L'agiografia cristiana antica. Testi, contesti, pubblico [2 ed.] 8837224419, 9788837224417

Il discorso agiografico antico è qui considerato quale insieme di strategie retoriche e forme letterarie che tramandano

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L'agiografia cristiana antica. Testi, contesti, pubblico [2 ed.]
 8837224419, 9788837224417

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LETfERATURA CRISTIANA ANTICA collana diretta da Enrico Norelli

Nuova serie 23

Strumenti

A Giorgio, Niccolò e Ilaria che amano la storia e le storie

ADELE MONACI CAS TAGNO

L,agiografia cristiana antica Testi, contesti, pubblico

MORCELLIANA

©

2010 Editrice

Via Gabriele Rosa 71

-

Morcelliana

25121

Prima edizione: settembre

Il martirio

Brescia

2010

In copertina: di Sant'Ignazio in una miniatura del x-xr secolo (particolare)

Con il contributo della

'W:t.m!.i-t.S:•n·l!·l

Fondazione Banca San Paolo di Brescia FONDAZIONE

.

.

DI BRESCIA

www.morcelliana.com

I diritti di traduzione. di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo

le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore posscr nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dell'accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS, SLSI e CNA, CONFARTI­ GIANATO. CASARTJGIANL CLAAI e LEGACOOP il 17 novembre 2005. Le riproduzioni ad uso differente da quello per­ sonale potranno avvenire, per un numero di pa gine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da A IDRO, via delle Erbe n. 2, 20121 Milano. telefax 02.809506. e-mail [email protected] (compresi i microfilm e

no essere effettuate

ISBN

978-88-372-2441-7

Tipografia La Grafica s.n.c. -Vago di Lavagno (Vr)

INTRODUZIONE

Le ricer che sulla storia e la letteratura legate al culto dei santi stanno vivendo una stagione particolarmente felice con numerosissime iniziative s cientifiche a livello di strumenti generali, di edizioni critiche e studi monografici. Per il periodo antico, che è l'ambito di mia competenza, non esiste però, a mia conoscenza, uno studio di insieme sullo sviluppo com­ plessivo della letteratura agiografica sia in ambito o c cidentale, sia orien­ tale, abbastanza ampio da dare spazio ad un'esposizione dei principali testi agiografici ordinati e analizzati da una prospettiva interessata a co­ glierne i nessi con i diversi contesti storici!. Oggetto del volume è il discorso agiografico antico che definis co come l'insieme di strategie retoriche e forme letterarie che tramandano in modo narrativo la memoria di ciò che uomini e donne, ritenuti incarnare un idea­ le di perfezione, hanno compiuto durante la loro vita e an che dopo la morte2. Con questa definizione ho inteso evitare classificazioni troppo rigide di contenuto e di genere letterario che non mi sembrano in grado di esprimere in modo soddisfacente l'arti colazione e i cambiamenti di una letteratura e di pratiche cultuali in tumultuoso sviluppo e differenziazione soprattutto per quanto riguarda il periodo preso in considerazione� Nella prospettiva che ho adottato perde rilevanza la distinzione, ad esempio, fra biografico e agiografico sulla base della presenza più o meno invasiva dei miracoli, criterio che troppo spesso costituis ce una comoda s corciatoia per trac ciare periodizzazioni o per mettere ai margini della ricerca storica i testi agiografici3.

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Esistono profili molto sintetici ali' interno di presentazioni più generali: R. Aigrain,

L'haJ?iographie: ses sources, ses méthodes, son histoire. Avec un complément bibliographique par R. Godding. Reproduction inchangée de l'édition originale de 1 953, Bruxelles 2000; R. Grégoire, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, 2. ed., Fabriano 1 996; F. Scorza Barcellona, Le origini, in Storia della santità, Roma 2005, pp. 1 9-89; A. Kleinberg, Storie di santi. Martiri, asceti, beati nella formazione dell'Occidente, tr. it. Bologna 2007 (Paris 2005). 2 Sono stata aiutata a formulare questa definizione dagli studi di Av. Cameron, Rethoric and Empire. Development oj Christian Discourse, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1 99 1 , p. 5; M. Van Uytfanghc, L'hagiographie: un "genre" chrétien ou antique tardi[!, in «Analecta Bollandiana» 1 1 1( 1 993), pp. 135- 1 88 ; S. Boesch Gajano, L'agiografia, in Morjologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto Medioevo (Settimane di Spoleto 45), Spoleto 1 998, pp. 797-843 . 3

L'arguto rimprovero che Walter Berschin muoveva alla medievistica può valere anche per il

periodo precedente. Lo studioso le rimproverava di aver distinto tra vite di santi e biografie sulla base

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L 'agiografia cristiana antica

Un autore antico faceva riferimento al quadro dei generi normato dalla retorica e defin iva la sua opera a partire da quello: riteneva pertanto di scrivere, secondo le circostanze e suoi scopi, una lettera, un encomio, una "storia" (iaTop(a), un bios4. La presenza o meno dei miracoli e la loro incidenza dipendevano dall'occasione, dal pubblico cui intendeva rivol­ gersi, dai mode l l i che voleva adottare. Da questo punto di vista, il bios di Origene all ' i nterno della Storia ecclesiastica di Eusebio ha lo stesso dirit­ to di cittad inanza all ' interno del discorso agiografico tardoantico della Vita di Antonio che invece fa largo uso dei miracoli e l 'interesse consiste piuttosto nel cercare di comprendere i motivi di tale diversità. E se è pos­ sibile osservare dal IV secolo in poi una sempre più spiccata presenza dei miracoli ritenuti l'indispensabile segno della santità, è anche vero che si continuò a descrivere e celebrare persone eccezionali senza ricorrere ai miracoli: basti pensare alla Vita di Paola di quello stesso Gerolamo cui dobbiamo altre Vite ricche di signa o alla Vita di Agostino, alla Vita di Onorato di Arles, alla Vita di Fulgenzio e, se pure con qualche concessio­ ne, alla Vita di Ep ifanio di Ennodio. L'ambito di maggiore approfondimento è la tradizione cristiana, ma questo non implica artificiose e fuorvianti delimitazioni a priori fra ciò che è giudaico, pagano o cristiano. Nella fase più antica il discorso agio­ grafico sui martiri, così importante per gli sviluppi successivi, si radicò nella riflessione, da una parte, di ebrei rimasti fedeli alla legge e ebrei seguaci di Gesù e, dall' altra, di pagani sulla "morte eroica". Nell 'età suc­ cessiva, pur nella diversità irriducibile delle rispettive pratiche di vita, cre­ denze e fedi, ci furono significative interazioni e scambi fra i diversi grup­ pi religiosi sul tema degli uomini divini. I pagani e i cristiani che fra III e IV secolo si confrontavano «in a war of biography»s scrivendo Vite di figu­ re eccezionali condividevano, nella stragrande maggioranza dei casi, la stessa formazione retorica, si erano nutriti degli stessi testi letterari, erano mossi spesso dagli stessi scopi apologetici. Il volume si concentra sui testi e sui loro autori e tenta di rispondere a domande quali: da quali circostanze storiche nasce un testo agiografico? di un concetto di santità messo ·a punto attraverso le varie fasi del processo di canonizzazione, pro­ cesso in cui un elemento essenziale è il miracolo, e di essersi poi liberata "della mostruosa massa" del materiale agiografico per concentrarsi su una piccola scelta di Vite di imperatori (Biographie und

Epochenstil im lateinischen Mittelalter, Bd. 1: Von der Passio Perpetuae zu den Dialogi Gregors des Grossen. Bd. n: Merowingische Biographie. ltalien, Spanien und die lnseln im friihen Mitte/a/ter, Stuttgart 1 988, Bd. 1. p. 1 7). 4 E. Giannarelli, La biografia cristiana antica: strutture problemi, in G. Luongo (ed.), Scrivere di santi. Atti del 2. Convegno di studio dell 'Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e dell'agiografia, N apol i 22-25 ottobre 1 997, Roma 1 998, pp. 49-69. 5 Cameron, cit., p. 145. ,

Introduzione

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A quali gruppi dà voce ? Come interagisce con il contesto culturale e teo­ logico? A quale pubblico intende rivolgersi? Come tutti questi elementi s'intersecano con la scelta dei contenuti e delle forme letterarie? Uno dei più grandi studiosi dei testi agiografici del secolo scorso - il Delehaye6 usava l ' espressione «coordinate agiografiche» per esprimere le informa­ zioni necessarie - il luogo di deposizione del corpo del santo e il mese e il giorno in cui la Chiesa ne celebrava l' anniversario - per paterne stabi­ lire l ' identità storica. Questo libro vuole invece richiamare l ' attenzione sulle coordinate agiografiche del testo, cercando di chiarire di volta in volta la sua posizione all ' interno dell' ascissa e dell ' ordinata delle proble­ matiche storiche di un luogo e tempo specifici. È un modo di affrontare la materia che ha tentato di accogliere l ' invi­ to a lasciare sullo sfondo le tipologie con le loro morfologie e a «concen­ trarsi sulla risemantizzazione cui esse vanno incontro nel divenire della società)) 7. Mira, insomma, a mettere in luce le specificità, le differenze, le soluzioni di continuità e si affianca ai numerosi e importanti studi che hanno rinnovato questo campo di studi affrontandolo dal punto di vista di tematiche più generali. Mi riferisco ai numerosi saggi sulla storia dei modelli agiografici; sull ' intersezione dei testi agiografici con la costruzio­ ne di identità sociali; sulla storia dell 'ascetismo; sulla storia di genere, sulla storia del culto dei santi. Richiamare l ' attenzione sulle particolari condizioni in cui matura un testo agiografico significa anche favorire una maggiore consapevolezza dei rischi connessi ad una concezione positivi­ stica di esso, là dove viene utilizzato singolarmente per ricostruire una data figura storica o, insieme ad altri testi agiografici, per interpretare la cultura, la mentalità, la società di un periodo storico. Non mi riferisco, naturalmente, a quel tipo di positivismo che sfociava nell ' apologetica, cioè nella devota accettazione della "verità storica" del santo e delle sue gesta, ma ad un tipo di positivismo meno esplicito che si insinua anche nelle ricerche più avvertite e sofisticate della ricerca storica contempora­ nea. Questa mi sembra anche l'indicazione emergente dalla riflessione metodo logica sugli studi di Peter Brown sull ' holy mans; studi che, sebbe6 H. Delehaye, Cinq leçons sur la méthode hagiographique, Bruxelles 1934, p. 13. Gran parte delle sue ricerche sono ancora fondamentali: Les saints stylites (Subsidia hagiographica 14), Bruxelles-Paris 1 923; Sanctus. Essai sur le culte des saints dans l'antiquité (Subsidia Hagiographica 27) , Bruxelles 1 927; Les origines du eu/te des martyrs, Paris 1933; Étude sur le Ugendier romain. Les saints de novembre et de décembre, Bruxelles 1936; H. Delehaye, Le Passions des Martyrs et les genres littéraires, Deuxième édition, revue et corrigée, Bruxelles 1966. 7 A . Benvenuti, Una memoria in progress, in G. Luongo (ed.), Scrivere di santi. Atti del 2. Convegno di studio dell'Associazione italiana per lo studio della santità, dei culti e deli' agiografia, Napoli, 22-25 ottobre 1997, Roma 1998, p. 5 1 8. 8 P. Brown, The Rise and Function of the Holy Man in Late Antiquity, in Id., Society and the Holy

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L'agiografia cristiana antica

ne fin da loro apparire discussi9, hanno esercitato una grande influenza sia nell ' attirare l'attenzione degli storici sulla letteratura agiograficaw, sia nel proporre nuove piste di ricerca e chiavi di lettura. In quel volume a più voci si sottolineava l'importanza della consapevolezza delle "trappole" presenti nell 'antica narrativatt e la necessità di considerare accanto alla funzione dell 'holy man anche la funzione dei testi che lo raccontano . Nel trarre conclusioni sulla funzione degli uomini divini nel mondo tardo anti­ co, non si dovrà prima di tutto tenere presente che «most of our literary evidence about holy men comes from texts that were written by ascetics themselves»n? Esistono evidentemente numerosi studi monografici dedicati a singoli autori e testi che affrontano le domande che mi stanno a cuore, studi di cui mi sono nutrita cercando di leggere e metabolizzare il più possibile di una bibl iografia immensa. La novità di questo libro non consiste tanto nelle domande cui si è tentato di dare risposta, quanto nella sistematicità con cui esse sono state rivolte ai testi agiografici appartenenti ad un lunghis­ simo arco temporale. Questa scelta implica inevitabilmente una perdita di profondità nelle singole parti, ma offre nello stesso tempo l' opportunità di cogliere le traiettorie dei testi sul lungo periodo, le reinterpretazioni, le interazioni fra di loro e con i diversi contesti culturali, le logiche di tra­ sformazione del discorso agiografico e dei suoi linguaggi nelle mutate condizioni storiche. La scelta di prendere in considerazione soltanto la tradizione greca e latina riflette il limite delle mie competenze linguistiche, anche se non na­ scondo la gravità di tale limite soprattutto per quanto riguarda l'area egi­ ziana e siriaca dei secoli v e VI. Anche per quanto riguarda l ' area di lin­ gua greca e latina questi due secoli hanno segnato un enorme sviluppo dei testi agiografici fra i quali è stato necessario operare delle scelte. Il volume è organizzato in nove capitoli . Il primo prende in esame testi redatti fra l 'ultimo quarto del 1 secolo e il primo decennio del n secolo che ruotano intorno alla morte di figure eccezionali. Quella di Eleazaro e della in Late Antiquity, London 1 982, pp. 103-152; P. Brown, Il culto dei santi. L'origine e la diffusione di una nuova religiosità, tr. it. Torino 1983 (London-Chicago 1 98 1 ). 9 J. Fontaine, Le eu/te des saints et ses implications sociologiques. Réj/.exions sur un récent essai de Peter Brown, in «Analecta Bollandiana» 100(1982), pp. 17-4 1 . IO J . Howard-Johnston-P.A. Hayward (eds.), The Cult of Saints in Late Antiquity and the Middle Ages. Essays on the Contribution of Peter Brown, Oxford 1999. Cfr. in parti colare i c ontri but i di P. Rousseau, Ascetics as Mediators and the Teachers, pp. 45-59 e di P.A. Hayward, Demystifying the Role of Sanctity in Western Christendom, pp. 1 1 5- 1 42. Il A. Cameron, On Defining the Holy Man, in J. Howard-Johnston-P.A. Hayward (eds.), The Cult of Saints in Late Antiquity and the Middle Ages. Essays on the Contribution of Peter Brown, Oxford ,

1 999, p. 32. 12 Rousseau, Ascetics, cit., p. 5 1 .

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madre con i suoi sette figli (IV Maccabei); di Gesù nel resoconto del Vangelo di Marco; di Stefano negli Atti degli Apostoli di Luca; di Seneca descritta da Tacito. Testi provenienti da tradizioni apparentemente molto distanti- e non solo geograficamente - fra di loro, ma che rivelano inve­ ce incroci fecondi e contiguità culturali e invitano a ripensare la questio­ ne delle "origini" non solo della letteratura dedicata ai martiri, ma anche dell' ideologia di cui essa è portatrice. Il secondo capitolo è dedicato appunto allo sviluppo del discorso agio­ grafico sui martiri e mette in luce i numerosi nodi interpretativ i legati agli Atti e Passioni dei martiri: le fasi della progressiva creazione di un lessi­ co specializzato; i problemi di metodo che nascono dall'utilizzazione di questo tipo di documentazione storica. L'anali si dei testi più antichi e databili con una certa sicurezza cerca poi di chiarirne la specificità all'in­ temo del discorso cristiano più generale e il loro articolarsi con la dialet­ tica interna alle diverse Chiese cristiane. Lo spazio concesso alla voce femminile è un altro tratto specifico, che viene preso in considerazione. Gli Atti e le Passioni più antichi offrono l ' opportunità di osservare attra­ verso quali fasi si è fissato il modello agiografico cristiano più potente, anzi forse l ' unico, se si riflette sul fatto che anche i modelli che via via si aggiunsero rivendicarono per sé il nome d i "martire". Una creazione assai contrastata all ' interno dei gruppi cristiani (qual è il "vero" martire?) e che non cessa affatto còn la fine delle persecuzioni ; anzi da questa prende un nuovo slancio per sostanziare di sé il discorso storiografico di Eusebio di Cesarea che assume dei temi e ne tralascia altri per costruire e ricostruire, dopo le defezioni della persecuzione dioclezianea, l ' onore della Chiesa rileggendo la figura del martire attraverso la lente mitizzante dei valori classici dell 'eroismo e della filosofia. Le Vitae dei santi costituiscono una parte così rilevante dei testi agio­ grafici da indurre in certi casi l 'errata convinzione che essi coincidano tout court con l' agiografia considerata, proprio per questa ragione, come un genere letterario e non, come sarebbe più corretto, un insieme molto differenziato di forme letterarie. Si è naturalmente discusso molto sul­ l'origine e, per così dire, la data di nascita della biografia cristiana: se, ad esempio, fissarla aHa metà del III secolo con la Vita e Passio Cypriani o alla metà del secolo successivo con la Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria. Moltissimo si è anche scritto sui modelli ellenistici che sono alla base delle Vitae. Tutti questi problemi si presentano sotto una luce diversa se, in luogo di troppo rigide distinzioni fra biografia greco-roma­ na e agiografia cristiana, consideriamo il discorso agiografico tardo anti­ co come un discorso comune a pagani e cristiani; un discorso in cui sia possibile individuare interazioni, scambi con momenti di latenza, ma

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L'agiografia cristiana antica

anche di incrocio esplicito. Di questa problematica si occupa il terzo capi­ tolo che dedica una prima parte ali 'illustrazione di alcune Vi' te dei filoso­ fi di autori pagani del II e m secolo. Non si comprende infatti il tumultuo­ so sviluppo delle Vitae sanctorum a partire dalla seconda metà del IV seco­ lo se non si tiene conto del successo di questa letteratura presso il pubbli­ co colto pagano nei due secoli precedenti. Nella ricca produzione biogra­ fica della prima età imperiale e tardoantica in cui spiccano Vitae di Imperatori , generali, sofisti e filosofi, sono soprattutto questi utimi a costi­ tuire il quadro di riferimento privilegiato per gli autori cristiani. Il bios dedicato al filosofo esaltava, più che gli aspetti dottrinali, la forma di vita incarnata dal filosofo stesso, presentato come un modello di perfezione etica, un ideale che si colorò sempre di più di valenze religiose, via via che si riconoscevano al filosofo poteri e caratteristiche sovrumane. Gli scrittori cristiani, da parte loro, fin dal II secolo, presentavano il cristiane­ simo come "vera filosofia" e il "filosofo" cristiano come "martire", la cui testimonianza era costituita dalla sua vita pura dal peccato, dal suo inse­ gnamento e dalla fede . Il primo sviluppo della biografia cristiana si radicò in un clima di con­ correnza, ad extra, contendendo ai pagani la figura del filosofo quale am­ bìto vettore di propaganda dei valori cristiani e, ad intra, come sostegno a figure precise o a modelli di perfezione che non si esaurivano con il mar­ tirio. Questo aspetto emerge con sufficiente chiarezza già con Clemente Alessandrino e alla metà del III secolo nella Vita e Passione di Cipriano, già trattati nel secondo capitolo. A questi si aggiungono, nella seconda parte del terzo capitolo, gli scritti biografici di Eusebio affrontati come altrettanti nodi di scambio e interazione con la biografia pagana. Eusebio costruisce le sue biografie, in senso negativo, in consapevole rifiuto del­ l ' holy man pagano maturato attraverso la critica della Vita di Apollonia di Tiana, e, in senso positivo, sull 'esaltazione della paideia, dell ' ascesi e del martirio come elementi irrinunciabil i dell ' ideale di perfezione. Rispetto all a proposta eusebiana, la Vita di Antonio di Atanasio, con cui si apre il quarto capitolo, presenta elementi di continuità - l ' ascesi, la stilizzazione martirologica - ma anche elementi di rottura: il rifiuto della paideia, l ' uso del taumaturgico e del miracolistico, l' adozione di modali­ tà narrative risalenti alla tradizione pitagorica; mutamenti, le cui ragioni sono ricercate sia nel mutato orizzonte teologico in cui matura lo scritto di Atanasio, sia negli scopi che egli si prefiggeva. La Vita di Antonio nei modi e nei contenuti - era fortemente innova­ tiva. Tale novità fu metabolizzata più lentamente in Oriente che in Oc­ cidente. Nell 'ultimo quarto del IV secolo, gli autori di lingua greca cono­ scono la Vl'ta di Antonio, ma producono bioi molto diversi da quella, sia -

Introduzione

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risemantizzando attraverso i l linguaggio martiriale i l genere tradizionale dell 'elogio funebre, sia percorrendo strade autonome. Le Orazioni di Gre­ gorio di Nazianzo e le Vitae di Gregorio di Nissa sono, per un verso, testi­ moni importanti della creazione di pratiche narrative relative alla costru­ zione di una santità diversa da quella martiriale pur utilizzando un lin­ guaggio nutrito dalla B ibbia e dalle Passioni dei martiri, per l ' altro, attra­ verso l'esaltazione di figure appartenenti alla rete delle relazioni familia­ ri o amicali, rivelano quanto la santità e il discorso che ne narrava l ' incar­ nazione in quelle figure fossero entrati a far parte della legittimazione del potere politico e religioso di quella stessa rete. Ascesi e paideia, uso molto sobrio del miracoloso sono i caratteri salienti del discorso agiografico dei Cappadoci; fa eccezione la Vita di Gregorio il Taumaturgo che anticipa lo sviluppo che il modello vescovile conoscerà soprattutto in Occidente pre­ sentando il ritratto di un vescovo carismatico patrono della città. Il quinto capitolo ha come tema l 'Occidente negli ultimi due decenni del IV secolo e i primi due del secolo successivo. Ne è protagonista un gruppo di raffinati letterati, culturalmente omogeneo, i primi tre in stretto contatto reciproco: Gerolamo, Paolino di Nola, Sulpicio Severo e, più appartato, Prudenzio. Sono i decenni in cui matura gradualmente la con­ versione dell' aristocrazia occidentale e la produzione agiografica si inse­ risce con autorevolezza in questo processo prospettando modelli di eccel­ lenza e valori cristiani con linguaggi e forme letterarie tradizionali e fami­ liari a quello stesso pubblico. Il discorso agiografico più articolato è quel­ lo di Gerolamo che mette insieme una nutrita schiera di medaglioni agio­ grafici di "monaci" donne e uomini ; filo comune è il dialogo-competizio­ ne con la Vita di Antonio e l' ambizione di ricostruire per tasselli successi­ vi la "vera storia" delle origini del monachesimo. Gli Inni dedicati da Paolino di Nola a Felice possono essere letti come un percorso di distru­ zione e reintegrazione: dopo aver abbandonato la patria, le ricchezze, gli onori, le ambizioni letterarie, Paolino ricomincia dalla tomba di Felice e la rende con i suoi Inni, i suoi edifici, il gruppo di asceti che vi abita un centro di attrazione per «la parte migliore del genere umano». Le opere di Sulpicio dedicate a Martino delineano un percorso analogo: dopo il ritiro a Primuliacum, egli si dedica interamente a Martino, monaco e vescovo carismatico illetterato, diventandone l ' infaticabile sostenitore in vita e in morte. Prudenzio, dopo una vita spesa a servizio dell'Impero, celebra con i suoi versi i martiri come coloro che hanno assicurato a Roma il trionfo sul paganesimo, l' ultimo che le mancava e quello essenziale per mantene­ re l'imperium per sempre. Con il sesto capitolo torniamo in Oriente e alle Storie monastiche che redatte fra la fine del IV fino al VII costituiscono, per così dire, la spina dor-

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sale della produzione agiografica greca di questi secoli, anche se non mancano Vite dedicate a personaggi singoli, come Pacomio e le due Melania. Attraverso le diverse Storie monastiche si profilano monachesi­ mi, intenzionalità letterarie, pubblici diversi, dalle prime - la Storia dei monaci in Egitto, la traduzione e il riadattamento latino che ne fece Rutino e la Storia lausiaca di Palladio - che raccontano l 'Egitto, per poi passare alla historia monastica di Cirillo che ricostruisce la fondazione e rifondazione del monachesimo palestinese, ali ' Historia religiosa di Teo­ doreto di Cirro che sfrutta tutte le possibilità espressive della retorica per rendere comprensibili ad un pubblico colto e greco le performances stra­ ordinarie degli asceti siriaci, fino al Prato di Giovanni Mosco dei primi decenni del vn secolo. Sono Storie certo lette da monaci, composte da monaci o da chierici, ma che non si rivolgono soltanto a loro e non parla­ no soltanto dì loro: con il procedere del tempo l ' intento di descrivere il ri­ tratto il più possibile informato di una certa regione, lascia spazio non solo alla frantumazione territoriale, ma anche alla frantumazione dei sog­ getti: non solo monaci, ma anche vescovi, laici, donne; non solo esempi positivi, ma anche negativi. Da realtà concreta di cui si vuole conoscere il più possibile per imitarli, ma più spesso per ammirarli, i monaci diventa­ no piuttosto serbatoi di racconti edificanti da uti lizzare in più occasioni e da diversi mediatori alfabetizzati con cui si cerca di comunicare con una voluta semplificazione del linguaggio. Il mezzo secolo che va dall'ultimo quarto del IV secolo ai primi due­ tre decenni del v secolo fu caratterizzato da una grande creatività agiogra­ fica che, anche grazie a traduzioni, viaggi , contatti culturali, era frutto di un ' intensa circolazione di persone e dì idee fra Oriente e Occidente. Nei centocinquant' anni successivi, le migrazioni dei popoli provenienti dal nord e dall'est e la diversa incidenza che esse ebbero nella vita delle Chie­ se nelle differenti regioni del Mediterraneo occidentale rallentarono i con­ tatti e dettarono in un certo senso l ' agenda dello sviluppo del discorso agiografico nell a direzione di una sempre più marcata regionalizzazione. Il settimo, ottavo e nono capitolo sono appunto dedicati al discorso agio­ grafico latino dei secoli v-vi rispettivamente in Africa, Italia e Gallia. In Africa - cui è dedicato il settimo capitolo - la crisi donatista prima, le persecuzioni attuate dai vandali ariani dopo, costituiscono lo sfondo di un discorso agiografico che ha come fuoco principale la memoria dei mar­ tiri : quelli più antichi - Perpetua e Cipriano- oggetto di imitazione e con­ tesa fra gruppi diversi; e quell i più recenti: i martiri donatisti, vittime dei cattolici, e i martiri cattolici vittime dei vandali. I Libelli miraculorum raccolti da Agostino raccontano il tentativo di controllare e interpretare il moltiplicarsi dei miracoli intorno alla reliquie del protomartire Stefano;

Introduzione

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miracoli invece assenti nelle due Vite dedicate ad Agostino e Fulgenzio che ripropongono il modello del vescovo monaco colto in grado di mobi­ l itare la resistenza sotto i colpi della persecuzione e indicare nuove vie di armonizzazione e convivenza fra istituzioni monastiche e vescovi. Il capitolo successivo si concentra sull'Italia. Pur subendo l ' invasione e la stabil i zzazione di popoli di fede ariana, qui non ci furono persecuzio­ ni così vaste e durature come l'Africa; il discorso agiografico che ha per oggetto questa regione è però frammentato, come frammentata era la si­ tuazione politica nelle diverse regioni. La Vita di Ambrogio è scritta in Africa alla vigilia dell' invasione vandalica, mentre l'Italia aveva già cono­ sciuto le distruzioni degli Unni. È una Vita che guarda con nostalgia ad un passato di gloria di cui Ambrogio di Milano, vescovo potentissimo, con i miracoli e i successi contro gli ariani e presso la corte i mperiale è il cam­ pione: un 'immagine verso cui la Vita di Agostino, scritta qualche anno do­ po nello stesso ambiente, reagisce sia pure implicitamente. Con la Vita di Epifanio, vescovo di Pavia, Ennodio cerca di ritagliare un ruolo importan­ te al vescovo come consigliere del re nella breve stagione della tolleranza teodoriciana. In una Roma che ospitava le tombe di Pietro e di Paolo meta di frequentatissimi pellegrinaggi, colpisce la scelta di raccontare signa et virtutes di santi contemporanei che sono oggetto dei Dialoghi di Gregorio Magno. Scritti in un 'Italia impoverita e devastata dalle guerre, fanno parte di un più vasto progetto pastorale, intenzionalità segnalata anche dalla scelta della forma dialogica che li distingue dalle Storie monastiche orien­ tali cui pur sembra essersi ispirato. La tradizione agiografica gallica, che è oggetto dell 'ultimo capitolo, è la più ricca dell'Occidente latino. La ripartizione geografica dei testi se­ gnala i cambiamenti geopolitici avvenuti in quest' area. Un primo gruppo è collegato al Sud ed in particolare ad Arles diventata la città più importan­ te della Gallia da quando, a seguito dell'aggravarsi delle invasioni barbari­ che, vi era stata trasferita da Treviri la prefettura del pretorio. Quasi in con­ temporanea con l'accresciuta importanza politica di Arles, Onorato comin­ cia la sua vita monastica a Lérins dando inizio ad un ' istituzione con la quale, in un modo o nell ' altro, sono legati tutti i testi agiografici apparte­ nenti a questo primo gruppo. Nel secolo circa che separa la Vita di Ono­ rato dalla Vita di Cesario di Arles il discorso agiografico di area provenza­ le presenta al suo interno alcuni caratteri costanti - intima connessione se non vera e propria supremazia del modello di santità monastico su quello episcopale, interesse per le questioni dottrinali, carattere colto - ma anche trasformazioni, soprattutto nel diverso peso attribuito ai miracoli del santo vivo e ex tumulo, a mano a mano che ci si allontana dagli scritti collegati alla prima generazione di Lérins e che modelli diversi - come la Vita di

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L'agiografia cristiana antica

Ambrogio diventano fonte di ispirazione e di imitazione nel delineare la figura vescovile. Sono testi che entrano nel vivo nel dibattito teologico e disciplinare direttamente ricostruendo eventi, personaggi o situazioni· o, indirettamente, plasmando il proprio racconto su quei problemi e propo­ nendo una sorta di teologia in azione. Collegati ancora a Lérins, attraverso il passaggio di uno dei fondatori a Lione, i monasteri del Giura occupano una posizione più defilata, lontana dalle grandi strade di comunicazione fra il Sud e il Nord della Francia; il discorso agiografico che ne racconta la sto­ ria della fondazione e rifondazione ci restituisce l'immagine di un mona­ chesimo dai caratteri originali, focalizzato sull 'esperienza ascetica e misti­ ca ispirata dai testi del primo monachesimo e caratterizzato daJla teorizza­ zione della separatezza fra cenobio ed episcopio. Con l ' affermazione della supremazia dei Franchi il baricentro politico si sposta a Nord e con esso anche la produzione agiografica legata princi­ palmente a Poitiers con Venanzio Fortunato e a Tours con il suo vescovo Gregorio. Nella prima fase la presenza di re barbari ariani, pur con qual­ che episodio di frizione, aveva favorito di fatto l'indipendenza del clero cattolico dal potere politico, e il tema del rapporto fra i due poteri era rimasto piuttosto ai margini del discorso agiografico provenzale. Nella fase successiva, caratterizzata dal dominio dei re franchi cattolici, il rac­ conto agiografico accompagna questo mutato quadro dei rapporti. Se prima era monopolizzato dalla figura vescovile, ora affronta altri soggetti - come la santità reale e la celebrazione dei foca sancta più strettamen­ te legati aJJ'attualità; soggetti che si prestavano meglio a far interagire il racconto della praesentia del santo con il mondo dei potentes. -

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Ringraziamenti Desidero esprimere il mio ringraziamento al gruppo di colleghi e collaboratori con cui ho condiviso negli anni di preparazione di questo libro innumerevoli oc­ casioni di studio e di discussione che mi sono state di grande aiuto: Claudio Gia­ notto, Giovanni Filoramo e Natale Spineto; Roberto Alciati, Maria Chiara Gior­ da, Andrea Nicolotti, Rosa Maria Parrinello e Fabrizio Vecoli. Un ringraziamen­ to sentito anche al personale della Biblioteca di Scienze Religiose «E. Peterson» per la generosa disponibilità con cui ha facilitato in ogni modo il mio lavoro.

CAPITOLO PRIMO

l.

Morire per la Legge

La rielaborazione di una narrazione più antica riguardante l'esecuzio­ ne di Eleazaro e di una madre con i suoi sette figli voluta dal re di Siria Antioco IV Epifane; la descrizione dei Vangeli e degli Atti di Luca rispet­ tivamente del processo e della morte di Gesù e di Stefano; le lettere scrit­ te da Ignazio, vescovo di Antiochia, durante il viaggio verso Roma ove si aspettava di essere condannato a morte a causa della sua fede; il racconto di Tacito del suicidio di Seneca sono testi redatti tra la seconda metà del I secolo e i primi due decenni del n secolo dell'era cristiana. Se si guarda alle circostanze storiche e agli interessi che riflettono, al livello culturale che esprimono, all'eterogeneità dei pubblici cui sono rivolti, ai generi let­ terari cui appartengono, appaiono e sono profondamente diversi. Tuttavia, da un altro punto di vista, presentano almeno un tratto comune: esplorano le modalità, le ragioni, le conseguenze di un morire particolare - "nobi­ le" - che, per quanto effetto di un potere soverchiante, non è presentato come disfatta e resa, ma, al contrario, come vittoria. Sono racconti para­ dossali che invitano i propri lettori a guardare oltre l ' evidenza quotidiana dei rapporti di forza e a riflettere invece sulla forza delle convinzioni e sulla loro importanza al fine di preservare, in condizioni estreme, l' iden­ tità del gruppo che le condividei. Il primo testo, IV Maccabei, consiste in una riscrittura di racconti più antichi accolti nella B ibbia cristiana (I e II Maccabei). Questi narrano la rivolta vittoriosa degli Ebrei di Palestina contro il re di Siria Antioco IV Epifane sotto la guida dei tre fratelli Giuda, Gionata e Simone - sopran­ nominati Maccabei - rivolta ispirata dal tentativo di introdurre in quella regione i costumi e la religione ellenici e di impedire in vari modi l' osser­ vanza della Legge e il culto nel tempio di Gerusalemme (175- 1 35 a.C.). IV Maccabei riprende un episodio che precedette la rivolta vera e propria:

1 J.W. van Henten-A. Wénin, Martirio e morte nobile nel giudaismo e nelle fonti dell'antico ebraismo ellenistico, in ll martirio volontario. Una storia condivisa nell'ebraismo, nel cristianesimo e nell'islam, in «Cristianesimo nella storia» 27(2006), pp. 3 1 -66; T. Baumeister, La teologia del mar· tirio nella Chiesa antica, Torino 1995.

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la morte dello scriba Eleazaro e quella di sette fratelli con la loro madre, torturati e messi a morte per aver rifiutato di nutrirsi di carni vietate dalla loro religione. L' autore anonimo di questo testo, redatto in lingua greca, secondo alcuni prima del 70, secondo altri alla fine del 1 sec., non è per nulla interessato alla guerra vittoriosa dei tre fratelli, ma si concentra su quell'unico episodio con l 'intento di mettere in luce la perfetta coinciden­ za dell'ideale filosofico del dominio delle passioni con la Legge giudai­ caz. Secondo IV Maccabei la «ragione è la sovrana assoluta delle passio­ ni»3; Dio ha creato l' uomo e, in lui, le passioni e «SU di esse collocò come su un trono ( ... ) l ' intelletto sacro e sovrano e impose ad esso una legge, adeguandosi alla quale avrebbe esercitato un potere regale improntato a temperanza, giustizia, bontà e fortezza»4. La vittoria sul timore del dolo­ re e della morte dei nove personaggi al centro del racconto non è che l'il­ lustrazione di questi principi; il capofila è Eleazaro «di stirpe sacerdotale, profondo conoscitore della legge, di età avanzata e noto per la sua nomea di filosofo»s. Egli compare davanti al "tiranno" Antioco in persona che cerca di convincerlo a mangiare carne di maiale vietata agli ebrei (Lev Il , 1 7) sottolineando la sproporzione fra la ragionevolezza della richiesta (è insensato astenersi dai doni della natura) e la gravità delle conseguen­ ze del suo rifiuto (la tortura e la morte). Nella lunga ed eloquente risposta Eleazaro rimane fermo nel suo rifiuto: ogni trasgressione della Legge ha la stessa gravità perché ogni sua i mposizione deriva da Dio e intende edu­ care gli uomini alla temperanza e alla pietà6. Le guardie del re tentano allora di piegarlo con la fustigazione e le percosse, ma il vecchio «quasi venisse torturato in sogno» non muta il suo proposito. Coperto di s angue crolla a terra, ma «la sua ragione rimane diritta e inflessibile»; «E come un nobile atleta, il vecchio, pur subendo i colpi, vinceva i suoi carnefici»?. A questo punto alcuni cortigiani cercano di convincerlo ad accettare alme­ no la finzione di mangiare carne di maiale. Eleazaro rifiuta sdegnosamen­ te anche questo: «Sarebbe insensato s e noi, che abbiamo vissuto fino alla vecchiaia una vita secondo verità e che manteniamo intatta l'opinione su questa vita, adeguata allo

2 Di ambiente antiocheno secondo C. Kraus Reggiani (ed.), 4 Maccabei. Commentario storico ed esegetico all'Antico e al Nuovo Testamento, Supplementi, Genova 1992 (di cui ultilizzo la traduzio­ ne); di ambiente romano secondo Quarto libro dei Maccabei, testo, traduzione, introduzione e com­ mento a cura di G. Scarpat. Con una nota storica di G. Firpo, Brescia 2006, pp. 65-66. 3 IV Maccabei l , 1 3 . 4 IV Maccabei 2,2 1 -23. s N Maccabei 5,4. 6 N Maccabei 5,27; 36-37. 7 IV Maccabei 6,5. 10.

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spirito della legge, ora cambiassimo e divenissimo proprio noi modello d i empie­ tà per i giovani( ... ) Sarebbe una vergogna se prolungassimo la nostra vita per bre­ ve tempo e in questo breve tempo provocassimo la derisione generale per la no­ stra viltà e non ci battessimo fino alla morte in difesa della nostra Legge divina»s .

Alla fine Eleazaro viene fatto salire sul rogo, «arso ormai fino alle os­ sa», ha ancora la forza di pronunciare una preghiera: «Tu sai, mio Dio, che potevo sal varmi e invece muoio in mezzo ai supplizi a cau­ sa della legge. Sii propizio al tuo popolo, mostrandoti soddisfatto della punizio­ ne che per esso subiamo. Fa' che il mio sangue sia mezzo di purificazione per loro e accogli la mia anima in cambio delle loro anime»9.

Il testo passa a narrare la morte dei sette fratelli e della loro madre seguendo lo stesso canovaccio di dialoghi, torture e morte. Nei lunghi di­ scorsi messi in bocca ai protagonisti vengono ribadite le stesse idee : il tiranno può togliere loro la vita, ma non danneggiarli «perché noi, grazie a questo supplizio e alla nostra sopportazione, riporteremo i premi riser­ vati alla virtù e saremo accanto a Dio, in nome del quale soffriamo»; «un tormento eterno» attende invece il tirannoto; accettare di morire coincide con la sconfitta della tiranniaii. Il racconto del supplizio della madre per­ mette all ' autore di aggiungere terni nuovi: ella, «più forte di un uomo in atti e in parole», non solo sopporta tutte le torture inflitte ai figli, ma rie­ sce a dominare la passione più forte: l ' amore materno: « Non distolse alcuno di loro dall'affrontare la morte, né si afflisse per loro co­ me se stessero morendo, ma quasi avesse d' accaio la mente e rigenerasse tutti e sette i suoi figli per l ' immortalità, li esortava a morire supplicandoli di mori ­ re per la pietà»l 2.

Diversamente dal racconto più antico che attribuiva al coraggio e al valore militare dei tre fratelli Maccabei la vittoria su Antioco, secondo il Nostro, sono proprio i più deboli per sesso e per età ad aver sconfitto il tiranno, non solo in senso simbolico, ma anche nella realtà: «grazie al san­ gue di quei pii e all 'espiazione attuata con la loro morte, la provvidenza divina salvò Israele, prima oppresso»n. s N

Maccabei 6, 1 8-2 1 . Maccabei 6,27-29. lO lV Maccabeì 9,8-9. Il N Maccabei Il ,24-25. 12 N Maccabei 14, 1 2-13. 15. 13 IV Maccabei 1 7,22.

9

N

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Siamo di fronte ad un'orazione (pronunciata o forse soltanto scritta) di circostanza: l 'autore si è infatti assunto il compito di elogiare coloro che «in questo giorno» (nella festività a loro dedicata?) «sono morti per la loro kalokagathia» - cioè per la loro nobile virtù t4. Chi scrive sa usare i mezzi espressivi della retorica e si rivolge ad un pubblico colto in grado di com­ prendere e apprezzare l'eclettismo filosofico tipico di quel periodo che mescolava motivi platonici e stoici La censura di quelle parti del raccon­ to più antico riguardante la rivolta armata è un chiaro segno che nel rispol­ verare quegli antichi «atleti della Legge» l ' intento non è quello di raffor­ zare una comunità assediata da una minaccia esterna; si tratta piuttosto di rafforzare la fedeltà alle proprie tradizioni, presentandole nei panni più attuali e socialmente prestigi osi della filosofia. In questo l ' anonimo auto­ re si colloca nello stesso solco dell'opera esegetica di Filone di Ales­ sandria o del Contro Apione di Giuseppe Flavio, autori contemporanei che cercarono i punti di contatto fra giudaismo e paideia greca, esplorando quel territorio accidentato, ove la gelosa custodia della propria identità religiosa e nazionale si confrontava con una cultura anch 'essa entrata a far parte del proprio bagaglio mentale e spingeva dunque a valorizzare conti­ nuità, rapporti , somiglianze. IV Maccabei corregge la sua fonte su due punti che meritano di essere sottolineati: l 'insistenza sul tema del premio ultraterreno destinato a que­ sti coraggiosi combattenti della Legge, un premio adombrato da espres­ sioni quali «stare con Dio»tS, «ricongiungersi ai padri»l6 e fondato sull'af­ fermazione dell ' immortalità dell ' animat7, mentre in Il Maccabei il premio consiste nella resurrezione (li Mac 7 ,9). Il secondo punto riguarda il con­ cetto di morte espiatoria: nella preghiera di Eleazaro sul rogo riportata sopra egli viene definito àvT(ljJuxos-, «dato in cambio» della vita di altri, colpevoli di avere assecondato Antioco e di essersi macchiati di empietà, malgrado lo scriba, come i suoi compagni, siano personalmente innocen­ ti da tali colpe. Nell ' efficacia di tale espiazione è importante l'elemento del sangue come mezzo propiziatorio. In Il Mac 7 ,37 .38, invece, i fratelli si riconoscono coinvolti nelle colpe del popolo, pur continuando a consi­ derare la propria morte come propiziatoria della cessazione della giusta ira di Dio.

14 IV Maccabei 1.10. IS IV Maccabei 7 , 1 9. 16 IV Maccabei 5,37.

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IV

Maccabei 14,6.

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2. « Versare il sangue per molti» Un gruppo di testi redatti nell ' ultimo quarto del 1 sec. e dunque coevi a IV Maccabei descrivono il processo e l'esecuzione di un altro ebreo: Gesù. Fra i Vangeli di Marco, Matteo e Luca, mi limiterò a brevi osserva­ zioni sul primo, perché più antico (fu redatto intorno al 70 d.C.) e fonte, insieme ad altre tradizioni, degli altri due's. I capp. 1 4-1 6 narrano gli av­ venimenti che preparano l ' arresto di Gesù, il processo prima davanti al sinedrio, poi di fronte al Procuratore romano della Giudea Pilato, la fla­ gellazione, la sua crocifissione e infine la sepoltura. L' ultimo capitolo contiene l ' annuncio della resurrezione di Gesù fatta alle donne da parte di un giovane vestito di bianco. Circa quarant'anni anni separano il raccon­ to evangelico dagli avvenimenti ; in questo lungo arco di tempo i suoi seguaci, in un primo momento dispersi dopo la morte del maestro giusti­ ziato come un criminale comune, avevano avuto modo di riflettere sul significato di quella morte alla luce di quanto ritenevano di aver visto, sentito e creduto durante la predicazione di Gesù e dopo la crocifissione. Sulla base di tradizioni scritte o orali preesistenti, il racconto evangelico presenta sia gli avvenimenti sia l'interpretazione di essi alla luce della fede in Gesù Cristo in quanto Messia. In questo senso Gesù viene descrit­ to come perfettamente consapevole di quanto gli capiterà di lì a poco: sa di dover morire (Mc 1 4,8) per compiere quanto la Scrittura afferma su di lui ( 1 4,2 1 ) ; sa dove è già pronta la stanza che accoglierà lui e i discepoli per la cena pasquale (14, 1 5) e chi fra i discepoli lo tradirà e lo rinneghe­ rà (Mc 1 4, 1 8 . 3 1 ). Spiega anche perché dovrà morire: benedicendo il cali­ ce di vino dice che si tratta «del suo sangue dell' alleanza versato per molti» ( 1 4,24) e, come si legge in un altro punto: «infatti il Figlio dell' uo­ mo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria la vita in riscatto per molti» ( 1 0,45). Mentre i diversi tentativi messi in campo dai capi religiosi del popolo ebraico non riescono a trovare prove della sua colpevolezza, è lui stesso a offrire il motivo della propria condanna quan­ do, alla domanda del sommo sacerdote: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?», risponde «Lo sono» aggiungendo una breve profezia sul suo ritorno nella gloria ( 1 4,62). Dopo la morte, è un osservatore esterno, un soldato che aveva assistito alla sua agonia, a riconoscerne la divinità: «Davvero quest'uomo era figlio di Dio» ( 1 5,39). L' idea del valore espiatorio della morte di un innocente è l ' unico punto di contatto del Vangelo di Marco con il racconto di IV Maccabei; per il resto

1 8 Cfr. la recente sintesi: G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea. In dagine storica, Bologna 2002.

