La tradizione storica nel quarto vangelo 8839402055, 9788839402059

Un'indagine su cosa può dirci il Vangelo secondo Giovanni del Gesù storico, tenuto conto che i vangeli sono stati s

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La tradizione storica nel quarto vangelo
 8839402055, 9788839402059

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Dello stesso autore presso l'editrice Paideia:

L}autorità della Bibbia Evangelo e legge Attualità di San Paolo Le parabole del regno Secondo le Scritture La predicazione apostolica e il suo sviluppo L'interpretazione del quarto vangelo Storia ed evangelo

CHARLESHAROLD DODD

LA TRADIZIONE STORICA NEL QUARTO VANGELO

Titolo originale dell'opera: CR.Dodd

Historical Tradition in the Fourth Gospel Traduzione italiana di Stefano Cavallini e Antonio Ornella ©Cambridge University Press, Londo n 1963 © Paideia Editrice, Brescia 1983

STVDIORVM PARTICIPIBVS

VIVIS ADHVC ET IN MEMORIAM DEFVNCTORVM QVI CANTABRIGIAE IN SCHOLA SACRAE THEOLOGIAE AB ANNO SALVTIS MCMXXXVII VSQVE AD MCMXLIX HVIVSMODI QV AESTIONIBVS COMMVNITER VACABANT GRATVS

AC MEMOR D.D. AVCTOR

PREMESSA

Questo libro contiene il primo corso tenuto alle Sarum Lec­ tures dell'Università di Oxford nel I954-55· Queste lezioni formano il contenuto dell'introduzione e della prima parte, se­ zioni I e II; il libro ne offre tuttavia una versione più ampia e completa. L'opera nel suo insieme può essere considerata co­ me il seguito del mio libro precedente, The lnterpretation of the Fourth Gospel (Cambridge I953) 1 e più precisamen­ te come un'estensione dell'appendice ivi intitolata «Alcune considerazioni sulla storicità del quarto vangelo». Nel corso di cinquant'anni molto ho appreso su questo vangelo dai libri, come anche da incontri e conversazioni con colleghi studiosi del Nuovo Testamento; certo non sono ora in grado di precisare con esattezza quanto io sia debitore al­ le fatiche altrui. Ma qui ho cercato di offrire una nuova vi­ sione del vangelo stesso come esso ci appare, avendo di mira il problema della sua storicità. Quando sapevo di attingere a informazioni o suggerimenti altrui, vi ho fatto riferimento; se talvolta per ignoranza o dimenticanza ho omesso di farlo, presento le mie scuse. È logico che molte delle mie osserva­ zioni siano state già anticipate: vivant qui ante nos nostra dixerunt! Ma, così come sono, esse costituiscono il frutto di una ricerca personale, come originale è anche la prospettiva dalla quale sono partito. Mi auguro di essere così riuscito a dare un contributo ad una maggiore comprensione del rac­ conto evangelico scopo di tutte le nostre comuni ricerche. Oxford, 15 agosto 1961. 1.

Trad. ital.: L'interpretazione del quarto vangelo, Paideia, Brescia

C.H.D .. 1974.

Premessa

IO

Sono profondamente grato al Rev. C.F.D. Moule, profes­ sore di teologia al Lady Margaret's dell'Università di Cam­ bridge, che con estrema cortesia ha letto le bozze del libro. Gli sono debitore di molte correzioni e suggerimenti validi. 22

aprile 1963.

C.H.D.

È mia abitudine citare il Nuovo Testamento o nel testo greco origi­ nale o in traduzione mia personale. Se talvolta quest'ultima sembra

riflettere la versione della New English Bible, lo si deve a pura coin­ cidenza. C.H.D.

INTRODUZIONE

«La tradizione storica nel quarto vangelo». Ma esiste veramente nei vangeli una tradizione storica? La rivolta contro lo «storicismo)), che si annunziava in Germania già nel secondo decennio del nostro se­ colo, è penetrata piuttosto lentamente nel pensiero teologico della Gran Bretagna. Negli ultimi anni, però, la sua influenza è divenuta sempre più profonda ed ha finito per trasformare l'atmosfera dei no­ stri studi . Il problema del «Gesù storico», che ha tanto stimolato . gli studi critici del Nuovo Testamento nel diciannovesimo secolo, non è più considerato dagli studiosi del nostro tempo come terreno di ricerca feconda; si ritiene, anzi, che non possa portare ad alcun risultato effettivo. Lo studio del simbolismo e della tipologia dei vangeli può farci progredire nella loro conoscenza assai più dei ten· tativi per stabilire il grado di « documentabilità)) dei fatti (ed era tempo che ciò avvenisse ). I vangeli sono stati scritti, secondo il det­ to corrente, «dalla fede e per la fede)) ; una ricerca, che si limitasse a prenderli unicamente come fonte d'informazione storica, frainten­ derebbe quindi il loro carattere e l'intenzione dei loro autori . Si può naturalmente, senza giungere alle posizioni estreme adom­ brate in questo atteggiamento, considerare il rifiuto dello «storici· smo» come una reazione salutare, giustificata dalla sterilità crescen­ te degli ultimi sviluppi della critica «liberale» e giudicare in modo positivo il risveglio d 'interesse verso la testimonianza che i vangeli offrono alla fede e al culto cristiano come sono espressi nella liturgia e nella teologia della chiesa primitiva. È questa anche la mia convin· :zione. L'effetto del movimento, tuttavia, è stato generalmente quello di scoraggiare ogni serio tentativo di trovare nei vangeli la risposta al problema della loro storicità. I teologi possono anche disinteressarsi alla ricerca del fatto «pu· ro»; lo storico, però, che deve dar conto del movimento cristiano nel­ )'àmbito dell'impero romano, deve sforzarsi di accertare se non si

