La seconda Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione, commento 8810206258, 9788810206256

Tra le lettere paoline, la Seconda ai Corinzi è ritenuta quella più personale per l'appassionato coinvolgimento del

1,338 146 10MB

Italian Pages 368 [361] Year 2007

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

La seconda Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione, commento
 8810206258, 9788810206256

Citation preview

+

LA SECONDA LETTERA Al CORINZI ..

.,...

. .

+

. .

ra le lettere paoline la Seconda ai Corinzi

è ritenuta quella più personale per l'ap­

passionato coinvolgimento che si coglie tra le righe. Vi si percepisce infatti lo zelo per l'an­ nuncio del vangelo; il desiderio di scrivere nei cuori dei destinatari parole di salvezza; di renderli partecipi, con la grazia dello Spirito Santo, della novità dell'amore trinitario, di cui Paolo si sente ambasciatore e servo. l rapporti tra Paolo e la comunità di Corinto segnano ogni riga

della lettera. Da qui l'am­

pio spazio riservato al tema nell'Introduzione. All'interno di questo tema generale si col­ loca l'irrisolto nodo del dialogo epistolare tra Paolo e i corinzi, da sempre una crux inter­ pretum: l'unitarietà della lettera, la possibile scansione tra le lettere note e quelle ipoteti­

che perdute... Attenta considerazione trovano le difficoltà di ordine letterario e contenuti· stico poste dalle due lettere canoniche, senza dimenticare il problema dell'identità degli awersari, oggetto di discussione animata tra gli studiosi. La teologia della lettera

è individuata dal commentatore in tre grandi temi: il contesto tri­

nitario (il Padre della misericordia e della consolazione; Gesù Cristo, la fedeltà di Dio Pa­

dre; lo Spirito Santo che vivifica); il ministero apostolico (il chiamato a collaborare nella Chiesa; gli appellativi, le modalità e le competenze; il paradosso della forza nella debo­ lezza); il servizio nella comunità della nuova alleanza. •••••

"" GIACOMO LoRusso (1959), presbltero della diocesi di Altamura-Gravina-AcquaviVa dene Fonti, Inse­ gna esegesi biblica presso la Facoltà Teologica Pugliese. Ha pubblicato il volume Il ministero pasquale in È membro del comitato di redazione

2Cor 1-7 (Roma 2001) e articoli a carattere esegetico su varie riviste. della Rivista di Scienze Religiose. •

••••

LA SECONDA LETTERA AI CORINZI Introduzione, versione, commento di GIACOMO LORUSSO



EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

e> 2007

Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato)

ISBN 978-88-10-20625-6 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2007

Abbreviazioni

ABD AGJU Ash TheoUoum BDR

Bib BibTrans BiblSac Bib TheolBull BZ BT B BullBibRes Ca/v TheoUourn CBQ CivCatt CNT(N) DCB DEB DEN T Denz

FREEDMAN D.N.- HERION G.A. (edd.}, The Anchor Bible Dictionary, New Jork 1992 Arbeiten zur Geschichte des antiken Judentums und des Urchristentums Ashland Theological Journal BLASS F. - DEBRUNNER A., Grammatik des Neutestament­ lichen Griechisch, ed. F. REHKOPF, Gottingen 141 976; tr. it. Grammatica del Greco del Nuovo Testamento, (GLNT.S 3), Brescia 1982 Biblica Bible Translator Bibliotheca Sacra Biblica/ Theology Bulletin Biblische Zeitschrift Biblica/ Theological Bulletin Bulletin for Biblica/ Research Calvin Theological Journal Catholic Biblica/ Quarterly La Civiltà Cattolica Commentaire du Nouveau Testament CoENEN L.- BEYREUTHER E. - BIETENHARD H. (edd.), Di­ zionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, B olo­ gna 41989 PENNA R. (ed.), Dizionario Enciclopedico della Bibbia, Roma 1995 BALZ H. - ScHNEIDER G. (edd.), DizioTJario Esegetico del Nuovo Testamento, (Introduzione allo studio della Bib­ bia, Suppl. 15 ) , Brescia 2004 DENZINGER H., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue, a cura di P. HONERMANN, Bologna 1995

6

DPL

Abbreviazioni HAwntORN G.F. - MARTIN R.P.- RE ID D.G., Dizionario di

Paolo e delle sue lettere, Cinisello Balsamo 1993 Ecumenica[ Review Epworth Review Erbe und Auftrag Estudios Biblicos Euntes Docete Evangelica/ Quarterly Ephemerides T heologicae Lovanienses Expository Times Filologia Neotestamentaria Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments FzB Forschung zur Bibel GeistLeb Geist und Leben GLNT KIITEL G. - GERHARD F., Grande Lessico del Nuovo Te­ stamento, 16 voli., Brescia 1963-1988 HarvTheolRev Harvard Theological Review HNT Handbuch zum Neuen Testament HorBibTheol Horizons in Biblica/ Theology HTSTeolStud HTS Teologiese Studies/Theological Studies JDB BurrRICK G.A. (ed.), The interpreter's dictionary ofthe Bi­ ble, Nashville (TN)-New York 1962 JBL Journal of Biblica/ Literature JournEvangTheolSoc Journal of the Evangelica/ Theological Society JournRomArch Journal of Roman Archaeology JSNT Journal for the study of the New Testament JSNT SS Journal for the Study of the New Testament. Supplement Seri es LSJ LIDDELL H.G. - Scorr R. - JoNES H.S., Greek-English Lexicon, Oxford 1961 ( = 1 940; 1 1873) MastSemJoum Master's Seminary Journal Munch Theo/Zeit Milnchener Theologische Zeitschrift NGCB Nuovo Grande Commentario Biblico, Brescia 22002 NJCNT New International Commentary on the New Testament NotesTrans Notes on Translation NT Novum Testamentum NTA.NF Neutestamentliche Abhandlungen NTStud New Testament Studies ProclrBibAssoc Proceedings of the Irish Biblica/ Association QR Quarterly Review RAC KLAUSER T. (ed.), Reallexikon fiir Antike und Christen­ tum, Stuttgart 1 950ss RB Revue Biblique EcumRev EpworthRev ErbAuf EstBib EuntDoc EQ ET L Exp Tim FN FRLANT

Abbreviazioni

RestorQuart RG RW RHPR RivBib Rocci RSR RStB SBB SBL SBL. DS SBL . Symp SB T SNTS MS SPS StudNTUmwelt StudTheol TF

TyndBull VerbEccl WestTheoUourn WortDienst WUNT ZeitKath Theol ZeitN T ZNW

7

Restoration Quarterly Religions in the graeco-roman world Revue d'histoire et de philosophie religieuses Rivista Biblica Rocc1 L., Vocabolario greco-italiano, Città di Castello 241973 Recherches de Science Religieuse Ricerche storico-bibliche Stuttgarter Biblische Beitrage Society of Biblica! Literature Society of Biblica! Literature Dissertation Series Society of Biblica} Literature Symposium Studies in Biblica/ Theology Society for N ew Testament Studi es Monograph Series Sacra Pagina Series Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt Studia Theologica Theologische Forschung Tyndale Bulletin Verbum et Ecclesia Westminster Theological Journal Wort und Dienst Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testa me n t Zeitschrift filr Katholische Theologie Zeitschrift filr Neus Testament Zeitschrift filr die Neutestamentliche Wissenschaft ..

INTRODUZIONE

Tra le lettere paoline la 2Cor è ritenuta quella più personale per l'appassio­ nato coinvolgimento che si coglie tra le sue righe. Vi si percepisce infatti lo zelo per l'annuncio del vangelo, il desiderio di scrivere nei cuori dei destinatari paro­ le di salvezza, di renderli partecipi con la grazia dello Spirito Santo della novità dell 'amore trinitario. di cui l'apostolo si sente ambasciatore e servo. Come nelle altre lettere, tuttavia, è difficile cogliere il contesto storico e so­ cio-culturale in cui essa è maturata. Si rende pertanto necessario ricreare tale contesto per poterne decifrare il messaggio. L'importanza della città di Corinto era un dato scontato nell'antichità: collocata sull'omonimo istmo tra la Grecia continentale e il Peloponneso, era un passaggio obbligato per chi volesse arriva­ re incolume sulle sponde dell'Adriatico. Quale punto di convergenza dell'orien­ te e dell 'occidente, era crocevia di popoli e di economie, di idee e di spiritualità. Un 'invidia bile posizione economica e culturale che certamente è alla base della scelta dell'apostolo di annunciarvi il vangelo. N ella lettera si sentono gli echi dei paradossi di questa città tesa tra ricchezza economica e povertà morale (cf. 6,15-7,1; 12,20-21).

Attraverso l'epistolario paolino e gli Atti, senza tacere della letteratura coe· va, possiamo ricavare delle preziose informazioni sulla comunità che venne a ra­ dunarsi attorno alla parola dell'apostolo. Era una comunità vivace, come prova­ no le due lettere (1 -2Cor), ricca di doni ma anche facile alla superbia, alle riva­ lità e alle contrapposizioni. Paolo, imitando il suo Signore, con amore, mitezza e umiltà stabilisce un rapporto di comunione che si impone quale modello per ogni ministro del vangelo. Leggere i cc. 10-13 significa poter disporre dei criteri più efficaci per abbattere i sottili ragionamenti dei saggi di questo mondo e con­ quistarli alla libertà donata dal Crocifisso. Quanta fiducia nella grazia si respira in queste pagine! Rileggerle con attenzione può fare di ciascuno di noi un au­ tentico testimone della chiamata alla salvezza, nel nostro difficile ma entusia­ smante momento storico. Una particolare attenzione merita la questione del dialogo epistolare tra Paolo e i corinzi, da sempre una crux interpretum. Le due lettere paoline pre­ sentano, infatti , varie difficoltà di ordine letterario e contenutistico, senza di­ menticar� il problema dell'identità degli avversari, oggetto di discussione ani-

12

Introduzione

mata tra gli studiosi. In q ue sta sede desideriamo offrire solo i termini delle que­

stioni fondamentali, lasciando poi al lettore la verifica personale nel commento che segue. Per semplificare la lettura, nelle note si citano solo i testi degli autori più si­ gnificativi, rimandando per gli altri alla bibliografia finale. 1. CORINTO 1.1. La posizione geografica

Collocata sulla lingua di terra che unisce la Grecia continentale ( Acaia) alla grande penisola del Peloponneso, bagnata ad est dal mar Egeo e ad ovest dal mar Ionio, Corinto sorgeva su un altopiano che controlla l 'istmo, attraversata da una vitale arteria stradale nord-sud, e tra i porti dei due mari (quello di Cenere ad est e quello di Lecheo ad ovest). Su di essa dominava a sud la collina dell'a­ cropoli (Acrocorinto) alta quasi 600 metri. La posizione sui due mari la rendeva strategicamente importante per i com­ merci da est ad ovest, senza il bisogno di circumnavigare il Peloponneso. 1 Si era ricorso, infatti , ad un espediente per trasbordare le merci da un mare all'altro: una strada per battelli chiamata diolkos, costruita nella parte più stretta dell'i­ stmo.2 E questo è stato confermato dagli scavi archeologici che ne hanno indi­ viduato tratti a Istmìa presso le fondamenta del tempio di Poseidone. Il taglio dell'istmo è avvenuto negli anni 1881-1889, anno di inaugurazione del canale.3 La città di Corinto è situata a 7 chilometri a sud-est della città moderna chia­ mata Nea Korinthos, sorta dopo il terremoto del 1858, che distrusse quanto ri­ maneva dell'antica città. Il circuito della città doveva essere di 9 chilometri, cir­ condata da mura perimetrali di 15 che congiungevano la città alta o acropoli (Acrocorinto) a quella bassa, quella propriamente detta e densamente abitata. L'area della città doveva estendersi intorno ai 600 ettari.4 1 Doppiare il capo Malea all'estremo sud del Pel oponneso signi ficava per le medie e piccole im­ barcazioni rischiare il nau fragi o a motivo di forti venti contrari. STRABONC riporta il detto popolare: «Se tu doppi il capo Malea, dimentica la tua casa>) (Geogr. 8,6,20). 2 Poiché l'istmo non è in linea retta, Cenere, il porto ad est, si trovava a una dozzina di chilo­ metri a est di Corinto, mentre Lecheo, il porto ad ovest, era situato a circa tre chilometri a no rd di Corinto. Il diolkos era una strada lastricata, larga da 3 ,40 a 6 metri, con scanalature speciali con un'a­ pertura di metri 1,50 che permettevano di trainare su rulli macchine mobili in legno (holkos) per il trasporto di navi leggere da un mare all'altro. Era pre visto anche un sis tema segnaletico per evitare partenze simulta ne e dalle d u e parti. Questo sistema abbreviava di quasi trecento chilometri il peri­ coloso viaggio intorno al Peloponneso (PLINIO IL VECCHIO, Nat. Hist. 4,10). Cf. G. BARBAGLIO, La pri­ ma lettera ai Corinzi, Bologna 1995, 18). 3 Da Strabone siamo informati che il primo tentativo fu fatto da D emet ri o Poliorcete, re di Ma­ cedonia, negli anni 336-282 a . C. Successivamente fu Nerone a dare inizio ai lavori, senza portarli a co mp i m ent o (SvETONIO, Nero, 19,2). Cf:. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 18. 4 Cf. la descrizione dell'area fatta da D. DuRKEN, «The corinthian connection», in Bible Today

35(1997). 294-299.

Introduzione

13

L'acropoli è collocata a 575 metri sopra la pianu ra che la circonda. Era abi­ tata da soldati e dal personale addetto al culto dei numerosi templi, tra cui quel­ li dedicati a Giunone, al Sole, a Serapis, ad Isis e ad Afrodite. Oggi restano solo poche rovine, ad eccezione della fontana di Pirène, sorgente ancora oggi rigo­ gliosa. La città bassa è situata a 75 metri sul livello del mare, dominante la pianura . Suo centro era l'agorà, punto di convergenza di quattro grandi strade prove­ nienti da Lecheo (porto ad ovest), da Sicione, da Cenere (porto ad est) e daii'A­ crocorinto. Gli scavi archeologici (iniziati nel 1896 dalla Scuola Americana di studi classici ad Atene) hanno messo in luce pochi elementi della città preelleni­ ca e qualcosa dell'età ellenica e romana. Ciò che resta appartiene alla città co­ struita dai romani, per volere di Cesare, nel 44 a.C., dopo che la città greca fu di­ strutta da Lucio Mummio nel 146 a.C. Sono stati scoperti resti di templi dedica­ ti alle divinità egizie Iside e Serapide, numerose terme, un teatro del V sec. a.C. restaurato dai romani in grado di ospitare 14.000 spettatori, un macellum o mer­ cato pubblico di carne. che venne restaurato al tempo di Augusto. e l'agorà con il bema, la tribuna da cui venivano comminate le sentenze giudiziarie. In parti­ colare ciò che resta del tempio di Apollo (sette colonne doriche e monolitiche) della metà del VI secolo. 1.2. La città greca e la colonia romana

La città di Corinto è menzionata due volte nell'Iliade: la prima riferisce

dell' «opulenta Corinto» (II , 57 0) , annoverandola tra le città greche che parteci­

parono alla guerra di Troia; la secon da volta ricorda un certo Euchenore, che, fi­ glio del poeta Polido, ricco e forte, era «abitante case di Corinto» (XIII, 664) . Di Corinto parlano, tra gli altri, Orazio (Odi 1,7,2.23); Ovidio nelle Metamorfosi (5,407); Cicerone, che definisce Corinto «totius Graeciae lumen» (Pro lege Ma­ nilia 5); Plinio il Vecchio, che accenna al1 'antico nome di Corinto «Efisa», all'A­ crocorinto e alla fonte di Pirène (Nat. Hist. 4,11) ; Strabone, che racconta dei pri­ mi tentativi di tagliare l'istmo (Geogr. 1,3,11 ); Tucidide, che attesta l'importanza militare di Corinto (Hist. VIII,?). Aristofane (fr. 133) e Platone (Rep. 404), ado­ perando il termine korinthiazesthai (vivere alla maniera dei corinzi), alludono al­ la corruzione morale della città. Dell'Acrocorinto si parla ancora in Plutarco, Diodoro, Pausania e Stazio. La città esisteva già da quattromila anni qu ando fu distrutta dai romani nel 146 a.C. , evento che segnò la fine della città greca. Diodoro e Pausania raccontano della primitiva forma monarchica di gover­ no della città, fornendoci una lista di 10-12 re. Nell'VIII secolo a.C. la monarchia si trasforma in oligarchia dinastica e alla fine del secolo il potere è nelle mani della famiglia dei Bacchidi. Nella seconda metà del VII secolo a.C. si instaura la tirannide con "Cipsclo, che durerà settant'anni. Segue, nella metà del VI secolo, la sottomissione politica a Sparta. Rimasta neutrale nella discesa di Filippo il Macedone, divenne sede della Lega achea (comprendente Corinto e le altre città

14

Introduzione

greche alle dipendenze della Macedonia) da lui fondata nel 338 a.C. Dopo la conquista di T.Q. Flaminino (196 a.C.) vide riconosciuta la propria indipenden­ za. E questo fino alla distruzione ad opera di L. Mummio nel 146 a.C.5 La città conosciuta da Paolo6 nel 50-52 d.C. era stata fondata da Giulio Ce­ sare nel 44 a.C. come colonia romana (Colonia Laus Julia Corinthiensis )\7 I pri­ mi ad insediarsi furono per la maggior parte liberti (Strabone, Geogr. 8,6, 23; Appiano, Hist. 8,136) provenienti dalla Grecia, dalla Siria, dall'Egitto e dalla Giudea. L'accorrere di gente apolide provocò disordini e saccheggi, una situa­ zione condannata dal poeta Crinagora: «Sfortunata ! Quali abitanti hai trovato mai ... Corinto, preferirei vederti prostrata più che ... Più deserta delle sabbie del­ la Libia, piuttosto che vederti, abbandonata in balìa di questi mascalzoni, cal­ pestate le ossa degli antichi Bacchidi». Nel 27 a.C. Cesare Ottaviano Augusto designò Corinto come capitale della provincia senatoriale dell' Acaia, governa­ ta da un proconsole che vi risiedeva, una carica attestata anche in At 18, 12-15 (il proconsole Lucio Giunio Gallione, fratello di Seneca, dal 1 o luglio del 51 al­ la primavera del 52 d.C.). In questo periodo Corinto raggiunse il suo massimo splendore. Nell'epoca romana la città riprese le caratteristiche positive e nega­ tive del suo passato.s 1.3. L'importanza politica e commerciale, culturale e religiosa

L'archeologia ci permette di ricostruire la città romana e di constatare il suo ambiente pluriculturale. Accanto al latino, la prima lingua della colonia romana, è attestato dalle iscrizioni l'uso del greco, la lingua del commercio: su un totale di 104 iscrizioni, 101 sono in latino e 3 in greco.9 La sua posizione strategica attirava una popolazione cosmopolita, perché vi affluivano immigranti poveri dall'Italia, liberti di origine greca, siriana, ebraica ed egiziana. Un quadro della Corinto del IV secolo a.C. (che sembra non lonta­ no da quella del I secolo d.C.) è fornito da Dione Crisostomo (Discorsi 8,5):

5 Un paio di decenni dopo la distruzione della città venne composto un desolato epigramma da Antipatro di Sidone, riportato nell'Antologia Patatina 9,151: «Dov'è la tua splendente bellezza, do­ ria Corinto? Dove le corone delle torri, do ve le antiche ricchezze? Dove i lcmpli dei tuoi dèi, i tuoi palazzi? Dove le donne nipoti di Sisifo e le miriadi di folle? Neppure un 'ombra, o infinitamente sven­ turata. r est a di t e ogni cosa insieme rapì e ingoiò la guerra. Noi sole incolumi, Nereidi, fi glie di Ocea­ no, restiamo qui, alcioni dolenti per te» (da M. ADINOLFI, Da Antiochia a Roma, Cinisello Balsamo [MI] 1996, 102 ). 6 Cf. J. MuRPHY-O'CoNNOR, St. Paul's Corinth. Texts and archaeology, Collegeville ( M N) 2002. 7 La città venne fo ndjtta e pianificata secondo i criteri di una tradizionale colonia romana. Cf. M.E.H. WALBANK, «The foundation and planning of early r oman Corinth». in JournRomAr(�h 10(1997),95-130. K Per uno studio del culto e degli aspetti reli giosi della città di Corinto dal IV al VII sec. d.C., durante i quali si consolida l'identità cristiana, cf. R.M. RoTHAUS, Corinth: the first city of Greece. An urban history of late antique cult and religion, Leiden-Boston-Cologne 2000. 9 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 16. ,

Introduzione

15

«Diogene· partl per Corinto perché riteneva neSS\ln 'altra città degna di fermarvisi. E visse senza prendere in affitto una casa e senza abitare presso un amico, ma ac­ campato al Craneo [il ginnasio del suburbio di Corinto]. Egli aveva, infatti, osser­ vato che le folle erano attirate a Corinto per l'esistenza dei porti, per le cortigiane e perché la città era situata per così dire al crocevia della Grecia. Per cui diceva che, proprio come un buon medico deve andare a offrire i suoi servizi dove i malati so­ no i più numerosi, così il sapiente deve insediarsi dove sono più numerosi gli stolti per convincerli della loro stoltezza e farli rinsavire)).10

Il passaggio di tanti viaggiatori, che transitavano da Corinto a motivo dell'i­ stmo, compresi quelli che si recavano al santuario di Esculapio, famoso per la cu­ ra dei malati, o che partecipavano ai Giochi istmici, faceva fiorire l'attività di fab­ bricatori di tende per alloggiare o lavoratori di pelli e cuoio come Paolo (cui si associarono Aquila e Priscilla secondo At 18,2-3). All'interscambio di merci bi­ sogna aggiungere i prodotti tipici di Corinto, vale a dire i famosi bronzi detti a Corinthiis oppure Corinthiarii.1 1 Strabone (Geogr. 8,6,20) riferisce della prospe­ rità della città in questi termini: «Corinto è detta opulenta (aphneios) a causa del commercio (dia to emporion). [In­ fatti] i mercanti che viaggiavano via mare, gli uni dall'Italia e gli altri dall'Asia, di buon grado evitavano il passaggio del capo Malea e venivano a scaricare qui le lo­ ro mercanzie. E anche le tasse sulle esportazioni o importazioni del Peloponneso che si facevano via terra procuravano una rendita a quelli che tenevano in mano le chiavi dell'Istmo» . t2

Plutarco fa capire l'importanza di Corinto come centro bancario e finanzia­ rio (De vitando aere alieno 7, in Moralia 831A).13 La città, in epoca romana capitale della provincia senatoriale dell' Acaia, era governata da un proconsole inviato ogni anno da Roma. Il governo municipale era in scala una riproduzione di quello della Roma repubblicana: un'assemblea (ekklesia) dei cittadini, un consiglio cittadino dei decurioni ( ordo decurionum ) Ogni anno venivano eletti quattro magistrati che, dopo la scadenza del manda­ to, diventavano membri del consiglio della città. Erano i duoviri, i magistrati an­ ziani preposti alla giustizia, assistiti da due aedi/es che sovrintendevano a strade, .

1° Citazione da AoJNOLFI, Da Antiochia a Roma, 104. 11 PLINIO IL GIOVANE ne fa una minuziosa descrizione in Epist. 3,6: «Con una eredità, che mi toccò, l)o acquistato recentemente una statua in bronzo di Corinto, non molto grande, ma graziosa e ben finita, per quanto ne capisca » (citazione da ADINOLFI, Da Antiochia a Roma, 105). Di questi og­ getti apprezzati dai ricchi romani parla anche C ICERONE (In Verrem 4,97). 12 Citazione riportata da BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi. 1 7. Nella seconda metà del V sec. a.C. era stata così salutata da PINDARO, Olimpiche 13,3-1 1 : «Vedrò l l'opulenta Corinto, l'ante­ porta l di Posidone. chiara di ragazzi: l ivi dimora Eunòmia (Buongoverno] l e sua sorella, Dike [Giu­ stizia] che non crolla. l base di Stati, e Irene [Pace] /con lei nutrita, che dispensa l'oro, l preziose fi­ glie dì Temi la saggia,l volte a stornare l la temeraria madre l di Sazietà, Violenza» (da ADINOLFI, Da Antiochia a Roma, 101 ). 13 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 19, n 19 ...

.

.

16

Introduzione

monumenti e metcati.14 Uno di questi aedi/es, il cui nome compare in una iscri­ zione sulla parte orientale del pavimento est del teatro, viene identificato con I'Erasto cristiano che fu il tesoriere della città al tempo di Paolo (Rm 16,23). A partire dal I secolo a.C. vi fiorì una numerosa colonia ebraica con capi e autonomia interna, cui si aggiunsero alcuni degli ebrei romani espulsi da Clau­ dio nel 49 d.C. (cf. At 18,2-3).1 5 Di questa presenza non abbiamo testimonianze archeologiche, se si eccettua un architrave di sinagoga con l'iscrizione goge Hebr16 (cf. At 18,4). Più significativo è il riferimento al grup­ po di ebrei della diaspora fatto da Filone (Legatio ad Gaium 181-182). A Corinto vi erano templi in onore delle tradizionali divinità greche, ma ab­ biamo anche attestazioni del culto egiziano di Iside e Serapide, nonché templi dedicati al culto dell'imperatore: tutti elementi che evidenziano sia il pluralismo religioso sia la complessità etnica della città. Tra gli altri culti pagani eccelleva quello di Afrodite Pandemos («di tutto il popolo») nel santuario sull' Acrocorinto. Ad alcuni sembra esagerata la descri­ zione dell'esistenza della prostituzione sacra nel tempio di Afrodite fatta da Strabone (Geogr. 8,6,20c ), che visitò la città nel 29 a.C.: «Il santuario di Afrodi­ te traboccava di tanta ricchezza da possedere come ierodule più di mille prosti­ tute sacre, offerte alla dea da donatori dell'uno e dell'altro sesso. Esse attirava­ no naturalmente delle folle a Corinto e contribuivano ad arricchirla».17 Murphy­ O'Connor fa rilevare la posizione secondaria di Afrodite nel pantheon di Corin­ to per il fatto «che i due templi a lei dedicati, uno sull' Acrocorinto, l'altro nel­ l'agorà, erano piccoli e non realmente significativi». 18 Alcuni archeologi sosten­ gono, tra l'altro, che, più che Afrodite, era la figura di Sisifo che dominava sul­ l'Acrocorinto.19 A questo Murphy-O'Connor aggiunge due considerazioni di ti­ po letterario. La prima riguarda la datazione della storia raccontata da Strabo­ ne, che nel brano menzionato descrive la situazione dell'antico tempio della città e non di quello dell'epoca romana, come lo stesso Strabone afferma in Geogr. 8,6,2 1 , «che l'aveva visitata nel 29 a.C., possedeva un piccolo tempio (naidion) di Afrodite».20 La seconda riguarda l'uso del nome della città per coniare parole che denotavano licenze sessuali, per esempio: korinthiastes, «Un libertino»; ko ­ rinthiazesthai, «peccare di lussuria»; korinthia kore, «una prostituta», termini che comparirebbero solo nelle opere degli scrittori ateniesi del IV secolo a.C. e non

14 Cf. J. MuRPHY-O'CoNNOR, «La prima lettera ai Corinzi», in NGCB, 49.2-6.

IS

L'episodio è raccontato da SvETONIO (Cl. 25,4). Alcuni sostengono che ]'editto sia stato ema­ nato all'inizio del regno dell'imperatore (che durò da] 41 al 54), nell'anno 41. 16 BARBAGLIO ( La prima lettera ai Corinzi, 20) riferisce che l iscrizi one è stata «assegnata recen­ temente a una data compresa tra il 170 d.C. e la prima èra post-costantiniana», per cui non sembra affidabile come testimon i an za documentaria delJa presenza degli ebrei a Corinto al tempo di Pao]o 17 Citazione da ADINOLFI, Da Antiochia a Roma, 105. 1 8 MuRPHY-O'CoNNoR, «La prima lettera ai Corinzi», 49.6. 19 Cf. ]a citazione dell A nto logia Palatina, riportata sopra, alla nota 5. 20 BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 21. '

.

'

17

Introduzione

entrate mai nel linguaggio corrente. Ma se questo è vero per il verbo e l'aggetti..

vo - rispettivamente il verbo coniato da Aristofane (fr. 133; 450-385 a.C.) e l'e­ spressione korinthia kore in Platone (Rep. 404; 421-347 a.C.) - altrettanto non si può dire per l'aggettivo korinthiastes, usato da Ateneo (Sofisti a banchetto 559,313), autore del II sec. d.C. Murphy-O'Connor conclude sostenendo che Co­ rinto in termini di moralità sessuale non era peggiore delle altre città contempo­ ranee. Resta tuttavia il fatto che se la prostituzione sacra non può essere valida­ mente documentata, è certo che la prostituzione in genere doveva essere un co­ stume diffuso, a tal punto da legarvi il nome della città.21 Di grande rilievo religioso e commerciale erano i Giochi istmici, sia in epoca ellenica che romana, quando venivano patrocinati dagli imperatori. Si tenevano ogni due anni in primavera nel santuario di Poseidone a Istmia, a partire dal 582 a.C., come festa panellenica seconda per importanza solo ai Giochi olimpici. Comprendevano gare atletiche, corse di cavalli, competizioni musicali e dram­ matiche, regate. I vincitori ricevevano una corona di pino fino al V secolo a.C., poi di apio selvatico.22 L'avvenimento, che attirava spettatori in gran numero, era fonte di ricchezza economica ragguardevole. I Giochi dopo il 146 a.C. erano sta­ ti trasferiti a Sicione e poi di nuovo a Corinto.23 La grande competitività e il com­ mercio che essi facevano fiorire diedero origine al proverbio: «Non per tutti è il viaggio a Corinto» (Orazio, Ep. 1 , 1 7 ,3 6 ) . Nel 5 1 d.C. si celebrarono i Giochi istmici e i Giochi imperiali. Ed è probabile che vi poté assistere anche Paolo. 2. PAOLO A CORINTO

2.1. La fondazione della comunità cristiana e i rapporti dell'apostolo con Corinto

Paolo, durante il secondo viaggio missionario (50/51-52 d.C.), dopo la fuga da Berea (At 17,14: «Allora i fratelli fecero partire subito Paolo per la strada verso il mare))) e l'insuccesso di Atene (At 17,32: «Quando sentirono parlare di risur­ rezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: "Ti sentiremo su questo un'al .. tra volta"))), giunse a Corinto attratto dalla possibilità di un migliore vantaggio per il vangelo a motivo della sua posizione neli 'impero romano e dalla sua vita ,

21 PAUSANIA parla della tomba di una delle più famose pr ostitute di Corinto, Laide, originaria di Icaria in Sicilia, fatta prigioniera da Nicia e dagli ateniesi, arrivata poi a Corinto ( Pe rieg esi una prostituta ricordata anche da PLUTARCO (Amatorius, 21, in Morafia 767F). Cf. BARBAGLIO, La pri­

2,2,4-5);

ma lettera ai Corinzi, 22. 22 Cf. ADINOLFJ, Da A ntiochia a Roma, 104.

23 «La distruzione di Corinto compiuta da Mummio non i n terruppe la celebrazione dei concor· si istmici. Finché la città restò deserta, fu confidata a Sicione [a d ieci chilometri da Corinto] l'orga­ nizzazione dei concorsi. Quando fu ricostruita la colonia [ne144]. gli abitanti attuali riottennero que­ st'onore» (PAUSANIA, Periegesi 2,2,2, ri por tata in AoiNoLFI, Da Antiochia a Roma,

104).

18

Introduzione

cosmopolita.24 Vi giunge, per restarvi un anno e mezzo, accolto da Aquila e Pri­ scilla, arrivati di recente dall'Italia, dopo l'espulsione dei giudei da parte dell'im­ peratore Claudio (At 18,2). Aquila e Priscilla erano quasi certamente giudeo-cri­ stiani, di mestiere fabbricatori di tende (At 1 8,3) come Paolo, di qui un rapporto non solo di lavoro, ma anche di fraternità cristiana. Anche se l Cor 3,6.1 O e 4,15 parlano dell'apostolo che ha piantato e gettato le fondamenta, generandovi la co­ munità cristiana, è lecito pensare ai due coniugi come ai primi testimoni della fe­ de a Corinto. Cambiando la tattica usata all'Areopago di Atene, quella cioè di ri­ volgersi alle persone più colte e a filosofi, con la convinzione che la migliore elo­ quenza è quella della croce (lCor 2,4-5; 2Cor 1 1 ,6) , Paolo si rivolge dapprima ai giudei, predicando nella sinagoga (At 18,4), poi, con il ritorno di Sila e Timoteo dalla Macedonia (At 18,5; lCor 1 ,19), in seguito all'opposizione dei giudei, ben presto si rivolge ai gentili, trasferendosi nella casa di «Un tale chiamato Tizio Giu­ sto, che "onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga")) (At 18,7). Re­ stìo ad accettare denaro e vivendo da celibe, fu accreditato da Dio con segni e prodigi (2Cor 12,1 2) e con il dono delle lingue (lCor 1 4,18). Accusato di fomen­ tare disordini, venne portato in tribunale. Uno dei capi della sinagoga, un certo Sostene, che aveva accolto la sua predicazione, venne duramente percosso. È pro­ babile che lo stesso Paolo abbia passato almeno qualche giorno in prigione. Due anni dopo, alla sua partenza, Paolo lascia a Corinto una comunità numericamen­ te ricca ed entusiasta, anche se fragile, come documentano l e 2 Cor. Il seguito dei rapporti si lascia a fatica determinare dall'esame della questione del numero e della composizione delle lettere ai corinzi. Risulta quasi certo che Paolo abbia vi­ sitato altre due volte la comunità: dopo la prima, di fondazione della comunità, ne seguì una seconda, in cui venne «offeso)) di fronte a tutti, e poi una terza visita, cui si allude in 2Cor 12,14 e 13,1-2, svoltasi durante l'inverno del 57-58, prima di por­ tare la colletta a Gerusalemme, passando per la Macedonia e toccando Filippi e Troade (cf. At 20,2-5). Non ci sono indizi che sia tornato a Corinto.25 2.2. Le lettere ai corinzi 11 NT ci presenta due lettere ai corinzi, ma ad uno sguardo attento ci si ac­ corge che lo scambio epistolare dovette essere più consistente. Infatti, in 1 Cor si trova la Jrase: «Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi)) (l Cor 5,9), che testimonia l'esistenza di una lettera precedente a 1Cor, chiamata dagli esegeti «lettera A>>. Nella stessa lettera poco dopo si trova un'affermazione che documenta che i corinzi hanno scritto a Paolo tra la lettera A e la lettera B: «Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto)) ( 1 Cor 7,1). La

24 a. 2S

rinto.

Da

SAFFREY, «Paolo fonda la Chiesa 2Tm 4,20 sappiamo solo che la nave

H.D.

di Corinto», in 11 mondo della Bibbia 4(1990), 41-47. che portò Paolo da Efèso a Roma fece scalo a Co­

19

Introduzione

2Cor non sarebbe poi la seconda di Paolo ma la quarta, giacché in 2Cor 2,3 tro­ viamo: «Vi ho scritto in un momento di grande afflizione col cuore angosciato, tra molte lacrime», che allude ad una «lettera C» che ha sostituito la visita del­ l'apostolo alla comunità. Ne risulta il seguente quadro dei rapporti epistolari tra Paolo e i corinzi:26 a) b) c) d) e)

lettera A: sconosciuta risposta dei corinzi a Paolo lettera B : lCor lettera C: sconosciuta lettera D: 2Cor

Diamo uno sguardo più detta gliato ai stanze e al loro contenuto. a)

loro motivi

di p lausibilit à ,

alle circo·

La lettera A: sconosciuta

In lCor 5,9 si parla di una lettera scritta da Paolo, dove l'apostolo li metteva in guardia contro gente immorale «che porta il nome di fratello» (l Cor 5,1 1). Una lettera dai toni perentori se i corinzi sono spinti a scrivergli (lCor 7,1 ) e se poi egli stesso ritiene opportuno richiamar li nuovamente con la l Cor. Alcuni27 hanno ipotizzato che questa lettera A sia in parte conservata in 2Cor 6,14-7,1 , per l'insistenza che vi troviamo sul tema della completa separazione dal mondo pagano. G. Sellin2g invece ritiene che sia da individuare e ricostruire come segue: l Cor 1 1 ,2-34; 5,1-8; 6,12-20� 9,24-10,22; 6,1-1 1 . b)

La lettera di risposta dei corinzi: sconosciuta

Dopo aver recapitato la lettera A, i corinzi gli inviano una lettera di rispo­ sta portatagli ad Efeso da Stefana, Fortunato e Acàico (l Cor 16, 17-1 8), come la­ scia trasparire la serie di quesiti di lCor 7,1 : «Quanto poi a ciò di cui avete scrit­ to». Si tratta di quesiti riguardanti il matrimonio e la verginità (lCor 7,1-40), gli idolotiti (lCor 8,1-13), le esperienze carismatiche (1 Cor 12, 1 ) e la colletta (l Cor 1 6, 1 ).

26 Il quadro dei rapporti epistolari che segue è quello ricavato dal contenuto delle due lettere (1 -2Cor). tralasciando per il momento le varie ipotesi fatte dai sostenitori del loro carattere compi­ latorio. 27 Cf. A. HILGENFELD, Histo ;isch-kritische Enleitung in das Neue Testament, Leipzig 1875, 187 n. l; K. LAKE, The earlier epistles of St Paul, London 21930, 122-123; R.H. STRACHAN, The second epistle of Paul to the Corinthians, London 1935, xv. 211 G. SELLIN, «l Korinther 5-6 und der "Vorbrief' nach Korinth», in NTS 37( 1991 ), 535-558.

20

c) La lettera B : lCor

Introduzione ·

Da l Cor 16,8 si deduce che sia stata scritta da Efeso («Mi fermerò tuttavia a Efeso fino a Pentecoste»), prima della Pentecoste del 57 d.C. Mentre si trovava in questa città (54-57), verso l'anno 56 d.C., Paolo ricevette notizie da Corinto: da 1,11 sappiamo che messaggera fu «la gente di Cloe» («Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi»); da 1 1,18 che furono persone non bene definite («Innanzi tutto sento dire che, quan­ do vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte Io credo»). Circa Cloe, non sappiamo se vivesse a Corinto o ad Efeso; se fosse cristiana; se la for­ mula «gente di Cloe» alluda alla sua famiglia o ai suoi parenti o altro; se avesse in­ viato queste persone o se fossero persone che da Corinto andavano a Efeso. Altre notizie gli vennero riferite forse da Apollo, che probabilmente lo raggiunse nel frattempo (lCor 16,12). Alcuni ritengono che la lCor sia il risultato dell'unificazione di più lettere originariamente distinte.29 Ma i sostenitori dell'unità fanno notare come la va­ rietà delle proposte attesti la scarsa plausibilità di ciascuna di esse.30 d) La lettera C: sconosciuta Dopo aver scritto la l Cor, tra la fine del 56 e l 'inizio del 57, Timoteo, attra­ versata la Macedonia. giunse a Corinto (cf. At 19,21-22; lCor 4,17-19; 16,10- 1 1 ), trovando una difficile situazione, probabilmente a causa di falsi apostoli, biasi­ mati da Paolo in 2Cor 1 1 ,12-15. Con queste notizie Timoteo si recò ad Efeso da Paolo. Questi si sentì in dovere di imbarcarsi ad Efeso, attraversando l 'Egeo, per recarsi nuovamente a Corinto. È la seconda visita di Paolo alla città (cf. 2Cor 12,14; 13, 1 -2), dopo che in 1 Cor 4,21 li aveva minacciati di andarvi «con il basto­ ne». In tale circostanza venne probabilmente affrontato duramente in pubblico da «qualcuno» che screditò la sua autorità dinanzi a tutti (2Cor 2,5-1 1; 7,12). Ri­ partito da Corinto, dopo essersi ripromesso di visitarli entro breve tempo, tornò ad Efeso senza visitare le comunità della Macedonia come aveva progettato in lCor 16,5 («Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, poiché la Mace­ donia intendo solo attraversarla»). In seguito, avendo cambiato parere per evitare di visitarli «nella tristezza» (2Cor 2, 1 ), preferisce scrivere la lettera «tra molte lacrime» (2Cor 2,3-4; 7,8-9),

29 Le proposte sono molto diversificate tra loro: dal numero delle lettere confluite nella 1Cor (due lettere secondo Weiss; tre secondo Sellin; quattro secondo Senft; otto secondo Schmithals) ai brani che vi sono assegnati, nonché alle motivazion i addotte dai fautori delle si ngole ipotesi. 30 Basti pensare alle tesi di Weiss e di Senft. Cf. BA RBAGLIO , La prima lettera ai Corinzi. 44-49. - Weiss: A: 10.1-22(23); 6,12-20; 9,24-27; 11.2-34; l6,7b-9.15-20 (2Cor 6,14-7,1 ) ; B: 1,"1-0,1 1; 7; 8; 13; 10,24-11,1; 9,1-23; 12; 14; 15; 16,1-7a.10-14.2l-24. - Senft: A: 6,1-11; 15,1-58; 16,13-24; 8: 5,1-13; 9,24-10,22; C: 7,1-40; 8,1-13; 9,1-18; 9,19-23; 10,23-11,1; 12,1-14.40; 16,1-12; D: 1,1-4,21.

Introduzione

21

andata perduta. Secondo alcuni la lettera in questione sarebbe la 1 Cor� -a motivo del suo contenuto (correzioni e ammonizioni); altri (e sono la maggioranza) sup­ pongono che la lettera sia stata inserita nei cc. 10-13 della 2Cor, dove abbiamo la difesa dell'apostolato e la minaccia di agire con severità nella prossima visita. Di contro abbiamo che mentre la lettera fu scritta per evitare una visita «nella tristezza>> (2Cor 2,1 .4), in 2Cor 1 0-13 annuncia il suo ritorno a Corinto (2Cor 12,14� 13,1-2). Inoltre 12,18 indica che Tito, latore della lettera, era stato a Co­ rinto ed era tornato a riferire della situazione a Paolo. Motivo per cui è lecito af­ fermare quasi con certezza che i cc. 10-13 siano stati scritti dopo la cosiddetta «lettera delle lacrime». Da 2Cor 10,1.10 deduciamo che si sia trattato di una lettera abbastanza «for­ te» e «pesante», che comunque intendeva manifestare il suo amore, anche se da lontano, portata da Tito, nella fiducia che l'avrebbero accolto di buon animo (2Cor 7,14: «Cosicché se in qualche cosa mi ero vantato di voi con lui, non ho do­ vuto vergognarmene, ma come abbiamo detto a voi ogni cosa secondo verità, co­ sì anche il nostro vanto con Tito si è dimostrato vero» ). e) La lettera D: 2Cor Nell'estate del 57 Paolo parte da Efeso, dirigendosi a nord, e poi, imbarcato­ si a Troade, raggiunge la Macedonia (lCor 1 6,5.8; 2Cor 2,12-13; At 20,1). Qui, verso la fine dell'estate o l'inizio dell'autunno, lo raggiunge Tito, che era stato ac­ colto bene dai corinzi (2Cor 7 ,15) e aveva iniziato a raccogliere il denaro per la colletta da portare a Gerusalemme (2Cor 8,6). In seguito alle buone notizie re­ cate da Tito, soprattutto dell'accoglienza della «lettera tra le lacrime» e il penti­ mento della comunità (2Cor 7,7-13), scrive immediatamente la 2Cor, affidando­ la a Tito e a due altri fratelli, con il mandato di completare la raccolta del dena­ ro, che lo stesso Paolo intendeva poi consegnare alla comunità di Gerusalemme (2Cor 8,6.16-24). La 2Cor fu inviata quindi dalla Macedonia dopo l'arrivo di Tito, mentre si stava svolgendo la colletta e poco prima dell'inverno trascorso dall'apostolo «in Grecia» (At 20, 1-3), prima di recarsi a Gerusalemme (At 19,21 s). Quindi nell'e­ state del 57. Secondo Murphy-O'Connor31 e Furnish,32 Paolo, dopo aver inviato la lCor da Efeso prima della primavera e dopo aver trascorso l'inverno in Macedonia, nella primavera dell'anno seguente (58 d.C.) scrisse 2Cor 1-9. In seguito, nell'e­ state dell'anno dopo, a motivo della situazione a Corinto, scrisse 2Cor 10-13 dal­ la Grecia occidentale o dall'Illiria (Rm 15,19), quindi andò a Corinto per pas­ sarvi l'inverno.

31 J. MuRPHY-O'CoNNoR. «Paolo», in NGCB, 79,43. V. P. FuRNISH, «Pau) and the Corinthians. The letters, the challenges

32

lnterpretation 52( 1998}, 229-245 .

of ministry, the gospel», in

22

Introduzione

2.3. La comunità di Corinto

Da l Cor 16,15-18 e Rm 16,21-23 apprendiamo la presenza a Corinto di con­ vertiti giudei e gentili, con leggera predominanza di questi ultimi. La provenien­ za dei suoi membri era dai ceti medi e inferiori della società (lCor 1 ,26), con ar­ tigiani e liberti più numerosi dei ricchi. Alcuni, infatti, potevano disporre di cibo in abbondanza (lCor 1 1 ,21 ) ed erano in grado di venire incontro alle necessità dei poveri di Gerusalemme (lCor 16,1 ; 2Cor 8-9). Conosciamo in tutto 17 nomi della comunità di Corinto. Secondo J. Becker33 Paolo vi avrebbe lasciato da 50 a 100 cristiani al momento della sua partenza, nel 52 d.C. Di questi battezzò sola­ mente Crispo e Gaio (lCor 1,14), oltre alla famiglia di Stefana (l Cor 1,16). Theissen34 e W.A. Meeks35 hanno studiato i cristiani di Corinto dal punto di vista sociologico. Fortunato (lCor 16,17) è un nome che può indicare una condi­ zione di schiavitù. Per quanto riguarda Aquila e Priscilla è probabile che fosse­ ro di condizione sociale superiore. Infatti da At 1 8,3 apprendiamo che possede­ vano una casa a Corinto (ma non è chiaro se propria o in affitto), un'altra a Efe­ so (l Cor 16,19) come pure a Roma (Rm 16,3-5). Altri membri erano Crispo, ca­ po della sinagoga di Corinto (At 1 8,8; l Cor 1 ,14) ; Gaio, che aveva una sua casa; Febe, che ne possedeva una nella vicina Cenere (Rm 1 6, 1 ) ; Erasto, tesoriere o edile (Rm 16,23 ), che in un'iscrizione viene ringraziato per la sua generosità pub­ blica.36 Non abbiamo la caratteristica gerarchia della scala sociale greco-romana e la condizione sociale dei suoi membri presenta a volte delle antinomie: ad esempio, Febe: ricca, ma donna; Erasto: ufficiale della città, ma ex schiavo; Aqui­ la, abile artigiano, ma ebreo con una moglie di rango sociale più elevato (Priscil­ la).37 A Corinto c'erano cristiani che si dicevano seguaci di Cefa (lCor 1 ,12), ma non abbiamo nessuna chiara testimonianza della presenza di Pietro a Corinto. Quando accenna alla sua attività missionaria a Corinto, riferisce della collabora­ zione di Apollo (1 Cor 3,4-6; cf. 16,12). Si tratta di una comunità animata sin dagli inizi da diversi partiti, come tra­ spare dalla lCor e dalla lettera «dalla chiesa di Dio in Roma alla chiesa di Dio in Corinto», nota come l Clemente, che nel c. 47 paragona la situazione della fine del I sec. d.C. a quella descritta da Paolo nella 1Cor.38

33 J. BECKER, Paul. L'Apotre des nations, Paris 1995, 147. 34 H. THEISSEN, Sociologia del cristianesimo primitivo, Genova 1987,207-241. 35 W.A. MEEKS, l Cristiani dei primi secoli. Il mondo sociale dell'apostolo Paolo, Bologna 1992, 149-204. 36 Cf. R.E. BROWN, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia 2001 , 684 n. 4. 37 Cf. MuRPHv-O'CoNNOR, «La prima lettera ai Corinzi» , 1044. 38 Con tale prospettiva non conco rd a D. PETERLIN ( The corinthian ch ur ch between Paul's and Oement's time)), in A.'ìbury Theological Journal 53[1998], 49-57), che ritiene invece su11a base del­ l'analisi di /Clemente 1,1-3 che la città tra gli anni 57 e 95 abbia accolto seriamente le parole dell'a­ postolo. «

Introduzione

23

3. LA SECONDA LETTERA AI CORINZI 3.1. Autenticità e unità

L'autenticità della 2Cor non viene messa in dubbio.39 Qualche problema si pone per alcuni relativamente al brano di 6,14-7,1 , considerato un'interpolazio­ ne post-paolina. Il vocabolario consta di 792 parole, 94 delle quali sono hapax nel NT e 127 «hapax paolini». Nella stessa proporzione della 1Ts e della 1Cor, 44 hapax figu­ rano nella LXX o in altre traduzioni greche dell' AT; altri 27 sono comuni a testi profani e 17 del tutto nuovi, ma composti o derivati da termini attestati nel NT. Problematica è invece la questione dell'unità della lettera, anche se la tradi­ zione testuale dei manoscritti è unanime nella presentazione del testo. È tutta­ via evidente la presenza di elementi letterari problematici nella lettera.40 All'interno dei cc. 1-7 notiamo il passaggio dal tono di soluzione soddisfa­ cente della crisi narrata in 1 ,15-2,13 e proseguita nella sezione 7,5-16 all'accen­ to polemico del discorso racchiuso tra 2,14 e 7,4. Infatti se in 2,13 la frase si con­ clude con le parole «partii per la Macedonia», in 7,5 il testo inizia con le parole «partii per la Macedonia».41 All'interno poi della sezione 2,14-7,4 viene ipotizzato un intervento redazio­ nale postpaolino con l'inserimento dell'inciso sulla separazione (6,14--7 ,1 ), dal momento che se lo lasciamo da parte, ciò che viene detto in 6,1 1 -13 e in 7,2-4 ri­ sulta una descrizione di quanto avviene a Paolo al suo arrivo in Macedonia.42 Riguardo ai cc. 8--9 c'è da dire che si equivalgono quanto alla funzione e al contenuto. Più coerente con quanto precede il c. 8, a differenza del c. 9. I l c. 8 menziona tre volte Tito (vv. 6.1 6.23). Il c. 9 ripete gli stessi concetti del c. 8, rico­ minciando da capo («Per quanto riguarda il servizio in favore dei santi ... »), co­ me se non ne avesse parlato affatto.

39

Cf. J.S. BosH, Scritti paolini, Brescia 2001 , 163- 165. Ai fini della comprensione dell'autenticità e unità della lettera è opportuno menzionare il" contributo di E.-M. BECHER (Letter Hermeneutics in 2Corinthians, London-New York 2004 ) La ri­ cercatrice offre un 'interessante e approfondita sintesi degli approcci che dominano attualmente gli studi sulla 2Cor: l'analisi letteraria del testo ( «analysis by Literarkritik» ). la lettura secondo i canoni retorici ( «types of rhetorical analysis))) e quella che si rifà all'epistolografia antica ( «epistolographic analysis» ) . A tali approcci aggiunge una nuova prospettiva: l'analisi delle affermazioni che si posso­ no desumere dal testo circa lo scopo dello scritto e la sua ricezione da parte dei destinatari della let­ tera ( «epistolary hermeneutic approaches)> ). 4 1 Per il concetto di coerenza linguistica dei testi del NT con particolare riferimento a 2,13-14 e 1.1-2,13 cf. E.-M. BECKER, «Was ist "Koharenz"? Ein Beitrag zur Prazisierung eines exegetischen Leitkriteriums», in ZNW 94(2003), 97-121. 42 Secondo W.O. WALKER ( «2Cor 6,1 4-7, l and the chiastic structure of 6, 1 1-13; 7 ,2-3», in NTStud 48[2002), 142-144) l'ipotesi dell'interpolazione sarebbe provata anche dalla struttura chiastica che verrebbe a determinarsi una volta rimossa l 'unità 6,14-7,1 : A - 6,1 1 ; B - 6,12; C - 6,13; C' - 7,2a; B' 7,2b; A' - 7,3. Recentemente T. SCHMELLER («Der ursprtingliche Kontext von 2Kor 6,14-7,1 », in NTS 52[2006], 2 1 9 238 ) ha ipotizzato che la sua collocazione originaria sia tra 9,15 e 10,1 . 40

.

-

24

Introduzione

Per quanto concerne i cc. 1 0-1 3 , appare alquanto difficile il passaggio dai cc. 1-9 ai cc. 10-13. Nei cc. 1-9 si parla solo di Tito che ha fatto un viaggio a Corin­ to (7,4), mentre in 12,18 si parla di Tito accompagnato da un altro inviato di Pao­ lo; l'ottimismo di Paolo per la colletta nei cc. 8-9 sembra strano se confrontato con i sospetti dei corinzi di 12,14-18; c'è un cambiamento improvviso di tono tra 9,15 e 10,1 dove viene introdotta un'aspra polemica; mentre nei cc. 1-9 predo­ mina la prima persona plurale, nei cc. 10-13 la prima singolare. Tra i cc. 1-7 e 10-13, inoltre, sembra piuttosto arduo ammettere che si possa dire contempora­ neamente in 7,16 di contare «totalmente» sui corinzi e poi rivolgersi loro con to­ no minaccioso, esprimendo il timore di non trovarli come vorrebbe ed essi di non trovarlo come vorrebbero (12,20). Né l'affermazione che i corinzi sono saldi nel­ la fede ( 1,24) appare in linea con l'invito al severo autoesame di 13,5. Accanto ai difensori dell'integrità di 2Cor (E.-B. Allo, P. E. Hughes, H. Lietz­ niann, W.H. Bates, N. Hyldahl), abbiamo una maggioranza di sostenitori della tesi che la considera una raccolta di lettere paoline. Si passa dall'ipotesi più semplice di due lettere originariamente distinte (cc. 1-9 e cc. 10-13) a quella più complessa di cinque lettere. a)

Due lettere originariamente distinte

Ci sono due tesi contrapposte. La prima (Georgi) identifica i cc. 10-13 con la lettera «tra molte lacrime» (2Cor 2,4; 7 ,8), datandola prima di quella dei cc. 1-9. Ma la lettera tra le molte lacrime scaturì dal comportamento di una sola perso­ na (2Cor 2,5-8), a cui non si fa mai cenno nei cc. 1 0-13, ma solo ai falsi apostoli. La seconda tesi (C.K. Barrett,43 V.P. Furnish,44 H. Windisch,45 Murphy-O'Con­ nor) ritiene che i cc. 10-13 siano il frutto dello sviluppo degli eventi a Corinto in seguito all'invio della lettera dei cc. 1-9. b) Cinque lettere originariamente distinte e un'aggiunta non paolina

È l'ipotesi sostenuta da G. Bornkamm,46 poi ripresa da W. Schmitha1s47 e in­ fine, più recentemente,48 da H. Koster, D. Duling e S.L. Davies: (A) 2,13; 7,2-4; (B) 10--13, la lettera tra le molte lacrime; (C) 1,1-2,13 più 7,5-16, la lettera della riconciliazione; (D) 8,1-24, una lettera a Corinto sulla colletta per Gerusalemme;

43 C.K. BARRETI, A commentary on the Second Corinthians, London 21979. 44 V.P. FuRNISH, Il Corinthians, New York 1984. 45 H. WINDISCH, Der zweite Korintherbrief, Gottingen 1924. 46 G. BoRNKAMM, «The history of the origin of the so--called Second Letter to the Corinthians�, in NTS 8(1961-1962). 258-264. 47 W. SCHMITHALS, «Die Korintherbriefe als Briefsammlung», in ZNW 64( 1973), 264-288. 48 Cf. J.D.H. AMADOR, «Revisiting 2 Corinthians: rhetoric and the case for unity>>, in NTStud 48(2000 ) , 92.

Introduzione

25

(E) 9, 1 - 1 5 , una· seconda lettera sulla colletta inviata all' Acaia. Accant�· a queste viene ipotizzata l'inserzione di un'aggiunta non-paolina: 6,14-7,1 .49 D. Barr,50 pur concordando in gran parte con questa suddivisione, raggruppa la lettera E con la D che amplia da 8,1 a 9,15. *

*

*

Si possono muovere diverse critiche all'ipotesi di un'origine redazionale del­ la lettera. La prima è che, sebbene ci sia continuità nel racconto degli spostamenti dell'apostolo, vi è una sostanziale differenza tra il contenuto di 1 ,12-2,13 (all'in­ comprensione risponde con la testimonianza del suo amore) e quello di 7,5ss (l'e­ sperienza del Dio che consola). Inoltre sorge spontanea la domanda perché il re­ dattore posteriore avrebbe spezzato la continuità tra 1 ,1-2,13 e 7,5-16. Non si può pertanto parlare di legame originario tra i due brani, anche se ci sono collega­ menti verbali (paraklesis, thlibein, graphein, erchesthai, lype-chara ) . E questo tan­ to più perché le ipotesi risultano alquanto ingegnose. Lo dimostra ad esempio il caso del brano 6,14-7,1 che, a prescindere dalla varietà di proposte sulla sua na­ tura di frammento cristiano o apocalittico o giudeo-cristiano o qumranico inseri­ to nel testo di Paolo,51 è definito un'interpolazione nell'interpolazione.52 Dal punto di vista letterario i cc. 8 e 9 sono perfettamente inseriti nel conte­ sto, giacché, dopo aver espresso nel c. 7 la propria fiducia nella comunità che si era allontanata dall'apostolo, sembra logico che Paolo le rivolga l'invito a porta­ re a termine la colletta, interrotta a causa dei conflitti interni (in 8,1 gnorizomen de hymtn, come in 1Cor, indica una nuova sezione). La variazione dal c. 8 nel c. 9 si può spiegare con il tentativo di convincere dell'importanza della colletta, an­ che perché Paolo non comincia mai il prescritto e il ringraziamento con peri, tan­ to più che men gar con l'articolo anaforico in 9,1 rende più l'idea di un passag­ gio che quella di un nuovo inizio. Infatti il tema, nelle lettere paoline, non è pre­ sentato mai all 'inizio. È più ragionevole pensare allora che si tratti di due tipi di raccomandazione complementari sulla colletta: il c. 8 finalizzato ad esortare a «portare a termine» l 'idea della raccolta, proposta dagli stessi corinzi; il c. 9 fina­ lizzato ad invitarli a dare il proprio contributo con liberalità e gioia.

49 S.J. HuLTGREN («2Cor 6,14-7,1 and Rev 21,3-8: evidence for the ephesian redaction of 2 Co­ rinth i ans» , in NTStud 49(2003], 39-56) sostiene l'esistenza di un redattore, appartenente a un circolo di giude i cristiani di Efeso, cui si deve la raccolta, redazione e pubbli ca zione del corpus paulinum, che avrebbe interpolato 6,14-7,1 in 2Cor 1-7. E questo sulla base di parallel i linguistici e teologici tra Ap 21 ,3-8 ed Ef 5 con 6,14-7,1 . 50 D. BARR. New Testament Story, Belmont 1995, 1 15-1 17. 51 Cf. W.G. KOMMEL, lntroduction to the New Testament, Nashville 1 975, 287-288. 52 Cf. R. BIERINGER, «Teil u ngshypot hesen zum 2. Korintherbrie f. Ein Forschungsilberblick . Der 2. Korintherbrief als ursprtingliche Einheit. Ein Forschungstiherblick. Pladoyer fUr die Einheitlichkeit des 2. Korintherbriefes», in R. BIERINGER - J. LAMBRECHT ( edd .) , Studies on 2 Corinthians. Leuven 1994, 67-179; T. SCHELLER, «Der u rsptingli che Kontext von 2Kor 6,14-7 ,1. Zur frage der Einheitlichkeit des 2. Korinterbriefs>>, in NTStud 52(2006), 219-238.

26

Introduzione

Per quànto riguarda i cc. t0-13, le proposte di riscostruZione storica fatte da gli esegeti divergono tra loro, a dimostrazione della carenza di argomenti decisi­ vi a favore delle ipotesi formulate, tanto più che a favore dell'unità abbiamo la compattezza della tradizione manoscritta. L'ipotesi della scomposizione dei ca­ pitoli si basa, infatti, solo sulla critica interna alla lettera. La frattura tra i cc. 1-9 e l 0-13 può essere spiegata a partire dal modo tipico di argomentare di Paolo, a rischio di sembrare incoerente e/o inconsistente: parte dalla soluzione per af­ frontare un problema e scrive per risolvere le questioni riguardanti le comunità, non per il piacere di scrivere o di comunicare. Inoltre la polemica in 2Cor 10-13 non è contro i corinzi, ma contro gli anti-paolini, i «super-apostoli». ..

3.2. Gli avversari

Nel corso della 2Cor, in particolare nelle sezioni 2,14-7,3 e 10, 1-13,10, Paolo allude a persone che contrastano la sua missione apostolica. Per capire il signifi­ cato dell'argomentazione si rende necessaria l'idenficazione delle loro idee e della loro matrice culturale e religiosa. 53 L'apostolo non riferisce i contenuti della predicazione degli avversari, né li interpella direttamente, ma solo di passaggio e in tono polemico. Si tratta di pre­ dicatori cristiani che «mercanteggiano» la parola di Dio (2,17) come i filosofi iti­ neranti, presentandosi con lettere di raccomandazione fornite da un'altra comu­ nità visitata precedentemente (3,1 ). Si appellano alla «gloria» della tradizione mosaica (3,4-18) , vantandosi al di là di ogni misura e persino di fatiche altrui (5,12; 10,12.15. 18). Paolo non teme di metterli in relazione con l'opera seduttri­ ce di Satana nei confronti di Eva (1 1 ,3-4), «super-apostoli» (1 1 5; 12,1 1 ) che sfruttano la generosità dei corinzi. Per questo li definisce «pseudapostoli» e mi­ nistri di Satana, che giungono come il loro «padre>> a mascherarsi da «angeli di luce» ( 1 1 ,13-15) per separare la comunità dal loro genitore. Sono ebrei, israeliti, discendenti di Abramo (11,22), che si definiscono «ministri di Cristo>> (1 1 ,23), con la pretesa di possedere doni spirituali come fenomeni estatici, rivelazioni e miracoli (12,1 .7. 12). Essi contestano la sua legittimità apostolica ( 10,7-8), accu­ sandolo di debolezza e opportunismo, di scarsa capacità oratoria ( 1 1 ,6), persino di volontà d'inganno (12,13-18). Il consenso dei critici verte su due aspetti: l'origine giudeo-cristiana degli av­ versari e la contestazione dell'autorità apostolica di Paolo. Il disaccordo rimane sulla provenienza degli oppositori e sul loro ruolo a Corinto. Alcuni elementi fa,

53 J.L. S u M NEY (Identifying Paul's opponents. The question of method in 2Corinthians, Sheffield 1990; Io. , «Servants of Satan», ((False brothers» and other opponents of Pau/, Sheffield 1999) ha cer cato di stabilire un metodo per identificare gli avversari nelle le tt ere dell'apostolo, giungendo alla conclusione che ci siano diversi tipi di opposizione nei diversi lu oghi non riconducibili ad un unico modello. Ma J. LAMBRECHT (Second Corinthians, Collegeville (Minnesota] 1999, 7) fa notare come ci sia una certa somiglianza tra gli avversari citati in Gal 2,14 e quelli in 2Cor 1 0,4-6; tra l'altro Paolo non riferisce mai la loro matrice religiosa e provenienza storica. Risulta pertanto impossibile identi­ ficarli con certezza. ­

,

Introduzione

27

rebbero ritenere che questi giudaizzan ti siano di origine palestinese, con un at­ teggiamento nei confronti della legge più favorevole di quello dell'apostolo, e che si rifacevano al gruppo dei primi apostoli.54 Altri elementi suggeriscono che si tratti di predicatori itineranti di origine giudeo-ellenistica, per l'accentuazione sul tema del possesso dello Spirito provato attraverso l'eloquenza, le esperienze esta­ tiche e il potere di operare miracoli. Questo ha portato alla formazione di due scuole di pensiero: la prima che parla di giudaizzanti palestinesi e la seconda di propagandisti giudeo-ellenisti. 55 Vi è anche chi (Theissen) propone di identificar­ li con predicatori cristiani, sostenitori di una diversa concezione di ministero, le­ gata a una legittimazione carismatica, al mandato di Gesù che li autorizzava a vi­ sitare comunità fondate da altri per ricevere il loro sostegno economico, avvalen­ dosi di segni straordinari.56 Una soluzione media è proposta da Murphy-O'Con­ nor: giudaizzanti palestinesi avrebbero stretto legami con gli «spirituali>>, di cui Paolo si era occupato nella lCor, nel contempo a questa presenza si aggiunse la novità dell'accoglienza da parte della maggioranza della comunità di atteggia­ menti religiosi propri del paganesimo contemporaneo (2Cor 6,14-18).57 3.3. La struttura

La lettera, che non ha una struttura argomentativa secondo il modello reto­ rico classico,58 anche se ha i tratti della tradizione forense greco-romana, si apre

54 La tesi è stata proposta da F.C. BAUR, che ritenne il partito giudeo-cristiano guidato da Pietro il gruppo contro cui Paolo combatte nella l e 2 Cor. M.D. GouLDER (Pau/ and the competing mission in Corinth, Peabody [MA] 2001 ), sulla base di 1Cor 1,12, li definisce «petrini». Il carattere giudaico è stato sostenuto anche da Barrett e G. Liidemann. Mentre quest'ultimo considera gli avversari del­ le due lettere come appartenenti ad uno stesso gruppo. il primo distingue all'interno del gruppo i «SU­ per-apostoli», ovvero i capi di Gerusalemme, dai «pseudo-apostoli», i loro rappresentanti. L'appar­ tenenza giudaica è stata riproposta da J. CARR6N PéREZ ( «Los adversarios de san Pablo en 2 Co­ rinthios», in EstBfb 57[1999], 1 63-187). Secondo Kasemann gli avversari della 2Cor erano pneumati­ ci entusiasti come nella l Co r. ma non gnostici, bensì inviati degli apostoli di Gerusalemme. L'appar­ tenenza al movimento gnostico è stata proposta da W. Ltitgert e da R. Bultmann. che parla di un «giu­ deo-cristianesimo ellenistico-gnostico», senza collegamento con Gerusalemme. Dello stesso avviso sono W. Schmithals, E. Fascher e K.-W. Troger. Cf. A. SACCHI, «Le lettere autentiche», in Le lettere paoline e le altre lettere. a cura di A. SACCHI e collaboratori, Leumann 1 996, 129- 130. 55 È la tesi avanzata da D. Georgi e fatta propria da Bornkamm. Questo gruppo avrebbe fatto ricorso alla concezione ellenistica dell'«uomo divino» (theios aner), adoperata nell'apocalittica giu­ daica per rispondere alle attese miracolistiche dell'ambiente greco. Una tesi messa in dubbio da V. Ft •sco («Avversari di Paolo-avversari di Marco: un contatto attraverso la "cristologia del theios­ aner"? Appunti suiJa discussione», in RStB 1 12[1989], 23-42), perché non trova riscontro nel mondo giudaico né in quello cristiano. 56 Cf. THEISSEN, Sociologia del cristianesimo primitivo, 179-206. 51 MuRPHY-O'CoNNOR. «La seconda lettera ai Corinzi», 50,5. 58 G.A. KENNEDY (New Testament lnterpretation Through Rhetorical Criticism, Chapel Hill 1 984) è stato il primo ad aver intravisto l'importanza del modello retorico per la 2Cor e ad aver intuito l'e­ sistenza di una preparazione di temi (la partitio in 2, t 7). Ma questo approccio retorico (rhetorical cri­ ticism) è stato messo in dubbio da diversi autori tra cui J.A.D. WF.JMA ( «What does Aristotle have to do with Paul? An evaluation of rhetorical criticism», in Calv TheoUourn 32[ 1997J. 458-468). Recen­ temente è stata ripresa da F.-J. LoNG (Ancient rhetoric and Paul's apology. The compositional unity of 2 Corinthians, Cambridge 2004) che propone la seguente dispositio per la 2Cor:

28

Introduzione

con il praescriptum ( 1 ,1-2) e Peulogia per il conforto di Dio tra le prove delle-tri­ bolazioni (1,3-1 1 ). Il prescritto è molto semplice e ricalca quello della 1 Cor. All'inizio della lettera (1,3- 1 1 ) non troviamo il ringraziamento (cf. Rm 1 ,8- 15; 1 Cor 1,4-9; Fil 1,3-1 1; 1Ts 1 ,2-10), ma la benedizione, che ha la funzione di intro­ durre i temi della lettera (l'apostolato al servizio della consolazione di Dio; la sofferenza come strumento principale di questo ministero) e di esercitare in un certo qual modo la captatio benevolentiae, riconoscibile nella cura di Paolo di esprimere l'affetto per i corinzi (la reciprocità di 1 ,6-7 e il tono confidenziale di 1 ,8-1 1 ), allo scopo di accrescere la fiducia vicendevole. Dopo l'eulogia iniziale segue il corpo della lettera che va da 1 ,12 a 13,10, un materiale complesso che nelle linee principali si può articolare in tre parti: 1 ,12-7,16 dedicati all'autodifesa del proprio comportamento e alla manifesta­ zione della sua diakonia;59 i cc. 8--9 alla colletta; i cc. 1{}-13 che si collegano a 1,12-7,16, ma con toni fortemente polemici nei confronti della comunità. Con 1,12-2,13 l'apostolo entra nel vivo dell'apologia del proprio ministero, spiegando i motivi della sua fiducia nella loro cooperazione e creando i presup­ posti per la corretta comprensione del ministero apostolico (2,14ss). Confuta in­ fatti l'accusa di leggerezza nelle decisioni pastorali, giacché, pur avendo stabilito di visitare Corinto, improvvisamente aveva cambiato parere, preferendo far re­ capitare una lettera («la lettera delle lacrime») tramite Tito invece di visitare personalmente la comunità. Se in 1,12-14 Paolo fonda la sua apologia sul giudizio di verità della propria coseienza e di Gesù Cristo giudice della storia, in 1 ,15-22 si difende dall'accusa di opportunismo e leggerezza nelle proprie scelte pastorali in seguito alla man­ cata visita a Corinto, sostituita dall'invio alla comunità di una lettera dai toni du­ ri. La dimostrazione della linearità del proprio comportamento si fonda diretta­ mente in Dio. L'apostolo se annuncia Cristo, annuncia il «SÌ» di Cristo a Dio e il

proemium: 1 ,3-7; narratio: 1 ,8- 16; 2,12-13; 7,2-16; divisio e partitio: t, 1 7-24; probatio: 2,1-9,15; refutatio: 10,1-1 1 ,15; self-adulation: 1 1 , 16-1 2, 10; peroratio: 12,1 1-13,10. Egli afferma testualmente: «La mia tesi è che Paolo deliberatamente ha composto la 2 Corinti secondo i criteri della pratica forense della tradizione greco-romana» (ibidem, 230). Anche se non è possibile ritenere che Paolo si rifaccia del tutto a tale pratica forense (come risulta dalla varietà di ipotesi di identificazione della dispositio riportate da M.J. HARRIS, The second epistle to the Co­ rinthians, Grand Rapids 2005, 105-110), è evidente che l apostolo argomenta con prove artificiali (co­ struite dall'oratore: pathos ethos e logos ) e non artificiali (come la Scrittura ecc.), oltre a una vasta gamma di topoi forensi (LoNG, Ancient rhetoric, 1 99-229). 59 D.A. DE SILVA ( The credentia/s of an apostle. Paul's gospel in 2 Corinthians 1·7, N. Richland Hill [TX) 1998) propone di articolare i cc. 1-7 nel modo seguente: la buona volontà dei destinatari della lettera ( 1 ,1-2, 1 l ), la prima serie di argomentazioni (2,12-4,6), la seconda serie di argomenta­ zioni (4,7-5,10), l'appello alla riconciliazione (5,1 1-7,3). le parole di rassicurazione (7,14-16). '

,

Introduzione

29

«SÌ» di Dio in Cristo a Israele. Questo rende ragione del passaggio dal doppio «SÌ e no» alla semplicità del «SÌ» di Cristo e all' «amen» liturgico del «noi», che ac­ comuna sia Paolo che i corinzi. Con 1 ,23 passa dalla sezione riguardante i battezzati inseriti nel corpo di Cri­ sto alla descrizione dei motivi del cambiamento del progetto originario (1 ,23-2,2) e alle ragioni dell'invio della lettera (2,3-1 1 ) . Ciò che guida le sue scel­ te è la carità pastorale, come prova la lettera scritta tra le lacrime e le sofferen­ ze (2,4) e la natura del gesto di misericordia che chiede di operare nei confronti dell'offensore (2,5). Accusato di seguire il volere «della carne» (kata sarka), Pao­ lo rovescia l'accusa, dimostrando che sono proprio loro ad essere alla mercé di Satana se non sono docili alle sue esortazioni (2,1 1 ). Un ulteriore segno del suo zelo per la fede della comunità traspare dalla narrazione dell'evangelizzazione di Troade (2,12-13). La sua partenza immediata per la Macedonia è stata una conferma della premura e dell'attenzione avute nei loro confronti, giacché la gioia non poté essere piena, nonostante i successi apostolici, sin quando non eb­ be incontrato in Macedonia Tito, latore delle consolanti notizie sulla comunità. Se fino a questo punto ha risposto alle accuse, in 2,14-7,3 Paolo argomenta sull'autenticità del ministero. Nella sezione 2,14-7,3 possiamo individuare un'introduzione (2,14-17) e uno sviluppo del tema (3,1-7,3), giacché dalla domanda sull'identità del ministero paolino (2,16b) si passa alla sua origine divina (3,1--4,6), alla sua qualità (4,7-5,10) e al suo significato salvifico (5,1 1-7,3). L'oggetto della lode e il sog­ getto dell'automanifestazione mediante l'apostolo è Dio ed egli, poiché è profu­ mo di Cristo, diffonde la conoscenza di Cristo. 3,1--4,6 ha un'articolazione tripartita: 3,1-3; 3,4-18; 4, 1 -6. L'argomentazione, che da 2,14ss nel rendimento di grazie s'appoggia sui fatti o sull'esperienza, sfo­ cia in un ragionamento midrashico, anche se non formalmente tale: 3,1-6, l(ze­ rah shawah, ovvero deduzione esegetica analogica sulla base di parole simili fo­ neticamente; 3,7- 1 1 , qal-wa/;lomer, dove Paolo mantiene i punti di somiglianza tra ministero della morte e quello dello Spirito; 3,12-1 8, con i punti di differen­ za; 4,1-6 che ha un carattere conclusivo poiché riprende i temi finora trattati ap­ plicandoli al contesto delle relazioni Paolo-corinzi. L'irreprensibilità della pro­ pria attività missionaria (1Ts 2, 1-12) può essere messa in dubbio solo dal rifiuto dello splendore del vangelo di Cristo a causa dell'azione nefasta di Satana che acceca la mente degli increduli. In 4,7-5,10 dal dono del ministero in termini di «luce» e «gloria>> (3,1--4,6) si passa alla «potenza» operante nel ministero, capace di operare oggi il prodigio di un 'esistenza donata totalmente al vangelo e, in futuro, la partecipazione alla vita gloriosa del Risorto. Contenutisticamente si articola in due parti: 4,7- 15 con la descrizione dell'oggi del ministero; 4,16-5,10 con la prospettiva futura che at­ tende il ministro, una realtà che riguarda tutti i cristiani. Tra le due parti vi sono legami di vocabolario e di contenuto: si va dal paradosso della potenza di Dio nella fragilità dell'apostolo (4,7-15) alla prospettiva finale davanti al tribunale di Cristo (4,16-5,10); dalla categoria di ciò che può essere visto (sofferenze e mor-

30

Introduzione

' te delruomo' esteriore) a quella· del non visibile (salvezza in mezzo alte soffe· renze. la ricompensa eterna, la vita di Gesù). Mentre in 4,7-1 2 viene descritto il paradosso nella vita di Paolo, in 4,13-15 so­ no affrontati i temi della predicazione e della fede nella risurrezione. Per quan­ to riguarda 4,16-5,10, se in 4,16-18 tempo ed eternità si confrontano antitetica­ mente, in 5,1 -10 a partire da «Se la nostra dimora terrestre» (5,1, ean he epigeios hemòn) si delinea una successione temporale tra l'esistenza terrena e quella escatologica. Da 5,1 1 si passa a trattare la funzione di Paolo nei confronti dei corinzi (5,1 1-7,3). Il passaggio dal tema escatologico (4,16-5,10) a quello del ruolo di me­ diazione del ministero apostolico avviene con la polemica contro gli avversari (5,1 1 -12). Il discorso tende a passare dall'indicativo all'imperativo. con un movi­ mento che va dalla riconciliazione con Dio in Cristo (5,13-6,2) alla riconciliazio­ ne con Paolo (6,3-10). In 5,13-6,2 è stabilita la base per la vera raccomandazione (6,4): la collaborazione all'opera di Dio, con l'annunzio del vangelo dal quale e nel quale esistono comunità (5,20-6.2) e apostolo (5,14-19). La qualità dell'appello precedente di Paolo viene ora documentata in 6,4-10 attraverso il catalogo delle virtù e delle prove, che rendono visibile la rettitudine e la ragionevolezza del suo vanto apostolico davanti a Dio e a tutti i suoi uditori. Dopo l'introduzione (6,1 -4a) vi sono quattro strofe dove vengono elencate 30 qualifiche del ministero di Paolo. In 6,1 1-7,3 il discorso tende a diventare parenetico. La dimensione pareneti· ca del ministero paolino in relazione ai corinzi si coglie nell'apostrofe che ri­ chiama il rapporto di paternità che li lega all'apostolo (6,1 1-13 e 7,2-3) e nelle conseguenze pratiche dell'avvenuta riconciliazione con Dio (6,14-7,1). Dopo aver definito il ruolo del ministro. in 7,4-1 6 Paolo si sofferma in modo più diretto sulla relazione dell'apostolo con la comunità. Il tono è quello della peroratio (ripresa dei temi trattati e soluzioni proposte, con accentuazione pare­ netica e carattere conclusivo), in riferimento soprattutto alle incomprensioni tra l'apostolo e i corinzi (1 ,12-2,3) e, indirettamente, all'identità del suo ministero (2, 14-7,3). L'inizio dell'unità in 7,4 è giustificato dal cambiamento di vocabola­ rio tra 6,11-7,3 e 7,4-16, mentre la sua conclusione in 7,16 deriva dal fatto che in 8,1 è introdotto il tema della colletta. Il brano prepara così il terreno per i cc. 8-9 riguardanti l'iniziativa di solidarietà verso la Chiesa di Gerusalemme, nella qua­ le Tito svolgerà un ruolo decisivo. Questo spiega l'accento posto sui buoni rap­ porti con i corinzi fondati sul recente passato (7,4b-16). 7,4-16 presenta legami con 1 ,13-2,13 mediante i temi dell'incoraggiamento e della gioia/tristezza. Con i cc. 8-9 è affrontato il tema della colletta per la Chiesa di Gesusalem� me: l'appello (8,1 -24) e il suo significato (9,1-15). Nel c. 8 contenutisticamente si possono distinguere tre unità: vv. 1-6 (l'esem­ pio delle Chiese di Macedonia); vv. 7-15 (l'appello); vv. 16-24 (la raccomandazio­ ne di Tito e di altri due inviati). Il c. 8 non ha tanto lo scopo primario di far co­ noscere i suoi delegati, quanto di indicare l'importanza dell'iniziativa. Rilevante è l'unità 8,7-15 che contiene argomenti cristologico-soteriologici (vv. 7-9) e ar­ gomenti ecclesiologici (vv. 10-15).

Introduzione

31

Il c. 9 è strutturato in tre sottosezioni: vv. 1 -5 (l 'invio dei delegati e la veridi­ cità del vanto presso i macedoni); vv. 6-10 (le ragioni teologiche della solida­ rietà); vv. 11-15 (i ringraziamenti a Dio come frutto spirituale della colletta). Il v. 5 annuncia i temi della seconda sottosezione e la seconda prepara la terza dove è centrale la figura di Dio che crea la generosità dei corinzi, con il risultato del­ la moltiplicazione del ringraziamento da parte di coloro che beneficeranno del gesto di carità. In 9,6-10 avendo motivato il compito dei delegati di preparare la colletta prima del suo arrivo, Paolo esorta i corinzi ad essere generosi, poiché Dio lo sarà ancora di più con loro. Subito dopo parla con entusiasmo degli effetti della colletta, come se i corinzi avessero già risposto all'appello (9,1 1 -15). È l'en­ tusiasmo che deriva dalla fiducia nel fatto che protagonista della risposta attiva della comunità è la grazia di Dio, tanto più che in Rm 1 5,30-32 l'apostolo lascia trasparire qualche timore sull'accoglienza entusiasta della colletta. I cc. 10-13 sono caratterizzati dal discorso fatto spesso in prima persona sin­ golare, a differenza di 2,14-7,4 in cui domina il «noi». La sezione riprende il to­ no polemico e apologetico della prima parte (1 ,12-7,16) con una costruzione concentrica: A B

10,1-18 1 1 ,1 1 -21 c 1 1 ,22-12,10 B ' 12,11 -18 A' 12,19-13,10 13,1 1-13

le accuse il confronto con i super-apostoli la debolezza dell'apostolo il comportamento di Paolo e Tito il prossimo viaggio pastorale conclusione epistolare

.. �

r

.

In 10,1-18 il tono è esortativo, come si deduce dalla solenne affermazione ini­ ziale: «lo in persona. Paolo... vi esorto per la clemenza e la bontà di Cristo>>. L'a­ postolo risponde a due accuse: la prima di «camminare nella carne» ( 1 0,1-6); la seconda di inviare «lettere pesanti e forti», mentre la sua presenza è «debole» (10,7-1 1). Quindi si sofferma, attraverso un linguaggio sottilmente ironico, sulla definizione del suo mandato apostolico (10,12-18). In 11 ,1-12,18 1eggiamo la difesa di Paolo, che culmina in 12,9. Egli non respin­ ge l'accusa di debolezza, ma ne capovolge il valore: la fa propria per illustrare me­ glio la potenza di Cristo (12,10) e il valore della propria autorità nella Chiesa di Co­ rinto. Nella difesa si sarebbe potuto servire della teologia della croce per mettersi in mostra, ma evita di farlo, anche se sarebbe stato di grande efficacia argomenta­ tiva. Siamo in presenza di un'articolazione abbastanza ordinata, tesa ad illustrare l'identità e le caratteristiche dell'attività apostolica, mediante il genere della lette­ ra di tipo filofronetico, di amicizia. E, proprio grazie a questo suo carattere, il di­ scorso risulta coinvolgente, poiché confidenziale e dimostrativo nello stesso tempo. Nell'unità 1 1 ,1 -21 mette a confronto il suo amore paterno con quello dei «SU­ per-apostoli» (1 1 ,1-6) e giustifica il rifiuto del sostegno economico da parte dei corinzi ( 1 1 ,7-1 1 ) con il desiderio di non fornire pretesti ai suoi avversari, di cui offre una breve ed efficace descrizione (11 ,12-15), avvalendosi del motivo della «finta pazzia» per confutare la «pazzia» vera dei corinzi (1 1 ,16-21).

32

Introduzione

In 1 1,22-12,10 compare il 'nùcfeo portante della dimostrazione: lo statuto del­ la debolezza paolina ( 1 1 ,23-33) con il rigetto della sapienza carismatica degli av­ versari. A lui è sufficiente la parola rivelatrice di Dio che fonda il suo vanto pa­ radossale (12,6-10). Segue l'unità 12,11-18, parallela a 1 1 ,1 1 -21, che sviluppa il motivo della stol­ tezza e i segni dell'apostolato (1 2,1 1 -12). Paolo prende in considerazione l 'even­ tuale accusa di essersi rifiutato di accettare il sostegno economico (12,13). Ma se questo è avvenuto, è stato frutto del suo amore paterno, provato con la missione di Tito (12,13-18). Nella sezione finale 12,19-13,10 vengono ripresi quasi in paraHelo i motivi di 10,1 18 applicati ora alla situazione della comunità: la lista dei peccati dei corin­ zi e il desiderio di trovarli penti ti al suo ritorno (12, 1 9-21 ); la visita di Paolo e la sua forza in Cristo (13,1-4); il potere dell'apostolo per l'edificazione della comu­ nità (13,5-10). La lettera termina con gli elementi tipici delle conclusioni delle lettere in 13,1 1 -13: esortazioni generali (v. 1 1 ), scambio di saluti (v. 1 2) e voti augurali fi­ nali. Da notare l'assenza di saluti a singole personè, come in Gal e l Ts. -

,

IL SALUTO (1,1-2) LA BENEDIZIONE (1,3-11)

PRIMA PARTE (1,12-7,16): L'IDENTITÀ DELL'APOSTOLO A. IL VANTO DI PAOLO E I RAPPORTI CON I CORINZI ( 1 ,12-2,13) A.l 1 ,12-14: Il vanto. A.2 1,1 5-22: Il progetto iniziale e il «SÌ» di Dio in Cristo A.3 l ,23-2,2: Il mancato viaggio e la carità pastorale A.4 2,3-1 1 : Le ragioni dell'invio della lettera A.5 2,12-13: La partenza per la Macedonia

B. L'AUTENTICITÀ DEL MINISTERO DI PAOLO (2,14-7,3) 2,14-17: Il rendimento di grazie B. l B.2 3,1-4,6: Il ministero della nuova alleanza B.2. 1 3,1-3: La comunità epistole di Cristo La gloria di Dio rivelata nel nuovo ministero B.2.2 3,4-18: 4, 1 -6: B.2.3 La franchezza nel ministero e lo splendore di Cristo B.3 4,7-5,10: La dynamis e la speranza dell'apostolo 4, 7-15: La debolezza e la forza del ministero B.3. 1 4, lfr-.5, 10: La prospettiva escatologica dell'apostolato B.3.2 8.3.2.1 4,16-18: Il paradosso del rinnovarsi nel morire B.3.2.2 5,1-10: La speranza della dimora nei cieli B.4 5,1 1--6,10: Il ministero della riconciliazione: fondamento e visibilità B. 4. 1 5, 11-6,2: La parentesi apostolica e il ministero della riconciliazione

33

Introduzione B.4.2

A ' . IL

6,3-10: Le referenze come servo di Dio: prove e virtù

6,11-7,3: L'accoglienza del suo ministero salvifico

B.5

CLIMA

DI

FIDUCIA E COMUNIONE TRA

PAOLO E l CORINZI (7,4-16)

SECONDA PARTE (8,1-9,15): LA COLLETTA DA INVIARE A GERUSALEMME A.

B.

A PPELLO ALLA COMUNITÀ DI CORINTO PER LA COLLETIA (8,1-24) A.1 8,1 -6: L'esempio delle Chiese di Macedonia A.2 8,7-1 5: L'appello A.3 8,1 6-24: La raccomandazione degli inviati Lo

SCOPO DELLA MISSIONE E IL SIGNIFICATO TEOLOGICO DELLA COLLETfA

B.1 B.2 B.3

9,1-5: Altri motivi dell'invio di Tito e dei due fratelli 9,6-10: Dio offre i mezzi per essere generosi 9,1 1-15: Gli effetti della colletta

(9,1-15)

TERZA PARTE (10,1-13,10): PAOLO E GLI AVVERSARI A. LE ACCUSE (10,1 -18) A.1 1 0,1-1 1 : Il camminare nella carne e le lettere A.2 10,1-6: Conseguenze della disobbedienza A.3 10,7-1 1: Le «lettere pesanti e forth>: il potere di edificare A.4 10,12-18: La definizione del mandato apostolico ricevuto da Paolo

B. IL CONFRONTO CON l SUPER-APOSTOLI ( 1 1 ,1-21) B.1 1 1 ,1-6: L'amore paterno di Paolo e i super-apostoli B.2 11,7-11: I l rifiuto del sostegno economico da parte dei corinzi B.3 1 1 ,12-15: I l desiderio di non fornire pretesti ai super-apostoli e la loro identità

B.4

1 1,16-21: Il motivo della pazzia di Paolo a confronto con la pazzia dei corinzi

C.

(11,22-12,10) 1 1.22-33: Lo statuto della debolezza paolina 12,1 -10: Il rigetto della sapienza carismatica degli avversari e la paro-

LA DEBOLEZZA DELL'APOSTOLO

C.l

C.2

la di Cristo B ' . I L COMPORTAMENTO DI PAOLO E DI TITO (12,1 1 -18) A'.

IL PROSSIMO VIAGGIO PASTORALE (12,19-13,10) 12,19-2 1 : Il ministero dell 'edificazione e i peccati dei corinzi A'.2 3,1 -10: L'autorità dell'apostolo A' . l

LA CONCLUSIONE EPISTOLARE (13,1 1-13)

34

Introduzione

3. 4. Il genere epistolare

Gli esegeti hanno fatto diverse proposte di identificazione del genere lette­ rario60 della 2Cor: apologia, polemica, lettera di riconciliazione, di ringraziamen­ to o di congratulazioni in risposta alle buone notizie recate da Tito, lettera di viaggi, lettera autobiografica con toni apologetici.61 Occorre tener presente che le diverse affermazioni teologiche contenute nella lettera sono risposte retoriche alle obiezioni circa l'autorità di Paolo.62 Belleville ha parlato di lettera apologe­ tica di autoraccomandazione, benché limitatamente ai cc. 1-7,63 coniando un nuovo tipo epistolare, che ritrova nei sofisti contemporanei e in particolare in Dione Crisostomo. Ad una lettura attenta del testo, si nota la diversità dei generi impiegati. Que­ sto è evidente in ciascuna delle tre parti principali che costituiscono la lettera. Nei cc. 1-7 la complessità concreta della comunicazione della Parola si ma­ nifesta nella varietà dei generi letterari: apologia (l ,12-24; 6,3-4 ); autobiografia (2,12-13; 7,5-6; 4,8-10; 6,4- 10); esortazione (2,8; 5,2�,2; 7,2-3); incoraggiamento (1,1 1 ; 7,4-8,12); direttive (2,5-1 1 ); raccomandazione (7,1 3-16); ringraziamento ( 1 ,3-4). Il genere apologetico è evidente nell'appello alla testimonianza della co­ scienza (1,12) e di Dio (1 ,23), nell'articolazione di proposizioni affermative e ne­ gative, negative e avversative, proposizioni esclusive che fanno risaltare la coe­ renza dell'ethos paolino. E si tratta di un'apologia che mira a stabilire un clima confidenziale, di benevola accettazione della sua persona ( captatio benevolen­ tiae) .64 In 2,14-7,3 il tono è tipico delle lettere di raccomandazione nel presen­ tarsi come servitore della nuova alleanza franca e piena di fiducia (3,7-1 1), an­ che se, nello stesso tempo, umile (4,1 ) e tribolato (6,4-10), ma animato da una grande speranza: la partecipazione alla risurrezione, e pienamente rimesso al giudizio di Dio (5,10) . Paolo insiste sulla limpidezza del suo comportamento a differenza del «mercanteggiare la Parola di Dio>> degli avversari (2, 17). L'elogio di sé (periautologia) si fonda non sul disprezzo dei rivali, ma sulla confessione dell'efficacia della grazia (4,7-12), benché attaccato polemicamente come uomo umile (tapeinos, 10,1), debole (asthenes, 10,1), con una parola «da nulla» (exouthenemenos, 10,10).