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non potrebbero essere più diversi: il maestro Eleazaro affronta i supplizi anche con l ' intento di offrire un esempio di coerenza ai discepoli e quan­ do arriva il loro turno essi ne seguono l 'esempio fino in fondo; Gesù è inve­ ce completamente abbandonato dai suoi e muore tra persone ostili . Tutti i personaggi di IV Maccabei pronunciano discorsi eloquenti; anzi potrenuno dire che i l prolungamento inverosimile del le torture è funzionale all' inser­ zione del maggior numero possibile di discorsi in difesa delle tesi dello scritto. Gesù parla solo tre volte: quando ammette di essere il Figlio del­ l ' uomo; quando risponde ambiguamente «tu lo dici» a Pilato che gli chie­ deva se era il re dei Giudei (Mc 1 5 ,2); quando, prima di spirare, grida in aramaico: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 1 5 ,34). Un grido di disperazione e di sofferenza, la stessa angoscia dimostrata an­ che nel Getsemani, quando Gesù è «preso da terrore» ( 1 4,33). Siamo agli antipodi dell 'autocontrollo assoluto dei personaggi di IV Maccabei che non mostrano nessuna debolezza e arrivano a sfidare i loro carnefici. Manca il lessico della gara e della gloria che IV Maccabei condivide con la seconda sofistica, l ' indirizzo letterario egemone in quel periodo. Le sofferenze subite da Gesù non suscitano nei presenti nessuna ammi­ razione, ma soltanto disprezzo, beffe, percosse, sputi; invece, la morte dei personaggi di N Maccabei è circondata dall'ammirazione dei presenti, per­ fino di quella dei carnefici: è uno spettacolo che ha come spettatori «il mondo e l 'umanità>> : «Chi non ammirò gli atleti della legge divina? Chi non rimase colpito e impressionato?» '9. Anche il nemico è diverso: non Pilato, il funzionario romano che avrebbe potuto accollarsi il ruolo del tiranno, ma i capi del popolo ebraico e il popolo stesso, mentre l 'autore del Vangelo mostra l' autorità rorriana restia a condannare Gesù, per quanto alla fine consenziente. E questo è la spia di un contesto polemico intragiu­ daico, fra ebrei che hanno creduto in Cristo e ebrei che invece ancora atten­ dono il messia e svolgono un ruolo attivo nella persecuzione dei primi. 3. Morire per Cristo È appunto il racconto dell 'uccisione di un ebreo credente in Cristo da parte di altri ebrei il terzo testo su cui mi soffermerò: si tratta dell' uccisio­ ne di Stefano narrata nei capp. 6 e 7 degli Atti degli Apostoli il cui autore, Luca, è anche autore del terzo Vangelo. Stefano non fa parte della cerchia dei Dodici, ma insieme ad altri sei viene nominato dagli Apostoli per compiti di tipo amministrativo, anche se, nel seguito del racconto, egli 19 IV

Maccabei 1 7, 1 4- 1 7.

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appare piuttosto nelle vesti di predicatore eloquente e ispirato. Luca pre­ senta Stefano come taumaturgo che parla con "sapienza" e "spirito" ed è per questo vittima delle trame di membri di una sinagoga cui facevano capo ebrei provenienti da città ellenistiche. In un primo tempo, cercano di affrontare Stefano in una discussione, in seguito, con l ' accusa di blasfe­ mia contro Mosè e contro Dio, riescono a trascinarlo davanti al sinedrio. Davanti a quel tribunale, l ' accusa è ora di riferire le parole di Gesù sulla distruzione del tempio e di voler cambiare le leggi dei padri. Alla doman­ da cruciale del sommo sacerdote: «Le cose stanno veramente così?», Stefano risponde con un eloquente discorso cui l ' autore degli Atti affida il compito di chiarire - in rapporto alla comune appartenenza al giudaismo - chi sono in realtà persecutori di Stefano e chi sono invece coloro che hanno creduto in Gesù. La differenza fra gli uni e gli altri consiste nel diverso atteggiamento riguardo allo Spirito di Dio che è nei profeti e che li fa agire in nome suo: i primi discendono da quegli ebrei che hanno resi­ stito alla volontà del Signore che si esprimeva attraverso le azioni di Mosè ; gli hanno disobbedito e hanno costruito il vitello d'oro, hanno per­ seguitato i profeti che preannunciavano il Giusto «di cui ora voi siete stati traditori e assassini» (7 ,52). Lo Spirito Santo abita invece in Stefano che non solo ha avuto fede in Gesù, ma arriva a vederlo in visione: «Ecco, vedo i cieli aperti e il Figlio dell' uomo che sta in piedi alla destra di Dio» (7 ,55). Sono queste parole a scatenare i suoi nemici che «tratto lo fuori dalla città lo lapidarono» . Stefano muore pregando il Cristo di accogliere il suo spirito e di non addossare ai suoi persecutori il peccato che stavano commettendo. È importante rilevare che la prima descrizione della morte di un segua­ ce di Gesù a causa della sua fede in l ui ripercorre il canovaccio narrativo del la morte di quest'ultimo anche a costo di incoerenze non trascurabili : è stato notato2o, ad esempio, che la scena del processo è posticcia rispetto alla scena della lapidazione che doveva essere nella fonte di Luca; potreb­ be trattarsi di un intervento redazionale proprio suggerito dal desiderio di assimilare la morte di Stefano a quella di Gesù. Nella visione di Stefano, inoltre, si avvera la profezia pronunciata da Gesù davanti al sommo sacer­ dote (Mc 1 4,62; Le 22,69). Il volto di Stefano appare ai suoi giudici «come il viso di un angelo» (6, 15), vale a dire trasfigurato dalla gloria di Dio con un richiamo al racconto evangelico della trasfigurazione di Gesù (Le 9,29). Infine la preghiera di Stefano riecheggia quelle di Gesù sulla croce nella versione di Luca (23 ,34.46). 20 G . Schneider, Gli Atti degli Apostoli (Commentario teologico del Nuovo Testamento), Brescia 1 985, parte l, pp . 579 ss.

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Gli Atti degli Apostoli sono separati dagli eventi che raccontano da circa cinquanta anni: il parallelismo fra la morte di Stefano e quella di Gesù, che Luca intreccia alla trama stessa del racconto, ci informa sul punto di vista di Luca e della sua cerchia di lettori, non certo su quello di Stefano. Le Letterezt di Ignazio invece offrono l ' occasione di apprendere dalla viva voce di chi è ben deciso a versare il proprio sangue per la fede i propri timori e ragioni. Secondo Eusebio di Cesareazz, Ignazio fu vescovo di Antiochia nel periodo in cui era Imperatore Traiano (97- 1 1 7) e nel primo decennio del 11 secolo venne imprigionato e trasferito a Roma per essere giudicato dalla giustizia imperiale come in quel tempo era richiesto dalla legge per colo­ ro che possedevano la cittadinanza romana. Durante il penoso viaggio scrisse le sette lettere che rappresentano gli unici suoi scritti che possedia­ mo. Composte durante le soste a Smime e nella Troade, sono indirizzate - a parte una inviata a Policarpo vescovo di Smime - a varie Chiese del l ' Asia Minore. Lo stile particolarissimo, appassionato con punte di entusiasmo mistico, non deve far perdere di vista che le lettere non raccol­ gono lo sfogo di sentimenti e opinioni private, ma erano destinate alla let­ tura pubbl ica ed entravano nel merito dei confl itti interni e delle deviazio­ ni dottrinal i presenti nelle Chiese destinatarie. Le tinte forti con cui Ignazio descrive la sua prigionia, quasi un' anticipazione delle sofferenze future, l ' insistenza accalorata con cui mostra la sua determinazione nel voler morire. sono anche funzionali a fondare la sua autorità, a legittima­ re la funzione di arbitro dei conflitti all ' interno di Chiese che hanno già una loro gerarchia. Per questo afferma più volte che morire per Cristo significa diventare «vero discepolo»23 ; egli ancora non lo è, ma si trova in una situazione tale da partecipare già a quella condizione di assoluta auto­ rità. Così si rivolge ai romani, che potrebbero darsi da fare per evitargli la morte come talora accadeva: «Sto già lottando con le fiere dalla Siria a Roma, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, cioè il plotone dei soldati . Se li benefico diven­ tano peggiori. I loro maltrattamenti sono per me un allenamento, ma non per que­ sto sono giustificato. Possa godere delle altre belve preparate per me ; bramo che si gettino subito su di me ! Io le alletterò, perché mi divorino in un istante, e non 21 J . B. Lightfoot (ed.), The Apostolic Fathers, Part 11, London 1 889 (2 ed.), rist. anast. Hildesheim-New York 1 973. Una recente messa messa a punto sui principali nodi critici è Ch. Munier, Où en est la question d'lgnace d'Antioche? Bilan d'un siècle de recherches 1870- 1 988, in «A.N.R.W.>> Il, 27, l , 1 993, pp. 359-484 e C. Trevett, A Study oflgnatius ofAntioch in Syria and Asia, Lewiston-Queeston-Lampeter 1 992. 22

Storia ecclesiastica 3, 33.36.

23 Lettera agli Efesini 1 .3 ; Lettera ai Tralliani 5 .

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succeda - come a qualcuno - che, intimorite, neppure lo toccarono; se si mostras­ sero restìe, io le costringerò con la forza. Siate buoni ! Ora comincio a essere un vero discepolo . Nessuna cosa visibile ed invisibile mi impedisca di raggiungere Gesù Cristo. Il fuoco e la croce, le belve e gli strazi, le ferite, gli squarci, le slo­ gature, le mutilazioni, lo stritolamento di tutto il corpo, i più malvagi tormenti del demonio vengano su di me, purché io raggiunga Gesù Cristo» 24 .

Ignazio non utilizza ancora il tennine martirio in senso tecnico. Designa il destino che lo attende a Roma come «sostenere la lotta con le fiere» ; «soffrire» ; «morire per Dio»2s . Egli concepisce la morte che lo attende come inizio della vera vita e come un atto di consapevole imita­ zione della morte di Cristo: «Bello per me è morire per unirmi a Gesù Cristo, piuttosto che regnare fino ai confini della terra. È lui che cerco, lui che è morto per noi; è lui che io voglio, lui che è risuscitato per noi. Il mio parto è vicino. Perdonatemi fratelli; non impedi­ temi di vivere, non vogliate che io muoia . . . Lasciate che io riceva la luce pura, poiché quando sarò giunto là sarò veramente uomo. Concedetemi di essere un imitatore (IJ.L IJ.T]Tf)v) della passione del mio Dio » 26.

Ignazio ritiene che le sue sofferenze attuali e future siano un bene non soltanto per lui, ma anche per le Chiese. Per esprimere l ' idea che la sua condizione di incatenato per Cristo sia una forma di offerta sostitutiva e propiziatoria per la soluzione positiva dei contrasti e delle deviazioni dot­ trinali in cui si dibattono i suoi destinatari egli utilizza, come IV Maccabei, il termine àVT (t\J uxov27. Tuttavia Ignazio non afferma altrettanto chiara­ mente che la sua morte sia in grado di purificare i peccati : questa funzio­ ne è ora di Cristo, la cui passione può essere imitata, ma non certo per quanto riguarda gli stessi effetti salvifici. 4. La morte del filosofo Se potessimo ricostruire con precisione le date, potremmo immagina­ re l ' arrivo di Ignazio a Roma, mentre Tacito (55 d.C. 1 24/ 1 26? d.C.) stava componendo gli Annales dedicati alla storia politica e militare del­ l 'Impero romano negli anni fra il 69 al 96 d.C. Il punto di vista di Tacito era quello di un senatore romano e di un alto funzionario dell ' Impero che, -

Lettera ai Romani 5. 2 5 Lettera agli Efesini l ; Lettera ai Romani 8.

24 26

27

Lettera ai Romani 6,1 -3. Lettera agli Efesini 2 1 , 1 ; Lettera agli Smirnesi 10, 2; Lettera a Policarpo 2, 3; 6, l .

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pur rimpiangendo l ' antica libertas repubblicana, riteneva ormai il gover­ no di uno solo un 'inevitabile necessità. Questo tuttavia non gli impedì di vedere e descrivere con amara lucidità le debolezze, l ' incapacità politica, le passioni sfrenate, la corruzione degli Imperatori e della loro cerchia familiare, gli effetti devastanti della tirannia su una classe dirigente imme­ more delle antiche virtù di onore, dignità, autocontrollo. Non mancavano però le eccezioni e fra queste Seneca, il filosofo stoico, già maestro di Nerone, che venne accusato di aver preso parte alla congiura di Pisone per uccidere l ' Imperatore. Tacito descrive dettagliatamente le ultime drammatiche ore. Quando arrivò l ' ordine di porre fine alla vita, Seneca rimase imperturbabile. Gli venne impedito di scrivere il testamento ed egli, rivolgendosi agli amici presenti, li consolò dicendo che «lasciava loro in eredità l 'unica cosa rimastagli, ch 'era però la più bella: l ' immagine della propria vita. Se non l ' avessero dimenticata, avrebbero avuto in premio di una così costante amicizia ]a gloria che deriva dalle virtù»28. Dopo essersi tagliato le vene, nell'estremo momento, non gli venne meno l ' eloquenza e chiamò i suoi scrivani per dettare un testo che quando Tacito redigeva gli Annali era tal­ mente conosciuto da fargli ritenere inutile riportarlo. Il racconto si soffer­ ma, con la precisione dell' anatomopatologo, sulla descrizione della mor­ te: dalle vene del braccio il sangue non defluiva abbastanza in fretta e fu necessario aprire quelle delle gambe e delle ginocchia. Anche così la morte tardava e Seneca chiese ad un amico il veleno «con cui si estingue­ vano in Atene i condannati da pubblico giudizio». Ormai la circolazione sanguigna era troppo lenta perché il veleno fosse efficace e il filosofo domandò allora di essere immerso in una vasca d'acqua calda per facili­ tarla e «spruzzandone i servi più vicini, disse ancora che offriva quella libagione a Giove liberatore». Fu trasferito infine in un bagno a vapore e lì infine spirò. La narrazione di Tacito erige un monumento alla coerenza fra vita e filosofia: una filosofia che insegnava il dominio delle passioni, il distacco da tutto ciò che non dipendeva dali ' esercizio della virtù, la libertà dal timore della morte, la liceità del suicidio quando le condizioni di vita diventavano intol lerabili. Il caso di Seneca dimostrava che perfino sotto la tirannia più feroce era possibile mostrarsi fedele ai propri princìpi. Come la morte di Gesù dava significato a quelle di Stefano e Ignazio, così dietro il racconto di Tacito si profila un 'altra morte : quella di Socrate, anch' egli vittima di una tirannia. Il riferimento al Fedone di Platone emer­ ge in più punti del testo. Il veleno richiesto da Seneca per accelerare la 28 Annali 1 5 , 62,

l (tr. A.

Arici, Torino 1 9692).

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morte è la cicuta, lo stesso di Socrate. Il filosofo ateniese prima di morire raccomandò agli amici e discepoli presenti di sacrificare un gallo ad Asclepio, il dio medico, in quanto con la morte i l filosofo è liberato dalla malattia di questa vita29. Seneca, dal canto suo, offre simbol icamente il proprio sangue come libagione a "Giove liberatore". Muore, come So­ crate, attorniato dagli amici cui rivolge parole di conforto e discorsi di commiato ricordando loro i punti essenziali della sua filosofia. Tacito non è il solo ad essersi ispirato al Fedone per descrivere la morte del suo eroe: Plutarco, un suo contemporaneo, si comporta in modo simi­ le per descrivere il suicidio di Catone l 'Uticense, anch 'egli stoico e oppo­ sitore della tirannia. Entrambi si ispiravano a tradizioni riguardanti le mor­ ti di uomini illustri che facevano parte del bagaglio culturale di ogni buon retore. Lo stesso Seneca fornisce all' amico Lucilio un certo numero di exempla di valorosi che sono morti per la patria o per salvaguardare la loro libertà interiore3o, tra cui quella di Socrate e Catone l 'Uticense. L' apo­ logetica cristiana ricorrerà agli stessi exempla per sostenere il diritto dei martiri cristiani ad ottenere la stessa ammirazione. Circolavano anche scritti appositamente dedicati all 'argomento, per noi perduti, ma i cui tito­ li sono ricordati, tra gli altri, da Plinio il Giovane che in una sua lettera menziona un 'opera di Caio Fannio dedicata agli «exitus occisorum aut re­ legatorum a Nerone» e un' altra di Titinio Capitone, Exitus illustrium viro­ rum. Verso la metà del m sec. d.C. Diogene Laerzio ricorda una raccolta di TE ÀEUTa( (= morti) attribuendola ad Ermippo di Smirne, un autore del m sec. a.C.3 ' . S i tratterebbe dunque di un genere molto antico, ma che nel I sec. d.C. venne rivitalizzato dal l ' intreccio con la filosofia stoica sia per la rilevanza che in essa aveva il tema della meditazione sulla morte, sia per la presenza fra gli stoici di molti oppositori alla tirannia il cui coraggio nel­ l' affrontare l ' ora estrema poteva essere un 'efficace leva propagandistica per la stessa scuola stoica e per l' aggregazione del dissenso politico. 5. Giudaismo ? Cristianesimo? Ellenismo ? Ho fin qui evitato di proposito di servirmi del termine martirio, perché nei testi che abbiamo analizzato l 'espressione non compare con il signifi­ cato che ora le attribuiamo. Tuttavia essi aprono prospettive interessanti per comprendere nella giusta luce un problema che affiora sovente nella 29

Fedone 1 1 8 a. Lettera a Lucilio 24. 3 1 A. Ronconi, Exitus illustrium virorum, in Reallexicon fiir Antike und Christentum, Bd. Stuttgart 1 966 , pp. 1 258-1 268. 30

VI,

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L'agiografia cristiana antica

bibliografia dedicata allo studio scientifico della letteratura "specializza­ ta" dedicata ai martiri cristiani. Il problema è quello delle "origini"; le "origini" di una forma letteraria e dell 'ideologia di cui essa è espressione. W.H.C. Frend, in uno studio del 1 965 che rimane un punto di riferimen­ to, in chiusura alla parte dedicata allo studio del martirio nel giudaismo, affermava che nessun altra religione aveva dato una così grande importan­ za al martirio a tal punto da poter essere definita «a religion of martyr­ dom». Aggiungeva che a partire dal regno di Antioco IV Epifane e dalla fissazione dell' ideale del martirio nel testo di 1 e 11 Maccabei cominciaro­ no a diffondersi le idee che avrebbero influenzato profondamente la Chiesa antica: «Senza i Maccabei e senza Daniele difficilmente sarebbe stata concepibile una teologia cristiana del martirio»32. E pur ammettendo che nel mondo ellenistico contemporaneo vi era una crescente enfasi sul valore del sacrificio di se stessi per la filosofia o la nazione, al termine di una breve presentazione dei passi principali, lo studioso inglese conclude­ va che se si considera il martirio come testimonianza resa a Dio «i cri­ stiani si ispirarono quasi esclusivamente a modelli giudaici»33. All 'estremo opposto, troviamo la posizione di G.W. Bowersock e­ spressa in un volume più recente del 1 995 , che pur non essendo parago­ nabile al primo per ampiezza di indagine, ha però suscitato un certo dibat­ tito in quest' ambito di studi. Dopo aver trattato degli Atti dei martiri, afferma che il cristianesimo doveva i suoi martiri ai mores e alla struttura dell'Impero e non alla cultura del Vicino Oriente semitico ove il cristia­ nesimo era nato. Osserva inoltre che lo stesso termine "martire", nel senso che la tradizione gli attribuì, come vedremo fra breve, a partire dalla se­ conda metà del II secolo, non avrebbe nulla a che fare con il giudaismo e con la Palestina, mentre sarebbe profondamente influenzato dalle tradi­ zioni, il linguaggio, i gusti culturali del mondo greco-romano34. S arebbe fuori luogo ora analizzare in dettaglio le rispettive argomen­ tazioni ; mi interessa sottolineare come, per quanto discordi nelle tesi di fondo, ambedue mostrino la stessa sicurezza nel ritenere di poter distin­ guere nettamente ciò che è "giudaico", "cristiano" e "ellenistico". La bre­ ve panoramica dei testi che ho presentato ci mette di fronte ad un panora­ ma ben più complesso.

32 W.H.C. Frend, Martyrdom and Persecution in the Early Church, Oxford 1955, p. 3 1 . 3 3 /bi' p . 65. 34 G.W. Bowersock, Martyrdom and Rome, Cambridge 1995, p. 28. M. Rizzi, Martirio cristiano e protagonismo civico: rileggendo "Martyrdom & Rome " di G. W. Bowersock, in C. Bearzot-A. Barzanò (eds.), Modelli eroici dall'antichità alla cultura europea, Roma 2003, pp. 3 1 7-340; E. Zocca, Modelli-martirio-santità: un rapporto multidirezionale, in 14 (2008), pp. 378-38 1 .

Capitolo primo

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Non c'è dubbio che l 'autore di IV Macca bei fosse un ebreo fedele alla sua tradizione religiosa; tuttavia era anche un retore che si esprimeva in greco, con forti simpatie verso la filosofia stoica; da essa prendeva gli strumenti concettuali per presentare la morte di Eleazaro e degli altri come espressione della ragione filosofica. La virtù stoica del dominio del­ le passioni acquistata attraverso l ' esercizio della ragione rendeva possibi­ le la sottomissione alla Legge che richiedeva di vivere con temperanza e, se necessario, di morire con coraggio pur di non tradirla. Ora l ' autore di IV Maccabei non ci appare più (a prescindere dal livello artistico della rea­ lizzazione letteraria) così lontano da Tacito, che presenta la morte di Seneca come modello della morte "razionale" del filosofo. Non mancano del resto interpretazioni che vedono il racconto del Fedone sullo sfondo anche di IV Maccabei35. Va anche notato che IV Maccabei e gli Annali pre­ sentano anche analogie letterarie nella scelta delle azioni drammatiche e dei temi; la messa in scena della morte, per esempio, comporta per entrambi la presenza di discorsi che hanno il compito di richiamare i prin­ cipi fondamentali che ispirano l ' agire dell'eroe; vi è lo stesso gusto maca­ bro nel rappresentare in dettaglio le sofferenze. Non si vuole certo affer­ mare una dipendenza fra i due testi, ma soltanto sottolineare come la con­ divisione di una stessa tradizione culturale in cui si era affermato un certo modo di descrivere la morte di grandi uomini e di filosofi abbia prodotto testi che presentano - pur nella loro diversità di pubblici e di intenti molte analogie36. Se una netta distinzione fra giudaismo ed ellenismo appare complica­ ta, le cose sono, se possibile, ancora più difficili per quanto riguarda il giudaismo e il cristianesimo. Come ho già sottolineato, il modo di Marco di raccontare la morte di Gesù non potrebbe essere più diversa da IV Maccabei, tuttavia ambedue i testi danno la stessa risposta ad una doman­ da cruciale: perché Eleazaro e Gesù non si sono sottratti alla morte? Ambedue ritengono che la loro morte abbia valore espiatorio, per il primo, dei peccati del popolo ebraico, il secondo - almeno nella versione di Marco - ritiene necessario versare il proprio sangue "per molti". L' idea è nella Bibbia (ls 53 , 12), il libro che era alla base della vita e della rifles­ sione religiosa degli ebrei di lingua greca e aramaica, quelli che avevano creduto in Gesù e quelli che non vi avevano creduto.

35 T. Raj ak, Dyingfor the Law: The Martyr's Portrait, in M.J. Edwards-S. Swain (eds.), Portraits. Biographìcal Representation in the Greek and Latin Lìterature of the Roman Empire, Oxford 1 997, pp. 39-67. 36 Una selezione di testi in J.W. v an Henten-F. Avemarie , Martyrdom and Noble Death, London­ New York 2002.

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L'agiografia cristiana antica

L'autore del racconto della morte di Stefano - fra gli evangelisti colui che sembra avere avuto una più solida formazione letteraria - utilizza moduli narrativi della storiografia grecoromana; ne è un segno la perfor­ mance oratoria di Stefano; come per Seneca quella di Socrate, la morte di Stefano allude ad un' altra morte che la illumina e le dà senso: quella di Gesù, a sua volta presentata ali ' interno di una "lista" di altre morti illustri che servono a distinguere gli ebrei traditori di Mosè e assassini dei profe­ ti, da quegli altri vittime, ma eredi del vero giudaismo. Le Lettere di Ignazio rappresentano un caso a parte in quanto non sono un testo narrativo; sono state riportate soltanto perché offrono l 'opportu­ nità rara di apprendere dalla viva voce di un vescovo che si appresta a morire per Cristo le sue opinioni sull' argomento. Nelle Lettere osservia­ mo una mescolanza di temi ancora diversa: accanto al tema della morte per Cristo come imitazione consapevole della sua passione, persiste l' idea che la propria morte serva come scambio per il miglioramento della vita interna delle chiese. Ma il riferimento non può che rimanere generico, perché la funzione espiatoria è assolta dalla morte di Cristo e non vi può essere competizione su questo punto. Siamo di fronte ad una pluralità di interpretazioni e di intrecci di fron­ te ai quali, come sostiene Daniel Boyarin che ha esplorato il giudaismo rabbinico di età imperiale37, sarebbe più corretto ragionare non in termini di influenza, ma di interazione, non di polemica, ma di scambio, non di opposizione canonico/non canonico, ma guardando alla dinamica costan­ te fra cultura orale e scritta, fra religioso e secolare. In tale prospettiva i confini fra i diversi gruppi religiosi vengono continuamente rinegoziati sulla spinta degli eventi e degli incontri nello spazio sociale delle città me­ ditarrenee, della preparazione culturale personale, del particolare punto di vista da cui si guarda alla tradizione che si ritiene di condividere. In effet­ ti, è una forzatura non solo pensare al giudaismo, al cristianesimo e all 'el­ lenismo come realtà chiaramente distinguibili, ma anche pensare ciascu­ na di essa come entità monolitiche e uniformi.

37 D. Boy ari n. Dying for God. Martyrdom and the Making of Christianity and Judaism, Stanford 1 999; J.W. van Henten, The Martyrs as Heroes of the Christian People. Some Remarks on the Continuity between Jewish and Christian Martirology, with Pagan Analogies, in M. Lamberigts-P. van Deun (eds.), Martyriurn in Multidisciplinary Perspective. Memoria/ Louis Reekmans, Leuven 1 995, pp. 303-322.

CAPITOLO SECONDO

l . Testimoni, martiri, confessori: la formazione di un lessico specializzato

Nella ricorrenza forse del primo anniversario del martirio del proprio vescovo Policarpol , la Chiesa di Smime inviò una lettera alla Chiesa di Filomel io contenente il resoconto degli avvenimenti. Policarpo era morto il 22 o 23 febbraio del 1 56 o del 1 57 , secondo la data ritenuta più proba­ bile. Questo testo riveste un' importanza particolare: è il testo più antico della letteratura cristiana dedicato a tale argomento e conterrebbe l a prima attestazione del significato di martirio nel senso in cui oggi lo intendiamo: una testimonianza di fede che implica non solo la confessione di fede a parole, ma anche azioni precise: sofferenze e morte2. Si tratta di u ri a spe­ cializzazione rispetto all'uso comune. Nel linguaggio giudiziario e storia­ grafico, i termini martyreo, martyria, martyrion, martys avevano a che fare con l' accertamento dei fatti, attraverso il ricorso a testimoni o a pro­ ve. In ambito religioso significava una professione di fede. Ad esempio secondo Isaia 43 , 1 0 . 1 3 nella versione greca dei LXX, martyres sono colo­ ro che testimoniano l 'unicità di Dio. Gli smimesi iniziano il loro racconto con queste parole che meritano di essere riportate estesamente: «Vi abbiamo scritto, fratelli, per narrarvi la vicenda di quanti hanno testimoniato (martyresantas) e del beato Policarpo che, come se vi mettesse un sigillo, con la sua testimonianza (martyria) pose fine alla persecuzione. Infatti, quasi tutti gli avvenimenti precedenti ebbero luogo, affinché il Signore potesse mostrarci dal­ l ' alto quale sia la testimonianza secondo il Vangelo».

1 Martirio di Policarpo 1 8 , 3 . Atti e Passioni dei martiri. Introduzione di A.A.R. Bastiaensen. Testo critico e commento a cura di A.A.R. Bastiaensen, A. Hilhorst, G.A.A. Kortekaas, A.P. Orban, M.M. van Assendelft. Traduzioni di G. Chiarini, G.A.A. Kortekaas, G. Lanata, S. Ronchey, Milano 1 987, di cui utilizzo, con qualche modifica, la traduzione. Sulle principali questioni critiche: B. Dehandschutter, The Martyrium Polycarpi : a Century of Research, in «A.N .R. W.>> 27, l , pp. 585-622. 2 Sulla storia del lessico martiriale: H . Delehaye, Sanctus. Essai sur le culte de.f saints dans l'an­ tiquité, Bruxelles 1 927, pp. 76- 1 2 1 ; B. Dehandschutter, Le martyre de Polycarpe et le développement de la conception du martyre au deuxième siècle, in Studia Patristica XVIJ, 3, Leuven 1 993, pp. 659668; E. Zocca, Modelli-martirio-santità: un rapporto multidirezionale, in «Adamantius» 1 4 (2008), pp. 378 -394.

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L'agiografia cristiana antica E poco oltre:

«Beate e nobili sono dunque tutte le testimonianze (martyria) che si sono verifi­ cate secondo la volontà di Dio. Perché bisogna che noi si sia molto prudenti e si attribuisca a Dio il potere su tutto . Infatti, chi potrebbe non ammirare il loro coraggio, la loro pazienza e il loro amore verso il Signore? Lacerati dalle sferze a tal punto che si poteva vedere la costituzione della carne fino alle vene interne e alle arterie, essi resistevano a tal punto che anche gli spettatori piangevano per la compassione; e sono giunti a tal punto di coraggio, da non emettere parola, né lamenti, dimostrando a tutti noi che in quell ' ora, mentre erano sottoposti a tortu­ ra. i valorosissimi testimoni di Cristo erano assenti dalla carne o, meglio, era pre­ sente il Signore che s' intratteneva con loro. Prestando attenzione alla grazia di Cristo essi disprezzavano le torture di questo mondo e con una sola ora si procu­ ravano la vita eterna»3.

Ho usato volutamente espressioni quali "testimone", "testimonianza", perché, ricorrendo ai termini "martirio" e "martire" che nel nostro lin­ guaggio sono così strettamente ed esclusivamente collegati al versamento di sangue, si suggerisce inevitabilmente uno stadio dello sviluppo della dottrina e del linguaggio sui martiri che, come è stato osservato4, potreb­ be non essere pienamente ancora quello del testo relativo a Policarpo. Pur ammettendo in questa fase ancora una certa ambivalenza, non c'è dubbio però che, rispetto ai testi del I sec., qui la "testimonianza" includa e non sia soltanto una premessa del versamento di sangue, come invece leggia­ mo ad esempio nei Vangeli, negli Atti degli Apostoli e ne l l Apocalisse Mi riferisco in particolare ali ' annuncio di Gesù ai discepoli che sarebbero stati consegnati ai sinedri, percossi nelle sinagoghe, processati davanti ai governatori «per rendere testimonianza (martyria) davanti ad essi» (Mt 10, 1 8-20; Mc 1 3 ,9; Le 2 1 , 1 3). Lo stesso racconto del processo di Gesù è il resoconto di una "testimonianza" (Mc 1 3 ,63) sfociata nella tortura e nel­ la morte. L'autore degli Atti degli Apostoli afferma che «Si versava il san­ gue di Stefano, tuo (se. del Signore) testimone» (At 22,20). L'Apocalisse colloca «sotto 1 ' altare (se. del tempio celeste) le anime di coloro che sono stati ucc isi a causa della parola di Dio e della testimonianza da loro data» (Ap 6,9). Sempre nell Apocalisse coloro che «sono stati decapitati a causa della testimonianza di Gesù e la parola di Dio sono destinati al regno millenario escatologico» (Ap 20,4 ). '

'

.

,

3 Martirio di Policarpo l , l ; 2, 1 -3. 4 G. Buschmann, Das Martyrium des Polycarp (Kommentar zu den apostolischen Viitem), Gottingen 1 998, pp. 1 00- 1 0 1 ; E. Zocca, Dai santi al santo: un percorso storico-linguistico intorno

all'idea di santità, Africa romana, secc. 2-5, Roma

2003.

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Capitolo secondo

L' inclusione semantica che osserviamo nella Lettera degli Smirnesi è frutto di un lento processo in cui un parallelismo costante di esperienze, di significati e di usi linguistici veniva coagulandosi in unico termine e in un unico concetto. Se lo sfondo più generale di tale maturazione era il dia­ logo con altri gruppi religiosi sul tema della morte eroica, spingevano nella stessa direzione anche questioni interne. Fra queste, la pressione esercitata dal confronto con una pluralità di interpretazioni relative alla martyria in quanto imitazione consapevole di quella di Cristo. Gli Smimesi insistevano sul fatto che la testimonianza di cui scrivevano era avvenuta «secondo il Vangelo»s ; i martyres sono discepoli e imitatori del Signore6; sottolineare le sofferenze dei martiri e legarle più strettamente alla martyria significava affermare anche per questa via che la sofferenza e la morte di Cristo era state reali e non apparenti come insistevano alcu­ ni gruppi attivi in Asia Minore contro cui si era battuto anche Ignazio di Antiochia7. Accanto ad essi e forse in parte coincidenti, altri gruppi gno­ stici o gnosticizzanti mettevano in discussione che la testimonianza mani­ festa della propria fede dovesse necessariamente aggiungersi a quella interiore. In questo senso sottolineare come le sofferenze facessero parte integrante della martyria, significava insistere sulla necessaria coerenza fra fede e azioni. Una sottolineatura questa, come ho già notato, che era il vanto e stru­ mento di propaganda delle scuole filosofiche nel primo secolo e che nelle Dissertazioni di Epitteto, un filosofo stoico che sotto l ' Imperatore Do­ miziano (8 1 -96) fu costretto insieme ad altri intellettuali ad abbandonare Roma, si riflette proprio nell 'uso non infrequente dello stesso gruppo di termini legati alla martyria del filosofo. Secondo Epitteto, il saggio è "testimone" della filosofia quando mostra una coerenza assol uta fra vita e dottrina anche se ciò implica la prigione e l'esilios. Anche in questo caso non intendo indicare origini o influenze, quanto sottolineare la traccia di una possibile osmosi fra ambienti culturali solo all ' apparenza separati. In un testo di poco successivo ( 1 77) viene usata una terminologia per certi versi ancora simile a quello della Lettera degli Smirnesi, però con elementi di novità che accompagnano una maggiore articolazione del­ l ' esperienza delle Chiese sotto la pressione delle persecuzioni. Si tratta della Lettera de { cristiani di Lione e Vienna (in Gallia) indirizzata ai fra5 Martirio di Poli carpo l , l ; 1 9 , l .

6 Martirio di Policarpo 1 9 3. 7 A. Faketta, From Jesus to Polycarp: Rejlections on the Origins o.f Christian Martyrdom, ìn Il martirio volontario. Una storia condivisa neli ' ebraismo, nel cristianesimo e nel/ 'islam, ìn «Cristìa­ nesirno nella storia» 27(2006), pp. 86 ss. 8 Dissertazioni l , 29, 56; Jll, 24, 1 1 1 - 1 1 3. ,

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L 'agiografia cristiana antica

telli d ' Asia e di Frigia con il resoconto di quanto loro avvenuto durante la persecuzione. In un punto non meglio precisabile di questa lettera di cui possediamo soltanto le ampie citazioni presenti nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, si afferma: «A tal punto si fecero seguaci e imitatori di Cristo ( ... ) che pur partecipando di tale gloria e avendo testimoniato non una, né due, ma tante volte, anche venendo riportati in carcere dopo ripetute esposizioni alle belve, pur avendo il corpo cosparso di ustioni, lividure e ferite, essi non si proclamarono da soli martyres, né ci permettevano di chiamarli con questo titolo, anzi muovevano aspri rimpro­ veri se qualcuno di noi, per lettera o a voce li definiva tali. Volentieri infatti cede­ vano la denominazione di testimonianza al "testimone fedele e veritiero" (Ap 3 , 1 4) e "primogenito tra i morti" (Ap l ,5) e origine della vita in Dio (cfr. Ap 3, 1 5) e, ricordando i martyres che li avevano preceduti, dicevano "Quelli sono già mar­ tyres, quelli che, avendo confessato (È. v TTI Ò f.l O À.oy ( c;t ) . Cristo considerò degni di essere assunti in cielo, suggellando con la loro morte la testimonianza (aim;iv oLà Tfjs Èçooou T�v f.i.GpTup(av), noi invece siamo mediocri e umili confesso­ ri (Òf.lÙÀoyoL)". E tra le lacrime invocavano i confratelli pregando che si facesse­ ro fervide preghiere perché fosse concesso loro di raggiungere la perfezione»9. Una lettura di questo testo avulso dal resto delle Lettera potrebbe sug­ gerire di essere di fronte ad una evidente specializzazione della termino­ logia: i martyres sarebbero esclusivamente coloro che hanno versato il sangue, mentre gli omologai sarebbero quelli che hanno confessato la loro fede davanti all ' autorità e dato prova di determinazione e coraggio nel sopportare le torture che tale dichiarazione implicava. C'è chi ha osserva­ to che in altri punti del testo vengono considerati già appartenenti alla schiera eletta dei martiri coloro che avevano confessatolO, anche se questo potrebbe significare soltanto che chi scriveva conosceva già l 'esito di tale confessione u . In ogni caso, la martyria è qui presentata come una pro­ gressione che comprende momenti distinti : vi è la confessione - «la con­ fessione (omologia) della martyria » 12 - e la morte: «la testimonianza della morte » l 3 che riecheggia la frase messa in bocca a quei cristian i che rifiutavano per sé il titolo di martyres. Ad ambedue i momenti può appli­ carsi il termine di testimonianza, ma essa non può essere perfetta senza la morte di chi ha testimoniato. 9 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5, 2, 2-3. I O Storia ecclesiastica 5. 1 , 10. 16.24.29. Cfr. J. Ruysschaert, Les "martyrs " et les "confesseurs " de la Lettre des Églises de Lyon et de Vienne, in Les martyrs de Lyon ( 1 77), Paris 1 978, pp. 155- 1 66. I l V. Saxer, Bib/e et hagiographie. Textes et thèmes bibliques dans /es Actes des martyrs authen­ tiques des premiers siècles, Beme-Frankfurt arn Main-New York 1 986, p. 6. I i Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica 5, l , I l . 1 3 /bi, 5, l , 36: Tà �apTup(a Tfis È €ooou aÙTwv.

Capitolo secondo

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Un ' ultima precisazione è necessaria a proposito di omologo i: in que­ sto contesto è un apax e nel suo significato abituale - essere d' accordo, esprimersi con le stesse parole - non dà senso. La tradizione manoscritta ha avvertito l ' incongruenza e i diversi ms. hanno tentato di correggere il termine ritenuto corrotto con altri che sembravano dare più senso t4. È possibile che qui il termine venga utilizzato come semplice deriva­ zione da omologia che viene citata poco prima; di qui la traduzione "con­ fessori". Tuttavia questo uso rischia di riverberare sul testo un significa­ to tecnico successivo, legato al termine O f!OÀOYfiT� S' , e d i far propria in modo acritico la prospettiva di Eusebio di Cesarea che, dopo aver larga­ mente citato la Lettera, conclude distinguendo chiaramente, fra le vitti­ me della persecuzione di Lione e Vienna, i martiri - coloro che erano morti a causa della confessione - dai confessori che invece erano soprav­ vissuti ad essa. Eusebio, in effetti, scriveva in un momento in cui il lessico del marti­ rio era definitivamente fissato; già dal III sec. i martiri erano nettamente distinti dai confessori (in latino confessores) come attesta una lettera di Cipriano, vescovo di Cartagine (248-25 8), che, durante la persecuzione di Decio (250-25 1 ), raccomanda ai propri fedeli di occuparsi della sepoltura di coloro che hanno «gloriosamente confessato il Signore» e però sono morti in carcere e li esorta a segnare il giorno della loro morte per poter­ ne celebrare la memoria insieme a q uella dei martiri. La preoccupazione pastorale di Cipriano nei confronti di una situazione in cui i confessori non ricevevano l ' attenzione dovuta, lo spingeva a mettere in ombra le dif­ ferenze fino ad affermare che la «gloria del martirio» era perfetta anche nel caso in cui la morte sopraggiungeva prima di compiere il martirio desiderato t s . Nello stesso tomo di tempo, Origene ( 1 85-26 1 ?) faceva notare come l'uso biblico del termine martys si fosse trasformato nell' uso delle Chiese: «Chiunque rende testimonianza alla verità, sia a parole, sia a fatti o adoperando­ si in qualche modo in favore di essa, si può chiamare a buon diritto "testimone" . Ma il nome di "testimoni" in senso proprio (se . martiri), la comunità dei fratelli, colpiti dalla forza d'animo di coloro che lottarono per la verità o la virtù fino alla morte, ha preso la consuetudine di riservarlo a quelli che hanno reso testimonian­ za al mistero della vera religione con l'effusione del sangue, mentre il Salvatore chiama con il nome di "testimone" (cfr. fs 43, 1 0 ; At 1 ,8) chiunque rende testimo­ nianza alle verità annunziate intorno a lui» l 6. 14 lS

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Cfr. apparato dell 'edizione critica di E. Schwartz, Leipzig 1903 , vol. 1, p. 428 . Cipriano di Cartagine, Lettera 1 2, 1 .2. Origene, Commento al Vangelo di Giovanni 2, 34, 2 1 0 (tr. E. Corsini, Torino 1 968).

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L 'agiografia cristiana antica

Va però anche sottolineato (e in fondo anche le osservazioni origenia­ ne vanno in questo senso) che, per quanto la distinzione fosse chiara, ciò non signifi c a che essa venisse applicata ovunque con la stessa precisione e spesso l ' appellativo onorifico di martys veniva attribuito anche ai con­ fessori. Fra n e m secolo registriamo anche un ampliamento del significato della testimonianza/martirio. Esso emerge con chiarezza negli Stromati di Cle­ mente Alessandrino ( 1 50-2 1 5 ?). Questi sviluppi maturarono in un clima culturale in cui si scontravano interpretazioni diverse sul martirio in quan­ to testimonianza di fede resa davanti alle autorità e in quanto versamento di sangue. Vi era chi, come gli gnostici, toglievano ogni valore salvifico al­ l ' una e all ' altro. Ritenevano, infatti, che il martirio come imitazione della morte di Cristo non avesse senso, in quanto egli non era venuto per offrir­ si in sacrificio e per espiare i peccati dell' umanità, ma per sconfiggere le potenze demoniache che dominano il mondo. Lo gnostico, chiamato a te­ stimoniare la sua fede proprio davanti all' autorità terrena che egli riteneva demoniaca, si sentiva autorizzato a nascondere la sua vera identità - cioè l ' appartenenza al mondo divino - che, sola, gli garantiva la salvezza. D ' altro canto, l'esaltazione e la venerazione da cui i martiri erano circon­ dati, rischiava di spingere in un cono d'ombra altri modelli di perfezione che esigevano una valorizzazione e un riconoscimento sociale - e la con­ seguente leadership - all'interno delle Chiese al cui interno erano sempre più numerose le persone in possesso di un' approfondita educazione lette­ raria e filosofica. Mi riferisco ai modelli di perfezione predicati dalle scuo­ le filosofiche implicanti pratiche ascetiche quali il distacco dalle cose sen­ sibili, l'esercizio della razionalità, il dominio delle passionit7. Su questo sfondo dominato dal conflitto delle interpretazioni Clemente difende con­ tro gli gnostici la validità della martyria come testimonianza davanti al giu­ dice e morte conseguente, ma afferma che essa può indicare anche l ' intera forma di vita, se conforme a determinate condizioni: «Se dunque la confessione in Dio è testimonianza, ogni anima che abbia eserci­ tato la propria condotta di vita in purezza e con conoscenza di Dio e abbia ubbi­ dito ai comandamenti, è martire con la vita e con la parola in qualunque modo si allontani dalla vita, versando quale sangue la fede per tutta la vita e soprattutto nella morte» t 8 •

17 P. Hadot, Esercizi spirituali e .filosofia antica, nuova ediz. ampliata Torino 2005. 18 Clemente Alessandrino, Stromati 3, 1 5 , 3; cfr. Marco Rizzi, Martirio cristiano e protagonismo civico: rileggendo "Martyrdom & Rome " di G. W. Bowersock, in C. Bearzot-A. Barzanò (eds.).

Modelli eroici dall'antichità alla cultura europea, Roma 2003, pp. 3 1 7-340 e M. Rizzi, Il martirio come pragmatica sociale in Clemente Alessandrino, in «Adamantius» 9(2003), pp. 60-66.