12

Introduzione

possano integrare per mezzo delle fonti cristiane le scarse notizie sul­ le sue origini che si trovano in Tacito o nel T almud. Se gli dicessimo che i vangeli , in quanto documenti religiosi e non storici, non posso­ no fornirgli alcun aiuto, si sentirà forse spinto ad accettare il nostro punto di vista. Ma se, entrando nei particolari, gli spieghiamo che questi documenti contengono elementi mitici e leggendari, tipologici e simbolici, facendogli osservare che la maggior parte del loro conte­ nuto è pervenuto attraverso i dubbi canali della tradizione popolare e che il vangelo nel suo insieme è stato plasmato e dominato dall'in­ fluenza eli un corpo di credenze ritenute e difese con tenacia ( che per noi sono verità divinamente ispirata, ma per lui sono frutto piutto­ sto di una «ideologia» particolare ), il nostro storico potrà meravi­ gliarsi che noi giudichiamo queste caratteristiche - sia pure nella loro formulazione più estremista - una motivazione sufficiente per esclu­ dere che i vangeli vengano seriamente esaminati come fonti storiche . Lo storico, infatti, è avvezzo a prendere in esame documenti altret­ tanto poco promettenti sotto il suo punto di vista, e che tuttavia possono produrre attraverso un adeguato processo critico un risulta­ to storicamente valido . I poemi omerici sono stati considerati in pas­ sato (proprio come alcuni studiosi moderni vorrebbero che si consi­ derasse la narrativa biblica) un corpo di allegorie sacre, che poteva­ no essere interpretate solo dagli specialisti. Al tempo dei miei studi scolastici il loro contenuto veniva tranquillamente classificato come mito. Oggi, dopo un'accurato esame critico, essi vengono accettati come fonti valide per la storia di quell'oscuro periodo che va dalla caduta di Cnosso alle invasioni doriche. Questo è un dato già acqui­ sito. Più recentemente, anzi proprio in questi ultimi tempi, gli storici sono riusciti ad ottenere in modo davvero meraviglioso informazio­ ni storiche degne di fede attraverso un processo di distillazione delle tradizioni popolari di varie società, anche esse impregnate di mito e di leggenda. Importante è saper adoperare un metodo critico ade­ guato allo studio di questo genere di materiale. Visti i successi otte­ nuti in questo campo, è comprensibile che lo storico ci accusi di ar­ renderci troppo presto e che non condivida il nostro sospiro di sol­ lievo quando ci sprofondiamo in lodi per il nuovo modo di affron­ tare i vangeli che ci consente di evitare una questione particolarmen­ te difficile e imbarazzante.

Introduzione

Bisogna ammettere che il problema della storicità è in realtà uno dei più grossi scogli dei vangeli. La visione della lunga teoria dei fal­ limenti e dei dubbi successi ottenuti nel tentativo di risolverlo, che si allineano come cadaveri in un obitorio nelle pagine della Geschich­ te der Leben-]esu-Forschung dello Schweitzer, non è certo incorag­ giante. Vi sono tuttavia forti ragioni teologiche per escludere qual­ siasi tentativo che sfoci in una visione unilaterale e non storica dei vangeli. Non per nulla la chiesa primitiva ha ripudiato lo gnostici­ smo, nonostante l'ampiezza del suo affiato speculativo, la sua acutez­ za di pensiero, la sua fantasiosa mitologia. Può darsi ( sebbene non si tratti per me di cosa cosi evidente come lo è per tanti miei colleghi) che gli evangelisti non avessero un interesse biografico; è possibile, però, che pur scrivendo «dalla fede e per la fede», essi abbiano rife­ rito dei fatti che, forse senza un'intenzione esplicita da parte loro, hanno per noi un interesse biografico. Ad ogni modo, qualunque sia l'opinione dei teologi, è dovere puro e semplice dello storico avvaler­ si di tutte le fonti possibili di informazione nel tentativo di appren­ dere qualcosa riguardo ad un avvenimento storico che da tutti i pun­ ti di vista è stato ricco di significato e ha avuto una grande influenza. Questa è dunque la ragione per cui ritornerò su un problema già logoro come quello dell'esistenza e del valore degli elementi storici del quarto vangelo. Malgrado tutto quello che è stato già detto e scritto nel corso delle lunghe discussioni che si sono susseguite, può darsi che affrontandolo da un angolo visuale un po' diverso ci sia consentito di fare ancora qualche passo avanti. Il mutato clima teologico a cui si siamo riferiti si è rivelato sotto diversi profili notevolmente vantaggioso per gli studi giovannei. I. In primo luogo, questi studi hanno beneficiato del fatto stesso che il problema della « storicità» sia rimasto per un certo tempo sul­ lo sfondo. Il dibattito sulla «storicità del quarto vangelo» era giunto praticamente ad un punto morto nella prima decade del ventesimo secolo. Tutti gli argomenti importanti erano stati esaminati a fondo e si poteva aggiungere solo qualche elemento marginale . La discus­ sione finiva per ripetersi e ciascuno continuava a sostenere la pro­ pria opinione, senza riuscire a convincere i suoi oppositori. Non solo, ma l'interesse sproporzionato per una discussione mai conclusa su

lntrodution�

questo aspetto particolare del problema giovanneo precludeva l'esa­

me di altri aspetti. La critica ne era dirottata. Inoltre la discussione sul problema della paternità del vangelo, che probabilmente è inso­ lubile, acquistava una importanza esagerata a causa della convinzio­

ne, condivisa in fondo dalle due parti più estremiste, che dalla sua soluzione dipendesse la valutazione positiva o negativa del vangelo stesso come fonte storica. Per di più la marea di ipotetiche suddivi­ sioni in parti del vangelo e di tracce sulla presenza di fonti, apparsa nei pnDll anni

di questo secolo, in un'analisi retrospettiva appare

largamente motivata dal desiderio di recuperare una specie

schrift

di

Grund­

(o documento base), a cui la critica avrebbe potuto giustifica­

tamente attribuire una credibilità storica non più applicabile all'ope­ ra nel suo insieme. Quel che è più grave, lo storicismo dominante

ostacolava una giusta valutazione del quarto vangelo com'esso si pre­ senta. Alcuni erano portati a sottovalutarlo, altri ad esaltarlo per motivi piuttosto precari 1• Nel clima nuovo creato negli ultimi tem­ pi, col prevalere dell'attenzione sugli aspetti religiosi e teologici dei

