Il Quarto Vangelo come storia 8810402758, 9788810402757

È opinione largamente condivisa tra gli studiosi che il Vangelo di Giovanni vada letto su due piani storici: quello dell

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Il Quarto Vangelo come storia
 8810402758, 9788810402757

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Il Quarto Vangelo come storia

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opinione largamente condivisa tra gli studiosi che il Quarto Van­ gelo vada letto su due piani storici: quello della storia originaria di Ge­ sù, su cui apre una finestra, e quello della comunità giovannea, per cui è scritto e di cui è uno specchio. Le due storie sono fuse nell'incontro dei due orizzonti storici, ma non confuse. Lo dice la differenza dei tempi e del verbo «vedere», come ha dimostrato F. Mussner. Lo stesso evangelista è cosciente della distan­ za dal Gesù storico, come fatto positivo in funzione di una più profon­ da comprensione di quell'evento (Gv 2,20-22; 12,16). La presente ricerca si sofferma anzitutto su quella storia originaria, per vedere come, attraverso la tradizione, sia pervenuta a una reda­ zione in cui si riflette la comunità giovannea; esamina poi quali sono i garanti di questa storia, quali le coordinate spazio-temporali e quali quelle culturali. Il volumetto costituisce la prima parte di un'ampia Introduzione al Van­ gelo secondo Giovanni, alla quale Giuseppe Segalla stava lavorando per le EDB. V iene pubblicato come titolo a parte per rispettare un'e­ splicita indicazione dell'autore. All'inizio, il lettore trova l'intero impianto della ricerca progettata. •••••

• GIUSEPPE SEGALLA ha dedicato l'intera vita allo studio della Sacra Scrittura: per tanti anni è stato docente di Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica del Trivene­ to e alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionaie.

È deceduto 1'11 luglio 2011. Presso

le EDB ha collaborato al semestrale di lettura biblica Parola Spirito e Vita; ha pubblica­ to Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari, 32003 e, in collaborazione, Gesù di Nazaret tra storia e fede, 22009. li lettore trova nella Pre­ sentazione del volume un profilo completo della sua opera e della sua persona . •••••

ISBN 978-88-10-40275-7

In copertina DoNATELLO, Giovanni evangelista, 1428-1443, Firenze, Basilica di San Lorenzo

9 788810 402757

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collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio La collana si caratterizza per una lettura rigorosamente storica delle Scritture sacre, ebraiche e cristiane. A questo scopo, i libri biblici, oltre che come documenti di fede, sa­ ranno presentati come espressione di determinati ambienti storico-culturali, punti di arrivo di un lungo cammino di esperienze significative e di vive tradizioni, testi incessantemente riletti e re-interpretati da ebrei e da cristiani. Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una storia e che i suoi libri sacri ne siano, per definizione, le testimonianze scritte. Più da vicino, ci sembra fecondo criterio interpretativo la comprensione, criticamente vagliata, della Bibbia in­ tesa come frutto della storia di Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme, parola sempre di nuovo ascoltata e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli post-biblici. Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editrice si assumono il preciso im­ pegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettato piano e ac­ cessibile a un vasto pubblico.

Questi i titoli programmati: l. L'ambiente storico-culturale delle Scritture Ebraiche (M. Cimosa: 2001) 2. Le tradizioni storiche di Israele. Da Mosè a Esdra (E. Cortese: 22001) 3. l profeti d'Israele: voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) 4. l sapienti di Israele (G. Ravasi) 5. l canti di Israele. Preghiera e vita di un popolo (G. Ravasi: 1986) 6. La letteratura intertestamentaria (M. Cimosa: 1992) 7. L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata (R. Penna: 52006) 8. Le prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo delle ori­ gini (V. Fusco: 1997) 9. La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare (G. Barbaglio: 32008) 9b. Il pensare dell'apostolo Paolo (G. Barbaglio: 22005) 10. Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari (G. Segalla: 32003) 11. Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica (G. Barbaglio: 22005) llb. Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso. Confronto storico (G. Barbaglio: 32009) 12. La tradizione paolina (R. Fabris: 1995) 13. Omelie e catechesi cristiane nel/ secolo (a cura di G. Marconi: 21998) 14. L'Apolicalisse e l'apocalittica nel Nuovo Testamento (B. Corsani: 1997) 15. La Bibbia nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli) l. Da Gesù a Origene (1993) Il. Dagli scolari di Origene al V secolo

16. La Bibbia nel Medioevo (a cura di G. Cremascoli- C. Leonardi: 1996) 17. La Bibbia nell'epoca moderna e contemporanea (a cura di R. Fabris: 1992) 18. La lettura ebraica delle Scritture (a cura di S.J. Sierra: 21996) 19. La Bibbia dei pagani. l. Quadro storico (G. Rinaldi: 1998) 20. La Bibbia dei pagani. Il. Testi e Documenti (G. Rinaldi: 1998) 21. Donne e Bibbia. Storia ed esegesi (a cura di A. Valerio: 2006) 22. L'identità dei credenti in Cristo secondo Paolo (S. Romanello: 2011) 23. Il Quarto Vangelo come storia (G. Segalla: 2012)

Giuseppe Segalla

IL QUARTO VANGELO COME STORIA

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

e 2012 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6- 40123 Bologna www.dehoniane.it EDB® ISBN 978-88-10-40275-7 Stampa: Tipografia Giammarioli, Frascati (RM) 2012

Presentazione

Don Giuseppe Se galla, autorevole biblista, specialista sul Vangelo di Giovanni e sulla storicità dei vangeli, è morto 1'1 1 luglio 2 01 1 a Pa­ dova. Questo suo piccolo testo, piccolo solo per mole, viene da lontano e viene dall'amicizia. All'amico Giuseppe Segalla si rivolse spontanea­ mente Giuseppe Barbaglio, affidandogli la stesura di una Introduzione autorevole al Vangelo secondo Giovanni, al momento in cui prendeva corpo presso le EDB l'articolazione della collana «La Bibbia nella sto­ ria». Tra i due c'era una solida' amicizia, condita di libertà reciproca, di stima e di competenza riconosciuta: ne 'fui testimone diretto al mo­ mento in cui Barbaglio pubblicò il poderoso Gesù ebreo di Galilea. In­ dagine storica (2002); su questo testo e sulla storicità dei Vangeli i due Giuseppe misurarono l'un con l'altro la diversità e la solidità di impo­ stazione delle rispettive ricerche. Mi colpì, poi, fortemente il profondo tratto di umanità con cui don Giuseppe Segalla fu presente alla cele­ brazione funebre di Barbaglio nella chiesa del cimitero di Arsiero ( VI ) : vi espresse pienamente la necessità della vicinanza e del senti­ mento di amico. Alla morte di Barbaglio, la direzione della collana fu assunta in toto da Romano Penna, e fu la continuazione dilatata dell'amicizia. Proprio a Penna, che gli ricordava al telefono il suo impegno editoriale, don Segalla disse della difficoltà di portare a termine il volume. «Ma, in ogni caso - concluse espressamente - ho finito la prima parte e si può pubblicare così come è, perché è un argomento compiuto». La stessa cosa disse a me l'ultima volta che lo incontrai nel Semi­ nario di Padova; e fece cenno esplicito al male. «Nel caso non riuscissi a finire la presentazione completa di Giovanni, questa Introduzione storica può essere pubblicata come libretto a parte». Ed è quanto fac­ ciamo con questo libretto. Don Giuseppe usava scrivere i suoi appunti a mano su dei qua­ derni e solo alla fine li rielaborava mettendoli al computer. Del volume 5

progettato - Il Vangelo secondo Giovanni. Introduzione - ha lasciato corretta e rifinita, pur se con i segni della fretta negli ultimi paragrafi, la prima parte; nulla della seconda e della terza, completo l'intero in­ dice del lavoro. Pubblicando questo libretto postumo, le EDB e i colleghi del Se­ minario di Padova rispettano un'esplicita indicazione di don Giuseppe Segalla e onorano l'amicizia che hanno avuto con lui, «don Beppino», come lo chiamava la gente del suo paese. In apertura viene riportato per intero l 'Indice dell'opera, come l 'autore l'aveva articolato nella sua mente. È un eloquente indicatore della vastità di orizzonti con cui Giuseppe Segalla si accostava al testo biblico. Il lettore constaterà in particolare come per il Vangelo secondo Giovanni l 'autore ritenga necessaria una lettura e un'interpretazione a tre livelli: «Il Quarto Vangelo come storia», «11 Quarto Vangelo come opera letteraria», «Il Quarto Vangelo come teologia della narrazione storica di Gesù». Una frase del suo Testamento spirituale mi ha colpito, quale ri­ flesso dell'umanità e della profondità del suo sentire e della sua ri­ cerca: «Io ho avuto e ho sempre più fiducia in Lui e nel suo infinito mistero di amore misericordioso di cui mi sento circondato e in cui sono immerso. Più avanzo nella vita, più vedo misteri oscuri intorno a me che non so spiegare. So però che il Mistero, in cui sono immerso, è un Mistero di amore che io stesso ho sperimentato» (ottobre 2 009) . * * *

Per trasmettere più compiutamente il ricordo di don Giuseppe Se­ galla, riporto il profilo che ne hanno steso i confratelli presbiteri del Seminario di Padova. 1 «Alle 1 5 di lunedì 1 1 luglio don Giuseppe Segalla si è spento al­ l'Ospedale di Padova, assistito nella preghiera dalla superiora del Se­ minario e da una suora dell'India. Pochi istanti dopo è giunto il rettore del Seminario, in tempo per un'ultima fraterna benedizione di addio verso la casa del Padre [ . . . ). Simbolicamente le due suore richiamano i due "amori" fondamen­ tali che hanno pilotato e illuminato l'esistenza di don Giuseppe: l'in­ segnamento della sacra Scrittura nel Seminario (innumerevoli nidiate

1 Le EDB ringraziano sinceramente don Giampaolo Dianin, rettore del Seminario di Padova, e don Carlo Broccardo, docente nello stesso Seminario, per la collaborazione e per la cortesia.

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di alunni lo ricordano docente di letteratura giovannea a Padova e a Milano ) e l'interesse per l'India ( per decenni una pattuglia di giovani suore, specie al sabato, visitavano il terzo piano del Seminario fino a due settimane fa, per un incontro e una parola ) . Per questo duplice ministero don Giuseppe ha generosamente regalato il suo tempo e i suoi risparmi. La sua attività di studioso e di docente è stata molteplice, caratte­ rizzata da una cospicua produzione scientifica.

