Comprendere il quarto vangelo 8820928019, 9788820928018

In questi ultimi tempi, negli studi sul Vangelo di Giovanni, prevale l'insi­stenza sugli aspetti letterari, sulla c

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Comprendere il quarto vangelo
 8820928019, 9788820928018

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COMPRENDERE IL QUARTO VANGELO

In questi ultimi tempi, negli studi sul Vangelo di Giovanni, prevale l'insi­ stenza sugli aspetti letterari,

sulla capacità narrativa

ed evocativa del

testo, sul suo contatto con l'ambiente giudaico e soprattutto sul simbolismo. Questo libro di J. Ashton è diverso. L'autore non ignora né sottovaluta gli aspetti letterari e la problematica del simbolo, ma privilegia la comprensio­ ne intellettuale. Giovanni esige di essere compreso nel suo insieme. Un'esigenza simile era già stata avvertita da Bultmann, che cercò di risol­ vere due enigmi: la posizione di questo Vangelo nella storia del pensiero cristiano e la sua idea principale. Quella storica é la prima preoccupazione di Ashton: il Vangelo di Giovanni

è nato e si è sviluppato in un ambiente ecclesiale caratteristico, in rappor­ to con un Giudaismo in sviluppo, ma con la passione di un approfondimen­ to

delle sue tradizioni e dei suoi contenuti cristiani.

In

questo quadro

emerge la figura di Cristo, sulla cui centralità nel quarto Vangelo nessuno ha mai dubitato, ma che richiede di essere ricompresa nei suoi attributi fondamentali di Messia, di Figlio di Dio e di Figlio dell'uomo. Il libro, frutto maturo di lunghi anni di approfondimento, si muove costante­ mente ad un alto livello, come indicano anche gli Excursus di un valore tecnico notevole. Se troverà nel lettore un impegno corrispondente e soprattutto la passione di comprendere, riuscirà a fargli scoprire i codici genetici di tutto il quarto Vangelo. Nel cielo giovanneo costituisce una stella particolarmente luminosa.

ISBN 88-209-2801-9

L. 78.000

9 788820 928018

JOHN ASHTON

COMPRENDERE IL

QUARTO VANGELO

LffiRERIA EDITRICE VATICANA 00 120 CITTA DEL VATICANO

Titolo originale: Understanding the Pourth Gospel Pubblicato negli Stati Uniti da Oxford

University Press Inc., New

York

© John Ashton 1991

Prima Edizione 1991 Prima Edizione tascabile 1993 Traduzione di MICHELA CATI'I

DE GASPERI

LAZZÈ

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di ·questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa, in qualsiasi forma o modo, senza il previo permess o scritto.

© Copyright 00120

2000

-

Libreria Editrice

Vaticana

Città del Vaticano

Tel. (06) 698.85003 ISBN 88-209-2801-9

-

Fax

(06) 698.84716

Un état dangereux: croire cornprendre (Paul Valéry) Begeisterung ohne Verstand ist unniitz und gefahrlich (Novalis)

RICONOSCIMENTI

Oltre al mio insegnante Xavier Leon-Dufour, al quale debbo l'evidente con. statazione che nel Vangelo di Giovanni c'è più di quanto non salti all 'occhio, sono anzitutto debitore dei molti amici che, a volte senza saperlot mi hanno in­

coraggiato ad imbarcarmi nella stesura di questo libro in Wl momento, circa dieci anni orsono, in cui avevo perso la fiducia in me stesso: James Bradley, Robert Butterworth, Dick Caplice, Tom Chetwynd, Peter e Margaret Hebble­

thwaite, Maurice Keane, Judy Leon, Andrew e Beryl Murray, Rosemary Sharpe, Lois e Donald MacKinnon, Robert MWTay. Una volta iniziato il progetto, alcuni di essi, specialmente gli ultimi due, mi hanno assistito offrendomi una varietà di acute osservazioni su ciò che avevo scritto dalla metà del 1981. Non molto tem­ po dopo, John Bowden, James Crampsey, e Christopher Evans mi incoraggiaro­ no tÙteriormente, benché sia consapevole sino a provarne disagio, che l'ultimo tra coloro che ho nominato disapprova il mio eccessivo uso di aggettivi e di fra­ si che iniziano con > ), 94 ma l'impressione generale che trasmette è che la poca storia rimasta non aveva né valore né significato. Per quanto lo riguardava, « la nascita so­ prannaturale di Cristo, i suoi miracoli, la sua risurrezione e ascensione, rimango­ no verità eterne, qualunque dubbio possa essere proiettato sulla loro realtà come fatti storici » . 95 I suoi destinatari ortodossi devono sicuramente avere guardato con sdegno questo commento, per quanto Bultmann avrebbe detto qualcosa di molto simile Wl secolo dopo senza perdere la stima dei suoi colleghi meno radicali. Baur, che era stato il maestro di Strauss in due diverse istituzioni, andò persino oltre nella critica al Quarto Vangelo negandone qualsiasi storicità: « Se il Vangelo di Giovanni, a differenza degli altri, non è un resoconto storico, se possiede veramente una spinta ideologica, allora non può più essere posto come una fonte rivale dei Vangeli Sinottici » . 96 Baur naturalmente concluse che lo sto­ rico dovrebbe mettere da parte il Quarto Vangdo e cessare di confrontarlo con gli altri tre, come aveva fatto Strauss 97 quando chiedeva in ogni caso quale di essi presentasse il resoconto più plausibile. Con una o due eccezioni (per esem­ pio Ernest Renan) 98 gli studiosi più radicali seguirono Strauss e Baur nella for­ mulazione di ciò che Hoskyns avrebbe successivamente chiamato « rortodossia critica » , 99 mentre studiosi più conservatori continuarono a fronteggiarsi sul ter­ reno dove era stata posta la sfida originale (dai Deisti inglesi nd XVII secolo e dagli IDuministi tedeschi nel XVIIT ) . Vale a dire che questi critici continuarono " L'Arcidiacono Hare ne parlò come di « un libro che difficilmente si può leggere senza es­ seme più o meno feriti Se camminiamo nel fango, una pane si attaccherà a noi, pur non avendo altro fine che quello di attraversarlo, molto più accadrà se ci sguazziamo dentro e lo passiamo al setaccio ». Citato da RosEMARY AsHTON, The German Idea (Londra, 1980), p. 148. .

94



Li/e, p. li.

lvi, p. Iii. 96 « Einleitung » . .,., Infatti BAUR accusò Strauss di offrire una critica della storia del vangelo senza alcuna cri­ tica dei Vangeli stessi (Kntische Untersuchungen, p. 40; aveva già scritto a Strauss nel 1838 negan­ do che il Quarto Vangelo fosse di alcun valore come fonte storica. Cf KOMMEL, History, p. 428 n. 190. 'J8 ll quale, come dice Hoskyns (p. 32), « si rifiutò di adeg uarsi all'opinione corrente che un documento scritto da un punto di vista teologico fosse al contempo sospetto e non potesse conte­ nere alcun materiale storico di valore » . 99 p. 21. Un famoso studioso inglese che Hoskyns omette dalla sua lista (tutti i nomi sono francesi o tedeschi) è F.C. BuRKITT, il quale nel 1906 dichiarò esplicitamente: « L'Evangelista non era uno storico. Le idee, non gli eventi, erano per lui le vere realtà e se ci accostiamo alla sua opera per apprendere il corso degli eventi ne rimarremo solo insoddisfatti • (Gospel History, p. 256).

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a difendere la tradizione primitiva Secondo la quale il Vangelo venne composto dall 'apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, e a insistere che come testimone oculare meritava pieno credito. 100 Questi studiosi (tra cui personaggi quali Bleek, de Wette, Zahn, Knabenbauer, Grandmaison, Lightfoot, e Lagrange) vengono allineati da Hoskyns sotto l'insegna della « ortodossia tradizionale » . 101 Dalla nostra posizione vantaggiosa, tanti anni dopo, possiamo sorprenderei per la testardaggine con la quale gli studiosi più consetvatori continuarono a trincerarsi in posizioni che si sarebbe immaginato fossero state superate da lun­ go tempo da parte dei loro avversari. Ma persino nel 191 O il critico americano B. W. Bacon sottolinea ancora una volta la necessità, nell'emettere un giudizio storico, di decidere tra i Sinottici e Giovanni :

O i primi hanno ragione nd loro totale silenzio sulla preesistenza e sull 'incar­ nazione, e nella loro subordinazione della dottrina della persona di Gesù, pre­ sentandone l'opera e l'insegnamento come finalizzati al Regno di Dio, al penti­ mento e ad una disposizione ed una vita filiali, come requisiti chiesti dal Pa­

dre comune per quell'eredità; oppure Giovanni ha ragione a presentare l'opera e il messaggio di Gesù principalmente come una manifestazione della sua glo­

ria come Logos incarnato, produttiva di una riconciliazione per il mondo, che

non avrebbe altrimenti alcun accesso a Dio. Entrambe le opinioni non posso­

no essere vere e in larga misura sta alla scienza della critica letteraria e storica decidere tra

di esse. 102

Infatti l'anno precedente la pubblicazione dell'opera di Bacon era apparsa una collana di saggi nella quale un autore (A. E. Brooke) aveva, nelle parole di W. F. Howard, « rifiutato di essere costretto all'uno o all'altro aspetto di questo degante dilemma: o sinottico o giovanneo, o storico o allegorico»!03 Ma indub­ biamente il tentativo effettuato con maggiore insistenza di superare questo di­ lemma è quello fatto da Sir Edwyn Hoskyns nell'introduzione a un commento incompleto che appatve nel 1940, tre anni dopo la sua morte. D nucleo della tesi di Hoskyns è che nel leggere questo Vangelo optare per la storia da una parte o per la teologia dall'altra significa fraintendere completa­ mente le intenzioni dell'evangelista. Sebbene ancora preoccupato dalla sfida ormai antica e owiamente consapevole della necessità di assumere un atteggiamento battagliero verso di essa, Hoskyns comprende che le posizioni tradizionali non 100

Un nuovo modo di difendere la credibilità del Quarto Vangelo venne adottato da WEISS (Lehrbuch, 1868 ) , il quale riteneva che Giovanni si basava sulle proprie reminiscenze (vastamente modificate ed ampliate) e che il suo lavoro non può essere giudica­ to insieme ai Vangeli Sinottici, perché ne è completamente indipendente. Cosl Weiss prefigu­ rò la posizione tanto strenuamente difesa da C. H. Dono nel suo Historical Tradition . 101 p. 23. 102 The Fourth Gospel, pp. 12ss. 103 Recent Criticism, p. 28. BERNHARD

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sono difendibili e cosi si sposta su un terreno più facile, bloccando atfo ' stesso tempo deliberatamente un qualsiasi accesso al vecchio. La finalità del suo com­ mento, egli dichiara alla fine della lunga introduzione, è sentire e esporre il Significato che l'autore del Vangelo aveva egli stesso sen­ tito e visto nella concreta, storica vita e morte di Gesù di Nazaret, nelle sue azioni distinte e nelle sue parole udibili. Lo scopo di questo commento è di sbarrare le strade attraverso cui si tenta di risolvere il problema o consideran­ do questo Significato come un'idea dell'autore oppure come qualcosa che ap­ partiene essa stessa al semplice udire e vedere di un testimone oculare, consi­ derato come uno storico, poiché in questo caso la sua fede sarebbe non sol­ tanto irrilevante, ma in realtà sospetta, dato che il testimone oculare credente non potrebbe essere accettato come un testimone imparziale. L'obiettivo di questo commento è anche quello di sbarrare le strade che conducono a una distinzione di storia e interpretazione. Questo triplice sbarramento, però, non ha origine in una qualche cattiveria dell'autore di questo commento, ma è sta­ to eretto dall'autore originale del libro, e il pensiero di questo libro è destina­ to a rimanere incomprensibile per coloro che abbattono gli sbarramenti da quello attentamente eretti. Abbiamo detto che Hoskyns ha « eretto » queste barricate? No, non dobbiamo dire questo. Egli stesso ha trovato questi sbarra­ menti, poiché è persuaso che il significato da lui ascoltato è veramente situato nella storia. Senza di esso la storia non ha senso. Togliete il significato e avremmo semplicemente il racconto di un testimone oculare. Togliete la storia e ci verrebbe lasciata solo una nozione o idea umana. 104

Molti anni prima E. F. Scott aveva similmente insistito che « in questa nar­ razione dobbiamo riconoscere l'opera di uno che . identificò il Cristo eterno del­ l'intima esperienza religiosa con il Gesù della storia », 105 avvicinandosi all'intuizio­ ne di Hoskyns. Più significativamente, Bousset, nel suo Kynos Christos, notò che l'evangelista aveva concepito la grande idea di « rimettere mito e dogma nella storia » 106 e che conseguentemente « riconciliava il mito con la storia per quanto ciò era possibile » 107 (ed allo stesso modo il mito con la storia) . L'idea chiave di Hoskyns era evidentemente venuta anche a Bousset; ma quest'ultimo era cosi ri­ luttante a tentare lo stesso tipo di spiegazione che parlò invece di questo « gran­ de pensiero » (grosser Gedanke), piuttosto paradossalmente, come concepito « in­ consciamente ed istintivamente ». Ciò che lo interessava era una spiegazione da religionsgeschichtlich ( « storia delle religioni »), vale a dire una spiegazione dall'eIOt IM

p. 132 .

The Fourth Gospel, its Purpose and Theoloo ( 1906), come venne parafrasato da Howard, Recent Cniicism, p. 38. 106 « D er gro&e Gedanke, den er, natiirlich nicht mit Bewu&sein, sondern instinktiv erfaBte, war der, Mythos und Dogma in die Geschichte ganz zuriickzutragen » (p. 159). 1 07 « Er hat den Mythos mit der Geschichte ausgeshnt, soweit das iiberhaupt noch moglich war » (p. 162).

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rt�.

Bousset perisava che l'evangelista stesse rispondendo al crescente pericolo del docetismo, e allo stesso tempo cedeva di fronte alle sottigliezze di Wl'era che non poteva più accontentarsi del Cristo dei Sinottici « troppo terreno e concreto ». Ponendo una domanda diversa riguardo al Vangdo, egli di conse­ guenza lo comprendeva in una maniera diversa da Hoskyns, e sarebbe certa­ mente apparso a quest'ultimo come uno che lo aveva frainteso. È forse signifi­ cativo che Hoskyns, il quale conosceva molto bene la vecchia scuola della critica tedesca, ignori completamente Bousset. 108 In Wla sezione dedicata ai problemi del contenuto e non dell'ongine Bousset appare quasi come un intruso: come un ateo a un incontro di preghiera. Naru­ ralmente sorge la domanda se esista una qualche possibilità di integrare i due problemi o di superame l'opposizione; poiché sembra come se Hoskyns, nel cercare di superare la vecchia antitesi tra significato e storia, abbia scelto egli stesso di occupare una delle due parti della demarcazione, scegliendo di porre wta domanda teologica in contrasto con la domanda storica di Bousset. Ma non è questo il luogo per entrare dettagliatamente in tale importante problema; per il momento dobbiamo ritornare a Hoskyns e alla sua opinione da « iniziato • sul Vangelo. L'aspetto essenziale dell'interpretazione di Hoskyns (che ha in comune con Bultmann, poiché scrivono circa nello stesso periodo) è l'identificazione della propria prospettiva con quella dell'autore del Vangelo. Nel fare ciò deliberata­ mente ostruisce il passaggio a chiunque desideri studiarlo dal di fuori del magi­ co cerchio nel quale « significato » e , aggiungendo: « Non è solo che l' egua­ glianza di Gesù con Dio �iene sostenuta in riferimento alle sue azioni come alle 27 WAYNE MEEKS sottolinea che Erloster (Redento) deve essere un errore eli stampa per Er­ loser (Redentore) « poiché i passi citati da Bu1tmann non contengono la nozione de "il redentore redento" ,. (Prophet-King, p. 7 n. 3 ) . In tal caso, l'errore rimase incorretto quando l' anicolo venne ristampato per Exegetica. 28 « Bedeutung », pp. 60-97 passim.

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stie parole, è anche · che le parole di autorità di Gesù non sono interpretate nei termini di elezione, vocazione e ispirazione, ma nei termini del mito gnostico >> . 29 Allo stesso modo Bultmann non viene colpito dalla tesi per cui i testi man­ dei sono molto più recenti (VII secolo) di Giovanni; il mito stesso, dice, è cer­ tamente più vecchio. Inoltre, esistono molti altri elementi nel mito rispetto a quelli trovati in realtà nel Vangelo; infatti il principale punto di interesse nel mi­ to è il passaggio dell'anima dopo la morte nel regno della luce. Se ciò (e molto più) non si trova in Giovanni, è perché l'evangelista ha selezionato ciò che lo interessa maggiormente: . Bultmann termina il suo articolo con queste parole: c n solo modo di presentare la rivelazione è attraverso l'annichilimento di tutto ciò che è umano, il rifiuto di tutte le domande umane, il rigetto di tutte le ri­ sposte umane, in breve, mettendo l'uomo in questione »/8 una conclusione kier­ kegaardiana che alcuni possono trovare inquietante o persino spiacevole, ma il cui vigore può difficilmente essere negato. }9 La rigidità intransigente della teologia di Bultmann può portare a non co­ gliere la fine eleganza della sua soluzione totale. Perché, assegnando gli dementi mitici del Vangelo a una fonte, egli permette allo stesso evangelista di /are la sua propria demitologi:aazione. 40 Tutto ciò che l'interprete deve fare è comprendere, ('Omprendere cioè come l'evangelista sta operando e i suoi motivi per far ciò, in modo che la sua interpretazione può semplicemente costituire la parte opposta, pubblica, per così dire, della sua comprensione personale. L'esegeta che rifiuta la soluzione di Bultmann nel fare ciò si assume il peso dell'interpretazione e di­ vide la comprensione in due funzioni distinte, una divisione che costituisce il prezzo che l'esegesi moderna ha dovuto pagare per reclamare lo status di scien­ za. Prima che venisse posta la domanda critica, prima, cioè, che il divario tra il testo antico e il lettore moderno divenisse troppo ampio per essere ignorato, non era necessaria alcuna distinzione, non poteva essere indivtduata nessuna di­ stinzione tra il trovare il significato di un testo e il trovare il significato per i suoi lettori. L'interprete andava semplicemente avanti con il lavoro di interpreta­ zione e ciò era tutto. Nella sua interpretazione del Quarto Vangelo, Bultmann riesce a recuperare un'antica innocenza, e fa ciò nel momento in cui offre una )7

)8

See/ische Zustiindlichkeiten: « Bedeutung •, p. 104.

la traduzione tedesca è difficile tanto quanto quella

,., Essa dovrebbe anche far indugiare quelli che accusano Bultmann, costruire un'antropologia invece che una teologia.

un

inglese.

po' ingiustamente,

di

40 È ciò che dice Bultmann in risposta a Percy: « Non nego che il linguaggio di Giovanni sia mitologico e sia preso dallo gnosticismo: infatti lo affenno; non nego neanche che in Giovanni

questo linguaggio sia demitologizzato, vale a dire che perda il suo significato mitico, anche questo affermo » (« Johanneische Schriften », p.

.Yythology, p. 52 .

152 ) . Cf Commentary,

pp.

143,

n. l;

25 1; ]esus Chrt'st and

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soluzione scientifica e senza in alcun modo dover compromettere gli St:andards di un'esegesi scientifica che egli stesso considera abbia precedenza sulla teologia. Per dirla in altre parole: se il Vangelo deve avere il suo completo e appropriato impatto deve essere spogliato dello strano ed esotico rivestimento che l'evangeli­ sta ha preso in prestito dalla sua fonte gnostica. n compito dell'esegeta, nel col­ laborare a tale rimozione, è semplicemente quello di assicurare che la carne non venga confusa con il tessuto, o il mito preso per il messaggio. Ciò in precisa conformità alle intenzioni dell'evangelista stesso, poiché questo è un caso in cui incontestabilmente il mezzo non è il messaggio. Tutto ciò contribuisce a spiegare perché il commento di Bultmann è tanto più incalzante ed eccitante dei mediocri commenti successivi. Egli sta, come sta­ va, entrando nella testa dell'evangelista e parlando con la sua voce, e per l' ese­ geta un tale procedimento equivale, come ho detto, al recupero di un'antica in­ nocenza. Altri commentatori, avendo pagato il prezzo di mangiare del frutto dell'albero della conoscenza, sono costretti a rimaneme fuori. Bultmann solo ha trovato la chiave per aprire i cancelli che bloccano l'entrata al giardino. Occorre riconoscere che la soluzione di Bultmann al suo primo enigma è, se non semplice, audace e da mozzafiato: una missione impossibile eseguita con talento e audacia. Ma la sua sintesi completa non potrebbe passare incontrastata e uno studio completo di tutte le risposte da essa date sarebbe in se stesso una grande impresa. A causa della mole e della portata, il suo lavoro è vulnerabile in molti punti. Alcuni di essi, che sorgono direttamente dall'articolo in discus­ sione, meritano un'attenzione particolare. l . In primo luogo, non esiste consenso tra gli studiosi dello gnosticismo né circa le origini di questo movimento (venne covato in Iran o forse ci fu un al­ tro nido in qualche parte della Palestina?) né circa la data in cui gli uccellini poterono volare (vi fu, infatti, uno gnosticismo p re-cristiano nel senso vero e proprio, oppure lo gnosticismo è semplicemente un'eresia cristiana del II secolo: una considerazione che non venne contrastata fino al 1897 ? ) . I biblisti sono po­ co conosciuti come persone che marciano al passo, ma confrontati con i gnoseo­ logi formano una brigata di guardie.41 Qui desidero semplicemente puntualizzare che sia che parliamo di gnosticismo in generale sia che ci riferiamo allo gnosti­ cismo mandeo in particolare, in realtà non sappiamo se era sufficientemente for41 Nel suo libro Pre-Christian Gnosticism (Londra, 1973 ) E. YAMAUCHI menziona uno studio intitolato Haran G'!Wflita, una fonte mandea non disponibile a Bultmann, perché non venne pub­ blicata che nel 1953 . Di fronte all'obbiezione che essa è del tutto confusa (mette Gerusalemme in Babilonia ! ), uno studioso di fama, R. Macuch, risponde: « Tutte le tradizioni mandee sono confu­ se, ma sono chiare per chi è in grado di leggerle ». Citato da Yamauchi, p. 134. HENRY CHAD­

WICK allo stesso modo sottolinea: « La benedetta parola "gnostico" è divenuta oggi così sovracca­

rica da costituire poco più di un generoso gesto della mano in una direzione incerta e da arrivare a perdere qualsiasi significato preciso �, « Reflections », p. 267.

