Ippia Maggiore. Sul bello. Dialoghi socratici. Testo greco a fronte 8845278360, 9788845278365

In aggiunta ai numerosi dialoghi di Platone già pubblicati nei Testi a fronte, una nuova collana di undici titoli con un

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Ippia Maggiore. Sul bello. Dialoghi socratici. Testo greco a fronte
 8845278360, 9788845278365

Table of contents :
Copertina
Frontespizio
Copyright
Sommario
Avvertenza
Citazione
Prefazione generale ai dialoghi giovanili di Platone
1. Giudizi contraddittori sui dialoghi socratici
2. Posizioni inaccettabili dal punto di vista ermeneutico assunte da alcuni studiosi
3. Se si elimina Platone, non si comprende Socrate
4. Il modo in cui si può distinguere il pensiero storico di Socrate nei dialoghi platonici
5. Posizioni estremistiche da evitare
6. L’ottica in cui presenteremo l’interpretazione dei primi dialoghi di Platone e i fondamenti storici sui quali ci basiamo
7. Personaggi che hanno compreso la rivoluzione di Socrate
8. Lo scopo della nostra edizione di questi dialoghi
Saggio introduttivo
I - L’autenticità dell’ippia maggiore
1. La negazione dell’autenticità dell’Ippia Maggiore è nata solo in età moderna. Le ragioni ermeneutiche su cui si fonda
2. Argomenti particolari addotti da Schleiermacher che continuano a essere ripetuti
3. Altri errori ermeneutici da evitare per poter comprendere l’Ippia Maggiore
II - Contenuto del dialogo nelle sue articolazioni
1. Incontro di Socrate con il Sofsta ippia (281 A - 287 B)
2. Posizione del problema che verrà discusso
3. Prima defnizione di Ippia sul bello
4. Seconda defnizione di ippia (289 D - 291 C)
5. Terza defnizione di ippia (291 C - 293 D)
6. Prima defnizione di Socrate (293 D - 295 A)
7. Seconda defnizione di Socrate (295 A -297 D)
8. Terza defnizione del bello proposta da Socrate
9. Conclusioni sofstiche
10. Il signifcato dell’Ippia maggiore
III - Assi portanti concettuali dell’Ippia Maggiore
1. Le fgure dei protagonisti con particolare riguardo alla doppia fgura di Socrate e il suo signifcato
2. Vero e falso metodo dialettico e sconftta del Sofsta con sofsmi ben costruiti dialetticamente da Socrate
3. La «confutazione» come momento essenziale della dialettica socratica e la sua funzione educativa e purificatrice
4. Necessità storica della domanda di Socrate sul «che cos’è» nelle sue implicazioni e conseguenze e allusioni alla teoria delle idee di Platone
5. Criptica allusione alla dottrina dei «principi primi» con la chiamata in causa dell’«uno» e del «due»
IV - Precise indicazioni fornite nel dialogo per giungere alla definizione del bello
1. Il modo in cui platone parla del bello nell’Ippia Maggiore
2. Nesso strutturale fra «bello» e «conveniente»
3. Il rapporto fra bello, utile e vantaggioso
4. Nesso ontologico strutturale fra «bene» e «bello»
5. Spunti veritativi sul bello contenuti nell’ultima defnizione di Socrate
6. Alcuni richiami della «scala del bello»
7. Conclusioni
Biografia, cronologia e opere di Platone
1. Vicende della vita
2. Signifcative connessioni di Platone col dio Apollo created all’immaginazione dei Greci
3. Il dialoghi di Platone e la loro autenticità
4. La questione della cronologia degli scritti
Esplicitazione delle abbraviazioni
Ippia Maggiore
Prologo - Incontro di Socrate con Ippia il Sofista
Parte prima - Posizione del problema sull'essenza del bello e le tre definizioni proposte da Ippia
Parte seconda - Definizioni del bello proposte da Socrate
Parte terza - Critiche alla terza definizione di Socrate e trappole di sofismi in cui viene fatto cadere Il Sofista
Conclusioni - Se non si esce dal modo di pensare di Ippia non si risolve il problema del bello e si gira a vuoto in circolo
Bibliografia specifica
A. Edizioni, commentari e traduzioni
B. Studi critici e interpretazioni

Citation preview

Bompiani Testi a fronte Direttore Giovanni Reale

Testo greco a fronte

Prefazione generale Saggio introduttivo Nuova traduzione e note di Giovanni Reale Bibliografa specifca di Vincenzo Cicero

BOMPIANI testI A frONte

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

ISBN 978-88-587-7039-9 © 2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero – Rometta Marea (ME) I edizione digitale 2015 da edizione Testi a fronte aprile 2015

Sommario

Prefazione generale ai dialoghi giovanili di Platone Saggio introduttivo L’Ippia maggiore una brillante commedia flosofca in cui Platone presenta le idee rivoluzionarie di Socrate facendosi befa del Sofsta

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Biografa, cronologia e opere di Platone

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Esplicitazione delle abbreviazioni

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Ippia maggiore (Sul bello, confutativo)

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Bibliografa specifca

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aVVErTENZa

Questo dialogo viene pubblicato dopo la morte di Giovanni reale, che ne ha curato l’edizione, in un progetto unitario, insieme agli altri dieci dialoghi socratici di Platone. Fino alla sera prima di essere chiamato altrove reale ha lavorato su questi testi. La nuova traduzione da lui condotta è iniziata nel 2007. Gli undici Saggi introduttivi sono stati rivisti e integrati tra gennaio e il 14 ottobre 2014. Giovanni reale aveva personalmente consegnato all’Editore quattro dialoghi: Teagete, Amanti, Ippia maggiore e Ippia minore. il materiale dei sette dialoghi rimanenti è stato recuperato dal suo computer. Si tratta di un lavoro già completato per quanto riguarda i saggi introduttivi, le traduzioni e l’apparato bibliografco di base; solo alcune note sono da integrare con l’aiuto degli allievi e collaboratori. Ecco quanto lui stesso ha scritto nella Prefazione generale che viene pubblicata in apertura di ciascun dialogo: «Sono, questi, gli ultimi dialoghi di Platone di cui noi ci occupiamo […], in quanto […] solo dopo aver studiato a fondo il pensiero di Socrate, siamo stati in grado di interpretarli in modo adeguato, di valutarli nella loro grande importanza e di gustarli». Giorgio Ferri Stretto collaboratore di Giovanni reale nei suoi ultimi anni di attività

Calepa; ta; kalav. «Le cose belle sono difficili!». Ippia maggiore, 304 E

Prefazione generale ai dialoghi giovanili di Platone

n.B. riproduciamo questa Prefazione in tutta la nuova serie dei «dialoghi socratici» di Platone che pubblichiamo nella collana “testi a fronte”, in quanto contiene i canoni ermeneutici e i criteri generali seguiti nella loro presentazione e interpretazione, per agevolare i lettori che si procurano solo volumi successivi al primo.

1. Giudizi contraddittori sui dialoghi socratici i primi dialoghi platonici sono stati da sempre chiamati «socratici», in quanto prevale in essi la dottrina del maestro, ma sono stati giudicati in maniera contraddittoria. il giudizio più equilibrato su di essi dato in passato è stato quello di Werner Jaeger, che vogliamo riportare: «nella lunga serie delle opere platoniche, si rivelano come un gruppo a sé, distinti da comuni caratteristiche, quelli che si sogliono chiamare “dialoghi socratici”: in senso stretto, giacché anche in altre opere Socrate appare fgura centrale. Questo gruppo, infatti, rappresenta, si può dire, la forma originaria del dialogo socratico nel suo aspetto più semplice, ancora del tutto aderente alla realtà. Sono tutti di breve estensione, non più lunghi di quanto potrebbe essere nella realtà una conversazione occasionale. nel punto di partenza e nello scopo, nell’uso del procedimento induttivo e nella scelta degli esempi, in tutto insomma il loro svolgimento, essi mostrano una somiglianza di tratti tipici, che si spiega, evidentemente, col modello reale a cui cercano di aderire» (Paideia, ed. Bompiani, p. 831). tuttavia, il suo giudizio è rimasto sul generico. Jaeger, infatti, non è entrato, se non limitatamente, nell’interpretazione dei singoli dialoghi giovanili, e non ha individuato le caratteristiche specifche di fondo che stanno alla base di tali scritti, ma questo è ciò che più conta per la loro esegesi.

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va comunque detto che non pochi studiosi nei confronti di questi dialoghi sono rimasti perplessi, soprattutto per il fatto che si tratta di opere di carattere per lo più «aporetico», e quindi lasciano il lettore a bocca asciutta, ossia senza una soluzione esplicita del problema trattato, e sono, di conseguenza, difcili da interpretare, e pertanto poco accattivanti. Su alcuni, poi, è caduta la scure dell’atetesi, soprattutto nell’ottocento e anche nel corso del novecento. oggi si tende, in generale, a non ricorrere al criterio della negazione dell’autenticità, a meno che il dialogo non contenga sicuri riferimenti a dottrine posteriori. noi siamo convinti che i dialoghi di Platone tramandatici dagli antichi come autentici possano essere ritenuti tali, almeno per la maggior parte. in passato, non pochi studiosi hanno ritenuto questi dialoghi assai magri, e quasi privi di contenuti flosofci. h. Maier, per esempio, scrive (tr. it., i, pp. 126 sg.): «Per questi dialoghi sembra valere in modo afatto speciale l’afermazione che “la massa degli accessori mimici non è per nulla proporzionata alla magrezza del contenuto flosofco” (zeller, i4 p. 526). Ma essi non vogliono afatto ofrire un contenuto dottrinale […]. anzi, il loro Socrate in sostanza non muove alla conquista di concetti etici; ed essi intendono suscitare non interesse scientifco, ma, come il Socrate dell’Apologia, vita morale».

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2. Posizioni inaccettabili dal punto di vista ermeneutico assunte da alcuni studiosi la posizione più estremistica è stata quella assunta da olof gigon, il quale, nel suo libro su Socrate del 1947, ha afermato addirittura che di Socrate non possiamo sapere pressoché nulla, e che lo conosciamo meno dei Presocratici, dei quali ci è giunto qualche frammento diretto e autentico, mentre di Socrate ci sono giunte solo testimonianze indirette fra di loro in contraddizione. tali testimonianze presenterebbero non il Socrate storico, bensì un personaggio creato dalla fantasia degli autori, e di questo sarebbe responsabile soprattutto Platone, ma non solo lui. anche uno studioso come gabriele giannantoni è caduto in posizioni estremistiche, eliminando Platone addirittura per intero dai testimoni del pensiero di Socrate, includendo invece nella sua raccolta perfno alcune testimonianze dei Padri della Chiesa (1971). Si tratta di posizioni del tipo di quelle delle quali si può ben dire, come è stato giustamente rilevato, che la filologia, quando diventa ipercritica, distrugge se medesima. (Si pensi che giannantoni, dalla successiva raccolta Socratis et Socraticorum Reliquiae del 1990, esclude non solo Platone, ma anche aristofane e Senofonte, ossia le più importanti testimonianze su Socrate). in particolare, olof gigon non ha tenuto conto del fatto assai importante e incontestabile che, data la straordinaria eccezionalità del pensiero di Socrate, non poteva essere compreso dai vari testimoni nella sua profondità e ricchezza e nella sua portata rivoluzionaria, se non in proporzione all’intelligenza, alla sensibilità e all’apertura intellettuale che essi avevano, e quindi in modo diverso e in vari sensi (più che

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mai, in questo caso, si impone la verità della massima medievale quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur). giannantoni, nella sua raccolta delle testimonianze su Socrate, non ha incluso Platone in quanto dice troppo, ben più del dovuto. l’errore ermeneutico da lui commesso sta nel fatto che il «troppo» non si può correggere semplicemente eliminando in toto l’autore che è responsabile del troppo.

3. Se si elimina Platone, non si comprende Socrate in realtà, se si elimina Platone, Socrate rimane pressoché incomprensibile, e comunque un pensatore di poco conto. Jan Patočka, per esempio, diceva giustamente: «Se escludiamo Platone dalla tradizione socratica, non resta niente di eccelso e di sublime» (Socrate, tr. it., p. 18). e hans-georg gadamer, in occasione di una lunga discussione che abbiamo fatto con lui prima di una intervista nel 2000, durante la quale gli abbiamo donato il nostro volume Socrate che era appena uscito dalla rizzoli (riedito nella Bur 2001, 20134), in risposta alla nostra domanda sulla operazione che da anni stava conducendo di «ri-socratizzare Platone», ci ha detto testualmente: «io ho per Socrate grande ammirazione, e con la mia ermeneutica mi sento molto vicino al suo pensiero; però bisogna dire che, se non ci fosse stato Platone, noi di Socrate non sapremmo pressoché nulla. le ragioni e la struttura funzionale del dialogo con la dinamica delle domande e risposte, fatte in quel modo, che sono tipiche di Socrate, ci vengono rivelate solamente da Platone».

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Questo fa ben comprendere la portata del grave errore ermeneutico di eliminare Platone dalle testimonianze sul pensiero di Socrate. rimane, però, la domanda cruciale: come facciamo a trarre dal «troppo» che Platone fa dire a Socrate ciò che può essere «storicamente socratico», distinguendolo da ciò che, invece, è platonico e che in vario modo viene messo in bocca a Socrate, il quale viene trasformato da personaggio reale in figura emblematica del vero filosofo?

4. Il modo in cui si può distinguere il pensiero storico di Socrate nei dialoghi platonici nel tentativo di risolvere questo problema gli studiosi sono giunti, in passato, a esiti del tutto contraddittori, come si può vedere ben documentato nel libro di vasco de Magalhães-vilhena (1952). Una buona risposta è venuta da gerasimos Santas (1994, tr. it. 2003 con nostra introduzione), e soprattutto dall’ultima opera su Socrate di gregory vlastos (1991, tr. it. 1998), cui va aggiunta la sua raccolta di saggi del 1994 (tr. it. 2003 con nostra introduzione). vlastos dichiara espressamente di aver maturato la sua tesi soprattutto sotto l’influsso di Santas, e in parte di irwin. Questi autori, e vlastos in modo particolare, mettono in rilievo un dato di fatto molto preciso, a nostro giudizio ben difficilmente controvertibile dal punto di vista ermeneutico. nei dialoghi giovanili non risultano presenti i concetti-chiave che sono tipici di Platone, e in particolare: 1) la teoria delle idee nella sua dimensione ontologica e metafisica, con le varie implicazioni e conseguenze che comporta; 2) la divisione dell’a-

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nima nella parte razionale e in quelle irrazionali, con la connessa dottrina dell’immortalità e della metempsicosi. di conseguenza, poiché in tutti i primi dialoghi Socrate è protagonista in senso assoluto, ma non dice nulla su tali concetti-chiave (o ne fa solo vaghi cenni, spesso assai criptici), allora si può ben ritenere che Platone, nei suoi primi scritti, esprima soprattutto il pensiero del maestro. vlastos riassume questa sua tesi in modo volutamente provocatorio, ma ben preciso: «Si tratta del vero Socrate, del Socrate della storia? Sì. Ma non è piuttosto Platone? Sì. Può trattarsi di entrambi? Sì» (1998, p. 1, nota 2). e ancora: «attraverso un “Socrate” di Platone possiamo giungere a conoscere il Socrate della storia – il Socrate che fece la storia, insegnò a Platone e ad altri, modificò il loro pensiero e la loro vita, e attraverso loro cambiò il corso della storia occidentale» (1998, p. 60). dunque, nei primi dialoghi, Platone presenta soprattutto il messaggio di Socrate. egli ha pensato tale messaggio a fondo; ma, in ciò che può aver aggiunto, è rimasto, sempre e comunque, in prevalenza anche lo spirito del Socrate storico. Si impone più che mai, a nostro avviso, ciò che nicolás gómez dávila (2007, p. 48) diceva in un suo aforisma: «Per comprendere l’idea altrui è necessario pensarla come propria». il che signifca: per comprendere, bisogna immedesimarsi nell’idea dell’altro, e non imporre all’altro l’idea propria. Sia Santas sia vlastos ritengono che questo si verifchi in tutti gli scritti giovanili di Platone fno al Gorgia compreso. noi concordiamo con la loro tesi metodologica di fondo, pur differenziandoci in vari punti. in particola-

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re, siamo convinti che dal gruppo dei dialoghi «socratici» vada tolto il Gorgia, il quale, se presenta molte idee sicuramente socratiche, espresse in maniera egregia, include pure molte idee squisitamente platoniche, in modo anche esplicito e non solo allusivo (si veda quanto diciamo nella nostra introduzione alla traduzione italiana del libro di Santas, 2003, pp. xvi-xvii e nella nostra edizione del Gorgia, Bompiani 2003; 20143, passim). va rilevato che, di questo, si erano resi conto alcuni studiosi già in passato. h. Maier, per esempio, scriveva: «il Gorgia ci introduce in un mondo di pensieri del tutto nuovo. la sua “flosofa” non è più la dialettica morale socratica; è invece scienza…» (tr. it., i, p. 136): e ancora: «… dal Gorgia in poi in luogo di Socrate compare per intero e risolutamente Platone» (loc. cit., p. 139). la stessa tesi sostenevano anche raeder (1905) e Pohlenz (1913).

5. Posizioni estremistiche da evitare le due posizioni estremistiche da evitare sono le seguenti: 1) trovare nei primi dialoghi troppo poco Platone; 2) cercare di trovare troppo Platone facendo riferimento ai dialoghi successivi. 1) la prima posizione è quella assunta soprattutto da vlastos, che separa i primi dialoghi dai successivi in modo troppo netto, tanto da scrivere: «ho parlato di un Socrate in Platone. ve ne sono due. in segmenti diversi del corpus platonico due flosof portano quel nome.

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l’individuo è sempre lo stesso. Ma in diversi gruppi di dialoghi pratica flosofe talmente diverse che non potrebbero essere state rafgurate come coabitanti in uno stesso cervello, a meno che non fosse il cervello di uno schizofrenico. Sono così diverse in contenuti e metodi, da risultare opposte l’una all’altra nello stesso modo in cui si contrappongono a una qualsiasi terza concezione flosofca si voglia menzionare, a partire da quella di Socrate» (tr. it. 1969, p. 60). in realtà, se nei «dialoghi socratici» Platone intende presentare soprattutto il pensiero del maestro, introduce anche tutta una serie di allusioni alle tesi che stava maturando – talora, come dicevamo, in modo criptico, ma assai significativo e importante –, al punto che il secondo Platone non comporta affatto un pensiero contrapposto a Socrate, ma uno sviluppo di esso, con la scoperta dei suoi fondamenti metafisici. e anche se si collocano su un nuovo piano, le nuove scoperte rimangono, comunque, in sintonia con lo spirito del maestro, tanto è vero che, quando si spinge decisamente oltre Socrate, Platone ce lo dice espressamente, mutando la figura del protagonista, che diventa, per esempio, lo Straniero di elea nel Sofista e nel Politico, timeo nel dialogo omonimo, un ateniese nelle Leggi. 2) l’altro errore ermeneutico da evitare consiste nel leggere i primi dialoghi di Platone dando eccessivo peso a ciò che viene detto nei dialoghi successivi, e quindi cercando di trovare in essi più di quanto contengono. infatti, i lettori dei primi dialoghi non potevano afatto far riferimento a dialoghi successivi. noi riteniamo che le allusioni che Platone fa a sue dottrine successive, e con vaghi cenni addirittura ai

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«Princìpi primi» delle «dottrine non scritte», siano manifestazioni, più che di dottrine già ben formulate, di fermenti di concetti che stavano maturando nella sua mente, e che, comunque, egli pensava non fosse ancora giunto il momento per comunicarli agli altri, soprattutto nelle sue opere, anche se, nelle letture pubbliche di suoi scritti – che, secondo il costume di allora, doveva fare in circoli di amici, anche prima della fondazione dell’accademia –, poteva e doveva dire qualcosa di più, per spiegare quelle allusioni.

6. L’ottica in cui presenteremo l’interpretazione dei primi dialoghi di Platone e i fondamenti storici sui quali ci basiamo in questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici (oltre a quelli in precedenza già pubblicati come Apologia di Socrate, Critone, Eutifrone, Ione), con ampi Saggi introduttivi, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efcace il «pensiero storico» di Socrate. Puntiamo soprattutto su due assi portanti: 1) quello dell’«ironia», e 2) quello della «dialettica elenctica», che sono i più complessi e i più difficili da intendere, anche per il fatto che solamente Platone li ha compresi e presentati in modo adeguato, mentre gli altri testimoni del pensiero di Socrate non li hanno intesi o addirittura li hanno fraintesi, oppure, come Senofonte, li hanno presentati in modo superficiale e assai riduttivo. all’«ironia» daremo molto rilievo, in quanto, data la sua «unicità», comporta notevoli difcoltà per una adeguata comprensione. già Boder (1971) si era mosso in questa direzione. Ma, con le nuove interpretazioni dell’i-

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ronia socratica date da Patočka e da vlastos, riteniamo che si possa procedere molto oltre. anche la dialettica nelle opere giovanili di Platone è stata studiata da alcuni studiosi (si veda in particolare heitsch 2004), ma non in quella che a nostro avviso è la giusta ottica dal punto di vista ermeneutico. Si consideri che proprio la «dialettica» costituiva una vera e propria «rivoluzione» operata da Socrate nella tecnica della comunicazione in generale e in particolare, in quanto sostituiva alla tradizionale oralità «mimetico-poetica», sulla quale si era fondata per secoli la cultura dei greci, la nuova forma di «oralità dialettico-elenctica», che richiedeva ormai la necessità della scrittura. Senza tener in debito conto la grande rivoluzione in atto all’epoca di Socrate e di Platone con il passaggio dalla cultura dell’oralità alla civiltà della scrittura, non si possono intendere i messaggi né del primo né del secondo. lo studioso che ha aperto questa nuova linea di ricerche è stato eric havelock con il suo libro magistrale del 1963 Preface to Plato (tradotto in italiano con il titolo Cultura orale e civiltà della scrittura da Omero a Platone, 1973, più volte riedito). Quest’opera di havelock ha grandi meriti, ma, come abbiamo più volte rilevato (Platone, rizzoli 1998, Bur 2004, e Socrate, Bur 20134, sopra citato), eccede nell’attribuire la svolta culturale alla scrittura stessa, che, in realtà, era stata scoperta già da alcuni secoli, e si stava imponendo in quegli anni defnitivamente, però non tanto come «causa», bensì come «efetto» prodotto dalla svolta culturale impressa dalla cultura dell’epoca e soprattutto dai flosof. il nuovo modo di pensare proposto dai flosof a cominciare da talete, e in particolare con la dialettica a partire da zenone di elea, comportava un mutamento

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concettuale e sintattico del modo di pensare e di comunicare, con il passaggio da un «pensare per immagini e per miti» a un «pensare per concetti». Ma, mentre per i flosof presocratici naturalisti il nuovo modo di pensare era rimasto in larga misura chiuso nell’ambito di circoli e di scuole, con Socrate si era difuso fra tutti gli uomini di cultura e anche fra i comuni cittadini: Socrate, infatti, parlava e comunicava i suoi messaggi rivoluzionari con il metodo della «discussione dialettica» non solo nelle palestre e nei simposi, ma anche nelle piazze e nelle botteghe di artigiani. havelock ritiene che tale metodo, considerato tipico di Socrate, poteva essere di carattere generale e proprio di un nuovo modo di pensare che veniva usato contro l’abitudine dell’uso della «oralità mimeticopoetica». Ma, in realtà, pur ammettendo che in tale rivoluzione di carattere epocale dovettero entrare varie componenti, rimane incontestabile il fatto che proprio Socrate è stato il corifeo dell’«oralità dialettica», e che va attribuita a lui più di quanto pensi havelock. tuttavia lo studioso illustra questo fenomeno molto bene. Spiega, infatti, in modo esatto: «Questo era il metodo della dialettica: non necessariamente quella forma evoluta di ragionamento logico concatenato che si trova nei dialoghi di Platone, ma l’espediente originario nella sua forma più semplice, che consisteva nel chiedere a un interlocutore di ripetere quanto aveva detto e di spiegare quel che intendeva dire. in greco le parole che esprimono il dire, lo spiegare e il significato possono coincidere. vale a dire, la funzione originaria della domanda dialettica era semplicemente quella di costringere l’interlocutore a ripetere una enunciazione già fatta, con la tacita premessa che tale enunciazione aveva qualcosa di insoddisfacente,

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e che era meglio formularla nuovamente. ora, l’enunciazione in parola, se riguardava importanti questioni di tradizione culturale e di etica, doveva essere di natura poetica e impiegare le immagini e sovente anche i ritmi della poesia. era tale da invitare a identificarsi con qualche esempio emotivamente efficace, e a ripeterlo più e più volte. Ma il dire “Che cosa intendi dire? ripetilo” disturbava bruscamente il piacevole compiacimento offerto dalla formula o dall’immagine poetica. Significava usare parole diverse, e queste parole equivalenti non riuscivano poetiche, dovevano essere prosaiche. all’atto in cui veniva posta la domanda, le fantasie dell’interlocutore e dell’insegnante venivano turbate, e il sogno per così dire spezzato, sostituito da qualche spiacevole sforzo di riflessione e di calcolo. in breve, la dialettica, arma che sospettiamo venisse impiegata in questa forma da un intero gruppo di intellettuali nell’ultima metà del quinto secolo, era uno strumento per ridestare la coscienza dal suo linguaggio di sogno e per stimolarla a pensare astrattamente. nel far ciò, nacque la concezione “io penso intorno ad achille”, in luogo dell’altra “io mi identifico con achille”» (op. cit., pp. 171-172). a tutto questo va aggiunta la famosa domanda del «che cos’è», come per esempio «che cos’è il bello», con la quale Socrate costringeva gli interlocutori a passare dalla presentazione di «esempi» al «concetto generale del che cos’è», di cui quegli «esempi» non erano se non una particolare determinazione. nel procedimento dialettico-elenctico, Socrate tendeva a superare via via la molteplicità degli «esempi» di cose, la molteplicità degli «attributi» più o meno estrinseci connessi con il concetto discusso, per giungere all’unità dell’essenza, e quindi all’espressione definitoria della medesima.

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noi pensiamo che sia stata soprattutto la dialettica socratica a imporre in modo determinante e definitivo la necessità della scrittura, in quanto i «dialoghi dialettico-elenctici» che Socrate intratteneva con varie persone non potevano essere memorizzati e riutilizzati come avveniva con le opere poetiche. essi introducevano infatti una nuova terminologia e una nuova sintassi, al punto che nacque il nuovo genere letterario dei «logoi sokratikói», che i suoi discepoli composero in gran numero. diogene laerzio (ii 122), oltre ai numerosi discorsi socratici redatti dagli allievi del filosofo, ne menziona trentatré composti da un calzolaio di nome Simone, nella cui bottega Socrate talvolta discuteva.