È

stato professore di

Nuovo Testamento alla Facoltà teologica dell'Italia settentrionale nelle sedi di Milano e di Padova. Di quest'ultima sezione è stato preside dal 1971 al1983. Con ammirevole fedeltà per decenni ogni martedì mat­ tina prendeva il primo treno per Milano e il giovedì pomeriggio rien­ trava a Padova. Dal 1975 è membro della SNTS (Societas Novi Testamenti) presentato da C.M. Martini; per dieci anni (dal1985 al 9 ' 5) è membro della Pontificia commissione biblica, che in quel periodo ha

prodotto il documento forse più interessante su L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993 ) : l'apprezzamento del prof. Segalla verso quelle pagine segnalava che qualche sua goccia di sudore vi aveva frut­ tificato. Nella ricerca don Giuseppe si è dedicato in particolare alla lette­ ratura giovannea, alla teologia biblica, all'etica del NT, al "Gesù sto­ rico": su quest'ultimo versante si è impegnato, pur già seriamente ammalato, in un apprezzato "Giornale di teologia" della Queriniana e in un ultimo articolo su Credereoggi. Ha collaborato per altre riviste quali Teologia di Milano, Biblica e Rivista biblica dei biblisti italiani. In particolare è redattore ( dal1968 2001

) e per dodici anni direttore (1989 -

) di Studia Patavina, rivista che per i settant'anni di mons. Segalla

gli dedica un fascicolo ( settembre-dicembre2003 ) dal titolo significa­

tivo: "Il Vangelo secondo Giovanni. Nuove proposte di esegesi e di teologia". Tra le opere più importanti vanno ricordate S. Giovanni ( Maestri

di spiritualità ) , Esperienze, Fossano1972 ; Cristologia del Nuovo Testa­

mento del1973, rieditato da Paideia nel1981 e nel1991 e tradotto in portoghese-brasiliano; il testo più fortunato Giovanni ( Nuovissima

versione della Bibbia ) delle Paoline, con tredici edizioni dal 1976 al

2010 ; quasi altrettanto fortunato il triplice Panorama (storico-lettera­ rio-teologico) del Nuovo Testamento della Queriniana di Brescia, con tre edizioni anche in lingua spagnola; Evangelo e Vangeli: quattro evan­ gelisti, quattro vangeli, quattro destinatari ( Bibbia nella storia,10 ) , edito dalle EDB di Bologna nel1993 e nel2003; per finire con Un 'etica per tre comunità. L'etica di Gesù in Matteo, Marco e Luca, edito da Paideia di Brescia nel2000 .

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Il prof. Segalla non si è dedicato solo alla ricerca accademica e al­ l'insegnamento. Quasi come "svago amicale" attendeva con gioia il quindicinale incontro del "Gruppo del Vangelo" che per trent'anni al sabato sera si è riunito attorno a lui nella parrocchia cittadina della SS. Trinità, dove l'amicizia s'accompagnava allo studio e alla preghiera. Don Giuseppe lo raccordava con gli incontri degli anni giovanili con i Laureati cattolici di Thiene, quando per sei anni ha insegnato teologia ed esegesi biblica ai "prefetti" del Seminario Minore. Va aggiunta una riga sul secondo "amore" di mons. Segalla. Dal 1 968 ha seguito 50 suore indiane che hanno frequentato la Facoltà di medicina all'Università di Padova e conseguito il dottorato, appog­ giandosi al CUAMM; ne ha curato l'alloggio presso comunità di suore di Padova, l'apprendimento della lingua italiana e l'accompagnamento spirituale. Così ha allacciato solidi legami con le chiese indiane, favo­ rendo tra l'altro, come mediatore tra istituti diocesani, la realizzazione di due centri missionari nella diocesi di Meerut. Un segno di questa attenzione è anche un volumetto che narra la vicenda e il martirio di Sr. Rani Maria F. C.C. , una suora indiana uccisa in odio alla fede e alla sua opera di carità sociale: Sangue sulla strada. Una martire della carità Suor Rani Maria, FCC (Quaderni della Provvidenza, 15). In tutta questa attività accademica e caritativa don Giuseppe ha conservato nel profondo, se si può usare questo termine, una ingenuità battesimale: con estrema disinvoltura passava dalla stanza di studio strapiena di libri in varie lingue alla cappella dei professori per la pre­ ghiera personale e comunitaria. La luce accesa in cappella nei mesi in­ vernali segnalava il più delle volte la sua presenza orante. I punti di domanda incontrati nei libri, almeno all'apparenza, non sembravano turbare più di tanto la sua fede ricevuta dalla famiglia, in particolare dalla mamma che gli ha insegnato la "via del Signore " anche nella sof­ ferenza. Al tramonto la mamma gli è venuta incontro per accompa­ gnarlo nella via Crucis della stessa malattia con cui anche lei è ritornata alla casa del Padre. Grazie, don Giuseppe, per la tua compagnia talvolta ruvida ma sempre generosa e stimolante alla speranza. Restiamo ancora uniti nella comunione dei santi e la pace del Signore sia con te, ora e per sempre» . ALFIO FILIPPI direttore emerito delle EDB

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Introduzione al Vangelo secondo Giovanni

Il Vangelo di Giovanni, un testo memorabile. Lo lessi nel lager con la fame, il freddo e i pidocchi. E mi sembrò tutto chiarissimo. Perché gli esegeti e i teologi ne discutono tanto?

Mario Rigoni Stern Il Vangelo di Giovanni è il più misterioso scritto del Nuovo Testamento.

Martin Hengel Se non cambia il Quarto Vangelo, cambiano però i lettori, che leggono con occhi sempre nuovi.

Udo Schnelle

Il Vangelo secondo Giovanni è molto frequentato dalla ricerca negli ultimi anni. Basti consultare le recenti fonti bibliografiche gio­ vannee e l'ultimo numero di Elenchus.1 Si legge il Quarto Vangelo (QV)2 con metodologie e occhi sempre nuovi, dimostrando così la ric­ chezza inesauribile del suo profondo significato teologico, cristologico, antropologico e cosmico, e del mistero che lo circonda. L'attuale ricerca, pur non abbandonando il terreno della critica sto­ rico-letteraria, che ha avuto il suo massimo rappresentante in R. Bul­ tmann, diffida delle sempre più elaborate ricostruzioni delle fasi

1 G. VAN BELLE,/ohannine Bibliography 1966-1985, (BETL 82), Leuven University Press, Leuven 1988; R. RABANOS ESPINOSA- D. MuN oz LE6N, Bibliografia Joanica. Evange/io, Carta y Apocalypsis. 1960-1986, Consejo superior de investigaciones cienti­ ficas, Madrid 1990; U. BussE, Das Johannesevangelium. Bildlichkeit, Diskurs und Ritual. Mit einer Bibliographie uber die Zeitraum 1986-1998, (BETL 162), Leuven University Press, Leuven 2002; R. ALTHANN S.J., Elenchus of Biblica 23(2007), 373-398. 2 D'ora in poi userò sempre quest'abbreviazione.

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antecedenti l'ultima redazione con i ventuno capitoli. La metodologia recente della ri-lettura e ri-scrittura (J. Zumstein, K. Scholtissek, ecc.) evita di imbarcarsi nella dialettica fra le varie fasi di formazione e tra evangelista e redattore, tipica di Bultmann e della sua scuola, e consi­ dera le riprese variate di un discorso come ri-lettura e ri-scrittura di un testo della tradizione in un contesto vitale diverso (ad esempio Gv 15-16 sarebbe una rilettura del QV 14). Il metodo che prevale oggi nella lettura del QV è quello sincronico: strutturale, narrativo e reto­ rico. Sono apparsi ultimamente dei grandi commenti, che seguono con rigore questo metodo: H. Thyen, J. Moloney e X. Léon-Dufour, J. Ram­ sey Michaels.3 Rimangono i classici del metodo storico critico: R. Bul­ tmann, R. Schnackenburg, J. Brown, J. Becker. Michael Theobald, nel suo recente commento sceglie il dialogo fra storia del testo (revisione critica della tesi di R. Bultmann), struttura drammatica e significato attuale.4 Le tre diverse metodologie di accostamento al QV, storica, lette­ raria e teologica, sono giustificate e necessarie oggi, anche se nella sto­ ria dell'interpretazione si ebbero enfasi successive: l'enfasi teologica dall'inizio fino al XVIII secolo, l'enfasi storica nei secoli XIX-XX, e l'enfasi letteraria dalla metà del XX fino ad oggi.5 Le tre diverse me­ todologie, giustificate dal testo giovanneo, vanno comunque integrate:6 la critica storico-letteraria, perché il QV intende essere una storia di Gesù, ancorché altamente semiotizzata; la critica letteraria perché è un testo letterario, ove la storia diviene narrazione, che mediante un'elevata forma letteraria ne rivela il significato; la critica teologica perché il testo pretende essere scrittura sacra, che suscita la fede e dona la vita (Gv 2 0,30-3 1 ) . Le varie metodologie poi sono assunte dali' ermeneutica, vale a dire dal lettore che studia il testo, per ricavarne un significato attuale. Nel circolo ermeneutico fra senso originale, sto-

3 J. RAMSEY MICHAELS, The Gospel of fohn, (New International Commentary of NT) , Eerdmas, GR-Cambridge, MA 2010,1094: aspetto letterario e teologico del testo com'è (cf. seconda di copertina). 4 M. THEOBALD, Das Evangelium nach fohannes Kapitel 1-12, (Regensburger Neues Testament), Pustet, Regensburg 2009,98-99. 5 Breve e chiara presentazione in T.L. BRODIE, The Gospel according to fohn, Ox­ ford University Press, Oxford 1993,3-10. 0 Per una giustificazione delle tre metodologie si veda l'ottima monografia di R. BAUCKHAM, The Testimony of the Beloved Disciple: Narrative, History, and Theology in the Gospel of fohn, Baker Academic, Gran Rapids, MI 32009 (12007) . Per una discus­ sione sull'integrazione dei metodi, cf. BRODIE, The Gospel according to fohn, 11-12; J. FREY, Die johanneische Eschatologie, (WUNT 96), Mohr, Ttibingen 1997, I, 394-395; T. ONUKI, «Zur literatursoziologischen Analyse des Johannesevangelium- Auf dem Wege zur Methodenintegration>> , in Annua/ of the fapanese Biblica/ lnstitute 8(1982) , 162-216.

