Tipologia e compimento delle Scritture nel Vangelo di Giovanni. Analisi di alcuni racconti del Quarto Vangelo 8810302567, 9788810302569

Questo volume suggerisce un percorso metodologico per lo studio della tipologia, fondato prevalentemente sull'anali

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Tipologia e compimento delle Scritture nel Vangelo di Giovanni. Analisi di alcuni racconti del Quarto Vangelo
 8810302567, 9788810302569

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TIPOLOGIA E COMPIMENTO DELLE SCRITTURE NEL VANGELO DI GIOVANNI

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uesto volume suggerisce un percorso metodologico per lo studio della tipologia

fondato prevalentemente sull'analisi narrativa. Esso si occupa dunque della tipologia anzitutto come di un fenomeno letterario, nel quadro dei procedimenti intertestuali che riguardano figure bibliche e che comportano una progressione rivelativa evidenziabile tramite lo studio della funzione narrativa del testo precursore nel testo d'arrivo. Tale pro­ gressione costituisce anche, sul piano retorico, un appello alla fede del lettore. Lo studio prende posizione, in modo argomentato e fondato, anche in merito all'accusa di supersessionism (sostituzione) rivolta al Vangelo di Giovanni, tema particolarmente importante per il dialogo ebraico-cristiano e per la teologia . ..

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DAVIDE ARCANGELI è docente stabile di Nuovo Testamento all'Istituto Superiore di Scienze Reli­ giose Marvelli di Rimini. Collaboratore delle riviste Parole di Vita e Anna/e "Parola e Tempo", ha pubblicato di recente Testimoni del servo. La «Chiesa in uscita>> degli Atti degli Apostoli. Con schede di lettura popo­ lare (Il Ponte 2015) e La Bibbia. Un libro per chi fa molte domande (Fara Editore 2018) .



ISBN 978-88-10-30256-9

91m,JJ1�'�l

€ 30,00 (IVA compresa)

RIVISTA BIBLICA Organo dell'Associazione Biblica Italiana (A.B.I.) Pubblicazione trimestrale Comitato direttivo: Luca Mazzinghi, Presidente dell'A.B.I.- Direttore: Angelo Passaro­ Vice-direttore: Roberto Vignolo Comitato di redazione: Flavio Dalla Vecchia, Ettore Franco, Giorgio Jossa, Maurizio Marcheselli, Rosario Pi­ stone, Gian Luigi Prato, Émile Puech, Horacio Simian- Yofre, Michael Tait Comitato scientifico: Jesus Asurmendi, Giuseppe Bellia, Eberhard Bons, John J. Collins, Rosario Gisana, Ermenegildo Manicardi, Ida Oggiano, Romano Penna, Alexander Rofé, Joseph Sie­ vers, Joseph Verheyden, Ida Zatelli Responsabile di Supplementi alla Rivista Biblica: Antonio Pitta Segretari di redazione: Roberto Mela, Giuseppina Zarbo Direttore responsabile: Alfio Filippi

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Davide Arcangeli

TIPOLOGIA E COMPIMENTO DELLE SCRITTURE NEL VANGELO DI GIOVANNI Analisi di alcuni racconti del Quarto Vangelo

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Vidimus et adprobamus secundum normas Statutorum Facultatis, Bononiae, ex Facultate Theologica Aemiliae Romaniolae, die 29/06/2018 (prot. FrE R 2975/2018). Mons. VALENTINO BULGARELLI Praeses facultatis

Realizzazione editoriale: Prohemio Editoriale srl, Firenze

©2019

Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro, 4- 40138 Bologna www.dehoniane.it

EDB® ISBN

978-88-10-30256-9

Stampa: Graphicolor, Città di Castello (PG) 2019

Sigle e abbreviazioni

Le abbreviazioni delle riviste non compaiono in questa pagina, dal mo­ mento che esse sono conformi alle indicazioni di S.M. ScHWERTNER, Interna­

tionales Abkurzungsverzeichnis fur Theologie und Grenzgebiete l International Glossary of Abbreviation for Theology and Related Subjects (IATG3), Berlin­ New York 320 14. Altre riviste non presenti nel repertorio IATG sono citate

per esteso. Le opere di Filone di Alessandria e dei padri della Chiesa sono citate per esteso. Mishnah

Kel Be Par Ket Pes Tam Ber Shevu Suk

Kelim Be�a (Yom Tov) Parah Ketuvot Pesahim Tamid Berakhot Shevuot Sukkah

Tosefta

T. Shabb

Tosefta Shabbat

Midrash Rabbah

BerR BemR WaR DevR DER ShirR

Bereshit Rabbah (Genesis Rabbah) Bemidbar Rabbah (Exodus Rabbah) Waiqra Rabbah (Leviticus Rabbah) Devarim Rabbah (Deuteronomium Rabbah) Derech Ere� Rabbah Shir Hashirim Rabbah (Canticus Rabbah)

Mekhilta

MekhY

Mekhilta de Rabbi Yishmael

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Sigle e abbreviazioni

Targumim

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Targum Onqelos Targum Yerushalmi Targum Pseudo-Jonathan Codex Neofiti Targum del Cantico dei Cantici Targum di Isaia

Flavio Giuseppe Ant. Antichità giudaiche De bello jud. Guerra giudaica Apocrifi dell'A T e manoscritti del Mar Morto

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GLNT LAUSBERG METZGER

Primo libro di Enoc libro dei Giubilei Documento di Damasco Testamento di Giuseppe Testamento di Beniamino

F. BLASS- A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2 1 997 (tit. orig. Grammatik des Neutestamentlichen Griechisch, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 141 976). H. BALZ - G. ScHNEIDER (a cura di), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, 2 voli., Paideia, Brescia, 1 995- 1 998 (tit. orig. Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament, Kohlhammer, Stuttgart 2 1 992). G. KITTEL - G. FRIEDRICH - O. RùHLE (a cura di), Grande Lessico del Nuovo Testamento, 1 6 voli., Paideia, Brescia 19631 992. H. LAUSBERG, Elemente der literarischen Rhetoric, Max Hue­ ber Verlag, Miinchen 21 967. B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament. A Companion Volume to the United Bible So­ cieties' Greek New Testament (Fourth Revised Edition),

SB

Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 1 994. H. L. STRACK- P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testa­ meni aus Talmud und Midrash, 4 voli., C.H. Beck'sche Ver­ lagbuchhandlung, Miinchen 1 954- 1 96 1 .

Prefazione

La tipologia è un tema rischioso e impegnativo per uno studio esegeti­ co, perché evoca l'interpretazione figurale dei padri della Chiesa e può susci­ tare il sospetto di approcci esegeticamente poco fondati e poco rigorosi nel­ le metodologie. Questo studio ha l'obiettivo ambizioso di suggerire un per­ corso metodologico per lo studio della tipologia fondato prevalentemente sull'analisi narrativa, a partire da una definizione «euristica» di tipologia che non comporta un'opzione teologica preventiva, ma offre una serie articolata di domande e operazioni esegetiche, orientate non solo a rilevare i fenome­ ni intertestuali ma anche ad approfondirne il ruolo in rapporto alla funzione conoscitiva e pragmatica del testo. Ci si occupa, dunque, di tipologia anzitut­ to come di un fenomeno letterario, nel quadro dei procedimenti intertestuali che riguardano figure bibliche e che comportano una progressione rivelativa evidenziabile tramite lo studio della funzione narrativa del testo precursore nel testo di arrivo. Tale progressione costituisce anche, sul piano retorico, un appello alla fede del lettore. Questo approccio metodologico non costituisce una novità, ma si in­ serisce nel solco del lavoro narratologico e intertestuale di J.-N. Aletti, a cui va la mia gratitudine per aver ispirato i primi passi del mio lavoro esegetico al Pontificio Istituto Biblico, che ho poi continuato sul Vangelo di Giovanni con la guida del prof. Maurizio Marcheselli. A quest'ultimo desidero espri­ mere un sentito ringraziamento, per avermi aiutato, come primo relatore del­ la tesi, a fondare con rigore questo percorso esegetico nel quadro delle com­ plesse questioni sollevate dall'esegesi giovannea, migliorandone così notevol­ mente la forza argomentativa. Inoltre l'orientamento ermeneutico di Mar­ cheselli riguardo a una mentalità non sostitutiva della comunità giovannea sulle istituzioni d'Israele mi ha spinto ad approfondire, nell'ultimo capitolo del presente volume, la questione teologica della «sostituzione», alla luce dei risultati raggiunti sul compimento tipologico nel Vangelo di Giovanni. La difesa della dissertazione dottorale è avvenuta presso la Facol­ tà Teologica dell'Emilia-Romagna 1'8 novembre 201 7. Docenti delegati dal Consiglio dei professori sono stati i proff. Gian Domenico Cova e Marco Settembrini, che ringrazio per le loro osservazioni e per i loro consigli. Un

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Prefazione

particolare ringraziamento spetta anche al secondo relatore, il prof. Matteo Crimella, per avermi autorevolmente confermato sulla fecondità di questo approccio e per i preziosi consigli sul metodo dell'analisi narrativa per lo stu­ dio della tipologia.

Introduzione

L'utilizzo di metodi interpretativi della Bibbia che possono essere glo­ balmente accomunati nella categoria delle «tipologie» emerge esplicitamen­ te nei padri della Chiesa, fin dal II secolo, spesso in contesti di controversia. 1 Ricorrere a interpretazioni tipologiche era, per i padri, una sorta di istru­ zione e vaccinazione dei credenti, per fornire loro gli anticorpi nei confronti di possibili derive giudaizzanti o gnosticizzanti. Da intenti antigiudaici sono mosse opere caratterizzate da forte sviluppo ed estensione dell'interpretazio­ ne tipologica, come la Lettera dello Pseudo- Barnaba, il Dialogo con Trifone di Giustino, l' Adversos iudaeos di Tertulliano, i Testimonia ad Quirinium di Cipriano, ecc. Dall'interesse a mostrare l'unità dei due Testamenti in chiave antignostica sono segnate le esegesi tipologiche di lreneo di Lione nell'Ad­ versus haereses, in particolare nel terzo e quarto libro, o quelle di Tertullia­ no nell' Adversus Marcionem, o ancora quelle di Agostino nel Contra Faustum Manichaeum.

Se i padri hanno utilizzato e sviluppato interpretazioni tipologiche per consolidare il depositum fidei in tempi di grandi dispute dottrinali, ci si può domandare se questo utilizzo estensivo non nascesse da uno «stile» esegetico percepito già dai padri come «tradizionale» nel senso forte del termine, cioè appartenente alla Tradizione in cui sono nate le Scritture e quindi costitutivo del sensusfideU

1 Cf. J. DANIELOU, Sacramentum F1fturi. Études sur /es origines de la typo/ogie bib/ique. Les figures du Christ dans l'Ancien Testament (Etudes de Théologie Historique), Beauchesne, Paris 1 950, X-XVI. Per una sintesi dell'esegesi patristica si veda il terzo capitolo della monumentale Esegesi Me­ dievale di H. de Lubac, dedicato alle origini patristiche; cf. H. dE LuBAC, «Origini patristiche», in lo., Esegesi Medievale. l quattro sensi della Scrittura, vol. 1, Jaca Book, Milano 2006, 1 8 1 -232 (tit. orig. Exégèse médiévale. Les quatre sens de l'Écriture, Desclée de Brouwer, Paris 2 1 993; I ed. Montaigne,

Paris 1959). 2 Secondo Woolcombe le origini della tipologia non sono patristiche, ma neotestamentarie, e si radicano nella rilettura cristologica della profezia; cf. K.J. WooLCOMBE, «The Biblica) Origins and Patristic Development of Typology», in G.W . H . LAMPE - K.J. WooLCOMBE (a cura di), Essays on Typology, SCM Press, London 1 957, 39-75, in particolare 49. Questa posizione, che ha il merito di valorizzare l'origine biblica della tipologia, appare tuttavia estremamente riduttiva perché la limita agli scritti neotestamentari. Oggi, infatti, siamo più consapevoli che il processo di «rilettura)) o «ri-

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Introduzione

Ne troviamo conferma in un altro gruppo di opere dei padri, che non hanno alcun intento apologetico, perché sono piuttosto opere di catechesi sacramentaria per l'iniziazione ai misteri della fede o per l'approfondimento della fede. Si tratta delle Catechesi mistagogiche di Cirillo di Gerusalemme, o del De misteriis di Ambrogio, o ancora delle tante Omelie sulla Pasqua, da Melitone di Sardi fino ad arrivare a Gregorio di Nazianzio, o delle Omelie sul Natale e sull'Epifania di Gregorio di Nissa. In queste opere non vi è inten­ to polemico o difensivo, ma piuttosto la necessità di iniziare alla fede il cate­ cumeno o di consolidarla nel neofita. Anche con questa fmalità, i padri han­ no fatto largo utilizzo di tipologie: prova che non si trattava solo di affina­ re strumenti di battaglia culturale nei confronti di avversari, ma di utilizza­ re procedimenti interpretativi considerati come fondamentali per l'ingresso e per l'approfondimento del «mysterium fidei». Non sono state ancora citate opere dall'intento più fortemente specu­ lativo e sistematico della scuola alessandrina, come gli Stromati di Clemen­ te Alessandrino o il Perì archòn di Origene, dove troviamo una grande esten­ sione di interpretazioni che oltrepassano il senso inteso dall'autore attraverso una rete di riferimenti ulteriori, tra loro interconnessi: questa tecnica, presen­ te anche in Filone di Alessandria, prima che in Origene, è stata definita «alle­ goria». In generale, però, si deve affermare che in tutta l'opera di Origene si può notare la coesistenza di una grande attenzione alla ricostruzione dei te­ sti e del loro senso letterale e di una notevole libertà di interpretazione alle­ gorica. Come queste due tendenze possano convivere, è più un problema dei moderni che degli antichi, che sapevano muoversi all'interno di una plurali­ tà di significati simbolici. In questo, la classica disputa tra allegoresi alessan­ drina e theorìa (tipologia) antiochena rischia di essere interpretata con occhi moderni, come la contrapposizione tra una scuola esegetica eccessivamente platonizzante e un'altra più fedele al senso letterale e storico.3 Se per Diodoro di Tarso, iniziatore della scuola antiochena, l'allegoria è il procedimento con cui i greci interpretano i loro miti dando loro un signi­ ficato nuovo, con la soppressione del senso letterale,4 si può davvero applica­ re questa definizione di Diodoro all'esegesi allegorica di Origene? Si può pro­ prio affermare che l'esegesi alessandrina, ricorrendo all'allegoria, si allonta-

scrittura» (per usare un termine caro a P. Beauchamp) è parte integrante dello sviluppo dell'AT e in questo processo si collocano anche procedimenti di tipo «figurale». 3 Cf. M. SIMONEITI, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica (Studia Ephemeridis Augustinianum 23), Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 1 985, 1 58. Simonetti sfuma la separazione esegetica tra le due scuole. Inoltre afferma che gli antichi esegeti adoperano il nome «allegoria>> per indicare tutti i tipi di interpretazione non letterale (dunque anche morale e spi­ rituale). Egli dunque considera la tipologia come «uno dei vari modi di parlare allegorico» (cf. p. 25). In queste definizioni mi sembra vi sia una certa confusione su cosa significhi «senso letterale» delle Scritture e non si tenga in considerazione il fatto che il senso inteso dall'autore storico della Scrittura può avere più livelli di significato, attraverso l'uso di simboli, metafore e perfino allegorie. Il senso letterale (= senso inteso dall'autore) può comportare già aspetti allegorico-tipologici. 4 Cf. ivi, 159.

Introduzione

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na dalla tradizione trasformando la tipologia in un'allegoresi platonizzante?5 Siamo poi certi che l'esegesi di Giovanni Crisostomo, vertice della scuola an­ tiochena, non faccia uso di interpretazioni attualizzanti e in un certo modo allegoriche, sia pure con una finalità piuttosto morale che teoretica? Queste domande ci aiutano a sollevare qualche sospetto sull'esisten­ za di un utilizzo «puro» della tipologia da parte dei padri e ci conducono ad approfondire l'enorme complessità degli adattamenti interpretativi da loro compiuti senza operare eccessive semplificazioni. 6 Certo questo non signifi­ ca che non si possa, in via di principio, tentare una distinzione tra allegoria e tipologia, sempre tenendo conto che si tratta di schemi utili a noi ma non sempre perfettamente funzionanti, a causa di ampie aree di sovrapposizione. 7 Seguendo Ellis, 8 possiamo affermare che la distinzione tra allegoria e ti­ pologia chiama in causa il rapporto dei testi biblici con la storia. Se l'allego­ ria raggiunge il senso nascosto costruendo un rapporto tra il mondo del testo e un universo di riferimenti alternativo e parallelo, di carattere universale, la tipologia compie invece un'interpretazione del testo, mettendo in correlazio­ ne eventi, persone e istituzioni storiche. Entrambe le operazioni presuppon­ gono una certa stratificazione dei sensi della Scrittura, e in questo sta la loro parentela; la differenza però risiede nel fatto che al cuore della tipologia vi è la convinzione di un orientamento fmalistico dei testi verso il loro compi­ mento, in una relazione di mutua interconnessione e interpretazione tra let­ tera e storia. Certo anche questa definizione risulta provvisoria, dal momento che chiama in causa concetti di natura teologica, a loro volta bisognosi di un'adeguata fondazione, come il concetto di «compimento». Inoltre, se l'al­ legoria può essere analizzata anche solo come procedimento letterario, la ti­ pologia chiama in causa il rapporto tra lettera e storia, intesa come «storia della salvezza», e quindi pone ulteriori problemi all'esegesi, anche di natura ermenutica ed epistemologica. 9

5 La posizione di Woolcombe è su questa linea: l'esegesi alessandrina di Origene riceve l'ap­ porto platonizzante di Filone di Alessandria e ne dipende, mentre l'esegesi di Teodoro di Mopsuestia dipende più direttamente da san Paolo. Tuttavia, sfuma poi questo giudizio affermando che Origene ha generalmente utilizzato l'esegesi allegorica in aggiunta, e non in sostituzione, a quella letterale e che era consapevole come gli antiocheni del possibile danno di trattare fatti storici come allegorie; cf. WooLCOMBE, «The Biblica} Origins and Patristic Development of Typology», 56. 6 Cf. H. DE LuBAC, « "Tipologia" e "allegorismo"», in Io., Esegesi Medievale. I quattro sensi della Scrittura, vol. 2, 365-403. 7 Cf. J. PEPIN, Mythe et allégorie. Les origines grecques et /es contestations judéo-chrétiennes, Aubier, Paris 1958. Questo autore presenta la tipologia come una forma di allegoresi giudaico-cristia­ na, che dipende in larga parte da Filone e da Paolo. 8 Cf. E. ELLIS, «Biblical Interpretation in the New Testament Church», in M.J. MuLDER (a cura di), MIKRA. Text, Translation, Reading and Interpretation of the Hebrew Bible in Ancient Juda­ ism and Early Christianity, Hendrickson Publisher, Peabody, MA 2004, 7 1 3 . 9 Per una riflessione di natura epistemologica e teologica s u questo aspetto, cf. R. VIGNOLO, «La "storia della salvezza" e la sua Scrittura», in G. ANGELINI - M. VERGOTTINI (a cura di), Un invito alla teologia, Glossa, Milano 1998, 87- 1 13. Per un approfondimento delle questioni ermeneutiche

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lntroduzione

Possiamo tuttavia notare che, se dalle definizioni teoriche si passa all'esame dei testi che hanno maggiormente ispirato l'esegesi tipologica dei padri, le questioni ermeneutiche divengono più concretamente affrontabili. Ad esempio, in Gal 4,24 Paolo pare formulare un'allegoria con orientamento tipologico. 1 0 Non possiamo qui dare una dimostrazione per esteso, ma non si può negare che Paolo, proprio partendo dalla storicità di Agar e di Sara, pro­ ponga un'interpretazione di queste figure che le ricollega a un compimento indeducibile a priori, quello delle due alleanze, il Sinai e la Gerusalemme ce­ leste. Cosa poi si debba intendere per «compimento», qui e in altri passi del­ le lettere paoline, non lo si può affermare in generale, ma richiede un appro­ fondimento adeguato caso per caso. Qui ci limitiamo a sostenere che i padri hanno elaborato i loro procedimenti esegetici partendo dal senso letterale di testi biblici come questo, che contengono interpretazioni simboliche e allego­ riche di figure (intese come elementi del racconto biblico, ossia personaggi, eventi, istituzioni dell'Antico Testamento), in un rapporto teologico tra let­ tera della Scrittura e storia. Dunque i procedimenti di simbolizzazione e reinterpretazione dei testi, e in particolare di figure presenti in essi - procedimenti che sommariamente possiamo classificare come «tipologie» -, sono fondati su una plurivocità di sensi che gli stessi autori biblici hanno inteso porre nei loro scritti, dall' Anti­ co al Nuovo Testamento. Se, solo per fare un esempio, l'oracolo dell'Emma­ nuele in Is 7, l 0- 1 7 ha dato sviluppo a successive reintepretazioni messianiche nel libro di Isaia, fino al Vangelo di Matteo (cf. Mt 1 ,22-23), ciò è accaduto perché il significato storico dell'oracolo non è separato dal suo compimento messianico. A riprova di questo, si può notare come il segno dell'Emmanuele è tanto umile quanto straordinario, al punto da coprire tutta l'estensione del mondo, dal profondo degli inferi o dall'alto (cf. Is 7, 1 0). 1 1 Ora se la nascita del figlio del re Acaz, come erede dinastico, è certamente un evento solenne per il profeta storico, non si può negare che il carattere cosmico e universale di questo segno dia adito fin da subito a intepretazioni messianiche. Il senso letterale è già orientato al suo compimento e gli autori neotestamentari mo­ strano questa consapevolezza con una pluralità di atteggiamenti interpreta­ tivi, alcuni dei quali si avvicinano molto a quei procedimenti che i padri han­ no poi sviluppato nella direzione della tipologia. 12 È a questo punto più fasottese alla tipologia biblica si veda anche P.J. CAHILL, «Hermeneutical Implications of Typology», in CBQ 44(1 982), 266-28 1 . 1° Così anche Romano Penna, che considera Gal 4,24 un pezzo di tipologia e non di esegesi allegorica alessandrina. Secondo Penna, la tipologia paolina non è un metodo di esegesi, ma un modo pneumatico di considerare la Scrittura alla luce dei problemi concreti; cf. R. PENNA, «Atteggiamenti di Paolo verso l'Antico Testamento», in RivBib 32(1 984), 1 75-210. 11 A far emergere questo orientamento intrinsecamente teleologico delle Scritture, che fa della tipologia un principio strutturante dello stesso AT e, di conseguenza, dei rapporti tra AT e NT, è dedicata tutta l'opera di P. Beauchamp. Per una sintesi si veda R. VIGNOLO, «Parole e Parola nel solco di Beauchamp», in Il Regno 6 1 (201 6), 1 1 5- 1 22. 12 Cf. H. CLAVIER, «Esquisse de typologie comparée, dans le Nouveau Testament et chez quel­ ques écrivains patristiques», in TU19(1961), 28-49.

Introduzione

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cile pensare che la fiducia dei padri nei confronti di questo stile interpretati­ vo nasca dalla stessa tradizione in cui la Scrittura è nata e si è sviluppata, os­ sia la tradizione d'Israele e della Chiesa apostolica, e ciò può ispirare anche l'esegesi contemporanea non a formulare modelli interpretativi rigidi, ma a lasciarsi attrarre da questo orizzonte interpretativo per sviluppare domande e metodologie adeguate allo studio del compimento delle Scritture. L'esegesi moderna ha già da tempo, sulla scia di grandi interpreti come Goppelt, von Rad, Fishbane, Beauchamp, ripreso confidenza e coraggio nel­ lo studio dell'articolazione interpretativa «figurale» del compimento, per quanto riguarda sia l'Antico Testamento che i rapporti tra Antico e Nuo­ vo Testamento. Lo studio dei rapporti intertestuali e dell'esegesi intrabiblica pone l'interprete davanti a fenomeni letterari strettamente connessi al tema del «compimento» delle Scritture. 1 3 Quando tali fenomeni coinvolgono «fi­ gure» letterarie e storiche, come persone, istituzioni, eventi, ci si trova all'in­ terno di quell'orizzonte ermeneutico che per semplicità chiamiamo «tipolo­ gia». Essa non è anzitutto un metodo di interpretazione biblica, ma un oriz­ zonte ermeneutico e uno stile letterario capaci di generare procedimenti in­ tertestuali, che possono essere studiati in modo particolareggiato. Il presente studio non pretende quindi di sviluppare un'interpretazione univoca e definitiva della tipologia né per il Vangelo di Giovanni, cui questo lavoro è dedicato, né tantomento per il Nuovo Testamento, ma intende for­ nire una descrizione quanto più possibile accurata di alcuni procedimenti in­ tertestuali che riguardano «figure» e che determinano rapporti di continuità/ discontinuità e di superamento tra le «figure» presenti nei testi precursori e gli elementi del racconto a cui sono connessi. Chiameremo questi procedimenti «tipologia», senza illuderci di aver «dimostrato» la presenza di tipologie nel Vangelo di Giovanni, così come sono state successivamente elàborate dai padri. Il tentativo è piuttosto di il­ luminare più a fondo l'articolazione «figurale» o «tipologica» del compi­ mento nel Quarto Vangelo (d'ora in poi QV). Non si intende dunque com­ piere l'operazione anacronistica di riproporre l'esegesi dei padri, ma mostra­ re quanto l'orizzonte ermeneutico evocato dall'intepretazione tipologica pos­ sa ancora ispirare il lavoro esegetico, anziché scoraggiarlo a causa della com­ plessità delle questioni sollevate. Rimane, questo, uno scoglio importante e decisivo per l'esegesi contemporanea, tentata spesso di restringere l'orizzon­ te delle sue domande e della sua ricerca a causa dell'oggettiva complessità del suo tentativo ermeneutico, in un tempo di grandi evoluzioni nelle metodolo­ gie, che richiedono maggiori specializzazioni e diversificate competenze, ma 13 Come vedremo, è in particolare Fishbane a mostrare la stretta connessione tra l'inner bibli­ ca/ exegesis, che studia i procedimenti «midrashici» interni agli scritti veterotestamentari, e la tipolo­ gia; cf. M. FISHBANE, Biblica/ Interpretation in Ancirmt Israel, Clarendon Press, Oxford 1 985, 357-358.

Per uno studio più approfondito del rapporto tra intertestualità ed esegesi midrashica si veda G. W. BucHANAN, Introduction to lntertextuality, Mellen Press, Lampeter 1 994.

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Introduzione

che rischiano anche di far perdere le domande più importanti alle quali è ne­ cessario rispondere oggi. Se infatti il lettore della Bibbia, a una certa soglia di approfondimen­ to culturale, comincia a interrogarsi sull'unità del libro, non può rivolgersi all'esegesi senza essere subito condotto ad affrontare molte domande partico­ lari, perdendo spesso di vista la questione essenziale di come l'autore biblico neotestamentario articoli i rapporti di compimento con le Scritture d'Israele. Ciò, di fatto, pregiudica ai nostri contemporanei la comprensione dell'altezza e della profondità del mistero contenuto nelle Scritture e, ancor più radical­ mente, può costituire un impedimento all'annuncio del vangelo, che manife­ sta i suoi effetti proprio mostrando il compimento della parola profetica (cf. At 1 0,43-44). Approfondire, quindi, l'articolazione tipologica del compimen­ to è un contributo che l'esegesi può fornire alla teologia e all'evangelizzazio­ ne, ambedue fondate sulla roccia del kerygma apostolico, per il quale «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 1 5,3). Inizieremo questa indagine con un testo di san Paolo, certamente tra i più antichi esempi di interpretazione scritturistica da parte di un autore neo­ testamentario e che fa parte dei luoghi classici della tipologia. Questa anali­ si ci aiuterà a comprendere i problemi metodologici ed ermeneutici connes­ si alla tipologia e ci consentirà di sviluppare alcune considerazioni utili an­ che per il QV.

Capitolo I

Questioni metodologiche sulla tipologia alla luce di 1Cor 10,1-13

l. POSIZIONE DEL PROBLEMA INTERPRETATIVO E FUNZIONE RETORICA DI l Cor l 0, 1 - 1 3 Il testo della Prima lettera ai Corinzi è di grande importanza nella storia dell'interpretazione tipologica. In esso Paolo accumula una notevole serie di riferimenti all'Esodo e alle sue tradizioni per mettere a confronto la situazio­ ne d'Israele nel deserto e quella della Chiesa corinzia. La domanda che qui ci si pone è se vi sia o meno un uso consapevole da parte di Paolo di uno «sche­ ma tipologico» nell'utilizzare le tradizioni dell'Antico Testamento. La pre­ senza del sostantivo 'tU7tot (v. 6) e dell'avverbio 'tU7ttKroç (v. 1 1) hanno orien­ tato gli studiosi verso tale indagine. Cosa intende Paolo quando sostiene che «queste cose», ossia tutti gli eventi dell'Esodo, dall'attraversamento del mare al cammino nel deserto, sono accaduti come «tipi di noi»? Gli esegeti si divi­ dono nettamente tra sostenitori della tipologia 1 e suoi detrattori. 2 Per i primi, 1 Cf. L. GoPPELT, Typos. The Typological Interpretation of the 0/d Testament in the New, Eerdmans, Grand Rapids, MI 1 982, 141-142 (tit. orig. Typos. Die typologische Deutung des A lten Testaments im Neuen, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1 939), 21 969; G. MARTELET, «Sacrements, figures et exhortations en I Cor X,l-1 1 », in RSR 44(1 956), 527-53 1 ; A. FEUILLET, «L'ex­ plication typologique des événements du desert en lCor X,l-4», in SMR 8(1 965), 1 1 5-1 35; A.J. BAND­ STRA, «lnterpretation in l Corinthians 1 0, 1 - 1 h>, in CTJ 6(1971), 5-2 1 ; R.M. DAVIDSON, Typology in Scripture. A Study of Hermeneutical Typos Structures, Andrews University Press, Berrien Springs, MI 1 98 1 , 1 93-297; F. HAHN, «Teilhabe am Heil und Gefahr des Abfalls. Eine Auslegung von l Ko 10,1 -22», in L. DE LoRENZI (a cura di), Freedom and Love. The Guidefor Christian Life (lCor 8-10; Rm 14-15) (SMBen.BE 6), Roma 1 98 1 , 149- 1 7 1 ; R.B. HAYS, Echoes of Scripture in the Letters of Pau/, Yale University Press, London 1 989, 95-104; H. PROBST, Paulu.v und der Brief. Die Rhetorik des antiken Briefes a/s Form pau/inischer Korintherkorrispondenz (l Kor 8-10) (WUNT 2/45), Tiibingen 199 1 , 223-235. 2 G.R. BEASLEY-MURRAY, Baptism in the New Testament, St Martin's, New York 1 962, 1 8 1 1 85; C.K. BARRETT, A Commentary of the First Epistle to the Corinthians, HNTC Harper, New York 1 968, 278 .282; H. CONZELMANN, l Corinthians: a Commentary on the First Epist/e to the Corinthians, Fortress Press, Philadelphia 1975, 1 64. 1 67 (tit. orig. Der erste Brief an die Korinther, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 969); W.L. WrLLIS, /do/ Meat in Corinth. The Pau/ine Argument in l Corin­ tians 8 and 10 (SBL DS 68), Chico, CA 1 985, 1 23. 1 25. 1 6 1 ; D.A. KocH, Die Schrift als Zeuge des Evangeliums. Untersuchungen zur Verwendung und zum Verstiindnis der Schrift bei Paulus (BHTh 69), Tiibingen 1986, 2 1 2; C. BLOMBERG, l Corinthians, NIV Zondervan, Grand Rapids, MI 1 995, 195; G. BARBAGLIO, La Prima Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione e commento a cura di Giuseppe

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Paolo stabilisce una connessione storico-salvifica tra il popolo d'Israele nel deserto e i corinzi, che può essere definita «tipologia». Per i secondi, invece, l'espressione 'tU1tOt significa qui semplicemente «esempio, modello», con una sfumatura di ammonimento verso i corinzi, che rischiano di fare la stessa fine dei padri nel deserto. La questione non è banalmente risolvibile dal punto di vista lessicale: il termine 'tuxoç, infatti, può avere entrambe le éonnotazioni e Paolo mostra di conoscerle. Nelle lettere proto-paoline e in quelle pastorali, il termine ha spesso il significato di modello personale da imitare (Fil 3, 1 7; l Ts 1 ,7; 2Ts 3,9; l Tm 4, 12) o di esempio in relazione all'insegnamento (Rm 6, 1 7) o alle buone opere (Tt 2,7). In Rm 5, 14 il termine ha invece più chiaramente il si­ gnificato di «prefigurazione» di carattere storico-salvifico:3 à.A.A.à t(3aoiA.EuoEv

ea.va'toç Ò.1tÒ 1\�à� �ÉX.Pl Mrotioéroç Kaì È1tÌ 'tOÙç �it à�p'tftoav'taç È1tÌ 'téf> Ò�OlCÒIJ.Q'tl 'ti;ç xapaB l'inizio e la fine della storia, utilizzando la tecnica qalwahomer. Tuttavia si può discutere e non tutti gli autori ne sono convinti. Scettico, ad esempio, è R. PENNA, «Atteggiamenti di Paolo verso l'Antico Testamentm>, in RivBib 32(1984), 1 75-2 10. Di contro si veda L. GoPPELT, «tu7toç>>, in GLNT, XIII, 1466- 1 503. 4 La tensione che si crea tra i vv. 1 -22, in cui Paolo mette in guardia dall'idolatria, e i vv. 23-33, in cui torna a parlare dell'inconsi stenza degli idoli, viene spesso risolta tramite ipotesi dia­ croniche. Uno tra gli interpreti che ha sostenuto l'ipotesi di un'interpolazione secondaria di 10, 122 è Lamar Cope. Egli, riprendendo spiegazioni già precedentemente avanzate da Weiss, Loisy, Schmithals, Hering, Jewet, si basa particolarmente su osservazioni concernenti il vocabolario e sul contenuto. In particolare, la comunione ai demoni propria dei sacrifici pagani (cf. 1 0,20) sarebbe in netto contrasto con l'osservazione dell'unicità di Dio e sull'inconsi stenza dell'idolo sostenute da Paolo in 8, 1 -6; cf. L. CoPE, «First Corinthians 8-10. Continuity or Contradiction?>>, in A ThR. SS 1 1(1990), 1 1 4- 1 23. Collins afferma che l'ipotesi di Cope non ha sufficienti prove nella tradizio­ ne mano scritta e pertanto non può essere facilmente sostenuta; cf. R. CoLLINS, First Corinthians, Liturgica! Press, Collegeville 1 999, 307. La maggior parte degli esegeti è favorevole all'unità della sezione 8,1-1 1 , 1 . Si veda ad esempio Conzelmann, il quale richiama l'analogia con Rm 14, 1 - 1 5 , 1 3 come prova dell'unitarietà nell'argomentazione paolina; c f. CONZELMANN, l Corinthians, 1 37. Più recentemente, Fee si esprime a favore dell'unità compositiva tra il c. 8 e il c. 1 0, per l'omogeneità del tema, che è l'idolatria, e per l'identità dei destinatari, che sono i «forti>> di Corinto; cf. FEE, The First Epistle to the Corinthians, 44 1.

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e, dall'altra, rischiano di condurre la comunità a scivolare nell'idolatria per eccessiva sicurezza di sé e accomodamento con uno spirito mondano, in fon­ do idolatrico (vv. 6- 1 3).5 Ai forti, Paolo offre due «esempi»: il primo è posi­ tivo, ed è se stesso (cf. 9, 1 -27; 1 1 , 1). Egli da un lato si fa tutto a tutti, giudeo per i giudei, senza Legge per coloro che non hanno la Legge, per salvare ad ogni costo qualcuno, e quindi mostra che la carità verso il fratello è il crite­ rio-guida dell'agire secondo il vangelo. Dall'altro, questa libertà nel vangelo non diventa pretesto o causa di caduta perché egli vigila su se stesso e si eser­ cita, sottomettendo il proprio corpo, per non diventare indegno del vangelo mentre lo annuncia (vv. 25-27). Il secondo esempio sono i padri, che diven­ gono il modello negativo che mostra la possibilità di cadere e la necessità di guardarsi dalla tentazione idolatrica (vv. 6- 1 3). Nel quadro complessivo di un'unica argomentazione rivolta ai forti nella Chiesa, che mostra le esigen­ ze del vangelo nella prassi missionaria e nella vita interna della comunità cri­ stiana, si stagliano l'esempio positivo di Paolo e quello negativo dei padri. L'esempio dei padri ha dunque l'obiettivo di mettere in guardia la comuni­ tà cristiana di fronte alla facilità di cadere in atteggiamenti, prassi e menta­ lità idolatrici. 6 2. SFONDO VETEROTESTAMENTARIO E FINALITÀ RETORICA

Chiarito, dunque, l'intento retorico dell'esempio dei padri, occorre cer­ care di comprendere meglio la finalità con cui viene utilizzato lo sfondo ve-

5 Secondo C. PERROT, «Les exemples du désert ( 1 Cor 1 0,6-ll)», in NTS 29(1983), 437-452, Paolo mette in guardia i forti dal partecipare come associazione religiosa a un pasto cultuale, cioè al riunirsi in un luogo cultuale pubblico per mangiare insieme, come comunità. Anche secondo Kloha c'è una differenza tra il mangiare carne nel tempio o in contesti privati. Egli aggiunge una motiva­ zione missionaria nell'etica di Paolo: se da un lato, infatti, bisogna essere molto cauti per evitare il rischio che i neofiti ricadano nell'idolatria, dall'altro non si possono evitare luoghi di relazione con i pagani, destinatari dell'annuncio del vangelo; cf. J. KLOHA, «ldols, Eatings and Rights (ICor 8, 1 1 1 , 1 ): Faithful and Loving Witness in a Pluralistic Culture>>, in ConJ 30(2004), 1 78-202. In ambito italiano, Barbaglio riprende e raffina questa ipotesi dei differenti contesti a cui Paolo fa riferimento, sottolineando che il problema non è co stituito dal «luogo» in cui il banchetto si tiene (tempio o casa), ma dal fatto che la connotazione religiosa venga o meno esplicitamente comunicata, per manifestare una comunione con il dio del relativo sacrificio. Quest'ultima viene condannata da Paolo, in rapporto alla comunione eucaristica, in lO, 1 -22. Invece mangiare o acquistare carne, al mercato o in casa di pa­ gani, anche se è carne immolata agli idoli, non comporta problema alcuno; cf. BARBAGLIO, La Prima Lettera ai Corinzi, 378. Sulla stessa linea Garland, secondo cui l'intera argomentazione è rivolta ai corinzi, per educare la loro libertà nei confronti del mondo pagano, verso una non compromissione in coscienza con le pratiche religiose pagane, con una certa flessibilità in contesti in cui l'elemento reli­ gioso non è esplicito, come in casa o al mercato. In questo senso la figura dei «deboli» nella comunità corinzia corrisponde, secondo Garland, a una costruzione retorica dell'apostolo piuttosto che a una reale divisione in seno alla comunità; cf. D. GARLAND, «The Di spute over Food Sacrificed to ldols (ICor 8 : 1 - 1 1 : 1 )», in PRSt 30(2003), 1 73-1 97. 6 Per questa motivazione retorica non si possono separare i vv. 1 - 1 3 dai seguenti (vv. 14-22), perché l'argomentazione è globalmente orientata a mostrare la necessità teologica, per i corinzi, di non partecipare ufficialmente ai banchetti pagani. Cf. J.F.M. SMIT, «Do not Be Idolaters. Paul's Rhetoric in First Corinthians 10,1 -22», in NT 39(1997), 40-53.

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terotestamentario. Secondo Perrot,7 gli esempi citati da Paolo nei vv. 7- 1 0 fanno parte dei luoghi comuni dell'esegesi giudaica sulle tentazioni nel deser­ to, ma la loro sequenza, con l'accostamento degli episodi della mormorazio­ ne nel deserto, collegati alla manna (vv. 9- 10; cf. Es 1 6,2s; Nm 2 1 ,5), con le tentazioni dell'idolatria e della fornicazione (vv. 7-8; cf. Es 32,6; Nm 25, 1), sembra essere un adattamento di Paolo.8 In questo modo, infatti, Paolo col­ lega il dono della manna, con il peccato di mormorazione, al pasto idolatrico dell'episodio del vitello d'oro e insinua l'idea che lo scivolamento nell'idola­ tria diviene incompatibile con il nutrimento della manna. L'intenzione reto­ rica di rivolgersi ai forti di Corinto, e al rischio di compromissione idolatrica della loro prassi ecclesiale ed eucaristica, guida dunque l'adattamento delle tradizioni veterotestamentarie nei vv. 7- 1 0. Questo adattamento si nota anche nei precedenti vv. 1 -4, dove le tra­ dizioni esodiche del passaggio del mare e della marcia del popolo nel de­ serto vengono rilette attraverso le categorie sacramentali cristiane. 9 L'ac­ cumulo dei riferimenti al passaggio del mare e alla presenza della nube (per la nube: Es 1 3,2 1 -22; 14, 1 9; Sal 78, 14; 1 05,39; Sap 1 0, 1 7; per il passag­ gio del mare: Es 14) è globalmente reinterpretato dal v. 2: Kaì miv'tEç eiç 'tÒV Mroi.icrftv Èj3a1t'tt, in Bulletin for Biblica/ Research 6(1 996), 23-38. Egli afferma che la brevità del riferimento di Paolo alla pietra che si muove non è un'argomentazione valida per negare la presenza di una tradizione antecedente a Paolo, anzi può essere una ragione a favore, perché doveva essere immediatamente compresa dal lettore. La tradizione targumica aveva infatti cercato di colmare il gap esistente tra Es 1 7 e Nm 20 a riguardo dell'approvigionamento idrico del popolo nel deserto, ammettendo una possibilità di spostamento da parte della roccia percossa da Mosè. 13 Intendo per synkrisis o comparatio una tecnica retorica ampiamente utilizzata nella lettera­ tura classica greco-latina, che sfrutta il paragone tra due entità (personaggi o cose) per far emergere, attraverso somiglianze e differenze, le peculiarità di ciascuna. Per una definizione cf. Lausberg: «La comparatio o cruyKptatç è il confronto della lode tra persone o cose. Il paragone può avvenire tra cose di ugual valore oppure tra cose di valore differente» (LAUSBERG, § 1 1 30). Per un più dettagliato ap­ profondimento si veda F. FocKE, «Synkrisis», in Hermes 58(1 923)3, 327-368. Più recentemente, Cri­ mella dedica un ampio scavo alla synkrisis nella sua tesi dedicata al triangolo drammatico in Luca: M. CRIMELLA, Marta, Marta! Quattro esempi di «triangolo drammatico» nel «grande viaggio di Luca», Cittadella, Assisi 2009, 30-38. Un celebre esempio di utilizzo di synkriseis è costituito dall'opera Vite parallele di Plutarco. A tal proposito si veda lo studio di R. HmscH-LUJPOLD, Plutarchs Denken in Bildern. Studien zur literarischen, philosophischen und religiOsen Funktion des Bildhaften (Studien und Texte zu Antike und Christentum 14), Mohr Siebeck, Tiibingen 2002.