7. Personaggi che hanno compreso la rivoluzione di Socrate Però è stato Platone, più di tutti gli altri, a comprendere la natura e la portata della rivoluzione operata da Socrate, e l’ha fatta ben intendere come una vera e propria «necessità storica», soprattutto nelle sue prime opere. letti nell’ottica che abbiamo descritto, i dialoghi giovanili di Platone acquistano un senso nuovo e particolarmente signifcativo. Platone, in questi suoi scritti, più che presentare una nuova defnizione delle virtù o delle cose in essi discusse, era interessato a far comprendere il «nuovo metodo» con il quale quei problemi andavano trattati, denunciando gli errori commessi in passato da molti e prospettando la nuova via che bisognava seguire. Platone forniva, tuttavia, anche alcuni spunti utili per una positiva soluzione dei problemi discussi, pur pun-

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tando, prevalentemente, sul «metodo dialettico-elenctico», che costituiva appunto la grande rivoluzionaria novità imposta soprattutto da Socrate. dunque, è evidente che i dialoghi socratici, se vengono letti in questa ottica, acquistano un ben preciso significato e una particolare importanza, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista dottrinale e teoretico. a Senofonte importavano soprattutto le conclusioni alle quali Socrate giungeva o faceva giungere gli interlocutori; proprio all’opposto di Platone, cui nei primi scritti interessava, in netta prevalenza, il nuovo metodo da seguire per giungere a determinate conclusioni. Per poter far comprendere la geniale e rivoluzionaria imposizione del nuovo «metodo dialettico-elenctico» da parte di Socrate, che cambiava radicalmente la storia della comunicazione culturale dei greci, occorreva un genio non meno grande di quello di Socrate medesimo, ossia il genio di Platone. ricordiamo che la portata della rivoluzione del metodo di Socrate è stata compresa, fra i contemporanei, oltre che da Platone, anche da aristofane, come terribile e grande nemico, e quindi in senso completamente negativo. Si consideri che un grande nemico può, talvolta, far capire della persona contro la quale polemizza molto più di un moderato e superfciale amico. Bartolone (19992, p. 20) scriveva giustamente: «… è la testimonianza negativa che risulta la più pertinente come la più compromessa nell’incidenza efettiva dell’ethos personale di Socrate, poiché mostra d’aver subito l’urto diretto di essa, cui reagisce investendolo con la massiccia opposizione d’un’accusa, culminante nella sanzione estrema a carico di chi nella propria esistenza lo traduceva e lo celebrava».

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e questo accade proprio con aristofane, in buona misura. nelle Nuvole, il commediografo ateniese presenta la dialettica di Socrate come una losca arte che distrugge l’antico ethos dei greci (si veda la bella traduzione di del Corno, 1996). nelle Rane (vv. 1490 sgg., tr. del Corno), Socrate abbindola gli interlocutori con insulse fole, spregiando la poesia e l’arte tragica: Bello è fare chiacchiere seduti insieme a Socrate, spregiando la poesia e trascurando i sommi princìpi dell’arte tragica. Con discorsi solenni E insulse futilità Passare inerti il tempo È da uomo dissennato.

e negli Uccelli (vv. 1556 sg., tr. del Corno) aristofane rappresenta Socrate «sporco» negli infe ri, in una palude ove raduna le «anime», che per aristofane sono gli «spiriti» (fantasmi senza in telligenza), in opposizione alla tesi di Socrate che l’uomo è soprattutto la sua anima come in tel ligenza – tesi che rivoluzionava il modo di pen sare dei greci impostosi da omero in poi: Presso gli Ombripodi c’è una palude dove senza lavarsi Socrate aduna gli spiriti (yucagwgei`)…

nietzsche, ispirandosi proprio ad aristofane, giudica la dialettica socratica e la sua portata nello stesso modo

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del commediografo, acerrimo nemico del flosofo. Con la sua dialettica Socrate ha agito come una «potenza demonica» che ha scacciato dioniso. e scrive che a cacciare dioniso è stato «un dèmone di recentissima nascita, chiamato Socrate. È questo il nuovo contrasto: il dionisiaco e il socratico». la grandiosa opera d’arte della tragedia greca, dunque, perì a causa di Socrate e dei suoi infussi su euripide (La nascita della tragedia, § 12, p. 83). e ancora: «… riconosciamo in Socrate l’avversario di dioniso, o il nuovo orfeo che si leva contro dioniso e, benché destinato a essere dilaniato dalle Menadi del tribunale ateniese, costringe alla fuga lo stesso potentissimo dio» (ivi, pp. 88 sg.). infne, ecco l’afermazione più icastica e sotto molti aspetti più illuminante di nietzsche, che vede in Socrate con la sua «dialettica» addirittura il negatore e il distruttore della stessa natura dei Greci: «Chi è costui che osa da solo negare la natura greca, quella che attraverso omero, Pindaro ed eschilo, attraverso fidia, attraverso Pericle, attraverso la Pizia e dioniso, attraverso l’abisso più profondo e la cima più alta è sicura della nostra stupefatta adorazione? Quale forza demonica è questa, che può ardire di rovesciare nella polvere un tale fltro incantato? Quale semidio è questo, a cui il coro degli spiriti dei più nobili fra gli uomini deve gridare: “ahi! ahi! tu lo hai distrutto, il bel mondo, con polso possente; esso precipita, esso rovina!”» (op. cit., § 13, p. 91). in efetti, Socrate con la sua dialettica ha provocato una svolta epocale nella cultura dei greci, ossia la fne della cultura dell’oralità mimetico-poetica e la nascita della civiltà del pensare dialettico per concetti, e quindi della scienza. ed è proprio questo che Platone ci ha spiegato in vari modi nei suoi primi scritti che presentiamo nella loro completezza.

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8. Lo scopo della nostra edizione di questi dialoghi il nostro progetto di pubblicazione degli undici dialoghi socratici, oltre agli altri dialoghi giovanili già editi in questa collana (Apologia di Socrate, 201312; Critone, 20103; Eutifrone, 20112; Ione, 20113), tende a rivalorizzarli profondamente, sulla base della linea ermeneutica che abbiamo indicato. riporteremo il testo greco a fronte nella classica edizione di John Burnet, in quanto a nostro avviso rimane la migliore; e su di essa si basa il Lessico con supporto elettronico che è stato curato dal nostro allievo roberto radice, con la collaborazione per la parte elettronica di roberto Bombacigno (2003), complemento della nostra edizione delle opere platoniche. Sono, questi, gli ultimi dialoghi di Platone di cui noi ci occupiamo a fondo, in quanto solo dopo l’acquisizione delle nuove idee di cui abbiamo detto, e solo dopo aver studiato il pensiero di Socrate, siamo stati in grado di interpretarli in modo adeguato, di valutarli nella loro grande importanza e di gustarli, mentre in precedenza, come molti altri studiosi, ci lasciavano perplessi. in particolare, non riuscivamo a comprendere in modo adeguato la ragione della loro conclusione per lo più «aporetica». Chiedevamo ai primi dialoghi platonici di dirci quello che ci saremmo aspettati da essi (ossia di ofrirci le defnizioni della virtù su cui discutevano), e non quello che l’autore aveva intenzione di dirci (le novità rivoluzionarie del metodo socratico per giungere a quelle defnizioni). già nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso avevamo incominciato a studiare i dialoghi aporetici, afrontando in primo luogo il Lachete

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(1957) e l’Eutifrone (1958, ma l’articolo era già pronto nel 1957), che sono i meno complessi. Ma abbiamo ben presto capito che i dialoghi giovanili di Platone sono assai più difcili da comprendere rispetto a quelli della maturità e della vecchiaia, e che quindi dovevamo seguire un’altra via. inoltre, abbiamo ben compreso che l’interpretazione di un testo, di un’opera d’arte, di un autore, non può mai giungere a una conclusione defnitiva, e abbiamo costatato la verità di ciò che dice gadamer: «… la messa in luce del senso vero contenuto in un testo o in una produzione artistica non giunge a un certo punto alla sua conclusione; è in realtà un processo infnito. non solo vengono eliminate sempre nuove cause di errore, sicché il senso vero viene purifcato da ogni confusione, ma nascono anche sempre nuove fonti di comprensione, che rivelano insospettate connessioni di signifcato» (20145, p. 617). e le nuove fonti di comprensione dei dialoghi giovanili sono state quelle illustrate sopra, ossia: 1) l’ironia nella sua portata drammaturgica e concettuale; 2) la nuova tecnica di comunicazione con l’«oralità dialettico-elenctica» che imponeva la necessità della scrittura; cui vanno aggiunte 3) le scoperte connesse con l’ermeneutica di gadamer, che ci hanno fatto bene comprendere le fonti degli errori di molte interpretazioni dei dialoghi platonici e il vero senso del metodo della domanda-e-risposta di Socrate. abbiamo tradotto tutti questi dialoghi personalmente, non perché manchino buone traduzioni di essi. ricordiamo, tra l’altro, che questi dialoghi sono già stati tradotti dalle nostre allieve Maria luisa gatti (Cratilo, Alcibiade maggiore, Alcibiade minore,

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Ipparco, Amanti, Eutidemo) e Maria teresa liminta (Teagete, Carmide, Lachete, Liside, Ippia maggiore, Ippia minore, Menesseno), e sono pubblicati nella edizione da noi curata di Platone, Tutti gli scritti (Bompiani 20147), e di cui abbiamo tenuto debito conto. liminta ha anche pubblicato una monografia sull’Ippia maggiore (1974; 19982) e una edizione con traduzione, testo a fronte e commento del dialogo in collaborazione con hans Krämer (1998). Un’altra nostra allieva, Maria lualdi, ha pubblicato una monografia sul Liside (1974) e una traduzione con testo a fronte e commento del dialogo, pure con la collaborazione di hans Krämer (1998). la ragione di questo cospicuo impegno che ci siamo assunti sta nella nostra profonda convinzione che gli scritti di Platone, per essere ben studiati e compresi a fondo, devono essere tradotti direttamente. hansgeorg gadamer ci diceva proprio questo, e ci spiegava il modo in cui lo aveva imparato alla scuola di Paul friedländer. Ci diceva anche che Martin heidegger non aveva capito bene Platone, e che in particolare non aveva compreso il metodo dialettico del dialogo platonico, proprio per la ragione che non aveva mai voluto affrontare in modo diretto e sistematico il testo originale dei dialoghi, come invece aveva fatto per aristotele. nel corso della nostra vita di studioso abbiamo tradotto ventidue dialoghi, fra quelli già editi e quelli che pubblichiamo nel 2015. Per questa collana, oltre ai quattro dialoghi già sopra citati, abbiamo curato alcuni dei capolavori di Platone: Protagora, 20123; Gorgia, 20103; Menone, 20103; Fedone, 20136; Simposio, 20149; Fedro, 20135; Timeo, 20135. inoltre, abbiamo collaborato con roberto radice alla traduzione di parte della Repubblica, e abbiamo tradotto pagine essenziali dei

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dialoghi dialettici nel nostro volume Per una nuova interpretazione di Platone (Bompiani 201022), e in questo costante lavoro abbiamo costatato la verità dell’afermazione di gadamer. gli undici dialoghi che ora presentiamo vengono editi nel seguente ordine: Teagete, Ippia minore, Ippia maggiore, Ipparco, Amanti, Carmide, Lachete, Liside, Eutidemo, Alcibiade primo, Alcibiade secondo. abbiamo evitato il più possibile (tranne in casi eccezionali) di entrare in discussioni polemiche con altre interpretazioni, e, per non sovraccaricare quanto diciamo, abbiamo ridotto all’essenziale le citazioni della letteratura secondaria, anche perché, non poche volte, certi autori mostrano di avere conoscenze parziali, e spesso pubblicano opere a scopi in prevalenza accademici, concentrandosi su uno solo o su pochi dialoghi socratici, senza misurarsi con l’«intero». inoltre alcuni studiosi afrontano questi dialoghi collocandosi completamente al di fuori del giusto circolo ermeneutico, e, soprattutto per quanto riguarda coloro che seguono i criteri della logica formale e della flosofa analitica, si impone la verità egregiamente espressa in una bella metafora da Kierkegaard nel suo Diario: «Succede spesso, nel seguire la via seguita dai commentatori, come è successo a quel viaggiatore diretto a londra: “È questa la via per londra?”; “Certo, ma se vuoi giungervi, bisogna che tu inverta la direzione”» (ii, p. 25). Pochi hanno compreso in che misura gli studiosi che con le loro ricerche seguono quei metodi si allontanano dalla comprensione dei dialoghi giovanili di Platone. Meglio di tutti, a nostro avviso, ha compreso questo franco trabattoni (soprattutto nel suo saggio sul Liside del 2003, in particolare pp. 60-70), con pertinenti rilievi critici, con i quali in larga misura con-

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cordiamo, in quanto spiegano molto bene a certi interpreti come sia necessario che invertano la direzione che seguono, se vogliono giungere alla comprensione di Platone. vincenzo Cicero (che ringraziamo vivamente) ha preparato per ogni singolo dialogo una bibliografa specifca, e il lettore interessato può quindi trarre da essa tutti gli strumenti per eventuali approfondimenti. Presenteremo in ogni dialogo, oltre a questa Prefazione, un approfondito Saggio introduttivo e note essenziali, mettendo in evidenza quanto abbiamo detto, ossia il senso e la dimensione della «socraticità» di questi scritti nei suoi vari sensi e in particolare nella sua portata storicamente rivoluzionaria. Un singolo dialogo di Platone si capisce molto meglio se si conoscono bene tutti gli altri, in quanto rimane verissimo un principio già illustrato da Schleiermacher nella sua Ermeneutica, secondo il quale si conosce la parte se si conosce il tutto, e viceversa. noi, allo studio di Platone, abbiamo dedicato tutta la vita, e speriamo di poter far gustare ai lettori anche questi dialoghi in passato considerati «minori», e che sono invece, talora, di livello assai elevato. dimostriamo in modo dettagliato la verità di ciò che affermava Werner Jaeger in generale: «Solo a condizione di una ingenuità totale, si potrebbe pensare che, per il fatto di non giungere a una scolastica definizione del soggetto in esame, questi dialoghi si rivelino come l’opera di un principiante, che azzardi qui i suoi primi passi infelici su un terreno inesplorato. in realtà il risultato cosiddetto negativo di questi dialoghi “confutatori” o “elenctici” è di tutt’altro significato» (ed. Bompiani, pp. 836 sg.). Jaeger ritiene che il fne di tali dialoghi consista in particolare nello stimolo che producono nel lettore

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ad appassionarsi al problema non risolto e cimentarsi nuovamente su di esso in modo costruttivo. Ma noi troveremo molto di più, e, in particolare, vedremo in che misura questi dialoghi ci facciano conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario, ossia, come abbiamo sopra precisato, nella nuova metodologia della dialettica elenctica e nella nuova arte della comunicazione (oltre che nei suoi contenuti), che si impone come un punto di riferimento di carattere epocale, e quindi come una vera e propria «necessità storica». e Platone, nei suoi primi scritti, ci fa capire proprio questo, come nessun altro ha saputo fare.

saggio introduttivo l’ippia maggiore una brillante commedia filosofica in cui platone presenta le idee rivoluzionarie di socrate facendosi beffe del sofista

i l’autenticità dell’ippia maggiore

1. La negazione dell’autenticità dell’ippia maggiore è nata solo in età moderna. Le ragioni ermeneutiche su cui si fonda l’ippia maggiore è stato tramandato come autentico, e nessun autore antico ha sollevato dubbi in merito. È stato soprattutto schleiermacher, nei primi anni dell’ottocento, a contestarne l’autenticità, e non pochi lo hanno seguito, anche celebri studiosi come ast, zeller, gomperz, lutoslawski e altri. schleiermacher sostiene che il dialogo è assai pove­ ro di contenuto e privo di carattere scientifco, e in par­ ticolare che non ha nulla a che fare con la rafnatezza dello stile platonico, nulla a che vedere con la perizia e la fnezza di platone (mit der geschicklichkeit und Feinheit des platons). Quella dell’ippia maggiore sa­ rebbe una «Unart», ossia un’arte di cattivo gusto. per questo, nessuno potrebbe prendere il dialogo come au­ tentico. altrettanto pesante è il giudizio espresso da Wila­ mowitz­moellendorf un secolo dopo (1920, ii, p. 329), che considera il dialogo opera di un autore maldestro, e ritiene che esso «non abbia un ethos socratico, e manchi dell’arguzia platonica e della grazia platonica». non si tratterebbe di una falsifcazione, ma di una imitazione dell’arte platonica, fatta nell’accademia quando platone era ancora vivo.

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alfred croiset, già nel 1921 (pp. 3 sgg.), denunciava come «poco solide e arbitrarie» le motivazioni che ve­ nivano addotte contro l’autenticità dell’ippia maggiore, e notava anche che molti motivi di dubbio «si fondano su impressioni personali», che non possono essere con­ divise. tuttavia, anche se ormai molti studiosi oggi sosten­ gono l’autenticità del dialogo, nel corso nel novecento e ancora oggi non mancano studiosi che non la accettano (per un quadro della situazione si veda liminta 19982, passim; erler 2007, pp. 301 sgg.). Kahn (1985, p. 268), per esempio, oltre a vivaci polemiche contro sostenitori dell’autenticità del dia­ logo (come Woodruff 1982), ripete addirittura il giu­ dizio espresso da schleiermacher e da Wilamowitz­ moellendorff, e scrive: «chi considera l’ippia maggiore come un’opera di platone manca del tutto di sensibilità per l’arte del maggior scrittore di prosa dell’antichità». si tratta di giudizi che si ripetono, i quali si basano su alcuni presupposti fuorvianti che vanno ben indivi­ duati. già prima che venissero codificati da gadamer i canoni dell’ermeneutica, alcuni studiosi avevano com­ preso, con acume e perspicacia, quale sia la fonte di si­ mili errori. guido calogero (1938, p. 14, nota 7 = 1985, p. 305, nota 18), per esempio, partendo dalla contro­ versia sulla autenticità dell’ipparco, faceva le seguenti osservazioni che valgono in generale: «la controver­ sia (…) non meriterebbe neppure menzione, se non vi si manifestasse tipicamente quel metodo di ipostatiz­ zare in leggi le caratteristiche di un certo numero di scritti di un dato autore per poi constatare come gli altri vi deroghino, mediante il quale, nel secolo scor­

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so, sono state compiute tante atetesi poi riconosciute ingiuste». anche oggi, purtroppo, si continua a commettere tale errore, anche se in modo più limitato, ed è l’errore che allontana di molto dalla comprensione dell’alterità del testo interpretato.

2. argomenti particolari addotti da Schleiermacher che continuano a essere ripetuti per poter ben comprendere l’errore di cui parliamo nel­ la sua portata, è opportuno seguire il ragionamento di schleiermacher nel suo complesso. come dicevamo, lo studioso sostiene che nell’ippia maggiore è assente «il contenuto scientifco», e che, quindi, il dialogo «non rientra fra le opere propriamen­ te flosofche». esso, in efetti, più che sulla defnizione del bello in sé, si concentra sulla polemica con il sofsta, e per di più socrate rimarrebbe chiuso «in una dialet­ tica quasi solo verbale (in einer fast grammatichen Dialektik)». È evidente, in tale giudizio, una incomprensione pressoché totale della finalità dei primi dialoghi pla­ tonici, che è di portare in primo piano e far compren­ dere proprio il metodo dialettico­elenctico socratico e le sue rivoluzionarie novità, mantenendo il carattere aporetico delle discussioni e quindi mettendo i con­ tenuti in secondo piano, pur indicando ai lettori pre­ parati le vie per giungere alla soluzione del problema trattato. come dicevamo nella prefazione, molti studiosi ca­ dono nell’errore di voler vedere nei dialoghi socratici già presenti molte dottrine platoniche espresse negli scritti

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della maturità e della vecchiaia, misconoscendo quasi per intero la diferenza strutturale che sussiste fra i primi dialoghi platonici e i successivi, soprattutto per quanto riguarda la dialettica socratica messa a confronto con quella dei sofsti. in particolare, schleiermacher – e molti con lui – mo­ strano di non aver compreso l’«ironia socratica» che si intreccia con la «dialettica elenctica» quale è presenta­ ta nei primi dialoghi, spinta talvolta alle estreme conse­ guenze come nel nostro scritto. in primo luogo, non ha compreso lo splendido gioco ironico dell’alter ego con cui viene presentato il «vero socrate», oltre a quello che dialoga direttamente con ippia, e lo giudica di troppo bassa lega «per essere della mano di platone». vedremo, invece, come sia una super­ ba trovata drammaturgica, analoga a quella grandiosa del Simposio (cfr. cap. iii, § 1). inoltre, non ha capito il senso fortemente ironico e provocatorio di alcuni esempi che vengono addotti, come quello del «mestolo d’oro» che in cucina sareb­ be di danno, e quindi non bello ma brutto, di cui par­ leremo. in particolare non ha compreso come certe affer­ mazioni di buon senso dell’uomo comune dovevano essere messe in bocca a ippia, e non potevano essere messe in bocca a socrate, proprio a motivo del gioco dell’«ironia complessa» che viene messo in atto. Jan patočka (tr. it., p. 405) dice giustamente: «l’ironia di socrate è seria; ogni ironia, ogni equivoco sdramma­ tizzante, ha la sua base nel fatto che il vero senso è altro da quello che appare originariamente e nei cam­ biamenti di questo senso. l’ironia socratica sottopone a quest’operazione tutta la vita, e indica che in essa è importante qualcos’altro rispetto a ciò che pare a pri­

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ma vista, e a coloro che pensano di averla compresa. così, quest’ironia è nel suo nucleo una forza pedago­ gica, educativa. notiamo in effetti che, per esempio, il bambino si pone nel mondo degli adulti quasi sempre in una situazione ironica; perché infatti sorridiamo al bambino soprattutto quando per la prima volta entra nel nostro mondo, quando barcolla, quando impara a parlare? se pensiamo questo, vediamo che in ogni buona intenzione di questo sorriso, rimane un’ombra di ironia: noi sappiamo che ciò che il bambino prende tanto sul serio non è ancora la vera serietà, noi cono­ sciamo i cambiamenti del senso che al bambino sono ancora ignoti. e qualcosa del genere è un certo aspetto dell’ironia socratica, dell’ironia di un adulto più matu­ ro degli adulti». ed è proprio questo il senso ironico in cui viene pre­ sentato il «buon senso» messo in bocca a ippia, rispetto al quale, in realtà, socrate dimostra di essere «più matu­ ro degli adulti», o di chi si ritiene tale.

3. altri errori ermeneutici da evitare per poter comprendere l’ippia maggiore talvolta gli interpreti commettono un errore analogo a quello prima discusso, ma in certo senso più grave, e ancor più riduttivo. anziché un gruppo di grandi dia­ loghi da cui ricavare le regole per l’interpretazione, si prende un dialogo particolare come modello, met­ tendolo a paragone con quello che si vuole giudicare spurio. proprio schleiermacher cade vistosamente in que­ sto errore, afermando che l’ippia maggiore non ha dia­ loghi paralleli, e lo mette a confronto col solo Filebo,

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rilevandone le diferenze strutturali. in realtà, l’ippia maggiore si connette strettamente con l’eutidemo e con il protagora. sono tutti e tre dialoghi in cui platone presenta i suoi messaggi in forma di commedie flosof­ che ironico­dialettiche, e molto godibili, con al vertice il protagora, che raggiunge il livello di capolavoro in senso assoluto. inoltre, il nesso fra il Filebo e l’ippia maggiore in realtà non sussiste. il primo parla dei rapporti fra il «bene» e il «bello» in maniera completamente dif­ ferente dal secondo. nel Filebo platone presenta, in modo superbo dal punto di vista artistico, in che cosa consiste la natura del bene, fingendo di nasconderla in quella del bello (che in realtà è una manifestazione del bene; e quindi la rivela fingendo di velarla, come vedre­ mo). invece nell’ippia maggiore dice il contrario del­ la verità, e in forma di gioco ironico presenta il bene come «figlio» del bello e non come «padre», per far ve­ dere come ippia cada nel tranello che gli viene teso, e dimostri – lui bello che parla di cose belle in modo bel­ lo – di non sapere in realtà che cos’è il bello. pertanto, stabilire un rapporto fra questi due dialoghi è del tutto fuorviante. ancora una volta, già guido calogero aveva ben individuato l’errore ermeneutico in cui cade tale me­ todo. se si prende un dialogo e lo si considera come «modello di autenticità», si può credere certamente di trovare in altri dialoghi, sospettati a priori come inautentici, elementi non platonici, e quindi conside­ rarli opera di un imitatore. in effetti, precisa calogero (1985, p. 301), la contraddittorietà intrinseca di tale metodo risulta evidente, in quanto, «presupposto au­ tentico un dialogo platonico, si potrebbero dimostrare spurî tutti gli altri, documentando con le differenze la

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non autenticità e con le somiglianze l’imitazione com­ pilatoria». un giudizio analogo va dato anche del metodo fon­ dato sulla ricerca di elementi di carattere puramente grammaticale e stilistico, giudicati in contrasto con quelli ritenuti tipicamente platonici, costruiti a priori sempre sulla base di alcuni dialoghi considerati come modelli. tale è l’impressione che si ricava, per esempio, anche dalle recenti analisi di ernst Heitsch (1911, pp. 112­124). l’insufcienza e contraddittorietà di questo tipo di metodo sono state da tempo messe bene in luce, e giudizi dati in base a esso, anche da insigni studiosi, sono stati dimostrati infondati e contraddittori. Heitsch ritiene, fra l’altro, una prova della inautenti­ cità dell’ippia maggiore il fatto che platone non avreb­ be potuto scrivere due dialoghi con il medesimo titolo. ippia, inoltre, sarebbe presentato con caratteri molto diversi nei due dialoghi: nell’ippia minore è un uomo di buon senso, nell’ippia maggiore invece un uomo su­ perbo e presuntuoso, che per di più, nelle critiche che muove a socrate, sembra imitare in modo maldestro quanto è stato detto nell’ippia minore. Heitsch ritiene che fnora nessuno abbia saputo fornire una spiegazio­ ne di questo. in realtà, la scelta del medesimo personaggio fatta in due diversi dialoghi si spiega molto bene. nell’ippia minore il personaggio è presentato come chiuso nell’ottica dei «discorsi di parata» e nell’uso dell’interpretazione dei poeti per avvalorare le proprie idee, e in quanto tale del tutto incapace di comprendere il metodo della «dia­ lettica elenctica» di socrate, con gli esiti che abbiamo spiegato nel Saggio introduttivo a questo dialogo. in se­ guito, volendo discutere sulla natura del bello, platone

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ha ripreso la fgura di ippia, per il motivo che presen­ tava in maniera perfetta, come nessun altro sofsta, le caratteristiche del personaggio di cui aveva bisogno per comporre il dialogo che aveva in mente: ippia era bello di presenza, si vestiva con bei vestiti, si occupava di cose belle, e le esibiva in modo bello, ma non sapeva che cos’è «il bello in sé», e non era neppure in grado di apprender­ lo seguendo il metodo di socrate – metodo che non riu­ sciva a comprendere, proprio come era stato dimostrato nell’ippia minore. anche per quanto riguarda la cosiddetta «fallacia socratica», ossia l’uso di sofismi, di ragionamenti eri­ stici e dell’ambiguità di figure logiche, si è molto parla­ to e si continua a parlare, spesso però facendo discorsi fuori posto dal punto di vista ermeneutico, ossia inter­ pretando i testi platonici in funzione di paradigmi del tutto estranei a quelli seguiti da platone (e in partico­ lare in funzione della logica formale e della filosofia analitica). sul corretto modo di leggere e intendere i dialo­ ghi aporetici di platone in italia, le pagine più belle e più profonde, dopo quelle di guido calogero (sull’ipparco e sull’ippia minore), sono state scritte da franco trabattoni (soprattutto sul Liside), di cui abbiamo già parlato nella prefazione in generale, e di cui ritenia­ mo opportuno qui trattare in modo più dettagliato, così come ne parliamo anche in altri saggi introduttivi, in quanto le sue osservazioni riguardano non solo il Liside, ma i dialoghi aporetici in generale. trabattoni (2003, p. 67) dimostra giustamente come alcuni studiosi interpretino certi passi dei dia­ loghi aporetici liquidandoli come frutti di «imperizia logica». in verità, in passaggi come questi «non vi può essere un difetto dovuto alla mancanza degli strumen­