. 60 Per uno studio dei generi letterari del NT e in particolare i n Paolo, cf. D.E. AuNE, The New Testament in its literary environment, Westminster 1 987. 61 Cf. G. BARBAGLio, La teologia di Paolo, Bologna 1 999, 234. 62 Cf. S.-K. WAN, Power in weaknes!J: Conflict and rhetoric in Paul's Second Letter to the Co­ rinthians, Harrisb urg (PA) 2000. 63 Cf. L.L. BELLEVILLE, Rejlexions of Glory. Paul's polemica/ use of the Moses-Doxas tradition in 2Corinthians 3, 1 - 18, She ffield 1 991 , 120-121 . M Cf. BARBAGLIO, La teologia di Paolo, 234-235. In 1 . 1-2 , 1 3 e 7,5- 16 l apostolo cerca continua­ mente di suscitare pathos nei destinatari, sentimenti che riflettono quelli di Cristo, e questo secondo le modalità della retorica antica . Cf. L.L. WELBORN, «Paul's appeal to the em otion s in 2Cori n th ia ns 1 ,1 -2,13; 7,5- 16», in JSNT 82(2001), 31-60; T.H . 0LBRICHT - J.L. SuM N EY (edd . ) , Pau/ and pathos, Atlanta 2001 . '

Introduzione

35

I cc. 8-9 appartengono al genere esortativo come attestano gli imperativi: «abbondate anche in questa grazia» (8,7), «portate a termine l 'esecuzione» (8,1 1) e diversi congiuntivi esortativi (8,14; 9,4; 9,7). Compaiono infatti esorta­ zioni implicite (ad es.: «Ecco il mio parere», 8,10); modelli da imitare: i macedo­ ni (8, 1-5) e Cristo (8,9); motivazioni di ordine ecclesiologico (8,13-15). In questa linea si comprendono le raccomandazioni di Tito e degli altri inviati, e l 'accento sulla linearità e bontà dell'iniziativa della colletta (8,20-21). La sezione dei cc. 10-13 richiama il genere letterario dei cc. 1-7. È abbon­ dantemente presente il motivo della raccomandazione del proprio ministero apostolico (cf. i motivi di vanto, competenza e legittimità, forza/debolezza). Pe­ culiare tuttavia è l'uso dell'ironia e del sarcasmo, con intenti polemici, nell'esal­ tazione della propria debolezza e di ciò che era motivo di vergogna presso gli oppositori ( 1 1 ,30; 12,5 .9. 10). Il sarcasmo è evidente nella descrizione degli av­ versari come falsi apostoli, operai fraudolenti, mascherati da apostoli di Cristo ( 1 1 ,13) e, soprattutto, operai di Satana (1 1,2-3). Quindi genere apologetico e po­ lemico. 65 3.5. La teologia della lenera

Una delle costanti delle lettere paoline è l'assenza di una trattazione siste­ matica dei temi teologici enunciati, soprattutto per la natura intrinseca del ge­ nere letterario epistolare. Per quanto riguarda la 2Cor, Paolo si sofferma in mo­ do più puntuale sui seguenti argomenti: il contesto trinitario e l'autenticità del ministero apostolico al servizio della comunità della nuova alleanza. Nella pre­ sentazione dei contenuti teologici è presupposta l'esegesi dei brani indicati. 3.5.1. Il contesto trinitario La lettera si chiude con la benedizione trinitaria di 13,13, una delle più so­ lenni del NT. Questo dato rileva l'importanza decisiva che hanno le Persone di­ vine per la natura e la vita della Chiesa e, di conseguenza, per la missione dell'a­ postolo. Il Padre della misericordia e della consolazione. La persona del Padre è più volte richiamata nel corso dei capitoli. È qualificato come Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo (1,3; 1 1 ,31). 11 Padre dona la novità della conoscenza e ope­ ra in Cristo il rinnovamento della creazione (5,18), in quanto creatore ( 4,6) e «Si­ gnore onnipotente» (6,18). La sua attività lo identifica come il Dio (6,18) delle promesse (6,16.18), che chiede il rispetto dell'alleanza (6,17). Ha riconciliato tut-

65 Per le diverse figure stilistiche usate da Paolo alla luce della retorica greco-romana e in par­ ticolare di Seneca. cf. P.A. HoLLOWAY . «Paul's pointed prose: the sententia" in roman rhetoric and Paul», in NT 40( 1998), 32-53. ..

36

Introduzione

ti noi (5,18), il mondo (5,19), mediante Cristo (5,18). Come nei tempi passati è ve­ nuto in aiuto al suo popolo e gli ha donato la salvezza ( 6,2), anche ora la dona co­ me consolatore degli umili (7,6). Salva dal potere della morte (1 ,10), poiché ha il potere di far risorgere i morti (1,9; 4,14) e possiede la gloria (4,6). A lui appartie­ ne la «potenza» (4,7ss; 13,4) che caratterizza il ministero dell'apostolo, ma anche l'esistenza e la vita dei corinzi, dei quali suscita la conversione. È all'origine del processo di salvezza compiuto in Cristo e reso attuale attraverso la predicazione apostolica. La potenza all'opera nel ministero di Paolo (1,10; 4,7-13) è il segno del mandato ricevuto (10,13), come elemento di credibilità e riconoscimento, poten­ za che rifulge nella risurrezione di Gesù (1 ,9; 4,14), come fonte e paradigma del suo agire a favore dell'umanità (6,2). Il Padre è per definizione «Dio delle mise­ ricordie e di ogni consolazione» (1,3). La consolazione è frutto della sua miseri­ cordia nei confronti di noi peccatori, misericordia che si è espressa attraverso Ge­ sù Cristo, «fatto peccato per noi» (5,21), «morto per tutti» (5,14). Per questo a lui conviene la gloria e il rendimento di grazie (4,15; 9,1 1-13). Gesù Cristo, la fedeltà di Dio Padre. Paolo si sente apostolo di Cristo (1,1) e per mezzo di Cristo (3 ,4) È il suo amore che lo spinge ad annunciare il vangelo della riconciliazione (5,14), il cui contenuto è Cristo (2,12; 4,4; 9,13; 10,14 ). La missione dell'apostolo è un partecipare all'opera di Cristo, rendendo presente l'evento pasquale con la sua efficacia di vita (4,10-12) e riconciliazione (5,18). Gesù è colui che, fatto peccato dal Padre (5,21) e morto per tutti (5,14), risusci­ tato (5,15), ha elargito la salvezza a tutti gli uomini facendosi povero per «arric­ chire» l'umanità (8,9), «affinché noi diventiamo giustizia di Dio in lui» (5,21 ). A lui appartiene la comunità di Corinto e a lui, quale vergine casta, l'apostolo ha il compito di condurla in sposa (1 1 ,2). Il potere del Risorto si manifesta nella de­ bolezza dell'apostolo (12,9-10), un potere eterno che rivelerà e giudicherà le azioni umane nella parusia (5,1 0). Nella lettera non è solo l'opera di Cristo ad es­ sere sottolineata, ma anche la sua obbedienza al Padre, da cui è stato inviato per manifestarne il volto di bontà {1,3). .

Lo Spirito Santo che vivifica. Lo Spirito scrive nel cuore dei corinzi e li fa di­ ventare lettera di Cristo, poiché è Spirito di vita (3,3). La sua natura divina fa sì che dove sia lui o giunga, sia donata la «libertà» (3,17) e si compia la trasforma­ zione nella gloria riflettendo sul volto l'immagine della gloria del Signore {3 ,18) Il ministero trova l'origine nello Spirito (3,8 genitivo soggettivo), donato ai cre­ denti come «caparra)) (1,22; 5,5) della pienezza futura. .

3.5.2. L'autenticità del ministero apostolico Nel confutare le accuse, Paolo indirettamente mostra i tratti caratteristici del ministro del vangelo. Questi è, in primo luogo, membro di una comunità ricca di carismi e di doni, esercitati a vario livello e con diverse modalità. Paolo non si sente un privilegiato e quasi unico depositario del vangelo, ma un missionario tra

Introduzione

37

i tanti chiamati ad edificare la Chiesa. Dalle sue parole è possibile individuare gli elementi essenziali di ogni autentico ministro della Chiesa: l'umiltà e la mitezza. A tale scopo sono illuminanti gli appellativi usati per qualificare la sua missione, le modalità in cui esercita l'apostolato e le competenze di cui si sente investito. Un particolare elemento enfatizzato nella lettera, come già nella 1 Cor, è la spro­ porzione tra la debolezza e la forza che risplende nel ministero, e la grazia che ne promana. 3.5.2.1. Un chiamato a collaborare nella Chiesa

Nel corso della lettera Paolo alterna sistematicamente l'uso della prima per­ sona singolare con la prima plurale. 66 Per quanto riguarda i cc. 1-7, abbiamo la prevalenza del «noi» apostolico in 2,14-7,367 nella difesa della propria autenti­ cità; nei cc. 8-9, invece, se nel c. 8 domina la prima plurale,68 nel c. 9 la prima sin­ golare;69 infine, nell'apologia della sua debolezza dei cc. 10-13, la prima singo­ lare. 70 Questo mostra che, laddove è in gioco il suo ruolo di ministro, egli non teme di rifarsi al «noi» apostolico (comprendente la propria persona e i suoi collaboratori e, indirettamente, anche tutti gli altri messaggeri del vangelo) . Il servizio apostolico s'inserisce in un «noi» che è il «noi» comunitario, un ele­ mento enfatizzato più volte nella lettera attraverso la menzione dei vari colla­ boratori. Subito in apertura abbiamo la menzione nel prescritto de «il fratello Timoteo», dove l'apposizione sta per «fratello nella fede-cristiano» più che «missionario-collaboratore nella predicazione». Invece in 2,13 e 7,6ss è menzio­ nato Tito. In 1,19 parla «del Figlio di Dio, Gesù Cristo, annunciato per mezzo di noi. .. per mezzo di me, Silvano e Timoteo»: il Cristo che annuncia è il Cristo an­ nunciato dalla Chiesa, che si lascia incontrare attraverso il suo ministero e quel­ lo dei collaboratori. Tito in 2,13 e 7,6ss ha il compito di richiamarli alla comu­ nione con il proprio ministero di grazia. A questi di nuovo affida il delicato in­ carico di completare la colletta per la comunità povera di Gerusalemme, senza lesinare parole di stima e di affetto nei suoi confronti (cf. 8,6. 16.23; 12,18) . Nel c. 8 si accenna a due fratelli, di cui del primo si afferma che è «rinomato in tut-

66 Occorre tuttavia tener presente che nelle lettere paoline l 'uso della prima persona plurale dei verbi e dei pronomi può assumere vari significati: l) un soggetto plurale (2Cor l, 1 9); 2) Paolo e i suoi destinatari (Rm 16.1 ); 3) Paolo i suoi collaboratori menzionati nel saluto ( 1Ts 1 ,5); 4) Paolo e gli al­ tri apostoli (l Cor 15,1 1 ); 5) Paolo e i suoi correligionari (Rm 3,5); 6) Paolo stesso (Rm 3,8); 7) tutti i credenti (2Cor 10, 3); 8) l'umanità in genere (1Cor 15,32). Cf. HARRIS, The second epist/e, 139. 6 7 Prima singolare in 3,1-3; 4,5; 4,12-15; 5,1 1-12; 5 , 20� ,1 ; 6,1 1 -14, mentre nella confutazione delle accuse personali in 1 ,1-2,13 e nella descrizione del clima di ritrovata fiducia di 7,4-16 assistia­ mo all'alternanza della prima singolare con la prima plurale. 6S Prima singolare in 8,3.8.10. 69 Prima plurale in 9,3.1 1 . 70 Prima plurale dove rivendica la sua autorità ( 1 0,4.6.7.8. 1 1- 17; 12,17-18; 13,7-9), dove accenna all'attività di annuncio ( 1 1 .4.6.7.12.19.), alla debolezza ( 1 1 ,21 ), alla situazione dei cristiani salvati in Cristo (13,4) e infine alla dimensione comunionale ( 13,12: ((Vi salutano tutti i santi»).

38

Introduzione

te le Chiese» (v. 1 8) e che è stato «scelto» (v. 19) per «mostrare la gloria del Si­ gnore stesso e la nostra buona volontà» (v. 23); del secondo, definito generica­ mente «nostro fratello», si dice che è «pieno di zelo» (v. 22) come ha constata­ to «in molti modi e spesso» (v. 22). Poiché i «fratelli» rappresentano le Chiese (8,23), ciò che è dimostrato a loro è dimostrato alle Chiese, in primo luogo a quelle della Macedonia. Accogliendo i suoi inviati, i corinzi dimostrano la ge­ nuinità del loro affetto e la veracità del vanto di Paolo davanti a Tito (7,14) e ai macedoni (9,3). È interessante il più volte ripetuto concetto della parresia e li­ nearità apostolica, espresso con grande enfasi ancora in 12,17-1 8: «Forse che vi ho defraudato attraverso qualcuno di quelli che vi ho mandato? l Ho esortato Tito e ho inviato insieme il fratello. Forse che Tito vi ha ingannato? Forse che non abbiamo camminato nello stesso Spirito? Non sulle stesse tracce ?». Il suo carisma è esercitato nella comunione ecclesiale, giacché tutta la Chiesa è depo­ sitaria del mandato apostolico, per questo può terminare la lettera con le paro­ le: «Vi salutano tutti i santi» (13,12). 3.5.2.2. Gli appellativi, le modalità e le competenze Se il ministero del vangelo non è autoreferenziale,71 Paolo a ragione può de­ finirsi apostolos. diakonos e doulos. La radice di apostolos è impiegata in l e 2 Cor più che in altre epistole pao­ line.72 Questo dato fa risaltare il contenuto delle due lettere. Thttavia in 2Cor si trova usata soprattutto nei cc. 10-13. Subito in l ,l leggiamo che l'apostolato di Paolo è originato dalla volontà di Dio. Il concetto è chiarito mediante il vo­ cabolario cristologico-teologico (l'origine), quello ecclesiologico (i destinatari), della grazia e della riconciliazione (i doni di cui è portatore). Nella tradizione i concetti di apostolos e missionario sono stati separati, per questo l'uno è sta­ to riferito all'idea di autorità, l'altro all'espansione missionaria. Paolo unifica i due aspetti giacché come apostolo e missionario è al servizio dell'annuncio del-

7 1 Cf. L. LEGRAND, «Alcuni aspetti missionari di 2 Corinti», in L. DE LoRENZl (ed.), The diakonìa of the Spirit (2Cor 4, 7-7,4) , Roma 1989, 316-3 1 7. 72 Il sostantivo compare in totale 79 volte nel NT: 1 in M t; l in Mc; 6 in Le; l in Gv; 28 in At; l in Eb; l in l Pt; 2 in 2Pt; l in Gd; 3 in A p; in Paolo 34 volte: 3 in Rm; l O in l Cor; 6 in 2Cor; 3 in Gal; 4 in Ef; l in Fil; l in Col; l in lTs; 2 in lTm; 2 in 2Tm; l in Tt; nella LXX l volta). Nel corpus pauli­ num sono quasi assenti i verbi apostelleinlexaposte/lein: - apostellein, «mandare, inviare»: rispetto a 1 1 9 in Vangeli + Atti per un totale nel NT di 131 esempi, nel corpus paulinum solo 4 ricorrenze: l in Rm; l in 1 Cor; l in 2Cor; l in 2Tm; - exapostellein, «rilasciare, emettere, inviare)): 4 in Le; 7 in At; in Paolo solo 2 in Gal. Prevale il sostantivo, giacché l'apostolo si sente inviato da Dio per mezzo di Cristo Gesù e non l'origine della missione di altri. In 16 delle 24 ricorrenze di apostolos nelle lettere autentiche, il no­ me compare senza un sostantivo al genitivo. Altre sette volte: in quattro ricorrenze il genitivo è Cri­ sto, in tre rispettivamente ethnon (Rm 1 1 ,23), ekklesion (2Cor 8,23 ). hymon (Fil 2,25). Non parla mai di «apostolo del Signore» o «del Figlio di Dio». «On the basis of dose relationship of the title Chri­ stos with the salvation events themselves, the preference for this title would seem to indicate a dose relationship in Paul's mind between apostleship and the actual events constituting salvation)) (J.H. ScHOTz, Paul and the Anatomy of Apostolic Authority, Cambridge 1975 , 207).

39

Introduzione

la Parola, come traspare dalla varietà di generi letterari utilizzati in 2Cor: apo­ logia (1,12-2,11 ; 6,3-10); autobiografia (2,12-13; 7,5-6); esortazione (2,8; 5,20-6,2; 7,2-3); incoraggiamento ( 1 ,1 1 ; 7,4. 16); direttive (2,5-1 1 ); raccomandazione (7,13-16); eulogia ( 1 ,3-1 1 ) ; ringraziamento (2,14-15).73 L'altro termine impiegato è diakonos, con il quale intende porre l'accento sul proprio ruolo al «servizio» della nuova alleanza (3,6), della giustizia (3,9), dello Spirito (3,8), della vita (4,10-12). Oggetto della sua diakonia è la riconci­ liazione (5 ,18). Un servizio che gli è stato affidato e appartiene a Dio (6,4: Theo diakonou) e a Cristo ( 1 1 ,23: diakonoi Christou). In 1 1 ,8 parla della «nostra dia­ conia (he hymon diakonia)» , come un servizio reso alla comunità al modo di un soldato. Oltre che apostolos e diakonos, Paolo si definisce anche doulos (4,5). Lo «schiavo», doulos, per natura è un «espropriato» , giacché è possesso di un altro: il suo padrone. Vive alle dipendenze di un altro nelle cui mani consegna la pro­ pria autonomia personale e la propria volontà. Per cui l'espressione «Vostri ser­ vi per amore di Gesù» ( 4,5 ) dice l 'impegno totale per la salvezza dei corinzi, che per tutta risposta, anziché accogliere il dono della libertà di Cristo, si lasciano ri­ durre in schiavitù da altri (6,14). In qualità di diakonos del vangelo confuta le accuse di «vivere secondo la carne» (10,2), di falsificare la Parola di Dio (3, 17), suffragando la sua difesa con il richiamo alla propria coscienza (1,12-14) e a quella di ogni persona (4,2) e al­ la presenza di Dio (3,17). Egli, infatti, si propone la manifestazione della verità (4,2) e sopporta con fiducia difficoltà e prove di ogni genere in tutta umiltà e pa­ zienza (6,4- 10; 11 ,23-33; 12,7). Di qui l'originale espressione di 2,24: «synergos... tes charas hymon (collaboratore della vostra gioia)» (2,24), a differenza di 1Cor 3,9 dove abbiamo « Theou synergoi (collaboratori di Dio)». Questo è tanto più indicativo per il fatto che il termine synergos in 2Cor 2,24 è posto in antitesi a kyrieuein, «essere signore>>. Quanto alle modalità dell'esercizio della sua missione, notiamo l'insistenza sul linguaggio dell'affetto, della consolazione, della gioia, della confidenza e del vanto. Solo due volte in 2Cor adopera il termine tecnico per «autorità», exousia, (che ricorre invece 10 volte nella 1Cor) , mentre adopera più frequentemente vo­ caboli per la relazione all'autorità a partire da coloro che ne dipendono (dokime, hypekoos, hypakoe). L'unica volta in cui la esercita è per «comandare» il perdo­ no dell' «offensore» di Paolo e dei corinzi, quale banco di prova della docilità e comprensione del proprio ruolo apostolico (2,5-1 1 ) In 7,4- 16, dove -il tono è di grande confidenza verso i corinzi, l'obbedienza, hypakoe (in questo caso a Tito, accolto con «timore e trepidazione», 7,15), è frutto della loro disponibilità a rat­ tristarsi secondo il Signore e di conseguenza a pentirsi. Hypakoe ritorna ancora in riferimento all'iniziativa della colletta (8,2; 9,13) e alla terza visita a Corinto (13,6). Inoltre, sempre per il concetto di obbedienza, troviamo dokime in 2,9 (qui .

73

Cf. LEG RAND, «Alcuni aspetti», 320.

40

Introduzione

con hypékoos); 8,8.22; 13,5; dokiiruizein in 13,5; epitage in 8,R D sùo è un irivito a lasciarsi riconciliare con Dio (5,20) e ad avere un comportamento conseguente. Il pericolo è che si arrivi ad un compromesso con gli atteggiamenti morali e re­ ligiosi del mondo. Ma l'autorità, in definitiva, è quella della Parola di Dio, e ciò spiega le citazioni in 6,16--7,1 di Lv 26,12LXX, di Is 52,1 1 LXX, Ez 37,27LXX e la citazione libera di 2Sam 7,14. L'impiego del futuro (ben sei volte, di cui quat­ tro con il verbo essere, per il concetto di passaggio dalla condizione di semplici creature a quella di popolo e familiari di Dio; le altre due ricorrenze, per l 'abita­ re e l'accoglienza dei suoi figli) sottolinea l'intenzionalità divina. Il linguaggio dell'apostolo riflette le promesse fatte da Dio (7,1 ) già menzionate nell'argo­ mentazione dell'ethos paolino (1 ,20: diventate «Sh> in Cristo): abitare e cammi­ nare con il suo popolo, essere il suo Dio (6, 16) e suo genitore (6,1 8). È indicativo che i verbi «supplichiamo» (5,20) ed «esortiamo» (6,1 ) più che ad un «inviato/ambasciatore» si addicono ad un servo: si dimostra così, ancora una volta, umile servo del vangelo. In 6, 1 1 -13 e 7,2 la metafora «stretto-largo» viene a porsi in parallelo a 5,1 8-20 con la terminologia della riconciliazione.74 Il linguaggio materno e paterno di 6,1 1-7 ,l culmina in 7,3, dove afferma con so­ lennità che i corinzi sono nel suo cuore «per morire e vivere insieme», il modo più vero di testimoniare loro il dono di se stesso a Cristo.75 Affetto ricambiato dai corinzi nei confronti di Paolo e di Tito (7,7.1 1 ). Per quanto riguarda la sua competenza, c'è da dire che insiste sulla chiama­ ta ali'apostolato come effetto della comprensione della grandezza del sacrificio di Cristo (5,14), una comprensione che «imprigiona» con la qualità dell'amore (synechei) di Cristo, suscitando una novità di pensare e agire tale da far passare in secondo piano tutto il resto. Il conferimento della diaconia è paragonato ad un'illuminazione, che ha la stessa natura della luce primordiale (4,6). Un'illumi­ nazione che irradia nel cuore lo splendore della conoscenza della gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo. Il ministro diventa così luce del vangelo nelle te­ nebre dell'incredulità. Fondamento della missione apostolica, poi, è anche l'un­ zione dello Spirito (1,21 -22), in modo simile al diventare cristiano di ogni cre­ dente.'6 Lo Spirito che vivifica (3,5-6) e fa diventare i corinzi lettera di Cristo e partecipi del suo dono di salvezza, lo ha reso apostolo della giustizia di Dio. Il vangelo da lui accolto lo ha reso nuova creatura e gli ha fatto comprendere la predicazione del vangelo come il momento finale e decisivo nella storia della sal-

329.

74 Cf. M. EBNER, Leidenlisten und Apostelbrief Untersuchungen zu Form, WUrzburg 1991 , 328-

75 a. J. DuPONT, 4 sta per l'azione unica e non ripetitiva.79 Dalla morte di Cristo è scaturita la sorgente della riconciliazione: «non imputando a loro i peccati» (5,1 9), mediata dalla parola del diakonos (5,19), opera escatologica di Dio in Cristo con la remissione dei peccati. L'iniziativa dell'annuncio resta di Dio e il vangelo è l'estensione dell'evento della morte e risurrezione, in cui si è operata la ricreazione (5,17), la novità ultima e definitiva. Paolo è l'inviato che rende attuale l'agire del Dio fedele, che nel passato ha esaudito ed è venuto in soccorso del suo popolo. Il suo annuncio determina indirettamente negli ascol­ tatori non solo il presente ma tutta l'eternità (2,16a). In 2,15-16a, come ap­ profondimento e illustrazione del v. 14, troviamo frasi nominali che descrivono l'agire apostolico caratterizzato dall'unico profumo gradito a Dio: Cristo. Poiché è «profumo» di Cristo, diffonde la sua conoscenza sia per quelli che sono sulla via della salvezza, sia per quelli che sono sulla via della perdizione. Lo è per tut­ ti, credenti e non: è l'inviato di Dio per far passare l'umanità dalla perdizione al­ la vita. Il participio presente thriambeuonti (2,14) attesta che Paolo, in passato acerrimo persecutore, proclamando il vangelo diffonde ora il profumo (euodia) della vittoria di Cristo sulla sua persona. L'apostolo riceve la sua identità dal vangelo. Tutto ciò che è, dice e fa, è evangelizzazione e il vangelo è impossibile senza l'apostolo. I corinzi sono invitati a prendere coscienza del mistero che passa per la sua vita, come indica l'espressione «nostro vangelo» (4,3). Il potere del vangelo, in­ fatti, è una forza all'opera nella comunità sin dal primo annuncio. L'esperienza di gratuità e amore: «Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato» (5,21 ), l'esperienza dell'onnipotente misericordia e tenerezza del Pa­ dre verso i propri figli, sebbene ingrati, «spinge» Paolo a lavorare con Dio (6,1), a rendere operante il dono di Dio e a mettersi gioiosamente al servizio dell'o­ pera redentrice di Dio in Cristo. La sua diakonia è superiore a quella mosaica: la nuova, infatti, riflette (katoptrizomenoi) la gloria del Signore per l'opera del­ lo Spirito Santo (3,18), come i corinzi possono constatare nella sua vita e nelle sue parole. 3.5.2.3. Il paradosso della forza nella debolezza nel ministero Paolo non è interessato a fare una teologia della debolezza. Se parla della sua debolezza, è per far risplendere il mistero di Cristo, per rivelare e servire il van­ gelo di Cristo,80 per questo motivo sviluppa il tema della forza/debolezza, mai co-

79 «> cf. Fil 1 ,1 ; 1 Ts l ,l ; Fm 1 . 6 La designazione di fratello è ado­ perata altrove anche per Sostene (lCor 1,1) e Silvano (1Ts 1 ,1), e può avere il valore sia di «fratello nella fede-cristiano>> che di «missionario-collaboratore nel­ la predicazione>>, differente da «apostolo», attribuito esclusivamente a Paolo. Al­ la luce di l Cor 7,12 («Se un nostro fratello... >> ) è preferibile il significato di «fra­ tello nella fede». Timoteo era stato inviato da Paolo a Corinto (cf. 1 Cor 4,17), do­ ve, insieme a Silvano e all'apostolo, aveva collaborato al primo annuncio del van­ gelo (cf. 1 ,19). In lCor 16,10-1 1 vengono riferite perplessità circa la sua acco­ glienza in una nuova missione. Non sembra corretto considerare «Timoteo» co-autore7 della lettera, giacché Paolo nella 2Cor parla di sé in prima persona,8 mentre « Timoteo» è menzionato sempre in terza persona (2,13; 7,6ss). La citazione del collaboratore potrebbe ave­ re il valore di testimonianza d'intesa dei due sull'opportunità della lettera.9 Ricor­ diamo che Dt 19,15 richiede la presenza di due testimoni per un formale atto giu­ ridico, aspetto tipico delle lettere ufficiali giudaiche (cf. 8,16.22; 12,16b-1 8a; 13,1 ). «Chiesa di Dio che è in Corinto» richiama 1 Cor 1 ,2, dove in modo simile si par­ la di ekklesia con un valore teologico oltre che meramente locale. Nella LXX il termine traduce l'ebraico qahal YHWH (cf. Dt 23,1 -8 eis ekklesian Kyriou per biqehal YHWH) e dalla LXX è passato nel NT per indicare la nuova assemblea =

3 Per i problemi testuali e il significato dell'anticipazione del titolo in «Cristo Gesù», cf. M . E . THRALL, A criticai and exegetical commentary on the Second Epistle to the Corinthians, Edinburgh 1994, I, 80-82. 4 Apostolos ancora in 8,23; 1 1 ,5.13; 12,1 1.12. 5 Per l'identità dell'apostolato paolino cf. ScHOTZ, Pau/ and the Anatomy of Apostolic Authority; B. HoLMBERG, Pau/ and Power. The Structure of Authority in the primitive Church as reflected in pau­ /in Epistles, Lund 1978; per quanto riguarda la teologia dell'apostolato cf. W. BEILNER, Dienst und Dienste der Kirche, Salzhurg 1 996. 6 Timoteo è designato nelle altre lettere come «mio figlio diletto e fedele nel Signore» (1Cor 4,17); «nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo» (1Ts 3,2). 7 Cf. J. MURPHY-O 'CoNNOR, «Co-Authorship in the Corinthian Correspondence», in RB 100(1993), 562-579. 8 In 2Cor il pronome personale di prima persona singolare compare al nominativo 139 volte ri­ spetto alle 89 volte del n ominati vo di prima plurale. Cf. E. FARAHTAN, Le «je» paulinien. Etude pour mieux comprendre Gal 2, 19-2/ , Roma 1988, 104-106. Per la discussione circa il plurale letterario cf. THRALL, A criticai, I, 105-107. 9 a. FURNJSH, l/ Corinthians, 103-104.

2Cor 1 ,1-2

53

del Signore, la comunità della nuova alleanza, la Chiesa. n termine, che compare 9 volte nella 2Cor, sta per il popolo di Dio radunato nel nome di Cristo, che si «par­ ticolarizza» nella comunità di Corinto, vista nella sua dimensione escatologica. «Con i santi». L'aggettivo hagios conserva l'accezione del verbo ebraico qdsh = «separare»: i santi sono i separati dal male e consacrati a Dio. Nelle lettere pao­ line si trova sempre al plurale, se si eccettua Fil 4,21 («salutate ogni santo in Cri­ sto Gesù») , per l'intera comunità santificata da Cristo; nel nostro caso per la di­ gnità dei membri della comunità che abitano nella provincia d' Acaia, anch'essi destinatari dello scritto. Hagios, con riferimento ai cristiani, si legge con maggio­ re frequenza in Paolo rispetto agli altri libri del NT: su 62 volte, ben 41 nel corpus paulinum, di cui 5 volte in 2Cor, laddove enfatizza la dimensione della comunio­ ne dei beni (8,4; 9,1 . 12) e la fraternità spirituale (13,12).10 Ricordiamo 1Cor 6,1 1 : « E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio». Una santità che attualizza quanto detto in Es 19,5-6: «Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popo­ li, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una na­ zione santa»; e riespresso in 1Pt 2,9-10: «Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le ope­ re meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia». Il ter­ mine hagios non dice nulla sulla qualità della vita morale del credente, ma pone l'accento sul dono di grazia elargito dallo Spirito. L'«Acaia» era la provincia senatoriale creata nel 27 a.C. con la separazione della parte meridionale della provincia di Macedonia, comprendente la zona centrale della Grecia e il Peloponneso, mentre in età preromana indicava un pic­ colo territorio sulla costa settentrionale del Peloponneso. Corinto con ogni pro­ babilità era la capitale della stessa provincia, come si desume da Apuleio (Meta­ morfosi 10,18).11 Le due lettere ai corinzi pongono l'accento sul ruolo della co­ munità nell'irradiazione del vangelo nell'intera Acaia {1Cor 16,15: «Una racco­ mandazione ancora, o fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia d eli' Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli»), più che fare una sem­ plice menzione dell'intera Chiesa di Acaia. In 9,2 Paolo menziona la prontezza dell' Acaia a partecipare al «Servizio dei santi». Il saluto è comune alle altre lettere autentiche e in particolare identico a quello di lCor 1 ,3, mentre lTs 1,1b ha solo l'invocazione «grazia e pace». Paolo combina la forma greca «A a B salute/gioia» (cf. Gc 1 ,1 : «Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo, salute») con quella orientale «A a B che la pace e la gioia siano con voi» (cf. 2Bar. 78,2; in Dn

10 11

Per l'uso del termine nello stesso ambito e lo sfondo teologico cf. THRALL, A criticai, l, 86. Cf. THRALL, A criticai, l, 87.

Commento

4,1 solo «pace a voi in abbondanza»), sostituendo il termine «gioia» con «grazia» = charis, nell'accezione sia di «favore» sia di «forza» (12,9). La locuzione attributiva dell'origine della «grazia», con il pronome accan­ to a charis (charis hymin kai eiréné apo Theou patros hémon kai kyriou Iesou Christou), segnala la posizione di Paolo: non è l'origine della «grazia», ma so­ lo il suo araldo «da parte (apo) di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cri­ sto», a differenza dei prescritti delle lettere greche dove il mittente è l'origine dell'augurio di gioia. Nelle lettere paoline il termine charis connota la gratuità, la salvezza come dono di Dio e l'immensità di questo amore. 12 «Pace» invece è l'annuncio del tempo della riconciliazione definitiva e uni· versale, la pienezza dei beni messianici attesi da Israele e offerti in misura so­ vrabbondante in Cristo al «nuovo popolo>>. 13 2. LA BENEDIZIONE (1 ,3-1 1) All'inizio della lettera non troviamo il ringraziamento (cf. Rm 1 ,8-15; 1Cor 1 ,4-9; Fil 1 ,3-1 1 ; 1Ts 1,2-10), ma la benedizione (in Gal non abbiamo né il rin­ graziamento né la benedizione). Alcuni14 propongono di limitare l'unità ai vv. 3-7, poiché al v. 8 abbiamo la for­ mula introduttoria ou gar thelomen hymas agnoein, adelfoi = «non vogliamo in­ fatti che voi ignoriate, fratelli» con un cambiamento stilistico tra i vv. 3-7 e 8-1 1 , una formula adoperata nelle lettere paoline quattro volte dopo il ringraziamento (Rm 1, 13; 2Cor L8; Fil 1 ,12; Col 2,1) quando è già entrato (o sta per entrare) nel corpo della lettera. Ma a suffragare l'unità dei vv. 3-1 1 sono elementi tematici e stilistici. Notiamo infatti la presenza del motivo escatologico nei vv. 9-10, che an­ ticipano 4,7-14, e di quello della salvezza dai pericoli, tipici del genere benedizio­ ne-ringraziamento; come pure dei motivi dell'eucharistein e della salvezza dai pe­ ricoli al v. l l , anch'essi tipici del ringraziamento. In 1 ,8-1 1 è evidente inoltre il cli­ max dell'esordio con la figura dell'accumulatio nella descrizione della prova su­ bita in Asia e della salvezza (i tempi: presente, aoristo e futuro; il ringraziamento da parte di «molti», che fa da inclusione con l'eulogia in 1 ,3s). Da notare infine che a partire da 1,12 cambiano i temi e il vocabolario. Il brano appartiene al genere letterario dell' eulogia, genere tipico della pras­ si liturgica, più che privata, di benedire Dio. Ha la funzione di introdurre i temi della lettera (l'apostolato al servizio della consolazione di Dio; la sofferenza co­ me strumento principale di questo ministero) e di esercitare in un certo qual mo-

1 2 Per il significato di «grazia» in Paolo, cf. B. EASTMAN, The significance of grace in the /etters of Pau/, New York-Bern 1999. 13 THRALL discute le ipotesi sulla matrice culturale di charis ed eirén� (A criticai, I. 95). 1 4 P. BACHMANN, Der zweite Brief des Paulus an die Korinther. Leipzig 1 909. 35; KENNEDY, New Testament lnterpretation; BELLEVILLE. Ref/ections of G/ory; J.A. CRAFTON, The Agency of the Apostle, Sheffield 1991.

55

2Cor 1 ,3-1 1

do la captatio benevolentiae, riconoscibile nella cura di Paolo di esprimere l'af­ fetto per i corinzi (la reciprocità di l ,6-7 e il tono confidenziale di l ,8-1 1 ) , allo scopo di accrescere la fiducia vicendevole. Paolo scrive la presente lettera dopo aver ricevuto le consolanti notizie circa la situazione della comunità nell'incon­ tro con Tito in Macedonia (7,5ss). Dopo la l Cor, aveva scritto infatti un'altra let­ tera (la cosiddetta lettera delle lacrime), recapitata da Tito, con la quale li aveva esortati al biasimo e alla condanna dell'offensore, alla docilità nei suoi confron­ ti, in quanto apostolo. La 2Cor si propone pertanto di giustificare la scelta di in­ viare la lettera, confermando le disposizioni apostoliche, per avvalorare la pro­ pria posizione di «padre» nella fede della comunità. Di qui la solenne benedi­ zione del «Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione». 3Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre delle miseri­ cordie e Dio di ogni consolazione, 4che ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo consolare quelli (che si trovano) in ogni tipo di tribolazione per mezzo della consolazione con la quale siamo consolati noi stessi da Dio. 5Poiché come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cri­ sto abbonda anche la nostra consolazione. 6Se siamo tribolati, (è) per la vostra consolazione e salvezza; se siamo tribolati, (è) per la vostra consolazione che opera nella pazienza delle stesse sofferenze che anche noi soffriamo. 7 E la no­ stra speranza è ferma riguardo a voi, sapendo che come siete partecipi delle sofferenze, così anche della consolazione. 8/nfatti non vogliamo che voi igno­ riate, fratelli, la nostra tribolazione capitata in Asia, che in modo straordinario al di là della forza siamo stati oppressi così da disperare anche del vivere; 9ma noi abbiamo ricevuto in noi stessi la sentenza di morte, perché non confidassi­ mo in noi stessi ma nel Dio che risuscita i morti, 10il quale da tale morte ci ha salvato e ci salverà, in merito alla quale abbiamo speranza che ancora (ci) sal­ verà, 11cooperando anche voi per noi con la preghiera, affinché da molte per­ sone per il dono di grazia a noi (conferito), per mezzo di molti sia reso grazie a nostro favore. Il brano si articola nel modo seguente: 3-4: la benedizione e i motivi dell'eulogia (participi attributivi e pr� sizione finale); 15

- vv.

15 Nella Bibbia e nella letteratura giudaica si hanno benedizioni per un caso privato di libera­ zione o di successo oppure semplici esclamazioni di lode. Vengono celebrati gli interventi salvifici di Dio e la sua potenza. Si tratta di una lode (cf. b. Ber. 63a: «In ogni benedizione rendigli una lode>>) unita all'elemento della confessione della fede da parte della comunità o del singolo. Caratteristiche principali di questo genere letterario sono rispettivamente: a) l'espressione introduttiva baruk - eu­ logetos (raro eulogemenos); b) il motivo della lode, proclamato mediante attributi di Dio con una proposizione relativa (cf. per es. Gen 14,20; 24,27) o causale (per es. Sal 28,6; J QH V,4ss) o, nel pri­ mo giudaismo, più spesso con participi attributivi (per es. Sal 6,6; J QS X1,15). Cf. P. ScHUBERT. Form and Function of the Pauline Thanksgiving, Berlin 1939; P.T. O B R I EN lntroductory Thanksgivings in the Letters of Pau/, Leiden 1977. '

,

Commento

56

5-7: le spiegazioni ( «sia ... sia», «cosl. .. come» ); 8-10: il concreto motivo della lode; - v. 1 1 : il ringraziamento da parte di molti. L'attenzione, focalizzata sulla relazione dell'apostolo con i corinzi dal v. 6, trova il suo sbocco al v. 11. Sono assenti le preghiere d eli' apostolo pe r i suoi destinatari (come in Gal, 1 Cor e l Tm), anche se abbiamo l'accenno alle preghiere rivolte dai corinzi a fa­ vore dell'apostolo (v. 11).1 6 Manca la lode per le virtù dei destinatari, come in Gal (in Fil 1,5 è forse omessa per lasciare spazio alla lode sulla «comunione per il vangelo» ) 1 7 Il motivo probabilmente consiste nel rifiuto di elogiare quanti pongono in discussione il suo apostolato e soprattutto il suo vangelo.18 Soggetto principale è Dio (vv. 4a.10), mentre Paolo e i collaboratori sono soggetti in frasi subordinate (vv. 4c.6c) oppure in proposizioni principali, con ver­ bi al passivo (vv. 6ab.8b-d) o dal significato ricettivo («abbiamo ricevuto»: v. 9a). Le uniche azioni dell'apostolo sono quelle del benedire (il participio eulogetos, v. 3), l'avere ferma speranza (v. 7), la decisione di rendere partecipi i corinzi (v. Sa), il confidare (v. 9b ) . L'enfasi è posta quindi sull'agire di Dio. La crudezza del­ la prova è descritta con un crescendo di intensità; altrettanto vale per il motivo della salvezza da parte di colui che risuscita i morti, visto nella sua dimensione escatologica. L'idea dell'abbondanza del potere salvifico di Dio è offerta dalla struttura di­ namica dei vv. 8-1 1. Paolo confida nel «Dio che risuscita i morti», nella forza di colui che ha risuscitato Gesù. Poiché vede la propria vita come situazione di mor­ te, vede la salvezza dalla tribolazione come risurrezione. 1 ,8 contiene i termini che saranno ripresi in 4,7-10. Non dice che le sofferenze degli apostoli accresco­ no le afflizioni della comunità, ma che piuttosto donano conforto e salvezza. Il vissuto (vv. 8-9) è verifica della fecondità del vangelo, poiché la lotta di Paolo e i frutti che ne vengono sono il segno più vistoso della dinamica del vangelo e del suo apostolato e, soprattutto, della sua origine divina. La sofferenza di Paolo è al servizio della gloria di Dio che lo salva e libera, ma è anche occasione per i co­ rinzi di collaborare alla diffusione del vangelo (con la preghiera per l'apostolo) allo scopo di suscitare il rendimento di grazie da parte di «molti» a Dio (si veda l'insistenza semantica). Il tema della grazia che discende da Dio e coinvolge unitariamente i destina­ tari è illustrato anche dalle caratteristiche dello stile. A livello sintattico si nota - vv. - vv

.

1 6 In genere la menzione delle preghiere è all'inizio della lettera, mentre la richiesta di preghie­ re per sé è alla conclusione, cf. Rm 15,30-32; lTs 5,25; Fm 22. «Qui la sua preoccupazione sembra es­ sere quella di dire che quanto più le preghiere saranno significative per loro tanto più lo saranno per lui. Esse dimostreranno la partecipazione della comunità nel vangelo e nel corpo di Cristo)) (FuR­ NISH, Il Corinthians, 125). 17 Cf. A. PJTIA, Sinossi paolina, Cinisello Balsamo {MI} 1994, 27. 1 8 Motivo contro la tesi della lettera della riconciliazione, cf. C. WoLFF, Der zweite Briefdes Pau­ lus an die Korinth er, Berlin 1989, 20.

57

2Cor 1 ,3-11

infatti la complessità dei vv. 3-5 e dei vv. 8-11. A una proposizione principale se­ guono subordinate connesse tra loro, l'una dopo l'altra, ovvero di vari gradi di dipendenza. Il pensiero teologico si fa espressione sul piano della parola: vv. 3·4: proposizione principale ottativa: 3 Benedetto (sia) Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre delle miseri­ cordie e Dio di ogni consolazione, + subordinata di l o grado relativa: 4che ci consola in ogni nostra tribolazione + subordinata di 2° grado finale/consecutiva: perché possiamo consolare quelli + subordinata di 3 ° grado relativa: ogni tipo di tribolazione per mezzo della consolazione + subordinata di 4° grado relativa: con la quale siamo consolati noi stessi da Dio. *

*

*

v. 8: proposizione principale: Infatti non vogliamo + subordinata di l o grado oggettiva: che voi ignoriate, fratelli, la nostra tribolazione capitata in Asia, + subordinata di 2° grado con participio attributivo con valore dichiarativo: che in modo straordinario al di là della forza siamo stati oppressi + subordinata di 4° grado consecutiva: così da disperare anche del vivere; vv.

9-11: proposizione principale:

9ma noi in noi stessi la sentenza di morte abbiamo ricevuto, subordinata di l o grado finale: affinché non confidiamo in noi stessi ma nel Dio + subordinata di 2o grado con participio attributivo con valore dichiarativo: che risuscita i morti, + due subordinate di 3° grado relative coordinate: 10il quale da tale morte ci ha salvato e ci salverà, + subordinata di 4° grado relativa: in merito alla quale abbiamo speranza + subordinata di 5° grado con valore dichiarativo: che ancora (ci) salverà, + subordinata di 6 o grado con participio attributivo con valore moda/e: 1 1cooperando anche voi per noi con la preghiera, + subordinata di 7° grado finale: affinché da molti volti per il dono di grazia a noi (conferito), per mezzo di molti sia reso grazie a nostro favore. +

L'elevatezza dello stile compositivo è data anche dall'uso di alcune partico­ larità sin tattiche: l'accusativo e l'infinito (v. 8; cf. BDR § 408,1 ) l'articolo e l'infi­ nito (v. 8; cf. BDR § 400), le figure dell'antitesi (1 ,3-7 tra i campi della sofferen,

Commento

za e della consolazione), della paronomasia (la ripetizione della radice parakl-, vv. 3-7; thlipsis, v. 4; yper, v. 8; v. 10; ry-, v. 1 1 ). dell'omoioteleuto (v. 1 1, -on), del chiasmo (vv. 3 e 4), del parallelismo (vv. 5-7), dell'epifonema (v. 7) , della digres­ sione (vv. 8-9). Thtto rende la tensione oratoria di Paolo nell'elevare a Dio l'in­ no di lode per l'azione salvifica sperimentata nel suo ministero apostolico a fa­ vore dei corinzi e delle altre comunità fondate o meno da lui. v. 3: , una qualità sovrabbondante, un grado che eccede straordina­ riamente un punto su un'implicita scala, che rasenta la totalità (in 4,17 il termi­ ne è adoperato per la quantità infinita di gloria attesa nei cieli). La grandezza della prova è enfatizzata inoltre mediante la figura della paronomasia, con la preposizione hyper ripetuta nella radice dell'avverbio e accanto a dynamis. Il verbo exaporeisthai esprime in genere uno stato di acuta ansietà, portata all'ec­ cesso (ex- rafforzativo di aporein, «essere in stato di dubbio, di incertezza))), sen­ za via d'uscita, una situazione di «oppressione vitale)) in cui qualcuno si imbatte suo malgrado, ma da cui Paolo è stato liberato per l 'intervento del «Dio che ri­ suscita i morti>). v. 9: «ma noi abbiamo ricevuto (eschekamen) in noi stessi (en heautois) la sentenza di morte (to apokrima tou thanatou), perché non confidassimo (hina me pepoithotes 6men) in noi stessi ma nel Dio che risuscita i morti». La prima parte del versetto accentua quanto già detto al v. 8, parlando di «sentenza di morte» (apokrima tou thanatou). 1,9 non fornisce ulteriori infor­ mazioni dal punto di vista materiale sulla tipologia della tribolazione, ma conti­ nua la descrizione della prova sul piano psicologico, degli effetti interiori. Lo fa capire la successione di «sentenza di morte in noi stessi)) l «da tale stato di mor­ te» (1,10a), così come è proposta, senza le aggiunte necessarie per una descri­ zione dei fatti, attinente più al piano emotivo che a quello degli eventi. Apokrima appartiene al linguaggio ufficiale e giudiziario ed equivale a una decisione ufficiale circa una domanda, un discorso ecc., che stabilisce la defi-

41 Cf. le differenze illustrate da THRALL, A critica/, l, 116 n. 248.

2Cor 1,3-1 1

65

nitività di una controversia oppure di una sentenza in un processo. «Secondo criteri umani, Paolo doveva giudicare la sua situazione come quella di un con­ dannato a morte, alla cui domanda di grazia è stata opposta la sentenza: deve morire».42 Gli effetti della prova sono descritti attraverso la percezione di una «Sentenza di morte» pronunciata «in noi stessi» ( en heautois), i cui effetti per­ durano ancora se si tiene conto del perfetto eschekamen = «abbiamo ricevu­ to» ( 1 ,9). La congiunzione avversativa alla, «ma», posta all'inizio, introduce la motiva­ zione di tale dolorosa esperienza: una pedagogia divina (hina me pepoithotes 6men, «perché non confidassimo») finalizzata alla scoperta della fede nel Dio che risuscita i morti.43 L'uomo è chiamato a non confidare negli uomini, né in se stesso, ma solo in Dio (Sal 32,10; 1 12,7; 125,1; Pr 3,5; 28,26). Ciò sarà ripreso in 12,9-10. Il motivo del «Dio che risuscita i morti» è presente nella preghiera del­ le diciotto benedizioni («Tu sei potente in eterno, Signore: tu risusciti i morti e sei grande nel salvare !», motivo che troviamo anche in Rm 4,17: «che dà vita ai mor­ ti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono»). Il potere di Dio di ri­ suscitare i morti è già attivo nella creazione, ed è un potere che unisce la prima creazione e la nuova creazione. v. 10: «il quale da tale morte ( ek telikoutou thanatou ) ci ha salvato e ci sal­ verà (errysato hemas kai rhysetai) , in merito alla quale abbiamo speranza (el­ pikamen ) che ancora (ci) salverà ( kai eti rhysetai)>>. L'apostolo comprende la propria situazione come stato di morte (cf. Sal 55,4; 88,4-6; 1 1 6,3) e la liberazione come salvezza dal giogo della morte (cf. Sal 33,19; 56,14; 1 16,8). E poiché «ha sperimentato la morte e il potere di vita di Dio, ov­ vero il potere escatologico di Cristo risorto ( ek telikoutou thanatou = «da tale morte>> ricorda la tristezza di Cristo «fino alla morte>> di Mt 26,38 e par.), pro­ clama apertamente la propria fiducia nell'intervento salvifico di Dio per il futu­ ro. Nella sofferenza capitata in Asia ha visto infatti all'opera la potenza di colui che risuscita i morti, a mo' di anticipazione di quella futura; non come episodio isolato, ma paradigmatico del costante processo di liberazione in­ nescato con il battesimo nella propria vita44 (cf. l'aoristo errysato seguito dalla duplice ripetizione di rhysetai, «libererà>>, la seconda volta preceduto da elpika­ men, «abbiamo speranza», e da eti, «ancora», in posizione enfatica45). Non sono

42 F. BùcHSEL, «apokrima», in

GLNT, IV, 1088. 43 Come afferma C.J. RoETZEL, Paolo vede la vita nella morte, non dopo la morte come sua na­ turale successione («"As dying, and behold we live". Death and resurrection in Paul's theology», in lnterpretation 46(1992], 9). Cf. S. VmAL, La resurrezione di Gesù nelle lettere di Paolo, Assisi 1985, 35. 44 Il battesimo in Cristo dona la libertà dal peccato ed edifica la Chiesa come spazio di libertà nello Spirito. Cf. H. UMBACH, In Christus getauft von der Sunde befreit. Die Gemeinde als sundenfreier Raum bei Paulus, Gottingen 1 999. 45 Per l'uso degli stessi termini nella LXX, in particolare nei Salmi, cf. THRALL, A criticai, I, 1 19 n. 278. Per quanto riguarda i problemi testuali cf. ibidem, 120-122.

Commento

66

importanti le modalità dell'intervento divino, ma è importante e significativo l'a­ verne fatto esperienza. In 1 1 ,23 parlerà di en thanatois pollakis, «spesso in situa­ zioni di morte». Y. 11: «cooperando (synypourgount6n) anche voi per noi con la preghiera, affinché da molte persone (ek pollon prosopon) per il dono di grazia a noi (con­ ferito) (to eis hemas charisma) , per mezzo di molti (dia pollon) sia reso grazie a nostro favore>>. Synypourgein, «lavòrare insieme per sostenere», è un termine medico (cf. Corpus Hippocraticum, Art. 824), hapax nel NT e assente nella LXX. I corinzi collaborano con l'apostolo attraverso la preghiera (cf. Rm 1 5,30: «Vi esorto a lot­ tare con me nelle preghiere per me davanti a Dio»), partecipi delle sue tribola­ zioni e, attraverso i frutti del suo apostolato, anche della sua consolazione. C'è una mutua crescita e comunicazione di > ( 4,3) dice il coinvolgimento nella predicazione e l'effetto del vangelo nella sua vita. Per Paolo l'evangelizzazione non equivale a un freddo e distaccato annun­ cio, che non appartiene alla vita del banditore se non in termini di ufficio. Nella vita ministeriale dell'apostolo si vede l'agire del potere di Dio, il suo amore, che si rivela nel vangelo stesso. I corinzi possono riconoscere tutto questo nella sua vita e nelle sue parole. Lo attesta in 2,10 charizomai, della stessa radice di charis, impiegato per la benevolenza, il perdono di Paolo e il gesto di ubbidienza ri­ chiesto all'intera comunità. La sua esistenza è un rendere presente in qualche modo con la parola e le azioni la chiamata del peccatore contrito a partecipare ai frutti della redenzione, attraverso il lasciarsi trasformare nell'«immagine>> di Cristo (3, 18).5 Riflesso del­ la gloria di Dio, la missione apostolica rende gloria a Dio (1 ,20; 4,15; 8, 19). E il massimo di tutta l'attività apostolica è la trasformazione in questa gloria (3,18), e l'azione di grazie che ne risulta (4,15; 1,11 ; 9,1 1-12).

5 In questa prospettiva si comprende l'uso dell' AT in 2Cor (soprattutto in 2.14-4,6): sottolinea.. re che la nuova alleanza deJia nuova creaz i one è stata in au gura ta in Cristo e che il vangelo predica­ to dall'apostolo è capace di trasformare la vita del popolo di Dio in virtù dello Spirito sgorgato dal­ la nuova b�rit. Cf. S.J. HAFEMANN, «Paul's use of the Old Testament in 2 Corinthians», in lnterpreta­ tion 52( 1998), 246-257.

2Cor 1,12-2,13 A - IL VANTO DI PAOLO E

I RAPPORTI

71

CON I CORINZI (1,12-2,13)

Nella prima sezione della prima parte della lettera, sviluppando il tema del­ l'identità e del ruolo dell'apostolo nell'annuncio del vangelo, Paolo affronta il problema della corretta interpretazione dell'agire ministeriale, che risolve sia con il ricorso alla testimonianza della propria coscienza nella luce della parusia (1 ,12-14), sia con la dimostrazione della purezza delle proprie scelte pastorali (1,15-22). Dopo l'eulogia iniziale, l'apostolo entra nel vivo delle questioni che intende affrontare,6 spiegando i motivi della sua fiducia nella loro cooperazione e creando i presupposti per la corretta comprensione del ministero apostolico (2,14ss). In 1 ,12-2,13 confuta l'accusa di leggerezza nelle decisioni pastorali, giacché, pur avendo stabilito di visitare Corinto, improvvisamente aveva cam­ biato parere, preferendo far recapitare da Tito una lettera («la lettera delle la­ crime») invece di visitare personalmente la comunità. Il testo lascia supporre che qualcuno abbia screditato il suo ministero e che dalla comunità non sia ve­ nuta un'adeguata risposta a difesa dell'apostolo, di colui che era stato costituito da Dio «collaboratore della loro gioia». Egli infatti con la lettera aveva voluto manifestare in primo luogo il suo amore e la sua dedizione. Tito, di ritorno dal­ l'ambasciata presso i corinzi, gli aveva annunciato il loro pentimento e Paolo, sollevato da tale notizia, scrive la 2Cor manifestando i suoi sentimenti e la pro­ pria fiducia. Suscita stupore la modalità individuata per confutare l'accusa di leggerezza: il Cristo annunciato da lui è non solo il contenuto ma anche il protagonista del proprio agire apostolico. Come Paolo, ogni ministro non deve operare al di fuo­ ri delle vie percorse dal suo Signore, il Cristo, obbediente al Padre e alla sua vo­ lontà di salvezza. E la comunità cui è inviato ad annunciare il vangelo non può non comprendere che si trova all'interno dello stesso progetto d'amore. Per cui non ci può essere dissonanza né incomprensione di sorta tra il ministro e i desti­ natari . Tutti sono stati infatti battezzati in Cristo, nel suo «SÌ» obbedienziale al Padre, da cui deriva una reciprocità di carità e di perdono tale da escludere in partenza qualsiasi incomprensione di sorta, come Paolo ha dimostrato nel caso dell'offensore (1 ,23-2,1 1 ). Come gli amati corinzi nel caso di Paolo, anche i de­ stinatari di oggi devono essere percepiti da parte dei ministri del vangelo come tanto vitalmente importanti da far passare in secondo piano persino le scelte pa­ storali più promettenti (2,12-13). Il vivere per il vangelo equivale a sentire in sé l'urgenza della salvezza per i nostri contemporanei, non come occasione di van­ to umano, ma come esperienza di comunione della salvezza, che moltiplica a di­ smisura la gioia della vita nuova accolta e testimoniata.

6

Ricordiamo la presentazione dei temi fatta in Rm 1,16ss; Gal l,lls.

72

Commento

1•12/nfatti il nostro vanto è questo: la testimonianza della nostra coscienza del fatto che nella semplicità e purezza di Dio e non nella sapienza della carne, ma nella grazia di Dio abbiamo camminato nel mondo, in particolar modo verso d_i voi. 13/nfatti non scriviamo altre cose, ma o ciò che voi leggete (ad alta vo­ ce) o anche riconoscete; spero che fino al termine riconoscerete 14- come an­ che in parte avete riconosciuto - che siamo (il) vostro vanto, come anche voi (sarete il) nostro nel giorno del Signore nostro Gesù. 15E con questa fiducia volevo prima venire da voi, perché riceveste una seconda grazia, 16e da voi pas­ sare in Macedonia e di nuovo dalla Macedonia venire da voi e da voi essere equipaggiato (per il proseguimento del viaggio) in Giudea. 17 Proponendomi questo dunque forse ho usato leggerezza? O ciò che mi propongo, secondo (la) carne (me lo) propongo, così che presso di me sia il «SÌ, sÌ>> e il «no, no»? 18Ma fedele (è) Dio che la nostra parola verso di voi non è «SÌ» e «no». 19/n­ fatti il Figlio di Dio, Gesù Cristo, annunciato tra voi per nostro tramite, per mezzo di me e di Silvano e di Timoteo, non fu «SÌ» e «no», ma (il) «SÌ» in lui è diventato (evento). 20/nfatti quanto grandi (sono le) promesse di Dio, in lui (sono diventate) il «SÌ>>; perciò anche per mezzo di lui (sale) l'amen a Dio a gloria (sua) per mezzo nostro. 21 Colui che ci conferma con voi in relazione a Cristo e ci ha unti (è) Dio, 22il quale anche ci ha segnati con il sigillo e (ci) ha dato il pegno dello Spirito nei nostri cuori. 23/o dunque chiamo a testimone ' Dio sulla mia vita, che per risparmiare voi non sono più venuto a Corinto. 24Non (che) siamo signori della vostra fede, anzi siamo collaboratori della vo­ stra gioia; infatti state saldi nella fede. 2•1/nfatti ho stabilito per me questo, di non venire di nuovo nella tristezza da voi. 2Se infatti io rattristo voi, allora chi è colui che mi rende lieto se non chi è rattristato da me? 3E ho scritto questo stesso (messaggio), affinché venendo non riceva tristezza da coloro i quali dovevano rallegrarmi, avendo fiducia verso tutti voi che la mia gioia è la gioia di tutti voi. 4/nfatti (spinto) da molta tribolazione e angoscia di cuore vi ho scritto tra molte lacrime, affinché non siate rattristati, ma perché conosciate l'amore che ho in particolar modo verso di voi. 5Ma se qualcuno ha rattristato, non me ha rattristato, ma in certo grado, per non dare (troppo) peso (al fatto), tutti voi. 6Per quel tale è sufficiente quel biasimo (ricevuto) dalla maggior parte, 7così che al contrario (è) meglio che voi (lo) perdoniate e consoliate, affinché quel tale non sia inghiottito dalla tri­ stezza più sovrabbondante. 8Perciò vi esorto a deliberare verso di lui amore. 9/nfatti anche per questo ho scritto, per conoscere la vostra docilità, se siete in tutto obbedienti. 1 0A colui al quale perdonate qualcosa, anch 'io (perdono); e infatti io ciò che ho perdonato, se qualcosa ho perdonato, a causa di voi (l'ho fatto) al cospetto di Cristo, 11affinché non siamo ingannati da Satana; difatti non ignoriamo le sue macchinaz ioni. 12A rrivando a Troade per (annunciare) il vangelo di Cristo e nonostante mi fossero state aperte le porte nel Signore, 13non ho avuto sollievo nel mio spiri­ to per non aver trovato Tito, mio fratello; ma, dopo essermi congedato da lo­ ro, sono uscito diretto verso (la) Macedonia.

2Cor 1,12-14

73

L'inizio dell'unità è giustificato dal passaggio dalla solennità liturgica di 1,11 ai motivi del vanto e della rettitudine morale in 1 , 12, con l'accento posto sul comportamento dell'apostolo. La conclusione è in 2,13, dato che a partire da 2,14 non abbiamo più il motivo del peregrinare apostolico, ma quelli del ringrazia­ mento e della riflessione teologica sul ministero. Mentre in 1,12-14 prevale l'uso della prima persona plurale, in 1,15-2,13 ab­ biamo la prima singolare. C'è corrispondenza tra 1 ,15 e 2,3: una proposizione principale seguita da su­ bordinata consecutiva o finale con hina e due termini simili: pepoithesis = «fidu­ cia» o pepoith6s = «avendo fiducia». Corrispondenza a livello di vocabolario an­ che tra 1 ,12 e 1 ,15-22: to martyrion = «la testimonianza» (1 ,12) - martys = «testi­ mone» (1 ,23); charis = «grazia» (1 ,12 e 1 ,15); haplotes = «semplicità»; eilikrineia = «purezza» (1 ,12) - elaphria = «leggerezza» (1 ,17) e le espressioni «volere se­ condo la carne» (1 ,17). Altrettanto si può dire tra 1 ,13-14 e 2,3-11: graphein = «scrivere» ripreso in 2,3.4.9; anagin6skein = «leggere» e il triplice epigin6skein = «riconoscere» in 2.4.9. 11 � il motivo escatologico in 2,10. Tali motivi suggeriscono la seguente composizione: 1 ,12-14; 1 ,15-22; 1 ,23-2,2; 2,3-11 e 2,12-13.7 A.1 - IL VANTO (1 ,12-14)

Paolo fonda la sua apologia sul giudizio di verità della propria coscienza e di Gesù Cristo giudice della storia. Si tratta di una piccola preparazione dei temi che saranno ripresi successivamente, a mo' di partitio: a) b)

vanto (v. 12a); i temi in discussione:

- comportamento (v. 12b-c); - comprensibilità della lettera (v. 13a); a ') vanto (vv. 13c-14). Fa da inclusione il motivo del vanto. L'apostolo pone la correttezza e l'irreprensibilità del proprio comportamen­

to come causa della propria kauchesis nel presente (la propria coscienza) e nel

futuro (nel giorno del Signore). Il vanto nel futuro influisce sul presente («siamo

7 Più in generale è possibile vedere legami della sezione con il resto della lettera: a) il vanto (v. 12 e v. 14) in 3,1; 5,12; 10,8.13-1 7; 1 1 ,10.16- 1 8.30; 12,1-9; b) la parresia dell'apostolo (v. 12) in 2,17; 4,2; 6,3-10; 10,2; 12,16-18; c) la grazia di Dio (v. 1 2) in 3,5s; 12,9; d) il comportarsi nel mondo nella grazia di Dio (v. 12) in 2,14; 4,7- 1 1 ; 1 1,23-33; e) lo scrivere (v. 13) in 7,8; /) la speranza nella loro compren­ sione (v. 13) in 4.1s e 5,1 1 ; g) la parziale comprensione della dignità dell'apostolo (v. 14) in 4,2; 5,1 1s; 10-13.

74

Commento

il vostro vanto»: presente atemporale). Le àccuse ·a· suo carico sono· raggruppate

in quella «sapienza della carne» che equivale a intelligenza con sfumatura di fur­ bizia e di calcolo.8 L'attenzione viene richiamata sulla dimostrazione del motivo del vanto ad un duplice livello: l'irreprensibilità del suo comportamento nel mondo, soprattutto verso i corinzi, e il contenuto delle lettere. v. 12: «Infatti il nostro vanto (kauchesis hemon) è questo: la testimonianza della nostra coscienza (to martyrion tes syneideseos hemon) del fatto che nella semplicità (en haploteti) e purezza di Dio ( elikrineia; tou Theou) e non nella sa­ pienza della carne, ma nella grazia di Dio abbiamo camminato (anestraphemen) nel mondo, in particolar modo verso di voi». Il motivo del vanto è richiamato frequentemente nella lettera: kaucheisthai 20 volte (37 volte nel NT, 35 nel corpus paulinum ); kauchema 3 volte ( 1 1 volte nel NT, 10 nel corpus paulinum); kauchesis 6 volte ( 1 1 volte nel NT, 10 nel cor­ pus paulinum). Il vanto è la risposta alla pretesa dei suoi avversari (5 , 1 2 ; 1 1 ,18), i quali sono così interpellati in lCor 4,7: «Chi dunque ti ha dato questo privile­ gio? Che cosa mai possiedi che non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?>>. Il suo vanto invece è un vanto nel Signo­ re (cf. l Cor l ,31 ; 2Cor l 0,17) e trova il suo fondamento nella semplicità,9 nella trasparenza della propria coscienza, in cui risuona l'imperativo di realizzare il di­ segno di Dio. Il termine syneidesis, «coscienza», è presente in 4,2 e 5,1 1 . 30 volte nel NT, di cui 20 nel corpus paulinum (8 in 1 Cor) . Il verbo anastrephein di per sé significa «tornare indietro» (cf. At 5,22), ma nelle lettere paoline è adoperato con valore neutro nel senso di «comportarsi, vivere in un determinato modo», come sinonimo di peripatein . Il corrispondente ebraico è shub = «tornare», più rara­ mente halak = «andare».1o Il sostantivo haplotes, «semplicità, interezza, rettitudine, schiettezza», com­ pare soltanto nel corpus paulinum, e 6 delle 8 ricorrenze (di cui 5 in 2Cor) sono in contesti parenetici. Haplotes si oppone a panourgia, «furbizia, malizia», che verrà negata in 4 ,2 Eilikrineia, «purezza», deriva da heile («luce/calore solare», forma poetica di helios) e krinein («giudicare, provare»). «Esso significa quindi provato alla luce del sole (esaminato alla luce del giorno), assolutamente puro, ge­ nuino, retto, integro».1 1 Il genitivo «di Dio» ( Theou) dice l'origine della «sempli­ cità» e «purezza», nonché la loro qualità. A questo atteggiamento di retti tudine si oppone l'accusa di «camminare» secondo la «Sapienza della carne», accusa ri­ proposta ancora in 4,2; 10,2; 12,16. Lo stesso contrasto lo ritroviamo in 1 0,3-4: «le .

8

Sophia ricorre solo qui in 2Cor. mentre 17 volte in 1 Cor. (A criticai, I, 130ss) propende per la lezione hagioteti attestata in P'6, S, AB, C. Ma, sebbene meglio supportata nei codici, è da preferire haploteti per il cont esto dal mome nto che que­ st'ultimo termine ricorre più volte in 2Cor (8,2; 9,1 1 .1 3; 1 1 ,3), mentre hagioteti non è mai usa to al­ 9

THRALL

,

trove da Paolo. 111 11

Cf. J. BAUMAGARTEN, «anastrophe�, in DENT, I, 245-247. H. CoLOSTEIN, «eilikrineia>>, in D ENT, I. 1040.

73

2Cor 1 ,15-22

armi della nostra battaglia non sono catnali, ma hanno da Dio la potenza di ab­ battere le fortezze»; in lCor 2,4-5 : «e la mia parola e il mio messaggio non si ba­ sarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio»; cf. inoltre lCor 15,10. vv. 13-14: «Infatti non scriviamo altre cose, ma o ciò che (all e ha) voi legge­ te (ad alta voce) o anche riconoscete (anaginoskete e kai epiginoskete ); spero che fino al termine riconoscerete ( epignosesthe) 14- come anche in parte avete rico­ nosciuto (epegn6te) - che siamo (il) vostro vanto, come anche voi (sarete il) no­ stro nel giorno del Signore nostro Gesù». In 1 ,13b-14a abbiamo la ripetizione della radice gno-: anaginoskete ed epi­ ginoskete. L'enfasi è posta sull'esortazione a «leggere» e «riconoscere/capire» ciò che Paolo scrive (il tempo presente rimanda all'intera corrispondenza con la co­ munità), come è avvenuto già nel passato, e questo per rendersi conto che non scrive qualcosa di diverso da ciò che ha in mente. La sua speranza è così ferma da renderlo sicuro di un completo reciproco «riconoscimento» che non può che essere veramente tale se non al momento della parusia («fino al termine» si ba­ sa su «come ... in parte»). La prima persona plurale è in relazione con la prospet­ tiva apostolica del gesto epistolare, dato che la prima persona ritorna nelle unità dedicate alla riflessione sul ministero (cf. 2,14-6,10). Al v. l4 il contrasto è sia temporale, tra «ora» e «poi», che qualitativo, tra «in parte» e «completamente». Paolo ha fiducia di raggiungere la piena restaurazio­ ne dei rapporti con i corinzi per la speranza comune nella parusia, quando tutto sarà svelato totalmente e ciascuno riceverà il suo «vanto», la sua «lode» dal Si­ gnore (cf. lCor 4,2-5; lTs 2,1 9-20: «Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe es­ sere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, da­ vanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia»; Fil 2,16: «Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato»). «Il giorno del nostro Signore Ge­ sù» equivale al «giorno del Signore» di Am 5,18; Gl 2,1 . 1 1 , ovvero il giorno del giudizio cui si accenna in 2Cor 5,10. '

A.2 � IL PROGETTO INIZIALE

E IL «Sl» DI CRISTO

(1,15-22)

Paolo si difende dall'accusa di opportunismo e leggerezza nelle proprie scel­ te pastorali in seguito alla mancata visita a Corinto, sostituita dall'invio alla co­ munità di una lettera dai toni duri. Abbiamo elementi narrativi nei vv. 15-16, dove racconta il progetto origina­ rio, con riferimenti confidenziali sul suo apostolato di tipo apologetico, che non sono a fondamento di 2,14-4,6; altrettanto avviene nella conclusione della sezio­ ne, in 2,12-1 3 (la partenza da Troade per la Macedonia. dopo il mancato incon­ tro con Tito).

i6

Commento

Nei vv. 15-22 si nota un climax a partire dal v. 17: 1 ,17c 1 ,18 1 ,19

1,20

presso di me il «SÌ, sì» e il «no, no»: la parola non è «SÌ» e «no». Infatti il Figlio di Dio Gesù Cristo annunciato in voi per nostro tramite, . non fu «SÌ» e «no» ma «SÌ» in lui è diventato evento. . quanto grandi promesse di Dio, in lui il «SÌ»; ... l'amen a Dio a gloria per mezzo nostro. ...

..

.

.

La dimostrazione della linearità del comportamento dell'apostolo si fonda direttamente in Dio. Egli, se annuncia Cristo, annuncia il «SÌ» di Dio in Cristo a Israele (e a tutti i credenti in lui) e il «SÌ» di Israele (e di tutti i credenti) in Cri­ sto a Dio. Questo rende ragione del passaggio dal doppio «SÌ e no» alla sempli­ cità del «SÌ» di Cristo e all' «amen» liturgico del «noi», che accomuna sia Paolo che i corinzi. Essendo la vita dell'apostolo legata all'evento Cristo, il suo mini­ stero non può sussistere al di fuori di esso, pena la vanificazione dello stesso an­ nuncio. L'efficacia dell'annuncio dipende dalla fedeltà alla Parola, che è Cristo, per cui non è possibile simultaneamente che dica «SÌ e no». Cristo è l'adempi­ mento delle promesse antiche, è il «SÌ» di Dio a Israele, e la sua persona si so­ stanzia del «SÌ» divino. Cristo è il «SÌ» che rende perfetta la risposta di Israele agli impegni di fedeltà alle promesse di Dio, ma è anche il «SÌ» di Dio a Israele, alle promesse fatte ai padri. La parola di Paolo ai corinzi viene intravista tra le pro­ messe di Dio (1,18s), come inequivocabile «SÌ» di Dio (1 ,19). Poiché araldo del Figlio di Dio, le promesse dell'apostolo hanno un carattere «SÌ», perché Dio è fe­ dele al suo giuramento-promessa. Il fatto poi che sia lui che i corinzi sono «in Cristo» fa salire a Dio l' «amen» di gratitudine alla sua fedeltà. Ma dove si fonda questo «amen)) liturgico da par­ te di Paolo e dei corinzi? Nel battesimo. L'apostolo allude in questo modo alla Chiesa, nella quale si entra in virtù del battesimo (1,21-22) , nella quale si è con­ fermati da Dio avendo riposto la propria fiducia nella sua parola, in colui che è diventato «sh) di Dio a nostro vantaggio. Perciò nel parlare dell'apostolo e nel capire dei corinzi non ci può essere incomprensione. Egli infatti parla con la gra­ zia di Cristo, di cui è apostolo, grazia che lo vede accomunato ai corinzi nella di­ gnità battesimale. vv. 15-16: «E con questa fiducia volevo (eboulomén) prima (proteron) veni­ re da voi (pros hymas elthein), perché riceveste una seconda grazia (deuteran charin ), 1 6e da voi passare in Macedonia e di nuovo dalla Macedonia venire da voi e da voi essere equipaggiato (per il proseguimento del viaggio) in Giudea)). Il progetto del viaggio descritto in 1 ,15-16 ricalca quello di l Cor 16,5-9, con la differenza che nel nostro passo si anticipa la visita di Corinto rispetto a quella del­ la Macedonia: «Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, poiché la Ma­ cedonia intendo solo attraversarla; ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l'inverno, perché siate voi a predisporre il necessario per dove andrò. Non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po' di tempo con voi, se il Si-

2Cor 1 ,15-22

77

gnore lo permetterà. Mi fermerò tuttavia a Efeso fino a Pentecoste, perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti». «Prima» (proteron) da alcuni è messo in relazione con «Venire da voi» (hy­ mas elthein ) : Paolo intendeva visitare «prima» Corinto e poi partire per la Ma­ cedonia.12 Ma è meglio legarlo a «Volevo» (eboulomen ) : dopo aver scritto la 1Cor, informato della situazione della comunità, «dapprima» decide di passare da loro, ma poi fa diversamente. Proteron, «primo fra due», e non pr6ton, «pri­ mo assoluto», perché, legato a eboulomen («Volevo»), stabilisce un rapporto tra la primitiva intenzione di Paolo (quella di visitare la comunità) e la seconda de­ cisione di non passare.13 «Grazia» ( charis) ha ricevuto diverse interpretazioni:14 a) equivalente di «gioia» ( chara ); b) la «grazia» elargita dal ministero apostolico come in Rm 1,1 1 , «dono spirituale» (tra gli altri Schlatter ) ; c ) «segno d i favore o d i buona volontà» da parte dei corinzi; d) «Seconda opportunità di aiutare Paolo e quindi occasio­ ne di merito» . Le varie proposte si integrano a vicenda e non è possibile esclu­ derle a priori. L'espressione «perché riceveste una seconda grazia (deuteran cha­ ris )» identifica il suo ministero con quella charis che per Paolo è il suo dono e la realtà dell'atto salvifico avvenuto in Cristo, mediante la sua morte e risurrezio­ ne, e che comprende tutti i frutti della sua attualizzazione nella vita del popolo di Dio (Rm 3,24ss). 15 Di una terza visita si parla in 2Cor 12,14 e 13,1. v. 17: «Proponendomi (boulomenos) questo dunque forse (meti) ho usato leggerezza (te; elaphria; echresamen)? O ciò che mi propongo (bouleuomai), se­ condo (la) carne (me lo) propongo (bouleuomai), così che presso di me sia il "sì, sì" e il "no, no" (to nai nai kai to ou ou)?». La particella meti («forse») introduce un'interrogativa diretta da cui si at­ tende una risposta negativa. Il termine «leggerezza» ( elaphria) è preceduto dal­ l'articolo, che suggerisce un'accusa di cui entrambe le parti sono a conoscenza. Risulta difficile da spiegare l'espressione «presso di me sia to nai nai kai to ou ou». Una prima proposta è quella di interpretare il secondo nai e il secondo ou come predicati («sì è sì e no è no»), in base a Gc 5,12 («il vostro "sì" sia "sì", e il vostro no" sia "no"»): le sue decisioni maturate secondo la carne avrebbero la pretesa di essere affidabili. Una seconda proposta la interpreta come enfatica versione di to nai kai to ou («il "sì" e il "no"»), quale espressione sintetica del­ l'accusa. Possiamo tuttavia intravedere anche un'altra lettura: il raddoppiamen­ to di nai e ou starebbe per una ripetizione ingannevole («così che presso di me sia il "sì sì" e il "no no"»). Come se Paolo dichiarasse con un impegno assoluto il H

12

Tra gli altri FuRNISH, Il Corinthians, 133. Per il biasimo dell'incoerenza delle decisioni si possono menzionare diversi passi della lette� ratura antica, tra cui MASSIMO DI TIRO, 5,3: CICERONE, Att. 3-4; SvETONIO, Tib. 38. Cf. C.S. KEENER, J -2 Corinthians, Cambridge 2005, 159. 1 4 Cf. THRALL, A criticai, I, 137ss. 15 Cf. H.-H. EssER «charis>>, in DCB, 824-832. 13

,

Commento

proprio «SÌ» o «DO», difatti raggirando gli ascoltatori, giacché il suo parlare solo apparentemente sarebbe secondo la parola del Signore (Mt 5,37: «il vostro par­ lare sia "sì sì", "no no"» ) .16 Quest'ultima lettura ci sembra più probabile, poiché da un lato tiene conto del rifiuto del giuramento, dall'altro apre sulle promesse realizzate in Gesù. 17 Per risolvere la difficoltà alcuni testimoni del testo propon­ gono la variante to nai kai to ou = «il sì e il no>> (J>46, 0243, 6 pc lat), che rende­ rebbe chiara l'accusa fatta all'apostolo. 18 Il raddoppiamento sarebbe giustificato in tal caso come assimilazione a Mt 5 ,37. v. 18: «Ma fedele (pistos) (è) Dio (ho Theos) che la nostra parola verso di voi (ho logos hemon ho pros hymas) non è "sì" e "no'\>. Dall'argomentazione in negativo con l'interrogativa diretta si passa all'argo­ mentazione in positivo. L'iniziale pistos... ho Theos è una formula di giuramen­ to: «Dio è fedele rispetto al fatto che. .. ». L'espressione serve a rafforzare la cre­ dibilità del suo agire apostolico, anche se non troviamo mai altrove nel NT una formula del genere come giuramento (cf. 1Cor 1 ,9; 10,13). All'interno della se­ zione viene a stabilirsi una corrispondenza tra la fedeltà di Dio e la fedeltà di Cri­ sto e dell'apostolo. Il termine pistos in Dt 7,9LXX è la traduzione dell'ebraico ne 'eman come attributo di Dio (cf. Is 49,7), dal verbo 'aman, «essere fermo, sta­ bile», nella coniugazione niph 'al. Il verbo 'aman nella coniugazione pi 'el ha il va­ lore di «confermare», il cui significato è quello di bebaion = «che ci conferma» in 1 ,21. Inoltre la radice del verbo 'aman ricompare al v. 20 nell' amen liturgico che sale per mezzo di Cristo al Padre ali 'interno della Chiesa. Il termine logos sta per la Parola predicata (cf. 1 Cor 1 ,18; 2,4; lTs 1 ,6; 2,13), come indica il passaggio dalla prima persona singolare dei vv. 15-17 alla prima plurale dei vv. 18ss. La posta in gioco è che i corinzi, ritenendo inaffidabile l'a­ postolo, potessero ritenere inaffidabile anche il messaggio, e che dali 'inaffidabi­ lità nelle decisioni passassero all'inaffidabilità del messaggio predicato. Per que­ sto egli confuta le accuse in qualità di apostolo e non di singolo destinatario, ac­ cuse rivelatrici del rifiuto del ministero apostolico in genere e, in definitiva, del­ la Parola predicata. Il messaggio informa il ministero apostolico, e quindi il suo essere ministro del vangelo, non soltanto la sua parola. v. 19: «Infatti il Figlio di Dio, Gesù Cristo (ho tou Theou gar hyios lesous Christos), annunciato tra voi per nostro tramite (ho en hymin di'hemon ke­ rychtheis), per mezzo di me e di Silvano e di Timoteo, non fu ( egeneto) "sì" e "no", ma (il) "sì" in lui è diventato (evento) (gegonen)».

16

279.

Cf. D. WENHAM, «2 Corinthians 1 ,17-18: Echo of a Dominical Logion», in NT 28( 1986), 271 -

17 Cf. L. WELBORN, «The dangerous double affirmation character and truth in 2Cor 1,17», in ZNW 86( 1 995). 34-52. lH Cf. F. HAHN, «1st das textkritische Problem von 2 Kor 1,17 U:>sbar?», in J. FREY .,... J. SCHLEGEL (edd. ) , Studien zum Neuen Testament, Tiibingen 2006, II, 371-378.

2Cor 1,15-22

79

Come servo del vangelo, Paolo lo che si realizza tra i corinzi: «La testimonianza di Cristo si è infat­ ti stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca, men­ tre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi confer­ merà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo». Il verbo bebaioun è adoperato anche in l Cor 1 ,21 per l 'inizio di questo processo di «conferma» o «iniziazione». Paolo dal «SÌ» di Cristo passa a sottolineare il nostro essere da parte di Dio (cf. Col 2,7: «ben ra­ dicati e fondati in lui, saldi - bebaioumenoi - nella fede come vi è stato insegna­ to, abbondando nell'azione di grazie»). Lo Spirito dono pasquale di Cristo è la persona divina che opera la nostra santificazione, a partire dal battesimo verso la pienezza della comunione con Dio Padre in Cristo. A.3 - IL MANCATO VIAGGIO E LA CARITÀ PASTORALE (1 ,23-2,2) In 1,23 la posizione enfatica di ego e martyra ton Theon, la presenza di de, se­ gnano il passaggio dalla parte riguardante i battezzati inseriti nel corpo di Cristo alla descrizione dei motivi del cambiamento del progetto originario. Abbiamo la seguente composizione: 1 ,23a: 1 ,23b: 1 ,24:

2,1 : 2,2:

Appello alla testimonianza di Dio. . Il motivo perché Paolo non è andato a Corinto. Spiegazione del contenuto di risparmiare: a) negazione della prospettiva del comando; b) affermazione di quella della collaborazione: donare gioia; c) motivo. Risultato da 1 ,24: la scelta a livello di decisione. Motivo della decisione a livello personale: ricevere gioia.

1,24 fonda la ragionevolezza di 1 ,23: il contrasto tra due modi di apostolato. La fede è in potere di Dio, non degli uomini, e lui è stato costituito responsabile del loro «rimanere» nella fede, poiché il potere di «risparmiare» implica quello di «punire», implica il controllo su ogni cosa (figura della epanortosi: si ritorna su un concetto o frase per correggerlo o per sfumar lo). Ekrina = «ho stabilito/de26 Per i vari significati di sphragizein-sphragis e l'uso in 2Cor e in Ef come assicurazione del do­ no della salvezza, cf. E. WooococK, «The seal of the Holy Spirit». in Bib/Sac 155( 1 998), 139-163.

2Cor 1,23-2,2

83

ciso>> (2,1) è in rapporto con ebou/omen = «Volevo)) di' 1 ,15, dove lo si accusa di volere «secondo la carne». La scelta di Paolo è stata frutto di una decisione pa­ storale oltre che di carità. v. 23: «lo dunque (ego de) chiamo a testimone Dio (martyra ton Theon epikaloumai) sulla mia vita, che per risparmiare (pheidomenos) voi non sono più venuto a Corinto». L'ego de = «io dunque» segna il ritorno alle circostanze personali: dall'opera di Dio in Cristo a favore dei battezzati si passa alla situazione di Paolo. Nella sua apo­ logia l'apostolo fa ora appello alla testimonianza divina su di sé. L'espressione «chiamare Dio a testimone» ricorre già in Rt 1,17; lSam 14,44; 2Sam 3,35; 1 Re 2,23; nel NT anche in Rm 1 ,9; Fil l,8� l Ts 2,5. 10. > (edei) specifica il ruolo dei corinzi nei suoi confronti. Dei nel NT è un termine che interpreta nella linea dell'attesa escatologico-apo­ calittica la vita del Cristo e la vita presente dei cristiani, quale compimento del progetto di salvezza. Indica la volontà di Dio come elemento dinamico della sto­ ria e della vita della comunità ecclesiale. Nell'orizzonte di Dio il dono della fra­ ternità, il legame con l'apostolo, e quindi con il vangelo, è vitale non solo per i corinzi, ma anche per Paolo stesso. La gioia non possono procurarsela da soli, ma possono riceverla e sperimentarla nella comunione di fede («avendo fiducia», pepoithos) con l'apostolo («la mia gioia, è la gioia di tutti voi») .30 La chara infat­ ti scaturisce dalla percezione dell'opera di Dio in atto, come culmine di un cam­ mino esperienziale in cui il soggetto coglie la presenza di Dio che salva. Per co­ noscere l'ampiezza di significato del gioire occorre individuare le premesse, i motivi, le cause e la misura dell'impegno profuso per il suo conseguimento, non­ ché la presa di coscienza del carattere assolutamente gratuito e inaspettato del­ la condizione di pace, amore ecc. che ci si trova a sperimentare. A tutto ciò si con­ trappone l'atteggiamento dei corinzi. v. 4: «Infatti (spinto) da molta tribolazione (ek gar pollès thlipseos) e ango­ scia di cuore (kai synochès kardias) vi ho scritto tra molte lacrime (dia pollon dakruon), affinché non siate rattristati, ma perché conosciate l'amore che ho in particolar modo verso di voi». Paolo informa i corinzi sul suo stato d'animo di grande amarezza al momen­ to in cui scrive la lettera.

29

Cf.

R.P.

MARTIN, 2 Corinthians, Waco 1986. 35.

30 Sul tema della gioia nella prospettiva giudaica e cristiana, nonché nelle varie religioni e nel mondo postmodemo, cf. A. SALAs (ed.), La felicidad, Madrid 1 997.

2Cor 2,3-11

87

Tlilipsis ha valore differente rispetto a 1 ,8: mentre in quest'ultimo caso si ri­ ferisce alla tribolazione-avvenimento vissuto in Asia, colto nei suoi effetti psico­ logici, in 2,4 esprime la sua angoscia. Il sostantivo synoche deriva da synecho («Opprimere, costringere>>; cf. synechei di 5, 14) e sta per «restringimento, stret­ toia>> (cf. Fil 1 ,25). L'impiego nel NT (limitato al nostro passo e a Le 21 ,25 nella descrizione dell'angoscia dei popoli alla parusia) e la junctura con kardia - una creazione di Paolo. giacché è assente nel greco classico ed ellenistico, nella LXX e hapax nel NT - indicano la particolare cura dell'apostolo nell'esprimere i suoi sentimenti: l'angustia del cuore (a livello di decisioni, di pensiero) e lo stato men­ tale di estrema ansietà con ripercussioni sulla vita religioso-morale. Il sostantivo dakrya richiama la «Confessione apostolica>> paolina di At 20, 19 («Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei giudei>>), ed è caratterizzato da un contenuto cristologi­ co per il legame con Eb 5,7, nella descrizione della preghiera di Gesù al Padre «con forti grida e lacrime>>. Solo in 2Cor 2,4 troviamo l'aggettivo polys = «mol­ to» con il sostantivo dakrya (la junctura è assente nella LXX e hapax nel NT), per rendere l'acuta intensità del dolore. Synoches kardias e dia pollon dakryon, nonché ek polles thlipseos, illustrano emotivamente la scelta di scrivere, come essa fu dettata non dalla tristezza ma dall'amore sovrabbondante nei loro confronti, un amore che traspare dai suoi ef­ fetti: l'ansietà in vista del futuro per il desiderio forte di vederli disponibili alla salvezza; e il pianto per la situazione presente, ovvero per la non accoglienza del dono di vita e la consapevolezza del suo carattere decisivo. Paolo «ha scritto» spinto da acuta ansietà e in mezzo a (lett.: «per mezzo di») molte lacrime. L'ac­ cento mediante il climax («molta tribolazione - angustia - molte lacrime») rap­ presenta il linguaggio dell'agape (per l'attestazione dell'amore verso i corinzi cf. l Cor 16,24; 2Cor 3,2; 12,15). v. 5: «Ma se q ualcuno (tis) ha rattristato, non me (eme) ha rattristato, ma in certo grado (apo merous), per non dare (troppo) peso (al fatto) (hina me ep i­ baro), tutti voi (pantas hymas)». L'anonimo «qualcuno» = tis e la costruzione ipotetica dicono attenzione per l'offensore. L'offesa arrecata a Paolo, definita in 7,12 con il verbo adikein, è of­ fesa arrecata all'intera comunità,31 poiché se egli non è un apostolo credibile, non lo è neppure il > o «si perdono».63 Sembrerebbe strano poter ringraziare Dio perché si è profumo di Cristo per quelli che si perdono, ma ciò è i n linea con l Cor 1 ,18: «La parola della croce, in­ fatti, è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (cf. Fil 1 ,28 ) . L'azione del profumo ricorda il tema del­ la parola di Dio mediata da Mosè che provoca l'indurimento del cuore del fa­ raone in Es 7,3. Le preposizioni ek ... eis ripetute per i due gruppi hanno valore di intensifi­ cazione: a contatto con il «profumo» di Cristo, da una condizione iniziale di ac­ coglienza o di rifiuto si tende a passare a uno sviluppo progressivo dello stato di salvezza o di perdizione (cf. Rm 1 ,17: «da fede a fede»).64 vv. 16b-17: «E chi (è) all'altezza di queste cose (kai pros tauta tis hikanos)? 17Infatti non siamo come i molti (hoi polloi) che mercanteggiano (kapeleuontes) la parola di Dio, ma come da integrità (ex eilikrineias ) , ma come da Dio davanti a Dio in Cristo (all'os ek Theou katenanti Theou en Christ6;) parliamo». Mediante il kai = «e» iniziale, che come in 2Cor 2,2 introduce un 'interrogati­ va con valore di apodosi {cf. BDR § 442.5a ) si tirano le conclusioni del discorso sin qui svolto. Tauta = «queste cose», ovvero la diaconia, si trova in posizione en­ fatica (lett. : «e chi [è] di queste cose all'altezza?») a sottolineare lo stupore dell'a­ postolo per il dono immeritato, anche se in 2,14 aveva asserito che i ministri non sono completamente passivi (« ... e attraverso di noi manifesta»). L'accento è po­ sto sulla domanda di idoneità per un compito così grande e decisivo, nonché sul modo di esercitarlo: kai pros tauta tis hikanos. L'impossibilità dal punto di vista umano di stabilire l'idoneità mette in luce il ruolo primario di Dio nell'elezione: il ministero è frutto di un dono, non di pretesa umana. Nell' AT il profeta Gioele si poneva una domanda simile, ovvero le condizioni per sopportare adeguata­ mente il giorno del giudizio: kai tis estai hikanos aute;, «Chi sarà capace?» (Gl 2,1 1 LXX); nel racconto della sua vocazione, Mosè afferma: ouch hikanos eimi = «non sono capace» (Es 4,10LXX) . La risposta implicita alla domanda sull'ido­ neità apostolica è «nessuno»: la capacità è dono immeritato ed esclusivo di Dio. In 2 17 la figura della correctio, con il passaggio dal negativo al positivo, rafforza la sua identità di ministro di Cristo, negando la qualifica di «commer­ ciante della parola»: ,

,

63 a. THRALL, A criticai, l, 206.