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3 . SYNKRISIS E TIPOLOGIA

A questo punto siamo in . grado di affrontare la questione legata al ter­ mine 't'U1toç, al suo significato qui e all'eventuale presenza di un rapporto ti­ po logico padri/corinzi. Riprendendo tutte le osservazioni svolte precedente­ mente riguardo alla composione retorica della sezione 8, 1-1 1 , 1 della Prima lettera ai Corinzi e sulla funzione dell'esempio dei padri ( 1 0, 1 -22), possiamo affermare che il ricorso alle tradizioni esodiche ha lo scopo di mettere in guar­ dia i destinatari della lettera sul rischio di cadere nell'idolatria come i padri e, conseguentemente, le espressioni 't'U1t01 1ÌJ1IDV e 't'U1ttKéòç vengono utilizzate in un'accezione che intende sintetizzare tale comparazione in forma parenetica. In questo senso, dunque, l'espressione 't'U1tOt 1ÌJJ.IDV (v. 5) presenta un geniti­ vo di vantaggio, e non oggettivo, dal momento che l'esempio viene presenta­ to proprio per non essere seguito. Si dovrebbe tradurre, quindi: «esempio per noi». Una conferma emerge dall'espressione xpòç vou9Eaiav itJJ.éòV (v. 1 1), che ha evidentemente un significato di finalità, a vantaggio del lettore. La Scrit­ tura ha qui lo scopo di costituire un ricordo continuo, di carattere ammoni­ tore, per il suo lettore. Paolo starebbe dunque utilizzando questo vocabolario nella sua accezione generica e non in una tecnica di prefigurazione. 1 4 Si può attenuare questa conclusione ammettendo che Paolo, riferen­ dosi ai padri, intenda sì fornire degli esempi per ammonire i corinzi, ma ba­ sandosi su una connessione profonda tra i padri e i corinzi, che non è esclusi­ vamente strumentale o estrinseca, ma si fonda su un processo interpretativo delle Scritture, su una consapevolezza della loro finalità pedagogico-religio­ sa. 15 Questa connessione può essere definita come tipologia? Bandstra, 1 6 per sostenere questa ipotesi, arriva al punto di concepire una tipologia ipoteti­ ca, che si realizza solo nel caso in cui i corinzi disobbediscano a Dio, nel caso in cui, cioè, si assimilino totalmente al loro tipo, i padri. Tale interpretazio­ ne suscita tuttavia almeno due rilevanti obiezioni. La prima è che, in questo caso, il rapporto tipologico diverrebbe un parallelismo senza differenze tra tipo e antitipo. La seconda è che non si comprende il vantaggio interpretati­ vo di uno schema che funziona solo nel caso in cui accada il contrario di ciò che intende l'autore. 1 4 Così si esprime ad esempio Barrett, nel suo commentario, nel quale egli considera il riferimen­ to ai padri come un esempio ammonitore e non una tipologia; cf. BARREIT, A Commentary ofthe First Epistle to the Corinthians, 282. In modo analogo anche BARBAGLIO, La Prima Lettera ai Corinzi, 471. 1 5 Questa è anche la posizione equilibrata di Fabris, che non parla esplicitamente di tipologia, ma di un compimento della storia biblica, per mezzo di una tensione profetica che permette di rileg­ gere gli eventi della Scrittura per trame un ammonimento attuale; cf. R. FABRIS, Prima Lettera ai Co­ rinzi, Paoline, Milano 1 999, 1 33. Fee cerca un medesimo equilibrio, ma rischia di cadere in espressioni equivoche (riferendosi a un compimento nel «nuovo popolo di Dio»). Infatti egli, da un lato, nega la presenza di una tipologia perché Paolo non vuole che ai corinzi capiti la stessa cosa che capitò ai padri (cf. p. 452), ma, dall'altro, ammette che la Scrittura ha una finalità esortativa intrinseca al testo stesso, orientato al suo compimento escatologico nel «nuovo popolo di Dim>, espressione fortemente connotata come tipologia; cf. FEE, The First Epistle to the Corinthians, 459. 16 BANDSTRA, «) si intende, in prima battuta, non tanto un riferimento alla rivelazione in senso teologico, quanto, in una chiave più narratologica, un aumento nella conoscenza del lettore. 2° Cf. MARTELET, «Sacrements, figures et exhortations en I Cor X, 1 - 1 b, 527-53 1 . 21 Cf. DAVIDSON, Typology in Scripture, 29 1 -297.

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tenzione retorica è di natura diversa. Per «compimento» si intende un rap­ porto che implichi sia continuità che discontinuità e caratterizzi l' «antitipo» in una chiave di superamento del «tipo», principalmente dal punto di vista rivelativo. Per riferirei a un altro esempio scritturistico, possiamo brevemente ac­ cennare al passo di Eb 9,23-24, senza tuttavia poterlo trattare nel dettaglio. Qui viene usato il lessico della tipologia, sebbene in forma ribaltata rispetto alla Prima lettera ai Corinzi, dal momento che il santuario fatto da mani di uomo è defmito à.vti'tu7ta. Il vero santuario celeste, fondato da Cristo con la sua offerta fatta una volta per sempre, sarebbe dunque il «tipo» originario, che si rivela nella pienezza dei tempi come compimento della figura veterote­ stamentaria. Ciò che risulta importante, qui, non è tanto l'utilizzo del lessico tipologico in forma ribaltata, ma il particolare rapporto di continuità/discon­ tinuità che si stabilisce tra la figura cultuale e la rivelazione cristologica in atto nella lettera. Infatti il «punto capitale» sul quale la lettera insiste è la rivelazio­ ne di Cristo come sommo sacerdote (cf. Eb 8, l): la figura veterotestamentaria del sacerdozio di Aronne è in stretto rapporto con la rivelazione cristologica, perché quest'ultima ne costituisce il modello originario e insieme il compimen­ to defmitivo (cf. Eb 8,5-6). Il superamento si caratterizza qui come un invera­ mento escatologico di un modello celeste che sta già all'origine della figura. 22 Dunque, a differenza del rapporto tra Israele e corinzi in l Cor l O, che rimane una synkrisis, perché i due termini sono esterni l'uno all'altro, in Eb 9,23-24 i due termini si trovano in un rapporto di relazione interna e recipro­ ca, che comporta una progressione rivelativa, definibile come «superamen­ to». In quest'ultimo caso non si tratta più, dunque, di una semplice synkri­ sis, ma di una synkrisis che comporta un compimento, ossia di una tipologia. Nel caso della Lettera agli Ebrei, il compimento è plasmato da una partico­ lare concezione platonico-escatologica. In altri casi si potranno scoprire al­ tre forme di compimento, che andranno studiate nel dettaglio, e che appar22 Per A. V�NHOYE, L'Epistola agli Ebrei. « Un sacerdote diverso» (ReBib 1 4), EDB, Bologna 20 1 0 (tit. orig. L'Epftre aux Hébreux. « Un prétre different» [RhSem 7], Gabalda, Pendé 201 0), la sezione 8,1-9,28 tratta la «perfezione» sacerdotale di Cristo come «punto capitale» di tutta la let­ tera (p. 21). Essa mostra che «Cristo è stato reso perfetto (5,9; 7,28) con un'offerta sacrificale, una "liturgia" (8,6) "molto diversa" (8,6) dal culto antico, perché ha reso perfetta la sua natura umana, che è diventata "la tenda più grande e più perfetta" (9, 1 1 ); essa l'ha fatto passare dalla terra "al cielo stesso", "alla presenza di Dio" (9,24) e ha fatto di lui il "mediatore di una nuova alleanza" (9, 1 5), "migliore" della prima (8,6), perché assicura l'entrata nell"'eredità eterna" (9, 1 5). Ciascuno dei suoi aspetti è messo in un rapporto di compimento con le istituzioni dell'Antico Testamento, cioè in un triplice rapporto: di continuità, di rottura e di superamento (o di somiglianza, di differenza e di su­ periorità); di continuità per lo scopo perseguito, di rottura per i mezzi adoperati e di superamento per la realizzazione effettuata)) (V ANHOYE, L'Epistola agli Ebrei, 2 1 7). Vanhoye spiega il rapporto di compimento come somiglianza/differenza e superamento, senza entrare qui nei dettagli riguardanti la specificità teologica del compimento. In un altro passaggio del suo commentario (p. 1 77), egli affer­ ma che tale modello di compimento della Lettera agli Ebrei è segnato da una particolare concezione platonico-escatologica. Per Goppelt un'analoga concezione platonica della tenda come archetipo e del modello mosaico come ombra e figura si trova in Filone di Alessandria (ancorché depurata degli aspetti escatologici). Cf. GoPPELT, «"tU1tDç)), 1499-1 500.

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tengono a impostazioni teologiche diverse da quella della Lettera agli Ebrei. La scommessa interpretativa che qui si intende fare è che, nonostante la di­ versità delle teologie, la tipologia sia sempre identificabile dal punto di vista della forma letteraria. La nostra convinzione è infatti che, almeno nel contesto giudaico-cri­ stiano, sia possibile approfondire una serie di fenomeni letterari che appar­ tengono alla famiglia delle synkriseis e che oltre a questo condividono un cer­ to rapporto di «compimento», inteso come rapporto di continuità e di di­ scontinuitàlsuperamento, in relazione alla finalità retorica del testo. 23 Tale fi­ nalità retorica del testo è relativa sia a un aumento di conoscenza, perché il compimento si può rilevare nella forma di una progressione di carattere pre­ valentemente rivelativo, sia a una trasformazione del lettore, perché mira ad accendere in lui la fede. La parola «compimento», prima che indicare una certa teologia del compimento delle Scritture, viene qui utilizzata in un'accezione formale, os­ sia come una relazione di continuità/discontinuità che comporta superamen­ to, segnalato da una progressione rivelativa dal punto di vista della storia raccontata, dal testo precursore al racconto evangelico. 24 Si tratta di un feno­ meno intertestuale per cui il testo di arrivo, nella sua componente rivelativa, non può essere compreso senza il testo precursore e, dunque, la relazione tra la figura e il suo compimento non è esterna e accidentale, bensì interna e re­ ciproca: quindi il superamento non si dà se non dentro alla relazione con il tipo veterotestamentario. La defmizione iniziale di «tipologia» può quindi essere fornita nei ter­ mini di una definizione «euristica», ossia di una descrizione delle condizio­ ni che devono essere attuate perché essa possa essere dichiarata esistente. 25 23 Con «finalità retorica» del testo si intende, in modo più preciso, ciò che finora abbiamo per semplicità indicato come «intenzione retorica dell'autore». Poiché la figura autoriale è una ricostruzione che proviene dal testo stesso, ci pare preferibile, d'ora in avanti, parlare di finalità re­ torica del testo, intendendo con questa espressione l'effetto che il testo produce nel lettore, come aumento di conoscenza, cambiamento dei paradigmi o trasformazione del comportamento. In analisi narrativa essa si raggiunge decifrando la strategia narrativa che permette al messaggio di raggiungere l'effetto ricercato. Si potrà talora ricorrere all'espressione «intenzione del narratore» per indicare le strategie narrative messe in atto nel racconto; cf. D. MARGUERAT - Y. BOURQUIN, Per leggere i racconti biblici, Boria, Roma 201 1 (200 1 ), 1 2-13 (tit. orig. La Bible se raconte. Initiation à l'analyse narrative, Cerf, Paris 2009 [1 998]). 24 Parliamo qui di «racconto evangelico>> perché ci riferiamo più direttamente al QV. Ma la definizione funzionerebbe in modo equivalente anche per un diverso genere letterario del NT, come le epistole di san Paolo o l'omelia della Lettera agli Ebrei o, ancora, le rivelazioni dell'Apocalisse. Questa definizione euristica di compimento contiene in ogni caso alcuni concetti, come quelli di «pro­ gressione rivelativa» o «storia raccontata», che fanno esplicito riferimento all'analisi narrativa. Con l'espressione «storia raccontata» ci riferiamo quindi non alla storia della salvezza, ma alla storia che emerge dall'intreccio costruito nei racconti e che non va confusa con gli avvenimenti storici. Per una definizione della «storia raccontata» cf. MARGUERAT - BouRQUIN, Per leggere i racconti biblici, 27. 25 Con definizione «euristica» si intende una definizione di un fenomeno data per mezzo di un'anticipazione delle condizioni che dovranno essere soddisfatte perché tale definizione sia verifica­ ta. Allo stesso modo in cui in algebra si definisce x un'incognita definita sulla base di determinate re­ lazioni con altri elementi, finché essa non divenga un numero preciso, così la definizione «euristica» di un fenomeno letterario è caratterizzata da un insieme di relazioni tra elementi letterari, che pongono

Questioni metodologiche sulla tipologia alla luce di 1 Cor 1 0, 1 - 13

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Tali condizioni sono connesse alle operazioni esegetiche da compiere per rintracciarla. Le condizioni sono: - presenza di uno sfondo veterotestamentario, almeno allusivo; - connessione di tale sfondo a qualche elemento del racconto neotestamentario; - rapporto di continuità/discontinuità in tale connessione; - tale rapporto di continuità/discontinuità non deve essere solo un elenco di somiglianze/differenze tra due grandezze esterne l'una all'altra, ma deve implicare una correlazione interna tra due elementi (tipo e antitipo ), tra loro interdipendenti, in cui il secondo contiene un «di più» rispetto al primo; - il «di più» pone in rapporto la storia raccontata nei testi, principal­ mente dal punto di vista rivelativo. Come si può notare, le prime tre condizioni determinano una synkri­ sis tra lo sfondo veterotestamentario e gli elementi del racconto evangelico. Solo la quarta e la quinta condizione, se soddisfatte, permettono di saltare al livello della tipologia. Inoltre la nozione di compimento appena accenna­ ta è anch'essa di carattere euristico e non chiama in causa, in prima battuta, categorie di tipo teologico, come la «storia della salvezza». Ciò che ci aspet­ tiamo è infatti di ricavare un rapporto «intertestuale» con una progressione rivelativa, ossia un aumento di conoscenza da parte del lettore nella connes­ sione interna tra la figura e il suo antitipo. Tale aumento di conoscenza è il contenuto oggettivo di una trasformazione del lettore verso la fede, a cui il racconto fa appello. Solo l'analisi dei racconti, alla luce di tale nozione euristica, permet­ terà di «riempire» tale nozione di contenuti concreti per chiarire quale «su­ peramento» sia in gioco e quale teologia scaturisca effettivamente da tale superamento. Chiariremo più nel dettaglio, nel terzo capitolo, le operazioni esegeti­ che connesse a questa definizione euristica di tipologia. Per ora, basti affer­ mare che se nel caso delle lettere paoline, come la Prima lettera ai Corinzi, la funzione pragmatica degli sfondi veterotestamentari può essere approfondi­ ta con il metodo retorico, nel caso invece di testi prevalentemente narrativi, come il QV, che sarà oggetto del nostro lavoro, sembra particolarmente ap­ propriato l'utilizzo della narratologia. L'analisi narrativa dei racconti e dei fenomeni intertestuali presenti in essi, lo studio delle comparazioni tra riferi­ menti intertestuali all'Antico Testamento ed elementi del racconto in esame, determinate condizioni. Se tali condizioni sono soddi sfatte dall'indagine empirica, allora la presenza del fenomeno letterario può essere verificata. Tale precisazione a riguardo della metodologia euri stica è necessaria, dal momento che la nozione di «tipologia» rischia di diventare equivoca, a causa di una lunga storia degli effetti. Per un approfondimento di natura epistemologica sul carattere euristico di qualsiasi metodo empirico, si veda B. LoNERGAN, lnsight. Uno studio del comprendere umano, Città Nuova, Roma 2007, 80 (tit. orig. Insight. A Study of Human Understanding [Collected Works of Ber­ nard Lonergan 3], University of Toronto Press, Toronto 1 992).

26

CAPITOLO I

con particolare attenzione alla rilevazione di rapporti che implicano compi­ mento, rendono possibile una prima comprensione di fenomeni letterari che possiamo accomunare nella categoria delle tipologie. Solo dall'approfondi­ mento di tutto il macroracconto evangelico sarà possibile fornire una rispo­ sta esaustiva alla questione se vi siano o meno tipologie nel QV e in quale forma esse appaiano. L'obiettivo del presente lavoro è quello di far emerge­ re, attraverso alcuni sondaggi, la pertinenza di questo approccio metodologi­ co per lo studio dei rapporti intertestuali che implicano compimento di alcu­ ne figure, e mostrare alcune forme tipicamente giovannee di tali rapporti. Si tenterà poi, in una sintesi fmale, di abbozzare alcune conclusioni di carattere teologico sulla natura del compimento delle figure nel QV. Prima di descrivere nel dettaglio la metodologia utilizzata, intendiamo fornire una retrospettiva storica dei principali contributi esegetici sulla tipo­ logia, segnalando pregi e limiti di ogni tentativo e preoccupandoci di chiarire a quale di questi filoni interpretativi è debitore il presente studio.

Capitolo II

La tipologia: breve storia della ricerca

l . LA TIPOLOGJA

COME FENOMENO LEITERARIO : LO STUDIO DI

L. GOPPELT

Se l'individuazione di tipi e antitipi nelle Scritture contraddistingue, come abbiamo visto, larga parte dell'esegesi patristica, il termine «tipologia» non appartiene tuttavia ai padri ma è un'invenzione moderna, che appare per la prima volta in un trattato del 1 845. 1 L'esegesi moderna ha perlopiù trascu­ rato questo campo di indagine, percepito come foriero di una lettura pregiu­ diziale e dogmatica, in aperto contrasto con la sensibilità e gli atteggiamen­ ti dell'emergente metodologia storico-critica. Tuttavia molti fenomeni lette­ rari, che si possono racchiudere entro la categoria dell'intertestualità e delle riletture intrabibliche, sono stati per lungo tempo notati, ma non adeguata­ mente approfonditi, in molti approcci storico-critici. Inoltre la necessità di ri­ costruire un'interpretazione unitaria e globale del testo, certamente tenendo conto dei risultati delle analisi storico-critiche, doveva poi riportare l'atten­ zione al canone come contesto ermeneutico, da considerare non come vinco­ lo esterno, ma come risorsa interna per l'interpretazione. Ben prima che na­ scesse la corrente dell'esegesi canonica, il primo studio che ha tentato una de­ scrizione dei procedimenti tipologici, dal punto di vista della scienza lettera­ ria, è quello di Goppelt.2 Così proprio da quell'ambiente tedesco che aveva contribuito a marginalizzare la tipologia risorgeva l'opportunità di uno stu­ dio attento e competente, che costituisce ancora oggi un punto di riferimen­ to irrinunciabile, soprattutto per la vastità dello scavo.3 Dopo un primo ca­ pitolo dedicato alla tipologia nel tardo giudàismo, palestinese ed ellenistico, egli passa ad analizzare gli scritti del Nuovo Testamento, soffermandosi sul­ le figure principali (per i sinottici e gli Atti: profeta, Figlio dell'uomo, secon1 Cf. S. G. HALL, «Typologie)), in Theologische Real-Enzik/oepedie, vol. 34, De Gruyter, Berlin­ New York 1 977-2004, 221 . 2 Cf. L. GOPPELT, Typos. The Typologica/ Interpretation of the 0/d Testament in the New, Ee­ rdmans, Grand Rapids, MI 1982. 3 Così si esprime anche Crimella, in un recente osservatorio bibliografico sulla tipologia che teniamo ben presente in questa breve storia della ricerca; cf. M. CRIMELLA, «Tipologia. Un osservato­ rio bibliograficO)), in RivBib 63(20 1 5), 588.

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CAPITOLO II

do Adamo, giusto sofferente). Nel terzo capitolo approfondisce la relazione tra apocalittica e tipologia in Paolo. Gli va ascritto il merito di aver percorso gli scritti intertestamentari e la tradizione giudaica della Mishnah, scopren­ do che nelle parti escatologiche degli scritti intertestamentari e dell' Hagga­ dah giudaica si trovano interpretazioni tipologiche in modo più evidente e abbondante. In particolare vi si trova l'idea della nuova creazione e del nuo­ vo Adamo,4 o del nuovo diluvio alla fine del mondo. La salvezza è spesso de­ scritta come un nuovo Esodo o come un nuovo Sinai. 5 La figura di Mosè e anche quella di Davide sono alla base delle descrizioni del messia, ad esem­ pio nei salmi di Salomone ( 1 7-1 8). 6 Goppelt analizza Filone di Alessandria e vi trova una concezione tipologica diversa da quella biblica e profondamen­ te influenzata dal platonismo. I tipi storici sono immagini di realtà archeti­ piche che hanno a che fare non più con la storia, ma con un mondo più alto, iperuranico, che rimane fermo in mezzo alla variabilità degli eventi.7 Il pre­ gio di questi capitoli introduttivi è dovuto alla grande quantità di materiale letterario che è stato visionato. Mancano, tuttavia, un adeguato approfondi­ mento dell'Antico Testamento e, per la letteratura intertestamentaria, i testi di Qumran, non ancora scoperti all'epoca della prima pubblicazione. Inoltre Goppelt non approfondisce Flavio Giuseppe8 e lo studio di Filone di Ales­ sandria sembra non tenere sufficientemente conto delle tradizioni giudaiche da cui dipende la sua esegesi allegorica. In queste tradizioni, infatti, si radica­ no, con ogni probabilità, procedimenti di carattere tipologico. Nello studio della narrazione evangelica Goppelt passa in rassegna le azioni e i discorsi di Gesù nel suo ministero e il loro rapporto con gli sfondi veterotestamentari, in particolare profetici, e identifica subito le diverse al­ lusioni come tipologia (profetica, eliana, mosaica, regale, del servo sofferen­ te di Isaia, ecc.). Dedica molto spazio anche al titolo di «Figlio dell'uomo» e alla sua valenza messianica,9 nonché alla figura del secondo Adamo. La rela­ zione tipologica tra Chiesa e popolo di Dio nell'Antico Testamento in Luca­ Atti rimane per Goppelt una questione aperta. 1 0 Egli riesce con notevole acu­ me a notare che nel QV Gesù non è paragonato a un profeta o a una figura personale. Tenta invece di riassumere la tematica soteriologica giovannea at­ traverso la tipologia della nuova creazione, in modo forse semplicistico, ma comunque interessante (cf. Gv 3,3; 20,22). 1 1 Rileva la presenza di una tipolo­ gia riferita a Esodo e Genesi, in cui Gesù è paragonato non a Mosè o a Gia­ cobbe, ma all'acqua vivente (cf. 4, 1 4; 7, 3 8) e identifica nell'acqua del pozzo di 4 Cf. GoPPELT, Typos, 34. 5 Cf. MekhY su Ex 1 3,3 o l En 1 ,4-7; cf. GoPPELT, Typos, 34-35. 6 Cf. ivi, 36. 7 Cf. ivi, 52. 8 Cf. ivi, 41, nota 101 . Motiva la probabilità di non trovare tipologie con l'assenza di temi escatologici in Flavio Giuseppe. Ma cf. D. DAUBE, «Typology in Josephtis», in JJS 31 (1 980), 1 8-36. 9 Cf. GoPPELT, Typos, 90-97. 10 Cf. ivi, 1 1 9. 11 Cf. ivi, 1 8 1 - 1 83.

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Giacobbe, in modo un po' generico, l'antica religione d'Israele.12 Per Goppelt il Gesù giovanneo compie le istituzioni dell'antica alleanza, come l'agnello pasquale e il Tempio,B e introduce un comandamento nuovo (cf. 1 3,34) che è espressione della relazione possibile solo nella nuova creazione, completa­ mente conformata al modello della relazione tra Figlio e Padre (cf. 1 5, l 0). 14 Non è semplice offrire una valutazione critica complessiva del lavoro di Goppelt, che si staglia come un approfondimento magistrale sia per l'estensio­ ne del lavoro sia per l'acutezza e la pertinenza delle intuizioni. Alcuni dei punti deboli sono di carattere metodologico. Anzitutto non è sempre adeguatamen­ te chiarita la differenza tra il titolo attribuito e il rapporto di compimento. Ad esempio, si veda la trattazione del titolo di «Figlio dell'uomo», che per l'autore trova un compimento negli annunci della passione, ma di fatto la figura si me­ scola con quella del servo sofferente e non viene chiarito in che senso il Figlio dell'uomo degli annunci della passione sia un compimento della misteriosa fi­ gura danielica_ IS Ancora ad esempio, l'autore non chiarisce se il rapporto con Mosè nel QV possa essere considerato tipologico, ma si limita a elencare ana­ logie e differenze. 16 Un simile problema si incontra nella trattazione paolina della Chiesa corinzia e della figura esodica dei padri (cf. l Cor 10, 1 - 1 3), in cui Goppelt non dimostra se, secondo l'intenzione di Paolo, vi sia un rapporto di compimento o solo una comparazione.17 A ciò si aggiungono alcune afferma­ zioni di tenore sostitutivo sul popolo della nuova alleanza, come compimento del popolo dell'antica alleanza, tipologia che si troverebbe espressa nelle parole dell'ultima cena ma che risulta non dimostrata a partire dai testi. 18 Nello sfor­ zo di sintesi complessiva, l'autore trascura un'analisi puntuale dell'intenzione del narratore nel riferire un certo sfondo veterotestamentario e, quindi, spes­ so non chiarisce adeguatamente se gli sfondi siano intenzionalmente allusi per costruire una tipologia e quindi abbiano un qualche rapporto di compimento. Il merito di Goppelt è comunque enorme, perché egli ha sdoganato, in un tempo di approcci esclusivamente storico-critici, lo studio «scientifico» della tipologia e ha fatto emergere l'enorme varietà di procedimenti tipologi­ ci nel Nuovo Testamento.

2. l GRANDI PUNTI DI RIFERIMENTO: N. FRYE, G. VON RAD, M. FISHBANE, P. BEAUCHAMP Non approfondiamo esaustivamente in questa sede i lavori di studiosi che provengono dalle file della critica letteraria «laica», come Frye e Auer1 2 Cf. 13 Cf. 14 Cf. 15 Cf. 1 6 Cf. 1 7 Cf. 18 Cf.

ivi, 187. ivi, 1 88- 1 94. ivi, 193. ivi, 90-97. ivi, 188. ivi, 141-142. ivi, 1 14.

CAPITOLO II

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bach. Quest'ultimo ha ravvisato procedimenti tipologici nella letteratura oc­ cidentale, in particolare nella Commedia di Dante, in dipendenza dal portato culturale biblico . 1 9 Frye invece, nella sua celebre opera The Great Code, 20 ela­ bora un sistema piuttosto articolato per elencare e ordinare le diverse tipo­ logie bibliche, suddividendole sulla base delle tre categorie dello spazio, del tempo e del racconto . Nello spazio, le organizza a seconda di diversi com­ plessi immaginifici: paradisiaco, umano, pastorale, agricolo e urbano; nel tempo, a seconda di fasi storico-salvifiche (creazione, rivoluzione, legge, pro­ fezia, sapienza, vangelo, apocalisse); per quanto poi concerne il racconto, egli individua una struttura a U, caratterizzata da una discesa e una risalita, dove il punto più basso è segnato dalla dimensione demoniaca e quello più alto dalla dimensione apocalittica. Questa struttura si riproduce ciclicamen­ te, in una forma sinusoidale grazie alla quale emerge la profonda continuità del racconto biblico . Il tentativo di Frye è interessante sia per lo studio della trama biblica che, come vedremo, troverà qualche notevole corrispondenza anche nel nostro studio sul QV, sia per l'elaborazione di un paradigma com­ pleto di interpretazione. Tuttavia il suo sforzo sistematico crea una griglia piuttosto artificiale che, lungi dal costituire un'adeguata interpretazione del testo, sembra costringerlo entro un'elaborazione preconcetta. Ci sono inoltre grandi esegeti che si sono dedicati a questo filone dell'in­ terpretazione biblica, soprattutto partendo dall'Antico Testamento .21 Non si può non citare qui von Rad,22 che sintetizza la tipologia biblica veterotesta­ mentaria come un rapporto tra inizio e fine. Egli attacca Bultmann, che con­ sidera la tipologia un fenomeno dipendente da modelli culturali dell'Oriente antico, nel senso di una ripetizione ciclica. 23 Infatti, secondo von Rad, la re­ lazione di corrispondenza tra tipo e antitipo comporta un aspetto temporale e storico-salvifico e non può considerarsi come pura ripetizione ciclica. Egli pertanto distingue tipologia e allegoria, dichiarando che, se l'allegoria è at­ tenta alla letteralità del testo ma molto libera nell'interpretazione spirituale, la tipologia si mostra più libera nella resa letterale ma attenta al significato storico . L'allegoria sarebbe dunque una forma razionalistica di esegesi, non

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Cf. E. AU ER BACH , Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1 963. Cf. N. FRYE, Il grande codice. Bibbia e letteratura, Einaudi, Torino 1 986 (tit. orig. The Great Code. The Bible and Literature, Harcourt Brace Jovanovich, New York 1981 ). 2 1 Sull'importanza dello studio dell'AT per comprendere il fenomeno tipo logico, cf. anche D L. BAKER, «Typology and the Christian Use of the Old Testament», in SJTh 29( 1 976), 1 37- 1 57; Io., Two Testaments One Bible. A Study of the Theo/ogica/ Re/ationship between the 0/d and New Testaments, Apollos, Leicester 1 99 1 ; F. FouLKES, The A cts of God. A Study of the Basis of Typo/ogy in the Old Testament, Tyndale Press, London 1 958; H.D. HUMMEL, «The Old Testament Basis of Typological Interpretation», in BR 9(1 964), 38-50; W. EICHRODT, «ls Typological Exegesis an Ap­ propriate Method?», in C. WESTERMANN (a cura di), Essays on 0/d Testament Interpretation, SCM Press, London 1 9 63, 224-245. 22 Cf. G. voN RAD, «Typological Interpretation of the Old Testament», in Interpretation 2°

.

1 5(1961), 1 74- 1 92. 23 Cf. R. BuLTMANN, «Ursprung und Sinn der Typologie als hermeneutische Methode)>, in ThLZ 75(1 950), 205-2 1 2.

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tipologia: breve st()f'ia della ricerca

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dissimile, da questo punto di vista, da una certa teologia biblica costruita su un paradigma di razionalità storicistica, in cui l'Antico Testamento è studia­ to senza che venga messo a tema il suo rapporto intrinseco con il Nuovo Te­ stamento e viceversa. Von Rad fa della profezia l'asse centrale della teologia veterotestamentaria: essa pone infatti in rapporto la storia religiosa e cultu­ rale d'Israele con il suo futuro escatologico e, in obbedienza alla Parola di Dio, interpreta la storia in termini di giudizio e di redenzione, ponendo al va­ glio della sua critica le forme storiche della religiosità d'Israele, alla luce del compimento redentivo fmale. Essa costruisce non solamente la storia della fede di un popolo, ma ancor più la storia della Parola di Dio e delle sue pro­ messe, in senso deuteronomistico. Ciò è reso possibile da un continuo lavoro di reinterpretazione, in cui ogni evento storico è visto come il prototipo a cui corrisponde un nuovo e più completo atto redentivo di Dio. La tipologia si radica, dunque, in questa concezione profetica della Scrittura. Il merito maggiore di von Rad è di aver messo a fuoco la relazione della tipologia con la storia e di aver trovato nella classe degli scritti profetici, con la sua reinterpretazione attualizzante degli eventi fondatori, l'origine della ti­ pologia. 24 Il limite del suo contributo è di non aver adeguatamente sviluppa­ to dei procedimenti esegetici e metodologici per individuare e approfondire le tipologie. Si deve invece a Fishbane uno studio della tipologia dal punto di vista «letterario», come un aspetto particolare dell'esegesi intrabiblica, capace di fornire preziose indicazioni metodologiche.25 Egli definisce la tipologia come un fenomeno storico-letterario che isola correlazioni percepite tra eventi, persone o luoghi di tempi precedenti e i loro posteriori corrispondenti. 26 Egli ha il merito di perfezionare la definizione di Lampe27 - che descrive la tipo­ logia in termini di corrispondenze storiche tra passato e presente - sostenen­ do che la tipologia non è solo un rapporto tra realtà storiche, ma anche un fenomeno letterario di rilettura. Egli si interroga sull'opportunità di definire queste correlazioni storico-letterarie come tipologia e conclude che questa terminologia consente di mostrare la continuità esistente tra interpretazioni postbibliche e fenomeni di rilettura interni alla Bibbia. 28 Fishbane rileva al­ cuni fenomeni terminologici e retorici quali fondamento della tipologia,

24 Sulla centralità della profezia per le riletture tipologiche, cf. anche H.K. LARONDELLE, The lsrael of God Principles of Prophetic Interpretation, Andrews University Press, Berrien Springs, MI 1983; G.W. GROGON, «The Relationship between Prophecy and Typology», in SBET 4(1986), 5-16. 25 Cf. M. FISHBANE, Biblica! Interpretation in Ancient Israel, Clarendon Press, Oxford 1 985, 357-358 . Alle importanti considerazioni metodologiche di Fishbane aggiungiamo qui che l'analogia e le correlazioni stabilite tra eventi o realtà storiche sono sia un procedimento midrashico sia una forma caratteristica del genere sapienziale e in particolare del miiSal biblico. In che misura la tipologia veterotestamentaria abbia una parentela con il miiSiil può essere, dunque, un ottimo argomento da approfondire. 26 Cf. ivi, 35 1 . 27 Cf. G.W.H. LAMPE, «Typological Exegesis», in Theo/ogy 56(1953), 201 -208. 28 Cf. FISHBANE, Biblica/ Interpretation in Ancient lsrael, 351 .

CAPITOLO II

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come i parallelismi o le giustapposizioni. 29 Si può spesso reperire una termi­ nologia retorica fissa con cui si stabilisce un paragone tra un evento passato e uno che dovrà accadere (cf. Gs 3, 7 o Is 1 1 , 1 6 o Ger 3 1 ,28) o è già accaduto (cf. Gs 4, 14) attraverso l'utilizzo della congiunzione 1W�il o della variante � (cf. Os 2, 1 7). Nel Deutero- e nel Trito-Isaia si trovano piuttosto sostantivi indicanti le «cose antiche» (l"li�TziNl. e ni��·i'Jli2) in rapporto alle «cose nuove» (i1�1D,; cf. Is 43, 1 8- 1 9 o Is 65, 1 6- 1 7), mentre in Geremia troviamo la termino­ logia «non come . . . ma come» (N? . . . o� '�; cf. Ger 3 1 ,29-30). Nel Proto-lsa­ ia troviamo la connessione della radice verbale �Q; che indica continuità dell'azione, con l'avverbio «di nuovo» (l"l'�tg; cf. Is 1 1 , 1 1). Tuttavia, in molti casi non ci sono termini tecnici che segnalano la tipologia e, di conseguenza, bisogna ricorrere alle giustapposizioni paratattiche o allo studio degli scenari ricorrenti (cf. Is 5 1 ,9- 1 1 , che riprende lo scenario di Es 14- 1 5 rileggendolo sul­ lo sfondo mitologico della battaglia primordiale della creazione). In questo modo Fishbane elabora anche dei criteri operativi per rile­ vare una tipologia e arriva a distinguere tra correlazioni storico-cosmologi­ che, storiche, spaziali e biografiche. Egli critica l'opinione per la quale la ti­ pologia si radicherebbe in una concezione esclusivamente lineare e non cicli­ ca della storia. Partendo dalla tipologia cosmologica, dimostra invece il ca­ rattere di ricapitolazione ciclico proprio della tipologia, che oltrepassa la sto­ ria, perché eventi temporali sono correlati a eventi pretemporali (mitologici). Nelle tipologie storiche il modello fornisce i termini o la configurazione per il modo con cui un evento posteriore è presentato (cf. Gs 3-5; Os 2, 17; Mi 7,14- 1 5; Ger 1 6, 14-1 5; in questi esempi il tipo è sempre costituito dall'evento esodico ). Fishbane definisce la relazione tipologica come una relazione ana­ logica di similitudine strutturale e di proporzione, in cui l'analogia utilizza al­ cuni topoi redentivi (come la battaglia tra le forze divine contro quelle anta­ goniste), e si declina in dinamiche strutturali simili (come la restaurazione da uno stato di servitù fisica e spirituale o il ritorno nella terra dopo un tempo di lontananza). Queste correlazioni avvengono in un contesto di rilettura pro­ prio della «tradizione ermeneutica», in cui la traditio conferisce significato al traditum (ossia alla realtà prototipica), aggiungendovi una nuova determina­ zione (cf. Ez 20,32-44 o Is 1 9, 1 9-25). Le tipologie di natura spaziale compor­ tano un rapporto tra due luoghi, in cui il secondo è riletto attraverso le len­ ti del primo. Fishbane cita alcuni esempi, come 2Cr 3, 1 che rilegge Gen 22, o come diversi passi biblici (Sal 46,5; Ez 36,35; 37,4-9; Gl 2,3; Zc 1 4,8- 1 1) che rileggono la pagina genesiaca dell'Eden. Un'attenta trattazione viene dedica­ ta al modello del tempio in Ezechiele, che è arricchito della mitografia edeni­ ca (cf. Ez 47, 1 - 1 2). Infine, la tipologia del Sinai è spesso applicata a Sion, ad esempio in Sal 68, 1 6- 1 8 . Inoltre ci possono essere tipologie di natura biografica: ad esempio Noè in Gen 9, 1 -9 è descritto come il nuovo Adamo di Gen 1 ,26-3 1 . Si nota poi la 29 Cf. ivi, 352.

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ripetizione degli scenari patriarcali e delle loro strutture narrative (l'incontro della futura sposa al pozzo, la moglie preferita e sterile, la nascita miracolo­ sa, ecc.). Altre tipologie biografiche sono, infine, di natura profetica (cf. Ger 1 ,9 e Dt 1 8, 1 8 o ancora Is 59,2 1 ; si veda anche il rapporto Israele/Abramo in Is 5 1 ,2 o il rapporto Giacobbe/Israele in Os 12 o in Ger 9,3-5). Lo studio di Fishbane è importante per l'individuazione di una griglia di segnali, semanti­ ci o narrativi, che attivano il riferimento intertestuale e la comparazione. Suo merito è fornire una metodologia e una classificazione in grado di segnalare e approfondire le comparazioni, nel quadro degli studi di intertestualità in­ trabiblica. Egli inserisce poi correttamente questo lavoro nella cornisce teo­ logico-ermeneutica della relazione dinamica tra traditio e traditum. Il limite di questo studio è che manca di un'indagine più approfondita sulla traditio e sulla natura della reinterpretazione del materiale originario. Si può parlare di un superamento «rivelativo» della figura nel nuovo contesto scritturistico, o si tratta solo di una comparazione in cui la traditio aggiunge al traditum una determinazione esterna al traditum stesso? In altri termini, Fishbane non ap­ profondisce adeguamente se i testi sono «orientati» verso le possibilità di sen­ so che le riletture successive operano su di essi, ossia se vi è un fenomeno di «compimento» che pone i testi in un rapporto reciproco. A questo limite risponde l'opera di P. Beauchamp,30 che utilizza la cate­ goria di n-scrittura per descrivere e approfondire il fenomeno di compimen­ to. A differenza di Fishbane, infatti, Beauchamp introduce la categoria del compimento delle Scritture, alla cui luce approfondisce le tipologie, utiliz­ zando uno strumentario narrativo e strutturale e secondo un'intenzionalità interpretativa globale che mira a chiarire lo statuto epistemologico e teologi­ co di una lettura eristica dell'Antico Testamento. Non possiamo qui seguire nel dettaglio tutte le articolate evoluzioni del suo pensiero, ma ci limitiamo a descrivere alcuni aspetti che possono maggiormente interessare. Il compi­ mento è interpretato, a partire dal modello deuteronomico, come una ripie­ gatura del testo su se stesso (deuterosi), in vista del passaggio che consegna il testo al suo lettore. Il Deuteronomio è, infatti, una seconda Legge, data in 30 Di questo autore si vedano le due opere principali, che sono parte di un unico, 9rganico disegno: P. BEAUCHAMP, L'uno e l'altro Testamento. Saggio di lettura, Paideia, Brescia 1985 (tit. orig. L'un et l'autre Testament. Essai de Lecture, Seui!, Paris 1976); L'uno e l'altro Testamen�o, 2: Compiere le Scritture, Glossa, Milano 2001 (ti t. orig. L'un et l'autre Testament, 2: Accomplir /es Ecritures, Seuil, Paris 1990). Si vedano anche i seguenti articoli di Beauchamp, che riteniamo importanti per una più completa comprensione del suo pensiero, sopra riportato nelle sue linee essenziali: «Abraham et Sarai. La soeur épouse, ou l'énigme du couple fondateur», in C. CouLOT.(a cura di), Exégèse et hermé­ neutique. Comment lire la Bible, Cerf, Paris 1994, 1 1-50; «Accomplir les Ecritures. Un chemin de théo­ logie biblique», in RB 99(1 992), 1 32- 1 62; «La figure dans l'un et l'autre Testament», in RSR 59( 1 97 1 ), 209-224; «Lecture christique de l'Ancien Testament», in Bib. 81 (2000), 105-1 1 5; «Le Pentateuque et la lecture typologique», in P. HAunEBERT (a cura di), Le Pentateuque. Débats et recherches (LD 1 5 1), Cerf, Paris 1992, 24 1-258; «L'interprétation figurative et ses présupposés», in RSR 63(1 975), 299-3 1 2. Se si cerca un'esposizione approfondita dell'intera proposta di Beauchamp, si veda G. BENZI, «Per una riproposizione dell'esegesi figurale secondo la prospettiva di P. Beauchamp», in RivBib 42(1 994), 129-178. Per una sintesi più breve del suo pensiero si veda R. VIGNOLO, «Parole e Parola nel solco di Beauchamp», in Il Regno 61 (20 16), 1 1 5- 1 22.