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Ane •det r secolo a. C . pef ' aver esercitato

di influenza (come coerente mito del redentore) richiesta dalla teoria di Bultmann. È certo che ci

mato aDa

il tipo

fossero nell'aria idee che allo stesso tempo erano incorporate nel pieno mito (per esempio il dualismo dei testi di Qumran) ; ma per il funzionamento della teoria di Bultmann è necessario molto di più.

2. In secondo luogo, Bultmann ha estrapolato dai testi mandei gli elementi che presentano dei punti di somiglianza con il Quarto Vangelo e li ha messi in un ordine che è esso stesso un'interpretazione della dottrina gnostica. Messi in­ sieme un'altra volta e guardati nel contesto, apparirebbero molto diversi. Con due documenti di fronte a uno, la Ginza, diciamo, e il Quarto Vangelo, non è tanto difficile creare una lista di paragoni perché entrambe le opere sono già completamente composte, anche se una è infinitamente molto più leggibile del­ l' altra. 42 Ma la teoria finale di Bultmann postula un documento che occupa una posizione in un luogo tra la

Ginza e il Vangelo. Si può, suppongo, pensare a

questo come a una versione molto più compatta della precedente, evitando tutti

i suoi ampi eccessi. Ma non è apparentemente cosl che Bultmann l'ha concepi­ to . Egli stesso suggerì qualcosa più lungo le linee delle Odi di Salomone: niente storie di miracoli, né narrazione della passione o risurrezione, ma semplicemente una raccolta di discorsi che differiscono dall a versione di Giovanni principal­ mente per l'assenza di un qualsiasi riferimento a Gesù: 43 sarà stato l'evangelista ad identificare la figura del redentore della sua fonte con il Cristo della sua fe­ de. Ma questa teoria perde molta della sua plausibilità una volta che sia stato dimostrato che le differenze stilistiche e le altre che Bultmann reclama di indivi­ duare nel testo evangelico sono insufficienti. Perché, in primo luogo, queste co­ stituiscono l'unica prova tangibile dell'esistenza di un tale documento.

3 . Dovremmo anche calcolare la possibilità che l'influenza sia avvenuta in senso opposto; in tal caso, allora, i testi mandei avrebbero preso alcune delle lo­ ro idee chiave dalle fonti cristiane, come fecero Marcione e Valentino . Quando

E. Percy presentò tale ipotesi, Bultmann la rifiutò sulla base del fatto che i Mandei, da questo punto di vista, fanno poco uso delle possibilità: in particola42 La traduzione di MARK LIDZBARSKI deDa Gim.a (Gottingen, 1925) copre circa 600 gran­ di pagine. È un lavoro estremamente confuso e complicato. Bultmann fa la parte di Arianna nel­ l'offrirsi come guida del lettore in questa confusione, ma si dubita che egli stesso abbia trovato c il filo rosso ,. nel Quarto Vangelo. 4) Conosco un solo ampio confronto tra il Vangdo e le Odi, una dissertazione inedita per l'Università di Durharn di A. T. MoRRISON ( 1980 ) . Morrison conclude che con una sola straordi­ naria eccezione (un confronto tra Ode 3 1 e Giovanni 17) non vi sono legami significativi tra i due scritti ma che essi probabilmente hanno un ambiente comune nel primo gnosticismo. J AMES BROWNSON arriva alla conclusione decisamente diversa che « Le Odi rappresentano una prospetti­ va teologica simile a coloro che si separarono dalla comunità giovannea come rappresentato in l Giovanni ,. (« The Odes of Salomon �, p. 52 ) .

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re, non riconoscono alcun evento chiaro di rivelazione. 44 Ma come argumentum hominem ci si può chiedere perché, se viene concesso che l'evangelista abbia

ad

fatto delle omissioni cosl ampie, i Mandei non avrebbero dovuto fare altrettanto. 4. Infine, ci si può chiedere se Bultmann abbia prestato un'attenzione suffi­ cientemente seria alle ipotesi alternative menzionate, e cosi velocemente abban­ donate, all'inizio del suo articolo. Citate e condannate nell'ambito di una sola pagina, non hanno molta possibilità di successo di fronte all'importante teoria che segue. Se fosse data loro questa possibilità, una o l'altra potrebbero mo­ strarsi più forti e attraenti di quanto non venga permesso dal trattamento conci­ so e in certo qual modo sprezzante loro risetvato da Bultmann. O potrebbe es­ servi un'altra soluzione, fino ad ora non intravista e non riconosciuta, nascosta in una delle aree non esplorate appropriatamente né da Bousset né da Bult­ mann. È certo più semplice rifiutare le soluzioni di Bultmann che cercare un'al· temativa accettabile. Pochi tra i suoi critici hanno mostrato un vivo apprezza­ mento dei problemi reali che egli tentò di risolvere. 3 . Problemi

teologici

Abbiamo visto che nel suo articolo dd 1925 Bultmann individuò due mag­ giori « enigmi >> o rompicapo (Riitsel) costituiti dal Quarto Vangelo: il primo storico, il secondo esegetico o teologico. In quell'articolo si era fondamentalmen­ te occupato del primo di questi e aveva tentato di fornire una risposta dall'e­ sterno, senza deviare dai principi della scuola della storia delle religioni, all' enig­ ma relativo al posto o alla posizione (Stellung) del Quarto Vangelo in quelle che talvolta vennero chiamate le « traiettorie » della cristianità primitiva. Nell' affron­ tare questo problema (che ho definito il problema delle origini) ritenne necessa­ rio confrontarsi brevemente anche con il secondo enigma. Questo è più una do­ manda da iniziato: quale è la concezione centrale ( Grundbegri/1) dell'evangelista; nel linguaggio corrente, quale è il soggetto del Vangelo? La prima di queste do­ mande fu di Bousset, lo storico cristiano, la seconda di Hoskyns, l'esegeta cri­ stiano. Si può argomentare che la seconda domanda è quella principale. A qua­ le scopo, infatti, tentare una spiegazione di qualcosa fintanto che non si ha una chiara visione di ciò che si sta cercando di spiegare? 44 « Johanneische Schriften ,., pp. 166ss . .., Per un pieno apprezzamento della forza e della cogenza dell'interpretazione teologica di Bultmann del Quarto Vangelo è necessario considerare il suo commento. Per una questione di convenienza in ciò che segue utilizzo più ampiamente la sua giustificazione schematica esposta nel suo Theology o/ the New Testament, ii. Una versione ancora più concisa si può trovare nel suo ar­ ticolo RGG3, « Johannesevangelium •· Ciò che viene offerto qui non è un'esawiente indagine su questi vari scritti, ma semplicemente una critica di un singolo tema, quello che lo stesso Bultmann considerò il più centrale.

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Ritomèremo 'pià aVanti siJ"· qUesta" obiezione. n · 'nostrO' attualé interesse stà nella risposta di BtÙtmann al suo secondo grande enigma. La sua intuizione fondamentale, dalla quale mai si allontanò, era che il tema centrale del Vangelo è la rivelazione. Ma c'è qualcosa di paradossale circa questa rivelazione nel mo­ do in cui la concepisce Bultmann. D Rivelatore venne sulla terra per dire una cosa e una sola: che egli è il Rivelatore. In questa scatola particolare non c'è nulla da scattare: è vuota. Se si dovesse protestare che il Gesù del Vangdo in effetti rivela di se stes­ so più di quanto non riconosca Bultmann (per esempio che Gesù è il Figlio di Dio ed è stato mandato da lui ) , quest'ultimo senza dubbio controbatterebbe che « missione » e « figliolanza » sono concetti mitologici presi dall'evangelista dalla sua fonte gnostica. È vero che Giovanni riveste il proprio messaggio con tali concetti, ma essi non appartengono all'essenza di ciò che deve dire più di quan­ to non vi appartengano espressioni figurative come « acqua viva », « pane di vi­ ta » , « il Pastore » e > . Privato di queste immagini superflue il messag­ gio è « rivelato » per ciò che è in realtà, un semplice e nudo « che » ( ein bloftes

Daft).46

Nel tentativo di comprendere la posizione di Bultmann è d i aiuto rendersi conto che egli traccia una distinzione molto chiara nella sua mente tra fede e re­ ligione. La religione è incatenata alla terra; la fede ondeggia liberamente. La reli­ gione è l'oggetto proprio dello studio storico; la fede è affare del teologo. Per quanto Bultmann fosse preoccupato, come abbiamo visto, di tenerle insieme ( come Schlatter, egli rimprovera Wrede di separare l'atto del vivere dall 'atto del pensare) /7 si può dubitare che la sua sintesi sia totalmente convincente. Comunque sia, è evidente che Bwtmann vede il messaggio centrale del Quarto Vangelo (e senza dubbio del Nuovo Testamento nel suo insieme) come un invito alla fede e non vuole permettere che questo messaggio rimanga osta­ colato dai suoi più grossolani equipaggiamenti gnostici. Per di più, dietro al suo insistente rifiuto di dichiarare in che cosa consista la rivelazione cristiana si può individuare una forte avversione non solamente verso il mtto ma anche verso il dogma. La fede cristiana significa credere in Gesù Cristo e ridurre questo atto di fede (il fides qua creditur di Lutero) a un'affermazione o a una serie di affer­ mazioni (/ides quae creditur) significa farlo divenire irriconoscibile. Perché, dopo� tutto, « le parole di Gesù non sono affermazioni didattiche ma un invito o una chiamata a una decisione ». 48 Ora, le implicazioni di quest'opinione decisamente kierkegaardiana relativa aD'immagine di Gesù offerta da Bwtmann sono profonde, ma per niente facili da comprendere, specialmente per i cristiani non afflitti da un simile disagio di 46 Theology, ii. 66. tf1 lvi, ii. 246. 48 lvi, ii. 21.

73

fronte al dognia e alla tradizione. È forse qui più che in qualunque altra parte dell'esegesi di Bultmann che si può individuare un parti pns teologico, una scelta che I'esegeta compie persino prima di aprire il libro che deve interpretare, ciò che si potrebbe definire, per usare un termine che Bultmann impiega in una di­ versa relazione, una p re-comprensione ( Vorverstandnis) . Un elemento molto im­ portante nella pre-comprensione di Bultmann nel senso in cui sto usando la pa­ rola è la sua convinzione che « la ricerca del Gesù storico » non solo è futile ma fuorviante, poiché si basa su di una ùtcomprensione enorme della fede cri­ stiana. In un famoso passo di uno dei suoi scritti minori Bultmann dice che sa­ rebbe felice di dare alle fiamme tutti i ritratti immaginari contenuti nelle vite di Gesù del XIX secolo, perché ciò che andrebbe perduto in quel modo non sa­ rebbe « null'altro che il "Cristo secondo la carne" ( X p La't'Òc; x�X't'� alipx�X) » . "' Ciò è chiaramente qualcosa di più di un'opinione teologica: per Bultmann, per porre il problema un po' ironicamente, è un articolo di fede. Ciò che C. H. Dodd intraprende nel suo secondo grande libro sul Quarto Vangelo, una meti­ colosa vagliatura di ogni prova nella ricerca di piccoli frammenti d'oro del fatto storico o della tradizione testimoniate, senza dubbio otterrebbe da Bultmann il tipo di avaro riluttante rispetto che uno storico può accordare a uno studioso che lavora con energia instancabile ed attenta metodologia ad un progetto che egli stesso considera senza valore. Ma qualunque fossero i risultati di Dodd, certamente saranno apparsi a Bultmann ampiamente irrilevanti per il vero cri­ stianesimo. Ad ogni costo l'acqua viva, forte e pura della fede cristiana deve es­ sere tenuta pulita dallo sporco ma in qualche modo assimilabile limo della storia. La convinzione fondamentale di Bultmann lo porta a trattare gli elementi storici nel Vangelo, così come sono, come mere piattaforme da cui ascendere nel mondo dello spirito, piuttosto che come la materia nella quale il divino può trovare concreta espressione. Infatti Bultmann è più vicino filosoficamente a Pla­ tone e a Kant che non ad Aristotele e a Hegel. Quando chiede a proposito del Cristo giovanneo: « La sua figura ll:ffiana è una figura trasparente attraverso la quale splende la sua divinità? » , 50 non ha alcun bisogno di rispondere alla sua stessa domanda. Ma che cosa intende quando limita la rivelazione di Gesù a un semplice che (curiosamente vicino alla posizione dell'Aquinate relativa alla cono­ scenza naturale di Dio)? TI concetto di rivelazione in Bultmann può essere paragonato a un allarme contro il fuoco o i ladri, la cui intera ragion d'essere è quella di mettere in guar­ dia. Fermarsi per identificarne il suono o il tono significherebbe distogliere l' at­ tenzione dalla sua funzione essenziale. Allo stesso modo l'unica finalità della ve­ nuta di Gesù sulla terra è di rivelare, di segnalare la presenza di Dio al mondo e di provocare un'adeguata risposta umana. Pur richiedendo fede nella propria 49

,.,

74

Faith and Understanding, Theology, ii. 42.

p.

132.

persona egli non è tanto l'oggetto della fede quanto la sua semplice occasione. Ciò che egli era come uomo, il suo carattere o temperamento non può affatto avere alcuna conseguenza sul messaggio che è venuto a portare. Chiedere di lui: « Perché quest'uomo in particolare? » « significa porre una domanda che non deve, non può, avere risposta, perché fare questo significherebbe distruggere l'offesa, cosa questa di esclusiva pertinenza dd Rivelatore » : H

Per tutti questi motivi, l'allarme deve suonare: ridurlo a un impulso elettrico o a una sequenza di note stridenti scarabocchiate su una pagina sarebbe come eliminarne l'unica caratteristica più importante. Poiché nessuno può sentire il guizzo di un ago o essere spaventato da un brano musicale. Allo stesso modo la Parola doveva diventare carne per risuonare nelle orecchie umane; un emissario doveva essere inviato per consegnare il messaggio. Non c'è alcWI aggiramento dell'Incarnazione, e Bultmann si pose risolutamente contro ogni tentativo di an­ nacquarla: « TI Rivelatore appare non come l'uomo-in-generale) cioè non semplice­ mente come un essere di natura umana, ma come un essere umano definito nella

stona: Gesù di Nazaret . La sua umanità è umanità genuina: « La parola si fece

carne » . 52 Ma malgrado tutto il suo decantato anti-docetismo, Bultmann presenta un Cristo nel quale tutte le caratteristiche individuali salienti sono state distrut­ te: le splendide frasi con « Io sono » nelle quali tanto è contenuto della sua ri­ velazione hanno un solo messaggio: « Tutto ciò che dico è lo ».'' D Cristo in­ carnato non è niente più di una voce, con le sue qualità umane particolari e contingenti tolte, volatilizzate, fino a che non rimane altro che una macchia su

una diapositiva: l'ultima essenza di una Parola. La verità è che la cristologia decisamente inflessibile di Bultmann non è sufficientemente solida per resistere agli attacchi ai quali l'avrebbe successiva­ mente sottoposta Kasemann . L'umanità del suo Gesù è di per sé nell'insieme troppo scarna e sottile per fronteggiare una possibile lotta contro il potere e la

gloria del « iiber die Erde schreitender Gott » di Kasemann. Ma prima di poter lasciare Bultmann occorre aggiungere un ulteriore punto. La sua risposta al suo

secondo grande enigma, ricordiamo, sta nella riduzione della rivelazione del Ri­ velatore a un nudo che. Ma è giusto? Non è almeno possibile che Sir Edwyn Hoskyns colga l'idea centrale dell'evangelista con maggior successo di Bultmann ? In caso affermativo, ne derivano alcune importanti conseguenze. Era l'interpreta­ zione speciale che Bultmann faceva della cristologia dell 'evangelista che, come " lvi, ii. 69. 52 lvi, ii. 41. n lvi, ii. 65. Questo è ciò che Bultmann afferma s u tale argomento molto tempo dopo:

«

Giovanni pone tutta la necessaria enfasi sull'umanità di Gesù, ma non presenta nessuna delle caratteristiche dell'umanità di Gesù che potrebbero essere desunte, per esempio, dai Vangeli Si­ nottici. La cosa decisiva è semplicemente il "che'' • ( « Primitive Christian Kerygma », p. 20 [ Exegetica, p. 450] ) . =

75

egli vide, richiedeva tm.o �iale tipo di spiegazione, che egli stesso ricercò nel­ lo gnosticismo mandeo. Ma, se egli si sbaglia sulla cristologia, e il concetto cen­ trale di Giovanni non è quello che egli afferma, allora forse si può cercare un diverso tipo di spiegazione. Come afferma Kasemann, « i problemi teologici [del Quarto Vangelo] devono, dopotutto, puntare a uno specifico settore del pensie­ ro cristiano primitivo, e, viceversa, dobbiamo essere capaci di dedurlo da es­ si » . '4 Ancora una volta, questo è un problema che non si può perseguire in questa sede, per quanto va sottolineato che qualsiasi particolare risposta al se­ condo enigma di Bultmann lascerà il primo intatto. Vale a dire, l'evoluta cristo­ logia di Giovanni, comunque venga interpretata, è abbastanza diversa dalla tra­ dizione sinottica (e da Paolo ) al punto da richiedere una nuova spiegazione, che sia particolarmente stabile e coerente, di come essa nacque. Se smantellassi­ mo il fantastico apparato dello gnosticismo mandeo, che a un occhio inglese rammenta una delle più stravaganti macchine di Heath Robinson, allora do­ vremmo sostituirlo con qualcosa di sufficientemente influente da aver generato la visione straordinaria e certamente unica dell'evangelista Giovanni.

,.. Testament, p. 3.

76

) DOPO BULTMANN

1. Teologia: cristologia e escatologia Gli studi giovannei fiorirono dopo la guerra . Tenere il passo con essi costi­ tuirebbe un'occupazione a tempo pieno. 1 Alcune delle monografie su singole parole e/o singoli temi sono esse stesse significativi contributi alla comprensione del Vangelo. Chiaramente qualsiasi analisi esaustiva è fuori questione e questa sezione sarà circoscritta alla discussione di un certo numero di opere che, in di­ \'ersi modi, hanno una particolare relazione con il secondo grande enigma di Bultmann: qual è l'idea centrale del Vangelo,

il

suo

Grundbegri/1?

Hoskyns e Bultmann concordano sulla risposta a questa domanda: la rivela:.. zione. Ciò in cui differiscono, molto profondamente,

è la considerazione del

contenuto e della natura di questa rivelazione, e della fede che la accoglie favo­ revolmente. Sotto uno dei suoi aspetti la venuta di Cristo è vista come il giudizio di Dio sul mondo, un giudizio in cui gli esseri umani sono necessariamente coin­ volti in quanto sono obbligati a prendere una posizione, negativa o positiva a seconda dd caso, riguardo alla rivelazione con la quale vengono messi a con­ fronto. Quelli che rifiutano Cristo si mettono dalla parte delle tenebre contro la luce, preferendo la falsità alla verità, e nel far ciò impongono a se stessi la pro­ pria sentenza di condanna . Coloro che « credono » in lui, abbracciando la verità e allineandosi con la luce, guadagnano la vita eterna . Abbiamo quindi a che fa­ re

ta,

con una serie di temi interconnessi: luce e tenebre, verità e falsità, fede e vi­ e infine giudizio e condanna (per la quale

il

greco ha l'unica parola: xp(­

at;) 2• Questi temi vengono raggruppati insieme da Bultmann sotto il termine generale « escatologia ». Dal punto di vista di Bultmann uno dei vantaggi del porre in rilievo I' escatologia

è che può essere discussa abbastanza ampiamente contenuto della cruciale rivelazione di Cristo.

senza prestare diretta attenzione al

1 H. THYEN, analizzando il lavoro fatto sul Vangelo nel corso di quasi una decina d'anni (1966- 1974), impiega 37 pagine semplicemente per elencare i titoli: « Aus der Literatur ». Le due ricerche successive, di J. BECKER, coprono solo cinque anni ciascuna 0975-1979; 1980- 1984): •

Aus der Literatur »; « 1m Streit der Methoden ». Cf anche le ricerche più discorsive di R.