64 Sono possibili altre due interpretazioni: l) eliminazione di altre possibilità («fragranza che è completamente di vita», ecc.); 2) come enfasi retorica di eis rispetto ad ek («Un mortale, un tetro odo· re un vitale, vivente odore di vita»). Cf. HARRIS, The second epistle, 251 . ...

lOO

Commento non come i molti che mercanteggiano da integrità, ma come da Dio davanti a Dio in Cristo ma come

la parola di Dio parliamo

Il participio kapeleuontes = «che mercanteggiano» deriva dal verbo kape­ leuein che sta per l' «adulterare» nel commercio a scopo di lucro (cf. Is l ,22LXX; Sir 26,29). Dai tempi di Platone il verbo era usato per descrivere l'attività dei so­ fisti.65 Nel NT compare solo nel nostro passo, in linea con il contenuto di 2Cor 4,2 e 2Cor 1 1 . Il verbo si oppone al termine altamente positivo eilikrineia = «in­ tegrità». In 1 1 ,13 Paolo non esiterà a parlare del «mascherarsi» degli avversari da «apostoli di Cristo». Eilikrineia, a differenza di 1,12, non è seguito dal geniti­ vo di qualità, ma dal complemento di origine e di stato figurato: l'essere e l'agi­ re dell'apostolo derivano da Dio. Le tre espressioni ek Theou, katenanti Theou, en Christ6; specificano il concetto di eilikrineia. Il suo annuncio prende forma da Cristo («in Cristo») e deriva da Dio (cf. 5,20; l Ts 2,13), come pure il suo stile di vita non è regolato da preferenze soggettive ma dall'oggettiva realtà di Dio. La lezione polloi = «molti>>, è preferibile a quella loipoi = «gli altri», per il suo carattere offensivo. 66 B.2 - IL MINISTERO DELLA NUOVA ALLEANZA (3,1-4,6) Il ministero si pone al servizio del potere liberante di Dio e non al servizio del proprio orgoglio e dei propri calcoli umani. Esso s'inserisce in un'attività di manifestazione operata dallo Spirito Santo che scrive nei cuori il sigillo della vi­ ta, che crea una nuova condizione creaturale in quanti gli si rendono disponibili con l'assenso della fede. Lo Spirito dona la vita e non la morte, dona la grazia di un rinnovamento degli antichi rapporti tra Dio e il suo popolo, un nuovo rap­ porto e una nuova alleanza, più gloriosa di quella mosaica, più ricca di parresia, più ricca di luce, tale da trasfigurare i volti di gloria in gloria non solo dei mini­ stri ma anche dei destinatari del vangelo. E questo per Paolo è frutto di miseri­ cordia, è frutto immeritato della bontà divina che in Cristo ha fatto rifulgere in modo nuovo e completo quella luce apparsa all'alba del primo giorno della crea­ zione, una luce che il maligno cerca invano di oscurare accecando le menti degli increduli (3,1--4,6). Dopo aver parlato della manifestazione della gloria di Dio nella predicazio­ ne, dal v. 7 Paolo tratta di ciò che gli avversari definivano «Velatura» di questa gloria. La fine dell'unità è in 4,6 poiché in 4,7 cambia il vocabolario e si passa a quello della debolezza.

6S

Cf. PLATONE, Protagora 313c. textual commentary cm the greek New Testament, Stuttgart 21994, 508.

66 Cf. B.M. METZGER, A

2Cor 3,1-4,6

101

Il brano presenta alcune caratteristiche letterarie67 che su ggeriscono una suddivisione tripartita: 3, 1 -3; 3,4-18; 4,1 -6,68 con alcune formule che si ripetono (3,4; 3, 12; 4,1) e che indicano altrettante riprese retoriche nel movimento del di­ scorso. L'argomentazione, che da 2,14ss nel rendimento di grazie s'appoggia sui fatti o sull'esperienza, sfocia in un ragionamento midrashico, anche se non for­ malmente tale: 3,1-6, gezerah shawah, ovvero deduzione esegetica analogica sul­ la base di parole simili foneticamente;69 3 7 1 1 , qal-wii�omer, dove Paolo man­ tiene i punti di somiglianza tra ministero della morte e quello dello Spirito; e 3,12-18, con i punti di differenza.'0 Caratteristica peculiare dell'unità è il libero uso e l'associazione di immagini e idee: 71 un termine ne suggerisce un altro, in uno sviluppo che non è quello con­ sequenziale - a mo' di sillogismo -, ma quello della tensione contemplativa del­ la verità. Le immagini non sono da decifrare nella loro logicità espressiva, ma nello splendore del pensiero apostolico (cf. le associazioni epistolai-gramma). 12 ,

-

3. 1 Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi? O forse ci serviamo come alcuni di lettere di raccomandazione per voi o da voi? 2La nostra lettera siete voi, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da ogni uomo, 3manifestandovi che siete lettera di Cristo, servita da noi, scritta non con inchiostro ma con (lo) Spirito di Dio vivente, non su tavole di pietra ma su tavole di carne. 4Abbiamo tale fiducia per mezzo di Cristo davanti a Dio. 5Non che da noi stessi siamo ca­ paci di pensare qualcosa come (se venisse) da noi, al contrario la nostra capa-

67

G li elementi caratteristici sono i seguenti: l) parallelismi 3 4- 12 ; 4,1 : echein (participio + oun in 3,12; senza oun in 4,1 ; indicativo + de in 3,4) + accusativo; 2) un vocabolario tipico in ciascuna parte: a) 3,1 -3 il campo della lettera (in 3.3 vocaboli che sa­ ranno ripresi subito dopo: diakonia, pneuma); b) 3,4-1 1 diakonia (vv. 4-6 hikanotes; vv. 7-1 1 doxa della diakonia); c) 3,12-18 kalymma (vv. 13-15 il «velare»; vv. 16-18 « togl i ere il velo))); d) 4. 1 -6 il campo della luce (con la ripresa dei vocaboli di 3,1-3; 3,4-11; 3, 12 - 1 8 ) ; 3) cambiamenti stilistici: a. 3,1-3 domina l'uso della t• e 2• plurale, con uno stile personale; b. 3.4-1 8 scompare la 28 plurale; c. 3,4-6 stile didattico, al v. 6b diventa impersonale; d. 3,7- 1 1 tecnica della comparazione e stile didattico; e. 3,12-15 solo al v. 12 lo stile è personale, il resto è impersonale con espressirini compà· rative; f 3,16-18 da uno stile neutro (vv. 16-17) si passa a uno personale (v. 18); g. 4,1-6 domina la t• plurale, con corre lazione t a pl. e 2• pl . al v. 5. Cf. DE OuvEIRA, Die Diakonie, 49-51 . 68 C.K. STOCKHAUSEN (Moses ' veil and the g/ory of the New Covenant. The exegetical substructu­ re of Il Cor 3,1-4,6. Roma 1989, 33) propone l'articolazione di 3,1-18 in 3,1 -6; 3,7-18. 6q Es 24,12 viene letto alla luce di Ez 1 1 .19; 36,26; Ger 31 ,33. 70 Per l'uso della Scrittura in 2Cor 3 cf. J. ScHRòTER, «Schriftauslegung und Hermeneutik in 2 Kori nther 3. Ein Beitrag zur Frage der Schriftbenutzung des Paulus», in NT 40( 1998), 231 -275. 71 Per l'uso delle metafore in 2Cor 3 cf. D. ABERNATHY, «Exegetical problems in 2 Corinthians 3», in Notes Trans 14(2000 ) . 44-56. n Cf. J. A. FrrzMYER. « G i ory Reflected on the Pace of Christ (2 Cor 3,7--4,6)», in lo., According to Pau/. Studies in Theology of the Apostle. New York 1993, 64-79 ( in part. 68-69). ,

102 ---

Commento

. cità (vien-e) da Dio, 6che Ci ha resi capaci (di essere) senìi dèaa nuova allean­ za, non della lettera, ma dello Spirito. La lettera, infatti, uccide, ma lo Spirito fa vivere. 7Se il ministero della morte inciso su lettere di pietra divenne nella glo­ ria, a tal punto che i figli d'Israele non potevano guardare il volto di Mosè a causa della gloria passeggera del suo volto, 8quanto più il ministero dello Spi­ rito non sarà in gloria? 9Se, infatti, al ministero della condanna (era data) glo­ ria, quanto più abbonderà il ministero della giustizia in gloria. 1 0E infatti ciò che è stato glorificato in questo caso non è stato glorificato a motivo della glo­ ria sovraeminente. 1 1 Se, infatti, ciò che è passato (era) con gloria, molto di più ciò che rimane (sarà) con gloria. 12Avendo dunque una tale speranza, ci com­ portiamo con molta parresia. 13E non come Mosè (che) poneva un velo sul suo volto perché i figli d 'Israele non guardassero alla fine di quella che svaniva. 14Ma i loro pensieri rimangono accecati. Fino ad oggi lo stesso velo rimane non svelato alla lettura dell'antica alleanza, poiché in Cristo viene reso ineffi­ cace. 1 5Ma fino ad oggi quando si legge Mosè, il velo giace su/ loro cuore. 16Ma quando (uno) si volge al Signore, viene tolto il velo. 1 1 0ra il Signore è lo Spi­ rito, e dove (è) lo Spirito del Signore (vi è) libertà. 180ra noi tutti con volto non velato, riflettendo (come in uno specchio) la stessa gloria del Signore, siamo trasformati secondo la stessa immagine, di gloria in gloria, come dal Signore dello (che è lo) Spirito. 4. 1 Perciò avendo questo ministero, come ci è stata usata misericordia, non ci perdiamo d'animo. 2Ma abbiamo rinunciato alle pratiche nascoste della ver­ gogna, non camminando nella malizia, né falsificando la Parola di Dio, ma nella manifestazione della verità raccomandiamo noi stessi davanti ad ogni co­ scienza di uomini davanti a Dio. 3Se anche il nostro vangelo è velato, è velato per quelli che si perdono, 4nei quali il dio di questo mondo ha accecato i pen­ sieri degli increduli perché non vedano lo splendore del vangelo della gloria di Cristo che è immagine di Dio. 5/nfatti non annunciamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore, (quanto a) noi (siamo) vostri servi a motivo di Gesù. 6Poiché (è) lo (stesso) Dio che disse: «Dalle tenebre risplenda (la) luce», che fece ri­ splendere (la luce) nei nostri cuori per (la diffusione del)lo splendore della co­ noscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. B.2. 1 - La comunità epistolé di Cristo (3,1-3)

Al centro è il tema della lettera commendatizia, con uno stile molto curato che rivela l'importanza del contenuto: la precisione dei concetti attraverso le fi­ gure della correctio e dell'antitesi; l'omoioteleuto tra me/ani e pneumati; la paro­ nomasia tra plaxin lithinais e plaxin kardiais sarkinais. v. 1: «Cominciamo di nuovo a raccomandare noi stessi (heautous synista­ nein)? O (e) forse ci serviamo come alcuni (tines) di lettere di raccomandazione per voi o da voi?».

2Cor 3,1-4,6

103

La congiunzione disgiuntiva e = �o» unisce due domande retoriche con ri­ sposta negativa. Il problema è come fare a riconoscere colui che Dio raccoman­ da visto che sia Paolo che gli avversari si sentivano raccomandati. La differenza consiste nel fatto che Paolo non accetta di farsi raccomandare dalle comunità, non volendo essere altro che apostolo di Cristo e non apostolo della Chiesa. Ora, in quanto apostolo di Cristo, possiede la vera raccomandazione (4,2; 6,4). La pro­ va è il suo ministero dello Spirito mediato attraverso l'esperienza del servizio apostolico (3.3). La frequenza di synistanein = «raccomandare» in 2Cor73 dice che la questione era molto importante presso i corinzi. Paolo raccomanda se stesso ( 4,2}, ma condanna coloro che si raccomandano o vogliono essere racco­ mandati da altri. Il motivo è dato dal fatto che la vera raccomandazione avviene nella manifestazione dell'efficacia della verità proclamata nell'esistenza del mes­ saggero. L'uso delle lettere di raccomandazione era comune nell'antichità74 ed era una pratica cristiana (cf. At 18,27; 2Cor 8,18-23; Rm 16,1-2). Tines («alcuni») sono i polloi («molti») di 2,17.75 v. 2: «La nostra lettera siete voi, scritta ( engegrammene) nei nostri cuori (en tais kardiais hemon ) conosciuta (ginoskomene) e letta ( anaginoskomene) da ogni uomo». Se in lCor 9,2 i corinzi sono definiti «il sigillo del mio apostolato», qui di­ ventano «lettera». Si passa dal rifiuto delle lettere di raccomandazione alla me­ tafora della lettera, metafora adattata liberamente. 76 Nel v. 2a abbiamo l'identità dei destinatari quale lettera di raccomandazione per l'apostolo. poiché rispecchiano ciò che egli è e fa, lettera particolare perché il messaggio è scritto (il perfetto engegrammene) nel suo cuore ed egli lo porta a conoscenza e lettura di tutti gli uomini. In l Ts l ,8 Paolo elogia i tessalonicesi per la bella testimonianza data alle altre comunità: «Infatti la parola del Signore rie­ cheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell' Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne». In «scritta nei nostri cuori»77 c'è un 'allusione alla nuova al,

73

2Cor 3,1 ; 4,2; 5,12; 6,4; 7, 1 1 ; 10,12.18; 12.1 1 . Cf. l a bibliografia riportata i n THRALL, A criticai, l , 218. 75 Alcuni ipotizzano che tines si riferisca ai giudaizzanti di 2Cor 10-13, i quali sarebbero in pos­ sesso di Jettere provenienti dal gruppo giudaizzante di Gerusalemme. Altri pensano a lettere ufficia­ li provenienti dalla Chiesa madre di Gerusalemme. Ma tali lettere non sarebbero per loro natura let­ tere di favore, né abbiamo motivi per pensare nel nostro passo a lettere ufficiali di tale genere. Cf. THRALL, A criticai, I, 219. 76 Per l'uso della metafora della lettera in 2Cor 2,14-5,10 cf. B. KuSCHNERUS, Die Gemeinde als Brief Christi. Die kommunikative Funktion der Metapher bei Paulus am Beispiel von 2 Kor 2-5, Got­ tingen 2002. 77 La maggior parte dei testimoni del testo hanno en tais kardiais hemon, alcuni riportano la le­ zione en tais kardiais hymon. Meglio la lectio difficilior perché ribadisce la funzione dell'apostolo di testimone della verità e dell'efficacia di essa neHa vita dei corinzi, efficacia che ha ripercussioni sul­ l'esperienza dell'apostolo. 74

104

·commento

leanza di Ger 31 ,33-34, alla promessa dell'interna conoscenza della volontà di Dio scritta nel cuore (kardia come sede della volontà e delle emozioni, la sede della ricezione della conoscenza e della rivelazione). I corinzi sono manifestazione del suo essere apostolo, sentiti tanto importanti da diventare quasi un tutt'uno con lui. Non vi è solo legame di affetto, amicizia, ma c'è un'appartenenza vitale. La lettera è ((conosciuta» prima di essere «letta», con un gioco di parole tra ginoskomene e anaginoskomene. La precedenza data alla conoscenza rispetto alla lettura sottolinea l'affetto dell'apostolo che non teme di manifestare di fronte a tutti la sua gioia per la fede della comunità, fede che, esa­ minata con attenzione («letta»), palesa l'identità del fondatore. L'anticipazione non è dovuta tanto a ragioni eufoniche, quanto al fatto che prima si vede il carat­ tere di lettera e poi si legge.78 Il lettore capirà ciò che Paolo ha fatto per i corinzi quanto più in essi crescerà la fraternità, basata sui principi del vangelo. v. 3: «manifestandovi (phaneroumenoi ) che siete lettera di Cristo ( Christou ) , servita (diakonetheisa ) da noi, scritta non con inchiostro ma con (lo) Spirito di Dio vivente, non su tavole di pietra (ouk en plaxin lithinais ) ma su tavole di car­ ne (en plaxin kardiais sarkinais )». Phaneroumenoi = «manifestandovi» richiama il v. 2 e chiarisce il significato della frase «la nostra lettera siete voi».79 La voce media80 del verbo «manife­ standovi», a differenza del semplice aggettivo phaneros, esprime coinvolgimen­ to da parte dei corinzi nella «manifestazione» apostolica del vangelo attraverso la loro vita credente. Sono diventati manifestazione e sono ancora attualmente (il participio presente) vangelo vissuto, per l'opera di Cristo e del ministero apo­ stolico (v. 3b ) . Questo fa sì che siano sua lettera di raccomandazione presso le al­ tre comunità, senza alcun bisogno da parte dell'apostolo di dover accreditare continuamente la propria missione con il vanto di meriti e capacità particolari. Il mandato ricevuto da Dio di annunciare il vangelo è espresso attraverso il parti­ cipio diakonetheisa, «Servita», nel senso che l'efficacia del suo ministero nel col­ laborare a renderli lettera di Cristo dimostra la grazia di cui è depositario. L'ao­ risto passivo diakonetheisa suggerisce un'azione momentanea e non un proces­ so continuo, come è interpretato da alcuni che gli danno il valore di «distribuita, portata in giro» da Paolo, come fa un portalettere.81

78 Cf. WoLFF,

: Der zweite Brief, 59. Per la metafora della lettera cf. K. ScHOLTISSEK, «"Ihr seid e in Brief Christi" (2 Kor 3,3). Zu einer ekklesiologischen Metapher bei Paulus», in BZ 44(2000) , 183-205. 80 HAFEMANN («Paul's use», 1 17), BARREIT (A commentary, 96) e HARRIS ( The second epistle, 263) lo interpretano come passivo: «voi siete mostrati essere . .. », con sfumatura causale: «conosciuta e letta, perché siete mostrati essere ... )). Questo valore trascura la partecipazione responsabile dei co­ rinzi all'essere lettera di Cristo, sottolineando esclusivamente l'operato dell'apostolo che li presenta come tali alle altre comunità. 81 Cf. W. Baird citato in THRALL, A criticai, I, 225. 79

2Cor 3,1-4,6

105

Mentre si parla di «scritta» al perfetto per l'azione dello Spirito Santo dal pri­ mo annuncio del kerygma fino al presente della comunità, per l'apostolo si ritiene solo l'azione momentanea (l'aoristo diakonetheisa) del «Servirla» quale lettera di Cristo. Christou come genitivo soggettivo sta per l'autore e il fondamento della co­ munità, come genitivo oggettivo invece per il contenuto della lettera: Paolo lavo­ ra in Cristo e Cristo opera nel vangelo dell'apostolo, in tal modo è costituito me­ diatore tra Cristo e la comunità. La comunità può essere riconosciuta e ricono­ scersi come lettera di Cristo solo se si riconosce come lettera dell'apostolo. Con il verbo diakonetheisa viene introdotto il tema del servizio che sarà svi­ luppato da 3,6. Il participio di per sé dice il «prendersi cura di qualcuno>>, ma la­ scia trasparire anche il richiamo al ministero mosaico della mediazione della pa­ rola, come mostra l'affermazione successiva della lettera «incisa su tavole di pie­ tra», allusione a Es 31 ,18: «Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte dal dito di Dio» (cf. anche Es 24,12; 34,1; Dt 9,10- 1 1 ) . Si passa dal tema della let­ tera di raccomandazione a quello del decalogo per enfatizzare la superiorità del­ la vita cristiana rispetto a quella sotto la legge di Mosè. L'aggiunta di sarkinais a kardiais82 richiama Ez 1 1 ,1 9; e in particolare 36,26-27 dove troviamo lo stesso vo­ cabolario: «Spirito», «di pietra», «cuori di carne». Al v. 7 l'alleanza scritta su «tavole di pietra» è detta «causa di morte». La combinazione dei motivi di Cristo, quale autore della lettera, e del decalogo scritto da Dio è opera di Paolo, tanto più che l'espressione «Spirito del Dio vi­ vente>>, opposta a «inchiostro» e «tavole di pietra», non compare altrove nella Bibbia. E se Dio opera in Cristo «mediante» lo Spirito che scrive nei cuori, pos­ siamo parlare di «nuova creazione» all'annuncio del vangelo da parte dell'apo­ stolo. Questo è tanto più comprensibile se si pensa che neli'AT non troviamo la distinzione tra legge promulgata esternamente e il potere interno di Dio che opera nel cuore.83 Ne consegue che l'esaltazione della lettera di Cristo equivale all'esaltazione del ministero apostolico che vi ha collaborato. B.2.2 - La gloria di Dio rivelata nel nuovo ministero (3,4-18)

Materia dell'argomentazione di 3,4-1 8 sono il tipo di capacità e la qualità del ministero ricevuto. La vera hikanotes all'apostolato è data dall'appartenenza al­ la diaconia dello Spirito, alla diaconia della nuova alleanza. Dopo l'introduzione del tema nei vv. 4-6, nei vv. 7-1 1 il predicato del v. 6, diakonia, diventa soggetto di tutte le frasi, con parallelismo nella forma e nel contenuto tra i vv. 7-8 e 9- 1 1 . In 3,12-18 la suddivisione è data dall'antitesi concettuale velare (vv. 13-1 5 ) l svelare

82 Per i problemi testuali circa sarkinais, cf. THRALL, A criticai, I, 226.

83

Cf. THRALL, A

criticai, I, 227.

106

Commento

(vv. 16-18).84 Mentre in 3,4-6 il punto di partenza è dato dalia coscienza di Pao­ lo che il suo ministero appartenente al nuovo patto risulta efficace, dell'efficacia dello Spirito, in 3,7-18 il tema è la dimostrazione della superiorità e tipicità del­ l'hikanotes all'apostolato della nuova alleanza. vv. 4-6: «Abbiamo tale fiducia (pepoithesin de toiauten echomen) per mezzo di Cristo davanti a Dio (pros ton Theon ) . 5Non che da noi stessi siamo capaci (hikanoi) di pensare (logisasthai) qualcosa come (se venisse) da noi (ti h6s ex heaut6n), al contrario la nostra capacità (he hikanotes hemon) (viene) da Dio, 6che ci ha resi capaci (hikan6sen) (di essere) servi (diakonous) della nuova al­ leanza (kaines diathekes), non della lettera, ma dello Spirito (ou grammatos alla pneumatos). La lettera (to gramma), infatti, uccide, ma lo Spirito fa vivere (to de Pneuma z6;opoiei)». L'unità sviluppa e specifica il contenuto di 3,3:85 la sua pepoithésis, «fiducia», nei loro confronti in Cristo davanti a Dio si basa sull'opera dello Spirito del Dio vivente, più che sul risultato apostolico in Corinto. Viene ripreso il tema della sua chiamata introdotto in 2,16b-17. In 3,4 viene introdotta la tesi dimostrata nei vv. 7-1 1 . L'espressione pepoithesis pros («fiducia davanti>>) è hapax legomenon in tutta la Scrittura. «Tale» rimanda a quanto precede: i corinzi in quanto lettera scritta dallo Spirito e «servita» da lui. È una fiducia «per mezzo di Cristo», di cui è testimone («davanti a») Dio. Nei vv. 5-6 la figura stilistica della correctio consente di focalizzare il tema dell'azione vivificante dello Spirito nel ministero di Paolo, chiarendo il senso del v. 4. Alla «diaconia dello Spirito» (v. 6) corrisponde «la capacità viene da Dio» (v. 5); alla «diaconia della lettera» (v. 6) la «capacità da noi stessi» (v. 5).86 Non at­ traverso propri meriti e virtù, ma attraverso i doni dello Spirito è stato scritto il vangelo nel suo cuore e con ciò è stato incaricato e reso capace di annunciare lo stesso vangelo a tutti gli uomini con parresia (cf. Gal 1 ,16, dove troviamo lo stes­ so concetto). , nel senso che non è all'attezza di considerare qualcosa come derivante da sé, dalle proprie forze, come conflazione di: - non sono capace da me; - non considero qualcosa come derivante da me. A favore della seconda interpretazione87 vi è il fatto che al v. 6 la competen­ za deve essere generale e comprensiva piuttosto che limitativa e specifica. Inol­ tre che Paolo non ha capacità autoreferenziali. La sua vocazione deriva da Dio, l' Hikanos = «Capace» che dà a lui l'hikanotes = «capacità>>. In 3,6 hikanosen = «ci ha resi capaci» si riferisce al momento della chiamata a diventare «ministro della nuova alleanza>>. Diakonos, oltre al significato comune di «servo», ha il significato base di «intermediario».88 L'importanza del sostantivo la si deduce dal fatto che su 51 ricorrenze di diakoneinlnia/nos nel corpus pauli­ num ben 20 compaiono in 2Cor, di cui lO nei cc. l-7. In 1 1 ,23 anche gli avversari si definiscono diakonoi Christou. L'identità e la funzione del diakonos è stabilita dal genitivo kaines diathekes: «servo» dell'annuncio della nuova alleanza,89 genitivo che ha valore sia oggettivo che soggettivo: indica sia il contenuto della missione da proclamare, l'invito ad accogliere la nuova alleanza, sia l'azione che a partire dal­ l'evento Cristo si sviluppa nel mondo, di cui il diakonos diventa mediatore.90 Kaine diatheke viene da Ger 38,3 1 LXX e dalla tradizione d eli 'ultima cena (cf. lCor 1 1 ,25). La diatheke neotestamentaria, equivalente nella LXX dell'e­ braico berit, appartiene al tipo di alleanza di impegno unilaterale da parte di Dio, annunciata da Geremia e attuata definitivamente nel mistero pasquale di Cristo (Rm 5,6-8). Gramma sta per la legge di Mosè, cui si allude esplicitamente in 3,7 (incisa en grammasin, «in Jettere» di pietra). Il contrasto gramma/pneuma ]o si può legge­ re in tre modi: a) lettura del senso letterale o spirituale della legge; b) gramma come qualcosa di esterno che controlla e rende schiavi, a differenza del potere dello Spirito di Dio operante nel cuore dei credenti (Rm 8,2-4 ), in consonanza con Ger 31,31 -34; c) contrasto tra semplice attività umana e attività divina pro­ pria dello Spirito (Rm 7,6. 14). L'accento nel brano sulla diversità di funzione e capacità tra la lettera e lo Spirito fa propendere per le interpretazioni b) e c). La legge infatti è gramma e non pneuma, per di più scritta en grammasin, inerte e sepolta, senza vita, senza potere di vita, anzi carica del potere di morte (Rm 6,23), per l'impossibilità di of­ frire all'uomo la capacità di osservare la legge, che pertanto era sistematicamen­ te violata.91 87

Cf. THRALL, A criticai, I, 229s. Cf. THRALL, A criticai, I, 231 che cita gli studi di J.N. Collins. 89 Alcuni legano diakonos a ou grammatos alla pneumatos, cf. THRALL, A criticai, I, 234. Meglio leggerlo con kaine.f diathekes, per il parallelo con palaia diatheke di 3.14. cxJ De Oliveira lo considera genitivo oggettivo come in 3, 9 diakonia tes dikaiosynes. 91 Paolo non intende polemizzare contro quanti osservavano la legge, bensl, ponendo h1 nuova a confronto con l'antica alleanza, proporre la novità della condizione dei gentili davanti a Dio, gra­ zie alla riconciliazione con Dio offerta dall'apostolo. Ciò spiega perché si parla di gloria dell'antica 88

108

Commento

vv. 7-11: Diakonia da oggetto diventa soggetto. Se parla della gloria del vol­ to di Mosè è per richiamare la gloria del ministero antico e per dire che il mini­ stero cristiano è circondato di gloria e resterà glorioso, di qui il diritto-dovere di mostrare la gloria del suo mandato, in altre parole di raccomandarsi. 92 Bisogna aggiungere che la prospettiva da cui guarda alla gloria del ministero mosaico è quella di Cristo e non il contrario. È la gloria di Cristo che situa nella giusta re­ lazione con Dio Mosè e la sua alleanza.93 L'argomentazione sfrutta la logica del qal-wal)omer (se una cosa è vera, tan­ to più lo è un'altra), la quale esige che il valore del primo elemento sia relativiz­ zato, al fine di far risaltare il valore superiore del secondo. Possiamo evidenziare il seguente schema:

v. 7: v. 8: v. 9a: vv. 9b-1 0:

protasi lun ga apodosi breve protasi breve apodosi lunga con espansione .. .

La struttura è concentrica:

a)

7-9: a fortiori b) v. 10: paradosso a') v. 1 1 : a fortori vv.

Il v. 10 non solo motiva, ma fonda l'argomentazione. Paolo -si appoggia alla gloria del regime antico per rivendicare il diritto a una gloria superiore per il ministero apostolico. Alla base dei vv. 7-1 1 , secondo Vanhoye, c'è la dottrina paolina del rapporto tra le due alleanze, come attestano le forme letterarie impiegate (antitesi, forme paradossali, gusto per l 'iperbole) e il contenuto (qualificazioni del ministero antico e di quello apostolico). L'«antica diaconia» (v. 7), scritta con inchiostro (v. 3), con lettere, su tavole di pietra, con una gloria momentanea (egenethe} , è sepolta e rimane tale, perché «incisa» (il perfetto entetyp6mene, v. 7). Al v. 8 si afferma che la diaconia del nuo­ vo patto, diversamente da quella dell'antico, è caratterizzata da una «gloria», doxa, continua e duratura (definitiva come indica l'assenza di attributi, con il verbo estai, «Sarà»). Da notare l'insistenza sul sostantivo doxa, adoperato 1 1 vol­ te in 3,7-18 (2 volte il verbo doxazein ) . Gloria o splendore, come è noto, dicono la manifestazione di Dio, che consiste di luce e di potere.

unitamente al suo carattere di morte e di condanna. Cf. P.B. DuFF, «Glory in the ministry of death. Gentile condemnation and letters of remmendation in 2Cor 3,6-18», in NT 46(2004), 313-337. 92 Cf. A. VANHOYE, «L'interprétation d'Ex 34 en 2Cor 3,7- 1 4», in L. DE LoRENZI (ed.), Paolo mi­ nistro del Nuovo Testamento, Roma 1987, 177 . 9 3 Cf. F. M A NNS , « Dc l a réalité au symhole: 2Cor 3,7-18 à l a lumière d e la tradition juive», i n L. PADOVESE (ed.), Atti del V/l simposio di 1àrso su S. Paolo apostolo, Roma 2002, 45-46.

2Cor 3,1-4,6

109

L'alleanza sinaitica, pur celebrata in un contesto di manifestazione visibile della gloria divina (cf. Es 1 9) , non a livello di quantità ma di qualità di gloria (perisseuein = «abbondare» va in questa linea), risulta inferiore qualitativa­ mente a quella ben più gloriosa dello Spirito. È il caso dei servi della nuova al­ leanza: 3,9 è l'esplicitazione dei vv. 7-8: l'origine della diaconia può aversi dal­ la «Condanna» o dalla «giustizia)) giustizia ovvero il dono che è Cristo e la co­ ' munione con lui offerta nel vangelo (cf. Rm 1 ,17). Poiché la gloria della vec­ chia alleanza è passata, è passata anche la diaconia della condanna (v. 10) . Ora Paolo possiede quella definitiva e autorevole, quella gloriosa, in modo pieno e duraturo. 94 Secondo Vanhoye il testo non parla di estasi e non contiene alcuna polemica personale con gli avversari.95 La risposta all'accusa di raccomandare se stesso la troviamo invece in 6,4, dove afferma il diritto e il dovere di raccomandare se stesso come ministro di Dio. vv. 7-8: «Se il ministero (he diakonia) della morte inciso (entetypomene) su lettere di pietra divenne nella gloria (egenethe en doxe;), a tal punto che i figli d'I­ sraele non potevano guardare il volto di Mosè a causa della gloria passeggera (ten katargoumenen) del suo volto, 8quanto più (pos ouchi mallon) il ministero dello Spirito non sarà in gloria (estai en doxei)?)). Questi versetti contengono una proposizione ipotetica di tipo reale: «Se è ve­ ro questo, è vero anche quest'altro)), come 3,9 e 3,1 1. Il v. 7 sviluppa uno dei temi del v. 6 e pone le condizioni per il confronto tra Paolo e Mosè,96 introducendo il motivo della «gloria)). La «diaconia della mor­ te» si riferisce alla legge come sistema. Paolo difende il suo ruolo di mediatore, e di mediatore della nuova alleanza. Questo spiega la menzione del ruolo di Mosè come datore della legge e della legge come sistema di morte (in 3,13 Mo­ sè è colui che, avendo donato «ciò che è passeggero)), si vela il volto per non ri­ velare la sua finitezza; in 3,15 Mosè sta per la legge stessa da lui donata). Ma questo «ministero della morte)) (genitivo di qualità) è descritto in qualche mo­ do glorioso, sulla base di Es 24,16-17; 40,34-35 (dove nella LXX l'ebraico kabod è reso con doxa) e in particolare di Es 34,29LXX (« ... non sapeva che la pelle del suo viso era diventata gloriosa)) ),97 di cui il presente versetto è una ripresa sin­ tetica. Interpretando la storia dell'esodo a partire dalla convinzione che la vec­ chia alleanza era soggetta all'abolizione, Paolo rilegge Es 34,29-35. Quest'ultimo

94 Se le predizioni dell'AT relative alla nuova alleanza si sono effettivamente adempiute in Cri­ sto, in 2Cor 3 viene affermato che l azione dello Spirito Santo nell'oggi postula la pienezza nel futu­ ro. Cf. P.R. THORSELL, «The Spiri t in the present age: preliminary fulfillment of the predicted new co­ venant according to Paul», in JournEvangTheolSoc 41(1998), 397-413. IJ5 Cf. VANHOYE, L'interprétation», 175.1 80. % Per l'uso della Scrittura dell' AT in Paolo e in particolare la figura tipologica, cf. C.-B. Juuus, Die ausgefuhrten Schrifttypologien bei Paulus, Frankfurt-Bern 1 999. 97 Il verbo doxazein di Es 34,29-30 ricorda anche la doxa del Signore di Es 33,18.22. '

«

1 10

Comment�

passo in qualche modo poteva suggerire l'idea che quando il contatto con Dio cessava, lo splendore del volto scompariva, a differenza della tradizione giudai­ ca che riferisce come Mosè avesse conservato lo splendore del volto sino alla morte.98 Il motivo del volto glorioso di Mosè è una tradizione ripresa nei targu­ mim, in particolare nel Targum dello Pseudo-Jonathan e inoltre in Filone (De vi­ ta Moysis 11 ,70).99 Il carattere passeggero della doxa è descritto dal participio katargoumene (quattro volte in 3,7-14), un participio presente con valore sia passivo che medio. Altrove quello passivo è attestato in 3,14; Rm 6.6; 7,6; Gal 5,4; quello medio in 1Cor 13,8, dove il futuro passivo di katargein, «passare>>, è messo in parallelo al futuro medio pausontai = «cesseranno».100 Qui. v. 7, il participio katargoumene sta sia per «essere abolito» che per «venire alla fine>>. Poiché il volto di Mosè non diminuisce di gloria ma, piuttosto, è bloccato o reso inefficace dal velo, il verbo katargein non sta per il semplice «diminuire, sbiadire, impallidire>>, ma per «bloc­ care, rendere inefficace». 1 01 In 3,8 la domanda retorica sottintende una risposta affermativa (pos ouchi mallon, «quanto più», sempre in una proposizione interrogativa anche in Rm 8,32) . Il genitivo è soggettivo in «la diaconia dello Spirito», dal momento che non è il ministero che «produce» lo Spirito, come nel caso della «diaconia della mor­ te». Proprio in quanto opera dello Spirito «sarà caratterizzato dalla gloria». In contrapposizione a «ministero della morte» ci saremmo aspettati «ministero del­ la vita», ma Paolo scrive «dello Spirito». Estai può essere inteso come rimando alla parusia, in cui si rivelerà la gloria nella linea di 3,12, ma è preferibile legger­ lo nel contesto delle relazioni con i corinzi. Infatti al v. 9 abbiamo perisseuei, «ab­ bonda» nella gloria, con il tempo presente; inoltre al v. 18 si parla della parteci­ pazione attuale del cristiano allo splendore della gloria· di Cristo, secondo l'azio­ ne dello Spirito. È preferibile vedere nel verbo un riferimento al presente tem­ porale aperto alla prospettiva escatologica della pienezza della rivelazione nella gloria. Altro problema è il rapporto tra la doxa del volto di Mosè e quella del mi­ nistero della nuova alleanza. Il legame potrebbe essere nella manifestazione vi­ sibile della natura divina in entrambi i casi: Mosè rifletterebbe la natura divina nella trasmissione della legge, Paolo nell'azione salvifica di cui è stato reso mini­ stro, capace di trasformare nell immagine divina di Cristo. Questa manifestazio­ ne divina è quella a cui si allude in 1Cor 2,7s: «parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscer'

98 Cf. THRALL, A criticai, l, 244 n. 365; A. LINDEMANN, «Die biblische Henneneutik des Paulus. Beobachtungen zu 2Kor 3», in WortDienst 23(1995). 125-15 1 ; e in pa rticolare D. STARNITZKE, « Der Dienst des Paulus. Zur l n te rp retat i on von Ex 34 in 2Kor 3», in WortDienst 25( 1999), 193-207. 99 Cf. THEOBALD, Die iiberstromende Gnade, 179- 1 80; BELLEVILLE. Reflections of Glory, 26-79. t oo Cf THRALL, A criticai. I, 243, n. 362. 101 Cf. W.R. BAKER. « Did the glory of Moses' face fade? A re-examination of katargeo in 2 Co­ rinthians 3,7-18)), in Bul/BibRes 10(2000) , 1-15.

.

111

2Cor 3,1-4,6·

la . »; una gloria rifulsa nei cuori degli apostoli (4,6), per mezzo della quale «Cri­ sto fu risuscitato dai morti» (Rm 6,4 ) operante mediante il ministero apostolico nelle comunità cristiane (3,17s; 4,10s ) ..

,

.

v. 9: «Se, infatti, al ministero della condanna (te; diakonia; tes katakriseos) (era data) gloria, quanto più abbonderà (pollo; mallon perisseuei) il ministero della giustizia in gloria». Il ministero a cui apparteneva la gloria di Mosè è definito come «ministero della condanna>>, nel senso che produceva la condanna (genitivo soggettivo). Paolo si muove nella stessa logica di Rm: la legge antica, incapace di eliminare la forza del peccato (Rm 8,3: «Infatti ciò che era impossibile alla legge. perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condanna­ to il peccato nella carne»), lasciava l'uomo nel peccato (Rm 3, 1 9 20) portando­ lo così alla condanna (Rm 8,1 -2) e alla morte (Rm 6,23). Il suo ministero invece è quello della «giustizia», ovvero della «giustificazione». Il vangelo di Paolo è l'annuncio de1Ia liberazione dalla legge del peccato nella morte di Cristo che ha reso «giusto» l'uomo di fronte a Dio (Rm 3,24-25). Se quindi il ministero della condanna, che portava alla morte. era glorioso, tanto più lo è quello della giusti­ ficazione, che libera e salva dalla morte e quindi a ragione può dirsi «abbondare di gloria». ·

-

,

v. lO: «E infatti ciò che è stato glorificato (to dedoxasmenon) in questo caso ( en tout6; to; me rei) non è stato glorificato (ou dedoxastai) a motivo della gloria sovraeminente (heineken tes hyperballouses doxes)». Il neutro to dedoxasmenon («ciò che è stato glorificato>>) sta per il ministero di Mosè. Ou dedoxastai to dedoxasmenon («non è stato glorificato ciò che è sta­ to glorificato») è un 'affermazione paradossale, 102 che viene spiegata da ciò che segue: «a causa della gloria sovraeminente». L'espressione en touto; to; merei può significare: a) «in questo caso» a confronto con il maggiore splendore del mini­ stero della giustizia; b) «in questa occasione» in riferimento all'evento sinaitico; c) «per quel che concerne» in riferimento alla morte e alla condanna dei vv. 7 e 9. È preferibile il primo valore dato il contesto, come qualificazione di ou de­ doxastai. A confronto con la sovrabbondante gloria del ministero della giustizia, la gloria del ministero mosaico appare tanto irrilevante da potersi ritenere inesi­ stente. Viene data enfasi al contenuto mediante la figura stilistica della parano­ masia con la ripetizione di doxa nella radice del verbo, nel participio sostantiva­ to, nel sostantivo. cui si aggiunge la posizione enfatica di doxa ali 'inizio e alla fi­ ne; con il doppio perfetto (aspetto passato) e la figura dell'ossimoro. Kai gar («e infatti») ha la funzione di collegare il v. l O alla prima parte dell'apodosi (v. 9b ).

102

Cf. LAMBRECHT. Second

Corinthians, 51, per i problemi di interpretazione.

1 12

Commento

v. 11: Se, infatti, ciò che è passato ( to katargoumenon) (era) con gloria (dia doxes ) , molto di più ciò che rimane ( to menon ) (sarà) con gloria ( en doxe;) ». Siamo al culmine dell'argomentazione iniziata nel v. 7, culmine sottolineato dal parallelismo, dalle figure dell'omoeoptoton in katargoumenon/menon e del­ l'epifero in doxes/doxe, nonché dall'ellissi della copula del predicato:

Se infatti ciò che è passato (era) con gloria, molto di più ciò che rimane (sarà) con gloria.

Ei gar to katargoumenon dia doxes, pollo; mallon to menon en doxe;.

Come già nei vv. 7.8.9, anche qui abbiamo una proposizione condizionale. Il neutro to katargoumenon (participio presente passivo o medio) si riferisce al mi­ nistero della morte e della condanna, che possedeva una gloria passeggera (il participio presente indica il processo di vanificazione che la caratterizzava), e quindi all'alleanza sinaitica, cui si contrappone la nuova diaconia indicata con to menon («ciò che rimane»). Se l'alleanza mosaica, benché passeggera, risplende­ va di gloria, tanto più lo sarà quella eterna. Sia katargein che menein compaiono in l Cor 13,8-13 laddove si contrappone ciò che è permanente a ciò che è temporaneo. Il versetto è ellittico dei verbi. Alla luce dei vv. 7 e lO si può supporre siano rispettivamente l'imperfetto en («era») o l'aoristo egenethe («è divenuto») op­ pure il presente esti («è»). Considerata la necessità di sottintendere esti in llb, è preferibile ipotizzare lo stesso verbo esti che dà al participio katargoumenon la sfumatura del processo attuale di perdita di importanza della legge mosaica di fronte all'evento Cristo (cf. lCor 1 1 ,25: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue») in proporzione all'accoglienza nella fede di Cristo. Tanto più che in 3,14-15 si sostiene che Mosè viene ancora letto nella sinagoga. La preposizione dia qualifica il valore di mediazione della gloria passeggera del ministero mosaico, a differenza di en che attesta invece la pienezza di gloria del ministero della giustizia. Thrall propone che dia con il genitivo abbia il valo­ re di en e il dativo come al v. 7, «in gloria», e rimanda a 1Cor 12,8-9 dove en­ trambe le preposizioni compaiono in due versetti consecutivi con lo stesso signi­ ficato. 1 03 La nostra traduzione «con» sottintende la diversità semantica delle due preposizioni. L'espressione «molto più» dei vv. 8 e 9b introduce l'apodosi. vv. 12-18: sfruttando il motivo del velarsi il volto di Mosè dopo l'incontro con Dio di Es 34,33, vengono ora messe a confronto le due prospettive di fondo: la parresia apostolica e l'incapacità della legge a garantire l'autentica libertà. Se nei vv. 7-1 1 abbiamo piuttosto una razionale e statica riflessione sui due tipi di gloria, nei vv. 12-18 abbiamo una meditazione più esistenziale e dinamica.104

1 03 104

Cf. THRALL, A criticai, I, 254. Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, SS.

2Cor 3,1-4,6

1 13

La struttura è concentrica: 12-13: «nOi» 14-17: «essi» a ') V. 18: «nOi>> a)

VV.

b)

vv.

Il confronto non è tra Mosè e Gesù, ma tra cuori non convertiti e cuori con­ vertiti al Signore, conversione che al v. 16 è il presupposto della capacità di capi­ re, altrimenti la Scrittura risulta enigmatica. In Es 34,33 è detto che Mosè si po­ neva il velo sul volto sia perché gli israeliti non vedessero il suo volto che era di­ ventato luminoso, sia per proteggerli dali 'insopportabile visione della gloria sul volto di Mosè. L'opposizione al gesto di quest'ultimo di porsi un velo sul volto è data dall"azione dello Spirito nel credente descritta in 3,18.105 Il parallelo con Es 34.33-35LXX presenta alcuni significativi cambiamenti: a) vengono tralasciati lalein auto; e heos tou hekporeuesthai (in 2Cor 3,16 epistrephein, termine tecnico per la conversione alla fede); b) anziché la durata nel passato abbiamo una condizione in 2Cor; c) condizione per lo svelarsi è non l'entrare al cospetto di Dio, ma la con­ versione; d) etithei al posto di epetheken e perietheken aoristi; e) atenisai al posto di eidon. v. 12: «Avendo dunque una tale speranza, ci comportiamo con molta parre­ sia (polle; parresia; chrometha)». Paolo tira le conclusioni del suo discorso. La formula «Una tale speranza» (già incontrata in 3,4) rimanda alla speranza escatologica della gloria che «rima­ ne» , descritta nei vv. 7-1 1 . Si tratta della speranza che motiva il vanto nella dura­ ta della sua diakonia e la parresia, la franchezza e confidenza del suo parlare e agire di fronte a tutti gli avversari e alle relative critiche portate al suo ministe­ ro (cf. 1,13. 17; 4,2.3). La fiduciosa attesa della pienezza della gloria, sperimenta­ ta già nel presente dall'apostolo attraverso l'azione dello Spirito, rende ragione del suo agire apostolico. Il termine parresia nel mondo greco indicava il diritto dei cittadini di pren­ dere liberamente la parola nelle assemblee della polis. Nel NT sta per il corag­ gio e la libertà di parola e di azione in ambito morale-religioso. Nella 2Cor com­ pare ancora in 7,4 e nelle altre lettere in Ef 3,12; 6,19; Fil l ,20; Col 2,15; 1 Tm 3,13; Fm 8. Al di fuori del corpus paulinum lo ritroviamo in At 28,31, laddove qualifi­ ca l'insegnamento da parte dell'apostolo delle «Cose riguardanti il Signore Gesù, con tutta franchezza e senza impedimento».

1 05 Nella tradizione giudaica antica l'uomo libero si presenta con il capo scoperto. Al contrario, averlo coperto dice schiavitù, come attestano diversi targumim. Cf. MANNS, «De la réalité au symho­ le,., 36-42.

Commento

114

vv. 13-15: «E non come Mosè (che) poneva (etithei) un velo (kalymma) sul suo volto (epi to prosopon autou) perché (pros to) i figli d'Israele non guardas­ sero alla fine (eis to telos) di quella che svaniva. 14Ma i loro pensieri rimangono accecati (eporothè). Fino ad oggi lo stesso velo (to auto kalymma) rimane non svelato (mé anakalyptomenon) alla lettura (epi té; anagnosei) dell'antica allean­ za, poiché in Cristo viene reso inefficace (katargeitai). 15Ma fino ad oggi quando si legge (hénika an anaginoskètai) Mosè, il velo (kalymma) giace sul loro cuore». L'aposiopesi nel v. 13 ha una funzione ironica ed enfatica. I vv. 13 e 14a so­ no ripresi con variazione subito dopo, rispettivamente: il v. 13 nel v. 14b-c e il v. 14a nel v. 15. Nuovo è l'aspetto temporale, giacché i predicati sono al presente. I figli d'Israele si comportano senza parresia perché non si sono convertiti al Si­ gnore. Ciò che giace sul volto di Mosè giace anche sul loro cuore e impedisce loro di capire. Al v. 13 il gesto di Mosè di velarsi il volto (Es 34,33-35) viene interpretato in senso allegorico, quasi a voler impedire al popolo di conoscere i limiti e la ces­ sazione nel tempo di tutta la sua opera e della legge sinaitica. Secondo Z.C. Van Unnik saremmo in presenza di un'espressione aramaica106 equivalente a parre­ sia: «Scoprire il volto» oppure «Scoprire il capo», segno di confidenza e di libertà, il contrario di vergogna. Tale sfondo avrebbe portato Paolo a sfruttare il motivo del velo di Mosè nell'Esodo. Il volto glorioso di Mosè sta per il suo ministero e, in definitiva, per l'allean­ za sinaitica. Scopo del coprirsi, più che di ingannare, è quello di impedire che sia palese il carattere momentaneo del proprio ministero, con il rischio di vanificar­ ne il valore di mediazione in vista dell'alleanza nuova e perenne. Kalymma («velo») è il vocabolo chiave dei vv. 12-18 (4 volte nei vv. 13.14.15.1 6) , invece il verbo anakalyptein («scoprire») compare nei vv. 14 e 18. L'imperfetto etithei («poneva)), mentre in Es 34,33.35 abbiamo l'aoristo) rende l'idea della ripetizione e della frequenza del gesto di coprirsi il volto. La secon­ da parte del v. 13 («perché i figli d'Israele non vedessero la fine di ciò che era so­ lo effimero») è una ripresa del v. 7b e ricorda Es 34,30. Fa difficoltà l 'interpretazione del valore di pros to: se finale o consecutivo. È preferibile il valore finale perché accentua la prospettiva momentanea della legge mosaica: si copre il volto per evitare di manifestare il carattere effimero e passeggero della doxa antica. Telos non significa «scopo>) o «adempimento», ma «fine». 107 Se nei vv. 7. 1 1 .13.14a Paolo riflette sulla figura e l'operato di Mosè, dal v. l 4b riflette sull 'atteggiamento degli israeliti del suo tempo. Egli attualizza l'inter­ pretazione formulata precedentemente, constatando che ancora oggi, rifiutan­ do Cristo, essi dimostrano di non aver compreso che la legislazione mosaica non ha più valore (cf. Rm 3,21). Simbolicamente afferma che il velo non è stato tol-

106 Cf. WoLFF, Der zweite

1 07

Brief, 71. Cf. THRALL, A criticai, I, 256.

.

.·'- . '

2Cor 3,1-4,6

115

to, perché solo «in Cristo viene eliminato». E questo non è imputabile a Mosè, ma agli stessi israeliti . a motivo della sclerotizzazione e delraccecamento delle loro menti. Lo sfondo del tema dell'indurimento è nell'AT e in particolare in Is 6,9-10; 29, 10, tema ripreso anche in Rm 11 ,7-8. Benché si tratti dello «Stesso velo» di Mosè citato al v. 13, che «rimane» con gli stessi effetti, cioè impedire di «guarda­ re», qui oggetto è il «velo interno>> che impedisce - stando «sopra>> (epi ) - la Jet­ tura dell'antica alleanza. Il verbo eporothe, «è stato indurito» (da leggere al plurale perché concorda­ to a senso con il nominativo plurale neutro noemata ) , non è un passivo divino, con soggetto Dio, ma, alla luce di 2Cor 4,2 («il dio di questo mondo ha accecato le menti degli increduli>>), ha per soggetto Satana. Palaia diatheke108 («antico te­ stamento>>) è una formula hapax nel NT per designare la sacra Scrittura del po­ polo ebraico, posta in antitesi alla kaine diatheké («nuova alleanza») del v. 6 (cf. Eb 8,13). Noemata («pensieri») si riferisce alla facoltà del pensare. La frase me anakalyptomenon hoti può essere capita come costruzione asso­ luta: «non essendo stata fatta la rivelazione che... », secondo il significato di apokalyptein («rivelare»). Ma dal momento che si trova in posizione predicativa ed è unita a kalymma, meglio renderla con: «il velo ... rimane non sollevato», sot­ tintendendo che la chiave interpretativa della funzione temporanea della legge mosaica è Cristo, senza l'accoglienza del quale la comprensione resta impedita e quindi il «velo» non «svelato» nella sua inconsistenza. Il verbo anakalyptein ri­ torna in 3,18. Il tempo presente del verbo katargeitai («è reso inefficace»), il cui soggetto è «velo», sottolinea che, sebbene Cristo abbia abolito il velo nel passato, esso de­ ve ancora essere tolto. 109 Anche il v. 15, come il v. 14, è introdotto da alla, in relazione a «non solleva­ to» 1 1 0 oppure alle ultime parole del v. 14 «è abolita in Cristo». 1 1 1 Heinrici1 12 pen­ sa a una glossa, ma non sembra il caso di accettare tale proposta per il fatto che la ripetizione serve a introdurre il v. 16. Il contenuto della frase è simile a quello di At 1 5,21, dove si parla di Mosè «quando viene letto» ogni sabato nella sinagoga. Anche in questo caso «Mosè»

1 08 Il NT nell'uso di diatheke segue la versione dei LXX che ritenevano di poter rendere berft col greco diatheke. Sorprende come questo termine fosse adoperato nel senso di «ultima di­ sposizione», «testamento» che entra in vigore con la morte del testatore, e che bertt non abbia mai avuto questo senso, ma quello di disposizione unilaterale in un vincolo reciproco come avviene nel rapporto di vassallaggio. Il fatto si spiega perché diatheke racchiude in sé due aspetti: il senso di vitale che dona la libertà. Si discute sull'identità di Kyrios: alcuni danno un 'interpretazione teologica e, te­ nendo presente che al v. 16 si cita liberamente Es 34, propongono che al v. 17 si sottolinei l'identità di ho Kyrios, Dio, dell' AT con lo Spirito; altri propongono un'interpretazione pneumatologica, sulla base della presenza di ho Kyrios sia al v. 16 che al v. 17, per cui la frase «il Signore è lo Spirito» servirebbe a precisare il significato del termine ho Kyrios del v. 16; altri ancora - ed è quella più accredi­ tata - sostengono un 'interpretazione cristologica: Cristo è lo Spirito, in quanto con la sua risurrezione è diventato ), come dono da lui accolto e offerto nell'apostolato (Rm 1 ,5; 12,3; 15,15; 1 Cor 3,10; Gal 2 ,9 ) . 1 24 «Non ci perdiamo d 'animo»: il verbo enkakein in genere significa «diventare stanco, scoraggiarsi». Nel NT è usato, sempre con negazione, in contesti parene­ tici e preghiere (Gal 6,9; Ef 3,13; 2Ts 3,13). 125 Il ministero della nuova alleanza è così glorioso da rendere inconcepibile un qualsiasi atteggiamento di sconforto nella propria missione, nonostante le varie prove (4,7ss; 6,4ss ) . v. 2: «Ma abbiamo rinunciato (apeipametha) alle pratiche nascoste della ver­ gogna (ta krypta tes aischynes), non camminando (me peripatountes) nella mali­ zia (en panourgia;), né falsificando (mede dolountes) la Parola di Dio, ma nella manifestazione (te; phanerosei) della verità raccomandiamo noi stessi davanti ad ogni coscienza (pros pasan syneidesin ) di uomini davanti a Dio». All'inizio della sua conversione e della sua chiamata ha rinunciato ad ogni at­ teggiamento vile e menzognero (l'aoristo apeipametha è da mettere in relazione con eleethemen). Furnish 1 26 vede un'affermazione generale del rifiuto di certe pratiche, rifiuto che non necessariamente è avvenuto al momento della chiamata.

1 24 Cf. WoLFF, Der zweite Brief. 83.

125 Cf. WoLFF, Der zweite Brief. 83s; THRALL, A criticai, I, 298ss. 126 Cf. FuRNJSH, /1

Corinthians. 217.

120

Commento·

L'oggetto del rifiuto è indicato con ta krypta tes aischynes, di cui si discute la fun­ zione del genitivo, considerato che il termine krypta, a differenza di l Cor 4,5; 14,25, non ha un significato neutrale di «cose segrete (del cuore)», intenzioni e pensieri, ma si associa alla categoria di inganno, menzogna, frode, raggiro. Il con­ trario della parresia di 3 , 1 2. Aischynes può essere adoperato infatti sia in senso positivo «(senso di) vergogna», che in senso negativo «vergogna, ignominia», con diverse sfumature:127 a) come genitivo di qualità e nell'accezione di «Vergogna»: «modi segreti vergognosi»; b) come genitivo di qualità, «Senso di vergogna»: «mo­ di nascosti che producono un senso di vergogna»; c) come genitivo di agente: «condotta nascosta da un senso di vergogna»; d) come genitivo di apposizione: «nascosti atteggiamenti, sentimenti di vergogna»; e) come genitivo di relazione: «nascoste pratiche che appartengono alla categoria della condotta disonorevole». Dato il contesto, che parla di reazione di altri al suo comportamento e non dei suoi sentimenti, è da preferire l'ultima ipotesi: «pratiche nascoste apparte­ nenti alla categoria della condotta disonorevole». Le pratiche rigettate sono espresse mediante participi, con un accrescimento interno, con la figura della correctio, in posizione chiastica. Paolo non vuole vivere secondo i criteri della «carne». Il verbo peripatein, «camminare», ritorna frequentemente nelle lettere paoline in riferimento al mo­ do di vivere dei credenti nel mondo (en sarki, «nella carne>>, 10,3 128) . Il sinonimo anastrephein è attestato nella 2Cor in l ,12, mentre panourgia, «furbizia, malizia», in 1 1 ,3 (per l'astuzia del serpente che sedusse Eva) e in l Cor 3,19 (Dio che «prende i sapienti nella loro stessa astuzia», nella citazione di Gb 5,1 3LXX), l'ag­ gettivo panourgos in 2Cor 1 2,16 . Oltre al rigetto dei criteri della «carne», abbiamo quello della mistificazione della Parola. Il significato del verbo doloun, hapax nel NT, è «falsificare-adulte­ rare» come si può dedurre da Luciano (Hermotimus 59), dove è adoperato per l'attività dei fraudolenti maestri di filosofia, legati al guadagno. La radice di do­ loun, associata a quella di panourgia, la ritroviamo in 12,16 (dolos e panourgos). Sono state fatte diverse proposte circa il significato dell'accusa di «adulterare» il messaggio: alcuni la interpretano nel senso della richiesta fatta ai convertiti di ac­ cogliere la legge m osai ca (Barrett ) ; altri (Strachan, Bousset, Martin) di non fare un corretto uso della Parola di Dio, in particolare d eli' AT. Ma la menzione del vangelo nei versetti seguenti implica che si tratti della proclamazione cristiana (Collange ), più precisamente del «vangelo». «Con la manifestazione della verità»: phanerosis è attestato solo qui e in lCor 12,7. Una manifestazione che concerne «la verità» della Parola di Dio (cf. Gal 2,5.14: «la verità del vangelo») e non la dimostrazione della personale inte­ grità dell'apostolo, come traspare dal participio presente synistanontes ( «racco127 Cf. THRALL, A critica/, I, 302-303. 1 28 Paolo condanna ch i «cammina secondo la carne»

minano da nemici della croce» ( Fil

3,18).

(kata sarka. 10,2� Rm 8,4 ) , coloro che «cam­

2Cor 3,1-4,6

121

mandando», meglio attestato di synistantes) che dipende dal verbo principale apeipametha: al rifiuto di modi ingannevoli corrisponde la manifestazione di sé come esponente del vero vangelo. Questo rifiuto potrebbe alludere a un'accusa formulata contro di lui di raccomandare se stesso, accusa che sarà confutata an­ cora una volta in 10,1 8 («perché non colui che si raccomanda da sé viene appro­ vato, ma colui che il Signore raccomanda»). «Nella manifestazione della verità ... davanti ad ogni coscienza>>: il suo an­ nuncio, come manifestazione della verità, è il proprio modo di raccomandarsi «di fronte ad ogni coscienza umana». Pasan collocato davanti a «coscienza» crea en­ fasi: (Gal 2,2). «Per quelli che si perdono è velato». En tois apollymenois si riferisce ai non cristiani, poiché al v. 4 sono identificati con apistoi. 1 32 Da un lato l'idea di una co­ munità chiusa al vangelo, dall'altro il processo di corruzione indicato con il par­ ticipio presente. Si può stabilire un confronto con 3,18: come si parla di una tra­ sformazione di gloria in gloria secondo l'azione dello Spirito, altrettanto si può pensare per il processo di corruzione. La contrapposizione diventa chiara anche tenendo presente 2,15-16 dove a salvezza-vita si contrappone corruzione-morte (cf. anche 7,10). En tois apollymenois è la stessa espressione di 2,15. Il participio dice la perdita di vitalità spirituale, che avviene nel momento stesso in cui ci si chiude alla luce gloriosa del vangelo. L'espressione del v. 4 «il dio di questo mondo» è unica nel NT; quella più vi­ cina è on ho Theos e koilia (Fil 3,1 9 ), altrove adopera «potenze di questo mon­ do» (1Cor 2,6.8); «il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che opera ne­ gli uomini ribelli» (Ef 2,2): i «cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori» . (1Cor 8,5). Giovanni usa «principe di questo mondo» (Gv 12,3 1 ; 14,30; 16,1 1 ).133 Il termine «questo mondo» è abbastanza fa­ miliare in Paolo (Rm 12,2; 1Cor 1 ,20; 2,6; 3,18; cf. Mt 12,32; Le 16,8; 20,34) e sta per il mondo presente (Gal 1 ,4), un mondo perverso, in via di dissoluzione (1 Cor 2,6: «né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla»), grazie al mistero pasquale di Cristo Signore (Ef 1, 21). Che Satana possieda un certo con­ trollo sul mondo presente è affermato altrove nel NT (Le 4,5-7; Gv 5,19; 12,3 1 ; 1 6,1 1 ), m a s i tratta d i un controllo che s i attua esclusivamente nell'ostacolare la percezione della salvezza del vangelo, come traspare da «ha accecato le menti degli increduli», atto che impedisce la conoscenza della gloria di Cristo.l34

Cf. WINDISCH, Der zweite Korintherbrief, 134. Cf. D. GEORGI, Die Gegner des Paulus im 2. Korintherbrief Studien zur religiosen Propagan­ da in Spiitantike, Neukirchen-Vluyn 1 964 (tr. ingl. The opponents of Pau/ in Second Corinthians, Phi­ ladelphia [Pennsylvania] 1986, 26 1-262). 1 32 Cf. THRALL, A criticai, I, 305 . 133 In J QS 111,13-IV,26 compare un confronto simile tra il «principe della luce» e I'«angelo del­ le tenebre)) (cf. G. DAUTZENBERG, « Ù berlegungen zur Exegese und Theologie von 2Kor 4,1 -6, in Bib 82[2001 ], 333-341). 1 34 L'idea dell'incredulità delle nazioni pagane e degli israeliti dovuta all'influsso di Satana, al­ l'interno del disegno della salvezza, non è originale ed esclusiva di Paolo. È quanto viene dimostra130. 131

2Cor 3,1-4,6

123

«Increduli» = apistoi: alcuni li identificano con un sottogruppo di «quelli che si perdono». Collange in particolare con gli avversari cristiani,135 ma in l Cor de­ nota sempre i non cristiani (per apistoi oltre 6,14-15 cf. 1Cor 6,6; 7,12- 16; 10,24; 14,22-25). Non abbiamo motivi per parlare di distinzione tra due gruppi, meglio parlare di identità tra en tois apollymenois e ton apiston. Il genitivo «degli incre­ duli» sembra pleonastico e da ascrivere allo stile del dettato.136 La proposizione subordinata «perché non vedano», eis to to me augasai, può essere intesa sia come finale che consecutiva. Il «non vedere» è conseguenza del­ l'incredulità o finalità dell'accecamento da parte di Satana? Dal momento che scopo di Satana è impedire la conoscenza della fede, è preferibile il valore fina­ le. Il verbo augazein di per sé significa «risplendere», ma nel nostro caso la pre­ senza di ton photismon richiede di intenderlo come «guardare insistentemente>> (cf. 3,13 e 3,18) . Forse Paolo adopera augazein sulla base dell'uso di apaugasma («fulgore>>) di Sa p 7,26. Photismos, «splendore», è usato solo qui e al v. 6 nel NT, solo più tardi è adoperato per indicare il battesimo a partire da Giustino (Apol. 61,12: «questo lavacro si chiama "illuminazione", volendo dire che sono illumi­ nati coloro che apprendono queste cose»).137 Nell'AT la Sapienza è detta «ri­ flesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà>> (Sap 7,26); cf. TgLevi 1 4,4. Da photismon dipende una serie di genitivi: euangeliou genitivo soggettivo (che ha origine dal vangelo); doxes genitivo oggettivo (che ha per contenuto la «gloria»); Christou genitivo soggettivo (che ha origine da Cristo). Un testo vicino è quello di lCor 2,8: «il Signore della gloria». La successione di genitivi, abituale in Paolo (cf. l Ts l ,3: «la conoscenza della gloria di Dio») e tipica dei testi liturgici (cf. gli inni di Ef e Col), secondo Barrett138 è da attribuire a un'influenza semitica. Doxa dice una definizione diversa dal messaggio essenziale di lCor 1 ,1 8.23; 2,2: «io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso». In 1 Cor 2,8 si parla della morte come crocifissione del Signo­ re della «gloria» e in Fil 3,21 del corpo di Cristo risorto caratterizzato dalla «glo­ ria». Doxa, quindi, non sta per la morte in quanto tale, vista come gloriosa, ma per la «gloria» del Risorto. In Rm 5,8 la morte di Cristo è dimostrazione dell'a­ more di Dio, mentre la risurrezione del suo potere. Amore e potere rivelano la gloria, la doxa di Dio nella persona di Cristo. 1 39 «Immagine», eikon, richiama eikona di 3,18: riflettere la stessa icona signi­ fica essere trasformati nella gloria del Verbo incarnato, riflettendo la sua glo­ ria. In Col 1 ,15 Cristo è presentato come colui «che è l'immagine dell'invisibi-

..

to da M. UDDIN, «Paul, the devii and unbelief' in Israel (with particular reference to 2 Corinthians 3-4 and Romans 9-1 1 ))), in TynBu/1 50(1 999), 265-280. 135 Cf. THRALL, A critica/, I, 306. 1 36 Cf. WINDISCH, Der zweite Korintherbrief, 135. 137 Cf. H. CoNZELMANN, «phòs ktl.», in GLNT, IX, 489-492. 1 38 Cf. BARREIT, A commentary, 131. 139 Cf. THRALL, A criticai, I, 308-309.

124

Commento

le Dio», e lo stesso avviene in Eb 1 ,2-3. I due testi di Col e di Eb mostrano l'in­ fluenza di Sap 7,25-26, laddove la Sapienza è detta mediare la conoscenza di Dio in quanto «immagine» di Dio: « È un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente ... È un riflesso della luce peren­ ne, uno specchio senza macchia dell 'attività di Dio e un'immagine della sua bontà». Cristo come immagine di Dio rivela la natura di Dio, cf. Gen 1,26-27: la creazione dell'uomo ad immagine del Creatore. In 4,6 si parlerà della gloria divina rivelata sul volto di Cristo, allusione probabile all'idea rabbinica che il volto di Adamo sia stato così luminoso da oscurare il sole. Cristo, come secon­ do Adamo, ha restaurato la gloria originaria ed è, quale eikon tou Theou, il ve­ ro uomo.140 Lo «splendore del vangelo della gloria di Cristo, che è icona di Dio» attesta che Paolo annuncia il vangelo della gloria di Cristo. Paolo annuncia il vangelo, reso conforme a Cristo nella sua gloria, e il contenuto del vangelo è il riflesso della gloria di Dio manifestata in Cristo. Il nome «Cristo» si trova in posizione enfatica a sottolineare la grandezza del vangelo di Paolo nel quale risplende la doxa di Cristo e di Dio: lo splendore del vangelo della gloria

di Cristo

che è immagine di Dio.

ton photismon tou euangeliou tès doxès

tou Christou.

hos estin eikon tou Theou.

Chi non crede perde la possibilità di «risplendere» della sua «gloria». «Infatti non annunciamo noi stessi ma Gesù Cristo Signore (Kyrion ) , (quanto a) noi (siamo) vostri servi (doulous hymon) a motivo di Gesù». Dal negativo (vv. 3-4) si passa al positivo (v. 5). L'affermazione secondo la quale Paolo annuncia Cristo Signore è il fondamento dei vv. 3-4. «Infatti», gar, lega il contenuto al v. 4. Ai tempi di Paolo era familiare la po­ lemica contro i sofisti, i «filosofi».141 Paolo intende confutare l'accusa non di pre­ sentare se stesso come contenuto del vangelo (esclusa in 1Cor 1,13), ma di pro­ muovere se stesso e i propri interessi (cf. Fil 2,21: > (Meyer, Plummer, Windisch, Strachan, Hughes, Barrett);167 «Stato di morte», come in Rm 4, 19 (Giittgemanns, Ahern, Collange). È da preferire il secondo valore, poiché al centro non è la pena della condanna a morte di Gesù, quanto la condizione di morte partecipata all'apostolo, tenendo presente che nekrosis enfatizza il proces­ so della morte di Gesù piuttosto che il suo risultato finale. 168 Paolo altrove per la morte di Gesù adopera thanatos (cf. Rm 5,10; 6,3-5; Fil 3,10; 1 Cor 1 1 ,26; Fil 2,8). Per quanto riguarda il significato di «condizione di morte» sono state fatte tre proposte: =

a) Paolo soffre come ha sofferto Gesù (Lietzmann), come attuazione del­ l'invito di Gesù al discepolo a prendere la propria croce (Mc 8,34). Ma in 2Cor non abbiamo il linguaggio dell'imitazione e Paolo non cerca volon­ tariamente le sofferenze che invece risultano essere strettamente legate al ministero.

1 65 Cf. M. BourrrER, «La souffrance de l'apotre. 2Cor 4,7-18», in L. DE LoRENZI (ed.), The diakonìa of the Spirit (2, 4-7-7,4), Roma 1 989, 35. 1 66 Cf. FuRNISH, II Corinthians, 255. 167 PLuMMER (A criticai, 130) cita EPITTETO (Dissertationes 1,5,4) dove il composto aponekrosù indica un processo. Cf. THRALL, A criticai, l, 331. tM Cf. LAMBRECHT, «The nekrosis of Jesus>>, 136ss. BourriER fa notare come la menzione sem­ plice del nome di Gesù sia registrabile nel nostro per ben 5 volte rispetto alle 12 complessive della tradizione paolina («La souffrance», 47).

136

Commento

b) La nàtura delle sofferenze di Paolo è strettamente relazionata alla morte di Gesù. Il cristiano, essendo stato unito con il battesimo alla morte di Cri­ sto (Rm 6,3-6), quando soffre in qualche modo sperimenta la morte di Gesù (Schneider). c) Essendo l'apostolato manifestazione del vangelo, il soffrire apostolico di­ viene epifania in forma soma tica del Cristo crocifisso ( Collange, Thrall).

Quest'ultima sembra quella più probabile, giacché nel testo si scorge l'insi­ stenza sul concetto di decadimento fisico, che rivela la percezione della nekrosis, l'affermarsi della morte nel corpo. Il participio presente peripherontes («portare in giro») del v. 10, riferito a nekrosis, dà l'idea di qualcosa che è costitutivo e ca­ ratteristico del proprio corpo, sempre e dovunque. 169 Ciò è confermato dal v. 1 1 «Sempre siamo consegnati alla morte». L'espressione specifica i l contenuto del processo di morte: l'essere consegnati al potere delJa morte che svolge la sua azione demolitrice nella persona dell'apostolo. «La vita di Gesù» è quella posseduta da Gesù per il potere della sua risurre­ zione (v. 14) manifestata nel presente della Chiesa. 1 70 Paolo, contrariamente agli avversari, sottolinea che il potere di vita di Cristo crocifisso si manifesta nel suo corpo sottomesso alla durezza delle prove e non attraverso astratti fenomeni prodigiosi (Collange; cf. Gal 6,17: «io porto le stig­ mate di Gesù nel mio corpo»). Scopo delle sofferenze dell'apostolo è infatti la manifestazione della vita di Gesù come manifestazione della potenza di Dio (1Cor 6,14; 2Cor 13,4; Fil 3,10; 1Cor 15,43: «Si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pie.no di forza»). Al v. 11 il verbo paradidonai («consegnare») è lo stesso usato per l'essere consegnato/tradito di Gesù alle autorità e quindi alla morte (cf. M t 20,18; Mc 10,33; cf. i testi sulla sofferenza del giusto: Sal 88,4-7; 1 16,3.8; Gb 33,29s) . Paolo lo adopera per l'essere stato tradito di Gesù nella formula eucaristica di 1 Cor 1 1 ,23 (cf. anche Rm 4,25; 8,32; Gal 2,20).171 Il contenuto di «a causa di Gesù» è chiarito da Rm 8,36 che riprende Sal 43,23: «Proprio come sta scritto: "Per cau­ sa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macel­ lo"». La sostituzione di en to; somati hémon = «nel nostro corpo» con en te; thneté; sarki hémon = «nella nostra carne mortale» enfatizza la debolezza e fra­ gilità della vita umana. Con il v. 12 si tirano le conseguenze: nell'apostolo opera il potere della mor­ te, già definitivamente sconfitto (1Cor 15,26.55s), ma in loro la vita di Cristo. Energeitai viene interpretato come passivo («è reattiva») anziché medio ( «ope1 69 Cf. R. PENNA, «Sofferenze apostoliche. antropologia ed escatologia in 2 Cor 4,7-5.10», in Io., L'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Cinisello Balsamo 1 991 , 275. 1 70 Per zoe tou lesou sono state fatte le seguenti proposte: anticipazione esc atologica (BuLT­ MANN); partecipazione antologica (LAMBRECHT); esistenziale (MURPHY-O'CONNOR). 1 71 Nella LXX lo ritroviamo in 2Cr 32,1 1 ; Is 53,12, sempre nella stessa accezi one .

2Cor 4,7-S,iO

137

ra» ) , in linea con i verbi passivi dei vv. 10-1 1. L'azione nei corinzi è portata avan­ ti da Dio, soggetto sottinteso, il cui potere è attivo nel «vaso» apostolico (4,7). Ciò che avviene nell'apostolo, avviene per gli altri: «ci sentiamo consolati, fratelli, a vostro riguardo, di tutta l'angoscia e tribolazione in cui eravamo per la vostra fede; ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore» (l Ts 3,7). Il verbo energein l'abbiamo già incontrato in 1 ,6 per l'azione della paraklesis e lo ritroviamo ora in riferimento a zoe = «vita». Si può notare l'affinità con he kata Theon lype () che «opera>> ( ergazetai) la salvezza (7,10). L'affermarsi della morte in lui è sempre relazionato a Gesù (4,10), così che le sofferenze provate non hanno soltanto una spiegazione umana, ma per la fede rappresentano una partecipazione a quelle di Cristo e al loro potere salvi­ fico (cf. l,5; Fil 3,10; Col 1 ,24). Questo significa che tra nekrosis e zoe non vi è op­ posizione ma tensione e rapporto dinamico. He zoe tou Iesou è la vita che si spri­ giona dal ministero apostolico; è la salvezza dei credenti ( 1 ,6; 6,2), la trasforma­ zione di gloria in gloria secondo l'azione dello Spirito (3,18), la gloria di Cristo (4,4). la luce che illumina (4 6 ) la consolazione ( 1 ,6), il profumo di Cristo (2,15), la forza della risurrezione che viene partecipata sin d'ora (1,9), la condizione di riconciliati con Dio (5,20), la nuova creazione partecipata sin d'ora nel tempo (5,17). Non è la capacità dell'apostolo di determinare e realizzare la vita nei co­ rinzi, ma è la vita che si manifesta nelle sofferenze di Paolo a operare la vita in loro. A lui resta solo il compito di essere testimone della vita donatagli da Dio tra le tribolazioni. Da notare l 'insistenza nel parlare della propria concretezza personale con to soma (due volte, per la dimensione visibile della persona) e he thnete sarx (una volta, per l'aspetto di debolezza sottolineato dall'aggettivo «mortale»), en hemin = «in noi» ed en hymin = «in voi>>, sia per lo sperimentare la necrosi che la vita di Gesù. Ciò che appare non è tutto, sembra dire Paolo: ciò che viene considera­ to morte è sotto il segno della vita di Gesù. La sofferenza dell'apostolo fa dispiegare e attualizza il potere salvifico della necrosi di Gesù. ,

,

vv. 13-15: «Avendo (echontes de) lo stesso spirito di fede (to auto pneuma tes pisteos) secondo ciò che è scritto: " Ho creduto (episteusa ), perciò ho parlato (dio e/alesa)", anche noi crediamo (kai hemeis pisteuomen), e perciò parliamo (dio kai laloumen ), 14sapendo che ( eidotes hoti) colui che ha fatto risorgere (ho egei­ ras) il Signore Gesù. farà risorgere (egerei) anche noi con Gesù e (ci) presenterà con voi (parastesei syn hymin). 1 5Infatti tutto (ta gar panta) (è) per voi, affinché la grazia (hina he charis), sovrabbondante (pleonasasa) per mezzo di molti (dia ton pleionon), moltiplichi (perisseuse;) il ringraziamento (ten eucharistian) alla gloria di Dio (eis ten doxan tou theou)». Vengono ora esplicitati due motivi per l'annuncio apostolico: il possesso del­ lo stesso Spirito di fede e la speranza nella propria risurrezione, con una ripresa del tema iniziale del paradosso fragilità/potenza, richiamato anche verbalmente attraverso echontes de (cf. echomen de, v. 7). La motivazione dell'annuncio at-

t38

Commento

tuato tra le sofferenze è la fede in Gesù Cristo (v. 13), la fiducia di poter parte­ cipare alla risurrezione finale e condividere la stessa gloria assieme ai suoi ascol­ tatori. Visto in questa luce lo sperimentare la necrosi e la vita di Gesù costituisce il segno e l'anticipo della futura risurrezione (v. 14). Il processo di necrosi nella vita dell'apostolo al servizio del vangelo fa sorgere la domanda su quale sia il contenuto della sua speranza dal punto di vista escatologico. Al v. l3, come in 3,4. 12; 4,1 .7, il participio echontes = «avendo» indica uno svi­ luppo del discorso e ha una sfumatura causale. Il v. 13 letto alla luce del contesto è suscettibile di varie interpretazioni: 172 a) nonostante le sofferenze e le difficoltà descritte, la fede nel vangelo ri­ chiede in forma incondizionata la sua proclamazione (Barrett ); b) la proclamazione del vangelo contiene sofferenze, ma la fede, come fidu­ cia in Dio, rimuove ogni timore (Plummer); c) la sofferenza di per sé è opprimente, ma la fede assicura la ricompensa con la vita eterna (vv. 13-14; Bultmann); d) di fronte all'accusa di una presenza insignificante egli replica affermando che si deve credere solo nella potenza di Dio che opera attraverso la de­ bolezza dei suoi servi ( Collange ). Quella più consona al testo è la prima, perché tiene conto dell'argomenta­ zione. «Lo stesso spirito di fede>> può essere inteso nel senso de «lo stesso spirito di fede che hanno i corinzi>> (Schlatter) oppure l'insieme dei concetti espressi nei vv. 7-1 2 (Rissi); ma è più probabile l'identificazione di «Stesso spirito di fede>> con l'atteggiamento del salmista di cui si citano le parole (Barrett), giacché afferma subito dopo «anche noi crediamo e perciò parliamo>>. 173 «Spirito di fede» allude allo Spirito Santo autore della fede (l Cor 12,9; Rm 8,14-16; Gal 3,2.5.14; 5,5), su cui si basa la predicazione apostolica (l Cor 2,4-5; l Ts l ,5-7). L'annuncio è infor­ mato dallo Spirito, che lo anima e lo guida; che alimenta la sua fede e quella dei suoi destinatari ( l Cor 1 2,3: «nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'a­ zione dello Spirito Santo»), in quanto autore della rivelazione (lCor 2,10: «Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio»). Lo Spirito qualifica la vita cristiana con i suoi do­ ni (Rm 8,4s. l3; Gal 5 , 1 6.25) , attesta la nostra figliolanza (Rm 8,16), promuove la liturgia della vita (Fil 3,3) e la preghiera (Rm 8,15.25s) quale pegno della nostra speranza (v. 14; Rm 8,23; Gal 6,8).174 «Secondo ciò che è scritto» (kata to gegrammenon) è una formula equiva­ lente a «come è scritto» (8,15; 9,9) e a «secondo ciò che è detto» (Rm 4,18). È la prima citazione esplicita di 2Cor (le altre compaiono in 6,2. 16-18; 8,15; 9,9; 10,17; 1 72 Cf. THRALL, A criticai, I. 338. 173 Cf. THRALL, A critica/, l, 338-339. 174 WoLFF (Der z weite Brief, 94) richiama

alla dimensione trinitaria deiPunità 4,7-13: al v. 7 Dio è la sorgente della forza apostolica� al v. l O Gesù è la vita che si dispiega nel ministero; al v. 13 lo Spi­ rito diventa il protagonista della missione.

2Cor 4,7-5,10

139

13,1 ), e si tratta della citazione del Sal . 115 , 1LXX. È probabile che mentre cita la LXX abbia in mente il testo ebraico. Il riferimento è alle sofferenze del giusto, dell'AT. «Parlare» (lalein) 175 significa predicare il vangelo, come in 2,17 (cf. l Ts 2,2), un parlare che corrisponde al disegno di Dio (l Cor 9, 16: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il van­ gelo»). Il rapporto fede-parola è espresso paradigmaticamente in Rm 10,14-17. Al v. 14 «sapendo che» (eidotes hoti) introduce una conoscenza condivisa, fa­ miliare ai lettori, che attinge a una tradizione o a insegnamenti impartiti prece­ dentemente dall'autore o da altri (cf. 1 ,7; 5,6; Rm 6,9; 1Cor 15,58; ecc.). Tale co­ noscenza condivisa è espressa dalla formula «Colui che ha fatto risorgere il Si­ gnore Gesù farà risorgere anche noi», quale titolo di Dio, perché nell'evento pa­ squale si è rivelata definitivamente la sua divinità e onnipotenza, formula simile a quelle di Rm 8,1 1 e l Cor 6,14 (cf. anche Rm 4,24� Gal 1,1; Ef 1 ,20; Col 2,12; 1Pt 1 ,21 ) . La forma participiale del titolo «colui che dà vita ai morti» l'abbiamo in­ contrata in 2Cor 1 ,9 . 1 76 «Con Gesù» è sulla linea delle espressioni «con lui», «con loro» e «con il Signore» di 1Ts 4,14.1 7, dove è proclamata la parusia: la risurre­ zione dei credenti e la partecipazione alla vita eterna, come «essere con il Si­ gnore». 177 La risurrezione di Cristo è infatti l 'evento che fonda la possibilità del­ la risurrezione di quanti sono stati battezzati e sperano in lui (Rm 6,3-1 1 ; 8,32: «Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?»). Il verbo egeirein («risorgere>>) è adoperato nel NT per un atto singolo e non per uno stato continuo di risurrezione. «Ci presenterà» può far riferimento sia alla realtà ultima della presentazione davanti a Cristo nel giudizio (5,10; Rm 14,10; Co1 1 ,22) che alla trionfale presen­ tazione al momento dell'instaurazione del regno escatologico ( 1 1 ,2). Il verbo pa­ ristanai = «presentare» è usato altrove per un'offerta cultuale, per comparire da­ vanti a un re o a un giudice e, inoltre, per mettere qualcosa a disposizione di qual­ cuno. Letto nel contesto risulta l'equivalente di phanerothe; dei vv. 10-1 1 : Dio «ri­ vela» il suo apostolo non solo al presente del cammino storico, ma in un modo pieno e glorioso lo «rivelerà» al momento della consegna universale del Regno da parte di Cristo al Padre (Ef 5,27: «al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e im­ macolata»). «Con voi» è in linea con i brani che trattano della speranza del suo essere «Con» la comunità alla parusia ( 1,14; Fil 2,14-18; 1Ts 2,1 9-20).

175 Il verbo compare 298 volte nel NT, di cui 60 nel corpus paulinum (3 in Rm; 34 in lCor; 10 in 2Cor; 3 in Ef; l in Fil; 2 in Col; 4 in lTs; l in lTm; 2 in Tt}. Usato sia per il parlare non articolato, «bal­ bettare)). del bambino, sia per il dire in genere. sia per il parlare in forma kerigmatica, «proclamare, annunziare» (A t 21 .39 come nel nostro caso). 17tJ La formula compare nella preghiera delle Diciotto Benedizioni. 177 Cf. J. PLEVN IK, «The destination of the apostle and of the faithful: second Corinthians 4,13b14 and first Thessalonians 4,14)), in CBQ 62(2000) , 83-95.

1 40

Commentd

Il v. 15 riassume il discorso fatto sin qui ribadendo il duplice significato del suo agire: l'affetto pastorale per i corinzi e il ringraziamento da parte di molti a Dio. Ta panta riassume la totalità delle esperienze apostoliche, ovvero le prove descritte in 4,10-12 e le attività apostoliche al servizio della comunità (cf. 1 ,6; 4,5.12-14) , condizione di possibilità perché si dispieghi la potenza di Dio che do­ na ed è la charis. Abbiamo quattro possibilità di interpretazione della seconda parte del v. 15: hina he charis pleonasasa dia ton pleion6n ten eucharistian perisseuse; eis ten doxan tou theou. Tutto dipende dal valore transitivo o intransitivo che si dà a pleonazein («accrescere») e a perisseuein («abbondare»), e da quello che si dà al­ l'accusativo eucharistian («ringraziamento»): a) «Affinché la grazia, essendo accresciuta, possa suscitare il ringraziamento attraverso l'opera di molte persone da abbondare alla gloria di Dio» (W. M. De Wette, Allo, Collange ): pleonasasa debole nel contenuto e stac­ cato da pleionon. b) «Affinché la grazia, essendo accresciuta, possa, a causa del ringraziamen­ to di molte persone, abbondare alla gloria di Dio»: pleonasasa staccato da pleionon con il cambiamento dell'ordine delle parole in dia ten ton pleion6n eucharistian.

c) «Affinché la grazia, avendo accresciuto il ringraziamento attraverso l'o­ pera di molte persone, possa abbondare alla gloria di Dio»: lascia peris­ seuei senza qualche specifico contenuto. d) «Affinché la grazia, essendo accresciuta attraverso l'opera di molte per­ sone, possa causare il ringraziamento da far abbondare alla gloria di Dio» (Barrett, Furnish, Martin).

Sembra più probabile quest'ultima poiché rispetta l'ordine delle parole e tie­ ne conto della vicinanza di eucharistian al verbo perisseuse;. Tutta l'esistenza del­ l'apostolo è al servizio dell'eucharistia alla ·gloria di Dio, del ringraziamento a co­ lui che salva mediante la «grazia» comunicata attraverso la fragilità del suo mi.. nistro (lCor 15,10: «Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la gra­ zia di Dio che è con me»). Paolo parla spesso della charis del vangelo, di cui è stato costituito mediatore (Rm 1 ,5; 12,3; 15,15; 1Cor 3,10; 15,10; Gal 1 ,15; 2,9), una realtà che corrisponde a dynamis («potenza») del v. 7 (cf. 12,9). In Rm 1 2,3 egli afferma la sua convinzione in merito: «Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi». Il compito, la gloria e il vanto assoluto dell'apostolo sono il lavorare per la cre­ scita esponenziale del ringraziamento da parte dei beneficiari dell'annuncio del vangelo al Dio del dono della salvezza. La «gloria di Dio» è infatti lo scopo ulti-

2Cor �,7-5,10

141

mo dell'apostolato e della vita del credente (cf. Rm 1,21; 3,7; 4,20; 15,6.7.9; lCor

6,20� 1 0,31 ; Gal 1 ,24; Fil 1 ,1 t nella nostra lettera 1 ,20; 8,1 9.23). Dal punto di vista stilistico il tema della lode è sottolineato dall'insistenza sul motivo dell'abbondanza a livello semantico con pleonasasa - dia ton pleionon pe­ risseue;; dalle figure dell'allitterazione chiastica tra charis ed eucharistia, pleona­ sasa ... pleionon; dal climax con pleonasasa e perisseuse;; dalle figure della parono­ masia, dell'omoioarcton e della figura etimologica. Il vocabolario e l'aspetto ri­ dondante del testo sono simili a quelli di 8,7; 9,8a.l2; Rm 5,15.20; 6,1; l Ts 3,12. B.3.2 - La prospettiva escatologica dell'apostolato (4,16--5,10)

Caratteristica letteraria del brano è la continuazione dello stile antitetico: 4,16-18 antitesi e immagini spazio/temporali (terreno/mutabile; celeste/immutabile ) ; 5, l antitesi con metafora della casa; 5,2-5 antitesi con metafora del vestito; 5,6-10 antitesi incrociate.

Il carattere unitario di 4,16-5,10 è dato dal contenuto e dalla ripetizione di «infatti» (gar, cf. 4, 1 7.18; 5,1 .2.4) che lega strettamente il discorso, prima che «dunque» (oun) segni il passaggio alle conseguenze a partire da 5,6. Da notare ancora la presenza di «perciò» (dio) in 4,16; 5,9, già incontrato in 4,13 (due vol­ te: «ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo»). Altra caratteristica del brano è la serie di verbi di tipo emozionale («perder­ si d'animo» = enkakein 4,16; «gemere» = stenazein 5,2.4; «essere pieno di fidu­ cia» = tharrein 5,6.8; «desiderare» = epipothein 5,2; «preferire» = eudokein 5,8; «considerare un onore» = philotimeisthai 5,9; «volere» = thelein 5,4). Si insiste continuamente su espressioni riguardanti il corpo (4,16) e sulle immagini di «ca­ sa», «vestito» (5,1-4), «esilio» (5,6-8), immagini che non esprimono un'antropo­ logia dualistica, per l'assenza di psyche,178 ma un'antropologia pensata alla luce dell'escatologia. Secondo N. Baumert vi è solo «Un dualismo soteriologico tra ciò che in noi è già redento e ciò che non lo è ancora, e non quello antropologico tra corpo e anima». 179 Il brano ha la funzione di climax nell'argomentazione dell'autenticità apo­ stolica di Paolo, prima di cominciare a esortare esplicitamente i corinzi ad accet... tare lui e il suo messaggio. tso

1 78

Cf. PENNA, «Sofferenze apostoliche», 275-277. BAUMERT, Tiiglich sterben und auferstehen. Der Literalsinn von 2Kor 4,12-5, 10, Mtinchen

179 N.

1973.

1 80 L'interesse di Paolo non è quello di offrire un saggio di escatologia o antropologia, ma un tentativo di aiutare i corinzi a capire la propria autenticità apostolica, quale fondatore della loro Chiesa, accorciando così la distanza tra sé e loro. Cf. F. LJNDfìÀRD, Paul's ofthought in 2 Corinthians 4,16-5,10, Ttibingen 2005.

