La Repubblica. Libro IV [Vol. 3]
 9788870883152, 8870883159

Table of contents :
Sommario
Introduzione al Libro IV
1. Il libro IV: una conclusione
2. La questione della giustizia
3. La tripartizione della polis
4. La tripartizione dell'anima
5. L'isomorfismo imperfetto
La Repubblica - Libro IV
Commento al Libro IV
[A] Infelicità degli «archontes» e felicità della «polis»
1. Felicità privata e servizio politico
2. La priorità dell'intero sulle parti e lo spettro del totalitarismo
3. Come rieducare la classe dirigente: la kalokagathia secondo Platone
4. Armonia psichica, carattere e identità civile nella città giusta
5. Un modello relazionale di felicità per gli archontes
[B] Ricchezza/povertà e l'unità della polis
1. L'unità della città
2. Ricchezza e povertà nella Repubblica
[C] Nomos e legislazione
1. Il ruolo della legge nella kallipolis
2. L'obiettivo polemico: la legislazione ateniese
3. Le leggi religiose e l'autorità di Delfi
[D] Sophia/logistikon
1. Il gruppo di comando
2. La ragione: una «razza padrona»
[E] Andreia/thymoeides
1. Lo thymoeides
2. I tre principi dell'anima
3. Thymos e thymoeides prima di Platone
4. Il coraggio
5. L'equilibrio dell'anima
6. Il coraggio come conoscenza
[F ] Sophrosyne
1. Il termine e la sua storia
2. I due ambiti della sophrosyne: l'anima e la città
3. La sophrosyne nella città: coesione e concordia
4. La sophrosyne nel Carmide: aspetti comportamentali e valori conoscitivi
5. Autocontrollo e repressione: il problema del terzo ceto
6. Lo scenario psichico: la corretta gerarchia tra le parti dell'anima
7. Il rapporto problematico tra sophrosyne e dikaiosyne
8. Lo statuto della sophrosyne nella riflessione etico-politica del IV secolo
[G] La trottola
[H] Epithymia / epithymetikon
1. Luoghi e oggetti del desiderio
2. Le passioni dell'anima
3. I desideri paradigmatici
4. Desideri indipendenti dal bene
5. Il dilemma dell'uomo assetato
6. Il polimorfismo del desiderio
7. La vocazione egemonica del desiderio
8. Il technites è un affarista
9. La virtù degli affaristi
10. L'educazione degli affaristi
[I] Freud e la Repubblica: l'anima, la società, la gerarchia
1. Perché Platone e Freud?
2. Trasimaco e Freud: la legge, il potere, la giustizia
3. Freud e la seconda tesi di Trasimaco
4. Freud e Glaucone
5. Freud e Adimanto
6. La comunità senz'anima
7. L'anima, la gerarchia, la comunità: Platone
8. L'anima, la gerarchia, la comunità: Freud
9. Freud lettore di Platone
[L] La Repubblica e Dumézil: gerarchia e sovranità
1. Il trifunzionlismo platonico: un caso irrisolto?
2. La scoperta (Jupiter Mars Quirinus, 1941)
3. Comparare et imperare: il comparativismo e la questione delle identità nazionali
4. Il debito (Entretiens, 1986)
5. Una tradizione imperiosa: Platone e Dumézil

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La Repubblica è certamente uno dei testi centrali del pensiero di Platone, della sua tradizione antica e moderna e della riflessione etico-politica contemporanea. Scopo della presente edizione è di offrirne un commento integrale, inteso a definire sia il contesto storico-culturale, sia le dimensioni teoriche, sia infine gli influssi sul pensiero successivo: si tratta dunque di un progetto che si giova della vastissima letteratura esegetica prodotta nel corso del nostro secolo, ma che non ha equivalente per ampiezza di obiettivi relativamente a questo singolo dialogo. Per ogni libro o gruppo di libri (11-III,VIII-IX) viene offerta una traduzione, che si propone la massima fedeltà al testo senza tuttavia ignorarne le questioni esegetiche; una introduzione, che delinea i problemi fondamentali del libro o dei libri in esame; un corredo di note, di carattere prevalentemente storico e filologico; un commento, articolato in una serie di saggi destinati all'interpretazione dei temi centrali del testo. L'edizione si conclude con un saggio di interpretazione complessiva, con indici e bibliografia. Il commento è l'esito del lavoro di un gruppo che fa capo al Dipartimento di Filosofia dell'Università di Pavia: studiosi con specifiche competenze, ma che condividono omogenee prospettive metodiche ed esegetiche. Non si tratta dunque di una raccolta antologica, ma di un lavoro di interpretazione unitario, benché ampiamente articolato.

Mario Vegetti è professore ordinario di Storia della lilosofia antica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pavia. Ha tradotto e commentato opere di lppocrate, Aristotele e Galeno. ~ auto· re di numerosi studi, pubblicati in Italia e all'estero in varie lingue, dedicati alla storia de) pensiero antico nei suoi ver·

santi filosofico-scientifico ed etico-politico. Fra i suoi lavori principali, i volumi

Il coltello e lo stilo. Animali, schi4vi, btJr. bari e donne alle origini della wnionalità scientifica (Milano 1979; 19962 ), Tra Edipo e Euclide. Fonne del sapere antico (Milano 1983), L'etica degli 11111ichi (Roma-Bari 1989). Ha curato diverse opere collettive, tra Je quali l'Introduzione alle culture antiche (3 voli., Torino 198.5-92).

L. 30.000

ELENCHOS

Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da GABRIELE GIANNANTONI XXVIII-3

PLATONE

LA REPUBBLICA Traduzione e commento a cura di MARIO VEGETTI

Vol. III Libro IV

BIBLIOPOLIS

Quest'opera è stata realizzata con la collaborazione dell'ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI e con contributi del C.N.R. e del MURST (fondi ex 40%)

Proprietà letteraria riservata

ISBN 88-7088-315-9 Copyright © 1998 by «C.N.R., Centro di studio del pensiero antico» diretto da GABRIELE GIANNANTONI

SOMMARIO

Introduzione allibro IV (M. Vegetti)

p.

11

l. Il libro IV: una conclusione, 11; 2. La questione della

giustizia, 16; 3. La tripartizione dellapo/ù, 21; 4. La tripartizione dell'anima, 29; 5. I.:isomorfismo imperfetto, 40.

COMMENTO AL LIBRO IV [A]

105

Infelicità degli archontes e felicità della polis (F. de Luise- G. Farinetti)

107

l. Felicità privata e servizio politico, 107; 2. La priorità

dell'intero sulle parti e lo spettro del totalitarismo, 111; 3. Come rieducare la classe dirigente: la kalokagathia se-

condo Platone, 121; 4. Armonia psichica, carattere e identità civile nella città giusta, 128; 5. Un modello relazionale di felicità per gli archontes, 146.

[B]

Ricchezza/povertà e l'unità della polis (M. Vegetti)

151

l. L'unità della città, 151; 2. Ricchezza e povertà nella Re-

pubblica, 155.

[C]

Nomos e legislazione (S. Gastaldi) l. Il ruolo della legge nella kallipolù, 159;

159 2. L'obiettivo

polemico: la legislazione ateniese, 166; 3. Le leggi religiose e l'autorità

[D]

di Delfi, 172.

Sophiallogistikon (M. Vegetti) l. Il gruppo di comando, 177; 2. La ragione: una «razza

177

padrona», 182.

[E]

Andreialthymoezdes (F. Calabi)

187

l. Lo thymoetdes, 187; 2. I tre principi della'anima, 189; 3. Thymos e thymoeides prima di Platone, 191; 4.

Il co-

8

SOMMARIO

raggio,

193; 5. L'equilibrio dell'anima, 196; 6. Il coraggio

come conoscenza, 199.

[FJ

Sophrosyne (S. Gastaldi) l. Il termine e la sua storia, 205; Ì. I due ambiti della sophrosyne: l'anima e la città, 210; 3. La sophrosyne nella città: coesione e concordia, 216; 4. La sophrosyne nel Carmide: aspetti comportamentali e valori conoscitivi, 218; 5. Autocontrollo e repressione: il problema del terzo ce· to, 224; 6. Lo scenario psichico: la corretta gerarchia tra le parti dell'anima, 227; 7. Il rapporto problematico tra sophrosyne e dikaiosyne, 231; 8. Lo statuto della sophrosyne nella riflessione etico-politica del IV secolo, 234.

[G]

La trottola (F. Franco Repellini)

239

[H]

Epithymia/epithymetikon (S. Campese) l. Luoghi e oggetti del desiderio, 245; 2. Le passioni dell'anima, 251; 3. I desideri paradigmatici, 254; 4. Desideri indipendenti dal bene, 257; 5. Il dilemma dell'uomo assetato, 264; 6. Il polimorfismo del desiderio, 269; 7. La vocazione egemonica del desiderio, 273; 8. Il technites è un affarista, 275; 9. La virtù degli affaristi, 280; 10. L'educazione degli affaristi, 283.

245

m

Freud e la Repubblica: l'anima, la società, la gerarchia (M. Stella) l. Perché Platone e Freud?, 287; 2. Trasimaco e Freud: la legge, il potere, la giustizia, 290; 3. Freud e la seconda tesi di Trasimaco, 294; 4. Freud e Glaucone, 296; 5. Freud e Adimanto, 300; 6. La comunità senz'anima, 303; 7. L'anima, la gerarchia, la comunità: Platone, 307; 8. L'anima, la gerarchia, la comunità: Freud, 311; 9. Freud lettore di Platone, 328.

[L]

La Repubblica e Dumézil: gerarchia e sovranità (P. Pinotti) l. Il trifunzionalismo platonico: un caso irrisolto?, 337; 2. La scoperta (]upiter Mars Quirinus, 1941), 348; 3. Comparare et imperare: il comparativismo e la questione delle identità nazionali, 357; 4. Il debito (Entretiens, 1986), 364; 5. Una tradizione imperiosa: Platone e Dumézil, 375.

p. 205

287

337

LA REPUBBLICA LIBRO IV

Hanno collaborato al commento: Francesca Calabi (Università di Pavia) Silvia Campese (Università di Pavia) Fulvia de Luise (Alba) Giuseppe Farinetti (Alba) Ferruccio Franco Repellini (Università Statale di Milano) Silvia Gastaldi (Università di Pavia) Patrizia Pinotti (Pavia) Massimo Stella (Università di Pavia) Mario Vegetti (Università di Pavia) Michele Abbate (Università di Macerata) ha contribuito all'o­ pera curando una traduzione commentata del Commentario di Proclo alla Repubblica. Coordinamento redazionale: Anna Cattivelli

INTRODUZIONE AL LIBRO IV

l. Il libro IV· una conclusione D libro IV della Repubblica costituisce la conclusione for­ male e solidamente argomentata del grande dibattito sulla giu­ stizia che aveva conosciuto i suoi punti teoricamente più alti nello scontro fra Socrate e Trasimaco, nel libro I, e poi nell'ag­ gressione portata da Glaucone e Adimanto contro Socrate al­ l'inizio del libro II. Al termine dell'argomentazione, Socrate segnala con forza il successo ottenuto nella ricerca di una risposta alla domanda "che cosa è la giustizia": «se affermassimo di aver scoperto tan­ to l'uomo giusto quanto la citHq�iusta, e ciò che di fatto in en­ trambi è la giustizia, non credo proprio che sembreremmo es­ serci ingannati» (444a4-6). n carattere formale della conclusio­ ne è sottolineato dalla locuzione esto (444a10); ed esso è con­ fermato dalle definizioni rigorosamente parallele di salute e di giustizia in 444d, la cui precisione conosce pochi equivalenti nei testi platonici. Un'altra indicazione, sia pure allusiva, del carattere conclusivo proprio del libro IV è l'accenno al compi­ mento di una anabasis dellogos (445c5), un ritorno verso l'alto dopo la katabasis socratica con cui si apriva il dialogo, che anti­ cipa di molto, sia pure con tonalità più modeste, la grande ana­ basis finale del libro X. Le conclusioni elaborate nel nostro libro costituiscono l'e­ sito di un difficile percorso teorico, che ha comportato l'intro­ duzione di una serie di scissioni - almeno parzialmente omolo­ ghe - nella città e nell'anima, in vista di una ricomposizione