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ti “normalizzatori” disponibili a noi moderni, ma ci deve essere piuttosto una consapevole sottolineatura di motivi paradossali invisibili ad una analisi superfi­ ciale. si mette in condizione di imparare qualcosa da platone, di conseguenza, solo chi è disponibile ad ac­ cettare questa provocazione, ossia ad approfondire la natura di alcuni concetti di uso corrente, con il rischio di dover modificare le proprie opinioni a riguardo, o addirittura di dover accettare, se incapace di confu­ tarle, tesi che fino a quel momento aveva considerato controintuitive». e ancora (ivi, pp. 64­65): «l’obbligo di farsi carico di questa mobilità di signifcati appare all’interprete so­ prattutto durante l’analisi dei dialoghi cosiddetti apore­ tici, in cui egli deve trovare il modo di districarsi dalle tante incongruenze in cui si imbatte, e non può contare sulla stabilità relativamente maggiore tipica dei dialoghi costruttivi. la serrata sequenza di confutazioni, che in quei dialoghi può dare facilmente l’impressione dell’in­ concludenza, ha lo scopo di mostrare un varco tra anti­ nomie che sono del tutto insolubili se non si ha la pazien­ za di sviluppare, mediante l’esercizio dell’elenchos, tutto ciò che in una semplice proposizione assertoria rimane non detto e implicito». Questo che dice trabattoni risulta essenziale per leggere e intendere in particolare la parte terza dell’ippia maggiore, dove socrate, fngendo di fare una serrata critica alla sua terza defnizione del bello, presenta iro­ nicamente dei sofsmi, sapientemente costruiti, per in­ trappolare il sofsta. e l’ambiguità e mobilità con cui fa uso di vari termini rispecchia a perfezione la «dialettica complessa» di cui parla vlastos, in quanto, intesi in un modo risultano errati, mentre intesi in modo diferen­ te risultano giusti. e questo corrisponde esattamente a

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quanto dice trabattoni (ivi, p. 64): «…  potrei dire che per platone non esiste proprio niente trattabile con la logica formale, ma solo proposizioni speculative nel senso di Hegel». concludiamo queste osservazioni di carattere meto­ dologico, precisando che non si può capire a fondo l’ippia maggiore mettendo tra parentesi la questione dell’auten­ ticità del dialogo (come fa per esempio ludlam, 1991), o considerandola solo come questione marginale. petrucci (2012, p. 37), per esempio, mantiene dubbi sulla auten­ ticità del nostro dialogo, ma scrive: «ciò che rimane in­ dubbio è che l’interesse, flosofco e letterario, suscitato dall’ippia maggiore non è inferiore a qualche altro scritto platonico». ma, per afermare questo, bisognerebbe am­ mettere che l’opera è stata scritta da un sosia di platone e alla sua altezza, ossia da un autore che aveva compreso a fondo il metodo socratico come una vera e propria «ne­ cessità storica», il che è, ovviamente, impossibile. passiamo ora all’analisi del testo, per poi esaminare gli assi portanti concettuali di esso, per concludere con la rassegna dei vari elementi che platone fornisce al lettore per poter giungere alla defnizione dell’essenza del bello.

ii contenuto del dialogo nelle sue articolazioni

1. incontro di Socrate con il Sofsta ippia (281 a-287 B) il prologo del dialogo in cui si narra l’incontro di socrate con ippia è piuttosto ampio e ha un particola­ re signifcato dal punto di vista ermeneutico, in quanto illustra in maniera dettagliata i tratti fsici e morali del sofsta, che sono l’esatto opposto di quelli del vero f­ losofo impersonato da socrate, che nel nostro dialogo appare, nella dinamica drammaturgica, addirittura in forma sdoppiata, per ottenere gli efetti di cui diremo (cfr. cap. iii, § 1). fisicamente ippia è bello, come si dice fn dall’inizio, e più avanti si precisa che è «vestito in modo bello, cal­ zato in modo bello» (291 a), dotato di grande memoria (285 e). e a tali caratteri fsici si aggiungono quelli in­ tellettuali. È presentato come sapiente in tutti gli am­ biti del sapere, dalla matematica all’astronomia, dalla conoscenza delle genealogie di eroi e di uomini alle fondazioni delle città. Ha scritto un discorso compo­ sto in modo molto bello (pavgkalo~), in cui neottolemo chiede a nestore informazioni sulle belle occupazioni (kala; ejpitedeuvmata) con le quali i giovani possano rag­ giungere fama, e da nestore riceve consigli molto belli (pavgkala). ippia legge ad atene tale discorso e anche alcuni altri. dal punto di vista sociale e politico, ippia si pre­ senta come ambasciatore della sua città. dice inol­

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tre di aver riscosso, per i suoi insegnamenti, molto denaro, e precisa «di aver guadagnato più ricchezze che due altri sofisti messi insieme» (282 e). non ha, però, ricevuto denaro a sparta, malgrado si sia più volte recato in quella città. Questa precisazione ha per socrate, come vedremo, un significato partico­ lare. ma ippia ritiene che ciò dipenda dal fatto che a sparta educare i figli con metodi stranieri sia contro la legge, e dice: «per gli spartani, socrate, non è conforme al costume pa­ trio modifcare le leggi, e neppure educare i fgli contraria­ mente ai costumi» (284 b).

in realtà, socrate fa capire come gli spartani, consi­ derati avveduti e saggi, si rendessero conto dei pericoli che comportavano gli insegnamenti di ippia, tanto che da lui ascoltavano volentieri non le dottrine connesse con la sua onniscienza o polymathia (polumaqiva), ma racconti genealogici e storici, in particolare il suo discorso molto bello che conteneva le regole sulle «belle occupazioni» e consigli «molto belli».

2. posizione del problema che verrà discusso socrate approfitta proprio della chiamata in causa da parte di ippia della bellezza, per chiedergli di spiegar­ gli «che cos’è il bello». il suo sosia, infatti (vedi cap. iii, § 1), che in una discussione lo aveva sentito elo­ giare cose belle e biasimare cose brutte, gli rimprove­ rò di parlare di cose che non sapeva, ossia del bello e del brutto. e socrate si proponeva, quindi, di farselo spiegare da uno dei sofisti, non appena lo avesse in­

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contrato, in modo da non poter essere confutato (286 d­e). ippia, bello, con bei vestiti e bei calzari, scrittore di bei discorsi su cose belle, dice che la questione su «che cosa è il bello» è una cosa piccola e «di nessuna importanza» (286 e), e che, dopo che socrate avrà appreso il suo insegnamento, nessuno lo potrà più confutare. in realtà, sotto le martellanti domande di socrate, ippia dimostrerà di non conoscere afatto «che cosa è il bello». inoltre, ippia, contro la sua affermazione di essere in grado di rispondere a qualsiasi domanda gli venga fatta, anche su questioni molto complesse, dimostre­ rà di non saper rispondere alle domande di fondo e di essere un cattivo dialettico, e verrà più volte confutato e sconfitto. sulle questioni connesse con il metodo dialettico par­ leremo più avanti (cap. iii, § 2), in quanto, data la loro complessità, qui ci farebbero perdere il flo del discorso e contrasterebbero con la presentazione sintetica del con­ tenuto.

3. prima defnizione di ippia sul bello nel porre e articolare la domanda sulla natura del bel­ lo cui ippia deve rispondere, socrate solleva la que­ stione – tipicamente sua – del «che cos’è». dal modo in cui la pone e la sviluppa, si può facilmente desu­ mere come all’epoca platone l’avesse compresa nelle sue implicazioni e conseguenze, e avesse già in mente alcuni elementi essenziali della dottrina delle idee, che tuttavia qui presenta in modo sfumato, cercando

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di non spingersi al di là del piano su cui si muoveva socrate. le espressioni, ei\do~, aujto; to; kalovn, oujs iva, chia­ mate in causa, rimangono infatti ancora in prevalenza nell’area socratica, e non acquistano quello spessore ontologico e metafsico tipicamente platonico, se non in modo allusivo (cfr. cap. iii, § 3). i giusti sono tali per la giustizia, così come i sapienti sono sapienti per la sapienza, e di conseguenza «giusti­ zia» e «sapienza» sono «un qualcosa», hanno una loro realtà, e non si può in alcun modo dire che non siano. che cos’è, allora, quel bello per cui tutte le cose belle sono belle? ippia non comprende il senso della domanda, e inve­ ce della defnizione del bello, presenta un esempio di cosa bella, dicendo che «il bello è una bella ragazza» (287 e). socrate lo confuta spiegando che una bella ragazza possiede la bellezza, ma non è ciò per cui le cose belle sono belle. invece di dire che il bello è una bella ragazza, si potrebbe dire che il bello è una bella cavalla, una bella lira, e addirittura anche una bella pentola, ben costruita e ben cotta. inoltre, la risposta che il bello è una bella ragazza, non regge non solo a paragone con gli esempi delle belle cavalle e delle altre cose belle, comprese le pentole, ma soprattutto a paragone con gli dèi, rispetto ai quali anche la più bella ragazza è brutta. gli esempi addotti implicano, poi, un particolare assai signifcativo: a seconda del modo in cui vengono considerate, le varie cose citate possono essere «belle» e anche «brutte», mentre si domandava la defnizione di quel «qualcosa», ossia di quella «forma» (ei\do~) per cui le cose belle sono belle e che a sua volta non può essere se non bella.

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4. Seconda defnizione di ippia (289 D-291 C) la seconda defnizione che ippia fornisce è la seguente: «il bello è ciò per cui tutte le cose belle vengono ordi­ nate e che, quando si aggiunge a esse, appaiono belle» (289 d).

e questo è soprattutto l’oro, che fa diventare bella qualsiasi cosa cui venga aggiunto, anche se prima era brutta. a socrate è facile rispondere, prendendo spunto dalla statua di atena fatta da fidia. il grande scultore ha co­ struito la sua grandiosa opera in alcune parti in avorio, che è certamente bello, ma alcune parti anche in pietra. l’avorio è di per sé bello, e la pietra può essere bella, quando viene utilizzata in modo appropriato e conve­ niente. pertanto, si potrebbe dire che «ciò che è conveniente per ciascuna cosa, questo la rende bella» (390 d).

socrate confuta questa defnizione con un argomen­ to incontrovertibile. per mescolare e servire una zuppa, è appropriato e conveniente un mestolo fatto di legno di fco e non di oro, che con il suo peso potrebbe rovesciare la pentola, con le conseguenze che ne derivano, ossia spe­ gnere il fuoco e lasciare i commensali a bocca asciutta. ippia deve ammettere che, in questo caso, si deve dire che il mestolo fatto di legno di fco è più adatto e conve­ niente, e che, quindi, è più bello di quello fatto d’oro. con questo cade la defnizione secondo la quale il bello è l’o­ ro: l’oro è bello quando è conveniente, mentre è brutto quando non è conveniente e appropriato.

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5. Terza defnizione di ippia (291 C-293 D) come terza defnizione del bello ippia propone la se­ guente: «per ogni uomo, sempre e dovunque, la cosa più bella è l’essere ricco, sano, onorato dai greci, e, dopo aver raggiunto la vecchiaia e decorosamente deposto nel­ la tomba i propri genitori, essere sepolto dai propri discendenti in modo bello e con magnificenza» (291 d­e).

si tratta di una afermazione di per sé ammirevole e grandiosa, che però non risponde in alcun modo alla do­ manda: «che cosa è il bello in sé, quel bello che rende bello tut­ to quello in cui è presente, e pietra e legno e uomo, e dio, e azione e cognizione?» (292 c­d); «che cos’è il bello per tutti e sempre?» (292 e).

ippia è convinto che quello che ha detto risulterà «bello sempre». tuttavia, per essere considerato bello sempre, do­ vrebbe essere stato ritenuto tale anche in passato. invece non è così per achille, per eaco suo avo, per gli eroi che discendono da dèi e per gli stessi dèi, e così per eracle e per molti altri. allora, si dà il caso che per alcuni sia cosa bella, men­ tre per altri sia cosa brutta, e di conseguenza non è qual­ cosa che è stato ed è sempre bello per tutti. le tre defnizioni di ippia hanno indicato «esempi» di cose belle, che si sono rivelate né solo belle né sempre, e, pertanto, sono rimaste ben lontane dalla defnizione del bello in sé.

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inoltre, sono rimaste chiuse nella dimensione del materiale e dell’empirico, con la sola eccezione della chiamata in causa del concetto del «conveniente». le tre defnizioni che proporrà socrate si sposteran­ no a un livello concettuale superiore, anche se rimarran­ no intenzionalmente aporetiche.

6. prima defnizione di Socrate (293 D-295 a) le tre defnizioni di socrate hanno dunque lo scopo di alzare il piano della discussione, che deve passare dalle immagini ai concetti. la prima defnizione chiama in causa l’unico concet­ to già espresso da ippia, però marginalmente, nella se­ conda defnizione: il bello è ciò che è «conveniente» (to; prevpon) e la sua natura (393 e). da questa defnizione, tuttavia, emerge subito il se­ guente problema: «il conveniente è ciò che, quando è presente, fa sembrare belle le cose, o le fa essere belle, oppure nessuna delle due cose?» (293 e­294 a).

a ippia sfugge la profondità ontologica del problema, e risponde che ciò che è conveniente fa sembrare o apparire le cose belle (faivnesqai kalav), e adduce un esempio che abbassa di molto il livello della discussione, dicendo che, se un uomo indossa abiti e calzari convenienti, sembra bello anche se non lo è. ma il bello di cui si è in cerca non deve «far sembra­ re», bensì «far essere» le cose belle. il bello deve non far apparire, ma far essere le cose belle, così come la gran­ dezza fa essere grandi le cose sia che appaiano grandi,

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sia che non appaiano tali. anche il bello fa essere belle le cose, sia che appaiano, sia che non appaiano tali. in efetti, ci sono cose che, come le «leggi» e le «attività», sono belle per sé, ma che «non appaiono», «non sem­ brano» belle a tutti, e intorno a esse sorgono discussio­ ni e contrasti. pertanto, quello che è «conveniente» non è ciò che cerchiamo, in quanto esso fa apparire belle le cose, men­ tre quello che noi cerchiamo «fa essere belle le cose»; dice quindi socrate: «in efetti, la medesima cosa non potrà mai far apparire e far essere le cose non solo belle, ma neppure in alcun altro modo» (294 e).

dunque, ciò che è «conveniente» non è il bello in sé, perché fa «sembrare» e non fa «essere» le cose belle.

7. Seconda defnizione di Socrate (295 a-297 D) la nuova defnizione di socrate è la seguente: «il bello per noi è ciò che è utile» (295 c).

«utile» è ciò che serve a un preciso scopo, e in questo senso è bello, mentre ciò che non è utile in nessun senso è brutto. più precisamente, utile è ciò che possiede una certa capacità o un certo «potere» di produrre qualcosa, e inutile è ciò che non possiede tale potere. a ippia piace molto l’identifcazione del bello con il potere, considerando la questione in ottica politica, e dice:

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«certamente. del resto, socrate, una prova che le cose stanno proprio così, ci è fornita, tra l’altro, proprio dalla politica. infatti, negli afari politici e nella propria città, l’avere potere è la cosa più bella, il non aver potere è la cosa più brutta» (295 e­296 a).

in realtà, la cosa più bella non è il potere in quanto tale, bensì la «conoscenza», e la cosa più brutta è l’«i­ gnoranza». infatti, il potere senza conoscenza produce il male, e, dice socrate, «tutti quanti gli uomini fanno cose cattive molto più che cose buone, a cominciare da fanciulli, e sbagliano involon­ tariamente» (296 c).

dunque, quell’utile che consiste nel potere che per­ mette di fare anche il male, non può essere il bello. ippia ritiene che si potrebbe dire che il potere coincide con il bello se opera bene, e in questo senso è utile. in tal caso, precisa socrate, l’utile viene a coincidere con il «vantaggioso». però il vantaggioso è ciò che produ­ ce il bene, e quindi il «bello­vantaggioso» sarebbe «cau­ sa del bene». però la causa è diversa da ciò che è da essa causato, e se il bello produce il bene, viene a essere «pa­ dre del bene». da ciò risulterebbe, di conseguenza, che il bello non è il bene e il bene non è il bello. Questo è però assurdo, e quindi cade anche la defnizione secondo cui il bello è l’utile e il vantaggioso. la conclusione negativa è ottenuta con un raffi­ nato gioco di ironia, mediante un ragionamento so­ fistico. platone vuole farci intendere che ippia non è all’altezza intellettuale e morale per poter giungere a una definizione positiva del bello, e lo trae in inganno

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proprio con la distinzione dei concetti basilari di bello e di bene. in primo luogo gioca astutamente nel presentare il bello come «padre» del bene, mentre è vero proprio il contrario, in quanto il bello è una manifestazione del bene stesso (e quindi, semmai, è il bene padre del bello, e il bello è il fglio). in secondo luogo, trae la conclusione che il bello non è il bene e il bene non è il bello, mentre, in realtà, bene e bello, in certo senso, coincidono, in quanto il bene si fa vedere nel bello, il quale è dunque una manifestazione del bene. Questo, del resto, è vero non solo per socrate e per platone, ma in generale per la cultura greca, come dimo­ stra l’espressione emblematica del «bello­e­buono» (kalov~ kai; ajgaqo~, kalokagaqiva), per cui ciò che è bello è buono e viceversa, e quindi il rapporto fra bello e bene è strutturale e irreversibile. nel nostro dialogo, però, tali concetti rimangono sotterranei in quanto, da un lato, vanno oltre socrate, e, dall’altro, ippia sarebbe molto lontano dal poterli com­ prendere. però il grado di ironia raggiunge il limite estremo nella terza definizione di socrate, nel cui sviluppo il sofista verrà posto fuori gioco con sofismi ben archi­ tettati.

8. Terza defnizione del bello proposta da Socrate l’ultima defnizione proposta da socrate è la seguente: «il bello è il piacere che deriva dalla vista e dall’udito» (298 b).

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tale defnizione è quella che viene discussa più a lungo ed è la più difcile da comprendere in modo ade­ guato, in particolare per il fatto che socrate tende trap­ pole a ippia, facendo abilmente cadere il sofsta con sofsmi. il lettore può rischiare di cadere egli pure nella mede­ sima trappola, se non si rende conto della befa che con somma ironia socrate sta giocando a ippia, il sofsta che si ritiene uomo superiore e invincibile. nella defnizione del bello come «piacere della vista e dell’udito» sembrerebbero non rientrare le «leggi» e le «occupazioni», che hanno una bellezza di diverso genere, ma che in qualche modo potrebbero rientrare in questa ottica. tuttavia in che senso siano «belle» qui non viene indicato («leggi» e «occupazioni», infatti, sono un gradi­ no della «scala della bellezza» descritta nel Simposio – vedi cap. iv, § 6). però va rilevato che ci sono comunque altri piaceri, come quelli connessi con il cibo, con le bevande, con gli odori e con gli amori. ora, questi sono certamente «pia­ ceri», ma non sono «belli»; e alcuni, come quelli erotici, sono vergognosi in pubblico. bello è, dunque, solamente quel particolare piacere che deriva dalla vista e dall’udito. ma il ragionamento che segue dimostra l’inaccet­ tabilità di questa definizione, se si intende l’espres­ sione «piacere della vista e dell’udito» considerando vista e udito in modo inseparabile, senza valere per nessuno dei due sensi singolarmente presi. infatti, quelle cose che sono piacevoli a vedersi non si odono, così come le cose che sono piacevoli a udirsi non si vedono. se è così, non vale il principio basilare secondo cui ciascuna cosa bella è bella in funzione di un qualcosa che

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risulta essere sempre identico, in quanto l’essere visto e udito non è un carattere distintivo dei piaceri della vista singolarmente considerati, né dei piaceri dell’udito pure singolarmente considerati. in che cosa consista il sofsma di questo ragiona­ mento è stato spiegato già da aristotele nei Topici (vi 146 a 21 sgg.). basterebbe sostituire nell’espressione piaceri della vista e dell’udito un «o» all’«e», per uscire dalla difcoltà. si avrebbe, così, la defnizione secondo cui il bello è ciò che è piacevole vedere «o» udire. (ma si potrebbe anche raddoppiare la «e»: il bello è «e» ciò che è piacevole vedere «e» ciò che è piacevole udire, o con due «sia»: il bello è «sia» ciò che è piacevole a vedersi, «sia» ciò che è piacevole a udirsi, o comunque non con­ siderare «e» una congiunzione vincolante di necessità il vedere e l’udire). come dicevamo, non si tratta di un sofsma in cui cade socrate, ma è un sofsma costruito come trappola in cui viene fatto cadere il sofsta. ippia dice: «tu non riuscirai mai a trovare qualche afezione che né tu né io possediamo singolarmente, e che invece possediamo insieme» (300 d).

ma, in realtà, non è così: socrate e ippia sono ciascuno «uno», mentre considerati insieme sono «due», e il numero uno è «dispari», mentre il nume­ ro due è «pari», e di conseguenza tutti e due insieme possiedono un carattere che ciascuno singolarmente non possiede. il lettore può trovare le pagine in cui si discute la terza defnizione lunghe e piuttosto pesanti, se non sa entrare nel complesso gioco ironico che socrate mette in atto,

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inflzando ippia come in un girarrosto e cuocendolo a fuoco lento. mediante una dialettica elenctica che pro­ cede in maniera veramente inesorabile, socrate confuta tutto quello che il sofsta dice, gli prepara il trabocchetto e lo fa cadere, per poi rialzarlo e farlo nuovamente cade­ re, facendolo anche arrabbiare. prima di mettere in atto questo gioco, così abile e pro­ vocatorio, socrate ripropone a ippia la domanda­chiave intorno alla quale ruota tutto quanto il dialogo: «io dicevo, se ricordi da dove è partito questo discor­ so, che i piaceri che derivano dalla vista e dall’udito non sono belli per questo, ossia per l’affezione che ha cia­ scuno di essi, ma non l’hanno entrambi insieme, o che l’hanno entrambi insieme, ma non ciascuno singolar­ mente, ma per ciò che è comune a entrambi e a ciascu­ no singolarmente preso, in quanto tu hai ammesso che sono belli tutti e due insieme e singolarmente. proprio per questo pensavo che dovevano essere belli per una sostanza che si accompagna a entrambi, dato che en­ trambi sono belli, e non per qualche cosa che manca­ va a uno di essi, singolarmente. e lo credo anche ora. ma dimmi, come all’inizio: se il piacere che deriva dalla vista e quello che deriva dall’udito sono belli, sia presi insieme sia presi singolarmente, ciò che li rende belli li deve accompagnare sia presi insieme sia singolarmen­ te?» (302 b­d).

si tratta della domanda metafsica che, come rispo­ sta, richiederebbe che si dicesse qual è l’oujs iva, ossia la «sostanza» o «essenza» del bello, che ippia non è in grado di raggiungere. proprio ippia che, poco prima, ha rimproverato socrate, con una frase pomposa ma pres­ soché priva di senso, dicendo che a lui e ai suoi allievi sfuggono:

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«voi prendete in esame il bello e ciascuna delle altre cose, cogliendone solo una parte, e la fate a pezzi nei vostri di­ scorsi. e così vi sfuggono le grandi realtà continue della sostanza nella loro natura» (301 b).

e proprio da questa incapacità di trattare il problema del bello a livello metafsico nasce, come befarda conse­ guenza, il gioco sofstico più spinto di socrate.

9. Conclusioni sofstiche per trarre le conclusioni – che, per le ragioni spiegate, non potevano non essere aporetiche –, socrate sugge­ risce delle risposte che fnge essere non sue, ma del suo sosia. il bello è stato considerato «piacere della vista e dell’udito», inteso come forma di piacere ben distin­ ta da tutti gli altri tipi di piaceri, in quanto socrate rileva: «mi pare che sia necessario dire, ippia, che essi sono i più innocenti107 tra tutti i piaceri e i migliori108, sia ambedue insieme sia singolarmente. o tu sei in grado di indicare qualcos’altro, per cui essi si diferenziano dagli altri?» (303 d).

ma, per questo motivo, il bello come «piacere della vista e dell’udito» torna a essere «vantaggioso» (wjfevlimon). in tal modo, di conseguenza, si cade nell’aporia di prima. il bello, in quanto vantaggioso, sarà causa del bene, e il bello, appunto come causa, sarà diverso dal bene, che ne è fglio (303 e­304 a).

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friedländer commenta molto bene questa conclu­ sione: «siamo così ritornati alla seconda defnizione del livello socratico e riportati al giudizio critico preceden­ temente dato su di essa. il circolo dell’argomentazione forse suggerisce (come è detto più chiaramente e con­ sapevolmente nell’eutifrone) che questo metodo defni­ torio non raggiunge lo scopo specialmente quando trat­ tiamo con uno pseudo­sapiente che crede di conoscere e possedere la bellezza».

10. il signifcato dell’ippia maggiore non pochi lettori dell’ippia maggiore rimangono scon­ certati e delusi, in quanto ciò che si aspettavano era una defnizione del bello in sé, mentre il dialogo termina in modo aporetico. ma lo scopo del dialogo, come abbiamo cercato di mostrare, si incentra proprio sull’aporia nelle sue im­ plicazioni e conseguenze. taylor (tr. it., p. 58) diceva molto bene: «abbiamo scoperto la nostra ignoranza di ciò che più dovremmo sapere e di ciò che ci illudiamo di conoscere particolarmente bene. – È in questa salu­ tare lezione e non in alcuna delle definizioni del “bel­ lo” che vi sono proposte che dobbiamo cercare il signi­ ficato del dialogo. ma esso è anche costruttivo per altri aspetti. la lezione che ci offre nella maniera corretta di impostare e dimostrare una definizione è molto più importante di qualsiasi tentativo di definizione che vi sia preso in esame». platone si propone questi obiettivi assai importanti, comuni anche agli altri dialoghi diretti contro i sofsti, proprio per far comprendere a fondo il metodo rivo­ luzionario della dialettica di socrate, ma poi al lettore

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che ha compreso il suo discorso ofre anche numerose indicazioni per giungere alla conoscenza del bello (cfr. iv, §§ 1­7). in questo dialogo è preso di mira ippia, che riassume i difetti dei sofsti, e precisamente: a) nel comportamento etico; b) nel contenuto del suo pensiero; c) in particolare per quanto riguarda il metodo; d) di conseguenza, si mo­ stra come sia di gran lunga superiore il metodo dialettico di socrate. a) ippia si presenta come maestro di virtù, e poi si di­ mostra un cialtrone. il suo scopo non è l’educazione dei giovani, ma il denaro, che per lui ha valore più di ogni al­ tra cosa, e si vanta di averne guadagnato in gran quantità, più di tutti gli altri sofsti. b) la sua polymathia, ossia il suo sapere tutte le cose, è superfciale e inconsistente, al punto che, lui bello, con bei vestiti, bei calzari, scrittore in bello stile di cose belle, non sa rispondere alla domanda «che cos’è il bello in sé», proprio lui che riteneva di essere in grado di rispondere a ogni domanda che gli venisse fatta da chiunque su qual­ siasi cosa. c) per quanto riguarda il metodo, poi, ippia dimostra di saper scrivere discorsi e leggerli, ma si dimostra inca­ pace di dialogare, e di aver bisogno di meditare da solo. dice, infatti, per quanto riguarda il problema del bello: «io so bene che, se mi ritirassi per poco tempo, e potessi rifettere da solo con me stesso, te lo potrei dire nella ma­ niera più esatta di ogni esattezza» (295 a).

inoltre «al momento presente» non sa che cosa dire sulla conclusione cui giunge la seconda defnizione di socrate, e precisa:

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«al momento presente, no; ma, come prima dicevo, dopo aver indagato, so bene che troverò la risposta» (297 d­e).

ippia sa scrivere e leggere i suoi discorsi, ma è ben lonta­ no dal saper «cercare insieme». d) viene quindi portato in primo piano il carattere peculiare della dialettica socratica nella sua dinamica della «domanda», della «risposta» e della «confutazio­ ne». va ricordato che il metodo dialettico­elenctico so­ cratico era disprezzato sia dai sofsti, sia da molti udi­ tori che si sentivano disturbati e messi in confusione da esso. da questo dialogo socrate emerge come vincente in tutti i sensi. e il rilievo del tutto particolare che viene dato alla dialettica socratica e alle sue caratteristiche emerge so­ prattutto dallo sdoppiamento drammaturgico del perso­ naggio di socrate con il suo sosia, e dal modo rafnato e artisticamente superbo con cui socrate e il suo sosia schiacciano ippia (cfr. cap. iii, § 1).

iii assi­portanti concettuali dell’ippia maggiore

1. Le fgure dei protagonisti con particolare riguardo alla doppia fgura di Socrate e il suo signifcato ippia di elide nacque probabilmente verso la fine del v secolo a.c. e divenne assai celebre come sofista nel iv. la sua fama dovette essere veramente note­ vole, tanto che platone gli ha dedicato ben due dia­ loghi. riteneva che il fine dell’insegnamento fosse una preparazione alla vita politica, come tutti gli al­ tri sofisti, ma ne differiva per il metodo. non contava per lui l’«antilogia» di protagora, né la «retorica» di gorgia, né la «sinonimica» di prodico di ceo, bensì la polymathia, ossia il «sapere enciclopedico». ippia, oltre a «sapere tutto», si vantava anche di «saper fare tutto». ma, per sapere e imparare molte cose, occorre avere una particolare abilità, che agevoli la memoriz­ zazione dei vari contenuti del sapere; e a questo scopo egli insegnava la «mnemotecnica» (ossia l’arte della memorizzazione). fra le discipline che con il suo «enciclopedismo didattico» proponeva, figuravano in particolare le matematiche, l’astronomia, e anche le scienze naturali. egli riteneva necessario l’insegna­ mento di tali scienze, perché pensava che la vita uma­ na dovesse adeguarsi alla natura e alle sue leggi, più che alle leggi umane. socrate, invece, viene rappresentato in doppia fi­ gura.