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rico-letterario e teologico, e significato attuale, dovrà prevalere il primo, la fedeltà al testo.7 Quest'introduzione perciò si prefigge di attraversare le tre meto­ dologie, considerando il QV, rispettivamente: come storia di Gesù che riflette anche la storia della comunità cui è rivolta (I) ; come opera let­ teraria narrativa coerente e unitaria, ben strutturata (II), e infine come espressione di una fede teologico-salvifica (III). Si affronterà infine il problema ermeneutico come risulta dalle tappe principali della inter­ pretazione del QV lungo la storia (IV).

7 Cf. il monito di FREY, Die johanneische Eschato fogie, l, 428 e 429 (nota 6) contro il predominio di premesse ermeneutiche guidate da ricostruzioni storiche non rigoro­ samente verificate a livello filologico, come avveniva talora in Bultmann e ancor più in letture postmoderne, che, in nome di un sospetto dominio dell'esclusivismo cristologico giovanneo, patrocinano una lettura che relativizza la verità cristologica (R. KYSAR, Vo­ yages with John: Charting the Fourth Gospel, Baylor University Press, Waco, TX 2006).

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Piano dell'opera

INTRODUZIONE BREVE INTRODUZIONE SULLA RICERCA ATIUALE

( CONFLITIO DI METODOLOGIE) E IMPOSTAZIONE l. IL QUARTO VANGELO COME STORIA l. STORIA DI GESÙ l.!. ALL'ORIGINE: UNA STORIA DI GESÙ ( STORIA E RACCONTO ) 1.2. LA TRADIZIONE GIOVANNEA 1.3. LA REDAZIONE: STORIA DI GESÙ E STORIA DELLA COMUNITÀ GIOVANNEA 2. l GARANTI DELLA STORIA 2.1. IL DISCEPOLO AMATO E L'EVANGELISTA 2.1.1. Autore implicito e narratore 2.1.2. Il testimone e l'evangelista 2.2. L'IDENTITÀ DEI GARANTI 2.2.1. Il discepolo amato e l'apostolo Giovanni (argomento di Westcott) 2.2.2. L'evangelista "Giovanni"? 3. LE COORDINATE SPAZIO-TEMPORALI DELLA STORIA 3.1. QUANDO FU SCRITIO 3.2. DOVE FU SCRITIO 3.3. L'AMBIENTE SOCIO-POLITICO 4. LE COORDINATE CULTURALI 4.1. LA LINGUA GRECA E LA LINGUA DELLA LXX 4.2. COORDINATE BIBLICO-GIUDAICHE DELLA TRADIZIONE ORIGINARIA 4.3. COORDINATE ELLENISTICHE DEI DESTINATARI 4.4. LE COORDINATE DELLA TRADIZIONE CRISTIANA ( TRADIZIONE GIOVANNEA, SINOTIICA, PAOLINA )

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IL Q UARTO VANGELO COME OPERA LETTERARIA

Il.

l. IL TESTO 2. IDENTITÀ LINGUISTICA: LINGUA E LINGUAGGIO 3. LE FORME LETTERARIE DEL QUARTO VANGELO 3 . 1 . IL PROLOGO 3.2 IL MATERIALE NARRATIVO 3.2.1. I semeia 3.2.2. I racconti di vocazione 3.2.3. I racconti di riconoscimento 3.2.4. Il racconto della passione 3.2.5. I racconti delle apparizioni 3.3. IL MATERIALE DISCORSIVO 3.3.1. I discorsi 3.3.2. Parole e discorsi figurati 3.3.3. Serie di detti simili 3.3.4. Dialoghi e controversie 3.3.5 Enigmi e malintesi 3.3.6. Preghiere 3.3. 7. Omelie e midrash 3.4. IL QUARTO VANGELO COME BIOGRAFIA STORICA 4. IL QUARTO VANGELO COME NARRAZIONE 4.1 LA NARRAZIONE E IL SUO TEMPO 4.1.1. L'ordine del tempo 4.1.2. La durata del tempo 4.1.3 La frequenza del tempo 4.2. TRAMA E INTRECCIO DELLA NARRAZIONE 4.3. l COMMENTI ALLA NARRAZIONE SIMBOLICA 4.4. NARRAZIONE DRAMMATICA E PERSONAGGI DEL DRAMMA ( PERSONAGGI DEL DRAMMA, LORO FUNZIONE E RELAZIONE COL LETTORE ) 5. STRUTTURA LETTERARIA

E UNITÀ ORGANICA DEL QUARTO VANGELO

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III.

IL Q UARTO VANGEL O COME TEOLOGIA DELLA NA RRAZIONE STORICA DI GESÙ l. LA TEOLOGIA DIALETTICA GIOVANNEA

1 . 1 TEOLOGIA BIBLICA NELL'ORIZZONTE DEL CANONE 1 .2 TEOLOGIA SIMBOLICA 1 .3 TEOCENTRISMO CRISTOLOGICO 1 .4 TEOLOGIA A DUE PIANI DELLA NARRAZIONE STORICA 1 .5 ANTROPOLOGIA TEO-CRISTOLOGICA E SOTERIOLOGIA 1 .6 TEOLOGIA ESCATOLOGICA 1 .7 SPIRITO SANTO E PARACLITO 1 .8 FEDE E SACRAMENTI 1 .9 UNITÀ IN TENSIONE 2. LE TEOLOGIA GIOVANNEA NELLA STORIA: ERMENEUTICA

2.1 LA CRISI GNOSTICA E IL QUARTO VANGELO 2.2 IL PARADIGMA DI ERACLEONE: LA TRICOTOMIA SOTERIOLOGICA 2.3 0RIGENE: TRA ESEGESI GIOVANNEA ED ERMENEUTICA ORIGENIANA 2.4 CIRILLO DI ALESSANDRIA E TEODORO DI MOPSUESTIA: IL QUARTO VANGELO NELLA POLEMICA ANTIARIANA 2.4.1 Teodoro di Mopsuestia: esegesi storico-letterale 2.4.2 Il commento di Cirillo di Alessandria e la sua esegesi dogmatica 2.5 l COMMENTI PATRISTICI PASTORALI: GIOVANNI CRISOSTOMO ED AGOSTINO E LA LORO RIPRESA IN TOMMASO 2.5.1 Le 88 omelie del Crisostomo e il suo interesse pastorale 2.5.2 Le 124 omelie di Agostino: esegesi e teologia spirituale 2.5.3 S. Tommaso: il senso letterale a servizio del significato mistico 2.5.4 Calvino: rappresentate della Riforma protestante 2.6 LA MODERNA QUESTIONE GIOVANNEA E IL COMMENTO DI R. BULTMANN 2.7 LE ATTUALI ERMENEUTICHE: FEMMINISTA, TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE E DIALOGO CON L'INDUISMO

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l. Il Vangelo secondo Giovanni

come storia

A partire dalla tesi di Martyn, sviluppata in modo più ampio e par­ ticolareggiato da R.E. Brown, è un dato ormai assodato che il QV vada letto su due piani storici: quello della storia originaria di Gesù, su cui apre una finestra, e quello della comunità giovannea, per cui è scritto il vangelo e di cui è uno specchio. Le due storie sono fuse nell'incontro dei due orizzonti storici, ma non confuse. Lo dice la differenza dei tempi e del verbo «vedere», come dimostrato da F. Mussner. Lo stesso evangelista è cosciente della distanza dal Gesù storico come fatto po­ sitivo di più profonda comprensione di quell'evento (Gv 2 ,2 0-2 2 ; 1 2 , 1 6). Ci fermiamo anzitutto su questa storia originaria per vedere come attraverso la tradizione sia pervenuta a una redazione in cui si riflette la comunità giovannea (l); vedremo in seguito quali sono i ga­ ranti di questa storia (2 ), quali le coordinate spazio-temporali (3) e quelle culturali (4).

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Capitolo l

Storia di Gesù e sua redazione attraverso una tradizione orale e scritta

1.1. UNA STORIA DI GESÙ PROFONDAMENTE SEMIOTIZZATA: STORIA E RACCONTO

La storia di Gesù in Gv è fondata e fondante: fondata nella tradi­ zione propria del QV, fondante la comunità e la sua identità.1 La storia è fondata su una memoria personale di Gesù, una tradizione viva molto più ampia del libro scritto (Gv 20,30-3 1), da cui l'evangelista seleziona alcuni «segni», dialoghi e discorsi, per offrire un ritratto narrativo della persona di Gesù e del suo messaggio, che si deve accogliere con fede per avere la vita (Gv 20,30). Per quanto riguarda perciò la storia della formazione del testo, si deve ipotizzare sicuramente una distinzione fra tradizione e redazione, per cui si può riandare dalla redazione alla tra­ dizione orale o scritta della storia originaria.2 Le voci in favore della storia (history) nel racconto (story) giovanneo si moltiplicano, soste­ nendo che storia e racconto non sono in contrasto, ma si integrano; con ciò non si nega il secondo livello, quello della comunità, guidata dal Pa­ raclito e illuminata dalla Scrittura, che vive lo stesso dramma di Gesù, da lui stesso preannunciato (cf. Gv 15,18-25). Per raggiungere il livello della storia dalla redazione attuale si ricorre alla critica letteraria, a quella storica o infine al confronto con la storiografia antica. La critica letteraria si serve del confronto con altre fonti, partico­ larmente con i sinottici, per dimostrare che dietro alla redazione vi è una tradizione propria, storica.3 A proposito del rapporto con i sinottici 1 Cf. G. SEGALLA, «Gesù di Nazaret fondamento storico del racconto giovanneo», in Teologia 29(2004), 14-42. 2 Cf. P.N. ANDERSON, , che riconosce vera la testimonianza del DA, contenuta nel vangelo, e in Gv 21 ,25 aggiunge che vi sono molte altre cose non scritte che il mondo non potrebbe contenere i libri che se ne dovreb­ bero scrivere. Per concludere, trovo illuminante quanto dice Gérard Genette sulla prospettiva narrativa, che corrisponde al «narratore e il suo punto di vista» di Culpepper, al di là delle complesse disquisizioni teoriche. Egli vi sostiene «la distinzione fra modo e voce, cioè fra la domanda: qual è il personaggio il cui punto di vista orienta la prospettiva narra­ tiva? e la domanda completamente diversa: chi è il narratore? o, - per parlare sinteticamente fra la domanda: chi vede? e la domanda: chi parla?».11 A me sembra che ciò corrisponda esattamente al rapporto fra autore implicito, DA ( che vede ) e il narratore ( che parla ) . Ovvia­ mente chi ha visto, ha testimoniato dopo la morte-risurrezione di Gesù e il narratore lo include nel suo racconto come autore implicito affi­ dabile perché, intimo di Gesù, ne conosce e condivide il pensiero. Il racconto evangelico perciò distingue fra il narratore, che parla e scrive, e l'autore implicito, il DA, che ha visto e testimoniato. 2.1.2. Il

testimone e l'evangelista dal punto di vista della storia (history)