Capitolo secondo

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Per quanto maturata in circostanze storiche specifiche, l'idea che una vita di perfezione morale e religiosa potesse essere definita come martirio trovò un terreno fertile già nel corso del m secolo e soprattutto nel IV per descrivere e sostenere la diffusione di altri modelli di santità. 2. Atti e Passioni dei martiri: una breve panoramica La raccolta di testi più usata per l ' affidabilità filologica e per l ' ampiez­ za e perspicuità del commento è quella di Herbert Musurillo19. Essa copre l' arco cronologico che va dalle persecuzioni del n secolo fino a quella di Diocleziano e comprende 28 documenti che l 'editore considerava «i più attendibili» o, nei casi più dubbi, almeno «estremamente importanti e i­ struttivi»2o. Pur segnalando le acquisizioni più recenti della ricerca, pren­ derò l 'edizione di Musurillo come punto di partenza per offrire una prima descrizione dei testi più sicuramente databili e su cui tornerò più volte nel corso di questo capitolo. È necessaria una precisazione preliminare. Nell ' indice dei testi sele­ zionati dali 'editore si alternano due titoli: Atti e Passioni. Il primo è riser­ vato a quei documenti che contengono testi brevi e drammatici, basati sul dialogo del martire con il magistrato e privi di sviluppi descrittivi. Le Passioni, invece, accanto al processo, danno ampio spazio a considerazio­ ni didattiche e teologiche. Tuttavia se si va a vedere i titoli tramandati dalla tradizione notiamo che la distinzione non è così rigida. Nella stra­ grande maggioranza dei casi gli stessi termini f!apn)pLov e passio titola­ no testi appartenenti sia all ' uno sia all ' altro tipo, eccetto quelli relativi al processo di Cipriano, Acta proconsularia, e a quelli di Massimiliano e di Marcello, Acta. La tradizione manoscritta riflette l 'uso antico che utiliz­ zava per uni e per gli altri i titoli di martyria o passiones o gesta. L' esposizione di questa breve panoramica dei testi seguirà un criterio geografico che consente, meglio di quello cronologico adottato dal Mu­ surillo, di radicarli nel loro contesto storico e di metteme in luce le dipen­ denze reciproche. 1 9 The Acts of the Christian Martyrs, Oxford 1 972; altre edizioni critiche, oltre a quella citata so­

l ): R. Knopf-G. Kriiger-G. Ruhbach, Ausgewiihlte miirtyrakten, Neubearbeitung der Knopf schen Ausgabe von G. Kriiger. Vierte Auflage rnit einern Nachtrag von G. Ruhbach, Tiibingen 1 965. Presentazioni generali: H. Delehaye, Les Passions des martyrs et les genres littéraires, Deuxième édi­ tion, revue et corrigée, Bruxelles 1966. Sulla tradizione latina: W. Berschin, Biographie und Epochenstil im lateinischen Mittelalter, Bd. 1: Von der Passio Perpetuae zu den Dialogi Gregors des Grossen, Stuttgart 1 988, pp. 33-1 10; F. Scorza Barcellona, Agli inizi dell'agiografia occidentale, in G. Philippart (sous la direction de), Hagiographies. Histoire internationale de la littérature hagiogra­ phique latine et vernaculaire en Occident des origines à 1550, t. 111, Turnhout 200 1 , pp. 1 7-97 . pra (n.

20 Musurillo, cit. ,

X li .

36

L'agiografia cristiana antica

2. 1 .

Oriente. Asia minore

La Lettera della Chiesa di Smime descrive le vicende che portarono al l ' arresto e poi alla morte di Policarpo. In un primo momento, aderendo alla richiesta dei suoi, egli fugge dalla città e si rifugia in campagna. Là, mentre è immerso nella preghiera, ha una visione che gli permette di pro­ fetizzare la propria morte sul rogo. Fuggito anche da questo suo primo nascondiglio, si trasferisce in un altro podere; ma il tradimento di un servo lo fa scoprire. A questo punto Policarpo, pur avendo una via di fuga, deci­ de di farsi prendere. Dopo aver di nuovo pregato a lungo, viene issato su un asino e riportato in città. Prima di arrivarvi, viene sottomesso ad un primo interrogatorio da parte del capo della polizia Erode che cerca di persuaderlo a sacrificare. Policarpo rifiuta e viene introdotto nello stadio per comparire davanti al proconsole che tenta anch' egli di indurlo a giu­ rare sulla fortuna dell 'Imperatore. Dopo un breve colloquio, il proconso­ le ordina all 'araldo di annunciare alla folla che Policarpo ha confessato di essere cristiano. I gentili e gli ebrei presenti si scatenano e chiedono a gran voce che sia arso vivo. Una volta acceso il rogo, le fiamme si dispon­ gono a vela intorno al suo corpo, così che viene ordinato di ucciderlo con la daga. Secondo l ' attestazione di tutta la tradizione ms greca e latina, dal suo corpo uscì una colomba e un fiotto di sangue che spegne il fuoco. Gli ultimi capitoli ( 1 7-20) descrivono il tentativo degli ebrei di Smime di impedire che i cristiani ottengano i resti di Policarpo. Il centurione fa cre­ mare il corpo, ma i cristiani ne raccolsero le ossa «più preziose di rare gemme e più pure dell'oro» e - continua il testo - «in quel luogo radu­ nandoci in esultanza e letizia ogni volta che ci sarà possibile, ci consenti­ rà il Signore di festeggiare la ricorrenza del martirio a memoria di quanti hanno affrontato la stessa lotta e a esercizio e preparazione di quanti l ' af­ fronteranno in futuro»2 1 . Furono dodici i cristiani che, compreso Poli­ carpo, morirono in quella persecuzione, ma il racconto - a parte un breve medaglione martirologico dedicato a Germanico - si concentra sulla testi­ monianza di Policarpo. La Chiesa di Smirne sembra aver avuto un'attenzione particolare nel produrre e nel tramandare i testi relativi ai suoi martiri più illustri : accan­ to al Martirio di Policarpo e a una Vita di Policarpo che però la maggio­ ranza degli studiosi ritiene redatta nel IV seco)o22, troviamo il Martirio di Pionio. 2 1 Martirio di Policarpo 1 8 , 2-3. 2 2 Lo studio di A. Stewart-Sykes, The Life of Polycarp. An Anonimous " Vita " from Third Century

Smyrna, Sydney 2002, ha però di recente riaperto la questione, proponendo una datazione più antica.

Capitolo secondo

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Il redattore afferma di seguire uno scritto lasciato dallo stesso martire «in memoria del suo insegnamento»23. Il Martirio si presenta come un testo composito: una parte dello stesso Pionio, sacerdote e retore di spic­ co, comprendente, oltre ai lunghi discorsi che il martire rivolge alla folla nell 'agorà e poi in prigidne davanti ai suoi fratelli nella fede, anche il resoconto dei due processi sostenuti neli ' agorà e poi davanti al proconso­ le. In questa parte si fa riferimento all'esistenza di documenti processuali che sarebbero stati alla base del racconto di Pionio24 . C ' è poi l ' intervento di un redattore anonimo cui dobbiamo certamente il prologo e la descri­ zione della morte avvenuta nello stadio, ma che ha ritoccato tutto il testo, sia trasformando il racconto in terza persona, sia sottolineando il collega­ mento del la vicenda di Pionio con quella di Policarpo2S: Pionio morì sul rogo il 1 2 marzo del 250 come è indicato dal Martirio stesso26. È un' in­ dicazione che si scontra con quella di Eusebio che lo riferisce all 'epoca di Marco Aurelio27. La bibliografia più recente dà credito alla datazione del martirio nel 250 e ritiene risalente al m secolo anche la redazione soprat­ tutto sulla base della ricchezza e affidabilità delle informazioni sulla topo­ grafia di Smime e i vari aspetti della vita cittadina2s. Gli Atti di Carpo, Papilo e Agatonice, giustiziati a Pergamo, contengo­ no il resoconto del loro processo in forma di verbale giudiziario ; Eusebio aveva inserito nella sua raccolta delle testimoni anze sugli antichi rnartiri29 un documento che li riguardava. Il testo greco e il testo latino in nostro possesso divergono su più punti ed è difficile chiarirne i rapporti recipro­ ci. Il testo, inoltre, non reca nessuna indicazione utile per la datazione: EusebioJo li colloca al tempo di Marco Aurelio mentre la recensione lati­ na li colloca durante la persecuzione di Decio.

23 Martirio di Pionio l , l .

24 25

Martirio di Pionio 9, l ; 19, l . Pionio è arrestato il giorno dedicato alla festa di Policarpo, «il giorno del grande sabato>>:

Martirio di Pionio 2. l ; è definito come Policarpo > 34 ( 1 980 ), pp. 145- 17 1 . 99 Philippart, Hagiographes et hagiographie, hagiologes et hagiologies: des mots et des concepts, in «Hagiographica>> 1 ( 1 994), pp. 1 - 1 6.

1 14

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redigere una vita di santo/a". È un uso errato e frequente che merita qui di essere menzionato solo perché è un'efficace testimonianza di quanto que­ sto particolare genere letterario sia stato quantitativamente e qualitativa­ mente importante nell'ambito del discorso agiografico a tal punto da inge­ nerare la convinzione che "agiografia" coincidesse di fatto con le Wtae sanctorum. Il rilievo delle Wtae sanctorum nello svi luppo di tale discorso attraverso i secoli fino all'età contemporanea, spiega anche la vivacità delle discussioni degli studiosi sull'origine della biografia cristiana. Malgrado i tentativi di von Hamack di attribuire la priorità alla Vlta e pas­ sione di Ciprianotoo, Io scettro è generalmente ancora attribuito alla Vita di Antonio scritta da Atanasio, vescovo di Alessandriat o t . Negli studi che discutono questo problema è raro leggere una riflessione approfondita sul ruolo di Eusebio di Cesarea. È un fatto singolare se si tiene conto che egli è autore di numerosi scritti b iografici : le già menzionate Memorie su Panfilo in tre libri; l 'Apologia per Origene in sei libri, di cui i libri n-VI erano dedicati alla vita e alle opere di Origene, la cosiddetta Wta di Costantino. Le prime due opere sono perdute, ma possiamo farci un' idea abbastanza precisa del loro contenuto, per quanto riguarda Panfilo, dalle due recensioni de I martiri della Palestina e, per quanto riguarda Origene dal libro VI della Storia ecclesiastica, per gran parte dedicato al racconto del suo biostoz. L' inclinazione di Eusebio per il racconto biografico nasceva dal suo interesse verso l' apologetica che si realizzò in un ' intensa attività di pro­ paganda e di difesa della fede cristiana dagli attacchi sempre più informa­ ti e circostanziati dei pagani . Eusebio conosceva bene gli autori che con­ futava ed era consapevole dell ' importanza che stava assumendo la biogra­ fia n eli ' esaltazione di dottrine filosofiche e stili di vita che potevano entra­ re in competizione con il particolare tipo di cristianesimo colto e militan­ te che gli stava a cuore. Il suo interesse per la biografia nasce, in parte, dal desiderio di contendere agli avversari un genere di successo e, nello stes­ so tempo, di reinterpretarlo in senso cristiano. In secondo luogo, Eusebio, pur non ignorando la distinzione dei gene­ ri letterari, riteneva che il racconto biografico avesse diritto di cittadinan­ za nella narrazione storica. Le sue opinioni in fondo non erano molto 100 Cfr. supra , p. 68. G. J . M . B artelink. Die literarische Gattung der Vita Antonii. Struktur und Motive, in « Vig i li ae Christianae» 36( 1 982), pp. 38-62; C. Mohrrnann, Introduzione, in La Vìta di Antonio, testo critico e commento a cura di G.J.M. Bartelink, traduzione di P. Citati e S. Lilla, Milano 1 998(6). pp. VII-LXVII. 102 È il termine usato da Eusebio in Storia ecclesiastica. La storia della redazione del bios di 101

Origene è questione dibattuta: status quaestionis in É . Junod, L 'Apologie pour Origène de Pamphile et Eusèbe et /es développements sur Origène dans le livre VI de l ' Histoire ecclésiastique, in Monaci Castagno (cd. ), La biografia cit., pp. 1 83-200. ,

Capitolo terzo

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diverse da quelle dei suoi colleghi pagani che, a partire dal n secolo d.C., scrivevano le \tlte dei Cesari, con l ' intento di illustrare attraverso quelle i diversi periodi storicil03. Fra gli argomenti principali della sua Storia ecclesiastica, Eusebio aveva indicato espressamente la sua intenzione di raccontare accanto agli avvenimenti anche i protagonisti della sua storia: gli Apostoli, i vescovi, gli ambasciatori della parola divina, gli ereticii04. Se la "Vita di Origene" presente nel libro VI non ha rivali per ampiezza, tuttavia, dove dispone di informazioni, Eusebio dà sempre un certo spazio a notizie biografiche. Queste, come si è visto, hanno un grande rilievo anche ne H' istoria sui Martiri della Palestina. Il racconto della vita di Origene ( 1 85 ? 26 1 ?) occupa 22 dei 46 capi­ toli del libro VI de1la Storia ecclesiastica. Il rapporto fra il libro VI della Storia ecclesiastica e l 'Apologia di Panfilo è questione dibattuta resa complicata dalle revisioni successive della Storia ecclesiastica. La narra­ zione è interrotta da capitoli dedicati a notizie su altri personaggi e fatti contemporanei agli eventi del la vita di Origene, secondo, del resto, quan­ to richiedeva l 'LaTo p( a ws . Esso costituisce una delle fonti principali per la ricostruzione della fi­ gura storica di Origene e in questo senso è stato molto studiato t06. Mi limiterò a ricordare che Eusebio aveva a disposizione una ricca documen­ tazione di prima mano costituita dalle opere stesse di Origene, da un un ampio archivio di lettere scritte o ricevute da lui e da documenti di con­ temporanei del Maestro alessandrino. Secondo il suo stile, Eusebio lavo­ ra sugli interstizi degli eventi , sceglie e miscela in modo sapiente la sua documentazione per ricostruire un profilo di Origene che può essere stu­ diato anche come espressione di un momento particolare dello sviluppo del discorso agiografico. Da questo secondo punto di vista, molto meno trattato, la "Vita di Origene" - nel la redazione che ci è stata tramandata­ appare caratterizzata principalmente da due elementi : da una parte, per i motivi che abbiamo appena chiarito, il rifiuto consapevole e ideologica­ mente orientato del taumaturgico, dali 'altra l ' integrazione fra il modello del filosofo e quello del martire. -

1 03 Aspetto particolannente affrontato da A. D i h l e , Die Entstehung der historischen Biographie, Heidelberg 1 987; sulla "vita Origenis", 77 ss. P. Cox, Biography in Late Antiquity. A Quest for the Holy Man, Berkeley-Los Angeles-London 1 983, la accosta alla Vita di Platino di Porfirio ritenendo ambedue i testi espressione della tipologia dell'uomo divino; ho criticato tale i mpostaz i one in Monaci Castagno, Pagani e cristiani . , pp. 55-64. 104 Storia ecclesiastica 1 , l, 1 -2. 1 05 Cfr. supra, p. 72. 106 P. Nautin. Origène. Sa vie et son oeuvre, Paris 1 977 e l ' aggiomamento di G. Dorival, Est-il légitime d'éclairer le Discours de remerciement par la Lettrc à Gregoire et réciproquement? Ou la tentation de Pasolini, in Monaci Castagno, La biografia, cit .. pp. 9-32. .

.

1 16

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Questo appare evidente fin dai primi capitoli dedicati all ' infanzia; la dichiarazione di apertura: «Di Origene mi pare degno di memoria anche ciò che gli avvenne fin dalle fasce» I07 dimostra che il suo biografo ha in mente le convenzioni del genere : quello delle "fasce" è un topos che intende segnalare che avvenimenti eccezionali hanno rivelato fin dalla culla il carattere o il destino di personaggi illustri l08_ Ma l 'eccezional ità di Origene è messa in luce in particolare a partire dal tema del martirio: · nel momento più drammatico (se. sotto Alessandro Severo, 202 d.C.), egli, ancora giovanissimo, arde dal desiderio del martirio. Dopo l ' arresto del padre Leonida, a nulla valgono le suppliche della madre con cui cerca di trattenerlo a casa. Origene rimane fermo nel suo proposito a tal punto che la madre si vede costretta a nascondergli i vestiti per impedirgli di uscire . Allora Origene scrive una lettera al padre dove gli dice: «Guardati bene dal cambiar consiglio a causa di noi» . La scelta di aprire con un aneddoto così gustoso, accompagnato da un bon mot non è affatto casua­ le, ma ricorda la lezione di Plutarco che valorizzava l ' aneddoto, il motto di spirito, la frase celebre, i discorsi più del resoconto dettagliato del le azioni del personaggio per illustrare il carattere, l 'ethos del personaggio, le sue virtù i09 . Dopo questa apertura ad effetto Eusebio riprende in mano il filo cro­ nologico della narrazione : l'educazione impartita ad Origene, ma «prima ancora» I IO, la lettura e lo studio della Scrittura in cui il fanciullo, dando prova di precocità intellettuale e anticipando il tipo di interpretazione di cui sarà massimo maestro, già vedeva significati più profondi di quello letterale. Questa parte, che più di altre risente delle convenzioni proprie del genere biografico, si chiude con un altro aneddoto che sottolinea la particolare vicinanza di Origene allo Spirito: il padre Leonida che, stupi­ to e commosso dali ' eccezionalità del figlio, si accosta a lui dormiente, gli denuda il petto e lo bacia nella convinzione che uno spirito divino alber­ gasse in quello. Quando Leonida muore martire, Origene ha diciassette anni e la re­ sponsabilità della famiglia privata ora dei suoi beni. Grazie anche alla pro­ tezione di una donna facoltosa, riesce a completare i suoi studi e a diveni­ re grammatico provvedendo così ai bisogni suoi e della famiglia. Paral­ lelamente Origene diventa anche un appassionato maestro di dottrina cri­ stiana per i pagani e crea una cerchia di discepoli, alcuni dei quali affron1 07 Storia ecclesiastica 6, 2. 2. 108 E. Norelli, Il VI libro del/ 'Historia Ecclesiastica.

Appunti di storia della redazione: il caso dell'infanzia e del/ 'adoloscen:.a di Origene, in Monaci Castagno (ed.), La biografia, cit. , p. 1 57 . 109 VIta di Alessandro, pref. l . 1 -2. I l O Storia ecclesiastica 6, 2. 8.

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1 17

tano con coraggio il martirio. Eusebio sottolinea come Origene l i assistet­ te con straordinario coraggio fino all ' ultimo dichiarando con gesti platea­ li la sua identità di cristiano: solo la mano della provvidenza - osserva Eusebio - che aveva per lui altri disegni lo salvò dal martirio i i i . La sua fama di maestro si diffonde , molti accorrono da lui e Demetrio, vescovo di Alessandria, gli affida la «scuola di catechesi» l l2: un compito impegnativo che impone scelte radicali. Come più tardi altri faranno con le loro ricchezze, Origene rinuncia al la sua biblioteca di testi letterari per riceverne in cambio quattro oboli al giorno per i suoi bisogni. Alla pover­ tà volontaria si aggiunge la vittoria sulle passioni con severe pratiche ascetiche: dormiva per terra, camminava a piedi scalzi, si asteneva dal vino, mangiava solo lo stretto necessario, trascorreva la notte immerso nello studio della Scrittura. Il racconto di Eusebio, che non possiamo qui seguire in dettaglio, pro­ segue ricordando il gesto audace di Origene, che per mettersi al riparo da ogni maldicenza in quanto maestro anche di donne, si autoevira; la con­ sacrazione sacerdotale di Origene da parte dei vescovi di Cesarea in Pa­ lestina e Gerusalemme ; la rottura con il vescovo di Alessandria Demetrio, il trasferimento di Origene a Cesarea, il suo arresto durante la persecuzio­ ne di Decio, le torture che gli furono inflitte e infine la morte avvvenuta secondo Eusebio a Tiro. Nel tracciare il profilo del Maestro alessandrino, Eusebio non manca di ricordare le sue opere, soffermandosi in particola­ re sul suo contributo allo studio filologico del testo biblico e sui suoi Commenti alle Scritture. Fa soltanto una breve menzione 1 1 3 del trattato l principi - che conteneva le sue tesi pi\) speculative e che era già al tempo di Eusebio l' opera sua più discussa e contestata. Del resto, il pensiero di Origene è il grande assente di questo bios. L' ampio spazio della Storia ecclesiastica dedicato ad illustrare la v ita di Origene non si spiega soltanto con la ricchezza della documentazione che Eusebio aveva a disposizione; egli era mosso da diversi motivi alcuni di natura più personale, altri di carattere generale. Eusebio era legato alla figura origeniana attraverso Panfilo, suo maestro e padre spirituale. Panfilo aveva dedicato tutta la vita alla missione di perpetuare e difende­ re la memoria di Origene. Sacerdote della Chiesa di Cesarea di Palestina, aveva cercato di riunire nella biblioteca vescovile di quella città l 'opera omnia origeniana che nei pochi decenni trascorsi dalla morte del grande 1 1 1 Storia ecclesiastica 6, 4,

l l 2 L a scuola di Alessandria

l.

è un altro tema molto dibattuto della biogratìa origeniana: status quaestionis: M. Rizzi, Scuola di Alessandria, in A. Monaci Castagno (ed.), Origene. Ddonario. Ro­ ma 2000 , pp. 437-440. 1 1 3 Storia ecclesiastica 6, 24, 3.

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alessandrino si era già dispersa o rischiava di perire completamente per il cattivo stato di conservazione dei manoscritti. Inoltre Eusebio aveva col­ laborato attivamente con Panfilo, già in prigione, per la stesura del­ l' Apologia di Origene di fronte agli attacchi rivolti contro la sua teologia da altri confessori. Gli si rimproveravano le sue dottrine audaci su vari aspetti della teologia, l ' aver operato un connubio troppo stretto fra cristia­ nesimo e filosofia greca, l ' interpretazione allegorica della Scrittura, la sua insubordinazione al vescovo. La narrazione di Eusebio è costruita per far fronte a tali accuse: lascia da parte gli aspetti dottrinali, sottolinea l'e­ norme contributo filologico di Origene alla comprensione del testo scrit­ turi stico e valorizza la cultura biblica come preponderante rispetto alla filosofia negli scritti e nella vita stessa di Origene (egli ha affrontato lo studio della Scrittura prima di cominciare il cursus degli studi tradiziona­ li e ritiene che la cultura greca sia propedeutica alla piena comprensione di questa); presenta sotto una luce sfavorevole Demetrio e nello stesso tempo dà il massimo rilievo a tutti gli altri vescovi che hanno mostrato di considerare Origene un maestro. Affermavo prima che il tratto saliente di questa biografia è l'integra­ zione fra il modello del filosofo che godeva di un grande prestigio socia­ le nella società tardo antica e quello del martire l 14 su cui si fonda il pre­ stigi o e l ' invincibilità della Chiesa. L' Origene di Eusebio (come Apol­ lonio) è un fil osofo, la cui filosofia è specificata dalla coerenza fra azioni e di scorsi. da un regime di vita ascetico, dall' insegnamento. Come un caposc uola Origcne o rgan izz a il curriculum studiorum, attribuisce ruoli ai propri discepol i, sceglie il metodo di studiom, riceve gli omaggi tradizio­ nali dovuti al la sua posizione: i colleghi lo onorano dedicandogli le pro­ prie opere e sottoponendogli per l ' approvazione i propri lavoril l6. Tutte queste attività si intrecciano continuamente con il martirio cercato, inse­ gnato e infine, almeno in parte, subìto . In un certo senso, il martirio legit­ tima il hios di Origene in un momento in cui proprio questo è oggetto di forti contestazioni, ma il pieno sviluppo letterario di esso accanto al rac­ conto delle sofferenze subfte, suggerisce che proprio quel bios è in grado di preparare l ' individuo a realizzare l ' ideale supremo. Non bisogna inoltre trascurare il fatto che la battaglia per Origene ha sullo sfondo un nodo importante che potremmo definire politico, in quan­ to dà voce a interessi di particolari gruppi all' interno delle Chiese. Eu­ sebio affida al suo Origene il compito di dimostrare il ruolo insostituibile 1 1 4 C. Mazzucco, Il modello martiriale nella " Vita di Origene " di Eusebio, in Monaci Castagno (ed. ), La biografia, cit. , pp. 207-255.

1 1 5 Storia ecclesiastica 6, 19, 1 2- 1 3 ; 6. 3 1 , l .

1 16

Storia ecclesiastica 6. 19, l .

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1 19

della paideia nell'accelerare l' osmosi fra cristianesimo e i gruppi dirigen­ ti politici e culturali de li ' Impero. La vita del Maestro alessandrino o, per meglio dire, le scelte operate da Eusebio all ' interno del materiale che ave­ va a disposizione, è la di mostrazione che tale osmosi era un processo posi­ tivo già in atto: ancorché indifferente ai beni e alle glorie del mondo, Ori­ gene viene rappresentato al centro di una rete di rapporti sociali che coin­ volgono gli strati più alti della società imperiale: la dama alessandrina che l ' accoglie ancora giovanissimo, il ricchissimo Ambrogio che ne finanzia l ' attività letteraria, il legato d' Arabia Sesto Furnio Iuliano che lo manda a chi amare con tutti gli onori 1 17, la madre dell'Imperatore Mamea1 I 8 che «considerò importante essere degnata di una sua v isita» ; Giuli o Africano, storico e letterato famoso, anch 'egli legato alla cortei i9, l ' imperatore Fi­ lippo e la moglie Severa. Lo stesso didaskaleion alessandrino è raffigura­ to come un luogo di attrazione e di proselitismo per le élites alessandrine. La Vita di Costantino. Composta nel 337, due anni dopo la morte di Costantino, è un 'opera destinata ad un pubblico misto di pagani e cristia­ ni che ha di mira gli ambienti di corte e gli stessi figli di Costantino cui Eusebio fa riferimento all ' inizio elogiandone la perfetta imitazione del padre Costantino. Non interessa qui seguire in dettaglio le numerose que­ stioni sollevate a proposito di questo testo per quanto riguarda la stratifi­ cazione redazionale e il genere letterario. È stato notato che segue per la gran parte lo schema del logos basilikos fissato da Menandro di Laodicea, ma se ne distanzia per l ' esposizione delle praxeis in senso cronologico e per l 'inclusione di documenti storici, aspetto che avvicina la Vita Co­ stantini al modo che ebbe Eusebio di concepire il racconto storicoizo. Co­ me altre di Eusebio, è un 'opera originale perché nuovo era anche il pro­ blema che doveva affrontare : raccontare la vita del primo Imperatore cri­ stiano. Egli scelse di rappresentarla ritagliando ali ' interno degli argomen­ ti tradizionali delle biografie imperiali - l 'attività legislativa, politica e militare - un settore particolare: le azioni di Costantino che avevano atti­ nenza con la fede e la religioneiZI . Nei quattro libri che costituiscono la Vita di Costantino, Eusebio presenta la "conversione" di Costantino come 1 1 7 Storia ecclesiastica 6, 1 9 , 1 5 . 1 18

Storia ecclesiastica 6 , 2 1 , 3.

1 1 9 Egli fu incaricato dall' Imperatore Alessandro Severo di organizzare la biblioteca del Pantheon: J.R. Vieil lefond, Les "Cestes " de Julius Africanus: étude d'ensemb1e des fragments llvec

édition, traduction et commentare, Florence-Paris 1970, pp. 13 ss. 120 Sulle questioni: Eusebio di Cesarea, La vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, Napoli 200 1 2 , pp. 13-2 1 ; Eusebius, Life of Constantine, introduction, translation and cornmentary by A. Cameron-S .J. Hall, Oxford 1 999, pp. 27-34. 12 1 Vi ta di Costantino l, 1 1 , 1 -2.

1 20

L'agiografia cristiana antica

un evento puntuale nel tempo, ispirata direttamente da Dio e coincidente con la vittori a su Massenzio 122, costruendo così il mito di un Costantino cristiano fin dali 'inizio. Trasforma la lotta per la conquista del potere imperiale nello scontro titanico fra due religioni, il paganesimo e il cristia­ nesimo e, a partire dalla conquista del potere, descrive Costantino come attivamente impegnato, all ' interno della Chiesa, nel promuovere la con­ cordia teologica e nel sostenere in ogni modo la diffusione e il rafforza­ mento delle strutture ecclesiastiche e, all 'esterno, come l ' implacabile per­ secutore e distruttore dei culti pagani t23. A tale proposito è interessante notare che Eusebio ricorda la distruzione del tempio di Asclepio ad Aigai: «Ad un suo solo cenno - racconta Eusebio - quell 'edificio che aveva suscitato la meraviglia e l ' ammirazione di nobili filosofi fu abbattuto ad opera dell'esercito, e insieme con esso rovinò anche colui che vi si na­ scondeva dentro, né demone, né dio, piuttosto un guastatore di anime, la cui frode era durata per molti e lunghi anni» t24. In questo come in altri casi, le affermazioni trionfalistiche di Eusebio sulla scomparsa di culti e templi sono smentite da altre fonti storiche, però forse egli aveva un moti­ vo in più per riferire questo episodio: al tempio di Asclepio ad Aigai, co­ me si ricorderà, era legata una memoria di Apollonia di Tiana che in quel luogo vi avrebbe tenuto una scuola. La menzione, ora sarcastica, dei «no­ bili filosofi» che l 'avevano ammirato ha tutto il sapore di una resa di conti definitiva con quella figura che soltanto pochi anni prima gli avversari del cristianesimo avevano osato paragonare a Cristo stesso. Averil Cameron ritiene che la Vita di Costantino presenti l'Imperatore come un "uomo divino", un eroe , uno theios anhr indicato come tale da segni divini i 25. Dobbiamo concludere che la Vita di Costantino costituisca un' inversione di tendenza riguardo agl i altri scritti biografici di Eusebio? Va subito notato che egli racconta la vita di Costantino dall ' infanzia alla morte seguendo le convenzioni letterarie in misura maggiore di quanto non avesse fatto negl i scritti biografici precedenti t26. Più che in questi ulti­ mi, inoltre, Eusebio sottolinea lo specialissimo rapporto del suo personag1 22 Il tema della conversione di Cos tantino è stato ed è tuttora al centro di

un 'appassionata

discus­

Status quaestionis in A. M arcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002: A. Frasc hetti La conversionefra Roma pagana e Roma cristiana, Roma-Bari 2004; M. Amerise, li battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda verità, Stuttgart 2005.

sione storiografica.

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1 23 Temi presenti anche negli altri discorsi elogi ativ i dedicati a Costantino: Eusebio di Cesarea,

Elogio di Costantino. Discorso per il trentennale. Discorso regale, introduzione, traduzione e note di M. Amerise, Milano 2005. 1 24 Vita di Costantino 3, 56, 1 -2. 1 25 C a meron cit p. 3 1 . 1 26 La famiglia: ( l . 13-16) il carattere ( l , 1 2, 3 ) ; l aspetto di Costantino viene desc ritto più volte ( l , 1 9, 2); la sua straordinaria bellezza e robustezza che si mantennero integre fino all 'età avanzata (4, 53); la cultura, gl i studi retorici ( 1 , 19, 2). ,

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'

Capitolo terzo

121

gio con Dio: già nella prima fanciullezza è un ' ispirazione divina a sugge­ rirgli un comportamento cristiano ancor prima di diventarlo; un'altra rive­ lazione lo salva da una congiura di palazzol 27 . C'è naturalmente la famo­ sa visione del «segno luminoso della croce» accompagnata dall ' iscrizio­ ne «Con questo vinci» l 2s. Ma tutta la vita di Costantino è costellata da rivelazioni e visioni che lo sostengono in momenti decisivi per l 'Impero e la Chiesa1 29. Tuttavia per valutare questi elementi di novità nella loro giu­ sta luce, è indispensabile tenere presente che agli occhi di Eusebio che aveva potuto vedere di persona le terribili sofferenze dei martiri durante la persecuzione dioclezianea e, in un breve volgere di anni, i cambiamenti radicali successivi alla politica religiosa costantiniana, tutti questi eventi avevano un che di meraviglioso e potevano apparire di per sé come thau­ mata, cioè miracoli. Paragonando la situazione dei cristiani prima di Costantino a quella degli ebrei, sotto il dominio degli egiziani al tempo di Mosè, Eusebio osserva: «Questa antica storia che al volgo viene narrata come una favola, ha già nel pas­ sato riempito gli orecchi di tutti; ma ora quello stesso Dio, che è riconosciuto tale anche da noi, ha concesso il dono di farci assistere di persona ad evidenti mira­ coli, ben più grandi di quell i contenuti nelle favole e per noi, che di recente ne siamo stati spettatori, tali miracoli risultano più veritieri di qualsiasi racconto» I 3o.

La comprensione provvidenzial istica di tali avvenimenti e il sentimen­ to sincero di meraviglia nel vedere la mano di D i o ali ' opera nelle diverse

vicende di Costantino o nei provvedimenti da lui emanati a favore dei cri­ stiani &ono lo sfondo a partire dal quale valutare l'incidenza del prodigio­ so nel racconto eusebiano. Analizzando più in dettaglio quali "miracoli" compie Costantino, essi consistono soltanto nell ' amplificazione e/o varia­ zione sul tema della visione riguardante il segno della croce mentre non compaiono racconti relativi ad altri tipi di miracoli. Se poi leggiamo la Vita Costantini cercando di stabilire in che misura il ritratto dell 'Imperatore, corrisponda a quello degli uomini «veramente divini» che Eusebio ha tratteggiato nel Contro Ierocle in polemica con il ritratto di Apollonia di Tiana offerto da Filostrato, notiamo che anche qui Costantino viene esaltato come modello di virtù e, per questo, scelto da Dio come maestro per l ' umanità. Mi limito a citare solo il prologo che dà il tono a quanto segue: 127 1 28 1 29 130

Vita di Costantino Vita di Costantino Vita di Costantino Vita di Costantino

l , 20 , 1 -2.

l, 28-29. l, 47 , 2; 2, 12, 2. l , 1 2, 2.

1 22

L'agiografia cristiana antica

(>, cosi iniziava l'iscrizione di Damaso. I l i Carme 1 2 ( nat. l ), 25-30.

215;

112

Carme 13 (nat. 2), 5-10. 1 1 3 Carme 1 3 (nat. 2), 24-25. 1 1 4 Eneide 7,647- 8 1 7 ; questo ha suscitato dubbi sulla storicità di tale concorso di popolo a Ci-

Capitolo quinto

1 99

derna l ' intero repertorio dei popoli attirati dalla tomba di Felice; mentre là Nola era inferiore solo a Roma che ospitava le reliquie di Pietro e Paolo, qui si erge imagine Romae. Là Paolino presentava, per così dire, le sue credenziali di devoto di Felice, qui presenta i suoi carmina come labor che chiede a Felice di poter svolgere ogni annoi t s; là Felice appariva come intercessore di preghiere rivolte a Dio, qui viene sottolineata la virtus del martire, la sua potentia nel liberare i suoi fedeli dai demoni che li tormen­ tano e il legame con la città che ne accoglie nella tomba pia ossa. I due carmi successivil l6, rispettivamente del 398-399 sono dedicati al racconto continuato della vita di Felice, scelta che si comprende meglio sullo sfondo della devota e amichevole competizione con Sulpicio Severo che proprio l ' anno prima aveva composto la Vita di Martino. Paolino la ricevette nello stesso anno e dedicò i due natalicia successivi all ' "elogio" di Felicem. Per quanto un culto di Felice fosse radicato a Cimitile fin dal III seco­ lo, Paolino era il primo a raccontame la vita, senza però fare cenno alcu­ no alle sue fonti che verosimilmente erano tradizioni orali. Secondo il rac­ conto di Paolino, Felice, di padre siro stabilitosi in Italia, percorre tutti i gradi del cursus honorum della carriera ecclesiastica: da lettore, diviene esorcista e poi sacerdote. Durante una persecuzione (forse quella di De­ cio?) , mentre il vescovo Massimo fugge dalla città, Felice rimane in città e viene arrestato; nel racconto della prigionia del martire, Paolino si rive­ la un attento lettore delle Passioni: come il martire Eutichio celebrato da un'epigrafe di Damaso l l s, Felice viene torturato con catene e ceppi, con cocci di vetro sparsi sul giaciglio, ma le sue sofferenze sono alleviate dal fatto che «Cristo soffre con lui ed è unito a lui» l l9. Come Pietro, viene liberato miracolosamente dalla prigione e corre in aiuto del vescovo che nel frattempo sta per morire di fame e di sete nel suo rifugio. Felice si carica in spalla il vescovo e per un certo tempo si nascondono, fino a quando - per il merito acquistato da Felice - ritorna la pace. Durante una seconda persecuzione, Fe1ice riesce ad evitare la cattura grazie ad alcuni miracoli con cui Dio gli manifesta una speciale protezione : un ragno tesse mitile: cfr. l. Aulisa-L. Carnevale, Il pellegrinaggio rurale alla tomba di s. Felice a Nola, in «Annali di Storia dell'esegesi» 22(2005), pp. 1 22-1 23. 1 1 5 Carme 14 (nat. 3), 1 1 6- 1 1 9. 1 1 6 Carme 15 e 1 6 (nat. 4 e 5). 1 1 7 Questa datazione è messa in discussione da J. Desmouillez, Pau/in de Nole. Études chronolo­ giques (393-397), in «Recherches Augustiniennes» 20( 1 985), pp. 35-64; che anticipa di un anno la stesura di Carme 1 5 . 1 1 8 Epigrammi 2 1 , 5 ; G . Luongo, Lo specchio dell'agiografo: S. Felice nei carmi x v e X VI di Paolino di Nola, Napoli 1 992, pp. 55-60. 1 1 9 Carme 15 (nat. 4), 1 85 - 1 90 .

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L 'agiografia cristiana antica

una tela provvidenziale che nasconde l ' ingresso del suo rifugio; riesce a sopravvivere sei mesi in un altro nascondiglio grazie ad un 'anziana che gli porta da mangiare e ogni volta si dimentica di averlo fatto, viene disseta­ to da una pioggia miracolosa etc. Una volta cessata la persecuzione, Felice rifiuta l'episcopato e la restituzione dei beni e muore povero. Di questo ritratto, in cui Paolino profonde tutta la sua abilità retorica per dare una certa consistenza al personaggio, sono stati sottolineati i molti echi echi autobiografici t 2o. Come Felice, Paolino è uno straniero. La synkrisis - questa figura dell 'elogio con cui l'elogiato veniva paragonato a figure eroiche o bibliche - fra Felice e suo fratello con Giacobbe ed Esaù per mostrare come da un unico ceppo possano nascere uomini così diversi, potrebbe adombrare la vicenda fra Paolino stesso e suo fratello; e altrettanto si potrebbe dire dell'insistenza sul disprezzo della ricchezza di Felice e la sua scelta per la povertà; forse anche l ' insistenza sul rispetto di Felice del cursus honorum e la pedanteria con cui espone i motivi del suo rifiuto dell 'episcopato - dopo la morté di Massimo - a favore di un certo Quinto che era più anziano di lui nel sacerdozio di soli sette giorni, po­ trebbe nascondere qualche allusione alla situazione di Paolino, in quel momento e per lunghi anni ancora (verrà nominato vescovo solo dieci anni dopo fra il 409 e il 4 1 3), sacerdote. Se nel poema dell ' anno precedente la celebrazione annuale di Fel ice era definita un labor e un desiderium, nel poema pronunciato nel 40 1 essa è diventata una norma derivante da un sacro dirittol2t e il tema è presen­ tato da Paolino come completamento dei precedenti; dopo aver narrato patria, genus, acta fino alla morte, è ora il momento di narrame la sepol­ tura e le gesta dopo la morte, cioè i miracoli che avvengono accanto al suo sepolcro: «> , ma si riconosce il merito «di non aver lasciato in ombra chi dovesse essere imitato»m. In effetti Sulpicio non entrò a far parte del monasterium di Marmoutiers e mantenne la sua indipendenza anche da quello di Paolino, malgrado avesse promesso di raggiungerlo e malgrado tale comportamento avesse raffreddato per un certo tempo i rap­ porti fra i due. La presenza a Primuliacum di servitù226 e di segretari, la cena offerta agli ospiti che assistono al racconto di Gallo sono indizi a favore del permanere a Primuliacum di uno stile vita in cui l' ascesi si stemperava nelle tradizioni aristocratiche romanem. L'altro protagonista, Gallo, è uno scholasticus228, un professionista del­ la retorica che ha lasciato le scuo)e229 per diventare monaco al seguito di Martino e che illustra le sue gesta mettendo a frutto la sua preparazione. Tra gli altri che accorrono numerosi per assistere ai racconti, di alcuni si riferisce nome e qualifica: sei appartengono a vario titolo alla gerarchia ecclesiastica e quattro sono monaci, tutti discepoli di Martino, alcuni fin dalla fanciullezza. Fra i saeculares che accorrono curiosi di ascoltare le virtutes di Martino, soltanto due vengono ammessi e si tratta di due alti funzionari dell 'amministrazione provinciale romana, tutti gli altri vengono respinti perché ritenuti spinti non dalla religio, ma dalla curiositas230. Si tratta evidentemente di un campione di persone realmente gravitan­ ti a vario titolo intorno a Primuliacum; un campione, però, selezionato per dare maggiore affidabilità alle testimonianze e rompere l ' isolamento del gruppo martiniana, mostrandone l 'alto profilo culturale e sociale e insi­ stendo sulla presenza di ecclesiastici in un momento che pare di partico­ lare isolamento e difficoltà. Di queste si fa portavoce nel Gallo soprattutGallo l , 3, 2. Gallo l , 16, l . 225 Vita di Martino 1 , 6. 226 Gallo 2, 14, 5; 3, 1 7, l . 223

224

227

Ghizzoni , cit., p. 64.

230

Gallo 3 , l , 6.

228 Gallo 1 , 27 , 5. 229 Gallo 2, l , l .

222

L'agiografia cristiana antica

to Sulpicio che allude a defezioni, persecuzioni e abbandoni. Si è tentato di intravedere sullo sfondo dell 'aggravarsi della situazione la presenza di Vigilanzio che era tornato daJl' Oriente in Gallia dopo il 395 : sarebbe stato costui ad attaccare il culto dei martiri, il celibato, le donazioni ai poveri del patrimonio da parte dei ricchi convertiti, ad essere il convitato di pie­ tra di questo dialogo da considerarsi allora come un Contro Vigìlanzio23 1 , Nell 'accomiatarsi dai presenti , come ho già detto, Severo dà mandato a Postumiano, che di lì a poco sarebbe tornato in Oriente, di diffondere il Gallo in modo da far conoscere come l ' Europa, con il solo Martino, non fosse per nulla inferiore «né all' Egitto, né all ' intera Asia»232. La Vita di Antonio terminava anch 'essa con un catalogo di regioni occidentali ove il nome di Antonio sarebbe stato già conosciuto. Con il presentare Martino campione d 'Europa, Severo lo mette in competizione con Antonio nel­ l ' aspirare alla stessa fama universale. Si trattava ovviamente di un' impre­ sa difficile: la Vita di Antonio, che era stata tradotta in latino ben due volte, trovava più facilmente lettori in Occidente, mentre gli scritti di Sulpicio non potevano che rivolgersi ai latini residenti in Occidente o a Greci bilin­ gui, un pubblico, però, che poteva essere non del tutto trascurabile. Il vec­ chio asceta incontrato da Postumiano nel deserto egiziano che leggeva la Vita di Martino è forse un artificio retorico per mettere in moto il raccon­ to delle virtutes di Martino, tuttavia non è inverosimile che in Oriente vi fosse un pubblico ascetico in grado di apprezzare gli scritti sulpiciani: Gerolamo aveva tradotto dal greco i Pacomiana per i monaci latini resi­ denti a Canope, in Nitria e nella Tebaide. Le fondazioni monastiche di Occidentali dovevano costituire altrettanti fuochi di diffusione della cul­ tura latina e attrazione di monaci e monache latini. La stessa Egeria rac­ conta che a Gerusalemme, durante le solennità, le letture venivano tradot­ te in latino, da fratelli e sorelle che conoscevano entrambi le lingue233. 4. Il Peristephanon di Prudenzio Quando Aurelio Prudenzio Clemente aggiunse alla raccolta dei suoi poemi una prefazione e un epilogo, era un uomo di 57 anni in vena di bilanci ; preso da sentimenti di vanità e di timore riguardo al giudizio di

23 1 Fontaine, (SC 5 1 0), cit. , p. 45. Sugli avversari del culto dei martiri in Gallia: Beaujard, Le culte des saints en Gaule, cit. , pp. 93- 1 0 1 . 23 2 Gallo 3 , 1 7 , 7. 2 33 Pellegrinaggio in terra santa 4 7 , 4-5. B . Rochette, Le latin dans le monde grec. Recherches sur la di.ffusion de la langue et des lettres /atines dans le provinces hellénophones de l'Empire romain,

Bruxelles 1 997 , pp. 1 5 1 - 1 52.