12

PLATONE, LA REPUBBLICA

articolata, ma unitaria e armonica, dell'una e dell'altra. La riu­ nificazione psichica dell'individuo e quella politica della città è l'orizzonte, quasi ossessivamente ribadito (si veda ad esempio l'incalzare del lessico dell'unità in 423d, 443e), al cui interno si costituisce il senso della doppia definizione della giustizia, individuale e collettiva. Reciprocamente, il senso dell'ingiu­ stizia si definisce in rapporto alla minaccia della scissione, della

stasis psichica e sociale (444b). All'interno di questo orizzonte, la sequenza definitoria della giustizia passa attraverso una radicale riqualificazione di assunti già noti, sia nella tradizione culturale sia nello stesso sviluppo del dialogo. Punto di partenza è infatti il noto principio del "fa­ re le cose proprie", che qui viene però innovativamente riferito alle parti strutturali in cui l'anima e la città sono state sezionate, e ridefinito con il termine astratto di nuovo conio oikeiopragia (434c8); a esso viene contrapposto in opposizione polare, sul versante dell'ingiustizia, l'altro termine neoconiato allotrioprag­

mosyne, che ridefinisce la vecchia polypragmosyne, l'indebita confusione e prevaricazione di ruoli sociali e morali (444b2). ll "fare le cose proprie" era già stato proposto nel II libro

come modello positivo di divisione sociale del lavoro nell'ambi­ to della diversità di competenze e di capacità individuali e di gruppo. Ora si chiarisce però che il modello tecnico, nella sua parzialità, non poteva costituire altro che una pur utile "imma­ gine" (eidolon) in ordine al problema della giustizia (443c). La questione è politica, che si tratti della politica della città o di quella dell'anima che diviene pensabile nel contesto della pri­ ma, e il principio della oikeiopragia deve venire universalizzato precisamente a questo livello. Di qui la radicale riqualificazione di cui si diceva: "fare le cose proprie" non significa più, in que­ sto contesto, attenersi a una distribuzione di competenze tecni­ che e di mestieri, bensì realizzare e rispettare, nella città e nell'a­ nima, una distribuzione gerarchica dei ruoli di comando. 1 1

Cfr.

in questo senso G.

pp. 155 sgg.

CAMBIANO, Platone e le tecniche,

Roma 199F,

INTRODUZIONE AL LIBRO IV

13

La questione decisiva diventa quella di una corretta asse­ gnazione delle funzioni di esercizio e di assoggettamento al po­ tere (443 b2: EKa.a'tov 'tÒ. a.Ù'tou npcit'tEt àpxilç 'tE nÉp t Ka.Ì 'tou

&pxea9m). Il dialogo sulla giustizia giunge così alla sua (prima) con­ clusione ridefinendosi nitidamente come una ricerca sul pote­ re, peri arches. Le condizioni di possibilità di un agente giusto, individuale e collettivo (che è a sua volta la sola garanzia di azioni giuste secondo la morale tradizionale)2 includono la di­ stribuzione diseguale dei ruoli di potere secondo meriti e capa­ cità delle diverse parti in cui è suddiviso l'insieme sociale e quel­ lo psichico. In breve, un agente sarà giusto se in esso detiene il potere quella sua parte che vi è legittimata per le sue doti - che consistono essenzialmente, come vedremo, nella capacità di as­ sumere un punto di vista universalizzante -, se possibile con il consenso delle altre parti assoggettate a questo potere. Va subito detto che molte delle difficoltà incontrate dalla critica recente nell'interpretazione del IV libro dipendono da una riluttanza a scorgerne il carattere nitidamente e radical­ mente politico, e dall'esitazione (talora motivata con quello che appare invero un eccesso di naivété)3 nel vedere come il centro dell'argomentazione sia occupato dalla questione del potere, tanto a livello sociale quanto a quello intrapsichico. Ma dal punto di vista di Platone, e della costruzione del dialogo, non poteva essere diversamente. Si trattava infatti di rispondere in primo luogo alla formidabile sfida di Trasimaco, 2

Per l'applicazione della nuova idea di giustizia alle sue conseguenze «ba­

nali», phortika, cfr. 442e sg.; sulla teoria della giustizia «agent-centered», cfr. tra gli altri}. .ANNAS, An Introduction to Plato's Republic, Oxford 1981, pp. 157 sgg. }

Esemplare in questo senso C.D.C. REEVE, Philosopher-Kings. The

Argument o/Piato's Republic, Princeton 1988, pp. 170 sgg. (l'esposizione della

politica viene posposta a quella della psicologia perché si teme l'ostilità del lettore); M.C. NUSSBAUM, La fragilità del bene (1986), trad. it. Bologna 1996, evita per quanto è possibile la trattazione dei libri IV e V, e si pone il proble­ ma, di fronte alla politica platonica, di «salvare qualche elemento accettabile all'umanesirno democratico contemporaneo» (p. 318).

14

PLATONE, LA REPUBBLICA

che aveva imposto la connessione della giustizia con il potere, al di là delle banalità della morale tradizionale. E questa ri­ sposta è ora diventata possibile.

È vero che in un certo senso la giustizia rappresenta una variabile dipendente dalla forma di governo e dagli assetti di potere. È però anche vero che è possibile concepire la prima e i secondi in modo tale che la giustizia sia un bene universale. Questo accade laddove il potere costituisca una funzione di servizio collettivo e non di oppressione e spoliazione; e ciò a sua volta è possibile laddove le funzioni di comando vengano asse­ gnate a chi, per doti morali e intellettuali, nonché per educa­ zione e forma di vita comunitaria, sia in grado di svolgerle nel­ l'interesse generale e non in quello (d'altronde ingannevole) del proprio particolare egoismo. Su questo sviluppo si innesta anche una risposta finalmente convincente alla provocazione di Glaucone e Adimanto.

È possibile garantire un nesso sintetico, una solidarietà im­ mediata fra giustizia e felicità che risultino indipendenti tanto dalla considerazione pubblica quanto dai premi divini. La giu­ stizia è infatti nell'anima e nella società quel che la salute è nel corpo, cioè un corretto rapporto gerarchico e di potere fra ele­ menti diversi (444d4,9: Kcxtà >. «È proprio più insignificante questa norma dell'altra», disse.

(Poi. VII 4), che tuttavia ritiene come è noto eccessiva l'esigenza platonica di unità (Po/. II 2-3). 20

U phaulon di Adimanto è naturalmente ironico (in vista della difficoltà,

sia storica sia concettuale, di "delimitare" lo sviluppo della città); altrettanto ironico è lo smikroteron di 423d7. 21Cfr. 415b . L'ironia del phauloteron dipende qui dalla consapevolezza della difficoltà di destrutturare su base di merito un gruppo di potere oppo­ nendosi alla sua dinamica inerziale di autoconservazione in forma di "casta". 22

Phauloslspoudaios. Per ribadire la mobilità non-castale fra i diversi

gruppi sociali (dr. commento al libro III, n. 143), Platone codifica qui un'op­ posizione tanto sociale quanto morale, che sarebbe diventata canonica nell'e­ tica e nella poetica di Aristotele, dove oppone il personaggio comico a quello tragico (dr. in proposito S. GASTALDI, Lo spoudaios aristotelico /ra etica e poli­ tica, «Eienchos», VIII (1987) pp. 63-104), e che avrebbe acquisito un valore antropologico nello stoicismo (stolto/saggio: dr. Zenone in S. VF I fr. 216 e in proposito M. VEGETTI, La saggezza dell'al/ore. Problemi dell'etica stoica, «Aut-Aut», CXCV-CXCVI (1983) pp . 19-41, spec_ 25 sgg.). 2)

Oltre, s'intende, i phylakes.

[d]

56

PLATONE, LA REPUBBLICA

«Ma davvero, dissi io, buon Adimanto, queste non sono, come qualcuno potrebbe credere, numerose e grandi disposi­ zioni che stiamo impartendo, anzi sono tutte cose da poco se

[e]

soltanto si prendono cura, come si suol dire, di "una sola gran­ de cosa"24- ma più che grande, sufficiente» [C]. «E che cos'è?», chiese. «L'educazione, dissi io, e l'allevamento: perché se grazie ad una buona educazione gli uomini acquisiranno il senso della misura,2' si orienteranno facilmente in tutte queste cose, e an­ che nelle altre che noi ora tralasciamo, come le questioni del possesso delle donne, dei matrimoni e della procreazione, per­ ché tutte queste cose devono per quanto è possibile venir rese,

[424a]

secondo il proverbio, comuni tra amici».26 «Così in effetti andrebbe benissimo», disse. «Del resto, affermai, una forma di costituzione, una volta che abbia avuto un buon impulso iniziale, procede accrescen­ dosi a spirale: infatti l'allevamento e l'educazione conservati nella loro benefica integrità rendono buone le nature degli uo­ mini, e reciprocamente queste nature ben disposte, continuan­ do a ricevere una tale educazione, crescono ancora migliori di quelle che le hanno precedute, da ogni punto di vista e special­ mente in rapporto alla procreazione, come accade anche per

[b]

gli altri animali».27 24 To le gomenon ben mega: l'origine dd detto non è chiara, ma l'espres­ sione torna nello stesso senso in Polit. 297a. 2'

Metrioi, cioè dotati di sophrosyne, autocontrollo e senso degli equilibri

sociali (si veda qui 26

[F]).

Koina ta phi/on: secondo Diogene Laerzio, che cita Timeo

(VIII 10), la

massima risalirebbe a Pitagora e alla pratica di comunione dei beni della setta. Platone si riferisce qui sbrigativamente al detto, rinviando allibro V la diffi­ cile discussione sull'abolizione dell'oikos e i nuovi rapporti sociali che ne con­ seguono. Aristotele avrebbe ripreso l'espressione (Poi.

II 5 1263a 30 sgg.),

sostenendo che essa è virtualmente applicabile anche a forme sociali esistenti (come, entro certi limiti, a Sparta), laddove la si intenda non riferita alla pro­ prietà dei beni, ma al loro uso comune. 27

Per il programma eugenetico di Platone, cfr. V 459a sgg.

LIBRO IV

57

«È probabile», disse. «Per dirla in breve, dunque, è questo che i sorvegliantF8 della città devono tener fermo, perché non si corrompa a loro insaputa, e anzi venga protetto in ogni situazione contro i peri­ coli dell'innovazione che violi l'ordine dell'educazione ginna­ stica e musicale. Stiano in guardia quanto più è possibile, te­ mendo che, allorché qualcuno dica

quel canto più lodano gli uomini, che agli uditori suona intorno più nuovo/9 ci possa essere qualcuno che pensi che il poeta parli non di nuovi

[c]

canti, ma di un nuovo modo di cantare e lodi proprio questo. Invece non si deve né lodare una cosa shnile né accettare questa in­ terpretazione: bisogna esser consapevoli che l'introduzione di una nuova forma musicale comporta rischi di ordine generale. Non si mutano mai i modi della musica senza sconvolgere anche le prin­ cipali leggi politiche, come sostiene Damone e credo anch'io».30 «E metti anche me, disse Adimanto, fra quelli che ne sono convinti». «La torre di guardia, dissi io, sembra proprio che i difensori dovran�o costruirla qui, nella musica». «Quanto meno, disse, è qui che le trasgressioni alle leggi si insinuano facilmente di nascosto». 28

Epimeletai qui equivale certamente a phylakes; «questo» è l'insieme del

programma educativo. Sul problema del netJterizein in questo ambito, cfr. 422a e qui [B], S l.