vangeli è più facile vedere il quarto vangelo per quello che esso è

realmente, nella pienezza delle sue prospettive e dei suoi intendi­ menti. Prima di procedere alla disamina della storicità del vangelo è ne­ cessario coglierne la speciale natura, il modo di pensare del suo au­ tore, l'orientamento del suo pensiero e il suo particolare modo di reagire di fronte ali'oggetto che tratta. Grazie al lavoro fatto su que­ sti punti siamo ora in grado di rivisitare il problema della storicità con animo nuovo. E in realtà quanto più si chiarisce l'orientamento I. Non penso sia scorretto affermare, generalizzando un po' ed astenendoci dalle pur necessarie sfumature, che alla scuola conservatrice o tradizionalista il quarto vangelo appariva come il documento più autentico dell'insegnamento di Gesù in quanto opera del suo discepolo più intimo; la scuola liberale invece, avendo optato per la non «storicitl• dell'opera, poteva fare ben poco affidamento su tale insegna­ mento e finl col relegarlo fra i sottoprodotti dell'epoca che cercavano di inquadrare le idee popolari dell'ellenismo nel contesto deuteropaolino. Per la parte narrativa, la prima scuola considerava come preziosissima racuratezza e minuziosit� dei rac­ conti miracolistici, mentre l'altra, che non sapeva digerire lo scandalo del mi­ racolo, se ne disfaceva con estrema disinvoltura. Nella comune letteratura semi­ popolare sull'argomento la corrente liberale presentava il quarto vangelo come un sottoprodotto, e la concezione conservatrice veniva accettata o respinta in base al criterio della «storicità». ·

Introdution�

teologico del quarto vangelo, tanto più lo si vede connesso con la sto­ ria. E questo legame è riconosciuto, sia pure in forma implicita, in gran parte della letteratura più recente, o perlomeno di quella an­ glosassone. Pietra miliare di questi studi è il grande, ma incompiu­ to commentario di Hoskyns e Davey. Si tratta di un commentario di­ chiaratamente «teologico>>. L'autore e l'editore deplorano l'accani­ mento dei critici circa il problema della «storicità»; considerano con sospetto qualsiasi tentativo di distinguere tra i nudi fatti e la loro interpretazione; cercano di scoraggiare ogni tentativo di stabilire se

il quarto evangelista avesse un'informazione più precisa sui fatti di quella che sta alla base dei sinottici. E tuttavia ammettono, anzi

sottolineano con grande energia, che la teologia giovannea è tutta imperniata sul carattere storico della persona e dell'azione di Gesù Cristo. «La tensione storica del quarto vangelo» (affermano) non può essere liquidata con leggerezza, adottando teorie che finiscono col la­ sciare l'evangelista o sotto «l'incriminazione di aver inventato i fat­

ti o di averli ridotti a puri simboli» 2• Ma a questo punto, siamo ri­ tornati, sia pure per una strada differente, al problema della storicità. 2. In secondo luogo, il rapporto tra il quarto vangelo e i sinottici

è stato posto in una nuova luce. Il fatto che esiste tra loro una reale differenza era evidente per il lettore attento dei vangeli sin dal tem­ po in cui Clemente scriveva che «Giovanni, vedendo che i fatti ma­

teriali erano stati chiariti negli (altri) vangeli... ha composto un van­ gelo spirituale» 3• La differenza è stata tuttavia esasperata dai critici del diciannovesimo secolo fino a considerare i sinottici esclusivamen­ te «somatici>> e Giovanni soltanto «pneumatico»; come se, in altre parole, i sinottici ci dessero soltanto i puri fatti bruti della storia e Giovanni soltanto una teologia astratta rivestita di «storia e interpre­ tazione». La nuova scuola critica riconosce la presenza nei vangeli, di Giovanni e sinottici, di «storia e interpretazione»

(History and In­

terpretation in th e Gospels è il titolo dell'opera suggestiva di R.H. Lightfoot); in altre parole sostiene che l'elemento interpretativo com2. Op. dt., p. XXXIV. Essi mi trovano pienamente d'accordo in molti punti e nell'impostazione generale del problema. Ma non ritengo che si debba conclu­ dere che la domanda sul wi� es eigentlich g�schehen ist sia illegittima o irrilevante, oppure insolubile in linea di principio.

3.-Eusebio, H.E. 6,14,7.

:x6

lnlroduzione

penetra Pintera struttura dei vangeli in modo tale che non è possibi­ le circoscriverlo ed accantonarlo in quanto Gemeindetheologie, otte­ nendo un residuo qualificato come puro dato di fatto. La differenza del quarto vangelo dai sinottici è data dal fatto che la sua interpretazione non solo ricorre a categorie di pensiero difformi dalle loro, ma anche perché è in misura ineguagliata coerente, riflessa e cioè teologica a pie­ no titolo. E se ora si deve concedere un posto più largo che in passato all'elemento « spirituale» nei sinottici, ci si deve chiedere se per con­ verso non si debba assegnare maggior importanza all'elemento «mate­ riale» del dato di fatto in Giovanni . Ad ogni modo le varie «versioni» del materiale evangelico devono essere esaminate nella loro individua­ lità, tenendo presenti sia le diverse intenzioni dei singoli evangelisti, sia il differente «contesto vitale» nel quale è iscritta la loro opera. 3. Il nuovo modo di considerare i documenti evangelici è coinciso con lo sviluppo del metodo della Formgeschichte o storia delle for­ me 4, che ha causato un cambiamento nelle condizioni della nostra ri­ cerca su molti punti, soprattutto sottolineando l'importanza della tra­ dizione preletteraria (o almeno non-letteraria) soggiacente agli attua­ li vangeli scritti e alle loro ipotizzate fonti documentarie. Già agli inizi di questo secolo si considerava antiquata la vecchia «ipotesi ora­ le», con la quale si soleva offrire una soluzione al problema sinottico. I metodi, infatti, della critica documentaria che s'erano affermati ver­ so la fine del diciannovesimo secolo s'erano imposti per la loro mag­ gior rigorosità, offrendo una possibilità concreta di pervenire a delle conclusioni sicure per mezzo del confronto statistico delle concordan4·

La maggior parte di coloro che hanno scritto sulla Formgeschichte nel no­ stro paese [la Gran Bretagna], si sono richiamati ad autori tedeschi e scandi­ navi. Ma non va dimenticato che la Formgeschichte figura in inglese al massi­ mo delle sue possibilità nei tre poderosi volumi di H.M. e N.K. Chadwick su The Growth of Literature (Cambridge). Un esempio brillante di come si possa applicare questo metodo allo studio di un periodo particolarmente oscuro è of­ ferto dal libretto The Beginnings of Russian History della Signora Chadwick. Il volume Studies in Early British History, scritto fra gli altri dai Chadwick, ap­ plica lo stesso metodo allo studio delle primitive tradizioni gallesi e irlandesi non senza, stando almeno alle apparenze, un discreto successo. La stessa ana­ lisi è stata applicata alle leggende di re Arturo. Pare anche che alcuni autori stiano lavorando con lo stesso metodo sulla storia dei Maori neozelandesi, che è ancora patrimonio esclusivo della tradizione orale. E certamente un lavoro del genere potrebbe essere esteso a tanti altri ambiti.

