ,2) ; guardando alla natura il saggio può dire : haec omnia mea sunt (7 ,3 ,3) ; ego sic omnia habeo, ut omnium sit (7 , 10,6) ; omnia illius esse dicimus (7 ,8 , 1 ) . E Cicerone : Recte eius omnia dicentur, qui scit uti solus omnibus (De fin. 3,75 ) . Filone da parte sua afferma che tutto appartiene all'uomo virtuo­ so : panta tou spoudaiou einai (De plant. 69) . v. 23 Ristabiliti i termini del rapporto comunità-leaders Paolo allarga di nuo­ vo il discorso precisando il senso del rapporto credenti-Cristo e Cristo-Dio . L'af­ fermazione «E voi siete di Cristo» ci sembra coordinata a quanto precede :433 l'essere «signori» del mondo intero si abbina all'essere «proprietà» di Cristo .434 L'intera verità del credente è contenuta appunto in questi due diversi rapporti ; indicato il primo , chi scrive è indotto a dichiarare il secondo , che completa il quadro evitando interpretazioni devianti . 435 Ed è per questo che «tutto è vostro» riferito ai cristiani suona diversamente dallo stoico «tutto è dei sapienti» . La li­ bertà del sapiente greco è l'indipendenza di un microcosmo senza porte né fine­ stre , perfettamente autosufficiente ; quella del cristiano , qui affermata da Paolo , va di pari passo con la dipendenza da Cristo : dispone di tutto ed è disponibile al Signore ; è p adrone di ogni cosa e «servo» di Gesù . Anzi si può dire che proprio per il suo rapporto di appartenenza a Cristo il credente è libero da appartenenze e dipendenze di altro genere . Infatti la formula «Voi siete di Cristo» ha carattere affermativo, ma anche esclusivo : voi appartenete a Cristo e a nessun altro : «Ogni padronato di uomini e di cose viene così a essere radicalmente abolito» (Barbaglio , «Alla comunità» , 290) . C'è una possibile allusione allo slogan del quarto gruppo : ego Christou I io di Cristo (1 , 1 2) ; questo «io» viene sostituito da «voi » : «voi siete di Cristo» , voi tutti , parimenti , senza pretese di accaparramento da parte di alcuni a discapito di altri. A chiusura l'apostolo afferma che Cristo , a sua volta , è di Dio . La piramide ha raggiunto il suo vertice : tutto appartiene alla comunità cristiana , questa ap­ partiene a Cristo e Cristo a Dio .436 Kiimmel ritiene che Paolo sia stato guidato

433 La particella de non ha qui valore avversativo , co m e del resto subito dopo quando si spe cifi ­ il rapporto tra Cristo e Dio. 434 Qu e sto genitivo di appartenenza spe sso con il ver bo essere sottinteso ( cf. l a formula prece­ dente panta hymon estin del v . 21) ricorre altrove nelle lettere paoline : Rm 8,9: estin autou (di Cri­ sto) ; 2Cor 10,7: Christou einai I autos Christou ; Gal 3 ,28: hymeis Ch risto u ; 5 ,24 : hai tau Christau Je­ sou ; Rm 14,8: tau kyriou esmen . 435 ScHRAGE, Der erste Brief, 316: «Questa d ipende nza da Cristo è a n c h e la vera diversità rispet­ to ad altri concetti di libertà» . 436 Parlare d i subordinazionismo sarebbe anacronistico: Paolo riafferma qui il prima t o d i Dio; Cristo è suo figlio, da lui mandato nel mondo (Gal 4,4) e risuscitato da morte (cf. il frequente passi­ vo teologico egerth eis predicato di Cristo) .

ca

212

Commento

dalla sua tendenza a ricondurre i pensieri fino a Dio . Merklein , Der erste Brief, 285 nega che la precisazione sia un finale di grande effetto retorico e attribuisce all'apostolo il chiaro intento di coordinare teologia e cristologia. Sembra più vi­ cino al contesto pensare a un' «amplificatio » : Paolo allarga il discorso fino a rag­ giungere una perfetta completezza . Passo parallelo è 1 1 ,3 : «di ogni uomo il capo è Cristo , invece capo della donna è l'uomo , mentre capo del Cristo è Dio».

8. 4. «Ci si consideri quali servitori di Cristo» (4, 1 -5) 1

2 3 4 5

Così ci si consideri quali ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. In questo stato di cose or dunque437 si richiede438 negli amministratori che uno sia trovato fedele . Ora a me poco importa di essere inquisito da voi o addirittura da tribunale umano . Anzi neppure di me stesso mi erigo a inquisitore . Di nulla, certo , mi rimprovera la mia coscienza, eppure non per questo ri­ sulto assolto . Chi invece mi può sottoporre a istruttoria è il Signore . Pertanto desistete dal g i udicare alcunché prima del tempo , finché venga il Signore , il quale439 metterà in luce le cose nascoste nella tenebra e manife­ sterà le deliberazioni delle menti ; e allora la lode sarà fatta a ciascuno da parte di Dio .

Cf. BASSLER J . M . , «I Corinthians 4: 1-5» , in lnterpretation 44( 1990) , 179-183; EcKSTEIN H .J . , Der Begriff Syneidesis bei Paulus , Tiibingen 1 983 , 199-213; KucK, Judgment and Community Conflict, 196-2 10; LEON-DUFOUR X. , «Juge­ ment de l'homme et j ugement de Dieu . ICo 4 , 1 -4 dans le quadre de 3 , 1 8-4,5», in DE LoRENZI , a cura di, Paolo a una chiesa divisa , 137-153. Un primo imperativo apre il brano (logizesth6 I si consideri) e un secondo Io chiude al v . 5 : me krinete I desistete dal giudicare . Se il soggetto di quello è un in­ determinato anthropos , da tradurre nel senso del tedesco «man» e del francese «On»,440 questo è rivolto al «voi» della comunità di Corinto . Oggetto invece del­ l'esortazione è , all'inizio , il «noi» di Paolo e Apollo , di cui 3 ,5-17 ha evi-

La variante : «Ma ciò che (ho de)» è minoritaria in fatto di testimonianze manoscritte. La forma verbale «richiedete» di molti mss. deriva forse da itacismo (zeteitai I zeteite) , come annota l'edizione di Nestle-Aland. 439 L'omissione del pronome relativo si spiega con la presenza , appena dopo , di kai inteso come coordinativo . 440 Non sono mancati esegeti , come Weiss seguito da Merklein, che invece hanno insistito sul valore proprio del vocabolo , leggendovi un'intenzionale antitesi paolina tra anthropos e kyrios (uo­ mo I Signore ) del v. 4. Ora la contrapposizione è di certo presente nel nostro brano, ma riguarda il «voi» dei corinzi e il Signore , soprattutto riguarda il problema della competenza a giudicare , non l'e­ sigenza di valutare i leaders per quello che sono . m

438

l Cor 4 , 1-5

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denziato identità e ruolo («Ci s i consideri I hemas logizesth6)» e che saranno espressamente nominati ancora in 4,6.44 1 Ma nei vv . 3-4 l'esigenza di non giudi­ care è fatta valere in rapporto all'«io» di Paolo : emoi I ema uton I emaut6-i: «a me» I «me stesso» I «a me stesso» ( cf. anche i verbi in prima persona singolare ana krith6 I anakrin6 I synoida I dedikai6mai : «essere inqui s ito » I «mi erigo a in­ quisitore» I domandarono (parekalésan) al re di sedere in tribunale (kathisan­ ta) con i suoi amici e di ascoltare i loro argomenti su queste materie» (Ant. 13 ,75). Ma non è nemmeno escluso che Paolo abbia forzato i termini per eviden­ ziare l'enormità dell'accaduto e che si debba leggere il testo in senso lato .

145 Sempre Delcor annota che la formula «giudicare il mondo» non è abituale per nulla nei LXX e nei testi rabbinici. 146 Intendiamo kathizete come indicativo , ma è grammaticalmente possibile anche l'imperativo, e come tale di fatto l'assume Derrett che vi vede il comando di costituire una corte giudicante interna alla comunità formata da credenti di basso profilo sociale ( cf. 1 Cor 1 ,28 dove ricorre il participio ta exoutheni!mena parallelo al nostro tous exoutheni!menous) . Ma nel contesto appare che l'apostolo chiede solo un arbitrato interno , non la costituzione di un organo giudicante ecclesiale. 147 Per questo Stein ha ipotizzato che a Corinto si era fatto ricorso a giudici della diaspora giu­ daica .

Commento

294

Inoltre la formula «quelli che non contano nulla nella chiesa» 1 48 si è prestata a diverse interpretazioni : Paolo si riferisce a pagani oppure a cristiani? 149 Ora sembra strano che egli valuti con tale disistima dei credenti , mentre lo si com­ prende bene nella prima ipotesi . I pagani non hanno «valore» nella comunità cristiana in cui contano veramente solo l'adesione di fede e la nuova condizione acquisita per grazia , non titoli di nobiltà umana. 1 50 Ancora una volta non si trat­ ta di una valutazione morale , ma di un giudizio teologico guidato dalla persua­ sione dell'esistenza di un mondo vecchio e di uno nuovo (cf. Gal 6 , 1 4- 1 5 ; 2Cor 5 , 1 7) . Senza dire che in questa seconda lettura il testo si mostra omogeneo : l'a­ postolo evidenzia la stupidità del comportamento denunciato . Il v. 5 continua su questa direttrice : è letteralmente vergognoso quanto è successo : «A vergogna ve lo dico ! » Si sono comportati come se non ci fosse al­ cun membro della comunità capace di esercitare l 'arbitrato . È anche questo un procedimento giuridico per risolvere delle vertenze , ma rispetto al giudizio pre­ senta il vantaggio di salvare i rapporti interpersonali delle parti in causa, che si accordano nel chiedere l'intervento di un arbitro e nell'obbligarsi in anticipo ad attenersi alla sua decisione , evitando le odiosità e inimicizie che il dibattimento in aula comporta. 15 1 In ogni modo l'apostolo ha sempre presente il quadro eccle­ siale come luogo di pacifica soluzione della lite. Il voi a cui si rivolge è infatti co­ stituito dall'intera comunità corinzia, non dai soli due diretti interessati . Dall'interrogativa : «Così non c'è tra voi nessuna persona saggia che possa far da arbitro tra fratello e fratello?» sembra trasparire una certa ironia di Paolo nell'uso dell'aggettivo «saggio I sophos» . I corinzi si vantavano di essere in pos­ sesso della sophia ( l Cor 1 -4) ; ma si sono comportati come se non ci fosse tra lo­ ro alcuna persona sapiente capace di risolvere la vertenza. Oppure l'apostolo potrebbe riferirsi a quei pochi «sapienti» che pure c'erano tra i credenti di Corin­ to , in maggioranza di basso ceto: a essi si sarebbe dovuto fare ricorso . Si noti co­ munque che in alternativa all'adire il tribunale della città egli non pensa a un tri­ bunale interno con la medesima procedura, né a una composizione amichevole tra i due contendenti , cioè alla conciliazione favorita da un mediatore , come ap­ pare in Mt 1 8 , 15-16 (i primi due tentativi di ricupero del peccatore) . Ciò che ha in mente , e qui emerge con chiarezza, è l'arbitrato di un credente di riconosciuta capacità. 15 2 La soluzione delle vertenze che oppongono l'uno all'altro deve esse148 Exouthen emenous : il verbo può indicare anche «disprezzare» . I d u e significati comunque so· n o correlativi : si disprezza appunto ciò che è d i poco conto. 1 4 9 In q u es t u l t i m o senso interpretano quelli che leggono il verbo kathizete al l ' im perati vo 150 Ve d i l ,26ss : Dio ha scelto ciò che è stolto e debole per il mondo per svergognare i sapienti e '

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forti del mondo . 151 In m erito si veda la trattazione di Derrett che distingue quattro modalità di soluzione delle liti : �i udizi o arbitrato , conciliazione , co m prom esso 5 2 Da parte di alcuni esegeti si è congetturato che con tale aggettivo Paolo alludesse al «sapien· t e I hakam» della sinagoga ebraica che riservava la competenza di giu d ice i n tern o a un qualificato membro , di u n gra di no inferiore al rabbino. Strack-Billerbeck riporta per es. un p as s o secondo cui una persona «per lo scioglimento del suo voto ricorre a un sapiente ( hkm) che si trova n ell a città» in cui abita . i

,

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lCor

6,1-11

295

re ce rcata entro un contesto comunitario : la comunità affida la vertenza all'ar­ bi trato di un credente dotato dei requisiti richiesti, quali la conoscenza della leg­ ge , l' onestà del giudizio , l'ascendente sulle parti in conflitto impegnate previa­ men te a onorare il suo responso . Prospettiva non peregrina, perché non solo la diaspora giudaica si era orga­ nizzata anche dal punto di vista giudiziario , istituendo al suo interno un «forum» in grado di risolvere vertenze e cause civili che opponevano membri della comu­ nità , ma anche altre associazioni del mondo greco-romano seguivano tale proce­ dura . A Qumran tanto il Documento Damasceno che la Regola della Comunità attestano , senza ombra di dubbio , il ricorso a tribunali propri alla setta essenica (cf. Delcor) . Nel primo documento si danno indicazioni relative ai giudici : « Questa è la regola per i giudici dell'assemblea. Devono essere dieci uomini sce lti dall'assemblea per un tempo determinato: quattro per la tribù di Levi e di Aronne , e da Israele sei. Devono essere istruiti nel libro della meditazione e nel­ le obbligazioni del patto , in un'età compresa tra i venticinque e i sessant'anni ; al di là di sessant'anni non resterà più in funzione per giudicare l'assemblea» (10,4-8) . 153 La Regola della Comunità attribuisce invece la funzione giudicatrice a tutta la comunità, un po' come viene prospettato in 6,8-10: «Questa è la regola per la seduta dei molti , ognuno secondo il proprio grado . Per primi siederanno i sacerdoti , poi gli anziani, indi il resto di tutto il popolo che siederà ognuno se­ condo il proprio grado ; e in quest'ordine saranno interrogati per il diritto , per ogni consiglio e per ogni cosa che sarà deferita ai molti, affinché ognuno apporti il suo sapere al consiglio della comunità. Nessuno parli in mezzo alle parole del suo prossimo, prima cioè che il suo fratello abbia finito di parlare . . . ». 154 Nel rabbinismo le testimonianze sono inequivocabili . Si distinguono cause civili riguardanti il patrimonio (diné mamonot) , dalle cause capitali (diné nepha­ shOt) . La Mishnah nel trattato Sanhedrin stabilisce che i processi riguardanti il patrimonio devono essere condotti da tre giudici : «Cause di patrimonio (saran­ no) da tre (giudicate)» ( 1 , 1 ) , mentre le cause capitali richiedono la presenza di 23 giudici (1 ,4a) . Il Talmud babilonese , nel trattato omonimo , precisa che basta­ no tre laici (3a) ; e se c'è un giudice autorizzato , può giudicare da solo (4b) (cf. Strack-Billerbeck III , 363 365) . Per la diaspora giudaica abbiamo la testimonianza di Giuseppe Flavio a pro­ posito dei giudei di Sardi : «Lucio Antonio figlio di Marco , proquestore e pro­ pretore ai magistrati , al Consiglio e al popolo di Sardi, salute . I nostri cittadini giudei venuti da me hanno mostrato di avere la loro propria associazione (syno­ don idian) secondo le leggi patrie dall'inizio e un proprio luogo , in cui giudicano -

153 Delcor indica anche CD 14, 12-13: «Questa è la regola dei molti per sovvenire a tutti i loro bisogni . Il salario di almeno due giorni ogni mese lo rimetteranno nella mano dell'ispettore e dei giu­ dici» . 154 È vero che lQS 8 , 1-4 parla di un collegio di 15 persone, ma l'analogia con il passo succitato del CD non è stretta, perché in questo testo della Regola della Comunità non si tratta di alcuna fun­ zione giudicatrice , come rileva ancora Delcor.

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Commento

(krinousin) le cause (ta pragmata) e le controversie degli uni con gli altri (tas pros allélous antilogias) ; mi hanno domandato di poter conservare questa usan­ za, e io ho deliberato di permetterglielo» (Ant. 14,235) . Una certa analogia esiste anche tra il nostro brano e i testi paralleli di Es 18, 13-26 e Dt 1 ,9-17 che narrano dell'istituzione mosaica di giudici all'interno del popolo d'Israele (cf. Rosner, «Moses» ) . Ietro sollecita Mosè a scegliere e co­ stituire «uomini capaci (dynatous) , pii (theosebeis) , uomini giusti (dikaious) che odiano l'alterigia», «e giudicheranno (krinousin) il popolo» ; egli si riserverà le cause più importanti , «invece le piccole cause (ta brachea ton krimaton) le giudi­ cheranno (krinousin) loro» (Es 1 8 , 21-22) . E Mosè fa come gli aveva consigliato il genero (cf. vv . 25-26) . La versione del Dt mostra qualche originalità nel voca­ bolario : la scelta deve cadere su «Uomini saggi (sophous) ed esperti (epistemo­ nas) e intelligenti (synetous) » ( 1 , 1 3) ; saranno giudici (kritai) e per essi l'esigenza impreteribile è la seguente : «giudicate (krinate) in modo giusto (dikai6s) tra un uomo e il suo fratello e il suo proselito (ana meson andros kai ana meson adel­ phou kai ana meson prosélytou autou)» ( 1 , 13- 1 6) . A proposito del mondo greco-romano del tempo s i possono citare un papiro greco dall' Egitto , della fine del periodo tolemaico , con gli statuti di un'associa­ zione intitolata a Zeus Hypsistos 155 e il codice del sodalizio ateniese degli Iobac­ chi anteriore al 1 78 d . C. 156 Nel primo documento tra l'altro si prescrive ai mem­ bri della confraternita: «Non sarà permesso a nessuno di essi . . . di far causa (eplesein) e di accusare (kateigoreein) l'altro » ; e si sottintende da­ vanti a una corte esterna, perché tutte le cause sorte tra «confratelli» offensori e offesi cadono sotto la giurisdizione del presidente . Nella regola del sodalizio mi­ sterico degli lobacchi per i litiganti venuti alle mani (tous machomenous) si pre­ vede quanto segue : la traduzione di chi ha sferrato il colpo davanti al sacerdote o al suo rappresentante e poi nel «forum» di tutta l'assemblea degli Iobacchi inca­ ricata di emettere il giudizio , quindi la sua condanna al pagamento di 25 denari d'argento ; la stessa pena pecuniaria per chi è stato . colpito ; parimenti 25 denari d'argento saranno richiesti all'eukosmos (una specie di magistrato interno) che non ha estromesso i litiganti. 1 57 Le evidenti analogie dei riferimenti suddetti però , anche al di là della origi­ nale prospettiva escatologica , non devono far velo alla diversità oggettiva esi­ stente : Paolo non chiede alla comunità di istituire un tribunale interno con giudi­ ci e giuria cristiani, bensì vuole un arbitrato .

155

39-88 .

Cf. C. RoBERTS-TH .C. SKEAT-A . D . NocK, «The Gild of Zeus Hypsistos» , in HThR 29( 1963),

156 Testo originale in W. DlTTENBERGER, Sylloge Jnscriptionum Graecarum, Lipsiae 1 920, 111, 1 109,90ss e traduzione in J. LEIPOLDT-W. GRUNDMAN N , Umwelt des Urchristentums . Berlin 1967, II, 86-88 . 157 In proposito si veda anche M. WEINFELD, The Organizational Pattern and the Penai Code of the Qumran Sect. A Comparison with Guilds and Religious Associations of the Hellenistic-Roman Pe­ riod, Fribourg Suisse-Gottingen 1986, 34 .

lCor

6,1-11

297

Appena accennato alla soluzione interna cui sarebbe dovuto ricorrere il gonista del caso , l'apostolo ritorna a menzionarne , in tono di rimprovero, prota ta fatta contro ogni ragionevole attesa : «Invece un fratello intenta causa scel la diziaria a un fratello» . È la terza volta che presenta il caso , dopo i vv . 1 e 4, iu g ora però in forma esclamativa sembra , 158 a differenza delle due precedenti carat­ terizzate da interrogativi retorici . Non è però l'unica diversità: si è già notato so­ pra la non casuale denominazione di «fratello» ; ancor più importante è che l'a­ postolo distingue il ricorso a vie giudiziarie in quanto tale e la particolarità della domanda al tribunale civile della città, intesa come aggravante : «e questo davan­ ti a infedeli ! » . Il v. 6 chiude così la prima parte e permette il passaggio alla se­ conda. v. 6

vv . 7-8 Ora Paolo si occupa dell'accaduto visto nelle sue radici : c'è una ver­ tenza tra credenti nata da un'ingiustizia a cui la parte lesa ha reagito . Tutto que­ sto egli condanna: l'ingiustizia perpetrata insieme con la reazione del ricorso a mezzi giuridici di difesa del proprio buon diritto (vv . 7-8) . Segue la motivazione escatologica della condanna dell'ingiustizia, introdotta secondo la retorica della diatriba (v. 9a) , allargata agli altri vizi (vv. 9b-10) e completata con il richiamo all'evento di grazia che ha cambiato il passato dei credenti (v. 1 1 ) . «Ora i n ogni modo è già uno smacco159 per voi i l fatto che abbiate cause giu­ diziarie l'uno con l'altro» (v. 7a) . A prescindere dai risultati, già il processo mes­ so in moto costituisce una sconfitta morale per tutta la comunità: non si tratta solo dei due direttamente interessati . Perché anche così i cristiani di Corinto so­ no venuti meno alla loro identità e sono mancati sul piano dei comportamenti che ne derivano . Se finora Paolo aveva discusso del problema dei mezzi giuridici necessari per ottenere la giustizia , - a tale fine si suppone che si sia appellato al tribunale della città l'innominato credente di Corinto, vittima di un sopruso e di un'ingiustizia - adesso sposta l'attenzione sulla questione del comportamento da assumere di fronte a un torto subìto e, ancor più radicalmente , sulla doverosità dell'agire con giustizia . Mostra così anzitutto con due domande retoriche cosa dovrebbero fare . In realtà , egli non avanza un imperativo , ma chiama i credenti di Corinto a una decisione : 1 60 «Perché non subite piuttosto ingiustizia? Perché non vi lasciate piuttosto defraudare?» 16 1 ( v . 7b) .

158

Non manca chi , come Barrett e Conzelmann , interpreta il versetto in forma interrogativa . Con «smacco» abbiamo tradotto il greco hettema. In realtà due sono le direttrici dell'inter­ pretazione. Chi vi legge il significato del contrario di «Vittoria», dunque traduce con «sconfitta» (Niederlage) , che sottintende come sconfitta morale ( cf. il vocabolario di Bauer e i commenti di Schrage e di Weiss) . Sulla stessa linea Senft ( «disastro» ) e Fee ( «disfatta» ) . Altri come B arrett e Conzelmann escludono che il linguaggio sia di tipo militare e vi leggono il senso di fallire . Lo stesso sostantivo ricorre ancora in Rm 1 1 ,12 col significato di «diminuzione» . 160 Così Dinkler che sottolinea come l'apostolo non intende stabilire una norma , ma chiamare i suoi interlocutori a scelte evangeliche comprensibili soltanto alla luce della croce ( «Ethik bei Pau­ lus» , 219). 161 Apostereo è usato da Mc 10,19 in un elenco per indicare il comandamento di non rubare . Paolo lo usa ancora in l Cor 7,5 in rapporto al debito coniugale. In generale esprime l'ingiusto atten­ tato al possesso legittimo altrui , si tratti di cose o di diritti di carattere sessuale . 159

298

Commento

Con l'avverbio «piuttosto» , che esprime la suddetta preferenza , a quale altra via si allude? Il testo distingue la scelta di adire le vie legali per ottenere giustizia da quella contraria di subire piuttosto l'ingiustizia? Il contesto precedente sugge­ risce tale lettura , ma l'avversativa del versetto seguente , seguita dal pronome personale «Voi » , sembra introdurre il contrario di ciò a cui Paolo li chiama : «In­ vece voi commettete ingiustizia e defraudate , e questo a danno di fratelli» ( v . 8) . I poli opposti dunque , con preferenza accordata al primo , sarebbero l'essere vit­ tima d'ingiustizia e l'esserne agente : meglio il primo che il secondo . L'aggancio del v . 7b a quanto segue non elimina la connessione con la precedente annota­ zione che a Corinto si è fatto ricorso al tribunale cittadino , naturalmente allo scopo di ottenere giustizia . Paolo suggerisce a chi è stato vittima di sopruso , estendendo però l 'invito a tutti , la paradossale decisione di subire l 'ingiustizia , rinunciando a iniziative di difesa giuridica del proprio buon di ritto . Ma quale rapporto esatto egli stabilisce tra le due soluzioni indicate , ricorso all'arbitrato come difesa giuridica del proprio buon diritto e rinuncia ad av­ valersi dei mezzi legali pagando per il torto avuto? Secondo Conzelmann , Der erste Brief, 128 l'arbitrato è solo una concessione , la preferenza è per la rinuncia al diritto; d'altra parte quello è possibile perché di questa l'apostolo non fa un principio . Dinkler, «Ethik bei Paulus » , 220 ritiene che «Paolo esige non una ri­ forma istituzionale , ma un cambiamento esistenziale» , e qualifica le due soluzio­ ni con le categorie di ordine e amore (ibid. , 223 ) . Nella prima l'uomo in realtà lotta «per il suo diritto» (ibid. , 219) , mentre nella seconda l'agape si attua come «Sacrificio del mio diritto» (ibid. , 238) . Schrage , Der erste Brief, 4 1 8 caratterizza le due soluzioni nei termini di riconciliazione (vv . 1 -6) e rinuncia al diritto (vv. 7-8) e afferma: «Chi ama rinuncia al suo diritto , non al diritto» (ibid. , 419) . Da parte sua Meurer, Das Recht, 1 56 precisa che la seconda soluzione consiste nella rinuncia non al diritto bensì alla rivalsa e alla vendetta , in concreto all'uso dello «jus talionis» , esattamente come in Mt 5 ,38-41 . Si discute anche delle fonti d'ispirazione del testo paolino. A partire da s. Agostino una corrente esegetica ritiene che l'apostolo , chiedendo di subire piut­ tosto l'ingiustizia , si richiami all'insegnamento gesuano del discorso della mon­ tagn a , in particolare a Mt 5 ,39-4 1 : «Ma io vi dico : non siate antitetici rispetto al malvagio . Ma a chi ti schiaffeggia sulla guancia destra , porgi anche l'altra. E a chi vuole farti processo per prenderti la tunica , lasciagli anche il mantello . E con chi ti angaria per un miglio , accompagnati per due» ( cf. Le 6 ,27-29) (cf. i com­ menti di Fee e Barbaglio) . A parte però una certa analogia di contenuto , i due testi sono formalmente diversi . Inoltre esiste la possibilità di richiami più prossi­ mi a pensatori pagani che hanno fatto dichiarazioni parallele a quella paolina. Una massima socratica conservataci da Platone così recita: «Diciamo che è male maggiore commettere ingiustizia (to adikein) e male minore subire ingiustizia (to adikeisthai) » (Gorgia 509c) . Musonio afferma «di ritenere peggiore cosa com­ mettere ingiustizia (to adikein) che non subirla (tau adikeisthai)» (ed. Hense , p. 1 1 , v. 7 ) . Secondo Seneca «miserius est nocere quam !aedi» (Ep . 95 ,52) . Nella sua opera Epitteto dichiara che «Un grande danno recato a chi commette ingiu­ stizia (to-i adikounti) proprio q uesta (è) l'ingiustizia (haute he adikia)» (4,5 , 10).

l Cor 6 , 1 - 1 1

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In realtà , Paolo si limita a enunciare la sua preferenza , non la motiva; ma se egli tace , parlano molto i suoi interpreti, come nota argutamente Taylor, «Theo­ logy of Litigation» , 107 . Questi rileva la presenza di tre schemi d'interpretazione del testo paolino: lo schema cristologico , che fa appello alla parola di Gesù (cf. il disco rso della montagna) o al suo esempio (cf. l Pt 2 ,23 : «Oltraggiato non ri­ sp ondeva con oltraggi , soffrendo non minacciava vendetta, ma consegnava se stesso a colui che giudica equamente») ; lo schema antropologico-morale , di cui esponente storico è stato Calvino , che evidenzia come nel processo i due litiganti finiscono per esprimere «pravi affectus» e diventare nemici ; lo schema ecclesia­ le -e scatologico , che vede in causa la natura della chiesa, società aggregata nel nome dell'agape e della conseguente esigenza di una giustizia superiore a quella di questo mondo (così Dinkler e Barrett ) . Luce c i può venire da u n passo paolino parallelo , R m 1 2 , 1 3ss , i n cui risuona­ no i due imperativi negativi : «Non rendete a nessuno male per male» (v . 17) ; «Non fatevi giustizia (ekdikountes) da voi stessi, carissimi» (v. 19) . Fanno parte di una serie di imperativi ispirati al motivo-guida dell'agape : «L'amore sia senza finzioni» (v . 9) . 1 62 Per questo anche 6,8 è da leggere come espressione della pa­ renesi paolina che di certo , al di là di analogie materiali con motivi stoici innega­ bili, trae la sua ispirazione dalla tradizione protocristiana. La ragione della ri­ nuncia a far valere il proprio diritto e dell'accettazione del torto è data dall'aga­ pe , non dal principio della libertà individuale e interiore che ha guidato gli stoi­ ci . 163 Dalla soluzione dell'arbitrato a quella della rinuncia a farsi giustizia 1 64 poi l'apostolo è passato per evidenziare quanto la chiesa di Corinto sia ancora lonta­ na dall'essere ciò che per vocazione divina è, aggregazione di fratelli e comunità di «santi» , cioè di separati da «questo mondo»: agiscono infatti con ingiustizia e frode . Si tratta certo di una generalizzazione a partire dal caso concreto , ma ciò comprova che la prospettiva paolina è ecclesiologica: come l'incestuoso ha con­ taminato la comunità sul versante della porneia , così alla radice dell'appello al tribunale della città, ma anche all'arbitrato interno , stanno comportamenti in­ giusti che contaminano la chiesa sulla linea dell'adikia. vv. 9- 1 1 Diventa pertanto chiaro il passaggio a questa unità letteraria, intro­ dotta appunto dal tema degli adikoi cui è precluso l'accesso alla salvezza finale . Paolo presenta il motivo escatologico della condanna dell'ingiustizia presente nella comunità corinzia. Ma ancor più , nella sua visione ecclesiologica, pesa il ri­ chiamo al battesimo (v . 1 1) che ha fatto dei credenti persone nuove , libere dal­ l'ingiustizia che dominava il loro passato , dunque responsabili di una condotta coerente .

162 Nel commentario Der Romerbrief, 364 , Schlier afferma che la proposizione del v. 9 fa da ti' tolo a quanto segue . 163 Su tale originalità di Paolo insiste Dinkler, «Ethik bei Paulus» , 170. 164 È a torto che Schrage vede nei vv. 1-6 la riconciliazione : l'arbitrato è pur sempre un'iniziati­ va giuridica per ottenere giustizia. Parimenti nel dire che in 6,8 si chiede la rinuncia non alla giustizia bensì alla vendetta Meurer estenua la forza paradossale delle parole dell'apostolo .

300

Commento

v. 9a Anzitutto richiama un dato risaputo e su questo fa leva: «0 non sapete che gente ingiusta (adikoi) non erediterà il regno di Dio? » Tanto il verbo «eredi­ tare» che la formula «regno di Dio» sono tradizionali e, a parte la ripetizione del v. 10, uniti ritornano sotto la sua penna in 1 Cor 1 5 ,50 e in Gal 5 ,21 . 165 Gli esclusi dalla salvezza finale sono quelli che praticano l'ingiustizia. Il contesto , mi sem­ bra , impone qui , a differenza del v. 2, la valenza etica di adikoi, che richiama l'a­ dikeite («commettete ingiustizia» ) del v. 8 e subito dopo appare implicito nei vizi di furto (kleptai) , avidità (pleonektai) e rapacità (harpages) catalogati al v . 10. 1 66 vv. 9b- 10 Quindi , ad analogia di 5 , 10- 1 1 , il testo allarga il quadro a una serie di vizi che , al pari dell'adikia , impediscono l'accesso alla salvezza ultima. È con la formula introduttoria «Non lasciatevi ingannare» di marca stoica 167 che inizia il catalogo . Come in quelli di 5 , 10 e 5 , 1 1 in testa ci sono i pornoi, e ciò può sor­ prendere in relazione al contesto di 6 , lss. Si potrebbe ipotizzare un influsso per anticipazione del brano successivo 6 , 12ss. In realtà , prima dell'elenco l'apostolo ha affermato che gli adikoi saranno esclusi dal regno. Sono dunque essi a occu­ pare il primo posto nella serie dei vizi escludenti dalla salvezza finale ; emerge così una stretta omogeneità con il contesto precedente . A parte la sezione dei cc. 5-6 registriamo la seguente frequenza dei vizi qui enumerati . L'immoralità sessuale (p o rnoi I porneia) appare di nuovo nei seguen­ ti cataloghi : 2Cor 12,21 ; Gal 5 , 19 ; Col 3 , 5 ; Ef 5 ,3-4 ; Ef 5, 5 che , in perfetta sim­ metria con il nostro passo , la enumera come vizio escludente dall'eredità nel re­ gno ; lTm 1 ,9- 10; Ap 2 1 ,8; 22, 15 ; e ancora Mc 7,2 1 ; Mt 15, 1 9 . È il vizio più fre­ quentemente enumerato : 13 volte con 5 , 10 ; 5 , 1 1 ; 6 ,9b . In forma catalogica l'ido­ latria (eidolatrai I eidolatreia) ricompare in Ef 5 ,5 ; Col 3,5 ; lPt 4,3; Ap 21 ,8; 22 , 1 5 ; in tutto 8 volte comprese le 3 della sezione presente . Ma è in lCor 10,lss che Paolo vi h a dedicato specifica attenzione coordinandola strettamente con l'immoralità (cf. il verbo porneuein del v. 8) . L'adulterio (moichoi I mo iche ia) entra di nuovo nell'elenco dei vizi di Mc 7 ,22 e Mt 15 , 1 9 ; in tutto 3 ricorrenze. Dei due vizi sessuali «contro natura I paraphysis» , come dicevano gli stoici , 1 68 malakoi I «effeminati» è attestato solo in questo catalogo , mentre arsenokoitai I «masculorum concubitores» appare anche nell'elenco di lTm 1 , 10 . Il vizio del furto (kleptai) è presente pure in l Pt 4 , 1 5 ; ma si veda klopai I «furti» in Mc 7,21 e Mt 1 5 , 19. Quanto agli «avari» (pleonektai I pleonexia) passi paralleli sono Rm 1 ,29; Ef 5 , 3 ; 5 ,5 ; Col 3 , 5 ; Mc 7 ,22 ; in totale 8 volte , di cui 3 nei cc. 5-6. Degli «ubriaconi» (methysoi I methai) abbiamo un riscontro , con il secondo vocabolo,

165 Una formulazione simile è testimoniata nel rabbinismo che parla di ereditare il mondo av­ venire (cf. Strack-Billerbeck III, 365). 1 66 Dice ottimamente BARRETI, La prima lei/era, 179 che «ingiusti» è da prendere «in senso strettamente morale» . 1 67 Q u ale parallelo della formula d i diatriba stoica s i può citare EPITIETO 4 ,6,23 (me planasthe, andres) . 168 Cf. la voce physis in GLNT XV a cura di Ki:ister.

lCor

6,1-1 1

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in Rm 13 , 13 e Gal 5 , 2 1 ; si aggiunga però il vocabolo parallelo komoi I «gozzovi­ glie» attestato negli elenchi di Rm 1 3 , 1 3 ; Gal 5,21 e lPt 4,3 (e qui ricorre in pa­ rallelismo poto i I «grandi bevute») . Invece dei «maldicenti» (loidoroi) non si fa cenno al di fuori della nostra sezione. Infine i «rapinatori» (harpages ) entrano solta nto nei tre cataloghi della nostra sezione . Nel presente catalogo s'impone all'attenzione la frequenza di vizi sessuali: i mmorali, adulteri , effeminati , quelli che si uniscono sessualmente con maschi ; quattro su dieci . I contesti di 5 , lss e 6, 12ss spiegano la menzione al massimo dei primi due , anzi giustificano letterariamente soltanto la presenza dei pornoi. D'altra parte anche negli altri cataloghi i vizi di natura sessuale ricorrono spesso e con una certa varietà terminologica: oltre ai vocaboli già menzionati abbiamo «scostumatezza» I aselgeia , attestata in Rm 13 , 13 (pi . ) ; 2Cor 12,21 ; Gal 5 , 1 9 ; lPt 4,3 (pi . ) ; Mc 7 ,22; «impurità» I akatharsia , ricorrente in 2Cor 1 2,20 (pi . ) ; 2Cor 12 ,21 ; Gal 5 , 19 ; Ef 5 , 3 ; Ef 5,5 (agg. ) ; Col 3 , 5 ; si aggiungano i termini koitai I «quelli che fanno "coito"» (Rm 13 , 13) , pathos I «passione» (Col 3,5) , epithymia kake I «cattivo desiderio» (Col 3 ,5) , douleuontes epithymiais kai hedonais I «quelli che sono schiavi di concupiscenze e di piaceri» (Tt 3 ,3) , akrateis I «incon­ tinenti» (2Tm 3 ,3) . È perciò difficile contestare in proposito una buona dose di convenzionalità ; per un giudeo come Paolo - e non diversi erano gli autori degli altri testi citati del NT - era un luogo comune la corruzione del mondo pagano, da cui mettere in guardia i credenti delle comunità che avevano un passato di vi­ ta viziosa . Ma sul piano statistico e anche per una classifica di valori si deve rile­ vare , nei cataloghi paolini , una presenza ancora più massiccia dei vizi di caratte­ re sociale, contrari alla solidarietà doverosa per ogni uomo e ancor più per il cre­ dente . Ci basti citare per un verso Rm 1 ,29-31 e per l'altro Gal 5 , 19-21 . Ultimamente particolare attenzione è stata dedicata dagli esegeti ai due vizi «contro natura» e la discussione non ha risparmiato neppure il campo della loro esatta traduzione . Soprattutto si è contestato , da più parti , il punto di vista tradi­ zionale che ha letto il testo paolino nei termini di condanna dell'omosessualità. Come è naturale , il dibattito attuale circa gli omosessuali e più specificatamente a proposito della loro presenza nelle comunità cristiane ha influito sulla ricerca storico-letteraria . 169 Nell'antichità greco-romana era praticata, senza molti scru­ poli , la pedofilia; 170 in questo quadro si deve però rilevare l'eccezione costituita da stoici , epicurei e cinici che la ritenevano contro natura. 171 Secondo la tradizio­ ne giudaica invece i rapporti sessuali tra maschi erano bollati come abominevo169

Wright.

Si vedano gli studi succitati di Becker , von Osten-Sacken , Petersen, Scroggs, Strecker,

170 Plutarco dà voce a una concezione diffusa: «Così l'amore dei ragazzi è l'unico amore genui­ no» Mor. 751 a : houtos heis Heros gnesios ho paidikos estin) . 1 1 Platone aveva fatto scuola: «ma uomo con uomo , o donna con donna , ciò è contro natura» (Nomoi 636 B). Marco Aurelio riconosce ad Adriano come merito «l'aver posto un limite agli amori pei ragazzi» ( 1 , 16) . Musonio Rufo , secondo cui le unioni sessuali (synousiai) omosessuali sono turpi (aischrai) , considera para physin le relazioni sessuali (symplokai) che vedono in campo maschi con maschi (hai pros arrenas tois arresin) (framm. 12) .



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Commento

li . 172 Stante l'ampiezza del fenomeno della pederastia nel mondo greco-romano si parlava soprattutto di «omosessualità» maschile . A parte il catalogo di 1 Tm 1 , 10, in tutto il NT Paolo è l'unico che vi presta una certa, anche se non massic­ cia , attenzione . Nel nostro brano tra gli esclusi dalla salvezza finale enumera malakoi e arsenokoitai. È stata criticata la traduzione di «omosessuali» , passivi i primi e attivi i secondi1 perché nel linguaggio moderno vi si indicano quanti han­ no tendenze omosessuali , si tratti di maschi come di femmine. Inoltre di regola l'«omosessuale» dell'antichità, a differenza del tempo moderno , era un eteroses­ suale ; e se in quei tempi lontani l'«omosessualità» era una scelta moralmente ac­ cettata o condannata , oggi è vista anzitutto come qualcosa di fisiologico o psico­ logico . Il nostro testo ha di mira solo i maschi e ne condanna i rapporti sessuali , co­ me dice il termine koitai (lett . «quelli che fanno coito») . Il vocabolo malakoi, che significa in generale «molli» , in coordinazione con arsenokoitai indica sen­ z'altro gli effeminati che assumono ruolo passivo nel rapporto sessuale con ma­ schi . 173 Non sembra comunque che Paolo pensi qui solo alla pederastia. Il voca­ bolo non è infatti specifico , a differenza di paidophthoria I «corruzione di fan­ ciulli» 1 74 e di paidikos heròs I «amore erotico con fanciulli» . Inoltre in Rm 1 ,27 l'apostolo parla in generale di maschi (adulti) che «abbandonato l'uso naturale (ten physiken chresin) della femmina, si sono accesi di cupidigia a vicenda, com1 72 Quanto alle scritture ebraiche si possono citare due racconti: Gen 19 ( i maschi di Sodoma tentano di far scempio dei due ospiti di Lot) e Gdc 19 ( uomini di Gibea vogliono abusare di un levi­ ta ) e precisi divieti: «Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna» ( Lv 18 ,22; cf. anche 22 , 1 3 : due passi della Legge di santità} . Sono comunque poche le testimonianze ebraiche in merito, e altrettanto si deve dire del rabbinismo (cf. Strack-Billerbeck III , 68ss ) Quanto al giudaismo elleni­ stico si vedano Sap 14,26 che tra i vizi menziona !'«inversione della generazione» I genese6s enallage; Arist 152; OracSib 3 , 185s: «l'uomo avrà commercio con l'uomo (arsen d'arseni plesiasei} e alleveran­ no dei ragazzi sotto tetti vergognosi (stesousi te paidas aischrois en tegeessi)» ( trad . it. di A. Pincher­ le , Roma 1922) ; TestLev 1 7 , 1 1 : «Nella settantasettesima verranno dei sacerdoti idolatri, bellicosi, avidi, superbi, trasgressori della Legge , empi , pederasti (paidophthoroi} e terofili» . Da parte loro Fi­ lone e Giuseppe Flavio riprendono dalla filosofia greca l'argomento che si tratta di qualcosa contro natura. Dei sodomiti Filone dice : «rifiutavano come un giogo la legge della natura (ton tés physe6s nomon) pe rseguendo . . . gli accoppiamenti illeciti (ocheias ekthesmous). Poiché non solo , nella loro passione per le donne , violavano (diephtheir6n} i matrimoni altrui (allotrious gamous), ma anche uo­ mini si univano a maschi (andres arresin) senza che quelli attivi avessero vergogna di essere dello stesso sesso di quelli passivi» (De A brahamo 1 35) . Lo stesso autore altrove qualifica gli «Omosessua­ li» «nemici della natura I echthroi tes physe6s» e poco oltre dice: «un vizio ben più grande . . . ha fatto irruzione nelle città , la pederastia (to paiderastein) » ; riprovato in passato , «ora c'è vanto non solo per quelli attivi (tois drasin), ma anche per i passivi (tois paschousin)» ; descritte quindi le acconciatu­ re femminili di questi ultimi conclude rilevando come «non si vergognano di trasformare con un comportamento artificale la natura maschile in natura femminile (ten arrena physin eis theleian meta­ bal/ein) » ; infine afferma che «il pederasta . . . persegue il piacere contro natura (ten para physin hedo­ nen diokei)» (De specialibus Legibus 3 ,36-39). In Contra Apionem (2 ,199) Giuseppe Flavio afferma che la legge mosaica conosce solo un'unione , quella naturale con le donne (mixin monen oiden ho nomos ten kata physin ten pros gynaikas) , mentre ritiene un abominio l'unione di maschi con maschi (ten de pros arri!nas arré116n estygéken) . 173 Vedi Filone che mette i n parallelo malakia con anandria (Spec. leg. 3 ,39) . 174 Questo vocabolo in forma aggettivale paidophthoros è attestato in TestLev 17, 1 1 , citato so­ pra, e Ep. Barn. 10,6: «Tu non sarai pederasta (paidophthoros) e tu non imiterai quelli che lo sono» (cf. 10,7 dove ricorre l'analogo phthoreus) . .

lCor 6 , 1- 1 1

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piendo atti ignominiosi maschi con maschi (arsenes en arsesin)». Gli arsenokoitai so no letteralmente quelli che «giacciono» con maschi . 175 Come si vede l'apostolo tratta qui solo dell'omosessualità effettiva di tipo maschile ; ma in Rm 1 ,26 men­ ziona anche quella femminile, e prima di quella maschile: «Infatti le loro femmi­ ne hanno cambiato l'uso naturale (ten physiken chresin) in quello contro natura (ten para physin ) » . 1 76 E il tutto è visto da lui come effetto del castigo divino con­ tro gli idolatri: «Per questo Dio li ha consegnati a passioni vergognose» (v. 26a) . v. 1 1 In chiusura Paolo precisa in che rapporto stanno i suoi interlocutori con questo mondo di peccato : è il loro passato , da cui sono stati riscattati ricevendo in dono un nuovo presente : «E queste cose eravate alcuni (di voi) . Ma foste la­ vati, ma foste santificati , ma foste giustificati mediante il nome del Signore Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito del nostro Dio». Con la limitazione «alcuni» l'a­ postolo intende solo dire che non tutti i credenti di Corinto erano dei viziosi rientranti a pieno titolo nell'elenco suddetto . Ma che fossero senza alcuna ecce­ zione dei peccatori , bisognosi di liberazione salvifica , risulta con chiarezza dal v. l l b : 1 77 il voi appare qui illimitato , beneficiario di un processo di grazia di purifi­ cazione, santificazione , giustificazione . Il riferimento all'esperienza battesimale sembra certo . 178 Il verbo apolouest­ hai I «lavarsi» ricorre di nuovo solo in At 22, 1 6 dove è collegato esplicitamente con il battesimo ; Anania dice a Saulo: «Fatti battezzare (baptisai) e sii lavato (apolousai) dei tuoi peccati invocando il suo nome». Sempre questo passo mette in correlazione il lavacro battesimale con l'invocazione del nome di Cristo , di­ mostrandosi ulteriormente parallelo al nostro : «Ma foste lavati . . . nel nome del Signore Gesù Cristo» . Si aggiunga che il sostantivo corrispondente loutron I la­ vacro è usato nel NT soltanto per indicare il battesimo (cf. Ef 5 ,26 ; Tt 3 ,5 ) . 179 La forma media del verbo potrebbe giustificare un'altra traduzione: «Vi siete lava­ ti» , ma il parallelismo con i due verbi successivi è argomento sufficiente per pre­ ferirvi una valenza passiva , tanto più che la sua forma passiva è ovunque rara, come annota il vocabolario di Liddel-Scott-Jones . 1 80 L'immagine del bagno infi­ ne sta a significare un processo di purificazione dai peccati intesi come macchie da lavare . 18 1

175 Wright , «Homosexuals» , ha dimostrato in modo inoppugnabile questo significato contro chi vi leggeva il riferimento a maschi che si offrono al rapporto sessuale , dunque ai prostituti sacri . E co­ me argomento efficace ha indicato i vocaboli paralleli doulokoites ( non uno schiavo che ha rapporto sessuale con altri, ma uno che ha rapporto sessuale con lo schiavo ) , metrokoités I chi ha rapporto ses­ suale con la madre , polykoites I chi ha rapporto sessuale con molti altri . 176 In questa valutazione l'apostolo si colloca chiaramente nell'ambito del giudaismo ellenistico e condivide il giudizio dello stoicismo. 7 1 7 Dice bene SCHRAGE, Der erste Brief, 433 : « Il passato , vizioso o no, è un passato peccatore». 1 78 FEE, The first Epistle, 246 si discosta da una larga convergenza di esegeti affermando che l'al­ lusione al battesimo non è certa , ma solo possibile. 1 79 Anche la forma semplice louein del verbo in Eb 10 ,22 e in Gv 1 3 ,10 con probabilità si riferi­ sce al battesimo . 180 HAHN , «Taufe», 106n attribuisce senso causativo: «Vi siete fatti lavare». 181 In Ef 5 ,26-27 c'è stretta coordinazione di «purificazione» (verbo kazarizo) , «lavacro di ac­ qua» (loutron hydatos) , «macchia» (spilos) .

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Anche i verbi coordinati «essere santificato I essere giustificato» hanno pro­ pria capacità di riferirsi al battesimo . Per il primo si veda di nuovo Ef 5 ,26 che fa della santificazione della chiesa il risultato dell'iniziativa di Cristo che l'ha purifi· cata col lavacro di acqua. La connessione stretta tra battesimo e giustificazione appare in Tt 3 ,3-7 , come ha rilevato Hahn. Sul piano dei contenuti anche la santificazione , come il lavacro , sembra aver a che fare con la liberazione dai peccati ; esprime infatti un processo di separa­ zione e distacco da ogni realtà peccaminosa e di correlativa collocazione nella sfera divina di separatezza dal male . Più discusso invece è il verbo «essere giusti­ ficato» : Paolo vi esprime la sua teologia della giustificazione ( liberazione e permanente libertà dal Peccato) , oppure fa propria una tradizione protocristia­ na che intendeva la giustificazione come atto di remissione dei peccati e che ap­ pare attestata in Rm 3 ,25?182 La mia preferenza è per questa seconda ipotesi e non senza ragione: i verbi sono coordinati a esprimere una stessa realtà, la libe­ razione da un passato fatto di peccati e vizi ; il passo si dimostra tradizionale (battesimo come lavacro) ed esprime una credenza e una teologia prepaolina. D'altra parte nel contesto immediato del catalogo dei vizi nei quali erano impli­ cati, chi più chi meno , i credenti di Corinto , volendo l'apostolo affermare che es­ si ne furono liberati , si capisce che abbia fatto ricorso , come è documentato per altri passi (cf. per es. Rm 3 , 24-26 citato sopra) , al suddetto dato tradizionale. È incontestabile invece l'accentuazione dell'iniziativa divina di grazia già nel passivo teologico dei verbi, ma anche nelle formule parallele finali: «mediante il nome del Signore Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito del nostro Dio» . In am­ bedue la particella greca en è da intendere in senso strumentale : 183 nel battesimo è all'opera lo stesso Signore Gesù , cui viene coordinata l'azione dello Spirito , qui presentato non come dono battesimale bensì quale «agente» della purifica­ zione, santificazione e giustificazione. Comunemente si dice che nel nostro versetto è presente il caratteristico bi­ nomio paolino «una volta, ma ora» , espressivo del contrasto tra passato e pre­ sente . Formalmente non vi si riscontra la formula specifica «in passato I adesso» (pote I nyn) , ma dal punto di vista del contenuto ciò è vero . In realtà, Paolo con­ trappone un passato remoto a un passato prossimo che ha cambiato il corso del­ l'esistenza dei credenti di Corinto : 184 per grazia sono stati liberati dal mondo dei peccati. Sullo sfondo del motivo escatologico dell'esclusione dei viziosi dalla sal­ vezza ultima il richiamo all'evento fondante dell'esperienza cristiana fonda , nel=

182 Per la prima soluzione si registra un vasto consenso ; per la seconda già Bultmann ( Theolo­ gie, 139) e più recentemente HAHN , «Taufe», e ScHNELLE , Gerechtigkeit (ad locum) . ts3 Dice Weiss , Der erste, 155s: «en contrassegna i fattori oggettivi . . . , non qualcosa di soggetti­ vo» . Invece W . Heitmiiller , «lm Namen Jesu» , Gottingen 1903 , 74-76 intende la traduzione «durch den Namen» come «durch Nennung, Aus-oder Anrufung des Namens» , vedendo coordinati il mo­ mento oggettivo (en t6-i pneumati) e quello soggettivo. 184 ScHRAGE, Der erste Brief, 433 parla di «cesura», espressa letterariamente dall'imperfetto «eravate» e dal triplice «ma» .

lCor

6 , 12-20

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lo stes so tempo , la fiducia per il futuro e la responsabilità per il presente , perché questo non sia risucchiato dal ritorno del lontano passato di perdizione . In bre­ ve , la grazia responsabilizza.

4. SESSO E PERSONA (6, 1 2-20) 12 «Tutto mi è permesso» , ma non tutto è vantaggioso . «Tutto mi è permes­ so» , ma non sarà che io sia dominato da alcunché . 13 «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi, e Dio distruggerà e questo e quelli»; il corpo invece non è per l'immoralità , bensì per il Signore , e il Si­ gnore per il corpo , 14 e Dio ha risuscitato il Signore e risusciterà 185 noi mediante la sua potenza. 15 Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Strappando dunque 186 le membra di Cristo ne farò membra di prostituta? Non sia mai ! 16 0187 non sapete che chi si unisce alla prostituta è (con lei) un solo corpo? In­ fatti saranno , dice (Dio) , i due una sola carne . 17 Chi invece si unisce al Signore è (con lui) un solo spirito . 18 Fuggite l'immoralità sessuale . Qualsiasi peccato che una persona commetta è estraneo al corpo ; invece chi ha rapporto con una prostituta pecca contro il proprio corpo . 19 O non sapete che il vostro corpo188 è tempio dello Spirito santo presente in voi , che avete da Dio , e che non appartenete a voi stessi? 20 Siete stati infatti comprati in moneta sonante. Glorificate quindi189 Dio nel vostro corpo . 190 Cf. BAILEY K. , «Paul's Theological Foundation for Human Sexuality: ICor 6: 9-20 in Light of Rhetorical Criticism» , in ThRev 3(1980) , 27-41 ; BATEY R . , «The Mia Sarx Union of Christ and the Church» , in NTS 13(1966/1967) , 270281 ; BAUER K . A . , Leiblichkeit. Das Ende aller Werke Gottes. Die Bedeutung der

185 Le varianti del verbo all'aoristo e al presente , pur avvalorate da importanti mss . , si dimo­ strano secondarie: l'aoristo ripete la forma verbale precedente , il pre.sente dipende da un errore gra­ fico. Il futuro s'impone stante il parallelismo antitetico con il katargèsei del v. 1 3 . Così Metzger. 186 Alcuni mss. invece del participio attestano la particella ara ( «Or dunque» ) , ma è una lezione secondaria. La formula ara oun , frequente in Rm , potrebbe aver influito sui copisti. Ma un'altra possibilità è che questi abbiano deliberatamente evitato la crudezza del dire di Paolo. 187 Molti e importanti mss . l'omettono ; il testo è qui dubbio , come rileva l'edizione di Nestle­ Aland. 188 Il plurale di diversi mss. si può spiegare come tentativo di uniformarsi alla formula del v. 15: «Non sapete che i vostri corpi». 189 Duplice variante della particella de: «perciò I ara ge» ; «dunque I ow1». Aggiunta di «e porta­ te» come risultato di un'errata trascrizione della particella arage con arate. Altre varianti minori in Metz�er. 1' 0 L'aggiunta «e nel vostro spirito, che sono di Dio» è secondaria perché «lectio longior» deri­ vata dall'intenzione di allargare il campo antropologico della glorificazione . Doveva essere difficile, per copisti di tendenza spiritualistica , comprendere la restrizione paolina .

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Commento

Leiblichkeit des Menschen bei Paulus , G i.i tersloh 197 1 , 72-82 ; BoF G . , «11 soma quale principio della se s sualità» , in BibOr 19(1977) , 69-76; B u R KI L L T . A . , «Two into One: The Notion of Carnai Union in M ar k 10: 8 ; l Cor 6: 1 6 ; Eph 5 : 3 » , in ZNW 62( 1 97 1 ) , 1 15- 120 ; B Y RNE B . , «Sinning against One's Own Body: Paul's Understanding of the Sexual Relationship in l Corinthians 6: 1 8 » , in CBQ 45 (1983) , 608-616; DAUTZENBERG G . , «Pheugete ten porneian ( l Kor 6 , 1 8) : E i ne Fallstudie zur paulinischen Sexualethik in ihrem Verhaltnis zur Sexualethik des Fri.ihj udentums» , in Neus Testament und Ethik (FS R. Schnackenburg) , Freib urg 1989, 27-298 ; G DTTGEMANNS E . , Der leidende Apostel und sein Herr, Neukir­ chen-Vluyn 1966, 226-240 ; Gu N D RY R . H . , Sòma in Biblica/ Theology , Cambrid­ ge 1976, 5 1 -80 ; KA.SEMANN E . , « l Kor 6 , 1 2-20» , in Ex egetische Versuche und Be­ sinnungen , I , G ò t t ingen 1965 , 276-279 ; KEMPTHORNE R. , «Incest and the Body of Christ. A Study of l Cor 6 . 12-20 » , in NTS 14( 1 976s) , 568-574 ; MALHERBE A . J . , «Me genoito in the Diatribe and Paul » , in HTR 73(1 980) , 23 1-240 ; MILLER J . I . , «A Fresh Look at I Corinthians 6 . 1 6s » , in NTS 27(198 1 ) , 125-127 ; MuRPHY­ O ' Co NNOR J . , «Slogans = Corinthian Slogans in 1 Cor 6: 12-20», in CBQ 40 (1978) , 39 1-396 ; PORTER S . E . , «How Should kollomenos in l Cor 6 , 16. 17 Be Translated?», in ETL 67( 1 991) , 105-106 ; SCHMITHALS , Die Gnosis in Korinth , 194-201 ; ScHNELLE U . , « l Kor 6 : 14 - Eine n achp a ulini sche Glosse», in NT 25 ( 1983 ) , 217-2 1 9 ; ZIESLER J . A . , « Soma in the Septuagint» , in NT 25(1983) , 133145 . I vv . 1 2- 1 4 formano una coesa unità letteraria costruita sul binario d i afori­ smi , gl i uni dei corinzi e gli altri di Paolo . Si tratta di assiomi non giustapposti , ma contrapposti , in quanto l'apostolo oppone i s uoi a quelli d egli interlocutori.

Il testo presenta di fatto una dialettica di punti di vista. In concreto due so n o i principi dei corinzi : «Tutto mi è permesso» ; «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi, e Dio distruggerà e questo e quelli»; 191 ma poiché il primo viene ripe ­ tuto formalmente abbiamo tre formule assiomatiche. Parimenti tre sono , dal punto di vista formale e contenutistico , le affermazioni contrapposte di Paolo: «ma non tutto è vantaggioso» ; «ma non sarà che io sia dominato da alcunché>> ; «invece i l corpo n o n è per l'immoralità, bensì per il Signore , e i l Signore per il corpo , e Dio ha risuscitato il Signore e risusciterà noi mediante la sua potenza». Abbiamo dunque uno schema ternario retto dal principio dialettico : «Voi dite», «ma io dico» : A B C con ciascuno di questi s u ddiviso in a b . L a seconda unità letteraria è costituita dai vv . 15-17, strutturati i n due bra­ ni paralleli che iniziano parimenti con la formula tip i ca della diatriba stoica

191 Vastissimo è il consenso che il v. 12 riporti uno slogan degli interlocutori di Paolo . Anche la prima parte del secondo principio è ritenuta tale da molti. Infine lo studio di Murphy-O'Connor ha dimostrato, sulla base del parallelismo con il periodo seguente (cf. vv. 13b-14) , che il secondo slogan si estende a «e Dio distruggerà e questo e quelli » , cui Paolo contrappone : «e Dio ha risuscitato il Si­ gnore e risusciterà noi mediante la sua potenza» (cf. in particolare l'antitesi «distruggerà I risuscite­ rà»).

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«Non sapete?» (v . 1 5 ) I «0 non sapete?» (v . 1 6) e che presentano l'argomenta­ zione dell'apostolo a favore del suo terzo aforisma circa la destinazione del corpo . Egli procede richiamando prima l'attenzione degli interlocutori su dati noti seppure disattesi (vv . 1 5 a e 16a) , quindi deducendo la falsità della loro po­ sizione e, insieme, l'esattezza della sua (vv . 1 5 ,bc; 1 6bc) . Uno schema paralle­ lo binario : A B A B . La terza unità inizia con u n imperativo : «Fuggite l'immoralità sessuale» (v . 1 8a) e termina con un altro imperativo : «Glorificate quindi Dio nel vostro cor­ po» (v . 20 b ) . Nella parte centrale ricorrono altri argomenti contro la porneia e , nello stesso tempo , a sostegno d e l terzo aforisma paolino (vv . 1 8 b , 19a, 19b-20a) . Abbiamo così uno schema formale chiastico : A B A. vv . 12-14 La pericope è priva d'introduzione, ma non per questo si deve rite­ nere sganciata dall'unità della grande sezione dei cc . 5-6. Il testo riprende il te­ ma della porneia (cf. 5 , 1-13) sotto nuova luce : «Se nel brano precedente il di­ scorso era legato a una situazione singola, cioè al caso dell'incestuoso , ora il con­ fronto tra Paolo e la sua comunità avviene a livello di principi . Si assiste a un di­ spiegamento conce ttuale e di profonde motivazioni dall'una e dall 'altra parte . Sì, perché Paolo riporta anche le tesi dei suoi interlocutori e le loro giustificazio­ ni teoriche, come si vedrà. Sbaglierebbe però completamente tipo di approccio interpretativo chi pensasse che il brano offra una discussione astratta , senza ag­ gancio alcuno con la realtà concreta . In realtà , sullo sfondo emerge con chiarez­ za una determinata prassi della chiesa corinzia . Solo che non si tratta di compor­ tamenti occasionali o irriflessi . Al contrario, l'apostolo si trova ad affrontare un modo di agire teoreticamente fondato , una prassi fortemente motivata sul piano del pensiero» (Barbaglio, «Alla comunità» , 324) . Per questo più che condannare un comportamento , come i n 5 , l ss, egli discute un'«ideologia» , e ciò spiega l'in­ tenso impegno profuso nell'argomentare contro la tesi degli interlocutori . 192 Naturalmente chi scrive è stato messo al corrente via orale o per iscritto ; ri­ porta infatti precisi slogans dei libertari di Corinto . Per questo non c'è assoluto bisogno di un «incipit» che menzioni , come in 5 , 1 , l'informazione ricevuta . Egli presuppone quanto capita nella chiesa corinzia, cioè manifestazioni di porneia , e punta il suo interesse sulle giustificazioni teoretiche . v. 12 La prima poggia sullo slogan : «Tutto mi è permesso (exestin)» . Qui ri­ petuto lo si cita anche , sempre due volte, in 1 0 ,23 , però privo del pronome per­ sonale. Vi si esprimono illimitata possibilità di agire senza remore morali e asso­ luta libertà di muoversi senza sbarramenti di divieti etici . 193 Esso afferma un rap­ porto stretto tra il neutro panta e il pronome personale moi: tutte le cose sono

192 Senft vi scorge cinque prove ( 1 2 ; 1 3-4; 15-17; 18; 19-20) , in realtà c'è un'unica complessa ar­ gomentazione . 193 Exestin significa anche «è possibile», ma nel nostro testo indica ciò «a c ui non si frappongo­ no principi o norme superiori» (W. Forster in GLNT III, 627 ) . E CoNZELMANN , Der erste Brief, 1 3 1 afferma: «Dei due significati d i exestin "è possibile" e "è permesso" solo i l secondo entra q u i i n que­ stione».

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disponibili per il soggetto , l'individuo ha il diritto di volgersi operativamente a tutto . Era sbandierato per giustificare i rapporti sessuali con prostitute e anche , come emerge dal c. 10, il cibarsi di carni immolate agli dèi (idolotiti) . La libertà rivendicata concerneva dunque azioni corporee , ed è in questo preciso ambito che vale la totalità: tutte le azioni umane che impegnano corporalmente il sog­ getto entrano di diritto nel campo dell'agibilità morale dell'io . Anche se non nella sua precisa formulazione, l'aforisma presenta precisi p a" ralleli nella filosofia del tempo , dove ricorrono le espressioni «potere su tutto I exousia panton» , «potere che tutto può I pante/es exousia» (cf. Dupont, Gnosis, 298-308) . Ci basti riportare un passo di Dione Crisostomo che , partendo dal concetto di libertà illimitata: «Chi può fare ciò che vuole (exestin ho bouletai) è libero , chi non lo può è schiavo» , arriva a propugnare una libertà che evita quan­ to è illecito: «è permesso (exestin) fare ciò che è giusto , vantaggioso (symphe­ ronta) e buono»; ed è questa la libertà del sapiente nel quale tutto ciò che si vuo­ le si identifica con tutto ciò che è lecito: «è ai sapienti che è permesso (exestin) di fare ciò che vogliono» (Or. 64 , 1 3-17) . Dupont commenta molto opportunamen­ te a proposito dell 'exousia (potere di fare tutto) negli stoici: «Da "licenza" di­ venta "liceità"» . 1 94 Ma se si può tracciare «una preistoria stoica» di questo principio (così Con­ zelmann , Der erste Brief, 131) , nella chiesa corinzia esso doveva risuonare con accenti peculiari , essendo coniugato con l'esperienza cristiana. Si è ipotizzato che all'origine ci fosse lo stesso Paolo mosso da entusiasmo spirituale - e si men­ zion a per es . 3 ,22: «Tutto è vostro» (così per es. Conzelmann) -, il quale si ve­ drebbe ora rivolgere contro un suo assioma, oppure da polemica antigiudaistica (cf. Weiss) . 1 95 Tali posizion i in realtà presuppongono che lo slogan rispecchi , al­ meno in parte , il pensiero paolino e che nella risposta egli intenda soltanto limi­ tarlo . 1 96 Ma così non è, come risulta dalla struttura indicata e, ancor meglio , dal­ la lettura del testo . È preferibile congetturare che siano stati i corinzi a crearlo sotto il duplice i nflusso della filosofia stoica , a cui sembra risalire materialmente l'aforisma, e di un'interpretazione peculiare del messaggio e dell'esperienza cri­ stiani . A questo punto però le opinioni si dividono: dietro all'assioma c'è un pensiero gnostico o almeno un orientamento pregnostico , 197 oppure una forma 194 DuPONT, Gnosis, 300. Dupont riporta anche il seguente testo di Filone: «Chi fa tutte le cose secondo la ragione (phronimos) fa bene tutte le cose . Chi fa bene tutte le cose fa tutte le cose corret­ tamente . Chi fa tutte le cose correttamente , le fa irreprensibilmente . . . , di modo che avrà il potere di compiere qualsiasi cosa e di vivere come vuole (hoste exousia schesei panta dran kai zen h6s boule­ tai) . Chi ha questo potere (ho-i de taut'exestin) deve essere libero . Ora l'uomo onesto fa tutte le cose secondo la ragione: egli solo dunque è libero. Infatti , chi non può essere né costretto né contraddet­ to non può essere schiavo . Ora l'uomo virtuoso non può essere costretto né impedito: non è dunque schiavo» (Quod omnis vir probitç liber sit 59-60) . 195 Cf. HuRD , The Origin , 123. 1 9 6 Infatti Conzelmann ritiene che Paolo riconosca il detto ponendo due limitazioni. 1 9 7 Così Weiss e soprattutto ScHMITHALS , GnosÌ!J· in Korinth , 195-1 97: teoreticamente è possibile un i nflusso cinico , ma nel contesto di Corinto entra in questione solo la tendenza gnostica ; soma in­ sieme con koilia è caduco . In breve , si tratta di un libertinismo di tipo gnostico fondato sulla caducità della sostanza della carne. Più sfumati Barrett e Conzelmann .

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di entusiasmo escatologico suscitato dalla persuasione di essere degli arrivati , documentata , si ritiene , in 4,8ss , 198 o ancora una prospettiva spiritualistica che ritiene indifferente la sfera materiale e corporea dell'uomo?199 Le ultime due congetture invero , lungi dall'escludersi , si completano e possono offrire , si pen­ sa, un quadro plausibile di ciò che si muoveva nella chiesa di Corinto . Nel nostro contesto però l'ispirazione sembra venire da tendenze spiritualistiche svalutanti la dimensione corporea e materiale dell'uomo. Non doveva essere comunque tutta la comunità a innalzare lo slogan , ma so­ lo un settore . Essa era divisa in «gruppuscoli» ( 1 lOss ) composta in maggioran­ za da persone prive di formazione intellettuale , peso sociale e nobiltà di origine e da una minoranza che sola poteva vantare tali titoli di prestigio (l , 26ss ) scissa in «forti» e «deboli» (cc. 8-10) , 200 i primi orgogliosi della loro libertà interiore di fronte agli idolotiti («Tutto è permesso» : 10,23 ) , i secondi vittime di scrupoli pa­ ralizzanti. L'identità dello slogan fa pensare che i libertari in campo sessuale e i «forti» in ambito religioso-sociale siano lo stesso gruppo . Tanto più che il secon­ do assioma di 6 , 13 riguarda direttamente una questione di cibi . Paolo vi oppone i suoi due aforismi : «ma non tutto è vantaggioso I symphe­ rei» ; «ma non sarà che io sia dominato I exousiasthesomai da alcunché» . Molto spesso si sono letti non come rifiuto della tesi degli interlocutori , bensì come ac­ cettazione condizionata , limitante .201 Ma la prima risposta intende sostituire al principio della illimitata libertà interiore di agire all'esterno quello del vantag­ gio . Anche questa è una categoria stoica , 202 che ricorre non poche volte nelle let­ tere paoline , non esclusa la forma to symphoron . Prospettando ai corinzi la scel­ ta celibataria l'apostolo precisa: «Questo però lo dico per il vostro vantaggio (pros to hym6n aut6n symphoron)» (7 ,35 ) . Più oltre confessa di cercare , nel ser­ vizio al vangelo , non il proprio vantaggio (to emautou symphoron), ma quello di molti (10,33) . Non diverso è lo scopo dei carismi , dati dallo Spirito pros to sym­ pheron, perché portino vantaggio ( 1 2 ,7) . Si aggiungano due passi della 2Cor: la colletta è per i corinzi qualcosa di vantaggioso (touto hymin sympherei) (8, 10) ; vantarsi davanti ai corinzi è necessario , anche se non vantaggioso (ou symphe,

,

,

198 Kasemann attribuisce agli entusiasti di Corinto un'escatologia realizzata, cui Paolo oppor­ rebbe la riserva escatologica ( «�ul tema dell'apocalittica cristiana primitiva» , in Saggi esegetici, Ge­ nova, Marietti 1985 , 106-132). E stato criticato , non senza ragione , da D . J . DouGHTY , «The Presen­ ce and Future of Salvation in Corinth», in ZNW 66(1975), 61 -90. 199 Cf. G. S EL LI N , Der Streit um die A uferstehung der Toten , Gottingen 1986. 200 Se la qualifica di «debole» appare esplicita (cf. 8,9. 10 ; 9,22; anche 8,7. 12) , quella di «forte» è attestata verbalmente solo nella sezione parallela di Rm 14- 1 5 (vedi 1 5 , 1 : dynatoi opposti a adyna­ toi) , gerò qui è presente la sua sostanza . 2 1 Si è detto già di Conzelmann ; si aggiungano Senft , che precisa: «Ma limite non è restrizio­ ne» ; Weiss : con «non tutto» Paolo vuole limitare la libertà rivendicata; BARRETI', La prima lettera , 184: «approvazione qualificata delle parole in sé, ma non delle conclusioni che ne vengono tratte». 202 Oltre il passo citato di Diane Crisostomo vedi Epitteto: «il bene è vantaggioso (to agathon sympheron)» ( 1 ,22 , l ) ; «dove infatti (esiste) ciò che è vantaggioso (to sympheron) , ivi anche ciò che è pio (to eusebes)» (l ,31 ,4) . Da parte sua Marco Aurelio dichiara che «è meglio ciò che è vantaggioso (kreitton to sympheron)» (3 ,6) . Vedi il commento di Weiss ricco di riferimenti .

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ron) (12, 1 ) . Comunque il passo parallelo più prossimo appare 10,33 , in cui la medesima risposta allo stesso slogan è doppiata da una seconda perfettame nte parallela: «ma non tutto è costruttivo I oikodomei» . Si è perciò creduto di scor­ gervi un'esigenza di solidarietà in opposizione all'individualismo dei corinzi . In­ fatti se sympherei è specificato da oikodomei, l'agire in modo vantaggioso ha co­ me beneficiaria la comunità, costruzione in continua crescita fino al compimento finale . 203 Ma questa lettura (cf. per es. Conzelmann) non appare congrua al no­ stro passo , dove è assente ogni contrapposizione tra individuo e comunità. Paolo resta sullo stesso piano individuale degli interlocutori: principio guida deve esse­ re quello del vantaggio della persona, si suppone un vantaggio spirituale . La conferma ci viene dalla seconda risposta allo stesso slogan , nella quale è accen­ tuato il pronome personale : «ma non sarà che io (ego) sia dominato da alcun­ ché». zo4 Se in prima battuta l'apostolo ha contrapposto il principio del vantaggio spi­ rituale a quello di un esercizio sterile o addirittura svantaggioso della libertà, nella seconda le sue parole ripetono , sia pure in forma negativa, lo slogan dei co­ rinzi . Ecco a confronto i due assiomi: libertà del soggetto verso tutte le cose I nessuna schiavitù205 del soggetto dalle cose . In realtà non manca l'avversativa de, che «vuole evidenziare il pericolo d 'inganno insito nella loro rivendicazione. La pretesa libertà nei confronti di tutto infatti può degenerare in schiavitù e sud­ ditanza verso questa o quella realtà di cui ci si vanta di poter indiscriminatamen­ te disporre . Paolo valuta in modo realistico il rapporto della persona con il mon­ do ; ed evidenzia che esso non è a senso unico . Il nostro io può dominare il mon­ do, ma anche esserne dominato . Da libero , l'uso rischia sempre di diventare schiavistico» (Barbaglio , «Alla comunità» , 327) . L'apostolo non critica Io slogan in se stesso , bensì l'uso che se ne fa nella chiesa corinzia a legittimazione dei rap­ porti sessuali con le prostitute , dimostrandosi interessato non ai grandi principi teorici , bensì alla loro applicazione concreta . v. 13 Il secondo slogan dei corinzi mostra, anzitutto , la mutua destinazione di cibi e ventre : quelli vanno a finire in questo (cf. Mc 7 , 19) che , a sua volta, esi­ ste in funzione di quelli . In breve , il mangiare si riduce a un processo organico ; non incide sulla persona , per la quale risulta indifferente consumare questo o quello . Nella seconda parte dell'assioma la svalutazione continua : cibi e ventre parimenti sono destinati alla distruzione . 206 In altre parole non entreranno a far

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Sull'immagine dell'oikodome e sulla sua valenza vedi più avanti l'esegesi del c. 8. Riferire questo pronome alle persone e tradurre «da alcuno», con riferimento implicito alla prostituta, vuol dire misconoscere l'evidente antitesi tra «tutto I panta» e «alcunché I tinos». Il rap­ porto è sempre di cosa a persona. 205 Il verbo exousiazein significa per sé «esercitare potere su» , ma un dominio indebito è sempre dispotismo e schiavismo . 206 Il verbo katargein significa anche «ridurre all'inattività» , ma evidentemente solo a proposito di grandezze «attive». 204

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p arte del futuro della persona , liberata d a questo cascame materiale . L'azione finale di Dio salvatore dei credenti vi metterà fine. I due aspetti comunque sono connessi: proprio perché tutto, cibo e organo digerente , si riduce a un processo fisiologico e non intacca l'io dell'uomo , non è fattore della sua salvezza . L'applicazione al problema degli idolotiti sembra manifesta ed è del tutto proba bile che «i forti» di Corinto se ne fossero serviti per giustificare il loro com­ portamento: non fa differenza cibarsi delle carni immolate agli dèi cittadini o di altro . Ma Paolo lo cita qui e non nella sezione dei cc. 8-10; doveva essere usato quale argomento «a pari» per legittimare la frequentazione di prostitute . «Come è indifferente per la persona mangiare qualsiasi cibo , allo stesso modo è indiffe­ rente qualsiasi uso del sesso . Vi si tradisce una chiara equiparazione tra sesso e cibo e una riduzione massimalistica di quello a semplice cosa . Il rapporto sessua­ le non è qualitativamente diverso dalla consumazione di un alimento . La perso­ na ne resta al di fuori e al di sopra . Con tale concezione cosistica del sesso non si può negare che i corinzi siano stati coerenti nel proclamare a voce e nel praticare a fatti una sessualità selvaggia» (Barbaglio , «Alla comunità» , 328) . D'altra parte nella sua risposta Paolo si oppone non allo slogan in se stesso, bensì al suo uso a favore della porneia : «Il corpo invece non è per l'immoralità , bensì per il Signore , e il Signore per il corpo , e Dio ha risuscitato il Signore e ri­ susciterà noi mediante la sua potenza» . Dietro alle sue parole s'intravvede il ra­ gionamento degli interlocutori: il ventre sta ai cibi come il corpo al sesso , dove koilia e soma dovevano essere sinonimi e significare la parte materiale dell'uo­ mo . L'apostolo non valuta qui la prima equivalenza, non gli interessa ; si con­ trappone invece frontalmente alla parità delle due equivalenze . Ma per la validi­ tà del suo «nego paritatem» si richiede che soma non equivalga a koilia. Il soma è per il Signore Gesi:1 . La profonda diversità con koilia risalta dalla loro diversa destinazione , organica questa e personale quella. 207 È dunque falso che «il cor­ po» sia per un uso qualunque del sesso , quindi per la porneia I immoralità. Ma non viene addotto alcun motivo a sostegno dell'affermazione che «il cor­ po» trova nel Signore lo scopo del suo essere , uno scopo che non tollera quello della porneia . Quale ragione nascosta sta dietro? Due mi sembrano i riferimenti . Anzitutto l'asserto: «il corpo è208 per il Signore» viene chiarito da quello correla­ tivo: «il Signore è per il corpo» , che indebitamente Murphy-O'Connor pensa di liquidare come affermazione non impegnativa, unicamente funzionale a costrui­ re un parallelismo simmetrico con lo slogan dei corinzi: i cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi. Un'affermazione cristologica ridotta a riempitivo di uno sche­ ma letterario! In realtà l'apostolo sottintende l'evento soterico con il Signore nelle vesti di protagonista e «il corpo» in quelle di beneficiario . 209 Cristo è morto 207 Errata per questo ci sembra l'interpretazione di Gundry , secondo cui anche per Paolo koi/ia e soma si equivalgono in pratica ; solo che , a differenza dei corinzi , l'apostolo sottolinea come la fisi­ cità dell'uomo appartenga a Cristo e alla sfera salvifica. 2118 Il verbo è sottinteso nel testo greco . 209 Dice ottimamente BoF, «Il soma» , 74: «La correlazione tra soma e Kyrios diventa compren­ sibile solo se in essa riconosciamo espressa l'intenzione fondamentale della storia della salvezza : il Kyrios muore e risorge per la salvezza dell'uomo che si compirà nella risurrezione».

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e risorto perché noi, riscattati dal presente eone malvagio (Gal 1 ,4) , a lui appar­ tenessimo . Si è prodotto un passaggio: egli è ormai il nostro Signore ; noi ci defi­ niamo in rapporto a lui . Qualcosa di simile possiamo leggere in 3 ,22-23 : «Tutto è vostro , ma voi siete di Cristo» ; ma il passo più vicino al nostro è senz'altro Rm 14,8: «Se noi viviamo , viviamo per il Signore (t6-i Kyrio-i) , se poi moriamo , mo­ riamo per il Signore (to-i Kyrio-i) ; dunque sia che viviamo sia che moriamo , sia­ mo del Signore (tou Kyriou)» . Si noti l'equiparazione delle due formule : «vivere per il Signore» e «essere del Signore» . La categoria soggiacente è quella dell'ap­ partenenza, come anche dirà il seguito del brano . Rispetto ad altri testi paolini l'originalità di 6, 13b sta nel fatto che soma sostituisce il pronome personale , e questo comporta un nuovo accento : «la salvezza operata dalla sua < del Signo­ re > dedizione alle nostre persone riguarda non le nostre anime belle , ma l'inte­ rezza del nostro essere , in particolare la nostra dimensione di soggetti mondani che si realizzano nella loro costitutiva relazionalità alle cose , agli altri , a Dio» (Barbaglio , «Alla comunità» , 330) . Il secondo punto di riferimento per capire l'assioma del v . 1 3b è lo sviluppo dell'argomentazione in cui ricorrono affermazioni analoghe : «i vostri corpi sono membra di Cristo» , fanno parte di lui ; c'è unione profonda con il Signore (v. 17) ; ma si vedano anche queste altre: «il vostro corpo è tempio dello Spirito san­ to» ; «Siete stati infatti comprati in moneta sonante» . Tutto questo c i permette , oltre tutto , d i definire i l significato d i «corpo» . Lo scambio con il pronome personale «noi» (v . 14) e «Voi» (vv. 1 5 . 1 9 . 20) dice che si tratta dell'uomo stesso , non di una sua parte ; 2 10 ma non è tutto: soma , concetto chiave nel nostro brano, indica la persona vista nella sua relazionalità religiosa e sessuale , diremmo la prima di tipo verticale con il Signore (e con lo Spirito e con Dio : vv. 1 9-20) e la seconda di carattere orizzontale con gli altri che si traduce nell'incontro sessuale, dunque con una connotazione di fisicità . 2 1 1 v . 1 4 Sempre i n opposizione allo slogan dei corinzi Paolo continua eviden­ ziando la sorte ultima del «corpo» : «e Dio ha risuscitato il Signore e risusciterà noi mediante la sua potenza» ; al futuro katargesei I «distruggerà» fa da contralta­ re il futuro exegerei I «risusciterà» . 2 1 2 Ma il testo solleva qualche interrogativo. Primo , il beneficiario dell'azione risuscitatrice è «noi » , mentre ci saremmo aspettati «il corpo» , non solo perché di questo si tratta nel confronto con i corin­ zi , ma anche per il fatto che nella teologia della risurrezione dei credenti al c. 15

210 Pe r questo ha ben detto Bultmann che l'uomo p e r Paolo non ha un corpo ma è un corpo ( Theo/ogie, 1 95) . 211 Per questo non sembra esatta l interp re t azione di Gundry che attribuisce a Paolo una conce­ zione dell'uomo come composto di parti , materiale o corporea e spirituale . Però lo studioso ha avuto il merito di mettere in luce l'inadeguatezza dell'uso della categoria moderna di personalità (cf. Weiss) , sganci a t a dalla mondanità, come si rivela in B ultmann . 212 Anche per motivi di struttura si deve escludere la variante del presente, benché attestata da non pochi e non trascurabili mss . La forma composta del verbo appare ancora solo in Rm 9,17 che però è una citazione vt e non si riferisce alla «risurrezione». '

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punto nodale è appunto i l corpo . Secondo , c i s i domanda a che scopo introdurre l'evento della passata risurrezione del Signore , per di più semplicemente coordi­ nata con la risurrezione dei credenti , mentre al c. 15 il rapporto è di dipendenza di questa da quella. Perciò si è ipotizzato una glossa postpaolina.2 1 3 Ma mi sem­ bra una conclusione affrettata; in realtà il v. 14 s'inserisce ottimamente nella struttura indicata sopra, anzi ne è esigito dal parallelismo antitetico con «di­ struggerà» . D'altra parte non mancano congrue risposte agli interrogativi sud­ detti. Paolo può passare da «il corpo» al pronome personale per la pregnanza di significato del sostantivo che indica tutto l'uomo e non una sua parte (cf. Rm 6, 12s) e forse qui il «noi» è stato preferito per creare un perfetto parallelo con «il Signore». La menzione della risurrezione di Cristo poi serve a fondare la pro­ spettiva della risurrezione dei credenti. Senza dire che la coordinazione delle due appare attestata anche in 2Cor 4,14 e Rm 8 , 1 1 e ciò non impedisce che l'una sia subordinata all'altra . In conclusione , il pensiero paolino presenta una sua precisa coerenza: il corpo appartiene al presente al Signore ; questi è stato risu­ scitato ; anche il corpo dei credenti avrà la stessa sorte . Alla base del ragiona­ mento del v. 14 sta il vincolo di attuale solidarietà del «corpo» con il Signore, per il quale esiste e del quale è. L'intervento potente2 1 4 di Dio a favore di Gesù è ga­ ranzia per il futuro di risurrezione del corpo a lui appartenente . vv. 15-17 Passando dall'enunciazione dei principi ad argomentarli Paolo s'impegna a dimostrare , in due momenti complementari , il suo aforisma circa il corpo fatto non per l'immoralità bensì per il Signore . Il discorso è diretto ai let­ tori , interpellati con domande retoriche , traendo da dati risaputi conclusioni inoppugnabili attinenti al punto in discussione . v. 15 La prima: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?» L'immagine delle membra organiche , applicata alla realtà cristiana, era già nel bagaglio teologico degli interlocutori per merito dello stesso apostolo , l'unico tra gli autori del NT a presentarla. Essa ritorna , ma diversamente sviluppata, nel c. 1 2 , dove illustra l'organicità della comunità cristiana , corpo o organismo dalle molte membra . Qui invece si parla dei credenti , visti nella loro somaticità , come membra di Cristo , implicitamente presentato quale organismo in cui le diverse membra s'inseriscono . Un passo in parte parallelo è 12 ,27 : «voi siete corpo di Cristo e membra ciascuno per la sua parte» (cf. Ef 5 ,30) . La peculiarità del no­ stro passo consiste nel fatto che l'immagine del corpo organico con molte mem­ bra è solo implicita e si applica al Signore . In realtà , vi si parla di corpi che sono membra; il sostantivo «corpo» funziona qui come categoria antropologica e per-

21 3 C� sl Schnelle che fa leva anche sul fatto che nel c. 15 a risuscitare sarà il soma pneumatikon non a uello psychikon . 2f4 La potenza divina (dynamis ) all'opera nella risurrezione di Gesù e dei suoi appare di nuovo in 2Cor 1 3 ,4.

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sonale , non organica e sociale , indicando gli stessi credenti che nella loro costi­ tutiva somaticità sono membra di Cristo . L'immagine delle membra esprime una profonda unione , riprendendo in sostanza l'affermazione che il corpo è per il Si­ gnore e gli appartiene. È però solo la premessa della prova, che raggiunge il suo punto di forza in un interrogativo provocatorio , espresso in prima persona e come conseguenza inammissibile del dato pacificamente ammesso : «Strappando dunque le membra di Cristo ne farò membra di prostituta? Non sia mai ! » . Dall'assurdità di detta conclusione 2 15 Paolo dimostra la falsità della posizione dei libertari di Corinto. Sono in errore perché c'è incompatibilità tra unione con Cristo e unione con la prostituta. Già lo prova l'immagine delle membra che tali non possono essere di due organismi diversi , ancor più la forza del participio «Strappando» : siccome i credenti sono membra di Cristo , diventano membra di una prostituta solo previa asportazione da lui. E proprio tale aspetto spiega l'inorridito mé genoito. v. 16 Tuttavia chiunque può vedere che l'argomento non è completo ; resta da dimostrare che nel rapporto sessuale con una prostituta se ne diventa mem­ bro , fuori metafora che le unioni con Cristo e con la prostituta sono dello stesso genere e antitetiche. Paolo non vi si sottrae , continuando il filo dell'argomenta­ zione al modo con cui l'aveva iniziato , dunque con un interrogativo retorico : «0 non sapete che chi si unisce (ho koll6menos) 2 1 6 alla prostituta è (con lei) un solo corpo?»217 Anche questa affermazione è presentata come nota agli interlocutori, messi al corrente , ancora una volta , dallo stesso Paolo , non però con una sua ri­ flessione teologica, bensì con la testimonianza di Gen 2 ,24 subito citata a prova: «Infatti saranno , dice (Dio) , 2 1 8 i due una sola carne» . 2 19 La domanda retorica di fatto riprende , variandola solo leggermente , l'immagine precedente «membra della prostituta» ; questa e chi si unisce a lei formano «UD solo corpo» . Figurati­ vamente vuol dire che costituiscono un solo corpo organico , cioè , fuori metafo-

215 Con la form ul a Me genoito Pao lo respinge come assurda una tesi contraria, ma nello stesso tempo introduce un motivo che l'esclude . L'analogia è solo co n Epi t te to non in generale con la dia­ t r iba stoica. Cf. lo studio di Malherbe . 216 Secondo Miller kollasthai significa qui adesione , non coito , e l ese ge t a trova una conferma in Rt 2,8.2 1 . Per Porter invece vi sottostà la metafora della subordinazione economica , per cui il verbo deve essere tradotto con «mettersi alle dipen de nze » della pro sti t ut a I del Signore ; e in prop o si to in· voca a suo sostegno Le 1 5 , 1 5 . In realtà sono tentativi che igno ra no il peso del contesto in cui ricorre il verbo. 21 7 L 'articolo dav a n ti a prostituta si spiega come espediente letterario per ri m a rc a re l'antitesi co n Cristo , i due poli personal i in concorrenza . Kempfthorne vi scorge un indizio che ci si riferisca a una determinata porne, alla matrigna del c. 5 . 218 p h esin , corrispondente al r a b b i n ico 'omer, come questo sottintende Dio o l a Scrittura. Per la documentazione rabbinica vedi Strack-Billerbeck III, 365s, invece per l'uso paolino lo s tudio di Korn , Die Schrift, l lss . 21 9 B atey mostra come il giudaismo ab b ia visto dietro all'unione «in una sola carne» la concezio­ ne dell'uomo originario and ro g in o , la cui unità viene ri c u pe ra t a appunto nel realizzarsi della mia sarx. ,

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ra , un 'unità stretta. Ed è detto in questi termini che l'asserto può essere dimo­ str ato «ex sacris scripturis» . Ma la citazione biblica riserva qualche sorpresa . Anzitutto Gen 2 ,24, citata do la versione dei LXX che al testo ebraico aggiunge «i due I hai dyo» , 220 si con se riferi sce all'unione sessuale matrimoniale;221 Paolo invece l'applica liberamente al rap porto sessuale con una prostituta . Ciò spiega che abbia tralasciato la prima parte del versetto : «Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua moglie» . Si nota poi che a «Corpo» viene fatto corrispondere «carne» : vuol dire che per l'apostolo si equivalgono, ambedue significativi della fisicità uma­ na ?222 Ma la spiegazione più probabile , anche visto il senso di persona incarnata di «corpo» , è un'altra. «Paolo vuole dimostrare che l'unione sessuale con la pro­ stituta fa dei due "un solo corpo" , ma sottintende "un solo corpo carnale" (v. 16a) . Infatti passa dal termine "corpo" , che gli era stato imposto dall'immagine delle membra e del corpo del v. 15, a quello di "carne" . Attribuisce così all'unio­ ne suddetta una valutazione negativa, cui può contrapporre l'unione , di segno positivo , con il Signore in "un solo spirito" (v . 16c) . < . . . > Per lui sarx e pneuma sono due dinamiche opposte della persona, l'una all'insegna dell'egocentrismo e l'altra espressiva di agape che è appunto "il frutto dello Spirito" (Gal 5 , 1626)» . 223 Non si obietti che in Geo 2,24 «carne» è categoria antropologica priva di qualsiasi valenza assiologica , perché è risaputo che Paolo si pennette libertà in­ sospettate quando interpreta le Scritture .224 Questa, tra le altre numerosissime, lo prova. Parimenti in lui la citazione scritturistica di regola non ha funzione pu­ ramente illustrativa ; nel nostro testo essa «serve da snodo del corso del suo pen­ siero teso a mostrare l'inconciliabilità tra l'una e l'altra unione: la prima "carna­ le" , la seconda "spirituale"» .225 v. 17 Con un'avversativa grammaticale (de) , soprattutto con un'antitesi te­ matica Paolo contrappone all'unione sessuale con la prostituta l'unione religiosa con Cristo : «Chi invece si unisce al Signore è (con lui) un solo spirito». Di nuovo ci si meraviglia che non abbia parlato di «un solo corpo» . Non aveva detto sopra che i credenti sono membra del Signore? Non aveva variato la formula «membra di una prostituta» con «è (con lei) un solo corpo»? In realtà in quest'ultima espressione aveva sottinteso «un solo corpo carnale» , come emerge dalla citazio­ ne probatoria di Geo 2 ,25 . Si spiega così la presente formula «un solo spirito» , che non significa un'unione di tipo spiritualistico in opposizione a quella somati-

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Anche kollasthai richiama proskollasthai dei LXX. Dautzcnberg ha mostrato che in tutta la tradizione giudaica Gen 2 ,24 è stato interpretato co­ me unione sessuale tra marito e moglie. 222 Così Gundry , ma anche CONZELMANN, Der erste Brief, 134: «s oma sarx». 223 G. B ARBAGLIO, «L'uso della Scrittura nel proto-Paolo» , in E. NoRELLI, a cura di, La Bibbia nell'antichità cristiana , EDB , Bologna 1993 , 83s . Sulla stessa linea interpretativa B arrett e Bof. 224 Cf. la ricerca di Koctt , Die Schrift, 102ss. 225 BARBAGLIO, «L'uso della Scrittura», 84. 22 1

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ca con la prostituta, bensì un'unione del «corpo» con il Signore realizzata sotto il segno dello Spirito, all'insegna del dinamismo dell'agape antitetico a quello del­ la «carne». Per questo le due unioni , che parimenti vedono impegnato il soma , cioè la persona nel suo versante estroflesso e incarnato , sono inconciliabili e si escludono l'una l'altra . In tale lettura poi si capisce che la suddetta contrapposizione non si estende all'unione sessuale di marito e moglie . In proposito non mancano esegeti che in­ vece criticano il ragionamento di Paolo come confuso e inconcludente secondo il principio della logica «qui nimis probat, nihil probat» e ritengono che egli finisca per dimostrare che l'unione sessuale degli sposi esclude la comunione con il Si­ gnore . Ma non vedono che ha di mira non l'unione sessuale in quanto tale, bensì quella con la prostituta : solo di questa dice che porta a «una sola carne» (con va­ lenza assiologica della presente categoria) . E se si vuole insistere dicendo che il testo genesiaco citato si riferisce all'unione matrimoniale , sottintendendo che non diverso deve essere il suo significato nel nostro passo, si ignora che l'aposto­ lo non si sente schiavo del senso originario e tradizionale del passo biblico, da lui interpretato alla luce delle esigenze della sua teologia . vv. 18-20 Paolo lascia per un momento le vesti di sottile ragionatore e veste quelle di pastore d'anime che sollecita i suoi interlocutori con un imperativo: «Fuggite l'immoralità sessuale» (v . 1 8a) . Dall'immoralità bisogna stare alla lar­ ga ; si è insinuata nella comunità corinzia, i credenti devono non solo evitarla ma anche allontanarsene ; già la sua vicinanza è pericolosa . 226 Ma subito ritorna ad avanzare argomenti finalizzati a dimostrare il suo assioma sul corpo del v . 13b e a motivare l'imperativo del v . 1 8a. In primo luogo afferma come il peccato della porneia , a differenza degli altri , colpisca il corpo : « Qualsiasi peccato che una persona commetta è estraneo al corpo ; invece chi si dà all'immoralità sessuale pecca contro il proprio corpo» (v . 18b) . Il secondo periodo offre qualche analo­ gia con la formula ebraica «peccare bagguf» , che vuol dire «peccare per sé solo» o anche «peccare con il corpo» , formula usata dal rabbinismo per indicare il pec­ cato di «prostituzione» (cf. Strack-Billerbeck III , 366s). Si è fatto riferimento anche a un testo di Musonio Rufo , secondo il quale chi si unisce alla cortigiana (ho te-i hetaira-i synon) a differenza dell'adultero non si comporta in modo in­ giusto (adikei) nei confronti di alcuno, essendo quella senza marito , ma fa ingiu­ stizia a se stesso (adikei hauton) (Hense , 65) . Ma si tratta di analogie generiche ; in realtà l'affermazione dell'apostolo si spiega nell'orizzonte della sua concezio­ ne antropologica del corpo . La seconda parte del versetto , su cui di certo cade l'accento , dice questo : chi si unisce sessualmente a una prostituta (ho porneuon) pecca contro227 il proprio corpo nel senso che esprime la propria relazionalità

226 La stessa esortazione è presente in TestRub 5 ,5 . L'immagine della fuga ( verbo pheugein) era usuale anche nella parenesi ; vedi testi citati da Conzelmann . 22 7 Gundry ritiene che si possa intendere il testo paolino così : «con il proprio corpo»; ma non mi sembra , data la particella greca eis. Più peregrina si rivela la lettura di Kempfthorne che riferisce al corpo che è Cristo la formula «il proprio corpo» .

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sessuale in maniera «carnale» , cioè egocentrica e strumentale . Il rapporto è in­ fatti privo di amore e di vera comunicazione interpersonale . 228 La struttura so­ matica dell'uomo subisce un processo degenerativo . D 'altra parte la tesi dell'e­ strane ità di ogni altro229 peccato al corpo , che è l'uomo , sembra puramente fun­ zionale : sottolineare per contrasto l'affermazione relativa.230 v. 19a La terza domanda retorica del brano introduce altri due argomenti contro la destinazione del corpo alla porneia . Il primo ne afferma , sempre come dato noto , lo stretto rapporto con lo Spirito : «0 non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo presente in voi , che avete da Dio . . . ? » . In 3 , 16 la stes­ sa cosa, sempre sotto forma di domanda retorica , era stata fatta del «voi» della comunità: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? » . Il nostro passo si presenta con rara densità espressiva, coagulando l'im­ magine del tempio I naos , la categoria della presenza («(essere) in») , il concetto di possesso I echein . La prima è attestata ancora solo nel passo succitato ; in quanto però include l'immagine più generica di abitazione (verbo oikein) , oltre che in 3 , 1 6 ricorre di nuovo in Rm 8, 9 . 1 1 (riferito ai singoli credenti e con i due verbi oikein e enoikein) . 23 1 La presenza dello Spirito nei credenti è tema diffuso nelle lettere paoline , espresso però non tanto con la formula «(essere) in» , usa­ tissima invece per indicare la presenza di Cristo , bensì mediante i verbi «riceve­ re» (Gal 3 ,2 . 1 4 ; Rm 8 , 1 5 ; cf. anche 1 Cor 2 , 1 1 ) e «avere» (Rm 8,9.23) . 232 Questi ultimi due passi esprimono anche il motivo del possesso , ma nel nostro testo la formula è «avere da» , equivalente a «ricevere» , che rimanda al correlativo dare I dounai di lTs 4,8 e 2Cor 1 ,22. 6,19 attesta una trasposizione dell'immagine templare su piano individua­ le ,233 ma con l'ulteriore determinazione che si tratta sempre del singolo credente visto nella sua somaticità, diremmo di spirito incarnato esistente a questo mon­ do . E in questa specificazione ciò che dice Paolo si differenzia dall'analogo moti­ vo ellenistico dell'anima casa di Dio o del demone divino . In Filone leggiamo : «Dunque adoprati, o anima, a diventare casa di Dio (theou oikos) , tempio santo (hieron hagion) , bellissima abitazione (endiaitema kalliston)» (De somniis 1 , 1 49) ; «Quale casa più degna infatti si può trovare in tutta la creazione per Dio se non un'anima perfettamente purificata» (De sobrietate 62) . Si può citare an-

228

Byrne.

229

setto .

Su questo aspetto comunicativo di corpo ha insistito , richiamandosi agli studi di Kasemann, L'aggettivo «altro» aggiunto al testo appare giustificato dalla seconda affermazione del ver­

230 Secondo Dautzenberg la spiegazione del versetto sta nel fatto che pomeia viene intesa come l'«abominandum simpliciter» , cioè campo demoniaco di potenza opposto al campo del Kyrios , cui appartiene di diritto il soma umano . Ma tale demonizzazione della porneia non mi sembra attestata nel nostro brano. 23 1 «Abitazione I oikodome di Dio» è definita la comunità di Corinto in 1 Cor 3,9. 232 Più frequentemente la presenza dello Spirito è sottintesa nelle affermazioni del suo agire nei credenti . 233 La formula «il vostro corpo» si deve intendere come «ciascun vostro corpo».

3 18

Commento

che Epitteto : «Dio è dentro (di voi) (endon) ed è il vostro "demone"» ( 1 ,14 , 14s) . Marco Aurelio parla di «il demone che ha preso dimora in te» (3,6) . 234 Per la tradizione giudaica si può citare un passo del Talmud babilonese: «Rabbi Eleazar (circa il 270) ha detto : Un uomo consideri sempre se stesso co­ me se il Santo abitasse nel suo corpo» (Ta'an . l l a) (Strack-Billerbeck III ,335). Ma questa credenza, espressa in un'immagine tradizionale , quale forza pro­ b atoria ha nel nostro contesto? Implicitamente, eppure non senza chiarezza, mostra che il corpo, tempio dello Spirito santo , non può essere destinato all'im­ moralità; equivarrebbe a profanarlo. L'inconciliabilità si basa qui sul motivo della santità del corpo , reso tale dalla presenza inabitante dello Spirito «san­ to» . 23s vv. 19b-20a Il secondo argomento addotto fa leva sulla categoria di apparte· nenza I possesso e, nello stesso tempo , sull'immagine della compera degli schia­ vi : «e (non sapete) che non appartenete a voi stessi? Siete stati infatti comprati in moneta sonante » . La prima proposizione nega che i credenti appartengano a se stessi (cf. Rm 14,7s) , e già questo invalida l'ideologia degli interlocutori che il corpo sia destinato all'immoralità: non possono disporre a piacimento di sé , fre­ quentando le prostitute . La seconda frase svolge un duplice ruolo . Anzitutto di­ mostra la fondatezza della prima: i credenti sono stati oggetto di una transazio­ ne ;2 36 è intervenuto un atto giuridicamente completo , con saldo del prezzo con­ venuto ; 2 37 ormai i corinzi hanno cambiato di padrone , non appartengono più a se stessi, m a a chi li ha acquistati , Dio , complemento d'agente sottinteso nella forma passiva del verbo e indicato nella frase imperativa seguente . Ancor più, l'asserzione dimostra l'errore dei libertari di Corinto che di fatto si sono eretti a «padroni» della loro somaticità, mentre questa appartiene a Dio. L'apostolo ha così variato il motivo dell'appartenenza dei «corpi» dei credenti , centrale in tutto il brano , passando dal referente primario, il Signore , allo Spiri· to e quindi a Dio . La prostituta non può essere inserita in questa rete di rapporti se non distruggendoli . È su tale base trinitaria che si fonda sia l'imperativo etico del v. 1 8a: «Fuggite l'unione con una prostituta» sia la critica al libertarismo di Corinto che viveva come insignificanti i rapporti sessuali con prostitute.

23 4

Questi e altri testi sono citati nel commentario di Weiss. Dautzenberg riporta alcuni testi giudaici molto significativi sulla forza profanatrice della prostituta . Filone spiega così la proibizione per i sacerdoti di contrarre matrimonio con una pro stitu­ ta di Lv 2 1 ,7: «Ma su una cortigiana (porne-i) impura di corpo e di anima (bebelo-i soma kai psy· chen), essa non gli permette neppure di gettarle gli occhi addosso» (Spec. /eg. 235

l , lOTh

Il verbo agorazein non si riferisce all'emancipazione sacrale ( versamento di denaro al tem· pio per la libertà dello schiavo ) , si tratta invece dell'immagine dell'acquisto di schiavi al mercato al fine di entrarne in possesso ( cf. anche l Cor 7 ,23) . Vedi F. Biichsel in GLNT I , 333ss e S. LYONNET, De peccato et redemptione , II: De vocabulario redemptionis, Rom !l e 1960 , 49ss . m Non «a caro prezzo», come traduce la Vg. : «pretio magno» . E inoltre del tutto fuori quadro un elemento per altro immancabile in un contratto di compra vendita : «a chi è stata versata la som· ma». Tutta l 'attenzione verte sull'«oggetto» della compera e sull'acquirente .

l Cor 6 , 1 2-20

319

20b In chiusura , strettamente collegato con il motivo della compera dei di v. 20a , abbiamo l'imperativo liturgico : «Glorificate quindi Dio nel enti cred corpo» . La glorificazione divina è tema tradizionale nelle scritture ebrai­ ro st vo ch e e cristiane ;238 l'originalità paolina è qui la formula «nel vostro corpo». Alcu­ ni trad ucono la particella greca en in senso strumentale : «Con il vostro corpo»,239 ma nella concezione paolina il corpo è la persona stessa , non qualcosa di cui qu esta si serva . Non è esclusa una valenza locale , il luogo da cui sale la dossolo­ gia , tanto più che appena prima è stata presentata l'immagine del tempio . Ma forse appare preferibile un significato generale : «nella dimensione del vostro corpo» . In ogni modo la liturgia dossologica coinvolge l'uomo inteso non come io interiore e spirituale , bensì nella sua somaticità o anche mondanità . Inoltre Paolo si riferisce a un culto dossologico non fatto di riti, bensì sostan­ ziato della stessa vita quotidiana: «un'esistenza estroflessa , intessuta di rapporti interpersonali di comunicazione profonda e sincera, animata da amore e dona­ zione costituisce il culto cristiano < > Non è dunque la chiusura nella propria anima , lontano dal frastuono della vita terrena , né il rientro nella cella interiore di se stessi l'ambito della lode di Dio. Luogo vivo di glorificazione è invece l'esi­ stenza umana nella sua mondanità. Un testo importante questo che Rm 1 2 , l confermerà completandolo e chiarendolo : "Vi esorto dunque , fratelli, in nome dei gesti di misericordia di Dio , a offrire i vostri corpi in dono sacrificale vivente , santo e gradito a Dio : è il vostro culto spirituale"» . 240 v.

. . .

238 Come imperativo dossologico ricorre solo qui nelle lettere paoline , invece diversi passi di queste esprimono la dossologia con il sostantivo corrispondente : «sia gloria» (cf. Rm 1 1 ,36; 16,27 ; Gal 1 ,5 ; Fil 4 ,20) . 239 Cf. Conzelmann, che però nel commento parla di «luogo e mezzo» ; parimenti Fee traduce «With your body» ma poi spiega il testo paolino vedendovi l'indicazione di un «casto tempio» in cui si rende onore a Dio . B arrett invece traduce «nel vostro corpo». 2�0 BARBAGLIO , «Alla comunità» , 334 . Circa questo passo di Rm vedi E . Ki\sEMANN , «li culto nella vita quotidiana del mondo . Rm 12», in Saggi esegetici, 146-152.

SEZIONE TERZA Sessualità per celibi e sposati (7 , 1 -40)

2 3 4 5 6 7

8 9

Quanto poi a ciò di cui avete scritto : 1 (È) bello per u n uomo non toccare donna; ma a motivo delle immoralità sessuali2 ciascuno abbia (sessualmente) la sua moglie e ciascuna abbia (sessualmente) il proprio marito . Il marito renda alla moglie il debito (coniugale) , 3 ugualmente però anche la moglie al marito . Non la moglie ha potere sul proprio corpo , bensì il marito; ugualmente però anche non il marito ha potere sul proprio corpo , bensì la moglie . Non defraudatevi a vicenda , se non forse4 di comune accordo, temporanea­ mente , per dedicarvi5 alla preghiera e per essere di nuovo insieme , 6 affinché Satana non vi tenti a motivo della vostra7 incontinenza. Questo però dico a modo di concessione , non di comando. Ma8 vorrei che tutti gli uomini fossero come anch'io (sono) ; ciascuno però ha il proprio dono da Dio , chi in un modo, chi in un altro .

Ora ai non sposati e alle vedove dico: È bello per essi se rimangono come io (rimango) . Però se non sono continenti , che si sposino ; è meglio infatti sposarsi9 piutto­ sto che bruciare .

1 L'aggiunta «a me» da parte di non pochi codici si qualifica per se stessa come chiarificazione dei copisti . 2 II singolare è le zi on e «facilior», dunque secondaria. 3 La variante «la dovuta gentilezza» sopprime il richiamo sessuale ed è fru t to , come dice Fee , della tendenza ascetica della chiesa antica. 4 Il pap. 46 e il cod Vaticano omettono «forse» , attenuando così la circospezione con cui Paolo concede la sospensione dei rapporti sessuali. 5 L a gg iu n ta «al digiuno e» (ma anche «e al digiuno») tradisce l'iniziativa della chiesa antica di far legittimare dal testo sacro una pra ssi propr i a 6 Il pap. 46 e altri mss. h an n o il verbo «riunirsi» all'infinito o all'imperativo: «e per riunirsi di nuovo insieme» ; «e di nuovo riunitevi insieme» . Fee vi congettura l ' i n flusso di 1 1 ,20 e 14 ,23 . 7 L'omissione di «Vostra» è minoritaria in fatto di testimonianze testuali . 8 Il cod. Vaticano , con altri mss . , ha «infatti». I copis t i , nota Metzger , «non hanno apprezza to la sfumatura di oppos i zio n e alla concessione menzionata nel v . 6» . 9 Così il pap . 46, i codd. Vaticano ed altri minuscoli , lezione preferita da Nestle-Aland alla le­ zione «essere sposati» (pres . ) preferita per es. da Barrett . .

'

.

322

Commento

10 Agli sposati poi prescrivo - non io ma il Signore - che la moglie non divor­ zi 10 dal marito , 1 1 - anche però nell'ipotesi che si sia divorziata, rimanga non sposata oppure si riconcili col marito -, e che il marito non divorzi dalla moglie . 12 Ora agli altri dico io, non il Signore : se un fratello ha una moglie non cre­ dente e questa acconsente 1 1 ad abitare con lui , non divorzi da lei ; 1 3 e s e u n a donna 12 h a u n marito non credente , e questi acconsente ad abitare con lei , non divorzi dal marito . 14 Infatti il marito non credente è santificato per mezzo della moglie 13 e la mo­ glie non credente è santificata per mezzo del fratello . 14 Altrimenti i vostri fi­ gli sarebbero impuri, ora invece sono santi . 15 Ma se il non credente vuole divorziare , divorzi pure ; in tali casi il fratello o la sorella non sono asserviti ; ora (a vivere) in pace vi 1 5 ha chiamati Dio. 1 6 Infatti che sai tu , moglie , s e arriverai a salvare i l marito? Oppure che sai tu, marito , se arriverai a salvare la moglie? 17 Senonché ciascuno, come il Signore gli ha assegnato in sorte , 16 come Dio lo ha chiamato , 1 7 così si comporti ; ed è in questo modo che prescrivo 18 in tutte le chiese . 1 8 Uno è stato chiamato da circonciso? N o n s i faccia sopra il prepuzio . Uno è chiamato in stato d'incirconcisione? Non si faccia circoncidere. 19 La circoncisione conta nulla, e nulla conta l'incirconcisione ; conta invece l'osservanza dei comandamenti di Dio . 20 Ciascuno nella vocazione in cui fu chiamato , in questa rimanga . 2 1 Sei stato chiamato d a schiavo? N o n curartene . Ma s e invece puoi diventare libero , con ogni mezzo fanne uso . 1 9 22 Infatti lo schiavo chiamato (a essere) nel Signore è un liberto del Signore. Parimenti la persona libera che è stata chiamata è schiava di Cristo .

w È un inf. aor. passivo , per cui Murphy-O'Connor traduce «non sia divorziata (per iniziativa del marito)», ma è più verosimile che equivalga a un medio . Var. test . : inf. pres. (codd. A,D ,F,G); «la moglie non divorzi» (imp . : pap . 46) . 11 Pap. 46 e cod . Vaticano: «è contenta» . " Lezione preferita a «e una donna che» da Nestle-Aland e giustificata dal peso dei mss. (pap. 46, cod . Sinaitico e altri) e dal parallelismo con il caso del v . 1 2 , nota Metzger. Ma questo secondo argomento potrebbe essere capovolto: i copisti hanno assimilato gli inizi dei due versetti . IJ L'aggiunta di «credente» è una glossa interpretativa , come dice Metzger. 1 4 La variante «per mezzo del marito» è dettata dalla volontà di rendere omogeneo il t e sto (cf. v. 1 3 ) . L'aggiunta poi di «credente» a questa lezione ha lo stesso senso della precedente . 15 Pap . 46, cod. Vaticano e non pochi altri mss. hanno «Ci»; ma sembra essere il frutto della ten· > , la stessa universalità (pasin I a tutti) e anche in sostanza la medesima totalità (emauton edoul6sa I mi sono fat­ to schiavo) , perché uno schiavo è illimitatamente a servizio. L'altra specificità è il verbo «salvare» . In ultima analisi, nel suo farsi tutto a tutti , Paolo mira alla salvezza finale degli uomini , che è anche lo scopo del van­ gelo a cui egli si dedica da schiavo (cf. v. 18) , come appare per es. in Rm 1 , 16: «infatti non arrossisco del vangelo, perché è forza di Dio a salvezza per chiunque crede, dapprima per il giudeo e poi per il greco» . Il nostro passo , tra tutti, si ri­ vela il più denso nell'esprimere il rapporto della sua persona con il vangelo . Il guadagno (cf. vv . 19b-22a) che intende procurarsi assimilandosi a tutti non è una sua utilità , bensì l'utilità somma dei destinatari della sua missione evangelizzatri­ ce , il loro destino ultimo di vita. Certo , non è lui a salvare , bensì il vangelo , co­ me appare nel citato Rm 1 , 16 ; ma anche a prescindere da questo passo , il nostro testo non lascia alcun dubbio in merito : la sua dedizione al vangelo in quanto di­ sinteressata serve a sgombrare il campo da ostacoli capaci d'impedirne l'accetta­ zione (cf. v. 12b) e in quanto totale , cioè da schiavo , è un servizio reso a Dio , che gli ha affidato l'incarico (cf. v. 18) , e per amore del vangelo (cf. v. 23a) . Sen­ za dire che lui stesso è chiamato a partecipare , insieme con gli altri, dei benefici salvifici dell'annuncio evangelico (cf. v. 23b) . Anche la formula «(per poter salvare) ad ogni costo (pant6s) qualcuno (ti­ nas)» merita una parola di commento . Si caratterizza infatti sia per l'avverbio sia per il pronome che si contrappongono . Il primo sottolinea l'illimitatezza dell'im­ pegno e si colloca a fianco degli altri elementi di totalità dello stesso passo : tois pasin I per tutti , panta I tutto . Il secondo mostra una sorprendente limitazione ri­ spetto alle formule precedenti «parecchi» al v . 19, «giudei» e «quelli soggetti alla legge» al v. 20, «i senza-legge» al v. 21 e finalmente «i deboli» al v. 22a . Non c'è entusiastica esaltazione in Paolo , consapevole del divario tra il suo impegno di evangelista e i risultati di salvezza che ne possono seguire : «tutto a tutti» , «alcu­ ni» . v. 23 «Ora faccio tutto per amore del vangelo, affinché ne possa diventare compartecipe». Già si è detto sopra della funzione strutturale del versetto rispet­ to al brano 19-22 , al v. 18 e a 10, 1-13 ; resta il compito della sua lettura . Non sembra un'avversativa , come ritengono alcuni, per es. Barrett, Conzelmann , Wendland ; si tratta piuttosto di una precisazione di quanto è stato detto sopra : con la formula «tutto faccio» Paolo riassume le sue passate scelte operative (edoul6sa I egenomen-gegona: mi sono fatto schiavo I mi sono fatto-sono diven­ tato) confermandole globalmente (panta I tutto) per il presente (poi6 I faccio) e indicando il vero centro d'interesse del suo agire che è il vangelo : dia to euagge­ lion I per il vangelo . 236 È questo che ultimamente lo ha mosso e lo muove nel suo

236

Altra possibile traduzione: «a causa del vangelo».

Commento

450

processo di adattamento a tutti : nella varietà dei comportamenti, assunti in rap­ porto alla varietà dei destinatari della missione apostolica , c'è un punto fermo attorno a cui tutto ruota . Nella proposizione finale che completa il v . 23 la discussione esegetica verte sul significato di sygkoinonos. 237 Certo, nessuno contesta il senso generale di «compartecipe» che unisce chi scrive ai suoi interlocutori , come indica il conte­ sto seguente che introduce il «noi» dei corinzi , o i destinatari dell'annuncio evangelico al cui servizio egli si è messo , dato il contesto precedente . Ma due so­ no le interpretazioni di tale partecipazione : partecipazione attiva alla causa del vangelo , prestando la propria opera di annunciatore , oppure condivisione delle sue promesse salvifiche . La prima lettura appare attestata per es. in Daut­ zenberg che parla di partecipazione totale al vangelo , alla sua corsa, alla sua fi­ gura e alla sua promessa ( «Der Verzicht» , 229) . Ma l'opinione di gran lunga pre­ valente è per la seconda; in proposito possiamo registrare l'autorevole e netta dichiarazione di Kiimmel che nelle sue note al commentario di Lietzmann affer­ ma come sygkoinonos non indica mai un partecipante attivo (An die Korinther, 1 80) . I due testi paralleli di Rm 1 1 , 17 : «tu, oleastro , sei stato innestato tra loro e sei diventato compartecipe (sygkoinonos) della radice e della linfa dell'olivo» e di Fil 1 ,7 : « . . . perché vi porto nel cuore, voi tutti che siete compartecipi (syg­ koinonous) della mia grazia» ne sono la conferma . Paolo si riferisce alle benedi­ zioni salvifiche di cui il vangelo è portatore . In lui la missione dell'apostolo e l'e­ sperienza personale del credente vanno di pari passo ; la fedeltà all'incarico avu­ to e la fedeltà dell'esperienza di fede non sono disgiungibili. Compiere il servizio e conseguire la salvezza personale formano un'inscindibile unità. II ruolo non è vissuto da lui in maniera schizofrenica rispetto all'esistenza ; egli propaganda ciò che vive . In conclusione , l'adattabilità di Paolo a giudei e gentili o il suo farsi tutto a tutti non può , a prima vista , non sollevare qualche sconcerto. Ellison si doman­ da se non vi si esprima un atteggiamento camaleontico . Commentando il v. 19 Conzelmann afferma che l'indicazione dello scopo del suo m odo di comportarsi «Suona opportunisticamente » . Eichholz ricorda i concetti di elasticità e flessibili­ tà usati da Chadwick e , da parte sua , esclude che Paolo sia animato da spirito di compromesso ( «Der missionarische Kanon » , 1 16) . Richardson-Cooch intitolano uno studio approfondito all'etica dell'adattamento di cui Paolo si mostra cam­ pione in l Cor 9 , 19-23 e 10,32-1 1 , 1 . Infine Richardson si domanda se l'apostolo non contraddica qui la posizione rigida assunta in Gal 2 , 1 1- 1 4 , dove è Pietro che si adatta, a differenza di Paolo , e conclude dando una risposta positiva, ma tem­ perandola col rilievo che le due situazioni erano profondamente diverse . Mi per­ metto di riprendere quanto ho scritto anni or sono: «A prima vista per il suo illi­ mitato adeguamento a situazioni, persone , modi di vita si potrebbe giudicarlo un

237

Cf.

FRANCO ,

Comunione e partecipazione , 40-45 .

l Cor

9 , 19-27

45 1

oppo rtunista, addirittura un qualunquista. In realtà, c'è un punto fermo e irri­ nu nci abile nella sua fluidità comportamentale : il vangelo , la causa del messag­ gio cristiano . Tutto il resto gli appare relativo . E in questo quadro di flessibile servizio tiene fermo il valore dell'alterità delle persone chiamate a credere : al­ terità riconosciuta concretamente nell'assunzione di tutte le condizioni umane , allo scopo di far germinare al loro interno esperienze genuine di fede . Dunque , non qualunquismo , ma vera libertà per il vangelo . Lo dice a chiare lettere la conclusione della breve pericope : "E tutto faccio a causa dell'annunzio evange­ lico" (v . 23) » (Barbaglio , «Alla comunità» , 409) . vv. 24-27 Il brano è caratterizzato dalla metafora sportiva articolata in mol­ teplici aspetti : stadio, corsa, premio , agone sportivo , disciplina , corona, pugila­ to. Nella società greca del tempo , come è noto lo sport aveva grande importan­ za anche a livello agonistico , come documentano i Giochi e quelli dell'istmo di Corinto erano secondi soltanto alle celeberrime Olimpiadi . I vincitori godeva­ no grandissima popolarità, soprattutto i vincitori della gara di velocità. 238 Nella filosofia popolare del tempo poi era frequente l'applicazione metaforica alla lotta per la virtù e ideali spirituali (cf. Pfitzner) . «La diatriba non si stanca di porre in parallelo l'esercizio della virtù e l'atletica» . 239 Per es. in Seneca possia­ mo leggere : «Quanti colpi (quantum plagarum) ricevono gli atleti sul viso e su tutto il corpo ! Eppure sopportano (ferunt) ogni tormento per desiderio di glo­ ria (gloriae cupiditate) ; e si assoggettano a queste sofferenze (ista patiuntur) non solo durante i combattimenti (quia p ugnant) , ma anche per prepararsi alla lotta (ut pugnent) : lo stesso allenamento costa loro molte sofferenze (exercita­ tio ipsa tormentum est) � Così anche noi dobbiamo superare ogni prova (evinca­ mus omnia) e il nostro premio non sarà una corona , né una palma (quorum praemium non corona nec palma est) , né un banditore che proclami il nostro nome nel silenzio generale; ma la virtù , la fermezza d'animo e la pace (sed vir­ tus et firmitas animi et pax) assicurata in tutto , una volta che abbiamo dato bat­ taglia alla fortuna e l'abbiamo vinta» (Ep. 78, 16) . Da parte sua Filone dice : «Battiti per questa lotta come per una bellissima gara (kalliston agona touton diathleson) e adoprati a essere incoronato (stephanothenai) contro il piacere che la vince su tutti gli altri con una bella e gloriosa corona (kalon kai euklea stephanon ) , che nessuna festa solenne di uomini allestisce» ( Leg. alleg. 2 , 108) . Paolo non è da meno e non appare azzardato ipotizzare che sia stato influenza­ to in proposito proprio dall'ambiente greco , se è vero che la tradizione ebraica era diffidente verso tale costume .

2 18 Dire di un atleta: edrame nikan Olympiada significava attribuirgli il ruolo di grande perso­ naggio ; in realtà la corona conquistata a Olimpia non dava ricchezze , aveva solo un valore ideale , come documenta l a seguente affermazione d i Erodoto: «Non per ricchezze ma p e r virtù ranno la ga­ ra» (cf. O . Bauern feind in GLNT XII l , 1415). " 1" Wendland citato da Bauernfeind ( GLNT XIII, 1416) .

45 2

Commento

v. 24 «Non sapete che quelli che corrono nello stadio certo tutti corrono , ma uno solo prende il premio? Così voi correte per prenderlo» . L'interrogativo re­ torico presenta un dato non solo incontrovertibile nella pratica dello sport ago­ nistico ma anche notissimo ai destinatari della lettera, che potevano assistere ogni biennio ai giochi dell'istmo. 240 Assai problematico invece è il senso dell'ap­ plicazione metaforica agli interlocutori , perché per questi non vale di certo l'an­ titesi «tutti corrono, uno solo prende il premio » . Infatti nella corsa dell'esistenza cristiana il premio ,241 cioè la corona incorruttibile , come si precisa poco oltre, vale a dire la salvezza finale , non è oggetto di contesa tra i concorrenti per cui uno lo prende e gli altri sono esclusi , bensì traguardo a cui tutti possono giunge­ re . Non è un termine di paragone adatto per esortare i corinzi nella loro corsa. Di regola infatti si legge trechete in forma imperativa e si unisce houtos alla pro­ posizione finale hina katalabete: «correte così da prenderlo» . Ma dal punto di vi­ sta grammaticale , come ha notato Weiss , tale legame «è a dir vero del tutto scor­ retto» ; d'altra parte però - continua lo stesso studioso - riferire houtos a quanto precede ottenendo questo senso : come quell'unico vincitore così i corinzi devo­ no correre per prenderlo , non è facile da capire per nessun lettore ; di conse­ guenza egli si è rassegnato ad accettare la prima soluzione (Der erste , 247) . Si tenta dunque d'interpretare il passo alla luce di quanto segue: è necessario un particolare sforzo per essere come il vincitore della corsa. 242 Pfitzner invece ha letto trechete all'indicativo e la difficoltà di comprensione risulta superata: come nello stadio si corre per prendere il premio , così i corinzi stanno compiendo la corsa che ha come traguardo la salvezza. Ora questa è la base comune del confronto che però tende ad evidenziare la necessità della di­ sciplina (egkrateia) , senza la quale non si può correre vittoriosamente nello sta­ dio come nella vita cristiana (cf. v. 25) . A favore d i questa ipotesi m i sembra molto importante i l ruolo dell'avverbio houtos I «Così» che rimanda a quanto precede come a termine di paragone . La stessa costruzione «Non sapete che . . . ? Allo stesso modo . . . » appare anche nei vv . 13-14: «Non sapete che . . . ? Allo stesso modo anche il Signore . . . ». Inoltre l'avverbio houtos , sempre in riferimento alla metafora sportiva e seguito da un verbo all'indicativo , ritorna nei vv . 26. 27: «così corro . . . così faccio pugilato . . . » . C ' è un manifesto parallelismo tra houtos trechete (così correte) e houtos trech6 (così corro) , gli uni e l'altro confrontati con gli atleti sulla base del comun deno­ minatore ( «tertium comparationis») che la corsa è finalizzata al premio . Richia­ mato tale paragone , che non ha bisogno di particolare dimostrazione , chi scrive

24° Conzelmann riporta il seguente scambio tra Anacharsis e Solone nell ' opera Anacharsis di Luciano: «Ebbene dimmi , tutti quelli che ga r eggia no (pantes hoi ag6nistai) li (i premi: ta athla) pren ­ dono? Per nulla, bensì uno solo tra tutti (heis ex hapanton) è colui che li vince (ho kratesas aut6n)» (par. 13) . 241 Brabeion , vocabolo raro nella grecità profana, assente nei LXX, nel NT è usato so l tanto da Paolo qui e in Fil 3 , 1 4 . 242 Co sì Weiss, m a anche quasi tutti gli studiosi.

l Cor

9 , 1 9-27

453

intende mostrare la necessità dell'egkrateia , di cui è modello l'atleta ma anche Paolo stesso che per questo diventa esempio offerto ai suoi interlocutori . Come gl i atleti co r ro no per vince re il p re mio , così i credenti sono in corsa verso il tra­ gu ard o della salvezza u ltima ; e per questo , se quelli si sottopongono a u n duro a lle n amento, 243 allo scopo di ricevere una corona corruttibile , a maggior rag ione d evo n o auto d isciplina rsi i credenti in corsa per una corona incorruttibile . In realtà Paolo si propone a modello della su dde t t a i n d i s p ensa b i l e d i sci pl ina (eg­ krateia) : come lui devono fare i cori nzi , altrimenti l'uno e gli altri mancano il tra­ gu a rd o . Più in concreto , l'idolatria è una minaccia seria anche per i fort i , so ll e ci­ tati ad astenersi (egkrateuontai) da espressi o n i di libertà che non solo scandaliz­ zano i deboli ma si presentano altresì pericolose per loro stessi non immuni dal pericolo di cadere nell'idolatria ( cf. 10, 1-22) . In breve , l'allegoria sportiv a , benché ricca di molti elementi , è di fatt o incen­ trata nell'esortazione , non p r i va di toni minacciosi, all'autodisciplina , esortazio­ ne incarnat a nell'esempio d el l ' apost olo . v. 25 «Chiunq u e però lotta nell'a gone sportivo si di s c i pli n a (egkrateuetai) in tutto: essi in verità pe r ricevere una corona corruttibile , noi invece una incorrut­ tibile» . Con la particel l a de di apertura di valore avversativo244 Paolo giunge ad esp rimere i l suo v e ro i n teresse ne l l ' uso d e l l'allego ri a sportiva : tra il correre e il consegu i mento del premio non si dà una scontata continuità; c'è un «però» che vale sia dell'atleta sia de l cristiano , una condizione «sine qua non» perché un corridore possa diventare un vincitore . II verbo che l'indica significa let t eral­ mente «esercitare potere (en kratei einai) su se stes s i», 245 «autodominio» ; in rife­ rimento al training sportivo vuol dire una fe r rea autod i sc ip l i n a fatta di rinunce e di impegnativi esercizi , in d i spensab i le per potersi p re p a r a re a d e g uam e n t e alla gara . Per essere lineare il r ag io n a m en to avrebbe dovuto p roc e dere in questo modo : così anche noi dobbi am o autodisciplin arci . Ma Paolo salta questo stadio i n terme d io e presenta , sempre con elementi sottintesi , un argomento «a for t i o ­ ri» : se gli atleti che anelano a una coron a corruttibile si sottopongono all'autodi­ sciplina, a maggior ragione devono fare i credent i che sono in co rs a per una co­ rona i ncorrut tibile . Già si è detto sopra che i vincitori nei Giochi greci n on ricevevano ricchezze ma so lo onore . II premio ( bra b eio n o , più frequentemente , athlon o anche epini­ kion) consisteva nel ricevere una corona, intrecciata con rami di p i n o nei giochi di Corinto , di olivo nelle Olimp i ad i , di prezzemolo nei giochi di Nemea. Con

243 Si veda in proposito una preziosa testimonianza di Platone: «Non abbiamo sentito parlare di Icco ta ra n tino per quel che fece preparandosi all'agone olimpico e alle altre competizioni? Per l'am­ bizione della vittoria in queste gare , possedendo l'arte e nella sua anima il coraggio insieme alla tem ­ peranza, così si racconta , mai non to ccò (hepsato) donna né bambino in tutto il periodo culminante dell alle gare (tes askeseos)» (Leg. 840a) . llJ>reparazione Così per es. Conzelmann; invece Fee ritiene la particella consecutiva e la traduce con «Ora». 245 Cf. W . Grundmann in GLNT III, 35 .

454

Commento

l'antitesi «Corruttibile-incorruttibile» espressiva di una realtà rispettivamente ca­ duca I peritura e immortale I imperitura Paolo esprime la trascendenza del pre­ mio che aspetta i credenti al traguardo della loro corsa e legittima l' «a fortiori» con cui fa valere l'esigenza della egkrateia . Il riferimento è di certo al tempo fi­ n ale , alla salvezza ultima, grandezza trascendente rispetto alle realtà terrene e materiali . 246 vv. 26-27 «Or dunque io così corro non come uno senza meta, così faccio pu­ gilato non come uno che batte l'aria; al contrario colpisco duramente (hypopia­ z6) 247 il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non avvenga che , dopo aver proclamato la parola agli altri , non finisca io stesso per essere bocciato» . Dal­ l'implicita esortazione del versetto precedente perché i credenti si autodisciplini­ no Paolo passa conseguentemente a presentare se stesso (cf. l'accentuato ego I «io» iniziale) come persona che della disciplina fa un programma di vita. In real­ tà introduce delle varianti nell'allegoria sportiva: alla metafora della corsa abbi­ na quella del pugilato e soprattutto non tiene separate le immagini del training e della gara; in concreto la disciplina che sopra era un prerequisito per una corsa vittoriosa si identifica ora con il correre e il fare pugilato , un correre teso alla meta ( ouk adel6s) 248 e un fare pugilato indirizzando bene i colpi al bersaglio (ouk aera deron) non con colpi all'aria. 249 Lo prova la costruzione del periodo che presenta - quanto alla seconda immagine del pugilato - i vv. 26 e 27 stretta­ mente complementari secondo la formula antitetica negativo + positivo : «corro I faccio pugilato non . . . , ma . . . (ouk . . . alla . . . ) » . Inoltre , sempre a proposito del pugilato , la trasposizione metaforica identifica in una sola persona i due pugili , il colpitore e il colpito : Paolo colpisce duramente se stesso . L'espressione «il mio corpo» non deve far pensare a un esercizio ascetico di mortificazione della parte materiale dell'uomo perché lo spirito sia libero dal suo peso . Il vocabolo significa tutto l'uomo visto qui però compromesso con il dinamismo della «carne» o dell'egocentrismo , come appare per es. in Rm 6,12 e 14, dove il parallelo di corpo è il pronome personale «voi » : «Dunque non conti­ nui a regnare il peccato nel vostro corpo mortale così da obbedire alle sue cupi­ digie . . . Il peccato infatti non dominerà più su di voi» . La disciplina di cui Paolo dà esempio consiste dunque nel contrastare in lui le forze peccaminose e nel ne-

246 Il proto-Paolo usa ancora in senso traslato il motivo della corona in Fil 4 , 1 e lTs 2 , l 9 , dove sono i credenti delle due co m unità da lui c reate a essere definiti «nostra corona» , «mia corona». Nel s econdo poi l a metafora è inquadrata espressamente nel motivo della parousia, appunto quando egli potrà esibire questa sua corona davanti al S igno re . 247 Il verbo richiama l'immagine del pugile che colpisce l'avversario sotto gli occhi, dunque in una arte delicata del corpo , al fine di recarg li il danno maggiore . E48 Adelos è il contrario di kata skopon attestato in Fil 3 , 1 4 sempre all'interno dell'immagine sportiva: «teso alla meta corro in vista del premio (kata skopon dioko eis to brabeion)». 249 La lotta di un pugile che batte l'aria è stata detta anche una skiamachia (cf. PFITZNER, Agone Motive, 88s) , ma qui l'immagine non è di chi manca di avversario da col pi re , ma di un pugile inesper­ to che lancia col pi a vanvera e che non arrivano a bersaglio .

lCor 10,1-22

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gare con decisione le insorgenti cupidigie. W . Grundmann invece l'intende di­ versamente : Paolo «vuole soltanto esprimere la sua volontà di rinunziare a tutto ciò che può destare scandalo o nuocere in qualche modo al compimento della sua missione . L'apostolo insomma non pratica l'egkrateuesthai I «disciplinarsi» per sé e per la sua salvezza, ma soltanto per i fratelli, ed è quindi ben lontano dall' egkrateia I «disciplina greco-ellenistica» ( G LNT III , 40) . Ma il contesto im­ mediato dei vv . 24-27 imperniato sull'immagine sportiva e soprattutto il v. 27b dicono che Paolo si domina250 proprio in vista della sua salvezza. C'è un pericolo e una minaccia che egli stesso è chiamato a fronteggiare : fini­ re b occiato (adokimos) nell'esame decisivo del giudizio ultimo . 25 1 Non sembra esserci dubbio che il pericolo è quello della perdizione eterna, una possibilità per lui tanto più grave essendo egli araldo del vangelo a favore degli altri . 2 5 2 Nel suo commentario, ma facendo riferimento a Schlatter , Barrett cita Tosephta Yoma 5 , 10 : « . . . che i suoi discepoli possano non ereditare il secolo futuro e lui stesso possa scendere ali' Ade » .

5 . «FUGGITE 1 2 3 4

5

6

DALI. ' IDO LATRIA»

(IO, 1 - 22 )

Non voglio infatti che voi ignoriate , o fratelli , che i nostri padri tutti erano sotto la nube e tutti attraversarono il m are e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare e tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale ; bevevano infatti da una roccia spirituale che seguiva ; ora la roccia era il Cristo. Ma nella maggior parte di loro Dio non si compiacque ; infa tti furono abbat­ tuti nel deserto . Ora questi eventi capitarono come esempi (ammonitori) per noi , perché non siamo cupidi di cose cattive , come essi furono cupidi,

250 I verbi usati da Paolo per prese ntare la sua corsa e il suo combattimento di pugilato sono tut­ ti al prese nte: è una condotta costante la sua . 2> I È riconosciuta la valenza giudiziaria del nostro aggettivo . usato di regola da Paolo in pro­ spettiva escatologica. Cf. G. THERRIEN , Le discernement dan.1· /es écrits pau/iniens , Paris 1973, 1 06!09 . 252 Si è ipotizzato che il verbo keryssein nonché l'aggettivo adokimos si riferiscano alla metafora sportiva ehe continuerebbe dunque al v. 27b . L'araldo (keryx) nei Giochi proclamava le regole delle gare , annunciava i l nome dei vincitori e squalificava gli atleti che non si attenevano alle norme pre­ scritte (adokimos ) . Cf. la discussione in Pl'ITZNER, Agone Motive, 94-96 . Ma il verbo keryssein nelle lettere paoline non si riferisce all'immagine sportiva , bensì a quella dcl messaggero e il contesto dcl c. 9 mostra che Paolo riprende qui il motivo dell'euaggelion I euaggelizesthai dei vv. 23 . 1 8 . 1 6 . lZb. 2 5 3 Le varianti i n forma media all'aoristo e all'imperfetto («si battezzarono» , «SÌ battezzavano») possono vantare eccellenti testimoni ma non come l a lezione scelta. 25-1 Il pap. 46, con altri mss. , omette il pronome qui e al v. 4 .

456 7 8 9 10 11 12 13

Commento né diventiate idolatri , come alcuni di loro , secondo che sta scritto : «Il popo­ lo si sedette a mangiare e a bere , poi si alzarono a divertirsi» . Né diamoci all'immoralità sessuale , come alcuni di loro si diedero all'immo­ ralità, e caddero in un solo giorno255 ventitremila.256 Né mettiamo alla prova il Cristo ,257 come alcuni di loro lo misero alla prova e perirono per morso dei serpenti. Né mormorate ,258 a quel modo che alcuni di loro mormorarono , e perirono a opera dello sterminatore. Ora259 questi eventi accadevano loro i n maniera esemplare260 e furono messi per iscritto a nostro ammonimento , a noi cui sopraggiunse la fine degli eoni . Di conseguenza chi ritiene di stare saldo veda di non cadere. Nessuna tentazione vi ha raggiunto26 1 s e non a dimensione umana. Ora Dio è fedele, il quale non permetterà262 che voi siate tentati al di sopra delle vo­ stre possibilità , ma con la tentazione farà che ci sia anche la via d'uscita così da poterla263 sopportare .

14 Perciò, miei cari , fuggite dall'idolatria. 15 Vi parlo come a persone sapienti: giudicate voi quello che dico. 16 Il calice della benedizione264 che benediciamo non è forse partecipazione al sangue di Cristo? Il pane che spezziamo non è forse partecipazione al corpo di Cristo? 17 Poiché c'è un solo pane , noi i molti siamo un solo corpo ; infatti tutti condi­ vidiamo l'unico pane .265 1 8 Guardate all'Israele secondo l a carne: quelli che mangiano le vittime sacrifi­ cali non sono degli associati dell'altare? 19 Che cosa dunque voglio dire? Che carne immolata all'idolo è qualche cosa, oppure che un idolo è qualche cosa?266 m L'aggiunta della particella en da parte di non pochi e non secondari mss. sembra lezione se­ condaria. 156 La variante «Ventiquattromila» si spiega per la voluta fedeltà materiale al testo dell'AT ( cf. Nm 25 ,9) . 257 Questa lezione si fa preferire alle altre due ( «il Signore», «Dio» ) perché «lectio difficilior» ed esplicativa del loro sorgere. Osburn in particolare nota che Theon appare una tardiva correzione per conformare il testo ai LXX e che Kyrion si spiega per la difficoltà a comprendere che gli israeliti avessero potuto tentare Cristo. 258 La variante «Né mormoriamo» si spiega per assimilazione alla negativa precedente . 259 L'aggiunta di «tutti» , sostenuta da autorevoli mss . , potrebbe anche essere originale , inter­ pretando il testo scelto come assimilazione ali' espressione del v. 6. Ma forse è il risultato di un pro­ cesso di espansione del semplice tauta. La variazione poi di posto di panta e tauta nei mss. è indizio di un'a 9�iunta . - La variante «accadevano come esempi» è secondaria, perché ripete la formula del v. 6. 261 Variante «afferrato» . 262 Variante «Non lascerà». 263 Aggiunta di «voi». 264 Variante «del ringraziamento» . 265 � ell'intento di completezza l'aggiunta «e l'unico calice» si rivela secondaria. 266 E per aplografia che importanti mss . hanno omesso questa seconda interrogativa.