�Od. I 351 sg. (leggermente modificato da Pla"tone). lo

La feddtà alla tradizione culturale e specialmente musicale è un tema

corrente dd pensiero greco dal citato Damone fino a Isocrate (cfr. qui [C], S 1), che tuttavia non esclude possibilità di innovazione (cfr. 424cl e più in generale Polit. 299d-e); nelle Leggi Platone sarebbe invece ricorso al modello della assoluta immobilità "egizia" (Il 656e). È qui particolarmente interessan­ te l'accento posto sulla solidarietà fra musica (come forma basilare dell'edu­ cazione pubblica) e costituzione politica, confermata dal doppio valore, co­ stituzionale e musicale, di nomos: laparanomia (424d3) è dunque trasgressio­ ne simultanea della nonna musicale e di quella legale.

[d]

58

PLATONE, LA REPUBBLICA

«Sì, dissi, come se fosse parte di un gioco e non facesse nien­ te di male». «Non fa niente infatti, disse, salvo che scivolando dentro poco a poco si infiltra silenziosamente nei caratteri e nelle occu­ pazioni; di qui, ingrossandosi, passa nei contratti privati e poi [e]

da essi si rivolge contro le leggi e gli assetti costituzionali, con grande insolenza, Socrate, senza arrestarsi finché abbia sovver­ tito tutto nel privato e nel pubblico».31 «Va bene, dissi: è questo che succede?». «Mi sembra», disse. «Occorrerà dunque, come si diceva fin dall'inizio, che i no­ stri ragazzi prendano parte a giochi precocemente ben discipli­ nati, perché se questi diventano trasgressivi, e i ragazzi con essi,

[425a]

non è possibile che ne crescano uomini rispettosi della legge e davvero seri».32 «Come no?», disse. «Una volta dunque che i ragazzi abbiano avuto un buon i­ nizio con i loro giochi, accoglieranno in sé grazie alla musica l'ordine della legge, proprio al contrario degli altri, e questo li seguirà in ogni circostanza e li farà crescere, raddrizzando ogni possibile cedimento precedente della città».33 «È proprio vero», disse. H

La metafora è quella del flusso di una corrente.

È interessante che que­

sta battuta violentemente conservatrice sia lasciata ad Adimanto, forse in li­ nea con i suoi interessi religiosi (cfr. commento ai libri

II-III, [D]).

32 n linguaggio del passo evoca con forza l'esigenza del condizionamento

(ennomoterou, pa­ ranomou, ennomous, e in 425a eunomia, epanorthousa): si tratta di un'istanza non diversa dall'impresa educativa della polis classica, che viene descritta con linguaggio simile da Protagora in Prot. 326c-e. 33 «Gli altri» ('keinois) sono i cittadini di Adimanto corrotti dall'innova­ zione musicale, ma anche quelli dell'Atene storica. n proteron di 425a6 allude

educativo al rispetto della legge e alla sua interiorizzazione

a un guasto che è intervenuto e che va raddrizzato: anche qui, alla sequenza logica si sovrappone quella storica, dove la polis platonica si propone come terapia dei mali prodottisi nella città che la precede nel tempo, l'Atene venuta meno al proprio progetto educativo (cfr. n. 32).

59

LIBRO IV

«E questi uomini, dissi, ritroveranno allora quelle norme che sembrano esser minori, e che quelli di prima avevano del tutto soppresse». «Quali norme?». «Le seguenti: il silenzio che si addice ai giovani in presenza

[b]

di anziani; }asciarli sedere e alzarsi in piedi davanti a loro, prendersi cura dei genitori; taglio dei capelli, abbigliamento, calzature e tutto l'aspetto fisico, e ogni altra cosa del genere. Non credi?».34 «lo sì». «Ma legiferare su queste cose penso sia ingenuo: non lo si fa e del resto queste disposizioni non durerebbero per quanto promulgate oralmente e per iscritto». «E come potrebbero?». «D'altronde è probabile, dissi, Adimanto, che grazie all'im­ pulso iniziale fornito dall'educazione, si continui nella stessa dire-

[c]

zione anche in seguito: il simile non chiama sempre il simile?». «Certo». «E credo potremmo dire che l'esito finale, nel bene o nel suo contrario, è sempre qualcosa di compiuto e vigoroso». «Come no?», disse lui. «lo dunque, affermai, per queste ragioni non intraprende­ rei il tentativo di legiferare ulteriormente su cose del genere». «È plausibile», disse. >, disse. «Allora, se mai una città va chiamata più forte dei piaceri e dei desideri e di se stessa, certo anche di questa nostra lo si de­ ve affermare». «Assolutamente», disse. «E per tutti gli aspetti non la si dovrà chiamare anche "mo­ derata"?».63 che di fronte alla corporeità (dr. per esempio Leg. VII 808d·e); (b) le donne, la cui educazione tradizionale, chiusa nell'oikos (che verrà criticata nel libro V) le

espone agli eccessi di emotività già criticati nel libro III (387d sg. e n. 19); fra i maschi adulti, naturalmente (c) i servi di casa (oiketat) e (d) i cosiddetti liberi, cioè i lavoratori ammessi alla cittadinanza benché non dispongano di sufficien. ti doti intellettuali (cfr. II 371e): essi sono phau/oi per inferiorità sociale e morale (kakoi in III 388al), quindi contrapposti agli epieikeis in 431dl sg. (per il valore di quest'ultimo termine cfr. commento allibro I, n. 8). Questi soggetti di passione formano la maggioranza della città (poi/m), rispetto alla minoranza di uomini capaci di enkrateia e di phronesis (cfr. 431c-d). 62

Tàç (scii. È1t\9ul1iaç) OÉ YE a1tMiç tE KaÌ 11Etpiaç: si tratta dunque di

«desideri» non generati dalla coppia passionale piacere/dolore; sulla loro na­ tura razionale cfr. qui [D], S 2 (per l'inevitabile restrizione numerica, oligoi, dei loro soggetti, dovuta ai requisiti congiunti di natura ed educazione, ivi, § 1). 6J

Sophron: è da notare che qui la sophrosyne appare ancora la qualità di

un solo gruppo, e solo transitivamente dell 'intera città. La sua universalizza­ zione rappresenta un passo ulteriore (au, 431d9), nella forma non del con­ trollo dei desideri, ma del comune consenso al potere dei migliori . Per il pas­ saggio di sophrosyne da virtù elitaria dei «pochi» a dotazione comune dell'in· tera città (432a), cfr. qui [fl ll pou di 432e6 segna l'incertezza di Glaucone nel riconoscere uno slittamento che fa della moderazione una virtù di tutti, e

LIBRO IV

73

«Certo», disse. «E ancora, se in una qualsiasi città i governanti e i governati condividono la stessa opinione su chi debba comandare, lo

[e]

stesso accadrà anche in questa. Non credi?». «Certo, disse, nel modo più assoluto». «E in quale gruppo di cittadini, quando si trovano in que­

sta condizione, diresti che è presente l'atteggiamento di mode­ razione? nei governanti o nei governati?». «In un certo senso in entrambi», disse. «Vedi dunque, dissi io, che poco fa eravamo bravi indovini supponendo che la moderazione sia simile ad una sorta di ar­ monia?».64 «Ma perché?». «Perché, a differenza del coraggio e della sapienza, la cui presenza in una sola parte della città basta a renderla rispettivamente sapiente e coraggiosa, non così agisce la moderazione, bensì si estende senz'altro attraverso l'intera città, facendo cantare insieme all'unisono65 lo stesso canto ai più deboli e ai più forti e a quelli di mezzo, per intelligenza, se vuoi, o se vuoi per forza, o anche per numero o ricchezze o altre simili cose:66 sicché nel modo più corretto possiamo dire che questa concordia

anzi specificamente del gruppo inferiore, rispetto alla sua tradizione aristo­ cratica. 64

Aristotele in Top. IV 3 123a34 sgg. avrebbe deplorato il carattere solo

metaforico di una definizione di sophrosynecome harmonia, perché quest'ul­ tima è riferibile in senso proprio soltanto al genere dei suoni. 65

L'accordo diapason è l'ottava, che «suona all'orecchio come un asso­

luto unisono» (AoAM ad /oc.), e richiede l'accordo di tutte le corde della lira. Cfr. PRocL. In R. VII, p. 213 K. 66 Phronesis, i schys, numero e ricchezze corrispondono naturalmente ad archontes, epikouroi e produttorilcrematisti. Non c'è tuttavia una corrispon­

denza punto a punto con "forti", "deboli" e "medi" che formano il coro della città, come ha esattamente visto SHOREY ad loc.; ognuno può trovarsi in ogni condizione a seconda del punto di vista (si può essere "forti" per intelligenza e "deboli" per ricchezza, e così via).

[ 432a]

74

PLATO:'IIE, LA REPUBBUCA

è moderazione, accordo conforme a natura fra chi è peggiore e migliore su chi debba comandare nella città e in ciascun indivi­ duo».67 [b]

«Sono del tutto d'accordo», disse . «Va bene, dissi io. Nella nostra città tre aspetti sono stati scorti, almeno così p�e. Ma la forma restante, grazie alla quale la città potrebbe ulteriormente partecipare di virtù,68 che cosa sarà mai? perché è chiaro che questa è la giustizia». «Chiaro». «Ma adesso, Glaucone, noi dobbiamo come dei cacciatori circondare il bosco e stare attenti che la giustizia non scappi da

[c]

qualche parte e sparisca rendendosi invisibile. Perché è chiaro che è qui da qualche parte: guarda dunque e cerca di scorgerla, e dimmelo se per caso la vedi prima di me». «Vorrei esserti utile, disse. Ma piuttosto, se puoi usarmi co­ me uno che ti vien dietro e riesce a vedere quel che tu indichi, farai di me un uso del tutto adeguato». «Vieni, dissi, e prega con me».69 «Lo farò, però tu guida>>, disse. «E davvero, dissi io, sembra un posto inaccessibile e buio: è oscuro e difficile da battere. Eppure bisogna andare».

67

Kaì Ev ltOÀEt JCaÌ Ev ÉVÌ ÉJCaatcp: intorno alla questione del potere giu·

sto si prepara la transizione dalla città all'individuo, entrambi articolati in una serie di scissioni gerarchiche, che verrà discussa a partire da 434d. Per una parallela definizione di salute e giustizia cfr. 444d. 68

Compare qui per la prima volta arete; non si tratta di un'ulteriore virtù

il modo abituale di interpretare) ma del­ (eti, 432b3) della virtù, cioè la giustizia, alle tre qualità esami· nate; cfr. qui in proposito, Introduzione, § 2. Sull'identificazione fra giustizia e agathon per la città cfr. 433c-e. rispetto alle tre già discusse (secondo

l'aggiungersi

69

Sulla preghiera ad Apollo e Artemide che precede la caccia cfr. X. Cyn.

6.13; la situazione si addice in modo particolare al personaggio dell'aristocra­ tico Glaucone. Sul carattere comico e fiabesco di questa scena, che rompe

il carattere trattatistico assunto dal libro, cfr. commento [E],§ 1.2.

ironicamente II-III,

ai libri

LIBRO IV

75

«Si vada allora», disse.

[d]

E io, scrutando, «ehi, ehi, dissi, Glaucone, c'è il caso che abbiamo una traccia, e mi sembra proprio che non ci sfuggirà». «Buona notizia», disse lui. «In verità, dissi io, ci capita una cosa piuttosto stupida». «E quale?». «Fin dall'inizio, beato amico, sembra che questa cosa continui a rotolarsF0 davanti ai nostri piedi, e non la vedevamo, rendendoci davvero molto ridicoli: come quelli cui capita di cercare una cosa che tengono in mano, anche noi non la scor-

[e]

gevamo perché guardavamo lontano, ed è probabilmente per questo che ci sfuggiva».