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per comprendere il senso dello sdoppiamento, ossia l’introduzione di un sosia di socrate, bisogna rifarsi al Simposio, dove platone fa analogo gioco drammaturgico. infatti, giunto al momento di esporre il proprio pensiero su eros, socrate avrebbe dovuto, sulla base del suo metodo, impostare un dialogo elen­ ctico con ciascuno di coloro che avevano prima parla­ to. ma con tale metodo avrebbe confutato e distrutto tutto quello che era stato detto, e in particolare ciò che aveva detto agatone, nella cui casa si svolgeva la festa per la vittoria da lui conseguita con la sua prima tragedia. socrate fnge allora di aver imparato dalla sacerdo­ tessa diotima di mantinea le cose che avrebbe detto, e ne assume la maschera per esprimere il proprio pensie­ ro. ma fa ancora di più: fnge di aver risposto alla sacer­ dotessa le cose che avrebbe detto agatone; usa la logica di agatone e si fa confutare da diotima. platone fa quin­ di assumere a socrate, in modo dinamico e alternato, la maschera di diotima e quella di agatone con un esito ar­ tistico veramente straordinario. Qualcosa di analogo socrate fa qui nell’ippia maggiore. il personaggio che chiama in causa come suo severo critico non è afatto un anonimo, bensì una ma­ schera drammaturgica con la quale rappresenta se stes­ so, come a un certo punto viene addirittura detto espli­ citamente: IppIa – forse, socrate, queste cose dovrebbero sfuggire al nostro uomo. Socrate – no, corpo di un cane, ippia! non sfuggirà certamente a quell’uomo, al quale io mi vergognerei di dire sciocchezze, e di fngere di dire qualcosa, dicendo invece niente.

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IppIa – chi è costui? S ocrate – il figlio di sofronisco, che non mi per­ metterebbe di parlare con leggerezza di cose di cui non si è fatta indagine, come se sapessi quello che non so (298 b).

«il figlio di sofronisco» è il patronimico di socrate, detto in modo volutamente ambiguo, in quanto il nome sofronisco non era solo quello del padre di socrate, e quindi lasciava l’affermazione nel generi­ co. ma tutto ciò che viene fatto dire al sosia è l’esatto ritratto intellettuale e morale di socrate. e infatti in 304 d si legge: «si dà il caso che quest’uomo sia il più legato a me per pa­ rentela e che abiti dove abito io».

ma per quali ragioni platone ha ritenuto opportuno fare uno sdoppiamento della fgura di socrate? una prima e penetrante risposta è stata data da szlezák (tr. it., pp. 150­151), il quale scrive: «non sareb­ be più facile restituire a socrate la sua unità, e supporre che l’aporia nasca davvero “involontariamente” dalla schiettezza radicale dell’interrogare nel “dialogo vivo”, e non che venga inscenata con abilità da qualcuno che sa e si mantiene sullo sfondo? – contrariamente a que­ sta riflessione, l’ippia maggiore mostra, invece, come socrate si divida in due davanti ai nostri occhi: da un lato nell’interrogante che erra continuamente e che sa solo di non sapere nulla, e dall’altro nel dialettico com­ piuto che compare, sì, anche come interrogatore, ma che non sviluppa, per così dire, da zero gli strumenti di pensiero più avanzati della dottrina delle idee, ma li porta con sé già pronti e, così facendo, sposta a un livel­

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lo più alto, con tenacia, la discussione. certamente la strana scissione della personalità di socrate viene su­ perata nell’ironia. ma l’ironia da sola non porta ancora a questo tipo di gioco di nascondersi, non spiega ancora perché socrate non rappresenta, lui stesso, ciò con cui egli porta avanti il dialogo. l’unità dietro alla scissio­ ne in due personaggi e la giustificazione concreta del procedimento apparentemente subdolo di socrate va cercata nel concetto di dialettico, il quale – come viene esposto nel Fedro – non solo controlla con sicurezza gli strumenti di pensiero e i risultati con cui opera, ma controlla anche le circostanze del dialogo e, così fa­ cendo, l’“anima” di chi gli sta di fronte. non è, dunque, come invece dovrebbe essere secondo il postulato filo­ sofico esistenziale, per cui il dialettico è sempre impe­ gnato nel suo dialogo “senza alcuna riserva”. Qualora la situazione lo esiga, egli non si lascia riconoscere nel suo proprium. dipende da lui sotto quale nome voglia diffondere il suo superiore sapere. ma, così, egli può anche determinare in che misura farlo: l’interlocutore di socrate, immaginario, non si lascia, in quanto assen­ te, interrogare o costringere a dar risposte, e, da parte sua, socrate può “ricordarsi” delle sue domande finché gli sembra bene farlo. platone rende il lettore parteci­ pe di questo scherzo trasparente. e il lettore del Fedro sa, inoltre, che ha dinanzi a sé una concretizzazione in forma letteraria della libertà di decisione che il dialet­ tico manterrà sempre nella attuazione della comuni­ cazione filosofica, e soprattutto quando si serve dello scritto». sono, queste, osservazioni molto fni, ma a nostro av­ viso si può dire di più. in certo senso, in modo analogo a quanto avvie­ ne nel Simposio, socrate, nel colloquio diretto con

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ippia, cerca di abbassarsi a un livello che, in qualche modo, lo possa avvicinare al suo interlocutore, men­ tre con il suo sosia assume la figura del «vero dialet­ tico» – come giustamente dice szlezák –, che però fa a pezzi il sofista in una maniera così energica e in certi momenti quasi violenta, proprio come sarebbe successo nei confronti di tutti quelli che avevano par­ lato prima di lui nel Simposio, e soprattutto nei con­ fronti di agatone, se socrate avesse detto in proprio quello che fa invece dire alla sacerdotessa diotima di mantinea. in efetti, se socrate avesse espresso a ippia in modo diretto le critiche che mette in bocca al suo sosia, la di­ scussione non avrebbe potuto svolgersi. platone dice con chiarezza questo nei passi che ripor­ tiamo. «ma non ti sarò di ostacolo, se, imitando quel tale, mentre tu mi rispondi, faccio obiezioni a quello che dici, in modo che tu mi istruisca quanto più è possibi­ le» (287 a). «oh, come parli bene! allora, poiché tu me lo coman­ di, io cercherò di interrogarti, cercando di diventare quell’uomo, quanto più è possibile. se tu gli recitassi quel discorso, cui facevi riferimento, sulle belle occu­ pazioni, dopo averlo ascoltato, subito dopo che tu abbia smesso di parlare, egli non ti farebbe domande su altro prima che sul bello, dato che ha questa abitudine, e di­ rebbe: “straniero di elide, i giusti sono giusti per la giu­ stizia?”. rispondimi, ippia, come se fosse lui ad interro­ garti» (287 b­c).

e, in efetti, il sosia suscita reazioni quasi violente in ippia, come si legge in alcuni passi del dialogo.

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Socrate – Quel tale, dopo questo, lo so bene, in quanto conosco i suoi modi, mi dirà: «carissimo, e una bella pen­ tola? non è forse una cosa bella?». IppIa – socrate, chi è questo uomo? come è rozzo, uno che osa pronunciare nomi tanto volgari, in un argomento così elevato! (288 c). IppIa – Quell’uomo è veramente stupido, e non si inten­ de afatto di cose belle (289 d). IppIa – per eracle, di che uomo parli, socrate! non vuoi dirmi chi è? Socrate – non lo conosceresti, anche se ti dicessi il nome. IppIa – ma conosco già fn d’ora che è un ignorante! (290 e). IppIa – ma io non mi metterei mai a discutere con un uomo che facesse domande di questo genere (291 a). IppIa – ma che cosa è mai questo? mandalo a miglior vita! le domande di quell’uomo sono sconvenienti, socrate (293 a).

dunque, un colloquio diretto e costruttivo di socrate con ippia sarebbe stato impossibile, in quanto le parole che socrate mette in bocca al suo sosia sarebbero state considerate dal sofsta inaccettabili e ofensive, come platone fa dire a socrate stesso: «ti parlerò nello stesso modo di poco fa, imitando quell’uomo, per non dire io direttamente quelle parole dure e sgradevoli che egli dirà contro di me. sappi bene che, in efetti, mi dirà: “dimmi, socrate, credi che rice­ verebbe percosse in modo ingiusto, chiunque, dopo aver cantato un ditirambo in modo così stonato, andando lon­ tano dalla domanda iniziale?”. ma in che modo? – io gli

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dirò. e lui risponderà: “come? non sei capace di ricordar­ ti che ti avevo chiesto che cosa è il bello in sé, quel bello che rende bello tutto ciò in cui è presente, e pietra e le­ gno e uomo, e dio, e azione e cognizione? io ti domando, buon uomo, che cosa è il bello in sé, e non riesco a farmi ascoltare da te, più che se avessi accanto a me una pietra o una macina, senza orecchie e senza cervello”. ti adirere­ sti con me, se io, spaventato, a queste parole rispondessi: “ma, in verità, che il bello è questo me lo ha detto ippia. eppure io facevo a lui queste stesse domande che tu ora fai a me, ossia che cos’è il bello per tutti, sempre”? che cosa diresti allora? ti irriteresti con me, se io dovessi dare queste risposte? (292 c­d).

allora, per dimostrare come il famoso sofista ippia fosse un gran parlatore, abile a scrivere discorsi e a recitarli, ma un cattivo dialettico, socrate non poteva parlargli usando direttamente la sua dialettica elen­ ctica, in quanto lo avrebbe smascherato in modo trop­ po crudo. lo sdoppiamento della fgura del vero dialettico, in­ carnato nel sosia dal socrate che parlava indirettamente con il sofsta, era quanto mai opportuna dal punto di vi­ sta drammaturgico, per evidenziare la grande rivoluzio­ ne flosofca che socrate metteva in atto contro i sofsti e contro il comune modo di pensare.

2. Vero e falso metodo dialettico e sconftta del Sofsta con sofsmi ben costruiti dialetticamente da Socrate abbiamo già detto, ma va qui ribadito per l’importanza ermeneutica nel contesto del dialogo, che la dialetti­ ca elenctica di socrate era disprezzata e avversata dai sofsti, i quali amavano invece i grandi discorsi di parata

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preparati con cura e letti in modo opportuno, non solo nei tribunali e nelle assemblee, ma nei simposi, nelle scuole e nelle palestre. inoltre, era avversata anche da gran parte degli uomini comuni, che dalle domande di socrate si sentivano schiacciati. platone nel nostro dialogo fa dire espressamente a socrate stesso quanto segue: «caro ippia, tu sei un uomo felice, perché sai quali sono le cose delle quali un uomo si deve occupare e di cui tu stesso, come dici, ti sei occupato in modo adeguato. io invece, come pare, sono vittima di una sorte demoni­ ca, per cui vado errando e mi trovo sempre in difcoltà. e, quando manifesto questa mia difcoltà a voi che siete sapienti, vengo insultato dai vostri discorsi, non appena l’abbia manifestata. infatti, voi dite, come tu hai ribadito anche ora, che io mi occupo di cose di scarsa importanza, vacue e inconsistenti. ma, una volta che, convinto da voi, dico le cose che dite voi, ossia che ciò che vale di più con­ siste nell’essere in grado di comporre un discorso in modo perfetto e recitarlo in tribunale o in qualche altra assem­ blea, allora, da quelli che sono qui presenti e da parte di quell’uomo che sempre mi confuta, sento insulti di ogni sorta» (304 b­c).

il senso di fondo dell’ippia maggiore è proprio quello di rovesciare questa tesi, e di dimostrare come socrate sia «il vero flosofo» e «il vero dialettico», mentre ippia è un flosofo e un dialettico di assai basso livello, contra­ riamente alle convinzioni da lui più volte espresse, e da molti condivise. sappiamo che non riusciva a intendere la domanda postagli «che cos’è il bello in sé», e presentava il suo me­ todo come segue:

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Socrate – tu, infatti, lo sai bene, e questa non sa­ rebbe se non una piccola conoscenza fra le molte che hai. IppIa – davvero piccola, per zeus, socrate, e di nessuna importanza, per così dire. Socrate – imparerò con facilità, ippia, e nessuno potrà più confutarmi. IppIa – nessuno, certo. altrimenti, il mio insegna­ mento sarebbe di scarso valore e da incompetenti (286 e).

ed ecco il giudizio negativo di ippia sulla dialettica socratica: «ma tu, socrate, non consideri le cose nel loro insie­ me, né tu né coloro con i quali sei solito discutere. voi prendete in esame il bello e ciascuna delle altre cose, cogliendone solo una parte, e la fate a pezzi nei vostri discorsi. e così vi sfuggono le grandi realtà continue della sostanza nella loro natura. e ora, questo ti è sfug­ gito al punto tale da farti credere che ci sia un qualco­ sa, una affezione o una sostanza che appartenga a due cose insieme contemporaneamente, ma non a ciascuna di esse singolarmente, o che, al contrario, appartenga a ciascuna singolarmente, ma non ad ambedue nel loro insieme. in modo così sconsiderato, assurdo e stolto, la pensate tu e quelli con cui di solito ti intrattieni» (301 b­c).

ippia, invece, giudica se stesso al più alto livello. dopo aver afermato che per lui la questione «che cos’è il bel­ lo» è cosa da poco e di assai scarsa importanza, a socrate – che gli chiede di potergli fare obiezioni e domande per imparare ed essere in grado di rispondere alle critiche – dice:

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IppIa – fa’ pure obiezioni! infatti, come prima dicevo, la domanda non è gran cosa, e io potrei insegnarti a risponde­ re su cose molto più difcili di questa, in modo che nessuno degli uomini possa confutarti (287 a).

in realtà, tutte le risposte fornite da ippia vengono confutate. in particolare, abbiamo visto come cada in modo clamoroso nelle trappole dialettiche che socrate gli tende. a) non riesce a districarsi su ciò che socrate dice per quanto riguarda il nesso strutturale fra causa ed efetto. b) non riesce a capire come il conveniente (prevpon) abbia un efettivo rapporto col bello, in quanto è connes­ so con il «misurato» e «proporzionato». c) Ha dimostrato di non conoscere come il bello e il bene di fatto coincidano, in quanto sono «giusta misura» e «proporzione», e come il bene non sia «fglio» del bello, ma viceversa sia il padre. d) nella discussione dell’ultima defnizione di socrate è rimasto irretito nella trappola dell’interpre­ tazione eristica dell’«e», nell’espressione «piacere della vista e dell’udito». la superiorità della dialettica socratica si impone su quella del sofsta in modo veramente radicale e totale.

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3. La «confutazione» come momento essenziale della dialettica socratica e la sua funzione educativa e purifcatrice la dialettica confutatoria di socrate mirava sostanzial­ mente a esortare alla virtù, ossia a liberare l’uomo dalle illusioni che lo ingannano e lo spingono a prendersi cura di tutto, tranne di ciò di cui dovrebbe veramente pren­ dersi cura, ossia della propria anima. la confutazione dialettica mirava, pertanto, a saggiare a fondo l’anima, al fne di liberarla dagli errori e disporla alla comprensione della verità. e che il metodo dialogico­elenctico di socrate miras­ se proprio a saggiare l’anima dell’interlocutore, in modo da convincerlo – giovane o vecchio che fosse – a rendere conto di sé, senza autoinganni e autoillusioni, si ricava dall’apologia e da tutti i dialoghi socratici. in particolare, nel Lachete (187 e­188 b) c’è un passo veramente paradigmatico messo in bocca a nicia: «mi pare che tu non sappia che chi è abituale interlocu­ tore e famigliare nel dialogare con socrate, necessaria­ mente, anche se prima ha cominciato a discutere con lui di altro, non può evitare di essere condotto nel discorso in un giro di ragionamenti, fno a che non giunga a dare conto di se stesso, del modo in cui vive e in che modo sia vissuto in passato. e una volta che sia giunto a questo, socrate non lo lascerà scappare, prima di averlo sottopo­ sto bene e accuratamente a un esame su tutte queste cose. io ho dimestichezza con quest’uomo, e so che è necessa­ rio sopportare queste cose da lui, e so bene che io stesso devo subire tutto questo. eppure, lisimaco, provo piacere a stare accanto a questo uomo, e penso che non sia afatto un male che ci venga richiamato alla memoria che non ci siamo comportati bene, o che non ci stiamo comportando

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bene, ma che, anzi, per la vita futura, diventi più accorto chi non fugge da questo, ma lo vuole, secondo il detto di solone, che desidera imparare fnché vive, senza credere che la vecchiaia, di per sé, porti senno. per me, dunque, l’essere messo a prova da socrate non è né inusuale, né sgradevole, ma già prima sapevo bene che il discorso, con socrate presente, non sarebbe stato solo sui giovani, ma anche su noi stessi».

il testo sintetico più pregnante e più forte è però contenuto nel Sofista (230 b­e), dove la confutazio­ ne viene presentata come una sorta di alta «purifica­ zione», anzi come la più alta purificazione, necessaria per tutti, compreso il gran re, il quale, pur essendo tale, senza questa purificazione non può che rimanere infelice. leggiamo il testo, assai importante, che riprende in modo sistematico idee essenziali presenti nei dialoghi socratici e in spirito squisitamente socratico: StranIero – coloro che interrogano in modo dialet­ tico­confutatorio interrogano sugli argomenti sui quali uno crede di dire qualcosa, mentre non dice nulla; poi, passano facilmente in rassegna le opinioni, dato che sono di uomini che vanno errando, e, raccogliendole con i di­ scorsi, le confrontano tra loro sul medesimo argomento, e dimostrano che esse sono contrarie a se stesse, nello stes­ so tempo, riguardo ai medesimi argomenti, in confronto con le medesime cose, secondo gli stessi punti di vista. ed essi, vedendo ciò, si inaspriscono con se stessi, ma di­ ventano miti nei confronti degli altri, e in questo modo si liberano dalle grandi e rigide opinioni che avevano su se stessi, e di tutte le liberazioni questa è la più gradevole da ascoltare e dà la massima sicurezza a chi la prova. infatti, amico, a coloro che li purifcano, pensando, come

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pensano i medici per i corpi, che un corpo non può trarre vantaggio dal cibo ofertogli, prima che siano espulsi gli impedimenti interni, quelli hanno pensato la stessa cosa anche riguardo all’anima, che essa non avrà vantaggio dalle nozioni ofertele, prima che qualcuno, esercitando la confutazione, porti il confutato a vergognarsi, e, espul­ se le opinioni che erano di ostacolo all’apprendimento, lo faccia apparire puro, e tale da ritenere di sapere solo ciò che sa e non di più. teeteto – Questa è la migliore e la più saggia delle di­ sposizioni. StranIero – per tutte queste ragioni, teeteto, noi dobbiamo dire che la confutazione è la più grande e più potente delle purificazioni, e, d’altro canto, dobbiamo pensare che chi non è stato confutato, anche se fosse il grande re, poiché non è stato purificato per quanto riguarda le cose più grandi, è privo di educazione, e anche brutto, in relazione a ciò in cui, a chi ha intenzione di essere veramente felice, converrebbe essere puro e bello in massimo grado.

ma va precisato che l’arte della dialettica confuta­ toria, esercitata da socrate per «spogliare l’anima» de­ gli uomini con cui discuteva, aveva lo scopo non solo di aiutare l’altro a conoscere se stesso, ma costituiva un momento essenziale per Socrate medesimo al fne di conoscere se stesso, come ci viene detto in maniera esemplare nell’apologia.

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4. Necessità storica della domanda di Socrate sul «che cos’è» nelle sue implicazioni e conseguenze e allusioni alla teoria delle idee di platone come abbiamo già sopra detto, platone in questo dialogo cerca di presentare la teoria del «che cos’è» in dimensio­ ne socratica, ossia senza caricarla di quelle caratteristi­ che ontologiche che in dialoghi successivi metterà in evi­ denza con la teoria delle idee, pur alludendo ad alcune di esse. a questo riguardo va però fatta una importante preci­ sazione di carattere ermeneutico. la teoria platonica delle idee costituisce – non solo nel mondo greco in particolare, ma nella cultura euro­ pea in generale – una rivoluzione rispetto alla cultura fondata sulla oralità mimetico­poetica, introducendo un nuovo linguaggio, una nuova terminologia e una nuova sintassi. Havelock (tr. it., p. 219) giustamente parlava di «ne­ cessità storica» del platonismo e scriveva: «le forme annunciavano l’avvento di un livello totalmente nuovo di raziocinio, il quale, nel venire perfezionato, doveva creare a sua volta un nuovo tipo di esperienza del mondo – rifessiva, scientifca, tecnologica, analitica. possiamo chiamarla in una dozzina di maniere diverse. la nuova èra intellettuale reclamava bandiere proprie sotto cui marciare, e le trovò nelle forme platoniche. considerata in questa prospettiva la teoria delle forme era una necessità storica». È certamente vero che nell’ambito della rivoluzione culturale in atto a quel tempo la teoria delle idee fosse una «necessità storica», ma a questa afermazione ne va aggiunta un’altra, che ne è il fondamento. la teoria del­ le idee, in realtà, costituiva una «necessità storica» in

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quanto fondava a livello ontologico e metafsico la sco­ perta del «che cos’è» di socrate e della sua dialettica, che stava alla base della rivoluzione epocale. senza il genio di platone, probabilmente, non ci sa­ rebbe stata una «teoria delle idee» in quella forma; però va riconosciuto anche che il genio di platone non avreb­ be potuto creare quella teoria senza il metodo dialetti­ co del «che cos’è» di socrate, che si è imposto come una «necessità storica» prima ancora di quella di platone e come presupposto di essa. in particolare, dobbiamo dire che solo dopo aver studiato la metafsica platonica in vari modi (cfr. reale, rizzoli 1998, bur 2004 e reale, bompiani 201022) e aver studiato socrate (rizzoli 2000 e bur 20134), in particolare grazie all’opera di traduzione e commento dei dialoghi aporetici, siamo stati in grado di compren­ dere in maniera adeguata la natura e la portata della «necessità storica» dell’«oralità dialettica» di socrate e della domanda sul «che cos’è» nelle sue implicazioni e conseguenze. fin dal primo impatto con la dialettica di socrate, platone ha capito a fondo la sua novità in senso radica­ le. l’ha subito fatta sua, dapprima muovendosi al livello del maestro, e successivamente approfondendola con la scoperta della metafsica, a partire dal menone e dal Fedone. È evidente che anche nei primi dialoghi, data la rile­ vanza e la portata della scoperta di socrate, platone la fa­ ceva propria in vari modi, magari raforzandola; tuttavia, solo nei dialoghi della maturità l’ha formulata in modo nuovo e defnitivo sul piano teoretico. di conseguenza, a nostro avviso, non è corretto, dal punto di vista erme­ neutico, cercare a tutti i costi di trovare già nei dialoghi socratici il senso metafsico di concetti espressi da certi

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termini, in quanto solo dopo la scoperta dell’«anamnesi» nel menone e della «seconda navigazione» nel Fedone, tali concetti potevano essere formulati e comunicati in quel senso, anche se, ovviamente, stavano già fermen­ tando nella mente di platone fn dal primo impatto con la domanda sul «che cos’è». in questo senso vanno letti e interpretati i vari rife­ rimenti alla dottrina socratica del «che cos’è» presenti nell’ippia maggiore, in cui platone, come abbiamo detto, ha voluto rimanere nell’ottica del pensiero del maestro, pur facendo qualche riferimento a ciò che stava fermen­ tando nella sua anima, ma in modo prevalentemente al­ lusivo e non esplicito. leggiamo i testi basilari. Socrate – oh, come parli bene! allora, poiché tu me lo comandi, io cercherò di interrogarti, tentando di di­ ventare quell’uomo, quanto più è possibile. se tu gli re­ citassi quel discorso, cui facevi riferimento, sulle belle occupazioni, dopo averlo ascoltato, subito dopo che tu abbia smesso di parlare, egli non ti farebbe domande su altro prima che sul bello, dato che ha questa abitudine, e direbbe: «straniero di elide, i giusti non sono giusti per la giustizia?». rispondimi, ippia, come se fosse lui a in­ terrogarti. IppIa – ti risponderò che lo sono per la giustizia. Socrate – dunque, la giustizia è un qualcosa (e[sti ti)? IppIa – certamente. Socrate – allora, anche i sapienti sono sapienti per la sapienza, e tutte le cose buone sono buone per il bene? IppIa – come no? Socrate – e lo sono, in quanto queste sono «un qualco­ sa», e non certo in quanto non lo sono?

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IppIa – lo sono certamente. Socrate – e allora, anche tutte le cose belle non sono forse belle per il bello? IppIa – sì, per il bello. Socrate – e questo è un qualcosa (o[nti gev tini...)? IppIa – lo è, ma dove vuoi arrivare? Socrate – dimmi, straniero, chiederà, che cosa è que­ sto bello (tiv ejsti tou`to to; kalovn)? IppIa – che cos’altro vuole, socrate, chi fa questa domanda, se non sapere «che cosa è bello» (tiv ejsti to; kalovn)? Socrate – non mi sembra, ma, piuttosto, vuole sapere «che cosa è il bello (o{ti aujto; to; kalovn o{ti potev ejstin)» (287 b­d). Socrate – se, allora, saremo d’accordo anche su que­ ste cose, si metterà a ridere e mi domanderà: «socrate, ti ricordi che cosa ti ho domandato?». io dirò di sì, ossia che cosa è il bello in sé (o{t i ejsti; to; kalovn). «pertanto, dirà, tu, alla domanda che cosa è il bello, rispondi che esso è qualche cosa che, come tu stesso dici, si dà il caso che non sia più bello che brutto?». io risponderò che così sembra. o che cosa mi consigli di rispondergli, ami­ co mio? IppIa – anch’io questo. infatti, dicendo che in confronto al genere degli dèi il genere degli uomini non è bello, dirà la verità. Socrate – «se io ti avessi domandato fin dall’inizio, dirà quel tale, di indicarmi che cosa è bello e brutto, e tu mi avessi risposto come hai fatto, mi avresti forse rispo­ sto in modo giusto? se, invece, ti pare ancora che il bello in sé sia qualcosa dal quale tutte le cose belle vengono ordinate (kosmei`tai) e appaiono belle, una volta che a esse si aggiunga quella forma (ejkei`no to; ei\do~), puoi credere che esso sia una ragazza, o una cavalla, o una lira?» (289 c­d).