Dal punto di vista della narrazione storica (story) passiamo a con­ siderare il QV dal punto di vista esterno della storia narrata (history). Si può arguire dallo stesso vangelo la sua affidabilità storica e la sua profondità teologica? Si può dimostrare che vi fu un testimone origi­ nario storico e l'evangelista che ne scrisse la testimonianza? Noi esclu­ diamo le ipotesi che sostengono esservi fonti esterne alla tradizione giovannea e due redazioni in contrasto; la seconda sarebbe evidente dall'aggiunta del c. 21 ( scuola bultmanniana ) . Unico è l'evangelista; l'unità letteraria coerente è dimostrata sia dall 'unità di stile sia dalla coerenza narrativa e teologica interna,12 ancorché con tensioni interne che vanno lasciate come espressione di un pensare teologico diverso dal nostro, che va rispettato nella sua diversità. Anzitutto il testimone oculare, il DA, che nella narrazione compare esplicitamente solo durante l'ultima cena ( Gv 13,23-26), e di seguito

233.

11 G. GENEITE, Figure III. Discorso del racconto,

Einaudi, Torino 1 976 (orig fr. 1 972),

12 Per il c. 21 come parte integrante del vangelo, cf. G. SEGALLA, > (Gv 4,42). Il QV afferma dunque che la salvezza viene dal mondo giudaico, dalla sua storia e dalla sua cultura che si esprimeva nelle s. Scritture, organizzate in tre gruppi, Legge, Profeti e Scritti, e conteneva la sua fede, la sua storia e la sua alta etica, nonché le speranze racchiuse nelle Scritture profetiche. Le s. Scritture costi­ tuivano il loro patrimonio culturale e configuravano la particolare al­ leanza di Dio col suo popolo. Perciò erano scritte nella loro lingua, ebraica e aramaica. L'impulso a comunicare la sua cultura religiosa ad altri non venne dall'interno del popolo ebraico, ma dall'esterno, dalla cultura elleni­ stica, che gli ebrei di Egitto avevano assimilato e con cui esprimevano anche la loro fede. Fu appunto ad Alessandria di Egitto che nel III se­ colo a.C. si fece la traduzione cosiddetta dei LXX, perché servisse sia agli ebrei della diaspora, che la potevano così usare nelle loro sinago­ ghe, sia ai greci, che venivano così a conoscere un altro mondo cultu48

rale. La cultura ellenistica influì certo anche sulla cultura ebraica come appare soprattutto dai libri sapienziali più recenti in un confronto cri­ tico (Siracide) o simpatetico (Sapienza) con la cultura ellenistica. Ma si ebbe anche il rifiuto e lo scontro violento con la civiltà elle­ nistica, quando essa volle imporsi a livello politico: la rivolta delle guerre maccabee del II secolo a.C., e nel I secolo d.C. la lotta contro il potere romano, con la distruzione di Gerusalemme nel 70 e dopo fino alla rivolta ultima di Bar Kokhvah nel l32-135. Si ebbe tuttavia anche un incontro ammirato con la cultura ellenistica, che ad Alessandria diede origine a tutta una fioritura di opere che imitavano la grande letteratura greca, si confrontavano con la filosofia, come Filone, o si esprimevano nella storia, come Giuseppe Flavio. Certamente la LXX e il giudaismo ellenistico furono un ponte di passaggio al cristianesimo antico.5 4.1.1.

La Scrittura convalida Gesù e ne è convalidata

Il QV, nella storia della sua formazione dalla Palestina alla dia­ spora giudeo-ellenistica, si colloca in quest'ampio sfondo culturale giu­ daico, di cui la Scrittura nell'originale ebraico e nella LXX costituisce il fondamento. Il QV ricorre alla Scrittura, ai testi biblici (Gv 2,22; 5,39; 19,28, 20,9) non solo per interpretare la storia di Gesù, ma anche per collocare la persona e la missione di Gesù nell'ampio orizzonte della storia e dei personaggi che vi compaiono. Quale testo della Bibbia usa il Q V? Gli esegeti sono concordi nel ritenere che quasi tutte le citazioni provengono dalla LXX, anche se alcune sembra dipendano direttamente dal testo ebraico (Is 6,10 in Gv 12,40 nella forma di Qumran; Sal 41,10 in Gv 13,18). La redazione fi­ nale è dunque da collocare in ambiente giudeo-ellenistico. Se passiamo a considerare come e quali libri e quali tradizioni della Scrittura il QV utilizzi, il problema si fa complesso e non può essere iden­ tificato semplicemente con quello delle citazioni esplicite e implicite. Anzitutto come viene valutata la Scrittura nel QV? Lo si può fare percorrendo i testi col termine «Scrittura/e», ove si può constatare che la verità di Dio contenuta nelle Scritture è la verità che si rivela e si compie in Gesù.

5 G. DORIVAL - M. HARL - 0. MUNNICH, La Bible grec des Septante: du judalsme hellénistique au christianisme ancien, Cerf, Paris 2 1997 ( 1 1 988) ; M. HENGEL - M. SCHWE­ MER {edd.), Die Septuaginta zwischen Judentum und Christentum, {WUNT 72), Mohr, Tiibingen 1994; N. F'E.RNANDEZ, lntroduction to Greek Versions ofthe Bible, Brii!, Leiden 2000 ; T. S. CUKKEY - H. LICHTENBERGER (ed d.), Die Septuaginta und das fruhe Christen­ tum, (WUNT 268), Mohr, Tiibingen 201 1 .

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Anzitutto la Scrittura al plurale. Il primo testo è Gv 1 ,45: «Filippo trova Natanaele e gli dice: " Colui di cui ha scritto Mosè nella Legge e i Profeti, noi l'abbiamo trovato: Gesù figlio di Giuseppe, da Nazaret"}} , «Legge e Profetb}, l e due parti principali dell' AT che designano la Scrittura nel suo insieme, hanno dunque scritto di Gesù. Lo stesso viene affermato nel secondo testo col termine «Scritture}} , Gv 5,39-40: «Scrutate le Scritture}> , dice Gesù ai giudei, «perché voi pensate di avere in esse la vita eterna; e sono esse che rendono testimonianza di me; e non volete venire a me per avere la vita». E alla fine: «Se infatti credereste a Mosè, credeste a me, perché a riguardo di me lui ha scritto. Ora, se non credete alle Scritture di lui, come crederete alle mie parole?» (Gv 5 ,46-47). Credere alle Scritture come testimonianza di Gesù porta a credere alla sua parola per avere la vita. E veniamo all'uso della Scrittura al singolare che designa un testo o più testi. La Scrittura ricorre in una disputa fra la gente sull'identità di Gesù, se sia o meno il Messia: «Non disse la Scrittura che dal seme di Davide e dal villaggio di Betlemme dov'era Davide viene il Messia? (Mi 5,1)». L'argomentazione presuppone l'autorità assoluta della Scrit­ tura nell'annunciare il futuro Messia. La domanda racchiude forse l'ironia dell'evangelista, che pone la verità di Gesù sulla bocca degli avversari. Egli presuppone perciò che i lettori cristiani conoscano le tradizioni della nascita di Gesù a Betlemme. La Scrittura è sempre va­ lida e vincolante: «La Scrittura non può essere abolita» afferma Gesù in Gv 1 0,35 dopo aver citato il Sal 82,6.6 La validità affermata per un testo, in realtà è estesa a tutta la Scrittura. Terminiamo con due testi che si leggono uno all'inizio e l'altro alla fine del vangelo, quasi un'inclusione, ambedue in un commento extra­ diegetico dell'evangelista: il primo ricorre a conclusione della cacciata dei venditori dal tempio e delle parole che Gesù ivi pronuncia («Quando poi risorse dai morti, si ricordarono i suoi discepoli che que­ sto aveva detto e credettero alla Scrittura e alla parola che aveva detto Gesù}>, Gv 2,22); l'evangelista presuppone che nella Scrittura vi siano testi che parlano della morte tragica di Gesù e della sua risurrezione. Va notato che la parola di Gesù viene qui posta sullo stesso piano della Scrittura e con la sua stessa validità, conferma del suo compimento. L'ultimo testo è il commento dell'evangelista alla fede del DA nella risurrezione: «Infatti non sapevano ancora che [secondo] la Scrittura egli doveva risuscitare dai morti» (Gv 20,9) chiude il cerchio aperto all'inizio in Gv 2,22. 6 G. GHIBERTI, «"La Scrittura - la parola di Dio - non può essere annullata" (Gv 10,35). La Scrittura sacra nel vangelo giovanneo>>, in Rivisitare il compimento, Glossa, Milano 2006, 75-90 (con bibliografia alle pp. 88-90) .