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lCor 10, 1-22

20 Al contrario voglio dire che quello che267 sacrificano è ai demoni e non a Dio che sacrificano .268 Ora non voglio che voi diventiate degli associati dei demoni. 21 Non potete bere al calice del Signore e al calice dei demoni . Non potete condividere la tavola del Signore e la tavola dei demoni . 22 Oppure vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui? Oltre alle indicazioni date all'inizio della sezione vedi BANDSTRA A . J . , «ln­ terpretation in l Corinthians 10: 1-1 1 » , in CThJ 6(197 1 ) , 5-21 ; BAIRD W. , «1 Co­ rinthians 10: 1-13» , in Interpretation 44( 1990) , 286-290 ; BARBAGLIO G . , «"E tutti in Mosè sono stati battezzati nella nube e nel mare" (lCor 10,2) » , in P . R . TRA GAN , a cura di , A lle origini del battesimo cristiano , Roma 199 1 , 167-19 1 ; BORI P . C . , Koinonia. L 'idea della comunione nell'ecclesiologia recente e nel Nuovo Testamento , Paideia, Brescia 1972, 89-92 ; B oRNKAMM G. , «Herrenmahl und Kir­ che bei Paulus» , in Studien zu Antike und Urchristentwn , Miinchen 1963 , 138176; BROER I . , «"Darum : Wer da meint zu stehen , der sehe zu , dass er nicht fal­ le" ; 1 Kor 10. 12s im Kontext von 1 Kor 10, 1-13» , in Neues Testament und Ethik» (FS R. Schnackenburg) , Freiburg 1989 , 299-325 ; CARIDEO A . , «Il midrash paoli­ no di l Cor 10, 1-22» , in RivLit 68(1980) , 622-641 ; D ELLING G . , «Das Abend­ mahlgeschehen nach Paulus» , in KuD 10(1964) , 61-77 ; FABRIS R . , «Eucaristia e comunione ecclesiale in Paolo (lCor 10) » , in Parola Spirito e Vita 7(1979) , 142158; FEUILLET A. , «L'explication "typologique" des événements du désert en 1 Co X , 1-4» , in Le Christ Sagesse de Dieu d'après les épitres pauliniennes , Paris 1966 , 87-1 1 1 ; FRANCO E . , Comunione e partecipazione. La koinonia nell'episto­ lario paolino, Morcelliana, Brescia 1986, 45-69 ; G A LLEY K. , Altes und Neues Heilsgeschehen bei Paulus, Stuttgart 1965 , 1 2-17 ; G1LL D .H . , « Trapezometa . A Neglected Aspect of Greek Sacrifice», in HThR 67(1974) , 17-37 ; HAHN F. , «Teilhabe am Heil und Gefahr des Abfalls . Eine Auslegung von 1 Ko 10,1-22» , in D E LoRENZI , a cura di , Freedom and Love, 1 49- 17 1 ; HAINZ J . , «Koinonia» in Exegetisches Worterbuch zum NT 1981 ; JESKE R L . , «The Rock was Christ. The Ecclesiology of 1 Corinthians 10» , in D . LOHRMANN-G . STRECKER, a cura di, Kir­ che (FS G. Bornkamm) , Tiibingen 1980, 245-255 ; KA.sEMANN E . , «Anliegen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre» , in Exegetische Versuche und Be­ sinnungen , I, Gottingen 1964, 1 1-34 ; Io . , «Il problema teologico del motivo del corpo di Cristo» , in Prospettive paoline, Paideia, Brescia 1972 , 149- 174; KITZ­ BERGER J . , Bau der Gemeinde. Das paulinische Wortfeld. . , Wiirzburg 1986 , 8597 ; KLAUCK H .J . , Herrenmahl und hellenistischer Kult. Eine religionsgeschich­

.

.

267 Importanti mss. vi aggiungono ta ethne come soggetto , ma è un'aggiunta secondaria , come ritengono Metzger e Nestle-Aland, introdotta per evitare che il lettore vi potesse sottintendere come soggetto l'Israele secondo la carne. La conferma è la forma plurale del verbo thyousin, che in seguito all'introduzione di ta panta alcuni mss. correggono al singolare . 268 Dubbia è la ripetizione di questo verbo, come rileva l'edizione di Nestle-Aland .

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Commento

tliche Untersuchung zum ersten Korintherbrief, Miinster 1982, 252-272; Io . , « Eu­ charistia und Kirchengemeinschaft» , in WissWeis 49(1986) , 1-14; KocH , Die Schrift, 202-220; LONDBERG P. , La typologie baptismale dans l'ancienne Église, Leipzig-Uppsala 1942 , 135-145 ; Luz U . , Das Geschichtsverstiindnis des Paulus , Miinchen 1968 , 1 17-123 ; MARTELET G . , «Sacrements , figures et exhortations in I Cor X, 1-1 1 » , in RSR 44(1956) , 323-359; 5 15-559 ; MEEKS W . A . , «"And rose up play" : Midrash and Paraenesis in lCorinthians 10: 1-22» , in JSNT 16(1982) , 6478 ; 0SBURN C . D . , «The Text of 1 Corinthians 10:9» , in New Testament Textual Criticism (FS B. M. Metzger) , Oxford 1981 , 201 -212; PERROT CH. , «Les exemples du désert ( lCo 10,6- 1 1 ) » , in NTS 29( 1983 ) , 437-453; PROBST, Paulus und der Brief, 223-278 ; RoSNER B . S . , «"Stronger than he?" The Strength of 1 Co­ rinthians 10:22b» , in Tyndale Bulletin 43(1992) , 171-179 ; SEBOTHOMA W. , «Koi­ nònia in 1 Corinthians 10: 16» , in Neotestamentica 24( 1990) , 63-69 ; WILLIS , ldol Meat in Corinth , 123-222. 5. 1 . A rticolazione e grandi linee tematiche269 Dopo aver delimitato sopra questa unità letteraria s'impone ora l'esigenza di evidenziarne la specifica struttura. È con una formula abituale , espressiva del suo desiderio (thelo) che gli interlocutori non restino all'oscuro di qualcosa d'im­ portante concernente o la sua persona (cf. Rm 1 , 13: tentativi frustrati di arrivare a Roma; 2Cor 1 ,8: esperienza drammatica nella provincia romana di Asia) op­ pure aspetti dottrinali del credo cristiano (cf. Rm 1 1 ,25 : il futuro di salvezza del popolo d'Israele ; l Cor 12 , l : i doni dello Spirito ; lTs 4 , 1 3 : la speranza cristiana) , che Paolo introduce la sezione: «Non voglio infatti che voi ignoriate , o fratelli , che . . . » . 270 Non si tratta però di un inizio assoluto come dice la congiunzione esplicativa «infatti» che l'unisce a 9,27 e, più in generale , alla pericope 9 ,24-27: che la minaccia di essere esclusi dalla salvezza finale (adokimos) sia seria Io mo­ stra la vicenda della generazione israelitica dell'esodo subito introdotta. I protagonisti sono «i nostri padri» e la loro storia viene riassunta anzitutto con cinque proposizioni coordinate - si noti la ripetizione martellante del kai caratterizzate dall'iniziale «tutti» e da altrettanti verbi al passato , un imperfetto e quattro aoristi , indicativi degli eventi accaduti : -

«tutti erano sotto la nube e tutti attraversarono il mare e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare e tutti mangiarono Io stesso cibo spirituale e

269 Nella presentazione generale del brano mi rifaccio allo studio che ho pubblicato nel 1991 e che è stato citato sopra . 270 WHITE, «New Testament Epistolary Literature», in A NRW 1984, 1 743- 1745 ha evidenziato la presenza , come elemento strutturante del corpo epistolare , di questa formula introduttoria, da lui chiamata «disclosure formula».

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- tutti bevvero la stessa bevanda spirituale» (vv . l b-4a) . Il v. 4bc ha lo scopo di spiegare , completandone la descrizione , il quadro l' del ultimo evento narrato: «bevevano infatti da una roccia spirituale che segui­ va; ora la roccia era il Cristo » . 271 Dal punto di vista tematico si deve rilevare che Je esperienze suddette sono tutte positive , come emerge sia dalla loro natura sia da lle qualifiche teologiche per altro appropriate ai sacramenti cristiani: battesi­ mo , cibo «spirituale», bevanda «Spirituale» scaturente da una roccia «spirituale» identificata nel Cristo . La piccola unità dei vv . 1 -4 è collegata con ciò che segue mediante un'av­ versativa che stabilisce una svolta evidente nel racconto , segnalata anche dal contrasto tra il pantes («tutti») ripetuto nei vv. 1 -4 e en tois pleiosin auton del v . Sa: «Ma nella maggior parte d i loro Dio non si compiacque» . E con la congiun­ zione «infatti» si spiega in che cosa è consistita in concreto tale riprovazione divi­ na: 2 72 «infatti furono abbattuti nel deserto». In altre parole si è verificata una durissima selezione nei «nostri padri» beneficiari della libera­ zione dell'esodo e di prodigiose esperienze nel deserto . Abbiamo una duplice antitesi , l'una parallela all'altra: a) pantes I hoi pleiones auton ; b) esperienze di vita (per tutti) I esperienze di morte (per i più) . A questo punto ci si aspetterebbe dal narratore che precisi come e quando la maggioranza degli israeliti dell'esodo è stata rigettata da Dio , cioè da lui abbat­ tuta nel deserto . Invece egli sospende il racconto , non continua subito la narra­ zione della vicenda dei «padri» sulla falsariga dei racconti dei libri storici del1' AT, bensì introduce un «noi» inglobante lui stesso e i destinatari del suo scrit­ to , anzi un «noi» generalizzante dei cristiani , mettendolo in stretto rapporto con la generazione israelitica del deserto : «Ora questi eventi capitarono come esem­ pi (ammonitori) (typoi) per noi» . Intende mostrare che la storia degli israeliti è esemplare per i credenti ; il richiamo del passato appare funzionale all'interesse primario per il presente . Del resto già la formula iniziale della narrazione «i no­ stri padri» indirizzava su questa direttrice : la vicenda dei «figli» non è estranea a quella dei «padri». Ma tale continuità è affermata per se stessa oppure in ordine ad altro scopo? Lo sviluppo del testo che procede con proposizioni finali e imperative , tutte in forma negativa, va in questa seconda direttrice : il «noi» dei credenti alternato al «voi» degli interlocutori non deve agire come si sono comportati in maggioranza i «padri» castigati duramente per la loro infedeltà idolatrica . Infatti i vv. 6b-10 sono formalmente basati sullo schema letterario «non come» che contrappone «noi» (ma anche «voi») a «loro» . In breve , «i figli» non devono comportarsi co­ me si sono comportati , per lo più, «i padri». 27 1 Gli imperfetti indicano il protrarsi nel tempo , sempre al passato, delle due esperienze del­ l'essere sotto la nube (v. 1b) e dell'abbeverarsi dell'acqua «spirituale» (v. 4bc) . 272 Il verbo eudokein in forma negativa ha appunto tale significato , come ha mostrato G . Schrenk i n GLNT I I I , 1 1 15 .

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Commento

perché non siamo cupidi . . . né diventiate idolatri né diamoci all'immoralità sessuale né mettiamo alla prova il Cristo né mormorate

come essi . . . come alcuni come alcuni come alcuni a quel modo

di loro . . di loro . . . di loro . . . che alcuni di loro . . 273 .

.

Il confronto tra passato e presente , tra «i padri» e i credenti mostra dunque una continuità e corrispondenza ma solo nelle esperienze positive: i primi furo­ no battezzati in Mosè come i secondi sono stati battezzati in Cristo ; quelli furono saziati di cibo «spirituale» e dissetati di bevanda «spirituale» donata dal Messia come questi partecipano al corpo e sangue di Cristo . Si comprende così la for­ mula «i nostri padri» per indicare gli israeliti dell'esodo : «loro prima, noi dopo; loro in passato , noi adesso, ma in fondamentale sintonia. La nostra storia positi­ va ripete la loro parimenti positiva» (Barbaglio , , «"E tutti in Mosè"» , 171). Ma l'intento vero non è di sottolineare tale continuità e corrispondenza , pre­ sentata solo come base per mettere a confronto «i padri» e i credenti , in partico­ lare i forti di Corinto , bensì di accentuare la discontinuità e frattura , «disconti­ nuità e frattura esigitive , da realizzare responsabilmente ; in altre parole, alla continuità e corrispondenza nell'ambito dell'essere succede una discontinuità e frattura sul piano del dover essere . La maggioranza dei "padri" ha ceduto infatti alla cupidigia, motivo sintetico in Paolo per indicare l'infedeltà peccaminosa del­ l'uomo a Dio (cf. Rm 7 ,8) ; ma non deve essere così per i figli , tenuti a spezzare qualsiasi vincolo di solidarietà etica e operativa con quelli. Non devono essere cupidi come lo furono loro . Un imperativo etico che è condizione indispensabile per un'altra discontinuità con i padri , esattamente con il loro destino di riprova­ zione divina e di conseguente perdizione, una discontinuità che potremmo chia­ mare escatologica» (Barbaglio , «"E tutti in Mosè"», 171 ) . I l v. 1 1 richiama i l v. 5 e costituisce una chiara inclusione : «Ora questi eventi accadevano loro in maniera esemplare (typikos) e furono messi per iscritto a no­ stro ammonimento, a noi cui sopraggiunse la fine degli eoni» . Non si limita però a ripetere il motivo «tipico» , vi aggiunge il tema delle Scritture che contengono il ricordo delle suddette esperienze dei «padri» e il cui scopo è di ammonire «noi»: «una finalità che si spiega per il fatto che "noi" siamo nei tempi ultimi o escato­ logici ; ed è sottinteso che per Paolo esiste , per intenzione divina, uno stretto rapporto tra "allora" e "ora" , tra "il principio" della storia di Dio con il suo po­ polo e "la fine" della stessa storia» (Barbaglio , «"E tutti in Mosè"» , 172) . Il v . 1 2 ha la funzione di trarre una conclusione da quanto è stato detto so­ pra : «Di conseguenza (hòste) chi ritiene di stare saldo veda di non cadere». È un'esortazione non priva di toni minacciosi , un imperativo teso a responsabiliz­ zare di fronte a un pericolo che solo la superficialità di chi si sente al sicuro e

273 Si noti anche la ripetizione delle particelle negative : mè nella prima proposizione e mède in tutte le altre .

lCor 10,1-22

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inatt accabile può minimizzare . L'indeterminato «chi ritiene di stare saldo» della regola generale del v. 12 viene subito applicato nel v. 13 ai corinzi: è illusorio pensare che la tentazione non li tocchi ; Dio sta al loro fianco , ma non per rispar­ miargliela bensl per aiutarli a uscirne (ekbasis) . Alla falsa sicurezza comunque non deve subentrare un sentimento di «depressione» , 274 errore specularmente co ntrario a quello . Ma di quale tentazione si tratta e quale sorta di falsa sicurezza ostentano gli interlocutori? Paolo conclude (dioper) con un esplicito imperativo indirizzato ai corinzi mettendoli in guardia dal pericolo dell'idolatria: «Perciò, miei cari , fug­ gite dall'idolatria» (v . 14) . Esso fu fatale alla generazione israelitica dell'esodo e del deserto ; attenzione , perché potrebbe esserlo anche al presente . Per la verità non è la prima volta che vi si parla nel brano , perché il v. 7 aveva già esortato a non diventare idolatri, come lo divennero «alcuni di loro» secondo la testimo­ nianza di Es 32,6 LXX, l'unico passo vt citato espressamente nella rilettura del­ l'epopea israelitica . D'altra parte , anche gli altri accenni alle infedeltà dei «pa­ dri» le qualificano sulla linea dell'idolatria, come si vedrà. Chi scrive fin dall'ini­ zio ha di mira questo tema. Il v . 14 però , oltre che concludere l'unità dei vv. 1-13 introduce quella stret­ tamente connessa dei vv . 15-22 , in cui si precisa come di fatto il pericolo dell'ido­ latria per i destinatari della lettera sia rappresentato dalla partecipazione ai pasti sacri dei pagani. E anche il particolare del vocativo che ricorre tanto al v. 1 che al v. 14: «O fratelli» I «miei cari» indica l'unitarietà della sezione 1-22, divisa in due parti (1-13 e 14-22) . Dal punto di vista formale questo brano è introdotto da un appello , in forma di «captatio benevolentiae», ai destinatari perché giudichi­ no da loro stessi (v . 15) . Con due domande retoriche parallele Paolo chiede che ribadiscano il loro consenso sulla nota valenza di koin6nia della cena del Signore (v. 16) . Poi però motiva esplicitamente e precisa tale significato «comunionale» : «poiché . . . infatti . . . » (v. 17) . Fa seguire una seconda evidenza, sempre per mez­ zo di una domanda retorica : il culto sacrificale israelitico ha pure valenza di koi­ n6nia (v. 18) . Chi scrive si mostra circospetto e, arrivato al punto cruciale , ancor prima di affermarlo esclude ogni possibilità di equivoco : non intende certo ri­ mangiarsi quello che aveva concesso sopra nel c. 8: «Che cosa dunque voglio di­ re?275 Che una carne immolata all'idolo è qualche cosa , oppure che un idolo è qualche cosa?» (v. 19) . Ciò che intende dire riguarda l'azione cultuale dei sog­ getti che li unisce in una comunità di cui sono patroni i demoni , non Dio (v. 20a) . Soprattutto egli vuole dai corinzi che evitino la koinonia alla mensa dei de­ moni (ou thelo) (vv. 20b) , motivando questo suo volere con l'affermazione del­ l'inconciliabilità tra questa e la koin6nia alla mensa del Signore (ou dynasthe ri­ petuto) ( v. 21) . E conclude con due domande retoriche non prive di un tono sar-

274

Il termine è di voN SooEN , «Sacrament und Ethik» 249. «Che cosa dunque voglio dire (phemi)» richiama la formula analoga del v. 1 5 : «giudicate voi quello che dico (ho phemi)». 275

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Commento

castico : «Oppure vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse pit1 forti di lui?» (v . 22) . Dopo aver escluso sopra la possibilità di conciliare le due koinoniai ora indica sarcasticamente una possibile , ma disperata , uscita dal di­ lemma: provocare la reazione annientatrice del Signore , come Dio aveva reagito all'infedeltà della maggioranza dei padri nel deserto , cercando tragicamente di tener testa alla sua potenza . Ecco lo schema : A Esempio ammonitore della generazione dell'esodo : vv. 1-13 a . vv . 1-5 : le esperienze positive e negative dei «padri», brano costruito suil'antitesi «tutti» ( 1 -4) e «i più» (v. 5 ) ; b . vv . 6-1 3 : l a storia dei padri , colta nei risvolti d'infedeltà idolatrica e di conseguente perdizione eterna , ha valore ammonitore per «nOi» B Esortazione a fuggire dall'idolatria e sua motivazione : vv . 14-22 a. vv . 15-18: la cena del Signore vuol dire koinonia dei partecipanti al corpo e al sangue di Cristo b. vv . 19-22 : impossibilità di conciliare la koinonia suddetta con la koino­ nia alla mensa degli dei idolatrici (demoni). 5.2. Tipologia o esortazione?

I due vocaboli typoi e typikos dei vv . 6 e 11 , che in tale forma non ricorrono altrove nell'epistolario paolino , hanno indotto una nutrita schiera di esegeti a ri­ tenere che questa pagina sia da leggere come una tipologia. In concreto, Paolo l'avrebbe scritta per dire che il passaggio del Mar Rosso e le altre esperienze sal­ vifiche degli israeliti liberati dalla schiavitù egiziana e in cammino verso la terra sono precise figure profetiche dei sacramenti cristiani del battesimo e dell'euca­ ristia. Per es. Martelet parla di «anticipazioni profetiche del battesimo e dell'eu­ caristia» ( «Sacrements» , 358) e anche a proposito dei castighi patiti dai «padri» nel deserto , che non trovano certo corrispondenza nei cristiani , applica la cate­ goria di figure : «I castighi del deserto figurano dunque ciò che deve capitarci se pecchiamo» (ibid. , 540) . 2 7 6 Ma il grande esponente di questa lettura tipologica è senz'altro L . Goppelt nel suo celebre volume Typos. Die typologische Deutung des Alten Testaments im Neuen ( 1939) , ma vedi anche la sua trattazione alla voce typos in GLNT XIII , 1 465ss. In riferimento a l Cor 10,6 . 1 1 e a Rm 5 , 14 dice : «In due passi Paolo chiama typoi due fatti dell'Antico Testamento , per enunciare er­ meneuticamente che essi alludono all'escatologico evento di salvezza ora attua­ le» ( GLNT lII , 1478) . Più avanti , nello stesso studio , a proposito di 1 Cor 10 af­ ferma: «Nel dibattito esegetico si esamina in genere se typos sia qui l'esempio , i l caso tipico c h e esprime u n a regola , oppure in senso tecnico la prefigurazione che

276

Anche

BAN DSTRA ,

«lnterpretation», 1 6 si attesta

su questo

fronte e parla di tipi ipote tici .

463

lCor 10, 1-22

annuncia l'evento escatologico . Secondo l'analisi che ne abbiamo fatto noi, il contesto esclude la prima ipotesi e postula che il vocabolo assuma qui per la pri­ ma volta il senso tecnico in cui a cominciare da Paolo è spesso usato nella lette­ ratura protocristiana» (ibid. 1481-1482) . Anche F. Hahn non tradisce incertezza alcuna: «Ciò che significa tipologia in nessun testo biblico è espresso tanto chia­ ramente come nel presente capitolo ai vv . 6 e 1 1 . . La decisiva frase ermeneutica sta però al v. l l b : eis hous ta tele ton ai6ni6n katenteken» . 277 Ma non mancano voci che leggono il testo paolino in modo assai diverso. Nel 1965 Galley evidenziava che alla storia dell'esodo e del deserto Paolo ha attri­ buito una funzione ammonitrice per la comunità cristiana : «La storia raccontata è stata scritta per i cristiani a loro ammonimento , ancor più essa è capitata a que­ sto scopo» (Heilsgeschehen , 15). Nella sua opera Ido! Meat in Corinth (1985) Willis attacca la lettura tipologica, affermando che il testo contiene non «l'elabo­ razione di mezzi d'interpretazione biblica, ma il desiderio di dissuadere i corinzi dal loro coinvolgimento con l'idolatria» ; il suo «focus» non è «una specie di er­ meneutica protocristiana» ; «Paolo non vuole stabilire un modello tipologico per l'interpretazione dell' AT, ma usare questi esempi per esortare i corinzi» (ibid. 161 , 1 23 e 125) Comunque già Weiss , nel suo commento del 1910, a proposito di typos aveva optato per il significato di modello o di esempio ammonitore e aveva intitolato l Cor 10,1-13 «L'esempio ammonitore della generazione del de­ serto» . A distanza di quasi 60 anni nel 1 969 Conzelmann dice : «Qui non c'è ancora assolutamente l'uso tecnico , ermeneutico di typos , ma il senso morale» (Der erste Brief, 197) .278 Da parte sua Koch rileva la mancanza, nel no­ stro testo , di due elementi qualificanti della lettura tipologica , la subordinazione o il confronto tra allora e ora e il fattore del superamento del tipo per opera del­ l'antitipo (cf. Rm 5 , 12ss) . In realtà 1 Cor 10 sottolinea l'identità dell'esperienza sacramentale dei cristiani e di quella dei «padri» : la generazione dell'esodo e del deserto ha avuto «Un analogo sacramento» (Die Schrift, 212; cf. pp . 2 1 1-220) . Non mancano neppure i difensori di una linea intermedia d'interpretazione : il testo paolino presenta sia il significato ermeneutico sia la valenza morale di ty­ pos. Così Bandstra attribuisce a typoi del v . 6 il senso di «figure» dal momento che si riferisce , dice , agli eventi salvifici descritti ai vv . 1-4, mentre al v. 11 l'av­ verbio typikos significa esempio ammonitore («lnterpretation» , 16-17) . Anche Senft , nel suo commento , in termini generali parla di «tipologia a servizio della parenesi» (p. 131) e dichiara: «Lo schema tipologico serve da supporto alla pare­ nesi e la rafforza» (p . 1 30) . .

.

277 HAHN, «Teilhabe» , 160. Allo stesso fronte appartengono anche Feuillet. che dichiara: «La pericope di l Co X , 1 -4 è una testimonianza precisa dell'idea che si faceva l'Apostolo dell'unità dei due Testamenti» («L'explication "thypologique"», 109) , e, nei loro commenti, Lietzmann e Wend­ land. Anche Probst aderisce alla lettura tipologica (Paulm , 223-235) . 178 Vedi anche Luz per il quale la miglior traduzione di typoi è «i modelli» (Das Geschicht­ verstiidnis , 120) e B arrett. . . .

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Commento

Ora è una lettura attenta dei versetti paralleli 6 e 1 1 che ci permette di co� gliere il significato esatto di typoi I typikos . Ecco gli elementi comuni che ricor­ rono nelle due proposizioni: abbiamo anzitutto lo stesso soggetto , tauta , e la me­ desima particella de che serve a riprendere quanto è stato detto appena prima per precisarlo; il sostantivo typoi e l'avverbio typikos poi svelano quale funzio ne hanno «queste cose» o «questi eventi» ; quindi l'aoristo egenethésan e l'imperfet­ to synebainen qualificano «queste cose» come eventi di una storia passata; infine i pronomi «noi» e «quelli» definiscono i due termini personali rapportati in senso «tipico». Comunque decisiva è l'indicazione dello scopo delle cose tipiche capi­ tate e della loro fissazione per iscritto , scopo presentato parimenti al v. 6 me­ diante una proposizione finale e nel v. 11 con una preposizione con chiara valen­ za di fine : ammonire a non ripetere le infedeltà dei «padri» e a non far proprio il loro destino di morte : «perché non siamo cupidi di cose cattive , come essi furo­ no cupidi»; «questi eventi . . . furono messi per iscritto a nostro ammonimento (pros nouthesian hémon)» . Per questo ci sembra che non solo typikos si riferisca ai vv. 7-10, cioè alle infedeltà dei padri e ai conseguenti castighi , ma anche typoi faccia riferimento al v. 5 , non alle esperienze positive dei vv . 1-4 che restano sul­ lo sfondo . Infatti soltanto la riprovazione divina, in concreto la morte degli ido­ latri per mano di JHWH (v . 5) , e i castighi divini del deserto (vv . 7-10) possono essere finalizzati a valere come deterrente per i corinzi e , in genere , per i cristia­ ni , esortati , non senza minaccia , a non comportarsi come i loro padri , se voglio­ no evitare di finire nella stessa rovina eterna. Si aggiunga che Paolo ha già interpretato in chiave teologica le esperienze positive dei vv. 1-4 chiamando battesimo il passaggio del mare e qualificando co­ me «pneumatici» la manna, nutrimento del popolo , e l'acqua scaturita dalla roc­ cia, sua bevanda, senza dire della lettura allegorica della roccia identificata con il Cristo. 279 Con i vocaboli typoi I typikos passa a interpretare le esperienze nega­ tive. Riteniamo dunque che il significato di typoi e typikos qui sia unicamente quello di esempio o modello , un esempio non da imitare , ma da contraddire , un esempio ammonitore, una lezione di vita, diremmo , un'applicazione del detto : non perché la propria coscienza richie­ da la rinuncia, ma a motivo della coscienza dell'altro , cioè del "debole" , affinché non sia sollecitato ad agire contro la sua coscienza. Se io dovessi pensare cli do­ ver rinunciare a motivo della mia coscienza, allora avrei sottomesso me stesso al giudizio di un altro e sacrificato la mia libertà; per sé resto libero di mangiare ciò che posso godere con ringraziamento (cioè , con "buona coscienza") (v. 30) ; ma non rinuncio alla mia libertà neppure se rinuncio in considerazione della co­ scienza di un altro». 373 L'obiezione di Conzelmann è che in questo modo la co­ scienza viene intesa in senso soggettivistico e la rinuncia come un ritirarsi nella libertà interna, mentre al v. 31 Paolo indica nella gloria di Dio lo scopo dell'agi­ re cristiano (Der erste Brief, 2 1 1 ) . Propone quindi la sua lettura del v. 29b inteso come esplicativo del fatto che sia non la propria coscienza bensì quella dell'altro a vincolare il soggetto : la rinuncia a tradurre in pratica la propria libertà è richie­ sta dallo «status confessionis» in cui si trova l'invitato : se mangiasse non solo confermerebbe l'informatore nella sua persuasione idolatrica ma compirebbe egli stesso un atto di riconoscimento della potenza degli idoli . Per questo deve astenersi , a motivo della coscienza dell'informatore pagano . Ma il contesto dei cc. 8-10 riferisce la doverosa attenzione per la coscienza altrui al campo dei rap­ porti intraecclesiali , in concreto al rispetto per il fratello debole. Del resto anche la struttura chiastica della sezione , che mostra come 10,23-1 1 , l riprenda 8 , l ss , sta a dire che l a formula «a motivo della coscienza . . . dell'altro» deve essere in­ tesa alla luce di 8,7ss dove centrale è il rapporto dei forti verso i deboli. Willis parafrasa il testo paolino nel modo seguente : «Perché io , come cristia­ no cosciente della mia libertà di mangiare o non mangiare , dovrei esercitare la mia libertà mangiando se so che altre persone mi condannano?» E la seconda domanda, parallela alla prima, ha questo significato : «Come posso io offrire un

371

Così Fee . Sulla stessa direttrice si pone Jones . Watson invece , che pure ritiene come agli interrogativi dei vv . 29b-30 viene data effettiva­ mente una risposta , la ravvisa in tutto il brano conclusivo cioè in 1 0, 3 1-1 1 , 1 . Ma la sua congettura fondata su rilievi di natura retorica non mi sembra concludente: in 10,3 1-1 1 , l Paolo conclude l'inte­ ra sezione e non sembra possibile attribuire alla relativa particella oun il ruolo d'introdurre una ri­ sposta a un'obiezione . 373 B uLTMANN , Theologie, 220 . L a f a s u a Barrctt che cita espressamente Bultman n . 372

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Commento

ringraziamento sul cibo sapendo che sarò insultato per aver mangiato ciò su cui ho fatto la preghiera di benedizione?» (Ido! Meat, 249) . L'io delle due domande non farebbe che vivacizzare la parola di Paolo che mette in campo un'ulteriore motivazione - oltre a quella del rispetto dovuto alla coscienza del fratello - della doverosa rinuncia a favore del cristiano debole . Si suppone che i deboli a Corin­ to fossero assai aggressivi nei confronti dei forti . Ma il v. 29b non sembra ag­ giungere , dopo i vv. 28.29a , una seconda ragione giustificatrice dell'esigenza di non mangiare carne immolata agli dèi . Soprattutto le due domande non intendo­ no giustificare una rinuncia in previsione di conseguenze spiacevoli , ma prote­ stare per una reazione indebita all'agire proprio espressivo di personale libertà e di «eucaristica» preghiera. 374 Eckstein (Der Begriff, 266ss) infine ritiene che sia lo stesso Paolo - non il cri­ stiano forte - che qui prende la parola per spiegare quanto ha detto nel v. 29a: l'attenzione alla coscienza del debole non significa assoggettamento al suo giudi­ zio , bensì rispetto perché essa non sia «contaminata» (8,7) , il che avverrebbe se , con il proprio esempio , si spingesse il debole a fare ciò che la sua coscienza gli vieta. Parimenti nessuno ha il diritto di biasimare il forte che mangia anche gli idolotiti rendendo grazie a Dio. L'ipotesi si raccomanda per una buona aderenza al carattere retorico delle domande e alla loro valenza di protesta. L'unica diffi­ coltà è che il v. 29b lungi dallo spiegare e motivare ( cf. il gar inteso in questo preciso senso dall'autore) quanto suddetto , intende dire qualcosa di nuovo: la li­ bertà del forte non può essere giudicata da un'altra coscienza e il suo agire di commensale che innalza a D io il rigraziamento per quanto mangia non può esse­ re oggetto di biasimo. Ora, se tutte le spiegazioni date prestano il fianco a evidenti obiezioni , diven­ ta suggestiva l'ipotesi di Hitzig che pure Weiss vede con occhio benevolo : si tratta di un'annotazione marginale di un copista che protesta a favore della libertà cri­ stiana prendendo le difese dei forti, annotazione entrata poi nel testo . 375 È una soluzione radicale della difficoltà e si propone come «extrema ratio», indice di una resa davanti a un testo ostico ; senza dire che anche qui ci si aspetterebbe co­ me introduzione un'avversativa: tu dici questo , invece io affermo quest'altro. Per concludere, sembra opportuno rileggere attentamente il testo , indicando punti fermi , probabilità, ipotesi . Anzitutto bisogna precisare il senso della parti­ cella gar che sembra voler indicare la ragione o la spiegazione di quanto detto sopra; ma nelle interrogative sta al posto del nostro «mai» o ha valore pleonasti­ co376 e ci sembra che la prima valenza sia qui da preferire per ciò che si dirà più avanti . Di fatto il v. 29a continua il tema della coscienza dell'altro , ma con carat-

374 Anche Vollenweider intende 1'eleU1heria del v. 29b come sospensione dell'exousia. Così pu­ re Probst . 375 Così anche G . ZuNTz , The Text of the Epistles. A Disquisition upon the Corpus Paulinum, London 1953, 17. 3 7 6 Così B r.Ass-DEBRUNNER , Grammatica, § 452. In senso pleonastico l'intende Fee. Di regola invece viene letta in senso esplicativo .

l Cor

10,23-11 , 1

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teristiche proprie , di cui la prima è di semplice formulazione (allès syneidèseos I di un'altra coscienza) , l'altra invece di maggior peso , perché la coscienza altrui vi appare quale istanza giudicatrice (krinetai) contrapposta alla propria libertà (eleutheria) . Questa nel c. 9 era stata al centro della rivendicazione dell'apostolo (ouk eimi eleutheros? : v. 1 ; eleutheros gar on ek panton I «essendo infatti libero da tutti»: v . 19) e sotto la categoria analoga di exousia aveva caratte rizzato 8,9. Ora viene ripresentata come rivendicazione e sembra collegarsi non tanto con i vv . 28-29a: «non mangiate affatto . . . a motivo della coscienza . . . dell'altro » , quanto con i vv . 25 . 27 : «mangiate pure » . In secondo luogo nel v . 3 0 l'interrogativo sottintende u n a risposta negativa e fa riferimento a un pranzo in cui I' «io» consuma carne immolata agli dèi idolatri­ ci e innalza una preghiera di ringraziamento . Il biasimo , dichiarato privo di ogni ragion d'essere , si comprende appunto solo in tale contesto . Dunque il v. 30 non si riferisce a un proposito di rinuncia a mangiare idolotiti allo scopo di non esse­ re biasimato , come ritiene Willis, ma alla rivendicazione del diritto di agire con piena libertà sublimata addirittura in senso «eucaristico» (chariti I eucharisto) e alla protesta che giudica insensato il biasimo . Di qui la traduzione : «perché do­ vrei essere biasimato» . D 'altra parte il v. 30 si dimostra parallelo al v. 29b ; basti confrontare le due formule interrogative : hina ti + verbo passivo al presente I ti + verbo passivo al presente , che perciò vanno tradotte allo stesso modo : «per qual motivo mai la mia libertà dovrebbe essere giudicata? I perché io dovrei es­ sere biasimato?» . In tale prospettiva il giudizio emesso da un'altra coscienza è presentato in una luce negativa . Di conseguenza anche nel v. 29b si esprime una rivendicazione della propria libertà di mangiare idolotiti , unita alla protesta con­ tro l'immotivato intervento di un giudice esterno . La domanda è retorica e sot­ tintende una risposta negativa: non c'è motivo alcuno che possa legittimare que­ sta pretesa subordinazione della mia libertà . 377 La protesta qui espressa sembra prendere di mira il credente debole , l'unico che può avanzare la pretesa di giudicare la libertà altrui con il metro della sua co­ scienza e da cui ci si può aspettare il biasimo per un comportamento libero . Ab­ biamo dunque la difesa animosa dei forti davanti all'aggressività dei deboli e alla loro pretesa di giudicarli sul metro della loro coscienza e di biasimarli quando si cibano di idolotiti . L'«io» che s'interroga nel v. 30 mostra addirittura , nella sua protesta, un tono d'indignazione : come è possibile che alla mia manifestazione concreta di ringraziamento al Dio creatore della terra e donatore del cibo (cf. v. 26) si risponda con il biasimo? In greco poi diventa palpabile l'enormità della correlazione tra chariti I eucharist6 da una parte e blasphèmoumai dall'altra . Logicamente ne segue che si tratta di interrogativi che s'innestano nel conte­ sto precedente (vv. 25ss) che è a difesa della libertà dei forti , tenuti a seguire il

377 La particella hina ti ricorre ancora nel NT in Mt 9,4; 27 ,46 (che cita Sai 21 ,2) ; Le 1 3 ,7 e At 4,25 (che cita Sai 2 , 1 ) ; 7 ,26 e sempre non per sollecitare una risposta all'interrogativo , bensì per sot­ tolineare l'assenza di ragioni legittime , che provoca una protesta in forma interrogativa .

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Co mmento

dettame della loro coscienza , non quello della coscienza altrui (vv . 25 e 27) , an­ che se vi devono rispetto e premurosa attenzione in casi particolari ( cf. vv . 2829a) . E Paolo si dichiara d'accordo qui con i forti contro l'indebita pretesa dei deboli : infatti quando ha detto nei vv. 28-29a ai forti che devono astenersi dal mangiare gli idolotiti «a motivo della coscienza . . . dell'altro» , non aveva inteso subordinarne l'agire al giudizio della coscienza di quest'ultimo . Altro è il senso del suo divieto : attenzione premurosa al vantaggio del fratello debole . Così la protesta dei vv . 29b-30 appare più che legittima e l'apostolo fa sua la negazione sottintesa nelle domande retoriche espressive di un punto di vista condiviso. Ecco una nostra parafrasi del brano : io , Paolo, ho detto che voi forti siete li­ beri di mangiare gli idolotiti ( vv. 25 e 27) tranne nel caso ipotizzato ( cf. v. 28) , nel quale vi ho comandato di astenervi a motivo della coscienza di un debole presente (vv . 28b-29a) ; e sono d'accordo con voi nel ritenere che non si dà alcun motivo perché la vostra libertà debba sottostare al gi udizio della loro coscienza che vi si vuole imporre e che fate bene ad affermare il vostro diritto di mangiare anche gli idolotiti , motivo di ringraziamento al Creatore ,378 senza per questo ve­ nir biasimati. Gli interrogativi esprimono la protesta dei forti , ma non contro Paolo, bensì contro i deboli; l'apostolo interviene a schierarsi , su questo punto , dalla parte dei forti , dopo essersi schierato di regola nella sezione a difesa del debole, cioè per il dove roso rispetto della sua coscienza. v. 31 «Dunque sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi co­ sa , tutto fate a gloria cli Dio» . È il primo imperativo della esortazione conclusiva che come tale si rivolge a tutti i credenti di Corinto . La formulazione di 3 1 a è ca­ ratterizzata dalla figura retorica dell'amplificazione : il contesto trattava il pro­ blema del mangiare o meno la carne immolata agli idoli ; l'allargamento al bere , così da indicare la consumazione di un pasto , è avvenuto nel brano 1 0 , 1 -22 . Ora Paolo intende abbracciare ogni situazione umana : «sia che facciate qualsiasi co­ sa» e porre la totalità del fare dei credenti sotto il segno della doverosa glorifica­ zione di Dio: «panta (tutto) fate a gloria di Dio (eis doxan Theou ) » . Come passo parallelo nelle lettere paoline autentiche possiamo citare Rm 1 5 , 7: «Perciò acco­ glietevi gli uni gli altri . . . a gloria di Dio ( eis doxan tou Theou ) » . Esso mostra una stretta connessione tra l'agire a gloria di Dio e la mutua accoglienza dei credenti: è questa che ridonda a onore di Dio .379 L'esortazione di Paolo individua come fi-

378 Si rife risce a una formale preghiera di ringraziamento che precede il mangiare oppure a un sentimento di gratitudine dell'animo del commensale? A ppare pre fe ribile,: la prima ipotesi , che sot­ tolinea con maggior forza la contraddizione espressa nell'interrogativo . E noto , del resto , che non solo i giudei so levano innalzare una preghiera di benedizione a D io donatore dei beni della terra ( cf. Strack-Billerbeck IV/2,61 l ss) ma anche i pagani ringraziavano gli dèi di ciò che mangiavano , come fa notare opportunamente Klauck ( Herremnahl, 278s) , che cita il seguente passo di Epitteto : «O uo­ mo, ringrazia (euch aristei) dio per la vita e per ciò che conserva la vita , per i frutti secchi, per il vino, per l'olio» (2.23,5). 3 7'1 Per i l significato di onore del termine doxa si può citare Fil l , 1 1 che mostra analogie certe con il nostro testo: «ricolmi del frutto di giustizia . . . a gloria e lode di Dio (eis doxan kai epainon Theou ) » . Sulla stessa linea si veda 1 Cor 6 ,20: «Rendete glo ria (doxasate) a Dio nel vostro corpo».

l Cor

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nalità di ogni azione del credente la glorificazione di Dio: una finalità teologica che toglie il soggetto non solo dalla fissazione su di sé ma anche dal mirare esclu­ sivamente al rapporto orizzontale con l 'altro . D'altra parte non solo il passo pa­ rallelo di Rm 15 ,7 ma anche il contesto del v. 32 dicono che il dare onore a Dio s'incarna, di fatto , nell'attenzione premurosa per il vantaggio e l'edificazione dell'altro o degli altri. vv. 32-33 «Non siate persone che danno scandalo sia a giudei sia a greci sia alla chiesa di Dio, come anch'io in tutto a tutti cerco di piacere , non cercando il mio proprio vantaggio bensì quello di molti , affinché possano giungere alla sal­ vezza» . Il secondo imperativo in forma negativa (v . 32) riprende il motivo di 9 , 1 2 , soprattutto di 8 , 1 3 , con una chiara amplificazione retorica: il confronto non è più limitato al fratello debole , come in 8 , 1 3 , o ai destinatari dell'annuncio evangelico , come in 9 , 12 , bensì abbraccia tutti gli uomini, giudei, greci , la chiesa di Dio. Non si tratta di una seconda esortazione in senso materiale , che si ag­ giunga alla prima del v. 3 1 ; in realtà è la stessa, ma specificata nella sua reale portata. Detto altrimenti , in v. 32 Paolo spiega che cosa vuol dire fare tutto «a gloria di Dio» . Ma il collegamento è stretto anche con i vv . 23-24: ciò che qui era espresso in forma positiva , cioè cercare quanto è vantaggioso e costruttivo per l'altro , si ripete , in forma negativa , al v. 32: essere persone che non causano la caduta degli altri . Il contesto della sezione direbbe che la formula «la chiesa di Dio» si riferisce alla comunità cristiana di Corinto , ma la manifesta figura retori­ ca dell'amplificazione suggerisce piuttosto che indica la chiesa di Dio che com­ prende tutti i credenti , visti qui come «tertium genus humanum» accanto ai due «genera» classici di giudei e greci . L'introduzione dell'esempio di Paolo (v. 33) con la comparativa kath6s (co­ me) riprende un motivo che caratterizza la nostra sezione , come si è mostrato so­ pra. La ripresa non è solo di marca contenutistica , ma si estende anche al piano formale . In concreto ripete il tema del «cercare» ( cf. v. 24 ) , il motivo del vantag­ gio (symphoron) (cf. v. 23) , la formula stilistica della totalità (panta pasin I in tut­ to a tutti) che riproduce tois pasin panta («tutto a tutti») di 9 ,22, infine la determi­ nazione dello scopo della dedizione ( «hina s6th6sin I perché possano giungere al­ la salvezza») che è in stretto parallelo con 9 ,23 ( «hina . . . tinas s6s6 I affinché pos­ sa salvare alcuni») . Non ha invece equivalenti nella nostra sezione la categoria del «piacere» (areschein) : «in tutto a tutti cerco di piacere» . W. Foerster ne defi­ nisce con esattezza la valenza semantica in questi termini : «In Paolo invece signi­ fica per lo più vivere per amor di qualcuno» (GLNT I, 1214) . Ora che il nostro passo rientri in tale prospettiva è dimostrato dalla proposizione participiale che lo specifica: «non cercando il mio proprio vantaggio , bensì quello di molti» . E qui il parallelismo con Rm 1 5 , 1 -3 s'impone : «Ora noi i forti dobbiamo portare le debo­ lezze dei non-forti , e non cercare di piacere (areschein) a noi stessi. Ognuno di noi cerchi di piacere (areschet6) al prossimo per il (suo) bene mirando alla (sua) edificazione . Infatti anche Cristo non cercò di piacere ( eresen) a se stesso». 380

380 I n v ece in

Gal l , 1 0 e ITs 2,4 «piacere agli uomini» è in reale antitesi con «piacere a Cristo» e

504

Commento

1 1 , 1 « Diventate miei imitatori , come io lo sono di Cristo» . Il terzo imperativo esplicita l'invito ai corinzi a comportarsi come egli si comporta implicito nel v. 33 , e lo fa introducendo il motivo dell'imitazione , espressiva dello schema sotteso al­ la presentazione di sé come modello : «come me così voi». Anche per questo la lettura di mimeomai I mimetes in chiave di obbedienza all'autorevole parola del­ l'apostolo , avanzata da W. Michaelis , si rivela errata: «mimetai moi ginesthe deve significare : lasciatevelo dire , prendetevelo a cuore e attenetevi a ciò , state obbe­ dienti! » (GLNT VII , 280) . I n realtà questi si fa forte del passo 4 , 1 6 , dove ricorre la medesima formula: « Diventate miei imitatori» (mimetai mou ginesthe) in un contesto in cui l'apostolo esorta i corinzi ad essere fedeli alle «mie vie che in Cri­ sto . . . insegno» (v . 17) . Ma in lTs 1 ,6 e 2 , 1 4 il motivo dell'imitazione è presentato nella linea del modello che viene seguito , e altrettanto si dica di 2Ts 3,7.9. In ogni modo nel nostro passo decisiva è la connessione manifesta con 10,33 . L'originalità di 1 1 , 1 è la seconda parte del versetto: «come io lo sono di Cri­ sto». Si ha dunque una reduplicazione dello schema «così come» : così io come Cristo ; così voi come io. Paolo si colloca al centro di una catena di modelli e di imitatori , alle cui estremità abbiamo l'esempio attivo di Cristo e l'imitazione dei corinzi ; l'apostolo è la grandezza intermedia, per un verso imitatore del modello Cristo , per l'altro modello offerto in imitazione agli interlocutori . Il campo ma­ teriale in cui si afferma da un lato il modello e dall'altro la sua imitazione è il pia­ cere in tutto a tutti e il cercare non il vantaggio proprio ma quello altrui , come appare in 10,33. Ora il passo di Rm 1 5 ,3 citato sopra a proposito del motivo del «piacere a» chiarisce perché Paolo può dire di essere imitatore di Cristo : «Infatti anche Cristo non cercò di piacere (eresen) a se stesso». E ciò è detto a proposito del problema degli idolotiti , in un brano assai vicino alla prospettiva , propria della nostra sezione , dell'attenzione doverosa e attiva al vantaggio dell'altro .38 1 Si aggiunga il probabile riferimento a 8 , 1 1 : Cristo ha dato la sua vita per amore del fratello debole . Dunque è il Gesù storico il modello a cui Paolo si riferisce , ponendosi a sua volta a modello della comunità di Corinto .382

7. STUDIO COMPARATIVISTICO Cf. BRUNT J . C . , «Rejected , ignored , or misunderstood?», in NTS 3 1 ( 1985) , 1 1 5-120 ; CAMBIER J . M . , «La liberté chrétienne est et personelle et communau­ taire (Rm 1 4 , 1 - 1 5 , 13)» , in D E LORENZI , a cura di , Freedom and Love, 57- 126 ;

«piacere a Dio». 381 In lTs 1 ,6 invece Paolo e Cristo sono coordinati come modelli da imitare : «e voi siete diven­ tati imitatori di noi e del Signore» nel coraggio di affrontare ogni tribolazione con gioia . 382 Michaelis esclude perentoriamente che si tratti di Gesù come modello e insiste sulla sua let­ tura della mimesis in senso di obbedienza: «essere il mimetes di qualcuno significa lasciarsi guidare dai suoi ordini , essergli obbedienti . L'Apostolo vuol dire : io ve l'ho ordinato, ma Cristo l'ha ordina­ to a me» (GLNT VII, 282) .

l Cor 10,23-11 ,1

505

DuPONT J . , «Appel aux faibles et aux forts dans la communauté romaine (Rm 14 , 1 - 1 5 , 13)», in Studiorum paulinorum congressus internationalis catholicus 1 961 , Romae 1963 , 1 , 357-366 ; KuJN A . F. J . , «The Pseudo-Clementine and the Apostolic Decree» , in NT 10(1978) , 305-3 12; SAEZ GoNZALVEZ, El problema de la carnes , 17 4ss .

7. 1 . Il testo parallelo di Rm 14, 1-15, 13 Il confronto delle due sezioni mostra una sorprendente analogia di problemi e di soluzioni che rende possibile una lettura sinottica ; ed è interessante verifica­ re come in altra situazione , in tempo posteriore e scrivendo a nuovi interlocutori Paolo mantenga ferma la linea di soluzione , pur nella diversità di accentuazioni e nella peculiarità di questo e di quel motivo .383 Nella chiesa di Roma , che egli mostra di conoscere abbastanza bene , le divisioni interne non erano motivate dal problema di mangiare o meno gli idolotiti , bensì dall'esigenza, affermata da alcuni, di astenersi dalla carne (14,2.6) e dal vino (14,21) e di considerare deter­ minati giorni come giorni di osservanza religiosa (14,5 . 6) . In concreto , da una parte c'erano credenti legati a prescrizioni rituali della legge mosaica, 3 84 dall'al­ tra cristiani che liberamente mangiavano ogni cosa e per i quali tutti i giorni era­ no uguali. In 1 5 , 1 sono chiamati rispettivamente hoi adynatoi (i non-forti) e hoi dynatoi (i forti) . I primi poi vengono indicati con la categoria generalizzante di ho asthen6n te-i pistei (colui che è debole nella fede) (14, 1 ) . La loro astinenza era l'effetto di una visione del mondo su base dualistica , che distingue tra realtà immonde che contaminano e da cui bisogna stare alla larga e realtà monde il cui contatto non incide in senso spirituale e salvifico sulla persona (14, 14) . 385 Non è qui il luogo per discutere l'identità esatta dei cristiani che si fronteggiavano nella comunità cristiana di Roma e determinare la dipendenza culturale da questa o da quella corrente di pensiero . 3 86 Ci basti rilevare la differenza rispetto alla si­ tuazione di Corinto dove il pericolo , la caduta nell'idolatria, era ben più grave. Rm 14-15 poi presenta un quadro meglio delineato dei due fronti non solo nella loro rispettiva prassi e prospettiva «ideologica» , ma anche nella contrappo­ sizione degli uni agli altri : chi si asteneva metteva sotto processo (verbo krinein ) i forti387 e questi disprezzavano quelli (verbo exouthenein ) (14,3 . 10) . Ma in 14,13 si sottolinea che il giudizio di condanna era un atteggiamento degli uni e degli al­ tri . La comunità cristiana di Roma appare pertanto non solo divisa al suo inter-

383 DuPONT, «Appel» , 365 parla di «una specie di retractatio delle applicazioni della la ai corin­ zi sulla questione degli idolotiti». 3 84 Non possiamo chiamarli semplicemente dei vegetariani, perché non vi rientra il fattore del­ l'osservanza di determinati giorni, che si spiega meglio in rapporto al calendario ebraico circa il saba­ to e altri giorni festivi. 385 Cf. in proposito anche 14, 17: «Infatti il regno di D io non consiste in cibo e bevanda (brosis kai posis) , ma in giustizia e pace e gioia nello Spirito santo» . 386 Un'ipotesi è che i deboli fossero giudeo-cristiani e i forti etnico-cristiani illuminati. 387 Dupont qualifica, a ragione , i deboli come dei «censori» («Appel» , 359) .

506

Co mmento

no ma anche dominata da dinamismi di aggressività e di reciproca contrapposi­ zione . E ciò spiega che la parola di Paolo si presenti diretta ora a un fronte e ora all'altro , ma anche a tutti e due insieme , mentre in l Cor 8- 10 i suoi interlocutori erano i fort i. S u l piano descrittivo d e i «deboli» u na vistosa differenza tra i due testi è il ca­ rattere qualificante della «coscienza» in l Cor 8-1 0 , cui corrisponde in Rm 14-15 la categoria della «fede» (pistis) , c he in 14 ,23 si presenta in antitesi con le esita­ zioni e le incertezze (ho diakrinomenos) ( 14,23) . 388 Ma ancor piì:1 si nota in Rm l'assenza di due aspetti che definivano i forti di Corinto , la gnosis ( conoscenza ) e l'exousia ( libertà di agire ) I eleutheria ( libertà ) . In breve , se a Roma il problema era cli carattere ascetico I morale , a Corinto riguardava una questione propri a­ mente religiosa di timbro sincretistico . Paolo prende posizione ripetendo , in buona parte , quanto aveva eletto qual­ che anno prima. Anzitutto dal punto di vista teorico egli sposa sostanzialmente la posizione dei forti : «So e sono persuaso nel Signore Gesù che null a è per se stesso immondo (ouden koinon) » ( 1 4 , 14) ; «In realtà tutto è puro (panta men kathara)» ( 1 4 ,20) e in 1 5 , 1 giunge ad accomunarsi ai forti : «Ora noi i forti ab­ biamo il dovere cli farci carico della debolezza dei non-fo rti» . D ' altra parte sot­ tolinea anche qui il valore della soggettività dei deboli che deve essere rispetta­ ta: appena dopo la dichiarazione solenne di 1 4 , 1 4 (oida kai pepeismai en Ky­ rio-i Iesou I so e sono persuaso nel Signore Gesù ) che nulla è per se stesso im­ mondo ( 14 ,1 4a) , aggiunge precisando : «ma se uno ritiene che qualcosa è im­ mondo , per lui è immondo» ( 1 4 , 14b ) Agirebbero in maniera negativa se con­ traddicessero la loro convinzione : «Ma colui che è esitante (ho diakrinomenos) se si lasciasse andare a mangiare si condanna , perché non agisce per fede ; ora tutto ciò che non viene dalla fe de è peccato» ( 14,23) . Per questo deve essere ri­ spettato nel suo orientamento : i forti si astengano da comportamenti capaci di «rattristarlo» (lypein) ( 14 , 15) e di scandalizzarl o . Della tristezza carica di forza distruttiva ( «tristezza che produce morte» ) Paolo ha parlato in 2Cor 7, 10 ed è il senso che s'impone nel nostro passo privo di analogia in l Cor 8- 10. Al contra­ rio il tema dello scandalo e dell 'inciampo rappresenta u n macroscopico paralle­ lo tra Rm e 1 Cor. Vedi Rm 1 4 , l3 b : «Invece questo valutate piuttosto , di non porre pietra d'inciampo o di scandalo (to me tithenai proskomma e skanda­ lon ) al fratello» . E se qui l'esortazione sembra avere carattere generale , i n 14,20-21 l' imperativo riguarda i forti : « m a è male p e r colui che m angia con scandalo (dia proskommatos) ; è bene non mangiare carne né bere vino né fare ciò in cui il tuo fratello finisce per inciampare (proskoptei)» . Troppo prezioso è colui che si danneggia , dice uniformemente Paolo in l Cor e in Rm : è un fratello ( 1 4 , 10. 13 . 15 . 21 ) , colui «per il quale Cristo è morto» ( 1 4 , 1 5 ; cf l Cor 8 , 1 1 ) . Sa.

. . .

388

D upont h a notato come l a contrapposizione tra fede da una parte e incertezza e dubbio dal­ e che qui Paolo ne potrebbe dipendere ; vedi per es. Mt

l'altra sia attestata nella tradizione sinottica 2 1 ,2 1 .

l Cor 1 0 , 23-1 1 , l

507

rebbe imperdonabile un atteggiamento rovinoso: «Con il tuo cibo non mandare in rovina (apollye) quello per il quale Cristo è morto ( 1 4 , 1 5 ; cf. 8 , 1 1 : «va in rovi­ na [apollytai] il debole per mezzo della tua conoscenza» ) ; ma vedi anche 14,20: «Non distruggere (mé katalye) l'opera di Dio a causa del mangiare [eneken brò­ matos]»). Positivamente l'agire degli uni verso gli altri deve avere finalità costruttiva: «Perciò perseguiamo ciò che appartiene alla pace e quello che appartiene all'edi­ ficazione reciproca (kai ta tés oikodomés tés eis allélous)» ( 14,19 ) ; «Ciascuno di noi piaccia al prossimo per il ( suo ) bene (eis to agathon) e mirando all'edificazio­ ne (pros oikodomén)» ( 1 5 ,2) . E dovrà essere l'amore il dinamismo che muove il credente : rattristare il fratello mangiando liberamente di tutto vuol dire lasciarsi guidare da altra dinamica: «non cammini più ( nella vita ) secondo amore (kata agapén)» ( 14,15 ) . E anche qui il parallelismo con lCor 8- 10 è indubitabile (cf. 8 , 1 . 10 ; 10,23 ) . Quattro invece ci sembrano le sottolineature qualificanti di Rm 14- 15 rispet­ to alla trattazione di lCor. Anzitutto originale appare la ripetuta e motivata esortazione a bandire dalla comunità qualsiasi pretesa di giudicare il fratello che ha una prassi «altra» dalla propria. Questi infatti appartiene al Signore in qualità di servo (oiketés) , dunque in modo totalitario ed esclusivo , e il suo destino di sal­ vezza è assicurato dalla grazia di questi: «Chi sei tu che pretendi di giudicare un servo altrui? Spetta al suo proprio padrone che stia in piedi o cada; ma starà in piedi , perché il Signore ha il potere di farlo stare saldo» ( 14,4 ) .389 La pretesa di giudicare è indebita anche per una seconda ragione , in quanto usurpa la specifi­ ca prerogativa di Dio giudice : «Ma tu perché vuoi giudicare (ti krineis) il tuo fra­ tello? Oppure anche tu perché vuoi disprezzare (ti exoutheneis) il tuo fratello? Tutti infatti compariremo al tribunale di Dio (parastésometha tò-i bémati tou theou) . Perciò ciascuno di noi renderà conto a D io di se stesso . Dunque cessia­ mo dal giudicarci gli uni gli altri (méketi oun allélous krinòmen)» (4 , 10 . 12. 13a ) . Inoltre nuova suona l'esortazione alla mutua accoglienza ; se in 1 4 , 1 l'impe­ rativo è rivolto ai forti: «Accogliete (proslambanesthe) colui che è debole nella fede , non entrando in valutazioni dei suoi ragionamenti (mé eis diakriseis dialo­ gismòn ) » , in 1 5 , 7 destinataria appare la comunità intera: «Perciò accoglietevi gli uni gli altri (proslambanesthe allélous) » . Un'esortazione fondata sull'accoglienza di grazia dei credenti da parte di Dio e Cristo : «Dio infatti lo ha ac­ colto (proselabeto)» ( 14,3b ) ; «Poiché (kathòs)390 anche Cristo vi ha accolti (pro.

.

389 C'è una falsa sollecitudine dei deboli per i forti , ai quali ci pensa il Signore , annota DuroNT, «Ap �el» , 360. 90 Così anche nel suo commento Schlier. Nell'azione di salvezza verso i circoncisi e i gentili (cf. vv. 8-12) Cristo appare più una ragione motivante che un modello esemplare di accoglienza . Questa prospettiva però appare presente in non pochi interventi nella discussione seguita alla relazione di Cambier durante «il colloquio paolino» citato sopra. Parimenti Dupont l'accentua fortemente , par­ lando di «esempio di Cristo crocifisso» («Appel» , 363), di «esempio di una carità che si estende a tut­ ti» (ibid. , 364) , di «esempio di misericordia datoci da Cristo», esempio da imitare (ibid. , 365).

508

Commento

selabeto hymas) a gloria di Dio» ( 1 5 ,7) . Non si tratta di pura sopportazione ma di convinta accettazione del «diverso» come fratello , di concreta solidarietà co­ munitaria. Terzo , la fondazione cristologica di quanto Paolo postula dai credenti di Ro­ ma ha uno sviluppo ricchissimo . A parte 1 5 ,7 , già citato , l'apostolo vi ricorre per motivare un comportamento altruistico , espresso nel tema del «piacere» (are­ schein) presente anche in l Cor 10,33: «(dobbiamo) evitare di piacere a noi stessi (me heautois areschein ) ; ciascuno di noi si sforzi di piacere (arescheto) al prossi­ mo per il (suo) bene mirando all'edificazione (pros oikodomen) . Infatti anche Cristo non cercò di piacere (ouch heaut6-i eresen) , ma come sta scritto . . . » ( 1 5 , 1 -3) . Se in l Cor 8-10 in primo piano Paolo aveva messo se stesso quale mo­ dello per i credenti di Corinto , in particolare per i forti, ora il decisivo punto di riferimento per i cristiani di Roma è di carattere cristologico , tutt'altro che as­ sente però in l Cor (cf. 8 , 1 1 e 1 1 , lb) . Certo , non appare possibile escludere ogni idea di esemplarità da 1 5 ,3 e 15,7, ma sembra prevalente la prospettiva di Cristo come ragione fondativa di una prassi di amore . E ciò viene confermato lungo tutta la sezione : è per la sua appartenenza al Signore che il fratello non può esse­ re messo sotto processo (14,4) ; lui è il Signore dei credenti e questi vivono per lui , sia che si comportino in maniera ascetica sia che mostrino grande libertà di azione (14 ,6-9); Gesù è morto a causa del fratello (14, 15) e ha dato la sua vita per noi ( 1 5 ,3 .4) ; è alla sua persona che i credenti rendono servizio (14,18) ; egli costituisce il criterio (kata Christon Jesoun) secondo cui i cristiani di Roma devo­ no vivere in unità d'intenti (15 ,5) ; ha accolto i cristiani romani , siano essi circon­ cisi o incirconcisi, nel senso di essere stato mediatore di salvezza per gli uni e per gli altri ( 1 5 ,7- 12) . In breve, le esigenze imperative che Paolo presenta alla comu­ nità sono basate sull'azione di grazia di Gesù morto e risorto e Signore della chiesa e di tutti gli uomini . 391 Infine , Rm 14- 1 5 si caratterizza per la sottolineatura di un'esigente reciproci­ tà: «Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri (allelous)» (14,13) ; «Dunque perseguiamo . . . quello che attiene alla edificazione vicendevole (tes eis allelous)» (14,19) ; «E il Dio della costanza e della consolazione vi conceda unità d'intenti (to auto phronein) nei rapporti reciproci (en allelois)» ( 1 5 ,5) ; «Perciò accogliete­ vi gli uni gli altri (allelous)» ( 1 5 ,7) . La spiegazione non appare ardua: Paolo si ri­ volge parimenti ai due fronti , perché passino dalla contrapposizione aggressiva alla mutua accoglienza , diremmo a una fattiva solidarietà392 nel rispetto delle di­ verse posizioni quanto al mangiare e al calendario . E come risultato di tale vi­ cendevole accettazione l'apostolo persegue lo scopo di una profonda unità eccle-

39 1 Ci trova consenzienti questa conclusione di Dupont , che allarga l'orizzonte al di là del cam­ po dell'esempio e dell'imitazione: « . . . accentua soprattutto l'orientamento cristologico ponendo Cri­ sto al centro di tutte le prospettive e regolando su di lui tutta la vita cristiana» ( «Appel» , 365 ) . 392 Vedi in proposito anche il motivo d e l portare i pesi g l i u n i degli altri , q u i applicato ai forti: «Noi i forti dobbiamo farci carico ( bastazein) delle debolezze dei non-forti (ta asthenemata tòn ady­ nat611 ) » (15 , 1 ) . Cf. Gal 6,2.

l Cor

1 0 ,23-1 1 , 1

509

siale , sia interiore (to auto phronein) (15 ,5) sia espressa nella forma liturgica del­ la dossologia: «affinché d'un solo animo con una sola voce glorifichiate il Dio e padre del Signore nostro Gesù Cristo» ( 1 5 , 6 ; cf. 15 ,9-12) .393 7. 2.

La posizione del cristianesimo dei primi due secoli394

La soluzione di Paolo costituisce senz'altro un'originalità assoluta all'interno della grande chiesa dei primi tre secoli , perché le altri voci sono tutte di segno contrario : i cristiani devono astenersi dagli idolotiti . D'altra parte nessuna paro­ la risuona di condanna dell'apostolo ; condannati sono soltanto gli «eretici» a cui viene addebitata una riprovevole libertà in merito . Neppure la letteratura pseu­ doclementina , notoriamente a lui avversa , tradisce una qualche polemica anti­ paolina quando proibisce di cibarsi degli idolotiti . Anzi Clemente d'Alessandria e O rigene citano passi della 1 Cor 8-10 e di Rm 14-15 a co nfe rma della loro tesi del dovere generale dei cristiani di astenersi assolutamente dagli idolotiti e non sembrano mostrare alcuna percezione dell'articolata soluzione paolina, riassu­ mibile nelle quattro seguenti tesi : 1) le carni immolate agli idoli sono realtà «profane» di questo mondo ; 2) i n linea di principio si possono dunque consuma­ re ; 3) l'unica riserva è data dal doveroso rispetto della coscienza del fratello de­ bole ; 4) idolatrica è invece la partecipazione al banchetto pagano, spregiativa­ mente qualificato «tavola dei demoni» . Ed è proprio questa formula che ha eser­ citato un grande influsso , come apparirà nelle testimonianze che citeremo , ap­ plicata però alla semplice consumazione degli idolotiti. Né si può dire che gli «eretici» si siano appellati , nella rivendicata libertà di mangiare gli idolotiti , a Paolo , come ha rilevato espressamente B runt. In realtà l'apostolo ha dato al problema una soluzione lontana non solo dal massimalistico ripetuto divieto del­ la grande chiesa delle origini cristiane , ma anche dal libertarismo delle correnti «eretiche» della fine del primo e soprattutto del secondo secolo. Anzitutto si deve menzionare la delibera del cosiddetto concilio di Gerusa­ lemme : 395 «Parve bene infatti allo Spirito santo e a noi di non imporvi nessun al­ tro peso eccezion fatta di queste cose necessari e : astenersi da carni offerte agli idoli (apechesthai eidolothyt6n) e da sangue e da animali soffocati e dall'impudi­ cizia (porneias) . Perciò farete cosa b uona a guardarvene» (At 15 ,28-29) . In real­ tà è opinione largamente condivisa che il decreto citato non fece parte del «con­ cilio» gerosolimitano , be nsì va ricondotto alla successiva crisi di Antiochia , testi­ moniata in Gal 2 , 1 1-14, e dunque valido per le chiese della regione , e che fu l' autore di Atti a unificare i due eventi . Ora Paolo non solo non lo menziona in

393 In qualche modo analogo a lCo( 1 0,30 appare Rm 1 4 , 1 6 : «Non sia dunque biasimato (me blasphemeistho ou11) il vostro bene». 39·1 Vedi qui lo studio succitato di B runt e soprattutto la ricerca di Saez Gonzalvez citato all'ini­ zio della sezione . 395 Cf. l'exwrsus del commentario di G. ScnNEIDER, Die Apostelgeschichte , Frcibur g-Bascl­ Wien 1 982 , II, 1 89-192 e S A E Z GoNZALVEZ , El problema de/a cames , 172-271 .

510

Comme nto

Gal 2 , 1 - 10 . 1 1 - 1 4 , ma neppure in seguito vi fa allusione ; in particolare appare sorprendente il silenzio di l Cor 8- 10, interpretato in vario modo: 1) lo conosce­ va e ne accettava il divieto ; 2) lo conosceva e ne contestava la validità; 3) non lo conosceva . 396 Se mbra preferibile la congettura che non lo conoscesse (così per es . Conzelmann , Der erste Brief, 164) ; altrimenti difficilmente l'avrebbe passato sotto silenzio sia per difendersi da possibili e forse reali contestazioni sia per giu­ stificarne il rifiuto . In ogni modo appare evidente non solo la diversità della sua soluzione al problema degli idolotiti rispetto al suddetto decreto , ma anche la sua originalità rispetto all'autore di Atti che di certo , per il fatto di averlo ripor­ tato e , ancor più , inserito nel resoconto del concilio gerosolimitano , mostra di condividerne, non solo personalmente , ma anche come voce di uno specifico ambiente cristiano dell'ultimo quarto di secolo , i contenu ti . 397 Verso la fine del I sec . risuona la parola dell' Apocalisse398 che rimprovera al­ l'«angelo della chiesa di Pergamo» e a quello della chiesa di Tiati ra di non aver contrastato posizioni «ereticali» cripticamente menzionate con riferimenti vt: «Ma ho contro di te poche cose, poiché hai lì quelli che tengono ferma la dottri­ na di Balaam , che insegnava a Balak a gettare pietra d'inciampo davanti ai figli d'Israele , cosicché mangiassero carni immolate agli idoli (phagein eidolothyta) e fornicassero (porneusai)» (2 , 14) ; «Ma ho contro di te che lasci fare alla donna Gezabele , la sedicente profetessa e che insegna e seduce i miei servi inducendoli a fornicare (porneusai) e mangiare carni immolate agli idoli (phagein eidolothy­ ta)» (2,20) . La condanna appare esplicita e abbinata all'immoralità sessuale . Ai primi anni del II sec. risale la testimonianza della Didaché: «Per gli ali­ menti poi (peri de tés broseos) , prendi su di te ciò che puoi , ma astieniti risoluta­ mente dalla carne offerta agli idoli (apo de tou eidolothytou lian proseche) ; infat­ ti è un culto di dèi morti (latreia gar esti theon nekron ) » (6,3) . Importante appare qui la motivazione: mangiare la carne immolata agli idoli equivale a un atto cul­ tuale . A cavallo della metà del II sec . abbiamo Giustino che in Dia/. 34-35 richiama l'esempio l uminoso di etnico-cristiani pronti a dare la vita a difesa della loro fede anticlolatrica : « . . . quei pagani che per mezzo di Gesù crocifisso hanno conosciu­ to il Dio creatore cli tutte le cose , i quali sopportano invece oltraggi e supplizi cli ogni tipo fino alla morte pur cli non adorare gli idoli e mangiare le carni a essi im­ molate (méte eidololatrésai méte eidolothyta phagein ) » . E a Trifone che obietta come «molti cli quelli che affermano cli credere in Cristo e sono eletti cristiani mangiano la carne immolata agli idoli (esthiein ta eidolothyta) e dichiarano di non patirne danno (méden ek toutou blaptesthai legeùz) » , risponde che si tratta di

396

B runt menziona i sostenitori delle tre ipotesi «Rejected» , 1 23 , nota LO) . SAEZ GoNZALVEZ , El problema de la cames , 239ss ritiene che con eidolothyta s'intenda qui vero e proprio culto idola trico , ma l a con nessione con le a l tre cla usole di carattere «cerimoniale» contesta tale lettura . Si aggiunga poi che doveva essere scontata per i convertiti dal paganesimo l'e­ sclusione dai ri ti idolatrici . :198 Cf. SAEZ GoNZALVEZ , El problema de la cames , 272-304. 397

lCor 1 0 ,23-1 1 , 1

5 11

cristiani vittime dell'errore : «hanno insegnato a dire e a compiere cose empie e brasfeme (athea kai blasphema legein kai prattein edidaxan) e conclude bollan­ doli e identificandoli : «Sono atei , empi , ingiusti e iniqui (atheous kai asebeis kai adikous kai anomous) Affermano di essere cristiani . . . e poi prendono parte ai riti empi e atei (kai anomois kai atheois telestais koinònousi) . Tra di loro ci sono alcuni chiamati marcioniti , altri valentiniani , altri basilidiani , altri saturniliani » . Giustino d à un nome ai gruppi cristiani che n o n solo mangiano gli idolotiti ma anche se ne giustificano espressamente e li condanna con qualifiche tali da to­ glier loro ogni pretesa di dirsi cristiani . S u lla stessa linea della denuncia degli eretici , quelli di marca gnostica , si at­ testa alla fine del secolo Ireneo nella sua celebre opera Ad versus haereses . Con­ tro i Valentiniani rileva: « . . . i più perfetti tra loro commettono impudentemente tutte le azioni proibite («Omnia guae vetantur» ) . . . Mangiano indifferentemente le carni offerte agli idoli (eidòlothyta adiaphoròs esthiousi) ritenendo di non es­ serne affatto contaminati (meden molynesthai hyp 'autòn hegoumenoi)» ( 1 ,6,3) . Agli adepti di Basilide addebita i n 1 ,24,5 il seguente orientamento: «Si devono disprezzare le carni offerte agli idoli ( «Contemnere autem et eidolothyta») e ri­ tenerle un nulla («et nihil arbitrari») ma usarne senza il minimo timore («sed si­ ne aliqua trepidatione uti eis» ) » . Infine in 1 ,28,2 afferma: «Altri invece hanno preso come punto di partenza le dottrine di B asilide e di Carpocrate ; hanno in­ trodotto le unioni libere , le molteplici nozze , l'uso indifferente delle carni offer­ te agli idoli («et neglegentiam ipsorum quae sunt idolothyta ad manducan­ dum» ): Dio , dicono , non si cura molto di q ueste cose («non valde haec curare dicentes Deum» ) » . In quest'ultimo passo appare che l'uso degli idolotiti è solo un caso particolare di una più vasta rivendicazione di carattere libertario estesa al campo sessual e . Ma già in At 15 e in Ap 2 , 14 .20 era presente l 'abbinamento con l ' immoralità sessuale . Nel III sec. non muta l'orientamento della chiesa. Possiamo addurre autore­ voli testimonianze . Clemente alessandrino in Pedag. 2 , 1 ,8-9 motiva il divieto ap­ pellandosi anche e soprattutto a l Cor 8- 10, ma senza distinguere le diverse solu­ zioni paoline date alla sfaccettata problematica e facendo leva su un motivo per nulla paolino , quello della contaminazione demoniaca : 399 «Qui bisogna ancora richiamare a proposito di ciò che si chiama gli idolotiti (peri tòn eidòlothytòn ka­ loumenòn ) , il modo con cui è raccomandato il dovere di astenersene (apechest­ hai dein toutòn) . A mio avviso sono impuri e disgustanti . "Infatti io non voglio , dice l ' Apostolo , che abbiate niente di comune con i demoni" , perché c'è un nu­ trimento soprannaturale per quelli che si salvano e per quelli che periscono. B i­ sogna dunque astenersi (aphekteon) da questi alimenti , senza timore -, perché i demoni non hanno alcun potere -, e con orrore sia a causa della nostra coscienza che è pura sia a causa dell'impudicizia dei demoni, a cui queste carni sono state consacrate , e ancora a causa del carattere inconsiste nte di quelli che vacillano a . . .

39" Della contaminazione (molynesthai) aveva parlato, a proposito della coscie nza debole , anche Pa o l o in l Cor 8,7 .

512

Commento

proposito di quasi tutto , "persone la cui coscienza si contamina , poiché è debo­ le . Poiché non è un alimento che ci avvicina a D io " ; "non è ciò che entra nell'uo ­ mo che lo contamina, ma ciò che , dice la Scrittura, esce dalla sua bocca" . Così l'uso materiale del cibo è indifferente (Adiaphoron ara hé physiké chrésis tes tro­ phes) : "Poiché se noi mangiamo, non abbiamo niente di più" , dice l'Apostolo, "e se non ne mangiamo , non abbiamo niente di meno" , ma non è ragionevole (ouk ellogon) prender parte "alla tavola dei demoni" (trapezes daimonù5n meta­ lambanein) , quando si è ammessi a condividere (metechein) il cibo divino e spiri­ tuale (theias kai pneumatikes trophés)» . «Non abbiamo infatti , dice l'Apostolo, il diritto di mangiare e di bere e di condurre con noi delle donne?» Ma, ciò va da sé , è dominando i piaceri (kratountes ton hedonon) che possiamo rimuovere le concupiscenze (tas epithymias)» . D a parte sua Origene i n Contra Celsum 8 ,28-30 insieme con gli idolotiti con­ danna il bere il sangue e il mangiare carne di animali soffocati . Celso aveva obiettato che l'astensione da determinate carni, praticata dai cristiani per fedeltà a una tradizione patria, dovrebbe portarli anche ad «astenersi completamente dal nutrirsi delle carni di qualsiasi animale» . E alla stessa conclusione era giunto anche ammesso che i cristiani «lo fanno per non partecipare al banchetto dei de­ moni (hopos me synestiontai daimosi)» , dicendo con sarcasmo : «mi felicito dav­ vero con loro , per la loro sapienza , dacché hanno messo tanto tempo a capire che son sempre commensali dei demoni ! (aei synestioi daimonon)» . Origine gli risponde che è illogica la sua argomentazione : «lo non riesco a vedere come , a questo punto , Celso ponga come conseguenza logica, per quelli che si astengono da talune vittime sacrificali . . . l'astenersi dalle carni di qualsiasi animale. Noi non diciamo affatto questo, dacché la divina Scrittura non suggerisce nulla di simile , quantunque per rendere la nostra vita più salda e più pura ci dica in un punto: "bello è non mangiare carne, né bere vino, né fare ciò, in cui il fratello tuo riceve scandalo" (Rom , XIV , 21) ; ed in un altro punto: "non rovinare per il tuo cibo colui, per cui Cristo è morto" (ibidem , 15) ; ed ancora: "se la carne è di scandalo ad un mio fratello, io non voglio mangiar carne mai e poi mai, per non dare scan­ dalo al fratello mio" (ICor, VIII, 13)» . Quindi al par. 29 si rifà all'insegnamento di Gesù , ancora a Paolo di cui cita l Cor 8,8 e infine a At 15 ,22.28-29 . E conclu­ de nel par. 30: «In realtà il sacrifizio agli idoli viene offerto ai demoni (to eido­ lothyton thyetai daimoniois) , e non è conveniente per l'uomo di D io partecipare «alla mensa dei demoni» ; la Scrittura vieta le carni di animali strangolati perché da esse non è uscito il sangue, che - come dicono - è il nutrimento dei demoni . . . A conti fatti , non è semplicemente per rispetto a una tradizione patria che noi ci asteniamo da quelle che si pensa essere vittime sacrificate in onore di cosiddetti dèi , o eroi , o demoni , ma per parecchie ragioni . . . » . Della letteratura pseudoclementina, che con tutta probabilità dipende qui dal decreto apostolico di At 15 (cf. Klijn), possiamo citare più di un passo sia delle Homiliai sia delle Recognitiones . In Horn. 7,8 leggiamo: «Questa è la reli­ gione (threskeia) stabilita da lui : Non partecipare alla tavola dei demoni ( Trape­ zes daimonon me metalambanein) , cioè dico agli idolotiti ( eidolothyton) . . , non .

l Cor 1 0 , 23--1 1 , l

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vivere i n maniera impura (me akathart6s bioun)» .400 Vedi anche dello stesso scritto 7,4: «Queste sono le cose che piacciono a Dio (ta areskonta 16-i theo-i) . astenersi dalla tavola dei demoni (trapezes daimonon apechesthai) , non gustare le carni morte» e 8 ,20: i demoni hanno potere «quando uno si prostra davanti ai demoni (proskynon tis daimonas) , oppure quando sacrifica (thyon) oppure quando si fa socio con essi alla tavola (trapezes autois koin6n6n) » . Dell'opera Recognitiones citiamo due testi , 4,36: «quae autem animam simul et corpus pol­ luunt , ista sunt: partecipare daemonum mensae , hoc est , immolata degustare vel sanguinem vel mortificium quod est suffocatum , et si quid illud est quod daemo­ nibus oblatum est» e 2 ,71 : Pietro a Clemente : «Non pro superbia , o Clemens, convivium non ago cum his qui nondum purificati sunt , sed vereor ne forte mihi quidem noceam , ipsis autem nihil prosim. hoc enim pro certo scire te volo , quia omnis qui idola coluit aliquando et eos quos pagani nominant deos , adoravit vel de immolatis eorum degustavit , spiritu immundo non caret; conviva enim factus est daemonis cuius in mente sua speciem vel timore vel amore formavit . et per haec mundus non est ab spiritu immundo , et ideo purificatione indiget baptismi , ut exeat ab eo spiritus immundus . . . amant enim isti spiritus immundi inhaerere corporibus hominum» . Come si vede , la prospettiva è quella delle due sfere con­ trapposte del puro e dell'impuro , remotissima dall'orientamento non solo di Paolo ma anche della tradizione evangelica attestata in Mc 7 , 1 5 , che i critici an­ che più esigenti fanno risalire a Gesù :401 «Non c'è nulla che venendo dal di fuori dell'uomo e entrando in lui possa contaminarlo (koinosai)» (cf. anche Mt 15,11). . .

400 S i noti qui l'equivalenza esplicita tra mangiare gli idolotiti e sedersi alla tavola dei demoni, presente in molte voci del cristianesimo primitivo citate sopra ma contraria alla soluzione paolina. 401 Cf. in proposito il commentario di PESCH, MarkiLvevangeliurn, I , 378.

SEZIONE QUINTA Problemi nelle assemblee comunitarie

( 1 1 ,2-34)

I l verbo «lodare» in prima persona singolare , usato affermativamente in 1 1 ,2 (epaino) e negativamente in 1 1 , 17 (ouk epaino) , delimita il brano 1 1 ,2-16. Se la cesura appare abbastanza chiara rispetto a ciò che precede, altrettanto si può di­ re in rapporto a 1 1 , 17-34: questa è un'unità letteraria parallela a quella, l'una e l'altra interessate ai comportamenti dei credenti di Corinto nelle assemblee ec­ clesiali di preghiera che Paolo disapprova' e, nello stesso tempo , esorta a cam­ biare . Non ci sembra invece possibile far entrare i due brani di 1 1 ,2-16 e 1 1 , 17-34 in una sezione letteraria che comprenda anche i cc. 12-14, come per altro è stato proposto . 2 Infatti se è vero che nei cc . 12-14 si tratta pur sempre di riunioni ec­ clesiali, lo stacco segnato da 12,1 con la formula «Quanto a» (peri de) , che intro­ duce nell'agenda di chi scrive un nuovo tema , imposto con tutta probabilità dai corinzi con la loro lettera (cf. 7 , 1 ) , esclude una continuità letteraria del c. 1 1 con i seguenti ; esso costituisce una sezione per conto proprio articolata nei due brani 2- 16 e 17-34. 1 . ABBIGLIAMENTO NELLE RIUNIONI DI PREGHIERA ( I I ,2- I 6)

2 3

Vi lodo poi3 perché in tutto vi ricordate di me e mantenete ferme le tradizio­ ni come4 vi ho trasmesso . Voglio però che voi sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo ,5 invece capo della donna è l'uomo , mentre capo del Cristo è Dio.

1 È vero che i n 11 ,2 Paolo loda i corinzi , ma subito a l v . 3 con un'avversativa introduce u n a li­ mitazione alla lode i niziale: sì , siete fedeli alle tradizioni che vi ho trasmesso , ma riguardo all'abbi­ gliamento delle carismatiche voi seguite un costume estraneo alla mia consuetudine , la stessa delle chiese di Dio ( 1 1 , 16) . 2 Vedi Hurd e Conzelmann. Questi intitola la sezione 1 1 ,2-14 ,40 «Questioni del culto divino» ed è seguito da Wendland . 3 L'aggiunta del vocativo «O fratelli» è secondaria, perché in caso contrario non sarebbe per nulla spiegabile la sua omissione nel pap. 46 e nei codici unciali Alef A B C P. 4 L'aggiunta «dappertutto» si rivela come secondariamente completiva del testo . 5 L'assenza dell'articolo è testimoniata in un numero discreto di mss . e tra i principali.

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Commento

Ogni uomo che prega o profetizza avendo (qualcosa)6 sulla testa oltraggia il suo capo . 5 Ma ogni donna in atto di pregare o profetizzare a testa scoperta oltraggia il suo7 capo ; è infatti identica a quella rasata. 6 Se infatti una donna non vuole coprirsi, si tagli pure i capelli . Ma se è vergo­ gnoso per una donna tagliarsi i capelli o radersi , si copra . 7 Infatti per un verso l'uomo non deve coprirsi la testa, essendo immagine e gloria di Dio ; dall'altro la donna è gloria dell'uomo . 8 Perché non è l'uomo a essere dalla donna, bensì la donna dall'uomo. 9 E infatti non è l'uomo a essere stato creato per la donna , ma la donna per l'uomo . 8 10 Perciò la donna deve avere controllo sulla testa,9 a causa degli angeli . 1 1 Solo che nel Signore n é donna senza uomo né uomo senza donna. 12 Come infatti la donna proviene dall'uomo così anche l'uomo è mediante la donna . Tutto però viene da Dio. 4

13 Giudicate da voi stessi: è conveniente che una donna preghi Dio a testa sco­ perta? 1 0 14 Non è anche la stessa natura a insegnarvi che se l'uomo porta i capelli lun­ ghi , è per lui un disonore , 15 mentre se la donna ha i capelli lunghi, per lei è una gloria, perché la chioma le11 è stata data come turbante? 16 Se poi uno ritiene di dover essere amante di contese , (sappia che) noi non abbiamo una tale consuetudine , né le chiese di Dio . Oltre ai commenti indicati vedi ADINOLFI M. , «Il velo della donna e la rilet­ tura paolina di 1 Cor 1 1 ,2-16» , in RivBibl 23(1975) , 147-173 ; BAUMERT N . , Anti­ feminismus bei Pau/us? Einzelstudien , Wiirzburg 1992 , 53- 108 ; DELOBEL J. , « l Cor 1 1 ,2-16. Towards a coherent Interpretation» , in A. VANHOYE, a cura di , L'Apotre Paul. Personnalité Style et Conception du Ministère , Leuven 1986, 369389 ; ELLUL D . , «"Sois belle et tais-toi ! " . Est-ce vraiment ce que Paul a dit? A propos de l Co 1 1 ,2-16» , in CahBib 28 (Foi et Vie) 1 989 , 49-58; ELTESTER F.W. , Eikon im Neuen Testament, Berlin 1958; ENGBERG-PEDERSEN T. , «lCorinthians 1 1 : 16 and the Character of Pauline Exhortation» , in JBL 1 10(199 1 ) , 679-689 ; FEUILLET A . , «Le signe de puissance sur la tete de la femme , l Cor 1 1 , 10» , in

I,..' aggiunta di « u n velo» è manifestamente secondaria . E attestata anche la lezione del pronome riflessivo : «di lei stessa». 8 Il pap. 46 ha il più generico anthr6pon . 9 La variante «un velo» di versioni e testimonianze patristiche tradisce , per un verso , lo sforzo di chiarJ re un testo difficile e, per l'altro , testimonia l'autenticità della lezione seguita . 10 E attestata anche l'aggiunta di «0». 1 1 L'edizione di Nestle-Aland ritiene dubbia la presenza di questo pronome tralasciato dal pap. 46 e da importanti codici unciali. 6

7

lCor 1 1 ,2-16

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NR T 105 ( 1973 ) , 945-954 ; lo. , «L'Homme "Gloire de Dieu" et la Femme "Gioi­ re de l'homme"» , in RB 81 ( 1974) , 161- 182 ; FnzMYER J . A . , «Another look at �e­ phale in 1 Corinthians 1 1 ,3», in NTS 35 ( 1989 ) , 503-5 1 1 ; lo. , «A feature of Qum­ ran Angelology and the Angels of ICor Xl . 10» , in NTS 4 ( 1957 ) , 48-57 ; GrAVINI G . , «La donna nella chiesa secondo s. Paolo», in Chiesa per il mondo (Miscella­ nea teologico-pastorale Michele Pellegrino) , Bologna 1974 , I , 201-215 ; GILL D . W.J . , «The lmportance of Roman Portraiture for Head-Coverings in 1 Co­ rinthians 1 1 :2- 16» , in Tyndale Bulletin 41 ( 1990) , 245-260; HuRo , The Origin of 1 Corinthians , 90-91 ; 182-186; JAUBERT A . , «La voile des femmes» , in NTS 1 8 ( 1971s ) , 419-439 ; JERVELL J . , Imago Dei. Gen l,26s im Spatjudentum, i n der Gnosis und in den paulinischen Briefen , Gottingen 1 960, 292-3 12; JERvrs L.A. , «"But I want you to know . . . " . Paul's Midrashic Intertextual Response to the Corinthian Worshipers ( 1 Cor 1 1 :2-16 ) >> , in JBL 1 12 ( 1993 ) , 23 1-246; KOcKLER M. , Schweigen, Schmuck und Schleier. Drei neutestamentliche Vorschriften zur Verdriingung der Frauen auf dem Hintergrund einer frauenfeindlichen Exegese des Alten Testaments im antiken Judentum , Freiburg I Schw . -Gottingen 1986, 73114; MAcDONALD D . R . , There is no Male and Female. The Fate of a Dominica! Saying in Paul and Gnosticism , Philadelphia 1987 , 72- 1 1 1 ; MARTIN W.J . , «ICo­ rinthians 1 1 :2-16: An Interpretation» , in Apostolic Hist01y and the Gospel (FS F. F. Bruce) , Exeter 1 970 , 23 1-241 ; MuRPHY-O'CoNNOR J . , «The non-pauline Character of 1 Corinthians 1 1 :2-16?» , in JBL 95 ( 1976 ) , 615-621 ; lo. , «Sex and Logie in 1 Corinthians 1 1 :2- 16» , in CBQ 42 ( 1980) , 482-500; Io . , «1 Corinthians 1 1 : 2-16 once again», in CBQ 50 ( 1988 ) , 265-274; OsrnR R. , «When men wore veils to worship: The Historical Context of lCorinthians 1 1 .4» , in NTS 34 ( 1988 ) , 48 1-505 ; PAOGETI A. , «Paul on Women in the Church . The Contradictions of Coiffure in 1 Corinthians 1 1 . 2-16» , in JSNT 20 ( 1984) , 69-86; PERROT CH. , «Une étrange lecture de l'écriture ; l Co 1 1 ,7-9» , in La vie de la Parole. De l'Ancien au Nouveau Testament (FS P. Grelot) , Paris 1987 , 259-267 ; ScHMITHALS , Die Gno­ sis in Corinth , 201-207 ; ScROGGs R . , «Paul and the Eschatological Woman» , in JAAR 40 ( 1972 ) , 283-303 ; ScHOSSLER-FIORENZA E. , In Memory of Her. A Femi­ nist theological Reconstruction of Christian Origins , New York 1983 , 226-230; THEISSEN G . , Psychologische Aspekte paulinischer Theologie , Gottingen 1983 , 161-180 ; WALKER W . O . , «The vocabulary of 1 Corinthians 1 1 :3-16; Pauline or non Pauline? » , in JStNT 35 ( 1989 ) , 75-88; WrLSON K. T. , «Should Women Wear Headcoverings? » , in BS 148 ( 1991 ) , 442-462. 1 . 1 . Analisi formale Il v. 2 ha funzione chiaramente introduttoria. Ma se fin qui il consenso è ge­ nerale, altrettanto non si può dire quando se ne precisa il senso . Secondo una prima linea di lettura esprimerebbe quanto hanno scritto i corinzi all'apostolo : noi siamo fedeli i n tutto a l tuo insegnamento ; Paolo dun q ue riporterebbe l a loro professione di fedeltà ma solo per contrapporvi il suo punto di vista . 12 La formu12

Cf. Hurd al cui punto di vista aderisce anche Murphy-O'Connor.

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Commento

la «Vi lodo» avrebbe perciò tono sarcastico : bella fedeltà quella che voi mi assi­ curate ! Ma la sua lode13 sembra qui sincera, come mostrano il confronto dialetti­ co con il «Non vi lodo» del v. 17 e la connessione con l'avversativa del v. 3: «Vo­ glio però (de)» . D'altra parte appare difficile congetturare una venatura d'ironia nella prima motivazione della lode : «perché in tutto vi ricordate di me» , coordi­ nata alla seconda «e mantenete ferme le tradizioni come vi ho trasmesso» . In realtà siamo di fronte a una «captatio benevolentiae» : 14 cominciando con una lo­ de Paolo intende guadagnarsi una benevola attenzione da parte dei suoi interlo­ cutori invogliandoli a correggere comportamenti a suo giudizio inammissibili . La formula poi è un topos introduttorio, un modo frequente d'iniziare un dialo­ go con l'interlocutore . 15 Comunque informazioni scritte o orali gli dovevano aver offerto materia sufficiente per poter dire «Vi lodo». La comunità di Corinto si ricorda di lui «in tutto» , formula non priva di una qualche esagerazione retori­ ca, e si mantiene fedele alle tradizioni che egli ha loro trasmesse . Nessuna diffi­ coltà a dargliene atto . In questo quadro di plauso c'è però qualche correzione da fare , ed è il moti­ vo che dà origine alla nostra pericope . Ma Paolo parte da lontano e non precisa subito lo scopo del suo intervento (v. 3) . In concreto , enuncia un principio gene­ rale , introducendolo con la formula per lui inusuale : «Voglio però che voi sap­ piate» 1 6 che lo connota come qualcosa di nuovo . Tutta la realtà esistente è vista come un'immensa piramide a quattro piani, il più basso occupato dalla donna, il secondo dall'uomo e quindi i due più alti da Cristo e da Dio . Formalmente sia­ mo di fronte a tre proposizioni parallele costruite sul motivo del «capo» (kepha­ le) e caratterizzanti i rapporti costitutivi dei tre binomi uomo-Cristo , donna­ uomo , Cristo-Dio , in cui il primo è definito in rapporto al secondo che ne è «il capo» : «di ogni uomo il capo è Cristo , 1 7 invece capo della donna è l'uomo , men­ tre capo di Cristo è Dio» . I vv. 4-Sa sono un'applicazione concreta di questo principio che esclude un certo abbigliamento dei credenti partecipanti attivamente alla preghiera comu­ nitaria: «Ogni uomo che prega o profetizza avendo (qualcosa) sulla testa oltrag­ gia il suo capo . Ma ogni donna che prega o profetizza a testa scoperta oltraggia il suo capo» . Si noti il parallelismo perfetto tra uomo e donna visti parimenti in at­ to di pregare o profetizzare: con un opposto abbigliamento fanno vergognare ·

13 In merito alla lettura del v. 2 vedi l'articolo recentissimo di Engberg-Pedersen che però pre­ senta un'interpretazione assai discutibile . 14 Come ha ben detto Conzelmann e con lui molti altri . 1 5 Così hanno notato Conzelmann, che fa riferimento allo stile epistolare imperiale , e Engberg­ Pedersen . 1 6 Essa ricorre di nuovo in Col 2 , 1 , mentre la stessa espressione al negativo : «Non voglio che voi ignoriate» è tipicamente paolina e appare attestata, oltre che da Rm l ,1 3 ; 1 1 ,25 ; 2Cor 1 ,8 ; lTs 4 , 13 , in due passi della l Cor prossimi al nostro brano : 10, 1 ; 1 2, 1 . 1 7 «Capo» anche s e con articolo è predicato , come emerge dalle due seguenti ricorrenze in cui ne è privo , mentre il soggetto è Cristo (con articolo ) .

lCor 1 1 ,2-16

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(kataischynein) il rispettivo capo , evidentemente quello specificato sopra , dun­ que per l'uomo Cristo e per la donna l'uomo . Ciò avviene quando i due sessi si abbigliano a rovescio rispetto a una sottintesa norma , per cui si ha, come impli­ cazione logica, che l'uomo non disonora il suo capo se tiene scoperta la testa e per la donna vale la stessa affermazione se la tiene coperta. D'altra parte i vv . 4-Sa cominciano a precisare i termini del problema pratico affrontato dal nostro brano : è in questione l'aspetto esterno dei credenti in atto di prender parte alla preghiera pubblica nell'assemblea ecclesiale . Ulteriori pre­ cisazioni appariranno solo in seguito . I vv . Sb-6 sono strettamente connessi con quanto precede , essendone la mo­ tivazione ( cf. il gar di Sb) ; in realtà essi offrono solo il perché dell'affermazione riguardante «ogni donna» , mentre quella con soggetto «ogni uomo maschio» non viene per nulla giustificata . La ragione addotta fa leva su una comparazione di uguaglianza (v . Sb: per una donna avere la testa scoperta equivale ad averla rasata o a tagliarsi i capelli) e sull'evidenza che ciò è vergognoso (aischron) (v . 6b) . D a l punto di vista formale abbiamo l'affermazione dell'equivalenza tra te­ sta scoperta e testa rasata (v. Sb) e quindi due periodi ipotetici con relative apo­ dosi di segno imperativo ( vv . 6a e 6b ) . Questi servono a mostrare le logiche con­ seguenze pratiche derivanti da quell'equivalenza, l'una aberrante da scartare: « ( la donna) si tagli pure i capelli» , l'altra che s'impone come obbligatoria : «si co­ pra» . Si deve però precisare che i due periodi ipotetici non sono semplicemente coordinati , avendo il primo la funzione di rendere inevitabile il secondo : se la donna non vuole coprirsi , allora si faccia pure radere ; ma se questo è vergogno­ so (aischron) , come indubbiamente lo è, non le resta che la scelta obbligatoria di coprirsi. Di fatto l'argomentazione di Paolo è un sillogismo che conclude logica­ mente alla validità di una tesi mostrando l'insostenibilità delle conseguenze logi­ che a cui porta il contrario . Il rapporto tra l'affermazione ciel v . Sa: «Ma ogni donna in atto di pregare o profetizzare a testa scoperta oltraggia il suo capo» e la conclusione , in forma im­ perativa , della motivazione dei vv . Sb-6 , «Si copra» , non appare però del tutto omogeneo . Infatti è vero che si tratta sempre di un atto vergognoso , ma nella te­ si iniziale il comportamento della donna è giudicato negativamente perché reca vergogna (kataischynei) al suo capo , cioè all'uomo , visto il principio generale del v. 3 , mentre l'imperativo conclusivo è motivato dal fatto che esso è vergognoso per la donna stessa (aischron gynaiki) . Ciò dice che Paolo sviluppa la sua argo­ mentazione su due binari , del rapporto uomo-donna e della decenza richiesta a quest'ultima. Segue la micro-unità letteraria dei vv . 7-10 parallela alla precedente dei vv. 4-6. Ritorna infatti la peculiarità del discorso paolino che tratta parallelamente di uomo e donna , in cui però l'accento cade sul dovere della donna, come mo­ strano l'insistita dimostrazione della tesi che questa è gloria di quello nonché la conclusione del brano: «Perciò la donna deve avere controllo sulla testa , a causa degli angeli» . Anzi qui il confronto , e il contrasto , dei due sessi , quanto al loro aspetto esterno , è evidenziato letterariamente dalle due particelle che diversifi-

Commento

520

cano i due termini : «da una parte I dall'altra» (men I de) . 18 Non si tratta però di una pericope solo coordinata alla precedente , perché di questa si pone come spiegazione (cf. il gar del v. 7a) , spiegazione ora completa dell'opposta respon­ sabilità che hanno uomo e donna in atto di partecipare alla liturgia . Quello non ha l'obbligo (ouk opheilei) di coprirsi la testa perché è immagine e gloria di Dio (v . 7a) ; questa invece ha tale dovere perché è gloria dell'uomo (vv. 10 e 7b) . Lo schema formale è di tipo chiastico : A l'uomo B perché B' la donna A' perciò

non ha il dovere è (immagine e) è ha il dovere

di coprirsi il capo , gloria di Dio ; gloria dell'uomo ; di coprirsi il capo.

Ma in che rapporto stanno la negazione iniziale e l'affermazione finale , cioè il non dovere dell'uomo e il dovere della donna? Sembra che l'interesse primario di Paolo sia per l'abbigliamento di quest'ultima , mentre tratta dell'uomo per af­ fermarne la diversità con la donna . Infatti la proposizione : «Per un verso infatti l'uomo non è obbligato a coprirsi la testa» per sé lascia aperta la possibilità di fatto di portare il copricapo. Ma questo è escluso nel v. 4: disonorerebbe il suo capo , Cristo . La spiegazione probabile di questa incoerenza è che Paolo perse­ gue due scopi già indicati sopra: evidenziare il dovere della donna di coprirsi la testa e sottolineare la diversità in questo tra maschi e femmine. La motivazione della tesi che la donna è gloria dell'uomo viene condotta in due momenti distinti e complementari , espressi ambedue con una negazione e un'affermazione tese a sottolineare che i due sessi sono diversi , in concreto che la donna deriva dall'uomo ed è stata fatta per questi (vv . 8-9). Ecco lo schema: A non è B ma A' non è stato creato B' ma

l'uomo la donna l'uomo la donna

dalla donna, dall'uomo ; per la donna, per l'uomo.

Né deve passar sotto silenzio la sorprendente aggiunta finale del v . 10: «a causa degli angeli» , che rompe il suddetto schema chiastico , ponendosi come ra­ gione supplementare del dovere della donna di avere controllo sulla testa, in concreto di portare un copricapo , ragione abbinata alla precedente secondo cui la donna è gloria dell'uomo . I vv. 1 1-12 sono un brevissimo brano di precisazione ( cf. la particella plen) di quanto è stato detto appena sopra ai vv. 8-9 sull'origine della donna dall'uomo e sulla finalizzazione di quella a questo . I rapporti costitutivi tra i due sessi hanno anche un'altra struttura, dice Paolo , cioè di mutua dipendenza e di perfetta sim-

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Vi ha richiamato espressamente l'attenzione Fee .

l Cor

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1 1 ,2-16

metria (cf. «come così» I h6sper hout6s) espressa in forma negativa e poi in for­ ma positiva: A né B né A' come B' così anche

donna uomo la donna l'uomo

è è

senza senza dal mediante

uomo donna . l'uomo la donna.

Due precisazioni comunque sono necessarie . Anzitutto l'esplicita comparazione tra uomo e donna del v. 12 è presentata come spiegazione della reciproca com­ plementarietà di donna e uomo espressa al v. 1 1 . Non si ha l'uno senza (ch6ris) l'altro , perché i due sessi traggono origine a vicenda. Inoltre per completezza Paolo aggiunge: «Tutto però viene da D io». Qui vige la dipendenza a senso uni­ co : ogni realtà mondana ha la sua causa in Dio . È manifestamente un'espansio­ ne della prospettiva. Si aggiunga la formula «nel Signore» alla fine del v. 11 che indica la prospettiva in cui vale l'interdipendenza di uomo e donna. Segue nei vv. 13-15 un brano in cui l'apostolo fa appello al buon senso degli interlocutori e alla voce della natura . Anzitutto egli esorta i corinzi : «Giudicate da voi stessi» . Alla sua stessa conclusione , cioè al dovere della donna di coprirsi quando prega, potranno facilmente giungere essi stessi solo che si appellino al criterio della «convenienza» o decenza, cioè valutando ciò che è conveniente fa­ re o non fare (prepon estin) . Inoltre allo stesso risultato giungeranno se si lascia­ no ammaestrare dalla natura: «Non è anche la stessa natura ad insegnarvi (oute hé physis auté didaschei hymas) . ? » . Questa infatti dice che per l'uomo è un di­ sonore (atimia) avere una fluente chioma, mentre per la donna è un onore (do­ xa) . Di nuovo i due sessi sono confrontati nel loro opposto aspetto esterno e non manca la presenza della diade «da una parte I dall'altra (men I de)» , che giustifi­ ca la seguente lettura del testo : «Se da una parte (men) avere folta capigliatura è per l'uomo un disonore , dall'altra invece per la donna è onore e gloria» . L'ac­ cento però sembra ancora cadere sull'abbigliamento della donna, il solo a essere motivato : la natura le ha fornito capelli lunghi «come turbante» . II legame logico tra avere , per natura , i capelli lunghi e dover portare il copricapo non è imme­ diatamente chiaro ; Paolo sembra voler dire con un argomento «ex analogia» , t9 che bisogna imitare la natura: al copricapo naturale formato dai lunghi capelli , supposti intrecciati attorno alla testa, 21' deve essere aggiunto un copricapo artifi­ ciale . .

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avanti . 20

.

Così la maggioranza degli studiosi, ma non manca una lettura diversa di cui sarà detto più

A parte il sostantivo greco peribolaion , che non sembra un puro sinonimo di vestito o di co­ pricapo , spinge in tale direzione l'uso per le donne sposate ebree di tenere intrecciati i capelli sotto l'usuale copricapo . Strack-Billerbeck cita , tra gli altri , il trattato talmudico Sanh 109b- ll0a che ritie­ ne vergognoso per una donna sciogliere in pubblico i capelli ; e in proposito menziona il. seguente stratagemma della moglie del figlio di Peleth , che salvò il marito mettendo in fuga quanti erano ve­ nuti a prenderlo : «Allora ella si sedette all'ingresso e sciolse i suoi capelli».

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Commento

Il v. 16 aggiunge un nuovo argomento alla serie suddetta , non però come uno dei tanti bensì quale ragione decisiva: il costume (synétheia) seguito a Co­ rinto non è quello di Paolo né delle chiese di Dio . L'apostolo qui si confronta esplicitamente con il fronte contrario, indicato in termini generici con il prono­ me indefinito «Uno I tis » e caratterizzato dall'amore per le dispute . Parla dunque a interlocutori portati a ingaggiare contese dialettiche , difficili a cedere agli ar­ gomenti contrari, la cui resistenza può essere piegata solo mettendo in campo il «Sic volo , sic iubeo» 2 1 e, ultimamente , la consuetudinaria prassi ecclesiale . È dunque lecito arguire che la questione fosse molto dibattuta nella chiesa di Co­ rinto e che il costume scelto dalle carismatiche avesse alle spalle motivazioni «ideologiche» . Ciò spiega il fatto che egli si rivolga non alle dirette interessate , ma alla comunità intera , cercando di persuaderla con varie ragioni, forse però da lui stesso avvertite non conclusive , se alla fine si rifugia nell'argomento di au­ torità: i corinzi devono seguire la consuetudine sua e delle chiese esistenti , cioè di quelle siro-palestinesi o, più generalmente , di tutte le altre chiese . 22 L'articolazione del brano, introdotto dal v . 2 e concluso dal v . 16, mostra dunque i seguenti blocchi letterari: 3-6 . 7-10 . 1 1-12. 1 3- 1 5 , dove però l'unità 7- 10 è collegata alla precedente con un gar esplicativo e 1 1-12 costituisce una precisa­ zione alle affermazioni dei vv . 8-9 . Per questo ci sembra che il corpo della nostra pericope si divida in due unità : 3-12 e 13- 15 .23 La struttura di fondo invece è data dalla correlazione tra diversità costituti­ vo-naturale dei due sessi e corrispondente diversità del loro abbigliamento du­ rante la preghiera pubblica della comunità: l'una fonda l'altra . In breve , se i due sessi sono diversi , come lo sono per creazione e per natura, tale diversità deve tradursi anche all'esterno : l'uomo a capo scoperto , la donna con il copricapo. Questo spiega che , benché il problema pratico riguardi il comportamento delle credenti di Corinto e l'esortazione paolina miri di fatto a queste , come appare anche dall'analisi formale suddetta, 24 il dettato del testo , quanto al coprirsi o meno , procede di regola per affermazioni binarie a proposito dell'uomo e della donna: 1) l'uomo a capo coperto disonora il suo capo I la donna a capo scoperto disonora il suo capo (vv. 4 e Sa) ; 2) l'uomo non è obbligato a coprirsi il capo I la donna invece sì (vv . 7a e 10) ; 3) per l'uomo i capelli lunghi sono un'ignominia I per la donna una gloria (vv. 14b e 15a) . Fa eccezione il v . 13 che prende in consi­ derazione solo la donna affermando la convenienza che si copra, mentre ignora il viceversa per l'uomo altrove sempre indicato.25 21

Questa formula è usata espressamente da Conzelmann. Diversa è l'interpretazione di Engberg-Pedersen del v. 1 6 che esporremo più avanti . 23 Normalmente il brano viene diviso in tre parti : 3-6.7-12. 13-15, con i vv . 2 e 16 a fare da corni­ ce . Secondo Ellul il centro della pericope è il v. 10. Baumert ritiene che sono i vv. 3 e 16 a fare da cornice e trova una struttura chiastica in 4-6 A : motivazioni tratte dal buon senso ; 7-12 B: motivazio­ ni teologiche (Sacra Scrittura , tradizione, cristologia) ; 13-15 A: il criterio del costume e della natura. 24 Si aggiungano le seguenti ragioni : gli unici imperativi del brano sono indirizzati alla donna (cf. v . 6) ; solo di questa è affermato l'obbligo di coprirsi il capo (v. 10) che l'uomo non ha (v. 7) ; il criterio etico della «convenienza» si applica soltanto all'abbigliamento muliebre (v. 13). 2 5 Lo ha ben evidenziato Adinolfi nella sua traduzione strutturata del nostro brano . 22

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Si tratta però di una diversità che sussiste in una essenziale relazione , per cui la donna si definisce in rapporto all'uomo (vv. 3 .7b) , mentre questi viene defini­ to in ntpporto a Cristo (v. 3) e a Dio (v. 7) . Ora ciò è vero sulla base dell'ordine creazionistico che ha visto la donna derivare dall'uomo ed esistere in funzione dell'uomo . Ecco i rapporti : 1) capo della donna è l'uomo , che ha per capo Cristo (v. 3) ; 2) la donna è gloria dell'uomo , che a sua volta è immagine e gloria di Dio (vv. 7bc) ; 3) la donna proviene dall'uomo e non viceversa (v. 8) ; 4) la donna è stata creata per l'uomo e non viceversa (v . 9) . Questo squilibrio dei due sessi a favore dell'uomo viene corretto ai vv . 1 1-12 in cui «nel Signore» vale l'interdi­ pendenza. Ma è pur vero che nell'argomentazione di Paolo ha grande peso anche il mo­ tivo della decenza,26 come ha ottimamente rilevato e sottolineato , anche se con qualche unilateralismo , A. Jaubert. B asti fare attenzione al ricco vocabolario espressivo di comportamenti vergognosi : aischron I vergognoso al v. 6, prepon estin I è conveniente? del v. 1 3 , atimia I disonore del v. 14. Si può aggiungere l'e­ spressione «a causa degli angeli» che vuol dire , sembra , «per riverenza verso gli angeli» (cf. Fitzmyer, «A feature» , 49) . A parte invece si deve leggere il katai­ schynei dei vv . 4 e Sa, dove il motivo della «Vergogna» è inteso in senso attivo­ causativo: l'uomo a capo coperto reca vergogna al suo «capo» , Cristo , e la don­ na a capo scoperto reca vergogna al suo «capo» , l'uomo . Qui la prospettiva della decenza si caratterizza sulla base dell'ineliminabile diversità dei sessi. Per completezza accenniamo al problema dell'autenticità paolina del brano, contestata da D . Walker ,27 secondo il quale siamo davanti a un'interpolazione successiva , composta da tre testi originariamente separati, nessuno dei quali è di Paolo . Ma Murphy-O'Connor, nel suo studio del 1976 «The non-pauline Cha­ racter» , ha avuto buon gioco nel mostrare la fragilità degli argomenti addotti e nel rilevare l'assenza di ragioni capaci di spiegare l'inserzione e la combinazione dei tre piccoli testi anteriori , individuati da Walker, non senza arbitrarietà , nei vv. 3 . 8-9 . 1 1-12; 4-7 . 10 . 1 3 . 16; 14- 1 5 . Walker però recentemente è ritornato sul problema rilevando come in 1 1 ,2-16 il vocabolario , con pochi termini distintivi delle lettere paoline autentiche e con formule tipiche della letteratura post­ paolina, testimoni di fatto contro l'autenticità paolina. In ogni modo un vasto consenso di studiosi continua a ritenere il brano non solo paolino ma anche omogeneo. 1 . 2. li problema specifico della chiesa di Corinto

Già l'analisi formale ha indicato i pochi e imprecisati riferimenti del nostro brano alla situazione concreta, fonte non ultima delle gravi difficoltà di lettura .

26 Nel suo studio Baumert parla in proposito di criterio estetico , ma a parte la «quaestio de ter­ minis» sembra estenuare indebitamente la forza cli formule come kataischynei I aischron I prepon e;·tin I atirnia. 27 D. WALKER , «Corinthians ancl Paul's Views Regarding Women», in JBL 94( 1975) , 94-1 10.

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Commento

Si tratta, leggiamo nel testo , della partecipazione dei credenti alla preghiera e al­ la profezia (vv. 4-5a) e della donna in atto di rivolgersi a Dio con la preghiera (v. 13) . Questa seconda determinazione per se stessa è generica, invece la prima de­ signa il quadro del culto pùbblico. Per la verità nel testo non si parla di riunione comunitaria e sono assenti il verbo specifico synerchesthai («con-venire») , ricor­ rente nella pericope 1 1 , 17-34 (vv . 17 . 18 .20 . 33 . 34) e nel c . 14 (vv. 23 . 26) , e il so­ stantivo ekklesia (convocazione) che pure è attestato in 1 1 , 18.22 e in 14,4 . 5 . 12. 19.23 .28. Ma il riferimento alla profezia indica di certo come Sitz im Leben una liturgia pubblica, un'assemblea ecclesiale ; non per nulla il c. 14, in­ centrato nel confronto tra glossolalia e profezia, le colloca ambedue in tale am­ bito comunitario e specifica che la parola profetica è, per definizione , costruttiva (oikodomei I oikodome) della comunità. 28 Sembra invece arbitraria la specifica­ zione ulteriore , avanzata da G. Bornkamm ,29 che 1 1 ,2- 16 si riferisce a una litur­ gia della parola , distinta da quella eucaristica, di cui invece si occupa la pericope seguente 1 1 , 17-34. La successione dei passi paolini indicati , su cui si basa l'ipote­ si di Bornkamm , non basta di certo a suffragare tale netta separazione , mentre è più probabile che il «servizio divino» della chiesa corinzia comprendesse sia la parola sia il rito eucaristico , come appare dai cc. 1 1 e 14. Dall'abbinamento poi dei verbi pregare (proseuchesthai) e profetizzare (pro­ pheteuein) si può congetturare che , essendo la profezia espressione dello Spirito (cf. cc. 12 e 14) , ciò valga pure della preghiera ; si tratterebbe dunque di una pre­ ghiera ispirata, carismatica, forse anche glossolalica. 30 In ogni modo la diversità tra uomo e donna non è individuata da Paolo nel fatto della partecipazione atti­ va: quanto al pregare e al profetare egli dà per scontato che sia un'esperienza co­ mune ai due sessi , come appare dalle due formule identiche con cui introduce il problema: «Ogni uomo che prega o profetizza . . . I Ma ogni donna in atto di pre­ gare o profetizzare . . . ». Il problema riguarda l'abbigliamento dell'uomo e della donna : il primo , afferma Paolo , deve avere la testa scoperta , mentre la seconda deve portare un copricapo . In realtà la sua esortazione , come anche il problema sollevato, riguarda direttamente il caso delle donne, come è stato rilevato so­ pra.31 Tuttavia , poiché ciò mette in discussione la differenza tra i due sessi , ed è 28 Dice bene Fee che se uno può pregare privatamente , non lo può fare con la profezia ( The first Epistle, 505 ) . Giavini congettura invece, sulla scia di Bachmann, un ambito pubblico generico, non l'assemblea liturgica ecclesiale , e questo per evitare la contraddizione del nostro brano con 14 ,33b-35 , dove l'apostolo vieta che la donna parli durante l'assemblea (en ekklésia-i) . Dice : «quan­ do un cristiano o una cristiana, trovandosi in pubblico o comunque in presenza di giudei o di greci o anche di altri cristiani , volessero esprimere "una preghiera" o tenere un discorso di tipo "profetico" (per esortare , illuminare , proporre il vangelo , ecc. ) , abbiano cura di comporre la "libertà" , che essi hanno "in Cristo" , con la carità, con la prudenza , con l'attenzione alle persone , alle loro tradizioni, al loro ambiente» ( «La donna» , 209) . Ma è un'ipotesi concordistica , priva di ragioni interne , a cui il carattere probabile di glossa di 14 ,33b-35 sottrae anche questa sua sola ragion d'essere . 29 Vedi BoRNKAMM , Das Ende des Gesetzes , 1 13 , nota 2. 3 ° Così anche Wolff. In 14,13ss Paolo distinguerà la preghiera razionale da quella glossolalica ispirata dallo Spirito , parlando di un pregare (proseuchesthai) «con la mente (to-i no i) » e di un pre­ gare «con lo spirito (to-i pneumati)» . 31 Murphy-O'Connor invece ritiene che Paolo abbia di mira equamente l'abbigliamento dei due sessi . Tra i commentari citati Barrett è il solo a intitolare il brano «Uomini e donne» all'interno della

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l'aspetto a cui Paolo appare più sensibile , egli parla anche dell'abbigliamento dell'uomo . Il cuore della questione per lui è il fatto che le carismatiche della chiesa di Corinto si travestivano da maschi. Ma si trattava veramente di un comportamento in atto , oppure se ne discute­ va come di una possibilità e per questo si è fatto ricorso al parere di Paolo? La prima ipotesi è di gran lunga preferibile , perché al v. 16 l'apostolo vi si riferisce come a una consuetudine (synetheia) che non è né sua né delle chiese siro­ palestinesi . D'altra parte deve essere stata una novità introdotta a Corinto dopo la sua partenza , perché presente non l'avrebbe potuta di certo tollerare , vista la sua decisa presa di posizione in 1 1 ,3-16. Un altro interrogativo riguarda il come ne è venuto a conoscenza. Per ri­ spondere bisogna prendere in esame il v. 2, introduttorio , che parla di lode per i corinzi che si ricordano di lui e sono fedeli al suo insegnamento . Si è ipotizzato che essi gli avessero posto nel loro scritto una precisa domanda a scopo pura­ mente conoscitivo oppure con intento rivendicativo . Nel primo senso si è espres­ so per es. Lietzmann , An die Korinther, 53 che così ricostruisce la richiesta: «Poiché in ogni modo ci siamo sforzati di seguire le tue prescrizioni , ti preghia­ mo di dirci la tua intenzione sul fatto di velarsi da parte delle donne nella litur­ gia» . Secondo Hurd invece l'impegno argomentativo profuso da Paolo fa ritene­ re che i corinzi abbiano piuttosto difeso per iscritto un'opinione contraria , i cui termini possono essere questi : «Riguardo al modo nostro di pregare: noi abbia­ mo semplicemente seguito le tradizioni che ci hai trasmesso . Non abbiamo fatto nulla di nuovo . Le nostre donne fin dall'inizio hanno pregato senza veli . Questa era la loro pratica quando tu eri con noi» . 32 Ma è più probabile che la fonte d'informazione fosse orale .33 Vi manca infat­ ti la formula ripetuta «Quanto a (peri de)» che ricorre altrove per indicare le sin­ gole questioni poste all'apostolo dallo scritto dei corinzi . Inoltre il parallelismo del nostro brano con quello di 1 1 , 17-34 , che ha alla base una notizia orale (akouo I «Senti dire» del v. 18) , si rivela un indizio prezioso per ipotizzare altret­ tanto della pericope 2-16. Oltretutto ciò rende più agevole la chiarificazione del rapporto della lode del v . 2 con quanto segue : i suoi informatori , cioè quelli di Cloe ( 1 , 1 1) oppure Stefana , Fortunato e Acaico (16, 17) , gli avevano tracciato un quadro a luci e ombre della prassi liturgica della comunità corinzia; ora egli plaude agli aspetti positivi ( 1 1 ,2) , esorta ad attenersi al costume delle chiese si-

sezione generale «L'assemblea cristiana» . Fee è più prudente nella sua intitolazione: «Donne (e uo­ mini) nel culto». Anche Oster è dello stesso parere di,Murphy-O'Connor: nella chiesa corinzia i ma­ schi si coprivano la testa e le donne invece partecipavano a testa scoperta , un costume che Paolo vuole capovolto . 32 HuRo , The origin , 185, più in generale 182ss . Lo stesso autore precisa che 1 1 ,2 non è un'e­ spressione di lealtà, ma un argomento usato a difendere la propria posizione (ibid. 183) e serve a in­ trodurre sia la questione del velo delle donne sia quella dei doni dello Spirito (ibid. , 185) . A nostro avviso comunque non si può pensare che Paolo non avesse reagito in loco alla prassi nuova. 33 Barrett , Fee e Senft parlano delle due fonti d'informazione , scritta e orale , senza decidersi per l'una o per l'altra .

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ro-palestinesi escludendo iniziative contrarie ( 1 1 ,3-16) , rimprovera con durezza comportamenti gravemente lesivi del senso autentico della cena del Signore (1 1 , 17-34) . Più difficile è invece individuare il motivo che ha mosso le carismatiche di Corinto . Le risposte di fatto date , ma anche le uniche possibili, sono di duplice segno: 1) per uniformità al costume dell'ambiente di Corinto , inteso quale co­ stume profano o culturale34 oppure come costume cultuale di gruppi di marca misterica ;35 2) come segno di una nuova sensibilità, acquisita con l'esperienza cristiana , che portava ad affermare , in Cristo e in forza del dono dello Spirito , il superamento delle diversità sessuali . 36 La prima ipotesi appare meno probabile per più motivi. Se fosse stata una questione di puro costume culturale , non si spiegherebbe la reazione di Paolo che , prima di ripiegare su un argomento di autorità e di prassi ecclesiale , si lan­ cia in difficili e molteplici ragionamenti . Né avrebbe senso il riferimento all'a­ more per la disputa dei suoi interlocutori . Se poi fosse stato un segno di accondi­ scendenza a una pratica religiosa pagana, Paolo avrebbe avuto buon gioco di ri­ petere quanto detto già nel c. 10, cioè avrebbe messo in guardia dal pericolo di cedimento all'idolatria . In ogni modo appare problematico pensare che il costu­ me profano o religioso vigente a Corinto imponesse alle donne di pregare a capo scoperto . Sono state fatte molte ricerche sulle abitudini della Grecia, su quelle del mondo romano - Corinto era colonia romana - e anche in ambito giudaico , 37 ma i dati raccolti non sembrano costituire una tela di fondo capace di chiarire la situazione della chiesa corinzia e l'imperativo di Paolo. È certo che a Roma e nella romana Corinto i partecipanti al culto , sacerdoti e non , maschi e femmine , osservavano il costume del «capite velato», espressivo di devozione e pietà. In concreto , le persone si coprivano la testa con il lembo della toga . Ne fanno fede con evidenza i bassorilievi dell'Ara Pacis , dell'età au­ gustea, dove vestali , sacerdoti e magistrati sono rappresentati «capite velato » . Varrone poi nella sua opera D e Lingua Latina afferma che «flamines . . . capite

34 Cosi per es. Kiimmel , An die Korinther, 184: Paolo ha inteso introdurre nella chiesa di Corin­ to un costume orientale-giudaico in sostituzione di quello locale. Dello stesso parere è Oepke in GLNT V, 8 1 . 3 5 L'esponente principe di questa congettura è S. Losc H , «Christliche Frauen i n Corinth ( l Cor 1 1 ,2-16)», in Th Q 127(1947) , 216-26 1 . 3 6 S e Schmithals v i individua un movimento propriamente gnostico di liberazione dalla carne (Die Gnosis , 203), Conzelmann si limita a ipotizzare un fenomeno di entusiasmo pneumatico (Der erste Brief, 213) e sostanzialmente sulla stessa linea sono attestati Fee ( The first Epistle, 498) e Mur­ phy-O'Connor («Sex and Logie» , 490) che indicano nell'escatologia realizzata della chiesa di Corin­ to la fonte di questo e di altri simili fenomeni. Simile è la posizione di Jervis che ipotizza l'influsso di due fattori complementari : la posizione di Paolo espressa in Gal 3 ,28 (i credenti sono heis in Cristo) e l'idea filoniana dell'uomo originario di Gen 1 che non è né maschio né femmina. Il carattere pro­ priamente rivendicativo di segno femminista invece è stato sottolineato in non pochi studi attuali at­ tenti a problematiche dell'oggi , di cui si veda un buon elenco in Fee , The first Epistle, 492-493 , nota 7. 37 Cf. per una panoramica gli studi di Adinolfi , Gill, Oster e Theissen, per non parlare , circa il mondo giudaico , della raccolta di Strack-Billerbeck .

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velato erant semper» ( 5 , 15 ,84 ) e «quod Romano ritu sacrificium feminae curo faciunt , capita velant» ( 5 ,29 , 1 30) . Lo stesso Giovenale nella VI satira narra di una matrona romana della famiglia dei Lami che prega Giano e Vesta perché il citarista Pollione vinca le gare di musica indette durante i giochi capitolini ed el­ la possa così ornare la sua cetra con la corona di quercia: «Ritta in piedi, davanti all'altare, non ebbe vergogna a velare per la sua cetra il capo (Stetit ante aram nec turpe putavit pro cithara velare caput)» ( 390-391 ) » . 38 Infine è nota la statua di Augusto , scoperta proprio a Corinto , rappresentato con in mano una «patera» per fare libagioni , dunque in gesto cultuale , e con il capo parzialmente coperto per mezzo della toga . 39 È altrettanto certo che il costume giudaico del tempo imponeva alle donne di coprirsi il capo in pubblico . Il trattato talmudico Nedarim 30b dà come scontata la cosa : «Gli uomini a volte coprono la loro testa, a volte scoprono la loro testa ; le donne invece la coprono sempre e i ragazzi la scoprono sempre» . Una donna ebrea è passata alla storia perché sette suoi figli sono diventati sommi sacerdoti ; in realtà ha meritato tale sorte per aver tenuto sempre coperta la testa anche in casa . Ecco le sue parole secondo il trattato Yoma 47a : «Per tutti i giorni della mia vita le travi della mia casa non hanno mai visto le trecce dei miei capelli» . Uscire a capo scoperto era ragione sufficiente per essere ripudiata dal marito: «Le seguenti ( mogli ) vengono allontanate senza aver diritto al pagamento della dote: Quella che prevarica la legge mosaica e il costume giudaico . . . E che s'in­ tende per costume giudaico? Se esce a capo scoperto» ( Ketubòt 7,6 ) . Chi poi osava denudare pubblicamente il capo di una donna, sposata o meno , doveva pagare una multa salata : « . . . o se scopre il capo a una donna sulla via, paga quat­ trocento Zuz» ( Baba Kamma 6,6 ) . Come testimonianza pittorica abbiamo gli af­ freschi di Dura Europos , del III sec. d . C. , in cui quasi tutte le donne hanno la te­ sta coperta. È noto infine , come dice A. Jaubert , «La voile» , 420s , che almeno dal IV sec. d . C . in poi i giudei si coprivano la testa sia per pregare sia per leggere la Torah . D'altra parte nel culto israelitico i sacerdoti si coprivano la testa e il lo­ ro copricapo era un segno di onore ( cf. Es 28 ,40 ) . Si aggiunga in proposito ciò che è scritto in Yoma 7 ,5 : «Il sommo sacerdote ufficiava dopo aver indossato ot­ to capi di vestiario ; un ( sacerdote ) ordinario ne adoperava solamente quattro : una tunica , un paio di calzoni , un berretto e una cintura . A questi il sommo pon­ tefice aggiungeva : il pettorale , il dorsale , la veste e il frontale». Anche dall'ambiente greco-romano abbiamo testimonianze letterarie che at­ testano il costume delle donne di tenere in pubblico la testa coperta. Si veda quanto dice Plutarco in Quaestiones romanae 14,267a (Moralia 267A-B ) : « È più conforme agli usi (synechesteron) per le donne presentarsi in pubblico velate (eg38 Sono le testimonianze più significative contenute nello studio documentato di Oster. La sua ipotesi che i maschi della chiesa di Corinto abbiano imitato questo costume pagano non spiega il com � ortamento opposto delle carismatiche . ·9 Vedi in proposito lo studio di Gill , che da parte sua ipotizza come nella comunità di Corinto fosse il ceto più elevato di credenti a portare il capo velato quale segno del loro livello sociale.

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Commento

kekalymmenais) , per gli uomini a capo scoperto (akalyptois)» , ma il comparati­ vo qui usato dice che non doveva essere una prassi rigidamente osservata. Il sin­ golo caso poi di C. Sulpicius Gallus che ha divorziato dalla moglie fattasi vedere in pubblico a testa scoperta, testimonia soltanto una rigidità eccezionale , non una regola generale: «Spaventosa alterigia maritale fu anche quella di C. Sulpi­ cio Gallo: infatti ripudiò la moglie per aver saputo che si era trattenuta fuori a capo scoperto «eam capite aperto foris versatam cognoverat» (Valerius Maximus 6 ,3 , 10) . Da parte sua, Dione Crisostomo è portavoce dell'austero costume di Tarso analogo a quello orientale-giudaico : «In realtà, molte delle cose ancora vigenti rivelano in un modo o nell'altro la morigeratezza e l'austerità delle donne , alle quali è prescritto di vestire e incedere in tal modo , che di esse non si veda nulla né del volto né del resto del corpo , né esse stesse scorgano altro che la loro stra­ da» . Ma deve rilevare l 'esistenza di altre aperture: «La dissolutezza, infatti , en­ tra da ogni parte attraverso gli orecchi e gli occhi. Per cui esse incedono col volto coperto (prosopa kekalymmenai) , ma hanno l'animo scoperto , del tutto spalan­ cato. Perciò guardano più acutamente con un occhio solo , come i geometri» (Or. 33 ,46: cit . in Adinolfi , «Il velo», 165). Ci sono infine testimonianze particolari di donne partecipanti a culti misteri­ ci (cf. Theissen , Psychologische Aspekte, 1 67ss) . Nei riti dionisiaci si sa che esse scioglievano i loro capelli e li inghirlandavano con edera ; non erano dunque a capo scoperto . Nei misteri annuali di Cerere e Proserpina con la partecipazione di donne sposate o anche vergini , chiamate hierai, come risulta dall'iscrizione di Andania ,40 appare certo soltanto che le donne non dovevano vestire lussuosa­ mente, essendo loro imposto di non avere «alcun ornamento d'oro (me echet6 de medemia chrysia) , né belletto (phykos) , né faccia imbellettata (psimithion) , né frontale (anadema) , né i capelli intrecciati (tas trichas anpeplegmenas) , né san­ dali (hypodemata)». Non è invece certo che dovessero partecipare al culto a ca­ po scoperto . Quanto al culto di Iside praticato a Corinto , Apuleio attesta: «Al­ lora arriva a frotte la folla degli iniziati ai divini misteri (turbae sacris divinis ini­ tiatae) , uomini e donne di ogni rango e di ogni età, risplendenti nel candore im­ macolato delle loro vesti di lino , quelle avevano i capelli , umidi di profumi , av­ volti da un limpido copricapo (illae limpido tegmine crines umidos obvolutae)» , mentre gli uomini portavano l a testa rasata (Met. 1 1 , 10 ) . M a i n un ritratto dell'i­ nizio del II sec. d . C . proveniente da Smirne , come testimonia sempre Theissen (Psychologische Aspekte, 169) , una devota della dea Iside , di nome Isiade , è rappresentata senza copricapo . Togliersi il copricapo in ogni modo doveva esse­ re un gesto di emancipazione , come appare nella commedia di Aristofane Lisi­ strata in un drammatico dialogo tra la protagonista e il commissario (529-534) : «Lisistrata: "Taci" . Commissario: "Io tacere per te , maledetta? per te che porti un velo sulla testa ( kalymma phorouse-i peri ten kephalen) '! Piuttosto morire ! " . 4°

Cf. W .

DITrENBERG ,

Sylloge Inscriptionum Graecarum , Leipzig 1917, 94, n . 736.

lCor 1 1 ,2-16

S29

Lisistrata : "Se è questo che ti è di ostacolo , io te lo do , questo velo , prendilo , tienilo (to kalymma labOn eche) , e cingitelo alla testa (kai perithou peri ten ke­ phalen ) , poi taci " . Cleonice : "Prendi anche questo fuso e il cestello , eccolo . Poi cingi le gonne e fila la lana rosicchiando delle fave"». Tale quadro rende praticamente impossibile spiegare l'iniziativa delle cari­ smatiche di Corinto come tentativo di uniformarsi a costumi profani o religiosi locali . È invece probabile che l'iniziativa presa nella comunità corinzia fosse l'e­ spressione di un preciso orientamento di carattere teologico teso ad affermare , come lo stesso Paolo dice in Gal 3 ,28, che in Cristo non c'è maschio né femmina, ma tutti sono un solo essere (heis) , per cui scompaiono le diversità tra i sessi e , con queste , anche i relativi segni culturali e sociali individuanti. Ciò spiega che nella sua risposta l'apostolo insista nel rimarcare la diversità costitutiva dei sessi e nell'esigere , di conseguenza , un diverso aspetto esterno per le donne , che de­ vono portare un copricapo , e per i maschi , che invece devono essere a capo sco­ perto . Senza dire che la manifesta difficoltà nel far valere il proprio punto di vi­ sta potrebbe dipendere dal fatto che gli interlocutori , amanti delle contese dia­ lettiche , si facevano forti della sua stessa teologia espressa in Gal 3 ,28.4 1 Si discute però dei particolari della cosa. Noi abbiamo parlato finora sempre di copricapo e, in relazione a questo , di testa coperta o scoperta, legittimati dal­ l'ovvio significato delle espressioni : «a testa scoperta» (akatakalypto-i te-i kepha­ le-i) (v . Sa) ; «coprirsi la testa» (katakalyptesthai ten kephalen) (v. 7a) ; «non vuo­ le coprirsi (la testa)» (ou katakalyptetai) (v. 6a) ; «non coperta (la testa)» (akata­ kalypton) (v. 13b) . E su questa base certa siamo quindi passati a interpretare le due espressioni criptiche dei vv. 4 e 10. Nella prima, descrivendo l'aspetto ester­ no dell'uomo in contrapposizione a quello della donna presentata a capo scoper­ to (cf. v. Sa) , lo si indica come kata kephales echOn . Nella seconda , sempre in contrasto con l'uomo che non ha il dovere di coprirsi la testa, Paolo dice che la donna è tenuta ad avere exousian sul capo . La prima è stata da noi tradotta con «avendo (qualcosa) sul capo» , dunque con riferimento a un copricapo artificiale. A conferma si può addurre una formula analoga di Plutarco che descrive così l'ingresso di Scipione ad Alessandria d'Egitto: «Giunto egli ad Alessandria e sbarcato , andava camminando avendo la sua toga sul capo (kata tes kephales echon to himation) ; allora gli alessandrini , presto circondatolo , lo pregavano di mostrare ai loro occhi desiderosi la sua faccia» (Mor. 200f) . Ma alcuni studiosi, soprattutto Murphy-O'Connor e ultimamente Baumert,42 facendo leva sulla 4 1 Thcissen ritiene probabile che nella chiesa di Corinto si fosse a conoscenza del motivo tema­ tico attestato in Gal 3 ,28 (Psycologische Aspekte, 170- 1 7 1 ) . 4 2 M a a questa lettura indulgono anche Jaubert, Padgett, Pcrrot, Schliissler-Fiorenza . Strack­ Billerbeck riferendosi al procedimento giudiziario contro l'adultera , di cui vengono denudati il capo e il petto (Nm 5 ,18 ) , ritiene che la formula «Scoprire il capo» (pr' 'et rosh) equivalga di fatto a «scom­ pigliare e sciogliere l 'acconciatura dei capelli» e quella opposta «Coprire il capo» indichi il raccogli­ mento dei lunghi capelli intrecciati (III, 428-429) . Da parte sua Fee , The first Epistle, 5 1 0 la ritiene un'alternativa possibile all'ipotesi più probabile del copricapo esterno. Martin pensa che il problema riguardasse propriamente non lo scioglimento dei capelli lunghi bensì l'avere capelli corti insufficien­ ti a coprire il capo . Criticato da Dclobel , Murphy-O'Connor nel 1988 è ritornato a difendere la sua ipotesi , pur concedendo qualcosa al suo critico .

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Commento

mancanza del complemento oggetto del verbo echon I «che ha» , rimarcando il valore della preposizione kata + gen . indicativa di un movimento dall'alto in basso , soprattutto leggendo il v . 4 alla luce dei vv. 14b- 1 5 , in cui si parla di lun­ ghi capelli , interpretano la suddetta difficile espressione nel senso di folta capi­ gliatura che dal capo scende sulle spalle . Ma è una soluzione troppo ricercata, soprattutto contraria al senso più ovvio delle formule chiare , indicate sopra, del capo coperto I scoperto .43 L'espressione poi del v. 10: «avere sul capo exousian» con tutta probabilità vuol dire esercitare un controllo sulla testa portando appunto un copricapo , co­ me emerge dalla struttura del brano 7-10 che oppone l'abbigliamento della don­ na a quello dell'uomo , non obbligato a coprirsi la testa (katakalyptesthai ten ke­ phalen) (v. 7). È vero invece che Paolo non precisa mai ciò che deve coprire la testa della donna a differenza dell'uomo : un fazzoletto , un turbante , il lembo della toga, come per es. si usava a Roma e anche in Grecia? Nel campo delle supposizioni può entrare anche il velo , purché non lo si intenda come velo sulla faccia , secon­ do il costume odierno dell'Islam ; nel nostro testo infatti si parla di avere coperta o scoperta la testa, non la faccia . Theissen ritiene più probabile il riferimento al lembo della toga , non solo perché era l'uso romano di certo praticato nella città di Corinto , «romanizzata» un secolo dopo la distruzione della polis greca , ma anche perché così appare più semplice l'iniziativa delle carismatiche della chiesa dell'istmo , che spinte dallo Spirito a prendere la parola nell'assemblea liturgica e volendolo fare senza copricapo , facilmente potevano togliersi il mantello dalla testa. Il problema affrontato da Paolo in 1 1 ,2- 16 è dunque assai circoscritto , ri­ guardando 1) il costume delle donne e per riflesso quello degli uomini, 2) duran­ te la loro partecipazione alla liturgia ecclesiale , 3) nel momento in cui vi inter­ vengono da carismatiche , cioè con parole profetiche o con preghiere ispirate o anche glossolaliche. Non era in discussione il costume generale delle donne in luogo pubblico o anche durante le assemblee liturgiche con partecipazione «nor­ male», non carismatica. E ciò dice che l'iniziativa della chiesa di Corinto doveva essere carica di profondi significati simbolici , che ha mosso Paolo a reagire sullo stesso piano «ideologico» e non solo su quello pratico della consuetudine (sy­ netheia) . La supposizione è che l'evidente presenza dello Spirito nelle manifesta­ zioni delle carismatiche le portasse a ritenere legittima una prassi espressiva di novità superatrice delle diversità culturali .

43 Ai primi due argomenti avanzati sopra dai sostenitori Oster ha risposto rilevando come le fonti latine spesso non indicano ciò che copre la testa , limitandosi a dire che è coperta («When men wore veils» , 486) , e che kata + gen . abbia il significato di «Sopra» lo prova il citato passo di Plutarco che parla di Scipione entrato in Alessandria con la toga sulla testa (kata tes kepha/es). Agggiungiamo che l'argomento tratto dal contesto, appunto dai vv. 14- 1 5 , non è più solido , perché , oltre tutto , non parla di capelli sciolti, bensì di capelli lunghi ; senza dire che l'appello alla natura ivi presente è intro­ dotto come argomento «ex analogia»: ci si deve comportare seguendo la direttrice naturale.

lCor

11 ,2

531

J .3. Analisi 1 . 3 . 1 . Introduzione ( 1 1 ,2) «Vi lodo poi perché in tutto vi ricordate di me e mantenete ferme le tradizio­ ni come vi ho trasmesso» . Solo qui in tutta la lettera ricorre il motivo della lode di Paolo per i suoi interlocutori epistolari . È vero che in 1 1 , 17 e 22 ritorna lo stesso verbo , ma in forma negativa ; in realtà l'apostolo vi rimprovera i corinzi . È sorprendente perché dalla lettera emerge un forte contrasto cli posizioni tra i corinzi e Paolo . A meno di leggervi un tono ironico , che abbiamo escluso sopra , la spiegazione è , per un verso , che non tutto nella chiesa cli Corinto meritava rimprovero e i rapporti personali non erano per nulla compromessi e, per l'altro , che non vi è assente , trattandosi cli una «captatio benevolentiae», una certa dose di generosa esagerazione. Per due ragioni distinte Paolo loda i corinzi . Anzitutto essi si ricordano in tutto di lui. Questo tema, sia pure nei termini analoghi di mnèmoneuein e mneia I «ricordarsi , ricordo» , ha un certo rilievo nella lTs : l'apostolo prende volentieri atto che i tessalonicesi ricordano il suo duro lavoro manuale per guadagnarsi eia vivere e non essere di peso a loro (2,9) ; la sua gioia erompe al ritorno di Tito , la­ tore di buone notizie dalla chiesa di Tessalonica , che non solo è rimasta salda nell'adesione di fede ma anche conserva un buon ricordo di lui (mneian hèm6n agathèn) (3,6) . Da parte sua, il ricordo della genuinità di fede , amore e spe ranza degli interlocutori lo spinge a un incessante ringraziamento a Dio (l ,2-3).44 L'avverbio «in tutto (panta)» indica che si trattava di un ricordo totale , privo di lacune , capace cli abbracciare tutto ciò che Paolo è stato ed è per i corinzi , di­ remmo la sua persona e la sua azione missionaria dispiegata nella città dell'ist­ mo . Si tratta dunque di un ricordo che impegna la vita e va oltre il puro e sempli­ ce aspetto psicologico .45 Si spiega così l'abbinamento con il motivo della fedeltà della chiesa cli Corinto alle tradizioni da lui insegnate . Paolo si riferisce a ciò che egli ha trasmesso avendolo , a sua volta , ricevuto . Un passo illuminante in pro­ posito è 1 Cor 1 5 ,3 : «Vi ho infatti trasmesso (pared6ka) "in primis" ciò che an­ ch'io ho ricevuto (parelabon ) » , cioè la morte e risurrezione di Cristo ( vv. 3-5 ) , contenuto essenziale ciel vangelo (vv . l-2) . V i è attestato anche i l motivo della fedeltà espresso con il verbo katechomai: «Se vi attenete fermamente» (v. 2) . Ma già in 1 1 ,23 , riferendosi alla cena del Signore , egli afferma : « lo infatti ho ricevu­ to (parelabon) dal Signore ciò che a mia volta vi ho trasmesso (paredoka)» . In Rm 6 , 17 parla di un typos didachès, cioè di una «dottrina come norma plasman­ te» (L. Goppelt in GLNT XIII , 1476) , che è stato trasmesso ai credenti romani

4 4 Comunque spe.sso nell'esordio delle sue lettere egli garantisce ai destinatari il suo costante ri­ cordo nelle preghiere e nel ringraziame n to innalzato alla grazia di Dio (d. Rm 1 ,9 ; Fm 4 ; Fil 1 ,3 ) . In 2Cor _7 ,_15 menziona il ricordo (anamimneskesthai) di Tito per i corinzi . '" E in questo senso forte di ricordo espressivo di fedeltà che Paolo in L Cor 4 , 17 dice di aver mandato Timoteo a Corinto per far ricordare (verbo anamimni!skein) ai corinzi «le sue vie » .