Capitolo quinto

223

Dio che sentiva prossimo, affermava di essere nato «sotto il consolato di Salia»234, ripercorreva le fatiche scolastiche, le intemperanze giovanili, le accese battaglie forensi, gli incarichi importanti di amministratore di due città, l ' impegno come funzionario di alto rango alla corte imperiale. Dal momento che nessun contemporaneo parla di lui o fa riferimento alle sue opere, è esclusivamente dall'esile trama di questa sorta di confes­ sio peccatorum che dipendiamo per ricostruire le tappe salienti della vita di Prudenzio. Nato nel 348 e, dunque, quasi contemporaneo di Paolina e Sulpicio Severo, era spagnolo, forse di Calagurris, città romanizzata già da qualche secolo che poteva vantare fra i suoi figli più illustri Quin­ tiliano. Apparteneva sicuramente ali ' aristocrazia provinciale, se poté godere di un' istruzione approfondita e fare una carriera brillante, assecon­ data dali' ascesa al potere di Teodosio, anch'egli spagnolo, che affidò tanti incarichi di prestigio ai suoi conterranei . Della cerchia teodosiana condi­ vise gli stessi interessi: lotta contro il paganesimo, devozione personale al culto dei martiri, apprezzamento dell' ascetismo. È possibile che il ritiro da ogni incarico pubblico sia da ricondurre alla morte di Teodosio avve­ nuta nel 395 o a qualche anno prima. Tradizionalmente la stesura dei diversi inni viene collocata fra il ritiro dalla vita pubblica e il 404235, Sulla base di queste scarne informazioni è già possibile cogliere i trat­ ti salienti che accomunano le vite di Paolina e di Prudenzio. In primo luogo, l ' ambiente sociale e geografico: quell 'area intorno ai Pirenei, il nord della Spagna e l 'Aquitania teatro delle vicende di Priscilliano, di Martino, Sulpicio Severo. Altri tratti assimilanti sono: la formazione reto­ rica, la partecipazione al governo della cosa pubblica, il ritiro caratteriz­ zato dall' attività letteraria di carattere religioso che sceglie la poesia come veicolo privilegiato di espressione. Se il ritiro di Prudenzio seguì la morte di Teodosio, avvenne negli stessi anni della conversione di Paolina: ne condivise anche le scelte ascetiche? Nell 'epilogo, idealmente al termine della sua fatica poetica, Prudenzio esprime la speranza di avere infine guadagnato nella dimora di Dio un proprio posto; altri - dice Prudenzio hanno immolato a Dio i doni di una coscienza innocente e casta, altri ancora si sono privati delle loro ricchezze per sollevare i poveri, noi abbia­ mo offerto il sacrificio dei nostri versi «perché manchiamo di santità e non possiamo fare nulla per i poveri»236. La ricerca di una perfezione spiritua­ le che, per alcuni aristocratici del tempo, si espresse anche con una cesu-

234 Prefazione 24. 235 Non mancano ipo tesi diverse: M . Roberts, Poetry and Cult oj the Martyrs. The Liber Peri­ stephanon oj Prudentius, Ann Arbor Michingam 1 993 , pp. 2-3. 23 6 Epilogo, vv. 1 - 1 1 .

224

L'agiografia cristiana antica

ra volontaria e radicale con lo status precedente, non sembra essere stata dunque la via di Prudenzio. Poco o nulla possiamo sapere di positivo2J7 sul suo modo di tradurre nel quotidiano il programma spirituale annuncia­ to nella Prefazione vv. 34-42: «Ebbene, sul finire della vita, l 'anima peccatrice si spogli della sua stoltezza, che celebri Dio almeno con il canto, se non è in grado di farlo con i suoi meriti. Che trascorra i giorni in preghiere ininterrotte, che nessuna notte passi senza cantare il Signore, che combatta contro gli eretici, che esponga la fede cattolica, che cal­ pesti i culti delle genti, che porti alla rovina i tuoi idoli, o Roma; che consacri un poema ai martiri, che lodi gli apostoli».

Con questi versi Prudenzio fa riferimento anche ai diversi poemi238 incorniciati dalla Prefazione e dall'Epilogo e va notato come la lode di martiri sia considerata sullo stesso piano della preghiera, della lotta al­ l' eresia, deli ' esposizione dottrinale. Il Peristephanon239 raccoglie 14 composizioni su 1 3 martìri; l'ottavo canto contiene soltanto l ' iscrizione per un battistero sorto su un luogo di martirio. I diversi comportamenti variano di lunghezza e metro poetico; accolgono, come ho già accennato, un 'iscrizione, una lettera (Perist. 1 1 ) indirizzata al vescovo Valeriano di Calagurris, un dramma destinato alla lettura240. Al di là della varietà formale, la presentazione dei martìri segue quasi ovunque lo stesso schema tripartito con la parte centrale narrativa prece­ duta da un' introduzione e seguita da una conclusione dedicate al luogo della passione e alla descrizione del culto. Tutti terminano con preghiere rivolte ai martiri a favore della città o del poeta stesso. Gli Inni si caratte­ rizzano anche per una certa omogeneità nella stilizzazione dei protagoni­ sti. Martire e persecutore non sono rappresentati come individui, ma come personificazioni del bene e del male. Il martire è un eroe epico che com23 7 Fontaine. Naissance , cit., p. 1 8 1 , ritiene che il caso di Prudenzio sotto l'aspetto dello stile di v ita sia assimilabile a q ue l li di Sulpicio Severo e Paolino di Nola; più prudente di W. Evenepoel, Prudence et la conversion des aristocrats romains, in «Augustinianum» 30( 1 990), pp. 3 1 -44. 23 8 A l l usi oni nell' ordine a: Cathemerinon: Hama rtigen ia ; Apotheosis; Contra Simmachum; Peristephan on (Le corone ) . 239 Roberts, Poetry, cit.; J.F. Petruccione, Prudentius 's Use of the martyrological Topoi, Ann Arbor 1 9 8 5 : P.-Y. Fux, Les sept Passions de Prudence (Peristephanon 2.5.9. 1 1 - 14). In troduction générale et commentaire, Fribourg 2003. 240 "Tragoedia" è definita da Prudenzio: Pe ristephanon I O, 1 1 3 ; W. Ludwig, Die christliche Dichtung des Prudentius und die Transformation der klassische Ga ttungen , in Chris tian ism e et for­ mes littéraires de l 'antiquité tardive en Oa·ident (Entretiens sur l' Antiquité classique, 23), Genève 1 977, pp. 303-363: s ul la base di considerazioni di forma e di conte nu to propone un ordinamento di­ verso sia deg l i Inni all' interno del Peristephanon, sia delle opere all ' interno della raccolta pruden­ ziana.

Capitolo quinto

225

batte contro un tiranno descritto da termini qualijitror, vesania, trux, bar­ barus. Il martire non è una vittima: cerca il martirio e provoca il suo per­ secutore, talvolta con battute sarcastiche. Lorenzo, condannato ad essere bruciato a fuoco lento sulla graticola, quando il prefetto ordina di girarlo dall' altra parte, esclama: « È cotto; mangia e assaggia se è meglio crudo o arrostito ! »24t. Eulalia di Merida sputa sul magistrato che, invitandola a pensare al dolore arrecato alla sua famiglia, vorrebbe risparmiarle il peg­ gio242. La resistenza fisica al dolore del martire è celebrata attraverso la descrizione dettagliata di torture e umiliazioni. La sua gloria è direttamen­ te proporzionale al numero e all' intensità delle torture subite243. Valga per tutti la descrizione quasi da manuale chirurgico dell' asportazione della lingua di Romano, anche se questo non gli impedisce di pronunciare un ennesimo e prolisso discorso contro il paganesimo244. Sotto questo aspetto Prudenzio continua, portandolo al parassimo e diventando a sua volta un modello imitatissimo, quel modo di rappresen­ tare il martirio che era stato già di Eusebio di Cesarea (senza i miracoli) e che, come si ricorderà, trova nei racconti sulla morte dei Maccabei una fonte di ispirazione. Non è un caso, ad esempio, che il plot dell' inno più lungo dedicato al martirio di Romano faccia spazio al suo interno ad una vicenda ispirata proprio ai Maccabei con la messa in scena del martirio di una madre e un bambino245. La plausibilità del racconto non è fra le maggiori preoccupazioni di Prudenzio che, tuttavia, dipende da tradizioni già largamente leggendarie e frutto di contaminazioni fra figure diverse: il caso che più colpisce è l'Inno 1 3 dedicato a Cipriano di Cartagine. La ricchezza della documen­ tazione latina relativa al suo martirio, la fama letteraria collegata a scritti largamente conosciuti, il fatto che fosse un vescovo, la cui festa si trova­ va già inserita nel Calendario liturgico romano, redatto da Furio Filocalo già dalla metà del IV secolo, sono tutti elementi che avrebbero potuto faci­ litare una maggiore conoscenza storica del personaggio. Prudenzio, inve­ ce, lo confonde con Cipriano di Antiochia, un mago dongiovanni poi pen­ titosi e convertitosi al cristianesimo. Non inventa ex novo, perché la stes­ sa confusione era già stata fatta da Gregorio di Nazianzo in un suo pane-

24 1

Peristephanon 2, 405-407.

24 2 Peristephanon 3, 1 27- 1 30. 243 Sui precedenti (Damaso e Lucrezio) delle enumerazioni prudenziane di attrezzi di tortura e

Poetry, cit. . pp. 56-57. 244 Peristephanon !0, 886-9 1 1 ; W. Evenepoel, Le martyr dans le Liber Peristephanon de Prudence, in > e «i­ struendoli secondo le scritture». Dal cap. 25 al cap. l 1 6 dedicato alla mor­ te di Pacomio, il racconto giustappone due filoni narrativi che raccontano entrambi di una crescita: il successo della koinonia pacomiania che si con­ cretizza nella fondazione di altri monasteri e nella creazione di un gruppo dirigente e il progresso spirituale ed istituzionale di Teodoro, che fa la sua comparsa già dal cap. 25 e che uscirà di scena solo nel cap. 1 48 che ne descrive la morte. Di lui viene sottolineato il particolare legame con Pa­ comio che si manifesta fin dall 'inizio del loro rapporto: Teodoro gli asso­ migliava a tal punto da diventare «come un figlio vero» . Ancor giovane, gli viene ordinato da Pacomio di insegn,are agli anzianit2; a trent' anni viene nominato economo a TabennesiB. L' ultima parte ( 1 1 7- 1 50) raccon­ ta la crisi e la sua normalizzazione sotto la guida di Teodoro e si conclu­ de con la citazione della Lettera che Atanasio aveva spedito ad Orsiesi per consolare i fratelli della morte di Teodoro (368) e per approvare l 'investi­ tura di Orsiesi a unica guida della koinonia pacomiana. 1 . 1 . «In memoria dei padri che ci hanno fatti crescere»: discorso agiogra­ fico e istituzione Il redattore giustappone le sue fonti senza preoccuparsi di armonizzar­ le: episodi e insegnamenti in forma dialogica ora riferiti a Pacomio, ora a Teodoro si alternano senza una logica apparente; vari as pe tt i disciplinari e spirituali della koinonia illustrati da episodi di vita monastica rompono in continuazione la trama cronologica del racconto. Malgrado questo, nel­ l' ordito del racconto, si fanno notare alcuni fili che rivelano il progetto ideologico perseguito. Uno di questi è senza dubbio la preoccupazione di posizionare Paco­ mio e la sua koinonia ali 'interno del quadro complessivo del patriarcato alessandrino e dei differenti monachesimi che alla fine del IV secolo ave­ vano già attenuto riconoscimenti e grande prestigio. Così, fin dal prologo, viene avanzata un ' interpretazione complessiva dell' affermarsi del mona­ chesimo particolarmente favorevole alla vicenda personale di Pacomio che divenne cristiano e poi monaco molto più tardi di Antonio, dopo la grande persecuzione di Diocleziano. Pur senza togliere alcun primato ad Antonio e ad Ammone 1 4, secondo la Vita prima, i monaci sono da consi1 2 Vita prima g. 77; Bo 78. 1 3 Vita prima g. 78; Bo 78.

1 4 Ammone di Nitria (295 -337) considerato, nelle fonti antiche, insieme ad Antonio e Pacomio, il terzo grande fondatore del monachesimo egiziano: Palladio, Storia lausiaca 7, 6; 8. Atanasio, Vita

di Antonio 60 .

Capitolo sesto

237

derarsi successori dei martiri non soltanto perché condividono con questi ultimi l ' imitazione di Cristo crocifisso, ma perché sarebbe stato proprio lo spettacolo delle vittorie dei martiri (durante la persecuzione dioclezianea) ad aumentare le conversioni al cristianesimo e, con queste, la diffusione dei monasteri e dei luoghi per gli asceti i5. La Vita prima g. ritorna sullo stesso tema in seguito alla morte di Pacomio, quando alcuni fratelli in viaggio per Alessandria fanno una sosta per far visita ad Antonio che nel 346 è ancora vivo: dopo aver appreso la notizia della morte di Pacomio, l 'anacoreta esprime la certezza che «aven­ do accettato il servizio di guidare un grande numero di fratelli, egli ora percorre la strada degli apostoli». Zaccheo, uno dei fratelli pacomiani, fa però osservare che è piuttosto Antonio ad essere considerato «la luce del mondo», «onorato dai re che rendono gloria a Dio a causa sua» . La rispo­ sta di Antonio sviluppa le affermazioni del prologo: la sua scelta anacore­ tica ha solo motivazioni storiche. Egli lascia intendere che quando diven­ ne monaco vi erano pochi monaci che si prendevano cura della propria anima e nessun cenobio che pensasse alla salvezza delle altre animei6. Più avanti, Teodoro riferisce una sentenza di Pacomio: «Nella nostra generazione in Egitto vedo tre autorità che Dio ha incrementato per l 'utilità degli esseri razionali : il vescovo Atanasio, l ' atleta di Cristo che ha lottato per la fede fino alla morte , il santo abate Antonio, modello perfetto della vita anacoretica e questa comunità - koinonia - che è un modello per tutti colo­ ro che vogliono ri u n ire le anime secondo Dio e assisterle fino a condurle alla perfezione » 1 7.

È possibile che queste parole contengano l'eco autentica del l 'atteggia­ mento di Pacomio: rispetto verso l ' Atanasio testimone della fede e cam­ pione dell' ortodossia nicena e, nello stesso tempo, un forte senso di indi­ pendenza: Pacomio rifiutò la consacrazione a sacerdote durante una visi­ ta di Atanasio nei monasteri pacomiani I S e non si recò mai ad Alessandria. Tale indipendenza venne però meno dopo la sua morte e le Vite riflet­ tono questo cambiamento ; ne è prova evidente il modo con cui si chiude la Vita, con la citazione integrale della lettera con cui il potente vescovo alessandrino dà la sua approvazione alla nomina di Orsiesi e gli chiede di tenerlo informato su tutto quanto avviene nei monasteri a lui sottopostii9. 15 Vita prima g. l; Bo l . 1 6 Vita prima g. 1 20; l 'episodio è molto più sviluppato in Bo 1 26- 1 29 ove Antonio proclama la superiorità di Pacomio su se stesso. 17 Vita prima g. 1 36; Bo 1 34. 1 8 Vita prima g. 27 : per l'eucarestia invitava un prete: non c'erano sacerdoti fra i monaci. 1 9 Vita prima g. ! 50. Sull' atteggiamento di Pacomio verso la gerarchia episcopale, E. Wipszyc-

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L'agiografia cristiana antica

Complementare alla preoccupazione di chiarire il posto della koino­ nia pacomiana ali 'interno della mappa del monachesimo egiziano, è l 'in­ tento di richiamame e definirne l ' identità radicandola nel momento ori­ ginario e nella spiritualità del fondatore. Prima ancora di istruirsi nella fede e ricevere il battesimo Pacomio promette solennemente «al Signore di adorarlo, amare tutti gli uomini e di servirli secondo il suo comanda­ mento»2o. Nel cenobio appena istituito, a chi notava con meraviglia che Pacomio si incaricava di tutti i lavori più pesanti ed umili, egli riponde­ va: «Fratelli, lottate per ottenere ciò per cui siete stati chiamati : studiate i Salmi e gli insegnamenti degli altri libri e soprattutto il Vangelo. lo trovo la mia pace nel servire Dio e voi»2t . Servire gli altri non è dunque considerato l ' inizio del cammino di perfezione, ma il segno specifico del monaco perfetto. Sottolineando lo stupore dei primi discepoli della koi­ nonia di fronte al comportamento di Pacomio, il testo vuole segnalame la distanza dalla prassi usuale secondo cui accanto agli asceti sol itari vi era sempre la figura del giovane monaco che, oltre che apprendere gli insegnamenti spirituali, serviva il suo maestro in ogni necessità. Il soste­ gno reciproco materiale e spirituale per realizzare il comando evangelico del la carità fraterna è tema al centro di molti racconti e insegnamenti sia quando vengono richiamati i comportamenti di Pacomio verso gli anzia­ ni, i malati, i bambini, i fratelli caduti in peccato, sia quando si fa riferi­ mento all ' insieme di precetti e provvedimenti che regolavano l ' ascesi. Pacomio imponeva gradualmente il distacco dai legami e dai beni e un ' a­ scesi moderata nel vestire, nel mangiare, nella rinuncia al sonno22, La competizione era scoraggiata e l 'esempio degli altri aiutava a raggiunge­ re i diversi traguardi ascetici. Un altro punto più volte sottolineato è l ' importanza della meditazione sulla croce. Il monaco è colui che tiene costantemente davanti ai suoi oc­ chi il Cristo crocifisso: Palamone si rifiuta di mangiare un cibo condito con l ' olio, proprio pensando alle sofferenze della croce23; più avanti, pen­ sando alle sofferenze dei martiri, rifiuta di curarsi24; Pacomio sopporta di tenersi le spine conficcate nei piedi pensando a Cristo crocifisso25: «Sulla ka, Les recherches sur le monachisme égyptien, 1 997-2000, in M. Immerzeel-J. Van der Vliet, Coptic Studies on the Threshold of a New Millennium, vol . 11, Leuven-Paris-Dudley, Ma 2004, pp. 842-848; su Atanasio e Pacomìo: L.W. Bamard, Athanasius and the Pachomians, in Studia Patristica xxx, cit., pp. 3 - 1 1 . 20 Vita prima g. 2 1 Vita prima g. 22 Vita prima g. 23 Vita prima g. 24 Vita prima g. 2 5 Vita prima g .

5.

24. 55. 7.

13 1 1.

Capitolo sesto

239

resurrezione - egli dice - ricordate che il corpo crocifisso del Signore è come noi e dal momento che è risuscitato anche noi risorgeremo»26. Pacomio era un carismatico come Antonio? Le Vite presentano fin dal­ l ' inizio un Pacomio guidato da visioni che nei momenti cruciali gli indi­ cano la direzione da seguire o i pericoli imminenti27. Lo presentano come guaritore di indemoniati2S e dotato del dono del dioratikon che consisteva nella capacità di giudicare i caratteri, di discernere la qualità degli spiriti e dei pensieri se suggeriti da potenze positive o negative. Riguardo al pos­ sesso di questo dono si era dovuto difendere davanti ai vescovi nel sino­ do di Latopoli29, un episodio piuttosto misterioso in cui Pacomio rischiò di morire accoltellato, se i fratelli non lo avessero protetto. A interessare qui è l ' apologia pronunciata da Pacomio che collega strettamente il dio­ ratikon all' inabitazione del S ignore in chi è santo e diventa tempio di Dio secondo le parole di 2Cor 6, 1 6 : «Il Signore può abitare in voi, in tutti e anche in Pacomio, se Pacomio fa la sua volontà»3o. Nella difesa di Pa­ comio l ' accento cade sulla santità come premessa indispensabile del dono da parte di Dio, più che sul riferimento a fatti e circostanze precise. E nella stessa direzione vanno anche gli altri - pochi - racconti di guarigio­ ni, subito accompagnati da insegnamenti sulla maggiore importanza della guarigione spirituale: questa è segno e miracolo più grande3 I , Allo stesso modo la visione più grande è quella che vede il Dio invisibile nell' uomo visibile, diventato suo tempio32. La Vita prima g. - e solo questa - contiene anche spunti molto interes­ santi sulle motivazioni delJa scrittura agiografica: esse non si trovano dove di solito ce le aspettiamo, cioè nel prologo, ma disseminate nello scritto. In una sezione riguardante le lotte contro i demoni sostenute durante il periodo trascorso accanto a Palamone, l ' anonimo si sente in dovere, una prima volta, di chiarire le sue fonti: egli le ha apprese dagli antichi padri che avevano trascorso accanto a Pacomio un tempo sufficiente e che le avevano ascoltate dalla sua viva voce e aggiunge «Noi non saremo in grado di scrivere la maggior parte delle cose che abbiamo ascoltato, ma solo una parte»33. Più avanti, dopo aver raccontato le guarigioni di Paco26

Vita prima g. 56. 27 Vita prima g. 5 ; 1 2; 1 02; anche Orsiesi ha una visione che lo spinge a lasciare il comando a Teodoro: ibi, 1 29; idem Teodoro secondo la Vita bohairica 144. F. Vecoli, Lo Spirito soffia nel deser­ to. Carismi, discernimento e autorità nel monachesimo egiziano antico Brescia 2006, pp. 109- 1 4 1 . 28 Vita prima g. 4 1 -44. 29 Vita prima g. 1 1 2. 30 Ibidem. 3 1 Vita prima g. 47. 3 2 Vita prima g. 48. 33 Vita prima g. 10. ,

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mio e riferito la preghiera - «Sia fatta la tua volontà, non la mia» (Mt 26, 42) - che egli rivolgeva al Signore per la salute di qualcuno l ' anonimo redattore rimette in campo il problema delle sue fonti attraverso la doman­ da di un interlocutore fittizio: «Per prima cosa egli deve ricordare che noi abbiamo ascoltato dagli antichi padri queste cose che abbiamo esaminato scrupolosamente» ; e «costoro l ' avevano appreso dallo stesso santo quan­ do egli insegnava loro come dovevano pregare»34. Il problema delle fonti viene ancora ripreso in modo più circostanziato più avanti: «Abbiamo scritto queste cose, come abbiamo già detto, ma non lo abbiamo cono­ sciuto nella carne, abbiamo però visto quelli del suo tempo che erano stati con lui e che, sapendo queste cose con accuratezza, ce le hanno spiegate dettagliatamen­ te. E se qualcuno dicesse: "Perché costoro non hanno scritto la sua vita?" noi rispondiamo che non li abbiamo ascoltati parlare spesso sullo scrivere, sebbene stessero con lui, come con il loro padre. Ma forse non era ancora il momento opportuno. Quando vedemmo che era necessario per non dimenticare completa­ mente ciò che avevamo ascoltato sul monaco perfetto, nostro padre con tutti i santi, abbiamo messo per scritto poche cose fra le molte » 3 5.

L' atto della scrittura è circondato da un' ansia particolare: con esso si prende atto che il modo degli «antichi padri» di tramandare insegnamen­ ti e eventi mette in pericolo la memoria, intesa soprattutto come tradizio­ ne controllata degli stessi. Sia dal punto di vista dell 'oggetto, sia del sog­ getto che scrive, la scrittura urta la spiritualità monastica che rifugge dal peccato di orgoglio e sente come pericoloso e negativo ogni atto terreno: «Abbiamo fatto questo - si specifica - non per lodarlo, perché egli non ha bisogno di lodi terrene: egli è ora con i suoi padri, ove vi è la vera lode»36, La decisione di scrivere il bios di un santo può indurre a vedere diffe­ renze di merito là dove esse non possono esserci: «Anche se gli uomini non hanno scritto le vite di tutti i perfetti, il Signore ha scritto su di loro». E ancora: «Non abbiamo scritto per amore della scrittura», ma per la me­ moria - si dice ancora - e seguendo l ' esempio di altri santi. Viene ricor­ dato allora come alcuni avessero registrato per scritto gli insegnamenti di Pacomio sulla Scrittura; come Atanasio avesse scritto la Vita di Antonio su richiesta dei fratelli, come lo stesso Pacomio quando era ancora vivo avesse dettato non solo discorsi e norme per la costruzione dei monaste­ ri , ma anche lettere di carattere mistico: «Non per metterei sullo stesso piano» - si scusa ancora l ' anonimo redattore - ma perché, «come figli, 3 4 Vita p rima g . 46. 3 5 Vita prima g. 9. 36 Vita prima g. 98.

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24 1

desideriamo ardentemente conservare la memoria dei padri che ci hanno fatto crescere»37. Nella Vita bohairica è Teodoro che difende - con argomenti molto simili, ma più fondati biblicamente - di fronte ai capi dei monasteri riuni­ ti l 'idea di mettere per scritto la vita di Pacomio, in un momento in cui la koinonia sembra stare per dimenticare le regole e gli insegnamenti del padre spirituale e fondatore3s. Le Vite sono offerte, dunque, alla lettura e alla meditazione di quella cerchia monastica e di questa registra i timori e le forti resistenze di fron­ te all ' idea di passare dalla tradizione orale al bios. Una cerchia monastica che, dopo aver attraversato momenti di grave crisi istituzionale e spiritua­ le, deve ritrovare, attraverso la memoria controllata del proprio passato e il contatto con insegnamenti selezionati dei padri fondatori, un nuovo slancio e una maggiore omogeneità. Si tratta di una storia, certo idealiz­ zata, ma che non nasconde le difficoltà degli inizi, le crisi, perfino i gravi insuccessi dei padri: si pensi alla degradazione di Teodoro o ai fallimenti di Orsiesi o alle rivolte e alle insubordinazioni dei monaci. Una storia, si può aggiungere, tutta interna alla koinonia pacomiana e all' ambito dei suoi problemi, senza ambizioni di recitare un ruolo sullo scenario più ampio della Chiesa universale; ben diverso apparirà l 'intreccio fra mona­ chesimo e storia della Chiesa nella ricostruzione di Cirillo di Scitopoli del monachesimo palestinese attraverso le Vite dei suoi fondatori. 2. Raccolte di vite monastiche: Storia dei monaci in Egitto Le moderne interpretazioni sullo sviluppo del monachesimo hanno messo bene in luce come esso sia stato un fenomeno sin dall ' inizio mul­ ticentrico: le varie forme di monachesimo in Egitto, in Palestina, in Cap­ padocia, in Siria non possono essere considerate in un'ottica genealogica, come la generazione dal ceppo egiziano delle altre forme di monachesi­ mo che sarebbero state successive e ispirate dal modello egiziano, oltre tutto, al suo interno fortemente differenziato. Per il monachesimo siriaco basterà menzionare Giacomo di Nisibi che scelse l 'eremo verso il 280 più o meno negli stessi anni di Antonio (stando alla cronologia atanasiana)39.

37

Vita prima g. 99. Vita bohairica 1 94. 1 96. Cfr. il commento di Ph. Rousseau, cit., pp. 46-48. 3 9 A. Voobus, History of Ascetism in the Syrian Orient. A Contribution to the History of Culture in the Near East. I, Louvain 1 958, p. 1 4 1 . Una sintesi ancora utile: D.J. Chìtty, The Desert a City. An Introduction to the Study of Egyptian and Palestinian Monasticism under Christian Empire, London­ 38

Oxford 1 966.

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L' agiograjia cristiana antica

L' immagine dell 'Egitto come culla del monachesimo è frutto di una costruzione culturale molto precoce di cui monaci e viaggiatori letterati del IV secolo si fecero infaticabili propagandisti. Fra essi, indubbiamente, come abbiamo visto, primeggia Gerolamo che si ritagliò, nel panorama molto competitivo della seconda metà del IV secolo, il ruolo di storico del movimento monastico, stabilendo primati, genealogie, classificazioni. Ma non fu i l solo. Molti personaggi illustri, sull 'onda delle informazioni sem­ pre più strabilianti che filtravano in Occidente, come nelle altre regioni orientali, si dirigevano verso l ' Egitto per visitare i monaci: Basilio si recò in Siria e in Egitto intorno al 360. Lo stesso fece Giovanni Cassiano che dopo una prima esperienza monastica a Betlemme restò in Egitto per più di dieci anni fino al 399. Melania senior, dopo aver abbandonato Roma (373), fece una sosta di sei mesi sul monte di Nitria «aggirandosi per il deserto e interrogando i santi»40. In seguito si diresse a Gerusalemme, ove sul Monte degli Olivi fondò un monastero e lì rimase per molti anni anche Rutino di Aquileia. Costui, amico fraterno di Gerolamo fino allo scoppio della crisi origeni­ sta e poi da lui trattato come acerrimo nemico, si recò in Egitto qualche anno dopo: «Vengo a sapere - gli scrive Gerolamo nel 375 quando anco­ ra i loro rapporti erano ottimi - che ti sei inoltrato nelle solitudini dell'Egitto, che vai visitando i conventi dei monaci e circoli fra codesta famiglia celeste che abita sulla terra»4t . In effetti Rutino si fermò in Egitto dal 373 al 380, prima a Nitria, presso il grande Macario, e poi presso Di­ dimo il Cieco ad Alessandria. Egeria, come si ricorderà, visitò alcuni monaci del Sinai e, poco dopo (385-386), Paola in compagnia di Gerola­ mo visitò i monasteri del deserto di Nitria, prima di andare a Betlemme dove fondò i due monasteri di cui abbiamo già parlato. Palladio (n. 363364, m. 420-430), nativo della Galazia, rimase in Egitto negli anni 388399, la maggior parte dei quali trascorsi nel deserto di Nitria e delle Celle, ove divenne discepolo di Evagrio Pontico. Postumiano, protagonista del Gallo, aveva visitato i monaci più di una volta. Il monastero di Melania sul Monte degli Olivi appare in qualche misu­ ra come un luogo di raccolta, conservazione e costruzione di memorie legate ai monaci di Egitto: è da qui che Evagrio Pontico - dopo essere stato ospitato e guarito da Melania senior e dietro suo consiglio - si dires­ se verso Nitria e le Celle dove sarebbe diventato una guida spirituale del monachesimo origenista e ove rimarrà fino alla morte. Dallo stesso luogo si afferma che partirono i sette monaci che fra il 394 e il 395 trascorsero Palladìo, Storia lausiaca 46, 2. 41 Lettera 3, l .

40

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circa sei mesi in Egitto e che su richiesta dei fratelli raccontarono il modo di vivere di quei monaci che avevano avuto modo di incontrare o di cono­ scere attraverso le parole di altri. Tale racconto - la Storia dei monaci venne poi tradotto in latino da Rutino intorno al 404, in un periodo in cui era tornato in Italia al seguito di Melania. Lo stesso Palladio - autore a sua volta di una raccolta di storie sui monaci: la Storia lausiaca era molto legato al Monte degli Olivi e a Melania stessa: egli ci racconta di aver tra­ scorso tre anni presso Innocenzo42, presbitero "del monte Olivi" prima di recarsi in Egitto, trovando appoggi nella rete di amicizie monastiche che erano già di Melania, per altro protagonista di molti racconti di Palladio43. Se il legame fra il monastero del Monte degli Olivi e i monaci d' Egitto risaliva dunque alla visita di Melania senior è possibile che la spinta a redigere le memorie di quelli come di altri incontri fosse anche espressio­ ne del desiderio di sostenere i monaci origenisti, in grandissima difficol­ tà, dopo la decisione del vescovo di Alessandria Teofilo, di cacciarli dall' Egitto. Del resto, in quei drammatici momenti molti monaci furono aiutati e nutriti da Melania44. È quanto sostiene Gerolamo, acerrimo nemi­ co di Origene (a partire dal 397) e dell ' origenismo, che si scagliò sulla Storia dei monaci, da lui ritenuta opera di Rutino, accusandolo di mesco­ lare personaggi dall' ortodossia ineccepibile, come Giovanni di Licopoli, con altri eretici per farli accettare di soppiatto: -

«Pure questi (se. Rutino) ha scritto un libro che si potrebbe intitolare "Sui mona­ ci"; vi fa una lunga lista di co loro che non lo sono mai stati o di altri che sono stati origenisti e che certissimamente sono stati condannati dai vescovi, come Ammonio, Eusebio, Eutimia e lo stesso Evagrio, senza contare Or e Isidoro e altri non pochi che sarebbe stucchevole elencare »45 .

La Storia dei monaci in Egitto46, la traduzione piuttosto libera con ag­ giunte che ne fece Rutino nel 403 o 404, e la Storia lausiaca di Palladio di Elenopoli sono documenti di capitale importanza per ricostruire la fase più antica del monachesimo egiziano. Redatti nei primi due decenni del v secolo hanno avuto una trasmissione molto complessa. L'enorme succes42 Storia lausiaca 44, l . 43 Cfr. B . Flusin, Pallade d 'Hélénopo/is, i n Dictionnaire de Spiritualité,

t . x n ( 1 984), cc. 1 1 31 3 1 ; su Melania cfr. sotto. 44 Cfr. p. 253. 45 Lettera 1 33, 3. 46 È il titolo più usato, ma non l ' unico tramandato: cfr. Historia Monachorum in Aegypto. Édi­ tion critique du texte grec par A.-J. Festugière, Bruxelles 1 96 1 , p. 5 (apparato critico). Una presenta­ zione generale di questi tre testi in E. Wipszycka, Moines et communautés monastiques en Egypte (TV"- VII� siècles), Varsovie 2009, pp. 1 1 - 1 8.

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L'agiografia cristiana antica

so di queste prime raccolte si riflette nel gran numero di lingue in cui furo­ no tradotte e ritradotte in varie combinazioni. Il carattere di questi testi costituiti da serie di medaglioni biografici che potevano essere agevol­ mente spostati, soppressi, aggiunti e l 'intrecciarsi di memorie personali con altri resoconti (orali o scritti come i Detti dei padri del deserto47) che costituivano un serbatoio comune cui i vari testi attingevano, rendono as­ sai difficili da districare i rapporti reciproci. Queste prime raccolte mona­ stiche - ma lo stesso si potrebbe affermare per molti testi agiografici - so­ no "testi vivi" per usare una felice espressione di Christine Mohrmann48. Gli studi di Butler49 e di Festugièreso cui dobbiamo rispettivamente l 'edi­ zione critica della Storia lausiaca e del testo greco della Historia mona­ chorum in Aegypto hanno contribuito a districare un gran numero di que­ stioni accertando la priorità del testo greco sul testo latino, riconosciuto come traduzione di Rutino e mettendo a punto la recensione della Storia lausiaca, tra le molte tramandate, cui dare maggior credito. Le due edizio­ ni, pur non essendo considerate, per vari motivi, edizioni definitive, sono però ritenute le migliori di cui disponiamo. Nel prologo della Storia dei monaci in Egitto, l ' autore dichiara di rac­ contare un viaggio compiuto insieme ad altri sei fratelli. L'autore anoni­ mo dice di esaudire la richiesta della «pia fraternità» che vive sul Monte degli Olivi, desiderosa di conoscere per imitarli il modo di vivere dei mo­ naci di Egitto, la loro grande carità e ascesi, il loro totale distacco dal mondo, il silenzio, la pazienza nella pratica delle virtù . Prima di inoltrar­ si nella descrizione dei singoli personaggi, l 'autore suggerisce al lettore le coordinate di fondo in cui collocare e interpretare i racconti successivi. Egli inaugura il suo racconto con il richiamo alla venuta di Cristo, perché i monac i seguono il suo insegnamento e lo imitano a tal punto da essere considerati i , senza mai menzio­ narne il nome e Clark 1 26 ritiene che non si possa trattare del vescovo di Gerusalemme, Giovenale, mai citato nella Vita, ma che si debba cercare piuttosto fra coloro che, anche dopo Calcedonia, rimasero fedeli (come Geronzio) al monofisimo e ipotizza un riferimento al vescovo di Eleu­ teropoli oppure a Teodosio che occupò la cattedra vescovile per 20 mesi , scacciandone Giovenale che poi vi fu rimesso a forza per ordine imperia­ le. Conforta questa ipotesi la Vita latina che si differenzia da quella greca nei punti in cui questa fa collegamenti fra Melania e il monofisismo. Il

8 Storia lausiaca 56; 57. Vie de Sainte Mélanie, texte grec, introd uction, traduction et notes par D. Gorce (SC 90), Paris 1 962. Gérontios, La Vie latine de sainte Mélanie, ed.ition critique, traduction et commentaire par P. Laurence, Jérusalem 2002. The Life of Melania the Younger, introduction, translation and commenta­ 1 19

ry by E.A. Clark, L ampeter 1984. Utilizzo la traduzione di L. Campagna in corso di pubblicazione ringraziandola per averla potuta consultare. 1 20 Vita di Melania (G), Prol. 1 2. Sul confronto della Vita di Melania con il romanzo di Caritone di Afrodisia: P. Laurence, Gérontios et la Vie de Sainte Mélanie. Hagiographie et roman, in B . Pouderon (par), Les personnages du roman grec, Lyon 200 1 , pp. 309-327. 12 1 Vita di Melania (G) IO. 1 22 Vita di Melania (G) 68. 1 23 Storie dei monaci 2, 25.45 ( Vita di Eutimia). 124 Tutta la questione, che presenta numerosi nodi critici è dibattuta da Clark, cit. , pp. 1 -25 ; Laurence, cit. , pp. 1 1 8- 1 22. 1 2.'i Laurence, Gérontios, cit., pp. 1 35- 1 4 1 . 1 26 Cit., pp. 1 8- 1 9.

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Geronzio sottolinea a più riprese la determinazione con cui Melania teneva lontana dalla sua cerchia l ' eresia e va imputata a tale preoccupa­ zione dottrinale la lacuna più appariscente del suo racconto che non fa il benché minimo cenno all ' influenza della nonna la cui memoria a Geru­ salemme era ancora troppo legata all 'eretico Origene. In questa luce acquista un. particolare significato il rilievo dato ai rapporti fra Melania junior e la cugina Paola, nipote della Paola, sodale e compagna di Ge­ rol amo. Secondo Geronzio, Melania fu la guida spirituale di Paola, fra le poche persone ad essere ammessa all a sua presenza durante il periodo di ritiro gerosolimitano, «portandola da una grande vanità e da una menta­ lità romana a una grande umiltà» I27. E Paola era presente accanto al­ l ' asceta nel momento del trapasso t 2s. Va anche notato che effettivamente il gruppo di Piniano, Melania e Albina aveva già da prima rapporti ami­ chevoli con la cerchia di Gerolamo dal momento che questi in una lette­ ra inviata ai vescovi africani, aggiunse i s aluti «dei nostri santi figli Al­ bina, Piniano e Melania» I 29, Completano il ritratto di stretta ortodossia altri silenzi che riguardano i contatti della coppia con persone e dottrine "scismatiche" e "eretiche": i donatisti, durante la permanenza in Africa; i pelagiani, nei primi tempi a Gerusalemme t3o, e il rapporto intrattenuto con Pietro l 'Iberico. Come ap­ prendiamo dalla Vita, arrivata a noi in traduzione siriaca scritta da un suo discepolo Giovanni Rufo m , Pietro, prima di diventare uno degli esponen­ ti più importanti della resistenza alle definizionie cristologica di Calce­ donia, era stato accolto da Melania a Gerusalemme nel 437-39 e ricevette dalle mani di Geronzio, che allora già guidava il monastero del Monte de­ gli Olivi, l ' abito monastico. Se la Vita di Melania è stata composta fra i l 452 e i l 453 , in quegli anni Geronzio militava ancora fra i monofisiti. Tuttavia ha ritenuto evidentemente prudente svincolare la memoria di Me­ lania da un conflitto durissimo nella sua fase più acuta e incerta. In modo non sempre ordinato, Geronzio costruisce il racconto intorno a tre nuclei principali che rappresentano altrettante fasi della vita della 1 27 1 28

Vita di Melania (G) 40. Vita di Melania (G) 68. 129 Lettera 143, 2.

1 30

Clark, cit. , pp. 1 1 4; 145. Petrus der Iberer, Ein Charakterbild zur Kirchen-und Sittengeschichte des Fiinften Jahrunderts: syrische Ubersetzung desfiinften Jahrhunderts, hrsg. von R. Raabe, Leipzig 1 895, insie­ me alla Vita di Severo - Vie de Sevère par Zacharie le Scholastique, édition et traduction par M . A Kugener (PO 2.1 ), Paris 1 907 - e alla Vita di Isaia - E. W. Brook s, Vìtae viro rum apud monophysitas celeberrimorum (CSCO 7-8) - costituiscono i testi principali di un' agiografia anticalcedoniana con tratti culturali e religiosi specifici: J.-E. Steppa, John Rufus and the World Vision oj Anti-Chalce­ donian Culture, Piscataway 2005 (2 ed. rev. ), e C. B. Horn, Ascetism and Christological Controversy in Fifth-century Palestine: the Career oj Peter the lberian, Oxford 2006. 13 1

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donna: la prima (capp. 1 -33) arriva fino alla partenza dall'Africa. Qui so­ no narrate le «mirabili lotte»n2 di Melania «donna virile», le stesse di al­ tre donne sante che combatterono per vedersi riconosciuto il diritto di condurre una vita casta e quello di «lasciare il mondo». Malgrado il tradi­ zionalismo del linguaggio, dalla pagina di Geronzio emerge, però, una vicenda tutta peculiare. Palladio allude brevemente ad una lunga lotta fra Piniano e Melania, decisa dall ' intervento misericordioso di Dio. Geronzio racconta invece di una Melania talmente prostrata dal rifiuto di Piniano di interrompere i rapporti matrimoniali da arrivare al punto di morirne: per poterla conservare in vita, Piniano accetta di vivere con lei in castitàl33. Dopo questo momento di rinuncia, ma anche di riaffermazione del lega­ me di coppia, Melania e Piniano appaiono sempre a fianco a fianco nel­ l ' affrontare le lotte successive contro il volere dei genitori, dei parenti, dei magistrati cittadini. Insieme si recano dall' Imperatrice Serena per chiede­ re il suo appoggio quando gli schiavi insorsero contro la decisione di con­ cedere loro la libertà; insieme ricevono la stessa visione rassicurante circa l' esito dei loro sforzi l34; insieme si recano in Sicilia e poi in Africa ; insie­ me decidono la gradualità dell' ascesi135, insieme arrivano a Gerusalemme. Come è stato già osservato1 36, Melania è ribelle rispetto alla sua classe di appartenenza, ma non riguardo al marito: una volta accettato l ' ideale esi­ gente di castità e povertà egli rimane il suo kyrios e despotesm, secondo la tradizione romana. Pur riservando il ruolo di leader spirituale a Me­ lania, Geronzio celebra una coppia santa, la cui presenza emerge anche da altre testimonianze coeve: ùi Paolino di Nola, come ho già ricordato; e di Rufino di Aquileia che dedica a Piniano e al suo religiosus coetus13s la tra­ duzione delle Omelie sui Numeri di Origene. Mentre altri testi celebrano l' abbandono dello status sociale e dei pos­ sedimenti in modo tanto entusiastico quanto ambiguo nei dettagli, qui l' alienazione delle richezze viene descritta come un processo lungo e con­ trastato non soltanto nelle sue ricadute sociali nei rapporti ali ' interno della famiglia e della società romana, ma anche nei suoi aspetti psicologici, di lotta interiore contro il dubbio radicale o contro la nostalgia per la bellez­ za che le ricchezze malgrado tutto contribuiscono a creare: sono lotte sen­ tite - ci dice Geronzio - dalla viva voce di Melania. Ella ricorda - dopo 1 32

Vì ta di Melania (G), pro!. , 39. 133 Vìta di Melania (G) 6.

1 34 Vìta di Melania (G) 1 6. 1 35 Vita di Melania (G) 9; i capp. 6-2 1 hanno come protagonisti entrambi e l ' azione è sempre

descritta alla terza persona plurale. 1 36 Consolino, Tradizionalismo, cit., p. 1 35. 1 3 7 Vìta di Melania (G) l; ripreso in 49; cfr. anche Palladio, Storia lausiaca 6 1 , 2. 1 38 Origene, Omelie sui Numeri, pro!.

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aver raccolto una somma enorme per i poveri - di aver sentito il nemico sussurrarle nei suoi pensieri: «Di che qualità è il regno dei cieli che si compra con tali ricchezze?l 39». Un ' altra volta sono dei bagni meraviglio­ si, illeggiadriti da marmi preziosi, da cui è possibile godere la vista del bosco, degli animali e del mare adornato di vele ad aprire una breccia al demonio. Certo, sullo sfondo del racconto di q(Jesta tentazione è possibi­ le intravedere quella cui fu sottoposto il giovane Antonio, ma proprio que­ sto individua un tratto peculiare: diversamente dalle donne sante di Gregorio di Nissa o di Gerolamo di cui non è ricordata nessuna tentazio­ ne, Geronzio non adotta modalità differenti di narrazione per una donna, ritenuta anche in questo talmente virile, da poter sopportare senza danno un confronto diretto con la tentazione. All ' interno di questa sezione Geronzio introduce una cesura: «Col pro­ gredire nelle virtù la santa, che percepiva di essersi alleggerita un po' del peso delle ricchezze e di aver compiuto 1 'opera di Marta, cominciò suc­ cessivamente ad imitare anche Maria, la quale è stata lodata nel vangelo come colei che ha scelto la parte buona»'40. Parole che introducono la par­ te (capp. 2 1 -33) dedicata a delineare la spiritualità di Melania: i suoi eser­ cizi ascetici; la profonda cultura; il suo programma di studio della Scrit­ tura e di lettura delle vite dei padri; l ' esecuzione di copie dei testi sacri. La seconda sezione (capp. 34-49), come la prima, distingue gli eventi dalle virtutes. Racconta di grandi cambiamenti nella vita di Melania: il primo è legato alla morte della madre Albina, che l ' aveva accompagnata fino a quel momento. Dopo un anno, trascorso in isolamento in una cella, Melania si fece edificare un monastero ove si rinchiuse con novanta ver­ gini che Piniano vi aveva condotto. Impose al cenobio la clausura assolu­ ta e nominò una igumena che lo dirigesse: lei «si dedicava solamente alla preghiera e al servizio dei santi». La parte successiva (capp. 4 1 -48) illu­ stra le qualità di Melania come guida spirituale ed è dedicata agli insegna­ menti impartiti alle sorelle in cui, accanto all 'esaltazione delle tradiziona­ li virtù monastiche, è caratteristico l'accento posto sull ' importanza della liturgia - e in particolar modo la psalmodia continua - nella spiritualità e nella vita quotidiana delle monache. Alla morte di Piniano, Melania rimase rinchiusa in regime ascetico ancora più rigoroso per quattro anni nell'Apostoleion che aveva fatto costruire e che accoglieva le spoglie della madre e di Piniano. Nell 'ultima parte si ripete lo stesso schema: un primo gruppo di capi­ toli (capp. 49-58) è dedicato agli avvenimenti: mentre prima era sempre 1 39 Vita di Melania (G) 1 7. 140 Vita di Melania (G) 22.