llflroduzione

ze e delle divergenze� Sembrava , in altre parole che la via apertà per lo studio dei fenomeni letterari desse maggiori garanzie di «oggetti­ vità». Ed è mia convinzione che la «ipotesi delle due fonti» offra tutt'ora, pur nei suoi limiti , una soluzione valida, capace di res�stere sostanzialmente agli attacchi, sia pure a costo di varie revisioni. Ma si tratta di una soluzione che può essere applicata solo a quelle por­ zioni dei sinottici che abbiano dei paralleli abbastanza stretti da con­ sentire un preciso computo delle concordanze e delle divergenze. Quando si volle estendere il metodo della ricerca delle fonti documen­ tarie a quelle parti di Matteo e di Luca che non hanno par�eli, o che hanno legami piuttosto lontani, venne a mancare anche la pretesa esattezza ed oggettività del metodo. Ancor meno fruttuosa a mio pa­ rere s'è dimostrata l'applicazione di tale metodo a Giovanni, perché ivi l'ambito dei confronti parallelistici sul· tipo sinottico è estrema­ mente ridotto. Per questo qualsiasi analisi delle fonti, dovendo ricor­ rere in misura notevole a congettura e talvolta alla fantasia, perde di credibilità man mano che vuole scendere nei particolari. Ma, mentre la critica documentaria s'era arenata, nuove piste di ricerca erano aperte dalla critica morfologica. Essa incominciò con lo studio delle varie forme letterarie proprie dei vari scritti del Nuovo Testamento 5; ma ben presto riservò il suo interesse al settore, da tempo negletto, della tradizione orale sottostante i vangeli scritti. In questo spostamento d'interesse influirono le ricerche di alcuni stu­ diosi che avevano applicato la critica storico-morfologica a vari tipi di tradizioni popolari, come le saghe germaniche e le narrazioni del Pentateuco. Questi studiosi notarono che larga parte del materiale sinottico poteva essere spartito in unità aventi le caratteristiche ti­ piche della tradizione popolare orale. Se un appunto va fatto special­ mente ad alcune applicazioni del metodo della critica morfologica al �!uovo Tèstamento, esso consiste nel non aver tenuto in· debita con­ siderazione la diversità di durata della trasmissione orale. Un a tra­ dizione trasmessa oralmente per diversi secoli prima di esser fissata in forma scritta non può offrire dei canoni o «leggi» di trasmissione di­ rettamente applicabili ad un'altra tradizione la· �i esistenza pre-let­ terari� abbia una durata inferiore a quella di una vita umana nor-

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I11trodMzio11e

male. Questo fatto non dev'essere mai dimenticato quando si voglia­ no applicare con rigidità al Nuovo Testamento gli stessi canoni della critica morfologica dimostratisi validi in altri campi. Ma, pur con tutte le riserve che si possono fare per un ricorso troppo superficia­ le ed entusiastico a questo metodo, bisogna ammettere che lo stu­ dio della storia delle forme ha dato un contributo decisivo imponen­ do alla considerazione degli studiosi l'importanza che aveva la tra­ dizione orale nel periodo del Nuovo Testamento . Ad acuire l'interesse per tale tradizione fu soprattutto la speranza di poter chiarire l'oscurità che sembrava avvolgere gli anni intercor­ renti fra la morte di Gesù e la stesura del primo vangelo . Ma è im­ portante non dimenticare che la tradizione orale non cessò con l'affer­ marsi della composizione letteraria e che pertanto non è lecito spar­ tire nettamente tra il periodo orale e quello scritto. La tradizione orale mantenne un posto importante durante tutta l'epoca neotesta­ mentaria e anche dopo. Papia, che fiori nella prima metà del secondo secolo, preferiva ancora richiamarsi alla tradizione orale quando gli ·Si offriva la possibilità. Ed Ireneo verso la fine dello stesso secolo era in grado di citare - e lo faceva con grande rispetto - quanto «a­ veva udito da un certo presbitero, il quale (a sua volta) l'aveva ap­ preso da coloro che avevano visto gli apostoli» 6• Sicché la tradizione vivente alimentava la vita della chiesa e serviva a garantirne la fede e la comunione. Questa tradizione serviva, tra l'altro, a custodire ed a trasmettere il ricordo di quanto Gesù aveva fatto , detto e patito, e cioè il materiale che servl alla composizione dei vangeli. Sappiamo inoltre da testimonianze contemporanee 7 che tale tradizione era an­ cora attiva e fiorente all'epoca in cui venne scritto il quarto vangelo e nella regione in cui, con ogni probabilità , va posta la sua composi­ zione. A tale perdurare della tradizione orale dev'essere anche aggiunto il riconoscimento dell'intimo legame che la radicava all'intera vita di una comunità in movimento; sicché le condizioni di vita, gli interes6. Sancti Irenaei adversus haereses, ed. W.W. Harvey, 4,42,2; cfr. 4,47 et passim. 7· E si noti che questa tradizione asiana è associata no n solo ai due Giovanni (che sono stati propos ti come au tori del quarto vangelo), ma anche ai nomi di Andrea, Filippo e Tommaso: a tutti questi è a ssegn ato un posto importante, benché nei sinottici abb iano poco o nessun rilievo (v. sotto, pp. 369 e 373-37,).