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perché vi si sottomettano di cuore . L'apostolo è stato il tramite tra la comunità corinzia e le origini cristiane , portatore a Corinto di un «depositum fidei» comu­ ne a tutti i credenti e originario del movimento cristiano . Dai passi paralleli citati non sembra probabile ritenere che nelle suddette tradizioni siano compresi usi e costumi legati alla cultura , come dicono quanti leggono il v . 2 in stretta connes­ sione con il v. 16 e identificano la tradizione (paradosis) con la consuetudine (sy­ netheia) . 46 Qui Paolo dà atto ai corinzi di essere fedeli alle tradizioni «dog­ matiche» nella forma (kath6s)47 in cui egli le ha portate a Corinto . La riserva espressa nei vv. 3ss , introdotti da un'avversativa (de) , riguarda un particolare esterno da non sottovalutare , ma non paragonabile ai contenuti kerigmatici e li­ turgici della tradizione. 1 . 3 .2. Maschi e femmine : salvaguardia della diversità ( 1 1 ,3-6) v . 3 «Voglio però che voi sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo , invece capo della donna è l'uomo, mentre capo del Cristo è Dio». Si è negato che con la formula iniziale Paolo intendesse notificare ai corinzi qualcosa di nuovo , come invece per es. afferma Conzelmann ,48 e si è preferito il significato di «richiamare l'attenzione su» (cf. B aumert, Antifeminismus , 97) . In realtà il testo parallelo di Col 2 , 1 esprime la volontà di chi scrive di comunicare ciò che è sconosciuto ; in questa direzione poi va il senso ovvio del verbo ; infine l'espressione analoga «non voglio che siate nell'ignoranza (ou thelo hymas agnoein)» , assai frequente nelle lettere paoline (Rm 1 , 13 ; 1 1 ,25 ; l Cor 10, 1 ; 12 , 1 ; 2Cor 1 ,8 ; lTs 4 , 13) , non dice altro. Paolo esprime qui una visione di tutta la realtà umana e divina strutturata in quattro piani distinti: Dio , Cristo , uomo , donna. Certo , appare sorprendente la distinzione introdotta nell'universo umano diviso in maschile e femminile , ma è anche il punto su cui il testo insiste , come apparirà in seguito . Analoghe struttu­ razioni invece sono quelle della filosofia giudeo-ellenistica di Alessandria che sommano il reale nella triade Dio , Logos I Sophia, umanità. Per es. in Leg. all. 3 ,96 il filosofo alessandrino coordina così la triade Dio-Logos-uomo : Dio è il modello (paradeigma) del Logos , sua immagine (eikon) ; quindi il Logos diventa modello (paradeigma) dell'uomo fatto a sua immagine (eikon) . Si può citare an­ che il Corpus Hermeticum in cui appare la triade Dio-mondo-uomo : «In testa realmente a tutti gli esseri viene Dio , eterno , ingenerato , creatore dell'universo (protos panton ontos kai aidios kai agennetos kai demiourgos ton holon Theos) ;

'16 Così Lietzmann, che però può citare a sostegno solo un passo deuteropaolino come 2Ts 3,6. Ellul invece a ragione accentua la diversità tra il «depositum sacrum» delle tradizioni e il costume e la consuetudine ( «"Sois belle"» 55) . 47 Cf. 15,2: «se lo conservate fedelmente in quella parola con cui ve l'ho annunciato» . 48 CoNZELMANN , Der erste Brief, 215: «ich biete Neues».

lCor 1 1 ,3-6

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come secondo viene colui che è stato fatto da lui a sua immagine (deuteros de ho kat'eikona autou hyp 'autou genomenos)» , cioè il mondo ; «il terzo vivente è l'uo­ mo che è stato fatto a immagine del mondo (to de triton Zoon, ho anthropos, ka­ t' eikona tau kosmou genomenos)» (Poimandres , trattato VIII ) . L'inserimento d i Cristo come grandezza distinta è del tutto spiegabile per oc­ chi cristiani, senza dire dell'analogia filoniana del Logos: come infatti escluderlo da un quadro «olistico» destinato a definire i rapporti costitutivi che legano tra loro le grandezze esistenti? Non si tratta però di mondi separati e a sé stanti ; Paolo li vede connessi in modo da poterli allineare nelle diadi donna-uomo , uo­ mo-Cristo , Cristo-Dio , legate tra loro dal fatto che il secondo componente è ke­ phale (capo) del primo . Ora nella suddetta combinazione la donna non è kepha­ le di nessuno e così Dio non ha nessuno come kephale, mentre l'uomo e Cristo tali sono in senso attivo e passivo : l'uomo è kephale della donna e ha Cristo co­ me kephale, Cristo è kephale dell'uomo e ha Dio come kephale. Ma che cosa significa qui il suddetto vocabolo greco?49 Da scartare subito è il significato di capo fisiologico, cioè di testa . In senso traslato kephale vuol dire vertice o cima, ma anche origine o principio fontale , oppure la persona stessa («pars pro toto») , infine capo gerarchico . Quest'ultima valenza però non è atte­ stata nel greco profano del tempo, ma solo e poche volte nei LXX50 come tradu­ zione dell'ebraico r6'sh , cui però si aggiungono le lettere pseudo-paoline di Col e Ef, dove tale significato gerarchico sembra presente nelle espressioni: «Cristo capo della chiesa» (Ef 1 ,22; 5 ,23 ; Col 1 , 18) , «Cristo capo delle potenze» (Col 2 , 10) , «il marito capo della moglie» (Ef 5 ,23) . 51 Le opinioni degli studiosi si divi­ dono tra il significato di origine I fonte I principio ontologico e quello di capo ge­ rarchico . 52 Ora una scelta oculata deve tener presenti le risultanze dell'indagine lessicale e le connessioni con il contesto . Della prima si è detto ; da parte sua il contesto mostra che l'uomo è immagine e gloria di Dio , la donna è gloria del­ l'uomo , avendo tratto origine da lui ed essendo stata creata per lui (vv. 7-10) . La prospettiva è dunque creazionistica , ispirata ai dati dei primi capitoli della Ge­ nesi sia pure filtrati attraverso le interpretazioni giudaiche. Ora tale confronto spinge a interpretare il v. 3 nel senso dell'affermazione che la donna ha nell'uo­ mo il principio fontale del suo essere , mentre l'uomo lo ha in Cristo , mediatore

49

myer.

Cf. H. Schlier in GLNT V, alla voce (coli. 363-386) , ma anche il recentissimo studio di Fitz­

50 Fitzmyer ha mostrato che non si tratta di casi assolutamente sporadici. Anche se nel senso di capo gerarchico l'ebraico ro'sh viene tradotto normalmente con archon o archegos, non mancano te­ sti con kephale. Ai passi Ode 10,18; 1 1 ,8.9. 1 1 , 2Sam 22,44 già segnalati da Scroggs e Murphy­ O'Connor egli aggiunge i seguenti secondo la versione dei LXX: Is 7,8-9 ; Ger 38,7 ; l Re 20 ,12. 51 Sempre Fitzmyer fa appello a Filone che attribuendo alla testa un ruolo «egemonico» nell'or­ ganismo mostra familiarità con il significato traslato di capo gerarchico: «in maniera allegorica dicia­ mo che il capo è dell'anima la mente guida (kephalen einai psyches ton hegemona now1)» (De somn. 2,31 ,30) ; «la natura ha conferito alla testa l'egemonia del corpo (ten tau somatos hegemonian)» (De spec. leg. 3 ,33, 184) . 52 Nella prima schiera sono da menzionare soprattutto Baumert, Delobel , Murphy-O'Connor, Scroggs , Jervis ; nella seconda Conzelmann, Fitzmyer , Senft , Wolff.

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della creazione (cf. 8 ,6) , e questi in Dio , che è all'origine della sua esistenza di figlio . 53 Si suole citare in proposito , come fa B arrett , La prima lettera , 308 , un passo orfico in cui si proclama: «Zeus kephale, Zeus messa, Dios d'ek panta telei­ tai I Zeus è origine, Zeus è centro , da Zeus viene il compimento di tutte le cose» (fr. 21/a) . Ma se tale rapporto uomo-donna appare facilmente comprensibile , altret­ tanto non si può dire di quello tra uomo-Cristo e Cristo-Dio . Infatti se il v. 3 si legge alla luce di 7-10 che riecheggia Gen 1-2, allora il naturale legame dell'uo­ mo sarebbe con Dio , appunto come appare al v. 7: l'uomo creato a immagine e gloria di Dio . L'inserimento di Cristo risulta strano e poco comprensibile non solo nel suo rapporto con l'uomo ma anche in quello con Dio . A l contrario , s e per kephale assumessimo i l significato d i capo gerarchico non solo sarebbe chiaro il rapporto tra uomo e donna, rapporto qualificato da dominio e soggezione , ma anche diventerebbe comprensibile l'interrelazione delle diadi uomo-Cristo e Cristo-Dio all'insegna parimenti di signoria e sotto­ missione . Resterebbe sempre il fatto che Cristo non può essere inteso come ca­ po gerarchico dei maschi con esclusione delle donne ; ma tale semplificazione del quadro si spiega per il fatto che Paolo appare tutto intento ad affermare una di­ sparità ontologica dei sessi capace di fondare una disparità di abbigliamento , a cui propriamente mira. Ciò che egli dice di Cristo mi sembra solo un elemento di un vastissimo quadro nel quale però l'interesse vero verte sul rapporto uomo­ donna.54 Si spiega così anche l'ordine con cui il testo elenca i binomi suddetti che prendono posto in una costruzione piramidale: non si parte né dall'alto (Dio) né dal basso (donna) , ma dal piano intermedio, in concreto dal rapporto uomo­ donna: l'uno e l'altra hanno un punto essenziale di riferimento , l'uomo in Cristo e la donna nell'uomo . A tale ipotesi che fa leva sul simbolo della gerarchia, articolato nelle due fac­ ce speculari di dominio e obbedienza, obsta però il fatto che in tutto il brano chi scrive non comprende mai il rapporto uomo-donna su tale direttrice ; e se scar­ tiamo , come del tutto errata, la lettura tradizionale del v. 10 sul velo quale segno di sottomissione della donna all'uomo , il problema concreto dell'abbigliamento dei due non è visto nella suddetta luce del capo gerarchico e dominativo. Inoltre se è vero che in alcuni passi dei LXX kephale, come traduzione dell'ebraico 53 Murphy-O'Connor invece ritiene che il rapporto tra Cristo e Dio e Cristo e l'uomo sia di na­ tura non creazionistica, bensì soteriologica. Cristo vi è detto principio di vita salvifica dell'umanità ­ uomo I aner qui non avrebbe alcuna connotazione sessuale nel senso dell'uomo maschio in antitesi alla donna, ma si contrapporrebbe ai non-umani - e colui che Dio ha mandato come salvatore sulla terra sulla linea di Gal 4,4. Ma nel nostro brano sembra una opzione disperata comprendere aner nel senso di umanità e non di uomo maschio . 5 4 Adinolfi pensa d i poter risolvere l a difficoltà così: parlando di Cristo capo dell'uomo e di questi immagine di Dio Paolo, a differenza della tradizione giudaica , farebbe affermazioni di senso precisivo e non di valore esclusivo , per cui sottintenderebbe che anche la donna ha come capo Cristo ed è immagine di Dio. Ma in questo brano l'apostolo accentua proprio tale diversità costitutiva del­ l'uomo e della donna per poter far valere una corrispondente diversità sul piano dell'abbigliamento . Fa parte della sua argomentazione.

lCor

1 1 ,3-6

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r6 'sh , assume il senso di capo , lo dice se mpre in rapporto a una comunità : gli israeliti cercano «chi sarà il capo (eis kephalen) per tutti gli abitanti di Galaad» (Gdc 10, 18) e, trovato Jefte , gli dicono: «e sarai per noi capo (eis kephalen) , per tutti gli abitanti di Galaad» ; questi accetta: «io sarò per voi capo (eis kephalen) » (Gdc 1 1 , 8 . 9) ; dunque «lo costituirono su di loro come capo , come condottiero (eis kephalen, eis hegoumenon) » (Gdc 1 1 , 11 secondo il codice A) . Il figlio di Ro­ melia è detto capo (he kephale) di Samaria (Is 7,9) , Saul capo di popoli (2Sam 22 ,44). Né r6 'sh né kephale i ndicano mai una persona capo di un' altra . Le debolezze delle due ipotesi descri tte spingono a congetturare il significato di vertice , punto preminente , in un pensiero guidato dalle categorie spaziali di alto e basso . La visione espressa nel v . 3 appare di carattere strettamente pirami­ dale : come vertice assoluto abbiamo Dio , poi viene Cristo quale ve rtice dell'u­ manità maschile , quindi l'uomo vertice del mondo femminile . Dal più basso gra­ dino si sale progressivamente fino alla cim a . Tale significato del vocabolo greco , molto ben attestato,55 si distingue dai due succitati di capo gerarchico e di princi­ pio fon tale , perché sottolinea una preminenza in dignità e valore , non una supe­ riorità dominativa né un primato fontale e originario . A vantaggio di questa pro­ posta gioca il senso globale del testo : è a partire da questa struttura ontologica dei due sessi che Paolo affermerà che le credenti carismatiche di Corinto devono tenere la testa coperta , altrimenti scompaginano il quadro piramidale con un comportamento oltraggioso per il loro «capo» , l'uomo (v . 4) , vergognoso per se stesse (v . 10) e sconveniente in linea di principio (v . 13) . Si aggiunga che nei vv. 14- 1 5 ritorna lo stesso motivo del disonore I atimia , contrapposto a onore I doxa . Indubbiamente l'intento di chi scrive è di salvaguardare , con un appropriato ab­ bigliamento , la dignità dei profeti e delle profetesse della chiesa di Corinto , una dign ità che dal d iretto interessato si estende a chi gli sta sopra . In breve , per Paolo l'uomo è al vertice della costruzione dell'umanità e la donna più in basso , il primo su un gradino superiore , l'altra inferiore . vv. 4-6 Il principio generale del v . 3 serve di fatto per richiamare , in proposi­ zioni parallele , la responsabilità dei due sessi nei confronti del loro rispettivo "capo" . «Ogni uomo che prega o profetizza avendo (qualcosa) sulla testa oltrag­ gia il suo «capo» . Invece ogni donna in atto di pregare o profetizzare a testa sco­ perta oltraggia il suo "capo"» (vv . 4-5a) . Stante il manifesto legame con il v. 3 sembra di dover escludere diverse interpretazioni che , leggendovi o il senso fi­ siologico di kephale (testa) (cf. Weiss , Conzelmann e Wolff) , o il senso fisiologi­ co e insieme quello traslato di «capo» (cf. Wilson e Jervis) , o ancora il senso di «pars pro toto» , 56 presentano le seguenti traduzio ni : 1) «Oltraggia la sua testa» ;

55

CL lo studio citato cli Schlier in GLNT V, 363-386 (364-365) . Così Murphy-O'Connor che d i fende l a sua ipotesi con ragioni lessicali e cli con testo : kephale può significare , come ha mostrato Sch lier (cf. GLNT V, 366 ) , t u t t a la persona ; al v. 14 Paolo dice , a proposito d e l l ' uomo , che portare i capelli lunghi è «per l u i disonore (atimia a11t0-i) . D u nque nel pas­ so parallelo del v . 4 si deve leggere kephale come metoni m i a . ;r.

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2) «Oltraggia la sua testa e il suo "capo " » ; 3) «oltraggia se stesso / se stessa» . Ma allo­ ra , nella prima e terza ipotesi , il v . 3 non ha alcuna funzione nel brano paolino57 e non si capisce perché Paolo vi enunci , non senza la solennità della formula introdut­ tiva «Ma voglio che sappiate» , quel principio . Solo i vv. 4-5a ne indicano la ragione, perché nel seguito del brano non viene più ripreso . D 'altra parte la congettura del duplice significato appare più un tentativo di fuga dalla difficoltà che un modo di so­ luzione. Ci pare che s'imponga la continuità di significato di kephale dal v. 3 ai vv. 4-5a: i l profeta cristiano a testa coperta e la profetessa cristiana senza copricapo fan­ no vergognare (kataischynei) rispettivamente Cristo e l'uomo . Non appare chiaro tuttavia per qual motivo avvenga questo oltraggio . In realtà Paolo motiva soltanto la seconda affermazione: «(la donna a capo scoperto) è infatti identica a quella rasata» (v . 5b) . Egli fa dunque leva sulla equivalen­ za tra testa scoperta e testa rasata o anche , come appare al v. 6, testa con capelli tagliati . Ma anche tale affermazione ha bisogno di essere motivata e spiegata , e Paolo non si sottrae a questa esigenza . Lo fa nel v . 6, introdotto con un «infatti» e costituito strutturalmente , si è detto sopra, da due periodi ipotetici che hanno come apodosi degli imperativi . Il primo di questi ultimi appare come paradossa­ le ed estrema conseguenza logica dell'equivalenza suddetta : «Se infatti una don­ na non vuole coprirsi , si tagli pure i capelli » . La sua funzione è di rendere inevi­ tabile l' alternativa espressa nel secondo imperativo : «Ma se è vergognoso per una donna tagliarsi i capelli o radersi , si copra» . 58 Tra l'uno e l'altro sta , come necessaria connessione , l'evidenza della protasi: se è vergognoso (aischron) per una donn a , come di fatto Io è, essere senza capelli . Paolo dà qui per scontato qualcosa di culturalmente attestato . In un elenco di realtà turpi Ovidio nomina una donna senza capelli («turpe pecus mutilum , turpis sine gramine campus et sine fronde frutex et sine crine caput») (Ars amatoria 3 ,249-250) . Apuleio affer­ ma che è un feroce modo di procedere («tam dirum exemplum») privare una donna dei capelli : «Si cuiuslibet eximiae pulcherrimaeque feminae caput capillo spoliaveris et faciem nativa specie nudaveris» (Met. 2 8) Presso i Germani il taglio dei capelli era un aspetto del castigo inflitto all'adultera : «(il marito) alla presenza dei parenti , dopo averle tagliate le chiome ( «abscisis crinibus») e denu­ dato i l corpo , la scaccia di casa ( «expellit domo») e con percosse la fa passare attraverso tutto il villaggio» (Tacito , Germania 19) . Anche Aristofane è testi­ mone di tale sensibilità quando confronta le madri di un figlio spregevole e di uno valoroso : «Se invece una donna partorisce un uomo vile e malvagi o , e un cattivo comandante di triremi o un inabile timoniere , dovrebbe sedere , con la testa rapata tutt'in giro , dietro alla madre del valoroso» ( Tesmoforiazuse 838) .59 ,

.

5 7 Si capisce così l ' a ffe rmazione di Weiss: sarebbe tutto chiaro se il v. 3 si potesse ritenere una glossa ai vv. 4-5 ( Der erste, 27 1 ) . 5 8 I d u e verbi usati come paralleli keirasthai (cf. anche l ' imperativo keirastho del v . 6a) e xyrast­ hai (cf. anche il partici pio exyremené-i del v. 5b) indicano il primo il taglio di capelli con forb ici , il se­ condo con rasoi o . 5 9 Lietzmann , seguito da Schmithals ( Die Gnosis , 202 ) , a fferma che una d o n n a c o n i capelli cor­ ti e ra vista come una prostituta (A n die Korinther, 53) , m a già Kiimmel rlrn smen tito nelle note al commento (A n die Korimher, 1 93 ) .

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Se questa è la forma del dettato paolino , bisogna però ammettere che il ra­ gionamento sotteso nei vv . Sb-6 è di tipo propriamente sillogistico con maggio­ re , minore e deduzione . È vergognoso per una donna avere i capelli tagliati ; ma avere la testa senza capelli è lo stesso che avere la testa scoperta ; dunque è ver­ gognoso per una donna stare a testa scoperta. La maggiore è un'evidenza offerta come tale . La minore , che afferma l'equivalenza delle due situazioni , ha una sua perspicuità nel senso che nell'uno e nell'altro caso abbiamo sempre una testa nu­ da. La deduzione a questo punto è inevitabile . L'apostolo però non appare inte­ ressato «in primis» all'argomentazione per se stessa ; egli persegue lo scopo pra­ tico di chiarire alle profetesse di Corinto il dovere che hanno di non scoprirsi la testa. Per questo conclude non con una deduzione sillogistica ma con un'esorta­ zione formale: la donna «Si copra» (katakalyptesth6) . Si comprende così anche il senso del v . Sa: la profetessa che oltraggia la sua dignità di donna con un abbigliamento indecoroso , cioè a capo scoperto , finisce per oltraggiare anche l'uomo maschio , che sta al vertice della umanità composta di maschi e femmine. In una piramide il decoro della parte sottostante condizio­ na il decoro della vetta. Analogo deve essere il senso del v. 4 a proposito dell'uo­ mo nei confronti del suo vertice che è Cristo . Ma ciò resta implicito nel ragiona­ mento di Paolo tutto intento al problema delle donne, salvo poi riprendere il ca­ so dell'uomo maschio nei vv . 7- 10, collegati ai vv . 3-6 con la particella esplicativa «infatti» (gar) , dove però egli abbandona il simbolo della kephalé e mette in campo un'altra qualifica ontologica dei due sessi che prende da Gen 1-2. 1 . 3 . 3 . Antropologia creazionistica ( 1 1 ,7-10) Paolo s'impegna qui soprattutto a dimostrare l'obbligo della donna , a diffe­ renza dell'uomo , di coprirsi il capo , obbligo fondato su un dato antropologico tradizionale offerto nel libro della Genesi: se l'uomo è immagine e gloria di Dio , la donna invece è gloria dello uomo ( v . 7) . È di fatto questa seconda affermazio­ ne a essere motivata nei vv. 8-9, per giungere alla conclusione del v. 10 espressi­ va dell'interesse primario di chi scrive : «Perciò la donna deve avere controllo sulla testa» , cioè avere la testa coperta come si vedrà e come risulta dalla struttu­ ra stessa dei vv. 7-10 indicata sopra. Rispetto ai vv. 4-5 in cui i due soggetti , maschile e femminile , erano indicati con le formule «Ogni uomo I ogni donna» , vengono ora introdotti con un'espres­ sione meno precisa: «L'uomo I La donna» e si continua in questo modo in tutta la pericope 7-10. In realtà già a livello di tali formule appare che le prospettive in 3-6 e in 7-10 ( con il completamento di 1 1- 12) non sono perfettamente identiche : l'identità maschile e femminile evidenziata sopra riguarda direttamente ogni uo­ mo e ogni donna , invece qui , con la citazione implicita di Gen 1 e 2, in primo piano abbiamo Adamo ed Eva. Infatti nei vv. 8-9 gyné e anér ( donna/uomo) stanno per Eva e Adamo : non è Adamo che ha avuto origine da Eva, ma il con-

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trario; Eva è stata creata per Adamo e non viceversa . Ma è chiaro dal contesto che Paolo considera le suddette figure bibliche prototipiche dell'uomo e della donna in generale , per cui ciò che quelle sono per costituzione ontologica lo so­ no anche tutti i maschi e tutte le femmine . Il presupposto è che l'origine deter­ mina l'essere non solo dei progenitori ma anche dei discendenti . Sempre per il fatto che l'argomentazione dei vv . 3-10, ma anche in seguito , si colloca al livello ontologico-costitutivo , si deve escludere che la diade intesa sia quella di marito-moglie , verso cui propende la teoria di quanti scorgono nel te­ sto l'intento di presentare i rapporti tra i due sessi sul binario del dominio e della sottomissione . 60 In realtà, e su questo si registra un vastissimo accordo , in que­ stione sono i rapporti costitutivi e comportamentali in generale degli uomini e delle donne . La pericope inizia confrontando subito l'abbigliamento dell'uomo e quello della donna: «Infatti per un verso l'uomo non deve coprirsi la testa , essendo im­ magine e gloria di Dio ; per l'altro invece la donna è gloria dell'uomo» (v . 7) . Il parallelismo delle due parti del versetto è parziale e imperfetto: nella prima la proposizione principale si colloca in ambito etico (non doverosità di un determi­ nato abbigliamento) , mentre la subordinata, che definisce l'essere del soggetto, ne presenta il motivo . Invece la seconda qualifica subito l'identità della donna , lasciando in sospeso il dovere che ne consegue, il quale apparirà , come conclu­ sione chiastica , alla fine della pericope , al v. 10. Nei vv. 8-9 Paolo vuole dimo­ strare la fondatezza della definizione che la donna è gloria dell'uomo ; ma poiché quella si definisce in rapporto a questo , «implicitis verbis» viene motivata l'asim­ metria del rapporto tra i due sessi: l'uomo non è gloria della donna, si definisce in rapporto a un altro polo , Dio stesso , di cui è immagine e gloria. Resta così confermato che chi scrive appare impegnato direttamente a deter­ minare l'abbigliamento delle carismatiche della chiesa di Corinto , vero proble­ ma di 1 1 ,2- 16 e suo centro . In ogni modo la contrapposizione dei due sessi è chiarissima sia sul piano dell'aspetto esterno sia su quello della loro costituzione , diremmo a livello dell'apparenza o fenomenologico e nell'ambito dell'essere o ontologico : l ) l'uomo non d�ve coprirsi la testa (v. 7a) I la donna deve coprirsela (v . 10) ; 2) l'uomo , immagine e gloria di Dio , non è gloria della donna (v. 7b) I la donna invece lo è dell'uomo (v . 7c) ; 3) l'uomo non viene dalla donna I la donna invece viene dall'uomo (v. 8) ; 4) l'uomo non è stato creato per la donna I la don­ na al contrario è stata creata per l'uomo (v . 9) . Ne consegue una precisa indica­ zione interpretativa: Paolo in 1 1 ,2- 1 6 intende difendere la diversità dei sessi , mi­ nacciata dal comportamento delle carismatiche di Corinto che si uguagliavano esternamente agli uomini .61 Per noi può apparire strano tanta importanza attri-

60 Difensore della teoria di marito-moglie è ancora Gill per es. Ma anche Adinolfi dice : «L'au­ torità detenuta dall'uomo , cioè dal marito, capo della donna , cioè della moglie , non implica affatto superiorità di natura o di dignità» ( «Il velo», 167) . 61 Dice bene Perrot: «In materia di cuffia ciò che vale per l'uno non vale per l'altro» ( «Une étrange lecture» , 261 ) .

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buita al fatto di coprire o meno la testa, corhe appare dall'impegno argomentati­ vo profuso , ma nella suddetta prospettiva la cosa è tutt'altro che banale : l'apo­ stolo aborre dalla confusione dei sessi , in particolare di fronte al tentativo di omologazione della femmina al maschio, allora in atto nella chiesa di Corinto a proposito del fenomeno della profezia. 62 In breve , il grande rischio da lui intravi­ sto è quello insito nel travestimento , già condannato duramente in Dt 22 ,5: «La donna non si metterà un indumento da uomo né l'uomo indosserà una veste da donna , perché chiunque fa tali cose è un abominio al Signore tuo Dio».63 v. 7 L'uomo immagine (eikon) di Dio è un dato attestato in Gen 1 ,26-27, ma con una differenza sostanziale . Paolo parla dell'uomo maschio (anér) , a diffe­ renza della donna, mentre il testo vt afferma che Dio ha fatto a sua immagine (kat'eikona Theou) l'uomo (ton anthropon I 'adam) , cioè il genere umano costi­ tuito da maschi e femmine , come viene precisato nel v. 27 : «E Dio fece l'uomo, a immagine di Dio lo (auton) fece , maschio e femmina li (autous) fece» .64 L'ap­ plicazione del testo genesiaco soltanto al maschio si spiega per l'influsso del rac­ conto di Gen 2 in cui sono cronologicamente separate la creazione diretta del­ l'uomo e la derivazione della donna da questo . Si tratta in realtà di una lettura non originale perché conosciuta già dalla tradizione giudaica . In Pirqe A bOth in­ fatti è attestato il seguente detto di R. Aqiba: «Egli soleva dire : Amato (da Dio) è l'uomo ( 'adam) che fu creato a immagine di Dio (be�elem 'elohim) ; un amore più grande gli fu dimostrato col crearlo a immagine di Dio (be�elem 'elohim) , co­ me è detto : A immagine di Dio (be�elem 'elohim) fece l'uomo (ha'adam)» ( 3 , 18 ) L'apocrifo Vita di A damo e di Eva , del I sec. d . C . , volendo chiarire per­ ché il diavolo è ostile a Adamo , combina insieme «explicitis verbis» i dati di Gen 1 e quelli di Gen 2: «Quando Dio soffiò in te l'alito della vita e la tua faccia fu re­ sa simile all'immagine di Dio , Michele ti portò da noi e ci obbligò a venerarti in presenza di Dio e il Signore Iddio disse : Ecco Adamo . Io ti ho fatto a nostra im­ magine e somiglianza. E Michele uscì e chiamò gli angeli dicendo : Venerate l'immagine di Dio come il Signore Iddio ha comandato. Michele stesso la venerò per primo ; poi mi chiamò e disse : Venera l'immagine del Signore Iddio . Ed io ri­ sposi: Io non devo venerare Adamo . E poiché Michele insisteva perché io lo ve­ nerassi , gli dissi : Perché insisti? Io non venererò un essere inferiore a me e più .

62 Theissen ha rilevato che Paolo tradisce qui una sua «reazione di panico» di fronte alla minac­ cia portata contro l'ordine naturale della sessualità, la quale nasconde possibili tendenze omosessua­ li (Psychologische Aspekte, 1 74) . B arrett ritiene possibile «che l'orrore per l'omosessualità sta dietro a gran parte dell'argomentazione di Paolo» (La prima lettera , 318). 6 J Anche MacDonald vi fa riferimento nel suo studio . 64 Jervell ha mostrato la sottigliezza di alcune letture rabbiniche che , rilevando la presenza del singolare in Gen l ,27ab , dove si parla dell'uomo creato a immagine di Dio, e del plurale nel v . 27c, in cui ci si limita a rilevare la creazione dell'uomo e della donna, negano alla donna la qualifica di persona creata a immagine di Dio. E può concludere in termini generali : «La teologia rabbinica ten­ de a negare non solo a Eva , ma anche a ogni donna la qualifica di immagine di Dio» (Imago Dei, 111).

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giovane di me. Io sono più anziano di lui nella Creazione , io ero stato già creato quand'egli fu creato . È lui che deve venerare me» (13 ,2- 14,3) . 65 A onor del vero però bisogna dire , come ha documentato Jervell , Imago Dei, 1 1 1 , che un altro filone giudaico attribuisce la qualità di immagine di Dio anche alla donna; basti pensare alle traduzioni di Aquila, Teodozione e del Targum Jer II che dicono come Dio li creò a sua immagine e somiglianza. In generale Filone non riferisce Gen 1 ,27 al primo uomo terreno , bensì a quell' anthropos o anche logos divino a immagine del quale è stato fatto l'uomo, che dunque risulta solo indirettamente immagine divina (cf. Eltester, Eikon , 39ss) . A questo proposito il filosofo alessandrino rileva come in Gen si dice solo che l'uomo è stato fatto a immagine di Dio , non che è immagine di Dio : ouchi ei­ kona Theou, alla kat'eikona Theou (cf. Eltester, Eikon , 50) . Il mondo greco aveva familiarità con il tema dell'icone , a tal punto che si attribuisce a Platone , «il migliore dei filosofi», il detto che l'uomo è immagine di Dio (eikona Theou ton anthr6pon eiponta einai) (Luciano, Pro Imag. 28) . L'essere a immagine di Dio come qualità naturale dell'uomo appare ancora in Gc 3 ,9 sempre in riferimento a Gen 1 ,27, non però con la formula kat'eikona ma con l'espressione kath'homoi6sin Theou: «Con essa benedicia­ mo il Signore e Padre , e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio». Da parte sua l'apostolo si dimostra originale nelle altre ricorrenze del motivo dell'immagine da lui sviluppato in chiave cristologica e soteriologica: Cristo «è l'immagine di Dio» (2Cor 4,4; cf. Col 1 , 15) ; i credenti sono stati pensati da Dio fin dall'eternità perché diventassero «conformi all'immagine del figlio suo (sym­ morphous tes eikonos tau hyiou autou)» (Rm 8 ,29) ; dopo aver portato l'immagi­ ne dell'uomo terreno porteranno alla fine «l'immagine dell'uomo celeste» ( l Cor 15 ,49) , ma già al presente sono trasformati nell'immagine gloriosa di Dio che è il Signore (2Cor 3 , 18) . Un'altra diversità rispetto al testo genesiaco è l'abbinamento di immagine e doxa di Dio . Questo vocabolo ricorre frequentemente nelle lettere paoline , ma in forma di determinazione copulare abbiamo solo il passo parallelo di lTs 2 ,20 in cui Paolo afferma che i credenti di Tessalonica sono la sua gloria: hymeis gar este he doxa hemon .66 Il riferimento più prossimo è l'affermazione parallela della donna doxa dell'uomo , ma si può citare anche il v. 1 5 : è doxa per una donna avere i capelli lunghi . Quale dunque il significato? Al v. 15 appare certo il senso di onore stante l'antitesi con atimia (disonore) del v. 14b : è un disonore per l 'uo­ mo avere capelli lunghi . 67 Allo stesso modo si deve comprendere doxa in 1 Ts 2 ,20: i tessalonicesi sono un motivo di onore e di vanto per Paolo . Si spiega per65 Trad . di E. Piattelli , cit . da Adinolfi che rileva come in questo apocrifo Eva dà la qualifica di immagine di Dio al figlio Set (cf. 7,3 ; 39 ,1-2) ; invece mai Eva vi è detta immagine di Dio (p. 154) . 66 Un passo analogo , non paolino , è Eb 1 ,3 in cui Cristo è confessato «irradiazione della sua (di Dio) gloria» (hos on apaugasma tes doxes . . . autou) . 67 Anche in 2Cor 4,10 e 6,8 è presente l'antitesi doxa-atimia .

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tanto che alcuni studiosi (cf. soprattutto Feuillet , «L'Homme» , 1974) abbiano letto il v. 7 nel modo seguente : l'uomo costituisce un motivo di onore per il creatore e la donna per l'uomo . Ma altri ,68 ritenendo che doxa sia da interpre­ tare alla luce di eik6n , propongono il significato di «riflesso» : mentre l'uomo ri­ flette in se stesso lo splendore di Dio , la donna è specchio dello splendore del­ l'uomo . Ma tale significato è da escludere «a priori» perché assente dalla gam­ ma semantica del vocabolo , come si è annotato (cf. per es. Jaubert , «La voile» , 420) . La preferenza p e r la prima accezione può rivendicare a suo sostegno non solo i passi paralleli citati , ma anche Pr 1 1 , 1 6 : «Una donna graziosa suscita onore (doxan) al marito , mentre una donna che odia la giustizia è un trono di disonore (atimias ) » , e più ancora il seguente epitaffio del cimitero ebraico ro­ mano di vigna Randanini : « (Qui giace colei che fu) la gloria di Sofronio , Lucil­ la benedetta I he doxa Syphroniou Lukilla eulogemenò> . 69 Si aggiunga l'omoge­ neità con il contesto generale di 1 1 ,2-16 incentrato nella dignità della persona, nell'onorabilità del suo abbigliamento che non deve essere vergognoso ( ai ­ schron: v . 6) , né sconveniente (prepon : v . 13) , né disonorevole (atimia : v . 14) , né oltraggioso (kataischynei: v . 4) . Se questo significato si adatta bene all'affermazione che la donna è onore e vanto dell'uomo , più di un dubbio sussiste a proposito della tesi parallela del­ l'uomo doxa di Dio . Anzitutto perché questo vocabolo è coordinato con quello di «immagine» che esprime la prossimità dell'uomo a Dio , una prossimità onto­ logica che ne fa una copia somigliante e fedele dell'originale divino . Come dun­ que non attribuire anche a doxa il significato impegnativo di partecipazione al­ l'essere divino , essendo la valenza di «onore» per se stessa una connotazione estrinseca? Si aggiunga che non solo nella Bibbia ebraica ma anche nella tradi­ zione giudaica motivo non secondario è quello dell'uomo avvolto dalla gloria di Dio , dallo splendore della maestà divina. Nel Sai 8 si celebra così la grandezza di Dio creatore dell'uomo I anthr6pos- 'en6sh- ben 'adam : «lo hai coronato di glo­ ria e nobiltà (doxe-i kai time-i)» (v. 6) . Adinolfi , «Il velo» , 155 rileva poi come «l'esegesi giudaica ha molto insistito sulla gloria di Adamo innocente, che verrà restituita ai buoni dal Messia» , perché evidentemente perduta con il peccato . E cita passi qumranici , come CD 3 ,20: «Coloro che persevereranno in essa (avranno) vita eterna, e sarà loro tutta la gloria di Adamo» (cf. an­ che lQS 4 ,22-23 e l QH 1 7 , 17-18) , e l'Apocalisse di Mosè dove Adamo addebita a Eva la responsabilità della perdita subita : «Che ti ho fatto perché tu mi abbia sottratto la gloria di Dio? » (21 ,6) . Si veda anche il seguente passo tratto da Pirqe R. Eliezer 14: originariamente «una nube di gloria» avvolgeva Adamo , ma dopo il peccato «la nube di gloria svanì». Anche Bereshit Rabba può essere qui citato: tra le sei cose tolte ad Adamo dopo il peccato viene annoverato «il suo splendo-

68 Cf. JERVELL, Imago Dei, 299 , ELTESTE R , Eikon, 155 e diversi commentatori come Weiss , Conzelmann. 6 9 Cf. J . B . FREY , Corpus lnscriptionum Judaicarwn, Città del Vaticano 1936 , I , n . 135, p . 94 .

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re» e poco dopo si cita un detto di R. Assi : «La gloria di Adamo non pernottò con lui» (12,6) . S i aggiunga che nel v . 7 la formula «gloria d i Dio» , in cui il genitivo è specifi­ cativo , non si può dire parallela al v . 15 in cui antitetico a «disonore» è il sempli­ ce sostantivo doxa . In breve , questo parallelismo , spesso invocato dai fautori della relativa ipotesi, è solo apparente . Ora tutto ciò spinge nella direzione di leggere il v. 7 nel senso che l'uomo è stato creato da Dio come essere rivestito della gloria divina, manifestazione visi­ bile dell'invisibile maestà di JHWH, lui fatto a sua immagine . L'accento cade sulla sua dignità e eccellenza, partecipe di quella divina. E si tratta di una pecu­ liarità dell'uomo maschio , come emerge dall'abbinamento stretto delle due pro­ posizioni : l'uomo gloria di Dio , la donna gloria dell'uomo , ma anche dalla pro­ spettiva generale del brano che evidenzia la diversità dei due sessi . È stato indi­ cato da Strack-Billerbeck un passo giudaico che «explicitis verbis» nega tale qua­ lifica alle donne . In NuR . 3 (140d) si discute del censimento dei maschi menzio­ nato in Nm 3 , 15 : «Perché ogni uomo maschio? e perché non menziona la femmi­ na? Perché la gloria (kabOd) di Dio sale dai maschi» . Ma qui «gloria» ha chiara­ mente il senso di «onore » . Paolo n e trae motivo per affermare che l'uomo non h a l'obbligo (ouk ophei­ lei) (cf. F. Hauck in GLNT IX) di coprirsi la testa. Non specifica «durante la sua partecipazione profetica alla liturgia» , ma è sottinteso. Comunque non se ne comprende bene la ragione ; forse è perché andare a capo coperto costituisce una «diminutio dignitatis» , un segno di abdicazione della sua nobiltà?70 Quale valore simbolico riveste per Paolo il fatto di avere la testa coperta o scoperta? In realtà egli non si spiega, tutto intento a sottolineare la diversità dei due sessi e a batter­ si contro ogni tentativo di assimilazione della femmina al maschio . vv. 8-9 Un apporto decisivo alla chiarificazione del senso di 7b: «la donna è doxa dell'uomo» viene da questi versetti , introdotti espressamente come prova della tesi suddetta . Il riferimento indubbio , sia pure implicito , è di nuovo ai rac­ conti genesiaci della creazione , in concreto ora a Gen 2. Anzitutto vi si afferma la derivazione della donna dall'uomo , non viceversa: «Perché non è l'uomo che proviene dalla donna (ek gynaikos) , bensì la donna dall'uomo (ex andros)» (v. 8) . È in altri termini ciò che narra Geo 2 ,22: «E costruì il Signore Dio la costola, che aveva preso da Adamo (apo tou A dam ) , ricavandone una donna (eis gynai­ ka) , e la condusse verso Adamo» . Ancor più prossimo appare il v. 23 che mette in bocca ad Adamo queste parole espressive dell'origine della donna: «essa è os­ so dalle mie ossa (osto un ek ton osteon mou) e carne dalla mia carne (sarx ek sar­ kos mou)» e quindi esplicative del nome di «donna» ( 'ishshah I gyne) : «perché essa fu presa dall'uomo (ek tou andros)».71

10 JAUBERT, «La voile», 421 ha indicato Es 34,34 come possibile spiegazione: Mosè toglieva il velo per parlare a Dio. Si è anche fatto appello ai testi citati in Strack-Billerbeck sul capo scoperto come contrassegno dell'uomo libero. 71 Si noti l'indiscusso parallelismo di questa formula con quella del nostro testo ek andros.

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C'è poi un secondo rapporto creazionistico , sempre a vantaggio dell'uomo sulla donna, che Paolo evidenzia nel v. 9: «E infatti non è l'uomo a essere stato creato 'per la donna , ma la donna per l'uomo» . Alla derivazione della donna dal­ l'uomo si abbina la finalizzazione di quella a questo . La base scritturistica è sem­ pre Gen 2, esattamente i vv. 20-21 : Adamo non trovò negli animali un aiuto a lui simile e per questo Dio gli ha creato la donna nel modo suddetto. Ora in che senso Paolo dice che la donna (Eva) è doxa dell'uomo (Adamo)? Sembra da escludere che si limiti ad affermare che quella è onore e vanto di que­ sto . In realtà l'apostolo appare impegnato a evidenziare la costituzione ontologi­ ca dei due sessi per fondarvi il dovere delle carismatiche della chiesa di Corinto di tenere la testa coperta. La conferma più chiara si ha nel v. 7 dove l'uomo (Adamo) è definito immagine e gloria di Dio . Il contesto impone nel v. 7b un si­ gnificato di doxa analogo a quello che ha in 7a ; detto altrimenti , deve essere nel­ la stessa linea che l'uomo è detto gloria di Dio e la donna gloria dell'uomo . Se il primo può vantare una nobiltà ontologica simile a quella di Dio , di cui è immagi­ ne, altrettanto vale della donna che per natura riceve dall'uomo l'umanità. Lo splendore che dà luce all'essere dell'uomo (Adamo) è presente nella donna (Eva) , come lo splendore di Dio ha avvolto , manifestandovisi , l'uomo (Ada­ mo) . Nell'uno come nell'altro caso si tratta di gloria ricevuta , non di splendore autonomamente posseduto. v. 10 «Perciò la donna deve avere controllo sulla testa, a causa degli angeli» . Il versetto costituisce la conclusione dell'argomentazione paolina, come dice già la formula «Perciò I dia touto», con cui ci si riferisce a quanto precede e soprat­ tutto per motivi di struttura indicati sopra . Il parallelismo con il v. 7a mostrato dallo schema chiastico dice che a differenza dell'uomo , non obbligato a coprirsi la testa, la donna lo è. La strana espressione exousian echein epi tes kephales non può significare in concreto altro . Siamo così in grado di escludere letture impro­ prie ed errate , che pure hanno alle spalle ora un passato glorioso ora un impo­ nente schiera di noti sostenitori . Mi riferisco anzitutto alla lettura secolare che intende exousia in senso concreto e quindi la traduce con «segno di autorità» al­ lusivo al copricapo , ma ancora più comprende questo vocabolo greco come «au­ torità subita» : la donna deve portare sulla testa un segno della sua sottomissione all'autorità del proprio capo gerarchico che è l'uomo .72 Ma è stato opportuna­ mente rilevato che exousia non ha affatto tale senso passivo , indicando senza ec­ cezione un'autorità esercitata, attiva. 73

72 Cf. per l'antichità cristiana Tcofilatto nel suo commentario: il copricapo è lo tou exousiazest­ hai symbolon I il simbolo dell'essere sotto autorità (PG 124,697c). Ma molto numerosi sono gli auto­ ri moderni , come per es. Conzelmann e Foerster. Questi dice a chiare lettere : «il velo è il segno della sottomissione della donna all'uomo , il segno che l'uomo è keplwle tes gynaikos. Ciò è confermato anche da vari testi rabbinici , che considerano il velo come il distintivo della donna sposata» (GLNT III , 664) . Ma, oltre tutto , qui Paolo non parla di marito e moglie , bensl di uomo e donna. 73 Kiickler 89-98 cerca di sfuggire a questo rilievo affermando che Paolo usa exousia come ebrai­ smo e traduzione della formula ebraica rshwt 'I r'sh significativa del potere dell'uomo sulla donna, di cui segno è appunto il velo in testa. Ma chi dei suoi lettori greci avrebbe potuto capire tale riferimen­ to?

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Perciò, sempre intendendo exousia come sostantivo concreto , si è letto nel testo l'obbligo per la donna di portare un capricapo quale segno della sua pote­ stà profetica di prendere la parola nell'assemblea liturgica (così Jaubert , Adinol­ fi , Feuillet ) . Tuttavia non mancano valide obiezioni . Anzitutto non si compren­ de perché la donna autorizzata a profetare debba avere sulla testa un segno visi­ bile del suo potere . Si risponde che il copricapo deve servire a dare alla donna, profeticamente abilitata, la capacità di farlo con decenza . Ma appare difficile ac­ cettare tale spiegazione ; se così fosse , Paolo avrebbe potuto e dovuto esprimersi con maggior chiarezza , ma soprattutto , ammesso che exousia è termine caro ai corinzi e non poco usato in l Cor (cf. 8,9; 9,4. 5 . 6 . 1 2 . 1 8 ; anche panta exestin I «tutto è lecito» in 6 , 1 2 ; 10,23) , dal nostro brano appare che quanto sta a cuore di chi scrive non è il potere e la libertà delle carismatiche di intervenire pubblica­ mente nella liturgia, dati per scontati , ma il loro abbigliamento , avere la testa coperta. 74 Con il senso di autorità o potere di prendere la parola exousia appare del tutto estranea al contenuto di 1 1 ,2-16. Anche una terza linea interpretativa traduce exousia con «segno di potere», inteso come potere di difesa di fronte alla presenza minacciosa di esseri demo­ niaci, individuati nell'espressione finale del v. 10 «a causa degli angeli». Il copri­ capo assume così la valenza di un segno o anche di un mezzo di protezione di va­ lore apotropaico o di efficacia magica, per ovviare alla debolezza congenita della donna. 75 Dal punto di vista metodologico si deve dire che spiegare quanto è oscuro ricorrendo a elementi non meno oscuri non porta a risultati soddisfacen­ ti . Inoltre , entrando nel merito dell'ipotesi , l'interpretazione più probabile del motivo degli «angeli» non è per nulla quella qui proposta. Infine come le prece­ denti congetture questa distacca indebitamente exousian dall'insieme della for­ mula «avere autorità o potere su» . La lettura preferibile assume l'espressione exousian echein epi + gen . come un modo di dire che significa «avere potere su» , «tenere sotto controllo» , usato altrove nel NT, anche da Paolo in lCor 7 ,37 . Qui egli presenta il caso di un fi­ danzato non costretto (anagke) dall'impulso sessuale a unirsi alla sua fidanzata, capace invece di controllare il suo istinto (exousian de echei peri tou idiou thele­ matos)76 e dunque in grado di continuare con la fidanzata la vita celibataria pre74 Anche Fee che sottolinea il motivo della libertà della donna sembra rientrare in questa linea interpretativa (The first Epistle, 5 19) . Padgett invece presenta una lettura assai originale : la donna deve avere il potere di fare ciò che vuole con i suoi capelli . A suo avviso infatti il v. 10 si pone in op­ posizione alla prima parte costituita dai vv . 4-7 e inizia la seconda parte (vv. 10-12) alternativa alla prima. Ma la struttura chiastica da noi evidenziata sopra fa giustizia di questa interpretazione. 75 Cf. per es. Lietzmann, Kiimmel e Schmithals. Quest'ultimo attribuisce al velo sul capo «effi­ cacia apotropaica» e alla donna «l'exousia di tener lontane le potenze angeliche demoniache» e a questo riguardo cita Kiimmel (An die Korinther, 205-206) , il quale , nelle sue note al commento di Lietzmann , precisa che se non proprio apotropaica il copricapo è inteso avere un'«efficacia magica­ mente protettiva» (p. 184) . Sulla stessa linea sono da menzionare anche Conzelmann e Jervell. Que­ st'ultimo ritiene che mentre l'uomo è protetto perché immagine di Dio, la donna, che non lo è, si trova scoperta e dunque ha bisogno di un mezzo sostitutivo ( «Ersatz») di difesa dagli assalti dei de­ moni (Imago Dei, 304-307). 76 L'unica differenza , irrilevante , con il nostro testo è qui la preposizione peri invece di epi.

lCor 1 1 ,7-10

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cedentemente scelta. Si aggiunga, sempre di Paolo , il passo l Cor 7,4 dove appa­ re la stessa formula ma con il verbo corrispondente exousiazein : non è la moglie che ha potere sul proprio corpo , bensì il marito (tou idiou somatos ouk exousia­ zei) e viceversa .77 In tale congettura Paolo esorta le carismatiche di Corinto a non perdere il controllo sull'abbigliamento quando si esibiscono nell'assemblea liturgica e controllarsi nel contesto significa in pratica coprirsi la testa . L'impulso dello Spirito non può essere rivendicato come ragione per lasciarsi andare a comportamenti dettati da irrazionali moti di spontaneità incontrollata e magari a sentirsi spiritualmente legittimate in proposito . In 14 ,33 Paolo dirà, in merito al­ le manifestazioni carismatiche , che Dio non è un Dio del disordine (akatasta­ sias) , ma della pace . Ma quale connessione esiste tra l'essere gloria dell'uomo e il dovere di co­ prirsi, connessione chiaramente espressa nella particella dia touto riferita al v . 7 b ? Il brano 7-10, come s i è detto , appare connesso con ciò che precede e il suo ruolo è di chiarire il ragionamento dei vv. 3-6: l'uomo come immagine e gloria di Dio e la donna quale gloria dell'uomo riprendono il motivo del v. 3 incentrato nel simbolo del «capo» o vertice e sottolineano l'asimmetria del rapporto tra i due sessi , cui deve corrispondere , nella partecipazione liturgica , un abbiglia­ mento diverso . Altrimenti quel rapporto costitutivo viene intaccato per il fatto che la donna assume un comportamento vergognoso per se stessa e per l'uomo di cui è gloria. Anche nei vv. 7-10 si tratta dell'aischron gynaiki del v. 6b e del kataischynei del v. 5, solo che ora tutto è visto alla luce della verità che la donna è gloria dell'uomo , mentre questi è immagine e gloria di Dio . Paolo cammina dunque sul doppio binario della diversità dei sessi , che deve manifestarsi anche all'esterno , e del carattere vergognoso del comportamento delle carismatiche di Corinto che agiscono a testa scoperta. In chiusura però il v . 10 aggiunge un'ulteriore ragione : «a causa degli angeli» (cf. Fitzmyer) . In mancanza di precisazioni capaci di chiarire il brevissimo ac­ cenno nessuna meraviglia che siano state emesse molte ipotesi. Della congettura che vi legge la presenza malefica dei demoni, da esorcizzare debitamente con il copricapo , si è detto sopra . Appartiene invece al passato l'interpretazione che identifica gli angeli con i capi della comunità, secondo il significato traslato pre­ sente nella prima parte dell'Apocalisse (cf. 1 ,20 ; 2 , 1 . 8 . 12 . 1 8 ; 3 , 1 . 7 . 14) , attri­ buendo a Paolo l'intento di prescrivere un abbigliamento non scandaloso ai loro occhi. 78 Ma nelle lettere paoline tale valenza di «angeli» è del tutto assente .

n Vedi anche Ap 2 ,26: «Gli darò potere sulle genti (exousian epi ton ethnon)»; 1 1 ,6: i due testi­ moni hanno potere sulle acque (exousian echousin epi ton hydaton) ; 14,18 e 20,6 che parlano di un angelo che ha potere sul fuoco (echon exousian epi tou pyros) e della seconda morte che non ha pote­ re sui destinati alla risurrezione (epi touton. . . ouk echei exousian) . 78 Vedi l'Ambrosiaster: «angelos episcopos dicit, sicut i n Apocalypsi Ioannis (Apoc. II,lseq.)» (PL 17,253) . Non molto diversa è l'opinione recentissima che individua negli «angeli» dei messaggeri umani. Vedi per es. lo studio di PADGEIT, «Paul on Women», Sls. Ma anche in questa versione ag­ giornata resta l'improbabilità di tale valenza del sostantivo «angeli» nelle lettere paoline.

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Lo stesso rilievo critico vale per l'ipotesi di quanti , per es . Theissen , Psycho­ logische Aspekte, 176, vi scorgono il riferimento ai «figli di Dio» sedotti da «le fi­ glie dell'uomo», di cui ha parlato Gen 6, presenti nella letteratura giudaica apo­ crifa sotto la denominazione di «angeli», come avviene per es. nel libro di Enoc: «Ora , allorché i figli degli uomini si furono moltiplicati , nacquero loro in quei giorni delle figlie belle e graziose ; e gli angeli , figli del cielo , le videro e le desi­ derarono e dissero tra loro : "Andiamo , scegliamoci delle donne fra i figli degli uomini e generiamoci dei figli" . Costoro e tutti gli altri che erano con loro si pre­ sero delle donne , ciascuno ne scelse una e cominciarono a volgersi verso di esse e ad aver con esse commercio carnale . . . Ed esse , dopo aver concepito , genera­ rono i giganti la cui altezza era di 3 . 000 cubiti» (6 , 1 -2 ; 7 , 1 .2) .79 Il presupposto è che gli angeli maschi, supposti presenti nelle assemblee liturgiche ecclesiali , pos­ sano essere sedotti, come avvenne per «i figli di Dio» del racconto genesiaco, dalle carismatiche di Corinto che , scoprendosi la testa o sciogliendo i capelli se­ condo l'interpretazione da noi respinta, farebbero un gesto di seduzione. Anche questa opinione annovera sostenitori già nell'antichità cristiana , come l'autore dell'apocrifo giudeo-cristiano Testamento di Ruben ,80 il valentiniano Teodoto8 1 e lo stesso Tertulliano . 82 Ma contro queste opinioni determinante è il fatto che , nella nostra lettura globale di 1 1 ,2- 16, Paolo non sembra affatto camminare sul­ la direttrice moralistica della seduzione femminile e della cupidigia sessuale dei presenti , umani o angelici che siano . Oltretutto , se così fosse, non si capirebbe affatto la limitazione del problema al momento degli interventi pubblici delle ca­ rismatiche della chiesa corinzia: la rinuncia a mezzi seduttivi dovrebbe valere anche per la sola presenza di tutte le donne nell'assemblea ecclesiale e fuori . In realtà Io scoprirsi la testa da parte delle profetesse doveva avere una portata as­ sai peculiare , quella, a nostro avviso , di trascendere la diversità dei sessi. Si è pensato , infine , a una presenza funzionale di angeli buoni , tutori dell'or­ dine creato oppure partecipi delle preghiere dei credenti. In concreto , nel primo caso , si pensa che essi siano presenti a fare rispettare le rispettive posizioni natu­ rali della donna e dell'uomo anche nell'ambito dei ruoli sociali e della conven79 Possiamo leggere anche ciò che disse R. Jehuda ( + 215) in Pirqe R. Eliezer 22: «Gli angeli che caddero dal loro posto santo nel cielo videro le figlie di Caino camminare nude , gli occhi truccati come delle prostitute , essi furono attratti e ne presero per mogli, ciò che esprime : "I figli di Elohim videro che le figlie dell'uomo erano belle , e si presero mogli tra tutte quelle che essi avevano viste" (Gen . 6,2)». so In concreto l'autore mette in guardia dalle arti seduttive delle donne , «dominate dallo spirito della fornicazione assai più degli uomini» , le quali ricorrono volentieri , per essere attraenti , ad ac­ conciature ed ornamenti , e conclude con il richiamo genesiaco: «Fu così che esse sedussero i vigilanti (gli angeli) con i loro sguardi . . . avendo acceso di concupiscenza i loro spiriti» (5 ,3-6) . 81 «Sophia ( = la Sapienza), avendolo visto simile alla luce che l'aveva abbando­ nata, lo riconobbe e gli corse incontro e fu piena di allegrezza e si prosternò . Poi , al vedere gli angeli maschi che erano stati inviati insieme con lui, provò vergogna e si coprì con un velo . Per questo mi­ stero Paolo comanda che le donne portino sul capo il potere a causa degli angeli» (Estratti 44; trad. di M. Simonetti, cit . da Adinolfi , «Il velo», 160) . 82 Nel suo De virginibus velandis 7 lo scrittore africano interpreta così l'espressione paolina: «propter angelos scilicet quos legimus a Deo e cacio excidisse ob concupiscentiam feminarum» .

lCor 1 1 , 1 1-12

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zioni culturali che assegnano loro un diverso abbigliamento . 83 Ora è vero che l'angelologia giudaica ha attribuito agli angeli funzioni di vigilanza sul creato ,84 ma è . lecito dubitare che questa sia la prospettiva del nostro passo , interessato non al problema generale del comportamento delle donne , ma a quello specifico dell'abbigliamento delle carismatiche durante la preghiera pubblica della comu­ nità ecclesiale . È più probabile invece che Paolo si muova nell'orizzonte della credenza del giudaismo contemporaneo nella presenza degli angeli durante la preghiera dei fedeli , segno e fattore attivo della santità della riunione liturgica . Già nel Sa! 137 , l il salmista così si esprimeva : «Davanti agli angeli a te innegge­ rò I enantion aggelon psa/6 soi» . Ap 8,3 attesta che un angelo offre sull'altare d'oro davanti al trono molti profumi « insieme con le preghiere di tutti i santi» . Attestazioni eloquenti in merito sono date dai testi qumranici , come ha mostra­ to Fitzmyer . Nella Regola dell'Assemblea si legge : «Chiunque sia colpito da una qualsiasi impurità umana, non entrerà nella congregazione di Dio . Chiunque è colpito da queste (impurità) sicché non possa tenere un posto nell'assemblea e chiunque è colpito nella sua carne , paralizzato ai piedi o alle mani , zoppo o cieco o sordo o muto , colui che è colpito nella sua carne da una tara visibile agli occhi , o un uomo vecchio , vacillante , da non poter reggere in mezzo all'assemblea , co­ storo non entreranno a partecipare in seno all'assemblea dei notabili , giacché angeli santi sono nella loro assemblea» ( l QSa 2,3-9 ) . Vi fa eco CD 1 5 , 17: « Le persone stupide , sciocche , folli , dementi , cieche e storpie , zoppe , sorde , mino­ renni non entreranno in seno all'assemblea, poiché gli angeli santi stanno in mezzo a essa» . Vedi anche lQM 7 ,4-6 : «Uno zoppo , un cieco , uno storpio, chiunque ha, nel suo corpo , qualche difetto permanente o è colpito da una qual­ che impurità corporale, nessuno di costoro potrà andare con essi alla guerra . . . Chiunque , nel giorno del combattimento , non è sessualmente puro non discen­ derà con essi giacché con le loro truppe ci sono angeli santi» . Le carismatiche di Corinto devono coprirsi la testa anche - è una motivazione aggiunta e di non grande rilevanza se Paolo si limita a questo fugace accenno - come segno di ri­ spetto per la sacralità dell'atmosfera che vi regna data la presenza degli angeli santi . Si noti l'aggettivo «santi»: l'assemblea liturgica non deve essere privata della sua necessaria santità. 85

1 . 3 .4. Precisazione sui rapporti uomo-donna ( 1 1 , 11 - 12) Del carattere di riserva di questi due versetti si è detto sopra : alle afferma­ zioni dei vv . 8-9 Paolo intende apportare precisazioni che , senza rinnegare que83 Così anche R . PENN A , «Il discorso paolino sulle origini umane alla luce di Gen 1 -3 e le sue funzioni semantiche» , in Io .. a cura di, Miti di origine, miti di caduta e presenza del femminino nella loro evoluzione interpretativa , i n Ricerche Storico Bibliche VI ( 1994) 1-2, 227s (223-239) . 84 Vedi i numerosi testi citati da ADINOLFI , «Il velo » , 1 60- 1 62 . 8 5 Ul timamente M . L . Rigato , « A quali angeli allude Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi ( ll , 10 ) ? » , in RivBib 4 1 ( 1 993) , 305-3 1 3 , interpreta la formula «avere potere sul capo» così : «poter decidere liberamente della propria acco nciatura , della maniera di presentarsi in pubblico» (p. 309). E ritiene di poter scorgere nel testo paolino un'allusione agli angeli annunciatori dell'eve n to della ri­ surrezione di Gesù alle donne . Non riesco a vedere nel passo paolino alcun indizio in tale senso ; mai Paolo menziona gli angeli della risurrezione.

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ste , completano il quadro dei rapporti essenziali uomo-donna . Ciò resta vero, ma ci sono altri aspetti , complementari , da evidenziare . Non siamo davanti a una contrapposizione : la particella plen qui usata, come ha rilevato Blass­ Debrunner, Grammatica , § 449 , non equivale alle avversative de o alla ; 86 chi scrive intende ovviare a una certa unilateralità delle tesi dei vv. 8-9, che abbiso­ gnano di un complemento richiesto dalla realtà delle cose . Ciò detto , tuttavia, il dettato dell'apostolo non appare chiarissimo . Il primo interrogativo riguarda la prospettiva sottesa alle dichiarazioni dei vv. 1 1 e 12: co­ me nei vv . 8-9 si colloca nell'ambito creazionistico , oppure , diversamente dai vv . 8-9 , i n quello soteriologico? Inoltre la formula «nel Signore» è cristologica , sia di stampo creazionistico (Cristo mediatore della creazione secondo la prospettiva di 8 ,6) sia di marca soteriologica , oppure fa riferimento a Dio? Ma anche i sog­ getti «uomo» e «donna» richiedono di essere specificati: a differenza dei vv. 8-9 in cui direttamente si parla di Adamo ed Eva il riferimento è ai discendenti della coppia originaria , oppure sottintendono un'altra coppia di prototipi? Al di là di questi interrogativi , a cui sono state date risposte diverse che orientano la lettura in altrettante direzioni , si possono cogliere alcuni significati primari indubbi . Nel v. 1 1 : «Solo che nel Signore né donna senza uomo né uomo senza donna» in positivo Paolo afferma l'interdipendenza dei due sessi:87 l'esi­ stenza dell'uno non si dà prescindendo dall'esistenza dell'altro ; l'uno è necessa­ rio , nell'ambito dell'essere , all'altro . Il v. 12 spiega tale interdipendenza: «Come infatti la donna proviene dall'uomo così anche l'uomo è mediante la donna» . Il rapporto di reciproca dipendenza viene dunque precisato nel senso della prove­ nienza dell'uno dall'altro. L'equiparazione è evidente sia per la formula usata parallelamente «l'uno dall'altro» ,88 sia per la corrispondenza degli avverbi di pa­ ragone «come I così». La parità è qui perfetta, mentre nei vv. 8-9 si sottolineava con forza l'asimmetria dei rapporti: non l'uomo dalla donna, ma la donna dal­ l'uomo ; non l'uomo per la donna, ma la donna per l'uomo . Si confrontino in particolare i vv . Sa e 12b: «non è l'uomo che proviene dalla donna» ; «l'uomo è mediante la donna» . Se non vogliamo attribuire a chi scrive contraddizioni inter­ ne al suo dettato , è giocoforza dire che i soggetti in questione non sono perfetta­ mente identici , perché altrimenti dello stesso soggetto «uomo» si negherebbe e si affermerebbe la stessa cosa, cioè la provenienza dalla donna. La formula finale «Tutto però viene da Dio» costituisce un'espansione del discorso di Paolo che si lascia andare a uno spontaneo moto di allargamento del-

86 Nel senso sostenuto sopra vedi per es. già Weiss e più recentemente Delobel. L'ha letta inve­ ce come avversativa Senft . 87 J. KDRZINGER, «Frau und Mann nach l Kor 1 1 . lls», in BZ 22(1978) , 270-275 ha proposto per chòris il significato di «diverso da» , evidenziando così l'intento del testo di escludere ogni diversità tra uomo e donna . Ha riscosso consensi da Murphy-O'Connor («Sex and Logie» , 497) , Padgett, Per­ rot. 88 La diversità grammaticale data dalla preposizione «ek I da» a cui corrisponde la preposizione «dia I mediante» è solo una variante stilistica.

lCor 1 1 , 1 1-12

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la prospettiva: tutta la realtà ha in Dio il suo principio causale e la sua fonte . II caso di uomo e donna viene così a essere inserito nel vastissimo quadro di tutto il mondo creato , che trova in Dio la sorgente del suo essere . In ogni modo tale espressione , analizzata sopra come passo parallelo di 8,6, 89 ci dice che la pro­ spettiva generale dei vv . 1 1 - 12 è creazionistica. Le affermazioni dei vv . 1 1-12 mostrano un senso chiaro e coerente se ritenia­ mo90 che Paolo si riferisce ai discendenti di Adamo ed Eva, i quali , a differenza dei loro progenitori asimmetricamente correlati come è stato detto nei vv . 8-9 , sono interdipendenti nella loro generazione con l'apporto determinante e com­ plementare della madre e del padre . Un passo giudaico parallelo è qui Bereshit Rabba 8,9: «Prima Adamo fu creato dalla terra, ed Eva da Adamo ; da qui in poi a nostra immagine e somiglianza , né uomo senza donna, né donna senza uomo, e neppure ambedue senza la Presenza divina» . Ora nessuno avrebbe potuto contestare questa interpretazione , se non ci fos­ se stata in chiusura del v. 1 1 Ia formula «nel Signore», cui si può certo applicare il detto latino «in cauda venenum» . A meno che la si interpreti in senso «teologi­ co» con riferimento al Dio creatore , alla cui sovrana iniziativa risalgono pari­ menti le diverse situazioni indicate ai vv . 8-9 e ai vv . 1 1- 1 2 , cioè il rapporto asim­ metrico dei progenitori (Eva da Adamo ed Eva per Adamo , non viceversa) e l'interdipendenza dei discendenti (l'uomo non prescinde nel suo esserci dalla donna e viceversa) . Allora tutto si tiene nel testo paolino . Se invece «nel Signo­ re» ha valenza cristologica , sono possibili ancora due letture , secondo che vi si scorge l'attività di Cristo nella creazione , come è attestato in 8 ,6, oppure la sua azione soteriologica nel senso del detto di Gal 3 ,28: «non c'è uomo e donna , per­ ché voi tutti siete un solo essere in Cristo». Nel primo caso la lettura non cambia in sostanza , mentre nel secondo avremmo una vera contrapposizione con i vv. 8-9 : i rapporti asimmetrici tra uomo e donna sono aboliti , sostituiti dal criterio della mutua dipendenza. Del tutto originale comunque è un'altra ipotesi avanzata da Baumert , A n ti­ feminismus , 87ss che dietro la coppia uomo-donna del v. 1 2 scorge il riferimento a Cristo nato da una donna, Maria, in linea con l'affermazione di Gal 4,4: «fatto da donna» (genomenon ek gynaikos) . Viene così corretto o completato ciò che dicono i vv. 8-9 : né la donna (Eva) senza l'uomo (Adamo) , né l'uomo (Cristo) senza la donna (Maria) . E questo fatto crea un nuovo ordine per cui uomo e donna in generale (senza articolo) sono reciprocamente dipendenti (v. 1 1 ) . La formula «nel Signore» è interpretata sempre in senso cristologico-soteriologico, non però come indicazione della nuova esistenza soggettiva dei credenti uniti a Cristo e animati dallo Spirito , bensì in riferimento alla nascita di Gesù e al nuo­ vo ordine generale che ne scaturisce per l'umanità. 89 Cf. il parallelismo delle espressioni: ex'hou ta panta (8,6) ; ta panta ek tou Theou ( 1 1 , 12) . 90 Questa è anche la lettura di Delobel secondo cui en Kyrio-i si riferisce a Cristo mediatore del­ la creazione .

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Ma l'opinione di Baumert mi sembra assai ricercata e poco plausibile. Anzi­ tutto la connessione esplicita tra i vv. 1 1 e 12 dice che i soggetti in questione , uni­ formemente indicati con gyne e aner - a parte la presenza o assenza dell'articolo su cui Baumert insiste ma che non mi sembra qui fattore capace d'incidere sul senso -, non possono essere diversi e, in secondo luogo , che la loro interdipen­ denza vale nel senso spiegato al v. 12, cioè come rapporto di origine . Inoltre il ri­ ferimento a Maria nel v. 12 appare ancor più improbabile , perché questa è del tutto assente nelle lettere paoline , non escluso il passo di Gal 4,4, citato sopra , che usa un'espressione idiomatica espressiva dell'umanità di Gesù e del suo inse­ rimento nel mondo attraverso la generazione. Infine nel v. 12 non sembra possi­ bile intendere la prima proposizione di Eva (he gyne) che proviene da Adamo (ho aner) e la seconda di Cristo (ho aner) che proviene da Maria (he gyne) . La legge del paragone («come I così») esige che i soggetti paragonati e denominati allo stesso modo non abbiano dei referenti diversi . L'altra versione dell'ipotesi che vede nella formula «nel Signore» il riferi­ mento all'incorporazione in Cristo limita indebitamente l'orizzonte di novità, in­ teressando soltanto i credenti.91 Ancora più , essendo l'interdipendenza del v. 1 1 spiegata nel v . 1 2 col rapporto di mutua origine , non si comprende i n che senso ciò si possa dire della novità salvifica portata da Cristo . Detto più chiaramente , quale influsso può avere l'azione soteriologica di Gesù nel determinare il fatto che i due sessi vengono l'uno dall'altro e perciò sono interdipendenti? Se si vuo­ le proprio difendere la lettura cristologico-soteriologica della formula en Kyri6-i non resterebbe che l'ipotesi cristologico-mariologica di B aumert , che però appa­ re insostenibile . S'impone dunque , ma non solo per esclusione , la lettura in chiave creazioni­ stica presentata sopra , suggerita anche dalla formula «ma tutto viene da Dio» con cui si chiude la piccola unità letteraria e tematica dei vv . 1 1-12. L'unico pun­ to ancora discutibile è la valenza cristologico-creazionistica della formula «nel Signore» o la sua portata teologico-creazionistica . Dal punto di vista della strut­ tura dei vv . 1 1- 1 2 se ne nota la corrispondenza con la chiusura del v. 12: «ma tut­ to viene da Dio» , un indizio questo a favore dell'ipotesi che «Signore» abbia qui valenza teologica. D'altra parte la formula «nel Signore», ricorrente 33 volte nelle lettere paoline autentiche , 13 negli scritti pseudopaolini e 1 volta in Ap (cf. Walker, «The vocabulary», 78) , ha di regola in Paolo significato cristologico . Oltre tutto non sarebbe la prima volta che Cristo viene introdotto nel nostro brano , perché già nel v. 3 lo si è menzionato come «capo» dell'uomo e avente , a sua volta, Dio come «capo», e ciò in una prospettiva creazionistica . Ma non è escluso che l'apostolo si riferisca a Dio creatore , artefice dell'ordine umano del­ la generazione .

91 Scroggs non indietreggia davanti a questa obiezione e traduce en Kyri6-i con «in the believing community» .

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In conclusione , possiamo dire che la riserva avanzata nei vv . 1 1-12 si colloca in ambito creazionistico , come del resto vale per i vv. 8-9 . Solo che ora i rapporti tra uomo e donna non sono colti all'alba della creazione , quando la prima donna è stata tratta dall'uomo , ma nel tempo successivo quando uomini e donne sono interdipendenti nella loro origine o generazione . Resta vero comunque che i prototipi dell'umanità determinano la struttura ontologica dei due sessi: questi continuano a essere rapportati in maniera tale che l'uomo è «capo» della donna e che questa è gloria dell'uomo , su cui Paolo ha costruito la doverosità per la donna di tenere la testa coperta. In breve , i vv. 1 1-12 non stravolgono quel qua­ dro , lo precisano solo in riferimento ai discendenti di Adamo ed Eva . 1 . 3 . 5 . Le voci del buon senso e della natura ( 1 1 , 13-15) v. 13 Lasciati ragionamenti sottili e non sempre chiari , l'apostolo ora fa esplicito appello al buon senso dei suoi interlocutori : «Giudicate da voi stessi» .92 Questa formula ricorre ancora in 10,15 dove egli esorta i corinzi a valutare per­ sonalmente il peso delle sue parole , persuaso che ne condivideranno il punto di vista: «Giudicate voi ( krinate hymeis) quello che dico» . Qui presuppone di poter registrare il loro consenso su un principio generale di convenienza o decoro . In altre parole si appella al costume etico che esclude come indecoroso per una donna pregare a testa scoperta: «è conveniente che una donna preghi Dio a capo scoperto?» La domanda è retorica e suppone una risposta negativa . Se l'espres­ sione è meno forte , la prospettiva non appare diversa da quella del v. 6: è vergo­ gnoso ( aischron ) per una donna essere a testa nuda. Inoltre , a differenza del v . 6 , c ' è l'esplicita attenzione a l problema specifico della chiesa d i Corinto , la par­ tecipazione alla liturgia ecclesiale . Le considerazioni generali dei versetti prece­ denti lasciano il posto a valutazioni più concrete , essendo Paolo in fase di con­ clusione . vv. 14-15 Ma egli vuole aggiungere un altro argomento che ricava dalla natu­ ra , cui riconosce valore di «Vox magistri» degna di essere ascoltata: «Non è an­ che la stessa natura ad insegnarvi . . . ?» Anche questa è una domanda retorica con sottintesa risposta affermativa . È risaputo che la filosofia popolare del tempo aveva indicato nella natura la norma principe dell'agire umano . Per es. Cicerone affermava: «quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus» ( De Off. 1 ,28 ,100) . Le formule sono diverse : «il vivere in maniera conforme alla natura I to homologoumen6s tè-i physei zèn» (Cleante fr. 552 ; cf. anche Epitteto 3 , 1 ,25) ; «in armonia con la natura I symphon6 tè-i physei» , formula amata da Epitteto ( 1 ,2,6; 4 , 1 4 , 1 8 ,29 ; 6,21 ; 2 , 14 ,22) . In Crisippo (fr. 16 e 4) l'espressione «vivere secondo natura I to kata physin zèn» equivale alle altre usuali del «vivere felicemente ( kal6s ) » , «vivere bene ( eu ) » , «il bello e il bene ( to kalon ka-

92

La formula greca en hymin autois potrebbe anche essere tradotta con «dentro voi stessi».

Commento

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gathon) » , «la virtù e ciò che partecipa della virtù» . Del resto già Platone motiva­ va la condanna della pederastia in base al criterio del seguire la natura: ako­ louth6n tei-i physei (Leg. 8,836c) e alla norma della conformità alla natura: «per­ ché ciò non è conforme a natura I dia to me physei touto einai» (ibid. ) . 93 Ora l'insegnamento specifico che Paolo ne ricava è «che se l'uomo porta i ca­ pelli lunghi , è per lui un disonore , mentre se la donna ha i capelli lunghi , per lei è una gloria, perché la chioma le è stata data come turbante» . Non tutto è chiaro nel testo paolino . A prima vista esso non riguarda il coprire o meno la testa , ma avere o meno capelli lunghi. Per questo si è creduto di poter ipotizzare che il problema pratico affrontato consistesse non nel rifiutare il copricapo bensì nel­ l'avere capelli lunghi sciolti . Ma, a parte l'impossibilità d'intendere il verbo kata­ kalyptesthai I «coprire» (cf. i vv . 6b .7) nel senso di avere i capelli intrecciati , l'i­ potesi suddetta fa perno sull'intrecciare o meno i capelli lunghi , particolare as­ sente del tutto dal testo paolino , anche dai vv . 14-15. Certamente Paolo non po­ teva aspettarsi dal «magistero» della natura una parola immediata e diretta a fa­ vore della necessità, per la donna , di usare il copricapo, qualcosa di artificiale. La voce di questa maestra poteva essere solo indicatrice di una strada da battere spingendo oltre l'indicazione offerta. Naturalmente si tratta di una natura culturalmente specificata ; in realtà i ca­ pelli lunghi per la donna e corti per l'uomo sono un dato di costume , di un certo costume. Ma forse non si deve sottilizzare troppo; Paolo appare qui assai vicino a Epitteto che ragiona in termini analoghi a proposito della barba, segno natura­ le dell'uomo che lo distingue dalla donna: «Ma via, lasciamo da parte le opere della natura (erga physeos) e consideriamo quelle accessorie (parerga) . C'è nien­ te di più inutile dei peli del mento? Ebbene , non si è servita la natura anche di questi nel modo più opportuno che poteva? Non ha distinto con essi il maschio e la femmina? Non grida subito , anche se da lontano , la natura di ciascuno di noi : "Sono uomo: come a uomo avvicìnati , come a uomo parla: non cercar altro: ec­ co i segni" . A sua volta , nelle donne, come ha mescolato un tono più morbido nella voce , così anche ha soppresso i peli del mento . . . per questo bisognerebbe conservare i segni di Dio , bisognerebbe non gettarli via , e, per quanto dipende da noi , non confondere i sessi ch'egli ha distinto».94 Una prospettiva simile a quella stoica si fa luce anche in Rm l ,26s dove Pao­ lo condanna come innaturale (para physin) l'omosessualità pagana, essendo l'e­ terosessualità per lui il solo uso naturale (ten physichen chresin) del sesso. Che la folta capigliatura sia motivo di vanto e di gloria per la donna sembra un'evidenza culturale assai diffusa a oriente come a occidente . Per es . Apuleio così loda la chioma muliebre : «Che dire allora, quando la chioma brilla con ama­ bile lucentezza e ai raggi del sole sprigiona lampi ed emette riflessi discreti o vi­ ceversa muta leggiadramente il suo aspetto , ed ora , mentre prima era corrusca

93

94

Citati dallo studio di Koster in GLNT XV alla voce physis (cf. 238ss) . Diatribe 1 , 16,9-14 (trad . di R. Laurenti ; citato da Adinolfi, «Il velo» , 150-151).

lCor 1 1 ,16

553

come l'oro , assume il color biondo del miele , ora , perso il naturale nero corvino , i mita i riflessi cilestrini sul collo delle colombe? . . . Insomma , sì grande è l'attrat­ tiva di una bella capigliatura, che una donna può ben sfoggiare oro , gemme , ve­ sti preziose e tutta l'eleganza che vuole , ma se non dedicherà ogni cura ai suoi capelli , non potrà aver fama di donna elegante» (Metamorfosi 2 ,9) . 95 Nella tradi­ zione giudaica Strack-Billerbeck riporta un detto di rabbi Levi (circa il 300) : «Se una donna raccoglie all'indietro (in trecce) i suoi capelli , è per lei un ornamen­ to» (Midr HL 4 , 1 (109a]) . Paolo però non si limita a dire che l a natura h a fornito alla donna capelli lun­ ghi , ma precisa che «la chioma le è stata data (dalla natura) anti peribolaiou». Discusso è il significato della preposizione e del sostantivo . Non mancano auto­ ri , come Baumert e Murphy-O'Connor, che traducono quella con «al posto di» e questo con «copricapo» o «turbante» , trovando qui una buona ragione a favore della loro ipotesi, secondo cui il problema affrontato in 1 1 ,2-16 riguarda l'obbli­ go , per le donne , di non sciogliere i lunghi capelli , bensì di tenerli intrecciati in modo da coprire naturalmente la testa. La natura provvede da se stessa a far sì che la testa delle donne sia coperta, senza bisogno di un copricapo artificiale. Più numerosi sono coloro che ritengono anti equivalente a lu5s e lo traducono con «come» (cf. per es. Weiss e Conzelmann). Comprendono poi il sostantivo in termini di copertura o, più generalmente , di vestito che serviva anche a coprire la testa .96 La natura che copre indica che bisogna camminare in questa direzio­ ne : aggiungere al «copricapo» naturale un copricapo artificiale . 1 . 3 . 6. Parola conclusiva ( 1 1 , 16) «Se poi uno ritiene di dover essere amante delle contese , (sappia che) noi non abbiamo una tale consuetudine , né le chiese di Dio» . Nella chiesa di Corin­ to c'erano dunque persone che amavano discutere e non è azzardato dire che l'abbigliamento delle carismatiche dovesse essere oggetto di animate esercita­ zioni dialettiche .97 Purtroppo Paolo non ci dice di più . Il brevissimo richiamo gli serve solo per precisare che egli non si mette sullo stesso binario e, ancor più , che vuole tagliar corto . Di fatto propone un «argumentum auctoritatis» , facendo pesare come determinante la sua prassi ,98 la stessa delle chiese di Dio . Questa formula sembra assai generale : la comunità di Corinto deve uniformarsi al co­ stume in vigore in tutte le altre chiese . Engberg-Pedersen va qui controcorrente . A suo avviso Paolo in questo bra­ no riduce sempre più le sue pretese : partito con argomenti di grande peso teolo-

95

Trad . di C. Annaratore ; citato da Adinolfi . Nel sostantivo peribolaion sembra meglio , come ha notato Murphy-O'Connor, accentuare peri e tradurre non in generale con copricapo , tanto meno con vestito , bensì con turbante. 97 Nel NT philoneikos ha un parallelo in Le 22,24 dove ricorre il sostantivo corrispondente phi­ /oneikia: l'evangelista racconta che tra i discepoli sorse una discussione chi di essi fosse il più grande . 98 Sembra preferibile intendere il «noi» riferito a Paolo . Così anche Barrett , che lo ritiene pro­ babile . Invece Lietzmann vi scorge l'indicazione di Paolo e dei suoi collaboratori . 96

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Commento

gico , ripiega quindi su motivi di convenienza e decenza, poi si affida al buon sen­ so dei suoi interlocutori e all'insegnamento della natura , infine lascia liberi i co­ rinzi di scegliere ; egli e le chiese di Dio non hanno questa abitudine di discutere senza fine. Ma non sembra affatto probabile che Paolo in chiusura rinunci a far valere il suo parere . Inoltre improbabile si rivela il riferimento del sostantivo sy­ netheia I consuetudine all'amore della discussione: si tratta piuttosto di una con­ creta prassi ecclesiale . Non è del resto l'unica volta che l'apostolo fa valere il criterio .del «sic volo sic iubeo» . Basti leggere i passi 4,17 e 7 , 1 7 : anzitutto , inviando Timoteo a Corin­ to , dice che questi ricorderà ai credenti della comunità greca le sue «vie», «come io insegno ovunque in ogni chiesa» ; inoltre a prova del principio che ciascun cre­ dente deve continuare a vivere come Dio lo ha chiamato afferma: «così dispon­ go in tutte le chiese» . Comunque il testo più prossimo al nostro è 14,33 : «come in tutte le chiese dei santi» le donne tacciano nelle assemblee ecclesiali . Si tratta , come si vedrà , di una glossa, ma non per questo viene meno l'evidente paralleli­ smo che oltre tutto riguarda di nuovo un comportamento delle donne . Di fatto , l'autorevolezza della sua prassi appare strettamente congiunta con l'autorevo­ lezza della consuetudine comune alle chiese di Dio .

2. I L PASTO COMUNE E LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA ( I I , 1 7 -34 ) 17 Mentre poi prescrivo questo non (vi) lodo ,99 poiché vi riunite non per il me­ glio bensì per il peggio. 18 Anzitutto infatti sento dire che quando vi riunite in assemblea ci sono tra voi scissioni , e in parte ci credo . 19 Infatti è necessario che pure ci siano divisioni tra voi 100 affinché anche1 0 1 di­ ventino manifesti quelli che sono di provata virtù in mezzo a voi . 102 20 Quando dunque103 vi riunite insieme (il vostro) non è un mangiare la cena del Signore . 2 1 Ciascuno infatti , all'atto d i mangiare , prende prima la sua propria cena; sic­ ché da una parte c'è chi ha fame , mentre dall'altra chi è ubriaco. 22 Forse che infatti non possedete case per mangiare e bere? O volete disprez­ zare la chiesa di Dio e far arrossire di vergogna quelli che non hanno nulla? Che dirvi? Lodarvi? 104 In questo non (vi) lodo affatto .

99 Le varianti sono numerose : B ha due participi (mentre prescrivo questo non lodandovi) ; A e C hanno presente indicativo + participio (questo prescrivo non lodandovi) ; D originario attesta due indicativi presenti (questo prescrivo , non lodo). Il testo scelto è il meglio attestato . Kiimmel invece preferisce la «lezione» di A e C . 100 Omesso da non pochi manoscritti . 101 Omesso da numerosi e importanti codd . , ritenuto incerto da Nestle-Aland . 102 Omesso dal pap . 46 e dal cod . C. 10 1 Omesso da non pochi mss. 104 La variante del pres . al posto del fut. ha a suo favore una buona attestazione, ma è una pro­ babile assimilazione al seguente epaino. A sua volta il pap. 46 omette il pronome personale .

lCor 1 1 ,17-34

555

23 Io infatti ho ricevuto dal1 05 Signore quello che vi ho trasmesso : il Signore Gesù106 nella notte in cui era consegnato alla morte prese del107 pane 24 e reso grazie lo spezzò e disse : 108 Questo è il mio corpo che è 109 per voi ;110 fa­ te questo in mia memoria. 25 Allo stesso modo (prese) anche il calice , dopo aver cenato, dicendo : Questo calice è la nuova alleanza mediante il mio sangue ; 11 1 fate questo , ogni volta che berrete , in mia memoria . 26 Ogni volta infatti che mangerete questo pane e berrete del112 calice , voi an­ nunziate la morte del Signore finché venga . 27 Cosicché chiunque mangerà iP 13 pane o berrà il calice del Signore in manie­ ra indegna,114 dovrà render conto del corpo e del sangue del Signore . 28 Ci si esamini invece e così si mangi pure del pane e si beva pure del calice. 29 Perché chi mangia e beve 1 15 senza discernere il corpo1 1 6 si mangia e si beve la condanna. 30 Per questo tra voi ci sono molti malati e infermi e un discreto numero sono morti. 3 1 S e invece1 17 sottoponiamo noi stessi a verifica , non saremo giudicati. 32 Quando però siamo giudicati dal11 8 Signore riceviamo un ammaestramento al fine di non essere condannati insieme con il mondo. 33 Perciò , fratelli miei , quando vi riunite per mangiare (la cena) aspettatevi gli uni gli altri . 34 Se119 uno ha fame mangi a casa , perché non vi riuniate a (vostra) condanna. Il resto poi lo prescriverò alla mia venuta. Cf. AALEN S . , «Das Abendmahl als Opfermahl» , in NT 6(1963) , 143-146 , ( 128-152) ; BARBAGLIO G . , «L'istituzione dell'eucaristia (Mc 14 ,22-25 ; l Cor 1 1 ,23-24 e par . ) » , in Parola Spirito e Vita n. 7(1979) , 1 25-141 ; B ARTON S . C. ,

105 Variante : da parte del (para) . 1 06

Omesso da B .

107 Alcuni mss . hanno l'articolo: «il pane».

108 Diversi mss . aggiungono: «Prendete, mangiate», ma sembra sotto l'influsso del testo di Mt e in parte di Mc. w9 Il pap. 46 omette l'art. tol «che ( è ) ». 1 10 Le varie aggiunte: «Spezzato» , «fatto a pezzi», «dato» sono specificazioni manifestamente secondarie. 111 La variante «mediante il sangue di me» è attestata in non pochi e non trascurabili manoscritti. 1 12 Aggiunta secon daria di «questo», specificazione fatta a scopo liturgico. 111 L'aggiunta del pronome dimostrativo «questo» è chiaramente secondaria e si comprende come tentativo di uniformare questa formula alla precedente sul pane . 1 14 Aggiunta specificativa di «del Signore». 11 5 Aggiunta secondaria di «in maniera indegna» . 1 16 Con l'aggiunta di «del Signore» si tratta senz'altro di «lectio facilior» . 117 Variante «infatti». 1 18 L'art . è omesso da importanti e numerosi manoscritti ; la lezione scelta è ritenuta dubbia nel­ l'ed. di Nestle-Aland. u9 Aggiunta della particella de da parte di qualche ms.

556

Commento

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lCor 1 1 , 17-34

557

2. 1 . Articolazione del brano In questa seconda parte della sezione del c. 1 1 una chiara inclusione distin­ gue l'unità letteraria dei vv. 1 7-22 : al «non lodo I ouk epain6» del v. 17 corri­ sponde infatti il «non lodo I ouk epain6» del v. 22 . Se sopra ha lodato la sua co­ munità ( 1 1 ,2) , ora Paolo la biasima, 120 e la biasima duramente . Già la ripresa del motivo del biasimo al v. 22 ne accentua i toni con lo stesso verbo in forma d'in­ terrogativo retorico e di negazione : «Lodarvi? In questo non vi lodo affatto». Evidentemente qualcosa di grave era successo o stava succedendo nella chiesa di Corinto , meritevole della ferma disapprovazione dell'apostolo. Il corpo del brano presenta la ragione del biasimo con proposizioni causali ed esplicative12 1 che delineano e definiscono la situazione della comunità corin­ zia. Si inizia con una valutazione generale : «poiché vi riunite (synerchesthe) non per il meglio bensì per il peggio» ( v. 17b) . Si tratta delle assemblee ecclesiali , qui indicate dal solo verbo synerchesthai ( convenire : cf. anche vv. 33 e 34) , ma su­ bito dopo dallo stesso verbo con specificazioni di genere comunitario : «quando vi riunite in assemblea (synerchomen6n hym6n en ekklesia-i)» (v. 1 8a) ; «Quan­ do dunque vi riunite insieme (synerchomen6n hym6n epi to auto)» (v . 20a) . I vv. 20-22 specificano che si tratta di riunioni conviviali , come mostrano il verbo «mangiare» (phagein : vv. 20 e 21 ; cf. v. 33) , il sostantivo «cena» (deipnon : vv. 20 e 21) e l'espressione «mangiare e bere» (esthiein I pinein : v. 22; cf. vv. 27 .28.29) , per non parlare del vv. 2lb che descrive il seguente quadro contradditorio : tra i partecipanti alle assemblee comunitarie c'è chi resta con la sua fame e chi si è da­ to alle gozzoviglie fino a ubriacarsi . Ora se Paolo emette all'inizio un giudizio critico : invece di produrre effetti positivi , come dovrebbero , le riunioni portano a esiti negativi , non ci si può non domandare dove stia in concreto il lato negativo . All'ovvia domanda risponde il v. 18: «quando vi riunite in assemblea ci sono tra voi scissioni (schismata)» . Su­ bito dopo sono chiamate «divisioni I haireseis» , senza che vi si possa riscontrare un diverso significato . Paolo ne è venuto a conoscenza per sentito dire . Il dettato del testo unisce strettamente i due elementi : si tratta di fratture che hanno luogo nelle riunioni comunitarie di genere conviviale (kyriakon deipnon) . Detto altri­ menti , è nell'atto stesso della consumazione della cena del Signore che si deter­ minano gruppi separati , un fatto questo capace di snaturare il senso genuino del­ le assemblee , come sarà affermato nei vv . 20-21 . Ma prima l'apostolo si preoccupa di offrire una lettura teologico-escatologi­ ca di tale fenomeno : è necessario che le divisioni avvengano perché si manifesti l'esistenza di quelli che nella prova risultano «abili» ( dokimoi) ( v. 1 9) . È una di=

120

Questo

è

il significato del verbo epaino in forma negativa. 1 9 che è parentetico , i vv . 1 8 . 2 1 .22 sono introdotti dalla particella gar che spiega perché le ri unioni della chiesa di Cori nto finiscono per esse re esperienze negative . Ancor prima si veda l'hoti causale del v . 17 immediatamente col legato con il «non vi lodo » .

121 A parte il v.

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Commento

gressione e si spiega così che il v. 20 riprenda il filo del discorso con la particella «dunque (oun)» e soprattutto mediante il genitivo assoluto del v . 1 8 : «Quando dunque vi riunite insieme» . Ora la valutazione di chi scrive va a fondo a cogliere la verità del fare dei credenti di Corinto , smascherando così le apparenze e mo­ strando l'inanità di soggettive intenzioni : il loro «non è un mangiare la cena del Signore» (v . 20b ) . E questo perché (gar che introduce il v. 21) «ciascuno prende prima la sua propria cena», con il risultato sconcertante che gli uni hanno fame e gli altri sono ubriachi (v. 2 1 ) . Quindi chi scrive abbandona i toni ragionati e sereni e , sempre per eviden­ ziare la negatività delle assemblee conviviali della chiesa di Corinto , ricorre a in­ terrogativi retorici concatenati carichi di rimprovero e di una sottila ironia. Il primo : è proprio necessario che gli interessati vengano nelle riunioni ecclesiali a consumare il loro pasto privato (to idion deipnon) invece di riunirsi , a tale sco­ po , nelle loro case? (v. 22a) . Il secondo : ma in questo modo non finiscono forse per disprezzare la chiesa di Dio e far vergognare i nullatenenti? (v . 22b) . La ri­ sposta sottintesa è chiaramente affermativa in tutti e due i casi . Lo possono be­ nissimo fare a casa ; il fatto che invece lo consumino nelle riunioni comunitarie dice che , volenti o nolenti , disprezzano la chiesa di Dio riempiendo di rossore i fratelli che non hanno nulla. È il punto di arrivo della reprimenda di Paolo che mette a nudo ciò a cui si ri­ ducono le riunioni conviviali della chiesa di Corinto affette da divisioni . Lo sna­ turamento è tale che si hanno le seguenti risultanze l'una strettamente concate­ nata all'altra: non si mangia in realtà la cena del Signore , si disprezza la chiesa di Dio oltraggiandone i membri nullatenenti . Ecco in sintesi l'articolazione del dettato : A VI BIASIMO perché le vostre riunioni vanno per il peggio (v. 17) a . vi sono INFATTI divisioni nelle vostre riunioni (v . 18) (nessuna mera­ viglia comunque perché sono necessarie) (v. 19) b . INSOMMA in queste condizioni non è la cena del Signore quella che. mangiate (v . 20) INFATTI consumate to idion deipnon con conseguente disparità scan­ dalosa tra chi ha fame e chi è ubriaco (v. 2 1 ) c . I N ULTIMA ANALISI è u n comportamento sprezzante verso l a chie­ sa di Dio e oltraggioso per i nullatenenti (v . 22a) A' VI BIASIMO : non posso far altro (v . 22b) . La molteplice funzione dei diversi componenti dell'unità letteraria appare chiara . Il v. 17 ha il ruolo di «propositio», richiamata in chiusura nel v. 22c: «Che dirvi? Lodarvi? In questo non (vi) lodo affatto» . I vv. 1 8 . 20-21 costituisco­ no la «demonstratio» , cioè l'esposizione dei motivi per cui le riunioni ecclesiali di Corinto meritano un giudizio negativo e i corinzi il biasimo . Il v. 19 è una pa­ rentesi, una digressione, per altro non slegata dal contesto più generale del bra­ no 17-34, perché introduce la prospettiva del giudizio che dominerà la terza par-

l Cor 1 1 , 17-34

559

te (vv . 27ss) . Le tre ragioni addotte - vi sono scissioni , non si mangia la cena del Signore bensì il proprio privato pasto , che si volge in disprezzo della chiesa e ol­ traggio dei nullatenenti -, sono di fatto una sola reale motivazione : è un riunirsi guastato da divisioni che vede «Ciascuno» consumare proprie provviste , con umiliante esclusione dei fratelli poveri , il che rende impossibile mangiare la cena del Signore . Infatti vi si parla sempre di frattura della comunità: al v. 18 con un'esplicita e formale asserzione ; ai vv. 20-21 come divisione tra due fronti, chi consuma il proprio privato pasto1 22 e chi non tocca cibo ; al v. 22 come scissione di due fronti socialmente contrapposti , i possidenti che possono organizzare ce­ ne peculiari nelle loro abitazioni e i nullatenenti . Allo scopo di individuare la dinamica del testo , si deve ancora rilevare l'o­ scillazione della valenza del «VOi» a cui si rivolge e di cui parla chi scrive . È anzi­ tutto un «voi» comunitario , che abbraccia tutta la chiesa di Corinto colta nelle sue assemblee conviviali e che merita il biasimo perché al suo interno si verifica­ no scissioni o divisioni . Si noti la triplice formula «tra voi I en hymin» dei vv. 181 9 : all'interno della comunità hanno luogo fratture , si costituiscono gruppi con­ trapposti . I vv. 21-22 specificano che sono due , determinati dal fatto di mangiare o meno (v . 2 1 : «c'è chi ha fame e chi è ubriaco») e dal possesso o meno di beni (v . 22: «non possedete case? I quelli che non hanno nulla») . Il «voi» dei due in­ terrogativi retorici del v. 22ab invece è diretto solo a un gruppo, al primo , con­ trapposto ai nullatenenti (hoi me echontes) e responsabile , in prima persona , di quanto avviene nelle assemblee comunitarie di Corinto . 123 L'oscillazione tra il «voi» totale o comunitario e il «voi» settoriale o di parte (haireseis) si spiega per il fatto che la responsabilità è solo di un gruppo mentre l'effetto negativo riguar­ da tutta la comunità ; questa viene meno alla verità del suo «con-venire I syner­ chesthai» come chiesa in atto (en ekklesia-i) , come assemblea riunita (epi to au­ to) a «mangiare la cena del Signore» . Per questo si spiega che l'apostolo indirizzi il suo dettato a tutta la comunità di Corinto. Segue l'unità letteraria dei vv. 23-26 accuratamente costruita . La introduce un periodo in prima persona singolare in cui chi scrive ricorda di aver portato lui ( cf. l'esplicito ego I io) la tradizione cultuale della cena del Signore a Corinto (v. 23a) . I vv. 23b-25 presentano o meglio narrano , trattandosi di un racconto , tale tradizione . Il v. 26 infine , in cui il Signore non è più , come ai vv. 23b-25 , il sog­ getto del racconto , bensì l'oggetto («annunciate la morte del Signore») , chiude la pericope con un'interpretazione teologica del «mangiare questo pane e bere il calice» , che è chiaramente parola di chi scrive . L'io di Paolo dunque interviene in apertura e in chiusura con il peso della sua autorità apostolica di trasmettitore della tradizione della cena del Signore e 122 Il pronome «ciascuno» del v. 21 ha una portata circoscritta , indicando di fatto ogni compo­ nente del gruppo di coloro che consumano per conto loro una lauta cena con esclusione dei cristiani privi di tutto . Comunque più sotto se ne riparlerà . 123 Anche il «VOÌ» sottinteso nel pronome «ciascuno» del v. 21 si riferisce solo a un gruppo , al primo.

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Commento

di interprete della sua celebrazione comunitaria. Del racconto tradizionale nar­ rato nei vv. 23b-25 invece il protagonista è «il Signore Gesù» nei gesti che com­ pie e nelle parole che pronuncia. Ma anche nel processo di tradizione interviene il Signore , appunto quale fonte di ciò che viene trasmesso . Si ha dunque la se­ guente trafila chiaramente espressa nel v. 23a: dal Signore (apo tou Kyriou) I a voi (hymin) I attraverso me (ego) ; invece dal punto di vista formale il testo ha forma binaria: io ho ricevuto dal Signore CI Ò che io ho trasmesso a voi. Paolo è l'anello di congiunzione tra il Signore e il «voi» della comunità di Corinto . An­ che nell'interpretazione conclusiva (v. 26) è presente il Signore : la cena che i co­ rinzi mangiano è annuncio della sua morte fino a che venga. Dunque le tre for­ mule «dal Signore» (apo tou Kyriou : v. 23a) , «il Signore Gesù» (ho Kyrios Ié­ sous : v. 23b) , «la morte del Signore» (ton thanaton tou Kyriou : v . 26) caratteriz­ zano cristologicamente il brano nella introduzione , nel corpo e nella conclusio­ ne : egli è l'origine della tradizione della cena, il protagonista storico di ciò che è tramandato e il significato reale della celebrazione comunitaria proclamatrice della sua morte. Il corpo della pericope (vv . 23b-25 ) , di genere narrativo , si articola in due parti parallele contrassegnate materialmente da pane e calice e precedute dalla menzione del protagonista e da un'annotazione cronologica: IL SIGNORE GE­ S Ù nella notte in cui veniva consegnato alla morte - prese del pane

allo stesso modo (prese) anche il calice dopo aver cenato

- e reso grazie lo spezzò - e disse: - Questo è il mio corpo che è per voi - Questo fate - in mia memoria

dicendo: Questo calice è la nuova alleanza mediante il mio sangue Questo fate, ogni volta che berrete , in mia memoria

Sul piano degli elementi circostanziali caratteristici di un racconto , oltre l'an­ notazione iniziale (nella notte . . . ) , si veda l'espressione «dopo aver cenato» che , dal punto di vista cronologico , separa la seconda parte riguardante il calice dalla prima. Comunque gli snodi della narrazione sono segnati dagli aoristi espressivi del fare e del dire del protagonista: «prese» I «Spezzò» I «disse» I «(prese)» , ai quali si aggiungono i partecipi «reso grazie» I «dicendo» . Due poi sono le parole di Gesù , la prima, sul pane e sul calice , di carattere interpretativo e oblativo1 24

124 In proposito ha insistito HoFrus , «Herrenmahl», 392ss che parla di «Gabeworte» in opposi­ zione a «Deuteworte» , ma si tratta di una contrapposizione artificiale , ci sembra , come vedremo.

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( «Questo è . . . » ) , la seconda, imperativa, di genere commemorativo ( «Questo fa­ te in mia memoria» ) . Il v. 26 che definisce la celebrazione della cena del Signore come annuncio della sua morte si collega chiaramente alla formula commemorativa di 25c ( «ogni volta che berrete» ) , che riprende , estendendola al pane : «Ogni volta in­ fatti che mangerete questo pane e berrete del calice». Dunque annuncio della morte del Signore e memoria del Signore vanno di pari passo ; anzi con il gar I in­ fatti esplicativo Paolo intende chiarire che si tratta di una memoria insita nella proclamazione della morte di Cristo . Inoltre viene specificato il pronome dimo­ strativo delle due formule commemorative dei vv. 24c e 25c: «Questo fate» : so­ no i gesti del mangiare il pane e del bere al calice . Si noti infine che il verbo «an­ nunciate» (kataggellete) è un indicativo , non un imperativo , come dimostra la particella «infatti» (gar) che spiega il precedente «Questo fate . . . in mia memo­ ria» . Segue nei vv. 2 7-34 una terza unità letteraria che trae le necessarie conse­ guenze da quanto è stato detto , suddivisa nei due brani vv . 27-32 e vv . 33-35 . Il primo è caratterizzato dalla particella di valore consecutivo hoste costruita con un indicativo ( v. 27 ) . Chi scrive mostra, prima in termini generali (vv. 27-29 ) e poi con applicazione al caso della chiesa di Corinto ( vv . 30-32 ) , la conseguenza del modo improprio (anaxios) di celebrare la cena del Signore , cioè il verdetto di condanna (krima) , il che richiede dai partecipanti una seria verifica personale ( vv. 27-32 ) . Il brano 27-32, ma si veda anche il v . 34, si qualifica per la ricca e frequente terminologia giudiziaria: enochos I reo e colpevole ( v . 27 ) I krima I verdetto giu­ diziale di condanna ( vv . 29 . 34 ) I krinein I giudicare ( vv . 3 1 . 32 ) I katakrinein I condannare (v . 32 ) , ma anche anaxios non interpretabile in senso puramente eti­ co e dokimazein espressivo di un processo di verifica . E qui il testo offre dappri­ ma un insegnamento generale indirizzato a «chiunque (hos an) mangerà il pane o berrà il calice del Signore in maniera indegna» ( v . 27 ) , a «colui che mangia e beve» ( part . presente ) ( v. 29 ) , all'indeterminato anthropos del v . 29 da noi reso con il riflessivo del verbo e corrispondente al tedesco «man»: «Ci si esamini» (dokimazeto anthropos heauton) . Il passaggio ai vv . 30-32 , applicativi della dot­ trina suddetta, avviene con una particella causale ( «perciò I dia touto») che ren­ de ragione di ciò che capita nella chiesa di Corinto (en hymin) e giustifica l'esi­ genza, per tutti credenti indicati dalla costante prima persona plurale dei verbi , cioè dal «noi» , di un severo autoesame necessario a evitare la condanna eterna «insieme con il mondo». Sempre nella pericope dei vv . 27-32 si noti la presenza qualificante del Si­ gnore : suoi sono il pane che si mangia e il calice che si beve nella cena ( v. 27a ) ; del suo corpo e del suo sangue diventa colpevole chi mangia e beve anaxios ( in­ degnamente ) ( v . 27b ) ; suo è il giudizio ammonitore impartito ai credenti nella storia perché possano evitare la condanna eterna (v . 32 ) . Con la particella hoste di valore conclusivo, seguita dal vocativo «fratelli miei» , inizia il secondo brano dei vv . 33-34 che chiude tutta le pericope . Chi seri-

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ve trae conclusioni impe rative di carattere pratico riservando altri interventi normativi alla prossima visita . In realtà riprende dalla prima unità letteraria il motivo della riunione comunitaria convivial e : «quando vi riunite per mangiare (la cena)» (synerchomenoi eis to phagein : v. 33 , cf. anche v. 34 ) per concluder­ la con due direttive concrete («aspettatevi gli uni gli altri» ; «Se uno ha fam e mangi a casa») , necessarie p e r evitare la condanna divina: «perché n o n vi riu­ niate (synerchesthe) a (vostra) condanna» . È un'unità parallela alla precede nte dal punto di vista formale e tematico . In ambedue infatti si traggono le conse­ guenze e le conclusioni (hoste) di ciò che precede e la prospettiva è sempre quella del giudizio di condanna incombente sui partecipanti alle assemblee eu­ caristiche nella misura che ne snaturano la verità di proclamazioni commemo­ rative della morte del Signore . Questa si differe nzia invece per il suo carattere di conclusione di tutto il brano : «Pertanto , fratelli miei» e per il carattere prati­ co delle ingiunzioni. Il collegamento t r a le varie unità appare evidente . Paolo biasima il compor­ tamento scissionistico dei corinzi (prima unità) perché (cf. la congi unzione gar di valore causale) infedele al senso autentico della cena del Signore come egli l'ha trasmessa alla comunità di Corinto (seconda unità) . La terza unità dei vv. 27-34 nella sua prima parte dei vv . 27-32 si collega alla precedente con la con­ giunzione consecutiva hoste: se la celebrazione della cena del Signore è memo­ ria proclamatrice della sua morte ne segue che una partecipazione indegna (anaxios) - come capita a Corinto - si merita un ve rdetto di condanna non solo e non tanto da parte di Paolo (cf. vv. 1 7-22 ) ma anche e soprattutto da parte del Signore stesso , per sfuggire al quale è necessario _ un previo autoesame . An­ che il brano dei vv . 33-34 trae le conclusioni , conclusioni imperative , da quanto precede ma con riferimento specifico alla prima e alla terza parte poiché richia­ ma i motivi della riunione conviviale (synerchomenoi eis to phagein) e del giu­ dizio di condanna (krima) . O ra c'è chi come Fee conclude alla seguente struttura chiastica: A (vv . 1722 ) - B (vv . 23-26) - B' (vv . 27-32 ) - A' (vv . 33-34 ) . 125 Ma sembra preferibile so­ stenere una divisione triadica: vv . 17-22 I 23-26 I 27-34 , con una suddivisione del­ la terza in 27-32 e 33-34: A - B - C: a - b . 126

2.2. La celebrazione della cena del Signore a Corinto Non è facile precisare l'esatto svolgimento delle asse mblee conviviali della comunità corinzia. Come punti di riferimento valgono le affermazioni del testo

1 25

E gli collega i vv . 33-35 solo alla prima parte (vv . 1 7-22) . L é on-Dufour , «Corps du Christ» , 237 propone la segue nte struttura: I ) vv . 1 7-22: Paolo stimmatizza i l comportamento dei cori nzi ; 2) vv. 23-32: evoca la tradizione ricevuta dal Signore e ne mostra le conseguenze ; 3) vv . 33-34: dà le consegne sulla condotta da tenere durante le celebrazion i . Ma m i sembra c h e stacchi troppo i vv . 27-32 d a i v v . 33-34 e n o n stacchi p e r n ulla i v v . 27-32 d a i vv. 23-26 nonostante l 'evidente passaggio segnato dalla congiunzione hòste . 1 2"

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paolino , la tradizione protocristiana del culto eucaristico variamente attestata nel NT e negli altri scritti del protocristianesimo , le testimonianze dell'ambiente giudaico e greco-romano in tema di convivialità . Parimenti , dato il carattere sommario di ciò che ne dice il nostro testo , è difficile determinare i contorni del­ le divisioni denunciate e ancor più individuarne le ragioni. Le ricostruzioni sa­ ranno pertanto più d'una e di diverso segno e nessuna potrà andare oltre un cer­ to grado di plausibilità storica . 1 27 Anzitutto , le scissioni o divisioni (schismata I haireseis) biasimate da Paolo avevano base teologica oppure traevano origine da ragioni sociologiche? Sono le stesse denunciate già nei cc. 1-4 oppure no? I termini usati qui per indicarle sono chiaramente sinonimi , infatti il v. 19 in cui ricorre haireseis riprende il sostantivo schismata del v. 1 8 . 128 Quest'ultimo poi è attestato di nuovo , in maniera signifi­ cativa, dalla nostra lettera in 1 , 10 e 1 2 ,25 , dove Paolo esorta i corinzi «affinché non ci siano divisioni» tra loro e afferma che Dio ha com p osto l'organismo uma­ no in modo da escludere qualsiasi divisione (schisma) al suo interno , cioè tra le membra. 1 29 Si tratta comunque di un sostantivo non così specifico da definire per se stesso la natura del fenomeno indicato. 130 Solo il contesto e il confronto con i cc. 1-4 ci potranno aiutare in questo . Come si è detto sopra , erano divisioni che si verificavano nelle assemblee conviviali tra chi soffriva fame e chi si saziava consumando il suo pasto (v . 21 ) e dipendevano oggettivamente da una discriminante economico-sociale che sepa­ rava possidenti e nullatenenti (v. 22 ) ; due fronti dunque , divisi secondo un crite­ rio socio-economico di possesso o disponibilità di mezzi e di privazione . La di­ versità con le fazioni descritte in 1 , 1 0-16 e richiamate in 3 , 1 -4 ; 3,21-22 ; 4,6, ap­ pare chiara: 1 31 queste erano quattro e si richiamavano a Paolo , Apollo , Cefa e Cristo come a capi-bandiera esponenti di una qualificata interpretazione della esperienza cristiana ; c'era rivalità e contrapposizione tra loro e ognuna afferma­ va , non senza ostentazione , una propria identità. In particolare Paolo vi denun­ cia come motivo centrale di disunione e orgoglio la ricerca di una sapienza uma­ na e di un accattivante linguaggio (sophia I logos) , forse peculiare di una sola fa­ zione , la più pericolosa per chi scrive , quella di Apollo . 132

127 Vedi in proposito soprattutto la monografia di Klauck , gli studi specifici di G. Theissen e P. Lampe , il quadro generale della cena romana tracciato da J. CARCOPIN O , La vita quotidiana a Roma, Laterza , Bari 1993 , 301-314. 128 Klauck invece nella sua monografia (Herrenmahl, 289) , ma anche altri , come H. Schlier (GLNT I , 492), vedono un crescendo dall'uno all'altro vocabolo. 1 29 H airesel� compare anche in Gal 5 ,20, in un catalogo di vizi per sua natura abbastanza generico. JJO Nel mondo greco il vocabolo schismata è usato per indicare il pericolo cli frazionismo all'in­ terno di associazioni, come di fatto è attestato negli statuti della congregazione cli Zeus Hypsistos, che saranno citati espressamente più avanti . 13 1 DUPONT , «Réflexions» , 237 e altri invece , come LIETZMANN , An die Korinther, 55, ritengono che si tratti in sostanza dello stesso fenomeno. 132 In particolare segnaliamo l'articolo di P . F . Beatrice , «Gli avversari di Paolo e il problema della gnosi a Corinto», in Cristianesimo nella storia 6(1985 ) , 1 -25.

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La frattura attestata nel nostro brano invece mostra una chiara analogia ma­ teriale con 1 ,26 i n cui appare come la comunità di Corinto fosse formata da una minoranza di «sapienti secondo la carne» , «potenti» e «nobili» e una maggioran­ za di cristiani appartenenti a bassi strati social i . 133 L'accento comunque in ll , 17ss cade sulla dimensione socio-economica ed è assente , sembra , un' ispira­ zione teologica o comunque di pensiero ; la divisione era semplicemente tra il mangiare a sazietà e il patire fame, tra il possedere (oikias echein) e il non avere nulla (hoi me echontes) , divisione evidenziata con forza provocatoria nelle as­ semblee eucaristiche .134 Per questo è necessario precisare lo svolgimento di quest'ultime e come quella vi prendeva corpo . Il nostro testo parla di una «cena del Signore» (kyria­ kon deipnon) contrapposta a «la propria cena» (to idion deipnon) (vv . 20-2 1 ) . Quella consisteva nel mangiare il pane e bere i l calice i n conformità al comando del Signore e secondo la verità della celebrazione della cena che è annuncio del­ l a morte di Cristo (vv . 23b-26) . Nel v. 27 si parla di mangiare il pane e di bere il calice del Signore e al v. 29 di m angiare e bere «discernendo il corpo» di Cristo. Ma non si riduceva a questo ; tra il mangiare il pane e bere dal calice , su cui era­ no pronunciate le parole interpretative e oblative di Gesù , si consumava un p a­ sto vero e proprio , con la tavola imbandita anche di companatico , cioè di pesce e probabilmente pure di carne . 135 In questo senso sembra di dover i nterpretare , inserita tra il momento del pane e quello del calice , l'annotazione del nostro te­ sto «dopo aver cenato» , attestata pure in Le 22 ,20 , 136 che qualifica non solo la cena ultima di Gesù ma anche le corrispondenti celebrazioni liturgiche delle co­ munità paoline ricalcate su quella, come dice la formula ri petuta : «Questo fa­ te» . 137 Mutare l'ordine di successione sarebbe stato segno d'infedeltà al S ignore e alla sua memoria . Ora a Corinto tutto questo veniva turbato gravemente dall' esistenza di to idion deipnon (v. 2 1 ) . Si trattava di un pasto ricco di portate (deipnon) che aveva luogo nelle riunioni eucaristiche e conviviali (en to-i phagein : «all'atto di man­ giare » v. 21) ed era consumato da «ciascuno I ekastos» , che nel contesto immediato però indica non ogni crede nte bensì i singoli membri ciel gruppo dei benestanti (cf. v . 22) , con l'escl usione dei nullatenenti (cf. v . 22) ,

rn

Cf. in proposi to G. The isse n , «La stratificazione sociale nella comunità di Corinto>> , in So­ 207-24 1 . "4 Osserva assai bene Bornka m m , «Herre n mahl» , 146: « a Corinto è pro fanato i l pasto festivo , non l 'atto sacramentale » . l òo Deipnonl«cena» infatti era il pasto principale della giornata sia nel mondo greco-romano sia in quello giudaico ; aveva luogo verso sera , d i regola all'ora nona, dopo il bagno alle terme a Ro ma, e si distingueva sia dalla colazione mattutina ( ientaculum ) sia dal prandium in cui , in tarda mattinata, si consumava di rego l a solo del pane e poco altro , come appare i n Seneca , Ep. 83 , 6 : «Poi mangio u n p o ' di p a n e secco senza imbandire la tavola ; perciò non c'è bisogno c h e mi l a v i p o i l e mani». u6 Marco invece , seguito da Matteo, unisce i due momenti cultuali con tutta probabilità per esi­ genze l i turgich e , come si dirà più ava n t i . 1 3 7 I n L e la formula è presente s o l o a proposito del p a n e .

g

ciolo ia del cristianesimo primitivo ,

lCor

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che pativano la fame . Viene qualificato come «proprio I privato» (idion) con tut­ ta probabilità in opposizione al pasto koinon I «comune» , previsto di norma al centro della celebrazione della cena del Signore - dopo il momento del pane e prima di quello del calice -, a cui dovevano partecipare tutti i membri della co­ munità. 1 38 Naturalmente le vivande erano fornite dal gruppo dei possidenti , che però le consumavano tra di loro , invece di metterle in comune . 139 Meno probabi­ le è che vi provvedesse il proprietario della casa in cui la comunità si riuniva ; sa­ rebbe stato un peso troppo gravoso per lui e il ricorso a una cassa comune da cui attingere richiede un'organizzazione forse prematura. In ogni modo gli interes­ sati cenavano lautamente tra loro , con esclusione dei nullatenenti che dovevano accontentarsi in pratica del solo pane e del solo vino del calice su cui erano pro­ nunciate le parole interpretative di Gesù e di pochissimo altro , anche questo for­ nito dai ricchi della comunità. Ma se in proposito si registra un vasto consenso , si discute molto invece della collocazione di questo «pasto proprio»: era consumato prima dello spezzare il pane , oppure tra il rito del pane e quello del calice che contornavano la cena ve­ ra e propria? A favore della prima ipotesi, sostenuta da Weiss , Lietzmann , Bare rett , Wolff, Bornkamm , Klauck , Lampe, gioca il verbo prolambanein del v. 21 se , facendo leva sul prefisso , gli si attribuisce una connotazione cronologica: «prendere prima» , cui corrisponde al v. 33 l'imperativo ekdechesthe tradotto con «aspettatevi» . Senza dire che la diversità degli strati sociali a cui appartenevano i cristiani di Corinto s'inquadrerebbe a puntino in tale contesto : i ricchi potevano venire presto alle riunioni ecclesiali, mentre i poveri erano trattenuti fino a tardi sul campo di lavoro . Ma non pochi 1 40 ritengono che tale pasto privato era consu­ mato dai ricchi tra la benedizione del pane e quella del calice davanti ai poveri che ne erano esclusi . Gli argomenti proposti per un verso tendono a smontare le ragioni dell'ipotesi contraria e per l'altro fanno appello al cerimoniale dei pasti giudaici e greco-romani. Così si legge il verbo composto prolambanein come se fosse equivalente al verbo semplice , privandolo di ogni valenza temporale e tra-

138 Nel suo studio («Integrazione sociale» , 262) Theissen riporta il seguente passo di Plutarco : «Ma dove c'è il pasto proprio (All'lzopou to idion estin ) , svanisce quello comune (apollytai to koi­ non)» (Quaest. conv. 2,10,2) . Nella stessa opera appena prima si legge la seguente denuncia, da par­ te di Aghia , della rottura della necessaria comunione tra i convitati : «Noi infatti, disse Aghia, non ci invitiamo a vicenda (kaloumen allelous) semplicemente a mangiare o a bere ( Ou gar tau plzagein, ho Hagias eplze, charin oiule tou piein ) , ma a mangiare insieme e a bere insieme (alla tou sympiein kai symphagein) , mentre questa divisione della carne in porzioni (he d'eis metidas haute kreadaìsia) di­ strugge la comunione (ten koinonian anairousa) e fa sì che vi siano molti banchetti e molti banchet­ tanti (polla deipna poiei kai pollous deipnountas ) , nessuno dci quali è compagno di tavola dell'altro (oude11a de syndeip11011 oudenos), come quando ciascuno si serve da sé al banco del macellaio», e vi appare l'espressione analoga alla nostra «una propria tavola (trapezan idian)» (ibid. 2,10, 1 ) . 139 Theissen insiste sul collegamento d i idion con ex ton idùJn , mangiare del proprio , delle vi­ vande portate da casa . In proposito Lampe richiama l'analogia dcll'eranos greco conosciuto fin dal tempo omerico in cui i singoli convitati si portavano le vivande che poi consumavano insieme . 1., 127. I l STANDAERT, «Analyse rh é to r i q u e de 1 Co 12-14», 32. •� D el tutto a n aloga è la soluzione di Cot he n et : A p rinci pi teologici (c. 12) ; B apparente digressione (c . 1 3 ) ; A' esame pratico della questione posta (c. 14). =

=

=

lCor

1 2 , 1-14 ,40

61 1

in stretto rapporto con i carismi . Di fatto nel c. 1 3 le due grandezze sono con­ frontate per evidenziare la superiorità della prima. Senza amore non ha alcun valore , per l 'interessato , esercitare la glossolalia, possedere la profezia, avere il carisma della conoscenza dei misteri e quello di una straordinaria fede taumatur­ gica, tutti carismi elencati nel c. 12 mentre il c. 14 si occupa soprattutto e.i due di essi , glossolalia e profezia (vv. 1-3 ) . 15 Se poi nei vv . 4-7 i carismi non sono men­ zionati , ciò non costituisce un valido argomento contrario, perché vi si descrive l'irraggiamento dell'azione dell'agape. Non per questo però il testo appare sgan­ ciato dal contesto «reale». Un settore della comunità di Corinto si vantava orgo­ gliosamente della propria «gnosi» e della privilegiata libertà di agire senza remo­ re (cf. physio6 in 4,6. 1 8 . 1 9 ; 5 ,2 ; 8 , 1 ) ; ora tra i motivi di vanto doveva esserci pu­ re l'esperienza glossolalica , come emerge sullo sfondo del c. 14. Si aggiunga l'in­ dividualismo egocentrico («cercare il proprio interesse») connesso con l'ostenta­ zione della «gnosi» , denunciato espressamente in 10,24. 27, ma anche criticato di fatto in 12,7 e lungo tutto il c. 14 con l'insistente richiamo alla finalità sociale delle manifestazioni carismatiche . Ora nel lungo elenco di ciò che l'amore non fa, riscontriamo le seguenti negazioni : «non si gonfia d'orgoglio» (ou physioutai) (v. 4) , «non ricerca il proprio interesse» (ou zetei ta heautes) (v. 5 ) . Comunque la descrizione dell'agire dell'amore mostra una costante dimensione comunitaria di premurosa attenzione all'altro , che qualifica anche la comprensione dei carismi dei cc . 12 e 14, se pensiamo al paragone del corpo e alla prospettiva dell'edifica­ zione altrui . Il confronto tra amore e carismi ritorna nella terza parte del capitolo sotto l'aspetto però della caducità di questi e della perennità di quella. Lo esprime in forma di «propositio» o di tesi il v. 8: «L'amore non viene mai meno . Invece e le profezie saranno abolite e le lingue cesseranno e la conoscenza sarà eliminata» . Più difficile comunque è determinare l'esatta connessione letteraria del c. 13 con i cc. 12 e 14, che equivale a definire i confini stessi del nostro brano . In prati­ ca, la discussione verte su 12,31 e 14,1 e spesso si distingue tra la prima e la se­ conda parte dei versetti . A quale unità appartengono? Sono da unire a ciò che precede o a quanto segue? Detto in altre parole , quali }'«incipit» e la chiusura dell'elogio dell'amore? Di fatto tutte le soluzioni possibili sono state tentate . 16 Chi unisce al c . 13 tutto 12,3 1 , 17 chi invece solo 12, 31b . 18 In coda poi la chiusura 15 Le ultime due grandezze nominate , dare ogni bene ai pove ri e consegnare il proprio corpo al fuoco, non hanno riscontro formale negli elenchi dei carismi, ma il contesto spin ge a leggerle come straordinari «exploits» ispirati dall'alto. 16 Non prendiamo in considerazione qui l ipotesi di quanti parlano di un inserimento successivo del c. 1 3 , unità letteraria a se stante, senza originario legame con ciò che precede e segue . Paolo stes­ so, o il redattore della raccolta delle lettere paoline , l'avrebbe introdotto artificiosamente mediante 12,31b e concluso con l im perati vo «perseguite l amo re » di 14,la, riprendendo poi , per continuare , l'esortazione di 12,3 1 a ( « Ago gn a te piuttosto ai doni di grazi a più grandi» ) per mezzo del secondo imperativo di 14, 1 : «agognate pure ai fenomeni spirituali». 17 Vedi J .F.M. Smit nei due studi dedicati al c. 13: «The Genre of 1 Corinthians 13» e «Two Puzzles» ; KiEFFER, Le primat de l'amour, 40 e Sr1cQ , Agapè dans le Nouveau Testament, I l , 53 . 18 Cosi molti commentatori : Wendland , Wolff, Senft, e la monografia già citata di W1scH­ MEYER, Der hOchste Weg, 27ss. Si vedano parimenti le edizioni critiche di Merk e di Nestle-Aland. '

'

'

612

Commento

è segnata per alcuni da 1 3 , 1 3 , 19 per altri da 1 4 , l a (cf. per es . Wischmeyer) , e non mancano esegeti che l'individuano in 1 4 , 1 (cf. Kieffer e Spicq) . Ora, è certo che 1 2 , 3 1 b costituisce l'introduzione dell'elogio dell'amore . Questo infatti vi è definito la via per eccellenza e Paolo vi esprime la sua decisio­ ne d'indicarla adesso ai corinzi (cf. «Vi mostro» al presente). Da parte sua 12,31a è una proposizione imperativa,2° l'unica in tutto il c . 12, che , allacciata alla trat­ tazione precedente , l'apre però a un nuovo aspetto . Paolo aveva parlato di di­ verse manifestazioni dello Spirito , tutte parimenti necessarie al funzionamento del «corpo» della chiesa. Con il v. 3 1 a introduce il metro del più e del meno , di­ stinguendo tra carismi più grandi (meizona) e meno importanti , 21 anche se un certo ordine , ma di altro genere , era già stato affermato al v . 28, a proposito di apostoli , profeti e maestri , con gli avverbi: «in primo luogo» (proton) , «in secon­ do luogo» (deuteron) , «in terzo luogo» (triton) . Nell'imperativo di 12,31 a però è taciuto il referente di tale affermata gerarchia dei carismi, un silenzio che non potrà continuare a lungo perché ineludibile appare la domanda : in riferimento a che cosa un carism a è più importante di un altro? D i fatto sarà il c. 14 a rispon­ dere indicando la valenza costruttiva delle manifestazioni dello Spirito. Adesso Paolo interrompe il corso del suo pensiero , preso dall'urgenza di mostrare agli interlocutori che , in ogni modo , nell'esistenza umana il primato per importanza spetta a un'altra grandezza. Gli si è affacciata alla mente l'agape e il suo pensiero ha preso il sentiero di una «digressio» in senso tecnico : soprattutto vale l'amore ! Con termini poeticamente ispirati ne tesse dunque l'elogio . Anche dal punto di vista sintattico non sembra possibile staccare 12,31a da 12,3 1 b , perché senza soluzione di continuità si passa dal comparativo dei carismi al superlativo della «Via» : «E ancora vi voglio mostrare la via per eccellenza» . In realtà , rispetto alla precedente trattazione generale sulle manifestazioni dello Spirito 12,3 1 introduce due sviluppi , ma è il secondo a essere esposto per primo nel c. 1 3 : una priorità non solo cronologica ma anche iscritta nella scala dei valo­ ri . Sarà il c. 1 4 a riprendere lo sviluppo enunciato in 12,31a: «agognate (ze/oute} pure ai fenomeni spirituali , ma di più che profetiate» ( 1 4 , l b) . Non è però una ri­ petizione pura e semplice , perché specifica i carismi più grandi o più importanti: si riassumono nella profezia . 22 Da parte sua 1 4 , l a : «Perseguite l'amore» conclu­ de l'encomio dell'agape, che non sarà più menzionata. 2 3 In sintesi , la seconda unità letteraria e tematica del complesso dei cc. 12-14 è formata da 12,31b- 1 4 , l a , mentre 1 2 , 1 -30 costituisce la prima. 24 19

Smit.

20 21

te».

Vedi i commenti di

Wolff,

Senft , Wendland e gli studi di Maly, Mundige Gemeinde, 1 93 e

lber e C H EV A LLIER Esprit de Dieu, 158 leggono zeloute come indicativo . Grundmann in G LNT VI ha messo in rilievo che megas riveste il significato di «importan,

W.

22 Nella successiva lettura del capitolo però apparirà che la profezia esprime emblematicamente tutti i carismi della parola comprensibile e per questo costruttiva. 2 3 Convergente con la nostra è la posizione di Kremer citato nella bibliografia specifica del c . 12. 24 W1sCHMEYER, Der hochste Weg, 33 invece interpreta 1 2 , 3 1 a come conclusione del c. 12 e non quale preludio al c. 14.

l Cor 1 2 , 1-14 ,40

613

Circa il c. 1415 già si è detto che l' «incipit» di questa terza unità è segnato da 14 , l b . Paolo s'inserisce criticamente nella tensione che anima i suoi interlocutori bramosi (cf. l'imperativo zeloute) di possedere manifestazioni spettacolari dello Spirito (ta pneumatika che riprende ton pneumatikon di 1 2 , 1 ) , in pratica la glos­ solalia26 e, più in generale, fenomeni estatici (cf. vv. 1 4-19). Approva , in linea di massima, il loro «zelo» , ma non senza una punta critica e con chiaro intento cor­ rettivo li esorta27 a tendere a mete socialmente migliori , cioè alla profezia . Que­ sto è il suo desiderio , che si sovrappone a quello dei corinzi non per negarlo , bensì per volgerlo nella direzione da lui preferita, come mostra il v . 5 : «Ora vor­ rei (the/6) che tutti voi parlaste in modo glossolalico , ma di più che profetiate» . 28 I l motivo d i tale preferenza caratterizza tutto i l brano dei vv . 1 -25 , preferen­ za giustificata dagli effetti diversi delle due manifestazioni dello Spirito . Di fatto Paolo mostra di avere un metro di giudizio diverso da quello dei suoi interlocu­ tori , valutando di più ciò che ridonda a beneficio spirituale degli altri rispetto a quanto può esaltare il singolo carismatico . D 'altra parte , la sua valutazione non ha carattere generale , riferendosi allo specifico ambito delle assemblee ecclesia­ li . È in tale prospettiva che la profezia la vince sulla glossolalia , essendo , a diffe­ renza di questa, parola comprensibile e quindi comunicativa e socialmente co­ struttiva. Segue una nuova unità letteraria nei vv . 26-36 , che trattano della organizza­ zione pratica delle riunioni ecclesiali caratterizzate dagli interventi dei carismati­ ci . L'esigenza è che risultino costruttive (pros oikodomen) . Che si svolgano nel decoro e nell'ordine (euschemonos kai kata taxin: v. 40) appare una condizione necessaria allo scopo suddetto . Le due esigenze , primaria e subordinata, sono applicate all'esercizio comunitario della glossolalia e della profezia. La pericope dei vv . 33b-36 è da considerare a parte e se ne parlerà diffusamente più avanti . I vv . 37-38 e 39-40 sono due conclusioni del c . 1 4 , la prima in cui Paolo fa va­ lere , non senza tonalità minacciose , l'autorevolezza delle sue prescrizioni , la se­ conda, con tre imperativi , riassume la sua presa di posizione : «Pertanto , fratelli miei , agognate (zeloute) al profetare e non impedite (me kolyete) il parlare in modo glossolalico . Tutto però si faccia (ginestho) in maniera decorosa e ordina­ ta» . In conclusione , quanto a ta pneumatika (fenomeni spirituali) , come amava­ no dire i suoi interlocutori , o a ta charismata (doni di grazia) , secondo il suo pro­ prio linguaggio , Paolo procede in tre tappe . Dapprima espone una dottrina ge-

25 Alle indicazioni bibliografiche suddette si aggiunga lo studio minuzioso di HARTMAN , «l Co 14, 1 -25 : Argument and Some Problems» (cf. bibliografia del c. 1 4 ) . 26 S e s i confronta il v . 1 con i l v . Sa si nota che la proposizione mal/on d e hina propheteuete è contrapposta là a ta pneumatika e qui a lalein glossais. Trattandosi di un'evidente inclusione , queste due determinazioni sono sinonime . 27 A reggere la proposizione mallon de hina propheteuete è sempre l'imperativo zeloute. 28 Non ci sembra esatta la lettura di Hurd che attribuisce a Paolo un intento di condanna della glossolalia ( The Origin , 1 89 ) e di attacco a questo carisma magnificato a Corinto (ibid. , 1 89 e 192) .

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Commento

nerale dei carismi sottolineandone , per un verso, l'unità e , per l 'altro , la plurali­ tà diversificata e ripartita ( 1 2 , 1-30) . Poi introduce il tema dei carismi più impor­ tanti (12,31a) , ma s'interrompe subito affermando che , quanto a gerarchia dei valori, al vertice sta lagape, di cui traccia un poetico elogio esaltante la sua su­ periorità anche sui carismi più importanti , elogio concluso con l'esortazione a perseguirla ( 1 2 , 3 1 b-14 , l a) . Infine, riprendendo il motivo dei carismi più impor­ tanti lo sviluppa in rapporto alla profezia , paradigma della parola comprensibi­ le, e alla glossolalia, tipica della parola incomprensibile , usando il metro dell'oi­ kodome dell'assemblea ecclesiale (14,lb-40) . Lo schema è dunque quello triadi­ co : A , B , C . 29 2. CONTESTO STORICO-CULTURALE L'oggetto dello scambio epistolare tra Paolo e i cristiani di Corinto non è qualcosa di esclusivo della chiesa corinzia. Fenomeni del tutto simili sono atte­ stati in altre regioni del cristianesimo delle origini ; ma anche nel mondo greco conosciamo manifestazioni analoghe di profezia e mantica; per non dire del giu­ daismo coevo che , erede della tradizione del profetismo dell'AT, non fu imper­ meabile a esperienze «pneumatiche». Di qui l'esigenza di contestualizzare il pro­ blema trattato nei cc. 1 2- 1 4 . 30 2 . 1 . G li oracoli divini nella società greca

L'incertezza del futuro , che proprio per questo appariva minaccioso e in­ quietante, ha spinto l'uomo antico a ricorrere alle risorse della divinazione. Au­ ne conclude la sua trattazione sulla profezia greco-romana rilevando come le arti mantiche , dalla divinazione tecnica alla divinazione ispirata, erano un fattore in­ tegrante della vita sociale e religiosa dei greci durante l 'intero periodo greco­ romano , in quanto la conoscenza del futuro era ritenuta indispensabile per ri­ durre i rischi inerenti alle attività umane (Prophecy , 47) . Una svolta si ebbe quando , abbandonato il ricorso al gioco dei dadi o ad altre tecniche simili , tutte basate sulle combinazioni del caso o sulla lettura di certi fenomeni, come per es. il volo di uccelli , si fece ricorso all'oracolo divino , cercando dunque di avere ri­ sposte dal mondo degli dèi «per mezzo di parole (dia logon)» , secondo l'espres­ sione di Strabone 1 7 , 1 ,43 che in questo vede la specificità degli oracoli di Delfi, mentre i responsi oracolari del dio Ammon sono costituiti perlopiù da cenni e

29 Sulla divisione in tre sezioni , sia pure variamente intesa e non senza cesure diverse, si registra un vastissimo consenso, quasi unanime. Fa eccezione B aker che divide il complesso dei cc. 12-14 in quattro parti : introduzione (12,1-1 1 ) ; digressione numero uno: la chiesa come corpo di Cristo ( 1 2 , 12-3 1 ) ; digressione numero due: l'agapé (13, 1-13) ; replica di Paolo: profezia e glossolalia (14,1-

40) .

30

Vedi gli studi citati di Aune , Behm, Callan , Kramer, ma anche di

DuPONT,

Gnosis, 153ss.

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segni (neumasi kai symbolois) . Il contatto con la divinità rivelante non avveniva però in maniera diretta ; nel processo oracolare intervenivano mediatori umani che ricevevano per ispirazione dall'alto messaggi da trasmettere ai richiedenti . Il più famoso centro oracolare del mondo greco antico fu quello di Delfi con Apol­ lo come dio rivelante ,3 1 la Pizia, una giovane vergine scelta nelle classi alte , nelle vesti della profetessa da lui ispirata32 e un sacerdote del tempio locale quale pro­ feta o trasmettitore dell'oracolo in debita forma. 33 Era un processo a due facce : ricezione dé ll ' oracolo (manteion) in stato estatico e sua trasmissione al richie­ dente34 come messaggio «tradotto» e reso accessibile ai fruitori . In generale l'ispirazione oracolare è stata interpretata come uno speciale in­ tervento divino che fa del mantis uno strumento nelle mani del dio oracolare (or­ ganon theou) (Plutarco , De Pythiae Oraculis 2 1 , 404 D ) . Lo stesso autore preci­ sa che «il dio si serve della Pizia ( chromenon tè-i Pythia-i) per far giungere il suo pensiero alle nostre orecchie come la luce del sole usa la luna per raggiungere i nostri occhi» (ibid. 404 D ) . In concreto si è pensato a un soffio o «spirito» (pneu­ ma) che penetrando nell'anima dell'interessato la «possiede» . Ma sulla natura di tale «invasamento» divino che fa entrare in «trance» si registrano due distinte in­ terpretazioni: la prima afferma la più completa passività della persona privata dell'uso del suo intelletto (nous ) , la seconda invece vede nell'ispirazione una tra­ sformazione e un potenziamento della mente umana innalzata a livelli sovruma­ ni; e se quella annovera tra i suoi sostenitori Platone , Filone e Lucano , a favore di questa si possono citare Democrito e Plutarco . Platone afferm a in materia una perfetta somiglianza tra ispirazione oracola­ re e ispirazione poetica: «Tutti i buoni poeti non per arte , ma perché ispirati e invasati dalla divinità (entheoi kai katechomenoi) , e come gli agitati da coribanti­ co furore (hoi korybantiontes) , perso ogni freno razionale (ouk emphrones) , compongono quelle loro belle poesie . . . Il poeta infatti è un essere leggero, ala­ to , sacro, che non sa poetare se prima non sia stato ispirato dal dio (entheos) , se prima non sia uscito di senno (ekphron), e più non abbia in sé intelletto (kai ho nous mèketi en auto-i enè-i) . . . Ecco perché il dio li priva dell ' intelletto (exairou­ menos touton ton noun) e li usa come suoi tramiti (toutois chrètai hypèretais) , i poeti , i vati, i divinatori (chrèsmodoi I manteis I theioi) , sì che noi ascoltandoli si

31 A sua volta però era ispirato da Zeus. Per questo Eschilo lo definisce Dios prophetes ( Eum. 19: cit. in KRAMER, «Prophetes», 460). 32 Per la sua funzione di donna ispirata dal dio era chiamata promanlis; ma a questo nome uffi­ ciale si aggiungeva quello di prophelis. Sono distinte però le funzioni relative, annnota KRAMER, «Prophetes» , 455 : «Mentre in promantis sta in primo piano lo svelamento, in particolare del futu­ ro . . . , prophelis e sprime piuttosto l'idea della Pizia che diventa voce . . . , portavoce del dio che l'ispi­ ra» . CALI.AN , «Prophecy and Ecstasy» , 136 invece rileva che prophetes nel mondo greco indica per lo più quelli che profetizzano in «trance». La distinzione tra prophetes e mantis non appare cosl netta e chiara, anche se l'etimo è diverso, indicando il primo l'annunciatore e il secondo l'indovino o il vate . 33 Il fatto che la Pizia sia chiamata anche prophetis fa supporre a KRAMER , «Prophetes», 455 che a volte essa stessa trasmetteva direttamente la risposta del dio ; ma questo autore sembra distinguere trop!J!> nettamente prophetes e mantis, mentre spesso si sovrapponevano , come ha rilevato Callan. La Pizia entrava in azione solo su richiesta specifica, non di sua iniziativa.