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Socrate – ti parlerò nello stesso modo di poco fa, imitando quell’uomo, per non dire io direttamente quelle parole dure e sgradevoli che egli dirà contro di me. sappi bene che, in effetti, mi dirà: «dimmi, socrate, credi che riceverebbe percosse in modo ingiusto, chiun­ que canti un ditirambo in modo così stonato, andando lontano dalla domanda iniziale?» ma in che modo? – io gli dirò. e lui risponderà: «come? non sei capace di ricordarti che ti avevo chiesto che cosa è il bello in sé, quel bello che rende bello tutto quello in cui è presente (o{t i to; kalo;n aujto; o} pati; w|/ a}n prosgevntai), e pietra e legno e uomo, e dio, e azione e cognizione? io ti doman­ do, buon uomo, che cosa è il bello in sé, e non riesco a farmi ascoltare da te, più che se avessi accanto a me una pietra o una macina, senza orecchie e senza cervello». ti adireresti con me, se io, spaventato, a queste paro­ le rispondessi: «ma, in verità, che il bello è questo me lo ha detto ippia. eppure io facevo a lui queste stesse domande che tu ora fai a me, ossia che cos’è il bello per tutti, sempre (o} pa`s i kalo;n kai; ajeiv ejstin)»? che cosa diresti allora? ti irriteresti con me, se io dovessi dare queste risposte? IppIa – no, socrate. so bene che il bello è questo che io ho detto, e che tale sembrerà a tutti. Socrate – lui mi domanderà: «e anche lo sarà? sempre, infatti, il bello in qualche modo è bello» (ajei; gavr pou kalo;n tov ge kalovn). IppIa – certamente. Socrate – «e dunque anche lo era? (oujkou`n kai; h\n)», mi domanderà. IppIa – anche lo era (292 c­e). Socrate – fa’ allora attenzione: dobbiamo dire che il conveniente è ciò che, quando è presente, fa sembrare le cose belle (faivnesqai kala;), o le fa essere belle, oppure nessuna delle due cose?

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IppIa – mi sembra che sia ciò che le fa sembrare belle. È come quando uno indossa abiti o calzari che gli stanno bene, anche se è ridicolo, sembra più bello. Socrate – dunque, se il conveniente fa sembrare una cosa più bella di quanto non sia, allora il conveniente sarebbe un inganno per quanto riguarda il bello, e non ciò che noi cerchiamo, ippia? infatti, noi in qualche modo cerchiamo ciò per cui tutte le cose belle sono belle (ejkei`no ejzetoumen, w|/ pavnta ta; kala; pravgmata kalav ejstin), così come ciò per cui tutte le cose grandi sono grandi è qualcosa di superiore, in quanto per questo tut­ te le cose grandi sono grandi, e anche se questo qualcosa di superiore non appare, le cose sono necessariamente grandi. allo stesso modo, diciamo, il bello per cui tutte le cose belle sono belle, sia che tali appaiano sia che no (w|/ kala ;pavnta ejstivn, a[nt∆ ou\n faivnhtai a[nte mhv), che cosa è? non potrebbe infatti essere il conveniente, per­ ché, secondo il tuo discorso, esso fa apparire le cose più belle di quanto lo sono, e le fa apparire come non sono. bisogna cercare, invece, di dire che cos’è ciò che fa es­ sere belle le cose, come prima dicevo, sia che appaia, sia che no. È questo che dobbiamo ricercare, se cerchiamo il bello. (294 a­c)

abbiamo voluto riportare e leggere tutti questi pas­ si, in quanto in essi platone esprime in modo paradig­ matico la rivoluzionaria novità della domanda sul «che cos’è», nelle sue implicazioni e conseguenze, e fa ben comprendere la sua «necessità storica», nel senso so­ pra spiegato. tuttavia, per capire in che senso platone, in questo dialogo, intendesse mantenersi in dimensione socratica, pur muovendosi già verso la teoria delle idee, si tenga presente quanto segue.

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l’uso del verbo «essere» (ei\nai) rimane abbastan­ za sfumato, e comunque non espressamente caricato di signifcato metafsico. e così anche la contrapposizione fra «essere» (ei\nai) e «apparire» (faivnesqai) ha un si­ gnifcato generale, e non presuppone la diferenziazione metafsica fra «essere» e «divenire» (cfr. 293 e sgg.). il termine ei\do~ è qui usato da platone in senso co­ mune, comunque senza evidenziare il suo spessore me­ tafsico e senza connetterlo con il concetto di trascen­ denza ontologica. È pressoché certo che socrate stesso usasse il termine ei\do~, e che quindi chiedesse che cos’è la «forma» del bello, e di altre cose, però non si è posto mai il problema generale «che cos’è la forma», ossia l’ei\ do~, in quanto tale. vlastos (tr. it., p. 77) scrive giusta­ mente che socrate: «“cosa è la forma?” non lo chiede mai. È perplesso riguardo a molte cose, ma mai riguar­ do al fatto che ciò che esiste contiene forme. non è mai colto da meraviglia al pensiero che esistano delle cose come le forme. fa afdamento sulla loro realtà con la stessa sicurezza irrifessiva, non controllata, non com­ provata, non argomentata con cui l’uomo della strada fa afdamento alla realtà di alberi e pietre. – ecco perché è ingiustifcato attribuirgli, come è stato spesso fatto nel­ la letteratura specialistica, una teoria delle forme [cfr. allen 1970, pp. 67 sgg. e passim]. il fatto che credesse nella loro realtà non testimonia che avesse una tale teoria, non più di quanto la fede dell’uomo della strada nel­ la realtà degli oggetti fsici testimoni del fatto che questi ha una teoria degli oggetti fsici. una convinzione non è una teoria se l’accordo di tutti con tale convinzione può essere assunto come un dato di fatto, se per nessuno pre­ senta problemi, se nessuno ne chiede spiegazione e giu­ stifcazione. Questo è il modo in cui socrate crede nella realtà delle forme».

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la stessa cosa va detta per quanto riguarda il termi­ ne oujs iva nel senso di «sostanza», che rimane usato nel senso generale di «essenza», e con il quale socrate si fa anche befa di ippia, facendogli usare con ironia il termi­ ne in modo assai maldestro (cfr. 300 e). la discussione sollevata da alcuni studiosi sui rap­ porti fra i termini oujs iva e pavqo~ e termini connessi con quest’ultimo (cfr. per esempio centrone 1995 e petrucci 2012, pp. 29­33) può portare facilmente fuori strada, per le ragioni di carattere ermeneutico che ab­ biamo sopra spiegato, in quanto credono di vedere più di quanto quei termini efettivamente esprimono nel nostro dialogo. Qualcuno ha addirittura creduto di poter inten­ dere in tali termini un’eco dei concetti aristotelici di «sostanza­accidente», mentre, in realtà, tali concetti aristotelici corrispondono, sì, a quelli platonici, però i platonici non derivano dai concetti aristotelici, ma viceversa. in particolare, il problema sollevato rispetto a que­ sta coppia di termini viene ridimensionato dal fatto che nell’eutifrone (10 e­11 b), non meno che nell’ippia maggiore, platone mette in bocca a socrate l’uso dei termini oujs iva e pavqo~ nel senso assai forte di «essenza» e «afe­ zione» che si aggiunge all’essenza della cosa, con le con­ seguenze che questo comporta: Socrate – e si è anche convenuto che ciò che è caro agli dèi, in quanto viene amato dagli dèi, proprio per questo venir amato è caro agli dèi, e che, viceversa, non in quanto caro agli dèi, per questo è amato. eutIfrone – dici il vero. Socrate – ma se fossero veramente la medesima cosa, caro eutifrone, ciò che è caro agli dèi e il santo, ne

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deriverebbe, da un lato, che, se il santo viene amato per il suo essere santo, anche ciò che è caro agli dèi verreb­ be amato dagli dèi per il suo essere caro agli dèi; d’altro canto, giacché si è stabilito che ciò che è caro agli dèi è caro agli dèi perché viene amato dagli dèi, anche il santo dovrebbe essere santo perché viene amato dagli dèi. ora vedi bene che queste due cose sono fra loro opposte, in quanto sono totalmente diverse l’una dall’altra. l’una, infatti, ossia il caro agli dèi, in quanto viene amato, è tale da venir amato; l’altra, invece, ossia il santo, in quanto è tale da venir amato, per questo viene amato. e può esse­ re, eutifrone, che interrogato che cos’è il santo (to; o{s ion o{t i pot∆ ejstivn) tu non voglia mostrarmi l’essenza di esso (th;n me;n oujs ivan), e mi voglia dire invece una sua affe­ zione (pavqoı dev ti peri; aujtou`), che, cioè, capita a que­ sto santo (o{t i pevpoponqe tou`to to; o{s ion) di venir amato da tutti gli dèi; ma che cosa esso sia (o{t i de; o[n) non l’hai ancora detto. perciò, se ti fa piacere, non tenermelo na­ scosto, ma dimmi ancora una volta, daccapo, che cos’è il santo (tiv pote o]n to; o{s ion), sia che esso venga amato dagli dèi, sia che risulti suscettibile di qualche altra affe­ zione (ei[t e oJt idh; pavscei): non è su questo, infatti, che potremo avere dissensi. dimmi, dunque, di buon animo che cos’è il santo e che cos’è l’empio.

anche l’espressione che «il bello in sé» deve es­ sere tale per tutti «sempre» (aj e iv) è presentata senza le sue implicazioni ontologiche (eternità dell’essere dell’idea soprasensibile), e quindi rimane sostan­ zialmente in dimensione «socratica» (292 e), pro­ prio nel senso generale indicato da vlastos per il ter­ mine eidos. la dottrina di «causa ed efetto», che viene richiama­ ta è certamente platonica, e, se socrate l’ha usata, non può averla usata se non in senso generico. nel Fedone si

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ha una precisa conferma di questo. platone considera l’i­ dea come «vera causa» delle cose corrispondenti, distin­ guendola dalle cause secondarie e materiali che costitu­ iscono le cose (che sono non vere cause, ma concause). inoltre, sempre nel Fedone la «causa» viene distinta dal «causato» in forte senso metafsico: l’idea è «modello» mentre il causato è «copia», ossia immagine. Qui nell’ippia maggiore il rapporto fra causa ed efetto viene usato in senso generico, per costruire una trappola in cui far cadere ippia, come abbiamo visto. dunque, pur presentando allusioni che si riferisco­ no alla dottrina delle idee in senso ontologico, platone lo ha fatto in modo sfumato, per mantenersi il più vicino possibile all’ottica del maestro, come ha cercato di fare in tutti i suoi primi dialoghi.

5. Criptica allusione alla dottrina dei «principi primi» con la chiamata in causa dell’«uno» e del «due» sorprende la chiamata in causa di quella che sarà la «diade» opposta all’«uno», ossia alla dottrina dei «prin­ cipi primi», di cui platone parlerà nelle sue dottrine non scritte, cosa per lo più sfuggita agli interpreti. Socrate – dico ciò che dico. Ho paura, infatti, che tu dica espressamente di essere adirato con me, quando tu ri­ tieni di dire qualche cosa di giusto. tuttavia dimmi ancora: ciascuno di noi non è forse uno, e non gli tocca appunto di essere uno? IppIa – certamente. Socrate – allora, ciascuno di noi, se è uno, dovrebbe es­ sere anche dispari, o non ammetti che l’uno è dispari? IppIa – lo ammetto.

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Socrate – e noi insieme, pur essendo due, siamo forse dispari? IppIa – non può essere, socrate. Socrate – ma, l’uno e l’altro insieme siamo pari. o no? IppIa – sicuramente! Socrate – e poiché noi due insieme siamo pari, per questo anche ciascuno di noi è pari? IppIa – certo che no. Socrate – allora, non è proprio necessario, come tu di­ cevi poco fa, che ciò che siamo l’uno e l’altro insieme, deve esserlo anche ciascuno singolarmente, e ciò che siamo sin­ golarmente lo dobbiamo essere anche tutti e due insieme (301 e­302 a).

socrate fa richiamo all’«uno» e al «due» per confuta­ re la tesi di ippia che dice: «nessuno saprà meglio di te, socrate, se scherzo o non scherzo, quando cercherai di dirmi queste cose che ti si ma­ nifestano. risulterà, allora, che non dici niente. tu non ri­ uscirai mai a trovare qualche afezione che né tu né io pos­ sediamo singolarmente, e che invece possediamo insieme» (300 d).

e invece, come sappiamo, socrate e ippia sono, cia­ scuno, «uno» e quindi dispari, e insieme sono invece due, e quindi non più «dispari», ma «pari». che dunque nel sottofondo di questo discorso giac­ cia un richiamo alla dottrina dell’uno e della diade delle dottrine non scritte a noi pare difcilmente con­ testabile. ci fa comunque piacere riportare una pagina di Hans­georg gadamer (1968) che riconosce questo, nella quale si dice: «… l’unità indivisibile dell’essenza

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non costituisce l’ultima parola – a tale scopo è il nume­ ro a servire da modello. il vero enigma del numero è in­ fatti il seguente: che uno più uno faccia due, senza che uno di essi, da solo, sia due, e senza che il due sia uno. È quanto, a spese di platone, veniva già motteggiato in un verso comico di teopompo, un contemporaneo di aristofane: poiché uno non è nemmeno uno e due? il due è a mala pena uno, come aferma platone.

Questo indovinello, se vedo bene, compare per la prima volta nell’ippia maggiore senza che vi venga svi­ luppata una qualsiasi conseguenza positiva. essa segue esclusivamente alla critica di un tentativo di defnizio­ ne. non se ne deve concludere che, con la particolare struttura del numero, platone alludesse a qualcosa di grande importanza in un altro contesto, e che era forse la struttura dell’arithmos logos che egli aveva in mente già allora? ovviamente la partecipazione a un’idea non signifca ancora conoscenza. io penso che una dottrina delle idee che si fosse presentata come un eleatismo atomistico, sarebbe stata sempre inadeguata, e di ciò platone sembra essersi accorto molto presto. che cosa signifchi conoscere, lo si comprende soltanto quando si sia anche compreso come sia possibile che uno più uno faccia due e il “due” sia uno» (cfr. anche liminta 1998, pp. 129 sgg. e anche in Krämer­liminta 1989, pp. 77­79). si tratta, dunque, di una allusione difcilmente nega­ bile, ma che resta piuttosto nascosta. Questo modo di alludere a una dottrina in modo assai sfumato, a nostro avviso, conferma comunque la tesi che noi sosteniamo, ossia che nei primi dialoghi

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platone ha voluto far parlare socrate nel modo in cui lo aveva capito, e ha tenuto nascosti o comunque in sottofondo quei concetti nuovi che fermentavano nel suo animo, alludendo a essi solamente per cenni, e li ha rivelati espressamente solo a partire dal menone e dal Fedone.

iv precise indicazioni fornite nel dialogo per giungere alla definizione del bello

1. il modo in cui platone parla del bello nell’ippia mag­ giore come abbiamo già detto e ribadito, lo scopo princi­ pale del nostro dialogo non è fornire una precisa de­ finizione del bello, quanto piuttosto far comprendere e difendere la dialettica di socrate e la portata rivo­ luzionaria della sua domanda sul «che cos’è» contro i procedimenti della sofistica, all’epoca assai apprezzati e diffusi. il sofsta, che credeva di conoscere perfettamen­ te «che cos’è il bello», dimostra di ignorarlo, e alla fne del dialogo dimostra di non aver tratto alcun vantaggio dalla discussione con socrate, giudica negativamente la discussione stessa, e ripete le sue idee sofstiche di basso livello: «ma, socrate, che cosa pensi di tutte queste cose? per me sono frammenti e ritagli di discorsi, come dicevo poco fa, divisi in piccoli pezzi. invece, ciò che è veramente bel­ lo è molto importante, consiste nell’essere capaci di fare in modo bello e perfetto un discorso in tribunale, nell’as­ semblea o davanti a qualche altra autorità cui il discorso è diretto, e, dopo aver persuaso i presenti, tornarsene a casa non con premi piccoli, ma con i più grandi di tutti, la sicurezza propria, dei propri beni e degli amici. appunto di questo ci si deve occupare, dopo aver lasciato da parte

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questi piccoli discorsi, perché sembri veramente pazzo nell’occuparti, come fai ora, di cose vacue e di sciocchez­ ze» (304 a­b).

socrate aveva certamente discusso del bello a più ri­ prese. senofonte (memorabili, iii 1­8; iv 6, 9) ci riferi­ sce che il flosofo connetteva il «bello» con il «bene», e anche con il concetto di «utile». leggiamo un passo (iii 8, 4­7) in cui tornano concetti che troviamo nell’ippia maggiore: Quando aristippo gli chiese di nuovo se conoscesse qualcosa di bello, rispose: «molte cose». «sono forse tutte uguali fra loro?», chiese. «alcune sono quanto mai diverse», disse. «come, dunque, – domandò – potrebbe essere bello ciò che è diverso dal bello?». «per zeus, – rispose – come un uomo bello nella lotta è diverso da un uomo bello nella corsa, e uno scudo bello per difendersi è diversissimo dal giavellotto, bello per essere scagliato con forza e rapidità». «mi rispondi – commentò – in modo per nulla di­ verso da quando ti ho chiesto se conoscessi qualcosa di buono». «credi – domandò – che una cosa buona e una cosa bel­ la siano diverse? non sai che, in relazione alle medesime cose, tutte le cose sono belle e buone? la virtù, innanzitut­ to, non è buona rispetto ad alcune cose e bella rispetto ad altre; inoltre gli uomini si defniscono “belli e buoni” nel­ lo stesso senso e in relazione alle medesime cose; e anche il corpo dell’uomo appare bello e buono in relazione alle stesse cose; e anche tutte le altre cose di cui gli uomini si servono sono ritenute belle e buone in relazione a ciò per cui sono utili». «forse – chiese – anche il cestino dei rifuti è bello?».

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«certo, per zeus, – disse – e uno scudo d’oro è brutto, qualora, in relazione alle sue funzioni, uno sia fatto bene e l’altro male». «vuoi dire che le stesse cose sono belle e brutte?». «sì, per zeus, – rispose – e anche buone e cattive: spes­ so, infatti, ciò che è buono per la fame è cattivo per la febbre e ciò che è buono per la febbre è cattivo per la fame; spesso ciò che è bello per la corsa è brutto per la lotta, e ciò che è bello per la lotta è brutto per la corsa; tutte le cose, infat­ ti, sono belle e buone rispetto a ciò per cui sono adeguate, brutte e cattive rispetto a ciò per cui non lo sono» (tr. de martinis).

possiamo ben dire che platone riprende questi concetti, ma si spinge molto oltre. va tenuto comun­ que presente che dà indicazioni in modo assai sfuma­ to, ma abbastanza chiaro per chi conosce il suo pensie­ ro, e precisamente quattro, di cui parleremo in modo dettagliato.

2. Nesso strutturale fra «bello» e «conveniente» il primo concetto che interessa il bello molto da vici­ no è quello del «conveniente», ossia di «appropriato» e «adatto» (to; prevpon). socrate dice a ippia: «esamina, allora, questo conveniente e la sua natu­ ra, per vedere se non si dia il caso che esso sia il bello» (293 e).

si tratta di una efettiva connotazione del bello, che si impone a livello ontologico, e che platone ribadisce an­ che nell’alcibiade primo (135 b):

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«ciò che è più bello è più conveniente».

nel nostro dialogo tale connotazione viene poi la­ sciata cadere, ma non nel suo vero signifcato, bensì nel signifcato riduttivo in cui lo intende ippia, ossia come ciò che non fa «essere» le cose belle, ma come ciò che le fa «apparire» belle, ossia «sembrare» belle. per comprendere in che senso il bello sia «conve­ niente», bisogna spostarsi dal piano puramente doxastico delle apparenze a quello metafisico, ossia inten­ dere il «conveniente» come ciò che non fa solo «appa­ rire» le cose belle, ma come ciò che le fa «essere» tali, e quindi bisognerebbe raggiungere il piano concet­ tuale del «che cos’è», che porta alla teoria delle idee. leggiamo un passo­chiave del dialogo in cui socrate esorta il lettore a indagare per non cadere in errore, e fa ben vedere come ippia faccia cadere in errore chi come lui non sa elevarsi dal piano delle apparenze a quello dell’essere: Socrate – facciamo l’indagine, per non cadere in qual­ che inganno. IppIa – bisogna fare l’indagine! Socrate – fa’ allora attenzione: dobbiamo dire che il conveniente (to; prevpon) è ciò che, quando è presente, fa sembrare le cose belle (faivnesqai kalav) o le fa essere quello che sono (h] o} ei\nai poiei`), oppure nessuna delle due cose? IppIa – mi sembra che sia ciò che le fa sembrare belle. È come quando uno indossa abiti o calzari che gli stanno bene, anche se è ridicolo, sembra più bello. Socrate – dunque, se il conveniente (to; prevpon) fa sembrare bella una cosa più di quanto non sia, allora il conveniente sarebbe un inganno per quanto riguarda il bello, e non ciò che noi cerchiamo, ippia? infatti, noi in

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qualche modo cerchiamo ciò per cui tutte le cose belle sono belle (w|/ pavnta ta; kala pravgmata kalav ejstin), così come ciò per cui tutte le cose grandi sono grandi è qualcosa di superiore, in quanto per questo tutte le cose grandi sono grandi, e anche se questo qualcosa di supe­ riore non appare, le cose sono necessariamente grandi. allo stesso modo, diciamo, il bello per cui tutte le cose belle sono belle, sia che tali appaiano sia che no, che cosa è? non potrebbe infatti essere il conveniente, per­ ché, secondo il tuo discorso, esso fa apparire le cose più belle di quanto lo sono, e le fa apparire come non sono. bisogna cercare invece di dire che cos’è ciò che fa esse­ re belle le cose, come prima dicevo, sia che appaia, sia che no. È questo che dobbiamo ricercare, se cerchiamo il bello (293 e­294 e).

particolarmente significativo è il fatto che aristotele nei Topica (vi 102 a 5 sgg.) riprenda questa definizione, confermando l’autenticità del dialogo da cui la desume: «bisogna tuttavia ammettere come simili a defnizioni al­ tresì espressioni di una certa natura, ad esempio che mo­ ralmente bello è il conveniente…».

platone fa poi dimostrare da socrate come la ri­ duzione del to; prev p on a livello doxastico dell’«appa­ rire» e del «sembrare» viene smentito in modo netto dal fatto che alcune cose, che sono di per sé belle a livello dell’essere per la loro natura, possono non apparire e non sembrare belle a tutti (vale a dire ad alcuni uomini sì e ad altri no), come per esempio le «leggi» e le «attività» umane, sulle quali c’è un netto contrasto non solo fra i cittadini, ma anche fra le di­ verse città.

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pertanto, il «conveniente» è qualcosa di diverso dal bello, solo nel caso che lo si intenda come «ciò che fa ap­ parire belle le cose» (294 e), e non ciò che le fa essere tali. e con questo platone fornisce al lettore un preciso messaggio: se si vuol capire in che senso il «conveniente» si connette strettamente con il «bello», ci si deve sposta­ re dal piano su cui si muove il sofsta e il modo di pensare dei più (che è quello delle apparenze) a quello su cui si muovono socrate e quindi platone (che è il piano della natura stessa delle cose, della loro sostanza, del loro es­ sere). sono esatti e appropriati i rilievi che fa petrucci (2012, p. 27) a questo riguardo: «tra i termini proposti nell’ippia come defnizioni del bello, anche il prevpon ha in platone una notevole rilevanza etico­estetica, in quanto connesso alle nozioni di “doveroso” (devon), all’arte della giusta misura, o metretica, di cui è detto es­ sere una parte (pol., 286 d 1­2) e alla nozione di armo­ nia; in una struttura internamente armonica ogni parte “prevpei”, è disposta in modo conveniente rispetto alle altre in modo da formare un tutto concorde (phaedr., 264 c; Lach., 188 d; gorg., 503 e), con evidenti impli­ cazioni estetiche». stupisce, quindi, che lo studioso non ritenga una «conferma di autenticità» (ivi, p. 32) del nostro dialogo il fatto che aristotele nei Topici (nei passi sopra citati e in un altro di cui parleremo al paragrafo 5), riprenda idee che corrispondono perfettamente a quelle espresse nell’ippia maggiore. tanto più per il fatto che lo studio­ so fa richiamo al concetto di «conveniente» (prevpon), presente altresì nell’etica eudemia (1233 b) e nell’etica Nicomachea (1122 a) soprattutto in connessione con il concetto di ajxiva (cfr. ivi, p. 27, nota 35).

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3. il rapporto fra bello, utile e vantaggioso particolarmente interessante è la seconda defnizio­ ne di socrate, che connette il bello con l’«utile» (295 e­296 d). per intendere questa sezione il lettore deve, in pri­ mo luogo, liberarsi dalla interpretazione che oggi si dà al termine, per lo più legata alla dottrina dell’«utilitari­ smo» imposta dal pensiero anglosassone, in connessio­ ne con l’economia e con il benessere materiale. invece l’uomo ellenico, soprattutto a partire da socrate, inten­ deva l’«utile» in modo molto diverso, in connessione con il bene. belli, per esempio, si dicono gli occhi che funzionano bene secondo la loro natura e il loro scopo. e nello stes­ so senso si dicono belle varie cose: il corpo che funziona secondo la sua natura, gli animali che fanno quello che naturalmente devono fare, i vari strumenti che funziona­ no raggiungendo lo scopo per cui sono fatti. platone precisa: «osservando ciascuna di queste cose nella natura che ha, nel modo con cui è stata fatta, nella condizione in cui si trova, noi diciamo che è bella quella che è utile, come e a che cosa e quando è utile; la diciamo brutta, invece, se non è utile da nessun punto di vista» (395 d­e).

Questo implica che il «potere» di una cosa sia la sua capacità di fare ciò che la sua natura comporta, e in que­ sto senso l’«utile» viene a coincidere con il «potere». Questo è di particolare gradimento a ippia, che su­ bito aferma, però restringendo la portata del concetto, che per il politico «l’avere potere è la cosa più bella» (295 e­296 a).

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ma proprio lo spostamento che ippia fa dal piano on­ tologico generale al piano specifco della politica (che costituisce il suo particolare interesse), mette in crisi la validità del concetto, in quanto, rileva socrate, il «po­ tere» serve per fare sia il bene sia il male, e per lo più il male, in quanto «tutti gli uomini fanno molto più male che bene, a comin­ ciare da fanciulli, involontariamente» (296 c).

È evidente che il bello potrebbe essere l’«utile», solo nel caso in cui produca qualcosa di «buono», e che quindi sia «vantaggioso» (wJfevlimon), in quanto è il bene ciò che di per sé è utile e vantaggioso. ma la chiamata in causa del «bene», che dovrebbe essere prodotto dal bello come vantaggioso, in quan­ to tutto ciò che è vantaggioso produce solo il bene e non il male, solleva un problema capitale, quello del rapporto fra «bello» e «bene», che è un problema cen­ trale in platone, e che qui viene presentato con un gio­ co ironico ambiguo e volutamente deviante di grande complessità.