Introduzione

si e le esigenze dei vari gruppi emergenti all'interno della comuni­ tà col mutare dei tempi contribuirono a dare forma e variazione al­ la stessa tradizione orale. Anche la formulazione del materiale riguar­ dante la vita e l'insegnamento di Gesù Cristo subl l'impronta delle mutazioni di Sitz im Leben o «ambiente vitale» , all 'interno del qua­ le la tradizione s'era formata ed imposta. Compito primario della critica storica dei vangeli è di cogliere questa tradizione nella sua unità e varietà, in quanto espressione incessante della vita della chie­ sa e presente fin dai primi giorni di tale vita. Solo dopo aver recu­ perato in questo modo la tradizione con la sua natura ed il contenu­ to specifico si può sperare di compiere un ulteriore passo indietro ed attingere quegli eventi dai quali la tradizione stessa ebbe origine. È infatti la tradizione stessa, in tutte le sue molteplici configurazioni ed espressioni, che ci rimanda esplicitamente ad una vicenda storica conclusasi sub Pontio Pilato. Il che significa che senza tale vicenda non sarebbe esistita neppure una chiesa capace di formare e traman­ dare una tradizione del genere 8• Per questo va qualificata come tra­ dizione storica almeno nel suo complesso, a prescindere dal grado di documentabilità storica (o fattuale) che si può attribuire ai singo­ li elementi tramandati. Nella indagine presente il primo problema che affronteremo non riguarderà il grado di correttezza storica delle singole affermazioni del quarto vangelo; né ci chiederemo subito se tali affermazioni sia­ no più credibili di quelle contenute in Marco o in Luca ; e neppure il nostro problema iniziale consisterà nel sapere se il quadro generale che ci offre Giovanni sia più o meno fedele di quello tracciato dai sinottici . Certo, dovremmo ad un certo punto assumerci la responsa­ bilità di un giudizio di validità storica, responsabilità cui nessuno storico serio può sfuggire nonostante i rischi di «soggettivismo» sem­ pre latenti in tali giudizi. Ma prima di avventurarci in tali pronun­ ciamenti è bene dedicarci ad una ricerca di natura più cUIJ4 "tijc; Ol.a.thi xT) t;

. • •

•.

I3

I 5 ,24

I4

I 5 ,29 I 5 ,34 I 5 ,36 I 5 ,40

I'

I6 I7

•••

Marco ha diciassette riferimenti, sicuri o probabili , ai testimonia dell'Antico Testamento . Due di essi, precisamente i nn° 2 e 8, sono generici e non identificabili . Degli altri solo uno, il n° 6, è introdotto con la formula tecnica delle citazioni : yÉypa.7t"ta.l., «è scritto».

b) Matteo 2

I

26,24 2 6,28

3 4

26,2 8 26,28

5

26,3 I

6

26,3 I 26,38 26 ,54

7

8

[ xa.�wc; yÉypa.7t"t(X.t. ] "tÒ a.l�a. "t'ijc; OLa.�T)xT)t;

Zach. 9 ,I I , cfr. Ex. 24,8 Cfr. Is. 5 3 , I 1 . I 2 u1tÈp 1tO À.Àw'V ( ? ) ot.a.�T)xT}c; El.c; ii.cpEEÀ.wv "tOU ovpClvov 2 6 ,6 2 xaihliUVO'V lx OE�C,WV "tijc; ouvtiIUWc; 2 6,67 E'VÉ1t"tUCTCl'V lpci1tt.CTC1'V 27,9-Io lÀ.e1�v 'te% "tpt.tixov"ta. cipyupt.Cl X"tÀ. . 27,34 EOWXCl'V a.v"taÀ.cic; 2 7,4 3 7tÉ1tot.ttEv l1tt "t'Ò'V �E6v X"tÀ.. 2 7 ,46 T)}.,{., -ijÀ. (, À.ClJ.là craf3axDcivt. 2 7,48 o�ouc; . . . bt6"tt:.�E'V av"t6'V 27,5 2-3 1tOÀ.À.à CTWIJ.a"t'a "tW'V XEXOt."'TUJ.Évwv . . . i)yipih}crav X"t À.. ( ? ) 27,5 5 -ijcrav . . . à.1tò IJ.Cl x p 6 D E v DEwpovcrat.

26,62

•..

Dan. 7 ,I 3 Ps. I09,I Is. 50,6 Zach. 9,I 2·I 3 Ps. 68,22 Ps. 2 I , I 9 Ps. 2 I ,8 Ps. 2 I , 9 Ps. 2 I ,2 Ps. 68,22 Cfr . Dan. I 2 ,2

Theod . Ps. 3 7 ,I 2

Matteo riporta tutti i testimonia di Marco ad eccezione del n° x : 6 i.a­ ttl.t,lv (J.€"t'erJ.ou, ayE"t'a.L J..LE , «lo zelo per la tua casa mi divora» è citato da Io. 7. Pare che Giovanni usi indifferentemente t�Jvxi) o 1tVEVJ..LtL come corrispettivo dell'ebraico nefel, e in 14 ,1 con 'ttLpticrCTELV è associato xtLpoia con lo stesso si­ gnificato (dr. Ps. 37,1 1 : -l) xttpo(« J,J.ov l'tttptixDT} ).

8. Per ulteriori informazioni su questo salmo vedi p. 6o n. 20, p. 73 e pp . 95·97· 9· Cfr. Rom. 3,1o-18 e si veda il mio libro The Bible and the Greeks, pp. 35-6.

Parte

I: L4 narravone

2,I 7 sotto la rubrica : yÉypa1t't'tXt. , ; rasenta jJ non senso.

e

ma

il greco è stridente fino all'assurdo

26. Se le opere si devono attribuire a due autori diversi, la grande differenza di trattamento del passo impedisce di credere che l'uno l'abbia attinto dall'altro. '2 più probabile l'uso della stessa versione . J-7.

Si veda inoltre sotto, p. 171 .

l testimonia

6j

sù alla luce delle oscure profezie ' messianiche' di Zaccaria 28• Non ci sono, in conclusione, ragioni sufficienti per escludere questo testimo­ nium dalla serie di altri testimonia appartenenti alla tradizione pre. canonic:a ; in questo caso si tratterebbe di una tradizione indipenden­ te da quella soggiacente i vangeli sinottici . Da questo esame dei testimonia giovannei si possono trarre le se­ guenti conclusioni. 1 . L'insieme delle citazioni e allusioni all'Antico Testamento non favorisce l'idea che Giovanni abbia usato Marco come base del suo racconto della passione. Due soli sono i casi esaminati ai numeri5 e 6b per i quali si potrebbe supporre con un certo grado di probabilità che Giovanni abbia trovato in Marco un'allusione all'Antico Testa­ mento ed abbia cercato di completare la citazione ricorrendo al testo biblico ; ma questa probabilità è molto scarsa per il 6b. Nel n° I i due evangelisti ricorrono allo stesso passo veterotestamentario; ma il particolare accostamento ad esso di Giovanni risulterebbe inspiega­ bile nella supposizione che egli dipendesse da Marco. In quattro ca­ si almeno non esistono paralleli marciani. E se è vero che i testimo­ nia furono un fattore determinante nella formazione della tradizione sulla passione, il fatto che Marco e Giovanni abbiano cosl pochi te­ stimonia in comune congiunto all'altro fatto che anche là dove coin· cidono nella citazione divergono profondamente nella sua valutazio. ne, tutto questo deve indurci a concludere che ciascuno dei due evan­ gelisti si sia poggiato su una tradizione indipendente, sebbene ambe­ due si richiamino ad uno stesso tipo di fonti scritturali. 2 . Non si può provare che la selezione e l'applicazione dei testi­ monia siano avvenute in base a criteri dettati dalla teologia giovan­ nea. L'unica eccezione possibile è . per me da scartarsi. Conseguente­ mente non si può individuare in questo punto l'opera personale del. l'evangelista. 3 · In confronto con Marco, Giovanni si contraddistingue per la preferenza ad introdurre i testimonia contraddistinguendoli con le formule esplicite di citazione, anziché intesserli direttamente nell'or. dito narrativo. Talvolta dimostra di voler ritoccare la narrazione per 28. Per l'importanza di Zach. 9- 14 come fonte di testimonia si veda Secondo le