26 1

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sotto l ' attenta tutela della madre e del marito, dopo la morte di entrambi, Melania ritorna nel mondo e l ' ambiente in cui la vediamo muoversi, rive­ rita ed ammirata da tutti, non è più il monastero, ma la corte e le persona­ lità che ruotano intorno ad essa. Melania decide di recarsi a Costantino­ poli con l'intenzione di convertire al cristianesimo lo zio Volusiano che si trovava presso la corte imperiale e lì ha occasione di rispondere alle domande «sull ' empia dottrina di Nestorio» che gli ponevano dall ' alba fi­ no al tramonto «donne di senatori e altri uomini brillanti>>J4t; di ammae­ strare le imperatrici e lo stesso Teodosioi42. In seguito abbandona ancora Gerusalemme per andare incontro ali 'imperatrice Eudocia a Antiochia: Eudocia riconosce in Melania la propria madre spirituale e le preghiere della monaca ottengono la guarigione dell ' Imperatrice. Il secondo gruppo di c apitoli è dedicato ai semeia, «fra i tanti - dice Geronzio - che il Signore operò tramite Melania» I43; ma i miracoli in senso proprio sono soltanto due guarigioni che Melania opera applicando alle malate reliquie di altri santi, seguiti da altri discorsi edificanti della santa alle monache. Melania muore della bella morte dei santi, attorniata dalle monache e dai monaci, ma soprattutto dai sacerdoti e vescovi a cui ella ha sempre tenu­ to in modo particolare, e viene consegnata alla tomba interamente rivesti­ ta di abiti o oggetti appartenuti ad altri santi i44. Nel l ' ultima parte della sua vita, libera dai legami familiari, Melania riacquistò dunque un ruolo pubblico di sostegno all"'ortodossia", ruolo che essa svolse nella società che contava e in cui per nascita aveva con­ servato il diritto di essere accolta e di farsi ascoltare. Ma quale ortodos­ sia? L"'ortodossia" di Melania non è definita in termini positivi, ma come opposizione a Nestorio, un 'ortodossia che, in definitiva, nel momento in cui Geronzio scriveva, poteva significare per i lettori monofisiti anche il monofismo: nella loro prospettiva, infatti, i calcedoniani non erano altro che nestoriani . 4. Un elogio del monachesimo siriaco: la Storia religiosa di Teodoreto di Cirro Se i monaci d 'Egitto, di Palestina, di Cappadocia, della Gallia aveva­ no trovato già a partire dall ' ultimo quarto del IV secolo scrittori di alto profilo culturale in grado di diffonderne la fama, il multiforme mondo 14 1

Vìta di Melania (G) Vìta di Melania (G) 143 Vìta di Melania (G) 1 44 Vìta di Melania (G)

1 42

54. 56. 59. 69.

262

L'agiografia cristiana antica

monastico della S iria mesopotamica di lingua siriaca dovette attendere ancora qualche decennio, fino al 444145, quando il vescovo di Cirro com­ pose la sua Storia philothea, secondo il titolo più frequentemente usato dal suo autore che la indica talvolta anche come Storia dei monaci, oppu­ re Vita ascetica, oppure Vite dei sanfii46. Nato intorno al 393 probabilmente ad Antiochia da una famiglia di ori­ gine siriaca di alta condizione sociale, anche se non aristocratica, Teo­ doreto ricevette un' approfondita educazione greca che, unita alla cono­ scenza della Bibbia, gli permise di diventare uno degli autori ecclesiasti­ ci più prolifici e protagonista di primo piano nelle controversie cristologi­ che del suo tempo. Alla morte dei genitori trascorse una decina di anni di vita cenobitica in uno dei monasteri di Nikertai, dopo aver venduto tutti i suoi beni i47. Nominato nel 423 vescovo di Cirro, rimase fedele al suo stile di vita monastico, pur adoperandosi a costruire opere pubbliche per mi­ gliorare le condizioni di vita materiali della propria diocesi. Vi rimase fino alla morte avvenuta fra il 458 e il 466, a parte una breve parentesi (44945 1 ) in cui fu esiliato quando il concilio di Efeso del 449 volle imporre l'as soluzione di Eutiche, la cui teologia era stata avversata dal Nostro. Fu un vescovo calcedoniano, ma durante il Concilio di Calcedonia, fu co­ stretto a pronunciare una condanna esplicita di Nestorio, per allontanare da sé il sospetto di eresia. La varietà della sua produzione letteraria ricorda quella di Eusebio di Cesarea: Teodoreto si dedicò all ' apologetica, all 'esegesi, ai trattati teolo­ gici e, come il suo illustre predecessore che ritenne di dedicare agli eroi del suo tempo, cioè ai martiri, uno scritto apposito da affiancare alla sua Storia ecclesiastica, anche Teodoreto aggiunse alla sua Storia ecclesiasti­ ca un' opera dedicata agli straordinari «eroi e atleti della virtù» I 48 vissuti o che vivevano «in Oriente» l49. Lo scritto abbraccia trenta notizie (le ultime due dedicate a tre figure femminili) su settantacinque personaggi delle regioni intorno ad Antio­ chia, Cirro, la Calcide e Apamea. Le notizie, di lunghezza ineguale, si succedono con un ordine non sempre seguito con coerenza. La cesura più importante è senza dubbio rappresentata dali ' inizio del cap. xxr, in cui si P. Canivet, Le monachisme syrien selon Théodoret de Cyr, Paris 1977, p. 82. Histoire des moines de Syrie (SC 234; 257), introduction, texte critique , traduction e t notes par P. Canivet e t A. Leroy-Molinghen, tt. 2, Paris 1 977; 1979; Theodoret o f Cyrrus, A History ofthe Monks ofSyria, Translated with an Introduction and Notes by R .M. Price, Kalamazoo 1 985; una sintesi recente è: T. Urbainczyk. Theodoret of Cyrrus. The Bishop and the Holy Man. Ann Arbor 2002. 1 47 Teodoreto, Lettera 1 1 3. 1 48 Storia religiosa, pro ! . l. 1 45

146 Théodoret de Cyr,

1 49 Storia religiosa. pro!. 9.

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Capitolo sesto

afferma di aver raccontato fino a quel momento la politeia di asceti defun­ ti e di voler proseguire con quelli ancora in vita, principio cui Teodoreto è rimasto poi fedele ad eccezione di due notizie intitolate ad asceti già deceduti Jso. Annuncia anche di voler seguire criteri di carattere geografi­ co, ma l'incrocio del criterio cronologico con quello geografico dà luogo ad altre incoerenze15 1 • Non è nell 'intenzioni dell ' Autore comporre una storia sistematica del monachesimo siriaco, gli sta più a cuore offrire un quadro sufficientemente articolato dei vari modi di vita adottatil52, anche se le notizie più numerose e diffuse sono dedicate agli anacoreti. Le singole notizie si succedono secondo uno schema simile che rag­ gruppa la materia per «rubriche»J S 3: dopo un breve proemio, i primi due paragrafi contengono in forma sintetica il profilo biografico del personag­ gio fino alla scelta monastica e la descrizione della sua disciplina ascetica; più sviluppata è la parte riguardante l ' eventuale fondazione di monasteri, le virtù e i miracoli (non sempre in quest'ordine), la descrizione della mor­ te e della sepoltura concludono i capitoli. Nel caso di fondatori di mona­ steri la notizia continua con la descrizione dell aske tike politeia dei disce­ poli più importanti. II metodo espositivo, che raggruppa sotto un unico argomento episodi avvenuti in momenti diversi, rende spesso difficile I 'in­ dividuazione della cronologia assoluta dei singoli episodi e personaggi. Come molti altri agiografi, Teodoreto intreccia alla descrizione delle vite dei monaci molti ricordi autobiografici: è un modo per rafforzare la credibilità della sua Storia, in quanto l 'autopsia - l'essere un testimone dei fatti - era ritenuta un requisito essenziale dell ' affidabilità dell ' istoria. Non aver seguito le «leggi dell' encomio», aver conosciuto personalmente gli asceti o aver raccolto su di loro notizie da testimoni degni di fiducia sono gli aspetti su cui insiste di più fin dalle prime battute l 54 per ottenere la fidu­ cia dei suoi lettori riguardo a queste figure straordinarie che abbracciano un secolo e mezzo della storia monastica della Siria: da Giacomo di Nisibi, un anacoreta che fissò la sua dimora sui monti vicini intorno al 280 e che poi divenne vescovo di quella città intorno al 308, a Pietro il Galata che, recluso in una tomba vicino ad Antiochia, guarì la madre di Teodoreto da una doppia malattia, la vanità femminile e l ' infermità agli occhii55; da Macedonia, soprannominato «il mangiatore d'orzo» dali ' alimento che per quarant' anni fu l 'unico suo cibo, a Goubba, che in siriaco significava ci'

! 50 Storia religiosa 22 e 24. 15 1 La questione è analizzata in dettaglio da Canivet, Le monachisme syrien, cit., pp. 83-86. 1 5 2 Sommario in Storia religiosa 27, l . 1 53 Cfr. supra, p. 94. 154 Storia religiosa, prol. 9; I l . 1 55 Storia religiosa 9, 8 .

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L'agiografia cristiana antica

stema, dai luoghi che normalmente sceglieva per esercitare la sua ascesi . Proprio alle preghiere di Macedonio la madre di Teodoreto ritenne di es­ sere debitrice per l ' unico suo figlio, avuto dopo lunghi anni di sterilitàt 56. Fra gli asceti ancora viventi, la figura destinata a colpire di più i con­ temporanei e a trovare numerosi imitatori t 57 era senza dubbio quella di Si­ meone il giovane (per distinguerlo da Simeone il vecchio la cui vita è rac­ contata in un capitolo precedentet58), un pastore che, prima di trovare nel­ la sommità di una colonna la sua dimora definitiva, era passato attraverso altre forme di vita monastica rivelatesi via via sempre inadeguate al suo radicalismo ascetico t59. La notizia che lo riguarda - malgrado le dichiara­ zioni del prologo - ha una struttura encomiastica molto più accentuata delle altre. Il periodo giovanile di S imeone ricorda per certi aspetti Antoniot 60 : Simeone maturò la sua conversione all ' ascetismo ascoltando in chiesa il passo di Luca sulla beatitudine promessa a coloro che su que­ sta terra piangono e i "guai" minacciati a coloro che invece "ridono" (Le 6,2.25). Dopo aver trascorso due anni in un asketerion nelle vicinanze (400-402), rimase per dieci anni nel monastero di Taleda da cui venne allontanato perché refrattario a seguire le indicazioni dei superiori che lo invitavano a limitare la sua ascesi ; nei tre anni successivi dimorò in soli­ tudine in una casetta presso Telanissos (oggi Der S im ' an), per poi stabi­ lirsi sulla cima della montagna sovrastante il borgo vivendo esposto alle intemperie in un luogo delimitato da un muro circolare secondo il modo di vivere anche di altri asceti e ascete raccontati da Teodoreto: gli ipetrit6t . Per sfuggire all 'assedio delle folle - afferma Teodoreto - che accorreva15 6 Storia religiosa 1 3 .

1 57 L'esempio d i Simeone suscitò numerose vocazioni in Siria e altrove dando vita ad u n feno­ meno di lunga durata: cfr. H. Delehaye, Les saints srylites (Subsidia hagiographica 14), Bruxelles­ Paris 1 923, che contiene l'edizione critica delle Vite di Daniele (Costantinopoli t 493), Alipio (pres­ so Adrianopoli in Pat1agonia, vn sec.), Luca (t 979) e Simeone il giovane (presso Antiochia t 592); l. Pefia-P. Castellana-R. Fernandez, Les stylites Jyrien.�. Jérusalem-Milano 1 975. 1 58 Storia religiosa 6. 159 Su Simeone possediamo una Vita siriaca e un'altra in lingua greca di un certo Antonio, che si presenta come un discepolo di Simeone, composte dopo la morte dello stilita. Le tre Vite, pur coinci­

dendo nella struttura cronologica più generale, differiscono profondamente e paiono indipendenti l ' una dall ' altra cfr The Lives ofSymeon Stylite, translated with an Introduction by R. Doran, Spencer, Massachussets 1 992. Per un confronto: S. Ashbrook Harvey, The Sense of a Stylite: Perspectives on Simeon the Elder, in «Vigiliae Christianae» 42( 1988), pp. 376-394 e B. Flusin, Syméon et /es philo­ logues, ou la mort du stylite, in C. Jo1ivet-Lévy-M. Kaplan-J.-P. Sodini (eds.), Les Saints et leur san­ ctuaire à Byzance. Textes, irru1ges et monuments, Paris 1 993, pp. 1 - 19. 160 Teodore to aveva probabilmente letto il testo di Atanasio: cfr. Teodo reto Storia ecclesiatica 4, 2 1 , 6; 4, 27, 4. 1 6 1 Come Marone (cap. 1 6) o Abba che durante l' inverno si mette all' ombra e d'estate sta al sole considerando le vampate di calore come "zefiri" (4, 1 2) o Giovanni che sceglie un crinale esposto ai venti e fa tagliare un albero che gli avrebbe potuto offrire un qualche riparo (23, l ) . Pi ù in dettaglio I. Pefia P. Castellana-R. Fernandez, Les reclus syriens, s d , pp. 34-35. .

,

-

.

.

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265

no da lui per toccarlo e ricevere le sue benedizione, decise di salire su una colonna alta all ' inizio 6 cubiti, poi 22 e infine 36 cubiti (circa 1 6 m). In cima alla colonna, Simeone doveva per forza disporre di uno spazio di lar­ ghezza maggiore del diametro della colonna se alternava alla posizione eretta numerosi piegamenti senza perdere l'equilibrio162. Secondo calcoli che incrociano le informazioni di Teodoreto con quelle della V7ta siriaca, Simeone sarebbe salito sulla prima colonna nel 422 e sull' ultima nel 429. Nel momento in cui Teodoreto scriveva presumibilmente la notizia che ]o riguardava, Simeone stava sulla colonna da più di venti anni e vi sarebbe rimasto fino alla sua morte avvenuta nel 459. Il luogo non distava da Cirro che circa 50 km e Teodoreto fu senza dubbio un assiduo visitatore di Simeone, a giudicare dalla ricchezza di informazioni riguardanti il perio­ do "stilita": «Sta in piedi giorno e notte sotto gli occhi di tutti, poichè aveva fatto togliere le porte e distruggere non poco del1a cinta muraria1 63 , sta davanti a tutti, spettacolo nuovo e paradossale, ora in piedi per lungo tempo, ora piegandosi frequentemen­ te per offrire a Dio la sua adorazione. . . Piegandosi tocca sempre con la fronte i piedi : in effetti il suo stomaco che riceve nutrimento una sola volta alla settima­ na e in piccola quantità, permette alla schiena di piegarsi facilmente» 1 64 .

Per quanto venga presentata come una scelta di isolamento dalle folle, la scelta della colonna «assegna allo stilita una posizione al contempo centrale e marginale» 1 65: egli occupa uno spazio separato, ma visibilissi­ mo; sta solo sulla colonna, ma ha bisogno di una rete di appoggio e di mediatori. Simeone rimaneva perciò al centro di una vita sociale e reli­ giosa intensissima 166 : ai piedi della colonna e comunicanti con lo stilita per mezzo di una scala, un certo numero di monaci provvedevano ai suoi bisogni e si facevano tramite delle richieste dei numerosissimi visitato- · ri : Simeone infatti sottraeva alcune ore della sua giornata alla preghiera e le dedicava (dalla nona ora al tramonto) ad esortare i presenti, a esau-

1 62 Una piattaforma che sorreggeva una struttura in legno?: discussione in L Pefia-P. Castellana­ R. Fernandez, Les stylites syriens, cit., pp. 39-42; iconografia: pp. 1 80 ss. Sui gesti, da una prospetti­ va antropologica: G.A. Gilli, Arti del corpo. Sei casi di stilitismo, Cavallermaggiore 1 999. 1 63 Si tratta della cinta che circondava la base della colonna. 164 Storia religiosa 26, 22. 1 65 Gilli, cit., p. 2 1 . 1 66 Sull 'importanza assunta dagli asceti nelle zone rurali della Siria: P. Brown, The Rise and Function of the Holy Man in Late Antiquity, in Id. , Society and the Holy in Late Antiquity, London 1 982, pp. l 03- 1 52, che ha influenzato moltissimo la ricerca successiva sullo stesso tema. Una reazio­ ne al paradigma interpretativo di P. Brown è: H.J.W. Drijvers, Hellenistic and Orientai Origins, in S . Hackel (ed.), The Byzantine Saint, London 1 98 1 , pp. 25-36: i l santo come imago Christi.

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dire le richieste particolari riguardanti guarigioni, a porre pace fra diver­ si contendenti i67. Le pratiche ascetiche di Simeone - un digiuno protratto per 40 giorni, la sopportazione di gravi ferite infestate da vermi, l ' astinenza completa dal sonno, le catene con cui si martoriava le carni - perfino la singolarità della sua dimora non rappresentano affatto un unicum nel panorama del monachesimo siriaco descritto dalla Storia religiosa: Eusebio, ad esem­ pio, aggiunse alle 1 25 libbre di catene di ferro che già portava come peni­ tenza, anche quelle del suo maestro Marciano e del suo condiscepolo Agapito per un totale di 250 libbre equivalenti a più di 80 kg ! Zebinas non volle adottare questa forma di penitenza per non cadere nella vanagloria, ma di notte e quando non era visto pregava portando sulle spalle un 'enorme radice di quercia i 6s. È interessante notare che in altri ambienti monastici simili performances non incontravano ovunque lo stesso gradimento: Apollonio, padre di cinquecento monaci nella Tebaide, non approvava coloro che si caricavano di catene e portavano i capelli lun­ ghi perché vi vedeva una volontà di ostentazione, mentre raccomandava il digi uno e la pratica del bene in segretoi69. Baradate visse per lungo tempo in una cassa in cui non poteva che stare curvo; la cassa, per di più, era costruita in modo che le sue pareti fos­ sero largamente sconnesse: in questo modo B aradate poteva aggiungere ai disagi subiti dagli ipetri anche la pena di una reclusione in un luogo così ristretto. Obbligato dal vescovo di Antiochia ad abbandonare la cassa, decise di stare sempre in piedi, con le mani levate verso il cielo, intera­ mente coperto da una pelle che gli lasciava liberi solo il naso e la boccal7o. Talelaio si costruì una sorta di cilindro ove poteva stare soltanto seduto con la testa incassata fra le ginocchia, lo sospese a dei pali e vi rimase per dieci annit7 I . Nell'opera di Teodoreto sono riferite molte stravaganze ascetiche, tut­ tavia, al di là dei singoli episodi che in molti casi potrebbero riflettere la leggenda creatasi nelle diverse comunità monastiche riguardo al gruppo dei fondatori e/o degli asceti di riferimento, il rigorismo ascetico descrit­ to da Teodoreto riflette un carattere originario e peculiare della fase più antica del monachesimo siriaco che è testimoniato anche da altre fonti siriache. E la Storia religiosa è affidabile anche nel registrare il carattere contemplativo dell 'ascetismo siriaco che, nella ricerca di uno stato di per1 67

168 169 170 1 71

Storia religiosa 26, 25-26. Storia religiosa 24, 6. Storia dei monaci in Egitto 8 , 59. Storia religiosa 27, 2. Storia religiosa 28, 3.

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267

petua comunione con Dio attraverso la preghiera, non annetteva - sia pure con qualche rara eccezione, sottolineata in senso positivo da Teodoreto l72 - alcun valore al lavoro neli' iter di perfezione, considerandolo anzi una minaccia sia alla povertà del monaco, sia all 'aspirazione di condurre già su questa terra una «vita angelica» m. Rigorismo ascetico e preghiera appartengono naturalmente anche ai movimenti monastici di altre regioni, ma il grado di intensità con cui furo­ no praticati in Siria ne costituisce un tratto specifico le cui origini vanno ricercate nei secoli precedenti, nella diffusione in queste regioni di un cri­ stianesimo di impronta fortemente dualistica e rigoristat74. 4. 1 . Uno > 10 ( 1 89 1 ), pp. 78- 1 1 3 . 21 8 Vita d i Eutimio 5 . 21 9 Vi ta d i Saba 6 ; Vita di Giovanni 4 ; Vita di Ciriaco 3 . 220 Meticolosamente enumerate i n Vita di Saba 58.

Capito lo sesto

277

Nell 'arco delle loro lunghissime vite, i monaci raccontati da Cirillo sono spesso in movimento e i loro spostamenti - indici non tanto di una progressione spirituale, quanto di una loro crescita istituzionale -, costi­ tuiscono la struttura narrativa delle Vite. In effetti se Eutimia e Saba nei loro spostamenti fondano monasteri e diventano igumeni degli stessi e archimandriti, per gli altri personaggi narrati da Cirillo, che arrivano in Palestina dopo di loro, sono proprio le fondazioni di quelli a costituire i luoghi di passaggio e di permanenza. Ho già accennato al fatto che al momento del loro arrivo in Palestina, gli eroi di Cirillo sono già santi: per questo la lotta contro le passioni, con i suoi risvolti demonologici, costituisce una parte molto limitata dei rac­ conti di Cirillo che è più interessato a dare il massimo rilievo a tutto quan­ to riguarda le origini, lo sviluppo, gli eventi memorabili, le tradizioni del­ l ' istituzione monastica. Sottolinea la fedeltà alle regole tramandate dai fondatori come, ad esempio, l 'uso osservato dai monaci più sperimentati - originale del monachesimo palestinese - di trascorrere il periodo quare­ simale lontano dalla laura o dal cenobio in luoghi completamente isolati; o la regola di non accettare monaci troppo giovani all ' interno della laura221 ; o la pratica del lavoro e l' adozione di un' ascesi severa, ma rego­ lata e calibrata sul comportamento della comunità di appartenenza, nel rifiuto di performances individuali: «Eutimia diceva: "La buona astinenza è di restare, all'ora del pasto, poco al di sotto del bisogno, di custodire il cuore e di lottare in segreto contro le passioni nascoste: quanto alle armi del monaco, esse sono la meditazione, il discernimen­ to degli spiriti, la temperanza e l 'obbedienza secondo Dio" »222 .

Sono le tradizioni, presumibilmente, che Saba, in punto di morte, tra­ mandò per scritto ai suoi monaci223. I carismi di guarigione, di discernimento, di profezia sono spesso colti nelle loro ricadute istituzionali. Il primo miracolo di Eutimia a favore del piccolo Terebone, oltre a convertire la sua famiglia e un gran numero di barbari al cristianesimo, legò alla laura di Eutimio, allora ai primi passi, una famiglia potente e ricca che con le sue donazioni contribuì in modo determinante alla costruzione e all ' ampliamento del monastero224. E così avvenne anche per le fondazioni successive il cui sostentamento e svilup­ po è presentato come conseguenza dei carismi di Eutimia che attiravano 22 1 Vita di Saba 29. 222 Vita di Eutimia 9. 223 Vita di Saba 76. 224 Vita di Eutimio 10.

L'agiografia cristiana antica

278

donazioni e aiuti di ogni generezzs. I miracoli post mortem che avvenivano presso la sua tomba non sfuggivano alla stessa prospettiva di protezione e consolidamento del monastero: persone guarite dal santo ritornavano ogni anno nell'anniversario della loro guarigione per offrire un banchetto ai monaci226; un ladro che aveva rubato l ' urna d' argento saldata sopra la lapi­ de che ricopriva il corpo di Eutimio, rimase bloccato all ' uscita227; le cister­ ne del cenobio si riempirono d 'acqua a seguito di una pioggia improvvisa e fuori stagione, grazie all 'intervento di Eutimio228. Anche Saba opera direttamente o è fatto oggetto di eventi miracolosi o soltanto inaspettati che proteggono o danno avvio alle sue numerose fondazioni monastiche229. Le Vite danno inoltre un grande rilievo all ' ortodossia dottrinale dei suoi eroi: Eutimio era ammirato per il suo zelo riguardo ai dogmi della Chiesa e per il suo odio assoluto riguardo alle eresie di cui Cirillo si pre­ mura di illustrare il dettagliato catalogo - Mani, Origene, Ario, Sabellio, Nestorio, Eutiche - e il contraddittorio da lui sostenuto con esponenti del­ l'opposizione in difesa della definizione di Calcedonia23o. Nella Vita di Ciriaco, il monaco interrogato proprio dal nostro Cirillo, espone gli «erro­ ri» degli origenisti23I . Un nucleo tematico costante d i queste Vite è inoltre l ' intreccio fra isti­ tuzione monastica e sacerdozio sotto il duplice aspetto dell ' integrazione della gerarchia sacerdotale con la gerarchia monastica nelle laure e nei cenobi palestinesi e dei rapporti di sostegno reciproco fra monasteri ed episcopato gerosolimitano nella complessa partita che vide schierati, oltre ai monaci di opposti orientamenti dottrinali, il potere imperiale nei diver­ si momenti favorevole ora agli uni, ora agli altri . Come ho ricordato, i santi monaci arrivano a Gerusalemme con l ' inten­ zione «di abitare il deserto», tuttavia Gerusalemme con i suoi luoghi santi rimane comunque al centro del racconto di Cirillo. In primo luogo, come sede dell' altro potere, quello episcopale, che accompagna, incoraggia e legittima le iniziative degli eroi di queste vite, difendendone - come nel caso di S aba232 - l ' autorità all 'interno dello stesso mondo monastico per22 5 226 227 228 229

Vita di Eutimia 1 2. 1 6- 1 8 e passim. Vita di Eutimia 54; 57. Vita di Eutimia 42.59. Vita di Eutimia 44. Solo qualche esempio: Vita di Saba 45.46.66.67 ;

dei suoi frequentatori:

dopo la morte a protezione del monastero e

78-82: sui miracoli, oltre allo studio di Flusin, già citato, cfr. Binns, cit. , pp.

2 1 8-244.

230 Vita di Eutimia 26-27. 2 3 1 Vita di Ciriaco 1 2- 1 4. 2 32 B . Flusin, Saint Sabas: un leader manastique à l 'autorité contestée, in A. Camplani-G. Fi­

loramo (eds. ) , Paris

Foundatians oj Pawer and Conjlicts ojAuthority in Late Antique Monasticism,

2007. pp. 1 95-2 1 6.

Leuven­

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corso da profonde quanto dolorose l acerazioni. È un potere che viene a sua volta sostenuto in momenti cruciali: di grande effetto mediatico, se non nei fatti, ma certo nel testo che li ricostruisce, è, ad esempio, l ' intervento di Saba e Teodosio, l ' uno archimandrita degli anacoreti, l ' altro dei cenobi della Palestina, accanto al vescovo Giovanni contro l' Imperatore. È un mo­ mento drammatico dello scontro fra i monaci favorevoli alle decisioni in materia cristologica del concilio di Calcedonia e il partito anticalcedonese, capeggiato - con l ' appoggio dell'Imperatore Anastasio - da Severo vesco­ vo di Antiochia. Anastasio ha appena ordinato la scarcerazione di Gio­ vanni, vescovo di Gerusalemme, sulla base della promessa da parte sua di accettare di entrare in comunione con Severo, invece Giovanni si presenta con Saba e Teodosio nella chiesa gremita da diecimila monaci e, di fronte al rappresentante dell 'Imperatore, i tre pronunciano dall'ambone la con­ danna di chi non accettava Calcedonia. Il fatto poi che fosse un monaco e non il vescovo ad esclamare: «Se qualcuno non accetta i quattro concili come i quattro vangeli sia scomunicato»m, è sintomatico di un altro aspet­ to che percorre il racconto cirilliano anche in altri luoghi: nella difesa del­ l ' ortodossia, come in altre questioni d'importanza vitale per la prosperità della Chiesa gerosolimitana, la parte che i monaci aspiravano a recitare, non era soltanto quella di attori di secondo piano, ma di protagonisti, come è ben messo in evidenza nella ricostruzione degli altri interventi, questa volta dei soli Saba e Teodosio, presso l ' autorità imperiale. Sono loro a ri­ vendicare a Gerusalemme un ruolo universale, come madre di tutte le Chiese che, avendo accolto per prima la predicazione di Cristo e degli apo­ stoli, ha poi saputo mantenere integra e inviolata la fede234. 5 . 1 . Le Vite dei monaci .fra storia del monachesimo e storia ecclesiastica Cirillo approdò al «monastero del grande Eutimia» - trasformato dopo la sua morte da laura in cenobio - nel luglio del 544235. Qui fu testimone di alcuni miracoli che avvenivano presso la sua tomba e - stando al suo racconto - venne preso dalla curiosità di sapere di più sul genere di vita e sulle virtù del santo. Eutimia era morto nel 474, dunque da settanta anni ; la ricerca su Eutimia si intrecciava inevitabilmente con quella su Saba che era stato un suo discepolo in quanto le fonti principali erano costituite dai monaci più anziani custodi di memorie su Eutimia e compagni di lotta e di ascesi di Saba. Fra questi spicca il contributo di Giovanni 1 ' Esicasta236, 233 Vìta di Saba 56.

234 Vita di Saba 57. 235 Vita di Eutimio 49. 23 6 Vìta di Saba 2 1 .

280

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il vero deus ex machina della vita come delle Vite di Cirillo. Giovanni ancora vivo quando Cirillo componeva la Vita su di lui - era arrivato alla Grande Laura di S aba nel 49 1 237 e vi era rimasto con qualche intervallo per cinquantasette anni23s. Cirillo sostiene di aver cominciato a raccogliere materiale già dal 544 ; tuttavia la redazione delle Vite di Eutimia e Saba avvenne soltanto dieci anni dopo, quando gli eredi del monachesimo calcedonese e antiorigeni­ sta di Eutimia e Saba ripresero il possesso dei monasteri dei padri ; un momento dunque di massima solennità sottolineata - nell 'epilogo della Vita di Saba - da un sapiente mosaico di citazioni bibliche tratte da Isaia, dal l ' Esodo e da alcuni Salmi storici tutti riguardanti la promessa fatta da Dio al suo popolo di liberarlo dai suoi nemici. Con l ' insediamento di Ci­ rillo nella Nuova Laura - insediamento propiziato dallo stesso Giovanni ­ si chiude anche l 'esilio personale di Cirillo che, solo ora, può realizzare la sua aspirazione alla solitudine, per quanto ancora relativa, della laura e avverare la profezia di Saba su di lui239: abitare nel deserto, dopo dieci anni di vita cenobitica. In questo momento cruciale della storia collettiva e personale, le Vite di Cirillo possono offrire ordine e senso alle azioni dei padri e agli even­ ti anche traumatici che avevano caratterizzato la vita delle loro fondazio­ ni, interpretando le une e gli altri come altrettante fasi del progetto di Dio su di loro. L' inizio della narrazione non poteva allora che coincidere con l ' incar­ nazione, cioè, con l'inizio della storia della salvezza che poi prosegue con l' invio degli apostoli, dei martiri e, da ultimo, dei monaci che ne continua­ no, con il sacrificio di se stessi, l 'opera illuminatrice240: incipit ripreso con le debite modifiche dalla Vita di Pacomio24t , ma che richiama un altro incipit famoso: quello della Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea in cui la narrazione prende le mosse dalla trattazione sulla natura di Cristo e dalla sua incarnazione. Se i monaci fanno parte del piano provvidenziale di Dio riguardo all ' umanità, la loro vita deve essere narrata in modo da mostrare come gli eventi che li riguardano, accuratamente collocati nel tempo, siano altrettanti punti di inserzione con quel piano divino. La cro­ nologia del santo è la griglia in cui sono inseriti con la massima precisio­ ne possibile la successione degli Imperatori, gli eventi della Chiesa uni­ versale come i concili , le successioni episcopali della Chiesa gerosolimi2 37

Vita di Giovanni 5. 23 8 Vita di Giovanni 28. 239 Cfr. supra, p. 272, n. 202. 240 Vita di Eutimio.

pro!.

24 1 Vita di Pacomio (G l ).

28 1

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tana: tutto ciò che avviene, avviene in un preciso momento della vita del santo e come essa concorre alla realizzazione di un disegno provvidenzia­ le. Si sottolinea, per esempio, che la nascita di Eutimio coincise con la morte di Valente, l ' Imperatore ariano, e con l ' inizio di un periodo di pace per le Chiese242. Il suo ingresso nell ' ordine sacerdotale, avvenne contem­ poraneamente alla salita al trono di Teodosio 1243. In generale, gli eventi decisivi nella vita dei monaci sono ricondotti ali 'iniziativa divina244, in certi casi, per il tramite di visioni o di altri segni245. La biografia si allarga a comprendere la storia della Chiesa di un' inte­ ra regione e dell ' istoria assume il metodo: la precisione cronologica e geografica, la citazione circostanziata dei testimoni, dei documenti, delle successioni dei vescovi e degli igumeni e dei monasteri. La contaminazio­ ne fra bios e istoria non è una novità assoluta; anzi, come si ricorderà, si trova agli inizi del discorso agiografico cristiano: la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea comprendeva il bios di Origene. Tuttavia qui il rac­ conto biografico era ospitato in una griglia che lo sovrastava e da cui dipendeva, mentre, nelle Vite di Eutimio e Saba, sono gli altri avvenimen­ ti a inserirsi nella trama cronologica del santo. Questo capovolgimento di prospettiva è il vero elemento di novità delle Vìte di Cirillo, soprattutto se considerate sullo sfondo del rapporto fra Storia ecclesiastica e Storie dei monaci246. Fra i motivi che spingeva­ no a raccontare i vari monachesimi, c'era il problema che le Storie eccle­ siastiche scritte dopo Eusebio di Cesarea avevano ricevuto da lui la lista degli argomenti specifici del genere247; tale lista - soltanto in parte per motivi cronologici - non contemplava il monachesimo. Socrate (t 450 ca.), che dedica un capitolo della sua Storia al monachesimo egiziano, dimostra la consapevolezza che lo schema eusebiano non era più suffi­ ciente per abbracciare il ruolo effettivo e l'importanza rivestiti dai vari monachesimi all' interno della Chiesa; continua tuttavia a ritenere tale ar­ gomento non pertinente all a Storia ecclesiastica e rimanda alla letteratu­ ra specializzata, nel caso specifico alla Storia lausiaca di Palladio24B. Ne­ gli stessi anni, soltanto Sozomeno, consapevole di innovare, sostenne esplicitamente che gli inizi e lo sviluppo dei monachesimi facevano parte 242 Vìta dì Eutimio 2. 243

Vìta di Eutimio

3.

244 Talvolta in trodotta con l a formula "Dio

si compiacque d i . " Vita di Eutimio 8 . 1 6.43. ..

245 Vìta dì Saba 1 5 . 1 8.3 1 . 246 B . Flusin, Un hagiographe saisi par l 'histoìre: Cyrìlle de Scytopolis et la mesure du temps.

in J. Patrich (ed.), The Sabaìte Heritage in the Orthodox Churchfrom the Fifth Century to the Present, Leuven 200 L pp. 1 1 9- 1 26. 247 Enumerati nel prologo della Storia ecclesiastica di Eusebi o 248 Socrate, Storia ecclesiastica 4, 77-80. .

282

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della Storia ecclesiastica249. In alcuni si fece strada la convinzione che questo nuovo soggetto non poteva ridursi a una breve presentazione di figure eccezionali, ma bisognava dare spazio ai discepoli, alla storia suc­ cessiva delle fondazioni monastiche e al loro intreccio con la vita genera­ le delle Chiese. Alla base della scelta percorsa di Teodoreto di Cirro di comporre, accanto ad una Storia ecclesiastica, una Storia religiosa dedi­ cata alle vite dei monaci dell' Oriente, vi furono certamente anche queste considerazioni. Va i noltre aggiunto che le Vite di Cirillo esprimono il punto di vista della parte vincente dopo lotte che durarono per più di un secolo. Redatto dopo l ' happy end, il resoconto smussa, tace, sottolinea, abbellisce gli avvenimenti con lo scopo di mostrarli fin dali ' inizio preordinati ali ' esito che effettivamente avevano avuto. Gli studi sulla Chiesa di Palestina nello stesso arco di tempo coperto dalle Vìte, hanno messo in luce come la rice­ zione delle decisioni del Concilio di Calcedonia sia stata contrastata e fati­ cosa, come abbia implicato nelle varie fasi prudenze e tentativi di conci­ liazione con i monaci anticalcedonesi che godevano in certi momenti del­ l ' appoggio imperiale2so. Cirillo tenta i nvece di dare un quadro molto più compatto e concorde dei comportamenti dei monaci calcedonesi e del­ l 'episcopato gerosolimitano, retrodatando a quegli anni una nettezza di posizioni e convinzioni teologiche che appartennero piuttosto ad un perio­ do successivo. La stessa ricostruzione della questione origenista che inve­ stì direttamente le fondazioni monastiche di Saba a tal punto da costrin­ gerlo ad abbandonarle più volte tende ad essere reticente in più punti e a attribuire ai suoi successori un ruolo eccessivo negli eventi che portarono alla condanna nel v Concilio ecumenico del 55 32s 1 . Del resto, l a redazione dell' opera non guardava soltanto al passato, era intesa anche per aiutare il passaggio della soglia cruciale di un nuovo ini­ zio: scacciati i monaci origenisti, la Nuova Laura venne ripopolata da cen­ toventi monaci, sessanta dei quali provenienti dalla Grande Laura, cioè da un' altra fondazione di Saba, e sessanta provenienti da altri monasteri orto­ dossi del deserto palestinese. Questa rifondazione doveva essere accom­ pagnata da una rifondazione memoriale in grado di porre costantemente sotto gli occhi di tutti da dove venivano e chi avrebbero dovuto essere.

249 Sozomeno, Storia ecclesiastica l , 1 8-20; G.C. Hansen, Le monachisme dans / 'historiogra­ phie, in B. Pouderon-Y.-M. Duval, L'historiographie de l ' Église des premiers siècles, Paris 2000 , pp.

1 39- 148.

250 L Perrone, La Chiesa di Palestina e le controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilio di Costantinopoli (553), Brescia 1 980, pp. 88 ss. 251 Hombergen, cit., pp. 368-37 1 .

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6. Il Prato di Giovanni Mosca «Ho raccolto fra loro (se. i s anti) i fiori più belli e da questo prato purissimo ho ricavato una corona intrecciata che voglio offrire a te, fidelissimo figlio, e attra­ verso te a tutti gli uomini. È per questo motivo che ho chiamato il mio libro Prato : per la gioia che dà la sua fragranza e per il bene che può fare a chi lo legge » 252 .

Sono le parole che Giovanni Mosco colloca all ' inizio appunto del Pra­ to o Prato spirituale secondo l ' integrazione che leggiamo in alcuni testi­ moni della tradizione manoscritta. In quel momento si trovava a Co­ stantinopoli ove era giunto dopo circa quarantacinque anni di vita asceti­ ca spesi nelle istituzioni monastiche in Palestina (568/579), nel Sinai (5 80/5 8 1 -590/9), ancora in Palestina e Siria ( fino al 606), di nuovo in Egitto ad Alessandria (fino al 6 1 4 ) . A differenza di Cirillo di Scitopo li e dei monaci da lui raccontati che pure si spostavano spesso da un' istituzio­ ne monastica all 'altra, le peregrinazioni di Giovanni riflettevano l 'estrema precarietà di tempi in cui le laure e i cenobi della Palestina e della Siria dovettero affrontare l'urto devastante delle invasioni prima persiana e poi araba. Dopo la morte di Giustiniano, la situazione di pace e sicurezza, che traspaiono dalle ultime righe della Vita di Saba di Cirillo di Scitopoli, era cambiata radicalmente. Nel breve volgere di qualche decennio vennero prese e saccheggiate Antiochia (565), Gerusalemme (6 1 4), Alessandria (6 1 7) , ancora Gerusalemme (634). Alle vicende politiche e militari si intrecciavano i contrasti dottrinali tra calcedoniani e monofisiti; a questi pose fine la conquista araba che con il sottrarre all ' Impero Bizantino il controllo della Siria, della Palestina e dell 'Egitto sancì il distacco di queste regioni già largamente monofisite dalla Chiesa calcedoniana. Dedicatario del Prato è Sofronio, discepolo e fedele compagno di viaggi di Giovanni e futuro patriarca di Gerusalemme. Era con lui anche a Costantinopoli e fu proprio a Sofronio - secondo quanto leggiamo nel breve profilo biografico che in parte della tradizione manoscritta accom­ pagna il Prato253 - che Giovanni, sentendosi prossimo alla fine, affidò il suo libro contenente «i modi di vivere (politeiai) graditi a Dio dei santi padri», raccomandandogli inoltre di riportare il suo corpo sul Sinai o, se la cosa fosse stata resa impossibile dai "barbari", nel monastero di San 25 2 Giovanni Mosco, Il prato, presentazione, traduzione e commento di R. Malsano, Napoli 20022. P. Pattenden, /oannes Moschos, TRE 1 7( 1987), pp. 1 40- 144. 253 Integrato e corretto dalle rare informazioni presenti nel Prato, costituisce la fonte di quasi tutto quanto sappiamo su di lui : edizione critica del prologo in H. Usener, Der heilige Tychon, Leipzìg-Berlin 1907, pp. 9 1 -93. Iohannes Moschus, Pratum spirituale, PG 87, cc. 2852-3 1 1 .

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Teodosio, ove aveva iniziato la sua vita ascetica. E qui fu seppellito vero­ similmente nel 634. Il Prato raccoglie brevi storie su monaci - ma non mancano vescovi e laici illustri254 - di cui si ricordano detti, episodi edificanti, miracoli ; soltan­ to raramente Giovanni si presenta come testimone; è piuttosto colui che registra racconti fatti da altri monaci da lui incontrati nei vari monasteri. «Ci raccontava abba Leonzio del cenobio del nostro santo padre Teodosio . .. »2ss è l' incipit di quasi tutti i racconti che poi proseguono in prima persona. Le 2 1 9 notizie si succedono, come già notava l' anonimo autore del prologo, non secondo un ordine logico di tipo geografico, ma «sulla base dell ' affi n i­ tà di argomento»256. A dire il vero, questo criterio è seguito in modo inter­ mittente. Gruppi sempre piuttosto ristretti di racconti possono essere acco­ munati dal fatto che si riferiscono ad uno stesso luogo o sono narrati dalla stessa persona o contengono riferimenti ad uno stesso personaggio, ma il passaggio da un gruppo di narrazioni ad un altro è brusco, senza un ordine apparente. Il fuoco delle brevi narrazioni è poi costituito da un detto o un breve dialogo del protagonista, detto che contiene - diremmo oggi - la "morale". Sotto questo aspetto il Prato rivela una stretta parentela con la let­ teratura degli apoftegmi che nutrivano la spiritualità monastica del tempo e che circolavano almeno sotto due forme: una, alfabetica, secondo i nomi dei padri del deserto di cui erano riportati i detti, l ' altra, anonima e ordinata per temi, contiene sviluppi narrativi più ampi con l ' aggiunta di notizie di carat­ tere biografico e con i racconti dei miracoli257. Messo a confronto con le precedenti raccolte di Storie monastiche, il Prato presenta alcuni tratti specifici che riflettono la particolare difficoltà del momento storico: in molti racconti affiora il tema del declino istituzio­ nale e spirituale del monachesimo contemporaneo paragonato alla flori­ dezza di cui godeva precedentemente e all 'eroismo ascetico dei padri, sug­ gerendo che i due aspetti fossero strettamente collegati: «Ahimé figlioli, abbiamo rovinato il nostro angelico modo di vivere !» esclama un anziano, constatando l 'incapacità dei più giovani a praticare la castità, l'umiltà, a sopportare la sofferenza. «Siamo stanchi» gli risponde il discepolo. «Cre­ dimi figlio mio - ribatte l' anziano - il nostro fisico è paragonabile a quel­ lo degli atleti olimpici ! È la nostra anima ad essere stanca» zs s. La distru-

254 Gregorio Magno: Pra to 1 47; 1 5 1 ; 1 92; Atanasio, vescovo di Alessandria: Prato 1 97- 1 98 ; Cosma. uno maestro di Alessandria: Prato 1 7 1 - 1 72. 255 Prato 4. 256 Prol., Usener, 92, 35. 257 Sul rapporto con gli Apophtegmata e bibliografia relativa: J.S. Palmer, El monacato orientai en el Pratum spirituale de Juan Mosco, Madrid 1 993, pp. 344-345. 25 8 Prato 1 68 e 52; 1 62.

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zione di Scete nel 577 ad opera dei Mazici viene così commentata da parte di abba Teodoro di Alessandria: «l monaci hanno perduto la Scete per la loro natura», ben diversa da quella degli anziani, lodati per la loro carità, ascesi, capacità di discemimento2s9. Per quanto il miracolo sovrabbondi, non tutte le storie hanno un lieto fine e anche il carisma monastico soccombe alla violenza dei tempi: i Mazici uccisero molti monaci e molti ne fecero prigionieri in vista di un riscatto che in molti casi non poté essere pagato completamente. Abba Leone che era riuscito a racimolare soltanto un terzo della cifra richiesta per liberare tre confratelli anziani e malati, si offrì al loro posto: «< barba­ ri allora presero lui e le monete e lasciarono andare i tre anziani. Per un tratto di strada abba Leone andò insieme ai barbari, poi si sentì stanco ed essi lo decapitarono»260. Se la devozione alla Vergine e alla sua icona è spinta in primo piano dalle controversie dottrinali261 , essa non è tuttavia l ' unico personaggio femminile di questa raccolta che concede uno spazio notevole alla donna, specialmente se paragonato alle precedenti raccolte monastiche di Teo­ doreto di Cirro e di Giovanni di Scitopoli. Nelle storie di Giovanni Mosco incontriamo, invece, una santa reclusa262; una giovane che decide di vive­ re nel deserto per difendere la sua verginità263 ; una donna costretta a pro­ stituirsi per necessità, ma che poi dimostra di essersi convertita e di pos­ sedere poteri straordinafi264; una sposa fedele che con la sua castità e la protezione divina riesce a pagare i debiti del marito e a tirarlo fuori dal carcere26S . E se il rifiuto di contatti con il corpo fe mm i n ile è una caratte­ ristica del monaco perfetto anche da morto - per ben quattro volte la terra che aveva già accolto il corpo di abba Tommaso, rigettò il corpo di una donna che era stata seppe11 ita sopra di lui !266 - Giovanni Mosco racconta anche di una donna che, al tentativo di stupro da parte di un giovane monaco arresosi alla lussuria, reagì con il ricondurlo sulla retta strada pro­ spettandogli le terribili conseguenze, tra cui, tra l ' altro, anche l'eventuali­ tà di mantenerla per il resto della sua vita, come dettava allora il costu­ me267. Inoltre alcune storie raccolgono i racconti fatti da donne268. 259 Prato 54 c fr. H. Chadwick, John Moschus Theological Studies>> 25( 1 974), pp. 60-62.

and his Friend Sophronius the Sophist,

> 33 [ 1 983 ] , pp. 1 1 9- 1 22) a proposito

dell'unico studio disponibile sull' argomento: E. Mihevc-Gabrovec, Études sur la syntaxe de Johannes Moschos, Lubiana 1 960. 273 P. Pattenden, The Text of the "Pratum Spirituale ", in «> n.s. 26( 1 975), pp. 38-74. 274 Palmer, cit., p. 49. 27 5 R. Mai sano, Tradizione orale e sviluppi narrativi nel Prato di Giovanni Mosco, in «Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata» n.s. 38( 1984), pp. 3 - 1 7 , ripreso nell' Appendice della sua tradu­ zione (cit. , pp. 295-305). 276 Prato 40. 27 7 Prato 77.