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virtù dell'esperienza storica di una prova in cui si è mostrata la misericordia di Dio. Così questo libro è attraversato dall'imperativo di osservare la Legge, data come dono e sperimentabile come una parola vicina a colui che la osser­ va. Il racconto è in seconda persona, perché i precetti sono motivati dal ricor­ do personale (cf. «ricordati» in Dt 5, 1 5) e si sperimenta una gerarchizzazio­ ne e concentrazione della Legge nell'avvicinarsi al soggetto. In questo modo essa può essere scritta sulle porte di casa e sulle bende che si legano al brac­ cio e alla fronte (6,9; 1 1 , 1 8-2 1). Per giungere a questa vetta è stato necessario un lavoro durato secoli, ad opera del carisma profetico, che ha colto l'energia teleologica presente nei testi, attualizzando nell'oggi l'evento fondatore e in tal modo riscrivendolo. Se, infatti, la Legge mette in ombra la sua data rifa­ cendosi a un periodo archetipico, la profezia mostra la sua data, il suo oggi, e i diversi aspetti del comportamento profetico convergono verso l'individua­ lità. Il profeta mette in scena gesti corporei enigmatici, che coinvolgono l'in­ timo dell'uomo, e data la sua profezia con le fasi della crescita di un bambi­ no (cf. Is 7, 14- 1 6; 8,4). Il profeta, infatti, parla nel giorno in cui genera e la sua parola matura come il frutto delle sue reni. La sapienza, infine, è l'ultima delle n-scritture, in cui l'oggi della salvezza viene universalizzato nell'opera atemporale del logos divino. La deuterosi (termine coniato da Beauchamp) è dunque un principio di riscrittura che opera nelle tre grandi classi di scritti (Legge, profeti, scritti) come segue: nella Legge essa comporta l'imperativo di osservare la Legge, così che la Legge ritorna su se stessa, concentrandosi; nei profeti la deuterosi si presenta come una Parola di Dio che annuncia Dio che parla; nei sapienziali essa è un invito a osservare la sapienza come principio della sapienza (cf. Pr 4, 7). Il libro si ripiega dunque su di sé, per concentra­ re tutto il messaggio in un unico contenuto capace di risuonare come annun­ cio e invito per la vita del lettore. Questa consegna del libro al lettore avvie­ ne attraverso la fusione delle tre scritture (Legge, profezia e sapienza) nei li­ bri apocalittici. Qui, infatti, l'istanza fondativa della Legge, l'oggi dei profeti e il sempre dei sapienti si fondono insieme, per ricapitolare tutta la Scrittura nell'atto in cui essa viene consegnata al lettore, descritto come quella defini­ tiva ripiegatura in cui la fine e l'inizio coincidono. Come si può notare, qui è all'opera un progetto di intelligenza teologica (o, ancora meglio, teleologica) del canone veterotestamentario delle Scritture, che passa attraverso una va­ lorizzazione delle tre grandi classi di scritti, intese come classi di generi lette­ rari. Questa comprensione raggiunge l'unità delle Scritture alla luce della sa­ pienza, grazie alla quale l'unità di Dio si manifesta nella pluralità delle figu­ re storiche, siano esse tempi, istituzioni o persone. Al punto di tensione tra universale divino e particolare storico si pone infatti la sapienza, quale ver­ tice e ricapitolazione di tutte le figure, meta di un loro sviluppo teleologica­ mente orientato. Dunque, per Beauchamp, la figura biblica si trova in una tensione tra universale e particolare, ma anche tra passato e futuro. In questa tensione lo scritto è importante non solo per le fonti di cui è costituito, in un movimen-

La

tipologia: breve storia della ricerca

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to di indagine archeologica, ma anche per ciò che esso genera, la sua «sto­ ria degli effetti». Se si pensa a tale «storia degli effetti» non solo all'ester­ no del libro, ma prima di tutto al suo interno, ecco che si giunge al fonda­ mento «epistemologico» di una lettura figurale delle Scritture. E quello che Beauchamp, con una terminologia più evocativa, chiama la «fine del raccon­ to» e l'«attrazione del telos» nel secondo volume dell'opera L'uno e l'altro Testamento.31

In questo secondo volume, Beauchamp entra maggiormente nel detta­ glio della figura biblica, declinandone cinque caratteristiche: autonomia, dal momento che è contrassegnata attraverso chiari riferimenti temporali o to­ pografici o denominativi; circolarità, perché si ripete, e ad ogni ripetizione se­ gna un «di più». Differenza e ripetizione, inoltre, segnano l'evoluzione della figura fino alla sua eclissi nella croce di Cristo. L'eclissi non significa la per­ dita di significato del tipo, ma piuttosto la sua condensazione dentro all' ec­ cesso del compimento cristologico, del tutto indeducibile. Tale eccesso è se­ gnato dalla concentrazione dei temi in Cristo e dall'arresto della ripetizione (efapax). Infine, criteri per identificare la tipologia sono: centralità nell' Anti­ co e nel Nuovo Testamento; ripetitività; corporeità, perché assume uno spa­ zio-tempo determinato nel racconto; deficienza, nel senso di mancanza in re­ lazione al compimento cristologico; funzione di appello alla libertà nel crede­ re o nel rifiutare. Il disegno globale dell'opera di Beauchamp è destinato a influenzare per lungo tempo chiunque si voglia dedicare a studi in ambito tipologico. Con lampi di notevoli intuizioni e sintesi dense egli conduce il lettore a ri-fi­ gurare la propria intelligenza delle Scritture. Dal punto di vista metodologi­ co sarà tuttavia necessario un umile lavoro per tradurre operativamente an­ che solo alcune delle sue intuizioni e renderle disponibili al lavoro quotidia­ no dell'esegeta. Inoltre devono essere fatte scelte di campo sui metodi utiliz­ zati, che rendono possibile una verifica dei risultati della ricerca Y Un ulte­ riore limite dello scavo di Beauchamp è che esso è organicamente sviluppato per l'Antico Testamento, mentre non tiene conto esplicitamente del Nuovo Testamento. Purtroppo la morte dell'esegeta è sopraggiunta proprio mentre stava lavorando al terzo volume della sua opera, che sarebbe stato dedicato al Nuovo Testamento. Riassumendo brevemente il percorso svolto finora, possiamo afferma­ re che tre grandi contributi costituiscono l'importante eredità degli interpre-

31

Cf. BEAUCHAMP, L'uno e l'altro Testamento, vol. 2, 201 . Si veda ad esempio il lavoro di Benzi, che utilizza il metodo retorico sviluppato da R. Meynet per approfondire una rielaborazione della figura del figlio secondo i criteri di Beauchamp: G. BENZI, Ci è stato dato un figlio: i/ libro dell'Emmanuele (!s. 6, 1-9,6). Struttura retorica e interpre­ tazione teologica, EDB, Bologna 2007. Cf. anche lo., «L'esegesi figurale in Paul Beauchamp», in Teologia 42(2002), 35-5 1 ; lo., 1toKci'tro 'tijç auKijç, ma't&U&tc: �içro 'tOthrov ®ln._Kaì À.éy&t aÒ'tQ)' àJ,I.TJV à�-ti!V Uyro Òj.liV, ow&ae& 'tÒV oòpavòv àv&cpy&ta Kaì 'tOÙç àyyé1.ouç 'tOfi e&ofi àvaJkliVOV'taç KaÌ Ka'taJkltVOV'taç e1tÌ 'tÒV t>iòV 'tOU àvepcOOtOU 2, 1 1 : eq>avéoroa&v 'tTJV OOI;av aò'tofi Kaì tma't&uaav &iç amòv oi j.laell'taì aò'tofi

Il segno di Cana è poi l'inizio di una serie di segni rivolti alla fede dei suoi interlocutori, che continuano fino al c. 12. Il racconto del miracolo di Cana sembra dunque godere di connessioni importanti sia con la narrazione precedente che con quella seguente. Si cer­ cherà di approfondire tali connessioni per stabilire più correttamente i confi­ ni del racconto e quale ruolo esso giochi nel contesto narrativo. Se al v. I l il narratore chiarisce la portata del segno compiuto da Gesù, al v. 1 2 si ha uno spostamento geografico a Cafamao. Vi si trovano insieme la madre di Gesù, i fratelli e i suoi discepoli. L'arrivo di Gesù a Cana di Ga­ lilea e il suo spostamento a Cafamao sono anticipati dal narratore in 1 ,43, per sottolineare come facciano parte di un unico disegno di Gesù di recarsi dalla Giudea, dove avvengono la testimonianza del Battista e l'incontro con i primi discepoli, in Galilea. In 2, 1 3 una nuova notazione spazio-temporale, riguardante l'avvicinarsi della festa di Pasqua, introduce un ulteriore sposta­ mento di Gesù in Giudea, ribadito in 3,22, che occupa gli episodi del segno

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nel Tempio (2, 1 3-22), il colloquio con il fariseo Nicodemo (3, 1 -2 1 ) e una nuo­ va testimonianza di Giovanni il Battista su Gesù (3,22-36). La menzione del villaggio di Cana di Galilea (2, 1) si ritrova solo un'altra volta nel QV, e pre­ cisamente quando Gesù ritorna dalla Giudea in Galilea (4,3), lì dove aveva cambiato l'acqua in vino (4,46), dopo essere passato per la Samaria (4,4.43). L'episodio della guarigione del funzionario regio (4,46-53) 1 può essere acco­ stato all'episodio della trasformazione dell'acqua in vino (2, 1 - 1 1), anche per la comune ambientazione geografica. Il racconto di Cana è dunque ben delimitato a livello geografico dalle due notazioni spaziali (2, 1 . 1 2) che ne costituiscono la cornice galilaica e si in­ serisce all'interno di un primo spostamento di Gesù dalla Giudea alla Gali­ lea (cf. 1 ,43 e 2, 12) a cui faranno seguito un ritorno in Giudea (2, 1 3) e un se­ condo spostamento dalla Giudea alla Galilea (4,3), con un secondo ritorno a Cana (4,46). Dal punto di vista temporale, la menzione del «terzo giorno» (v. l ) ri­ veste un'importanza strategica, perché ricollega il racconto di Cana al pro­ logo narrativo, con le sue tre notazioni temporali «il giorno dopo» (vv. 1 ,29.35.43). Infatti, benché non sia facile mostrare il significato soggiacen­ te a tale successione temporale, 2 è comunque importante riconoscere che la notazione del «terzo giorno» favorisce una continuità tra la narrazione degli incontri dei primi discepoli con Gesù e il primo dei segni a Cana di Galilea. Tuttavia tale notazione potrebbe anche ricollegarsi a ciò che segue e in par­ ticolare al successivo segno di Gesù nel Tempio e al suo richiamo del terzo giorno: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (v. 1 9). In questo caso, si tratterebbe di un riferimento al mistero pasquale di Gesù e al compimento della sua ora. 3 Approfondiremo più avanti lo sfondo simbo­ lico-biblico che può soggiacervi. Da queste poche considerazioni di natura spaziale e temporale emer­ ge un possibile ruolo di cerniera di questo episodio nella trama narrativa del

1 Cf. F.J. MoLONEY, «From Cana to Cana (John 2, 1 -4,54) and the Fourth Evangelist Concept of Correct (and Incorrect) Faith», in Sal. 40( 1 978), 8 1 7-843. 2 Cf. V. PARKIN, «"On the Third Day Was a Marriage in Cana of Galilee" (John 2, 1 )», in IrBS 3(1981 ), 1 34- 144. Se si contano le tre notazioni temporali in l ,29 .35 .43 e la nota sul terzo giorno in 2, l si arriva al sesto giorno, perché si sovrappone l'ultimo giorno del prologo narrativo con il primo nel conto dei tre giorni successivi. Alcune congetture tentano di riportare a sette il conto, o ricorrendo a una variante testuale (7tprot al v. 4 1 , attestato solo dal Sinaitico siriaco e da alcuni codici latini piut­ tosto tardivi, secondo cui Andrea impiega un altro giorno, perché trova Pietro al mattino presto), o tenendo conto del giorno di sabato, in cui si deve riposare e non si può camminare. Tuttavia, secondo Parkin, che sostiene un riferimento alla creazione in questa cronologia, anche se fossero sei i giorni del prologo, l'analogia con la Genesi reggerebbe. Infatti Cana accade il sesto giorno, creazione dell'uomo, e rimanda al settimo giorno, il compimento in 1 9,30 in cui Dio si riposa, perché tutto è compiuto. Questa considerazione risulta piuttosto fantasiosa e qui si ritiene meglio provata l'analogia con la settimana sinaitica che con quella della creazione. Questi aspetti verranno approfonditi nel paragrafo dedicato allo sfondo veterotestamentario. 3 Cf. C.H. Dooo, L'interpretazione del Quarto Vangelo, Paideia, Brescia 1 974, 370 (tit. orig. The Interpretation of the Fourth Gospel, Cambridge University Press, London, 1 953).

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QV,4 che vale la pena di approfondire ulteriormente. Iniziando con l'elenco delle connessioni tra l'episodio delle nozze di Cana e la narrazione seguente, si deve anzitutto notare che la menzione del a.vep6ro è in certo modo connesso alla visione dei discepoli e, dunque, alla loro fede in Gesù (cf. 2 1 , 1 . 14).22 Questo è inoltre il «primo» dei segni (à.pxftv téòv 01lJJ.Eirov, v. 1 1), non solo perché primo di una serie, ma perché in certo modo origi­ nario come il A.6yoç, che sta al principio ('Ev à.pxfl nv 6 A.Oyoç, 1 , 1). 23 Queste considerazioni gettano una luce importante sull'intero racconto delle nozze di Cana e mostrano ciò che secondo il narratore è in gioco negli eventi e nei dialoghi che intessono l'episodio. Ci soffermiamo ora in particolare sugli eventi e sul punto di vista spa­ ziale e temporale che emerge in essi, anche riprendendo in considerazione la trama di risoluzione. 2 1 Anche per de la Potterie il segno di Cana ha prevalentemente un significato cristologico; cf. DE LA PoiTERI E, Maria nel mistero dell'alleanza, 1 77. 22 Il segno non è solo esternamente «dimostrativo» della gloria di Gesù, ma ne «esprime» esso stesso il mistero. Esso è caratterizzato da una più vasta operazione di reinterpretazione sim­ bolica, a servizio della fede; cf. LéoN-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 1 96. Di fede dei discepoli in cammino con Gesù parla anche WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 1 1 2. Da un punto di vista metodo logico, qui, collegando Gv 2, 1 1 a Gv 2 1 , 1 . 1 4 tramite un contatto semantico, si compie un'operazione che sembra eludere uno degli assunti dell'analisi narrativa, ossia che l'interpretazione del racconto debba tener conto di volta in volta di ciò che precede e non di ciò che segue nel racconto. Riteniamo, tuttavia, che la particolare forma narrativa giovannea, caratterizzata da un'accentuata organicità e dalla possibilità di una doppia lettura, che in ogni passo tiene in considerazione tutto il macroracconto, giustifichi l'utilizzo di queste operazioni metodo logiche legate a connessioni seman­ tiche. Intendiamo così tenere insieme i due livelli: quello linguistico, per il quale è importante con­ siderare quanto segue per avere una panoramica completa dei lemmi e del loro significato, e quello narrativo, per il quale è necessario mantenere alcune domande aperte, aspettando che il racconto stesso le chiuda nel suo svolgimento. In questa scelta metodo logica siamo confortati anche da opere fondamentali per quanto riguarda l'analisi narrativa del QV, come quella di Culpepper, dove si fa ampio uso di queste correlazioni che attraversano tutto il macroracconto. Si veda, ad esempio, il modo in cui Culpepper descrive il personaggio dei discepoli, in relazione alla fede in Gesù: R.A. CuL­ PEPPER, Anatomy of the Fourth Gospel, Fortress Press, Philadelphia 1 983, 1 1 5. La ricerca si è inoltre molto concentrata sui processi di «rilettura» all'interno del QV, che ne mostrano le profonde inter­ connessioni. In particolare lo studio di Marcheselli si è concentrato sul c. 21 come «rilettura>> della tradizione giovannea e ha mostrato l'importanza del lessico della «manifestazione» (cf. cpavsp6m) nello stabilire relazioni sia con il c. 20 sia con altre sezioni del QV, come il discorso di addio (cf. 14,21-22 e 1 7,6.26) e l'avvio narrativo del QV in Galilea ( 1 , 1 9-2, 1 2); cf. MARCHESELLI, «A vete qualcosa da mangiare?», 257-260. 23 Questo segno è il prototipo di tutti i segni seguenti e si pone a fondamento di essi; cf. LéoN­ DuFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 1 97. La dimostrazione narratologica di questa asser­ zione richiederebbe lo studio di tutto il macroracconto. Infatti, come abbiamo già accennato, l'assun­ to metodo logico dell'analisi narrativa chiede di tener conto di ciò che precede e non di ciò che segue nella narrazione. A noi basta qui annotare questa ipotesi, dal momento che essa non rientra nelle argomentazioni più pertinenti al nostro fine.

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Una presentazione simile, connotata spazialmente, è dedicata alla ma­ dre, che stava «là» (ÌlY Tt J.lll'tllP 'tOU l1100U ÉKEl, V. 1 b), ossia alla festa di ma­ trimonio, e alle sei giare di pietra, che analogamente erano là ad assolvere la loro funzione per la purificazione rituale (Tjoav OÈ ÈKEl À.t9\Vat uopiat el; KU't«Ì 'tÒV Ka9aptoJ.1Òv 'téi'>V 'Iouoairov KEiJJ.Evat, v. 6). Questa collocazione spaziale in­ dica una funzione importante sia della madre che delle giare nello spazio ri­ tuale della festa di matrimonio che, come vedremo, è ricchissimo di connes­ sioni simboliche al tema dell'alleanza tra YHWH e Israele. A tali connesso­ ni si aggiungono così i riferimenti alla Legge propri delle giare di pietra, con particolare riferimento alle leggi di purità. Abbiamo già notato come la risoluzione consista in un passaggio, di or­ dine spaziale, dal vuoto al riempimento delle giare, e come al culmine di tale riempimento accada la trasformazione. Ora si intende approfondire questa affermazione, facendo emergere il punto di vista spaziale e temporale del nar­ ratore. Il narratore non si limita a indicare il comando di Gesù di riempire le giare e la semplice esecuzione dei servi, ma sottolinea significativamente che i servi le riempirono «fino all'orlo» (froç avro, cf. 2, 7). Questa annotazione spa­ ziale, vista alla luce di ciò che è in gioco nel racconto, ossia la gloria di Gesù, suggerisce un traboccare sovrabbondante dell'acqua nelle giare, cioè di quel complesso simbolico che, come vedremo meglio in seguito, rimanda alla Leg­ ge, in seguito all'obbedienza dei servi alla Parola di Gesù, Logos incarnato. La manifestazione della gloria del Logos è dunque in gioco in questo riempi­ mento fino all'orlo delle giare. Dal punto di vista temporale, l'invito di Gesù ad attingere acqua è sot­ tolineato con un «ora» (vuv, v. 8) che sembra pleonastico, dal momento che è già sufficientemente chiaro che questo secondo comando di Gesù succede all'esecuzione del primo. Si può certamente ricondurre questo avverbio a una formulazione connessa all'uso dell'imperativo precedente,24 che segnala una successione temporale tra la prima esecuzione e il secondo ordine. C'è, tut­ tavia, anche un livello simbolico che si può approfondire. Non si può nega­ re l'importanza per il narratore del tempo in cui avviene il miracolo della tra­ sformazione, che è sottolineato dalla considerazione stupita del maestro di tavola sul vino conservato «fino a questo momento» (froç apn, v. 1 0) e che è certamente connesso al tema dell'«ora» e all'inizio della manifestazione del­ la gloria da parte di Gesù (v. 1 1 ). Non si sa quando accade esattamente que­ sta trasformazione, misteriosamente connessa alla manifestazione della glo­ ria del Logos, ma seguendo il punto di vista dei servi, svelato dal narratore al v. 9, si può certamente affermare che essa sia accaduta durante l'attingimen­ to: i servi infatti sapevano da dove veniva il vino perché avevano attinto l'ac­ qua. Il vuv pronunciato da Gesù in connessione con l'ordine di attingere ri­ vela il punto di vista temporale del narratore, secondo cui la misteriosa tra­ sformazione dell'acqua in vino avviene quando il riempimento fino all'orlo 24

BD, § 474, nota 4.

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delle giare è avvenuto e da esse si attinge. C'è un'ora, misteriosa eppure rea­ le, in cui la gloria del Logos inizia a manifestarsi: essa accade grazie all' obbe­ dienza alla parola da parte dei servi, e coincide con il tempo in cui è ormai av­ venuto il riempimento «fino all'orlo» delle giare e il contenuto viene attinto. A questo punto, si dovrebbe chiarire il tema dell' «ora» in questo rac­ conto, ossia il motivo per cui Gesù, pur iniziando a manifestare la sua glo­ ria, dica alla madre che non è ancora giunta la sua ora (2,4). Dal momento, però, che questo aspetto rientra nel dialogo tra Gesù e la madre, si sceglie di inserire queste considerazioni nella trattazione del punto di vista fraseologi­ co, che emerge dai dialoghi presenti nel racconto e che approfondiremo nel paragrafo successivo. l. 5. Analisi dei personaggi e del punto di vista (Il)

La madre è presente alla festa prima che Gesù arrivi e rivela a Gesù la mancanza di vino. 25 Approfondiremo in seguito come la mancanza di vino assuma una profondità in grado di oltrepassare i normali significati attribuiti a una qualsiasi festa di nozze e richiami scenari veterotestamentari. Per ora, ci limitiamo ad analizzare il gioco dei punti di vista, nel dialogo tra Gesù e la madre. Se la madre prende l'iniziativa di porre davanti a Gesù questa situazio­ ne di mancanza, Gesù risponde distanziandosi dalla madre: «Che c'è tra me e te, o donna?» (ti Èf..I.OÌ Ka.ì ooi, yuvm; Gv 2,4). Questa frase idiomatica ha il si­ gnificato di una chiara presa di distanza tra due parti, che non possono ave­ re nulla in comune, 26 ma in cui le sfumature possono essere alquanto diverse 25 Cf. PANIMOLLE, «La madre alle nozze di Cana (Gv 2, 1-12)», 1 26- 1 35. Egli afferma l'impor­ tanza del ruolo di Maria, che manifesta a Gesù la mancanza di vino senza che tale affermazione suoni come una richiesta di miracolo. 26 Cf. A. H. MAYNARD, «TI EMOI KAI SOl», in NTS 31(1985), 582-583. Cf. anche LIEu, «The Mother of the Son in the Fourth Gospel>>, 65. Su questa linea, riguardante una presa di distanza netta da parte di Gesù, si veda anche M.J. LAGRANGE, Évangile selon saint Jean, Gabalda, Paris 1 927, 56; ,BARRETI, The Gospel according to St John, 191; MoLONEY, The Gospel of John, 67; ZUMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean ( 1-12), 97; THEOBALD, Das Evange/ium nach Johannes, 212. Uno dei pochi autori che sostiene un'opinione contraria è J.C. O'NEILL, «Jesus' Reply to his Mother at Cana of Galilee (John 2,4)», in IrBS 23(2001), 28-35. Secondo questo autore, che riprende Gen 23, 1 5- 1 6, il significato può essere: «Quale possibile disaccordo potrebbe esserci tra me e te?». Dunque la frase non solo non esprimerebbe distacco, ma piena consonanza. Tuttavia bisogna considerare che l'espressio­ ne àvà f,ltaov È!J.OO Kaì aoO, che si trova in Gen 23, non è esattamente la stessa del testo giovanneo e dipende dalla seguente lezione ebraica: N'ljJ-:11J ,':(�·�� '}.'il,. In questo caso, la preposizione :;! ha una valenza di ostilità che viene esplicitata in una domanda retorica. Per questo motivo il senso della domanda sarebbe che non c'è alcun disaccordo. Ma nel nostro caso l'espressione greca è diversa (n ÈJlOÌ Kaì aoi) e presenta piuttosto altri paralleli che indicano invece una presa di distanza (cf. 2Sam 16, 1 0: .!Jd'?l •)-:"'i':l, si veda anche I Re 1 7, 1 8; 2Re 3, 1 3; 2Cr 35,21). Infine, non c'è nessun caso nel NT in cui l'espressione idiomatica retorica abbia questa valenza positiva; cf. anche T. STRAMARE, «La risposta di Gesù a Maria alle nozze di Cana. Il test della ragionevolezza», in BibOr 44{2002), 1 791 92; C.M. CoNWAY, Man and Women in the Fourth Gospel. Gender and Johannine Characterization (SBLDissSer 1 67), Scholar Press, Atlanta 1999, 74s. Quest'ultimo parla di un vero e proprio rifiuto da parte di Gesù.

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a seconda del tono e del contesto. Che non si tratti di un rimprovero da parte di Gesù emerge in primo luogo dal fatto che la madre non lo interpreta così, perché invita i servi a obbedire a Gesù, e in secondo luogo dal fatto che Gesù stesso si allinea all'invito rivolto dalla madre, impartendo loro degli ordini. L'appellativo «donna» (yuvm., v. 4) non indica un rifiuto della madre da par­ te di Gesù, ma da un lato segnala un'autonomia di Gesù da lei e dall'altro un nuovo ruolo narrativo della madre. 27 Tale appellativo è usato infatti da Gesù in altri casi in cui è evidente un cambio di ruolo che Gesù stesso realizza, do­ nando alla persona un'identità nuova (cf. 1 9,26-27; 20, 1 5). Ciò che Gesù sta per fare non è determinato dalla madre, ma dalla sua libera iniziativa. D'al­ tra parte, la madre stessa assume subito un ruolo diverso, non più in relazio­ ne diretta con Gesù, ma con i suoi servi, invitandoli a obbedire a Gesù (o n av À.É'YU UJJ.iV 1ton1aa·n:, v. 5). La madre comprende bene il suo nuovo ruolo e si rivolge unicamente ai servi senza obbligare Gesù a un intervento preciso, così da non compromettere la sua libertà di azione. Questo nuovo ruolo del­ la madre, non più in relazione con Gesù ma con i servi, si compirà in 1 9,2627, come vedremo, dove la relazione di maternità di Maria viene estesa da Gesù al discepolo prediletto, presente sotto la croce. 28 Attraverso il dialogo tra Gesù e Maria si realizza una sorta di «inversione narrativa» per la qua­ le, se da un lato è Maria a introdurre Gesù, attraverso il suo stesso appellati­ vo di madre (v. 1), in realtà d'ora in poi sarà Gesù a prendere in mano l'ini­ ziativa e a determinare i ruoli. Il ruolo di Maria si compirà sotto la croce e, analogamente al racconto di Cana, sarà intimamente legato alla realizzazio­ ne della volontà di Gesù da parte dei suoi servi, qui rappresentati dal disce­ polo amato (1 9,27).29 27 Per Grasso è evidente che vi è una presa di distanza dalla madre da parte di Gesù e che l'appellativo «donna» è indizio «di una traiettoria del percorso teologico che la tradizione giovannea ha compiuto in rapporto alla figura di Maria, ormai comprensibile solo alla luce dei titoli "donna" e "madre"» (GR,ASSO, Il Vangelo di Giovanni, 1 1 3). 28 Cf. E. DELEBECQUE, «Les deux vins de Cana (Jean Il, 3-4) », in R Thom 85(1 985), 242-252. Dicendo che la sua ora non è ancora venuta, Gesù annuncia che egli comincia la sua missione e che le sue azioni vogliono compiersi nella prospettiva della croce, l'ora nella quale tutto sarà consumato. Lontano dal rifiutare a sua madre di fornire il vino alle nozze, Gesù fa conoscere che egli è venuto per donare il vino del Regno quando la sua ora sarà venuta. Questo è il primo dei segni che sono tutti connessi alla sua morte. La parola «donna» segnala un cambio di ruolo di Maria da madre di Gesù a donna che compie una mediazione. Cf. in particolare 248-249. 29 Cf. M. GouRGES, «Marie, la "femme" et la "mère" en Jeam>, in NRTh 108(1986), 1 74-1 9 1 . L'ora della morte e risurrezione e della gloria è anticipata nell'esercizio della sua missione (cf. 2, I l ; 1 1 ,4; 1 1 ,39). La madre si trova a un livello umano di attesa di un intervento di Gesù, ma Gesù agisce su un altro livello e l'espressione «Che c'è tra me e te» sottolinea il livello del disegno di Dio (p. 182). Maria viene appellata come «donna» perché nell'ordine della fede il suo ruolo non è più quello di ma­ dre carnale ed ella non ha alcuno status privilegiato (p. 1 82). Più sottilmente, Vanni approfondisce il ruolo di Maria come donna senza spingere troppo sulla contrapposizione tra il livello carnale e quello della rivelazione, ma mostrando come, alla luce di Gv 1 9,26-27, la nuova maternità di Maria nei confronti del discepolo amato si inscrive nella sua qualifica di donna, che sembra collegare tra loro le due maternità; cf. U. VANNI, «Dalla maternità di Maria alla maternità della Chiesa. Una ipotesi di evoluzione da Gv 2,3-4 e 19,26-27 ad Ap 1 2, 1 -6», in RdT 26(1 985), 28-47, in particolare 36. Grassi tende alle estreme conseguenze il filo di questa rilettura di Cana alla luce della scena sotto la croce. La comunità deve partecipare all'ora di Gesù desiderando ricevere il vino, ossia lo spirito reso possibile

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È inoltre importante sottolineare come il dialogo tra Gesù e la madre sia ironicamente giocato sulla differenza tra un punto di vista materiale e uno simbolico. Se la madre pone davanti a Gesù l'imbarazzante situazione del­ la festa di matrimonio, Gesù le risponde facendo riferimento, in modo appa­ rentemente incoerente, alla sua «ora», e associando il tema del vino all'ora della definitiva rivelazione messianica. È chiaro che compiendo tale associa­ zione Gesù non può pretendere di essere compreso da Maria allo stesso livel­ lo. 30 Attraverso una tecnica di incomprensione ironica, 31 utilizzata nei dialo­ ghi tra Gesù e gli altri personaggi, il narratore fa intuire al lettore che c'è un significato più profondo da penetrare. Si tratta, dunque, non di un rimprove­ ro da parte di Gesù, ma di una prova32 attraverso cui la madre è chiamata a fidarsi di Gesù, per sintonizzarsi con la libera iniziativa del Figlio. Così come ogni segno che Gesù opera nel QV non è mai causato da una domanda, an­ che qui l'implicita richiesta della madre non pregiudica l'assoluta libertà di Gesù, che opera al livello simbolico della rivelazione. Si tratta, per la madre, di comprendere che l'ora non è ancora venuta e che la manifestazione della gloria che Gesù compie con questo miracolo è incoativa e si compirà piena­ mente solo con la sua morte (1 3 , 1 ; 19,27). D'altro canto, si tratta di lasciare libertà all'azione di Gesù, perché è già iniziata la sua ora, quella del suo mini­ stero (cf. 4,23; 5,25) .33 Dunque la madre è messa alla prova da Gesù perché il suo punto di vista possa oltrepassare un livello puramente materiale e fidarsi di una rivelazione che proviene in modo totalmente incondizionato dalla vo­ lontà del Figlio di iniziare a manifestare la sua gloria. Possiamo aprire una breve parentesi, che a questo punto risulta impor­ tante. La frase di Gesù: ou1tro TtKEt ..; ropa J.LOU, ossia «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4b), si può intendere o come una frase negativa (come abbiamo implicitamente inteso finora) oppure come una domanda. 34 A sostegno della frase interrogativa si possono avanzare alcune considerazioni grammaticali,

dalla sua morte. Maria a Cana è testimone di questo, invitando all'obbedienza di Gesù, imitazione dell'obbedienza del Figlio nel bere il calice. Dunque il primo segno di Cana sembra portare il ruolo di Maria dentro la vita e il culto della comunità, che deve obbedire a Gesù come egli ha obbedito al Padre sulla croce; cf. J.A. GRASSI, «The Role of Jesus'Mother in John's Gospel. A Reappraisal», in

CBQ (1 986)48, 67-80. 3° Cf. DE LA PorrERIE, Maria nel mistero dell'alleanza, 203. 31 Cf. MARGUERAT - BoURQUIN, Per leggere i racconti biblici, 1 1 7. 32 Cf. A. FEUILLET, «L'heure de Jésus et le signe de Cana», in EThL 36(1 960), 16-17. In ogni

caso, non si tratta di un rimprovero. Per Marcheselli, «appare chiaro che [la madre] non ha sentito nelle parole di Gesù l'espressione di un rifiuto totale» (M. MARCHESELLI, «La fiducia come tratto co­ stitutivo della preghiera>>, in lo., Studi sul Vangelo di Giovanni. Testi, temi e contesto storico [Anbib Studia 9], GBPress, Roma 201 6, 202). 33 Cf. C.H. GIBLIN, «Suggestion, Negative Response and Positive Action in St John's Portrayal of Jesus», in NTS 26(1980), 1 97-21 1 . 34 A favore della frase negativa: LAGRANGE, Évangile selon saint Jean, 57; MoLONEY, The Gos­ pel of John, 7 J ; LIN DARS, The Gospel of John, 1 29; THEOBALD, Das Evange/ium nach Johannes, 201 ; ZuMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean (1-12) , 93. A favore della frase interrogativa, tra gli altri: M . E. Boismard, A. Vanhoye, S.A. Panimolle.

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che però non sembrano particolarmente cogenti. 35 Di contro, infatti, l' «ora» di Gesù è quella della sua passione e morte, come più volte sottolineato dal­ la narrazione (cf. 7,30; 8,20; 1 2,23-24.27.3 1 -33; 1 3 , 1 ; 1 7, 1). Essa è l'ora della gloria che si manifesta in tutto l'operato del Figlio che obbedisce al Padre e che si compie particolarmente nella morte del Figlio (cf. anche 1 0, 1 8). Certa­ mente ci sono alcuni casi in cui il riferimento all'ora è già anticipato al tem­ po presente della narrazione (4,21 .23; 5,25.28), tuttavia non si può negare che a livello del macroracconto il culmine della glorificazione avviene proprio al momento della morte di Gesù (cf. 1 2,28: Kaì t&>çaaa Kaì 1tçO.aro, dove il primo verbo all'aoristo indica la missione storica del Verbo nel mon­ do e il secondo al futuro indica il compimento nella morte). Inoltre, dobbia­ mo osservare che si danno almeno altri tre casi in cui Gesù prima agisce in modo negativo e apparentemente incoerente rispetto alla richiesta e poi posi­ tivamente (4,48.50; 7 ,6. 1 O; 1 1 ,4). Nell'ultimo di questi casi (l l ,4) Gesù colle­ ga strettamente il suo ritardo nel rispondere alla richiesta delle sorelle con la manifestazione della sua gloria. In tutti questi casi, come alle nozze di Cana, la risposta negativa di Gesù non impedisce la manifestazione del segno o la rivelazione di Gesù stesso, ma vuole semplicemente mostrare che tale rivela­ zione non avviene al livello inteso dall'interlocutore. Si può dunque confer­ mare il carattere negativo della risposta di Gesù, sottolineando che esso non è altro che un dispositivo narrativo per mostrare che Gesù si muove da pro­ tagonista su un altro livello, che si compirà defmitivamente sulla croce. L'esame della tematica dell'«ora» ci ha quindi fornito un'ulteriore pro­ va di quanto avevamo già precedentemente affermato: il dialogo tra Gesù e la madre mostra, tramite la tecnica del fraintendimento, la necessità di acce­ dere a un livello ulteriore, simbolico, in cui Gesù agisce con sovrana liber­ tà. 36 Possiamo qui aggiungere un'ulteriore considerazione, che riguarda l'at­ teggiamento della madre di fronte a questa prova da parte di Gesù. L'invito che lei rivolge ai servi (v. 5) mostra la sua disponibilità ad accogliere questa prova e a sintonizzarsi con la sua volontà di rivelazione. La madre, infatti, si rivolge non più al figlio, ma ai servi, invitandoli a fare ciò che dice Gesù. Come vedremo meglio più avanti, questo invito riprende l'obbedienza del popolo d'Israele alla rivelazione di Dio sul monte Sinai, un'obbedienza fatta di ascolto attivo della Parola di Dio. La madre si comporta in modo tale da lasciare intuire che ciò che accadrà ha a che fare non semplicemente con un 35 Si veda anzitutto M.E. BOISMARD, «Bulletin)), in RB 61(1954), 295. Egli si appoggia a con­ siderazioni di natura grammaticale. La particella ofutco all'inizio della frase, coordinata per asindeto, corrisponde ad altri casi, come Mt 1 6,9 e Mc 4,40, che sono tutti interrogativi. Infatti i casi contrari di Gv 7,30 e 8,20 si spiegano perché questo avverbio si trova in una subordinata causale, che giustifica la presenza dell'avverbio a inizio di una frase non interrogativa. Tuttavia questa pertinente argomen­ tazione non sembra essere decisiva. Vanhoye lascia la porta aperta a una formulazione interrogativa, senza che essa sia interpretabile banalmente come un'affermazione; cf. A. VANHOYE, «lnterrogation johannique et exégèse de Jn 2,4>), in Bib. 55(1 974), 1 62. Cf. anche PANIMOLLE, «La madre alle nozze di Cana (Gv 2, 1 - 1 2))), 1 26- 1 35. 36 Cf. LÉON-DuFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 2 1 0.

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bisogno da soddisfare, ma con una rivelazione da manifestare. 37 Fino a che punto tale consapevolezza sia propria del personaggio, non è possibile stabi­ lirlo. Ciò che possiamo affermare è che a livello fraseologico il narratore sta mostrando un punto di vista superiore, al quale la donna si sintonizza, acco­ gliendo il nuovo ruolo che Gesù le attribuisce. Se il personaggio della madre ha dunque un'evoluzione, sintonizzandosi con il ruolo che Gesù le attribuisce, il maestro di tavola e lo sposo sono invece personaggi piatti, che assolvono un unico ruolo, ossia quello di far emergere, attraverso la tecnica dell' opacità e dell'ironia, il punto di vista fraseologico del narratore. L'ironia giovannea permette infatti di leggere le parole del maestro di tavola su un duplice livello, quello materiale di colui che è inconsapevole del miracolo e quello del lettore che, condividendo il punto di vista dei servi, sa che cosa è realmente avvenuto. Che si tratti di un fenomeno di «opacità», 38 che mette il lettore in una posizione di vantaggio informativo rispetto al mae­ stro di tavola, lo chiarisce lo stesso narratore con un inciso: Knì oùK flòet n69ev èa't(v, oi ÒÈ òteiKovot ftòetanv. L'espressione n6eev Èa't(v assume una valenza più profonda del livello materiale, dal momento che è sempre usata nel QV per riferirsi all'origine divina di Gesù (7,27.28; 8, 14; 9,29.30; 1 9,9) e dei suoi doni salvifici (3,8: lo Spirito; 4, 1 1 : l'acqua; 6,5: il pane). Ancora il verbo oìòn è usato nel QV in presenza della negazione, per indicare l'ignoranza da parte dei vari personaggi in merito alla persona di Gesù (cf. 3,8; 4,22; 8,14; 1 3,7; 14,5; 1 5 , 1 5; 20, 14; 21 ,4). Questo inciso del narratore motiva l'affermazione del maestro di tavola, secondo cui lo sposo avrebbe conservato il vino buono fmo a ora, e ci fa capire che lo scambio di persona tra Gesù e lo sposo è solo il primo livello dell'incomprensione del maestro di tavola. Più profondamente, il maestro di tavola non sa «da dove» viene il vino, espressione che può indicare sia la cop­ pia giare-acqua come luogo-materia di provenienza del vino, sia l'azione mi­ steriosa che Gesù ha compiuto attraverso i servi per rivelare la sua gloria. Con l'uso dell'espressione n69ev Èativ e del verbo oìòn il narratore intende dunque 37 Non è del tutto vero che Maria sia un personaggio piatto e onnisciente, come afferma Gras­ so. Dalla presentazione del bisogno («Non hanno più vino», v. 3) all'invito ai servi («Fate quello che vi dirà»), si nota un'evoluzione. Ella parte da una necessità umana per sintonizzarsi, grazie alla rispo­ sta di Gesù, su un livello ulteriore, quello della rivelazione. Solo la Parola di Gesù permette a Maria di assumere un nuovo ruolo in relazione ai servi e la novità di questo ruolo è in relazione al compiersi della rivelazione di Gesù; cf. GRASSO, Il Vangelo di Giovanni, 1 14. Secondo Conway, la dura risposta di Gesù alla madre indica che lui agisce solo per la volontà del Padre e non per un bisogno umano, ma Maria contribuisce a far sì che la storia proceda proprio secondo la volontà del Padre, e sarebbe Gesù a essere stato smentito da Maria; cf. CoNWAY, Man and Women in the Fourth Gospel, 8 1 . All'opposto, secondo Zumstein, la donna qui incarna l'aspetto della fede, che è caratterizzata da un totale affida­ mento a Gesù, caratteristica che verrà confermata sotto la croce; cf. ZUMSTEIN, L'Évangile selon saint Jean (1-12) , 97. Anche Moloney è dello stesso avviso: Maria è la prima persona nella narrazione a mostrare che «la risposta corretta alla presenza di Gesù è la fiducia nella sua parola» (MoLONEY, The Gospel ofJohn, 68). Tale fiducia, secondo la nostra analisi, emerge pienamente solo al v. 5, anche se è implicita precedentemente. Questo comporta un'evoluzione del personaggio di Maria che avviene simultaneamente al suo cambio di ruolo. 38 Cf. R. M. Fow L ER, Let the Reader Understand: Reader-Response Criticism and the Gospel of Mark, Fortress Press, Minneapolis 199 1 , 210.

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alludere al fatto che nel segno dell'acqua delle giare, trasformata in vino, è in gioco il mistero della persona di Gesù e della sua origine. Il gioco di opacità ai danni del maestro di tavola è dunque al servizio di una più profonda ironia. Il maestro di tavola dice infatti qualcosa di profondamente vero, senza cono­ sceme la portata, e cioè che il vino migliore è stato conservato fino a ora e ap­ partiene a un'origine misteriosa. Il punto di vista del narratore si situa nell'at­ tribuire tale origine a Gesù stesso e al mistero della sua persona. Il personag­ gio maestro di tavola non è, dunque, caratterizzato negativamente, ma solo incapace di comprendere il livello profondo, rivelativo degli eventi, che appar­ tiene al narratore. Possiamo dunque concludere che a livello fraseologico l'in­ comprensione del maestro di tavola fa emergere il punto di vista del narrato­ re, che si manifesta pienamente nel v. 1 1 .39 1 . 6. Trama di rivelazione

Lo studio del punto di vista e dei personaggi ha già fornito diversi ele­ menti utili a identificare la trama di rivelazione. La presenza sovrabbondan­ te di un vino migliore del precedente, che emerge attraverso la stupita affer­ mazione del maestro di tavola, ha certamente una forte connotazione simbo­ lico-rivelativa, rafforzata anche dalla mancanza di consapevolezza riguardo all'origine di tale vino da parte del personaggio. Il lettore condivide il pun­ to di vista dei servi, sapendo che il vino viene dall'acqua attinta dalle giare, che dunque assumono una notevole importanza. Non a caso, l'intrusione del narratore al v. 6, che interrompe il flusso della diegesi per fornire l'informa­ zione sulle giare di pietra, sembra essere troppo ampia e dettagliata rispet39 Non tenere conto di questi fenomeni della narrazione del QV può portare a errori, come ad esempio in Mateos - Barreto, che fornisconò una caratterizzazione molto negativa del maestro di tavola; cf. MATEOS - BARRETO, Il Vangelo di Giovanni, 144. Dunque, per intenderei, quando parliamo di punto di vista intendiamo sempre il punto di vista del narratore (secondo i diversi livelli summen­ zionati), secondo Uspenskij/Resseguie (in questo caso è in gioco il livello fraseologico nel v. 1 0 e quello ideologico nel v. 1 1 ). Se si utilizza la terminologia di Genette, nel presente caso si trova una focalizzazione interna dei personaggi nella proposizione parentetica dove si accede a ciò che non sa il maestro di tavola e a ciò che sanno i servi (v. 9), una focalizzazione esterna nel dialogo (v. 10 e anche vv. 7-8), e una focalizzazione zero (vv. 6 e 1 1) dove si riportano informazioni che solo il narratore onnisciente può fornire. Se si segue la classificazione di Rabatel, si deve notare come il punto di vista raccontato sia quello dei servi, che non si rendono conto in quale momento avvenga la trasforma­ zione (vv. 6-8). Nel v. 9 il punto di vista rappresentato è quello dei servi, posto in rapporto a quello del maestro di tavola, mentre al v. 1 0 il punto di vista asserito è affidato al maestro di tavola. Queste classificazioni sono utili dal momento che segnalano una focalizzazione interna (o un punto di vista rappresentato) nel caso dei servi, che conoscono l'origine del vino e mostrano una rotazione del punto di vista dai servi al maestro di tavola fino al narratore stesso. Questa constatazione rimane tuttavia sterile se non si mostra perché il narratore adotti questa strategia narrativa. Se al v. I l l'intrusione del narratore sposta improvvisamente il punto di vista su se stesso è per rendere evidente il gioco ironico utilizzato nei versetti precedenti e per mostrare che tutto quanto viene visto, constatato e asserito dai personaggi, si riferisce a Gesù e alla sua rivelazione. Ai fini della nostra trattazione non serve quindi approfondire particolarmente il gioco delle focalizzazioni, ma è sufficiente mostrare che il narratore fa emergere il suo punto di vista, facendo prendere la parola al personaggio «maestro di tavola» at­ traverso il fenomeno dell'ironia.

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to alla funzione che le giare hanno nella risoluzione. Dunque queste rivesto­ no un ruolo di primaria importanza per la rivelazione, fornendo uno sfon­ do simbolico e una rete di importanti riferimenti intertestuali.40 Il riferimento alla purificazione collega questa scena ai diversi contesti in cui nel QV si fa ri­ ferimento alla purità: ad esempio in 3,25 la purificazione è connessa alla con­ temporanea attività battesimale di Giovanni e di Gesù, in un rapporto dia­ lettico tra il mondo giudaico dei giovanniti e Gesù. Dalla lettura complessiva del QV emerge che non un rito, ma la Parola che Gesù annuncia (cf. 1 5,3) e il suo servizio umile, che giunge a lavare i piedi ai discepoli (cf. 1 3, l 0- 1 1 ), può rendere puro l'uomo. Inoltre l'espressione «purificazione dei giudei» riman­ da certamente a una distanza del narratore: egli non si identifica con la prati­ ca rituale richiesta dalla Legge di Mosè. In ogni caso, il riferimento alle giare non presenta alcun tono polemico.4 1 Infatti, anche se la tematica della puri­ ficazione è allusa dal riferimento del narratore come qualcosa che riguarda i giudei, ciò non implica di per sé un'accentuazione polemica nei confronti del­ le leggi di purità rituale (cf. Lv 1 1- 1 6), né si può affermare con certezza che il numero sei, relativo alle giare, sia un'indicazione di imperfezione.42 Forse può indicare, piuttosto che imperfezione, incompletezza, dal momento che il numero sette indica totalità.43 Ma si tratta solo di un'ipotesi. Raccogliendo tutti i dati provenienti dalle analisi precedenti possiamo affermare che la rivelazione procede attraverso una crescita di consapevolez­ za da parte del lettore, che, identificandosi con i servi in rapporto all'igno­ ranza del maestro di tavola, prende coscienza di conoscere l'origine del vino buono: esso proviene dalle giare di pietra, connesse alla legge di purificazio­ ne rituale, e insieme proviene anche dalla Parola di Gesù, puntualmente ese­ guita dai servi. Tale esecuzione comporta un riempimento fino all'orlo delle giare. Alla luce poi del v. 1 1 , in cui il narratore esprime il suo punto di vista sul racconto, la trasformazione dell'acqua in vino, che accade nell'ora in cui il riempimento fino all'orlo delle giare è ormai avvenuto (vuv, v. 8), ha a che fare con la manifestazione della gloria da parte di Gesù, nell'ora in cui egli 40

Così anche GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 108. 41 Non sono d'accordo con Grasso, che parla di una nota polemica, relativamente alle giare e alla purificazione dei giudei. La distanza del narratore dalla pratica giudaica non implica di per sé polemica; cf. GRAsso , Il Vangelo di Giovanni, 1 1 6. Accenna alla polemica, sfumandola molto, BAR­ RETI, The Gospel according to St John, 1 92. Mateos - Barreto affermano che il numero sei richiama l'imperfezione e che può essere comparato alle sei feste ebraiche del Vangelo di Giovanni; cf. MATEOS - BARRETO, Il Vangelo di Giovanni, 141 . Zumstein. pone dubitativamente, in forma di domanda, che il numero 6 indichi imperfezione; cf. ZuMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean ( 1-12) , 98. 42 Cf. E. STEGEMANN - W. STEGEMANN, «Zur Tempelreinigung im Johannesevangelium», in E. BwM - C. MACHOLZ - E. STEGEMANN (a cura di), Die Hebriiische Bibel und ihre zweifache Nachge­ schichte (Fs. R. Rendtorf), Neukirchener Verlag, Neukirchen-VIuyn 1 990, 503-5 16. 43 Intesa così, ma senza nota di polemica nei confronti delle feste giudaiche, si può condividere la proposta di MATEOS - BARRETO, Il Vangelo di Giovanni, 141 . Si oppone a una concezione «sostituti­ va» della funzione delle giare Wengst, che nel suo commentario ha il merito di approfondire, in nota, la tradizione rabbinica sulla purificazione rituale, citando in particolare Kel 5, 1 1 ; Be 2,3 e Par 3,2; cf. K. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 1 08, nota 82. Egli riprende lo studio di J.C. THOMAS, «The Fourth Gospel and Rabbinic Judaism», in ZN W 82( 1 99 1 ), 1 62-265.