KYSAR: The Fourth Evangelist e « The Fourth Gospel •·

quali

Verbo xp(VELV possiede anche sfumature di discriminazione e discernimento, termini ai è etimologicamente connesso. Una delle finezze del Vangelo, per quanto non così difficile da

2 ll

non poter essere controllata, è la sua insistenza sul fatto che rifiutare la fede significa giudicare e condannare se stesso.

77

Come è possibile usare il

tennine

« escatologia



in

questo modo? Nei Van­

geli Sinottici la predicazione di Gesù è incentrata sul regno di Dio; l'importanza di esso viene ampiamente spiegata dalla convinzione che questa espressione fos­ se associata a un cataclisma imminente che comportava la fine (ecrxcx-ro'V) del mondo come lo conosciamo (l'era attuale) . Così si pensò che il messaggio di Gesù fosse essenzialmente escatologico nel senso vero e proprio. Per un lungo periodo dopo la sua morte i cristiani attesero il suo ritorno in una seconda ve­ nuta (parusia) che ancora una volta ci si aspettava si verificasse subito dopo la chiusura dell'era attuale. Anche questa è una convinzione escatologica. Ma nel Quarto Vangelo, sebbene rimangano tracce di questo elemento futuristico, esso viene nel complesso sostituito dall 'immediata promessa di un nuovo tipo di vita una volta per tutte qui e ora. Allo stesso modo l'immagine divina del Figlio del­ l'Uomo, la cui finale apparizione sulle nubi del cielo viene profetizzata nei Van­

geli Sinottici, non viene più affatto distinta nel Quarto Vangelo dalla persona di . Gesù l'uomo di Nazaret . « Tu credi nel Figlio dell'Uomo? >>, Gesù chiede al cie­ co, che risponde chiedendogli a sua volta chi sia costui: « Gesù gli disse: "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui" » (9,35ss ) . Qualsiasi giudizio che una volta si pensava fosse emesso dal Figlio dell'Uomo in un regno remoto e inaccessibile viene calato nel mondo che conosciamo. Si può obiettare che ciò effettivamente de-escatologizza il messaggio; ma gli scrittori sul Quarto Vangelo solitamente seguono la linea di Bultmann nell'usare il termine « escatologia » per coprire lo stesso insieme di temi, cosicché la fede, per esempio, viene identifica­ ta come « esistenza escatologica ».} Se ci si chiede che ruolo giochino nel Quarto Vangelo i fatti della salvezza nel senso tradizionale, e cioè incarnazione, morte, risurrezione, Pentecoste, paru­ sia, Bultmann risponde che essi sono tutti compresi nel singolo evento della « ri­

velazione della realtà di Dio nell'attività terrena dell'uomo Gesù unitamente

al

superamento della "offesa, attraverso l'accettazione di essa da parte dell'uomo nella fede )) . 4 n quarto evangelista ha un suo proprio vocabolario per diversi di

questi « eventi »: venuta, andata, missione, ascesa, glorificazione, tutti termini chiave che si mescolano nel ricco quadro della completa teologia di Giovanni. }

Theolog;y,

ii, Parte II, cap. IV, paragrafo 50 (pp.

7.5-92).

Ciò illustra l'ambito nel quale

Bultmann impiega « escatologico » in contesti in cui la teologia cattolica tradizionale userebbe in­ vece « soprannaturale » o forse « trascendente ». Ma per Bultmann « escatologico ,. arrivò ad avere una connotazione marcatamente esistenziale, con sfumature di sfida e impegno

e

la necessità di

autenticità. Naturalmente le opinioni che per prime giustificarono l'uso del termine erano sature di mito come tutte quelle che Bultmann doveva combattere sotto il vessillo della demitologizzazio­

ne. Cf PAUL RICOEUR, « Preface to Bultmann ». JosEF BLANK, sebbene non bultmanniano, con­ selVa e difende, per quanto imperfettamente e con un certo disagio, l'uso di Bultmann di « esca­ tologia » per riferirsi

al concetto giovanneo di giudizio. Cf il suo excursus, « Zum Sprachgebrauch (Krisis, pp. 65ss ) . Questo problema avrà maggiore attenzione nel cap. 6.

von "Eschatologisch" » 4

78

Theology, ii.

58.

Non sarebbe difficile ddineart \ma serie di citazioni attraverso le quali il Van­ gelo potrebbe dimostrare tutte le sue verità senza l'ausilio di un commento ( sebbene naturalmente la selezione di esse costituirebbe di per sé una forma di esegesi).' Alcuni studiosi successivi, ponendo in rilievo l'escatologia del Vangdo a sca­ pito della sua cristologia, rivoluzionano il delicato equilibrio dell'argomentazione essenzialmente semplice di Giovanni. Come conseguenza di questo sbilanciamen­ to, il lavoro di Jacques Dupont e di Oscar Cullman è meno significativo di quanto avrebbe potuto essere altrimenti. In uno studio apparso nel 195 1 il benedettino belga Jacques Dupont di­ chiara che ciò che egli chiama una che può aver rice­ vuto, può facilmente condurci fuori strada. Qualsiasi influenza possa essere stata presente essa è stata sapientemente controllata da una mente capace e indipendente. Non vi è libro, né nel Nuovo Testamento né al di fuori di esso, che sia realmente come il Quarto Vangelo. Nonostante ciò, il suo pensiero sottintende un certo ambiente di idee con cui l'autore poteva presumere che i suoi lettori avessero una certa familiarità. In che misura siamo in grado di ri­ costruire quell'ambiente? 64

l'

Ciò che segue (nelle successive 124 pagine) non viene offerto come spiega· zione del Vangelo, perché « la mente capace e indipendente » dell'evangelista può aver prodotto qualcosa di ricco e originale, che non presenti con le sue « fonti » o « influenze » una somiglianza essenziale maggiore di quella tra corallo e vecchie ossa. Naturalmente la conoscenza dell'ambiente faciliterà la comprenQ

lvi, p. 73 . 6' W. MEEKS, The Prophet-King, 64

lnterpretation,

p.

10.

p . 3.

101

sione: ne risulteranno iDuminati non sc)lo passi singoli ma temi ampi e compleS­ si; ma la comprensione in questo caso comporta la conoscenza di ciò che il la­ voro significa, e questo è tutto. Dodd si rifiuta di offrire il tipo di spiegazione richiesta da Bultmann, vale a dire una spiegazione della posizione occupata dal Vangelo nella storia, e deliberatamente evita ciò che per Bultmann era il princi­ pale enigma: das erste Ratsel. Anche se, come probabile, la sua confutazione del­ le teorie mandee di Bultmann ha buon esito, ciò non implica in alcun modo che la domanda di Bultmann abbia ricevuto risposta: semplicemente rimuove l'unica risposta disponibile. L'enorme divario tra ciò che possiamo ipotizzare che l' evangdista abbia ereditato dalle sue fonti sinottiche (o di tipo sinottico) e la sua cristologia decisamente nuova ed elaborata è troppo grande per poter es­ sere colmato, senza alcun aiuto, da qualsiasi mente, per quanto capace, per quanto indipendente. Ora Meeks è completamente consapevole di questa differenza tra Dodd e Bultmann. Infatti dedica una sezione importante e particolarmente intuitiva del suo capitolo introduttivo a un paragone tra Bultmann e Hoskyns Oa cui pro­ spettiva generale è, come egli afferma, molto vicina a quella di Dodd) . In parti­ colare si dilunga sulla riluttanza di Hoskyns ad ammettere che fonti non bibli­ che « possano aver apportato idee importanti al "laboratorio" dell'evangelista » - « In base a quale criterio », chiede, « Hoskyns decide? » « È il criterio dogmatico, come l'affermazione citata sembra sottintendere ( "Tali paragoni ap­ partengono alla . . . religione comparata piuttosto che alla . . . esegesi . . . " ) ? Oppure è un criterio storico, che giunge alla conclusione che gli ambienti rappresentati dalle altre fonti esistenti non avrebbero potuto interferire con quello rappresen­ tato da Giovanni? TI problema non viene discusso. Invece Hoskyns sembra con­ siderare assiomatico che solo l'AnticoTestamento e la letteratura cristiana (orto­ dossa) sono di primaria importanza nell'illuminare il Quarto Vangelo -».6' Eppure il problema è sommamente pertinente e Meeks è pienamente giustificato nel sottolineario. Tuttavia la descrizione che Meeks fa dell'evangelista nel suo « laboratorio », con un'ampia selezione di diversi legni a sua disposizione, probabilmente tagliati in foreste diverse, merita un esame. Perché ci suggerisce un altro concetto che, come l'ambiente, ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante in molti trattati moderni sulla questione gioyannea. È il concetto di sincretismo, una donna tuttofare a cui si richiede di svolgere una notevole quantità di lavoro. n commento di Rudolf Schnackenburg è peculiare: -

" The Prophet-Kt'ng, p. 5 . Considerando la

sua

acuta valutazione di tutti gli aspetti implicati,

è sorprendente che Meeks escluda dalla propria ricerca delle possibili fonti del motivo del re-pro­ feta in Giovanni proprio quei materiali a cui Hoskyns, come da lui ossetVato, ingiustificabilmente

si limita.

102

Accettata l'importahza di riconoscere i temi dominanti nei - paraDeH SCOperti dall'approccio proprio della storia delle religioni, ciò non cambia il fatto che il Vangdo di Giovanni è chiaramente un lavoro di sincretismo. Le componenti ellenistica e gnostica non possono essere eliminate. Diviene dunque estremamente difficile agganciare con certezza il Vangelo di Giovanni a un'area ben definita e a un ambiente chiaramente riconoscibile. Perché l'intera cultura a lui contemporanea era sincretista, e la metà orientale dell'Impero Romano, l'unica metà in questione come luogo di origine del Quarto Vangelo, contiene diverse regioni e città simili: Siria e Antiochia, Asia Minore e Efeso, Egitto e Alessandria. n problema è ulteriormente complicato quando iniziamo a distinguere l'ambiente dell'autore, l'ambito intellettuale del luogo di origine, e forse anche gli stadi dello sviluppo del lavoro stesso. Solo su un pWlto gli studiosi interessati all'approccio della storia delle rdigioni sem­ brano concordare: il lavoro nell a sua forma attuale non può essere datato troppo presto, ma va collocato alla fine del I secolo dell'era cristiana. Per in­ formazioni più esatte, il metodo della storia delle rdigioni può fornire un aiu­ to irrilevante. 66

Fin dove arriva questa ossetvazione non può essere biasimata. Ma occorre stare in guardia dall'offrire come spiegazione-copertura un termine che viene propriatamente impiegato come una scusa per non dare spiegazione. Certamen­ te, in alcune delle ipotesi avanzate da George MacRae la copertura diviene un piumino variegato. Commentando il numero di soluzioni diverse proposte al problema dell'ambiente giovanneo, nota: Non ho ancora letto qualcWio che dichiari che l'ambiente di Giovanni era in­ diano o dell'Estremo Oriente, ma non sarei molto sorpreso se qualcuno lo fa­ cesse . n minimo che si possa concludere è che costituisca veramente un eccd­ lente libro biblico capace di stimolare una tale varietà di teorie riguardo al suo ambiente o alla sua origine. Ma si può porre la domanda in modo legger­ mente diverso: poiché il periodo del Quarto Vangelo fu il periodo dell' elleni­ smo romano, caratterizzato per molti aspetti da un tipo di universalismo o sincretismo religioso, non è possibile che il Quarto Vangelo abbia deliberata­ mente tentato di incorporare una diversità di ambienti nell'unico messaggio evangelico proprio per sottolineare l'universalità di Gesù? 67 66

«

67 «

Origin . , p. 225.

The Fourth Gospel and Religionsgeschichte •, p. 14. La lacuna lasciata da MAcRAE è stata successivamente colmata da H.C. KEE, « Myth and Miracle •: c Sia le necessità religiose dd mondo greco-romano che i modelli popolari per la soddisfazione di quelle necessità hanno chiara­ mente e profondamente influenzato l'autore del Vangelo di Giovanni . I racconti sui miracoli ricor­ dano le aretalogie di lside. Le auto-dichiarazioni ricordano le sue dichiarazioni autorivelatrici. La localizzazione dell'intero schema della redenzione nel contesto di un mito della creazione - nel quale lo stesso agente viene da Dio, è lo strumento sia della creazione che del sostegno del mon­ do, e si awicina anche all'umanità con un invito alla comunione mistica - è una caratteristica fondamentale condivisa da tutte e tre queste letterature • (p. 160) . Questo è un tipico esempio di

103

L'articolo di

MacRae

fornisce un buon esempio di un abituale vizio moder­

no, una fuotviante noncuranza delle differenze importanti

di significato tra paro­

le come « fonte », « influenza », e « ambiente », per esempio: « Giovanni delibe­ ratamente fa uso [szc!] di qualsiasi ambiente religioso conosca ». 68 Ma come ci si serve di un ambiente? MacRae introduce persino un suo proprio termine ( « ana­ logia »), nel mettere a confronto i detti giovannei con « Io sono » con la aretalo­

gia di

lside dell'iscrizione

di Curna ( dove l'affermazione di Isis di essere

per tutti gli uomini » viene

«

«

tutto

espressa particolarmente nella forma dei detti "lo­

sono" che identificano Isis con ogni sorta

di potere universale » ) . 69 Questo è in­

teressante, senza dubbio, tuttavia, poiché MacRae si astiene attentamente dall'in­ sinuare che Giovanni è anche a conoscenza del culto di Isis, e tantomeno che egli sia influenzato da esso, è difficile vedere dove lo porta la sua « analogia ». L'universalismo di Giovanni (che a me sembra parecchio più problematico di quanto non appaia a MacRae) presenta qualche somiglianza con quello di Pao­ lo; ma, anche in questo caso, non esiste questione

di influenza diretta. Per con­

cludere, ciò che MacRae, con un accattivante germanismo, chiama « il gioviale lavoro » di Bultmann è molto più facile da valutare, con -la sua acutezza e chia­ rezz a, di quanto non possa esserlo qualsiasi lieve traccia di sincretismo. Inoltre, poiché tutti i Giudei, persino in certa misura i Giudei di Palestina, furono a lungo esposti a influenze ellenistiche, non sembra essetvi necessità di cercare al di fuori del mondo del giudaismo del I secolo le caratteristiche greche mostrate dal Quarto Vangelo. Un'ulteriore domanda: è legittimo passare dal dire che il sincretismo è ca­ ratteristico di un periodo al sincretismo di uno scrittore? Nel primo caso si ha a che fare con lo Zeitgeist, un tipo di atmosfera opprimente che tutto penetra e riguarda ogni essere umano all'interno della sua orbita; nel secondo caso ci tro­ viamo di fronte due distinte alternative: o l'atmosfera penetra le ossa di uno scrittore senza che se ne accorga, nel

qual caso è errato parlare del suo « labo­ ratorio » (un termine che implica la selezione di materiali e l'applicazione di strumenti), oppure lo scrittore compie una scelta consapevole. In questo caso dobbiamo prendere in considerazione una /onte o influenza, e può essere impor­ tante decidere quale. Solo per il fatto di non conoscere esattamente da dove venne Giovanni non ne deriva che dovremmo raffigurarlo svolazzante come una gazza sull'Asia Minore, pronto a prendere un'idea brillante ogniqualvolta la sua attenzione ne sia attratta e ad inserirla nel materiale del suo Vangelo. Le prove in nostro possesso suggeriscono che l'attività del Quarto evangelista venne circo­ scritta a una sola regione. L'unità stilistica e tematica sia del Vangelo che delle uno degli errori che SAMUEL SANDMEL ha chiamato « parallelomania »: la presunzione che ogni rassomiglianza debba sottintendere un debito. Cf ]BL 81 ( 1962), 1-13. 68 « The Fourth Gospel and Religionsgeschichte », p. 22. 69 lvi, p. 24.

104

' Lettere a una considerazione del giudaismo rabbinico, ma, poiché le sue analisi spesso brillanti delle idee guida del Vangelo sono state effettuate molto tempo prima della scoperta dei Manoscritti del Mar Morto, 8' forse non ci . .

Ma nel paragrafo conclusivo di questo bre\re libro riafferma che « in ultima analisi questo Vangelo va spiegato non storicamente, ma teologicamente » (pp. 75ss). 8) « Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome » (20,3 1 ) . In questa traduzione la parola « credendo » mo­ stra che viene seguita la lettura del Sinaitico e del Vaticano, mentre il tempo presente ( 1t!.­ aTe:trJ)Te:) secondo alcuni implica che la finalità del Vangelo non è di indurre alla fede bensl di preservarla. Ma una tale implicazione sembrerebbe in conflitto diretto con l'interpretazione del passo che Dodd sta difendendo. (Altri manoscritti leggono ?tta'TtUO'Y)TE, che potrebbe essere tra­ dotto « arrivare a credere »). 84 Interpretation, p. 9. Si vedrà come la posizione di Dodd è molto vicina a quella di Wilhelm Oehler. Cf sopra, cap. l, p. 27. "' n professar Donald MacKinnon, in· una lettera personale, mi comunica di aver assistito a sei conferenze di Dodd a Oxford negli anni 1935- 1936 sui concetti chiave nel Vangelo: xptatc;, À6yoc;, !XÀ�'t'E:tCX, XTÀ: « n pubblico », affenna, « era pietosamente piccolo, le conferenze superbe ». Ma se il conferenziere avesse avuto il beneficio dell'accesso ai testi di Qumran forse avrebbe avu­ to maggior esitazione a dare, per esempio, un »interpretazione platonizzante del concetto giovan­ neo di verità. Cf I . DE LA PoTIERIE, La Verité dans Saint Jean, p. 8.

1 10

si deve meravigliare che si basino arnpiament� sul materiale ellenistico già 5tu diato, per quanto meno approfonditamente, da Bousset e da altri. Nel 1957, in un congresso sul Nuovo Testamento svoltosi a Oxford W. C. van Unnik di Utrecht lesse uno scritto finalizzato ad attirare ancora una volta l'attenzione sull'essenziale giudaicità del V angelo. 86 Egli specificatamente si disso­ cia dalle opinioni espresse da membri della scuola della storia delle religioni, da Wrede a Bauer, i quali consideravano che l'atteggiamento dell'evangelista verso i Giudei fosse del tutto ostile. In opposizione a questi, van Unnik prima nota l'enfasi posta dal Vangelo sui titoli esclusivamente giudei come « Messia » e « Figlio di Dio », poi prosegue chiedendosi chi avrebbe più probabilmente ri­ sposto positivamente a questa enfasi. Dopo aver addotto un'ulteriore prova dagli Atti e dalla letteratura giudeo-cristiana extra-biblica, conclude che « la finalità del Quarto Vangelo era quella di portare i visitatori [presumibilmente intende la congregazione] di una sinagoga nella Diaspora (Giudei e timorati di Dio) a cre­ dere in Gesù come il Messia di Israele ». 87 In un'altra occasione asserisce corret­ tamente che l'espressione giovannea « Gesù è il Cristo » « è una formula che ha le proprie radici nella missione cristiana tra i Giudei ». 88 Nondimeno, lo studio­ so di Utrecht mostra in questo lavoro una certa miopia, o piuttosto uno strabi­ smo, perché, con entrambi gli occhi puntati sul messianismo senza dubbio pre­ sente nel Vangelo, non coglie (come altri prima di lui) le più ampie implicazio­ ni della cristologia sviluppata dell'evangelista. Inoltre, se questo Vangelo, come dice van Unnik, « non era un'apologia per difendere la chiesa cristiana, ma un libro missionario che cercava di affermarsi », 89 allora bisogna riconoscere al­ l'evangelista di aver affrontato il suo compito in un modo singolarmente malde­ stro. In modo interessante, Karl Bornhauser, i cui argomenti van Unnik si di­ chiara impossibilitato ad accettare, ha indicato in che modo avrebbe dovuto procedere affinché le sue opinioni ottenessero attenzione. 90 Ciò che si richiede è la possibilità di distinguere diversi sensi della parola lou8�toL, o piuttosto di trovare un altro nome per i « Giudei » della diaspora. Come si può credere che l'evangelista si accingesse a perorare la propria causa con quelli che chiama ' lou8riL'ot quando ne scortica la petversità e l'ostinatezza quasi in ogni pagina? ]. A. T. Robinson 91 assume una posizione molto simile a quella di van Un­ nik, dichiarando che è la qualifica di « "Messia" piuttosto che quella di "Lo­ gos" a dominare la cristologia di Giovanni nel corpo del Vangelo >> . Aggiunge ..

,

• « 17

Il

19 90

The Purpose of St. John's Gospel ».

lvi, p. 410. lvi, p. 397. lvi, p. 410.

]ohannes evangelium.

9 1 « Destination and Purpose •.