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Commento

sappia che non essi sono coloro che dicono cose di così alto valore , privi di ogni intelletto (hois nous me parestin) , ma è lo stesso dio che le dice , che a noi parla attraverso loro (dia touton)» ( Ione 5 33E-544D) . Altrettanto il grande filosofo afferma dei politici che «governano gli stati , in nulla diversi, per ciò che riguarda la scienza, dagli indovini e dai vati (chresmo­ doi I theomanteis) ; anche indovini e vati pronunciano molte verità , solo che nulla sanno di quello che dicono (legousin men alethe kai polla, isasi de ouden han /e­ gousin ) . E allora , Menone , non è forse giusto chiamare divini (theious) tali uo­ mini , che , pur non avendo intelletto (noun me echontes) , con successo riescono in molte e grandi cose mediante l ' azione e la parola?» (Menone 99C) . E rileva come «i più grandi doni (ta megista ton agathon) ci provengono proprio da quel­ lo stato di delirio (dia manias) , datoci per dono divino . Perché appunto la profe­ tessa (prophetis) di Delfo, le sacerdotesse di Dodona , proprio in quello stato di esaltazione (maneisai) , hanno ottenuto per la Grecia tanti benefici sia agli individui che alle comunità ; ma quando erano in sé (sophronousai) fecero poco o nulla» (Fedro 244A-B ) . E ancora : all'anima umana viene data «durante il sonno la divinazione (man­ teia) , perché non partecipa di ragione e di saggezza (logou kai phroneseos ou meteiche) . . . E vi è un segno sufficiente che dio ha dato la divinazione alla stol­ tezza umana (mantiken aphrosyne-i theos anthropine-i dedoken) , perché nessu­ no che sia nel possesso della ragione (ennous) raggiunge una divinazione ispirata e verace (mantikes entheou kai alethous), ma o quando nel sonno è impedita la facoltà dell'intelletto (ten tes phronéseos dynamin) , o quando ha perduto la ra­ gione per malattia o per qualche furore divino (dia tina enthousiasmnn)» ( Timeo 7 1 0-E ) . Filone cammina sulle tracce del grande filosofo greco . Nell'estasi l ' intelli­ genza umana (nous) cade in un stato di sonnolenza pari a quello di Adamo quando dal suo fianco Dio creò Eva ( Leg. al/. 2 ,3 1 ) . Più interessante comunque è quanto dice della stirpe dei profeti (to ton propheton genos) : «l'intelletto in noi è cacciato nel momento in cui arriva il soffio divino (exoikizetai men gar en hé­ min ho nous kata tén tou theiou pneumatos aphixin) ; quando questo parte, esso ritorna ad abitarvi (kata de tén metanastasin autou palin eisoikizetai) ; poiché no n è permesso che coabitino ciò che è mortale e quanto è immortale (themis gar ouk estin thn éton athanato-i synoichesai) . Per questo il tramonto del ragiona­ mento (he dysis tou logismou) , circondato dalla tenebra (kai to peri autou sko­ tos) , genera l'estasi e il delirio portato da Dio (ekstasin kai theophoreton ma­ nian)» (Quis rerum divinarum haeres sit 265 ) . Si aggiunga ciò che Lucano dice della Pizia , costretta a proferire l'oracolo: «Infine la vergine terrorizzata si rifugiò presso i tripodi e, condotta alle vaste ca­ verne , vi rimase e ricevette suo malgrado nel petto la divinità (et invito concepii pectore numen) che fece penetrare nella profetessa il soffio della roccia (rupis spiritus ingessit vati) . Apollo infine , padrone del petto delfico (potitus pectore Cirrhaeo) . . ne cacciò l'intelletto di prima (mentemque priorem expulit) e ordinò alla natura umana di cedergli tutto il petto (atque hominem toto sibi cedere iussit pectore) . Ella delira follemente , scuotendo attraverso l'antro la sua testa perd u ­ ta (Bacchatur demens, aliena per antrum colla ferens) . . . Alla fine la vergine è do.

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mata e risuonano le sue ultime parole» ; così proferisce l'oracolo richiesto (De bello civili 5 , 161ss) . A proposito dell'ispirazione poetica invece Democrito afferma che «il poeta scrive con entusiasmo e sacro soffio (met'enthousiasmou kai hierou pneumatos) , ma senza perdere l'uso dell'intelletto , essendo l'ispirazione un al/ophronein (pensare in modo diverso) non un paraphronein (vaneggiare) (framm. 18) (cit. in Dupont , Gnosis , 155s). E Plutarco , per spiegare che a un certo punto l'oraco­ lo di Delfi non fu più dato in versi bensì in prosa , «propone una nuova compren­ sione della profezia mantica secondo cui essa non è accompagnata da trance» (Callan, «Prophecy and Ecstasy» , 130) . Di fatto paragona il soffio divinatorio al­ la luce che entrando nell'occhio lo mette in grado di vedere : «lo credo che tra l'anima e il soffio divinatorio (to mantikon pneuma) ci sia Io stesso rapporto e il medesimo legame che c'è tra l'occhio e la luce , che sono naturalmente comple­ mentari ; benché l'occhio possieda la facoltà di vedere , non la può affatto eserci­ tare senza la luce , allo stesso modo la facoltà divinatrice (to manteion) che è co­ me l'occhio dell'anima (psyches hosper omma) ha bisogno di un agente infiam­ mante ed eccitante (tou synexaptontos oikeiou kai synepithegontos) . . . Infatti , nell'ambito dei sensi , è questi (il sole) che infiamma, stimola ed eccita la facoltà di vedere ; allo stesso modo è quello (Apollo) che , nell'ambito dell'anima, fa alla facoltà divinatrice (ten matiken) » (De defectu oraculorum 42 , 433D-E) . E altro­ ve precisa riguardo all'anima umana: « non potendo restare passiva né immobile nei confronti di chi la muove (me dynamenes mede to-i kinounti parechein heau­ ten akineton) » , al contrario «essendo capace di muoversi da sé (autokineton) e in possesso di impulsi e di ragione (/ogou) » , il dio non può usarla se non seguendo le disposizioni e le facoltà preesistenti della sua natura (De Pythiae oraculis 2 1 , 404D-F) . A questo momento «ispiratorio» e di invasamento entusiastico Platone ha contrapposto la trasmissione dell'oracolo , propria del profeta che parla in pieno possesso delle sue facoltà mentali . «Ma è dell'uomo sennato (emphronos) il ri­ cordare e considerare le cose dette in sogno o nella veglia dalla natura divinatri­ ce e ispirata (hypo tes manteias te kai enthousiastikes physeos) , e il discernere con ragionamento (logismo-i) tutte le immagini vedute , ricercando come e a chi annunzino un male o un bene futuro o passato o presente : perché chi è preso da furore (tou de manentos) e rimane ancora in questo stato non è in grado di giudi­ care (krinein) le sue visioni e le sue parole ; ma bene e da un pezzo si dice che fa­ re e conoscere le cose sue e se stesso è proprio del savio (sophroni mono-i) . E perciò anche è legge di porre i profeti (to ton propheton genos) come giudici del­ le divinazioni ispirate (kritas epi tais entheois manteiais) e alcuni li chiamano vati (manteis) , ignorando del tutto ch'essi sono interpreti (hypokritai) delle parole e delle visioni enigmatiche (tes di'ainigmon houtoi phemes kai phantaseos) , ma non vati (manteis) , e tuttavia potrebbero molto giustamente essere chiamati pro­ feti delle cose vaticinate (prophetai de manteomenon)» ( Timeo 71E-72B ) .35 Si 35 In queste ultime righe ci siamo discostati dalla traduzione citata sopra per evidenziare la di­ versità tra mantis e prophetes .

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suppone dunque che la Pizia emettesse «suoni inarticolati o un balbettio confuso il cui significato recondito deve essere prima rilevato dal profeta» (Kramer, «Prophetes», 457) . Parimenti Filone, che ha presente la profezia estatica , come si è visto sopra, non conosce solo questo tipo di esperienza profetica. Per lui Mosè , che è il più il­ lustre dei profeti , ha proferito tre tipi di oracoli: «gli uni vengono dalla stessa persona di Dio attraverso l'interpretazione data dal suo profeta (di' hermeneos tou Theiou prophetou) , gli altri sono resi mediante domanda e risposta e gli altri ancora vengono dalla persona di Mosè , quando Dio discese in lui e lo trasportò fuori di sé (epitheiasantos kai ex autou kataschethentos)» (De vita Mosis 2 , 187s) . In realtà, nota Callan, «Prophecy and Ecstasy» , 134, sono due i tipi profetici, il primo caratterizzato da assenza di «trance» e il terzo invece comune al mantis greco di carattere estatico, essendo il secondo una combinazione del terzo e del primo rispettivamente nella fase di domanda e in quella di risposta . In ogni mo­ do , Filone sembra ritenere più importante il primo tipo , se afferma che si tratta di oracoli troppo grandi per essere esaltati da labbra umane (De vita Mosis 2 , 191) . 2.2. La tradizione ebraico-giudaica

Il profetismo dell'antico Israele non è stato un fenomeno univoco .36 Ne sono infatti attestate due forme, la prima incarnata da estatici (cf. per es . lSam 10,5ss che racconta come Saul si fosse unito attivamente a un gruppo di questi), l'altra da non-estatici ; gli uni e gli altri comunque si presentavano come portatori di pa­ rola divina: «così dice JHWH» (ko 'amar JHWH) era la loro formula più usata. A questa distinzione, almeno in parte , si sovrappone quella di associazioni di profeti (bene nebiim) e di individue figure profetiche tra cui sono da annoverare i cosiddetti profeti scrittori . Il momento illuminativo o rivelativo è da questi de­ scritto in termini di audizione o visione. In ogni modo è certo che la seconda ca­ tegoria ha lasciato dietro di sé la traccia più evidente e importante. Nel postesilio le voci profetiche si sono diradate , senza però scomparire (cf. R. Meyer in GLNT XI , 525-567) . Acquista invece molta risonanza l'insegna­ mento dei sapienti , ma prende piede anche l'apocalittica; è l'era dei «visionari» che in qualche modo può essere considerata erede del profetismo. Inoltre si de­ ve menzionare il ricorso alla bat qol, cioè alla voce divina che risuona qua e là e s'impone all'ascolto ; il popolo non resterà privo della parola del suo Dio. Co­ munque veggenti e profeti non mancarono. A detta di Meyer, ibid. , 542 «le grandi rivolte sotto Vespasiano e Adriano non possono essere capi te se si esclu­ de la potente componente carismatica» . Lo stesso studioso nella colonna 552 ri-

36

Cf. R. Rendtorff in GLNT XI , 480-525 .

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leva che presso gli esseni erano presenti forme di profetismo. Da parte sua Giu­ seppe Flavio attesta per es. che alla corte di Erode c'era un gruppo profetico di farisei (Ant. 17,43ss) . In particolare il famoso storico ci ha trasmesso il ricordo di un certo profeta di sventura con evidenti caratteristiche d'invasato: «Quattro an­ ni prima che scoppiasse la guerra . . . un tale Gesù figlio di Anania, un rozzo con­ tadino , che si recò alla festa in cui è uso che tutti costruiscano tabernacoli per il dio e all'improvviso cominciò a gridare nel tempio: "Una voce da oriente , I una voce da occidente I una voce dai quattro venti , I una voce contro Gerusalemme e il tempio , I una voce contro sposi e spose , I una voce contro il popolo intero ! " . Giorno e notte si aggirava per tutti i vicoli gridando queste parole , e alla fine al­ cuni dei capi della cittadinanza, tediati da quel malaugurio , lo fecero prendere e gli inflissero molte battiture . Ma quello, senza né aprir bocca in sua difesa né muovere una specifica accusa contro chi lo aveva flagellato , continuò a ripetere il suo ritornello . Allora i capi, ritenendo - com'era in realtà - che quell'uomo agisse per effetto di una forza sovrumana, lo trascinarono dinanzi al governatore romano . Quivi , sebbene fosse flagellato fino a mettere allo scoperto le ossa, non ebbe un'implorazione né un gemito, ma dando alla sua voce il tono più lugubre che poteva , a ogni battitura rispondeva: "Povera Gerusalemme !" Quando Albi­ no, che era il governatore, gli fece domandare chi fosse , donde proveniva e per­ ché lanciasse quella lamentazione , egli non rispose , ma continuò a compiangere il destino della città finché Albino sentenziò che si trattava di pazzia (mania) e lo lasciò andare . Fino allo scoppio della guerra egli non si avvicinò ad alcun cittadi­ no né fu visto parlare con alcuno, ma ogni giorno, come uno che si esercitasse a pregare , ripeteva il suo lugubre ritornello : "Povera Gerusalemme ! " . Né impre­ cava contro quelli che , un giorno l'uno un giorno l'altro , lo percuotevano , né be­ nediceva chi gli dava qualcosa da m angiare; l'unica risposta per tutti era quel gri­ do di malaugurio , che egli lanciava senza che la sua voce si affievolisse e senza provare stanchezza, e smise solo all'inizio dell' assedio , quando ormai vedeva av­ verarsi il suo triste presagio . Infatti un giorno che andava in giro sulle mura gri­ dando a piena gola : "Ancora una volta , povera la città , e povero il popolo , e po­ vero il tempio ! " , come alla fine aggiunse : "E poveretto anche me ! " , una pietra scagliata da un lanciamissili lo colpì uccidendolo all'istante , ed egli spirò ripeten­ do ancora quelle parole» (Beli. 6, 300-309 ) . Né sembra di poter tacere di Gio­ vanni il Battista, figura profetica di peculiare collocazione cronologica, profeta giudaico sulla soglia dell'èra cristiana, di cui le testimonianze nt sono ricche di notizie . ,

2.3. A partire da pentecoste37

In questo clim a culturale-religioso nessuna sorpresa se il movimento cristia­ no , sia in Palestina sia in territorio greco , abbia da subito mostrato fenomeni si-

TI Cf. il volume curato da R . Penna.

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mili , in particolare la glossolalia e la profezia , l'una non sempre rigidamente di­ stinta dall'altra, come appare negli Atti . 38 Il giorno di pentecoste gli undici «fu­ rono tutti riempiti di Spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue (lalein heterais glossais) , come lo Spirito dava loro di esprimersi» ( At 2,4) . La reazione di certi che pensano a una ubriacatura : «Si sono ubriacati di mosto» (v . 13) dice che dovette trattarsi , in origine , di «entusiastica» esaltazione glossolalica ( cf. Behm, « Glossa» , 559) . Ma Luca , intento a mostrare la missionarietà ecumenica della chiesa , lo presenta come un prodigio di natura poliglotta. D ' altra parte il fenomeno pentecostale appare connesso con la profezia di Gioele , di cui si pone quale adempimento : «Questo è ciò che fu detto per mezzo del profeta Gioele: "E sarà negli ultimi giorn i , dice il Signore , che io effonderò il mio Spirito su ogni essere vivente , e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie ; i vostri giovani ve­ dranno visioni e i vostri anziani avranno dei sogni ; e anche sui miei servi e le mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito e profeteranno"» ( vv. 1 6-18) . Una pentecoste «pagana» è testimoniata a beneficio dei presenti nella casa di Cornelio quando fu visitata da Pietro . Gli accompagnatori giudei dell'aposto­ lo si meravigliarono «che anche sui gentili si effondesse il dono dello Spirito san­ to ; li ascoltavano infatti parlare in lingue (lalounton glossais) e magnificare Dio» ( At 10,46) . Lo stesso Paolo , secondo At 1 9 , 6 , si trovò davanti a un fenomeno glossolalico , quando battezzò nel nome di Gesù un gruppo di «giovanniti» di Efeso : «venne su di loro lo Spirito santo , allora parlavano in lingue (elaloun te glossais) e profetavano (epropheteuon)» . Per completezza si aggiunga Mc 16,17, parte dell'aggiunta dei vv . 8-16, in cui tra i segni che saranno compiuti dai mis­ sionari si enumera il seguente : «parleranno in lingue nuove (glossais lalesousin kainais)» . N o n meno numerose e importanti sono l e attestazioni della presenza d i pro­ feti . L'autore degli Atti , dando la notizia della venuta di alcuni profeti gerosoli­ mitani ad Antiochia, nomina un certo Agabo che «alzatosi in piedi mediante lo Spirito annunciò che ci sarebbe stata una grande carestia su tutta la terra abita­ ta» ( 1 1 ,27-28) . Lo stesso Agabo , giunto più tardi a Cesarea, compì davanti a Paolo un gesto simbolico per annunciargli la prossima prigionia ( At 21 , 10-11). La chiesa antiochena poteva annoverare «profeti e dottori» (prophetai kai didaskaloi) (At 1 3 , 1 ) . Più avanti ne sono menzionati altri due : «Giuda e Sila, es­ sendo anch'essi profeti, con molte parole incoraggiavano i fratelli» ( At 1 5 ,32) . Filippo , uno dei sette « diaconi» , che risiedeva a Cesarea, aveva quattro figlie nubili che profetavano (At 21 ,9) . L'Apocalisse di Giovanni poi si presenta quale espressa parola profetica ( 1 ,3 ; 22 ,7. 10. 1 8 . 1 9 : propheteia) . Si tratta , in verità , di un profetismo caratteriz­ zato da predizioni del futuro , mentre quello che emerge dalle lettere di Paolo si qualifica per il suo carattere esortativo e parenetico , rileva Friedrich , «Prophe-

38

Vedi anche G . .Friedrich in GLNT XI , 584ss e la monografia di

GRUDEM, The Gift (passim).

lCor

1 2 , 1-14,40

62 1

tes» ,

629 ; ma Dautzenberg nella sua monografia ha inteso reagire a una prospet­ tiva assai diffusa e sottolineare nel profetismo protocristiano , anche q uello pao­ lino , l'elemento visionario e di predizione del futuro . 3� Se ora passiamo ai dati dell'epistolario paolino , s'impone subito la citazione di l Ts 5 , 19-2 1 : «Non spegnete lo Spirito , non disprezzate le profezie ; ma esami­ nate ogni cosa , ritenete ciò che è buono» . Doveva essere in atto nella chiesa di Tessalonica un atteggiamento negativo nei confronti delle manifestazioni cari­ smatiche , in particolare della profezia , se l'apostolo interviene con i suddetti im­ perativi a imporre agli interlocutori l'accettazione dell'agire dello Spirito sotto forma di manifestazioni profetich e : certo , nessuna acritica adesione , ma neppu­ re un aprioristico rifiuto . Delle chiese paoline dunque non è solamente quella di Corinto che conosceva fenomeni carismatici e che ha creato in proposito qual­ che problema all' apostolo . Infine sono da richiamare quei passi paolini, d euteropaolini o di una tradi­ zione vicina a Paolo che , parlando della profezia e di altri carismi , danno come acquisito il fatto che le comunità destinatarie li conoscessero per esperienza (cf. Rm 1 2 ,3 - 8 ; Ef 4 ,7 . 1 1 - 1 3 ; lTm 4 , 1 4 ; 2Tm 1 ,6 ; l Pt 4 , 1 0 - 1 1 ) . Per i l periodo successivo ci limitiamo a riportare queste tre affermazioni ge­ nerali di Friedrich : «All'inizio dell'età subapostolica i profeti nella comunità cri­ stiana godono ancora un notevole prestigio . Lo provano gli enunciati della Di­ dachè , nella quale i profeti godono un'alta stima . Essi emergono fra le altre gui­ de della comunità e occupano una posizione particolare » . «Il montanismo fu l'ultimo grande bagliore del profetismo nella chiesa» . «Con il rifiuto del monta­ nismo nella chiesa è venuta meno la profezia» (GLNT Xl , 645 . 65 2 . 649) . Nel confronto della profezia antico-cristiana con quelle dell'AT e oracolare greca , rileva Aune , emerge una sua spiccata peculiarità . Di regola essa non ha prodotto oracoli in debita forma , né collezioni di oracoli , fatta eccezione dell 'A­ pocalisse e del Pastore di Erma d i genere però apocalittico ( Prophecy , 247 ) . Vi ha insistito anche Grudem nel suo studio incentrato nell'autorità della profezia ; questa viene rivendicata non sulle singole parole - non per nulla non appare la formula dell' AT «Così dice il Signore Dio» -, bensì sul contenuto globale della parola profetica ( The Gift, c. 1 ; pp. 7ss). Inoltre sempre Aune afferma, a buon diritto , che la profezia antico-cristiana era un'istituzione instabile e destrutturata (Prophecy , 23 1 ) . Si trattava in realtà di un fenomeno poliforme - predizione , esortazione , proclamazione - connotata in senso generale dall'essere una parola ispirata da Dio. Ora nei cc . 12- 1 4 della lCor Paolo mette in atto un chiaro tenta­ tivo di precisazione distinguendo nettamente , come vedremo , la profezia dalla glossolalia .

39 Friedrich ( « Prophetes» , 599ss) e Aune (Prophecy , 1 53ss) si occupano anche e non solo d i passaggio d i Gesù profeta. S u t utto i l problema del profetismo del NT vedi R . PENNA, a cura di , li profetismo da Gesù di Nazaret al montanismo , in Ricerche Storico Bibliche V ( 1 993) 1 , Bolo­ gna 1 993 .

622 3. LA DOMANDA

Commento DEI

C oRIN ZI

3. 1 . Brama dei fenomeni spirituali

La lettera di Paolo non offre notizie abbondanti in merito . All'inizio egli rin­ grazia Dio per l'abbondanza di grazia (charis tou theou) donata alla chiesa corin­ zia mediante Cristo Gesù ( 1 ,4) , «perché per mezzo suo siete stati arricchiti di tutto , cioè di ogni genere di parola e di ogni genere di conoscenza (en panti lo­ go-i kai pase-i gnosei)» ( v. 5) . La conseguenza è che non mancavano di alcun do­ no di grazia (charisma) (v. 7) . La chiesa di Corinto brillava dunque per un'in­ dubbia dovizia di carismi in ambito di parola e di conoscenza. In 1 1 ,4-5 si ha che , accanto a maschi che pregavano e profetizzavano , vi era­ no anche donne che proferivano nell'assemblea ecclesiale preghiere ispirate e parole profetiche ; e Paolo non ha nulla da ridire quanto al fatto in sé ; le sue ri­ serve riguardano solo il diverso abbigliamento che devono avere gli uni e le altre , soprattutto queste . Nel complesso dei cc. 12-14 poi possiamo registrare un solo passo esplicito che ci permette però di leggerne altri come specchio della situazione della chiesa corinzia . Ci riferiamo a 1 4 , 1 2 che documenta un ardente desiderio degli interlo­ cutori : «Così anche voi , poiché siete bramosi di manifestazioni pneumatiche (ze­ lotai este pneumaton) . . . » . Ma una chiara analogia oggettiva con 14, 1 ci legittima a leggere come concessione l'imperativo di questo passo: «Agognate pure ai fe­ nomeni spirituali (ta pneumatika)» ; tanto più che nella proposizione seguente Paolo corregge la direzione della bram a dei corinzi : «ma di più che profetiate» .40 Ecco dunque un primo risultato non trascurabile : gli interlocutori di Paolo ane­ lavano a espressioni ispirate, da essi chiamate fenomeni spirituali (pneumatika) , manifestazioni pneumatiche (pneumata ) 4 1 Ma in concreto di che cosa si trattava? Se 1 4 , 1 or ora citato , li distingue dalla profezia, 14,5 , a questo unito con un'evidente inclusione , come è stato rilevato sopra, li identifica con la glossolalia: «Ora vorrei che tutti voi parlaste in modo glossolalico , ma di più che profetiate». 42 La contrapposizione tra glossolalia e profezia riappare in 14,6, però con il fronte della profezia allargato ad altre pa·

.

40 Secondo alcuni studiosi , che menzioneremo più avanti, il testo includerebbe la profezia nei pneumatika ; in realtà esso ve la contrappone . Il desiderio dei corinzi va in altra direzione, non in tut· te e due . 41 Il significato di pneumata è discusso . Quattro sono le letture proposte, come dice Dunn nel suo studio « The responsible Congregatiom> , 241s: 1) esperienze d'ispirazione ; 2) angeli ispiratori; 3) ispirazioni ermeneutiche interpretative della Scrittura; 4) potenze ispirative . Ma già considerazioni strutturali giustificano l'accezione scelta , che ne fa un sinonimo di pneumatika; i due vocaboli infatti sono usati rispettivamente nei passi paralleli 14, 12 e 1 4 , l per connotare l'oggetto dell'anelito dei co­ rinzi. Paolo invece preferisce di regola i termini charismata e phanerosis tou Pneumatos. 42 In 1 4 , 1 e 5 abbiamo una perfetta corrispondenza di due equazioni: pneumatika sta a prophe­ teuein come lalein glOssais a propheteuein , in cui pneumatika e /a/ein g/ossais non possono che essere grandezze combacianti .

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role carismatiche analoghe : «E ora, fratelli, se io venissi da voi a parlare in mo­ do glossolalico , in che cosa potrei giovarvi , se non vi parlassi o con discorso rive­ lativo o con parola di conoscenza o con intervento profetico o con pronuncia­ mento dottrinale?» . Come si vede , la profezia (propheteia) è strettamente colle­ gata ai carismi sinteticamente definiti rivelazione (apokalypsis) , conoscenza (gn6sis) , insegnamento (didache) , cioè ai doni di grazia consistenti nel proferire parole comprensibili , ma vi si caratterizza per il suo carattere di parola ispirata (lalein) ,43 portatrice di realtà divinamente rivelate e ricche d'insegnamento per gli ascoltatori . D'altra parte tutta l'unità di 14, 1-25 precisa che tale contrapposi­ zione significa, in realtà, antitesi tra parola comprensibile e per questo costrutti­ va degli altri e parola incomprensibile e quindi infruttuosa. I corinzi dunque anelavano a possedere ed esibire la glossolalia ( così anche Kremer) , che ai loro occhi doveva apparire il fenomeno spirituale più grande e più importante , se Paolo vi contrappone , dal punto di vista dell'importanza, la profezia: «In realtà è più grande (meiz6n) chi profetizza di colui che parla in mo­ do glossolalico» (14 ,5b) .44 E siccome in questo stesso passo viene precisato il cri­ terio della valutazione data ( «affinché l'assemblea ecclesiale possa ricevere edi­ ficazione» ) , evidentemente nella chiesa di Corinto la grandezza delle manifesta­ zioni dello Spirito era misurata con altro metro . Quale? Ciò che il testo dice del­ la glossolalia ci aiuta nella ricerca . Essa , rileva Paolo , pone il beneficiario di fronte al suo Dio in splendida solitudine (14,2) e ha valenza spiritualmente co­ struttiva solo per lui (14 ,4) , non per gli altri (14,6. 17) . Lo stesso intelletto del glossolalo risulta assente e dunque improduttivo (akarpos) , mentre operante ap­ pare soltanto il soffio divino (pneuma) (14, 14-19) che , non mediato dall'intelli­ genza umana, si rende patente presentando il beneficiario come un posseduto da Dio "(entheos, dicevano i greci ) e appartenente al mondo angelico ( cf. 13 , 1 ) . Si trattava di un'esperienza esaltante, «entusiastica» nel senso letterale del termi­ ne, capace di stupire i presenti e far inorgoglire i glossolali di Corinto mettendo in primo piano la loro straordinaria individualità. 45 Per questo i corinzi agogna­ vano a ta pneumatika I ta pneumata (14, 1 . 12) , cioè alla glossolalia vista nelle sue diverse forme (cf. la formula «generi di lingua» I gene gl6ss6n di 12,10.28) . Si noti che Paolo si riferisce in questi passi non a un gruppo particolare , cioè ai glossolali , bensì a tutta la comunità. Vi appare infatti sempre un «voi» non specificato , indicativo di tutti i credenti della chiesa corinzia. Nulla lascia inten­ dere il contrario . Tanto più che i cenni indicati parlano non del possesso della glossolalia, bensì della sua brama (zeloute I zel6tai ton pneumat6n : 1 4 , 1 e 12) . Glossolali e non , tutti nella chiesa di Corinto vi dovevano tendere con ardore ,

43 Questo verbo è costantemente usato nel c. 14 ( 14 volte ) per indicare il parlare ispirato ; ha d un �e il significato specifico di pro feri re una p a rol a «pneumatica». Vedi anche il passo parallelo 12,31a: « Agogn at e però ai doni di grazia più grandi (charismata ta meizona)» , che introduce, come abbiamo detto, la problematica del c. 14. 45 MA L Y , Mundige Gemeinde, 244 dice opportunamente che nella glossolalia è lo Spirito stesso che appare parlare , perché può fare a meno del «medium» del linguaggio umano .

624

Commento

spinti dalla medesima valutazione privilegiante l'individuo alla collettività , la spettacolarità delle manifestazioni dello Spirito al loro contenuto razionale (cf. nous I «intelligenza» in 14, 14- 1 9) e costruttivo . Una conferma ci viene dall'analisi attenta del c . 12, in concreto dal paragone dell'organismo umano , illustrativo dell'articolazione carismatica della comunità cristiana . Dopo aver affermato l'unicità del corpo e la pluralità delle membra (v. 12 ripreso al v . 19) , rilevate come «tertium comparationis» della chiesa , Paolo insiste su evidenze scontate a prima vista sorprendenti : il corpo non è un solo membro , bensì molte membra (v. 14) ; se fosse un solo membro non ci potrebbe essere il corpo (v. 19) ; il piede non è certo la mano eppure appartiene di diritto al corpo (v. 1 5) e altrettanto vale del piede rispetto all'occhio (v. 16) ; l'intero corpo non può essere formato dal solo occhio o dal solo udito (v. 1 7 ) . Una s p ie­ gazione plausibile è che tale anomalo sviluppo del paragone sia stato imposto dalla situazione della chiesa di Corinto , in cui si tendeva a un solo tipo di manife­ stazioni dello Spirito , appunto alla glossolalia, a scapito non solo della loro plu­ ralità e diversità ma anche della loro ripartizione tra i credenti , nessuno escluso. Di fatto nella presentazione generale dei carismi del c . 1 2 , condotta all'insegna del duplice polo di unità e pluralità diversificata , su questa di certo cade l'accen­ to , almeno nell'immagine illustrativa del corpo e delle membra (vv. 12-27) . Pos­ siamo citare anche i vv. 29-30 che , subito dopo un elenco di carismi al v. 28, escludono la possibilità che i credenti abbiano tutti lo stesso carisma , come mo­ strano i seguenti ripetuti interrogativi retorici : «Sono forse tutti apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri? Forse tutti fanno miracoli? Forse tutti hanno doni di grazia per compiere guarigioni ? Forse tutti parlano in lingue? Forse tutti (le) interpretano? » . Alla pluralità e diversità dei credenti corrisponde una plura­ lità e diversità dei carismi , secondo la ripartizione (diairesis : vv . 4-6 I diairein : v. 1 1 ) che ne fa lo Spirito . In breve , Paolo sembra prendere posizione di fronte a una comunità divisa in crede nti possessori di fenomeni spirituali (ta pneumatika) , cioè in pratica delle diverse forme glossolalich e , e in credenti che ne erano privi . Ora i primi erano affetti da un complesso di superiorità e i secondi versavano in stato di depressio­ ne , essendo tutti convinti che la glossolalia fosse , se non l'unica , la più grande manifestazione dello Spirito . Su questo sfondo di vita reale si comprende che non sia scontata la rassicurazione data al piede e all'orecchio che dicono: «Poi­ ché non sono mano I occhio , non appartengo al corpo» , e spressa con una duplice negazione che equivale a un'affermazione : «non per questo non appartiene al corpo» (vv . 15-16) . Il riferimento sembra ai credenti deprivati di Corinto che soffrivano di sentimenti d'inferiorità. Mentre la dichiarazione impossibile (ou dynatai) dell'occhio alla mano : «Non ho bisogno di te» e della testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi» (v. 2 1 ) si comprende se chi scrive ha presente i boriosi estatici e glossolali della chiesa corinzia . 46 46

Su questa linea di lettura è per es. Brockhaus: in 1 2 , 1 5 - 1 8 si tratta di membri rassegnati della

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Questi ultimi dovevano chiamarsi «spirituali» (pneumatikoi) , persone mani­ festamente investite dallo Spirito ispiratore , che per questo potevano ritenersi autosufficienti e contestare interventi autoritari dal di fuori , come lascia inten­ dere 14,37 , in cui Paolo chiede con forza adesione alle prescrizioni date appena prima nei vv . 26-36 : «Se uno ritiene di essere un profeta (prophetes) o uno "spi­ rituale" (pneumatikos) , riconosca che quanto scrivo è comando del Signore» . Lo stesso aggettivo sostantivato ricorre nella prima parte della lettera per indicare i credenti favoriti dalla conoscenza rivelata del mistero di Dio (2, 1 3 . 1 5 ; 3 , 1 ) .47 Ma qui s'impone la valenza specifica di persone che parlano sotto la travolgente ispi­ razione dello Spirito senza che la loro intelligenza (nous) partecipi attivamente (cf. 14, 14-19). B rockhaus , Charisma und Amt, 155 vede la seguente differenza: nel c . 2 i n prima linea si trattava del contenuto della conoscenza e del suo lin­ guaggio , la sapienza , in 12- 1 4 è in primo piano la forma incomprensibile del loro contributo nel servizio cultuale . Ritiene comunque che sono le stesse persone che in forza dello Spirito sondavano le profondità della sapienza di Dio , domina­ vano la lingua del mondo superiore e parlavano in estasi , comprendevano se stessi come i perfetti , superiori agli altri , sottratti al giudizio della comunità, di fronte a cui gli altri fratelli reagivano con rassegnazione ma anche con desiderio di avere anch'essi ta pneumatika (ibid. , 155s) . Di proposito abbiamo taciuto di 12,2: «Sapete che quando eravate gentili , come vi si conduceva, venivate trasportati verso gli idoli muti» , perché , a diffe­ renza di diversi esegeti che vi leggono un richiamo alla passata esperienza estati­ ca dei credenti corinzi , la nostra lettura non vi scorge niente di tutto questo . Ciò che Paolo richiama non sono le esperienze pneumatiche pagane degli interlocu­ tori , bensì semplicemente il loro passato idolatrico d'ignoranza dell'agire dello Spirito , da cui egli intende strapparli, come afferma appena prima e subito do­ po : «non voglio che restiate nell'ignoranza» (v . l b ) ; «Perciò vi rendo noto» (v. 3a) . 48 Si è ipotizzato che a Corinto non si distinguesse tra glossolalia e profezia e che gli spirituali della chiesa greca comprendessero se stessi come profeti , profe­ ti estatici naturalmente . Non sappiamo , sembra certo comunque che si distin­ guessero per la loro esperienza «entusiastica» , di persone invasate e dominate dallo Spirito. 49

comunità ( Charisma und Amt, 1 52) ; a Corinto infatti dovevano esserc i «pneumati ci » che s i vantava­ no della loro superiorità e singolarità e consideravano le propri e manifestazioni come «pneuma» spec i ale e altri membri insoddisfatti delle loro funzioni e desiderosi dei pneumatika (ibid. , 153) . Vedi anche BAUMERT, «Charisma und Amt» , 221 . Invece CoNzELMANN , Der erste Brief, 250 ritiene assen­ te tale riferimento e afferma che nell'immagine del corpo Paolo si oppone soltanto all'«individuali­ smo entusiastico» (cf. anche p. 240) . 47 Cf. DuPONT, Gnosis, 1 5 1 ss . 48 Nell'analisi sarà nostra cura d i giustificare e approfondire questo punto d i vista. 49 Vedi la discussione in B rockhaus che respinge l 'ipotesi suddetta ( Charisma un d Amt, 103105) .

Commento

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3.2. Le assemblee comunitarie Erano il luogo sociale in cui si manifestavano tali fenomeni spirituali ed era nata , un po' in tutti i credenti di Corinto, la loro unilaterale sopravvalutazione . 50 E ciò non avveniva senza che diventassero riunioni tumultuose , in cui all'eccita­ zione estatica dei glossolali rispondeva lo stupore degli altri , le parole enig­ matiche e misteriose degli estatici si sovrapponevano le une alle altre e il caos re­ gnava sovrano . È un quadro che traspare dalle precise regole dettate nel brano 14,26-36 . I glossolali , impone l'apostolo, «siano in due o al massimo in tre a par­ lare e uno dopo l'altro ; e uno interpreti» , altrimenti si faccia silenzio ; i profeti poi «parlino in due o tre e gli altri valutino ; se però a un altro che sta seduto è stata concessa una rivelazione , il primo si metta a tacere» (vv . 27-30) . Anche la motivazione teologica delle prescrizioni appare significativa: «Dio infatti non è Dio di disordine , ma di pace» (v . 33) . Senza dire dell'ipotesi della partecipazio­ ne di estranei e della loro inevitabile pessima impressione, ipotesi tutt'altro che irreale : «Se dunque tutta la comunità ecclesiale si radunasse nello stesso luogo e tutti parlassero in modo glossolalico ed entrassero non iniziati o non credenti , non diranno che delirate?» (14,23) . Ciò rilevato , è necessario precisare di che tipo erano le assemblee di cui par­ la il c. 14, soprattutto rispetto alle riunioni menzionate altrove nella 1 Cor (cf. soprattutto B ranick) . In 14,23-24 si parla di convocazione 1) plenaria o cittadi­ na: «Se dunque tutta la comunità ecclesiale (he ekklesia ho/e) si radunasse nello stesso luogo » , 2) in cui risuona la parola di glossolali e profeti: «e tutti parlassero in modo glossolalico I se invece tutti profetassero» , 3) con la partecipazione eventuale di estranei: «ed entrassero non-iniziati o non-credenti I ed entrasse un non-credente o un non-iniziato». In 14,26 il riferimento è , di certo , allo stesso ti­ po di assemblee incentrate nella liturgia della parola: «Quando vi riunite , ciascu­ no ha un salmo , ha un insegnamento , ha una rivelazione, ha una parola glossola­ lica , ha un'interpretazione» . Il brano eucaristico di 1 1 , 17-34 invece parla costantemente di riunioni (sy­ nerchesthai: vv. 17.34) specificate ora come ecclesiali (en ekklesia-i: v. 18) , ora mediante la formula epi to auto («insieme nello stesso luogo»: v. 20) , ma soprat­ tutto in senso conviviale: i credenti si riuniscono a mangiare (eis to phagein : v. 33) la cena del Signore (kyriakon deipnon : v . 20) . Non altra appare poi l'assem­ blea implicitamente richiamata in 1 0 , 1 4-22 che menziona i seguenti fattori convi­ viali: partecipazione benedicente al calice di benedizione , spezzare in comune il pane (vv . 16- 1 7 ) , bere il calice del Signore e sedersi da commensali alla tavola del Signore (vv. 20-21) . Un quarto brano di 1 Cor parla sempre di riunione ma usando il verbo parallelo synagesthai, indicativo di fatto di un'assemblea convo­ cata per emettere un verdetto di scomunica sul «fratello» incestuoso : «radunati in assemblea (synachthenton) voi e il mio spirito» (5 ,4) . Ma anche in 1 1 ,2-16, sia

50

Cf. in proposito DuNN , «The responsible Congregation», 201 -216.

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pure in assenza di ogni esplicito riferimento , è fin troppo ovvio che l'attività di cui si tratta (credenti maschi e femmine che pregano in modo ispirato o profetiz­ zano e che devono avere un abbigliamento decente) suppone come proprio un «luogo» sociale, appunto una comunità riunita . Ora la domanda è s e alle diverse menzioni corrispondono diversi tipi d i as­ semblee o no . In altre parole , le riunioni ecclesiali di Corinto avevano un solo oggetto oppure erano polivalenti? Di fatto i passi sopra citati parlano di tre as­ semblee , che possiamo qualificare con le tre formule qualificanti: a) verbale, cioè a base di parole (c. 14 e 1 1 ,2-16) , b) conviviale (i due brani eucaristici 1 1 , 1734 e 1 0 , 14-22) , c) giudiziaria o disciplinare (5 , l ss) . Le valutazioni di questi dati sono però differenti. Gli uni ritengono che , almeno le prime due , coincidevano e che la medesima assemblea constava di due momenti complementari , eucaristi­ co-conviviale e discorsivo o della parola (Mahlfeier e Wortgottesdienst) .51 Gli al­ tri affermano invece che erano tre riunioni diverse . 52 In particolare, dando per scontato che fosse a parte l'assemblea giudiziaria o disciplinare , l'attenzione si è concentrata sulle differenze che renderebbero necessaria la distinzione tra quel­ la della parola e la riunione conviviale . L'assemblea del c. 14 è plenaria o di tutta la città, come attesta il v. 23 ma anche Rm 16,23 : « . . . Gaio che ospita me e tutta la comunità ecclesiale (kai holes tes ekklesias) » , e per questo si ritiene diversa da quella eucaristica che , in assenza di tale specificazione , risulterebbe una riunio­ ne più ristretta di credenti legati da amicizia o parentela, appunto propria di una comunità domestica. Ma allorché in 1 1 ,33 Paolo esorta i corinzi ad aspettarsi «quando si riuniscono a mangiare» (synerchomenoi eis to phagein) , non sembra che si rivolga a una «chiesuola» . La formula introduttiva del versetto: «Pertanto , fratelli miei . . . » non è limitativa . Egli scrive a tutta la comunità di Corinto . Dopo tutto la stessa formula con il verbo synerchesthai riferito al «Voi» dei destinatari della lettera appare sia in 14,26 sia , più volte , in 1 1 , 17-34. Ora se là si riferisce di certo all'assemblea plenaria, come mostra il passo parallelo 14,23 , non c'è moti­ vo di rife rirla qui a una riunione più ristretta. Anche la deduzione che , siccome 1 1 ,33 specifica lo scopo della riunione : «per mangiare» (eis to phagein ) , doveva­ no esserci riunioni destinate ad altri fini , non sembra probativa ; la suddetta pro­ posizione finale può essere puramente assertiva, non esclusiva di altri momenti della riunione da cui ora si prescinde. Che poi per le riunioni del c. 14 sia suppo­ sta la presenza di estranei , impossibilitati di certo a partecipare alla cena del Si­ gnore riservata ai credenti, non pare una prova solida. Nel commento a 1 1 , 17-34 si è citato con favore lo studio di P . Lampe ( «Das korinthische Herrenmahl») che , rifacendosi alla prassi greco-romana delle primae e secun dae mensae e ipo­ tizzando una prassi simile a Corinto , può collocare nella stessa riunione ecclesia­ le sia il momento della cena, come primae mensae, sia quello successivo della li-

5 1 Così per es. BoRNKAMM , «Zum Verstii n dnis», 1 1 3 , BROCKHAUS , Charisma und Amt, 148 e «Das korinthische Herrenmahl» . 5 2 Cf. DUNN, «The responsible Congregation» , m a anche Branick sia pure solo come preferenza.

LAMPE ,

628

Commento

turgia della parola nel quadro delle secundae mensae , in cui ai commensali si ag­ giungevano altre persone, anche degli estranei. 53 L'esclusività eucaristica di Di­ dachè 9 ,5 : «Nessuno né mangi né beva della vostra eucaristia al di fuori di quelli che sono stati battezzati nel nome del Signore ; perché il Signore ha detto anche in proposito : "Non date ciò che è santo ai cani"», come pure ammette Branick, non può essere fatta valere della 1 Cor da cui dista alcuni decenni . Per concludere , ci sembra che la questione resta aperta, rivelandosi non con­ clusivi gli argomenti messi in campo dall'una e dall'altra parte . Anche la risposta in che giorno e con quale scadenza i credenti di Corinto si riunissero non ha ri­ scontri documentali univoci e certi .

3.3. Il problema degli interlocutori Se in 1 2 , 1 l'apostolo si riferisce probabilmente a una domanda postagli per iscritto dai corinzi (cf. 7 , 1 ) , la formula iniziale : «Circa poi i fenomeni spirituali» (peri de ton pneumatikon)54 si limita a definire l'oggetto , appunto le manifesta­ zioni glossolaliche, come si è precisato sopra . In realtà abbiamo interpretato il vocabolo come un neutro plurale . Lo stesso vocabolo ritorna infatti in 14 , 1 in forma neutra (ta pneumatika) , cui si aggiunge in 14 , 1 2 il genitivo plurale ton pneumaton che leggiamo in linea con ton pneumatikon . 55 Non sono però mancati studiosi che hanno inteso questo genitivo al maschile ritenendo che i corinzi avessero interpellato Paolo a proposito degli «spirituali» che erano tra loro , cioè dei beneficiari di manifestazioni estatiche. Per es . Hurd così ricostruisce il retro­ scena dei cc. 12- 1 4 : nella chiesa corinzia ci si domandava, a proposito degli uo­ mini spirituali , quale sia la prova che lo Spirito parla in questo o in quel creden­ te ; in realtà con la loro domanda i corinzi non intendevano essere informati o ot­ tenere chiarimenti , ma difendere la propria posizione su glossolalia e manifesta-

" A proposito di At 20,7- 1 2 , in cui nella riunione fatta per spezzare il pane (klasai arton) Paolo prende la parola, Dunn osserva che non si può generalizzare un caso singolo ed eccezionale («The responsible Congregation», 2 1 3 - 2 14 ) . D'altra parte egli ritiene che il famoso passo epistolare di Pli­ nio che menziona la riunione dei cristiani atralba a cantare inni a Cristo ( «quod essent soliti stato die ante lucem convenire , carmcnque Christo quasi deo dicere secum invicem») e più tardi, p robabil· mente alla sera, a consumare un pasto comune ( «rursusque coeundi ad capiendum cibum») ( 10,96,7) si spieghi meglio nella ipotesi di due distinte assemblee (ibid. , 214). Ma si tratta di una testimonianza tardiva, del 1 12 (cf. PENNA , L 'ambiente storico-culturale delle origini cristiane, 271-273) . Sempre Dunn distingue tra l'assemblea plenaria di 14 ,26 e quella supposta in 1 1 ,2- 1 6 che ritiene formata da gruppi ristretti (ibid. , 2 1 3 , nota 54a), ma lo fa per tirarsi d'impiccio dall'apparente contraddizione di questo brano con 1 4 ,34-35a. 5 � Essa appare perfettamente parallela alle formule introduttorie di 7,25 : «Circa poi le vergini» (peri de tòn parthenon ) ; 8 , 1 : «Circa poi le carni immolate agli idoli» (peri de ton eidolothy to n) ; 16.1 : «Circa poi la colletta» (p eri de tes logeias) ; 1 6 , 1 2 : «Circa poi il fratello Apollo» (peri de Apollo tou adelphou) , tutte collegate , con probabilità , all'inequivoca espressione di 7 , 1 : «Circa poi ciò di cui avct�. scritto» (peri de hon egrapsate) . " Per la verità s i danno altre interpretazioni di ta pneumata: per e s . Ellis scorge qui e i n 1 4,32 (ta pneuma/a prop h eton ) il rife rimento a spiriti buoni . in pratica agli angeli: i corinzi anelavano a en­ t rare in comunione con gli a ngeli (cf. 1 3 , 1 ) ; ma si vedrà più avanti .

l Cor

12, 1-14,40

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zioni analoghe ( The Origin , 194) . 56 Un indizio a favore di tale lettura è 14,37 do­ ve appare , al singolare , la figura del borioso «spirituale» (pneumatikos) che Pao­ lo, non senza toni minacciosi, esorta ad accettare la sua normativa. La sua forza probativa però non è pari a quella del confronto tra 1 2 , 1 e 14, 1 . M a i n quali termini esatti e ra stato posto i l problema? Più che una richiesta di spiegazione o d'informazione - in questo ha ragione Hurd - la lettera dei corinzi doveva essere una puntigliosa difesa del loro punto di vista privilegiante la glossolalia. Lo lascia intuire il testo paolino impegnato a correggere la ten­ denza dei suoi interlocutori . 57 La contrapposizione manifesta tra glossolalia e profezia del c . 14 è anche la contrapposizione dei punti di vista di Paolo e dei corinzi . Lo stesso elogio dell'amore del c. 13 non appare privo di toni critici: 58 nella scala dei valori non c'è confronto tra le manifestazioni spirituali e l'agape, per cui la ricerca dei credenti deve essere volta proprio a questa: «Perseguite l'amore» ( 1 4 , l a) . Parimenti nel paragone del corpo e delle membra non man­ cano prese di posizione opposte a convinzioni degli interlocutori divisi , come è stato detto sopra , in glossolali orgogliosi e in credenti che , privi della glossolalia, si sentivano inferiori pur esercitando a ltre funzioni , come la profezia o l'insegna­ mento (cf. 1 2 , 1 5ss) . Certo , non è assente , specialmente in 12, 1 - 1 1 , l'i ntento d'insegnare .59 Dopo tutto nei vv . I e 3 Paolo afferma di voler togliere i corinzi dalla situazione d'ignoranza (agnoein) in cui versavano e offrire loro nuove conoscenze in materia (gnorizo hymin) . Non si trattava però di un semplice vuoto da riempire ; nella chiesa di Corinto ci si sbagliava nel valutare le manife­ stazioni dello Spirito e la sua presenza ispiratrice , come si è visto sopra . Era necessario rettificare , criticare punti di vista angusti , se non del tutto errati , e a questo scopo proporre nuove prospettive pneumatologiche ed ecclesiologiche . Il singolo problema della preferenza per la glossolalia di fatto investiva ampi oriz­ zonti della fede cristiana e l' apostolo , messo di fronte a tale situazione , non si sottrae : inserisce, come è stato rilevato da Standaert , la «quaestio finita» , affrontata nel c . 14 e introdotta in 1 2, 1 , nel quadro della «quaestio infinita» delle plurime manifestazioni dello stesso e unico Spirito (c. 12) non confrontabili , nella scala dei valori , con l'agape (c. 13) . 56 Anche Schmithals legge il vocabolo al maschile , salvo precisare che di loro , i «pneumatici » , parla 1 2 , 3 ; in pratica egli traccia questo quadro : gli zelotai pneumaton menzionati in 1 4 , 1 2 sono u n gruppo della chiesa d i Corinto che , p e r distinguersi dagli altri credenti, s i chiamavano h o i pneumati­ koi e ritenevano la pneuma1ika le manifestazioni per eccellenza dello Spirito (Gnosis, 128s). Anche per Wolff e per VANHOYE, / carismi, 33 l'iniziale 1 2 , 1 introduce il problema degli «Spirituali». Barrett invece si dimostra possibilista rispetto alle due possibilità. 57 Così esplicitamente Fee per es. : «Il capitolo 14 dice che Paolo rispondendo ha inteso essere correttivo, non istruttivo o informativo» ( The firsl Epis1le, 570) . E precisa che la correzione riguarda !"abuso della glossolalia (ibid. , 571 ) . Da parte sua Conzclmann più volte parla di critica di Paolo alla posizione dei corinzi (Der erste Brief, 24 1 ; cf. p. 242) ; ma già KXSEMAN N , «Ufficio», 7 aveva afferma­ to che la teologia paolina appare qui radicalmente critica . Brockhaus invece, ma a torto, ritiene pre­ vale�te l'interesse parenetico (Charisma rmd A mi, 142- 1 47). , s Lo sottolinea a ragione CHEVALLIER, Esprit de Dieu , 1 5 3 : «Il capitolo 1 3 ha un timbro viva­ mente polemico . Paolo vi rovescia la scala di valori dei suoi interlocutori » . 5 • V i h a insistito molto M . Pesce (cf. bibliografia d e l c. 14).

630

Commento

In proposito è dato registrare una vasta convergenza degli studiosi . Per es. Hurd afferma che il punto in questione era quello dell'importanza della glossola­ lia, essendo i corinzi convinti che essa fosse la migliore manifestazione dello Spi­ rito ( The Origin , 192s ) . Anche B rockhaus è di questo parere: ta pneumatika in­ dica in prima linea la glossolalia , come mostra, dice, la contrapposizione tra ta pneumatika e prophéteuein in 14, 1 ( Charisma und Amt, 150) ;60 molto verosimil­ mente i glossolali costituivano il problema cruciale della domanda venuta da Co­ rinto (ibid. 1 5 1 ) .61 Alcuni studiosi ipotizzano invece che oggetto di domanda fossero i due cari­ smi della profezia e della glossolalia , quelli trattati appunto nel c. 14.62 Altri pe­ rò ritengono che la questione vertesse più in generale sulle manifestazioni dello Spirito ; assumono dunque ta pneumatika in senso estensivo . Secondo Grudem per es. non è esatto dire che con la formula peri de ton pneumatikon Paolo inten­ de riferirsi alla profezia e alla glossolalia ; il v. 1 introduce l'intera sezione dei do­ ni spirituali (cc. 1 2-14) ; profezia e glossolalia ricevono speciale attenzione nel c. 14 perché sono eccellenti esempi dei doni utili e di quelli meno utili all'assem­ blea ( The Gift, 161).63 Ma gli argomenti addotti sopra , soprattutto il paralleli­ smo tra 12 , 1 e 14, 1 , ci permettono di respingere queste due letture . In realtà, sembra di dover distinguere l'accezione degli interlocutori da quella di Paolo. Per sé i termini pneumatika e pneumata indicano diverse manifestazioni pneu­ matiche e Paolo può usare quest'ultimo a proposito delle ispirazioni dei profeti (cf. 14,32) e delle ispirazioni in generale (cf. 12, 10: «discernimenti degli spiri­ ti») . Ma per la sopravvalutazione della glossolalia da parte dei corinzi, in bocca loro i due vocaboli di fatto si restringevano a definire i fenomeni glossolalici, da essi ritenuti i fenomeni pneumatici per eccellenza. E se in 1 2 , 1 abbiano i termini sintetici del loro problema, la questione sollevata doveva riguardare proprio la glossolalia. Il vocabolo generale usato da Paolo per indicare i fenomeni ispirativi è charismata I carismi (12,4 . 3 1 ) , oppure he phanerosis tou pneumatos I la manife­ stazione dello Spirito (12,7) . La più ardita, ma anche la meno solida , si rivela infine l'ipotesi di Schmi­ thals , Gnosis, 45ss . , secondo il quale al centro del problema imposto dai corinzi

60 A difesa della tesi Brockhaus si appella anche al fatto che la glossolalia appare sempre negli elenchi dei carismi presentati sia in 1 2 , 8-10 e 12,28-29s sia nel c. 13 (Charisma und Ami, 1 5 1 ) . Ma non ci sembra un argomento solidissimo . 61 Vedi anche BASSLER , «1 Cor 12:3», 415 secondo cui a Corinto c'era «overestimation» della glossolalia , EICHHOLZ, Was heisst, 7, GRE EVEN , «Propheten» , 3, Kuss , «Entusiasmus», 262, i com­ menti di Wendland, Fee , e BoRNKAMM, «Zum Verstii.ndnis» , 1 14. 62 Vedi per es. WEI S S , Der erste, 32 1 : Paolo non avrebbe trattato nel c. 14 del confronto tra glossolalia e profezia se i corinzi non gli avessero posto il problema dei due carismi ; e CHEVALLIER, Esprit de Dieu, 148 e 170: il neutro di ton pneumatik6n si riferisce alla profezia e alla glossolalia, con­ siderate a Corinto come le manifestazioni pneumatiche per eccellenza. 63 Vedi anche DUNN , Jesus, 208: il vocabolo si riferisce in generale ai doni spirituali ed è sinoni­ mo di charismata. Da parte sua PESCE, «L'apostolo» si dichiara «contrario alla tesi che Paolo abbia come oggetto principale la questione della glossolalia» e ritiene che la problematica era estesa alle manifestazioni in genere dello Spirito (Charisma und Amt, 63) .

lCor

12 , 1 -30

63 1

all'apostolo stava la pretesa di cristiani che proclamavano con buone ragioni il loro essere cristiano proprio perché esclamavano anathema Jesous; a Corinto in­ fatti «c'erano persone per cui non era contradditorio confessare Kyrios Christos e gridare anathema Jesous» (ibid. , 46) ; si trattava di «gnostici che respingevano uno stretto legame tra il celeste Cristo pneuma e l'uomo Gesù» (ibid. , 48) ; «La comunità s'interroga e interroga Paolo se tale espressione può essere detta en pneumati Theou» (ibid. , 45) . Non è tutto ; bisogna anche domandarsi perché i corinzi presentarono a Pao­ lo , per iscritto, il problema dei «fenomeni spirituali». Non abbiamo dati in pro­ posito e dobbiamo affidarci a supposizioni. Un certo malessere doveva serpeg­ giare in seno alla comunità corinzia; forse i deprivati della glossolalia vollero far sentire la loro umiliazione e i glossolali , in risposta , difendere la loro superiorità. Il clima caotico poi delle riunioni ecclesiali poteva non suscitare perplessità e in­ terrogativi? Aggiungiamo la reazione negativa degli estranei che giudicavano le assemblee ecclesiali riunioni di esaltati , e avremo motivi sufficienti per spiegare che si facessero sentire dall'apostolo .64

4. 1 2

3

4 5 6

UNITÀ E DIVERSITÀ DELLE MANIFESTAZIONI DELLO SPIRITO

( I 2 , 1 - 3 0)

Circa poi i fenomeni spirituali , o fratelli, non voglio che restiate nell'igno­ ranza. Sapete che65 quando66 eravate gentili , come vi si conduceva, venivate tra­ sportati verso gli idoli muti . 67 Perciò vi rendo noto : nessuno che parla68 per mezzo dello Spirito di Dio di­ ce «Gesù (è) anatema! » e nessuno è in grado di dire « Gesù è Signore»69 se non mediante lo Spirito santo. Ora ci sono ripartizioni di doni di grazia, ma è lo stesso Spirito ; e ci sono ripartizioni di servizi , ed è lo stesso Signore ; e ci sono ripartizioni di opere , ma70 è lo stesso Dio , colui che opera71 tutto in tutti .

64 A . MEHAT, «L'enseignement sur !es "choses de l'Esprit"», in RHPhR 63(1983) , 395-41 5 ritie­ ne che la questione fosse stata sollevata dai responsabili della comunità corinzia, incapaci di far fron­ te alla situazione caotica, e che Paolo si rivolga qui direttamente a loro. Ma proprio questa restrizio­ ne dei destinatari della lettera è improbabile. 65 Omesso in pochi codd. 66 Omesso in alcuni codd . 61 Var. : «amorfi». 68 Il participio è omesso da D F G. 69 Non mancano codd. che attestano in forma accusativa , dunque come complemento oggetto del dire , le due formule . La prima poi appare anche così: «Anatema a Gesù» . 70 Var. «ed» , attestata dal pap. 46 e dai codd . B C, ecc. , a imitazione della formula del v . 5 . 7 1 I l doc. B e quelli del testo bizantino v i aggiungono, i n diversa collocazione , estin, m a come «lectio longior» si dimostra un'addizione secondaria (cf. ZuNTZ , The Text, 1 87) .

632

Commento

A ognuno però viene data la manifestazione dello Spirito a scopo di utilità. Infatti a uno viene data mediante lo Spirito una parola di sapienza , a un al­ tro invece una parola di conoscenza secondo lo stesso Spirito ; 9 a un altro72 fede mediante lo stesso Spirito , a un altro poi doni di grazia di guarigioni per mezzo dell'unico73 Spirito ; 10 a un altro ancora opere miracolose ,74 a un altro profezia, a un altro75 capaci­ tà76 di discernere gli spiriti , a un altro77 generi di lingue , a un altro infine in­ terpretazione delle lingue . 1 1 M a tutte queste manifestazioni compie l'unico e i l medesimo Spirito ripar­ tendole a ciascuno in particolare78 come vuole .

7 8

12 13 14 15 16 17

18 19 20

Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra e tutte le membra del corpo79 che sono molte costituiscono un solo corpo , così anche Cristo . Giacché n o i tutti mediante u n solo Spirito siamo stati battezzati per formare un solo corpo , sia giudei sia greci , sia schiavi sia liberi ; e tutti siamo stati ab­ beverati di un solo Spirito .80 Infatti il corpo non è un solo membro , bensì molte membra. S e i l piede dicesse : «Poiché non sono mano , non faccio parte del corpo» , non per questo non fa parte del corpo . E se l'orecchio dicesse : « Poiché non sono occhio , non faccio parte del cor­ po» , non per questo non fa parte del corpo . Se tutto il corpo fosse occhio , dove sarebbe l'udito ? Se tutto il corpo fosse udito , dove sarebbe l'odorato? Ora81 invece Dio h a posto l e membra , ciascuna d i esse , nel corpo , come ha voluto . Ma s e tutte le membra fossero un solo membro, dove sarebbe il corpo? Ora invece ci sono certo molte membra, ma un solo corpo .

72 Importanti mss . , come il pap . 46 e i codd. Alef 2, A, C, D 2, Ps e quelli del testo bizantino, vi aggiungono la particella de , ma sembra per uniformità alle espressioni precedenti e seguenti. 73 Var. «stesso», che si spiega probabilmente per uniformità all'analoga espressione preceden­ te . L'omissione invece del pap. 46 si spiega come una svista nella trascrizione (cf. Metzger). 74 Buona attestazione ha la variante «azione efficace (energeia) di potenza (dynameos)»; il pap. 46 ha «azioni di potenza» ed è preferito da ZuNTZ, The Text, 100, secondo cui il plurale dynameon nasce dalla volontà di conformazione al precedente iamaton , ma Fee rileva che il singolare è l'effetto del tentativo di eliminare un plurale che è sembrato tautologico . 75 Le due ultime parti celle de sono omesse da cosl importanti mss . (pap. 46; codd. B , D, F, G, ecc. ) che la scelta testuale risulta dubbia, come evidenzia l'ed. di Nestle-Aland. 76 Importanti mss . hanno il singolare diakrisis. 77 Alcuni mss . aggiungono la particella de per uniformare il testo . 78 L'omissione dell'avverbio si può sp iegare forse perché ritenuto superfluo stante il pronome ekasto-i. 79 L'aggiunta di «unico» deriva dalla volontà di esplicitare il contrasto tra «molte» e «uno solo» . 80 La var. «per formare (eis) un solo S pirito» è un chiaro paral l e l ismo dell'analoga espressione precedente «per formare un solo corpo» . 81 Molti im portanti mss. hanno la particella temporale nyn .

lCor 21 22

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Non può allora l'occhio dire a una mano: «Non ho bisogno d i te» , o a sua volta la testa dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi» . Al contrario molto più le membra del corpo ritenute più deboli sono neces­ sarie , e quelle del corpo che riteniamo più vili , proprio queste circondiamo di maggior rispetto e quelle indecenti di noi ottengono maggior decoro , mentre quelle decenti di noi non ne hanno bisogno . 82 M a Dio ha composto il corpo dando maggior onore a ciò che ne manca ,83 perché non vi sia scissiones4 nel corpo , bensì le membra abbiano la stessa cura le une per le altre . E sia che un solo membro soffre , 85 tutte le membra soffrono con lui , sia che un solo86 membro è glorificato , tutte le membra gioiscono con lui . Ora voi siete corpo di Cristo e membra ciascuno per la sua parte .

alcuni invero Dio ha posto nella chiesa in primo luogo come apostoli , in secondo luogo come profeti , in terzo luogo come maestri , poi miracoli , quindi doni di grazia per compiere guarigioni , prestazioni di assistenza , azioni di governo , generi di lingue . 29 Sono forse tutti apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri? Forse tutti fanno miracoli? 30 Forse tutti hanno doni di grazia per compiere guarigioni? Forse tutti parla­ no in lingue? Forse tutti (le) interpretano? 31a Agognate però ai doni di grazia più grandi .87 28

E

Oltre agli studi indicati sopra nella presentazione generale della sezione vedi BASSLER J . M . , «1 Cor 12:3 - Curse and Confession in Context» , in JBL 1 0 1 ( 1 982) , 415-421 ; BONNARD P . , «L' É glise corps d u Christ dans l e paulinisme» , in R Th Ph 8(1958) , 268-282 ; BRANDENBURGER E . , «Der Leib-Christi-Gedanke bei Paulus», in OkRu 38( 1 989) , 389-397 ; BROCKHAUS, Charisma und Amt, 1 28-237 ; BROX N . , «Anathema Jesus ( 1 Kor 12,3)», in BZ 12( 1 968) , 1 0 3 - 1 1 1 ; CHAR LES G . W . , «I Corinthians 12: 1-13», in Interpretation 44( 1 990) , 65-68 ; DAUTZENBERG G . , «Zum religionsgeschichtlichen Hintergrund der diakrisis pneumaton ( 1 Kor 1 2 , 10)» , in BZ 15( 1971 ) , 93- 1 04 ; EICHHOLZ G . , Was heisst charismatische Ge­ meinde? l Kor 1 2 , Milnchen 1 960, 8- 1 3 ; H E R MAN N I . , Kyrios und Pneuma. Stu-

K l L ·aggiunta «di onore» è chiaramente secondaria , perché vi si vuole specificare un significato per sé già chiaro . K-' Mss. importanti e numerosi (pap . 46 , codd . Alef 2 , D , F, G , Ps . testo bizantino) hanno la for­ ma attiva del participio, che può avere anche il senso di «essere inferiore» ed è così che legge ZUNTZ, The Text, 1 28, ma a detrimento del senso più ovvio del testo paolino (cf. Fee ) . � l i plurale schismata s i spiega per influsso di 1 1 . 18: l a mente dci copisti è alle divisioni ecclesiali. 85 La var. : «Se in qualcosa (ei ti) un solo membro soffre» appare secondaria . K6 L'omissione di «solo (hen )» è sostenuta d a tali mss . (pap . 46 ; codd . Alcf originario , A e B) da rendere dubbia la lezione , come rileva l'ed. di Nestle-Aland . 87 Var. «migliori» attestata in mss . importanti , come D, F. G, Ps , testo bizantino .

634

Commento

dien zur Christologie der paulinischen Hauptbriefe, Miinchen 1961 , 69-85 ; HANI­ MANN J . , «"Nous avons été abreuvés d'un seul Esprit" . Note sur 1 Cor 12, 13b» , in NR T 94( 1972) , 400-405 ; HoLTZ T. , «Das Kennzeichen des Geistes (1 Ko r 12. 1-3)», in NTS 18(1972) , 365-376; KAsEMANN E . , «Il problema teologico del motivo del corpo di Cristo» , in Prospettive Paoline, Paideia , Brescia 1972, 149174 (or. 1 969) ; KREMER J . , « "Eifert aber um die grosseren Charismen" (lKor 12,31 a ) » in Theologisch-praktische Quartalschrift 128(1 980) , 321 -335 ; I B ER G . , «Zum Verstandnis von 1 Kor 12. 3 1 » , in ZNW 54(1 963) , 43-52 ; MALY K. , «1 Kor 12. 1 -3 , eine Regel zur Unterscheidung der Geister?» , in B Z 10(1966) , 82-95 ; Io . , Mundige Gemeinde, 176-239 ; MARTIN F. , «Pauline Trinitarian Formules and Church Unity» , in CBQ 30( 1968) , 199-2 19; MEHAT A . , «L'enseignement sur "les choses de l'Esprit" (1 Corinthiens)» , in RHPhR 63( 1983) , 393-4 1 5 ; MERKLEIN H . , «Entstehung und Gehalt des paulinischen Leib-Christi-Gedankens», in Stu­ dien zu Jesus und Paulus, Tiibingen 1987 , 3 19-344; PAIGE T. , «1 Corinthians 12.2: A Pagan Pompe?», in JSNT 444( 199 1 ) , 57-65 ; P E RRIMAN A . , «His body which is the church: Coming to Terms with Metaphor» , in EvQ 62( 1990) , 123142 ; ScHNACKENBURG R. , Die Kirche im Neuen Testament, Freiburg-Basel-Wien 1961 , 1 46- 154; ScHwEIZER E . , «Soma» , in GLNT XII I , 718-738; SoDING TH. , «"lhr aber seid der Leib Christi" ( 1 Kor 12,27). Exegetische Beobachtungen an einem zentralen Motiv paulinischer Ekklesiologie» , in Catholica 45(199 1 ) , 135162; UNNIK VAN W .C. , «The Meaning of 1 Corinthians 1 2 : 3 1 » , in NT 35( 1993), 142-159; Vos J . S , «Das Ratsel von I Kor 12: 1 -3» , in NT 35( 1993) , 25 1-269 ; ZIM­ MERMANN A . F. , Der urchristlichen Lehrer. Studien zum Tradentenkreis der di­ daskaloi in fruhen Urchristentum , Tiibingen 1984 . ,

.

4. 1 . Lo Spirito e la confessione di fede di Gesù Signore (12 , 1-3) Questi versetti iniziali costituiscono una piccola unità letteraria caratterizza­ ta da tre ricorrenze verbali del motivo della conoscenza : ignorare (agnoein : v. 1), sapere (oidate: v . 2) , far conoscere (gnorizo : v . 3) . Mittente e destinatari si definiscono su codesto asse concettuale: questi versano nell'ignoranza circa i fe­ nomeni dello Spirito e Paolo , che conosce , li vuole portare alla conoscenza (v. 1 ) . C'è comunque una realtà che gli interlocutori conoscono bene, il loro passato idolatrico; anche l 'apostolo ne è a conoscenza e lo richiama alla loro attenzione (v . 2) . Non sanno invece l'agire ispiratore dello Spirito di Dio e Paolo glielo vuo­ le far conoscere (Dio gnorizo hymin) (v. 3) . Il rapporto del v. 3 con quanto pre­ cede appare molto stretto, come attesta la particella conclusiva in apertura: l'e­ sperienza idolatrica passata spiega l'ignoranza attuale dei corinzi ; è perciò com­ pito dell'apostolo , che non vi si sottrae , di illuminarli in merito : «Vi voglio far co­ noscere (gnorizo)» . 88 88 S u questa linea è attestato anche Grudem pe r i l quale 12,3 non è n é u n criterio per discrimi· nare tra vera e falsa profezia , né un'indicazione di gnosticismo a Corinto , come ritiene Schmithals, ma un antidoto per l'ignoranza dei corinzi in fatto di doni spirituali : voi che eravate idolatri siete ignoranti in questo campo ; vi notifico dunque che nessuno che parla nello Spirito dice Gesù anathe­ ma e che nessuno può dire rivolto a Gesù Kyrios al di fuori dell'influsso dello Spirito (The Gift,

lCor 1 2 , 1 -3

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v. 1 «Circa poi i fenomeni spirituali, o fratelli , non voglio che restiate nell'i­ gnoranza». I corinzi stanno davanti a Paolo come ignoranti , certo in merito al problema dello scambio epistolare appena enunciato . Egli deve aver tratto que­ sta convinzione dalla loro lettera, in concreto dai termini della questione sotto­ postagli. Ma non si sofferma su questo ; mira a che non restino ulteriormente in tale stato d'ignoranza. Ecco l'intento generale della sua risposta . Si tratta di un versetto chiaramente introduttorio a tutta la sezione dei cc. 12-14. L'apposizione «O fratelli» è frequente negli «incipit» generali (cf. 1 , 10-1 1 ; 10, 1 ; 15 , l ; 2Cor 8 , 1 ) e in quelli più settoriali (cf. 1 ,26 ; 2 , 1 ;3 , 1 ;4,6; 7 ,29 ; 14,6.20.26) . La formula poi «non voglio che restiate nell'ignoranza» è usata spesso anche altrove in riferimento sia a dati di fede , quali il senso dell'esodo dei «padri» ( 1 0 , 1 ) , il mistero del destino finale d'Israele (Rm 1 1 ,25) , la sorte ultima dei credenti deceduti ( lTs 4 , 13) , sia a vicende sue personali, cioè al pericolo mortale corso in Asia (2Cor 1 ,8) e al reiterato proposito di visitare la chiesa di Roma (Rm 1 , 13) . Si aggiunga la formula analoga di 1 1 ,3 : «Voglio che voi sap­ piate (thel6 de hymas eidenai)» che introduce la tesi dell'ordine gerarchico di tut­ ta la realtà. Di fatto , l'espressione documenta un preciso modello relazionale che lega mittente e destinatari , l'apostolo e le sue comunità, determinandone , nello stesso tempo , i rispettivi ruoli di docente e di discente . v. 2 Prima ancora però d'informare , Paolo richiama agli interlocutori il lo­ ro passato idolatrico : «Sapete che quando eravate gentili , come vi si conduce­ va , venivate trasportati verso gli idoli muti» (v. 2) . Il contrasto con l'ignoran­ za di cui al v. 1 appare chiaro : non conoscono bene la realtà nuova dello Spiri­ to e delle sue manifestazioni , mentre quella vecchia dell'idolatria non ha se­ greti per loro essendone stati dei praticanti . D 'altra parte , passato e presente non sono senza legame , perché quello ha influito su questo specificandolo co­ me non-conoscenza . Si tratta di un ver�etto di difficile lettura , tanto più che la stessa traduzione solleva problemi di non facile soluzione . Infatti , oltre alla nostra (così anche Fee per es. ) , che legge il participio finale come forma perifrastica, dunque con sot­ tinteso l'imperfetto del verbo essere («eravate trasportati : apagomenoi ete » ) , so­ no possibili altre due : «Voi sapete che quando eravate gentili vi si conduceva con grande "trasporto" verso gli idoli muti» ; 89 «Voi sapete come quando eravate gentili foste rapiti e trascinati verso gli idoli muti».9() Ma soprattutto diverse sono le interpretazioni che per di più condizionano la lettura del v. 3. Molti studiosi vi

1 68s ) . Simile è anche la lettura di Mehat, che ha sottoposto a serrata e convincente critica la lettura molti che hanno veduto in 12,2 «un' allusione ai culti "orgiastici" de i misteri pagani» , mentre «non si tratta che d el l ' ign o ranz a e d e l l ' e rrore idolatrici» (dal resumé iniziale ) . 89 Cf. Barrett e Conzelmann, che ritengono pleonastica la particella h6s d es ti na t a semplice­ mente a riprendere J'hoti dichiarativo iniziale . 90 Vedi Weiss , che unisce an al verbo agesthe es pre ssivo d unque di rapimento estatico, significa­ to che il pa rti cipio apagomenoi conferma.

dei

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Commento

hanno letto un riferimento alle esperienze estatiche pagane , intendendo l'essere portati verso gli idoli muti nel senso di fenomeno «entusiastico» e di «trance» (cf. Weiss , Barrett , Conzelmann , Fee , ecc . ) . Si tratta però di un richiamo al pas­ sato che gli uni valutano antitetico al presente delle manifestazioni dello Spirito e gli altri come esperienza analogica.9 1 Ma anche all'interno della prima ipotesi i punti di vista non sono identici : 1 ) ai fenomeni pagani caratterizzati formalmen­ te come estatici si contrappongono quelli cristiani che si qualificano , dal punto di vista contenutistico , sulla base della confessione cristologica di fede ; 92 2) se il rapporto pagano era con idoli muti , dunque al di fuori di ogni comunicazione , ora invece i corinzi fanno esperienze «spirituali» comunicative per mezzo della parola ; 93 3) contrapposte , secondo altri , sono invece la schiavitù idolatrica e la li­ bertà cristiana nello Spirito . 94 Chi invece ritiene che Paolo voglia richiamare si­ tuazioni analoghe , individua il punto di somiglianza nell'essere , le une e le altre, esperienze «trascinanti» , causate là da uno spirito o demone malvagio mentre qui dallo Spirito del Dio di Gesù Cristo . 95 Ma si tratta di ipotesi poco fondate nel testo . Anzitutto è forzare il senso dei verbi ago e apago leggerli nel senso di rapimento estatico , 96 tanto più che gli dèi idolatrici sono menzionati non come propulsori bensì quali traguardi di un cam­ mino . D'altra parte , nel confronto antitetico o analogico con il v. 3, l'azione del­ lo Spirito non viene indicata con i verbi suddetti , bensì con «verba dicendi» . 97 E per Io stesso motivo appare esclusa dal v . 2 anche l'idea di illibertà . La qualifica di «muti» per le divinità idolatriche poi , tradizionale nella cultura ebraica , come si vedrà , non vuol dire esclusione di parola comunicativa bensì mancanza di vita e vitalità . Soprattutto non appare convincente il tentativo , assai diffuso , di vede­ re in questi versetti iniziali la proposizione di un criterio discriminativo della ve­ ra dalla falsa profezia : 98 contro la tendenza dei corinzi a privilegiare il lato estati9 1 Brockhaus si mostra possibilista tra i due tipi di rapporto , analogia nel senso di irresistibilità della spinta e contrasto nel senso dello schema «un tempo-ora » , cioè schiavitù verso gli idoli e libertà della confessione cristiana, preferendo alla fine vederci un rapporto di contrasto ( Charisma und A mt, 156- 1 58) . 92 Cf. KA.sEMAN N , «Ufficio» , 6 secondo cui l'antitesi è tra il «fascinosum» dei pneumatika pagani e la valenza edificativa dei carismi cristiani, e BARREIT, La prima lettera , 345 per il quale non il mo­ do, ma il contenuto del discorso ispirato determina la sua autenticità. 9 3 Cf. C HEVALLIER , Esprit de Dieu, 149: a l contrario degli idoli lo Spirito di D i o fa parlare l'uo­ mo ; ma anche KASEMAN N , «Ufficio», 5-6: agli idoli m anca la parola . 94 Vedi Maly nella sua monografia: nel paganesimo c'è illibertà e costrizione degli idoli (v. 2), non così nell'esperienza cristiana (v. 3) ; l 'inte,nto di Paolo nel v . 3 non è quello di presentare una «Regola per la discriminazione degli spiriti» . E Paolo che usa la formula anathema per chiarire che l'esistenza cristiana è sempre «geistgewirkt» (Mundige Gemeinde, 1 86s) . Vedi anche il suo articolo citato . 95 Cf. B AS S L E R , « l Cor 12:3», 417 che parla di analoga «Compulsione» , ma anche WEISS, Der er­ ste, 296 . 96 DuPONT, Gnosis, 1 49 , nota 2 rileva a ragione che invece di apaghesthai doveva ricorrere il verbo harpazesthai. 97 Tanto più che Paolo conosce il motivo dello Spirito che conduce e guida (agesthai) i credenti, come vedremo poco più avanti . 98 Vedi in proposito MALY, Mundige Gemeinde, 244: criterio decisivo del parlare nello Spirito è per Paolo non il fenomeno esterno dell'estasi , ma piuttosto il contenuto dell'affermazione; FEE , The first Epistle, 572 che parla di «the basic criterion» tra ciò che è dello Spirito e quello che non lo è ;

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co o «entusiastico» , Paolo farebbe valere , come fattore autenticante , l'oggetto dell'impulso dello Spirito che porta a confessare la signoria di Gesù. 99 Sul piano strutturale infatti il v. 3 non si collega direttamente al v. 2 ma al v. lb mediante l'antitesi tra agnoein I «ignorare» e gnoriz6 I «faccio conoscere» e il v . 2 sta a specificare l'ignoranza suddetta dei corinzi , ignoranza propria di vecchi idolatri . Hanno avuto in passato a che fare con divinità pagane ( eidola) , 1 00 ora Paolo vuo­ le portarli alla conoscenza della novità della loro situazione di confessori , sotto l'influsso dello Spirito , di Gesù Signore . Se c'è una contrapposizione tra i vv . 2 e 3 , come di fatto esiste , essa verte infatti sull'antitesi tra idolatria passata e pre­ sente confessione cristiana mediante Io Spirito . 10 1 Per questo , al di là della corri­ spondenza linguistica , parallelo può dirsi il passo 8,4-6: divinità idolatriche da una parte , l'unico Dio e l'unico Signore dall'altra. Tipica comunque del nostro passo è la presenza dello Spirito influente sulla confessione cristologica di fe­ de. 102 Sul piano dell'analisi minuziosa si può rilevare come Paolo dia per scontato che i corinzi , in grande maggioranza almeno , erano dei gentili e quindi adoratori di idoli . La caratterizzazione è , insieme , culturale e religiosa e propria di un mo­ noteista ebraico come era Paolo. Ciò spiega anche la qualifica spregiativa «mu­ ti» tipica della polemica giudaica antidolatrica . Il profeta Abacuc si domandava retoricamente quale fiducia si potesse riporre in idoli muti (eidola kopha) scolpi­ ti dall'artista (2 , 18) . Il salmista ne sottolineava plasticamente la non-vita: «Gli idoli delle genti sono oro e argento , opere di mani umane ; hanno bocca e non parlano (ou lalesousin) , hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono , hanno narici e non odorano , hanno mani e non palpano , hanno piedi e non cam­ minano , dalla gola non emettono suoni (ou phonesousin)» ( 1 1 3 , 12- 1 5 ) . 3Mac

CoNzELMANN , Der erste, 243 , secondo cui criterio dell'agire dello Spirito non è l'estasi in sé , ma l'ac­ clamazione del Signore ; BARR!'JT, La prima lettera, 345 che parla di «criterio deci s i v o per il discerni­ mento » ; SENFT, La Première Epftre, 155 che aderisce all'opinione della maggioranza ; HERMANN, Ky­ rios , 70s per il quale in 1 2 , 1 -3 Paolo propone un criterio «pregnante» e «decisivo» ai fini della discri­ minazione degli spiriti . VANHOYE, I carismi, 52 vede in 12,3a «un criterio di discernimento che segna il limite dell'autentica ispirazione» e in 1 2,3b un altro principio , «il quale si oppone a un possibile at­ teggiamento negativo di fronte a ogni ispirazione». 99 Una critica serrata di questa ipotesi è presente nell'articolo di Vos e nella monografia di DAUTZENBERG , Urchristliche Prophetie, 143- 1 46. 1 00 Qui , come anche altrove nell'epistolario paolino (cf. sopratt u tto 8 ,4) , eidolon non significa «immagine» ma la stessa divinità pagana (cf. Bilchsel in GLNT III, 1 30s) . 101 Vos , «Ratsel » , 268 a ragione afferma che il motivo antitetico è quello del «Cambio di signo­ ria» . Lo schema «un tempo-adesso» non appare accentuato , mancando un'esplicita contrapposizio­ ne cronologica e del tipo di vita, quale appare per es. in Gal 4,8-9 : «allora in verità I ma ora» (tote men I nyn de) ; Gal 4 ,3-4: «quando I ma quando» (hote I hote de) ; l Cor 6 , 1 1 : «eravate I siete stati la­ vati . . . » (ete I apelousesthe . . . ) . Ciononostante Vos nell'articolo citato , se guendo gli schemi della reto­ rica classica , vede nel v. 2 una «brevis narratio» o «una storia frammentariamente raccontata» che mira a evidenziare l'antitesi con il presente . 102 O riginale ma poco fondata è l'ipotesi di Paige che nel v. 2 scorge un riferimento alle festose processioni, accompagnate da manifestazioni estatiche (apagomenoi: participio circonstanziale) , proprie dei misteri eleusini, che si snodavano da Atene a Eleusi portando i fedeli a contemplare nel tempio le immagini (eidola) della divinità. Ma i corinzi erano stati in passato tutti degli iniziati ai mi­ steri eleusini?

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4,16 ricorre alle qualifiche di «muti (kopha) e incapaci di parlare (me dynamena lalein)» . In l Re 1 8 ,26-29 gli dèi invocati dai profeti del dio Baal restano muti: «e non c'era voce (ouk en phone)» . Nel romanzo edificante Giuseppe e Asenet, no­ ta Vos , «Ratsel» , 267, ricorrente è l'endiade dei due aggettivi qualificativi degli idoli «morti e muti» (nekra kai kopha) . Così in 8,5 Giuseppe si rifiuta di baciare «una donna straniera che con la bocca onora dèi morti e muti» ; da parte sua Asenet si dice odiata dal Signore e Dio di Giuseppe «perché veneravo e onoravo idoli morti e muti» ( 1 1 , 8) , ma confessa il suo peccato d'idolatria: «ho pregato idoli morti e muti» (12,5) e testimonia la sua nuova fede : «Ora ho riconosciuto che tutti questi dèi , che veneravo per ignoranza, erano solo muti , morti idoli» ( 1 3 , 1 1 ) . Degli idoli il libro dei Giubilei 1 2 3 afferma che «essi non hanno spirito alcuno , sono muti» . I verbi agesthai e apagesthai esprimono conduzione , guida, movimento in­ dotto verso gli idoli , non trascinamento coatto in esperienze estatiche o deliran­ ti, come già si è mostrato sopra. 103 ,

v. 3 «Perciò vi rendo noto» : lo stato d'ignoranza in cui i corinzi, dal passato idolatrico, versano rende di conseguenza (dio) necessario l'intervento informati­ vo di Paolo. Con il verbo gnorizo però questi non sempre introduce l'offerta di nuove conoscenze agli interlocutori. 104 In 1 5 , 1 infatti egli richiama i termini del vangelo già annunciato ai corinzi e altrettanto si dica di Gal 1 , 1 1 , anche se qui l'accento , di timbro apologetico , cade sul carattere divino dell'annuncio procla­ mato ai galati. In 2Cor 8 , 1 invece l'apostolo notifica un fatto nuovo per i destina­ tari dello scritto : i credenti di Macedonia hanno contribuito con generosità alla colletta a favore dei credenti di Gerusalemme . Comunque per il nostro passo appare indubbia la novità della notificazione , visto il collegamento con il motivo dell' agnoein I ignorare del v. l . Ciò che Paolo vuole comunicare è espresso con due periodi costruiti i n ma­ niera parallela: «nessuno che parla per mezzo dello Spirito di Dio dice "Gesù è anatem a ! " e nessuno è in grado di dire " Gesù è Signore" se non mediante lo Spi­ rito santo» . In ambedue i casi si tratta di un parlare (lalein I legein e eipein) sotto l'influsso dello Spirito (en pneumati Theou I en pneumati hagio-i) . Ma quale rap­ porto esiste tra i due periodi? Il secondo costituito da duplice negazione (oudeis I me) equivale alla seguente affermazione : soltanto sotto l'influsso dello Spirito si può dire: « Gesù è il Signore» . Paolo stabilisce possibilità e impossibilità ope­ rative dello Spirito. Il secondo periodo afferma che l'unica possibilità di confes-

103 Paolo usa ancora il verbo ago in Rm 2,4 ( condurre alla conversione: eis metanoian se agei) e soprattutto , per il rilevante peso teologico dei passi , in Rm 8,14 e Gal 5 , 1 9 ( essere condotti dallo Spi· rito di Dio : pneumati [Theou] agesthai) e in lTs 4 , 1 4 ( Dio condurrà i deceduti con lui : axei syn aut6· i) . Il verbo apagesthai invece non ritorna più nell'epistolario paolino e nel NT appare ancora solo, in forma attiva, in Mt 7 , 13 . 14 per indicare la via che conduce alla perdizione e quella che porta alla sai· vezza (hè odos hè apagousa) . 104 Cf. M. Pesce ( «L'apostolo» ) e il dibattito seguito al suo intervento.

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sare la signoria di Cristo è offerta dallo Spirito. E se è vero che il primo non par­ la esplicitamente d'impossibilità, la negazione universale («nessuno») della ma­ ledizione contro Gesù vi equivale . Ecco la traduzione dei due periodi: per ispira­ zione dello Spirito 1) non si può dire «Gesù è anatema!» , 2) si può dire , come unica possibilità attiva, «Gesù è il Signore» . L'accostamento di negazione e af­ fermazione , o di possibilità esclusa e concessa, serve a circoscrivere il campo dell'agire ispirativo dello Spirito . L'intento dell'autore è di connettere Spirito e riconoscimento del Signore e, nello stesso tempo , di escludere lo Spirito dal ri­ fiuto della signoria di Gesù espresso nell'anathema. In altre parole, là dove lo Spirito è all'opera non si dà la maledizione di Gesù, bensì la confessione della sua signoria e, viceversa , dove si proclama la signoria di Gesù , non può mancare l'influsso dello Spirito . L'uno comporta l'altro. 1 05 Lo stretto legame tra lo Spirito e il Signore è presentato non in chiave ogget­ tiva, tra due realtà viste in se stesse , bensì soggettivamente nel dire (legein I ei­ pein) degli uomini: un dire anathema lésous I «anatema Gesù» non può essere suggerito dallo Spirito ; un dire Kyrios lésous I « Gesù (è) il Signore» avviene solo per suggerimento dello Spirito . Questi si rel aziona a quello relazionando il cre­ dente a Cristo . Si tratta dunque di un rapporto dinamico, creativo di rapporti di fede confessante nella signoria di Gesù , incarnato nella soggettività dei credenti . Ma non appare scontato e banalmente evidente , come ha obiettato Schmi­ thals, 1 06 dire a credenti che sotto l'influsso dello Spirito non si può maledire Ge­ sù? Non si dovranno ipotizzare circostanze e protagonisti della maledizione di Gesù , che rendano comprensibile la reazione di Paolo? Di fatto , non pochi stu­ diosi si sono impegnati a individuare i responsabili e il luogo della maledizione lanciata contro Gesù, ipotizzando ora il grido effettivo di cristiani gnostici con­ trari al Gesù storico e «carnale» , 1 07 ora l'abiura di cristiani perseguitati che per giustificarsi si appellavano a una ispirazione dello Spirito , 1 08 chi la maledizione lanciata in ambito sinagogale da giudei 1 09 o anche da giudeo-cristiani. 1 10 Ma il te­ sto non sembra riferirsi a situazioni concrete e reali , bensì a una possibilità pura­ mente teorica ipotizzata al solo scopo di negarla e avanzata per precisare ciò che non può accadere quando l'uomo parla sotto l'influsso dello Spirito ; e questo per rafforzare quello che accade , cioè la confessione della signoria di Gesù. È

1 05

«Nessuna confessione della signoria di Gesù al di fuori di lui , nessun rifiuto suo influsso» (BARBAGLIO, «Alla comunità» , 465 ) . 1 06 Secondo questo esegeta sarebbe il colmo della banalità supporre che Paolo potesse dire ai corinzi che lo interrogavano sui carismi che nessuno nelle riunioni può dire anathema Jesous ( Gno­ sis, 45 , in nota) . 107 C osì Schmithals e Brox , ma anche , se si prescinde dalla qualifica gnostica dei corinzi , Weiss e BARRETI, La prima lettera , 347 , che approva qui Allo , secondo cui dei cristiani in stato estatico uscivano con tale maledizione durante le riunioni ecclesiali. 1 08 çosl O. CuLLMANN, Christologie du Nouveau Testament, Neuchàtel-Paris 1958, 190. 1 119 E l'opinione di A . Schlatter, Paulus der Bote Jesus, Stuttgart 1956, 333ss . 11° Cosi J . D . M . Derrett , «Cursing Jesus (I Cor XIl ,3) : Tue Jews as religious Persecutors», in NTS 2 1 ( 1974s ) , 544-554. sotto

il

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dunque Paolo stesso che introduce la formula anathema Jesous al fine di esclu­ derla, m ottenendo così un effetto retorico d'insistenza a favore della tesi che nello Spirito si può solo dire «Gesù è il Signore» , non altro . 1 12 Tale motivo del­ l'anatema lanciato contro Gesù , per altro , non doveva essere alieno dalla sua mente , se in Gal 3 , 13 affermerà che Cristo crocifisso , proprio diventando un ma­ ledetto di Dio , ci ha riscattati dalla maledizione della legge , rovesciando in tal modo un probabile motteggio giudaico costruito sulla lettura di Dt 21 ,23 . m Anathema , cui corrispondono nei LXX l'ebraico l}erem e negli scritti rabbi­ nici il participio passivo 'arur, è usato da Paolo «per designare l'oggetto di una maledizione» (J . Beh m , in GLNT I, 955) , di una maledizione divina per l'esat­ tezza, essendo una parola efficace che consegna la persona alla perdizione eter­ na . 1 14 Passi paolini paralleli sono l Cor 1 6,22 : «Se uno non ama il Signore , sia ma­ ledetto (eto anathema)» e Gal l ,8s in cui l'anatema è lanciato dallo stesso Paolo contro l'ipotetico annunciatore di un vangelo diverso dal suo (anathema esto) . Si aggiunga Rm 9 ,3 : per amore dei fratelli giudei l 'apostolo vorrebbe essere lui stesso un maledetto (euchomen anathema einai) , separato per sempre dal Signo­ re . L'originalità del nostro passo è che vittima della maledizione divina viene detto Gesù . 1 1 5 La formula Kyrios Jesous , con il primo termine in funzione predicativa e il secondo come soggetto («Gesù è il Signore») , ricorre altre due volte sotto la penna dell'apostolo quale oggetto di professione di fede . La prima , in Rm 10, 9, abbina il professare , atto esterno , all'adesione interna del credere , connette il ti­ tolo Kyrios con l'evento della risurrezione e fa dipendere la salvezza della perso­ na dalla professione e dalla fede : «Se confesserai (homologeses) con la tua bocca che Gesù è il Signore (Kyrion Jesoun) e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti , sarai salvato» . Anche Fil 2 , 1 1 è parallelo al nostro passo: Dio ha superesaltato il crocifisso affinché «ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore (Kyrios Jesous Christos) » . 116 111 Su quest a linea vedi Conzelmann e BASSLER , « l Co r 1 2 : 3 » , 4 1 7 : anathema Jesous è un'antite­ si a Kyrios Jesous creata da Paolo «ad hoc»; ma anche HuRD , The Origin , 193, AuNE, Prophecy, 257, WoLFF, Der erste Brief, 101 , MEHAT, «L'enseignement» , 401 . 112 Sogget t i vi stic a è la pro post a d i W . F. ALBRJGHT- C . S . MANN , «Two Texts in 1 Corinthians», in NTS 1 6( 1 969s) , 27 1 -276 che p ro po ngo no una corre z io n e testuale tesa a ri c u p e rare il testo originale che sare b be suonato così: Ana athe, emar maran Jesous (lo vengo , dice il S ignore nostro Gesù). 1 13 Ve d i G . JEREMIAS , Der Lehrer der Gerechtigkeit, Gottingen 1 963, che afferma «come già in tempo pre c ri s t i a no Dt 21 ,23 c on t ro il senso proprio del passo è s ta t o riferito anche alla modalità de l ­ la sentenza cap itale consistente nella crocifissione» (ibid. , 1 34) e conclude : «L'applicazione di Dt 2 1 ,23 alla c roc i fiss io ne di G es ù era dunque n o n un prodotto di malevola polemica contro i cristiani, ma corrispondeva come mostra 4QpNah7s alla concez ione giudaica della morte in croce quale morte sotto la m alediz ion e di Dio» (p. 1 35) . 114 Pe r tradurre l'ebraico l} erem i LXX alternano apoleia a anathema. us Schmithals ha creduto di poter leggere nel sogge t t o Jesous il riferimento a l Gesù terreno o storico , in ant itesi con il Cristo risorto , il primo rifiutato e il secondo a cce t t a to dagli gnostic i . Ma le­ sous è an c h e il soggetto della p ro fessi o ne della sua si gn oria di risorto. Paolo non discri mina in questo modo il Gesù pre p asqu a le , a tale punto che usa il titolo Kyrios anche quando fa app e l lo al Gesù sto­ ri co come in 7, 10. 1 2 e in 1 1 ,23 . Da p a rte sua CoNZELMANN , Der erste Brief, 241 rile va che l'antitesi non è t ra Kyrios e /ésous , ma tra Kyrios e anathema. u6 2Cor 4,5 non è pe r fett am ente par all e lo, perché vi manca il motivo della p ro fe s sion e di fede e -

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S e l a specificazione oggettiva della professione di fede è d i marca cristologi­ ca, lo S pirito ne caratterizza il dire soggettivo (eipein) in quanto fonte di questa possibilità I capacità (dynatai) del credente . Si tratta di un potere dato dallo Spi­ rito . La proclamazione della signoria di Gesù , centrale nell'esperienza di fede , come si è visto in Rm 1 0 , 9 , non può essere il risultato di un'autosufficienza uma­ na; è lo Spirito che conduce a Gesù e al riconoscimento , di cuore e di bocca ( cf. Rm 10,9) , di lui come il Signore . Passi paolini in qualche modo simili sono Gal 4,6 in cui all'origine dell'invocazione A bba Paolo pone lo Spirito che nei cuori dei credenti «grida» e Rm 8 , 1 5 dove lo Spirito di Dio sostiene lo spirito di figlio­ lanza del credente abilitandolo a rivolgersi a Dio con l'appellativo di « Papà». 1 1 7 Comunque più vicino al nostro testo è senz'altro l Cor 2,6-16 che presenta lo Spirito come principio attivo della conoscenza - e del conseguente parlare - di realtà non accessibili all'uomo «psichico» che fa affidamento sulle sole sue forze naturali. Ora , come oggetti di conoscenza «spirituale» e di conseguente comuni­ cazione verbale , si menzionano «le profondità di Dio» (ta bathé tou Theou: v. 1 0) , i doni di grazia datici da Dio (ta hypo tou Theou charisthenta hémin : v. 12), quanto Dio ha preparato per quelli che lo amano ( v . 9) , il sapiente disegno divi­ no (v . 7) , ma implicitamente anche il Signore della gloria (ton Kyrion tés doxés) , che gli arconti di questo mondo non hanno conosciuto e per questo lo hanno messo in croce ( v . 8) . Non sono dunque in campo le manifestazioni spirituali , bensì l 'esperienza cristiana di base , qualificata in senso cristologico per un verso e pneumatologico per l'altro e contrapposta all'idolatria. Ed è una sorpresa, perché non rientra di­ rettamente nell'argomento introdotto al v. 1 . In realtà, prima di parlare delle «ispirazioni » , Paolo vuole chiarire la presenza operante dello Spirito nella vita dei credenti . Quelle sono un aspetto complementare , non essenziale della vita cristiana, e lo Spirito non agisce solo nell'ambito delle manifestazioni carismati­ che, essendo fattore necessario della nuova condizione dei credenti , perché principio fontale della confessione cristologica di fede e dello stesso credere nel Signore Gesù . Trattando dei fenomeni ispirati dallo Spirito , sarà pur necessario precisare prima il più vasto e importante campo del suo agire . È appunto ciò che Paolo vuole far subito conoscere ai corinzi, unilateralmente attenti a uno Spirito capace di rapirli in estasi e in «trance». Un motivo in più per escludere le ipotesi sopra menzionate che interpretano il v . 3 come l'introduzione di un criterio di discriminazione tra autentico e falso carisma.

4.2. Lo Spirito ripartisce i carismi tra i singoli credenti (12, 4-11) Con il v. 4 inizia il secondo capo d'informazione incentrato direttamente nel problema, introdotto al v. 1 , dei fenomeni spirituali. Una prima unità , i vv. 4-6, Kyrios non è predicato di lesous , ma apposizione ; Paolo vi afferma che l'oggetto del suo annuncio evangelico è Gesù Cristo come Signore . Allo stesso modo analoga ma non parallela risulta l'espres­ sione di 8,6 che contrappone alla pluralità di dèi e signori l'unicità di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo: heis Kyrios Iesous Christos : «c'è un solo Signore , G esù Cristo» . 1 17 Si veda anche ITs 1 ,5 : il vangelo è stato annunciato a Tessalonica sotto l'azione dello Spiri­ to . È la stessa formulazione del nostro passo : en pneumati hagi6-i.

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si presenta strutturata in tre periodi paralleli , ciascuno dei quali abbina l'unicità del principio attivo divino alla pluralità degli effetti variamente ripartiti . Ecco le due linee del parallelismo dei vv. 4 . 5 . 6 : - l o stesso Spirito - lo stesso Signore lo stesso Dio

i carismi ripartiti i servizi ripartiti le opere ripartite.

Diversi studiosi hanno inteso il sostantivo diaireseis come diversità contrap­ posta direttamente all'identità della fonte . 1 18 Ma il verbo diairein del v. 1 1 , che riassume tutto il brano 4-1 1 , significa di certo ripartizione , non diversità . 1 1 9 E ciò si ripercu ote sul senso di tutta la pericope che , a nostro avviso , si caratterizza non per la semplice contrapposizione tra unicità e pluralità I diversità, come spesso si dice , 120 né per la sola accentuazione dell'unicità della fonte divina, 1 2 1 bensì secondo uno schema triadico : a) l'unica e medesima fonte divina b ) elargi­ sce la sua molteplice ricchezza c) ripartendola tra i diversi credenti . In realtà , i vv . 4-6 sono paralleli ai vv. 5-1 1 , anche se le due unità hanno accenti peculiari. Nei vv . 4-6 non sono esplicitati i beneficiari della ripartizione dei doni div i ni , in compenso se ne accentu a la comune radice divina, articolata per di più secondo i tre artefici: lo Spirito , il Signore , Dio . Nei vv. 5- 1 1 come principio divino di do­ nazione viene menzionato solo «l'unico e medesimo Spirito» e si sottolinea, in rapporto ai molteplici beneficiari , la ripartizione dei doni tra tutti , fattore strut­ turante , oltre che tem atico , del brano. Infatti essa è 1) affermata, in linea di principio , al v. 7 : «A ognuno però viene data la ma­ nifestazione dello Spirito», 2) esemplificata nei vv. 8-10: «Infatti a uno viene data mediante lo Spi rito una parola di sapienza , a un altro invece una parola di conoscenza secondo lo stesso Spirito ; a un altro . . . » , 3) conclusa con l'evidente inclusione del v . 1 1 che riprende i l v . 7 m a anche il motivo delle «ripartizioni» dei vv . 4-6: «Ma tutte queste manifestazioni compi e l'unico e il medesimo Spirito ripartendole a ciascuno in particolare come vuo­ le» . 1 22 v. 4 «Ora, ci sono ripartizioni di doni di grazia , ma è lo stesso Spirito». Dallo Spirito che ispira la confessione di fede cristologica Paolo passa allo Sp iri to che

1 1 8 Vedi CHEVALLIER, Esprit de Dieu , 150 e Fee : «different kinds of gifts» I «diversities» (The first Epi.stle, 583-586) ; Nardoni traduce con «varieties» ; allo stesso mo d o CoTHENET, «Prophétisme•, 1 291 . 119 Così H. Schlier in GLNT I, 495 ss ; Kiimmel , Senft , Wolff, Barrett. Conzelmann si dimostra possibilista : «Zuteilungen (oder: Unterschiede)» . 1 20 çosì per e s . Vos, «Ratsel», 260 e Fee ; per questi però l'accento cade sulla diversità. 121 E la tesi di ScHMITHALS, Gnosi.s, 139: in 12,4- 1 1 Paolo insiste non sulla diversità ma su to hen kai to auto pneuma . 122 HuRD , The Origin, 191s menziona due interpretazioni di tutto il c. 12: la difesa dell'unità della chiesa, la sottolineatura della pluralità dei carismi ; e afferma che a suo parere l'enfasi in 12 ,4· 31 è sulla varietà dei doni, il che vale anche dei cc. 13-14.

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distribuisce i carismi , affrontando direttamente il problema enunciato sopra. Ma si noti subito una particolarità lessicale di non piccolo valore : egli parla di chari­ smata e non di pneumatika , mostrando due sottolineature evidenti . Anzitutto si tratta di doni di grazia divina. Come è stato ben detto da Nardoni , charisma è «Una concreta manifestazione» , «una concrezione » , «una concreta materializza­ zione» della charis («grazia» intesa come azione) . In pratica , dell'azione divina di grazia il carisma è il risultato o l'effetto . Ne segue che i beneficiari non posso­ no menarne vanto né farne motivo per coltivare atteggiamenti di orgogliosa au­ toaffermazione . Non è difficile rilevare nella scelta del termine una punta criti­ ca : «La gratuità dei carismi mette in crisi l'orgogliosa ostentazione dei carismati­ ci di Corinto» (Barbaglio , «Alla comunità» , 467) . Inoltre l'ampiezza materiale del vocabolo charismata , come apparirà nell'elenco dei vv . 8-10, ma anche in quelli analoghi di 1 2 , 8-30 e 13 , 1 -3 . 8, è senz'altro maggiore di quella di pneumati­ ka , ristretto in pratica, come si è visto sopra , dai corinzi alla glossolalia e ai feno­ meni analoghi di parola incomprensibile . Due accentuazioni che rivestono carat­ tere critico o correttivo della posizione degli interlocutori , portati a esaltare la personalità dei glossolali , con la conseguente messa tra parentesi della dimensio­ ne di dono gratuito dei fenomeni spirituali , e unilateramente protesi a un solo ti­ po di manifestazioni dello Spirito (cf. 14, 12) . Tale intento correttivo investe però non solo gli effetti dell'azione dello Spi­ rito, ma la stessa natura dello Spirito del Dio di Gesù Cristo , non riducibile , se­ condo Paolo , a pneuma (soffio) che , penetrando nell'uomo, lo innalza estra­ niandolo da se stesso o potenziandolo in modo da superare se stesso , come si pensava nell'ambiente greco . Infatti non solo è all'origine della confessione del­ la signoria di Gesù (v . 3) , ma anche con la sua azione carismatica va al di là del­ l'individuo per interessare la comunità procurando vantaggio spirituale ai suoi membri . Alla valenza cristologica del suo agire (v. 3) si aggiunge così quella ec­ clesiologica ; sotto il suo influsso i credenti non solo accettano la signoria di Ge­ sù , ma anche diventano membri attivamente solidali nel corpo ecclesiale . Il sostantivo charisma merita di essere precisato nella sua esatta valenza se­ mantica , 123 avendo subìto nel tempo evoluzioni non indifferenti ed essendo di­ ventato , nell'ultimo secolo, un punto nodale delle ricerche esegetiche e dog­ matiche, volte ora a contrapporre una visione carismatica a una concezione giu­ ridico-gerarchica della chiesa (cf. il corifeo Sohm) , oppure a un'armonizzazione tra carisma e ufficio («das Amt») (cf. Brockhaus , Charisma und A mt, 7-94 e l'art . di Schulz) . Soprattutto si guarda con occhio critico - e ne va dato atto e merito soprattutto a Chevallier - all'acritica identificazione di carisma con dono dello Spirito . Charisma non chiama in causa, per se stesso , lo Spirito . 1 24 Anche

123 Vedi qui, oltre allo studio di Nardoni , quelli di Chevallier, Baumert , Dunn (Jesus and the Spirit, 205ss) e von Lips . 124 Si spiega che Paolo in Rm 1 , 1 1 qualifichi il suo progettato apporto alla crescita della comuni­ tà di Roma , che chiama charisma, con l'aggettivo pneumatikon .

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Commento

la qualificazione di servizio reso al progresso spirituale della comunità e dei suoi membri , su cui ha insistito molto per es. Kasemann , sembra restrittiva, come ap­ parirà da un'analisi attenta delle sue ricorrenze nell'epistolario paolino . In real­ tà , non pare che Paolo sia giunto a elaborare un concetto specifico di charisma, capace di esprimere un preciso aspetto della realtà ecclesiale. 125 Di fatto egli usa charisma per indicare doni diversi di grazia , come la giustifi­ cazione (Rm 5 ,15s) , la vita eterna (Rm 6 ,23) , il salvamento da un pericolo mor­ tale (2Cor 1 , 1 1) , l'astinenza sessuale ( l Cor 7 ,7) , un personale contributo alla crescita spirituale della comunità romana (Rm 1 , 1 1) , i doni salvifici promessi da Dio al suo popolo Israele (Rm 1 1 ,29) . A parte sono da considerare i passi speci­ fici e paralleli di l Cor 1 ,7 ; 12,4.9.28 . 30 . 3 1 e Rm 12,3-8, cui si devono aggiungere l Tm 4 , 1 4 ; 2Tm 1 ,6 ; l Pt 4 , 10, testi della tradizione paolina , senza dimenticare Ef 4,7, che continua al v. 1 1 e al posto di charisma usa , come sinonimi , i vocaboli charis (grazia «passive sumpta») e do rea (dono) . 126 Ora l'apostolo si riferisce a doni di grazia divina elargiti ai singoli credenti e aventi , perlopiù , funzione so­ ciale . Si veda il passo parallelo di Rm 12,6 in cui egli enunzia la tesi generale: «Ma avendo diversi carismi (charismata) secondo la grazia (kata ten charin) a noi data» , per poi presentarne un elenco : profezia, servizio (diakonia) , insegnamen­ to (didaskalia) , esortazione I consolazione (paraklesis) , il dare, il presiedere, il compiere gesti di misericordi a (vv. 6b-8) . Si tratta materialmente di funzioni presenti nella comunità, come indica il contesto precedente , in cui si afferma che i credenti sono un solo corpo in Cristo, paragonabile all'organismo umano con molte membra dotate di ruoli diversi (vv . 4-5) . 1 27 In lCor 1 ,4-7 charisma è paral­ lelo alla charis data da Dio e indica i doni di grazia di ogni forma del parlare (pas logos) e del conoscere (pasa gnosis) . 128 125 8ROCKHAUS , Charisma und Amt, 141 , rilevato che in Paolo non c'è un concetto unitario di carisma, distingue tra un uso linguistico specifico , presente in lCor 12-14 e Rm 12, e uno non specifi­ co ; così anche ScHULZ, «Charismenlehre», 446. In realtà, e qui ha ragione Chevallier, il vocabolo per se stesso e sempre dice solo donazione di grazia divina e può essere riferito a diverse realtà. E NAR DO NI, «Concept of Charism», 69 , a ragione nega che carisma sia in Paolo un termine tecnico. Neppure la dimensione di servizio sociale (diakonia) , che per Brockhaus e molti altri ( cf. Kiisemann soprattutto ) segna la specificità di charisma, può essere fatta valere ; infatti negli elenchi dei carismi dei cc . 12-14 Paolo inserisce sempre la glossolalia, che per se stessa non può essere detta un servizio reso alla comunità . B ROC KHA U S , ibid. , 141 invece ha perfettamente ragione quando afferma che cha­ risma , a differenza di charis , non è un concetto centrale della teologia paolina . KAsEMANN , «Uffi­ cio» , 4 invece ritiene che Paolo abbia elaborato il concetto tecnico di carisma, sotto il cui segno ha descritto «la natura e il compito di tutti 'i servizi e le funzioni ecclesiastici», seguito in questo dalla sua tradizione . 126 BAUMERT, «Charisma» , 206 rileva come Filone , che poco o per nulla usa il vocabolo chari­ sma, conosce charites e doreai che hanno lo stesso significato di charisma in Paolo. 127 R. Pesch traccia un accurato confronto tra questo passo e lCor 12 intervenendo nella discus­ sione sulla relazione di J . S . Bosch , «Le corps du Christ et !es charismes» ; vedi il volume curato da L. DE .LoRENZI , Dimensions de la vie chrétienne (Rm 12-13) , ed. Benedictina , Rome 1979, 78s. 128 In lTm 4,14 si parla del charisma dato a Timoteo da Dio e mediato da una liturgia ecclesiale; che abbia carattere funzionale emerge dalla stessa esortazione a non trascurarlo e dagli imperativi del contesto riguardanti l'obbligo di esortare (paraklèsis) e insegnare (didaskalia) (cf. anche 2Tm 1 ,6) . In l Pt 4,10 leggiamo: «Ciascuno (si comporti ) come ha ricevuto un dono di grazia (charisma), mettendolo a servizio gli uni degli altri (eis heautou.s auto diakonountes)» e specifica i carismi del par­ lare con p arole divine e del servizio con l'energia che Dio dispensa (v . 1 1 ) .

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Ritornando al nostro passo, si può rilevare come il carattere gratuito del do­ no divino emerga non solo dal vocabolo, ma anche dal contesto . In chiusura in­ fatti il v. 6, riferendosi ai carismi, ai servizi e alle operazioni summenzionati , af­ ferma che D io è «colui che opera (ho energon) tutto in tutti » ; il v. 7 poi parla di manifestazione dello Spirito che viene d ata (didotai) a ognuno ; infine il v . 1 1 ri­ pete che è lo Spirito a mettere in opera (energei) , ripartendole (diairoun) , tutte le manifestazioni «spirituali» . In questi passi però appare che la fonte divina dei doni di grazia è detta ora lo Spirito e ora Dio , per non dire dei servizi che sono attribuiti all'agire del Signore (v. 5). Per questo il rapporto dello Spirito con il carisma non appare così fisso ; essenziale invece è la valenza di dono divino di grazia, dono attribuito spesso allo Spirito ( vv . 4 . 7 . 8-10. 1 1 ) , ma anche a Dio (v. 6; cf. v . 28: Dio ha posto nella chiesa . . ) . 1 29 Ciò ci permette di guardare con occhio critico alla contrapposizione , in cam­ po ecclesiologico , tra carisma e Spirito da una parte e istituzione e diritto dall'al­ tra , enunciata da Sohm , rielaborata da Harnack e precisata in seguito da altri : 130 contrapposizione che ha dato origine a tesi di questo genere : 1) con l'introduzio­ ne di forme istituzionali nella chiesa è andata tradita l'originaria ispirazione cari­ smatico-spontaneistica delle comunità protocristiane ; 2) nello stesso proto-cri­ stianesimo esistevano due forme antitetiche di comunità, quelle basate sul tra­ sporto dello Spirito (cf. Paolo) e quelle guidate da capi gerarchici (cf. il proto­ cattolicesimo delle Pastorali e di Luca) ; 3) lo Spirito è all'origine sia dei cosid­ detti carismi sia dell'ufficio («das Amt») : soluzione irenica. Il termine carisma in Paolo dice riferimento «in primis» non alla spontaneità dello Spirito antitetica al peso dell'autorità, bensì alla grazia divina, di cui è dono, contrapposta all'orgo­ gliosa ostentazione di sé da parte dell'uomo . .

vv. 5-6 «e ci sono ripartizioni di servizi , ed è lo stesso Signore e ci sono ripar­ tizioni di opere , ma è lo stesso Dio , colui che opera tutto in tutti» . Il parallelismo tra questi versetti e il precedente dice che doni di grazia, servizi e opere sono grandezze analoghe, se non identiche . Certo , la valenza semantica dei tre voca­ boli è diversa, perché indicano per se stessi il dono divino gratuito , il servizio re­ so agli altri e il risultato concreto di un operare. Anche la fonte da cui scaturisco­ no non è sempre la stessa, essendo indicata ora nello Spirito , ora nel Signore e in

129 Negli altri passi in cui ricorre charisma, o l'equivalente charis, il dono di grazia è riferito di regola a Dio, ma anche Cristo è menzionato due volte : lCor 7,7 (charisma ek Theou); 1 ,4 (te-i chariti tou Theou te-i dotheisi!-i hymin en Christ6-i li!sou) ; Rm 12,3 e 6 (ti!s charitos ti!s dotheisi!s h6-i ho Theos emerisen I charismata kata ti!n charin ten dotheisan) ; 2Tm 1 ,6 (charisma tou Theou : cf. lTm 4,14: implicito , essendo il testo parallelo ) ; l Pt 4 , 1 0 (charisma I charis Theou) ; Ef 4,7 (edothi! hi! cha­ ris kata ton metron ti!s di"Jreas tou Christou) ; 4, 1 1 (Ed egli < Cristo > ed6ken tous men apostolous, tous de prophi!tas, tous de euaggelistas : cf. lCor 1 2 ,28) . 130 Vedi soprattutto il volume di Brockhaus (Charisma und Amt, 7-94 ) e gli studi di ScHULZ, «Charismenlehre» ; R. ScHNACKENBURG , «Charisma und Amt in der Urkirche und beute», in Mii TZ 37 ( 1986 ) , 233-248 ; U . Luz , «Charisma und Institution in neutestamentlicher Sicht», in Ev Th 49 ( 1 989 ) , 76-94 . . . .

. . .

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terzo luogo in Dio. Ma i diversi vocaboli si riferiscono complessivamente ai fe­ nomeni «spirituali» che sono l'oggetto dello scambio epistolare e che in modo esemplificativo saranno elencati nei cataloghi di 12,8- 1 0 . 28 . 29-30. Sembra di po­ ter dire che la prima denominazione li abbraccia tutti , sottolineandone il caratte­ re di dono di grazia. Il vocabolo carisma però viene usato negli elenchi suddetti per indicare specificamente le guarigioni (charismata iamat6n : vv . 9 . 28 . 30) , for­ se una formula fissa già in uso negli ambienti protocristiani . Il termine servizio invece , che non ritornerà più nel complesso dei cc. 12-14, non può valere della glossolalia , che racchiude il beneficiario nell'ambito del rapporto con Dio ed è incapace di recare frutto spirituale ai partecipanti all'assemblea ecclesiale , come il c. 14 sottolineerà. Si applica invece ai molti altri «carismi» i quali , come le membra in un organismo, svolgono, all'interno della comunità cristiana , funzio­ ni di cui si ha bisogno (chreian echein : 12,21 . 24 ) e che sono necessarie (anagkaia eisin : v . 22 ) per la crescita e il progresso spirituale dei singoli credenti . Il c. 14 poi specificherà il servizio reso come «edificazione» degli altri e della comunità. In Rm 1 2 ,7 il servizio (diakonia) è un carisma accanto ad altri elencati . Di Stefana e della sua famiglia lCor 16,15 afferma che si sono messi a servizio (eis diakonian) della comunità corinzia. Tema centrale della 2Cor è il servizio (he diakonia) che Paolo rende da apostolo (cf. 3 ,8. 9 ; 4, 1 ; 5 , 1 8 ; 6 ,3 ; 1 1 , 8 ; diakonos in 3 , 6 ; 6,4; 1 1 ,23 ) . Anche la colletta per i cristiani di Gerusalemme è detta dia­ konia (2Cor 8,4; 9 , 1 . 12. 1 3 ; Rm 1 5 , 3 1 ) . La parola «opere» (energemata) è ripresa i n seguito per indicare azioni mira­ colose : ((opere miracolose» (energemata dyname6n) (v . 10) . 1 31 Per questo rite­ niamo132 che non si applichi ai carismi di parola , mentre vi rientrano ottimamen­ te quelli di carattere operativo , dunque , oltre ai miracoli , le opere assistenziali (antilempseis) e le azioni direttive (kyberneseis) (v . 2 8 ) . L'attribuzione poi dei carismi allo Spirito , dei servizi al Signore e delle ope· razioni a Dio non sembra essere motivata da ragioni d'intrinseca ed esclusiva connessione . Di fatto «carisma» spesso è detto altrove dono dato da Dio, come si è rilevato sopra, e il servizio è anche attribuito all'azione dello Spirito (cf. 2Cor 3 ,8 ) o di Dio (cf. 2Cor 5 , 1 8 ) . Inoltre Dio è «colui che opera (energ6n) tut­ to» , cioè i carismi , i servizi e le opere ; senza dire che al v . 1 1 la messa in opera dei carismi elencati nei vv. 8-10 è attribuita allo Spirito . Si può concludere che Paolo non appare interessato ad affermare uno speciale e magari esclusivo rap­ porto tra carismi e Spirito , servizi e il Signore , opere e Dio , bensì a sottolineare e allargare il motivo dell'unica fonte divina mediante la formula triadica Spirito, Signore , Dio (cf. lo studio di Martin) . Questa riappare , sia pure in ordine diver­ so , in 2Cor 1 3 , 1 3 ; successivi sono i testi Ef 4 ,4-6; lPt 1 ,2 e Mt 28, 19 . Lo schema triadico paolino in realtà specifica il mondo divino da cui scendono sulla terra, in

131 Nel secondo catologo de l c. 12 a tale formula corrisponde il semplice vocabolo «miracoli• (dynameis) . 132 Si tende invece a far equivalere materialmente i tre termini carismi, servizi, operazioni.

lCor 1 2 , 4- 1 1

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concreto nella comunità cristiana , tutte le manifestazioni soprannaturali capaci di fare dei cristiani persone «spirituali» . Anche l'espressione conclusiva «colui che opera tutto in tutti» , che nella struttura parallela triadica costituisce un ele­ mento aggiunto , si spiega quale ulteriore espansione della prospettiva teolo_gica : l'apice della grandiosa piramide dell'universo reale è Dio , principio fontale di tutta la realtà creata. In quanto espressiva di totalità la sostanza di questa formu­ la teologica appare in 8,6, cui rimandiamo per i problemi interpretativi e di com­ parazione religionistica che solleva. Qui rileviamo solo che essa è limitata al­ l'ambito dei fenomeni spirituali e riguarda tutti i credenti. 133 La proposizione conclusiva «colui che opera tutto in tutti» conferma quanto è stato rilevato sopra, cioè che è insufficiente leggere il testo con lo schema bina­ rio di unità e pluralità. Alla pluralità di carismi, servizi, operazioni e all'unità della fonte divina , infatti si deve aggiungere il motivo della distribuzione a tutti i credenti o della pluralità I totalità dei credenti fruitori. 1 34 vv. 7 - 1 1 I vv. 4-6 non hanno precisato a chi vengono distribuiti i carismi , i servizi , le opere e neppure a qual fine ciò avviene. È il duplice complemento che vi recano i vv. 7-1 1 con le formule «a ognuno» (ekasto-i) e «per l'utilità» (pros to sympheron) . Essi però abbandonano la formula trinitaria per parlare solo dello Spirito come principio attivo dei carismi . È una conferma del fatto che quella era solo un'espansione del motivo dell'unità fontale delle manifestazioni spiri­ tuali . All'interno di questa unità il v. 7 costituisce un'affermazione di principio, una «propositio» , che i vv . 8- 10 sono chiamati a dimostrare , solo però quanto ai motivi della diversificazione dei doni elargiti ai beneficiari e della presenza ope­ rativa dello Spirito . Invece il tema dell'utilità resta solo enunciato ; verrà ripreso più avanti nel paragone del corpo e nella discussione del c. 14. Il v. 1 1 riprende per un verso il v. 7 e per l'altro i vv . 4-6, in particolare il v. 6. Vi ritornano infatti i motivi dello Spirito donatore dei carismi a ciascun credente (idia-i ekasto-i, cf. ekasto-i del v. 7) , della distribuzione dei doni di grazia (diairoun , cf. diaireseis dei vv. 4-6) e della loro messa in opera (energei, cf. ho energon del v . 6) . Esso però aggiunge un elemento specifico e nuovo , la libertà dell'agire donatore dello Spirito : «Come vuole» . v. 7 «A ognuno però viene data la manifestazione dello Spirito a scopo di uti­ lità» . Il versetto presenta tre aspetti di rilievo . Anzitutto vi si afferma che cia­ scun credente è beneficiario della donazione carismatica. Conzelmann ritiene che l'accento cada non su ekasto-i I «a ciascuno» bensì su pros to sympheron I

133 La formula en pasin potrebbe essere letta al neutro («in tutte le cose») , ma il maschile s'im­ pone in un contesto che parla di distribuzione (diaireseis I diairein) di questo o di quel carisma a que­ sto o quel credente . 134 La formula en pasin esprime una totalità assoluta o solo relativa, cioè si riferisce a tutti i membri della comunità cristiana, oppure a tutti gli «spirituali»? Ogni tentativo di restrizione sembra ingiustificato, atteso anche il brano complementare e, per certi versi, parallelo dei vv . 5-1 1 .

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«per l'utilità» , per cui l'espressione non sarebbe da assumere in termini rigoro­ si . 1 35 Ma un accento non esclude l'altro . Di fatto la formula «a ognuno» ha una posizione strategica importante , costituendo il passaggio dalla tesi generale della distribuzione dei carismi , dei servizi e delle operazioni (vv. 4.6) alla specificazio­ ne dei fruitori . E qui essa riprende l 'espressione finale del v. 6: «in tutti» Dio mette in opera i carismi. Soprattutto si noti l'inclusione del v. 1 1 : lo Spirito di­ stribuisce i suoi doni «a ciascuno in particolare» (idia-i ekasto-i) . L'autore vuol dire che nessun credente è escluso dalla distribuzione dei carismi 1 36 e che di que­ sti non si dà alcuna concentrazione , tanto meno monopolizzazione , da parte di questo o di quel credente. Si tratta di una sottolineatura non priva di punta criti­ ca verso la posizione aristocratica ed elitaria 1 37 della chiesa di Corinto che ritene­ va «spirituali» solo alcuni credenti , quelli beneficiari della glossolalia e di forme analoghe di parola estatica. In secondo luogo il v . 7 presenta una nuova terminologia per indicare i feno­ meni spirituali : «la manifestazione dello Spirito» . Il singolare però , in stretto rapporto con i plurali dei vv. 4-6, l'elencazione dei vv. 8-10 e la formula conclusi­ va del v. 1 1 («Tutte queste m anifestazioni » : panta de tauta) deve essere compre­ so come un singolare collettivo che indica tutto il mondo delle manifestazioni dello Spirito . L'espressione comunque si presta a una duplice lettura secondo la diversa interpretazione del genitivo . Nella prima vi si indica la rivelazione dona­ ta dallo Spirito , 138 nella seconda il senso è che lo stesso Spirito si manifesta e si rende visibile nei carismi . Ora il contesto spinge nella seconda direzione , perché nei vv . 8-1 0 , che in modo esemplificativo dicono ciò che rientra nella «manife­ stazione dello Spirito», si elencano non solo manifestazioni verbali , come parola di sapienza , parola di conoscenza , profezia , glossolalia , ma anche carismi opera­ tivi che non fanno parte dell'ambito rivelativo ; mi riferisco alle guarigioni , ai mi­ racoli , alla fede taumaturgica . In tutti invece vale la qualifica di espressioni uma­ ne straordinarie in cui si disvela , rendendosi visibile , Io Spirito, loro principio fontale. 1 39 Ma Io stesso contesto immediato suggerirebbe il primo significato, perché nei vv. 8- 10 lo Spirito è inteso come donatore delle manifestazioni . Si è

135 Così anche Senft e VANHOYE, I carismi, 65 che scrive: «L'intenzione di Paolo non è dunque di affermare che ogni cristiano è necessariamente carismatico, ma soltanto che una certa distribuzio­ ne dei charismata viene fatta in vista dell'utilità». 136 KAsEMANN , «Ufficio» , 14 dice bene : «Nessuno resta a mani vuote» e ancora prima, a p. 7, riassume così il senso del brano: a ciascuno il suo carisma. Vedi anche GREEVEN , «Propheten», 8. Da parte sua Dupont, tracciando il bilancio del «Colloquium paulinum» del 1981 pubblicato a cura di DE LoRENZl , Charisma und Amt, afferma che il possesso di carismi è «il privilegio di tutti» (p. 2n) ; e BROCKHAUS , Charisma und Amt, 162 annota che per Paolo essere pneumatici non è esclusiva di alcu­ ni , ma proprietà di tutti . 137 BASSLER, « l Cor 12:3», 416 parla di «pneumatic elitism» . 1 38 Così R. Bultmann-D . Liihrmann in GLNT IX, 845s e il commentario di Conzelmann. 139 Nella sua monografia LOHRMANN, Das Offenbarungsverstiindnis, 28 parla di un «Offenbarwerden des Geistes». Il sostantivo phanerosis appare di nuovo nel NT soltanto una seconda volta in 2Cor 4,2 con la formula sempre genitivale phanerosis tes aletheias: è manifestando apertamente la verità che Paolo si presenta.

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congetturato da parte di Weiss che fosse un linguaggio dei corinzi , fatto proprio da Paolo . Questi comunque l'usa senza restrizioni e mettendo in primo piano lo Spirito quale fonte delle manifestazioni spirituali . La soluzione migliore sembra quella che unisce le due valenze diversamente accentuate dai corinzi e dall apo­ stolo. Per ultimo il v . 7 precisa il fine della donazione : «per l utilità» (pros to sym­ pheron) . Nella forma leggermente variata di to symphoron il sostantivo è stato usato da Paolo in altri due passi della l Cor: quanto egli dice ai corinzi è per il lo­ ro vantaggio spirituale (7,35 ) ; lui stesso , presentandosi come modello , confessa di perseguire ciò che è utile o vantaggioso non a sé, bensì a molti ( 10,33) . Si ag­ giungano altri due passi della l Cor in cui ricorre il verbo corrispondente sym­ pherein : Paolo risponde criticamente allo slogan sbandierato a Corinto : «Tutto mi è lecito» precisando : «Ma non tutto giova I è utile» (6, 1 2 e 10,23) . Come è stato mostrato sopra, è un tema abituale nella diatriba stoica che ha ispirato l'a­ postolo . Non si tratta di utilità materiale , bensì di vantaggio in ambito salvifico . Per se stesso però il vocabolo non esprime una valenza comunitaria o socia­ le , che potrà essere presente solo se indicata con pre cisazioni della formula ( cf. 7 ,35 e 10,33) oppure imposta dal contesto . 140 Nel nostro passo ci si dovrà affida­ re a questo secondo criterio. Il motivo è solo enunciato e non ripreso nei vv. 81 1 , come abbiamo detto sopra . Una sua ripresa , al di là della terminologia ap­ pare senz'altro nel c. 14 che indica nell'edificazione della chiesa e dei fratelli il ri­ sultato e lo scopo dei carismi attuati nelle riunioni ecclesiali ( cf. 14,3 . 4 . 5 . 12. 17) . La connessione più stretta con il nostro passo comunque è presente senz'altro in 14,6: Paolo si domanda retoricamente in che cosa potrebbe giovare (ti hymas opheleso) "ai corinzi se venisse a Corinto e partecipasse alle loro riunioni comuni­ tarie parlando da glossolalo invece che da profeta: in nulla, è la risposta sottinte­ sa. Del tutto diverso invece sarebbe se parlasse loro «O con discorso rivelativo o con parola di conoscenza o con intervento profetico o con pronunci amento dot­ trinale» . Ma anche il paragone del corpo di 1 2 , 1 2-26 sviluppa, in modo figurato , il suddetto motivo : le singole membra dell'organismo sono tutte necessarie al suo buon funzionamento (vv. 21 -22) e le une si prendono cura delle altre (v. 25) . Tutto ciò porta a intendere in senso sociale il motivo dell'utilità del v. 7: i ca­ rismi sono dati per il vantaggio spirituale della comunità o di altri credenti . Si ag­ giunga che in 10,23 il verbo sympherein I «essere utile» è usato in parallelo con oikodomein I «costruire» . In proposito si registra quasi un consenso unanime de­ gli studiosi. Per es. Maly , Miindige Gemeinde, 188 dice che a pros to sympheron è sottinteso tes ekklesias (per l utilità della chiesa) o qualcosa di simile . Anche Lietzmann e Conzelmann congetturano questo sottinteso : te-i ekklesia-i. 141 Non '

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140 Di fatto in 6, 12 e 10 ,23, come si è visto sopra, l 'utilità riguarda il singolo e la sua crescita spi­ rituale . Per questo VANHOYE , I carismi, 60 respinge con forza le traduzioni che aggiungono una de­ terminazione inesistente nel testo: «per l'utilità degli altri». Non prende però in considerazione il contesto. 141 Ve di anche Barrett che traduce «in vista del profitto reciproco» , Fee che dà questa versione: «per il bene comune» .

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manca però chi canta fuori coro: B aumert, Charisma und A mt, 221 afferma in­ fatti con forza che non è legittimo tradurre to sympheron con «utilità comune» , rilevando come non tutti i fenomeni dello Spirito siano a servizio degli altri . Ef­ fettivamente la glossolalia, elencata nel catalogo dei vv. 8-10, che riprendono in termini più analitici il v. 7, non reca alcuna utilità agli altri. Nel c. 14 Paolo dirà: «Chi parla in modo glossolalico edifica se stesso » , a differenza del profeta che «edifica l'assemblea ecclesiale» (v. 4) . Parimenti al v . 6 , già citato , egli nega di poter giovare ai corinzi se parlasse loro in lingue . Tutto vero , ma non è sufficien­ te a scalfire la forza degli argomenti addotti a favore della prospettiva sociale del motivo dell'utilità nel complesso dei cc. 12-14. Nei vv. 8- 10 esso resta come so­ speso ; perciò non si può imputare a chi scrive un'incoerenza se elenca anche la glossolalia, carisma di nessun giovamento agli altri credenti . Sarà sviluppato più avanti , soprattutto nel c . 14, in senso altruistico . In breve , la finalità generale , se non assoluta, della donazione divina dei ca­ rismi ha carattere sociale o ecclesiale . I carismatici sono chiamati a vivere il do­ no di grazia ricevuto rispettando il fine per cui ne sono stati beneficiati , collocan­ dosi cioè nella comunità cristiana con un preciso impegno di solidarietà , che trae ragione non da considerazioni moralistiche , bensì dalla fedeltà allo Spirito dona­ tore. La dimensione ecclesiologica dei fenomeni spirituali caratterizza il pensie­ ro di Paolo , critico nei confronti dell'egocentrismo dei corinzi , soprattutto degli «spirituali» della città dell'istmo . vv. 8-10 Con la ripresa del verbo didotai (viene dato) Paolo passa a tracciare il primo catalogo delle manifestazioni dello Spirito del nostro complesso lettera­ rio . Ne sono elencati nove : parola di sapienza I parola di conoscenza I fede I doni di grazia di guarigioni I opere miracolose I profezia I discernimenti degli spiriti I generi di lingue I interpretazione delle lingue. Ora tre soltanto sono carismi ope­ rativi : fede , guarigioni , miracoli ; tutti gli altri sono carismi di parola. Lo stesso rilievo s'impone nella lettura degli altri due cataloghi dei vv . 28 e 29-30 che men­ zionano di nuovo nove carismi ; di essi però soltanto cinque sono comuni al pre­ cedente (che qui indichiamo con l'asterisco) : apostoli I profeti* I maestri I guari­ gioni * I attività assistenziali (antilémpseis) I attività di governo (kybernéseis) I miracoli * (dynameis) I glossolalia * I interpretazione * . Ora alla categoria dei ca­ rismi di parola appartengono, di certo , i profeti , i maestri (dikaskaloi) , la glosso­ lalia e la sua interpretazione , ma anche , si pensa, gli apostoli portatori del lieto annuncio cristiano . 1 42 Nel c. 13 sono nominati , ai vv. 1-2, glossolalia , profezia, conoscenza dei misteri , fede taumaturgica e ai vv . 8-9 profezia, glossolalia, co­ noscenza (gnosis) . I l c . 1 4 è incentrato nel confronto d i profezia e glossolalia , prototipi dei cari­ smi di parola comprensibile e di parola incomprensibile . Data questa polarizza-

1 42 Sull'apostolato come carisma vedi lo studio di von Lips, ma la cosa sarà approfondita nell'a­ nalisi del passo .

l Cor 1 2 ,4- 1 1

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zione si comprende , anzitutto , che siano passati sotto silenzio i carismi operativi , già in sott'ordine nei cc. 12 e 13. Quanto alla glossolalia poi si distinguerà il caso che sia interpretata o tradotta (cf. vv. 5 . 27-28 che menzionano il carisma dell'in­ terpretazione) . Infine , definita la profezia come parola comprensibile, si capisce che Paolo la presenti accompagnata da carismi che verificano questa condizione . In concreto , abbiamo due cataloghi ; il primo al v . 6 menziona il discorso rivelati­ vo I la parola di conoscenza I l'intervento profetico I il pronunciamento dottrina­ le ; 1 43 il secondo al v. 26 comprende però anche la glossolalia e la sua interpreta­ zione : salmo I insegnamento I rivelazione I glossolalia I interpretazione (v . 26) . Si aggiunga, per completezza, che come effetti della parola profetica al v . 31 so­ no nominati l'ammaestramento e la paraclesi . L'importanza manifesta dei carismi di parola ci rimanda al problema specifi­ co dello scambio epistolare : a Corinto lo Spirito era visto operante nella parola misteriosa dei glossolali o degli estatici; Paolo supera l'unilateralismo dei suoi interlocutori , mantenendosi però in prevalenza nello stesso ambito , con netta preferenza per quei carismi che permettono la comprensione ai presenti . 1 44 Co­ munque non bisogna disattendere il fatto che l'orizzonte del discorso paolino è segnato dal luogo «sociale» dell'attività carismatica , cioè dall'assemblea cristia­ na. Parola (comprensibile) e comunità (convocata) sono strettamente connesse. I riferimenti suddetti , tutti interni al nostro complesso ,145 mostrano non solo una varietà sorprendente dei componenti dei vari cataloghi, ma anche una varie­ tà , forse ancor più sorprendente , di denominazioni . Più spesso si indica, non senza differenze terminologiche , l'attività carismatica o anche la capacità di fa­ re , come per es . la fede taumaturgica ; meno frequenti sono le qualifiche perso­ nali , come apostoli , profeti , maestri . 146 La realtà cosidetta carismatica è ancora allo stato fluido , non essendo il discorso teologico ancora giunto a tracciare netti confini tra un fenomeno e l'altro ; soprattutto appare assente , nella m aggioranza dei casi , l'identificazione tra attività carismatica e persona che l'incarn a ; l'inte­ resse di Paolo verte più sul carisma che sul carismatico . Per es. il glossolalo non è indicato con un termine proprio , ma solo con il participio attivo del verbo la-

143 Ved i anche la parola catechetica (katechein) m e nzio n a t a al v. 1 9 , carisma sinonimo dell'inse­ gnamento (didache) . 1 44 Dice a ragione Maly nella sua monografia che l'esperienza del Pneuma era concentrato a Corinto sulla parola e che la forma ideale della parola spirituale indirizzata alla comunità è vista da Paolo nella profezia (Mundige Gemeinde, 244s) . 145 Ma, pur restando nell'ambito delle lettere paol i n e autentiche , si possono analizzare anche i cataloghi di l Cor 1 ,4-7 e di Rm 12,6-8 . Il primo menziona solo due carismi , visti p e rò come generi che implicano ciascuno più carismi : ogni genere di parola e di conoscenza (en panti logo-i kai pase-i ,gnosei) , in cui Paolo comprende tutti i carismi, come dice il v. 7. In Rm 12 il catalogo enumera profe­ zia, servizio (diakonia ) , insegnamento (didaskalia) , esortazione o consolazione (paraklesis) , dona­ zione caritatevole (metadidomi) , governo (proistamai) , gesti di misericordia (eleein) . 146 Nel passo di Rm 12, appena sopra richiamato, per indicare il carismatico si usa il participio del verbo corrispondente : ho didaschon (chi insegna) , ho parakalon (chi esorta I consola) , ho meta­ didous (chi dà) , ho pro'istamenos (chi presiede) , ho eleon (chi fa opere di misericordia) .

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lein (parlare) specificato dal complemento (en) glossais I glosse-i (con lingue I lingua) . La distribuzione dei carismi avviene per opera dello Spirito come dicono le formule : «mediante lo Spirito» (dia tou pneumatos) I «Secondo lo stesso Spirito» (kata to auto pneuma) /147 «per mezzo dell 'unico Spirito» (en to-i eni pneuma­ ti) . 148 La ripetizione delle espressioni non è casuale : Paolo sottolinea il fatto che della pluralità dei carismi distribuiti ai singoli credenti si ha un'unica e stessa fonte , lo Spirito . Per completare l 'analisi del brano resta da esplicitare la natura dei nove cari­ smi elencati. I primi due hanno in comune la qualifka di logos ( cf. Dupont, Gnosis , 220-235 ) . In l Cor 1 ,5 Paolo loda Dio perché i corinzi sono arricchiti di ogni parola (en panti logo-i) e in 2Cor 8,7 riconosce che essi sono ricchi di fede, parola (logo-i) e conoscenza (gnosel) . Si tratta di parola ispirata dallo Spirito e per questo distinta dall' annuncio evangelico , che è parola di Dio (cf. per es. 14,36 ; 2Cor 2 , 17 ; 4,2; lTs 2 , 1 3 : parola non di uomini , ma di Dio) per il suo con­ tenuto e messaggio destinato al grande pubblico dei non-credenti . Vale sia della glossolalia sia della profezia , come appare in 14 , 1 9: «in un' assemblea ecclesiale preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza (pente logous to-i noi mou), per istruire anche altri , piuttosto che diecimila parole in modo glossolalico (my· rious logous en glosse-i) » . Più frequente comunque è l a ricorrenza del verbo lalein che nel complesso letterario dei cc. 1 2-14 ha il senso tecnico di proferire parole dettate dallo Spiri­ to. Così all'inizio Paolo prende in esame il caso di chi «parla per mezzo dello Spirito» (en pneumati Theou la/on) ( 1 2 , 3 ) e in 14 ,2 dice che il glossolalo «in spi­ rito (pneumati) proferisce (lalei) misteri». In molti passi poi (cf. 12,30; 13 , 1 ; 14,2. 5bis . 6 . 1 3 . 1 8 . 23 . 27 . 39) i l verbo s i presenta specificato dal dativo singolare o plurale di «lingua» (lalein glosse-i I (tais) glossais) . Del profeta invece si afferma che «ad uomini proferisce parole (!atei) capaci di edificazione , esortazione e consolazione» ( 1 4 , 3 ) . In 14,6 lalein appare specificato da rivelazione (en apoka­ lypsei) , conoscenza (en gnosei) , profezia (en propheteia-i) , insegnamento ( en di­ dache-i) . Infine in 14 ,29 Paolo stabilisce che nell'assemblea solo due o tre profeti possano proferire parole ispirate (laleitosan) . 149 Dello Spirito fonte ispiratrice non solo di realtà divine misteriose , ma anche di un linguaggio congruo al conte­ nuto della parola , l'apostolo ha parlato soprattutto in 2,6-16. I primi due carismi elencati sono qualificati come «parola di sapienza» (logos sophias) e «parola di conoscenza» (logos gnoseos) (cf. Dupont, Die Gnosis, 247263) . Si tratta di vocaboli tipici della l Cor. Con il primo , all'interno della sua 147

cambia. t4K 149

La formula esprime propriamente la norma secondo cui sono dati i carismi , ma il senso non Leggiamo la preposizione

en

in senso causale .