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inizia il suo ministero e i discepoli iniziano a credere in lui. Dunque con il v. 1 1 il lettore può comprendere che il riempimento delle giare fmo all'orlo e la trasformazione hanno a che fare con un primo «compimento» della rivela­ zione cristologica nel QV. Si può maggiormente insistere sul tema dell'origine del vino buono. Abbiamo accennato che essa è collegata all'acqua delle giare e insieme anche alla Parola di Gesù, la cui obbedienza da parte dei servi rende possibile il mi­ racolo. È importante sottolineare l'importanza rivelativa del verbo «conser­ vare» utilizzato dal maestro di tavola, che dice inconsapevolmente una pro­ fonda verità: il vino buono che lo sposo ha conservato contrassegna il tempo finale, ma è simultaneamente un vino «conservato» fin dall'inizio.44 Questa dialettica tra il tempo originario e il tempo attuale del compimento è collega­ ta dunque all'origine stessa di Gesù (7t68ev)45 e alla rivelazione in atto a par­ tire dal segno della trasformazione dell'acqua in vino. Alla luce del punto di vista ideologico del narratore, espresso nel prologo, qui si tratta della rivela­ zione della gloria del Logos incarnato, che proviene dall'origine. È il mistero della sua stessa origine a rivelarsi nel tempo del compimento. 2. S FONDO VETEROTESTAMENTARIO E GIUDAICO 2. 1. Sfondo esodico e legale

Lo sfondo veterotestamentario del racconto delle nozze di Cana è tal­ mente abbondante di possibili allusioni ed echi che risulta complicato tentare di riassumere il tutto in poche pagine.46 Qui si cercherà, come già anticipato, 44 Cf. DELEBECQUE, «Les deux vins de Cana (Jean II, 3-4)», 242-252. 45 Concordiamo con Brown che la rivelazione sia qui strettamente collegata alla persona di Gesù, come poi conferma il v. 1 1 , con il riferimento alla manifestazione della «sua» gloria; cf. BROWN, Giovanni, vol. l , 1 34. Secondo Collins c'è un'ironia del narratore a proposito della gloria che Gesù rivela. Per i personaggi si tratterebbe infatti della gloria, dell'onore pubblico, dato dal maestro di ta­ vola allo sposo. La gloria di Gesù, però, non ha nulla a che fare con la reputazione personale ma con la gloria di colui che lo ha inviato. Ciò suggerisce che l'onore è determinato per Gesù non dalle linee biologiche del rapporto con la madre e i fratelli, ma dalla fede presente nel gruppo dei discepoli. Que­ sta gloria si compirà nel racconto della passione; cf. M.S. CoLLINS, «The Question of Doxa: a Socio­ literary Reading of the Wedding at Cana», in BTB 25(1 995), 1 00- 1 09. Secondo Hengel, la simbolicità del miracolo è un segno che rimanda non a idee, ma alla persona del Figlio. Ritiene che vi sia una falsa opposizione tra ambiente greco dionisiaco e ambiente giudaico, quanto al motivo del vino. Entrambi, infatti, riportano una simile costruzione iperbolica. Motivi dionisiaci potevano essere penetrati nelle tradizioni aggadiche giudaiche delle popolazioni rurali della Galilea molto prima della narrazione giovannea (p. 1 1 2); cf. M. HENGEL, «The Interpretation of the Wine Miracle at Cana: John 2, 1 - 1 b, in L.D. HuRST - N.T. WRIGHT (a cura di), The Glory of Christ in the New Testament (Fs. B. Caird), Clarendon Press, Oxford 1 987, 83-1 1 2. 46 Cf. E. LITTLE, Echoes of the O/d Testament in the Wine of Cana in Galilee (John 2:1-11) and the Multip/ication of the Loaves and Fish (John 6:1-15) . Towards an Appreciation (Cahiers de la Revue Biblique 41), Gabalda, Paris 1998, 9-69. L'autore tenta di presentare un elenco pressoché esaustivo di tutte le possibili allusioni veterotestamentarie presenti in questo racconto. L'impressione che se ne ricava leggendo questo contributo è di rimanere sommersi da un continuo affastellarsi di dati e di riferimenti tra i quali non è così facile orientarsi per ricavame un'interpretazione sintetica.

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di selezionare solo quelle allusioni che hanno un certo fondamento nel testo, ossia non soltanto qualche richiamo di vocabolario, ma anche qualche corre­ lazione narrativa e coerenza tematica e che siano caratterizzate da un apprez­ zabile livello di volume e ricorrenza. Si procederà secondo l'ordine canonico dei testi veterotestamentari. È possibile, anzitutto, notare un certo sfondo esodico e legale.47 Con il racconto sulla manna e le quaglie in Es 1 6 ci sono almeno due analogie, a livello di narrazione e di terminologia. Es 1 6,3 e Gv 2,3 iniziano entrambi con una mancanza; Es 1 6,7 e Gv 2, 1 1 chiamano in causa il vedere la gloria di Dio in modo che il racconto si configura come un passaggio alla fede. Es 1 6,7: Kaì 1tproì c5wsa9t 'tltV � Kupiou Es 16,10: it &Xa Kupiou (bcpQn sv vt(j)Sì..n Gv 2, I l : topiat, può richiamare le tavole della Legge, ma senza una certezza assoluta (v. 6). L'utilizzo del verbo à.vTA.naa:n:, usato per i pozzi nella tradizione biblica, in riferimento alle giare di pietra (v. 6) può alludere alla tradizione dei pozzi. Il tema del manifestarsi della gloria e qualche ana­ logia narrativa, come la mancanza iniziale di alimento o di bevanda o la fede del popolo e dei discepoli, può rafforzare la percezione dell'intenzionalità dell'allusione alle tradizioni del deserto, pur senza ancora offrire una garan­ zia vera e propria. Il volume relativo alla tradizione dei pozzi come simbolo della Legge e la loro connessione con le tradizioni del deserto, in particolare con la pietra di Refidim, rendono plausibile l'operazione di riferire l'associa­ zione pietra-acqua delle giare alla Legge d'Israele. Se, come già affermato, il verbo à.v'tA.éro e l'aggettivo A.i9wat rafforzano questa probabilità, la conferma del rapporto tra giare di pietra e Legge di Mosè è fornita dallo stesso narra­ tore, con il rimando esplicito alle tradizioni legali di purificazione (Ka'tà 'tÒV Ka9aptOJ.1ÒV 'téòv 'IoucSairov, v. 6). Una certa coerenza tematica di questo sfondo legale nel racconto delle nozze di Cana emerge con ulteriori notevoli allusioni. Con il dono della Leg­ ge avviene un'alleanza tra Dio e il suo popolo, che comporta un impegno del popolo stesso a osservare e ascoltare la Legge proclamata da Dio. Gen 4 1 , 55: eì1tev 5è aparo 1tiìm -roiç Aìyumi01.ç 1topeueaee 1tpòç ICOOlcp l Kaì o t.àv e\1ffi

uu.iv 1tou1oa-re Es 19,8: Kaì et1tav 1t6.v-ra èl!Ja eì1tev 6 9e6ç 1tOtTICJO!.lSV Kaì ci.Kooo6Jte9a Es 24,3: 1t6.v-raç -roùç A.6youç oUç &A.aA.noev KUpwç 1tOtTIOO!.lSV Kaì ci.Kooo6Jte9a Gv 2,5: o n dv A.éyn U,...iv 1totnaa-r&

52 BemR 32, 1 a 23,20. Anche negli scritti di Qumran il Documento di Damasco identifica il pozzo di Nm 2 1 , 1 8 con la Legge, i principi che hanno scavato il pozzo sono gli iniziatori della comu­ nità e gli uomini nobili del popolo continuano a scavarlo con i precetti, scrutando la Legge di Mosè (cf. CD V1,2- l l ); cf. SERRA, «" . . ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua"», 458. 53 Tll Gen 29, 10; cf. SERRA, «" ma Io sapevano i servi che avevano attinto l'acqua"», 467-468. .

. . .

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Come si può notare, la madre invita i servi a osservare l'ordine impar­ tito da Gesù, che riguarda il riempimento delle giare e il loro attingimento, con una frase che da un punto di vista lessicale è una citazione implicita di Gen 41 ,55, ma che in realtà fa parte del repertorio dell'alleanza che, attraver­ so il mediatore Giuseppe, si stabilisce in questo caso tra l'Egitto e YHWH. 54 Il volume di questa dichiarazione di alleanza del popolo è molto alto, soprat­ tutto se si considera la tradizione giudaica, anche del I secolo. Filone Ales­ sandrino, ad esempio, esalta la dichiarazione del popolo di Es 24,3 sottoline­ ando come essa comporti il mettere in pratica la Legge prima ancora di udir­ la. Egli dipende probabilmente dalla traduzione della LXX: 1tUV't 't'Ou 8&ou Kaì Éq>a:yov Kaì É1ttOV, Es 24, 1 1 ). La rivelazione di Dio avviene nel contesto di un banchetto ed è descritta at­ traverso un verbo di visione, proprio come nel banchetto delle nozze a Cana di Galilea (ÈaVÉQCOO'EV 't''ÌlV ool;av aÙ'tOU, Kaì È1ttO''t'EUO'aV Eiç aù't'ÒV oi �J,a8T)'t'aÌ aù't'ou, Gv 2, 1 1 ). Infine, la menzione iniziale del terzo giorno (2, l) può richiamare, ma solo molto sottilmente, lo schema liturgico della settimana del Sinai, celebra­ ta nella solennità di Pentecoste negli ambienti sacerdotali, probabilmente già prima di Cristo. 58 In questa settimana l'oggi, il domani e il terzo giorno (cf. Es 1 9, 1 0- 1 1 . 1 5 . 1 6) si calcolano a partire dal quarto giorno incluso e ciò si può adattare alla sequenza di giorni calcolata grazie alle notazioni temporali di 1 ,29.35.43 e 2, 1 . 59 Questa interpretazione, possibile anche se non comprova­ bile in modo certo, non esclude che la notazione del terzo giorno si riferisca al mistero pasquale di Cristo, ipotesi rafforzata dalla menzione dell'ora (v. 4) e dal riferimento alla manifestazione della sua gloria (v. 1 0). Inoltre, subi­ to dopo, Gesù annuncia di ricostruire il Tempio in tre giorni (cf. 2, 1 9). Come chiarisce il narratore nel versetto seguente, si tratta della risurrezione del suo corpo al terzo giorno (2,2 1) e questa indicazione rafforza il riferimento alla risurrezione anche nella notazione temporale dell'episodio di Cana. L'accumulo di questi indizi, di carattere lessicale e narrativo, e lo studio delle loro ricorrenze e del loro volume, anche alla luce della più ampia tradi­ zione giudaica, ci porta a considerare probabile e voluto dall'autore lo sfon58 Cf. SIMOENS, Secondo Giovanni, 207s. Questo interprete dedica molto spazio alla questione dello sfondo biblico della notazione temporale sul terzo giorno e, dopo aver citato diversi luoghi scritturistici (Geo 1 , 1 1 - 1 3 ; Geo 22,4-8; Geo 42, 1 8- 19.24), propende piuttosto per il riferimento alla teofania del Sinai (Es 1 9,6), richiamandosi particolarmente all'interpretazione escatologica e nuziale nel giudaismo e ai Targumim su Sal 68, 14, che interpretano la colomba come Israele che accoglie la Torah sul monte Sinai. Qui si ritiene che, visti lo sfondo nuziale del racconto e i numerosi riferimenti alla Legge di Mosè, non si possa del tutto escludere un'interpretazione del terzo giorno relativa al Sinai, anche se vi vediamo più immediatamente un richiamo alla risurrezione di Gesù, con Schna­ ckenburg e molti altri interpreti; cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. l , 458. Wengst de­ dica un interessante paragrafo alla notazione sul terzo giorno, considerandone la tradizione giudaica come giorno stabilito per le nozze. Egli nota che, secondo la Mishnah, la tradizione più antica riguar­ do al giorno delle nozze è quella del quarto giorno, modificata solo successivamente con quella del terzo giorno (cf. Ket 1 , 1); cf. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 106. Dunque il collegamento tra terzo giorno e nozze non può essere così diretto, ma, eventualmente, solo mediato attraverso la tradizione giudaica dello sposalizio tra Israele e YHWH sul monte Sinai. Più recentemente, anche Grasso vede nel terzo giorno solamente un riferimento al mistero pasquale; cf. GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 1 1 O. 59 Cf. SERRA, Contributi dell'antica letteratura giudaica per l'esegesi di Gv 2, 1-12, 29- 1 38.

Le

nozze di Cana (Gv 2, 1 -1 1 )

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do del dono della Legge sul monte Sinai nel racconto delle nozze di Cana. Naturalmente qui si è confermata solo la plausibilità di tale sfondo, ma nulla si è inteso affermare in relazione al ruolo narrativo che questo sfondo gioca nel racconto; ciò sarà più ampiamente discusso nell'ultimo paragrafo. 2.2. Sfondo sapienziale e profetico

Questo sfondo legale trova riletture sapienziali che presentano possibili agganci al QV. 60 Il maestro di tavola esclama rivolto allo sposo: «Hai conser­ vato ('tE'tllPllK ànÉcr'tEtA.a ùJ.Ld}. 30 Nel paragrafo dedicato allo sfondo veterotestamentario si svolgerà un'analisi semantica dettagliata del lessema 1tTJ'Yl\, sottolineando le ricorrenze più significative in ordine a Gv 4. Qui basterà per ora accennare al fatto che se nella LXX c'è poca differenza tra i due termini, in realtà cppéap è più vicino a cisterna, mentre 1tTJ'Yl\ è più vicino a fontana. Quindi, sostiene ad esempio Brown, quando la conversazione si sposta sull'acqua viva di Gesù, allora la fontana (1tTJ'Yl\) è l'ac­ qua donata da Gesù, mentre il pozzo di Giacobbe diventa una cisterna (cppéap); cf. BROWN, Giovan­ ni, vol. l , 222. 3 1 Secondo Boers, l'essenza della risposta di Gesù è una concezione di culto nella quale le discordie tra giudei e samaritani sul Tempio sono superate in una nuova comunità di credenti che adorano in spirito e verità; cf. H. BoERS, Neither on This Mountain nor in Jerusalem. A Study of John 4 (SBLMS 35), Scholars Press, Atlanta 1 988, 1 82. Che poi si parli del Tempio è, secondo Ci li a, evidente per il fatto che qui, come in Gv 1 1 ,48, «il luogo», come espressione assoluta, alla luce degli scritti dell'AT e del giudaismo indica il Tempio: cf. L. CiuA, La morte di Gesù e l'unità degli uomini (Gv 1 1,47-53; 12,32). Contributo allo studio della soteriologia giovannea (RivBibSupp 24), EDB, Bologna 1 99 1 , 23-25.

108

CAPITOLO V v. 2 1 : épxeml tfJpa m& ou't& tv 't@ OO&t 'tO\J'tcp ou't& tv 1spoooì..uu.Otç npomcuviJa&'t& 'tQl na'tpi v. 23: épxemz tfJpa Kaì vfiv èa'ttv, o't& oi àì..n9tvoì npooK\wn'taì npooKuvt1aoootv 'tQl na'tpì tv nvsuua'tt Kaì àì..n9sig

Da questa osservazione di natura retorica si ricava una conseguenza importante: l'espressione ÈV 1tVEUJ.Ul't1 K. 56 A proposito di Rebecca in Gen 24, 1 6-20, Filone afferma che ella «sce­ se alla fonte, dice Mosè, per riempire l'anfora e risalì. Da che cosa infatti è naturale che un animo assetato di saggezza venga dissetato se non dalla sa­ pienza di Dio, la fonte (1tll'Yll) inesauribile?))Y Tale caratteristica di inesau­ ribilità e di essere senza fme è propria anche del pozzo detto di Beersheva (Gen 26,32).58 A proposito di Gen 28, 1 0 su Beersheva come luogo di par­ tenza di Giacobbe verso Carran, Filone appoggia la traduzione di Beershe­ va come cppéap -rou OpKou, cioè «pozzo del giuramento)),59 che è il simbolo del sapere. 60 In un altro contesto, con riferimento a Nm 2 1 , 1 7 il pozzo indica un «sapere profondo per natura, celato da tempo remoto, ma ricercato e infme ritrovato)). 6 1 Se per Filone questo sapere è connesso alla natura inafferrabile del cielo, uno dei quattro elementi di cui è composto il mondo, a noi interes­ sa affermare il fatto che Filone utilizza una tradizione a lui preesistente, quel­ la di un pozzo legato alla figura di Giacobbe, per interpretarlo come fonte di una sapienza umanamente inattingibile, quella del cielo. Per avvicinarci ulteriormente alla tradizione cui qui si allude, connet­ tendo l'elemento materiale dell'acqua con il simbolo del pozzo e con il pa­ triarca Giacobbe, si può citare un Targum di Gen 28 62 che parla di cinque mi­ racoli accaduti quando Giacobbe uscì da Beersheba. Nel quarto miracolo il idea fondamentale, ossia che il racconto istituisca un paragone tra Gesù e Giacobbe. Infatti, come si approfondirà più avanti, Gesù nel dialogo con la donna non istituisce un paragone tra sé e Giacobbe, ma tra l'acqua viva da lui donata e l'acqua del pozzo di Giacobbe. Un'interpretazione molto ampia viene fornita da Fabris, secondo cui il dono dell'acqua è un dono di Dio che mette alla prova il popolo (cf. Es 1 7, 1 -7 e Nm 20,2- l l ) e può essere identificato con la stessa rivelazione; cf. FABRIS, Giovanni, 298-299. Un autore più recente, Wengst, sottolinea il collegamento tra acqua e insegnamento rabbi­ nico nella tradizione giudaica, ma senza associarlo direttamente al pozzo di Giacobbe; cf. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 1 72-1 73. 55 FILONE DI ALESSANDRIA, Defuga et inventione 1 98. 56 lvi, 195-196. 57 Io., De posteritate Caini 1 36. 58 Io., De somniis I , 1 1 . 59 L'etimologia di Beersheva come pozzo del giuramento si riferisce a due episodi. Il primo è appartenente al ciclo di Abramo, sulla contesa tra i servi di Abimelec e i servi di Abramo a motivo di un pozzo (cf. Gen 21 ,22-34), che si conclude con il giuramento di Abramo e Abimelec e il dono di sette agnelle da parte di Abramo. Il secondo si riferisce a un episodio simile riguardante lsacco, con l'escavazione di un pozzo e l'alleanza di giuramento con Abimelec (cf. Geo 26,23-33). 60 Cf. FIWNE DI ALESSANDRIA, De somniis 1,6. 61 Cf. ivi, 11,27 1 . 62 Cf. y e CN su Gen 28, 1 0; NEYREY, (4, 14), e attestata in Ez 36,27; l Ts 4,8; Rm 5,5; 8,9; cf. THEOBALD, Das Evangelium nach Johannes, 3 1 5. Anche a noi pare che non si debbano contrapporre le due possibili denotazioni dell'acqua viva, come rivelazione o come dono dello Spirito. Esse sono entrambe presenti nella parola attuale di Gesù: Si tratta di comprender­ ne meglio l'articolazione, cosa che faremo nel prossimo paragrafo.

L'acqua viva donata da Gesù (Gv 4, 4-42)

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sono allo stesso livello. Essi hanno una diversa funzione narrativa e, dunque, un diverso ruolo in ordine al compimento. 3. TIPOLOGIA IN Gv 4,4-42 3. 1. Tipologia patriarcale, profetica e sponsale

Riassumendo brevemente le conclusioni raggiunte nel paragrafo prece­ dente, possiamo indicare almeno tre possibili sfondi del racconto, suscettibili di evolvere verso una caratterizzazione esplicitamente tipologica. Un primo sfondo è quello patriarcale-matrimoniale, un secondo è quel­ lo profetico, un terzo proviene dalle interpretazioni veterotestamentarie e giudaiche del tema del pozzo e dell'acqua in relazione ai patriarchi e a Gia­ cobbe in particolare. Certamente, come abbiamo notato dall'analisi narrativa e dallo studio dello sfondo intertestuale, non si può negare che la donna assuma, nel dia­ logo con Gesù, una posizione, almeno implicitamente, sponsale. A favore di questa lettura del personaggio possiamo elencare almeno quattro punti. - Il racconto-tipo patriarcale-matrimoniale, accreditato dal narratore e dalla donna, gioca un ruolo importante nell'equivoco tra Gesù e la donna nella prima parte del dialogo (vv. 9- 1 5).73 - Lo sfondo profetico-sapienziale, con riferimento particolare al profe­ ta Osea, può conferire alla donna connotati che superano la sua dimensione individuale e la rendono simbolicamente rappresentante dell'intero popolo dei samaritani nella sua connotazione di sposa infedele di YHWH. 74 - Questo sfondo sponsale contribuisce inoltre a rendere la donna un personaggio collettivo, in grado di anticipare, nella sua persona, la prossima conversione a Cristo dei samaritani. Lei è la «donna», secondo l'appellativo utilizzato da Gesù al v. 2 1 , che rappresenta l'intera comunità dei samaritani che adora Dio sul monte Garizim.75 - Alla luce dello sfondo di Osea, il dono dell'acqua viva che Gesù fa alla donna richiama i doni di YHWH vero sposo alla sposa infedele. La conver­ sione dei samaritani potrebbe essere vista, qui, come una vera e propria ge­ nerazione spirituale dei figli che adorano il Padre in spirito e verità, alla luce del dono sponsale dell'acqua viva da parte di Gesù. Di contro, però, non è così facile considerare questo sfondo sponsale esplicitamente tipologico, perché il punto di vista del narratore sembra pri­ vilegiare altri aspetti.

73 Cf. supra, par. 2. 1 . 74 Cf. supra, par. 2. 1 . 75 Cf. supra, par. 1 .5.

CAPITOLO V

1 22

- Il racconto-tipo matrimoniale trova una variazione decisiva nei vv. 1 6- 1 8, dal momento in cui, tolto il velo di opacità, si rivela che la donna non è una vergine in attesa di matrimonio, ma una donna che ha avuto cinque uo­ mini ed è giunta a convivere con un sesto uomo.76 Inoltre lei non va in fami­ glia per portare Gesù dai suoi, ma conduce loro da lui: questa ulteriore varia­ zione rispetto al racconto-tipo significa che l'intimità del dialogo tra Gesù e la donna è in funzione della sua testimonianza presso i samaritani e questo è il suo ruolo principale per il narratore. 77 - L'ultimo ruolo narrativo della donna dopo il dialogo con Gesù ha uno spessore del tutto personale come testimone di Gesù presso la comuni­ tà dei samaritani. - Nella prima parte del dialogo tra Gesù e la donna (vv. 9- 1 5), l'equi­ voco di natura sessuale è solo velatamente alluso dalla prima domanda del­ la donna. Ben più centrale è l'equivoco riguardante la natura materiale-spiri­ tuale dell'acqua viva donata da Gesù, su cui insiste la conversazione tra i due nella prima parte del dialogo. 78 - Nella seconda parte del dialogo (vv. 1 6-26), una volta chiarito l'equi­ voco (vv. 1 6- 1 8), il dialogo si incentra sul tema del vero culto in spirito e ve­ rità e fa emergere che la tematica sponsale oseana è funzionale a sintonizzare la donna con la tonalità rivelativa delle parole di Gesù e a riconnettere il tema dell'infedeltà matrimoniale con quello del vero culto.79 L'identificazione del­ la donna con la sposa infedele di Osea è certamente presente, ma con l'inten­ zione di mettere in primo piano il tema del vero culto. In sintesi, possiamo affermare quanto segue. Le variazioni rispetto al racconto-tipo matrimoniale mostrano che l'interesse del narratore è di evi­ denziare il ruolo di testimone che la donna acquisisce al termine del dialogo con Gesù. Inoltre, se la donna assume, nel corso del dialogo, connotazioni collettive che la rendono rappresentante del suo popolo nel dialogo con Gesù e se lo sfondo del profeta Osea contribuisce a far risuonare le tematiche del­ la sposa infedele che il lettore facilmente riferisce alla donna, tuttavia questo ruolo della donna è finalizzato al tema del culto in spirito e verità e alla rive­ lazione dell'identità del messia. In una battuta si può affermare che la donna assume certamente una funzione «tipica» con connotazioni sponsali, perché essa rappresenta il po­ polo samaritano con le sue attese salvifiche, tuttavia la narrazione non tro­ va il suo culmine nel matrimonio «spirituale» tra la donna e Gesù, ma met­ te in evidenza soprattutto il tema del «vero culto» e l'adorazione in spirito e verità. I «segnali di compimento» presenti nel racconto, come vedremo, ci orienteranno a comprendere in rapporto a quali riferimenti, dal punto di viCf. supra, par. 1 .4. Cf. supra, par. 2. 1 . 78 Cf. supra, par. 1 .4. 79 Cf. supra, parr. 1 . 5 e 2. 1 . 76

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L'acqua viva donata da Gesù (Gv 4,4-42)

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sta del narratore, si dia un compimento tipologico. La tematica sponsale è certamente uno sfondo importante, perché connesso fortemente all'idolatria cultuale narrata da Osea, ma senza assurgere a una tipologia vera e propria. 80 Simili considerazioni valgono se si tenta di applicare una tipologia pa­ triarcale o profetica a Gesù. Se il narratore e la donna accreditano un con­ fronto tra Giacobbe e Gesù, in realtà Gesù non appoggia esplicitamente tale confronto. Egli infatti non istituisce alcun paragone tra lui e Giacobbe, ma piuttosto, come vedremo meglio in seguito, tra l'acqua del pozzo di Giacob­ be e l'acqua che egli darà e che diviene fonte che zampilla per la vita eterna (v. 14). In relazione al rapporto Giacobbe/Gesù non ci sono inoltre indica­ zioni di compimento univoche e la narrazione, dopo il rapido riferimento of­ ferto dalla donna (v. 1 2), non insiste su questo paragone diretto, muovendosi piuttosto verso la rivelazione messianica di Gesù. Per quanto riguarda la figura profetica, abbiamo notato come l'appli­ cazione di tale figura a Gesù sia effettuata dalla donna, in una tappa impor­ tante ma intermedia del suo dialogo con Gesù, che coincide con un punto di vista ancora parziale e incompleto per il narratore. Questo significa che la narrazione passa attraverso questa figura rapidamente, senza costruire con essa un preciso rapporto tipologico. Si potrebbe infine discutere se, sulla base dello sfondo profetico, Gesù si trovi in posizione sponsale in rapporto alla sposa infedele, che in questo caso sarebbe la Samaria come segno dell'intera umanità. Lo sposo nei testi profetici dell'Antico Testamento è sempre Dio: dunque è naturale associare a Gesù la figura del Messia sposo, anche perché egli si trova in posizione di­ vina, in tutto il racconto. Gesù dona l'acqua viva, come YHWH dona l'ac­ qua e i doni della terra alla sposa, che credeva di riceverli dagli amanti (cf. Os 2,7.23-24). Gesù è il seminatore, come YHWH semina nel Paese (cf. Os 2,25). Queste analogie sono significative e molto probabilmente volute dal narra­ tore, ma questo non comporta di per sé che tutto il racconto intenda anzitut­ to rivelare che il Messia Gesù sia lo Sposo. Inoltre, per ammettere una tipo­ logia sponsale bisognerebbe dimostrare in che senso la figura di Gesù come Sposo sia compimento della figura dello Sposo divino nell'Antico Testamen­ to, e ciò non è affatto chiaro. Si può dunque concludere affermando che la figura sponsale riferita a Gesù è certamente presente, ma come un'armoni­ ca - e non la nota fondamentale - del compimento a cui il racconto condu8° Cf. C.M. CARMICHAEL, «Marriage and the Samaritan Woman», in NTS 26(1 979-80), 332346. In questo articolo l'autore cita M.E. BoiSMARD, «Aenon, près de Salem», in RlJ 8(1 973), 21 8-2 1 9, per sostenere la tesi secondo cui la sezione sul Battista e quella della samaritana sono collegate sulla base del tema matrimoniale. Il tema matrimoniale è a sua volta legato a quello dei figli (crescere­ diminuire). Così il tema delle nozze si collega con quello della nascita e confluisce nella narrazione della samaritana. In particolare l'autore si appoggia su Pr 5, 1 5- 1 8, dove il riferimento al pozzo con l'acqua è connesso alla donna e al suo utero (cf. p. 336). Questi collegamenti, pur interessanti, appaio­ no unilaterali. I temi delle nozze e della ri-nascita sono certamente presenti nel c. 3, ma più complicato è stabilirne la connessione con il c. 4. Qui non si intende negare la presenza e l'importanza del tema matrimoniale, ma si cerca solo di comprenderne la funzione narrativa.

CAPITOLO V

1 24

ce. Infatti la progressione rivelativa del racconto passa attraverso questa fi­ gura per accreditarne di ulteriori e più definitive, attraverso opportuni «se­ gnali di compimento». 3.2. Tipologia «istituzionale»

Lo sfondo giudaico, di cui abbiamo sopra riferito, ricollega la figura del patriarca Giacobbe al tema del pozzo e dell'acqua, e mostra come questi sim­ boli siano usati, anche in riferimento al patriarca, per esprimere le istituzioni legali e cultuali del popolo d'Israele. Si è già notato come il paragone istitui­ to dalla donna tra Gesù e Giacobbe non sia affatto sottolineato da Gesù. Il punto di vista di Gesù e del narratore in questo dialogo fa emergere piuttosto un paragone tra l'acqua del pozzo e l'acqua viva che Gesù dona (vv. 1 3-14). Il parallelismo antitetico sviluppato da Gesù in questi versetti è un notevole se­ gnale di compimento, che articola continuità e discontinuità nel rapporto tra l'acqua del pozzo di Giacobbe e quella che Gesù dona. Nel dettaglio l'avver­ bio naÀ.tv (v. 1 3), che indica la necessità di ritornare ad abbeverarsi dell'acqua materiale, viene posto in antitesi con l'espressione avverbiale Eiç 't'ÒV aiéòva (v. 1 4) che indica il superamento di tale necessità, grazie a una potenzialità senza fine. Tale acqua è, infatti, una fonte che zampilla per la vita eterna, Eiç çroi)v aicòvtov (v. 1 4): il significato del sintagma uòrop çrov (v. 1 0) viene qui dettaglia­ to attraverso la trasformazione semantica cppÉapht'llYTt, che gioca un ruolo di compimento, perché l'acqua diventa ora una fonte che si autoalimenta senza fme. Non a caso questa descrizione della 1t11Yit ricorda da vicino il Targum di Gen 28 citato nel paragrafo precedente, in cui si parla di una fonte che si au­ toalimenta per tutto il tempo in cui Giacobbe si trova in Carran, o le descri­ zioni filoniane del pozzo di Giacobbe come una fonte infinita (Gen 29, 1), che rappresenta la sapienza divina. 81 Il punto di vista spaziale, con la centralità di Gesù lungo tutta la narrazione, nella posizione del pozzo di Giacobbe, con­ ferma che l'associazione non è tanto tra Giacobbe e Gesù, ma tra il pozzo e il donatore di quest'acqua che diviene essa stessa una fonte di acqua zampil­ lante. Il compimento si articola dunque attorno alla centralità di Cristo, in re­ lazione alle istituzioni legali e cultuali rappresentate dal pozzo di Giacobbe. Se, come è stato ampiamente dimostrato, il dialogo tra Gesù e la donna sul vero culto (vv. 1 9-26) rappresenta l'approfondimento del versante simbo­ lico di quanto era già in gioco nel rapporto tra l'acqua del pozzo di Giacob­ be e l'acqua che Gesù dona nella prima parte del dialogo, ciò significa che in questi ultimi versetti del dialogo si devono trovare conferme sui rapporti di compimento che sono stati individuati. L'analisi del punto di vista fraseologico e spaziale mostra che l'utilizzo dell'tv in funzione locativa (vv. 2 1 .23) contribuisce ad articolare il culto ma81

Cf. supra, par. 2.2.

L'acqua viva donata da Gesù (Gv 4,4-42)

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teriale e quello spirituale, collegandoli in opposizione. Se tale parallelismo spaziale può già essere considerato un segnale di compimento, l'analisi del punto di vista temporale fa emergere ulteriori segnali che articolano un com­ plesso rapporto di continuità/discontinuità. 82 Al v. 2 1 l'ora che viene (&px&-rat) è adesso (vuv, cf. v. 23): si tratta di un vuv escatologico, connesso alla venuta del Messia (cf. EPlE'tat, v. 25). Al v. 22 Gesù parla al presente e alla prima persona plurale, riferendosi ai giudei, ma anche a se stesso: 83 «Noi adoriamo quello che conosciamo». Tale conoscen­ za di Gesù è in profonda relazione con tutta l'economia della salvezza vete­ rotestamentaria, perché «la salvezza proviene dai giudei» (ÈK -réòv 1ouOO.icov f:otiv). La formula f:o-riv ÈK contribuisce a porre l'ora escatologica del Messia con il passato della tradizione d'Israele (cf. 7,22: qui Gesù parla dell'origine di un'istituzione giudaica, la circoncisione). Al v. 23 il tempo ritorna a essere futuro e il soggetto è in terza persona plurale: i veri adoratori. Quindi il passaggio dal v. 22 al v. 23 connette il passato della tradizione d'Israele con il presente messianico, che inaugura un nuovo eone escatologi­ co. Ciò significa che, quando Gesù parla al «noi» al v. 22, intende tenere in­ sieme il presente d'Israele nel culto gerosolimitano con il presente messiani­ co che inizia con la sua persona e che inaugura l'eone escatologico dei nuovi adoratori in spirito e verità. Nella sua persona si sovrappongono il culto ge­ rosolimitano dei giudei e il nuovo culto in spirito e verità. Questa analisi, tramite l'individuazione dei segnali di compimento nei sintagmi EPlE'tat &pa Kaì vuv f:onv ed f:o-riv ÈK, mostra bene che il passag­ gio dall'acqua materiale all'acqua vivente del nuovo culto non è caratteriz­ zato da pura discontinuità. Se nel v. 1 3 si ha l'impressione che venga sottoli­ neata solo la discontinuità tra l'acqua del pozzo di Giacobbe e l'acqua viva che Gesù dona, ciò è perché Gesù reagisce al tentativo della donna di por­ lo a confronto con Giacobbe. In realtà la continuità tra tipo e antitipo non è dovuta soltanto al riferimento metaforico dell'acqua, ma molto più alla cen­ tralità di Cristo in cui l'antica istituzione e la nuova trovano una possibile coesistenza. 82 Cf. DE LA PoTTERIE, «Nous adorons, nous, ce que nous connaissons, car le salut vient de JuifS)), 88-92. 83 Non ritengo che si debba accentuare molto, come fa de la Potterie, l'io di Gesù nel «noh) al v. 22. Nella contrapposizione noi/voi qui non c'è l'io di Gesù contro samaritani e giudei, perché Gesù si identifica realmente con la storia religiosa del suo popolo. Infatti il «voi» del v. 2 1 , per quanto sia citata Gerusalemme, si riferisce solo ai samaritani e non anche ai giudei, perché Gesù sta replicando a tono alla contrapposizione noi/voi iniziata dalla donna al v. 20. In questa prospettiva, anche se l'accento non cade più sulla conoscenza del Padre che Gesù ha, non viene meno la sua centralità, resa possibile dalla dialettica temporale dei vv. 21 -23 . Cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. l, 647-65 1 . La centralità di Cristo nel passaggio dall'antico al nuovo culto è pienamente affermata da Schnackenburg, senza che egli abbia bisogno di far riferimento alla coscienza di Gesù nel v. 22. In definitiva, se l'affermazione di de la Potterie è vera in relazione al messaggio globale del vangelo, non sembra essere appropriato forzare particolarmente il v. 22 per vedere la coscienza di Gesù esplicita­ mente intesa nel «noh> al v. 22. Infatti tale coscienza è qui racchiusa solo implicitamente.

1 26

CAPITOLO V

Se consideriamo questi «segnali di compimento», che articolano la continuità e la discontinuità, come un'indicazione della tipologia in atto, possiamo identificare, nel rapporto istituito da Gesù tra l'acqua del pozzo di Giacobbe e l'acqua che diviene fonte zampillante per la vita eterna, una ti­ pologia introdotta dal narratore con i riferimenti patriarcali e confermata da Gesù stesso nello stabilire un rapporto tipo/antitipo tra le istituzioni legali cultuali d'Israele e il culto in spirito e verità attraverso il simbolo dell'acqua. Lo sfondo veterotestamentario che è stato analizzato riguardo ai sim­ boli del pozzo di Giacobbe e dell'acqua costituisce il fondamento di tale ti­ pologia, che raccoglie un insieme complesso di significati, riassumi bili sia nel quadro delle istituzioni religiose storiche d'Israele sia nel quadro del com­ pimento escatologico dell'alleanza (cf. Ez 36,25-27). Se infatti l'acqua del pozzo di Giacobbe indica il culto, la Legge e la Sapienza dell'Antico Testa­ mento, l'acqua che Gesù dona può richiamare lo Spirito, che è acqua viva (uòrop �éOV, V. 10; cf. 1tO'taJ.LOÌ ÈK 'tf\ç K01Ataç au'tOU pEUCJOUatV UÒa'tOç l:éOV'tQç, v. 7 ,38)84 e che conduce alla verità, ossia alla piena rivelazione cristologica (v. 23). L'adorazione in spirito e verità spalanca la rivelazione messianica ai veri adoratori: l'aggettivo aA.118tvoì si presenta come un ulteriore segnale di compimento che mostra come non si debba contrapporre spirito e rivelazio­ ne, ma anzi connetterli nella simbolica dell'acqua vivente. Lo Spirito è infat­ ti il luogo dell'adorazione vera. Essa è vera perché conduce alla verità mes­ sianica di Gesù, Logos che abita nella sua carne, il tempio per eccellenza, che è lo spazio privilegiato della relazione con il Padre, e proprio per questo può essere confessato come Salvatore del mondo. Come ben chiarisce de la Pot­ terie, alla luce di tutto il vangelo lo Spirito è colui che fa entrare nella verità di Cristo (cf. Gv 14, 1 7; 1 5,26; 1 6, 1 3). Nella luce dello Spirito presente i n Gesù, grazie a questa acqua viva promessa da Gesù (4, 14; 7,38-39) e donata da Gesù a partire dalla sua glorificazione ( 1 9,30-34; 20,22) i discepoli possono diventare uomini di fede e ottenere una conoscenza pro­ fonda della verità di Gesù stesso. Questa verità di Gesù diventerà lo spazio interiore della loro nuova via; la verità costituirà il nuovo tempio, il santuario dove potranno con Cristo e come Cristo adorare il Padre. 85

Alla luce di queste considerazioni di de la Potterie, si può scorgere il legame strettissimo che intercorre tra Spirito e verità: l'azione dello Spirito conduce il credente dentro alla rivelazione di Gesù, alla sua verità. 86 A proposito della rivelazione messianica di Gesù come tempio, luogo a cui lo Spirito conduce i suoi adoratori, si possono trovare ulteriori conferme 84 Cf. supra, par. 2.2. 85 Cf. DE LA PoTIERIE, «Nous adorons, nous, ce que nous connaissons, car le salut vient de Juifs», 95. 86 Cf. L. P. JoNES, The Symbol of Water in the Gospel ofJohn (JSNT.S 1 45), Sheffield Academic Press, Sheffield 1 997, 1 04.

L'acqua viva donata da Gesù (Gv 4,4-42)

1 27

alla luce del dialogo Gesù/discepoli. Il punto di vista del narratore, che risul­ ta dalla reinterpretazione degli eventi che Gesù fa in dialogo con i discepoli, 87 collega il compimento della volontà del Padre (n:A.etcf>aco aùrou -rò q,yov, v. 34) con il cibo che Gesù ha da mangiare. Non si deve trascurare questo se­ gnale di compimento, caratterizzato dal verbo -reA.et6co, e che mostra il rife­ rimento fondamentale al corpo di Gesù, al suo bere e mangiare. Il passag­ gio dalla mancanza di acqua e di cibo per Gesù al dono sovrabbondante che Gesù stesso compie caratterizza la trama del racconto e connota il compi­ mento. Collocato nella posizione del pozzo di Giacobbe, il corpo di Gesù, con le sue necessità fisiche, è in realtà il tempio da cui scaturisce l'acqua dello Spirito. 88 L'incomprensione dei personaggi in dialogo con Gesù (donna e di­ scepoli) mostra il duplice livello su cui Gesù si muove. Egli chiede da bere, ma in realtà vuoi donare l'acqua viva dello Spirito. Egli risponde all'invito dei di­ scepoli di mangiare, non però del cibo che loro gli porgono, ma del cibo co­ stituito dal fare la volontà del Padre. La volontà del Padre è che egli doni alla donna l'acqua viva, per seminare e far crescere, attraverso la testimonianza della donna, un popolo di adoratori in spirito e verità. Gesù il Figlio è dun­ que il tempio, ossia il luogo della relazione con il Padre, in spirito e verità. Tale tempio, posto in connessione con il pozzo di Giacobbe, è il compimento delle istituzioni cultuali d'Israele e insieme la verità a cui conduce lo Spirito. 3. 3. Tipologia e generazione alla fede

Merita di essere approfondito il ruolo della trama di rivelazione mes­ sianica del corpo di Gesù associato al pozzo di Giacobbe, corpo-tempio che dona l'acqua viva del vero culto. 89 La sete e la fame di Gesù vengono sazia­ te con la conversione della donna e dei samaritani e ciò comporta il com­ pimento dell'opera del Padre (ÈJ.LÒV Bpéi>u, v. 55). Inoltre al v. 58 troviamo un'autori­ velazione conclusiva di Gesù che ricapitola tutti i temi, ricollegandosi ai vv. 48-49 e al v. 54. Riassumendo e schematizzando, le cesure maggiori del discorso del pane non sono costituite dagli interventi della folla e dei giudei, che si limi­ tano a reagire a quanto affermato da Gesù, rispettivamente fraintendendo e rifiutando le sue parole. Tali cesure sono invece dovute alle improvvise, ina­ spettate e solenni autorivelazioni che Gesù stesso compie, identificandosi con il pane della vita per due volte (vv. 35.48) e per un'ultima volta nel versetto conclusivo di tutto il discorso (v. 58).19 Possiamo dunque articolare in questo modo tutto il discorso: - vv. 25-34: dialogo e fraintendimento tra Gesù e la folla; - vv. 35-47: prima autorivelazione di Gesù e incredulità dei giudei; - vv. 48-57: seconda autorivelazione di Gesù e incredulità dei giudei; - v. 58: conclusione ricapitolativa. Occorre, in ogni caso, tenere in considerazione che questa suddivisione non è rigida, ma tiene conto di una composizione concatenata, con una con­ tinua ripresa con variazione dei temi. 20 18

Cf. BEUTLER, «Zur Struktur von Johannes 6>>, 99. 1 9 Questa medesima composizione è proposta da Léon-Dufour. Per lui la divisione sarebbe dunque: vv. 24-34.35-47.48-59; cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 460. 20 Questa composizione è in linea con le osservazioni di Aletti, secondo cui è necessario mettere in relazione due autodesignazioni di Gesù (vv. 35.48); due definizioni con proposizione finale (vv. 39.50); due obiezioni (vv. 4 1 -42.52); due conseguenti risposte di Gesù (vv. 43.53). Infatti l'autodesi­ gnazione di Gesù al v. 35 viene ripresa al v. 48, con variazioni (una più esplicita discontinuità con la manna). Le due definizioni (vv. 39.50) riprendono il tema della risurrezione con la variante della vita eterna. Anche le due obiezioni (vv. 4 1 . 52) sono chiaramente da porre in parallelo. Si tratta di una continua ripresa di temi con variazione, con aggiunta di elementi di novità; cf. J.-N. ALETTI, «Le di­ scours sur le pain de vie. Problèmes de composition et fonction des citations de l'Ancien Testament)), in RSR 62(1 974), 1 69- 1 97.