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esemplari del Nuovo Testamento278. Sofronio, suo discepolo, che gli fu fedele compagno in quasi tutti i suoi spostamenti, era fine letterato e teo­ logo279. Inoltre molti altri racconti rivel ano l ' importanza dei libri, non solo biblici, e la loro presenza fra i monaci del Prato che lo hanno reso una fonte importante per studiare la storia del libro2so. Come i Dialoghi di Gregorio Magno in Occidente, il Prato può essere considerato espressione di una cultura letteraria alta che assume consape­ volmente un registro narrativo semplice per poter arrivare - come afferma Giovanni nel suo elegante prologo - "a tutti" attraverso la lettura o l ' a­ scolto di mediatori alfabetizzati. Egli non intendeva rivolgersi soltanto ai monaci : il confronto su punti precisi fra apoftegmi e rielaborazione di Giovanni, rivela che il suo intervento tende a spiegare e a esplicitare (e tal­ volta banalizzare) il significato del detto28 1 , con il fine di rendere piena­ mente fruibile questa letteratura fuori dall' ambiente monastico in cui la piena comprensione era assecondata da esperienze comuni e dali ' insegna­ mento orale dei più anziani. 7. Miracoli e santuari A partire dal v secolo, sia in oriente, sia in occidente, i miracoli diven­ gono oggetto di un discorso a loro esclusivamente dedicato e che ha come centro di interesse, non più l ' illustrazione della vita di un santo, ma la sua azione post mortem legata ad un luogo particolare : il luogo santo, il san­ tuario282 che ne ospita le rel iquie e che per questo diventa meta di un pel­ legrinaggio283. Dal v al vn sec . vengono composte diverse raccolte miracoli greche che si riferiscono ad altrettanti culti: la martire Tecla nei pressi di Seleucia 27 8 Prato 1 34. 279 Sofronio scrisse in collaborazione con Giovanni Mosco una biografia di Giovanni

l'Elemosiniere, vescovo di Alessandria, che non possediamo; dello stesso personaggio, protagonista, tra l ' altro di alcuni racconti del Prato, abbiamo la biografia scritta da Leonzio, vescovo di Neapoli: Three Byzantine Saints. Contemporary Biographies oj St Daniel the Stylite, St Theodore oj Sykeon and St John the Almsgiver, translated from the Greek by E. Dawes and N.H. Baynes. Su Sofronio cfr. sotto, p . 289. 280 O. Kresten, Scrittura e libro nei testi agiografici dei secoli vt e VII, in G. Cavallo, Libri e let­ tori nel mondo bizantino, Bari 1982, pp. 2 1 -35. 2&1 Maisano, cit., pp. 302-303. 2 82 A. Vauchez (sous la direction de), Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches termi­ nologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, École Française de Rome 2000. 28 3 Un' utile presentazione generale sono ancora gli studi di H. Delehaye, Les premiers libelli miraculorum, in «Analecta Bollandiana>> 29( 19 !0), pp. 427-43 3; Id. , Les recueils antiques des mira­ cles des saints, in «Analecta Bollandiana>> 43( 1925), pp. 5-85; Id., L'ancienne hagiographie byzanti­ ne. Les sources, /es premiers modèles, la formation des genres. Conférences prononcées au Collège

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in Isauria2B4; Teodoro il cui corpo era conservato a Euchaita nel Ponto285 ; Ciro e Giovanni a Menouthis, non lontano da Alessandria2s6; Mena nel celebre santuario sulle rive del lago di Mareotis287 anch 'esso non lontano dalla stessa città; Cosma e Damiano nella chiesa a loro dedicata a Co­ stantinopoJi2ss; Terapone nella chiesa dedicata alla Vergine della stessa città289; Artemio nella chiesa di S. Giovanni sempre a Costantinopoli290; Demetrio, patrono di Tessalonica291 . Sono raccolte di tenore molto differente per quanto riguarda gli autori e i problemi critici legati alla loro tradizione. La Vita e i miracoli di Santa Tecla è un testo anonimo, ma aderente ad un progetto letterario coerente, ancorché protratto per alcuni decenni. Chi scrive è ispirato dalla santa e da un non altrimenti noto Acacio; è un retore professionista cui è stato affidato il compito di riscrivere gli Atti di Paolo e Tecfa292. A partire dal v secolo in molti altri !oca sactorum si arruolarono i talenti lettterari più promettenti per dare un nuovo lustro alle passioni e alle vite dei santi più antichi. Erodoto, Tucidide, Omero, Esiodo sono gli autori con cui pompo­ samente l ' Anonimo paragona l ' opera dedicata ad una martire di cui fin de France en 1935. Textes publiés par B. Joassart et X. Lequeux, Bruxelles 1 99 1 , pp. 5 1 -68; con l'ag­ giornamento di R. Boutros, L'hagiographie des saints thérapeutes: une source pour l 'histoire reli­ gieuse des pèlerinages en Égypte, in A. Boud' Hors-C. Louis (par), Études coptes x. Douzième jour­ née d'études (Lyon, 1 9-2 1 mai 2005}, Paris 2008, pp. 229-248. 284 G. Dagron, VIe et Miracles de Sainte Thècle. Texte grec, traduction et commentaire, Bruxelles 1 978. zs; Ed. critica in Acta Sanctorum, novem. vol . IV, pp. 55-72; Crisippo prete di Gerusalemme morto nel 479 scrisse un encomio del martire che ne descriveva la passione e i miracoli. 286 Sofronio, amico di Giovanni Mosco (cfr. supra, p. 287, n. 279) e più tardi patriarca di Geru­ salemme scrive all ' inizio del VII secolo; Sophrone de Jérusalem, Miracles de saints Cyr et Jean (BHL 1 477-79). traduction commentée par J. Gascou, Paris 2006. Panégyriques des saints Cyr et Jean, par P. Bringel, Tumhout 2008 , pp. 19-22: sulle fonti di Sofronio e sulle V!tae dei due martiri che sono alla base del panegirico e della raccolta dei miracoli. 287 Miracula s. Mena, prima edizione a cura di l. Pomjalovskij, Petropoli 1 900 ; sulla questione dei rapporti fra testo greco, copto e arabo cfr. J.-M. Sauget, Menna, in Bibliotheca Sanctorum, vol. IX, coli. 324-342. 288 L. Deubner, Kosmas und Damian, Leipzig 1 907 , rist. Stuttgart 1980; il culto costantinopoli­ tano aveva presto eclissato quello sviluppatosi a Cirro, luogo del loro martirio che ne conservava i corpi. L'edizione del Deubner narra 48 prodigi, la cui parte più antica risale ai secc. VI-VII; G. Luongo, Il "dcssier " agiografico dei santi Cosma e Damiano, in S. Leanza (ed.), Sant 'Eufemia di Aspromonte. Atti del convegno di studio per il bicentenario dell' autonomia (Sant' Eufemia di Aspromonte 1 4- 1 6 dicembre 1 990), Soveria Mannelli 1 997, pp. 33-89. 28 9 Laudatio in miracula Sancti Hieromartyrts Therapontis, in L. Deubner, De incubatione capi­ ta quattuor, Lipsiae 1 900 , pp. 1 1 3 - 1 34, redatto nella prima metà del VII sec. mentre gli s lavi e gli avari assediavano Costantinopoli. 2 90 V. S. Crisafulli-l. W. Nesbitt, The Miracles of St. Artemius. A Collection of Miracles Stories by an Anonymous Author of Seventh-Century Byzantium, Leiden-New York-Koln 1997; raccolta redatta nel vn sec. 29 1 P. Lemerle, Les plu�· anciens recueils des miracles de Saint Démétrius, t. 1 : Le texte, t. n: Com­ mentaire, Paris 1 979; 1 98 1 . 2 92 Cfr. p . 55.

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dalle prime righe si esalta il posto di assoluto rilievo nella storia della sal­ vezza. Quella salvezza che dal Figlio preesistente si è realizzata nell' in­ carnazione e che fu portata avanti dagli Apostoli e dai martiri fra cui Ste­ fano è il protomartire e Tecla la prima delle donne293. L' anonimo svolge il · suo compito onestamente con minimi adattamenti, salvo in punto crucia­ le necessario per dare ragione del fatto che il santuario non possedeva il corpo della santa. Si tratta del racconto della morte di di Tecla, che, se­ condo l' Anonimo, «scese ancora viva sotto terra, secondo la volontà di Dio che la fece aprire per accoglierla» nel luogo appunto dove si trovava l ' altare della chiesa a lei dedicata294. Secondo una versione amplificata della leggenda, Tecla lasciò dietro di sé il suo velo295 che era appunto la reliquia conservata nella chiesa. La seconda parte dell 'opera è dedicata ai miracoli raccolti in un arco di tempo che va dal 430 al 470 . L'autore è un devoto della santa; le attribuisce il merito di avergli risparmiato la scomu­ nica comminatagli dal vescovo Basilio di Seleucia cui non risparmia cri­ tiche feroci. Spesso il racconto dei miracoli si mescola con le vicende per­ sonali dell ' autore che si ritiene un perseguitato da11 ' autorità ecclesiastica oppure con veri e propri pettegolezzi piccanti su fatti di attualità. Così non si fa scrupolo di informarci dettagliatamente su di una dama ricca di anni e di figli che pur avendo ottenuto dalla santa la grazia di distogliere il marito dalle attrattive delle altre donne, alla morte di costui si era presto consolata con un prestante stalliere296. Protagoniste frequenti di questi racconti sono le donne che ottengono guarigioni , la salvaguardia della lo­ ro castità, il recupero di oggetti preziosi, la bellezza per riconquistare i l marito, la capacità di leggere. In netto contrasto con il ritratto dell' algida e invincibile vergine della Vita, si tratta di donne che evidentemente non la consideravano un modello da imitare essendo, per la maggior parte, tutte dedite a compiti e speranze terreni e assecondate in questo da Tecla. Anche i thaumata di Ciro e Giovanni sono un 'opera letteraria unitaria; l ' autore ci è già noto: è Sofronio, l' amico e compagno di viaggio di Gio­ vanni Mosco e futuro patriarca di Gerusalemme. Anch 'egli retore, Sofro­ nio ama impregnare le azioni miracolose dei santi «with a gentle rain of golden words»297 e dare un ordine preciso ai settanta racconti di miracoli che sono divisi in tre gruppi secondo la provenienza geografica dei mira­ colati: prima gli alessandrini, poi gli egiziani, i libici e infine tutti gli altri. 293 Vita e miracoli di S. Tecla l . 294 Vita e miracoli di S. Tecla 28. 295 Dagron, Vie et Miracles, cit. , pp. 48-49. 296 Vita e miracoli di S. Tecla 20. 297 P. Brown, Gregory of Tours: lntroduction, in K. Mitchell K.-1. Wood, The World of Gregory oj Tours, Leiden-Boston-Koln 2002. p. 8. Profilo biografico in Ch. von Schonborn, Sophrone de Jérusalem. Vie monastique et conjession dogmatique, Paris 1 972, pp. 53-98.

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Le altre raccolte hanno invece un carattere composito e spesso la reda­ zione è avvenuta in fasi successive: così accade per i miracoli compiuti da Demetrio, di cui una prima tranche fu redatta nel primo quarto del VII sec. dal vescovo Giovanni di Tessalonica e una seconda, a qualche decennio di distanza, da un anonimo che utilizzava materiali ancora risalenti a Giovanni29s. La natura seriate dei racconti si prestava per altro a continue modifiche, rimaneggiamenti, aggiunte in una rielaborazione continua che rende la ricostituzione del testo originale irta di difficoltà e forse nemme­ no auspicabile. Ad esempio, l'edizione del Deubner dei miracoli di Co­ sma e Damiano si fonda su venticinque manoscritti profondamente diver­ si per ordine, numero e tipo di miracolo299. Quali le fonti di questi testi? In qualche caso, la scrittura agiografica si radica, come spesso avviene nel discorso agiografico, in un'esperienza personale; lo abbiamo visto per l' Anonimo di Tecla. Anche Sofronio in­ trattiene a lungo i suoi lettori sulla sua guarigione di una malattia agli oc­ chi300. L'aver sperimentato personalmente i poteri taumaturgici predispo­ neva a dare fiducia ai racconti raccolti nella cerchia dei testimoni oculari, di frequentatori abituali e del personale addetto al santuario, oppure dal­ l 'ascolto delle letture pubbliche di racconti di miracoli, come afferma l ' autore del prologo della quinta serie di miracoli, dell ' edizione del Deubner3ol . Un 'altra possibile fonte potevano essere gli ex voto lasciati nella chie­ sa: Sofronio trascrive un'iscrizione che ricordava un miracolo di guarigio­ ne di un cieco: nell 'iscrizione si specificava, di seguito, il nome, la città di provenienza, la malattia, la durata della permanenza presso il santuario e la guarigione avvenuta. Il capitolo che Sofronio dedica alla descrizione del miracolo e che a prima vista potrebbe sembrare più ricco di informa­ zioni, in realtà, non è che l' amplificazione retorica delle informazioni contenute nell ' iscrizione302. È l'unico caso in cui è possibile un confron­ to del genere, ma si può immaginare che anche in altri casi gli ex voto sotto forma di iscrizioni o di immagini303 potessero costituire una fonte per le raccolte. La raccolta dei miracoli di Demetrio di Tessalonica sem­ bra presupporre un pubblico costituito dall' assemblea dei fedeli304, dalla

29 8 Lemerle, cit. , pp. 32-33; 44-45 . 299 E. Giannarelli, l cristiani, la medicina, Cosma e Damiano, in E. Giannarelli, Cosma e Damiano dall 'Oriente a Firenze, Firenze 2002, p. 43. 300 Ciro e Giovanni 70. 30 1 Deubner, Kosmas, cit. , p. 1 79. 302 Ciro e Giovanni 69; come ha ben mostrato Delehaye, Recueils, cit. , pp. 2 1 -22. 30 3 Ciro e Giovanni 28. 304 Miracoli di S. Demetrio 7.

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Chiesa devota3os e questo induce a pensare che la raccolta avesse all ' ori­ gine alcune omelie dedicate ai miracoli di Demetrio3o6. Le raccolte si differenziano per il diverso rilievo dato ad alcune tipolo­ gie di miracoli: alcune hanno un carattere nettamente specialistico e sono dedicate a racconti di guarigione: è il caso di Cosma e Damiano, due mar­ tiri su cui circolavano racconti molto diversi, ma concordi nel ritenerli due medici cristiani che prestavano le loro cure gratuitamente e che per que­ sto erano definiti "anargiri". Leggende tarde, sviluppatesi a seguito del successo del santuario di Menouthis (più tardi Abukir), fanno anche di Ciro un medico anargiro e i racconti raccolti da Sofronio riguardano solo guarigioni. Lo stesso avviene nella raccolta dei miracoli di Terapone e Artemio: a proposito di quest'ultimo si può parlare di un'iperspecializza­ zione in guarigioni di ernie testicolari o inguinali. Le guarigioni avvenivano per il tramite della pratica dell ' incubazione che continuava l ' uso pagano307 e che troviamo attestata in molti altri san­ tuari orientali3os. S ono particolannente evidenti le somiglianze con quan­ to ci hanno tramandato le stele del santuario di Asclepio ad Epidauro sugli iamata, le guarigioni compiute dal dio, e i Discorsi sacri di Elio Aristi­ de309. I pellegrini si recavano presso la chiesa che ospitava le reliquie e in luoghi appositi - all 'interno del recinto, sotto i portici, in ospizii - trascor­ revano una o più notti, talvolta anche mesi ed anni. Se le loro preghiere venivano ascoltate, nel sonno erano visitati - in molti casi nel vero e pro­ prio significato medico del termine - dai santi che o intervenivano diret­ tamente sulla parte malata operando o manipolandola in qualche modo o suggerivano rimedi che, se seguiti scrupolosamente, portavano alla guari­ gione. Molti di questi rimedi erano davvero stravaganti: Cosma e Damia­ no ordinano ad un paralitico di fare violenza ad una giovane muta3IO; ad un altro, che soffriva di disturbi urologici, ingiungono di bere una pozio­ ne contenente peli strappati dal "giovane Cosma". Lo sventurato scopre con sollievo che il nome corrispondeva ad un agnello offerto al santo, quando lo stesso animale gli si pianta davanti e si fa tosare in modo da poter attuare l 'ordine del santo3I I . Ciro e Giovanni prescrivono ad un gio305 Miracoli di S. Demetrio 5. 306 Lernerle,

cit. , p. 36.

307 L. Deub ner, De incubatione capita quattuor, Lipsiae 1 900 , pp. 75 ss.

30S Cfr. V. Déroche, Pourquoi écrivait-on des recueils des miracles? L'exemple des miracles de Saint Artémios, in C. Jolivet-Lévy-M. Kaplan-1.-P. Sodini (eds .), Les Saints, cit. , p. 95. Lista di "rérni­ nescences" pagane in Delehaye, Recueils, cit. , p. 70; J.M. Sansterre, Apparitions et miracles à Ménouthis: de l'incubation pai'enne à l 'incubation chrétienne, in A. Dierkens (ed.), Apparitions et miracles, B ruxelles 1 99 1 , pp. 69-84. 309 A. Grarnaglia, Guarigioni e miracoli, Torino 1 995 , pp. 4-44. 3 1 0 Cosma e Damiano 24. 3 1 1 Cosma e Damiano 3.

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vane sofferente di emicranie ricorrenti di dare uno schiaffo al primo uomo incontrato su una determinata strada; ma la sfortuna sembra accanirsi sul giovane che deve assolvere le sante prescrizioni proprio con un soldato armato di tutto punto. Questi reagisce allo schiaffo assestando un tremen­ do colpo di bastone sulla testa del giovane che, proprio per questo ! , gua­ riscem. Più spesso i santi prescrivono impiastri e bevande confezionate con la cera dei ceri votivi o con altri materiali che siano venuti in contat­ to con il "luogo" santo3J 3. La stranezza dei rimedi vuole indubbiamente assolvere i santi medici dal l ' accusa di operare guarigioni avvalendosi delle normali conoscenze mediche apprese da Ippocrate e Galeno, come Sofronio fa dire ad un medico che si prendeva gioco dei santi3 1 4. Tuttavia vi è forse qualche cosa di più nell' insistenza sulla superiorità dei santi guaritori sui medici. La concorrenza fra taumaturgia e medicina era un tema largamente presente già dalle origini della tradizione cristiana. Si ricorderà, ad esempio, che nel la guarigione dell 'emorroissa, il contatto con il mantello di Gesù rie­ sce là dove i medici e le cure dispendiose da essi prescritte avevano falli­ to (Mc 5 ,25). In quei contesti culturali che hanno una qualche nozione di "natura", la conflittualità fra taumaturgia e medicina è funzionale ad esprimere la concorrenza fra il punto di vista di coloro che ammettono una spiegazione degli eventi secondo leggi naturali e coloro che invece credo­ no nella possibilità di una loro sospensione ad opera di figure in qualche modo divine. A partire dal VI secolo questo contrasto assunse una confi­ gurazione specifica che emerge con maggiore chiarezza quando si con­ frontino le raccolte di miracoli con i trattati coevi di Quaestiones et responsiones e se ne tenti una lettura complessiva in grado di metteme in luce le possibili interazioni . Molti interrogativi, cui tali trattati intendeva­ no rispondere, esprimevano serie riserve sul potere dei santi sostenendo che i miracoli non provavano la santità; che le malattie, le guarigioni e la morte avevano cause naturali; che le anime dei santi non potevano abban­ donare la liturgia celeste ed essere presenti vicino alle loro tombe o nelle loro chiese come qualcuno poteva dedurre da tanti racconti di miracoli che mostravano i santi guaritori talora "assenti" dai loro santuari per ope­ rare guarigioni altrove e, talora, ritornarvi di gran carriera per salvare in extremis qualcuno3 15. D'altro canto, i dubbi sul potere dei santi e sulle 312

Ciro e Giovanni 18.

3 1 3 Una casistica accurata in Delehaye,

us recueils, cit. , pp. 24-29. Ciro e Giovanni 30; cfr. P. Maraval, Fonction pédagogique de la littérature hagiographique d'un lieu de pèlerinage: l 'exemple des Miracles de Cyr et Jean, in Hagiographie, Cultures et Sociétés. rv-X/1 siècles, p. 385. 3 1 5 G. Dagron, L 'ombre d'un doute: l 'hagiographie en question, Vl"-x,e siècle, in A. Cutler-S. 314

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modalità del loro intervento affiorano dai libelli stessi, nei numerosi mira­ coli di punizione o nell' episodio narrato da Sofronio di cui è protagonista una donna, Atanasia, che si rifiuta di tributare il culto a quei martiri la cui passio non sia sorretta da documenti affidabili3t6. In tale prospettiva, i dubbi e la reazione ad essi vanno letti alla luce del duro confronto sulle immagini che avviene nello stesso periodo. Con la critica delle immagini, il movimento riformatore dell ' iconoclasmo portava al centro del dibattito opposte interpretazioni sulla tradizione religiosa, sulla distinzione fra sacro e profano, sul ruolo sociale ed economico delle Chiese e investiva questioni che coinvolgevano profondamente anche il ruolo dei santi. Fra i libelli di cui ci occupiamo, alcuni non riguardano santi guaritori: Teodoro è presentato da Crisippo come patrono di coloro che hanno subi­ to un danno ingiusto. Demetrio è soprattutto il santo patrono di Tessa­ Ionica; nel prologo alla prima parte, Giovanni, vescovo di Tessalonica, dichiara di voler raccontare, dopo qualche guarigione che dà l ' impressio­ ne di essere un tributo indispensabile al genere, la prostasia, il patronato esercitato dal santo > 14(2006), pp. 1 1 9- 1 64. Y. Modéran, La Notitia provinciarum et civitatum Africae et l 'histoire du royaume vandale, in «Antiquité Tardive>> 14(2006), pp. 1 65 - 1 86.

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solco della tradizione per quanto riguarda le forme letterarie adottate passiones, vitae, historiae - presenta notevoli peculiarità. La devozione ai martiri e le pratiche che la esprimevano rivestirono sempre un particolare rilievo nella Chiesa africana le cui diverse compo­ nenti - laici e gerarchia ecclesiastica - si trovarono talvolta in competizio­ ne e in conflitto. All 'esaltazione di martiri laici entusiasti e visionari - co­ me Perpetua e suoi compagni - considerati altrettante manifestazioni visi­ bili dell 'opera dello Spirito Santo nella Chiesa degli ultimi tempi, tentò di introdurre un certo correttivo la Vita e Passione di Cipriano che, con il presentare la figura di un vescovo e letterato oltre che martire, intendeva riorientare la devozione del popolo. I martiri più antichi rimanevano par­ ticolarmente vivi nella memoria dei fedeli in quanto la lettura delle Pas­ sioni, a differenza di quanto avveniva in altre Chiese, era annualmente riproposta alla venerazione durante la liturgia6. Un 'altra spia dell' importanza specialé rivestita dal culto dei martiri nel­ la spiritualità africana è che proprio dalla documentazione relativa a que­ st' area emergono con molto anticipo rispetto ad altre regioni attestazioni relative alla sepoltura ad sanctos e al culto delle relique. Di ambedue gli episodi sono protagoniste due donne dell ' alta società. La prima è Pom­ peiana, una ricca matrona, che riuscì a portare a Cartagine il corpo di un martire militare per sotterrarlo accanto a quello di Cipriano, presso il suo palazzo, nel luogo che soltanto tredici giorni dopo, accolse il corpo della stessa Pompeiana7• La seconda è Lucilla cui, nel 300, l' arcidiacono Ce­ ciliano rifiutò l'eucarestia, in quanto la donna, prima di accostarsi al sacra­ mento, aveva l' abitudine di baciare le ossa di un martire non vindicatus, espressione che potrebbe significare non riconosciuto dalla Chiesas. Questo sfondo aiuta a comprendere la particolare gravità che in quella Chiesa durante e dopo la persecuzione dioclezianea assunse la questione dell' atteggiamento da tenere riguardo a coloro, soprattutto vescovi e pre­ sbiteri, che si erano sottratti al martirio consegnando i libri sacri come 6 F. De Gaiffier, La lecture des Actes des Martyrs dans la prière liturgique en Occident. A pro­ pos du Passionaire hispanique, in 72( 1 954), pp. 143- 145. Dall 'indagine si­ stematica di C. Lambot, Les sermons de Saint Augustin pour les jetes de martyrs, in «Analecta Bol­ landiana» 67( 1 949), pp. 249-266 risultano complessivamente sette menzioni a passioni diverse lette prima della predicazione agostiniana. 7 Passione di Massimìliano; i fatt i narrati si riferiscono al 295; ma non è sicuro quando sia stato redatto il testo e soprattutto il finale che contiene queste informazioni. Per una presentazione com­ plessiva della letteratura martirologica coeva cattolica e donatista: V. Saxer, Afrique latine, in G. Philippart (sous la direction de), Hagiographies. Histoire internationale de la littirature hagìographì­ que latine et vernaculaire en Occident des origines à 1550, t. 1, Tumhout 1 994, pp. 52-66. 8 Ottato di Milevi l , 1 6. W. H.C. Frend, From Donatist Opposition to Byzantine Loyalism: The Cult of Martyrs in Nonh Africa 350-650, i n A.H. Merrils (ed.), Vandals, Romans and Berbers. New Prrsptctives on Late Antique North Africa, Aldershot-Burlington 20082, pp. 259-269.

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richiedevano gli editti imperiali, i cosiddetti traditores. Il rifiuto della le­ gittimità dell 'elezione di Ceciliano a vescovo di Cartagine cui venne con­ trapposta quella di Maiorino, antico collaboratore di Ceciliano, ma signi­ ficativamente anche domesticus di quella Lucilla di cui abbiamo parlato poco sopra, diede l ' avvio alla presenza nell 'Africa del nord di due Chiese, di cui quella donatista nel momento di massima espansione era largamen­ te maggioritaria in gran parte del Nord Africa9. La Chiesa donatista - dal nome del suo vescovo più illustre, che suc­ cesse a Maiorino - si proclamava l ' unica vera Chiesa, autentica erede della Chiesa dei martiri i cui membri erano pronti e aspiravano al marti­ rio come i loro progenitori prima di Costantino, una sete di martirio che non arretrava nemmeno davanti al suicidio. Chiesa dei martiri, dunque, ma anche "assemblea" collecta - pura dal peccato che preservava la purità liturgica astenendosi da ogni rapporto contaminante con i cattolici e con il potere imperiale che li appoggiava, sostenendo tale separazione con la riproposizione del modello biblico dell' antico Israele che si mante­ va puro e fedele a Dio in mezzo alle nazioni che praticavano l ' idolatriaJO. Entrambi i temi emergono chiaramente dalle Passioni sicuramente dona­ tiste in cui esaltazione dei martiri, ricostruzione dei fatti che avevano cau­ sato lo scisma, esposizione e propaganda delle proprie tesi sono stretta­ mente intrecciate I I . La Passione dei martiri di Abitina racconta le vicende relative a un gruppo di cinquantadue martiri, tra cui diciotto donne, durante la persecu­ zione dioclezianea. Il redattore, che scrive a circa un secolo di distanza dai fatti, sia pure partendo ex actis publicis, e che si dichiara concittadino dei martiri, è mosso, oltre che dal desiderio di ricordare il loro eroismo, anche dall ' intenzione di reinterpretare il passato per dare fondamento e legitti­ mità alla Chiesa, per lui, cattolica e per impegnarne il comportamento anche per i tempi a venire: questo tempo di scisma - dice neU ' epilogo ci ammonisce ad aggiungere «i decreti dei martiri alle loro così numero­ se e belle confessioni». I decreta sarebbero stati stabiliti durante un con-

9 Su Ceciliano, Maiorino e Donato come sugli altri personaggi citati in questo capitolo: cfr. gli art. corrispondenti in A. Mandouze (ed.), PCBE, t. l; sulla storia del donatismo è ancora utile: W. H.C. Frend, The Donatist Church. A Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1 952; sintesi aggiornata: S. Lancel-J.S. Alexander, Donatistae, in Augustinus-Lexicon, v. 2, fase. 3/4, Base! 1 999, pp. 606-638. I O M .A. Tilley, The Bible in Christian North Africa. The Donatist World, Minneapolis 1 997 le cui

tesi principali sono riassunte in: Ead., Sustaining Donatist Se/f-ldentity: from the Church of the Martyrs to the Collecta of the Desert, in «Joumal of Early Christian Studies» 5( 1 997), pp. 2 1 -35. I l P. Mastandrea, Passioni di martiri donatisti (BHL 4473 e 527 1 ) , in «Analecta Bollandiana» 1 1 3( 1 995), pp. 39-88. F. Scorza Barcellona, L'agiografia donatista, in M. Marin-C. Moreschini (eds.), L'Africa cristiana, Brescia 2002, pp. 1 25- 1 5 1 .

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cilium tenuto in prigione dai martiri stessi, ispirati dallo Spirito Santo che dava loro la chiaroveggenza sul futuro; un futuro in cui si sarebbe tentato di costringere la Chiesa dei martiri ad unirsi con quella dei «traditori» : perciò i martiri - sempre secondo l ' acceso redattore di questa Passione che scriveva dopo la promulgazione degli editti di Costantino e Costante - prescrissero di tenersi lontani da ogni impurità con la seguente minac­ cia: «Se qualcuno entra in comunione con i traditori , non parteciperà con noi al regno dei cieli» I 2. Nel 3 1 6/3 1 7 Costantino promulgò «Una legge severissima» B contro i donatisti che imponeva la confisca delle loro Chiese e comminava l'esilio ai loro capi. Malgrado gli attacchi che seguirono immediatamente a tale provvedimento, durante il suo regno, la Chiesa donatista crebbe di nume­ ro e di influenza. Soltanto con Costante, si arrivò ad applicare con determi­ nazione la legge di Costantino contro i donatisti. Il decreto di Costante che aboliva la Chiesa donatista e imponeva il passaggio immediato dei suoi be­ ni alla Chiesa cattolica diede avvio ad una una vera e propria persecuzio­ ne dei donatisti. A questi avvenimenti si riferiscono la Passione di /sacco e Massimiano e la Passione di Marcufo l4 che subirono il martirio nel 347. Quest'ultima spicca fra le altre per coerenza interna e livello culturale. Scritta in un momento vicino ai fatti si riferisce a eventi confermati anche da altre testimonianze storiche. Ne è protagonista Marculo, un vescovo della Numidia, che guidò una delegazione - effettivamente avvenuta - di vescovi donatisti presso Macario che insieme a Paolo aveva la responsabi­ lità di applicare la politica di unità voluta da Costante. Imprigionato e tor­ turato, venne poi portato a Nova Petra e qui ucciso con la spada e precipi­ tato da una rupe con l ' intento di disperderne i resti e di renderli inaccessi­ bili. Grazie all' intervento divino - racconta la Passio - i venti fecero pla­ nare il corpo che invece di sfracellarsi sulle rocce arrivò a terra come «SU morbidi cuscini». Secondo Agostino, il volo di Marculots nascondeva in realtà un suicidio, dal momento che molti circoncellioni - considerati dal vescovo cattolico discepoli di Marculo - sceglievano di darsi la morte get­ tandosi nel vuoto proprio durante la persecuzione di Macario. La propa­ ganda cattolica sfruttò questo gesto per denigrare i donatisti, denunciando

à

1 2 Passione dei martiri di Abitina 2 1 . Cfr. J.-L. Maier, Le dossier du donatisme, t. r : Des origines la mort de Constance 11 (303-3 6 1 ) ; t. 11: De Julien l 'Apostat à Saint Jean Damascène (361 -750),

B erlin 1 987; 1 98 9 T. 1 , pp. 57-59. 1 3 La fonte è Agostino, Lettera 1 05, 2, 9. 14 Maier, cit., pp. 256-290. 1 5 Cui si aggiunge il "volo" di Vittoria (Passione dei martiri di Abitina 17) e quello di Secunda (Passione delle vergini di Thuburbo 4) (di cui questo sarebbe l 'unico tratto sicuramente donatista). Contro le "praecipitatorum congregationes" (se. i circoncellioni e i donatisti), contrapposti all 'auten­ tico martirio di Cipriano: Agostino, Sermone 3 13/E. .

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un peccato là dove quelli vedevano - sulla scorta della Scrittura e delle visioni dei martiri riguardo ai voli celesti dell 'anima - una forma di marti­ rio che anticipava il volo cosmico dell'anima dal «secolo al Regno» t6. In linea con il costume di una Chiesa in cui i laici hanno sempre reci­ tato e reclamato un ruolo attivo, la Passio lascia spazio al ruolo dei fede­ li nel promuovere il culto dei martiri . Sono proprio i fedeli che, seguendo una nube luminosa che segnalava il luogo dove si era posato il corpo del · martire, riescono a trovarlo e lo seppelliscono. L' iscrizione «memoria domni Marchuli» trovata nei resti della basilica di Ksar el Kelb può essse­ re una traccia del culto di questo vescovo. Ma la difficoltà di distinguere dal punto di vista architettonico le chiese donatiste da quelle cattoliche e i dubbi relativi ali 'interpretazione di questa stessa iscrizione hanno di recente reso più incerta l' identificazione 17. L'Autore della Passio possiede una sol ida cultura letteraria e religiosa e sembra rivolgersi in particolare al pubblico dei fedeli che ascolteranno la lettura di questa Passio nella ricorrenza del martirio. Il prologo cita per prima ]'utilitas che i popoli derivano dall ' ascolto della lettura delle Pas­ sioni dei martiri e riprende- mutatis mutandis - l 'affermazione del redat­ tore della Pas!Yione di Perpetua che riteneva giusto aggiungere alle testi­ monianze antiche, anche quelle più recenti, con l ' unica differenza che mentre i martiri più antichi dovevano lottare contro il «furore dei pagani» asserviti al diavolo, i più recenti hanno lottato contro la traditorum rabies schiava dell' Anticristot s. L' altro modello letterario che ha ben presente è la Passio et vita Cypriani e come questa fa precedere il racconto del mar­ tirio da un sintetico profilo biografico che ha molti punti di contatto con quello di Cipriano: come lui, Marculo fu educato all 'esercizio della reto­ rica e abbandonò i tribunali per dedicarsi a Cristo. Come Ponzio, l'autore intende disegnare il profilo di un vescovo modello, ma diversamente da lui attribuisce molta più importanza al martirio, come indispensabile do­ cumentuml9 per tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica; insiste sulla di­ gnità e l ' imperturbabile calma con cui Marculo affronta gli avvenimenti, sulla sua dedizione alla preghiera, sull'osservanza del digiuno prima della celebrazione eucaristica, sulla pacatezza dei suoi discorsi tutti concentra­ ti sulle lodi di Dio e sulla gratitudine per il martirio2o. 16

Cos ì C acit ti , cit ., 93 ss .

17 Y. Duv al, Loca s ancto rum Africae. Le eu/te des martyrs en Afrique du N' au vue siècle, t. l, pp. 158-160; t . 2, p. 705, Roma 1982; A. M iche!, Aspeets du eu/te dans /es églises de Numidie au temps d'Augustin: un état de la question, in S. Lancel, Saint Augustin. La Numidie et la societé de son temps, Bo rde aux 2005, pp. 95; 102-104. 18 Passione di Marculo l. 1 9 Passione di Marculo 16. 20 Passione di Marculo 5; 8.

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Il modello delle Passioni donatiste è la più antica letteratura martiro­ logica africana, anzi i donatisti si ritenevano i veri eredi di figure quali Perpetua e Cipriano ; per altri versi, riflettono quel gusto per i particolari raccapriccianti e l' amplificazione dei supplizi che, pur essendo già pre­ sente fin dalle origini, tende ad affermarsi sempre di più nel corso del IV secolo e seguenti . Connessa a questa tendenza era anche la rappresenta­ zione dei funzionari romani come sadici insensati assimilati al mondo ani­ male o ai barbari . Questo tipo di rappresentazione doveva però rivestire per i donatisti un significato tutto particolare e attuale perché, a differen­ za delle altre Passioni che si continuavano a scrivere in altri regioni del­ l ' Impero, solo nelle Chiese donatiste colpite dai decreti imperiali quel potere ·continuava ad essere considerato contaminante, nemico, vero e proprio braccio armato dell ' Anticristo.

2. Controllo ecclesiastico e propaganda religiosa: i Libelli miraculorum Gli ultimi anni del IV secolo e l ' inizio del v furono segnati dall 'inaspri­ mento della legislazione antidonatista e funestati da gravi disordini. Se la persistenza di Chiese donatiste è documentata per tutta la durata dell' oc­ cupazione vandalica soprattutto nelle zone più interne della Numidia, non vi è dubbio che il Concilio del 411 a Cartagine, che s i concluse con la sen­ tenza del giudice imperiale Flavio Marcellino in favore dell' unità cattoli­ ca, costituì un punto di svolta nei rapporti di forza fra le due Chiese. Agostino, eletto vescovo di Ippona nel 39 1 , fu un testimone e un pro­ tagonista di assoluto rilievo in questi eventi. Al confronto aspro e protrat­ to nel tempo con i donatisti , un confronto in cui l ' identificazione dei "veri" martiri recitava, come si è visto, una parte di primo piano, è legato il cambiamento dell' atteggiamento di Agostino riguardo al culto dei mar­ tiri. Dall ' interesse tiepido nel periodo precedente al ritorno in Africa, egli passò ad un' attiva e costante azione pastorale volta sia a purificare le devozioni dei martiti da quelle pratiche paganeggianti che potevano ricor­ dare troppo da vicino il culto degli dèi, sia alla definizione del "vero" mar­ tirio da lui collegato strettamente all'appartenenza alla Chiesa cattolica2 I . Nel 415 fu ritrovato in Palestina il corpo del protomartire Stefano; parte delle sue reliquie furono portate in Occidente da Orosio e furono accompagnate ovunque da numerosi miracoli: a Minorca suscitarono la 21 J. De nBoe ft, «Martyres sunt, sed homines.fuerunt». Augustine on Martyrdom, in Fructus Cen­ tesimus. Mélanges offerts à Gerard J.M. Bartelink. Dordre cht 1989, pp. 115-124; M. Pe llegri no , Chiesa e martirio in Sant 'Agostino, in Id., Ricerche patristiche ( 1938-1980), To rino 1982, pp. 597634.

Capitolo settimo

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conversione degli ebrei dell ' isola; numerose guarigioni avvennero anche in Africa ove, prima a Calama e a Uzala (4 1 8) e poi ad Ippona (425), ven­ nero edificate memoriae per ospitare le reliquie22. Gli scritti agostiniani di quegli anni registrano un importante cambiamento nel suo atteggiamento riguardo ai miracoli ; come molti altri prima e dopo di lui, Agostino, fino a quel momento, aveva sostenuto che i miracoli si erano conclusi con l'età apostolica, proprio perché funzionali alla prima diffusione della fede in Cristo. Tuttavia l ' entusiamo dei fedeli per i miracoli che avvenivano pres­ so le reliquie di Stefano lo portò a maturare la convinzione che i miraco­ ·li contemporanei- quando e dove si verificavano per un misterioso dise­ gno divino - potevano essere valorizzati per lo stesso fine: diffondere e rafforzare la fede in Cristo23. Alla confluenza dell' entusiasmo devozionale dei fedeli con la sapien­ te regia dei vescovi è legata una nuova- almeno per l 'Occidente - forma letteraria del discorso agiografico: i libelli miraculorum. Uno di questi libelli è riportato integralmente all ' interno di un' omelia tenuta, secondo la datazione più condivisa, nel 425 (o 426). Essa fa parte di un insieme di quattro sermoni che, grazie ai tachigrafi che li registrarono, ci consentono quasi di partecipare in diretta agli avvenimenti e di osservare il meccani­ smo di redazione dei libelli. Il giorno di Pasqua, presso la memoria dedicata a S . Stefano, un uomo, tormentato da parecchio tempo da un tremito continuo, venne risanato. Agostino nel sermone brevissimo dello stesso giorno lo indica ai fedeli e dice: «Siamo soliti ascoltare le relazioni sui miracoli operati da Dio per le preghiere del beato martire Stefano. Il libellus che lo riguarda è la sua presenza ( ) È il suo aspetto a rendere palese il miracolo))24. ...

Il giorno successivo, in un sermone altrettanto breve, annuncia di aver appreso dall ' uomo alcune cose che i fedeli devono conoscere e promette 22 V. Saxer, Morts, martyrs, reliques en Afrique chrétienne aux prerniers siècles. Les térnoigna­ ges de Tertullien, Cyprien et Augustin à la lurnière de l 'archéologie ar f icaine, Paris 1980, pp. 245279; Y. Duval, Le eu/te des reliques en Occident à la lurnière du De Miraculis, in Les Miracles, cit. n. sotto, pp. 47-67; Ead., Sur la genèse des libelli nùraculorum, in 23( 1 986), pp. 63-7 1 , argomenti che hanno i ndotto anche l a bibliografia più recente a dubitarne, ripresi anche in Vita di s. Fulgenzo di Ruspe, tr. it. a cura di A. Isola, Roma 1999, traduzione che utilizzo. Sul la Vita Fulgentii: A. De Vogiié, Histoire littérai· re du nwuvement monastique dans l'Antiquité, Premère Partie: Le monachisme latin. t. 9: De Césaire d'Arles à Grégoire de Tours (525-590), Paris 2005, pp. 49-83; Walter Berschin, Biographie und Epochenstil im lateinischen Mittelalter, Bd. [: Von der Passio Perpetuae zu den Di alogi Gregors des Grossen, S tuttgart 1988, pp. 235-240. 84 Ferrand, diacre de Carthage, Vie de Saint Fulgence de Ruspe, texte établ i et tradu it par P. G.-G. Lapeyre, Paris 1929, p. XLVIII. 85

Vita di Fulgenzio 29.

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Bizacena, a Telepte . Qui Fulgenzio ricevette un 'educazione approfondita: il suo biografo ricorda con qualche compiacimento che la madre - i mma­ ginando forse per lui una carriera diplomatica presso la corte -non volle che studiasse la letteratura latina, prima di aver imparato a memoria «tutto Omero e in parte Menandro». La nomina di Ful genzio a procuratore­ l'alto funzionario incaricato di riscuotere le tasse per conto del re- è un segno della politica vandalica di collaborazione amministrativa con gli illustres romani. La decisione di abbandonare il suo status per entrare nel monastero fon­ dato da un vescovo in esilio, Fausto, è la prima "fuga" di una vita che fu realmente all ' insegna dell ' inquietudine e scarsa adattabilità alle circostan­ ze86: che senso infatti avrebbe avuto inventarsi questi abbandoni improv­ visi che gli stessi suoi intimi giudicavano severamenteB7? L' autore ha però scelto di podi in primo piano nella sua ricostruzione e di far leva su di essi per mettere in luce un modo particolare di intendere la vita monastica, come si capirà meglio fra breve. Per questo forse la ripartizione classica in vita et mores adottata da Possidio per la Vita di Agostino viene abban­ donata per preferire una struttura narrativa che segue il filo cronologico. Senza che questo corrisponda a cesure intenzionali presenti nel testo, si possono individuare diversi cicli narrativiss che riproducono lo stesso schema: stabilizzazione e allontanamento. Ogni volta che Fulgenzio sem­ bra approdare ad un porto sicuro, ecco che egli stesso o circostanze ester­ ne lo portano altrove rimettendo in moto il filo narrativo. Nel primo ciclo (capp. 1-8) si compie il passaggio fra colto e stimato rappresentante del­ l ' aristocrazia a monaco e infine ad abate, costretto dalle circostanze a cambiare monastero più di una volta a causa delle persecuzioni prima ariane, poi berbere. In un racconto in cui la demonologia non ha nessun rilievo, questa prima sezione è dedicata al racconto della conquista della perfezione spirituale attraverso il fel ice superamento di numerose prove: la «prima tentatio»s9 è rappresentata dalla madre che cerca di farlo desi­ stere dalla scelta monastica; la seconda è rappresentata dalla ricchezza di cui s i spoglia in favore della madre e del fratello90, fino al coronamento della perfezione tramite la pratica di un ' ascesi severa e le percosse subite per la fede cattolica che fanno di Fulgenzio un confessore nella fede. Un episodio in particolare illustra bene la difficoltà dei tempi: inc� lzati dalle 86 M. Si mo nett i, Note sulla Vita Fulg entii , i n «A nal ecta Bolla ndia na » 1 00( 1 982), p . 280. 87 C fr. infra, pp . 3 1 5-3 1 6. 88 C. Le ys er, "A Wall protecting the City": Con:flict and Autority in the Lif e of Fu lg enti us of Ruspe , i nA. Campla ni-0. Filo ramo (eds .) , Foundations of Power and Conflicts of Authority in Late­ Monasticism. Leu ve n-Pa ris 2007. pp . 182- 1 83. 89 Vita di Fulgenzio 4. 90 Vita di Fulgenzio 5.