D u PONT, Gnosis , 226 in dica , come passo parallelo del NT, Mt 1 0 , 1 9-20 : tradotti davanti ai

tribunali, i discepoli di Cristo non.devono preoccuparsi di ciò che saranno chiamati a dire (lalèsete), perché sarà loro suggerito ciò di cui parleranno (lalèsete) ; sarà infatti lo Spirito a parlare in loro.

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lCor 12,4- 1 1

«theologia crucis» , Paolo definisce il messaggio cristiano incentrato nel crocifis­ so , espressione del sapiente disegno salvifico divino antitetico alla sapienza di «questo mondo» (cf. cc. 1-3) . La parola di sapienza dunque dice riferimento al contenuto del vangelo , per il mondo scandaloso ma sapiente per Dio (cf. 1 ,2324 ) Anche la conoscenza (gnosis) ha una chiara connotazione religiosa: nel c. 8 significa la certa persuasione dell'esistenza di un solo Dio e della nullità degli idoli ; in 2,6-16 lo Spirito è detto fonte di conoscenza dei doni divini di grazia (ta hypo tou Theou charisthenta) . In 14,6 il parlare con conoscenza (en gnosei) ha una prospettiva concreta: giovare alla crescita spirituale dei presenti. 1 50 Nel c. 13 infine Paolo sottolinea la parzialità del conoscere Dio , attuale esperienza dei credenti , cui fanno da contrappunto , ora , la perfezione dell'agape e , al di là del­ la storia, un conoscere pari all'essere da lui conosciuti (v. 1 2) . L a fede (pistis) , dono d i grazia particolare dato a uno piuttosto che a u n al­ tro , deve essere intesa quale fede taumaturgica , come appare in 1 3 ,2 che ripren­ de di certo un detto della tradizione gesuana: «Se ho tutta la fede così da sposta­ re monti (hoste ore methistanai)» ; cf. Mt 17 ,20: «se avrete fede nella misura di un chicco di senape , potrete dire a questo monte : "Spostati (metaba) da qui a lì" ed esso si sposterà (metabesetai)» . Rientra dunque nel genere più vasto dei gesti prodigiosi ( dynameis) , menzionati ai vv . 10 e 29 . 1 5 1 La formula «doni di grazia di guarigioni» (charismata iamaton) , ripetuta ai vv . 28 e 30, dice riferimento alle capacità operative guaritrici dei malati . Si tratta dunque di un carisma che rientra nel più vasto campo della taumaturgia. La tra­ dizione sinottica ha non poco materiale formato da racconti di guarigioni (verbi iaomai e therapeuo) operate da Gesù. Essa conosce anche , in prospettiva missio­ naria, la trasmissione del potere di guarire da Cristo ai discepoli (cf. Mt 10, 1 ; Le 9 , 1 ) . In Mc 16, 1 8 guarire i malati fa parte dei segni che compiranno i discepoli mandati dal risorto ad annunciare il vangelo . Da parte sua il libro degli Atti nar­ ra non poche guarigioni compiute dai predicatori cristiani (cf. anche qui i verbi iaomai e therapeuo , nonché il sostantivo astheneia I infermità) . L'espressione «opere miracolose» (energemata dynameon) ha il suo corri­ spettivo nel semplice sostantivo dynameis dei vv . 28 e 29. Si tratta di azioni pro­ digiose in generale, a cui in 2Cor 1 2 , 1 2 Paolo fa appello come a contrassegno della sua apostolicità : «Certo i segni dell'apostolo (ta sémeia tou apostolou) sono stati realizzati in mezzo a voi in tutta costanza, in segni e prodigi e miracoli (se­ meiois I terasin I dynamesin)». Della profezia tratta a lungo il c . 14 che la confronta con la glossolalia. 1 52 Due sono le sue caratteristiche essenziali, dice Grudem , The Gift, 143 : anzitutto .

150 151

Gnosis, 252 insiste su tale dimensione morale della gnosis. Il consenso degli studiosi è qui rotto da ScHMJTHALS , Gnosis, 139-140, che l'intende nel suo significato usuale: se a uno viene dato il dono della predicazione (logos sophias, logos gnoseos) , al­ l'altro soltanto la fede che ne è prodotta . 152 Cf. soprattutto DuPONT, Gnosis 201 -212, le monografie di Grudem e Dautzenberg, Frie­ drich in GLNT, i contributi specifici di Hartman e D un o nonché gli interventi dei partecipanti al «colloquium paulinum», gli uni e gli altri pubblicati negli Atti a cura di L . DE LoRENZl , Charisma und Agape, Rom 1983. DuPONT,

,

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si basa sulla apokalypsis I «rivelazione» , per cui in assenza di questa non si dà nemmeno profezia ; il secondo fattore costitutivo è la pubblica proclamazione delle realtà rivelate . Bisogna però precisare che di fronte alla glossolalia , che può vantare anch'essa le due qualifiche suddette , la specificità della profezia , se­ condo Paolo , consiste nel proferire parole comprensibili . 153 Circa il primo requi­ sito si veda 14 ,30: «Se però a un altro che sta seduto è stata concessa una rivela­ zione (apokalyphthe) » ; il p rofeta che sta parlando deve interrompersi e lasciare la parola al collega sollecitato a intervenire dalla spinta dello Spirito che disvela realtà particolari attinenti alla vita concreta della comunità o degli uomini in ge­ nerale . 1 54 Requisito necessario , ma insufficiente , perché anche il glossolalo rice­ ve rivelazioni divine : «in spirito proferisce misteri» ( 14 ,2) , cioè realtà sopranna­ turali a lui disvelate. Al profeta inoltre , come del resto al glossolalo , appartiene costitutivamente il parlare di ciò che ha ricevuto per rivelazione , cioè il lalein , di cui si è detto sopra . Si tratta però, nel suo caso , di una parola indirizzata ad altri uomini ( 1 4,3) , chiara e comprensibile (eusemos logos : 1 4,9) , che vede impegna­ to l'intelletto di chi parla (nous: 1 4 , 1 4- 1 5 . 19) , strumento di coinvolgente comu­ nicazione sul piano della intelligibilità razionale ( 1 4 , 1 6 : dire Amen al ringrazia­ mento del profeta ; 1 4 , 1 1 ) , capace di ammaestrare gli altri ( 1 4 , 19) , in breve una parola costruttiva ( 1 4 ,3-4 . 17) e vantaggiosa per gli ascoltatori ( 14,6: ophelein) . Della parola del profeta che risuona in un'assemblea ecclesiale con la partecipa­ zione di estranei parla il brano 14,24-25 : «Se invece tutti profetassero ed entras­ se un non-credente o un non-iniziato , viene ammonito da tutti , giudicato da tut­ ti , i segreti del suo cuore diventano manifesti e così , caduto con la faccia a terra, si prostra davanti a Dio , proclamando : «"Veramente Dio è in mezzo a voi"». Il campo di azione della parola profetica è espresso in tre frasi con questa succes­ sione : ammonizione , giudizio , disvelamento dei segreti della persona. Le prime due sono analoghe: si ammonisce per una condotta riprovevole e per questo vie­ ne giudicato il responsabile . Ma i profeti non potranno giungere a tale interven­ to correttivo se prima non avranno visto dentro il mondo interiore dell'interessa­ to . Ecco il fattore della rivelazione divina: Dio disvela al profeta l'interiorità di chi gli sta davanti , e da questa luce emerge la possibilità di ammonizione e di giudizio . 1 55

153 BAUMERT, «Charisma und Amt», 220 interpreta il vocabolo propheteia come «nomen rei ac­ tae » , dunque come realtà profetata invece di attività profetizzatrice . Da parte sua D u NN , Jesus and the Spirit, 229 precisa opportunamente che non si tratta né di un'attitudine né di un talento , bensì dell'attuale proferire parole ispirate dallo Spirito . 1 5 4 Riferendosi a H. MERKLEIN , «Der Theologe als Prophet . Zur Funktion prophetischen Re­ dens im theologischen Diskurs des Paulus» , in NTS 38(1992) , 402-429, CoRSANI , «Profezia» , 79 pre­ cisa : «La predicazione profetica n on propone un'estensione dogmatica degli oggetti di fede , ma col­ lega il kerygma con situazioni che esso non prendeva in considerazione , aiutando a gettare un ponte fra kerygma e problematiche attuali della comunità» . 1 5 5 Vedi qui l'intervento di M. Pesce nella discussione seguita allo studio di HARTMAN , « l Cor 14, 1 -25» nel volume citato alla nota 90 (DE LORENZI , a cura di, Charisma und Agape, 1 88- 1 89 . 1 95).

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La formula diakriseis pneumaton non né chiara né univoca nell'uno e nell'al­ tro componente . Tre sono le letture : la prima, difesa con efficacia da Daut­ zenberg, 156 assume diakriseis nel senso di interpretazione e intende per pneuma­ ton le manifestazioni pneumatiche di carattere profetico ; la seconda vi legge in­ vece il giudizio tra vera e falsa manifestazione dello Spirito ; 1 57 la terza ritiene che si tratti di discernimento tra spirito buono e spirito malvagio . 1 58 A difesa della sua nuova ipotesi D autzenberg ha addotto argomenti meritevoli di ponderato esa­ me . Anzitutto ritiene che 14,29 , in cui ricorre il verbo corrispondente , sia un pa­ rallelo chiarificatore del nostro passo: « Quanto ai profeti poi , parlino in due o tre e gli altri interpretino ( diakrinetosan ) » . Si deve notare che nella sua monografia ha inteso collocare la profezia protocristiana dentro il più vasto quadro apocalit­ tico delle visioni e dei sogni di cui dà ampia testimonianza il tardo giudaismo (cf. pp . 43-121 ) . Può dunque ipotizzare che la visione profetica di segno apocalittico abbia bisogno di spiegazioni per essere capita dagli ascoltatori. Il parallelismo , d'altronde , si estende all'abbinamento di profezia e glossolalia , ambedue biso­ gnose , sia pure diversamente , di «traduzione» . In 14,27 Paolo dà una prescrizio­ ne analoga per i glossolali: «Nell'ipotesi che qualcuno parli in modo glossolalico , siano in due o , al massimo , in tre a parlare e uno dopo l'altro ; e uno faccia da in­ terprete (diermeneuet6)» . Allo stesso modo in 1 2 , 1 0 al binomio di profezia e in­ terpretazione segue quello di glossolalia (gene glosson) e interpretazione delle lingue (hermeneia glosson) . Ma un congruo senso di 14 ,29 è che gli altri (profeti) sono chiamati non a interpretare parole oscure né a discriminare tra profezia ve­ ra e profezia falsa - problema assente nel contesto immediato -, bensì a valutare ciò che è stato detto , al fine di cogliere il meglio per i presenti . Quale secondo argomento viene addotta l'evidente costatazione che nel complesso dei cc. 12- 1 4 - anche in 12,2-3 come abbiamo mostrato sopra contro l'interpretazione della maggioranza degli studiosi è assente il problema della falsa profezia , molto vivo invece per es. in lGv e in Mt (cf. 7 , 1 5 ; 24 , 1 1 .24) , che però parlano esplicitamente di pseudoprofeti da smascherare . Non sembra dun­ que probabile che , in materia tanto delicata e importante , Paolo si potesse ac­ contentare di un fugace cenno in 1 0 , 1 2 ed eventualmente in 14,29. Ma di fatto nel catalogo di 1 2 , 8-10 (cf. anche quelli di 12 ,28. 29-30 ) appaiono carismi elenca­ ti en passant, come le guarigioni (charismata iamaton) , i miracoli (energemata dynameon) , le attività assistenziali (antilempseis) , che non giocano di certo un ruolo significativo nella sezione e sono menzionati solo come esempi della mol-

156 Cf. l'articolo del 197 1 , «Hintergrund», e la monografia successiva del 1975 ( Urchristliche Prophetie, 122- 1 48) . Sulla sua scia per es. Senft, che però ritiene possibile anche l'ipotesi che diakri­ sis voJl lia dire giudicare correttamente , soppesare. 1 Vedi Wolff, che rifiuta il senso di interpretare e traduce il testo paolino con «die Beurteilun­ gen von Geisteroffenbarungen» . 158 Così Grudem che ha dedicato un'appendice del suo volume ( The Gift, 263-288) a smontare la ricca argomentazione dell'articolo di D autzenberg del 197 1 . Vedi anche ELLIS , «Spiritual Gifts», 132.

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teplice pluralità dei carismi . Anche «il discernimento degli spiriti » , formula in uso nel cristianesimo delle origini , può essere uno di questi . Ancora D autzenberg contesta che siano veri passi paralleli lGv 4 , 1 e lTs 5 ,2 1 . Nel p rimo l 'esortazione «sottoponete ad esame gli spiriti» (dokimazete ta pneumata) si riferisce , come precisa il contesto, al discernimento tra lo spirito che viene da D io (ek tou Theou) o no ( ek tou Theou ouk estin) , se è spirito della verità o spirito della falsità (to pneuma tes aletheias I to pneuma tes planes) . Nel secondo l'imperativo «tutto esaminate» (panta dokimazete) è specificato da altri due , l'uno precedente «non disprezzate le profezie» ( v . 20) e l'altro seguente «ciò che è buono ritenete» (v. 2lb ) . D unque l'esortazione a so ttoporre tutto a verifica e ritenere ciò che è buono si riferisce alle profezie e s'inquadra nel con­ testo del discernimento della vera dalla falsa profezia . D autzenberg evidenzia di fatto le seguenti diversità rispetto al nostro p asso: il discernimento è qui richie­ sto alla comunità intera e non sembra un carisma specifico ; inoltre lo sfondo rea­ le dei due passi addotti soprattutto del primo , a differenza di l Cor 12-14, è chia ­ ramente quello dei falsi profeti da cui guardarsi , situazione ben presente anche a Mt (cf. 7 , 1 5 ; 24, 1 1 . 24) e a Didachè 1 1 ,7 che proibisce di mettere sotto processo il vero profeta, colui che parla nello spirito (panta propheten lalounta en pneu­ mati ou . . . diakrineite) . Resta però il fatto incontrovertibile che nel cristianesimo delle origini era vivo il problema del discernimento degli spiriti ( cf . anche At 1 9 , 12ss ) . I n ogni modo , merito indubbio del nostro autore è stato quello di aver stabi­ lito che diakriseis e diakrinein possono avere il significato d'interpretare e nel senso di decifrazione di sogni e detti enigmatici il vocabolo appare attestato da diversi ambienti culturali : Filone , Pausania e Artemidoro , Simmaco (traduzione di Ge o 40,8 ) . Ma Grude m The Gift, 277 ha avuto buon gioco nel contrapporgli che in riferimento alle profezie o a parole oscure i due vocaboli mai sono usati con questo sign i fi cato nella letteratura giudaica o cristiana. In Eb 5 , 14 poi il so­ stantivo presenta di certo il significato di discernere : «per il discernimento del bene e del male» (pros diakrisin kalou te kai kakou) . Contestabile è anche il tentativo di attribuire senz'altro a pneumata la valen­ za di rivelazioni profetiche . Come si è detto sopra , dato il parallelismo di 14,12 e 1 4 , l questo vocabolo appare sinonimo di pneumatika, che alla luce di 14,5, co­ me abbiamo visto , s'identifica con i fenomeni glossolalici , oggetto per altro del problem a posto dai corinzi a Paolo ( cf. 1 4 , 1 ) . In 14,32 invece pneumata I «spiri­ ti» , collegato al genitivo propheton I «dei profeti» , con tutta probabilità si riferi ­ sce alle manifestazioni pneumatiche di segno profetico Si ha dunque che pneu­ mata per se stesso dice soltanto una manifestazione dello Spirito: 1 59 che sia pro ­ fetica o glossolalica apparirà da ulteriori determinazioni formali o dal contesto. ,

,

.

159 Ellis invece intende il vocabolo pneumata come indicativo in 1 2 , 1 0 di spiriti buoni e cattivi e in 14,32 (e anche 14, 12) degli spiriti buoni e angelici .

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Tutto sommato , appare preferibile vederci l'azione con cui si discriminano le manifestazioni dello Spirito in rapporto alla loro autenticità o falsità . Contro l'o­ pinione di Dautzenberg sembra decisivo il fatto che , essendo una parola com­ prensibile e come tale vantaggiosa spiritualmente ai presenti (cf. c. 14) , la profe­ zia non ha alcun bisogno di essere interpretata. L'introduzione nel catalogo di 12,8-10 di questo carisma noto negli ambienti protocristiani ha senso perché, fa­ cendo numero con gli altri , testimonia la variopinta ricchezza dei doni dello Spi­ rito. 1 60 Per indicare la glossolalia , nominata, non senza intenzionalità, osserva Con­ zelmann, Der erste Brief, 247 , 1 6 1 alla fine insieme con il carisma correlativo della sua interpretazione Paolo usa, nel complesso dei cc. 12-14, diverse formule: «ge­ neri di lingue» (gene glosson : 12, 10.28) , «(le) lingue» ( glossai: 1 2 , 1 0 ; 13,8; 1 4,223 ) , «lingua» (glossa: 14 ,26) , «parlare in lingue I in lingua» (glossais I gl6sse-i lalein : 12,30; 14,6. 1 8 . 27 , anche in ordine opposto: 14,5.23 .39) ; « (parla­ re) per mezzo della lingua» ( dia tes glosses) ; «proferire parole . in lin­ gua» (lalein logous en glosse-i: 14, 19) . Infine è da citare l'espressione di 13 , 1 : «parlare con l e lingue degli uomini e degli angeli», di cui si darà spiegazione più avanti . Il glossolalo poi è indicato non con una forma lessicale propria, bensì con il participio di lalein e la determinazione sostantivale: «colui che parla in lingua I lingue» (ho lalOn glosse-i I glossais : 14,2 . 4 . 5 . 14) . Non appare negli altri elenchi di carismi di mano paolina (lCor 1 , 5 ; Rm 12,6-8) o a lui vicina (Ef 4 , 1 1 ; lPt 4, 1 1 ) . Nella letteratura del NT si può citare ancora solo Mc 1 6 , 1 7 ; At 2,4; 10 ,46 ; 1 9 ,6. Di contro in l Cor 12-14 è al centro dell'attenzione ; in realtà Paolo prende qui posizione sulla sua sopravvalutazione a Corinto , come si è detto sopra . La qualifica di «lingua I lingue» non dice riferimento all'organo fisico , come se la glossolalia consistesse in «un parlare con la sola lingua ossia in uno stato di incoscienza » , bensì al linguaggio , a un linguaggio , invero, molto particolare (cf. J. Behm in GLNT I I , 560-562) . Come abbiamo anticipato , è intesa quale parola ispirata dallo Spirito e di­ svelatrice degli arcani misteri di Dio , incomprensibile ai presenti e bisognosa d'interpretazione per poter risultare vantaggiosa (ophelein : 14,6) e costruttiva per l'assemblea riunita (oikodome: 14,5) . La comunicazione del glossolalo av­ viene esclusivamente con Dio: «In effetti chi parla in modo glossolalico non ad uomini parla, bensì a Dio» ( 14,2) . A un ringraziamento di tipo glossolalico i pre­ senti non possono partecipare con un Amen ( 14 , 1 6) . E se nell'assemblea eccle­ siale fossero presenti degli estranei, la loro reazione alle parole dei glossolali sa­ rebbe assai negativa: «non diranno che delirate? » (14,23) . Meno chiaro è il pas-

160 DuNN, Jesus and the Spirit, 233-236 arm onizz a le due letture : discernere gli spiriti è da inten­ dere , dice , come valutazione delle manifestazioni profetiche e discriminazione della loro origine, se buona o cattiva . 161 Il celebre esegeta si spiega dicendo che l'ordine di successione dell'elenco espri me la critica di Paolo alla posizione dei corinzi .

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Commento

so 14 ,22 : la glossolalia funziona da segno (eis semeion) non per i credenti bensì per gli increduli , ma lo si discuterà più avanti nell'analisi del c. 14. Resta comunque da precisare la natura dell'incomprensibile parola glossola­ lica - incomprensibile non solo per i presenti ma anche per lo stesso protagonista privato dell'uso del suo intelletto (cf. 1 4 ,14-15) e dell'esperienza psicologica dell'interessato . Non consiste nel parlare una lingua straniera , come sembrano far intendere At 2 e una certa lettura di 1 4, 1 1 che , mettendo in campo l'esempio di chi ascolta uno straniero , nota che l'uno è «barbaro» all'altro . Ma proprio perché l'adduce come esempio chiarificatore , chi scrive non intende certo identi­ ficare i due fenomeni . È preferibile ipotizzare che il glossolalo emettesse voci e suoni strani , privi di intelligibilità razionale . 162 In proposito non mancano analo­ gie nel mondo greco : gli oracoli che la Pizia proferiva erano oscuri a tal punto da richiedere l'intervento di un interprete o di un «traduttore» . Benoit invece fa ri­ ferimento alle formule dei papiri magici formate da termini strani e stranieri ; 163 in concreto cita il papiro di Leiden , 164 i n cui si invocano il Kyrios e tutti gli dèi «perché abbiano potere» e se ne indicano tutti i nomi che il mago conosce : Achebukron, Sabaot , Zagourè , il dio Arath , Adonai, B asumm , lao, ecc. a cui mischia suoni inintelligibili : AAA , EEE , 000 , ecc. 165 Dal punto di vista psicologico si può pensare che il glossolalo fosse mosso da una fortissima emozione interna che si rifletteva nelle sue parole , espressive non di contenuti pensati bensì di misteriose risonanze . Soprattutto l'attenzione degli studiosi è caduta sul carattere estatico o meno del fenomeno , essendo frequente nel mondo greco l'estasi dei manteis (cf. la Pizia) , la loro caduta in «trance», l'es­ sere sotto coazione di forze irresistibili quali il daimon o il pneuma divino . Che i glossolali di Corinto tradissero aspetti estatici appare assai probabile e doveva essere il motivo per cui ne andavano orgogliosi e tutti i credenti vi anelavano. Comunque nella presentazione fatta da Paolo nel c. 14 appare chiara la dimen­ sione di fenomeno estatico : parole incomprensibili , soprattutto assenza dell'in­ telletto (nous) e influsso del solo soffio divino (pneuma) (14, 14-16) . La prescri­ zione però che i glossolali , in assenza d'interprete , devono tacere limitandosi a comunicare in silenzio con Dio ( 1 4 ,27-28) , sottintende in essi la capacità di do-

162 Barrett opportunamente richiama l'attenzione sull'esempio dei suoni messo i n campo da Paolo : la glossolalia è solo suoni , n o n suoni significativi («Diskussion» , in DE LoRENZI, a cura di, Charisma und Agape, 190) . 163 Egli dunque ritiene che le lingue straniere entrino nella glossolalia, il che spiega , a suo av­ viso , l'esempio della lingua «barbara» e la citazione del testo di Is 28 , 1 1 («Conclusion», in DE Lo­ RENZI, a cura di, Charisma und Agape, 284) . 1 64 Cf. K. PRElSENDAN Z , Papyri graecae magicae, Teubner 195 1 , 1 3 , 588ss. 1 65 P. B ENOIT, «Conclusion» , in DE LoRENZ I , a cura di, Charisma und Agape, 284s. Nello stesso papiro, alle righe 75-87 leggiamo: «lo ti prego , Signore , come gli dèi che sono apparsi mediante te , affinché ricevano la forza del Echebychrom Sole , a cui lode è: a a a e e e (eta) o o o (omega) i i i a a a o o o Sabaoth, Arbathiao, Zagoure , il dio Arathy Adonaie . Ti prego , Signore , nella lingua degli uc­ celli "arai'' , in geroglifico "lailam" , in ebraico " Anoch Biathiarbath Berbir echilaour bouphroum­ trom", in egiziano "Aldabaeim", in lingua da cinecefalo "Abrasax", in lingua da sparviero "chi chi chi chi chi chi , tiph, tiph , tiph " , in lingua sacerdotale " menephoiphoth cha cha cha cha cha cha"•.

lCor 12,4- 1 1

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minarsi ed esclude qualsiasi coazione . 1 66 In realtà , la discussione sull'estasi o «trance» del glossolalo è fruttuosa solo a condizione di precisare la valenza di questi termini . L'immagine offerta da Paolo dice che si trattava di un fenomeno parapsicologico con sospensione dell'attività intellettuale del soggetto , mosso da dinamiche emotive profonde ma non necessitato a parlare in pubblico ; e in que­ sto la glossolalia si distingueva dalla m antica greca ( cf. Callan e la monografia di Grudem). Paolo riconosce appieno tale carisma , basti leggere la conclusione di 14,39 : «Pertanto , fratelli miei , agognate al profetare e non impedite il parlare in modo glossolalico» . Ne limita però l'attuazione nelle assemblee ecclesiali in assenza di interprete , data la sua infruttuosità « sociale» . 167 La comprensione della glossolalia chiarisce anche il relativo carisma della sua interpretazione (hermeneia glosson : 1 2 , 1 0 I hermeneia : 14 ,26 I diermeneuein : 12,30 ; 14,5 . 13 .27-28) che non consiste nella traduzione di una lingua in un'altra, ma nel dare alla voce glossolalica forma comprensibile e contenuti intelligibili . L'interprete può essere lo stesso glossolalo , ma anche un altro (14,5 . 13) . L'ana­ logia con il fenomeno degli oracoli di Apollo delfico appare evidente : alla parola enigmatica della mantis Pizia ispirata dal dio Apollo , tiene dietro l'intervento del prophetes , in qualche caso forse della stessa Pizia in funzione però di annun­ ciatrice , per spiegare i contenuti dell'oracolo e proclamarlo in forma comprensi­ bile ai richiedenti . È stato osservato 168 che una parola glossolalica interpretata diventa una pa­ rola profetica. È vero rispetto alla funzione sociale : l'una e l'altra sono costrutti­ ve per gli altri ; ma di fronte alla p arola profetica che ha una sua consistenza au­ tonoma e autosufficiente la glossolalia interpretata è un fenomeno nuovo dalle due facce distinte e complementari : alla parola priva di n ous della glossolalia si aggiunge la parola intelligibile dell'interpretazione . Dunque soltanto in modo indiretto , attraverso la parola interpretativa , la glossolalia può diventare diako­ nia («servizio») e acquisire il diritto di attuarsi nell'assemblea . v. 1 1 «Ma tutte queste manifestazioni compie l'unico e il medesimo Spirito ripartendole a ciascuno in particolare come vuole» . Chiara è la contrapposizione

1 66 Per questo Dunn («The responsible Congregation», 207) ritiene che si tratti in tal caso di «un'estasi che è più fredda, calma e raccolta» rispetto alle forme glossolaliche più calde . MacRae in­ vece ( « Diskussion» , i n DE LoRENZI, a cura di, Charisma und Agape, 1 90) per questo motivo ritiene che per Paolo la glossolalia è non estatica; ma dice questo perché usa come criterio l'assenza della li­ bertà di scegliere di parlare o meno. 167 SCIPPA , La glossolalia, 17ss offre un'accurata indagine delle formule con cui il testo paolino indica il fenomeno della glossolalia. La sua conclusione generale che la glossolalia «non è un linguag­ gio irrazionale , ma razionale e logico , cioè ha un senso», ma risulta incomprensibile solo per acci­ dens (p. 56), mi sembra da respingere . L'argomento addotto infatti appare debole: Scippa, riferen­ dosi a 1 4 , 1 9 dove Paolo confessa la sua decisione di dire nell'assemblea cinque parole che si capisco­ no piuttosto che diecimila parole glossolaliche (myrious logous en glosse-i) , annota che il vocabolo logos ha di certo valenza razionale . Ma è solo per evidenziare la sua antitesi tra profezia e glossolalia che l'apostolo chiama logoi ciò che proferisce il glossolalo. 168 Vedi Barrett («Diskussion» , in D E LoRENZI , a cura di, Charismt2 und Agape, 187) .

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Commento

tra totalità degli effetti, le manifestazioni spirituali , e unità del principio fontale, lo Spirito (panta I to hen) . Si aggiunga l'identità del principio attivo (to auto). I due aspetti era stati affermati separatamente nelle formule «secondo lo stesso Spirito» (v . 8) ; «mediante lo stesso Spirito» ( v . 9 ) ,«per mezzo dell'unico Spirito» (v . 9) . Ora le due formule sono unificate : non ci sono né più né diversi principi attivi , cioè né più né diversi spirit i , ma uno solo , sempre il medesimo . Di conse­ guenza tra i beneficiari nessun credente può vantare di essere «agito» da uno spi­ rito più alto , diverso da quello che dona al fratello un carisma più umile secondo una scala di valori privilegiante il «fascinosum» della manifestazione . Del motivo della ripartizione della ricchezza carismatica a ciascun credente si è già detto sopra ; merita ora un cenno il tema , nuovo , della libertà dello S piri­ to donatore : 1 69 questi non può essere forzato , spartisce i carismi a suo criterio se­ guendo la deliberazione del suo sovrano volere . I carismi dunque non sono sol­ tanto doni di grazia, concessi secondo il codice della gratuità e non quello del dovuto , ma anche doni liberamente dati . Nessuna pretesa perciò , solo sentite grazie . 4.3. L a metafora del corpo (12, 12 -2 7) 170 Il brano inizia con l'esplicita proposizione del paragone del «noi» della co­ munità cristiana con l 'organismo umano (soma) : «Come . . . così» (kathaper. . . houtos) (v . 12) . Formalmente però i due termini comparati sono i l soma e Cristo (ho Christos) . L'inaspettata formula «Cristo» postula di essere spiegata e Paolo non vi si sottrae mostrando nel v. 1 3 , i ntrodotto appunto dalla particella «infat­ ti» , che i credenti sono un'unità simile a quella organico-fisica dell'uomo , costi­ tuita però dalla forza creatrice dello Spirito , non dall'iniziativa autonoma dei soggetti : «Giacché noi tutti mediante un solo Spirito (en heni pneumati) siamo stati battezzati per formare un solo corpo , sia giudei sia greci , sia schiavi sia libe­ ri ; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito (hen pneuma) » . Il legame evi­ dente dei due versetti dimostra che nel pensiero dell'autore a ho Christos corri­ sponde hen soma (un solo corpo) , corrispondenza creata dall' hen pneuma ope­ rante e autodonantesi nel battesimo. Nei vv. 14-26 il paragone del corpo umano viene sviluppato su due linee di­ stinte e complementari : la prima (vv . 14-20) illustra l'essenziale pluralità delle membra nell 'unico corpo (hen soma I polla mele) ; la seconda (vv . 21 -26) mostra l 'essenziale complementarietà e solidarietà delle membra dell'organismo ; di fat­ to le une hanno bisogno delle altre e queste sono necessarie a quelle (chreian

1 6� Vedi un passo analogo in Gv 3 , 8 che parla del pneuma come vento che spira dove vuole, pe­ rò con intento metaforico: l' azione dello Spirito è libera. 170 Vedi soprattutto gli studi di Brandenburger, Merklein, SOding , cui siamo più vicini nella let­ tura del tema paolino, di Perriman e Kase mann. Cf. pure E. Schweizer in GLNT X I I I , spec. 718ss, l'excursus del commento di WoLFF, Der ers1e Brief, 1 1 0- 1 1 4 e gli studi citati di Bonnard e Schnac­ kenburg.

l Cor

12,12-27

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echein I anagkaia estin : vv. 2 1 -24a), e tra loro c'è un reciproco prendersi cura (hyper alle/on merimnan : v . 25) . Con chiara inclusione poi i l v . 27 riprende i vv . 1 2b - 1 3 , affermando di nuovo che i credenti , indicati dal pronome di seconda persona «VOi», sono una gran­ dezza di carattere organico (soma) ma «sui generis» perché «di Cristo»: «Ora voi siete corpo di Cristo (soma Christou) e membra ciascuno per la sua parte (mele ek merous)» . Da ho Christos I hen soma del v . 13 si è passati a «corpo di Cristo». D'altra parte la pluralità dell 'hemeis pantes I pantes (noi tutti I tutti) del v . 13, comprendente giudei e greci , schiavi e liberi , viene qui ripetuta non solo con l'a­ nalogo pronome personale hymeis , ma anche , in maniera figurata , col vocabolo plurale mele (membra) collegato al singolare soma (corpo) . Questa originale formula ecclesiologica , espressa nelle tre varianti: «Un solo corpo» (hen soma : 1 2 , 1 3 cf. anche 1 0 , 1 7 e Rm 1 2 ,4 ) , «Un solo corpo in Cristo» (hen soma en Chisto-i: Rm 1 2 ,5) , «corpo di Cristo» (soma Christou : 12,27) , non ha riscontri né nell'AT né nel giudaismo tardivo . 17 1 Mostra invece una significa­ tiva analogia con il mondo greco , che ricorreva alla metafora del corpo in versio­ ne politica e in prospettiva cosmologica per sottolineare , rispettivamente , l ' unità dello stato o della città (polis) che integra i singoli cittadini e le parti sociali , e l'unità del genere umano e dell'universo (kosmos) . Questa seconda applicazione è attestata soprattutto negli stoici . Seneca scrive nell'Epistolario: «Tutto quello che vedi , e in cui si raccoglie ogni essere umano o divino (quo divina et humana conclusa sunt) , è un tutto solo (unum est) : noi siamo membra di un gran corpo (membra corporis magni) . Siamo partecipi per natura della stessa famiglia, poi­ ché , composti degli stessi elementi , tendiamo allo stesso fine . La natura ci ispirò il reciproco amore (amorem mutuum) e ci fece socievoli (sociabiles)» (Ep. 95 , 52) . Marco Aurelio afferma: «In un organismo unificato le membra del corpo hanno una determinata funzione ; ebbene : la stessa funzione, pur separati l'uno dall'altro , hanno i viventi razionali (ta logika) , congegnati in vista d'un'unica profonda collaborazione (pros mian tina synergian) » . Un fatto questo , continua lo scrittore , che deve spingere ogni uomo a ripetere a se stesso: «"lo sono mem­ bro d'una schiera, schiera ordinata di creature razionali (melos eimi tou ek ton logikon systematos)" » . Non si pensi a speculazioni puramente astratte , perché Marco Aurelio deduce un'importante conseguenza morale : «Al contrario, se tu dici che ne sei soltanto una parte (meros) , non ancora con tutto il tuo cuore ami gli uomini (outo apo kardias phileis tous anthropous)» (7 , 1 3 ) . Infine la voce di Epitteto : «Inoltre tu sei cittadino del mondo e sua parte (polites ei tou kosmou kai meros autou) , non una delle parti subordinate, ma una delle parti dominanti (ouch hen ton hyperetikon alla ton proegoumenon) » ( 2 , 10,3) ; dunque come tale l'uomo deve comportarsi , non perseguendo il suo utile personale (meden echein

171 Le lettere della prigionia, di tradizione paolina , riprendono questo tema ecclesiologico di Paolo modificandolo però in maniera consistente : alla dualità corpo-membra subentra la triade capo (Cristo) - corpo I tronco (la chiesa) - membra (i singoli credenti) . Ma si approfondirà più avanti .

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Commento

idia-i sympheron) , ma agendo «come farebbero la mano o il piede se potessero ragionare (hosper an ei hé cheir é ho pous logismon eichon) , riferendosi al tutto (epi to holon) (2 , 1 0 ,4) , che è più importante della parte , come la città è più im­ portante del cittadino» (2 , 10,5) . E ancora ; «Che cos'è infatti l'uomo? Parte di una città (meros poleos) , della prima composta da dèi e uomini (protes men tes ek the6n kai anthropon) , poi di quella che è detta la più vicina, una piccola im­ magine della città universale (mikron tes holes mimema)» (2,5 ,26) . Si aggiunga la testimonianza gnostica del Corpus Hermeticum: «Allora , que­ sto mondo è così grande che nessun corpo è più grande? Sì . E compatto , poiché è pieno di molti altri grandi corpi , o piuttosto , di tutti i corpi che ci sono? Sì . Al­ lora il mondo è un corpo (soma de ho kosmos) ? Sì , è un corpo (soma) . È un cor­ po che si muove? Certamente» (2 , 2 s ) . E ancora: «E tutto questo grande corpo (to de pan to soma) , in cui si trovano contenuti tutti i corpi (en hO-i ta panta esti somata) , un'anima piena dell'intelletto e di Dio lo riempie all'interno e l'avvolge all'esterno , vivificando il Tutto (zoopoiousa to pan) , all'esterno questo vasto e perfetto vivente che è il mondo (touto to mega kai teleion zoon, ton kosmon) , al­ l'interno tutti i viventi e in alto (ano) nel cielo essa permane identica a se stessa (diamenousa te-i tautoteti) , mentre in basso (kato) sulla terra essa produce le va­ riazioni del divenire (ten genesin metaballousa)» ( 1 1 ,4 ,23) . Per la lettura del nostro passo comunque il parallelo più vicino è offerto dal1' applicazione politico-sociale della metafora , di cui classica testimonianza è il celebre apologo di Menenio Agrippa (circa l'anno 494 a . C . ) noto dall'opera sto­ rica di Tito Livio. L'esercito , sotto istigazione di un certo Sicinio , si era rifiutato di obbedire ai consoli , ritirandosi sul monte Sacro o , secondo un'altra tradizione meno diffusa, sul colle Aventino. La situazione era senza speranza, essendo ve­ nuta meno la «concordia civium» . Allora ai secessionisti fu mandato l'eloquente oratore Menenio Agrippa . «Questi , introdotto nell'accampamento , fece ricorso a un procedimento oratorio arcaico e primitivo (prisco ilio dicendi et horrido modo) e si limitò , come si tramanda , a narrare questo : "Al tempo in cui il corpo umano non formava come oggi un tutto in perfetta armonia (omnia in unum consentiant) , ma le singole membra davano ciascuna la propria opinione e usa­ vano il proprio linguaggio , e mentre tutte le altre parti indignate di dover con la propria sollecitudine, il proprio lavoro e servizio procacciare tutto allo stomaco, quando Io stomaco ozioso in mezzo a loro non aveva altro da fare che godere dei piaceri a lui procurati , tutte di comune accordo avevano deciso , le mani di non portare cibo alla bocc1, la bocca di non riceverlo, i denti di non masticarlo. Ma volendo nella loro ira ridurre lo stomaco alla fame , le stesse membra e tutto il corpo erano caduti in consunzione. Allora apparve chiaro che anche la funzione dello stomaco non era all'insegna della pigrizia ; che se esse lo nutrivano pari­ menti esso le nutriva (nec magis ali quam a/ere eum) , rimandando a tutte le parti del corpo (in omnes corporis partes) quel sangue per cui viviamo e siamo vigoro­ si , diviso equamente nelle vene e maturato attraverso la digestione del cibo" . Facendo allora un parallelo tra la rivolta interna del corpo (intestina corporis se­ ditio) e la collera dei plebei contro il senato , fece cambiar parere a quegli uomi­ ni» (2,32,7- 1 2) .

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lCor 1 2 , 12-27

La versione di Dionigi di Alicarnasso è più sviluppata. Menenio Agrippa enuncia subito i termini del paragone : «Una città assomiglia in qualche modo al corpo umano (anthropeio-i somati) ; infatti l'uno e l'altra sono composti di molte parti ( ek pollon meron) , e nessuna delle parti che sono in essi ha la stessa funzio­ ne e neppure presenta bisogni uguali ( chreias parechetai tas isas) . se al loro in­ terno sorgesse una sedizione (stasis) e ognuna di esse si unisse con tutte le altre contro il solo stomaco , e i piedi dicessero che tutto il corpo è posto su di loro (pan ep 'autois epikeitai to soma) , e da parte loro le mani dicessero che fanno me­ stieri , forniscono i viveri e combattono contro i nemici e donano molte altre cose utili per il bene comune (ophelemata eis to koinon) , e le spalle dicessero che por­ tano su di loro tutti i pesi , e la bocca dicesse che essa parla, la testa che vede e ascolta . . . . e poi dicessero allo stomaco : E tu , buona creatura, quali di queste co­ se fai e quale beneficio e aiuto (charis I opheleia) rechi a noi . . . ?». A questo pun­ to Menenio Agrippa rivolge ai suoi ascoltatori una duplice domanda retorica: «Ora , se le parti del corpo umano prendessero tale risoluzione e cessassero di svolgere le loro funzioni , il corpo potrebbe sussistere a lungo? Non periranno es­ se stesse in pochi giorni per la fame , il più crudele dei mali?». La risposta non la­ scia adito a dubbio alcuno : «Non se ne può non convenire» . Segue l'applicazione della metafora : «Persuadetevi dunque che lo stesso è anche di una città (kai peri poleos)» , composta di diversi cittadini che le rendono ciascuno un servizio parti­ colare , «come fanno le membra riguardo al corpo» . Ed esemplifica : chi coltiva i campi , chi combatte contro i nemici, gli uni trafficano portando mercanzie di lusso , gli altri esercitano mestieri necessari . Una loro sollevazione contro il sena­ to sarebbe letale alla città . In chiusura i toni di Menenio Agrippa si fanno acco­ rati : «Imparate , plebei, che , come nei nostri corpi il ventre (he gaster) , di cui si lamentano ingiustamente le altre parti , nutre il corpo nutrendosi , lo mantiene mantenendosi (trephei to soma trephoumene kai sozei sozomene) . . . , così nelle città (houtos en tais polesin)» (6,86-87) . Lo stesso apologo è presente anche in Dione Crisostomo ma attribuito a Esopo : gli occhi credevano di essere i più importanti (pleistou einai) , e vedevano che era la bocca a godere di molte cose , in special modo del miele , la cosa più dolce ; per questo montarono in collera . Allora fu messo un po' di miele su di lo­ ro e si misero a lacrimare . L'applicazione è fatta a quanti desiderano ascoltare dalla filosofia ciò che non possono sostenere, appunto come gli occhi il miele (Or. 33, 1 6) . Curtius Rufus e Giuseppe Flavio hanno piegato l a metafora a d applicazioni più squisitamente politiche . Il primo narra come Perdicca, suceessore di Ales­ sandro , abbia affermato che per ottenere la vittoria è necessario un capo : «Capi­ te opus est: hoc nominare in vestra potestate est . Illud scire debetis , militarem sine duce turbam corpus esse sine spiritu» (Historiae A lexandri Magni 10,6, lss) . Il secondo denuncia in questi termini l'entrata in campo di bande di patrioti giu­ dei da lui chiamati «briganti» : «come avviene in un corpo (kathaper en somati) , quando , ammalandosi una parte vitale , ne risentono tutte quante le altre (panta ta mele synenosei)» (Beli. 4,7 ,2) . .

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Commento

Cicerone mostra un interesse marcato per la responsabilità civile : , finisce per intendere il c. 13 in stretta connessione con il c. 1 4 , misconoscendogli la qualifica di «quaestio infinita». 260 In breve , ecco la nostra lettura: essendo l'agape la grandezza che decide del­ l'essere e non-essere della persona , ogni euforica esaltazione per le esperienze «entusiastiche» viste in se stesse appare fuori luogo . Infine , il fatto che Paolo non vi menzioni mai né Dio né Cristo si presta a più letture . Diversi esegeti hanno affermato con forza che in realtà proprio l'amore di Dio e di Cristo viene qui esaltato . Così per es . Wolff, Der erste Brief, 1 1 9 : l'a­ gape non può essere intesa se non come testimonianza dell'amore di Dio in Cri­ sto ; e Standaert , «l Corinthians 13», 133: l'elogio dell'agape è una specie di cri­ stologia velata . Ancor più , Johansson giunge a dire che Paolo identifica l'agape con Cristo. Ma sono tentativi che misconoscono la peculiarità di questa pagina paolina rispetto alla trattazione dello stesso tema nelle altre lettere :261 l'uso asso­ luto e personificato di agape, colta nella sua «essenza» più universale, a prescin­ dere dai soggetti che la possiedono , «essenza» che gli si è di certo disvelata nel­ l'esperienza di fede del Dio di Gesù Cristo. 5.5. Analisi 5 . 5 . 1 . Introduzione ( 12,3lb) «E ancora vi voglio mostrare la via per eccellenza». Che introduca l'elogio dell'agape del c. 13 è stato mostrato sopra. Ora lo analizziamo con minuziosa cu-

260

BoRNKAMM , «Zum Verstiindnis des Gottesdienstes», 1 1 8 . CoNZELMANN , Der erste Brief, 2 6 1 afferma che « l a cristologia v i manca del tutto» e interpre­ ta questo fatto come il segno della dipendenza del Paolo di l Cor 13 dalla tradizione giudaico­ ellenistica. 26 1

700

Commento

ra essendo oggetto di diverse letture . Diciamo subito che appare collegato con il v. 3 1 a : «Agognate però ai doni di grazia più grandi» . Paolo non continua il moti­ vo dell'importanza dei carismi ; alla sua mente s'impone un nuovo proposito che soverchia l'interesse precedente , perché riguarda una questione decisiva : che cosa vale veramente nell'esistenza umana? dove sta la realizzazione piena della persona? Senza inframettere altre riflessioni intende subito insegnare262 agli in­ terlocutori non una via tra le altre , sia pure superiore , 263 ma la via per eccellen­ za, 264 al di fuori della quale il traguardo viene mancato. La metafora della via (cf. W . Michaelis , in GLNT VIII, 1 17-275) ha alle spalle una lunga storia in ambito greco e nella tradizione ebraico-giudaica . In questa molto attestato appare il senso di condotta e di vita morale scandita dal1' obbedienza ai comandamenti di Dio , mentre poche sono le attestazioni a favo­ re del significato di cammino che porta a un determinato traguardo. 265 Il mondo greco invece non poche volte attesta il motivo della via che conduce alla luce e

262 Sul senso del verbo deiknymi vedi H. Schlier in GLNT I I , 807 : mostrare nel senso di pre­ sentare una cosa mediante la parola , quindi di insegnare, delucidare, provare e dimostrare. Il passo di l Cor 12,31b rientra in questa accezione». Già Weiss aveva notato che Epitteto usò spesso il verbo nel senso di insegnare ; cf. 1 ,4,10: «non vuoi mostrargli (deixai) l'opera della virtù , affinché impa­ ri . . . ? » ; 1 ,4 ,29 : «Oh il grande benefattore che ci mostra la via (deiknyontos ten hodon)» ; 1 ,4 ,32 in cui oggetto è la verità (ten a/etheian ten peri eudaimonias deixein) . WISCHMEYER, Der hochste Weg, 35 ci ­ ta i seguenti passi che uniscono deiknymi con hodos: l Re 12,23 LXX («e ti mostrerò I deix6 la via buona e retta») ; Sai 49,23 («là c'è una via, in cui gli mostrerò I deix6 la salvezza di Dio») ; Mi 4 ,2 («e ci mostreranno I deixousin la sua via») ; ls 40,14 («O chi gli mostrò I deixen la via �ella comprensio­ ne?»); 4Esdra 4,4: «anch'io ti mostrerò le vie che desideri vedere , e ti insegnerò il motivo per cui esi­ ste il cuor maligno (et ego demonstrabo viam, quam desideras videre, et docebo te unde sit cor mali­ gn u » . La formula introduttoria «E ancora» non fa riferimento alla via dei carismi per contrapporvi una via migliore , bensì all'esortazione precedente : oltre a questa Paolo ha un altro compito, infinita­ mente più importante , mostrare ai corinzi la via per eccellenza . W1SCHMEYER, Der hochste Weg, 35 ritiene che eti non abbia significato temporale , ma logico , e serva a introdurre un'altra idea rispetto a 12,Jla, non da unire a kath'yperbolen , che è un superlativo . 264 Kat'hyperbolen in posizione aggettivale , cioè qualificativa del sostantivo hodos, ha valenza superlativa e indica una via che t!ascende ogni altra , per cui può essere detta la via per eccellenza . Così per es . Senft , La Première Epftre, 1 66 traduce con «incomparabile» , Spicq , Agapè, 65 cita a p. 66 Bengel : «Quasi dicat: viam maxime vialem»; la lettura di Wischmeyer poi appare dallo stesso tito­ lo della monografia: Der h6chste Weg. Ma diversi studiosi propendono per un comparativo (cf. per es. Lietzmann) , come anche la Vulgata: «excellentiorem viam » . Per Conzelmann che traduce con un comparativo , giustificato dalla particella eti, questo equivale di fatt� a un superlativo : «Natiirlich ist dieser "hiihere" Weg die hochste» (Der erste Brief, 254, nota 53) . E un abbaglio legare la formula a «ancora» (eri) ; è unita al sostantivo «via» qualificandola come trascendente ogni misura. Cf. anche G . Delling : «Con l'uso aggettivale dell'espressione in l Cor 12,31b si designa il tipo di vita cristiana, descritto in 1 3 , 1-7, come quello che supera ampiamente (come «via eminente») il tipo di vita im­ prontato ai carismi di cui si parla in 12,28-30» (GLNT XIV, 578 ) . Secondo Van Unnik invece la for­ mula è avverbiale e deve essere connessa con il verbo ze/oute: i corinzi sono esortati a tendere ai ca­ rismi più grandi «e ancora al più alto grado» ; in questo modo hodon hymin deiknymi (vi mostra una via) è una proposizione a sé stante. 265 Michaelis, in GLNT V II I , 159 scrive : «Infatti nei LXX l'immagine della via non è determi­ nata partendo da una mèta che attragga l'uomo ; essa si basa invece sul presupposto che all'inizio del­ la via si trova l'imperativo divino . Soprattutto manca completamente nei LXX l'idea che esistano vie che portano a Dio o al cielo». «• • •



lCor

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1 2 ,3 l b

alla salvezza. Così Parmenide (fr . 1) dice di essere stato condotto «alla via famo­ sissima della dea (es hodon polyphemon daimonos) , che sola porta l'uomo che conosce» ; ma sono da citare anche testi della letteratura ermetica: «Questa è dunque , o Tat , l'immagine di Dio (tou Theou eikon) . . ; se tu la contempli esatta­ mente (akribos theaoe-i) . . tu troverai la via che conduce alla cose di lassù (eure­ seis ten pros ta ano hodon)» ( Corpus Hermeticum 4 , 1 1 ) ; «Essere capace di cono­ scere e avere avuto la volontà e la ferma speranza, è la via diretta e facile che porta al Bene (hodos estin eutheia idia tou agathou pherousa kai radia)» ( Corpus Hermeticum 1 1 ,21) . Di Filone è originale l'espressione ripetuta «via regale» (he basilike hodos). In De posteritate Caini leggiamo: «Mosè ritiene . . . che bisogna avanzare sulla via mediana (mese-i hodo-i parerchesthai) , che egli chiama, in termini del tutto ap­ propriati, via regale (basiliken) , poiché Dio è il solo re dell'universo, la via che conduce a lui (he pros auton agousa hodos) , essendo quella del re ha ricevuto normalmente il nome di via regale (basilike) . È sicuro che questa via regale (ten basiliken tauten hodon) , che noi abbiamo detto essere la filosofia vera e autenti­ ca, la Legge la chiama parola e verbo di Dio (theou rema kai logon) . . la parola di Dio è identica alla via regale (tauton esti te-i basilike-i hodo-i to Theou rema)» ( 101- 1 02) . Si veda anche Quod Deus sit immutabilis: «ogni carne aveva corrotto la via perfetta dell'Essere eterno e i ncorruttibile , la via che conduce a Dio (ton tou aioniou kai aphthartou teleian hodon ten pros Theon agousan) » , via identifi­ cata con la sapienza (tauten isthi sophian) e il cui traguardo è la conoscenza e la scienza di Dio (terma tes hodou gnosis estin kai episteme Theou)» (142-143). Più avanti nella stessa opera Filone ritorna alla sua formula prediletta , esortando a camminare sulla via regale (te-i basilike-i hodo-i) , che definisce in rapporto a Dio re e identifica con la sapienza: la via regale è quella che ha per padrone il so­ lo vero re e consiste nella sapienza (aute d'esti . . . sophia) (159-1 60) . Per comprendere il termine nel nostro passo bisogna riferirci al c. 13 che tratta appunto di ciò che è denominato «via» , cioè dell'amore , e lo fa di prefe­ renza in prima persona singolare ( cf. vv. 1-3 e 9 12 ) Protagonista è l'io che si de­ finisce in rapporto all'avere o non-avere l'amore ( cf. v. 2) . Questo dunque è in­ teso come realtà che fa essere la persona umana, forza capace di portarla alla piena realizzazione . Via dunque vuol dire qui mezzo e modo ( Michaelis, in GLNT VIII , 242 ) , per giungere a quel traguardo di perfezione cristiana che i co­ rinzi volevano raggiungere mediante i carismi estatici . Il motivo della perfezione (to teleion) , o anche della maturità (aner in antitesi a nepios) , infatti ricorre non solo in 13 ,9-12, ma anche in 14,20, diretto «explicitis verbis» ai corinzi giudicati infantili (paidia) ed esortati a essere perfetti (teleioi) .266 Un testo parallelo tardo.

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266 S u questo significato di hodos vedi W1scHMEYER, Der hochste Weg, 36 che per altro si richia­ ma a Michaelis: l'agape è la sola via che conduce a Dio e al compimento escatologico dell'essere cri­ stiano . Vedi anche MALY, Mundige Gemeinde, 194: via alla perfezione ; e SENFr, La Première Epftre, 166: via da seguire per raggiungere un traguardo.

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cristiano è Ignazio , Ef 9 , 1 che specifica il traguardo : «l'amore è la via che eleva verso Dio (he agape hodos he anapherousa eis Theon)». 261 5 . 5 .2. Con tutto ma senza amore sono nulla ( 1 3 , 1-3) v . 1 Il primo confronto è stabilito tra l'amore e la glossolalia: «Se parlo l e lin­ gue degli uomini e degli angeli». Questa formula è nuova rispetto a quelle usate nei cc. 12 e 1 4 , ma non c'è dubbio sull'identità del fenomeno . Si discute però se , attraverso il binomio «uomini e angeli» come cifra espressiva di totalità , vi si in­ tenda ogni genere di linguaggio glossol alico , oppure il riferimento sia distinta­ mente alle lingue umane e a quelle celesti , due forme della stessa manifestazione spiritual e . 268 Nella tradizione giudaica abbiamo alcune testimonianze interessan­ ti in materia. In TestGiob 48-49 si dice che le figlie del patriarca parlavano nelle lingue delle diverse classi angeliche : «Come si alzò la prima (delle tre figlie) , chiamata Hemera . . . Essa parlava in modo estatico in lingua angelica e innalzò un inno a Dio insieme al canto degli angeli. Kasia . . . prese la lingua delle Archai e cantò l'opera del Luogo eccelso ; anche l 'ultima figlia, Amaltea Keras . . . la sua bocca cominciò a parlare in maniera estatica nella lin­ gua degli esseri superni . . . Ella parlò nella lingua dei Cherubini». Il trattato tal­ mudico BB 134a attesta che Jochanan b . Zakkai si vantava di capire «il parlare dei demoni , il parlare delle palme e il parlare degli angeli di servizio» (cf. Strack­ Billerbeeck) . In 2Cor 12,4 del resto lo stesso Paolo confessa che «fu rapito fino al terzo cielo e ascoltò parole indicibili che non è possibile ad alcuno di proferire» : un ra­ pimento estatico nel mondo divino in cui risuona un linguaggio non umano. Questi paralleli sembrano piuttosto suggerire che l'apostolo voglia intendere uno specifico linguaggio angelico o celeste risuonante nella glossolalia. 269 Ma co­ sì non si capisce perché vi abbini le lingue degli uomini . Voleva alludere a una forma glossolalica meno sorprendente rispetto a quella superiore delle lingue angeliche? Di particolare difficoltà si presenta la lettura dell'apodosi: «sono ridotto a bronzo echeggiante o a cembalo risonante». Molti hanno ritenuto che Paolo al­ ludesse agli strumenti musicali in uso nelle manifestazioni estatiche e orgiastiche

1f>7 Lyonnet difende un'altra lettura, fermo al senso vt e giudaico di via, i nte sa come un peripa· tein (camminare) : un modo di comportarsi in cui Dio non è al term ine del cammino , bensì nel cam­ mino stesso come forza che lo rende attuabile , fonte di amore per colui che ama. Anche Riesenfeld insiste su tal e sfondo vt: la pratica dei comandamenti è la via che conduce alla vita, al contrario la di· sob b edienza è la via che porta alla c ondan na (lo schema delle due vie) . 268 Nel pri mo senso vedi per es. W1scHMEYER, Der hochste Weg, 39 , GRUDEM, The Gift, 177 (no· la) : ogni ge ne re di linguaggio che io possa parlare , celeste o umano, e Allo: i nglob a tutte le forme di glossolali a , anche quelle più spirituali . Secondo Conzelmann invece la glossolalia è identificata con le li�ue degli angeli intese in senso realistico . J . Behm: «la lingua che usano gli angeli nei loro colloqui celesti con Dio ( l Cor 1 3 , 1 ) e che può essere l!Ccessibile anche agli u omini rapiti in cielo (2Cor 12,2ss) nell'estasi (cf. anche ICor 1 4 ,2 . 1 3ss; At 10,46; 2 , 1 1 )» (GLNT I, 562).

l Cor 1 3 , 1 -3

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pagane , già richiamate in 12,2.270 Ma è una supposizione priva di reale supporto che non sia la pretesa connessione con 12,2, un passo però che non allude a riti pagani estatici o orgiastici , come si è dimostrato sopra. E se è vero che il cemba­ lo era usato soprattutto nel culto di Cibele (cf. E. Peterson , in GLNT I , 614), al­ trettanto vero è che non mancava nel culto giudaico , come appare per es . in Sai 150 , 5 : «lodatelo < Dio> con cembali risonanti (en kymbalois eu echois ) » . E che dire del bronzo echeggiante? L'ipotesi di W . W . Klein, secondo cui chalkos ekon indica i vasi acustici posti nei teatri per amplificare la voce degli attori, appare peregrina. Anche la congettura di T . E . Sanders che legge la particella e in senso comp arativo : «piuttosto che un cembalo squillante» sembra puramente soggetti­ va . E più probabile che Paolo faccia riferimento a strumenti musicali di percus­ sione , sempre di bronzo , 27 1 bene attestati nell'AT e in uso nel culto gerosolimita­ no (cf. K.L. Schmidt , in GLNT V, 1337s) . Così il glossolalo privo di amore sa­ rebbe simile a un oggetto inanimato272 capace solo di fare rumore ( cf. per es. Spicq, Agapè, 69s) . Ma nel mondo greco cembalo era anche inteso in senso figu­ rato , «a designare i chiacchieroni boriosi e vani . Plinio il Vecchio ci informa (hist. nat. , praef. 25) che l'imperatore Tiberio definì il grammatico Apione cym­ balum m u ndi» . 213 Anche Platone , Protagora 329A , usa la medesima immagine per denunciare la loro logorrea : «ma, interrogato su qualche passo , anche picco­ lo , da loro pronunciato , come bronzi percossi risuonerebbero e vibrerebbero finché venissero toccati (h6sper ta chalkia plegenta makron echei kai apoteinai) : così i retori . . . fanno un interminabile discorso» . L'immagine sarebbe congrua a evidenziare la vacuità del possesso della glossolalia privo di amore.274 v. 2 Il secondo confronto è tra l'amore e quattro carismi di grande richiamo: «E se ho profezia e conosco tutti i misteri e tutta la conoscenza, e se ho tutta la fede così da trasportare monti » . Della profezia e della fede taumaturgica , cari­ smi già menzionati nel c. 12, si è detto sopra ; invece almeno parzialmente nuovi sono i due centrali nell'elenco (cf. soprattutto D autzenberg, Urchristliche Pro­ phetie , 1 49- 159) . In realtà si discute se siano carismi distinti dalla profezia. C'è chi vi vede solo specificazioni oggettive della profezia. Per es . Dautzenberg, ib id. , 1 5 1 interpreta così il testo: «E se ho profezia così da conoscere tutti i mi­ steri e tutta la conoscenza» (cf. anche Grudem, The Gift, 177n) . A parte altre considerazioni, si rileva, « avere profezia e conoscere tutti i misteri e tutta la co-

270

WEISS , Der erste, 3 1 3 : strumenti del culto orgiastico. Flavio Giuseppe in Ant. 7 ,306 così descrive i cembali del culto giudaico : «i cimbali erano grandi lastre di bronzo (chalkea)». 272 Cf. 14,7 che parla di strumenti musicali inanimati (ta apsycha) . 273 K . L . Schmidt, in GLNT V, 1338s . Ecco la citazione completa: «Apion quidem grammaticus - hic quem Tiberius Caesar cymbalum mundi vocabat, cum proprie famae tympanum potius videri possit». Schmidt cita anche Tertulliano: il filosofo è come un baccante invasato (Digne quidem, ut bacchantibus indumentis aliquid subtinniret, cymbalo incessit: De palio: PL 2, 1098a ) . m La formula «avere l'amore » , invece che «amare» ricorre anche in Fil 2 ,2 (ten auten agapen echontes) . 271

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noscenza» sono retti dall'unica congiunzione ipotetica ean («Se») , che ritorna so­ lo davanti al carisma, certo distinto , della fede taumaturgica. Ma l'argomento non è apodittico . Nel caso ipotizzato sarebbe stato semplice per Paolo ricorrere a una subordinata invece di usare la coordinata «e conosco . . . » . Certo , si tratta di carismi assai simili, ma già altrove è dato osservare l'enumerazione di fenomeni spirituali d'incerta differenziazione : in 12,8 Paolo ha distinto tra «parola di sa­ pienza» e «parola di conoscenza» (logos sophias I gnoseos) ; in 14,6 sono enume­ rati rivelazione , conoscenza, profezia e insegnamento (apokalypsis, gnosis, pro­ phéteia, dida ché ) . 275 Circa la conoscenza dei misteri si deve rilevare che in 14,2 la glossolalia è fat­ ta consistere nel proferire misteri (lalei mystéria) , è sottinteso con parole incom­ prensibili . I misteri costituiscono anche l'oggetto della profezia, come si è detto sopra con riferimento a 14,30; essa ne parla però in maniera comprensibile . Qui il carisma coglie la fase precedente della conoscenza, relativa però a una rivela­ zione (apokalypsis) divina. I misteri infatti diventano accessibili all'uomo , che li conosce e ne parla , solo se Dio glieli disvela . Di questo nesso parla il brano 2 ,616 : Dio ha rivelato (apekalypsen) mediante lo Spirito agli «spirituali» (v . 10) la sapienza «misteriosa» (en mysterio-i) rimasta finora nascosta (apokekrymmene) (v. 7) ; essi giungono così alla sua conoscenza (eidenai ta hypo tou Theou charist­ henta hémin : conoscere i doni di grazia datici da Dio) e ne possono parlare (la­ lein : vv . 6-7) , mentre l'uomo «carnale» non è capace di conoscere (ou dynatai gnonai) (v. 14) . Il legame tra mistero e conoscenza appare di nuovo in Rm 1 1 ,25 , dove Paolo dice di non voler lasciare nell'ignoranza (hymas agnoein) i suoi interlocutori circa il mistero della salvezza di tutto Israele . 276 Il mistero in Paolo tradisce una certa molteplicità oggettiva, mantenendo sempre la sua valenza di progetto salvifico divino , nascosto in passato nelle pro­ fondità eterne di Dio ma ora disvelato per grazia nella storia. 277 La particolarità del nostro passo è duplice : la conoscenza dei misteri fa parte dei carismi e ne abbraccia la totalità (ta mystéria panta) . Già il plurale è raro (cf. l Cor 4 , 1 : «amministratori dei misteri di Dio» ; 14, 2: «proferisce misteri»; vedi anche Mt 1 3 , 1 1 e Le 8 , 1 0) . La formula completa è un'originalità , che però trova paralleli interessanti nella letteratura apocalittica giudaica , come ha mostrato D autzenberg. Se in Sap 9 , 1 1 è detto che la sapienza «conosce tutto» (oide . . . panta)» , più vicino al nostro passo appare 4Esdra 10,38: A ltissimus revelavit tibi

275 DuPONT, Gnosis, 188 . 1 92.200 ritiene che vi siano menzionati i carismi di pro fe zia , rivelazio­ ne e conoscenza ; per CoNZELMANN , Der erste Brief, 262 sono profezia , sapienza e conosce nza. WEISS , Der ers te , 314 ri ti e n e che kai eid6. . . è uno sviluppo di ech6 prophetian . ALLO , Saint Paul, 344 ritiene che vi si parli solo di due carismi in tu t to , la profe zia , o grand e carisma di conoscenz a , e la fe· de, o tf rande carisma di azione . 27 Al di fuori delle lettere paoline autentiche si veda Ef 1 ,9 (gn6risas hemin to mysterion); 3,3 (egn6risthe moi to mysterion) ; 6,19 (gnorisai to mysterion) ; Co l 2,2: (eis epign6sin tou mysteriou); Mt 13 , 1 1 e Le 8 , 10 (gnonai ta mysteria) . 277 Cf. la monografia di R . P enn a , Il «mysterion» paolino , Paideia , Brescia 1978 e G. Born· kam m , in GLNT V .

lCor 1 3 , 1-3

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ginoskein) . I due avverbi di tempo servono a evidenziare la contrapposizione tra un vedere e co­ noscere imperfetto e un vedere e conoscere perfetto , il primo proprio del tempo attuale (arti) e il secondo del tempo futuro (tote ) . La formula ginosko ek merous richiama di certo l 'espressione parallela ek merous ginoskomen del v. 9 , più in generale la contrapposizione tra parzialità (to ek merous) e perfezione (to te­ leion) propria del v . 1 0 ed evidenziata «per exemplum» nel v . 1 1 mediante l'anti­ tesi bambino-uomo (nepios-aner) . Il passaggio dal noi del primo periodo all'io del secondo è una variazione stilistica già presente nei vv . 9 e 1 1 . Il versetto però non manca di peculiarità : anzitutto , specifica l'imperfezione del conoscere at­ tuale affermata al v . 9 e la sua perfezione «in sta tu termini » ; inoltre vi si abbina il motivo del «vedere» , imperfetto «Ora» e perfetto « allora» .

l Cor 1 3 ,8-12

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Anche qui Miguens interpreta l'antitesi cronologica «adesso I allora» all'in­ terno dell'esperienza storica dei credenti, vista secondo lo sviluppo , nel creden­ te, dalla fase di una penetrazione imperfetta dei misteri della fede a una perfet­ ta. Ma, ancora una volta, misconosce la prospettiva escatologica del brano pao­ lino, dato il rapporto stretto con la tesi del v. 8 , a cui si richiamano i due suddetti avverbi. Il primo (arti) indica il tempo attuale in opposizione a quello escatologi­ co ancora in l Pt 1 ,6-7 , dove l'autore esorta i credenti alla gioia, anche se «ades­ so» devono per un poco subire l'afflizione di molteplici prove destinate a raffor­ zare la loro fede che risalterà gloriosa « nella manifestazione di Gesù Cristo ( en apokalypsei Iesou Christou)» . Il secondo avverbio , tote (allora) , riceve anch'esso valenza escatologica dal contesto . La perfezione del conoscere finale è espressa dal verbo composto epignosko , specificato dalla formula comparativa «come anche sono stato conosciuto (epe­ gnosthen)»: un passivo teologico che sottintende Dio quale complemento d'a­ gente. La conoscenza futura dei credenti avrà lo stesso timbro della conoscenza divina . «Lo scarto tra il nostro conoscere e il nostro essere conosciuto sarà supe­ rato. A metro della nostra conoscenza Paolo assume lo stesso conoscere di Dio : un modo semplice e insieme efficace per evidenziarne il grado di perfezione» (Barbaglio , «Alla comunità» , 488) . Non si tratta di un conoscere teorico ; il verbo ha lo spessore espressivo del corrispondente ebraico jd' , come ha annotato R. Bultman n , in GLNT Il, 5 1 7 ; l'essere conosciuto , precisa sempre i l grande esegeta, vuol dire essere chiamato alla salvezza . Il passo parallelo più vicino è l Cor 8 , 3 : la gnosis offre un conosce­ re imperfetto ; solo chi ama conosce a fondo , come «Un riflesso dell'iniziativa di­ vina di "conoscere" l'uomo , ossia di chiamarlo alla salvezza» (Bultmann, ibid. , 5 16s) : «Se invece uno ama Dio, costui è da lui conosciuto (egnostai hyp'au­ tou)» . z99 Il dettato del v . 12b nella sua genericità potrebbe riferirsi al conoscere in ge­ nerale , ma il contesto lo collega alla conoscenza carismatica (cf. D autzenberg) . Infatti , se , come si è notato sopra , la formula gin6sk6 ek merous (conosco par­ zialmente) del v . 12b riprende l'espressione analoga del v. 9 (ek merous ginos­ komen: parzialmente conosciamo) , questa continua il v . 8d: gnosis katargethese­ tai («la conoscenza sarà eliminata») . Paolo non ha abbandonato il terreno delle esperienze carismatiche, contrapposte all'agape come grandezze caduche a real­ tà imperitura , essendo quelle imperfette e questa perfetta . Assai discusso è i l v . 12a, soprattutto il significato delle due espressioni con­ trapposte : vedere mediante uno specchio in forma enigmatica I vedere a faccia a faccia . Ma già l'introduzione improvvisa del motivo del «vedere» suscita interro­ gativi , tanto più che sembra perdersi per strada «il profetare» , che al v. 9 era ab-

299 Sempre a proposito dell'essere conosciuto da Dio si veda anche Gal 4,9: «Ora invece che avete conosciuto Dio (gnontes Theon) , anzi che siete stati conosciuti da Dio (gnosthentes hypo Theou)».

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binato al «conoscere» . Due in realtà sono le linee di lettura , rappresentate da Dupont e Dautzenberg . 300 L'esegeta belga ritiene che il motivo del vedere sia stato introdotto da Paolo sotto l'influsso del tema vt e giudaico della visione di Dio , che gli permetteva di evidenziare l'imperfezione della conoscenza attuale di Dio e la perfezione della sua conoscenza escatologica . Il secondo afferma in­ vece che Paolo si riferisce alla profezia , intesa , in riferimento a Nm 12,8, come visione divina . Si tratta di un passo classico nella tradizione rabbinica per la comprensione della profezia , annota Dautzenberg , Urchristliche Proph e tie 176, e qui l' apostolo in qualche modo vi si richiama . La nostra preferenza va a questa seconda linea di lettura , a favore della quale giocano due considerazioni . Anzi­ tutto il contesto e la struttura del brano mostrano che l'autore non ha abbando­ nato il tema costante delle esperienze carismatiche ; l'assenza poi del comple­ mento oggetto «Dio» nell'uso del verbo «vedere» si spiega meno nell'ipotesi che vi s'intenda parlare della visione escatologica di Dio . Si aggiunga che mai altrove Paolo ha parlato dell'espe rienza attuale dei credenti in termini di visione di Dio, sia pure indiretta (per mezzo di uno specchio in forma enigmatica) . L'obiezione poi di Dupont: «Profetare vuol dire prender la parola ; non è vedere Dio» ( Gno­ sis , 1 12) non appare decisiva: Paolo qui si richiama alla tradizione vt e giudaica che comprendeva la profezia in antitesi alla rivelazione divina fatta a Mosè ; e ciò gli permette di sottolineare la caducità della profezia carismatica cristiana. Ecco il testo di Nm 1 2 ,6-8 : «Se ci sarà un vostro profeta del Signore , mi farò conoscere da lui mediante visione , in sogno parlerò a lui . Non così il mio servo Mosè . . . A bocca a bocca parlo a lui , in visione e non in enigmi ed egli vede la fi­ gura del Signore» . 30 1 La versione dei LXX ha attenuato l'affermazione finale: oggetto della visione è la gloria di Dio (ten doxan Kyriou eiden) , seguita dai tar­ gumim che in base a Es 33 , 1 1 -23 escludono la visione di Dio a faccia a faccia . Inoltre i LXX hanno tradotto l a stessa espressione ebraica i n due modi diversi : en oramati al v . 6 e en eidei al v . 8 , certo per distinguere i due tipi di rivelazione. Il Targum Jerushalmi , ma così anche la tradizione rabbinica , leggendo nell'e­ braico mr'h (in visione) , diversamente vocalizzato , il vocabolo «specchio» ai vv . 6 e 8, finisce per individuare la differenza tra i profeti e Mosè nella modalità enigmatica della rivelazione profetica (visioni confuse in sogno) al contrario di quella mosaica . Nella tradizione rabbinica, che giunge sino a Rashi , si distingue così tra lo specchio limpido in cui la rivelazione è stata fatta a Mosè e lo specchio oscuro in cui è stata data ai profeti . 302 Inoltre la tradizione rabbinica ha escluso ,

30° .iu i

rispettivamente Gnosis , 1 05- 148 e Urchristliche Prop hetie , 1 59-225 . I l testo ebraico , corrotto, è stato corretto spesso e volentieri ; per es. la traduzione della Ziir­

Cf.

cher Bibel, ma anche Michaelis , in GLNT VIl l , 929s ( in nota ) , hanno ipotizzato la negativa davanti alla formula «in visione» del v . 8 ( «non in visione» ) , per evitare l'apparente contraddizione con il v. 6 , dove la visione era propria del profeta, non della rivelazione divina fatta a Mosè . .iu2 Kittel conclude così il suo studio: «Le due parole , ainigma e esoptron ( enigma e specchio ) ­ malgrado la loro sostanziale equivalenza semantica venivano usate con una diversa intonazione, co­ me risulta evidente dalla discussione rabbinica su Mosè . La prima infatti indica sempre l'oscura co­ noscenza e rivelazione dei profeti, a cui si contrappone la limpida visione di Mosè ; l'altra invece non comporta questa intonazione restrittiva e può esprimere sia la visione di Mosè sia quella degli altri profeti , solo che lo «Specchio» del primo è migliore di quello degli altri» (GLNT I , 483s ) . Vedi pure DAUTzENBERG , Urchristliche Prophetie , 1 75ss con maggior ricchezza di dati documentari . -

l Cor 1 3 , 8- 1 2

72 1

che Mosè abbia veduto la faccia di Dio , negando , sulla base di Es 33, che «a boc­ ca a bocca» equivalga a «a faccia a faccia» e collegando la visione divina con la formula «mediante uno specchio», per cui «il veduto» non è Dio stesso ma una sua immagine (cf. Dautzenberg) . Ora si ammette , da parte di tutti , che Paolo si sia riferito a tale testo vt , sen­ za propriamente citarlo ; ma la sua dipendenza in proposito è diversamente valu­ tata . Secondo Dupont l'apostolo , in pratica , riprende da Nm 12,8 solo l'elemen­ to degli enigmi, mentre per l'immagine dello specchio si ispira al mondo greco che la usava per indicare una visione indiretta della realtà . 3{13 Si aggiunga che dal mondo biblico-giudaico gli veniva il motivo della visione escatologica di Dio . Per Kittel e Dautzenberg invece egli s'inserisce nelle discussioni giudaiche sulla rivelazione divina ai profeti e a Mosè per presentare l'esperienza profetica cri­ stiana come visione imperfetta rispetto alla visione perfetta del tempo escatolo­ gico . Le espressioni «mediante uno specchio» e «in forma enigmatica» si riferi­ scono ambedue al vedere determinandone l'oggetto veduto, un'immagine non la realtà stessa , e un 'immagine confusa , bisognosa di spiegazione . In proposito si veda anche Filone , di cui riportiamo un passo significativo ( Legum allegoriae 3 , 1 0 1 ) in cui distingue tra la figura di Dio e Dio stesso : «possa io non vedere la tua forma (ten sen idean) in un altro specchio (katoptrisaimen ) se non in te stesso , o Dio».304 In ogni modo , l'apostolo vuole escludere dall'esperienza profetica l'illusione di una visione diretta e chiara dei misteri divini e di Dio stesso , riservata al mon­ do futuro . 305 Tale speranza ha la sua radice nella tradizione giudaica , come pos­ siamo per es. leggere in 4 Esdra 7 ,98 : «Essi infatti < quelli che hanno conservato le vie dell'Altissimo> hanno fretta di vedere il volto di Colui che servirono da vivi , e dal quale dovranno essere glorificati e riceveranno la ricompensa» , ripre­ sa negli scritti protocristiani (oltre lCor 1 3 , 1 2 cf. Mt 5 ,8 ; Ap 22 ,3-4) . La formula «vedere a faccia a faccia» applicata a Dio è testimoniata i n Gen 3 2 , 1 1 («ho visto Dio a faccia a faccia») , mentre come modalità del parlare di Dio a Mosè appare in Es 33 , 1 1 e Dt 34, 10.

303 I l tema parte da Platone: lo specchio fa vedere n o n l a realtà ma una sua immagine : «affinché la forza dei pensieri , ch'esce dalla mente , vi si potesse riflettere come in uno specchio (en katoptro-i dechemeno-i) che riceve le figure (typous) e fa vedere le immagini (katidein eidola parechonti)» ( Ti­ meo 7 1 8 ) e si sviluppa in seguito, fatto proprio anche da Filone : mediante uno specchio (dia katop­ trou) abbiamo solo una rappresentazione (eidolon) dell'anima che ha una natura invisibile (Abr. 1 53) e non la cosa stessa. Si veda a nche Plutarco : «in uno specchio è una riproduzione quello che ap­ pare (di'esoptrou eidolon anaphainetai)» (Moralia 781F). 304 Cf. su questo testo la discussione di DAUTZENBERG , Urchristliche Prophetie, 182s, che tratta a lungo di Filone , il terzo , insieme con i rabbini e l Cor 1 3 , 1 2 , a trattare della visione di Dio nello spec­ chio , cioè percependovi una sua immagine , non lui stesso ( cf. pp . 1 80ss ) . 305 In 2 Cor 3, 1 8 : «Noi tutti a viso scoperto riflettendo come in uno specchio la gloria del Signo­ re» abbiamo un altro motivo, quello dell'irraggiamento dello splendore di Cristo sul volto dei cre­ denti , come Mosè rifletteva sul suo la gloria di JHWH , mentre nel nostro passo si tratta dello spec­ chio come mezzo di conoscenza, che cattura non la realtà ma la sua immagine.

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Commento

5 . 5 .5 . L'amore più grande di fede e speranza ( 1 3 , 13) In questo versetto : «Ora poi resta (menei) fede , speranza, amore , queste tre grandezze , ma più grande di queste è l'amore» le opinioni degli studiosi si divi­ dono a proposito sia del senso della particella «ora (nyni)» sia del significato del verbo menei. In concreto quella è interpretata dagli uni come avverbio tempora­ le («adesso») dagli altri come congiunzione con valenza logica («Or dunque») . Gli uni poi attribuiscono al verbo una pregnanza di significato escatologico («sussistere oltre il tempo») mentre gli altri vi leggono significati privi di qualsia­ si connotazione temporale . Risultano dunque diverse letture del passo, riducibi­ li , in sostanza, a due direttrici ermeneutiche . La prima legge : «Or dunque sussi­ stono per sempre fede , speranza e amore ; la più grande però è l'amore».306 Il verbo menei è interpretato , alla luce del v . 8 , come forma positiva di quella espressione negativa: «non viene mai meno» . Conzelmann , Der erste Brief, 266 afferma che «oudepote piptei è anticipazione di menei del v . 13» ; e ritiene che questi due verbi facciano parte della terminologia dell'eone . Ma come attribuire a Paolo la permanenza oltre il tempo della fede e della speranza, quando egli in 2Cor 5 ,7 contrappone il credere attuale al vedere finale e in Rm 8 ,24s dice che la speranza è propria di chi ancora non possiede la realtà sperata? Bultmann ritie­ ne di poter offrire questa spiegazione : « È vero che la pistis , in quanto è riferi­ mento alla grazia divina, non sarà superata neanche nel compimento escatologi­ co , ma "resterà" ( l Cor 13, 13) ; tuttavia la vita terrena vissuta nella p is tis è prov­ visoria , perché le manca ancora la visione» ( GLNT X, 467s) ; «anche la speranza è destinata a rimanere quando un giorno giungeremo al blepein ( l Cor 1 3 , 12s) ; in effetti la elpis . . . è la fiducia in Dio che , prescindendo affatto dal mondo e dall'io umano , persevera nell'attesa del bene promesso da Dio e anche quando la pro­ messa è compiuta non si risolve in un possesso , ma continua a essere fiducia che Dio conserverà ciò che h a donato» ( G LNT III , 545) . La spiegazione è brillante ma chiaramente imposta dalla scelta esegetica del v . 1 3 . Inoltre il verbo menein non significa affatto , p e r s e stesso , il restare nell'eter­ nità. Soprattutto contro questa ipotesi vale la struttura del brano , in cui il v. 13 si discosta nettamente dallo schema di pensiero dei vv. 8- 12 e dunque anche dal motivo del perdurare dell'amore oltre il tempo. Il nostro versetto , in realtà, in­ troduce il tema della maggior grandezza dell'agape rispetto non ai carismi ma al­ la fede e alla speranza, le quali con l'amore formano una triade che definisce il nucleo essenziale dell'essere cristiano . E se si cita come passo parallelo 3Esdra 4,38: «Ma la verità rimane salda e forte per sempre (he de alétheia menei kai ischyei eis ton aiona) , essa vive ed esercita la sua potenza per tutti i secoli dei se­ coli (eis ton aiona tou aionos)» , non è difficile far notare che nel nostro testo manca appunto la formula decisiva eis ton aiona o eis ton aiona tou aionos , che di

306 Così per es. R. Bultmann (cf. poco più avanti ) ; Lietzmann, An die Korinther, 67: le tre forze che permangono nell'aldilà; Barrett: menei nel mondo avvenire .

lCor

1 3 , 13

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nuovo appare , specificandolo, nel passo parallelo 2Cor 9 , 9 : «la sua giustizia re­ sta in eterno (menei eis ton aiona)» . 307 La seconda interpretazione riferisce di fatto la permanenza o validità delle tre grandezze al tempo presente , qualunque sia la comprensione di menei e nyni, cioè in senso temporale o logico . Ecco come di fatto leggono il passo per es. Senft , La Première Épitre, 172 : «Tutto sommato ciò che resta» ; Miguens, « l Cor 13 ,8-13» , 94: così com'è , queste tre rimangono in forza ; Spicq , Agapè, 1 05s: se lasciamo da parte i carismi propriamente detti , ci restano ancora tre virtù create dallo Spirito e associate tra loro (cf. il verbo al singolare) . 308 Come si è detto sopra , il v . 13 non fa parte dell'unità dei vv. 8-12 e introduce un motivo nuovo , la superiore importanza (meizon) dell'amore , affermata al­ l'interno di una triade che contrassegna essenzialmente l'esistenza cristiana, co­ me appare dalla sua molteplice presenza, non sempre nello stesso ordine , in Paolo e in altri scritti protocristiani . Vedi lTs 1 ,2-3 : « Ringraziamo sempre Dio per tutti voi . . . , memori dell'opera della vostra fede , del faticoso lavoro del vo­ stro amore e della costanza della vostra speranza» ; 5 ,8 : «Noi invece , essendo del giorno, siamo sobrii , rivestiti della corazza della fede e dell'amore e avendo co­ me elmo la speranza nella salvezza» ; ma va citato anche Rm 5 ,2-5 dove abbia­ mo , non un elenco , ma uno sviluppo teologico incentrato in fede , speranza e amore : «per mezzo suo ( Cristo) abbiamo pure avuto l'accesso mediante la fede (te-i pistei) a questo stato di grazia in cui ci troviamo , e ci gloriamo poggiando sulla speranza (ep 'elpidi) nella gloria di Dio . . . La speranza poi non delude , per­ ché l'amore di Dio (he agape tou Theou) è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo » . In tempo posteriore a Paolo abbiamo altre testimonianze : lTm 6 , 1 1 e 2Tm 3 , 10 elencan o , insieme con altre «virtù » , fede , amore e costan­ za (hypomone) che sostituisce la speranza; Ef 1 , 15 elenca fede e amore , ma nel contesto più vasto è menzionata anche la speranza sotto forma verbale (v . 12) e in senso oggettivo come realtà sperata al v . 1 8 ;309 Col 1 ,3-5 : «Ringraziamo . . . avendo sentito della vostra fede in Cristo Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, per la speranza che vi attende nei cieli » ; Eb 1 0,22-24: «Accostiamoci con

307 Non si discosta molto l'ipotesi di Dreyfus , che propone una via di mezzo , nyni in senso tem­ porale e menei in senso escatologico : restare in opposizione ai carismi che passeranno; ma che fede , speranza e carità restino non vuol dire che esse non siano trasformate, la fede in visione e la speranza in possesso ; sono destinate a restare , realizzando in questa vita un'anticipazione della vita eterna. 308 Marxsen toglie valore escatologico non solo a menei ma anche a oudepote piptei del v. 8, che tratta non dell'eternità , ma della continuità (Stetigkeit) dell'amore ; la vita nella fede resta sempre vi­ ta nell'amore : fede , speranza e carità caratterizzano l'essere cristiano. Ultimamente W. Weiss ha de­ dicato uno studio attento alla triade come appare soprattutto nella lTs e, affrontando in conclusione («Glaube» , 2 16s ) il nostro passo, ne ha presentato questa parafrasi : «Per il tempo presente , che pre­ sto con l 'eschaton giungerà alla fine , fede , speranza , amore durano davanti a Dio come esigenza ob­ bligante . . . Fede , amore , speranza rappresentano, come espressione dell'essenziale realizzazione della comunione con Gesù Cristo , i più grandi doni di grazia, a cui val la pena di anelare» (ibid. , 217) . 309 Si discute se la formula en agape-i di Ef 1 ,4 si riferisca agli eletti o all'azione predestinante di Dio.

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Commento

cuore sincero nella pienezza della fede (en plerophoria-i pisteos) . . Manteniamo l'invacillabile professione della speranza (ten homologian tes elpidos) . E siamo intenti a stimolarci nell 'amore (eis paroxysmon agapes)» ; Lettera di Barnaba 1 ,6 : «Tre sono gli insegnamenti del Signore : speranza di vita (zoes elpis) , princi­ pio e fine della nostra fede (arche kai telos pisteos hemon) , giustizia, principio e fine del giudizio , amore (agape) . . . » . Paolo richiama qui l a triade , che la formula «queste tre grandezze (ta tria tauta)» introduce come unità riconosciuta di indubitabile valore . Ecco il corso del suo pensiero : or dunque (nyni logico) , dopo il confronto tra amore e carismi, resta in campo un altro complesso di «valori» riconosciuti (menei) , fede , speran­ za e amore ; ma anche qui il confronto fa risaltare il valore eminente dell'agape, superiore per importanza alla fede e alla speranza . È una tesi enunciata come as­ sioma, data per evidente . Di fatto l'apostolo non adduce alcuna prova. C'è co­ munque un sottinteso che il contesto fa emergere : l'amore è la perfezione (to te­ leion) (v . 10) , l'imperituro (oudepote piptei) (v. 8) , il costitutivo dell'essere del credente (v . 2: senza l'amore sono una nullità) ; come tale «è più grande di que­ ste». Spicq , Agapè, 107 afferma che l'amore è la più grande perché il solo a sus­ sistere nell'altro mondo ; si tratterebbe di un'eccellenza escatologica. Ma non ba­ sta ; il v. 1 3 non si collega solo ai vv . 8- 12 bensì a tutto il brano . 310 Un passo formalmente parallelo è senz'altro il Testamento di Giobbe: «Mi­ gliore di tutto è la longanimità» (kreitton esti pantos he makrothymia) (27,7) . Una qualche analogia presenta anche 4Mac 1 ,2, già citato sopra , che parla della phronesis come della più grande virtù (tes megistes aretes) . Si veda pure nel can­ to di Tirteo l'esaltazione del coraggio: «Questo il valore (arete) , il pregio questo e fra i mortali supremo (ariston) , per un giovine è questo l'ornamento più bello (kalliston)». Infine citiamo Sap 7 ,29 : la sapienza «paragonata alla luce risulta su­ periore (protero)» . .

. .

·

5 . 5 .6. Esortazione conclusiva (14,la) In chiusura Paolo esorta a perseguire l'amore . Non per questo però si può dire che il suo intento nel c. 13 sia stato di carattere parenetico . In realtà, tale imperativo gli permette di chiudere la «digressione» circa lagape e di poter con­ tinuare il motivo parenetico , introdotto in 12,31a («Agognate (zeloute) però ai doni di grazia più grandi») , ripetendone in sostanza i termini in 1 4 , l b : «agognate (zeloute) pure ai fenomeni spirituali , ma di più a che pròfetiate » . Comunque l'e­ sortazione rivolta ai destinatari nasce anche da ragioni pratiche : i corinzi , protesi tutti ai carismi più spettacolari piuttosto che al valore supremo della vita cristia-

310 Già nel v. 7 Paolo aveva subordinato il credere e lo sperare all'amore , di cui i n di can o gli am· biti d'azione .

lCor 14, lb-40

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na, ne avevano senz'altro b isogno . D'altra parte , dopo l'elogio dell'amore è na­ turale che egli pastoralmente voglia sollecitare i suoi interlocutori a perseguire tale «via» per eccellenza che porta alla perfezione . Il verbo è usato altrove da Paolo per indicare la tensione operativa verso de­ terminati traguardi e risultati: i pagani che non perseguivano la giustizia l'hanno raggiunta per grazia e gli israeliti che perseguivano «la legge della giustizia» non vi sono giunti (Rm 9 ,30-3 1 ) ; Rm 12, 1 3 ; 14,19 e lTs 5 , 1 5 esortano a perseguire l'ospitalità, ciò che attiene alla pace e alla vicendevole edificazione e al bene re­ ciproco . In Fil 3 , 12-14 il verbo significa camminare sulla via che porta all'escha­ ton : «non che l'abbia già preso . . . , ma lo perseguo per poterlo anche afferrare . . . non ritengo ancora di averlo io stesso afferrato . . . teso alla mèta perseguo il pre­ mio . . . ». Nel nostro passo chi scrive sollecita un impegno fattivo teso al possesso dell'amore , ribaltando in positivo la proposizione negativa di 1 3 , 1 -3 : «Se non ho amore » . Sottinteso è anche l'esito: realizzare il vero essere del credente . 6.

CARISMI

E

COMUNITÀ

( 1 4 , I B-40 )

l b Agognate pure ai fenomeni spirituali , ma d i più a che possiate profetare . 2 In effetti chi parla in modo glossolalico non ad uomini parla bensì a Dio ,31 1 perché nessuno intende ; egli invece i n spirito proferisce misteri . 3 1 2 3 Chi al contrario profetizza, a uomini parla , producendo edificazione , esor­ tazione e incoraggiamento . 4 Chi parla in modo glossolalico edifica se stesso ; invece chi profetizza edifica l'assemblea ecclesiale . 313 Sa Ora vorrei che tutti voì parlaste in modo glossolalico , ma di più che possiate profetare . 5 b I n realtà è più grande chi profetizza d i colui che parla i n modo glossolalico, a meno che egli faccia da interprete ,3 1 4 affinché l'assemblea ecclesiale possa ricevere edificazione . 6 Or dunque , fratelli, se io venissi da voi a parlare in modo glossolalico , in che co­ sa potrei giovarvi , se non vi parlassi o con discorso rivelativo o con parola di co­ noscenza o con intervento profetico o con 3 15 pronunciamento dottrinale? 7 Ugualmente gli oggetti inanimati emettono un suono, si tratti di flauto o di

3 1 1 I I peso delle testimonianze manoscritte (pap . 46, codd. Alef* B D * F G P , ecc.) è tale d a far preferire la lezione senza articolo. 3 1 2 Var. : «lo spirito invece proferisce misteri». 31 3 L'aggiunta di «di Dio» è m anifestamente secondaria . 3 14 Varianti: I ) verbo all'indicativo ; 2) «a meno che u n o interpreti (ind . ) » ; 3) verbo a l part. pre­ sente ; 4) «a meno che sia colui che interpreta» . 3 1 5 La prep . en è omessa da tali mss . (pap. 46, codd . Alef* D* F G , ecc . ) (= «con profezia o in­ segnamento») da rendere dubbia la lezione .

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8

9 10 11 12 13 14

15 16 17 18 19

Commento

cetra; se non danno distinzione ai suoni,3 16 come si potrà comprendere ciò che viene suonato con flauto o cetra? In effetti se la tromba dà un suono confuso ,317 chi si potrà preparare al com­ battimento? Così anche voi con la parola glossolalica , se non date una parola chiara, co­ me si potrà comprendere ciò che viene detto? Sarete infatti gente che parla al vento . Chissà quanti generi di lingue esistono al mondo e nessuno3 18 è senza lingua. S e dunque non comprendessi il significato della lingua, sarei un barbaro per chi parla e colui che parla dinanzi a me3 1 9 sarebbe un barbaro . Così anche voi , poiché siete bramosi di manifestazioni dello Spirito , indiriz­ zate la vostra ricerca verso l'edificazione dell'assemblea ecclesiale per esser­ ne più ricchi . 320 Perciò chi parla in modo glossolalico preghi di poterne (anche) essere l'in­ terprete . S e infatti 32 1 prego in modo glossolalico , i l mio spirito prega , invece l a mia mente resta senza frutto . Che fare dunque? Pregherò con lo spirito , ma pregherò322 anche con la men­ te ; salmeggerò con lo spirito , ma323 salmeggerò anche con la mente. Poiché se benedici324 con spirito ,325 come colui che occupa il posto del profa­ no potrà dire l'Amen sul tuo ringraziamento? Perché non comprende che cosa dici . T u di certo i n effetti fai un bel ringraziamento , m a l'altro non viene edifica­ to . Ringrazio Dio ,326 io parlo in modo glossolalico più di tutti voi ;327 ma in un'assemblea ecclesiale preferisco dire cinque parole con la mia men­ te ,328 per istruire anche altri, piuttosto che diecimila parole in modo glosso­ lalico .

316 317

La variante «distinzione di suono» facilita il testo . L ' or d ine delle parole : «Se confuso la cetra un suono dà» è diverso in non pochi e non trascu­

rabil i mss .

3 1 8 L' agg iunta

«di essi» tende a chiarire il testo . L ' omissione di en : «per me sarebbe un barbaro» da parte di importanti e numerosi mss. si ri­ vela secondaria sia come «lectio facilior» sia come uniformità al p rece d ente to-i lalounti. 32 0 Le var «di fenomeni dello Spirito (pneumatikon)» I «per poter profetare (propheteute)• sono indotte da 14, 1 . 321 L' om issione del gar esplicativo da parte di pap. 46 B F G, ecc. rende la lezione dubbia. 322 Var. : «che io preghi . . . , che io preghi». 323 Omissione dell'avversativa. 324 Var. con il verbo a l l ' a o risto : «se benedissi» . 325 È dubbia l a presenza della prep. e n che può avere anche il significato di «in» . 326 Agg i u nta di «mio». L'aggiunta di hoti ( «che» ) si dimostra « lectio facilior» . 327 Anche la variante : «Ringrazio Dio per tutti voi che parlate di più con lingue» nasce dal ten­ tativo di chiarire il tes to . Altre due varianti : «in lingua ( sing. ) » I «quando io parl o » 328 Pap . 46 aggiunge la prep. en , che può essere tradotta anche con «in» ; altri mss . hann o la va­ riante «mediante la mia i n te l ligenz a» . 319

.

.

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l Cor 1 4 , l b-40

20 Fratelli , non siate bambini quanto al senno , ma comportatevi da bambini quanto alla malizia ; diventate invece adulti in fatto di senno . 21 Nella Legge sta scritto : «Con lingue straniere e con labbra di stranieri329 par­ lerò a questo popolo , ma neanche così mi obbed i ranno , dice il Signore » . 22 Pertanto le lingue sono un segno non per quelli che credono bensì per colo­ ro che non credono ; invece la profezia lo è non per quelli che non credono bensì per coloro che credono . 23 Se dunque tutta la comunità ecclesiale si radunasse nello stesso luogo e tutti parlassero in modo glossolalico ed entrassero non iniziati o non credenti , non diranno che delirate? 24 Se invece tutti profetassero ed entrasse un non-credente o un non-iniziato , viene biasimato da tutti , giudicato da tutti , 25 330 i segreti del suo cuore33 1 diventano manifesti e così caduto con la faccia a terra, si prostrerà davanti a Dio , proclamando : «Veramente Dio332 è in mez­ zo a voi» . ,

26 Che fare dunqu e , fratelli ? Quando vi riunite , ciascuno333 ha un salmo, ha un insegnamento , ha una rivelazione , ha una parola glossolalica , ha un'inter­ pretazione : tutto si faccia a scopo di edificazione . 27 Se qualcuno parla in modo glossolalico , siano in due o al massimo in tre a parlare e uno dopo l'altro ; e uno interpreti . 28 Se invece non c'è un inte rp rete 334 faccia silenzio nell'assemblea ecclesiale , parli invece tra sé e Dio . 29 Quanto a p rofe t i poi , parlino in due o tre e gli altri facciano opera di discer­ nimento . 30 Se però a un altro che sta seduto è stata concessa una rivelazione il prim o si metta a tacere . 3 1 Potete in effetti a uno a uno profetare tutti, affinché tutti possano imparare e tu tti essere esortati 32 Anche le ispirazioni335 dei profeti sono sottomesse ai profeti . 33a Dio infatti non è Dio di disordine , ma di pace . ,

,

.

33b Come in tutte le chiese dei santi 34 336le donne337 facciano silenzio nelle assemblee eccles i ali . Non è infatti per,

329 La variante «con labbra straniere» tende a uniformare questa espressione alla parallela precedente . 330 L'aggiunta di «e così» tende a chiarire il testo e come tale si rivela secondaria . 331 Variante del pap. 46: «della sua mente». 332 Omesso da Alef* D * F G Ps . , ecc. 333 L'aggiunta «di voi» da parte di importanti codici si rivela secondaria in quanto «lectio longior» . 334 Forma semplice in B e con l'art. in D* F G . 335 Variante a l singolare. 336 In importanti codici i vv . 34-35 sono riportati dopo il v. 40. 337 L'aggiunta «Vostre» appare secondaria in quanto «lectio longior» che vuole chiarire il testo e uniformarlo all'espressione «i loro mariti» del v. 35 .

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Commento

messo a loro di parlare ; stiano invece sottomesse,338 come dice anche la Leg­ ge . 35 Se poi vogliono imparare 339 qualcosa, interroghino a casa i propri mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in un'assemblea ecclesiale. 36 Forse è da voi che è uscita la parola di Dio , o a voi soli è venuta incontro?

37 Se uno ritiene di essere un profeta o uno «spirituale» , riconosca che quanto scrivo è comando del Signore . 340 38 Se poi uno lo ignora , viene ignorato .341 39 Pertanto , fratelli miei,342 agognate al profetare e non impedite il pa rl a r e in modo glossolalico . 343 40 Tutto però si faccia in maniera decorosa e ordinata. Cf. A DI N O LFI M. , «Il silenzio della donna in lCor 14,33-36» , in BibOr 17 ( 1 9 7 5) , 121-128 ; ALLISON R . W . , «Let Women be silent in the Churches (lCor 14.33b-36) : What did Paul really say , and what did it mean?» , in JSNT 32(l988) , 27-60 ; BAUMERT N . , A ntifeminismus bei Paulus? Einzelstudien , Wi.irzburg 1992, 109- 142 ; BULTMANN , Theologie des NT, 2 1 1 -214; D U N N J . D . G . , «The Responsi­ ble Congregation ( l Co 14,26-40)» , in DE LoRENZI, a cura di , Charisma und Aga ­ pe (/ Co 12-14) , 201-236 («Diskussion» , 236-269) ; DuPONT, Gnosis, 235-246 («Le critère de l'édification» ) ; FEUILLET A. , «La dignité et le ròle de la femme d'après quelques textes pauliniens» , in NTS 2 1 (1975 ) , 157-191 ; HARTMAN L . , «lCo 14,125 : Argument and Some Problems» , in DE LORENZI , a cura di , Charisma und Agape (! Co 12-14) , 149-169 («Diskussion» , 170- 1 99) ; JoHANSON B .C. , «Ton­ gues, a Sign far Unbelievers? . . . » , in NTS 25( 1978s) , 180-203 ; KE R N U . , «Zum Charisma der Rationalitlit» , in TLZ 1 12(1987) , 865-882 ; KrrzBERGER J. , Bau der Gemeinde. Das paulinische Worfeld oikodome/(ep)oikodomein, Wi.irzburg 1986, 98- 1 1 6 ; KLAUCK H .J . , «Vom Reden und Schweigen der Frauen in der Kir­ che » , in Gemeinde-Amt-Sakrament. Neutestamentliche Perspektiven , Wi.irzburg 1989 , 23 -245 ; KDCHLER M . , Sch weigen , Schmuck und Schleier, Freiburg-Gottin-

338 Variante «ma di stare sottomesse» . L'aggiunga «ai mariti» di A è un a chiara precisazione di u n testo il cui senso appare indeterminato. 339 L'ed. di Nestle-Aland ha preferito l'aoristo , mentre quella di Merk il presente. 340 L'om. di «comando» potrebbe essere ritenuta originaria in quanto «lectio brevior», ma la sua testimonianza in pochi mss. occ. sta a dirne il carattere secondario . Il pi. poi «comandi (entolai)• si s p i e g a dato il pi . del soggetto (ha) : «quelle cose» (Metzger). 34 1 La forma imperativa è ben attestata, ma la forma ind. sembra preferibile perché «lectio diffi· ci l i o r » . . 342 L'omissione del pronome person � le è cosi attestata da rendere dubbia la lezione. 343 Il testo appare molto tormentato . E anzitutto incerto se si debba preferire il ve r bo /alein con l'art . o senza : to fu lasciato cadere a causa della caratteristica parsimonia della filologia di Alessan· dria, oppure fu aggiunto per ragioni di parallelismo con l 'infinito precedente to propheteuein. Sem· bra poi secondaria l'aggiunta della prep. en a glossais ( in lingue) , perché Paolo u sa costruire g/6s· se-i o glossais direttamente con /aiein . Porre infine glossais vicino a lalein è un tentativo secondario di rendere più c h i a ro il testo . Cf. Metzger. =

l Cor 1 4 , l b-40

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gen 1 986 , 54-63 ; MuNRO W . , «Women , Text and the Canon: The Strange Case of 1 Corinthians 1 4 :33-35» , in BiblTheolBull 18(1 988) , 26-31 ; REBELL W . , «Ge­ meinde als Missionsfaktor irn Urchristentum . l Kor 14 ,24s. als Schliisselsitua­ tion » , in TZ 44(1 988) , 1 1 7-1 34 ; RICHARDSON W. , «Liturgica! Order and Glosso­ lalia in 1 Corinthians 14:26c-33a» , in NTS 32(1986) , 144-153 ; SCIPPA V. , La glos­ solalia nel Nuovo Testamento , D'Auria editore , Napoli 1982 , 17-77 e 219ss ; SMrr J . F. M . , «Tongues and Prophecy . Deciphering l Cor 14,22» , in Bib 75(1994) , 175-190; THEISSEN G . , Psychologische Aspekte paulinischer Theologie, Gottin­ gen 1 983 , 82-88 ; WENGST K . , «Das Zusammenkommen der Gemeinde und ihr "Gottesdienst"» , in EvTh 33( 1 973) , 547-559. 6. 1 . A rticolazione Già si è detto sopra che 1 4 , l b introduce , sotto forma di esortazione pro­ grammatica , il nuovo tema del confronto tra profezia e glossolalia teso a eviden­ ziare la preferenza per quella. L'unità letteraria e tematica giunge , attraverso di­ verse microunità, fino al v. 25 . Lo stacco infatti segnato dal v. 26 è netto: «Che fare dunque , fratelli? » . Sul piano tematico poi si nota il passaggio a una parte in cui la risposta di Paolo al problema sollevato dai corinzi scende sul terreno orga­ nizzativo . Per questo non riteniamo che il brano dei vv. 20-25 , introdotto da una formula espressiva di inizio nuovo e seguita da imperativo («Fratelli , non siate bambini . . . » ) , appartenga , come ritengono alcuni esegeti ,344 a una nuova unità letteraria . Oltre tutto , nell'articolazione della sezione da noi proposta , la perico­ pe appare parallela alle tre microunità letterarie precedenti lb-5a; 5b-12; 13-19. Sul piano formale il testo è formato , anzitutto , da affermazioni di principio che esprimono la preferenza di _chi scrive (vv . 5 a . 1 8) e la superiorità della profe­ zia sulla glossolalia ( v . 5b) , doppiate da esortazioni a preferire quella a questa (vv . l b . 1 2 . 20) . La preferenza si pone sul piano soggettivo e si esprime nella for­ ma di una proposizione con il pronome personale come soggetto : «vorrei I prefe­ risco ( = desidero una cosa invece di un'altra) (thel6) » . Invece la superiorità , che la motiva , esprime una valutazione dell'oggetto considerato e si presenta come un'affermazione di valore : «è più grande (meiz6n) chi profetizza di colui che parla in modo glossolalico » . L'esortazione poi , in forma imperativa. dà corpo al­ l'iniziativa di chi scrive che vuole comunicare la sua preferenza e valutazione agli interlocutori , sollecitati a perseguire il valore in questione : «agognate (zeloute)» (v. lb) ; «cercate (zeteite)» (v . 12) ; «preghi (proseuchest6)» (v. 1 3) ; «diventate (ginesthe)» (v. 20). Le une e le altre poi sono alternate a una serie di periodi che , costruiti di re­ gola in forma antitetica (cf. la particella avversativa de) , giustificano le afferma­ zioni e le esortazioni suddette (cf. la particella gar) mettendo a confronto i due

344

tra i

Cf. Conzelmann seguito da K.ITZBERGER, Bau der Gemeinde, 98 che pure accentua la cesura 19 e 20.

vv.

730

Commento

termini in questione , profezia e glossolalia, visti in ambito comunitario. Il testo procede così a ondate successive secondo uno schema abbastanza uniforme (A B A') , dando luogo a piccole unità parallele . La prima (vv . l b-Sa) , caratterizzata dalla formula inclusiva mallon de hina propheteuete («ma di più che profetiate»), è la più lineare : A. B.

A' .

Esortazione a preferire l a profezia (v. lb) Motivata d a un duplice confronto parallelo tra glossolalia e profezia (vv. 2-4) a. «Infatti (gar) chi parla in modo glossolalico . . . » (v. 2) b. «Chi invece (de) profetizza . . . » (v . 3) a'. «Chi parla in modo glossolalico . . . » ( v . 4a) b ' . «Chi invece (de) profetizza . . . » (v . 4b) Desiderio (the/6) che i corinzi preferiscano la profezia (v . Sa) .

La seconda unità (vv. Sb- 1 2) mostra qualche peculiarità , ma rispetta la so­ stanza dello schema: A. B.

Affermazione di principio della superiorità della profezia , subito motivata in rapporto all'edificazione della comunità, con l'introduzione di un ' ecce­ zione però : a meno che il glossolalo faccia da interprete (v. Sb) Confronto dei due carismi con l'aiuto d i tre «exempla» , introdotti con la particella ipotetica ean I se, che illustrano solo il caso della glossolalia, pa­ rola oscura e sterile, anche se , sottinteso , non manca , per contrasto, il ca­ so della profezia, parola comprensibile e quindi fruttuosa ( vv . 6-12) : a . se Paolo venisse a Corinto e nell'assemblea parlasse da glossolalo , cioè non proferisse parole di rivelazione o conoscenza o profezia o insegna­ mento , in nulla gioverebbe ai corinzi (v. 6) ; è un «exemplum» umano e personale espresso sotto forma di eventualità (se I ean) , dunque rientra nella categoria dei casi ipotetici a' . ugualmente gli strumenti musicali , che sono inanimati : - se non emettono suoni distinti e chiari , non sono comunicativi e non sti­ molano affatto gli ascoltatori (vv. 7-8) ; - così anche voi con la glossolalia , parola non chiara, parlate al vento ( v . 9) ;345 a". esempio della lingua straniera: - se non la si comprende, chi parla e chi ascolta sono barbari l'uno all'al­ tro ( vv . 10- 1 1 ) ; - così anche voi ( v . 12a) . Invece d i continuare nel paragone : « (così anche voi) con la glossolalia non potete comunicare» , Paolo passa subito al mo­ mento esortativo per riallacciarsi al motivo iniziale del v. Sb .

345 Nel primo esempio non ricorre la formula «cosl anche voi » , perché già vi si tratta di parola glossolalica impersonata da Paolo stesso e introdotta come eventualità : «se io venissi».

l Cor 1 4 , l b-40

A'.

731

Esortazione a ricercare ciò che può edificare l a chiesa , vale a dire i l cari­ sma profetico (v. 12b) .

Anche la terza unità ( vv . 13-19) varia un po' lo schema, soprattutto mette a confronto la glossolalia non con la profezia ma con la sua interpretazione ; resta confermato invece il criterio di valutazione: improduttività della glossolalia sganciata dalla sua interpretazione: A. B.

A'.

Esortazione al glossolalo perché invochi d a Dio i l dono della interpreta­ zion e : la parola glossolalica diventa così , sotto l'aspetto comunicativo , uguale alla parola profetica (v . 13) ; Confronto tra i due carismi della glossolalia e della sua interpretazione che motiva (gar) l 'imperativo suddetto (vv . 14-17) : a . l a preghiera glossolalica esclude l'intelligenza (nous) di chi parla e , sot­ tinteso , la comprensione di chi ascolta ( v . 14) b. nella preghiera glossolalica interpretata invece è operante l'intelligenza di chi parla e, sottinteso , la comprensione di chi ascolta (v. 15) a ' . la prima risulta inevitabilmente improduttiva per gli altri impossibilita­ ti a parteciparvi (vv. 16- 17) b' . sottinteso: invece la seconda . . . ; Preferenza di Paolo per la parola proferita con intelligenza e dunque com­ prensibile e proficua per gli altri (vv. 1 8- 1 9) . C'è pure la motivazione della preferenza: «per istruire anche gli altri»; il fine dell'utilità sociale , presen­ te solo implicitamente in A , ora viene esplicitato .

Nella quarta unità, formata dai vv . 20-25 , il motivo della esortazione A' a preferire la profezia è sottinteso , mentre in A è implicito nell'imperativo a non essere immaturi ma uomini maturi : A. B.

A' .

Esortazione alla maturità , che n e l contesto vuol dire d i fatto preferire la profezia (v. 20) I l confronto tra profezia e glossolalia viene ora stabilito sulla base di un passo scritturistico liberamente interpretato ( v . 2 1 ) a . la glossolalia è segno p e r gli increduli (v. 22a) b. invece la profezia è per i credenti (v . 22b) ; a' . la glossolalia è improduttiva per gli estranei presenti all'assemblea ec­ clesiale, suscitando in loro una reazione negativa (v . 23) ; b' . la profezia è invece , sempre per loro , spiritualmente feconda (vv . 2425) . Quando vi riunite in assemblea si dia spazio ai profeti. Così esplicitiamo il sottinteso , spiegabile perché di tali riunioni Paolo si occuperà subito dopo nei vv . 26-36, introdotti appunto dalla formula «Quando vi riunite . . . ».346

346 Scippa, La glossolalia , 33ss dedica grande attenzione alla struttura del capitolo, che divide così : l b-Sa; Sb- 1 9 , suddiviso in Sb- 13 e 14- 1 9 ; 20-40, suddiviso in 20-26, 27-33 .36 (inserzione di 3435) , 37-40.

732

Commento

Segue una nuova unità letteraria nei vv. 26-36 che tratta della organizzazione pratica delle riunioni ecclesiali caratterizzate dagli interventi dei carismatici. Sotto il punto di vista formale il brano , come si può ben comprendere dato il suo carattere pratico , si caratterizza per i molti imperativi . Il primo al v . 26 è genera­ le e vi svolge la funzione di tesi generale o «propositio» : «tutto si faccia (ginest­ hO) a scopo di edificazione» . Gli altri , più settoriali , riguardano prima gli inter­ venti dei glossolali ( vv . 27-28 ) : parlino (sottinteso) I faccia da interprete (dierme­ neueto) I faccia silenzio (sigato) I si limiti a parlare (laleito) ; quindi l'attività dei profeti (vv. 29-32) : parlino (laleitosan) I valutino (diakrinetosan) I si metta a ta­ cere (sigato) . Una giustificazione teologica generale di queste esigenze è espres­ sa al v . 33a: «Dio infatti non è Dio di disordine, ma di pace » . Ecco la struttura: A. B. C.

Esigenza imperativa (v . 26) A questo scopo sono regolati gli interventi a. dei glossolali ( vv . 27-28) b. dei profeti (vv . 29-32) Giustificazione teologica dell'esigenza suddetta ( v . 33a) .

In concreto, la regolamentazione dell'esercizio della glossolalia e della pro­ fezia procede secondo uno schema parallelo : a. numero limitato di interventi : - due o al massimo tre e uno dopo l'altro (v. 27bc) - due o tre (v. 29a) b. intervento sulla parola proferita: - uno faccia da interprete (v. 27d) - gli altri valutino ( v. 29b) c. caso ipotetico con nuova soluzione : - in assenza di interprete , il glossolalo faccia silenzio nell'assemblea (v . 28) - se un altro riceve una rivelazione , il profeta che sta parlando si metta a tacere (v . 30bc) . Lo schema della regola per i profeti comunque ha un elemento in più, la ric­ ca motivazione delle prescrizioni date (vv. 31-32) . Segue il brano 33b-36 con la proibizione alle donne di parlare , che conside­ riamo una glossa successiva introdotta artificiosamente e corpo estraneo al c. 14, ma di questo si parlerà a lungo più avanti . I vv. 37-40 chiudono direttamente il c . 14, ma anche , essendo questo collega­ to strettamente ai cc. 12. 13, il complesso della risposta di Paolo al problema dei fenomeni spirituali sollevato dai corinzi (cf. 12, 1 ) . Vi si distinguono due piccole unità. La prima (vv . 37-38) è un'affermazione , non priva di tonalità minacciose, dell'autorevolezza delle prescrizioni epistolari . Lo schema è binario , costituito da esortazione e minaccia:

lCor 14, l b-40

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a. le riconoscano in quanto comandamento del Signore (v . 27) b . guai a loro se non le riconoscono (v. 38) . La seconda (vv. 39-40) con tre imperativi riassume le prese di posizione del c. 14: «Pertanto, fratelli miei , agognate (zéloute) al profetare e non impedite (mé kolyete) il parlare in modo glossolalico . Tutto però si faccia (ginesth6) in maniera decorosa e ordinata» . Si noti che l'ultima formula, nel suo stigma di to­ talità («tutto si faccia I panta ginesth6») riprende quella formalmente parallela del v. 26c : «tutto si faccia (panta ginesth6) a scopo di edificazione» . È un indizio di tipo stilistico avvalorante una precisa lettura del motivo del decoro e dell'ordi­ ne ( euschémonos I kata taxin) del v. 40 che sintetizza il senso delle prescrizioni dei vv. 27-33 : si tratta di due modalità che rendono possibile il conseguimento dell'unico fine , l'edificazione dell'assemblea (pros tén oikodomén ) . '347 6.2. Il motivo centrale dell'edificazione348 Tra i motivi , insieme tematici e formali , che ritornano con cadenza regolare come criteri di valutazione della glossolalia e della profezia, giocando un ruolo determinante nel confronto istituito tra i due carismi , il primo e più significativo è senz'altro quello dell'edificazione (oikodomé I oikodomein). Esso ricorre più volte nella prima parte (vv. l b-25) e una sola nella seconda (vv . 26ss) , però in posizione strategica , appunto nella «propositio» del v. 26 . In 14,12 il sostantivo appare specificato da un genitivo oggettivo : «edificazione dell'assemblea eccle­ siale (oikodomén tés ekklesias) . Anche in 14,26 questa specificazione è di certo presente , sia pure in maniera implicita ; infatti l'imperativo «tutto si faccia per l'edificazione» chiude un lungo periodo che inizia con la determinazione «Quan­ do vi riunite» (synerchesthai, verbo caratteristico in l Cor 11 per indicare le as­ semblee comunitarie ; cf. 1 1 , 1 7 . 1 8 . 20 . 33) . I due versetti poi hanno in comune il fatto di presentare una formula accusativa retta da una preposizione di timbro fi­ nale : «per l'edificazione (dell'assemblea ecclesiale) (pros oikodomén) » , con un imperativo che l a regge : «cercate I s i faccia» (zéteite I ginestho) . Terzo passo parallelo è senz'altro 14,6 che offre una proposizione finale: «affinché l'as­ semblea ecclesiale possa ricevere edificazione (hina hé ekklésia oikodomén labé­ i)» . In sintesi, l'edificazione costituisce Io scopo da perseguire nelle e attraverso le assemblee della comunità. Nel v . 3 viene invece presentata come effetto che consegue al parlare profetico , che è rivolto a uomini non a Dio : «Chi invece pro­ fetizza, ad uomini parla producendo edificazione ( oikodomén ) » . Il verbo corrispondente è usato anzitutto due volte a l v . 4 : «Chi parla in mo­ do glossolalico edifica (oikodomei) se stesso ; invece chi profetizza edifica (oiko­ domei) l'assemblea ecclesiale» . Appare singolare questa valenza soggettiva e in­ dividuale . Paolo parla di edificazione del soggetto in questione , appunto del

34 7 348

Standaert, «Analyse» , 27 definisce i vv . 37-40 una «peroratio» . Cf. soprattutto la monografia d i KIETZBERGER, Bau der Gemeinde.

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Commento

glossolalo ; ma il suo intento è di evidenziare , per contrasto, la tesi della seconda parte del versetto: chi profetizza, a differenza di chi parla in lingue , fa opera co­ struttiva nei confronti dell'assemblea comunitaria. In ultima analisi , anche que­ sto uso singolare conferma che il riferimento sociale o ecclesiale è essenziale al motivo dell'edificazione come è presentato nel c. 14. Né fa eccezione il v . 17, il secondo passo in cui ricorre il verbo «edificare» : «tu di certo fai un bel ringrazia­ mento , ma l'altro non viene edificato (ho heteros ouk oikodomeitai)» . Non si tratta di un rapporto interpersonale , chiuso nel vis-à-vis di due credenti , perché la prospettiva è sempre quella di una comunità riunita in cui il singolo carismati­ co ha davanti un'assemblea e la sua parola risulta edificante per i presenti . In realtà l'«altro» è un singolare richiesto , con tutta probabilità, dal soggetto pure singolare «tu» , proprio del genere vivace della diatriba. Si tratta di una categoria che , presa in senso traslato , può essere detta tipica­ mente paolina, come attesta anche solo il numero delle ricorrenze . L'uso nel c. 14 è caratterizzato dallo Sitz im Leben delle assemblee comunitarie, che manca nei passi delle altre lettere . In 2Cor 10,8; 1 3 , 10 Paolo afferma che il potere apo­ stolico (exousia) gli è stato dato a scopo costruttivo nei confronti dei corinzi: «per la (vostra) edificazione (eis oikodomen . . . hymon)» . In 2Cor 12, 19 confessa di parlare «a favore della vostra edificazione (hyper tes hymon oikodomes)». In lTs 5 , 1 1 e Rm 14, 1 9 ; 15 ,2 invece esorta gli interlocutori all'edificazione vicende­ vole («edificatevi l'un l'altro I oikodomeite heis ton hena» ; «perseguiamo ciò che è proprio dell'edificazione vicendevole I ta tes oikodomes tes eis allelous»; ciascu­ no agisca nei confronti del suo prossimo per edificarlo I pros oikodomen) . In l Cor 8 , 1 si evidenzia come nuovo aspetto il dinamismo che rende costruttivo l'a­ gire e il parlare del credente , l'agape: «l'amore è costruttivo (oikodomei)» . Per questo si è ritenuto da più parti , come abbiamo visto sopra, che il c . 13 sia stret­ tamente collegato al c. 1 4 e che l'elogio dell'amore sia in qualche modo introdot­ to per qualificare il tema dell'edificazione . Ma lo stretto legame tra agape e oi­ kodome di 8 , 1 non è per nulla ripreso : Paolo appare qui interessato a convincere i suoi interlocutori della preferenza da accordare alla profezia , carisma capace di edificare . Infine si devono citare l Cor 8 , 1 0 - bella edificazione della coscienza del fratello debole quella che pretende di fare con il suo comportamento il cri­ stiano borioso seduto al b anchetto «sacro» nel tempio pagano ! - e l Cor 10,23 in cui Paolo limita la pretesa di un'illimitata libertà di azione appellandosi appunto al motivo dell'edificazione : «Tutto è lecito , ma non tutto è costruttivo (ou panta oikodomei)» . 349 Non sembra che i due vocaboli conservino in questi testi l'immagine origina­ ria dell'edificio applicata alla comunità, costruzione in «fieri» , da innalzare di

349 Per completezza citiamo l Cor 3,9 e 2Cor 5 , 1 , in cui oikodome significa edificio sia pure in senso metaforico , indicando di fatto la comunità cristiana e l'e si s tenza ultraterrena dello s t e sso Pao· lo, e infine Gal 2 , 1 8 dove oikodomein presenta il senso generale di un agire cos trutti vo nei confronti dell'osservanza della legge mosaica .

l Cor 14, l b-40

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continuo con l'azione responsabile dei credenti .350 Vogliono solo significare un beneficio spirituale arrecato ai partecipanti all'assemblea . Altrimenti non avreb­ bero senso né 14,4 ( il glossolalo edifica se stesso) , né 1 4 , 1 7 che esprime l'esigen­ za dell'edificazione dell'altro Possiamo anche richiamare la sezione dei cc. 8- 1 0 i n cui Paolo difende i l buon diritto del fratello debole d i essere edificato ( cf. 8 , 10 e 1 0,23) . Ancor più vale il parallelismo reale con i motivi analoghi dell'utilità (ophelein : 1 4 ,6) , della frutt uosità (akarpos resta la mente del glossolalo : 1 4 , 14) e del vantaggio (pros to sympheron : 12,7) .35 1 Paolo però s i cura di precisare i requisiti necessari perché l'edificazione del­ l'altro pos s a avvenire ; parla infatti più volte dell'esigenza impreteribile della in­ telligibilità e chiarezza della parola che solo così può risultare costruttiva , utile , vantaggiosa e fruttuosa per gli ascoltatori . Sul piano formale notiamo qui soprat­ tutto la presenza dei verbi gignosko I oida I akouo e degli aggettivi eusemos (fa­ cilmente riconoscibile ) e adelos ( inevidente) . Quando si esprime il glossolalo , «nessuno comprende (akouei)» (v . 2) . «Così anche voi con la parola glossolalica , se non date una parola chiara ( eusemon logon) , come si potrà comprendere ciò che viene detto (gnosthesetai to laloumenon) ? » (v . 9) ; il paragone degli strumen­ ti musicali messo in campo appena prima (vv . 7-8) evidenzia la stessa esig e nza : devono suonare suoni distinti (diastole: v . 7) e non inevidenti (adelos: v . 8) , al­ trimenti «come si potrà comprendere (pos gnosthesetai) ciò che viene suonato con flauto o con cetra?» (v . 7) . Anche l'esempio de l l a lingua straniera dimostra la necessità di una parola comprensibile : «se non comprendessi (eido) il signifi­ cato della lingua , sarei un barbaro per chi parla e colui che parla dinanzi a me sa­ rebbe un barbaro» (v. 1 1 ) . Alla tua preghiera di glossolalo , dice Paolo al v. 16, il non-iniziato «non comprende (ouk oiden) che cosa dici» . L'incomprensione da­ vanti alla parola glossolalica può giungere addirittura a un fraintendimento tota­ le , scambiando i glossolali per folli : «non diranno che delirate? » (v . 23) . Al con­ trario la parola giudicatrice dei profeti viene intesa e può essere accolta (cf. vv. 24-25) . Infine, l'intelligibilità della parola è al centro dei vv. 14-19, caratterizzati dall'antitesi tra preghiera proferita sotto il soffio ispirativo estatico (pneuma) e preghiera che scaturisce dalla intelligenza umana (nous) e veicola messaggi com prensibili . Pertanto Paolo può confessare : «io parlo in modo glossolalico più di tutti voi ; ma in un'assemblea ecclesiale preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza, per istruire anche altri , piuttosto che diecimila parole in modo glos­ solalico» (vv. 1 8- 1 9) . .

,

­

350 Così invece Wolff, ma dice bene B auer, nel suo Worterbuch , 1 106 che oikodomé è qui un «nomen actionis» e Chevallier, Esprit de Dieu , 59 annota che due sono i significati di oikodomé atte­ stati in l Cor: l'uno indicativo della comunità escatologica, costruzione innalzata da Dio per mezzo del servizio apostolico (3,9) , e l'altro , di valenza parenetica, presente nei cc. 8-10 e 14. 3s i Un passo formalmente parallelo e tematicamente analogo a quelli dell'edificazione è 14,19: Paolo preferisce dire nell' assemblea cinque parole intelligibili che n o n diecimila di incomprensibili «per istruire anche altri (hina kai allou.s katechés6)». La «Catechesi» si unisce cosl alle categorie del­ l'utilità , del vantaggio e della fruttuosità , tutte varianti tematiche del tema dell'edificazione.

736

Commento

Si capisce così non solo che nei cataloghi delle manifestazioni spirituali abbia un suo posto l'interpretazione della glossolalia che è sempre abbinata alla glos­ solalia (cf. 12, 10.30) , ma anche l'esigenza che nelle assemblee ecclesiali la paro­ la glossolalica sia interpretata (cf. 14,27-28) , al fine di renderla costruttiva: «è più grande chi profetizza di colui che parla in modo glossolalico , a meno che egli faccia da interprete , affinché l'assemblea ecclesiale possa ricevere edificazione» (v. 5) . L'hermeneia consiste appunto nella traduzione di un messaggio oscuro e incomprensibile in parola chiara e intelligibile . Ora è su questa discriminante della intelligibilità o meno , come sull'altra del­ la costruttività o meno , che Paolo valuta profezia e glossolalia , ma anche glosso­ lalia e sua interpretazione , preferendo quella a questa e esortando gli interlocu­ tori a fare altrettanto . Ma non è tutto : dalla comprensione della parola si giunge alla sua efficacia (costruttività, utilità , fruttuosità) passando attraverso la comunicazione perso­ nale umana . II quadro del pensiero di Paolo è sempre quello dell'assemblea ec­ clesiale che riunisce ascoltatori e locutori , con ruoli interscambiabili però , nel senso che tutti occupano in momenti diversi l'una o l'altra posizione . La parola è lo strumento del loro entrare in contatto e in comunione , una parola comprensi­ bile che come tale diventa comunicativa di un dono spirituale dal locutore all'a­ scoltatore . Infatti dietro la parola parlata e ascoltata ci sono persone che Paolo chiama alla comunicazione. Così il v. 2 , specificando la differenza tra profeta e glossolalo , dice che il primo parla a uomini , il secondo a Dio , il solo capace di re­ cepire la sua parola, il solo suo vero «uditore intelligente» . Nel caso dei glossola­ li la parola si riduce per gli uditori a puro «flatus vocis » , privo di qualsiasi desti­ natario personale : «Sarete infatti gente che parla al vento» (v. 9c) . Invece di uni­ re , la parola glossolalica scava un solco invalicabile d'incomunicabilità , come in­ dica l'«exemplum» del v . 1 1 : il locutore e l'ascoltatore materiale sono «barbari» l'uno per l'altro . La preghiera glossolalica esclude la partecipazione attiva del­ l'altro : «come potrà dire l'Amen sul tuo ringraziamento? Perché non comprende che cosa dici» (v . 16) . Ai suddetti requisiti intrinseci Paolo abbina, nella seconda parte , le condi­ zioni esterne necessarie perché il processo dell'edificazione si possa realizzare. Nel caos dell'assemblea, con più persone che parlano , glossolali che proferisco­ no parole incomprensibili, dallo svolgimento anarchico , è praticamente impossi­ bile ottenere che la riunione ecclesiale sia spiritualmente fruttuosa. Ecco dun­ que il senso delle prescrizioni di carattere pratico e organizzativo dei vv . 27-33a, dell'esortazione finale a fare tutto «in maniera decorosa e ordinata» (v. 40) e della giustificazione teologica del v . 33a: «Dio infatti non è Dio di disordine (akatastasias) , ma di pace (eirenes)» .

l Cor 1 4 , l b-25

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6.3. A nalisi 6 .3 . 1 . Superiorità della profezia sulla glossolalia ( 1 4 , l b-25) vv . lb-Sa Costituiscono la prima piccola unità che fa da quadro esemplare per le seguenti presentando e motivando il tema del complesso : si deve preferire la profezia alla glossolalia per la sua efficacia costruttiva. v. l In testa l'imperativo «agognate (zeloute) pure ai fenomeni spirituali (ta pneumatika) , ma di più a che possiate profetare» funge da leitmotiv dell'intera sezione di 14, 1-25 . Già si è detto che per l'inclusione del v. Sa ta pneumatika equivale a «parlare in lingue» (lalein glossais) . Se è così , segue che l'imperativo zeloute deve essere letto in senso concessivo : voi anelate alla glossolalia, d'ac­ cordo , agognatela pure , ma io vi dico che l'oggetto preferenziale del vostro desi­ derio deve essere la profezia. Non si tratta però di concessione suggerita dall'ar­ te diplomatica e dunque un poco ipocrita . Paolo manifesta profondo rispetto per l'azione carismatica dello Spirito ; accetta quindi di buon animo anche la glosso­ lalia, come appare per es. in chiusura: «agognate al profetare e non impedite il parlare in modo glossolalico » . Del resto , lui stesso è glossolalo e in maniera emi­ nente : «Ringrazio Dio , io parlo in modo glossolalico più di tutti voi» (v . 18) . Nessuna prevenzione di principio ; egli vuole soltanto circoscriverne l'esercizio pubblico , in seno all'assemblea ecclesiale . Ed è sempre in questa prospettiva che spinge i suoi interlocutori a volgere il loro anelito verso la profezia . 352 La parti­ cella de ha valore avversativo : ta pneumatika infatti non si riferisce ai carismi in generale tra cui scegliere la profezia , ma significa la glossolalia contrapposta alla profezia sotto il punto di vista della comprensibilità e edificazione sociale , come sarà precisato subito dopo , per cui all'anelito verso quella viene preferito l'aneli­ to verso questa. 353 In una parola , Paolo rispetta il dono della glossolalia , ma critica i corinzi che vi anelavano unilateralmente , trascurando di fatto i carismi meno spettacolari eppure più utili, quali la profezia e anche l'interpretazione della preghiera glos­ solalica, come emerge dai vv. 13- 1 7 . Il confronto poi con il passo parallelo di 12,31a: «Agognate però ai doni di grazia più grandi» permette di dire che per lui la grandezza o l'importanza (meizon) dei carismi si misura col metro dell'utilità sociale . La sua scala di valori al riguardo è specificata dal valore dell'assemblea comunitaria , in cui prendono posto i carismi per renderla spiritualmente fruttuo­ sa e costruttiva.

352 L ' im perati vo

zeloute è s ot t i nte so in le: «ma di più ago gn ate a che possiate profetare» . Annota a ragione Wischmeyer nella sua monografia su ll 'agape : nell'imperativo di 1 4 , l b la proposizione finale esprime non un crescendo di quanto precede , ma una co rrezione . In senso con­ trario si è invece espresso per es. Barrett, che traduce : «e specialmente . . . » . 353

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Commento

vv. 2-4 In due momenti perfettamente paralleli la breve pericope giustifica la suddetta esortazione confrontando i due carismi antitetici sotto un duplice aspetto : del rispettivo destinatari o , Dio e uomini (vv . 2-3) , e del relativo effetto, edificazione di se stesso e dell'altro (v. 4) . «In effetti chi parla in modo glossola­ lico non ad uomini parla bensì a Dio» . Come tale la glossolalia ha un'intrinseca destinazione teologale : il glossolalo si astrae dagli altri e in spirituale solitudine si rivolge ali' Altissimo . Siamo di fronte dunque a un carisma di carattere indivi­ dualistico , privo , per sua natura, di ogni contestualizzazione comunitaria. Perciò quando Paolo prescriverà ai glossolali , in assenza di interprete, di stare in silen­ zio durante la riunione ecclesiale , non farà che vietare quanto è nelle cose : il glossolalo in azione lascia spiritualmente la comunità per mettersi a tu per tu da­ vanti a Dio . L'esclusione degli uomini come destinatari è spiegata subito in base al fatto che nessuno è in grado di intendere (akouein con senso di ascoltare in modo comprensibile354 la parola glossolalica : «perché nessuno intende ; egli invece in spirito proferisce misteri » . Coloro ai quali una parola risulta incomprensibile non possono esserne i destinatari . Per ciò che proferisce , il glossolalo si pone al di fuori della sfera dell'intelligente ascolto umano; la naturale correlazione di parlare-ascoltare propria del «commercium» tra gli uomini non si realizza in questo caso ; al contrario (de) il glossolalo proferisce in modo estatico (pneumati lalei) mysteria . Spesso si comprende questo termine nel senso «semplicemente di cose occulte» (Barrett , La prima lettera , 388) . Altri invece vi leggono una valen­ za apocalittica: si tratta delle realtà salvifiche finali disvelate in Cristo e che fan­ no parte del mondo avvenire ('olam habba ') proprio degli apocalittici (cf. Daut­ zenberg, seguito da Wolff) . In 1 3 ,3 forma l'oggetto di una conoscenza carismati­ ca illimitata . Indirettamente ne parla anche 14,30 : «Se però a un altro che sta se­ duto è stata concessa una rivelazione (apokalyphthe) » , si sottintende «di miste­ ri» . Di tale stretta relazione è testimone evidente il passo 2,6-16: la «sapienza» en mysterio-i, progetto divino incentrato nei beni salvifici di grazia (ta charist­ henta) e nascosto nei secoli eterni, Dio l 'ha rivelata (apekalypsen) a noi median­ te lo Spirito , dice Paolo (vv . 6ss) , che ne può parlare tra i perfetti (v. 6) con pa­ role suggerite dallo Spirito (v . 13) ; ed è scontato che si tratta di parole compren­ sibili . Infatti è vero che al v. 14 si dice che l'uomo non spirituale non le può com­ prendere (ou dynatai gnonai) , è in gioco però una comprensione di fede, come è precisato nello stesso versetto : «L'uomo psichico non può accogliere (ou deche­ tai) le realtà dello Spirito di Dio , perché sono stoltezza per lui» . Nel v. 2 parlare a Dio e proferire «misteri» sembrano paralleli e indicare una parola incompren­ sibile agli uomini . È un argomento a favore della prima lettura. Vi si aggiunga il

354 Per questo significato del verbo vedi Gen 1 1 ,7 : Dio scende a confondere la lingua dei co· struttori della torre di Babele, «affinché non intendano (akousosin) ciascuno la voce del suo prossi· mo» e 42 ,23: i fratelli di Giuseppe «non sapevano che Giuseppe li intendeva (akouei)» .

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semplice rilievo che il vocabolo «misteri» in senso apocalittico non dice affatto incomprensibilità del linguaggio espressivo . v. 3 Specularmente antitetica è la profezia : «Chi invece profetizza , a uomini parla, producendo edificazione , esortazione e incoraggiamento» . I tre accusativi oikodomèn I paraklèsin I paramythian retti dal verbo lalein non indicano l 'ogget­ to del parlare , sottinteso ed esplicitabile con la formula : «proferire parole ispira­ te» , bensì il suo molteplice effetto sugli ascoltatori (anthropois) . Dell'edificazio­ ne già si è detto sopra ; gli altri due risultati sono sì coordinati al primo , in realtà lo specificano : l'utilità spirituale che ricavano i destinatari della parola profetica è di genere «paracletico» e d'incoraggiamento . Ma se paramythia ha l 'indubbio significato di sostenere pusillanimi e depressi incoraggiando e confortando, co­ me appare in lTs 5 , 14 (paramytheisthe tous oligopsychous) , il sostantivo para­ klèsis presenta per se stesso due valenze fondamentali : esortare e consolare . Sembra però di dover indirizzare la scelta sul primo , altrimenti paramythian si ridurrebbe a una ripetizione . L'abbinamento dei due termini in forma verbale è testimoniato anche in lTs 2 , 12 , dove parakaleo vuol dire esortare e para­ mytheisthai incoraggiare , due delle funzioni della predicazione di Paolo . v. 4 Una volta introdotto il motivo dell'edificazione , l'autore può così farne ragione di antitesi tra glossolalo e profeta : «Chi parla in modo glossolalico edifi­ ca se stesso ; invece chi profetizza edifica l'assemblea ecclesiale» (v . 4) . Quello , consapevole della sua ispirazione , vivendosi come persona mossa dallo Spirito e in contatto mistico con Dio , ne esce indubbiamente trasformato . Il vantaggio spirituale è tutto e solo suo , però . Il profeta invece svolge una funzione social­ mente utile , di cui beneficiano gli ascoltatori. Abbiamo tradotto il vocabolo ekklèsia con «assemblea ecclesiale» , non con chiesa intesa quale complesso dei credenti , grandezza sociale che abbraccia i cri­ stiani di una città o tutti i cristiani. Perché non è sottintesa l'immagine della co­ struzione di un edificio, che è in senso traslato la comunità cristiana , come dice l Cor 3 ,9 . Ciò spiega la diversità lessicale con cui si indica il beneficiario della edificazione : oltre l'ekklesia, l'altro (ho eteros : 14, 17) , e , in passi paralleli, gli al­ tri (allous: v. 19) , «Voi» (v. 6) , «chi tiene il posto del non-iniziato» (idiotès: v . 16) . I n ultima analisi , dire che i l glossolalo edifica s e stesso equivale alla seguen­ te negazione : a differenza del profeta, non edifica l'assemblea ecclesiale , l'altro (cf. V. 17).3 55 v. Sa Chiude con un'inclusione lo si è già detto sopra - la piccola unità let­ teraria : «Ora vorrei che tutti voi parlaste in modo glossolalico , ma di più che possiate profetare» . L'accento cade sulla seconda parte , come mostra la ripeti-

355 In senso opposto si è espresso per es. Wolff 131 : ekklesia indica non una concreta riunione comunitaria, bensì la comunità come costruzione di Dio (3 ,9ss) .