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CAPITOLO VI

In questa concatenazione e continua ripresa di temi si assiste a una pro­ gressione che approfondisce il tema dell'identità di Gesù e del suo dono agli uomini, come pane di vita. Nella seconda autodichiarazione di Gesù (vv. 4849) è maggiormente sottolineata la discontinuità tra il pane vivente, che di­ scende dal cielo perché chi lo mangia abbia la vita eterna, e la manna, che i padri mangiarono, e morirono. Tale progressione è in linea con il cambio dal personaggio della folla a quello dei giudei, caratterizzato dalla mormorazio­ ne e dallo scandalo nei confronti di Gesù. La conclusione (vv. 52-58) si n­ collega all'inizio (vv. 26-29) e riprende tutti i temi sviluppati lungo il discor­ so per portarli a compimento con la simbolica del mangiare la carne e bere il sangue. Il dono della carne per la vita del mondo (v. 5 l ss) proietta già l'om­ bra della morte di Gesù. 2 1 Se la prima obiezione dei giudei esprime il rifiu­ to dell'incarnazione, la seconda dunque manifesta lo scandalo della croce. 22 Solo attraversando lo scandalo della morte di Gesù si può accedere al dono della vita che proviene dal Padre ed entrare nella mutua inabitazione vitale che c'è tra il Padre e il Figlio (v. 57). Il cibo che rimane per la vita eterna (v. 27) diviene qui un rimanere reciproco del discepolo nel Figlio e del Padre nel discepolo, che lo inserisce nella vita stessa di Dio. Questo significa precisa­ mente mangiare, anzi, «masticare» il pane che è disceso dal cielo e vivere per sempre (v. 58).

1.3. Trama di risoluzione di Gv 6 In questo paragrafo si cerca di mostrare l'unità compositiva dell'inte­ ro c. 6, rilevando una certa coerenza nello sviluppo dell'azione e nelle tema­ tiche connesse lungo tutto il succedersi delle diverse scene che compongono la narrazione. Dall'inizio alla fine di ciascuna scena troviamo una serie di transizio­ ni: il passaggio dall'insufficienza di cibo (cf. v. 9) alla sovrabbondanza (v. 1 3) nella scena della moltiplicazione dei pani; il passaggio dalla tempesta nel 21 C'è sostanziale accordo, tra gli esegeti, sul fatto che qui vi sia un rimando alla morte di Gesù. Si vedano, ad esempio, commentari tradizionali come quello di LAGRANGE, Évangile selon saint Jean, 1 83. Similmente anche LIGHTFOOT, St. John's Gospel, 1 69. Anche Moloney ammette questo riferimen­ to alla morte di Gesù, ritenendo che dopo 5,16- 1 8 la morte di Gesù è nell'aria e il dono della vita che Gesù farà supera e trascende la tradizione della festa di Pasqua; cf. MowNEY, The Gospel of John, 22 1 . Secondo Barrett, il riferimento alla tradizione eucaristica di Le 22, 1 9b, ((dato per voi», mostra un collegamento con la morte di Gesù come dono e suggerisce una sfumatura sacrificale; cf. BARRETT, The Gospel according to St John, 298. Così anche BULTMANN, The Gospel ofJohn, 235; LINDARS, The Gospel of John, 267. Dunn sottolinea piuttosto il fatto che nell'umanità di Gesù, consegnata alla morte e glorificata, sia compreso il dono dello Spirito che conduce all'unione dei discepoli con Gesù. Dunque, aggiungiamo noi, l'elemento sacrificale sarebbe piuttosto da comprendere in una chiave comunionale. Dunn, inoltre, afferma che nei vv. 5 1 -58 1'evangelista non intende riferirsi direttamente alla celebrazione eucaristica, ma usa una terminologia eucaristica in un senso traslato, per descrivere non tanto gli effetti del sacramento, quanto l'unione di Gesù asceso con i suoi discepoli attraverso lo Spirito; cf. J.D.G. DUNN, dohn VI - An Eucharistich Discourse?», in NTS 1 7(1 970), 328-338. 22 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 487.

Il pane della

vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -7 l )

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mare senza Gesù (v. 1 8) alla terraferma con Gesù (v. 21) nella scena della traversata; il passaggio dalla morte alla vita eterna nel discorso sul pane (v. 58). Tutti questi passaggi possono essere considerati in modo globale e unita­ rio. Essi infatti obbediscono sostanzialmente a uno schema formale di tran­ sizione dal negativo al positivo, ossia dall'insufficienza alla sovrabbondan­ za, dall'assenza alla presenza, dalla morte alla vita, che le caratterizza glo­ balmente. Tale schema può essere definito come una trama di risoluzione, dal momento che permette di articolare la dinamica complessiva della nar­ razione: esso è infatti correlato con le risposte dei personaggi, in termini di accoglienza o di rifiuto, così da fornire una descrizione complessiva dell'in­ treccio. Ora si cercherà di mostrare più nel dettaglio questo intreccio appe­ na tratteggiato. Dopo aver posto le condizioni spazio-temporali e aver presentato i per­ sonaggi (vv. 1 -4), il narratore fa iniziare l'azione da una domanda di Gesù (v. 5). Con una breve intrusione si premura di far notare al suo lettore che Gesù sapeva cosa stava per fare e dunque la sua domanda consisteva in una prova di fede per il discepolo (-rou-ro òè EAE'YEV 7tEtpaçrov aù-r6v· aù-ròç yàp flòEt -ri EIJ.EAAEV 7totEtv, v. 6). Il corso della risoluzione non nasce dunque dal­ la valutazione di un bisogno, a causa dell'ora ormai tarda, né tantomeno da una richiesta esterna, ma unicamente dalla volontà libera e incondizionata di Gesù, 23 che intende rivelarsi non solo alla folla, ma anzitutto ai suoi disce­ poli, mettendoli alla prova. Inoltre, a differenza dei sinottici, egli non dà or­ dine ai suoi discepoli di distribuire i pani: lui è il soggetto del verbo «distri­ buire» (òtaòiòror..tt).24 L'azione si sviluppa dunque sottolineando che Gesù è il donatore per eccellenza,Z5 colui che rende possibile una trasformazione para­ dossale da un'insufficienza di cibo a una sovrabbondanza. L'utilizzo dei ver­ bi indica infatti un'iniziale situazione di mancanza (oùK àpKoucnv aù-roi'c; iva EKaa-roc; J3pax.u [-rt] A.®11, v. 7). La trasformazione avviene nel passaggio da una situazione di oggettiva insufficienza in rapporto al nutrimento della fol­ la, ossia cinque pani e due pesci (v. 9), a una condizione di sovrabbondan­ za di cibo, che rimane, dopo che le folle si sono sfamate, in dodici ceste pie­ ne di pani avanzati (v. 1 3). Questo passaggio da una mancanza a una pienez­ za sovrabbondante è sottolineato a più riprese dal narratore: la gente viene riempita, saziata (ci>c; òè ÈVE7tA.Ua9naav, v. 12), addirittura rimangono pezzi avanzati (A.ÉyEt -roi'c; r..ta811-rai'c; aù-rou· auvayayE-rE -rà 7tEptaaeuaav-ra KA.aar..ta-ra, \va IJ.ll n à7tOA11'tat, v. 12), e di questi pezzi avanzati si riempiono dodici ce­ ste (ÈyÉutaav òroòEKa KOQ>i vouc; KA.aar..ta-rrov ÈK -réòv 7tÉV'tE (ip-rrov -réòv Kpt9ivrov a È7tEpiaaEuaav 'tOtc; J3eJ3proK6atv, v. 1 3). Tutte queste indicazioni di pienezza e sovrabbondanza sono direttamente riferite all'elemento del pane (non ai

23 Cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 35. 24 Cf. ivi, 35. 25 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 44 1 .

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due pesci, che non vengono più citati)26 e sono un indizio per il lettore. Non si tratta infatti semplicemente di un resto, ma di un «sovrappiù»/7 per indi­ care una pienezza del dono che va oltre qualsiasi bisogno dell'uomo. Inoltre il sovrabbondare del cibo è anticipato da un ordine di Gesù, che invita a rac­ cogliere i pezzi avanzati, «perché nulla vada perduto» (tva IJ.ll 'tt a7t6An'tat), v. 1 2). Questo cibo che Gesù dona, sovrabbonda e rimane, perché è un cibo che non si può corrompere (cf. v. 27: èpyaç&o9& IJ.Tt 'tTtV f3péòmv 'tÌJV à7toA.A.uuévnv). Si tratta di segnali narrativi che orientano decisamente il lettore al carattere speciale del nutrimento che Gesù dona. 28 Questo aspetto non viene colto dal­ la folla che ricerca Gesù solo per essere stata saziata (v. 26) e non è in grado di interpretare il segno compiuto. La fuga di Gesù, che non vuole farsi «af­ ferrare» (v. 1 5), ossia possedere e manipolare dalla folla, conferma questa in­ capacità di comprensione, che si manifesterà più chiaramente nel discorso del pane di vita. Queste considerazioni fanno emergere il ruolo che il raccon­ to della moltiplicazione dei pani svolge nel QV, quello di introdurre il discor­ so di Gesù, secondo uno schema piuttosto consueto, che prevede il raccon­ to di un segno e il successivo discorso di Gesù, con un'alternanza di showingl telling/9 in grado di articolare la produzione del segno e la sua portata rive­ lativa. Per ora non si intende tuttavia approfondire la dinamica della rivela­ zione, ma insistere sull'intreccio di risoluzione con l'analisi di scene ulteriori. Anche la scena della traversata del mare, pur non costituendo un ulte­ riore segno rispetto a quello dei pani, serve a introdurre il discorso nella si­ nagoga di Cafamao e le reazioni dei discepoli.30 Questa scena è caratterizza­ ta dalla paura dei discepoli, indizio di una loro iniziale immaturità, che emer­ gerà anche nei vv. 60-65. Tuttavia il narratore intende differenziare la fol­ la dai discepoli. Se, infatti, la folla prende l'iniziativa riguardo a Gesù (cf. v. 1 5), i discepoli lasciano a Gesù l'iniziativa, sia nella moltiplicazione dei pani sia nella traversata sul mare. Ciò emerge dall'utilizzo dei verbi: mentre la fol­ la vuole afferrare Gesù, i discepoli lo accolgono nella barca. Essi si separano da Gesù all'inizio della traversata e lo ritrovano al termine, perché Gesù si è incamminato verso di loro e li ha raggiunti e, non appena lo hanno accol-

26 Cf. GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 211. 27 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 446. 28 Cf. MoLONEY, The Gospel of John, 209. Egli vi vede un richiamo all'eucaristia. 29 Con i termini inglesi showing e telling si indicano i modi di esporre propri dell'arte di raccon­ tare, che già Platone distingueva con i termini mimesi e diegesi. Con mimesi/showing si intende il modo narrativo che procede attraverso il discorso diretto dei personaggi, senza interventi del narratore. Con diegesiltelling si intende il modo narrativo che prevede il racconto in terza persona da parte del narratore; cf. D. M ARGUER AT Y. BouRQUIN, Per leggere i racconti biblici, Boria, Roma 20 1 1 (2001), 75-77. 30 Anche secondo Labahn la moltiplicazione dei pani e il passaggio del mare servono a mo­ strare la sovranità di Gesù e introducono la sua autorivelazione. Infatti tutta l'attività di Gesù al c. 6 è interpretabile come autorivelazione; cf. M. LABAHN, «Controversia! Revelation in Deed and Word. The Feeding of the Five Thousand and Jesus' Crossing of the Sea as a "Prelude" to the Johannine Bread of Life Discourse», in lBSt 22(2000), 1 54. -

Il pane della

vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -71)

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to nella barca, sono approdati all'altra riva.31 La mancanza di Gesù è asso­ ciata all'impossibilità di muoversi per il vento contrario, mentre la presenza di Gesù sulla barca consente di approdare immediatamente alla riva. Inoltre i discepoli passano dalla morte (mare) alla vita (approdo all'altra riva) non appena «prendono» con loro Gesù. 32 La Parola di Gesù è infatti in grado di dominare le potenze della morte che incutono paura all'uomo e il suo: «lo sono: non abbiate paura» è in grado di risolvere l'impasse in cui si trovano i discepoli, che non riescono ad andare avanti. Se accogliere Gesù nella barca vuoi dire passare dalla morte alla vita, allo stesso modo mangiare il pane di­ sceso dal cielo dona una vita capace di vincere defmitivamente la morte. In­ fatti, da un lato, i padri hanno mangiato la manna e sono morti; dall'altro, colui che mastica questo pane non morirà in eterno (v. 58): in tal modo il pas­ saggio dalla morte alla vita eterna per mezzo del nutrimento celeste è al cuo­ re del discorso della sinagoga di Cafarnao e suscita posizioni di accoglienza o di rifiuto, sia nella folla che nei discepoli. Riassumendo, possiamo affermare quanto segue. Il passaggio dall'in­ sufficienza alla sovrabbondanza di pane, senza che nulla vada perduto (v. 12), viene simbolicamente tradotto nel passaggio dalla morte alla vita, otte­ nuto grazie al nutrimento che non si corrompe, ma che dura per la vita eterna (v. 27), perché è un pane che dona la vita eterna a chi lo mangia, a differen­ za dei padri che morirono (v. 58). Dunque la simbolica del nutrimento, nel passaggio dall'insufficienza alla sovrabbondanza, dalla morte alla vita eter­ na, in rapporto all'accoglienza o meno da parte dell'interlocutore, può unifi­ care l'intera risoluzione. 33 3 1 Cf. G.A. PHILIPS, «This Is a Hard Saying, Who Can Be Listener to lt? Creating a Reader in John 6», in Sem 26(1 983), 40. Egli sostiene che i discepoli possono nutrire la folla o arrivare a riva solo dopo l'iniziativa/Parola di Gesù, mentre la folla prende l'iniziativa/parola. Questo mi sembra interessante per mostrare la differenza tra folla e discepoli. I primi hanno una chiara evoluzione, la seconda invece no, perché interpreta Gesù con le proprie categorie. 32 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 456. Per un maggior approfon­ dimento della scena giovannea della traversata del mare, con in evidenza la connessione tra prendere Gesù con sé, comprendere la sua rivelazione e approdare all'altra riva, si veda C.H. GIBLIN, «The Miracolous Crossing of the Sea (John 6, 1 6-2 1)», in NTS 29(1983), 96- 1 03. Secondo Barrett, Gesù fugge da chi lo vuole afferrare per fame un messia politico, ma si rivela ai suoi discepoli; cf. BARREIT, The Gospel according to St John, 280. Lightfoot sottolinea che la reazione di paura dei discepoli è giustificata ma mostra ancora un'immaturità della loro fede; cf. LIGHTFOOT, St. John's Gospel, 1 58. Moloney mostra bene come i personaggi (Gesù, i discepoli e la folla) si siano separati all'inizio della traversata e ora Gesù e i discepoli sono riuniti, perché Gesù viene loro incontro ed essi lo accolgono. Questo movimento distingue chiaramente il personaggio della folla dai discepoli; cf. MoLONEY, The Gospel of John, 203. Secondo Theobald, l'insistenza sulle tenebre e sulle forze del mare e del vento sottolinea le potenza del caos e della morte, che Gesù è in grado di dominare con la potenza creatrice della sua parola; cf. THEOBALD, Das Evange/ium nach Johannes, 443-444 . 33 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 432. Qui egli identifica nella simbolica del nutrimento, come esperienza di dipendenza, l'elemento unificante dell'intero capitolo 6, insieme alla dualità vitalmorte e fede/non fede. L'unitarietà della trama del c. 6 è ben sintetizzata anche da ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 28. Secondo diversi autori, questa unitarietà si ritrova a partire dallo sfondo sacramentale eucaristico, riletto in connessione con la Pasqua ebraica; cf. LINDAR S, The Gospel of John, 236; MoLONEY, The Gospel of John, 1 93. Si veda anche lo studio di J. KILMARTIN, «Liturgica] influence on John 6», in CBQ 22(1 960), 1 83- 1 9 1 . Secondo questo autore,

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In questo quadro non sono stati sviluppati gli aspetti connessi all'in­ treccio di rivelazione: in particolare, l'esplicitazione del simbolismo del pane disceso dal cielo, attraverso la triplice autoidentificazione proposta da Gesù, appartiene al cuore della trama di rivelazione di Gv 6. Prima, però, di esplici­ tarla nel dettaglio, si intende approfondire il punto di vista spazio-temporale e fraseologico del racconto.

1.4. Analisi dei personaggi (folla, giudei e Gesù) e del punto di vista Le affermazioni riguardanti Gesù passano dalla qualifica di profeta (v. 14) da parte della folla, a quella, più impegnativa, di «santo di Dio» (v. 69) da parte di Pietro e da una fede basata sui segni (2. 14) a una fede fondata sulla Parola di Gesù (v. 68).34 Inoltre, si passa da una moltitudine entusia­ sta di 5.000 persone (v. 1 0) a un resto di discepoli, che coincide di fatto con i Dodici (vv. 66-67). Si può dunque notare una progressione narrativa riguar­ do all'identità di Gesù e alle affermazioni su di lui, passando dal personag­ gio folla, che dichiara Gesù un profeta, ai discepoli che, per bocca di Pietro, accolgono Gesù come il santo di Dio.35 Tale progressione passa attraverso ogni personaggio (folla, giudei, discepoli, Dodici, Pietro), che reagisce alle parole di Gesù con una sua caratterizzazione specifica e rappresenta un cer­ to atteggiamento nei suoi confronti, con varie gradazioni, dall'incredulità alla fede. Tuttavia, la frontiera tra incredulità e fede passa anche all'inter­ no dei due gruppi principali di personaggi: la folla e i discepoli. Il narrato­ re confonde il lettore e lo «destabilizza», perché l'adesione di fede non è così sicura per nessuna appartenenza di gruppo. 36 Ciò che si cercherà di descri­ vere è il progressivo cristallizzarsi delle posizioni di accoglienza e rifiuto di Gesù durante e dopo il discorso della sinagoga di Cafamao: infatti, sia co­ loro che accolgono Gesù (i Dodici, eccetto Giuda), sia coloro che lo rifiuta­ no (gran parte dei discepoli e i giudei), sono accomunati dal fatto che il loro punto di vista viene alla luce esplicitamente a causa del discorso di Cafar­ nao, fino a sfociare in una scelta definitiva o annunciata come tale (cf. GiuGv 6 è una specie di Haggadah pasquale cristiana, come emerge dagli interessanti paralleli con il libro della Sapienza, che contiene, nella sua terza parte, caratterizzata da una rilettura delle piaghe esodali, un'Haggadah giudaica sulla Pasqua. Si può notare, ad esempio, che il comportamento dei giudei in rapporto ai miracoli di Gesù è simile a quello degli egiziani verso i segni delle piaghe. Inoltre Gesù parla del suo rapporto col Padre in termini molto simili al rapporto tra la sapienza e Dio. Queste e altre affinità presupporrebbero una fonte comune, una sorta di Haggadah pasquale, per la descrizio­ ne degli eventi dell'Esodo. Qui non assumiamo questa prospettiva, notevolmente congetturale, ma preferiamo ammettere più semplicemente che lo sfondo del libro della Sapienza sia molto importante per il QV. In definitiva, ritornando al tema liturgico-eucaristico, pur consapevoli della presenza e dell'importanza della tematica pasquale in Gv 6, non intendiamo fame l'unica chiave di comprensio­ ne unitaria del racconto. 34 Cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 32. Egli sottolinea che la tematica della fede basata sui segni è presente fin dall'inizio, al v. 2. 35 Cf. LUCIANI, «De 5000 à h >, 58 1 . 36

Cf. ivi, 585.

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vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -71)

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da nel v. 7 1 ).37 Lo studio del punto di vista spazio-temporale, segnalato dai movimenti dei personaggi, e di quello fraseologico, reso evidente dalle loro dichiarazioni, ci aiuterà a comprendere e a far emergere le diverse posizio­ ni riguardo all'identità di Gesù e a metterle in rapporto con quella di Gesù stesso e del narratore. Iniziamo dal personaggio folla. Il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che richiama miracoli analoghi di carattere profetico (cf. 2Re 4,42s), porta la folla a considerare Gesù come il «profeta che viene nel mon­ do», secondo una formulazione tipica del Deuteronomio (v. 1 4; cf. Dt 1 8, 1 5). Che tale punto di vista della folla non sia pacificamente accolto da Gesù sem­ bra emergere subito dopo, al momento in cui la folla vuole farlo re e lui, pre­ vedendolo, si rifugia da solo sul monte (v. 1 5).38 La figura del profeta escato­ logico aveva anche una sfumatura messianica, come può essere testimoniato da riferimenti presenti a Qumran e nel Pentateuco samaritano. 39 Gesù, dun­ que, andando da solo sul monte in polemica con tale proclamazione messia­ nica, sembra correggere anche l'identificazione profetica a suo riguardo. Si potrebbe obiettare che Gesù andando sul monte rifiuti non tanto il titolo di profeta escatologico o di messia, ma una certa lettura, ideologica e in certo modo politica, del suo messianismo. 40 Inoltre Gesù stesso, in un passo, si au­ todefinisce «profeta» (cf. 4,44). Bisogna allora approfondire la funzione narrativa del riferimento pro­ fetico e il punto di vista del narratore e di Gesù a questo riguardo, in tutto il macroracconto. Si devono anzitutto distinguere le ricorrenze che riguardano una figu­ ra profetica di carattere generale da quelle che concernono il profeta «che deve venire nel mondo», pari a Mosè secondo la formulazione di Dt 1 8, 1 5. Le ricorrenze del termine 6 xpocp'llTJlç, al singolare con la presenza dell'arti­ colo, che rimandano al profeta-che-deve-venire, sono quattro ( 1 ,2 1 .25; 6, 14; 7,40).41 Si trovano poi ulteriori ricorrenze del termine xpocp'll't11ç, al singolare

37 Questa evoluzione dei personaggi, intesa come progressiva chiarificazione della loro posizio­ ne di accettazione o rifiuto di Gesù, va di pari passo con lo sviluppo della trama, come ben sottolinea C. BENNEMA, «A Comprehensive Approach to Understanding Character in the Gospel of John», in C. W. SKI NNER (a cura di), Characters and Characterization in the Gospel of John (Library of New Testament Studies 461), A&C Black, London 201 3, 56. 38 Grasso sottolinea particolarmente la consapevolezza di Gesù riguardo alle intenzioni della folla; cf. GRASSO, Il Vangelo di Giovanni, 278. 39 Per i samaritani, ad esempio, la figura del Messia ha un chiaro riferimento a Dt 1 8, 1 5; cf. W .A. MEEKS, The Prophet-King. Moses Traditions and the Johannine Christology, Brill, Leiden 1 967, 2 1 6-257. Per un approfondimento di carattere storico sul profeta pari a Mosè e sul suo carattere messianico, si veda J.J. CoLLINS, The Scepter and the Star. The Messiahs of the Dead Sea Scrolls and Other Ancient Literature (ABRL), Doubleday, New York 1 995, 1 96-1 99. 40 Così ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, 42-43. La valenza politica che l'attesa del profeta escatologico aveva nel I secolo ci è nota anche da FLAVIO GIUSEPPE (cf. Ant. XX,97, 1 69; De bello jud. 1 1,26 1 ; Vl,286). 4 1 In realtà le ricorrenze sono sei, ma si devono sottrarre da questo gruppo quelle che presen­ tano il nome del profeta Isaia in apposizione (1 ,23 e 1 2,38).

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e senza articolo (4, 19.44; 7,52; 9, 1 7), in cui si indica probabilmente una qua­ lifica profetica di carattere generale. Tra le quattro ricorrenze senza articolo, due (4, 1 9; 9, 1 7) sono afferma­ zioni di personaggi (donna samaritana e cieco nato) che segnalano un orien­ tamento iniziale, nei riguardi di Gesù, che non può ancora considerarsi esau­ stivo; le altre due (4,44; 7 ,52) sono relative al rapporto tra la figura profetica e la Galilea, in chiave critica. Nel capitolo precedente abbiamo notato come il titolo di profeta in 4, 1 9 segnali un passaggio chiave nel dialogo tra Gesù e la donna, perché quest'ultima, dal momento in cui riconosce la qualità profe­ tica di Gesù, si sintonizza sul livello rivelativo-cultuale sotteso da Gesù con la tematica dell'acqua viva. Tuttavia il titolo di profeta viene superato al termi­ ne del dialogo dall'autodesignazione di Gesù come messia: «Sono io che sto parlando con te» (v. 26). Al termine del racconto, poi, in bocca ai samaritani si trova un altro titolo, con una chiara connotazione universale: «il Salvatore del mondo» (v. 42). Allo stesso modo, se in 9, 1 7 l'ex cieco risponde ai farisei affermando che l'uomo che lo ha guarito è un profeta, dopo il secondo con­ fronto con i farisei, l'ex cieco aderisce nella fede a Gesù, che si autodefinisce «Figlio dell'uomo». Con questo titolo si mette in gioco non tanto la qualità profetica dell'azione di Gesù, ma la sua provenienza divina, scoperta e dife­ sa dall'ex cieco nel suo dialogo con i farisei (cf. vv. 24-34). In entrambi i casi, dunque, i personaggi della donna e dell'ex cieco attribuiscono a Gesù il titolo di profeta, segnalando così un orientamento iniziale positivo verso la sua per­ sona; ma questo titolo viene poi superato da ulteriori designazioni, che carat­ terizzano l'accesso alla fede dei personaggi, secondo il narratore. Qui, infat­ ti, è in gioco non tanto la qualità profetica di Gesù, quanto la modalità con cui i personaggi arrivano a riconoscerlo e ad avere fede in lui.42 In 7,52 i fari­ sei si contrappongono a Nicodemo, sottolineando l'origine galilaica di Gesù come una prova per negare autenticità al suo carisma profetico. Qui ciò che importa al narratore non è stabilire l'identità profetica di Gesù, ma mostrare l'origine umana di Gesù come uno scandalo che impedisce ai capi di aprirsi ai suoi segni. In 4,44 è Gesù in prima persona a manifestare il suo disincan­ to per l'accoglienza che riceverà in Galilea. La dichiarazione di Gesù non ha l'obiettivo di rivelare la sua identità, ma di prevenire il lettore da facili entu­ siasmi per l'accoglienza che la Galilea riserva a Gesù. Le tre ricorrenze con articolo, oltre a 6, 1 4, si riferiscono a personaggi che si esprimono riguardo a Giovanni il Battista o a Gesù. In due di essi la figura profetica è distinta da quella del Cristo ( 1 ,2 1 .25; 7,40.41)43 e il dialogo è intessuto con personaggi o apertamente ostili a Giovanni (sacerdoti e leviti), o divisi sulle interpretazioni 42 L'analisi delle affermazioni dei personaggi consente di sviluppare la maturazione del loro punto di vista su Gesù, mostrando dove si colloca l'apice narrativo e facendo così emergere, a livello fraseologico, il punto di vista del narratore, su Gesù e sui personaggi. Si veda anche J.-N. ALETTI, «Lettura narratologica. Esemplificazione su Gv 9», in A nnali di Scienze Religiose 9(2004), 1 23-1 36. 43 Secondo Theobald, i due titoli messianici, quello di Cristo e quello del profeta-pari-a-Mosè, rimangono distinti nell'ebraismo del I secolo. Qui i sacerdoti, i leviti e la folla riferiscono opinioni di

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riguardo a Gesù (folla) e che riportano, in entrambi i casi, opinioni di senso comune su Gesù o su Giovanni. Si deve certamente riconoscere che, poiché Giovanni rifiuta l'attribuzione a se stesso dei titoli di «messia», «Elia» e «il profeta», implicitamente egli li assegna a colui che sta per venire dopo di lui. Tuttavia questi titoli vengono poi «superati» dalla successiva testimonianza di Giovanni, che definisce Gesù come «Agnello di Dio» (vv. 29. 36) e «Figlio di Dio» (v. 34) , cui fanno seguito le confessioni di Andrea («Messia», v. 41), di Natanaele (Re d'Israele, Figlio di Dio, v. 49) e l'autodesignazione di Gesù come «Figlio dell'uomo» (v. 5 1 ). In questo caso, dunque, l'attribuzione pro­ fetica è rapidamente superata in nome di titoli cristologicamente più signi­ ficativi per il QV. Anche nel c. 7 il narratore non si sofferma su questi titoli profetici se non per sottolineare l'incomprensione degli interlocutori riguar­ do all'origine di Gesù (cf. 7,41 -42). Vi è anche, tra l'altro, un tentativo ostile di alcuni di impadronirsi di Gesù, che rende evidente il giudizio del narratore sul carattere sterile e violento di questi dibattiti (cf. 7,44). L'analisi delle ricorrenze mostra, dunque, che il punto di vista del nar­ ratore è piuttosto distante da queste identificazioni profetiche. Anzitutto, egli evita di mettere in bocca a Gesù l'autodichiarazione di essere «il profe­ ta». Tutte le dichiarazioni sono attribuite a personaggi in rapporto con Gesù o con Giovanni. Esse sono presentate o come un passaggio iniziale verso una più completa comprensione o come asserzioni di senso comune da parte di personaggi il cui giudizio globale su Gesù non è condiviso dal narratore. Anche nel nostro caso, la dichiarazione della folla sull'identità profeti­ ca di Gesù non pare essere ben interpretata dalla folla stessa, che vuole «af­ ferrare» Gesù per farlo re (apmi�Etv au-ròv, v. 1 5). La connotazione violenta di questo verbo rimanda al caso simile di 7,44 ed è un forte indizio di incom­ prensione da parte del personaggio. Il punto di vista del narratore è quindi, anche nel nostro caso, con ogni probabilità, critico nei confronti del personaggio folla. Quale conferma nar­ rativa si può trovare nel racconto? Si può valorizzare il punto di vista spazia­ le, mostrando come il movimento di fuga di Gesù sul monte al c. 6 renda vi­ sibile questa distanza ermeneutica di Gesù e del narratore dal punto di vista del personaggio folla.44 Possiamo quindi affermare che l'acclamazione profetico-regale della folla necessita di conferme, perché, se è vera, lo può essere solo a un livello diverso da quello inteso dal personaggio che la pronuncia.45 Il racconto for­ nisce allora conferme narrative riguardanti l'identificazione di Gesù con la fi­ gura profetica? Qual è il ruolo narrativo di tale identificazione proposta dal personaggio folla, lungo tutto il capitolo 6? senso comune, in cui le due figure sono semplicemente giustapposte in quanto figure messianiche; cf. THEOBALD, Das Evangelium nach Johannes, 542. 44 Emerge qui il punto di vista a livello spaziale, secondo la classificazione di Uspenskij/Res­ seguie. 45 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 439.

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Per quanto riguarda la prima domanda, il percorso rivelativo di Gesù nel c. 6 sembra volgersi in una direzione diversa da quella propria di una fi­ gura profetica, sul modello di Mosè e dei profeti. In particolare, la scena del passaggio del mare (vv. 1 6-21) suggerisce ulteriori indizi, che mostra­ no una teofania in atto. Egli infatti cammina sul mare, mostrando di con­ dividere una potenza analoga a quella di Dio sul mare dei Giunchi (cf. Es 14). L'evangelista concentra la sua attenzione sull'assenza di Gesù (v. 1 7)46 e sul suo arrivo improvviso e pone al centro la solenne dichiarazione, r:yro EiJ.U, per aiutare i discepoli a vincere la paura. Questo grido può anche esse­ re interpretato come una rilettura del nome di Dio rivelato a Mosè sul mon­ te Sinai (Es 3 , 14). Sono i discepoli a vedere Gesù e, identificandosi con il loro punto di vista, il lettore percepisce la presenza misteriosa e gloriosa di Gesù (9Eropoumv 't'ÒV Tqaouv, v. 1 9) ed entra in contatto con la loro paura, molto simile a quella del popolo d'Israele durante una teofania biblica (cf. Es 1 9, 1 6). 47 Gesù dunque, più che un profeta che si trova nel ruolo di «rap­ presentanza» dei discepoli e intercessione con il divino, si rivela come il sog­ getto stesso della rivelazione teofanica e ciò contribuisce a preparare la sua autorivelazione nel discorso del pane di vita.48 Se dunque la figura profeti­ ca non risulta confermata dalla narrazione, rimane tuttavia da chiarire la seconda questione, ossia la funzione narrativa del riferimento profetico da parte della folla. Assumiamo che il personaggio folla della scena della moltiplicazione dei pani sia lo stesso interlocutore di Gesù nel dialogo nella sinagoga di Ca­ famao, dal momento che Gesù si rivolge loro all'inizio del dialogo riferendo­ si alla refezione prodigiosa (cf. v. 26) e dichiarando apertamente la loro inca­ pacità di comprendere il segno. La folla invita Gesù ad accreditarsi con dei segni, citando il dono della manna (vv. 30-3 1 ). Essa non esplicita chi sia stato il donatore, se Dio o Mosè stesso. Tuttavia, dal momento che il personaggio folla ha già identificato Gesù con il profeta pari a Mosè, si può immagina­ re facilmente che la folla istituisca un paragone con Mosè anche in relazione alla manna, invitando Gesù a intercedere presso Dio come Mosè e a garanti­ re la produzione di un segno altrettanto evidente e rivelatore della sua iden­ tità profetica. La conferma di questo sottinteso viene dalla risposta di Gesù, che esplicita il soggetto di tale donazione non in Mosè, ma nel Padre. In tale modo, Gesù chiarisce di essere non solo un intermediario o un semplice do­ natore, ma il pane stesso disceso dal cielo (v. 35). L'autorivelazione di Gesù, come vedremo meglio in seguito, ha quindi al cuore la preesistenza di Gesù, 46 Cf. ivi, 452. 47 Cf. ivi, 455. 48 Così anche GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 28 1 . Secondo Grigsby, la descrizione della tem­ pesta in Giovanni è ridotta rispetto a Marco per lasciare spazio alla teofania divina. Inoltre la men­ zione topografica di Cafarnao prepara chiaramente l'autorivelazione di Gesù come pane di vita; cf. B.H. GRIGSBY, «The Reworking of the Lake-Walking. Account in the Johannine Tradition>), in ET 1 00(1988-1 989), 295-297.

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la sua origine divina e il suo dono per la vita del mondo. 49 A questo punto la folla scompare, facendo emergere il personaggio dei giudei ostili (cf. v. 41). La folla, infatti, non è in grado di comprendere (cf. v. 36) questa identifica­ zione, perché pensa a Gesù in una chiave esclusivamente profetica.50 I giu­ dei, invece, comprendono ma non accettano la proposta di Gesù, manife­ stando il loro scandalo sui due punti fondamentali della cristologia giovan­ nea: l'origine divina di Gesù e la morte come dono della vita per il mondo. 5 1 Possiamo dire che, se la folla esprime una cristologia inadeguata, i giudei traggono le conseguenze di questa cristologia, esplicitando il loro dissenso. 52 L'analisi del punto di vista fraseologico mostra dunque che la funzione nar­ rativa della figura profetica è in definitiva quella di rimandare al punto di vi­ sta inadeguato della folla. Se Gesù si ritira da solo sul monte (v. 1 6) non è per correggere un'interpretazione troppo «politica» del suo messianismo, ma per indicare questa lontananza della folla dalla fede in lui. 1.5. Analisi dei personaggi (discepoli) e del punto di vista

I discepoli fanno emergere il loro punto di vista in quattro scene, a monte e a valle del discorso nella sinagoga di Cafamao (vv. 1 .; 1 5 . 1 6-21 .6066.67-7 1). Anzitutto, le due scene dell'attraversamento del mare (vv. 1 6-21) e del dialogo di Gesù con i discepoli (vv. 60-66) possono essere messe in rap­ porto tra di loro, tramite alcune connessioni terminologiche. Nei vv. 1 6-2 1 i discepoli vedono (cf. 8EropÉro, v. 1 9) Gesù camminare (cf. 1tEpt1t«'tÉro, v. 1 9) sul mare e lo vogliono prendere sulla loro barca, dopo aver navigato da soli 49 Secondo Schenke, il tipo di cristologia che esprimono sia la folla che i giudei sembra negare la preesistenza di Gesù. Essa potrebbe corrispondere a una direzione scismatica all'interno della co­ munità giovannea, che nega appunto la preesistenza di Cristo. Egli sarebbe il Profeta e il Figlio di Dio attraverso la risurrezione e l'innalzamento, ma non la Parola preesistente fatta carne. Si tratterebbe, in questo caso, di una posizione fondamentalmente giudeo-cristiana. D'altra parte, anche il rifiuto del fatto che la morte sacrificale di Gesù sia il passaggio per nutrirsi della sua carne e del suo sangue, ossia del sacramento dell'eucaristia, dipende in ultima analisi dal rifiuto di una cristologia che abbia nell'incarnazione il cuore del suo messaggio. Quindi potremmo dire che entrambi i rifiuti dei giudei, quello relativo all'incarnazione e quello relativo alla morte sacrificale di Gesù e al dono della carne e del sangue, possono risalire a un'origine ideologica comune; cf. L. ScHENKE, «Das johanneische Schisma und die "Zwolf' (Johannes 6,60-7 1)», in NTS 38(1 992), 1 05- 1 2 1 . 50 Allo stesso modo, anche Segalla contrappone la mentalità dei giudei che intendono la man­ na come un segno straordinario che lo accrediti come profeta pari a Mosè, alla novità che Gesù apporta, ossia l'autoidentificazione della sua persona con la Parola di Dio (simbolicamente rappre­ sentata dalla manna); cf. G. SEGALLA, Gesù pane del cielo. Eucarestia e cristologia in Giovanni, Mes­ saggero, Padova 1 976, 54-55. 51 In fondo, i giudei non accettano l'origine divina perché conoscono quella umana e questo è esattamente il paradosso del prologo che si ripropone in diversi punti del QV (cf. 7,30; 8,59; 10,33; 1 1 ,57). Invece, per chi ha fede, proprio l'umanità di Gesù è il segno della sua divinità; cf. N.W.E. SPROSTON, «"ls Not This Jesus, the Son of Joseph ... ? " (John 6,42). Johannine Chistology as a Chal­ lenge to Faith», in JSNT (1 985)24, 77-97, in particolare 80. 52 PmuPS, «This is a Hard Saying, Who Can Be Listener to it?», 42. Se la folla non ha capito l'identificazione di Gesù con il pane di vita: «Dacci sempre questo pane)), i giudei la capiscono fin troppo bene. Ma essi non dialogano con Gesù.