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La Scrittura è sempre valida e vincolante e, siccome è testimo­ nianza a Gesù messia e alla sua missione, conduce necessariamente alla fede in lui per avere la vita. La sua validità dunque si realizz a nella testimonianza a Gesù, che porta alla fede. L'interpretazione ebraica che rifiuta la fede in Gesù in base alla Scrittura viene considerata per­ ciò dall'evangelista una mancanza di fede nella stessa Scrittura, cioè in Mosè, autore della sua parte principale, la Torah (Gv 5,46-47). Di qui deriva una tensione nel QV fra la priorità di Gesù e della fede in lui, e l'autorità della Scrittura.7 La valutazione e l'orientamento orizzontale a riconoscere in Gesù il Salvatore escatologico, annunciato e testimoniato dalla Scrittura, si intreccia nel QV con la prospettiva protologica del Verbo, Figlio preesistente e inviato dal Padre: il Verbo incarnato. Tale prospettiva supera l'autorità della Scrittura, in quanto Gesù non è solo il compimento della rivelazione scritta di Dio, che di lui testimonia, ma è la stessa rivelazione. La storia di Gesù che segue al prologo è inquadrata in un orizzonte cosmico, che include una prio­ rità assoluta rispetto alla Scrittura. Così scrive Labahn: Poiché il preesistente Gesù Cristo è compimento della Scrittura, già Mosè gli ha reso testimonianza [ . . . ]. Il significato più alto e permanente della Scrittura consiste nella sua testimonianza fondamentale, cosicché se­ condo la concezione giovannea la Scrittura può essere letta solo orientata a Gesù Cristo e a partire da lui.8

Testimonianza del preesistente Gesù Cristo non sono perciò solo i singoli testi, ma la Scrittura nel suo insieme. Thttavia vi sono alcuni testi della Scrittura che testimoniano esplicitamente il Verbo preesi­ stente. A conclusione del ministero pubblico di Gesù, apparentemente fallimentare perché, «nonostante avesse compiuto tanti e tali [tosauta] segni, non credevano in lui . . . >> (Gv 12,37), l'evangelista riporta due testi di Isaia, una testimonianza anticipata di questo fallimento: il primo preannuncia l 'incredulità (Is 53,1 LXX, in Gv 12,38b ), il secondo l'indurimento del popolo (Is 6,10 in Gv 10,40), che ne svela la causa. Il testo di Is 6,1 O riportato non corrisponde né al testo della LXX né a quello masoretico, ma è simile al testo ebraico testimoniato in Qum-

7 M. LABAHN, «Jesus und die Autoritiit der Schrift im Johannesevangelium-Ober­ legungen zu einem spannungsreichen Verhiiltnis», in M. LABAHN - K. ScHOLTISSEK A. STROTMANN (e dd.), lsrael und se ine Heilstraditionen im Johannesevangelium, (Fs. fiir Johannes Beutler zum 70. Geburtstag), Schoning, Paderborn 2004, 1 85-206, che qui ri­ assumo. 8 LABAHN, «Jesus und die Autoritiit>>, 200.

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ran.9 A commento del secondo testo, l'evangelista afferma: «Queste cose ha detto Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui» (Gv 1 2,41 ). Ora, il testo isaiano parla della gloria all'inizio del c. 6 nel racconto della vocazione, quando Isaia ha la visione del trono di Dio: Io vidi il Signore [ eidon ton kyrion] seduto su un trono alto ed elevato e la casa [era] piena della sua gloria [tes doxes a u tou ] (Is 6,1).

L'evangelista perciò presuppone che ton kyrion vada inteso in senso cristologico e che il profeta Isaia abbia visto il Figlio preesistente, prima dell'incarnazione. Il Figlio preesistente, il Logos, assume la fun­ zione di Dio, in quanto preannuncia l'indurimento del popolo. In tal modo viene riconosciuta l'autorità del profeta, che preannuncia l'in­ credulità e il rifiuto di Gesù. Il Figlio preesistente e Logos è prima del profeta e lo può legittimare. La Scrittura non viene così invalidata, ma autorizzata in modo nuovo. L'autorità del profeta dipende dall'auto­ rizzazione di Gesù e perciò è presupposto l 'orizzonte cristologico e l'ermeneutica giovannea. Solo la fede in Gesù, Logos divino e Figlio di Dio, permette di comprendere il testo del profeta in questo modo, attualizzandolo. Dalla profezia isaiana passiamo alla Legge di Mosè nel testo con­ troverso di Gv 1 ,17: Poiché la Legge fu data [da Dio] per mezzo di Mosè, la grazia e la verità per mezzo di Gesù Cristo divennero [realtà].

Da una parte la Legge di Mosè, dall'altra la conseguenza dell'in­ carnazione, la grazia e la verità. Ora, le due realtà vanno considerate sintetiche o antitetiche? Se fossero sintetiche, il senso sarebbe: «Come la Legge fu data per mezzo di Mosè, così la grazia e la verità diven­ nero per mezzo di Gesù Cristo)) . Se fossero invece antitetiche: «La Legge fu data . . . , ma la grazia e la verità . . . )>, in questo caso si contrap­ pongono Legge e grazia-verità. Se leggiamo il v. 18 seguente nel con­ testo di 1 , 1 6-18, vi compare una forte antitesi: «Nessuno ha visto Dio, mai b) , neppure Mosè (cf. Es 33,1 8-23; 34,5-6). «L'Unigenito che è nel seno del Padre lui l'ha rivelato>) e « l'ha visto)> (Gv 6,46). Con ciò però Mosè non viene squalificato (a lui si deve la Legge), ma la sua posi­ zione nei confronti di Dio e della rivelazione è diversa da quella

• J.A. DE WA A R D , A Comparative Study of the O/d Testament Text in the Dead Sea Scro/ls and in the New Testament, Brill, Lei de n 1966, 82-83.

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dell 'Unigenito Figlio. Si ha perciò non un'antitesi, ma una coordina­ zione come in Gv 6,22 in cui il dono della manna dato per mezzo di Mosè era orientato al dono del pane di vita, come suo tipo. Lo stesso si può dire del dono della Legge, preparazione al dono più grande della verità e della grazia. In tal modo Mosè e la Legge adempiono la loro funzione di testimonianza a Gesù. Il dono della Legge, data per mezzo di Mosè, acquista la sua piena autorità divina nella testimo­ nianza data a Gesù. Come viene in luce tale rapporto nella narrazione seguente? Gv 1 ,45 racconta di Filippo che incontra Natanaele e gli annuncia: «Quello di cui hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, l'abbiamo trovato, Gesù figlio di Giuseppe, di Nazaret». Un'affermazione che pretende portare, a testimonianza di Gesù, Mosè e i Profeti (praticamente tutta la Scrittura) non lo convince. Solo l'esperienza diretta di Gesù lo porta alla fede e quindi ad accogliere la testimonianza di Mosè e dei Profeti. Per comprendere tale testimonianza in favore di Gesù si presuppone, du nque, la fede cristologica, in seguito a un'esperienza diretta di Gesù. Il contro-modello lo si legge in Gv 9,29 durante il processo del cieco nato da parte dei farisei: Noi sappiamo che Dio ha parlato a Mosè, ma costui non sappiamo di dove fpothen] è.

L'evangelista e il credente sanno di dove è Gesù, dalla preesistenza presso il Padre. I farisei invece interpretano la validità della Legge data per mezzo di Mosè, contro Gesù. In questo caso la Legge è u�ata in antitesi a Gesù. Solo chi sa di dove è Gesù riesce dunque a capire che la Legge lo testimonia (Gv 5,39-47). Il terzo testo in cui la priorità temporale di Gesù interviene per la giusta interpretazione di un racconto biblico, si legge nella lunga con­ troversia fra Gesù e i giudei, riportata nel c. 8, ove Abramo è messo a confronto con Gesù. Nella controversia decisiva è l'autorevolezza della parola di Gesù (Gv 8,37) che dona la vita eterna (Gv 8,5 1 -52). I giudei rifiutano Gesù «perché la mia parola non abita in voi» (Gv 8,37). Gesù «dice la ver ità» (Gv 8,40.45-46) in quanto la sua parola è «quella che ha udito da Dio padre» (Gv 8,40) e dona una vita che non conosce la morte (Gv 8,52). Gesù sta dalla parte di Dio: «Sono uscito da Dio e a lui ritorno; non sono venuto da me stesso, lui mi ha inviato» (Gv 8,42). Gesù qui rivela la sua preesistenza presso il Padre e perciò la sua prio­ rità rispetto ad Abramo. Dato che egli è dalla parte di Dio, chi si pone contro di lui è da quella del diavolo ed è caratterizzato dalla menzogna (Gv 8,44). Se loro fossero figli di Abramo, accoglierebbero Gesù «per­ ché il padre vostro Abramo ha gioito al vedere il mio giorno, e ha visto 53

e ha goduto» (Gv 8,56). 1 0 La visione e la gioia di Abramo di cui parla la tradizione apocrifa viene qui orientata alla visione del Gesù preesi­ stente in quanto «prima di Abramo io sono» ( Gv 8,58). Abramo e Scrittura sono riconosciuti autorevoli e fondanti l'identità del popolo di Israele, ma in una sequenza in cui il Figlio preesistente diviene il cri­ terio decisivo di validità. Gesù riconosce nelle Scritture la funzione di donare la vita, in quanto in esse si riconosce il Figlio preesistente che dà la vita. In tal senso alla domanda: «Sei tu più grande del nostro padre Abramo?» (Gv 8,53a) risponde la priorità temporale e ontolo­ gica di Gesù come figlio di Dio, appartenente alla divinità: «lo sono». La Scrittura di Isaia, di Mosè e di Abramo orientano e devono orientare alla priorità di Gesù, alla sua preesistenza presso il Padre come Logos, rivelazione di Dio padre. La Scrittura ha dunque la funzione pedagogica di preparare alla fede in Gesù, persino alla fede nella sua preesistenza. Si ha dunque un circolo ermeneutico fra Gesù Verbo incarnato, morto e risorto, e la s. Scrittura. È la conoscenza del mistero di Gesù e la fede in lui, che svela il segreto ultimo delle Scritture. La Scrittura è parola di Dio au­ torevole, ma la sua ultima autorevolezza viene da Gesù, in cui si com­ pie. Adempimento della Scrittura e compimento della missione di Gesù come missione di amore si intrecciano in modo particolare nel racconto della morte di Gesù (Gv 19,16b-37). Il compimento è anche superamento nel realizzare quanto significava l'agnello pasquale (Gv 1 ,1 9; 1 9,36). La comprensione delle Scritture, che hanno scritto di Gesù (I parte del QV) e si adempiono in lui (seconda parte del QV), ne divengono perciò testimonianza e presuppongono la fede cristologica, in due modi : nella retrospettiva ellittica della risurrezione ( Gv 2,22) e in quella protologica e prolettica della preesistenza «in principio» (Gv 1 , 1 -2.15 .30) , evocata mediante le grandi figure di Abramo, Mosè e Isaia. Non solo le singole Scritture, ma la Scrittura nel suo insieme te­ stimonia Gesù, porta alla fede in lui e in tal modo, nuovo, dona la vita. Ma è necessaria l'ermeneutica giovannea, post-pasquale. In questa luce tutta la storia di Gesù diviene compimento della Scrittura; con Gesù la Scrittura è superata non nel senso che è abolita,1 1 ma nel senso della sua perenne funzione pedagogica di rivelare misteriosamente chi è Gesù e la sua missione di donare la vita. Sembra che per l'evangelista

1° Cf. Apocalisse di Abramo 8-9: J.H. CHARLESWORTH, The O/d Testament Pseude­ pigrapha, London 1983, 693-694. 11 H.-J. KLAUCK, «Geschrieben, erftillt, vollendet: die Schriftziate in der Johannes­ passion>>, in LABAHN -SCHOLTISSEK -STROTMANN, /srae/, 140- 157; per una classificazione accurata dei modi di citazione, pp. 143-144.