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zione della frase qui e al v. 12c . Non manca certo di esagerazione retorica : tutti glossolali , ma di più tutti profeti ! Infatti in 1 2 , 29-30 Paolo si era domandato re­ toricamente : «Forse tutti profeti? I Forse tutti parlano lingue? » . Un modo per esprimere , nella prima proposizione, l'accettazione di cuore del carisma della glossolalia e, nella seconda, la sua preferenza per la profezia che vuole parteci­ pare agli interlocutori . Ma resta che la categoria della totalità, irrealistica sul piano reale , è vera del suo desiderio , riflettendone l'esuberanza . v v . Sb- 1 2 La seconda micro-unità letteraria non fa che ripetere , variandolo , il tema del confronto dei due carismi a favore della profezia. v . S b Formula la «propositio»: «In realtà è più grande (meizon) chi profetiz­ za di colui che parla in modo glossolalico» . L'implicito della prima unità emerge qui con chiarezza: il «vorrei» di v . Sa e l'imperativo «agognate» di v . l bc poggia­ no di fatto sulla valutazione della superiorità della profezia , superiorità di tipo nobilmente utilitaristico , cioè in ordine all'edificazione dell'assemblea. Il motivo della maggior importanza356 comunque era stato anticipato da Paolo in 12,31a: «Agognate però ai doni di grazia più grandi (meizona) » . Inoltre - ed è la vera novità della pericope - si fa un'espressa eccezione : «a meno che egli faccia da in­ terprete , affinché l'assemblea ecclesiale possa ricevere edificazione» . La glosso­ lalia interpretata ottiene lo stesso risultato della parola profetica. Si può dunque parlare di uguaglianza tra le due , ma solo quanto alla loro efficacia : viste in se stesse mostrano una diversa struttura , essendo la glossolalia, per sua natura, pa­ rola rivolta a Dio e dunque sempre preghiera , mentre la profezia si indirizza a uomini (cf. v . 2) . 357 Qui il carisma interpretativo è supposto presente nello stesso glossolalo , ma non si tratta di un legame necessitante: in 14 ,28 si menziona come distinta la fi­ gura dell'interprete (dierméneutés) . Ora tutte e due le attuazioni dell'interpreta­ zione delle lingue s'inquadrano bene nel prospetto generale dei carismi tracciato nel c. 1 2 : spartizione dei doni di grazia tra i credenti (vv . 4-6 e 1 1 ) e possesso da parte dei singoli credenti di carismi diversi (vv. 29-30) , che escludono , da una parte , la monopolizzazione dei carismi , ma non il beneficio di più di un carisma, e, dall 'altra , un piatto ugualitarismo dei carismatici . In particolare , non si può dire che ci sia reale contraddizione con 1 2 , 1 0 : «a un altro generi di lingue , a un altro infine interpretazione delle lingue», dove Paolo illustra con un catalogo esemplificativo il principio generale della ripartizione dei carismi tra tutti i cre­ denti , e non vuol dire che a ciascun credente viene dato un solo carisma.

v . 6 Segue la presentazione di tre casi ipotetici sostanzialmente paralleli (cf. la congiunzione ean (se) ripetuta tre volte nei vv . 6 . 7 . 1 1 ) 358 che illustrano la tesi

350 Questo il significato di

meizon come si è rilevato sopra . Nel volume più volte citato Charisma und Agape a Barrett che sostiene come le l ingue inter­ pretate si a n o indist inguibili dalla pro fez i a (p. 1 87), Dunn a buon diritto può replicare facendo notare che la glossolalia è preghiera rivolta a Dio e come tale se n e di st i ngue (p. 1 93) . 358 Un caso ipotetico è presente al v. 8 , ma è un puro d opp i o n e del precede nte del v. 7: da una 357

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suddetta . Di fatto , in primo piano c'è l'illustrazione della sterilità sociale della glossolalia e solo per contrasto appare in campo la profezia, parola comprensibi­ le e fruttuosa ; il tutto in ordine a mostrare la minore importanza di quella rispet­ to a questa . Il primo caso ipotetico però , a differenza degli altri due , non offre un paragone illustrativo della glossolalia, bensì ipotizza la venuta dello stesso Paolo a Corinto e il suo intervento da glossolalo nell'assemblea ecclesiale . «Or dunque ,359 fratelli , se io venissi da voi a parlare in modo glossolalico , in che cosa potrei giovarvi (opheleso) , se non vi parlassi o con discorso rivelativo o con pa­ rola di conoscenza o con intervento profetico o con pronunciamento dottrina­ le?» . La risposta a questo interrogativo retorico appare scontata: «in niente po­ trei giovarvi» . La glossolalia, per se stessa , è inutile ai presenti , cui non offre al­ cuna parola benefica, qui specificata in maniera esemplificativa con i vocaboli ri­ velazion e , conoscenza , profezia, insegnamento. In altri termini , il glossolalo non disvela nulla del progetto salvifico di Dio e dei segreti del cuore dell'uomo (cf. vv. 24-25 dove ricorre l'aggettivo phaneros) , non lo fa conoscere , non dice nulla di profeticamente ispirato , non sa offrire alcun insegnamento . La sorpresa è che il confronto non sia stilato con la sola profezia , come di regola in tutto il c . 14. Questo c i dice che l a profezia , preferita alla glossolalia, è stata scelta come carisma rappresentativo di ogni dono di grazia consistente in parole comprensi­ bili e dunque fruttuose per i partecipanti all'assemblea. D'altra parte , apocalis­ se , gnosi e profezia sono strettamente connesse. In 14 ,30 il profeta si definisce per la rivelazione ricevuta. La gnosi poi esprime il versante ricettivo di un pro­ cesso complesso che inizia con il disvelamento divino di «misteri » , cui corrispon­ de nel beneficiario la loro conoscenza , prosegue con la divulgazione orale , nel­ l'assemblea pubblica , di quanto è stato rivelato e conosciuto e si conclude con la partecipazione dei presenti alla conoscenza della rivelazione . 360 Comunque è in­ teressante l'allargamento di prospettiva: non solo il profeta , ma anche il «mae­ stro», che non comunica realtà nascoste disvelate dallo Spirito ma dati tradizio­ nali e biblici conosciuti eppure da richiamare e su cui riflettere , come si è visto sopra , è più importante del glossolalo che pure è un estatico dello Spirito . Il ridi­ mensionamento di questa figura e del relativo carisma, l'una e l'altro esaltati co­ me non mai nella chiesa di Corinto, raggiunge qui il suo vertice . vv. 7-8 Il secondo caso ipotetico , che è anche un paragone , mette in campo gli strumenti musicali , una grandezza inanimata che illustra la viva esperienza

parte gli strumenti musicali , flauto e cetra, dall'altra la tromba. Ambedue del resto sono presentati sotto la stessa congiunzione homos (ugualmente) , che introduce i due versetti, cui segue all'inizio del v . 9 la congiunzione comparativa houtos (così) . 359 La combinazione delle due particelle nyn I de ha un vago senso consecutivo : dal caso imper­ sonale di un qualsiasi glossolalo Paolo passa a presentare la sua ipotetica partecipazione glossolalica all'assemblea comunitaria di Corinto: il discorso guadagna in vivacità e concretezza. 360 GRUDEM , The Gift, 139 afferma che apokalypsis non è un atto distinto dalla profezia , così co­ me la conoscenza non è distinta dall'insegnamento. Ma non convince la sua seconda valutazione : cir­ ca la gnosi vedi sopra al c. 12.

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glossolalica: «Ugualmente (hom6s)36 1 gli oggetti inanimati emettono un suono , si tratti di flauto o di cetra» . Comparati sono propriamente i suoni musicali non distinti e confusi , da una parte , e la parola non chiara del glossolalo , dall'altra.362 Ecco lo schema grafico che abbina il paragone e la realtà paragonata con redu­ plicazione del primo :

A - se non danno distinzione (diastolen) ai suoni - se la tromba dà un suono confuso (adelon phonen) se non date una parola chiara (me eusemon logon) . 363 B Ora il risultato , nell'uno e nell'altro caso , è identico : nessuna comunicazione agli altri e dunque nessuna efficacia , anzi impossibilità dell'uno e dell'altro esito. Questa infatti è la sottintesa risposta agli interrogativi retorici . Alla mancanza di chiarezza e comprensibilità corrisponde la mancanza di efficacia . E in questo nesso sta di preciso la punta del «tertium comparationis» . Ecco il relativo sche­ ma grafico :

A - «come (pos) si potrà comprendere ciò che viene suonato con flauto o cetra?» (v . 7) - «chi (tis) potrà prepararsi al combattimento?» (v. 8) B «come (pos) si potrà comprendere ciò che viene detto?» (v . 9) . A proposito della realtà paragonata però , la glossolalia , per togliere di mez­ zo ogni dubbio o incertezza e comunque per sottolineare l'esito nullo , Paolo conclude il paragone con un'affermazione netta che mette a nudo la sterilità dei glossolali attivi nelle assemblee ecclesiali : «Sarete infatti gente che parla al ven­ to» . I commentatori citano qui di regola il passo parallelo di Ovidio , Amores 1 ,6,42 : Verba dat in ventos aure repulsa tua? («Chiude le orecchie alle mie parole lanciate al vento?») . vv. 10- 1 2 Il secondo paragone - che è anche il terzo «exemplum» offerto - fa leva sull'analogia tra lingua straniera e glossolalia. Il «tertium comparationis»

361 La rarissima congiunzione avversativa hom6s («tuttavia») è usata in modo peculiare in 1 Cor 14,4, dice la Grammatica di Blass-Debrunner (§ 450) , che propone la seguente in.terpretazione: trai· tandosi di un paragone (cf. v. 9) diventa probabile l'antico significato «ugualmente» . 362 Nel volume Charisma und A gape B arrett a p. 190 dice molto bene : nel paragone con suoni come tali e suoni significativi la glossolalia è solo suoni . 363 Dal punto di vista formale la comparazione inizia con le congiunzioni houtos e homos («CO· sì» e «Ugualmente») , questa qualificata come comparativa da quella, più in generale con le due pro· posizioni da esse introdotte ai vv. 9 e 7 : A «Ugualmente (homos) gli oggetti inanimati emettono un suono» . B «Così anche voi con la parola glossolalica» . Queste sono le grandezze materialmente comparate; il «tertium comparationis» invece, quanto alla protasi , è dato dalla mancanza di distinzione , evidenza , chiarezza . Si noti in proposito la presen· za di formule negative e privative (cf. la particella me e l'alpha privativo) : a. «se non danno distinzione ai suoni» b. «se non date una parola chiara».

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sta nell'incomprensibilità del parlare e nella conseguente incomunicabilità tra locutore e ascoltatore . In concreto , Paolo parte da un dato scontato ed evidente : le lingue sono numerosissime sulla terra: «Chissà quanti generi di lingue (gene phonon) esistono al mondo e nessun popolo (ouden) 364 è senza lingua (apho­ non ) » (v . 10) . 365 Ciò rende possibile il caso ipotetico a cui ricorre come a un pa­ ragone presentato in prima persona : «Se dunque non comprendessi il significato (ten dynamin) 366 della lingua , sarei un barbaro per chi parla e colui che parla di­ nanzi a me sarebbe un barbaro». v . 1 1 È su tale esito che insiste il paragone . Sconosciuta , la lingua non unisce ma conferma nella separazione. «Barbaro» è un concetto originariamente lin­ guistico e poi anche culturale . Così infatti i greci chiamavano i popoli che non parlavano né intendevano il greco , dunque tutti gli altri popoli . Questo detto è attribuito a Socrate : «Si tramanda che era solito dire di essere grato alla sorte ( Tyche) per questi tre motivi : "Primo perché nacqui uomo e non bestia (anthro­ pos kai ou therion) ; secondo perché uomo e non donna (aner kai ou gyne) ; terzo perché Greco e non barbaro (Hellen kai ou barbaros)"» ( Diogene Laerzio 1 ,33) . L o stesso Paolo i n R m 1 , 14 , volendo sottolineare l'ecumenicità della sua azione apostolica, dirà di essere debitore «a greci e barbari» . E quando i romani faran­ no la loro comparsa da dominatori , Cicerone riassumerà gli abitanti del mondo nella triplice categoria: Italia, Grecia e tutto il mondo barbaro : «Un illustre filo­ sofo , da cui fu commossa non solum Graecia et Italia, sed etiam omnis barbaria» (De finibus 2,49) . Nel nostro esempio «barbaro» ha significato esclusivamente linguistico . Un parallelo chiaro abbiamo in Ovidio che , esiliato nella lontana Dacia , così descri­ ve la sua miserevole situazione : Barbarus hic ego sum, qui non intelligor ulli I Et rident stolidi verba Latina Getae ( Tristia 5 , 10,37) . Aristofane poi nella comme­ dia Gli Uccelli dice dei pennuti : «Erano barbari , una volta ; ma io , standoci a lungo in compagnia , gli ho insegnato la lingua» (Ego gar autous barbarous ontas pro tou edidaxa ten phonen, xynon polyn chronon) ( 1 99-200) . La prima persona in cui è espresso l'«exemplum» dà vivacità al dettato .

v . 12 La formula comparativa « Così anche voi» , parallela a quella del v. 9 , introduce la realtà paragonata. Paolo però non s i sofferma a sottolineare ciò che l'accomuna al paragone , per es. scrivendo : «così anche voi con la glossolalia, pa­ rola incomprensibile , siete barbari gli uni agli altri » . Lo dà per scontato ; sarebbe

364

guito .

A ouden si deve sottintendere il s ostanti vo ethnos , ha proposto già Lietzmann con largo se­

365 Per varietà viene qui usato il vocabolo phone, sinonimo di glossa, come appare attestato an­ che in LXX, per es. Gen 1 1 ,7: «Orsù scendiamo e confondiamo ivi la loro lingua (auton ten glossan) , affinché n o n intendano ciascuno la l i ngua (ten phonen) d e l suo vicino». S i p u ò anche congetturare che Paolo abbia voluto riservare glossa alla designazione della glossolalia. 366 Anche nel greco letterario dynamis ha questa valenza ; vedi BAUER , Worterbuch , 412.

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Commento

una ripetizione di affermazioni precedenti . Passa subito all'esigenza pratica e dunque all'esortazione . Sa che i corinzi anelano ai fenomeni spirituali , cioè alla glossolalia ; s'intromette allora in questa tensione per indirizzarla verso i carismi socialmente più utili , verso la profezia , come aveva già fatto al v . Sa. Qui però aggiunge il motivo nuovo dell'abbondanza , che gli è caro e a cui ricorre anche in non pochi passi esortativi come il nostro . 367 L'originalità di questo passo sta nella determinazione del campo di abbondanza, quello dei carismi. Qualcosa di simile aveva rilevato nell'apertura epistolare come dato esistente nella comunità corin­ zia : «in tutto siete stati arricchiti (eploutisthéte) in lui < Cristo> , in ogni parola e in ogni conoscenza . . . cosicché non mancate di alcun carisma» ( l ,S .7) . 368 Il versetto però si presta a qualche ambiguità. Non manca chi, come Lietz­ mann , lo legge riferendo l'imperativo «cercate» a pneumaton, oggetto diretto dello «zelo» dei corinzi , e traducendo : «poiché siete bramosi di manifestazioni dello Spirito , cercate di averne in abbondanza per l'edificazione dell'assemblea ecclesiale» . Ma così si contraddice l'intento di Paolo , manifestato in tutta chia­ rezza ai vv. lb e Sa, di correggere l'anelito dei corinzi tesi alla glossolalia . Inoltre si assume pneumaton in senso largo , mentre il confronto con l'imperativo con­ cessivo del v . l b , dove ricorre ta pneumatika nel senso ristretto di manifestazioni glossolaliche , sta a dire che pneumata ha, nel contesto , questa stessa valenza ri­ stretta . E se è così , come l'apostolo potrebbe esortare gli interlocutori ad abbon­ darne? Si valuti infine la formula diacritica «per l'edificazione dell'assemblea co­ munitaria» , da collegare all'imperativo «cercate» , non al precedente dato di fat­ to: «siete bramosi di manifestazioni dello Spirito» . I corinzi erano disattenti alla crescita spirituale della comunità , che è invece la preoccupazione dell'apostolo e lo scopo della sua risposta . Dunque l'oggetto del cercare devono essere i carismi costruttivi. La proposizione finale conclusiva poi indica il traguardo della ricer­ ca: essere ricchi dei carismi costruttivi. Ecco quindi la nostra traduzione : «poiché siete bramosi di m anifestazioni dello Spirito , indirizzate la vostra ricerca verso (pros) l 'edificazione dell'assem­ blea ecclesiale per esserne più ricchi» . 369 vv. 13-19 Tra le caratteristiche di questa terza micro-unità letteraria notiamo subito che l'esortazione iniziale è presentata come una conclusione dell'unità

367 Si veda quanto scrive F. Hauck: «Nelle esortazioni e nelle preghiere di Paolo si manifesta quella che è la sua principale preoccupazione missionaria, cioè la crescita spirituale delle sue comu· nità , com'egli veramente desidera con tutto il cuore e dice con m aggior forza , il loro perisseuein• ( GLNT X, 1 3) , e cita Rm 1 5 , 1 3 ; lCor 1 4 , 1 2 ; 15,58; Fil 1 ,9 . 26 ; lTs 3 1 2 ; 4 , 1 0 ; 4 , 1 . 368 Pesce nel suo contributo a l volume Chari.sma und Agape («L'apostolo») contro l a lettura più sostenuta , secondo cui a hina peri.sseuéte si sottintende un oggetto : abbondare in doni penumatici, propone di leggere il verbo in senso intransitivo : cercate le manifestazioni pneumatiche per l'edifica· zione della comunità, affinché progrediate . Cf. lTs 4 , 1 (p. 80) . Ma il verbo peri.sseuein nel contesto sembra riferirsi alla ricchezza carismatica piuttosto che alla crescita spirituale dei credenti. 369 In questa direzione vedi per es. F. Hauck : Paolo «esorta quelli di Corinto a sforzarsi di esse· re più ricchi di quei doni che servono all'edificazione della comunità» (GLNT X, 13) e anche Con­ zelmann. ,

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precedente dei vv . 5b-12, dove in apertura era stato avanzata l'eventualità che il glossolalo interpretasse se stesso . Con il suo imperativo Paolo intende ora tra­ sformare questa ipotesi in un fatto da raggiungere per mezzo della preghiera: «Perciò chi parla in modo glossolalico preghi di poterne (anche) essere l'inter­ prete» (v . 13) . Il confronto viene stabilito dunque tra glossolalia e sua interpre­ tazione , confronto parallelo al precedente tra glossolalia e profezia, perché re­ stano confermate la sterilità del primo termine di paragone e la fruttuosità del secondo . È una conferma che l'accento principale di chi scrive non cade sulla profezia per se stessa , ma su ogni carisma di parola intelligibile e costruttiva. E se di regola si riferisce alla profezia, è perché questa realizza in modo eminente il carattere di carisma verbale comprensibile e socialmente costruttivo . In questo passaggio attestato nei vv . 14ss si notano due specificazioni inte­ ressanti. Anzitutto Paolo parla di preghiera , essendo questa la valenza che pren­ de la parola del glossolalo che si rivolge non a uomini ma a Dio (cf. v. 2) . Quindi qualifica le sue forme antitetiche di preghiera glossolalica e di preghiera inter­ pretata per mezzo del binomio spirito e intelligenza (pneuma I nous) . La pro­ spettiva invece resta immutata: il confronto è fatto sempre con il criterio della fruttuosità o meno , dell'edificazione altrui o meno , e la p referenza cade sempre sulla forma di preghiera che assicura tale risultato. Paolo offre qui anche un campionario di p reghiere del glossolalo . Nel v . 1 4 , i n realtà, parla i n termini generali d i «pregare» (proseuchesthai) ,310 m a a l v . 15 questo stesso verbo, abbinato a psallein , assume la coloritura specifica di pre­ ghiera di richiesta coordinata con il canto ionico , senza più l'originario riferi­ mento all'accompagnamento musicale con strumenti a corda (cf. G. Delling, in GLNT XIV , 499ss) . In forma di sostantivo il termine ricorre di nuovo in 14,26 , che lo elenca tra altre parole proferite nell'assemblea ecclesiale: «Quando v i riu­ nite , ciascuno ha un salmo (psalmon) , ha un insegnamento , ha una rivelazione , ha una parola glossolalica, ha un'interpretazione» . Nei vv . 16 e 17 poi si menzio­ nano la benedizione (eulogeo) e il ringraziamento (eucharistia I eucharisteo) . Il primo verbo vuol dire celebrare e lodare Dio per la sua mirabile azione a favore degli uomini (eulogein dir bene di uno) . 37 1 Anche nel ringraziamento si pren­ de posizione di fronte alle opere meravigliose di Dio ma, mentre nell'«euloghia» in primo piano è appunto l'agire divino , qui è il soggetto in proscenio , pieno di gratitudine per il beneficio accordato. Ma possono essere interscambiabili , come nel nostro testo in cui si passa insensibilmente dal verbo eulogein (v. 1 6) al so­ stantivo eucharistia (v . 1 6b) e infine al verbo eucharistein , senza variazione di si­ gnificato . Nelle lettere di Paolo il ringraziamento ha un posto di rilievo , non tan­ to quale oggetto di cui parlare , quanto come atto dello stesso scrittore , che inizia =

370 Greeven caratterizza così il senso di proseuchesthai rispetto a deisthai: questo «indica quasi sempre una vera richiesta , mentre proseuchesthai è sempre preferito quando si deve designare la preghiera senza specificare ulteriormente il contenuto» ( GLNT III , 1295 ) . 37 1 Cf. W . Beyer, in GLNT III , 1 449.

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di regola ringraziando Dio (eucharisto to-i Theo-i è la formula stereotipa) per i doni di grazia elargiti alle comunità dei destinatari . Ma anche nel nostro conte­ sto immediato è presente tale formula (v . 1 8 ) . Sul piano formale invece non può passare sotto silenzio il fatto che in questa unità chi scrive ricorre volentieri al discorso diretto in prima persona (cf. vv. 1415 e 18-19 ) , ma non si tratta sempre dello stesso «io » . Nei vv. 14-15 abbiamo un io tipico , che serve a indicare con più i mmediatezza il glossolalo partecipante al­ le assemblee ecclesiali, messo in campo nel v. 13 in maniera indiretta perché vi si enunciava la «propositio» dell'unità letteraria dei vv . 13-19 agganciata a quella precedente dalla congiunzione conclusiva dio . Paolo ricorre poi nei vv . 16-17 al­ la seconda persona, sempre per indicare il glossolalo visto però come puro glos­ solalo , privo del carisma dell'interpretazione , che procede solitario nel suo vis-à­ vis con Dio . È come se lo prendesse di petto rinfacciandogli questo esilio spiri­ tuale dagli altri partecipanti all'assemblea, riassunti nella figura di «colui che oc­ cupa il posto del non-iniziato» (v. 1 6) , cioè dell'altro (ho heteros: v. 17 ) . Un qua­ dro drammatico che mette a confronto I' «io» nascosto di chi scrive , cioè di Pao­ lo , e il «tu» del glossolalo con posta in palio la sorte del «lui» dell'ascoltatore im­ possibilitato a partecipare . Confronto che vede l'«io» schierato a difesa della buona causa del «lui» , disatteso dal «tU». Invece l'io dei vv . 1 8-19 è personale : Paolo inserisce nel discorso la sua per­ sona di glossolalo e di glossolalo insuperato dai glossolali di Corinto . Ma lo fa per confessare il suo orientamento di rinuncia, durante l'assemblea , all'esibizio­ ne glossolalica anche più straordinaria, optando per una parola comprensibile e costruttiva per gli altri , sia pure brevissima. È lo stesso io personale del v. 6, sen­ za però la forma di caso ipotetico . Qui egli presenta il suo modo di procedere a cui si è attenuto e si attiene . v v . 13- 14 Formano una piccola unità letteraria che all'imperativo del v . 13 (il glossolalo invochi da Dio il carisma dell'interpretazione della sua parola glosso­ lalica) abbina la causale (gar) , espressa in prima persona e in forma di periodo ipotetico: «Se infatti prego in modo glossolalico , il mio spirito prega , invece la mia mente resta senza frutto (akarpos)» . Attivo nella glossolalia è il solo «spiri­ to» della persona. Data la contrapposizione con «la mia mente» , la formula «il mio spirito» non indica il dinamismo etico e religioso della persona trasformato dallo Spirito santificatore di Dio e antitetico a quello della «carne» , come Paolo dice in due passi paralleli , Gal 5 , 16-26 e Rm 8,4- 1 1 , bensì la sua dimensione estatica e transrazionale, creata dal soffio ispiratore dello Spirito di Dio . La mente (nous) , come ha detto bene Cothenet , «Prophétisme» , 1296 , è , nello stes­ so tempo , l'organo dell'intelligenza e della comunicazione . 372 Propriamente non

372 Vedi comunque la trattazione di R. Bultmann, Theologie, 21 lss: non si tratta di uno speciale organo, bensì del sapere qualcosa, del comprendere e del giudicare: «das Wissen I das Verstehen und Urteilen» (21 l s) .

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vi si parla di assenza della mente , ma della sua infruttuosità , che è l'esito finale della passività della sfera mentale e razionale . Ma per chi è sterile , per il glosso­ lalo o per gli ascoltatori? Il contesto suggerisce che il riferimento sia all'assem­ blea ecclesiale in ascolto . L'immagine dei frutti373 si abbina così a quella della co­ struzione , l'una e l'altra espressive dell'utilità o del vantaggio spirituale che ne deriva, come dicono i due vocaboli connessi to sympheron (12 ,7) e 6phelein (14,6) . Ora tutto ciò chiarisce al meglio la natura della glossolalia e , per contrasto , anche della profezia. Quella è preghiera innalzata dal glossolalo in stato estati­ co , animato dal soffio ispiratore dello Spirito , con parole prive di senso raziona­ le , dunque inintelligibili non solo per gli ascoltatori ma anche per chi le proferi­ sce . Dio , il solo destinatario della parola glossolalica (cf. v. 2) , è anche il solo a capirla e perciò a entrare in contatto con il glossolalo . La profezia invece è paro­ la razionale sia per chi la proferisce sia per per quanti l'ascoltano . Per questo il contenuto della profezia è passibile di valutazione e giudizio (cf. 14,30) , mentre quello della glossolalia richiede prioritariamente di essere tradotto in parola in­ telligibile . Inoltre la nostra unità letteraria solleva il problema del rapporto tra profezia e preghiera . Friedrich , «Prophetes » , 629 afferma: «Profezia e preghiera non so­ no identiche , ma sono strettissimamente collegate» . Ma a ragione Chevallier, Esprit de Dieu , 198, nota 1 , lo critica. In questo brano sono in campo la glossola­ lia e la sua interpretazione ed è a questo proposito che Paolo parla di preghiera con il solo «spirito» o con l'intelligenza . Dunque nulla dice del rapporto tra pre­ ghiera e profezia . Piuttosto l'analogia tra glossolalia interpretata e profezia , im­ plicitamente presente , sta nella partecipazione della mente umana. È incontestabile l'analogia e probabile la dipendenza del testo paolino dalla concezione greca del fenomeno mantico , rappresentata in modo esemplare da Platone e Filone, di cui si è detto sopra . Dell'ispirazione poetica uguale a quella oracolare e divinatoria il primo dice : «Il poeta . . . non sa poetare se prima non sia stato ispirato dal dio (entheos) , se prima non sia uscito di senno (ekphron) , e più non abbia in sé intelletto (kai ho nous meketi en auto-i ene-i)» (Ione 534B) . Più vicino al passo paolino è il seguente testo del grande giudeo alessandrino , che così spiega l'ispirazione dei profeti: «l'intelletto in noi è cacciato nel momento in cui arriva il soffio divino (exoikizetai men gar en hemin ho nous kata ten tou theiou pneumatos aphixin) : quando questo parte , esso ritorna ad abitarvi (kata

373 Paolo l'usa ancora in Rm 1 , 1 3 (ha desiderato più volte andare a Roma «per ottenere qualche frutto anche tra voi») ; 6,21-22 («quale frutto dunque avevate allora?», quando eravate pagani ; ora invece il vostro frutto è nell'ordine della santificazione) ; 1 5 ,28 (Paolo ha concluso la raccolta della colletta per i santi di Gerusalemme , «questo frutto » ) ; Gal 5 ,22 (il molteplice frutto dello Spiri t o) ; Fil 1 , 1 1 (ripieni del frutto della giustizia) ; 1 ,22 (vivendo Paolo produrrebbe con la sua azione frutto spi­ rituale a vantaggio dei filippesi ) ; 4,17 (ciò che Paolo ricerca non è il soccorso materiale , bensì il frut­ to spirituale da addebitare come profitto sul conto dei filippesi) . In Rm 7 ,4-5 abbiamo il verbo kar­ pophorein (portare frutto per Dio I per la morte) , mentre è l'unica volta che l'aggettivo akarpos ri­ corre sotto la penna di Paolo.

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de ten metanastasin autou palin eisoikizetai)» ( Quis rerum divinarum haeres sit 265 ) . v . 1 5 Sempre i n prima persona , Paolo trae ora l a logica conseguenza pratica di quanto ha precisato sopra, introducendosi con una proposizione interrogativa di carattere conclusivo : 374 «Che fare dunque? Pregherò con lo spirito , ma pre­ gherò anche con la mente ; salmeggerò con lo spirito , ma salmeggerò anche con la mente». L'apostolo continua a impersonare letterariamente la figura tipica del glossolalo , che al v . 1 3 aveva menzionato in terza persona. Questi non deve limitarsi alla preghiera glossolalica o estatica, ma farla seguire dalla sua tradu­ zione ; 37 5 detto altrimenti la sua partecipazione attiva all'assemblea pubblica è condizionata dall'avere anche il carisma dell'interpretazione . In realtà il testo non appare chiarissimo : la formula kai t6-i noi indica la suc­ cessione o la simultaneità dell'uso del nous , secondo l'efficace dilemma di Che­ vallier, Esprit de Dieu , 1 88? Nel primo caso Paolo esorta a far seguire alla pre­ ghiera glossolalica l'interpretazione , come abbiamo letto appena sopra. Nel se­ condo Paolo invece esorta a scegliere un tipo di preghiera che veda la partecipa­ zione del pneuma e del nous . 376 A favore della prima però gioca in modo decisi­ vo il contesto , dove l'apostolo tratta di glossolalia e della sua interpretazione. L'interesse poi dell'apostolo per questo carisma si spiega perché solo per suo mezzo la glossolalia ha la possibilità di avere un suo posto riconosciuto nell'as­ semblea ecclesiale ; ed è possibile che reagisca anche in questo ai corinzi che lo trascuravano (cf. Chevallier, Esprit de Dieu , 1 87s) , tutti presi dall'esaltante esperienza glossolalica , allo stesso modo che mettevano in sott'ordine, co me si è visto sopra , la profezia . v v . 1 6- 1 7 Lo statuto del glossolalo è segnato dalla sua collocazione nell'as­ semblea ecclesiale e dall'esigenza suprema che questa ne tragga un vantaggio spirituale. Di qui nasce l'imperativo che egli sia anche interprete della sua paro­ la . Altrimenti nessuna intelligibilità , nessuna possibilità di partecipazione e nes­ suna costruttività per gli ascoltatori . È appunto quanto viene qui detto come motivazione (cf. la congiunzione causale epei) per persuadere i glossolali di Co­ rinto a uscire dalla loro torre di avorio . In concreto , Paolo avanza il caso ( ean ) di un glossolalo che non è anche interprete : «Poiché se benedici con spirito (estati­ co) , come colui che occupa il posto del profano (idiotes) potrà dire l'Amen sul tuo ringraziamento? Perché non comprende che cosa dici. Tu di certo in effetti fai un bel ringraziamento , ma l'altro non viene edificato» . Con il vocabolo idio-

374 FEE, The first Epistle, 670, n o ta 20, per la forma più semplice ti oun i ndi ca come passi parai· leli Rm 3 , 9 ; 6 , 1 5 ; 1 1 ,7 . 375 I due futuri «pregherò I salmeggerò» espr im o no decisione e scelta e d e quiva lgo n o i n p r atic a al thelo del v. 19. 376 CHEVALLIER, Esprit de Dieu, 1 87s e E . Schweizer ( GLNTX, 1019) propendono per l a secon· da interpretazione , vedendovi, come annota Chevallier, la libertà del glossolalo di p ot e r «optare per tale o ta l e modo d'espressione�.

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tes377 ci si riferisce a tutti i presenti nell'assemblea in quanto privi del carisma dell'interpretazione delle lingue . La formula «colui che occupa il posto . . . » sem­ bra dunque da assumere in senso metaforico , non locale : colui che riveste il ruo­ lo di non-iniziato . La valenza locale invece è scelta da coloro che , come Bauer nel suo Worterbuch e Weiss nel suo commentario , identificano gli idiotai con i catecumeni . In realtà non vi si indicano particolari posti della sala di riunioni ri­ servati a una certa categoria di partecipanti , che saranno menzionati anche più avanti ai vv. 23-24 . Trattandosi qui di persone che non comprendono la preghie­ ra del glossolalo (ti legeis ouk oiden ) , la determinazione sarà basata su questo criterio , non su altro. D'altra parte nel contesto della nostra sezione dei vv. 1-25 l'inintelligibilità della parola g lossolalica è attribuita di regola all'assemblea dei credenti : «chi parla in m o do glossolalico non ad uom i ni parla bensì a Dio, per­ ché nessuno intende» (v . 2) ; «Così anche voi con la parola glossolalica , se non date una parola chiara , come si potrà comprendere ci ò che viene detto?» ( v . 9) . Soprattutto s'impone qui il confronto con il v . 1 9 , dove Paolo confessa di essere un glossolalo diverso da quello indicato con il tu dei v v . 1 6- 1 7 : egli preferisce proferire poche parole intelligibili piuttosto che tantissime in forma glossolalica per poter istruire anche altri (allous) , che sono i presenti nell' assemblea . Infine dell'idiotes si dice che non potrà rispondere con amen al ringraziamento del glos­ solalo, perché non comprende quello che è detto , ma il sottinteso è che , se capis ­ s e l a preghiera, n o n avrebbe altro impedimento a rispondere con l' amen d i rito . Anzi questo è proprio ciò a cui mira Paolo: il glossolalo interpreti la sua preghie­ ra ottenendo così la partecipazione attiva dei presenti e soprattutto la loro edifi­ cazione , altrimenti esclusa come si precisa al v. 17: «ma l'altro non è edificato» . L'amen è una formula caratteristica della preghiera vt e giudaica , fatta pro­ pria dai cristiani . J . Jeremias così presenta la sua terza accezione vt: «come atte­ stazione di lode a Dio nella risposta a una dossologia . . . amen costituisce dunque il riconoscimento di determinate parole come "certe" e in quanto tali vincolanti in forza di questo riconoscimento , per chi le pronuncia e per tutti» ( GLNT I , 910-9 1 1 ) . Lo stesso studioso afferma: «Nel giudaismo l'uso d i amen è molto dif­ fuso ed è disciplinato nei particolari . . . Nel culto sinagogale (non nel culto del tempio) si trova amen come risposta della co'1}unità» (col. 911) .378 È lo Sitz im 3n Vedi la trattazione di Schlier in GLNT IV, 725ss , che così ne descrive il significato al para­ grafo b ) : «il profano e l'ignorante , opposto al competente , allo specialista e al dotto» (col . 725), sce­ gliendo però anche per il nostro passo il significato di incredulo, di certo presente ai vv. 23-24 , ma non � ui , riteniamo. 3 8 Strack-Billerbeck III , 456s indica i due casi in cui nelle celebrazioni liturgiche la comunità doveva dire amen : 1) dopo singoli detti di lode nel culto sinagogale , perché in quello templare la ri­ sposta doveva essere : «Sia lodato il nome del suo sovrano regno sempre e in eterno» ; 2) dopo la tri­ plice benedizione sacerdotale secondo il dettato di Nm 6,24-26, e anche questa prescrizione riguar­ dava il culto sinagogale . Al di fuori del culto il singolo israelita era tenuto a rispondere con amen 1) a ogni lode di cui era testimone , per esempio durante un pasto comune ; 2) davanti al giuramento di un altro ; 3) a una parola benedicente pronunciata su di lui ; 4) a una maledizione o imprecazione condi­ visa. Invece dopo le preghiere non concluse con una lode l'amen non era usuale né nella bocca del­ l'orante né in quella dell'ascoltatore .

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Leben supposto nel passo paolino : preghiera di lode (eulogia o anche euchari­ stia) innalzata da un credente , risposta dei partecipanti con l'amen con cui l'af­ fermano facendola propria. Il versetto 17 è costruito su un'antitesi che contrappone i due pronomi (tu I lui l'altro) e l'esito dispari del loro esserci: bella «eucaristia» I non edificazio­ ne . Ma esso tradisce un indubbio carattere ironico , insito nell'avverbio kalOs , di chi scrive nei confronti del glossolalo : bella lode la tua , quando il fratello resta sterilmente escluso ! Un'ironia che disvela come le parole di Paolo hanno un chiaro tono di rimprovero . Qualcosa di analogo , anche se più duro , aveva rin­ facciato in 8,10 al «forte» dal colpevole comportamento nei confronti del fratello «debole>> . Collegamento che si rivela non solo possibile ma assai probabile , se si guarda al vv . 18-19 in cui l'apostolo contrappone il suo comportamento (nell'as­ semblea poche parole comprensibili invece delle molte glossolaliche) , allo stesso modo che in 8 , 13 offre ai «forti» di Corinto l'esempio della sua prassi di rinuncia a ogni carne per non scandalizzare il fratello. =

v v . 18-19 «Ringrazio Dio , io parlo in modo glossolalico più di tutti voi ; ma in un'assemblea ecclesiale preferisco (the/6)319 dire cinque parole con la mia intelli­ genza, per istruire anche altri , piuttosto che diecimila parole in modo glossolali­ CO» . Invece di un'esortazione verbale capace di riprendere l'imperativo del v . 1 3 , Paolo come a l v . Sa dà voce alla sua preferenza, che riguarda però qui diret­ tamente la sua azione , non gli interlocutori . Questi però sono implicitamente chiamati in causa , perché in realtà egli offre loro il suo esempio: è una preferen­ za personale «in actu» presentata ai glossolali di Corinto come modello da imita­ re . In questo modo l'apostolo avvalora le sue parole a proposito della glossola­ lia: non si dica che la sua preferenza per la profezia , o qualsiasi altra parola cari­ smatica intelligibile , deriva da frustrazione personale e da conseguente invidia per i glossolali corinzi ; egli non solo è glossolalo , ma , grazie a Dio - si tratta di carisma , effetto della charis divina, come ha insistito nel c. 12 - lo è di più di tutti loro . Si è rilevato sopra che la glossolalia è poliforme, come dice l'espressione «generi di lingue» (cf. 1 2 , 10.28) e appare attestato in 13,2 (lingue degli uomini e degli angeli ) . Ebbene , Paolo dichiara di essere u n glossolalo superiore. Ma in pubblico (en ekklesia-i) si attiene , come prassi costante (cf. il presente the/6) al criterio , riba­ dito lungo tutto il capitolo, dell'edificazione dell'assemblea (kai allous) , qui espresso nella variante dell'istruzione (hina katecheso) . Per questo sceglie « d i di­ re cinque parole con la mia intelligenza (pente logous to-i mou noi /alesai)» , «piuttosto che diecimila en glosse-i» . C i saremmo aspettati che dicesse : invece di limitarmi alla glossolalia, la faccio seguire dall'interpretazione . Invece , pur ripe-

379 In GLNT IV, 267 G. Schrenk rileva: «Il the/ein nel senso di scelta è talvolta accompagnato da e o da mal/on: preferire, operando una scelta» e in nota specifica: «Nel N. T. the/ein e nel senso di prediligere, preferire: l Cor 4,21 ; 14, 1 9» .

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tendo la formula to-i mou noi usata nei vv. 14-15 per qualificare la preghiera glossolalica, abbandona il confronto tra glossolalia e sua interpretazione e ritor­ na a quello principale tra glossolalia e profezia o parola intelligibile , proprio del­ le micro-unità precedenti e di quella seguente. Infatti la sua scelta non consiste nell'abbinare glossolalia e sua interpretazione , ma nel rinunciare alla glossolalia per proferire parole intelligibili . Soprattutto lo scopo perseguito di «istruire» di­ mostra che non si tratta d'interpretazione di una preghiera glossolalica, cui si ri­ sponde con l'amen (cf. v. 16) , ma di una «Catechesi» , di un insegnamento delle cose della fede. In Gal 6,6 appare la figura professionale del catechista (ho katé­ chon ) , che il catechizzato (ho katéchoumenos) nella parola deve aiutare econo­ micamente . Con probabilità c'è identità con i didaskaloi di l Cor 12 ,28 e Ef 4 , 1 1 (cf. H . W . Beyer, in GLNT V , 274) . I n conclusione , nel nostro passo Paolo con­ fronta di fatto glossolalia e insegnamento , preferendo questo . Lo menzionerà ancora nel v . 26 tra altre manifestazioni carismatiche , tutte finalizzate all'edifi­ cazione . La contrapposizione tra i numeri 5 e 10.000 è plastica . Quest'ultimo è la più grande cifra usata allora nel far di conto , come appare anche in 1 Cor 4 , 1 5 (po­ treste avere 1 0 . 000 pedagoghi) e Mt 18 ,24 (il debitore i n sol v en t e della parabola doveva 10.000 talenti) . Cinque invece è numero indicativo di una quantità supe­ riore all'unità ma non grande ; noi diremmo oggi : «due o tre parole» , «alcune pa­ role» .380 La sproporzione numerica dice con efficacia quale valore Paolo annetta all'intelligibilità della parola proferita nell'assemblea, da cui dipende la sua frut­ tuosità per gli altri ; inoltre manifesta quale ridimensionamento della glossolalia sia qui operato in ambito pubblico. vv. 20-25 È la quarta micro-unità della sezione , che presenta uno schema ri­ petitivo (esortazione e sua motivazione confrontando glossolalia e profezia) , ma offre anche qualche aspetto non trascurabile di novità. Anzitutto l'imperativo iniziale è incentrato in un motivo nuovo, che a prima vista sembra esulare dal te­ ma della sezione: Paolo esorta a essere adulti, non infantili . Inoltre la sterilità della glossolalia e la fruttuosità della profezia sono affermate e dimostrate nei confronti di estranei che partecipano all'assemblea ecclesiale . Così il testo apre uno spiraglio interessante sui rapporti della comunità corinzia con il mondo cir­ costante ; alle sue riunioni erano ammessi anche non-credenti, si suppone paren­ ti , conoscenti , simpatizzanti : un fatto che doveva rivestire un'importanza non trascurabile nell'impegno missionario. 381 È vero infatti che Paolo ne parla in ter-

380 Billerbeck si riallaccia alle indicazioni di G. Kittel che cita, oltre al nostro passo , i cinque passeri in Le 12,6, le cinque persone rimaste in casa i n Le 12,52, le cinque paia di buoi in Le 14,19, i cinque talenti in Mt 25 , 1 5 , le cinque vergini sagge e le cinque stupide in Mt 25 ,2, i cinque giorni in Ap 20,6; 24 , 1 . Nel campo rabbinico Kittel indica BM 4 , 1 2 ; Jeb 1 5 ,7 ; Schab 8 , 3 1 . Ci basti riportare Jeb 15,7: «Se uno si è fidanzato con una di cinque ( di più) donne e non sa con quale di esse si è fi­ danzato . . . » . 381 Vedi lo studio citato d i Rebell che evidenzia come i l culto della parola delle assemblee fosse un fattore importante di missione , senza che sia qualificato come specificamente missionario in se stesso . =

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mini ipotetici , come di un'eventualità (vv . 23 25 ) ; ma non doveva trattarsi di un'ipotesi irreale , né di una pura possibilità futura, altrimenti il suo argomento, teso a mostrare l'inefficacia della glossolalia e l'utilità della profezia , non avreb­ be avuto forza probativa. Infine i vv. 24b-25 completano il quadro descrittivo della profezia mostrandone un aspetto non secondario , il disvelamento dei se­ greti dei cuori . -

v. 20 «Fratelli , non siate bambini quanto al senno , ma comportatevi da bam­ bini quanto alla malizia; diventate invece adulti in fatto di senno». Il vocativo iniziale mostra che in Paolo i toni critici delle sue parole non sono disgiunti da sentimenti di affetto : i due piani vanno di pari passo . In breve , le esortazioni so­ no fraterne. La costruzione del periodo si regge su due antitesi : 1) bambini (pai­ dia I népiazein) I adulti (teleioi) ; 382 2) senno (phrenes) I malizia (kakia). Il bambi­ no è immaturo non solo nel suo fisico ma anche nel suo mondo interiore , più precisamente nella capacità di valutare la realtà , cogliere i valori e distaccarsi dalla negatività. Al contrario l 'uomo fatto ha raggiunto il pieno sviluppo delle sue capacità intellettuali che gli permettono di vivere con saggezza . Nelle sue Historiae Polibio narra dell'errore di valutazione degli etoli a proposito di Filip­ po di Macedonia : «avendo infatti sperato di trattare Filippo come un bambino ingenuo (hos paidion népion) a causa della sua età e inesperienza (dia te tén héli­ kian kai apeirian) , avevano trovato un Filippo adulto nei suoi progetti e nelle sue azioni (teleion andra kai kata tas apibolas kai kata tas praxeis)» (5 ,29,2). Ma Paolo a che cosa esattamente si riferisce? Il contesto letterario e quello reale dei credenti di Corinto indirizzano verso la loro unilaterale valorizzazione della glossolalia a discapito della profezia . In questo sono infantili; devono per­ ciò maturare tendendo alla parola profetica che in sede assembleare è superiore. Se i vocaboli paidia e népiazein non ricorrono in altri testi paolini e il secondo è addirittura un «apaxlegomenon» nel NT, népios invece , col significato di perso­ na spiritualmente immatura , è attestato anche in l Cor 3 , 1 : Paolo parla ai corinzi come a persone che sono immaturi nel loro essere in Cristo (hos népiois en Chri­ st6-i) e in Gal 4,3: essere soggetti alla legge è uno stato infantile. La contrapposi­ zione tra età infantile e età adulta invece , presente in senso proprio in 13, 1 1 , è attestata ancora con significato traslato in Ef 4 , 13-14: «finché giungiamo tutti . . . all'uomo maturo (eis andra teleion) . affinché non siamo più bambini (hina me­ keti 6men népioi) » . 383 . .

382 L'antitesi con paidia e nepiazein mostra che il significato di teleios è questo indicato . G. Del· ling così descrive tale valenza del vocabolo nel mondo greco: «Sviluppato, maturato dal punto di vi· sta biologico . . . detto di una persona significa maggiorenne, adulto opposto a nepios» (GLNT XIII , 1007) . 383 Paolo si mostra qui vicino alla tradizione giudaica . In Sota 46b rabbi Eleazaro spiega la for­ mula «piccoli ragazzi» di 2Re 2 ,23 : essi meritano di essere chiamati ragazzi «perché erano vuoti di osservanze dei comandamenti ; "piccoli" , perché appartenevano a quelli che erano piccoli nella fe­ de» . Cit . da Strack-Billerbeck III , 1 62 . . . .

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All'antitesi «bambini quanto a senno I adulti quanto a senno» è abbinata una seconda: «bambini quanto a senno I bambini quanto a malizia» . Se nella prima l'immagine del bambino aveva una chiara connotazione negativa , essendo l'età adulta il polo positivo , qui per se stessa è neutra : tutto dipende dal complemen­ to , cioè in che cosa si è bambini. Contrapposti finiscono per essere , in realtà , l'immaturità nel male, in pratica la sua assenza , e l'agire cattivo .384 Oltre a bolla­ re come infantili i glossolali , che dovevano ritenere se stessi cristiani perfetti o maturi e gli altri credenti immaturi , Paolo sottolinea l'esistenza di un versante positivo dell'immagine . Debitore anch'egli della stessa immagine , si differenzia dai suoi interlocutori nell'applicarla al possesso e desiderio dei carismi più spet­ tacolari . 385 v. 21 Per motivare tale imperativo Paolo invoca l'autorità scritturistica, ed è una novità rispetto alle micro-unità letterarie precedenti . L'autorevolezza delle sue parole cresce di dismisura : esse incarnano la parola stessa di Dio, e l'inqua­ dramento nel testo citato dell'espressione «dice il Signore » , come si vedrà subi­ to, assume un preciso significato . «Nella Legge sta scritto: "Con lingue straniere e con labbra di stranieri parlerò a questo popolo , ma neanche così mi obbediran­ no , dice il Signore " » . Di fatto egli cita Is 28 , 1 1-12386 con tratti rilevanti di libera trascrizione . 387 Isaia si riferiva agli assiri , popolo straniero che parlava una lin­ gua sconosciuta agli israeliti. Per denunciare l'infedeltà di questi , che non pre­ stavano fede alle sue parole , preannuncia una nuova parola di Dio , incarnata in un nuovo mediatore profetico , non più Isaia ma l'esercito invasore assiro . È una parola nello stesso tempo punitrice e ammonitrice per il futuro , che però non ri­ ceverà migliore risposta : non la vogliono ascoltare . Nella rilettura di Paolo si de­ vono rilevare come significativi soprattutto due mutamenti . Il primo è il futuro del verbo «udire» ( ouk eisakousontai I non ascolteranno) al posto dell'aoristo ouk ethelesan akouein I non vollero ascoltare ; in questo modo l'apostolo evita di far dipendere la reazione negativa da cattiva volontà degli ascoltatori . II secondo consiste nella sostituzione del plurale «parleranno» I lalesousin o anche del sin­ golare «parlerà» del testo ebraico con il singolare di prima persona «parlerò» I /aleso , per sottolineare che è parola diretta di Dio .

� Kakia è interpretato da W. Grundmann come «una forza perturbatrice della società» rife­ rendosi in proposito soprattutto a Rm 1 ,28s: rifiutato dagli idolatri Dio li h a consegnati in balia della deprava:i;ion e , « ripieni di ogni ingiustizia, cupidigia , cattiveria (ka kia- i )» ( GLNT IV, 1445 ) . 385 E solo un caso fortuito che Paolo bolli di infantilismo in fatto di senno (tais phresin) i glosso­ lali di Corinto , orgogliosi delle loro esperienze estatiche e «entusiastiche» ? L'interrogativo nasce dal fatto che un filone del mondo greco concepiva l'esperienza mantica come esperienza di persona pri­ va di senno (ekphron I ouk emphrones) e di dissennatezza (aphrosyne) (cf. Platone citato sopra) e in termini analoghi Filone parlava dell'esperienza profetica . JIWI « Legge» ha qui significato più generale e indica tutta la Bibbia; vi rientrano dunque anche i profeti . Cf. Rm 3 , 1 9 . Paolo segue l'uso rabbinico . In Sanhedrin 9 l b si cita Gs 8 ,30 come passo preso dalla Torah . In Gittim 36a si legge : «Ciò avviene a motivo della Torah ! Poiché sta scritto Ger 32 , 1 0» . Cf. Strack-Billerbeck III, 463 . 387 Cf. Korn , Die Schrift. 63-66 .

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Commento

v . 22 Paolo applica il testo profetico alla situazione della comunità corinzia deducendovi un riferimento alla parola glossolalica: «Pertanto le lingue sono un segno non per quelli che credono bensì per coloro che non credono ; invece la profezia lo è non per quelli che non credono bensì per coloro che credono» . Ma quale la base di questa sua rilettura? Anzitutto la glossolalia è inintelligibile co­ me la lingua straniera degli assiri . Con questa poi ha in comune il fatto di essere parola di Dio . Anche l'esito è pari : non sarà ascoltata. Infine in ambedue i casi i destinatari sono persone incredule , in Isaia il popolo che ha rifiutato la sua paro­ la, nell'applicazione paolina i non-credenti presenti all'assemblea. Ma come leggere la categoria di «segno» cui Paolo qui ricorre? Nel testo isaiano è presente , anche se non in forma tematizzata , un segno disatteso: gli stranieri assiri sono segno di castigo per il rifiuto della parola di Isaia e di ammo­ nizione per il futuro . La responsabilità degli israeliti è manifesta ; la loro incredu­ lità consiste in persistenti scelte negative . Nell'applicazione paolina invece gli in­ creduli presenti sono più l'espressione di un dato sociologico che teologico e so­ prattutto , se non rispondono positivamente alla parola divina glossolalica , è per­ ché viene loro presentata in forma incomprensibile . In breve , sono chiusi alla parola di Dio , ma non per colpa loro . 388 Per questo sembra da escludere l'ipotesi che vi si intenda un segno punitore o anche solo ammonitore . Tanto più appare fuori luogo parlare di segno di grazia. 389 Credo che non bisogna formalizzarsi sul vocabolo «segno» e sulle sue valen­ ze biblico-giudaiche tradizionali . Importante è quanto dice il v. 23 dove Paolo stesso spiega il rapporto tra glossolalia e non-credenti : questi non solo non si convertono , ma anzi reagiscono misconoscendo il fenomeno. In breve , nella sua inintelligibilità la glossolalia non sa trasformare in credente un ascoltatore non­ credente . Per questo si può affermare un suo specifico collegamento con i non­ credenti . 390 Si deve comunque ammettere che il testo è qui tutt'altro che perspi­ cuo , ma una certa strumentalità nella rilettura dei testi biblici si sa che è presente in Paol o . 39 1 Inoltre , essendo sempre impegnato a confrontare antiteticamente i due cari­ smi , l'apostolo passa con un'avversativa a contrapporli anche dal punto di vista

"'8 C o N Z E LM AN N , Der ers1e Brief. 285 rileva con e fficacia : in Isaia gli i nc re d u li non volevano ascoltare , nel caso della glossolalia d i Paolo i no n - creden t i non possono ascoltare . 3"9 DuNN, Jesus and 1he Spirit, 23 1 : la glossolalia è detto un segno di giudizio divino per la incre· dulità dci non-credenti , mentre la profezia è s e g no per i credenti , non un segno di g iud i z i o , bensì di grazia per la fede dei cristiani . Secondo GRUDEM , The Gift, 229 , una funzione della profezia e ra di essere segno dell'atteggiamento di favore di Dio per i credenti e di minaccia di giudizio per i non cre­ denti. Johanson vi individua il significato di segno di ispirazione divina , che i glossolali di Corinto at­ tribuivano alle manifestazioni entusiastiche dello Spirito suscitando la reazione di Paolo . Per Theis­ sen la glossolali a e la profezia non so n o segno, ma servono da segn o , segno di r i c o nos c i m e n t o per la c omu ni tà che in questo modo comprende quelli che vi appartengono o meno. 390 D i c e ottimamente Bengel citato da Senft: «lnfideles fere , ubi l i n g uae in eos incidunt, infide­ les manent: sed prophetia fideles facit , et fideles pascit» . 391 Cf. G . BARBAGLI O , «L'uso della Scrittura nel proto-Paolo» , in E . NoRELLI , a cura di, La Bib· bia nel/'antichilà cristiana , EDB , Bologna 1 993 , I, 65-85 .

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dei rispettivi destinatari . Che non ripeta il vocabolo semeion («segno») a propo­ sito della profezia, non vuol dire che lo escluda , limitandosi a parlare semplice­ mente di destinazione ; in realtà lo sottintende , essendo la proposizione del v . 22b specularmente antitetica a quella d i 22a . Comunque questa affermazione di Paolo appare ancor meno perspicua della precedente , poiché nel caso ipotizzato nei vv . 24-25 la profezia svolge una funzione fruttuosissima nei confronti dei par­ tecipanti non-credenti , che induce alla fede . In realtà , egli vuol dire che se la glossolalia non cambia i non-credenti , la profezia invece sì , portandoli alla fede e dunque si può dire che è segno per i credenti, un segno suscitatore di fede. 391 bis vv. 23-25 Con la congiunzione conclusiva oun («dunque») Paolo si collega al­ la diversa destinazione dei due carismi , mostrando come conseguenza l'esistenza di due diversi tipi di assemblee comunitarie - «Se dunque tutta la comunità ec­ clesiale (he ekklesia ho/e) si radunasse nello stesso luogo (syne/the-i epi to auto)» -, secondo che entrano in azione i glossolali o i profeti . A fini dialettici amplifica i colori dei due quadri tracciati : «Se tutti parlassero in modo glossolalico» I «Se invece tutti profetassero».392 Ora, continua Paolo , se in tali riunioni partecipano «non-iniziati (idiotai) o non-credenti (apistoi) »393 I «Un non-credente (tis apistos) o un non-iniziato (idiotes) »394 l'esito sarà di segno opposto : «non diranno che de­ lirate (mainesthe)?» I «viene biasimato da tutti , giudicato da tutti , i segreti del suo cuore diventano manifesti (ta krypta tes kardias autou phanera ginetai) e co­ sì , caduto con la faccia a terra, si prostra davanti a Dio (proskynetai to-i Theo-i) , proclamando: "Veramente Dio è in mezzo a voi " » . L a reazione n e l primo caso ventilato è di totale chiusura n o n solo alla parola udita ma allo stesso fenomeno glossolalico , scambiato per un delirio di folli . I l verbo mainesthai indica q u i n o n i l fenomeno religioso del mantismo pagano , bensì una manifestazione di semplice pazzia.395 Comunque la responsabilità non è degli ascoltatori , perché gli stessi , in altra situazione , cioè di fronte alla parola profetica , reagiscono ben diversamente . Il difetto è all'origine , nei glossolali , che provocano un travisamento della glossolalia scambiata per pazzia , invece che per parola divina . L'accento dunque non cade qui sulla parola incomprensi­ bile , bensì sul travisamento dell'identità dei glossolali e della loro ispirazione .

391 "'' Smit ritiene che semeion indichi un segno di riconoscimento . In concreto la glossolalia non dà a riconoscere che si tratti di fenomeni propri di credenti e per degli estranei è fraintesa come feno­ meno di esaltazione pagana. Al contrario la profezia non lascia adito ad alcun dubbio sulla sua natura. 3 92 GREEVEN , «Propheten » , 6 parla di «scena ideale » . 393 I due vocaboli sono sinonimi ; idiotes pertanto assume q u i u n significato materialmente di­ verso che al v. 1 6 . 394 Se l a prima protasi esprime dati contrapposti , la seconda offre una medesima eventualità: l'ingresso e la presenza di estranei. I l plurale e il singolare sono varietà puramente stil istiche . ·19' Al contrario CoNZEl.MANN, Der erste Brief, 286, in nota: «il lettore pensa naturalmente ai culti estatici (cf. 1 2 ,2)».

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Commento

Tutto il contrario nel caso di una riunione ecclesiale dominata dai profeti. Paolo insiste sulla sua efficacia descritta come un processo che va dalla scoperta del proprio peccato al riconoscimento di fede del Dio cristiano . L'ascoltatore non-credente «viene biasimato (elegchetai) da tutti, giudicato (anakrinetai) da tutti» , cioè sottoposto a un procedimento di carattere giudiziario , messo sul ban­ co degli imputati e trattato come colpevole . 396 Non però per sua confessione, bensì perché i profeti disvelano il lato nascosto e segreto del suo mondo interio­ re , mostrando ai suoi occhi il male religioso e morale ivi annidato , l'idolatria e i vizi. 3 97 Il terzo momento del processo è il disvelamento: «i segreti del suo cuore di­ ventano manifesti (ta krypta tes kardias autou phanera ginetai)» . L'aggettivo phanera appartiene alla terminologia apocalittica , anche se può avere valenza più generica. Naturalmente dipende dal contesto e nel nostro caso s'impone la prospettiva apocalittica , confermata dal parallelo con due passi della stessa lCor 3 , 1 3 : l'opera di ognuno diventerà manifesta (phaneron genesetai) nel giorno ulti­ mo ; 1 1 , 19 : le divisioni sono necessarie «affinché diventino manifesti quelli che sono di provata virtù (hoi dokimoi phaneroi genontai)» . 398 Non solo il motivo del disvelamento ma anche la determinazione di ciò che viene disvelato sono atte­ stati in un altro passo della 1 Cor: «Egli (il Signore) metterà in luce (ph6tisei) i segreti della tenebra (tas kryptas tou skotou) e renderà manifeste (phanerosei) le intenzioni dei cuori (tas boulas ton kardion) » (4,5) . Il confronto dei due passi pe­ rò dimostra che la manifestazione là è opera del profeta e qui del Signore . In realtà , secondo la tradizione vt , giudaica e protocristiana, il disvelamento del­ l'intimo dell'uomo è proprio di D io soprattutto nelle sue vesti di giudice ulti­ mo . 399 Se dunque il nostro passo dice che i profeti rendono manifesti i segreti del cuore del non-credente , bisogna convenire che ciò avviene in forza della rivela­ zione divina, di cui essi sono beneficiari per grazia , appunto da carismatici. Co-

396 F. Biichsel dice in GLNT III, 391 : «Nel N . T . elegch6 . . . si gnifica far p res en te a taluno il suo p eccato e incitarlo a ra vve ders i» Con anakrino si indica l'indagine giudiziaria (cf Biichsel , in GLNT V , 1082- 1084) . 397 Sono i due lati negativi che sono rimproverati ai gentili nelle lettere paoline (cf. Rm 1,18ss). In proposito vedi lo studio di A. Destro-M . Pesce , «Giudei e gentili, elleni e barbari . Co m e Paolo confrontava le culture » , i n L. PADOVESE, a cura di, I Simposio di Tarso su S. Paolo apostolo, Roma 1 993, 82-90 (65- 103 ) . 398 Più ricorrente , come vocabolo apocalittico, è i l verbo corrispondente phan ero un che in Paolo è s i noni mo di ap oka lyptein (R. Bultmann-D. Liihrmann, in GLNT XIV, 841 ) . Vedi per es. Rm 3 ,2 1 : « Ora ( ny n i) si è manifestata (pephanerotai) la giustizia di Dio» ; 2Cor 5 , 1 0 : «Tutti dovremo essere disvelati (phanerothenai dei) davanti al tribunale di Cristo». 399 Egli infatti è il Dio «conoscitore del cuore» (kardiognostes) (vedi J . Behm , in GLNT V, 214: cf. in particolare per le lettere paoline lTs 2 ,4 e Rm 8 ,27) e disvelatore dei segreti dei cuo ri come appare attestato per es. i n Dn 2,22 (Teod . ) : Dio «disvela le realtà profonde e nascoste (apoka/yptei b a th ea kai apokrypta)»; Dn 2,47: «il solo che fa apparire misteri nascosti (ho ekphainon mysteria krypta m o nos )» (cf. Behm, in GLNT V, 1 146) . Poche sono invece le attestazioni nel mondo greco. Vedi una formula di scongiuro in cui ci si rivolge a un'imprecisata divinità in questi termini : «Annun­ cia i segreti ( ta kryp ta) della dea Iside dagli innumerevoli occhi» ( Preisendanz, Zaub. LVII 1 3 : cita to in GLNT V, 1 1 26) . .

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,

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me si è detto sopra, la parola profetica è una parola divinamente rivelata riguar­ dante realtà nascoste , si tratti di Dio o dell'uomo .400 La formula ripetuta «da tutti» sta a indicare l'efficacia della parola profetica , che non ammette eccezioni. Le parole di tutti i profeti che intervengono vanno a segno. Si discute invece se a causare tale disvelamento sia la parola specifica ri­ volta direttamente agli interessati oppure la predicazione generale a tutti i pre­ senti, che i non-credenti rivolgono a stessi .401 La prima interpretazione è da pre­ ferire perché il caso presentato intende chiarire l'efficacia della parola profetica non in generale, ma sui partecipanti non-credenti . D'altra parte , la ripetuta for­ mula «da tutti» , che riprende l'espressione «se tutti profetassero», sembra insi­ stere sul faccia-a-faccia dei profeti con i non-credenti . La reazione dell'interessato è nientemeno che la sua conversione : «e così , caduto con la faccia a terra (pesòn epi prosòpon) , si prostrerà davanti a Dio (proskynesei tò-i Theò-i) , proclamando : "Veramente Dio è in mezzo a voi"». Due sono , in realtà , i suoi gesti reattivi che manifestano all'esterno atteggiamen­ ti profondi . Anzitutto compie la proskynésis o prostrazione religiosa, appunto davanti alla divinità (tò-i theò-i)402 come gesto di adorazione , riconoscendo come proprio dio il Dio dell'assemblea cristiana . In secondo luogo proclama la presen­ za di Dio tra i cristiani.403 Il riconoscimento non è solo di carattere teologale , perché si estende alla realtà dell'assemblea cristiana , di cui coglie la vera identità di luogo della presenza attiva di Dio , disvelatore , mediante la parola dei profeti , dei segreti del cuore umano . La conversione dunque non è solo al vero Dio, ma anche alla sua comunità profetica. L'antitesi tra profezia e glossolalia trova così un nuovo versante : da una parte , misconoscimento dell'assemblea equiparata a un club di pazzi , dall'altra suo riconoscimento come «sacramento» salvifico di Dio . Il linguaggio espressivo di conversione è di timbro vt . Citiamo 3Re 18,39: vi­ sto il segno prodigioso compiuto da Elia, che aveva invocato sul suo sacrificio il fuoco dall'alto , «tutto il popolo cadde faccia a terra (epesen epi prosòpon au­ tòn)404 e dissero : "Veramente il Signore è Dio"» ; Is 45 , 1 4- 1 5 : quelli di Saba ver­ ranno e «Si prostreranno davanti a te (proskynesousin soi) e ti pregheranno di­ cendo : "Dio è in te" , e diranno : "Non c'è Dio al di fuori di te" . Tu infatti sei Dio , e non lo sapevamo , il Dio d'Israele salvatore» ; Zc 8 ,23 : i pagani afferreran­ no un giudeo per il lembo e gli diranno : «Verremo con te , perché abbiamo com­ preso che Dio è con voi (ho Theos meth 'hymòn estin) » .

400

1 89) .

Vi

ha insistito Pesce , (cf. «Diskussio n » , in DE L o RE N Z I , a cura d i, Charisma und Agape, 1 88-

401 Per la prima lettura vedi Pesce (DE LoRENZJ , a cu ra di , Charisma und Agape, 195) ; per la se­ cond a R. P e sc h (ibid. , 192) . 402 Si deve distinguere dalla proskynesis di carattere cerimoniale davanti ad autorità e p o tenti . Vedi la trattazione generale di H . Greeven in GLNT Xl, 379ss . 403 La formula greca en hymin non significa «dentro di voi», come mostran o i paralleli vt. Inve­ ce Weiss interpreta in senso i ntimi s t i c o : in animis vestris, rife rito ai profeti . 404 Pipto e proskyneo sono paralleli e spesso congiunti (cf. W . Michaelis in GLNT X, 306) .

75 8

Commento

6 . 3 . 2 . Prescrizioni organizzative (14,26-33a) v. 26 «Che fare dunque , fratelli? Quando vi riunite , ciascuno ha un salmo, ha un insegnamento , ha una rivelazione , ha una parola glossolalica, ha un'inter­ pretazione : tutto si faccia a scopo di edificazione » . La formula introduttiva ripe­ te quella analoga del v. 1 5 : « Che fare dunque?» aggiungendovi il vocativo «fra­ telli» già usato al v . 20. D alla riflessione precedente Paolo intende trarre le debi­ te conclusioni sul piano organizzativo ; non per nulla la sua direttiva generale fa leva sul motivo della edificazione che ha guidato il dettato dei vv. lb-25 . È per raggiungere questo scopo che devono essere disciplinati gli interventi di glosso­ lali e di profeti nelle assemblee ecclesiali . Dice bene Chevallier, Esprit de Dieu , 180- 181 interpretando lo spirito di queste regole : l'effusione escatologica dello Spirito non significa che si sia entrati nella gloriosa anarchia di un eone pneuma­ tico definitivo ; è impossibile disgiungere la grazia e l 'ordine ; tre sono le direttrici dell'agire responsabile dell'uomo ispirato: disciplina, intelligibilità della parola, discernimento . Paolo inizia tracciando un quadro delle assemblee ecclesiali caratterizzato da illimitata e poliforme partecipazione attiva di quanti intervengono . Si è ritenuta un'amplificazione retorica l'affermazione che «ciascuno» ha una sua parola da proferire ;405 ma nel c. 1 2 l'apostolo aveva accentuato il fatto della distribuzione dei doni di grazia a tutti i credenti , nessuno escluso : «A ognuno però viene data la manifestazione dello Spirito» (v . 7) , che ripartisce (diairoun) i carismi «a cia­ scuno in particolare» ( v . 1 1 ) . La formula con il verbo «avere» esprime la dota­ zione carismatica dei partecipanti pronti a esercitare il proprio dono . Ne nasce qualche problema pratico : come ottenere che tutti abbiano spazio e che lo svol­ gimento dell'assemblea sia ordinato? M a a questi interrogativi Paolo risponderà solo in un secondo momento ; ora gli preme di far valere l'esigenza suprema : tut­ to si deve fare per poter conseguire il fine dell'edificazione . L'elenco dei carismi , tutti di carattere verbale , ha in comune con quello del v. 6 tre carismi : rivelazione , insegnamento , conoscenza . La glossolalia e la sua interpretazione invece gli sono propri e pour cause : sta descrivendo i diversi tip i di parola ispirata che riempiono il quadro delle assemblee ; al contrario il v. 6 contrappone alla glossolalia le parole spiritualmente utili ai partecipanti . La pre­ senza del salmo poi si spiega in rapporto al v . 1 5 ; ma la vera sorpresa è che vi manca la profezia . Perché? Con probabilità è data per scontata. Se subito dopo Paolo esorta in modo imperativo a far sì che tutto avvenga a scopo edificante, non può non aver presente la parola profetica, da lui ritenuta superiore alla glos­ solalia proprio perché capace di edificare (cf. vv. 1-25 ) . Ancor. più , se nei vv . 29-32 offre una regola per gli interventi dei profeti , vuol dire che per lui l'elenco del v. 26 è solo esemplificativo . In breve, la non menzione della profezia non

405

Per es. WoLFF, Der erste Brief, 138 dice che la formula «non si deve certamente assumere in

s enso letterale».

lCor

1 4 , 26-33a

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significa esclusione, bensì inclusione così evidente da non richiedere esplicito richiamo. vv . 27-28 La prima regolamentazione riguarda l'attività pubblica dei glosso­ Iali , essendo chiaro che non ci sono limiti nel chiuso della loro stanza , per usare un'espressione della tradizione gesuana (cf. Mt 6,6) . «Se406 qualcuno parla in modo glossolalico , siano in due o al massimo in tre a parlare e uno dopo l'altro ; e uno interpreti» . La prima regola limita rigorosamente il numero degli inter­ venti glossolalici : al massimo tre . Non si dice il perché , ma appare facile indovi­ narlo dal momento che la stessa limitazione viene imposta anche ai profeti (v . 29) : rendere possibile a tutti quelli che hanno una parola da proferire (cf. v. 26) di farlo e , nello stesso tempo, evitare che tutta la riunione sia occupata da una sola manifestazione carismatica. Il limite numerico è a servizio dell'illimitata at­ tuazione dei molti e diversi carismi . La loro diversificata pluralità sottolineata nel c. 12 deve poter manifestarsi «in actu exercito» nelle assemblee ecclesiali . Numero limitato di interventi, ma anche interventi successivi , uno dopo l'al­ tro : creando caos e confusione e disturbando gli ascoltatori , la sovrapposizione delle voci impedisce il raggiungimento dell'edificazione . Per questo nella moti­ vazione teologica che chiude l'unità letteraria si afferma che Dio non ha nulla a che vedere con il turbamento (akatastasia) ; ed è sottinteso che anche la comuni­ tà riunita lo deve bandire da sé . Terza norma : perché la parola glossolalica possa lecitamente risuonare nel­ l'assemblea è indispensabile che uno (heis)4rn faccia da interprete . Dato Io scopo delle riunioni comunitarie (cf. v . 26b) , questo imperativo s'impone . Per potervi partecipare con l'amen le preghiere glossolaliche devono essere interpretate. Ma uno dei glossolali o dei presenti? (cf. rispettivamente Wolff e Lietzmann) . Sembrerebbe preferibile la prima ipotesi , perché il v . 27a , cui corrisponde sim­ metricamente il v. 29a («Quanto a profeti poi») , introduce una regola riguar­ dante il gruppo dei glossolali . Dunque è preferibile : «e uno di essi faccia da interprete» . 408

406

Eite è qui l'unico caso in cui non è abbinato a eite ed equivale a ei. Alcuni studiosi, come DuNN, «Tue Responsable Congregation » , 2 1 8 e MALY, Miindige Ge­ meinde , 216, traducendo «uno solo», intendendo heis come numero cardinale in opposizione a «più», ma l'accento pare cadere sull'esigenza impreteribile che ci sia uno che faccia da interprete (pronome indefinito), perché altrimenti la parola glossolalica non può attuarsi , essendo impossibile la sua comprensione e dunque la partecipazione dei presenti (cf. sopra l'unità letteraria dei vv . 1319). In realtà , sembra di poter leggere heis come equivalente a tis (cf. BLAss-DEBRUNNER, Gramma­ tica , § 247 ,2) e in opposizione a « nessuno» . 408 Qualcosa di analogo avveniva nelle riunioni sinagogali . Strack-Billerbeck III, 465s riporta due passi , uno dalla Mishna e l'altro dalla Tosefta. Il primo , Meg 4,1 : «Quando si legge in piedi o se­ duti il rotolo di Ester (nella festa del Purim), può essere che uno l'abbia letto e due l'abbiano inter­ pretato» . Il secondo TMeg 4,20 (227) : «Della Torah uno legge e uno interpreta ( traduce in aramai­ co) , e non deve uno leggere e due interpretare , e non devono due leggere e uno interpretare e nep­ pure due leggere e due interpretare». m

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Commento

Chi stila un regolamento deve anche prevedere tutte le eventualità possibili , al fine d'impartire norme adeguate alla realtà e capaci d'interpretare ogni varia­ zione delle circostanze . Paolo appare preciso : «Se invece non c'è un interpre­ te,409 faccia silenzio nell'assemblea ecclesiale , parli invece tra sé e Dio» . Il divie­ to è per il glossolalo che si accinge a parlare , ma riguarda di fatto i due o tre am­ messi a proferire nell'assemblea la loro preghiera estatica . In realtà , si può tra­ durre in altro modo il testo paolino : «Se invece non è un interprete . . . » . 4 10 In ogni modo nella nostra lettura l'interprete mancante è sempre riferito al ristretto gruppo dei glossolali ; in altre parole , se manca un glossolalo che sia anche inter­ prete , caso trattato sopra ai vv. 13-19. È ciò che suggerisce l'antitesi presente qui : «e uno (di essi) interpreti . Ma se non c'è (tra loro) un interprete» . In questo caso s'impone il divieto di parlare nell'assemblea , abbinato all'im­ perativo concessivo di p arlare pure tra sé e Dio, l 'unico interlocutore capace di comprenderne la preghiera e di entrare in comunione con lui (cf. sopra v. 2 ) .411 In breve, no nell'assemblea, sì nel chiuso della propria camera. Naturalmente è una concessione che vale per tutti i glossolali presenti alla riunione comunitaria, non solo per i due o tre autorizzati a parlare pubblicamente in presenza di un glossolalo-interprete . vv . 29-32 La normativa sugli interventi dei profeti segue sostanzialmente Io schema strutturale di quella per i glossolali , con la particolarità che qui gli impe­ rativi sono lungamente giustificati. Ecco la struttura del brano : 1 ) numero limi­ tato di interventi : due o tre ; 2) intervento sulla parola proferita: «gli altri valuti­ no»; 3) caso ipotetico subordinato con nuova soluzione : se un altro riceve una ri­ velazione , «il primo si metta a tacere» ; 4) motivazioni della disciplina, che man­ cano nella regola per i glossolali . v. 29 «Quanto a profeti poi , parlino in due o tre e gli altri valutino (diakrine­ tosan)». Se la prima regola sul numero limitato degli interventi ripete in sostanza quella circa i glossolali ,4 12 la seconda invece solleva problemi di lettura. Anzitut­ to chi è inteso con la formula «gli altri » : gli altri profeti presenti in sala o gli altri partecipanti all'assemblea, in sostanza tutta la comunità riunita?4 13 Quale il si-

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Al verbo diermeneuein del v. 27 corrisponde qui l'aggettivo sostantivato diermeneuti!s. Nel primo senso si è espresso Lietzmann e nel secondo Weiss; Conzelmann invece le riporta ambedue nella sua traduzione . 411 BARREIT, La prima lettera , 402 : «I due dativi heauto-i, to-i Theo-i dovrebbero forse essere tradotti in modo differenziato: "a" Dio, ma "per se stesso" , per il proprio bene». Ma la contrapposi zione riguarda i destinatari del parlare , rispettivamente l'assemblea (en ekklesia-i) e Dio come unico dialogante con l'io del glossolalo . Lietzmann legge in heauto-i il significato di «a casa sua». 412 Manca l'avverbio «al massimo»: Paolo è qui meno tassativo? 413 Per la prima ipotesi si sono pronunciati per es . CHEVALLIER, Esprit de Dieu, 190 (gli altri pro­ feti, non tutti i fedeli) , FRIEDRICH , «Prophetes» , 636 (il giudizio sul discorso profetico spetta ad altri profeti) , HuRD , The Origin , 221 (le manifestazioni profetiche sono da valutare dagli altri , pro babil mente dagli altri profeti) , Kuss , « Enthusiasmus» , 264 (gli altri profeti giudichino) , MALY, Miindige Gemeinde, 2 1 8 (attraverso il consenso degli altri carismatici profetici) . La seconda lettura è patroci­ nata per es. da CornENET, «Prophétisme» , 1296 (gli altri che devono giudicare sono l'insieme della comunità come in lTs 5,22) , WENGST, «Das Zusammenkommen», SS l ss (la comunità tutta è chia­

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gnificato del verbo diakrino: interpretare oppure valutare o anche discernere tra vera e falsa profezia?414 Il primo problema mi sembra risolubile in modo convin­ cente vedendo nel testo l'intervento degli altri profeti , non della comunità riuni­ ta; hoi alloi infatti si oppone ai due o tre ammessi a proferire la loro parola ispi­ rata e insieme formano il gruppo specifico dei profeti , per i quali vale la regola dei vv. 29-32 , regola parallela a quella valida per i glossolali dei vv . 27-28. Il rife­ rimento a lTs 5 , 1 9-21 è improprio essendo diversa la situazione presupposta: la comunità tessalonicese appare contraria alle manifestazioni carismatiche , so­ prattutto a quelle profetiche ; quindi Paolo l'esorta a non fare di ogni erba un fa­ scio , ma di esaminare (dokimazein) tutto acce tt ando di buon cuore ciò che è au­ tenticamente frutto dello Spirito . Quanto al secondo problema , già sopra è st a t a criticata la tesi di Daut­ zenberg sull'equivalenza t ra diakrisis di 1 2 , 1 0 e diakrinetosan di 14,29 , l'uno e l'altro vocabolo espressivi , a suo dire , della necessaria interpretazione delle ma­ nifestazioni profetiche fatte consistere in sogni enigmatici e in visioni oscure . Qui aggiungiamo che interpretare è espresso app e n a prima con dierméneuein I dierméneutés , non con il verbo diakrinein . Anche la le t tur a che vi scorge il di­ scernimento tra vero e falso profeta non sembra probabile , perché le prescrizio­ ni s'interessano non a tale problema , bensì al corretto ordine di svolgimento de­ gli interventi . D ' altra parte , nulla nel complesso letterario dei cc. 12-14 lascia in­ tendere che a Corinto fosse vivo il problema dei veri e dei falsi profeti e che Pao­ lo vi voglia rispondere . Senza dire che in questa eventualità egli avrebbe dovuto far appello non agli altri profeti presenti , bensì a persone dotate dello specifico carisma di discernimento degli spiriti. Di fatto , la regola del v . 30a vuol far posto a tutti i profeti partecipanti alla riunion e , coinvolgendoli nel valutare la parola ispirata proferita , scegliendo (diakrinein)415 un aspetto piuttosto che un altro , applicando questo o quello alla situazione della comunità , discriminando nel materiale offerto secondo un criterio di convenienza pratica, non di verità . 4 16 Ma secondo quale criterio preciso doveva avvenire tale esame? Se al v. 26 Paolo ha prescritto come regola d'oro : «tutto si faccia a scopo di edificazione » , siamo au-

mata a giudicare ciò che dice il profeta come in lTs 5 ,22) , GRUDEM , The Gift, 62s (hoi alloi si riferi­ sce all'intera assemblea; passo parallelo è lTs 5 , 19-2 1 ) . Facendosi guidare più dalle sue convinzioni confessionali che dal testo , Allo afferma: «principalmente i capi dell'assemblea». 414 Nel primo senso si è espresso Dautzenberg , che legge questo versetto in parallelo con 12, 10: diakriseis pneumaton ; a favore della seconda interpretazione vedi ad es. WENGST, «Das Zusammen­ kommen», 555 che parla di giudicare ed esaminare secondo il criterio dell'utilità e dell'edificazione e Grudem che esclude l'ipotesi di un giudizio su vero o falso profeta e intende il passo nel senso della valutazione delle profezie ( The Gift, 58ss). La terza ipotesi, del discernimento degli spiriti , poggia sul parallelismo con 12,10, parallelismo tutt'altro che evidente . 415 Di questo verbo F. Biichsel scrive : «Poiché già il semplice krino significa separare, apparta­ re, in origine diakrin6, separare l'uno dall'altro , non è altro che un krin6 rafforzato» (GLNT V, 1090) . 4 1 6 GRUDEM , The Gift, 66-67 ritiene che la discriminazione riguarda la presenza di elementi veri e falsi nella profezia, che rivendicava sì un'autorità divina ma quanto al contenuto generale , non sul­ le singole parole, a differenza della profezia vt della profezia. Ma in questo modo si finisce per rica­ dere nell'ipotesi del discernimento .

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torizzati a ritenere che essa valga anche per la richiesta valutazione degli altri profeti . Si è fatto spesso ricorso a Rm 12,6: chi ha la profezia la eserciti «secondo la proporzione della fede (kata ten analogian tes pisteos) » ;4 1 1 ma non sembra un vero passo parallelo , perché in 14 ,30a si tratta di un intervento di profeti sulla profezia proferita da altri profeti . v. 30 «Se però a un altro che sta seduto4 18 è stata concessa una rivelazione, il primo si metta a tacere» . Nello svolgimento programmato delle riunioni Paolo si mostra aperto a bruschi mutamenti imposti dallo Spirito , l'occulto regista delle riunioni carismatiche . Se infatti all'improvviso investe un profeta4 19 rivelando­ gli420 un «mistero » , questo deve essere proferito subito alla comunità riunita; di conseguenza il profeta che sta parlando deve cedere il p asso e mettersi a tacere. All'origine del parlare profetico è lo stesso Spirito che vi mette fine, non però per dar spazio al silenzio, bensì per favorire una nuova parola profetica. L'ordi­ ne programmato è solo funzionale , deve dunque piegarsi all'iniziativa dello Spi­ rito che incalza la comunità offrendole , per mezzo sempre di profeti , nuove rive­ lazioni e con queste nuovi stimoli all'edificazione . vv. 3 1 -32 «Potete in effetti a uno a uno profetare tutti , affinché tutti possano imparare e tutti essere esortati . Anche le ispirazioni (pneumata ) dei profeti sono sottomesse ai profeti» . Le motivazioni qui addotte si riferiscono all' ultimo impe­ rativo. Se Paolo prescrive a chi sta parlando di zittirsi in presenza di una rivela­ zione fatta a un altro, la sua intenzione non è di divieto (a tutti resta aperta la possibilità di profetare) , bensì di evitare l'accavallarsi di parole : tutti , certo, ma «a uno a uno» . La stessa prescrizione era stata data a proposito dei glossolali al V . 27. Con il primo «tutti» egli si riferisce ai profeti , non a tutti i partecipanti all'as­ semblea , perché sta presentando le regole degli interventi di quelli . Il duplice «tutti» delle due proposizioni finali invece si riferisce agli ascoltatori della parola profetica , siano essi profeti o glossolali o altri carismatici ancora , che ne benefi­ ciano sul piano dell'ammaestramento (manthano ) e dell'esortazione (parakalo). Si conferma così che una funzione importante della profezia è di carattere pare-

417 Vedi soprattutto DuNN , «The Responsable Congregation», 221 ss che si appella anche a 1 2,3 (criterio cristologico ) e al c. 13 ( criterio de ll'agape) ; ma si tratta di riferimenti troppo lontani dal no­ stro testo . 418 È un particolare che ci permette di sapere che gli ascoltatori erano seduti, mentre chi parla­ va si suppone che stesse in piedi . 4 1 9 Quell'«altro» a cui è fatta la rivelazione è del gruppo dei profeti ; di essi infatti Paolo sta re­ golamentando l'attività pubblica . 420 Il soggetto attivo della rivelazione non è esplicitato , ma il passivo del verbo è teologico, sot­ tintende cioè un agente divino, cui si è creduto bene dare il nome di Spirito in considerazione del v. 32 che parla di ispirazioni spirituali (pneumata) dei profeti. Sul rapporto tra profezia e rivelazione GRUD E M , The Gift, 1 15ss rileva, a buon diritto , che i due vocaboli apokalyptò e apokalypsis, ricor­ re nti 26 e 18 volte nel NT riguardano un 'attività o una comunicazione non umana, bensi sempre divi­ na.

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netico421 e che l'ambito di diversi carismi non è sempre ben delimitato e specifi­ co , per cui qui alla profezia è attribuita una funzione propria dell'insegnamen­ to .422 Ma l'assicurazione che nell'assemblea tutti i profeti possono esercitarsi non fa a pugni con il limite fissato al v . 29 : due o tre? Greeven , «Propheten», 13 ritie­ ne che ci si riferisca cumulativamente a quelli che profetizzano e agli altri che va­ lutano . Ma è preferibile congetturare che Paolo si riferisca ai profeti ammessi inizialmente a intervenire e a quanti sono ispirati all'improvviso dallo Spirito ri­ velatore . Dunque anche nel numero degli interventi la profezia viene privilegia­ ta rispetto alla glossolalia. Molto difficile è invece l'interpretazione del v. 32. Anzitutto si discute del si­ gnificato della formula pneumata prophet6n . Le possibili letture sono tre , come ha rilevato G rudem , The Gift, 120ss : gli spiriti angelici presenti nei profeti /423 gli spiriti umani individuali dei profeti I le varie manifestazioni dello Spirito nei vari profeti (cf. Ellis) . Questa terza congettura appare la migliore : lo stesso vocabolo pneumata ricorre di nuovo in 14 , 12 con la valenza di manifestazioni ispirate dal­ lo Spirito . 424 Paolo sta parlando delle manifestazioni profetiche pubbliche e dei loro portatori , i profeti . Inoltre chi sono i profeti a cui , come si afferma, sono sottomessi i pneumata dei profeti? Si tratta delle stesse persone , oppure degli altri profeti? Nel primo caso il senso sarebbe quello del controllo del profeta nell'esercizio della sua fun­ zione , come ritengono molti , per es. Callan, «Prophecy» , 137, Cothenet, «Pro­ phétisme» , 1296 (il profeta resta padrone di se stesso) e Maly , Miindige Gemein­ de, 220 (il profeta deve dominarsi e in questo la profezia cristiana si mostra di­ versa dall'estasi pagana) . Nel secondo invece Paolo intende spiegare che un pro­ feta deve cedere il posto all'altro quando questi è sotto il soffio improvviso dello Spirito rivelatore . Non si tratta di una norma estrinseca , bensì del criterio intrin­ seco della subordinazione delle ispirazioni profetiche che si succedono in modo che se una nuova rivelazione ha luogo sull'istante , le si deve dare subito spazio perché così evidentemente vuole lo Spirito . Dice bene Greeven , «Propheten» , 13 : nessuna concorrenza tra profeti , ma un unisono così che il primo si lascia ri­ levare dal secondo .

421 L a m maest rame n t o è l'altra faccia, passiva, dell'insegnamento (didaskalos I didache I kate· cheo) , menzionato più volte nel nostro complesso letterario (cf. 12,28.29 I 1 4 ,6.26 1 1 4 , 1 9 ) . Il verb o parakaleo ha il suo parallelo nel sostantivo paraklesis menzionato in 14,3. 422 FRIEDRICH , «Prophètès» , 63 1 può a buon motivo fare il seguente rilievo comparativistico : «Mentre nei profeti dell'epistolario paolino il centro dell'annuncio poggia sulla paraclesi , e soltanto saltuariamente si fa menzione di predizioni , nell'Apocalisse le predizioni del futuro costituiscono la parte; r e po n d e ran te e le esortazioni sono più o meno marginali» . 4 DAUTZENBERG , Urchristliche Prophetie, 27 3 s s annota che me n t re nella sinagoga l'insegna· mento era assicurato dalla let t ura e interpretazione della Scrittura , nelle assemblee ecclesiali paol in e i presenti so n o istruiti dalla parola p rofe t i ca port a t ri ce di nuova rivelazione div in a 424 Comunque il passo più vicino è Ap 22,6 che parla del Dio degli spiriti dei profe t i (ho Theos ton pneumaton ton propheton) . '

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v. 33a «Dio infatti non è Dio di turbamento , ma di pace» . È evidente il carat­ tere di motivazione teologica della regolamentazione precedente. Paolo , in real­ tà, non si appella al volere divino bensì all'essere st e sso di Dio, che è pace425 e insieme donatore di pace . Il sottinteso è che la comunità cristiana deve sintoniz­ zarsi nelle sue assemblee su questa lunghezza d'onda , evitando la «pertur­ bazione della quiete e della pace nella comunità , dovuta . . . al fare orgiastico nel­ le adunanze» , precisa A . Oepke , in GLNT IV, 1341s. 426 La categoria antitetica «pace» dice perciò assenza di turbamento, ma le sue risonanze vt suggeriscono valenze anche più ricche, cioè un bene-essere sostanziato di armonia e integrità. Il contesto poi applica tale pregnanza alle assemblee ecclesiali vivificata dai fe­ nomeni pneumatici . La formula «Dio di pace» è privilegiata da Paolo che la usa in Rm 15 ,33 ; 16,20; 2Cor 1 3 , 1 1 ; Fil 4,9; lTs 5 ,23 . Vedi anche 2Ts 3 , 16 (con Ky­ rios al posto di Dio) . 427

6 . 3 . 3 . La glossa dei vv . 33b-36: divieto alle donne di parlare Non si può negare che la pericope428 presenti qualche analogia con la struttu­ ra delle due micro-unità letterarie precedenti . Ecco lo schema: A. Prescrizione generale : le donne facciano silenzio nelle asse m blee (vv. 33b-34a) ; prescrizione motivata (v . 34cde) B. Caso particolare con relativa soluzione : «Se poi vogliono imparare qual­ cosa , interroghino a casa i propri mariti» (v . 35ab) ; soluzione motivata che ripete la ragione addotta sopra per il divieto (v . 35c) C. motivazione generale in forma interrogativa retorica (v . 36) . In proposito Grudem, The Gift, 239ss tenta di mostrare l'esistenza, in 14,2636, di un'armonica costruzione letteraria in cui il nostro brano s'inserisce in ma­ niera non forzata. Ecco lo schema da lui evidenziato : A . v . 26 affermazione generale B. vv. 27-28 primo esempio specifico, dei glossolali B . ' vv. 29-33a secondo esempio specifico , dei profeti B . " vv . 33b-36 = terzo esempio specifico , delle donne . =

=

=

Precisa poi che il problema qui affrontato non è se le donne possono profeta­ re in chiesa , ma se possono interloquire nella valutazione delle profezie . Pertan-

425 In Sifre Num 6,26 abbiamo la seguente annotazione : «Il nome di Dio è "Pace"» (cit. in MA­ Mundige Gemeinde, 28 1 ) . 426 Con questa valenza il vocabolo akatastasia ricorre ancora nel catalogo dei vizi di 2Cor 12,20. 421 Cf. in proposito R. Penna, «"L'évangile de la paix"», in L . DE LoRENZI, a cura di, Paul de Tarse apotre de notre temps , Rome 1979, 182-1 85 (175- 1 99) . 428 Cf. soprattutto le approfondite trattazioni di DAUTZENBERG , Urchristliche Prophetie, 257-273 e di GRU DEM , The Gift, 239-262 , che difendono due opposti punti di vista, e lo studio di Allison che propone una originale ipotesi.

LY ,

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to non c'è contraddizione con l l ,2ss , dove , dando per scontato che le donne preghino e profetizzino, si fa loro obbligo di avere il capo coperto . E conclude : le donne possono profetare nell'assemblea , ma devono restare in silenzio duran­ te la valutazione delle profezie , perché questo implica un esercizio di autorità nella locale chiesa , mentre quello no . Ma si può osservare che la somiglianza formale non appare così forte , come si vuole far credere . La regolamentazione della glossolalia e della profezia pro­ cede secondo una duplice prescrizione : 1) parlino pure, ma a precise condizioni ; 2) se si verificano altre condizioni o intervengono fatti nuovi , i glossolali faccia­ no silenzio e il profeta che sta parlando lasci il posto a chi ha appena ricevuto una rivelazione . Prescrizione motivata dall'esigenza imperativa che «tutto si fac­ cia a scopo di edificazione » . Invece nel caso delle donne c'è un'unica direttiva e questa non regolamenta affatto il parlare , bensì il tacere nelle assemblee . Diret­ tiva non motivata dal criterio principe dell'edificazione dei presenti , bensì da ge­ neriche valutazioni morali: «non è permesso» I «è sconveniente». In realtà, il ge­ nere del brano dei vv. 33b-36 non può essere chiamato «regola della parola cari­ smatica nelle assemblee ecclesiali» , genere proprio dell'unità letteraria dei vv . 26-33a ; s i tratta invece d i «divieto generale e assoluto d i parola per l e donne nel­ l'assemblea» . Con felice formula Dautzenberg 258 , Urchristliche Prophetie, par­ la di Redeverbot e Schweigegebot («divieto di parlare» e «Comando di far silen­ zio») . Altri importanti rilievi è possibile fare , prima di emettere un giudizio fonda­ to sull'autenticità paolina o meno del brano. Anzitutto le donne appaiono qui al­ l'improvviso , senza alcun preannuncio anche solo implicito e, allo stesso modo , scompaiono senza lasciar traccia dietro a sé , ignorate del tutto nella parola con­ clusiva di 14,39-40 in cui Paolo , riassumendo la sua risposta ai corinzi , parla solo di profezia e di glossolalia. Se il brano 14,33b-36 fosse stato concepito come pa­ rallelo letterario e tematico di 1 4,27-28 e 14,29-30a non si spiegherebbe tale as­ senza. D'altra parte, qui il divieto di parlare (lalein : due volte ai vv . 34 e 35) e il co­ mando di stare io silenzio (sigatosan : v. 34 ) non possono riferirsi a un parlare non profetico o comunque non ispirato , come vorrebbe Grudem che lo riferisce all'interloquire nella valutazione delle parole profetiche,429 perché in tutto il contesto lalein e anche sigao sono sempre usati in riferimento ai profeti e glosso­ lali o comunque ai carismatici . È praticamente certo che il divieto , in questa col­ locazione , riguarda il parlare profetico o, più in generale , carismatico , mentre in

429 Così anche Kiimmel nelle sue annotazioni al commentario di Lietzmann : «c'è la possibilità che Paolo qui non pensi al parlare ispirato delle donne»; ADINOLFI, «Il silenzio della donna» , 1 26 che precisa come le donne , «la cui cultura . . . non era troppo grande» fossero indotte a richiedere «ulte­ riori spiegazioni» ; FEUILLET, «La dignité » , 167: «mentre l'insegnamento di origine carismatica esclu­ de il lavoro della riflessione umana , quello che è preso di mira in 1 Cor XIV ,34-5 comporta al contra­ rio delle interrogazioni . . . L'apostolo pensa che questo insegnamento ordinario e la discussione che comporta non convengono alle donne».

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l l ,2ss l'unico divieto alle donne che pregano in modo glossolalico e profetizzano nell'assemblea concerne una pura questione di abbigliamento : non a testa sco­ perta. E sembra una semplice scappatoia il tentativo di coloro che distinguono tra assemblea domestica in l l ,2ss e assemblea plenaria qui (cf. 14 ,26) .430 Infatti la contrapposizione del nostro brano è tra assemblea comunitaria (en tais ek­ klesiais I en ekklesia-i) , da una parte , e la c�sa privata (en oiko-i) dall'altra. Dun­ que, la contraddizione tra i due brani appare patente . Né può essere risolta di­ cendo con Lietzmann che in l l ,2ss l'attività profetica delle donne era stata con­ cessa a malincuore da Paolo , mentre il divieto del c. 14 esprime il suo vero pen­ siero . Ancor meno solida è la seguente ipotesi di Allo che , riprendendo una con­ gettura dell' Ambrosiaster, 43 1 si appella alla tattica paolina : al c. 1 1 l'apostolo si è limitato a imporre il velo senza pregiudicare il fatto in sé e riservandosi di affron­ tare direttamente il problema più avanti , appunto nel c . 14. Ma a quale scopo impegnarsi e con forza in un dibattito che , presupposto il nostro divieto , non ha più alcuna ragion d'essere? In altri termini , se le donne profetesse e glossolale devono tacere , non c'è alcun bisogno di imporre il copricapo come condizione del loro profetare in pubblico.432 L'estraneità della pericope dal contesto si nota ancora nel linguaggio del di­ vieto e del comando : «non è permesso (ouk epitrepetai) a loro di parlare» I «è sconveniente (aischron) per una donna parlare » ; sono formule impersonali pro­ prie di codici legali e assenti nel c . 1 4 , dove Paolo spesso esprime sì divieti e co­ mandi , ma con imperativi diretti. Vi ricorrono invece vocaboli presenti anche nella pericope precedente, ma con valenze diverse . Così il motivo dell'apprendi­ mento : «Se poi vogliono imparare (manthanein) qualcosa» (v . 35) è attestato an­ che al v . 3 1 , però quale esito positivo in tutti i presenti della parola profetica ascoltata, non come opportunità privata e domestica. Altrettanto si dica del te­ ma della sottomissione : «stiano invece sottomesse (hypotassesthosan) , come di­ ce anche la Legge» , nel contesto è specificato come sottomissione ai loro mariti ( cf. v . 35) ; altra è la sottomissione affermata , non come imperativo ma come da­ to di fatto , nel v . 32. Estranea al contesto , la nostra pericope mostra qualche omogeneità lessicale e tematica, secondo KucKLER, Sch weigen , 54 una stretta parentela, con lTm 2 , 1 1 - 1 5 : «La donna impari (manthaneto) in silenzio (en hesychia-i)433 con tutta sottomissione (en pase-i hypotagei) . Non permetto (ouk epitrepo) a nessuna

430 Così B achmann nel suo commentario , di cui si è detto sopra a proposito di l l ,2ss, dove si è menzionata anche l'ipotesi di Giavini che vede sullo sfondo di questa pericope un luogo pubblico qualsiasi , non l'assemblea ecclesiale . 431 «Ora egli comunica ciò che aveva tralasciato; come infatti comandava alle donne di velarsi nell'assemblea , ora mostra che devono tacere ed essere vereconde» (Commentarium in J Cor 14,34; PL 17,273 : cit. in ADINOLFI , «Il silenzio della donna» , 124) . 432 Si è anche ipotizzato, da chi nega l'unità della lettera, che Paolo abbia preso due decisioni diverse in tempi diversi. Ma, a prescindere ora dal problema letterario accennato, resterebbe la con· traddizione. 433 Su questo significato del vocabolo vedi BAUER, Worterbuch , 690.

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donna di insegnare (didaschein) , né che domini (authentein) sull'uomo ; ma (vo­ glio) che stia in silenzio . Infatti per primo è stato plasmato Adamo, poi Eva e non fu Adamo a essere stato ingannato , ma fu la donna che ingannata si rese col­ pevole di trasgressione . Potrà però essere salvata generando figli , a condizione di perseverare nella fede , nella carità e nella santificazione , con modestia» . Il confronto mostra analogie e diversità , le une non meno evidenti delle altre . In particolare , sul primo piatto della bilancia pesano le antitesi «imparare I parla­ re» (manthanein I lalein) di l Cor e «imparare I insegnare» (manthanein I dida­ schein) di 1 Tm, il linguaggio del divieto ( ouk ep itrep etai I ouk epitrepo) e il moti­ vo della sottomissione (hypotassesthai I hypotage) . Una certa corrispondenza c'è anche nell'appello alla Scrittura («come dice anche la Legge») e nel richiamo al­ l'ordine in cui sono stati creati Adamo e Eva . Allo stesso modo il divieto alle donne di dominare (au th entein ) sull'uomo è solo il versante negativo del dovere di essere sottomesse . Né si può dire che in lTm manchi il riferimento alle assem­ blee comunitarie come luogo in cui ha valore il divieto , perché il contesto prece­ dente menziona le preghiere dei credenti facendo obbli go alle donne di vestire con modestia (v. 9) . Assente comunque è in lTm la con t ra pp osi z ione tra assem­ blea pubblica e casa privata. Lo stesso si dica dell'interrogazione delle donne ai mariti . La diversità più grande comunque è l'assenza in lTm 2 delle motivazioni generali che incorniciano il nostro brano : «Come in tutte le chiese dei santi» (v. 33b) ; «Forse è da voi che è uscita la parola di Dio , o a voi soli è ven ut a incon­ tro?» (v . 36) . Per questo una dipendenza tra i due testi non appare molto prob a bile , men­ tre si fa preferire l'ipotesi di una tradizione o fonte comune , di spiri t o giudaico , come ha mostrato Dautzenberg, Urchristliche Prophetie, 290ss . Strack-Biller­ beck III , 467 afferma che l'antica sinagoga ha proibito di fatto il parlare pubblico delle donne nelle riunioni liturgiche; esse vi devono intervenire per ascoltare . Nel trattato della Tosefta Megilla 3 , 1 1 si legge : «Tutti saranno computati nel nu­ mero di sette persone (chiamate di sabato a leggere la Torah) , anche un bambi­ no , anche una donna. Ma non si fa venire una donna (davanti al leggio) per leg­ gere in pubblico » . Nel trattato del Talmud babilonese Megilla 23a è attestato : «I nostri rabbi h anno pensato : Tutti sono qualificati ad essere tra i sette , anche un minore e una donna, solo i Saggi hanno detto che una donna non dovrebbe leggere secondo la Torah per rispetto dell'assemblea». Il trattato talmudico Hagiga 3a commenta così Dt 3 1 , 1 2 che recita: «Riunisci il popolo , gli uomini e le donne e i bambini » : «Se gli uomini vengono per studiare , le donne vengono < almeno> per ascoltare . I bambini , perché vengono? È per dare meri­ to a quelli che si curano di condurli» . In Berakhot 24a leggiamo : «Disse She­ muèl : La voce della donna è considerata come la pudenda , secondo quanto fu detto : "Perché la tua voce è piacevole e il tuo aspetto è bello" » .434 434 BAUMERT, Antifeminismus , 109ss ha rilevato come anche alle assemblee cittadine del mondo greco (ekklesiai) le donne non prendevano parte e se partecipavano dovevano stare in silenzio . Si ve­ da la testimonianza di Plutarco: «Né è della donna saggia il parlare in pubblico (ton logon demo­ sion ) ; e deve aver vergogna e guardarsi dal parlare (ten ph6nen) davanti a estranei (pros tous ektous)

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Più complessa ed esposta a un maggior grado di soggettività è la ricostruzio­ ne recentissima di Allison: i vv . 34-35 , proprio dove l'analogia con lTm è mag­ giore , esprimono la tesi del gruppo carismatico della chiesa di Corinto , formato d a m aschi tradizionalisti . Vi si oppone al v . 36, caratterizzato da interrogativi re­ torici capaci di demolire con sarcasmo la posizione contraria (cf. per es. 6,2s.8s) , la risposta di Paolo che squalifica la loro come pretesa ingiustificata di pochi esaltati che vogliono imporre una prassi propria. Il v. 33b invece è una formula del redattore che , non avendo compreso l'abbinamento dei due punti di vista, ha cercato di facilitare il passaggio da 33a a 34. Ma il testo non fa trasparire il bru­ sco cambio di persona : in 34-35 la posizione dei glossolali corinzi , in 36 quella di Paolo . Di regola , quando ciò avviene , la posizione di chi scrive è introdotta da un'avversativa (cf. 6 , 1 2 ; 7 , 1-2 ; 1 0,23) , per non dire di 1 5 , 1 2 dove la posizione degli interlocutori viene esplicitata. Ma nell'ipotesi dell'interpolazione ci si divide ancora circa i suoi confini esat­ ti : solo i vv. 34-35 , ritiene per es. Fee ; i vv. 33b-36, secondo Conzelmann , Senft, Klauck ; i vv. 33b-38, a parere di D autzenberg, Urchristliche Prophetie, 297-300, che mostra come i vv . 37-38 trovano un'integrazione migliore con i vv. 33b-36. Ma in questo caso non si allarga il campo dell'opinabile? Oltre tutto i vv. 37 e 38 sono facilmente interpretabili in stretto collegamento con il brano delle prescri­ zioni ai glossolali e ai profeti . La restrizione invece della glossa ai vv. 34-35, non priva di buone ragioni, come il timbro paolino del v. 36, trova seria difficoltà a collegare 33b con 33a. Riteniamo per questo che la migliore soluzione sia quella di ritenere come interpolazione la pericope dei vv. 33b-36.435 v. 33b « Come in tutte le chiese dei santi (en pasais tais ekklesiais ton ha­ gion)» . La formula innalza la prassi ecumenica delle comunità cristiane a criterio del vero . Una qualche somiglianza ha con le espressioni di 4 , 17: «come insegno ovunque in ogni chiesa ( en pase-i ekklesia-i) » ; 7 , 17: «ed è in questo modo che prescrivo in tutte le chiese (en tais ekklesiais pasais) » ; ma vero passo parallelo è 1 1 ,16, in cui Paolo ricorre a questo argomento contro la pretesa degli interlocu­ tori di instaurare nelle assemblee comunitarie una prassi diversa in fatto di abb i ­ gliamento femminile: «noi non abbiamo una tale consuetudine, né le chiese di Dio (hai ekklesiai tou Theou) » . Problematico invece è il suo legame : si allaccia a ciò che precede , come pensa per es. Fee , The first Epistle, 6 97 , oppure a quanto segue , secondo un'ipotesi assai diffusa? Nella prima eventualità la glossa sareb-

come se si denudasse (hos apogymnosin ) . . . Fidia ha rappresentato l'Afrodite di Elide con il piede sopra una tartaruga , simbolo per le donne del loro custodire la casa e stare in silenzio (oikourias symbolon tais gynaixin kai si6pes ) . Ella infatti deve parlare solo a sua marito o per mezzo di suo ma­ rito ros ton andra I dia tou andros ) » ( Praecepta coniugum 3 1 32 ) 4 5 Ultimamente PH. B . PAYNE, «Fuldensis, Sigla for Variants in Vaticanus, and 1 Cor 14 34 35», in NTS 41(1995) 240-262 con cl ude così il suo studio : «La mia seconda conclusione è che la nuo­ va evidenza testuale e interna qui analizzata rafforza una causa già forte che lCor 14. 34-35 è un'in­ terpolazione» .

!fs

- .

. -

l Cor 14,33b-36

769

be costituita solo dalla pericope 34-35 . Ma un collegamento di 33b con 33a è im­ probabile: l'affermazione di 33a ha valore concluso per se stessa e non si vede come 33b possa completarla. Inoltre la formula «in tutte le chiese dei santi» indi­ ca le comunità, non le loro assemblee , come invece è dell'espressione analoga en ekklesia-i dei vv. 1 9 . 28 (cf. vv . 23 e 26) . Per questo è difficile da integrare nel c . 1 4 . La connessione con 34a invece , pur nel duplicato formale della formula en tais ekklesiais , indicativa però delle assemblee comunitarie , non presenta diffi­ coltà insormontabili. v . 34 «le donne facciano silenzio nelle assemblee ecclesiali (en tais ekklesiais sigatosan ) . Non è infatti permesso a loro di parlare ; stiano invece sottomesse , come dice anche la Legge» . Non si precisa il vocabolo « don n e » : le sposate , le donne i n genere, una categoria a parte? Dal v . 35 che impone di interrogare «i propri mariti » , se vogliono imparare , emerge che si tratta di maritate . Ciò però non vuol dire che le nubili possano parlare in pubblico : l'esclusione di quelle comporta «a fortiori» l'esclusione di queste . «Parlare» (lalein) nel contesto precedente si riferisce al proferire parole ispi­ rate , ma in rapporto al v . 35 indica un parlare fatto di domande e finalizzato al­ l' imparare , escluso nelle assemblee comunitarie e ammesso nel chiuso della fa­ miglia. Ora tutto questo è ad analogia della prassi sinagogale : le riunioni , forma­ te da letture bibliche, traduzioni in aramaico e omilie, avevano lo scopo di inse­ gnare la legge ai presenti, come attestano Filone e Giuseppe Flavio . 436 E alle donne era vietato intervenire nella liturgia sinagogale della parola ; il loro am­ maestramento avveniva per interposta persona , i mariti , nel chiuso della casa. 437 L'ordinamento dei vv . 34-35 è stato formulato alla luce di questo precedente e caratterizzato dalla stessa cultura patriarcale , come emerge dal motivo della sot­ tomissione . Fu inserito nel c. 14 per sbarrare la strada a una prassi ecclesiale contraria che ammetteva interventi pubblici di profeti e glossolali come di profe­ tesse e glossolale . Il parlare delle donne è visto qui come antitetico a l loro essere sottomesse . Non si dice a chi ; ma dal v . 35 , che mette le donne di fronte ai loro mariti in atto

436 Cf. per es. del primo Legatio ad Caium 156: o gn i sabato gli ebrei si riuniscono nelle sinago­ ghe , «dove essi ricevono in comune l'insegnamento della loro filosofia tradizionale (demosia-i ten patrion paideuontai philosophian)» e De specialibus legibus 2 ,62: nei sabati in ogni città «sono espo­ sti innumerevoli insegnamenti (myria didaskaleia) di saggezza , senno , virilità, di giustizia e delle al­ tre virtù» ; e del secondo si veda Contra Apionem 2 , 1 75 : «Egli ha dichiarato che la legge è la forma più bella e più necessaria di istruzione (kalliston kai anagkaiotaton paideuma) e ha ordinato agli uo­ mini di abbandonare ogni settimana le altre occupazioni e di riunirsi per la lettura della legge (epi ten akroasin tou nomou syllegesthai) e ottenerne così un'accurata conoscenza (kai touton akrib6s ek­ manthanein)» e Antiquitates iudaicae 1 6, 43 : «Noi riserviamo il settimo giorno all'apprendimento dei nostri costumi, della nostra legge (te-i mathesei ton hemeter6n ethon kai nomou)». Vedi in proposito DAUTZENBERG, Urchristliche Prophetie, 276-278 . 437 KOCLER, Schweigen, 56 cita opportunamente qui FILONE, Hypotetica 7 , 1 4 : «Ogni (giudeo) . . . potrà facilmente rispondere su tutte le questioni circa gli ordinamenti dei padri , e il marito sembra competente (hikanos) a trasmettere (paradidonai) le leggi alla moglie , come il padre ai figli e il pa­ drone agli schiavi» .

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Commento

di riceverne le desiderate informazioni , emerge che si tratta di sottomissione delle mogli ai mariti , motivo caratteristico dei codici di famiglia , come Ef 5,24: le mogli siano sottomesse (hypotassesthai) ai mariti in tutto ; Col 3 , 18 : «Voi mo­ gli siate sottomesse (hypotassesthe) ai mariti» ; Tt 2 , 5 : le anziane educhino le gio­ vani «a essere sottomesse (hypotassomenas) a i loro mariti » ; lPt 3 , 1 : «Voi m ogli siate sottomesse (hypotassomenai) ai vostri mariti » . Il divieto di «parlare» è dun­ que a difesa di questo ordine familiare : ciascuno al suo posto, la moglie sotto­ messa al marito . Non mancano anche passi analoghi nella letteratura greca. Plu­ tarco dice che sono meritevoli di lode le mogli sottomesse ai mariti : «Se si sotto­ mettono ai mariti (hypotattousai men gar heautas andrasin) , sono elogiate ; m a se vogliono comandare (kratein de boulomenai) , si disonorano di più di quelli che si lasciano comandare (mallon ton kratoumenon aschremonousi) . L'uomo deve comandare alla moglie (Kratein de dei ton andra tes gynaikos) non come un pa­ drone (despoten) a un oggetto posseduto, ma come l'anima al corpo (h6s psy­ chen somatos) (Praecepta coniugum 33) . Secondo lo Pseudo-Callistene 1 ,22,4 Alessandro Magno ha detto : «Conviene (prepon) che la moglie si sottometta al marito (hypotassesthai)» (cit. in GLNT XIII , 928s) . E Valerio Massimo afferma: «Che cosa hanno in comune le femmine con il discorso pubblico? Se ci si attiene al costume degli antenati , nulla» (Quid feminae cum contione? Si patrius mos servetur, nihil) (3,8,6) . La voce della tradizione ebraica risuona in Filone : «Le mogli devono servire ai loro mariti» (gynaikas andrasin douleuein: Hypotetica 7 ,3) e in Giuseppe Flavio : «La donna è inferiore in tutto , dice (la Legge) ; p e rciò deve obbedire» (Contra Apionem 201) . L a motivazione del comando d i tacere e del divieto di «parlare» è qui dupli· ce . La prima fa appello al principio morale generale che distingue tra ciò che è permesso e quello che è vietato . Equivale , in realtà, alla norma del bene e del male , anche se il linguaggio è di diritto naturale. La seconda è di carattere tradi­ zionale , l'autorità della Legge, cioè della Scrittura . Di regola si ritiene che il rife­ rimento sia a Gn 3 , 16 : «ed egli dominerà su di te (kyrieusei)» . Ma l'analogia è lontana. Forse è preferibile vedervi l'uso rabbinico di chiamare Legge un costu· me tradizionale , come ha annotato Strack-Billerbeck che fa riferimento a Ròsh ha-shana 19a: «Le parole della tradizione son parole della Torah» (cit . in Adi­ nolfi , «Il silenzio della donna» , 127 in nota) . v . 35 «Se poi vogliono imparare qualcosa , interroghino a casa i propri mariti , perché è sconveniente per una donna parlare in un'assemblea ecclesiale». La normativa ha una subordinata: cambiando luogo , non più l ' assemblea ma la casa privata, valgono nuove regole : le donne possono soddisfare il loro desiderio di imparare interrogando i mariti . Si tratta di una concessione e a conferma, a scanso di equivoci , si riafferma il divieto di parlare nell'assemblea comunitaria in base al criterio di ciò che nella società è sentito come vergognoso e t u rp e (ai­ schron : usato da Paolo in 1 1 ,6 a proposito delle donne che si radono la testa) . v. 36 «Forse è da voi che è uscita la parola di Dio , o a voi soli è venuta incon­ tro?». La domanda è palesemente retorica e sottintende una risposta negativa:

l Cor 14,37-40

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no, è falsa la vostra pretesa di primogenitura o di esclusiva rivendicazione , come se Corinto fosse la comunità originaria o l'unica comuni t à cristiana esistent e . Ma chi si nasconde sotto questo «voi»? Solo a p rima vista si tratta degli interlocutori di Paolo , gli stessi richiamati più volte nel nostro complesso letterario (cf . 1 2 , 1 -3 ; 12,27 . 3 1 ; 14 , 1 . 5 .6. 95 . 12 . 20.26) . In realtà , chi h a introdotto la glossa438 si rivolge polemicamente alla comunità corinzia - ma anche alle altre che avevano adottato lo stesso comportamento - che aveva una prassi liberale e in cui era am­ messo l'intervento delle glossolale e profetesse nelle riunioni ecclesiali ( cf. l l ,2ss) , contestandone l'originalità dell'iniziativa in nome di una tradizione cri­ stiana precedente ritenuta normativa. La chiesa di Corinto è sorta in un secondo tempo ed è una tra le tante comunità: deve dunque uniformarsi ali' «ethos» di «tutte le chiese dei santi» ( v . 33b) . Il v. 36 riprende in sostanza il v. 33b e chiude la breve pericope da noi ritenuta un'aggiunta postpaolina. 6 . 3 .4. Duplice chiusura (14,37-40) La prima ( vv . 37-38) è una forte rivendicazione , da parte di chi scrive , della propria autorità e del peso delle sue prescrizioni . Nella seconda invece Paolo sintetizza la sua risposta al problema sollevato dagli interlocutori . v. 37 «Se uno ritiene di essere un profeta o uno "spirituale" , riconosca che quanto scrivo è comando del Signore» . La richiesta di accettare la sua parola ha il sapore di una sfida lanciata ai glossolali di Corinto , si chiamino profeti o «spiri­ tuali» . Più che i n dicare due categorie di carismatici (così per es. Conzelmann ) , sembrano essere due den o minazioni del gruppo di estatici della chiesa corinzia (così per es. Brockhaus, Charisma und A mt, 151 e Wolff) , riottosi a interventi esterni e sicuri della propria superiorità di persone trasfigurate dallo Spi rito . L'imperativo «riconosca» è indice , in chi lo enuncia , di una forte coscienza di sé : gli «spirituali» di Corinto devono sottomettersi a quanto ha scritto . Il verbo epi­ ginoskein infatti , anche per influsso dell'ebraico jada', assu m e una valenza prati­ ca , tanto più che è riferito a prescrizioni . Naturalmente implica una convinzione intellettuale , nel nostro caso che quanto è scritto da Paolo è «parola del Signo­ re» . 439 Gli interpellati sono messi davanti non a un pronunciamento puramente umano , bensì a una parola imperativa di natura divina e quindi di valore trascen­ dente . Ma non è chiaro se si tratta di comando di Cristo, e in questo caso se di Gesù o del risorto , o di Dio . Nelle lettere paoline il sostantivo entole, poco usa­ to, è sempre connesso , esplicitamente (cf. per es. l Cor 5 , 19) o meno (cf. Rm 7 e 13 ,9) , con Dio , di cui esprime il volere esigitivo . È questo un i n dizio prezioso

438 Sul tempo si possono fare solo congetture : forse quando si fece la raccolta delle lettere paoli­ ne, comunque molto presto dal momento che i più antichi mss . contengono la p er i cope . Il fatto che alcuni importanti codici (D F G soprattutto ) mettano i vv . 34- 35 dopo il v. 40 non ha alcuna inciden­ za reale nella discussione sull'autenticità paolina del brano. 439 La lezione non è sicura essendoci diverse varianti discretamente attestate.

772

Commento

per interpretare la nostra formula : Paolo rivendica alle sue parole autorità divi­ na. Qualcosa di simile abbiamo trovato in 7 ,40 : «credo di avere anch'io lo Spiri­ to di Dio» e in 2 , 16: «Noi però abbiamo l'intelligenza di Cristo» . Ma si tratta di autorità apostolica o profetica di Paolo? Il contesto, in cui egli ha parlato di sé come carismatico glossolalico e profetico (cf. 14,6 . 1 8- 1 9) , sembra suggerire que­ sta seconda . Lui è «portaparola» di Dio. L'accettazione di mente e di cuore è richiesta agli «spirituali» in quanto tali e contrassegna la veridicità della loro autocomprensione : essere ispirati dallo Spi­ rito non conduce a un'autonomia assoluta ; ispirazione e docile attenzione alla parola di Paolo vanno di pari passo . v. 38 «Se poi uno lo ignora , viene ignorato» . Paolo ipotizza il caso che la ri­ sposta sia negativa e come controrisposta lancia una minaccia. In concreto, se l'atteggiamento degli estatici di Corinto sarà di misconoscimento , il loro rifiuto gli si ritorcerà contro . Dal punto di vista formale abbiamo due proposizioni, atti­ va e passiva , con lo stesso verbo e soggetto . È una formulazione simile a quelle delle leggi del taglione , con la particolarità che nella proposizione passiva il ver­ bo è al presente , non al futuro . Più che una sanzione dunque afferma un dato di fatto che lo stesso soggetto realizza. Il confronto con 3 , 17 : «Se uno distrugge il tempio di Dio , Dio distruggerà costui» evidenzia le caratteristiche del nostro passo , racchiuse nella seconda proposizione , in cui abbiamo il presente invece del futuro , il passivo invece dell'attivo , l'assenza almeno esplicita dell'agente che fa cadere sul «colpevole» «la pena» . Per questo ci sembra di respingere la definizione di «proposizione di diritto sacro» o di espressione del taglione divi­ no, 440 che vale per 3 , 1 7 ma non per il nostro passo . E se è così , sembra di poter risolvere in maniera soddisfacente anche l'inter­ rogativo sull'eventuale complemento d'agente del passivo «è ignorato» . Ci si do­ manda infatti se sia sottinteso Dio . E chi vi propende interpreta la proposizione come espressiva della condanna eterna: Dio lo condannerà al fuoco eterno. 441 Ma si tratta di una domanda illegittima , a cui ogni risposta appare fuori luogo, perché non vi si verifica il caso di una proposizione di diritto sacrale . La prospet­ tiva di una sanzione giuridica attesa dal giudice finale appare assente . Paolo si li­ mita ad affermare che il sedicente carismatico si squalifica da sé : contraddicendo l'autorità di Paolo contraddice se stesso ; non è quello che ritiene di essere.442 v v . 39-40 «Pertanto , fratelli miei, agognate al profetare e non impedite il parlare in modo glossolalico . Tutto però si faccia in maniera decorosa e ordina-

440 Vedi lo studio di E. Ki\SEMAN N , « P r o posizioni di diritto sacro nel Nuovo Testamento• , in Saggi esegetici, M arietti , Casale Monferrato 1985 , 69-82 . 441 Così per es . Conzelmann . A l tri che pure sottintendono Dio, riferiscono il non-riconosci· mento divino all'essere pr ofeta o ispirato ( cf. per es. Senft e MALY , Mundige Gemeinde, 227) . 442 È anche improbabile che sia sottinteso co m e complemento d ' age nte lo stesso Paolo, come hanno ipotizzato B arre t t e Dautzenberg 255s e 298. Un «pas sivum p a u li nu m» !

l Co r 1 4 , 3 7-40

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ta» . Già la formula iniziale : hoste, adelphoi mou , dice che i due versetti sono la conclusione dell'articolata e motivata risposta di Paolo . La stessa formula con­ clusiva seguita da imperativo è attestata ancora in 15 ,58 (Hoste, adelphoi mou agapetoi) ; 1 1 ,33 (Hoste, adelphoi mou) ; Fil 4 , 1 (Hoste, adelphoi mou agape­ toi. . . ) . 443 In breve , Paolo chiude con degli imperativi . Il primo, di forma positiva, concerne la profezia e ricalca, per un verso , quel­ li analoghi di 14, l b . 5 a e , per l'altro , quello di 1 2 , 3 1 a . Ma non senza qualche pe­ culiarità : qui l 'esortazione ha per oggetto semplicemente il profetare , senza al­ cun suo confronto con la glossolalia, e non in genere i carismi più importanti .444 Il secondo imperativo è di forma negativa, invece , e concerne «il parlare in lingue»: «non impedite» (me ko/uete) . Paolo usa questo verbo solo due altre vol­ te , una per indicare l 'impedimento frapposto al suo desiderio di andare a Roma (Rm 1 , 13) e l'altra a proposito dell'agire di giudei che tentano di impedirgli la predicazione ai gentili ( 1Ts 2 , 16). 445 Qui chiede che i suoi interlocutori non tenti­ no d'impedire l'esercizio della glossolalia , si sottintende nell'assemblea comuni­ taria . Ma quale bisogno c'era di un tale divieto , se i corinzi andavano matti per il parlare in lingue? Si può congetturare che volesse prevenire un tentativo da par­ te di credenti non glossolali , incoraggiati dalla sua risposta critica nei confronti dei glossolali , a prendersi una rivincita su questi . Vorrebbe dire non averlo com­ preso. Sarebbe in ogni modo l'estremo opposto della tensione alla glossolalia. L'ultimo imperativo è caratterizzato dalla categoria della totalità (panta) , già presente al v . 26, passo chiaramente parallelo : «tutto si faccia (panta ginestho) a scopo di edificazione» .446 Si tratta di un'inclusione e ciò mostra che l'esigenza di decoro e ordine qui rivendicata va letta in stretto legame con l'edificazione del­ l'assemblea, affermato come suo scopo al v . 26 ma anche ai vv . 5 . 12 (cf. pure i vv . 4 e 17 in cui ricorre il verbo oikodomein) , vero leitmotiv del c. 14. Un passo parallelo è 1 6 , 14: «Tutto tra voi si faccia nell'amore (panta hymon en agape-i gi­ nestho) » . Analogo è anche 10,3 1 : panta eis doxan Theou poieite («tutto fate a gloria di Dio») . Le riunioni comunitarie qualificate dalla presenza attiva dei carismatici de­ vono svolgersi con decoro (euschemonos) e con ordine (kata taxin) al fine di rag­ giungere la fruttuosità spirituale dei partecipanti . Una prescrizione simile è atte­ stata nelle regole della setta gnostica di Andania del I sec. a . C . : «Rabdopho­ roi. . . . epimeleian echonto, hopos euschemonos kai eutaktos hypo ton paragege­ nemenon panta ginetai» («Le guardie . . . abbiano cura perché da parte dei presen­ ti tutto sia fatto in modo decoroso e in buon ordine») . 447 Si veda anche, a propo-

443

In Rm 7,4 a l l a stessa formula hòste, adelphoi mou segue l 'indicativo . Un passo vicino è anche 1 4 , 1 2 dove Paolo dà atto ai corinzi che sono «zelatori» delle ispira­ zioni zelòtai pneumatòn) . 44 G . STAHLIN annota che questo verbo non s i restringe all'ambito religioso , come è proprio di egko� I egkoptò (GLNT V, 846) . Comune è anche la particella avversativa de. 447 Cf. Dittenberger, Sylloge Inscriptionum Graecarum n . 736 , II , p . 405 . 444



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sito degli esseni , quanto dice Giuseppe Flavio in Beli. 2,8, 1 32 : «Al rientro man­ giano allo stesso modo , in compagnia degli ospiti , se ve ne sono. Mai un grido o un alterco disturba la quiete della casa , ma conversano ordinatamente cedendosi scambievolmente la parola ( tas de /alias en taxei parachorousin al/elois)». L'avverbio euschemonos è usato ancora da Paolo in Rm 1 3 , 1 3 per indicare la doverosa condotta cristiana pura dai vizi , di cui si dà un elenco , e in 1Ts 4, 1 2 che fa valere la stessa esigenza ma in rapporto all'occhio dei non-credenti . In l Cor 7 ,35 l'aggettivo corrispondente qualifica l'atteggiamento che Paolo intende su­ scitare nei credenti di Corinto con il suo insegnamento circa sesso e astinenza, matrimonio e celibato. Si tratta di un codice morale che regola il comportamen­ to sulla base di una rispettabilità agli occhi altrui. Dice Greeven: «Euschemon designa ciò che della vita cristiana appare all'esterno» ( GLNT III, 1 1 97) . La formula kata taxin ha valore avverbiale e indica un ordine preciso di suc­ cessione . Il riferimento concreto è alle prescrizioni dei vv . 27 e 3 1 espresse con «uno dopo l 'altro/a uno a uno».

SEZIONE SE'ITIMA

La risurrezione dei credenti

(15 , 1 -58)

Vi faccio poi presente , fratelli , il vangelo che vi abbiamo annunciato, che anche avete accolto , nel quale pure state saldi , 2 mediante il quale anche siete sulla via della salvezza, se vi attenete 1 a quella pa­ rola con cui ve l'abbiamo annunciato , a meno che abbiate creduto invano. 3 Vi ho infatti trasmesso anzitutto ciò che a mia volta ho ricevuto : 2 che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è stato risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture 4 5 e che apparve a Cefa quindi3 ai Dodici . 4 6 In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta , dei quali i più restano in vita fino a ora, mentre alcuni 5 si sono addormentati nella morte . 7 Poi apparve a Giacomo quindi6 agli apostoli tutti . 8 E per ultimo di tutti come a un feto abortito apparve anche a me . 9 Io infatti sono l'infimo degli apostoli , io che non sono degno di essere chia­ mato apostolo , perché ho perseguitato la chiesa di Dio . 10 Per grazia di Dio però sono quel che sono , e la sua grazia a me data non è stata vana; 7 al contrario, ho faticato più di tutti loro , non io , bensì la grazia di Dio, quella operante8 con me. 11 Dunque sia io sia loro, così annunciamo e così avete creduto . 1 2 O r a s e s i annuncia che Cristo è stato risuscitato dai morti , 9 come possono dire alcuni tra voi che non c'è risurrezione dei morti? 1

1 «Dovete attenervi» è la variante dei codd . o• F G, ecc. 2 Questa proposizione è tralasciata da Marciane e altri. 3 Due varianti: epeita (poi) I «e dopo questo» al posto di eita.

4 D* F G, ecc. hanno «undici» , ma si tratta , dice bene Metzger, di una «correzione pedantesca» . 5 Aggiunta di kai. 6 Il pap. 46 e importanti codd. hanno epeita (poi ) . 7 «Povera non è stata» : o • (F G con il verbo al perfetto) . 8 Molti e importanti codd . hanno l'articolo («quella» ) : la lezione è dunque dubbia. 9 Il pap. 46 e alcuni codd. hanno invertito l'ordine mettendo la particella dichiarativa hoti im­ mediatamente davanti a «è risuscitato» .

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Commento

1 3 Ebbene s e non c'è risurrezione dei morti , neppure Cristo è stato risuscitato. 1 4 Ma s e Cristo non è stato risuscitato , allora inefficace è10 il nostro annuncio, inefficace anche la vostra1 1 fede , 1 5 e noi c i troviamo anche a e s sere falsi testimoni d i D i o , perché abbiamo testi­ mon i ato contro Dio di aver risuscitato Cristo , che non ha risuscitato se in re alt à i mort i non risorgono . 1 2 1 6 Se in effetti i morti non risorgono , neppure Cristo è sta t o risuscitato. 1 7 Ma se Cristo non è stato risuscitato , vana (è} la vostra fede , 1 3 siete ancora nei v ostri pecca ti 1 8 Allora anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti 1 9 S e i n questa vita s olt anto abbiamo sperato i n Cristo , siamo i più miserabi l i di tutti gli uomini . .

.

20 Ora invece Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di que ll i che sono morti . 14 2 1 Poiché in effetti per mezzo d i un uomo s i ebbe la morte e p e r mezzo d i un uomo si avrà la ri s ur rezione dei morti . 22 Come infatti mediante Adamo tutti muoiono , così anche mediante Cristo tutti saranno vivificati 23 Ma ciascuno al suo proprio posto : primizia Cristo , poi alla sua venuta quelli che sono di Cristo , 24 quindi la fine , quando egli consegnerà15 il regno a D io e Padre , dopo aver ri­ dotto all'impotenza ogni Prin cipato e ogni Potestà e Potenza . 25 È n e cessario infatti che egli regni finché non abbia messo tutti i nemici 1 6 sot­ to i suoi piedi 26 Ultimo nemico viene annientata la morte . 27 Tutto infatti sottopose sotto i suoi piedi ; ma quando dirà che 1 7 tu t to è stato sottomesso , evidentemente si eccettua co l u i che tutto gli ha sottome ss o 28 E quando t u t to sarà stato a lui sottomesso, allora anch'egli , 1 8 il figlio si sot­ tometterà a colui che gli ha sott o messo tutto , affinché Dio sia tutto 1 9 in ogni cosa . .

.

.

,

10

Importanti codd. v i aggiungono kai rendendo il testo incerto. altri hanno « nostra», ma a scap i to della correlazione «il nostro annuncio» I «la vostra

1 1 B D* e

fede». 12

La proposizione è omessa in D e in altri codd . a ggiu n g o no la c opu l a «è», che esplicita ciò che è i m p l icito: si tratta d unq u e di una le· zione secondaria. 14 A l c u ni codd . vi agg iungo no «è stato» , ma l'intento esplicatore ne denuncia il ca ra tt e re secon· d ar i o 15 La variante «avrà consegnato» (aor. invece del pres . ) può vantare solo testimonianze latine. 16 A F G vi aggiungono «suoi» . 17 Importanti testimonianze , come pap. 46 e il cod . B , tralasciano l'hoti dichiarativo , supponen· do i l discorso diretto . 1 8 B D * F G tr ala sci a n o i l kai: l a rilevanza d i tali testimonianze testuali rende incerto il testo. Testimonianze latine omettono « i l fi g l i o » 19 A B D* omettono l'art . davanti a panta : testo incerto . 13

B D*

.

.

l Cor 1 5 , 1 -58

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29 Allora altrimenti che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i mor­ ti? Se insomma i morti non risorgono , perché infine si fanno battezzare per loro?20 30 E anche noi perché correre pericoli a ogni istante? 3 1 Quotidianamente sono esposto alla morte , com'è vero , fratelli ,21 che voi siete il motivo di vanto22 che io ho in Cristo Gesù Signore nostro . 23 32 Che mi giova l'aver combattuto per motivi puramente umani contro le belve a Efeso? Se i morti non risorgono , allora mangiamo e beviamo, perché do­ mani morremo . 33 Non lasciatevi ingannare : Le cattive compagnie corrompono i buoni costu­ mi. 34 Tornate alla sobrietà come è giusto e smettete di peccare . L'ignoranza di Dio infatti è il possesso di alcuni ; ve ne parlo24 a vergogna. 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45

Ma dirà qualcuno : Come sono risuscitati i morti e con quale corpo vengo­ no? Stolto tu che sei , ciò che semini non viene vivificato se non è (prima) morto . Cioè quanto a ciò che semini , non il corpo che sarà25 semini , bensì un nudo chicco, supponiamo di grano o di qualche altro genere. Ma Dio gli dà un corpo come ha voluto , e a ciascun seme il suo proprio cor­ po . Non ogni carne è la stessa carne , bensì altra (è) quella degli uomini , altra la carne degli animali , altra ancora la carne degli uccelli e altra quella dei pe­ sci . Vi sono poi corpi celesti e corpi terrestri , ma altro è lo splendore di quelli celesti e altro quello dei terrestri . Altro lo splendore d e l sole e altro l o splendore della luna , altro ancora lo splendore delle stelle . In effetti stella differisce da stella nello splendore . Così anche la risurrezione dei morti : è seminato nella corruttibilità, viene ri­ suscitato nell'incorruttibilità ; è seminato nel disonore , viene risuscitato nell'onore ; è seminato nella debo­ lezza , viene risuscitato nella forza ; è seminato un corpo psichico , viene risuscitato un corpo pneumatico . Se c'è un corpo psichico , c'è anche un corpo pneumatico . Così anche sta scritto : è diventato il primo uomo26 Adamo un vivente di vita psichica, l'ultimo Adamo27 spirito vivificante . 20 21

La variante «per i morti» manifesta un intento chiarificatore e come tale si rivela secondaria. Vocativo omesso in pap. 46 e nei codd . D F G L Ps , ecc. : testo dubbio . «Il vanto nostro» è la variante di A e di diversi minuscoli , che hanno cambiato il testo non avendo capito il senso di hymeteran , come osserva Metzger. 23 «Che io ho nel Signore» è l'abbreviazione di o • . 24 «Ve l o dico», secondo A F G , ecc. 2 5 Pap . 46 e F G hanno «che nascerà» (gennesomenon invece di genesomenon) . 26 Omissione di «uomo» , lezione secondaria originata dall'intento di uniformare il testo alla for­ mula successiva «l'ultimo Adamo» . 27 Il pap. 46 omette Adamo . 22

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Commento

46 Ma per primo non viene l'essere pneumatico , bensì quello psichico , poi l'es­ sere pneumatico . 47 Il primo uomo essendo dalla terra è terreno , il secondo uomo viene dal cie­ lo . 28 48 Quale il terreno tali i terreni , e quale il celeste tali anche i celesti ; 49 e come abbiamo portato l'immagine del terreno , porteremo29 anche l ' imma­ gine del celeste . 50 Ora30 questo dico , fratelli : la carne e il sangue non può31 ereditare il regno di Dio , né la corruttibilità può ereditare la incorruttibilità. 51 Ecco vi dico un mistero : Non tutti32 morremo , tutti però saremo trasformati33 52 in un istante , in un batter34 d'occhio , al suono dell'ultima tromba : suonerà infatti la tromba , e i morti saranno risuscitati35 incorruttibili e noi saremo trasformati . 53 È necessario infatti che questo essere corruttibile sia rivestito d'incorruttibi­ lità e questo essere mortale sia rivestito d'immortalità . 54 Ma quando questo essere corruttibile sarà rivestito d'incorruttibilità e que­ sto essere mortale sarà rivestito d'immortalità,36 allora diventerà evento la parola che è scritta : È stata ingoiata la morte nella vittoria. 55 Dov'è, o morte , la tua vittoria?37 Dov'è , o morte , il tuo pungiglione?38 56 Ora il pungiglione della morte è il peccato , e la forza del peccato è la legge. 57 Sia però grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo . 28 Le varianti: «il secondo (è) il Signore» (Marcione ) , «il secondo uomo (è) il Signore» ( A l e f 2 A D l Ps) , «il secondo uomo (è) pneumatico» (pap. 46) si rivelano secondarie perché espl i c at ri ci di una formula non consueta. 29 Il coortativo «portiamo» è attestato nella maggioranza delle testimonianze (pap. 46, codd. Alef A C D F G Ps , ecc . ) ma si rivela secondario , perché inadatto alla natura del testo che è un para­ gone e mal sopporta un'esortazione . 30 Var. «infatti». ; i Verbo al plurale . 32 Importanti testimonianze aggiungono men (di certo) : il testo non è qui sicuro. 33 Le varianti: «tutti morremo , non tutti però saremo trasformati» ( Alef C) , «non tutti morre­ mo, non tutti saremo trasformati» (pap. 46) , «la totalità (hoi pantes) morremo, la totalità (hoi pan· tes) saremo trasformati» (A * ) , «tutti risorgeremo (anastesometha), non tutti però saremo trasforma· ti» (D*) si spiegano tutte a partire dalla lezione scelta di B D/2 Ps, ecc . e come tali si rivelano secon­ darie. 34 «in un colpo d'occhio» (pap. 46 o• F G). 3 5 Var. di A D F G P : «risorgeranno» (anastesontai) . 36 Il testo più breve di pap. 46 Alef* , ecc . : «Ma quando questo essere mortale avrà rivestito l'immortalità» può essere il risultato di aplografia. L'inversione delle due proposizioni in A: «Ma quando questo essere mortale avrà rivestito l'immortalità e questo essere corruttibile avrà rivestito l'incorruttibilità» può essere sorta dal tentativo di ricuperare l'omissione per aplografia. L'omissione dell'intero versetto (F G, ecc . ) si spiega per aplografia con il v. 53. Cf. Metzger. I codd . Alef e A hanno aggiunto l'art . a athanasian. n Pap. 46 B D* invece di nikos hanno tutte due le volte neikos (litigio, contesa) per un errore causato da itacismo : stessa pronuncia per ei e i. 38 Il v . 55 presenta diverse varianti : 1 ) inversione d'ordine tra «Vittoria» e «pungiglione» (Dc F G) ; 2) oltre questa inversione , ade al posto di thanate (Alef 2 Ac Ps) ; 3) hade al posto di thanate (codd . minuscoli) , tutte dovute all'influsso della versione dei LXX di Os 1 3 , 1 4 .

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Pertanto , fratelli miei cari, siate fermi , irremovibili , eccellendo nell'opera del Signore sempre, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signo re .