142

Commento

B.3.2. 1 - Il paradosso del rinnovarsi nel morire (4,16-18)

La tensione introdotta in 4,7 tra debolezza e potenza è posta in una prospet­ tiva escatologica culminante in 5,10 nella prospettiva del giudizio finale. Il rin­ novarsi dell'uomo interiore (4,1 6) è prospettato a partire dalla fede e dalla spe­ ranza, in vista del dono futuro della gloria straordinaria (la figura dell'accumu­ latio per il carattere eccezionale della doxa) e della qualità e natura delle cose invisibili (l'eternità, con struttura simmetrica attraverso la figura della simploche in 4,18 ) . v. l6: «Perciò non ci perdiamo (dio ouk enkakoumen) d'animo, ma se anche il nostro uomo esteriore (ho ex6 hem6n anthropos) si distrugge (diaphtheiretai), quello interiore (ho eso hemon) si rinnova (anakainoutai) di giorno in giorno». L'espressione «non ci perdiamo d'animo», ouk enkakoumen, è in parallelo a 4,1 e sta ad indicare le conseguenze (dio) del discorso sin qui svolto (4,7-15 ) : la sovrabbondanza della gloria evidente nell'esistenza dell'apostolo. Paolo non usa altrove l'espressione ho exo hemon anthropos («il nostro uomo esteriore»), ma «l 'uomo vecchio» (ho palaios anthropos) come in Rm 6,6; Col 3,9; Ef 4,22. In 4,16 in contrapposizione al «nostro uomo esteriore» abbiamo «il nostro interiore», senza la ripetizione del termine anthropos (cf. Rm 7,22 ) .181 La difficoltà della lo­ ro interpretazione è risolta in vari modi dagli esegeti. Alcuni ritengono che sia adoperata la concezione antropologica dualistica greca di tipo platonico (anima­ corpo)182 come in Rm 7,22-25; 1 Cor 5,5; 7,34; 2Cor 7,1 . E questo per ragioni po­ lemiche, contro gli avversari che enfatizzerebbero l 'importanza della dimensio­ ne esteriore e della visibilità delle capacità spirituali. 183 Altri ritengono che sia utilizzata la prospettiva biblica della persona come unità, con divergenze sulle varie sfumature da dare alle due espressioni: a) unità vista da gli altri («Uomo esteriore») o conosciuta solo da Dio («Uomo interiore»); b) contrasto escatolo­ gico tra uomo vecchio e uomo nuovo (Rm 6,6) : come parte del mondo vecchio, è soggetto alla decadenza, mentre come partecipe della nuova umanità, possie­ de l'esistenza in Cristo; c) la distanza o la vicinanza a Dio: «uomo esteriore» co­ me persona non ancora trasformata dallo Spirito, a differenza dell' «Uomo inte­ riore». È preferibile la prima prospettiva sulla base di quanto viene detto nei vv. 7-12 e di quanto sarà affermato subito dopo. Il verbo diaphtheiretai, «si distrugge>>, è al presente indicativo e rende l'idea di un processo in atto, con la sfumatura di inevitabilità del deterioramento a mo­ tivo della voce medio-passiva. Anche il termine corrispondente anakainoutai, «si rinnova>>, che nel NT ricorre ancora solo in Col 3,10 è un presente passivo in li,

18 1

Per l'interpretazione di > (ta blepomena ... ta me blepomena) abbiamo echi platonici. Paolo non mette in dubbio la realtà delle «cose viste>>, ma la loro importanza e significatività («tutti intenti alle cose della terra», Fil 3,19). Ricordiamo la distinzione tra «le cose della carne» e «le cose dello Spiri­ to» (Rm 8,5). L'opposizione «momentanee ... eterne» è in linea con quanto già visto al v. 17 («leggero ... eterno peso di gloria»). .

.

B.3.2.2 - La speranza della dimora nei cieli (5,1-10)

Fino a 4,18 tempo ed eternità si confrontano antiteticamente, come svilup­ po di 4,7-12, invece da 5,1 con «Se la nostra dimora terrestre» (ean he epigeios hémon) si delinea una successione temporale tra l'esistenza terrena e quella escatologica. Lo sguardo verso le «cose invisibili» viene enfatizzato ancora di più mediante immagini e ripetizioni verbali che si fanno insistenti e a volte pe­ santi, con l'unico scopo, per quanto è possibile, di tratteggiare la speranza fu­ tura ed eterna, certo di possedere sin d'ora - «abbiamo» (5,1) - un'abitazione «nei cieli» . 188

1 85 PLUMMER, A

criticai, 137-138, citato in LAMBRECHT, Second Corinthians, 81. . .il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro meriti quel­ li che sono suoi doni» (Denz 1548). 1"7 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 263. 188 Cf PENNA, «Sofferenze apostoliche», 278. 1 86

«

.

2Cor 4,7-5,10

14S

L'escatologia diventa la base e la prospettiva del pensare apostolico. Paolo non è interessato a delineare cronologicamente gli eventi escatologici , ma a de­ scrivere la propria persona che al presente si va disfacendo nella tensione verso le cose invisibili (4,18), nel cammino della fede (5,7) e nella speranza di conse­ guire la dimora celeste (5 ,1). Le tribolazioni gli procurano un domicilio nei cie­ li, cosicché non dovrà apparire «nudo» nel giorno del giudizio davanti a Cristo giudice, grazie al suo agire «fedele» nel corpo terreno. v. l: «Sappia�o infatti (oidamen gar) che se ( ean) la nostra dimora terrestre (he epigeios hemon oikia), (che è una) tenda (tou skenous), viene distrutta (ka­ talythe;), riceviamo (echomen) una dimora da Dio (oikodomen ek Theou ) una casa eterna non costruita da mani umane ( oikian acheiropoieton aionion) nei cieli (en tois ouranois)». Gar lega i vv. 1-5 a 4,17-18. Oidamen = «sappiamo» fa riferimento al kerygma professato e trasmesso da Paolo ai corinzi, confessato dalla Chiesa, di qui la pri­ ma persona plurale del verbo che abbraccia tutti i cristiani, non solo gli apostoli. Circa ean con l'aoristo congiuntivo, Windisch ritiene che il mancato uso di ean kai, con valore concessivo («sebbene» ), sia segno della convizione dell'apo­ stolo di una parusia non imminente, implicante la morte prima della sua venuta, a differenza di 1 Ts 4,13-17. Epigeios («appartenente a questa terra») è adoperato in contrasto con «Ce­ leste» (1Cor 15,40; Fil 2,10; 3,19) mentre «tenda» (tou skenous) è considerato ap­ posizione di oikia («casa»). Il termine non viene usato altrove: solo in A t 18,3 si parla di Paolo skenopoios («fabbricatore di tende»). La discussione concerne la matrice dell'immagine scelta da Paolo. I filosofi greci (Platone ecc.) hanno spesso parlato del corpo come una «tenda» tempora­ neamente abitata dall'anima, dualismo che si rispecchia in Sap 9,15, dove skenos si trova in parallelo a «corpo mortale» (phtharton soma) opposto a psyche e a nous. Vi è somiglianza tra he epigeios ... oikia skenous del nostro passo e geodes skenos di Sap 9,15, tanto più che skenos è hapax sia nella LXX che nel NT1 89 e che in Sap 9,1 5 barynei («appesantisce l'anima») ricorda baros di 4,17 e barou­ menoi di 5,4. Filone usa oikos per indicare il corpo come una casa dell'anima, 190 come pure nella letteratura mandea il corpo umano è visto come un'abitazione, abitata dalla vera persona, l'anima, che aspira ad essere liberata dal corpo.191 Le parole impiegate possono però essere lette in modo diverso dalla pro­ spettiva dualistica greca. Se infatti si legge ls 38,12LXX. si nota che l'immagine della distruzione della tenda (ho katalyon skenen) è adoperata come metafora della morte, non però come separazione dell'anima dal corpo, ma come discesa ,

·

1 89 1 90

106).

1 91

Cf. THRALL, A criticai, l, 361. Cf. FILONE, De praemiis et poenis 120; lo., De somniis 1,20 (citati Cf. THRALL, A criticai, I, 358.

in

WoLFF , Der zweite Brief,

146

Commento

nello Sheol. Inoltre in Gb 4,19 la parola oikia è usata antropologicamente: tous katoikountas oikias pelinas («quelli che abitano nelle case di creta»). Un testo vi­ cino a 5,1 è quello di 1Cr 9,23 dove il tempio è chiamato oikos tes skenes («casa della tenda», cf. 1 Cr 6,33: skene oikou tou Theou). Nell'apocalittica giudaica l'im­ magine de li' edificio compare nella descrizione della gloria escatologica, fatta nei termini di una nuova Gerusalemme con i suoi edifici, le dimore dei santi. 192 L'im­ magine risale certamente alla tradizione ebraica del cammino nel deserto o alla festa dei Tabernacoli, giacché la LXX adopera skene per tradurre l'ebraico sukkah. Wagner è del parere che l 'immagine della tenda alluda alla «presenza del Cristo» e che essere nella tenda significhi essere sotto il segno del Risorto. Un parallelo lo troviamo in Mc 14,58, in un detto di Gesù circa la distruzione/ri­ costruzione del tempio-corpo, dove compaiono tre termini presenti in 5,1: ka­ talyein, oikodome e acheiropoieton (cf. anche Mc 1 5,29 ; At 6,14). Katalyein = «di­ struggere» è adoperato solo in Rm 14,20 e in Gal 2,1 8, in quest'ultimo opposto a oikodomein («costruire»). L'aoristo passivo katalythe; qualifica il risultato complessivo del soffrire e non si riferisce alla morte in senso specifico, come tra­ spare dalla congiunzione ean seguita dal congiuntivo che esprime la ripetizione nel presente, vicina ali 'uso di hotan («ogni volta che»). Il presente «noi abbiamo» esprime la certezza religiosa circa il futuro, cer­ tezza che richiede l'adempimento di una condizione necessaria: la «distruzione» secondo il modello cristologico della tenda del corpo.193 È possibile connettere echomen sia con ek Theou che con oikodome. Nel primo caso con sfumatura po­ lemica. La seconda possibilità è suffragata dal testo di 1 Cor 2,12 dove lo Spirito, che viene «da Dio», è messo in contrasto con quello «del mondo». «Costruzione» (oikodome) e «casa» (oikia) sono usati come sinonimi, ma mentre il primo termine rende l 'idea del processo di costruzione, il secondo sug­ gerisce il risultato della costruzione. Oikodome ek Theou può essere inteso in di­ versi modi: a) antropologico (il corpo individuale nella risurrezione nella linea di soma pneumatikon, di 1 Cor 15);194 b) nel senso di «celesti dimore», come in Gv 14,2; 1 95 c) un corpo celeste intermedio in attesa della risurrezione;196 d) l'eso anthropos di 4,1 6 distinto dal soma pneumatikon che riceveremo alla risurrezio­ ne; 197 e) ecclesiologico per il corpo mistico di Cristo (poiché il termine è così ado­ perato in 10,8; 12,1 9� 1 3 , 1 0; Rm 14,19; 15,12; 1Cor 14,3.5.12.26); 1 98 f) tempio ce-

1 92 Cf. FuRNISH, TI Corinthians, 294. 1 93 Ci sono altri esempi di ean con

l'aoristo congiuntivo e l'indicativo presente per l'adempi­ mento di una condizione necessaria (Rm 7,2; 1Cor 7 ,39; 8,8; 14,23; 15,36). 194 M. RISSI, Studien zum zweiten Korintherbrief, ZUrich 1 969, 80; F.F. BRUCE, l and 2 Corinthians, Grand Rapids 1971, 202ss. 195 MARTIN, 2Corinthians, 1 04. 1 96 F. G. LANG, 2 Korinther 5, 1-10 in der neueren Forschung, Tilbingen 1973, 1 1 -13. 1 97 STRACHAN. The second epistle of Pau/, 99; R. REITZENSTEIN, Die hellenistischen Mysterienreli­ gionen, Leipzig-Berlin 31927, 354ss. 198 J.A.T. RoBINSON, The Body. A Study in Pauline Theo/ogy, London 1952, 76-77.

2Cor 4,7-5,10

147

leste;199 g) il corpo risorto di Cristo, di cui godranno i credenti alla loro morte;200 h) immagine della gloria del tempo escatologico, che ne'l l'apocalittica giudaica è descritta con la metafora della «costruzione»;201 i) la dimensione celeste della presente esistenza.202 È da preferire l 'interpretazione antropologica: il corpo glorificato nella ri­ surrezione ( l Cor 15 ,44) che fa da contrasto a quello sottoposto alla debolezza delle prove. Acheiropoiéton ::; «non fatto da mani d'uomo» ricorda Eb 9,1 1 : «Cristo inve­ ce, come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d'uomo, cioè non appartenente a questa crea­ zione» (cf. Col 2,1 1 ) . Di qui il valore di «soprannaturale», «immateriale», «spiri­ tuale>>. L'aggettivo aionion = «eterna» si trova già in 4,17. 18 (unici casi presenti in 2Cor) ed è in parallelo a «non fatto da mani di uomo». En tois ouranois spe­ cifica la qualità della dimora sperata: propria «dei cieli» (lCor 1 5,48s). v. 2: «E infatti (kai gar) in questa (tenda) (en tout6;) gemiamo (stenazomen) desiderando (epipothountes) essere sopravestiti (ependysasthai) della nostra abi­ tazione, quella dai cieli (to oiketerion hémon to ex ouranou)». Kai gar con il suo valore causale è in parallelo al v. l, piuttosto che esserne logicamente dipendente. Abbiamo quindi la seguente sequenza:

4,18 5,1 5,2

«noi fissiamo lo sguardo su ciò che è invisibile ed eterno» «poiché noi siamo fiduciosi di possedere una dimora nei cieli » «poiché noi desideriamo il suo possesso».

Si potrebbe dare a «in questo» ( en touto;) il valore di richiamo a oidamen («sappiamo») di 5,1, nel senso di «in questa conoscenza».203 Ma a motivo dell'e­ spressione del v. 4 «noi che siamo nella tenda» è preferibile vedere una ripresa di skenos e considerare l'espressione del v. 2 come il suo parallelo.204 Il verbo stenazein («gemiamo») ha il valore di desiderare qualcosa con speran­ za, come in Rm 8,22(il composto systenazein).23.26(il sostantivo stenagmos), per il gemito della creazione e dei figli di Dio in virtù dell'opera dello Spirito. Anche il «desiderio» (epipothountes) è pieno di speranza. Sia il verbo epipothein sia i so­ stantivi epipothesis-epipothia compaiono infatti quasi esclusivamente nel corpus paulinum e perlopiù con riferimento a un desiderio di vedere (7,7; 9,14; Rm 1 , 1 1; 15,23; Fil 2,26; l Ts 3,6). Altri scorgono nel verbo stenazein una sfumatura più nega­ tiva: i gemiti per la decadenza fisica delle sue facoltà (R. Hettlinger) o a motivo del1 99 G. WAGNER, «Le tabemacle et

41(1961 ), 379.

la vie "en Christ". Exégèse de 2 Corinthiens 5:1 à 10», in RHPR

200 A. FEutLLET, «La demeure céleste et la destinée des chrétiens: Exégèse de 2 Cor 5,1-10 et con'tribution à l'étude des fondements de l'eschatologie paulinienne», in RSR 44(1956), 367.369-378. 2° 1 FuRNISH, ll Corinthians, 294-295. 202 BAUMERT, Tiiglich sterben, 146. 203 Cf. FuRNISH, l/ Corimhians , 266. 204 Cf. BARRETI, A commentary, 152.

Commento

148

l'angoscia di fronte alla morte e alla possibilità della «nudità» ( Lietzmann, Du­ pont) . A supporto di questa tesi fanno notare l 'uso comune di synodinein in Rm 8,22 («sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme [systenazei] e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto [synodinei]») e baroumenoi = «Oppressi» in 2Cor 5,4. Il gemito è causato dal desiderio dell'«abitazione, quella dai cieli» (oiketerion to ex ouranou), equivalente di oikodome ek Theou del v. l . Paolo, quindi, passa dali 'immagine di una costruzione ( oiketerion sinonimo di oikodome e oikia del v. l) a quella di un vestito nei cieli (a ek Theou e aionion del v. l subentra ek oura­ nou), immagine usata spesso nei testi apocalittici giudaici (cf. l Enoch 62,15-16; J QS IV,7-8); e combina l'immagine di una «costruzione» con quella di un «vesti­ to», che desidera «sopra-indossare». La preposizione epi in ependysasthai («SO­ pravestire») aggiunge la sfumatura di indossare un altro vestito su quello già esi­ stente. Bultmann ritiene che sia equivalente al semplice endysasthai.205 Il verbo con la doppia preposizione epi- ed en-, ripetuto ancora al v. 4, è un hapax nell'in­ tera Bibbia (cf. ependytes = «sopravveste» di Gv 21 ,7 ) ed è un'immagine da capi­ re nel senso di una «trasfigurazione» (cf. Fil 3,21 : «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose») e di «cambiamento» (cf. 1 Cor 15,52: al soma psy­ chikon il soma pneumatikon ). Lambrecht,206 seguendo Thrall, ritiene che il verbo ependysasthai sottintenda il discorso della parusia vicina e quindi il desiderio del­ la trasformazione essendo ancora in vita, evitando l'evento della morte e la rela­ tiva dissoluzione del corpo. Ma ciò è confutato da l Cor 15,50-54 che parla di «Cambiati» sia per i già morti che per gli ancora in vita: v. 51 «non tutti, certo, mo­ riremo, ma tutti saremo cambiati (a llagesometha) ». Anche perché in 2Cor 5,2 non è ancora esclusa la possibilità della propria morte. Con ependyein si precisa il sen­ so di endyein di lCor 15,53s: «è necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta ( endysasthai) di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta (endysa­ sthai) di immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito (endy­ setai) d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità ... ». v. 3: « Se infatti (ei ge kai) vestiti ( endysamenoi), non nudi saremo trovati (hou gymnoi heurethesometha ) » . L'interpretazione dipende dalle scelte testuali compiute:

1 ) p46, B, D e molti altri testimoni hanno eiper («Se certamente, poiché»). Gli altri testimoni hanno la lezione ei ge, con valore restrittivo: «Se è real­ mente vero che» oppure «se, naturalmente». Baumert ritiene che la va­ riante eiper sia più originale, dal momento che implica ancora più forte­ mente la validità della supposizione. Ma è preferibile la lezione ei ge, da considerare non legata a kai che enfatizza ciò che segue, «infatti>>.

205 Cf. FuRNISH, II Corinthians, 267. LAMBRECHT, Second Corinthians, 83.

206

2Cor 4,7-5,10

149

2) p46, X , B, C, IJ2 hanno la lezione endysamenoi («vestiti»); invece D• ha ekdy­ samenoi («spogliati>>) riproposta da N/A27• È da preferire la prima variante meglio attestata, anche perché si evita la tautologia «Svestiti»-«nudi».207 Si discute sul significato dell'«essere vestiti» e dell'«essere nudi». Fa proble­ ma la relazione del participio endysamenoi con ou gymnoi. Se infatti vestiti,

non saremo trovati nudi.

ei ge kai endysamenoi

hou gymnoi heurethesometha.

Alcuni (Bachmann) propendono per la lettura coordinata dei due termini sulla base di paralleli come 2Cor 5,7. Ma ou gymnoi, rappresentando uno stato e non un 'azione, per essere letto in parallelo con il participio endysamenoi richie­ derebbe il tempo perfetto del participio: endedymenoi. Per cui è meglio leggere l'aoristo endysamenoi subordinato a heurethesometha: «Vestiti, non saremo tro­ vati nudi». Se si interpreta gymnoi secondo l'uso greco per l'anima quando è pri­ va del suo corpo, secondo le categorie platoniche (cf. Platone, Cratyl. 403b: «l'a­ nima nuda del corpo va da lui» ),208 endysamenoi avrebbe lo stesso senso di ependysasthai del v. 2. Nel giudaismo lo spirito senza il corpo si trova in una con­ dizione di incompletezza, anche se vi è l 'idea della gioiosa condizione degli spi­ riti dei giusti (cf Jub. 23.3 1), idea affermatasi durante il primo secolo dell'era cri­ stiana. L' «essere rivestiti» di abiti immortali da parte dei giusti è infatti uno dei temi tipici della letteratura apocalittica giudaica. In questa prospettiva nel v. 3 se­ condo Bruce e Bultmann209 vi sarebbe un'enfasi tesa ad ammonire quanti tra i corinzi in una prospettiva gnostica erano inclini a idealizzare lo stato di libera­ zione dal corpo.2 10 Ma non abbiamo l'evidenza che Paolo usi gymnos come «sciolto dal corpo», anche perché la visione antropologica dualistica è estranea all'apostolo. Se invece si tiene conto che la «nudità» nella LXX è sinonimo di vergogna, metafora della colpevolezza e dell'essere oggetto dell'ira di Dio (Is 3 1 ,1 1 ; Ez 1 6,39; 23,29; Os 2,5; cf. Gen 3,10. In Is 32,4. 1 1 ; Ez 16,39), si può intendere gym­ nos nel senso di «nudità morale». In Os 2,5 il termine gymnos infatti è associato a ekdyein come in 2Cor 5 ,4. Nel NT ricordiamo l'uso di gymnos e gymnotes in Ap 3,17-18; 16,15,211 dove «nudi>> sono coloro che, alla parusia, risorgeranno per il disonore e la vergogna eterna: «Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andare nudo e lasciar vedere le sue vergogne» (cf. Crisostomo, in PG 61 , coli. 467-468).212 Sulla base di questi elementi in 5,3 si può allora cogliere come .

2C11 Cf. K. HANHART, «Hope in the face of death: preserving the originai text of 2 Cor 5,3», in Neotestamentica 31(1997), 77-86. 208 Cf. THRALL, A criticai, l, 374. 209 Ct THRALL, A criticai, I, 377. 2 1o Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 110. 2 1 1 Cf. THRALL, A criticai, I, 375. 21 2 Citato in THRALL, A criticai, I, 378 n. 1317.

150

Commento

condizione per l' «essere sopravestiti» nella parusia quella di conservare la «Ve­ ste» battesimale, l' «essere stati rivestiti» di Cristo (Gal 3,27) attraverso il desi­ derio sempre più vissuto di una piena comunione con lui, onde evitare il grave pericolo di essere da lui separati e così «rimanere nudi» (Collange, Fumish). Sul­ la stessa linea C.M. Pate,213 rifacendosi al motivo della gloria originaria posse­ duta da Adamo come un «vestito», persa definitivamente con il peccato e in Cri­ sto donata nuovamente con la risurrezione del corpo (Fil 3,21 ) , ritiene che Pao­ lo utilizzi la metafora del «corpo della risurrezione indossato sul corpo terreno», al presente privo di gloria. La difficoltà nella sua ipotesi è data dal fatto che la «nudità» in 5,3 non riguarda il presente ma lo stato futuro. La dissoluzione del corpo nel tempo presente prepara, e in un certo senso realizza, la sostituzione del corpo soggetto alla fragilità e alla debolezza con il corpo glorioso, soma pneumatikon. È la realtà paradossale di un continuo «rive­ stirsi», attraverso le sofferenze, della vita di Gesù (cf. 4,10-1 1), destinato a com­ pletarsi nella parusia in condizioni di pienezza. Questo spiega ependysasthai­ endysamenoi: solo se Paolo si sarà lasciato rivestire della grazia , riceverà il cor­ po glorioso a immagine del Risorto, quando egli, come giudice, verrà per giudi­ care le opere di ciascuno (5,10). v. 4: «E infatti (kai gar) essendo nella tenda (en t6; skenei) gemiamo (stena­ zomen) oppressi ( baroumenoi), perché ( eph '6;) non vogliamo ( ou thelomen) es­ sere svestiti (ekdysasthai) ma sopravestiti (all'ependysasthai), affinché ciò che è mortale (to thneton) sia assorbito (katapothe;) dalla vita (hypo tes zoes)». Dopo l 'interruzione del v. 3 viene ripreso il contenuto del v. 2, come indica la presenza di kai gar. L'articolo anaforico in en t6; skenei = «nella tenda» richiama la skene df 5,1 . La prima persona plurale del verbo stenazomen («gemiamo») continua a inclu­ dere tutti i cristiani. Baroumenoi è un participio circostanziale e non causale,214 un verbo già incontrato in l 8 Alcuni associano il participio con ciò che segue, ma è meglio legarlo con il verbo che lo precede di cui descrive la condizione in cui avviene il gemito. Il testo sembra vicino a Sap 9,15. Eph 'ho nel NT è adoperato solo da Paolo.215 La maggior parte dei commen­ tatori lo traduce come epi tout6 hoti = «per il fatto che» o «perché».21 6 F.F. Bru­ ce217 invece lo interpreta con il valore condizionale, tipico della costruzione clas­ sica: «a patto che»; ma non abbiamo esempi di eph 'ho seguito da un verbo al pre­ sente ed è dubbio l'uso di un verbo di desiderio come equivalente del tempo fu­ turo, per cui è preferibile intendere la congiunzione come causale. ,

.

2 1 3 C.M. PATE, Adam Christology as the Exegetical & Theological Substructure of 2 Corinthians

4, 7-5,21 , Lanham-New York 1991, 1 15-1 16.120. 21 4 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 269. 21 5

21 6

Oltre al 5,4 ancora in Rm 5,12; Fil 3,12; 4,10.

Cf. BDR § 235, n. 2.

217 F.F. BRUCE, The letter of Pau/ to the Romans, Leicester 1985, 203.

2Cor 4,7-5,10

151

Il verbo ekdysesthai, solo qui nelle lettere paoline, è usato· ·come aptydsto di ependyesthai, come precedentemente gymnoi di endyesthai. Ci sono cinque possibilità di interpretazione di ekdysesthai:

a) Il verbo si riferisce al momento della morte e a ciò che segue, anticipan­ do ou a eph 'oi, che introdurrebbe un ammonimento per quanti conside­ rano come stato ideale quello dell'essere senza corpo dopo la morte (Fur­ nish, Barrett); fa difficoltà l'anticipazione della congiunzione negativa.

b) Il verbo si riferisce alla morte e si esprime forte avversione al pensiero del rimanere senza corpo, anche se per un tempo limitato. Questo non con­ corda con il v. 8 dove si parla di «essere con il Signore», anche perché l'es­ sere senza corpo non era visto completamente negativo nel giudaismo e nel mondo greco (Wendland, Martin). c) È l'evento della morte ad essere rigettato (Allo).

d) Teme la perdita della salvezza, ovvero perdita del corpo senza ricevere la promessa della risurrezione corporale (Mundle ) .

e) Il verbo si riferisce alla possibilità dell'essere rigettati da Cristo nella pre­ sente esistenza: è il conflitto tra intenzione e azione, secondo l'atteggia­ mento di Rm 7,14-25 e Gal 5,17 (Collange). È la lettura più consona al contesto: non teme la morte fisica, ma quella spirituale.

L'aggettivo thnetos nel NT è usato solo da Paolo e sempre in riferimento al corpo mortale (soma , Rm 6, 12; 8,1 1) o carne (sarx, 2Cor 4,1 1) , soggetto alla sof­ ferenza (2Cor 4, 1 1 ), al peccato (Rm 6,12) e alla morte (8,1 1 ). In l Cor 15,53.54 adopera il neutro sostantivato to thneton. Anche katapothe; «sarà ingoiata», da katapinein, oltre che in 2,7 compare in 1Cor 15,54 dove l'apostolo riprende forse Is 25,8, modificando il testo della LXX (katapinein all'attivo, con morte come sog­ getto). A differenza di 5,4, in l Cor 15,54 abbiamo eis e non hypo: «la morte è sta­ ta ingoiata (katepothe) per (eis) la vittoria», pur esprimendo lo stesso concetto: la morte sarà distrutta, la vita ingoierà ciò che è mortale. In Ap 20,14 1a morte e gli inferi sono gettati nello stagno di fuoco. Nel testo di lCor 15 la «vita» è personi­ ficata non come vita naturale, ma come vita risorta. È la vita frutto dell'opera del­ lo Spirito. L'apostolo in 5,4, pur affermando che ciò che è mortale sarà distrutto, sottolinea che non sarà distrutto il corpo, dato che questo diverrà immortale. 2 1 8 Egli, oppresso (baroumenoi) dal desiderio di non voler essere svestito ( ekdysasthai), di non lasciarsi privare e privarsi dello stato di grazia, geme nel desiderio di essere sopravestito ( ependysasthai), arricchito della vita di Cristo nella parusia. =

21 8 LAMBRECHT, Second Corinthians, 84.

Commento v. 5: «Colui che ci ha portato a compimento (ho de katergasamenos) proprio per questo (è) Dio, lui che ci ha dato (ho dous hemin) la caparra dello Spirito (ton arrabona tou Pneumatos)». Il dono dello Spirito è la caparra del processo di glorificazione in atto nella vita dell'apostolo. Da notare la posizione predicativa ed enfatica del termine «Dio» (cf. 1,21 ): «Colui che ci ha portato a compi mento proprio per questo (è) Dio». Il genitivo tou Pneumatos è di apposizione: lo Spirito è lo stesso pegno (per arrabon cf. commento a 1 ,22). La particella de aggiunge una sfumatura corretti­ va: non noi, ma Dio è il protagonista mediante lo Spirito. Gli aoristi katergasa­ menos (da kata-ergazesthai = «Operare con impegno», ancora in 2Cor 4,17; 7,10. 1 1; 12,12) e dous si riferiscono al dono dello Spirito elargito nel battesimo (1 Cor 12,13; 2Cor 1 ,22). Sono state date varie interpretazioni ad auto touto: a) riferimento vago alla debolezza del ministero; b) riferimento al gemere del v. 4, dando il significato di «essendo prevalso su» a katergasamenos; c) riferimento al precedente ekdysasthai, ma non avrebbe senso parlare del­ la promessa dello Spirito come pegno di morte; d) riferimento alla parte conclusiva del v. 4, all'essere ingoiato della morta­ lità da parte della vita. È preferibile l'ultima interpretazione perché in linea con 4,16-17. Lo Spirito è il pegno della speranza della risurrezione, non solo simbolo, ma dono reale ed efficace (Rm 8,23). Lo Spirito opera il rinnovamento dell'uomo in­ teriore e ne garantisce il pieno realizzarsi nel futuro; è già ora porzione donata del­ la pienezza della consolazione e garanzia dell'azione salvifica di Dio. Opera la ri­ surrezione dai morti ed è creatore di vita (3,6; Rm 8,2.10. 1 1 ; 1Cor 15,45 ; Gal 6,8).

v. 6: «Siamo pieni di fiducia (tharrountes) dunque sempre (oun pantote ) , an­ che sapendo ( eidotes) che dimorando (endemountes) nel corpo (en to; somati), dimoriamo lontano dal Signore ( ekdemoumen apo tou Kyriou )». A partire dal v. 6 (anche se non è facile seguire la connessione dei vv. 6-8 con i vv. 1 -5) abbiamo i frutti dell'azione dello Spirito: la fiducia «in tutto» (v. 6); la fiducia e il desiderio di «Uscire dal corpo e dimorare in relazione al Signore» (v. 8), che consente di accettare il processo di annientamento come Cristo. Si passa dalla metafora dell' «essere vestiti» all'idea di «essere nel corpo» ed «essere lon­ tano dal Signore». Il versetto è un anacoluto e non abbiamo nessun verbo principale, come si nota dalla traduzione letterale: Essendo pieni di fiducia dunque sempre anche sapendo che, dimorando nel corpo, dimoriamo lontano dal Signore.

Ci aspetteremmo che i participi congiunti fossero subordinati a eudokoumen del v. 8, invece troviamo la parentesi del v. 7. Per cui il v. 8 ricomincia nuovamente a esporre quanto già detto al v. 6, ripetendo «siamo pieni di fiducia» (tharroun-

2Cor 4,7-5,10

153

tes). La particella «dunque» (oun) riassume il pensiero di 4,1 6 e le conseguenze affermate in 4,1 6b--5,5. Tharrountes, a livello di concetto già presente in 4,16 e 5,5, è adoperato nel corpus paulinum solo in 2Cor (5,8; 7,16; 10,1.2) e altrove nel NT ancora in Eb 13,6. Nella filosofia greca il verbo ricorre in relazione alla mor­ te da affrontare con fiducia, giacché l'anima è immortale (Platone), motivo tipi­ co anche dello stoicismo che vede la fiducia come atteggiamento da avere nei confronti di realtà indipendenti dalla libera scelta personale e in particolare del­ la morte. Paolo è sì pieno di fiducia «sempre» (pantote, già in 4,10) di fronte alla morte, ma per altri motivi. Eidotes viene interpretato da Barrett con valore causale («poiché noi cono­ sciamo»), ma questi ignora la congiunzione kai che sembra richiedere una proposizione coordinata («avendo fiducia»). . Endemountes alla lettera significa «essere a casa con il proprio popolo». I composti di menein (epimenein e paramenein) compaiono in Fil 1,24.25. «Nel corpo» (en to; somati) è equivalente a en te; skenei del v. 4, mentre soma è paral­ lelo a to thneton sempre del v. 4, nello stesso modo in cui soma in 4,10 è paralle­ lo di en thnete; sarki hemon in 4,1 1 . Ekdemoumen apo tou Kyriou si potrebbe rendere con l'espressione «siamo lontano dal Signore>> (cf. l Ts 4,17: «essere sem­ pre con il Signore»). Il verbo ekdemein significa letteralmente «lasciare il pro­ prio paese» oppure «partire per un lungo viaggio», ed è quindi sinonimo di apodemein, adoperato nei Sinottici. La coppia endemeinlekdemein compare nel NT solo in 2Cor 5,6.8-9. Kyrios sta per Cristo come in Fil 1 ,23, per cui apo tou Kyriou equivale ad apo tou Christou (cf. Rm 9,3). Sembra paradossale l'affermazione di dimorare nel corpo e contemporanea­ mente essere lontano dalla presenza di Cristo, «in esilio», anche se uniti a lui per la fede. La spiegazione consiste nel fatto che al presente l 'inserimento e la co­ munione con Cristo non sono perfetti, come invece lo saranno alla parusia. Pao­ lo non è «con lui» nella stessa maniera in cui spera di esserlo dopo la morte. v. 7: «Infatti (gar) camminiamo (peripatoumen) per mezzo della fede (dia pi­ steos), non nella visione (ou dia eidous)». Si interrompe qui il discorso iniziato nel v. 6, riprendendo la tensione già espressa in 4,18: il guardare, il cercare i beni eterni e invisibili. Gar introduce una chiarificazione di quanto detto al v. 6b e, così facendo, stabilisce una cesura nel­ la sequenza dei concetti. L'essere nel corpo corrisponde a peripatein dia piste6s, la cui pienezza escatologica consiste nel camminare nella presenza reale. Il ver­ bo peripatein compare già in 4,2. La preposizione dia può avere valore sia stru­ mentale che di maniera. Barrett la interpreta «sulla base di». È l'unico caso in cui il verbo peripatein è seguito da dia; altrove abbiamo en (4,2; l 0,3; Rm 6,4) o ka­ ta (10,2; Rm 8,4; 14,15; l Cor 3,3). L'espressione dia (tes) pisteos è adoperata in Rm 3,22.25.30.3 1 ; Gal 2,16; 3,14.26; Fil 3,9. In 2Cor pistis ricorre 6 volte (1 ,24, due volte; 4, 13; 8,7; 10,15; 13,5), mentre il verbo pistein due volte in 4,13. Generalmente sta per il contenuto della fede pro­ fessata (cf. Rm 10,8; Gal 1 ,23) oppure la fiducia in Dio o l'essere nella sfera di re-

1 54

.. .

Commento

lazione con Dio. «Credendo» si crede in Dio che si è rivelato e ha rivelato qual­ cosa su di sé e sulla chiamata a partecipare alla comunione con lui. La si può ren­ dere come il modo anticipato di conoscere e intravedere il proprio futuro. Nel nostro caso a pistis è opposto eidos: al credere il vedere. Eidos, in genere, ha un significato passivo («forma esteriore») e non attivo, come atto di vedere. Anche in Rm 8,24-25 abbiamo il contrasto tra ciò che è vi­ sto (blepomene) e l'oggetto della speranza che non è visto. Lo stesso vale per 1 Cor 13,12: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia». Thrall interpreta eidos come «forma visibile»: «poi­ ché noi viviamo la vita nella sfera della fede, non nella presenza della sua forma visibile», ovvero il Signore risorto glorioso. 219 Ma è da preferire il senso di «for­ ma concreta di partecipazione corporale alla verità gloriosa del Risorto», ovve­ ro la nuova corporeità e il conseguente vedere. Il peripatein («camminare») del credente è specificato in vario modo nel cor­ pus paulinum: «secondo» (kata) l'amore (Rm 14,15), nello Spirito (Rm 8,4; Gal 5,16), in novità di vita (Rm 6,4), secondo la chiamata di Dio (l Cor 7 ,17; l Ts 2,12), decorosamente (Rm 13,13; l Ts 4,12), secondo il comportamento dell'apostolo (Fil 3,17; lTs 4,1). v. 8: «Siamo pieni di fiducia (tharroumen de) e preferiamo (eudokoumen) molto di più (mallon) dimorare lontano dal corpo (ekdemesai ek tou somatos) e dimorare nella comunione con il Signore ( endemesai pros ton Kyrion )». «Siamo pieni di fiducia» ( tharroumen) riprende tharrountes o un del v. 6, do­ po la parentesi del v. 7, completando così il discorso appena abbozzato. La parti­ cella de, infatti, non ha valore avversativo ma di ripresa. Varie le interpretazioni del contenuto del versetto: a) si esprime la transizione e la preferenza del passaggio dal dominio del peccato alla nuova vita sotto il dominio del Signore; b) si esprime la decisione di passare dal regno del visibile a un modo di più intensa relazione con il Signore; c) la fedeltà alla vita presente, sia verso il Signore che verso il corpo. Baumert, considerando che eudokoumen mallon con l'infinito indica una de­ liberata scelta di fare qualcosa (come in Rm 15 ,26; l Cor 1 ,2 1 ; Gal 1,15, lTs 2,8; 3,1) e non tanto una preferenza rispetto a qualcos'altro, ritiene che Paolo si rife­ risca alla scelta della morte. 220 Ma non si può parlare di deliberata scelta della morte, piuttosto di preferenza, giacché la morte non è materia di decisione. Il verbo ekdemein è stato adoperato già al v. 6b, lì al tempo presente, qui in­ vece all'aoristo con valore ingressivo e cambiamento semantico: da «essere lon­ tano» a «lasciare» la dimora terrena, «allontanarsi dal corpo». Anche endemesai lo abbiamo già incontrato al v. 6b, al tempo presente, a differenza del v. 8 dove è

21 9 Cf. THRALL, A criticai, I, 387. 220

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 273; THRALL, A criticai, l, 390.

2Cor 4,7-5,10

155

all'aoristo con valore ingressivo. Pros ton Kyrion invece di syn Kyri6; (l Ts 4,17) pone l 'accento sull'inizio della piena ed eterna comunione con Dio: «dimorare davanti a Dio». A partire dai vv. 2.4.7s gli eventi sono legati sempre di più alla parusia fino al culmine nel v. 10. vv. 9-10: «Perciò consideriamo un onore (dio kai philotimoumetha), sia (eite) dimorando dentro ( endemountes) sia (eile) dimorando fuori ( ekdemountes ) , es­ sere graditi (euarestoi auto;) a lui. 10Infatti noi tutti (tous gar pantas hemas) dob­ biamo (dei) essere manifestati (phanerothénai) davanti al tribunale di Cristo ( tou bematos tou Christou), affinché ciascuno (hekastos) consegua (komisetai) le co­ se (ta) in relazione alle quali ha fatto (pros ha epraxen), (mentre era) nel corpo (dia tou somatos), sia di bene (eite agathon) sia di spregevole (eite p ha u lon) ». Ciò che conta per l'apostolo al presente è l'essere graditi a Dio (v. 9) nella prospettiva del giudizio finale (v. 10). Con il v. 9 Baumert ritiene che si apra tina nuova sezione. Ma il versetto con­ tinua a mo' di climax la precedente argomentazione, come traspare dall'uso con significato di conclusione di eite ... eite in 1Cor 1 2,26; 15,1 1 ; Fil 1 ,18.20; l Ts 5,10.221 Sono ripetuti con il tempo presente i verbi endemeinlekdemein. I due termini sottolineano il vivere nel/lontano dal corpo e non il vivere con/lontano dal Signore (Baumert ), giacché precedentemente ha già espresso il suo deside­ rio di essere con il Signore (v. 8). Inoltre qualificano «graditi» (euarestoi) e non «consideriamo un onore» (philotimoumetha) ; diversamente si ammetterebbe la possibilità di crescere nel gradimento dopo la morte. Endemein ed ekdemein non sono in parallelo: endemein allude a un comportamento gradito al Signore da vivere nel presente, mentre ekdemein allude a una condizione futura di gra­ dimento sottoposta al giudizio di Dio, non crescita nel gradimento dopo la mor­ te. Ciò che è importante per Paolo non è il fatto in sé di dimorare nel corpo o ]asciarlo, quanto, in virtù del cammino obbedienziale terreno, il piacere a Dio sia nel presente che nell'eternità. Il piacere a Dio è presentato così come la ve­ ra condizione di sussistenza del soggetto umano, non qualcosa che si aggiunge alla realtà del soggetto. Philotimeisthai nel NT compare solo in Rm 15,20; 1 Ts 4,1 1 . Euarestos, come la radice areskein, è adoperato per ciò che è gtadito a Dio (cf. Rm 12,1-2; 14,18; Fil 4,1 8). Nel v. lO gar introduce la motivazione della decisione di risultare «graditi al Signore». L'articolo in tous pantas hémas indica la «totalità di noi» (DBR § 275,5), cioè tutti i credenti, avversari e non. Dei in contesto escatologico è un'af­ fermazione solenne per ciò che è divinamente stabilito (cf. l Cor 15,25.53; ma già in Dn 2,28.29.45LXX; nel NT ancora in Mt 1 6,21 e par.; 24,6 e par.; Ap 1 ,1 ; 4,1 ; 22,6). L'aoristo passivo phanerothenai connota la dimensione rivelativa del giu­ dizio divino sul credente di fronte a se stesso e all'intera storia umana (cf. l Cor

22t

FuRNISH, II Corinthians. 274.

156

Commento

4,5 dove Paolo afférma che il Signore a'IIa sua venuta «rivelerà», phanerosei, i se­ greti dei cuori), ed è molto più intenso di phainesthai, «apparire», perché sare­ mo manifestati nella verità del nostro essere davanti a lui. Non si allude al giu­ dizio individuale, ma a quello universale: Cristo ci manifesterà in qualità di giu­ dice (in Rm 2,16 Dio giudica «attraverso Cristo Gesù»; cf. At 17,3 1 ; Gv 5,27; At 10,42 ) . Bema infatti è adoperato anche in Rm 14,10 nella descrizione del giudi­ zio finale di Dio, quando tutti davanti al bema di Cristo o di Dio dovranno ri­ spondere delle proprie scelte operate nella vita terrena. Il termine lo troviamo in contesti di giudizio per l'opera di magistrati come equivalente della sella cu­ rulis in Mt 27,1 9; Gv 1 9,13; At 7,5; 12,21; 18,12. 1 6. 17; 25,6. 10. 17. Sostituisce il concetto di thronos, usato altrove per il seggio del giudice escatologico (cf. Dn 7,9; l Enoch 45 ,3; 47,3; Mt 19,28; 25,31s; Ap 20,4. 1 1 ; inoltre Sib. 2,218; 8,222-242; Polyc. 6,2). 222 Hekastos enfatizza l'individualità del giudizio come in Rm 14,12: «Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso», di qui l'impossibilità di interpretare Cristo come giudice nel nostro cuore e nella nostra coscienza, co­ me ritiene Baumert. Komisetai è un futuro indicativo: «conseguirà/riceverà», da komizein, adoperato con voce attiva nel NT solo in Le 7,37, mentre tutte le al­ tre volte è al medio. Nel corpus paulinum il verbo rende l'idea del ricevere la giusta ricompensa (cf. Col 3,25; Ef 6,8) . In lPt 5,4 è usato per il conseguimento della corona della gloria, in Eb 10,36 dei beni promessi e in 1 1 ,1 3.39 della sal­ vezza delle anime. Il verbo prassein, «fare», è adoperato in senso neutrale (cf. Rm 9,1 1 ) : ordinariamente in Paolo, come nel resto del NT, ha un'accezione ne­ gativa (cf. Gal 5,21 ) , tranne che in 1 Cor 9,17 e Fil 4,9. L'espressione ta dia tou somatos pros ha epraxen, dal punto di vista testuale e sin tattico, è problematica, come si evince dalle correzioni operate nei codici D*, F, G: l'omissione di ta e pros, la trasposizione di ha così da ottenere ha dia tou soma­ tos epraxen; oppure dalla lettura dei codici J>46, 365, pc Lt, Cyp: ta idia tou somatos pros ha epraxen. Volendo conservare la lectio difficilior, il testo tramandato, dob­ biamo supporre che la frase sia ellittica del verbo «era»: «(mentre era) nel cor­ po».223 Alcuni interpretano dia tou somatos con valore strumentale, «attraverso il corpo» (Windisch, Barrett), altri con valore temporale, «mentre nel corpo» (Bult­ mann). È preferibile quest'ultima lettura, perché in linea con quanto detto al v. 9: endemountes = «preferiamo dimorando ... essere graditi a Dio». Pros può signifi­ care sia «in relazione a» (Barrett) che «in proporzione a» (Allo).224 Gli aggettivi nell'espressione eite agathon eite phaulon possono sottintende­ re «riceverà» oppure essere legati ad epraxen: «ha fatto» di bene o di male. È più probabile la seconda possibilità («ha fatto>>), poiché gli aggettivi si ritrovano con il verbo prassein anche in Rm 9,1 1 , l'unico passo dove compare phaulos, «mal­ vagio, cattivo». L'espressione non allude tanto alla «ricompensa o punizione» nel 222

Cf. B. ScHALLER, «Bema», in DENT, I, 570. (Der zweite Korintherbrief, 172} ritiene che la frase ta dia tou sòmatos sia ellittica e richieda di sottintendere pepragmena dopo ta. 224 Cf. THRALL, A criticai, I, 395 n. 1444 . 223 WINDISCH

2Cor 5,1 1-6,10

157

giudizio quanto a ciò che l'uomo ha fatto nella vita terrena, sulla cui base avverrà il giudizio, quindi non è da porre in relazione a komisetai ma ad epraxen. In l Cor 3,12-15 Paolo parla del vaglio finale in cui l'opera di ciascuno sarà provata «con il fuoco».225 Le congiunzioni disgiuntive eite ... eite richiamano il v. 9. B.4 - IL MINISTERO DELLA RICONCILIAZIONE: FONDAMENTO E VISIBILITÀ (5,1 1-6,10) Ciò che incoraggia il ministro è la meraviglia sempre nuova dell'amore di Cristo: il non riuscire a capacitarsi della fantasia salvifica di Dio che ha fatto pec­ cato suo Figlio per rendere nuovi, della nuova creazione, i poveri peccatori, re­ denti con l'abbondanza della sua misericordia e resi giusti, pur essendo indegni. Solo con tale stupita convinzione il messaggero del vangelo, oggi come ieri, affa­ scinato dall'inesauribile bontà della grazia divina, può testimoniare efficace­ mente la salvezza nel proprio quotidiano donarsi ai fratelli, con la novità della sua vita, quale laboratorio in cui sperimentare per primo la portata dell'annun­ cio della salvezza. Solo vivendo tale coscienza ministeriale e alla luce del dono di grazia che è la redenzione offerta da Dio in Cristo, si è in grado di porgere il proprio appello ai fratelli: «Accogliete oggi la salvezza» (5,1 1-6,2). La qualità dell'appello, tuttavia, non si fonda su efficaci doti di persuasione, ma su una con­ dotta apostolica fatta di tensione nelle virtù, di fatiche e lotte di ogni genere, co­ lorata di paradossi che non hanno confronti in questo mondo (6,3-10). Questa è la grande avventura cui è chiamato il ministro di Dio! Se in 3,1-5,10 il tema era la capacità (hikanotes) e la dynamis dell'apostolo, da 5,1 1 il discorso verte sul ruolo di Paolo nei confronti dei corinzi (5,1 1-7,3). Il pas­ saggio dal tema escatologico (4,16-5,10) a quello della funzione mediatrice del mi­ nistero apostolico avviene con la polemica contro gli avversari (5, 1 1-12). La se­ zione, che ha legami con quella precedente mediante i termini phaneroun (rispet­ tivamente in 5,10 e in 5,1 1) e Christos (in 5,10 e 7 volte in 5,14-20), si apre con la formula eidotes oun in 5,1 1 a, che compare spesso nell'apertura di una nuova unità (cf. 3,12; 5,6; senza oun 4,1. 13). La conclusione si trova in 6,10, giacché in 6,1 1 com­ pare la seconda persona plurale, con l'apostrofe ai corinzi e il genere esortativo. Il discorso tende a passare dall'indicativo all'imperativo, con un movimento che va dalla riconciliazione con Dio in Cristo alla riconciliazione con Paolo. Ri­ sulta notevole la corrispondenza tra 5,12 e 6,3-4a, con un parallelismo di motivi ( autoraccomandazione, il dare, il fine) , ripresa della struttura chiastica (frasi e pa­ role) e somiglianze grammaticali (participi, anacoluto), nonché la stessa funzione di introdurre argomenti che saranno sviluppati subito dopo in 5,13--6,2 e 6,4b-10. Tali motivi fanno propendere per una divisione bipartita: 5,1 1-6,2; 6,3-10.

225 S ia 2Cor 5,10 che 1Cor 3,12-15 confutano la tesi di H.S. REIMARUS den·assenza di testi paoli­ ni o del NT con l'immagine di Dio o di Cristo giudice universale inesorabile. Cf. R. REISER, «"Wir al­ le mtissen erscheinen vor dem Richterstuhl Christi" (2 Kor 5, 1 0). Bilder des Jtingsten Gerichts bei Paulus», in ErbAu/75(1999 ) , 456-468.

Commento

158

B.4. 1 - La parenesi apo9tolica e il ministero della riconciliazione (5,11-6,2) Paolo dimostra la necessità del suo «agire persuasivo>> radicandolo nella ri­ conciliazione di Dio in Cristo. Il concetto di «annuncio come esortazione» (peithein, 5,1 1 ) è ripreso più volte attraverso il vocabolario della riconciliazione: katallassein = «riconciliare» (5,18. 1 9.20), katallage = «riconciliazione» (5,18 . 1 9) ; e quello del ministero: existanai = «essere fuori di sé» e s6phronein = «essere sag­ gio» (5 ,13), synechein = «tenere in pugno» e krinein = «pensare» (5,14), pre­ sbeuein = «fungere da ambasciatore» (5,20) , parakalein = «esortare» (5,20; 6, 1), deesthai = segue che «tutti sono morti (aoristo apethanon )»: i due aoristi dico­ no il «fatto» avvenuto una volta per sempre sia per Cristo sia per tutti. Come in Rm 5,12-15 si afferma che la morte è entrata nel mondo attraverso il peccato di Adamo e tutti hanno peccato, così in 2Cor 5,14 che la morte del nuovo Adamo ha determinato la morte del peccato e dei peccati personali nei credenti. Con hoi pantes = lett. «i tutti» si allude ai cristiani in genere, che trovano in Paolo il mo­ dello da seguire nella missione apostolica. La contemplazione del mistero pasquale chiama/spinge «tutti» i credenti all' «annuncio dell'amore di Cristo». E questa è la ragione e il fondamento della credibilità della missione apostolica, non le esperienze estatiche. v. ts: «Ed è morto (apethanen) per tutti (hyper pant6n), affinché i viventi (hoi zontes) non più a lungo per se stessi (meketi heautois) vivano (zosin), ma per co­ lui che per noi è morto ed è risorto (t6; hyper auton apothanonti kai egerthenti)». Chiarifica il senso di «tutti sono morti». L'opposizione non è più «uno/tutti», ma «morte/vita»; mentre il v. 14bc guarda al passato, all'evento della croce e ai suoi effetti, il v. 15b guarda al futuro della vita cristiana; come pure a differenza del v. 14bc che parla del dono, il v. 15 parla del compito.245 La congiunzione hina = «affinché» introduce lo scopo, ma anche gli effetti del sacrificio della croce:

Ed è morto per tutti affinché i viventi

24 1 242 243

non più a lungo per se stessi vivano ma per colui che per noi è morto ed è risorto

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 310. Cf. FuRNISH, II Corinthians, 310. Alcuni manoscritti anziché eis leggono ei, come particella introduttiva di una protasi, trascu­ rando la relazione che si stabilisce tra I'«Uno» e il «tutti)). 244 L'espressione non significa che tutti hanno sofferto in Cristo. 245 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 95.

Commento ··

164

C'è differenza tra hyper panton = «per tutti» per i quali Cristo è morto, l 'in­ tera umanità senza distinzione di sorta, 246 e hoi zontes = «i viventi», quanti ac­ colgono consapevolmente il dono pasquale.247 Hoi zontes, più che alla vita fisica (Gal 2,20: «questa vita che io vivo nella carne»), si riferisce alla condizione di quelli che, morti al peccato in Cristo, in lui sono risorti alla nuova vita (Rm 6,4.22).248 Il dativo heautois = «per se stessi>> sta per il proprio «iO>> che si auto­ determina fini e mezzi per raggiungere la propria felicità a prescindere da Dio; concezione alla quale Paolo oppone l'espressione «Sono stato crocifisso con Cri­ sto e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me>> (Gal 2,20) , «colui che è mor­ to ed è risorto» per ciascuno di noi. Il concetto è ribadito più volte nelle sue let­ tere: Rm 7,4: «siete stati messi a morte quanto alla legge, per appartenere ad un altro»; 14,8: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore»� l Cor 6,19: «O non sapete ... e che non appartenete a voi stessi?». Morte e risurrezione di Cristo sono inseparabili e hyper aut6n = «per loro» qualifica entrambi. La vi­ ta vissuta per Cristo morto e risorto è un'anticipazione della futura risurrezione: «se, infatti, siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione» (Rm 6,5). Paolo parla spesso di «morire» alla legge (Rm 7,4; Gal 2,1 9), al peccato (Rm 6,2.10-11), al mondo (Gal 6,14).249 v. 16: «Cosl che (hoste) noi d'ora in poi (apo tou nyn) non conosciamo (oi­ damen) più nessuno ( oudena) secondo la carne ( kata sarka ); se anche (ei kai) ab­ biamo conosciuto (egnokamen) Cristo secondo la carne (kata sarka), ma ora non (alla nyn ouketi) conosciamo (gin6skomen) più (così)». Con hoste = «così che» s'introduce una conseguenza di quanto affermato nei vv. 14-15, e in particolare nel v. 14a. Il versetto è composto di due proposizioni: una consecutiva (v. 1 6a) e una ipotetica, con protasi (v. 1 6b) e apodosi (v. 16c). A una proposizione di carattere antropologico (v. 1 6a) ne segue una di carattere cristologico (v. 16bc).250 Per «d'ora in poi» (apo tou nyn) il passo più vicino è ls 48,6-7: «Ora ti faccio udire cose nuove e segrete che nemmeno sospetti. Ora sono create e non da tem­ po, prima di oggi tu non le avevi udite». Hemeis = «noi» si trova in posizione enfatica per l'uso e per la posizione:

Così che noi

d'ora in poi non più nessuno

conosciamo

secondo la carne

Hoste hemeis

apo tou nyn oudena

oidamen

kata sarka

246 Non si può restringere hyper pant6n ai soli credenti, ma bisogna estenderlo all'intera uma­ nità. Cf. D. ABERNATHY, «Paul's ministry of reconciliations: exegeting and transla ting 2 Corinthians 5,11-6,2», in NotesTrans 15(2001 ), 48-64. 247 Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 122. 248 Cf. FuRNISH, II Corinthians, 3 1 1 . 249 Cf. FuRNISH, II Corinthians, 3 1 1 . 250 a. LAMBRECHT, Second Corinthians, 95.

165

2Cor 5,11-6,10

Il pronome ha un valore inclusivo, poiché segue al dato della morte di Cristo «per tutti» (vv. 14-15) ed è seguito dall'inclusivo tis = «qualcuno» al v. 17.251 Oi­ damen = «Stimare» oppure «valutare», come in l Ts 5,12. È da notare il contrasto tra oudena e i precedenti hyper panton-pantes (vv. 14-15). Kata sarka compare diciotto volte nelle lettere autentiche, due in questo ver­ setto. Accanto alJ'uso generico di kata sarka per «Vita fisica» troviamo l'uso preva­ lentemente negativo in Rm 8,4.5.12.13, dove «vita secondo la carne» è messa a con­ fronto con «Vita secondo lo Spirito»; 1Cor 1,26; 2Cor 1 ,17; 10,2.3; 1 1 ,18, per un agi­ re o un operare giudizi in modo «carnale». La prospettiva antecedente alla sua con­ versione era quella del peccato, «carnale», come «persecutore di quelli di CristO>>. A partire dalla sua conversione, Paolo ha cambiato il modo di percepire la realtà. La difficoltà nel nostro brano riguarda l'espressione kata sarka, se debba es­ sere riferita al sostantivo (oudena ) oppure al verbo ( oidamen ) : è preferibile al verbo, giacché l'accento è sulla novità dell'atto del conoscere più che sull'ogget­ to del conoscere. Ei kai è una lezione meglio attestata rispetto a kai ei (F, G). Ei con l'indicativo in genere sta per una «Situazione reale>>, nel nostro caso «ipote­ ticamente reale»,252 evidenziando così la distinzione tra ciò che può essere capi­ tato, almeno ipoteticamente, e ciò che realmente è avvenuto.253 Abbiamo l'uso di ei con il perfetto indicativo egnokamen, al posto del precedente oidamen, senza alcuna variazione di significato, giacché eidenai e ginoskein sono sinonimi: sotto­ lineano una conoscenza non teorica ma esperienziale, esistenziale, morale. Anche il secondo kata sarka può essere riferito sia al sostantivo (Cristo) che al verbo (ginoskomen ) : se anche abbiamo conosciuto secondo la carne Cristo,

ei

kai egnokamen

kata sarka Christon,

ma ora non più conosciamo (così) alla nyn ouketi ginoskomen

Ma pure questa volta è preferibile leggerlo con il verbo, poiché in genere� quando Paolo pone l'espressione in relazione con un nome o nome proprio (Rm 1 ,3; 4,1 ; 9,3.5; 1 Cor 1 ,26; 10,18), lo segue, oppure, se lo precede, lo pone tra l'arti­ colo e il nome (Col 3,22): nel nostro caso lo precede senza articolo. Nyn ouketi = «ora non più», con l'aggiunta della particella alla, stabilisce un forte contrasto con ciò che è affermato come ipotetico. Anche qui, come già in precedenza, al posto di oidamen troviamo il presente ginoskomen. La prima persona plurale continua ad avere un valore inclusivo. Nel partecipare nella fede alla prospettiva di Dio del mistero di Cristo si di­ venta partecipi anche di una nuova realtà comunitaria: quella di popolo di Dio.254 Un nuovo atteggiamento verso Gesù Cristo promuove un nuovo sguardo su quelli per i quali Cristo è morto e risorto.

25 1 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 312. 252 Cf. FURNISH, Il Corinthians, 313. 253 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 313.

254 Cf. HARRIS, The second epistle, 430.

166

Commento

v. 17: «Così che (hoste) se uno (ei tis) (è) in Cristo, (è) creazione nuova (kaine ktisis), le cose vecchie (ta archaia) sono passate (parelthen) , ecco avven­ gono (idou gegonen) cose nuove (kaina)». È difficile stabilire se hoste = «così che» introduca una conseguenza di quan­ to detto al v. 16 o se non abbia alcuna relazione oppure vi si trovi in parallelo. È più ragionevole pensare che sia da connettere con il v. 14bc e il v. 15, giacché sia il v. 16 che il v. 17 concretizzano quanto affermato ai vv. 14-15. La proposizione ipotetica è costituita da una protasi e un'apodosi, con ellis­ se del verbo «essere» in entrambi i casi. Ei tis è adoperato frequentemente da Paolo per ammonimenti (Rm 8,9; lCor 3,12.17; ecc.) ed esortazioni morali (1Cor 7,1 2). Nel nostro passo è adoperato per un'affermazione teologica, come in 1Cor 8,3, e ha un significato inclusivo come la prima plurale del v. 16, dove hemeis si riferisce non solo a Paolo, ma anche ai credenti in Cristo in genere.255 C'è differenza tra l'intera umanità oggetto del dono pasquale di Cristo (v. 14) e l'accoglienza effettiva di tale dono con la fede in Cristo da parte dei cristiani, che produce una novità ontologica assoluta e definitiva (v. 17). Kaine ktisis (el­ littico di esti = «è», identità, oppure «esiste», esistenza) nella Vulgata è tradotto «nova creatura: si qua ergo in Cristo nova creatura, vetera transierunt: ecce [acta sunt omnia nova (se vi è in Cristo una creatura nuova, le cose vecchie sono pas­ sate: ecco tutte le cose sono state fatte nuove)». Se si accetta la traduzione nova creatura si rompe, tuttavia, il parallelismo tra le parti della frase, per cui, anche sulla base del valore dato a kaine ktisis in Gal 6, 15, è preferibile conservare il senso di «nuova creazione» piuttosto che quello di «nuova creatura». Per il con­ cetto, Paolo è debitore all'AT e all'apocalittica giudaica: per l'AT ricordiamo il testo dei LXX di Gen 14,19: «Benedetto Dio Altissimo che ha creato il cielo e la terra (ektisen ton ouranon kai ten gen)» (cf. inoltre Is 42,9; 43,18-19; 48,6; 49,8; 65,17-25; 66,22 ) ; per l'apocalittica tra gli altri quello di l Enoch 72,1 . «Nell'apo­ calittica giudaica la locuzione "nuova creatura (o creazione)" è impiegata solo in riferimento alla palingenesi escatologica»,256 con la differenza che non troviamo mai una qualche idea di anticipazione al presente dell'evento escatologico atte­ so nel futuro.257 Dio in Cristo ha creato una nuova umanità, dando una novità di vita (Rm 6,4: «per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, co­ sì anche noi possiamo camminare in una vita nuova»), cioè una vita in unione con il Cristo risorto ( Gal 2,20: «questa vita nella carne io la vivo nel Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»)� una vita destinata a partecipare nella gloria di Dio (Rm 3,23 ) . Tale opera salvifica contrasta con la circoncisione e le altre opere della legge (Gal 6,15: «Non è infatti la circoncisione che conta,

2SS Cf. FuRNJSH, Il Corinthians, 314. 256 R. PENNA, «Problemi e natura della mistica paolina», in lo., L'apostolo Paolo, 659. 257 Cf. THRALL, A criticai, I, 421-422. ·

2Cor 5,11--6,10

167

né la non circoncisione," ma l'essere nuovà creazione»). La condizione è l'essere in Cristo, il quale è divenuto l'Adamo dell'eschaton attraverso il suo essere «Spi­ rito datore di vita», capo di una nuova umanità, primogenito. La novità che Cri­ sto ha portato è la partecipazione alla sua vita di Risorto, la vita eterna (Gal 6,8: «chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna»), novità sottolineata da Ap 21 ,1 -5 e 2Pt 3,13. Si tratta di una novità derivante da una trasformazione ontologica più che una semplice restaurazione ad opera dello Spirito Santo. 258 L'uso dell'aggettivo archaios = «antico» per il sostantivo ta archaia non lo ri­ troviamo altrove nel NT. Nel Sal 138,5LXX le «cose antiche», archaia, sono con­ trapposte alle «cose ultime», eschata, per indicare la totalità delle cose stesse, ta panta. In Is 43,18-19LXX ta archaia è usato in parallelismo sinonimico con ta p rota = «le prime» e messo in opposizione, come qui, con kaina = «cose nuove», e con ta mel/onta = «le cose che stanno per accadere» in Sap 8,8. Ta archaia al­ lude a tutta l'esperienza umana e spirituale del passato pre-cristiano. Parerchesthai («passare via, svanire») è un verbo tipico della tradizione apo­ calittica (2Pt 3,10: «Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta»; cf. Ap 21 .4). Idou, «ecco», è frequente nel­ la LXX per affermazioni solenni (cf. Is 28, 16 citato in Rm 9,33): visioni celesti (cf. Ap 4,1 .2) ed escatologiche (cf. Le 23,29; Ap 21 ,5). Con lo stesso valore in 2Cor 6,2, due volte, e in l Cor 15,51. Kaina non ha l'articolo e ciò richiama l'attenzione sulla natura della novità, una discontinuità sottolineata con il passaggio dall'aoristo parelthen (cose anti­ che che sono «passate») al perfetto gegonen (per l'attuale novità ontologica).259 Nell'evento Cristo, morte e risurrezione, si opera la ri-creazione, la novità ultima e definitiva.260 È da notare il parallelismo Se uno (è) in Cristo ei tis en Cristo;

nuova creazione kaine ktisis

le cose antiche sono passate, ta archaia parelthen,

ecco avvengono cose nuove idou gegonen kaina

258 Quest'ultima è la tesi sostenuta da M.V. HuBBARD, New creation in Paul's letters and thought, Cambridge (UK)-New York 2002. 259 P. BARNETT ritiene che soggetto di gegona sia ta archaia e non kaina: «le cose vecchie sono passate; ecco, esse sono diventate nuove)) (cf. The second epistle to the Corinthians, Grand Rapids [MI] - Cambridge [UK] 1997, 296-299). Ma questa traduzione è dubbia, giacché è difficile immagi­ nare che dopo idou la stessa espressione ta archaia sia il soggetto del verbo gegonen. 260 Per il rapporto tra nuova creazione e riconciliazione in 2Cor 5,14-21 cf. W.H. GLOER, An exe­ getical and theological study of Paul's understanding of new creation and reconciliation in 2Cor 5,1421 , Lewiston (NY)-Queenston (Ont.)-Lampeter (UK) 1996.

168

Commento

Lo schema dimostra che «il vangelo di Paolo ha la radicale novità della nuo­ va creazione». 26 1 Con la fede, l'uomo viene ricreato e la realtà ultima e definitiva, quella esca­ tologica, viene anticipata nell'oggi. Il credente appartiene già alla «nuova crea­ zione», il suo agire infatti è un procedere in novità di vita (Rm 6,4) sotto l'azio­ ne dello Spirito Santo (l Cor 2,12: «Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato»). ac­ cogliendo i fratelli nella luce dell'amore di Cristo (2Cor 5,16). vv. 18-19: il discorso si focalizza ora sull'agire di Dio, che diventa protagoni­ sta e soggetto dei verbi, mentre Cristo è presentato come mediatore dell'opera salvifica (vv. 14-17). La prospettiva da cristologica diventa teologica, con l'intro­ duzione del concetto della riconciliazione. Il cambiamento riguarda anche i de­ stinatari, giacché da pantes del v. 14s si passa a kosmos, autois (v. 19): l'umanità.

v. 18: «Ma tutte le cose (ta de panta) (provengono) da Dio (ek tou Theou) che ha riconciliato (tou katallaxantos) a sé (heauto;) noi (hemas) per mezzo di Cristo (dia Christou) e ha dato (kai dontos) a noi (hemin) il ministero della ri­ concil i azione (ten diakonian tes katallages)». La posizione enfatica di ta panta (v. 18a):

Ma tutte le cose (provengono) da Dio che ha riconciliato... Ta de panta ek tou Theou tou katallaxantos. ..

richiama e sottolinea il contenuto dei vv. 14-17, contenuto visto ora alla luce del­ la volontà riconciliatrice di Dio. L'iniziativa di tutto il bene del mondo è sua. L'insieme dell'azione di Dio in Cristo, ek tou Theou (5,1 8a), è spiegato da frasi participiali (tou katallaxantos - kai dontos ) con l'ellisse della copula, che dal pun­ to di vista sintattico danno l'idea della volontà assoluta di Dio di operare la sal­ vezza dell'umanità in Cristo. La formula ta panta ek tou Theou ricorda quella di Rm 1 1 ,36: «Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose» (cf. Sir 43,26.27.33; lCor 8,6; 1 1 ,12; Ef 3,9; 4,6; Col 1,16-17; Eb 1 ,3). Il verbo katallassein è adoperato con il sostantivo katallage solo qui nel NT, ed entrambi ritornano, rispettivamente, nei versetti seguenti: - katallassein ai vv. 19.20 (altrove in Rm 5,10. 1 1 ; 1Cor 7,1 1 ; il composto apokatallassein in Ef 2,16; Col 1 ,20); - katallage al v. 19 (altrove in Rm 5,1 1 ; 1 1 ,15). Nella LXX il verbo è attestato in 2Mac 1 ,5; 7,33; 8,29 per Dio che ascolta la pre­ ghiera del suo popolo e si riconcilia con lui. ,

261 H.J. HooVER,

The concept of New Creation in the /etters of Paul, Ann Arbor 1979, 186.

2Cor 5,11--6,10

169

Il participio aoristo katallaxantos indica il dato della riconciliazione come un fatto avvenuto una volta per sempre nel passato262 ed hemas, come il preceden­ te tis (v. 17), ha valore inclusivo per tutti i credenti. Il contenuto di dia Christou, «per mezzo di Cristo», è stato specificato dai vv. 14-1 5: ci ha riconciliati attraver­ so la morte e la risurrezione di Cristo (cf. Rm 5,10). Lo stesso agape, che ha ri­ conciliato tutti con Dio, lo ha reso (dontos hemin, «dando a noi», anche qui l'ao­ risto per un fatto storicamente collocato) ministro della «grazia» , charis, della ri­ conciliazione. La riconciliazione scaturisce infatti dalla morte di Cristo e rag­ giunge i destinatari mediante il ministero, la diakonia tes katallages, che consiste nell'annuncio della «parola della riconciliazione» (5,19). Essa costituisce la ra­ gion d'essere della nuova creazione, l'opera escatologica di Dio in Cristo, attua­ ta mediante la remissione dei peccati (dikaiosyne). Tanto più sorprendente, per­ ché il soggetto della riconciliazione è Dio e non l 'uomo. Lo sfondo del termine katallagé è greco-romano: nell'AT non abbiamo in­ fatti parole ebraiche o aramaiche per questo concetto, mentre ci sono abbon­ danti esempi dell'uso del sostantivo e del verbo nella koine, per esprimere un cambiamento nelle relazioni tra individui, gruppi o nazioni e per la riconcilia­ zione tra dèi e uomini, con il passaggio da ostilità ad amicizia. Paolo parla sem­ pre di Dio o Cristo che riconcilia a sé gli uomini, i nemici o i peccatori, attraver­ so Cristo (Rm 5,10-1 1 ), in una prospettiva cosmica («Dio ha riconciliato il mon­ do a sé»: 2Cor 5,19; in Col ed Ef è connesso al ruolo cosmico del Cristo risorto, Col 1 ,20-22).263 v. 19: «poiché (hos hoti) Dio era (en) in Cristo (en Christ6;) riconciliante ( ka­ tallasson) (il) mondo (kosmon) a sé (heaut6;), non computando (me logizome­ nos) a loro (autois) le loro azioni peccaminose (ta parapt6mata auton) e ponen­ do (kai themenos) in noi (en hemin) la parola della riconciliazione (ton logon tes katallages)». Viene sviluppato ciò che è detto nel v. 18 (hos ho ti, «poiché»): la volontà di riconciliazione di Dio nella morte e nella risurrezione di Cristo (cf. l'enfasi al v. 1 9c su en Cristo;), con parallelismo nella struttura e nel contenuto:

poiché Dio era

in

Cristo

riconciliante (il) mondo a sé non computando a loro le loro azioni peccaminose e ponendo in noi la parola della riconciliazione

L'interpretazione della prima parte è problematica a motivo dell'ordine del­ le parole: «poiché Dio era in Cristo mondo riconciliante con se stesso». Abbia­ mo tre possibilità: a) «Dio era in Cristo che riconciliava il mondo con se stesso»

262 Secondo S. KrM ( «2Cor 5,1 1-21 and the origin of Paul's concept of "reconciliation"», in NT 39[1997], 360-384) l'origine della metafora soteriologica della «riconciliazione» sarebbe da indivi­ duare nell'esperienza di Damasco. 263 Cf. J.A. FnzMYER, «Teologia Paolina», in NGCB, 82:72.

170

Commento

. (en considerato indipendente da katallass6n ) ; b) «Dio in Cristo era riconcili ànte il mondo con se stesso>> (en katallasson, imperfetto perifrastico) ; c) «era Dio che in Cristo era riconciliante il mondo con se stesso» ( Theos come predicato di en). È preferibile la seconda, poiché accentua l'unità dell'agire divino con l'imper­ fetto perifrastico, che esprime la durata e la totalità dell'azione salvi fica colta nel suo svolgersi nel passato. «In Cristo» ovvero «attraverso Cristo» (cf. v. 18). Oggetto della riconciliazione è il kosmos, non hemas, «noi» (v. 18). Kosmos per Paolo, in questo caso, sta per «tutti gli uomini nel loro stato di perdizione di fronte a Dio».264 Rm 3,19: «tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio». È l'umanità estraniatasi da Dio e dominata dal peccato; sono tutti gli uo­ mini sotto il potere del peccato, portati a un totale contrasto con Dio, contrasto non compreso nella sua gravità, perché schiavi della caducità e per questo sotto­ posti al giudizio di condanna di Dio (Rm 5,12: «come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato»; 1 Cor 7,31 ; 1 1 ,32: «quan­ do poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non essere condanna­ ti insieme a questo mondo»). Me logizomenos autois ta paraptomata auton, «non computando a loro i loro peccati», è una ripresa quasi letterale del Sal 31 ,2LXX: «Beato l'uomo a cui Dio non imputa (hou ou me logisetai Kyrios hamartian) alcun male» (testo citato in Rm 4,8). Il participio presente logizomenos indica un'azione continua nel pre­ sente che si distingue dalla costruzione perifrastica della prima parte del v. 1 9. Il verbo logizesthai nel greco profano appartiene al campo semantico del commer­ cio: «per un verso si indica l'oggettivo "calcolare/conteggiare" un valore e un de­ bito nel commercio; dall'altro nella filosofia classica viene indicato dai filosofi l"'accertamento" oggettivo di una situazione».265 Nella LXX è adoperato con il valore di «accreditare come» in ambito cultuale (cf. Lv 7,18; 17,4). Paraptomata, da parapiptein, «sbagliarsi, staccarsi, abbandonare, rinnegare, cadere in errore», indica la singola violazione, per lo più nei confronti di Dio, che fa «decadere» dallo stato di salvezza, a differenza di hamartia «intesa come forza e sciagura/fa­ talità» . 266 Abbiamo la concordanza ad sensum del pronome di terza persona plurale (auton = «di loro» e autois «a loro») con la parola kosmon. Themenos è un ao­ risto participio che contrasta con me logizomenos e si accorda invece con gli ao­ risti katallaxontos e dontos del v. 18: Paolo ha ricevuto come dato di fatto la mis­ sione di proclamare la Parola/il dono della riconciliazione. =

264 H . BALZ, «kosmos», in D ENT, II, 86. Per 1o sfondo greco-romano del concetto paolino di kosmos e ktisis, cf. E. ADAMS, Construing the World. A study in Paul's cosmologica/ language, Edinburgh 2000. 265 H.-W. BARTSCH, «logizomai», in DENT, 11, 197. 266 M. WoLTER, «paraptoma», in DENT, II, 793.

2Cor 5,11-6,10

171

La riconciliazione verticale con Dio in Cristo fonda ed è la garanzia della ri­ conciliazione orizzontale tra Paolo e la comunità e tra i membri della stessa co­ munità.267 v. 20: «Dunque fungiamo da inviati con la piena autorità di Cristo, in quan­ to Dio esorta per mezzo nostro. (Vi) supplichiamo con la piena autorità di Cri­ sto: lasciatevi riconciliare con Dio». La presenza di «dunque» ( oun) attesta lo sviluppo dell'argomentazione dei vv. 14-1 8s. Dal passato (aoristo e imperfetto dei vv. 18-19) si passa al presente. Paolo da oggetto e destinatario diventa soggetto e mediatore, inviato hyper Cri­ stou, latore dell'esortazione di Dio (presbeuein e parakalein stanno per l'identità dell'apostolo e la funzione). Questo è ancora più evidente dalla struttura con­ centrica del testo greco:

Con la piena autorità di Cristo dunque fungiamo da inviati, Hyper Christou

oun

presbeuomen

in quanto Dio esorta per mezzo nostro. hos tou Theou parakalountos di'hemon:

supplichiamo con la piena autorità di Cristo: deometha

hyper Christou kallagete tih Theo1 lasciatevi riconciliare con

Dio.

L'espressione hyper Christou apre e chiude infatti l'affermazione dell 'auto­ rità dell'apostolo, prima dell'appello ad accogliere la riconciliazione. Il vangelo è l'estensione dell'evento Cristo, di cui Paolo è l'ambasciatore, per il carattere uf­ ficiale del messaggio di riconciliazione da lui recato (cf. 2Sam 10 dove si parla di ambasciatori che devono essere rispettati come il re che li manda). Il verbo pre­ sbeuomen, assente nella LXX, nel NT si trova ancora in Ef 6,20. Lo scarso im­ piego è dovuto alla diversa concezione dell'istituzione giuridica. In ambito gre­ co infatti il messaggero rappresenta la comunità che lo invia e nel cui nome può trattare (Erodoto, Hist. V, 93: «Sosicle delegato di Corinto parlò così . . »). Hyper Christou non equivale a «in favore di», né a «al posto di», ma a «con la piena au­ torità di Cristo» (cf. 1 Cor 1 ,17; Rm 10,15). I corinzi possono riconoscere la sua identità dalla qualità dell'esortazione.268 Il genitivo assoluto hos tou Theou parakalountos. inserito in posizione concen­ trica tra le due azioni dell'apostolo, indica la base ultima del suo agire: Dio rea­ lizza la sua volontà redentrice in Cristo, volontà che comunica alla comunità cri­ stiana mediante il suo inviato (hyper Christou). L'iniziativa dell'annuncio resta .

ministry of reconcitiation», in Bible Today 40(2002). 25-31 . 268 Non bisogna dimenticare che il testo di 5.1 4-21 diventa più significativo alla luce della situa­ zione storica e dei problemi esistenti tra lui e la comunità, problemi che Paolo legge a un livello spi­ rituale. Cf. R. SARKIO, «Die Versohnung mit Gott - und mit Paulus. Zur Bedeutung der Gemeindesi­ tuation in Korinth fiir 2 Kor 5,14-21 >>. in StudTheo/ 52( 1998), 29-42. 'Hl7 Cf. v. KoPERSKI. «Pau1's

Commento

112

di Dio: «in quanto Dio esorta)), e non «come se Dio esortasse)) (cf. versione CEI). Lo fa rilevare Lyonnet che aggiunge: « .. .la congiunzione greca usata qui hòs in­ dica una realtà non una supposizione, come per esempio san Giovanni nel pro­ logo afferma che egli ha contemplato la gloria del logos, non "come se fosse (hos) il Figlio unigenito del Padre", ... ma "in quanto gloria dell'Unigenito"».269 Il verbo deomai è adoperato in Rm 1 ,10 e 1Ts 3,10 per le invocazioni a Dio, in 2Cor 8,4 per le richieste dei macedoni a Paolo. L'apostolo lo adopera per le sue esortazioni ai destinatari ancora in 2Cor 10,2; Gal 4,12. Il verbo di per sé non si addice a un ambasciatore, ma rispecchia l'umiltà della croce che ha il potere di riconciliare270 e di cui egli vive gli atteggiamenti (1Cor 9,19: «mi sono fatto ser­ vo di tutti per guadagnarne il maggior numero»). La ripetizione di hyper Christou enfatizza l'autorevolezza del suo invito. L'imperativo katallagete to; Theo; ha valore di passivo divino in considerazione di quanto afferma in 6,1 -2, ma possiamo scorgervi anche il valore medio, ovvero sia il significato passivo della ricezione, sia quello della volontà dell'accoglienza del dono (per un simile uso grammaticale deli 'imperativo deponente cf. kata/­ lageto in l Cor 7,1 1 e diallagethi in M t 5,24271 ). L'imperativo aoristo suggerisce un'azione unica, che deve ripetersi ogni volta come decisione concreta.272 Ov­ viamente non si tratta di una decisione di non convertiti, ma di convertiti chia­ mati a rinnovare ogni giorno la riconciliazione con Dio (il dativo to; Theo; ha va­ lore sia di termine che d'agente). v. 21: «(Dio) fece peccato a nostro favore colui che non conobbe la forza cor­ ruttiva del peccato, affinché noi diventiamo stato di giustizia di Dio in lui». Paolo fonda la portata decisiva della sua esortazione sul dato dell'assoluta gratuità e straordinarietà del mistero di giustizia operatosi in Cristo. L'espressione hamartian ginoskein «conoscere peccato» la ritroviamo in Rm 3,20; 7,7. Nell'accezione semitica ginoskein sta per una conoscenza espe­ rienziale che, nel nostro caso, è negata in relazione alla persona di Cristo: egli non ha fatto l'esperienza del peccato né quella dell'assoggettamento al potere di corruzione del peccato. L'accento è sul pronome relativo ton collocato all'inizio della frase del testo greco e che sta per Dio, il quale epoiesen («fece») Cristo ha­ martian («peccato»): =

colui che non conobbe (la) forza corruttiva del peccato a nostro favore peccato fece ton me gnonta

hamartian

hyper hem6n hamartian epoièsen

affinché noi diventiamo stato di giustizia

di Dio in lui.

hina hemeis gen6metha dikaiosyne

Theou en auto;

269 S. LYoNNET, «La riconciliazione nei libri del NT alla luce dell'AT. Dimensione divin� della redenzione», in DIOCESI DI VERONA, Atti della 2a settimana di riflessione teologica, Verona 1 984, 88-89. 2 7° Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 131. 27 1 C f. LAMBRECHT, Second CÒ rinthians, 100. 272 Cf. M. CARREZ, «Discussions)), in DE LoRENZI (ed.), The diakonia, 208.

2Cor 5,1 1-6,10

173

Mentre ogni uomo «conosce il peccato» e diventa peccato, partecipando del­ la sua realtà e diventando un tutt'uno in lui, Cristo ha assunto la condizione del peccatore in forza del progetto salvifico del Padre, ferma restando la distinzione tra la sua persona e il peccato, che non ha mai conosciuto e a cui non si è in nes­ sun modo mai unito (Rm 8,3: «mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato»; Gal 3,13: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno>>). Due le possibili interpretazioni di hamartia: l'una del Cristo come colui che offre l'offerta per il peccato e l'altra del Cristo che soffre come un peccatore.273 È senz'altro da preferire la prima, tenendo conto sia dell'offerta del Servo di Is 53,10 che del valore sacrificale della croce.274 A questo si aggiunge il duplice si­ gnificato del termine ebraico corrispondente ad hamartia, cioè J.ui!lii't in Lv 5,5-6: «peccato>> e «sacrificio per il peccato>>.275 L'espressione hyper hem6n equivale sia «a nostro vantaggio», che «al nostro posto». Al «fare peccato» segue paral­ lelamente il «diventare giustizia di Dio>> del peccatore en aut6i, «in lui» , in Cri­ sto. Ginesthai sottolinea il processo del «diventare giustizia di Dio», cioè rivela­ zione del potere salvifico di santificazione e redenzione del peccatore da parte di Dio.276 Dikaiosyne è adoperato nell'AT per la relazione tra Dio e gli uomini, tra re e cittadini, tra fratelli e sorelle, tra vicini. Dikaios è colui che è difeso in tribuna­ le davanti al giudice (Es 23,7: «non far morire l'innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole»). Nell' AT la giustizia davanti a Dio è difficile da rag­ giungere (Gb 4,17: «Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l'uo­ mo davanti al suo Creatore?»). Ma Dio rivela e dona la sua giustizia attraverso la sua misericordia: «Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso»

273 Cf. THRALL, A criticai, I, 440ss. In 2Cor 5,14-6,10 Paolo si rifà costantemente alla lett ura escatologica di Is 40-66. In particolare in 2Cor 5,14-21 propone l'identità narrativa tra il Servo di Y HWH e quella di Cristo (cf. l'immagine dell'offerta vicaria e dei relativi effetti di 5,21), mentre in 2Cor 6,3-10 è Paolo stesso che si narra e descrive con le caratteristice del Servo di Is 53--66. Cf. M. GJGNILLIAT, «A servant follower of the Servant: Paul's eschatological reading of Isaiah 40-66 in 2 Corinthians 5,14-6,10», in HorBib Theo/ 26(2004), 98- 124. 274 Per il tema della morte di Cristo come sacrificio di espiazione secondo Rm 3,21 -26 e 2Cor 5,14-21 cf. W. KRAUS, >). Il doppio nyn, «ora», compare già in 5,16 (cf. Rm 3,21 .26; 5,9. 1 1 ; 6,22; 7,6; 8,1). Hemera soterias sta per l'ebraico yom yesu 'iih, adoperato da Isaia. «Sal­ vezza» in 2Cor si ha ancora in 1 ,6 e 7,10. Con l'espressione «giorno della salvez­ za» si fa riferimento al giorno escatologico, come in Rm 2,5. In l Ts 5,5 si parla dei «figli del giorno», per quanti sperano nella venuta «nuova» e ultima di Cristo. L'appello assume diversi significati a seconda della prospettiva: a) dal punto di vista escatologico, esprime il carattere decisivo del presente; b) nella prospet­ tiva cristologica, il dono offerto nell'evento pasquale di morte e risurrezione, sor­ gente di riconciliazione per il mondo; c) in quella ecclesiologica, la chiamata dei corinzi alla comunione ecclesiale attraverso il ministero; d) nella dimensione teologica, il «tempo gradito a Dio», tempo culminante dell'azione salvifica di Dio Padre in Cristo nello Spirito, reso attuale dalla predicazione a Corinto.281 L'oggi della nuova creazione, il presente del tempo che verrà, è fondato sul­ la persona e l'opera di Cristo.282 L'apostolo, annunciando l'evento della riconci­ liazione, la rende presente ed efficace. B.4.2 - Le referenze come servo di Dio: prove e virtù (6,3-10)

La qualità dell'appello precedente di Paolo viene ora documentata attraver­ so il catalogo delle virtù e delle prove, che rendono visibile la rettitudine e la ra­ gionevolezza del suo vanto apostolico davanti a Dio e a tutti i suoi uditori. Il brano è dipendente grammaticalmente da 6,1. Dal punto di vista tematico è concentrato sulla raccomandazione di 6,4a, che costituisce la tesi da dimostra­ re: «ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio». Il genere è apologeti­ co. Mentre in 4,7ss Paolo fa la sua apologia con lo scopo di fondare teologica­ mente il ministero, in 6.4ss l'apologia è finalizzata a sostenere l'appello alla ri­ conciliazione con Dio. Infatti i vv. 6,3-4a si legano strettamente a 6,la: gramma­ ticalmente i participi didontes = «dando» e synistantes = «raccomandando» sono subordinati a parakaloumen, mentre contenutisticamente synergountes e diako­ nialdiakonoi appartengono allo stesso campo semantico. 6•3Non dando in niente alcuna occasione di scandalo, affinché non sia biasi­ mato il ministero, 4ma in ogni cosa raccomandando noi stessi come ministri di Dio con grande pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, 5nelle battiture, nelle prigioni, nelle rivolte, nelle fatiche, nelle notti di veglia, nei digiuni; 6con purezza, con conoscenza, con benevolenza, con rettitudine, con Spirito Santo, con amore sincero, 7nella parola di verità, con potenza di Dio, 281

Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 108-1> richiama 3,1 e 5,12. vv. 4b-S: «con grande pazienza (en hypomoné; polle;), nelle tribolazioni ( en thlipsesin), nelle necessità (en anankais), nelle angustie (en stenochoriais), 5nelle battiture (plegais), nelle prigioni (en phylakais) , nelle rivolte (en hakatastasiais), nelle fatiche (en kopois ), nelle notti di veglia (en agrypniais ) , nei digiuni (en ne­ steiais ) » . Seguono nove tipi di situazioni di prove al plurale. Il racconto ha un paralle­ lo nelle peristaseis di 1 1 ,23ss: cinque dei sei termini del v. 5 compaiono infatti in 1 1,23.27; quattro di essi (plege, phylake, agrypnia e nesteia) unicamente in Paolo e solo in 2Cor ai cc. 6 e 1 1 .285 Quale soprascritta abbiamo la virtù della hypomone (al singolare), ovvero la fermezza e la costanza nelle prove, capacità elargita da Dio (cf. Rm 15,4ss; Col 1,1 1 ). L'elenco delle prove costituisce il campo di azione della virtù della «pazienza», qualificata da polle, «molta». In 12,12 la «pazienza» è posta tra i criteri di verifica d eli 'identità apostolica.

285 Cf. THRALL, A criticai, I, 457.

180

Commento

«Tribolazioni», thlipsis (6,4), sta per l'insieme delle prove che «schiacciano, pestano» (il significato della radice verbale di thlipsis) . Non dice di soffrire per queste cause, ma prende atto della loro presenza nella sua vita apostolica, come segno della propria diaconia (6,4). Segue la condizione di «necessità», ananke (6,4), con l'idea di essere senza via di scampo a livello interiore ed esteriore. In genere il sostantivo è adoperato per persecuzioni, ostilità, malattie sia collettive che individuali di ogni tipo, come prove permesse da Dio. Sofonia parla di una hemera thlipseos kai anankes («giorno di tribolazione e di necessità»), per il gior­ no di YHWH, intravisto come giorno del giudizio (Sof 1 ,15). Nel NT è usato qua­ le sinonimo di thlipsis per le tribolazioni che subiscono i credenti dall'esterno senza poter rendersi conto chiaramente donde siano provocate, lette alla luce del piano della salvezza.286 «Angustie», stenochoria (6,4), compare quattro volte nel NT: 2 in Rm; 2 in 2Cor, e deriva da stenos = «Stretto» e choria = «Spazio», per cui «Strettezza, oppressione, difficoltà» (esterne e interne). Il vocabolo ha una sfu­ matura escatologica in riferimento alle tribolazioni di Cristo {cf. 12,10): in conti­ nuità con il dei, «è necessario», che soffra di Cristo, i credenti sperimentano la sua passione. Paolo subisce «percosse» (plege, 6,5) e maltrattamenti, come tutti gli altri cri­ stiani durante i tempi di persecuzione. Il termine plege, sinonimo di kolaphizein, per il caricare di botte (At 16,23), è impiegato per una ferita a causa di una per­ cossa (cf. Is 1 ,6; Ap 13,3.14; l'episodio di Paolo e Sila in At 16,23 dove troviamo an­ che phylake: «e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione» ),287 una del­ le tribolazioni dei giusti deli'AT (Gb 1 1 ,36) e dei credenti in Gesù {Ap 2,10, in que­ sto caso autore della persecuzione è detto il diavolo ).288 In 1 1,24 Paolo ricorda che per ben cinque volte ha ricevuto i 39 colpi di battitura da parte dei giudei. All'elenco si aggiungono poi rivolte e sollevazioni contro la sua attività evan­ gelizzatrice: akatastasia (6,5), usato in opposizione a eirene, con il significato di «rivolgimento politico, rivolta» ( 12,20; Le 21 ,9), come sinonimo di tarache, e quello di «agitazione personale, irrequietezza, inquietudine» (cf. 1 Cor 14,33 ).289 Segue il terzo gruppo di aspetti tipici dell'apostolato. Paolo sopporta fatiche estenuanti (kopos, 6,5) per non vivere alle spalle delle comunità in cui predica­ va. Kopos, dal verbo kopian = «fare un grande sforzo, affaticarsi», nel senso di «essere sfinito/estenuato». Nel NT sta per «fatica», ogni sofferenza fisica e mo­ rale che produce stanchezza, spossatezza, abbattimento del corpo. L'apostolo se ne serve per indicare il proprio lavoro manuale per non pesare sulle comunità in cui predicava (lTs 3,8) e spesso per la fatica del ministero { l Cor 15,10: «Anzi, ho faticato più di tutti loro» gli altri predicatori; l Ts 3,5: «per timore che il tentato­ re vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica»). Il lavorare nella co286 Cf. W. GRUNDMANN, « anankes» , in GLNT, l, 931-938; R. MoRGENllf ALER, «necessità, ananke», in DCB, 1086-1 087. 287 Cf. W. MuNDLE, «pena/kolaphizo», in DCB, 1257-1258. 288 Cf. G. BERTRAM, «phylake», in GLNT, XV, 187-1 94. 289 Cf. A. 0EPKE, «akatastasia», in GLNT, IV, 1341-1342.