Scritture, pp. 64-67.

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Parte l: La narrazione

sottolineare l'esattezza del compimento profetizzato. A differenza di Marco preferisce una versione veterotestamentaria diversa dai Set­ tanta �. La situazione in proposito è la seguente : in un caso Giovan­ ni segue pedissequamente i Settanta, in due casi se ne discosta net­ tamente con una versione che nel complesso è migliore; in uno di questi due casi pare che Marco abbia seguito i Settanta. 4 · I testimonia giovannei sono tutti tratti dalle stesse sezioni del­ l'Antico Testamento, da cui attingono anche gli altri evangelisti. L'u­ nica eccezione possibile è per me anch'essa da scartare. Si sa che il ricorso ai testimonia ebbe lo scopo fin dall'inizio di offrire la chiave biblica per l'interpretazione delle sofferenze e della morte di Cristo ; queste potevano essere cosl viste nel «piano predisposto e nelle inten­ zioni di Dio». Sotto questo profilo dobbiamo riscontrare che il cor­ pus di testimonia offrono la stessa chiave interpretativa degli altri racconti della passione. In altre parole, essi non riflettono l'interpre­ tazione particolare che dà il quarto vangelo. Giovanni non ha soste­ nuto la sua interpretazione peculiare con i riferimenti biblici. Il che implica anche il riconoscimento che l'interpretazione della passione nei termini del giusto sofferente dei Salmi, del Servo sofferente del Deuteroisaia e del martire capo di Zaccaria - interpretazione che per­ vade il racconto giovanneo della passione - è primitiva e cioè parte della tradizione precanonica, dalla quale Giovanni l 'ha con ogni pro­ babilità attinta. A questo punto sorge un problema, che in qualche modo dev'esse­ re trattato qui. Qual è la validità storica dell'esposto evangelico in seguito al ricorso ai testimonia? Pare evidente infatti che il riferi­ mento alle profezie dell'Antico Testamento abbia avuto un'impor­ tanza determinante nella formulazione delle narrazioni in genere e 29 . Al di fuori della passione le sole citazioni che Giovanni ha in comune con

i sinottici sono : 1 ,2 3 ; 1 2 , I 3-1 5-40. Fra queste, 1 2 ,1 3 s'avvicina

a Marco e pro­ babilmente rappresenta un adattamento liturgico dei Settanta (v. sotto, p. 196), mentre Matteo e Luca differiscono notevolmente; r ,2 3 potrebbe essere una ver­ sione non settuagintale oppure un libero richiamo ai Settanta, comunque è netta­ mente diverso dagli altri vangeli (v. sotto, pp. 307-308 ); 1 2 , 1 5 e 40 divergono sia dai Settanta che dagli altri vangeli . Là dove Giovanni non ha riscontro nei si­ nottici (cioè in 2 ,1 7 ; 10,34 ; 1 2 ,38) segue pedissequamente i Settanta. Tale le­ game è in 6,31 meno evidente, ma anche qui non c'è motivo di supporre che abbia seguito un'altra traduzione.

I testimonia

nel racconto della passione in particolare. Ci si può chiedere allora se i vari racconti non siano altro che il prodotto della convinzione dell'evangelista (o di coloro che formarono la tradizione precedente) che i fatti dovevano svolgersi in un dato modo perché una certa pro­ fezia doveva essere compiuta. E certo in alcuni casi pare debba aro­ mettersi che certi particolari narrativi furono aggiunti con l'unico sco­ po di dimostrare l'esattezza del compimento. Questo è il caso, per esempio, dello sdoppiamento operato da Giovanni della spartizione delle vesti in base alle due affermazioni di Ps. 2 1 , 1 9 , sebbene nel Salmo lo sdoppiamento sia solo un fenomeno letterario dettato dal parallelismo ebraico; e similmente Matteo ha interpretato il paralle­ lismo di Zach. 9 , 9 sdoppiandolo come se alludesse a due animali (una asina e un puledro ), e su questa interpretazione ha modellato la nar­ razione. Anche in altri luoghi i critici hanno avanzato - e non senza fondamento - l'ipotesi che un particolare episodio sia stato intera­ mente prodotto dalla preoccupazione di dimostrare realizzata una pro­ fezia. Penso che fra questi si potrebbe citare il racconto matteano della fuga in Egitto, sostenuto dalla citazione di Os. r r , r 30 • Ci sono tuttavia alcuni dati di fatto che inducono a pensare che il tema del compimento scritturistico abbia agito nella tradizione con dei limiti ben precisi. Se osserviamo il complesso delle scritture ve­ terotestamentarie che hanno fornito i testimonia, dobbiamo rilevare che essi sono il risultato di un processo di selezione. Gli scrittori de] Nuovo Testamento non sfruttano, infatti, tutte le profezie che po­ tevano essere considerate 'messianiche' . Al contrario, la gamma di citazioni scritturistiche, che sicuramente furono usate all'inizio, è pra­ ticamente limitata a dei nuclei ben precisi 31• Ho già osservato 32 che nella raffigurazione di Gesù tracciata dai vangeli mancano alcuni trat­ ti importanti delle predizioni 'messianiche' , come ad esempio tutto il materiale appartenente alla cosiddetta concezione 'apocalittica' del messianismo e quello in cui il Messia figura come un capo, guerriero o giudice terreno. Questi lineamenti del Messia o sono completamen­ te ignorati oppure vengono relegati fra le profezie del futuro. Ma c'è ancora qualcosa d'importante da notare: non tutti i par­ ticolari figuranti negli stessi passi citati vengono presentati come a3o. Ma vedi Secondo le Scritture, p. 107. 32 . Vedi Stori4 ed Evangelo, Paideia, Brescia 1976,