Capitolo settimo

3 15

incursioni dei Mauri, Fulgenzio e Felice, con i loro monaci, abbandonano la provincia per trovare rifugio nel territorio di Sicca, ma qui vengono per­ seguitati dagli ariani e decidono pertanto di tornare nella loro provincia «preferendo aver come vicini i Mauri piuttosto che sopportare i molestis­ simi ariani»9 t . Questa parte si conclude con la fondazione del monastero vicino Medidi, ma "repentinamente" Fulgenzio -conquistato dalla lettura delle Istituzioni e delle Conferenze di Cassiano92 - decide di !asciarlo per recarsi in Egitto: «Egli era spinto da due desideri - afferma la Vita prima di tutto rinunciare a essere abate per vivere sotto l' autorità altrui, in secon­ do luogo, sottomettersi a regole ascetiche più severe»93. Inizia dunque un nuovo ciclo (capp. 8-16) punteggiato da viaggi - a Siracusa, a Roma -, da nuove fondazioni monastiche, fino alla travaglia­ ta consacrazione a vescovo di Ruspe, ave fonda un altro monastero in cui abitare e continuare il proprio stile di vita ascetico. Questa volta è un provvedimento di esilio del re Trasamondo a portarlo fuori dall' Africa (50 8 ) e farlo approdare in Sardegna ove si rivelano pienamente le sue doti intellettuali e retoriche e diventa il portavoce dei sessanta vescovi esiliati con lui in Sardegna. Qui rimarrà fino al 523, a parte una breve parentesi in cui torna in Africa richiamato dal re Trasamondo per affrontare un dibattito teologico. Durante la permanenza in Sardegna, Fulgenzio è raffigurato come la vera guida intellettuale del gruppo di sessanta vescovi in esilio: fonda due monasteri, si dedica all ' insegnamento, alla stesura di scritti antiariani e antipelagiani (capp. 17-26). La salita sul trono di Hilderico sancisce la fi­ ne delle persecuzioni e Fulgenzio, dopo un' accoglienza trionfale a Carta­ gine e in ogni tappa del suo viaggio, ritorna a Ruspe e qui riprende ad abi­ tare nel monastero cui affida la guida all ' amico Felice richiamato in quel­ la città già dal momento della consacrazione episcopale . Fulgenzio tenta di sottrarsi un ' ultima volta alle cure pastorali per vivere in solitudine con pochi compagni in un monastero da lui fondato sull ' isola di Cercina, ma, richiamato in città dal popolo, muore tra la desolazione della cittadinanza che pretende che il suo corpo venga seppellito nella basilica, onore con­ cesso per la prima volta (capp. 26-29). Con un linguaggio nutrito dalla riflessione agostiniana sulla grazia e dalla polemica antipelagiana, Possidio aveva iniziato la sua Vita manife-

9t

Vzta di Fulgenzio

7.

92 Sono le o pere che F ul gen zio por tacon sé nel s uo viag gio verso l 'Egi tto:

Vzta di Fulgenzio 8;

l ' au tore dell a Vita si s arebbe is pir ato alle v i cende del! 'abate Pin ufio che, pur essendo aba te di un gr an­ de mon as tero del Del ta, en trò segre tamen te come novizio nel mon as tero di Pacomio a T abennesi:

1 85. Vzta di Fulgenzio 8.

Leyser, ci t. , p. 93

L'agiografia cristiana antica

316

stando l ' intenzione di narrare quanto aveva visto e udito «sulla vita e i costumi de li ' ottimo vescovo Agostino, predestinato e a suo tempo presen­ tato»94. Anche Fulgenzio viene presentato come «dottore predestinato della Chiesa africana>>95 , la cui vicenda fin dagli inizi è posta sotto il segno di Agostino: è infatti la lettura di alcune pagine agostiniane sui Salmi a fornire a Fulgenzio la spinta decisiva a rendere pubblica la sua scelta monastica96, E, come Agostino, Fulgenzio è presentato come uomo di grande cultura e abilità retòriche straordinarie, come leader monastico ed ecclesiastico che lavora in ogni circostanza per garantire l' unità e la pace nel monastero e nella Chiesa. Una personalità, dunque, in grado di racco­ gliere il testimone dell' eredità dei due grandi vescovi africani dell'epoca prevandalica: Agostino e Aurelio, primate di Cartagine97 e, insieme a co­ storo, di costituire un punto di riferimento in un momento in cui la Chiesa cattolica africana, riconquistata dai bizantini, doveva affrontare il compi­ to della ricostruzione di un tessuto ecclesiale ancora resistente, ma pro­ fondamente usurato dalle persecuzioni durate circa un secolo. Fulgenzio sembra munito di tutte le carte in regola per recitare un ruolo così rilevante: proveniva da una famiglia di illustres di Cartagine e, per quanto personalmente avesse fatto una scelta di povertà, la rete di patronato e di conoscenze che sempre accompagnava tale condizione sociale continua a trasparire in più punti del racconto : Felice compagno di ascesi e di tante vicende, era un suo amico di gioventù98 ; un vescovo aria­ no che era stato in rapporti di familiarità con lui e la sua famiglia lo invi­ ta a denunciare il prete ariano che lo aveva fustigato99 ; ricchi esponenti della buona società africana gli fanno ingenti donativi per le sue fondazio­ ni HlO; egli stesso possiede sufficienti risorse per costruire monasteri 101 . Il prestigio inerente alla cultura e ali ' abilità retorica in grado di contrastare efficacemente l ' eresia, è rafforzato - rispetto all ' Agostino di Possidio dall' adozione di pratiche ascetiche severissime e dalla corona del martirio (sebbene parziale). Come lppona cadde ad opera dei vandali solo dopo la morte di Agostino, Ruspe venne risparmiata per un certo tempo dalle incursioni dei Mauri, da Fulgenzio «la cui vita costituì per i suoi concit94

Vita di AgostifW, prol. l .

95 Vìta di Fulgenzio 10.

% Vìta di Fulgenzio 2 ; sull' influenz a delle Confessioni su questo r accon to : P. C our celle, Trois récits de conversion au vi" siècle, tklns la lignée des Confessions de saint Augustin, in > so .

L' aspetto e l ' eloquenza - e, significativamente, non la fama delle sue virtù ascetiche - ne decretano il successo diplomatico nell'ambasceria presso l ' Imperatore Antemi o, come in tutte le altre missioni diplomatiche. I discorsi di Epifanio e dei suoi illustri interlocutori occupano gran parte della seconda parte della Vita (5 1 - 1 9 1 ) e sviluppano una teologia politica chiara quanto banale: al vincitore di turno si ricorda che «le armi non custodiscono i confini dell ' impero, se il Signore viene offeso»s J , ai vinti si ricorda che là dove c ' è la vittoria e il regno, si manifesta la volon­ tà di Dio che stabilisce sulla terra un «vicarius»sz della Sua potestà ad imi­ tazione del regno celeste. Una lezione, certo, più facile da seguire in

75 Vita di Epifania 8; il tema della luce declinato in mille modi accompagna costantemente la menzione di Epifanio, il cui nome in greco significa appunto "splendore". 76 Cfr. supra, pp. 63, 99, 1 33. 77 Vita di Epifania 1 3 - 1 7 . 78 V. Neri , La bellezza del corpo nella società tardoantica. Rappresentazioni visive e valutazioni estetiche tra cultura classica e cristianesimo, Bologna 2004, p. 1 85. 7 9 Vita di Epifania 54. so Vita di Epifania 55. 8 1 Vi ta di Epifania 86. 82 Vita di Epifania 71 (parole di Epifanio ad Antemio).

Capitolo ottavo

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momenti di stabilità politica, ma meno utile in tempi di bruschi cambia­ menti di vertice e di aspra competizione per il potere quali toccarono in sorte ad Epifania. Tuttavia, l 'Epifani o di Ennodio grazie alla sua «dulce­ do» e alla «reverentia» di cui godeva, fu la persona intorno a cui «anche i combattenti mantennero la concordia e la cui pace non era toccata da guerre»sJ. Nello stesso modo Ennodio ci presenta un Epifania rispettato sia da Odoacre , sia dal suo nemico Teodorico che addirittura lo venerava. A partire dal momento in cui Teodorico, «per volontà dell 'imperatore celeste», arriva in Italia con il suo esercito, diventa il coprotagonista della Vita e gli elogi di cui viene colmato il re ostrogoto sono secondi soltanto a quelli dedicati al vescovo: Teodorico è colui «del quale nessuno, dopo il trionfo, vide la spada sguainata, colui che pose termine contemporanea­ mente alla guerra e all 'ardimento del suo esercito»84. Epifania ne vanta «la superiorità su tutti gli imperatori per la giustizia, l'abilità in guerra, l ' amo­ re verso i sudditi>>ss. E se nella pace teodoriciana non mancarono prov­ vedimenti gravosi riguardo ai romani assoggettati, Ennodio è attento a dare voce alle ragioni del re, il cui volere è modificato solo dall 'intervento di Epifania che lo richiama alla giustizia più alta del perdono o agli obblighi di riconoscenza verso Dio che l'ha favorito nella lotta contro i suoi nemi­ ci . In questo quadro idilliaco c ' è un' assenza vistosa: l ' arianesimo di Teodorico che non viene mai menzionato a suo riguardo86. Del resto egli attuò una politica di tolleranza e non ingerenza e il paragone con quanto invece stava accadendo in Africa sotto il dominio vandalico, poteva ali­ mentare l 'illusione che fosse possibile una convivenza pacifica duraturas7. Grande tessitore di concordia e mediatore di pace dell ' intera regione, Epifania non perde di vista la salvezza della sua città. Dovette far fronte all ' invasione e saccheggio di Pavia ad opera di Odoacress, poi per mano dei Rugis9, ma - osserva il suo biografo - la città riescì a risollevarsi gra­ zie «ali ' appoggio di quest' unica fortissima colonna»90.

83 Vita di Epifania 1 14; Ennodio si riferisce al momento in cui Teodorico si rifugiò con l ' esercito entro le mura di Pavia, per difendersi dalle truppe di Tufa. 8 4 Vita di Epifania 1 20. 85 Vita di Epifania 143. 86 Il contrasto emerge un'unica volta, quando Epifanio rifiuta con una scusa di sedere alla tavo­ la contaminata dalla presenza dei «suoi (se. di Eurico) sacerdoti>>, (cioè ariani, ma Ennodio non lo dice esplicitamente): ibi, 92. 87 Pietri Aristocratie, cit. , pp. 4 1 7-467; T . Sardella, Società, chiesa e stato nell 'età di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Soveria Mannelli 1996. 88 Vita di Epifania 96. 89 Vita dì Epifania 1 1 8. 90 Vita dì Epifania l 00 e ibi 1 10. ,

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Nel viaggio di ritorno verso Pavia dalla sua ultima missione Epifanio cade ammalato e muore serenamente a Pavia pronunciando massime bi­ bliche ; Ennodio si riferisce al suo corpo con l ' espressione di «reliquiae sanctae»9I , tuttavia non dà informazioni né sul luogo della sepoltura, né sui miracoli post mortem. Ennodio non intendeva promuoveme il culto, anche se poi, forse proprio grazie alla Vita scritta da lui, il culto ci fu a tal punto da causarne il trafugamento del corpo a Hildesheim nel x sec.92. Va anche osservato che i miracoli hanno uno spazio assai ridotto nel­ l 'economia complessiva del testo: solo cinque episodi, di cui due - la luce divina che appare sulla culla e sulla salma - non sono altro che una con­ cessione alle regole del genere biografico. I due racconti di guarigioni di indemoniati ritraggono Epifanio nelle funzioni sacerdotali di routine che recita semplicemente una «modica oratio»93 o una «benedictio»94, senza imposizione delle mani come avrebbe richiesto la prassi liturgica del­ l ' esorcismo. Un altro racconto proclama «grandissimo miracolo»9s il fatto che durante la ricostruzione di una chiesa, il crollo improvviso di un muro non avesse fatto vittime fra gli operai. Una parte altrettanto marginale recita l ' intervento diabolico menzionato a proposito della caduta del muro già ricordato e a proposito della ribellione di Odoacre96. La peculiarità di questo tratto della Vita di Epifania risalta maggior­ mente se collocata a fianco alla coeva Vita di Severino di Eugippio (n. prima del 482 - m. dopo il 533)97. Eugippio la compose quando era abate nel monastero del Castellum Lucullanum (Pizzofalcone, presso Napoli) (5 1 1 ). Qui, grazie alla generosità dell ' «illustrissima femina» Barbaria9s si stabilì la comunità monastica fondata da Severino nel Norico dopo aver abbandonato quella regione di fronte alla recrudescenza delle inva­ sioni barbariche e in quel monastero furono portate le spoglie di Severino. Severino (t 482), dopo aver abbracciato la vita eremitica e per divina ispirazione, giunse sui confini danubiani e compì un apostolato trentennale di conversione al cristianesimo, di difesa delle popolazioni locali, di fondazione di monasteri . Egli è spesso descritto da Eugippio, che fu un suo discepolo, nelle vesti di mediatore fra romani e barbari ma, diversamente da Epifanio, in quanto taumaturgo e profeta, fa leva proprio 9!

Vtta di Epifanio 1 96. Le souvenir des éveques. Sépultures, listes épiscopales et culte des éveques en ltalie du Nord des origines au x< siècle, Rome 1 988, p. 649. 93 Vtta di Epifanio 1 05. 94 Vtta di Epifanio 1 77. 95 Vtta di Epifanio 1 0 3 . 96 Vtta di Epifanio 95. 97 PCBE 2, 1 , pp. 676-67 8. 98 Vtta di Severino, 46, 2. 92 J.-C. Picard,

Capitolo ottavo

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sui carismi per difendere le popolazioni. Le sue parole ai potenti sono «oracoli»99 cui si deve obbedienza se non si vuole incorrere nell ' imman­ cabile punizione di Dio. 2. 1 . La «lama delle parole» Abbiamo notato anche in altre Vitae, non solo dedicate a vescovi, la stessa marginalità o assenza di racconti di miracoli. Nella Vita di Epi­ fania il miracolo arretra non tanto per lasciare il campo al realismo nar­ rativotoo, quanto per trasferire sulla potenza della parola le funzioni assolte dal miracolo in altri racconti agiografici. L' eloquenza di Epifanio crea intorno a lui la stessa stupefatta ammirazione che circonda la per­ formance del taumaturgo. L'eloquenza, come il gesto taumaturgico, in­ terviene nella storia per cambiarne radicalmente il corso: dopo aver a­ scoltato Epifania, Leone, il consigliere romano di Eurico, «era preso dal così grande miracolo del suo discorso da credere che parole di tal gene­ re potes sero espugnare la mente ( . . . ) anche se avesse chiesto qualcosa contro giustizia» wt . In un altro opuscolo - la Paraenesis didascalica Ennodio fa pronunciare alla Retorica queste parole «Che uno sia colpe­ vole o santo proviene dalla nostra bocca; mentre parliamo, la libertà (se. di chi ascolta) è tenuta prigioniera» wz . Le affermazioni di Ennodio ripresentano in forma radicale un tema già presente nella tradizione. Il tem a del potere "magico" della parola è anti­ co quanto la retorica stessa, sia in un contesto autopromozionale, sia in un contesto di critica alla sua capacità di manipolare le coscienze. Fra i cri­ stiani retoricamente preparati, la stessa fiducia nel potere della parola ve­ niva talvolta declinata in contesti che riflettevano sulla sparizione dei cari­ smi nella Chiesa dei loro giorni : ad esempio , Giovanni Crisostomo, soste­ neva che la retorica cristiana, in quanto persuadeva e convertiva, rivestiva nella Chiesa contemporanea la stessa funzione svolta dai miracoli nella Chiesa apostolicaiOJ. Si noterà che Leone, l ' interlocutore di Epifania, è un Romano; P. Brown ha dimostrato come nel mondo tardoantico la retorica, lungi dall 'essere resa superflua dalla struttura autocratica del potere, rice­ veva da questa situazione nuovi compiti . Grazie ad essa e alla condivisio­ ne di una cultura comune, i rapporti fra governanti ed élites, per quanto Eugippio, Vita di Severino 5, 1 .3. 8. Così Navarra, Contributo, c i t. , pp. 326-333. 1 0 1 Vita di Epifanio 89.

99

1 00

1 02

Opuscoli 6.

1 0 3 Giovanni Crisostomo,

Omelie su l Corinti 6, 2.

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squilibrati dal punto di vista della forza, trovavano un terreno comune di intesa e di compromesso reso nobile appunto dai logoi: «< governanti cedevano, non tanto perché erano spesso insicuri, male informati o facil­ mente corruttibili, ma piuttosto perché erano stati conquistati dalla vera grazia e dalla saggezza di discorsi accuratamente elaborati» 104• Il raccon­ to di Epifanio è l' ultimo di questo tipo; nell ' agiografia successivai05 l' in­ contro del santo con i potenti barbari non passa più attraverso il discorso persuasivo, ma solo attraverso l ' epifania del sacro, del santo stesso, che con la sua sola presenza riporta la sua vittoria sul barbaro. Il modo in cui il discorso agiografico continua ad alimentare l ' illusione e la speranza che il santo potesse esssere l ' unico baluardo ancora possibile ove la persua­ sione e il diritto non potevano più nulla, riflette bene i mutamenti della situazione politica e culturale. Da un certo punto di vista, la Vita di Epifania, scritta da colui che gli fu accanto per un lungo periodo e che partecipò ad alcune sue i mprese, potrebbe rientrare nel gruppo delle Vitae uscite dalla cerchia immediata del vescovo e scritte da personaggi la cui fama postuma rimase quasi esclusivamente legata a quelle. Ennodio ebbe invece un profilo culturale e politico autonomo e la Vita di Epifania è qualche cosa di più di una vita episcopale scritta da un chierico. Anche questo naturalmente: affermando nel prologo di parlare davanti a coloro che furono anche testimoni ocula­ ri dei fatti, Ennodio si riferiva sicuramente alla cerchia ecclesiastica mila­ nese e pavese, a cui lo stesso Ennodio appartenne in fasi diverse della sua vita. La celebrazione di Epifanio veniva poi ad aggiungersi agli altri suoi componimenti dedicati ad altri vescovi milanesi e pavesi, come pietra angolare della costruzione del la memoria delle Chiese locali, un processo che conobbe nel v secolo una significativa accelerazione come è testimo­ niato dall' infittirsi delle Vite vescovili e della documentazione relativa alle sepolture e alle l iste episcopali 106. L' esaltazione di Pavia attraverso Epifanio e l 'esaltazione dell ' operato di un vescovo, in quanto diretto essenzialmente alla difesa materiale della città sono aspetti significativi di questa Vita e riflettono una mutata situa­ zione politica in cui tocca ora al vescovo di adempiere quei compiti di tutela della città, che prima erano svolti dalle magistrature cittadine, una tutela che diventa un tratto essenziale del modello di santità episcopa1e 107. Tuttavia la prospettiva di Ennodio va oltre l ' ambito della Chiesa locale e 104

P. Brown, Potere e cristianesimo nella tarda antichità, tr. it. , Roma-Bari

105 C fr. oltre, p. 379. 1 06 Cfr. lo studio di Picard citato sopra. 1 07

1 995,

p.

44.

A. M. Orselli, Il santo patrono cittadino: genesi e sviluppo del patrono del santo patrono cit­

tadino nella letteratura latina cristiana, Bologna

1 965.

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339

da1Ja provincia vuole parlare al centro. Egli ha disegnato un modello di santità nuovo , plasmato dalla sua sensibilità e dalla sua valutazione del momento storico a lui contemporaneo più che dal discorso agiografico precedente. In effetti Epifanio possiede molti tratti in comune con quanto sappiamo di Ennodio : l ' ammirazione per Teodorico; le capacità diploma­ tiche ; soprattutto l ' esaltazione dell ' eloquenza. Nel dare uno spazio così rilevante ai discorsi come motivo principale dei successi di Epifanio, Ennodio intendeva dare voce a quello che riteneva potesse essere il ruolo proprio e di altri esponenti come lui della tradizione culturale romana nella nuova situazione politica italiana, in un momento in cui la presenza dell ' Impero bizantino sembrava tramontata per lasciare spazio ad un dure­ vole dominio barbarico. Ennodio, come altri intellettuali della sua generazione, pensava al ruolo, insomma, di chi avrebbe potuto stare accanto al re per aiutarlo a realizzare la reparatio Romae, ad attuare il recupero dei barbari alla ro­ manitas dei cui valori etici e culturali l ' orator chierico era presentato come l ' interprete più efficace e affidabile. Alla pacificazione delle armi, avrebbe dovuto seguire la conquista culturale per il tramite della parola. In uno dei rari casi in cui interviene nel racconto, Ennodio esorta il suo lettore a considerare quanto «la lama della parole fu più tagliente del ferro: l ' eloquenza espugnò colui al quale le spade si sottomisero» Ios. Era però un modello di s antità troppo legato ad una congiuntura poli­ tica di breve durata per avere fortuna e in effetti la Vita di Epifania non lasciò quasi traccia nella letteratura agiografica successival09; il «ferro» - quello reale - di lì a poco, con la riconquista bizantina e poi con l ' arri­ vo dei longobardi, avrebbe reso palese tutta la fragilità dell' ottimismo ennodiano.

3. Gregorio Magno e I miracoli dei padri italiani E all ' Italia devastata e impoverita dalle guerre in cui i longobardi erano stabilmente insediati, ci riconducono i «Quattro libri dei dialoghi di papa Gregorio sui miracoli dei padri italiani» 1 to. Nato a Roma intorno al 540 da una famiglia aristocratica che aveva già dato un pontefice, Gregorio appro1 08 Vita di Epifanio 1 77. 1 09

Cesa, cit., pp. 34-35 . Principali edizioni commentate: Grégoire le Grand, Dialogues, introduction. bibliographie et cartes; texte critique et notes par de A. De Vogué, traduction par P. Antin (SC 25 1 , 260, 265), Paris 1 978; 1 979; 1980. Gregorio Magno, Storie di santi e diavoli, testo critico e traduzione a cura di M. Simonetti, introduzione e commento a cura di S. Pricoco, 2 voli. , Milano 2005 ; 2006 (da cui cito, con qualche modifica). 1 10

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dò alla stessa carica dopo essere passato attraverso i fasti di una carriera secolare importante, la conversione alla vita monastica, la fondazione di monasteri, la cooptazione nel clero romano, la successiva permanenza a Costantinopoli come apocrisiaro del papa, il ritorno a Roma e la definitiva rinuncia alla vita contemplativa del monaco per accettare suo malgrado il peso del governo della Chiesa romana quando tra la popolazione, già pro­ vata dai saccheggi e dal le distruzioni dalle guerre bizantine e gotiche e cir­ condata dai longobardi, infuriava un 'epidemia di peste I I I _ Un ritratto di Gregorio, appena nominato vescovo d i Roma, è nei Libri historiarum di Gregorio di Tours; questi ne loda la rinuncia agli onori del mondo: «Egli che prima era solito a incedere nella città indossando una trabea tessuta di seta e di gemme sfavillanti, si consacra al servizio dell ' al­ tare del Signore». Celebra lo stile di vita ascetico; l'alto profilo culturale affermando che nella grammatica, la dialettica e la retorica «nella stessa città di Roma non era reputato secondo a nessuno» m; ha parole di ammi­ razione per il coraggio e la fermezza con cui il papa - predicando e coin­ volgendo tutti gli ordini della popolazione in una liturgia collettiva di ri­ chiesta di misericordia per la peste - riuscì a trasformare la disperazione in un esperienza religiosa comunitaria. Risuona nelle parole del vescovo di Tours il modo ormai topico di raccontare la conversione dell ' aristocratico all 'ascetismo, tuttavia esse mettono in luce tratti essenziali della persona­ lità del grande Papa romano quale essa emerge dalle sue opere esegetiche e dall' immenso epistolario che accompagna gli anni del suo pontificato; una personalità impregnata dalla spiritualità monastica e da una profonda cultura unita a grandi capacità pastorali, organizzative, diplomatiche. Collocata su questo sfondo, un 'opera come i Dialoghi (593/94) pro­ grammaticamente dedicata ai «signa» colpisce per la discontinuità con gli altri scritti gregoriani . Il tentativo di ridurre tale discontinuità ha dato luogo ad atteggi amenti e soluzioni molto diversi che vanno dal miscono­ scimento della paternità gregoriana, all 'emarginazione dei Dialoghi come opera di carattere "popolare", al tentativo di ricuperarli, ma solo come favole edificanti di cui sia necessario decodificare il "vero" significato morale o teologico m . I l i Cfr. d a ultimo i profili d i R.A. Markus. Gregory the Great and his World, Cambridge 1997 e S. Gajano Boesch, Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Roma 2004. pp. 2 1 - 1 38 ; Ead. , Gregorio t, santo, in Enciclopedia dei Papi, vol. 1 , Roma 2000 , pp. 546-574; bibliografie ragionate: R. Godding, Bibliografia di Gregorio Magno ( 1 890- 1 989), Roma 1 990; R. Godding, Tra due anniversa­ r-i: Gregorio Magno alla luce degli studi recenti ( 1 991-2003), in Gregorio Magno nel XIV Centenario della 11Wrte (Roma 22-25 ottobre 2003), Roma 2004, pp. 89-1 06; F.S. D'Imperio, Gregorio Magno. Bibliografia per gli anni 1 980-2003, Firenze 2005 . 1 1 2 N oti anche come Storia dei Franchi 1 0, 1 . 1 1 3 Boe sc h Gajano, Gregorio Magno, c it . , pp. 1 5 1 - 1 57.

34 1

Capitolo ottavo

Clark è fermamente convinto che i Dialoghi siano opera di un anoni­ mo falsario della fine del VII secolo. Avrebbe attinto dagli archivi del Laterano brani di scritti autenticamente gregoriani e li avrebbe cuciti con un repertorio di miracoli su figure di santi. Anche l ' ultimo s uo volume pubblicato al termine di una ricerca più che ventennalel l4, non ha convin­ to gran parte dei più autorevoli specialisti del settore 1 1 s, né sembra che dalle recenti numerose iniziative scientifiche in occasione del XIV cente­ nario di Gregorio Magno siano emersi nuovi elementi significativi1 16. E, tuttavia, dal confronto con i lavori dello studioso inglese si è venuta via via affinando una rinnovata comprensione dei Dialoghi che tende a met­ terne in luce la non univocità e i diversi livelli di fruizione nel tentativo di risol vere le difficoltà che essa continua a porre ai suoi lettori. La forma letteraria è quella del dialogo fra Io stesso Gregorio e il dia­ cono Pietro «legato a me - afferma Gregorio - fin dalla prima giovinezza dalla più grande familiarità e mio collaboratore nello studio della Scrittura» m. La stessa forma letteraria, come si ricorderà, era stata scelta da Sulpicio Severo per illustrare con nuovi racconti i miracoli di Martino. Nei Dialoghi, a parte il prologo, mancano però quegli elementi - descri­ zione di luoghi, tempi , personaggi - inerenti all ' ambientazione del la cor­ nice letteraria. L' inizio del primo libro allude ad una durata del dialogo su più giorni 1 1s, ma, in seguito, benché si accenni alla necessità di una pausa di silenzio, non si fa più menzione di una precisa scansione cronologi­ ca1 19. Alla fine del terzo libro si annuncia semplicemente l 'oggetto del quarto senza più alcun riferimento alla collocazione del dialogo in una cornice temporale 1 2o. È del tutto differente, rispetto ai Dialoghi sulpicia­ ni, anche la funzionalità della forma dialogica all 'interno del l' economia complessiva dell 'opera. Là gli interventi dei presenti erano prevalente­ mente narrativi e concorrevano, ciascuno per la sua parte, a difendere la memoria di Martino e i libri già scritti su di lui, qui il dialogo, ancorché fittizio, è utilizzato in modo didattico per ampliare e indirizzare la com1 1 4 F. Clark, The ss. La Vita di Onorato conserva, diversamente dal modello episcopale am­ brosiano, una forte impronta monastica: Onorato torna più volte su que­ sto aspetto59: i digiuni, l ' aspetto emaciato, le veglie, le preghiere e - trat­ to specifico - il lavoro: «Dopo aver preparato sedia e tavola, venivano portati il libro e le reti in presen­ za di un segretario. Il libro nutriva l 'anima, la mano correva nell' intrecciare velo­ cemente le maglie; le dita del segretario si muovevano all ' unisono e l 'occhio per­ correva la pagina»60 .

Reti al posto dei cesti, un vescovo che legge, detta e rilegge6I al posto del monaco che recita a memoria i Salmi, un notarius al posto del giova­ ne monaco figlio spirituale: nulla meglio di questa scena racconta il senso di attaccamento e di discepolanza spirituale che questo vescovo-asceta nutriva riguardo ai padri egiziani. Nello stesso tempo, non potrebbe esse­ re più eloquente sull 'effetto quasi surreale causato dal trasporto di quel­ l ' ideale in un episcopio della Gallia del v secolo e più illuminante riguar-

56

Vita di Ilario 1 6.

57 Vita di Ilario 1 3 e supra, p. 324. 58 Vita di Ilario 14. 59 Vita di Ilario 23. 24.

60 61

Vita di Ilario 15. Come viene aggiunto subito dopo.

Capitolo nono

37 1

do all 'ostilità che tale trasposizione suscitava fra i vescovi occidentali. Il pontefice romano Celestino, nel 428 , si fece portavoce di tali critiche sca­ gliandosi contro coloro che «hanno portato con sé nella Chiesa quelle cose che avevano osservato in un altro genere di vita» e che «vestiti di pal­ lio e con la cintura ai fianchi credono di essere fedeli alla Scrittura non nello spirito ma secondo la lettera» . È uno stile di vita condiviso da tanti vescovi della Gallia - aggiunge il Papa - mentre «noi (se. i vescovi) dob­ biamo distinguerci dal popolo e da tutti gli altri, per la dottrina, non per l ' abito, per la condotta, non per il modo di vestire, per la purezza della mente, non per il modo di vivere»62 . Quando Onorato scrive, qualche decennio dopo, questo modello di episcopato monastico doveva essere ancor meno compreso se prima di descrivere la scena, Onorato ne previe­ ne l ' effetto sui suoi lettori dichiarando di stare per raccontare inaudita e se, durante il racconto della visita di Ilario a Caprasio a Lérins, Onorato tiene a sottolineare con un aneddoto l ' abilità di Ilario di esaltare in quel­ la circostanza «sacerdotii dignitatem»63 . Nella Vita di Ilario l ' intento apologetico accompagna come u n sotto­ fondo la laudatio; questo è avvertibile chiaramente già nel coro di testimo­ nianze illustri e favorevoli che Onorato mette in campo più volte per dimo­ strare l ' affidabilità del suo racconto. Si tratta di una cerchia di re tori e poeti artesiani che avevano conosciuto e celebrato le virtù di Ilario, cui si aggiun­ ge l ' autorevole voce di Eucherio, monaco e vescovo di raffinata cultura. E l 'intento apologetico è ancora più avvertibile nei capitoli dedicati all 'epi­ sodio più spinoso, cioè, allo scontro con il pontefice romano Leone a seguito della deposizione di due vescovi Chelidonio di Besançon e Proiecto e della loro sostituzione con altri due vescovi scelti da Ilario64. Su questo affaire esiste una cospicua documentazione da cui emerge con chia­ rezza sia la fondatezza delle accuse rivolte ad Ilario di essersi arrogato diritti che non aveva sia il tentativo da parte del pontefice romano di riai­ fermare le prerogative della sede romana sulla Gallia, anche ricorrendo al braccio secolare65. Con un uso sapiente del chiaroscuro che lascia in un cono d' ombra gli aspetti più discutibili, Onorato cerca di presentare Ilario come il difensore della dignità e purezza del sacerdozio contro ogni com­ promesso. E strettamente connessa a tale chiave di lettura della figura di Ilario è la visione premonitrice della sua morte : egli si vede celebrare i 62 Epistola ai vescovi di Vienne e Narbona 4, l , 2 c fr. commento e traduzione in T. S ardella-C. Dell' Osso (eds.), Decretali, concili romani e canoni di Serdica, in A. Di Beradino (ed.), I canoni della Chiesa antica, vol. Il, l , Roma 2008, p. 1 67.

63 Vita di Ilario 1 2. b4

Vita di Ilario 2 1 . 65 Consoli no , Ascesi, cit., p. 66.

372

L'agiografia cristiana antica

misteri vestito con i magnifici abiti sacerdotali di Aronne66. Una tradizio­ ne esegetica già molto antica vedeva nello splendore e ricchezza di questi abiti l' allegoria delle virtù sacerdotali: Ilario- Aronne è il tipo del perfetto sacerdote. Nella stessa visione, Ilario vede Ravennio, suo figlio spirituale, avvicinarsi allo stesso altare per celebrare i misteri: riconosce dunque in lui il suo successore e capisce che è arrivata la sua ora. Nella descrizione della morte, dei lunghi discorsi edificanti che l ' accompagnano, del cordoglio vivissimo dei suoi fedeli che l ' assolvono dali ' «ingiusta accusa»67, Onorato celebra ancora una volta Ilario come «arbor paradisi fecunda»6s i cui doni sono visibili in diversi luoghi nei vescovi e nei sacerdoti che ha formato e consacrato: da parte di Onorato, anch 'egli suo discepolo e vescovo, una dichiarazione orgogliosa di appartenenza ad una scuola e ad una posterità spirituale e la proclamazione del diritto a conquistare la supremazia visibi­ le dopo aver raggiunto quella spirituale e culturale. 1 .4. Martiri romani e culto delle reliquie: Eucherio di Lione Nei testi fin qui considerati, una solidissima catena di santità lega il monaco, il vescovo e il martire ; non stupisce quindi che ad un altro teri­ nese dobbiamo la Passione dei martiri di Agaune69, una passione molto diversa da quelle che si continuavano a comporre sull 'onda dello svilup­ po del culto dei martiri in tutto l ' Impero , caratterizzate dall ' enfatizzazio­ ne dei supplizi dei martiri e infarcite di eventi meravigliosi . L'autore è Eucherio di Lione «Uomo di grandissimo merito e di ingegno acutissimo, ricolmo di scienza, fiume di eloquenza, di molto superiore ai grandi vescovi del suo tempo», come lo definisce Claudiano Mamerto7o, altro esponente di quella raffinata cultura gallica che caratterizza ancora, pur tra mille difficoltà dovute al declino dell' organizzazione imperiale del­ l' insegnamento superiore, la Gallia della seconda metà del v secolo. Eucherio era arrivato al cenobio di Lérins, poco dopo la fondazione, accompagnato dalla moglie Galla e dai due figli, anch ' essi destinati all ' episcopato. Si installò con la famiglia n eli 'isola più piccola di Lero e, dopo aver accarezzato l' idea di recarsi presso i grandi asceti dell'Egitto, rimase fra i monaci lerinesi fino alla sua nomina a vescovo di Lione avve-

66 Vita di Ilario 25. 67 Vita di Ilario 28. 68 Vita di Ilario 30. 69 Utilizzo l 'edizione: Passio Acaunensium Martyrum, in Passiones Vitaeque Sanctorum aevi

merovingici, edidit B. Krusch (MGH, SRM m), Berlin 1 896, 70 Lo stato dell 'anima 2,9.

pp.

20-4 1 .

Capitolo nono

373

nuta prima del 44 1 . Appartenente ad un ceto sociale molto elevato7 t , Eucherio s i dedicò alla diffusione dell ' ideale monastico componendo opere di carattere ascetico - Lode del deserto; Il disprezzo del mondo che ebbero una larga diffusione. La Passione racconta del martirio di una legione romana - la legione tebea - composta da 6600 uomini che preferirono essere uccisi piuttosto che levare le armi contro i cristiani come era stato ordinato dall ' Impe­ ratore Massimiano. Secondo il racconto di Eucherio i fatti sarebbero avvenuti, dunque, durante la persecuzione di Diocleziano. I problemi sto­ rici e filologici sollevati dalla Passio sono numerososi ssimi; nella lettera che in alcuni manoscritti l ' accompagna, indirizzata ad un vescovo Silvio o Salvio non altrimenti conosciuto, Eucherio afferma di considerarla un ' offerta ai martiri che da luoghi e province diversi già ricevevano dai fedeli offerte in oro e in argento. Si trattava, quindi, di un culto già noto di martiri le cui vicende fino a quel momento erano state tramandate oralmente. Infatti Eucherio afferma di aver raccolto le notizie «ab idoneis auctoribus» n che affermavano a loro volta di averle ricevute dal vescovo Isacco di Ginevra che le avrebbe apprese da Teodoro, il primo vescovo di Octodurum (Martigny), nel cui territorio si trovava appunto il luogo del martirio della legione romana. Alla fine della Passio, si dice inoltre che il ritrovamento dei corpi avvenne quasi un secolo dopo, in seguito a una rivelazione a Teodoro73 che fece costruire sul luogo un chiesa. Di Teodoro sappiamo che fu un vescovo contemporaneo di Ambrogio cui dobbiamo altri ritrovamenti di corpi martiri più famosi : Gervasio, Protasio, Vitale e Agricola, Nazario74. Contemporaneo di Teodoro era anche Vittricio vescovo di Rouen, che fece molto per diffondere il culto delle reliquie dei martifi7s. L' inventio di Teodoro si colloca nel quadro della diffusione del culto dei martiri come vettore di cristianizzazione delle regioni settentrionali e alpine della Gallia che fino a quel momento erano rimaste ai margini. Meno evidente è il motivo per cui un vescovo lionese prese l ' iniziati­ va di raccontame le vicende76. È possibile che a richiamare l ' attenzione sui martiri tebei avesse contribuito proprio il figlio di Eucherio, Salonio,

71

Sulle ipotesi della sua appartenenza al ceto senatorio: Pricoco, L'isola, cit. , pp. 46-47.

72 Krusch, cit. , pp. 39-40. 7 3 Passione dei martiri di Agauno 16. 74

75

Paolina di Milano, Vita di Ambrogio 1 4. 29.32.

A Vittricio dobbiamo il trattato La lode dei santi che tenta una teologia delle reliquie: Beaujard,

cit. , pp. 6 1 -72. 76 Eucherio non fa riferimento alla Passio come adempimento di una richiesta fattagli da qual­ cuno.

374

L 'agiografia cristiana antica

che era vescovo di Ginevra nello stesso periodo, successore di quel­ l' Isacco già nominato. La Chiesa di Ginevra era depositaria di memorie relative a quei martiri e interessata a trovare un talento letterario in grado di valorizzarli e di imporli all ' attenzione� un ' iniziativa imitata da altri vescovi della Gallia che ricorsero alla penna di illustri letterati per scri­ vere o riscrivere vite di santi in grado di rivitalizzare un culto , come il caso di Martino insegna77 . Il portavoce di questa «angelica legio» - il pri­ micerio Maurizio - fa una confessione di fede in D io padre creatore di tutte le cose e nella divinità del Figlio. La necessità di legare i martiri alla confessione nicena potrebbe avere di mira la situazione concreta creata­ si dalla conquista della S abaudia da parte dei burgundi ariani7s. Ho già accennato all ' originalità della Passione di Eucherio nel quadro più vasto della produzione di passioni "epiche" i cui caratteri generali sono stati cosi bene descritti dal Delehaye79. La Passione dei martiri di Agaune contiene spunti di originalità anche se giudicata sullo sfondo della tipologia specifica delle Passioni militariso. Prudenzio, ad esempio, solo pochi decenni prima, aveva narrato nel Peristephanon la passione di due martiri militari: Emerito e Chelidonio della legio gemina di stanza in Spagna che vengono uccisi per aver rigettato i vessilli imperiali a causa della fedes t . Come nel caso dei martiri di Agauno, anche di questo marti­ rio non c'era memoria scritta, in quanto gli Atti - dice Prudenzio - erano andati perduti. Il poeta, della cui lealtà riguardo all ' Impero non si può dubitare, celebra il loro coraggio declinando il racconto secondo lo sche­ ma tradizionale in cui il rifiuto del sacrificio agli dèi si accompagnava all 'obiezione di coscienza derivante dall' ostilità nei confronti del servizio militare, soprattutto perché richiedeva l' uccisione dei nemici. Quando l ' Impero divenne cristiano e sempre pù gravemente esposto alle invasioni barbariche, tali posizioni si mitigarono pur conservando l ' antico divieto per i chierici e per i monaci82 e pur continuando il servizio militare ad essere fonte di imbarazzo e di censure quando si dovesse dimostrare la santità del personaggio in giocos3. Eucherio, invece, presenta la vicenda di Maurizio e dei suoi compagni in una luce diversa e più adatta a riflet­ tere sia il mutato atteggiamento della Chiesa sia l ' estrema difficoltà dei

77

Cfr. infra, p. 4 1 2.

7 8 Beaujard, cit. , p.

1 1 2.

79 Cfr. supra, p. 52. 80 Pricoco, cit. , pp. 222-244. 8 1 Prudenzio, Peristephanon l . 82

E. Pucciarelli (ed.), l cristiani e i l servizio militare. Testimonianze dei primi tre secoli, Firenze

1 987, pp. 3-67.

83 Cfr. supra, p. 215.

Capitolo nono

375

tempi. È quanto emerge dal discorso che Maurizio pronuncia davanti a Massimiano; accanto ai temi tradizionali dell ' obbedienza all' autorirà imperiale condizionata dalla superiore obbedienza dovuta a Dio, Eucherio mette in bocca al legionario anche una valutazione positiva del mestiere delle armi nella difesa dello Stato: «Questa nostra destra sa combattere contro gli empi e i nemici, non sa strazia­ re i pii e i cittadini. Noi ricordiamo di aver preso le armi a difesa dei cittadini e non contro di loro. Abbiamo sempre combattuto per la giustizia, per la pietà, per la salvezza degli innocenti e fino ad ora è stata questa la ricompensa per i pericoli»S4.

Mentre nelle Passioni militari è frequente la scena del soldato che mentre confessa la fede getta le armi, dalla pagina di Eucherio emerge l 'immagine del legionario che fino ali ' ultimo rifiuta di apparire come un

rebellis: «E ora non ci spinge alla ribellione neppure l 'estremo bisogno della vita, non ci ha armato contro di te, o imperatore, neppure quella disperazione che nei perico­ li dà luogo ad una forza immensa. Ecco abbiamo in mano le armi e non resistia­ mo, perché preferiamo morire piuttosto che uccidere, morire innocenti piuttosto che vivere colpevoli)) ss.

Questi aspetti della Passione di Eucherio sono tanto più significativi di una sua intenzionalità precisa in quanto la tradizione ci ha tramandato una recensione anonima della stessa Passione, denominata convenzionalmen­ te X dali ' editore Krusch e biforcata in due rami principali X ( l ) e X (2) e che riproduce la Passio eucheriana soltanto nell 'ultima parte (capp. 1 31 9)S6; merito del DuprazS7 è di aver dimostrato che non si tratta di una riscrittura, ma di una nuova composizione che utilizza una tradizione diversa da quella di Eucherio. Sull ' aspetto che ci interessa la Passio ano­ nima, successiva a quella di Eucherio e attribuibile ad un membro del clero di Agaune, dà una versione diversa dei motivi del massacro della Legione. La Passio anonima situa il martirio dei Tebei nel contesto della rivolta dei bagaudi contro i romani; convocati da Massimiano ad Octo­ durum e obbligati a fare un giuramento solenne che implicava sacrifici agli dèi, i soldati si rifiutarono e per questo furono massacrati. Negli anni

Passione 9. Passione 9. Krusch, cit. , pp. 26-28. 87 L. Dupraz, Les Passions de S. Maurice d'Agaune, Fribourg 1 96 1 .

84 85 86

376

L'agiografia cristiana antica

in cui Eucherio scriveva la sua Passio, i bagaudi , le cui fila erano alimen­ tate da popolazioni locali immiserite dal disordine politico e dal fiscali­ smo oppressivo, malgrado le sconfitte subite negl i scontri frontali con l 'esercito imperiale, rimanevano attivi con azioni di guerriglia nell' arco alpino e continuavano a rappresentare una minaccia sia per i latifondisti romani, sia per i nuovi padroni germanici, i burgundiBB. Nel racconto di Eucherio i bagaudi spariscono; così Maurizio e suoi compagni possono apparire senza alcuna ambiguità baluardo armato con­ tro i nemici e difesori dei cives e, nello stesso tempo, testimoni coraggio­ si della fede cristiana. La Passione di Eucherio termina con il racconto di due miracoli avve­ nuti nella chiesa costruita da Teodoro, uno di guarigione di una «mater familias» di casato illustre e l ' altro, di punizione, riguardante un operaio pagano impegnato nella costruzione della chiesa. Da questo punto di vista, la Passione di Eucherio rompe con il tradizionale riserbo lerinense riguardo al taumaturgico e inaugura una tendenza sempre più evidente nei successivi testi agiografici.