181

2Cor 5,1 1-6,10

munità e per la comunità è un lavorare per Cristo: grave, spossante peso, che è anche motivo di orgoglio e di gioia. Non c'è vita cristiana né ministero apostoli­ co senza un duro, sfibrante e continuo lavoro.290 Paolo infatti affronta fatiche ta­ li da richiedere spesso la rinuncia alle esigenze più elementari come il cibo (ne­ steia, 6,5). Il contesto non mette in rilievo in 6,5 la dimensione religiosa dei di­ giuni, quanto invece le volontarie astensioni dal cibo per provvedere con il lavo­ ro al proprio mantenimento, poiché l'aspetto religioso della sua vita viene evi­ denziato in 6,6-7, mediante il vocabolario delle virtù. Nesteia nel NT ricorre 5 volte: l in Le; 2 in At; 2 in 2Cor. Nella LXX circa 25 volte nel senso di digiuno volontario causato dalle necessità apostoliche. La durezza del suo vivere è data, oltre che dalle persecuzioni, anche dalla mancanza di riposo: agrypnia, solo 2 vol­ te nel NT, nella 2Cor; nella LXX 7 volte. Da A. Oepke il sostantivo è messo in relazione con egeirein/gregorein;291 da A. Bailly (Dictionnaire Grec-Français) in­ vece con agrein/agra-hypnos: «che cerca/caccia il sonno». In Sir 42,9 ha il signifi­ cato traslato di «preoccupazione», e quindi l'essere sveglio a motivo di ansietà o circostanze esterne. vv. 6-7: «con purezza (en agnoteti), con conoscenza (en gnosei), con benevo­ lenza (en makrothymùi;), con rettitudine (en chrestoteti), con Spirito Santo (en pneumati hagi6;), con amore sincero (en agape; anypokrito;), 7nella parola di ve­ rità (en log6; aletheias ), con potenza di Dio ( en dynamei Theou ) mediante le ar­ mi della giustizia proprie della mano destra e di quella sinistra (dia ton hop/an tes dikaiosynes ton dexion kai haristeron )». Sono nove le virtù (dieci con hypomone del v. 4) che caratterizzano il suo sti­ le di vita e che dimostrano il potere di Dio operante in lui. «Purezza»: hagnotes compare solo in 6,6 e in qualche testimone del testo in 1 1 ,3. L'aggettivo hagnos è adoperato per il comportamento «puro», «retto>> dei fratelli (Fil 4,8) e in par­ ticolare delle spose (Tt 2,5; l Pt 3,2), nonché per il candidato al ministero (l Tm 5,22). In 2Cor 1 1 ,2 dice il desiderio di presentare la Chiesa di Corinto a Cristo come vergine «pura», «casta>>, caratteristica a loro riconosciuta in 2Cor 7,1 1 .292 Nell'elenco segue la virtù della «conoscenza», dono dello Spirito in l Cor 12,8 e che Dio stesso gli ha rivelato (4,6; Gal 1,15-16; cf. 2Cor 10,5). Poi «benevolen­ za>> (makrothymia ) adoperato in genere per Dio e connesso con la sua miseri­ cordia: la «pazienza>>, la «longanimità» divina nei riguardi dell'umanità e soprat­ tutto dei peccatori (cf. 2Pt 3,9. 15). In riferimento al cristiano designa la virtù del­ la pazienza che rende capaci di attendere con fiducia le promesse di Dio e di ave­ re il controllo dell'ira erompente dall'interno dell'uomo verso l'avversario (cf. Gc 5,7).293 «Rettitudine»: chrestotes nella LXX designa la disposizione di Dio a ,

,

290

29 1 292 293

Cf. C. SPICQ, «kopiaò», in Note di /essicografia neotestamentaria, Brescia 1988-1994, II, 905-914. Cf. A. 0EPKE, «gregore6», in GLNT, III, 32-34. Cf. H. BALZ. «hagnos», in DENT, l, 54-56. Cf. H.W. HoLLANDER, «makrothymia», in DENT, II, 262-264.

Commento

1 82

un «agire improntato a bontà e grazia (insieme coi beni di gioia e salvezza che ne derivano come suo dono )»,294 cf. Rm 2,4 per la «ricchezza della bontà>> divina (ploutos tes chrestotetos). In riferimento all'uomo esprime la disponibilità a ve­ nire incontro all'avversario con gentilezza per conquistarlo. Makrothymia e chrestotes compaiono insieme in Rm 2,4; 1 Cor 1 3,4; Gal 5,22; Col 3,12. Sorprende la presenza tra le virtù dell'espressione en pneumati hagi6;. Alcu­ ni la intendono come «spirito di santità>>, altri «Spirito Santo», per il comporta­ mento di Paolo secondo le mozioni dello Spirito nell'agire e pensare.295 Il signi­ ficato di «spirito di santità» se da un lato permette una lettura più logica e unifor­ me con il contesto, dall'altro rischia di impoverirne il valore. Paolo sta argomen­ tando sui segni che lo accreditano come ministro di Dio e, dopo aver parlato del­ le tribolazioni, si sofferma sui criteri morali dell'agire apostolico: purezza, cono­ scenza del mistero, tolleranza e gentilezza. En pneumati hagi6; è la prima di quat­ tro espressioni strutturabili in modo concentrico: con Spirito Santo en pneumati hag_ùit,

con amore sincero,

en agape; anypokritkò;, 6,7

con parola di verità,

en log6; a/etheias,

con potenza di Dio en dynamei Theou:

All'esterno il riferimento allo Spirito Santo e alla potenza di Dio, al centro l'amore senza ipocrisia e la parola di verità. Le espressioni centrali hanno sia l'aggettivo che il complemento di specificazione accomunati dall'alfa privativo che nega nel primo caso -hypokritos (da hypokrisis, «insincerità» ), nel secondo -letheia (da lanthanein, «nascondere»). Paolo attesta il suo amore senza finzioni e la sua parola secondo verità, due temi basilari nell'argomentazione dei cc. 1-7. Mentre l' «amore» è associato allo «Spirito Santo», la «parola» alla «potenza di Dio». Risulta evidente come l'espressione en pneumati hagio; sia da intendere in rapporto alla persona dello Spirito Santo per l'inclusione con «potenza di Dio», come origine delle virtù, sorgente della purezza, scienza, pazienza e bontà del­ l'apostolo, poiché in lui è al lavoro lo Spirito di Dio (cf. per i doni dello Spirito lCor 12,8; Gal 5,22). Agape anypokritos in genere definisce la genuinità dell'a­ more cristiano in Rm 1 2,9; 1 Pt 1 ,22. Il genitivo aletheias può essere inteso come esplicativo («parola che è verità») in riferimento al vangelo (cf. Col l,5; Ef 1 ,13) oppure come oggettivo («proclamazione della verità»).

294 J. ZMuEwsKr, «chrestotes)), in DENT, II, 1 925. 295 Per la discussione delle varie ipotesi cf. FuRNISH, Il Corinthians, 345; MARTIN, 2 Corinthians, 176-177.

2Cor 5,1 1--6,10

183

Quanto all'espressione «le armi della giustizia» la si può interpretare in vari modi, secondo il valore del genitivo dikaiosyne e i significati dati allo stesso ter­ mine: quale genitivo oggettivo o di contenuto «armi consistenti nella giustizia», con «giustizia» nel senso di comportamento morale (cf. Rm 6,13); come genitivo di qualità ovvero aggettivo: «armi giuste», conservando di «giustizia» l'accezione morale; come genitivo soggettivo: «armi offerte dalla giustizia», cioè dalla giusti­ zia di Dio (cf. Rm 1 ,16-17). È preferibile il primo significato dato che il contesto focalizza l'atteggiamento dell'apostolo. «Armi» ancora in 2Cor 10,4: «le nostre armi di guerra» (cf. Rm 13,12 «le armi della luce» e soprattutto l Ts 5,8 la coraz­ za della fede e dell'amore, l'elmo della speranza della salvezza). «Nella destra e nella sinistra» potrebbe alludere ad armi della destra «per l'attacco» (la spada impugnata con la destra») e ad armi della sinistra «per la difesa» (Io scudo im­ pugnato con la sinistra). L'apostolo è equipaggiato degli atteggiamenti che con­ tribuiscono a diffondere e difendere lo splendore e la santità del vangelo. vv. 8-10: «attraverso gloria e disonore (dia doxes kai hatimias), cattiva fama e buona fama (dia dysphemias kai euphemias) , come menzogneri e veritieri (hos planoi kai aletheis); 9come sconosciuti e conosciutissimi (hos agnooumenoi kai epiginoskomenoi), come morenti ed ecco viviamo (hos apothne;skontes kai idou zomen ) come puniti ma non abbandonati alla morte (hos paideuomenoi kai me thanatoumenoi), 10come afflitti, ma sempre lieti (hos lypoumenoi aei de chairon­ tes), come poveri ma capaci di arricchire molti (hos ptochoi pollous de plouti­ zontes), come non avendo nulla e possedendo tutto (hos meden echontes kai pan­ ta katechontes)». Una tipicità del vero apostolo è l'essere da tutti disprezzato e calunniato, l'es­ sere sconosciuto agli occhi del mondo giacché non rientra nelle grandezze terre­ ne ma in quelle del cielo. «Disonore»: atimia (6,8) è composto dall'alfa privativo più il sostantivo time, che nel NT indica il riconoscimento della dignità propria di una carica o di uno stato sociale, di qui atimia per «disonore».296 «Cattiva fa­ ma», dysphemia (6,8), è l'opposto di euphemia, «buona reputazione». Il sostanti­ vo dysphemia sta per l'atto del «calunniare, diffamare», in senso morale, oppure per il semplice «senza onore, irrilevante». «Menzogneri»: planos deriva da pla­ nan che all'attivo si può rendere con «sviare», al medio e al passivo invece con «Sbagliare strada, essere sviato»; di qui il significato dell'aggettivo «incostante, instabile, ingannevole». Gli apostoli, benché al servizio della verità, sono ritenu­ ti «seduttori» a motivo del rifiuto degli avversari di accogliere il vangelo.297 L'antitesi «sconosciuti/notissimi» non oppone la conoscenza esterna e uma­ na alla conoscenza del cuore posseduta da Dio (cf. lCor 13,12), ma mette in ri­ lievo il rifiuto di riconoscere l'opera di Dio nell'apostolo, pur avendone i ri­ scontri adeguati, in linea con l'apprezzamento di l Cor 16,18 e la luminosa te,

296

Cf. S. AALEN. «gloria-onore/time», in DCB, 814-817. Cf. W. GONTER, «sedurre/planao», in DCB, 1714-1717; 487-554. 297

H.

BRAUN, «planao», in GLNT, X,

184

Commento

stimonianza davanti a tutti e a se stessi di 2Cor 1 ,13-14; 13,5. «Sconosciuti»: agnoumenoi da agnoein (6,9), adoperato per tutta la gamma di significati del concetto di conoscenza; il verbo rimanda a un 'ignoranza di tipo intellettuale, co­ me pure al significato di «commettere errore, sbagliare, mancare o fallire». Ri­ corre 21 volte nel NT, di cui 15 in Paolo, con il valore di «non comprendere», nel senso di «non poter capire, non sapere, fonte di errore», frutto di ignoranza; e «non conoscere», nel senso di chiudersi per disubbidienza alla parola rivelatri­ ce di Dio (At 13,27).298 «Come morti ed ecco viviamo» è una reminiscenza di Sal 1 17,17LXX: ouk apothanoumai, alla zésomai = «non morirò, ma vivrò». «Fustigato»: paideuomenoi (6,9) da paideuein, adoperato in At 7 ,22; 22,3, con il valore di «istruire, insegnare»; altrove per «fustigare» o, più semplicemente, «picchiare» (Le 23,16.22). Il termine dice che «esiste una tensione fra le prove esteriori della sua esistenza - che a lui e ad altri non possono sembrare che mor­ te, castigo e lutto - e la certezza interiore della vita, del superamento della mor­ te e della gioia».299 La costante della vita dell'apostolo è il vivere nella gioia (chara) «sempre» (non è un caso che nell'antitesi di 6,10 aei lo troviamo solo con chairontes), nono­ stante sia sottoposto a prove esterne tali da farlo ritenere triste/segnato dalla sof­ ferenza. Il suo dolore, infatti, è «redento» dalla gioia (6, 10): «come afflitti, ma sempre gioiosi». Il participio presente medio-passivo plurale lypoumenoi = «af­ flitti» rimanda alle prove che deve affrontare quotidianamente nel ministero, di cui conosce il risvolto di tristezza-sofferenza. Chara esprime sia lo stato che l'og­ getto della gioia, effetto della comunione con Dio. Il vocabolario è quello tipico dei testi che accennano al compimento escatologico in Cristo, sia dell'essere in Cristo che della speranza riposta in lui. «Poveri»: ptochos (6,10) , che compare 34 volte nel NT,300 dice la povertà spi­ rituale ed economica,30 1 l'essere privo di beni personali da parte dell'apostolo (meden echontes, 6,10; cf. 1 Cor 4,7 in cui Paolo attesta la provenienza di ogni do­ no da Dio). L'antitesi «come poveri, ma capaci di arricchire molti» richiama nu­ merosi paralleli stoico-cinici, dove il «non avere nulla» libera per «avere ogni co­ sa» in un senso più alto.302 A questa condizione si oppone la capacità di «arric­ chire» gli altri, ploutizontes, e la certezza di «possedere ogni cosa/tutto», panta katechontes, al di là di ogni apparenza contraria. In 1 Cor 1 ,5 l'apostolo rende gra­ zie per i doni di cui sono «arricchiti» i corinzi, in particolare i doni «della parola

298 a. E. ScHOTZ, «Conoscenza-esperienza/agnoeò», in

DCB, 360-362. 299 G. BERTRAM, «paideuò», in GLNT, IX, 185. Compare nel NT 1 3 volte: 2 in At; 2 in Le; 3 in Eb; l in A p; nel corpus pau/inum: l in 1 Cor; l in 2Cor; l in l Tm; 1 in 2Tm ; l in Tt. 300 Vale a dire 5 in M t; 5 in Mc; lO in Le; 4 in Gv; 4 in Gc; 2 in Ap ; nel corpus paulinum: l in Rm; l in 2Cor; 2 in Gal. 30 1 Cf. H.-H. EssER, «povero/ptochos», in DCB, 1363-1368. 302 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 348.

2Cor 6,11-7,3

185

e della scienza)). Questa condizione di «grazia)) si esprime «nella ricchezza di di­ sinteressata generosità nel donare o essere arricchiti di capacità di donare disin­ teressatamente».303 Secondo Ef 3,8 l'apostolo ha il compito di «annunciare ai pa­ gani l 'insondabile ricchezza di Cristo», poiché la ricchezza e il possesso di Paolo sono la ricchezza dell'infinito amore del Crocifisso Risorto, visibile solo con gli occhi della fede. B.5 - L'ACCOGLIENZA DEL MINISTERO SALVIFICO

(6,1 1-7,3)

Il ministro autentico è colui che, come Paolo, può dire in tutta verità che il suo cuore si è «allargato», che il suo affetto per i destinatari cresce a dismisura. Quanto più ciò è vero, tanto più chi ascolta le parole del ministro comprende la necessità di rivedere le proprie ristrettezze interiori che lo rendono incapace di amare e si sente costretto a imitare la misura del donarsi di Cristo e del suo mi­ nistro, per diventare membro del popolo di Dio, del popolo che cammina non su strade materiali ma su quelle dei cuori convertiti dagli idoli al vero Dio. Tra apo­ stolo e comunità viene a stabilirsi una reciprocità inesauribile, un fecondo scam­ bio di doni che fa spazio all'agire di Dio. La gioia del ministro consiste nel coo­ perare con l'amore alla vita dei suoi destinatari, nel risorgere con loro alla co­ munione con Dio, nell'ascendere di grado in grado nella partecipazione alla sal­ vezza. Questo pone però la condizione di una cesura definitiva tra la vita nella sequela degli idoli e una vita nuova fatta di appartenenza al popolo dei giustifi­ cati dal sangue di Cristo. Solo così si diventa figli di un Padre ricco di grazia e di bontà, con un cuore dalla sconfinata capacità di amore. Fino a 6,10 il genere è stato esclusivamente apologetico, ora tende a diventa­ re parenetico.304 La dimensione parenetica del ministero paolino in relazione ai corinzi si coglie: - nell'apostrofe che richiama il rapporto di paternità che li lega all'apostolo (6, 1 1 -13 e 7,2-3: qui troviamo l'unica volta in cui li chiama per nome; nelle altre lettere solo in Gal 3,1 e Fil 4,15); - nelle conseguenze pratiche dell'avvenuta riconciliazione con Dio (6,14-7,1). Per quanto riguarda la composizione bisogna notare la ripresa di 6,1 1 -13 in 7,2-3: a livello verbale 6,1 1 b (kardia hemon) con 7,3b (en tais kardiais hemon); a livello tematico-semantico 6,12a con 7,3a; 6,13b con 7,2a. Questo produce l'ef-

303 H.

MERKLEIN, «p)osios», in DENT, 11. 100. Da notare l'articolazione: affennazione 6,1 1 - negazione 6,12 - esortazione 6,13 - ammoni­ mento 6,14. 1 6a - affermazione 6,16b - promessa 6,16c - ammonimento 6,1 7abc - promessa 6,17a-18 affennazione 7,la - esortazione 7,1b - ammonimento 7,2a - affermazione 7,2bd - negazione 7,3a - af­ fermazione 7 ,3b. 304

186

Commento

fetto di amplificare l'appello all'accoglienza del suo ministero, effetto accresciu­ to mediante: a) la brevità delle frasi, il legame asindetico; b) l'anafora (es. tis - e tis 6, 1 4b-16a); c) la finale in 7 ,3c che enfatizza a livello quantitativo e qualitativo la comu­ nione di Paolo con la comunità. Al centro troviamo 6,14-7,1305 che è il fondamento della sua richiesta. L'in­ terruzione del discorso in 6, 1 1 -13 e 7,2-3 motiva la mancanza di apertura di cuo­ re nei confronti dell'apostolo a causa dei legami con gli idoli e i loro valori.306 6•1 1 L a nostra bocca s i è aperta a voi, o corinzi, i l nostro cuore si è allargato. 12Non siete affatto allo stretto in noi, ma siete allo stretto nelle vostre viscere. 13(Rende­ teci) lo stesso contraccambio - parlo come a figli -, lasciatevi allargare (il cuo­ re) anche voi! 14Non siate sotto il giogo di increduli; infatti che cosa (vi è) in co­ mune tra giustizia e assenza di legge o quale comunione per (la) luce con (la) te­ nebra? 15Ancora quale accordo di Cristo con Beliar o quale partecipazione de(l) credente con (il) non credente? 160 quale invero concordia de(l) tempio di Dio con (gli) idoli? Noi infatti siamo (il) tempio di Dio vivente, come disse Dio: «Abiterò in loro e camminerò (con loro) e sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo eletto. 17Perciò uscite di mezzo a loro e lasciatevi separare», dice il Si­ gnore, «e non toccate impurità e io vi accoglierò 18e sarò per voi un padre e voi sarete per me figli e figlie», dice il Signore onnipotente. 7 •1Avendo dunque queste promesse, o carissimi, purifichiamo noi stessi da ogni macchia di carne e di spirito, portando a perfezionamento (la) santità ne(/) ti­ more di Dio. 2Fateci spazio; a nessuno abbiamo fatto ingiustizia; nessuno abbia­ mo corrotto; nessuno abbiamo ingannato. 3Non dico a mo ' di giudizio; infatti ho detto prima che siete nei nostri cuori per morire insieme e vivere insieme. vv. ll-13: «La nostra bocca si è aperta a voi (aneo;gen pros hymas), o corin­ zi, il nostro cuore si è allargato (peplatyntai). 12Non siete affatto allo stretto (ou stenochoreisthe) in noi, ma siete allo stretto (stenochoreiste) nelle vostre viscere. 13(Rendeteci) lo stesso contraccambio (ten de auten antimisthian) - parlo come a figli (hos teknois lego) -, lasciatevi allargare (il cuore) anche voi (platynthete kai hymeis) ! ». Si va dalla posizione di Paolo nei confronti dei corinzi (6,1 1) a quella dei co­ rinzi nei confronti di Paolo e di se stessi (6,1 2) e, infine, all'esortazione di Paolo ai corinzi (6,13).

305 Per la composizione chiastica delle sue parti (6,14-16a; 6,16b-18; 7,1) cf. V.A. WHEELER, «A piea for holy fellowship 2 Corinthians 6,14-7,1». in AshTheoUourn 31(1999 ) . 25-31. 306 Cf. D.G. Mc.DouGALL. «Unequally yoked - A re-examination of 2Corinthians 6,11-7,4-., in MastSemJourn 10( 1999), 113-137.

187

2Cor 6,1 1-7,3

L'enfasi sull'esortazione ad «aprirsi» al ministero dell'apostolo del v. 1 1 , unita­ mente all 'apostrofe «corinzi», adoperata raramente nel corpus paulinum (cf. Gal 3,1 e Fil 4,15), dà l'impressione di trovarsi alla stretta finale del discorso svolto da 2,14 in poi. Il vocabolario scelto per esprimere il proprio modo di rapportarsi è quello dei sentimenti paterni e materni (6,1 1 : «la nostra bocca si è aperta a voi, il nostro cuore si è allargato»; 6,12: «non siete affatto allo stretto in noi, ma ... nelle vostre viscere>>; 6,13: «come a figli parlo»; cf. 7 ,l : «carissimi» ).307 La metafora «stretto/largo» (cf. 7,2) stabilisce un parallelo con il brano di 5,18-20 dove abbia­ mo la terminologia della riconciliazione.308 I verbi sono tutti all'indicativo con va­ rietà di tempi: il perfetto in aneo;gen = «si è aperta» e peplatyntai = «Si è allargato» ( 6,1 1 ); il presente in ou stenochoreisthe = «non siete allo stretto» e stenochoreisthe = «siete allo stretto» (6,12); l'aoristo nell'imperativo platynthete = «lasciatevi al­ largare» per il gesto richiesto da Paolo. Vi è contrasto tra la posizione enfatica di to storna e he kardia, simboli della parola e dell'affetto dell'apostolo,309 del suo at­ teggiamento di apertura già manifestato nel passato e perdurante nel presente (il perfetto di haneo;gen e peplatyntai), rispetto al costante atteggiamento di chiusu­ ra dei corinzi verso l'apostolo (il presente indicativo stenochoreisthe): 6,1 1 La nostra bocca

si è aperta a voi,

To stoma hemon aneo;gen pros hymas,

si è allargato

o corinzi,

il nostro cuore

korinthioi,

hé kardia hémon peplatyntai

6,12 Non siete affatto allo stretto in noi,

ma siete allo stretto nelle vostre viscere

ou stenochoreisthe en hemin,

stenochoreiste de en tois splanchnois hym6n

Il verbo platynein compare unito a kardia due volte nella LXX: in Dt 1 1 ,16 con l'idea di non lasciarsi sedurre nel cuore da altri dèi; in Sal 1 1 8,32 con l'idea di accrescere la comprensione. che avviene nel «cuore», dell'amore di Dio e dei suoi comandamenti . Il plurale sp/anchna si riferisce in genere agli organi conte­ nuti nella cavità toracica (cuore, polmoni) e sopra l'addome (reni, fegato), ma fi­ gurativamente, come in 7,15, sta per la sede delle emozioni. Si insiste sulla dimensione affettiva con l'incidentale hos teknois lego, l'espres­ sione kai hymeis e l'imperativo aoristo passivo p/atynthete, sottolineanti l'enfasi sulla richiesta di reciprocità dell'affetto, a mo' di introduzione di 6,14-7,1. Paolo si presenta spesso come genitore spirituale delle sue Chiese, soprattutto nelle lette­ re ai corinzi (cf. 1Cor 3,1-2; 4,14-15; 2Cor 1 1 ,2; 12,14b-15; Gal 4,19; 1Ts 2,7-8).

307 Nell'esprimere il suo affetto e la sua sofferenza interiore per l'atteggiamento dei corinzi, Paolo testimonia in qualche modo il dolore di Dio Padre, ferito dalle ribellioni del popolo d'Israele nell'AT. Cf. R. PuJNKErr-DowuNG, «Paul, the wounded father», in Bible Today 37( 1 999), 1 5 1 -154. 308 Cf. EBNER, Leidenlisten , 328-329. 309 In 6, 1 1 l'enfasi non è sulla sua sincerità, come in 5 , 1 1-12, ma sul suo affetto per la comunità. Ci R. BIERINGER, «Die Liebe des Paulus zur Gemeinde in Korinth. Eine lnterpretation von 2 Ko­ rinther 6,1 1 », in StudNTUmwelt 23( 1 998), 193-213.

Commento -

188

La frase ten ... auten antimisthian = «lo stesso contraccambio» contiene due si­ gnificati: quello di ricompensa e quello di identità: «ricompensa dello stesso ti­ po)),310 e ha la funzione di apposizione: «Voi anche allargate i vostri cuori - la ri­ compensa equivalente)).3 1 1 La domanda che sorge in 6,13 è: come dovranno ren­ dere il contraccambio?312 La risposta è in 6,14-7,1 : con l'accentuazione sulla san­ tità del vero cristiano e la richiesta di separazione dalle fonti dell'impurità. Come in 2Cor 12,19-13,10, anche qui con l'apologia del ministero di Paolo si intreccia il problema della mancata conversione o della non completa conversione dei corin­ zi dai loro costumi pagani (questo spiega le espressioni «nuova creatura ... le cose vecchie sono passate)), 5,17: ciò che è vero per Paolo non Io è ancora per i corinzi). «Parlo come a figlh) ricorda la relazione che si è stabilita tra l'apostolo e i corinzi e il relativo affetto che dovrebbe derivarne (cf. lCor 4,14: «Non per farvi vergo­ gnare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi)) ).313 6,14-7,1: occu pano la posizione centrale3 14 e si collegano alla conclusione del brano sulla riconciliazione con dikaiosyne (6,14) : la giustizia è l'effetto della riconciliazione con Dio e implica anche una prassi nuova: la santità della vita. 315 La composizione è data dall'affermazione iniziale (v. 14a), dalle domande reto­ riche dei vv. 14-16a, dalle citazioni della Scrittura (vv. 16c- 1 8) e dall'applicazione concreta (7 ,l ).

v. 14a: «Non siate (me ginesthe) sotto il giogo (heterozygountes) di increduli (apistois)». Paolo ammonisce i corinzi a tenersi lontano dagli infedeli,316 ammonimento rafforzato subito dopo da una serie di domande retoriche che vengono a suffra­ gare l'imperativo iniziale (me ginesthe = «non siate»). In considerazione del fat­ to che «l'oggettiva ou nega la realtà ... la soggettività di me nega l'attuazione di

Jto

Cf. THRALL, A criticai, I, 471. Cf. THRALL, A criticai, l, 471. Somiglianza con 1 Cor 5-6, cf. M.D. GouLDER, «2 Cor 6,1 4-7,1 as an integrai part of -2 Co­ rinthians», in NT 36( 1 994 ), 47-49. 313 Per lo sfondo biblico-giudaico dell'idea della paternità, cf. A.A., «"Father" imagery in 2 Co­ rinthians 1-9 and jewish paterna) tradition», in TyndBul/ 41( 1996), 163-171. 3 1 4 GouLDER afferma che «2Cor 6.14-7,1 è parte integrante della lettera, e appartiene al suo at­ tuale contesto; offre l'appello per la santità e la necessità di una disciplina che costituisce il culmine di brani simili in l Cor 4-6 e 2Cor 10-13» ( «2 Cor 6, 14-7,1 as an integrai)), 52-53). Per la sintesi delle posizioni circa la rottura della sequenza 6,14-7,1 cf. DE OuvEIRA, Die Diakonie, 333-335; F. ZEILIN­ GER, «Die Echtheit von 2 Kor 6,14-7,1 », in JBL 11 2( 1 993), 71-80; LA MB RECHT, Second Corinthians, 120-125. 315 Cf. J.A. ADEWUYA, Holiness and community in 2 Cor 6,14-7,1. Paul's vkw ofcommunal holi­ ness in the Corinthian correspondence, New York-Bern 2001 . 316 Gli avversari. come in 4,4, sono definiti apistoi in quanto rifiutano il vangelo, la sua giustizia (cf. 5,21; 6,7; 3,9 in connessione con 3,4-6). la luce che risplende in esso (cf. 4,4.6), Cristo (che è visi­ bile nel vangelo come eikon tou Theou, come immagine della gloria di Dio, cf. 3,18; 4,4-6). le pro­ messe di Dio del nuovo patto (che si sono adempiute in Cristo e da accogliere attraverso il vangelo, cf. 3,7-18; 4,6; 5,16s; 6,2). Se essi Io rifiutano, sono seguaci delle tenebre (cf. 4,4.6), di Beliar (cf. «il dio di 31 1 31 2

189

2Cor 6,11-7,3

un pensiero» (BDR § 426), la presenza di me suggerisce che i corinzi erano già ­ secondo l'opinione di Paolo - in contatto con gli apistoi. L'imperativo ginesthe, che regge tutta la serie successiva di opposizioni, è unito al participio presente heterozygountes. Paolo adopera la proibizione me ginesthe altre volte (cf. Rm 12,16; l Cor 7,23; 10,7; 14,20), ma mai con una costruzione perifrastica come qui.317 Il verbo heterozygein è impiegato metaforicamente per rendere l'immagi­ ne di due tipi di animali che formano una coppia sotto lo stesso giogo, come be­ stie da tiro. Non so l o è difficile, ma addirittura impossibile, una tale situazione,31 8 per di più illecita secondo l'ammonimento di Dt 22,10LXX: «Non devi arare con un bue e un asino aggiogati assieme» (epi to auto) e soprattutto di Lv 19,19LXX: «non accoppierai bestie di specie differenti» (con l'aggettivo heterozygos). È ri­ chiesta ai cristiani una radicale separazione dai non credenti, non dai non cri­ stiani (cf. 4,4; l Cor 5,9-11 ) .

vv. 14b-16a: «infatti che cosa (vi è) in comune tra giustizia e assenza di legge o quale comunione per (la) luce con (la) tenebra? 15 Ancora quale accordo di Cristo con Beliar o quale partecipazione de(I) credente con (il) non credente? 160 quale invero concordia de(l) tempio di Dio con (gli) idoli?». Vi sono cinque contrasti: ognuno in forma interrogativa retorica con la ripeti­ zione sinonimica del pronome interrogativo tis, che rafforza stilisticamente il con­ tenuto; e le figure della gradatio e dell'amplificatio, per suscitare indignazione nel lettore (cf. Sir 13,2. 17-18). Le prime quattro coppie sono divise in due gruppi di sostantivi attraverso la congiunzione disgiuntiva e = «oppure»: nel v. 14b-c abbia­ mo termini astratti; nel v. 15a-b termini concreti/personali:319

6,14b Che . .. comune tra giustizia e assenza di legge quale comunione per luce con tenebra? e. tis koinonia photi pros skotos? tis gar metoche dikaiosyne; kai anomia;,

6,15 Quale .

..

accordo di Cristo con Beliar

tis de symphonesas Christou pros Beliar,

6,16a

O quale. . .

2 quale

partecipazione di credente con non

credente?

e.

tis meris pist6; meta apistou?

concordia di tempio di Dio con idoli?

tis de synkatathesis na6; Theou meta eidolon?

questo mondo», 4.4). degli idoli, al contrario dell'apostolo che è seguace di Cristo e suo messaggero. Per l'interpretazione di apistoi cf. W.J. WEBB, «Who are the Unbelievers (apistoi} in 2 Corinthians 6,14?», in Bibliotheca Sacra 149( 1992), 27-44. 31 7 Cf. FURNISH, /l Corinthians, 361 . 3'8 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, l 11. 319 Nella sua parenesi utilizza il tradizionale motivo del dualismo luce/tenebre, giustizia/ingiu­ stizia, Cristo/Beliar, Dio/gli idoli, accanto alla caratterizzazione della comunità come tempio di Dio. a. DE 0LIVEIRA. Die Diakonie. 331.

190

Commento

In 14b dikaiosyne, «giustizia», ha un'accezione morale come in 6,7. La coppia dikaiosyne-anomia compare in Rm 6,19: «Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vo­ stre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione». L'opposizio­ ne giustizia/ingiustizia è frequente nei testi di Qumran.320 Anomia, «assenza di legge», altrove solo in Rm 4,7 in una citazione del Sal 32,1-2. Nei vv. 15-16a l'appellativo Beliar è una trascrizione greca dell'ebraico belija 'al e ha sempre il significato di nome comune per il concetto di «inutilità» (lSam 1, 16; 25,17.25), di «meschinità» (Dt 15,9; 1Sam 30,22) e di «malvagità» (Gdc 19,22; 1 Sam 2,12; 2Sam 16,7) . In numerosi passi qumranici è utilizzato co­ me nome proprio dell'essere trascendente che domina i demoni dell'universo.321 Lambrecht ritiene che Beliar sia una distorsione di Be/ia/.322 In 6, 16a l'opposizione raggiunge il culmine: il tempio di Dio opposto agli ido­ li. Circa l'oggetto dell'esortazione, occorre considerare l'appello come generale nello stesso senso di Gc 1 ,27: «conservarsi puri da questo mondo».323 La serie di sostantivi che designano il concetto di partecipazione in uno dei due ambiti di opposizione (metoche = «partecipazione», koinonia = «comunio­ ne», symphonesis = «accordo», meris = «porzione comune», synkatathesis = «concordia») sono quasi interscambiabili tra loro. L'opposizione tra giustizia e ingiustizia deriva dal fatto che la prima presuppone la volontà di Dio e l'opera dello Spirito, la seconda la legge dell'arbitrio personale a prescindere dal dise­ gno divino (anomia). Il primo appartiene al regno della luce, quello di Cristo, il secondo delle tenebre, quello di Beliar: regni opposti, ciascuno con una propria sfera di influenza.324 La comunità di Corinto è chiamata ad incarnare l'ethos di Cristo.325 "· 16b-18: «Noi infatti siamo (il) tempio di Dio (naos Theou) vivente (z ontos), come disse Dio: "Abiterò in loro e camminerò (con loro) e sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo eletto. 17Perciò uscite di mezzo a loro e lasciate­ vi separare", dice il Signore, "e non toccate impurità e io vi accoglierò 18e sarò per voi un padre e voi sarete per me figli e figlie", dice il Signore onnipotente». È da notare l'affermazione solenne e piena di vanto di v. 16b, per la posizio­ ne enfatica di «noi» = hemeis rispetto al verbo «siamo» e la posizione di que­ st'ultimo collocato all'interno della definizione dell'identità di Dio:

Hemeis gt1r

320 321 322 323 324 325

a.

uos Theou



zontos

FURNISH, Il Corinthians, 361. Cf. F. MANZI, Seconda lettera ai Corinzi, Milano 2002, 222. Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 1 18. FuRNISH, II Corinthians, 372. Cf. F.J. M ATERA II Corinthians, Louisville-London 2003, 163. Cf. T. D. STEGMAN, The character of Jesus. The Linchpin to Paul's argument in 2 Corinthians.

Roma 2005.

,

2Cor 6,11-7,3

191

Le citazioni successive sviluppano il tema della presenza di Dio tra il suo po­ polo. In l Cor 6, 19 il corpo del cristiano è chiamato «tempio (naos) dello Spirito Santo>> e in 1 Cor 12,7- 11 l'intera comunità è vista come luogo dell'inabitazione dello Spirito e delle sue operazioni. Le citazioni si legano ali 'ultima coppia di opposizione ( 6,1 6a) e riportano le promesse di Dio, il cui carattere autoritativo è ripetuto all'inizio (6,16c) , al cen­ tro (6,17b) e alla conclusione (6,18c)� ed è particolarmente sottolineato al v. 1 7 dalla congiunzione causale dio, dal triplice imperativo e dalla formula «dice i l Si­ gnore». L'invito è a vivere le implicazioni, per la propria esistenza credente, del­ la «nuova» condizione ottenuta con la «nuova alleanza» in Cristo.326 La prima citazione ripropone la formula dell'antica alleanza, secondo Lv 26,12LXX dove si legge: «e camminerò tra voi e sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo». Il testo è ampliato con l 'aggiunta «io abiterò tra loro» (cf. Ez 37,27). Rispetto al passo di Lv 16,12, Paolo cambia la seconda persona plurale con la terza plurale, forse per influsso di Ez 37,27.327 Viene resa così trasparente la novità del vangelo annunciato dagli apostoli: i verbi al futuro del testo del Le­ vitico annunciavano una promessa che si doveva ancora compiere, ora questa per i cristiani si è già adempiuta in Cristo, nel quale siamo diventati popolo e tempio di Dio. La conseguenza della nuova economia è che i cristiani in quanto popolo di Dio devono evitare contatti con i gentili e conservarsi puri, secondo l'imperati­ vo di Is 52,1 1 : «Fuori, fuori, uscite di là! Non toccate niente di impuro. Uscite da essa, purificatevi, voi che portate gli arredi del Signore ! », una citazione da Paolo abbreviata e riscritta nello stesso tempo. Mentre infatti in Isaia si invitava a la­ sciare Babilonia, i cristiani devono lasciare l'impurità dei non credenti. Segue una terza citazione, con una nuova promessa: 2Sam 7,14LXX: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio». Anche questa citazione è riscritta da Paolo con aggiunte: «e io (enfatico) vi accoglierò» (con possibile influsso di Ez 20,34) .328 I cambiamenti apportati alla citazione sono la seconda persona plurale, il plurale «figli», l'aggiunta «figlie»329 e la posizione della formula introduttiva collocata al­ la fine: «dice il Signore Onnipotente» {pantokrat6r, mentre il Testo Massoretico in 2Sam 7,8 ha «il Signore degli eserciti»). Ma per i corinzi la realizzazione delle promesse divine dipende dall 'accoglienza di quanto proposto al v. 17. 7,1: «Avendo dunque queste promesse, o carissimi (agapetoi), purifichiamo noi stessi ( katharisomen heautous) da ogni macchia ( apo pantos molysmou) di

326 Cf. J.M. Scorr, «The Use of Scripture in 2 Corinthians 6,16c-18», in JSNT 56(1994), 84. Nel suo articolo propende per l'autenticità paolina del brano 6.1 4-7,1 . 327 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 1 18. 328 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 1 19. 329 Questo è l'unico passo delle lettere paoline in cui compare thygater. J.M. 0LLEY («A precur­ sor of the NRSV? "Sons and daughters" in 2 Cor 6,18», in NTStud 44(1 998], 204-212) sostiene che l'uso di «figli e figlie» sia un 'allusione a Dt 32,19 e a ls 43,6.

t92

Commento

carne e di spirito, portando a perfezionamento (epitelountes) (la) santità ne(l) ti­ more di Dio (en phob6; Theou)». Si rivolge direttamente ai suoi destinatari con l'apostrofe agapetoi = «carissi­ mi» (cf. 12,1 9). Mentre la prima parte (v. la) si lega alle promesse di Dio citate prima (vv. 16-1 8), le promesse precedenti (6,1 6d-f. l7d.l8) diventano la base per l'esortazione conclusiva ad astenersi da ogni tipo di contaminazione della carne e dello spirito e a vivere portando a completamento la santificazione (v. lb ) . «Pu­ rifichiamo noi stessi» ( katharisomen heautous) riprende, infatti, 6, 17a-c. Echon­ tes = «avendo» possiede una sfumatura causale: poiché abbiamo queste promes­ se, accogliamo il dono della conversione. L'invito a «purificarsi» esprime in mo­ do negativo quello a «santificarsi» di Rm 6,1 9 (cf. il cammino e la tensione spiri­ tuale dell'apostolo descritti in Fil 3,12-16). «Da ogni tipo (apo pantos) di macchia di carne e di spirito»: non è da sottintendere una visione dualistica della persona umana e non significa che ci sono peccati che appartengono alla dimensione del­ la carne e altri a quella dello spirito. Il peccato coinvolge l'intera unità persona­ le. Si vuole sottolineare la necessità di una vigilanza attenta sulle proprie scelte e decisioni morali330 per portare a compimento (epitelein) la propria purificazio­ ne e così evitare di profanare «il tempio del Dio vivente» che è il proprio corpo con un culto morale idolatrico (cf. Is 65,4-5; 2Mac 5,27). L'aggiunta dell'espres­ sione en phobo; Theou («nel timore di Dio») ha come sfondo il giudizio escato­ logico di 2Cor 5, l O. vv. 2-3: «Fateci spazio (choresate ) ; a nessuno abbiamo fatto ingiustizia; nes­ suno abbiamo corrotto; nessuno abbiamo ingannato. 3Non dico a mo' di giudizio (pros katakrisin ) ; infatti ho detto prima che siete nei nostri cuori per morire in­ sieme (este eis to synapothanein) e vivere insieme (kai syzen)». Ritroviamo al v. 2 1'imperativo aoristo ch6rèsate = «fateci spazio» della stes­ sa connotazione semantica di stenoch6reisthe (6,12) e platynthete (6, 13).33 1 L'in­ vito ad allargare il cuore è suffragato anche questa volta dal comportamento dell'apostolo. La professione di innocenza è enfatizzata dalla brevità delle tre frasi e dalla loro forma identica, dalla ripetizione e dalla posizione enfatica di oudena:

330 a. MATERA, Il Corinthians, 168. 33 1 Platynthete kai hymeis (6, 13 c ) e choresate hemas (7,2a) richiamerebbero secondo P.B. DuFF

(«The mind of the redactor: 2 Cor 6.14-7,1 in its secondary context», in NT 35[ 1993], 176) il grido del­ l'araldo nelle processioni greco-romane dirette verso il tempio della divinità. In un frammento di Eu­ RIPIDE (fr. 773.66-69 in A. NAUCK, Tragicorum Graecorum Fragmenta, Lipsia 1889, 603-604) si legge che compito dell'araldo non era solo quello di preparare la strada alla divinità, ma anche di prepa­ rare il tempio che doveva accogliere l'effigie della divinità. Di qui l'idea soggiacente a 6,1 1-7,3 del­ l'apostolo chiamato a preparare l'accoglienza di Dio, la cui epifania è visibile nell'apostolo. Secondo Duff nel caso di Paolo si tratterebbe di ripulire il tempio dai non credenti. Ma questa interpretazio­ ne di apistoi riferito agli avversari risulta problematica, giacché egli non offre paralleli per l'uso di platynthete nel racconto di processioni nel mondo greco-romano, tanto più che sembra ignorare il contrasto dello stesso verbo con stenochoreisthe en tois splanchnois hymon in 6,1 1- 12.

193

2Cor 6,1 1-7,3 7,2

Fateci spazio;

a nessu no

nessuno

abbiamo fatto ingiustizia; abbiamo corrotto;

Choresate hemas; oudena edikesamen,

nessuno

abbiamo

ingannato.

oudena ephtheiramen, oudma ep/eonektesamen.

Questi elementi stilistici servono a ribadire anche letterariamente il rigetto delle accuse di condotta malvagia, di corruzione religiosa e morale, di frode a scapito dei destinatari {cf. 12,17). Mentre in 6,13 la motivazione dell'esortazione era il suo affetto sincero, in 7,2 è la sua innocenza. La funzione è apologetica, non polemica, ed è avvalorata dal rifiuto della possibile accusa di ergersi a giudice: 7 ,3

Non dico a mo' di giudizio; Pros katakrisin ou lego;

infatti ho detto prima che nei nostri cuori proeireka gar

siete per morire insieme e vivere insieme.

hoti en tais kardiais hemon este

eis to synapothanein kai syzen.

La frase «siete nei nostri cuori per morire insieme e insieme vivere» {7,3) ha valore inclusivo («noi con voi e voi con noi»), ed è da leggere quindi sulla linea di 4,7-1 1 : morte e risurrezione in Cristo (cf. 2Tm 2,1 1). Nella forma grammatica­ le dei verbi si può cogliere l'aspetto durativo del vivere (il presente infinito syzen) e la concretezza fattuale del morire insieme (l'aoristo synapothanein).332 Il ritorno alla prima singolare in 7,3 crea l'effetto psicologico di diminuire la di­ stanza tra Paolo e i suoi lettori, dando rilievo a ciò che egli scrive. Per l'apostolo morire e vivere con i suoi diletti figli equivale a morire e vivere con Cristo ed è il modo più vero di testimoniare il dono di se stesso a Cristo. 333

332 J. LAMBRECHI', «To die together and to Uve together a study of 2 Corinthians 7 ,3», in Bijdra­ gen 37(1976), 234. 333 Cf. DuPONT, «"Ad commoriendum et ad convivendum" (2Cor 7,3))), 19-28.

194 A' - IL CLIMA DI

Commentò FIDUCIA E COMUNIONE TRA PAOLO E l CORINZI

(7,4-16)

Dopo aver definito il ruolo del ministro, Paolo si sofferma in modo più di­ retto sulla relazione dell'apostolo con la comunità. Conclude la prima parte del­ la lettera con una gioiosa confessione di gratitudine e di fiducia: avendo appreso da Timoteo che i corinzi hanno accolto i suoi inviti e si sono lasciati plasmare dalla forza dei suoi appelli, si dice lieto di poter contare ancora di più su di loro. L'apostolo comprende così che i propri sforzi «non sono vani nel Signore». Il Dio ricco di consolazione non abbandona i suoi allo scoraggiamento, ma sempre ma­ nifesta i segni della sua presenza. Paolo può testimoniare che le sue parole han­ no smosso il terreno arido della loro incredulità e questo è motivo di gioia an­ cora più sovrabbondante, che ripaga al di là di ogni attesa gli sforzi compiuti. Comprende che il suo ministero è al servizio della salvezza e che, anche se a vol­ te le sue parole rattristano e amareggiano, sono feconde della fecondità della Pa­ rola di Dio, di cui partecipano e di cui sono espressione. Il tono di questa unità è quello della peroratio (ripresa dei temi trattati e del­ le soluzioni proposte, con accentuazione parenetica e carattere conclusivo), in ri­ ferimento soprattutto alle incomprensioni tra l'apostolo e i corinzi (1,12-2,3) e, indirettamente, all'identità del suo ministero (2,14-7,3). L'inizio dell'unità in 7,4 è giustificato dal cambiamento di vocabolario tra 6,1 1-7,3 e 7,4-16,334 anche se vi sono legami con 6,1 1-7,3 attraverso il v. 4a e l 'enfasi sui sentimenti d'affetto di Paolo. La conclusione è in 7,16, giacché con 8,1 si passa a un altro argomento: quello della colletta. Il brano prepara così il terreno per i cc. 8-9 riguardanti l 'i­ niziativa di solidarietà verso la Chiesa di Gerusalemme, nella quale Tito svolgerà un ruolo decisivo. Questo spiega l'accento posto sui buoni rapporti con i corinzi fondati sul recente passato (vv. 4b-16). Fanno da cornice, all'interno dell'unità considerata, i motivi della franchezza (vv. 4a e 16) e della chara (vv. 4d e 16) . Elemento caratteristico inoltre è il fre­ quente cambiamento di numero dei pronomi e dei verbi di prima persona: dalla prima singolare alla prima plurale. 335 7,4- 16 presenta legami con 1 ,13-2,13 mediante i temi dell'incoraggiamento e della gioia/tristezza. 336 334 Si passa dal vocabolario del giudizio ( katakrisis, 7 ,3a ), del parlare (proeireka, 7 ,3b, che si con­ nette con 6,13, hos teknois lego), antropologico (kardia, 7 ,3c, che è in linea con he kardia, 6,1 1 b; to sto­ ma, 6 , 1 1 a; splanchnois, 6, 1 2b ) , della partecipazione-comunione (synapothanein, sy zen, 7 ,3d-e, in linea con peplatyntai, 6.1 1 b. 1 3b; stenochoreisthe, 6,12; koinonia, 6,14c; symphonesis, 6,15a; synkatathesis, 6,16a; dall'argomentazione di 6,16b- 1 8b) , a quello della parresia, della kauchesis, paraklesis, chara, thlipsis (7,4) e soprattutto dell'abbondanza (7,4 polle due volte; pepleroma i, hyperperisseuomai, epi pasei, ripreso in 7,5; l'avverbio mallon in 1,1, perissoter6s mallon, 7,13b; apo pant6n 1,13c;panta 7,14c; perissoteros, 1 , 15a; panton , 7,1 5b; en panti, 7,16). 335 Abbiamo la seguente successione: v. 4 prima singolare dopo la prima plurale nel v. 3; v. 4cb prima plurale; v. 7e prima singolare; v. 9e prima plurale; v. 12 prima singolare; v. 12b prima plurale; v. 14 prima singolare; v. 14c prima plurale; v. 16 prima singolare. 336 Charalchairein: 7,4.7.9. 13(2 volte).l6 (cf. 1 ,24; 2 ,3 ); paraklesislparakalein: 7,4.6(2 volte).7(2 volte). l 3(2 volte) cf. 2,7.8; lypellypein: 7,8(2 volte).9(3 volte).10(2 volte). l l cf. 2,1 .2(2 volte).3.4.5(2 volte).?; kauchesis: 7,4. 14 cf. 1 ,12.14.

2Cor 1,4-16

7.4(Ho) grande fiducia verso di voi! Mi vanto molto volentieri di voi! Sono pie­ no di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione! 5/nfatti, da quando siamo giunti in Macedonia, la nostra carne non ha avuto alcun sol­ lievo, ma tribolati in tutto; all'esterno battaglie, dentro timori. 6Ma Dio che con­ sola gli umili ci ha consolati con la venuta di Tito; 7non solo con la sua venu­ ta ma anche con la consolazione con cui è stato consolato da voi; annuncian­ doci il vostro desiderio, il vostro dolore e il vostro zelo per me, cosicché gioi­ sco ancora di più. 8Poiché se anche vi ho rattristati con la lettera, non me ne di­ spiace; se anche mi sono dispiaciuto - vedo infatti che quella lettera se anche per breve tempo vi ha rattristati - 9ora ne gioisco, non perché vi siete rattrista­ ti, ma perché vi siete rattristati per (la) conversione; vi siete rattristati infatti se­ condo Dio, per non essere biasimati in niente da noi. 10Infatti la tristezza se­ condo Dio produce una conversione senza pentimento per (la) salvezza; quel­ la del mondo opera morte. 1 1 Ecco infatti ciò che l'essersi rattristati secondo Dio ha prodotto in voi: quanta sollecitudine, inoltre scuse, inoltre indignazio­ ne, inoltre timore, inoltre desiderio, inoltre zelo, inoltre biasimo. Sotto ogni aspetto vi siete raccomandati di essere innocenti in questa vicenda. 12Perciò se anche vi ho scritto, non (è stato) a motivo dell'offensore né a motivo dell'offe­ so, ma perché si manifestasse la vostra sollecitudine per noi davanti a Dio. 13Per questo siamo stati consolati. Oltre che per la nostra consolazione, anco­ ra di più abbiamo gioito per la gioia di Tito, poiché il suo spirito è stato rin­ francato da tutti voi. 14 Poiché se in qualche cosa mi sono vantato riguardo a voi, non ho dovuto vergognarmene, ma come abbiamo detto a voi ogni cosa nella verità, così anche il nostro vanto con Tito è diventato verità. 15 E il suo af­ fetto per voi è (cresciuto) molto di più, ricordando la docilità di tutti voi, come con timore e tremore l'avete accolto. 16Gioisco perché posso contare in tutto su di voi. v. 4: «(Ho) grande fiducia verso di voi! Mi vanto molto volentieri di voi! So­ no pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione !». Viene introdotto il motivo della comunità come causa di vanto (cf. v. l4). Del­ le due parti che compongono la frase, la prima (v. 4a-b) è formata da due pro­ posizioni ellittiche del verbo, mentre la seconda (v. 4c-d) ha due verbi l'uno al tempo perfetto e l'altro al tempo presente. La gioia tra le tribolazioni dice la vissuta esperienza che la propria vita, le vi­ cende personali e comunitarie sono governate dall'amore di Dio (Rm 8,37-39), per la cui gloria egli opera instancabilmente.337

337 «Paolo giustamente può esclamare che "sovrabbonda di gioia nelle tribolazioni" (2Cor 6,10; 7,4; 13,9; Rm 5,3; 12,12; ecc.): esse sono occasione di consolazione mediante lo Spirito del Signore (cf. 1Ts 1,6; Gal 5 22) Esse sono la naturale occasione di crescita spirituale del credente e della comu­ nità. oltreché espressione viva e estensiva di amore (Rm 8,9). E proprio nella tribolazione che più profondamente e più acutamente t:animo dell'uomo ''giusto" si riempie di pensieri di Dio e trova spazi di carità in favore degli altri. E per la tribolazione sostenuta e superata, e comunque affronta,

.

196

Commerito La seconda parte della frase è strutturata in modo parallelistico:

sono pieno

di consolazione

pepleromai

te; paraklesei,

sovrabbondo

di gioia

hyperperisseuomai

te;

chara;

in ogni nostra tribolazione. epi pase; te; thlipsei emon.

Entrambi i verbi sono nella forma medio-passiva. La sua gioia non è frutto di un impegno personale, ma è atteggiamento interiore suscitato dalla constatazio­ ne della realtà, dall'evidenza dell'agire di Dio, che determina lo stato e l'espe­ rienza spirituale della gioia, dono dello Spirito, come afferma in G al 5,22 . Hyper­ perisseuomai richiama perisseuein di 1,5: l'abbondare delle pathemata di Cristo e, mediante Cristo, della paraklesis = «consolazione». Anche il sintagma epi pase; te; thlipsei rimanda a l ,4 , con lo stesso valore di possibilità generale: è nella gioia qualunque sia la prova. Il significato di questa affermazione è esplicitato in 7 ,5. In 7,4 non troviamo direttamente il vocabolario della vita di Gesù, della po­ tenza di Dio e della gloria di Dio. Difatti in maniera prossima in 7,4 la gioia de­ riva dalle notizie di Tito, ma ciò non esclude, anzi sottintende tutto il discorso paolino sull'efficacia della sofferenza, quale partecipazione al mistero pasquale, come descritto e tematizzato in 2Cor 1-7. In questo senso si può cogliere il si­ gnificato dell'insistenza sul vocabolario dell'abbondanza («grande fiducia», «mi vanto molto», «sono pieno», «sovrabbondo» ). vv. S-7: «Infatti (kai gar), da quando siamo giunti in Macedonia, la nostra carne (he sarx hemòn) non ha avuto alcun (oudemian) sollievo (anesin), ma tri­ bolati in tutto (all'en panti thlibomenoi); all'esterno battaglie (exothen machai), dentro timori (esothen phoboi). 6Ma Dio che consola (parakalon) gli umili (tou tapeinous) ci ha consolati (parekalesen) con la venuta di Tito; 7non solo con la sua venuta ma anche con la consolazione (en te; paraklesei) con cui è stato con­ solato (he; pareklethe) da voi; annunciandoci (anangellon) il vostro (ton hymon) desiderio, il vostro (ton hymon) dolore (odyrmon) e il vostro (ton hymon) zelo per me, cosicché gioisco ancora di più (hoste me mallon charenai)». Oggetto sono la consolazione e la gioia per le buone notizie portate da Tito, non il semplice arrivo di Paolo in Macedonia o il suo incontro con Tito. In que­ sta esperienza ha visto l'azione di Dio che consola gli umili, la manifestazione

ta con fede e sommo amore sulla scia del Cristo, che, come "figli di Dio e anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, noi soffriamo con lui: per essere anche con lui glorificati" (Rm 8,17). Il dono supre· mo disposto per noi sul Calvario, viene così in qualche modo ripetuto. rinnovato e prolungato, attra­ verso la tribolazione escatologica in cui ci coinvolge la nostra stessa fede. È quanto avviene a chi real· mente esiste .. in Cristo Gesù" (cf. Fil 2.5: 2Cor 5.17)» (L. DE LoRENZI, «Le tribolazioni dei giusti nel· la prospettiva escatologica di Paolo», in Il giusto sofferente. Parola Spirito e Vita 34(1996], 220-221 ).

2Cor 7,4-16

197

della sua «sovrabbondanza di potenza» (hyberbole tes dyname6s) confessata in 4,7, ovvero la salvezza di Dio che risuscita i morti (cf. l'atto di fede in 1 ,9: «pe­ poithotes nel Dio che risuscita i morti>>; e in 4,1 3: «ho creduto, perciò ho parlato, eidotes che colui che ha risuscitato il Signore Gesù ... » ) . «E infatti» (kai gar) introduce la spiegazione di «nostre afflizionh> di 7,4. So­ no presenti i motivi dell'incoraggiamento dell'apostolo attraverso il comporta­ mento dei corinzi (cf. 7,6. 1 3) e della gioia nelle prove (cf. 7,9. 13. 16). All'assenza di pace nello spirito di 2,13 si aggiunge l 'assenza di sollievo nel corpo. L'espres­ sione «nessun sollievo ha avuto la carne» (oudemian escheken anesin he sarx) si riferisce alle prove affrontate al suo arrivo in Macedonia e con «afflitti in tutto» (en panti thlibomenoi) dà le ragioni perché la sua sarx non ha avuto e non ha al­ cun sollievo: «battaglie fuori, dentro timori» (ex6then machai, esothen phoboi) . Le battaglie verbali che deve affrontare e i timori costituiscono il contenuto della thlipsis: causa ed effetto della causa. Mache è adoperato per «alterchi», di­ spute verbali, ed è un sostantivo che ricorre per lo più al plurale. Nel NT abbia­ mo il riferimento sicuro all'impiego del verbo derivato da mache nel senso di contendere/discutere in At 7,26 e, soprattutto, nella «disputa verbale» dei giudei tra di loro a riguardo di Gesù in Gv 6,52. Appartiene alla natura dell'annuncio del messaggio di Dio il sollevare indirettamente conflitti con gli avversari. Il significato del sostantivo phobos è in generale uno stato di stress molto in­ tenso determinato da una forte preoccupazione per una pena, un pericolo reale o supposto.338 Il plurale phoboi è significativo della qualità della preoccupazione del­ l'apostolo, della pluralità di situazioni che determinano lo stato emotivo al suo arri­ vo in Macedonia. Non è azzardato stabilire un rapporto tra 2,4; 2,13 e 7,5 nell'origi­ ne in parte comune della condizione psicologica riferita nei tre passi. In 2,4 viene descritto lo stato d'animo di grande angoscia di Paolo al momento di scrivere la mis­ siva contenente la manifestazione del suo affetto; in 2,13 l'assenza di sollievo all'ar­ rivo a Troade; in 7,5 nuovamente la preoccupazione interiore per le notizie attese da Tito, unitamente alle difficoltà esterne e interne del lavoro missionario in Mace­ donia. È possibile dedurre che a destargli apprensioni oltre ai macedoni siano stati i corinzi stessi, vista la ricorrenza del motivo del dolore a riguardo dei corinzi, e le notizie circa il loro ravvedimento riferite in tono di giubilo a partire da 7,6ss. Dio, per definizione, è il consolatore degli umili, tapeinoi (7 ,6 ). Il participio presente parakalon = «che consola» (v. 6) rende durativa l'azione del verbo pa­ rakalein. Il significato di tapeinoi (v. 6) lo possiamo rilevare da tanti brani,339 tra i quali Fil 2,8, dove il verbo tapeinoun sta per l'autoumiliazione di Cristo. Dio in Cristo dimostra la sua logica paradossale rispetto a quella del mondo. Predilige, esalta e redime quelli che non contano e sono stati umiliati (cf. tutti i testi del­ l'AT e NT con lo stesso tema). È dall'umiliazione di Cristo, dalla sua kenosi che

338 Cf. J.P. Louw - A. NmA (edd.), «phobos», in Greek-English lexicon ofthe Ne-W Testament ba­ sed on semantic domains, 1-11, New York 1988, 25.25 1 . 339 Cf. W. GRUNDMANN, «tapeinos», in GLNT, XIII, 821 -892.

·eommento

198

deriva la salvezza per l'umanità che si affida a lui; è ne ll'umil i azi one di Cristo che si manifesta la sua signoria. Cristo è il vertice della storia degli umili salvati e amati da Dio. I credenti sono chiamati a «specchiarsi» in lui, nella sua umiltà-si­ gnoria; a vivere l'obbedienza al Padre fino alla morte, radicati nella fiducia nel­ l'eterna fedeltà di Dio.340 La consolazione donata da Dio a Gesù, al «paziente» crocifisso, è la consolazione che viene partecipata da Dio in Cristo agli umili. Paolo, l 'apostolo che si affida totalmente alla fedeltà di Dio nel rivivere la pas­ sione di Gesù, trova così la risposta di Dio alla sua obbedienza. La consolazione ha per questo motivo il valore della glorificazione di Cristo, cui il ministro è chia­ mato a partecipare sin d'ora usufruendo del dono della paraklesis. 7,7 richiama lTs 3,6-10 in cui Timoteo, inviato da Paolo per apprendere no­ tizie a riguardo della comunità di Tessalonica, è detto averlo «evangelizzato» ( euangelisamenou, l Ts 3,6) sulla loro fede. In 7,6 difatti troviamo il participio anangellon = «annunciando». «Dolore» = odyrmos deriva da odyresthai,341 «lamentarsi, lagnarsi, affligger­ si, dolersi», ed è usato per indicare una manifestazione affettiva del dolore, spes­ so accompagnata da lacrime. Il sostantivo, in genere, sta per «la mento, pian to». L'enfasi è su hymon ripetuto tre volte: il vostro desiderio ten hymon epipothesi'n,

il vostro dolore ton hymon odyrmon, i] .-ostro zelo per me ton hymon zelon hyper emou

La posizione di odyrmos centrale rispetto a epipothesis (che equivale a «sentire la mancanza, desiderare ardentemente», cf. Rm 1 ,1 1; Fil 2,26; lTs 3,6) e zelos (per la ricerca piena di affetto mostrata nei confronti di Paolo; cf. 9,2; 1 1 ,2) ­ sottolinea l'effetto della presa di coscienza da parte dei corinzi della gravità del gesto compiuto. Odyrmos, di conseguenza, è il sentimento base per la metanoia d ei corinzi (7,10). Sempre nel v. 7 l'infinito aoristo charenai, preceduto da mallon = «di più» e in una proposizione consecutiva, definisce l'effetto di gioia e consolazione nel­ l'apostolo per la comunione ristabilita. -

rattristati con la lettera, non me ne dispiace; mi sono dispiaciuto - vedo infatti che quella lettera se anche per breve tempo vi ha rattristati - 9ora ne gioisco, non pe rché vi siete rattristati, ma perché vi siete rattristati per (la) conversione; vi siete rattristati infatti secondo Dio, per non essere biasimati in niente da noi». "· 8-9: «Poiché se anche vi ho

se anche

340 Cf. E.D. Scmfn"Z, «umiltà-mansuetudine/tapeinos•, in DCB, l905-1912. 34 1 Nella LXX in Ger 38,15, con threnos e klauthmos, per l'alto, appassionato lamento della ma­

dre che ha perso i figli (Mt 2,18). Cf. F. HAUCK, (> e di «davanti a Dio (kata Theon)» dice l'atto libero dei corinzi di ravvedersi; diversamente non avrebbe senso parlare di «essere stati rattristati per la conversione ... secondo il Signo­ re», con evidente accento sull'agire paolino e sulla qualità del suo intervento più che sull'agire libero e responsabile dei corinzi. Il verbo elypethete dice il processo di conversione maturato in loro grazie al ministero di Paolo. La tri­ stezza non è determinata da un rimprovero, ma è la reazione a un atto di amo­ re riconosciuto, che diventa giudizio del proprio comportamento e quindi cau­ sa di dolore e di pentimento per le proprie azioni. Ciò che ha addolorato i co-

200

Commento

rinzi non sono state parole aspre di rimprovero, ma la trasparenza della carità di Cristo. La lettera, se li ha rattristati, li ha rattristati secondo il Signore, nel senso che è stato il confronto con l'agape di Paolo a provocare dolore per il ge­ sto offensivo (2,4) . vv. 10-13a: «Infatti la tristezza secondo Dio (he gar kata Theon lype) produ­ ce (ergazetai) una conversione (met�noian) senza pentimento (ametameleton) per (la) salvezza; quella del mondo (he de tou kosmou lype) opera (katergazetai) morte. 1 1Ecco infatti ciò che l'essersi rattristati secondo Dio ha prodotto in voi: quanta sollecitudine, inoltre scuse, inoltre indignazione, inoltre timore, inoltre desiderio, inoltre zelo, inoltre biasimo. Sotto ogni aspetto vi siete raccomandati di essere innocenti in questa vicenda. 12Perciò se anche vi ho scritto, non (è sta­ to) a motivo dell'offensore (heneken tou adikesantos) né a motivo dell'offeso (oude heneken tou adikethentos), ma perché si manifestasse la vostra sollecitudi­ ne per noi davanti a Dio. 13Per questo (dia touto) siamo stati consolati». In 7,10 abbiamo il contrasto tra la tristezza dei corinzi secondo Dio, he kata Theon lype, e quella secondo il mondo, he tou kosmou lype. La prima opera (er­ gazetai) una metanoia che muove verso la salvezza (eis soterian, al centro tra il sostantivo e l'aggettivo ametameleton: metanoian eis soterian ametameleton ) , senza pentimento; la seconda produce (katergazetai) «morte» (thanatos). Il testo chiarisce il significato dell'espressione di Mt 5,4: «Beati gli afflitti, perché saran­ no consolati».342 Nel v. 1 1 notiamo la seguente struttura (la traduzione segue il testo originale):

Ecco ciò che l'essersi secondo Dio rattristati ldou gar auto touto to kata Theon lypethenai

quanta ha operato in voi sollecitudine

posen kateirgasato hymin spouden,

inoltre scuse,

alla apologian,

inoltre indignazione, alla aganaktesin,

inoltre timore, alla phobon,

inoltre desiderio,

alla epipothesin,

inoltre zelo,

alla zelon,

inoltre biasimo,

alla ekdikesin.

Sotto ogni aspetto vi siete raccomandati di essere innocenti in questa faccenda En panti synestesate heautous agnous einai t6; pragmati.

342 Cf. M. KEHL, «"Selig die Trauemden, denn sie zerden getrostet werden" (M t 5,4)», in GeistLeb 73(2000), %-97.

2Cor 7,4-16

201

I frutti del rattristarsi secondo Dio sono espressi con «ecco» (idou), per lo stu­ pore circa quanto ha prodotto l' «essersi rattristati secondo Dio». Il concetto è sot­ tolineato letterariamente dall'anticipazione del pronome determinativo più il di­ mostrativo, con l'enfasi su posen («quanto grande») e su spouden (per la grande fretta di accogliere l'invito di Paolo e indirettamente la salvezza), la ripetizione per sei volte di alla, «ooo solo ... ma», nell'elenco degli atteggiamenti che la lette­ ra ha prodotto, quale climax dell'intero processo di conversione. Al centro degli atteggiamenti dei corinzi sono le scelte operate verso l'offensore sollecitate dal­ l'apostolo per conoscere la loro docilità: spoude, otto volte nei cc. 7-8 su tredici complessive in Paolo; apologia, adoperato in genere per una ragionevole affer­ mazione in difesa di se stesso; aganaktesis = «indignazione», hapax nel NT; pho­ bos, per la paura della reazione di Paolo o del giudizio di Dio; epipothesis e zelos, già al v. 7; ekdikesis = «vendetta» e «retribuzione» in testi legali, e qui con il valo­ re di epitimia; hagnos, detto dell'innocenza, castità di una sposa, con valore giuri­ dico. La lettera è stata scritta meno per l'offensore o l'offeso che per verificare lo «zelo)) nei confronti di Paolo (7,12). Nel v. 12 l'identità dell'offensore, ho adikesas343 (tis, 2,5; ho toioutos, 2,6.7), è definita con un verbo adoperato già in 2,5 in modo assoluto, che dice di più di «causare pena, irritare». L'apostolo non ha commesso alcuna ingiustizia (2Cor 7 ,2), l'ha subita invece, come gli stessi corinzi. Adikein qualifica la realtà della di­ mensione comunitaria con tutti i suoi risvolti di sofferenza. I corinzi danno gioia a Paolo con la loro conversione, il rattristarsi per le of­ fese arrecate344 e l'accoglienza delle indicazioni della lettera. Se si convertono, infatti, dimostrano che il suo ministero è efficace per raggiungere la piena vo­ lontà divina, la salvezza, giacché Dio prova mediante i suoi rappresentanti per suscitare la salvezza. «Per questo)) (dia touto) tira le conclusioni dei vv. 8-12: «per questo siamo stati e siamo tuttora consolati>). vv. l3b-15: «Oltre che per la nostra consolazione, ancora di più (perissoteros mallon) abbiamo gioito ( echaremen) per la gioia di Tito (epi te; chara; Titou ) , poi­ ché il suo spirito (to pneuma autou) è stato rinfrancato (anapepautai) da tutti voi. 14Poiché se in qualche cosa mi sono vantato riguardo a voi, non ho dovuto ver­ gognarmene, ma come abbiamo detto (elalesamen) a voi ogni cosa nella verità,

343 Il verbo, come dice l'alfa privativo, esprime il negativo del concetto positivo di dike. Alla giu­ stizia si oppone l'ingiustizia. Il verbo adikein equivale a «compiere una cosa ingiusta»; se seguito dal complemento, «trattare qualcuno ingiustamente, ferire, danneggiare». Nella LXX il verbo sta so­ prattutto per i corrispondenti ebraici di «fare ingiustizia. opprimere, estorcere», generalmente per i rapporti interpersonali o politici (per es. Lv 19,13). Questo dato lo ritroviamo nel NT dove il verbo adikein (solo 24 volte soprattutto in Lc, At, l e 2 Cor, Ap) descrive l'agire ingiustamente, il danneg­ giare, sempre nella sfera interpersonale. Cf. W. GONTER, «peccatoladikia», in DCB, 1236- 1 239. 344 Risulta inesatto quanto afferma Bourr t ER: «Pertanto. in questo scambio di misteriose prove e partecipazione di consolazione, solo la consolazione dei Corinti (e non le loro sofferenze) consola Paolo; di contro, le tribolazioni di Paolo si rivelano essere ''per la vostra consolazione e la vostra sal­ vezza ! "» («La souffrance de l'apòtre», 43).

202 -

Commento

così anche il nostro vanto con Tito è diventato verità. 15E il suo affetto ( kai ta splanchna autou) per voi è (cresciuto) mol to di più, ricordando la docilità di tut­ ti voi (ten panton hym6n hypakoen), come con timore e tremore (meta phobou kai tromou) l'avete accolto». I vv. trattano della consolazione e della gioia per l'accoglienza di Tito da par­ te della comunità. Circa gli avverbi perissoteros mallon, «molto di più», mentre nel greco popolare il primo avverbio sostituisce il secondo, qui il primo rafforza il secondo.345 L'espressione «il suo spirito è stato rinfrancato» (anapepautaP46 to pneuma) qualifica lo stato d'animo di Tito, il contenuto della chara, di cui non si è spenta ancora la carica positiva (il perfetto). La congiunzione «che» (hoti) ha valore dichiarativo e introduce la spiegazione di «per la gioia di Tito» (epi te; cha­ ra; Titou). Non sono l'essere rinfrancato né la consolazione che producono gioia, ma la gioia consiste nella pienezza di sollievo raggiunta. Paolo dimostra concre­ tamente, così, di non cercare la consolazione e la gioia personale, ma quella del­ l'intera comunità, della Chiesa, di cui Tito è visto come il rappresentante. Il sol­ lievo vissuto da quest'ultimo, infatti, è stato il frutto di un'azione dell'intera co­ munità che ha letto nella presenza dell'inviato l'opera di Dio. La conclusione del processo di salvezza, inaugurato con l'annuncio del kerygma a Corinto da parte di Paolo e portato avanti dai suoi inviati, fatto oggetto di rifiuto e di contesta­ zione, è la gioia dello stesso apostolo che può vedere finalmente riconosciuto il proprio ruolo. Siamo al risvolto positivo di 2,13, dove Paolo è detto senza pace nello spirito. In 7,14 il verbo lalein conserva la sua accezione di annuncio del vangelo com­ piuto all'interno della relazione vitale con Cristo, in atteggiamento di trasparen­ za morale. È sempre un dire che lascia intravvedere, attraverso la verità della vi­ ta e del contenuto delle parole, l'autorevolezza del messaggio evangelico, sotto­ lineato dalla posizione enfatica di panta en aletheia; e ribadito dalla proposizio­ ne principale (houtos kai he kauchesis hemon he epi Titou aletheia egenethe), che regge la secondaria comparativa (all'hos panta en aletheia; elalesamen hymin): ma come ogni cosa nella verità

abbiamo detto a voi,

all'hos panta en aletheia;

elalesamen hymin,

così anche il nostro vanto con Tito houtos kai he kauchesis hemon he epi Titou è diventato verità

aletheia egenethe. 345 Cf. LAMBRECHT. Second Corinthians. 132. 346 Nel NT sta sia per il riposo fisico (es. Mc 14,41 ) che per il tranquillizzarsi interiore median­ te la gioia. la consolazione e la soddisfazione. Nell'Apocalisse il senso si accresce assumendo il va­ lore di riposo dall 'affanno e dal tormento degli eventi escatologici. Si rende esplicito e manifesto quanto è proclamato in M t 1 1 ,28ss nella descrizione di tutta l'opera salvifica di Gesù: donare la pa­ ce, la contentezza, la benevolenza e protezione di Dio Padre. Cf. R. HENSEL, «riposo/anapausis». in DCB. 1578-1579.

203

2Cor 7,4-16

L'affetto di Tito per i corinzi è cresciuto, al ricordo della loro ubbidienza e dell'accoglienza riservatagli con «timore e tremore». «Affetto» (splanchna da splanchnizesthai, il verbo dell'illimitata misericordia di Dio verso il suo popolo) è sulla stessa linea semantica di chara, perché esprime un'altra modalità di rea­ zione, simile all' «essere rinfrancato nello spirito» di Tito in 7,13 e alla gioia di Paolo per r epipothesis, odyrmon, zelos dei corinzi nei suoi confronti (7 ,1 1 ) Co­ me la gioia è la reazione all'amore accolto e riscoperto, così l'amore di Tito è la reazione di questi all'accoglienza piena di affetto dei corinzi. Non compare il termine tecnico per autorità (exousia) - a differenza della l Cor (che presenta il sostantivo l O volte) e di 2Cor 10-13 (2 volte) -, ma quello della relazione all'autorità a partire da coloro che ne dipendono, ovvero «Ubbi­ dienza» = hypakoe , che ritorna ancora in 8,2; 9,13; 13,3. Il concetto dell'ubbi­ dienza, già presente in 2,9 con dokime e hypekoos, ritorna nella 2Cor con dokime in 8,8.22; con dokimazein in 13,5; con epitage in 8,8. In 7,15 abbiamo «con timore e tremore» (meta phobou kai tromou) per la reazione dei corinzi alla scoperta di trovarsi davanti all'inviato di Dio, ricono­ sciuto nella persona di Tito. L'espressione si legge in Es 15,1 6LXX per il timore nel senso di paura davanti all'agire di Dio e nel NT rispettivamente in Mt 28,4 (per la reazione delle guardie poste a custodia del sepolcro di Gesù, al momen­ to della sua risurrezione) e in Mc 16,8 (per la reazione delle donne alle parole dell'angelo). Il testo può essere illuminato da Fil 2,12, in cui Paolo invita i filip­ pesi a impegnarsi «con timore e tremore» nella ricerca della salvezza. Non si trat­ ta di paura delle parole di Paolo e quindi dell'arrivo di Tito, ma di riconosci­ mento che sia la lettera che l'inviato esprimono la sollecitudine di Dio che salva, il quale si impone e si manifesta con la sua gloria (cf. «il far risplendere il vange­ lo della gloria di Dio sul volto di Gesù Cristo» in 4,6) . L'endiadi getta sull'episo­ dio la luce della risurrezione. .

v. 16: «Gioisco perché posso contare (tharro) in tutto (en panti) su di voi (en hymin)». L'affermazione finale è la conferma della bontà del vanto circa i corinzi fat­ to da Paolo davanti a Tito, motivo già incontrato in 7,4 e ripreso ora a mo' di in­ clusione. «Contare», tharrein,341 esprime la confidenza-fiducia in Dio (cf. 5,6.8) che anima la sua vita, piena di sofferenze. Il cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti e la disponibilità verso Dio moltiplicano la gioia dell'apostolo e rafforzano la sua fiducia «in tutto» (en panti) nei confronti dei corinzi («in voi», en hymin; in 10,1 abbiamo eis hymas = «Verso di voi»).

347 Cf. J. DuPONT, �oiscussions», in

DE LoRENZI

(ed.),

The

' diakonìa, 108.

Commento EXCURSUS N. 3. LA GIOIA DEL VANGELO

Diversamente dalla concezione moderna di gioia come «emozione», questo sentimento nella Scrittura esprime un atteggiamento della totalità della persona «salvata» dal proprio egoismo e capace di farsi dono nella libertà suscitata dallo Spirito. Il vocabolario della gioia si può definire tipicamente paolino, poiché nel NT, su 326 casi in cui ricorre, 131 si trovano nelle lettere attribuibili a Paolo. Egli può essere definito non solo il teologo della grazia (88 ricorrenze di charis su 153 del NT), ma anche il teologo della gioia.348 È interessante notare come i termini cha­ ra/chairein e charis abbiano la stessa radice. Questo significa che c'è una stretta relazione tra il vocabolario della gioia e quello della grazia: chi vive in atteggia­ mento di accoglienza della «grazia» vive anche nella «gioia». Come fa notare W. Fenske,349 il tema è adoperato da Paolo in connessione con tutti gli ambiti della mistero rivelato: teologia, cristologia, pneumatologia, fe­ de, escatologia, ecclesiologia, etica.350 Da parte degli esegeti, tuttavia, non gli è stata data una grande importanza, perché ritenuto marginale.351 Nell'evento pasquale Dio si è rivelato in Cristo come colui che giustifica e re.. dirne. La vita cristiana, alla luce della croce e risurrezione, si presenta come un cammino nella gioia, frutto della vittoria sul peccato, come un incessante com­ battimento e progressivo distacco dai piaceri del mondo (lCor 7,30). La gioia è possibile al credente perché è stato reso libero dal peccato di Adamo, le cui con­ seguenze (i peccati personali) rattristano e portano alla disperazione e alla mor­ te. Nel suo Signore, il credente è invitato a fare proprio l'invito dell'apostolo: «Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (lCor 5,8) . E unendosi con la fede nel Risorto, ne sperimenta la grazia. La gioia in Gal 5,22 è identificata come un charisma dello Spirito, insieme a carità, pace, longanimità, fiducia, la mitezza e padronanza di sé. Tra i nove frutti dello Spirito è collocata al secondo posto dopo l'amore ed è seguita dalla pace. Il genitivo nell'espressione «gioia dello Spirito Santo» di l Ts 1 ,6 attesta che è lo Spirito l'origine e l'artefice della gioia del credente nel suo peregrinare terreno, facendola maturare progressivamente. La gioia è il modo in cui è presente la fede.352 La vita del discepolo è una vi­ ta di crescita nella chara, come progresso nella fede e nell'amore dei fratelli (Fil

348

Cf. W.G. MoRRICE, «Gioia», in DPL, 76 1-763. FENSKE, «Freude als Grundzug des Paulus», in M. BECKER - W. FENSKE (edd.), Das Ende der Tage und die Gegenwart des Hei/es. Festschrift fiir Heinz- W Kuhn zum 65° Geburstag, Leiden-Bo­ ston-Koln 1999, 241 -242. 350 Diversamente da quanto fa ARISTOTELE che la inserisce tra le passioni irrazionali come l'ira, la paura ecc. (cf. Ethica nicomachea VII, l l ss). 35 1 Studiosi come H. Htibner, E. Lohse, J. Gnilka e G. Strecker lo ignorano del tutto. Cf. la pa­ noramica offerta da FENSKE («Freude», 242-243). 352 Cf. K. BERGER, «chara», in DENT, II, 1 870-1874. 349 V.

2Cor 7,4-16

205

1,25: «Per conto mio, sono convinto che resterò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede»). Paolo si rallegra nel vedere la diffusione del vangelo (Fil l ,8}, nell'apprendere notizie della crescita spirituale dei membri delle Chiese (Fm 7: «La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e con­ solazione, fratello, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua», cf. l Ts 3,9; Rm 16,19). Poiché la gioia non deriva dall'apostolo, ma è dono dello Spirito, può rallegrarsi anche quando il vangelo è annunziato «con intenzioni non pure ... per ipocrisia» (Fil 1 ,1 7-18). L'importante è che sia comunque an­ nunciato nella sua interezza. Non meno sottolineata nelle lettere paoline è la prospettiva ecclesiologica della gioia. Si tratta di un'esperienza tutta interiore che diventa tangibile nella vita comunitaria. In tal caso parla di gioia condivisa (synchairein, cf. l Cor 12,26) che incoraggia ali 'imitazione (Fil 2,17-18: «E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me» ) 353 La gioia coinvolge l 'intero corpo ecclesiale nella sua realtà escatologica: «Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento del la sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia» (1Ts 2,19-20; cf. Fil 4,1 ) . In questo brano i due termini «speranza» e «corona di vanto» sono stretta­ mente legati e rivelano il motivo di gioia che costituisce per l'apostolo la comu­ nità di Tessalonica, sia al presente che nella parusia. Cristo con il suo potere di Risorto rende il credente capace di rallegrarsi (Fil 4,4: «Rallegratevi nel Signo­ re, sempre») a motivo della sua vicinanza (Fil 4,5: «il Signore è vicino»), che gli fa pregustare sin d'ora la salvezza escatologica, configurandosi come stupore per ciò che Dio farà nel futuro, al di là delle immediate circostanze negative: il «re­ gno di Dio .. è gioia» (Rm 14,1 7). La fede nutre la gioia con la certezza che «la nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorio­ so, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,20-21 ). Nemmeno le contrarietà più aspre possono impedire questa gioia (Fil 1 ,17s), giacché tutte le tribolazioni completano «nel suo corpo ciò che manca ai patì­ menti di Cristo» (Col 1 ,24). Anzi, le avversità contribuiscono a far maturare la sua condizione morale e spirituale in vista di tale traguardo (Rm 5,3-4 ). Il risvolto etico è messo in evidenza da Rm 12,12. Dall'essere ferventi nello Spirito nasce la gioia della disponibilità al servizio. Lo Spirito, infatti, anima la tensione morale, rendendo capaci di cogliere le molteplici dimensioni e valori del soffrire, suscitando meraviglia, stupore, riconoscenza, fiducia, speranza e pie­ na confidenza nell'amore di Dio. Rende capaci di essere solidali con i fratelli in ogni circostanza, sia gioiosa che triste (Rm 12,15). La grazia derivante dalla sol.

.

353 Cf. C.E. ARNOLD, «Joy», in ABD, III, 1022-1023.

Commento

lecitudine vicendevole è più volte ribadita dall'apostolo (cf. l Cor 16,17: «Io mi rallegro della visita di Stefana. di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza»). I fedeli di Tessalonica sono diventati imitatori di Cristo e di Paolo, «accogliendo la parola del Signore in mezzo a molte tribolazioni con la gioia dello Spirito Santo» (l Ts 1 ,6). La fede nella risurrezione conserva i credenti nella chara (Rm 12,12), «nella speranza della gloria di Dio» (Rm 5,2). Ma essa va alimentata_ con la preghiera e l'atteggiamento riconoscente. Di qui l'invito ad essere unanimi nella preghiera incessante e nell'azione di grazie (l Ts 5,16-18). Se la preghiera guarda dal pre­ sente al futuro e il ringraziamento guarda al passato, la gioia è l'effetto dell'agi­ re di Dio contemplato nella liturgia, sperimentato nella concretezza della vita personale e comunitaria (cf. Fil 1 ,4) Il risultato è la pace interiore, il dono più prezioso della preghiera e la condizione del progresso della gioia (Fil 4,7: «e la pace di Dio. che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pen­ sieri in Cristo Gesù»). La pace, a sua volta, in quanto dono dello Spirito, fonda la comunione e l'unità ecclesiale (2Cor 13,1 1 : «Per il resto, fratelli, state lieti, ten­ dete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vive­ te in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi»). Un invito ripreso nel­ la conclusione di Rm 15.13: «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pa­ ce nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo». Perché si rafforzi questa unità occorre il discernimento dei doni dello Spirito a livello sia comunitario che personale (lTs 5,16-18). Alla luce di queste considerazioni comprendiamo il senso del suo apostolato come > come charis («grazia>>) dei vv. l e 6-7. Questa «grazia» è amministrata (diakonoumené;, da diakonia) da Paolo, quale attesta­ zione della propria cura per la comunità. «Gloria del Signore» e «nostra premu­ ra» dipendono da cheirothonétheis e sono retti da una sola preposizione (pros) e da un solo articolo (tén) che creano enfasi. L'espressione «per la gloria del Si­ gnore» compare in 4,15; Rm 15,7; 1Cor 10.3 1; Fil 1 ,1 1 ; 2, 1 1 e in tutti questi casi è introdotta sempre dalla preposizione eis anziché pros. A prothymian hémon, «nostra premura», si deve sottintendere nella traduzione «dimostrare». Prothy­ mia, (>) l'articolo to è anaforico, ovvero richiama quanto detto nel capitolo precedente. La colletta è chiamata diakonia come nei vv. 12 e 13. Se della sua natura di «servizio dei santi>> si è già parlato in 8,4, ora è ribadi­ ta per ragioni enfatiche. Mentre nel c. 8 era usato l'esempio dei macedoni per incoraggiare i corinzi, ora Paolo sottolinea lo zelo dell' Acaia per stimolare i macedoni. Acaia è il nome della provincia romana di cui Corinto era la capitale, provincia come la Mace­ donia. Entrambe sono citate in Rm 15,26 (la partecipazione con le loro risorse alla colletta a favore dei poveri di Gerusalemme) e in lTs 1 ,7.8 (destinatarie del­ la testimonianza di fede dei tessalonicesi). «Dallo scorso anno» richiama l'affer­ mazione di 8,10-1 1 , laddove si parla del loro desiderare per primi la raccolta. Pa­ raskeuastai (da paraskeuazein) e tén prothymian sono formulazioni parallele che dicono la «prontezza», ma non ancora lo stadio conclusivo della colletta. Il ver­ bo erethizein di solito significa «irritare» o «provocare» (Col 3,21), nel nostro ca­ so «stimolare». Tous pleionas come in 2,6 sta per «la maggioranza». vv. 3-4: «Ho inviato (epempsa) i fratelli, affinché non sia vano (mé ... kenothé;) il nostro vanto per voi (to kauchéma hémon to hyper hymon) in questa faccenda (en to; merei touto;), affinché, come andavo dicendo, siate preparati, 4cosicché non capiti che, qualora vengano con me macedoni e vi trovino impreparati, siamo svergognati, per non dire voi, in questo progetto (en té; hypostasei tauté;)». Viene spiegato il perché della scelta di inviare i delegati: l'ansia a motivo del timore di non trovarli preparati al suo arrivo e, soprattutto, che non li trovino preparati i macedoni presso i quali si era vantato della disponibilità dei corinzi sin dall'anno precedente. L'aoristo epempsa («ho inviato») è possibile che sia un aoristo epistolare (cf. 8,17. 18.22 ) . I «fratelli» sono quelli di cui si parla in 8,1822.23, incluso Tito (chiamato adelphos in 2,13). To kauchéma ... to: troviamo ri-

45

Cf.

S.K. STOWERS,

«Peri men gar and the integrity of 2Cor 8 and 9», in NT 32(1990), 340-348.

2Cor 9,1-5

229

petuto l'articolo to per enfasi: alla lettera «il vanto quello per voi». Il verbo ke­ noun (me ... kenothe; = «non sia vano») deriva dall'aggettivo kenos, adoperato per esprimere la preoccupazione di non vedere vanificato il proprio lavoro ( l Cor 15,14; Gal 2,2; Fil 2,16; 1Ts 2,1 ; 3,5), poiché il seme del vangelo, deposto nelle comunità, «deve» portare frutti (6,1 ). Il termine colletta è sostituito da due espressioni: «in questa faccenda» ( en to; merei touto;) e «in questo progetto» ( en te; hypostasei taute;). Paolo non impiega nei cc. 8-9 un esplicito termine econo­ mico per indicare la colletta, ma sempre termini appartenenti a contesti liturgi­ ci: diakonia, eulogia (cf. v. 5), hypostasis. Quest'ultimo, hypostasis, compare cin­ que volte nel NT: due nella 2Cor e tre in Eb. In 9,4 significa «iniziativa», «im­ presa», «progetto»; in 1 1 ,17 >. Abbiamo una massima (v. 6) applicata al caso della colletta (v. 7). Il v. 6 non è una citazione, ma una composizione libera di Paolo, introdotta dal dimostrativo «questo» con l'ellissi del verbo phemi, «dico», di tipo formula­ re {cf. touto de phemi in 1Cor 7,29). La struttura è chiastica con parallelismo an­ titetico, come in Gal 6,7-9 {dove compare lo stesso campo semantico della «Se­ mina-raccolto»):

scarsamente (pheidomenos)

scarsamente (pheidomenos) anche mieterà ( kai therisei)

e chi semina ( kai ho speiron) in benedizioni (ep 'eulogiais)

anche mieterà

chi semina

(ho speiron)

in benedizioni (ep 'eu/ogiais) ( kai therisei)

Il linguaggio è tipicamente sapienziale,48 come leggiamo infatti in Pr 1 1 ,24-25LXX: C'è chi largheggia c'è chi risparmia oltre misura

e la sua ricchezza aumenta, e finisce nella miseria.

48 a. Pr 1 1 ,21 .24-25.30; 22,8; Gb 4,8; Sir 7,3. Il motivo è molto sfruttato nella letteratura elleni­ stica (cf. gli esempi in Aristotele e Cicerone riferiti da BETz, 2Corinthians 8 and 9, 102-105).