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l'unità della Scrittura sia rivelata dalla sua relazione con Gesù: il suo mistero di preesistenza e la sua missione salvifica mediante la morte e risurrezione. La Scrittura perciò va rifiutata solo quando viene inter­ pretata contro Gesù. 4.1.2.

Le citazioni e la tipologia biblica si confrontano con la cristologia e la testimoniano12

Le Scritture più facilmente identificabili sono le citazioni esplicite e implicite, nell'insieme una ventina. Le prime sono diciassette: - Is 40,3 in Gv 1 ,23; - Gen 28,12 in Gv 1 ,5 1 ; - Sal 68,10 i n G v 2,17; - Es 16,14-15 e Sal 28,24-25 in Gv 6,3 1 ; - l s 54,13 i n G v 6,45; - Sal 89,4-5 e Mi 5,1 in Gv 7,42; - Sal 82,6 in Gv 10,34; - Sal 1 1 8,25-26 in Gv 12,13; - Zc 9,9 in Gv 12,15; - Is 53,1 in Gv 1 2,38; - Is 6,10 in Gv 12,40; - Sal 41,10 in Gv 13,18; - Sal 34,1 9 e 69,5 in Gv 15,25; - Sal 22,19 in Gv 1 9,24; - Sal 69,22 in Gv 19,28-29; - Es 12,10.46, Nm 9,12 e Sal 34,21 in Gv 19,36; - Zc 2,10 in Gv 1 9,37. Le seconde usualmente sono tre: - Ez 34,23 e 37,24 in Gv 10,16; - Sal 42 in Gv 14;13 - ls 66,14 in Gv 1 6,22; cui aggiungerei - Dt 34,10-12 in Gv 20,30: i semeia di Mosè e quelli di Gesù.

12 HOBNER H. - A. LABAHN - M. LABAHN, Vetus Testamentum in Novo 1 ,2, Evange­ lium Johannis, V &R, Gottingen 2003 (citazioni e allusioni all' AT); KLAUCK, «Geschrie­ ben, erfUllt, vollendet». 13 Cf. J. BEUTLER, Habt keine Angst. Die erste johanneische Abschiedsrede (loh 14), (Stuttgarter Bibelstudien 1 16), KBW, Stuttgart 1984.

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La formula introduttiva è diversa nella prima e nella seconda parte del QV, tanto da poter costituire un criterio della struttura letteraria (Gv 1 , 1-12,36//12,37-21 ,25). Nella prima parte le citazioni sono introdotte dal perfetto kathòs gegraptai, che significa «come'è stato scritto e rimane scritto», nel senso tradizionale di Scrittura sacra e perciò autorevole. Le citazioni rivelano il significato delle azioni di Gesù (Gv 2,17; 12,13.15) e delle sue parole (Gv 6,3 1 .45), conformi alla Scrittura. Nella seconda parte si passa alla formula di adempimento, «affin­ ché si adempisse . . . », e segue la citazione. 14 Thtti i testi, fin dall'inizio (Gv 12,37) sono orientati alla passione e morte di Gesù, prolungata nella persecuzione della sua comunità (Gv 15,25). Le Scritture che si compiono rivelano la misteriosa volontà di Dio della morte di Gesù in croce e il suo significato salvifico (Gv 19,36-37). E tuttavia l'adem­ pimento della Scrittura è superato e incluso in un altro compimento, quello dell'amore di Gesù fino a donare la vita (Gv 13,1 e 19,30). Per quanto superata dal compimento della missione di Gesù, però, la Scrit­ tura resta il testimone che invita sempre a volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto: Zc 12,10 in Gv 1 9,37, conclusione delle citazioni esplicite. La Scrittura non viene dunque considerata come annuncio del fu­ turo del popolo di Israele e con essa non si esalta la sua identità reli­ giosa (rabbinismo, samaritani), ma è totalmente a servizio dell'identità e della missione salvifica di Gesù, che riassume in sé anche le aspetta­ tive del popolo di Israele. Oltre alle citazioni, importante è il riferimento ai Patriarchi (Gv 4,20; 6,31; 7,22; 8), in particolare ad Abramo e a Giacobbe. La qualifica dei Patriarchi come .

La redazione è certo dell'evangelista, ma su una tradizione prece­ dente, che ha collegato con una parola-gancio («vedere») due detti ori­ ginariamente separati, indicati sia dalla nuova introduzione narrativa, nonostante sia sempre Gesù che parla, sia dall' «Amen» e dal «Figlio dell'uomo>>, che segnala un detto originario di Gesù (23 in Gv), sia dal cambiamento di persona (dalla seconda singolare alla seconda plu­ rale ) . 1 6 Il cielo aperto significa la teofania e la comunicazione con Dio mediante gli angeli che salgono e scendono sul (epi) Figlio dell'uomo, che porta sulla terra la rivelazione di Dio. Se vi fosse un riferimento all'interpretazione rabbinica (BerR 68,12-13) per cui la scala su cui sal­ gono e scendono sarebbe Giacobbe,17 in questo caso il Figlio dell'uomo prenderebbe il posto del Patriarca. Infine se epi avesse un possibile si­ gnificato locale, vorrebbe dire che il Figlio dell'uomo sarebbe il luogo, la casa di Dio (Beth-El) , coerente con la concezione di Gesù del QV come sostituto del tempio (Gv 2,19) e centro del nuovo culto a Dio (Gv 4,23). Nel QV «il Figlio dell'uomo» è il Verbo incarnato che «pose la sua tenda in mezzo a noh> (Gv 1 ,14). Giacobbe e la scena di Bethel sono un'anticipazione tipologica della rivelazione divina in Gesù e in lui dell'abitazione di Dio in mezzo agli uomini. Giacobbe ricorre ancora nel dialogo _al pozzo, ove Gesù incontra la samaritana (Gv 4,12). La samaritana chiede a Gesù: «Sei tu più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo [cf. 4,4-6] e ne bevve lui e i suoi figli e le sue mandrie?». La tipologia non riguarda Giacobbe; Gesù non è un nuovo Giacobbe, semmai è più grande di lui. Riguarda piuttosto l'acqua del pozzo che non acquieta la sete se non transitoriamente, mentre l'acqua viva che Gesù dona è la realtà stessa di Dio, lo Spirito Santo (Gv 4,23-24; cf. 7,38-39). Gesù darà quest'acqua dopo la risurrezione.

1 5 M. THEOBALD, «Abraham - lsaak - Jakob lsrael's Viiter im Johannesevangelium», in LABAHN - ScHOLTISSEK -STROTMANN, Israel, 158- 1 83. 16 C. DIETZFELBINGER, Das Evangelium nach Johannes. Teilband l: Johannes 1-12, Theologischer Verlag, Zurich 2001 , 64. 17 C. H. Dono, The interpretation of the Fourth Gospel, Cambridge 1953, 245-246.

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Come Mosè e Gesù sono incommensurabili (Gv 6,32) così Gesù e Giacobbe, perché Gesù è da Dio, da lui inviato (Gv 4,34) e perciò lo supera. Lo stesso vale per il patriarca Abramo. Egli, nel contesto della controversia con i giudei (Gv 8,3 1 -59) viene considerato testimone passato di Gesù: a b b' a'

Il vostro padre Abramo si rallegrò perché vide il mio giorno, e vide e si rallegrò (Gv 8,56).

Come in Gv 3,29, la gioia è segno della presenza della salvezza in Gesù (cf. 4,36; 15,1 1 ; 16,20-24; 17,13; 20,20) . Il motivo della gioia ri­ manda al sorriso incredulo di Abramo (Gen 17,17) e di Sara (Gen 18,12-15) alla promessa umanamente impossibile del figlio !sacco, e a una visione del discendente Messia futuro, che peraltro non si trova nella tradizione giudaica, e forse è un midrash cristiano su Gen 17,17 e 18,1 2ss.1 8 La discendenza da Abramo («siamo figli di Abramo») nel contesto viene asserita solo dai giudei (Gv 8,3b.37a.38b.d), che in tal modo de­ finiscono la loro identità, riconosciuta da Gesù (Gv 8,37a), ma con­ traddetta dalla loro prassi: la volontà di ucciderlo (Gv 8,37b.40.44) . Gesù e la comunità, che a lui si appella, riconoscono invece in Abramo un testimone di Gesù (Gv 8,56) . I giudei gli obiettano: «Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti» (Gv 8,53). Non vale anche per Gesù? No, per Gesù non vale. Egli appartiene a un altro ordine, all'essere divino: «Prima che Abramo fosse io sono» (Gv 8,58), una qualifica che viene totalmente dal Padre (Gv 8,50.54-55). Non solo è superiore ad Abramo, ma appartiene dun­ que a un altro ordine. Nel centro della controversia si passa al confronto antitetico e ra­ dicale «figli di Dio»-«figli del di avolo» (Gv 8,44-47; cf. 8,38) - antitesi che si trova anche a Qumran (J QM 1 , 1 ; J QS 3,1 .7; 2,4-5 ; 5,1). Colui che sta dalla parte di G\!SÙ è «figlio di Dio», perché egli è da Dio, men­ tre chi lo nega e lo vuole uccidere sta dalla parte del diavolo. La di­ scendenza di Abramo perciò non è un'altra alternativa a quella più radicale fra Dio e il diavolo. Sullo sfondo del confronto di Gesù con i giudei traspare quello della comunità giovannea con la sinagoga. Da loro però un tale confronto viene percepito come rifiuto della discen­ denza da Abramo. 18 R. SCHNACKENBURG, Das Johannes Evangelium. Kommentar zu Kapitel 5-12, (Herder Theologischer Kommentar zum Neuen Testament 4/2), Freiburg 197 1 , 298.