«>. «Ho capito, disse, e mi pare che così stiano le cose». «Ma eccoci di nuovo alla sete, dissi io. Non la porrai, per quello che essa è in se stessa, fra le cose relative a un oggetto? È certo sete di ...». «Ci sono, disse: di bevanda>>. «Allora di un particolare tipo di bevanda c'è un particolare tipo di sete, ma la sete in se stessa non è relativa a molta o poca bevanda, né buona né cattiva, bensì la sete in sé è per sua natu­ ra relativa soltanto alla bevanda in sé». 9'

La definizione della medicina come scienza di salute e malattia (cfr.

Charm. 170e) non è banale, perché estende il campo della medicina da quello più ovvio della patologia a quello della fisiologia (per i paralleli ippocratici, cfr. M. VEGEITI, La medicina in Platone, Venezia 1995, pp. 23 sgg.). Per una possibile estensione "malevola" di questa definizione cfr. I 332d e n. 18. Con l'ultima osservazione Platone sembra volersi cautelare da una fallacia eristica del tipo di quella discussa in Euthyd. 284d-e.

[439a]

PLATONE, LA REPUBBLICA

90 >.94

[c]

«È assolutamente così», disse. «Non diremo che c'è qualcuno che pur avendo sete rifiuta di bere?». «Certo, disse, molti e spesso». «Che cosa allora si potrebbe dire in questi casi? dissi io. Non ci sarà nella loro anima una parte che ordina di bere, e un'altra che lo proibisce, e questa seconda è diversa dall'altra e la domina?». «A me pare», disse. «Ma dunque ciò che proibisce simili azioni non si produce,

[d]

quando si produce, a partire da un ragionamento, mentre ciò che conduce e trascina è dovuto a passioni e a malattie?».9' «Sembra». 94

L'esempio non ha nulla a che fare con la paiintonos harmonie dell'arco

in HERACLIT. DK B51 (cfr. MARCOVICH fr.

27), citato in Symp. 187a. Serve

piuttosto a prevenire confutazioni sofistiche, ma non sembra del tutto appro· priato, perché l'azione delle mani dell'arciere, benché differenziata, è collabo­ rativa e non conflittuale come nel caso del rapporto logistikon/epithymetikon che viene qui discusso. 9' lhà

JtaEhuuitoov �eaì VOOTlJ.uitoov. Per il rapporto pathema/nosema nel

linguaggio della medicina del V secolo cfr. M. VEGETTI, Tra passioni e maiat-

91

LIBRO IV

«Non senza ragione allora, dissi io, riconosceremo che si tratta di due cose diverse fra loro, chiamando quella con cui l'anima ragiona la sua parte razionale, quella con cui ama, pro­ va fame e sete e si eccita per gli altri desideri, irrazionale e desi­ derante, compagna di gonfiezza e piaceri».96 «No, anzi, disse, sarebbe plausibile pensare così».

[e]

«Assumiamo dunque, dissi io, la distinzione fra queste due forme presenti nell'anima. Ma quella propria della collera, con la quale ci adiriamo, è da considerarsi come una terza forma, o invece sarà di natura affine a una di queste, e a quale?». «Forse, disse, alla seconda, quella desiderante».97 «Però, dissi io, c'è una storia che ho sentito una volta e in cui credo. Leonzio, il figlio di Aglaion, mentre saliva dal Pireo costeggiando dall'esterno il muro settentrionale, si accorse che c'erano dei cadaveri che giacevano vicino al boia, e allo stesso tempo desiderava di guardarli ma provava ripugnanza e si vol­ geva dall'altra parte. Per qualche istante lottò con se stesso e si coprì il viso, ma poi, vinto dal desiderio, spalancò gli occhi e

tia. Pathos nel pensiero medico antico, «Elenchos», XVI (1995) pp. 219-30. Per la definizione delle passioni come «malattie dell'anima» cfr. Tim. 87b (e qui n.

122). Il sintagma significa qui che le pulsioni del desiderio si impon­ di una condizione patologica dell'anima (in opposizione alla sua

gono in virtù

«salute» che consiste nell'equilibrio gerarchico delle parti, cfr. 444d-e). 96

L'espressione o'Ì> O'Ìl àAiryroç, con la quale si apre

troduzione

il passo, prepara l'in­ di due importanti neologismi come logistikon ed epithymetikon.

Va inoltre segnalato che eros si aggiunge qui ai due desideri «più evidenti>>, fa. me e sete. Ptoeo, come descrizione del movimento scomposto dell'anima nelle passioni, sarebbe entrato a far parte del linguaggio stoico (per esempio ZENO 5. VF. I fr. 206, 209; CHRYSIPP. 5. VF. III fr. 476). Per la connessione diplerosis

con la fisiologia del piacere cfr. Phil. 3 5a sgg.; in particolare con

il bere Gorg.

496e. '17

L'ipotesi

di Glaucone è perfettamente motivata dalla comune apparte­

nenza di thymoeides ed epithymetikon alla dimensione irrazionale dell'anima. Essa va tuttavia riconsiderata perché metterebbe in questione tanto l'omolo­ gia anima/città quanto l'alleanza fra logistikon e thymoeides che è essenziale alla "politica dell'anima" nella Repubblica.

[440a]

92

PLATONE, LA REPUBBLICA

corse verso i cadaveri dicendo "Ecco, voi disgraziati, saziatevi di questo bello spettacolo"».98 «L'ho sentito anch'io», disse. «Questo racconto però significa, dissi, che l'ira99 talvolta combatte contro i desideri come se si tratti di due cose diverse>>. «Significa questo, in effetti», disse. «E non ci acco �giamo anche in molti altri casi, dissi, che

[h]

quando i desideri fanno violenza a qualcuno contrastando la sua capacità di ragionamento, questi si rimprovera e si adira contro la parte violenta di sé, e, come se vi fossero due conten­ denti, 100 la collera di chi si trova in questa situazione si allea 98

Leonzio doveva essere un personaggio noto, di cui non sappiamo tut­

tavia nulla (sulla base di un frammento dd comico Teopompo, CAF I 739 K., gli sono state attribuite tendenze necrofile, ma si tratta di pura fantasia). Il muro settentrionale è uno dei due che connettevano Atene al Pireo; il demios era lo schiavo pubblico addetto alle esecuzioni capitali. n supplizio cui si al­ lude consiste nella precipitazione nd barathron, di condannati vivi oppure in seguito - come sembra indicare questo passo di Platone - previamente giu­ stiziati. Secondo il decreto di Cannonos della metà del V secolo, questo sup­ plizio veniva inflitto fra gli altri ai condannati per reati politici contro il po­ polo ateniese (per la questione dr. E. CANTARELLA, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano 1991, pp. 96 sgg.). Il senso dd passo è dato dal fatto che in Grecia (a differenza che a Roma) il supplizio capitale non è mai stato conside­ rato uno spettacolo pubblico, e che assistervi poteva venir quindi considerato, da parte dei ceti superiori, un gesto degradante. L'orgoglio personale e di ceto di Leonzio, il suo thymos, cerca dunque di impedirgli un piacere perverso, moralmente e socialmente deplorevole, al quale lo trascina la sua epithymia. '�'�Qui orge equivale a thymos, «ira, collera», ma naturalmente anche spiri­ to orgoglioso e vendicativo. Per i due termini dr. commento al libro II, n. 89. 100

iOOntp 5uotV > (421c). l. Felicità privata e servizio politico

Le obiezioni di Adimanto all'inizio del libro IV ripropon­ gono a Socrate, da una nuova insidiosa prospettiva, la diffi­ coltà di fondo della sfida sulla giustizia: mostrare che essa paga in termini di felicità individuale. Il suo intervento interrompe la costruzione architettonica più complessa dei due interlocutori principali, Socrate e Glau­ cone, che, dalla maggiore visibilità della giustizia nell'intero, dovrà ricavare un'indicazione per la giustizia negli individui. Meno "intellettuale" di Glaucone, Adimanto tradisce l'ansia di un personale coinvolgimento e non può attendere ulteriormen­ te una risposta: il discorso sta mettendo in gioco la felicità di quel gruppo ristretto di individui che, per le sue qualità pecu­ liari, occupa una posizione di particolare rilievo nella città e ha quindi diritto più di altri a garanzie di benessere. Adimanto ha buoni motivi per vedere una minaccia nella prospettiva enun­ ciata da Socrate alla fine del libro III: nella negazione di ogni

108

PLATONE, LA REPUBBLICA

privilegio di status egli coglie giustamente un paradossale rove­ sciamento della logica del potere: «non rendi davvero felici questi uomini, e per giunta proprio a opera loro: benché in ve­ rità la città sia nelle loro mani, essi non ne godono alcun bene» (419a). Le connotazioni di status sembrano convertire gli archon­ tes da padroni a servi; ed è allo spettro della servitù che più

immediatamente reagisce Adimanto, educato al disprezzo dei mercenari e della logica subalterna che li caratterizza. Per tutta risposta, Socrate porta all'estremo il paradosso («[ . .] questo e altro: lavorano solo per il vitto e oltre al cibo non .

prendono altro salario, come fanno gli altri»: 420a), confer­ mando che, in una logica acquisitiva, dove la felicità si configu­ ra in termini di potere e fruizione di beni, essi non potranno che apparire servi malpagati e dunque socialmente infelici, perdendo insieme alla disponibilità di beni privati la possibilità del loro uso qualificato che conferisce prestigio all'essere socia­ le degli uomini dabbene. 1 1

Le obiezioni di Adimanto hanno un'eco teorica molto forte nella criti­

ca che Aristotele muove nel II libro della

blica di Platone. Aristotele

Politica ai libri IV e V della Repub­

è il primo a contestare a Platone la negazione

della felicità individuale, che, nella ricostruzione aristotelica della dinamica psicologica dei piaceri, si articola intorno alla privatezza Oa disponibilità

di

sé, dei beni, dei figli, l'esercizio della virtuosa liberalità nel dono e nell'amici­ zia, come condizioni assolute di felicità); di qui l'inconcepibilità di una su­ bordinazione funzionale che escluda, in nome del bene dell'intero, ogni ef. fettiva fruibilità di beni per i soggetti partecipi della

po/is. L'argomento, ri­

preso in varie forme dalla critica contemporanea, viene spesso utilizzato sen­ za che si chiarisca quanto il modo stesso di concepire la felicità divida Ari­ stotele da Platone e quanto il retroterra ideologico aristotelico contribuisca a creare un tramite positivo con la critica antiplatonica dei contemporanei. Luogo cruciale di ogni contestazione liberai-democratica è il passo in cui Platone dichiara di preferire la felicità dell'intero alla felicità delle parti (420b-c}. Che questo possa intendersi come un'asserzione esclusiva è facil­ mente confutabile sulla base delle esplicite dichiarazioni che percorrono il IV e il V libro della

Repubblica, in cui Socrate ribadisce che il suo compito è

quello di dimostrare la connessione di giustizia e felicità per l'individuo. Il problema reale è la credibilità del modello di felicità che Platone costruisce

COMMENTO AL LIBRO IV,.