Oltre ai commenti citati sopra vedi ALETII J . N . , «L'argumentation de Paul et la position des Corinthien s : lCo 1 5 , 1 2-34» , in L. DE LoRENZI , a cura di , Ré­ surrection du Christ et des chrétiens (J Co 1 5) , Rome 1 9 85 , 63-81 ; BARBAGLIO G. , «Lettura strutturale ( lCor 15 ) » , in Servitium 1 1 ( 1977 ) , 1 9-20, 1 28-154; BARRETI C. K. , « The significance of the Adam-Christ typology for the Resurrection of the dead: ICo 15 ,20-22 . 45 . 49» , in DE LoRENZI , a cura di , Résurrection , 99- 122 (Di­ scussion : 122-1 26 ) ; BARTH G . , «Erwagungen zu l . K orin ther 1 5 ,20-28» , in Ev Th 25 ( 1 9 70 ) , 5 15-527 ; lo . , «Zur Frage nach der 1 Korinther 15 bekampfte Aufer­ stehungsleugnung» , in ZNW 83 ( 1 99 2 ) , 1 87-201 ; BARTH K. , La resurrezione dei morti, M ariett i , Casale Monferrato 1 984 ; BARTH M. , « Christ and Ali Thi ngs » , in Paul and Paulinism (FS C. K. Barrett) , London 1 982 , 1 60- 172 ; BARTSCH H . W . , «Die Argumentation des Paulus in 1 Cor 15 ,3-1 1 » , in ZNW 55 ( 1964) , 261 -274 ; BAUMGARTEN J . , Paulus und die Apokalyptik. Die Auslegung apokalyptischer Uberlieferungen in den echten Paulusbriefen , Neukirchen 1 975 , 99- 1 1 0 ; B ECKER J . , La resurrezione dei morti nel cristianesimo primitivo , Paideia , Brescia 1991 ( or. 1976 ) , 87-136; B INDER H . , «Zum geschich tliche n Hinte rg r un d von I Kor 15 , 1 2» , in TZ 46(1 990) , 1 93-20 1 ; B LACK M . , «Pasai exousiai auto-i hypotagéson­ tai», in Paul and Paulinism (FS C. K. Barrett) , London 1 982 , 74-82; BoER M. DE, The Defeat of Death. Apocalyptic Eschatology in 1 Corinthians 15 and Romans 5, Sheffield 1988 , spec. 93- 140; B o N NEA U N. , «The Logie Paul's Argument on the Resurrection B o dy in l Cor 1 5 : 35-44a» , in ScEs 45 ( 1993 ) , 79-9 2 ; BucHER TH . G . , «D ie logi sch e Argumentation in 1 Ko r 15 , 1 2-20 » , in Bib 55 ( 19 74 ) , 465-486 ; BONKER M . , Briefformular und rhetorische Disposition im 1 . Korintherbrief, Gottingen 1 9 84 , 5 9- 7 6 ; B uRCHARD CH. , « 1 Korinther 1 5 ,39-4 1 » , in ZNW 75 ( 1 9 84) , 233-25 8 ; CARREZ M . , « Ré s urre ct io n et seigneurie du Christ: l Co 1 5 ,2328» , in DE LoRENZI , a cura di , La résurrection , 127- 1 40 ; CAVALLIN H . C. C . , Life after Death. Paul's A rgumentfor the Resurrection ofthe Dead in 1 Cor 15. Part /: An Enquiry into the Jewish Background, Lund 1 9 74; CHRISTENSEN J . , «"And that he rose on the third day acco rd i n g to the Scriptures"» , in Scandinavian Journal of the OT 4( 1 990) , 101- 1 13 ; CoTHENET E . , «Corps psychique , corps spi­ rituel » , in A . M . TRIACCA-A . PISTOIA , a cura di , Liturgie et Anthropologie, Roma 1990, 47 -6 1 ; DAUBE D . , «The burdened convert» , in Appeasement or Resistance and the Essays on New Testament Judaism , Berkley-Los A n ge les - Lo ndon 1 987 , 59-73 ; DouGHlY D .J . , «The Presence and Future of Salvation in Corinth» , in ZNW 66 ( 1 975 ) , 61 -90 ; GILLMAN J . , «A thematic comparison ; 1 Cor 1 5 : 50-57 and 2 Cor 5 : 1 -5» , in JBL 1 07 ( 1 9 88 ) , 439-454; GILMOUR M ACLEAN s . , «Die Chri­ stophanie vor mehr als fiinfhundert Briidern» , in P. HOFFMAN N , a cura di , Zur neutestamentlichen Uberlieferung von der A uferstehung Jesu , D a r m stadt 1988 , 133-138; HARNACK A . VON , «Die Verklarungsgeschichte Jesu , der Beri ch t des Paulus (1 . Kor . 1 5 . 3 ff. ) und die beiden Christusvisionen des Petrus» , in HoFF­ MAN N , a cura d i , Zur neutestamentlichen Uberlieferung, 89- 1 1 7 ; HARRELSON W. ,

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Commento

1 . ARTICOLAZIONE LETIERARJA39 La formula «Vi faccio poi presente , fratelli» non segna , per se stessa, un ta­ glio netto con quanto precede . È usata infatti anche in 12,3 ma non come «inci­ pit» della sezione . In 2Cor 8 , 1 (gnorizomen) invece introduce il tema della col­ letta. Più istruttivo il confronto con Gal 1 , 1 1 (gnorizo gar hymin, adelphoi, to euaggelion) , dove sono identici l'oggetto (il vangelo) e lo schema letterario : l'io di chi scrive si rivolge al «voi» degli interlocutori , interpellati con il vocativo «fratelli» ; ebbene non vi costituisce una cesura netta . Comunque lo stacco con il complesso letterario dei cc . 12-14 è indiscutibile , come si è notato a proposito di questa sezione . In realtà , ad analogia di 7 , 1 ; 8 , 1 ; 12 , 1 ; 1 6 , l ; 1 6 , 1 2 , ci saremmo aspettati un'introduzione di questo genere : «Circa poi (peri de) la risurrezione dei morti»; oppure anche , come in 1 , 1 1 e 5 , 1 , un accenno alla fonte orale d'informazione. D 'altra parte , non si può dire che Paolo voglia int r odurre un tema teologico ge­ nerale sotteso a tutta la lettera , come ritiene K . B arth ,40 mentre il v . 12 attesta una specifica e particolare situazione della chiesa di Corinto - alcuni negavano la risurrezione dei morti - come oggetto della presa di posizione di Paolo. Ma egli , piuttosto di prendere di petto questi negatori , si rivolge al «voi» della comunità per mantenerla ancorata alla fedeltà evangelica e a lui , distaccandola da quelli , come sarà evidenziato più avanti.iii Si spiega così la formula iniziale : Paolo vuole rinsaldare il legame con la sua chiesa , minacciata dalla negazione di alcuni sulla base del comune vangelo , incompatibile con la tesi di questi . Di fatto l'espressione «Vi faccio poi presente, fratelli , il vangelo» non indica il tema generale del c . 1 5 , ma introduce solo la pericope dei vv. 1- 1 1 , incentrata nella costellazione terminologica del vangelo (to euaggelion : v . 1 ; euaggelizest­ hai: vv . 1 .2 ; kéryssein : v . 1 1) , di fronte a cui mittente e destinatari si definiscono, il primo quale annunciatore e trasmettitore (paradidomi/ paralambano: v . 3), e i secondi come coloro che vi hanno creduto (pisteuein : vv . 2 . 1 1 ) e lo hanno accol­ to (lambanein : v. 1 ) . Appare manifesto lo schema formale io-voi , ma anche noi­ voi , dove il pronome di prima persona è un plurale letterario indicativo della persona di Paolo . Ecco i due poli personali interrelati dalla realtà del vangelo: ,

3 9 Vedi sop ra t tutto Aletti , Barbaglio, Bucher, Biinker, Lambrecht , Miiller, S tenger , Vorster, Zimmer. La proposta di Biinker p e rò che, isp i randosi allo schema della retorica classica, vede ne l te­ sto paolino la s egue nt e struttura : exordium ( 1-3a) , narratio (3b- l l ) , argumentatio I ( 1 2-28) , perora­ tio I (29-34) , a rgum e n t a tio II (35-49) , peroratio II (50-58) , sembra forzare i dati testuali e imporre alla pagina pao l in a una camicia di forza. E che l au t ore forzi il testo appare anche dal fatto c he la stessa trafila è scoperta anche in 1 , 10-4,21 : exordium ( 1 , 1 0-17) , narratio (sic!) ( 1 , 18-2 , 1 6) , argu­ me nta t io I (3, 1 - 1 7) , peroratio I (3,18-23) , argumentatio II (4, 1 - 1 5 ) , peroratio II (4, 1 6-2 1). 40 «Il capitolo sulla resurrezione dei morti non è così isolato , nel contesto della I lettera ai Co­ rinz i . . . Esso costituisce non soltanto la conclusione e il vertice dell'intera lettera, ma a n c he il suo momento chiave» (BARTH , La resurrezione, 7) . E ancora: «questo tema, se da un punto di vista ester­ no costituisce indubbiamente un tema tra gli altri , contemporaneamente però dovrebbe essere rico­ no s ciu t o come il tema della l et t e ra » (ibid. , 8). 4 1 Vi ha i n s i stit o a ragione , soprattutto Vo rst er '

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io faccio presente a voi il vangelo (v. l a ) che noi abbiamo annunciato a voi ( v . l b) . . . quella parola con cui noi l'abbiamo annunciato a voi (v. 2) io ho trasmesso a voi ciòCh e a mia volta ho ricevuto (v . 3a) sia io che loro così annunciamo e così voi avete creduto ( v . 1 1 ) .

S i aggiunga che nei vv. 3b- 1 0 , dove non ricorrono i vocaboli suddetti, pre­ sente è però la dimensione oggettiva del vangelo , essendone enunciati i dati es­ senziali : morte e sepoltura , risurrezione e apparizioni di Cristo . Il brano si articola in tre unità letterarie . I vv . 1 -3a sono introduttori: Paolo intende far presente ai suoi interlocutori il vangelo da lui annunciato e trasmesso e da essi accolto e creduto . Nel corpo della pericope , costituito dai vv . 3 b- 1 0 , ne riporta i contenuti tradizionali (vv . 3b-5 ) , allungando . di sua iniziativa , l'elenco delle apparizioni del risorto (vv . 6-8) e precisando i l s u o caso particolare di apo­ stolo ex-persecutore (vv . 9- 1 0 ) . La prima espansione è segnata dal verbo ophthé, scandito per tre volte , che continua l'ophthé del v . 5 . N el l a seconda la contrap­ posizione dell'ego di Paolo e della charis Theou costituisce uno sviluppo di carat­ tere apologetico connesso con 1'6phthé kamoi del v . 8. Che i n fi ne il v. 1 1 sia una conclusione appare non solo dalla particella conclusiva o u n , m a anche dal le due brevi proposizioni parallele : «così annunciamo (sia io che loro)/ così avete cre­ duto» , che riassumono il tema del vangelo visto nel suo duplice polo della co m u ­ nicazione (kéryssomen/ episteusate) e nel suo nucleo oggettivo , dato che il ripe­ tuto avverbio hout6s nel contesto equivale al pronome touto/ «questo » . Ma si noti anche che il v. 1 1 si ricollega al motivo del vangelo dei vv. 1 -3a con cui fa in­ clusione . Abbiamo dunque lo schema chiastico A - B - A ' . È u n brano che funziona d a base per l'argomentazione che segue , una base comune tra chi scrive e i destinatari, non identificabili però con i tines negatori ; questi ne sono piuttosto , con la loro tesi , l'oggetto . Lo si vedrà in seguito , q uan­ do Paolo partirà appunto dal dato evangelico della risurrezione di Cristo sia per respingere la negazione di quelli sia per dimostrare la sua posizione . Dice molto bene Sellin , Der Streit, 234 : la risurrezione di Cristo è solo «Un mezzo di dimo­ strazione» ; ciò che Paolo vuole dimostrare è la risurrezione dei morti. L a seconda unità , ben delimitata , è compresa nei v v . 1 2 - 1 9 . Il passaggio è se­ gnalato in 12a: «Ora se si annuncia (kèryssetai) che Cristo è stato risuscitato dai morti (egégertai) » . Si parte dal punto di arrivo della pericope precedente ( «così annunciamo/ kèryssomen : v . 1 1 ) » , cioè che Cristo è stato risuscitato (egégertai: v. 4) . Formalmente il brano è caratterizzato da una cascata di periodi ipotetici ; basti notare la condizionale ei!«se» ripetuta ossessivamente ai vv . 1 2 . 1 3 . 1 4 . 1 6 . 1 7 . 1 9 . Si deve però distinguere tra quello iniziale e g l i altri . Il primo conclu­ de , sotto forma di domanda retorica , all'impossibilità (pos) della negazione del­ la risurrezione dei morti , atteso l'annuncio evangelico dell a risurrezione di Cri­ sto (v. 1 2) . In altre parole , l'affermazione cristologica (kerysseinl annunciare) è incompossibile con la negazione (legeinl dire) soteriologica . Si presuppone dun­ que che tra le due realtà ci sia un legame tale da non poter affermare la prima

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Commento

senza affermare anche la seconda , né negare la seconda senza negare pure la pri­ ma: «la resurrezione di Gesù sta e cade con la anastasis nekron , con la resurre­ zione dei morti in genere» , dice K . Barth , La resurrezione, 90. Ma di quale legame si tratta? Si potrebbe pensare a un'argomentazione logi­ ca del tipo «per modum tollendo tollens» , in cui l'affermazione della risurrezio­ ne di Cristo ek nekron («dal regno dei morti») evidenzia la falsità della proposi­ zione «non si dà risurrezione di morti» (anastasis nekron) ; almeno un morto in­ fatti è risuscitato .42 Ma Paolo non veste qui i paludamenti del logico formale per imputare ai negatori di Corinto una «contradictio in terminis» , affermando la ri­ surrezione di un morto , Cristo ,43 e facendo , nello stesso tempo , una negazione universale: «non si dà risurrezione di morti» . Il suo intento è di evidenziare co­ me l'annuncio di Cristo risorto comporti la speranza nella risurrezione dei morti , essendo le due realtà connesse tra loro . Ma questa «probatio» apparirà solo nel­ la pericope dei vv . 20-28. Ora egli imbocca la via della « refutatio» della tesi dei tines/ «alcuni» di Corinto . In concreto , dice : ammettiamo , in linea ipotetica , che sia vera la loro negazione ; si avrebbero conseguenze catastrofiche . Egli si rivol­ ge non ai negatori, ma alla comunità di Corinto per convincerla della falsità del­ la loro tesi , così da spingerla a prenderne le distanze . Le ragioni addotte sono di carattere pratico: se abbracciassero quella posizione , andrebbero incontro a una catastrofe in quanto credenti . Un motivo quanto mai valido ed efficace perché restino ancorati al messaggio evangelico annunciato e tramandato da Paolo e da loro creduto e ricevuto ! Si devono però distinguere qui , anzitutto , due microunità costruite in modo perfettamente parallelo ( vv . 13-15 e 16- 1 8) e secondo una logica che vede conca­ tenati due periodi ipotetici , di cui il secondo assume , in forma di protasi , l'apo­ dosi del primo : - se non si dà x , non si dà neppure y (vv. 1 3 e 1 6) - ma se non si dà y , ecco quali conseguenze deleterie ci sarebbero (vv . 141 5 . 17-18) . L'argomentazione, in realtà, si basa su un evidente presupposto : x e y sono così interrelati che la negazione dell'uno implica la negazione dell'altro . È un presupposto , lo ripetiamo , che l'autore dimostrerà solo più avanti . Ora gli basta chiarire che la negazione di x , in forza della correlata negazione di y , porta a conseguenze spiritualmente disastrose un po' per tutti , mittente (Noi) , destina­ tari ( Voi) , cristiani defunti (Essi) . Ed ecco lo schema generale della prima mi­ crounità:

42 Vedi soprattutto Bucher e Zimmer, ma anche ALLO , Saint Paul, 401 : «Il legame logico è uno dei più semplici», «è un sillogismo elementare» e SCHADE, Apokalyptische Christologie, 193ss. 43 Si suppone , a torto, che Paolo si rivolga ai negatori , cui riconoscerebbe la comune fede cri­ stologica nella risurrezione di Cristo.

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Protasi 1 : se non si dà risurrezione dei morti Apodosi 1 : neppure Cristo è stato risuscitato Protasi 2: ma se Cristo non è stato risuscitato Apodosi 2: a. allora inefficace (è) anche il nostro annuncio , b . inefficace anche la vostra fede . c. e NOI falsi testimoni di Dio . La prima apodosi è solo un passaggio logico intermedio che serve a congiun­ gere la prima protasi con la seconda apodosi . Il motivo addotto per la terza im­ plic az ione , poi , riproduce i termini del primo periodo ipotetico sia pure in ordi­ ne inverso : Cristo non è stato risuscitato da Dio, se i m orti non risorgono . Ab­ biamo dunque una manifesta inclusione : ,

A. se non si dà risurrezio n e dei morti , neppure Cristo è stato risuscitato ; C . ma se Cristo non è stato risuscitato D. allora si hanno tristi conseguenze per noi , voi , ancora noi , ridotti a falsi testimoni di Dio , cioè della risurrezione di Cristo , B . che non si è compiuta A. se i morti non risuscitano . B.

Ne segue che per continuare nella sua «refutatio» Paolo ha dovuto ripetere tutto lo schema nella seconda microunità parallela , in cui c'è una variazione solo materiale delle implicazioni della tesi avversa (vv 16-18) : .

Protasi 1 : se i morti non risorgono , Apodosi 1 : neppure Cristo è stato risuscitato Protasi 2: ma se Cristo non è stato risuscitato , Apodosi 2 : a . vana (è) la vostra fede ( Voi) , b . siete ancora nei vostri peccat i ( Voi) c. quelli morti in Cristo sono perduti (Essi) . L'argomentazione continua nel v . 1 9 con una variazione dello schema argomentativo però : Protasi: se in questa vita soltanto ab b iamo sperato in Cristo , Apodosi : siamo i più miserabili di tutti gli uomini (Noi generale) .

È un periodo ipotetico semplice rispetto a quelli complessi dei vv . 13- l S a e 16- 1 8 , che non ha bisogno di passare attraverso l'implicata negazione della risur­ rezione di Cristo per poter mostrare che la tesi dei tines porta a conseguenze di­ sastrose . 44 Inoltre il tenore della protasi è diverso da quello delle analoghe pro44 Forza il testo SELLIN, Der Streit, 260 quando dichiara che anche il v. 19 comprende una pro­ posizione cristologica intermedia, da lui vista nella formula en Christ6-i elpikotes : se Cristo non è ri­ suscitato porre la speranza in Cristo è pura illusione .

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Commento

tasi dei vv. 13a e 1 6a , pur essendo la sostanza la stessa . La limitazione della spe­ ranza cristiana («in Cristo») a questa vita equivale di fatto alla negazione della risurrezione , almeno nella prospettiva di chi scrive . Infatti l'una e l'altra protasi pongono la morte come limite oltre al quale non si dà né vita né salvezza. Basti leggere il v . 1 8 : «quelli che sono morti in Cristo sono perduti (apolonto)»; ma si veda anche più avanti la sezione dei vv . 29-32 . Per Paolo risurrezione e salvezza di fatto coincidono (così anche P . Hoffmann , Die Toten , 243 ) . Infine nell'apodo­ si si noti il «noi» generalizzante , che comprende Paolo e gli interlocutori , anzi si estende a tutti i credenti . L'unità letteraria dei vv. 20-28 . L'incipit del v . 20: «Ora invece (Nyni de)» segna una svolta nel dettato di chi scrive (così anche in Rm 3 ,21) , perché alla ne­ gazione cristologica, dialetticamente messa in campo nella pericope precedente, viene contrapposta ora la certezza del dato evangelico : «Cristo è stato risuscitato dai morti , primizia di quelli che sono morti» . I periodi ipotetici lasciano il posto ad affermazioni cristologiche e soteriologiche ben motivate . Soprattutto , l'argo­ mentazione paolina non mira più a evidenziare le conseguenze deleterie della te­ si contraria , ma è impegnata ad affermare e motivare che la risurrezione dei morti è implicata nella risurrezione di Cristo . Se sopra il procedimento era all'in­ segna del duplice no - niente risurrezione dei morti , niente risurrezione di Cristo -, ora è sotto il segno del duplice sì : Cristo è risorto , i morti risorgeranno. In breve, se la «refutatio» era tesa a dimostrare la falsità della posizione avversa , la «pro­ batio» è finalizzata a dimostrare , da parte di chi scrive , la verità della propria te­ si . Di fatto , egli allarga la prospettiva tracciando un quadro apocalittico in cui trova senso compiuto la risurrezione dei morti: ne va della signoria universale e cosmica di Cristo e di Dio .45 Il brano ha come prima «propositio» il v . 20 , in cui la formula: «Cristo è sta­ to risuscitato ( Christos egegertai) dai morti» , antitetica alla negazione cristologi­ ca implicata nella negazione soteriologica dei tines («neppure Cristo è stato risu­ scitato/ oude Christos egegertai») (vv. 1 4 . 16) , riprende il credo cristiano esposto nella prima sezione : «Cristo . . . è stato risuscitato (Christos . . . egegertai)» (v. 3). Paolo si rifà a ciò che ha in comune con i suoi interlocutori , appunto al kerigma, per evidenziare il nesso inscindibile tra risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti . 46 Infatti non si limita a ripetere l'articolo tradizionale di fede ; lo interpre­ ta precisando che Cristo è stato risuscitato come «primizia di quelli che sono morti» , cioè il primo a cui terranno dietro senz'altro altri . 47

45 ALETTI , «L'argumentation» , 65 parla in proposito di conseguenze positive della fede nella ri· surrezione di Cristo , contrapposte alle suddette conseguenze negative della negazione della risurre· zione dei morti . Ma è diverso l'approccio argomentativo : non «ex consequentiis» , bensl enunciazio· ne delle proprie tesi (vv. 20 e 23-24) e loro motivazioni (vv. 21 -22 e 23b-28) . 46 Ripetiamo che gli interlocutori di Paolo non sono i negatori di Corinto, ma la comunità, che di certo credeva nella risurrezione di Cristo. Questa dunque era, per mittente e destinatari , la base comune del confronto. 47 Cf. lo studio di Mussner sul passaggio dall'annuncio alla elaborazione teologica.

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Segue la «probatio» nei vv. 21-22 , introdotti da due gar (infat t i ) che motiva­ no l'affermazione suddetta sulla linea della priorità causale o della causalità effi­ ciente : è me dian t e Cristo risuscitato che si avrà la risurrezione dei morti. Tale nesso causale di aparche ( primizia ) viene evidenziato m ed ian te il parallelismo Adamo-Cristo , ambedue principi attivi d'influsso sull'umanità (vv. 21-22) : A . Poiché m edia n te un uomo (di' anthropou) (c'è) MORTE, B . anche mediante un uomo (di' anthropou) (ci sarà) RISURREZIONE . A . ' Come infatti i n A d a m o (en to-i Adam) TVITI MUOIONO , B . ' così anche in Cristo (en to-i Christo-i) TUITI SARANNO VIVIFICATI. I due periodi sono paralleli , anche se il secondo introduce qualche precisa­ zione : zoopoiethesontai (saranno vivificati) invece di anastasis nekron ; Adamo e Cristo specificano la formula «mediante un uomo» ; infine si tratta di un parago­ ne (come . . . così) , istituito sulla base del loro influsso . Si tratta però di un paral­ lelismo antitetico ; se da Adamo viene la morte , è la risurrezione/ vivificazione che viene da Cristo . Resta da illustrare il nesso di priorità e posteriorità già indicato al v . 20 con la formula «aparche dei morti» che stabilisce questo ordine di successione : prima Cristo, poi i morti . I vv . 23-28 lo riprendo n o per svilupparlo e completarlo . Di fatto chi scrive procede enunciando subito nei vv . 23-24 una «propositio» com­ plementare alla precedente , dove abbiamo anzitutto un'affermazione di princi­ pio : «Ma ciascuno nel suo proprio ordine » , sviluppata poi partendo da Cristo e proseguendo nell'affermare che egli , come risorto , ha inaugurato una serie di e venti che ne estendono l'azione salvifica fino al cosm o . A. primizia (aparche) B. P0:. ( epeita) C. quindi (eita)

C risto

,

CjUeITf di Cristo

la fin e (to telos)

alla sua parusia, (v . 23) . 48

Un motivo quest'ultimo specificato dal v. 24: il compimento finale49 consiste nella consegna del regno a Dio e , prima, nella deattivazione di ogni potenza ne­ mica. 50 I vv 25-28 sono formalmente una «probatio» del contenuto oggettivo del te­ los , cioè della signoria di Cristo sfociante in quella definitiva di Dio . D i fatto è il .

4 8 A s s u m ia m o la parti c el l a eita in senso logico , non c ro n o l ogi co : to telos non è qualcosa che vie­ ne do po la ri s urre zio ne di q uell i che sono di Cristo e la paru si a , ma indica il punto di arrivo , segnato appunto dagli e v en t i finali suddetti e dalle loro implicazioni che saranno indicate subito dopo: vitto­ ria sulla morte e sulle potenze celesti nemiche , sottomissione di t utt e le cose a Cristo , consegna del regno di Cristo a Dio . La prospettiva di un regno messianico intermedio è assente . 49 A b u o n diritto CARREZ, « Résurrection», 1 4 1 ha i n s i stito su tale valenza di to telos. 50 S u l l a scia di Luz , Das Geschichtverstiindnis, 341 LAMBRECHT, «Paul's Ch r is tolo gi ca l Use » , 504 a nnot a opportunamente in proposito come i due congiuntivi d el v. 24 , e sp re ssiv i di signo r ia rega­ le e di azione annientatrice delle forze del male , paradido-i e katargèsè-i, sono il primo al presente e il secondo all'aoristo. Ne se gu e che l'evento indicato da q ue st ' ul tim o è p rece de nt e .

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Commento

punto di arrivo dell argomentare cristologico di Paolo che presenta la ragio ne più decisiva a favore della speranza nella risurrezione dei morti . Tutti i nemici devono essere vinti da Cristo , anche la morte , e tutto deve essere a lui sottomes­ so , anche la morte ; lo dice la Scrittura, di cui si citano due passi , Sai 1 1 0 e 8 (vv . 25-27a) . I vv. 27b-28 infine riprendono , sviluppandolo , i l tema del passaggio dal regno di Cristo a qu e llo del Dio , tema enunciato in 24b . Sono ambedue di carat­ tere cosmico , ma in quest'ultimo lo stesso Cristo si assoggetterà a D io il quale sarà «tutto in tutta la realtà» (panta en pasin) . Ecco lo schema: '

,

A. B

propositio : probatio :

A.'

propositi o :

B.'

probati o/ga r :

Cristo risorto primizia dei morti ( v . 20) come Adamo è principio attivo di morte , così Cristo è principio attivo di vita/ risurrezione (vv. 21-22) ciascuno al suo posto nel quadro degli eventi escato­ logici : Cristo, quelli di Cristo , compimento finale con la consegna del regno a Dio (vv. 23-24) la signoria di Cristo su tutti e tu t to , compresa la morte , è testimoniata dalla Scrittura (vv . 25-27a) ; l'esito ultimo però è Dio «tutto in tutto» (vv. 27b-28) . 5 1

Segue il b rano dei v v . 29-32 c he ritorna al tipo di argomentazione dei vv. 121 9 . Chi scrive infatti intende di nuovo mostrare quali inaccettabili conseguenze vengono dalla negazione della risurrezione dei morti. Ritorna cioè alla «refuta­ tio» della tesi dei tines . S i ha così nella sezio n e 12-32 uno schema chiastico: A. = refu tatio : vv . 1 2- 1 9 ; B . probatio : vv . 20-28 ; A . ' = refutatio : vv. 29-32. Ora , proprio la parte centrale risulta quella su cui cade l 'accento d el l a u to re Infatti le conseguenze catastrofiche , impli c ate nella negazione dei corinzi ed evi­ denzi ate in A e A ' , per con t rasto danno rilievo al rovescio della medagli a pre­ sentato in B . Inoltre , sul piano letterario , come nota Aletti , «L'argumentation», 66 , «quando l'elemento finale di una costruzione concentrica non aggiunge nien­ te a livello narrativo . o a livello teologico , si può dire che l'accento è al lora sul centro . È il caso in l Cor 1 5 , 1 2-34 , dove i vv. 20-28 non sono solo il centro mate­ riale de lla composizione , ma anche il centro semantico» . La struttura formale del dettato è ancora quella dei periodi ipoteti ci m a l'a­ pod o si appare , dapprima sotto forma di domanda retorica , con sottintesa rispo­ sta negativa , e poi in forma di coortativo positivo . La prot a si invece , ripe t u t a nei vv . 29 e 32, ripr ende i termini della tesi dei tines : «se i morti non riso rgono » Ec­ co il procedimento argomentativo : =

'

.

. .

,

,

.

A . se i morti non risorgono

5 1 Per ALETII, «L'argumentation», 72 la tesi è da ravvisare in 23-24a e lo sviluppo in 24b-28. Ma la particella esplicativa gar appare solo al v . 25 . A favore della nostra articolazione vedi LAMBRECHT, «Structure » . 1 990.

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B.

a. b. c. d.

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che cosa fanno/ti quelli che si battezzano per dei morti? (Essi) perché/ti correre pericoli di vita da parte nostra/mia (Noi/Io) che/ti mi giova aver combattuto contro le fiere? (/o) allora mangiamo e beviamo , perché domani morremo (Noi generale) .

I n realtà , i l testo paolino appare più articolato dal punto d i vista formale . La protasi : «Se i morti non risorgono» è nel v. 29 i nt e rme d ia tra due interrogativi re­ torici , del tutto paralleli, sul senso della prassi di quanti si fanno battezzare per i morti , e serve a giustificare l'uno e l'altro ; interrogativi retorici che equivalgono di fatto all'esclusione di qualsiasi ragione : non c'è motivo per fare questo . Si ha dunque nel v. 29 uno schema chiastico : A. ma che cosa otterranno quelli ch e si fa nno battezzare per i morti? B. s e i morti non risorgono , A . ' perché infine si fanno battezzare per essi? Ma sempre i n dipendenza della protasi e sotto forma interrogativa si indica un'altra conseguenza : «E anche noi perché correre pericoli ad o g ni istante?» (v. 30) , che viene illustrata con l 'affermazione giurata del v. 3 1 : «Quotidianamente sono esposto alla morte , com'è vero , fratell i , che voi siete il motivo di vanto che io ho in Cristo Gesù Signore nostro» . Si tratta sempre di u na domanda con ri­ sposta negativa: è privo di senso che Paolo nella sua azione apostolica si es po n ga a continui pericoli di vita . Il v . 32 infine è costruito come il v . 29 . Non deve trarre i n inganno l'iniziale congiunzione ipotetica: «Se per motivi puramente umani ho combattuto contro le belve a Efeso» . I n primo piano è l'interrogativa : «Che mi giova ?» riferita a un fatto reale che ha per protagonista Paolo a Efeso . 52 Possiamo infatti tradurre : «Che mi giova l'aver combattuto per motivi puramente umani contro le belve a Efeso?». La protasi vera è sempre la stessa : «Se i morti non risorgono » ; però regge anche l'apodosi finale : «allora mangiamo e beviamo , perché domani mor­ remo». Si ripete dunque lo schema formale del v. 29 con una protasi inquadrata da due apodosi : A. che mi giova il combattimento contro le fiere sostenuto a Efeso? B. se i morti non risorgono , A . ' piuttosto diamoci ai piaceri della vita ! Il procedimento argomentativo segue da vicino il corso del v . 1 9 : i n ambedue i casi non si fa riferimento all'implicata negazione della risurrezione di Cristo ; basta partire dall'ipotesi che i morti non risorgono per mostrare la presenza di

52 Questa lettura sarà giustificata nell'analisi: non si tratta di un «combattimento» puramente ipotetico .

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Commento

conseguenze o implicazioni capaci di persuadere della falsità della posizione dei negatori. Comunque si tratta di conseguenze di altro genere rispetto alla perico­ pe dei vv . 12-19. Là si mostrava che ne andava di mezzo tutta l'impalcatura del fatto cristiano : vangelo , fede , annunciatore , salvezza per vivi e defunti . Ora vi si evidenziano , per un verso, l'insensatezza del ricorso al battesimo per procura e della condotta apostolica dello stesso Paolo che si è esposto e si espone a ogni pericolo di vita , e, per l 'altro , l'imporsi del criterio pratico del latino «carpe diem» . Le conseguenze riguardano l'ambito esistenziale , 53 comunque il fare at­ tuale, che svuotano di senso . Aletti, «L'argumentation» , 65 distingue assai bene tra «conséquences de fait» in 12-19 e «conséquences de droit» in 29-32: queste ultime impongono di cambiare comportamento ; conviene darsi alla gioia del vi­ vere. I vv. 33-34, di carattere parenetico, costituiscono la conclusione della prima

Conclusioni di tal genere appaiono anche altrove nella l Cor: 14, 39-40 ; 1 1 , 33-34 ; 10,3 1-1 1 , 1 . La presente fa da pendant con il v . 58, versetto conclusivo dell'intera sezione . Si tratta , in concreto , di due motivate esortazioni rivolte ai destinatari dello scritto , gli stessi a cui era . diretta l 'argomentazione precedente . La prima , costituita da un imperativo negativo presente , li mette in guardia da cattive compagnie , che nel contesto sono i negatori della risurrezione (v . 33) . La seconda (v. 34) è più complessa . Il nucleo diretto è formato dai due imperativi inizial i , aoristo i l primo e presente il secondo : «Tornate alla sobrietà (eknépsate) come è giusto e smettete di peccare (mé hamartanete)» . Sullo sfondo appare dunque un certo cedimento morale della comunità, bisognosa di essere chiamata a rettificare la sua condotta. E anche qui si richiama la presenza dei ti­ nes del v . 12 per screditarli del tutto agli occhi della comunità : «L'ignoranza di Dio infatti è il possesso di alcuni ; ve ne parlo a vergogna». Con una formula di stile diatribico il v . 35 apre l a seconda parte del complesso letterario del nostro capitolo : 54 «Ma dirà qualcuno (tis) : Come (pos) risuscitano i morti e con quale corpo (poio-i somali) vengono?» . Con un espediente retorico s'introduce un finto interlocutore a porre delle domande . Così non solo si viva­ cizza il discorso, ma anche si suscitano nuovi interrogativi capaci di sollecitare ri­ sposte a problemi o ad aspetti del problema non ancora affrontati . Le due que­ stioni sollevate sono talmente connesse da essere in realtà una sola : 55 la prima concerne il come possiamo raffigurarci i morti che risusciteranno ;56 la seconda, parte del capitolo .

53 SELLIN , Der Streit, 276 intitola bene la p e rico p e 29-34 «Die existenziellen Konsequenzen der Leugnung» . 54 S u questo brano vedi s opr a tt u t to Morisette , («La condition de ressuscité») , Miiller, Bur­ c h ard , Bonneau e TEANI, Corporeità , 55-80. 55 Per alcuni autori si tratta di questioni distinte con distinte risposte di Paolo . Così per es. J. Je­ remias , ma anche , diversame nte , B onneau . 56 Non manca chi vede invece nel primo interrogativo l 'espressione di scetticismo p ro prio dei negatori del v. 12 e traduce cosi : «Come è possibile che i morti riS!JSCitino ? » . SmER , «The P au line Conceptio n » , 429 la definisce una domanda scettica dei corinzi : «E possibile per i morti risuscita­ re ? » . Vedi anche STENGER, «Beobachtungen», 1 12 e VoRSTER, « Résurrection» , 295 . Morisette poi vi costruisce sopra la sua ipotesi di un' argomentazione «a fortiori» («La condition du ressuscité»).

l Cor

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che precisa il senso della prima, riguarda il tipo di corpo che avranno i risorti . Se Miiller ha ragione di dire che il problema sollevato concerne la corporeità dei risorti , per altro già presente prima , come opportunamente precisa , si deve però dire che l'interrogazione cade sulla specifica corporeità da attribuire loro . L a domanda «con quale corpo» infatti presuppone che nella risurrezione sia implicata la corporeità della persona e ci si interroga quale essa sia : la stessa di noi terreni , oppure un'altra, e in questa seconda eventualità quale tipo di cor­ poreità? Il finto interlocutore però , lungi dall'essere presentato in termini neutri , vie­ ne apostrofato con durezza : «Stolto (aphron) tu che sei» (v. 36) . Le sue doman­ de sono frutto di dubbi e incertezze , comunque l'effetto di una certa cecità sulla presenza attiva del Creatore nel mondo . Se il v . 35 delimita il campo della sezione di cui indica il problema da tratta­ re , lo sviluppo del dettato paolino si articola in diverse unità . La prima, vv. 364 1 , è segnalata in chiusura dal v. 42 che esplicita la presenza di un paragone: co­ me avviene nella natura in fatto di semi e piante , di diversi tipi di carne dei vi­ venti e di differenti corpi terrestri e celesti , «Così è anche della risurrezione » . Le due pericopi , 36-41 e 42-49 , sono dunque parallele , mostrando la somiglianza esistente tra il paragone , cioè la n atura o la creazione, e la realtà paragonata, va­ le a dire la risurrezione dei morti . Come terza unità della sezione 35-57 abbiamo 50-57 , che allarga il quadro a tutti i credenti , siano essi già morti alla parusia o ancora in vita : è necessaria la trasformazione di tutti perché raggiungano lo stato d'incorruttibilità. I vv. 36-41 sono costruiti su un triplice termine di paragone: seme e pianta (vv . 36-38) , carne dei viventi (v . 39) , corpi celesti e terrestri (vv . 40-4 1 ) . li primo evidenzia che c'è radicale discontinuità tra seme e relativo corpo della pianta, una discontinuità segnalata dalla nudità del seme (v. 36) e tale da escludere qualsiasi identità tra loro : il nudo seme gettato nella terra non è il corpo della pianta che sarà (v . 37) . Il rapporto tra i due è stabilito dal Creatore , donatore del corpo al nudo seme , di uno specifico corpo di pianta a ciascun seme (v. 38) . Gli altri due paragoni invece , collegandosi con questo ultimo motivo , sottolinea­ no l'alterità o la diversità. Nel v. 39 abbiamo la negazione dell'identità («non la stessa: ou he aute») e una ripetuta affermazione dell'alterità (alle) : - Non ogni carne (è) la stessa carne, - bensì altra (è) quella degli uomini , altra la carne degli animali , altra ancora la carne degli uccelli e altra quella dei pesci. Nei vv. 40-4 1 si procede dapprima distinguendo i corpi in celesti e terrestri (v . 40a) , poi affermando la loro alterità in fatto di splendore (v . 40b ) , infine di­ cendo che c'è diversità di splendore anche tra i corpi celesti o astrali. Gli aggetti­ vi sinonimi hetera e alle sono ripetuti con ritmica cadenza per dire che un corpo è

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diverso dall'altro e in chiusura si afferma, come principio generale , la diversità (diapherein) tra stella e stella. A . Vi sono poi corpi celesti e corpi terrestri , A . ' ma altro ( hetera ) è lo splendore (doxa) di quelli celesti B . ' e altro (hetera) quello dei terrestri . C. altro (alle) lo splendore del sole e altro (alle) lo splendore della luna , ancora altro (alle) lo splendore delle stelle . C . ' In effetti stella differisce da stella nello splendore . B.

Il brano dei v v . 42-49 comincia affermando che altrettanto avviene per la ri­ surrezione dei morti : l ' avverbio houtos del v . 42 ( «Così anche he anastasis ton nekron»! la risurrezion e dei morti) rimanda al sottinteso «come/ h osper» dei vv . 36-4 1 . La comparazione con l e suddette grandezze creazionistiche avviene sotto l'aspetto della discontinuità e diversità , che dunque costituiscono il «tertium comparationis» . Tra risorto , da una parte, e vivente storico vittima della morte , dall'altra , c'è la stessa radicale alterità segnalata sopra a proposito del mondo creato. È un'alterità implicita nel paragone stabilito al v . 42a, che viene specificata poi con quattro qualifiche antitetiche (vv . 42 b -44 a) : -

corruttibilità/ incorruttibilità : phth o ra/ aphtharsia disonore/ onore : a timial doxa debolezza/ forza: astheneial dynamis corpo psichico/ corpo pneumatico : soma psychikon/ soma pneumatikon

Si noti che la quarta contrapposizione , a differenza delle precedenti espresse con sostantivi astratti , presenta il sostantivo concreto corpo/ soma qualificato dagli aggettivi antitetici «psichico» e «pneumatico » . In realtà , è su questa antite­ si che Paolo costruisce la sua risposta agli interrogativi del v . 35 . Infatti egli la sviluppa nei vv . 44b-49 sulla scia della tesi del v . 44b che unisce strettamente i due: «Se c'è un corpo psichico , c'è anche un corpo pneumatico» . I l primo è pro­ prio dell'uomo caduco e il secondo dell'uomo risorto , appunto ciò che dice la Scrittura, che presenta i due prototipi Adamo e Cristo , già messi in campo nei vv . 20-28 . In concreto , e ssi , ma più in generale la sfera psichica e quella pneuma­ tica (v. 46 ) , sono caratterizzati nei vv . 45-47 prima sul piano qualitativo , poi sul­ la scala cronologica , infine di nuovo sul piano qualitativo : A. B. A.' B.'

A." B."

il primo uomo l'ultimo per primo dopo Il primo uomo il secondo uomo

Adamo vivente di vita psichica , Adamo spirito vivificante . l'essere psichico , l'essere p neumatico . essendo dalla terra è terreno , viene dal cielo .

l Cor

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Quindi i vv . 48-49 affermano la rappresentatività dei due anthropoi o la cor­ rispondenza esistente tra loro e l'umanità da essi rappresentata: A.

Quale quale A . ' e come B . ' (così) B.

tali i terreni il terreno il celeste tali anche i celesti abbiamo portato porteremo anche

(hoiosl toioutoi) e (hoiosl toioutoi) l'immagine del terreno , l'immagin e del celeste .

Una cesura nel dettato è segnata dalla formula iniziale del v. 50: «Ora questo dico ( Touto de phemi) , fratelli» , che introduce il brano dei vv. 50-57 , più diretta­ mente la tesi programmatica del v . 50b : «la carne e il sangue non può ereditare il regno di Dio né la corruttibilità (phthora) potrà e reditare l'incorruttibilità (aph­ tharsia) » . D i fatto riprende , nella seconda proposizione , parallela alla prima , l'antitesi del v . 42 , come anche ritorna il motivo della suddetta discontinuità . Tra «carne e sangue» e regno di Dio e , parallelamente , tra corruttibile e incor­ ruttibile c'è uno iato incolmabile . Solo l'azione divina può trasformare l'essere corruttibile in essere incorruttibile . Una prospettiva questa che Paolo disvela ai suoi interlocutori nelle vesti di profeta beneficiario di una rivelazione divina ( cf. lo studio suggestivo di Merklein) : «Ecco vi annuncio un mistero : Non tutti mor­ remo , tutti però saremo trasfo rmati (da Dio) in un istante , in un batter d'occhio , al suono del l'ultima tromba , suonerà infatti la tromba e i morti saranno risusci­ tati incorruttibili e noi saremo trasformati » (vv . 5 1-52) . I vv. 53-57 sviluppano tale motivo del cambiamento mostrandone la necessi­ tà (dei) (v . 53) e l'effetto , cioè la vittoria sulla morte che provoca un epinicio (vv . 54-55) . A questo punto però viene intercalata una breve riflessione teologi­ ca tesa a chiarire le cause della morte (v. 56) . Il tutto è concluso con un ringra­ ziamento formale a Dio per il dono di tale vittoria (v. 57) . Ecco lo schema : A . tesi : il mistero della metamorfosi di «noi» corruttibili e mortali e dunque inabili a entrare nel mondo della salvezza (vv . 50-52) B . sviluppo sulle seguenti linee complementari : - è una metamorfosi necessaria (v. 53) , - è una metamorfosi che realizza la vittoria sulla morte suscitando un canto trionfante (vv . 54-55) , - riflessione integrativa a indicare le cause della morte (v. 56) ; - eucaristia conclusiva per il dono divino della vittoria sulla morte (v. 57) . Il v. 58 è un'esortazione che richiama strutturalmente quella dei vv . 34-35 , ma che funziona come conclusione di tutto il c. 1 5 , pari a quelle di 1 1 ,33; 1 4,3940 e Fil 4 , 1 2 , tutte introdotte dalla formula h6ste adelphoi mou (agapetoi)I «per­ tanto , fratelli (carissimi) miei» . È costituita da un imperativo, incentrata nel te­ ma dell'opera del Signore e motivata dall'assicurazione che si tratta di un impe­ gno efficace e fruttuoso: «Pertanto (hoste) , fratelli miei cari , siate fermi , irremo­ vibili , eccellendo nell'opera del Signore sempre , sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore » .

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Si noti il vocativo «fratelli miei cari » : c'è un'intesa affettiva tra mittente e de­ stinatari che fa il paio con la comunanza nell'annuncio evangelico rilevata nei vv . 1 - 1 1 . Ciò conferma che gli interlocutori di Paolo sono non i negatori della ri­ surrezione del v. 1 2 , bensì gli altri membri della comunità , si suppone la maggio­ ranza , che egli intende preservare dall'infedeltà . 5 7 2 . CONTESTO STORICO E STORICO-RELIGIONISTICO

2 . 1 . Mittente e destinatari 58 Paolo prende posizione contro la negazione di «alcuni tra voi» (en hymin ti­ nes) , dunque di qualche membro della chiesa di Corinto , che dicono (legousin) : «Non c'è risurrezione dei morti» (anastasis nekron ouk es tin ) ( v . 1 2 ) . 59 Si sono fatte diverse ipotesi sui motivi che non dovevano mancare . 00 Un discreto consen­ so ha avuto la congettura , avanzata tempo addietro da H. von Soden , «Sacra­ ment und Ethik bei Paulus» , 361 , in nota: nella comunità corinzia, affetta da en­ tusiasmo spiritualistico , si riteneva che i credenti fossero già dei risuscitati , anti­ cipando così gli «eretici» menzionati in 2Tm 2 , 18 che affermeranno : tén anasta­ sin édé gegonenail la risurrezione è già avvenuta. 61 Dunque la loro negazione ri­ guardava non la realtà della risurrezione, bensì la sua dimensione futura e la cor­ poreità dei risorti . Ora è vero che 4 , 8 potrebbe essere letto , ma noi non lo cre­ diamo , come testimonianza di un orientamento dei corinzi in chiave di escatolo­ gia realizzata : «Già siete sazi , già siete diventati ricchi ; senza di noi siete giunti a regnare , e volesse il cielo che foste giunti a regnare , perché anche noi potessimo regnare insieme con voi ! » (cf. anche in 6 , 12 e 10,23 Io slogan: «Tutto mi è per­ messo»/ pan ta moi exes tin ). Ma nel c . 1 5 non appare che l'argomentazione paoli­ na sia diretta a provare il carattere futuro della risurrezione . Certo , di regola i verbi relativi sono al futuro , ma è ovvio che sia così per una realtà attesa. Inol­ tre , non si comprende come la negazione del v. 1 2 : «non c'è risurrezione dei morti » possa equivalere alla tesi : «è già avvenuta la risurrezione» . 62

;7 S t ra n a men t e Lindemann ipotizza che i tines d e l v. 12 costituisse ro l a m a gg io ra nz a de ll a co­ m u n i t à ; d is t i n gu e i noltre tra i negatori d e l v. 12 e quelli del v. 29 , che si fa c e v a n o battezzare p e r pro· cura a fa v o re dei morti e dunque credevano in una vita oltre la morte ( «Paulus und die korintisc he

Eschatologie», 38 1 ) . ; x Vedi qui A l et ti , G . B a r t h («Zur Frage») , d e Boer, Doughty, H o rs l e y , Selli n , Schmithals. Tea n i . Trevijano . Wedderburn , Wilson. ;" Non sappiamo co m e ne sia venuto a co nos ce n za ; il testo n o n ci offre alcun indizio a favore di una fonte scri tta o di u n canale di co mun ic a zi o ne o r a l e . "'' Teani presenta e di sc u t e a fondo l e div e rse opi n i o n i ( Corporeità, 8 1 - 1 2 1 ) . hl Così an c he BARTSCH , «Die A rgu m e n t at i on » , 265s , BAUMGARTEN , Paulus und die Apokalyp­ tik , 1 00 , B ECKER . La resurrezion e, 74s e i commenti di Kiimmel ( n o te al commento di Lietzmann). We n d l a nd , Wol ff . 62 D a parte sua SELLI N , Der Streit, 24 obietta che l 'attualismo escatologico dei cori nzi riguarda­ va l a salvezza . non la risurrezione .

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Altri hanno ipotizzato che la suddetta negazione scaturiva dalla convinzione che al di là della morte non ci fosse per l'uomo se non il nulla, come Paolo sem­ bra supporre nei vv . 19 e 29-32. 63 Dunque egli aveva di fronte non spiritualisti entusiasti , bensì scettici materialisti , un orientamento presente nell'ambiente greco e rappresentato per es. dagli epicurei . Ma , a parte l'inverosimiglianza di tale posizione in credenti , si deve dire che , di regola, il dettato paolino non cam­ mina su tale binario , a eccezione del brano dei vv . 19.29-32 , dove però , parten­ do dal suo punto di vista , egli si limita a mostrare le più disastrose conseguenze derivanti dalla tesi dei negatori . Se essi negano la risurrezione ed egli ritiene che questa è la sola via che conduce alla salvezza e alla vita, nella sua «refutatio» può benissimo imputare alla loro tesi una valenza nichilista circa l'aldilà. Non sta parlando , come si è detto sopra , ai negatori , ma al «Voi» della comunità, che può ben persuadere in questo modo della falsità della posizione di alcuni di loro. 64 Inoltre tale congettura è contraddetta dalla prassi del battesimo per procura in uso presso i negatori a favore dei defunti (v . 29) . Dovevano ritenere che ci fosse una vita al di là della morte e che essi potessero aiutare spiritualmente i trapassa­ ti per i quali si facevano battezzare . A meno di dire che qui appare un secondo fronte , oltre ai negatori del v. 1 2 , contro cui combatte Paolo. Una variante di questa ipotesi è che Paolo avesse male interpretato la posi­ zione dei tines di Corinto , attribuendo loro indebitamente l'esclusione di ogni vi­ ta «post mortem» , mentre essi negavano solo la risurrezione corporea, persuasi di altre forme di sopravvivenza. 65 Ma si tratta di nuovo di una falsa lettura del­ l'argomentazione paolina dei vv . 29-32 , come se egli si mettesse dal loro punto di vista e li volesse convincere di contraddizione interna . In realtà , il quadro di riferimento dell'argomentazione è il suo e da questa angolatura ne valuta la tesi come insensata e distruttiva dei valori cui la sua prassi apostolica , ma anche la stessa esistenza cristiana, si ispira . Secondo una terza opinione si trattava di dualisti che , ritenendo la dimensio­ ne corporea dell'uomo un peso , credevano nell'immortalità dell'anima, felici che la morte venisse a liberare da legami materiali e corporei . Già Lietzmann nel suo commento aveva avanzato tale ipotesi , ripresa e riformulata in maniera nuova recentemente da Hosley e Sellin . 66 Questi attribuiscono ai negatori di Co­ rinto la persuasione di aver ricevuto nella fede e nel battesimo il dono di una sa­ pienza e di uno spirito superiori , capaci di divinizzare il loro io interiore , reso

63 Cf. Doughty, «The presence» , 75-76 e Lambrecht nel volume a cura di L. De Lorenzi , Résur­ rection du Christ et des chrétiens, 94. 64 Senza dire che , come ha mostrato recentemente G . Barth , tale argomento era un topos nella letteratura greca e giudaica del tempo , usato per dare plausibilità alla credenza nell'immortalità del­ l'anima o nella risurrezione. Ma se ne parlerà in dettaglio più avanti . 65 Cf. Bultmann , Theo/ogie, 172 e ScHMITHALS, Die Gnosis in Korinth , 7 1 . 66 Cf. anche Schiitz : i corinzi erano degli iperspiritualisti che vivevano I' eschaton nel presente e perciò finivano per banalizzare la morte ( «Apostolic Authority» , 442) . In essi si era verificato un col­ lasso dell'escatologia (4,8) . Dal punto di vista di Paolo dunque la questione decisiva è quella del tag­ ma, dell'ordine in cui il futuro coinvolgerà quelli di Cristo (ibid. , 445).

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non solo inattaccabile dall'esterno e dalla stessa corporeità dell'uomo , ma anche immortale e pienamente libero . Il ricupero di una corporeità «post mortem», lungi dall'essere necessario alla felicità eterna , costituisce una ricaduta e una perdita di libertà. Si è anche indicato il contesto storico-culturale di tale posizio­ ne: il dualismo ellenistico-giudaico , presente in Sapienza e Filone , introdotto a Corinto da Apollo , aggiunge Sellin , Der Streit, 67-69 . 67 Analoga è la congettura di Schmithals che vi aggiunge di suo la qualifica gno­ stica: per essi il corpo/ soma è un male da cui l'uomo deve liberarsi . I gnostici , in realtà , non hanno bisogno di speranza, perché «naturalmente possiedono già la loro salvezza» (Die Gnosis in Korinth , 73) , appunto nel loro io interiore diviniz­ zato . Ma, ancora una volta , si deve osservare che l'argomentare di Paolo non combatte posizioni dualistiche; altrimenti avrebbe dovuto contrapporre la risur­ rezione all'anima beata e glorificata e imputare ai negatori un'imperdonabile parzialità nel valutare la realtà finale . Una quarta ipotesi l i dipinge come apocalittici ultraconservatori , prossimi al­ la posizione dei credenti di Tessalonica (cf. lTs 4 , 12ss) , convinti che l'unica via per la salvezza fosse la partecipazione da vivi alla parusia di Cristo . Per questo i defunti , esclusi da tale evento salvifico , risultavano ai loro occhi esclusi anche dalla salvezza ultima . 68 Ma se così fosse , a Paolo sarebbe bastato ripetere la solu­ zione data nella lTs ; senza dire che in questa ipotesi sarebbe inconcepibile la prassi del b attesimo per procura a favore dei defunti. Ora la pluralità delle ipotesi69 dimostra la mancanza di evidenza i n materia: tutte prestano il fianco a obiezioni serie , come si è notato sopra e come ha mo­ strato con chiarezza Wedderburn ,70 ma anche recentissimamente G . Barth, «Zur Frage » , 1 992 e Teani . Da una situazione di stallo ha cercato di uscire J . N . Aletti mostrando l'assenza nel testo paolino di qualsiasi fondato riferimento alle ragioni dei negatori di Corinto . In realtà , dice , l'apostolo appare attento esclusi­ vamente a evidenziare l'insostenibilità della loro negazione . Sui motivi che do­ vevano essere alla base egli tace , evidentemente perché nella sua argomentazio67 La posizione dei corinzi corrisponderebbe a ciò che dice Giustino in Dia/. 80 : ci son o cristiani «che dicono che non c'è risurrezione , ma che al momento della morte le loro anime sono assunte in cielo I hoi legousi me einai anastasin, a/l'hama to apothneskein tas psychas aut6n analambanesrhai eis ton ouranon » . In sintesi Sellin affe r m a : dietro alla negazione della risurrezione dei morti del v . 1 2 ci sono «motivi di antropologia dualistica» (Der Streit, 36s) . 611 Cf. A . ScHWEITZER, Die Mystik des Apostels Paulus, Tiibingen 1 930, 94 . w Si aggiunga la congettura di Trevij ano Etcheverria: alcuni corinzi avevano dedotto dalla di­ struzione della carne , affermata da Paolo in 5 , 1 5 e 1 5 ,50, l 'annichilimento escatologico del corpo ; in breve , avevano confuso tra carne e corpo . 10 Ma poi Wedderburn inclina a ritenere che 4 , 1 8 e 6 , 1 3 costituiscano lo sfondo della negazione della risurrezione . [ corinzi si aspettavano la distruzione dei corpi , da essi visti come realtà inferiore e transitoria, non come qualcosa di male ; per questo non possono essere detti gnostici . E co nc l u de con questo dilemma: o noi trattiamo la negazione della risurrezione in modo isolato dal rest o della lettera e persino da alcuni dati del c . 1 5 , come il battesimo per i morti ; oppure la trattiamo com e una parte del vasto contesto di credenze evidenziato in l Co r . Ne l primo caso non possiamo dire perché essi negassero la risurrezione.

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ne poteva anche prescinderne. È un punto di vista degno di condivisione , se non vogliamo far dipendere la lettura del testo da prospettive troppo ipotetiche e condizionanti il corso della ricerca. In realtà , il testo di l Cor 15, 1-34 - i vv. 35ss affronteranno il problema deri­ vato della modalità della risurrezione - mostra che vi si confrontano due tesi op­ poste , l'una negativa (anastasis nekron ouk estin) (v . 1 2) , l'altra , di Paolo , positi­ va (di' anthropou anastasis nekron) (con estin sottinteso) (v. 2 1 ) . Questa , per la verità , non si limita a rovesciare il segno negativo in positivo , perché introduce il fondamento cristologico che , agli occhi dell'apostolo , ne giustifica l'affermazio­ ne . Detto altrimenti, egli si richiama all'azione di Cristo (di' anthropou) , visto in parallelismo antitetico con Adam , l'antitipo , mediante il quale (di' anthropou) si ha la morte. Si noti la prospettiva cristologica con cui Paolo affronta un proble­ ma di soteriologia antropologica. La sua risposta non è una parola di rimessa, nel senso di controbattere le ragioni dei negatori di Corinto ; egli ne confronta la tesi con la fede in Cristo risorto evidenziandone l'insostenibilità. Si noti , soprattutto , che la negazione è solo di alcuni dei credenti corinzi e che Paolo scrive alla comunità per difenderla e preservarla dalla insidia di que­ sto cavallo di Troia. I fenomeni di entusiasmo e di spiritualistica esaltazione , no­ tati sopra , caratterizzavano invece un po' tutta la chiesa di Corinto e su tale ter­ reno si è sviluppato un fecondo dialogo. Qui la minaccia sembra più esterna, an­ che se portata da alcuni credenti , ed egli è impegnato non a convincerli del loro errore , bensì a salvare la comunità dal loro contagio. In breve , essi appaiono al di fuori della sua cura pastorale , considerati in pratica come dei perduti . Basti leggere i vv . 33-34: «Non lasciatevi ingannare : "Le cattive �ompagnie corrompo­ no i buoni costumi" . Tornate alla sobrietà come è giusto e smettete di peccare . L'ignoranza di Dio infatti è il possesso di alcuni (echousin tines) ; ve ne parlo a vergogna » . Vi è chiaramente distinto il duplice fronte : il «voi» comunitario , a cui l'apostolo rivolge la sua esortazione , e le «cattive compagnie» i mpersonate dai tines , gli stessi del v. 1 2 , da lui bollati come persone che non conoscono Dio (agnosia Theou) . Da pastore d'anime sollecita la sua comunità a stare in guardia da elementi che al suo interno sostengono posizioni non solo teoricamente false ma anche distruttive sul piano morale. «Non lasciatevi trarre in errore» sottin­ tende un pericolo reale e prossimo . Nei due imperativi poi della seconda esortazione emerge un dato preoccu­ pante : la comunità ha abbassato la guardia in campo etico . Il libertinismo , evo­ cato nel v . 32 come conseguenza logica della negazione della risurrezione , deve aver fatto breccia in qualche modo al suo interno, se Paolo avverte l'esigenza di richiamarla a un tenore di vita castigato e sobrio che , abbandonato , deve essere ora ripreso . Più del v . 1 2 è questo testo che ci illumina sulla situazione della chiesa di Co­ rinto e ci aiuta a capire la presa di posizione dell'apostolo. Proprio tale decaden­ za morale , collegata alla «compagnia» dei tines , lo preoccupa e, ancor più , cam­ panello d'allarme deve essere suonato per lui un possibile cedimento dottrinale della comunità alla tesi dei negatori. Nei primi versetti del capitolo infatti , pre-

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sentando il vangelo , mette in guardia dal pericolo di deviazione quando , ricono­ sciutone il valore salvante («mediante il quale anche siete sulla via della salvez­ za») , avanza una precisa condizione che vale come richiamo alla responsabilità del «voi» degli interlocutori : «se vi attenete a quella parola con cui ve l'abbiamo annunciato , a meno che abbiate creduto invano» (v. 2). Invece nessuna l u ce ci viene dal v . 35 . Una corrente esegetica ha identificato il tis (uno) che presenta due domande sull 'identità dei risorti e dei loro corpi con i tines ( al c uni) del v . 12 ,71 scettici di fronte alla prospettiva di corpi risorti. E si traduce l'interrogativo pos (come) del v. 35 come espressione d ' impo s sibili t à (cf. anche il v. 12), e non di modalità. Ma non è un riferimento alla situazione storica della chiesa di Corinto , bensì un espediente stilistico di marca diatribica che mette in campo un finto interrogante per far procedere il discorso e allargare il quadro del problema. È i n fatti chi scrive che pone queste domande e dà le relati­ ve risposte . Paolo vuole essere esaustivo , perciò non si sottrae al compito di af­ frontare anche il problema della mo d alità della risurrezione , ossia della corpo­ reità dei risorti . 2 . 2 . Le credenze dell'ambiente sull'aldilà72 Per chiarezza è opportuno distinguere tra tradizione vt e giudaica e il mondo greco dei gentili. Per secoli il popolo di Dio della prima alleanza visse persuaso che la fine del1 ' esistenza umana fosse ugualmente negativa per tutti , con la caduta nel regno tenebroso dei morti (sheol) e i defunti ridotti a larve , privi di vita . Solo tardi , nel sec . II a . C . , si può rilevare una chiara speranza in un aldilà di vita per le singol e persone . Anteriormente abbiamo testimonianze sparse e non univoche. Per e s . in Ez 37 , 1-14 il profeta promette una risurrezione , ma destinatario è il popolo in esilio ; altrettanto si dica di Is 53,8-12 e Sa i 1 6 ( 1 5 ) ,9-1 1 . Comunque sono impor­ tanti perché vi si ispireranno i testi giudaici successivi . Per questo Marcheselli­ Casale opportunamente li studia nella prima parte del suo studio (Risorgeremo, ma come? , 6 1 ss) . Di fatto la prospettiva della risurrezione dei singoli nasce nel clima dramma­ tico della persecuzione di Antioco IV Epifane ( 1 75- 1 63 a . C . ) . Per la difesa del l a libertà religiosa non pochi israeliti avevano dato la vita , pagando a caro prezzo la lo ro fedeltà ebraica . In questa stagione di martiri la fede non poteva non in­ terrogarsi : come è possibile che Dio abbandoni nello sq ual l ido sheol, lontano da sé , quanti hanno pagato con la vita la loro adesione a lui e alla sua legge? Una ri-

7 1 Così Sellin per tutti : il v. 35 esprime un'obiezione dei corinzi che intendevano il corpo come caduco ; la morte è la fine del corpo . Poiché la salvezza si limita all'io spirituale dell'uomo, il soma è caduco e la risurrezione , per definizione somatica, appare esclusa . Paolo rifiuta l'obiezione respin­ gendo la continuità di questo corpo e affermando che l'uomo diventa nuova creatura . Il corpo spiri ­ tuale , assurdo per i corinzi , è la sua soluzione (Der Streit, 72ss). 72 Cf. gli studi di Cavallin e di Marcheselli-Casale , ma anche di P. HoFFMAN N , Die Toten ,

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sposta chiara nella sostanza , anche se controversa circa il carattere universale della risurrezione , è data anzitutto da · Dn 12,2: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia» . Più perspicua è la testimonianza di 2Mac 7. Il secon­ do figlio dei sette fratelli maccabei così dice al tiranno : «Tu, o scellerato , ci eli­ mini dalla vita presente, ma il re del mondo , dopo che saremo morti per le sue leggi , ci risusciterà a vita nuova ed eterna ( eis aionion anabiosin zoès hèmas ana­ stèsei» (v. 9) . Alla certezza della sua risurrezione il quarto abbina l'esclusione di qualsiasi risurrezione per il persecutore : «per te non ci sarà alcuna risurrezione per la vita (anastasis eis zoèn)» (v. 1 4) . Accanto a questa speranza nella risurrezione , che si iscrive in un quadro di antropologia monistica , si fa luce un'altra forma di prospettiva in chiave di an­ tropologia spiritualistica, che trova voce nel libro della Sapienza. Ci basti citare questo passo : «Le anime dei giusti invece (dikaion de psychai) sono nelle mani di Dio , nessun tormento le toccherà . . . la loro speranza è piena di immortalità (hè elpis auton athanasias plèrès)» (3 , 1 . 4) , mentre vana è la speranza degli empi (kenè hè elpis auton) (3 , 1 1 ) , che saranno preda della morte entrata nel mondo per invidia del diavolo (2,24) . Sono due indirizzi antropologicamente diversi , ma aventi in comune la fede nella vittoria della vita sulla morte , vittoria ottenuta da Dio , capace di risuscita­ re i morti e beatificare la sostanza spirituale delle persone . Se la cultura antropo­ logica è la variante di questi testi biblici , il dato di fede nel Signore , creatore di vita beatificante per i suoi fedeli , costituisce l'elemento unitario e costante . Se poi a queste testimonianze scritturistiche aggiungiamo quelle ben più ric­ che dei testi giudaici che vanno dal 200 a . C . al 100 d . C . , il quadro diventa assai più complesso. A buon diritto Cavallin , Life after Death , 199 conclude la sua ri­ cerca affermando : «c'è piuttosto una grande varietà e pluralismo di idee sia circa la fine della storia del mondo sia circa la morte e ciò che segue alla morte dell'in­ dividuo » .73 In uno schema sintetico (ibid. , 1 97ss) lo stesso studioso indica il se­ guente spettro di soluzioni con relativi testimoni di marca palestinese ed elleni­ stica. A passi che affermano la risurrezione , senza precisare però quale sarà la sorte del corpo (per es. la collezione di l Enoc 1-36 e I Testamenti dei 12 Patriar­ chi) , corrispondono chiare attestazioni della risurrezione del corpo (cf. Dn 12; lEnoc 37-5 1 ; Apocalisse di Ezechia ; 2Mac; Giuseppe Flavio , ecc . ) . Ma ci sono anche testi a favore dell'immortalità dell'anima ( Testamento di Abramo , Filone , Oracoli Sibillini, Pseudo-Focilide) , immortalità diversamente intesa: o come qualità inerente alla natura (Filone per es. ) oppure come traguardo riservato ai giusti ( Giubilei, Liber Antiquitatum Biblicarum). Si aggiunga che la concezione dell'aldilà varia , secondo che vi si afferma una sostanziale continuità con la vita terrena ( Testamento di A bramo, Oracoli Sibillini) , oppure vi si prospetta una vi-

73 Così anche Hoffmann , Die Toten , 172 che parla di «die grosse Mannigfaltigkeit und Ver­ schiedenheit der Anschaungen».

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Commento

ta trasformata del corpo o dell'anima , meritevole della qualifica di celeste ( l Enoc 37-7 1 ; Qumran , Filone) . Ci sono poi scritti in cui la credenza nella risur­ rezione coesiste con la fede nell'immortalità beata dell'anima (cf. 4Esdra) e per questo hanno escogitato l'idea di uno stato intermedio tra la morte, oltre alla quale vive l'anima beata, e la risurrezione finale (cf. 4Esdra ; 2Baruc; Giuseppe Flavio) . Si aggiunga che alcuni testi parlano di assunzione in cielo (Enoc 91-104; cf. Gn 5 ,22 a proposito del patriarca Enoc) . Sempre secondo Cavallin , ibid. , 200 , la distinzione delle aree culturali della Palestina e della diaspora di lingua greca offre il seguente dato : nelle fonti pale­ stinesi è assente l'enfasi sull'immortalità dell'anima escludente il corpo ; tuttavia la diaspora di lingua greca offre alcune delle testimonianze più chiare della cre­ denza nella risurrezione del corpo (cf. 2Mac 7 ; Oracoli Sibillini 4 , 181s; Pseudo­ Focilide 103 ) . Inoltre Cavallin , ibid. , 200 precisa , contro un'immagine assai dif­ fusa , che è falsa l'idea di una concezione grossolanamente materialistica della ri­ surrezione e della vita «post-mortem » . 74 Credenza dominante e costante , comunque, è quella del giudizio e della re­ tribuzione finale ( cf. Cavallin, ibid. , 201 ) , per cui non mancano attestazioni cir­ ca la risurrezione anche dei malvagi , intesa come requisito necessario perché questi possano comparire davanti al giudice finale e ricevere la sentenza di con­ danna. A giudizio di Marcheselli-Casale , Risorgeremo, ma come? , 589, nella sfera da lui esaminata , la risurrezione universale si afferma sempre più sino a prevalere . Infine , precisa Cavallin, Life after Death , 193 ss , non pochi scritti osservano un rispettoso silenzio sull'oltretomba: Sir, Gdt, Tb , Aristea , lBar, 1 e 3 Mac, 3 Esd ra , AssMos e Martls . E G . Barth («Zur Frage» , 196ss) richiama l'attenzio­ ne sul fatto che al tempo di Gesù e di Paolo non mancavano nel giudaismo posi­ zioni negatrici , come quella dei sadducei (cf. Mc 1 3 , 18 par) , e che le epigrafi se­ polcrali giudaiche dicono che la fede nella risurrezione o nella vita «post mor­ tem» non era per nulla generale . Nel mondo greco del tempo 75 alla concezione tradizionale dell'hades che rac­ coglieva i defunti ridotti a ombre , a partire dal s ec . VII progressivamente si so­ stituì , nella corrente orfico-pitagorico-platonica , l'idea dell'anima immortale che sopravvive alla morte del corpo. La base antropologica era data dalla conce­ zione spiritualistico-dualistica che vedeva nel soma il sema cioè il sepolcro della psychel anima dotata di n aturale athanasial immortalità. 76 Però , più che fare affi­ damento sull'immortalità per natura , nel periodo ellenistico , sotto l'influsso del­ le religioni misteriche e della contemplazione mistica , l'attenzione si era indiriz-

74 Vedi qui anche lo studio di Marcheselli-Casale che insiste sul motivo della trasformazione , come si dirà più avanti . 75 Cf. l'opera di HoFFMANN , Die Toten , 26-57 e anche A. Dihle in GLNT XV, 1 1 67- 1 1 88 (psy­ ché nel mondo greco ) . 76 Cf. qui R. Bultmann, in GLNT IV, 200ss .

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zata verso la ricerca dell'athanasia , traguardo ambito dell'iniziazione misterica e dell'unione profonda con la divinità . 77 Una doverosa attenzione merita la corrente gnostica , tanto più che secondo Schmithals i negatori della risurrezione dei morti di Corinto erano gnostici. Ora Peel ha evidenziato dati sorprendenti circa l'escatologia dello gnosticismo , che una lettura tradizionale , sulla base di un numero settoriale di testi , ha qualificato come realizzata . B asti citare in proposito dell'eresia di Marco queste parole del battezzato : «lo sono stato confermato e sono stato redento , e io riscatto la mia anima da questo secolo e da tutto ciò che ne deriva , nel nome di Jao , che ha re­ dento la sua anima per la "redenzione" nel Cristo vivente» (Ireneo , Adv. Haer. 1 ,2 1 ,3) . Ma ci sono anche testi gnostici in cui alcuni aspetti della speranza esca­ tologica gnostica restano confinati nel futuro ; anzi , «mirabile dictu» , alcuni gno­ stici credettero in una forma di risurrezione . Nel Trattato sulla Risurrezione ( 1 ,3) abbiamo la visione di un'ascesa dopo morte delle membra interne , invisibi­ li , coperte da una nuova carne , da una carne spirituale . E Peel, «Gnostic Escha­ tology» , 1 69 commenta: «Sembra una fedele interpretazione della concezione paolina del corpo pneumatico» . Ora se vogliamo paragonare l Cor 1 5 con le correnti di pensiero e le creden­ ze suddette , emerge un'indubbia originalità di Paolo . Questi infatti incentra il suo dire in un originale dato di fede: « Cristo è stato risuscitato», su cui fonda la speranza cristiana nella risurrezione di quelli che appartengono a Cristo (hoi tou Christou) . In aspetti periferici invece non appare difficile riscontrare analogie e punti di contatto , come si mostrerà soprattutto nell'analisi della seconda parte del capitolo (vv. 35ss) . 78 Parimenti dall'apocalittica contemporanea egli ha preso immagini e motivi letterari , come sarà notato più avanti , con esclusione però del tema del giudizio , preminente invece negli scritti apocalittici . In ogni modo , la sua concezione escatologica è tutta basata sulla cristologia : 1) Cristo risorto co­ me «primizia» o principio attivo di risurrezione; 2) Cristo risorto «spirito vivifi­ cante » , a immagine del quale i suoi saranno vivificati o risuscitati ; 3) Cristo ri­ sorto , vincitore fin ale della morte e trasmettitore del suo regno al Padre , perché questi sia «tutto in ogni cosa» ( v . 28) .

77

BULTMANN , GLNT IV, 202 . In particolare , si noti l'elemento della trasformazione dei corpi dei risorti che la ricerca di Marcheselli-Casale ha messo bene in evidenza, citando Enoc etiopico 108, 1 1 : «e trasformerò coloro che sono nelle tenebre i quali non sono stati giustamente ricompensati nei loro corpi con quell'onore richiesto dalla loro pienezza di fede» (Risorgeremo, ma come? 2 1 3s ) ; Testamento di Beniamino 10,8: «Allora tutti saremo trasformati (allagi!sometha) nella gioia» (versione armena ) ; «E infine tutti gli uomini risorgeranno (anasti!sontai) alcuni per la gloria (eis doxan) altri per la vergogna (eis ati­ mian)» (versione greca) (ibid. , 23 1 ) ; Oracoli Sibillini 2 ,221 -226 in cui l'autore mette in rilievo il mo­ do con cui è pensata la risurrezion e : rimpasto , restituzione , trasformazione (ibid. , 393) . Per non dire di 2Bar 49-5 1 , che citeremo più avanti . 78

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Commento

3. ANALISI

3. 1 . La base argomentativa (15, 1-11) 79 Gli snodi nell'argomentazione della prima parte (vv 1 2-34) poggiano mani­ festamente sull'annuncio evangelico della risurrezione di Cristo , presentato nei vv 1 -1 1 . Il brano 12-19 si regge infatti sulla protasi di 12a: « Ora se si annuncia che Cristo è stato risuscitato dai morti ( Christos keryssetai ek nekron egegertai)» e la tesi del v. 20 regge la pericope dei vv 20-28 : «Ora invece Cristo è risuscitato dai morti (Christos egegertai ek nekron) , primizia di quelli che sono morti» . 80 Appunto ciò che nei vv. 1- 1 1 Paolo intende far presente (gnorizo) agli interlocu­ tori: «Cristo . è risuscitato/ Christos . . . egegertai» (vv . 3-4) , articolo essenziale dell'annuncio evangelico (vv 1 -2 e 1 1) insieme con la morte di Cristo (v . 3) , cui si aggiunge , come complemento , la menzione delle apparizioni (vv . 5a-8) . In realtà, diverse sono state le letture di questo brano. Schade , Apokalyp­ tische Christologie, 1 96s ha elencato cinque posizioni , con i loro sostenitori , sul ruolo che i vv. 1 - 1 1 giocano nel c . 1 5 : 1) servono alla certezza storica della risur­ rezione di Gesù che si ottiene con l'elenco dei testimoni (R. Bultmann) ;81 2) in­ tendono mostrare che la predicazione paolina è omogenea a quella protocristia­ na, come emerge soprattutto nel v. 1 1 (K. Barth , La resurrezione, 83ss e G. Barth , «Zur Frage») ; 3 ) vogliono dimostrare che Paolo ha autorità apostolica nella sua esposizione del kerigma (von Osten-Sacken) ;82 4) mirano a dimostrare che la risurrezione di Gesù appartiene al passato (Conzelmann) ; 5) intendono affermare che Gesù è risorto dai morti contro posizioni entusiastiche che tolgo­ no di mezzo la morte (Bartsch) . Da parte sua Schade si pronuncia a favore della prima soluzione (ibid. , 1 99) . .

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. .

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79 Vedi soprattutto B artsch , Harnack, Lambrecht, ( «Line of Thought» ) , Murphy-O'Connor («Tradition») , Osten-Sacken, Schrage , Schiitz, Sellin , (Der Streit, 23 1 -255) , Sider («St. Paul s Un­ derstanding») , Toit, Wilckens. so La pericope 29-32 ripete solo il tipo di argomentazione di 1 2 - 1 9 . 81 Così anche Sider: la tesi dei negatori di Corinto si basava sul fatto che essi non potevano con· cepire un corpo risuscitato , essendo il corpo corruttibile e perituro ( «St. Paul's Understanding», 1 3 1 ) . Paolo ha motivo per sospettare che lo scetticismo circa la risurrezione dei morti abbia portato a dubitare della risurrezione di Gesù, un dubbio che spiega il riferimento ai testimoni della risurrezio­ ne di Cristo : vuole stabilire la fatticità della risurrezione corporea di Gesù, sospettando che a Corin­ to dubitassero di tale insegnamento (ibid. , 132) . Cf. parimenti Allo che intitola la pericope: «Il fatto della risurrezione di Cristo e le sue prove». 82 Anche Schiitz è su questa linea. A suo avviso appare centrale la questione dell'autorità: Pao­ lo e i corinzi sono in disaccordo circa l'attesa della risurrezione e ambedue vogliono mostrare che la propria visione è la vera interpretazione del vangelo ( «Apostolic Authority», 439 ) . L'autore esclude come inverosimile l'ipotesi che l'appello alla testimonianza della risurrezione di Cristo sia fatto allo scopo di avanzare la più ricca base testimoniale dell'evento : ciò avrebbe senso se essa fosse discussa tra i corinzi, ma è escluso al v. 2 (ibid. , 44 9s ) I vv. 8-10 non sono un excursus polemico contro gli al· tri apostoli, né una difesa generale del suo essere apostolo (ibid. , 453) , ma l'affermazione del carat­ tere normativo dell'autorità apostolica di Paolo nell'interpretare la parad6sis e nel valutare la parti­ colare interpretazione che ne hanno fatto i corinzi (ibid. , 454) . '

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Ora se questa o quella trova conforto in una o nell'altra parte del brano , le ipotesi suddette non valgono a rendere conto della sua globalità. Chi scrive vuo­ le riconfermare un'intesa con gli interlocutori sulla base del comune vangelo , ve­ ro «presupposto» di fede , capace , per un verso , di fondare una solida speranza nella risurrezione dei credenti morti e, per l'altro, di costituire una valida difesa contro il pericolo rappresentato dalla negazione dei tines del v. 12. Un'intesa che vede accomunati l'annunciatore e trasmettitore (euaggelizesthail paradidomi: vv . 1 - 2 ; keryssein : v . 11) del vangelo e coloro che vi hanno creduto e l'hanno ri­ cevuto dalle sue mani (pisteuein : vv . 2 e 1 1 ; lambano: v. 1 ) . 83 L'analisi formale condotta sopra sta a dimostrarlo . Naturalmente sono presenti anche altre sotto­ lineature secondarie , come quella dell'autorità apostolica di Paolo . 84 vv. 1-Ja È la parte introduttoria del brano in cui l'apostolo manifesta la sua intenzione di mettere tra sé e gli interlocutori il vangelo , che è al centro del pas­ sato , del presente e del futuro dei due poli di comunicazione (così Barbaglio, Fee , Stenger) . La prima dimensione è espressa con i frequenti aoristi : Paolo l'ha annunciato (eueggelisamen : vv . 1 e 2) e lo ha trasmesso (paredoka: v . 3) agli in­ terlocutori («a voi») e questi lo hanno accolto (e/abete: v. 1 ) , vi hanno creduto (episteusate: v. 2) ; ma ancor prima , a sua volta , egli lo ha ricevuto (parelabon : v . 3) . L'attualità caratterizza, per u n verso, la sua azione che l o fa presente (gnori ­ zo : v . 1 ) ai fratelli di Corinto e , per l'altro , la fermezza con cui questi persistono nell'adesione (estekate: pf. : v. 1) e l'esigenza di aderire alla parola con cui è stato annunciato (katechete: v . 2) . In prospettiva c'è il traguardo finale della salvezza a cui il vangelo porta, salvezza espressa con il presente sozesthe avente però va­ lore di futuro (cf. Blass-Debrunner, Grammatica, § 323) : «mediante il quale an­ che siete sulla via della salvezza» (v. 2) . Si tratta di un futuro condizionato alla fedeltà di oggi: «Se vi attenete a quella parola (tini logo-i) con cui ve l 'abbiamo annunciato; a meno che abbiate creduto invano» (v. 2) . La formula iniziale «Vi faccio poi presente (gnorizo)» non indica per se stes­ sa una comunicazione nuova; qui, come del resto in Gal 1 , 1 1 , l'oggetto «notifi­ cato» , il vangelo, non può certo rappresentare una novità per gli interlocutori; già in passato Paolo l'aveva proclamato ed essi l'avevano accettato , come dice subito dopo . Dunque il verbo significa «richiamare » , «far presente alla mente» . Il vocativo «fratelli» poi esprime una solida comunione tra mittente e destinata­ ri: li unisce il vangelo ma anche una intesa affettiva, più esplicita nella espressio­ ne parallela del v. 58: «fratelli miei cari (agapetoi) » . Gli schieramenti appaiono netti: da una parte il mittente e i destinatari identificabili con il grosso della co-

83 Fee intitola ottimamente il brano «The Basis» e ne definisce il contenuto quale comun deno­ minatore tra mittente e destinatari ( The first Epistle, 737) . Ma già CoNZELMANN , Der erste Brief, 295 aveva parlato di «gemeinsame Basis der Argumentation» e SELLIN , Der Streit, 231 intitolerà la peri­ cope dei vv. 1 - 1 1 «Die Argumentationsbasis». 84 Lambrecht ( «Line of Thought» ) , da parte sua, vede uniti qui un po' tutti gli intenti segnalati nelle ipotesi suddette.

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munità, dall'altra i tines che non solo negano la ris u rrezione dei morti ( v. 12) , ma anche costituiscono cattive compagnie per gli interlocutori dello scritto (v. 33) , affetti come sono da «ignoranza nei confronti di Dio» (v . 34) . Il vangelo è categoria teologica amata da Paolo, che nelle sue lettere l'usa una cinquantina di volte su un totale nt di 76. Spesso il sostant ivo è qualificato dai genitivi «di Dio» (Rm 1 , 1 ; 1 5 , 16. 1 9 ; 2Cor 1 1 ,7; lTs 2 , 2 8 9) «di Cristo» ( l Cor 9 , 12 ; 2Cor 2 , 1 2 ; 9 , 1 3 ; 1 0 , 1 4 ; Gal 1 ,7 ; Fil 1 2 7 ; lTs 3 ,2) , «di me/di noi» {Rm 2 , 1 6; 16,25 ; 2Cor 4 , 3 ; lTs 1 ,5) . Si tratta, cioè , anzitutto di un lieto annun­ cio che viene da Dio , dunque non è un prodotto umano . Il secondo geniti vo ne esprime il contenuto oggettivo: è annuncio riguardante la persona di Cristo (morto e risorto) I nfine è un annuncio che giunge agli uomini con la mediazione di propagandisti umani . Il nostro passo invece si limita a prese n tarlo quale og­ getto di comunicazione tra mittente e destinatari : parola proclamata e accettata e rivestita di una formulazione verbale (logos) fissa ( v . 2) . Più avanti stereoti pe formule tradizionali ne espri m eranno l'oggetto , morte e risurrezione di Cristo . In concreto, è con quattro proposizioni relative che l ' autore ne e v idenzi a le dimensioni di fatto comunicativo : .

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,

,

.

-

che vi abbiano annunciato (euaggelisamen ) , che anche avete accolto (e/abete) , nel quale pure state saldi (estekate) , mediante il quale anche siete sulla via della salvezza (sosesthe) .

Anche il verbo euaggelizesthai, e spres s ivo dell ' a zio n e proclamatrice , ricorre spesso nelle lettere p aoline che , con l'opera lucana , rappresentano in pra t ica la totalità delle ricorrenze nt. Nella l Cor è attestato ancora in due passi importan­ ti, in cui definisce il ruolo stesso di Paolo apostolo : Cristo lo ha mandato non a battezzare , bensì ad annunciare il vangelo { l , 17) ; evangelizzare non è pe r lui motivo di vanto , essendo sovrastato da un destino , per questo non merita alcun sala rio (9 , 1 6 . 1 8) . Il p l ural e è qui , come anche poco dopo al v. 2 e in 2 Cor 1 1 7 e Gal 1 ,8 ; 4 , 1 3 , un plurale letterario indicativo del solo Paolo . Quanto al verbo lambaneinl accogliere , si deve rilevare subito che è l ' un ica volta che in Paolo ha per oggetto il vangelo. Leggendolo alla l uce di l Co r 4,7 si pot rebbe forse attribuirgli una sfumatura di dono ricevuto : «Che cosa hai ch e tu non abbia ricevuto (elabes) ? Se poi l ' hai ricevuto (elabes) , perché vantarti come se non l ' av essi ricevuto (me labon)?». Ma il contesto immediato ( cf. la p roposi ­ zione precedente «che vi abbiano annunciato») spinge in a lt ra direzione : pi ù che dalle mani di Dio è da quelle di Paolo che gli interlocutori hanno avuto il vange­ l o . Sempre dal contesto prossimo appare che si tratta dell'accettazione di fede ( cf. episteusate del v . 2) . La terza proposiz ion e relativa : «nel quale pure state saldi (estekate)» traccia una linea che congiunge il passato al presente ed esprime non solo continuità, ma anche e soprattutto costanza e fermezza nell ' adesione al vangelo .85 P asso pa,

85

W. Grundmann, in GLNT XII, 1 1 78 così interpreta il nostro passo :

«I

Corinzi l 'hanno rice·

lCor

15 , 1 - 1 1

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rallelo è Rm 5 ,2: i credenti stanno saldi nello stato di grazia ( eis tén charin . . . en he-i estékamen) . La quart a : «mediante il quale (di' hou) anche siete sulla via della salvezza (sosesthe)» indica la forza salvante del vangelo , espressa in forma di tesi teologi­ ca in Rm 1 , 1 6 : il vangelo «è potenza di Dio (dynamis Theou) volta alla salvezza (eis sotérian) per chiunque creda (panti pisteuonti) » . Per l'apostolo il vangelo non si riduce a puro fatto verbale notificante ; è invece una realtà «dinamica» che vede operante Dio stesso e crea salvezza a condizione che si creda. In modo ori­ ginale il nostro passo è il solo i n cui Paolo usa il verbo «s6z6 all'indicativo pre­ sente , essendo invece di regola al futuro , con l'altra eccezione dell'aoristo in Rom 8 ,24» .86 Ma si conferma l a regola che la sotéria è per Paolo realtà escatolo­ gica finale e sempre oggetto di speranza (cf. Rm 8,24) . 87 Qui comunque la pro­ spettiva futura è confe rmata dalla condizione subito dopo avanzata: «Se vi atte­ nete a quella parola (tini logo-i) con cui ve l'abbiamo annunciato» . 88 Alla salvez­ za gli interlocutori potranno arrivare se si manterranno fedeli al vangelo anche nella formulazione con cui è stato loro annunciato , quella che preciseranno i vv . 3b-5 . Si tratta di una condizione «sine qua non » : «a meno che abbiate creduto invano» . Non basta dunque la passata adesione di fede; se vogliono giungere al­ la salvezza finale , il presente dei destinatari deve essere pieno di costante e tota­ le fedeltà ai contenuti essenziali del vangelo trasmessi in formule fisse consacra­ te dalla tradizion e . A l di là del detto , è facile rilevare un'allusione alla situazione della chiesa d i Corinto , minacciata dall a posizione dei negatori della risurrezione dei morti . La posta in gioco è altissima : sappiano i destinatari , dice Paolo , che se cedono su questo punto , ne va del loro futuro salvifico. O con l 'apostolo e il vangelo da lui annunciato , o con quanti dicono che non c'è risurrezione dei morti : un dilemma che sottolinea la gravità delle conseguenze della scelta. Il v. 3a: «Vi ho i nfatti trasmesso soprattutto ciò che a mia volta ho ricevuto» giustifica (gar) il richiamo attuale (gn6riz6) al vangelo : si tratta di una grandezza delle origini che Paolo stesso ha ricevuto e che ha trasmesso ai corinzi ; la tradi­ zione ha valore normativo e questi devono essere di continuo responsabilizzati in merito . Non c'è altro vangelo , come dirà con forza in Gal 1 ,7 , ha notato bene Wilckens , «Der Ursprung» , 147. Egli assume qui il ruolo del mediatore tra il passato originario cristiano e il presente dei credenti corinzi : anello di una cate-

vuto da Paolo ed ora stanno fermi in esso e per esso» e in nota precisa che pur essendo la preposizio­ ne en «prevalentemente strumentale , tuttavia il seguente di' hou s6zesthe induce a dargli anche sen­ so locale». Ma nel nostro contesto l'accento sembra cadere sull'azione dei credenti che si mantengo­ no fedeli all'accettazione iniziale . 86 G. Barbaglio , «La "soteria" in Paolo», in Rassegna di Teologia 29( 1 988) , 342 (338-360) . 87 Cf. BARBAG LIO , «La "soteria"» . 118 La formulazione non è chiara . Altre letture : Barrett: «Vi chiedo di considerare con quale ti­ po di parole vi ho p redicato il vangelo, supponendo che lo teniate ben saldo»; Conzelmann : «con quale tenore verbale io ve l'ho annunciato , se state saldi». Per altri tini è un pronome interrogativo e inizia una interrogazione diretta: «Con quale forma di parole io vi ho predicato?».

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na che affonda il suo inizio all'alba del movimento cristiano . Di fatto l'apostolo sembra cercare solidarietà atte a rafforzare il suo annuncio agli occhi degli inter­ locutori ; si prepara il conclusivo v . 1 1 : «Dunque sia i o sia loro , così annuncia­ mo» . I due verbi paradidomi e paralambano, è risaputo , traducono i rispettivi ver­ bi ebraici masarl qibbel, indicativi del processo di tradizione . Passo parallelo è l Cor 1 1 ,23 che a proposito della Cena dice : «lo infatti ho ricevuto dal Signore quello che vi ho trasmesso » . 89 L'espressione avverbiale en protois non ha significato temporale, come ritie­ ne Sellin , Der Streit, 233 , ma indica un primato qualitativo, di v alore , di rango (cf. Bauer, Worterbuch ) : non si tratta di una qualsiasi tradizione, da declinare magari al plurale (paradoseis: cf . lCor 1 1 ,2 : «Vi lodo poi perché . . . mantenete ferme le tradizioni come vi ho trasmesso») ; occupa il primo posto nei «tradita». vv. Jb-5 90 I contenu ti essenziali del vangelo sono espressi con quattro propo­ sizioni introdotte dal ripetuto hoti recitativo : un modo per scandire gli articoli ed evide nzia rn e la formulazione tradizionale e fissa. 9 1 Non c'è dubbio che due sono le dichiarazioni principali e due le complementari . 92 Que l le infatti specificano l'evento con formule di pregnanza teologica: «per i nostri p eccati» e «secondo le Scritture» a proposito della morte , «il terzo giorno» e «secondo le Scritture» cir­ ca la risurrezione . Invece le altre due sono proposizioni semplici e asciutte: «e che fu se p olto» «e che apparve a Cefa quindi ai D odici». Il so ggetto, Christos, senza articolo i nteso come nome proprio , 93 è sempre lo stesso ma viene esplicita­ to soltanto nella prima proposizione . Formule analoghe , complesse o semplici , ricorro no spesso altrove n elle let­ tere paoline e negli altri scritti nt (cf. sop rattutto du Toit) . Quelle limitate alla morte di Cristo e costruite con il verbo apothneskein sono attestate con qualche variante : ora con la preposizione hyper + gen . , 94 altre volte con peri + geo . sen­ za che cambi per questo il se nso , 95 in un caso con dia + gen . ( di'hou Christos apethanen : l Cor 8 , 1 1 ) . Le formule riguardanti la sola risurrezione e costruite con egeirein sono attestate le une con Cristo soggetto e il verbo all'aoristo indica­ tivo o participio96 e le altre con Dio soggetto , Cristo complemento oggetto e il

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Per l'approfondimento del motivo della tradizione rimandiamo all'analisi di questo passo . Cf. gli studi di Hamack, Murphy-O'Connor, Wilckens e l'excursus di WoLFF, Der erste Brief,

1 53- 158. 91

Murphy-O'Connor ritiene che sia stato Paolo a introdurre per enfasi kai hoti. SELLI N , Der Streit, 339: etaphé e 6phthé servono come conferma delle affermazioni principali. 93 Per WoLFF, Der erste Brief, 158s invece si tratta del messia e del suo destino. 94 Christos hyper aseb6n I hyper hémon apethanen (Rm 5 ,6.8) ; hyper hou Christos apethanen (Rm 1 4 , 1 5) ; heis hyper panton apethanen (2Cor 5 , 14). 9·1 il Signore Gesù Cristo , tou apothanontos peri hémon (1Ts 5 , 10); Christos . . . peri hamartiiJn apethanen, dikaios hyper adikon ( l Pt 3 , 18). 96 égerthé Christos ek nekron (Rm 6,4) ; égerthé ( M c 1 6 , 6 e par . ) ; égerthé ek nekron (Gv 2,22) ; Christos egertheis ek nekron (Rm 6 , 9 ) ; egertheis ek nekron (Gv 21 ,14) ; t6·i ek nekron egerthenti (Rm 7,4) ; lésoun Christon egégermenon ek nekron (part. pf. 2Tm 2,8) . 92

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verbo all'aoristo attivo indicativo o participio. 97 Infine le formule che abbinano morte e risurrezione98 sono le seguenti : Iesous apethanen kai anestel Gesù morì e risuscitò (lTs 4,14) ; t6-i hyper auton apothanonti kai egerthentil a colui che è morto ed è stato risuscitato per loro (2 Cor 5 , 1 5) ; hos paredothe dia ta parap­ tomata hémon kai égerthé dia tén dikaiosin hémonl il quale fu consegnato alla morte per le nostre cadute ed è stato risuscitato per la nostra giustizia (Rm 4 , 25) ; Christos lésous apothanon mallon de egertheis/ Cristo Gesù che è morto , anzi che è stato risuscitato (Rm 8 ,34) ; Christos apethanen kai ezésen/ Cristo morì e tornò a vivere (Rm 14,9) . Il fatto della sepoltura , invece , non appare altrove in siffatte formule . Non così l'apparizione del risorto connessa con la risurrezione , come attesta Le 24,34 : «il Signore fu risuscitato e apparve a Simone/ égerthé ho Kyrios kai ophthé Simoni» . 99 Nel confronto la formula di l Cor 15 ,3b-5 appare la più sviluppata non solo in generale ma anche riguardo ai singoli articoli , fatta eccezione naturalmente del secondo , cioè della sepoltura. In particolare , il primo capo ha in comune con 1 Pt 3 , 1 8 la formula «per i peccati» (peri hamartion qui , hyper hamartion hémon nel nostro testo) ; del tutto originale è invece il richiamo scritturistico («secondo le Scritture») . La formula della risurrezione ha come elementi originali il pf. passivo del verbo egeiro, 100 nonché il richiamo scritturistico ; invece l'espressione «il terzo giorno/ té-i hémera-i té-i trite-i)» ricorre anche in At 10,14 (en té-i trité-i hémera-i) . Da parte sua ek nekronl dai morti, completiva del dato della risurre­ zione , appare molto spesso nelle formule nt, come abbiamo visto , ma non nel nostro testo . È tuttavia attestata in 15 , 12 , dove Paolo riprende il dato del vange­ lo : Christos . . . ek nekron egégertai (Cristo è stato risuscitato dai morti) . Per que­ sto è difficile pensare che , presa in blocco , la nostra trovi un immediato e diretto antecedente nelle altre formulazioni nt . Invece singoli elementi possono benissi­ mo derivare da formulazioni precedenti ; allo stesso modo è pensabile che il più complesso sia derivato dal più semplice . Comunque, è puramente ipotetico trac­ ciare una linea di sviluppo , quasi un albero genealogico. 101 97 ho theos auton égeiren ek nekron (Rm 10,9) ; il figlio su o , hon égeiren ek (ton) nekron (l Ts 1 , 10) ; hon ho Theos égeiren ek nekron (At 3 , 1 5 ; 4,10; 5 ,30; 10,14: en te-i trite-i hémera-i; 132,30.37) ; ton egeiranta Jesoun ton kyrion hémon ek nekron (Rm 4 ,24) ; tou egeirantos ton Iésoun ek nekron (Rm 8 , 1 1 ) ; ho egeiras Christon ek nekron (Rm 8 , 1 1 ) ; ho egeiras ton kyrion lésoun (2Cor 4 , 14); theou patros tou egeirantos auton ek nekron (Gal 1 , 1 ) ; egei ras auton ek nekron (Ef 1 ,20) ; tou theou tou egei­ rantos auton ek nekron ( Co l 2,12). 98 Il v e rbo apothnéskein è sost i t u i t o una volta da paradidonai (cons e gn a alla mo rt e) e egeirein ora da anistémi e ora da zao . 9'l Cf. anche At 1 3 ,30s: «Dio l o ha risuscitato dai morti , il quale apparve . . . a quant i erano saliti con lui dalla G alilea a Gerusalemme I ho theos égeiren auton ek nekron, hos ophthé . . . tois synanaba­ sin auto-i apo tés Galilaias eis lerousalém» . 1 00 La stessa forma del pf. passivo ritorna in 1 5 , 12. 1 3 . 14. In 2Tm 2,8 abbiamo la forma del part. pf. Sempre nel seguito del capitolo Paolo ha una formulazione con il verbo all'attivo , Dio soggetto e Gesù complemento oggetto: cf. 1 5 , 1 5 : (Theos) égeiren ton Christon . 101 Lo ha fa t to , circa la formula di risurrezione e apparizione, du Toit, che però si limita a parla­ re di « possibi le sviluppo della formula del credo» con questi passaggi: ! ) ho theos (ton) lésoun égeiren e (ho) lésous égerthé I egégertai (passivo teologico) ; 2) le stesse formule con l'aggiunta di ek nekron ;

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Già questi accenni comparazionistici ci dicono che siamo di fronte a un ma­ teriale tradizionale e prepaolino . 1 02 La conferma viene dalla semplice analisi les­ sicale, come ha ben mostrato J. Jeremias : 1 ) non è paolina la locuzione hyper ton hamartion hemon con il sostantivo al plurale ; 2) altrettanto dicasi di kata tas graphas : non ricorre mai altrove in Paolo che usa kathOs gegraptai; 3) il pf. passi ­ vo egegertai è attestato di nuovo solo in 2Tm 2 , 8 ; 4) la posposizione del numero ordinale nella formula te-i hemera-i te-i trite-i è unica in Paolo ; 5) invece di hoi dodeka egli suole dire hai apostoli (cf. Gal 1 , 19 ; 1 Cor 9 ,5 ; 2Cor 1 1 ,5 ; 12, 1 1 ) . Lo stesso autore sottolinea ancora che siamo davanti a un greco «con forti influssi semitici», quali 1 ) il «parallelismus membrorum» , 2) la monotonia del quadru­ plice ho ti , 3) la mancanza di ogni particella che non sia kai, 4) il passivo teologi­ co di egegertai, 5) la forma aramaica di Kephas , 6) la posposizione del numero ordinale nella formula succitata te-i hemera-i te-i trite-i, 7) ophthe invece di epha­ ne, 8) il dativo e non hypo + gen . dopo il passivo ophthe. 103 Ma Conzelmann ha sollevato valide obiezioni all'ipotesi dell'origine semitica del brano e ha propo­ sto una provenienza greca . In altre parole , si discute se la sua «patria» sia Geru­ salemme o Antiochia.104 Certa appare la sua arcaicità : è sorta attorno al 40. Ma quale definizione merita? Wo l ff , Der erste Brief, 158 riporta le seguenti proposte con i rispettivi sostenitori : «formula di confessione/ di fe de» (F. Hah n ; W. Kramer) , «narrazione storico-salvifica» (J. B lank) , «formula di annuncio» (R. Deichgriiber) , «brano tradizionale di tipo catechistico» (U. Wilckens), «sommario catechetico» (P. Stuhlmacher) e aderisce all'ipotesi che si tratti di un credo . Non è però preceduto dal verbo «credere» ; di fatto Paolo lo presenta co­ me contenuto essenziale dell'annuncio evangelico . A livello redazionale dunque mostra di essere una grandezza kerigmatica . Non abbiamo invece motivi validi per etichettare la sua forma originaria con questa o quella qualifica. v. 3b Il primo articolo: «che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scrit­ ture», lungi dal limitarsi al puro dato materiale della morte , ne sottolinea il valo­ re salvifico : è stata una morte capace di liberare le persone dai peccati . 105 Per questo si parla della sua valenza espiatoria e si presuppone che sia intesa come sacrificio, appunto espiatorio . Ma la formula è generica e non va oltre il signifi­ cato di morte benefica per i peccatori . Un passo parallelo , anch'esso p re p aolino, è Gal 1 ,4: «(il Signore Gesù Cristo) che ha dato se stesso per i nostri peccati (hy-

3) aggiunta dei titoli cristologici kyrios hèmòn e Christos ; 4) sviluppo in affermazioni b iparti te circa morte e risurrezione ; 5) interpretazioni soteriologiche con hyper I peri I dia ; 6) addizione della prova scritturistica ( ka ta tas graphas) ; 7) contestualizzazione in testi come le lettere paoline , dove spesso ti­ toli cristologici sono sostituiti da un pronome . 102 In proposito si registra un consenso unanime degli studiosi . 103 J . J EREMIAS , Le parole dell'ultima cena , Paideia, Brescia 1973 , 121- 123. 104 La prima ipotesi è difesa da Conzelmann e la seconda da J. Jeremias. 105 G. Barth, «Erwiigungen», 518 annota che , fatta eccezione di Rm 4 ,25 il superamento del peccato è collegato sempre con la morte di Gesù in croce , non con la sua risurrezione .

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per hamartù5n hemon)» . Si veda ancora l Pt 3 , 1 8 : «Cristo una sola volta morì per i peccati (peri hamarti6n) » . S i discute invece del rapporto con Is 53: 106 è una citazione , s i limita a d allu­ dervi , non ha alcun riferimento? Una citazione , anche solo implicita , non appa­ re p robabile per la mancanza di indiscusse omogeneità lessicali . Invece è possi­ bile che il testo profetico abbia ispirato l'interpretazione soteriologica della mor­ te di Cristo influendo così indirettamente sulla nostra formula . Si vedano soprat­ tutto Is 53 ,6 e 53 , 12: «Il Signore lo ha consegnato per i nostri peccati (paredoken auton tais hamartiais hem6n ) » ; «egli si fece carico dei peccati della moltitudine (hamartias pollon anenegken) e per i loro peccati fu consegnato alla morte (dia tas hamartias aut6n paredothe) » . L a formula «Secondo le Scritture» appare generica e non sembra riferirsi a nessun libro o autore in particolare . L'intento è di collocare la morte di Cristo dentro il disegno di Dio disvelato nelle Scritture : non è stata né casuale , né insi­ gnificante, tanto meno è stata la morte violenta di un empio ; serve invece al vo­ lere salvifico di Dio , appunto come fonte di perdono dei peccati . v. 4a «e che fu sepolto» : breve annotazione che richiama un noto particolare della storia della passione di Gesù , testimoniato nelle redazioni evangeliche ( cf. Mc 1 5 ,42-47 par. ; Gv 1 9 ,38-42 ) ; segno di un processo narrativo che troverà ap­ punto nelle «passioni» evangeliche il suo apice . Ma quale funzione ha nel nostro brano? Si riferisce a quanto precede come conferma e suggello dell'avvenuto de­ cesso , oppure è da collegare a ciò che segue come allusione alla tomba lasciata vuota dal risorto? 10 7 È preferibile la prima congettura perché la struttura del bra­ no, segnata dal parallelismo delle proposizioni legate a due a due (morte e se­ poltura/ risurrezione e apparizione ) , spinge nel senso indicato . 108 v. 4b «e che è stato risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture » . Il perfet­ to egegertai dice che l'evento passato caratterizza il presente . Si veda Barrett , La prima lettera , 416: «egli è risorto , ed ora è vivo» . Non è da leggere come intransi­ tivo («è risorto») , bensì come un passivo con Dio sottinteso come complemento d'agente . Nelle formule analizzate sopra infatti tale forma è abbinata a un aori­ sto attivo (egeirenl ha risuscitato) con Dio soggetto . Paolo stesso al v . 1 5 attesta questa formula : (Dio) egeiren ton Christonl ha risuscitato C risto . Ma altri interrogativi fa n ascere il nostro testo . Il primo : la formula «il terzo giorno» ha valore cronologico o è un rilievo teologico? Il secondo : le Scritture

106 Cf. J . M . VAN CRANGH , «"Mort pour nos péchés selon !es É critures" ( l Cor 1 5 ,3b) . Une réfe­ rence à Is 5 3 ? » , in R TLouv 1 ( 1 970) , 191- 199. 107 Per la prima ipotesi Conzelmann, per la seconda si è pronunciato per es. Sider che la dà co­ me possibile («St. Paul's Understanding» , 136) . 108 Nel suo commentario Klauck richiama due passi biblici in cui l'annotazione della sepoltura è come il sigillo posto sulla dichiarazione di morte : Gdc 8,32 dice di Gedeone che morì e fu sepolto nella tomba dei padri ; At 2 ,29 afferma di Davide «che morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi tra noi».

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sono invocate in riferimento solo all'evento della risurrezione oppure anche a «il terzo giorno»? In realtà, la scelta fatta a proposito della prima domanda pregiu­ dica la decisione in merito alla seconda . Infatti se abbiamo una pura annotazio­ ne cronologica , riferita in concreto alle prime· apparizioni del risorto o anche alla scoperta del sepolcro vuoto , l'invocazione della testimonianza delle Scritture varrà solo per la risurrezione. Viceversa, se la formula «il terzo giorno» è teolo­ gicamente significativa, allora «secondo le Scritture» coinvolge tale elemento . 1 09 Chi interpreta «il terzo giorno» non in senso cronologico vede soprattutto in Os 6,2 il testo scritturistico di riferimento della formula «secondo le Scritture»: «Ci risanerà dopo due giorni, il terzo giorno ( en te-i hemera-i te-i trite-i) saremo rialzati (anastesometha) e vivremo davanti a lui» . 1 10 Il passo profetico , in realtà, si riferisce al popolo e alla sua restaurazione per grazia . «Dopo due giorni» e «il terzo giorno» indicano un breve lasso di tempo che intercorre tra la desolazione e la «risurrezione». In breve , Dio non tarda a intervenire salvificamente a favore del suo popolo . Ma nella rilettura giudaico-rabbinica il passo di Osea è stato in­ terpretato in riferimento alla risurrezione (cf. McArthur) . Ci basti riportare i due seguenti testi: Bereshit Rabba 56, 1 : «Il terzo giorno A bramo alzò gli occhi, ecc. (Gen 22,4) . Sta scritto : Dopo due giorni ci farà rivivere, il terzo giorno ci fa­ rà risorgere e vivremo davanti a Lui (Os . 6,2) . . . il terzo giorno di Giona . . . il ter­ zo giorno della risurrezione dei morti» ; Pirqe R . Eliezer 5 1 : «Per due giorni tutti i suoi gusteranno il sapore della morte , mentre non ci sarà più alcun individuo umano né degli animali sulla terra, come è detto : "I suoi abitanti mori­ ranno come mosche" . Il terzo giorno Egli li rinnoverà , rendendo la vita ai morti e li stabilirà davanti a Lui , come è annunciato : Il terzo giorno ci risusciterà e noi vivremo davanti a Lui" (Os 6,2) » . M a non tutto è così convincente . Se i l riferimento scritturistico è a u n passo specifico , perché è stato tralasciato il caso di Giona , molto più chiaro e per di più citato espressamente in Mt 12,39-41 (anche Le 1 1 ,29-30 vi si riferisce , ma senza rilevare il dato dei tre giorni e delle tre notti trascorsi nel ventre del pesce)? So­ prattutto l'espressione «secondo le Scritture» , come si è detto sopra , più che a un passo determinato , sembra richiamarsi a tutta la Scrittura; questa è testimone del progetto divino, in cui la risurrezione di Cristo trova la sua giusta collocazio­ ne teologica. Per questo è preferibile leggere la formula in senso cronologico. Abbiamo qui un ulteriore elemento , oltre il suddetto etaphe, della tendenza nar­ rativa del nostro testo , teso a elencare le tappe essenziali della «Storia» di Cri­ sto . 1 1 1 "

1 09 La tradizione evangelica attesta una duplice formula: «il terzo giorno» (Mt 16,2 1 ; 1 7 ,23; 20 , 1 9 ; Le 9 ,22 ; 1 8 ,33 ; 24 ,7; cf. At 10,40) e «dopo tre giorni» (Mc 8 ,31 ; 9,3 1 ; 10,34; Mt 27,63 ; Gv 2 , 1 9-20: «in tre giorni»). In conclusione, quanto attiene ai sinottici , Le attesta solo la formula «il ter­ zo giorno» , Mc esclusivamente l'espressione «dopo tre giorni» , Mt fa uso dell'una e dell'altra. 1 1° Così SELLIN, Der Streit, 339 che si fa forte dell'autorità di K. Lehmann , giunto al risultato che «l'affermazione "risuscitato il terzo gi o rno " è un'interpretazione strettamente teologica e non una determinazione storica» . 111 B . M . Metzge r propone una congettura ancora più fragile. In Oriente , dice , resta re in un po­ sto solo tre giorni vuol dire essere di passaggio , mentre il quarto giorno significa un luogo di abitazio-

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v. S «e che apparve (6phthe) a Cefa quindi ai Dodici». Già si è citato il passo parallelo di Le 24 , 34: «e apparve (ophthe) a Simone» . La tradizione protocri­ stiana conosceva dunque il privilegio di Pietro , primo beneficiario delle appari­ zioni del Signore , ragione più che probabile del ruolo eminente da lui giocato nel cristianesimo delle origini , di cui sono testimoni le stesse lettere di P aolo (cf. Gal 1 , 1 8 ; 2 , 9 . 1 1 . 14 ; l Cor 1 , 12; 3 . 22 ; 9 ,5 , dove ricor re Kephas ; Gal 2,7 . 8 : Pe­ tros) . Come si è detto sopra , «I d odici» non compaiono altrove sotto \a penna di Paolo , ma sono un dato largam e nte attestato nei vangeli sinottici , in At 6,2 e in Gv 6,67 . 70 . 7 1 ; 20 , 24 . Così le testimonianze nt indicano anzitutto il gruppo più ristretto dei discepoli storici di Gesù e poi l'an aloga aggregazione postpasquale , integrata con Mattia dopo che è venuto meno Giuda (cf . At 1 , 12-26) . S e l 'apparizione a Cefa è ind i viduale , q u ell a ai Dodici , compreso Cefa, si de­ ve dire collettiva . L'attestano Mt 28 , 1 6ss ; Le 24,36-43 (compresi altri) ; Gv 20, 1 9-23 (senza Tommaso) ; 20 ,26-29 (presente anche Tommaso) ; At 1 ,3. Ma con il passivo del verbo quale esperienza si vuole indicare? La traduzio­ ne normale sarebbe : «fu visto» ; ma, invece di un atteso comple m ento d'agente (hypo Kepha/ ton apostol6n) , abbiamo un dativo. In realtà , corrisponde alla for­ ma niphal del verbo ebraico ra'ah col significato di «apparire a» , «darsi a vedere a» . Nell'AT è usato per indicare le teofanie divine a singole persone (cf. per es. Gen 1 2 ,7 e 17 , 1 : ophthe kyrios t6-i Abram ) , ma anche l'apparizione d e ll'angelo del Signore (cf. Es 3 ,2: a Mosè) . Si tratta qui di apparizioni finalizzate alla paro­ la rivelata; lo schema è questo , come ha rilevato Michaelis : 6phthe kyrios to-i. . . kai eipen (auto-i)/ «apparve il Signore a . . . e disse (a lui)». Lo studioso rileva : «In tutti questi casi Dio non viene visto , ma "udito" ed 6phthe segna l'inizio della ri­ velazione verbale , ovvero indica la presenza di Dio che si rivela nella sua paro­ la» (GLNT VII I , 935-936) . Analoga è la testimonianza nt: Mosè ed Elia apparvero ai discepoli (Mc 9,4 e par . ) ; l 'angelo del Signore apparve a Zaccaria (Le 1 , 1 1 ) e a Gesù (Le 22 ,43) ; il risorto apparve a Simone (Le 24 ,34 ) , a que l li che erano saliti con lui dalla Gali­ lea (At 13,31) e a Paolo (At 9 , 17 ; 26 , 16) . E anche qui il momento della rivela­ zione di regola è essenziale. Nel nostro testo , co m e in Le 24,34 , invece , all'appa­ rizione non segue alcuna allocuzione . Ora , citando tale formulazione tradizionale , Paolo ha inteso riferirsi a un'e­ sperienza visiva , oppure voleva sottolineare un evento rivelativo , il disvelamen­ to del crocifisso come risorto e «spirito vivificante» ( cf . 15 , 42) ? Si aggiunga che nel v. 8 egli equipara la sua esperienza di Damasco alle apparizioni pasquali

ne permanente . Lo conferma per es. la Didachè che in questo modo distingue tra vero e falso profe­ ta: quello lascia la casa ospitale prima della fine del terzo giorno , mentre questo vuole restarci più a lungo (c. 1 1 ) . La nostra formula dunque , conclude Metzger, è da intendere in senso cronologico e si­ gnifica che Cristo è stato un semplice visitatore della casa della morte e non un abitante stabile. Da parte sua Christensen vi scorge il riferimento a Gen 1 , 1 1 - 1 3 , cioè alla creazione del terzo giorno cui si riferisce ls 65 ,22 LXX : «dopo i giorni dell'albero della vita ci saranno i giorni del mio popolo» , appunto il terzo giorno. Ma l'allusione sarebbe oltremodo oscura.

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(ophthe kamoil apparve anche a me) , esperienza definita in Gal 1 , 16 in termini apocalittici : piacque a Dio di «rivelare (apokalypsai) a me suo Figlio perché lo annunciassi tra i gentili » . Si aggiunga Gal 1 ,8 : il vangelo gli è stato dato «me­ diante la rivelazione di Gesù Cristo (dt apokalypsin)» . Siamo dunque lontani da miracolose visioni sensibili . 1 1 2 L a stessa concezione dei risorti che Paolo esprime in 1 5 ,42-49 e che vale anche di Cristo risorto conferma quanto ha detto Michae­ lis: «Quando abbiamo 6phthe con dativo , l'aspetto importante è costituito dal· l'attività del soggetto che " appare" , "si mostra" ; l'attività della persona al dati­ vo , di colui che "vede " , "sente " , "percepisce" , non è invece posta in rilievo alcu­ no. Ophthe Kepha-i, "apparve a Cefa " , ecc. , non vuol dire , in primo luogo , che essi lo hanno visto (mettendo cioè in evidenza il momento visivo rispetto , dicia­ mo , a quello uditivo) , ma che parestesen autois heauton z6nta , "si mostrò a loro vivente" (cf. Act . 1 ,3) o , ancor meglio , che ho theos apekalypsen auton en au­ tois , " Dio lo rivelò tra loro" (cf. Gal 1 , 16) : lui , il risorto e vivente , li ha incontra­ ti ; essi hanno sentito la sua presenza» (GLNT VIII , 1 009s) . 1 1 3 v v . 6-8 Che questi versetti si distacchino dai precedenti è dimostrato dall'as­ senza di kai hoti («e che») , sostituito da epeita («in seguito») che , ripetuto al v . 7 , s i connette strettamente con l a formula avverbiale del v . 8 («per ultimo poi di tuttilesch a ton de pant6n» ) , la quale chiude la breve unità letteraria. Si aggiunga la ripetizione di ophthe, mentre al v. 5b Cefa e i Dodici sono due complementi dello stesso verbo . Per questo si tratta , con tutta probabilità, di un'espansione del numero delle apparizioni e dei loro beneficiari , espansione fatta da Paolo at­ tingendo dalla tradizione protocristiana. 114 Ma perché l 'apostolo ha sentito il bisogno di tale espansione? Sintetizzando le conclusioni del suo studio , Murphy-O'Connor afferma che il v. 6 è stato ag­ giunto da Paolo «in ordine a mostrare che la risurrezione potrebbe essere ve rifi­ cata» , 1 1 5 mentre il tradizionale v . 7 ( . . . tois apostolois pasin) gli serve da transi­ zione dalla menzione dei Dodici (v. 5) alla presentazione di se stesso quale apo­ stolo di uguale autorità («Tradition», 589) . Ma la struttura accurata imperniata

112 S i d e r invece dice che ophthe è una formula tra d i zi on al e co nnot an t e a p p ari zio ni con perce· z i o n e oculare . Secondo Paolo Gesù risorto a p p a rv e a testimoni o c u lar i in forma v is uale e corporea ed è in ordine a stabilire la fede nella sua risurrezione corporea che egli h a citato i testimoni oculari delle ap p a ri zi o n i ( « St . P a u l ' s U n de r s t an d i n g » , 1 40) . Così anche Conzelmann. 113 I n ! Cor 9 , 1 Paolo d i c e a p r o po s it o della sua e s pe r ie n z a di D a m a sc o : «Non h o forse visto (heoraka) Gesù Sign ore nostro_? » . I n realtà il p arallel o con le du e p ro po s i z ioni precedenti gli ha im­ posto l'uso della forma attiva. E dunque un te s t o da legg ere alla luce di 1 5 ,8 e dei due passi di Galati

citati sopra .

1 14 M u RPHY- O ' CoNNOR, «Tradition » , 582 ri l e v a come un vasto consenso si registri nel ritenere che la citazione , i ntro do t ta per tu t t i al v . 3b, t e r mi n i al v. 5. Harnack invece a ffe rm a che al v. 5 e al v. 7, che n e r i pe te lo schema (ophthe /akobO-i eita to is apostolois pasin ) , sono abbinate due tradizioni pr otocr i s t i an e di comunità ri v al i che si richiamavano ai due leaders . Ma è preferibile vederci l'opera di Paolo c h e allarga il campo delle app a r izi o n i e d e i loro beneficiari . 115 V e d i anche WILCKENS , «Der U rprung» , 148 che p a r la di dimostrazione del «Geschehensein• della ri su rrez i o ne di Cristo .

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sui tre avverbi epeital epeita/ eschaton e il verbo ophthe, parimenti ripetuto , mo­ strano piuttosto l'intento unitario di arricchire l'elenco delle apparizioni per po­ ter inserire se stesso alla fine come ultimo beneficiario , che chiude così la serie iniziata da Cefa . La risurrezione di Cristo poteva essere disattesa o malintesa dai negatori del v. 12. come rileva per es. Schrage , «I Korinther 1 5 , 1 - 1 1 » , 26, ma non dagli interlocutori di Paolo , dal grosso della comunità. Scrivendo loro egli richiama il dato tradizionale come base della sua argome ntazione nei vv . 12-32 . Quale bisogno dunque c'era di conferme testimoniali della risurrezione? Nessu­ na. Paolo invece ha bisogno di dare forza alla sua testimonianza del vangelo. da lui portato a Corinto , perché i destinatari del suo scritto si schierino al suo fianco contro i negatori . Del resto . non è l'unica volta in 1 Cor che egli s'impegna a far valere la sua autorità apostolica (cf. 4 , 1 4-2 1 ; 5 ,3-5 ; 7 ,40 ; cap. 9 ; 1 1 . 1 6 ; 14,37-38) . v. 6 L'a p parizione collettiva a 500 frate lli (cf. Gilmour ) non è attestata altro­ ve nel NT. E stata avanzata l'ipotesi che sia un doppione dell'evento pentecosta­ le di At 2 , 1 -4, ipotesi propagandata soprattutto da von Dobschiitz nell'opera Ostern und Pfingsten , 1 903 , e accettata ultimamente , come semplice possibilità però , da Barrett , La prima lettera, 4 1 9 . Ma le analogie non sembrano stringenti . Weiss la liquida dicendo che è senza fondamento. Purtroppo non abbiamo dati capaci di chiarire questa menzione . Più produttivo sarà domandarsi il perché deJJ'annotazione successiva da at­ tribuirsi alla mano di Paolo : «dei quali i più restano in vita fino a ora , ment re al­ cuni si sono addormentati nella morte». Quanti ritengono che scopo dei vv . 1 - 1 1 sia la dimostrazione dell'avvenuta risurrezione di Cristo punteranno l'attenzione sul rilievo della maggioranza dei beneficiari ancora in vita: sono testimoni in gra­ do di testimoniare (così B ultmann evidentemente , ma anche Fee per es. ) . Altri invece, come Bartsch e Conzelmann , pensano che vi sia evidenziata la morte di alcuni di essi , fatto messo in campo contro tendenze entusiastiche per significare che il futuro salvifico passa attraverso la morte . Ora , non sembra probabile che Paolo voglia rimarcare che i più sono ancora in vita ; la stessa cosa vale di tanti altri beneficiari delle apparizioni , come Cefa , Giacomo , gli apostoli . Piuttosto l'accento cade sulla morte di alcuni dei 500 : se il risorto è apparso loro , come pensare che egli li abbandoni definitivamente alla morte? Eppure ciò finiscono per dire i tines del v. 12. L'apostolo non lascia nulla d'intentato per spingere i suoi interlocutori a prendere le distanze dai negatori della risurrezione . v. 7 La formulazione : «Poi apparve (ophthe) a Giacomo quindi (eita) agli apostoli tutti » , che ripete quella del v. 5 , con probabilità dipende da Paolo ispi­ ratosi alla proposizione tradizionale del v. 5 . 1 1 6 Anche l'apparizione a Giacomo non è testimoniata in altri testi nt ; ne parla invece il vangelo apocrifo degli Ebrei , che Girolamo cita in De viris in/ustribus 2 (PL 23 ,641B-643A ) : «II Signo­ re , dopo aver consegnato la sindone al servo del sacerdote , si recò da Giacomo e

1 16 Anche Wilckens , dopo Harnack , ritiene che ai vv. 5 e 7 siano presenti

due singole tradizion i .

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Commento

gli apparve» e siccome questi aveva giurato che non avrebbe più mangiato pane «finché non l'avesse visto risorgere dai dormienti» , il risorto gli disse : «Fratello mio , mangia il tuo pane , perché il figlio dell'uomo è risorto dai dormienti» . È un dato che l'autore ha di certo preso dalla tradizione orale protocristiana e che de­ ve aver contribuito non poco a fare di Giacomo , fratello di Gesù , menzionato anche in Gal 1 , 1 9 ; 2,9 . 1 2 (cf. anche 1 Cor 9 , 5 ) , una grande autorità nelle origini cristiane (cf. Gal 2 , 9 : con Cefa e Giovanni forma «le colonne») . L'espressione «agli apostoli tutti» (tois apostolois pasin) , con l'aggettivo po­ sticipato , a chi si riferisce? Di certo è indicato un gruppo diverso dai Dodici; in caso contrario avremmo una semplice ripetizione di v . 5b. In Gal 1 , 1 7 . 1 9 Paolo parla di «gli apostoli che erano prima di me» e attesta che nella sua visita a Geru­ salemme non vide «alcun altro degli apostoli» (h eteron ton apostolon) . Si tratta dunque di un gruppo gerosolimitano . Ma in lCor 9 , 5 egli annovera tra gli apo­ stoli se stesso e Barnaba e in Rm 16,7 Andronico e Giunia indicati come «insigni tra gli apostoli» . Al primo posto dei carismatici nell'elenco di lCor 12,28-30 po­ ne gli apostoli . Più incerto è il riferimento della formula di 2Co r 1 1 ,5 ; 1 2 , 1 1 «su­ perapostoli». In conclusione , si tratta di un gruppo più numeroso dei Dodici , de­ limitato , per un verso , dalla loro attività missionaria (cf. lCor 9 ,5) e, dall'altro , dall'essere beneficiari dell'apparizione del risorto . Se l'apparizione ai Dodici do­ vette essere collettiva , si può pensare che tale fosse stata anche questa. v. 8 «E per ultimo di tutti (eschaton panton) , come a un feto abortito , appar­ ve (6phthé) anche a me». Il valore cronologico del dato iniziale sembra imporsi in rapporto ai due epeita precedenti (cf. Jones) . Egli chiude la lista dei beneficia­ ri . Il genitivo «di tutti» non sembra riferirsi , come dice per es. Murphy-O'Con­ nor, «Tradition» , 587 , alla formula precedente («quindi agli apostoli tutti») , ma a tutti coloro a cui Cristo apparve . L' allusione è di certo all'esperienza sulla via di Damasco (cf. l Cor 9 , 1 : lésoun ton kyrion hém6n h eo raka) , che invece in Gal 1 , 16, come si è detto sopra , viene interpretata in termini di apocalisse (apokaly­ psai) . Particolarmente dibattuto è il particolare «come a un feto abortito (hosperei to-i ektro m a ti ) » (cf. Daube , Jones , Nickelsburg , J . Schneider in GLNT III , 370374, Sellin, Der Streit, 246-251 ) . I l vocabolo indica un feto nato prima del tem­ po, vivo o morto , dice cioè riferimento a una nascita anticipata, dunque anorma­ le . In Nm 1 2 , 1 2 però - ma si vedano anche Gb 3 , 16 e Qo 6,3 - il vocabolo indica un bambino privo di vita sin dal seno materno e nato morto (cf. GLNT III , 369) ; e su questo testo si b asano Daube e soprattutto Sellin . In realtà, appare difficile cogliere il suo valore metaforico . Non può essere collegato con l'avverbio inizia­ le «ultimo poi di tutti» , dato che l'immagine evidenzia il prima non il poi . Quali­ fica senza dubbio il soggetto beneficiario dell'apparizione pasquale: Cristo si è mostrato a lui paragonabile a un feto abortito . Ma tale consonanza con l'aborto gli deriva dalla sua con.d otta precedente di persecutore , oppure ne qualifica la nascita alla vita cristiana e apostolica? La prima congettura si fa preferire perché il v. 9 , che spiega appunto tale specificità (cf. la particella «infatti») , richi a ma

l Cor 1 5 , 1 - 1 1

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proprio la sua attività persecutrice . Nessun merito , dunque , da parte sua; anzi demerito . Spiritualmente egli era un uomo mal riuscito, un feto abortito , con probabilità privo di vita, che Cristo ha beneficiato di una sua apparizione, come Cefa, i Dodici e tutti gli altri. È un prodigio vivente di grazia , cui deve quello che al presente è , come chiarisce ancor più nel v. 10. 1 17 È possibile , come hanno con­ getturato diversi studiosi sulla scia di Harnack (cf. J. Schneider, GLNT III , 371ss. ) , che « aborto» sia stato un epiteto spregiativo a lui applicato «in malam partem» dagli avversari e che egli lo riprenda menandone paradossalmente van­ to per evidenziare la grazia di Dio. Ma è preferibile non introdurre altri elementi d'incertezza: in che senso l'usavano i suoi avversari? vv. 9- 10 È la seconda espansione 1 18 in cui l'autore spiega il suo caso speciale di beneficiario dell'apparizione del risorto . Di fatto la piccola unità si riallaccia al v. 8, in concreto all'immagine del feto abortito , sottolineando insieme l'inido­ neità personale all'apostolato e il fatto di essere un apostolo per grazia di Dio . La formula «l'infimo (ho e/achistos) degli apostoli» trova un parallelo in Ef 3 ,8 : « a m e l'infimo (elachistotero-i) d i tutti i santi» ; l a somiglianza però riguarda an­ che il motivo tematico di questo passo : nonostante i suoi demeriti Dio gli ha fat­ to grazia di essere l'annunciatore del vangelo ai gentil i . Le proposizioni che se­ guono , una relativa e l'altra causale , «io che non sono degno di essere chiamato apostolo , perché ho perseguitato la chiesa di Dio» , chiariscono il fatto che occu­ pi l'ultimo posto nell'elenco degli apostoli per la sua insufficienza (ouk . . . hika­ nos) di ex persecutore della chiesa di Dio. Il tema dell' hikanotes trova un grande sviluppo nella 2Cor, dove Paolo sotto­ linea l'inadeguatezza della sua persona al ruolo di apostolo che Dio , per grazia", gli ha affidato : «non è che da noi stessi siamo in grado (hikanoi) di progettare qualcosa come se venisse da noi stessi; al contrario la nostra sufficienza (hikano­ tes) è da Dio , che ci ha messo in grado (hikanosen) di essere ministri della nuova alleanza» (3,5-6) . La domanda retorica di 2 , 1 6 : «E chi mai è adeguato (hikanos) a svolgere questi compiti (pros tauta)?» esige una risposta negativa: nessuno. Il nostro passo si mostra originale nel connettere l'insufficienza di Paolo all'apo­ stolato con il suo passato di persecutore . Questo comunque è richiamato anche in Gal 1 , 1 3 («oltre ogni misura perseguitavo la chiesa di Dio» ; cf. anche v. 23 : «il

117 Alcuni esegeti hanno congetturato che Paolo, con un occhio attento al problema della risur­ rezione dei morti , presenti qui il suo caso come esempio di morto ri susc i ta to a vita nuova. Così per es. Schiitz, «Apostolic Authority » , 456: Paolo vuol dire che non c'è potenza di risurrezione senza l'annessa debolezza e ignominia della morte ; in questo senso egli come apostolo è la vivente esempli­ ficazione della verità del kerigma: un morto risuscitato a vita nuova . Ma perché usare un ' immagine che per se stessa non dice affatto morte , ma nascita prematura? Gli sarebbe stato agevole dire che Cristo gli è apparso come a un morto (h6s nekro-i) . Per Sellin, Der Streit, 247s la metafora dell'abor­ to appartiene al contesto della tradizione sapienzial_e del pneuma vivificante : l'uomo senza lo spirito vivificante , redentore e risuscitatore è morto (cf. Sap 3 , 1 6 ; 5 , 1 3 ) , al pari del protoplasta Adamo co­ me Golem. Aborto è la miglior formula per indicare che un nato è tuttavia morto , che un vivente in senso biologico è spi ritualmente morto . Nella persona· di Paolo , nella sua conversione e vocazione , Dio ha vivificato con la sua grazia un morto . 1 18 Non mi sembra esatto chiamarla digressione, come fa per es. Weiss.

Commento

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persecutore di un tempo » ) e in Fil 3 ,6: «quanto a zelo persecutore della chiesa» ; la tradizione paolina infine gli attribuirà l'epiteto di «persecutore» (di6ktes : l Tm 1 , 1 3 ) . L'insufficienza dunque significa anche una specifica indegnità personale: Paolo non solo manca di capacità adeguate , ma anche si è messo contro Dio per­ seguitandone la chiesa . In breve , una insufficienza collegata al suo passato pec­ caminoso . «La chiesa di Dio» che egli ha perseguitato indica qui , come del resto in Gal 1 , 1 3 , la chiesa universale . La formula infatti è generica e come tale non riferibile a una comunità particolare , per es. a Gerusalemme . «Per grazia di Dio però sono quel che son o , e la sua grazia a me data non è stata i nefficace ; al contrario , ho faticato più di tutti loro , non io, bensì la grazia di Dio , quella operante con me» ( v . 1 0 ) . Egli può vantare una consistenza di cui principio attivo è solo la grazia di Dio . La formula «quel che sono» nel contesto si riferisce al suo essere apostolo . La grazia di Dio è l'iniziativa gratuita che ha costituito apostolo proprio lui . La connessione tra grazia e apostolicità è un luo­ go comune nella lettere paoline . In Rm 1 ,5 charis e apostole sono coordinate in modo che questa specifica quella : mediante il Signore «abbiamo ricevuto la gra­ zia dell 'apostolato» . È in forza della grazia a lui data che egli può esortare i cri­ stiani di Roma ( 12,3 ) , è diventato ministro di Gesù Cristo mandato ai gentili ( 1 5 , 1 5s) , ha gettato il fondamento della costruzione della chiesa corinzia ( l Cor 3 , 1 0) . A Damasco è stato chiamato da Dio «mediante la sua grazia» all'annuncio evangelico del Figlio tra i gentili ( Gal 1 , 15s) , vocazione riconosciutagli a Geru­ salemme dalle colonne ( Gal 2 ,9 ) . Il riconoscimento dell'iniziativa divina non è però a detrimento dell'attiva­ zione della sua persona: ha faticato (kopiao) più di tutti . Questo verbo e il so­ stantivo corrispondente kopos hanno nelle sue lettere una connotazione missio­ naria: è il duro lavoro sostenuto nella evangelizzazione di Tessalonica ( lTs 2,9), che la repentina partenza dalla città rischia di vanificare ( 1 Ts 3,5: «per timore che . . . diventasse vana la nostra fatica/ ho kopos hemon» ; cf. Gal 4 , 1 1 : «per ti­ more di essermi affaticato/ kekopiaka per voi invano» ) . Paolo è stato ministro di Dio ( Theou diakonoi) nelle fatiche (en kopois) ( 2Cor 6,5) . Ciascun missionario sarà ret ribuito alla fine secondo il suo proprio lavoro/ kata ton idion kop on ( l Cor 3 ,8) . La sua vita di missionario è stata segnata da fatica e travaglio (en ko­ po-i kai mochtho-i) (2Cor 1 1 ,27 ) . Un aspetto particolare è il lavoro manuale so­ stenuto per non essere di carico agli altri ( 1 Cor 4 , 1 2) . 1 19 Un passo parallelo al nostro , che sottolinea un più di Paolo rispetto agli altri missionari , è 2Cor 1 1 ,23, dove egli si confronta con i rivali subentratigli nella chiesa di Corinto : «Sono mi­ nistri di Cristo (diakonoi Christou)? Parlo come uno uscito di senno , io di più: di più in fatiche (en kopois perissoteros) » .

119

16, 16,

La fatica è anche il lavoro missionario di altri che Paolo riconosce in Rm 16.6. 1 2 ; I Cor ! Ts 5 , 1 2 ; 2Cor 1 0 , 1 5 .

l Cor

15,1-11

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Ma s'impone qui anche la citazione di Fil 2 , 10, in cui si dice convinto di non essersi affaticato invano (ouk eis kenon ekopiasa) . Questo testo per di più ci per­ mette di approfondire il rapporto tra fatica missionaria e grazia affermato nel v . 10 e cioè che l a grazia divina non è stata inefficace (ou kene) i n lui . Egli non si nasconde l'impegno profuso e gli abbondanti frutti ottenuti , cioè la creazione e la guida di comunità cristiane , ma vi scorge la presenza operante della grazia di­ vina, dinamismo attivante . L'azione della grazia e l'impegno della sua persona non sono però visti in chiave sinergetica : non l'una più l'altro , ma questo in forza di quella . Ciò spiega la successione di affermazioni e negazioni e il mutamento di soggetto che si risolve nell'unione dei due soggetti attivi : -

io ho lavorato più di tutti loro (affermazione/ soggetto io) non io però (negazione/ soggetto io) ma la grazia di Dio (affermazione/ soggetto charis) quella operante con me (affermazione/ unione soggetti attivi ) .

Il confronto è stabilito con g l i apostoli sotto d u e punti d i vista. Anzitutto egli è uno di loro , all'ultimo posto per la sua particolare inadeguatezza . Ma è a loro superiore nella fatica missionaria , una superiorità però dovuta alla grazia di Dio operante in lui , la quale non solo lo ha fatto apostolo , ma lo ha reso apostolo particolarmente impegnato e produttivo . In breve , tutto è grazia nella sua esi­ stenza ed esaltare se stesso come apostolo è, in realtà , esaltare quella . Esclusiva­ mente sua è la negatività di aver perseguitato la chiesa di Dio . v. 1 1 «Dunque sia io sia loro , così annunciamo e così avete creduto» . Con le aggiunte dei vv. 6-8 Paolo è riuscito a introdurre se stesso nel credo cristiano come testimone della risurrezione di Cristo insieme con gli apostoli. I vv. 9-10 hanno spiegato la particolarità del suo essere apostolo . Ora può ripetere la ba­ se comune del vangelo che condivide con i suoi interlocutori, con la particolari­ tà però che il binomio della comunicazione evangelica è arricchito nel polo de­ gli annunciatori : «sia io sia loro» . Il vangelo che i corinzi hanno accolto ha alle spalle l'autorevole parola di tutti gli apostoli, testimoni della risurrezione . La comunione tra Paolo e la chiesa di Corinto s'inquadra quindi in una più vasta comunanza con gli apostoli , e risulta solidissima la base argomentativa con cui affrontare la «refutatio» della tesi di alcuni ( v. 12) e la «proba ti o» della sua tesi ( di anthropou anastasis nekron/ mediante un uomo la risurrezione dei morti) . Ma , allargato i l fronte degli annunciatori del vangelo , si capisce che egli usi il presente , non l'aoristo : «così annunciamo» . La loro azione è in atto , non resta confinata nel passato . Se è ieri che essi sono giunti a credere , accogliendo il vangelo , questo è una realtà che viene di continuo proclamata e al presente fa valere ciò che implica, cioè la risurrezione dei morti , insita come speranza nel­ la fede cristologica. '

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3.2. Conseguenze catastrofiche della negazione della risurrezione (15, 12- 1 9) 1 20 Già si è dett o sopra della struttura e del tipo di argomentazione di questa unità ; ci resta da farne una lettura analitica . v. 12 Il punto di partenza, si noti , non è l'evento della risurrezione di Cristo, né la fede in esso , ma il suo annuncio : «Ora se si annuncia (keryssetai) che Cristo è stato risuscitato dai morti (ek nekron egegertai) » . Gli interlocutori sono così confrontati con il kerigma esposto sopra , da essi accettato già in passato ma qui presentato come evento attuale (cf. il presente di keryssetai) , che chiede di essere accolto anche nella sua implicanza necessaria, cioè la risurrezione dei morti . Se questo è lo scopo generale perseguito, in concreto egli vuole eviden­ ziare , agli occhi dei destinatari, l'assurdità di quanto dicono i negatori e lo fa con una domanda retorica: si deve convenire con lui che è impossibile quanto essi affermano . Nell'enunciato della risurrezione di Cristo si noti l a precisazione «dal regno dei morti»: 1 2 1 essa non è gloriosa ascesa dalla terra al cielo , bensì liberazione dal­ la tirannia della morte e uscita dalla massa dei defunti di cui ha fatto parte. Il problema del rapporto tra lui e i morti è subito posto sul tappeto . Christos egé­ gertai ek nekron (Cristo è stato risuscitato dai morti) è incompatibile con anasta ­ sis nekron ouk estin (non c'è risurrezione dei morti) : il sì alla prima proposizione comporta il sì alla seconda . All'impossibile negazione dei tines deve rispondere l'affermazione dei credenti : estin anastasis nekron (c'è risurrezione dei morti). Il sottinteso manifesto , come abbiamo anticipato sopra , è che Cristo risorto non costituisce un'eccezione , ma un prototipo ; non rappresenta un caso a sé , bensì una promessa per altri , per «quelli di Cristo» , preciserà il v . 23 . 1 22 Ma questo sa­ rà oggetto di riflessione più avanti nella pericope 20-28 . Gli basta per il momen­ to di aver adombrato la ragione soggiacente all'interrogativo retorico. La formula «alcuni tra voi» (en hymin tines) , di significato partitivo, separa i negatori dagli interlocutori: da una parte ci sono quelli con il loro dire (legou­ sin ) , dall'altra questi . Chi scrive parla con la comunità - diciamo con la maggio­ ranza della chiesa di Corinto , se solo ad alcuni è attribuita la negazione - e vuole rinsaldare con essa una comunione d'intenti già esistente (cf. vv. 1 -3 a) . 1 23 I tines e la loro parola1 24 scadono a oggetto dello scambio epistolare .

1 20 Cf. soprattutto Aletti , Barbaglio , Bucher , Sider («St . Paul's Understanding»), Zimmer. 121 Hoffmann , Die Toten , 1 80-1 85 ha mostrato che la formula ek nekron in Paolo di regola è presente nelle affermazioni riguardanti la risurrezione di Cristo e vi presuppone la concezione dello sheol, il regno dei morti. 122 Dice molto bene Luz, Das Geschichtverstiindnis, 335 : per Paolo la risurrezione di Cristo è un «Faktum» , ma in nessun modo un «blosses Faktum», perché è un «fatto» che coinvolge la risurre­ zione dei morti ; e la fede nella risurrezione di Cristo non è una fede in un'eccezione. 1 23 Puramente soggettiva è l'ipotesi di SELLIN, Der Streit,15 che individua nei tines i portavoce ( Wort lhrer) della teologia spiritualistica e dualistica della comunità . 1 4 Se l'hoti che precede anastasis nekron ouk estin è recitativo , cioè equivale ai nostri due punti e dunque introduce un discorso diretto , la suddetta proposizione indica il tenore stesso della tesi dei negatori . Se invece è dichiarativo , è Paolo che esprime con parole sue la posizione dei tines.

j/

819

l Cor 1 5 , 12-19

L'espressione anastasis nekron (risurrezione dei morti) indica la risurrezione universale di tutti i morti , oppure quella di una certa e ancora indefinita colletti­ vità collegata al caso specifico di Cristo? Oppure si deve leggere in termini inde­ terminati «una risurrezione di morti» , come fanno quanti scorgono nel brano la seguente dimostrazione logico-formale : se Cristo è risorto , almeno una risurre­ zione di morti si è verificata? Già esclusa sopra , a proposito di questa lettura ora rileviamo come il binomio che regge l 'argomentazione è uno-molti (cf. lo studio citato di B arbaglio ) , cioè Cristo e i morti in Cristo (cf. v. 18) . Paolo non ragiona così: uno è risorto , dunque non è vero che non si dà nessuna risurrezione; bensì argomenta nel modo seguente : uno è risorto , dunque non è vero che non si darà risurrezione di molti altri. v. 13 «Ebbene se non c'è risurrezione dei morti , neppure Cristo è stato risu­ scitato» . Per mostrare l'impossibilit à del dire dei negatori Paolo parte ipotetica­ mente dalla loro tesi e ne deduce l'inevitabile conseguenza: il no alla risurrezio­ ne dei morti comporta il no alla risurrezione di Cristo . E questo sempre per quel legame tra le due adombrato sopra che sarà esplicitato più avanti . La negativa «neppure/ oude» non si riferisce direttamente a Christos , come pensano i difen­ sori della presenza di un procedimento di logica formale sopra indicato . Il senso è invece il seguente: neppure è avvenuto che Cristo sia stato risuscitato . Il con­ fronto viene stabilito tra due eventi , cristologico e soteriologico ; l 'esclusione di questo implica l'esclusione di quello. v . 1 4 «Ma se Cristo non è stato risuscitato , allora inefficace ( kenon ) è il no­ stro annuncio , inefficace ( kené) anche la vostra fede» . Chi scrive non si sofferma sulla conseguenza immediata della tesi dei tines (alcuni) , cioè la negazio n e della risurrezione di Cristo . Eppure è un'enormità. Paolo sposta l 'accento sulle conse­ guenze indirette e derivate che vanno a colpire le persone dei credenti nei loro interessi spirituali Vuol dire : ne va di voi ste ssi ; se seguiste i negatori , ci perde­ reste tutto . Le prime due conseguenze derivate sono parallele: «il nostro annuncio»/ «la vostra fede» vengono privati di ogni valenz a positiva non danno i frutti promes­ si , si riducono a contenitori vuoti . Il riferi mento è ce r to allo spessore salvifico ri­ vendicato dal vangelo e dalla relativa adesione di fede . Lo mostra il passo paral­ lelo del v. 17 in cui l'inanità della fede è specificata da «siete ancora nei vostri peccati» . Ma anche altri testi p aolin i sono da addurre , come Rm 4 , 14: se l'eredi­ tà viene dalla legge, la fede cristiana è svuotata di ogni efficacia/ kekenotai; l Cor 1 , 17 : affidarsi alle risorse della sapienza umana vuol dire svuotare l'evento della croce di Cristo del suo spessore soteriologic o/ kenothé-i ; 1 5 , 10: la grazia di Dio non è rimasta inefficace in lui; 2Cor 6 , 1 : ricevere invano ( eis kenon ) la grazia di Dio ; Fil 2 , 1 5 : l'apostolo non ha corso invano (eis kenon ) (cf. anche Gal 2,2 e lTs 3 ,5) . In breve , l'annuncio e la fede in esso non hanno portato nessun beneficio ; è come se nulla fosse stato . .