4. Nesso ontologico strutturale fra «bene» e «bello» se il bello è «vantaggioso», è in grado di «produrre il bene» (296 e), e pertanto viene a essere «causa del bene». ma, se è così, il bello in quanto «causa» è diverso da ciò che da esso deriva, ossia dal bene. causa ed efet­ to, infatti, sono diversi. il bello verrebbe a essere «padre» del bene, e il bene «fglio», e padre e fglio sono fra loro diversi, tuttavia non è accettabile che il bello e il bene si­ ano cose diverse (297 c).

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in questo ragionamento platone – l’abbiamo visto sopra – fa uso del gioco dell’ironia complessa di so­ crate, avvalendosi del seguente rafnato sofsma: a) considera il bello come padre del bene, e il bene come fglio, mentre è vero proprio il contrario; b) presenta la causa e l’efetto come cose del tutto diverse, mentre l’ef­ fetto rispecchia ontologicamente la natura della causa da cui deriva. per giustifcare il bello presentato come «padre» e il bene come «fglio» non serve ricorrere, come alcuni fan­ no, a repubblica (vi 506 d sgg.), dove il rapporto di cui si parla non è quello fra il «bene» e il «bello» ma fra il bene e la sua immagine, che è quella del sole. ci si deve, invece, richiamare al Filebo, dove platone mette in atto un gioco ironico analogo a questo. finge che il bene si sia nascosto nel bello. in realtà, il bene non si può «nascon­ dere» nel bello, come si dice con scatenata ironia, ma si «rivela» proprio nel bello. infatti, il bello manifesta la na­ tura stessa del bene. e così platone, spiegando in questo dialogo che cos’è il bello, con uno dei suoi più afascinanti giochi ironici rivela la natura del bene, che consiste nella «misura» e nella «proporzione» (cfr. reale 201022, pp. 440 sgg., 490 sg.). ecco due testi in cui platone riassume il suo pensiero su questo punto. nel Filebo si legge: «e ora la potenza del bene ci è sfuggita nella natura del bello; infatti, la misura e la proporzione risultano essere, dappertutto, bellezza e virtù» (64 e)

e nel Timeo viene detto in modo paradigmatico:

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«tutto ciò che è buono è bello, e il bello non è privo di mi­ sura» (84 c).

Qui nel nostro dialogo platone non avrebbe potuto, in alcun modo, dire cose come queste, in quanto ippia era ben lontano dal poterle capire. e in ogni caso, come s’è visto, l’ippia maggiore non aveva lo scopo di presentare il pensiero di platone, ma quello di socrate. il gioco ironico che platone fa fare a socrate nel nostro dialogo è ormai divenuto trasparente: il bello non è il «padre» del bene, bensì il «figlio» del bene. platone ha fatto dire a socrate il contrario per allu­ dere proprio alla verità del contrario di quanto viene detto. per quanto riguarda, poi, il sofsma secondo cui cau­ sa ed efetto sono sempre e solo diversi, friedländer giustamente scrive: «causa ed efetto diferiscono sì, ma dal momento che tutte le cose sono belle in virtù della bellezza o tutte le cose grandi in virtù della gran­ dezza (3294 b), causa ed efetto sono anche simili» (tr. it., p. 512).

5. Spunti veritativi sul bello contenuti nell’ultima defnizione di Socrate la terza defnizione del bello data da socrate risulta as­ sai difcile per le varie conseguenze che vengono tratte nel complesso gioco drammaturgico. tuttavia alcuni concetti­chiave emergono con chiarezza. socrate dice «che il bello è ciò che ci procura piacere, non tutti quanti i piaceri, ma quelli che abbiamo mediante la vista e l’udito» (397 e).

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Questa defnizione ha una grande valenza di carat­ tere estetico. in efetti, come socrate precisa, uomini, pitture, sculture e decorazioni per noi sono belli per il piacere visivo che producono, mentre suoni, musica e narrazioni sono per noi belli per il piacere uditivo che producono. più difcile è invece intendere come siano belle in questo senso le «leggi» e le «occupazioni» (298 b sgg.), che però non potrebbero comunque essere estranee al bello (298 c­d). È chiaro, tuttavia, che i piaceri della vista e dell’udito si distinguono nettamente da tutti gli altri piaceri, i qua­ li sono, sì, piaceri, alcuni anche assai forti, ma non sono «belli». ed è altresì evidente che i piaceri della vista e dell’udito non sono tali per la sensazione visiva e uditiva, ma per un qualcosa che trascende le percezioni sensibili (300 a­b). abbiamo visto sopra, nell’esposizione del contenu­ to di questa parte del dialogo, come platone faccia fare a socrate un gioco eristico con la sua sfrenata ironia, per trarre in inganno il sofista. socrate era perfetta­ mente cosciente non solo che preparava una trappola per far cadere ippia, ma anche quale fosse l’errore lo­ gico di cui faceva un uso dialettico­elenctico. mentre per il chiarimento rimandiamo il lettore a quelle pagi­ ne in cui lo abbiamo illustrato (cap. ii, § 8), qui traia­ mo le conclusioni. prima, però, riteniamo opportuno richiamare l’at­ tenzione del lettore sul fatto che aristotele nei Topici (vi 146 a 21 sgg.) ha denunciato l’errore del sofsma, ri­ prendendo quasi alla lettera il testo del nostro dialogo, e quindi fornendo una conferma ben difcilmente conte­ stabile dell’autenticità dell’ippia maggiore. ecco il testo (tr. colli):

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«occorre inoltre osservare, se l’interlocutore abbia presentato nella definizione un riferimento, in forma disgiuntiva, a due termini, definendo ad esempio il bello come ciò che è piacevole per la vista oppure per l’udi­ to, e ciò che è come ciò che è in grado di subire oppure di fare. in tal caso un medesimo oggetto risulterà ad un tempo bello e non bello, e del pari, un medesimo oggetto risulterà essere e non essere ad un tempo. in effetti, ciò che è piacevole per l’udito sarà la stessa cosa del bello, e di conseguenza, ciò che non è piacevole per l’udito sarà la stessa cosa del non bello. se invero delle nozioni sono identiche, anche le nozioni ad esse contrapposte risul­ tano identiche; orbene, al bello si contrappone il non bello, ed a ciò che è piacevole per l’udito si contrappone ciò che non è piacevole per l’udito. evidentemente, al­ lora, ciò che non è piacevole per l’udito sarà la stessa cosa del non bello. se un qualcosa è dunque piacevole per la vista, ma non per l’udito, esso risulterà sia bello che non bello. allo stesso modo, potremo pure mostra­ re che un medesimo oggetto risulterebbe sia essere che non essere».

e ora traiamo le conclusioni. la connessione del bello con il piacere della vista e dell’udito ben si spiega in quanto soprattutto alla vista i greci davano grande importanza. tuttavia, questi piace­ ri della vista e dell’udito sono belli non per la sensazio­ ne, in quanto le percezioni visive e uditive rispecchiano qualcosa di ulteriore, che dunque va cercato per com­ prendere che cosa è il bello. la risposta sarebbe la seguente: le percezioni visive e uditive sono belle in quanto rivelano, a livello sensibile, quella «giusta misura», ossia quella «proporzione» che costituisce l’essenza del bello. nel Fedro (250 b­d) platone scrive:

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«la bellezza splendeva fra le realtà di lassù come essere. e noi, venuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo. infatti, la vista per noi è la più acuta delle sensazio­ ni che riceviamo mediante il corpo. ma con la vista non si vede la saggezza [l’idea della saggezza], perché, giungendo alla vista susciterebbe terribili amori, se ofrisse una qual­ che chiara immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà [tutte le altre idee, tutti gli altri valori supremi] che sono degni di amore. ora, invece, solamente la bellezza ricevet­ te questa sorte di essere ciò che è più manifesto e più amabile» (tr. nostra).

ma, oltre al fatto che platone non intendeva nel dialo­ go spingersi oltre socrate, va detto che ippia era ben lon­ tano dal poter comprendere cose come queste, e quando sostiene che si tratta di piaceri «innocenti» e «vantaggio­ si» cade nell’errore di prima; mentre al sosia di socrate viene fatto dire: «ma il vantaggioso, dirà, è ciò che produce il bene; e ciò che produce e ciò che è prodotto ci sono sembrate cose diverse. il nostro discorso torna al­ lora a essere quello di prima» (303 e). la conclusione aporetica del dialogo rimane tale per ippia e per il lettore che, fermo al medesimo piano del sofsta, non è saputo entrare nel circolo ermeneutico della dialettica­elenctica socratica, e non ha quindi sa­ puto comprendere quelle allusioni che abbiamo cercato di evidenziare.

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6. alcuni richiami della «scala del bello» infne, va messo in evidenza il fatto che, nel corso del dialogo, fa capolino la concezione della «scala del bello», che coincide con «la scala dell’amore» che verrà illustra­ ta nel Simposio (210 a­211 c). conviene leggere il passo, in quanto al terzo gradino vengono collocate appunto le leggi (novmoi) e le attività (ejpithdeuvmata): «in verità, chi procede per la giusta via verso questo ter­ mine, bisogna che incominci fin da giovane ad avvicinarsi ai corpi belli e, in primo luogo, se chi gli fa da guida lo guida bene, bisogna che ami un corpo solo e in quello ge­ neri discorsi belli; poi bisogna che capisca che la bellezza presente in un corpo qualsiasi è sorella della bellezza che è in un altro corpo, e che, se si deve tener dietro a ciò che è bello per la forma, sarebbe una grande insensatezza cre­ dere che non sia una e identica la bellezza che traluce in tutti i corpi. e dopo che ha capito questo, deve farsi ama­ tore di tutti i corpi belli e moderare l’eccessivo ardore per un solo corpo, facendone poco conto e giudicandolo una piccola cosa. dopo di questo dovrà ritenere la bellezza che è nelle anime come di maggior valore rispetto a quel­ la che è nei corpi; e perciò, se uno ha un’anima buona, ma ha un piccolo fiore di bellezza fisica, dovrà essere pago di amarlo, prendersi cura di lui, e partorire e ricercare discorsi che siano capaci di rendere i giovani migliori. e in questo modo egli sarà poi spinto a considerare il bello che è nelle varie attività umane e nelle leggi (to; ejn toi`ı ejpithdeuvmasi kai; toi`~ novmoi~) e a vedere che esso è sem­ pre tutto quanto congenere a se stesso, in modo da ren­ dersi conto che il bello che concerne il corpo è una pic­ cola cosa. dopo le attività (ejpithdeuvmata) umane, deve essere condotto alle scienze, affinché possa vedere anche la bellezza delle conoscenze e, guardando alla bellezza ormai a grande raggio, non più amando come uno schia­

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vo la bellezza che è in una sola cosa, ossia la bellezza di un giovanetto o di un uomo o di un’unica attività umana (ejpithdeuvmatoı eJnovı)), non sia più, servendo a quella, un uomo da poco e di animo meschino, e rivolto invece lo sguardo al vasto mare del bello e contemplandolo, par­ torisca molti discorsi, belli e splendidi, e pensieri in un amore della sapienza e senza limite, fino a che, essendo­ si in questo modo rafforzato ed essendo cresciuto, saprà vedere una conoscenza unica come questa che riguarda il bello di cui ora ti dirò. ora, cerca di fare attenzione quan­ to più ti è possibile. chi sia stato educato fino a questo punto rispetto alle cose d’amore, contemplando una dopo l’altra e nel modo giusto le cose belle, costui, pervenendo ormai al termine delle cose d’amore, scorgerà immedia­ tamente qualcosa di bello, per sua natura meraviglioso, proprio quello, o socrate, a motivo del quale sono state sostenute tutte le fatiche di prima: in primo luogo, qual­ cosa che sempre è, e che non nasce né perisce, non cresce né diminuisce, e inoltre non è da un lato bello e dall’altro brutto, né talora bello e talora no, né bello in relazione a una cosa e brutto in relazione a un’altra, né bello in una parte e brutto in altra parte, né in quanto bello per alcu­ ni e brutto per altri. e neppure il bello si mostrerà a lui come un volto, o come delle mani, né come alcun’altra delle cose di cui il corpo partecipa; né si mostrerà come un discorso e come una scienza, né come qualcosa che è in qualcos’altro, ad esempio in un essere vivente, oppure in terra o in cielo, o in qualcos’altro, ma si manifesterà in se stesso, per se stesso, con se stesso, come forma unica che sempre è. invece, tutte le altre cose belle partecipa­ no di quello in un modo tale che, anche se esse nascono e periscono, quello in nulla diventa maggiore o minore, né patisce nulla. e quando uno, partendo dalle cose di quaggiù, mediante l’amore dei giovanetti in modo retto, sollevandosi in alto comincia a vedere quel bello, egli vie­ ne a raggiungere, in un certo senso, il termine. infatti, la

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saggio introduttivo

giusta maniera di procedere da sé o di essere condotto da un altro nelle cose d’amore è questa: prendendo le mos­ se dalle cose belle di quaggiù, al fine di raggiungere quel bello, salire sempre di più, come procedendo per gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i corpi belli alle belle attività umane, e dalle at­ tività alle belle conoscenze (ejpi; ta; kala; ejpithdeuvmata, kai; ajpo; tw`n ejpithdeumavtwn ejpi; ta; kala; madhvmata), e dalle conoscenze procedere fino a che non si pervenga a quella conoscenza che è conoscenza di null’altro se non del bello stesso, e così, giungendo al termine, conoscere ciò che è il bello in sé».

i vari passi dell’ippia maggiore che richiamano i con­ cetti di «leggi» e «occupazioni» rimarrebbero del tut­ to incomprensibili, se non si intendesse che rientrano appunto nella «scala del bello» descritta nel passo del Simposio che abbiamo letto. la prima allusione che viene fatta nell’ippia maggiore si trova alla pagina 295 c­d, dove si presenta un elen­ co di cose belle. al primo posto viene collocato il corpo nella sua interezza (to; o{lon sw`ma) e in alcune sue capa­ cità; segue un elenco di corpi di animali e di suppellettili, veicoli terrestri e marittimi, vari strumenti musicali, e da ultimo si dice: «se poi vuoi, le occupazioni, ta; ejpithdeuvmata, e le leggi, tou;~ novmou~» (295 d).

la seconda si trova subito all’inizio delle terza defni­ zione del bello come piacere prodotto dalla vista e dall’u­ dito, dove socrate dice: «e con questo? diremo allora che le belle occupazioni (ta; ejpithdeuvmata ta; kalav) e le leggi (tou;~ novmou~), ippia,

l’ippia maggiore, commedia filosofica, i 1

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sono belle per il piacere che ci procurano mediante la vi­ sta e mediante l’udito, o che hanno qualche altro caratte­ re?» (298 b).

poco dopo, però, socrate precisa: «ti dirò la mia opinione, se pur mi riesce di dirti qualcosa. Queste cose che riguardano leggi e occupazioni (peri; tou;~ novmou~ kai; ta; ejpithdeuvmata) potrebbero non risultare estranee alle sensazioni visive e uditive. noi, però, soste­ niamo la nostra tesi che il bello sia il piacere che proviene dalla vista e dall’udito, senza prendere in considerazione quello che riguarda le leggi (mhde;n to; tw`n novmwn eij" mevson paravgonte")» (289 b­d).

È evidente che questi testi allusivi in modo così cripti­ co non si potrebbero comprendere se non facendo riferi­ mento al testo del Simposio sopra citato, ma, alla luce di quel testo, diventano molto chiari. paul friedländer è stato uno dei pochi, o forse il solo, che ha compreso questo punto. crede addirittura di trovare una allusione alla scala del bello fin dall’ini­ zio del dialogo, fatta in modo criptico e ironico. forse vede di più di quanto è alluso, ma ciò che dice è assai interessante: «si noti che il dialogo comincia con la frase “ippia il bello” e che il preludio finisce col pro­ gramma della lezione che a breve sarà tenuta dal so­ fista e che avrà per oggetto le belle occupazioni (kala; ejpithdeuvmata, 286 ab) e stabilirà molte e belle regole (uJpotiqevmeno" aujtw`/ pavmpolla novmima kai; pavgkala). la scala dell’amore delineata da diotima (Simposio, 210 c segg.) inizia con la bellezza del corpo e risale fino a “ciò che è bello nelle occupazioni e nelle leggi” (to; ejn toi`~ ejpithdeuvmasi kai; toi`~ novmoi~ kalovn) per

106

saggio introduttivo

poi muovere su per stadi ancora più alti fino a giungere a quello sommo. non c’è forse in questo passo dell’ippia maggiore un indizio di questa ascesa, anche se solo in un gioco di chiaroscuri e quasi in una caricatura?» (tr. it., p. 507).

7. Conclusioni le numerose allusioni a dottrine platoniche, fatte per cenni e spesso in modo criptico, confermano pie­ namente la tesi che noi sosteniamo, e che vale non solo per il presente ma per tutti i dialoghi socratici: in questi suoi scritti platone vuole far conoscere so­ prattutto quel metodo rivoluzionario di socrate che lui aveva fatto proprio, lasciando per il futuro la pre­ sentazione delle idee che stava maturando proprio in base a esso. se non si tiene presente questo, i dialoghi socratici si intendono solo a metà. che tuttavia platone, qui nell’ippia maggiore, inten­ desse indicare a coloro cui erano indirizzati questi scritti una via per giungere alla defnizione del bello, lo dimo­ stra l’afermazione che socrate fa dire al suo sosia, fn­ gendola rivolta a se stesso: «e come potrai sapere se un discorso è bello o no, se una qualche azione è bella o no, dal momento che non cono­ sci il bello? e pensi che in una tale condizione sia meglio vivere piuttosto che morire? (oi[ei soi krei`tton ei\nai zh`n ma`llon h] teqnavnai…)» (304 d­e).

per quanto difcile sia, mette conto di fare tutta la fa­ tica necessaria per cogliere «che cos’è il bello», se è vero

l’ippia maggiore, commedia filosofica, iv 6

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che, senza comprendere che cosa esso sia, sarebbe me­ glio morire anziché vivere. e questo si capisce ancora di più, se si tiene conto del fatto che per il greco, e per platone in sommo grado, il bello è manifestazione del vero, del bene, ossia dell’as­ soluto. e la conclusione del dialogo suona in modo veramen­ te emblematico con il proverbio: «le cose belle sono dif­ fcili!» (Calepa; ta; kalav).

Biografia, cronologia e opere di platone

1. Vicende della vita 428/427 platone nasce ad atene. diogene laerzio, nel­ l’opera Vite e dottrine dei più celebri flosof (iii 2), ci riferisce che apollodoro indicava come data di nascita l’ottantesima olimpiade (428­425 a.c.) nel settimo giorno del mese di targelione (cor­ rispondente al nostro maggio­giugno, nel giorno in cui gli abitanti dell’isola di delo dicevano che fosse nato apollo). platone non era il nome imposto dai genitori, che era invece aristocle (nome di un nonno), ma il soprannome datogli dal maestro di ginnastica, e poi da tutti accettato. diogene laerzio ci rife­ risce questa notizia con altre varianti, nel modo che segue (ii 4): «ricevette l’educazione fsica da aristone, lottatore di argo, dal quale gli fu anche mutato il nome in “platone” in ragione della ro­ bustezza del suo fsico, mentre il suo nome era aristocle, dal nome di un nonno, secondo quan­ to dice alessandro nelle Successioni dei flosof. alcuni invece afermano che fu chiamato così in ragione dell’ampiezza del suo stile, oppure perché era molto ampio nella fronte, come dice neante». la prima rimane la notizia più probabile. nei dialo­ ghi platone cita se stesso con questo nome (due vol­ te nell’Apologia di Socrate e una volta nel Fedone). il padre di platone, aristone, discendeva da una famiglia che fra i suoi antenati vantava il re

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biografia, cronologia e opere di platone

codro. anche la madre perittione apparteneva a una nobile e potente famiglia. diogene ci forni­ sce le seguenti notizie sui genitori di platone (iii 1): «perittione per stirpe discendeva da Solone. fratello di Solone era dropide, di cui fu fglio crizia (che fu uno dei trenta tiranni) e glaucone che ebbe come fgli carmide e perittione. da pe­ rittione e da aristone nacque platone nella sesta generazione a partire da Solone». da perittione e da aristone nacquero anche adimanto e glaucone (gli interlocutori di Socrate nella Repubblica), la fglia di nome potone, da cui nacque Speusippo, che sarà successore di platone nella direzione dell’accademia. 409-407 periodo della efebia. Stando ad aristosseno (fr. 11 Wehrli). proprio in questo periodo platone avrebbe preso parte per tre volte a campagne militari: a tanagra, a corinto e a delio, dove avrebbe rice­ vuto anche un premio per il suo valore. 408-407 a vent’anni (o forse anche prima) platone divenne discepolo di Socrate. prima di frequentare Socrate, si dedicò al­ l’atletica, alla pittura e all’attività poetica, come ci dice diogene laerzio (iii 4­5): «Vi sono, poi, al­ cuni che dicono che egli partecipò pure alla lotta nei giochi istmici, secondo quanto aferma anche dicearco nel primo libro Sui generi di vita. inoltre afermano che si sarebbe esercitato nella pittu­ ra e avrebbe scritto poesie: dapprima ditirambi, poi anche liriche e tragedie» (a cura di reale, ed. Bompiani). aristotele nella Metafsica (i 6) ci riferisce che da giovane, e quindi prima dell’incontro con Socrate, platone aveva frequentato l’eracliteo cra­

anni 409-404

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tilo e che aveva mantenuto la concezione eraclitea per quanto riguarda il mondo sensibile, e scrive: «platone, essendo stato fn da giovane amico di cratilo e seguace delle dottrine eraclitee, secon­ do le quali tutte le cose sensibili sono in continuo fusso e di esse non è possibile scienza, mantenne queste convinzioni anche in seguito. d’altra parte, Socrate si occupava di questioni etiche e non della natura nella sua totalità, ma nell’ambito di quelle cercava l’universale, avendo per primo fssato la sua attenzione sulle defnizioni. orbene platone accettò questa dottrina socratica, ma credette, a causa di quella convinzione che aveva accolta dagli eraclitei, che le defnizioni si riferissero ad altre realtà e non alle realtà sensibili: infatti egli riteneva impossibile che la defnizione universale si riferisse a qualcuno degli oggetti sensibili, per­ ché soggetti a continuo mutamento. egli allora denominò queste altre realtà idee, e afermò che i sensibili esistono accanto a esse e che vengono tutti denominati in base a esse». alcuni dubitano di questa notizia; ma è im­ possibile che aristotele se la sia inventata. Si può discutere sull’interpretazione che ha dato, ma non sui rapporti di platone con cratilo, cui ha dedica­ to un dialogo. È improbabile, invece, la notizia di diogene laerzio secondo cui platone sarebbe di­ ventato «discepolo dell’eracliteo cratilo» non da giovane, ma dopo la morte di Socrate (iii 6). gli anni passati accanto a Socrate furono de­ cisivi per platone a tutti gli efetti, sia per il suo pensiero sia per le sue scelte esistenziali. 404

Si conclude la guerra del peloponneso e si impone la supremazia di Sparta. ad atene assumono il governo gli oligarchi con i cosiddetti «trenta tiranni», fra i quali ebbe

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biografia, cronologia e opere di platone

una posizione di spicco crizia, zio di platone, che lo invitò a partecipare al governo. Ma platone ri­ mase subito deluso e si ritrasse a parte. 403

in seguito alla rivolta dei democratici, crizia muore nella battaglia di Munichia, e cade il gover­ no dei trenta tiranni.

399

Socrate viene condannato a morte. della condanna furono responsabili in larga misura i democratici, che avevano ripreso salda­ mente il potere. Questo convinse platone che, per il momento, era bene tenersi lontano dalla vita politica militante. È probabile la notizia che ci viene riferita da diogene laerzio, secondo la qua­ le platone si sarebbe recato a Megara con alcuni socratici presso euclide. forse si recò a Megara per evitare persecuzioni che potevano venirgli in­ fitte, in quanto seguace di Socrate. Sono questi gli anni in cui maturò la sua idea di vera politica. nella Lettera VII scrive: «da giova­ ne anch’io feci l’esperienza che molti hanno con­ diviso. pensavo, non appena divenuto padrone del mio destino, di volgermi all’attività politica». Ma dal partecipare alla vita politica lo tratten­ ne, ben presto, la profonda corruzione degli uo­ mini di governo e del loro costume e delle stesse leggi, che egli scoprì essere ingiuste in atene, ma anche fuori di atene. ed ecco, allora, le sue conclusioni: «di fronte a tali episodi [si riferisce ad una serie di episo­ di di corruzione politica che culminarono nella condanna a morte di Socrate], a uomini sifatti che si occupavano di politica, a tali leggi e costu­ mi, quanto più, col passare degli anni, rifettevo, tanto più mi sembrava difcile dedicarmi alla po­ litica mantenendomi onesto. Senza uomini devoti

anni 403-388

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e amici fdati non era possibile combinare nulla e d’altra parte non era per niente facile trovarne di disponibili, dato che ormai il nostro Stato non era più retto secondo i costumi e il modo di vivere dei padri ed era impossibile acquisirne di nuovi nell’immediato. il testo delle leggi, e anche i co­ stumi andavano progressivamente corrompen­ dosi a un ritmo impressionante, a tal punto che uno come me, all’inizio pieno di entusiasmo per l’impegno nella politica, ora, guardando a essa e vedendola completamente allo sbando, alla fne fu preso da vertigini. Solo i flosof avrebbero potu­ to riscattare la politica. in verità, non cessai mai di tenere sott’occhio la situazione, per vedere se si verifcavano miglioramenti o riguardo a questi specifci aspetti oppure nella vita pubblica nel suo complesso, ma prima di impegnarmi concreta­ mente attendevo sempre l’occasione propizia. a un certo punto mi feci l’idea che tutte le città sog­ giacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoché disperate. in tal modo, a lode della buo­ na flosofa, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che pri­ vato. i mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità fnché una generazione di flosof veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche del­ lo Stato, oppure fnché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fos­ se essa stessa votata alla flosofa». 388

platone si reca in italia meridionale, spinto dal desiderio di conoscere la comunità dei pitagorici. dalla Lettera VII (388 c) sappiamo che ha co­ nosciuto archita. durante questo viaggio si reca

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biografia, cronologia e opere di platone

a Siracusa presso il tiranno dionigi i, che proba­ bilmente egli sperava di convertire alla flosofa intesa nel senso espresso nel Gorgia, composto o subito prima o subito dopo il viaggio in italia. a Siracusa stringe forte amicizia con dione, parente del tiranno, in cui platone credette di individuare un discepolo che sarebbe potuto diventare re­ flosofo. dionigi si irrita fortemente con platone, al punto da farlo vendere come schiavo a egina. fortunatamente, a egina si trovava il socratico anniceride di cirene, che lo liberò. diogene (iii 20) scrive: «lo riscattò, essendo lì presente per caso, anniceride di cirene, al prezzo di venti mine – altri parlano di trenta – e lo rimandò ad atene presso gli amici. Questi ultimi inviarono subito ad anniceride il denaro da lui pagato per il riscat­ to: denaro che egli non accettò, dicendo che non soltanto loro erano degni di avere a cuore platone. alcuni, poi, dicono che anche dione avrebbe mandato il denaro, e che anniceride non volle ri­ ceverlo, ma comperò per platone anche il piccolo giardino situato nell’accademia». diogene (iii 6­7) riferisce anche di altri viaggi fatti da platone, che non possono essere categoricamente esclusi, ma che non sono confermati da altre fonti. dopo essere stato a Megara, si sarebbe reca­ to a cirene presso teodoro il matematico. dopo essere stato in italia «… passò in egitto, presso i profeti. dicono che anche euripide lo avrebbe ac­ compagnato lì e che, ammalatosi in quello stesso luogo, fu guarito dai sacerdoti, grazie alla cura a base di acqua marina; perciò in qualche luogo egli dice: il mare lava tutti i mali degli uomini. Ma anche omero dice che gli egizi sono medici al di sopra di tutti gli uomini. platone decise allora di incontrarsi anche con i Magi; però dovette rinun­ ciarvi, a motivo delle guerre dell’asia».

anni 387 ss

387 ss.