111

inoltre·, sorpren cfenteniente:·: « Ciò risulta evidente da una concordanza •. • Se, sfogliando la sua concordanza, si fosse fermato a ut6ç, avrebbe trovato che le volte in cui « Figlio » appare come una speciale qualifica - alquanto diversa dalla qualifica di « Figlio di Dio » che è verosimilmente connessa con « Messia » superano considerevolmente tutte le altre. È vero che il Vangelo fornisce al­ cuni argomenti per ritenere che venne originariamente scritto come un opuscolo missionario, persino specificamente pensato per i Giudei della diaspora, ma co­ me van Unnik, al quale ricorre, Robinson trascura di considerare lo sfondo e la natura della opposizione del Vangelo a ot , lou8a'LoL. Questa questione non può essere soddisfacentemente controbilanciata dall'osservazione che il Vangelo non è « anti-semitico, cioè, da un punto di vista razziale anti-giudaico » oppure che « il mondo della narrazione del Vangelo è completamente un mondo giudeo ». 91 Piuttosto, la questione dell'identità di ot 'lou8a'toL diviene persino più acuta. Ro­ binson scivola facilmente da « Giudei » a « giudaismo » e asserisce che « per Giovanni l'unico vero giudaismo è quello che riconosce Gesù come il suo Mes­ sia. Divenire un vero giudeo e divenire un cristiano sono una sola e medesima cosa ». 94 Ma dove si trova nel Vangelo un invito a « divenire un vero giudeo » o una qualsiasi difesa del « vero giudaismo »? Certamente, come sottolinea Ro­ binson, « "i Giudei" per il Vangelo non sono semplicemente i Giudei di Pale­ stina ma, con due sole eccezioni (w. 41 e 52 ), sono i Giudei di Giudea ». cn (Infatti, come aveva mostrato Bornhauser, il termine ha frequentemente una portata persino più ristretta: le autorità ebraiche in Gerusalemme) . Ma se ot ' lou8ai:oL viene tradotto con « i Giudei » e si passa poi a usare lo stesso termine per coloro ai quali il Vangelo è indirizzato, allora il risultato può solo confonde­ re del tutto. Robinson in realtà crede che inizialmente l'ambiente della tradizio­ ne giovannea fosse « la missione cristiana tra i Giudei di Giudea ». 96 Ma ciò moltiplica le difficoltà. Riguardo alla frase: « I figli di Dio che erano dispersi » ( 1 1 ,52 ), Robinson può ancora una volta aver ragione nell'affermare che questa non si riferisce ai Gentili. 97 Ma ciò non vuole dire che debba riferirsi ai Giudei di Giudea: potrebbe allo stesso modo riferirsi ad altri gruppi giudeo-cristiani. Robinson non considera con sufficiente serietà l'ipotesi che il Vangelo non sia stato solo composto nell'ambito di una comunità cristiana (cosa che conce­ de) ma sia principalmente indirizzato a quella comunità. 98 .

-

92

lvi, p. 198.

93 lvi, p. 94

193 .

lvi, p. 197. '" « Destination and Purpose », p. 20 1 . 'J6 lvi, p. 202. 97 lvi, p. 203 . 98 Le argomentazioni di Robinson e van Unnik vengono esaminate da R. ScHNACKENBURG in un articolo particolarmente completo in cui, dopo aver vagliato attentamente ogni prova dispo-

1 12

Gli articoli di Robinson e van Unnik apparvero entrambi nel 1959, circa sei anni dopo il primo dei due libri di Dodd. Nel frattempo l'impatto dei Mano­ scritti del Mar Morto aveva cominciato a farsi sentire; vi era quindi tra gli stu­ diosi una crescente tendenza ad accettare più facilmente che le origini del Van­ gelo erano in un ceno senso giudaiche, anche se non c'era allora (e non c'è tut­ t' ora) un accordo sul dove localizzare precisamente la comunità giovannea. A quel tempo non era stato ancora pubblicato nessun rilevante commento che fa­ cesse uso delle nuove scoperte, anche se, ad eccezione di pochi studiosi tedeschi ancora inclini verso le teorie gnostiche di Bwtmann, l'opinione generale stava iniziando ad allontanarsi sia dalle posizioni Bultmann che da quelle di Dodd. Nel 1966 arrivò il primo volume dell'importante commento di Raymond Brown e la sua sensibile ed equilibrata difesa di un ambiente giudaico per il Vangelo pose questa tesi al di là del ragionevole dubbio. Per di più la sua teoria che il Vangelo fosse passato attraverso una serie di redazioni diverse, nessuna delle quali indenni da una certa imprecisione, era, come abbiamo visto, decisamente giusta, cosicché Schnackenburg, valutando i risultati di ciò che pochi anni più tardi chiamò il metodo « storico della tradizione >> , poté parlare di un consenso quasi universale sul fatto « che ci troviamo in realtà di &onte a un processo di composizione un po ' prolisso, con livelli di composizione che conducono a una redazione finale » . 99 Taie duplice accordo, prima sulle origini e poi sulla composizione, tracciò la via per l'opera di J. L. Martyn, History and Theology in the Fourth Gospel, che nonostante la sua brevità è probabilmente la più importante e rilevante mono­ grafia sul Vangelo dopo il conunento di Bultmann. Già dalla prima sezione del capitolo introduttivo (intitolato « The Problem ») viene suonata una nuova musica: n nostro primo compito . . . consiste nel dire qualcosa di quanto più specifico possibile riguardo alle reali circostanze nelle quali Giovanni scrisse il suo Van­ gelo. Come dobbiamo raffigurarci la vita quotidiana nella Chiesa di Giovanni? Elementi delle sue particolari esperienze quotidiane hanno lasciato il proprio marchio sul V angelo scritto da uno dei suoi membri? Si può sentire persino nelle sue elevate cadenze la voce di un teologo cristiano che scrive in risposta agli eventi e ai problemi contemporanei che riguardano, o dovrebbero riguarda­ re, tutti i membri della comunità cristiana in cui vive? 100

Non si tratta semplicemente del fatto che il vecchio problema delle origini del Vangelo viene presentato con una nuova acutezza e chiarezza. Il problema stesso è cambiato. D « più grande enigma >> di Harnack, citato da Martyn nella nibile, conclude che le loro posizioni, nonostante alcuni meriti positivi, sono unilaterali e fuorvian­ ti. Cf

«

Messiasfrage » . Origini ,. , p. 224.

99 «

100

History and Theo/ogy 1 ,

p. xviii.

1 13

precedente pagina, appartiene chiaramente e definitivamente all'area delle que­ stioni che ho raggruppato sotto il termine « origini ». Martyn è allo stesso modo chiaramente interessato alla situazione del Vangelo e ovviamente si aspetta di trovare ampia risposta alle proprie domande tra le pagine del Vangelo stesso. Senza dubbio è in grado di dare questa nuova prospettiva al « problema gio­ vanneo » grazie alla sua convinzione che l'evangelista e i suoi lettori provengono dal medesimo ambiente e che tale ambiente è essenzialmente giudaico, anche se abbiamo già visto quanto tale descrizione possa essere ingannevole ed elusiva. Ma facendo ciò trova il giusto ordine. Questo dovrebbe essere il punto di par­ tenza, questo è veramente, come afferma, « il nostro primo compito » . In che cosa l'approccio d i Martyn si differenzia allora d a quello degli autori che abbiamo appena considerato? Le loro domande (e anche alcune risposte) spesso sono molto vicine alle sue: A chi l'evangelista sta rivolgendo il suo lavo­ ro? I destinatari sono gentili o giudei? Quale è la loro situazione e dove si tro­ vano? Per essere in gra�o di definire l'intenzione del Vangelo queste sono tutte domande che richiedono una risposta. Martyn, a differenza della maggior parte dei suoi predecessori, è consapevole che non tutte queste domande hanno una singola risposta, perché il Vangelo non è una composizione unificata, ma copre un lungo periodo di tempo nel corso del quale la situazione della comunità gio­ vannea mutò, in modo anche abbastanza drammatico. All'interno di questo pe­ riodo di sviluppo Manyn sceglie un punto particolare nel quale inserire la sua indagine. È il punto di rottura tra il gruppo cristiano che doveva formare la co· m unità e la sua matrice giudaica . In secondo luogo Martyn utilizza in maniera nuova una vecchia intuizione. Molto tempo prima Hoskyns aveva sostenuto che il principale obiettivo dell'e­ vangelista era quello di mostrare il significato teologico del racconto (o storia) di Gesù. Che ciò comportasse una lettura del Vangelo a due livelli, prima come storia, che dà un senso alla lotta di Gesù con le autorità giudaiche durante la sua vita, e poi come teologia, avente una diretta rilevanza spirituale per gli inte­ ressi della comunità dell'evangelista, fu una conclusione che Hoskyns non trasse. TI primo a far ciò (per quanto ne sappia) fu Xavier Léon-Dufour, in un artico­ lo 101 illuminante ma poco notato basato su 2, 19-22, l'unico passo del Vangelo in cui l'evangelista fornisca una chiave esplicita a uno dei suoi enigmi. Martyn segue Léon-Dufour nel proporre che ( almeno in certi passi) il Van­ gelo narra la storia di un evento reale nella vita della comunità in modo tale che può essere visto come una ricostruzione di un episodio nel ministero di Gesù. Inizia con il capitolo 9 (la guarigione del mendicante cieco) , che plausibilmente costruisce come un dramma . Tutti i principali protagonisti, compreso Gesù, hanno le proprie controparti nell'esperienza della comunità: il ·mendicante è un 101 «

1 14

Le

Signe du Tempie

•·

O cap. 1 1 .

il Sinedrio è il locale consiglio cittadino;-ebraico (per il quaJ le Martyn impiega il termine greco « Gerousia » ) , Gesù è un profeta dell'ultimo

�nverrito cristiano,

giorno che parla in suo nome. Quando i genitori del mendicante negano qual­ siasi riconoscimento della sua guarigione lo fanno perché, ci viene detto, Giudei » avevano deciso che chiunque ammettesse che Gesù era

«

i

il Messia dove­

va essere espulso dalla sinagoga ( 9,22 ) . Ora, la parola greca usata in questo ca­ so, &1too-uv�ywyoç, ritorna in 16,2, in un contesto nel quale, come Manyn affer­ ma,

«

la parola fornisce chiaramente una caratteristica di persone ora membri

della chiesa giovannea » . 102 Iniziando da questa congiunzione, Martyn procede con la costruzione di un argomento decisamente impressionante, che

è

convin­

cente per la luce che effonde sul V angelo stesso e per il modo soddisfacente con cui giustifica uno dei suoi aspetti più enigmatici: perché il Vangelo è allo stesso tempo così giudaico e nonostante ciò così anti-giudaico? Allo stesso tempo Martyn postula una serie di livelli nel rapporto in evolu­ zione tra

il gruppo cristiano e la comunità d'origine. Tali livelli formeranno l' og­ 5 ). 103

getto della nostra ricerca in un capitolo successivo ( cap .

Martyn ha sviluppato e ampliato la sua tesi in una serie di articoli magi­ strali, 104 sui cui dettagli non ci tratteniamo al momento, che rendono la lettura interessante, persino eccitante, per chiunque sia alle prese con il « problema gio­ vanneo »; inoltre le idee, sempre nuove e stimolanti, sono presentate in modo attraente. Senza dubbio

è

ancora possibile e lecito cavillare su alcuni punti mi­

nori, ma non ci si sorprende molto del fatto che, nella prefazione alla seconda edizione del libro di Martyn ( 1979), viene affermato che esistono numerose in­ dicazioni

«

che le sue principali tesi hanno ottenuto un seguito piuttosto

am-

•az History\ p. 20. Martyn afferma tenacemente che questa scomunica va collegata con la fa­ mosa inserzione nelle Diciotto Benedizioni della clausola sull'espulsione degli « Eretici ,. ( negli anni 85-90 d.C. ) . Come vedemmo, tale ipotesi era stata avanzata più di un secolo prima da Aberle ed era stata avanzata di nuovo in tempi relativamente recenti da K. L. CARROLL, « The Fourth Gospel and the Exclusion of Christians ». La discussione di Martyn è severamente criticata da J. A. T. RoBINSON, Redating the New Testament. È vero che la correlazione non è provata. Ma la plausibilità dell'ipotesi dipende dalla luce che illumina il Vangelo; in ogni caso, la lettura del cap. 9 fatta da Martyn non è costruita sulla sua interpretazione delle Diciotto Benedizioni; tutt'al più viene da questa sostenuta. Ciò significa che persino se BARNABAS LINDARS ( « Persecution ,. ) e WILLIAM HoRBURY (« Benediction ,.) hanno ragione a ipotizzare che l'ordinanza di Iamnia raf­ forzò semplicemente una precedente e più drastica azione da parte dei Giudei nella regione di Giovanni, il punto principale di Martyn tiene tuttavia duro. 103 Va anche considerato in questa connesssione il piccolo e affascinante libro di RAYMOND BRoWN, The Community o/ the Beloved Disciple, un'introduzione al suo commento in Anchor Bible sulle Lettere di Giovanni che apparve poco più tardi. 104 Tre di questi (uno leggermente adattato) sono ora disponibili in forma di libro: The Gos­ pel o/ fohn in Christian History. Vaie anche la pena di constÙtare un saggio parecchio precedente: « Source Criticism and Religionsgeschichte in the Fourth Gospel ».

1 15

pio •. le» È in gran parte grazie al suo lavoro se si può dire che quest'area di ri­ cerca su Giovanni (vale a dire, quella relativa a destinatari e situazione) è stata approssimativamente tracciata. Rimane solo il problema di aggiustare alcuni det­ tagli e di colmare alcune lacune . Oltre a Raymond Brown altri due studiosi hanno contribuito significativa­ mente alla migliore comprensione delle problematiche affrontate da Martyn con tale esemplare successo . TI primo di essi è Herbert Leroy, che ha condotto sul Quarto Vangelo uno dei pochi studi basati propriamente sullo studio critico del­ la forma. n suo argomento prescelto è l'enigma giovanneo ed egli propone come principale Sitz-im-Leben la catechesi cristiana, specificamente l'iniziazione dei nuovi discepoli nei diversi (e diversificanti) misteri della loro fede. 1()1; Vedremo che esiste nella comunità giovannea qualcosa dell'umore e della natura di ciò che Peter Berger chiama « minoranze cognitive », gruppi schierati in lotta per la sopravvivenza in un ambiente prevalentemente ostile. Anche la ritualità può gio­ care un ruolo importante nell'aiutare il gruppo a stabilire un senso della propria identità, un fatto che permette a Leroy di integrare nella sua interpretazione molti degli elementi « sacramentali » presenti nel Vangelo che Bultmann ha asse­ gnato al « redattore ecclesiastico ». Lo stesso tipo di intuizione è stato brevemente sviluppato da Wayne A. Meeks in « The Man from Heaven in Johannine Sectarianism ». Partendo dalla precedente intuizione di Bultmann e del suo allievo Hans Jonas che il mito in generale e il mito gnostico in particolare rappresentano l' oggettivazione del sen­ timento religioso che i credenti hanno di sé stessi e della propria relazione con il mondo, egli tenta « di individuare la funzione svolta dal motivo "ascensione e discesa", prima nell'ambito della struttura letteraria del Quarto Vangelo, poi, per analogia, nell'ambito della struttura della comunità giovannea e della sua re­ lazione con l'ambiente circostante ». 107 Dopo aver dato una risposta al primo quesito, riformula il secondo: « Quali funzioni ebbe questo particolare sistema di metafore per il gruppo che lo svi­ luppò? ». Da questa nuova prospettiva, « persino le sue contraddizioni e le sue disgiunzioni possono essere viste come mezzi di comunicazione >> . La sua risposta alla domanda riformulata, resa in corsivo nell'originale, è che « il libro svolge per i suoi lettori proprio la medesima funzione esercitata dall'epifania del suo eroe nell'ambito delle sue narrazioni e dei suoi dialoghi » . Che cosa questo si­ gnifica in pratica non può essere apprezzato fintanto che la vita del gruppo gio107 History 2, p. 13. L'ultimo e migliore tra i molti tentativi di seguire le intuizioni di Martyn attraverso la combinazione di analisi teologica e sociologica è rappresentato da Overcoming the World, di DAVID RENSBERGER, pubblicato la prima volta nel 1988. 106

R.iitsel und Missverstandnis. Questa conclusione si basa direttamente su profezia del tempio in Giovanni 2, di cui discuteremo nel cap. 1 1 . 107 « Man from Heaven » , p. 145 .

1 16

uno

studio della

viene contrapposta all a sua comunità giudaica d'origine: « Giungere all a fede in Gesù è per il gruppo giovanneo un cambiamento di collocazione sociale.

vanneo

La sola fede, senza entrare a far parte della comunità giovannea, senza compie­ re la rottura decisiva con "il mondo", in particolar modo il mondo del giudai­ smo, è una "falsità" diabolica ». Di conseguenza, « il libro definisce e difende l'esistenza della comunità che evidentemente vede sé stessa come unica, estranea al proprio mondo, attaccata, incompresa, ma che vive in unità con Cristo e at­ traverso lui con Dio »; inoltre una delle principali funzioni re stata quella

del

libro « deve esse­

di fornire un rafforzamento dell'identità sociale della comunità,

che sembra sia stata ampiamente negativa. Fornì un universo simbolico che die­ de legittimità religiosa, una teodicea, all'effettivo isolamento del gruppo dal resto della società ». Infine, « il Quarto Vangelo non solo descrive, in modo eziologi­ co, la nascita di quella comunità ma ne acutizza anche l'isolamento. I modelli linguistici che abbiamo descritto hanno l'effetto, per l'iniziato che li accetta, di demolire la logica del mondo, in particolar modo quella del mondo del giudai­ smo, e di enfatizzare progressivamente la consapevolezza settaria. Se uno "cre­ de" a ciò che viene detto in questo libro, viene letteralmente portato fuori del mondo ordinario della realtà sociale. Al contrario, ciò può difficilmente accadere a meno che uno si trovi già all'interno del gruppo culturale in opposizione o per lo meno si trovi in qualche relazione ambivalente tra esso e il resto della società » . Meeks riassume tutto ciò dicendo: «

È

un caso di rafforzamento inin­

terrotto e armonico tra esperienza sociale e ideologia » . 108

Questa serie di citazioni tratte dalle pagine conclusive dell'articolo molto denso di Meeks non rende giustizia alla sua ricchezza, ma da questo possono essere tracciate certe conclusioni così come dal lavoro di Martyn, Leroy e Brown. D Quarto Vangelo non era né un opuscolo missionario destinato ai Giu­ dei o Gentili né un'opera di teologia intesa come « un patrimonio per sem­ pre » .

N ella

sua attuale forma, e in qualsiasi riconoscibile versione o redazione

precedente, venne scritto per l'incoraggiamento e l'edificazione di un gruppo

di

cristiani « giudei » che avevano bisogno di affermare la loro identità contro la sinagoga del luogo, che fu certamente l'ambito da cui il gruppo cristiano aveva preso le sue origini. Queste scoperte, finora, mi sembrano fondate. Ma il libro di Martyn, per quanto forte dal punto di vista storico,

è,

a differenza di gran parte del suo la­

voro successivo, piuttosto scarso dal punto di vista teologico. Rimane da dirige­ re la luce creata dal lavoro di questi eccellenti studiosi su aree di studio che so­ no ancora, nonostante tutto ciò che è stato raggiunto, relativamente oscure.

101

lvi,

pp.

161- 16.5.