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senza successo sul mare. Al contrario, nei vv. 60-66 i discepoli non cammi­ nano più (cf. nepma'tÉco, v. 66) con Gesù: infatti non sono in grado di vedere (cf. 9ecopÉco, v. 62) il Figlio dell'uomo salire dove era prima. 53 Questi richia­ mi lessicali contribuiscono a porre in relazione le due scene e fanno emergere un'improvvisa e inaspettata smentita della positiva accoglienza di Gesù de­ scritta nei vv. 1 6-21 . Infatti nei vv. 60-65 il rifiuto di molti discepoli è pale­ se ed esplicito. Questo cambiamento è causato dal discorso nella sinagoga di Cafarnao e dalla rivelazione che Gesù ha fatto di se ste$SO, nel dialogo con la folla e nello scontro con i giudei (vv. 22-59). La reazione scandalizzata di molti discepoli segue l'incredulità manifestatasi in seno ai giudei e mostra la progressione rivelativa che qui Gesù ha compiuto (cf. vv. 41-42.5 1), che in molti discepoli ha prodotto piuttosto rifiuto e mormorazione che accoglien­ za di fede, esattamente come per il personaggio dei giudei. L'autodesignazio­ ne di Gesù come pane di vita (vv. 35.41) è ciò da cui si originano il rifiuto e lo scandalo e Gesù ne è consapevole prima ancora che esso si manifesti esplici­ tamente (cf. v. 36). Infatti la «carne>> non può comprendere le cose dello spi­ rito (cf. v. 63). Con il termine aàpç qui non si intende più la carne eucaristica di Gesù ma la natura umana, che di per se stessa non può arrivare a Dio (cf. l , 1 3; 3,6): solo il Padre infatti può concedere il dono della fede (v. 65) e Gesù è consapevole, fin dal principio, di coloro che non credono in lui e di colui che sta per tradirlo. Il gruppo dei discepoli non è però compatto al suo interno: se una buo­ na parte di essi ha rifiutato di accogliere la rivelazione di Gesù come pane della vita disceso dal cielo, in realtà il gruppo più intimo dei discepoli, i Do­ dici, attraverso la confessione di Pietro, manifesta una notevole apertura di fede all'autorivelazione di Gesù (cf. vv. 66-7 1). Il gesto di accogliere Gesù nella barca durante la traversata del mare (cf. v. 2 l a) non viene smentito dai Dodici, ma confermato e portato a compimento dalla decisione di accoglie­ re le parole di vita eterna, da intendersi in prima istanza come le parole del discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Ora essi possono approdare al­ la riva della rivelazione del pane disceso dal cielo (cf. v. 2 l b) e accoglier­ ne l'identificazione con Gesù. L'apertura di fede e l'accoglienza che i Dodi­ ci mostrano nei confronti di Gesù, per bocca di Pietro, possono essere mes­ se in rapporto anche con la prima scena di questa sezione (vv. 5- 1 5). Se, in­ fatti, nella scena della moltiplicazione dei pani Gesù aveva messo alla prova Filippo (v. 5),54 nell'ultima scena mette alla prova i Dodici (v. 67). Si tratta sempre di una prova di fede, giocata prima sull'elemento materiale del cibo e poi sulla parola. 55 Da un lato, Filippo non è ancora in grado di intuire il li53 LUCIANI, «De 5000 à l», 582. Anche in 14,8 Filippo non capisce la richiesta di Gesù; cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 35. 55 Anche Crossan rileva un unico quadro inclusivo tra la scena iniziale di 6, 1 - 1 5 e quella finale di 6,66-7 1 ; cf. J.D. CROSSAN, «lt is Written. A Structuralist Analysis of John 6», in Sem 26( 1 983), 4. Alcune analogie che possono essere interessanti tra le due scene sono: una dichiarazione riguardante 54

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vello simbolico del nutrimento; dall'altro, Pietro si è ormai sintonizzato su questo livello spirituale e sapienziale, con la sua dichiarazione sulle parole di vita eterna. 56 Tra le due scene si è verificata un'innegabile progressione. Infat­ ti l'affermazione di fede di Pietro mostra un'adesione solenne di fede cristo­ logica, che Filippo e Andrea non sarebbero stati in grado di formulare per­ ché essa non può essere compresa senza far riferimento a tutto il discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao. All'opposto, l'annuncio del tradimento di Giuda Iscariota (v. 7 1), che sembra ormai essere definitivo e senza possibilità di appello, si radica nel rifiuto della rivelazione che Gesù ha fatto di sé come pane di vita eterna. 57 La dichiarazione di fede di Pietro richiama e rilancia solennemente l'af­ fermazione di Gesù al v. 63: «Le parole che vi ho detto sono spirito e vita». Il genitivo «parole di vita eterna» può essere compreso come una qualifica­ zione (genitivo ebraico). La Parola di Gesù è essa stessa vita eterna e dunque in grado di comunicare tale vita, grazie al mistero che caratterizza la persona di Gesù, nella posizione stessa di Dio: egli è il Santo di Dio, colui che è sta­ to santificato e inviato da Dio (cf. 1 0,36).58 Questa parola, infatti, è il discor­ so di rivelazione e insieme, inseparabilmente, il suo contenuto, che è la perso­ na stessa del Figlio. Pietro e i Dodici ne hanno fatto esperienza (&yvroKaJ,tev, v. 69) e tale esperienza prende il nome di fede (1tE1tl, v. 69); la cifra 12 (le 12 ceste di pezzi di pane avanzati, v. 1 3; i 12 apostoli, v. 67). 56 Cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 442. 57 Nel tema del rifiuto di Gesù si radica la questione del giudizio che Gesù formula nei con­ fronti di Giuda, come un diavolo. Secondo Sproston, la presenza di Gesù stesso nel mondo implica un giudizio (3, 18-19; 5,24; 9,39; 12,48) che è il frutto di una decisione di accoglienza o di rifiuto della sua persona; cf. SPROSTON, «"ls Not This Jesus, the Son of Joseph . . . ?"», 77-97. 58 Secondo alcuni esegeti, il titolo avrebbe una valenza sacerdotale. G. Friedrich lo interpreta in una linea sacerdotale; cf. G. FRIEDRICH, «Beobachtungen zur messianischen Hohe priestenerwartung in den Synoptikern», in ZThK 53(1 956), 265-3 1 1 . Così anche K. KERTELGE, Die Wunder Jesu im Mar­ kusevangelium. Eine redaktiongeschichtliche Untersuchung, Koesel, Munich 1 970, 53. Aronne infatti viene descritto in Sal l 06( 1 05), 16 come il santo del Signore: Kai xapci)py1aav Mroooijv f.v Tfi xap8J.1J}o).fi Kaì Aapcov tòv li"(lOV Kupiou . Tuttavia in 2Re 4,9 anche Eliseo è chiamato av{}pcoxoç tOO Oso() liyloç oi'itoç. Nel NT il titolo si trova in Gv 6,69, in Mc 1 ,24 e in Le 4,34. In Marco il titolo sembra indicare ciò che è di esclusiva pertinenza della divinità. Gesù è strettamente associato a Dio. Per Barrett, il ti­ tolo esce dal linguaggio tecnico del giudaismo per appartenere a categorie più universali; cf. BARRETT, The Gospel according to St John, 307. Secondo Lightfoot, si tratta di una separazione da ciò che è pro­ fano; cf. LIGHTFOOT, St. John's Gospel, 164. Per Schnackenburg, si tratta di un titolo che ha un senso cristiano più profondo; cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 1 56. Secondo Bultmann, per Giovanni il titolo è messianico; cf. BU LTMANN, The Gospel ofJohn, 449, nota 4. Noi riteniamo più corretta la posizione di Domeris, che afferma che la confessione di Pietro in 6,69 lo distanzia dalla professione della folla che lo vede come profeta. Gesù si è appena mostrato come il Figlio dell'uomo che sale e che scende (v. 62). Il titolo «Santo di Dio» può essere una risposta di Pietro, sia adatta a ve­ dere Gesù come sapienza incarnata, sia compatibile con la rappresentazione che Gesù dà di se stesso come Figlio dell'uomo; cf. W.R. DoMERIS, «The Confession of Peter according to John 6,69», in TynB 44(1993), 1 55- 1 67. Anche Grassilli, in un recente studio sul rapporto tra santificazione e invio, sotto­ linea fortemente il collegamento tra il titolo di «Santo di Dio» e il tema dell'origine di Gesù, inviato dal Padre (v. 62), e conclude che tale titolo comporta un superamento delle categorie tradizionali di messia e di profeta; cf. M. GRASSILLI, «Santifica/i nella verità». Il rapporto tra santificazione e missione nel Vangelo di Giovanni (RivBibSupp), EDB, Bologna 20 1 6, 77-78.

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sta confessione, che richiede un'esperienza diretta e personale di Gesù, si di­ stingue chiaramente da quella della folla al v. 14, fondata su attese messiani­ che di senso comune, e manifesta il raggiungimento di un punto di vista più alto su Gesù. 59 Infatti il titolo di «Santo di Dio» fa riferimento a colui che è inviato dall'alto, ossia dal Padre60 (cf. l'uso di ciyuiçro in 1 0,36 e 1 7, 1 8- 1 9) e implica una cristologia della preesistenza, che oltrepassa la cristologia pro­ fetica dell'uomo preso e consacrato da Dio in mezzo ai suoi fratelli (cf. Dt 1 8, 1 5. 1 8). Nella confessione di Pietro è contenuto anche qualcosa che egli non ha ancora compreso fino in fondo e che appartiene al punto di vista del narratore, 6 1 ossia l'allusione alla morte di Gesù contenuta nel dono del pane di vita e della carne di Gesù da mangiare. 62 Gesù parla la parola di vita eter­ na (pfiJJ.a) non solo in riferimento al suo discorso nella sinagoga di Cafar­ nao (A.Oyoç, v. 60), ma anche perché egli è la parola (A.6yoç) di vita eterna (cf. l , 1 . 1 4 e 1 2,48), dando tutto se stesso, la sua carne e il suo sangue, con l'innal­ zamento e la morte in croce. 63 Il riferimento alla Pasqua ormai prossima (flv òè tyyùç 'tÒ xaox.a, 6,4) è una formula che si ritrova soltanto in altri due passi nel QV: nell'episodio della purificazione del Tempio (2, 1 3.23) e in quello in cui sommi sacerdoti e farisei si riuniscono per arrestare Gesù ( 1 1 ,55-57). In entrambi i casi, il ri­ ferimento è all'imminente morte e risurrezione di Gesù. L'allusione alla se­ poltura o l'annuncio del suo passaggio da questo mondo al Padre vengono fatti da Gesù «prima di Pasqua» ( 1 2, 1 .7; 1 3, 1 ) e anche nel c. 6 si può sottin­ tendere una connessione narrativa tra il riferimento alla Pasqua dei giudei e l'evocazione della morte di Gesù. Il richiamo alla Pasqua ha dunque una grande densità simbolica e rivela il punto di vista temporale del racconto, ri­ collegandosi allo sviluppo complessivo dell'intero c. 6, che allude alla mor­ te di Gesù come passaggio necessario per compiere il dono del pane e della carne da mangiare. 64

59 Cf. DoMERIS, «The Confession of Peter according to John 6,69», 1 65. 60 Cf. ivi, 1 64. 61 Cf. PHILIPS, «This ls a Hard Saying, Who Can Be Listener to It?», 48. Il punto di vista del narratore è nascosto nell'io discorsivo di Gesù. 62 Cf. J.A. GRASSI, «Eating Jesus' Flesh and Drinking His Blood: The Centrality and Meaning of John 6,5 1 -58», in BTB 1 7(1 987), 24-30. Basandosi su una composizione strutturale del QV, che pone al centro il segno del pane e il discorso di Cafamao, egli afferma che il segno del pane deve essere letto in stretta correlazione con il settimo segno, identificato nel costato trafitto da cui scaturiscono sangue e acqua. Quindi sostiene che Gesù rifiuta di essere compreso come il profeta pari a Mosè, e agisce solo in rapporto al settimo segno, la sua morte. Pur non accogliendo la sua proposta di siste­ mazione strutturale del QV, anche qui si sostiene che la morte di Gesù sia sottotraccia nel discorso di Cafarnao e confermi l'itinerario di preesistenza, discesa e risalita. Questo itinerario mostra che il tipo sottostante non è profetico, ma sapienziale, come vedremo meglio in seguito. 63 In Gv 1 2,48 1'espressione «le mie parole» (t"à P'llll«t"a J10U) è posta in parallelo con «la parola che ho pronunciato» (ò ì..&yoç Bv tMiì..110a). Come in 1 5,3 anche qui in 1 2,48 l'espressione ì..&yoç non indica solo un discorso di Gesù, ma la globalità della sua predicazione e il suo stesso itinerario storico. 64 Cf. LÉON-DuFoUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 441 .

Il pane della

vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -71)

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l. 6. Trama di rivelazione

Sintetizzando tutti gli elementi emersi dall'analisi della trama di riso­ luzione e dallo studio dei personaggi e del punto di vista spazio-temporale e fraseologico è possibile mostrare l'intreccio di rivelazione, lungo tutto il sus­ seguirsi delle scene e dei discorsi del c. 6. Abbiamo identificato la trama di risoluzione nella transizione globale dall'insufficienza di nutrimento alla so­ vrabbondanza e dalla morte alla vita per sempre, in rapporto all'accoglienza o al rifiuto da parte degli interlocutori di Gesù. Al cuore di questa transizio­ ne vi è una messa alla prova degli interlocutori, innescata deliberatamente da Gesù stesso. Egli, infatti, mette alla prova Filippo (v. 6: «Diceva questo per metterlo alla prova, sapeva infatti quello che stava per fare»), mette alla pro­ va i discepoli sul mare (v. 1 7: «Gesù non era ancora venuto da loro»), met­ te alla prova i Dodici sulla loro scelta (v. 67: «Volete forse andarvene anche voi?») e mette alla prova la folla identificandosi con il pane disceso dal cielo (v. 36: «Ho detto "a voi", perché voi mi avete visto e tuttavia non credete»). 65 Il punto di vista psicologico su Gesù permette al lettore di comprendere la sua intenzione deliberata di agire e la sua comprensione del rifiuto che le sue parole avrebbero portato alla luce (cf. v. 6: «Sapeva cosa stava per fare»; v. 6 1 : «Sapendo dentro di sé che i discepoli mormoravano a riguardo di ciò . . . »; v. 64: «Sapeva fin dal principio chi erano coloro che non credevano e chi era colui che l'avrebbe tradito»). Il movimento di messa alla prova dei personag­ gi, che porta all'accoglienza o al rifiuto del dono di un nutrimento sovrab­ bondante che vince la morte, è dunque innescato dalla scelta libera e consa­ pevole di Gesù di rivelarsi come il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo. L'emergere del punto di vista psicologico dei discepoli nella scena del­ la traversata del mare (cf. 9Ecopoumv, tcpoJ3it9TtcJav, v. 1 9) favorisce l'identi­ ficazione del lettore a cui è fornita una chiave di interpretazione del segno della moltiplicazione dei pani: accogliere Gesù nella propria barca. Potrà comprendere il segno solo il discepolo che è disposto ad ascoltare la Parola di Gesù, nutrimento radicalmente sovrabbondante, che compie il segno del­ la manna veterotestamentaria (v. 32), ed è in grado di donare la vita eterna (v. 68). Se la manna è inadeguata a dare la vita, perché i padri sono morti (v. 49), non così il pane disceso dal cielo, che dà la vita eterna (vv . 49-5 1). I discepoli mostreranno questa comprensione ai vv . 67-7 1 . Il lettore deve ammettere che, come Pietro, non può andarsene adesso, ha bisogno di es­ sere saziato di un cibo sovrabbondante, in grado di farlo vivere per sem65 La presente traduzione del v. 36 interpreta la particella on in senso causale e non dichia­ rativo, e il pronome personale ùJ.LiV come un riferimento sintetico alla citazione ripresa e modificata da Gesù al v. 32. Tale traduzione è rafforzata dai paralleli di 1 ,30 e 1 0,36 in cui Giovanni il Battista e Gesù fanno riferimento a loro precedenti dichiarazioni. Inoltre è tipico dell'omiletica rabbinica riprendere e commentare in questo modo citazioni o interpretazioni precedenti (cf. FILONE DI ALES­ SANDRIA, Legum allegoriae 1,28). Su questo si veda BoRGEN, Breadfrom Heaven, 74-75.

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pre. 66 Con la comparsa di Giuda (v. 70), inoltre, è invitato a comprendere che la risposta del discepolo non è automatica, ma mette in gioco la sua li­ bertà di credere. 67 La trama di rivelazione del c. 6 consiste dunque nella progressiva auto­ rivelazione di Gesù come pane disceso dal cielo per dare la vita eterna: egli ha visto il Padre perché ha origine da lui (v. 46) e dona la risurrezione a tutti co­ loro che il Padre attira a lui (v. 44). All'interno della stessa volontà insonda­ bile del Padre si risolve anche il paradosso di una rivelazione universalmen­ te donata a tutto il mondo (cf. v. 5 1 ) che tuttavia soffre lo scacco di un rifiu­ to da parte del personaggio dei giudei e di molti dei discepoli di Gesù (cf. vv. 65-66). La trama si sintetizza, dunque, nella gratuita e inaspettata rivelazione che Gesù è il pane disceso dal cielo, inviato a donare una vita sovrabbondan­ te a tutto il mondo, suscitando in esso rifiuto o accoglienza. La trama di rivelazione svolge così, narrativamente, ciò che è contenu­ to nel prologo giovanneo: la Parola che è al principio presso Dio ed è Dio stesso è discesa dal cielo per farsi carne e divenire pane della vita (cf. 1 , 1 . 14; 6,33). In tal modo, essa si è resa visibile nella sua gloria di unigenito Figlio di Dio (cf. l , 14; 6,40), è venuta tra i suoi e i suoi non l'hanno accolta (cf. l , I l ; 6,41 .52.60). Tuttavia, coloro che l'hanno accolta sono generati non da vole­ re di carne né da volere di sangue, ma da Dio: essi infatti vivono nel Figlio, allo stesso modo in cui il Figlio vive nel Padre (cf. 1 , 1 3; 6,56-57). Essi sono coloro che credono in quel nome che Pietro esplicita con il sintagma «santo di Dio» (cf. l , 12- 1 3; 6,69). La centrale importanza di questa confessione pe­ trina nel QV, riletta alla luce del prologo, lascia in un certo modo risuonare il ricordo della versione matteana del primato: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (Mt 1 6, 1 7). 2. SFONDO GIUDAICO-VETEROTESTAMENTARIO In questo paragrafo si elencano con ordine i rimandi intertestuali pre­ senti nella narrazione, seguendo le operazioni mostrate nel terzo capitolo. L'interconnessione che emergerà tra i diversi sfondi (ad es. profetico-mo­ saico o legale-esodico-sapienziale) è, ancor più che per altre pericopi, una conseguenza della parziale sovrapponibilità di alcune figure (cf. Mosè/pro­ feta; manna/sapienza/Legge). Ciò che preme sottolineare fin da ora è che proprio l'accumulo dei richiami intertestuali e la loro interconnessione pos66 Il tema del pane compare per la prima volta all'inizio del capitolo e per l'ultima volta ormai alla fine del capitolo (6,5.58). Esso sembra così «strutturare)) l'intero racconto; cf. CROSSAN, «It ls Written. A Structuralist Analysis of John 6)), 4. 67 Secondo Labahn, l'intento pragmatico del narratore è che il lettore possa prendere posizio­ ne rispetto al rifiuto o all'accettazione di Gesù, come Pietro. La messa alla prova ha una funzione pedagogica; cf. LABAHN, &Ìç ÈK 'téOV JJ.a8'TI'téOV aù"tou, J\v8péaç 6 à.S&À.q>Òç l:iJJ.covoç llÉ'tpou· 8anv 1tatMpwv eMe Oç 8:x;&t 1téV't& èip'touç Kpt8ivouç Kaì Mo �· à.À.À.à 'taU'ta 'tt tanv &iç 'tOOOU'touç;

Siamo nell'episodio delle quaglie, dove il dubbio di Mosè nel dialogo con Dio riguardo all'abbondanza di cibo necessario a sfamare tutto il popo­ lo ha qualche connessione semantica e narrativa con il dubbio di Filippo nel dialogo con Gesù. Oltre ai richiami terminologici di àpKÉro e owoç/òltHiptov, anche il verbo 1tEtpaçro al v. 6 suggerisce il riferimento alla prova degli isra­ eliti nel deserto. L'analogia narrativa, infatti, riguarda la prova di fede che Dio attua nei confronti sia di Mosè che degli israeliti, esattamente come Gesù nei confronti dei discepoli e della folla. Un'ulteriore conferma si trova in Nm 1 1 , 1 3, dove la lamentela di Mosè presso Dio trova due parole chiave in co­ mune e un'analogia sintattica con la domanda di Filippo: Nm I l ' 1 3 : 1t68&v J.l.Ol KpÉa oouvat 1taV'tÌ 'téj> À.aéj> 'tOU'tQ> èht KÀ.atOOO\V t1t' ÈJ.l.OÌ À.Éyovn:ç:

«BÒx ai y&véa&tç 'trov Kap1trov 'tpÉqx>UmV c'iv0pro1tOV CÌÀÀ.à 'tÒ Pfjucl O"OU 'tOùç ooi 1t\O"'t&OOV'taç 5ta'tTJp&i. Gv 6,69-70: onuma Crofiç airoviou &-x;&tç Kai lÌJJ.&iç 1t&1t\O"'t&UKau&v Kai èyvroKaJ.I.&V O'tt aù d ò liytaç 'tou awu.

L'analogia è presente anche nei rispettivi contesti. Il libro della Sapien­ za infatti riprende al c. 1 6 la tradizione esodica della manna, rileggendola an­ che alla luce del Deuteronomio (cf. Dt 8,3). Similmente il QV compie una reinterpretazione sapienziale del dono della manna in tutto il discorso sul pane di vita, a cui si riferisce Pietro con l'espressione piu.w:ra çconç aicoviou. Oltre, dunque, al già citato versetto del Deuteronomio (Dt 32,47) si può qui avvertire l'eco dell'interpretazione proveniente dal libro della Sapienza, an­ che grazie alla presenza delle due parole chiave summenzionate (mcr'tEuco/ Piii-La).

CAPITOLO VI

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Tale interpretazione sapienziale della manna trova ampie conferme nella tradizione postbiblica. Borgen, nel suo celebre studio, intitolato Bre­ ad from Heaven, a partire da numerosi paralleli che egli trova in Filone di Alessandria e studiando in particolare l'utilizzo che Filone e il QV fanno del­ la medesima tradizione midrashica, sostiene che la citazione di Es 1 6,4 viene successivamente commentata dal QV attraverso la ripresa di tradizioni hag­ gadiche. 83 Il discorso sul pane di vita di Gv 6 apparterrebbe quindi al genere letterario dell'omelia sinagogale. 84 Ad esempio, Filone di Alessandria, commentando Dt 8,2, esplicita la connessione tra sapienza e manna85 o, ancora, tra cibo celeste e Parola di Dio. 86 Se in molti passi egli afferma che la manna non viene donata in giorno di sabato (secondo le indicazioni del libro dell'Esodo), invece nel commenta­ re Es 1 6,4 afferma che la manna viene data soprattutto di sabato. Esso è in­ fatti il giorno della sapienza che nasce dalla liturgia sinagogale. 87 Egli si rife­ risce alla sapienza della Torah, che nella tradizione ebraica è la parola che dà la vita al mondo. 88 Non a caso, nella tradizione giudaica la manna è descrit­ ta come un pane celeste, che viene da Dio, 89 ed è assimilata alla Legge. 90 In particolare il passo di Es 1 6,4 sul dono della manna viene talvolta combinato con quello di Pr 9,5 sulla sapienza. 91 È dunque chiaro come la rilettura giovannea del tema della manna di­ penda dalle riletture sapienziali, bibliche e giudaiche, e non possa essere com­ presa adeguatamente se non alla luce della connessione tra la manna, la sa­ pienza e la Legge mosaica. A ulteriore conferma di questo sfondo sapienziale, reinterpretazione del tema della Legge, non si può trascurare l'allusione al libro dei Proverbi, offerta dal QV nel discorso sul pane di vita. Infatti il reiterato invito a «veni­ re» da Gesù, con l'utilizzo del verbo tecnico EP'XOJ.1at, può riecheggiare l'invi­ to della sapienza (cf. 6,35.37.44.45.65) in Pr 9,5-6. Pr 9,5-6: lA.aan: � 'tiDV ÈJ.1IDV llj)'tO)V Kaì m&'t& olvov ov tKtpaaa UJ.&iV, à1tOA.&t1t&'t& àcppooUVTJV KaÌ CfJa&a9& Kaì I;;TJ'ttlCJQ't& cppOVTJatV iva l}té>aTt't& KaÌ Ka'topecf>aa't& ÈV 'YVcOa&t CJUV&alV. Gv 6,35: &Ì1t&V aù'toic; 6 1TJaouc;· È'YcO &iJ.&t 6 OOIQç 'tiic Cronc· 6 tox6uevoc 1tpòç ÈJ.LÈ oò llll 1t&tvaan, Kaì 6 ma't&OO>v ⁣ ÈJ.LÈ où lllt ouvna&t 1tc01tO't&.

83

Cf. BoRGEN, Breadfrom Heaven, 24. Per un'introduziope più rapida e globale a tale sfondo si è consultato anche F. MANNS, «La sagesse nourricière dans I'Evangile de Jeam>, in In., L'Evangile de Jean et la Sagesse (AnSBF 62), Franciscan Press, Jerusalem 2002, 1 53- 1 80. 85 Cf. FILONE DI ALESSANDRIA, De congressu eruditionis gratia 1 70- 1 74. 86 Cf. FILONE DI ALESSANDRIA, Legum allegoriae III, 1 62. 1 68; cf. BoRGEN, Breadfrom Heaven, 1 5 . 87 Cf. FILONE D I ALESSANDRIA, D e mutatione nominum 259-260; cf. BoRGEN, Breadfrom Heaven, 1 1 3. 88 MekY su Ex 1 5,26; BemR 29,9; DevR 7,3. 89 MekY su Ex 1 6,4; BemR 25,2. 90 MekY su Ex 1 3 , 1 7. 91 BemR 25,7; cf. BoRGEN, Breadfrom Heaven, 1 14. 84

Il pane della

vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -71)

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Oltre al verbo «venire», la connessione tra i due testi è assicurata dal convergere di altri due elementi, il mangiare e il bere e il campo semantico della vita. Similmente troviamo altri possibili sfondi nel libro del Siracide. Gv 6,35: ò èpx;6�-tevoç npòç èiJ,è où �-til newaan, Kaì ò ma't'etkov eiç èiJ,è où �-til ouunaet 1tc01tO't'E Sir 24,2 1 : oi èa6iov't'éç 1J.E &n newaaoumv Kaì oi mvontç IJ.& &n outn)aoumv

Il pane di vita nel QV sazia fino al punto di eliminare la fame e la sete (v. 35), ribaltando le attese della sapienza, identificata dal Siracide con la Legge di Mosè. Ancora nel Siracide si trova un accostamento diretto tra la sapienza della Legge e la vita (xpooÉ911KEV aù-roiç È1ttO'tTtiJ.11V Knì v6uov l:coiiç ÈKÀ.TtpOOO'tTtatv aù-roiç, Sir 1 7 , 1 1), con una formulazione simile a quella uti­ lizzata da Pietro al v. 69: pilua-ra çconç aicoviou É'XEtç. Inoltre i motivi del cer­ care/trovare Gesù nei vv. 24-25 (çTt'tOUV'tEç 'tòv 111aouv Knì eùp6v'ttç aù'tòv) possono alludere alla ricerca e al ritrovamento della sapienza (cf. Pr 8, 1 7; cf. Sap 1 ,2; 6, 12. 14).92 Egli è infatti al di là del mare (xÉpav 'ti\ç 9aÀ.aaaTtç, v. 25) come la sapienza della Legge (cf. Bar 3,29-30 e Dt 30, 1 1 - 14). Ma ora non si deve più salire fino al cielo, perché è lui stesso, come sapienza, a discendere dal cielo e a rendersi disponibile a quanti lo cercano (cf. Gv 6,35 e Sir 4, 1 1). 93 Ancora, se il pane di Dio scende dal cielo e dà la vita al mondo (6 yàp

ap-roç 'tOU 9eou Èanv 6 Ka'taBaivcov ÈK 'tOU oùpavou Kaì çcoftv òtòoùç 'tQl KOOIJ.Ql,

v. 33), una massima sapienziale che conclude la sezione del Deutero-Isaia af­ ferma che la Parola di Dio scende dal cielo come la pioggia e la neve, che dan­ no il pane come nutrimento: cl>ç yàp Èàv Ka'taBfi ùt'tòç ft xteì>v ÈK 'tou oùpavou

K(lÌ OÙ IJ.Tt TI Epiv

TÒV /ipTOV ÉK ToV ofJpaVoV, TÒV /ipTov ÉK ToV OVpavOV

Con modalità argomentativa tipicamente rabbinica, 1 1 6 Gesù trasferisce dai padri a «voi» il destinatario del dono, sia della manna, indicata con il ver­ bo al perfetto (&é&coKEV), che del pane vero, indicato con il verbo al presen­ te (&i&cocrw). Cosa può significare che gli interlocutori di Gesù sono i desti­ natari del dono della manna? Essi erano già presenti nei loro padri quando camminavano nel deserto? Senza necessariamente chiamare in causa la teo­ logia rabbinica del «memoriale», secondo cui l'esperienza esodica è reahnen­ te vissuta dalle generazioni successive nei lombi dei loro padri, si può affer­ mare che la manna è un segno del permanente rapporto tra il Padre e gli in­ terlocutori di Gesù, che è costituito fin dall'origine dal dono del pane di vita. Nella manna, pane dal cielo, è già contenuto ciò che essa prefigura, il pane vero, che è fin dall'origine perché è disceso dal cielo e proviene da Dio (cf. v. 46). Questo dono da parte del Padre nei confronti della folla, prefigurato dal dono della manna, si compie dunque nel pane vero, che è vero perché origi­ nario. Continuità e discontinuità sono dunque ben articolate, senza poter es­ sere separate: c'è un rapporto permanente tra il Padre e la folla caratterizza­ to dal dono di un pane che proviene da cielo (continuità), ma questo dono si distingue attraverso una figura che è attribuita al passato, la manna, e il pane vero che ne è il compimento presente, 1 1 7 perché si trova all'origine della stessa figura (discontinuità). L'aggettivo à.À:q8w6ç gioca un ruolo di segnale di com­ pimento, chiarendo il superamento della figura. Il pane della vita è vero perché è identificato con Gesù stesso (v. 35) e per questo in grado di saziare e dissetare per sempre (cf. 7tc07tO'tE, v. 35). Tale definitività è un ulteriore segnale di compimento della figura.

115

Cf. supra, par. 2.3. Cf. BoRGEN, Breadfrom Heaven, 62-63. 117 Si tratta di un presente escatologico, come mostra bene Borgen, ivi, 65.

116

Il pane della

vita e la manna esodica (Gv 6, 1 -71)

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Con la seconda autodichiarazione di Gesù come pane della vita (v. 48) di fronte al manifestarsi del conflitto con i giudei, viene approfondita la di­ scontinuità, con un ulteriore parallelismo antitetico che funge da segnale di compimento. Se la manna non evitò la morte ai padri nel deserto, chi mangia il pane disceso dal cielo invece non muore (vv. 48-50). I diversi effetti del tipo (manna) e del suo antitipo (pane di vita) sono ben segnalati dal contrasto tra la morte e la vita e indicano con chiarezza un compimento (à1tÉ9avov, v. 49; 1.1it à1to8avn, v. 50; cf. anche il v. 58). La figura è caratterizzata dal succedersi delle generazioni, dai padri fino all'ora presente, a causa della morte che ne segna inevitabilmente il passaggio. Essa è una realtà storica e non definitiva, a differenza del compimento, che è invece caratterizzato dalla vittoria defini­ tiva della vita sulla morte (cf. Eiç 'tÒV aìéòva, v. 5 1). Ciò che separa la figura dal suo compimento è dunque la morte. Se tutta la trama· è infatti caratterizzata da un passaggio dalla morte alla vita sovrabbondante, 1 1 8 ciò non è senza rapporti con il compimento della figura veterotestamentaria della manna, che non ha evitato la morte dei padri, nel dono del pane disceso dal cielo, che invece fa vivere in eterno. Inoltre, come è stato notato, questo dono della vita per sempre lascia trasparire la morte di Gesù come passaggio necessario e inevitabile. Entrambi gli aspetti, morte dei padri e morte di Gesù come dono della carne, emergono nell'ultima sezione del discorso del pane (vv . 48-58). Infatti, da un lato la seconda e la terza au­ todichiarazione di Gesù (vv. 5 1 . 58) connettono la manna e la morte dei pa­ dri con il dono della vita eterna compiuto dal pane disceso dal cielo; dall'al­ tro lato, il pane disceso dal cielo diviene fisicamente identificabile con la car­ ne stessa di Gesù (v. 5 1 ) che egli dona per la vita del mondo. Quest'ultima affermazione di Gesù, di fronte all'ostilità dei giudei, suona come un'antici­ pazione di ciò che sta per accadere sul Golgota, ossia la sua morte in croce. Si può allora affermare che, alla luce dell'ultima sezione del discorso, il pane del cielo può dare la vita per sempre, ricapitolando e superando il dono della manna, solo se esso è costituito da una carne in grado di passare attraverso la morte (v. 5 1). Il pane disceso dal cielo, infatti, può dare la vita eterna al mon­ do e non limitarsi a nutrire un popolo che poi è destinato comunque a mori­ re, solo se egli stesso attraversa la frattura della morte grazie a una potenza di vita in grado di sconfiggerla, che scaturisce dalla sua relazione con il Padre (v. 57). Solo in questo modo si può comprendere come la morte di Gesù, ulte­ riormente suggerita dai riferimenti alla carne e al sangue, possa diventare an­ che dono di vita per coloro che mangiano la sua carne e bevono il suo sangue (v. 54). Non è la vita eterna di chi non muore mai, ma quella di chi, passando attraverso la morte, la vince con la risurrezione (cf. vv. 39-40.44.54). L'itine­ rario risolutivo dell'intero racconto, che passa da un'insufficienza a una so­ vrabbondanza di nutrimento che non va perduta, 1 1 9 viene ripreso e ricapito118 1 19

Cf. supra, par. 1 .3. Cf. supra, par. 1 . 3.

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lato dal compimento della figura della manna nel pane di vita, che garantisce il definitivo passaggio dalla morte alla vita per sempre. Le allusioni sacramentali all'eucaristia, presenti sottotraccia fm dal rac­ conto della moltiplicazione dei pani, 1 20 permettono ora di ricapitolare in una chiave «istituzionale» la tipologia appena istituita da Gesù. Masticare la car­ ne di Gesù allude in modo piuttosto impressionante a una manducazione reale e non più a un semplice simbolo dell'atto di fede in Gesù (v. 58). Le isti­ tuzioni sacramentali fondate sul dono di Gesù, dono estremamente concreto e corporeo, la carne e il sangue, ricapitolano e superano in un solo atto, l'atto della morte di Gesù, tutta la Legge, la sapienza e i doni della rivelazione ve­ terotestamentaria racchiusi nella manna esodica. 1 2 1 Si può comprendere ora più facilmente il richiamo del narratore alla fe­ sta dei giudei, la Pasqua (v. 4). Lo sfondo legale e cultuale della festività pa­ squale ebraica, con il rito di immolazione degli agnelli, aggiunge infatti una tonalità ancor più «istituzionale» al dono del sangue che Gesù annuncia. 1 22 Non si tratta di un chiaro riferimento alla tipologia dell'agnello pasquale, ma di un semplice accenno, destinato a trovare ulteriori sviluppi nel macrorac­ conto. D'altra parte, risulta particolarmente interessante che il narratore sot­ tolinei la Pasqua, come la festività «dei giudei», manifestando in modo evi­ dente che egli non si ritiene partecipe di tale festa. Questa nota non è impor­ tante solo in una chiave di archeologia storica, per comprendere la qualità particolare del giudaismo giovanneo, ma anche per la presente indagine ti­ pologica. La morte di Gesù, suggerita dalla manducazione della sua carne e del suo sangue, fa intervenire una discontinuità «istituzionale». Il pane di vita compie le «istituzioni» legali e cultuali d'Israele trasformandole radicalmen­ te. Al contempo, si conferma la fmalità di questa tipologia giovannea, ossia rendere possibili, nell'atto stesso in cui Gesù si dona con il suo corpo, il com­ pimento delle figure e il dono definitivo della salvezza per colui che crede. 4. CONSIDERAZIONI RIASSUNTIVE SU PUNTO DI VISTA, TRAMA E COMPIMENTO TIPOLOGICO

Dal punto di vista spaziale, l'allontanamento di Gesù dalla folla dopo la sua dichiarazione profetica e regale sottolinea l'incompletezza di questa at­ tribuzione per il narratore. Invece la dialettica lontananza/vicinanza nell'epi1 2°

Cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 25. Argomenta così anche Lindars, che afferma che Gesù, pane disceso dal cielo e sapienza di Dio, è il compimento della Legge che è stata donata sul monte Sinai. Secondo questo autore, l'inter­ pretazione sapienziale della manna fa da sfondo e sfocia in quella eucaristica; cf. L1NDARS, Gospel of John, 251 .259. Segalla sottolinea l'importanza del segno eucaristico per comprendere la cristologia giovannea, dal momento che per il QV «Gesù ha offerto se stesso come segno personale del Padre e continua a proporsi come segno e presenza di salvezza nel segno sacramentale dell'eucarestia» (SE­ GALLA, Gesù pane del cielo, 1 64). 122 Cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, 25. 1 21

Il pane della

vita e la manna e.rodica (Gv 6, 1 -7 1 )

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sodio del mare è legata all'autorivelazione divina di Gesù. Appena i discepo­ li accolgono Gesù sulla barca, essi approdano all'altra riva: il loro punto di vista psicologico lascia emergere l'esperienza del fatto che accogliere Gesù e il suo nome divino porta con sé un passaggio simbolico dalla morte alla vita e rivela la qualità strettamente teofanica della presenza di Gesù sul mare. Le scene della moltiplicazione dei pani e della traversata del mare introducono così l'autorivelazione di Gesù come pane di vita nel discorso tenuto nella si­ nagoga di Cafarnao, mostrando una stretta correlazione tra diegesi/telling (scene narrate) e mimesi/showing (discorso diretto). Se la risoluzione è glo­ balmente caratterizzata da una trasformazione che porta da una situazione di oggettiva insufficienza a una di sovrabbondante pienezza, essa dal punto di vista rivelativo è da interpretarsi come dono della vita eterna da parte del pane proveniente dal cielo. Indicazioni di sovrabbondanza nel racconto del­ la moltiplicazione dei pani si ricollegano infatti senza difficoltà al pane della vita nel discorso di Cafarnao (cf. ÈVE7tA.itcr9ncrav, 'tà 7tEptcrcreucrav'ta KA.cicrfJ.a'ta, tva Jlit n à7t61.:n'tat al v. 12; È'YÉJ.I.tcrav Bcf>BeKa Koq>ivouç, È7tEpicrcreucrav al v. 1 3). Dal punto di vista fraseologico, nel discorso di autorivelazione di Gesù emer­ ge la corretta attribuzione degli sfondi veterotestamentari a Gesù secondo il narratore attraverso opportuni segnali di compimento. Il parallelismo antite­ tico costruito al v. 32 contrappone Mosè al Padre come donatori del pane dal cielo e segnala la novità del compimento con l'aggettivo 'tÒV àA.n9tv6v (v. 3 2). D'altra parte, la continuità tra i due versanti temporali (passato e presente) è assicurata dalla costante presenza del Padre e dei medesimi destinatari (cf. «voi», v. 3 2) , per cui la manna si caratterizza per essere il segno di un costan­ te rapporto tra il Padre e gli interlocutori di Gesù, caratterizzato fm dall'ori­ gine come «pane della vita». L'autoidentificazione tra Gesù e il pane della vita: tycf> EÌJ.I.t ò ap'toç 'tftç çroftç (v. 35) - pane caratterizzato dal dono di sazia­ re e dissetare per sempre (7tcf>7to-re, v. 35) - viene ripresa al v. 5 1 e rafforzata dall'esplicito parallelismo antitetico con la manna, che contrappone i padri che sono morti (à7tÉ9avov, v. 49) e colui che mangia di questo pane, che vivrà per sempre (J.11Ì à7to9avn, v. 50; çiJcret Eiç 'tÒV aiéi>va, v. 51). La definitività del dono della vita segnala chiaramente il compimento della figura della manna nell'antitipo costituito dal pane della vita. Se la fraseologia indica il compi­ mento dello sfondo esodico della manna, dal punto di vista temporale questo sfondo si arricchisce di notevoli connotazioni istituzionali e sacramentali, per mezzo della connessione con la festività di Pasqua (v. 4). Il dono del pane del­ la vita passa attraverso la morte di Gesù per la vita del mondo e non è altro che il suo stesso corpo, carne e sangue, offerto come fonte di una vita univer­ sale che proviene dal Padre e passa attraverso di lui. Alla luce di questa mor­ te si comprende l'affermazione fmale di Pietro su Gesù come «Santo di Dio», che conferma il punto di vista ideologico del QV riguardo alla preesistenza del Verbo, inviato nel mondo per donare il cibo che rimane per la vita eterna (cf. v. 27), per poi risalire al Padre (cf. v. 62).

Capitolo VII

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 19,16b-42)

l . INTRODUZIONE

Il presente capitolo intende approfondire la possibilità che l'autore del QV abbia messo in atto un'interpretazione tipologica nel racconto della mor­ te di Gesù. Il motivo del compimento delle Scritture, segnalato da citazioni esplicite in Gv 1 9,24. 37 e pure in 19,28, da un lato incoraggia a intrapren­ dere una ricerca di questo tipo, ma dall'altro disorienta, fornendo moltepli­ ci sfondi veterotestamentari, tutti in grado di fornire una tipologia al letto­ re. Le simbologie della tunica (cf. 1 9,23) e del sangue e dell'acqua che fuorie­ scono dal costato trafitto di Gesù (cf. 1 9,34) arricchiscono e complicano ul­ teriormente la questione, con possibili allusioni di carattere sacerdotale-cul­ tuale o sacramentale. Gesù potrebbe essere nuovo agnello pasquale, servo di YHWH, tempio escatologico, nuovo Adamo in rapporto alla nuova Eva, Maria, che genera la sua Chiesa (discepolo amato) tramite i sacramenti del battesimo e dell'eucaristia. 1 Tutte queste sono possibili tipologie, che sono state sviluppate nella storia dell'interpretazione successiva. La storia degli ef­ fetti di questi testi è molto ricca e non può essere del tutto separata dai testi stessi, anzi bisogna tenerne conto per comprenderne quelle potenzialità na­ scoste che possono aver generato tali effetti. Tuttavia, alla ricerca esegetica spetta il compito di formulare giudizi probabili, con gli strumenti che essa possiede, per approssimarsi sempre di più al senso inteso dall'autore in que­ sti testi, da un lato distinguendolo da sensi sviluppatisi nella storia degli ef­ fetti e dall'altro mostrando le potenzialità che da esso possono scaturire per alimentare la fede della Chiesa nella sua storia. La tipologia può dunque fornire un quadro interpretativo importante anche per la ricerca esegetica attuale. Il metodo per studiarla sarà quello già sperimentato nelle altre pericopi. 1 Sahlin insiste particolarmente sulla tipologia esodica e pasquale, in ordine al compimento delle Scritture, con qualche ragione. Cita anche la tipologia Maria/Sion. La distinzione tra allusione e tipologia non è tuttavia mostrata nel dettaglio; cf. H. SAHLIN, Zur Typologie des Johannesevangeliums, Lundequistska Bokhandeln, Uppsala 1 950, 58-59.

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CAPITOLO VII

2. LA SEQUENZA DELLA MORTE DI GEsù: DELIMITAZIONE E PORTATA RIVELATIVA 2. 1. Una prima ipotesi di divisione: pro et contra

Dove inizia la sequenza narrativa che racconta la morte di Gesù nel QV? I commentatori non sono tutti d'accordo. R. Brown2 che, nel suo cele­ bre commentario al QV, più di altri si impegna a fornire e motivare una pre­ sentazione di insieme di ogni ampia sezione del vangelo, fa iniziare una nuo­ va sequenza, dopo quella centrale del processo di Gesù, con il v. 1 6b, ossia con l'inizio della descrizione della crocifissione di Gesù. Secondo lui, infatti, i vv. 1 6b-22 andrebbero collocati nella nuova sequenza che arriva fino al v. 42 almeno per quattro motivi. - La scena della crocifissione e del titulus, se aggiunta alla precedente sequenza ( 1 8,28-1 9, 1 6a),3 ne disturberebbe la disposizione chiastica. Essa in­ fatti sarebbe composta di sei scene che avvengono alternativamente fuori e dentro il pretorio e che hanno per protagonisti i giudei, Pilato e Gesù, mentre al centro vi sarebbe la scena dell'incoronazione di spine da parte dei soldati. Quindi i vv. 1 6b-22 modificano questa geometria, perché aggiungono un'ul­ teriore scena, quella della crocifissione. - La presenza di Pilato nei vv. 20-22 sarebbe bilanciata dalla sua ricom­ parsa al v. 3 1 , nel dialogo con i giudei, e al v. 38, nel dialogo con Giuseppe di Arimatea, così che la scena del titulus può essere considerata parte della nuo­ va sequenza. - Al v. 1 7 è presente un cambiamento di luogo, poiché si passa dal Li­ tostroto al Golgota, dove si svolgeranno tutte le azioni seguenti fino alla de­ posizione, ossia fmo alla fme della sequenza (v. 42). 2 Brown si rifà allo studio di Vearebeke, secondo cui il racconto centrale della passione è co­ stituito di sette episodi e anche la sequenza della morte di Gesù è costituita di sette episodi. Su questa base egli cerca di attribuire i vv. 1 6b-22 alla sequenza della morte di Gesù come primo episodio; cf. A. JANSSENS DE VEAREBEKE, «La structure des scènes du recit de la passion en Joh. XVIII-XIX», in EThL 38(1 962}, 504-522; cf. R. BROWN, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, vol. 2, Cittadella, Assisi 1 979, 1 1 33s. Dello stesso avviso anche C.K. BARREIT, The Gospel according to St John: An Introduc­ tion with Commentary and Notes on the Greek Text, Westminster Press, Philadelphia 1 955-1 978, 546; R. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 2, Paideia, Brescia 1 973-1 987, 383; R. BuLTMANN, The Gospel of John. A Commentary, Oxford 1 97 1 , 666. Più recentemente si esprimono a favore di questa composizione anche Wengst, Grasso e Zumstein. Wengst ritiene che l'intero passo 1 6b-42 costituisca un'unità narrativa, localmente centrata sul Golgota; cf. K. WENGST, Il Vangelo di Gio­ vanni, Queriniana, Brescia 2005, 695. Grasso fornisce una motivazione narrativa (la sua originalità consiste nell'iniziare con il v. 1 7, anziché con il v. 1 6b): i vv. 1 7-22 riportano la descrizione essenziale della procedura di esecuzione capitale come antefatto della scena della crocifissione; cf. S. GRASSO, Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 2008, 7�5. Per Zumstein, i vv. 1 6b-22 costituiscono la prima di cinque scene fino al v. 37; cf. J. ZUMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean (13-21), Labor et Fides, Genève 2007, 239. Di contro, per Léon-Dufour i vv. 1 6b-22 sono da collocare alla fine della sequenza centrale, perché è qui che termina l'azione con lo scontro tra Pilato e i notabili giudei, iniziato con la prima scena del processo; cf. X. LÉON-P UFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1 990-2007, l 050s. E dello stesso parere anche Y. SIMOENS, Secondo Giovanni. Una tradizione e un'interpretazione, EDB, Bologna 2000, 724. 3 Cf. BROWN, Giovanni, vol. 2, 1 060.