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la fondazione dell’accademia è quasi certamente da collocare negli anni immediatamente succes­ sivi al primo viaggio di platone in italia. platone, convintosi dell’inutilità della sua par­ tecipazione immediata alla politica militante, per le ragioni che già sappiamo, aveva maturato un di­ segno di ben più vasto raggio: egli intendeva pre­ parare mediatamente, ossia tramite la flosofa, i futuri «veri politici», cioè gli uomini che sarebbe­ ro stati in grado di rinnovare lo Stato alle radici. occorreva, dunque, fondare una vera e propria Scuola: un organismo che, analogamente alle co­ munità pitagoriche, perseguisse l’educazione e la formazione di chi ne diveniva membro, secondo piani di studio ben congegnati e secondo metodi sistematicamente determinati. per poter realiz­ zare questo, platone acquistò un appezzamento di terreno e un edifcio, che restarono poi proprie­ tà della Scuola. Quale fosse la precisa fsionomia giuridica di questa scuola è una questione che resta ancora non risolta. la tesi che è rimasta per lungo tempo dominante, ma che da qualche tempo è stata mes­ sa in dubbio, considerava l’accademia come una specie di «tiaso» religioso consacrato alle Muse. e una comunità di studio che si radunava per colti­ vare il più alto sapere ben rientrava, nel concetto del greco e in particolare dell’ateniese, sotto la generale concezione di una comunità sacra al cul­ to di apollo e delle Muse. intanto, va precisato che i membri dell’acca­ demia non erano «studenti» nel senso moderno della parola. ai giovani si afancavano anche uomini anziani; probabilmente tutti dovevano contribuire al fnanziamento delle spese di eser­ cizio e dovevano prendere anche alcuni pasti in comune. forse non esistevano neppure statuti

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biografia, cronologia e opere di platone

scritti della Scuola, e tutta la regolamentazione dipendeva dal suo capo. inoltre, lo scopo ultimo dell’accademia non erano il sapere e la scienza perseguiti solo nella loro astrattezza, ma ricercati altresì – come abbiamo sopra già rilevato – per la loro valenza etico­politica. per la prima volta nell’accademia convennero personalità, anche straniere, di diversissima for­ mazione e anche di opposte attitudini spiritua­ li. Ben al di là dell’orizzonte socratico, vi fecero trionfale ingresso aritmetica, geometria e astro­ nomia. con l’accademia ebbe rapporti eudosso, capo di una Scuola matematica e astronomica. abbiamo, inoltre, testimonianze che provano la presenza nell’accademia di medici provenienti dalla Sicilia. e questi personaggi, con il loro in­ segnamento, che dovette essere in qualche modo regolato, promossero nella Scuola una serie di di­ battiti assai fecondi. e così – anche se non ancora a livello program­ matico – di fatto, e sia pure per una breve stagione, questo incontro di uomini e di insegnamenti di­ versi nell’accademia produsse altresì un incontro delle scienze che essi coltivavano, e i vari membri dell’accademia poterono, per la prima volta, udi­ re insieme queste diverse voci, i loro confronti e i loro scontri, come prima di allora non era stato possibile. Ben a ragione, dunque, la posterità sceglierà proprio il nome dell’«accademia» platonica per designare quelle istituzioni in cui le varie forme di sapere vengono coltivate ed elaborate al più alto livello. 367

platone si reca una seconda volta in Sicilia, a Siracusa. a dionigi i era successo il fglio dionigi

anni 367-347

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ii, che, si credeva, avrebbe potuto realizzare il programma di platone ben più che non il padre. in realtà, dionigi ii si rivela subito essere come il pa­ dre. esilia dione, con l’accusa di tramare contro di lui, e trattiene platone quasi come prigionie­ ro. diogene laerzio (iii 21) scrive: «Una secon­ da volta platone venne in Sicilia presso dionigi il giovane per chiedergli un po’ di terra e alcuni uomini che vivessero secondo la sua costituzione. e dionigi, benché avesse promesso, non manten­ ne fede. alcuni, poi, dicono che platone corse an­ che pericolo di vita, in quanto avrebbe persuaso dione e teodota alla liberazione dell’isola. fu in quella occasione, inoltre, che archita il pitagorico scrisse una lettera a dionigi, lo pregò in favore di lui, e riuscì a salvarlo e a farlo tornare ad atene». 365

Soprattutto in seguito allo scoppio di una guerra che impegna personalmente dionigi ii, platone riesce tornare ad atene.

361

platone si reca una terza volta a Siracusa. dione, che si era rifugiato ad atene, lo convinse ad acco­ gliere il pressante invito di dionigi ii a ritornare, sperando di placare il tiranno. Ma i rapporti con dionigi si aggravarono subito, e di molto. Solo per l’intervento dei tarantini, platone riuscì a salvarsi.

360

dione riesce a prendere il potere a Siracusa.

357

dione viene ucciso da una congiura capeggiata da callippo.

348/347 platone muore ad atene all’età di ottanta anni.

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biografia, cronologia e opere di platone

2. Signifcative connessioni di Platone col dio Apollo create dall’immaginazione dei Greci platone è stato connesso con apollo, e su questo rapporto sono nati numerosi aneddoti, raccolti da a.S. riginos (1976, pp. 9­32), che vorrebbero comprovare la «natura apollinea» di platone. Questi aneddoti sono nove. il primo riguarda la nascita di platone collegata ad apollo nel modo seguente: il padre avrebbe avuto un avver­ timento da apollo stesso di non unirsi fsicamente alla mo­ glie fno a quando il fglio non fosse nato. diogene laerzio scrive (iii 2): «aristone avrebbe voluto fare violenza a perittione, la quale era nell’età opportuna per l’unione nu­ ziale, ma non vi riuscì. dopo aver desistito dai tentativi di violenza, vide l’apparizione di apollo: e da quel momento egli la lasciò pura dal congiungimento fno al parto». il secondo riguarda la data di nascita: platone sarebbe nato, come già abbiamo detto, «nel settimo giorno del mese targelione, nello stesso giorno in cui i delf dicono che nac­ que apollo» (diogene laerzio, iii, 2). il terzo (narrato da un anonimo nei Prolegomena ad Platonis Philebum, 2, 21­27) è questo: dopo la nascita, la madre «condusse il piccolo sul monte imetto, allo scopo di ofrire un sacrifcio ad apollo dio del monte e alle ninfe. e avendolo qui deposto, al suo ritorno lo ritrovò con la bocca piena di miele. erano venute delle api a portare al piccolo del miele, presagendo che ciò che sarebbe uscito fuori dalla sua bocca sarebbe stato “più dolce che il miele”, per dirlo col poeta». il quarto, che pure già conosciamo, riguarda un sogno divinatorio avuto da Socrate, così riferito da diogene laerzio (iii, 5): «Si racconta che Socrate ab­ bia sognato di tenere sulle ginocchia un piccolo cigno, il quale mise subito le ali e volò cantando dolcemen­ te, e che il giorno successivo si presentò a lui platone, e Socrate abbia dichiarato che il cigno era appunto lui».

connessioni di platone col dio apollo

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il quinto riguarda un sogno premonitore avuto da platone prima della sua morte, in cui vide se stesso diven­ tato un cigno, che volava di albero in albero, ponendo in dif­ fcoltà i cacciatori che non poterono catturarlo (anonimo, cit., i, 29 sgg.). il sesto consiste nella qualifca che gli venne data di «uomo divino e apollineo» (ibid., 1, 26­41), desumendo tale qualifca dall’afermazione che da platone viene messa in bocca a Socrate nel Fedone, che dice di essere «compagno di servizio dei cigni» (platone veniva incluso da alcuni nella catena aurea delle nascite di apollo, insieme a Socrate e a pitagora). il settimo aneddoto è il seguente. platone morì a 81 anni, considerato numero apollineo: infatti, le Muse sono nove, e moltiplicando nove per nove si ha 81 (ibid. 61, 1 sgg.). l’ottavo aneddoto narra di una donna che presentò all’o­ racolo di delf il quesito se le fosse lecito erigere a platone una statua fra quelle degli dèi, ed ebbe come risposta che doveva far questo, in quanto platone era guida di una «divi­ na saggezza» e che, pertanto, se avesse fatto questo, avreb­ be avuto in cambio il favore degli dèi (ibid. 6, 9 sgg.). il nono aneddoto riguarda un altro oracolo secondo cui, per volere di febo apollo, sarebbero dovuti nasce­ re due medici speciali: asclepio fglio di apollo, medico del corpo, e platone, medico dell’anima. diogene laerzio, iii, 45 ha composto questi due epigrammi assai signifcativi. Un primo dice: «Se in grecia febo non avesse fatto nascere platone, come avrebbe potuto curare con le lettere le anime degli uomini? infatti suo fglio asclepio è medico del corpo, mentre platone lo è dell’anima immortale». e un altro: «febo fece nascere per i mortali asclepio e platone, l’uno per la salute dell’anima, l’altro del corpo».

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biografia, cronologia e opere di platone

3. Il dialoghi di Platone e la loro autenticità gli scritti pervenutici sotto il nome di platone sono 36. il loro ordinamento è opera di trasillo (un Mediopla­ tonico che visse ai tempi di tiberio), il quale, però, ha se­ guito un criterio e ha portato a termine un’opera a lui pre­ cedente. trasillo ha diviso i 36 scritti in nove tetralogie, basando­ si, nella formazione dei gruppi di quattro, sul loro contenu­ to, anche se talora il nesso fra le opere risultava assai tenue. Prima tetralogia 1. Eutifrone, 2. Apologia di Socrate, 3. Critone, 4. Fedone. Seconda tetralogia 5. Cratilo, 6. Teeteto, 7. Sofsta, 8. Politico. terza tetralogia 9. Parmenide, 10. Filebo, 11. Simposio, 12. Fedro. Quarta tetralogia 13. Alcibiade primo, 14. Alcibiade secondo, 15. Ipparco, 16. Amanti. Quinta tetralogia 17. Teagete, 18. Carmide, 19. Lachete, 20. Liside. SeSta tetralogia 21. Eutidemo, 22. Protagora, 23. Gorgia, 24. Menone. Settima tetralogia 25. Ippia maggiore, 26. Ippia minore, 27. Ione, 28. Menesseno. ottava tetralogia 29. Clitofonte, 30. Repubblica, 31. Timeo, 32. Crizia. nona tetralogia 33. Minosse, 34. Leggi, 35. Epinomide, 36. Lettere. Questo ordinamento è diventato canonico nell’antichità, ma anche è stato consacrato dalla grande edizione critica moderna di John Burnet.

autenticità e cronologia dei dialoghi platonici

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in primo luogo, va rilevato che in questo gruppo di opere è contenuto tutto quello che platone ha scritto. tutti i dia­ loghi che gli antichi hanno citato come suoi ci sono. Se ne è aggiunto qualcuno inautentico, o comunque di dubbia au­ tenticità. nel secolo XiX la questione dell’autenticità fu al centro di vivacissimi dibattiti, quasi del tutto spentisi nel XX se­ colo. rimangono dubbi soprattutto su alcuni dialoghi cosid­ detti socratici, di cui noi dimostreremo invece l’autenticità. l’Epinomide è ritenuto opera di filippo di opunte. delle Lettere è considerata autentica, a partire dalle pre­ cisazioni fatte da U. von Wilamowitz Moellendorf, in par­ ticolare, la settima. già la tradizione ci ha tramandato come inautentiche al­ cune opere, che quindi non sono incluse nelle 36. Sono le seguenti: Sul giusto, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Defnizioni.

4. La questione della cronologia degli scritti la questione della cronologia dei dialoghi è nata in tempi moderni ed è stata introdotta da K.f. Hermann nella sua opera Geschichte und System der platonischen Philosophie (Heidelberg 1839), e si è rapidamente sviluppata, fno a es­ sere assunta come un canone ermeneutico di basilare im­ portanza per interpretare e comprendere platone. dai più recenti studi è però emerso che essa non è risolubile se non in maniera assai parziale. in efetti, platone era ben lungi dal possedere solo quelle dottrine che metteva per iscritto, man mano che compo­ neva i singoli dialoghi. e dunque, quando non parla di una certa dottrina che noi moderni riterremmo utile in quel dato scritto, non vuol dire afatto che non l’avesse ancora scoperta. infatti, in ogni suo dialogo platone adegua il con­ tenuto alle capacità dell’anima del deuteragonista, tacendo

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biografia, cronologia e opere di platone

espressamente quelle cose che il personaggio scelto come interlocutore di Socrate non può essere in grado di capire. in generale, se anche si potesse fssare la cronologia di tutti i dialoghi, ciò che ne deriverebbe non sarebbe la para­ bola dell’evoluzione spirituale di platone, perché egli matu­ rava le sue dottrine dapprima nell’ambito dell’oralità e solo successiva mente le fssava per iscritto a scopo ipomnemati­ co, mentre alcune di esse (anche se poche, ma le più deter­ minanti) aveva deciso di non fssarle per iscritto. l’unico criterio afdabile per ricostruire una successio­ ne dei dialoghi è quello fondato sullo stile, che, però, da­ rebbe più l’idea dell’evoluzione di platone scrittore che non pensatore. indicazioni esterne e oggettive per la datazione o per lo meno per la successione dei dialoghi sono le seguenti. aristotele nella Politica (ii 6, 1264 b 24­27) attesta che le Leggi sono state scritte dopo la Repubblica. diogene la­ erzio (Vite dei flosof, iii 37) ci dice che alcuni riferivano che le Leggi sono rimaste in tavolette di cera e che le pubbli­ cò filippo di opunte, dopo la morte di platone. le indicazioni interne ai dialoghi stessi, quindi fornite per bocca di platone medesimo, sono le seguenti. Timeo, 17 B ­ 19 B, rimanda alla Repubblica, riassumen­ dola, mentre in 20 B­c preannuncia il Crizia, e in quest’ul­ timo dialogo conferma la successione (107 a­B). al Sofsta segue il Politico, come si dice espressamente in quest’ultimo dialogo, 257 a e 258 B, e come nel primo dia­ logo, in 217 a, si preannuncia. nel Sofsta, poi, in 217 c, sembra farsi riferimento al Parmenide (cfr. 127 B 2 e c 4 s.), e in 216 a al Teeteto. nella critica alla scrittura condotta nel Fedro, infne, come i più recenti studi hanno messo in evidenza, platone rinvia al contenuto della Repubblica e al suo metodo: con­ fronta Fedro, 276 c e 276 e ­ 277 a con Repubblica, ii 376 d 9 ­ e 4 e Vi 501 e, e la documentazione che diamo nel no­

cronologia dei dialoghi platonici

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stro volume Per una nuova interpretazione di Platone, Bom­ piani 201022 , pp. 83 sgg. Un’altra indicazione signifcativa si può ricavare da Teeteto, 143 c, che sembra una chiara afermazione di platone di voler evitare il dialogo indiretto con la continua infram­ mezzata espressione «e io dissi»; e, dunque, sembra di poter ricavare che dal Teeteto in poi tutti i suoi dialoghi sono stati composti in modo diretto e che quindi nessuno dei dialoghi scritti in forma indiretta è posteriore al Teeteto. avvalendosi anche di una serie di ricerche stilometriche, molti studiosi sono in certa misura d’accordo nel fssare quest’ordine di pubblicazione dei dialoghi della vecchiaia: Parmenide, Teeteto, Sofsta, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi. in questo periodo cade sicuramente anche il Fedro. il momento creativo culminante del capolavoro della Repubblica va collocato molto probabilmente verso la metà degli anni Settanta. e a questo periodo della maturità van­ no anche riferiti dialoghi come Cratilo, Simposio, Fedone. il periodo della maturità si apre con la fondazione del­ l’accademia, che risale al ritorno di platone dal primo viag­ gio in italia meridionale, ossia nel 387 a.c. Subito prima di partire, o appena tornato, platone dovet­ te pubblicare il Gorgia. e certamente subito dopo la fonda­ zione dell’accademia deve aver pubblicato il Menone, che, in un certo senso, ne è il programmatico manifesto. l’Eutidemo segue il Menone, perché ne presuppone le dottrine in modo sistematico. tutti gli altri dialoghi di sfondo socratico e apparente­ mente aporetici sono detti giovanili: alcuni sono stati com­ posti presumibilmente anche prima della morte di Socrate (quindi prima del 399), mentre la stesura degli altri si è pro­ tratta fno all’epoca del ritorno dal primo viaggio in italia meridionale e della fondazione dell’accademia (387 a.c.).

EsplicitazionE dEllE abbrEviazioni delle opere espressamente citate nella prefazione generale, nel saggio introduttivo e nelle note

allen 1970 reginald E. allen, Plato’s «Eutyphro» amd the Earlier Theory of Forms, london 1970. anonimo, Proleg. Plat. Philos. anonymus Prolegomena to Platonic Philosophy by l. G. Westerink, amsterdam 1962. apollodoro apollodoro, I miti greci (Biblioteca). a cura di paolo scarpi. traduzione di Maria Grazia ciani, Fondazione lorenzo valla. arnoldo Mondadori Editore, Milano1996. aristofane, Le nuvole, tr. del corno aristofane, Le nuvole, a cura di Giulio Guidorizzi. introduzione e traduzione di dario del corno, Fondazione lorenzo valla – Mondadori, Milano 1996. Gli uccelli, tr. del corno aristofane, Gli uccelli, a cura di Giuseppe zanetto. introduzione e traduzione di dario del corno, Fondazione lorenzo valla – Mondadori, Milano 19974. Le rane, tr. del corno aristofane, Le rane, a cura di dario del corno, Fondazione lorenzo valla – Mondadori, Milano 19943. Tesmoforiazuse, tr. del corno aristofane, Le donne alle Tesmoforie. a cura di carlo prato. traduzione di dario del corno, Fondazione lorenzo valla – Mondadori, Milano 2001.

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esplicitazione delle abbreviazioni

aristosseno fr. 1, si veda Wehrli aristotele, Organon, tr. colli aristotele, Organon, a cura di Giorgio colli, adelphi, Milano 2003 aristotele, Metafsica tr. reale aristotele, Metafsica, testo greco a fronte. introduzione, traduzione, note e apparati di Giovanni reale. appendice bibliografca di roberto radice, bompiani, Milano 201311. aristotele, Etica eudemia, tr. Fermani aristotele, Le tre Etiche, testo greco a fronte. saggio introduttivo. traduzione note e apparati di arianna Fermani. presentazione di Maurizio Migliori, bompiani, Milano 2008. ast Friedrich ast, Platons Leben und Schriften, leipzig 1816. bartolone 19992 Filippo bartolone, Socrate. L’origine dell’intellettualismo dalla crisi alla libertà. a cura di vincenzo cicero. prefazione di Giovanni reale, vita e pensiero, Milano 19992. boder 1973 Werner boder, Die sokratische Ironie in den platonischen Frühdialogen, amsterdam 1973. burnet, si veda Platonis Opera calogero 1938 Guido calogero, Autenticità dell’«Ipparco» platonico, in «annali della scuola normale di pisa», vii (1938), pp. 13-27, ripreso in opere citate di seguito. Guido calogero, Platone, L’Ipparco con introduzione e commento di G.C., sansoni, Firenze 1938 (ultima ristampa 1986).

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127

l’introduzione è ristampata anche in Scritti minori, 1985, sotto citati, pp. 292-311. calogero 1948 Guido calogero, Platone, l’Ippia minore con introduzione e commento di G. C., sansoni, Firenze 1948. l’introduzione è ristampata anche in Scritti minori, 1985, sotto citati, pp. 284-292. calogero 1985 Guido calogero, Scritti minori di flosofa antica, bibliopolis, napoli 1985 (contiene le introduzioni all’Ipparco e all’Ippia minore). centrone 1995 bruno centrone, PAQOS e OUSIA nei primi dialoghi di Platone, in «Elenchos», Xvi (1995), pp. 131-152. calzecchi onesti, si veda omero, Odissea colli, si veda aristotele, Organon croiset 1921 alfred croiset, Platon, Oeuvres complètes. Tome II: Hipias majeur – Charmide – Lachès – Lysis. texte établi et traduit par a. c., societé d’Édition «les belles lettres», paris 1921 diels – Kranz, vedi Presocratici diogene laerzio, a cura di Giovanni reale diogene laerzio, Vite e dottrine dei più celebri flosof. testo greco a fronte. a cura di Giovanni reale, con la collaborazione di Giuseppe Girgenti e ilaria ramelli, bompiani, Milano 2005. Erler 2007 Michael Erler, Platon, nella collana Die philosophie der Antike, herausgegeben von Hellmut Flashar 2/2, bern 2007.

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Friedländer, tr. it. paul Friedländer, Platone. introduzione di Giovanni reale. traduzione e note e apparati di andrea le Moli, bompiani, Milano 2004; 20142 (il titolo originale è Platon, uscito in tedesco in tre volumi, de Gruyter, berlin/new York 1964-1975). Gadamer 1968 Hans-Georg Gadamer, Platons ungeschriebene Dialektik, in aa. vv., Sudien zum platonischen Philosophie von H.G. Gadamer, K. Gaiser, H. Gundert, H. Krämer, H. Kuhn, Heidelberg 1968, pp. 9-31; questo saggio è tradotto in italiano nel volume Gadamer, Studi platonici, edizione italiana a cura di G. Moretto, Marietti, casale Monferrato, 2 voll., 1983-1984, vol. ii, pp. 129-153. Gadamer, Intervista 2000 le interviste da noi fatte a Gadamer sono state originariamente pubblicate sul Sole 24 Ore, poi varie volte riedite, e da ultimo in: Giovanni reale, Autotestimonianze e rimandi dei dialoghi di Platone alle “Dottrine non scritte”, bompiani, Milano 2008, pp. 527-550. Gadamer, bompiani Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo. traduzione e apparati di Gianni vattimo. introduzione di Giovanni reale. testo tedesco a fronte, bompiani, Milano 2000; 20145 (titolo originale Wahrheit und Methode, tübingen 1960, più volte riedito). Gatti 1991, 20147 Maria luisa Gatti, trad. di Cratilo, Alcibiade maggiore, Alcibiade minore, Ipparco, Amanti, Eutidemo, in platone, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni reale, rusconi, Milano 1991; bompiani, Milano 20147. Gentili, si veda anacreonte Giannantoni 1971 Gabriele Giannantoni, Socrate. Tutte le testimonianze da Aristotele e Senofonte ai Padri cristiani. introduzione e indici di

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Gabriele Giannantoni. traduzioni di Gabriele Giannantoni, Marcello Gigante, renato laurenti, benedetto Marzullo, Enza celluprica, Maria clotilde de Felice, anna Maria ioppolo, angelo panvini, laterza, bari 1971. Giannantoni 1990 Gabriele Giannantoni, Socratis et Socraticorum Reliquiae, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. G., bibliopolis, napoli 1990. Gigon 1947 olof Gigon, Sokrates. Sein Bild in Dichtung und Geschichte, tübingen – basel 1947; 19943. Gómez dávila 2001 nicolás Gómez dávila, Tra poche parole. introduzione di Franco volpi, traduzione di lucio sessa, adelphi, Milano 2007. Gomperz nuova ed. 2013 theodor Gomperz, Pensatori greci. Storia della flosofa antica dalle origini ad Aristotele e alla sua scuola, traduzione di luigi bandini, introduzione di Giovanni reale, bompiani, Milano 2013. Havelock tr. it. Eric a. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura da Omero a Platone, laterza, roma – bari 1973 più volte riedita (titolo originale: Preface to Plato, 1963). Heitsch 2004 Ernst Heitsch,  Platon und die Anfänge seines dialektischen Philosophierens, Göttingen 2004. Heitsch 2011 Ernst Heitsch, Platon, Grösserer Hippias. Übersetzung und Kommentar, Göttingen 2011. Hermann Karl Friedrich Hermann, Geschichte und System der platonischen Philosophie, Heidelberg 1839; new York 19762.

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irwin 1973 terence Henry irwin, Plato’s Moral Theory: The Early and Middle Dialogues, oxford 1977. irwin 1979 terence Henry irwin, Plato’s Gorgias, oxford 1979. Jaeger, Paideia, ed. bompiani Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco. traduzione di luigi Emery e alessandro setti. introduzione di Giovanni reale. indici di alberto bellanti, bompiani, Milano 2003; 20113; l’opera raccoglie in un solo volume i tre pubblicati in precedenza, come nella edizione originale, dalla nuova italia nel 1937, 1955, 1959. (titolo originale: Paideia. Die Formung des griechischen Menschen, il primo volume era uscito già nel 1934; il secondo e il terzo volume sono usciti dapprima in lingua inglese nel 1943 e nel 1944, e subito dopo anche in Germania nel 1944 e nel 1947). Kahn 1985 charles Kahn, The Beautiful and the Genuine. A Discussion of Paul Woodruf, Plato’s Hippias Maior, in «oxford studies in ancient philosophy», iii (1985), pp. 261-287. Kierkegaard, Diario søren Kierkegaard, Diario. a cura di cornelio Fabro. terza edizione riveduta e ampliata, 12 volumi, Morcelliana, brescia 1980-1983. Kirchner 1901 Johannes Ernst Kirchner, Prosopographia Attica, i, berlin 1901. Krämer si veda liminta 1998 e lualdi 1998. liminta 1974, 19982 Maria teresa liminta, Il problema della bellezza. Autenticità e signifcato dell’Ippia Maggiore di Platone, celuc, Milano 1974; vita e pensiero, Milano 19982.