[A]

109

Il conflitto tra logica di servizio e logica acquisitivo-stru­ mentale nell'uso del potere sembra riproporsi negli stessi termi­ ni che avevano opposto Socrate a Trasimaco. Ma Socrate sta concependo adesso una risposta sulla felicità più ambiziosa e complessa di quella costruita nel libro I sull'autonomia funzio­ nale dell'anima (cfr. 353b-e) come sostituto-sinonimo di felicità. Per poter negare l'uso privato dello spazio pubblico e quindi la connessione tra felicità individuale e uso privatistico del potere, dovranno aprirsi nella costruzione della città ideale spazi nuovi per una felicità mediata socialmente e solo alla fine di questa costruzione strategica si potrà comprendere il senso di quella che per ora è soltanto una presa di posizione sbalor­ ditiva: l'appropriazione privata di beni non può avere, di per sé,

nessuna

relazione positiva con la felicità individuale dal mo­

mento che, come dice Socrate, «non ci sarebbe niente di sor­ prendente se anche così questi uomini fossero molto felici» (420b). Tenere fede a questa che appare come una promessa signi­ ficherà costruire una strategia complessa e avvolgente mirata su Glaucone e Adimanto sia come interlocutori teorici che co­ me possibili alleati sociali. per l'individuo. Aristotele ignora volutamente la cornice antropologica che sostiene l'analisi platonica, perché misura la plausibilità del modello platoni­ co su un'altra antropologia; da essa deriva un tipo di felicità che non può fa­ re a meno della privatezza. Contro i)ristotele e la sua "antropologia ristretta"

deÙ I libro della Politica, si potrebbe far valere, come fa D. LANZA (La critica aristotelica a Platone e i due piani della Politica, «Athenaeum», n.s. IL (1971) pp. 384-86),lo stesso Aristotele dell' Etica Nicomachea (con particolare riferi­ mènto' àl capitolo 8 del libro IX), che valorizza, in termini che potrebbero essere platonici, l'autonomia di un modello di felicità basato sull'onore (sen­ za contare quello puramente teoretito), in cui, in nome della virtù, la philau­ tia si esprime nell'amore per la parte migliore di sé, facendo dimenticare

oghi altro tipo di ricchezze e di piac±re. Per una analisi più ampia e profonda delle istanze privatistiche dell'antropologia aristotelica, nel quadro di una «concezione patrimoniale della soggettivazione», cfr. M. VEGETTI, L'io, l'ani­

ma e il soggetto, in S.

SETTIS (a ctua

67, in particolare pp. 457-67.

di), I greci, Torino 1996, vol. I, pp. 431-

110

PLATONE, LA REPUBBLICA

li "lupo" Trasimaco, interlocutore effettivo di Socrate solo per un breve tratto della Repubblica, resta sullo sfondo come limite negativo assoluto della discussione politica; poiché le sue obiezioni sono efficaci e dotate di alto livello teorico, il subentrare di Glaucone e di Adimanto, cittadini ben disposti a lasciarsi convincere del valore etico della giustizia, potrebbe sembrare la scelta di un terreno più facile, l'abbandono di

un

conflitto teorico più rigoroso. In realtà tra Socrate e Trasimaco non ci può più essere confronto diretto; tra i due c'è la distan­ za che divide paradigmi incommensurabili: la logica nuda e pura del potere di Trasimaco è irriducibilmente quella di un estraneo alla comunità politica mentre la costruzione della cit­ tà ideale richiede un presupposto morale di appartenenza che precede il rigore dell'argomentazione interna e fa sì che i rap­ porti tra l'individuo e il potere non possano configurarsi se­ condo una logica che esclude la mediazione della cittadinanza comune.2 2

Nel dibattito americano è molto presente la questione se Socrate stia

rispondendo a Trasimaco oppure a Glaucone e Adimanto: ci sembra che si possa concordare con M.C. STOKES, Adeimantus in the Republic, in S. PANA­ GIOTOU (ed .), Law, ]ustice and Method in Plato and Aristotle, Edmonton

1985, quando afferma che i veri interlocutori sono ormai i due fratelli; R. Kraut critica M.C. Stokes appoggiandosi al passo V 498c-d (cfr. The de/ense

o/ justic e in Plato's Republic, in The Cam b ridg e Companion to Plato, Cambridge 1992, p. 334 n.

13),

in cui Socrate afferma che convincerà Trasi­

maco; ma, a nostro parere, l'indicazione che lo farà «nell'altra vita» rende l'af­ fermazione ironica e segnala che non si ritengono gli uomini come lui interlo­ cutori politici reali in questa vita . Adimanto e Glaucone sono piuttosto porta­ voce del punto

di vista di Trasimaco.

Sulla figura dei due fratelli come porta­

tori indiretti del punto di vista di Trasimaco, cfr. qui commento libri 11-111,

(E],§ 4.

Per la differenza

di stile fra Trasimaco e i fratelli, cfr.

il passo 368a-b:

«certo vi è toccato in sorte qualcosa di divino, se non credete che l'ingiustizia sia migliore della giustizia, pur essendo capaci di parlare di essa in questo modo . E in effetti mi sembrate veramente non crederlo: lo induco del resto dal vostro modo di vita, perché se mi limitassi ai discorsi in se stessi diffiderei di voi». Per la differenza di origine (Trasimaco straniero, ateniesi i due fratel­ li) cfr. P. VIDAL NAQUET, La démocratie grecque vue d'ailleurs, Paris 1990, pp.

113-14.

COMMENTO AL LIBRO IV,

[A]

111

2. La priorità dell'intero sulle parti e lo spettro del totalitarismo La risposta di Socrate sembra volere sottolineare una frat­ tura metodologica definitiva nella scelta, che si era presentata precedentemente in modo dimesso, come un espediente (cfr. 368c-369a), di ricercare la visibilità della giustizia nella città prima che nell'individuo: la priorità dell'intero sulle partP si configura qui come un'assunzione etica implicita nella respon­ sabilità dei fondatori, impegnati a fornire garanzie, in cui feli­ cità e giustizia si confondono, e il carattere politico di questa responsabilità sembra escludere a priori la possibilità del privi­ legio per qualunque gruppo sociale. Platone usa una metafora di grande suggestione (cfr. 420c-e) per modificare il senso delle relazioni sociali rispetto al tenore dei precedenti discorsi: para­ gonate alle componenti organiche della bellezza di una statua, le parti sociali non sono più pensabili come dotate di autono­ mia di interessi e di motivazioni. Come gli occhi che pur sono tra «le più belle parti del corpo» non possono pretendere «i colori più belli» che, inappropriati agli occhi, turberebbero l'armonia della statua e l'efficace rappresentazione della parte, così nessuna componente sociale, per quanto eccellente, potrà pretendere un trattamento di privilegio (quella speciale felicità di cui ha parlato Adimanto) che la renda diversa da ciò che de­ ve essere in relazione alla città di cui è parte.4 n tema ricorre in punti cruciali della costruzione platonica, cfr. v 466b­ Leg. IV715b, VIII 828e; IX 875a. Particolarmente importante il passo VII519e-520a, su cui cfr. la suc­ J

e, V473e, VI500d sgg., VII519e-520a; cfr. anche cessiva nota 11. 4

Assumendo come criterio interpretativo la metafora del dominio politi­

co e supponendo in Platone l'intenzione di esprimere la subordinazione delle parti all'intero è possibile fraintendere

il senso dell'immagine, come se essa

negasse alle parti la bellezza che deve essere garantita all'intero. Anche R.F. Stalley, che non sembra condividere la critica aristotelica a Platone, trova però nell'ambiguità di questa immagine una parziale giustificazione ai fraintendi­ menti aristotelici: «But since the parts of a beautiful statue need not be indivi­ dually beautiful, the simile could suggest that a happy city need not have happy citizens»

(Aristotle's Criticism o/ Plato's Republic, in D.

KEYT-F.D.

PLATONE, LA REPUBBLICA

112

Ciò vale tanto per gli agricoltori e i vasai (cfr. 420e) quanto per i guardiani, anche se il potere attivo di pervertimento di chi ha la funzione di produrre l'ordine è assai più ampio e peri­ coloso ed è dunque rivolto soprattutto agli archontes l'invito a modificare la loro concezione della felicità: questa non potrà più prescindere dalla comprensione della propria identità so­ ciale che diventa la via di accesso a una quota di un patrimonio collettivo di benessere («e così, mentre la città tutta cresce nel buon governo, si lasci pure che a ciascuno dei gruppi la natura conceda di ottenere la sua parte di felicità», 421c). Ma in che senso la felicità ripartita socialmente risulterà più adeguata alle singole parti? La perentorietà delle afferma­ zioni platoniche ha dato luogo a un intenso dibattito e a con­ trastanti interpretazioni. Da Aristotele a Popper, passando per Hegel, il presunto organicismo della teoria politica platonica ha fatto interpretare il primato dell'intero sulle parti come sa­ crificio virtuale dell'interesse individuale o di gruppo. La trama aristotelica resta visibile nel quadro teorico hege­ liano dove, da un lato, la filosofia politica platonica era più ap­ prezzabile (soprattutto per gli aspetti della kallipolis che ri­ mandano a una forma di eticità sostanziale), ma dall'altro la cri­ tica agli eccessi antiprivatistici di Platone rimaneva simile nei contenuti a quella aristotelica, ricevendo nuove motivazioni dalla preoccupazione che, con la proprietà privata, venisse col­ pita l'autonomia della componente soggettiva della mediazione dialettica, con conseguente impoverimento etico-politico.'

A Companion to Aristotle's Politics, Cambridge Mass. 1991, 197). Questo significa supporre che, sia nel caso della bellezza sia nel caso

MILLER]R. (eds.), p.

della felicità, si tratti soltanto di concedere o no alle parti quella che viene presentata come una qualità indivisibile, la felicità o la bellezza; ma Platone sta lavorando con il lessico dell'adeguatezza, ponendo in questione il

tipo di

felicità o di bellezza che meglio possa garantire la relazione organica tra l'inte­ ro e le parti. �«Platone d'accordo con tutti gli uomini

di pensiero suoi contempora­

nei, conoscendo questa corruttela della democrazia e la manchevolezza stessa del principio di essa, mise in rilievo il sostanziale; ma non poté imprimere

COMMENTO AL LIBRO IV,

[A]

113

La critica di Popper,6 mediata dal mito negativo dello stato totalitario, sottopone invece l'intera interpretazione della lte­ pubblica platonica a un fraintendimento che sopprime ogni dia­

lettica, separando il livello di realtà dello stato da quello delle sue componenti e facendo di esso una individualità astratta e contrapposta. 7 Secondo Popper è lo stesso Platone che «ripete spesso» come l'oggetto del suo impegno non sia «né la felicità degli individui, né quella di una particolare classe nello stato, ma solo la felicità del tutto».8 Ma, come Vlastos ha dimostrato,9 una simile contrapposizione è inesistente nell'intero corpus pla­ tonico, mentre nei passi dove Platone si esprime sul problema della felicità dell'intero, essa appare non separabile da quella delle parti, e in qualche modo, risultante da esse. La città inte­ ra, cui Platone intende assicurare la felicità, non può che coin­ cidere in modo «coestensivo» con «the people themselves who are its members - ali of them in all of their institutionalized interrelations». A riprova di ciò Vlastos richiama l'unico, ipote­ tico caso, in cui Platone argomenta, controfattualmente, sulla possibilità che ciascuno o ciascun gruppo di cittadini si appro­ pri di una forma arbitraria e inadatta di felicità (cfr. 420e-421a), per mostrare come la felicità dell'intero e delle parti siano ine­ stricabilmente connesse, pervenendo, in questo caso, a un co­ mune collasso. Fondamentale ci sembra l'indicazione interpre­ tativa di Vlastos quando individua nel «fare le cose proprie», e nella sua idea dello Stato la forma infinita della soggettività, che era ancora

il suo Stato perciò è in se stesso senza la libertà sogget­ S 552; cfr. anche Lineamenti di Filosofia del Din'tto, SS 46 e 185, dove lo stato nascosta al suo spirito;

tiva»

(G.W.F.

HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,

platonico è definito «soltanto sostanziale»). Su queste critiche hegeliane cfr. M. ISNARDI PARENTE, La «Repubblica» di Platone in Germania nel secolo di

Marx, «Belfagor», XXXVII 6

(1982) pp. 618-21.