1 17

CONCLUSIONE SGUARDO AL PASSATO E AL FUTURO

Aristotele riteneva che al fine di conoscere o comprendere correttamente una data cosa occorre anzitutto sapere come è (o è stata) causata. Per un lungo periodo si ritenne anche che il filosofo avesse creduto all'esistenza di quattro ti­ pi di cause: materiale, formale, efficiente e finale. Ora poiché solo un termine di questa lista (efficiente) sembra denotare ciò che noi intendiamo per causalità, è facile mettere una tale posizione apparentemente priva di senso nel cestino della « mera » speculazione metafisica. Se, comunque, si traduce oct·de� non come « causa » ma come « spiegazione », allora ciò che Aristotele scrisse inizia imme­ diatamente ad avere senso. Perché possiamo guardare una statua di bronzo (co­ me dice Aristotele nel suo esempio più famoso) da diversi punti di vista: dal punto di vista del bronzo con il quale viene fatta, dal punto di vista dello scul­ tore che l'ha creata, del motivo per cui l'ha fatta e infine dal punto di vista del­ le sue caratteristiche formali : -rò ei8oç xocì. -rò 7te�pr:X8ety(J.oc. Avendo iniziato la prima, storica, parte di questo libro con una considera­ zione di quattro tipi di critica letteraria, desidero concluderla facendo un para­ gone tra Abrams e Aristotele. Da questo paragone emergerà una struttura per le restanti due parti del libro. n primo tipo di spiegazione, quello della causa efficiente, è ovviamente forni­ to, nel caso della letteratura, dal concetto di autore. Ma questo concetto non sempre è appropriato per opere composte durante un lungo periodo, special­ mente se derivano interamente o in parte da una tradizione orale. Infatti, quan­ do l'autore di queste opere è stato tradizionalmente ascritto a un'unica figura, come Omero o Mosè, ciò si è dimostrato un ostacolo sulla via della compresio­ ne, mentre in altri casi, le Chansons de Ceste per esempio, per le quali ogni at­ tribuzione esistente è molto più generica, la strada è immediatamente libera per una lettura diversa e più esauriente. La maggioranza dei lenoflmoderni proba­ bilmente condivide ancora la deferenza dei romantici verso il genio artistico e di conseguenza deprecherebbe qualsiasi tentativo di « spiegare » Amleto, o Lear, nei termini delle particolari influenze e fonti che contribuirono a modellare la mente del drammaturgo. Ma se, nella ricerca di cause efficienti, sembra ragione­ vole attribuire l'elemento magico shakespeariano al suo genio individuale, ciò è meno vero circa le sue « idee » che non circa la delicatezza e la vivacità partico­ larmente poetiche con le quali espresse la sua comprensione superlativamente solidale della condizione umana, e creò esseri umani viventi per la meraviglia delle generazioni future . Ma mentre le « idee » di Shakespeare, come quelle di Chaucer o Dante (per lo meno nelle sue opere di poesia ) , erano fondamental-

1 18

niente un luogo cotnune e derivate, è la peculiarità delle idee del Quarto Vange­ lo a giustificare la ricerca delle loro origini; se si esclude una teoria della ispira­ zione verbale diretta, è necessario spiegare l'daborata trama concettuale che co­ stituisce una cosi eccellente caratteristica di quest'opera. Così, senza scartare l'i­ potesi di un singolo genio religioso, è legittimo limitare lo spazio riseiVato alla « causalità efficiente » a uno studio delle origini del Vangdo, intese in termini di ambiente di origine, fonti, influenze e tradizioni. Questo è il modo in cui io interpreto il « primo grande enigma » di Bultmann, das erste Riitsel. Bulnnann, come abbiamo visto, tende a presumere che la spiegazione « finale • del Vangdo, il suo -réÀoç in senso aristotelico, vada ricercata nelle risposte che forni­ sce agli eterni interrogativi sulla condizione umana, la natura e il destino dell'uomo. Questa nobile posizione lo dispensa dal potte domande di minore portata in rela­ zione ai lettori che Giovanni aveva in mente. Ma chiunque abbia un'inunagine più pragmatica della finalità immediata del Vangelo è giustificato nel limitare la ricerca di una spiegazione « finale » per focalizzarsi sul piccolo gruppo di persone che l' au­ tore o gli autori avevano in mente componendo il Vangelo. Li ho chiamati i destina­ tan· dell'opera e ·per quanto la terminologia di Aristotele permetta un'opinione più estrinseca della finalità dello scrittore (per guadagnare denaro o per allontanare la noia) l'impatto voluto sui destinatari è l'unico tipo di obiettivo o di finalità vera­ mente integrante per una piena comprensione dell'opera in quanto tale. Con buona pace di Bulanann, tale impatto va incluso in _gyalsiasi completa spiegazione di das erste Ri:itsel: il problema della localizzazione dd Quarto Vangelo nella storia del cri­ stianesimo delle origini. La mia trattazione della quarta categoria che è anche quella centrale, l'opera stessa, è stata deliberatamente limitata a un unico aspetto di essa: la storia della composizione del Vangelo. Fu utile procedere in tal modo perché il Quarto Van­ gelo è uno di quei manufatti anomali, come una cattedrale medioevale, che non possono essere correttamente compresi se vengono considerati come espressione di un singolo disegno globale. La cattedrale di Winchester, con tutta la sua bel­ lezza e, certamente, proporzionalità, non è correttamente compresa o apprezzata se non si è totalmente consapevoli, per citare l'esempio più ovvio, che i transetti sono normanni e la navata gotica. Tuttavia, lo studio dei diversi stili e strati di una cattedrale appartiene veramente alla storia della sua costruzione, del lavoro dei disegnatori e dei costruttori, dei muratori e degli artigiani. Come tipo di spiegazione non è completamente distinguibile da quella della causalità nel pri­ mo senso. 1 Di conseguenza, lo studio della storia della composizione del V ange1 Questa è anche la ragione per cui non ho detto nuBa in questa esposizione su ciò che al­ cuni possono considerare come il cambiamento di direzione più significativo che l'investigazione giovannea ha compiuto a partire dal lavoro di Bultmann: il tentativo di applicare al Vangdo gli strumenti e le intuizioni della critica letteraria moderna, specialmente di ciò che è conosciuto co­ me « critica della risposta dd lettore ». Prima che tale termine divenisse di uso comune BIRGER

1 19

lo va direttamente associato sia aDa spiegazione causale che alla spiegàzione • fi­ nale »: anch'essa va inclusa in qualsiasi risposta possa essere data al primo enig­ ma di Bultmann. Questo è il motivo per cui nella seconda parte di questo libro, intitolato « Genesi », i problemi relativi alla natura e alla storia della comunità giovannea saranno affrontati insieme ai problemi di composizione. Oltre a questo, sarà nuovamente posta un'altra antica domanda: da dove ha preso le sue idee cen­ trali I' evangelista, soprattutto tutta la sua cristologia? Quale è la spiegazione mi­ gliore per questo nuovo singolare ritratto di Cristo? TI capitolo 4 esordisce con il tentativo di localizzare rampio contesto culturale della comunità giovannea e lo trova nel dissenso religioso. n capitolo 5 fornisce un profilo della storia della comunità giovannea e del suo libro. n capitolo 6 è dedicato allo studio di una delle più peculiari e penetranti caratteristiche del Vangelo, il suo dualismo, ed offre un'ipotesi sulla provenienza dell'evangelista. Ciò che segue negli ultimi tre capitoli della Seconda Parte (Messia, Figlio di Dio, Figlio dell'Uomo) rappresen­ ta un tentativo di penetrare la storia dell'evoluzione della cristologia del Vangelo. Ritornando alla statua di bronzo di Aristotele e chiedendoci cosa potrebbe valere come spiegazione materiale di una commedia o di un poema, troviamo che è necessario un certo aggiustamento . Perché, mentre una parte della compren­ sione di una statua dipende dalla conoscenza--del materiale con il quale è fatta ( dal momento che il bronzo è diverso dal marmo e il marmo dal legno) , la « materia » dalla quale una commedia o un poema sono creati sarà di genere .

0LSSON aveva già offerto « una analisi linguistica del testo � di Giovanni 2,1-1 1 e 4,1-42 in un'o­ pera intitolata: Structure and Meaning in the Fourth Gospel ( 1974). Poi arrivò il lavoro di R. ALAN CuLPEPPER, The Anatomy o/ the Fourth Gospel ( 1983 ) . Da allora j EFFREY LLOYND STALEY, in The Print's First Kiss ( 1988), ha tentato un miglioramento sulla base del lavoro di Culpepper che poneva in rilievo l'intrinseca temporalità e linearità della narrazione. Nonostante il titolo capriccio­ so questa è un'opera incisiva, che contiene un certo numero di buone intuizioni. L'esegesi di Sta­ ley della festa di nozze di Cana, specialmente la conclusione, costituisce un eccellente brano di esegesi che fortemente giustifica l'uso dei nuovi metodi. Peraltro, anche questa esegesi è viziata dalla trascuratezza di qualsiasi prospettiva diacronica, così necessaria per fare qualsiasi vero pro­ gresso nello studio di un testo a più strati come il Quarto Vangelo: « Comprendere l'autore sot­ tinteso nel Quarto Vangelo significa che dobbiamo iniziare con il presumere l'unità del libro (p. 29), perché « l'ipotesi di unità dota tutto il testo di intenzionalità » (p. 30). Ma a meno che questa ipotesi possa essere giustificata (ed è difficile vedere come possa esserlo) questa è una fal­ sa intenzionalità. Per quante casuali intuizioni un tale approccio possa produrre, non può offrire alcun aiuto nel rispondere ai veri enigmi del testo. Allo stesso modo sono difettosi i tentativi più tradizionali di comprendere il piano o il modello del Vangelo nel suo insieme, ad esempio quelli di PE TER F. ELLIS, The Genius o/ fohn ( 1984); GEoRGE MLAKUZHYIL, The Christocentric Lite­ rary Structure o/ the Fourth Gospel ( 1987), anche se la seconda opera in particolare è caratterizzata da una tecnica analitica raffinata che va al di là di tutti i precedenti tentativi dello stesso tipo. Nonostante queste riserve, lo studio letterario e strutturale del Vangelo merita una discussione più ampia di quanto non possa essere fatto in questa sede. Spero di ritornare su questo problema altrove. Cf cap. 14, n. 53. 120

decisaménte diverso. (Possiamo escludere qualsiasi definizione banale della « ma­ teria » di un poema quale l'inchiostro con cui è scritto) . Parte del materiale di una commedia o di un poema può essere ripreso in­ teramente da qualche altra parte. L'Enobarbo di Shakespeare desume la propria descrizione della barca di Cleopatra dal Plutarco di North ed esso stesso sugge­ risce a T. S. Eliot il punto di partenza per una descrizione di una Sedia. Ma nel complesso possiamo dire che la materia o il materiale di base di una com­ media è quell'aspetto dell'esistenza umana (che siano le usanze della corte di Carlo II o quelle del lavandino della cucina) che il suo autore ha scelto di rap­ presentare. Questo corrisponde abbastanza strettamente a ciò che ho chiamato contenuto. Allo stesso modo la spiegazione del « materiale » del Quano Vangelo deve coprirne il contenuto nei due sensi della parola: sia le tradizioni ereditate dall'evangelista che il mondo-pensiero che egli proietta. Ma, mentre nel caso della statua è abbastanza facile distinguere, per lo me­ no mentalmente, il bronzo dalla forma che lo scultore gli dà, tale netta divisione non è disponibile quando consideriamo opere letterarie. Se ci si domanda che cosa renda una statua come l'Età del Bronzo di Rodin un capolavoro, la rispo­ sta deve riguardare la sua forma. Ma per compiere la transizione dalla scultura alla letteratura può essere utile introdurre il termine « forma significativa >> di Clive Beli. Questo termine, per quanto di maggior valore per la sua suggestività che per la sua precisione, presenta il vantaggio di indicare che la bellezza creata dall'uomo non può essere completamente valutata senza ricorrere all a nozione di significato. Questo è certamente vero per le opere letterarie. Ma il significato di qualsiasi composizione scritta fonde contenuto e forma in un tutt'uno indissolubile.

Esiste, comunque, un altro senso in cui la nozione di spiegazione « formale » rilevante. Lo stesso Aristotele parlò spesso di questioni relative alla forma di una cosa come equivalenti al chiedere semplicemente che cosa fosse, o piuttosto

è

che tipo di cosa fosse. In letteratura questo significa porre domande sul genere di uno scritto. Si può pensare che questa domanda differisca solo leggermente dalle domande relative all'obiettivo o allo scopo di uno scritto; come si può fa­ cilmente vedere quando riflettiamo sulla natura di un poema epico o di una commedia. Ma sebbene la differenza sia leggera, non è meno cruciale. Le do­ mande sul genere assomigliano a quelle che i critici della forma pongono su for­ me particolari o Gattungen/ vale a dire che le risposte che cerca sono generali anziché particolari; si riferiscono al tipo di situazione, al tipo di destinatari a cui un'opera si rivolge. Poiché tali risposte vanno necessariamente al di là della stes­ sa opera d'arte, costituiscono quella sorta di risposta generale implicita in termi­

ni come « apologetico », « catechistico » e « kerigmatico », non quella sorta che comporta il menzionare una panicolare situazione storica, eccetto · che nei casi in cui anche questa debba essere descritta per specificare il genere o Gattung in questione. Presi insieme, questi due sensi di spiegazione « formale » coprono abbastanza bene ciò che ho chiamato zl lavoro stesso.

121

La terza · pme di qu�o libro (Rivelazione) è un ampio tentativo di risPon­ dere al secondo grande enigma di Bultmann: quale è il concetto centrale del

Vangelo, la sua Grundkonzeption ? Questo è realmente il problema del significato del Vangelo: che cosa ha fatto I' evangelista delle tradizioni ereditate e quale è il significato della sua scelta della forma vangelo? Domande, quindi, relative al ma­ teriale e alla forma. La terza parte si apre con Wl capitolo (Intimazioni dell'apocalittico) che rammenta la conclusione della seconda parte. Poiché il Quarto Vangelo è una consapevole appropriazione del genere vangelo, il capitolo successivo ( 1 1 ) è de­ dicato a una risposta alla domanda sul genere vangelo . ll capitolo 12, « Partenza e Ritorno », è un'ampia esegesi di Giovanni 14. D titolo del capitolo 13, « Pas­ sione e Risurrezione », si spiega da sé. L'ultimo capitolo, « D Mezzo e il Mes­ saggio », conclude lo studio del concetto giovanneo di rivelazione. Fortuitamente, la maggior parte del materiale usato nella seconda parte di questo libro deriva dalla prima metà del Vangelo, mentre la terza parte è principalmente concentra­ ta sulla seconda metà. n corpo di questo libro ·

è

intenzionalmente più discorsivo di quanto non sia

permesso, per sua natura, a un commento comune. Ma poiché ogni interpreta­ zione del Vangelo deve dipendere in ultima analisi da un attento studio del te­ sto, ho inserito a intervalli cinque excursus tecnici destinati ai lettori che sono già a conoscenza del testo greco e delle nozioni rudimentali dell'esegesi. Ciò rappresenta un capovolgimento intenzionale della procedura seguita dai com­ menti usuali, che si concentrano su un'esegesi sistematica e risetvano alle appen­ dici la trattazione diffusa spesso richiesta dal mondo concettuale di questo che è il più ricco dei Vangeli. Non pretendo di averne scandagliato le ricchezze. n mio . obiettivo è stato quello di migliorarne la comprensione.

122

PARTE SECONDA

GENESI

INTRODUZIONE Per potersi awenturare nella ricerca delle origini del Vangelo è necessaria qualche parola in più di spiegazione metodologica. Delle tante domande che si possono avere in mente nell'esaminare un'opera letteraria, due sono particolar­ mente importanti. La prima è quella di qualcuno interessato alla letteratura in se stessa. Possiamo chiamare questa persona l'esegeta, la cui preoccupazione principale, come abbiamo visto all'inizio di questo libro, è tl lavoro stesso. L'ese­ geta è preparato a usare una varietà di strumenti diversi - qualsiasi cosa capiti tra le mani - per determinare il significato dell'opera, e questo richiede una cer­ ta comprensione del contenuto di quest'ultima. La seconda domanda è quella dello storico: come può questo scritto parti­ colare aiutarci a comprendere il periodo in cui venne composto? Lo storico può essere interessato a una varietà di argomenti diversi: politica, commercio, cam­ biamento sociale, botanica, agricoltura, e molte altre cose ancora. Ciò che, tutta­ via, caratterizza generalmente l'approccio storico è che non affronta lo scritto per amore dello scritto ma per ciò che lo scritto stesso può dirci riguardo a qualcos'altro. E. P. Sanders, per esempio, nel suo Jesus and Judaism esplora e sfrutta un ampio numero di opere letterarie, inclusi i Vangeli Sinottici. Ma ciò che cerca di ricostruire e spiegare in quel libro non sono le origini dei Vangeli ma il ministero di Gesù. Scrive come un biografo. Rimane, comunque, un tipo di storico con un interesse diretto nelle opere letterarie che fornisce ad altri storici la maggior parte dd loro materiale origina­ le di documentazione. Questo è lo storico letterario, il quale, a differenza dell'e­ segeta, si occupa meno dell' interpretazione delle opere in questione che del porle nel loro contesto storico, o collegandole con la cultura e la società contempora­ nee o spiegandone la genesi in termini di fonti e influenze. Ciò comporta il get­ tare la rete in lungo e in largo, poiché la spiegazione qui ricercata racchiude molto più di un testo singolo o di un gruppo di testi: dipende dalla compren­ sione delle circostanze nelle quali una particolare opera o una serie di opere vennero composte e può, come è stato dimostrato da Lucien Goldmann, 1 nel a « Structuralisme génétique et création littéraire ,. . GoLDMANN dichiara che l'analisi let­ teraria comprende due procedimenti alquanto distinti. n primo di questi, comprensione, comporta il tentativo di comprendere il testo dall 'interno senza apportarvi aggiunte o avventurarsi al di fuori di esso. Questo, grosso modo, equivale a ciò che chiamo esegesi. n secondo procedimento, spiega­ zione, non può essere svolto senza considerare fattori e forze esterne al testo stesso: si occupa del­ la questione su come il testo arrivò a essere scritto, la sua genesi, e può altrettanto riguardare ogni manufatto o attività umana che possa legge�i come un testo strutturato. Come esempi Gold­ mann prende Racine e Pascal (due scrittori studiati approfonditamente nella sua opera più fa· mosa, Le Dieu caché). La visione tragica del teatro di Racine e dei Pensieri di Pascal può essere colta dali,interno, ma per spiegar/e nel senso inteso da Goldmann è necessario tra le altre cose

125

cessitare del discernimento di strutture --�profonde delle quali lo scrittore stesso può non essere consapevole.

La distinzione tra storico ed esegeta non è impermeabile. Questo accade specialmente, come nel caso di tutti e quattro i Vangeli, quando l'opera in que­ stione non è né pura fantasia (per quanto anche questa può rientrare nelle competenze dello storico) né pura storia ( anche se le opere dei maggiori storici da Erodoto in poi possono essere considerate semplicemente come letteratura)

ma una mescolanza delle due. 2 Questo è il motivo per cui qualsiasi studio dei Vangeli che ne trascuri il contenuto « fattuale » può offrire al massimo una comprensione parziale del loro significato. Nel motivare la genesi del Quarto Vangelo ci si deve focalizzare principal­ mente sulle sue idee. Dopo tutto, queste sono ciò che lo differenziano dagli al­ tri Vangeli e lo rendono così difficile da spiegare. Di qui l'importanza del pri­ mo enigma di Bultmann. Ma chiaramente le idee del Vangelo devono anche im­ pegnare la nostra attenzione quando il nostro obiettivo primario

è quello di il significato. Alcuni possono ritenere che la sovrapposizione sia così grande da rendere la distinzione impraticabile. Nel capitolo 6, per esempio, in­

spiegarne

dago sul dualismo del Vangelo esaminando alcuni concetti chiave che sono an­ che elementi importanti nella struttura del suo significato. Quel capitolo non do­ vrebbe appartenere alla Terza Parte anziché alla Seconda Parte? Bene, la mia

motivare il dualismo del Vangelo e di vedere come è sviluppato e articolato, in altre parole, di trovare una ri­ sposta al primo enigma di Bultmann. Anche per lui, come si ricorderà, il duali­

preoccupazione a quel punto sarà quella di non

smo del Vangelo non può essere spiegato dall'interno. Quindi, a condizione che la distinzione tra storia (spiegazione nel senso di Goldmann) e esegesi (che Gold­ mann chiama comprensione) venga impiegata con flessibilità e non irrigidita o esagerata, essa può essere di qualche aiuto. Nella Seconda Parte, di conseguenza, che include la mia risposta al primo enigma di Bultmann, mi accosto al Vangelo da storico, cercando di spiegarne la genesi dall'esterno. Nella Terza Parte, dove la mia risposta al secondo enigma di Bultmann, la rivelazione, è fondamentalmente simile alla sua, la mia finalità sarà più chiaramente esegetica.

analizzare la struttW'a del giansenismo. Una comprensione di questo permetterà di rpiqpe Racine e Pascal. Spiegare il giansenismo, che può essere esso stesso letto come un testo strutturato, compor­ terebbe, egli afferma, un'analisi della struttura della noblesse de la robe nella società francese dd diciassettesimo secolo. 2 La natura della mescolanza può variare dai drammi storici di Shakespeare e dalle novelle di Walter Scott a scritti più moderni e tanto diversi tra loro come Guerra e Pace, Le Memorie di Adriano, L'Albergo Bianco, e Il Pappagallo di Flaubert.

126

4 DISSENSO RELIGIOSO

1.