,

Commento

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v. 15 «e noi ci troviamo anche a essere falsi testimoni di Dio , perché abbia­ mo testimoniato contro Dio di aver risuscitato Cristo , che non ha risuscitato se in realtà i morti non risorgono» . La terza conseguenza squalifica Paolo come an­ nunciatore della risurrezione , riducendolo a testimone di una falsità del mondo di Dio (pseudomartyres tou theou : genitivo oggettivo) . Nella sua deposizione gli si è messo contro , avendo testimoniato un inesistente evento di risurrezione a lui attribuito . È un vero stravolgimento del suo ruolo apostolico e, sottinteso , degli altri testimoni della risurrezione ( cf. vv . 5-7) . D'altra parte , non è che gli interlo­ cutori non ne siano toccati ; come possono accettare questo , se in passato hanno prestato fede alla sua testimonianza del vangelo? (cf. vv. 1 -3a. l l ) . vv . 16-17 «Se i n effetti i morti non risorgono , neppure Cristo è stato risusci­ tato . Ma se Cristo non è risuscitato . . » . Lo sviluppo di 15b ha portato Paolo lon­ tano dalla protasi «se Cristo non è stato risuscitato» del v. 14a e si è concluso con «se i morti non risorgono» , che riproduce la sostanza della protasi precedente di 13a («se non c'è risurrezione dei morti») . Per poter continuare sullo stesso argo­ mento deve riprendere la concatenazione dei vv. 13- 14a , e lo fa con la sola va­ riante terminologica notata sopra del vocabolo astratto anastasis sostituito dal verbo egeirontai. Si tratta comunque di un presente con valore di futuro : un pre­ sente grammaticale che si spiega in asserzioni di principio . Ed ecco due nuove conseguenze deleterie : «vana (mataia) (è) la vostra fede , siete ancora nei vostri peccati» . La prima ripete in sostanza quella del v. 14 con l'aggettivo mataia invece dell'analogo kene . O . Bauernfeind evidenzia così la lo­ ro somiglianza e differenza: «kenos senza valore perché privo di contenuto ; mataios senza valore perché illusorio o vano» ( GLNT VI, 1 406) . In altri ter­ mini , credere non porta a nulla , non cambia affatto la situazione della persona che resta fissata al suo passato peccaminoso , come chiarisce la seconda conse­ guenza , formalmente distinta dalla prima ma identica dal punto di vista contenu­ tistico . Il riferimento è al primo dato del vangelo : «Cristo è morto per i nostri peccati» (v . 3b) , rispetto al quale si pone in antitesi : nessuna liberazione per opera di Cristo morto . Dunque la tesi dei negatori non solo annulla l'evento del­ la risurrezione di Cristo, ma anche finisce per fare della sua morte un fatto futile (mataios) , privo di efficacia soteriologica . In breve , con la risurrezione di Cristo­ primizia (cf. v . 20) nega anche la sua morte-per-noi . .

=

=

v.

18 «Allora anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti (apolonto)».

È la terza conseguenza o implicazione1 25 che allarga il quadro delle persone inte­

ressate : oltre al «noi» e al «voi» c'è di mezzo un «essi» , che però non appare per

125 B ucher definisce così sche Argumentatio n » . 466 ) .

l'implicazione: s'intende una

proposizione «Se . . .

allora»

(«Die l ogi­

l Cor 1 5 , 1 2- 1 9

821

nulla estraneo a questi e a quello . Coinvolti sono «quelli che sono morti in Cri­ sto» , dunque i credenti defunti , che in vita hanno aderito a lui e hanno vissuto nella sua sfera d'azione . Passo parallelo potrebbe essere 1 Ts 4 , 1 4 se Io traducia­ mo così : «Dio condurrà con lui quelli che sono morti uniti a Gesù ( dia tou le­ sou ) » . 1 26 Sembra certo invece che hoi koimethentes en Christo-i è parallelo a hoi tou Christou del v. 23 e indica i credenti defunti destinati a essere risuscitati nella parusia. Paolo dunque pensa alla risurrezione dei credenti , non a quella univer­ sale dell'apocalittica, e mostra come la sua negazione comporti la loro perdizio­ ne eterna, 1 27 essendo vero che per lui non esiste altra soluzione positiva circa l'aldilà: sono preda della morte , privati della comunione di vita con il Signore (cf. lTs 4 , 18) . Il verbo apollymil «mando in perdizione» con il sostantivo corri­ spondente apoleial perdizione , usati spesso da Paolo , hanno appunto questo si­ gnificato escatologico , antitetico a sozolsoteria (salvo/salvezza) (cf. l Cor 1 , 18 e 2Cor 2 , 1 5 : (en) tois apollymenoisl tois sozome n ois : perduti/ salvati ; Fil 1 ,28 : apoleias/ soterias) . Fil 3 , 19 afferma che l'apoleia è il telos , cioè il traguardo fina­ le , di quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo . In Rm 2 ,2 il verbo apollysthai è il destino di quanti peccano e appare in parallelismo con il giudizio di condanna ( k rinomai) . v. 19 «Se in questa vita soltanto ( monon ) abbiamo sperato in Cristo , siamo i più miserabili di tutti gli uomini» . Delle diversità strutturali e terminologiche di quest'ultimo periodo ipotetico della pericope si è detto sopra . Paolo introduce in modo esplicito il motivo della speranza per rilevarne i limiti insiti nella tesi dei ti­ nes : negare la risurrezione dei morti equivale a restringere l'orizzonte della spe­ ranza cristiana (unità letteraria «noi») al campo dell'esistenza terrena. 128 Questa protasi dunque equivale in sostanza a quella dei vv. 1 3a e 1 6a 1 29 e implica per se stessa, senza passare attraverso l'implicata negazione della risurrezione di Cri­ sto , che i cristiani («noi») sarebbero le persone più degne di compassione al mondo. Hanno infatti puntato tutto sulla salvezza finale e si trovano a esserne privati , dovendosi accontentare dei beni presenti . Più esaltante è l 'oggetto del desiderio , più amara, se viene mancato , la delusione .

126 Questa formula però può essere collegata con il verbo principale e indicare la mediazione di Gesù nel condurre i morti alla salvezza finale e verso questa ipotesi propendiamo . Vedi in proposito lov!No, La prima lettera ai Tessalonicesi, 220s . 127 Il nostro passo parla direttamente dei credenti già deceduti , per questo usa il verbo all'aori­ sto ( apolonto) ; ma è un destino uguale per tutti : la perdizione sarà la sorte di tutti i cristiani se Cristo non è stato risuscitato . 1 28 È possibile un'altra lettura : riferire l'avverbio «soltanto» ( monon) non a «in questa vita», bensì al verbo sperare : se in questa vita abbiamo solo sperato , sottintendendo che ci vuole ben altro che sperare . Così per es. ALLO , Saint Paul, 407 che ricorre alla formula inglese: se in questa vita noi siamo «Only hopers» in Cristo, e anche Luz , Das Geschichtverstiìndnis, 335s . Ma il contesto fa prefe­ rire l'interpretazione data, senza dire , come nota Conzelman n , che elpiz6 è usato sempre da Paolo in senso positivo . 129 HoFFMAN N , Die Toten , 245 annota qui che zoe aute è antitetica a zoe ekeine del mondo della risurrezione .

822 3.3.

Commento

Risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti (15, 20-28) 130

Per la struttura del brano e il tipo specifico dell'argomentazione si rimanda a quanto è stato detto sopra . L'analisi minuziosa del testo completa l'approccio. v. 20 «Ora invece (nyni de) 131 Cristo è stato risuscitato dai morti , primizia di quelli che sono morti» . In questo snodo del suo dettato e , insieme , del suo argo­ mentare Paolo vuole dimostrare il nesso inscindibile tra il destino di Cristo risor­ to e quello dei credenti , presupposto e sottinteso nella pericope precedente . A tale scopo ritorna al dato evangelico , che i negatori finivano per negare , assu­ mendolo come «propositio» . A oude Christos egegertai/ né Cristo è stato risusci­ tato» contrappone infatti (cf. l'avversativa de) Christos egegertai ek nekronl Cri ­ sto è stato risuscitato dai morti . Ma ne precisa subito il dettato aggiungendovi: «(come) primizia (aparche) di quelli che si sono addormentati nella morte» . 132 In realtà, si tratta di una interpretazione necessaria a esprimerne la densità di signi­ ficato . L'immagine dei primi frutti del campo o dei primi nati del bestiame da of­ frire al tempio (cf. G . Delling, in GLNT I , 1 288- 1293) dice che si tratta non di un caso sporadico e unico : Cristo è risuscitato non come il solo , bensì come il primo di una serie di morti che risusciteranno . L'interpretazione teologica del credo primitivo avviene dunque chiarendo l'identità del risuscitato e approfondendo la valenza dell'evento . Non è un individuo a parte , ma il primo anello di una cate­ na; come risorto Cristo è collegato strettamente a una collettività . La sua risur­ rezione travalica , negli effetti, i confini del primo beneficiario . Perché primizia degli addormentati nella morte (ton kekoimemenon)133 inve­ ce che dei risorti? Per significare il comune punto di partenza , l'abitazione nel regno dei morti (cf. Cristo è stato risuscitato «dai morti»lek nekron) . La risurre­ zione di Cristo e quella dei credenti sono parimenti liberazione dalla morte, eso­ do dagli inferi . vv. 21 -22 «Poiché in effetti per mezzo di un uomo si ebbe la morte e per mez­ zo di un uomo si avrà la risurrezione dei morti . Come infatti mediante Adamo tutti muoiono , così anche mediante Cristo tutti saranno vivificati» . Sono due versetti paralleli , di cui il secondo riprende le affermazioni del primo ma chia­ rendole . Anzitutto viene svelata l'identità dei due principi attivi : «mediante un uomo (di' anthropou)» , ripetuto nel v . 2 1 , diventa rispettivamente «in Adamo (en to-i Adam)» e «in Cristo (en to-i Christo-i)». 134 Inoltre il v. 22 specifica nel

130 Cf. gli studi di Barret t , G. Barth («Erwiigungen») , Black , Carrez , Doughty, Heil, Hill , Lambrecht , Lindemann («Parusie Christi» ) . 1 3 1 Ecco come ALLO, Saint Paul, 405 legge questo « a t tacco » del v. 20: «è un'esclamazione di sollievo». 1 32 E spre ss ione analoga è prototokos ek (ton) nekron (primogenito tra i m o rti) (Col 1 , 18; Ap 1 ,5 ) . 133 L'immagine d e l sonno , qui come a l v. 1 8 (hoi koimethentes) , non allude alla risurrezione (egeirein : risvegliare dal sonno), è solo una metafora per indicare la morte . 134 Non sembra che ci sia diversità nel cambio delle preposizioni dia con en : si tratta sempre di causa l i t à Inoltre la particella en applicata alla solidarietà con Adamo si spiega come trasposiz ione dell'uso cristologico (en Christo-i) . .

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senso dell'universalità i soggetti su cui si esercita l'influsso dei due prototipi: pantes I tutti. Infine mentre nel v . 21 le due affermazioni erano semplicemente coordinate , ora costituiscono una comparazione : «Come/ hosper - così/ houtos» ; Paolo intende evidenziare la sua tesi cristologica ricorrendo a un paragone noto . Sono due periodi paralleli che intendono motivare l'applicazione dell'imma­ gine cultuale dell ap a rch e I primizia a Cristo risorto , interpretandola come espressiva di un nesso causale tra lui e i morti ; egli è il primo risorto che influisce sui morti risuscitandoli. Ma come rendere plausibile tale rapporto presentato in forma di tesi? Per illustrarlo Paolo fa ricorso al parallelismo Adamo-Cristo . Il primo è stato principio attivo d'influsso universale nel senso negativo della mor­ te . Non ha bisogno di dimostrarlo , lo dà per scontato . La letteratura giudaica del tempo l'attesta più volte : Sir 25 ,24: «Da una donna (viene) l 'inizio del peccato (arche hamartias) , e per mezzo di lei tutti moriamo (di'auten apothneskomen pantes)» ; 4Esdra 3 , 7 : «et buie mandasti diligere viam tuam , et preteri­ vit eam, et statim instituisti in eo mortem e in nationibus eius» ; 7 ,48: «0 tu, quid fecisti , Adam? Si enim tu peccasti , non est factus solius tuus casus, sed et noster qui ex te advenimus» ; 2Baruc 17 ,2-3 : «Giacché che è valso ad Adamo esser vis­ suto novecentotrenta anni se ha trasgredito ciò che gli era stato comandato? Non gli è dunque valso a niente vivere sì a lungo , ma egli ha portato la morte ed ha dimezzato gli anni di coloro che erano nati da lui»; 23 ,4: «Giacché quando Adamo peccò e fu decretata la morte per tutti i nascituri , allora fu contata la moltitudine di quelli che sarebbero nati e per quel numero fu preparato un luogo dove avrebbero abitato i viventi e dove sarebbero stati conservati coloro che muoiono». Se questo è un caso acclarato in cui un uomo ha determinato il destino di tut­ ta l'umanità , non è impossibile un altro caso parallelo , in cui però l'influsso sia nel senso della vita creata , non della morte recata . E se è pensabile , a Paolo di affermare tale eventualità come evento che egli deduce dal contenuto essenziale del vangelo : «mediante Cristo tutti saranno vivificati» . Cristo è risorto come il vivificatore dei morti, principio attivo di risurrezione . rn Degna di approfondimento è la specificazione del v . 22 in senso universalisti­ co . AI parallelismo Adamo-Cristo soggiace lo schema uno-tutti , sviluppato so­ prattutto in Rm 5 , 12ss. Ma si tratta di un «tutti» coestensivo all'umanità, oppure di un'universalità relativa? A favore della prima lettura , sostenuta con forza da Aletti 74-76 1 36 per es . ma avversata con altrettanta forza , sempre nel «Colloquio Paolino» citato , da Barrett , «The significance», 108 , gioca senz'altro il senso illi­ mitato di «tutti» nel caso di Adamo , mediante il quale la morte è entrata nel mondo . La simmetria del paragone , si osserva, esige che altrettanto deve valere '

135 Cf. S. LYONNET, «Le problématique du péché origine! dans le Nouveau Testament» , in E . CASTELLI, a cura di, Il mito della pena, Roma 1967 , 101-108.

1 36 Anche Lindeman n , «Paulus», 383 e 39l s ritiene che non si tratta esclusivam.ente di morti cri­ stiani e ciò vale pure per lTs 4 .

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Commento

del «tutti» di cui Cristo è principio di risurrezione . Ma subito dopo al v. 23 Paolo afferma che alla parusia «saranno vivificati» o risorgeranno 137 hoi tou Christou , quelli che appartengono a Cristo per i vincoli della fede e del battesimo , in breve tutti i credenti . Inoltre il verbo zoopoieo al v . 45 qualifica l 'azione pneumatica di Cristo che vivifica i morti della stessa sua vita di risorto ; come farne beneficiari coloro che non gli appartengono? La risurrezione per Paolo è una pneumatizza­ zione della persona e come tale equivale alla salvezza finale . Si veda Rm 8 , 1 1 : « E se I o Spirito d i Colui che h a risuscitato Gesù dai morti abita i n voi, chi h a ri­ suscitato dai morti Cristo vivificherà (zoopoiesei) anche i vostri corpi mortali mediante il suo Spirito abitante in voi» . Si aggiunga che l 'apostolo neppure allu­ de al giudizio, per il quale la tradizione giudaica , attestata pure nel NT, u8 ha esteso la risurrezione ai malvagi . Del resto anche in Rm 5 ,12-21 , dove lo schema uno-tutti appare esplicito e insistito , l'universalità dell'influsso di Cristo è speci­ ficata : l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia è per quelli che l'ac­ colgono (hoi lambanontes) (v. 17) . Inoltre sempre in Rm 5 Paolo afferma che la giustificazione di tutti è mediata da uno solo , Cristo (v. 19) , ed è noto che secon­ do la sua nota teologia di Gal e Rm questa si ha per fede (pistei, dia pisteos, ek pisteos, epi te-i pistei) . Comunque nel parallelismo Cristo-Adamo l 'accento cade sull'influsso che questi prototipi esercitano sui molti : l 'interesse di Paolo infatti è quello di pre­ sentare la risurrezione di Cristo come evento che travalica l'individuo. Il pantes I «tutti» è richiesto dal paragone con Adamo , che la tradizione giudaica su citata indicava come principio di morte per tutti gli uomini . vv. 23-24 «Ma ciascuno al suo proprio posto (tagmati) : primizia (aparche) Cristo , poi (epeita) alla sua venuta quelli che sono di Cristo (hoi tou Christou) ,

1-"

Nel nostro contesto z6opoie6 è la vivificazione che si h a nella risurrezione . Già a p p a r e pro­ legge del para l lelismo dei vv. 21 -22 in cui il nostro verbo co rri s p o nde a anustasis nekr611 . Si aggiunga il s uo uso nel v. 36 che mette in campo , come immagi ne della risurrezione , il seme nudo che muore sottoterra per essere vivificato (zoopoietai) , e nel v. 45 come qualifica di Cristo proc l a m a ­ to «S p i rito vivificante (pneuma zoopoioun ) » , cioè principio creativo di vita nuova a favore dei morti . Infine si veda Rm 4,17: « . . davanti a Dio che vivifica (zoopoiountos) i morti»; 8 , 1 1 : « co l ui che ha ri­ s uscit a to (ho egeiras) Cri s to dai morti vivificherà (zoopoiesei) anche i vostri corpi morti». Tale speci­ ficità del verbo gli deriva dalla tradizione vt e giudaica. Cf. 2Re 5 ,7 : Dio è colui che fa morire e fa ri­ vivere (thanatosai kai zoopoiesai) ; Sai 70,20: «mi hai fatto rivivere (ez6opoiesas) e di nuovo mi hai fatto salire dagli abissi de l la terra»; Liber Antiquitatum Biblicarum 3, I O : vivificabo morcuos ; 25.7: Deus miserebitur vobis cum vivificabit mortuos». Cf. qui il volume di Marcheselli-Casale. Si aggiun­ ga infine la p reghie r a Shemone Esre, seconda preghiera , che mette in paralleli s mo ri suscitare e vivi­ ficare , come ha notato Cothenet, «Corps psychique», 48: «Tu sei o n nipotente , tu abbassi gli orgo­ gliosi . tu fortifichi, tu giudic h i gli o ppres s ori tu vivi in eterno , tu risusciti i morti. tu comandi al ven­ to e tu fai ca dere la rugiada, tu nutri i viventi, tu rivifichi i morti , i n un batter d'occhio la salvezza germi n erà per noi . Benedetto sci tu, Jahvè . tu chi vivifichi i morti» (F. MANNS, La prière d'/srae/ à /'heure de Jésus , Jérusalem 1 986 , 142) . 1 3" Cf. Gv 5 ,29: « tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la s u a voce e ne usciranno, quanti fece ro il bene per una risurrezione di vita (eis anastasin zoes) e qua n t i fecero il m a l e per una risurre­ zione di co nd anna (eis anastasin kriseos)» e At 24, 1 5 : « . . ci sarà una risurrezione dei giusti e degli in­ giusti (anastasin dikaion te kai adikon)». bativa la

.

,

. . .

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quindi (eita) la fine (to telos) , quando egli consegnerà il regno a Dio e Padre , do­ po aver ridotto all'impotenza (katargese-i) ogni Principato e ogni Potestà e Po­ tenza». Si è detto sopra che abbiamo qui un'altra «propositio» , subordinata a quella del v . 20 ; essa precisa lordine di successione degli eventi escatologici in cui prende posto la risurrezione finale dei credenti . In realtà, Io schema «primo­ successivi» era stato già indicato al v. 20 con la formula «primizia dei morti» che stabiliva questo ordine di successione : prima Cristo , poi i morti . I vv . 23-28 lo ri­ prendono per svilupparlo e completarlo. Cristo risuscitato costituisce il primo di una serie di eventi che ne estendono l'azione salvifica in senso cosmologico . Op­ portunamente Sellin , Der Streit, 261 intitola il brano «Dimensione cosmica della risurrezione di Cristo» . II v . 23a enuncia la tesi in termini sintetici e generali: ciascuno dei due poli indicati sopra , Cristo e i morti , occupa un posto specifico nella linea cronologi­ ca . 1 39 Quindi si determinano le rispettive collocazioni temporali: prima Cristo nel tempo passato della sua risurrezion e , poi quelli di Cristo nel tempo della sua futura parusia . 1411 Ma chi scrive non si accontenta di chiarire il contenuto della «propositio» del v. 20 ; di fatto la «propositi o» dei vv . 23-24 costituisce rispetto a questa una chiara espansione , perché aggiunge il motivo del compimento finale: «quindi (eita) la fine (to telos)» . Assumiamo questa particella in senso logico , non cronologico : to telos non è qualcosa che viene dopo la risurrezione di quelli che sono di Cristo e la parusia , ma indica il punto di arrivo segnato appunto da­ gli eventi finali suddetti e dalle loro implicazioni che saranno indicate subito do­ po : vittoria sulla morte e sulle potenze celesti nemiche , sottomissione di tutte le cose a Cristo , consegna del regno di Cristo a Dio . Con la formula hoi tou Christou (quelli che appartengono a Cristo) l'aposto­ lo interpreta i pantes I «tutti» del v. 22 in senso relativo : si tratta della totalità dei credenti che attraverso fede e battesimo diventano «di Cristo» . 141 Paolo dunque , lo ripetiamo , non ha di mira la risurrezione universale di marca apocalittica , ma quella dell'universalità dei cristian i . È vero , il testo non specifica , limitandosi a parlare di quelli che sono di Cristo nella sua parusia, ma di certo si riferisce a quanto detto appena prima: ci sarà per loro l'anastasis nekron (la risurrezione dei morti) o lo zoopoiethesontai (saranno vivificati) .

1 '9 I l significato di tagma è così presentato da G . Delling, in G L N T X I I I , 906 : «ciascuno nella propria posizione, nel proprio stato » . '"' N o n riteniamo, come pensa p e r e s . E. KA.sEMAN N , «Apocalittica cristiana primitiva » , i n Sag ­ gi esegetici, 1 20ss , seguito da WENDLAN D , Le Lei/ere , 275 , che Paolo sottolinei in modo polemico la distanza tra la risurrezione di Cristo e quella dei credenti per opporsi al preteso entusiasmo dei co­ rinzi . Centrale nel suo pensiero è la solidarietà dei cristiani con Cristo . Contro Kasemann si è pro­ nunciato per es. anche Lu z , Das Geschichtverstiindnis , 336: Paolo ha di mira primariamente non il carattere futuro ( «die Zukunftigkeit» ) della nostra risurrezione , bensì l a realtà ( «Wirklichkeit» ) del­ la futura risurrezione. '" Circa questo genitivo di appartenenza, che caratterizza in maniera originale , secondo Paolo , l'esperienza cristiana, vedi soprattutto Gal 5 ,24: «hai de tau Christou Jesou » , ma anche Gal 3 ,29; ! Cor 1 , 1 2 ; 3 ,22 ; 2Cor 1 0 , 7 ; Rm 8,9.

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«Al momento della parusia di Cristo» è un motivo già presente in lTs 4, 16, chiaro passo parallelo , ma anche in lTs 2 , 1 9 ; 3 , 1 3 ; 5 ,23 . Si tratta di una catego­ ria della teologia antiochena che caratterizza la 1 Ts . Il nostro è l'unico passo del­ la l Cor in cui è attestata , ma non riveste particolare importanza , cadendo l'ac­ cento su hoi tou Christou e sulla loro risurrezione . 142 Il quadro finale (to telos) è tratteggiato al v . 24. to telos è la realtà finale e fi­ nalistica. 1 43 Carrez , «Résurrection » , 1 3 1 perciò a ragione traduce con «achève­ ment», compimento della storia salvifica . Come vi si arrivi lo si chiarisce con due proposizioni parimenti rette dalla congiunzione temporale hotan , ma indicanti due eventi subordinati l'uno all'altro e successivi. Lo ha ben notato Lambrecht nel sottolineare la differenza tra il congiuntivo presente di paradido-i e l'aoristo congiuntivo di katargésé-i: la riduzione delle potenze all'inoperatività è anterio­ re alla consegna del regno a Dio . Il traguardo ultimo , dice Paolo , consiste nella consegna del regno messianico a Dio . La prospettiva finale è dunque di carattere «teologico » . Qualcosa di ana­ logo leggiamo in Pirqé di Rabbi Eliezer 1 1 : «Dieci re regnarono da un capo al1' altro del mondo . Il primo re fu il Santo , benedetto egli sia , che regnò nei cieli e sulla terra : poi gli venne in mente l 'idea di instaurare dei re sulla terra . . . Il secondo re fu Nemrod . . . Il terzo re fu Giuseppe . . . Il quarto re fu Salomone . . . Il quinto re fu Achab . . . Il sesto re fu Nabucodonosor . . . Il settimo re fu Ciro . . . L'ottavo re fu Alessandro di Macedonia . . . I l nono re sarà il re messia che regne­ rà in avvenire da un confine all'altro dell'universo . . . Con il decimo re la sovrani­ tà ritornerà al suo Proprietario e Colui che fu il primo re sarà anche l'ultimo». È l 'unica volta che il proto-Paolo parla del regno di Cristo, 144 un motivo pre­ sente nella tradizione protocristiana, come documenta la sua molteplice attesta­ zione nei diversi filoni del NT (cf. Mt/Lc, Gv, protopaoline, deuteropaoline , Eb, 2Pt) . Forse , come ipotizza Carrez, «Résurrection» , 128 e 145 , era conosciu­ to nella chiesa di Corinto , come sembra risultare da lCor 4,8, in cui Paolo con fi­ ne umorismo dice ai suoi interlocutori che sarebbe ben lieto di partecipare, con loro , al presente alla gloria del regno : «Già siete sazi , già siete diventati ricchi; senza di noi siete giunti a regnare , e volesse il cielo che foste giunti a regnare , perché anche noi potessimo regnare insieme con voi ! » . N e parla qui dal punto d i vista del traguardo finale della storia e dunque co­ me di una conquista realizzata , che comporta l 'annientamento non delle potenze celesti , bensì del loro potere d'influsso negativo sulla storia . 145 Queste rappre'" Cf. la ricerca di R ad i al paragrafo « I Cor 1 5 ,23: risurrezione nella paru sia di Cristo» (An­ kunft des Herrn , 167ss) , che insiste su questa secondarietà del motivo della parusia nel quadro esca­ tologico di Paolo , dove centrale è il tema della risurrezione e della vita (cf. anche ibid. , 2 12ss). w In modo a r b itrari o alcuni esegeti , come Lietzmann, leggono in to telos «il resto» dell'umani­ tà. così che si avrebbe la t riade : Cr isto , i crede nti , gli altri uomini. Ma è un significato sconosciuto

per � uesto sostantivo , ha già ri levato Kiimmel nelle sue note al commento del suddetto studioso. '4 In Col e Ef a bb ia m o altre due attestazioni impo r tant i della tradizione paolina più pro ss im a : « (Dio) , il quale ci trasferì nel regno del figlio del suo amore» (Col 1 , 1 3 ) ; «nessun fornicatore o impu­ ro o avaro , cioè idolatra , ha eredità nel regno di Cr isto e di Dio» (Ef 5,5). Vedi lo studio di Hill. "5 katargein ha due significati , annientamento e rid u zi o ne all'impotenza . Sarà il con testo a in­ di rizzare la scelta .

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sentano grandezze cosmiche rivali e nemiche che Cristo , per poter affermare la sua regalità o signoria, deve ridurre all'impotenza. Il suo regno dunque , in quan­ to scaturisce da una vittoriosa lotta contro tali «nemici» , ha una specifica conno­ tazione cosmica. Passi paralleli nel NT sono Ef 1 ,20-21 : « . . . quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli , al di sopra di ogni principato e autorità e po­ tenza e dominazione , cioè di ogni dignità esistente non solo nel secolo presente ma anche nel futuro» ; e lPt 3 ,22: «dopo essere andato in cielo e dopo che gli so­ no stati assoggettati (hypotagenton auto-i) angeli , principati e potenze (aggelon, exousion, dynameon)» . 146 Comunque solo nelle due lettere della prigionia queste «potenze» ottengono un certo interesse . La loro interpretazione corre in due direzioni distinte , essen­ do intese come grandezze mitologiche o anche come realtà storiche riassumibili nel potere . 147 vv. 25-28 Costituiscono la «probatio» della tesi suddetta, in pratica però sol­ tanto di to telos , il solo motivo che di fatto Paolo sviluppa, dimostrando in pro­ posito un chiaro interesse apocalittico-cosmico . Questo però non lo porta lonta­ no dal tema centrale. Egli intende condurre a compimento la sua argomentazio­ ne cristologica , adducendo la ragione più decisiva a favore della speranza nella risurrezione dei morti. G. Barth annota che pas/ «tutto» nei vv . 24-28 ricorre non meno di 10 volte e che la formula conclusiva della pericope è «Dio tutto in tutto». Evidenzia così l'argomentazione paolina: chi nega la risurrezione dei morti, esclude il supera­ mento della morte dalla signoria di Cristo , nega che questi abbia sottomesso tut­ to («Erwagungen» , 523) . E conclude che per Paolo l'annuncio della futura risur­ rezione dei morti è un'affermazione cristologicamente necessaria (ibid. , 524) . v. 25 « È necessario (dei) infatti che egli regni (basileuein) finché non abbia posto (thé-i) tutti i nemici (pantas tous echthrous) sotto i suoi piedi». Anzitutto Paolo dimostra «ex Sacra Scriptura» 1 48 la prospettiva del regno di Cristo ; questo

146 BLACK, «Pasai exousiai» , 75 ritiene che in l Cor 1 5 ,24-7; Fil 1 ,20- 1 ; l Pt 3 ,22 abbiamo a che fare con il theologoumenon o christologoumenon protocristiano dell 'ascensione in cui la vittoria di Cristo , predetta dal Sai 1 1 0, l , deve essere sopra p rinci p a t i e potenze; e in p ro po s ito ritiene che l'ispi­ razione sia di D n 7,26-27: LXX pasai (hai) exousiai a utò - i hypotagésontai; Teod . pasai hai archai au­ tò-i douleusousin . Un cristiano ha fatto un pesher di questo passo di Daniele basandosi sulle parole pasai exousiai hypotagésontai, un pesher presente nei nostri tre p assi . 147 Vedi in generale il volumetto di H. ScHLIER, Principati e potestà nel Nuovo Testamento, P ai ­ dei a , Brescia 1 967 . 148 Le non poche libertà di linguaggio che Paolo si è preso citando il Sai 1 10 , come anche il Sai 8 poco oltre , hanno indotto si a E . E . ELus, Paul's Use ofthe Old Testament, London 1 957 ( G rand Ra­ p ids 1981) sia O.A. KocH, Die Schrift a/s Zeuge des Evangeliums, Tiibingen 1 986 a escludere 15 ,25 dall ' el e nco delle citazioni bibliche . Sulle citazioni scritturistiche della l Cor vedi G. BARBAGLIO , «L'u­ so della Scrittura nel proto-Paolo», in E . NoRELLI, a cura di , La Bibbia nell'antichità cristiana, E D B , Bologna 1 993 , 65-85 .

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fa parte del disegno di Dio profetizzato nel Sai 1 10 , l (LXX 109 , 1 ) . Non è dun­ que un'eventualità più o meno fondata, ma una necessità. La citazione paolina tradisce libertà importanti rispetto al testo dei LXX. 149 La prima: al posto del­ l'imperativo divino rivolto al re d'Israele «Siedi alla mia destra» , Paolo afferma la necessità «che egli (Cristo) 1 50 regni» . Comunque , a parte il verbo «è necessa­ rio » , il contenuto appare identico : sedersi alla destra di Dio vuol dire partecipa­ re della regalità divina. L'apostolo vi ha aggiunto di suo il motivo della necessi­ tà, di una necessità di tipo scritturistico (Schriftnotwendigkeit) , come ha ben det­ to Weiss nel suo commento , indispensabile all'andamento dell'argomentazione teologica. La seconda : se nel salmo è Dio ad assoggettare i nemici al suo unto, Paolo non distingue tra chi assoggetta e il beneficiario di tale azione , attribuen­ do l'azione di assoggettamento allo stesso Cristo . 1 5 1 La scelta del verbo basi­ leuein poi , invece della formula plastica «Siedi alla mia destra» , è comandata dal motivo del regno (basi/eia) di Cristo del v. 24 . Infine a «nemici» viene aggiunto l'aggettivo «tutti» , accentuando così la totalità e universalità della signoria di Cristo . Comunque l'aspetto più radicale della rilettura paolina è l'applicazione cristologica: si tratta di Cristo risorto , qualificato sopra come aparche/ primi­ zia . 152 Questo e la formula iniziale della citazione «finché non abbia posto» ci per­ mette di leggere tra le righe del testo paolino che la signoria vittoriosa di Cristo sui nemici è cominciata con la sua risurrezione e raggiungerà l'apice quando tutti saranno assoggettati o vinti . Si tratta dunque di un processo con inizio , sviluppo e finale trionfante. Il motivo della signoria con sottomissione delle potenze contrarie ha un pre­ cedente chiaro in Dn 7 ,27 imperniato su colui che è «come figlio d'uomo»: «tutte le potenze saranno assoggettate a lui» (pasai exousiai auto-i hypotagesontai) . 149 Ecco il confronto : dei gar auton basileuein kathou ek dexion mou heos an tho-i achri hou the-i tous echthrous sou pantas tous echthrous hyf; o tous podas autou hypodion ton podon sou. 50 Il soggetto del verbo basileuein è senz'altro cristologico , perché vi si riprende il sostantivo ten basileian del versetto precedente di cui il soggetto è indubbiamente Cristo . 151 Il verbo the-i riprende la formula auton basileuein il cui soggetto, come si è detto, è C risto ; per questo s'impone l'identità del soggetto . Ma questa lettura , difesa da Lambrecht, Aletti , Conzel­ mann, ecc. è contestata da Lindemann e Heil che vi leggono Dio come soggetto di the-i e delle ripe­ tute ricorrenze successive del verbo hypotassein . 152 Essendo riferito a Cristo risorto , l'originalità della lettura paolina resta , anche se nella tradi­ zione giudaica il salmo era forse letto in chiave messianica , come dice LAMBRECHT, «Paul's Chris t olo­ gical Use » , 512. Invece Strack-Billerbeck ha dichiarato che fino alla seconda metà del III secolo d . C . non ci sono tracce benché minime di una comprensione messianica del salmo 1 1 0 (cf. IV , 1 , 1 8 . Ex­ kurs, 452) . Di certo fu letto in chiave cristologica nella chiesa protocristiana (cf. Mc 12 ,36 pa r : At 2 ,34; Eb 1 , 1 3) . Restano da spiegare le diversità minori , che sono anche l e più difficili da attribuire a un deliberato intervento di chi cita : ,achri hou al posto di heos an e la preposizione hypo al posto del sostantivo h_vpopodion (sgabello) . E probabile che Paolo abbia ricevuto tale citazione biblica dalla tradizione orale protocristiana , in cui doveva avere un suo posto , se è vero che il Sai 1 09 , 1 viene più volte citato nel NT, come si è visto sopra . La preposizione al posto del sostantivo potrebbe essere stata suggerita dall'analogia con la citazione di Sai 8,7: sotto i suoi piedi».

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«. . .

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vv. 26-27a «Ultimo nemico viene annientata (katargeitai) la morte . Tutto in­ fatti sottopose (hypetaxen) sotto i suoi piedi» . Paolo, che aveva già universaliz­ zato il motivo dei «nemici» , ora rilegge la loro identità e può applicare il detto del salmo a una realtà nuova, nemica di Cristo , la morte . 153 Questa dunque non è solo nemica dell'uomo . La posta in gioco è sì antropologica , ma ancor più cri­ stologica e teologica. Anzi la soluzione antropologica poggia sul dato della si­ gnoria di Cristo e di Dio , più esattamente sul suo carattere universale e cosmico , che non ammette limiti , neppure quello della morte . 154 L'apostolo è arrivato così dove mirava e il suo interesse primario appare an­ che dal fatto che , non contento della prova scritturistica addotta, fa ricorso a una seconda. La signoria di Cristo è dimostrata anche ricorrendo al Sai 8, cui la tra­ dizione giudaica aveva conservato il significato originario antropologico , come rileva Lambrecht 5 1 2 . 155 In concreto , Paolo vuole motivare il katargeitai della morte del v. 26, peraltro già giustificato al v. 25 con il Sai 1 10 . E anche qui il con­ testo chiarisce che si tratta di Cristo e della sua azione : ciò che nel Sai era detto dell'uomo e del suo dominio creaturale sulla terra , ora passa a indicare la signo­ ria cosmica ed escatologica di Cristo . 156 Dunque si è verificato un doppio passag­ gio ermeneutico , dall'antropologia alla cristologia e dalla storia all'escatologia. Se nella citazione del Sai 1 10 la totalità era quella dei nemici (pantas tous echthrous) , ora abbiamo il pronome plurale neutro panta : campo della signoria e regalità di Cristo è la realtà cosmica . Il passo del Sai 8 è citato in altri testi nt, tutti impegnati ad esaltare la sovranità cosmica di Cristo . In Fil 3 ,20-21 leggia­ mo: «di là (dai cieli) aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo che trasfi­ gurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso secondo l ' e­ nergia del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose (hypotaxai a u to - i ta panta)» . Ef 1 ,22 commenta con il Sai 8,7 l ' intronizzazione celeste di Cristo al di sopra delle potenze : «Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi» . Da parte sua Eb 2 , 6-8 cita per esteso il Sai 8 (vv. 5-7) che commenta così : «Avendogli infatti as­ soggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse assoggettato . Adesso pe­ rò non vediamo ancora che tutte le cose sono assoggettate (ta panta hypotetag-

153 CARREZ , «Résurrection», 1 43 di s tingue tra basileuein e kyrieuein : con il primo Paolo indica i l punto di arrivo della signoria d e l risorto, appunto il s u o regno , con i l secondo il punto d i partenza , la risurrezione di Cristo . Questa i n fa tti lo costituisce appun t o kyrios ( cf. per es Rm 1 0 , 9 ; Fil 2 , I Os ) . 1 54 Il verbo katargeitai ripre n de la formula del v. 24: hotan katergese·i riferita alle potenze ; que ­ sto potrebbe indurre a intenderlo allo stesso modo , ma trattandosi della morte sembra imporsi il si­ gnificato di annientamento . 1 55 Ecco il confronto della citazione con il testo LXX di Sai 8 , 7 : panta hypetaxas - panta (gar) hypetaxen - hypo tous podas autou hypokato ton podon autou. Nel Sai 8 , 7 è Dio creatore che ha sottomesso tutto all'uomo, mentre in Paolo, come mostrere ­ mo subito, l'agente della sottomissione è Cristo. 156 Il verbo «assoggettò» I hypetaxen , come mostra la particella gar, dice riferimento a katargei­ tai del v. 26, un ve rb o che sotti n tende come soggetto Cristo , poiché riprende katargese-i del v. 24 che , parallelo a paradido-i, ammette come soggetto Cristo: costui consegna a Dio il regno dopo aver ridotto all'impotenza le forze nemiche . Dunque anche di hypetaxen il soggetto è Cristo.

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m ena ) » . Si noti che qui , come del resto in Ef, in linea con il dettato salmistico , è Dio che assoggetta a Cristo tutto , mentre nel passo di Fil soggetto attivo è Cristo stesso . Infine lPt 3 ,22 presenta una chiara allusione al Sai 1 1 0 nella prima pro­ posizione: «il quale è alla destra di Dio , dopo essere andato in cielo e dopo che gli sono stati assoggettati ( hypotagen ton a uto i) angeli , principati e potenze». Il salmo è citato da Paolo per mostrare che nulla sfugge alla signoria di Cri­ sto , neppure la morte . Q uesta fa parte sia di tutti i nemici posti sotto i piedi sia di tutte le cose sottomesse. Lo mostrano gli stretti legami del v. 26 sia con la cita­ zione del v. 25 attraverso la categoria di nemico (echthrousl echthros) , sia con quella del v. 27 attraverso il motivo della totalità (panta) e l'aggancio letterario della particella gar. Le due citazioni salmistiche , parimenti utili a evidenziare la vittoria sulla morte, 1 57 mostrano altre due differenze. L'assoggettamento dei nemici è visto nella citazione del Sai 1 1 0 come un processo che si svolge sino alla totale vittoria ( «finché non abbia posto» ) , mentre nella citazione del Sai 8 l'aoristo hypetaxen esprime un dato compiuto, vale a dire la piena signoria di Cristo alla fine. Inol­ tre nel primo caso si tratta di lotta vittoriosa contro degli oppositori , invece nel secondo di assoggettamento di tutta la realtà cosmica, anche quella non nemica, a Cristo e a Dio. Se i nemici sono sbaragliati e messi fuori combattimento, 158 la creazione intera (panta) assume l'aspetto di realtà docile al volere di Cristo e di Dio e dunque in armonia con il progetto divino . Si tratta di due aspetti comple­ mentari della signoria cristologica e «teologica» . Questo ci permette di individuare la concezione paolina della morte quale potenza cosmica: come le potenze celesti , parimenti ridotte all'impotenza, essa è vinta e come «cosa» che fa parte di panta, cioè della creazione, deve sottostare al volere di Cristo e di Dio. In ogni modo , la morte specifica con la sua operosità e presenza il vecchio mondo e con la sua sconfitta e sottomissione il regno di Cri­ sto e di Dio . Per la prima volta Paolo ha affrontato teologicamente il problema della morte , che in lTs 4 , 13-18 era sullo sfondo ( cf. Becker, La resurrezione, 66ss ) . -

vv . 27b-28 «Ma quando dirà che tutto è stato sottomesso (panta hypotetak­ tai) , evidentemente si eccettua colui che tutto gli ha sottomesso (tou hypotaxan­ tos auto-i) . E quando ( hotan) tutto sarà stato a lui sottomesso (hypotage-i auto-i ta p an ta) , allora anch'egli , il figlio , si sottometterà (hypotages etai) a colui che gli ha sottomesso tutto (to-i hypotaxanti auto-i ta panta), affinché Dio sia tutto in ogni cosa ( panta en pasin ) » . Questa breve unità segna il trapasso dal regno di Cristo a quello del Dio . Sono ambedue di carattere cosmico, ma quest'ultimo

157 Il termine nikos apparirà più avanti nei vv. 54-57: «La morte è stata ingoiata nella vittoria. Dov'è , morte la tua vittoria? Dov'è , morte il tuo pungiglione? . . . Sia però grazie a Dio che ci dà la vitto ria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo » . Ma gi à qui il significato di vittoria c'è t u t to. 1 58 A proposito delle potenze nemiche Paolo usa costantemente katargeo cf. vv . 24 e 26).

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comprende l'assoggettamento di Cristo a Dio, il quale sarà «tutto in tutta la real­ tà» (panta en pasin) . 159 In particolare il v. 27b vuole precisare un aspetto sconta­ to: la signoria universale di Cristo non vuol dire di certo che Dio sia compreso tra le realtà sottomesse . Anzi , continua il v . 28 , è vero il contrario: sarà Cristo a sottomettersi nel regno finale di Dio . 1 60 Non mancano testi greci analoghi circa la signoria cosmica divina. Nella rac­ colta dei .papiri magici di Preisendanz abbiamo due attestazioni interessanti : «tutto è stato sottomesso a te (soi panta hypotetaktai)» è detto di Dio , «il più grande di tutti (ton panton meizona) , il creatore di tutti (ton panton ktisanta)» (2, 13 ,67s) ; Apollo , «al quale fu sottomessa ogni natura» (hO-i hypetage pasa physis) ( 1 ,2,101 ) . I l fatto che Cristo si sottometterà a Dio dice che esiste un unico principio teologico di sovranità e che la signoria cristologica è subordinata alla signoria di Dio. Qualcosa di analogo , al di fuori però della prospettiva escatologica, Paolo ha detto in 3 ,21-22 : «Tutto è vostro . . . , voi siete di Cristo , Cristo è di Dio» e so­ prattutto in 1 1 , 3: «di ogni uomo il capo è Cristo , capo poi della donna l'uomo, invece capo di Cristo Dio». La formula panta e n pasin ha a prima vista una valenza immanentistica e può risentire d'influssi della mistica greca, ma il contesto si presenta caratterizzato dal motivo della signoria e della sottomissione . In una parola , vi domina il sim­ bolo del regno, dove i rapporti non sono quelli dell'immanenza bensì della po­ tenza, per cui il tutto riflette la realizzazione di un disegno divino.

3. 4. Altre conseguenze della negazione della risurrezione (15,29-32) Paolo riprende il procedimento della «refutatio» ribaltando quanto ha dimo­ strato nella pericope dei vv. 20-28 ; di fatto si rifà di nuovo alla posizione dei ne­ gatori , ammessa per ipotesi allo scopo di trame ulteriori implicazioni che ne mo­ strano la falsità. v. 29 «Allora altrimenti (epei) 161 che cosa faranno quelli che si battezzano per i morti? Se insomma (holOs) i morti non risorgono , perché infine si fanno battezzare per loro?» È la prima delle implicanze su accennate . La protasi nella formulazione richiama quella del v. 16, connessa, a sua volta, con l'analoga della fine del v. 15; l'unica particolarità consiste nell'aggiunta dell'avverbio holOs («insomma») . Essa è in posizione mediana e regge sia la proposizione preceden­ te sia la successiva . Queste si corrispondono , con la seconda che sottintende il

159 en pasin si può tradurre anche «in tutti» , cosi per es. Carrez e di ve rsi esegeti scelgono tale si­ gnificato, ma il con testo immediato è ince ntrato sul motivo cosmico di panta. 160 Nel v. 27b abbiamo una conferma della dimensione cristologica delle affermazioni prece­ denti , in particolare del verbo hypetaxen di 27a ; se Paolo avesse inteso Dio come soggetto di hypeta­ xen non ci sarebbe stato bisogno di precisare che egli è escluso dalla totalità assoggettata a Cristo. 161 Su tale significato di epei cf. BLASS-DEBRUNNER, Grammatica, § 456.

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soggetto della prima (hoi baptizomenoi) e sostituisce il sostantivo (hyper) ne­ kron con il pronome (hyper) auton . Sono ambedue in forma di interrogativi re­ torici ed escludono che abbia un senso la prassi del battesimo vicario ricevuto a favore di persone decedute 162 Ma che cosa fanno mai , si i nterroga Paolo? Qualcosa di semplicemente in­ sensato : ricevono il sacramento del battesimo a favore di morti che , nell'ipotesi della loro non-risurrezione , sono semplicemente perduti e nell'impossibilità di essere spiritualmente beneficiati . Agiscono in vista di uno scopo che finiscono per negare con la loro opinione . Non si capisce proprio perché (ti) lo facciano , si domanda chi scrive nel secondo interrogativo retorico ; in realtà, tale comporta­ mento è privo di qualsiasi motivo . Il versetto è molto discusso . Anzitutto , ci si interroga su tale prassi battesi­ male , sconosciuta nel resto del NT, ma non mancano testimonianze successive capaci di chiarirla . Tertulliano menziona brevemente il «vicarium baptisma» dell'eresia marcionita (De Resurrectione carnis 48 , 1 1 ) . Epifanio attribuisce a eretici di matrice cerintiana il farsi battezzare in nome dei morti (eis onoma ekei­ non baptizesthai) (Panarion 1 ,2 , haeresis XXVIIl ,6,4: PG 41 ,383) . Più esplicito è Giovanni Crisostomo a proposito dei marcioniti : «C'è presso di loro quest'uso : quando un catecumeno muore , fanno nascondere un uomo vivo sotto la coltre funebre ; poi si avvicinano al morto , gli parlano e gli domandano se voglia ricevere il battesimo . Il morto naturalmente non risponde , ma risponde in vece sua l 'uomo nascosto sotto il let­ to , e dice di sì . Allora lo battezzano al posto del defunto» (anti tou apelthontos) . Il Concilio Cartaginense III nel 397 interverrà a proibire tale prassi : «deinde ca­ vendum est ne mortuos etiam baptizari posse fratrum infirmitas credat» (c. 6). Come si vede , si tratta di eretici e di epoca successiva . Ambrosiaster fu il primo a credere che al tempo dell'apostolo si usasse a Corinto il battesimo vicario per i morti : afferma infatti che Paolo presenta l'esempio «eorum qui tam securi erant de futura resurrectione , ut etiam pro mortuis baptizarentur» (in l Cor 15 ,29: PL 17 ,280) . 163 Soprattutto si discute della validità dell'argomento inteso come una prova «ad hominem» diretta ai negatori della risurrezione . Paolo sembra attribuire lo­ ro una concezione nich i lista dell'aldilà; in realtà, essi sono presentati al v. 12 come persone che negano solo la risurrezione . Ora, se si fanno battezzare per i morti, appare logico ritenere che avessero una prospettiva positiva sul destino dei defunti , altra da quella della risurrezione , per es. la sopravvivenza dell'ani­ ma intesa o come qualità naturale o come sorte di uno spirito illuminato e trasfi­ gurato. D unque ha senso quello che fanno , perseguono uno scopo razionale : re.

;62 Il futuro di «faranno» h a valore sentenzioso ed equivale a un presente, come attesta il paral­ lelo «si fanno battezzare» del secondo interrogativo retorico . 163 Cf. K. STAAB, «l Kor 1 5 ,29 im Lichte der Exegese der griechischen Kirche», in Studiorum Paulinorum Congressus Internationalis Catho/icus 1 961 , Romae 1963 , I, 443-450.

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care beneficio spirituale ai defunti , a amici o parenti morti senza aver ricevuto il battesimo , sacramento di salvezza . Si sono tentate due strade alternative di let­ tura , a meno di imputare a Paolo un travisamento della posizione dei negatori di Corinto e di concedere che l'argomento addotto è fasull o . La prima è stata avan­ zata da Murphy-O'Connor che intende in senso metaforico il verbo baptizomai, espressivo qui , a suo dire , di «distruggere» o «perire » e indicativo delle fat i che e sofferenze apostoliche . Di conseguenza anche nekroi i n dicherebbe quelli spiri­ tualmente morti . In breve , il v. 29 sarebbe uno scherno fatto dai corinzi alle sof­ ferenze apostoliche di Paolo , che questi r ivolgerebbe contro di loro e contro la loro tesi . Un'ipotesi dispe rata però , perché vi si assume il verbo baptizomai in un senso mai attestato nelle lettere paoline . Ancor più essa misconosce la vera natura dell ' argomento , diretto non ai negatori ma agli interlocutori per convin­ cerli dell'insostenibilità della tesi di quelli . La seconda , avanzata già da Haring e ripresa ul timame n t e da Lindeman n , «Paulus», 381 di stingue due diverse posizioni presenti nella chiesa d i Corinto e avversate da Paolo : i negatori della risurrezione (cf . v . 12) e a ltri che si facevano b attezzare al posto e a favore di morti . Ma così si annulla l ' argom ento messo in campo contro la tesi dei negatori: se non è contro questi che Paolo argomenta , non ne mina affatto la posizione e , nello stesso tempo , manca di rafforzare la sua. In realtà, come si è det t o , egli si rivolge alla comunità, non ai negatori che praticavano un battesimo vicario, per mostrarle, basandosi sulla sua prospettiva della risurrezione quale unica via alla salvezza, come quello che essi fanno è pri ­ vo di senso . Non intende addebitare loro una contraddizione interna , ma una prassi che ai suoi occhi risulta priva di ragionevolezza . Egli mira a screditarli agli occhi della comunità , cercando di attrarla a sé e distaccarla da quelli . E se è così , si capisce che non entri in merito alla prassi del battesimo vicario d'indubbio sa­ pore magico . Si limita ad assumerla come fattore della sua «refutatio» . Tutto è utile per indeb o lire la parte avversa davanti a un pubblico da conquistare . vv. 30-32 È la seconda conseguenza tratta dalla tesi dei negatori , riguarda però l' operato di Paolo , non quello degli avversari . «Anche noi» dice riferimen­ to alla sua persona , non in quanto privato cittadino , bensì nelle vesti di apostolo . Egli può attestare la sua quotidiana «via crucis» percorsa a favore dei credenti , in particolare della stessa com u nità corinzia , che è il suo vanto nel Signore . Tale motivo della kauchesis ( cf. anche kauchema e kauchastai) caratterizza le lettere paoline , in particolare 1 - 2Co r (cf. R. Bult m ann in GLNT V, 289ss) . Tre sono le modulazio ni essenziali. Anzitutto , la croce di Cristo esclude ogni possibilità , da p arte dell'uomo che poggia sulle sue risorse , di vantarsi davanti a Dio (cf. l Cor 1 ,29 ; 4 , 7 ; Rm 3 ,27 ; Gal 6 , 14) . D'altra parte , il credente si vanta nel Signore , cioè dell'iniziativa divina di grazia di cui è beneficiario (cf. l Cor 1 ,31 ; 2Cor 10 , 17 ; Rm 5 , 1 1 ; Fil 3 ,3) . Paolo poi ha di che vantarsi : anzitutto , del suo lavoro di evangelizzazione gratuitamente prestato ( l Cor 9 , 1 5 - 1 6 ; 2Cor 1 1 , 10) , quindi della sua debolezza di uomo sostenuto dalla forza del Signore e

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perciò tetragono alle avversità (2Cor 1 1 ,30; 1 2 , 1 -9) , infine del frutto del suo apostolato che ha fatto nascere e crescere comunità cristiane promettenti (Fil 2 , 1 6 ; lTs 2 , 19) , dove si tratta però sempre di vanto nel Signore , perché da questi «agito» e animato dallo Spirito (Rm 1 5 , 17-18) . Il nostro passo rientra in quest'ultima categoria e mostra un'esplicita sottoli­ neatura di un vanto della grazia divina («che io ho in Cristo Gesù Signore no­ stro») . Tradisce una p articolarità però : Paolo qui vi si appella come a ragione della veridicità della sua attestazione di aver corso rischi mortali . Questa è in­ contestabile come incontestabile è il fatto che egli abbia motivo di vantarsi della comunità corinzia , frutto della sua vita apostolica travagliata e continuamente minacciata . Confrontandosi con i rivali , nella 2Cor egli potrà stilare un elenco delle sta­ zioni del suo Calvario : «Sono ministri di Cristo? Parlo proprio da folle , io di più: molto di più per le fatiche , assai di più per la prigionia , infinitamente di più per le percosse» . Un elenco aperto da questa attestazione: «Spesso ho corso pericoli di morte (en thanatois)» , parallela al nostro passo : «Quotidianamente sono esposto alla morte (apothnésko)». 164 Indubbio è il legame con la proposizione precedente del v. 30: «perché correre pericoli (kindyneuomen) a ogni istante», ma vi si nota una progressione : non solo la sua vita è continuamente minacciata, ma la morte prende sempre più piede nella sua esistenza martoriata che lo fa morire un po' alla volta, quotidianamente . 165 Questo è solo un dato fattuale, messo in campo da Paolo come base dell'ar­ gomento incentrato in due interrogativi retorici . Il primo: «E anche noi perché correre pericoli a ogni istante? » . Nell'ipotesi della negazione della risurrezione, cioè dell'esclusione , secondo la sua prospettiva, di ogni vita «post mortem» , tut­ to ciò diventa insensato . Insensato e inutile (to ophelos?) , aggiunge il secondo interrogativo retorico : esclusa la speranza nell'aldilà, a che pro vivere come egli vive? Tutto finirebbe con la morte e così per tutti . Ma per dare concretezza alla sua domanda richiama un fatto drammatico della sua esistenza apostolica: «Che mi giova l'aver combattuto per motivi puramente umani (kata anthropon)166 contro le belve a Efeso? » . La risposta sottintesa è: nulla , nessuna utilità. Si dirà che c'è dell'opportunismo in questo argomento e , si concede , un op­ portunismo spirituale . Si tratta, in realtà, di tensione verso la salvezza finale di se stessi, diremmo della propria piena realizzazione . In ogni modo , non si di­ mentichi che Paolo sta cercando di convincere gli interlocutori della falsità della tesi dei negatori e non si può negare che sia una dimostrazione efficace , perché

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mo» .

Si veda inoltre 2Cor 6,9: «(siamo ritenuti) come moribondi (apothenskomen) ed ecco vivia­

165 Cf. Seneca: cotidie morimur, cotidie enim demitur aliqua pars vitae (Ep. 24,20) , si riferisce al deperimento naturale, mentre per Paolo è effetto della sua fatica apostolica. 166 La formula ricorre anche in 3 , 3 . 4 ; 9 , 8 ; Rm 3 ,5 ; Gal 3 , 1 5 . In ogni modo il suo significato è suggerito dal contesto : vi si indica l'assenza di una prospettiva trascendente la storia, con motivazio­ ni legate a questa vita e alla terra .

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nella sua persona coinvolge i destinatari dello scritto : anche per loro valgono le domande retoriche suddette , come mostra la esortazione conclusiva: se non c'è risurrezione sarebbe meglio godersela , questa vita. Un analogo modo di argomentare a favore dell'immortalità dell'anima o , in ambito giudaico, della risurrezione dei morti, come ha notato G . B arth , era allo­ ra presente in alcuni filoni culturali. Così Cicerone argomentava a favore della sopravvivenza dell'anima dopo morte : «Abiit ad deos Hercules; nunquam abis­ set nisi, cum inter homines esset , eam sibi viam munivisset (se non avesse avuta aperta quella via)» . Quindi , andando al di là di questo esempio antico, afferma a proposito di quanti hanno sacrificato la vita «Ob rem publicam» : «Demo unquam sine magna spe immortalitatis se pro patriae offerret ad mortem» . Infine conclu­ de con un interrogativo retorico particolarmente vicino al testo paolino : «Quo quidem dempto (tolta di mezzo questa prospettiva) quis tam esset amens qui semper in laboribus et periculis viveret?» (Tusculanae 1 ,32s ) Da parte sua 2Mac 7 è testimone che tale topos era entrato nel mondo giudaico . Il primo dei fratelli maccabei dice al tiranno : «Tu ci togli la vita presente , ma il re del mondo . . . ci fa­ rà risorgere a vita eterna» (v. 9 ) . E il quarto afferma che essi muoiono per mano umana ma con la speranza di risorgere , mentre per il tiranno non ci sarà alcuna risurrezione per la vita (v. 14) . Ritornando al testo paolino l'accenno a un combattimento contro le fiere (ethériomachésa) a Efeso è troppo conciso per essere chiaro . Di Paolo sceso in un anfiteatro a battersi contro le fiere non abbiamo alcuna conferma altrove , né nelle lettere né in Atti . Per questo sono state date diverse letture . Secondo un primo approccio si interpreta l'espressione in senso metaforico , plasticamente espressiva di lotte sostenute per cause nobili , come ha congetturato per es. A . J . Malherbe . 167 Altri v i leggono u n riferimento a una particolare vicenda dramma­ tica come dice il particolare topografico di Efeso . 168 C'è infine chi , come Weiss , assume tutta la proposizione come un periodo ipotetico irreale : «Quale utilità mi verrebbe se avessi combattuto a Efeso contro le fiere?». Ora quest'ultima ipotesi , possibile sul piano grammaticale , svuoterebbe di ogni efficacia pratica l'argomento addotto , la cui forza persuasiva dipende dalla realtà dei fatti presentati ; infatti questa condiziona la realtà delle implicazioni della tesi dei negatori di Corinto . In positivo , collegando il v. 32 con il v. 3 1 , emerge l a seguente continuità del motivo: correre pericoli (kindynein)I essere esposto alla morte (apothnesko)I combattere contro le fiere (theriomachein) . Appare dunque assai probabile che questa espressione sia una plastica illustra­ zione di un pericolo mortale corso dall'apostolo a Efeso . In At 19,23ss si narra .

167 A .J . Malherbe , «The Beasts at Ephesus», in JBL 87( 1 968) , 225·230 . Lo studioso traccia a brevi linee la storia di tale lettura metaforica del motivo : già Platone aveva descritto le passioni uma­ ne e i piaceri della carne come bestie che combattono contro l'uomo (Resp. 588A ; Fedone 66C; 83B) . Ma sono stati soprattutto i cinici e gli stoici ad aver fatto ricorso a questa immagine per descri­ vere la lotta dell'uomo saggio contro l'edonismo . 168 Cf. per es. R . E . Osborne, «Paul and the wild Beasts», in JBL 85(1966) , 225-230.

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della sommossa degli argentieri efesini che ne ha messo in serio pericolo la vita. Una probabile allusione alla stessa disavventura si ha in 2Cor 1 ,8 : «Non voglio infatti , fratelli , lasciarvi nell'ignoranza circa la tribolazione che ci è capitata in Asia , poiché siamo stati oppressi oltre misura al di là delle nostre forze , da di­ sperare persino della n ostra vita». È un contesto reale che probabilmente sta sullo sfondo del v. 32. In breve , Paolo h a sbagliato tutto ; insieme con i suoi interlocutori dovrebbe cambiare stile di vita e darsi ai piaceri , come u n b u on epi cu reo . La conseg ue nza della negazione della ris urrezione è form ulata in modo esortativo, con due coar­ tati vi co m ple m entari e una causale : «allora mangiamo e beviamo , perché do m a­ ni morremo» . Paolo cita ls 22 , 1 3 : il profeta rimprovera i gerosolimitani di non aver fatto penitenza, anzi di essersi dati alle gozzoviglie , scelta motivata appunto dalle parole suddette. Detti analoghi sono attestati nel mondo greco . Celebre questo di S ardanapalo : «Mi restano i miei banchetti e le mie dissolutezze (taut'echo hoss'ephagon kai epsybrisa)» e ancor più l'iscrizione incisa sulla sua statua innalzatagli dopo morte: «Mangia, bevi , amoreggia: le altre cose sono un nulla» (esthie, pine, aphrodisiaze; talla d'ouden) (Plutarco, Moralia 330f e 336c) . In proposito si può citare anche la testimonianza di Sap 2 , 1 . 6-8 che mette in boc­ ca agli stolti un «coronemus nos rosis» : «La nostra vita è breve e triste ; non c'è rimedio alla morte dell'uomo , e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi . . . . S u , godiamoci i beni presenti , facciamo uso delle creature con ardore giovanile . Inebriamoci di vino squisito e di profumi , non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera , coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano» . 3.5. Un'esortazione conclusiva (15, 33-34) Dopo la duplice «refutatio» di 12- 1 9 e 29-32 e la «probatio» di 20-28, condot­ te sulla base del tradizionale annuncio evangelico ( vv. 1 - 1 1 ) , Paolo assume le ve­ sti del pastore d'anime. Sollecita la sua comunità a stare in guardia da elementi che , al suo interno , sostengono posizioni non solo teoricamente false ma anche distruttive sul piano morale . «Non lasciatevi ingannare» sottintende un pericolo reale e prossimo . La prima esortazione (v . 33) suppone che gli interlocutori non siano caduti in errore, da cui hanno bisogno soltanto di essere messi in g u ardia. I due imperativi della seconda ( v . 34) invece danno per scontato che è stata abbas­ sata la guardia in campo operativo : il conseguenziale libertinismo evocato nel v . 3 2 deve aver fatto breccia i n qualche modo nella comunità, s e Paolo avverte l'e­ sigenza di richiamarla a un tenore di vita castigato e sobrio che , abbandonato, deve essere ora ripreso . Il secondo imperativo , parallelo , esorta a non continua­ re nella condotta peccaminosa . v. 33 «Non lasciatevi ingannare : "Le cattive compagnie corrompono i buoni cost u mi"» . Lo stesso imperativo in forma negativa è stato usato da Paolo anche in 6 , 9 e in Gal 6,7, che parimenti si presentano come una messa in guardia di fronte alla prospettiva dell'esclusione dei viziosi dal regno di Dio e alla certezza

l Cor 1 5 , 33-34

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della retribuzione finale . Sono due passi che tradiscono tonalità minacciose : po­ trebbe essere fatale disattendere in concreto il legame tra condotta presente e destino finale , non prendere sul serio i castighi divini riservati ai trasgressori . Anche nel v . 33 il verbo più che a un errore dogmatico sembra riferirsi alle con­ seguenze etiche dell'agire . Il proverbio seguente infatti mette l'accento sulla cor­ ruzione dei buoni costumi che viene da frequentazioni di persone che inducono a comportamenti moralmente negativi . Senza dire della connessione con il v. 32, dove , quale conclusione logica della negazione della risurrezione , si ha una vita dedita ai piaceri . Il contesto però ha come tema centrale una questione dottrina­ le . L'imperativo dunque non è privo di una valenza di questo genere ; in altri ter­ mini , gli interlocutori sono messi in guardia direttamente dalla ricaduta etica dell'errore denunciato in tutto il capitolo , in ultima analisi però da questo. Il proverbio è una citazione implicita di un passo di Menandro ( Thais fr. 2 1 8) . Era un detto divulgato , che troviamo anche in Euripide fr. 1013 e in forma leggermente diversa in Diodoro Siculo 16,54,4 che dice di Filippo di Macedonia : ponerais homiliais diephtheire ta ethe ton anthropon («con cattive compagnie di­ struggeva i costumi degli uomini») , e in Filone : Mosè rifiutava di entrare in rap­ porto con i sofisti d'Egitto, perché «i buoni costumi sono distrutti ( eth e chresta diaphtheretai) dalle arti e dagli inganni dei loro sofismi» ( Quo deterius potiori in­ sidiari soleat 38) . 1 69 Nel contesto il riferimento è senz'altro alla «Cattiva compagnia» dei negatori della risurrezione , menzionati sopra al v . 12, ma anche richiamati al v. 34 come vedremo subito . Chi scrive intende staccare la comunità dai negatori e lo fa ri­ chiamando un proverbio che implica un'esortazione a rompere qualsiasi rappor­ to ; è quasi una «scomunica» di fatto, finalizzata a evitare un «contagio» . v. 34 I due imperativi: «Tornate alla sobrietà come è giusto e smettete di peccare» sono complementari , perché perseguono lo scopo di un doveroso ricu­ pero di una condotta esemplare andata perduta. Nella forma composta il primo verbo appare solo qui in tutto il NT, mentre nella forma semplice è usato ancora da Paolo in 1 Ts 5 ,6 e 8 , sempre in prospettiva escatologica: la sobrietà (nepho­ men : imper. ) è comportamento doveroso per i credenti che sono > . 2 1 Diversi testimoni hanno Maran atha ( « I l Signore viene») e altri Maranatha. 22 L'aggiunta di «Cristo» , benché attestata da molti e importanti mss . , si rivela secondaria, per­ ché completiva . 23 Si registrano qui diverse aggiunte: I ) Amen, la più accreditata ; 2) genethet6 genethet6 («Sia sia»). Sono formule liturgiche che dipendono appunto dalla lettura pubblica. Sono attestate anche delle sottoscrizioni, con l'indicazione dei destinatari «Ai corinzi» seguita dalla lettera Alef che desi­ gna la prima lettera ai Corinzi, a volte anche del luogo di origine «scrisse da Efeso I da Filippi (di Macedonia)» , una volta dei collaboratori «per mezzo di Stefana, Fortunato , Acaico e Timoteo». In proposito vedi Metzger. 12

l Cor 1 6 , 1 -24

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(1976s) , 180-204; Bo R N KAM M G . , «Zum Verstiindnis des Gottesdienstes», in Das Ende des Gesetzes. Paulusstudien, Miinchen 1966, 1 13-132 ( 123-132 : «Das Ana­ thema in der urchristlichen Abendmahlsliturgie») ; GEO RGI D . , Die Geschichte der Ko/lekte des Paulus fur Jerusalem , H amburg- Bergstedt 1 965 37-5 1 ; HAHN F. , Christologische Hoheitstitel. Ihre Geschichte im fruhen Christentum , Gottin­ gen 1963 , 100-109 ; HoLMBERG B . , Paul and Power, Philad e lphia 1978 , 35-43 ; HURD , The Origin of 1 Corinthians, 200-207 ; KuHN K . G . , «Maranatha» , in GLNT VI , 1249-1266; M D LLE R U . B . , Prophetie und Predigt im Neuen Testa­ ment, Giitersloh 1975 , 201-21 1 ; RoLLER O . , Das Formular der paulinischen Brie­ fe. Ein Beitrag zur Lehre vom antiken Brief, Stuttgart 1 933 ; ScHNIDER F. -W. STENGER , Studien zum neutestamentlichen Briefformular, Leiden-New York­ Kobenhavn-Koln 1987, 69ss ; SPICQ C . , « Comm e nt comprendre philein d ans lCor XVl ,22?» , in NT 1 ( 1956) , 200-204 ; STAHLIN G . , «Philema», in GLNT XIV , 1128ss ; WHITE J . L . , « lntroductory Formulae in the Body of the Pauline Letter» , in JBL 90( 1971 ) , 9 1 -97 ; I o . , «New Testament Epistolary Literature in the Framework of Ancient Epistolography» , in ANR W II ,25 . 2 (1984) , 17301756.

1.

ARTICOLAZIONE

Il capitolo si presenta come un insieme di brevi unità accostate le une alle al­ tre . Una chiara divisione interna è ravvisabile tra 1-12 e 13-24: nella prima parte chi scrive affronta questioni pratiche , come l'organizzazione della colletta (vv. 1-4) , il progetto di viaggi (vv. 5-9) , la visita di Timoteo (vv. 10-1 1 ) , la presenza di Apollo a Corinto (v. 12) ; la seconda invece è costituita da esortazioni generali ( vv . 13-14) e specifiche (vv . 15- 1 8) , saluti (vv. 1 9-21) , formule conclusive di tim­ bro liturgico ( vv . 22-24) . 24 Due stacchi formalmente paralleli sono rilevabili in­ fatti nei vv . 1 e 12: «Quanto poi (peri de) alla colletta che è per i santi » , «Quanto poi (peri de) ad Apollo , il fratello» . Continua la serie delle formule peri de di 14,1 ( manifestazioni dello Spirito ) , 8 , 1 (carni immolate agli idoli ) , 7 ,25 (le vergi­ ni ) , probabilmente da leggere in sintonia con l 'espressione univoca di 7 , 1 : «Quanto poi a ciò che avete scritto» (peri de hon egrapsate) . S e questa introduce di certo un argomento imposto dai corinzi nella loro lettera , Io stesso con proba­ bilità vale delle altre , che in ogni modo segnalano la questione da affrontare . 25

24 Weiss invece vede un'unità letteraria nei vv . 21-24 sulla base del fatto che so n o versetti scritti di propria mano da Paolo. Ma a parte il problema della determinazione dove cominc i a il testo verga­ to dall'apostolo , non sembra q uesto un elemento strutturante . 25 Wolff, Der erste Brief, 217 vede una connessione del nostro capitolo con 1 5 ,58, dove si parla­ va del duro lavoro per la costruzione della comunità, notando che vi appartiene anche la colletta . Schmithals invece , nella sua ipotesi di ricostruzione della lettera B (cf. Die Gnosis in Korinth) , ritie­ ne che la connessione o ri gi n a ri a di 16,1-12 era con il co mpl esso dei cc . 12- 1 4 . Ma sono congetture soggettivistiche, prive di riscontro effettivo.

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Commento

Anche i vv . 15-18 formano un'unità a parte , incentrata nel doveroso ricono­ scimento del ruolo della famiglia di Stefana, di Fortunato e Acaico e caratteriz­ zata formalmente come «paraclesi» , introdotta dal verbo parakalo . Il passaggio dalla prima unità (vv . 1-4) alla seconda (vv. 5-9) è abbastanza brusco ; probabilmente l'eventuale partecipazione di Paolo al programmato viaggio dei latori della colletta a Gerusalemme (v. 4) lo ha spinto a comunicare subito agli interlocutori i suoi progetti di viaggio a Corinto e oltre . Ed è anche la ragione per cui passa poi, nei vv. 1 0-1 1 , a parlare della prevista visita di Timoteo che egli vuole raccomandare alla benevolenza dei corinzi . Parimenti si capisce il passaggio al v . 12, che tratta del desiderato arrivo di Apollo a Corinto , per altro introdotto con la formula stereotipa peri de . In breve , il motivo tematico dei viaggi specifica questa sezione del capitolo dal punto di vista contenutistico e so­ prattutto come gancio che tiene uniti brevi brani letterari . Il futuro poi è la forma verbale che caratterizza questa prima parte del capi­ tolo : 26 chi scrive ha progetti in mente e ne dà comunicazione agli interlocutori. Questi però sono interessati da vicino , dunque devono esserne non solo infor­ mati , ma anche coinvolti , e ciò spiega le disposizioni che egli dà. Nella sezione dei vv . 1 3 - 18 invece , di carattere nettamente parenetico , pre­ dominanti sono gli imperativi . Nel solo v. 1 3 sono quattro : «Vigilate , state saldi nella fede , comportatevi virilmente , siate forti» . Anche il v. 14 è una proposizio­ ne imperativa: «Tutte le vostre azioni si facciano nell'amore». Il v. 15 poi intro­ duce il motivo formale della «paraclesi» o esortazione (parakalo) , che nel v. 1 6 si formalizza con un primo imperativo , «Sottomettetevi» , e in chiusura nel v. 18 (cf. oun) con un secondo , «riconoscete tali persone» . Un'indubbia caratteristica del capitolo è la menzione per nome di tante per­ sone di cui Paolo si occupa e che hanno a che fare con la comunità di Corinto: il discepolo Timoteo (vv . 10- 1 1 ) ; il collega Apollo (v. 1 2) ; la famiglia di Stefana (vv . 15-16) ; Stefana, Fortunato e Acaico (vv . 17- 1 8) ; Aquila e Prisca (v . 19) . Si aggiunga il v. 21 in cui l'autore nomina espressamente se stesso . I rapporti tra il mittente e i destinatari passano anche attraverso una più estesa rete di relazioni, di cui lo scritto epistolare è mezzo comunicativo . Dal punto di vista epistolografico (cf. Schnider-Stenger) il c. 1 6 si può defini­ re la parte conclusiva della lettera, il suo epilogo , costituito in generale dai se­ guenti elementi formali : parenesi conclusiva (vv . 1 -4 e 13-18) ,27 parusia apostoli­ ca (vv . 5-12) , 28 saluti (vv. 20-2 1 ) , 29 «escatocollo» (vv. 23-24) 30 formato da un vo26 Cf. «manderò I p emps6 » (v. 3) ; «viaggeranno I poreusontai» (v. 4) ; «Verrò I Eleusomai» (v. 5) ; «mi fermerò I paramen6» e «passerò l'inverno I paracheimas6» (v. 6); «mi tratterrò I epimen6» (v. 8) ; «Verrà I eleusetai» (v. 12) . Si vedano anche i congiuntivi aoristi con significato di futuro: hotan el­ th6 (quando verrò: v. 2) ; hotan paragen6mai (alla mia venuta: v. 3 ) ; «quelli che avrete ritenuto ido­ nei (dokimasete: v. 3)»; «Quando poi verrà ( elthe-i) Timoteo» (v. 10); «verrà a tempo opportuno» (hotan eukairese-i: v. 12) . 27 Schnider-Stenger ne indicano la presenza anche in Rm 15,7- 1 3 . 30-33 ; 2Cor 1 3 , 1 1 ; Gal 6,1-10; Fil 4, 1-3.8.9; lTs 5 , 1 2-24; Fm 21 . 28 È attestata pure in Rm 1 5 , 14-29 ; 2Cor 12, 14-13,10; Fil 2, 19-30 ; Fm 22 . 29 Cf. Rm 1 6,3-23; 2Cor 1 3 , 1 2 ; Fil 4,21-22; lTs 5 ,26-27 ; Fm 23-24. 30 Vedi Rm 16,24; 2Cor 1 3 , 1 3 ; Gal 6 , 1 1 - 1 8 ; Fil 4.23; lTs 5 ,28 ; Fm 25 .

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to benedicente e da un'assicurazione e preceduto da una maledizione condizio­ nale (v. 22) . A differenza del prologo , però , si nota qui maggiore varietà nelle lettere paoline e non mancano incertezze sul confine esatto tra corpo epistolare e parte conclusiva. 2 . LA COLLETIA ( 1 6 , 1 -4)

È la prima volta che Paolo ne parla nelle sue lettere . Passi paralleli sono Gal 2, 1 0 ; 2Cor 8 e 9 e Rm 15 ,25-28 . A parte le specifiche trattazioni della 2Cor, il nostro e gli altri passi sono tutti brevi e sintetici accenni a un'impresa di vaste proporzioni e di grande importanza che ha impegnato Paolo per più anni . 31 Gal 2 , 1 0 ne indica il punto di partenza: nell'assise di Gerusalemme Giacomo , Cefa e Giovanni pregarono Paolo e Barnaba di «ricordarsi dei poveri». La colletta , co­ me emerge dal contesto , è segno tangibile di comunione (koinonia: v. 9) con la chiesa gerosolimitana degli apostoli e suggello del riconoscimento da questa da­ to all'ingresso degli incirconcisi nella chiesa di Cristo . Nello stesso versetto Pao­ lo precisa di non essere venuto meno all'impegno assunto : siamo al tempo della stesura di Gal, presumibilmente dopo la l Cor e in data vicina alla composizione di 2Cor 10- 1 3 , che anticipa la lettera di riconciliazione di l Cor 1 , 1-2 , 1 3 + 7 ,5-16, si può dire alla fine del 54. 32 Georgi , Die Geschichte, 30ss ipotizza che ci deve essere stata una stasi , cau­ sata dallo scontro di Antiochia. In proposito, ci si potrebbe appellare al silenzio della 1 Ts , scritta attorno al 50. Ma non è detto che il concilio di Gerusalemme sia precedente ; perché , se è vero che spesso viene datato al 48, in un'altra rico­ struzione cronologica , che ritengo più probabile , esso si colloca in tempo succes­ sivo alla missione paolina in Europa e dunque viene dopo la composizione della lTs .33 Di fatto in seguito è il nostro passo , che risale verosimilmente al 53, a rag­ guagliarci : Paolo, che aveva organizzato la colletta in terra galata, ora dà dispo­ sizioni analoghe per la chiesa di Corinto : «come ho comandato alle chiese della Galazia così anche voi fate». 2 Cor 9,2 attesta che i corinzi e le chiese di Acaia in generale (cf. Cenere: Rm 1 6 , 1 ) avevano aderito con entusiasmo al progetto . Da parte loro le comunità di Macedonia (Tessalonica, Filippi, Berea) non si erano fatte pregare e, benché povere , avevano contribuito con generosità (2Cor 8 , 1 -5) . D unque tutte le chiese paoline erano state impegnate . 34

31 Cf. la monografia di Georgi che traccia, a grandi linee, la «Storia» della colletta , l'articolo di Berger e lo studio di Holmberg. 32 Cf. G . BARBAGLIO, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Cittadella, Assisi 2 1989 (1985) , 22-33 (« Lo spinoso problema della cronologia») . Sulla cronologia di Gal in particolare, collegata stretta­ mente a 2Cor 10- 1 3 , vedi il commento di U. BORSE, Der Brief an die Galater, Regensburg 1984 , 9-17. 33 Anche Fil tace del tutto in merito , probabilmente perché la colletta era stata già portata a ter­ mine nelle chiese di Macedonia. 34 In At 20 ,4 infatti si menzionano anche degli asiatici come componenti della delegazione inca­ ricata di portare la colletta a Gerusalemme ; quindi si suppone che anche le chiese di Asia (Efeso , Colossi , Laodicea, Gerapoli e Troade ) abbiano concorso .

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Commento

Era certamente un aiuto materiale ai fratelli bisognosi di Gerusalemme, co­ me documenta il sostantivo «i poveri» in Gal 2 , 1 0 e Rm 15 ,26, ma anche e so­ prattutto un gesto «carico di un profondo simbolismo : esprimere che la grazia della salvezza del Padre di Gesù Cristo era giunta anche ai pagani e che le comu­ nità cristiane sorte tra gli incirconcisi fanno parte integrante , a tutti gli effetti , del popolo di Dio dei tempi ultimi e decisivi , né più né meno come i credenti di Gerusalemme . Per questo non si può neppure lontanamente paragonare la col­ letta paolina alla tassa che i giudei erano tenuti a pagare al tempio gerosolimita­ no . Oltre che per il suo significato teologico , espressivo dell'universalismo della teologia di Paolo , si diversifica sotto altri aspetti : non serve al culto , ma è gesto di fraternità; non è un'istituzione , perché organizzata una tantum , mentre la tas­ sa del tempio era annuale ; scaturisce da una libera donazione , a differenza della tassa che era prescritta» (Barbaglio , «Alla comunità» , 562) . K. Berger vi scorge una stretta analogia con le elemosine dei pagani fatte al popolo di Dio e cariche di valenza espiatrice dei loro peccati ; resta però l'originalità della colletta paoli­ na come segno di koinonia interecclesiale e , insieme , di universalismo cristiano (cf. 2 Cor 8,4; 9 , 1 3 ; Rm 15 ,26) . Recentemente Holmberg ha tentato di nuovo , dopo Hol l , di scorgere nella colletta una dimensione giuridica, atto di potere della chiesa gerosolimitana e sottomissione di Paolo . Ma quanto ne dice l'apo­ stolo non avvalora questa ipotesi ; non è però escluso che ci possa essere stato uno sviluppo nella sua valutazione da parte di Paolo , dopo che questi si è reso indipendente in seguito allo scontro di Antiochia. Ma la crisi dei rapporti con la chiesa di Corinto ritardò la realizzazione del progetto, che fu ripreso e concluso dopo la riconciliazione . Si può -;upporre che Paolo nella sua permanenza in Macedonia , prima dell'ultima visita a Corinto, vi abbia portato a termine la raccolta , forse lanciata qualche tempo prima, come aveva fatto in Galazia e a Corinto . I corinzi hanno bisogno di sollecitazioni, per­ ché agli entusiasmi iniziali non avevano fatto seguire fatti concreti (2Cor 8 , 1 1 ) . «Paolo dovette insistere . Dopo avere dato disposizioni precise per l a raccolta (lCor 16, 1 -4) , l'anno seguente (2Cor 8 , 10 e 9 2 ) mandò Tito perché portasse a compimento l'opera da lui già iniziata (2Cor 8 ,6) . Evidentemente nel preceden­ te viaggio , menzionato in 2Cor 2 , 1 2- 1 3 e 7 ,5-16, il prezioso collaboratore dell'a­ postolo , latore della lettera delle lacrime, doveva aver ricevuto anche l'incarico di organizzare la colletta nella chiesa di Corinto . Ora Paolo gli affianca due in­ nominati credenti (2Co r 8 , 1 6-19.22-24)» (Barbaglio, «Alla comunità» , 566) . Da parte sua egli s'impegna nei cc. 8 e 9 della 2Cor a motivare teologicamente il progetto e a vincere così le ultime resistenze . A Corinto si dubitava infatti della correttezza della sua gestione di somme non piccole , come attesta la preoccupa­ zione di apparire irreprensibile in proposito (2Cor 8,20-2 1 ) . Anzi «gli si attribui­ va il disegno macchiavellico di sfruttare la raccolta per fini personalistici : spillan­ do denaro alla sua comunità , egli intende subdolamente carpirle un attestato di riconoscimento pratico della sua apostolicità e ottenere una specie di legittima­ zione di fatto» , come appare in 2Cor 1 2 , 1 6 (Barbaglio , «Alla comunità» , 562) . «Più tardi, riconciliato con i corinzi , dalla capitale dell' Acaia scriverà ai ro­ mani » , siamo nel 55 , «notificando che le chiese di Macedonia e Acaia hanno ,

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partecipato alla colletta e confidando le sue apprensioni sull'imminente viaggio a Gerusalemme : la chiesa gerosolimitana l'avrebbe gradita? (Rm 15 ,25-3 1 ) . Il li­ bro degli Atti degli Apostoli ci parla delle tappe del lungo viaggio (20 ,1-2 1 , 1 4) , della delegazione delle chiese (20,4) , dell'arrivo nella città santa e delle difficili trattative con Giacomo , capo della chiesa di Gerusalemme (21 , 1 5-26) , infine dell'arresto e dell'imprigionamento dell'apostolo (21 ,27ss)» (Barbaglio , «Alla comunità» , 666s) . È vero che At 20 ,4 non menziona i corinzi tra i delegati delle chiese incaricati di portare la colletta a Gerusalemme , ma il successo dell'impre­ sa nella chiesa di Corinto sembra confermata da Rm 15 ,26, dove l'apostolo af­ ferma che la Macedonia e l' Acaia hanno partecipato . Nell'ipotesi che i corinzi ne abbiano scritto nella loro lettera , si può suppor­ re , come fa Hurd , The Origin , 206, che essi vi abbiano espresso il loro scettici­ smo sui motivi dell'apostolo e il loro scarso entusiasmo in proposito . Il nostro te­ sto però non offre conferme ; forse il quesito verteva semplicemente sulla sua or­ ganizzazione , visto che di questa si cura il nostro brano. La mancanza di precisa­ zioni sui destinatari e sul suo significato spingerebbe a ritenere che gli interlocu­ tori fossero già informati ; 35 ma si può pensare anche che i latori della sua lettera, Stefana, Fortunato e Acaico , avrebbero potuto fornire informazioni supplemen­ tari a richiesta. v. 1 «Quanto poi alla colletta che è per i santi , come ho comandato alle chie­ se della Galazia così anche voi fate» . Il vocabolo logeia ha il duplice significato di imposta e di colletta. Se il primo dice riferimento ali' «ordinamento tributa­ rio» , il secondo è espressione di « attiva e libera partecipazione dell'amore fra­ terno» (G. Kittel , in GLNT VI , 762) . Nel nostro caso è questa seconda valenza a imporsi , come appare nel complesso dei passi paolini che sottolineano il suo carattere di libera donazione e la interpretano come charis I grazia (v . 3 ; 2Cor 8,4 . 6 . 7 . 19), koinonia I comunione (Rm 15 ,26 ; 2Cor 9 , 13 ) , diakonia I servizio (Rm 1 5 ,3 1 ; 2Cor 8,4; 9 , 1 ) , eulogia I benedizione (2Cor 9,5) . I beneficiari sono indicati in modo indeterminato : «i santi». 36 Lo stesso voca­ bolo è attestato ancora in 2Cor 8,4; 9 , 1 . 1 2 ; Rm 15 ,26. Una sola volta lo si preci­ sa: si tratta dei santi che sono a Gerusalemme (ton hagion ton en lerousalem : Rm 15 ,26) . In questo passo però abbiamo un'altra precisazione dei destinatari della colletta: «per i poveri (eis tous ptochous)» , già presente in Gal 2 , 1 0 . Hoi hagioi (i santi) sono chiamati spesso i cristiani nelle lettere paoline : lCor 1 ,2 ; 6 , 2 ; 2Cor 1 , 1 ; 1 3 , 1 2 ; Rm 1 ,7 ; Fil 1 , 1 ; 4 ,22. Ma con probabilità era in origine l a denominazione religiosa della comunità gerosolimitana , estesa poi ai membri delle altre comunità , in particolare ai credenti incirconcisi . Nei passi riguardanti la colletta essa riprende il suo riferimento originario alla prima chiesa cristiana.

3 5 ALLO, Saint Paul, 455 ipotizza che ciò avvenne durante la prima evangelizzazione o nella let­ tera grecanonica , menzionata in 5,9. La formula ei.s + ace . sta al posto di un dat . di comodo.

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Commento

Non altrettanto invece si deve dire di ptochoi (poveri) attestato in Gal 2 , 10 e Rm 15 ,26. L'ipotesi di Holl , 37 seguito da E . Bammel ( GLNT XI , 7 7 3 s ) e da Schlier nel suo commento , il quale ne vuole fare una denominazione religiosa e genera­ le della comunità gerosolimitana , non sembra fondata . In Rm 15 ,26 infatti «i po­ veri» sono una parte dei «santi» di Gerusalemme . 38 Che il vocabolo mantenga il suo significato economico-sociale appare anche da 2Cor 8 , 1 4 dove alla colletta Paolo attribuisce la funzione di supplire , da parte di chi versa nell'abbondanza (to perisseuma) , all'indigenza (to hysterema) dei destinatari . 39 Ora , occupandosi dell'organizzazione pratica della colletta a Corinto , Paolo dice loro di seguire la regola data alle chiese di Galazia. Ma che cosa ha coman­ dato di fatto a queste? Ritenere che i corinzi ne fossero già a conoscenza è pura supposizione ; più probabile , come ha detto già Weiss , è che le prescrizioni date ai galati e qui riproposte siano di fatto quelle che seguono nel nostro brano , in particolare nel v. 2 . v. 2 «A ogni primo giorno della settimana sabatica ciascuno d i voi deponga presso di sé (par' heauto-i) ciò che gli riesce nella sua opera di raccolta (thesauri­ zon) , perché non si facciano le collette proprio quando verrò io». Anzitutto Pao­ lo si cura di organizzare la raccolta del denaro , ment re nei vv. 3-4 darà disposi­ zioni per il trasporto a Gerusalemme. Si rivolge ai singoli credenti di Corinto e chiede che ogni settimana ciascuno di loro metta da parte a casa propria ciò che può destinare alla colletta. Non è dunque una raccolta pubblica , organizzata su scala comunitaria; l'apostolo si affida in questo all'iniziativa individuale . Il mo­ mento sociale emergerà solo in seguito , quando i contributi dei singoli saranno uniti e spediti a Gerusalemme per mano di alcuni rappresentanti della chiesa. Anche la determinazione temporale «A ogni primo giorno della settimana saba­ tica» non ha nulla di ufficiale ; non si tratta infatti di una raccolta fatta durante l'eucaristia , ammesso che questa fosse celebrata in detto giorno ; t u tto avviene nel chiuso della casa dei singoli credenti (par' heauto-i) . 40 Ma come spiegare la scelta del primo giorno della settimana sabatica? È pu­ ramente casuale , oppure Paolo aveva qualche motivo preciso? La medesima espressione di sapore ebraico (he) mia (al posto di prote) (tou) sabbatou I (ton) sabbaton ( «il primo giorno della settimana sabatica» ) ricorre come determina­ zione cronologica della risurrezione di Cristo , meglio della scoperta del sepolcro vuoto e dell'apparizione del risorto (cf. Mc 1 6 ,2 ; Mt 28 , 1 ; Le 24, 1 ; Gv 20, 1 . 1 9 ) . Più interessante è l'attestazione di At 20, 7 : «Il primo giorno della settimana sa­ batica (en te-i mia-i sabbaton) essendoci riuniti a spezzare il pane (klasai arton)»:

3 7 K. HoLL , «Der Kirchenbegriff des Paulus in seinem Verhiiltnis z u dem der Urgemeinde», i n A ufsiitze zur Kirchengeschichte, Tiibingen 1928, I I , 44-67. 38 Leggiamo il genitivo t6n hagion in senso partitivo , non epesegetico , come invece fa per es. Schlier nel suo commento . 3� Berger ha insistito in proposito . 40 Su questo significato della formula par' heauto-i vedi , BAUER, Worterbuch , 11 , 1 ,b .

l Cor 1 6 , 1-4

875

si riferisce ai credenti di Troade che celebrano l'eucaristia presenti Paolo e i suoi accompagnatori (è una sezione-«noi» del libro) . Ma questa notizia si riferisce a una prassi consolidata, oppure l'eucaristia fu celebrata in tale giorno per la pre­ senza di Paolo ? Inoltre , anche ammesso che l 'autore di Atti ritenga questo «il giorno del Signore» , resta aperto il problema se il primo giorno della settimana era già per l 'apostolo e i credenti di Corinto il giorno fisso della celebrazione del­ la «cena del Signore» , magari in stretta relazione con la risurrezione di Cristo . In realtà , in l Cor l l , 17ss l'apostolo non precisa affatto in che giorno viene celebra­ ta «la cena del Signore» . In ogni modo , nella lettura del nostro passo le opinioni sono discordanti . Senft per es. afferma che i l primo giorno non è ancora l a domenica: «il giorno del Signore» apparirà alla fine del I secolo (Ap 1 , 10; Didachè 14, 1 ) , mentre Wolff e Fee , ma già anche Allo , ritengono che la scelta sia da collegare con la domenica , con il giorno della celebrazione eucaristica. Non abbiamo dati atten­ dibili e mi sembra preferibile attenerci in proposito a una «docta ignorantia». Di certo , invece , Paolo suppone che i corinzi conoscano la settimana ebraica speci­ ficata dal sabato , il settimo giorno. Trattandosi poi di un impegno settimanale prolungato e fisso , forse ha voluto semplicemente scegliere l'inizio della settima­ na, il primo giorno . La prescrizione ha lo scopo di concludere la raccolta in tempo utile prima che egli venga. Paolo non vuole che si facciano raccolte alla sua venuta. E anche qui siamo obbligati , in mancanza di dati o anche solo di indizi , a fare congetture . Per evitare che la sua prossima visita sia libera da tali problemi economici? Per tener separata la sua persona da questioni di denaro allo scopo di non dar adito a malintesi o , peggio , insinuazioni? Per dare più tempo alla raccolta che in questo modo dovrebbe risultare più ricca? vv. 3-4 «Alla mia venuta poi , manderò con lettera di accompagnamento quelli che avrete ritenuto idonei per portare il vostro dono di riconoscenza a Ge­ rusalemme . E se sarà opportuno che vada anch'io, viaggeranno con me» . Il se­ condo tempo del progetto organizzativo di Paolo si avrà alla sua prossima venu­ ta a Corinto e riguarda la spedizione della colletta. Anzitutto , si dovranno sce­ gliere i portatori del denaro raccolto e sarà la comunità a farlo seguendo un ov­ vio criterio di comprovata idoneità dei prescelti . Sarà invece l'apostolo a fornir loro una credenziale . La forma plurale del sostantivo (di' epistolon) è stata in­ terpretata come indicativa di più lettere ; Wolff, Der erste Brief, 220 per es. par­ la di lettere indirizzate anche alle comunità delle stazioni del viaggio. Ma è più semplice pensare a una sola lettera commendatizia per la comunità di Gerusa­ lemme , perché la forma plurale del sostantivo può indicare anche una singola missiva . Il denaro raccolto è qui denominato charis , «dono di riconoscenza» (così H . Conzelman n , in G LNT XV, 582) . Sono i passi paralleli di 2Cor 8,4.6. 7 . 1 9 a pre­ cisare il significato di questa denominazione . Paolo vi parla della grazia di Dio concessa alla chiese di Macedonia , nel senso che queste sono state generosissime

876

Commento

nonostante la loro povertà (8 , 1 ) avendo chiesto all'apostolo la grazia di parteci­ parvi ( v. 4) . Si sono così distinte in questa «grazia» ( v. 7) , a cui hanno collabora­ to Tito (v. 6) e un altro fratello (v . 19) , imitando la «grazia» di Cristo che da ric­ co si è fatto povero perché i credenti diventassero ricchi della sua povertà ( v. 9) . II vocabolo dunque non perde Io spessore della sua densità teologica : il dono della colletta s'inquadra nel contesto della grazia di Dio e di Cristo , cioè della lo­ ro iniziativa gratuita di salvezza . La gratuità dell'esperienza cristiana salvifica si prolunga nella gratuità del dono fatto ai poveri della chiesa di Gerusalemme, da cui è venuto il lieto annuncio evangelico : uno scambio di doni (cf. Rm 15 ,27) . La partecipazione attiva di Paolo al viaggio è un'eventualità lasciata a una valutazione di merito successiva . Wolff, Der erste Brief, 220 per es. ritiene che ai delegati della comunità si unirà anche l'apostolo se il contributo sarà rispettabi­ le . Conzelmann traduce e interpreta : «Se corrisponde alla vostra opinione» . La formula sembra più generale e indica l'opportunità di tale iniziativa; ma non si precisa chi dovrà fare tale valutazione . In realtà , chi scrive lascia la cosa indeter­ minata e vuol dire : si vedrà a tempo debito che cosa converrà fare . Dal punto di vista formale il brano ha carattere parenetico .

3 . PROGETII DI VIAGGI ( 1 6 ,5-9) L'annuncio di una prossima visita alla comunità destinataria dello scritto , o anche la confessione di un ostacolo insuperabile al progetto di rivedere gli inter­ locutori epistolari appare spesso nelle lettere di Paolo , a tal punto che si è credu­ to bene d'individuarvi la presenza del motivo letterario della parusia apostoli­ ca . 4 1 Al nostro passo si abbinano l Ts 2 , 17-3 , 1 3 ; 2Cor 1 , 15 - 1 6 ; 2 , 1 -3 ; 1 2 , 1 91 3 ,4 . 10; Rm 1 , 1 0- 1 5 ; Fil 2 ,24 ; Fm 22 . Di originale l Cor 1 6,5-9 , come anche 2 Cor 1 , 15-16 e 2 , 1 -3 , presentano non u n semplice annuncio d i visita, m a u n arti­ colato progetto di viaggi in cui s'inserisce la visita ai destinatari della lettera . 42 Paolo intende arrivare a Corinto , ma non direttamente via mare e non subi­ to , bensì via terra passando dalla provincia romana di Macedonia e in un secon­ do momento : «Verrò quindi da voi dopo che avrò attraversata la Macedonia; la

' 1 Cf. R. FU N K . «The Apostolic Parousia . /11 1erpretatio11 (FS J. Knox) , Cambridge 1 967 ,

Form and Significance» , in Christian History and 249-268 . L'esegeta indica come esempio paradig­ matico 1 Ts 2 . 1 7-3 , 13 costruito sui seguenti elementi : privazione dolorosa della presenza dei cari tessalonicesi ; desiderio e sforzo per ritornare nella città di Tessalonica , ma inutilmente per le diffi­ coltà insormontabili; invio di Timoteo . dunque una parusia per interposta persona ; insistente pre­ ghiera e supplica formale perché l'apostolo possa rivedere la sua comunità ; nell'attesa si fa presen­ te con la lettera . " Che Paolo parli due volte di viaggi , nota Wolff, Der erste Brief, 22 1 , qui e in 4, 1 4ss, non può essere motivo sufficiente per avvalorare una divisione della lettera in più missive ; e rileva che anche in Rm egli ne parla due volte , in 1 , 1 1 . 1 5 e 1 5 .22ss .

lCor 1 6 , 5-9

877

Macedonia infatti la voglio (solo) attraversare» (v. 5 ) . Non specifica il senso di questo lungo giro , ma sembra chiaro che egli vuole visitare prima le comunità macedoni di Filippi , Tessalonica e Berea. Non se ne abbiano a male i corinzi , perché , sia pure ritardata , la visita prossima a Corinto in compenso non sarà di breve durata: «Presso di voi però forse mi fermerò o anche passerò l'inver­ no , perché siate voi a provvedere al mio viaggio ovunque io vada . Non voglio infatti ora43 vedervi di passaggio , perché spero di restare da voi qualche tem­ po , il Signore permettendo» ( vv. 6- 7) . Paolo appare circospetto ; evidentemen­ te i suoi interlocutori dovevano essere suscettibili in proposito ed egli ne era a conoscenza . Non mancano qui e subito dopo dati cronologici preziosi per stilare una cro­ nologia relativa della vicenda di Paolo : la progettata permanenza a Corinto co­ prirà tutto l'inverno prossimo . Nei mesi invernali era impossibile la navigazione stanti le proibitive condizioni atmosferiche . essendo un periodo del «mare clau­ sum » , come si diceva . Di fatto, anche Corinto era una tappa nel progetto di viaggio dell'apostolo : una tappa necessaria non solo in riferimento alla presenza attiva tra i credenti della città , ma anche per le tappe successive del viaggio pao­ lino . In concreto , chi scrive si attende dai corinzi di esserne debitamente equi­ paggiato . 44 Corinto dunque è visto da lui anche come una base di partenza. Non precisa però dove si recherà una volta abbandonata la città dell'istmo : «ovunque io vada» . Un'indeterminatezza però che è nelle cose : non sa ancora se accompa­ gnerà o meno i latori della colletta nel loro viaggio a Gerusalem me ; è probabile che avesse già in mente di recarsi a Roma e che un viaggio nella capitale dell 'im­ pero facesse già parte dei suoi progetti missionari . Un'incertezza propria del fu­ turo, per il quale si affida a Dio , consapevole di esserne guidato : «se il Signore lo permetterà» . Questa formula riappare , tale e quale , in Eb 6 , 3 , mentre in Gc 4 , 1 3 è testimoniata una assai simile («se il Signore vorrà») , ma il suo uso è so­ prattutto di matrice greca .45 Dicevo che abbiamo qui un testo ricco di dati cronologici : quando scrive ai corinzi Paolo si trova a Efeso e dichiara di restarvi fino a pentecoste (v . 8) , altra denominazione giudaica che doveva essere nota a Corinto , cioè sino al cinquan-

�3 Il testo «Non voglio infatti ora vedervi di passaggio» non vuol dire che c"era stata un ' a ltra vi­ sita , breve , di Paolo a Corinto , come ritiene Weiss , che costruisce anche su questo elemen10 l ' ipolesi dell'esistenza di due dis tin l e missive in lCor. Ma, come nota bene Conzelmann , il contrasto qui è con la permanenza in Macedonia. ALLO , Saint Pau/, 459s , che pure rifiuta la congettur a di Weiss , in­ tende la particella arti in questo senso : «ne l le ci rcostan ze presenti» ed esprime questa lettura: ora , dopo tutto ciò che ho a p preso , io vi devo una lunga visita . " WE1ss . D e r erste, 383 chiarisce con cura il si gn i fi cato del verbo propempo che indica un'accu­ rata preparazione di un viaggio missionario , la quale comprendeva l'indicazione della via , utili rac­ comandazioni, lettere di accompagnamento , opportunità di viaggio via mare , eventuali accompa­ gnatori e provviste di cibo. 45 Conzelmann c i t a in proposito questo breve dialogo tra Socrate e A lcib i ad e : «Se lo v uo i (ean bou/e-i) , S o cra te - Così non dici bene , mio caro A lcibi ade - E co me debbo dire ? - Se il dio lo vuole (Hoti ean theos ethe/e-i)» (PLATONE, Alcibiade 1 ,1 35d) e ri porta anche la valutazione di Minucio Feli­ ce secondo il quale si t r at t a di «vulgi n atur a lis sermo».

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Commento

tesimo giorno dopo la pasqua, giorno festivo appunto di pentecoste ,46 festa del raccolto e , solo nel tardo giudaismo , dopo il 70 con la distruzione del tempio ge­ rosolimitano , divenne celebrativa del dono della legge al Sinai (cf. E. Lohse , in GLNT IX , 1480ss) . Verosimilmente siamo in primavera, riteniamo del 53 , e Paolo ha fatto questo progetto : permanenza a Efeso fino a pentecoste ; poi in Macedonia; quindi arrivo a Corinto a fine estate o in autunno e permanenza nel­ la città dell'istmo sino alla fine dell'inverno . Il prolungamento della sua permanenza a Efeso ha un motivo preciso di ca­ rattere missionario: «perché mi si è aperta una porta grande e propizia all'azio­ ne, tuttavia gli avversari sono molti» (v. 9) . L'immagine della porta aperta è pre­ sente anche in 2Cor 2 , 12 : «ed essendosi aperta a me una porta nel Signore » ; Ap 3 , 8 : «ho dato davanti a te una porta aperta» . In At 1 4 ,27 il linguaggio figurativo e quello proprio teologico si mischian o : «(Dio) ha aperto ai pagani la porta della fede (thyran pisteos)» ; vedi anche Col 4 , 3 : «perché Dio ci apra la porta della pa­ rola» (thyran tou logou) . Nella sua valenza originaria e pura l'immagine indica una grande opportunità per i missionari , cioè l'esistenza di condizioni favorevoli alla propaganda missionaria. 47 Per questo Paolo non può partire subito: sarebbe una diserzione vera e propria dal campo di evangelizzatore . L'ambiente però non è privo di difficoltà e ostacoli creati da non pochi av­ versari . Lo stesso termine ritorna in Fil 1 ,28, ma riferito ai credenti di Filippi. In 2Cor, soprattutto nella sezione dei cc. 1 0- 1 3 , Paolo si difende e , nello stesso tempo , combatte un gruppo non meglio definito di propagandisti cristiani a lui avversi . Avversari interni sono anche sullo sfondo delle lettere ai Galati e ai Fi­ lippesi . Ma qui il contesto suggerisce il riferimento a «nemici» esterni , che osta­ colano l'azione missionari a . Da 2Co r 1 , 15-17 e 2 , 1 -4 sappiamo che in seguito Paolo cambiò questo piano di viaggio e in modo favorevole ai corinzi . Da Efeso avrebbe raggiunto diretta­ mente Corinto ; poi sarebbe andato in Macedonia per incontrarvi le comunità lo­ cali di Filippi , Tessalonica e Berea ; avrebbe quindi fatto ritorno nella città del­ l'istmo , per proseguire infine per la Giudea. In questo modo i corinzi avrebbero beneficiato doppiamente della grazia divina, di cui la presenza dell'apostolo è apportatrice . Un progetto però che solo in minima parte sarà attuato , perché an-

46 Pentecoste , con sottinteso hemera, è formula attestata in scritti greco-giudaici come Tu 2 , 1 ; 2M ac 12,32 ; Decal. 160 e Spec. leg. 2 , 1 76 di Filone ; Ant. 3 ,252 ; 1 3 ,252 ; 14 ,337; 1 7 ,254 e Bell. 1 ,253 ; 2,42 ; 6 ,299 di Giuseppe Flavio. Cf. E . Lohse , in GLNT IX, 1475ss , che rivela come la data della fe­ sta fu fissata solo nel tardo giudaismo e non senza differenze di datazione , perché si calcolava il cin­ quantesimo giorno a partire, per i boetusei o sadducei, dal primo sabato dopo il primo giorno della pasqua , oppure , per i farisei , dal 16 di Nisan, posizione questa che dovette imporsi, dal momento che Filone e Giuseppe Flavio concordano nel dire che si celebrava 50 giorni dopo il primo giorno della .,P asqua (ibid. , 147 8s ) . 4 Cf. J. Jeremias : «Riferita a Dio, questa immagine della porta è entrata nella terminologia missionaria» ( G LNT IV, 608) . Strack-Billerbeck III, 484s cita anche passi giudaici paralleli. Per es. in Bereshit Rabba 3 8,9 si dice che Dio ha aperto la porta del pentimento alla generazione dei co­ struttori della torre di Babele . La traduzione di A. Ravenna (UTET) non mantiene l'immagine : «Ci insegna che il santo , Egli sia benedetto , diede loro l'opportunità di fare penitenza».

l Cor 1 6 , 10- 1 1

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dato a Corinto ebbe un incontro assai poco felice con la comunità, che lo obbligò a fare ritorno subito a Efeso , da cui scriverà «la lettera delle lacrime» . 4. RACCOMANDAZIONE D I TI MOT EO (16, 10- 1 1 ) I n 4 , 17 Paolo aveva scritto d i aver mandato a Corinto Timoteo come suo de­ legato con un incarico pastorale importante : richiamare all'attenzione della co­ munità «le mie vie nel Signore , come insegno dappertutto in ogni chiesa» . I vv. 18-19 indicano anche la ragione di questo invio: al presente Paolo non ha la pos­ sibilità di recarvisi di persona , verrà più avanti ; si fa dunque sostituire da Timo­ teo , qualificato al v. 17 come suo «figlio diletto e fedele nel Signore » . Ora lo rac­ comanda alla benevolenza degli interlocutori ; la breve unità letteraria è in mi­ niatura una lettera commendatizia . «Ouando48 poi verrà Timoteo»: s i suppone che l a lettera l o preceda. L a spie­ gazione probabile è la seguente : a differenza del latore dello scritto che avrebbe viaggiato via mare e dunque per linea diretta , il discepolo deve essersi incammi­ nato alla volta di Corinto via terra, attraverso la Macedonia , e questo per visitar­ vi le comunità paoline di Filippi , Tessalonica e Berea. Paolo si preoccupa dell'accoglienza del suo inviato da parte della comunità: «fate che si trovi senza timore presso di voi ; infatti compie l'opera del Signore come anch'io (la compio)» (v . 10) . In concreto , sollecita i corinzi a far sì che egli non patisca, nel rapporto, un'insicurezza psicologica pregiudizievole per il buon esito della missione . Lo stesso avverbio aphobos («senza timore») ricorre in Fil 1 , 14, ma a proposito di annunciatori del vangelo , dunque in ambito extraeccle­ siale. Lo stesso Paolo in 2 ,3 aveva caratterizzato così il suo stato d'animo quan­ do venne a Corinto a proclamare «la parola della croce» : «con molto timore e tremore » . Comunque, per Timoteo l'apostolo prevede che ci possano essere dif­ ficoltà nel rapporto con i corinzi e quindi esorta questi a creare attorno al suo in­ viato un clima di fiducia, perché si trovi a suo agio nel compimento dell'incarico . Si ritiene spesso che Timoteo fosse giovane , inesperto e timido (così per e s . Allo e Senft) , ma ciò che spinge Paolo a raccomandarlo non sembra una sua deficien­ za, bensì un atteggiamento altezzoso e respingente dei corinzi . In breve , l'esor­ tazione è per questi, non per Timoteo. Certo , il discepolo non ha l' autorevolez­ za del maestro , ma sta ai corinzi riceverlo come si merita . Il suo impegno missio­ nario e pastorale («opera del Signore» ) 49 è lo stesso di Paolo . «Dunque che nessuno lo disprezzi ; al contrario , accomiatatelo in pace for­ nendogli il necessario , perché possa tornare da me ; io i nfatti l'aspetto con i fra­ telli» (v . 1 1) . Qui troviamo esplicitato il motivo della preoccupazione e abbiamo

48 Ean sembra avere qui non il senso di un dubbio , come ritiene per es. ALLO, Saint Paul, 461 , bensì quello di tempo , equivalente a hotan , come rileva Conzelmann. 4 9 Su questa formula vedi il commento a 1 5 ,58.

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Commento

la conferma che questa viene dal campo della comunità, non dell'inviato. C'era il pericolo che i corinzi , dall'alto della loro supponenza e del loro complesso di superiorità, disprezzassero Timoteo . In conclusione (oun) , vuol dire Paolo , nes­ suno lo faccia oggetto di disprezzo. 50 A questo imperativo negativo fa seguito l'esortazione positiva a riservargli un commiato felice , in concreto a fornirgli ogni aiuto necessario per il ritorno . L'insistenza sul coinvolgimento della persona di Paolo : «tornare da me; io l'a­ spetto» sottolinea, ancora una volta , che Timoteo è suo inviato e che l'accoglien­ za riservatagli tocca lo stesso «inviante» . La formula «con i fratelli»51 ha un chia­ ro parallelo al v. 20: «Vi salutano tutti i fratelli» . Sono i credenti della comunità di Efeso : Timoteo non è collegato solo con Paolo , ma anche con la chiesa efesi­ na; attraverso l'apostolo e il suo discepolo le chiese entrano in rapporto le une con le altre . 5. A

PROPOSITO

DI A PO L LO ( 1 6 , 1 2)

È probabile che i corinzi avessero richiesto la sua presenza a Corinto : questa affermazione di Hurd , The Origin , 206 trova l'adesione di molti esegeti . Infatti la formula introduttoria «Quanto poi ad Apollo , il fratello» sembra riferirsi a una richiesta della lettera dei corinzi , di cui abbiamo certa attestazione in 7, 1 . Ora Paolo risponde e con u n tono u n po' brusco . Di Apollo l'unica testimonianza extra-paolina dice che era un giudeo nativo di Alessandria di Egitto , uomo colto (aner logios) e versato nelle Scritture (dy­ natos en tais graphais) (At 1 8 ,24) , entrato in rapporto con Aquila e Priscilla a Efeso (At 18,25ss) . Ma è soprattutto la nostra lettera a parlarne : aveva operato a Corinto e al suo nome si richiamava un gruppo della chiesa corinzia (cf. 1 , 12; 3 ,4ss .22 ; 4,6) . Ora è a Efeso e in contatto con Paolo . Questi non si oppone alla domanda dei corinzi ; non pensino che, se Apollo resta lontano da loro , ciò sia per un suo divieto . Può rassicurarli di essersi impe­ gnato perché ritornasse a Corinto , ma invano: «l'ho pregato spesso perché ve­ nisse da voi con i fratelli , ma non era affatto volere che venisse ora; verrà invece a tempo opportuno» . La precisazione «perché venisse da voi con i fratelli» si riferisce ai latori della lettera paolina , con probabilità Stefana , Fortunato e Acaico venuti a Efeso a

50 Il verbo exouthenein + ace. di persona è usato ancora da Paolo in ambito ecclesiale in Gal 4 , 1 4 : i galati non hanno disprezzato l'apostolo segnato da un handicap fisico ; e in Rm 14,3. 10: Paolo esorta a non disprezzare il fratello che in fatto di cibi ha una prassi diversa . 51 Lietzmann unisce la formula meta ton adelphon a auton, cioè a Timoteo, che dunque non avrebbe fatto il viaggio da solo ma accompagnato da alcuni credenti ; ma è più probabile che l'espres­ sione sia da collegarsi con il verbo ekdechomai, cioè a Paolo . Infatti , di questi pretesi accompagnato­ ri nulla è detto né a proposito dell'invio di Timoteo (cf. v. 1 7} né in questa esortazione ad accoglierlo con i dovuti riguardi .

l Cor 1 6 , 1 3- 14

881

fargli visita (cf. v. 17) . Non del tutto chiaro è invece il senso della proposizione «non era affatto volere che venisse ora» . Volere di chi? Quale il complemento sottinteso ? Se si fosse trattato della vo lontà di Apollo , non si spiegherebbe tale espressione ; a Paolo sarebbe bastato dire : «ma non volle» . Per questo un vasto fronte di esegeti52 ipotizza che il riferimento sia alla volontà divina ; come confer­ ma si può addurre Rm 2 , 1 8 in cui il sostantivo the/ema è usato in senso assoluto e il contesto immediato prova che è riferito a Dio : «e conos ci la volontà e sai di­ scernere ciò che è utile» . Forse l'uno non esclude l'altro : è probabile che i due interessati abbiano valutato la cosa e si siano accordati sull'inopportunità , alme­ no per il momento , di una visita di Apollo . La formulazione del testo paolino fa intravedere che il no su p pon e l'esistenza di ragioni serie in contrario, viste come espressione del volere di Dio che si disvela agli occhi di chi legge la realtà alla luce della sua presenza. Esclusa per il pr e sente , la visita di Apollo è rimandata a un futuro indetermi­ nato , senza data precisa, in attesa che maturino le condizioni propizie . 6 . ESORTAZIONI GENERALI ( 1 6 , 13- 14) Il motivo dell'eso rt az ione appare spesso sotto la penna di Paolo in chiusura di sezioni (cf. per es . 15 ,33-34; 15 ,58; 14,39-40) e di lettere (cf. lTs 5 , 12-22 ; 2Cor 1 3 , 1 1 ) e a volte si tratta di imperativi assai generali indirizzabili indifferen­ temente a q uesta o quella comunità ( cf. 15 ,58 ; 2Cor 13 , 1 1 ) . È q uest'ultimo an­ che il caso della nostra piccola unità letteraria . L'appello alla vigilanza è presente in vari scritti del NT ( con l ' im p . gregoreite I vigilate cf. Mt 24,42 ; 25 , 1 3 ; 26,38.41 ; Mc 13 ,34.35 ; 14,34 . 38 ; At 20,3 1 ; vedi an­ che Col 4 ,2: gregorountes I vi gilando ; l Pt 5 , 8 : gregoresate I vigilate ; Ap 3,2: gi­ nou gregoron I sii vigilante ) . E dunque un motivo comune della tradizione pro­ tocristiana . Quanto alle lettere paolin e al nostro passo si abbina lTs 5 ,6: «vigi­ liamo e siamo sobrii» . Il con testo è di regola escatologic o e l ' im m agine indica un comportamento di vigile e operosa attesa per non essere sorpresi impreparati dal giorno ultimo . Il secondo imp e r ativo «state saldi (stekete) nella fede» ha passi paralleli in Gal 5 , 1 : «State dunque saldi e non sottomettetevi di nuovo al giogo della schiavi­ tù» e Fil 4, 1 : «Così state saldi nel Signore » . 5 3 Si aggi u n g a 2Ts 2, 15: «State saldi e mantenete le tradizioni in cui siete stati ammaestrati». Nel nostro passo la fer­ mezza d'animo è richiesta a proposito della fede , cioè dell'adesione profonda al­ l ' an nuncio evangelico, minacciata da difficoltà esterne e turbamenti interni. In breve , l'esigenza è quella della fedeltà dei credenti .

52 Vedi B arrett, Kiimmel, Senft , Weiss. Di parere contrario invece è ALLO , Saint Paul, 462 che afferma con forza che si tratta della volontà di Apollo. 53 La formula «Stare saldi nel Signore» appare anche in l Ts 3 ,8, mentre in Fil 1 ,27 si parla di «Stare saldi in un solo spirito».

882

Commento

I due imperativi «comportatevi virilmente , siate forti» sono paralleli. Non per nulla, come ha notato Wolff, andrizesthai e kratiousthai sono abbinati anche in 2Sm 10,12;5 4 Sal 26, 14 ; 55 30,25 .56 Il primo verbo non appare altrove nel NT, mentre il secondo è attestato ancora in Le 1 ,80 e 2 ,40 a proposito di Gesù bam­ bino che nella crescita si fortificava (nello spirito) e in Ef 3 , 16 (essere rafforzati dallo Spirito ) . L'ultimo imperativo «Tutte le vostre azioni (panta hymon) s i facciano nell'a­ more» esorta a fare dell'amore il centro unificante dell'agire cristiano: ogni azio­ ne ne deve essere espressiva . Non per nulla nel c. 13 Paolo aveva esaltato l'amo­ re come il «valore» sommo dell'esperienza cristiana , da cui dipende non una gra­ dualità dell'essere , ma lo stesso essere del credente , che privo di amore è una nullità (outhen eimi) (v. 2) . E nei vv. 4-7 dello stesso capitolo aveva descritto , in modo esemplificativo , con 15 verbi l'illimitato raggio di azione dell'amore. Qui non cambia in sostanza la prospettiva: l'amore non è una grandezza categoriale distinta da altre , ma una dinamica caratterizzante tutte le azioni del soggetto. Per questo Paolo esorta a fare di ogni fare del credente un fare dell'amore. La formula poi della totalità (panta) richiama due passi analoghi della lCor in prima persona singolare , dunque di tonalità personale : 9,22: «sono diventato tutto a tutti (tois pasin gegona panta)» ; 10,33: «in tutto a tutti cerco di piacere (panta pasin aresch6) » . 7.

UNA PARACLESI SPECIFICA

(16, 15-18)

Con gli imperativi sudde !Ji"si poteva pensare che Paolo avesse concluso la lettera e dovesse passare ai sa luti . Invece procede con una esortazione specifica, introdotta dal verbo tipico della parenesi parakalo , che spesso nelle lettere pao­ line apre le sezioni parenetiche : cf. Rm 12, 1 ; 2 Cor 10, 1 ; lTs 4, 1 ; Fil 4,2 (vedi anche Ef 4 , 1 : lTm 2, 1 ; l Pt 2 , 1 1 ; 5 , 1 ) . Il significato esortativo è imposto dal con­ testo , che esclude il senso di confortare . Sempre in Paolo si ha, sovente , una de­ terminazione del carattere autorevole del suo «esortare» che coinvolge Cristo e Dio , come appare nelle seguenti formule tipiche : egli esorta (parakalo) «me­ diante il nome del Signore nostro Gesù Cristo (dia tou onomatos. . . )» (1, 10) , «per la dolcezza e la mansuetudine d i Cristo (dia tes praytetos kai epieikeias . . . ) » (2Cor 10, 1 ) , «nel Signore (en Kyrio-i)» (lTs 4 , 1 ) , «per i gesti di misericordia di Dio (dia ton oiktirmon tou Theou)» (Rm 12 , 1 ) ; «mediante il Signore nostro Ge­ sù Cristo (dia tou Kyriou . . . )» (Rm 15 ,30) . v. 15 Qui invece abbiamo il solo verbo parakalo , non seguito subito dal suo oggetto , espresso soltanto al v . 16 con una proposizione finale di valore impera-

54 Essendo l'esercito israelitico attaccato dagli ammoniti , Ioab dice ad Abisai, messo a capo di una parte dello schieramente militare : «Comportati virilmente e siamo forti (Andrizou kai kra· taiothomen ) 55 «Sii virile e s i a forte il tuo cuore (andrizou kai krataiostho he kardia sou)». 56 «Siate virili e sia forte il vostro cuore (andrizesthe . . . ) » . ».

l Cor 1 6 , 1 5 - 1 8

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tivo : «Vi esorto affinché vi sottomettiate» . Prima dell'esortazione Paolo si soffer­ ma sul valore delle persone , cui gli interlocutori devono fare atto di sottomissio­ ne , valore ben noto : «sapete della famiglia di Stefana, che è primizia dell'Acaia57 e che hanno messo se stessi al servizio per i santi» . Due sono gli elementi su cui Paolo fa leva per dire che quelli della casa di Stefana sono meritevoli di stima. Anzitutto sono i primi battezzati (aparche) della provincia romana di Acaia. An­ che in Rm 16,5 è attestato questo titolo d'onore , attribuito a un certo Epeneto , chiamato appunto «primizia dell'Asia» . L'immagine indica che al primo creden­ te di una provincia era riconosciuto un «primato» non puramente cronologico . Del battesimo della famiglia di Stefana Paolo aveva parlato esplicitamente in 1 , 1 6 come di uno dei pochi esempi della sua attività battezzatrice a Corinto . Il secondo titolo di merito è costituito dalla scelta della diakonia ecclesiale : «hanno messo s e stessi ( etaxan heautous) a servizio per i santi ( eis diakonian tois hagiois) » . 58 Come si vede , non si tratta di un incarico attribuito , né di un ruolo istituzionale , ma di una disponibilità di fatto a favore della comunità. In altre pa­ role , è sul campo che nascono i leaders delle comunità paoline ; si diventa «servi­ tori» (diakonoi) esercitando il «Servizio» (diakonia) . Con questo vocabolo Paolo indica il suo lavoro apostolico e pastorale (cf. soprattutto 2Cor nei passi 4 , 1 ; 5 , 1 8 ; 6 , 3 ; 1 1 ,8) , quello «carismatico» elargito a uno o all'altro nel contesto dei molti e diversi doni elargiti liberamente dallo Spirito (cf. l Cor 12,4ss ; Rm 12 ,7) , la stessa opera della colletta (cf. 2 Cor 8 , 4 ; 9 , 1 . 1 2 . 1 3 ; Rm 1 5 ,3 1 ) . La denomina­ zione corrispondente di diakonos poi è attribuita da Paolo a Febe «diaconessa della chiesa di Cenere» (Rm 1 6 , 19 e ad alcuni della chiesa di Filippi (diakonoi: 1 , 1 ) , oltre che cumulativamente a se stesso e ad Apollo (3 ,5) . In ogni modo, qui si tratta di diakonia ecclesiale , di un servizio prestato ai «santi» , denominazione teologicamente densa ( cf. 1 ,2 : «ai santi per vocazione » ) dei membri della comu­ nità . Ma a chi si riferisce la formula collettiva «casa di Stefana»? Si tratta , certo, degli adulti della famiglia di cui Stefana59 è il capo e non sono da escludere le donne , come rileva Barrett , La prima lettera , 480 . v. 16 Ed ecco i termini imperativi dell'esortazione paolina: «Sottomettetevi anche a tali persone e a chiunque collabora e si affatica con loro». Paolo li rico­ nosce leaders e sollecita dagli interlocutori pari riconoscimento , da tradurre pe­ rò sul piano concreto dei comportamenti . 60 Il verbo hypotassein I hypotassesthai

57

La provincia di Acaia comprendeva l'Attica , la Beozia e il Peloponneso con Corinto capitale. Un passo simile è presente in Platone (Repubblica, 371C) , che dice : «Ci sono persone che no­ tano questo inconveniente e s'incaricano di svolgere questo servizio (heautous epi ten diakonian tas­ sousin tauten) » . Il vocabolario del Rocci invece traduce così: «si prestano a questo servizio». 59 La forma greca Stephanas è interpretata in B LASs-DEBRUNNER, Grammatica, § 1 25 come ab­ breviazione di Stephanephoros o sviluppo di Stephanos . 60 La particella kai deve essere rimarcata: non solo riconoscimento del loro valore ma anche sottomissione . 58

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Commento

ricorre anche in Rm 1 3 , 1 .5 e in l Cor 14 ,34 a esprimere rapporti di potere , men­ tre in 15 ,27 e Fil 3 ,2 1 indica il potere di Cristo risorto capace di sottomettere a sé non solo i «nemici», m a anche tutto il mondo. Un'esigenza di sottomissione che vale pure in rapporto a non meglio precisa­ ti loro collaboratori6 1 impegnati nel duro lavoro (kopiao) pastorale ed evangeliz­ zatore . 62 Dunque la famiglia di Stefana era il nucleo di un più vasto gruppo di re­ sponsabili della comunità corinzia. Questo rilievo ci permette di dire che , di re­ gola, nelle comunità paoline non esisteva un'autorità monocratica , bensì più rappresentanti del principio di autorità (cf. lTs 5 , 12- 1 3 ; Fil 1 , 1 : episkopoi kai diakonoi) . v. 17 Il brano si allarga ora a richiamare per sommi capi la storia dei recenti rapporti di Paolo con Stefana , cui s'aggiungono qui altri due credenti di Corinto, menzionati per nome , Fortunato e Acaico . 63 Si può congetturare che questi ulti­ mi fossero in stretto rapporto con Stefana, magari i figli o anche schiavi o liberti della sua casa , ma non abbiamo dati sufficienti per affermare questo piuttosto che il contrario . È certo , invece , che facevano parte della delegazione della chie­ sa corinzia - la posizione di Stefana nella comunità sembra escludere che si sia trattato di una semplice visita di amicizia - venuta a Efeso a interpellare l'apo­ stolo sui problemi che la travagliavano e probabilmente a portare la lettera dei corinzi . Paolo confessa la gioia che il loro arrivo gli ha recato e il tempo presente del verbo (chairo) può indicare che egli gode tuttora della loro presenza. Con probabilità saranno i latori della sua risposta scritta . Gioia motivata con una proposizione non del tutto chiara: «E mi rallegro dell'arrivo (parousia) di Stefa­ na, di Fortunato e di Acaico , perché questi hanno supplito alla vostra deficienza (to hymeteron hysterema) » . In queste ultime parole c'è un tono di rimprovero o no? Nella prima eventual ità il testo indicherebbe una colpevole mancanza di at­ tenzione e premura da parte degli interlocutori (così per es. Wolff, Der erste Brief, 225) ; nella seconda invece vi si rileverebbe soltanto il fatto oggettivo della presenza di Stefana , Fortunato e Acaico che hanno supplito in qualche modo al­ l 'assenza dell'intera comunità impossibilitata ad andare tutta a Corinto . 64 v. 1 8 Ma che cosa, in concreto , ha causato la gioia di Paolo? Non il puro e semplice fatto dell'arrivo di Stefana , Fortunato e Acaico , bensì un'azione rasse­ renante che questi hanno esercitato sul suo an:imo preoccupato e ansioso : «lnfat-

61 Il vocabolo synergounti potrebbe riferirsi anche a Paolo, ma il contesto immediato suggerisce piuttosto una stretta connessione con Stefana . 62 Vedi sopra a proposito di questo termine il commento di 1 5 , 10. 6 3 Fortunato è nome latino soprattutto di schiavi e liberti , nota Fee . E la cosa non deve meravi­ gliare per il fatto che Corinto era una colonia romana . Il nome Acaico significa uomo dell'Acaia. 64 Conzelmann propende per questa seconda ipotesi quando si domanda: Paolo vuole rimpro­ verare o non dire semplicemente che essi sono stati per lui un sostituto degli interlocutori? Così an­ che Wciss. Senft invece legge così la formula : voi mi mancate ; ma non rende conto della contrappo­ sizione tra i presenti e gli assenti , in particolare della supplenza di quelli alla deficienza di questi .

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ti hanno dato riposo (anepausan) al mio e al vostro spirito» . Passi paralleli sono 2Cor 7 ,13 e Fm 7 incentrati nello stesso motivo della gioia che scaturisce dalla serenità ritrovata . Nel primo Paolo dice di aver gioito «per la gioia (chara) di Ti­ to , perché il suo spirito ha trovato serenità (anapepauetai) da parte di tutti voi » . Nel secondo l'apostolo confessa la sua gioia , avendo i l cuore dei «santi» trovato pace per merito dell'opera di Filemone . Tutto in prima persona infine è Fm 20, in cui egli scongiura l'interlocutore di dare sollievo alle sue viscere accogliendo favorevolmente lo schiavo Onesimo . Il testo non dice in che modo essi lo hanno tranquillizzato , ma non è difficile congetturare che la solidarietà dei visitatori e forse la loro descrizione di un qua­ dro non catastrofico della situazione della chiesa di Corinto abbiano recato sol­ lievo al suo animo. Comunque il verbo esprime un passaggio psicologico dall'an­ sia alla pace e dalle preoccupazioni alla serenità e tranquillità. 65 Più difficile ancora è capire in che senso la presenza dei tre delegati ha rasse­ renato anche i corinzi . Wolff, Der erste Brief, 226, ma anche già Allo , Saint Paul, 466 , intende il conforto recato allo «spirito vostro» in senso prolettico : do­ po che saranno tornati a Corinto , latori della lettera dell'apostolo , potranno ras­ serenare tutta la comunità . Ma sembra una soluzione ricercata , perché Paolo parla al passato : «hanno dato riposo al mio e al vostro spirito» . Preferibile è la lettura di Weiss , Der erste, 386: anche l'animo dei corinzi trova riposo sapendo che lo spirito dell'apostolo si sarà di certo acquietato con la visita di Stefana , Fortunato e Acaico . Come conclusione delle breve unità letteraria ( cf. la particella oun) Paolo ri­ pete la sua esortazione : «Dunque riconoscete (epiginoskete) tali persone» , che riprende quella del v. 1 6 : «Sottomettetevi a tali persone» con cui fa inclusione . Per questo è da escludere una pura valenza conoscitiva ; il verbo ha un significato più pragmatico , appunto di sottomissione .

8. SALUTI (16, 19-2 1 ) Elemento fisso nella struttura delle lettere paoline, 66 assente solo i n Gal , i saluti fanno parte della loro conclusione , ma non mancano peculiarità in questo e in quello scritto (cf. H . Windisch , in GLNT I, 1319ss) . In l Ts 5 ,26 Paolo si li­ mita a dire ai destinatari che devono , da parte sua , salutare tutti i credenti di Tessalonica con un bacio santo . 67 In 2Cor 1 3 , 12 il motivo dei saluti è binario : an­ zitutto l 'invito ai destinatari , cioè l 'intera comunità, di salutarsi gli uni gli altri

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Vedi in Mt 1 1 ,29 la promessa di Gesù : «troverete pace (anapausin) per le vostre anime » . Non così nell'epistolografia greca del tempo, anche se appare q u a e là. Conzelmann , Der er­ ste Brief, 359 cita per es. dai papiri di Ossirinco questo saluto conclusivo di una lettera: kagò Alexan­ dros ho pater hymòn aspazomai polla ( 1 067 ,22s) . 67 Non sembra che il «voi» destinatario dell'invito paolino sia da distinguere da «t utti i fratelli» , come rileva nel suo commento Holtz. 66

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Commento

con il bacio santo ; poi egli manda i saluti di tutti i «santi» , cioè dei credenti del luogo dove ha scritto la lettera . 68 Lo stesso rilievo si può fare di Fil 4, 21-22, che però sviluppa i saluti di chi è con l'apostolo : egli manda i suoi saluti a ogni cre­ dente e quelli dei fratelli che sono con lui , di tutti i «santi » , in particolare dei membri della casa dell'imperatore . In Fm 23 è attestato solo l'invio di saluti dei collaboratori di Paolo . In Rm 16 , 3ss Paolo manda anzitutto il suo saluto a diver­ se persone menzionate per nome in un lungo elenco scandito dal verbo «Saluta­ te» ; poi li esorta a salutarsi gli uni gli altri con un bacio santo (v. 1 6a) e infine si fa portavoce dei saluti di tutte le chiese di Cristo (v . 16b) ; e dopo un brano di al­ tro genere intercalato , continua porgendo i saluti di Timoteo e di altri con lui , di Gaio , Erasto e Quarto , mentre al v . 22 è lo scrivano Terzo che in prima persona saluta la chiesa di Roma ( vv . 2 1 - 23 ) . vv . 19-20a Il nostro passo si caratterizza , non diversamente da Fil , per la lar­ ga partecipazione ai saluti : salutano le chiese di Asia , la coppia Aquila e Prisca «Con la chiesa che si riunisce a casa loro » , tutti i fratelli . Le comunità della pro­ vincia romana di Asia , di cui Efeso era la residenza del governatore , non la capi­ tale, sono quelle di Efeso, naturalmente , Colossi (Col 1 ,2) , Laodicea (Col 2 , 1 ; 4 , 1 3 . 1 5 . 1 6) , Gerapoli (Col 4 , 13) . A Colossi di certo , con tutta probabilità anche a Laodicea e Gerapoli , fu Epafra l'evangelizzatore , come leggiamo in Col 1 ,7. Ma si trattava di chiese legate a Paolo attraverso questo «nostro caro compagno di servizio (agapètos syndoulos) , che è fedele ministro (pistos diakonos) di Cri­ sto al posto nostro» (Col 1 ,7) . Si aggiunga infine , per completare il numero, la comunità di Troade menzionata in 2Cor 2 , 1 2 ; At 16,8. 1 1 ; 20,Sss . Aquila e Prisca sono ora in Asia con Paolo . Tempo addietro, espulsi da Ro­ ma per l'editto di Claudio , erano giunti a Corinto e qui avevano incontrato e ospitato l'apostolo (At 1 8 ,2-3 ) . Lo avevano seguito anche , quando , lasciata la città dell'istmo, egli venne a Efeso (At 1 8 , 18-19) , dove entrarono in rapporto con Apollo (At 18 ,26) . Infine da Rm 1 6 , 3-5 sappiamo che al tempo di questa let­ tera la coppia è di nuovo a Roma, dove pure ospita una comunità . Paolo si fa portavoce anche dei saluti della chiesa che si riunisce a casa loro. Non sappiamo se il riferimento sia all'intera chiesa paolina di Efeso , oppure a una delle comunità domestiche di cui questa era composta. 69 In tale eventualità si spiegherebbe meglio l'aggiunta del v. 20a: «Vi salutano tutti i fratelli», cioè tutti i credenti della chiesa paolina di Efeso . 70

S

Nel p rimo caso abbiamo il verbo a l l ' imperati v o : aspazesthe, nel secondo è attestata la forma aspazetai I aspazontai ( S c h n i der - S te n ger parlano in proposito di «Grussauftrag» e «G rus­ s a u sri c h t u n g» ) . Nel nostro passo q uest ' ul tima formula è arricchita dall'avverbio polla e dalla formu­ la di unione cristolo g ica tipicamen t e paolina en Christ6-i: il saluto scaturisce da persone che vivono in profonda comunione con Cristo , del cui spi r ito sono animate . 69 Su l l e comunità domestiche del tempo vedi il volume di SCHREIBER , Gemeinde, 130- 1 34. 7 0 WEISS , Der erste, 387 si domanda se con questa formula Paolo n on si riferisc a ai corinzi ch e erano a Efeso ; ma è una s u pp osizione puramente soggettiva. i n d i c ativa:

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v. 20b Segue l'invito allo scambio di saluti che avviene con un bacio santo: «Salutatevi gli uni gli altri con un bacio santo». Il bacio è dunque qui una forma di cordiale saluto (cf. Stahlin) . L'aggettivo lo qualifica come espressione di amo­ re dei credenti che sono hagioi e traducono questa loro santità elettiva nella cor­ dialità dei rapporti reciproci all'interno della comunità . Insieme con altri parti­ colari menzionati subito dopo nel v. 22, faceva parte del rituale delle riunioni co­ munitarie incentrate nella celebrazione della cena del Signore . Oltre i passi pao­ lini su indicati un altro testo del NT lo menziona con una qualifica particolare , lPt 5 , 14 : «Salutatevi l'un l'altro con un bacio di amore (en philemati agapes)» . Nella chiesa antica «importanti sono soprattutto l a continuazione e l'ulteriore sviluppo del philema hagion » ( G . Stahlin , in GLNT XIV , 1 187) .71 Secondo Am­ brogio nel bacio «plenae caritatis fidelis exprimitur affectus» e ancora il bacio è «pietatis et caritatis . . . signum» (Exameron 6,9 ,68) . È comunque Giustino il pri­ mo che , nel periodo successivo al NT, attesta l'uso del bacio durante l'eucaristia: «terminate le preghiere , ci scambiamo un bacio ( a llelous philemati aspazo­ metha)» (Apol. l , 65 , 2) . Tertulliano lo chiama «Osculum pacis» (De orat. 18) . Lo Pseudo-Dionigi areopagita , nello stesso tempo , ne attesta l'uso eucaristico e lo definisce con un superlativo: «ha luogo il rito del divinissimo bacio (ho theio­ tatos aspasmos) » (Paraphrasis Pachymerae 3 , 3 ,8). Ma non sono mancati ammo­ nimenti contro il pericolo di «traviamenti erotici» (Stahlin , ibid. , 1 19 1 ) . Per tutti valga la parola di Clemente Alessandrino che in tono di rimprovero annota: «non fanno risuonare le chiese altro che di baci, e non hanno il vero amore in se stessi» , per esortare quindi a darsi il philema mystikon , «col quale , come afferma con un gioco di parole , la bocca resta chiusa» (Stahlin , ibid. , 1 191) (Paed. 3 ,8 1 ,2-4) . Per questo le Constitutiones Apostolicae imporranno la separazione dei sessi al momento di dare il bacio liturgico (2,57 , 17) . v. 21 Il brano dei saluti termina con il v. 2 1 : «Il saluto è di mia mano, di Pao­ lo» .72 Anche in Gal 6,1 1 , ma è l'unico passo paolino parallelo (cf. però anche il testo pseudepigrafico Col 4 , 1 8) , Paolo dice che sta scrivendo di suo pugno (cf. Bahr) ; mentre solo in Rm 16 ,22 abbiamo un'esplicita attestazione della presenza di uno scrivano :