2. La Vita di Germano di Auxerre di Costanzo di Lione Su Costanzo, presbitero della Chiesa di Lione, abbiamo poche noti zie. Fu certamente una figura di alto profilo culturale se un vescovo e lettera­ to raffinato come Sidonio Apollinare lo riteneva un eccellente poetas9, un abile oratore90, un profondo conoscitore della Bibbia9 t . Sidonio lo defini­ fisce «dominus maior», ap pellativo che può esprimere l ' omaggio di un allievo al proprio maestro. E ancora a Sidonio che dobbiamo l ' unica data sicura che lo riguarda: il 475 , quando già anziano Costanzo si recò in aiuto di Sidonio a Clermont, ove la sua presenza riuscì a calmare i fedeli provati dall'assedio dei Goti di Eurico. La sua formazione sacerdotale avvenne sotto la guida di Eucherio e questo gli consentì certamente di partecipare all ' ambiente di alto profilo culturale di quella Chiesa. Godette di grande considerazione anche da parte del successore di Eucherio - Paziente - che si avvalse dell'abil ità poetica di Costanzo per realizzare le epigrafi che avrebbero ornato l ' al88 Per una nuova interpretazione: cfr. R. Van Dam, Leadership and Community in Late Antique Gaul, Berkeley-Los Angeles-London 1 985, pp. 25-56; L. Cracco Ruggin i , Bagaudi e santi ìnnocen· ti: un 'avventura fra demonizzazione e martirio, in E. Gabba (ed. ) , Tria corda. Scritti in onore dì Arnaldo Momigliano, Como 1 983, pp. 1 37- 1 40. 8 9 Sidonio Apollinare, Lettera 2, 10, 3. 90 Lettera 9, 16, l . 9 1 Lettera 1 , 1 8, 4.

377

Capitolo nono

tare della chiesa di Lione . Lo stesso Paziente «ordinò» a Costanzo di redigere la

Vita di Germano92; Vz'ta che,

per volere del vescovo Censurio

di Auxerre , in un secondo momento e forse in forma più ampia, venne fatta circolare anche al di fuori dall' ambiente lionese, come apprendiamo dalle due lettere indirizzate ai vescovi che precedono la tezza letteraria della

Vita Germani riflette

Vita.

La ricerca­

il suo radicadimento in questa

cerchia colta di vescovi che ne stimolarono la stesura e ne sono i primi destinatari93 . La stessa doppia committenza di Paziente e Censurio lascia indovinare fra le due sedi rapporti piuttosto stretti che risalivano all ' am­ biente lerinese94. La

fanio e

Vita Germani conobbe un grande successo: ispirò la Vita di Epi­ la Vita di Radegonda di Venanzio Fortunato. Altri agiografi, meno

abili ne copi arono interi capitoli adattandoli ad altri santi , e si pensò, ad un certo punto, di farne una versione in versi come era in uso in quel periodo95 . Costanzo la compone fra il 480 e il 494, a qualche decennio di distanza dalla morte di Germano avvenuta nel 448 . A differenza delle altre

Vite

vescovili uscite dalla cerchia di intimi o discepoli, Costanzo non

aveva conosciuto il suo eroe e, cosa piuttosto rara per un agiografo, non dichiara quali siano state le sue fonti ed è avarissimo di riferimenti crono­ logici assoluti . Costruisce il suo racconto con metodo procedendo a blocchi narrativi internamente coerenti . Il primo accompagna Germano dalla nascita all 'episcopato (capp.

1 -6). Diversamente dagli altri vescovi provenzali fin

qui esaminati, Germano non era passato attraverso una fase monastica: nato in una famiglia importante di Auxerre , ricevette un 'educazione reto­ rica, rivestì incarichi politici, si sposò con una donna all ' altezza del suo rango. In questi primi capitoli è sensibile l ' influenza della

brogio

Vita di Am­

cui viene giustapposto, come vedremo fra breve , in modo mecca­

nico il modello vescovile monastico cha caratterizza il discorso agiogra­ fico gallico a partire dalla

Vita di Martino.

L' importanza assunta dal tema

della grazia nel dibattito teologico coevo affiora nel modo di narrare i cambiamenti radicali della vita di Germano : quanto in essa appariva dis-

Vie de saint Germain d 'Auxerre, par R. Borius, (SC 1 1 2) , Paris 1 965. Vita Germani di Costanzo di Lione: realtà storica e prospettive storiografiche nella Gallia del quinto secolo (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei), Roma 1 996, p. 1 46 ; un breve profilo anche in C. Leonardi, Modelli di santità fra secolo v e VII, in Santi e demoni nell'Alto Medioevo occidentale (secoli v-xl), Spoleto 1 989, pp. 262-265. 92 Constance de Lyon,

93 M. Miele, La

94

Costanzo sottolinea il rapporto di rispetto e di venerazione che legò Germano a Ilario di Arles

(Vita di Germano 23). Altro collegamento alla jamilia terinese: Germano si recò una prima volta in Britannia accompagnato da Lupo di Troyes, che aveva sposato la sorella di Ilario Di Arles (cfr. E.A. Thompson, Saint Germons of Auxerre and the End of Roman Britain, Woodbridge 1 984, pp. 1 -6). 95

Più dettagliatamente Borius, SC 1 1 2, cit., pp. 46-49.

378

L'agiografia cristiana antica

sonante con il modello monastico viene riassorbito con qualche forzatura in un ' ottica predestinazionista: «L'eloquenza - osserva Costanzo - lo pre­ parava alla predicazione, la dottrina giuridica alla giustizia, la compagnia della moglie alla testimonianza della castità»96. Se il discorso agiografico antico è in generale indifferente alla psicologia del cambiamento, la fedel­ tà alla dottrina agostiniana della grazia favoriva, se possibile, una mecca­ nicità ancora più spinta: tutto avviene ali ' improvviso , in ossequio alla volontà divina, alla grazia. Così Germano è eletto all ' unanimità vescovo e, ali ' improvviso cambia il suo stile di vita: lui che , a differenza degli altri vescovi, non era mai stato monaco, assume uno stile di vita rigorosamen­ te ascetico, trasformando la sua vita «in un lungo martirio»97. Continua a vivere con la sua sposa, ma in continenza98; distribuisce le sue ricchezze ai poveri, consuma solo il pasto serale che consiste in "cenere" e "pane d'orzo". Veste il cilicio sulla pelle e, sopra, cappuccio e tunica estate e in­ vemo99; dorme vestito sulla cenere appena contenuta da assi di legno, con un solo corto mantello a far da coperta. La sezione successiva (capp . 2, 7- 1 1 ) è interamente dedicata ai mira­ coli. La narrazione di miracoli è un obiettivo importante di questa Vita che fin dal prologo allude al numero grandissimo dei miracoli compiuti da Germanotoo. Malgrado questo, la sobrietà delle prime Vite lerinesi rimane un modello con cui confrontarsi: quando Costanzo precisa che i miracoli di Germano non avevano origine dalla presunzione, ma dalla misericor­ dia, mostra forse di aver presente quel punto della Vita di Onorato ove si dice che Onorato per modestia aveva pregato Dio di non compiere i mira­ coli . I miracoli sono presentati come vittorie sui demoni che suscitano malattie, istigano furti, infestano case abbandonate l o! . Come accade an­ che nelle altre Vite, la lotta contro i demoni non compare più nel momento "formativo" del santo: anche questo, come ho già avuto modo di notare, appare una caratteristica del discorso agiografico che segue la crisi pela­ giana: la dottrina della grazia scoraggiava a rappresentare la santità come frutto dello sforzo ascetico conseguito attraverso una dura lotta contro i demoni dei peccati . Vengono poi celebrati i successi di Costanzo nella lotta contro l ' eresia e come patronus delle popolazioni nei confronti del potere politico. I due viaggi in Britannia per sconfiggere l ' eresia pelagiana (capp. 1 2- 1 8 ; 25-27) 96

Vita di Germano l . Vita di Germano 4. Vita di Germano 3. 99 Vita di Germano 4. 97 98

100 Pref. 101 Vita di Germano 8- 1 0.

379

Capitolo nono

rappresentano un motivo di grande interesse di questa Vita anche se il rac­ conto, soprattutto se paragonato alle missioni successive, appare «cloudy and indistinct» 1 02. Come molti vescovi del stio tempo, Germano si spende nella protezio­ ne dei suoi fedeli. In veste di «defensor civitatis» si reca ad Arles per ottenere dal prefetto della Gallia uno sgravio dei tributi. Il funzionario rimane dapprima colpito dalla «nobiltà del suo viso, dalla cultura dei suoi discorsi, dall ' autorevolezza della sua predicazione» 103 e definiva­ mente convinto da un miracolo di guarigione compiuto a favore della propria moglie . Germano interviene a favore degli abitanti del Tractus armoricanus, una vasta regione dell ' Ovest della Francia, dalle foci della Garonna a quelle della Senna e che comprendeva anche i territori di Tours , Orléans e, appunto, Auxerre. Si tratta di un episodio della rivolta dei bagaudi che si erano ribellati ad Ezio che allora governava sulla Gallia (capp. 28-34) . Secondo il racconto di Costanzo - che tal volta confonde date e personag­ gi 104 - Ezio, non potendo venire a capo della rivolta, li abbandonò agli Alani, comandati da Goar «ferocissimus rex». Il modo con cui Germano interviene è largamente topico: da solo muove incontro alle schiere bar­ bare armate fino ai denti e prendendo le briglie del cavallo di Goar gli impedisce di proseguire: «Deo imperante» , la ferocia lascia il posto al­ l'admiratio, alla reverentia: le armi cedono per lasciare il campo alla trat­ tativa. Germano si impegna con Goar a chiedere all 'Imperatore o a Ezio la grazia che il re barbaro aveva accordato e per questo si dirige presso la corte a Ravenna t os . Il suo viaggio - narrato con ricchezza di particolari attraverso la Gallia, le Alpi , Milano è naturalmente accompagnato da altri miracoli. L' arrivo a Ravenna è trionfale: i dignitari, i vescovi, la stes­ sa imperatrice fanno a gara per compiacerlo in tutto ed egli non riparmia i suoi interventi miracolosi fra cui una resurrezione e la liberazione dei prigionieri t06. I molti miracoli, tuttavia, non impediscono il fallimento della missio­ ne di Germano e la morte lo coglie a Ravennato7. L' ultima parte della Vita (capp. 43-46) descrive le esequie e l ' ordinata e gerarchica spartizione dei suoi effetti personali fra le autorità: -

1 02 Thompson, Saint Germanus, cit., p. 39. 103 VIta di Germano 24. 1 04 Ricostruzione in Borius, SC 1 1 2, cìt., pp. 99- 1 03 . 1 05 Vzta di Germano 28. 1 06 Vita di Germano 36. 1 07 VIta di Germano 42.

380

L 'agiografia cristiana antica

«L' imperatrice (se. Galla Placidia) prese il sacchetto delle sante reliquiet os , il vescovo Pietro rivendicò (se. Pietro Crisologo) il cappuccio e il cilicio di sotto; i sei vescovi che lo avevano assistito durante la permanenza a Ravenna si divi sero ciò che restava: il pallio, la cintura, la tunica, il corto mantello» 109 .

Dopo il viaggio di ritorno trionfale il corpo di Germano viene ricevu­ to in patria come «patronum proprium» e viene seppellito nella sua città dove però - afferma Costanzo - continua a vivere con i suoi quotidiani miracoli e la sua gloriauo. Nella prefazione, Costanzo insiste sul tema del silenzio che fino a quel momento ha circondato la figura di Germano, del resto ormai scomparsa da qualche decennio; se possiamo comprendere i motivi che muovevano Cen­ surio per rendere pubblica la Vzta Germani si trattava di una gloria della propria Chiesa che ne ospitava anche le reliquie -, la richiesta di Paziente che la sollecitò per primo non è, a prima vista, altrettanto comprensibile. La Vita Germani propone il ritratto di un vescovo dinamico «che era soddisfatto - chiosa l ' agiografo - solo di non starsene mai tranquillo sen­ za aver nulla da fare» ' " ; un vescovo prima di tutto missionario: Ilario di Arles - afferma Costanzo - lo venerava come un «apostolo»I I2. È un apo­ stolato che non si rivolge ai pagani - che pur non dovevano mancare -, ma contro l 'eresia pelagiana. Sappiamo che, nello stesso tomo di tempo in cui veniva composta la Vita, la questione era stata riportata all ' ordine del giorno proprio da Fausto di Riez che cercò di ottenere dal sinodo di Arles e poi da quello di Lione una condanna ancora più decisa di Pelagio. Egl i trovò una sponda proprio i n Paziente e l a Vita Germani poteva contribui ­ re a rinforzare l a causa antipelagiana. D ' altro canto, l ' eresia non era pre­ sente soltanto in Britannia; la stessa Lione poteva essere considerata un terreno di missione se consideriamo che i burgundi che regnavano sulla città erano ariani. Sappiamo che Paziente, al pari di Sidonio, cercò di tro­ vare un modus vivendi che, se escludeva accomodamenti di carattere dot­ trinale, evitava lo scontro sul piano politicoi t3. Pur senza scagliarsi aper­ tamente contro l ' arianesimo, la Vita Germani poteva ricordare discreta­ mente ai suoi lettori come quel vescovo compisse i miracoli in nome della Trinitàl l4 e pieno dello Spirito Santo, anche questo nodo decisivo del con­ fronto fra niceni e ariani t t s . -

1 08 1 09 1 10 111

Il sacchetto contenente reliquie dei martiri che Germano era uso portare sempre su di sé: Vita di Germano 43. Vita di Germano 46. Vita Germani 29.

1 1 2 Vita Germani

23. 1 1 3 Sidone Apollinare, Epistola 6, 12, 3. 1 1 4 Vita Germani 13; 15. 1 1 5 M iele, cit. , p p . 1 99-207.

1 ,4.

Capitolo nono

38 1

La Vita Germani propone ai contemporanei in filigrana anche un modo di gestire il confronto con il potere politico e militare: Germano vince con le armi della fede e della preghiera: è un patronus in grado di difendere i suoi fedeli dall' avidità delle autorità e di intercedere per loro presso la corte con le armi dei suoi poteri taumaturgici e la sua eloquenza. Ciò che lo muove è la carità cristiana che rimane rispettosa dei valori dell 'ordine e dell'obbedienza imposta dall' autorità in carica, una posizione di separa­ zione degli ambiti e di richiesta implicita di rispetto reciproco che vedre­ mo formalizzato nella Vita di Cesario di Arles. Con la Vita Germani, inoltre, il modello vescovile viene, in un certo senso, adeguato ai tempi : pur ispirandosi alla Vita Martini, non poteva essere approvato il rapporto conflittuale con gli altri vescovi, mentre è un punto di forza della ricostruzione di Costanzo l ' accordo, l ' ammirazione e il consenso che egli suscita negli altri vescovi; né poteva essere sentito pienamente consonante all ' interno di una cerchia di sacerdoti coltissimi, l ' ascetismo incolto di Martino. La Vita di Ambrogio sembra essere stata fonte di ispirazione per i primi due capitoli della Vìta Germani116, ma il modello del rapporto con il potere, come l ' aveva interpretato Ambrogio, non poteva essere più riproposto.

3. La Vita di Cesario di Arles secondo i vescovi La Vita di Cesario di Arlesll7 è una delle fonti principali su questo importante vescovo. È stata scritta subito dopo la morte di Cesario (fra i l 542 e il 549) d a u n gruppo d i suoi discepoli e collaboratori : i vescovi Ci­ priano di Tolone, Firmino vescovo di Uzès e Vivenzio di cui non è possi­ bile indicare la sede; il sacerdote Messiano e il diacono Stefano. Ai primi tre dobbiamo il primo l ibro, agli altri il secondo, con un chia­ ro passaggio di consegne fra i due gruppi : al termine del primo libro i vescovi chiedono al presbitero Messiano e al diacono Stefano che erano stati al servizio di Cesario «ab adolescentia» 1 1 s di unire al loro opusculum anche le loro testimonianze . Le due parti si differenziano, oltre che per l' ampiezza - la prima è quasi il doppio dell ' altra - anche per i temi trat­ tati. Il primo libro è dedicato prevalentemente ad un racconto diacronico che accompagna Cesario dalla nascita fino agli ultimi anni del suo episco1 16

B orius , SC 1 1 2, cit., p. 5 ; diversamente Miele, cit . , p. 20 1 .

1 1 7 Vita Sancti Caesarii episcopi Arelatensis (BHL 1 508- 1 509). Introduzione , testo critico, tra­ duzione e commento di E. Bona, Amsterdam 2002, di cui utilizzo la traduzione e l ' approfondito com­ mento.

1 1 8 Vita di Cesario l , l ; l , 63.

382

L'agiografia cristiana antica

pato, mentre il secondo consiste principalmente in una raccolta di miraco­ li compiuti da Cesario in vita e dopo la morte. A Messiano e a Stefano viene anche lasciato il compito di descrivere la morte del vescovo. Salvo qualche eccezione, in entrambi i libri non è possibile districare l ' apporto dei singoli autori dall ' insieme, malgrado i numerosi tentativi fatti in pro­ posito t t9. Nel redigere la Vita di Cesario gli autori dimostrano di avere presenti altri testi agiografici : gli scritti di Sulpicio Severo su Martino, la Vita di Ambrogio, la Vita di Agostino, la Vita di Onorato e la Vita di Ila­ rio120 e, naturalmente, gli scritti di Cesario a cui attingono di frequente. Accanto agli argomenti tradizionali - le fonti , inadeguatezza degli autori rispetto ali ' oggetto della narrazione etc. - il prologo rivela che la Vita fu sollecitata dalla vergine Cesaria, seconda badessa del monastero femminile fondato da Cesario, dopo Cesaria, sorella del vescovo. Di que­ sta seconda Cesaria - anch' essa, come suggerisce il nome, forse parente del vescovo - la Vita tesse un breve elogio: «Le succedette (se. a Cesaria senior) l' attuale Cesaria, la cui opera con le compa­ gne a tal punto eccelle che, fra salmodie, digiuni e veglie e letture, le vergini di Cri­ sto approntano belle copie dei libri sacri, avendo come maestra la madre stessa»12t .

Alla committenza di Cesaria è da ricondurre il rilievo con cui vengo­ no ricordati il motivo della fondazione del monastero - adornare e difen­ dere la Chiesa e la città di Arles con «virginum choris» 1 22; la regola di clausura che lo reggeva m; il luogo di sepoltura della sorella Cesaria1 24; il commiato da esse poco prima di morire i 25 . Al di là degli espliciti, ma spo­ radici, riferimenti al monastero femminile, Cesaria avrà inteso, d' accordo con quella parte del clero favorevole a Cesario che gli era stato più vicino e che ne promuoveva il culto, proporre a futura memoria una reinterpreta­ zione della figura di Cesario, di un vescovo, cioè, che da vivo aveva dovu­ to scontrarsi con ostilità e accuse spesso provenienti dal suo stesso clero e la cui morte lasciava il monastero privo di un appoggio importante, mal­ grado - come ci informano Messiano e Stefano nel secondo libro Cesario l ' avesse affidato nel suo testamento «ai vescovi suoi successori e al resto del clero», nonché, per il tramite di lettere, alle autorità secolarit26. 1 1 9 Bona, cit., p. 1 7 . 1 20 /bi, pp. 25-30; l o stile: 30-32 . 1 2 1 Vita di Cesario l , 59. 1 22 Vita di Cesario l, 28. 1 23 Vita di Cesario l, 28 ; 35. 1 24 Vita di Cesario l, 59. 1 25 Vita di Cesario 2, 47. 1 26 /bidem.

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383

Il primo libro riserva soltanto sette paragrafi alla narrazione dei primi trent' anni di vita di Cesario: dopo un' infanzia all ' insegna della santità ­ già a sei anni distribuiva i suoi vestiti ai poveri - a diciassette chiede di es­ sere ammesso nel clero, ma dopo soli due anni - trascorsi come lector? , decide di rendersi "straniero" non soltanto ai parenti ma anche alla patria1 27 e si ritira a Lérins. La permanenza di Cesario in questo monastero che, a distanza di quasi un secolo dalla sua fondazione, continuava ad attirare gio­ vani di talento e a formarli per l 'episcopato, dovette essere piuttosto lungar2s. In quel luogo certamente Cesario acquisì l ' approfondita cultura biblica che traspare dalle sue omelie e che è spesso celebrata dalla Vita. Tuttavia i suoi biografi dedicano a questo periodo soltanto tre paragrafi. Pur senza mancare di richiamare la fedeltà di Cesario allo stile di vita monastico sulla linea degli ideali di Lérins , l' interesse di questa Vita è tutto focalizzato sul periodo dell'episcopato, a cominciare con la ricostruzione dettagliata degli avvenimenti che lo portarono - monaco e straniero - a ricoprire tale caricai29. Fra gli episodi di questi primi anni ad Arles, uno in particolare anticipa il carattere più dintintivo dell ' azione pastorale del futu­ ro vescovo. Appena giunto nella città provenzale vien accolto sotto la pro­ tezione di una coppia di aristocratici che, constatandone le doti morali e intellettuali, decidono di fargli studiare retorica. Il giovane un giorno si addormenta sul libro che stava studiando e ha una terribile visione: vede la spalla e il braccio abbandonati sul libro avvolti nelle spire di un serpente. Da qui la decisione di abbandonare gli studi retorici Bo. Il sogno di Cesario richiama l'altro, più famoso, di Gerolamo in cui egli si vede preso a staffilate dal Giudice-Cristo per essere "ciceroniano, non cristiano" e in cui promette di non prendere più in mano nessun libro profanom . Tuttavia, se Gerolamo fu del tutto infedele a tale promessa e continuò a cercare i suoi lettori nei circoli aristocratici nutriti di cultura classica, Cesario dedicherà gran parte dei suoi sforzi alla promozione del messaggio cristiano fra i semplici utilizzando forme espressive efficaci a raggiungere lo scopo. La "rinuncia" di Cesario è qui il segno eloquente di un contesto culturale assai mutato, o ve il pericolo maggiore per l ' annun­ cio cristiano, che non può prescindere da un livello di istruzione sia pure elementare , non è più la concorrenza con la cultura classica e profana, ma deriva piuttosto dalla caduta del livello culturale delle élites e dal venir meno anche di quei pochi in grado di istruire il popolo. -

1 27

1 28

1 29

Vita di Cesario ! , 5.

Verosimilmente dal 489-495 circa.

Vita di Cesario ! , 8- 15.

1 30 Vita di Cesario l , 9. 13l

Gerolamo, Epistola 22 , 30.

384

L'agiografia cristiana antica

Nel l ' elezione all 'episcopato, pur attraverso il velo delle reticenze e abbellimenti agiografici, vediamo entrare in gioco gli stessi elementi formazione monastica a Lérins e parentela - che erano stati decisivi nel caso di Onorato e Ilario. Infatti Eone, vescovo di Arles, " scopre", ad un certo punto, che Cesario è suo parente e compatriota132 e da questo mo­ mento la sua carriera è velocissima, diventa diacono, sacerdote, poi abate in un monastero di Arles e infine - con una successione attentamente pre­ parata da Eone - vescovo. Dal cap. 1 5 inizia la narrazione dell 'episcopato di Cesario. Gli aspetti cui i vescovi danno rilievo sono : la sua dedizione e assiduità nella predi­ cazione; l ' attenzione come «spiritali s medicus» alle esigenze spirituali e intellettuali di ciascuno; la sollecitudine per l ' istruzione dei laici e l' insi­ stenza con cui richiamava il clero a questo dovere . Su questo tratto - della cui storicità il corpus delle omelie di Cesario è una viva testimonianzam - la Vita ritorna spesso anche più avanti l34. Gli autori mostrano un Cesario altrettanto attivo nello spronare i suoi vescovi e chierici ad approfondire lo studio e la comprensione della Scrit­ tura. A quanto pare, con scarso successo stando alle parole dei suoi agio­ grafi che qui eccezionalmente fanno riferimento a ricordi personali. Rac­ contano infatti che Cesario spiegava la parola di Dio e incalzava il suo pubblico chiedendo poi cosa ricordasse : «Coloro che ascoltavano ( . . . ) - lo dico con sudore e grande verocondia - in molti di fronte a lui, furono sco­ perti aver sùbito dimenticato, mentre, ed è peggio, pochi avevano potuto ripetere in forma sommaria il discorsetto che era stato loro offerto»t35. Come ho già accennato, durante il suo lunghissimo episcopato, Ce­ sario si trovò più volte in situazioni difficili di cui i vescovi cercano di offrire una ricostruzione favorevole al loro eroe, in certi casi sorvolando sugli aspetti più spinosi, in altri casi mettendo avanti i suoi poteri straor­ dinari. Durante l ' episcopato quarantennale di Cesario, Arles passò di ma­ no tre volte : all ' inizio regnavano i visigoti di Alarico, in seguito gli ostro­ goti di Teodorico che riuscirono a rintuzzare un primo tentativo congiun­ to dei burgundi e dei franchi di impadronirsi della città, in ultimo, a par­ tire dal 536/537, i franchi sotto la guida di Childeberto. Le difficoltà per

1 32

Vìta di Cesario l , 1 0 . Vìta fa riferimento 1 . 55. Cfr. Cesario d ' Arles, Predicare la Parola. Scelta di sernumi sull 'amore per la Scrittura e la predicazione. Introduzione, traduzione e note a cura di E. Bona, Com un i tà di Bose 2000 , p. 20. 1 34 Vìta di Cesario 1 , 54-55 , ove si menziona l ' iniziativa di Cesario di concedere anche ai presbi­ teri e ai di acon i di predicare leggendo ad alta voce omelie composte da altri esortando i vescovi a fare 133 Cui l a

altrettanto quando occorreva. 135 Vìta di Cesario l , 62; episodio simile in l ,

52.

385

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Cesario nascevano, prima ancora che dalla diversità di fede - i visigoti e gli ostrogoti erano ariani -, dall'essere nato nei territori soggetti ai bur­ gundi e dunque esposto al sospetto di tradimento da parte prima dei vi­ sigoti 136 e poi dei goti 137. Il racconto è piuttosto lacunoso e mette in om­ bra più di un passaggio. Gli agiografi - con la tranquillità derivante dal vi­ vere ormai sotto il dominio franco e cattolico - presentano gli eventi come frutto dell ' istigazione diabolica, della ferocia dei barbari "eretici" e della perfidia dei giudei contro cui Cesario riesce ad avere la meglio con i suoi carismi. Tuttavia la Vita lascia indovinare che le accuse nascevano proprio dall ' interno della Chiesa artesiana e riguardavano l' uso improprio delle ricchezze della mensa vescovile utilizzate con eccessiva larghezza sia per il riscatto dei prigionieri, malgrado che dal v secolo questo compito fosse sempre menzionato fra le virtutes specifica della santità vescovileBs, sia per la fondazione di monasteri. L'accusatio non meglio precisata a seguito della quale Cesario fu con­ dotto sub custodia a Ravenna alla corte di Teodorico riguardava verosi­ milmente proprio l' uso ritenuto improprio delle ricchezze della Chiesa139 anche se gli agiografi indicano il demonio come l ' occulto regista di tutto e si limitano a raccontare la vittoria di Cesario come ottenuta dalla sua sola presenza; appena Teodorico lo vide - essi raccontano - esclamò: «Dio non abbia pietà di coloro che hanno fatto subire inutilmente un viaggio cosi lungo a un uomo di tale innocenza e santità. Prova che uomo sia il fatto che, entrato a salutarmi, fui interamente scosso da un tremito. Vedo ( . . . ) un volto d' an­ gelo, vedo un uomo degno degli Apostoli : giudico un delitto pensare qualcosa di male di un uomo cosi venerabile» l40.

Il racconto dei vescovi si fa più preciso nel narrare i miracoli compiu­ ti da Cesario a Ravenna e del suo successo a Roma presso il papa Sim­ maco che gli concesse non solo gli onori che si addicono ad un metropo­ lita, ma anche il privilegio straordinario di indossare il pallio e, ai suoi chierici, la dalmatica, «secondo l ' uso della Chiesa romana» ; privilegio 1 36

Vita di Cesario l, 2 1 . Vita di Cesario l , 29. 1 38 E Graus, Die Gewalt bei den Anfiingen des Feudalismus und die "Gefangenenbefreiungen " der merowingischen Hagiographie, in «Jahrbuch fiir Wirtschaftsgeschichte>> 2( 1 96 1 ), pp. 6 1 -99. La 137

liberazione dei prigionieri era un modo per ottenere conversioni di massa al c ri stianesimo? Sulle diverse interpretazioni di

Vita Caesarii l , 32-33: D. De Giorgio, Cesario di Arles e la redemptio dei

captivi infideles, in «Cristianesimo nella storia» 26(2005 ), pp. 67 1 -682. 1 39

Vita di Cesario l, 36; nelle accuse, stando ad altre fonti dell'epoca, non era estranea la fon­

dazione del monastero fenuninìle: cfr. il commento di Bona, pp. 272-273. 1 40 Vita di Cesario l , 36; s u questo modo d i narrare l ' incontro del santo con il r e , cfr.

337-338.

supra, pp.

386

L'agiografia cristiana antica

che l ' anno successivo si concretizzerà nel riconoscimento del ruolo di vi­ cario papale per la Gallia e la Spagna i 4 I . Risultato più prosaico, ma non meno importante della visita romana, è l' entità delle ricchezze - ottomila solidi d'oro ! - con cui Cesario torna ad Arles142. Su questo dettaglio si chiude la lunga sezione ( 1 ,2 1 -43) dedicata a ricostruire - nello specchio trasfigurante del discorso agiografico - il pro­ filo politico di Cesario: non dissipatore delle ricchezze, ma artefice del be­ nessere della sua Chiesa e del prestigio istituzionale presso Roma; non tra­ ditore a favore della propria gente, ma vescovo leale e imparziale che pre­ gava il Signore per «la pace dei popoli e la sicurezza della città» 143 e che: «Insegnò sempre, ivi e ovunque che la Chiesa deve "restituire a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" (Mt 22,2 1 ) : obbedire, per l ' appunto secondo l' insegnamento dell 'Apostolo, ai re e governanti (cfr. Rm 1 3 , l-7) quando impar­ tiscono ordini giusti» l44.

L' ultima parte affronta il tema dell ' ortodossia di Cesario a proposito della grazia; questione che in Gallia aveva suscitato accese discussioni a partire da Onorato i4s. Pose termine a questa lunga controversia il Concilio di Orange (529) presieduto proprio dallo stesso Cesario, che fece prevale­ re un agostinismo moderato in grado di conciliare la dottrina agostiniana del peccato e del primato della grazia con la vocazione universalistica alla sal vezza che il libero arbitrio può concorrere a realizzare. Sullo sfondo di tale agostinismo, che l a sc i ava un certo margine d i azio­ ne alla volontà umana al fine del conseguimento della perfectio o, forse ancor più, per l' assopirsi della controversia, risulta più comprensibile un tratto specifico di questa Vita, specialmente se paragonata al discorso a­ giografico più antico della stessa area: nel dipanarsi degli avvenimenti la grazia - pur sporadicamente menzionata - rimane in secondo piano ri­ spetto alla volontà di perfezione morale e alle decisioni pastorali e politi­ che del protagonista.

14 1 Bona, Vita Sancti Caesarii, cit., p. 285. 1 42 Vita di Cesario l, 43. 1 43 Vita di Cesario l, 2 1 . 1 44 Vita di Cesario I , 22.

!45 S. Gioanni, Moines et éveques en Gaule aux V" et VI" siècles: la controverse entre Augustin et le moines provençaux, in «Médiévales» 38(2000 ) , pp. 1 49- 1 6 1 .

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3. 1 . La Vita di Cesario di Arles secondo i sacerdoti Berschin ha sottolineato l ' «architettura gerarchica di questa Vita»: il primo libro, scritto da vescovi, affronterebbe la figura del vescovo da una prospettiva ecclesiastico-politica; il secondo, scritto da chierici di grado inferiore, in una Kammerdienerperspektive i46. Se i punti di vista sono dif­ ferenti, i rapporti che collegano le due parti dell 'opera rimangono molto stretti. I primi affermano di voler narrare vita e conversatio; i secondi con­ versatio e virtutes. Come nella prima parte non mancano affatto le virtu­ tes (nel duplice significato rivestito dal termine), ]a seconda completa il racconto della vita narrando la morte di Cesario e i miracoli compiuti dopo la morte. Il filo più robusto che le lega è che sono ambedue frutto di un gruppo di autori che persegue con coerenza lo stesso scopo. Il secon­ do libro, pur ricorrendo quasi esclusivamente ai miracoli, non è che l ' illu­ strazione attraverso i ricordi personali degli autori e le testimonianze da loro raccolte, di quanto nel primo libro i vescovi hanno già detto sui com­ portamenti e sulle virtù di Cesario. Se i primi esaltavano l 'umiltà del ve­ scovo, i secondi la esemplificano raccontando come il vescovo fosse tal­ mente umile che, dopo la preghiera o il gesto taumaturgici, fuggiva prima che la guarigione si compisse per non esporsi ali ' opportunità di vantar­ si 147. Se i vescovi insistevano sulla preghiera continua del santo, i chieri­ ci ricordano un episodio della loro vita comune con Cesario che lo mostra concentrato sulla preghiera e la meditazione della Scrittura perfino duran­ te il s onn o 1 4 8 Lo stesso avviene anche per l al tro tema fortemen te rileva­ to nel primo libro: il riscatto dei prigionierii49. Anche su altri temi le due parti si completano: il significato spirituale della "bellezza" di Cesariot5o; la regola di clausura del monastero femminile menzionata nel primo libro e illustrata con un miracolo nel secondot51. I miracoli di guarigioni avvengono prevalentemente attraverso il con­ tatto con oggetti usati dal santo mentre questi è ancora vivo : il mantello con riferimento all ' episodio evangelico dell'emorroissa (Le 8 ,43-48 e pa­ ralle li) t52; il tessellust53, un indumento non meglio identificato che Ce­ sario portava a contatto di pelle; il suo bastone154; la sua sellai55. Il narra.

146 Berschin, Biographie, cit. , Bd. 1, p. 250. 1 47

Vìta di Cesario 2, 3. 5.

1 48 Vìta di Cesario 2, 3. 5 . 6.

1 49 Vita di Cesario 2, 8. 9. I SO Vìta di Cesario 2, 35. 15 1

Vìta di Cesario 2, 26. Vìta di Cesario 2, 12. 1 5 3 Vìta di Cesario 2, 1 3 . ! 54 Vìta di Cesario 2, 22. 1 55 Vita di Cesario 2, 25.

1 52

'

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tore che qui sembra essere Messiano, prendendo atto della guarigione avvenuta, osserva ad un certo punto: «e il vestiario del Servo del Signore ebbe già quel potere che si sa avere anche dopo il suo trapasso»I56 . L' anticipo trova puntuale realizzazione nella sezione dedicata ai mira­ coli post mortem, anche questi collegati in qualche modo agli indumenti di Cesario o a tessuti venuti in contatto con la salma o a frammenti di essi che diluiti (''lavati") in acqua venivano somministrati ai malati sotto forma di bevande. E sono ancora i vestimenta di Cesario ad e ssere al cen­ tro del parapiglia scatenatosi durante le esequie. È singolare che si parli di reliquie soltanto in riferimento ai vestiti senza menzionare il corpo di Cesario e i miracol i compiuti da esso, pur citandone il luogo di sepoltura: «nella Basilica di santa Maria da lui fondata, in cui vengono deposte le sacre spoglie delle monache del suo monastero»Is7. Di solito le raccolte di miracoli post mortem sono legate alla promozione della devozione verso un santo e del locum che ne accoglie le spoglie. Bisogna dire inoltre che chi redige questi racconti afferma di essere in possesso di tali reliquie e di manipolarle per somministrare le pozioni guaritrici; in questo caso la pro­ mozione della devozione verso il santo, veicolata dal racconto, va di pari passo con la promozione del gruppo ristretto che possiede i vestimenta. Merita di citare un racconto che ha per protagonista un Franco che solle­ cita tale bevanda: «Subito tornammo entrambi indietro (se . il Franco e il narratore, forse Messiano) e una volta che, en trati nel la mia cella (in cellula mea) ci fummo lavati entrambi le mani, tirai fuori una tela di lino con cui era stato asciugato il santo corpo del dolce buon signore. Ne presi dunque una piccola parte per dargliela e il Franco con grande rabbia, mi disse. "Via, o uomo, perché menti? Ho sentito dire che quell' uomo benedetto non adoperò stoffe di lino, ma panni, che io voglio lavare e tramite l ' acqua bere". Allora io dissi fra le lacrime: "Dici bene, è vero ciò che hai sentito ; ma con q uesto è stato pulito il corpo del santo al suo trapasso". ( . . . ) Subito che l ' ebbe ricevuto ottenne dal Signore la salute» tss.

Il racconto, narrato in prima persona, contiene molti dettagli interes­ santi sulla preparazione delle reliquie e i gesti purificatori che richiedeva. Si noterà anche che il luogo in cui si conservavano queste reliquie non era la chiesa, ma la cella del narratore , un luogo semiprivato. Tutta la gestio­ ne delle reliquie sembra avvenire al di fuori del controllo del vescovo di Arles che la \tlta non menziona mai. Un silenzio che potrebbe trovare una 1 56 VIta di Cesario 2, 15. 1 57 Vita di Cesario 2 , 50. 1 5 8 VIta di Cesario 2, 42.

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spiegazione nella situazione creatasi dopo la morte di Cesario, soprattut­ to con il passaggio del potere vescovile dalle mani di Assaunzio (542546), ancora scelto fra il clero locale, ad Aureliano (546-55 1 ), designato direttamente dal re. Il passaggio incruento di Arles dai Goti ai Franchi se­ gnò l ' inizio del declino dell ' importanza della città provenzale come cen­ tro politico ed ecclesiastico a vantaggio di città della Gallia settentrionale come Tours. Il re franco Childeberto, oltre a imporre Aureliano, fondò altri monasteri, sia maschili, sia femminili, che pur non rappresentando una diretta minaccia alle fondazioni monastiche già esistenti, entravano in competizione con queste, come destinatarie di risorse e donazioniiS9. 4. Le Vite dei padri del Giura Nel quadro della produzione agiografica gallica le Vite dei Padri del Giurai60 presentano caratteri peculiari: attraverso le biografie di tre abati narrano la storia di settantacinque anni del monachesimo cenobita di quel­ la regione. Sono biografie di monaci che restano monaci e che spendono la loro esistenza nella fondazione, sviluppo e rifondazione di monasteri. La stessa scrittura agiografica è parte di questo processo in quanto, nel ricostruire a posteriori genealogie e continuità, offre un' immagine coeren­ te della realtà monastica contemporanea, in grado di forgiare a propria immagine anche altre istituzioni monastiche. La data presumibile in cui Romano abbandonò la casa e la sua fami­ glia per stabilirsi fra le foreste e le valli del Giura, alla confluenza di due fiumi, Bienne e Tacon, è il 435 . Il fratello Lupicino lo raggiunse dopo un certo tempo, lo coadiuvò nella guida dei monasteri - oltre a Condat, venne fondato un altro monastero maschile a Lauconne e un secondo, femmini­ le, a La Balme - e gli successe alla sua morte avvenuta nel 460 ; Lupicino fu abate fino al 480. Da1 490 al 5 1 2-5 1 4 ci fu l' abbaziato di Eugendo. Se si considera la fondazione della laus perennis nel Monastero di Agaune, avvenuta il 22 settembre del 5 1 5, come termine post quem161, le Vìtae sono state scritte immediatamente dopo, oppure al più tardi nel 520. 1 59 W.E. Klingshirn, Caesari� s of Artes. The Making of a Christian Community in Late Antique

Gaul, Cambridge 1 994, pp. 26 1 -264. 160 Vie des Pères du Jura. 1ntroduction, texte critique, lexique, traduction et notes par F. Manine (SC 1 42), Paris 1968. Ai primi due - Romano e Lupicino - Gregorio biografie poi raccolte nelle Vite dei Padri (cfr. infra, p. 4 1 5).

di Tours ha dedicato una delle

Le differenze notevoli esistenti fra le due

fonti fanno pensare che Gregorio avesse utilizzato una fonte indipendente.

161 La questione è discussa in De Vogiié, cit., t.

VIII,

p. 1 26; Sigismondo volle fondare un mona­

stero in cui presso la tomba dei martiri tebei si cantassero in modo ininterrotto, di giorno e di notte, i salmi. A questo uso liturgico fanno riferimento le Vite degli Abati di Agaune, un breve testo dedicato

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L'agiografia cristiana antica

Il testo è dedicato a due monaci - Giovanni e Armentario - del mona­ stero di Agaune, il primo è introdotto da una espressione generica sugge­ rita dal nomet62. Con una frase piuttosto oscura, l 'Anonimo adombra anche un rapporto di filiazione fra Condat e questo monastero di Agaune che probabilmente era un piccolo monastero precedente alla grande fon­ dazione del re burgundo Sigismondo appena convertito al cattolicesimo. Le Vite vennero inviate ad Agaune accompagnate da una compilazione di testi monastici normativi che lo stesso Anonimo aveva redatto dietro indi­ cazione di Marino in quel momento abate di Lérinst63 . Le Vitae e gli lnstituta che li accompagnano si pongono insomma ali ' interno di un pro­ getto di regolazione della vita monastica del cenobio di Agaune sotto il doppio patronato dei centri di Lérins e del Giura. Accade di frequente che la narrazione della vita di un santo dia spazio ali ' autobiografia; non è il caso purtroppo dell ' Autore del nostro testo che lascia trasparire la sua presenza molto sporadicamente : afferma di essere entrato nel monastero di Condat «adhuc puerulus» t64; di aver avuto collo­ qui privati «secretissime» t65 con Eugendo, il che lascia presumere un rap­ porto piuttosto stretto. Nella richiesta dell'estrema unzione da parte di Eugendo a «uno dei fratelli»t66 si è vista una discreta allusione ali ' Autore che, quindi, sarebbe stato uno dei monaci sacerdoti presenti nel monaste­ ro. Sulla base di questa supposizione si è anche proposta l ' identificazione con il sacerdote Vivenziolo residente a Condat e destinano di una lettera del vescovo Avito di Vienne t67. Benché composta da tre opuscula nettamente distinti, l' opera è stata concepita unitariamente : il prologo, tutto giocato sulla parabola dell ' ami­ co importuno di Le 5-8, permette di stabilire un legame pieno di signifi­ cato fra i tre pani richiesti, simbolo della Trinità, e le tre Vitae, alimento spirituale necessario per la vita monasticat 6s. La menzione della Trinità allude all ' unità sostanziale che lega le tre Vitae ed è, nello stesso tempo, una discreta affermazione del credo niceno in un momento e in luogo di dominio burgundo e ariano. L' unità dell' opera è costruita attraverso una oculata ripartizione del materiale fra le tre parti che sono costruite come ai tre primi abati (Vìtae Sanctorum Abbatum Acaunensium, ed. B. Krusch, Berlin 1 9 1 9 [MGH, Scr. Rer. Mer.

vn],

pp. 329-336).

1 62 VPJ l, 2: come quello dell ' Evangelista su Cristo, il capo di Giovanni è posato sulla tomba di San Maurizio, il martire della Legione Tebea, il secondo è presentato come un un recluso che vive

nella sua cella all ' interno della cinta del monastero.

163 VPJ 3, 179.

1 64 VPJ 2, 78.

165 VPJ 2, 133. 1 57. 1 75. 1 66 VPJ 3 , 1 75 .

1 67 De Vogué, cit., t . v m . pp. 1 23 - 1 26.

168 VPJ l, 2: «theoretica conversatio».

Capitolo nono

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anelli di un 'unica catena narrativa: nella Vita di Romano si danno infor­ mazioni sulla biografia di Lupicino che lo raggiunge nell ' eremo e lo af­ fianca nella fondazione dei tre monasteri. La Vita di Lupicino, di conse­ guenza, non ha uno sviluppo cronologico, ma è dedicata quasi interamen­ te all ' illustrazione della forma di vita e degli exercitia di Lupicino. L'ul­ tima parte, la Vita di Eugendo è collegata strettamente alle altre due in quanto in questa l' Autore mantiene la promessa, fatta all ' inizio, di rac­ contare oltre a «actus vitamque» anche «la regola» l 69. I tre protagonisti sono, nello stesso tempo, co mplementari e fortemen­ te tipicizzati. Romano è il tipo del fondatore carismatico: «Prima di lui - afferma l 'Anonimo ricordandosi delle parole di Gerolamo a pro­ posito di Ilarione i 70 - in questa provincia, assolutamente nessun monaco, facen­ do una professione religiosa, si era votato alla solitudine e all'osservanza comu­ nitaria» 171 .

Per questo l 'Autore si ispira alla Vita di Paozo m e alla Vita di Anto­ nio l13 nei capitoli che ne descrivono la conversione e la scelta dell' eremo. Pur nel rispetto del modello monastico di Antonio che prevedeva lettura, preghiera e lavoro, qui l ' accento cade soprattutto su quest'ultimo come caratteristica del "vero" monaco che si mantiene con il proprio lavorol74. Lupicino, invece, è soprattutto l' abate che con mano ferma guida e svi­ luppa l ' istituzione monastica. Si distingue per la severità della sua ascesi e, a tale riguardo, viene invocato di n uovo il paragone con l ' ascesi dei «padri orientali e egiziani» m. Siamo agli antipodi dell ' estetica della san­ tità tante volte notata nelle Vite vescovili : Lupicino si veste di una tunica fatta di pelli raccogliticce di diversi animali: «non solo informe ed ispida, ma resa ignobile da quella multiforme miseria» l 76; indossa un cappuccio miserrimo, porta calzature di pelle soltanto per recarsi alla corte per inter­ cedere presso i potenti, altrimenti indossa "soccos" di legno; di notte, quando fa particolarmente freddo, si riveste di cortecce di quercia tenute

1 69 VPJ l , 4; 3, 1 74.

1 70

171

Cfr. supra, p. 1 87.

VPJ l , 5. VPJ l, 7 che instaura un paragone esplicito fra Romano e il Paolo geronimiano. 173 VPJ l , 1 1 : come Antonio nella prima fase della sua vita monastica si recava presso degli an­

1 72

ziani per apprendere, così Romano, nel monastero lionese di Sabino, aveva appreso