3 1 . V. op. cit. ,

pp. '9-63 .

cap. 3 ·

Parte 1: La narrazione

68

dempiuti. Nel Ps. 2 1 , per esempio, la chiesa primitiva vide la descri­ zione anticipata del rifiuto di Gesù come È�ouOÉ'VT)JUL Àa.ov (v . 7 : spazzatura del popolo), della spartizione delle sue vesti fra i nemici (v. 1 9 ), delle derisioni dei testimoni sulle sue sofferenze, dei loro sar­ casmi accompagnati dallo 'scuotimento del capo' (vv. 8 e 9 ), dell'e­ stremo grido d'abbandono (v. 2 ). Ma lo stesso salmo parla dell'assal­ to di tori, leoni e cani ( vv . 1 3 . I 7-22 ) e ciononostante nei vangeli non figura la 'scena classica' di Gesù esposto all'assalto delle bestie fe­ roci, come invece è dato di riscontrare per i suoi seguaci Ignazio e Perpetua. Lo stesso salmo parla di minaccia di spada (v. 2 r ) ; ma l'unica spada che figura nel racconto della passione è adoperata in di­ fesa di Gesù. Ancora, nel Ps. 68 la chiesa primitiva vide descritti : l'odio gratuito ed immotivato con cui Gesù fu perseguitato (v. 5 ), le conseguenze per lui fatali che ebbe il suo zelo per il tempio (v. I O ), la sua sete sulla croce e la bevanda offertagli (v. 2 2 ). Ma nello stesso salmo il povero malcapitato è in pericolo di annegare (v. 3 ) e, ben­ ché nei vangeli vengano riportate due tempeste marine, in nessuna di esse figura il tema del pericolo in cui Gesù incorse 33• E tanto per citare un altro esempio al di fuori del racconto della passione, la chie­ sa delle origini riconobbe con gioia in Is. r I , I -9 la descrizione del fu­ turo Messia, rampollo della radice di Jesse (Rom. I 5 , I 2 ; Ap. 5 ,5 ; 2 2 , I 6 ) e perciò perfettamente realizzato nella ascendenza davidica della famiglia di Gesù ; in tale contesto, la predizione che «su di lui ripo­ serà lo Spirito del Signore» parve ai primi cristiani indicare il vero significato dell'esperienza di Gesù nel suo battesimo. E, ciononstan­ te, la supposta mentalità mitopoietica della cristianità primitiva tra­ scurò ( stranamente ) l'occasione che le si offriva di presentare la 'sce­ na classica' di un Gesù che «col soffio delle sue labbra ucciderà l'em­ pio» (ls. I I ,4 ) 34, e questo benché i racconti circa la forza letale delle parole di Pietro (Act. 5 ,I-I I ) e di Paolo (Act. I 3 ,9- 1 I ) offrissero dei modelli di narrazioni del genere . Invece, il compimento di questa .33· Il tema in Mc. 4,.�7-41 e 6,47-5 1 (e parall . ) è suggerito non dalle profezie sul giusto sofferente , ma da passi come Pss. 106 ,29 ; 76,17-20, ecc ... Non è Gesù, ma i discepoli ad essere in pericolo o timorosi. Si confronti Mt. 14,30 : (IIÉ'tpo�) àp�tii-L.fVO� X(X't(X1tOV'tCt;,Ecr�(Xt EXP(X�Ev, «incominciando ad affondare gridò» con Ps. 68,3-4 : X(X't(Xt:yL� X(X'tE1t6v'tt�Év p.E, l1to1tC(Xcrct xpa�wv .34 · S'è detto che un'idea del genere soggiaccia a sotto , pp. 103-104.



Io.

1 8 ,6 ; ma

su

questo vedi

l testimonia

scrittura è proiettato nel futuro, nell'avvento finale .di Cristo ( 2 Thess. 2 , 8 ). Qui, come altrove, lo sviluppo di un'escatologia 'futurista' per­ mise di recuperare certi elementi che non avevano potuto trovar po­ sto nell'esposizione del ministero storico di Gesù; in tal modo po­ terono figurare, sia pure come elementi simbolici, nel quadro com­ pleto della teologia. Penso che non siano richiesti ulteriori esempi per legittimare l'af­ fermazione seguente : è certo che la selezione dei passi scritturistici addotti come testimonia non fu un fatto arbitrario, ma avvenne in ba­ se ad una regola, ad una specie di canone. Di che natura è questo canone? teologica ? Vennero cioè riportate solo quelle profezie che erano conformi alle concezioni teologiche della chiesa primitiva, sl da metterei in sospetto che gli episodi realizzanti tali profezie siano stati creati apposta? Esiste certamente uno stretto rapporto tra i te­ stimonia e il primo formarsi di una teologia cristiana; ma è la teolo­ gia a dipendere dai testimonia e non viceversa. In altre parole, la chiesa primitiva sfogliò le Scritture non allo scopo di giustificare una teologia già formulata in precedenza, ma per trovare una spiegazione a dei fatti attestati, molti dei quali parevano contrastare con le cre­ denze tradizionali e addirittura distruggere le scritture cosi come ve­ nivano comunemente presentate. Furono i fatti stessi ad influire sul­ la comprensione delle profezie e del loro compimento, e a dettare la selezione delle testimonianze. Per questo è molto limitato l'ambito che si può concedere alla tendenza che nella cristianità primi tiva avrebbe stimolato la creazione di leggende per il desiderio di vederle realizzate nelle profezie. Gli artefici della tradizione rimasero fonda­ mentalmente legati ai fatti, sebbene qua e là abbiano leggermen�e sconfinato. Ma ciò che importa a noi in questo momento è il seguen­ te rilievo : là dove la narrazione è legata intimamente ai testimonia veterotestamentari e tali testimonia appartengono a parti bibliche si­ curamente scelte in epoca pre-canonica, ivi possiamo esser certi di trovarci di fronte alla comune tradizione della chiesa e non ad una elaborazione teologica di qualche soggetto. Le eccezioni a tale regola sono talmente trascurabili, che non meritano attenzione. L'associazio­ ne di certi fatti con alcune profezie specifiche acui l'interesse per gli stessi fatti e contribuì a fissarli nella memoria collettiva della chiesa, determinandone nel contempo il posto nella tradizione .