Cfr. K. POPPER, La società aperta e i suoi nemici

1973, vol.

( 1944), tra d it. Roma

l.

118. 240 (corsivo nostro). 9 Cfr. G. VLASTOS, The theory o/ Social Justice in the Polis in Plato's Re­ public, in H.F. NoRTH (ed.), lnterpretations o/ P lato, Leiden 1977, pp. 1-40. 7 lvi, p. 8

lvi, p.

114

PLATONE, LA REPUBBLICA

nel criterio di reciprocità che Platone connette alla sua versione sociale, la «centrai intuition»10 di Platone sul tema della giusti­ zia. È un'indicazione che cercheremo di approfondire e svilup­ pare nel corso dell'analisi. 11 10

Cfr. G. VLASTOS,

11

G. Vlastos la sostiene facendo riferimento a un passo dd libro Vll, dav­

op.cit. (n. 9), pp. 14-16.

vero cruciale per intendere il nesso platonico tra felicità e giustizia (519e-520a), quando Socrate richiama l'obiezione di Adirnanto, che gli viene riproposta ora da Glaucone, preoccupato del fatto che i filosofi (non più i guardiani in gene­ rale) debbano sacrificare la loro felicità; qui Socrate afferma che il fme della legge costitutiva della città è di ottenere, sia con la persuasione sia con la forza, «che tutti possano reciprocamente godere dei vantaggi che ogni singola parte è in grado di portare alla comunità». In questa affermazione si rende chiaro, come suggerisce Vlastos, che, dei benefici ricevuti, i cittadini, «and they alone, are the beneficiary; the well-being of the n6Àtç is theirs»

(op. cit. (n. 9), p. 17). la

Nello stesso senso, ci sembra, si esprime anche G. CAMBIANO (dr. I filoso/i e

costrizione a governare nella Repubblica platonica in G. CASERTANO (a cura di), !filoso/i e z1 potere nella società e nella cultura antiche, Napoli 1988, pp. 52-53) quando sottolinea come l'elemento di costrittività (ananke) derivi semplice­ mente dalla logica di reciprocità dd sistema, senza sopprimere le ragioni sog­ gettive legate alla convenienza personale che scaturisce, d'altra parte, proprio dalla partecipazione a un sistema giusto; la dimensione relazionale in cui le competenze (virtù) si incrociano indica la necessità di ricambiare i benefici ri­ cevuti. Ciò non implica, a nostro parere, che la costrizione non esercitata, ma che essa non è ciò che

possa essere /onda il legame sociale in una città giusta.

Nel caso dei governati si tratterà di valorizzare i vantaggi e il consenso in cui si esprime l'integrazione sociale; nd caso dei filosofi, poiché per loro si tratta di allontanare il sospetto che essi desiderino il potere, Platone tende piuttosto a esibire gli elementi di costrizione connessi alle responsabilità di governo per dissimulare una vocazione tirannica sempre possibile. n suo intento resta qud­ lo di costruire la rete delle reciprocità sociali come una struttura di valore obiettivo, verificabile tanto nel buon funzionamento della

polis quanto nella

piena espressione delle potenzialità individuali migliori. In questo quadro i filosofi

devono apparire come garanti della razionalità dd sistema, privi di desi­ professionale, appassionata

deri individuali che non siano qudli legati alla cura

e imparziale, della loro funzione. Al problema dell'obbligazione dd filosofo si collega quello di un suo presunto sacrificio, argomento assai dibattuto tra gli studiosi anglosassoni: per una breve rassegna dello MAHONEY,

status quaestionis, cfr. T.A. Do Plato's philosopher-rulers sacrz/ice sel/-interest to justice,

«Phronesis», XXXVII (1992�pp. 265-82, in particolare pp. 266-67, n. l.

COMMENTO AL LIBRO IV,

[A]

115

La possibilità di ridurre il programma platonico di felicità sociale a una logica utilitaristica è stata, a ragione, definitivamen­ te esclusa, sottolineando la sua incompatibilità con il progetto di costruzione etica della giustizia che lo accompagna nella Repubblica.12 Pur ravvisando limiti interpretativi nella pro­ spettiva di chi, come ].D. Mabbott, affida socraticamente la giustizia all'autarchia dell'anima, riteniamo, però, che essa ab­ bia il merito di sottolineare in modo definitivo la distanza che divide Platone da ogni concezione della felicità basata sulla semplice fruizione di beni, che non implichi un coinvolgimento profondo dell'identità interiore. La saldatura etica della felicità all'anima giusta fa sì che risultino inadeguati tanto gli schemi sbilanciati sull'interesse individuale (conseguenzialisti) quanto quelli che intendono rigorosamente escludere ogni traccia di motivazioni individuali dal campo etico (deontologisti).13 Un contributo interessante al chiarimento e all'approfondimento delle categorie etico-politiche utilizzabili per Platone viene da Griswold, 14 che prende in esame le diverse accuse alla sua filo­ sofia politica (antiegualitaria, illiberale, metafisica), comprese quelle provenienti dai più illustri rappresentanti della cultura liberai-democratica; seguendo il filo di questa tradizione in12

Cfr. J.D . MABBOIT, Is Plato's Republic Utilitarian?, in G. VLASTOS

(ed.), Plato. A Collection o/Critica! Essays, New York 1971, pp. 57-65; i riferi­

menti sono a H.A. PR:rcHARD, Duty and Interest, Oxford 1928; N.B. FosTER,

A mistake in Plato's Republic, «Mind», n .s. XLVI (1937) pp. 386-93, con la

replica a Mabbott in «Mind», n .s. XLVII (1938) pp. 226-32; D. SACHS, A

Fallacy in Plato's Republic, «P hilosophical Review», LXXII (1963) pp. 141-

58, poi in G. VLASTOS (ed.), op.cit., pp. 35-51. Anche White ritiene inapplica­

bile alla trattazione platonica della giustizia l'alter nativa tra duty e interest,

che esprimono prospettive moderne sull'analisi etica: cfr. N.P. WHITE, A com­

panion to Plato's Republic, Oxford 1979, p. 13. Sull'ipotesi di un Adimanto

prevalentemente utilitarista e di un Glaucone deontologico cfr. la c ritica di]. ANNAS, An Introduction to Plato's Republic, Oxford 1981, pp. 65 sgg. Il

14

Cfr. J. ANNAS, op.cit. (n. 12), pp. 61-62.

Cfr. C.L. GRISWOLD, Le libéralisme platonicien: de la perfection indivi­

duelle comme fondement d'une théorie politique, in M. DIXSAUT,

ton([[): Le platonisme renversé, Paris 1995, pp. 155-95.

Contre Pia­

116

PLATONE, LA REPUBBLICA

terpretativa, Griswold prende in esame l'idea (riformulata da Rawls) che il platonismo sia una forma irrealizzabile1' (o neces­ sariamente coercitiva) di politica metafisica. 16 Ciò che rende interessante e non sottovalutabile questa accusa è che essa, nel contesto problematico assai più ampio che Rawls le fornisce, è formulata in modo da legarsi al dogma di fondo della democra­ zia, il fatto che ciascuno debba essere considerato un soggetto attivo nella definizione di ciò che è bene politicamente.

È in

nome di questo implicito presupposto normativa che Rawls, sulla base delle numerose difficoltà a rintracciare una misura unitaria del bene che possa essere la base di un consenso popo­ lare, ritiene senz'altro irrealizzabile ogni buon ordine ispirato a una idea metafisica del bene: in questo caso il bene precede­ rebbe il giusto e il giusto non sarebbe contrattabile. Seguendo questo punto di vista, il

perfezionismo platonico non è diverso

dall'utilitarismo, 17 in quanto entrambi sono impostati su un impianto teleologico ed entrambi suppongono una determina­ ta definizione del bene (gli interessi privati per gli utilitaristi, il bene pubblico per Platone). Lo schema del perfezionismo serve invece a Griswold per fissare una precisa linea di demarcazione tra la prospettiva pia15

In ambito anglosassone, i commentatori che tendono a misurare Plato­

ne su presupposti di felicità privatistica, assunti come irrinunciabili per la na­ tura umana, valutano i risultati platonici in modo più favorevole se riferiti a individui ideali, più sfavorevole se riferiti a individui reali; in questo senso, per esempio, Julia Annas, per difendere Platone dalle accuse di scarso reali­ smo antropologico e politico, esclude che egli si occupi della politica in senso pragmatico come «art of the possible» (op. cit. (n. 12), p. 105), e colloca su

un

piano utopico-ideale (valutabile per la coerenza con le sue premesse) la costruzione platonica («This takes what he says out of the area of practical politics, and renders it either unpolitica!, or, if one is not strict about the term, politica! but highly ideai»: p. 104). È per effetto di una scelta teorica delibera­ ta che «he does not hesitate to sacrifice the needs and interest of actual peo­ ple to those of the ideai individuals of his theory of human nature» (p. 181 ). 16

Cfr.J. RAWLS, Una teoria della giustizia (1971), trad. it. Milano 1982, p. 373; cfr. anche Liberalismo politico (1993), trad. it. Milano 1994, pp. 9-10. 17 Cfr. J. RAWLS, Teoria cit. (n. 16), pp. 37-38 e, soprattutto, pp. 272-78.

COMMENTO AL LIBRO IV,

[A]

117

tonica18 e quella utilitaristica: il perfezionismo platonico «envi­ sage les etres humains sous l'angle de leurs potentialités plutot que de leurs intérets, leurs besoins ou leurs propriétés don­ néS>>.19 A nostro parere si tratta di una sottolineatura opportu­

na per individuare il punto su cui fa leva la progettualità plato­ nica. Platone non considera affatto dati gli interessi e le opinio­ ni degli uomini. n suo disinteresse per gli individui in quanto portatori di istanze già costituite socialmente si giustifica in nome di quelli che egli ritiene essere i loro bisogni profondi, le loro disposizioni e potenzialità,20 definibili nella progressione (e non nella datità) del bene. Senza essere un pensatore demo­ cratico, Platone vive i travagli interni di una cultura che ha teo­ rizzato l'uguaglianza politica, ma non sa intervenire sulle disu­ guaglianze reali, e, }asciandole libere di agire conflittualmente, non ha gli strumenti per rinvenire le condizioni di un accordo sociale. Platone privilegia l'obiettivo civile dell'accordo, e, per costruire le condizioni di un consenso durevole, vincolato a una misura obiettiva di valore, non teme di infrangere l'idealiz­ zazione retorica della cittadinanza egualitaria. n principio del­ l'isonomia, divenuto senso comune dopo la riforma democrati­

ca di Clistene,21 si esprimeva in un sistema di rappresentanza aperto a tutti, in cui il sorteggio delle cariche valeva simbolica­ mente come assenza di discriminazione. Come osserva Mario Vegetti, «esso presupponeva, per avere senso, una radicale 18

C.L. Griswold sembra affiancare senza distinzioni Platone e Aristotele

sulla linea del perfezionismo e questo è forse la spia di una lettura troppo incline ai valori dell'individualismo per adattarsi veramente a Platone. Ma la chiave del "perfezionismo" resta valida per comprendere la prospettiva in cui Platone ci impone di valutare la felicità della po/is e delle sue componenti. 19 20

C.L. GRISWOLD,

op. cit. (n. 14), p.

161.

Il rimando alle disposizioni naturali ha un carattere complesso, non

Platone e 152), poiché esse investono l'equilibrio etico­

certo meramente biologico (cfr. G. Cambiano contro K. Popper in

le tecniche, Roma-Bari

199!2, p.

intellettuale dell'anima in quanto suscettibile di adesione a un ruolo sociale. Il mito

di Er (richiamato da Cambiano) ne fa il frutto di una scelta, suggerendo

forse una responsabilità implicita nell'identità con se stessi. 21 Cfr. P. LEV�QUE-P. VIDAL NAQUET,

C/isthène /'Athénien, Paris 197V.