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 6b-42)

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- Infme, con il v. 1 6a, che riporta la definitiva consegna di Gesù da par­ te di Pilato, può dirsi conclusa l'azione processuale, che era iniziata in 18,29. Si deve esprimere qualche riserva in merito alla prima e alla seconda ar­ gomentazione di Brown. Infatti, se la composizione mostra una certa rego­ larità nell'alternanza delle scene a monte e a valle dell'incoronazione di spi­ ne, questo non basta a dimostrare la presenza di un chiasmo.4 Il dialogo tra Pilato e i sommi sacerdoti a proposito del titulus (vv. 20-22) non presenta al­ cuna connessione con il dialogo tra i giudei e Pilato al v. 3 1 . Infatti quest'ul­ timo è semplicemente una richiesta dei giudei accolta da Pilato che serve a far procedere l'azione dei soldati, invece il precedente può essere considera­ to come l'ultimo atto della contesa tra Pilato e i giudei, che attraversa tutto il corso del processo. Nonostante queste obiezioni, che contribuiscono a sfumare la cesura tra i vv. 21 -22 e la sequenza del processo, possiamo affermare che tre elemen­ ti forti ci portano a porre la cesura tra le due sequenze narrative al v. 1 6b: - lo spostamento geografico ai vv . 1 6b- 1 7 con l'arrivo sul Golgota, luo­ go che rimane fino a 19,42; - l'introduzione di anomini personaggi, probabilmente soldati, che prendono Gesù, anticipando le scene dei vv. 23-24 e 3 1 -37; - la fine dell'azione processuale con la consegna di Gesù da parte di Pi­ lato perché fosse crocifisso (v. 1 6a). Con il v. 16a termina tutta la sequenza narrativa che racconta il pro­ cesso, la cui risoluzione è strettamente connessa con la condanna a morte per crocifissione, perché si compia la Parola stessa di Gesù (cf. 1 8,32). 4 In tutta la sequenza vi sono regolarità compositive. Le due parti della sequenza sono simil­ mente costruite attraverso l'incastonatura di un dialogo Gesù/Pilato tra una coppia di scene dialogi­ che con Pilato e i giudei. Inoltre alcuni richiami terminologici sembrano corrispondersi da una parte all'altra, come ad esempio la dichiarazione di innocenza di Gesù da parte di Pilato in 1 8,38b e 1 9,4.6 o l'espressione «Figlio di Dio» in 1 9,7 in rapporto con bar-abba in 1 8,40, o ancora la consegna di Gesù (paradidomi, cf. 1 8,30 e 19,1 6a). Ci sono inoltre certamente rapporti di contenuto tra le due scene dialogiche Gesù/Pilato e tra le due coppie di scene dialogiche Pilato/giudei. Tuttavia l'insieme di queste regolarità, corrispondenze e rapporti di contenuto non è sufficiente a provare che la sequen­ za sia globalmente costruita in modo concentrico. A questo riguardo si confronti la proposta di J. ONrszcszuK, La passione del Signore secondo Giovanni (Gv 18 - 19) , EDB, Bologna 201 1 , 230. Questo autore cerca di applicare il metodo di retorica semitica al racconto della passione secondo Giovanni. L'insieme dei richiami terminologici mostra chiaramente che le due sottosequenze ( 1 8,29-19, 1 ; 19,442) sono costruite in parallelo, ma non dimostra adeguatamente che 19,2-3 sia il centro. Il centro si segnala infatti dal punto di vista retorico perché in esso si articola un legame che attraversa tutte le altre parti del testo e in particolare con le estremità. In 1 9,2-3, l'unico richiamo terminologico, che si ritrova costantemente nella sequenza, è il lessema «Re dei giudei». Tale lessema, tuttavia, non si trova all'inizio della sequenza stessa; cf. R . MEYNET, Trattato di retorica biblica (ReBib 1 0), EDB, Bologna 2008, 413s (tit. orig. Traité de rhétorique biblique [RhSem 4], Gabalda, Paris 2007). Al di là di queste considerazioni tecniche sulla retorica biblica, vi è un'osservazione che riguarda il conflitto di inter­ pretazione generato da metodi diversi applicati al testo. Se si tratta di una composizione concentrica con al centro la sequenza del processo, come rendere ragione del fatto che gli eventi che accadono sul Golgota sono il climax della progressione narrativa di tutto il racconto? Vedere il racconto della pas­ sione giovannea come un grande chiasmo, come già aveva fatto a suo tempo de la Potterie, non rende ragione adeguatamente dello sviluppo narrativo; cf. l. DE LA PoiTERIE, La passione di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni, Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 35.

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CAPITOLO VII

Tuttavia, se si segue il tema della regalità, la cesura tra i vv. 1 6b-22 e quanto precede è meno netta. In questi versetti, infatti, si inaugura la mani­ festazione della regalità di Gesù, che è stata progressivamente rivelata nella sequenza del processo. Quest'ultima osservazione merita un approfondimen­ to, finalizzato non solo a determinare i confini delle sequenze narrative ma anche a mostrare, tramite la tematica della regalità, l'intreccio di rivelazione lungo tutta la sequenza del processo. 3. LA SEQUENZA NARRATIVA DELLA MORTE DI GESÙ: 1 9, 1 6b-42 3. 1. La scena del titulus ( vv. 19-22) in rapporto alla sequenza narrativa del processo

I commentatori notano senza eccezioni che i due quadri dialogici che riguardano Pilato e Gesù (Gv 1 8,33-38; 1 9,8- 1 1) hanno la funzione di indi­ care l'origine della regalità di Gesù e dell'autorità umana di Pilato.5 Il Regno di Gesù non è di qui (Èvn:u9ev, v. 36), ossia proviene da una fonte autorita­ tiva che non si può confondere con i poteri del mondo e con il loro uso del­ la violenza. La formulazione è però molto sottile, infatti non dice «qui» (cf. Èv96:oe), ma «di qui», con una sfumatura di origine. Ciò significa che non è negata la presenza del Regno di Gesù sulla terra. Anzi essa è implicitamente affermata dalla testimonianza della verità che Gesù è venuto a portare (v. 37). È piuttosto l'origine di tale regalità che non appartiene al mondo.

5 Cf. J.P. HEIL, B/ood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John 18-21 (CBQMS 27), Catholic Biblica) Association, Washington 1 995, 69. Questo autore nota il climax rivelativo nelle domande di Pilato, che vanno sempre più in profondità nell'indagine sull'identità di Gesù, fino alla domanda conclusiva: «Da dove vieni?». Secondo De Boer, Giovanni presenta Pilato estremamente riluttante nel dramma del processo e della crocifissione di Gesù. Non è lui il responsabile della morte di Gesù, ma sono i giudei. Qual è allora la sua funzione narrativa? Una risposta può essere trovata nel fatto che il Pilato giovanneo ripetutamente riferisce di Gesù come del re non di tutta la terra ma specificamente dei giudei. Egli è il loro re che lo vogliano oppure no. Anzi egli diviene re proprio per mezzo del loro rifiuto e Pilato è il vettore narrativo, seppure incapace di comprendere, di questa tra­ gica ironia giovannea; cf. M. C. DE BoER, «The Narrative Function of Pilate in John», in G.J. BROOKE - J.D. KAESTLI (a cura di), Narrativity in Biblica/ and Related Texts. La narrativité dans la Bible et /es textes apparentés, University Press, Leuven 2000, 1 4 1 - 1 58. Secondo Tuckett, Pilato per molti autori viene presentato dal QV con una certa simpatia, perché genuinamente combatte per essere neutrale, anche se alla fine fallisce. Uno studio della passione di Giovanni rivela l'uso dell'ironia, che impedisce di vedere nel narratore un punto di vista simpatico. Nella sua testardaggine e beffarda presa in giro egli diviene il vettore della rivelazione di ciò che Gesù è, attraverso l'uso devastante dell'ironia. Qui, tuttavia, non si concorda con Tuckett quando afferma che Pilato conduce i giudei al rifiuto di Gesù. Più esattamente si deve dire che egli è il mezzo attraverso cui si manifesta un rifiuto «già nei fatti» di Gesù; cf. C.M. TucKETT, «Pilate in John 1 8-19. A Narrative-Criticai approach», in BROOKE - KAESTLI (a cura di), Narrativity in Biblica/ and Related Texts, 1 3 1 - 1 40. Anche per Danna non si può affermare che Pilato e i romani in generale siano più innocenti dei giudei per la condanna a morte di Gesù. In­ fatti si può mostrare che 1 9,9 richiama 7,41 -42 e 9,29s dove vi è la medesima incomprensione di Gesù da parte di Pilato e dei giudei. Vi sono, dunque, un medesimo ritratto e una medesima responsabilità da parte dei romani e dei giudei per la morte di Gesù; cf. E. DANNA, «lntertextuality, Verbal Echoes and Characterisation in the Gospel of Johm), in RB 1 09(2002), 210-216.

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 6b-42)

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Allo stesso modo, anche il potere che Pilato ha di far crocifiggere Gesù gli è stato dato dall'alto (òEOO!J.ÉVOV 00\ avroeev, v. 1 1). Sia il verbo al passi­ vo teologico sia l'avverbio con la finale indicante provenienza (= -eev) mos­ trano l'origine divina di questo potere, che viene esercitato dagli attori uma­ ni (giudei e Pilato). 6 Attraverso i due quadri dialogici Gesù/Pilato si sviluppa una trama di rivelazione che corrisponde a un programma di instaurazione della regalità di Cristo, secondo il punto di vista ideologico del narratore. 7 Anche il pas­ saggio spaziale dentro e fuori il pretorio (1 8,33.38b; 1 9,9) da parte di Pilato indica il suo collocarsi rispettivamente davanti alla verità di Gesù o alla men­ zogna dei suoi avversari. 8 Inoltre, lungo tutta la sequenza del processo, per un fenomeno di opacità, il lettore diviene sempre più consapevole di ciò che è nascosto ai personaggi del racconto, in particolare ai giudei e ai sommi sa­ cerdoti, ossia che il loro rifiuto di Gesù finisce per compiere il disegno di instaurazione della regalità di Gesù. Se, dunque, la trama di risoluzione termina con la consegna di Gesù che conclude l'azione processuale, il lettore può accedere a un livello ulteriore della narrazione, in cui la trama si ricon­ nette senza difficoltà alla scena della crocefissione e del titulus, come a un na­ turale compimento. In queste scene, infatti, avviene l'intronizzazione di quel re innocente che è stato rivelato nei quadri dialogici Gesù/Pilato e che è stato col­ pevolmente rifiutato dal suo popolo nel corso dell'azione processuale. Infatti nel dialogo tra Pilato e i sommi sacerdoti a proposito del titulus crucis vi sono almeno due elementi che ricollegano questa scena a tutta l'azione precedente. Il primo elemento è che in bocca ai sommi sacerdoti si trova la motiva­ zione della sentenza di lesa maestà, già espressa dai giudei al v. 12: «Non seri.;. vere "il re dei giudei", ma scrivi che egli affermava: "Io sono il re dei giudei"» (v. 21). La risposta di Pilato («Ciò che ho scritto, ho scritto», v. 22) mostra che in gioco non era semplicemente la sentenza di morte in un processo di lesa maestà, ma il pubblico manifestarsi, ormai irreversibile, della regalità di Gesù. Inoltre la nota del narratore al v. 20, in cui egli tiene a segnalare che molti giudei lessero il titulus, poiché il Golgota si trovava vicino alla città, ed era scritto in ebraico, latino e greco, fa emergere il suo interesse a sottoli­ neare il carattere pubblico e universale della scritta. Ciò significa che la rega6 Questi dettagli fraseologici sono molto importanti per accedere al punto di vista del narrato­ re, per il quale la regalità di Gesù è connessa alla sua stessa origine. Dewailly, ad esempio, sottolinea fortemente la portata cristologica dell'avverbio pothen (cf. 19,9) che indica l'origine dall'alto di Gesù, come Figlio di Dio proveniente dal Padre. La domanda di Pilato però non esclude l'altra origine, quella umana, perché Gesù è di Nazaret e il narratore conosce i suoi genitori e i fratelli. L'avverbio indica dunque, misteriosamente, lo scandalo dell'incarnazione. La verità totale su Gesù riguarda non solo il fatto che è di Nazaret, ma anche che è dall'alto, e questa verità non rende falsa la sua prove­ nienza umana;. cf. L.M. DEWAILLY, «"D'où es-tu?'' (Jean 1 9,9)», in RB 92( 1 985), 48 1 -496. 7 Diversi dettagli, a livello ideologico, fraseologico, spazio-temporale, contribuiranno a mo­ strare il punto di vista del narratore, secondo l'ormai nota classificazione di Uspenskij ripresa e ap­ plicata da Resseguie. 8 Cf. J.L. RESSEGUIE, The Strange Gospel Narrative Design and Point of View in John, Brill, Leiden 200 1 , 7 1 -75.

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lità di Gesù, esistente da sempre e rivelata nei dialoghi con Pilato, trova qui una pubblica manifestazione e instaurazione. Spingendo all'estremo il ragio­ namento, si può affermare che, alla luce del titulus, l'innalzamento di Gesù sulla croce equivale alla sua definitiva intronizzazione. Il secondo elemento di collegamento con la sequenza del processo è co­ stituito dai sommi sacerdoti che, dopo aver preso la parola al v. 1 5 per pro­ vocare la condanna definitiva di Gesù, qui emergono come i veri sconfitti. L'improvvisa comparsa dei sommi sacerdoti in 1 9,6. 1 5, 9 che si differenziano dal personaggio collettivo dei giudei, è significativa. Essi sono i primi a chie­ dere la crocefissione di Gesù (v. 6), di fronte alla prima ostensione dell'uomo vestito come re (v. 5), e sono gli ultimi a rifiutare la regalità di Gesù dopo la seconda ostensione del re dei giudei (v. 1 5), significativamente nell'ora sesta della preparazione della Pasqua. Questa notazione temporale non capita qui a caso, ma intende rafforzare la portata simbolica del rifiuto: proprio attra­ verso il loro rifiuto si attua l'instaurazione della regalità di Gesù, che è in mi­ steriosa relazione con il rito della preparazione, ossia con l'immolazione degli agnelli e quindi con l'evento fondatore delle istituzioni d'Israele. Questa indi­ cazione temporale è di grande importanza, come vedremo meglio, per com­ prendere il punto di vista del narratore. 10 Il rifiuto dei sommi sacerdoti uffi­ cializza e radicalizza quello del popolo. Essi infatti non si limitano a sugge­ rire la pericolosità di Gesù nei confronti del potere di Cesare (cf. v. 1 2), ma vi aggiungono una sorprendente (e soprattutto inutile ai fmi della sentenza del processo), incondizionata accettazione della regalità di Cesare su di loro e sul loro popolo. La dichiarazione fmale dei sommi sacerdoti si sovrappone così, portandola alle estreme conseguenze, alla dichiarazione precedentemente espressa dai giudei al v. 7, dove essi hanno accusato Gesù, applicando la loro Legge, perché si è fatto «Figlio di Dio» (cf. Lv 24, 1 6; Gv 5, 1 8; 8,59; 1 0,33).U La lettura distorta della Parola di Dio, utilizzata per opporsi alla pretesa di Gesù di essere Figlio di Dio, si ripercuote nella delegittimazione dell'istituzione som­ mosacerdotale, nel momento in cui essa finisce per accogliere in modo esclusi­ vo la regalità di Cesare. Con tale affermazione i sommi sacerdoti sconfessano se stessi come mediatori di salvezza da parte di Dio, perché rifiutando la rega­ lità di Gesù manifestano di avere una colpa più grande (cf. v. 1 1), non avendo riconosciuto l'origine di tale regalità, che è Dio stesso. 1 2 9 Al v. 6 i sommi sacerdoti sono accompagnati dagli inservienti del Tempio, segno che qui il personaggio dei sommi sacerdoti è inteso nella sua qualifica di rappresentanti dell'istituzione cultuale del Tempio. 10 Cf. RESSEGUIE, The Strange Gospel Narrative Design and Point of View in John, 193. 11 Interessante notare come Schnackenburg ponga sulla bocca degli stessi sommi sacerdoti questa affermazione, che per lui ha senso solo nel piano teologico dell'evangelista, come manife­ stazione del vero peccato dei giudei, ossia la mancanza di fede, l'incredulità nei confronti di Gesù. Preferisco lasciare in bocca ai giudei questa affermazione, rispettando rigorosamente il testo. Ai som­ mi sacerdoti spetterà trarre tutte le conseguenze di questa incredulità con l'esclusiva e paradossale accettazione della regalità di Cesare su di essi; cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 414. 1 2 Molti interpreti sostengono che Israele qui, attraverso i sommi sacerdoti, rifiuti Dio e il suo progetto su .di lui. Cf. ad esempio BAR RETI, The Gospel according to St John, 546; Lindars parla

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3.2. Gesù innalzato sulla croce esercita il potere regale

A partire dal momento in cui Gesù è innalzato sulla croce, il suo po­ tere regale comincia a esercitarsi attraverso le sue azioni e questa è un'ulte­ riore conferma narrativa che la scena della crocifissione e del titulus è parte della sequenza seguente, nonostante i collegamenti narrativi che intrat­ tiene con la sequenza del processo. Come abbiamo già notato, al v. 1 7 vi è uno spostamento di luogo, perché si passa dal Litostroto al Golgota, luogo dell'innalzamento di Gesù sulla croce. Tutte le scene successive che hanno per protagonisti i soldati e i discepoli si svolgeranno attorno alla croce, fmo alla deposizione del corpo di Gesù. In questa scena il corpo di Gesù viene de­ posto dai discepoli e spostato dal luogo del Cranio (Kpaviou T67tov, v. 1 7) a un giardino che si trovava nel luogo dove era stato crocifisso Gesù (iiv BÈ f.v -réf> -r6nro onou f.a-raupro8n Kf\noç, v. 41). Oltre all'indicazione di luogo, ciò che accomuna i vv. 1 6b-22 con ciò che segue è che con il titulus crucis fa la sua prima comparsa una parola scrit­ ta, che non si può modificare (o yéypaa, v. 22). Il motivo di una parola scritta, ormai irreversibile, introduce bene il tema del compimento delle Scritture (ypaqn1, vv. 24.28.36-37), anch'esso segnato da un aspetto di necessità e definitività: infatti sia la scrittura del titulus che le Scritture sono accomunate dal fatto che testimoniano la progressiva e irreversibile manife­ stazione del disegno divino. Il punto di vista del narratore si manifesta a livel­ lo fraseologico, con l'affermazione perentoria di Pilato e, a livello ideologico, attraverso le citazioni di compimento, per mostrare che con la scena del tituaddirittura di blasfemia da parte dei giudei; cf. B. LINDARS, The Gospel of John (NCBC), Eerdmans, Grand Rapids, MI 1972- 1 986, 572. Haenchen afferma che Israele vuole essere una nazione tra le altre, abbandonando la sua pretesa di essere il popolo del messia; cf. E. HAENCHEN, A Commentary on the Gospel of John, vol. 2, Hermeneia, Philadelphia 1984, 1 83. Anche per Grasso i capi dei giudei tradi­ scono la loro identità e la loro peculiarità che li ha sempre distinti dagli altri popoli, che è la concezio­ ne della sovranità di Dio su tutta la terra; cf. GRASSO, Il Vangelo di Giovanni, 721 . Un altro gruppo di interpreti, invece, ritiene che i giudei non rigettino Dio ma rinuncino alla loro speranza messianica. Per Schnackenburg, ad esempio, i sommi sacerdoti nel momento in cui rigettano Gesù come Messia «re d'Israele» e riconoscono soltanto l'imperatore romano rinunciano alla loro speranza nel Messia, ma non alla regalità di Dio su Israele; cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 427. An­ che per Bultmann i giudei abbandonano solamente la loro speranza messianica; cf. BuLTMANN, The Gospel ofJohn, 665. Così anche ZUMSTEIN, L'Évangile selon saint Jean ( 13-21 ) , 237. Ancora più sfu­ mato Wengst, che considera quella dichiarazione dei sommi sacerdoti come un'affermazione di lealtà politica fatta per il momento presente; cf. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 693. Il problema di queste interpretazioni molto sfumate è che non riconoscono all'opera un duplice punto di vista. Quello che per i sommi sacerdoti è senz'altro un rifiuto di Gesù come Re e Messia (cf. 19,22), e non certamente un rifiuto di YHWH, per il narratore invece è il rifiuto radicale del progetto di Dio su di loro. Quindi, se per i sommi sacerdoti e i giudei dire «non abbiamo altro re all'infuori di Cesare» è solo un modo per sbarazzarsi di Gesù, l'ironia del narratore fa sì che la perentorietà di questa frase risulti infine come una negazione ufficiale di Dio e del suo progetto, da parte di coloro che sarebbero stati chiamati a rappresentarlo nei confronti di tutto il popolo. Riteniamo dunque più appropriata l'interpretazione di Léon-Dufour, secondo cui la possibilità delle due letture (rifiuto dell'attesa messianica o rifiuto di Dio) rimane in teoria per il contesto prossimo in cui tale rifiuto è inserito, ma la prospettiva costante del QV è quella per cui rifiutare Cristo significa non riconoscere Dio stesso; cf. LÉON-DuFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, l 084.

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CAPITOLO VII

lus inizia una nuova sequenza narrativa in cui l'irreversibilità e la defmitività

di ciò che accade attorno alla croce secondo le Scritture sono frutto del miste­ rioso operare di una regalità paradossale, testimoniata proprio dalla parola scritta e immodificabile del titulus (v. 22). Il compimento, defmitivamente innescato con la scrittura del titulus, ora non può più essere arrestato, in una progressione che attraversa tutta la se­ quenza nella quale il Re esercita il suo potere dall'alto della croce compiendo le Scritture. Ecco perché dal v. 23 in poi non compare più il tema regale: in­ fatti il Re è ormai intronizzato e il compimento del suo programma già scritto avviene senza che il narratore debba nuovamente ricordarlo. Nuovi temi in­ vece compaiono, connessi con ricchissime simbologie, come la veste inconsu­ tile, la consegna dello spirito e la fuoriuscita dell'acqua e del sangue dal costa­ to trafitto. Il fine dell'esercizio del potere regale di Gesù sulla croce, nell'atto stesso della sua morte, è la realizzazione di un disegno in cui le antiche istitu­ zioni di salvezza si compiono in una serie di doni inauditi. 1 3 I vv. 1 6b-22 sono, così, parte della sequenza successiva perché in essi, insieme all'inizio del com­ pimento del programma regale di Gesù, vi è anche, inscindibilmente, la transi­ zione delle istituzioni storiche d'Israele verso il loro paradossale compimento. A questo punto è necessario approfondire nel dettaglio la sequenza narrativa. 3.3. Descrizione generale della sequenza narrativa 19, 1 6b-42

La sequenza narrativa è costituita da sette scene (I: vv. 1 6b- 1 8; II: vv. 1 9-22; III: vv. 23-24; IV: vv. 25-27; V: vv. 28-30; VI: vv. 3 1 -37; VII: vv. 38-42). La prima e la settima scena sono caratterizzate, rispettivamente, dall'ar­ rivo di Gesù al Golgota e dallo spostamento del corpo di Gesù nel giardino della sepoltura, che si trova sempre nel luogo dove Gesù è stato crocifisso (v. 41). Nella prima scena Gesù viene crocifisso e nella settima viene deposto dalla croce. La seconda scena è riconoscibile dalle altre per la presenza di Pilato e la descrizione del titulus (vv. 1 9-20) e per il dialogo tra lui e i sommi sacerdoti a proposito della scritta (vv. 21 -22). Le altre scene sono riconoscibili anzitutto grazie all'avvicendarsi dei personaggi sotto la croce di Gesù, che è un centro spaziale attorno a cui ac­ cadono tutti gli eventi. Prima vi sono i soldati (vv. 23-24) la cui azione cau­ sa il compimento della Scrittura e che scompaiono per ricomparire solo al v. 32. Al loro posto entrano in scena le donne, in un breve versetto (v. 25), che anticipa la presenza della madre e il dialogo di Gesù con lei e con il discepo­ lo amato (vv. 26-27). Poi scompaiono improvvisamente i discepoli e Gesù ri­ mane solo (cf. vv. 28-30), assieme ad anonimi personaggi che servono solo a 1 3 L'affermazione suona qui ancora non dimostrata. Si avrà un approfondimento sulla salvez­ za donata da Gesù e sugli aspetti istituzionali approfondendo lo sfondo e la tipologia.

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 6b-42)

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far progredire l'azione iniziata dalle sue parole. 1 4 Un versetto di transizione (v. 3 1 ), che riferisce in forma indiretta una richiesta dei giudei a Pilato, serve a reintrodurre la comparsa dei soldati sotto la croce di Gesù ai vv. 32-34. La loro azione, attestata dal testimone, provoca nuovamente il compimento del­ la Scrittura. Infme, dopo un ulteriore versetto di transizione (v. 38}, ritorna­ no dei discepoli, Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, sotto la croce di Gesù. Quest'ultima scena (vv. 38-42), con la menzione del giardino (Kf17toç}, riman­ da a 1 8, l , ossia alla scena iniziale della passione, e ha una funzione di chiusu­ ra dell'intero racconto della passione. 1 5 Ci sono quindi due scene in cui i protagonisti sotto la croce sono i solda­ ti (vv. 23-24.3 1 -37) e in cui la loro azione provoca il compimento delle Scrit­ ture e ci sono due scene in cui sono presenti dei discepoli sotto la croce (vv. 25-27.38-42). Nei vv . 25-27 e 28-30 Gesù è il protagonista, ma, mentre nei vv. 25-27 egli ha il discepolo amato e la madre come interlocutori, nei vv. 2830 Gesù è invece protagonista senza la presenza dei discepoli. In quest'ulti­ ma scena, nella quale sono presenti anonimi personaggi che porgono a Gesù l'aceto, si trova la menzione del compimento delle Scritture, associato alla parola che Gesù sta per pronunciare {StlJiéò, v. 28), ma senza che venga reso esplicito il passo della Scrittura che viene compiuto. Inoltre questo quadro è ben incorniciato dalla menzione del compimento, prima riferita dal narra­ tore in rapporto all'intenzione di Gesù (-rE-rÉA.Ea-rat, v. 28}, poi riferita come Parola di Gesù (v. 30). La scena VII, inoltre, è in rapporto con la sesta per la richiesta fat­ ta a Pilato (cf. lÌPOl'tTtCJav -ròv IItA.dtov, v. 3 1 ; f1pcl>tTtCJEV tòv IltA.dtov , v. 38), per il movimento dei discepoli e dei soldati verso la croce (cf. f1A.9ov oòv oi 14 Brown dispone i vv. 25-27 al centro di un'ampia sequenza in cui ci sarebbero corrispondenze chiastiche. Tuttavia tali corrispondenze, che ad esempio collocherebbero i vv. 28-30 in rapporto con i vv. 19-22, non sono sufficientemente dimostrate; cf. BR oWN , Giovanni, vol. 2, 1 1 33s. 15 Secondo diversi esegeti, la presenza del giardino (Kf\ooç) nei pressi del Golgota è un ricordo storico senza significati simbolici sottesi. Per Lagrange, ad esempio, il paragone tra questo giardino e l'Eden è pura fantasia ed egli non cita nemmeno lo sfondo regale; cf. M. J . LAGRANGE, Évangile selon saint Jean, Gabalda, Paris 1 927, 504. Si oppone a signficati simbolici anche LINDARS, The Gospel of John, 594. Secondo Schnackenburg, la presenza del giardino nel quadro narrativo della sepoltura mostrerebbe l'uso che Giovanni fa di una fonte propria, che gli altri evangelisti non conoscono. Ri­ tiene anch'egli ingiustificato un significato simbolico ad esso connesso. Nota che tale parola ricorre all'inizio del racconto della passione, nella scena dell'arresto al torrente Cedron, e tuttavia non trae da questa osservazione alcuna conseguenza certa. Anche qui si ritiene che tale ricorrenza del termine Kf\ooç possa segnalare un rapporto tra l'episodio iniziale e l'episodio conclusivo del racconto della passione; cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 3, 488. Secondo Wengst, invece, questa menzione del giardino anticipa la scena di Maria di Magdala (cf. 20, 14s); cf. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 720. Fabris annota entrambe le possibilità e richiama la sepoltura di alcuni re d'Israele in un giardino (cf. 2Re 2 1 , 1 8 .26; Ne 3 , 1 6); cf. R. FABRIS, Giovanni, Boria, Roma 1 992, 993 . Così anche Moloney, che afferma che Gesù è stato seppellito in modo regale, senza tuttavia dimostrarlo; cf. F.J. MoLONEY, The Gospel of John (Sacra Pagina 4), The Liturgica} Press, Collegeville, MN 1998, 5 1 1 . Zumstein, al contrario, rileva solamente l'aspetto di p,urità rituale della tomba nel giardino, perché nessuno vi era ancora stato sepolto; cf. ZUMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean (13-21) , 264. Beutler rimanda particolarmente a Gv 20, 14- 1 6 dove il giardino è luogo dell'incontro «sponsale» tra Gesù e Maria Maddalena (cf. Ct 4, 1 2- 1 6; 5, 1 ; 6,2. 1 1 ; 8, 1 3); cf. J. BEUTLER, Il Vangelo di Giovanni. Commen­ tario (Anbib Studia 8), PIB, Roma 201 6, 563.575.

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CAPITOLO VII

c:npnnéiYtat, v. 32; flA.9ev oòv Kaì fipev 'tÒ créi>JJ.n nù't'ou, v. 38), per l'intenzione di sollevare (nipro, cf. vv. 3 1 .38} il corpo di Gesù e, infine, per la menzione del­

la Parasceve (cf. vv. 3 1 .42). E interessante notare che, malgrado l'ordine dei giudei contenga anche la menzione di rimuovere i corpi, l'esecuzione di tale ordine non viene descritta. Sono infatti i discepoli di Gesù a deporre il cor­ po del loro maestro. Questo significa che l'azione cominciata al v. 3 1 , all'i­ nizio della scena VI, trova la sua conclusione naturale al v. 42, alla fme del­ la settima scena. Inoltre è bene sottolineare che il v. 3 1 , subito dopo la morte di Gesù, pone uno stacco abbastanza evidente con ciò che precede e segna­ la un nuovo inizio. La frase è formulata in modo simile al v. 23. In modo si­ mile vengono infatti introdotti i personaggi (Oi oòv cr'tpnnéil'tnt, v. 23; Oi oùv 'Iouònio, v. 3 1 ) e il periodo viene svolto similmente in modo solenne e arti­ colato, attraverso proposizioni temporali (o'te Ècr'tnuprocrav 'tÒV I11crouv , v. 23; È1tEÌ napacrKEUft flv, V. 3 1 ) e parentetiche (flv ÒÈ Ò X,t'tWV èipaq>oç, ÈK 'tWV èivro9ev UQ>aV'tÒ>: esso sarebbe stato inventato e scelto con l'intenzione di sostituire storicamente i fratelli di Gesù, e questo viene mostrato anche dal suo titolo, «amatO)>; cf. l. DuNDERBERG, «The Beloved Disciple in John; Ideai Figure in an Early Christian Controversy», in I. DuNDERBERG - C.M. TucKErr - K. SvREENI (a cura di), Fair Play. Diversity and Conflicts in Early Christianity (Fs. H. Raisanen) (NTSupp 1 03), Leiden 2002, 243-269. Devillers sottolinea l'importanza del discepolo amato, per la composizione del QV, fino a strutturare l'intero vangelo alla luce di tre testimoni: Giovanni il Battista, Lazzaro e il discepolo amato. La loro presenza e testimonianza apre e chiude tre sezioni (I ,28 e 10,4 1 per Giovanni il Battista; I I , I e 1 2, 1 7 per Lazzaro; 1 3,23-25 e 2 I ,20 per i l discepolo amato); essi sono tutti e tre testimoni d i Gesù (Gio­ vanni rende testimonianza a Gesù in 1,8. 1 5; Lazzaro testimonia con la sua vita in 1 2, I l ; il discepolo amato è il testimone credibile in 1 9,34 e 2 1 ,24); essi sono legati a lui da un vincolo di amicizia (cf. 1 1 ,3.5. 1 1 .36 per Lazzaro e la figura dell'amico dello sposo per il Battista in 3,29); cf. L. DEVILLERS, «Les trois témoins: une structure pour le quatrième Evangile», in RB I 04( 1 997), 62-79. Tuttavia, a nostro parere, la figura del discepolo amato, in quanto rappresentazione idealizzata dell'autore im­ plicito, riassume in sé tutte le precedenti testimonianze in un'unica voce, che in fin dei conti è quella di colui che ci consegna il libro. In questo senso, la sua testimonianza è letterariamente superiore a quella del Battista e di Lazzaro. Concordiamo quindi con Vignolo, secondo il quale Giovanni il Battista e il discepolo amato possono essere messi in raffronto come personaggi che costituiscono la cornice dell'intero macroracconto, in posizione, rispettivamente, iniziale e conclusiva. Entrambi svolgono la funzione di testimoni capaci di formare un gruppo attorno a Gesù, o all'interno del van­ gelo, o (solo per il discepolo amato) all'esterno del racconto stesso (cf. il «noi» di 21 ,24). Il discepolo amato, a differenza del Battista la cui testimonianza è fissata staticamente in un punto della storia, ha una testimonianza la cui autorevolezza cresce con il racconto, fino ad assurgere al ruolo di figura autoriale al termine del vangelo; cf. R. VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano I 994, 1 77-205. 26 Da notare che «colui che ha visto» non è un narratore di secondo livello, ma una vera e propria «figura autoriale». Il discepolo che Gesù ama è, infatti, una rappresentazione idealizzata dell'autore.

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Da queste valutazioni possiamo concludere che i due quadri che han­ no come protagonisti i soldati sotto la croce di Gesù (vv. 23-24.32-37) sono costruiti in parallelo e costituiscono una trama che si sviluppa in due scene successive collocate nei due versanti della sequenza narrativa, ossia prima e dopo la morte di Gesù. Esse sono caratterizzate da un climax nel secondo versante della sequenza, al v. 34, nell'azione che procede dal corpo di Gesù. Il simbolismo del sangue e dell'acqua e della tunica inconsutile suggerisce la presenza di un livello divino degli eventi, soggiacente a quello causale-sto­ rico, e le citazioni di compimento si incaricano di rivelarlo. I soldati, con la loro azione, obbediscono a una volontà superiore, così da portare inconsape­ volmente a compimento il disegno divino contenuto nelle Scritture. 3. 6. Analisi dei personaggi e del punto di vista nella scena con Gesù protagonista ( V)

Dove si manifesta esplicitamente questa volontà superiore, alla quale i soldati inconsapevolmente obbediscono? Nelle scene IV e V il narratore for­ nisce l'accesso al punto di vista psicologico di Gesù: egli infatti conduce gli eventi direttamente, facendo scaturire il corso delle azioni dalla sua consape­ volezza (cf. Eiòo':Jç, v. 28) del compimento delle Scritture (v. 28), a cui anche le scene dei soldati fanno riferimento. Se allora nel caso dei soldati il compimen­ to si realizza senza che gli attori ne siano consapevoli, nella scena V il narra­ tore affida a Gesù la regia del compimento delle Scritture. Ciò significa che qui, per comprendere il compimento delle Scritture, bisogna guardare alle pa­ role e alle azioni consapevoli di Gesù. Il corso d'azione è innescato dalla sua parola iniziale, portato avanti da anonimi personaggi, che qui fungono solo da comparse per segnalare il concatenarsi degli eventi, e confermato dalla paro­ la finale di Gesù (cf. v. 30). All'inizio, dopo la menzione del compimento delle Scritture fatta dal narratore (ì:va 'tEÀ.Etro9ft n ypacpiJ, v. 28) segue la Parola di Gesù (À.ÉyEt ònjféò, v. 28), mentre alla fine, dopo l'ultimo atto di questa sequen­ za di azioni, in cui Gesù riceve l'aceto (eÀ.aJ3Ev 'tÒ Qçoç, v. 30), c'è la menzione del compimento fatta da Gesù stesso ('tE'tÉÀ.Ea'tat, v. 30). Questa costruzione mette in rapporto la Parola iniziale di Gesù (òtwro) con il suo ricevere l'aceto e qualifica entrambi gli atti di Gesù con la menzione del compimento. Il punto di vista ideologico del narratore sul compimento (tva 'tEÀ.Etro9ft n ypacpiJ) viene confermato da quello fraseologico di Gesù (òtwéò; 'tE'tÉÀ.Ea'tat) in modo tale che avere sete e ricevere aceto sono entrambi connessi con il compimento. In tali riferimenti all'avere sete e al prendere l'aceto sono presenti delle allusioni al Sal 69. È dunque possibile che l'evangelista, quando parla della Scrittura da compiere al v. 28, intenda riferirsi a questo salmo del giusto sofferente?27 27 Alcuni autori sostengono precisamente questo: si vedano BARREIT, The Gospel according to St John, 553; D. SENIOR, La passione di Gesù nel Vangelo di Giovanni, Milano, Ancora 1 993, 1 1 7-1 1 8;

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È certamente probabile, ma non è questo ciò che interessa di più al narratore. Infatti, se fosse stato particolarmente interessato a comunicare il passo specifico della Scrittura, avrebbe inserito anche qui, come nelle scene dei soldati, una citazione esplicita di compimento. Invece si può notare che l'attenzione del narratore è qui concentrata solo sulle parole e azioni consa­ pevoli di Gesù, che culminano con la morte in croce descritta nei termini di una consegna dello spirito. L'accento della narrazione, evidenziato dal punto di vista ideologico del narratore al v. 28 («perché si compisse la Scrittura»), si concentra dunque sulle parole e sulle azioni di Gesù. Il narratore vuole mostrare che queste pa­ role e queste azioni corrispondono a una piena obbedienza al progetto divi­ no che si manifesta come compimento delle Scritture. Questa affermazione necessita di essere ulteriormente chiarita e dimo­ strata, attraverso tre passaggi: l) il v. 30b: KÀ.ivaç 't1ÌV KEq>aÀ.lÌV 7tapÉ5coKEV tò 7tVEUJ..La si può considera­ re come culmine di una serie paradossale di azioni; 2) la sete di Gesù e il ricevere l'aceto illustrano il significato della mor­ te di Gesù, che culmina nella consegna dello spirito, come obbedienza al di­ segno misterioso delle Scritture;

1. MATEOS - J. BARRETO, Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella, Assisi 1982, 769; G.R. BEASLEY-M URRAY, John (Word Biblica) Commentary 36), Thomas Nelson Publisher, Nashville 1 999, 35 1 . Anche Moloney ritiene invece che si tratti proprio del compimento del Sal 69 e di Es 1 2,22-23 sull'agnello pasquale; cf. MoLONEY, The Gospel ofJohn, 504. Recentell}ente fa esplicito riferimento a questi due testi e alla figura dell'agnello pasquale anche ZuMSTEIN, L'Evangile selon saint Jean ( 13-21 ) , 253-254. Posizione invece piuttosto critica rispetto al riferimento all'agnello pasquale viene espressa da BULTMANN, The Gospel of John, 674, nota 2. Più sfumato, ma sempre in questa linea critica, ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 459. Qui vi sono due questioni collegate. La prima è se riferire l'indicazione di compimento della Scrittura (iva 'tEÀ.Etro9'fi t'l ypaq>11 , v. 28) a ciò che segue, ossia alle parole di Gesù: «Ho sete» o a ciò che precede; la seconda è se riferire il compimento della Scrittura proprio al salmo 69. Molti degli autori precedenti, che sostengono il riferimento della Scrittura al salmo, scelgono di riferire l'indicazione di compimento alle parole di Gesù (cf. Barrett). Altri invece fanno la scelta opposta: per Fabris, ad esempio, è presente l'allusione al salmo 69, ma il compimento della Scrittura si riferisce a ciò che pre­ cede e non al salmo; cf. FABRIS, Giovanni, 98 1 . Anche per Grasso l'indicazione di compimento si rife­ risce a ciò che precede ed egli non concorda con il riferimento della Scrittura esclusivamente al salmo, affermando che lo sfondo del Sal 69 appartiene piuttosto alla fonte sinottica, mentre nel QV si fa rife­ rimento al compimento della Parola di Dio in modo complessivo; cf. GRAsso , l/ Vangelo di Giovanni, 736-737. Léon-Dufour mantiene in equilibrio entrambe le possibilità, sostenendo che la menzione del compimento si riferisce non solo al verbo che segue, ma anche a ciò che precede. In quest'ultimo caso la Scrittura è considerata nella sua globalità e non in riferimento al salmo 69; cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 1 1 16. La posizione qui esposta, come vedremo tra breve, concorda con il primo gruppo di esegeti nel riferire il compimento della Scrittura a ciò che segue, cioè alle parole e alle azioni di Gesù, e tuttavia considera il riferimento alla Scrittura di carattere più generale, e non solo in relazione al Sal 69. Infatti abbiamo indicato come il fatto che il narratore non offra una citazione esplicita del salmo predispone il lettore a vedere in ciò che accade, ossia nelle azioni e parole di Gesù, il compiersi della Scrittura e della volontà di Dio. A una conclusione simile giungono Schnackenburg e Wengst, pur attraverso argomentazioni differenti; cf. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 457, e WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 707. Similmente Lindars ritiene che il compimento delle Scritture riguardi il mistero di Gesù come agente della volontà di Dio e dunque si riferisca alle azioni che seguono, in particolare alla sua sete; cf. LINDARS, The Gospel ofJohn, 580.