Fonnulazione del problema

All'inizio di qualsiasi ricerca storica ci si può attendere una certa spiegazio­ ne delle domande per le quali viene cercata una risposta. Naturalmente, senza nessuna conoscenza dei problemi o delle opinioni sulle possibili soluzioni non si potrebbe nemmeno in primo luogo formulare le domande. Quando Bultmann pone (o propone) i suoi due enigmi giovannei è profondamente consapevole del tipo di risposta che sta cercando. TI suo primo enigma, la posizione del Vangelo nel cristianesimo primitivo, implica che la difficoltà fondamentale sia quella di spiegare il passaggio importante dal messaggio dei più antichi predicatori cristia­ ni a quello del quarto evangelista. La sua soluzione, che pone un'ipotetica fonte gnostica tra il prima e il dopo, isola di fatto l'insegnamento caratteristico di Giovanni da altre fonti e influenze. In ogni caso, se vogliamo evitare di rimane­ re intrappolati nella problematica personale di Bultmann dobbiamo cambiare o piuttosto ampliare la sua domanda: credo che sia invece necessario chiedere quale sia la posizione del Vangelo nella storia del pensiero giudaico (lasciando il termine « giudaico » temporaneamente vago, poiché qualsiasi definizione più ac­ curata pregiudicherebbe l'oggetto della nostra ricerca) . Evidentemente tale rifor­ mulazione della domanda comporta dei propri presupposti, la cui giustificazione è in parte la finalità del presente capitolo. n vangelo stesso presenta un certo numero di porte diverse attraverso cui possiamo entrare: si potrebbe, per esempio, scegliere di iniziare con alcuni dei suoi temi centrali, specialmente i titoli di Gesù e le pretese da questi avanzate. Poiché se la domanda che viene posta è la posizione del Vangelo nel pensiero giudaico sembrerebbe preferibile iniziare con idee o simboli (Messia, profeta, Figlio dell'uomo, ecc.) di indiscutibile provenienza giudaica, e considerare come sono stati trasformati per rispondere alle nuove finalità del quarto evangelista. Ciò è infatti quello che si tenterà nei successivi capitoli. Ma per prima cosa vale la pena provare a specificare il più chiaramente possibile la natura della comu­ nità nell'ambito della quale il Quarto Vangelo venne concepito e dato alla · luce. Esistono due possibili prospettive su questo problema, una vicina e l'altra di­ stante. n prossimo capitolo esaminerà più da vicino le origini della comunità e le immediate circostanze della composizione del Vangelo. Nel presente capitolo viene preferita la prospettiva più distante, e questo comporta un tentativo di lo127

calizzare le origini della comunità giovannea nel periodo del Secondo Tempio,

ciò che gli studiosi erano soliti chiamare, confusamente, tardo giudaismo . 1 Però

è

prima necessario essere chiari sui termini del nostro problema. Nel­

l' interrogarci sulle origini del Vangelo stiamo cercando le fonti, le influenze, o semplicemente un ambiente? Tutti e tre, certamente, 2 ma spesso abbiamo biso­ gno di guardare in posti diversi.

a) Fonti Un evidente merito del commento di Bultmann è

la

precisione con cui egli

delinea le fonti del Vangelo : fonte dei segni, fonte del discorso-rivelazione, nar­ razione della passione. n lavoro dell'evangelista nell'organizzare e adattare questi

vari materiali è lasciato aperto alla verifica e ciò che sembra altrimenti inspiega­ bile

è

prontamente spiegato. Ma, ad eccezione del Prologo e forse della narra­

zione della passione, le fonti suggerite da Bultmann non hanno ottenuto ampio riconoscimento. E anche se includiamo la fonte dei segni e un indefinito nume­ ro di narrazioni e dett i del tipo sinottico, rimaniamo ancora con il materiale che Bultmann assegnò alla fonte della rivelazione; ed

è

questo, unitamente al contri­

buto proprio dell'evangelista, ciò che dà al Quarto Vangelo il suo peculiare sa­ pore. Nessuna teoria delle fonti avanzata sinora

è

qui di aiuto. Anche ipotizzan­

do che un altro pastorello arabo fosse abbastanza fortunato da scoprire per caso un documento intimamente simile alla fonte del discorso-rivelazione di Bui

..

tmann, verrebbe ancora lasciato agli studiosi futuri il compito di spiegare come questa meravigliosa nuova scoperta sia arrivata ad essere scritta. In generale nes­ suna teoria delle fonti offre più di una parziale introduzione ad un'opera di let­ teratura Oa spiegazione

Macbeth

o del

conoscendo il

«

materiale

>>

di Aristotele) . Quanto si comprende del

Cymbeline conoscendo le Cronache di King Leir? In questo frangente sembra

Holinshed, o del

Re Lear

preferibile rimanere con il

V angelo stesso invece di spostare il problema ancora più indietro sino al lavoro di uno sconosciuto genio religioso. Che esistesse un genio religioso dietro e al di là dell'opera del quarto evan­ gelista

è

una verità il cui significato viene spesso trascurato. Ma il contributo di

Gesù al suo pensiero non è facilmente delineato, e in ogni caso viene meglio caratterizzato come un'influenza che come una fonte. 1 « Secondo Tempio » indica il lungo periodo (più di mezzo millennio) tra la ricostruzione del Tempio dopo l'esilio babilonese verso la fine del VI secolo a.C. e la sua distruzione nell'anno 70 d.C. D termine omette di prendere in considerazione l'importante lavoro di restauro eseguito da Erode il Grande, restauro che durò più di ottaneanni e venne completato meno di un decen­ nio prima della fatidica data del 70 d.C. 2 Cf la discussione nel precedente capitolo, § 3.

128

b)

In/lumt�

La predicazione e l'insegnamento di Gesù, la sua opera di maestro e di esorcista, il suo impatto sui discepoli, il processo e la crocifissione, e le creden­ ze che sorsero su di lui dopo la sua morte - tutti questi vanno inclusi, e ri­ cordati, in qualsiasi trattazione sulle influenze sul Quarto Vangelo. Ma queste stesse influenze modellarono anche i Vangeli Sinottici, con risultati ampiamenti diversi; per cui

è

necessario gettare la nostra rete più al largo.

Quanto più al largo? Certamente abbastanza da coprire tutta la scena reli­ giosa nella Palestina contemporanea . Ma per far ciò soddisfacentemente siamo costretti a dare uno sguardo indietro - forse sino alle liti tra sétte nell'Israele del dopo esilio - e avanti - forse tanto avanti sino agli Anni Oscuri. Si ammetterà senza difficoltà che dobbiamo guardare indietro. Come qual­ siasi altro evento storico, i movimenti religiosi nella Palestina del I secolo vanno in parte spiegati come risposte a eventi e situazioni contemporanei (come il sempre più ossessivo fardello delle tasse) , in parte come eredità del passato. I molteplici scritti che testimoniano i fermenti religiosi del periodo del Secondo Tempio devono tutti essere analizzati nella ricerca di tracce delle idee che si può plausibilmente ritenere abbiamo influenzato i primi pensatori cristiani. A questi va aggiunta la Bibbia Ebraica, l'influenza più owia di tutte, che fosse o meno esercitata direttamente o attraverso la mediazione dei Settanta. Se fosse possibile dare spiegazione della genesi del Vangelo ricorrendo a fonti e influenze anteriori ad esso o più o meno contemporanee ad esso, allora il nostro compito sarebbe quello relativamente semplice di assemblare e correla­ re questi materiali. Sfortunatamente, tuttavia, non è questo il caso. Siamo obbli­ gati a estendere la nostra ricerca per includere scritti composti successivamente, alcuni dei quali molto più tardi del Vangelo stesso. Nel fare ciò siamo esposti al rischio di trovarci impegnati in lunghi viaggi sia nel tempo che nello spazio. Perché il fatto più sorprendente riguardo alle fonti e influenze ipotizzate

è

la loro gamma e diversità. Le sofisticate allegorie

di Filone possono essere state composte quasi nello stesso periodo di alcuni dei documenti di Qumran, ma concettualmente sono due mondi a parte. Lo stesso è vero della Hermetica, quella strana miscela di stoicismo e platonismo dalla quale Dodd attinse cosi ampiamente. Alcuni di essi sono più o meno contem­ poranei a parti del Talmud, ma li finisce la rassomiglianza. Geograficamente, le localizzazioni dei diversi scritti spaziano dall'Egitto all'Iraq, cronologicamente, dal m secolo a.C. (la data delle prime sezioni di l Enoch) all 'VIII o IX secolo d.C.

Se guardiamo a un singolo tema, quello del « re-profeta » nel libro di Meeks che porta questo titolo/ troviamo che nella ricerca delle origini di que-

) Scelgo il Prophet-King di MEEKS non perché sia particolarmente cattivo ma perché è parti­ colannente buono. Veramente, è un modello del genere monografico, meticolosamente ideato e

129

sto 50ggetto relativamente marginale egli esamina un ampio numero di diversi nuclei letterari: scritti rabbinici, samaritani, e mandeani, Filone, Giuseppe Fla­ vio, e i manoscritti del Mar Morto. Nessuno di essi viene . del tutto scartato, per quanto Meeks dia più peso ad alcuni rispetto ad altri. Non esiste alcuna ipotesi che Giovanni in realtà abbia attinto ad una di queste fonti, la maggior parte delle quali sono troppo posteriori perché le abbia conosciute; ma è implicito che in ogni caso l'origine della tradizione, per esempio, la fonte giudaica del concetto di Filone di Mosè come re-profeta, può aver esercitato una certa in­ fluenza sullo scrittore del Vangelo. Esiste, io sostengo, un'immagine o un modello individuabile nell'opera ·di Meeks e in altri studi che, come il suo, usano l'> in Giovanni 7,49), trattasse i Giu­ dei come stranieri e trascurasse di confutare l'accusa di essere egli stesso un Sa­ maritano (8,48 ) . ll fatto che i Samaritani fossero o meno coloro che in realtà si opposero al­ la ricostruzione del Tempio nel tardo VI secolo è meno importante per i nostri obiettivi del fatto che Giuseppe Flavio pensasse che lo fossero. Poiché l'identifi­ cazione nella fonte (Esdra) non è chiara, è probabile che Giuseppe Flavio stesse rileggendo nelle condizioni e attitudini passate ancora vive ai suoi tempi. I libri di Esdra e Neemia, rappresentando la posizione ufficiale del potente partito che ho con esitazione identificato con « i Giudei », mostrano (alla stre­ gua dei libri delle Cronache) un interesse di primaria importanza riguardo al Tempio e alle sue pertinenze. Molto più tardi, vari elementi testimoniano la sta­ bile importanza del Tempio e l'ostilità provocata da quella che venne vista come corruzione endemica dei suoi amministratori. Dal lato positivo, un autore del ll secolo parla di « quelli che vivono intorno al grande tempio di Salomone » in un passo che li distingue come pii ( e:ùae:�e:'Lç) e distingue i loro precedessori co­ me giusti ( 8(x�XLod .'4 Dal lato negativo, vari documenti settari indicano una profonda diffidenza, se non verso il Tempio stesso, almeno verso i riti ivi compiuti: 1 Enoc) il Testa­ mento di Mosé) la Regola di Damasco.'' Si è portati a riflettere su quanto poco " Cosi R.

J . CoGGINS, in riferimento al Secondo Isaia, conclude riguardo « agli abitanti dd

nord e . . . quelli che erano rimasti in Giuda durante l'esilio » che « questi due gruppi giunsero a

r uno con l'altro, e vennero entrambi rifiutati come parte non vera del popolo di (Samanians and ]ews, p. 37). Sib. Or. iii . 2 13 ss; d 702-704 e 573-579, dove vengono dencati i sacrifici offerti nd Tem­

essere identificati Dio » 14

di Omero, Il ix. 500 e xxiii . 146). Anche un frammento di Polibio menziona « quelli tra i Giudei che abitano il cosiddetto luogo santo di Gerusalemme » ( 't'WV ' lou8«(wv ot Ttept 't'Ò tepòv 1tpoa«yopeu61-1evov • JepoaoÀu(.L« x«-roLxoùv-reç, Polibio xvi. 39. 5 ) . Giuseppe Flavio, che lo cita (A] xii. 136), legge tepòv come un riferimento al Tempio, non come un aggettivo che qualifica • lepoa6ì.uf.L«. " l Enoc 89,73; Test. Mos. 5,1-6 ( « Inquineranno la casa della loro venerazione con le usanze dei Gentili; e . . . la loro città e le loro dimore saranno riempite di crimini e iniquità •); CD 4. 16pio, inclusi ÀoL�1j 't'e xv(aan ·r'�8'«ò6' tep«i:ç ÈX«'t'OtJ.�«Lc:; ( una fusione

155

si conoscerebbe circa i gruppi religiosi alternativi al di fuori deU'establishment giudaico se dovessimo basarci sugli scritti approvati o canonizzati dalle scuole rabbiniche iniziate dallo Scriba, secondo la tradizione, durante l'era del Secondo Tempio. Sia dentro che fuori della Palestina esiste ampia dimostrazione - la più conosciuta e imponente è costituita dai Manoscritti di Elefantina 56 - di violazioni continue e flagranti del codice deuteronomico.'7 All'interno della Pale­ stina c'è forse una distinzione da tracciare tra il rigido conservatorismo della stessa Giudea e la maggiore flessibilità di altre regioni, più ricettive verso le in­ fluenze ellenistiche di un genere riconoscibilmente non giudaico (come i ginnasi pubblici) .'8 Questo può essere un ulteriore argomento in favore dell'esistenza di un partito del tempio rigidamente ortodosso con considerevole autorità su di un'area abbastanza piccola. Due secoli dopo non vi è alcuna probabilità di una maggiore uniformità. Se il giudaismo che conosciamo oggi è un unico albero (sebbene con un certo numero di rami), al tempo di Gesù era una giungla. Giuseppe Flavio parla di tre sette religiose ( cxtpÉ:(jeLç) o filosofie ( cpLÀO(jocp(cxL) - Farisei, Sadducei, e Es­ seni - più una quarta, generalmente identificata con gli Zeloti, non tanto una setta religiosa quanto un movimento di liberazione. Ci narra che esistevano cir­ ca seimila Farisei e quattromila Esseni 59 (tra i quali, come viene ora general­ mente convenuto, c'era il gruppo di Qumran). Se le altre due sette erano assi­ milabili in grandezza, la quarta tra di esse incideva solo in piccola proporzione sugli abitanti della regione, probabilmente diverse centinaia di migliaia in questo 18; 5. 6-7. Alcune critiche sul culto del tempio si trovano anche nei Salmi di So/omone, soli­ tamente considerati una produzione di circoli farisaici: Pss. Sol. l. 8; 2. 2, ecc. G. W. E. NICKELSBURG pensa che tali passi semplicemente riflettano la « discussione halakhic tra i Farisei e Sadducei » (]ewish Literature, p. 212). Esiste una traccia di una simile attitudine nella conversa­ zione di Gesù con la Samaritana, Giovanni 4,20-4; e più di un accenno nel discorso attivista e provocatorio di Stefano in Atti 7. Ma lo stesso Gesù, nonostante tutta la sua ira verso i venditori e i compratori nel recinto del Tempio (se i Vangeli dicono il vero a questo riguardo), continuò a considerarlo luogo di preghiera, come fecero i suoi primi seguaci. Una certa indicazione della (crescente) disaffezione del gruppo giovanneo verso la religione ufficiale del partito giudaico di centro può essere vista nella insistenza altisonante del Vangelo sulla giudaicità delle feste e delle usanze giudaiche (2,6. 13; 5,1; 6,4; 7 ,2; 1 1,55; 19,42 ) . Persino i Greci convertiti, senza dubbio, non avevano necessità che fosse loro ricordato che la Pasqua giudaica era « una festa dei Giudei • . 56 Cf Aramaic Papyn: a cura di A. CowLEY. " La prova viene convenientemente raccolta da MoRTON SMITH nel cap. 4 (intitolato « The Survival of the Syncretistic Cult of Yahweh ,. ) del suo arguto, per quanto controverso, libro: Pale­ stinian Parties and Politics, pp. 82-98. Smith spiega la diffusione di ciò che egli chiama « il partito del solo Jahvè » nella diaspora in quanto conseguente al culto sincretistico, e porta ad esempio le lettere inviate dalla comunità di Gerusalemme ai Giudei in Egitto che raccomandano loro di os­ servare la festa delle capanne (Hanukkah ) in 2 Mac 1,1ss (p. 96 n. 89) . � Cf J. GoLDSTEIN, « Jewish Acceptance and Rejection of Hellenism », pp. 64-87. " A] xvii . 42; xviii . 20; d FILONE, Quod Omn. Prob. 75.

156

periodo.60 Come con un affresco · gravemente danneggiato, la nostra certezza che il dipinto originale fosse molto più grande dei frammenti soprawissuti non ci dona alcuna vera speranza di essere in grado di restaurarlo con accuratezza. È ora ampiamente ritenuto che devono esserci state molte più sètte di quelle menzionate da Giuseppe Flavio: « D nwnero di tipi e varietà potrebbe probabilmente essere stimato in dozzine » . 61 Due denchi di poco successivi (ll secolo) ci fanno capire la superficialità della nostra conoscenza. Hanno tre nomi in comune: Farisei, Sadducei, e Galilei. Poi divergono. Egesippo 62 menziona in aggiunta gli Esseni, i Samaritani, gli Emerobattisti, e i Masbotei; Giustino (egli stesso proveniente dalla Samaria) non fa alcuna menzione dei Samaritani ma no­ mina invece i Genisti, i Meristi, i Battisti, e gli Elleni.63 Vale la pena notare ciò che dice di essi: sebbene tutti chiamassero se stessi « Giudei e figli di Abra­ mo » e professassero la · loro fede in Dio, in realtà non sono, propriamente par­ lando, Giudei, tanto meno cristiani. Qui sembra esselVi un uso finale del termi­ ne « Giudei >> per indicare una particolare tradizione religiosa distinta da tutte le altre.

h) Il tardo I secolo È difficile immaginare l'effetot della catastrofica ribellione contro Roma sulla Giudea. Con la distruzione del Tempio, la potente casta dei sacerdoti indicata nei Vangeli come « i sommi sacerdoti » aveva perso la propria raison d'etre. Sembra probabile che i sacerdoti si siano raggruppati insieme ai Farisei molto influenti in un tentativo di riottenere il controllo e di presetvare quanto poteva­ no delle loro tradizioni. n loro successo è testimoniato dalla straordinaria ab­ bondanza di legislazione raccolta nella Mishna in relazione a un defunto culto del tempio.64 Allo stesso tempo i Farisei possono aver afferrato la loro opportu­ nità di liberarsi di un nome con connotazioni isolazioniste e settarie. Ciò può 60 Cf M. BROSHI, « The Population of Western Palestine ,., n suo articolo è finalizzato alla dimostrazione « che la popolazione della Palestina nell'antichità non superava un milione di perso­ ne ,. (p. 7). Ma precisa che probabilmente non era lontano da questa cifra nei periodi non di punta. 61 M . E. STONE, Scriptures, Sects and Visions, p. 58. 62 Citato da EusE B IO , HE iv. 22 . 7. 6J Dia!. 80. 4. IPPOLITO (ID secolo), in un passo piuttosto oscuro relativo ai Farisei, dice che essi sono tutti chiamati Giudei ma hanno anche nomi personali (v.l. appropriati) a causa del­ le opinioni singolari che hanno: 7ttXVTwv (J.Èv ' l ou8�((ù., xClÀou(J.é"w", 8tiX 8è 't'tX ( 1 3 , 1 1 ) : il passo della vite appartiene a una situazione di potenziale e reale apostasia. Infine, sebbene i detti con « Io sono » siano tutti rivelatori nel pieno senso del termine, siano essi rivolti al mondo in generale, al giudaismo contempora­ neo, o alla comunità cristiana, contengono tutti però una risposta implicita alle ripetute richieste di una prova dello status profetico di Gesù. Che il messaggio di Gesù possa essere una fonte di vita è la miglior prova possibile di un'auto­ rizzazione dall'alto - non più un appello ad un segno esterno, ma una testimo­ nianza della natura essenziale del messaggio stesso: « Tu hai parole di vita eter­ na » ( 6,68 ) . Nonostante la distinzione tra controversia e rivelazione (una distin­ zione che ancora vale la pena di tracciare) , nell'esperienza del gruppo giovanneo le due cose andavano di pari passo: la sfida dei Farisei indusse alla riflessione sul significato della fede in Gesù, mentre la vita di fede del gruppo trovò espressione in dichiarazioni profetiche che erano in se stesse una risposta irrefu­ tabile alle richieste di conferma delle rivendicazioni che la fede implica. c) Enigma L'obiettivo dell'enigma può apparire diametralmente opposto a quello dei detti rivelatori che abbiamo appena considerato: « A voi è stato confidato il mi­ stero ( f.Lu(jTI)pwv) del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole (Èv 7tcxpoc�oÀcxl"ç), perché: guardino ma non vedano) ascoltino ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato » (Mc 4, 1 1s). Nello strano detto che segue la parabola del seminatore nel Vangelo di Marco la fun­ zione dell'enigma che crea essenzialmente divisione è chiaramente sottolineata: separa gli estranei dai seguaci, l'ignorante e lo sciocco dai cognoscenti. Sebbene Marco e Giovanni si differenzino per il posto che assegnano nei loro Vangeli all'enigma, tuttavia concordano non solo sulla sua funzione ma anche sulla sua importanza centrale; perché cos'è l'auto-rivelazione di Gesù nel Quarto Vangelo se non la versione giovannea del regno di Dio? Per cui il contenuto dell'enigma è lo stesso di quello dei detti profetici; l'enigma racchiude, come in una scatola, ciò che deve essere rivelato. È quindi la quintessenza dell'apocalittico. Alcuni 186

posseggono la chiave di questa · scatola; altri vetgono pennmentemente tenuti al­ l'oscuro. L'associazione paradossale tra enigma e rivelazione è cosl stretta che in un caso, come abbiamo visto, i due sono combinati in un unico detto: « Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete » ( 6,35 ) . Qui abbiamo un detto con « Io sono » - un loghion profeti­ co che riunisce il precedente midrash sulla manna in una frase formalmente in­ distinguibile da tutti gli altri detti con « Io sono » che abbiamo appena conside­ rato. Ma il contesto è ora di sfida e discussione. D pane di vita è una variante per il pane del cielo, un'espressione consapevolmente ambigua che per gli inter­ locutori di Gesù, i Giudei, può solo significare la manna data nel deserto ( &p­ -roe; Èx -rou oùpocvou : Es 16,4; &p-roe; oùpocvoG: {LXX) dal Sal 77,24) . Solo nel suo nascosto significato esoterico lo si può riferire all 'auto-rivelazione di Gesù, un paradosso che richiama decisamente la finalità assegnata alle parabole da Marco. TI detto consapevolmente e deliberatamente crea divisione e la conse­ guente incomprensione è attesa e permessa. La migliore e più completa discussione suD'.enigma si trova in Ratsel und Missverstiindnis di H. Leroy.56 Leroy non è il primo ad aver notato nel Vangelo la volontaria ambiguità di certe espressioni; ma nessuno prima di lui aveva ten­ tato una spiegazione del conseguente modello di incomprensione secondo linee della critica delle forme. Tutti gli enigmi sono finalizzati a far perdere le tracce alla folla, ma ciò può essere fatto in modi diversi. Nella sua forma giovannea l'enigma è una di­ chiarazione in cui una parola o una frase hanno due significati, un significato superficiale e un significato nascosto che è oscuro a tutti eccetto a colui che parla e anche a coloro che « sono addentro alle cose segrete ». Nella forma usuale dell'enigma la soluzione raramente dipende dall'accesso a una speciale fonte di informazione, anche se l'arguzia e l'ingegnosità del pubblico possono certamente essere messi alla prova al di là dei limiti ragionevoli. Ma in molte società (i Druidi ne sono un buon esempio) la possibilità di una corretta inter­ pretazione dipende interamente da una speciale rivelazione risetvata a un sele­ zionato gruppo di iniziati. In questo tipo di sfondo sociale gli iniziati si distin­ guono dai profani per il possesso di una chiave che viene gelosamente custodi­ ta. n medesimo modello opera in numerosi miti e favole. È facile vedere che molte tra le dichiarazioni di Gesù nel Quarto Vangelo hanno il sapore di un enigma. « Distruggete questo tempio », disse Gesù (2, 19), ' 6 LEROY viene spesso criticato per la posizione troppo rigorosa sull 'ironia di Giovanni . Cf F. VouGA, Le Cadre historique, p. 32, n. 58, che considera la sua conclusione « superficiale ,., mentre R. A. CuLPEPPER la definisce « una definizione troppo rigida » (Anatomy, p. 154) . Ma Leroy non pretende di offrire una completa rassegna di tutti gli strumenti ironici di Giovanni. La recensione di R. BROWN in Bib 5 1 ( 1970), 152- 154 non coglie il punto della ricerca di critica della forma di Leroy.