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Se Abramo è testimone passato di Cristo, come si è detto, non è più una figura di identificazione per la comunità cristiana. La comunità è «senza padre» e «senza padri» perché ha un'altra paternità, quella di Dio Padre, che si rivela pienamente nella morte ed esaltazione di Gesù. Dio, Padre di Gesù, diviene Padre anche dei discepoli («vostro Padre», in Gv 20,17), per cui loro sono «fratelli)) (Gv 20,17). Una pa­ ternità non più legata a un'etnia, e perciò universale. Alla continuità con i «padri» in linea orizzontale di storia della salvezza, si sostituisce quella verticale, determinata dalla venuta nel mondo del preesistente Figlio di Dio, su cui si misura anche la figliolanza divina. Con ciò la Chiesa afferma la sua propria identità nei confronti della sinagoga e vi include anche i Patriarchi come testimoni di Gesù, e non più come figure di identificazione. Analogamente si allineano con Giacobbe e Abramo anche gli altri due testimoni, Mosè (Gv 5,39-47) e Isaia (Gv 1 ,23; 12,38.39.41). La ti­ pologia di Mosè non riguarda la sua persona, ma ciò che egli fece: l'in­ nalzamento del serpente nel deserto (Gv 3,14- 1 5) e la manna come «pane dal cielo)) (Gv 6,3 1 ) . L a comunità giovannea h a dovuto confrontarsi con l a sinagoga su persone e testi in comune, che ne determinavano l'identità socio-reli­ giosa. E lo ha fatto distanziandosi dall'identificazione tlella sinagoga con i Patriarchi, con la Legge e con la storia della salvezza lineare che si conclude col Messia davidico o il profeta escatologico come Mosè. Il suo modello verticale, cristologico, di ordine divino, rompe ogni bar­ riera e ha carattere e destinazione universale. La novità di Gesù Cristo, figlio di Dio, Logos preesistente e incar­ nato, determinò e qualificò anche la novità della comunità cristiana, che crede in lui e ha la vita in lui. E tuttavia viene anche affermata la radicazione profonda nelle figure di identificazione di Israele: Patriar­ chi, Legge, storia, Scrittura. Esse servono al contempo come modello di confronto, come tipo della salvezza futura e come Scrittura, che te­ stimonia persino la priorità divina di Gesù. L'esperienza della novità di Gesù non si riesce a esprimerla compiutamente con il linguaggio e le categorie della Scrittura ebraica. Nessun vangelo mette così in evi­ denza la novità e la priorità di Gesù come il QV. Quest'aspetto, in viso alla sinagoga, diviene, infine, superamento della chiusura in un'etnia religiosa e fondamento della sua destinazione universale.

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4. 1.3. Il giudaismo19 La stessa dialettica culturale con la Scrittura (appropriazione e di­ stanziazione dal suo uso e funzione nella sinagoga) si rivela nella con­ tinuità e discontinuità con il giudaismo come religione confessata, vissuta e praticata. Per il I secolo, prima del 70 ma anche dopo per un certo periodo, non si dovrebbe parlare di giudaismo, ma di «giudaismi�> in quanto nella Palestina del I secolo il giudaismo era vissuto e prati­ cato in modo diverso nei vari gruppi che lo costituivano (farisei, sad­ ducei, esseni, Qumran, apocalittici, samaritani) , ancorché si possa parlare di un giudaismo comune ai vari gruppi:20 la Legge mosaica e la prassi conseguente, il tempio e la liturgia (a parte le discussioni, su questo punto, tra samaritani e giudei e anche con il gruppo di Qumran) e la coscienza di essere il popolo eletto con una sua lunga e talora tra­ gica storia. Per quanto riguarda il QV si debbono considerare a mio parere: la trama temporale e spaziale in relazione alla liturgia templare, Qum­ ran e la comunità essena, l'Apocalittica e il rabbinismo iniziale. 4. 1 . 3 . 1 . La trama temporale e spaziale del QV nell'orizzonte della liturgia templare La trama temporale del racconto evangelico è scandita dalle feste giudaiche,21 celebrazione degli interventi di Dio nella storia di Israele. Usualmente si pensa che il racconto giovanneo comprenda almeno due anni e mezzo di attività di Gesù proprio perché vengono nominate tre Pasque (Gv 2,13; 6,4 e la Pasqua dell'ultima settimana: 12, 1 , 13, l . . . fino a 19,14); inoltre vengono menzionate la festa delle Capanne (Gv 7,2) e quella della Dedicazione del tempio (Gv 10,22). La scuola fran­ cese (Boismard-Lamouille, Mollat) sostiene addirittura che le feste giudaiche cos.t ituiscano la struttura narrativa del vangelo in sette set-

19 Cf. BE UTLER, Habt keine Angst; J.F. McGRATH, John s Apologetic Christology. Legitimation and Development in Johannine Christology, (SNTS MS 1 1 1 ), Cambridge University Press, Cambridge 2001 (influsso del giudaismo versus ellenismo); F. MANNS, L' É vangile de Jean à la lumière du judai:Sme, (SBF, Analecta 33), Franciscan Printing Press, Jerusalem 199 1 ; M. PESCE, «Il Vangelo di Giovanni e le fasi del giovannismo. Al­ cuni aspetti», in G. FILORAMO - C. GIANOTTI (edd.), Verus lsrae/. Nuove prospettive sul giudeo-cristianesimo, (BCR 65 ), Paideia, Brescia 2001 , 47-67. 20 E . P. SAN D ERS, /1 giudaismo: Fede e prassi (63 a. C. -66 d. C. ), a cura di P. CAPELLI, Morcelliana, Brescia 1 999 ( orig. ingl. 1992). 21 R. INFANTE, Le feste di Israele nel Vangelo secondo Giovanni, San Paolo, Cinisello B. 2010; G. A. YEE, Jewish Feasts and the Gospel of John, Wipf&Stock , Eu gene. OR 2007 e 1989); M.J.J. MENKEN, >. 29 U. B uss E , «Die Tempelmetaphorik : das Theologische Zentrum>>, in Io., Das Jo­ hannesevangelium. Bildlichkeit, Diskurs und Ritual, ( BETL 162), Leuven University Press, Leuven 2002, 323-366; C. UM OH, , in LABAHN - ScHOLTISSEK - STROTMANN, Israel, 314-333. . 27

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con epilogo nel tempio stesso. All'inizio Gesù sale al tempio per la prima Pasqua (Gv 2,1 3-22) ma non vi rimane (Gv 3). E Gv 4 racconta il ritorno in Galilea attraverso la Samaria. Solo Gv 6 racconta il segno della moltiplicazione dei pani e il conseguente discorso, lontano dal tempio. A partire da Gv 5 Gesù è sempre orientato a Gerusalemme e al tempio fino all'ultima Pasqua (Gv 1 1 ,48) e muore sulla croce come agnello pasquale proprio a Gerusalemme e lì avviene anche la risur­ rezione. Di questo percorso spaziale vanno rilevati due aspetti: quello sto­ rico e quello simbolico. La prospettiva storica dimostra la fondatezza della tradizione, quella simbolica l'interpretazione post-pasquale del­ l' evangelista. Anzitutto quello storico. Chi ha scritto il vangelo, ancorché lontano da Gerusalemme e dal tempio ormai distrutto, dimostra di conoscere molto bene il tempio frequentato da Gesù: la piscina di Betesda, quella di Siloe, il portico di Salomone a est, la distinzione fra il tempio/ierò n, l'ampia area del tempio con i tre cortili dei gentili, delle donne ebree e degli uomini (Gv 2,14-15) e il santuario/naos con le sue tre parti, atrio, santo e Santo dei Santi (Gv 2,1 9-20), che Gesù chiama «la casa di mio Padre» ( Gv 2,16). Anche il particolare di salire a Gerusalemme «per santificarsi» cioè «purificarsi» per la festa della Pasqua ( Gv 11 ,55) è attestato (2Cr 30,17- 1 8; Nm 9,10; SLev 1 1 ,8). Tutto fa pensare alla tradizione storica di un testimone oculare come presuppone l'evange­ lista richiamandosi al DA (Gv 21 ,24). Inoltre è documentata storica­ mente la critica popolare alla corrotta gestione del tempio da parte dei sadducei e della casta sacerdotale.30 Gli si rimproverava la corru­ zione imperante per cui Gesù non teme di chiamarlo «una piazza di mercato» (Gv 2,16), mentre Marco lo chiama perfino «una spelonca di briganti» (Mc 1 1 ,17; cf. Ger 7,1 1 ) . I settari di Qumran li accusavano di rubare ai poveri (J QHab 8,12; 9,5) e di ammassare ricchezze (J QpHab 8,8-12).31 Il tempio era divenuto un centro di potere politico ed economico per tutti i giudei. Inoltre i sommi sacerdoti stavano dalla parte della classe dominante, come appare da Gv 1 1 ,47-48; 19,12-16. Ci si aspettava perciò una riforma che rinnovasse il culto. Ed è qui che si inserisce la simbologia del tempio e il suo alto signi­ ficato cristologico. La riforma che vuoi instaurare Gesù non riguarda il tempio materiale di Gerusalemme, ma la presenza di Dio in mezzo agli uomini e la comunione con lui nel culto, luogo di riunione della comunità, non solo degli ebrei ma di tutti gli uomini (Is 2; Mi 4). Se

UMOH, , 326-329. 31 Cf. anche GIUSEPPE FLAVIO, Ant 20,9.2.