2Cor 9,6-10

231

Il contrasto tra raccolto abbondante e raccolto scarso si colloca nello svilup­ po dell'argomentazione del v. 5: eulogia/pleonexia, «benedizione/spilorceria». Ep' eulogias = «generosamente/in benedizioni» adopera la stessa parola usata nel v. 5 per definire la colletta: «benedizione» (eulogia ) . Per cui si sottintende che chi dona largamente riceverà la benedizione delle sue fatiche, una benedizione com­ misurata all'infinita benevolenza divina. Dietro l'evento del dono, infatti, opera la bontà di Dio. che desidera convolgere l'uomo nell'esperienza della gratuità del suo essere e agire, tanto più che il verbo pheidesthai è adoperato in Rm 8,32 per Dio: «Egli non ha risparmiato il proprio Figlio». Al v. 7 proe;retai, «ha deciso», deriva da proaireisthai, un verbo composto con il prefisso pro-, qui nella forma del perfetto. Non viene chiesto l'impossibile, ma secondo quanto afferma l Cor 16,2: «ciascuno metta da parte ciò che gli è riusci­ to di risparmiare ... ». Da notare la posizione enfatica di >) non avrebbe senso. Meglio leggerlo con valore oggettivo: sottomissione alla profes­ sione, il cui contenuto è il vangelo. La glorificazione di Dio avverrà in primo luo­ go attraverso la loro obbedienza e, in secondo luogo, con la loro contribuzione al­ la colletta. Hypotage tes homologias ricorda l'espressione hypakoe pisteos di Rm 1 ,5, che dice come accogliendo «la parola della fede» ci si ponga sotto il potere re­ dentivo di Cristo (10,8.14-17). L'orizzonte non è limitato ai corinzi e a Gerusalemme, ma è esteso a tutti i credenti, sulla base di l Cor 12,26: «quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui». Secondo R. Jewett, 9,1 3bc sarebbe stato interpolato verso la fine del primo se­ colo con l'aggiunta di 9,1 -1 5 al c. 8 per motivi «istituzionali»: porre la confessio­ ne di fede sotto l'autorità apostolica.56 E questo perché il testo sembra più vici­ no alle pastorali che a Paolo. Ma sebbene i due termini (hypotage e homologia) compaiano nelle lettere pastorali, non li troviamo mai insieme come in 2Cor. Inoltre dobbiamo ricordare il fatto che prima delle pastorali già in Rm 10,9-10 si parla di vangelo «confessato», come in Rm 1 ,5 di hypakoe piste6s.57 Due sono i modi in cui i destinatari glorificheranno Dio: il ringraziamento a Dio per la generosità dei donatori e l'obbedienza all 'apostolo mostrata con l'ac­ coglienza e la confessione del suo vangelo, esemplificate nella partecipazione al­ Ia colletta. L'apostolo non cerca i loro beni materiali, ma la loro fede, cioè il se­ gno de1la loro fede e il segno della partecipazione al vangelo di Cristo. Nel v. 14 si dice che gli ebrei cristiani di Gerusalemme. i «santi» (8,4; 9,1 .12) «desiderano ardentemente» i gentili cristiani, e tale desiderio si esprime nella «preghiera». Deesei può essere inteso come un dativo dipendente da doxazontes (v. 13) oppure un dativo da mettere in relazione con il genitivo assoluto epi­ pothount6n ( «desiderando»). Meglio la seconda possibilità. Il dativo, in tal caso, sarebbe di strumento (i mezzi attraverso i quali i cristiani di Gerusalemme espri­ merebbero il loro affetto) oppure un dativo modale (le circostanze del loro de-

56 S1

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 444. Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 444-445.

236

Commento

siderio) 58 Il versetto ricorda Rm l ,l l : «Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati». Motivo del­ la preghiera, e del desiderio di comunione con loro, sarà il constatare la «grazia di Dio» operante nella comunità di Corinto, come già in quella macedone (8,1 ) L'«incommensurabile grazia di Dio» (ten hyperballousan charin tou Theou eph 'hymin) richiama l'inizio del c. 8: «vogliamo rendervi nota, fratelli, la grazia di Dio data alle Chiese di Macedonia» (8,1 ) , che ha prodotto in loro una gene­ rosità «secondo (le loro) forze e anche al di là delle loro forze».59 Questa grazia straordinaria sarà ancora più evidente quando sarà portata a termine la colletta. Alla fine del suo appello esprime la fiducia che la grazia di Dio muoverà i corinzi allo stesso tipo di azione. E questa azione di Dio lo porta anticipatamente ad esclamare: «Siano rese grazie a Dio per questo inenarrabile dono». .

.

v. 15: «Siano rese grazie a Dio (charis tou Theou) per il suo indicibile dono (anekdieget6; autou dorea;) !». Dopo aver motivato teologicamente la colletta, Paolo eleva la sua preghiera grata a colui che è la sorgente dell'amore, che rende partecipi della sua bontà ed edifica la Chiesa in una comunità di reciproca sollecitudine. Dorea, «dono», sta per l'evento della salvezza, i cui effetti si esprimono nella colletta. Il termine in Rm 5,15. 17 definisce la giustizia offertaci da Cristo (cf. Ef 3,7: «il dono della gra­ zia di Dio»; Ef 4,7: «la misura del dono di Cristo»). Si potrebbe vedere un'allu­ sione al dono del Padre del suo Figlio Gesù; ma di Gesù si parla solo in 8,9 e quando adopera questa espressione il motivo è sempre nel contesto (2,14; 8,16; Rm 6,17: «liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia»). Per cui il «dono» è la grazia di Dio nel senso di 8,1. Charis è ripetuto due volte in due ver­ setti: per la charis tou Theou (v. 14) e per il «rendimento di grazie» (v. 15). Anek­ diegetos («inenarrabile>>) è hapax nel NT, mai nella LXX. Da notare la posizio­ ne enfatica di autou («SUO»): anekdieget6; autou dorea;. Dopo aver parlato nel c. 8 della grazia di Dio manifestata nella generosità dei macedoni, Paolo, invitando i corinzi a completare la colletta perché ci sia ugua­ glianza tra le Chiese (8,1 -15), conclude il c. 9 con l'esortazione ad essere genero­ si perché si riconosca e si esalti in loro (9,6-15) l'operato della stessa grazia60 che ha operato nei macedoni. Tra le due parti, iniziale e finale, Paolo inserisce le pa­ role di raccomandazione dei suoi delegati, chiamati a preparare questo dono di misericordia (8,16-9,5). La colletta diventa allora espressione della grazia divina e risposta alla stessa grazia rivelata in Gesù Cristo.61

S8 0. THRALL, A criticai, Il, 592-593. Il verbo epipothein lo abbiamo incontrato in 5,2; 7,7.1 1 . 59 Cf. MATERA, Il Corinthians, 2 10. 60 Cf. A. WooKA, «L'oblatività neotestamentaria e il discorso etico-morale. II: I l dono del dare

(2Cor 8-9)», in Studia Moralia 37(1999) , 5-33. 6 1 Cf. MATERA, Il Corinthians, 210-21 1.

2Cor 9,1 1-15

237

EXCURSUS N. 5. IL SIGNIFICATO PASQUALE DELLA COLLETTA

La colletta non è solo una risposta ad alcune necessità materiali dei «poveri>> di Gerusalemme ma pure un modo per attestare l'efficacia del vangelo. Il tema del sostegno economico alla comunità di Gerusalemme è accennato in 2Cor 8-9; l Cor 16, 1 -4; Gal 2. 1 0; Rm 15,25-32. L'apostolo, che nell'assemblea di Gerusalemme aveva ricevuto dalle «colonne» di Gerusalemme (Giacomo, Kefa e Giovanni) l'invito a «ricordarsi dei poveri» (Gal 2,10), nel suo secondo viaggio missionario promuove una raccolta di fondi per alleviare la povertà dei «santi» di quella comunità. Gli Atti degli apostoli sembrano accennarne in 24,17, laddove, davanti a Festo, Paolo afferma: «Ora, dopo molti anni, sono venuto (a Gerusalemme) a portare elemosine al mio popolo e per offrire sacrifici». Diffi­ cile stabilire se la frase sia da collegare con il motivo della colletta, perché per la colletta Paolo non adopera mai il termine «elemosina» né per i destinatari il ge­ nerico «mio popolo)> ma «santi di Gerusalemme». 62 Luca, sebbene nel Vangelo e in Atti ritorni spesso sul tema della condivisione dei beni, non accenna all'ini­ ziativa. La differenza risulta evidente se si considerano i testi di lCor 16,1-4; Rm 15,24-32 e Gal 2,10. Il brano di l Cor rientra, infatti, tra la serie di risposte «tecniche» dell'apo­ stolo ai quesiti dei corinzi (cf. l'uso di peri de in 7, 1 .25; 8, 1 ; 16,1). Significativa è la modalità indicata della raccolta: «ogni primo (giorno) della settimana» (cf. Rm 15,25-28). Paolo, per evitare qualsiasi accusa di frode ai danni della comunità, si dice disponibile a recarsi personalmente a Corinto per raccogliere la somma e inviarla a Gerusalemme attraverso rappresentanti scelti dalla comunità di Co­ rinto, accreditati da lettere di raccomandazione ( l Cor 16,3), e, se necessario, ad accompagnarli egli stesso (l Cor 16,4). C'è da aggiungere che siamo informati an­ che di prescrizioni date «alle Chiese della Galazia», di cui non si parla nella Let­ tera ai Galati, forse date oralmente durante il viaggio riferito in At 18,23, oppu­ re in una apposita lettera. Quanto ai destinatari, sono definiti «i santi)) (cf. Rm 15,26). La campagna a favore dei poveri è chiamata charis («grazia») e logeia («colletta»). 63 Accettare l 'invito a partecipare alla colletta equivaleva ad acco­ gliere la logica pasquale del donarsi di Cristo, come traspare dalla menzione del giorno in cui doveva essere messa in atto: «ogni uno della settimana» , adopera­ ta nei Vangeli e in Atti per il ) nonché la prospetti­ va teologica della raccolta: «Avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali,

62 La connessione tra A t 1 1 ,28, che parla di una grande carestia in Palestina, e At 24,17 è esclusa del tutto da D.J. DowNs, «Paul's collection and the book of Acts revisited», in NTS 52(2006), 50-70. 63 Il termine logeia è usato nei papiri per l'esazione delle imposte (cf. BARRETI, A commentary, 470).

238

Commento

devono rendere loro un servizio sacro per le loro necessità materiali». L'invito a pregare «perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio torni gradito a quella comunità» (Rm 15,31 ) indica il carattere di approvazione pos­ seduto dalla colletta: dall'accettazione o meno del dono dipendeva il riconosci­ mento dell'identità dei corinzi di comunità di «santi» e il ruolo dello stesso apo­ stolo. Il riferimento in Gal 2,10 si colloca all'interno degli esiti dell'assemblea di Gerusalemme: «Solo che ci ricordassimo dei poveri, cosa di cui proprio mi diedi premura di fare». Alla luce di Gal 2,6 («non imposero nulla») si può dedurre che non si sia trattato di un obbligo stringente da parte delle «colonne» di quella Chiesa, ma di un invito lasciato alla libertà dell'apostolo. Le proposte degli esegeti per spiegare i motivi della povertà della comunità di Gerusalemme vanno da quello dell'aumento delle vedove a quello dell'arrivo di pellegrini a Gerusalemme che pesava sulla comunità, dalle prime esperienze di vi­ ta comune ai problemi derivanti dalla carestia scoppiata secondo At 1 1 ,27-3()64 sotto l'impero di Claudio, per finire alle conseguenze di persecuzioni economi­ che.65 A supporto del motivo della carestia abbiamo le parole di Giuseppe Flavio nelle Antichità (20.5,2): «Fu sotto l'amministrazione (di Tiberio Alessandro) che in Giudea avvenne una grave carestia». In questo contesto si comprende l'invito di Giacomo, Kefa e Giovanni «a ricordarsi dei poveri>>. C'è da aggiungere che non abbiamo altre notizie di coinvolgimenti nell'iniziativa di solidarietà al di fuori di Paolo e delle comunità dell'Acaia, della Macedonia e - stando a 1 Cor 16,1 - mol­ to probabilmente della Galazia. Oggetto di confronto tra gli esegeti sono gli scopi che l'apostolo si era pre­ fisso con l'iniziativa. Tra le diverse ipotesi sono da menzionare le seguenti. l) K.F. Nickle66 considera la colletta un atto di carità per creare «uguaglian­

za>>, a motivo di Gal 2,10 e di 2Cor 8,13-14: «Nella situazione presente la vostra abbondanza (è) per la loro indigenza, perché anche la loro abbon­ danza (sia) per la vostra indigenza, e vi sia uguaglianza». L'amore per i po­ veri, riflesso dell'amore di Cristo (2Cor 5,14), è un tema ricorrente nelle lettere (lCor 13; Rm 12,13; ecc.), in sintonia con la teologia della carità sia dell'Antico che del Nuovo Testamento.

2) K. Berger vede un'analogia con le elemosine dei pagani fatte al popolo di Dio «e cariche di valenza espiatrice dei loro peccati>>. 67 L'iniziativa an­ drebbe inquadrata nella linea della pratica degli ebrei della diaspora di in-

64 , in NTStud 47(200 1), 354-37 1 . 7 U n a differente strutturazione è proposta d a J. LAMB RECHT («The fool 's speech and its context: Paul's particular way of arguing in 2 Cor 10-13)), in Bib 82[2001), 305-324): Esortazione (10, 1 ) Autorità (10,2-18) Negazione di inferiorità ( 1 1 ,5-12) Discorso da stolto ( 1 1 ,22-12,10) Negazione di inferiorità (12,1 1b-18) Autorità (13,1-10) Esortazione ( 13,1 1 ) .

2Cor 10,1-13,10

245

In A (10,1-18) sono tre le precisazioni fatte da Paolo: la risposta all'accusa di «camminare nella carne» (10,1-6) ; la risposta all'accusa di inviare «lettere pe­ santi e forti», mentre la sua presenza è «debole» (10,7-1 1 ); e la definizione del mandato apostolico ricevuto da Paolo (10,12-18). Nella sezione A' (12,19-13,10) sono ripresi quasi in parallelo i motivi di A e ap­ plicati alla situazione della comunità: la lista dei peccati dei corinzi e il desiderio di trovarli pentiti al suo ritorno (12,19-21); la visita di Paolo e la sua forza in Cristo (13,1-4); infine il potere dell'apostolo per l'edificazione della comunità (13,5-10). Per quanto riguarda B (1 1,1-21): l'amore paterno di Paolo e i «super-aposto­ li» ( 1 1 ,1-6); il motivo del rifiuto del sostegno economico da parte dei corinzi ( 1 1 ,7-1 1); il desiderio di non fornire pretesti ai «super-apostoli» e la loro identità (1 1 ,12-1 5); e il motivo della pazzia di Paolo a confronto con la pazzia dei corin­ zi ( 1 1 ,16-21). In B ' (12,1 1 -18) troviamo in parallelo con B: il motivo della stoltezza e i se­ gni dell'apostolato (12,1 1 -12); il sostentamento economico di Paolo (12,13); da ultimo l'amore paterno dell'apostolo e la missione di Tito (12,13-18). Infine in C ( 1 1 ,22-1 2,10) compare il nucleo portante della dimostrazione: lo statuto della debolezza paolina ( 1 1 ,23-33); il rigetto della sapienza carismatica degli avversari, la parola rivelatrice di Dio e il vanto paradossale dell'apostolo ( 12,1-10).8 In 1 1 ,1-12,18 vi è la difesa di Paolo, che culmina in 12,9. Paolo non respinge l'accusa di debolezza, ma ne capovolge il valore: la fa propria per far risaltare meglio la potenza di Cristo (12,10) e quindi il valore della propria autorità nella comunità di Corinto. Nella difesa si sarebbe potuto servire della teologia della croce per farsi valere, ma evita di farlo: sarebbe stato di grande efficacia dimo­ strativa. La replica all'accusa di debolezza consiste nell' «élargissant le champ de manifestation de cette faiblesse»,9 nell'affermare che la potenza di Dio opera an­ che in lui: episkenoun. 10 Della croce e delle difficoltà del ministero si parla in 1 3,4, dove il contesto le presenta come deplorabili e non, come in 4,1 Os, come una fedeltà che conduce alla vita (due volte hina) Siamo in presenza di un'articolazione abbastanza ordinata, tesa a illustrare l'identità e le caratteristiche dell'attività apostolica mediante il genere della let­ tera di tipo filofronetico, di amicizia. E, proprio grazie a questo suo carattere, il discorso può risultare coinvolgente, poiché confidenziale e dimostrativo nello stesso tempo. 1 1 .

8 HonE (Paradoxein bei Paulus, 159-227) parla di due parti strutturate in modo quasi paralle­ lo: il vanto delle proprie sofferenze (11,21b-33) e il vanto della propria debolezza (12,1-10). 9 M.A. CHEVALLIER, «L'argumentation de Paul dans II Corinth. 10 à 13», in RHPR 70( 1990), 14. 1 ° Cf. L. AEJMELAEUS, Schwachheit als Wife. Die Argumentation des Paulus im Triinenbrief (2. Kor. J0-13), Gottingen 2000. 11 Tra i tanti approcci esegetici ai tre capitoli, occorre citare quello di A. BASH («A psychodyna­ mic approach to the interpretation of 2 Corinthians 10-13», in JSNT 83[2001], 51-67), che Ji ha stu­ diati alla luce deJI'idea del meccanismo di difesa sviluppato dagli psicoJogi moderni. EgJi ritrova in particolare i processi della rimozione e della negazione.

246

Commento

A - LE ACCUSE (10,1-18) Paolo risponde alle accuse degli avversari che criticavano la sua condotta, l'i­ nefficace preparazione retorica e il linguaggio disprezzabile (ci si riferisce più al modo e allo stile del suo parlare che a quanto dice). La risposta non mira tanto a confutare l'accusa di «impreparazione», quanto a dimostrare che il suo modo di presentarsi è in linea con il comportamento di Cristo, «mite» e «umile». Re­ spinge tuttavia fermamente l'accusa di vivere «secondo la carne», pur essendo partecipe della condizione di debolezza dell'umanità. Di quale tipo poi sia questa debolezza, di quale efficacia sia dotata, è ben evi­ denziato dal vocabolario dell'attività militare, ripreso nel c. 1 3. In 10,4-5 abban­ dona una strategia meramente difensiva per sottolineare la debolezza e la co­ dardia dei suoi oppositori. Le sue «armi» non sono soggette ad alcuna limitazio­ ne, ma «potenti» per Dio. Ben diverse dai discorsi eruditi degli avversari, esse so­ no in grado di distruggere le «fortezze», le torri nemiche, analogicamente alla tecnica di guerra greco-romana. Ma l'obiettivo della sua «guerra)) è ('«obbe­ dienza» a Cristo, la fede che l'apostolo porta a Corinto. Se tale è il progetto di Paolo, umile, debole fisicamente, non esperto di reto­ rica, ogni disubbidienza non è solo a Paolo ma in definitiva a Cristo. In 1 0,12-1 6 attesta di volersi attenere a quella «norma di misura» che Dio gli ha assegnato. È la norma che regola il suo ufficio apostolico: si affatica là dove il vangelo non è stato ancora annunciato. In questo modo Paolo sottolinea di non voler ecce­ dere nel proprio vanto al di là della misura di giurisdizione fissata da Dio, giac­ ché l'autorità apostolica non si fonda su una presunzione personale. Ciò che con­ ta è fare affidamento sulla raccomandazione di Cristo, giacché solo con que­ st'ultima si può parlare di posizione di forza (10,17-18). Se essere debole equi­ vale a riconoscere come criterio apostolico il ruolo e l'autorità fissati da Dio, ri­ fiutando di accampare diritti, meriti e successi personali, egli si considera tale. 1 0•1 0 ra io stesso, Paolo, vi esorto per la mansuetudine e la mitezza di Cristo, che di presenza insignificante tra voi, di lontano sono audace verso di voi; 2chiedo (che) non (avvenga) che io sia audace, (quando sarò) presente (tra voi), con la fiducia che ritengo di osare verso quelli che ci ritengono come se camminiamo secondo la carne. 3/nfatti pur camminando nella carne non combattiamo secondo la carne. 4/nfatti le armi della nostra milizia non (so­ no) carnali ma (sono) potenti a motivo di Dio per (la) distruzione d(elle) fortez ze, per distruggere ragionamenti 5e ogni altezza che si leva contro la conoscenza di Dio, e imprigionando ogni intelligenza verso l'obbedienza di Cristo, 6ed essendo pronti a punire ogni disobbedienza, appena la vostra ob­ bedienza sarà stata adempiuta. 1Guardate in faccia le cose. Se uno è convin­ to in se stesso di essere di Cristo, anche di questo tenga conto da se stesso, che come lui è di Cristo, così anche noi. 8Se infatti mi vantassi di più in qualche cosa a riguardo della nostra autorità che il Signore (ci) ha dato per (/ ')edifi­ cazione e non per (la) vostra distruzione, non sarò svergognato. 9Affinché

2Cor 10,1·18

247

non sembri càme se io voglia incutere paura attraverso le lettere, 10perché «le lettere», si dice, «(sono) pesanti e forti, ma la presenza fisica debole e la pa­ rola insignificante», 1 1 questo ritenga quel tale: quali siamo con la parola at­ traverso le lettere assenti, tali (saremo) anche presenti con l'azione. 1 2/nfatti non osiamo annoverare o confrontare noi stessi con coloro che si racco­ mandano da sé, ma quando essi si misurano tra loro stessi o si confrontano con se stessi non sono in sé. 13Noi, invece, non ci vanteremo al di là dei no­ stri limiti, ma secondo la misura della regola, misura che Dio ci ha assegna­ to, (cioè) che noi siamo arrivati anche fino a voi. 14/nfatti non ci estendiamo oltre misura come quelli che non sono giunti fino a voi. Infatti, anche fino a voi siamo giunti con il vangelo di Cristo. 1 5 Non vantandoci oltre i nostri li­ miti di fatiche altrui, ma avendo speranza, crescendo la vostra fede, di essere magnificati in voi secondo la nostra competenza alla massima altezza; 16di evangelizzare le (regioni che si trovano) al di là di voi, senza vantarci, in una sfera di competenza altrui, di cose (già) pronte. 17 E «chi si vanta, si vanti nel Signore!». t XNon chi raccomanda se stesso è approvato, ma colui che il Si­ gnore raccomanda. La sezione contiene diversi motivi comuni a quella di 12,19-1 3,10, con la ri­ presa dello stesso vocabolario: 12 - l'assenza-presenza a Corinto (10,1-2. 1 1 ; 13,2,10) e la terza visita (10,1 .46.1 1 ; 13,1 .2. 10); - la minaccia di mostrarsi severo al suo arrivo ( 1 0,2. 1 1 � 12,20-21; 13,2.10); - l'obbedienza/disobbedienza dei corinzi (10,6; 13,1-2.5.9-10); - le lettere precedenti e quella presente (10,9-1 1 ; 13,10); - il contrasto debolezza/potenza; - la missione di edificare e non distruggere ripresa da Geremia (10,18; 13,10); - la prova/approvazione (10,18; 13,3.5-7); - la comunione con Cristo (1 0,7; 13,3.5).

Ci sono somiglianze ma anche differenze: il c. 10 guarda alle sofferenze e a fatti del passato; 12,1 9-1 3,10 al futuro: la futura visita a Corinto. La sezione si può suddividere in due unità: vv. 1-1 1 (l'accusa del camminare nella carne e di inviare lettere pesanti e forti) e vv. 1 2-18 (la misura del vanto di Paolo) . La prima caratterizzata dai motivi della visita futura (v. 2. 1 1 ) e del rim­ provero (v. 1 . 10). La seconda dai temi della raccomandazione (vv. 12. 18) e del vanto (vv. 13.15.16.17).

12

Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 158-159.

248

Commento

A.1 - IL CAMMINARE NELLA CARNE E LE LE1TERE ( 10,1-1 1) La prima unità si struttura in due parti: a) la condotta e le armi dell'aposto­ lo (vv. 1-6); b) il potere di edificare e le lettere ( vv. 7-1 1 ). A.2 - CONSEGUENZE DELLA DISOBBEDIENZA (10,1 -6) L'apostolo, rispondendo all'accusa di incoerenza, invita i corinzi con le armi dell'amore di Cristo (la pazienza e la mitezza) ad obbedire ai suoi suggerimenti, perché si manifesti tra loro lo splendore della grazia divina che li vuole edifica­ re nella conoscenza di Dio. Pronto a rivendicare la propria autorità ministeriale, non teme di parlare della sua capacità di distruggere e abbattere le «fortezze» dei ragionamenti umani che eventualmente essi si siano costruiti accettando la sudditanza degli avversari. v. 1: «Ora io stesso ( autos de ego), Paolo, vi esorto (paraka/6) per (dia) la mansuetudine (tes praytetos) e la mitezza ( epieikeias) di Cristo, che di presenza (kata prosopon) insignificante (tapeinos) tra voi, di lontano sono audace (tharro) verso di voi ». Abbiamo qui il pronome personale di prima persona singolare preceduto e rafforzato dall'intensivo autos, «Stesso», 13 + la menzione del nome «Paolo». È questo un modo per enfatizzare l'autorità apostolica. Per ego con il nome «Pao­ lo» cf. l Ts 2,18 e Gal 5,2. L'aver escluso il riferimento ai propri collaboratori è in­ dicativo della sua volontà di argomentare a partire dal c. lO sul ruolo e la funzio­ ne del proprio ministero apostolico in contrapposizione alla millanteria dei suoi avversari. Parakalo, «esorto», si trova spesso all'inizio di una sezione parenetica come in 2,8; lTs 4,1 e Rm 12,1. In 5,20 con parakaloun si identificava il compito del ministro del vangelo: «esortare» ad accogliere la soteria di Dio in Cristo me­ diata dall'apostolo. Il verbo è seguito da una frase preposizionale introdotta da dia, «per» (cf. Rm 12,1; 15,30; 1 Cor 1,10), con funzione di giuramento.14 Il discorso appena abbozzato sulla mitezza di Cristo è improvvisamente in­ terrotto dalla menzione dell'accusa, ripresa al v. 2 e soprattutto al v. 10, e ne co­ stituisce già una risposta. Praytes («mansuetudine») è adoperato nel NT per Cri­ sto (Mt 1 1 ,29), per indicare uno dei frutti dello Spirito (Gal 5,23) e una delle qua­ lità che dovrebbero caratterizzare la vita dei credenti (Ef 4,2; Col 3,12). Nella LXX descrive il re messianico (Sal 44,4), Davide (Sal 131 ,1) e Mosè (Sir 45,4). L'aggettivo corrispondente prays lo troviamo nella citazione di Zc 9,9LXX in Mt 21 ,5: «Ecco, viene il tuo re, mite, seduto su un'asina, con un puledro figlio di be­ stia da soma», e nelle beatitudini (M t 5,5: «Beati i miti»). «La praytes è il corag-

1 3 Similmente in 12,13; Rm 7,25; 9,3; 15,14. 14 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 455.

2Cor

10,1-6

249

gio del servizio a favore degli uomini, con rinuncia alla violenza e con fede e fi­ ducia in Jahvè».15 Epieikeia («mitezza») nel NT è impiegato unicamente in At 24,4, nel tentativo degli accusatori giudaici di Paolo di accattivarsi la benignità del procuratore Felice. Nella LXX indica soprattutto la mitezza o l'indulgenza o clemenza di Dio ( 1 Re 12,22; Sal 85,5; Sap 12,18; 2Mac 2,22; 10,4). L'aggettivo epieikes lo troviamo in Fil 4,5 per il cristiano che vive la mitezza nei confronti del prossimo a motivo della propria fiducia nella vicinanza del Signore (cf. inoltre l Tm 3,3; Gc 3,17).16 Segue un'espressione ironica che utilizza probabilmente le accuse degli av­ versari: «di presenza insignificante tra voi, di lontano audace verso di voi». Kata prosòpon, «di persona», ha lo stesso valore di Gal 2,1 1 , quando si accenna al con­ fronto con Pietro ad Antiochia. Sorprende l'accezione negativa di tapeinos: «in­ significante», insolita per il NT (cf. il verbo tapeinoun in 1 1 ,7). Per quanto ri­ guarda l'audacia (tharrein) dell'apostolo, essa è stata già affermata in 5,6.8; 7,16, ora tuttavia si tratta di un'accusa. Il contrasto «di persona»/«lontano» lo ritro­ viamo anche al v. 10 e in 13,2. 10. Rigettare Paolo significa rigettare colui che manifesta la mansuetudine e la mitezza di Cristo; significa rigettare il vangelo di Cristo che l'apostolo non solo annuncia, ma testimonia con la vita. v. 2: «chiedo (deomai de) (che) non (avvenga) che io sia audace, (quando sarò) presente (tra voi), con la fiducia (te; pepoithesei) che ritengo (logizomai) di osare (tolmesai) verso quelli che ci ritengono (logizomenous) come se cammi­ niamo (peripatountas) secondo la carne (kata sarka)». Consapevole di tale rifiuto dei corinzi, Paolo invita gli avversari ( epi tinas = > , cf. vv. 1 -2. A.4 -

LA DEFINIZIONE DEL MANDATO APOSTOLICO RICEVUTO DA PAOLO (10,12-18)

Il gar, «infatth> , iniziale indica che l'unità vuole essere una confutazione del­ l'accusa di vanto da parte degli avversari (v. 1 1 ). Contro tale ac­ cusa Paolo ribadisce la sua scelta e la ferma volontà di non operare al di là del­ la propria «regola, misura>> (kan6n), cioè sfera di competenza apostolica asse­ gnatagli da Dio (v. 13), senza gloriarsi di fatiche altrui (kopos, v. 15), giacché è proprio grazie al suo ministero che i corinzi sono giunti alla fede (v. 14). Infatti il vero apostolo tiene conto del monito della Scrittura: «chi si vanta, si vanti nel Si­ gnore» (v. 17, che cita liberamente Ger 9,22-23). I termini più frequenti sono quelli della «misura» (vv. 12.13.15.16) e del «vantarsi» (kauchasthai, vv. 13. 15. 16.17). L'unità è strutturata in modo concentrico:33 a) v. 12 (prima plurale-terza singolare) b) vv. 13-16 (prima plurale) (terza singolare) a ' ) vv. 17-18 na il v. 12 e i vv. 17 18 abbiamo un'inclusione con il tema del «raccomanda­ re» (synistanein). Al centro il modo di agire dell'apostolo nel passato (vv. 13-15a) e l'impegno per il futuro (vv. 15b-16). Si può notare inoltre uno stretto paralleli­ smo tra i vv. 12-18 e il v. 8.34 ..

33 Cf. K.H.-Y. WoNo, Boasting andfoolishness. A study of2Cor 10,12-18 and 11,1a, Hong Kong 1998. 34 a. LAMBRECHT, Second Corinthians, 168.

257

2Cor 10,12.:.18

v. 12: «Infatti (gar) non osiamo (tolmomen) annoverare (enkrinai) o con­ frontare (synkrinai) noi stessi con coloro (tisin) che si raccomandano (synista­ nont6n) da sé, ma quando essi si misurano tra loro stessi o si confrontano con se stessi non sono in sé (ou syniasin)». Viene spiegato (gar) il v. 11 con un tono fortemente ironico. Sia il verbo tol­ man che il pronome indefinito tis richiamano il v. 2. Ritorna ancora una volta il verbo synistanein («raccomandare»), frequente nella 2Cor (cf. 3,1 ; 4,2; 5,12; 1 0,12.18; 12,1 1 ; con il riflessivo «raccomandarsi» in 3,1 ; 5,12). Paolo in 1 1,21b-23 si confronterà apertamente con gli avversari, ma come Io fa «Un pazzo». Abbia­ mo un gioco di parole tra enkrinailsynkrinai («annoverare/confrontare»), tutti e due derivanti dalla radice krinein («giudicare»). Il versetto è attestato in due modi differenti nella tradizione testuale: una for­ ma più lunga e una più breve. Quella più lunga contiene le ultime parole del v. 12 + quelle iniziali del v. 13: ou syniasin. Hemeis de. Tale variante è suffragata dai migliori testimoni (B, p46 ecc. ), a differenza di quella più breve, ovvero senza le medesime parole, supportata da testimoni di minore importanza (D*, F, G). L'as­ senza in questi ultimi può essere spiegata per aplografia, cioè per il salto di pa­ role nella lettura da parte del copista a causa delle due negazioni ou e ouk. Il testo più lungo si adatta meglio al contesto e spiega l'assurdità del metodo apostolico degli avversari, «tines», basato sul confronto con se stessi e non sul do­ no dello Spirito: «non sono in grado di mettere insieme» (syn + hiemi) i vari ele­ menti che caratterizzano l'identità ministeriale. Hemeis de, «ma noi», va comun­ que collocato nel v. 13, giacché introduce un cesura nel corso dell'argomentazio­ ne. 35 La forma letteraria della comparazione e del confronto era una parte fon­ damentale nella retorica (synkrisis) e apparteneva al genere dell'encomio: un modo per mostrare l'eccellenza della propria virtù, adoperato ad esempio in Plu­ tarco nelle Vite parallele. Nell'encomio le comparazioni sono fatte da una terza persona, ma a volte anche in prima persona. Ai tempi di Paolo il metodo della comparazione era tipico dei retori e dei filosofi, per accaparrarsi discepoli. Ed è proprio questa l 'accusa portata da Paolo contro i suoi avversari:36 anziché esa­ minare se stessi, si confrontano con altri per motivi di vanagloria. Il confronto autentico avviene invece solo quando ci si compara con la misura stabilita da Dio, perché solo allora ci si comprende veramente per quello che si è «in sé» da­ vanti a Dio e si vince la propria stoltezza. v. 13: «Noi, invece, (hemeis de) non ci vanteremo al di là dei nostri limiti (eis

ta ametra), ma secondo la misura (hemeis de) della regola (tou kanonos), misura (metrou) che (hou) Dio ci ha assegnato, (cioè) che noi siamo arrivati anche fino a voi (ephikesthai achri kai hym6n)». •

3 5 Cf.

METZGER, A textual commentary. 583. 36 Cf. THRALL, A criticai, II, 643.

l �l

258

Mentre al v. 12 critica il modo di vantarsi degli avversari, dal v. 13 al v. 16 Pao­ lo descrive il proprio vanto nei confronti dei corinzi {da notare l'enfasi su hemeis de). L'aggettivo ametron («Senza misura>>), il sostantivo metron e l'espressione eis ta ametra («al di là dei nostri limiti>>) richiamano l'idea della «misura>> del ver­ bo metroun.tes del v. 12b. Metron in questo contesto non sta per «misura» ma pro­ priamente per «quantità misurata» di autorità. Kanon ha il significato fonda­ mentale di «canna», poi, come bastone «diritto», assunse il valore di «misura» e, in senso traslato, di «regola, norma, statuto» (cf. Gal 6,16). Nel NT compare solo in Paolo. Possiamo renderlo con «competenza», derivata da una «nonna» e da una «giurisdizione»,37 più che con «territorio geografico» assegnato in occasione del concilio di Gerusalemme da Pietro, Giacomo e Giovanni, «ritenuti le colon­ ne» (Gal 2,9).38 La sua «competenza» è stabilita da Dio e non da capricci e vel­ leità apostoliche (cf. Rm 12,3; 1 Cor 7,17). Il pronome relativo hou («il quale») è al genitivo per attrazione di kanonos (genitivo). Poi al relativo, per renderlo più esplicito, è stato aggiunto metrou: non ci vanteremo al di là dei nostri limiti ( eis ta ametron ) , ma secondo la misura (metron) della regola (tou kanonos), misura (metrou ) che (hou) Dio ci ha assegnato.

L'infinitiva ephikesthai achri kai hymon ha valore epesegetico, di spiegazio­ ne: «(cioè) che noi siamo arrivati anche fino a voi». Paolo non teme di leggere i rapporti con i corinzi nel panorama più ampio dell'evangelizzazione delle varie comunità presso le quali è stato inviato («siamo arrivati anche fino a voi»): può farlo perché si tratta di una semplice e inconfutabile verità. v. 14: «Infatti non ci estendiamo oltre misura (hyperekteinomen) come quel­ li che non sono giunti (hos me ephikneoumenoi) fino a voi. Infatti, anche fino a voi siamo giunti ( ephthasamen) con il vangelo ( en to; euangelio;) di Cristo». La contrapposizione è netta tra Paolo e gli avversari: «non ci estendiamo ol­ tre» (hyperekteinein, da hyper, «al di là», ed ektos, «fuori») si oppone all'atteg­ giamento arrogante di «quelli che non sono giunti fino a voi». Il participio in me ephiknoumenoi, «Che non sono giunti», dice la continuità pastorale nel presente della missione paolina, contrapposta a quella degli avversari. Il suo vanto consi­ ste nell'essere giunto prima (phthanein) dei super-apostoli con l'autorità e la for­ za del vangelo di Cristo. Il verbo phthanein è usato nel greco classico nell'acce­ zione di «giungere prima, più presto di»;39 nel NT qualifica l'arrivo del regno di Dio nel potere di Cristo di liberare dal giogo di Satana con gli esorcismi (M t

37 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 165.

Cf. THRALL, A criticai. Il, 644-647; MATERA, // Corinthians, 232. J.D.M. DERRETI («Paul as ma­ ster-builder», in EQ 69[1997], 1 07-1 13) legge il termine alla luce di lCor 3,10- 1 3: Paolo come archi­ tetto, con la predicazione. ha posto le fondamenta delle sue comunità, di qui la sua competenza. 39 Cf. «phthanò», in Rocci, 195 1 . 38

2Cor 10,12-18

259

12,28; Le 1 1 ,20). Dal punto di vista semantico notiamo la differenza tra phtha­ nein, che rende l'idea del «precedere qualcuno in qualcosa», ed ephiknesthai (cf. anche v. 13), che ha il semplice valore di «giungere>>. Del «vangelo di Cristo>> Paolo ha già parlato in 2,12; 9,13 (cf. Rm 15,19; 1Cor 9J2; Gal 1 ,7; Fil 1 ,27; 1Ts 3,2). La traduzione «con il vangelo» di en t6; euangeli6; deve sempre sottinten­ dere la relazionalità che si stabilisce tra Cristo, l'apostolo e i destinatari, coinvolti in un unico processo di comunione di salvezza che è il vangelo, di qui il senso del­ la traduzione letterale «nel vangelo». v. lS: «Non vantandoci oltre i nostri limiti di fatiche (kopois) altrui, ma aven­ do speranza (elpida de echontes), crescendo la vostra fede, di essere magnificati (megalynthenai) in voi secondo la nostra competenza alla massima altezza». Al posto del vanto Paolo confessa la speranza di vedere esaltata la sua fa­ tica con la crescita della fede dei corinzi, per l'apostolo il solo vero ed unico vanto che gli compete e a cui ambisce. Il termine kopos spesso significa il «la­ voro apostolico» ( 1 Cor 3,8; 15,10; Gal 4,1 1 ; Fil 2,16; 1Ts 3,5), di qui «fatiche». Da elpida echontes, «avendo speranza» (cf. 1 ,7.10. 1 3; 5,1 1 ; 13,6), dipendono tre infiniti: «essere magnificati», «evangelizzare» (v. 16), «Vantarsi» (v. 1 6). L'e­ spressione «crescendo la vostra fede» può essere resa con «diventando perfet­ ta» (10,6: «una volta che la vostra fede sia stata adempiuta»). L'evangelizzazio­ ne non mira all'esaltazione del ruolo del ministro, ma a magnificare (me­ galynthenai, «essere magnificati, lodati in modo elevato») l'opera salvifica di Cristo, mediata dal ministro e accolta con la fede dai destinatari de li 'annuncio, secondo quanto leggiamo in Rm 1 1 ,13: «come apostolo dei gentili, io faccio onore ( doxazo) al mio ministero». Il ministero è il tempo della glorificazione di Dio compiuto con la diffusione del vangelo tra i pagani. Viene a crearsi una re­ ciprocità tra il «non vantarsi di fatiche altrui» di Paolo, la crescita della fede dei corinzi, l'esaltazione in loro della sua missione e il suo riconoscimento come apostolo (cf. l ,1 1 ; 3,2-3; 4, 15).

v. 16: «di evangelizzare le (regioni che si trovano) al di là di voi, senza van­ tarci, in una sfera di competenza altrui (en allotrio; kanoni), di cose (già) pronte (eis ta hetoima)». Poiché Dio ha stabilito una sfera di competenza (kanon) per ciascuno dei suoi messaggeri, Paolo non può e non vuole vantarsi di fatiche altrui. En allotrio; kanoni, «in una sfera di competenza», si riferisce alla sfera nella quale l'autorità è esercitata, piuttosto che all'autorità con cui è esercitata.40 Hetoimos sta per «pronto, preparato» dalla predicazione di altri, qui per comunità divenute cre­ denti grazie alla fatica apostolica di altri ministri. In Rm 15,20 esprime il deside­ rio di annunciare il vangelo laddove non è stato ancora conosciuto: «Ma mi so-

40 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 474.

26tl

Commento

no fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui» (cf. Rm 15,21 ; cf. anche l Cor 3,5ss) . La lettera di raccomandazione di Paolo è e rimane la comunità di Corinto, lettera che non può essere utilizzata da nessun altro, giac­ ché egli ne è l 'unico responsabile sin dagli inizi. v. 17: «E "chi si vanta, si vanti nel Signore (Kyrios) ! "». Troviamo la stessa citazione di 1Cor 1,31, dove però è introdotta da «perché, come è scritto» e il testo è riferito alla comunità, mentre quello della 2Cor all'a­ postolo. Molti vedono il riferimento a Ger 9,22-23LXX (a sua volta quasi iden­ tico al testo ebraico di l Sam 2, 10): «Non si vanti il saggio della sua saggezza e non si vanti il forte della sua forza, non si vanti il ricco delle sue ricchezze. Ma chi vuoi gloriarsi si vanti di questo, di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla ter­ ra; di queste cose mi compiaccio». La differenza nel testo di 2Cor consiste nel­ l'omissione della parte negativa e nella sostituzione di «conoscere me» (per il concetto di conoscenza di Dio) con «nel Signore». All'arroganza e pretesa degli avversari Paolo oppone il proprio vanto: esse­ re stato scelto e aver ricevuto da Dio sia il ministero che il kan6n da esercitare.41 È legittimo solo il vanto per ciò che il Signore ha fatto, come nel caso del mini­ stero di Paolo (cf. l 'evangelizzazione dei gentili di Rm 15,17-18: «Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio; non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbe­ dienza, con parole e opere>>). Il vanto nel Signore è chiaro alla luce di 1 Cor 3,6: «lo ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere>>. Kyrios con tutta probabilità indica Cristo.

v. 18: «Non chi raccomanda se stesso (ho heauton synistanon) è approvato (dokimos}, ma colui che il Signore (ho Kyrios) raccomanda (synistesin)». Dopo aver chiarito il senso del vero vanto «nel Signore>>, Paolo conclude la sua argomentazione parlando dell'approvazione (dokimos) da parte di Dio. «Il predicato dokimos spetta non a colui che si raccomanda da se stesso, ma a colui che è raccomandato dal Signore; in tal modo si mette in rilievo sia la validità pub­ blica ed escatologica, sia la indiscutibilità di questo predicato».42 Il termine con i suoi correlati adokimos, dokime e dokimazein compare frequentemente nel c. 13. In lTs 2,4 Paolo chiarisce il senso dell'approvazione divina in questi termini: «ma come Dio ci ha trovati degni (dedokimasmetha) di affidarci il vangelo così lo pre­ dichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova (dokimazon-

4 1 Sia in Gal che in 2Cor Paolo definisce la sua identità di apostolos indirettamente, in un con­ testo di conflitto con gli avversari. Cf. N.H . TAYLOR, «Conflict as context for defining identity: a study of apostleship in the galatian and corinthian letters», in HTSTeolStud 59(2003), 91 5-945. 42 G. ScHUNACK, «dokimos», in DENT, l, 909.

2Cor 10,12-18

161

ti) i nostri cuori»; in 1 Cor 3,13 aggiunge che il «fuoco proverà» (dokimasei) la qualità dell'opera svolta dai suoi ministri. Il discorso sarà ripreso nei suoi risvolti con la comunità di Corinto in 2Cor 13,5-6. Alla luce del v. 17 e di Rm 14,18 («chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini»), possiamo intendere ho Kyrios come rife­ rito a Cristo. Alcuni, come Lambrecht, lo riferiscono a Dio.

262 B

-

Commento '

IL CONFRONTO CON I SUPER-APOSTOLI (11,1-21)

Dopo aver difeso la propria autorità apostolica in 10,1-18, Paolo inizia ora a spiegare le caratteristiche del suo vanto paradossale, giacché i titoli di merito del vero apostolo sono quelli che i suoi detrattori chiamano sconfitte. Per questo non teme di parlare da folle (cf. 1 1 , 1 . 16.1 7.21) e di riferire cose illogiche. Se in 1 1 ,1-21 fa propria l'accusa di debolezza con il racconto delle «sconfitte» mini­ steriali, a partire da 1 1 ,22 la confuterà sul terreno scelto dagli avversari: le visio­ ni e le rivelazioni. Nel confutare l'accusa di debolezza, non ne parla in astratto, ma la riferisce a molte specifiche situazioni nelle quali è stato coinvolto. Se debole significa agire come un padre e predicare senza ricompensa, umiliare se stesso invece di van­ tarsi, guidare la Chiesa con l'esempio e non con la forza, egli si compiace di es­ sere tale. Nella richiesta di sopportare un poco la propria follia fa chiaramente ricorso a due forme retoriche: l'ironia e la parodia, cui si aggiunge il sarcasmo al­ lorché definisce i corinzi «sapienti» ( 1 1 ,19). Paolo considera, così, stoltezza il gesto di vanto a cui l'hanno costretto i suoi «saggi» avversari di Corinto. Subito dopo, attraverso l'immagine delle nozze, qualifica la propria debolezza come quella di un padre preoccupato di presenta­ re la propria figlia al futuro marito nella condizione di verginità. In che cosa ma­ terialmente consista questo suo timore è descritto in 1 1 ,3-5. Se la comunità di Corinto diventa infedele ciò avviene sotto l'influsso dei messaggeri di Satana. Ta­ li messaggeri proseguono l'azione di perdizione iniziata ai primordi dell'umanità nell'Eden dal «serpente» ( 1 1 ,3), il protagonista della rovina di Eva (Gen 3), con l 'inganno e la seduzione. La sua debolezza consiste n eli 'ubbidienza al vangelo e nel servizio, non nella pretesa di sapere e nello sfruttamento (11 ,6-21). Egli è ignorante nell'eloquenza ma non nella «conoscenza» ( 1 1 ,6). Contenuto ed esercizio della predicazione so­ no una cosa sola e non possono essere separati o giustapposti, perché è proprio nella predicazione che questo contenuto si attua, operando la salvezza per gli uo­ mini. Nel vangelo Cristo parla attraverso i suoi messaggeri: vangelo e apostolato sono strettamente legati. Ma poiché vangelo e apostolato sono intimamente le­ gati, ogni attacco a Paolo e al suo apostolato è un attacco al vangelo e viceversa. Grazie a questo sviluppo interno dell'argomentazione, egli sfrutta il proprio mo­ do di comportarsi per rendere ragione dell'autorevolezza del suo vangelo. Non basta proclamarsi servi di Cristo. occorre l'effettivo adeguamento del­ l'esistenza ai principi di quel vangelo che si proclama nel nome del Crocifisso. Il ministero degli avversari porta a rendere schiavi gli ascoltatori (1 1 ,20), schiavitù alla quale vogliono ricondurre anche i corinzi. Per contrasto si precisa il tipo di debolezza del ministero di Paolo: non usa le crudeli macchinazioni degli opposi­ tori e prova un grande dolore e dispiacere nel vederli in schiavitù. ll.l Se solo sopportaste un po ' di stoltezza da parte mia! Ma anche (stolto) sopportatemi. 2/nfatti ho un affetto pieno di premure nei vostri confronti

2Cor 11,1-21

263

dell'affettlfpieno di premure di Dio,� ·poich 'é vi ho fidanzato ad un solo spo­ so, per presentarvi come vergine casta a Cristo. 3Temo però che, come il ser­ pente nella sua astuzia ingannò Eva, così si corrompano i vostri pensieri (deviando) dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi di Cristo. 4Se infat­ ti chi viene annuncia un altro Gesù che non abbiamo annunciato, o un altro spirito che non avete ricevuto, (lo) ricevete, o un vangelo differente che non avete accolto, (lo) sopportate volentieri. 5Ritengo infatti di non essere in niente inferiore ai super-apostoli. 6Anche se (sono) inesperto nella parola, non (lo sono) nella conoscenza. E vi abbiamo dimostrato (ciò) in ogni mo­ do e in tutti gli ambiti. 7 Oppure ho fatto peccato, umiliando me stesso affin­ ché voi foste esaltati, dal momento che vi abbiamo evangelizzato gratuita­ mente il vangelo di Dio ? 8Ho spogliato altre Chiese, prendendo (da loro il) salario per il vostro servizio. 9 Ed essendo presso di voi ed essendo nel biso­ gno non sono stato di peso ad alcuno; infatti alla mia necessità hanno sup­ plito i fratelli venuti dalla Macedonia; e in tutto ci sono tenuto e ci terrò a non (risultare) a voi gravoso. 10È verità di Cristo in me che questo vanto non sarà ridotto al silenzio in me nelle regioni dell 'Acaia. 11 Perché? Forse per­ ché non vi amo? (Lo) sa Dio! 12E questo faccio, e farò, per tagliare via il pretesto di coloro che vogliono un pretesto per essere trovati come noi in ciò che si vantano. 13Questi tali, infatti (sono) pseudapostoli, operai ingannato­ ri, che si camuffano da apostoli di Cristo. 14E non (fa) meraviglia! Lo stes­ so Satana si maschera da angelo di luce. 15Non (è) gran cosa;dunque, se an­ che i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; la loro fine sarà se­ condo le loro opere. 16( Lo) dico di nuovo: nessuno mi ritenga un insensato! Ma se (pensate) diversamente, accettatemi, anche se come un insensato, af­ finché anch 'io mi vanti un po'. 11Ciò che dico, non (lo) dico secondo il Si­ gnore, ma come in stoltezza, in questo fatto del vanto. 18Poiché molti si van­ tano secondo la carne, anch 'io mi vanterò. 19Voi infatti essendo saggi sop­ portate volentieri gli insensati. 20Sopportate infatti se qualcuno vi rende schiavi, se qualcuno vi divora, se qualcuno vi cattura, se qualcuno si insu­ perbisce, se qualcuno vi percuote in faccia. 21A (mia) vergogna dico che noi (al riguardo) siamo stati (troppo) deboli, ma in ciò che qualcuno osa, dico con stoltezza, anch 'io oso.

Si passa dalla prospettiva psicologico-emotiva dell'apostolo: «provo gelosia» (v. 2), «temo che» (v. 3), «ritengo» (v. 5), alla condotta tenuta tra i corinzi con il rifiuto dei loro aiuti per accogliere quelli spontanei dei macedoni (vv. 8-9); dal­ l'identità di ministri di Satana degli avversari: pseudapostoloi, ergatai dolioi (v. 13), diakonoi autou (v. 15) alla descrizione della loro attività di asservimento dei corinzi (v. 20) . Il v. l è richiamato con palin («di nuovo») nel v. 1 6, dove compare anche il motivo della sopportazione, mikron («Un poco>>), della sua stoltezza. Il vocabo­ lario della «sopportazione» (anechesthai) lo troviamo al v. l (anechesthai), al v. 16 (dechesthai) e ai vv. l9.20 (anechesthai). Inoltre il v. 4, che sviluppa il tema del-

Commento

264

la vera stoltezza, cioè quella degli avversari che li sfruttano abilmente, è ripreso al v. 19s. Possiamo allora intravedere la seguente struttura: a) vv. 1-6 b) vv. 7-1 1 a') vv. 12-15 b') vv. l6-21

l'amore paterno di Paolo e i super-apostoli il rifiuto del sostegno economico da parte dei corinzi il desiderio di non fornire pretesti ai super-apostoli e la loro identità il motivo della pazzia di Paolo a confronto con quella dei co­ rinzi.

B.1 - L'AMORE PATERNO DI PAOLO E I SUPER-APOSTOLI (1 1 ,1 -6) L'unità ha come elementi caratteristici il verbo anechesthai (vv. 1.4), l'imma­ gine della sposa presentata dal padre allo sposo il giorno delle sue nozze (v. 2) e il richiamo della seduzione di Eva da parte del serpente genesiaco (v. 3). Alcuni (Fumish, Lambrecht) propongono di restringerla ai vv. 1-4, escludendo i verset­ ti relativi al confronto tra Paolo e i super-apostoli ( vv. 5-6). Tuttavia, se si leggo­ no questi ultimi in parallelo al v. 4, che tratta dell' «altro» vangelo degli avversa­ ri accolto entusiasticamente dai corinzi, si comprende la funzione dei vv. 5-6: de­ lineare il «vanto» dell'apostolo nel vangelo di Gesù Cristo, prima di argomenta­ re sulla propria condotta ( vv. 7-1 1 ). L'argomentazione vuole rispondere alla domanda perché mai non si arroghi il diritto di farla da padrone: egli è forte dell'amore paterno, debole del timore di un padre preoccupato di salvaguardare la fedeltà di sua figlia all'unico sposo, Cristo. Il tema della verginità richiama 10,5, dove Paolo accenna al tentativo dei suoi avversari di catturare ogni mente per sottrarla all'obbedienza a Cristo. È evidente che i corinzi rappresentano quella vergine: una violazione della pro­ messa di matrimonio da parte della fidanzata non è meno grave di quella di un matrimonio che sia stato fisicamente consumato. v. l: «Se solo (ophelon) sopportaste (aneichesthe) un po' (mikron ti) di stol­ tezza (aphrosynes) da parte mia! Ma anche (alla kai) (stolto) sopportatemi (ane­ chesthe mou )». Paolo apre la sua dimostrazione con la prima persona singolare (che domina nel resto dei cc. 10--1 3 ad eccezione di 1 1 ,4.6. 12.21; 12,18-19; 13,6-9) e con la par­ ticella che introduce in genere un desiderio irrealizzabile o improbabile: ophe­ lon, «Se solo». Nella prima parte del versetto l'imperfetto aneichesthe dipende da ophelon e sta per il presente: «sopportaste». Nella seconda invece anechesthe può essere un presente indicativo oppure un imperativo. Secondo C. Bottrich43 bisognerebbe supporre la ripetizione di un secondo aphrosyne come oggetto del

43 C.

· BOTIRICH, «2Kor 1 1,1 als Programmwort der Narrenrede», in ZNW 88(1997), 135-139.

2Cor 11,1-6

265

presente anechesthe in lb, per risolvere la difficoltà dell'opposizione tra la e lb, segnalata da alla kai. Mentre in la parla della sua apparente follia, in lb con il presente anechesthe descriverebbe l'atteggiamento di tolleranza dei corinzi del­ la sua stoltezza, già espresso a mo' di programma in l Cor 9,22: «mi sono fatto de­ bole con i deboli». Programma che, parafrasando, nel nostro caso diventa: «per gli stolti, mi sono fatto stolto, per vincere gli stolti». Ma non avrebbe senso espri­ mere dapprima un desiderio («Se solo sopportaste») e poi affermare che si trat­ ta di un atteggiamento di sopportazione già testimoniato da loro, come ritiene anche Wolff. È preferibile invece ritenere la seconda parte del versetto un invi­ to a tollerare il suo modo di esprimersi da stolto, allo scopo di seguire meglio la propria argomentazione, e considerare quindi anechesthe un imperativo. Kai in questo caso avrebbe valore concessivo: «ma sebbene stolto, sopportatemi». Ane­ chesthai è usato nella lista di peristaseis di l Cor 4,12 (cf. 2Ts 1 ,4 a mo' di som­ mario). In 2Cor compare solo nel c. 1 1: vv. l( due volte).4. 19. 10. Per la prima volta nei cc. 10--1 3 adopera il vocabolario della stoltezza. Aph­ rosyne in Paolo è attestato solo tre volte, esclusivamente nella 2Cor, mentre l'ag­ gettivo aphron, su 8 ricorrenze, compare ben 5 volte nella 2Cor. Nel NT il so­ stantivo ancora l volta in Mc, mentre l'aggettivo 2 volte in Le e l in l Pt. L'op­ posizione stoltezza/sapienza è particolarmente sfruttata in l Cor 1-3, dove però per la stoltezza usa i termini m6rialm6ros. Nel nostro caso l'opposizione sottin­ tesa è aphrosyne/sophrosyne («moderazione» ) .44 Dal punto di vista retorico si può parlare di prodiorthosis: chiede la pazienza dei destinatari a riguardo di qualcosa che possono trovare inadatto. I corinzi d'altronde stanno già soppor­ tando i «super-apostoli», che predicano un altro Gesù (v. 4), e da loro sono schia­ vizzati (v. 20). Possono pertanto «sopportare un po'» (mikron) la sua follia, che consisterà nel muovere momentaneamente l'attenzione da Cristo alla propria persona,45 spostamento finalizzato a rendere ancora più evidente il mistero pa­ squale che passa per la sua vita di ministro e apostolo del vangelo. Non intende dire che il vanto degli avversari sia falso, ma solo si propone di illustrare la na­ tura di quello che gli compete. v. 2: «Infatti ho un affetto pieno di premure (zelo) nei vostri confronti del­

l'affetto pieno di premure di Dio ( Theou zelo;); poiché vi ho fidanzato (hermo­ samen) ad un solo sposo, per presentarvi (parastesai) come vergine casta (parthe­ non hagnen) a Cristo». La follia dell'apostolo è espressa attraverso la metafora del fidanzamento. Paolo si sente padre della comunità di Corinto e il suo più ardente desiderio è di collaborare affinché il loro amore, purificato da ogni disobbedienza e impurità, sia sempre più ardente, così da potersi presentare nella parusia a Cristo, sposo della Chiesa, nello splendore dell'amore pasquale.

44 Cf. FuRNISH, Il Corinthians. 485. 45 Cf. MATERA, Il Corinthians, 240.

266

Commento

. . Zelos da alcUni è tradotto ·con «gel osià>> alla luce dell'espressìone seguente Theou zelo; (Lambrecht), ma è meglio tradurre con «affetto pieno di premure». Theou, poi , può essere considerato genitivo di qualità («affetto pieno di premu­ re divino») oppure di origine («affetto pieno di premure che viene da Dio>>). Bultmann propone la lettura del genitivo Theou nel senso di kata Theou, «se­ condo Dio».46 Nell'AT si parla della gelosia di Dio (Es 20,5; 34,1 4; Dt 5,9; 6,15); di Israele come la sposa di YHWH (cf. Is 50,54; Ger 3,1; Ez 16,8; Os 1-3). La pre­ mura di sposo da parte di Dio è messa in parallelo alla sua «ira» in Ez 5,13; 16,38.42; 23,25. Allo «zelo» del Signore accenna ancora Isaia (Is 9,6; 37,32; in par­ ticolare 63,15- 1 6). Paolo con zelos, alludendo indirettamente a questi brani, di­ mostra come attraverso la sua persona si esprima l'affetto di Dio per il suo po­ polo, affetto tante volte illustrato dai profeti. «Ad un solo sposo» si trova in posizione enfatica ed è da legare a hermo­ samen («abbiamo fidanzato», da harmozein detto della donna), un medio-passi­ vo con significato attivo e con il valore di personale coinvolgimento nell'azione compiuta.47 Come in Rm 7,4 la sposa è la comunità e l'«uomo» con cui è fidan­ zata, è Cristo. L'infinito aoristo parastesai ha valore finale, con dimensione esca­ tologica (cf. il commento a 4,14); l'aoristo poi aggiunge la sfumatura dell'unicità dell'evento escatologico. Il termine parthenos «vergine» richiama il testo di lCor 7,36-38 dove si parla della verginità e del matrimonio. Hagnos = «Casto» qualifica l'appartenenza esclusiva al Cristo annunciato dall'apostolo, senza alcun cedimento a qualsiasi tipo di compromesso morale proposto dagli avversari (cf. lTs 5,23). Sono prospettati due momenti: il «fidanzamento», ovvero il momento della conversione alla fede e del battesimo, e il matrimonio, nella parusia (Mt 25,1ss; Ap 1 9,7-9; 21 .2; Ef 5,25-27). Ciò non significa due momenti distinti e se­ parati, giacché secondo il costume ebraico il fidanzamento era, e lo è ancora og­ gi nelle comunità ebraiche, già parte del matrimonio, che avviene con l'introdu­ zione della sposa nella casa dello sposo.48 Di questa «sposa» Paolo è il «padre premuroso» (cf. 12,14; lCor 4,1 5).49 Ap 21 ,2 parla della «città santa, la nuova Ge­ rusalemme, che scende dal cielo, da Dio» , come «sposa dell'Agnello» (Ap 21 ,9). Mentre in 2Cor è Paolo che presenta la Chiesa a Cristo, in Ef 5,25-27 è Cristo che presenta la Chiesa a se stesso. so =

v. 3: «Temo però che, come il serpente nella sua astuzia (en te; panourgia; au­ tou) ingannò ( exepatesen) Eva, così si corrompano (phthare;) i vostri pensieri (noemata hymon) (deviando) dalla semplicità (apo tes haplotetos) e dalla purez­ za (kai tes hagnotetos) nei riguardi di Cristo (tes eis ton Christon)».

46

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 486.

4 7 C f. FURN ISH. Il Corinthians, 486. 48 Cf. GERBER, «Krieg und Hochze it in Korinth», 49 Per la metafora del genitore in 2Cor 10-13, cf. so Cf. MATERA, Il Corinthians, 242.

1 13-123. PETERSON, «Conquest, control», 258-270.

2Cor 1 1 ,1-6

267

Emerge qui la preoccupazione pastorale dell'apostolo per le vicende della comunità, vicende che ripropongono il dramma dell'inganno di Satana, causa della disubbidienza di Adamo ed Eva (nome che ritroviamo ancora nel NT solo in l Tm 2,13). Il testo cui si allude è quello di Gen 3,13, dove Eva afferma: «il ser­ pente mi ha tratto in inganno», con la sostituzione della forma semplice del ver­ bo apatan con il composto exapatan («ingannare», «provocare la disobbedien­ za»), che ne intensifica il significato. Le due forme sono adoperate ancora ri­ spettivamente in Rm 7,1 1 (la forma intensiva exapatan per l'inganno suscitato dal peccato) e in lTm 2,14 (la forma semplice del verbo per la negazione del­ l'inganno di Adamo, mentre affermativamente con il composto si dice di Eva) Il motivo dell'inganno subito da Eva è sfruttato abbondantemente nella lettera­ tura giudaica (cf. 2Enoch 3 1 ,6; ApA br 23; VitaA d 9- 1 1 ) e rabbinica.51 Per il tema del «Serpente» equivalente di «Satana» in testi che alludono al passo genesiaco, cf. Sap 2,24; Ap 12,9; 20,2; e, nella letteratura giudaica, ApMos 16. Il richiamo a Gen 3 è dato anche da panourgia «astuzia>> , che lascia intra­ vedere nello stesso tempo l' «astuzia>> dei sofisti e di quanti sono diffusori di fal­ se verità. La 2Cor più volte descrive l'opera di Satana (2,1 1 ; 1 1 ,14; 12,7; cf. anche lCor 5,5).52 In Rm 16,20 viene dichiarata la vittoria di Cristo alla luce di Gen 3,15: «Il Dio della pace stritolerà ben presto Satana sotto i vostri piedi». Paolo più volte si difende dall'accusa di «ingannare» i corinzi (cf. 4,2; 7.2; 12,1 6) Phtheirein è usato spesso per la «rovina morale» o «corruzione» (cf. l Cor 15,33 ); nella letteratura greca invece per la violenza sessuale subita da una ver­ gine.53 Il verbo all'attivo significa: «mandare in rovina. distruggere, annientare, uccidere»; al passivo significa «andare in rovina, rovinare, perire»; nella forma media: «mandare in rovina se stesso». Le stesse accezioni conserva nella LXX e nel NT.54 Il verbo è comparso già in 7 ,2, dove Paolo ha negato di avere mai cor­ rotto qualcuno. L'attività di corruzione portata avanti da Satana si concentra sui noemata. i «pensieri» dei credenti (cf. Fil 4,7). Per quanto riguarda apo tes haplotetos kai tes hagnotetos abbiamo quattro di­ verse letture nei testimoni del testo: due varianti lunghe e due brevi. Delle due lunghe la prima ha «sincerità e purezza», la seconda «purezza e sincerità». Per quanto riguarda le due brevi, la prima «sincerità», la seconda «purezza». Consi­ derando l'autorevolezza dei testimoni (p46, S, B e 33) è da preferire la prima del­ le lezioni più lunghe, tenendo conto che i due termini haplotetos e hagnotetos so­ no appena differenti: cambiano solo la seconda e la terza lettera (apl-agn), fatto che probabilmente ha determinato l'errore da parte del copista. .

=

.

5t

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 487.

s2 Cf. il

commento a 4,2. S3 Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 212. 54 Cf. F. MERKEL, «perdizione-corruzione/phtheiro»,

ktl.», in GLNT. XIV. 1067-1 102.

in DCB, 1269-1272; G. HARDER, «phtheiro

268

Commento

Haplotes = «semplicità» è stato già adopèrato in 1,12; 8,2; 9,11.13. Per ha­ gnotes vedi il commento a 6,6. Il termine «purezza» è strettamente relazionato al­ la «santità della sposa» di 1 1 ,2. Da notare l'enfatica posizione di tes eis ton Chri­ ston, che si collega al v. 2 («per presentarvi a Cristo») e che definisce il livello di perfezione cui Paolo si propone di portare la comunità già dal momento del suo arrivo a Corinto, e a quale livello essa è chiamata da Dio. La responsabilità di evi­ tare una tale «Corruzione» ricade sul padre secondo Dt 22,13-21 e Sir 42,9-1 O. Quanto alla metafora dell'infedeltà cf. Os 1-3; Ez 1 6; Is 50,1 . v. 4: «Se infatti (ei men gar) chi viene (ho erchomenos) annuncia u n altro (al­ fon) Gesù che non abbiamo annunciato, o un altro (heteron) spirito che non ave­ te ricevuto (ho ouk e/abete), (lo) ricevete (lambanete ), o un vangelo differente (euangelion heteron) che non avete accolto (edexasthe), (lo) sopportate volen­ tieri ( kalos anechesthe )». C'è una relazione molto stretta tra il ministro del vangelo e il vangelo predi­ cato. Predicare un altro vangelo, infatti, significa predicare un altro Gesù e un al­ tro spirito. Se questo avviene equivale a tradire l'autentico annuncio della sal­ vezza, quali servi di Satana e non di Gesù Cristo. Ed è proprio ciò che capita ed è tollerato tranquillamente nella comunità di Corinto. Notiamo un cambiamento di persone (dalla terza singolare e prima plurale alla seconda plurale), il passaggio da allos («altro») a heteros («differente»), da lambanein («ricevere») a dechomai (> di un soldato.67 Al v. 9 si vanta del fatto che, anche durante la sua permanenza a Corinto (cf. At 18,1 1), non è stato di peso alla comunità (cf. l Cor 4,12: «ci affatichiamo lavo­ rando con le nostre mani>>). Katanarkan appartiene originariamente al vocabo­ lario della medicina: «essere torpido, irrigidito>> (cf. Ippocrate, 1 1 94).68 Qui è adoperato nel senso di «essere di peso>>. Il verbo compare nel NT solo al v. 9 e in 12,13.14. L'enfasi sul motivo è data dal fatto che katanarkan si trova in parallelo all'espressione abare emauton ... eteresa = «ho tenuto ... a non (risultare) gravo­ SO>>. Dell'aiuto ricevuto da Paolo dai macedoni si parla in Fil 2,25; 4, 10-20. I «fratelli>> sono probabilmente Timoteo e Sila, che hanno portato l'aiuto e la solidarietà dei tessalonicesi (cf. At 18,5; l Ts 3,6). Un aiuto necessario, come tra­ spare dalla prima preposizione nel composto pros-ana-pleroun («supplire>> in ag­ giunta), essendo insufficiente per le sue necessità il guadagno ricavato dal lavo­ ro.69 Abares = «gravoso/non di peso>> è un hapax nella Bibbia greca. In l Ts 2,9 abbiamo il composto epibaresai (cf. anche 2Ts 3,8). vv. 10-11: « È verità di Cristo in me che questo vanto non sarà ridotto al si­

lenzio (phragesetai) in me nelle regioni (en tois klimasin) d eli' Acaia. 1 1 Perché (dia ti) ? Forse perché non vi amo? (Lo) sa Dio! ». Le due frasi sono un conferma solenne d eli 'impegno di Paolo di non fornire pretesti ad accuse di sfruttamento a proprio vantaggio dell'attività di ministro del vangelo. Al v. lO l'espressione «è verità di Cristo in me» probabilmente è una formula di giuramento (cf. Rm 9,1 ; 2Cor 1 ,18).7° Il vocabolario del «Vanto» sarà frequen­ te a partire da 1 1 ,16. In 1 Cor 9,15 Paolo parla della proclamazione del vangelo come motivo di vanto (cf. 2Cor 10,17). Il verbo phrassein significa «ostruire, ottu­ rare, munire, chiudere», di qui «ridurre al silenzio» (cf. Rm 3,19). La menzione della sola Acaia fa ritenere che questa regione sia la sola da cui Paolo non ha ri­ cevuto alcun sostegno economico. Klima non è un termine politico ma geografi­ co, ordinariamente per «regione», «area», qui per l'intera provincia dell' Acaia.71

66 Pe r il tema de lla reciprocità del dare e ricevere nel mondo greco-romano, e in particolare in Fil 4,1 0-20, cf. G.W. PETERMAN, Paul's gift from Philippi. Conventions of gift-exchange and christian gi­ ving, Cambridge (UK)-New York 1997. 67 Cf. Fu RN ISH , Il Corinthians, 492. 68 Cf. «katanarkao», in Rocci, 993. 69 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 116. 7° Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 493. 7 1 a. FURNISH, Il Corinthians, 493.

2Cor 11,12-15

273

Al v. ll lo stile è ellittico: «Perché? Forse perché non vi amo? (Lo) sa Dio!». Dia ti = «perché?» rimanda ai vv. 9-10 (cf. Rm 9,32 rispetto a Rm 9,30-31). Dio conosce la verità del cuore di Paolo (l Ts 2,4 ) , la verità del suo affetto più volte ribadito nel corso della lettera (2,4; 8,7; 1 2,15; inoltre cf. l Cor 16,24 ). La frase «Sa Dio» aggiunge enfasi al contenuto del discorso dell'apostolo, soprattutto ricor­ dando che si tratta di una formula abbreviata di giuramento (cf. 1 1 ,3 1 : «Dio e Pa­ dre del Signore Gesù sa ... che non mento»). In 12,2.3 1'espressione «Dio sa» en­ fatizza invece la sua ignoranza. B.3 - IL DESIDERIO DI NON FORNIRE PRETESTI AI SUPER-APOSTOLI E LA LORO IDENTITÀ ( 1 1,12-15) Abbiamo qui l'esplicitazione del motivo dell'atteggiamento disinteressato di Paolo: la veridicità del suo vangelo. Mentre gli avversari «Si mascherano» come Satana che «Si maschera» per ingannare gli eletti, Paolo vuole che la sua autenti­ cità sia provata dalle «opere» (v. 15). Gli «operai malvagi» (11 ,13) sono i «falsi apostoli» (11 ,13), che si mascherano nella presunzione di identificarsi con i veri ministri. Come Satana non solo si presenta esternamente come angelo di luce, ma si identifica realmente con l'angelo, così anche i servi di Satana si spacciano «co­ me» servitori della giustizia (11 ,15). Il loro è sì un evangelizzare, ma insegnano un «altro Gesù - un altro spirito» ( 1 1 ,4) . Paolo sottolinea in questo modo il caratte­ re esclusivo della salvezza offerta nella sua predicazione; un altro vangelo non sa­ rebbe più il vangelo, come un altro spirito non sarebbe più lo Spirito Santo. In lui vi è la coscienza che «la verità di Cristo>> ( 1 1 ,10) dimora nella sua persona. v. 12: «E questo (ho) faccio, e farò, per tagliare via (ekkopso) il pretesto (ten aphormen) di coloro che. vogliono un pretesto (aphormen) per essere trovati co­ me noi in ciò che si vantano». Conclude la sezione riguardante il rifiuto della ricompensa e introduce il mo­ tivo dei falsi apostoli (vv. 13-15). Ho = «questo» si riferisce al contenuto dei vv. 7-10 più che al v. 1 1 . Dopo aver dimostrato che il rifiuto dell'assistenza da parte della comunità non è segno di mancanza di affetto, Paolo presenta un'altra mo­ tivazione a favore del proprio comportamento: lo scopo di privare gli avversari del pretesto di vantarsi come lui dell'identità di apostolo, pur sfruttando econo­ micamente la comunità. Ekkoptein sta per «abbattere, recidere, estirpare». Nei Sinottici è adoperato per «abbattere» un albero che non porta alcun frutto (Mt 3,10 parr.). Per aphorme cf. 5,12. v. 13: «Questi tali, infatti (hoi gar toioutoi), (sono) pseudapostoli (pseudapo­ stoloi), operai ingannatori ( ergatai dolioi), che si camuffano (metaschematizome­ noi) da apostoli di Cristo». Viene descritta qui l'identità degli avversari. Hoi toioutoi = «questi tali», co­ me in 10,11 dove è usato il singolare, si riferisce agli avversari. Pseudapostoloi non

274

COmmento

lo troviamo altrove nel NT ed è probabilmente un tennine coniato da Paolo per significare sia un apostolo che non è realmente tale, sia un cosiddetto apostolo che insegna un vangelo differente, oppure entrambe le accezioni. Richiama l'e­ spressione «falsi profeti» che ricorre nella LXX (cf. Ger 6, 13; 33,7s) e in diversi te­ sti del NT,72 in particolare «falsi fratelli» di 1 1 ,26 e «falsi testimoni» di 1Cor 15,15. Peudos, che definisce la qualità del loro essere inviati, sta per menzognero. La menzogna non è un atto isolato, ma un atteggiamento che determina tutta l'esi­ stenza come rifiuto di colui che dà la vita. Il verbo metaschematizesthai ritorna ai vv. 14-15. È adoperato in lCor 4,6 con valore generico e, in particolare, in Fil 3,21 per la «trasformazione dei corpi» alla risurrezione. La voce del verbo è media: «travestirsi, camuffarsi». Se in 10,7 si parla di loro come «appartenenti a CristO>>, ora si dichiara apertamente la loro identità. Si nota uno stridente contrasto in er­ gatai dolio i «Operai ingannatori>> (cf. Fil 3,2 kakous ergatas ) : ergates sembra sia stato usato nella prima Chiesa come termine tecnico per «missionario» (cf. Mt 9,37-38);73 dolios invece richiama panourgia di 1 1 ,3 e può darsi che sia stato usa­ to dagli avversari e ripreso da Paolo per qualificare la loro azione piena d'ingan­ no (cf. 2,17; 4,2; 12,16 dove confuta l'accusa di essere un «ingannatore»). =

vv. 14-15: «E non (fa) meraviglia ! Lo stesso Satana si maschera da angelo di luce (eis angelon photos). 15Non (è) gran cosa (ou mega), dunque, se anche i suoi ministri si mascherano da ministri (hos diakonoi) di giustizia; la loro fine sarà se­ condo le loro opere». I motivi del trasformarsi di Satana in angelo di luce o del suo vestirsi dello splen­ dore di un angelo li troviamo nell'Apocalisse di Mosè (ApMos 17,1-2: «E subito si arrampicò sulle mura del paradiso: era circa l'ora in cui gli angeli salivano ad adora­ re Dio. Allora Satana assunte le sembianze di un angelo, cantava inni a Dio come gli angeli») e nella Vita di Adamo ed Eva ( VitaAd 9,1 : «Allora Satana, il loro avversa­ rio, molto arrabbiato e trasforma tosi in uno splendido angelo, si recò al fiume Tigri da Eva»). Dello «splendore degli angeli» si parla in M t 28,3; Le 2,9; 24,4; At 1 2,7. Al v. 15 si ha un crescendo peggiorativo nella descrizione degli avversari ini­ ziata al v. 13. Ou mega = «non (è) gran cosa» richiama ou thauma del v. 14 ed è una forma di litote per creare maggiore enfasi. L'argomentazione è a fortiori, nello stile della regola esegetica rabbinica qal-wal)6mer (cf. Rm 16,20). Anche hos diakonoi = «come servi» riprende eis apostolous Christou (v. 13) ed eis an­ gelon photos (v. 1 4). In contrapposizione a «Suoi servi» (di Satana) ci si aspette­ rebbe «Servi di Cristo», invece abbiamo «servi di giustizia». Il genitivo può esse­ re di tipo descrittivo (appartenenti alla «giustizia») o oggettivo (che servono la «giustizia» ).74 «La loro fine sarà secondo le loro opere» ricorda il giudizio ultimo di 5,10 (cf. Rm 2,6; Fil 3,19).75

72 Cf. FuRNISH, /1 Corinthians, 494.

73

Cf. FuRNISH, // Corinthians, 494. Per le varie ipotesi, cf. THRALL, A critica/, II, 696-698. 75 Per altri esempi del NT cf. FuRNISH, I/ Corinthians, 495. 74

2Cor 11,16-21

275

Siamo in presenza di un 'invettiva amara contro gli avversari, definiti e quali­ ficati secondo la loro natura di ministri di Satana (cf. l Ts 2,18 dove descrive l'op­ posizione satanica alla propria missione).

8.4 - IL MOTIVO DELLA PAZZIA DI PAOLO A CONFRONTO CON LA PAZZIA DEI CORINZI (11 ,16-21)

Il v. 16 con palin = «di nuovo» rimanda al v. l , dove è introdotto il motivo del­ la «Stoltezza)) dell'apostolo. L'unità mette in parallelo l'aphrosyne di Paolo con quella degli avversari, che distrugge e divora. La «debolezza» autentica, invece, per opposizione «fa vivere)), perché viene dallo Spirito ed è secondo lo Spirito e non kata sarka («Secondo la carne))). In questo consiste il vanto di Paolo. v. 16: «(Lo) dico di nuovo (pa/in lego): nessuno mi ritenga (doxe;) un insen­ sato! Ma se (pensate) diversamente (ei de me ge), accettatemi, anche se (k 'an) come (hos) un insensato (aphrona), affinché anch'io (ka 'go) mi vanti (kauchesomai) un po' (mikron ti))). Paolo ripete alla comunità di Corinto («nessuno» ) l'invito a sopportare la propria follia. «(Lo) dico di nuovo)) e l'imperativo «accettatemi)) richiamano 1 1 ,l (cf. «Un po')) e «sopportatemi)) del v. 1). Per palin lego = «dico di nuovo)) cf. Gal 1 ,19 e Fil 4,4. L'ingiunzione negativa «nessuno mi ritenga un insensato)) è assen­ te nei vv. 1-15. Doxe; è un aoristo congiuntivo che guarda al futuro, al discorso «da folle)) che sta per iniziare. I veri filosofi erano visti come «folli)) specialmen­ te dai sofisti.76 Aphron compare due volte in questo versetto e ritornerà al v. 19 e in 12,6. 1 1 . Ei de me ge = «ma se diversamente)) è un'espressione frequente del greco classico che appare più volte anche nel NT; nelle lettere dell'apostolo tut­ tavia è hapax. «Accettare)) Paolo equivale ad accettare il suo messaggio (cf. de­ chesthai = «accettare)) di 1 1 ,4 ), che, sebbene appaia irragionevole, non lo è nei fatti. Le due particelle k'an e hos rendono ipotetica la sua «follia)), tra l'altro di­ chiarata «sotto controllo)) con ka 'go = «anch'io)), a differenza degli avversari che non ne sono consapevoli pur essendone sottomessi. Per kauchesthai cf. 1 1 ,12. In 1 1 ,15 alcuni hanno visto il concetto greco di alazoneia («falsa pretesa, arrogan­ za))), tipica dei ciarlatani e criticata nella commedia attica. Ma questa origine è messa in dubbio da Barrett.77 v. 17: «Ciò che dico, non (lo) dico (Ialo) secondo il Signore (kata Kyrion), ma come in stoltezza (hos en aphrosyne;), in questo fatto (en taute; te; hypostasei) del vanto)).

76 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, n Cf. THRALL, A criticai, II, 711-712.

l81.

"'1.76

Commento

Non ci sono particel le che connettono il v. 16 al v. 17. Legami invece ci sono con il v. 18. Il verbo lalein = «parlare», che compare due volte nel versetto, ha una sfumatura negativa come al v. 23. Kata Kyrion è da mettere in relazione con ka­ ta sarka del v. 18. L'opposizione è tra kata Kyrion e hos en aphrosyne;. Come nel v. 16, hos spiega che la sua «Stoltezza» è fittizia. Quanto a hypostasis: di per sé il termine significa «ciò che sta sotto» e il «sostrato», per cui «base, fondamento» e viene usato per esprimere i concetti filosofici di «esistenza, realtà»; relativamen­ te all'agire umano invece sta per «impostazione, proposito, impresa rischiosa». Mentre in 2Cor 9,4 hypostasis ha il significato di «faccenda», in 1 1 ,17 assume l'accezione di «risolutezza, audacia».78 Di qui la scelta di tradurre con un termi­ ne più comprensivo dei vari aspetti: «fatto».79 «Poiché molti si vantano secondo la carne, anch'io mi vanterò». Paolo inizia ad argomentare sul proprio «vanto». «Molti» sta per gli avversa­ ri che si fregiano di doni carismatici e aspetti materiali. «Secondo la carne» in Paolo ha generalmente un'accezione negativa; nel nostro caso invece non ri­ guarda il mondo del peccato ma quello dell'esistenza umana, sottoposta ai limi­ ti fisici e spirituali terreni. Lo si desume dall'espressione «an ch 'io mi vanterò» che sottintende «allo stesso modo». Si contrappone a kata Kyrion del v. 17 ed è in parallelo a en aphrosynei dello stesso versetto. Nella 2Cor «secondo la carne» è usato di volta in volta in modo differente: in 1 ,17 con sfumatura negativa; in 5,16 nel senso di condizione umana, come nel v. 18; in 10,2 ancora con sfumatu­ ra negativa; e in 10,3 nel senso di condizione umana senza tener conto della for­ za dello Spirito. Per «molti» cf. 2,1 7. v. 18:

v. 19: «Voi infatti essendo saggi (phronimoi ontes) sopportate (anechesthe) volentieri (hedeos) gli insensati (ton aphronon)». Paolo prende atto ironicamente della «saggezza» dei corinzi, giacché con fa­ cilità accolgono di buon grado coloro che ignorano la vera sapienza. La frase di per sé non motiva il v. 18 ma l'espressione dexasthe me del v. 16. Da notare la po­ sizione enfatica dell'avverbio hedeos («volentieri»; cf. v. 4), la cui forma superla­ tiva compare in 1 2,9.15. Abbiamo il contrasto tra aphronos e phronimos: il pri­ mo «insensato, stolto, pazzo», tipico di chi si rifiuta di riconoscere la dipendenza del creato e la propria personale da Dio;80 il secondo «prudente, assennato», co­ me i «serpenti» di M t 10,16; il servo prudente e fedele, in attesa del suo padrone, di Le 12,42, e le cinque delle dieci vergini di Mt 24,1 -13. Per anechesthai cf. 1 1 ,1.4. Ironicamente Paolo definisce i suoi destinatari «saggi», ironia sottolineata dal­ l'anticipazione di phronimoi rispetto al participio presente ontes con valore cau­ sale: «poiché siete saggi»). Il contenuto è simile a 1Cor 4,10: «noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati».

H. W. HoLLANDER, «hypostasis», in DENT. n. 1749-1751. THRALL, A criticai, II, 7 1 4. Cf. D. ZELLER, «aphròn», in DENT, 11, 491-493.

78 Cf. 79 Cf. 80

2Cor 11 ,16-21

277

v. 20: «Sopportate infatti (gar) se qualcuno (ei tis) vi rende schiavi (katadou­ loi), se qualcuno (ei tis) vi divora (katesthiei), se qualcuno (ei tis) vi cattura (lam­ banei), se qualcuno (ei tis) si insuperbisce (epairetai), se qualcuno (ei tis) vi per­ cuote in faccia (prosopon hymas derei) ». Gar si riferisce al v. 1 9. Con cinque proposizioni di possibilità introdotte da ei tis = «se qualcuno», Paolo spiega ciò che i corinzi tollerano con grande facilità, pur se a loro danno. Il tono continua ad essere fortemente sarcastico. Il tutto è accentuato dalla ripresa a mo' di inclusione del pronome di seconda plurale, al­ l'inizio e alla fine, e dalla figura dell'anafora. Katadouloun è un termine tecnico per «Tendere schiavo>> (cf. Gal 2,4 ) . Si trat­ ta della schiavitù del nomos. alla quale gli avversari giudaizzanti vogliono ricon­ durre i corinzi. Il prefisso kata rafforza il senso di douloun che adombra una con­ dizione di assoluta passività e impotenza dell'uomo di fronte al vincolo che gli viene dali' esterno. Paolo dichiara più volte la sua ferma volontà di non «pesare>> sui corinzi (cf. l ,24; 12, 1 4 ) , al contrario egli è loro «schiavo a motivo di Cristo» (4,5). Katesthiein è usato nei LXX (Sal 13,4; Pr 30.14; Is 9,1 1); nel NT in Ap 12,4 per il drago che vuole «divorare>> il bambino subito dopo la sua nascita; in Mc 12,40 (e parr.) per i farisei che «divorano/arraffano le case delle vedove>>; in Gal 5,15 nel senso assoluto di «sfruttare>>. Paolo sembra riferirsi alle mire di guada­ gno degli avversari, accennate in 2,17 e 1 1 ,12 e rifiutate da lui in 1 1 ,7ss e 12,14. Lambanein per «catturare>> è tipico del pescare e cacciare (cf. Le 5,5: «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla»; 2Cor 12,16). Epairein al pas­ sivo in senso traslato significa «sollevarsi, rivoltarsi», ma in senso assoluto, come qui, «inorgoglirsi, insuperbirsi» (cf. 10,5 per l'ergersi di ogni superba altezza con­ tro la conoscenza di Dio; 12,l.lls per il rigetto di ogni pretesa superiorità cari­ smatica). In Sir 1 1 ,4 il verbo epairesthai è posto in parallelo a kauchasthai = «van­ tarsi». Per l'espressione metaforica «percuotere in faccia» cf. 1 Re 22,24; Mt 5,39; Le 22,64; At 23,2. Il risultato finale è che gli avversari umiliano e sfruttano i corinzi in tutti i modi, non solo senza che essi se ne rendano conto, ma anzi giustificando una ta­ le situazione come scelta di «vera sapienza».

v. 21: «A (mia) vergogna (kata atimian) dico che (hos hoti) noi (hemeis) (al riguardo) siamo stati (troppo) deboli, ma in ciò che qualcuno osa, dico con stol­ tezza, anch'io oso». Paolo non può competere con la boria e il dispotismo degli avversari. In l Cor 2,2 dichiara che sin dal suo arrivo nella comunità non aveva saputo «altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso», un modo di porsi «debole» che caratterizza la sua persona e il suo ministero, come è più volte riferito nella 2Cor (cf. 1 1 ,30; 12,9s; 13,4.9). Alcuni preferiscono leggere «a vostra vergogna» (Lietzmann seguendo Crisostomo), ma il contesto suggerisce il riferimento all'a­ postolo. Hos hoti sta per il semplice hoti, altri separano hos da hoti, con la diffi­ coltà poi di decidere quale delle due preposizioni sia dominante: «poiché noi sia­ mo stati deboli» oppure «come se noi siamo stati deboli». Furnish propone di

278

Commento

leggere: «mi vergogno di dire che noi sembriamo essere stati deboli a confron­ to... ». Le due preposizioni compaiono insieme anche in 5,19.81 Da notare la po­ sizione enfatica di hemeis = «noi», che accentua così l'opposizione con il prono­ me di seconda persona («VOi») e tis («qualcuno») del v. 20 e i «molti» del v. 18. Per la prima volta nei cc. 10-13 l'apostolo parla della propria «debolezza» (cf. 1 1 ,29.30; 12,5.10; 13,3.4.9), «debolezza» ben diversa da quella intesa dai corinzi. In 10,10 egli è chiamato «debole» da parte degli avversari. Anche in 1 Cor 4,10; 1 5,43 il sostantivo è associato ad atimia = «vergogna, disonore». Per tolman cf. 1 0,2. 12. Per en aphrosyne; cf. 1 1 ,17 (con hos al posto di en ) . Ka 'g6 ritornerà tre volte al v. 22. Kauchasthai è sottinteso due volte nel versetto. La «Stoltezza» dell'apostolo smaschera la «stoltezza» dei suoi avversari.

81

Per le diverse proposte cf. THRALL, A criticai, II, 719-720.

2Cor 1 1,22-12,10

279

C - LA DEBOLEZZA DELL'APOSTOLO (11 ,22-12,10) Mentre in 1 1 ,16-21 Paolo annuncia il suo vanto e si scusa di farlo, con 1 1 ,22ss lo motiva nei fatti. Mentre in 1 1 ,21 sembra alludere all'accusa di debolezza («noi siamo stati deboli»), a partire da 1 1 ,22 la fa propria confutandola. Dopo aver chiarito il concetto di servizio, l'apostolo, debole, si appropria del vanto degli avversari per rovesciare il senso della loro autoglorificazione come apostoli. In 1 1 ,23-33 viene affrontato il tema della vera identità del ministro di Cristo, con l'argomento delle tribolazioni. Sono riferite tutte le possibili espe­ rienze di tribolazioni e di pericoli, con tutte le possibili situazioni di indigenza personale e di preoccupazione pastorale, tra cui l'esperienza ignominiosa della fuga da Damasco in una cesta, e infine, con skolops = «spina» , tutte le prove ad iniziare dal rifiuto del suo ministero da parte dell'amata comunità di Corinto. Dietro tanta tribolazione giunge a vedere l 'impegno assiduo di un incaricato di Satana: l'inferno stesso è contro di lui. Se si considerano i soggetti che causano le sue sofferenze, abbiamo giudei, ro­ mani, briganti di ogni genere, connazionali, pagani e falsi fratelli. Con il passivo teologico edothe si può addirittura vedere Dio come soggetto delle sue vessa­ zioni. Il climax accentua ali 'infinito i protagon isti delle sue prove. Quanto ai luo­ ghi si parla di città, luoghi inabitati, mare, tutti i posti dove può condurlo il van­ gelo. Le profondità del mare e i fiumi accennano alle forze del caos sconfitte nel passaggio del mar Rosso, alla potenza demoniaca e distruttrice dell'acqua di Sal 18,5 ecc. È interessante anche notare l'uso dei numerali avverbiali: si va da «Una volta» (lapidato), «a tre volte» (flagellato con verghe, naufragio per 24 ore: quan­ tità di tempo completa), «Cinque volte» (percosse da parte dei giudei), «spesso» (viaggi, veglie, digiuni). Anche qui si stabilisce un climax: da poche a molteplici e frequenti circostanze di sofferenza. La sua non è una debolezza procurata ma subita: per opera dei più diversi protagonisti e nelle forme più impensabili, in posti diversissimi e per una quan­ tità numerica di difficoltà che tende a moltiplicarsi infinitamente. Per eliminare ogni equivoco sul proprio concetto di debolezza, Paolo in 12,1-10 adopera il te­ ma delle rivelazioni: per quanto importanti siano state per la fede dell'apostolo, non devono essere confuse con la rivelazione di Cristo (12,8-10). Alle esperien­ ze vantate dagli pseudapostoli contrappone il «rapimento» di cui ha beneficiato, ma di cui non è in grado di dire nulla, tanto più che non può dire di aver visto qualcosa, ma solo di aver ascoltato parole, per giunta ineffabili, e che pertanto non hanno valore dimostrativo della sua autorevolezza carismatica. Non sa nem­ meno se abbia vissuto tale realtà nel corpo o fuori dal corpo (la conoscenza spet­ ta solo a Dio). Non vuole vantarsi di queste esperienze mistiche, perché non gio­ vano in alcun modo al ministero, non lasciando trasparire il potere di Dio. Al contrario, con la «spina» nella sua carne, può attestare come la sua vita sia so­ stenuta dalla potenza di Dio. La triplice preghiera rivolta al Signore se da un la­ to sottolinea la pesantezza di una tale prova, dall'altra indica di quale natura sia quella forza che è sufficiente a sostenerlo nel suo impegno quotidiano. Il tema della grazia diventa il culmine dei cc. 10--13.