187

dopo di che l'evangelista nota che egli si stava riferendo al tempio del suo cor· po. Ma come potevano coloro che lo ascoltavano, stando all'interno del Tempio,

saperlo? « Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da .bere!", tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato acqua viva » (4, 10) . L'acqua viva \J8c.ùp �&v il primo significato di questa frase è ac­ qua corrente o che sgorga. Come ci si poteva attendere che la Samaritana sapesse che Gesù interpretava la parola in senso letterale (acqua viva) e la applicava alla propria rivelazione? O come ci si poteva attendere che lo sconcertato Nicode­ mo, di fronte a un commento relativo al suo nascere &vw6e:v (che egli interpre­ tò con: « una seconda volta »), potesse interpretarlo subito come: « dall'alto »? . Dovremmo fare attenzione a non presupporre che la funzione dell'enigma sia ovunque la medesima. Leroy, forse influenzato dai primi studi di critica del­ le forme sul Nuovo Testamento, suggerisce due diverse circostanze di vita: pre­ dicazione e catechesi. Quindi quando Gesù dice ai suoi discepoli: « Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete » (4,32 ), la loro naturale incomprensio­ ne viene immediatamente corretta. Per Leroy questo è un esempio di come un maestro, nell'istruire i catecumeni, potesse sostenere la propria autorità ricorren­ do direttamente alla predicazione di Gesù. Leroy sottolinea anche che, sebbene questo enigma sia formalmente identico agli altri, il fatto che coloro che ascolta­ no Gesù siano ora i suoi discepoli indica un differente Sitz-im-Leben." Comunque sia (e alcune delle dettagliate conclusioni di Leroy sono certa­ mente aperte alla discussione), vi è nel Vangelo un enigma, il più comune ma forse il meno notato, che assolve due funzioni abbastanza distinte. È il termine u7t&ye:Lv . Nel discorso ordinario ciò significa ritirarsi o indietreggiare. Nel lin­ guaggio speciale di Giovanni tale termine denota l'evento Pasqua, comprendente la passione, morte, e risurrezione di Gesù, cioè la sua partenza da questo mon­ do ed il suo ritorno al Padre. Delle trentadue volte in cui la parola ricorre nel Vangelo, diciassette hanno il significato speciale. Esiste un precedente dell'uso del termine per fare riferimento alla passione (Mt 26,24; Mc 14,2 1 ) ma nessuno per indicare il mistero di cui è circondato nel Quarto Vangelo. n significato speciale si trova in due serie di testi: (a) una serie limitata ai capitoli 7 e 8, in cui Gesù parla con i Giudei; (b) una serie limitata al discorso di commiato, capitoli 13- 16, in cui Gesù parla con i suoi discepoli. La parola ricorre anche una volta in un commento dell'evangelista, 13,3 3, dove, come do­ vremmo aspettarci, la usa nel suo speciale significato. Ora è importante riconoscere che queste due serie di testi sono distinte l'u­ na dall'altra non semplicemente per le loro posizioni relative nel Vangelo e per il fatto che in un caso Gesù sta conversando con i suoi nemici e in un altro con i suoi amici, ma anche per il tipo di incomprensione che viene mostrata nei -

" Rmsel,

188

p.

1.54.

-

due casi. Nella prima serie di testi l'incomprensione è totale. Gesù usa la parola nel suo senso speciale, della sua imminente partenza dal mondo, e coloro che lo ascoltano, almeno all 'inizio, credono che la usi nel senso ordinario del termine. Nella seconda serie i discepoli si accorgono che Gesù sta parlando della sua partenza dal mondo ma non hanno ancora compreso ciò che questo comporta. Quando chiedono: « Dove vai? » ( 13,36) o dicono di non sapere dove stia an­ dando ( 14,5 ), sono per lo meno sulla stessa lunghezza d'onda: a differenza delle domande dei Giudei nei capitoli 7-8, i loro commenti sono realmente diretti a ciò che Gesù ha detto. Infine, mentre Gesù dice ai Giudei chiaramente che non possono seguirlo là dove sta andando (8,2 1; cf 13,33 ), l'incapacità dei di­ scepoli di seguirlo è solo temporanea: « Dove io vado per ora tu non puoi se­ guirmi, mi seguirai più tardi » ( 13,36) . . Le differenze tra le due serie di testi sono significative. Nella seconda serie l'evangelista ha adattato il tema tradizionale dell'incomprensione dei discepoli per dimostrare (come si trova anche in Marco ) che non può esservi completa comprensione del messaggio di Gesù finché egli è ancora nel mondo. La divi­ sione sottintesa è temporale: prima contro dopo. Nella prima serie di testi la di­ visione è morale, tra Gesù e i Giudei. Si presume naturalmente che i lettori del Vangelo condividano completamente la privilegiata comprensione dell'evangelista, ma in un caso ciò accade perché hanno il beneficio del senno di poi, o piutto­ sto per la loro fede pur senza vedere che è benedetta da Gesù; nell'altro caso essi sono messi in grado di guardare sdegnosamente giù verso i Giudei ignoran­ ti dall a loro cittadella della conoscenza dall 'alto. Nella seconda serie di testi, poi, l'evangelista ha usato la forma dell'enigma per illustrare un aspetto essenziale della forma vangelo . Nella prima serie, più ti­ pica della sua pratica generale, egli sfrutta l'enigma per smascherare l'abisso spa­ lancato che separa la conoscenza e la saggezza di Gesù (e quindi anche dei suoi discepoli) dall 'ignoranza dei Giudei che lo ascoltano: di fronte alla certa onniscienza di Gesù i suoi interlocutori sembrano un gruppo insulso, persino stupido. L'enigma innesca un'immediata incomprensione, e questa persiste. Alcuni tra gli interlocutori di Gesù, vale a dire Nicodemo e la Samaritana, ne escono più agilmente dei Giudei in blocco. Gesù continua a conversare con loro e la loro incomprensione può essere parzialmente dissipata. Nella struttura del Vangelo, tuttavia, questi due personaggi appaiono prima che le dispute con Gesù sfocino nella violenza. Nessun dubbio che sia sottinteso che i lettori del Vangelo, già informati, sorridano di fronte allo sconcerto di Nicodemo e della Samaritana mentre brancolano alla ricerca della chiave nascosta. Ma anche in questo caso sappiamo che Gesù sta in effetti offrendo la chiave a chiunque de­ sideri prenderla. Nel capitolo seguente (5,18) l'wnore cambia drammaticamente, e nel capi­ tolo 8 la discussione degenera in rissa. Qui l'effetto della serie di enigmi non è 189

semplicemente di ampliare l'abisso tra le due parti ma anche di �re i letto­

ri tra i pochi privilegiati capaci di cogliere il significato di tutto ciò che Gesù sta dicendo. Oltre a rassicurarli del loro status privilegiato, la loro capacità di interpretare ciò che confondeva i Giudei aumentava il loro senso di isolamento. d) Conclusione

Nelle pagine precedenti non è stato effettuato nessun tentativo di presenta­ re un ritratto completo della comunità giovannea. Nulla è stato detto della sua vita sacramentale '8 e abbastanza poco della natura delle sue aspettative escatolo­ giche. La sfida alternativa all'autorità di Gesù presentata dalla tradizione di Mo­ sè è stata ampiamente ignorata. Non è stata toccata neanche la suggestiva teoria di Wayne Meeks sul rafforzamento armonico tra teologia ed esperienza sociale. Queste omissioni rappresenterebbero una seria lacuna se questo capitolo avesse avuto l'intento di occuparsi principalmente della comunità come tale. Tale lacu­ na verrà parzialmente colmata nei capitoli successivi. Quello che ho tentato di fare qui è di dare una qualche indicazione del come e del perché l'insegnamen­ to della comunità venne modellato nel modo in cui lo conosciamo. Io credo che uno studio critico delle forme più dettagliato e concentrato servirebbe ad ali­ mentare e rafforzare questa impressione. Tale studio dovrebbe essere centrato sulle parole di Gesù, nei discorsi e nelle controversie. Fu in esse, dopo tutto, che il quarto evangelista e la sua comunità cercarono e trovarono « spirito e vita » . 4. Un luogo e

un

nome

I commentatori cristiani del XIX secolo non ebbero nulla da dire suoi pro­ blemi sollevati finora in questo capitolo. Erano molto più interessati al nome dell'evangelista e al luogo in cui egli scrisse il suo Vangelo, questioni che po­ trebbero sembrare offrire un gradito momento di tregua da teorie campate in aria, fornendo risposte costruite su qualcosa di più solido dell'aria. Ma è cosi? Chiamare l'evangelista Giovanni non ci aiuterà a comprendere il suo lavoro, e il luogo della sua dimora interessa solo se può fornire qualche indicazione sulla natura della sua comunità. a) Fondazione o scuola?

Die Sti/tung des Heils; The Johannine School. Questi sono i titoli dei libri di due studiosi moderni che hanno cercato al di fuori della stessa tradizione gio­ vannea il modo per mettere più a fuoco la comunità. Ma gli strumenti concet­ tuali ai quali essi ricorrono sono quelli giusti per tale opera? " Vedi ora la superba dissertazione di DAviD RENSBERG:r.R, Oum:oming the Wor/J, cap. 4.

190

D titolo del primo di questi due libri, di Klaus Haacker, significa l'istituzio­ ne della salvezza. « Fondazione » è per certi versi una traduzione migliore, ma non riesce a cogliere l'ambiguità di un termine che può significare non solo l'at­ to della creazione di qualcosa ma anche il risultato di quell'atto. La fondazione o creazione in questione è il gruppo giovanneo; il fondatore, però, non è l'evan­ gelista ma Gesù. Haacker cerca di mostrare che la comunità considerava Gesù come proprio fondatore e, per di più, che la relazione tra fondatore e fondato è centrale per la comprensione del Vangelo. Nel corso della sua dimostrazione Haacker si basa in modo rilevante su materiale preso dal documento samaritano del IV secolo chiamato il Memar Marqah, in cui Mosè appare come il padre­ fondatore della comunità samaritana e come il principale responsabile della sua fede. L'irnp6rtanza di una tipologia mosaica nell'ambito del Vangelo è fuor di questione, 59 né si può contestare che l'apparato mitologico della comunità com­ portasse la percezione dello stesso Gesù come proprio capo: il pastore e la vite. Ma molto più centrale, in effetti quasi determinante della visione di Gesù offer­ ta dal Vangelo, sono i concetti gemelli di rivelazione e mediazione: Gesù venne per rivelare la verità e per portare la vita: nel trasmettere la verità che dona la vita si rivela come la via al Padre. Haacker obietta che il concetto di rivelatore non svela la natura storica della missione di Gesù: si presta ad un'interpretazio­ ne gnosticizzante o mitica; « il fondatore », invece, > ( 15,25 ) . .., p. 458.

224

Seguendo l'evangelista� 'ho lasciato all'ultimo il detto più significativo di tutti: « Beati quelli che pur non avendo visto crederanno » (20,29) . Conclusione

La precedente ricerca è stata un tentativo di comprendere il Vangelo dal suo interno piuttosto che di spiegarlo dal di fuori. Per concludere possiamo ri­ tornare alla domanda con la quale abbiamo iniziato e chiederci se è possibile fare qualche deduzione dalla natura del dualismo di Giovanni sulle origini del suo Vangelo. Oppure bisogna riconoscere che il pensiero dualistico è così diffuso nel Mediterraneo orientale all'inizio dell'era che non possiamo andare al di là della vaga e generale affermazione che esso ebbe origine in qualche parte di questa regione? Se ci dovessimo fermare semplicemente a questo punto sicura­ mente mancheremmo di rendere giustizia alla peculiare natura del dualismo del Quarto Vangelo, che richiede, come compreso da Bultmann, una spiegazione molto più coerente di quella generalmente data. Certamente il grande merito del­ la spiegazione di Bultmann è la sua grande ampiezza. Peccato che non avesse ragione! Poco dopo la scoperta dei Manoscritti del Mar Morto, quando molti tra i documenti più importanti non erano ancora pubblicati, K. G. Kuhn scrisse en­ tusiasticamente che l'ambiente del Quarto Vangelo era stato infine recuperato. Fu impressionato dal fatto che la comprensione mostrata dai Manoscritti dell'e­ sistenza e del mondo « è basata su una nuova "conoscenza" ( »,� ), una rivela­ zione ( i1"ll = oc7tox�Àtnt"t'E0'6�r.), una comunicazione (l7 .. , .. i1 ) di Dio ».46 Nella sua conclusione parla di una « profonda connessione (tiefgehende Verwandscha/t) con il Vangelo di Giovanni », e anche dei seguenti aspetti: ampia portata di cp6lc; e axoToç Ouce e tenebre) nel Vangdo di è anche un dualismo di &À �6ttoc e �eu8oc:; (verità e falsità ); l'e­ della comunità dei credenti, che si considerano u[oì. cpw't'oç (fi­ al di sopra del resto degli uomini che sono Èx Tou x6a(.LOU, èx 't'ou 8tocfjoÀou (del mondo, del diavolo ); questa esistenza vista come esistenza escatologica, come il vuv (ora) della salvezza e allo stesso modo il vuv di Àu� ( angoscia) e l'odio del mondo; e infine la vtx�v Tou xoa(.Lou, la vittoria sul

il dualismo di Giovanni, che sistenza (Sein) gli della luce)

mondo, che è sia l'obiettivo che la base dell'esistenza ddla comunità - in tutti i suoi aspetti essenziali il pensiero giovanneo condivide questa struttura di base con i nuovi testi palestinesi. Qui è cruciale ( qualcosa di cui lo gnosti­ cismo non può fornire appropriata spiegazione) il fatto che il dualismo cosmi­ co del Vangelo di Giovanni non porta né all'ascetismo né alla licenza, ma è indissolubilmente legato con un'etica che è ovviamente radicata nella tradizione giudaica. In ciò tXÀ�6etoc signficia 7tott1'v tXÀ�6ttocv (fare la verità) , corrispon4 «

Die in

Palastina

gefundenen

hebriischen Texte •, p. 203.

225

dente a n7lN:1 :11111 ;

essere tx

TOu

cpTo è la tesi principale di uno studio conciso e specializzato di Martin Hengel, il quale sottolinea che questo testo aramaico « rende chiara una cosa, che il titolo "Figlio di Dio" non era comple­ tamente estraneo al giudaismo palestinese ». o D piccolo libro di Hengel spazia troppo perché possiamo seguirlo ulteriormente al momento; ma abbiamo già una prova più che sufficiente per ipotizzare che il termine « Figlio di Dio » fos­ se, per lo meno nel suo primitivo uso cristiano, un titolo messianico. Ugualmente importante è il fatto che per l'establishment giudaico il titolo non aveva una connotazine di divinità nel pieno senso di « condizione di figlio metafisica ». Re di Israele, l'ultimo dei titoli, conferma la descrizione che Giovanni il Bat­ tista fa della finalità della sua missione: che Gesù « deve essere rivelato a Israe­ le », e riconosciuto come Messia da uno che era « un vero israelita », né ingan­ natore né ingannato. Vi sono due fatti negativi che vanno presi in considerazio­ ne a questo punto: primo che il titolo « Figlio di Davide », così importante per Matteo, è completamente assente dal Quarto Vangelo; 44 in secondo luogo che, in contrasto con la narrazione dell'infanzia in Matteo 2,2 (cf Le 1,32), che svol­ ge una funzione introduttiva simile a Giovanni l, Gesù viene chiamato « Re di Israele » in questo passo e non « Re dei Giudei ». Wayne Meeks commenta: « Molto probabilmente a questo uso soggiace una situazione polemica in cui i cristiani, in opposizione agli awersari giudaici, definiscono se stessi "il vero Israele" ». 4� È un commento che merita di essere soppesato attentamente. Seb­ bene naturalmente le pretese messianiche di Gesù riguardino tutto Israele (in cui va inclusa la Giudea), anche in questo caso il Vangelo dà per scontato (7,4 1 ) - e la fonte a questo punto concorda - che egli, come i suoi primi discepoli (o per lo meno i quattro che qui vengono nominati), è un galileo. Di conseguenza occorre chiederci che cosa possiamo apprendere dalle fonti riguar­ do alle relazioni tra il giovane gruppo cristiano e i Giudei (o dovremmo a que­ sto punto dire « abitanti della Giudea »? ) . 4J Son of GoJ, 44

4'

p.

45.

Cf G. REIM, Studien,

Prophet-King,

p.

pp. 247ss.

83.

25 1

c) Gesù e i Giudei Si ossetverà come né o[ 'lou8�Xi:oL ( 1,19) né i Farisei ( 1,24) appaiono nel testo ricostruito, che fa risalire la delegazione inviata per interrogare Giovanni il Battista alla sola iniziativa di « sacerdoti e leviti » . n termine o[ 'lou8!XLOL, se conservato, va riferito, come accade talvolta nel Vangelo, alle autorità di Gerusa­ lemme. Dovremmo quindi avere un altro esempio di un'espressione nella fonte che l'evangelista ha adottato per i suoi obiettivi. Ma a questo punto il greco è in certo qual modo sovraccaricato ed è più probabile che la fonte sia stata am­ pliata in linea con le successive preoccupazioni dell'evangelista. Comunque sia, l'apparizione improwisa, un po' più avanti, dei « Farisei » presenta un problema che non può essere risolto soddisfacentemente da coloro che insistono nello spiegare il passo come una composizione unificata. Perché o vanno compresi come un gruppo separato nel loro complesso ( nel qual caso, che cosa dobbiamo . ipotizzare sia accaduto nel frattempo dei sacerdoti e dei leviti?) o il gruppo precedente va identificato come appartenente alla setta farisaica (se così, perché, e perché così tardi?) oppure, infine, i Farisei vengono distinti come veri orga­ nizzatori della missione originale, ma in questo caso perché lo scrittore non li introduce all'inizio del suo racconto? 46 Occorre inoltre ricordare che i Farisei erano fondamentalmente un'organiz­ zazione di laici, e che, sebbene al tempo di Gesù possano esservi stati dei sa­ cerdoti tra di loro, difficilmente essi avrebbero avuto l'autorità di iniziare quel tipo di ricerca ufficiale che il racconto implica. Solo molto più tardi, quando la classe sacerdotale giudaica aveva perso il proprio ruolo politico a causa del falli­ mento della rivolta giudaica, la setta fu in grado di prendere nelle proprie mani le redini del potere. Occorre anche rammentare che né i sacerdoti né i leviti compaiono in qualche altra parte del Quarto Vangelo, mentre la congiunzione è comune non solo nell'Antico Testamento ma anche nella Regola della Comunità di Qumran. D raggruppamento è particolarmente adatto al contesto della Testi­ monianza, che è centrato su un rito di purificazione, e Dodd ha sicuramente ragione qui ad ipotizzare « una tradizione che torna indietro al periodo, prima del 70 d.C., quando il doppio ministero era ancora in funzione a Gerusalemme » .fl In questo caso, allora, dovremmo stare attenti a non leggere in questo pas­ so le connotazioni di sfiducia e di ostilità che il termine ot flou8�X1'oL presenta .