118

PLATONE, LA REPUBBLICA

omogeneità di valore e di capacità, insomma di arete, fra tutti i cittadini, che diventavano così davvero "uguali nella legge" della città».22 Ma l'uguaglianza nella legge può rivelarsi una finzione pericolosa se la polis non dispone di criteri selettivi per l'attribuzione dei ruoli sociali di direzione e di controllo. Platone guarda il sistema dal lato della sua crisi e oltre lo scher­ mo della sua rappresentazione idealizzante: le regole aperte e non discriminanti della democrazia lasciano il sistema politico indifeso rispetto alle differenze reali di forza, di astuzia e di potere da cui emergono élites prive di ogni controllo di valore. Il progetto della kallipolis è una correzione meritocratica della democrazia; è il tentativo di far corrispondere gerarchie sociali e differenze antropologiche reali esplicitando le regole di valo­ re che devono presiedere al riconoscimento condiviso delle éli­

tes sociali. L'unità nella cittadinanza, prospettata da Clistene con il principio dell' isonomia, non deve, per Platone, pagare il prezzo dell'uniformità e della intercambiabilità dei ruoli. Essa può realizzarsi attraverso il riconoscimento delle differenze e la condivisione dei criteri di selezione sociale in ordine all'attri­ buzione di responsabilità. In altri termini, per il progetto pla­ tonico di J.ll>, Adimanto, dichiarandosi d'accordo, afferma: «Voto questa legge insie­ me a te» (aVJl'lfTlcpOç > (trad. it. M. Vi­

un

esperto di cose militari? Eccolo fatto guerrie­

tali). La casualità, nel presiedere a tale modello comportamen­ tale, esclude la dinamica selettiva che è propria al desiderio razionale, la disamina, alla luce di una teoria del valore, dei costituenti della vita. Ad essa è solidale l'indeterminatezza, che a sua volta ricopre il polimorfismo dell'epithymia e l'intrinseca onnipervasività: seppure l'uomo democratico non abbia e­ splicitamente «intronato» l'epithymetikon, tutta l'anima ne ripete il principio della gratificazione irriflessa.21 La ginnastica, la politica, la guerra defluiscono dal terreno motivazionale autonomo, lo thymos, e altrettanto avviene per la filosofia. Non lo attrae infatti il perseguimento della verità, ma la curiosità o forse il gusto di manipolare le parole: la filosofia riveste la su­ perficialità del gioco, seppure intellettuale, non lo spessore esi­ stenziale di passione della ragione. Nel libro IV Socrate aveva fatto notare a Glaucone (431b­ c) come molti e svariati desideri (pantodapas epithymias) e pia­ ceri e dolori si possono trovare soprattutto in bambini, donne, servi, e, fra i cosiddetti liberi, nella massa di quelli dappoco.

Pantodapon è a sua volta definito, nel IX libro, il mostro che si 21

L.

STRAUSS e J. CROPSEY, Storia della filosofia politica ( 1963 ) , vol.

l,

trad. it. Genova 1993, p. 144, sottolineano l'esagerazione di Socrate nel de­ scrivere l'intemperanza dell'uomo democratico, esagerazione affine a quella riscontrabile nella mitezza licenziosa attribuita alla democrazia. Tale uomo è infatti «colui che, secondo l'ideale marxista, il mattino va a caccia, il pomerig­ gio a pesca, la sera raduna il bestiame e, dopo cena si dedica alla filosofia». Anche secondo J.

LUCCIONI, La pensée politique de Platon, Paris

1958, p. 58,

Platone non arretra di fronte all'esagerazione, volgendo l'indignazione in sati­ ra: egli riprende quella procedura, tipica della commedia, che consiste «dans le grossissement voulu de la réalité». Sulla deformazione quasi caricaturale della teoria periclea e democratica del modo di vita individuale, operata dal viveur platonico, cfr. D. Musn, Demokratia. Origini di un'idea, 1995, pp. 278 sgg.

Roma-Bari

COMMENTO AL LIBRO IV,

[H]

273

cela sotto l'involucro dell'uomo, la figura metaforica dell'e­ pithymetikon (588e). La ridondanza dell'aggettivazione·già vei­ colava la policromia dei desideri non necessari: procurano nav'toOanàç �Oovàç KaÌ notKiÀ.aç KaÌ nav1:oiroç Èx;ouoaç, pia­ ceri di ogni sorta, svariati e strani (559d). Essi privilegiano l'i­ pertrofia del paradigma alimentare, quell'epithymia gastrono­ mica, nociva alla salute del corpo e dell'anima, che è possibile, frenandola ed educandola fin da giovani (KoÀ.açoJ..LÉVTI ÈK vérov KaÌ JtatOruoJ..LÉVTI), allontanare dai più (559b-c). Desideri clas­ sificati come dispendiosi da Socrate, che di tale dispendiosità aveva nel II libro (373a) fornito un'anticipazione magistrale. n regime della città lussuosa, tryphosa, contempla infatti letti, tavole, altre suppellettili, carni, profumi, incensi, etere, torte, il tutto in gran varietà (pantodapa). Nello scenario del banchetto affluiscono gli oggetti cui si correla lo spettro delle epithymiai qualificate: tutte rifrangono, nella loro pletoricità culturale, la cecità motivazionale della sete in sé. Pantodapoi sono d'altronde gli uomini che abitano nella città democratica, generati dalla licenza di seguire ogni inclina­ zione (557c sgg.). Tale costituzione ha l'aria di essere la più bella di tutte: come un abito variopinto (himation poikilon), screziato di ogni sorta di colori (nftatv av9eotnmotKtAJ..LÉvov), così questa, screziata di ogni sorta di caratteri (nftotv tl9emv 7tE7tOlKlAJ..I.ÉV11) bellissima potrebbe apparire. E forse tale la ri­ tengono molti, simili a donne e fanciulli irretiti dalla varietà dei colori (ta poikila). La policromia dei bioi si ripete simmetrica­ mente in ogni anima che è dominata da un mostro poikilon, policefalo (588c). 7. La vocazione egemonica del desiderio

L'onnipervasività propria all'epithymetikon ne esprime la potenza psicologica, che l'analogia politica traduce nella voca­ zione a conquistare il potere della micropolis. n logistikon e lo thymoeides - per far trionfare la giustizia - debbono prendere

il controllo della parte desiderante, la più grande (pleiston) nel-

274

PLATONE, LA REPUBBLICA

l'anima e per sua natura la più insaziabile (aplestotaton) di ric­ chezze. Essa va sorvegliata per evitare che, divenuta grande e forte gonfiandosi dei piaceri connessi al corpo, cessi di svolge­ re la propria funzione e tenti di ridurre in servitù e sotto il suo potere (archein) le altre parti, sovvertendo l'intiero modo di vi­ ta di ognuno (IV 442a-b).

Nel campo di battaglia in cui la metafora bellica trasforma l'anima si fronteggiano due opposti schieramenti per una posta essenziale, il benessere dell'anima stessa. L'epithymetikon ha un vantaggio di ordine quantitativo, in quanto occupa lo spazio più ampio all'interno della topografia interiore. Tale dato ne vi­ sualizza la logica immanente del pleon echein, ma replica al con­ tempo un'altra preponderanza topografica, quella inerente al gruppo sociale simmetrico. L'agora pertiene infatti agli affaristi, che a loro volta rappresentano la frazione demografica più co­ spicua: vi svolgono le attività fmalizzate al misthos, alla remune­ razione, e d'altronde è sulla ricchezza che si condensa la violen­ za motivazionale dell'epithymia. n logistikon occupa certamen­ te l'acropoli, insediamento che ne raffigura illegittimo esercizio del potere, la supremazia aristocratica. I presidi di cui si vale sono le deliberazioni sul bene generale, la forza persuasiva che è propria al desiderio razionale. Si vale inoltre delle armi dello thymoeides, l'energia che conferisce ai deliberati una forza addi­ zionale, emotiva (442b): la magnanimità dell'indignazione, il desiderio di stima e di autostima. L'esito auspicato della battaglia - la vittoria della ragione non appare scontato e Platone stesso ci segnala un insuccesso eloquente. Leonzio è vinto dall'epithymia, ripetendo lo scacco di cui si faceva portavoce nel Protagora >, necessario per la giustizia dell'individuo, è sottolineata daR W

HALL,

]ustice and the Individuai in the Republic, «Phronesis», IV (1959) pp. 149-58. Sul governo "humeano" della ragione proprio all'anima dei produttori dr. ANNAS, op. cit. (n. 14), p. 136; cfr. T. IRWIN, op. cit. (n . 12), p. 329, n. 26:

J. il

contributo alla sophrosyne della polis che essi forniscono non scaturisce dalla deliberazione sul bene generale richiesta dalla giustizia. Sull'assenza

di affer­

mazioni concernenti l'inserimento dei produttori nell'iter educativo dei libri II-III cfr. G.H. HOURANI, The Education o/ the Third Class in Plato's Re­

public, «The Classica! Quarterly», XLIII (1949) 58-60; M. ISNARDI-PARENTE, in ZELLER-MONDOLFO, LA filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Firenze 1974, parte II, vol. IIV2, pp. 602 sgg. Diversamente N.R MURPHY, op. al. (n. 11), p. 78: è ragionevole supporre che l'educazione elementare coinvolgesse

COMMENTO AL LIBRO IV,

[H]

281

La kallipolis, nel comprendere una polis tryphosa, si popola

dunque di non giusti; microcosmo etnografico, è affollata di Fe­ nici e Egi�i, che tuttavia costituiscono una presenza recessiva, sottomessa al potere dei phylakes che le imprimono il loro carat­ tere, quello della giustizia. I migliori informeranno al bene gene­ rale le dinamiche psichiche dei produttori, surrogando con la forza del proprio logistikon la loro connaturata debolezza (IX 590c-d). Tale asservimento consente indubbiamente l'instaurarsi della sophrosyne nella sua pregnanza fattuale, l'attenersi alla col­ locazione nell'ordine gerarchico della polis, l'erogazione dei comportamenti previsti dalla legge, fattualità di cui i guardiani si fanno esplicitamente garanti. Il compito di tutela dai nemici esterni si completa infatti nel controllo delle condotte (III 415e), gli archontes assumono la gestione dei tribunali (432e): il bene da preservare non è tanto l'integrità del suolo e delle sostanze quanto l'integrità, la coesione politica (cfr. 421b-c). La homo­

doxia, il consenso, consisterebbe tuttavia in un riconoscimento dei rapporti di forza che, nel precludere l'avvento dell'ingiusti­ zia, si limiterebbe soltanto a sopire la stasis. L'unità della città richiede invece che la virtù assuma una connotazione più inten­ sa, che l'inerzia dell'acquiescenza si trasformi nell'adesione a un patto di cui Platone mostra la pregnanza affettiva: il dominio della ragione lega nel vincolo della philia, dell'amicizia, le parti sociali, il doulos e l'ottimo che lo governa (IX 590d). Un'adesione chiaramente problematica, dal momento che le anime degli affaristi non sono rette dalla deliberazione sul be­ ne generale e pertanto non sono in grado di dedurne il carattere benefico della sophrosyne. L'adeguamento della motivazionalità individuale può verosimilmente avvenire attraverso la visibilità della giustizia realizzata nella polis, il cui logos diviene per­ cepibile nella rete degli scambi sociali. Questa consegna ai pro­ duttori il potere esercitato dai migliori, traducendo nel linguagtutti i cittadini, soprattutto per suscitare la homonoia richiesta; G. VLASTOS, Justice and Happiness in the Republic, in P/atonie Studies, Princeton 19812, pp. 111-39 (pp. 136 sgg.): tutti sono sottoposti alla paideia musicale che è suffi­ ciente per acquisire la virtù morale.