280

Commento

11 •22Sono ebrei? Anch 'io! Sono israeliti?. Anch 'io! Sono discendenza di Abra­ mo? Anch 'io! 23Sono servi di Cristo ? - parlo come da dissennato - io di più; in misura molto maggiore nelle fatiche, in misura molto maggiore nelle pri­ gioni, nelle percosse senza numero, spesso in pericolo di morte. 24Dai giudei ho ricevuto per cinque volte trentanove colpi meno uno. 25 Tre volte sono sta­ to battuto con verghe, una. volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufra­ gio, ho trascorso un giorno e una notte sull'abisso (del mare). 26Spesso nei viaggi, tra pericoli di fiumi, tra pericoli di ladri, tra pericoli dai connazionali, tra pericoli dai pagani, tra pericoli nella città, tra pericoli nel deserto, tra peri­ coli nel mare, tra pericoli in mezzo ai falsi fratelli. 21 Nella fatica e nel disagio, spesso nelle veglie, nella fame e nella sete, spesso nei digiuni, nel freddo e nel­ la nudità. 28A parte il resto, la pressione quotidiana su di me, la preoccupa­ zione per tutte le Chiese. 29Chi è debole, (che) anch 'io non sia debole? Chi si scandalizza, che anch 'io non arda (dall'ira) ? 30Se è necessario vantarsi, mi vanterò delle cose riguardanti la mia debolezza. 3 1 Dio e Padre del Signore Gesù Cristo sa, lui che è benedetto nei secoli, che non mento. 32A Damasco l'etnarca del re Areta sorvegliava la città dei dama­ sceni per catturarmi 33e, attraverso una finestra, fui calato in una cesta lungo le mura (della città) e sfuggii alle sue mani. 1 2 . 1 Bisogna vantarsi, tuttavia non (è) utile; ugualmente verrò a(lle) visioni e a(lle) rivelazioni del Signore. 2Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa - non so se con (il) corpo; non so se fuori del corpo; Dio (lo) sa - un tale che è stato rapito fino a(l) terzo cielo. 3 E so che un tale uomo - se con (il) corpo o senza il corpo non (lo) so; Dio (lo) sa - 4fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili che non (è) lecito ad un uomo dire. 5A riguardo di que­ sti mi vanterò, ma riguardo a me stesso non mi vanterò se non nelle debo­ lezze. 6Se volessi vantarmi, infatti, non sarei insensato; direi la verità. Mi trat­ tengo affinché nessuno mi ritenga al di là di ciò che vede che io (sia) o ascol­ ta da me. 7 E per la straordinarietà delle rivelazioni, perciò, affinché non montassi in superbia, mi è stata data una spina nella carne, un angelo di Sa­ tana, perché mi schiaffeggiasse, perché non montassi in superbia. 8Riguardo a questo (angelo), per tre volte ho supplicato il Signore che si allontanasse da me. 9 E mi ha detto: È sufficiente per te la mia grazia, infatti, la potenza si ren­ de perfetta nella debolezza. Molto volentieri mi vanterò di più nelle mie de­ bolezze, affinché ponga la tenda in me la potenza di Cristo. 10Per questo mi compiaccio nelle debolezze, negli insulti, nelle necessità, nelle persecuzioni e nelle oppressioni (sopportate) per Cristo. Quando infatti sono debole, allora sono forte.

La presenza in 12,1-10 di due esperienze di audizioni celesti (vv. 2-4 e 7-9) fa propendere per una suddivisione bipartita: - 11 ,22-33: lo statuto della debolezza paolina; - 12,1-10: il rigetto della sapienza carismatica degli avversari e la parola rivelatrice di Cristo.

2Cor 1 1,22-33

281

C.1 - Lo STATUTO DELLA DEBOLEZZA PAOLINA (11,22-33) Il brano contiene la prima parte del discorso della follia. Nei vv. 22-23a Pao­ lo mette a confronto se stesso con gli avversari attraverso l'impiego di quattro interrogative, con risposte implicite positive suggerite da «anch'io». La quarta domanda interrompe la sequenza con una variazione «io di più» e l'aggiunta del­ l'incidentale «parlo da stolto». che stabilisce un climax nella sequenza. Dal v. 23b l'attenzione è rivolta esclusivamente alla debolezza della propria persona, con una lista di tribolazioni analoga a quelle di 4,8-9; 6,4-10; 12,10 (cf. l Cor 4,9-13; Rm 8 ,35-39) . Bisogna rilevare che, a differenza di quella di 6,4-10, non troviamo le virtù e le antitesi, ma solo le prove. Guardando poi al vocabolario e al conte­ nuto, la lista dei vv. 23b-29 può essere strutturata in cinque strofe:82 nella prima troviamo quattro sostantivi (v. 23b ) a mo' di anticipazione del contenuto dei vv. 24-28; nella seconda numeri avverbiali (vv. 24-25); nella terza pericoli durante i viaggi (v. 26); nella quarta cinque espressioni simmetriche: la prima, la terza e la quinta con due coppie di termini al singolare ciascuna, mentre la seconda e la quarta con un solo termine e l'aggiunta di «spesso»; nella quinta la preoccupa­ zione pastorale (vv. 28-29) : ,

(1)

11,23b più abbondantemente nelle fatiche, più abbondantemente nelle prigioni, nelle percosse senza numero, in pericolo di morte.

spesso

(2)

1 1,24 1 1 ,2 5

(3)

11,26

Per cinque volte trentanove colpi meno uno dai giudei ho ricevuto tre volte sono stato battuto con verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, un giorno e una notte ho trascorso sull'abisso. Spesso nei viaggi,

tra pericoli di fiumi, tra pericoli di ladri, tra pericoli dai connazionali, tra pericoli dai pagani, tra pericoli nella città, tra pericoli nel deserto, tra pericoli nel mare, tra pericoli in mezzo ai falsi fratelli. (4)

1 1 ,27

Nella fatica e nel disagio, spesso nelle veglie,

82 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, l96-197.

282

'Commento nella fame e nella sete, spesso nei digiuni, nel freddo e nella nudità. (5)

1 1 ,28

1 1,29

A

parte ciò che resta fuori,

la pressione quotidiana su di me, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole e non sono debole? Chi si scandalizza e io non ardo (dall'ira)?

Nei vv. 32-33 Paolo illustra una particolare esperienza di debolezza, nella quale ha beneficiato dell'aiuto divino: la fuga da Damasco. Alla luce di quanto detto possiamo proporre la seguente struttura: vv. 22-23a vv. 23b-29 vv. 30-31 vv. 32-33

titoli; tribolazioni e preoccupazione apostolica; professione di vanto della debolezza e di sincerità; fuga da Damasco.

Domina la figura paratattica dell'asindeto, che crea un effetto ridondante nel discorso. 83 v. 22: «Sono ebrei (hebraioi)? Anch'io (ka 'go)! Sono israeliti? Anch'io (ka'go)! Sono discendenza di Abramo (sperma Abraam)? Anch'io (ka 'go) !». Lo stile è frammentato, quasi a voler costringere a un'immediata presa d'at­ to della comune radice etnica, religiosa e teologica. È significativo che non ab­ biamo risposte esplicite alle domande, ma quella sottintesa è «SÌ». Con ka'go = «anch'io» reagisce al «SÌ» implicito nella domanda. Hebraios non è un riferimento alla sua conoscenza della lingua ebraica, né al­ la sua nascita e residenza in Palestina, ma un equivalente di «giudeo», come in Fil 3,5 («ebreo da ebrei»). Il termine in At 6,1 è usato per gli «ebrei» contrappo­ sti agli «ellenisti». Nel NT hebraios è assai meno frequente ( 4 presenze) del più usato ioudaios (195 presenze) e, rispetto a quest'ultimo, sembra un vocabolo ar­ caicizzante e letterario, designando per lo più il popolo giudaico del tempo anti­ co.84 Da hebraios non si può desumere l'origine palestinese degli avversari, ma solo la comune ricezione dell'eredità giudaica.85

83 Cf. BDR § 459-463. L'importanza di questa figura stilistica è notevole in Paolo. Cf. E.W. Go­ TING - D.L. MEALAND, Asyndeton in Paul. A text-critical and statistica/ enquiry into Pauline style. Lewi­ ston (NY)-Oueenston (Ont.)-Lampeter (UK) 1998. 84 Cf. J. WANKE, «Hebraios», in DENT, l, 979-981. 85 a. WoLFF, Der zweite Brief, 230.

2Cor 1 1,22-33

283

Subito dopo dall'idea della discendenza etnica si passa alla categoria· «reli­ giosa» con il termine «israeliti», ovvero quanti partecipano alle tradizioni reli­ giose d 'Israele. 86 In tal modo viene sottolineato come sia gli avversari che Paolo appartengano al popolo scelto da Dio (cf. Rm 1 1 ,1; Fil 3,5). Infine dopo la categoria religiosa segue quella «teologica»:87 «discendenza di Abramo». In Rm 1 1 , 1 si parla di ek spermatos Abraam «dalla discendenza di Abramo», di colui che è «padre di molti popoli» (Rm 4,17), nel quale «saranno benedette tutte le genti» (Gal 3,8). Abramo è il modello del credente in Cristo: «figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede» (Gal 3,7) e «quelli che han­ no la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette» (Gal 3,9). =

v. 23: «Sono servi di Cristo? - parlo come da dissennato (paraphronon) - io di più (hyper ego); in misura molto maggiore nelle fatiche (en kopois perisso­ teros), in misura molto maggiore nelle prigioni (en phylakais perissoteros), nelle percosse senza numero (en plegais hyperballontos ), spesso in pericolo di morte (en thanatois pollakis )». La domanda «sono servi di Cristo?» punta verso l'affermazione «io di più» e non richiama le domande precedenti. L'espressione «servi di Cristo» la troviamo nel NT solo qui e in Col 1 ,7, mentre in 1Tm 4,6 è adoperato «ministro di Cristo Gesù>> (cf. la nota a 2Cor 1 1 ,15). Paolo, così facendo, evita di usare il termine «apostolo» dopo che in 1 1 ,13 ha parlato di >, una partecipazione che lo fa «ardere» (pyrousthai) d'ira contro chi offende, e d'affetto per la comunità offesa. Pyrousthai nel senso di «ardere con indignazione» compare in 2Mac 4,38; 10,35; 14,45 , dove il passivo del verbo è seguito da tois thymois = «con ira».94 In lCor 3,15 il verbo è messo in relazione con il fuoco che brucia materiali inconsi­ stenti (l'opera dei malvagi al momento del giudizio).95 Ma questo non significa che nel verbo non ci sia anche la sfumatura dell'«ardore» e dello «Zelo» per la salvezza di questi «deboli», fatti oggetto di «scandalo». vv. 30-33: La funzione di questi versetti è stata ed è continuamente oggetto di discussione, collocati come sono dopo la lista delle tribolazioni ricordate in 1 1 ,2lb-29 e immediatamente prima del racconto delle visioni e rivelazioni di 1 2,1 -10. Windisch suggerisce che si tratti di una interpolazione.96 Hughes e Mar­ tin invece sono giustamente dell'avviso che sia da mettere in relazione con il rac­ conto che segue dell'ascesa al terzo cielo: ci sarebbe un contrasto tra l'ascesa al terzo cielo e la discesa dalle mura di Damasco. Fumish e J.W. McCant propendo­ no per la lettura dei versetti come parodia della corona muralis romana, in altre parole del premio riservato al primo soldato che si fosse arrampicato sulle mura di una città: Paolo, anziché scalare le mura, si dà alla fuga scendendo in un cesto. 91

94

95

96

97

Cf. FURNISH, Il Corinthians, 520. Cf. THRALL, A criticai, II, 754. Cf. THRALL. A critica/, II, 763. Cf. M ATER A l/ Corianthians, 271 : BARBAGLIO, La teologia di Paolo, 302. ,

288

� Commento

Se il v. 30 introduce il discorso, con il v. 31 si attesta la veridicità di quanto si sta per riferire nei vv. 32-33: la fuga da Damasco. v. 30: «Se è necessario vantarsi, mi vanterò delle cose riguardanti la mia de­ bolezza». Il versetto si può confrontare con 12,1 (dove si ripete la stessa espressione) e 12,5 («non mi vanterò se non della mia debolezza»). Il futuro «mi vanterò» non è riferito esclusivamente a ciò che segue, ma, come attesta la frase «le cose relative alla mia debolezza», in modo complessivo sia a ciò che è descritto in 1 1 ,23-29, sia a quanto si dirà subito dopo nei vv. 32-33.

v. 31: «Dio e Padre del Signore Gesù Cristo sa, lui che è (ho on) benedetto nei secoli, che non mento». Contiene una solenne affermazione di impegno per la verità (cf. la nota a 1 1,10), composta da elementi dossologici e formula di giuramento. Tale afferma­ zione, con la menzione del nome di Cristo o di Dio, compare anche in Rm 9,1 e Gal l ,20. L'espressione «Dio e Padre del Signore Gesù Cristo» ricorda l 'inizio della lettera (1,3). Il nominativo ho on («lui che è») è apposizione a «Dio», non al «Signore Gesù». Per l'eulogia tipicamente rabbinica «benedetto egli sia per sempre», cf. Rm 1 ,25; 9,5. vv. 32-33: «A Damasco l'etnarca del re Areta sorvegliava (ephrourei) la città dei damasceni per catturarmi 33e, attraverso una finestra (dia thyridos), fui cala­ to (echalasthen) in una cesta (en sargane;) lungo le mura (dia tou teichous) (del­ la città) e sfuggii alle sue mani». Il racconto della fuga da Damasco mette in rilievo da un lato l'umiliazione, dall'altro l'intervento divino a favore del suo apostolo.98 Lo troviamo arricchito di particolari in At 9,23-25.99 In entrambi i testi si legge dia tou teichous ( «attra­ verso le mura») e chalan («calare»). A differenza di 2Cor, in Atti si parla dei giu­ dei come nemici di Paolo, che «facevano anche la guardia alle porte della città di giorno e di notte» (At 9,25), non si menziona la «finestra» e troviamo en spyridi («in una cesta») anziché en sargane;. L'episodio probabilmente dovette accade­ re verso la fine dell'anno 36 d.C.,I00 sotto il regno di Areta IV, re dei nabatei, e subito dopo la conversione dell'apostolo (33 d.C.), come attesta Gal 1 , 17: «sen­ za andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in

98 Secondo GUTTEMBERGER («Klugheit, Besonnenheit, Gerechtigkeit und Tapferkeit», 78-93), molto probabilmente Paolo sta rispondendo ai suoi avversari che avrebbero colto nella fuga da Da­ masco un esempio della sua mancanza di coraggio. 99 Contro quanti difendono la storicità di At 9,23-25 a scapito del testo di 2Cor 1 1 ,32-33, L.L. WELBORN («Primum tiroc:inium Pauli (2Cor 1 1 ,32-33]», in BZ 43 [1999]. 49-71) sostiene che il lin­ guaggio del racconto di 2Cor della fuga da Damasco sia storicamente coerente e quindi attendibile. 1 00 Cf. D.A. CAMPBELL, «An anchor for pauline chronology: Paul 's flight from •'the Ethnarch of king Aretas" (2 Corinthians 1 1 ,32-33)», in JBL 121 (2002), 279-302.

2Cor 12,1-10

289

Arabia e poi ritornai a Damasco». Damasco è una città abitata dal secondo mil­ lennio a.C., posta in una zona fertile bagnata dai fiumi Abana e Pharpar, a nord­ est del monte Hermon. Nell'85 a.C. con i romani divenne capitale di un regno in­ dipendente dei nabatei, ma nel 65 a.C., dopo la conquista della Siria da parte di Pompeo, venne posta sotto un governatore101 o «etnarca», titolo considerato più alto di «tetrarca» e inferiore a quello di re.l02 Nel v. 32 l'imperfetto del verbo suggerisce una «guardia» protrattasi per un tempo alquanto lungo (cf. At 9,24: «giorno e notte»), con sorveglianti collocati alle porte della città. Il verbo phrourein indica lo «stare di guardia» sia dentro che fuori le mura della città. Nel v. 33 abbiamo il verbo chalan, adoperato tecnicamente per il «calare le reti per la pesca» (cf. Le 5 ,4.5) o il «calare la cesta» nell'acqua (cf. At 27,17). Sar­ gane = «cesta» non è usato altrove nel NT. Lo «sfuggire attraverso le mura della città» richiama l'episodio narrato in Gs 2,15LXX di Rahab che fa «fuggire» (kai katechalasen autous dia tes thyridos) le spie da Gerico, episodio raccontato an­ che da Giuseppe Flavio in Antichità 5,15 (dia tou teichous). Il versetto sintetizza l'esperienza ignominiosa di Paolo, fuggito facendosi ca­ lare attraverso una finestra nelle mura di Damasco in una cesta: siamo all'oppo­ sto delle gesta eroiche dei soldati che gareggiavano nella loro scalata delle mura nemiche per ottenere la corona muralis .103 C.2

-

IL RIGETTO DELLA SAPIENZA CARISMATICA DEGLI AVVERSARI E LA PAROLA DI CRISTO (12,1- 10)

Dopo le tribolazioni e le fatiche apostoliche Paolo menziona le visioni e le ri­ velazioni, temi che giocano un ruolo molto importante nella riflessione degli av­ versari. Presso i corinzi c'era una grande considerazione di tali fenomeni cari­ smatici, tanto grande da spingere l'apostolo a chiarirne l'importanza in 1Cor 12-14. L'argomentazione si avvale del racconto di due esperienze estatiche, pre­ sentate come motivo di vanto: la prima (vv. 2-4) raccontata in terza persona sin­ golare, la seconda (vv. 7-9) in prima persona singolare. La prima insufficiente a JOt

Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 521 -522. 102 I nabatei erano una popolazione semitica, insediatasi nel territorio degli edomiti dal V e IV se­ colo a.C., con capitale Petra. Controllavano le strade carovaniere tra il golfo Persico, l'Arabia e il mar Rosso. Tra il I secolo a.C. e il I d.C. furono il popolo dedito ai commerci più importante della zona ara­ bica. Fra i re più famosi si ricordano Areta l, cui si rivolse il sommo sacerdote Giasone per avere asilo (cf. 2Mac 5,8) e il nostro Areta IV, re dal 9 a.C. al 40 d.C. La figlia del re Areta IV fu la moglie di Ero­ de Antipa e il suo ripudio a favore di Erodiade portò ne1 36 d.C. alla guerra vittoriosa di Areta contro Erode Antipa (cf. GIUSEPPE FLAVIO, Antichità 18,109ss). Cf. WOI.FF, Der zweite Brief, 238. 103 Per approfondimenti cf. THRALL, A criticai. II. 763-771 . L.L. WELBORN («The runaway Paul», in HarvTheolRev 92[1999], 1 15-163) legge l'episodio della fuga da Damasco, unitamente agli altri ele­ menti della follia di Paolo riferiti in 1 1 ,21b- 12.10. come ripresa delle azioni tipiche dei personaggi dell'antica pantomima: dopo il soldato vanaglorioso ( 1 1 .24-27), il vecchio preoccupato ( 1 1 ,28-29), l'impostore erudito (12,lb-4 e 12,7-9), in 12.32-33 avremmo la figura dello schiavo fuggitivo.

290

Commento

sostenere la pretesa di credibilità apostolica, dato il carattere ) del­ l'Eden in Gen 2,9. 10.15; 13,10 (cf. Ez 28,13; 31 ,8-9LXX). Nella letteratura apo­ calittica giudaica sta molto spesso per «regno celeste», a volte descritto come luogo di giudizio (cf. VitaAd 25 dove è chiamato «il Paradiso di Giustizia»), ma abitualmente luogo di ricompensa abitato dai giusti (cf. 2Esdra 3,5-1 1 ; 7,36.1 23; 2Enoch 9; ecc.). Il testo di b. Hag. 14b cita il viaggio di quattro rabbini in paradi­ so, da cui solo Rabbi Akiba ritornò indenne. Nel NT il termine compare ancora due volte: Le 23,43 e Ap 2,7.1 13 La preposizione eis indica l' «entrata» nel paradiso. A differenza dei racconti apocalittici di «rapimenti estatici)), Paolo tace di ciò che ha visto e informa solo di aver udito «ineffabili parole».1 14 Arreta rhemata è un ossimoro, combina due termini opposti: «parole indicibili» (cf. Dn 12,4; Ap 10,4; 13,2-3). 1 15 Arretos è un termine adoperato nei testi religiosi greci per i riti iniziatici (cf. Erodoto, Hist. V, 83; Euripide, Bacchae II, 471 -472). 1 1 6 Anthropos senza articolo s i riferisce all'u­ manità in generale: nessun uomo sarebbe in grado di pronunciare simili parole.

1 1 1 Cf. FURNISH, II Corinthians, 525. 1 12 Nel libro dell'Ascensione di Isaia (7-1 1 ) si parla del viaggio di Isaia attraverso sette cieli; nel

2Enoch invece di dieci. Nel decimo cielo Enoch (c. 22 ) afferma di aver visto il volto del Signore che è indicibile tanto è meraviglioso. Cf. MATERA, II Corinthians, 280. 11 3 Cf. M. CARREZ, «Paradiso», in DEB, 989-991. 114 Nella tarda antichità, le due Apocalisse di Paolo (sia quella gnostica che quella cristiana) adoperano il motivo per sostenere la separazione dal mondo malvagio attraverso una rigida ascesi (l'apocalisse cristiana) oppure con la fuga dal corpo (l'apocalisse gnostica). Cf. J.R. HARRISON, «In quest of the third heaven: Pau l & his apocalyptic imitators», in Vigiliae Christianae 58(2004 ) , 24-55. 1 1 5 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 526-527. 1 16 Cf. THRALL, A criticai, II, 795-796.

2Cor 12,1-10

2�3

vv. S-6: «A riguardo di questi (hyper tou toioutou) mi vanterò, ma riguardo a me stesso non mi vanterò se non nelle debolezze ( en tais astheneiais ) . 6Se vo­ lessi vantarmi infatti, non sarei insensato (aphron), direi la verità (a/etheian). Mi trattengo affinché nessuno mi ritenga (logisetai) al di là di ciò che vede che io (sia) o ascolta da me». Con questi versetti Paolo ritorna al tema del vanto, facendo la distinzione tra l'uomo rapito al terzo cielo e se stesso, un modo per sottolineare il primato del vanto nella debolezza. Al v. 5 ho toioutos è lo stesso pronome adoperato nel v. 3, e si riferisce alla persona dei vv. 2.3. L'accento sulla differenza tra «questi» e «me stesso» ribadi­ sce la sostanza del suo rifiuto di vantarsi al modo «sapiente» dei suoi avversari, giacché da «folle» ( 1 1 , 1 . 16-21 ) si vanta nella misura di Cristo, il Crocifisso Ri­ sorto. La frase «riguardo a me stesso non mi vanterò se non nelle debolezze» an­ nuncia il tema dei vv. 7-10. La preposizione en («nelle debolezze») può avere va­ lore sia causale che strumentale. Il plurale di astheneia lo troviamo in 1 1 ,30 e in 12,9.10. L'articolo che precede lo stesso sostantivo indica che i corinzi sono a co­ noscenza della sua debolezza ( 1 1 ,23-33 ) . Il v. 6 comincia con una proposizione eventuale e continua con un'apodosi reale (alla lettera: «Se volessi van t armi infatti, non sarò insensato, dirò la verità»). Sorprende l'opposizione aphron-aletheia che è unica nei cc. 10--1 3. «Insensato» sta per «colui che fa cose che non si devono fare» anche se sono vere; qui inve­ ce equivale a «colui che dice cose non vere».117 In 1 1 ,16-17 afferma che è «follia» vantarsi; ora invece afferma che se si «vanta» avrebbe i suoi buoni motivi per far­ lo. Agli occhi degli avversari Paolo, vantandosi, non solo assumerebbe volonta­ riamente il comportamento di chi è fuori di sé (cf. 1 1 ,16; 12,1 1 ) , ma sarebbe un vero pazzo. Ma con il vanto l'apostolo da «falso insensato» dice la verità, mentre gli avversari, vantandosi, da «veri insensati» la rifiutano e dicono cose inautenti­ che. La prova consiste nell'enfasi sulla sua ferma volontà di evitare che si pensi e si giudichi (logizesthai = «calcolare, computare, pensare», cf. 10,2.7. 1 1 ; 1 1 ,5 ) la propria persona al di là della sua effettiva consistenza umana e spirituale. Circa il «dire la verità» cf. 6,8; 7,14; 1 1 ,10. L'espressione «Vedere e ascoltare» è frequen­ te sia neli'AT (Is 6.9; 29,18; Ger 5,21; Ez 12,2 ) che nel NT (cf. Mt 1 1 ,4; 12,14-15; Mc 8,18; At 8,6; 28,26-27 ) . In Paolo la troviamo in Rm 1 1 ,8; 15,21; 1 Cor 2,9. In particolare vicino al nostro è il passo di Fil 4,9. tts v. 7: «E per la straordinarietà delle rivelazioni ( kai te; hyperbole; ton apokalypseon), perciò (dio), affinché non montassi in superbia (hina me hyper­ airomai), mi è stata data (edothe) una spina (skolops) nella carne (te; sarki), un angelo di Satana, perché mi schiaffeggiasse (hina me kolaphize;), perché non montassi in superbia (hina me hyperairomai)».

1 17 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 202. Cf. FuRNISH, Il Corinthians. 521.

t ts

294

Commento

Se al v. 6 Paolo cerca di evitare fraintendimenti; nei vv. 7-9 parla di se stesso e dell'azione di Dio in lui. Il versetto presenta alcune difficoltà di lettura: a) l'in­ terruzione della frase per la presenza di dio; b) hina me hyperairomai, che ripe­ te la stessa proposizione che compare quasi all'inizio, a mo' di inclusione. L'o­ missione di dio e di hina me hyperair6mai in diversi testimoni viene spiegata con il tentativo dei copisti di semplificare la lettura, resa complicata dalle due lezio­ ni, perché ritenute superflue. Legata a questi problemi è la doppia possibilità di considerare kai te; hyperbole; ton apokalypse6n come conclusione del v. 6 oppu­ re come espressione iniziale del v. 7. Hyperbole può valere sia per una quantità che per la qualità delle rivelazio­ ni. Il pl urale apokalypseon specifica che non si è trattato di una sola, quella rac­ contata nei vv. 2-4, né tantomeno la rivelazione dei vv. 7-9 è proseguimento del­ l'esperienza dei vv. 2-4. Per impedire la superbia nell'apostolo gli viene data nel­ la carne una «spina» o «pungolo», skolops, termine adoperato nella LXX per de­ finire le nazioni straniere quale «pungolo» per Israele (cf. Nm 33,55; Ez 28,24 ) . Il verbo edothe è un passivo divino e sottintende l'azione di Dio o di Cristo, che con l'aoristo è collocata in un momento specifico del passato. Mentre prima si parla di «spina» che gli è stata data nella carne (te; sarki, probabilmente per en te; sarki, «nella carne», con valore locale), subito dopo la spina viene concretiz­ zata in un «angelo di Satana» (cf. Mt 25 ,41 : «per il diavolo e i suoi angeli»; Ap 12,7.9), un messaggero di Satana incaricato di schiaffeggiarlo continuamente (hi­ na me kolaphize;, con il verbo al presente ad indicare continuità). Il verbo ko­ laphizein è adoperato anche in Mt 26,67, per i colpi inferti a Gesù dopo il suo ar­ resto (cf. l Pt 2,20 per le sofferenze dei cristiani). Il nome «Satana» è comparso più volte in 2Cor: in 2,1 1 e in 1 1 ,14.15 dove si parla di «ministri di Satana». Sorprende la menzione di quest'ultimo dopo quella di Dio, ma è da intendere nel senso della permissione divina, come in Gb l ,8-12; 2,3-6; l Cor 5,5, dove Satana è indirettamente al servizio di Dio. La ripetizione «perché non montassi in superbia» è un'inclusione che aggiunge enfasi al di­ scorso. Non c'è consenso sul tipo di sofferenza cui alludono «spina» e «Un angelo di Satana». Un'antica ipotesi è quella favorita dalla Vulgata: stimulus carnis, per «i pensieri della carne». Molti ritengono che si debba interpretare invece come ma­ lattia degli occhi (cf. Gal 4,13-15) o epilessia, febbre (malaria, ad esempio), diffi­ coltà nella parola (2Cor 10,10; 1 1 ,6) oppure, ancora, un cronico mal di testa. So­ no state proposte anche sofferenze psicologiche, come la depressione, conse­ guenza delle visioni e rivelazioni, il rifiuto del vangelo da parte dei giudei, per­ secuzioni e opposizione di persone o di demoni. 1 19 La soluzione è in un'inter­ pretazione che colga il carattere reale e nello stesso tempo volutamente indefi­ nito della sofferenza vissuta dall'apostolo, che fa risaltare meglio l'umiltà e la qualità del suo impegno al servizio del vangelo, nonostante la gravissima prova 1 1 9 a. THRALL, A criticai, II, 809-8i8.

2Cor 12,1-10

295

cui è sottoposto. La spina, collocandosi al culmine della narrazione delle prove affrontate, rileva la gravità della dura lotta che Paolo deve sostenere all'interno e all'esterno della propria persona. v. 8: «Riguardo a questo (hyper toutou) (angelo), per tre volte (tris) ho sup­ plicato (parekalesa) il Signore (ton Kyrion) che si allontanasse (aposte;) da me». Quale che sia la natura della «spina», è certo che Paolo per ben tre volte ha chiesto al Signore di rimuoverla da lui. Touto = «questo» è molto probabilmen­ te maschile e si riferisce ad angelos Satana del v. 7, soggetto grammaticale di apostei = «si allontanasse» (cf. Le 4,13: «il diavolo si allontanò da lui»). Con ton Kyrion abbiamo il riferimento al Signore Gesù, come si desume dal v. 9 che con­ tiene la risposta di Cristo. Il verbo parakalein è adoperato per la preghiera di domanda nei racconti sinottici di guarigione (Mc 1 ,40; 5,23; 7,32; 8,22; ecc.).120 L'aoristo parekalesa, infine, indica un fatto puntuale, storicamente avvenuto, mentre «tre volte» sta per l'intensità della preghiera,121 tanto più che tris = «tre volte» richiama nel lettore la triplice preghiera di Gesù nel Getsemani (cf. Mc 14,32-42; Mt 26,36-46) .

v. 9a: «E mi ha detto (eireken ) : È sufficiente per te (arkei so i) la mia grazia (he charis mou) , infatti la potenza (he gar dynamis) si rende perfetta (teleitai) nella debolezza ( en astheneia;)». È il cuore della motivazione dell'agire dell'apostolo: il Cristo risorto, che nel­ la morte ha beneficiato della potenza dell'amore di Dio Padre, attesta ora so­ lennemente la sua volontà di far risplendere nella fragilità di Paolo la potenza della sua grazia. Il perfetto eireken («ha detto»), tipica formula per introdurre annunci solen­ ni (cf. At 13,34 ) , sottolinea che il Signore ha detto qualcosa e questa parola con­ tinua ad essere riferita nel presente. La risposta che segue contiene le uniche pa­ role di Cristo risorto nelle lettere paoline. Non si tratta di una vera e propria ri­ sposta, ma di una non-risposta, giacché, mentre ci saremmo aspettati una pro­ messa di assistenza o di un dono da ricevere in futuro per sopperire alle proprie necessità, abbiamo invece una conferma della validità ed efficacia del «dono» (charis) già ricevuto al momento della chiamata (Rm 1 ,5; 15,15; 1 Cor 3,10; 15,10) , dono che lo rende capace di parlare (Rm 12,3 ) . Questo significa che la grazia è già presente e operante, anche se l'apostolo sembra non accorgersene oppure la ritiene insufficiente ad affrontare le difficoltà del ministero. Vi è una certa somiglianza con il brano di Dt 3,23-26, in cui Mosè chiede di poter entrare

120 Deismann riferisce di una frase di un certo M. Julius Apellas che ricorda le sue cure presso il tempio di Asclepio ad Epidauro: kai gar peri toutou parekalesa ton Theon (citazione in THRALL, A criticai, Il, 820). 12 1 Windisch ritiene che sia sulla linea dei tre membri della benedizione di Aronne (N m 6,24-26), del triplice alitare sul figlio della vedova con la preghiera perché fosse restituito alla vita, nonché del costume giudaico di pregare tre volte al giorno (cf. citazione fatta da THRALL, A criticai. I l , 81 8). La tri­ plice preghiera è menzionata in racconti di guarigione el1enistici.

Commento

nella terra, ma riceve una risposta negativa che inizia con: hikanoustho soi = «è sufficiente per te>>.122 Arkei soi = «ti basta» ricorda poi la filosofia stoica, anche se con una differenza notevole: al v. 9 non è il dominio di sé a fondare la serenità e }'«autosufficienza» dell'apostolo, ma la grazia di Cristo. Charis («grazia/dono» ) e dynamis («potenza») sono qui sinonimi. Per charis cf. 1 ,2.12.15; 2,14; 4,1 5; 6,1 ; 8,1 .6.7.9. 16.19; 9,8. 1 5; 13,14. Telein non significa sol­ tanto «completare, finire», ma anche «portare alla pienezza, rendere perfetto». Il presente medio teleitai aggiunge la sfumatura del processo continuo di manife­ stazione della grazia nel presente. Furnish123 propone di sottintendere un secon­ do membro nella proposizione comparativa: «molto volentieri mi vanterò di più nelle mie debolezze (piuttosto che pregare che sia rimossa da me la debolezza)». Astheneia al plurale per «debolezze» lo troviamo ancora in 1 1 ,30; 12,5.10. Il sin­ golare è usato di solito quando è unito a dynamis (cf. 13,4; 1Cor 2,3-4; 15,43). La debolezza non è di per sé epifania del divino124 e non è identica a dynamis, ma è lo spazio della sua manifestazione.125 Quando viene riconosciuta la propria de­ bolezza si hanno le condizioni per l'agire del potere di Cristo: «Il mio potere di Risorto trova la pienezza della sua capacità di azione nel tuo riconoscimento di essere debole».126 v. 9b-10: «Molto volentieri (hédista) mi vanterò di più (mallon) nelle mie de­ bolezze (en tais astheneiais mou), affinché ponga la tenda (episkenose;) in me (ep 'eme) la potenza di Cristo (he dynamis tou Christou). 10Per questo (dio) mi compiaccio (eudoko) nelle debolezze (en astheneiais ), negli insulti (en hybresin ) nelle necessità (en anankais). nelle persecuzioni (en diogmois) e nelle oppres­ sioni (kai sthenochoriais) (sopportate) per Cristo (hyper Christou). Quando in­ fatti sono debole, allora sono forte». La risposta paradossale del Risorto diviene la base del suo vanto. Nella seconda parte del v. 9 mal/on («di più») va con il verbo «mi vanterò» e non con l'avverbio hedista («molto volentieri») che in greco normalmente lo precede (cf. BDR § 246). La congiunzione hina può avere valore finale o conse­ cutivo: il vanto della debolezza è finalizzato all'esperienza della dynamis oppu­ re, come conseguenza del vanto della debolezza, si ha la possibilità di sperimen­ tare la dynamis. Tenendo presente che eudoko («mi compiaccio») al v. 10 è il ri­ sultato dell 'esperienza della forza nella debolezza, e non la sua causa né la sua condizione, possiamo dire che il riconoscimento della propria debolezza è sem­ plicemente l'atto umano adeguato all'agire di Dio e non la causa fondamentale per la ricezione del potere di Cristo da cui scaturisce il vanto. 127 È quindi la visi,

122 123

1 24 12s

126 1 27

Cf. THRALL, A criticai, II, 822. Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 531 . Cf. GOrrGEMANNS, Der leidende Apostel, 164-169. Cf. THRALL, A criticai, II, 824. Cf. HARRIS, The second epistle, 864. Cf. THRALL, A criticai. Il, 826.

2Cor 12,1-10

297

bilità del potere di Cristo che dà origine al vanto di Paolo, e non il contrario. Epi­ skenose; è un aoristo ingressivo: «viene a dimorare)), da episkenoun, termine ha­ pax nel NT (in Gv 1 ,14 abbiamo skenoun ) contenente un'allusione alla tenda (skene ) abitata dal Signore nel cammino di Israele nel deserto (cf. Es 25 ,8-9 ed Ez 37 ,27). Il verbo è in linea con il tema della teologia rabbinica della Shekinah, ovvero della Presenza del Signore, dimorante nel suo popolo, che si può combi­ nare con il concetto della gloria divina, percettibilmente visibile. Il midrash tan­ naita su Dt 3,26 ha un'espressione simile: «sii contento che l'impulso malvagio non abbia potere su di te, non ti consegnerò nelle mani dell'angelo della morte, ma sarò con te)).1 28 Se in Gv 1 ,14 si dice: «il Verbo si fece carne e abitò tra noi)) e in Ap 21,3: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini ! Egli dimorerà tra di loro)), con riferimento alla parola di Dio e a Dio stesso, in 2Cor 12,9b soggetto è la cha­ ris, la manifestazione di Cristo, che inabita nell'esperienza apostolica di Paolo. In Gal 2,20 dirà: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me)). Questa inabitazione è da capire alla luce del mistero pa­ squale espresso in 2Cor 13,4: «Infatti egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio>>. Non è un semplice dimorare dentro, ma un dimora­ re che fa risorgere e che rende capaci di agire in un modo nuovo e paradossale, in modo confacente all'esperienza di glorificazione interiore: è l'esperienza del­ la risurrezione già sperimentabile nell'oggi del tempo, in attesa della pienezza. Al v. 10 la risposta del Signore fonda la sua comprensione del mistero della croce che passa per la sua vita (dio = «per questo>>). Eudokein in genere sta per «provare piacere in qualcosa>>; nel nostro caso meglio il più sfumato «scelgo de­ liberatamente>> di sopportare la prova. 129 Per spiegare qual è la sua debolezza Paolo fa una breve lista delle sue prove. Con quella ampia di 1 1 ,23b-29 contrasta la presente molto sintetica (cf. le liste di 4,8-9; 6,4c-5; 1 1 ,23-29; Rm 8,35; 1 Cor 4,9-13). Se nei vv. 7-8 si alludeva ad una spe­ cifica prova («Spina>>), qui si ricordano le varie difficoltà del ministero. I primi quattro termini della lista sono preceduti da en (gli ultimi due sostantivi sono considerati in coppia) . En astheneiais («nelle debolezze>>): ha la funzione di in­ trodurre il concetto generale, che viene poi specificato. En hybresin («negli in­ sulth> ) : hybris, come atto ingiusto e violento, è hapax in Paolo (nel NT ancora in At 27,10.21 ). In Rm 1 ,30 abbiamo l'aggettivo in una lista di vizi, mentre in 1Ts 2,2 la forma verbale per dire come sia stato «Oltraggiato>> a Filippi. Per ananke («necessità>>) cf. 6,4. Diogmos («persecuzione))) e stenochoria («Oppressione») anche nella lista di Rm 8,35, sebbene al singolare e non al plurale. I due sostan­ tivi hanno fatto la loro comparsa nella 2Cor rispettivamente il primo in 4,9 con il verbo di6kein derivato da diogmos (cf. lCor 4,12); il secondo, stenochoria, in 2Cor 6,4, più la relativa forma verbale in 4,8.

1 28 1 29

Citazione in FuRNISH, Il Corinthians, 530. Cf. S. LÉGASSE, «eudokeo», in DENT, Il, 1440-1441 .

298

Commento

La struttura della frase ( «quando ... allora» ) accentua il paradosso (cf. il testo simile in Filone, De vita Moysis I. 69 dove Mosè e gli israeliti sono protetti a moti­ vo della loro debolezza: me anapiptete, to asthenes hymon dynamis estin ) . 130 Hyper Christou è meglio legarlo alle tribolazioni («nelle debolezze ... per Cristo» ) che a eudoko. Bultmann131 sostiene che la frase «quando sono debole allora sono forte» sia differente dalla concezione stoica della forza che si sviluppa nel saggio attraver­ so la lotta contro la propria debolezza, una forza che è frutto dell'impegno uma­ no e una debolezza che non riguarda l'essere dell'uomo in sé. In Paolo invece la forza è un dono della grazia divina e la debolezza è quella propria della natura umana. La tesi di Bultmann risulta tuttavia imprecisa, giacché l'apostolo non ha di mira la debolezza della natura umana, ma quella sperimentata nella quotidia­ nità dell'esercizio del ministero. Con questa professione di fiducia si chiude il discorso della > per i propri figli. ,

,

12·l 1Sono diventato insensato, voi mi avete costretto! Infatti io dovevo essere da voi raccomandato, poiché non sono stato inferiore in niente ai super-apo­ stoli, anche se non sono niente. 1 2/ segni dell'apostolo sono stati compiuti tra voi con ogni pazienza, con segni e prodigi e miracoli. 13/n che cosa infatti sie­ te stati inferiori rispetto alle restanti Chiese, se non che io stesso non ho pesa­ to su di voi? Perdonatemi questa ingiustizia! 14Ecco questa (è la) terza volta che (sono) pronto a venire da voi, e non sarò di peso, infatti non cerco le co­ se vostre ma voi, non spetta infatti ai figli mettere da parte per i figli, ma ai ge­ nitori per i figli. 15Ma io spenderò molto volentieri e sarò speso completa­ mente per le vostre anime. Amandovi in misura più grande, sono da amare di meno? 16Sia pure, io non ho pesato su di voi. Essendo astuto, vi ho preso con inganno. 17 Forse che vi ho defraudato attraverso qualcuno di quelli che vi ho mandato? 18Ho esortato Tito e ho inviato insieme il fratello. Forse che Tito vi ha ingannato ? Forse che non abbiamo camminato nello stesso Spirito? Non sulle stesse tracce? vv. ll: «Sono diventato (gegona) insensato, voi (hymeis) mi avete costretto! Infatti io (ego) dovevo (6pheilon) essere da voi raccomandato (synistasthai), poi­ ché non sono stato inferiore (hysteresa) in niente ai super-apostoli, anche se non sono niente». Paolo tira le conclusioni {il perfetto gegona = ) è hapax nel NT ed è richiamato con l'avverbio hess6n in 12,15. «Restanti Chiese>>, come in 1 1 ,28, sta per le altre comunità da lui fondate (cf. Rm 16,4.1 6), e probabilmente quella ma­ cedone secondo 1 1 ,8-9.136 Thrall invece pensa alle Chiese curate da altri aposto­ li oppure dagli avversari. 137 Nel versetto compaiono diversi termini adoperati già precedentemente nella lettera. Il primo è katenarkesa («ho pesato>>) da kata­ narkan, incontrato in 1 1 ,9 e nuovamente in 12,14. Da notare l'assenza di specifi­ cazione di quale «peso» si tratti e la posizione enfatica del soggetto del verbo, il pronome autos ego = «io stesso», come in 10, 1 . Anche il verbo charizesthai = «perdonare» è stato adoperato in 2,7. 10. Lo stesso vale per adikia («peccato, in-

135 a. LAMBRECHT, Second Corinthians, 212. a. FURNISH, ll Corinthians, 553. 1 37 Cf. THRALL, A criticai, Il, 841 -842.

136

Commento giustizia») già in 11,7, adoperato da Paolo per descrivere la malvagità dei non credenti (cf. Rm 1,1 8.29). Furnish 138 ritiene che, come in Rm 3,5; 9,14, sia un ter­ mine con sfumatura giuridica più che morale. Il verbo derivato (adikein) è usato in 7,2.12 per il gesto dell'offensore che ha causato un grave turbamento nella co­ munità e nell'apostolo. Paolo, timoroso di vedere i corinzi abbandonare la fedeltà al Cristo da lui an­ nunciato per abbracciare un «altro» vangelo, quello predicato dai super-aposto­ li, che li sfruttano anche economicamente «pesando:» su di loro, chiede ironica­ mente di perdonare l'ingiustizia (se così si può dire) di non averli sfruttati come gli avversari. v. 14: «Ecco questa (è la) terza volta (triton) che (sono) pronto a venire da voi, e non sarò di peso (kai ou katanarkes6), infatti non cerco (zet6) le cose vo­ stre (ta hymon) ma voi (alla hymas), non spetta (opheilei) infatti ai figli mettere da parte (thesaurizein) per i figli , ma ai genitori per i figli». L'apostolo ribadisce di volersi comportare nella sua terza visita a Corinto an­ cora alla stessa maniera, senza «pesare» (katanarkan) sulla comunità. E questo perché si sente padre della comunità. Triton = «terza volta» non qualifica «(sono) pronto» ma «venire», sulla base di 13,1. La prima visita è stata quella descritta in l ,19; la seconda quella di 2,1-4, che gli ha procurato tristezza a .causa dell 'offensore. Se in 1 ,23-2,1 Paolo si era rifiutato di passare da loro per evitare di farli soffrire, ora si dice «pronto» a ri­ tornarvi dopo le buone notizie ricevute da Tito (7 ,5-6). A differenza di 13,1 al centro del discorso non è la visita ma il non voler «essere di peso», come aveva già affermato in 1 1 ,9 e 1 1 ,13. Egli non mira alla soddisfazione di interessi personali, ma al bene sopranna­ turale dei suoi amati figli. Da notare il contrasto tra ta hym6n = «le vostre cose» e hymas = «VOi». Zetein = «cercare» ricalca l Cor 10,24: «nessuno cerchi l'utile proprio, ma quello altrui» e Fil 4,17: «non è il vostro dono che io ricerco, ma il frutto che ridonda a vostro vantaggio». Paolo, parlando di genitori che «devono» (opheilei, secondo la legge naturale )139 «mettere da parte» (thesaurizein) per i fi­ gli, si presenta come genitore della comunità da lui fondata (cf. 6,13). E questo contro l'affermazione di lCor 9,4-7, che parla del diritto «di non lavorare» e di essere sostenuto dalla comunità perché «chi mai presta servizio militare a pro­ prie spese?», e di l Cor 9,13-14, che ricorda la disposizione del Signore (cf. Le l O,7 e Mt 10,10) secondo la quale «quelli che annunziano il vangelo vivano del van­ gelo». L'apostolo si qualifica ancora come «padre» in l Cor 4,15 e l Ts 2,1 1 e co­ me «madre>> in Gal 4,19 e lTs 2,7.

1 38 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 554. 1 39 Cf. FURNISH, Il Corinthians, 558.

2Cor 12,1 1-18

303

v. lS: «Ma io (ego de) spenderò ( dapaneso) molto volentieri (hedista) e sarò speso completamente (ekdapanethesomai) per le vostre anime (psychon hymon). Amandovi (agapo) in misura più grande (perissoter6s}, sono da amare (agapomai) di meno (hesson)?». Paolo sottolinea che la rinuncia al sostegno economico non è una rinuncia al­ l'affetto nei loro confronti. 140 Questo spiega l'enfasi sul pronome di prima per­ sona singolare ego = «io» e il de = «ma» avversativo. Possiamo stabilire nella frase due diverse punteggiature: con o senza punto dopo psychon hymon. A ciò si aggiunge la scelta possibile tra le varianti riporta­ te nei testimoni del testo:141 ei («Se», meglio attestata) ed ei kai («anche se»), co­ me tra agapo (indicativo presente: «amo») e agapon (participio: «amando» , me­ glio attestata). Ei potrebbe essere interpretato come particella interrogativa, un uso estraneo alle lettere di Paolo, ma conosciuto nel NT.142 A seconda della scel­ ta fatta abbiamo diverse letture del testo:

- senza punto dopo «vostre anime»: l) «lo molto volentieri spenderò e sarò consumato per le vostre anime an­ che se, amandovi di più, io sono amato di meno»; - con il punto dopo «vostre anime»: 2) «amandovi di più, io sono da amare di meno» (affermazione); 3) «amandovi di più, io sono da amare di meno?» (domanda); 4) «Se io vi amo di più, io sono da amare di meno?» (domanda). Esclusa la prima perché non ha senso una forma asseverativa nel contesto, la terza lettura si presenta come la lectio difficilior; la quarta invece risolve i pro­ blemi grammaticali e facilita la comprensione. È preferibile la terza, giacché i co­ pisti tendono a semplificare e non a fare il contrario. Per hedista («molto volentieri») cf. 12,9. Di rilievo è l'uso del futuro attivo dapanes6 («spenderò») seguito dal composto dello stesso verbo con la preposi­ zione ek- al futuro passivo ekdapanethesomai («Sarò speso completamente»: un passivo che lascia intravedere la chiamata di Dio). Paolo adopera anche altrove coppie di verbi, in cui il secondo intensifica il primo (cf. 1,13; 4,8). 1 43 Il primo ver­ bo (dapaneso) si riferisce all 'impegno economico dell'apostolo per la propria at­ tività missionaria a favore dei corinzi, il secondo ( ekdapanethesomai) al sacrifi­ cio della propria vita. Per il concetto di «spendersi completamente» per le co­ munità cf. l l ,28s; Fil 2,17; lTs 2,8. Paolo a differenza degli avversari non solo evi­ ta di «pesare economicamente», ma si prodiga per la salvezza delle loro anime fino a lasciarsi consumare in sacrificio. 1 40 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 213. 141 Cf. METZGER, A textual commentary, 586. 142 Cf. THRALL, A criticai, II. 849. 143 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 558.

Commento

304

La domanda «Amandovi in misura più grande, devo essere amato di meno ? » mira a scuotere i corinzi dali 'indifferenza nei suoi confronti: non possono nega­ re l'evidenza e la ragionevolezza della richiesta di un contraccambio. v. 16: «Sia pure (esto de), io (ego) non ho pesato ( ou katebaresa) su di voi (hymas). Essendo astuto (hyparchon panourgos), vi ho preso (elabon) con in­ ganno (dolo;)». L'apostolo rende esplicito, con ironia, il loro pensiero nei suoi riguardi (esto de = «sia pure»). Anche in questo versetto notiamo la posizione enfatica del pro­ nome personale ego. Katabarein «pesare» è differente da katanarkein di 1 1 ,9; 12,13.14, che tuttavia ha lo stesso significato. In 1 ,8 adopera il semplice barein e in 1 1 ,9 l'aggettivo abares. Hyparchon panourgos = «essendo astuto» ha una sfu­ matura causale. L'aggettivo panourgos è da mettere in relazione con la panour­ gia («astuzia») del serpente di 1 1 ,3 e con quella di 4,2 rifiutata da Paolo che, ri­ gettando ogni sorta di azione vergognosa, non «adultera» (doloun) la parola di Dio. Dolos = «inganno» compare nella lista di vizi di Rm 1 ,29 e poi in 1Ts 2,3. In 1 1 ,20 sono descritti nello stesso modo gli avversari che sfruttano i corinzi con i loro raggiri e le loro menzogne (anche qui lambanein = «prendere»). =

vv. 17-18: «Forse che (me) vi ho defraudato (epleonektesa hymas) attraverso qualcuno (di'autou) di quelli (tina) che (hon) vi ho mandato (apestalka)? 18Ho esortato (parekalesa) Tito e ho inviato insieme (kai synapesteila) il fratello. For­ se che (meti) Tito vi ha ingannato (epleonektesen hymas)? Forse che non (ou) abbiamo camminato (perietatesamen) nello stesso Spirito (to; auto; pneumati)? Non sulle stesse tracce?». Anziché rispondere direttamente all'accusa di averli frodati economicamente nella raccolta della colletta, nei vv. 17-18 Paolo pone ai corinzi quattro domande retoriche. Le prime due attendono una risposta negativa, le altre due una positiva. Nella prima (v. 17) la congiunzione interrogativa me indica che si attende la risposta «DO». Abbiamo un anacoluto che alla lettera si può rendere: «forse che qualcuno di quelli che vi ho mandato, per mezzo suo vi ho truffato?». Tina ... di'autou = «qualcuno ... per mezzo di lui» è un esempio di un nome o pronome sospeso (casus pendens), cioè slegato grammaticalmente dalla frase principale, ripreso da un pronome in un altro caso:144 l'accusativo tina, retto da apestalka = «ho mandat o» (perfetto di apostellein), è ripreso da di'autou («per mezzo suo»). Bisogna aggiungere inoltre l'uso del relativo h6n (alla lettera «dei quali») che si trova al genitivo plurale per attrazione del genitivo di 'autou, da leggere come ti­ na touton hous = «qualcuno di questi che». L'anacoluto e l'attrazione del relati­ vo lasciano trasparire la tensione emotiva dell'apostolo. Non solo Paolo ma an­ che i suoi collaboratori sono stati accusati di truffa: vale a dire Tito (v. 1 8; cf. 2,13; 7,6ss) e Timoteo (1Cor 4,17; 16,10s). Pleonektein = «defraudare» è stato già ado-

1 44 Cf. THRALL, A criticai, II, 852.

2Cor 12,11-18

305

perato in 2,1 1 (per Satana) e in 7 ,2, lo userà ancora al v. 18. In l Ts 4,6 con lo stes­ so verbo Paolo esorta a non offendere e «ingannare» i propri fratelli con l'im­ purità, «perché il Signore è vindice di tutte cose». All'inizio del v. 18 abbiamo un'affermazione: «Ho esortato Tito e ho inviato insieme il fratello», che si apre con il verbo parakalein («esortare»), adoperato an­ che in 8,6 in riferimento alla missione di Tito a Corinto. In 8,1 7 è adoperato un verbo simile nello stesso modo. Come afferma Lambrecht, 145 i verbi parekalesa = «ho esortato» e synapesteila = «ho inviato insieme>> sono due aoristi epistolari (come in 8,17.18.22), da rendere con il presente: «io esorto ... io mando insieme», la nuova missione, la seconda, di cui si parla in 8,16-24, affidata a Tito e ai due «fratelli>>.146 L'iniziativa della colletta a Corinto era stata già intrapresa da Tito l' «anno precedente» e la sua accoglienza, riferita da Tito, aveva suscitato tanta consolazione in Paolo (cf. 7,6ss). Chi ritiene che il capitolo 8 faccia parte della let­ tera precedente, cioè i cc. 1-9 (cf. Furnish),147 legge i due aoristi al passato, in ri­ ferimento alla seconda visita fatta da Tito a Corinto, latore della stessa epistola (cc. 1-9), notizia ripresa in 12,18, appartenente a una terza lettera inviata da Pao­ lo alla comunità (cc. 10-1 3). Ma l'aoristo epleonektesen allude di sicuro a una vi­ sita precedente e, con il significato di «ingannare», probabilmente a una richiesta alquanto insistente di denaro, quale potrebbe esserci stata nella prima visita, di cui si parla in 8,6, che avrebbe determinato l'accusa da cui l'apostolo cerca di cau­ telarsi con le iniziative di 8, 16-24, confutandola in 12,14-18. Paolo quindi in 12,18 con i due aoristi epistolari parla della seconda missione di Tito a Corinto per com­ pletare la colletta riferita in 8,16-24. Rispetto a 8,16-24 e 9,3 si menziona solo uno dei due fratelli. Wolff148 è del parere che, dal momento che si nomina un solo «fra­ tello», non sarebbe da mettere in relazione con l'accompagnatore di Tito di 8,18, designato dalla comunità (8,19), ma con quello indicato in 8,22. La prima domanda introdotta da meti (rafforzativo di me) esige una risposta negativa; le altre due, introdotte dalla negazione ou, invece una risposta afferma­ tiva. Il verbo peripatein = «camminare» ha il valore di «Vivere» come in 4,2; 5,7; 10,2.3. To auto pneuma da alcuni viene visto riferito allo Spirito Santo (cf. Rm 8,4; Gal 5,16), «stesso Spirito» come in 1Cor 12,8.9.1 1 ; 2Cor 4,13. Fumish149 fa rileva­ re che, per il parallelismo con il versetto che segue, è più ragionevole ritenerlo un termine di ambito antropologico, con la sfumatura di «intesa» con l'apostolo, «sul­ le stesse tracce», in un comune atteggiamento di servizio e umiltà (cf. 2,13; 7 ,13; Fil 1,27), non un termine teologico (cf. 3,6-18; 1 1,4; 13,14). Con l'espressione «sul­ le stesse tracce» (cf. Rm 4,12) si deve sottintendere il verbo peripatein. Esiste una perfetta comunione tra Paolo e i suoi delegati, che lo rappresen­ tano sia con l'annuncio della Parola che con la testimonianza della carità.

'45 1 46 1 47 1 48 149

Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians. 214. Secondo BARNETT ( The second epistle, 589-590) si tratterebbe invece di due aoristi storici. Cf. FuRNISH, // Corinthians, 559. Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 255. Cf. FuRNJSH, l/ Corinthians, 560.

Commento

A' - IL PROSSIMO VIAGGIO PASTORALE (12,19-13,10) In questa sezione affronta il tema della prossima visita a Corinto, dando ri­ salto alla volontà di cooperare all'edificazione della comunità e non alla sua di­ struzione, anche se è forte la preoccupazione di trovarli non come desidera ( 1 2,19-2 1). Nello stesso tempo si dice pronto a usare la propria autorità anche in modo severo se i colpevoli di gravi mancanze non risultassero pentiti (13,1-10). Il motivo della «edificazione» (v. 19; cf. 1 0,8 e 13,10) e quello del timore di non trovarli come vorrebbe (vv. 20-21 ) fanno da transizione al c. 13. Di qui la suddivisione: 12,1 9-21 ; 13 ,1-10. Dal momento che vive in sé la dinamica della grazia, che lo costituisce nell'au­ torità apostolica, si rivolge alla comunità di Corinto, esortandola al rifiuto di quel potere che apparentemente indossa la maschera della luce, ma che in realtà la ren­ de sempre più schiava: tra i corinzi ci sono discordia, gelosia, arroganza, disordini, impurità e immoralità (12,20-21). Sono vizi che esprimono ancor di più la debo­ lezza negativa dei corinzi, causata dal ministero e dalla natura dei superapostoli. Avendo delineato, attraverso la sua vita, l'azione della potenza di Dio ope­ rante nel suo servizio al vangelo, Paolo può parlare in termini di forza: nella sua prossima visita dimostrerà di quale exousia sia stato dotato. Dimostrerà quel po­ tere di Cristo che è già operante tra loro nei doni spirituali di cui si vantano. So­ lo ora appaiono la sorgente e il modello del suo ministero, nascosti lungo tutto il brano. È il potere di Cristo crocifisso per la sua debolezza (dove quest'ultimo as­ sume tutto il contenuto che Paolo mano a mano è venuto a indicare attraverso le sue vicende personali), ma vivente per la potenza di Dio. Se quindi Paolo è in Cristo, condivide con lui sia la debolezza che il potere, quel potere che dimostrò sulla croce come la debolezza di Dio è più forte della forza dell'uomo. Gli av­ versari hanno enfatizzato i miracoli, l'attività di Gesù, non la sua crocifissione nella debolezza. Predicano un altro Gesù, per questo considerano le sofferenze di Paolo incapacità, e non autorità. Anche i corinzi possono essere dynatoi se acquisiscono un maturo carattere cristiano: il perfezionamento della comunità operato da Dio, al quale ci si rende disponibili con il rifiuto dei peccati elencati in 12,20-21 . A tale scopo è lieto di cooperare con l'accettazione della propria debolezza. Una volta definiti i criteri della vera autorità apostolica ritorna il termine exousia che Dio gli ha dato per l' «edificazione» e non per la «distruzione>> (13,10). 1 2•19Già da tempo pensate che stiamo facendo l'apologia davanti a voi. Parlia­ mo al cospetto di Dio in Cristo. Difatti tutte le cose, carissimi, (sono compiute) per la vostra edificazione. 20Temo infatti che venendo non vi trovi tali come vo­ glio, e io sia trovato da voi tale come non volete. (Temo) che (ci siano) discor­ dia, gelosia, accessi d'ira, egoismi, calunnie, maldicenze, atti di presunzione, di­ sordini. 21 (Telt}O) che, quando io vengo di nuovo, il mio Dio mi umilii davan­ ti a voi, e (io) sia addolorato a causa di molti di coloro che in precedenza han­ no peccato e non si sono convertiti dall'impurità e dalla fornicazione e dalla dissolutezza che hanno praticato.

2Cor 12,19-21

307

t3 ,1 Questa è la terzà volta che .. vengo da voi. «Sulla bocca di due ·e di trè (testi­ moni) sarà stabilito ogni fatto». 2Ho detto prima e dico prima - come presente la seconda volta e di lontano ora - a quelli che hanno peccato precedentemente e a tutti gli altri, che quando verrò a (Corinto) di nuovo, non (li) risparmierò. 3Dal momento che cercate una prova del fatto che Cristo parla in me, il quale non è debole verso di voi, ma è potente in voi. 4E infatti è stato crocifisso da de­ bolezza, ma vive da potenza di Dio. E infatti noi siamo deboli in lui, ma vivre­ mo con lui grazie a(lla) potenza di Dio verso di voi. 5Esaminate voi stessi se sie­ te nella fede; mettete alla prova voi stessi. O non riconoscete in riferimento a voi stessi che Cristo (è) in voi? A meno che siate persone che non superano l'esame. 6Ma spero che comprenderete che noi non siamo persone che non superano l'e­ same. 7 Difatti preghiamo davanti a Dio che voi non facciate nulla di male, non affinché noi veniamo presentati come persone che hanno superato l'esame, ma affinché voi facciate ciò che è nobile, anche se noi (dovessimo apparire) come persone che non hanno superato l'esame. 8/nfatti non possiamo qualcosa con­ tro la verità, ma per la verità. 9Ci rallegriamo quando noi siamo deboli, ma voi siete forti. Questo anche chiediamo nella preghiera, il vostro rimettervi in ordi­ ne. 10Per questo vi scrivo, essendo assente, queste cose, affinché, essendo presen­ te, non vi tratti severamente secondo l'autorità che il Signore mi ha dato per (/')edificazione e non per (la) distruzione. A'.l - IL MINISTERO DELL'EDIFICAZIONE E l PECCATI DEI CORINZI (12,19-21)

Continuando l'apologia del suo ministero, affidatogli per edificarli in comu­ nità di credenti in Cristo (v. 19), esprime la preoccupazione di trovarli nella pros­ sima visita in preda a ciò che mina l'unità e la fraternità (v. 20) e, di conseguenza, di dover sopportare ulteriori sofferenze nel vedere l'impenitenza di molti (v. 21). v. 1 9: «Già da te mpo (palai) pensate che stiamo facendo l'apologia (apolo­

goumetha) davanti a voi. Parliamo al cospetto di Dio in Cristo. Difatti tutte le co­ se (ta de panta), carissimi (agapetoi), (sono compiute) per la vostra edificazione (hyper tes hymon oidodomes)». Thrall150 legge la prima frase come interrogativa («già da tempo pensate che stiamo facendo l'apologia davanti a voi?»), ma Paolo conosce bene i corinzi e una nuova interrogativa appesantirebbe il discorso dopo la serie di domande dei vv. 17 e 18.151 Palai «da tempo» è lezione meglio attestata di palin = «di nuo­ V0».152 L'avverbio si trova in posizione enfatica, mettendo così in rilievo la per=

150 Cf. THRALL, A

criticai, TI. 858s.

15 1 Cf. FURNISH, Il Corinthians, 560. 1 52 Cf. METZGER, A textual commentary, 581.

308

Commento

vicaCia dei pregiudizi degli «amati)) corinzi. Il verbo ·apologein = «fare l'apolo­ gia» altrove lo troviamo solo in Rm 2,15; il sostantivo derivato in 1 Cor 9,3; 2Cor 7,1 1 ; Fil 1 ,7. 16, mentre l'aggettivo anapologetos = «senza scuse» in Rm 2,1 5.153 Il parlare da «folle» è un parlare sempre in Cristo con una finalità missiona­ ria. Il vocabolario è simile a quello di 2,17: «al cospetto di Dio in Cristo parlia­ mo». La sua parola è sotto il giudizio di Dio in Cristo (cf. 1Cor 4,1-5), il solo a cui compete il giudizio finale (5,10). Ta panta = «tutte le cose» è inteso da Plummer come riferimento al conte­ nuto della lettera, invece da Barrett all'insieme dell'attività ministeriale svolta da Paolo verso i corinzi. Probabilmente sta per entrambi, sia per il contenuto del­ la lettera che per il ministero apostolico svolto a loro vantaggio.154 Agapetoi = «carissimi» (cf. 7,1) è in linea con il verbo agapan = «amare», adoperato due vol­ te al v. 16. Quanto al termine oikodome = «edificazione» (nuovamente in 13,10, a conclusione della lettera), è bene leggerlo in continuità con 4,15, dove aveva af­ fermato che «tutto è per voi» in vista della moltiplicazione dell'inno di lode alla gloria di Dio, e con 10,8, nella sottolineatura, all'inizio della sezione apologetica (cc. 10-13), della sua autorità per la loro «edificazione». Questa espressa volontà è evidenziata dalla posizione enfatica del pronome hymon = «di voi», collocato in posizione attributiva: tes hymon oikodomes. 155 v. 20: «Temo infatti che (phoboumai gar me pos) venendo non vi trovi tali co­ me voglio, e io sia trovato da voi tale come non volete. (Temo) che (me p6s) (ci siano) discordia (eris), gelosia (zelos), accessi d'ira (thymos), egoismi (eritheiai), calunnie (katalaliai), maldicenze (psithyrismoi), atti di presunzione (physioseis), disordini (akatastasiai)>>. Dal tono delle sue parole emerge la preoccupazione pastorale dell'apostolo. Phoboumai me p6s = «temo che» riprende infatti l'espressione similmente cari­ ca di ansietà di 1 1 ,3 (cf. Gal 4,1 1 ), ansietà sottolineata con il ritorno alla prima persona singolare dopo i vv. 18c-19. «Venendo» allude alla terza visita a Corinto (cf. v. 14 e 13,1 ), mentre l'espressione «e io non sia trovato da voi tale come non volete» si può interpretare come ripresa delle minacce di 10,1 1 , che ricompaio­ no al termine in 13,10.156 L'elenco di peccati illustra la minaccia di decadimento morale e spirituale in cui la comunità di Corinto rischia di precipitare, ma da cui si è in parte già rav­ veduta (cf. 7,6ss) grazie all'intervento sollecito dell'apostolo. Avendo abbando­ nato Paolo sono caduti in balia di pseudapostoli, ministri di Satana, divoratori della loro speranza, e ora con la presente lettera e la sua prossima visita intende rafforzare il loro cambiamento. Il timore di trovarli in modo difforme da come egli desidera diventa una forte sollecitazione alla conversione.

1 S3 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 560. 154 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 560. lSS a. FURNISH, Il Corinthians, 561 . 1 56 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 214.

2Cor 12,19-21

309

La lista dei peccati è articolata in otto termini, di cui· due al singolare e sei al plurale, con il significato di «atteggiamenti>> di qualche vizio. I vocaboli si artico­ lano in quattro coppie. Quelli delle prime due coppie compaiono nella lista di vizi di Gal 5,20, lette­ ra indirizzata a una comunità minacciata come i corinzi da avversari banditori di un «altro vangelo». 157 La prima coppia esprime gli effetti dell'azione nefasta de­ gli avversari: «divisione-opposizione» e «gelosia>>. Eris = «discordia» lo troviamo nelle liste di vizi di Rm l ,29; 13,13; Gal 5,20; l Tm 6,4; mentre zelos = «gelosia», usato precedentemente in 2Cor con valore positivo (7,7. 1 1 ; 9,2) e persino per la «gelosia» divina (1 1 ,2), compare nelle liste di Rm 13,13 e Gal 5,20. Si tratta di una coppia di termini che esprimono la dimensione emotiva e il calcolo perso­ nale. Nella seconda coppia abbiamo: thymos = «ira», al plurale nella lista di Gal 5,20 e al singolare invece in Ef 4,31 e Col 3,8; eritheia, da erizein = «litigare/al­ tercare», quindi «ricerca dell'interesse personale, egoismo»,158 termine raro nel NT (al plurale in Gal 5,20, al singolare in Rm 2,8; Fil 1 , 17; 2,3; Gc 3,14. 16). Segue una coppia che dice la realtà che nutre le divisioni: «chiacchiere» e «pettegolezzi» . Katalalia deriva da katalein = «sparlare, diffamare>>, quindi «dif­ famazione, calunnia», usato nel NT solo in l Pt 2,1 , mentre l 'aggettivo sostanti­ vato nella lista di Rm 1,30 e il verbo corrispondente in Gc 4,1 1 ; lPt 2,12; 3,16. Psithyrismoi = «maldicenze» anche in Rm 1 ,29. Infine la coppia: «sentimenti di arroganza» e i suoi effetti in termini di «con­ trapposizione». Physioseis = «atti di presunzione», hapax nel NT (il verbo corri­ spondente invece sei volte in l Cor e una in Col 3,18) . Akatastasiai = «disordini», usato in 6,5 , dove però riguarda «rivolte» pubbliche contro l'apostolo e non «di­ sordini» nelle comunità. Un termine impiegato nella lista di Gc 3,16, poi in lCor 14,33 e Le 21 ,9. La lista rende l'idea di una comunità minacciata da discordie e dispute occa­ sionate da gelosia e ira, superbia e maldicenze con il contorno di pettegolezzi. v. 21:

«(Temo) che (me), quando io vengo (elthontos mou) di nuovo (palin) , i l mio Dio m i umilii (tapein6se; me) davanti a voi, e (io) sia addolorato (pentheso) a causa di molti (pollous) di coloro che in precedenza hanno peccato (ton proe­ martekot6n) e non si sono convertiti (kai me metanoesanton) dall'impurità (epi te; akatharsia;) e dalla fornicazione (kai porneia;) e dalla dissolutezza (kai asel­ geia;) che hanno praticato (he; epraxan)». Paolo continua a riferire la sua grande preoccupazione per la situazione mo­ rale a Corinto, trattando di altri peccati che si riscontrano tra di loro. Una vera umiliazione per il suo instancabile lavoro e impegno di annuncio e santificazione. Prima di me = «che», si deve sottintendere, come al v. 20, phoboumai = «te­ mo». Palin = «di nuovo» si trova prima di «Venire», ma sembra più ragionevole

157 Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 259. 1 58 Cf. H. GIESEN, «eritheia>>, in DENT, l, 1378s.

310

Commento

riferirlo al verbo «Umiliare», 159 umiliazione che rischia di ripetersi «di nuòvO» dopo la precedente visita. Soggetto dell'umiliazione di Paolo viene detto Dio. Se la vita spirituale rigogliosa di una comunità è vanto dell'apostolo (l Cor 9,2; 2Cor 1 ,14), quella opposta è motivo di umiliazione, giacché è mandato per l'edifica­ zione e non per la distruzione (10,8). 1 60 Tapeinoun = «umiliare» ha un'accezione differente da 1 1 ,7 «diminuire» e da quella cristologica di 10,1 , dove è adoperato l'aggettivo. Elthontos mou è un er­ rore grammaticale per il più corretto elthonta me, accusativo dipendente da ta­ peinoun, errore che ha portato alla sua correzione in alcuni testimoni del testo. La costruzione sintattica è la seguente: «temo che Dio umili me venendo ... ». Il verbo penthein = «addolorarsi», per la sofferenza di Paolo davanti alla durez­ za di cuore dei corinzi (cf. 2 ,3 ), è adoperato altrove solo in lCor 5,2, nel caso dell'in­ cestuoso. Non fa problema pollous = «molti», che alcuni preferiscono rendere inve­ ce con «tutti», 161 dal momento che è presumibile che almeno una parte abbia già ascoltato l'invito dell'apostolo. «Molti» lascia intravedere infatti la speranza dell'a­ postolo che non siano «tutti» a perseverare nella loro ostinazione fino al suo arrivo nella comunità, ma che almeno alcuni si siano pentiti del loro comportamento.162 Notiamo il passaggio dal participio perfetto proemartekot6n = «di quelli che hanno precedentemente peccato» al participio aoristo metanoesanton = «di co­ loro che si sono convertiti ». L'aoristo dice un momento ben definito nel passato nel quale è stata offerta l'occasione di convertirsi e non la si è accolta, conti­ nuando a peccare (il perfetto), come già avveniva prima della loro conversione (l Cor 5,1-1 1 ; 6,12-20). Proamartanein non compare mai nella LXX e nel NT an­ cora solo in 2Cor 13,2. Per quanto riguarda il verbo metanoein è attestato solo qui in Paolo, mentre il sostantivo corrispondente in 2Cor 7,9. 10 e in Rm 2 ,4 . 1 63 Sono menzionati tre peccati, espressi con tre sostantivi al singolare e intro­ dotti da un solo articolo, con la comune accezione di uno scorretto comporta­ mento sessuale: - akatharsia = «impurità» di tipo sessuale, compare nelle liste di vizi di Rm 1,24; Gal 5,19; Ef 5,3; Col 3,5; al di fuori delle liste lo troviamo in Rm 6, 1 9; lTs 2,3; 4,7; mentre l'aggettivo in l Cor 7,14; - porneia = «atti sessuali illeciti» si legge nelle liste di l Cor 5,1 1 ; 6,9; Gal 5,19; Ef 5,3.5; Col 3,5; l Tm 1 ,10; M t 15,19 par. ; - aselgeia = «dissolutezza» come immoralità ostentata pubblicamente, nel NT compare ancora nelle liste di Rm 13, 13; Gal 5,19; Ef 4,19; Mc 7,22; 1Pt 4,3; altrove in 2Pt 2,1 .7. 18; Gd 4. 159 Windisch legge palin con «venire», mentre Hughes, Plummer e Barrett lo relazionano con «umiliare». Cf. FuRNISH, II Corinthians, 562. t6o Cf. THRALL, A criticai, Il, 866. 1 6J Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 215. 1 62 Cf. THRALL, A criticai, II, 868. 1 63 Cf. FuRNISH, I/ Corìnthians, 562.

2Cor 13,1-10

31 1

La proSpettiva della condanna èscatologica è richiamata dal verbo prassein = «fare», che si legge in 5,10, per la descrizione delle opere «fatte, compiute» sia in bene che in male al momento del giudizio nella parusia. Considerando che questi peccati non sono menzionati nella lista del v. 20, co­ me d'altronde quelli sono assenti nel v. 21, alcuni studiosi hanno ipotizzato l'esi­ stenza di due distinti gruppi di peccatori nella comunità: si alluderebbe nel v. 20 a coloro che, seguendo fautori di divisione, provocano contese e ogni sorta di contrapposizioni; nel v. 21 a persone che perseguono nell'immoralità precedente al battesimo (1 Cor 5,1-11 e 6,12-20). Comunque è chiaro che la situazione mo­ rale della comunità rispecchia la descrizione di 6,14-7,1 . A'.2 - L'AUTORITÀ DELL'APOSTOLO ( 13, 1 - 1 0) Tema unificante è quello della prova ( dokime) e del suo campo semantico (dokimazein = «provare»; dokimos = «approvato»; adokimos = «riprovato» ) : dal motivo della ricerca di una «prova» da parte dei corinzi in Paolo (v. 3) all'esor­ tazione dell'apostolo a «provare» se stessi, nel timore che si trovino in stato di «riprovazione»; dal suo desiderio di non esserlo mai (v. 6) alla preghiera che es­ si facciano il bene e risultino «forti» in Cristo, anche se questo dovesse significa­ re per lui apparire ai loro occhi «riprovato» (v. 7) . L'unità segue un'articolazione chiastica (a-b-a' ): vv. 1 -4; 5-9; 10 . Se nei vv. 1-4 annuncia ancora una volta (cf. 1 2,14.21 ) la sua terza visita e l'intenzione di non tollerare più i loro egoismi, 164 nei vv. 5-9 li invita ad esaminare se stessi, alla luce della propria condotta. Infine al v. 10 spiega le ragioni della presente lettera, con la ripresa del vocabolario dei vv. 1 -4: quello della severità, della «assenza-pre­ senza» e dell' «autorità». v. 1: «Questa è la terza volta ( triton ) che vengo da voi. "Sulla bocca ( epi sto­ matos) di due e (kai) di tre (testimoni) sarà stabilito ogni fatto "». «Questa è la terza volta... »: cf. 12,14. In 12,14 Paolo si era dichiarato pronto a venire; in 12,20-21 ha parlato del suo imminente arrivo. Ora, in 13,1 , comunica de­ finitivamente la sua venuta. A conferma del carattere decisivo della sua visita fa presente che giudicherà ogni cosa sulla base della testimonianza legale di due o tre testimoni, come si legge in Dt 19,15, ripreso in M t 18,16 dove è presentato co­ me un comando di Gesù ai discepoli. La citazione è secondo il testo della LXX, con l'ellissi del secondo epi stomatos prima di triton = «tre»: «sulla bocca di due testimoni e tre». Anche in Dt troviamo la congiunzione kai = «e» e non e = «Op­ pure», come in Mt 18,16. La regola è citata anche nel Talmud e nella letteratura

164 Le procedure per risolvere le questioni inte rne descritte in 2Cor 12,21-13,10 richiamano quelle di lCor 5. Tutto deve svolgersi all ' interno della comunità, sotto la guida dei responsabili e nel­ la docilità allo Spirito. Questo motiva il passaggio costante dalla sfera legale a quella teologica nella sua argomentazione. Cf. E. BAMMEL. «Rechtsfindung in Korinth», in ETL 73( 1 997), 107-113.

312

Commento

di Qumran.165 Alcuni (Barrett, Furnish, Thrall) interpretano «di due testimoni e di tre (testimoni)» con valore traslato per le due visite precedenti e la terza da ve­ nire.166 Non sembra il caso di interpretare in questo modo il testo. Se infatti si prende in considerazione l'argomentazione, diventa più che plausibile e giustifi­ cata l 'interpretazione letterale della citazione di D t: Paolo attesta che il suo giu­ dizio sarà formulato sulla base della verità e non su preconcetti e pregiudizi. v. 2: «Ho detto prima (proeireka) e dico prima (kai pro/ego) - come presen­ te (hos paron) la seconda volta (to deuteron) e di lontano ora - a quelli che han­ no peccato precedentemente e a tutti gli altri, che quando verrò (ean eltho) a (Corinto) di nuovo, non (li) risparmierò (ou pheisomai)». Paolo insiste ancora nel riprendere il tema della sua capacità di punire quan­ ti non si dispongono all'accoglienza della sua parola di apostolo. Abbiamo il doppio uso del composto prolegein = «parlare prima»: «io ho det­ to prima» (perfetto) e «io dico prima» (presente). Espressioni simili in Gal l ,9; 5,2 1 ; lTs 4,6. Prolegein anche in 2Cor 7,3. Alcuni (J.E. Belser, Hyldahl. Lam­ brecht) legano hos paron a proleg6: prima ha già ammonito, ora li ammonisce «come se fosse presente», mentre in realtà è assente. 167 Meglio: «Ho detto prima e dico prima - come presente la seconda volta e di lontano ora», perché rispetta la diversità dei tempi e la diversità di modalità di presenza: ho detto prima dico prima

con con

come presente la seconda volta e di lontano ora

L'articolo prima di deuteron = «seconda volta» rende la visita realistica e non ipotetica. 168 «Quelli che hanno peccato prima» sono probabilmente quelli di 12,21 e «tutti gli altri» sono forse i corinzi che si lasciano guidare dagli avversari (cf. 12,20 ) . 169 Per «assente» e «presente» cf. 10.1-2.1 1 e 13, 10. Ean eltho è una condizione eventuale, tuttavia qui è da leggere come una temporale: «quando vengo». Per ou pheisomai («non risparmierò») cf. 1 ,23; 12,6. Varie sono le ipote­ si su quale sarebbe il tipo di punizione minacciata: a) scomunica (Plummer); b) temporanea esclusione dalle attività comunitarie, specialmente dall'eucari­ stia, come in 2Cor 2,6-1 1 (Martin); c) malattie o sofferenze fisiche di origine so­ prannaturale (Plummer); d) consegna in balia di Satana (Barrett).170 Sembra preferibile intendere genericamente l'espressione come allusione alla dimostra­ zione-prova del potere apostolico affidatogli da Cristo.

1 65 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 569; THRA LL, A criticai, II, 872ss. 166 Cf. THRALL, A criticai, Il, 873ss. 1 67 Cf. THRALL, A criticai, Il, 876; LAMBRECHT, Second Corinthians, 221. 168 Cf. THRALL, A criticai, II, 877. 1 69 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 221. 1 70 a. THRALL, A critica/, Il, 878.

2Cor 13,1-10

313

v. 3: «Dal momento che cercate (zeteite) una prova (dokimen) del fatto che Cristo parla in me (tou en emoi lalountos), il quale non è debole verso di voi, ma è potente (dynatei) in voi». Paolo spiega perché la sua visita non sarà irrilevante, ma efficace e se neces­ sario, senza guardare in faccia a nessuno, non «risparmiando» quanti risulteran­ no impenitenti . Come mostrano 1 0.10 e 1 1 ,20 i corinzi avevano preferito legarsi ai suoi avversari, e Paolo più volte nella 2Cor ha «rivelato» il mistero e la «qua­ lità» della potenza efficace nella sua debolezza (cf. 1 ,24; 5,20; 12,12). Zetein, nel senso di «desiderare», lo troviamo in 1Cor 1 ,22; 4,2. Il vocabolario della «prova» è frequente in 2Cor: dokime in 2,9; 8,2; 9,13; 10,18 e soprattutto nel c. 13: v. 5 dokimazein = «provare»; v. 7 dokimos = «ap­ provato»; vv. 5 .6.7 adokimos = «non approvato». Il vocabolario della «forza» lo ritroviamo più volte sempre nello stesso capi­ tolo: 13,3-4.8-9.171 En emoi, se inteso letteralmente «in me», indica una profonda comunione tra l'apostolo e Cristo (cf. Gal 2,20) ; se invece è inteso come stru­ mentale, «attraverso di me» (cf. 2,17; 5,20), sarebbe da leggere nella linea profe­ tica di Dio che si serve di mediatori per comunicare la propria parola al suo po­ polo. Nella LXX infatti troviamo il verbo lalein seguito da en per «parlare attra­ verso qualcuno».172 Da notare il passaggio nella proposizione relativa che segue da eis («verso») a en («in, tra» ): «il quale verso di voi non è debole, ma è ponen­ te tra voi». Per «non è debole verso di voi» cf. 10, 1 0; 1 1 ,21 . Per «è potente in voi» invece cf. 9,8. II verbo dynatein in Paolo, oltre che già in 2Cor 4,8-10; 12,9-19, an­ cora in Rm 1 4,4. Cristo si rivela potente «tra» i corinzi attraverso il ministero di Paolo. E que­ sto potere è attivo continuamente in lui (il presente indicativo dynatei). v. 4: «E infatti (kai gar) è stato crocifisso (estaurothe) da debolezza (ek asth e­ neias), ma vive (alla ze;) da potenza di Dio. E infatti (kai gar) noi (hemeis) sia­ mo deboli (asthenoumen) in lui (en auto;), ma (alla) vivremo (zesomen) con lui (syn auto;), grazie a(lla) potenza (ek dynameòs) di Dio verso di voi (eis hymas)». Paolo fonda ciò che ha detto nei vv. 2-3 confrontando la sua debolezza e la sua forza con quelle di Cristo. Vi è uno stretto parallelismo tra il paradosso della de­ bolezza/potenza operante in Cristo e quello operante in Paolo/corinzi/cristiani in genere. Ma tra i due membri del parallelismo vi sono anche differenze: 1 73

a) I tempi: l) «è stato crocifisso» aoristo 2) «siamo deboli» aoristo

171 Cf. LAM BRECHT Second Corinthians, 221 . 1 72 Cf. THRALL, A criticai. I I, 879. 173 Cf. LAMBRECHT, Second Corinthians, 223-226. ,

«ViVe» presente

«vivremo» futuro

314

Commento

b) Pronomi personali:

l) 2) «noi», «in lui»

«con lui», «verso di voi» Si rileva la dimensione cristologica della vita dei credenti: «in lui», «con lui».

c) Congiunzioni: alla «ma» l) kai gar = «e infatti» alla «ma» 2) kai gar «e infatti>> Notiamo un duplice kai gar all'inizio dei due membri: in l) con il valore di «dav­ vero», in 2) quello proprio di «infatti anche». Dietro la paratassi tra le due frasi si scorge la sottolineatura della reciprocità tra Cristo-Paolo e i cristiani in gene­ re (cf. Gal 2,20; Rm 8,1 0). La seconda frase in tal senso assume valore di conse­ guenza del mistero pasquale di Cristo. In entrambe le parti del parallelismo gar ha inoltre una sfumatura concessiva, «sebbene», per ciò che è sotto lo sguardo di tutti, mentre alla quella di «certamente», per la prospettiva della fede. =

=

=

Per kai gar cf. anche 3. 10. Stauroun = «crocifiggere» si trova solo qui in 2Cor, altrove invece in lCor 1 ,1 3.23; 2,2.8; Gal 3,1; 6,1 4. Ek astheneias si può interpre­ tare «Secondo» l'apparente debolezza (Crisostomo, Bruce , Furnish) oppure «CO­ me una creatura debole» (Bultmann, Thrall). 174 Meglio la seconda interpreta­ zione: con ek si intende l'origine e la causa della sua crocifissione: il suo diveni­ re povero (8,9), uomo (Fil 2 ,7). 175 Ze; = «Vive» deriva da zan («vivere») adope­ rato per lo stato di risorto di Cristo ricevuto dal Padre. Per il potere di Dio che ha fatto risorgere Cristo cf. 4,17; 6,7; 1 2,9; Rm 1 ,4; 6,4; l Cor 6,14. In Rm 8,1 1 è il suo Spirito il protagonista della risurrezione-glorificazione (cf. Rm 6,4) del Cro­ cifisso. Furnish176 e Lambrecht177 leggono il verbo «vivremo» come un semplice fu­ turo in riferimento alla prossima visita. 178 Meglio come futuro escatologico, che si manifesta anche nel presente nelle vicende storiche dell'apostolo e della Chie­ sa (4,10-12). Syn auto; = «con lui» richiama il tema della risurrezione dei creden­ ti «in Cristo» di 4,14 e l Ts 4 , 1 4 . Eis hymas = «verso di voi» si trova in posizione enfatica. È preferibile leggere l'espressione come esplicitazione dell'opera com­ piuta da Dio nei loro confronti, parafrasando: «Vivremo con lui grazie alla po­ tenza di Dio che si dona a voi nel presente». v. 5: > (cf. v. 7), ma la «verità)). Ha ricevuto il ministero e lavora per la «verità», cioè per il «vangelo» (cf. 4,2; Gal 2,5 . 14; Col 1 .5). Nel discorso dell'apostolo è implicita la conseguenza che i co­ rinzi siano nella «Verità» (cf. v. 5 ) . 1 86 Se fosse diversamente significherebbe che il suo lavoro sarebbe stato compiuto contro la «verità». v. 8:

v. 9: «Ci rallegriamo (chairomen) quando noi (hemeis) siamo deboli, ma voi (hymeis) siete forti. Questo (touto) anche chiediamo nella preghiera (kai eucho­ metha), il vostro rimettervi in ordine (ten hymon katartisin)». Paolo esprime ora la sua gioia (chairein, cf. 2,3; 6,10; 7,7.9. 13.16; il sostantivo chara in 1,14; 2,3; 7,4.13; 8,2) per l'esperienza rinnovata del frutto del suo lavorare da «debole», cioè la grazia e la «forza» spirituale operante nei corinzi (cf. 4,12). So­ no enfatizzati i pronomi hemeis = «noi>> e hymeis = «voi». Ritorna il binomio asthe­ neia/dynamis, «debolezza»/«potenza» già incontrato in 12,9.10; 13,3.4 (cf. anche

1 84 Cf. FuRNISH, Il Corinthians, 572. 185 Cf. THRALL, A criticai, Il, 895. 186 Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 264.

2Cor 13,1-10

317

10,10). La «forza» dei corinzi consiste in una vita morale «ordinata» secondo Dio, come sottolinea la posizione anticipata del pronome dimostrativo touto = «que­ sto» rispetto al verbo euchometha (cf. v. 7) e al sostantivo di riferimento katartisis. Quest'ultimo lo ritroviamo in 13,1 1 e deriva dal verbo katartizein = «rimettere in ordine, riassettare, completare, preparare», adoperato in Gal 6,1 per il «corregge­ re» uno sviato; in Mc l ,19 par. per il «riattare le reti». 1 87 Un termine derivato dal­ la stessa radice verbale, katartismos (cf. Ef 4,12), è adoperato nella medicina (Ga­ leno e Sorano) per il ritorno alla funzionalità di un osso slogato o fratturato.188 Nel versetto si approfondisce il concetto del «non far nulla di male» (v. 7), «fare ciò che è nobile» (v. 7), stare nella «verità» (v. 8), tutti modi per esprimere l'essere «rinvigoriti» dall'azione di Cristo risorto, mediata dall'apostolo. 189 Og­ getto della preghiera è il desiderio di trovare nella sua prossima visita tutto «ri­ collocato» nel suo ordine e che la vita della comunità torni a manifestare la pie­ na comunione con Dio e con il suo ministro. v. 10: «Per questo vi scrivo, essendo assente, queste cose, affinché, essendo presente, non vi tratti severamente (apotomos) secondo l'autorità che il Signore mi ha dato per (l ')edificazione (eis oikodomen) e non per (la) distruzione>>. «Per questo>> introduce la finalità apostolica spiegata immediatamente dopo. «Vi scrivo queste cose>> si riferisce probabilmente all'intera lettera. Per «essendo assente>> ed «essendo presente» cf. 10,1-2. 1 1 ; 13 1.2. Paolo, con la lettera, ha vo­ luto fare il possibile per evitare di agire «severamente» nei confronti dei corinzi, giacché il suo mandato è quello di «collaboratore della vostra gioia» (l ,24 ). Qua­ si integralmente la frase «secondo l'autorità ... non per distruzione» la troviamo in 10,8. L'avverbio apotomos = «severamente», da apo-tomos («da-tagliente») si trova solo qui e in Tt 1 ,13 nel NT; cf. apotomia («severità») in Rm 1 1 ,22, dove in­ dica la severità di Dio in contrapposizione alla sua «bontà» (chrestotes). Lo scopo dell'apostolo non consiste in un semplice tentativo di ricomposi­ zione della comunione con la propria persona, ma neli' «edificazione» della co­ munione tra i corinzi e Dio, attraverso l'accoglienza della sua missione evange­ lizzatrice. Il termine oikodome («edificazione») è già in 12,19, mentre in 13,9 lo stesso concetto è .espresso con «rimettere in ordine». ,

EXCuRSUS N. 6. L'AUTORITÀ DELL'APOSTOLO

Le lettere di Paolo, con il loro carattere occasionate, motivano anche il ca­ rattere occasionale della sua teologia. 1 90 Il concetto paolino di autorità apostoli1 87 Cf. DENT, I, 1 959.