46

Su questo punto, vedi U. C. VON WAHLDE, « The Tenns for Religious Authorities » . Tradition, p. 263 . Nonostante il suo rifiuto di entrare nel problema di una fonte giovannea dei segni, Dodd ritiene che la Testimonianza, sebbene non la Scoperta, sia costruita su una narra­ zione ripresa dall'evangelista. Dodd fece a questo riguardo una distinzione tra i vv. 19-27, in cui « c'è poco o nulla che sembri derivare dalle particolari opinioni dell'evangelista », e i vv. 29-34, in cui « è evidente la presenza di materiale desunto dalla tradizione soggiacente alla presentazione giovannea, ma è anche evidente un certo rimaneggiamento pragmatico del materiale secondo gli interessi della dottrina giovannea ,. (ivi, p. 276). 47

252

quasi ovunque nel còtiX> del

Vangelo. I

sacerdoti e i leviti in questo racéoilto

stavano consapevolmente svolgendo una funzione di loro competenza, e sarebbe errato presumere, da ciò che sappiamo da altrove sulle attitudini dei Farisei, che ciò venne fatto con un'intenzione malevola. 48 Inoltre, la forma letteraria della Testimonianza è molto diversa dalla controversia o dal racconto assertivo che ben conosciamo grazie ai Vangeli Sinottici, in cui tutto conduce ad un punto culminante che è la sconfitta degli interlocutori di Gesù (per esempio: « Date quindi a Cesare. . . » ) . Se allora ci chiediamo, come potrebbe fare un critico strutturalista, quale è la funzione dei sacerdoti e dei leviti nella narrazione stessa

(prescindendo da qualsiasi considerazione del loro effettivo ruolo storico) , allora non possiamo non vedere che le loro domande setvono semplicemente a dare a Giovanni il Battista l'opportunità di dichiarare la propria testimonianza - in primo luogo, le sue negazioni che preparano la strada per la Scoperta che se­ guirà il giorno successivo, e, in secondo luogo, l'affermazione positiva che « que­ sti è l'Eletto di Dio » . Nella misura in cui si può ipotizzare che i sacerdoti e i leviti assistano alla testimonianza (come avrebbero fatto nella prima versione del racconto), va loro riconosciuta una funzione sussidiaria, ossia quella di testimo­ niare ciò che hanno ascoltato. Di conseguenza, lungi dall'essere gli aggressivi inquisitori che il pregiudizio ci induce ad aspettarci, essi servono a rendere autentica, seppure indirettamente, la testimonianza del Battista. Ora, dato il tipo di

Sitz-im-Leben

ciò non dovrebbe sorprenderei. In

un

che abbiamo già postulato per la fonte, opuscolo missionario, finalizzato alla pro­

mozione della nuova setta tra gli ascoltatori giudaici, che si può ritenere fossero in parte scettici, in parte simpatizanti, ma in ogni caso non ancora convinti, sembra improbabile che debba essere accordata molta importanza all'attitudine ostile delle autorità religiose di Gerusalemme. Ciò non significa che debba esse­ re riconosciuta ai sacerdoti e ai leviti l'intenzione di setvire deliberatamente la causa cristiana. Ciò che deve aver impressionato innanzitutto gli ascoltatori è la sincerità dei predicatori convertiti, la loro ardente convinzione di avere, come Andrea, « trovato il Messia ». Ma dobbiamo ancora chiederci in che cosa, o piuttosto in chi, agli ascoltatori veniva chiesto di riporre la propria fede. d) La

raffigurazione di Gesù

Abbiamo già visto che nessun altro passo nd Quarto Vangelo offre p1u plausibilità alla tesi che il Vangdo era finalizzato come opuscolo missionario ad attirare alla nuova fede i Giudei della diaspora. Infatti abbiamo qui un Gesù che viene presentato ai Giudei come colui che è venuto a soddisfare tutte le loro

.. a c. J. A. HrcKUNG, « Attitudes to Judaism ... Hickling esamina quattro passi nei capi­ toli 2-4 (2, 13-22; 4,9.35-38.46-54) e vi trova « un'attitudine generalmente affermativa verso il giu­ daismo nd materiale accettato dalla tradizione • (p. 35 1 ) .

253

speranze: è il Messia promesso, è Elia ritornato sulla terra, è il profeta escatolo­ gico preannunziato da Mosè, è l'Eletto, il Figlio di Dio, il Re di Israele. In tutto ciò egli gioca un ruolo curiosamente passivo, dichiaratamente inu­ suale per il Cristo giovanneo la cui forte presenza domina la restante parte del Vangelo. Qui per contrasto, a parte il semplice invito: « Seguimi! », rivolto a Fi­ lippo, egli sembra accontentarsi di attendere di essere scoperto. Nella prima se­ zione è Giovanni il Battista che si compiace di essere nella luce della ribalta, e anche dopo aver lasciato la scena, avendo reso la propria testimonianza e indi­ cato Gesù a due dei suoi discepoli, lo scrittore è ancora preoccupato di convin­ cerci che Gesù è là per essere trovato se solo ci preoccupiamo di cercarlo. È l'oggetto della testimonianza, non colui che rende testimonianza. In altra parte è lui e solo lui che conduce al Padre e che dà inizio a ogni azione; anche nella passione, come abbiamo notato, egli non è solo il protagonista ma anche il di­ rettore.49 Prese insieme, la Testimonianza e la Scoperta danno una trionfante ed am­ mirata descrizione di come il Messia arrivò ad essere scoperto dai suoi primi discepoli. Uno di questi alla fine si rivolge a Natanaele, che realizza la promessa del suo nome dichiarando a colui che Dio aveva dawero dato: « Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re di Israele ». È implicito il suggerimento che gli altri disce­ poli di Gesù, che ora compiono attività di proselitismo all'interno della comuni­ tà giudaica, stanno portando avanti l'opera di Andrea, Pietro e Filippo, invitan­ do tutti i propri compagni israeliti, o per lo meno quelli « senza falsità », a « venire e vedere » per se stessi colui del quale Mosè aveva parlato. Ma rimane un enigma. Non abbiamo a che fare con una fonte dei segni, un documento che sostiene la propria fede in Gesù con la prova irrefutabile dei suoi miracoli? Ma fino ad ora non vi è traccia del miracoloso e l'accento viene posto tutto sulla testimonianza personale di Giovanni e dei suoi discepoli. Gesù viene scoperto e la sua dignità messianica viene proclamata prima che egli abbia detto qualcosa di se stesso o fatto qualcosa per attirare l'attenzione. Egli non ha « manifestato la sua gloria » né a parole né con azioni. Forse non dovremmo cadere nella trappola di dare un significato indebito ai nostri slogans. Dopo tut­ to, la « fonte dei segni » è solo un'etichetta, e non abbiamo nessun buon moti­ vo a priori per immaginare che essa debba esprimere un'idea più corretta dei contenuti di qualsiasi etichetta assimilabile incollata su un altro pacco che allo stesso modo viene dichiarato pieno di meraviglie. Proprio sin dall'inizio lo scrit­ tore rende chiare le sue intenzioni; molto dopo le renderà persino più chiare: « Questi [segni] sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio » (20,3 1 ) . 49 Un buon esempio di questo si trova nel racconto della guarigione dello storpio nel capito­ lo 5. Alla domanda sull'identità del proprio guaritore, l'uomo non può rispondere fino a quando Gesù non lo trova nel Tempio e lo rende capace di rispondere.

254

Nondimeno, proprio in quel passo egli scrive sui segni. È vero che, presi a parte, i racconti abbinati della testimonianza e della chiamata dei discepoli che abbiamo considerato sono incompleti. Giovanni il Battista ha reso testimonianza per quanto poteva, ma la vera rivelazione deve ancora iniziare. La Testimonian­ za e la Scoperta non sono che due pannelli di un trittico. Due giorni sono pas­ sati ma gli eventi del terzo devono ancora essere narrati. 3.

L'inizio dei segni

n capitolo 2 del vangelo si apre con la frase X(XL 't] ��ép� 't] -rpL"C], che può essere tradotta o, come di solito accade, « il terzo giorno », oppure « due giorni dopo ». Nel primo caso ciò che viene suggerito è che dopo gli eventi narrati nei due giorni precedenti ce n'è un altro da raccontare; se si preferisce la seconda traduzione, il riferimento non torna indietro al primo giorno Oa Testimonianza) ma solo al secondo giorno (la Scoperta) . (Qui sto ipotizzando la mia ricostruzione delle sezioni precedenti, perché questa semplice progressione è stata oscurata da successive aggiunte) . In entrambi i casi il racconto del « segno » che segue va visto come completamento del trittico di apertura. 50 Una volta che viene conclusa in 2, 1 1, la fonte dei segni viene interrotta da materiale ritagliato da una fonte molto diversa. Scalando le montagne della dottrina biblica, l'esegeta viene spesso tentato di allontanarsi dal sentiero battuto, e ciò può accadere soprattutto nello studio del­ la festa nuziale di Cana, dove ci si può facilmente trovare impigliati nella bosca­ glia. L'episodio è colmo di piccoli problemi irritanti. In primo luogo, cosa face­ va la madre di Gesù (mai chiamata Maria nel Vangelo) al matrimonio? Era presente perché, come ritenuto dalla tradizione, era la zia della sposa? Oppure l'intera famiglia si era recentemente trasferita da Nazaret a Cana? Chi invitò Gesù e i suoi discepoli al matrimonio? Fu forse Natanaele, il quale, ci viene detto in un successivo capitolo (2 1,2), proveniva da Cana? In quale momento delle celebrazioni essi appatvero? Forse verso la fine della settimana, quando il vino poteva essere già finito, a meno che - spiegazione alternativa - non fos­ se terminato a causa degli intrusi non invitati alla festa. Perché venne coinvolta la madre di Gesù, e perché fu particolarmente preoccupata della mancanza di vino? Venne soltanto cambiata una parte dell'acqua nelle giare, o tutta l'acqua venne tramutata in vino per assicurare un'abbondante quantità durante le cele­ brazioni; in ogni caso quanti litri ci sono in una giara? Cosa infine accadde del­ la sposa e dello sposo? Secondo una tradizione medioevale lo sposo abbandonò • Data questa funzione naturale delle parole « il terzo giorno •, non vi è alcuna necessiti di postulare alcun inverosimile simbolismo secondo il quale le parole indicherebbero o la risurrezione (Dodd) oppure ancora più enigmaticamente, la consegna dell'Antica Legge che Esodo 19 (Ols­ son) registra come awenuta o(( il terzo giorno •· ,

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nozze, lasciando il matrimonio non cottsumato, per poter seguire Gesù: il suo nome era Giovanni, colui che successivamente avrebbe scritto un Vangelo! �� E se nessuna di queste domande può avere una risposta facile o non sembra proprio particolarmente rilevante, allora si può invece pro­ cedere velocemente alla ricerca di paralleli: Gesù fa meglio di Mosè, che cambia semplicemente in sangue l'acqua nelle giare di pietra degli Egiziani (Es 7,19)! Persino Raymond Brown, che è particolarmente bravo su questo passo, si sente libero di seguire Bernardo e altri nell'indulgere in tali piccoli innocui divertisse­ ments. �2 Per una corretta interpretazione del passo esistono comunque alcuni seri ostacoli, che questa volta bloccano il sentiero principale: riguardano il significato della risposta di Gesù a sua madre: ·d ÈIJ.OL xcxt ao(, yuvcxL; (v. 4) e della suc­ cessiva affermazione ( dichiarazione o domanda? ) che riguarda l'« ora » di Gesù. Soprattutto c'è il problema del significato del miracolo, la cui singolarità (non c'è nulla di simile in altra parte dei Vangeli) rende l'interpretazione particolarmente azzardata. 53 L'esegesi seguente presuppone il mio tentativo di ricostruzione del­ l' episodio di Cana come riportato nella fonte dei segni. Alcuni punti sono di particolare interesse:

la sposa la notte delle

a) Il ruolo della madre di Gesù Va notato anzitutto che essa fu presente alle nozze sin dall'inizio, a dif­ ferenza di Gesù e dei suoi discepoli, che arrivarono più tardi, come ospiti invitati, dall'esterno . Come le giare d'acqua menzionate successivamente, essa era là (la parola Èxt'L ricorre due volte, una volta nel versetto l e una se­ conda volta nel versetto 6 ) . Così, sebbene, a differenza delle giare, essa non faccia esattamente parte dell'arredamento, viene più intimamente identificata con la scena delle stesse nozze, e questa prima impressione viene confermata dalle sue parole di apertura: « Non hanno più vino » . D'altro canto, dice: '1 Questo squisito bocconcino si trova nel commento di Lorsv, p. 269. Tutta questa pazza idea sembra essere stata scatenata dall'incomprensione di qualcuno di un passo deii'Adversus ]ovi­ nianum di SAN GIROLAMO che confronta i ruoli di Pietro e di Giovanni, e conclude, tra le altre cose, che « exposuit virginitas quod nuptiae scire non poterant » (i. 26, PL xxiii, col. 259) un vergine (Giovanni) spiega ciò che un uomo sposato (Pietro) non avrebbe mai potuto sapere! Ve­ di la meditazione dedicata all'evangelista da The Monk o/ Farne, a cura di DoM HuGH FARMER, OSB (Londra, 1961, p. 149): « Se scelgo di chiamarti vergine, tutta la chiesa sarà in grado di rendere testimonianza a ciò che dico, perché è come vergine che sei stato scelto da nostro Signo­ re e distolto dalle tue nozze » . '2 Viene rimproverato per questo da Ernst Haenchen, che nota fondamentalmente: « Non vi è nulla di errato nel metodo critico, ma portato agli estremi può divenire ridicolo ( « Kritik is keine schlechte Sache, aber iibertreibt man sie, kann sie lacherlich werden » [johannesevangelium, p. 193]; d ET, p. 176). " Per una critica dettagliata e un tentativo di ricostruzione di questo passo vedi Excursus D. -

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« Essi non hanno ,. piuttosto che « Noi non abbiamo •, e 'ciò irnplica da parte sua un certo distanziamento: non una totale ma una parziale identifi­ cazione con coloro che sono responsabili dello svolgimento delle nozze e con gli altri invitati. Lo scrittore, e questo va sottolineato, non dice nulla dei sentimenti di lei, né, a parte il semplice fatto della mancanza di vino, del motivo del suo intervento. Nella sua risposta alla madre, Gesù esprime una forte protesta, che al­ l'inizio evidenzia la sua indipendenza. Naturalmente il commento della madre è allo stesso tempo una richiesta, una richiesta di un intervento deciso, una richiesta, almeno implicitamente, di un miracolo . È questo che provoca la ri­ sposta apparentemente dura di Gesù, a cui fa seguire un riferimento alla sua « ora ». Nel chiederci che cosa significassero le parole di Gesù,_ dobbia­ mo tenere presente il fatto che la madre stessa non le prese come un totale rifiuto perché in risposta ella si rivolge ai servi con l'ingiunzione: « Fate quello che vi dirà >> . Lungi dal lasciarsi intimorire dall'apparente rimprovero, ella rifiuta il ruolo negativo che le è stato evidentemente assegnato e prende parte all'azione, mostrando in tal modo un nuovo insieme di personaggi, dei quali in un certo senso è a capo. A questo punto c'è una certa tentazione di fare un'allegoria - la Madre Chiesa e i suoi ministri, o l 8t�xovot ma non esiste alcuna ovvia giustificazione per farlo. Così la madre di Gesù occupa una posizione di mediazione, collegata ili primo luogo con gli ospiti e i padroni di casa, associandosi alla loro necessità, e provocando, con la sua richiesta in loro favore, una brusca e secca risposta che contiene un'accusa di incomprensione; in secondo luogo collegata con i servi, che stanno attendendo di eseguire l'ordine di Gesù. Questa mescolanza di in­ comprensione e di condiscendenza è sicuramente parte del significato del raccon­ to, che emerge da uno studio dello stesso testo, senza fare ricorso ad allegoria o allusione. Nel contesto di un invito ai lettori e ascoltatori Giudei di farsi avanti e dichiararsi per Cristo, il significato della presenza della madre di Gesù (o per lo meno parte di tale significato) è quello di rappresentante di coloro che fanno proprio questo, quelli per i quali l'incomprensione non è un ostacolo permanen­ te a divenire discepoli. Questa non è un'interpretazione allegorica: non si può dire: « per "la madre di Gesù" leggi "Israele" ». È piuttosto un'interpretazione che deriva direttamente da ciò che Olsson chiama « analisi linguistica del te­ sto »,54 e, sebbene più smilzo, è anche un esempio del metodo meno ostinato del suo. -

,. Structure and Meaning, pp. 8-1.3. 0LSSON intorbidisce le chiare e vivificanti acque dell'ana­ testo con una teoria forzata e complessa che renderebbe la comprensione dell'episodio di Cana dipendente da una lettura attenta di Esodo 19 (e una lettura dei suoi ampliamenti targwni­ ci). Si affida ampiamente all'opera di A. M. SERRA, « La tradizione della teofania sinaitica nel Targum delle Pseudo-Jonathan Esodo 19.24 e in Giovanni 1, 19-2,12 •, Marianum, 33 0971), lisi del

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b) La risposta di Gesù

« Che ho da fare con te, o donna? ». Giungendo cosi bruscamente, l'appel­ lativo « donna » è sbalorditivo e inaspettato; inoltre, come nota Bultmann, « de­ termina una particolare distanza tra Gesù e sua madre »,'5 una distanza già sta­ bilita dalle parole di apertura di Gesù: 'rL È:!J.OL xoct croL n problema connesso a tale espressione, come nel caso del corrispondente ebraico, '!J'?J -.7. i1�.è quello di essere essenzialmente ambiguo: il suo significato richiede di essere determina­ to indipendentemente ogni volta. Solo dal contesto si può determinare se la do­ manda relativa al tipo di relazione esistente tra colui che parla e colui che ascol­ ta comporti una qualsiasi sorta di risposta positiva. Né la risposta che viene da­ ta è necessariamente quella attesa. In risposta a quella che rappresenta chiara­ mente una richiesta di miracolo Gesù pone un punto interrogativo sulla relazio­ ne tra sé e la madre: forse, come ha arguito Vanhoye, con l'intenzione di sug­ gerire che è tempo che la relazione venga cambiata. 56 In ogni caso, sebbene l'e­ spressione possa implicare un rimprovero, certamente non significa un rifiuto di aver ancora a che fare con l'altra persona. Quando la vedova di Zarepta, dopo la morte del figlio, la usa con aspra indignazione verso Elia, questi risponde ri­ portando in vita il ragazzo ( l Re 17, 17-24 ) . La frase OU1tei:'oç ti�p, p. 3, n. 7. 72 Un altro esempio è la diffusa presunzionet abbandonata solo recentemente, che al tempo di Gesù esistesse una fazione anti-romana pienamente operativa chiamata gli Zeloti. n "Christology in the Fourth Gospel", p. 49 1.

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stiche dell' « uomo divino » presenti nella fonte, mentre ne ha esagerato delle al­ tre, potrebbe suggerire che il concetto non è di ausilio, per non dire che è fuorviante. In realtà Fortna stesso conclude chiedendosi quale sia il valore della categoria nello studio del Quarto Vangelo: « Siamo indotti a chiederci se Gio­ vanni o il suo predecessore potrebbe aver consapevolmente concepito Gesù co­ me uomo divino. Poiché il loro giudaismo era veramente ellenistico, entrambi - più della maggior parte di altri scrittori del Nuovo Testamento - consetva­ no l'impressione che Gesù altri non è se non zl Messia dell'aspettativa giudai­ ca » . 74 Allora, poiché il 6e:1"oç &v�p si sta dimostrando poco più di una sconsola­ ta chimera, possiamo lasciarlo al suo lamento. 75 Ma la categoria che Fortna sce­ glie per sostituirla è ugualmente inutile; egli prosegue chiedendosi ( « forse trop­ po crudamente »): « Le opere miracolose di Gesù sono coerenti con la sua umanità o ne mostrano piuttosto la divinità? » . 76 Nel passare dal superumano al divino (ora apparentemente nel pieno senso della parola) egli semplicemente mette da parte una categoria inadatta per prenderne un'altra. Ciò emerge in modo netto dalla sua conclusione, secondo la quale i miracoli della fonte dei se­ gni sono « meramente dimostrazioni della divinità di Gesù ». 77 Affermare questo significa non considerare il fatto che « il Messia dell'aspettativa giudaica » era una figura umana, non divina, e che nel contesto del giudaismo contemporaneo i miracoli, per quanto straordinari, non sono di per sé indicazioni di divinità. Un errore piuttosto diverso vizia un altro importante tentativo di delineare la cristologia della fonte dei segni: Nel termine 6e'toc;