CAPITOLO TERZO

IL CONGEDO

Le

scene iniziali del dramma sono disposte da Marco nel modo se­ guente : r . preparazione per la cena ( I 4 , I 2 - I 6 ) ; 2 . predizione del tradimento di Giuda, durante la cena ( I 4 , I 8-2 I ) ; 3 . gesti e parole sacramentali, durante la cena ( I 4 ,2 2-5 ); 4 · partenza per l'Oliveto e predizione dell'abbandono da parte dei dodici e del rinnegamento da parte di Pietro ( I 4 ,26-3 I ) . Lo stesso schema è seguito da Matteo il quale riprende da vicino anche la terminologia di Marco sl da rendere certa la sua dipendenza da quest'ultimo, nonostante qualche lieve aggiunta od abbreviazione . Luca invece si presenta diversamente. Nel racconto della prepara­ zione della cena egli segue Marco ancor più pedissequamente che Matteo. Sicché per ambedue Marco è la fonte comune ; né vi è alcun altro indizio che esistesse nella tradizione qualche altra versione cir­ ca la preparazione. A partire da questo punto Luca si discosta nettamente da Marco. I gesti e le parole sacramentali ( n° 3 di Jlc. ) vengono posti all'inizio della cena ( 2 2 , I 5-2 0 ) . La situazione è resa più complessa dall'esisten­ za delle varianti testuali ; ma, che si adotti il testo breve o quello lungo, l'accordo con Marco non è stretto . Le formule liturgiche sono in parte simili a quelle di Marco, in parte (se s'accetta il testo lungo) vi­ cine a I Cor. I I ,2 3 -5 ; ma l'accordo nelle formule liturgiche è un ben povero indizio di dipendenza letteraria . E, a prescindere dall'accordo presente o meno verbale, ad escludere che Marco sia fonte di Luca per questo brano è la grande differenza che passa tra i due nel succedersi delle parole e dei gesti e soprattutto nella costruzione generale del­ la scena. Dopo le parole e i gesti sacramentali , Luca riprende la predizione del tradimento di Giuda ( n° 2 di Marco ), che rende tuttavia in una

Il congedo

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forma che si discosta ampiamente da Marco. Subito dopo inserisce la notizia della discussione fra i dodici ( 2 2 ,24 ) ad introduzione di due gruppi di detti: il primo concernente l'umiltà e il servizio ( 2 2 ,2 5-7 ), il secondo circa l'unione dei dodici con Cristo nelle sofferenze e nel trionfo (22,2 8-30 ) Il primo gruppo è parallelo a Mc. r o ,42-5 , il se­ condo corrisponde in parte a Mt. 1 9 ,2 8 ; ma in ambedue le divergen­ ze sono talmente marcate che sarebbe avventato sostenere la dipen­ denza di Luca da Marco nel primo gruppo, o da altra fonte scritta, se si vuole includere in qualche modo anche la dipendenza da Mat­ teo per il secondo gruppo. Dopo questa variazione Luca ritorna allo schema marciano, rife­ rendo le predizioni circa l'abbandono dei dodici e il rinnegamento di Pietro (n° 4 di Marco), ma ponendole nel contesto della cena anziché sulla strada verso l'Oliveto ( 22 ,3 r -4 ) . Ma è l'intera impostazione di queste predizioni che è differente. Per Luca esse riguardano il 'va­ glio' 1 cui saranno sottoposti i dodici, ove Pietro figura come uno del numero; e Gesù prega affinché nel corso di questa 'cernita' la fede di Pietro non ' s'eclissi' in modo che possa salvare se stesso e soste­ nere gli altri. Pietro risponde (come in Marco, ma in termini diversi), dichiarandosi pronto a morire col suo Maestro ; segue la predizione del suo rinnegamento in termini simili a quelli di Marco . Va rileva­ to anche che nella parte 'marciana' ( Le. 2 2 ,34) l'apostolo è denomina.

1 . L'immagine del 'vaglio' ( tJ1Nt4�w è esteriormente una forma tardiva di a+,­

DEw) non ha altrove questa associazione. L'atto del vagliare mira a separar''! ciò che è buono dal resto. Perciò qui si vorrebbe dire che Satana è autorizzato a provare i discepoli per separare i fedeli dagli infedeli. Un procedimento analo­ go è ricordato da Giovanni Battista per descrivere metaforicamente l'opera del Messia : egli ventilerà il grano con un 'l't'"tUOV per separarlo dalla pula (Aft. 3 , 1 2 ; Le. 3 , 17 ) . In Am. 9,9 è Israele a dover essere 'vagliato'; iv i si ricorre a l \'er­ bo À.1.XJ.,UiV, ma l'ebraico nua sembra significare 'vagliare' piÙ che 'ventilare'. Il seguito di questa profezia : aVtXO""tTJO"W "t'i)V CTXTJVTJV àauE!8 X"tÀ. , ((farÒ risor­ gere la tenda di David . . ») è citato da Act. 1 ,5 ,1 .5- r 6 ; in tale contesto è possibile che la prova dei discepoli sia stata concepita come il vaglio e la purificazione d'Israele precedente la ricostituzione del popolo di Dio, il quale verrebbe iden­ tificato con la chiesa. Anche in Zach. 1 3 ,8-9 le percosse al pastore e la disper­ sione delle pecore sono seguite immediatamente dalla puri ficazione del popolo, rappresentata qui dalla più comune metafora del crogiuolo usato per i metal­ li. Ultimata tale purificazione, lpw, A a6� �ou ou"t6� lCT"tt.V , w VJicrn lw� ov cipvi)crn (U: 't p!� (( amen amen ti dico : non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte�

Il congedo

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La struttura è molto vicina in Giovanni e Luca, mentre diverge in Marco; ma Marco e Luca concordano nella parola cri)p.Epov assente in Giovanni, mentre Marco e Giovanni coincidono nell'uso della for­ mula lÌI-L'Ì}V ( ap.1rv ) À.Éyw O'Of. che Luca evita. Matteo è praticamente identico a Mare