1 88 Cf. W BAUER, «katartismos», in A greek·english lexikon, 1 979 418; «katartismos», in Rocci, 1001. ,

1 89 Cf. WoLFF, Der zweite Brief, 264. 1 90 Cf. G. BARBAGLIO, «Les lettres de Paul: contexte de création et modalité de communication de sa théologie». in A. DETIWILER - J.·D. KAESTU - D. MARGUERAT (edd.). Pau/, une Théologie en con· struction , Genève 2004. 67-103.

3 18

Commento-

ca si può desumere dalle sottolineature fatte nei suoi rapporti epistolari con le diverse comunità. Egli da pastore, a differenza di Seneca e di altri filosofi del tempo, parte dai problemi della vita per poi risalire e formulare i principi primi, poiché non è la questione teorica ma la vita a determinare la sua riflessione teo­ logica. Dal mistero di Cristo ricava le risposte ai diversi problemi, senza limitar­ si a risposte preconfezionate. Il discorso dell'apostolo apre sul quotidiano delle comunità per farsi guida nel cammino di fede.191 L'apostolo è garante della verità dell'unico vangelo, durante l'evangelizza­ zione, al momento della fondazione delle comunità e nei momenti di crisi, di pro­ va e di deviazione. Esorta, suggerisce, cerca di convincere senza imporre, perché vuole che la risposta alla forza salvifica del vangelo sia frutto di rendimento di grazie (il verbo thelein non esprime un ordine ma un desiderio molto vivo; cf. Rm 16,1 9; lCor 7,7). Paolo non lega mai il termine «obbedienza» alla sua persona né tanto meno alla legge. Il suo mandato è quello di condurre i pagani all'obbe­ dienza del vangelo. In Fil 2,12 mostra che «obbedire» ha per oggetto l'annuncio della salvezza e non l'apostolo. L'obbedienza non si configura come costrizione esterna, ma come adesione interiore, frutto del vincolo di amore suscitato dal vangelo. A riprova di questo dato c'è da considerare che egli evita di utilizzare il termine exousia per richia­ mare la propria autorità, mentre l'adopera per la sottomissione ai poteri civili (exousiai in Rm 13,1-7). L'autorità di Paolo suppone il riconoscimento del dirit­ to di imporsi da parte del destinatario, non la semplice accettazione del potere perché incapaci di resistere alla forza di qualcuno. Quando dice di avere l' exou­ sia per fare ciò che gli altri apostoli fanno (l Cor 9,4ss ), ricorda un diritto che gli altri gli riconoscono come ministro del vangelo. Sul piano sociologico, se a qual­ cuno non viene riconosciuta, l'autorità ha solo il potere della forza di imporsi ma non il consenso. Il riconoscimento non è il risultato di una costrizione esteriore, ma di una libera adesione. L'argomentazione delle lettere paoline cerca sempre di manifestare le ragioni dell'autorità per persuadere gli ascoltatori della bontà del suo parlare. E le ragioni portate sono l'origine divina (2Cor 10,8; Rm 1 , 1 : . L'imperativo aoristo aspasasthe = «salutate» contrasta con i ripetuti impera­ tivi presenti del v. 1 1 .3 L'invito a salutarsi «con bacio santo» lo troviamo anche in Rm 16,16; l Cor 16,20; lTs 5,26. È il bacio liturgico, simbolo della fraternità cri­ stiana. Il saluto di comunione dell'apostolo deve essere scambiato tra i corinzi, perché espressione dell'amore del Signore (1Cor 16,22: «Se qualcuno non ama il Signore sia anatema»). Il saluto di «tutti i santi» esprime la comunione che esi­ ste tra le diverse comunità (cf. 2Cor 8--9). La stessa espressione la troviamo in Fil 4,22. In Rm 16,16 il saluto è da parte di «tutte le Chiese di Cristo», in lCor 16,19 da parte di «tutte le Chiese dell'Asia» e in l Cor 16,20 da «tutti i fratelli». Con il termine «santi» in 2Cor l ,l si indicano i credenti della provincia dei­ I'Acaia; in 8,4 e 9,1 . 12 i cristiani di Gerusalemme. Nel nostro caso, in primo luo­ go, si allude ai cristiani presso i quali si trova l'apostolo al momento in cui scrive la 2Cor, ma sono da sottintendere anche tutte le Chiese che, in quanto legate al ministero di Paolo, beneficiano della charis apostolica da lui amministrata e si sentono partecipi nella comunione ecclesiale della crescita vicendevole nel Si­ gnore Gesù Cristo. v. 13: «La grazia (he charis) del Signore Gesù Cristo (tou Kyriou lesou Chri­ stou) e l'amore (kai he agape) di Dio (tou Theou) e la comunione (kai he koinonia) dello Spirito Santo (tou hagiou pneumatos) (sia) con tutti voi».

2 Cf. FURNISH, I/ Corinthians, 582. 3 Cf. FURNISH, Il Corinthians, 582.

2Cor 13,11-13

323

È da notare la mancaza dei verbi, tuttavia essendo una benedizione è scon­ tato che si debba sottintendere il verbo essere: «Sia». La formula di benedizione sembra un ampliamento delle due formule conclusive di 1Cor 16,23: «la grazia del Signore Gesù (sia) con voi» (cf. Rm 16,20; 1Cor 16,23; Gal 6,18: Fil 4,23; lTs 5,28; Fm 25; Col 4,18) e 16,24: «il mio amore sia con tutti voi in Cristo Gesù». Paolo aggiunge a «la grazia del Signore Gesù Cristo (sia) con tutti voi» le due espressioni «l'amore di Dio» e «la comunione dello Spirito Santo».4 La formula trinitaria è abbozzata in 2Cor 1 ,2ls; lCor 6,1 1 ; 12,4-6. I genitivi tou Kyriou Iesou Christou, tou Theou e tou hagiou pneumatos sono di tipo soggettivo, nel senso che la charis è originata dal Signore Gesù Cristo, l'a­ gape da Dio Padre e la koinonia dallo Spirito Santo. Protagonista della comunione vicendevole tra i credenti è l'azione trinitaria della grazia di Cristo che per amore dell'umanità «si è fatto povero per arric­ chirci» (2Cor 8,9), allo scopo di manifestare l'amore di Dio Padre (v. 1 1 ; Rm 5.8; 8,39), liberando ruomo dal giogo del peccato (Rm 5,21), per l'efficace comunio­ ne dello Spirito Santo (Rm 5,5; Fil 2,1 ), che dona la capacità di evangelizzare (1 1 ,4), fa vivere (3,6), dona la libertà (3,17) ed è caparra del dono futuro ed eter­ no ( 1 ,22; 5,5). I corinzi, fondati su tale fiducia, sono chiamati a partecipare dei doni della comunione divina e si edificano di giorno in giorno in una comunità viva e solidale (1Cor 12,13). Per koinonia e l'aggettivo corrispondente koin6nos cf. 1,7; 6,14; 8,4.23; 9,13. In Rm 15,13 si parla del potere dello Spirito Santo di far abbondare nella speranza: «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo». Con la benedizione trinitaria si conclude la lettera: il primato del ministero paolino va al Dio Uno e Trino, sorgente della missione apostolica e termine ulti­ mo della lode della Chiesa.

4 LAMBRECHT, Second Corinthians. 228.

Bibliografia

ABERNATHY D. , «Exegetical problems in 2 Corinthians 3», in NotesTrans

14(2000) , 44-56. - «Paul's ministry of reconciliations: exegeting and translating 2 Corinthians 5,1 1-6,2», in Notes Trans 15(2001), 48-64. ADAMS E., Construing the World. A study in Paul's cosmological language, Edin­ burgh 2000 . ADEWUYA J.A., Holiness and community in 2 Cor 6,14-7,1. Paul's view of com­ munal holiness in the Corinthian correspondence, ( SB L DS 40), New York­ Bern 2001. AoiNOLFI M., Da Antiochia a Roma, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1996. AEJMELAEUS L., Schwachheit als Wife. Die Argumentation des Paulus im Triinen­ brief (2. Kor. l 0-13) , Gottingen 2000. ALETII J.-N. , «God made Christ to be sin (2Corinthians 5,21): Reflections on a pauline paradox», in S.T. DAvis - D KENDALL - G. O'CoLLINS (edd.), The Re­ demption. An interdisciplinary Symposium on Christ as Redeemer, Oxford 2004, 101-120. - «La dispositio rhétorique dans Ies Épitres pauliniennes», in NTStud 38(1992), 385-401. ALLO E.-B., Saint Pau/ Seconde Épitre aux Corinthiens, Paris 1937 (21 956). AMADOR J.D.H., «Revisiting 2 Corinthians: rhetoric and the case for unity», in NTStud 48(2000) , 92-1 1 1. ANGSTENBERGER P., Der reiche und der arme Christus. Die Rezeptionsgeschichte von 2 Kor 8,9 zwischen dem zweiten und dem sechsten Jahrhundert, Bonn 1997. AUNE D E., The New Testament in its literary environment, Westminster 1987. BACHMANN P., Der zweite Brief des Paulus an die Korinther, Leipzig 1909. BAKER W.R., «Did the glory of Moses' face fade? A re-examination of katargeo in 2 Corinthians 3,7-18», in Bul/BibRes 10(2000) , 1 -15. BAMMEL E., «Rechtsfindung in Korinth», in ETL 73(1997), 107-1 13. BARBAGLIO G., La prima lettera ai Corinzi, Bologna 1995. - La teologia di Paolo, Bologna 1999. - «Les lettres de Paul: contexte de création et modalité de communication de sa théologie», in A. DEITWILER - J.-D. KAESTLI - D. MARGUERAT (edd.), Pau/, une Théologie en construction, Genève 2004, 67-103. .

.

326

Bibliografia

BARNEIT P., The second epistle to the Corinthians, Grand Rapids (MI)-Cambridge (UK) 1997. BARR D., New Testament Story, Belmont 1995. BARREIT C.K., A commentary on the Second Corinthians, London 21979. BARRIER J., « Visions of weakness: Apocalyptic genre and the identification of Paul's opponents in 2 Corinthians 12,1-6 » , in RestorQuart 47(2005), 33-42. BASH A., «A psychodynamic approach to the interpretation of 2 Corinthians 1013», in JSNT 83(2001 ), 51 -67. BATES W.A., «The integrity of II Corinthians», in NTS 12(1965), 56-69. BAUMEISTER T., Die Anfiinge der Theologie des Martyriums, Miinster 1980. BAUMERT B. , Tiiglich sterben und auferstehen. Der Literalsinn von 2Kor 4,12-5,10, Miinchen 1973. BECHER E.-M., Letter Hermeneutics in 2Corinthians, (JSNT SS 279), London­ New York 2004.

- «Was ist "Koharenz"? Ein Beitrag zur Prazisierung eines exegetischen Leit­ kriteriums», in ZNW 94(2003), 97-121 . BECKER J. , Pau/. L'Apotre des nations, Paris 1995. BECKHEUER B., Paulus und Jerusalem. Kollekte und Mission in theologischen Denken des Heidenapostels, Frankfurt-Berlin-Bern 1 997. BEILNER W. , Dienst und Dienste der Kirche, Salzburg 1996. BELLEVILLE L.L., Reflections of Glory. Paul's polemica/ use of the Moses-Doxas tradition in 2Corinthians 3, 1-18, Sheffield 1991 . - 2 Corinthians, Nottingham 1995. BELSER J.E., Der z weite Brief des Apostels Paulus an die Korinther, Freiburg 1910. BENWARE W.A., «Second Corinthians 3,18 and cognitive grammar: apo doxes eis doxan», in Bib Trans 57(2006), 44-50. BERGER K., «Almosen ftir lsrael: Zum historischen Kontert der paulinischen Kollekte», in NTStud 23(1977), 1 80-204. BETZ H.D., «The concept of the "inner human being" (ho eso anthropos) in the anthropology of Paul», in NTStud 46(2000), 31 5-341. - 2Corinthians 8 and 9, Philadelphia 1985. BIERINGER R., «Teilungshypothesen zum 2. Korintherbrief. Ein Forschungsi.iber­ blick. Der 2. Korintherbrief als urspriingliche Einheit. Ein Forschungsiiber­ blick. PUidoyer fiir die Einheitlichkeit des 2. Korintherbriefes», in R. BIERINGER - l LAMBRECHT (edd.), Studies on 2 Corinthians, Leuven 1994, 67-179. - «Die Liebe des Paulus zur Gemeinde in Korinth. Eine lnterpretation von 2 Korinther 6,1 1», in StudNTUmwelt 23(1998), 193-213. BJERKELUND C. J. , Paraka/6: Form, Funktion und Sinn der paraka/6 Siitze in den paulinischen Briefen, Oslo 1967. BLACK D.A. , Pau/, apostle of weakness. Astheneia and its cognates in the Pauline literature, New York 1 984. BoERS H., «2 Corinthians 5,14-6,2: a fragment of pauline christology», in CBQ 64(2002) , 527-547. - «Agape and charis in Paul's thought», in CBQ 59(1997), 693-713. BoRNKAMM G., «The history of the origin of the so-called Second Letter to the Corinthians>>, in NTS 8( 1 961-1962) , 258-264.

Bibliografia

327

BosH J.S., Scritti paolini, B rescia 2001 . BùTIRICH C. , «2Kor 1 1 ,1 als Programmwort der Narrenrede», in ZNW 88( 1997) , 135-139. BouTIIER M., «La souffrance de l'apòtre. 2Cor 4,7-18»,-in L. DE LoRENZI (ed.), The diakonia of the Spirit (2,4-7-7, 4) , Roma 1989, 50-74. BREYTENBACH C., «Paul's proclamation and God's ''thriambos" (Notes on 2 Corinthians 2,14-16b)», in Neotestamentica 24(1990), 257-271 . BRINK L., «A General's Exhortation to His Troops: Paul's Military Rhetoric in 2 Cor 10: 1 - 1 1 », in Biblische Zeitschrift 49(2005), 191-201 ; 50(2006), 74-89. BROWN A.R., «The gospel takes piace. Paul's theology of power-in-weakness in 2Corinthians», in Interpretation 52(1998), 271 -285. BROWN R.E., Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia 2001. BRUCE F.F., l and 2 Corinthians, Grand Rapids 1971 . - The letter of Pau/ to the Romans, Leicester 1985. - 1 &2 Thessalonians, Waco 1982. BRUEHLER B.B., «Proverbs, persuasion and people: a three-dimensional investigation of 2Cor 9,6-15», in NTStud 48(2002), 209-224. BuLTMANN R., Theologie des Neuen Testaments, Tiibingen 1953. - Der z weite Brief, Gottingen 1976. CAMPBELL D.A ., «An anchor for pauline chronology: Paul's flight from "the Eth­ narch of king Aretas" (2 Corinthians 11 ,32-33)», in JBL 121 (2002), 279-302. CARREZ M., «Hikanotes: 2Co 2,14-17», in L. DE LoRENZI (ed.), Paolo, ministro del Nuovo Testamento (2Cor 2, 14-4, 6) , Roma 1987, 79-104. - La deuxième Épitre de Saint Pau/ aux Corinthiens, Genève 1 986. CARR6N PÉREZ J., «Los adversarios de san Pablo en 2 Corinthios», in EstBib 57(1999), 163-1 87. CHEVALLIER M.A., «L'argumentation de Paul dans II Corinth. 10 à 13», in RHPR 70(1990) , 13-15. CoLLANGE J.-F., Énigmes de la Deuxième Épitre de Paul aux Corinthiens. Étude exégétique de 2 Cor. 2:1 4-7:4, Cambridge 1972. CRAFTON J.A., The Agency of the Apostle, Sheffield 1991 . DANKER W., II Corinthians, Minneapolis 1989. DAUTZENBERG G. , « Ù berlegungen zur Exegese und Theologie von 2Kor 4,1 -6», in Bib 82(2001 ), 333-341 . DE LoRENZI L., «Le tribolazioni dei giusti nella prospettiva escatologica di Pao­ lo», in Il giusto sofferente, Parola Spirito e Vita 34(1 996), 1 83-221. DE OuvEIRA A., Die Diakonie der Gerechtigkei und der Versohnung in der Apo­ logie des 2. Korintherbriefes. Analyse und Aulengung von 2 Kor 2, 14-4,6; 5, 116, 10, (NTA.NF 21), Miinster 1990. DERRETT J.D. M., «Nai (2Cor 1 ,1 9-20)», in FN 4(1991) , 205-209. - «Paul as master-builder», in EQ 69(1 997), 107-1 13. DESCAMPS A.- L . , «Paul, apòtre de Jésus-Christ», in L. DE LORENZI (ed.), Pau/ de Tarse Apotre du notre temps, Roma 1979, 25-60. DE SJLVA D.A . , The credentials of an apostle. Paul's gospel in 2 Corinthians 1-7, N. Richland Hill (TX) 1998. DE WEITE W.M., Kurze Erkliirung der Briefe an die Korinther, Leipzig 1841.

328

Bibliografià

DoTY W.G., Letters in Primitive Christianity, Philadelphia 1973. DowNs D.J., «Paul's collection and the book of Acts revisited», in NTS 52(2006),

50-70. DuFF P. B., «Apostolic Suffering and the language of proeessions in 2 Corinthians 4,7- 10», in B TB 21 (1991 ), 1 58-165. - «The mind of the redactor: 2 Cor 6,14-7, 1 in its secondary context», in NT 35(1 993), 160-1 80. - «Glory in the ministry of death. Gentile condemnation and letters of rem­ mendation in 2Cor 3,6-18», in NT 46(2004), 313-337. DUPONT J., «"Ad commoriendum et ad convivendum" (2Cor 7,3)», in C. G H J DEL­ LI (ed.), Teologia Liturgia Storia. Miscellanea in onore di Carlo Manziana Ve­ scovo di Crema, Brescia 1977, 19-28. DuRKEN D., «The corinthian connection>>, in Bible Today 35(1997), 294-299. EASTMAN B. . The significance ofgrace in the letters of Pau/, (SBL 1 1), New York­ Bern 1999. EBNER M., Leidenlisten und Apostelbrief Untersuchungen zu Form, Wiirzburg 1991. FARAHIAN E., Le «je» paulinien. Etude pour mieux comprendre Gal 2,1 9-21 , Ro­ ma 1988. FENSKE W., «Freude als Grundzug des Paulus», in M. BECKER - W. FENSKE (edd.), Das Ende der Tage und die Gegenwart des Heiles. Festschrift filr Heinz W Kuhn zum 65° Geburstag, Leiden-Boston-Koln 1999, 229-244. FEUILLET A., «La demeure céleste et la destinée des chrétiens: Exégèse de 2 Cor 5,1-10 et contribution à l'étude des fondements de l'eschatologie paulinien­ ne», in RSR 44(1956), 161-192.360-402. FILBECK D. , «Problems in Translating first person plural pronouns in 2 Co­ rinthians» , in Bib Trans 45(1994), 401 -409. FITZMYER J.A., «Alonso Schokel and Dikaiosyne Theou», in EstBib 56(1 998), 107-109. - «Glory Reflected on the Face of Christ (2 Cor 3 ,7-4 ,6) », in Io., According to Pau/. Studies in Theology of the Apostle, New York 1993. FRANKEMOLLE H., «Die Paulinische Theologie im Kontext der heiligen Schriften Israels: "So viele Verheissungen Gottes, in ihm das Ja" (2Kor 1 ,20)», in NTStud 48(2002), 332-357. FRANSEN P.S., «Mission, money and right administration: reflections on II Co­ rinthians 8 and 9», in Trinity Seminary Review 22(2000) , 7-18. FuRNISH V.P., II Corinthians, New York 1984. - «Pau] and the Corinthians. The letters, the challenges of ministry, the gospel», in Interpretation 52(1998). 229-245. Fusco V�, «Avversari di Paolo-avversari di Marco: un contatto attraverso la "cri­ stologia del theios-aner"? Appunti sulla discussione», in RStB 1/2(1989), 23-42. GEORGI D., Die Geschichte der Kol/ekte des Paulus filr Jerusalem, (TF 38), Ham­ burg-Bergstedt 1965 . - Die Gegner des Paulus im 2. Korintherbrief. Studien zur religiosen Propagan­ da in Spiitantike, Neukirchen-Vluyn 1964 (tr. ingl. The opponents of Pau/ in Second Corinthians, Philadelphia [Pennsylvania] 1986).

Bibliografia

329

GERBER C., «Krieg und Hochzeit in Korinth. Das metaphorische Werben des Pau­ lus um die Gemeinde in 2 Kor 10,1-6 und 1 1 ,1-4» , in ZNW 96(2005), 99-125. GETIY M.A., «The ministry of a reconciled community», in Bible Today 37(1999), 155-161 . GIANNANTONI L. , La paternità apostolica di Paolo, Bologna 1 993. GIGNILLIAT M., «A servant follower of the Servant: Paul's eschatological reading of Isaiah 40-66 in 2 Corinthians 5,14-6,10», in HorBib Theo/ 26(2004), 98-124. - «2Corinthians 6,2: Paul's eschatological now? And hermeneutical invita­ tion», in WestTheoUourn 67(2005), 147-161 . GLOER W.H., An exegetical and theological study of Paul's understanding of new creation and reconciliation in 2Cor 5,14-21 , Lewiston (NY)-Queenston (Ont.)-Lampeter (UK) 1996. GNILKA J., Paolo di Tarso. Apostolo e testimone, Brescia 1998. GouLDER M.D., «2 Cor 6,14-7 ,l as an integrai part of 2 Corinthians», in NT 36(1994), 47-49. - Paul and the competing mission in Corinth, Peabody (MA) 2001 . GRABE J., «Dynamis (in the Sense o f Power) a s a Pneumatological Concept in the Main Pauline Letters», in BZ 36(1 992), 226-335. GRASSER E . , Il patto antico nel nuovo, Brescia 2001 . GRDELIDZE T., «"God, in your grace, transform the world". Bible study on 2 Co­ rinthians 3,18», in EcumRev 56(2004), 327-333. GRELOT P. , «Comment traduire 2 Co 5,21 ?», in RB 1 1 3(2006), 94-99. GRINDHEIM S., «The law kills but the gospel gives life: the letter-Spirit dualism in 2 Corinthians 3,5-18», in JSNT 84(2001 ), 97-1 15. GuuN E.G., Die Freude im Neuen Testament. I Teil: Jesus, Urgemeinde, Paulus, Helsinki 1932. GOTING E.W. - MEALAND D.L., Asyndeton in Paul. A text-critical and statistica/ enquiry into Pauline style, Lewiston (NY)-Queenston (Ont.)-Lampeter (UK) 1998. GurrEMBERGER G., «Klugheit, Besonnenheit, Gerechtigkeit und Tapferkeit. Zum Hintergrund der Vorwtirfe gegen Paulus nach 2Kor 10-1 3», in ZNW 96(2005), 78-95. GOTTGEMANNS E., Der leidende Apostel und sein Herr, Gottingen 1966. H AFEMANN S.J., «Paul's use of the Old Testament in 2 Corinthians», in Interpre­ tation 52(1998) , 246-257. HAHN F., «"Siehe, jezt ist der Tag del Heils". Neuschopfung nach 2. Korinther 5,14-6,2», in J. FREY - J. ScHLEGEL (edd.), Studien zum Neuen Testament, Il, (WUNT 192), Tiibingen 2006, 3 1 1-322. - «Das Ja des Paulus und das Ja Gottes. Bemerkungen zu 2Kor 1 ,1 2-2,1», in J. FREY - J. S cHLE G E L (edd. ), Studien zum Neuen Testament, Il, (WUNT 192) , Ttibingen 2006, 359-369. - «1st das textkritische Problem von 2 Kor 1,17 losbar?» in J. FREY - J. ScHLE­ GEL (edd.), Studien zum Neuen Testament, II, (WUNT 192), Ttibingen 2006, 371-378. HANHART K., «Hope in the face of death: preserving the originai text of 2 Cor 5,3», in Neotestamentica 31(1997), 77-86.

330

Bibliografia

HARRIS M.J., The second epistle to the Corinthians, Grand Rapids 2005. HARRISON J.R., «In quest of the third heaven: Paul & bis apocalyptic imitators», in Vigiliae Christianae 58(2004), 24-55. HASITSCHKA M., «"Diener eines neuen Bundes". Skizze zum Selbstverstandnis des Paulus in 2 Kor 3,4-4,6», in ZeitKath Theo/ 121(1999), 291-299. HEINRICI C.F.G., Der zweite Brief an die Korinther, Gottingen 81 900. HÉRING J., La Seconde Épitre de saint Pau! aux Corinthiens, (CNT[N] 8), Neu­ chatel-Paris 1958. - The Second Epistle to the Corinthians, London 1 967. HETTLINGER R., «2 Corinthians 5,1-10», in Scottish Journal of Theology 10(1957), 174-1 94. HILGENFELD A., Historisch-kritische Enleitung in das Neue Testament, Leipzig 1 875. HoLLOWAY P.A., «Paul's pointed prose: the "sententia" in roman rhetoric and Paul», in NT 40( 1998), 32-53. HoLMBERG B. , Pau/ and Power. The Structure ofAuthority in the primitive Church as reflected in pau/in Epistles, Lund 1978. HooKER M.D., «A partner in the gospel: Paul's understanding of ministry», in EpworthRev 25(1998), 70-78. HoovER H.J. , The concept of New Creation in the letters of Pau/, Ann Arbor 1979. HoTZE G., Paradoxein bei Paulus. Untersuchungen zu einer elementaren Denkform in seiner Teologie, Mtinster 1997. HuBBARD M., «Was Paul out of bis mind? Re-ading 2 Corinthians 5,13», in JSNT 70(1998), 39-64. ----:- New creation in Paul's letters and thought, (SNTS MS 1 1 9), Cambridge (UK)­ New York 2002. HOBNER H., Teologia biblica del Nuovo Testamento. II: La teologia di Paolo, B re­ scia 1 999. HuoHES P.E., Paul's Second Epistle to the Corinthians, (NICNT), Grand Rapids 1 962. HuLTGREN S.J. , «2Cor 6J4-7,1 and Rev 21 ,3-8: evidence for the ephesian redac­ tion of 2 Corinthians>>, in NTStud 49(2003), 39-56. HYLDAHL N., «Die Frage nach der literarischen Einheit des Zweiten Korinther­ briefes», in ZNW 64( 1973), 289-306. INNASIMUTHU A., Comfort in Affliction:An Exegetical Study of2 Corinthians 1,3-11, Leuven 1995. JANKOWSKI G., «Der Name des Messias. Jesus, Christus, Herr bei Paulus», in Tex­ te & Kontexte 20(1997), 23-41 . JASTROW M., 'ame n, A dictionary of the targumim, the talmud babli and yeru­ shalmi, and the midrashic literature, New York 1996. JEWETT R., Paul's anthropo/ogical terms. A study of their use in conflict settings, (AGJU 10), Leiden 1971. JoHNSON L., «Satan talk in Corinth: the rhetoric of conflict», in Bib Theo/Bull 29(1999), 145- 155.

Bibliografia

331

JouBERT S., «Religious reciprocity in 2 Corinthians 9,6-15:· generosity and grati­ tude as legitimate responses to the charis tou Theou», in Neotestamentica 33(1999), 79-90. JouBERT S.J., «Shifting styles of church leadership: Paul's pragmatic Ieadership style in l e 2 Corinthians during the organization of the collection for Jeru­ salem», in VerbEcc/ 23(2002). 678-688. Juuus C.-B. , Die ausgefiihrten Schrifttypologien bei Paulus, Frankfurt-Bern 1 999. KAITHAKOITIL J., «"Death in us, life in you". Ministry and suffering: a study of 2Cor 4,7-15», in Bible Bhashyam 28(2002), 433-460. KAMPLING R., «Freude bei Paulus», in TTZ 101 (1992), 69-79. KEENER C.S., 1-2 Corinthians, Cambridge 2005. KEHL M., «"Selig di e Trauernden, de nn sie zerden getrostet werden" (Mt · 5,4)», in GeistLeb 73(2000). 96-97. KENNEDY G. A., New Testament Interpretation Through Rhetorical Criticism, Cha­ pel Hill 1 984. KIM S., «2Cor 5,1 1 -21 and the origin of Paul's concept of "reconciliation"», in NT 39(1997), 360-384. KLAUCK H.-J., 2. Korintherbrief, Wiirzburg 1986. KLEINKNECHT K.T., Der leidende Gerechtfertigte. Die alttestamentlich-jiidische Tradition vom >, in Interpretation 46(1 992), 5-1 8. RoTHAUS R. M., Corinth: the first city of Greece. An urban history of late antique eu/t and religion, (RGRW 139), Leiden-Boston-Cologne 2000. SACCHI A., «Le lettere autentiche>>, in Le lettere paoline e le altre lettere, a cura di A. SACCHI e collaboratori, (Logos 6), Le urna nn (TO) 1996. SAFFREY H.D. , «Paolo fonda la Chiesa di Corinto>>, in Il mondo della Bibbia 4( 1 990), 41 -47. SALAS A. (ed.), La felicidad, ( Biblia y Fe XXIII,67), Madrid 1997. SARKIO R . , «Die Versohnung mit Gott - und mit Paulus. Zur Bedeutung der Ge­ meindesituation in Korinth fiir 2 Kor 5,14-21>>, in StudTheo/ 52( 1998), 29-42. ScHELLER T. , «Der ursptingliche Kontext von 2Kor 6,14-7, 1 . Zur Frage der Einheitlichkeit des 2. Korintherbriefs», in NTStud 52(2006), 219-238. ScH IEFER FERRAR I M., Die Sprache des Leids in den paulinischen Peristasenkata­ logen, (SBB 23), Stuttgart 1 991. ScHM ELLER T., «Der ursprtingliche Kontext von 2Kor 6,14-7,1)), in NTS 52(2006), 219-238. ScHMITH A LS W., «Die Korintherbriefe als Briefsammlung», in ZNW 64(1973), 264-288. ScHOLTISSEK K., «"lhr seid ein Brief Christi" (2 Kor 3,3). Zu einer ekklesiologi­ schen Metapher bei Paulus», in BZ 44(2000) , 183-205. ScHROEDER C., «"Standing in the breach". Turning away the wrath of God)), in Interpretation 52(1998), 1 6-23. SCHROTER J., «Schriftauslegung und Hermeneutik in 2 Korinther 3. Ein Beitrag zur Frage der Schrifbenutzung des Paulus» , in NT 40(1998), 23 1 -275. ScHUBERT P., Form and Function of the Pauline Thanksgiving, Berlin 1939. ScH OTz J. H., Pau/ and the Anatomy ofApostolic Authority, Cambridge 1975. Scorr J.M. , «The Use of Scripture in 2 Corinthians 6,16c-18)), in JSNT 56( 1994), 73-99.

335

Bibliografia

SELLIN G., «l Korinther 5-6 und der "Vorbrier' nach Korinth», in NTS 37(1991), 535-558. SPENCER A.B., Paul's literary style. A stylistic and historical comparison of II Co­ rinthians 1 1, 16-12, 13, Romans 8, 9-39, and Philippians 3 2-4, 13, Lanham (MD)-New York-Oxford 1998. SPICO C., Note di lessicografia neotestamentaria, 1-11, (G L NT S4-S4), Brescia 1988-1994. STARNITZKE D. , «Der Dienst des Paulus. Zur lnterpretation von Ex 34 in 2Kor 3», in WortDienst 25 (1 999), 193-207. STEGMAN T.D., The character ofJesus. The Linchpin to Paul's argument in 2 Co­ rinthians, (Analecta Biblica. 158), Roma 2005. STOCKHAUSEN C.K., Moses ' veil and the glory of the New Covenant. The exegetical substructure of II Cor 3,1 -4,6, Roma 1 989. STOWERS S.K., «Peri men gar and the integrity of 2Cor 8 and 9)), in NT 32( 1990), 340-348. STRACHAN R.H., The second epistle of Paul to the Corinthians, Lopdon 1935. STRECKER G., Die limina/e Teologie des Paulus: Zugiinge zur paulinischen Teologie aus kulturanthropologischer Perspektive, (FRLANT 185), Gottingen 1999. SUMNEY J.L., Identifying Paul 's opponents. The question of method in 2Co­ rinthians, (JSNR SS 40), Sheffield 1990. - «Servants of Satan)>, «False brothers>) and other opponents of Pau!, (JSNT SS 188), Sheffield 1 999. SUNDERMANN H.G., Der schwache Apostel und die Kraft der Rede. Eine rhetori­ sche Analyse von 2Kor l 0-13, Frankfurt am Mai n 1996. TANNEHILL R.C., Dying and Rising with Christ, Berlin 1967. TAYLOR N.H., «Conflict as context for defining identity: a study of apostleship in the galatian and corinthian letters)), in HTSTeolStud 59(2003), 91 5-945. THEISSEN G. , Sociologia del cristianesimo primitivo, Genova 1 987. THEOBALD M., Die uberstromende Gnade. Studien zu einem paulinischen Motiv­ feld, (FzB 22). Dtisseldorf 1981 . THORSELL P. R , « The Spiri t in the present age: preliminary fulfillment of the pre­ dicted new covenant according to Pau]», in JournEvangTheolSoc 41(1998), 397-41 3. THRALL M.E. , A criticai and exegetical Commentary on the Second Epistle to the Corinthians, 2 voli., Edinburgh 1994, 2000. UDDIN M., «Paul. the devii and "unbelief" in lsrael (with particular reference to 2 Corinthians 3-4 and Romans 9-1 1 ))), in TynBul/ 50(1 999), 265-280. UMBACH H . In Christus getauft von der Siinde befreit. Die Gemeinde als sunden­ freier Raum bei Paulus, (FRLANT 181), Gottingen 1 999. VANHOYE A., «L'interprétation d'Ex 34 en 2Cor 3,7-14», in L. DE LoRENZI (ed.), Paolo, ministro del Nuovo Testamento, Roma 1987, 1 59-196. VIDAL S., La resurrezione di Gesù nelle lettere di Paolo, Assisi 1 985. WAGNER G. , «Le tabernacle et la vie "en Christ". Exégèse de 2 Coririthiens 5:1 à 10)), in RHPR 41 (1961 ), 379-393. WALBANK M.E.H «The foundation and planning of early roman Corinth>), in JournRomA rch 10(1997), 95-130. ,

.

.

.,

336

Bibliografia

WALKER D.D., Paul's offer of leniency (2 Cor 10,1). Populist ideology and rheto­ ric in a pauline letter fragment, (WUNT 2, 152), Ttibingen 2002. WALKER W. 0., «2Cor 6,14-7 ,l and the chiastic structure of 6,1 1-13; 7 ,2-3», in NTStud

48(2002), 142-144.

WAN S.-K., Power in weakness. Conflict and rhetoric in Paul's Second Letter to the Corinthians, Harrisburg (PA) 2000 WEBB S.H., «Christian giving and the Trinity», in QR 22(2002), 333-346. WEBB W.J., «Who are the Unbelievers (apistoi) in 2 Corinthians 6,14?», in Bi� bliotheca Sacra 149(1992), 27-44. .

WEHR L., «Funktion und Erhahrungshintergrund der Satansaussagen des Paulus. " ... damit wir vom Satan nicht iiberlistet werden" (2 Kor 2 ,1 1)», in MUnch Theo/Zeit 52(2001 ) , 208-219. WEIMA J.A.D., «What does Aristotle bave to do with Paul? An evaluation of rhe­ torical criticism», in Calv TheoUourn 32(1 997), 458-468. WEISS J., Earliest christianity, 2 voli., New York 1959. WELBORN L.L., «Paul 's appeal to the emotions in 2Corinthians 1,1-2,13; 7,5- 16» , in JSNT 82(2001 ), 31 -60. - «The dangerous double affirmation character and truth in 2Cor 1 ,17», in ZNW 86(1995), 34-52. - «Like broken pieces of a Ring: 2Cor 1 ,2-2,13; 7,5-16 and ancient theories of literary unity», in NTStud 42(1 996), 559-583. - «Primum tirocinium Pauli (2Cor 1 1 ,32-33)», in BZ 43(1999), 49-71. - «The runaway Paul», in Harv TheolRev 92(1999), 1 15-163. WENDLAND H.D., Die Briefe an die Korinther, Gottingen 1 968-1972. WENHAM D. , «2 Corinthians 1,17-18: Echo of a Dominica! Logion», in NT 28(1986) , 271-279. WHEELER V.A., «A piea for holy fellowship 2 Corinthians 6,14-7,1 », in Ash TheoUourn 3 1 (1999), 25-31. WILLIAMSON L., «Led in triumph: Paul's use of triambeuo», in Interpretation 22 (1968), 317-322. WINANDY J., «L'énigme de 2 Co 3,17: Une bévue de scribe?», in RB 107(2000), 7280. WINDISCH H., Der zweite Korintherbrief, Gottingen 1924. WITHERNGTON B., Conflict and community in Corinth: a socio-rhetorical com­ mentary on l and 2 Corinthians, Grand Rapids 1 995. WoDKA A., «L'oblatività neotestamentaria e il discorso etico-morale. II: Il dono del dare (2Cor 8-9)», in Studia Maralia 37(1999), 5-33. WoLFF C., Der zweite Brief des Paulus an die Korinther, Berlin 1989. WoNG K.H.-Y., Boasting and foolishness. A study of 2Cor 10,12-18 and 11,1a, Hong Kong 1998. WooococK E., «The seal of the Holy Spirit», in BiblSac 155(1998), 139-163. YATES R., «Paul's affliction in Asia: 2 Corinthians 1 ,8», in EQ 53(1981 ), 241-245. ZEILINGER F., «Die Echtheit von 2 Kor 6,14-7,1 », in JBL 1 12(1993), 71-80.

Indice dei nomi

Aalen S. 183 Abernathy D. 101 164 Abramo 26 80 127 280 282 283 291 Acàico 19 206 Adamo 80 124 150 163 167 174 204 267 274 291 292 Adewuya J.A. 1 88 Adinolfi M. 14 15 16 17 Aejmelaeus L. 245 Alessandro Magno 91 Aletti J.-N. 173 244 319 Allo E.-B. 24 63 151 156 Amador J.D.H. 24 Angstenberger P. 218 Antigono 91 Antipatro di Sidone 14 Apollo 13 Apollo (collaboratore di Paolo) 20 22 253 260 Appiano 14 Apuleio 53 Aquila 15 18 22 Areta I 289 Areta IV 288 289 Aristofane 13 17 Aristotele 82 204 230 Arnold C.E. 205 Aronne 81 295 Asclepio 295 Ateneo 17 Augusto 13 14 91 284 Aune D.E. 34

Bachmann P. 54 149 174 Bailly A. 1 81 Baird W. 104 Baker W.R. 1 10 Balz H. 90 160 1 70 181 Bammel E. 31 1 325 Barbaglio G. 12 14 15 16 1 7 20 34 46 207 238 239 287 317 Barnaba 238 Barnett P. 167 305 Barr D. 25 326 Barrett C.K. 24 27 82 104 1 1 5 120 123 126 135 1 38 140 143 147 151 153 156 209 219 221 232 237 254 268 275 308 310 312 326 Barrier J. 44 291 Bartsch H.-W. 170 Baruc 291 Bash A. 245 Bates W.H. 24 Bauer W. 317 Baumagarten J. 74 Baumeister T. 60 Baumert N. 141 147 148 154 155 156 Baur F.C. 27 Becher E.-M. 23 Becker J. 22 204 Beckheuer B. 208 239 Beilner W. 52 Belleville L.L. 34 54 106 1 1 0 Belser J.E. 312 Benware W.A. 1 18

338

Indice dei nomi

Berger K. 204 207 238 Bergmeier R. 286 Bertram G. 180 184 Betz H.D. 1 42 209 210 21 1 212 217 221 226 230 244 250 269 271 291 Bieringer R. 25 93 187 Bjerkelund C.J. 58 Black D.A. 42 43 255 Boers H. 1 62 216 Bornkamm G. 24 27 93 Bosh J.S. 23 Bottrich C. 264 Bouttier M. 135 201 Braun H. 183 Breytenbach C. 96 97 Brink L. 25 1 Brown A.R. 43 Brown R.E. 22 Bruce F.F. 146 149 1 50 314 Bruehler B.B. 226 Btichsel F. 65 Bultmann R. 27 45 136 138 148 156 162 209 228 232 266 298 314 Campbell D.A. 288 Carrez M. 42 97 172 292 Carr6n Pérez J. 27 Cefa 22 253 Chevallier M.A. 245 Cicerone 13 15 77 21 1 230 284 Cipselo 13 Claudio 16 18 238 Clemente Romano 284 Cloe 20 Coldstein H. 74 Collange J.F. 98 120 123 135 136 138 140 143 150 1 5 1 Collins J.N. 1 07 173 Conzelmann H. 123 Crafton J.A. 54 Crinagora 14 Crisostomo 14 34 124 149 220 244 255 277 314

Crispo 22 Dautzenberg G. 122 126 Davide 80 81 175 248 Davies S.L. 24 128 Davis S.T. 173 De Lorenzi L. 38 41 42 67 97 108 135 1 72 196 203 De Oliveira A. 95 1 01 106 107 177 188 1 89 De Silva D.A. 28 328 De Virgilio G. 3 1 9 D e Wette W.M.140 Demetrio (di Efeso) 12 Demetrio Poliorcete 12 Derrett J.D.M . 80 258 Descamps A.-L. 67 Dettwiler A. 317 318 319 Diodoro Siculo 13 91 131 Diogene 15 Dione Crisostomo 14 34 124 Dioniso 131 Doty W.G. 5 1 Downs D.J. 237 Duff P. 96 108 1 3 1 192 Duling D. 24 Dupont J. 40 69 148 193 203 217 Durken 0. 1 2 Eastman B . 5 4 208 Ebner M. 40 133 1 87 Elia 81 Enoch 291 292 Epafrodito 224 234 320 Epitteto 135 Er 291 Erasto 16 22 Erode Antipa 289 Erodiade 289 Erodoto 171 292 Esdra 292 Esser H.-H. 77 184 Euchenore 13 Euripide 192 292

Indice dei nomi

Giesen H. 249 309 Gignilliat M. 173 175 Giulio Cesare 13 14 284 Giuseppe Flavio 96 238 284 289 Giustino 123 Gloer W. H. 167 Gnilka J. 204 Goulder M.D. 27 188 Grabe P.J. 43 129 Grasser E. 115 Grdelidze T. 1 18 Grelot P. 173 Grundmann W. 180 197 Gulin E.G. 45 Gtinter W. 183 201 Gtiting E. W. 282 Guttemberger G. 241 288 Gtittgemanns E. 67 1 35 296

Eva 26 44 120 242 262 263 264 266 267 274 291 Falkenroth U. 60 Farahian E. 52 Fascher E. 27 Febe 22 Felice 249 Fenske W. 204 Festo 237 Feuillet A. 147 Filbeck D. 60 Filemone 224 Filippo il Macedone 1 3 Filone 16 1 10 145 161 291 298 Fitzmyer J.A. 101 169 174 Flamini no T. Q. 14 Fortunato 19 22 206 Frankemolle H. 80 249 Fransen P.S. 208 . Frey J. 78 80 176 Furnish V.P. 24 52 56 77 93 1 19 125 135 140 143 144 146 147 148 150 151 154 155 159 161 1 62 163 164 165 166 182 184 1 89 190 208 214 215 217 219 220 221 222 224 225 229 231 232 235 248 250 251 254 259 264 265 266 267 268 269 270 272 274 277 284 285 287 289 291 292 293 296 297 300 301 302 303 305 307 308 310 312 314 315 316 321 322 Fusco V. 27 328 Gaio 22 Galeno 317 Georgi D. 24 27 122 207 216 232 Gerber C. 250 266 Getty M.A. 46 Ghidelli C. 40 328 Giannantoni L. 59 Giasone 289

339

·

Hafemann S.J. 70 96 104 Hahn F. 78 80 176 Hanhart K. 149 Harder G. 267 Harris M.J. 28 37 91 99 104 165 296 Harrison J.R. 292 Hasitschka M. 126 Hauck F. 1 98 Heinrici C.F.G. 1 15 Hensel R. 202 Henton Davies G. 128 Héring J. 234 Hettlinger R. 147 Hilgenfeld A. 19 Hollander H. W. 181 229 276 Holloway P.A. 35 330 Holmberg B. 52 208 239 Hooker M.D 174 Hoover H.J. 168 Hotze G. 43 59 245 Hubbard M. 161 1 67 H tibner H. 204 Hughes P.E. 24 135 225 287 3 1 0 Hultgren S.J. 25

340

Indice dei nomi

Légasse S. 297 Legrand L. 38 39 Leroy H. 233 Lietzmann H. 24 135 148 225 277 Lindemann A. 1 10 LindgArd F. 141 Lisimaco 91 Lohse E. 204 Long F. J. 27 28 Lorusso G. 84 Louw J. P. 1 97 Luciano 120 Lucio Giunio Gallione 14 Ltidemann G. 27 207 251 Ltitgert W. 27 Lyonnet S. 172

Hyldahl N. 24 312 Innasimuthu A. 60 Ippocrate 272 Ireneo 81 Iside 13 16 131 Jankowski G. 79 Jastrow M. 80 Jewett R. 235 Johnson L. 90 Joubert S.J 208 234 Julius Apellas M. 295 Julius C.-B. 109

-

Kaestli J.-D. 317 318 319 Kaithakottil J. 134 Kampling R. 45 Keener C.S. 77 Kehl M. 200 Kendall D. 173 Kennedy G.A. 27 54 Kim S. 169 Kittel G. 127 Kleinknecht K.T. 61 Koperski V. 97 171 Koster H. 24 Kraus W. 173 Kruse C.G. 87 Ktimmel W.G. 25 93 Kuschnerus B. l 03 Laide 17 Lake K. 19 Lambrecht J. 25 26 93 96 111 130 135 136 144 148 160 163 164 172 176 1 90 191 193 202 210 221 226 232 244 247 256 258 261 264 266 272 275 281 283 291 301 303 305 308 310 314 323 Lang F. G. 146

112 151 188 214 253 269 293 312

1 17 159 189 215 255 270 300 313

Mahoney R. 233 Malherbe A. 252 Manjaly T. 83 Manns F. 108 113 Manzi F. 190 271 Marchesi G. 126 Marguerat D. 317 318 319 Marshall P. 96 208 Martin R.P. 5 86 93 120 140 146 151 182 287 312 Massimo di Tiro 77 Matera F.J. 190 1 92 220 221 236 252 253 255 258 265 266 287 292 McCant J.W. 287 McDermott J.M. 1 16 1 1 8 128 McDougall D.G. 186 McKnight S. 238 239 Mealand D.L. 282 Meeks W.A. 22 Merkel F. 267 Merklein H. 185 218 Metzger B.M. l 00 225 257 290 303 307 Meyer H.A.W. 135 Mindling J.A. 43 Mirand A. 51 Mitchell M.M. 244 Moreno Gard�a A. 68

Indice dei nomi

Morgenthaler R. 180 Morrice W.G. 204 Moule C.F.D. 143 Mummio Lucio 13 14 17 Mundle W. 151 180 Murphy-O'Connor 1 14 16 17 21 22 24 27 52 136 Nauck A. 192 Nayak l. 1 18 Nerone 12 Nickle K.F 225 238 Nicolet P. 319 Nida E.A. 1 97 Nikle K.F. 225 O'Brien P.T. 55 Oepke A. 180 181 Olbricht T.H. 34 Olley J.M. 191 O'Mahony K.J. 21 1 Omero 98 285 Orazio 13 17 97 Ovidio 13 285 Padovese L. l 08 Pate C.M. 150 Pausania 13 17 Penna R. 136 141 144 162 166 318 319 Perriman A. 91 Pesce M. 41 Peterlin D. 22 Peterman G.W. 272 Peterson B.K. 252 266 Pindaro 1 5 Pitta A. 5 6 239 244 Platone 13 17 100 142 145 149 153 161 291 Plevnik J. 139 Plinio il Giovane 15 Plinio il Vecchio 12 13 Plummer A. 115 135 1 38 144 221 225 308 310 312 316 Plunkett-Dowling R. 187

341

Plutarco 1 3 15 17 96 131 244 25 7 284 Polibio 252 Polido 13 Pompeo 284 289 Porter S.E. 244 Priscilla 15 18 22 Properzio 285 Priimm 174 Pseudo-Jonathan 1 1 O Rabbi Akiba 291 292 Rahab 289 Reimarus H.S. 157 Reiser R. 157 Reitzenstein R. 146 Rendall G.H. 63 Rengstorf K.H. 67 Rissi M. 138 146 Robinson J.A.T. 146 Rocci L. 6 223 258 269 271 272 317 Roetzel C.J. 65 Rothaus R.M. 14 Sacchi A. 27 Saffrey H.D. 18 Salas A. 86 Salomone 81 Sarkio R. 171 Saul 81 Schaller B. 156 Scheller T. 25 Schenk W. 252 Schiefer Ferrari M. 134 177 Schippers R. 61 Schlegel J. 78 80 176 Schmeller T. 23 334 Schmithals W. 20 24 27 1 17 209 Schmitz E.D. 198 Schneider G. 90 136 160 Scholtissek K. 104 Schramm T. 234 Schroeder C. 173 Schroter J. l 01 Schubert P. 55 95

342

Indice dei nomi

Schtitz J.H. 38 52 67 184 Scott J.M. 96 191 Sellin G. 19 20 Seneca 14 35 318 Senft C. 20 Set 291 Sila 1 8 79 180 225 272 Silvano 37 41 52 72 78 79 Sisifo 1 4 16 Sorano 317 Sosicle 171 Sostene 18 52 Spencer A.B. 298 Spicq C. 162 181 Starnitzke D. 1 10 Stefana 19 22 53 206 319 Stegman T.D. 190 Stockhausen C.K. 101 Stowers S. K. 228 Strabone 12 13 14 15 16 Strachan R.H. 19 120 135 146 Strecker G. 204 Sumney J.L. 26 34 Sundermann H.-G. 244 Svetonio 12 16 77 Tannehill R.C. 45 Taylor N.H. 260 Theissen H. 22 27 Theobald M. 93 1 10 Thorsell P.R. 109 Thrall M.E. 52 53 54 58 60 62 63 64 66 74 77 81 88 91 95 96 97 98 99 103 104 105 1 07 1 10 1 12 1 14 1 15 1 16 1 1 7 1 18 1 19 120 121 122 123 124 125 135 136 138 142 145 148 149 154 1 56 161 166 173 179 188 221 222 224 225 236 250 252 254 257 258 269 270 27 1 274 275 276 278 283 287 289 292 294 295 296 298 301 303 304 307 310 312 313 314 315 316 1iberio Alessandro 238

Timoteo 18 20 37 41 51 52 72 78 79 89 194 198 224 243 272 304 320 Tito 21 23 24 28 29 30 31 32 33 34 35 37 38 39 40 46 55 59 63 69 71 72 75 88 91 92 94 194 195 196 197 201 202 203 209 210 212 213 214 215 219 220 221 222 224 225 227 228 229 243 244 245 284 299 302 304 305 Tito Livio 284 Tizio Giusto 18 Troger K.-W. 27 Tucidide 13 Uddin M. 123 Ulisse 285 Umbach H. 65 Vanhoye A. 108 109 130 319 Van Unnik Z.C. 1 1 4 Verbeulen A.J. 127 Vidal S. 65 Wagner G. 146 1 47 Walbank M.E.H. 14 Walker W.O. 23 249 Wan S.-K. 34 Wanke J. 282 Webb W.J. 189 218 Wehr L. 90 Weima J.A.D. 27 Weiss J. 20 243 335 Welborn L.L. 34 78 93 288 289 Wendland D. 151 162 209 228 Wenham D. 78 Wheeler V.A. 186 Wilkens U. 209 Williamson L. 96 Winandy J. 1 17 Windisch 24 122 123 1 35 145 1 56 209 220 221 224 225 228 232 287 295 310 Witherngton B. 244 Wodka A. 236

Indice dei nomi

Wolff C. 56 58 61 97 104 1 14 1 17 138 142 145 149 164 172 213 215 217 222 265 267 282 283 289 291 305 309 315 316 317 Wolter M. 170 Wong K.H.-Y. 256 Woodcock E. 82

1 19 208 270 314

Yates R. 63 Zeilinger F. 188 Zeller D. 276 Zmijewski J. 182

343

Indice biblico

Genesi

1 ,3 1 ,26-27 2,7 2,9 2,10 2,15 3 3,10 3,13 3,15 13,10 14,19 14,20 24,27 28,15 33,11 38,18

125 124 131 292 292 292 262 267 149 267 267 292 166 55 55 134 229 82

Esodo

4,10

99

7 ,3

99 301 203 220 109 53 266 271 173 127 105 109

15,16 16,18 19 19,5-6 20,5 21 ,11 23,7 24,1 1 24,12 24,16-17

25,8-9 29,7 31,18 34 34,1 34,6 34,14 34,29 34,29-30 34,29-35 34,30 34,33 34,33-35 34,34 34,35 40,34-35

297 81 105 108 1 10 1 17 105 58 266 109 109 109 1 14 1 13 1 14 1 13 1 14 1 16 1 14 109

Levitico

5,5-6 6,28(21 ) 7,18 8,12 1 1 ,33 14,50 15,12 16,12 17,4 19,13 19,19 24,16 26,12

173 131 170 80 131 131 131 191 170 201 189 284 40 191

Indice biblico

346 Numeri

6,24-26 12,6-8 15,35 33,55 35,30

lSamuele

295 1 18 284 294 79

Deuteronomio

3,23-26 3,26 5,9 6,15 7,9 9,10-1 1 10,14 1 1 ,16 15,9 15,10 17,2-5 17,6 19,15 22,10 22,13-21 23,1-8 25,1-3 27,15-26 28,53 28,55 28,57 30,15-20 3 1 ,6 31 ,8 34,11

295 97 66 66 78 105 292 187 190 231 284 79 52 79 3 1 1 189 268 52 284 80 61 134 134 134 99 134 134 301 289 134 229

3,35 7,8 7,1 1 7,14 10 16,7

83 1 91 80 40 191 69 171 190

tRe

1,39 2,23 8,27 12,22 19,16 22,24

81 83 292 249 81 277

2Re

5,15 9,23 28,20

229 1 46 134

2Cronache

190 83

4,19

1 16 136

Esdra

Rut

1,17

2Samuele

25,4 32,1 1

Giudid

19,22

190 260 190 80 83 81 81 81 1 90 190 229 1 90

lCronache

Giosuè

2,15 5,1 15,19

1,16 2,10 2,12 9,16 14,44 15,1 15,17 16,12 25,17 25,25 25,27 30,22

251

347

Indice biblico Neemia

13,1

116

Tobia

4,8

219

Ester

1 ,1

1 34

lMaccabei

8,5 9,62 10,70

251 254 251

2Maccabei

1,5 4,38 5,8 5,27 6,3 7,33 8,29 10,4 10,35 14,45 Giobbe

1 ,8-12 2,3-6 4,8 4,17 4,19 5,13 1 1 ,36 24,24 28,28 33,29

168 287 289 192 286 168 168 249 287 287 294 294 230 173 146 120 180 251 159 136

Salmi

6,6 13,4 15(16),16 18,5 18,9 21(22),2

55 277 134 279 159 134

25,6 26,1 28,6 31,2 32,1-2 32,10 33,19 . 35,1-3 36,2 36(37),25 36(37),28 43,3 43,23 44,4 55,4 56,14 68,17 72,19 85,5 88,4-6 88,4-7 89,8 1 1 1 ,9 112,7 115,1 1 16,3 1 16,5 1 16,8 1 17,17 1 18,32 125,1 131 ,1 138,5

58 126 55 170 190 65 65 250 159 134 134 126 135 136 248 65 65 58 80 249 65 136 126 232 65 139 65 136 174 65 136 184 187 65 248 167

Proverbi

3,4 3,5 3,27-28 9,10 1 1 ,21 1 1 ,24-25 1 1 ,30 21 ,22 22,8

223 65 219 159 230 230 230 251 230 231

348 28,26 30,14

Indice biblicd

65 277

Qoelet

3,3 9,13-14 12,13

254 251 159

Sapienza

1 ,3 2,24 4,1 1 5,18-20 7,14 7,25 7,26 8,8 9,15 12,18 19,15

251 267 291 250 131 124 123 167 1 50 249 145

Siradde

1 ,18 1 ,25 2,10 7,3 1 1 ,4 13,17-18 13,2 24,15 26,29 34,23 35,9 39,13-14 42,9-10 43,27 45,4

159 131 134 230 277 189 189 97 98 100 254 231 98 268 168 248

Isaia

1 ,6 1 ,22 2,2 2,2-4 2,10

180 100 208 239 159

2,19 2,21 6,1 6,3 6,9 6,9-10 8,18 8,22 9,1 9,6 9,1 1 1 1 ,1 28,1 6 29,16 29,18 30,6 30,14 31,1 1 32,4 32, 1 1 37,32 38,12 40--5 5 40,66 42,6-7 42,9 42,16 43,18-19 45,9 45,25 48,6 48,6-7 49,6 49,7 49,8 49,17 50,1 50,54 52,1 1 53,10 53,1 1 53,12 55,10-11 59,17

159 159 291 126 293 1 14 301 134 125 266 277 80 167 131 293 134 131 149 149 149 266 145 175 173 125 166 125 166 167 131 208 166 164 125 78 69 166 175 254 268 266 40 191 173 174 136 233 250

349

lndiée biblico 59,20 60,1 60,1-2 60,6-7 60,1 1 61,6 63,15-16 64,7 65,4-5 65,17-25 66,20 66,22

80 208 125 239 239 208 266 131 192 166 208 166

Geremia

1 ,2 1 ,1 0 3,1 5,21 6,13 9,22-23 1 8,1 -1 1 19,1-13 22,28 24,6 31 ,3 1-34 31 ,33-34 32,20 32,21 33,7 38,15 38,31

291 254 266 293 274 256 260 131 131 131 254 107 104 301 301 274 198 107 131

Ezechiele

1 ,1 5,13 9,4-6 1 1 ,19 12,2 16 16,8 16,38

149 266 191 266 149 292 294 292 105 40 191 297

Daniele

2,28 2,29 2,45 4, 1 8,9 12,1 12,4

155 155 155 54 1 56 61 292

Osea

1-3 2,5 10,12

266 268 149 233

Gioele

2,1 2,1 1

75 75 99

Amos

5,18

75

Michea

Lamentazioni

4,2

16,39 16,42 20,34 23,25 23,29 28,13 28,24 31 ,8-9 36,26-27 37,27

291 266 81 105 293 268 266 266

4,1 4, 13

208 239

Sofonia

1 ,15

180

Zaccaria

9,9

248

Matteo

3,10 5,4

273 200

350

5,5 5,24 5,37 5,39 9,37-38 10,1 10,8 10,10 10,16 1 1,4 1 1 ,28 1 1,29 12,14-15 12,23 12,32 14,58 15,10 16,21 18,16 19,28 20,18 21 ,5 23,12 24,1-13 24,6 24,21 24,24 25,1 25,31 25,41 26,36-46 26,38 26,67 27,19 27,46 28,3 28,4

Indice· bitiHco

248 172 78 277 274 301 271 301 302 276 293 202 248 293 161 122 1 46 310 1 55 311 156 136 248 271 276 155 61 301 266 156 294 295 65 294 156 134 274 203

Marco

1 ,19 1 ,40 3,9 5,23 7,22

317 295 61 295 310

7,32 8,18 8,22 8,34 10,33 10,45 12,26 12,40 13,13 14,22-25 14,32-42 14,41 15,29 15,34 16,8 16,17-18 16,20

295 293 295 135 136 163 1 16 277 60 163 295 202 146 134 203 301 301

Luca

1 ,22 2,9 4,5-7 4,13 4,18 5,4 5,5 7,37 1 2,42 1 2,48 14, 1 1 16,8 18,14 20,34 21 ,9 21 ,24 21 ,25 22,25 22,64 23,16 23,22 23,29 23,43 24,4 24,22 24,33

290 274 122 295 81 289 277 289 1 56 276 219 271 122 271 122 180 309 252 87 83 277 -184 184 1 67 292 274 161 290

351

Indice biblico Giovanni

1 ,14 4,6 4,48 5,19 5,27 6,52 7,39 8,34 8,36 12,31 14,15 14,2 14,25 14,30 15,26 16,1 1 16,13-15 19,13 21,7

297 285 301 122 156 197 117 270 1 17 122 1 17 146 1 17 122 1 17 122 1 17 156 148

Atti degli apostoH

1 ,18 2,22 2,27 2,31 2,36 2,43 2,44-46 4,27 5,12 5,22 6,1 6,14 7,5 7,22 7,26 8,6 8,39 9,1 -19 9,3 9,23-25 9,24 9,31

103 301 134 134 124 301 88

81 301 74 282 146 156 184 197 293 292 51 125 288 289 159

10,10 10,38 10,42 1 1 ,5 1 1 ,17 11 ,20 1 1 ,27-30 1 1 ,28 12,7 12,21 12,24 13,4 13,13 13,27 13,34 14,19 14,24 15,21 15,22 16,8 16,1 1 16,22-24 16,23 16,23-40 16,31 17,1 17,10 17,14 17,31 17,32 18 , 1 -8 18,2 18,2-3 18,3 18,4 18,4-17 18,5 18,7 18,8 18,1 1 18,12-15 18,16 18,17 18,18

161 81 156 161 124 124 238 237 274 156 233 285 285 184 295 284 285 1 15 79 91 91 213 285 284 180 284 124 213 213 17 156 17 84 18 15 16 1 8 22 145 16 18 285 18 79 272 18 22 272 14 156 156 285

352 18,21 18,23 19,10 19,21 19,21-22 19,23-41 20,1 20,1-3 20,2-5 20,4 20,5 22,3 22,3-21 22,6 22,1 1 22,17 22,17-22 20,19 22,23-29 23,2 24,4 24,12 24,17 24,23 25,6 25,10 25,17 26,9-23 26,13 26,18 26,19 27,10 27,17 27,21 28,12 28,26-27 28,31

Indice biblico

285 237 63 21 20 63 285 21 243 285 21 18 225 91 184 51 125 125 161 291 87 284 277 249 286 237 92 156 156 1 56 51 125 125 290 297 289 297 156 293 113

Romani

1,1 1 ,3 1 ,4 1 ,5 1 ,8-15

271 318 80 165 1 17 314 1 19 140 235 295 28 54

1 ,9 1 ,10 1 ,1 1 1 ,13 1,16 1 ,16-17 1 ,17 1 ,18 1 ,19 1 ,20 1 ,21 1 ,23 1,24 1 ,25 1 ,28 1 ,29 1 ,30 2,4 2,5 2,6 2,8 2,9 2,15 2,16 2,18 3,5 3,7 3,8 3,14 3,18 3,19 3,19-20 3,20 3,20-26 3,21 3,21-26 3,22 3,23 3,24 3,24-25 3,25 3,26 3,29 3,30

83 172 147 198 236 54 63 71 132 183 99 109 302 159 132 141 127 310 288 315 230 302 304 309 297 309 182 310 176 290 274 309 134 308 122 156 52 37 302 141 37 41 159 170 272 111 172 174 1 14 159 176 173 153 . 127 166 69 77 111 127 153 268 69 176 270 153

Indice biblico

3,31 4,1 4,3 4,6 4,8 4,1 1 4,12 4,17 4,18 4,19 4,20 4,21 4,25 5,1 5,2 5,3 5,3-4 5,4 5,5 5,8 5,9 5,10 5,10-11 5,1 1 5,12 5,12-15 5,12-19 5,13 5,15 5,15-16 5,15-19 5,17 5,19 5,20 5,21 6,1 6,2 6,3-5 6,3-6 6,3-1 1 6,4 6,5 6,6 ·

153 165 175 175 170 82 305 65 283 138 135 141 232 136 174 1 17 128 206 60 143 195 205 89 162 323 123 127 162 163 323 98 176 135 168 169 169 168 176 150 170 163 127 1 17 206 141 236 66 80 236 80 252 141 323 141 164 135 136 139 1 1 1 127 130 153 154 164 166 168 314 164 1 10 142

6,9 6,10-11 6,1 1 6,12 6,13 6,17 6,1 9 6,22 6,23 7,2 7,4 7,6 7,7 7,8 7,1 1 7,14 7,14-25 7,20 7,22 7,22-25 7,23 7,25 8,1 8,1-2 8,2 8,3 8,4 8,5 8,9 8,9-39 8,10 8,1 1 8,12 8,13 8,14-16 8,15 8,16 8,17 8,18 8,1 9 8,22 8,23 8,24

353 139 1 64 291 151 174 183 96 95 236 190 192 310 164 176 99 107 1 1 1 146 164 266 107 1 10 176 172 160 160 267 107 150 271 142 142 252 95 96 248 176 291 111 1 17 152 1 1 1 173 120 138 153 154 165 250 305 144 165 166 195 298 152 139 1 5 1 152 314 165 250 138 165 1 17 138 138 138 127 196 128 143 290 147 148 138 147 152 62 139

Indice biblico

354..

8,24-25 8,25 8,26 8,27 8,28 8,29 8,32 8,35 8,35-39 8,36 8,38 8,39 9,1 9,2-5 9,3 9,4 9,5 9.1 1 9,14 9,15 9,21-22 9,30-31 9,32-33 9,32 9,33 10,8 10,9 10,9-10 10,12 10,14-17 10,15 10,16 10,19 10,30-32 1 1 ,1 1 1 ,1-36 1 1 ,7-8 1 1 ,8 1 1 ,9 1 1 ,13 1 1 ,13-16 1 1 ,15 1 1 ,22 1 1 ,23

154 138 147 316 223 162 1 18 127 1 10 136 139 134 162 286 297 281 135 162 162 251 323 272 288 1 16 153 165 248 315 80 165 288 156 302 175 131 273 179 273 167 287 153 124 235 218 139 171 85 175 1 1 6 175 208 85 283 1 16 1 15 293 175 287 259 208 168 317 38 232

1 1 ,25 1 1 ,26 1 1 ,36 12,1 12,1-2 12,2 12,3 12,4-5 12,8 12,9 12,12 12,13 12,15 12,16 12,18 12,19 13,1-7 13,4 13,12 13,13 14,4 14,8 14,9 14,10 14,12 14,13 14,15 14,17 14,18 14,19 14,20 15,2-3 15,4 15,5 15,6 15,6-7 15,7 15,8 15,9 15,12 15,13 15,14 15,15 15,16

63 80 168 248 155 52 122 1 19 140 161 258 295 320 214 231 182 195 205 206 238 205 189 322 322 252 318 271 183 154 309 310 232 313 164 83 139 156 . 156 179 287 153 154 205 214 155 261 146 146 179 218 179 163 322 141 128 141 223 80 141 146 84 323 248 119 140 295 21 9 234 271

Indice biblico 15,17-18 15,18 15,19 15,20 15,21 15,23 15,24-32 15,25 15,25-28 15,25-32 15,26 15,26-27 15,26-31 15,27 15,28 15,30 15,30-32 15,31 15,33 1 6,1 16,1-2 16,1 -15 16,3-5 16,4 16,5 16,16 16,17 16,19 16,20 16,2 1-23 16,23 16,25 16,26

260 301 21 259 320 155 259 260 293 147 237 215 207 237 207 237 154 207 215 228 237 215 215 220 229 234 237 239 82 215 240 66 248 31 56 66 215 238 322 22 37 103 320 22 301 91 301 322 144 179 287 321 205 318 90 267 274 322 323 22 16 22 218 122 159

l Corinzi

1 ,1--6,1 1 1 ,1--4,21 1-3 1 ,1 1,2 1 ,3 1 ,4-9 1 ,5 1 ,7

20 20 265 51 52 52 127 53 28 54 218 184 216 269 216 269 290 300

1,9 1 ,10 1,11 1,12 1,13 1 ,14 1,16 1 ,17 1,18 1 , 19 1,20 1 ,21 1 ,23 1 ,24 1 ,26 1,30 1,31 2,1-5 2,2 2,3-4 2,3-5 2,4 2,4-5 2,5 2,6 2,7 2,7-10 2,8 2,9 2,10 2,12 3,1 -2 3,3 3,4-6 3,5 3,5-6 3,6 3,8 3,9 3,1 0 3,1 0-12 3,10-13 3,12 3,12-15

355 78 248 320 40 22 27 253 124 314 22 22 41 92 171 78 98 99 123 132 18 122 81 154 97 123 287 314 132 22 165 291 74 269 1 23 163 277 314 296 131 78 18 75 138 132 255 122 1 10 ' 128 122 123 127 314 293 138 146 168 187 153 22 260 320 18 233 260 259 83 254 320 18 1 1 9 140 254 295 320 258 166 254 156

3�6

3,13 3,14 3,15 3,17 3,18 3,19 4,1 -5 4,2-5 4,3 4,3-4 4,5 4,6 4,7 4,9 4,9-13 4,10 4,1 1 4,12 4,14 4,14-15 4,15 4,1 6 4,17 4,17-19 4,21 5-6

5 5,1-8 5,1-1 1 5,1-13 5,2 5,5 5,8 5,9 5,10 5,1 1 6,1-1 1 6,6 6,9 6,10 6,1 1 6,12-20 6,14 6,19

Indice biblico

261 254 62 287 166 122 120 308 75 121 179 120 156 159 274 184 284 134 281 297 276 278 286 265 272 283 297 188 187 18 266 302 40 3 1 9 52 304 20 20 83 19 311 19 310 3 1 1 20 320 310 62 142 267 294 204 18 19 230 19 230 310 1 9 20 123 310 230 5 3 323 19 20 3 10 31 1 130 136 139 314 164 191

�\

6,20 6,33 7 7,1 7,1-40 7,5 7,6 7,7 7,10-1 1 7,1 1 7,12 7,12-16 7,14 7,17 7,22 7,23 7;1,5 7,27-28 7,29 7,30 7,31 7,32 7,32-34 7,34 7,36-38 7,39 7,40 8 8,1-13 8,3 8,5 8,6 8,8 8,9 8,13 8,22 9,1 9,1-2 9,1-13 9,1-18 9,1-23 9,2 9,3 9,3-6

141 146 320 18 19 228 20 315 217 318 121 168 172 52 166 123 310 154 217 222 258 231 189 1 19 217 219 121 230 204 170 231 286 142 266 146 219 20 19 162 1 66 122 168 146 179 179 287 287 51 1 1 9 126 290 318 254 318 319 20 20 82 103 300 310 308 270

Indice biblico 9,4 9,4-7 9,7 9,12 9,13-14 9,14 9,15 9,16 9,17 9,19 9,19-23 9,22 9,24-10,22 9,24-27 9,27 10,1 -22 10,1 10,3 10,7 10,9 10,13 10,15 10,18 10,23-1 1 ,1 10,24-1 1,1 10,24 10,29 10,31 10,32 1 1 ,2-34 1 1 ,4 1 1 ,5 1 1 ,12 1 1 ,13 1 1 ,17-22 1 1 ,19 1 1 ,21 1 1 ,23 1 1 ,23-26 1 1 ,25 1 1 ,26 1 1 ,28 1 1 ,32 1 1 ,34

318 302 272 179 259 302 270 271 272 139 156 172 20 265 19 20 20 315 20 63 220 189 315 78 315 283 165 20 20 123 302 1 17 128 141 223 179 19 20 316 316 168 316 88 316 22 136 163 107 1 12 135 315 170 320

12 12,1 12,1 -14 12,3 12,4-6 12,7 12,7-1 1 12,8 12,8-9 12,9 12,10 12,1 1 12,13 12,22 12,24 12,25 12,26 12,27 12,28 12,29 12,31 12,40 13 13,1 13,2 13,4 13,8 13,8-13 13,12 14 14,3 14,5 14,6 14,12 14,13-15 14,16 14,18 14,20 14,22-25 14,23 14,26 14,33 14,34 14,37

357 20 19 63 20 1 1 7 124 138 323 120 191 182 217 269 305 1 12 138 305 301 305 152 323 287 269 286 155 205 235 320 301 301 218 20 20 238 217 300 182 1 10 1 12 1 18 154 183 20 1 46 254 146 254 290 146 254 316 80 18 189 123 146 146 254 290 180 309 320 320

358 15 15,1-58 15,1 15,2 15,3 15,5-1 1 15,7-11 15,8 15,8-9 15,8-10 15,8-11 15,10 15,1 1 1 5,14 15,15 15,23 15,25 15,26 15,27 15,30-31 15,32 15,33 15,36 1 5 ,40 1 5,42-43 15,43 1 5,43-44 1 5,43-49 15,44 15,45 15,48 15,49 15,50-54 1 5,51 15,52 15,53 15,53 15,54 15,55 15,55-56 15,56-57 15,57 15,58 16,1

Indice biblico

,

20 146 20 213 268 62 90 163 51 269 126 51 1 19 290 140 180 259 283 295 75 37 175 229 274 63 284 155 136 1 17 135 37 63 284 267 146 145 127 136 278 296 128 1 28 147 80 127 152 147 128 148 167 148 151 155 148 151 136 117 95 95 139 175 19 22 215 217 229 238

16,1-4 16,1-7 16,1-12 16,2 16,3 16,4 16,5 16,5-9 16,7-9 16,8 16,9 16, 1 0 16,10-11 16,10-14 16,12 16,13 16,13-24 16,15 16,15-16 16,15-18 16,15-20 16,17 16,17-18 16,18 16,19 1 6,20 16,21 -24 16,22 16,23 16,24

207 208 209 215 219 237 20 20 219 231 207 237 239 207 237 20 21 76 20 20 21 63 91 304 20 52 20 20 22 315 20 53 91 321 319 22 20 22 206 19 183 22 322 322 20 322 218 323 87 273 323

Galati

1-2 1,1 1 ,4 1 ,6-9 1 ,7 1,9 1 ,10 1 ,1 1 1 ,12 1 ,13 1 ,14 1 ,15

319 139 254 122 215 268 259 312 223 71 122 213 290 270 1 19 285 92 140 154 290

Indice biblico

1,15-16 1 ,16 1 ,19 1 ,20 1 ,23 1 ,24 2,1 -10 2,2 2,3 2,4 2,5 2,5-14 2,6 2,9-10 2,10 2,1 1 2,14 2,15 2,16 2,18 2,19 2,19-21 2,20

2,21 2,22 3,1 3,2 3,5 3,6 3,7 3,8 3,9 3,13 3,14 3,15 3,16 3,17 3,21 3,26 3,27 4,4 4,6 4,11

51 1 8 1 125 275 121 288 153 141 51 122 175 229 290 92 1 17 277 285 235 316 120 1 19 140 238 258 3 19 207 207 237 238 91 249 26 316 85 153 146 164 52 1 18 136 162 164 166 215 250 297 313 174 217 185 187 1 38 138 301 174 283 283 283 173 218 138 153 89 80 85 80 174 153 1 50 127 1 17 259 308

4,12 4,13-15 4,19 4,25 5,2 5,4 5,5 5,10 5,11 5,13 5,15 5,16 5,17 5,19 5,20 5,21 5,22 5,23 5,25 6,1 6,4 6,7-9 6,8 6,9 6,14 6,15 6,17 6,18

359

40 172 294 11 8 187 302 320 1 17 248 1 10 138 268 287 160 277 138 154 305 150 310 309 156 312 84 182 195 196 204 214 248 138 315 317 315 230 138 152 167 1 19 1 64 166 258 136 268 218 323

Efesini

1 ,1 1 ,13 1 ,14 1 ,20 1 ,21 2,2 2,16 2,19-22 3,7 3,8 3,9 3,12 3, 1 3 4,2

51 52 182 82 1 39 122 122 1 68 240 236 185 168 1 13 1 19 128 248

360 4,4-5 4,6 4,7 4,12 4,19 4,22 4,31 5 5,3 5,5 5,21 5,25-27 5,27 6,8 6,12 6,19 6,20

Indice biblico 117 168 236 31 7 310 142 309 25 310 310 159 266 139 156 253 1 13 171

Filippesi

1 ,1 1 ,3-1 1 1,4 1,5 1,7 1,8 1 ,9 1,11 1,12 1 ,13 1,16 1,17 1 ,17-18 1,18 1,19 1 ,20 1 ,22 1 ,23 1,24 1,25 1 ,27 1 ,28 1,28-30 2,1 2,2 2,4

51 52 28 54 206 56 96 308 83 205 316 141 223 54 284 96 308 205 309 205 155 320 66 1 1 3 135 155 254 250 153 163 153 250 84 87 153 204 206 259 305 62 99 214 323 322 144

2,5 2,6-1 1 2,7 2,8 2,8-9 2,9 2,9-10 2,10 2,10-1 1 2,11 2,12 2,14-18 2,16 2,17 2,17-18 2,19-30 2,20 2,21 2,22 2,25' 2,26 2,30 3,1 3,2--4,13 3,2 3,3 3,5 3,6 3,8 3,9 3,10 3,12 3,12-16 3,14 3,17 3,19 3,20-21 3,21 4,1 4,2 4,4 4,4-7 4,5 4,6

40 196 216 218 314 80 89 135 197 271 293 127 145 124 80 223 203 318 139 75 175 229 259 234 303 205 320 286 124 89 38 224 272 147 198 234 84 206 321 322 298 274 138 270 282 283 285 174 124 153 174 62 135 136 137 150 192 144 40 144 154 122 144 145 274 205 1 18 123 128 148 150 274 205 322 84 205 275 322 206 205 286

361

Indice biblico

4,7 4,8 4,9 4,10 4,10-13 4,10-20 4,1 1 4,12 4,13 4,14-16 4,15 4,17 4,18 4,21 4,22 4,23

90 1 1 6 206 252 267 181 321 156 322 150 213 270 272 234 272 232 270 271 130 215 185 187 213 302 155 53 322 218 323

Colossesi

1 ,1 1 ,5 1 ,7 1,11 1 ,15 1 ,16-17 1 ,20 1 ,20-22 1 ,22 1 ,24 2,1 2,7 2,8 2,1 1 2,1 1-12 2,12 2,13 2,15 3,4 3,5 3,8 3,9 3,10 3,12 3,13 3,18

51 182 316 283 179 1 18 123 168 168 169 139 137 205 54 82 268 147 81 139 90 1 13 128 310 309 142 142 182 248 90 309

3,21 3,22 3,25 4,3 4,1 1 4,18

228 165 156 91 84 96 323

lTessalonicesi

1,1 1 ,2-10 1,3 1,5 1 ,5-7 1 ,6 1 ,7 1 ,8 1 ,9 1 ,10 2,1 2,1-12 2,2 2,3 2,3-12 2,4 2,5 2,6 2,7 2,7-8 2,8 2,9 2,10 2,1 1 2, 11-12 2,12 2,13 2,14 2,18 2,19-20 2,20 3,1 3,2 3,3

51 52 53 28 54 1 23 37 122 138 40 63 78 195 204 206 214 91 228 103 228 91 98 229 29 1 1 9 139 271 297 304 310 223 223 260 273 83 318 302 320 187 154 271 303 271 272 285 286 83 179 302 320 1 54 78 100 268 214 90 248 275 75 139 205 128 91 154 52 84 259 214 224

Indice biblico

362

3,3-4 3,5 3,6 3,6-10 3,7 3,8 3,9 3,10 3,12 4,1 4,6 4,7 4,9 4,10 4,1 1 4,12 4,13 4,14 4,15 4,17 5,5 5,8 5,10 5,12 5,13 5,14 5,16 5,16-18 5,17 5,23 5,25 5,26 5,28

214 175 180 229 259 315 147 198 272 198 137 180 205 172 285 141 320 154 23 1 248 321 305 312 310 228 321 155 154 63 139 268 314 320 139 153 155 292 176 183 250 155 163 165 320 322 321 206 206 316 266 322 56 66 316 322 218 323

2Tessalonicesi

1 ,4 1 ,10 2,9 3,8 3,13 3,18

265 128 301 271 272 286 1 19 218

11imoteo

1,1 1 ,10

51 310

1,16 1 ,18 2,13 2,14 3,3 3,13 3,16 4,6 5,14 5,22 6,4 6,6

1 19 251 267 267 249 113 216 283 160 181 309 232

211moteo

1,1 2,1 1 4,16-17 4,20

51 52 193 134 18

nto

1 ,13 2,5

317 181

Filemone

l 2 7 8 9 13 16 17 22 25

51 52 96 250 205 1 13 96 163 250 224 56 66 218 323

Ebrei

1,2-3 1 ,3 1 ,9 2,4 3,19 5,7 8,13

124 1 18 168 81 301 199 87 1 15

Indice biblico

9,1 1 10,36 1 1 ,13 1 1 ,39 13,5

147 156 156 156 134

1 ,1 1 ,2 1 ,2-3 1,27 2,22 3,14 3,16 3,17 4,1 1 5,7 � ,12

53 60 143 1 90 199 3.09 309 249 309 181 77

l Pietro

1,21 1 ,22 2,1 2,5 2,8 2,9 2,9-10 2,12 2,20 3,2 3,16 4,3 4,14 5,4 5,8

139 182 309 219 179 125 53 88 309 294 181 309 310 127 156 90

lPietro

2,1 2,7 2,18 3,9 3,10 3,13 3,15

l Giovanni

3,4 3,8 3,9

310 310 310 181 167 167 181

270 270 270

Giuda

4

Giacomo

363

310

Apocalisse

1,1 2,7 2,10 2,23 3,17-18 4,1 4,2 5,14 7,2-8 7,10-12 9,4 10,4 12,4 12,5 12,7 12,9 13,2-3 13,3 13,14 16,15 19,1-4 19,7-9 21 ,1-5 20,2 20,4 20,1 1 20,14 21 ,2 21 ,3 21 ,3-8 21,4 21,5 21,6 21,9 22,6 22,17

155 292 180 284 222 149 1 55 167 1 67 80 81 80 81 292 277 292 294 267 294 292 180 1 80 149 80 266 167 267 156 156 151 266 297 25 167 167 271 266 1 55 271

Indice generale

ABBREVIAZIONI

• • • • • • • • • • • � • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • �.. .............................

pag.

5

INTRODUZIONE l. Corinto 1.1. La posizione geografica ............................................. ................. . 1.2. La città greca e la colonia romana ................. .......................... . 1.3. L'importanza politica e commerciale, culturale e religiosa ..... .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. .. . . . . . . .. ........ . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

)) ))

)) ))

.

))

.

))

2. Paolo a Corinto .................................................................................... 2.1. La fondazione della comunità cristiana e i rapporti dell'apostolo con Corinto ......................................................................... 2.2. Le lettere ai corinzi ...................................................................... . 2.3. La comunità di Corinto ..................................................... ........ . 3. La Seconda lettera ai Corinzi . . . . .. . . . . . . . . .. . . . 3.1. Autenticità e unità ....................................................................... . 3.2. Gli avversari ... .............................................................................. . 3.3. La struttura .................................................................................. . 3.4. Il genere epistolare ..................................................................... 3.5. La teologia della lettera ............................................................. . .

12 12 13 14 17

))

17 18 22 23 23 26 27 34 35

.... . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . � . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

))

51

l. Il saluto (1,1-2) ..................................................................................... . 2. La benedizione (1,3-1 1 ) . ... . . . . . . . . .. . . . .. . . . ... . . .. . Excursus n. l . Il motivo della consolazione-parakaleinlparaklesis ......

)) )) ))

51 54 58

......

.

.

.

.

...........

....

..

...

.

.

....

..

.

.. .

.

))

)) )) » ))

)) ))

COMMENTO IL SALUTO E LA BENEDIZIONE ( 1 ,1-1 1 } .......

..

..

..

..

.

.

...

...

..

...

..

...

. . .. . . . . .

PRIMA PARTE (1,12-7,16) L' IDENTITÀ DELL'APOSTOLO

67

A - Il vanto di Paolo e i rapporti con i corinzi (1 ,12-2,13) ................. . A.l - Il vanto (1 ,12-14) ............................................................................ . A.2 - Il progetto iniziale e il «Si» di Cristo (1,15-22) ........................... .

)) )) ))

71 73 75

366

Indice generale

A.3 - Il mancato viaggio e la carità pastorale (1 ,23-2,2) ..................... . A.4 - Le ragioni dell'invio della lettera (2,3-1 1 ) ................................. . A.5 - La partenza per la Macedonia (2,12-13) ..................................... . B - L'autenticità del ministero di Paolo (2,14-7,3) .............................. .. B. 1 - Il rendimento di grazie (2,14- 1 7) .................................................. . B.2 - Il ministero della nuova alleanza (3,1-4,6) ................................... . B.2. 1 - La comunità epistole di Cristo (3, 1 3) . . . B.2.2 - La gloria di Dio rivelata nel nuovo ministero (3, 4-18) ....... B.2.3 - La franchezza nel ministero e lo splendore di Cristo (4,1-6) Excursus n. 2. La gloria della nuova alleanza ....................................... . B.3 - La dynamis e la speranza dell'apostolo (4,7-5,10) ...................... B.3. 1 - La debolezza e la forza del ministero (4, 7-15) ................. ... B.3.2 - La prospettiva escatologica dell'apostolato (4, 16-5,10) ..... . B.3.2. 1 - Il paradosso del rinnovarsi nel morire (4,16-18) ......... ..... . B.3.2.2 - La speranza della dimora nei cieli (5, 1 -10) ....................... . B.4 - Il ministero della riconciliazione: fondamento e visibilità (5,1 1-6,10) ...................................................................................... ... . B. 4.1 - La parenesi apostolica e il ministero della riconciliazione (5, 11--6,2) . . . . . . . .. . . . . .. . ............ . . . . . . . ........ . . . .. . ............................... . B.4.2 - Le referenze come servo di Dio: prove e virtù (6,3-10) ...... . B.5 - L'accoglienza del ministero salvifico (6,1 1-7,3) ........................... . A' - Il clima di fiducia e comunione tra Paolo e i corinzi (7 ,4-16) ..... Excursus n. 3. La gioia del vangelo .................................................... : .

.

-

....

..... .........

....

. . . . . . . ..

.

.

.

.

.

.

.....

SECONDA PARTE (8,1-9,15) LA COLLEITA DA INVIARE A GERUSALEMME ..............................................

.

Problemi di composizione ....................................................................... A - Appello alla comunità di Corinto per la colletta (8,1-24) ........... . A.1 - L'esempio delle Chiese di Macedonia (8,1 -6) ............................ A.2 - L'appello (8,7-15) ................................. ......... ................................. . A.3 - La raccomandazione degli inviati (8,16-24) ................................ . Excursus n. 4. L'identità dei due collaboratori .................................... . B - Lo scopo della missione e il significato teologico della colletta (9,1 -15) B.1 - Altri motivi dell'invio di Tito e dei due fratelli (9, 1-5) .............. B.2 - Dio offre i mezzi per essere generosi (9,6-10) ............................ B.3 - Gli effetti della colletta (9,1 1-15) ................................................. Excursus n. 5. Il significato pasquale della colletta .............................

.

. .

.

................... ................................. ................................. ............ .

.

..

..

TERZA PARTE (10,1-1 3,10) PAOLO E GLI AVVERSARI .............................................................................

Problemi di composizione ....................................................................... La struttura argomentativa dei cc. 1�13 ..............................................

.

.

..

» »

)) »

)) )) )) )) )) )) )) )) )) »

))

82 85 91 93 94 100 102 105 119 126 128 130 141 142 144

)) 157

)) 1 58 )) 176 » 185 » 194 )) 204 »

207

)) 209 » 212 )) 213 )) 216 )) 220 )) 225 226 )) 227 )) 230 » 233 )) 237 »

)) 241 )) 243 )) 244

367

Indice generale

A - Le accuse (10,1 -18) ........................................................................... . A.l - Il camminare nella carne e le lettere (10,1-1 1) .......................... . A.2 - Conseguenze della disobbedienza (10,1 -6) ................................. . A.3 - Le «lettere pesanti e forti»: il potere di edificare (10,7-11) ...... . A.4 - La definizione del mandato apostolico ricevuto da Paolo (10,12-18) ........................................................................................ . B - Il confronto con i super-apostoli ( 1 1 ,1-21) .................................... . B. l - L'amore paterno di Paolo e i super-apostoli ( 1 1 ,1-6) . . . . . ... . B.2 - Il rifiuto del sostegno economico da parte dei corinzi (1 1,7-1 1) B.3 - Il desiderio di non fornire pretesti ai super-apostoli e la loro identità (11 ,12-15) ....... . . ...... . ......... ............. . . . ... ... .... . ... .. B.4 - Il motivo della pazzia di Paolo a confronto con la pazzia dei corinzi ( 1 1 ,16-21) ............... ............................................................. . C - La debolezza dell'apostolo (1 1 ,22-12,10) ...................................... .. C. 1 - Lo statuto della debolezza paolina (1 1,22-33) ............................ C.2 - Il rigetto della sapienza carismatica degli avversari e la parola di Cristo (12,1-10) .. . ... .... . . . . . . . .. .. . ...... . ... . .. . . B' - Il comportamento di Paolo e di Tito (12,1 1-18) ........................... A' - Il prossimo viaggio pastorale (12,19-13,10) ................................. A '.1 - I l ministero dell'edificazione e i peccati dei corinzi (12,1 9-21) A'.2 - L'autorità dell'apostolo (13,1 -10) .............................................. . Excursus n. 6. L'autorità dell'apostolo . ...................................................

» » » »

» 256 .)) 262 » 264 )) 270

.

.

.

....

.

.

.

.

.

.

..

.

.

.

. . . . . . ..

.

.

.

...

.

.

....

.

.

.

.

..

....

...

.

.

.

.

.

..

..

....

.

.

246 248 248 253

.

,. 273

.

)) 275 )) 279 )) 281

.

.

.

.

.

)) 289 » 299 )) 306 )) 307 )) .. 31 1 )) 317

LA CONCLUSIONE EPISTOLARE (13,1 1-13) ................................................. ..

)) 321

B mLIOGRAFIA

)) 325

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • . • . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •• • • • • • • • • • • • • • • . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

•••••••••••••••••••••••••• • • . . . • • • . • • . • . • . . . . • . . • . • . . • • • • • • • • •• • • . • . • • . . • . • . • . • • . • . • . . . . . . • . •

»

337

• • • • • • • •• • . •• . . . • . . • • . • • . • . • • . • • • • . • • • • • • • • • • . •• ••••••••••••••• • • • • • • . • . • • • • • • • . • . • • . • . • • • . • • • •

»

345

INDICE DEI NOMI INDICE BIBLICO