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percorriamo in breve il QV, vi compare fin dall'inizio il centro del nuovo culto. Già nel prologo si annuncia: «Il Logos si è fatto carne e pose la sua tenda in mezzo a noi e abbiamo visto la sua gloria»( Gv 1 , 14). È il testo che rivela il fondamento in Gesù del nuovo tempio e della nuova presenza di Dio nel mondo. Giovanni Battista annuncia: «Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1 ,29) . Gesù col suo sacrificio di agnello pa­ squale sostituisce tutti i sacrifici per il peccato compiuti nel tempio. Nel contesto della cacciata dei venditori dal tempio (Gv 2,1 3-22) Gesù risponde alle autorità: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo risusciterò» (Gv 2,1 9). E l'evangelista commenta: «Gesù parlava del santuario [naou] del suo corpo» (Gv 2,21). Questa è la vera casa di suo padre: lui nel Padre e il Padre in lui (Gv 14,10). Il tema del tempio ritorna nel dialogo di Gesù con la samaritana, nella risposta al problema del luogo (topos) legittimo di culto: se sul Garizim o a Gerusalemme. Gesù risponde superando il problema posto e prospettando un culto universale, perché spirituale: Credimi, donna, che viene un'ora, quando né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre . . . Ma viene un'ora, ed è ora, che i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità (Gv 4,24). Nello Spirito donato da Gesù, il cui simbolo era «l'acqua viva» e nella verità, cioè nella rivelazione di Dio padre da parte di Gesù, do­ vuta solo a lui (Gv 1 , 18). Il tema del tempio ricorre un'ultima volta in Gv 1 1 ,48 nel processo del sinedrio a Gesù in cui si decide la sua morte (Gv 1 1 ,47-53):32 Se lasciamo costui così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e toglieranno il nostro luogo [il tempio] e la nostra nazione. Proprio nella prospettiva della futura distruzione del tempio il sommo sacerdote propone:

32 J. BEUTLER, , in FREY - SCHNELLE, Kontexte, 1 1 7-204. 35 FREY, , 202-203. 36 J. MAIER, , in LABAHN - SCHOLTISSEK - STROTMANN, /srae[, 54-88, in part. 75. 37 G. SEGALLA, , in Rivista di Studi Biblici 9(1997)2, 1 1 7-153, in part. 153. 3" B.E. REYNOLDS, The Apocalyptic Son of Man in the Fourth Gospel, (WUNT 2. Reihe 249), Mohr, Ttibingen 2008. 39 I. DE LA PoTTERIE, «Gesù come figura di rivelazione secondo s. Giovanni>>, in Io., Gesù verità, Mari etti, Torino 1973, 179-1 98.

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più pronunciato con l'Apocalittica invece è l'escatologia presenziale del QV, strettamente legata alla cristolologia e, più precisamente, alla fede in Gesù, Cristo e figlio di Dio che dona la vita (Gv 20,20-21 ) o al suo rifiuto che condanna già ora (Gv 3,36). L'enorme materiale della letteratura rabbinica, difficilmente domi­ nabile e ancor più difficile da usare criticamente per il suo rapporto col NT, è stato studiato da Billerbeck e pubblicato con Strack nel clas­ sico Kommentar zum Neuen Testament aus Midrash und Talmud. 40 Tale fonte è utile soprattutto per le discussioni sul sabato (Gv 5,10; 7,22-23; 9,14-16: SB 11,454-461 ) e il diritto penale (Gv 7,5 1 ; 8,17: SB 11,522) . La differenza fondamentale col QV sta nel fatto che al centro del giudaismo rabbinico vi è la Torah, soprattutto la Torah orale, men­ tre nel QV al centro vi è la persona di Gesù. Per quanto concerne le tradizioni samaritane4 1 va detto che il rac­ conto giovanneo (Gv 4,1-42) ci fornisce particolari storici che sono possibili e hanno senso solo prima della distruzione del tempio, come la disputa sul legittimo luogo di culto (Gv 4,21); inoltre vi si riflette l'aspettativa del Salvatore Taheb 42 come rivelatore escatologico (Gv 4,25-26; cf. Dt 18,15-18). La tradizione utilizzata dall'evangelista deve attingere a un fatto storico: gli inizi della missione in Samaria (At 8) risalirebbero a Gesù stesso secondo la tradizione giovannea,43 addirit­ tura fino al movimento di Giovanni Battista (Gv 3,23). Qumran, Apocalittica, rabbinismo e tradizione samaritana ci illu­ minano su alcuni particolari del racconto giovanneo e su alcune idee portanti come il dualismo antitetico, ma l'orizzonte globale del QV è quello biblico-giudaico: le Scritture ebraiche testimoniano Gesù e la trama spazio-temporale del vangelo è organizzata intorno alla liturgia del tempio e alle feste giudaiche, interpretate in chiave cristologica. 4.2. LE COORDINATE ELLENISTICHE DEI DESTINATARI

Due autori classici sostenevano la dipendenza del QV dall'am­ biente culturale greco (Bultmann, Dodd). Il punto cruciale era la gnosi. Pure C.K. Barrett nel suo commento difende ancora un certo influsso

40 L. STRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Midrash und Talmud, Beksche Verlag Buchhandlung, Miinchen 2009 ( 1 1922), I, 302-587. 41 F. DEXINGER, Der Taheb. Ein «messianischer» Heilbringer der Samaritaner, Salz­ burg 1 986; J. ZANGENBERG, Fruhes Christentums in Samarien. Topographische und tra­ ditionsgeschichtliche Studien zu den Samarientexten im Johannesevangelium, (TANZ 27), Mohr, Ttibingen 1 998. 42 DEXINGER, Der Taheb. 43 G. W. BucHANAN, The Samaritan Origin ofthe Gospel offohn, Brii!, Leiden 1968.

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della gnosi, diretto o indiretto.44 Ma U. Schnelle nel suo recente com­ mento nega decisamente tale influsso nel QV, sia per la difficoltà di definire cos'è la gnosi sia per la netta opposizione alla concezione usuale di gnosi e gnosticismo nel QV: la creazione buona (prologo) contro una concezione negativa del mondo, l'amore universale di Dio nel Figlio «salvatore del mondo» e soprattutto la teologia della croce, e quindi la salvezza in un evento storico singolare.45 Esclusa la gnosi, però, si deve tener conto dell'ambiente culturale ellenistico molto ricco: la filosofia popolare, un misto di platonismo e stoicismo, le religioni misteriche che cercavano la salvezza e la certezza dell'immortalità nei misteri di vario genere, mediante riti di iniziazione e trasformazione nella divinità che hanno influito anche sulla corrente sincretista dell'ermetismo, ancorché questo abbia una letteratura tar­ diva, posteriore al QV. Va inoltre ricordato che il mondo culturale el­ lenistico era già penetrato nel mondo ebraico non solo con la versione dei LXX, come abbiamo già ricordato, ma anche nella letteratura sa­ pienziale (Siracide e Sapienza) e in Filone di Alessandria. Il QV è stato scritto comunque anche con l'intenzione di parlare a questo mondo ellenistico complesso. L'influsso è quindi indiretto, nel senso di un'apertura a destinatari, lettori greci con la loro cultura. Per questo si può dire che l'evangelista aveva un'anima universale, un'apertura strategica per conquistare tutti alla fede e attirarli tutti a Gesù (Gv 12,20-32): si percepisce in una terminologia che ha forti risonanze nel mondo ellenistico, culturale e politico. Per l'ambiente culturale: il Logos del prologo risuona in diversi contesti filosofici dallo stoicismo {il Logos come anima e armonia del mondo) a Filone, fino al grande filosofo Eraclito di Efeso, o ve era eretta una statua in suo onore e a Efeso secondo la tradizione sarebbe stato scritto il QV. Il termine e la concezione di Logos poteva rappre­ sentare un incrocio di culture. E tuttavia il Logos giovanneo mantiene la sua distinta identità come Logos increato e preesistente alla crea­ zione, incarnato nella persona di Gesù Cristo (Gv 1 ,14.17). La defini­ zione «Dio è spirito» (Gv 4,24) permette a Gitte Bruch-Hansen un esame del QV alla luce della fisica stoica dello Spirito giovanneo me­ diatore tra la sfera divina e quella umana. La concezione dualista verticale (ad esempio Gv 8,23: dall'alto-dal basso, da questo mondo-non da questo mondo) risuona familiare nella

44 C.K. BARREIT, Johannesevangelium, 56-58. 4� U. ScHNELLE, Das Evangelium nach Johannes, (Theologischer Handkommentar zum Neuen Testament 4), Evangelische Verlagsanstalt, Leipzig 1998, 2 1 . Cf. inoltre la netta presa di posizione negativa di A. MARJANEN (ed.), Was there a Gnostic Religion?, (Publications of the Finnish Exegetical Society 87), V &R, Gottingen 2005.

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cultura popolare platonica ove il mondo vero è quello invisibile extra­ mondano, e questo nostro mondo delle apparenze è una copia imper­ fetta di quello. Lo stesso di potrebbe dire della «vera vite» (Gv 15,1), della «vera luce» (Gv 1 ,9) del «vero pane» (Gv 6,32) di cui la realtà terrena sarebbe il tipo. Per l'evangelista però «dall'alto» e «Vero» si­ gnificano rivelazione del mondo celeste (Gv 3,12-13). Anche le religioni misteriche di salvezza con i loro riti di inizia­ zione potevano leggere nel battesimo «da acqua e da Spirito» (Gv 3,5) un rito di rigenerazione; lo stesso si può dire del «mangiare la carne e bere il sangue del Figlio dell'uomo», che poteva far pensare a riti di morte e vita nuova. Ma la radicale differenza è che i misteri si rifanno a dei miti, mentre i riti cristiani si fondano nella persona storica di Gesù e nel mistero della sua morte e risurrezione. Ciò che ivi si cer­ cava, salvezza e certezza dell'immortalità, si trovano nel nuovo oriz­ zonte cristologico (Gv 8,5 1 ; 1 1 ,25-26).46 Il linguaggio usato per Gesù era anche una sfida al mondo politico romano 47 ove l'imperatore era considerato «salvatore del mondo» (Gv 4,42) e «Signore e Dio)) (Gv 20,28).48 Il confronto col potere politico compare in primo piano nel pro­ cesso di Gesù davanti a Pilato (Gv 18,28-1 9,16a): proprio perché «re dei giudeh) Gesù viene accusato di lesa maestà imperiale, e Gesù rivela di essere re, ma di un regno che non è di questo mondo, è regno della verità (Gv 19,33-38) e «chi è dalla verità)) ascolta la voce di Gesù. Le persecuzioni dei cristiani nelle comunità giovannee ( Gv 16,1-4a; A p) sono conseguenza di questa critica radicale del potere, il potere sul­ l'uomo invece del servizio, tipico del regno di Gesù. 4.3. l CONTESTI DELLA PRIMITIVA TRADIZIONE CRISTIANA

Il contesto più vicino al QV era indubbiamente la grande Chiesa con la sua varietà di tradizioni di Gesù e su Gesù, come risulta da Gv 2 1 . È nel grande alveo della tradizione cristiana, narrativa ed episto­ lare, che va collocato il QV, ove viene accolto e compreso. Quali sono i legami con questa ricca e varia tradizione? In primo luogo ovvia­ mente gli scritti giovannei e il loro ambiente ecclesiale, che è anche quello del QV (lettere giovannee e Apocalisse), quindi i vangeli sinot-

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