282

PLATONE, LA REPUBBUCA

gio dd beneficio socialmente fruibile l'eccellenza intrinseca dd dominio della ragione: il popolo li chiamerà salvatori (soteras) e guardiani (epzkourous, V 463a-b). Al di là di ogni dinamica for­ malmente contrattualistica, l'accordo si potrebbe fondare sul riconoscimento di una convergenza di interessi, la garanzia di svolgere con sicurezza il proprio lavoro, l'assenza di con­ flittualità. Se l'erogazione del servizio reciprocativo è ogget­ tivamente implicata dall'organizzazione funzionale, tale richie­ sta è potenziata dal livello qualitativo cui nella kallipolis pervie­ ne la tecnica politica e in particolare dalla sua subordinazione all'interesse generale.28 n calcolo prudenziale attuato dagli affa­ risti, nell'accettare le restrizioni che la sorveglianza dei phylakes impone al far denaro, non ripeterebbe le dinamiche triviali pro­ prie all' oligarca. La crudezza del modello motivazionale sarebbe mitigata dall'ideologia della comune appartenenza che si esem­ plifica paradigmaticamente nel comportamento dei governanti. Tale operazione psicologica appare analoga a quella che nel I libro aveva compiuto un altro crematista, residente in A tene, il meteco Cefalo. Egli aspirava a lasciare ai figli un pa­ trimonio di poco maggiore rispetto a quello ereditato, inseren­ do la logica acquisitiva di produttore di scudi all'interno di quella tradizionale, conservativa (330b); egli intendeva coniu­ gare la visione dell'homo oeconomicus, soddisfatto di avere in­ crementato le finanze, con la morale del metron. A questa ave­ va uniformato il carattere, i cui tratti definitori appaiono con­ vergere: ordinato (kosmios), per bene (epieikes), impone una misura ai comportamenti e ai desideri, modellandoli secondo la sophrosyne. Aveva compiuto gli atti di giustizia richiesti con quella regolarità che è segno di un habitus consolidato, aveva 28

da G. VLA­ 27), pp. 3-42.

La connessione tra phi/ia e utilità reciproca è messa in luce

STOS, The Individua/ as an Object o/ Lave in Plato, in op. cit. (n.

Alla convergenza di interessi, anziché a una scelta deliberata, fa riferimento P.

(1975) pp. 31-36. Vedi rilievi di T.]. ANDERSSON, Polis and Psyche, GOteborg 1971, pp. 227 sgg.: i molti possono percepire la giustizia funzionale realizzata dalla po/is; il contesto socio-culturale li aiuterà a comprenderne il significato anche per l'individuo. EISENBERG, Sophrosyne, Se/f and State, «Apeiron», IX

anche i

COMMENTO AL LIBRO IV,

[H)

283

osservato la legge, aveva pagato agli uomini e agli dèi i propri debiti. Aveva tenuto la condotta implicata dal «patto» del me­ teco con Atene e che, nella città delle Leggi, viene richiesta ai meteci (VIII 850b): sophronein, comportarsi bene, attenersi anzitutto al ruolo di esclusi dalla comunità politica (cfr. com­ mento al libro I, [C], § 6). Atene era stata generosa con Cefalo, contraccambiando con il diritto di godere una buona vita l'adeguamento dell'ethos al parametro richiesto. Tanto più motivato è il consenso che Pla­ tone si aspetta da parte degli affaristi: la kallipolis fornisce il beneficio della giustizia e ne comunica l'ideologia attraverso la diffusività dei meccanismi culturali, che tutti rappresentano l'immagine del carattere buono.

10. I:educazione degli affaristi L'educazione musicale, seppure indirizzata ai difensori, do­ vrebbe esercitare una persuasività indotta sui produttori. Se questi non saranno attivamente mimetikoi (394e), protagonisti delle esecuzioni corali (cfr. commento ai libri II-III, [H], II, § 1), ne saranno tuttavia spettatori durante le festività civiche. La re­ golamentazione persegue inoltre un intervento capillare: i > segnano le tracce (typoi) nel cui ambito spetta ai poeti comporre i racconti, ma, affinché questi lascino un'impronta inalterabile, spetterà ai vecchi e alle vecchie ripeterli ai bambi­ ni, a chi è più tenero e plasmabile (II 377a-379a). I typoi defini­ scono le soglie di compatibilità della creatività ufficiale e al contempo quelle delle varianti della mitologia domestica; la consequenzialità della normativa recepisce il dato che le favole per l'infanzia, i «racconti minori», vertevano tradizionalmente sulle vicende degli dèi e degli eroi, come i «maggiori».29 Le 29

La rilevanza dei miti raccontati dalle nutrici e dalle nonne all'interno

dell'inventario socio-culturale platonico è sottolineata da M. DETIENNE, L'in­

venzione della mitologia ( 198 1), trad. it. Torino 1983, pp. 104 sgg.; sulla conti­ guità dd loro contenuto rispetto al mito eroico-divino di Omero e Esiodo cfr.

G. CERRI, Platone sociologo della comunicazione, Milano 199 1, pp. 17 sgg.; in

284

PLATONE, LA REPUBBUCA

Leggi stigmatizzano gli increduli, ribelli ai mythoi appresi fin

dalla più tenera infanzia insieme al latte materno e della nutri­ ce. Veri «incantesimi» (epodat) si rinnovavano nelle preghiere dei sacrifici, mentre davanti agli occhi si svolgeva lo spettacolo più bello cui un fanciullo possa assistere, i genitori intenti a officiare

un rito solenne (X 887d sgg.). n cum'culum pedagogico è indirizzato alla formazione dei

difensori e della sua ottemperanza essi stessi si fanno garanti, ma i typoi tenderanno a imprimersi nella memoria collettiva, segnando le soglie dell'ascolto, della recezione, anche per i produttori. La mitologia domestica, di cui sono ovviamente fruitori, si adeguerà anonimamente, come in Atene, alla censu­ ra comunitaria, reinterpretando il discorso proprio al gruppo sociale. È il discorso dell'integrazione, della philia gerarchica che, emblematicamente affidato alla storia fenicia, Platone si augura circoli ovunque e acquisisca persuasività divenendo tradizione (414b sgg.). È il messaggio della sophrosyne, dell'ob­ bedienza ai governanti e del governo sui piaceri, di cui si fanno portatori, in questa mitologia moralizzata, gli dèi e gli eroi (389d-e). Essa contempla un nuovo personaggio, il difensore, le cui gesta formano uno spettacolo, bellissimo, che si sovrap­ pone a quello offerto dai genitori. Egli è intento alla preghiera oppure, con l'insegnamento e il monito, a persuadere i concit­ tadini, disposto ad accoglierne gli insegnamenti e le richieste: egli, alieno da ogni superbia, uniforma alla moderazione e alla misura (sophronos ... metrios) ogni sua azione (399b-c). La comunicazione del messaggio è d'altronde imperativa­ mente affidata agli stessi technitai: non sarà consentito lavorare nella polis a chi non è in grado di rappresentare l'immagine del carattere buono (tou agathou ... ethous). Saranno invece cerca­ ti quelli che a ciò appaiono ben dotati: coopereranno ai severi splendori di questa nuova Atene, purificata (401a-d). La sorve­ glianza sulla loro attività non si limita a controllare il limite generale sulla problematica cfr. P. VEYNE, Les Grecs ont-ils thes?, Paris 1983, pp. 52 sgg.

cru

à /eurs my­

COMMENTO AL LIBRO IV,

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285

della ricchezza, ma interviene sulla tipologia e sulla qualità dei beni. La purgazione implica la esplicita chiusura di settori pro­ duttivi funzionali alle richieste del piacere, quelli di flauti, di strumenti a molte corde, poliarmonici (399c-d), che modulano le armonie dell'intemperanza. L'offerta viene pianificata dai guardiani secondo la norma d'uso del kalon che, nell'includere l'efficacia, la riqualifica nella sua accezione etica. La proibizio­ ne di rappresentare le contese divine - immagini del carattere malvagio - non si applica solo ai racconti mitici, ma include il ricamo (poikilteon), alludendo alle scene della Gigantomachia intessute nel peplo offerto ad Atena durante le Panatenee (378c). Al di là della correttezza dei contenuti sacri, la buona (euschemosyne) o la cattiva grazia (aschemosyne) ineriscono in generale al ricamo, poikilia, e alla tessitura, che pertanto contribuiscono alla diffusione dei valori. La poikilia costituisce un

fattore significativo del passaggio dai bisogni necessari alla

loro espansione in consumi lussuosi: la policromia delle vesti ripete quella di un regime di vita governato dai desideri (373a). La varietà degli animali, dei fiori che intrecciano l'immagine della democrazia,30 sarà purificata a intrecciare l'immagine del­ la semplicità della kallipolis. JO

Resp. VIII 557c:

lllattov ... nncnv èiv9EOl 7tEitOllClÀI!ÉVOV. Sull'allusio­

ne a una policromia floreale cfr. LIDDEL-SCOTI, s. v. èiv9oç: in pl. «embroide­ red flowers on garments». Le diverse modalità con cui veniva data EaJ.Loç universale: è una vera e propria analogia di lessico. 3

Cfr. Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), vol. VIII, lezione 9, p. 318:

«0 forse non sapete che tutte le soverchierie e le trasgressioni di cui sognamo durante la notte vengono compiute davvero quotidianamente da uomini sve­ gli in forma di delitti? Che altro fa qui la psicoanalisi se non confermare l'an­ tico detto di Platone secondo il quale i buoni sono coloro che si accontentano di sognare ciò che gli altri, i cattivi, fanno realmente?»; cfr. Resp. IX 574e575a, ma anche 571a-572b. La citazione gni (1899), vol. III, p. 71.

è ripresa ne L'interpretazione dei so­

COMMENTO AL LIBRO IV,

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su Simposio e Fedro, e confinando pertanto Repubblica all' oriz­ zonte.4 Quanto alla forma trifunzionale, infine, se il gioco analogi­ co si riduce a una semplice e per di più non dichiarata similitu­ dine tra schemi euristici, la ricerca parrebbe difficilmente po­ ter fondare, in questo caso, un discorso forte e significativo sul­ l'eventuale legame tra Platone e Freud. Ma la comparsa dei tre ordini psichici nella scrittura freu­ diana richiede spiegazione: è puro révenant o consapevole riu­ so? E se si tratta di consapevole riuso perché non parlare di Repubblica?

Per la domanda che qui poniamo, non giova nessuna pro­ spettiva che voglia individuare in alcuni momenti della scrittura platonica ragguardevoli preconoscimenti di concetti psicoanali­ tici: non interessa ripercorrere l'interpretazione che Freud diede di Platone. Non importa insomma il problema genealogico, ma, al contrario, il problema della strategia costruttiva e dell'orien­ tamento ideologico: bisogna cioè indagare se esiste tra i progetti del filosofo e dello scienziato un'affinità di disegno intellettuale nella fondazione della realtà psichica e, soprattutto, se esiste una concordanza sulle ragioni essenziali che dell'anima rendono indispensabile, per l'uno e per l'altro, la presenza nell'uomo. Tra le righe della sceneggiatura della Repubblica, l'anima era la mossa saliente di una complessa operazione teorica che, spiegata la "natura" dell'uomo, ne legava quindi il destino al corpo di una comunità gerarchizzata: se effettivo dialogo c'è tra il filosofo e Freud, questo è il messaggio fondamentale che va rintracciato nel discorso psicoanalitico. Risulta obbligato dunque comparare i testi a partire da Pla­ tone, ovvero dal percorso dialettico e rappresentativo che si Sull'eros in Platone e Freud cfr. G. SANTAS, Plato and Freud: Two Theo­ 1988, trad it. Bologna 1990. Cfr. anche P. PLASS, Anxiety, Repression and Mora/ity. Plato and Freud,