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3) le azioni di Gesù sono criterio ermeneutico per comprendere il com­ pimento delle Scritture. Procediamo con ordine. l ) La morte di Gesù, descritta attraverso la perifrasi napÉoroKEV 't'Ò 1tVEUJ.La al v. 30, è il punto conclusivo dell'azione in questa scena. Tale peri­ frasi è una variante significativa rispetto al verbo èKnvÉro, usato dai sinottici (cf. Mc 1 5,37 e Le 23,46; Mt 27,50 usa la perifrasi àQ>ftKEV 't'Ò nvEfiJ.La). Il ver­ bo napaoiùroJ.Lt, alla luce del contesto in cui Gesù, con la sua parola e i suoi atti, si mostra all'origine del compimento ultimo, si carica di sfumature che contribuiscono a rafforzare l'impressione della signoria di Gesù sugli eventi e in particolare sulla propria morte. Per il QV la morte di Gesù non è sempli­ cemente un'emissione spontanea di fiato, un ultimo, definitivo rantolo prima della cessazione di qualsiasi attività vitale, ma un atto cosciente di Gesù, che proviene da quella consapevolezza segnalata dal narratore all'inizio di que­ sto quadro con il participio Eiocòç (v. 28). Gesù muore, ma il modo in cui il narratore descrive tale evento, cioè come un dono perfettamente cosciente e libero, non ha nulla a che fare con la morte. Eppure Gesù è veramente morto, perché al v. 33 i soldati se ne rendono conto e non gli spezzano le ossa. Ecco il paradosso, che consiste nel descrivere l'atto del morire, atto di suprema de­ bolezza dell'uomo, come atto di dono e di sovrana libertà. Il lettore quando arriva a questo punto non è colto di sorpresa, perché è già stato abituato al clamoroso contrasto tra la consapevolezza sovrana di Gesù e la sua condi­ zione di vittima sulla croce, soggetta alla derisione di anonimi personaggi. Il corso delle azioni che portano alla morte di Gesù dipende interamente dal­ la sua consapevolezza, così che il paradosso della morte di Gesù come libera consegna non è che il punto culminante di una risoluzione di cui Gesù è allo stesso tempo vittima e consapevole regista. 28 2) Il corso di azioni che porta al compimento delle Scritture è originato da una parola che, di per sé, indica solo la totale debolezza di Gesù, davan­ ti alla morte: «Ho sete>> (v. 28).29 Attraverso le azioni che ne seguono e che 28 Per Brown, la perifrasi xapé&oKev 'tÒ xve{)Jla serve al lettore a ricordare lo scopo finale per cui Gesù è stato innalzato sulla croce. Proprio per questo motivo, secondo lui, tale perifrasi potrebbe riferirsi in modo simbolico e prolettico al dono dello Spirito, che avverrà definitivamente in 20,22; cf. BROWN, Giovanni, vol. 2, 1 1 59. Sostengono questa ipotesi, tra gli altri, R.H. LIGHTFOOT, St. John's Gospel. A Commentary, Clarendon Press, Oxford 1957, 3 1 9; l. DE LA POTTERIE, «La mort du Christ d'après saint Jean», in StMiss 3 1 ( 1 982), 19-36; LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo se­ condo Giovanni, 204; FABRIS, Giovanni, 983; SIMOENS, Secondo Giovanni, 116; MoLONEY, The Gospel of John, 505; GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 139; ZuMSTEIN, L 'Évangile selon saint Jean (13-21) , 254. Barrett sostiene invece che l'espressione giovannea può essere una ritraduzione di Le 23,46 e che l'evangelista descrive dettagliatamente in 20,23 il dono dello Spirito; cf. BARRETT, The Gospel according to St John, 554. In una posizione molto simile troviamo anche SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 463; LINDARS, The Gospel of John, 582. Più sfumato ma sostanzialmente simile Wengst, secondo cui la consegna dello spirito indica che Gesù offre spontaneamente la sua vita; cf. WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 109. 29 Staley intende sottolineare il contrasto tra una lettura più v. Essa presenta la caratteristica di es­ sere senza cuciture, intessuta interamente dall'alto: lipav non si possono trarre conclusioni chiare sul carattere sacerdotale della veste di Gesù. Si possono ancora approfondire le allusioni degli altri termini che qua­ lificano la veste. Anzitutto il termine ucpav't'6ç è usato nella LXX sia per di­ verse parti del vestito sacerdotale sia per la tenda (cf. Es 26,3; 28,6; 35,35; 36, 1 0. 1 2. 1 5.29.34; 37,2 1). In Es 36,29 si trova la connessione tra ucpav't'òv e oA.ov, per descrivere l'u7toòu't'llç, ma si parla di una tessitura di giacinto, oltre­ tutto in due pezzi. 55 Le quattro parti ('t'Écrcrapa J.1ÉP11) della divisione delle vesti56 possono ri­ chiamare testi riguardanti la tenda del tempio o parti degli arredi sacri. 57 Ad esempio in Es 38 ,24 e l Re 7, 1 7 l'espressione indica le suppellettili sacre, o an­ cora in Ez 40,47 (cf. anche 42,20) esprime i quattro lati del tempio escatolo­ gico. La medesima espressione si ritrova nella visione iniziale della gloria di YHWH in Ez 1 ,8. 1 7 e in 1 0, 1 1 . L'avverbio livro8Ev è usato per alcune parti dell'arca in Gen 6, 1 6, della tenda-tempio (cf. Es 25,2 1 ; 38, 1 6. 19; 40, 1 9) e delle vesti (cf. Es 36,27 .38) e indica la provenienza della Parola divina nella tenda (cf. Es 25,22; Nm 7,89).58 Infine; una certa familiarità con il linguaggio gio­ vanneo della tunica e con tutte le sue caratteristiche si trova in Filone di Ales­ sandria, che interpreta in chiave cosmica le vesti del sommo sacerdote. Egli parla di una veste (7tOOllP11ç x;t't'ci>v) simbolo dell'aria, perché essa arriva fino ai piedi estendendosi a partire dall'alto (livro8Ev) .59 Questa rete di allusioni, pur mostrando un volume notevole di richiami e tradizioni, rimane uno sfondo ipotetico. Ciò che permette al lettore di di­ stricarsi per comprendere il senso inteso dal narratore è la ricorrenza di que­ sti sfondi cultuali nel QV e la loro coerenza globale con il percorso narrativo del macroracconto. Gesù viene derubato della sua tunica, che non ha anzi53 Cf. FLAVIO GIUSEPPE, Ant. 111, 1 6 1 . 54 Cf. CAVICCHIA, Le sorti e le vesti, 326. 55 çr. anche Nm 4,6 dove si indica la copertura di giacinto dell'arca. 56 E importante sottolineare che l'uso di questo termine è voluto dall'autore, perché si differenzia dalla citazione, che riporta un semplice l)1.8Jl,EPiaav1:o. 57 Cf. CAVICCHIA, Le sorti e le vesti, 346. � cf. Gv 3,3.7. 59 FILONE m ALESSANDRIA, De specialibus legìhus 1,85; cf. anche lo., De vita Mosis 11, 1 1 7- 1 1 8. In De vita Mosis 11, 1 1 7- 1 35 le vesti del sommo sacerdote simboleggiano le parti dell'universo tenute insieme dal logos. Cf. anche Sap 1 8,24.

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 6b-42)

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tutto a che fare con una sopravveste sacerdotale, ma con una veste che copre direttamente il corpo. 60 La spoliazione di Gesù, a cui si riferisce anche la ci­ tazione esplicita del salmo di supplica, non riguarda in primo luogo il mon­ do del culto ma la sua condizione di giusto sofferente, il cui corpo è esposto a un progressivo e paradossale processo, caratterizzato insieme da distruzione e integrità. Come la veste, anche il corpo di Gesù, nella distruzione della mor­ te, rimarrà integro. Tale rapporto di distruzione/integrità ricorda in qualche modo la profezia di distruzione/ricostruzione del tempio/corpo di Gesù in Gv 2, 19-22, quando Gesù afferma che il Tempio distrutto viene fatto risorgere in tre giorni e il narratore precisa che si tratta del tempio del suo corpo. Questo rapporto paradossale si conferma nel c. 1 9, quando la tunica non viene divi­ sa e le gambe del corpo di Gesù non vengono spezzate. È dunque in questo più ampio contesto, che tiene conto dell'equivalen­ za corpo/tempio già stabilità da Gesù, che si possono meglio comprendere le allusioni della veste inconsutile e della divisione in quattro parti delle altre ve­ sti, in riferimento globale a tutto l'ambito del culto d'Israele, dalla tenda del convegno esodica fino al tempio di Gerusalemme. Infatti la spoliazione della veste anticipa incoativamente il dono che Gesù fa di tutto il suo corpo/tem­ pio, attraverso un paradossale rapporto di distruzione/integrità. 61 Quindi lo sfondo meglio accreditato dal quadro costituito dalle allusio­ ni, dalla citazione esplicita, 62 dallo svolgimento dell'azione e dal contesto del QV è quello che riguarda l'associazione veste/tempio (o tenda) nel quadro della connessione tra corpo e tempio, già istituita da Gesù all'inizio del van­ gelo. Da questa visuale più ampia non è necessario mostrare un legame di­ retto tra la veste e l'istituzione sommosacerdotale, poiché tale istituzione ri­ mane come implicata secondariamente all'interno della rete di allusioni sim­ boliche connesse al tempio e alla tenda. È infme importante mostrare che il verbo crxi�ro, utilizzato nel discorso diretto dei soldati per proporre di non stracciare la veste ma di tirare a sorte su di essa, ha un'unica altra ricorrenza nel QV, ossia in Gv 2 1 , 1 1 , per indicare un altro oggetto materiale e altamente simbolico, ossia la rete di 1 53 grossi pesci, che non si spezza. Poiché anche in questo caso vi sono possibili allusioni al tempio escatologico di Ez 47, 1 0 e la

60

Cf. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, vol. 4, 443. 61 Léon-Dufour, dopo aver scartato le due ipotesi sulla tunica come sacerdozio e tunica come comunità dei credenti, interpreta l'integrità riservata alla tunica nei termini di quella del corpo che la morte non potrà distruggere. La tunica infatti copre direttamente il corpo e questo è in analogia con quanto Gesù afferma in 1 3,4. 1 2 dove egli depone le sue vesti e poi le riprende. Il corpo resterà unico e inalterato; cf. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni, 1 72- 1 73. 62 Secondo Cavicchia, il narratore attraverso la citazione di 22, 1 9 richiama l'intero salmo, allu­ dendo così al fatto che nella morte di Gesù in croce, reale e non edulcorabile, accadono e si realizzano la rivelazione del nome divino e la costituzione del culto universale, con il quale entrano in rapporto anche i soldati pagani. Mi sembra che il racconto non appoggi in modo esplicito la costituzione del culto universale, soprattutto per quanto riguarda i soldati pagani, che rimangono qui solo i carnefici di Gesù; cf. CAVICCHIA, La sorte e le vesti, 369.

CAPITOLO VII

210

simbologia è chiaramente a sfondo ecclesiologico, 63 non si può escludere che anche nel simbolo della tunica inconsutile vi sia un'allusione, sebbene più in­ diretta, alla Chiesa e alla sua unità, radicata nell'integrità della tunica/corpo di Cristo. Lo stretto collegamento che si stabilisce tra questa scena e quella successiva, dove sono presenti sotto la croce le donne, Maria e il discepolo amato come primo nucleo della Chiesa, può costituire una conferma del fatto che tale sfondo non è assente dal contesto della sequenza. 6.2. Scena IV ( vv. 25-27) I vv. 25-27 non presentano alcuna allusione che possa essere provata facendo esclusivo riferimento ad essi. Con uno scavo particolarmente approfondito nell'Antico Testamen­ to e nella tradizione giudaica, A. Serra64 intende mostrare l'importanza di leggere i vv. 25-27 alla luce di 1 1 ,52, che presenta l'affermazione del som­ mo sacerdote, secondo cui Gesù doveva morire «per riunire insieme i figli di Dio dispersi». Il punto di appoggio della sua argomentazione è costitui­ to da un'ampia rassegna di testi del giudaismo intertestamentario (Giubilei, Enoch, Qumran), dei Targum e della letteratura rabbinica, anche a commen­ to degli oracoli profetici sul ritorno d'Israele dall'esilio. Alcuni di essi radica­ lizzano la prospettiva escatologica degli oracoli isaiani (come Is 66,7- 1 1 ) e si soffermano sulla simbolica della maternità di Sion-Gerusalemme, che vede improvvisamente i suoi figli giungere da lei da tutte le nazioni. Il targumista commenta il Cantico alla luce di testi profetici come Is 66,7- 1 1 , dove l'ora del ritorno dall'esilio è reintepretata come l'ora in cui Sion, che è madre d'Israe­ le, partorirà i suoi figli. 65 Si tratta di una rinnovazione escatologica dell'alleSchnackenburg è diffidente riguardo allo sfondo ecclesiologico della tunica; cf. SCH NA­ Vangelo di Giovanni, vol. 4, 443. Similmente LINDARS, The Gospel ofJohn, 578; WENGST, Il Vangelo di Giovanni, 105. Tra coloro che sono favorevoli a vedere uno sfondo ecclesiologico nel simbolo della tunica vi è BARRETT, The Gospel according to St John, 550. Moloney insiste sulla veste come simbolo di unità ecclesiale, ma senza dimostrarlo in modo adeguato; cf. MoLONEY, The Gospel of John, 503. Anche Grasso non esclude lo sfondo ecclesiologico della simbologia della tunica, ma non lo dimostra; cf. GRAsso, Il Vangelo di Giovanni, 730, nota 7. Secondo Marzotto, l'esigenza di non fare a pezzi la veste di Gesù è connessa al compimento della Scrittura e alla potenzialità unitiva della morte di Cristo; cf. D. MARZOTTO, L'unità degli uomini nel Vangelo di Giovanni (RivBibSupp 9), Paideia, Brescia 1977, 21 1 . De la Potterie sostiene che la tunica senza cuciture rappresenta sim­ bolicamente la riunione escatologica del popolo di Dio per la morte di Gesù; cf. DE LA PoTTERI E, «La mort du Christ d'après saint Jean)), 19-36. Tenta una dimostrazione Fabris, soprattutto alla luce di Gv 1 1 ,52 e 12,32; cf. FABRIS, Giovanni, 915. In modo ancor più preciso, Zumstein sottolinea quattro elementi a favore: l ) l'insistenza sul motivo dell'unità nei vv. 23-24; 2) il fatto che il motivo dell'unità è un tema ricorrente del QV (cf. 1 0, 1 6; 1 1 ,52; 1 7,21 -22); 3) la profezia di Caifa (1 1 ,5 1 -52) mette in rapporto la ricostituzione in unità dei discepoli con la morte di Cristo; 4) la scena della t1;1nica precede immediatamente quella della nascita della nuova famiglia di Gesù. Cf. ZuM STEI N, L'Evangile selon saint Jean ( 13-21) , 246. 64 Cf. A. SERRA, Contributi dell'antica letteratura giudaica per l'esegesi di Gv 2, 1-12, Herder, Roma 1 977, 303-429. 65 Tg Ct 8,5; cf. SERRA, Contributi dell'antica letteratura giudaica per l'esegesi di Gv 2, 1-12, 355. 63

CKENBURG, Il

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 1 9, 1 6b-42)

21 1

anza sinaitica. Qui, infatti, il melo (cf. «sotto il melo ti ho svegliata») diviene una figura del Sinai, dove YHWH scese per donare la Legge al suo popolo e Israele desiderò riposare all'ombra della shekinah che ricoprì il mondo e nu­ trirsi del frutto del melo, cioè delle parole della Legge (cf. Tg Ct 2,5). Sotto l'influsso della speranza messianica, il targumista del libro di Isaia66 pensa non tanto al ritorno degli israeliti dall'esilio babilonese in Gerusalem­ me, quanto ai giorni del Messia, della restaurazione escatologica del Regno. D'altra parte, come fa giustamente notare Serra, 67 già in Isaia (cf. Is 62,5a:

KClÌ roç V VEClVl OU't'Olç KCl't'OlKllI16v aou tv 't'éì) �81), mette in connessione Gv 1 3,26 con 1 9,29: intingere il boccone nell'aceto

sarebbe allora un gesto di alleanza, e questo sulla base di midrash Rabbah che interpreta proprio Rt 2, 14 in senso messianico e secondo il quale il boccone intinto nell'aceto sarebbero le sofferenze del messia. Si tratta di un'ipotesi interessante. Tuttavia è difficile tenere insieme 1 3,26 con 1 9,29 sulla base di un'eco veterotestamentaria costruita solo su di una parola in comune e sostenuta da un midrash tardivo. Cf. Y. SIMOENS, «La morte de Jésus selon Jn 19,28-30», in NRT 1 1 9(1 997), 1 2- 1 3 . 76 In Pes 7b, a proposito della ricerca d i pane fermentato alla veglia di Pasqua s i mette in rap­ porto Es 1 2, 1 9 con Gen 44, 1 2, dove i fratelli trovano la coppa di Giuseppe nel sacco di Beniamino. Tramite questa gezerah shawah giocata sul verbo VTptP'I\Gnat. OÙ cn>V'tp(\IIE'tE à.1t' aù't'ou 't'à 8è Ka't'aA.em6J.Leva à.7t' aù't'OD &roç 7tproÌ èv 7tUpÌ Ka't'aKaOOE't'E.

Es 1 2,46 èv OÌKl� f.LU� (3pro9i)ae't'at Kaì oùK èl;oiaE't'E èK 't'fjç oiKiaç 't'éòv Kpeéòv fl;ro Kaì òcnouv où cn>vTPi'I'ETE à.1t' aù't'oD.

Gv 1 9,36: èyéve't'o yàp 't'aD't'a \va 1t ypacpi) 7tA.npro9fr

Nm

9, 1 2

Ka't'aoù AEl\JfOOO\V à.7t' aù't'OO eìç 't'Ò 7tproì Kaì òcnouv où cn>VTP(\1101>0'\V à.7t' aù't'oD Ka't'à 't'ÒV VOf.LOV 't'OD 1taaxa 7tmi)aoumv aù't'o.

òcnouv où cn>VTptP'I\Gnat

aÙ't'OU.

Come si può notare, nessuno dei passi è assolutamente identico a quel­ lo del QV. Il verbo al passivo della citazione giovannea (auv'tptJ31laE'ta.t) è pre­ sente in Sal 34,2 1 , ma qui abbiamo il plurale 'tà (>v tçEKSV't'TIpéap/ 1tTI'YTt, VV. 1 2. 1 4 oi àA.Tt9tVoi, v. 23 �EÀ.E\0000 EP'YOV, v. 34

Parallelismo al v. 32: �òv àA.Tt9tv6v

Sg . comp. 6, 1 -7 1

1tc01tO�E, V. 35 Eiç �òv atrova, v. 5 1

Parallelismo ai vv. 49-5 1 : cf. à1té9avov (v. 49); �-tit àoo9avn (v. 50); ç'lloEt Eiç �òv aìrova (v. 51) Parallelismo ricapitolativo al v. 58

Sg. à1t' ÈKElVTtç comp. Ti'jç &paç, V. 1 9, 1 6b27 42

o yéypaq>a, Eioroc; o yéypaq>a, 1Ttoouç on v. 22 i\OTt 1tav�a �E�ÉÀ.E>, in lo. (a cura di), Israele e Chiesa nel Vangelo di Giovanni, 65.

Analisi del compimento tipologico

255

4.3. Il superamento è caratterizzato da una dialettica temporale tra storia ed escatologia

Ciò che accade alle nozze di Cana è una prolessi dell'ora che si compi­ rà sulla croce, quando il Figlio dell'uomo verrà innalzato. 1 7 Ciò significa che nel simbolo del vino nuovo viene anticipato un compimento della rivelazione che ancora non è giunto e che, di conseguenza, il superamento del tipo istitu­ zionale rappresentato dalle giare di pietra con l'acqua per la purificazione dei giudei non si è ancora realizzato. Con le nozze di Cana si mostra in atto una trasformazione che, da un lato, porta a termine il climax rivelativo iniziato nel primo capitolo e, dall'altro, contraddistingue un processo che dura quan­ to l'esistenza e il ministero del messia Gesù e che si compirà con il suo innal­ zamento. Questa dialettica temporale di un'ora già anticipata ma non anco­ ra giunta mostra il paradosso dell'escatologia realizzata del QV, che tiene in­ sieme la pienezza del compimento nella persona del Verbo e la sua dilazione nell'ora dell'innalzamento. Tale dialettica temporale è maggiormente approfondita in 4,21 -23, in cui l'ora che viene è quella del Messia (v. 23). Non si tratta semplicemente di un intervallo di tempo cronologico, ma di un eone che si instaura con la venu­ ta storica di Gesù e si prolunga nel futuro, con il dono dello Spirito (cf. 1 6,8) e la venuta del Risorto in mezzo ai suoi discepoli (14,3. 1 8.23.28). 18 L'ora, che viene descritta come un «adesso» (vuv, v. 23), è da un lato proiettata nella fu­ tura adorazione in spirito e verità (7tpooKuv1laoucnv) e dall'altro connessa sen­ za soluzione di continuità con tutta la storia d'Israele, resa presente nell'istan­ te in cui Gesù parla da giudeo in prima persona plurale, dicendo: «Noi ado­ riamo ciò che conosciamo, dal momento che la salvezza viene dai Giudei (v. 22)». In questa articolazione temporale, i confini tra la storia d'Israele e l'eone messianico sfumano al punto da sovrapporre questi due tempi nella persona stessa di Gesù e nel suo itinerario storico fino al compimento con il dono del­ lo Spirito. Non si può dunque affermare che qui il culto del Tempio di Geru­ salemme venga «sostituito» dal culto in spirito e verità. Il superamento avvie­ ne piuttosto nella chiave dell'integrazione, simultanea ma a un livello diver­ so, dei due tempi nella stessa persona di Gesù, fmo all'ora escatologica della sua glorificazione. Se questo è vero per tutta la durata del ministero di Gesù, che dire del momento in cui si compie l'ora, nella morte di Gesù? C'è ancora, in essa, una dialettica tra tempo storico e tempo escatologico? Se sì, come essa inci­ de sul compimento tipologico? Abbiamo già accennato che vi è una notevole connessione tra le istituzioni d'Israele, in particolare la liturgia pasquale del Tempio, e la morte di Gesù, anche alla luce della scansione temporale della passione secondo le tappe della preparazione e dello svolgimento della festa 1 7 Cf. supra, c. 4, parr. 1 .4 e 1 .5. Cf. supra, c. 5, parr. 1 .5 e 3.2.

18

256

CAPITOLO VIII

liturgica. 19 La Pasqua dei giudei viene infatti menzionata almeno due volte lungo il racconto della passione (cf. 1 8,28.39) e la preparazione della Pasqua viene ricordata nel momento stesso in cui Gesù sta per essere condannato a morte ( 1 9, 1 4). Infine, il corpo morto di Gesù viene trafitto dal colpo di lan­ cia nell'ora della preparazione degli agnelli nel Tempio (cf. 1 9,3 1). Vi è dun­ que una connessione tra la preparazione della Pasqua e la morte di Gesù in croce. Il punto di vista temporale ci aiuta a comprendere questa connessione in vista di un arricchimento rivelativo, in un senso istituzionale-sacramenta­ le, del compimento tipologico. Infatti la progressiva rivelazione della regalità di Cristo, che coincide con la sua instaurazione nell'innalzamento della cro­ ce, accade simultaneamente con la preparazione della Pasqua nella liturgia del Tempio. Da un lato, è vero che la sconfitta dei sommi sacerdoti segna una discontinuità, perché la loro accettazione incondizionata di Cesare li delegit­ tima come rappresentanti delle istituzioni d'Israele e al contempo rende pos­ sibile la transizione verso il compimento di tali istituzioni. Tuttavia, ciò non implica automaticamente che vi sia una cessazione del valore delle istituzio­ ni. Se vi fosse sostituzione in questo senso, dovremmo avere un'interruzione del culto nell'atto in cui il Messia consegna lo spirito sulla croce. Invece que­ sta simultanea compresenza del culto del Tempio e del suo compimento nel corpo di Gesù orienta verso un'integrazione del culto israelitico all'interno di una rivelazione che ne rispetta l'autonomia proprio nella misura in cui è se­ gnata dall'eccesso paradossale. Tale eccesso ha chiaramente una connotazio­ ne escatologica, che si collega alla risurrezione di Gesù e alla consegna dello Spirito (c. 20). Il punto di vista spazio-temporale dei racconti di risurrezione può costituire una conferma di ciò, sebbene indiretta: il corpo di Gesù si ma­ nifesta nella risurrezione senza obbedire più ai limiti di tutti gli enti storici e concreti, perché compare a porte chiuse (20, 1 9). Inoltre il primo giorno dopo il sabato segnala un nuovo inizio, al di fuori della serie dei giorni secondo la settimana ebraica. Siamo in un contesto spazio-temporale che segnala l'irru­ zione paradossale dell'ora escatologica nel tempo storico con il dono dello Spirito e che si prolunga nel tempo della Chiesa. Questo significa che la dialettica tra escatologia e storia non si trova solo nel tempo del ministero di Gesù, in cui l'esca ton è realizzato nella sua persona ma ancora non compiuto nella croce. Essa si trova anche sulla croce, dove la morte di Gesù è l'evento considerato nel tempo storico e la sua con­ segna dello Spirito è lo stesso evento considerato alla luce dell'ora escatolo­ gica. Infine la medesima dialettica continua a esprimersi nella vita dei disce­ poli, che da un lato sono nel mondo, ma dall'altro non vi appartengono, per­ ché sono stati santificati nella verità (cf. 1 7, 1 1 - 1 9) e sono una sola cosa con 1 9 Il ruolo delle feste liturgiche giudaiche potrebbe essere approfondito anche per Gv 6, come abbiamo in precedenza accennato. La funzione narrativa e teologica delle feste, in tutto il QV, è presa in esame con esplicito riferimento alle possibili letture , in Annali di Scienze Religiose 9(2004), 1 23-1 36. -, Il Gesù di Luca, EDB, Bologna 20 1 2 (tit. orig. Le Jésus de Luc, Fleurus-Mame, Paris 20 1 1 ). ALLISON JR D.C., The New Moses. A Matthean Typology, Fortress Press, Minneapolis 1 993. ALTER R., The Art of Biblica/ Narrative, Basic Books, New York 201 1 . AMSLER S., «La typologie de l'Ancien Testament chez Saint Pauh>, in RTP 37(1 949), 1 1 3- 1 28. ANDERSON H., «The Old Testament in Mark's Gospel», in J.M. EFIRD (a cura di), The Use of the Old Testament in the New and Other Essays (Fs. W.F. Stinespring), Duke University Press, Durham, NC 1 972, 280-306. ARTERBURY A.E., «Breaking the Betrothal Bonds: Hospitality in John 4>>, in CBQ 72(20 1 0), 63-83. AuERBACH E., Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1 963. BAKER D.L., «Typology and the Christian Use ofthe Old Testament», in SJTh 29( 1976), 1 37- 1 57. -, Two Testaments One Bible. A Study of the Theological Relationship Between the O/d and New Testaments, Apollos, Leicester 1 991 . BALZ H., «meti», in DENT, vol. 2, 38 1 -382. BAMPFYLDE G., «John XIX, 28, a Case for a Different Translation», in NT 1 1 ( 1 969), 247-260. BANDSTRA A.J., «lnterpretation in l Corinthians 1 0, 1 - 1 h>, in CTJ 6( 1 97 1 ), 5-2 1 . BARBAGLIO G . , La Prima Lettera ai Corinzi. Introduzione, versione e commento a cura di Giuseppe Barbaglio, EDB, Bologna 1995. BARRETI C.K., The Gospel according to St John: An Introduction with Commentary and Notes on the Greek Text, Westminster Press, Philadelphia 1 955- 1 978. -, A Commentary of the First Epistle to the Corinthians, HNTC Harper, New York 1 968. AAGESON

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Indice dei nomi

Aageson J.W. 37 Agostino d'lppona 63 90 Aletti J .-N. 7 40 41 42 43 44 1 4 1 1 48 Allison jr D.C. 38 52 54 56 1 58 Alter R. 49 1 1 3 1 1 4 Amsler S. 37 Anderson H. 39 Arterbury A.E. 1 12 Auerbach E. 30 Baker D.L. 30 Balz H. 6 1 00 Bampfylde G. 200 Bandstra A.J. 1 5 20 Barbaglio G. 15 17 20 Barreto M. 59 73 74 76 1 0 1 1 04 1 3 1 1 58 1 59 1 64 1 95 1 99 250 Barrett C.K. 20 59 68 74 1 00 1 0 1 1 1 2 1 20 1 35 1 39 1 42 1 45 1 53 1 58 1 64 1 80 1 84 1 94 1 95 1 96 2 1 0 2 1 3 2 1 6 Basta P . 1 62 Beasley-Murray G.R. 1 5 1 95 Beaucliamp P. 10 1 2 1 3 29 33 34 35 36 44 56 242 254 Bennema C. 147 Benzi G. 33 35 Beutler J. 1 1 6 1 33 141 1 59 1 62 164 1 87 207 250 Billerbeck P. 6 64 1 6 1 B1ass F. 6 67 1 00 1 92 1 99 Blomberg C. 2 1 Boers H. 1 07 Boismard M . E. 70 7 1 1 09 1 23 224 250 Borgen P. 1 37 1 5 5 1 58 1 6 1 1 66 1 72 1 74 Botha E. 1 0 1 1 06 1 09

Bourquin Y. 24 5 1 63 64 70 98 1 00 1 89 Boyarin D. 252 Brodie T.L. 39 Brown R. 59 62 65 75 81 89 101 1 07 1 36 1 37 140 1 59 1 64 1 68 1 80 1 87 1 96 204 207 2 1 2 250 Buchanan G. W. 13 Bultmann R . 30 1 38 1 39 142 1 53 1 63 1 85 1 95 2 1 3 222 257 Caba J. 1 40 Cahill P.J. 12 Cannichael C.M. 1 23 Cavicchia A. 207 208 209 Ci1ia L. 1 07 202 Clavier H.

12

Collins J.J. 1 47 Collins M.S. 75 Collins R. 16 Coloe M . L. 242 Conway C.M. 68 72 Conzelmann H. 1 5 16 21 22 Cope L. 16 Crimella M 1 9 27 Crossan J.D. 1 52 1 56 Culpepper R.A. 49 1 93 245 Danie1ou J. 9 Danna E. 99 l 00 1 82 Daube D. 28 Davidson R.M. 1 5 22 37 De Boer M.C. 1 82 Debrunner A. 6 67 1 00 1 92 1 99 de Goedt M. 2 1 3 2 1 4

1 44

131 181

1 80

274

Indice dei nomi

de la Potterie I . 60 62 63 66 70 89 92 l 08 1 25 1 26 1 8 1 1 93 1 96 2 1 0 2 1 2 221 Delebecque É. 69 75 de Lubac H. 9 1 1 de Vearebeke A.J. 1 80 Devillers L. 1 9 3 222 Dewailly L.M. 1 83 Dillon R.J. 82 Dodd C.H. 58 1 63 224 Domeris W.R. 1 53 1 54 Dubois J.D. 39 Dunderberg l. 1 93 Dunn J.D.G. 1 42 Duva1 D. 36 Eco U. 39 Eichrodt W. 30 1 1 19 37 Ellis E.E. Enns P.E. 19 Evans C.A. 252 Fabris R. 20 59 62 65 76 79 81 8 3 1 0 1 1 04 1 1 2 1 1 7 1 20 1 59 1 87 195 1 96 1 99 202 2 1 0 Fee G.D. 1 6 20 Feuillet A. 1 5 70 1 68 2 1 2 224 Filone di Alessandria 5 l O 1 1 1 9 23 28 30 54 77 79 83 1 04 1 1 6 1 1 7 1 1 9 1 20 1 55 1 66 1 73 1 74 208 280 1 3 29 3 1 32 33 36 44 47 Fishbane M. 240 Flavio Giuseppe 6 28 54 77 1 1 5 1 47 207 208 Focke F. 19 Ford J . M . 224 Foulkes F. 30 Fowler R.M. 72 1 04 1 05 France R. T. 39 Freed E.D. 2 1 9 Friedrich G . 3 1 5 3 Frye N . 29 3 0 245 Galbiati E. 2 1 6 Garland D . 1 7 Gartner B . 1 62 Genette G. 50 5 1 73 82 Genuyt F. 6 1 1 03 1 06 Geoltraine P. 63 92 Giblin C.H. 70 99 1 06 1 45

Goppelt L. 1 3 1 5 1 6 23 27 28 29 Goulder M.D. 39 Gourges M . 69 Grassi J .A. 69 70 1 54 Grassilli M . 1 53 250 Grasso S. 59 62 63 65 69 72 74 79 80 83 1 0 1 1 04 1 1 0 1 1 2 1 20 1 3 1 1 35 1 44 147 1 50 1 59 1 64 1 80 1 85 1 95 1 96 1 99 202 2 1 0 2 1 6 2 1 8 2 1 9 Grech P . 22 1 Grelot P. 89 224 Grigsby B.H. 1 50 2 1 6 224 Grilli M. 56 242 Grogon G.W. 3 1 Guilding A . 1 62 1 68 Gundry R.H. 39 1 59 1 8 5 2 1 6 222 Haenchen E. Hahn F. 15 Hall S.G. 27 15 37 52 53 54 Hays R.B Heil J.P. 1 82 Hengel M. 75 Hirsch-Luipold R. 19 Huizenga L.A. 3 8 39 53 54 Hummel H.D. 30 Jones L.P. Julius C.B.

1 26 37

Katz P. 39 Kerr A.R. 243 Kerte1ge K. 1 53 Kilmartin J. 1 45 1 62 Kimball C.A. 39 Kittel G. 6 Kloha J. 17 Koch D.A. 15 Koester C.R. l 04 Kristeva J. 5 1 Kubis A . 2 1 9 220 Kuntzmann R. 36 Labahn M. 1 1 6 1 44 Lagrange M.J. 68 70 1 00 1 35 1 42 1 87 9 31 Lampe G.W.H . Larondelle H . K. 3 1 Lausberg H . 6 1 9 Lenglet A . 9 7 9 8 9 9 l 00 l 02 l 09

lndice dei nomi Lengsfe1d P. 37 Léon-Dufour 59 62 65 66 71 79 84 89 9 1 1 0 1 1 04 1 28 1 3 1 1 39 1 4 1 1 42 1 43 144 145 1 49 1 53 1 54 1 64 1 68 1 80 1 85 1 95 1 96 1 98 202 207 209 2 1 3 2 1 8 220 222 223 227 250 Lieu J.M. 61 62 68 Lightfoot R.H. 59 1 20 1 28 1 3 1 1 35 1 42 145 1 53 1 96 2 1 3 2 1 6 222 Lindars B. 59 65 70 1 3 1 1 35 1 39 1 42 1 45 1 68 1 76 1 84 1 85 1 87 1 95 1 96 2 1 0 2 1 6 224 Little E. 38 75 1 57 Lonergan B. 25 Luciani M.D. 1 34 1 46 1 52 Maccini R.C. 1 0 1 Malatesta E. 220 Manns F. 38 83 1 09 1 1 9 1 66 2 1 5 224 Marcheselli M. 7 55 56 60 66 70 99 1 1 0 1 1 1 1 28 1 35 1 40 2 1 3 2 1 6 254 258 Marcus J. 39 Marguerat D. 24 50 51 63 64 70 98 144 1 89 Marks H. 37 Martelet G. 15 22 Martin A. 37 Marzotto D. 2 1 0 Mateos J . 5 9 7 3 74 76 1 0 1 1 04 1 3 1 1 59 1 64 1 95 1 99 250 Maynard A. H. 6 8

221

l 09 250

1 00

1 58

Meeks W.A. 1 8 147 1 58 1 63 Mekkattukunne1 A. G. 39 Menken M.J .J. 1 6 1 2 1 9 250 Metzger B.M. 6 221 Meynet R. 35 1 8 1 Michaelis W . 1 1 5 Miguens M . 224 Miller R.J. 40 Moloney F.J. 58 59 60 65 68 70 72 1 0 1 1 1 2 1 20 1 3 1 1 35 1 39 1 42 1 44 145 1 64 1 68 1 87 195 1 96 202 203 204 2 1 0 2 1 3 2 1 6 2 1 8 222 Moo D.J. 40 Neyrey J.H. 1 1 6 1 1 7 1 1 8 Nico1aci M.A. 82 1 67 1 97

275

Nieuviarts J.

40

Okure T. 1 0 1 1 09 O'Neill J.C. 68 Oniszcszuk J. 181 Ostmeyer L.H. 37 Panimolle S.A. 59 68 70 71 9 1 Pardini A . l 00 Parkin V. 58 Pellegrini S. 40 Penna R . 1 2 1 6 37 83 Pepin J. 1 1 Perriman A. 37 Perrot C. 1 7 1 8 Philips G.A. 1 45 1 5 1 1 54 Poirier J. C. 40 Powery E.B. 40 Probst H. 15 Pu1cinelli G. 2 1 9 Quast K.

204

Rabatel A. 50 73 Rad von 13 29 30 31 36 Resseguie J. 51 73 97 99 l 06 1 08 1 1 O 1 1 4 1 27 1 49 1 83 1 84 1 89 245 Ricoeur P. 1 92 Romanello S. 44 Ronning J. 252 Roulet P. 1 33 Ruegg U. 1 33 Riihle O. 6 Sahlin H. 45 85 1 68 1 79 Savran G. W. 1 37 Schenke L. 151 Schnackenburg R . 59 62 80 8 2 8 3 8 9 96 1 0 1 1 04 1 25 1 3 1 1 32 1 33 143 1 45 146 1 47 1 52 1 53 1 58 1 64 1 76 1 80 1 84 1 85 1 87 1 9 1 1 95 1 96 1 98 1 99 20 1 202 203 209 2 1 0 2 1 2 2 1 6 2 1 7 2 1 8 2 1 9 250 257 Schneider G. 6 Schnelle U. 1 59 1 63 Schoneveld J. 252 Schiirmann H. 2 1 3 Schweitzer A . 206 Segalla G. 1 28 1 5 1 1 76

Indice dei nomi

276

Serra A. 38 77 78 79 80 83 84 90 2 1 0 2 1 1 246 Simoens Y. 79 80 83 84 1 0 1 1 04 1 1 2 1 1 6 1 58 1 68 1 80 1 96 2 1 2 2 1 5 Simonetti M . lO Ska J.-L. 63 1 1 2 1 1 4 Smit J.F.M. 17 Sparks K.L. 40 Sproston N . W.E. 1 5 1 1 53 Staley J.L 1 97 Stegemann E. 74 Stegemann W. 74 Strack H.L. 6 Stramare T. 68 Strauss M . L. 40 .

Theobald M. 59 65 68 70 83 1 0 1 1 04 1 1 6 1 20 1 3 1 1 3 5 1 39 1 40 1 45 1 48 1 49 1 58 1 64 222 Thiessen M. 18 19 Tommaso d'Aquino 89 Tuckett C.M. 1 82 1 9 3 Turchetta G. 50

U spenskij B.

50 5 1 73 l 06 1 08 1 27 1 49 1 8 3 1 89 240

Vander Hart M . D . 18 Vanhoye A. 23 70 7 1 1 28 Vanni U. 69 Vignolo R. 1 1 1 2 33 44 1 1 4 1 93 1 97 23 1 Wengst K. 59 62 63 65 66 74 76 80 1 0 1 1 04 1 1 7 1 1 8 1 28 1 59 1 68 1 80 1 85 1 87 1 95 1 96 1 99 202 2 1 0 250 Williams R.H. 62 Willis W .L. 15 Witkamp L.T. 1 97 Woolcombe K.J. 9 1 1 Young F. W.

1 64

Zumstein J . 5 2 5 9 62 6 5 6 8 7 0 7 2 74 1 0 1 1 04 1 1 2 1 20 1 3 3 1 6 1 1 80 1 8 5 1 87 1 95 1 96 202 2 1 0 2 1 3 2 1 6 2 1 8 222 250

Indice generale

SIGLE E ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p.

5

PREFAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

7

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

»

9

Questioni metodologiche sulla tipologia alla luce di l Cor l O, 1-13 . . .

»

15

l . Posizione del problema interpretativo e funzione retorica di l Cor 1 0, 1 - 1 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Sfondo veterotestamentario e finalità retorica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Synkrisis e tipologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Considerazioni di natura metodo logica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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15 17 20 22

»

27

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27

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29 37 40 43

CAPITOLO I

CAPITOLO II La tipologia: breve storia della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l . La tipologia come fenomeno letterario: lo studio di L. Goppelt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. I grandi punti di riferimento: N. Frye, G. von Rad, M. Fishbane, P. Beauchamp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . Tentativi e metodologie per il Nuovo Testamento . . . . . . . . . . . . . . 4 . La proposta di Aletti, partendo da Le 1 7, 1 1 - 1 9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Considerazioni operative di carattere metodologico . . . . . . . . . . .

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CAPITOLO III Percorso metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

l . Definizione «euristica» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Tre tappe metodologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Analisi narrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. lntertestualità e sfondi veterotestamentari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 3. Analisi del compimento tipologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . Tipologia e sostituzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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47 47 48 48 51 55 55

Indice generale

278

CAPITOLO IV

Cornice spazio-temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I personaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trama di risoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi dei personaggi e del punto di vista (I) .. . . Analisi dei personaggi e del punto di vista (II) . . . . . . . . . . . . . Trama di rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Sfondo veterotestamentario e giudaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Sfondo esodico e legale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Sfondo sapienziale e profetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Tipologia in Gv 2, 1 - 1 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 l m·zpo logza mosazca o «zstztuzwnale».? 3.2. Tipologia sponsale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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57 57 57 61 64 65 68 73 75 75 81 85 85 90

4. Considerazioni riassuntive su punto di vista, trama e compimento tipo logico in Gv 2, 1 - 1 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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92

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95 95 95

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97 99

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1 03

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1 06

3. 1. Tipologia patriarcale, profetica e sponsale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. Tipologia «istituzionale» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 3. Tipologia e generazione alla fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 08 1 10 111 111 1 15 121 121 1 24 1 27

4. Considerazioni riassuntive su punto di vista, trama e compimento tipologico in Gv 4,4-42 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 28

»

131

Le nozze di Cana ( Gv 2, 1-11) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l . Analisi narrativa

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1.1. l. 2. 1.3. 1.4. 1 . 5. 1. 6.

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.1.

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CAPITOLO V

L'acqua viva donata da Gesù ( Gv 4,4-42) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. .

l . Analisi narrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1. 1. Identificazione della pericope e programma narrativo . . . 1.2. Analisi dei movimenti dei personaggi e punto di vista spazio-temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3. Trama di risoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4. Analisi del dialogo Gesù/donna e del punto di vista fraseologico (I) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5. Analisi del dialogo Gesù/donna e del punto di vista fraseologico (II) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 6. Analisi del dialogo Gesù/discepoli e del punto di vista fraseologico (III) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l. 7. Trama di rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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2. Sfondi e intertestualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. .

2. 1. Sfondo veterotestamentario: i patriarchi, Mosè e Osea . . 2.2. I simboli del pozzo e dell'acqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

3. Tipologia in Gv 4,4-42 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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CAPITOLO VI

Il pane della vita e la manna esodica ( Gv 6, 1-71)

})

Indice generale

279

l . Analisi narrativa e composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 1. Composizione sulla base dei criteri di tempo, spazio e personaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2. Composizione del dialogo di Gesù con i personaggi della folla e dei giudei (vv. 22-59) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 .2. 1 . Interventi della folla e dei giudei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . 1 .2.2. Interventi di Gesù rivolti alla folla (vv. 26-40) . . . . . 1 .2.3. Interventi di Gesù rivolti ai giudei (vv. 43-58) . . . . 1.3. Trama di risoluzione di Gv 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4. Analisi dei personaggi (folla, giudei e Gesù) e del punto di vista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l . 5. Analisi dei personaggi (discepoli) e del punto di vista . . . 1.6. Trama di rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Sfondo giudaico-veterotestamentario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Sfondo mosaico ed esodico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. Sfondo deuteronomico e profetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 3. Sfondo legale-sapienziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 3 . Tipologia in Gv 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 1. Una tipologia profetica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. Una tipologia mosaica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 3. La tipologia «istituzionale» della manna/pane di vita . . . 4 . Considerazioni riassuntive su punto di vista, trama

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e compimento tipo logico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 32

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1 34 1 36 1 37 1 39 142

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CAPITOLO VII

Compimento tipologico nella sequenza della morte di Gesù (Gv 19, 16b-42) l . Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La sequenza della morte di Gesù: delimitazione

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

.

e portata rivelativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. 1. Una prima ipotesi di divisione: pro et contra . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La sequenza narrativa della morte di Gesù: 1 9 , 1 6b-42 . . . . . . 3. 1. La scena del titulus ( vv. 19-22) in rapporto alla sequenza .

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. .

narrativa del processo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gesù innalzato sulla croce esercita il potere regale . . . . . . Descrizione generale della sequenza narrativa 19, 16b-42 Trama di risoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Analisi dei personaggi e del punto di vista nelle scene costituite dai soldati (III/ VI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 6. Analisi dei personaggi e del punto di vista nella scena con Gesù protagonista ( V) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. 7. Analisi dei personaggi e del punto di vista nel rapporto tra le scene IV e V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3.2. 3. 3. 3. 4. 3. 5.

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.

Indice generale

280

4. La sequenza narrativa della morte di Gesù ( 1 9, 1 6b-42) nel contesto del racconto della passione ( 1 8 , 1 - 1 9,42) . . . . . . . . . 5. Trama di rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Sfondo veterotestamentario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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6. 1. Scena III (vv. 23-24) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2. Scena IV ( vv. 25-27) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. 3. Scena V (v v. 28-30) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. 4. Scena VI (vv. 31-37) : citazioni esplicite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. 5. Scena VI: simbolica dell'acqua e del sangue

. .

.

•.................

7 . Tipologia

7. 1. 7.2. 7. 3. 7. 4.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Rapporti di continuità/discontinuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Narrazione e compimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tipologia «istituzionale» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La funzione generativa della tipologia «istituzionale» e il ruolo «tipologico» di Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

8 . Considerazioni riassuntive su punto di vista, trama e compimento tipo logico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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20 1 205 206 207 210 214 216 220 226 226 228 230

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232

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234

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237 237 240 242 242

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25 1

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255

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259

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CAPITOLO VIII

Analisi del compimento tipo logico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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l . Trama e compimento tipo logico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Segnali di compimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . La tipologia «istituzionale» nel Quarto Vangelo . . . . . . . . . . . . . . . .

3. 1. Una prima sintesi dei risultati raggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. Il ruolo della tipo/ogia «istituzionale» nel quadro del macroracconto 3. 3. La tipologia «istituzionale» e le tematiche sponsali e sacramentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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4. Alcune osservazioni circa il carattere «non sostitutivo» del compimento tipo logico nel Quarto Vangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. 1. Alla luce della teologia giovannea del Logos,

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il superamento non è per il Quarto Vangelo uno scambio di pari livello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2. Il compimento tipologico nel Quarto Vangelo appare caratterizzato da un simbolismo che rende possibile la compresenza dell'autonomia del tipo e dell'eccesso dell'an t itipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. 3. Il superamento è caratterizzato da una dialettica temporale tra storia ed escatologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE DEI NOMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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