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liminta 1991; 20147 Maria teresa liminta, trad. di: Teagete, Carmide, Lachete, Liside, Ippia maggiore, Ippia minore, Menesseno, rusconi, Milano 1991; bompiani, Milano 20147. liminta 1998 Maria teresa liminta, platone, Ippia Maggiore. saggio introduttivo di Hans Krämer. analisi e interpretazione del dialogo, traduzione, note e apparati di Maria teresa liminta. testo greco a fronte, rusconi, Milano 1998. lualdi 1974 Maria lualdi, Il problema della philia e il Liside platonico, Milano 1974. lualdi 1998 Maria lualdi, platone, Liside. saggio introduttivo di Hans Krämer. analisi e interpretazione del dialogo, traduzione, note e apparati di Maria lualdi, testo greco a fronte, rusconi, Milano 1998. ludlam 1991 ivor ludlam, Hippias major. An interpretation, stuttgart 1991. lutoslawsky Wincenty lutoslawsky, The Origion and Growth of Plato’s Logic, london-new York 1897. Magalhães-vilhena 1952 vasco de Magalhães-vilhena, Le problème de Socrate. Le Socrate historique et le Socrate de Platon, paris 1952. Maier tr. it. Heinrich Maier, Socrate. La sua opera e il suo posto nella storia. traduzione di Giovanni sanna, la nuova italia, 2 volumi 1943; 19702 (titolo originale: Sokrates. Sein Werk und seine geschichtliche Stellung, tübingen 1913). nietzsche, Nascita della tragedia Friedrich nietzsche, La nascita della tragedia – Considerazio-

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ni inattuali. versione di sossio Giametta e Mazzino Montinari, adelphi, Milano 1972, più volte riedita (volume iii, tomo i delle «opere di Friedrich nietzsche». Edizione italiana condotta sul testo critico stabilito da Giorgio colli e Mazzino Montinari). omero, Iliade omero, Iliade. prefazione di Fausto codino, versione di rosa calzecchi onesti. testo originale a fronte, Einaudi, torino 1972. omero, Odissea omero, Odissea. prefazione di Fausto codino, versione di rosa calzecchi onesti. testo originale a fronte, Einaudi, torino 1972. Jan patočka, Socrate. Lezioni di flosofa antica. introduzione, apparati e bibliografa di Giuseppe Girgenti. traduzione di Martin cajthaml, bompiani, Milano 2003. petrucci 2012 platone, Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno, a cura di bruno centrone, traduzione e note di Federico M. petrucci, testo a fronte, Einaudi, torino 2012. pindaro, Olimpiche pindaro, Tutte le opere. Olimpiche – Pitiche – Nemee – Istmiche – Frammenti. testo greco a fronte. introduzione, traduzione, note e apparati di Enzo Mandruzzato, bompiani, Milano 2010. Platonis Opera. recognovit brevique adnotatione critica instruxit ioannes burnet, 5 voll., oxford 1901-1907 platone 20147 platone, Tutti gli scritti, con la collaborazione di Maria luisa Gatti, claudio Mazzarelli, Maurizio Migliori, Maria teresa liminta, roberto radice, rusconi, Milano 1991; bompiani, Milano 20147. platone, Repubblica. saggio introduttivo, saggio integrativo, bibliografa e indici di Giovanni reale. traduzione e note di ro-

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berto radice con la collaborazione per alcune parti di Giovanni reale e lessico di roberto radice, bompiani, Milano 2009. Serie dei dialoghi di Platone a cura di Reale pubblicati in questa collana: platone, Eutifrone, bompiani, Milano 20112. platone, Apologia di Socrate, bompiani, Milano 201311. platone, Critone, bompiani, Milano 20103. platone, Fedone, bompiani, Milano 20136. platone, Simposio, bompiani, Milano 20149. platone, Fedro, bompiani, Milano 20135. platone, Teagete, bompiani, Milano 201311. platone, Protagora, bompiani, Milano 2014. platone, Gorgia, bompiani, Milano 20103. platone, Menone, bompiani, Milano 20103. platone, Ione, bompiani, Milano 20113. platone, Timeo, bompiani, Milano 20135. Nuova serie dei dialoghi giovanili di Platone a cura di Reale pubblicati in questa collana nel 2015 con bibliografe specifche di Vincenzo Cicero platone, Teagete, bompiani, Milano 2015. platone, Ippia minore, bompiani, Milano 2015. platone, Ippia maggiore, bompiani, Milano 2015. platone, Ipparco, bompiani, Milano 2015. platone, Gli amanti, bompiani, Milano 2015. platone, Carmide, bompiani, Milano 2015. platone, Liside, bompiani, Milano 2015.

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platone, Lachete, bompiani, Milano 2015. platone, Eutidemo, bompiani, Milano 2015. platone, Alcibiade primo, bompiani, Milano 2015. platone, Alcibiade secondo, bompiani, Milano 2015. pohlenz 2013 Max pohlenz, Aus Platos Werdezeit, berlin 1913. presocratici, ed. bompiani i presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti nella raccolta di Hermann diels e Walther Kranz. a cura di Giovanni reale, con la collaborazione di diego Fusaro, Maurizio Migliori, salvatore obinu, ilaria ramelli, Maria timpanaro cardini, angelo tonelli. realizzazione editoriale e indici di vincenzo cicero, bompiani, Milano 2006, più volte riedito. radice – bombacigno 2003 Lexicon i, Plato edited by roberto radice in collaboration with ilaria ramelli and Emmanuele vimercati, electronic edited by roberto bombacigno, biblia, Milano 2003. reale 1957 Giovanni reale, Il «Lachete» platonico e la dottrina delle Idee, in «pier lombardo» i 3 (1957), pp. 48-70. reale 1959 Giovanni reale, L’Eutifrone, il concetto di santo e la prima teoria platonica delle Idee, in «rivista di Filosofa neoscolastica», li (1959), pp. 311-333. reale, Platone 1998 Giovanni reale, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, rizzoli, Milano 1998; bUr, Milano 2004. reale, Socrate 2001, 20134 Giovanni reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, rizzoli, Milano 2000; bUr, Milano 2001; 20134.

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reale 20072 platone, Simposio. a cura di Giovanni reale. testo critico di John burnet, Fondazione lorenzo valla – arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001; 20072. reale 201022 Giovanni reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce delle “Dottrine non scritte”, con testi greci di tutti i passi citati, bompiani, Milano, ventiduesima edizione 2010. reale, Storia, vol. ii Giovanni reale, Storia della flosofa greca e romana. vol. ii. Sofsti, Socrate e Socratici minori, bompiani, Milano 20063. riginos 1976 alice swift riginos, The Anecdotes Concerning the Life and Writings of Plato, brill, leiden 1976. santas, 1994, tr. it. 2003 Gerasimos Xenophon santas, Socrate. La flosofa dei dialoghi giovanili di Platone. introduzione di Giovanni reale. traduzione di Francesca Filippi, vita e pensiero, Milano 2003 (titolo originale: Socrates: Philosophy in Plato’s Early Dialogues, london – boston 1979). schleiermacher, Ermeneutica Friedrich d. E. schleiermacher, Ermeneutica. testo tedesco a fronte. introduzione, impostazione editoriale, traduzione e apparati di Massimo Marassi, bompiani, Milano 2000. senofonte, Elleniche, testo greco a fronte, a cura di Giovanni daverio rocchi, bUr, Milano 2002, 20124. senofonte, tr. de Martinis senofonte, Tutti gli scritti socratici. Apologia di Socrate – Memorabili – Economico – Simposio. a cura di livia de Martinis. saggio introduttivo di Giovanni reale, bompiani, Milano 2013.

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szlezák tr. it. thomas a. szlezák, Platone e la scrittura della flosofa. Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico. introduzione e traduzione di Giovanni reale, vita e pensiero, Milano 1988; titolo originale: Platon und die Schriftlichkeit der Philosophie. Interpretationen zu den frühen und mittleren Dialogen, de Guyter, berlin 1985. taylor, tr. it. alfred Edward taylor, Platone. L’uomo e l’opera. presentazione di Mario dal pra. traduzione di Mario corsi, la nuova italia, Firenze 1968 (titolo originale: Plato: the Man and his Work, london1926; 19496). trabattoni 2003 Franco trabattoni, Il «Liside»: un’introduzione all’etica platonica, in platone, Liside, a cura di Franco trabattoni. ii, testo italiano con saggi di Mauro bonazzi, andrea capra, Franco trabattoni, led, Milano 2003, pp. 47-171. Untersteiner, Sofsti sofsti, Testimonianze e frammenti, a cura di Mario Untersteiner, riedito nella collana «testi a fronte», bompiani, Milano, 2009. vlastos 1991, tr. it. 1998 Gregory vlastos, Socrates: Ironist and Moral Philosopher, cambridge University press, cambridge 1991 (traduzione italiana con il titolo: Socrate, il flosofo dell’ironia complessa, a cura di andrea blasina, la nuova italia, Firenze 1998). vlastos 1994, tr. it. 2003 Gregory vlastos, Socratic Studies. Edited by Myles burnyeat, cambridge 1994 (traduzione italiana: Studi socratici. introduzione di Giovanni reale. traduzione di Francesca Filippi, vita e pensiero, Milano 2003).

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Wehrli Fritz Wehrli, Die Schule des Aristoteles, Heft ii: Aristoxenos, basel 1965; 19672. Wilamowitz Moellendorf Ulrich von Wilamowitz Moellendorf, Platon. Sein Leben und seine Werke. bearbeitet und mit einem nachwort versehen von bruno snell, 5. aufage, berlin 1959; prima edizione berlin 1919-1920. Woodruf 1982 paul Woodruf, Plato, Hippias Maior, Hackett, indianapoliscambridge 1982. zeller Eduard zeller, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt, 3 voll., 1844-1852; seconda edizione in 5 voll., 1855-1868; la quinta edizione, iniziata nel 1892 è l’ultima curata dall’autore.

ippias meizon [peri; tou` kalou`, ajnatreptikov~]

ippia maggiore [Sul bello, confutatorio]

prologo incontro di Socrate con ippia il SofiSta

281A

SWKRATHS Ôippiva" oJ kalov" te kai; sofov": wJ" dia; crovnou hJmi'n kath'ra" eij" ta;" ∆aqhvna".

IPPIAS ouj ga;r scolhv, w\ swvkrate". hJ ga;r «Hli" o{tan ti devhtai diapravxasqai prov" tina tw'n povlewn, ajei; ejpi; prw'ton ejme; e[rcetai tw'n politw'n aiJroumevnh presbeuthvn, hJgoumevnh dikasth;n kai; a[ggelon iJkanwvtaton ei\nai tw'n lovgwn oi} a]n B para; tw'n povlewn eJkavstwn levgwntai. pollavki" me;n ou\n kai; eij" a[lla" povlei" ejprevsbeusa, plei'sta de; kai; peri; pleivstwn kai; megivstwn eij" th;n Lakedaivmona: dio; dhv, o} su; ejrwta'/", ouj qamivzw eij" touvsde tou;" tovpou".

1

Su ippia si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. ii, § 1. i suoi testi sono raccolti in diels – Kranz, n. 86 (Presocratici, Bompiani, pp. 1706-1723); cfr. reale, Storia…, ii, 20063, pp. 93 sgg. 2 città del peloponneso, capoluogo dell’omonima regione. 3 Si tenga presente che la chiamata in causa di Sparta e degli Spartani ha un signifcato emblematico, e platone insisterà notevolmente su di essa. in tutte le città ippia ha guadagnato molto, ma nulla a Sparta, pur essendosi assai spesso recato come ambasciatore. per platone questo signifca che gli Spartani non accettavano la flosofa di ippia, né il suo sapere enciclopedico, né il suo metodo educativo. come vedremo, volevano sentire da lui ben altre cose. Si tenga presente che Socrate e platone avevano degli Spartani grande ammirazione, tanto che nel Protagora (342 a-e) si legge: «il culto della sapienza è antichissimo, e fra i greci

[Ippia si reca raramente ad Atene in quanto impegnato come ambasciatore della sua Città soprattutto a Sparta]

Socrate ippia il bello e sapiente!1 da quanto tempo non capiti qui 281A ad atene! IppIa non ho proprio tempo libero, Socrate. infatti elide2, quando deve trattare qualcosa con qualche città, si rivolge sempre a me, come primo dei cittadini, scegliendomi come ambasciatore, ritenendo che io sia il più capace di giudicare e di riferire le cose che vengono B dette in ciascuna delle città. perciò sono stato spesso ambasciatore anche in diverse città, ma nella maggior parte dei casi e per questioni di importanza assai grande a Sparta3. per questo motivo, per rispondere alla tua domanda, non vengo spesso in questi luoghi.

ebbe la massima difusione a creta e a Sparta, e là c’è un numero di sapienti maggiore che in ogni altra parte. ma essi negano di essere tali e fngono di essere ignoranti, perché non si scopra che sono superiori in sapienza a tutti gli elleni, come quei Sofsti di cui parlava protagora, e si creda invece che essi sono superiori nel far la guerra e nel coraggio, in quanto sono convinti che, se si venisse a conoscere ciò per cui sono veramente superiori, cioè la sapienza, tutti si metterebbero a esercitarla. ora, con questa simulazione, hanno tratto in inganno quelli che nelle altre città vogliono essere seguaci degli Spartani e che, per imitarli, si pestano le orecchie e si cingono i pugni di cinghie di cuoio, corrono da una palestra

144

IppIA mAggIore, 281 C

SWKRATHS Toiou'ton mevntoi, w\ Ôippiva, e[sti to; th'/ ajlhqeiva/ sofovn te kai; tevleion a[ndra ei\nai. su; ga;r kai; ijdiva/ iJkano;" ei\ para; tw'n nevwn polla; crhvmata lambavnwn e[ti pleivw C wjfelei'n w|n lambavnei", kai; au\ dhmosiva/ th;n sautou' povlin iJkano;" eujergetei'n, w{sper crh; to;n mevllonta mh; katafronhvsesqai ajll∆ eujdokimhvsein ejn toi'" polloi'". ajtavr, w\ Ôippiva, tiv pote to; ai[tion o{ti oiJ palaioi; ejkei'noi, w|n ojnovmata megavla levgetai ejpi; sofiva/, pittakou' te kai; Bivanto" kai; tw'n ajmfi;

all’altra e portano mantelli corti, convinti che gli Spartani siano superiori a tutti i greci appunto per queste cose. ma gli Spartani, allorché vogliono liberamente intrattenersi con i loro Sofsti e non ne possono più di continuare a farlo di nascosto, espellono dalla città costoro che posano a loro seguaci e qualsiasi altro straniero che si trovi tra loro, e si intrattengono con i Sofsti senza farsi vedere dagli stranieri, e inoltre non permettono che nessuno dei loro giovani vada in altre città, come fanno anche i cretesi, afnché non disimparino ciò che essi hanno loro insegnato e, in questa città, non solo gli uomini sono orgogliosi della loro formazione spirituale, ma anche le donne. e che queste cose siano vere e che gli Spartani siano educati nell’amore della sapienza e nell’abilità oratoria in maniera eccellente, si può ricavare da questo: se qualcuno si intrattiene a conversare anche con il più inetto degli Spartani, troverà che nella maggior parte dei suoi discorsi appare insulso, ma poi, al momento buono, come un arciere abilissimo, ti scaglia un motto considerevole, conciso e denso di signifcato, tanto che l’interlocutore nei suoi confronti fa la fgura di un bambino. e ci sono alcuni e fra i contemporanei e anche fra gli antichi, che hanno ben capito questo, ossia che l’imitare gli Spartani consiste molto più nell’amare la sapienza che non nell’amare la palestra, sapendo bene che il pronunciare sentenze del genere è prerogativa di un uomo perfettamente educato nello spirito». Se non si

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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[Confronto con i Sofsti dei grandi sapienti dei tempi passati] Socrate ma questo, ippia, significa essere veramente un uomo sapiente e perfetto. tu, infatti, sei in grado, in privato, ricevendo molto denaro dai giovani, di dare loro vantaggi ancora superiori ai denari che ricevi; e, inoltre, in pubblico, sei in grado di procurare benefici alla tua cit- C tà, come deve fare chi non vuole vivere all’oscuro, ma avere buona fama fra la gente. ma, ippia, qual è allora la ragione per cui quegli antichi, i cui nomi sono diventati grandi per la sapienza, come pittaco4, Biante5, i setiene presente questo, sfugge tutto il discorso che segue, e in particolare l’insistenza di Socrate sui rapporti fra ippia e gli Spartani. 4 pittaco fglio di irra, di lesbo, è uno dei Sette Sapienti, su cui platone nel Protagora (143 a sgg.) scrive: «tra gli antichi vi furono talete di mileto, pittaco di mitilene, Biante di priene, il nostro Solone, cleobulo di lindo, misone di chene e settimo tra costoro si annoverava chilone di Sparta: tutti quanti furono ammiratori, appassionati amanti e discepoli dell’educazione spirituale spartana. e che la loro sapienza fosse di tale natura lo si può capire considerando quelle sentenze concise e memorabili che furono pronunciate da ciascuno e che, radunatisi insieme, essi ofrirono come primizie di sapienza ad apollo, nel tempio di delf, facendo scolpire quelle sentenze che tutti celebrano: Conosci te stesso e Nulla di troppo. ma a che scopo io dico questo? perché il metodo di flosofare degli antichi consisteva appunto in una concisione spartana. e, in particolare, di pittaco era famoso questo motto, molto lodato dai sapienti: Difcile è l’essere buoni». i suoi detti si trovano in diels – Kranz, 10 V, 1-13 (Presocratici, Bompiani, p. 139). 5 Biante di priene, come abbiamo visto nel passo di platone riportato alla nota precedente, è uno dei Sette Sapienti. i suoi detti si trovano in diels – Kranz, 10 Vi, 1-17 (Presocratici, Bompiani, pp. 139-141).

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IppIA mAggIore, 281 d - 282 A

to;n milhvs ion Qalh'n kai; e[ti tw'n u{steron mevcri ∆anaxagovrou, wJ" h] pavnte" h] oiJ polloi; aujtw'n faivnontai ajpecovmenoi tw'n politikw'n pravxewn… IPPIAS Tiv d∆ oi[ei, w\ swvkrate", a[llo ge h] ajduvnatoi h\san d kai; oujc iJkanoi; ejxiknei'sqai fronhvsei ejp∆ ajmfovtera, tav te koina; kai; ta; i[dia… SWKRATHS «ar∆ ou\n pro;" Diov", w{sper aiJ a[llai tevcnai ejpidedwvkasi kai; eijs i; para; tou;" nu'n dhmiourgou;" oiJ palaioi; fau'loi, ou{tw kai; th;n uJmetevran th;n tw'n sofistw'n tevcnhn ejpidedwkevnai fw'men kai; ei\nai tw'n ajrcaivwn tou;" peri; th;n sofivan fauvlou" pro;" uJma'"… IPPIAS pavnu me;n ou\n ojrqw'" levgei". SWKRATHS eij a[ra nu'n hJmi'n, w\ Ôippiva, oJ Biva" ajnabioivh, gevlwt∆ 282A a]n o[floi pro;" uJma'", w{sper kai; to;n Daivdalovn fasin oiJ ajndriantopoioiv, nu'n eij genovmeno" toiau't∆ ejrgavzoito oi|a h\n

6

Si fa riferimento ai flosof naturalisti presocratici, nominandone due particolarmente signifcativi. talete di mileto, oltre che il primo dei flosof (cfr. reale, Storia…, i, 20084, pp. 87-92), era considerato uno dei Sette Sapienti. i detti a lui attribuiti si trovano in diels – Kranz, 10 iV, 1-19 (Presocratici, Bompiani, p. 139). anassagora di clazomene è uno dei flosof presocratici di maggior rilievo. portò la flosofa ad atene, città in cui rimase per una trentina di anni, ed ebbe rapporti con pericle. pensò che l’origine materiale di tutte le cose fossero le «omeomerie», semi di tutte le cose, in quantità infnita. al di sopra delle omeomerie pose l’intelligenza divina (il Nous) che muove le omeomerie e ordina tutte le cose. Si vedano diels – Kranz, 59 (Presocratici, Bompiani, pp. 999-1087) e reale, Storia…, vol. ii, 20084, pp. 225-235. 7 dedalo è stato uno dei più validi scultori e architetti della grecia antica. come scultore fu particolarmente apprezzato per

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guaci di talete di mileto e quelli che vennero dopo fino ad anassagora6, tutti o per la maggior parte risulta che si siano tenuti lontani dalle attività politiche? IppIa per quale motivo pensi, Socrate, se non perché non avevano il potere e la capacità di occuparsi con sapienza di tutte e d due le cose, di quelle pubbliche e di quelle private? Socrate allora, per Zeus, dobbiamo dire che sono progredite come tutte le altre arti, e che, a paragone con gli artefci di oggi, quelli di un tempo risultano inesperti, così dobbiamo credere che anche la vostra arte di Sofsti è progredita, e che i sapienti del passato valgono poco rispetto a voi? IppIa parli in modo molto giusto! Socrate allora, ippia, se ora Biante ritornasse fra noi, farebbe ridere rispetto a voi, così come gli scultori di oggi dico- 282A no anche di dedalo7, ossia che, se oggi rifacesse quelle la novità del senso di movimento e mobilità che imprimeva alle sue statue (con le braccia e le gambe sciolte e i piedi in avanti come in atto di camminare), superando nettamente la staticità che era invece un carattere delle opere precedenti. È ben noto anche come costruttore del labirinto a cnosso nell’isola di creta per il minotauro per ordine di minosse. celebre è il mito delle ali costruite per il fglio icaro e delle vicende che ne derivarono. Socrate (che era fglio di uno scultore e che pare abbia da giovane costruito statue) chiamava dedalo «nostro progenitore» (Eutifrone, 10 B sgg.), in quanto era considerato il capostipite degli scultori.

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IppIA mAggIore, 282 B-C

ajf∆ w|n tou[nom∆ e[scen, katagevlaston a]n ei\nai. IPPIAS “esti me;n tau'ta, w\ swvkrate", ou{tw" wJ" su; levgei": ei[wqa mevntoi e[gwge tou;" palaiouv" te kai; protevrou" hJmw'n protevrou" te kai; ma'llon ejgkwmiavzein h] tou;" nu'n, eujlabouvmeno" me;n fqovnon tw'n zwvntwn, fobouvmeno" de; mh'nin tw'n teteleuthkovtwn. SWKRATHS Kalw'" ge suv, w\ Ôippiva, ojnomavzwn te kai; dianoouvmeno", wJ" ejmoi; dokei'". summarturh'sai dev soi e[cw o{ti ajlhqh' levgei", kai; tw'/ o[nti uJmw'n ejpidevdwken hJ tevcnh pro;" to; kai; ta; dhmovs ia pravttein duvnasqai meta; tw'n ijdivwn. Gorgiva" te ga;r ou|to" oJ Leonti'no" sofisth;" deu'ro ajfivketo dhmosiva/ oi[koqen presbeuvwn, wJ" iJkanwvtato" w]n Leontivnwn ta; koina; pravttein, kai; e[n te tw'/ dhvmw/ e[doxen a[rista eijpei'n, kai; ijdiva/ ejpideivxei" poiouvmeno" kai; sunw;n toi'" nevoi" crhvmata polla; hjrgavsato C kai; e[laben ejk th'sde th'" povlew": eij de; bouvlei, oJ hJmevtero" eJtai'ro" provdiko" ou|to" pollavki" me;n kai; a[llote dhmosiva/ B

8 gorgia nato a leontini intorno al 485-480 è uno dei maggiori Sofsti con protagora e a lui di poco inferiore. fu, sotto certi aspetti, un nichilista dal punto di vista ontologico-metafsico, e nello stesso tempo un grande maestro della parola, alla quale diede straordinaria importanza. Si vedano diels – Kranz, 82 (Presocratici, Bompiani, pp. 1593-1663) e reale, Storia…, vol. ii, 20063, pp. 71-78. 9 prodico di ceo, attivo nella seconda metà del V secolo a.c., fu maestro dell’arte del discorso, introducendo una novità originale che stupì i contemporanei, la «sinonimica», ossia la distinzione

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opere per le quali è diventato famoso, sarebbe ridicolo. IppIa le cose, Socrate, stanno proprio così come tu dici. io, però, sono solito elogiare gli antichi, quelli che sono venuti prima di noi, prima ancora e più di quelli di oggi, per difendermi dall’invidia dei vivi e anche per timore dell’ira dei morti.

[In che cosa consistono i progressi fatti dall’arte dei Sofsti] Socrate ippia, tu parli e ragioni bene, mi sembra. posso testi- B moniare che dici il vero, e che, in effetti, la vostra arte ha fatto grandi progressi per quanto riguarda la capacità di esercitare nello stesso tempo affari pubblici insieme a quelli privati. infatti, gorgia da leontini8, il Sofista, venuto qui dalla patria come ambasciatore, come l’uomo più capace tra gli abitanti di leontini di trattare affari pubblici, nell’assemblea diede l’impressione di parlare in modo eccellente. e anche in privato, con le sue declamazioni oratorie e stando insieme con i giovani, guadagnò molti denari in questa città. e se vuoi un altro esempio, ti dirò che il nostro amico pro- C dico9 più volte si è recato in altre città con incarichi dei vari sinonimi nelle loro sfumature di signifcati. È diventato particolarmente famoso il suo apologo Eracle al bivio. Si vedano diels – Kranz, 84 (Presocratici, Bompiani, pp. 1670-1693) e reale, Storia…, vol. ii, 20063, pp. 85-92. Socrate cita prodico spesso.

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IppIA mAggIore, 282 d -e

ajfivketo, ajta;r ta; teleutai'a e[nagco" ajfikovmeno" dhmosiva/ ejk Kevw levgwn t∆ ejn th'/ boulh'/ pavnu hujdokivmhsen kai; ijdiva/ ejpideivxei" poiouvmeno" kai; toi'" nevoi" sunw;n crhvmata e[laben qaumasta; o{sa. tw'n de; palaiw'n ejkeivnwn oujdei;" pwvpote hjxivwsen ajrguvrion misqo;n pravxasqai oujd∆ ejpideivxei" poihvd sasqai ejn pantodapoi'" ajnqrwvpoi" th'" eJautou' sofiva": ou{tw" h\san eujhvqei" kai; ejlelhvqei aujtou;" ajrguvrion wJ" pollou' a[xion ei[h. touvtwn d∆ eJkavtero" plevon ajrguvrion ajpo; sofiva" ei[rgastai h] a[llo" dhmiourgo;" ajf∆ h|stino" tevcnh": kai; e[ti provtero" touvtwn prwtagovra". IPPIAS oujde;n gavr, w\ swvkrate", oi\sqa tw'n kalw'n peri; tou'to. eij ga;r eijdeivh" o{son ajrguvrion ei[rgasmai ejgwv, qaumavsai" a[n: kai; ta; me;n a[lla ejw', ajfikovmeno" dev pote eij" sikelivan, prwtae govrou aujtovqi ejpidhmou'nto" kai; eujdokimou'nto" kai; presbutevrou o[nto" polu; newvtero" w]n ejn ojlivgw/ crovnw/ pavnu plevon h] penthvkonta kai; eJkato;n mna'" hjrgasavmhn, kai; ejx eJnov" ge cwrivou pavnu smikrou', ∆inukou', plevon h] ei[kosi mna'": kai; tou'to ejlqw;n oi[kade fevrwn tw'/ patri; e[dwka, w{ste ejkei'non kai; tou;" a[llou" polivta" qaumavzein te kai; ejkpeplh'cqai. kai; scedovn ti oi\mai ejme; pleivw crhvmata eijrgavsqai h] a[llou" suvnduo ou{stina" bouvlei tw'n sofistw'n.

10

protagora di abdera visse nel V secolo a.c. e fu assai celebre, tra l’altro, per avere ricevuto importanti incarichi da pericle. Scrisse Sulla verità e Ragionamenti demolitori. molto famose divennero soprattutto due sue idee. la prima è quella dell’homo mensura, secondo la quale «l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono». la seconda è quella dell’antilogia, secondo cui «intorno a ogni cosa ci sono due ragionamenti che si contrappongono

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pubblici. da ultimo, giunto da ceo come ambasciatore, parlando nel consiglio, ottenne un grande successo, e in privato, con le sue declamazioni oratorie e stando insieme con i giovani, ricavò straordinarie ricchezze. invece, nessuno dei sapienti del passato ritenne giusto esigere compensi in denaro, né dare saggi oratori della propria sapienza davanti a uomini di ogni tipo. d erano così ingenui, che sfuggiva loro quale grande valore abbia il denaro! ciascuno di questi due, invece, ha ricavato dalla sapienza più denaro che qualsiasi altro artefice, da una qualsiasi altra arte. e, ancor prima di questi, protagora10. IppIa ma allora, Socrate, non conosci nessuna delle cose belle riguardo a questo! infatti, se tu sapessi quanto denaro io ho guadagnato, rimarresti stupefatto. tralascio le altre cose. giunto una volta in Sicilia, quando là soggiornava protagora, e già aveva grande notorie- e tà, ed era più vecchio di me, mentre io ero molto più giovane, in poco tempo ho guadagnato più di centocinquanta mine, e in una sola località molto piccola, inico11, più di venti mine. tornato quindi in patria con tutto questo denaro, lo diedi a mio padre, e così lui per primo e tutti gli altri cittadini si meravigliarono e rimasero sbigottiti. ritengo di aver guadagnato più ricchezze io che due qualsiasi altri Sofisti che tu voglia mettere insieme. fra loro». Si vedano diels – Kranz, 80 (Presocratici, Bompiani, pp. 1549-1589) e reale, Storia…, vol. ii, 20063, pp. 55-68. 11 inico era una antica città greca della Sicilia (menzionata da erodoto, Vi 23-24), la cui posizione è oggi difcilmente collocabile.

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IppIA mAggIore, 283 A-C

SWKRATHS Kalovn ge, w\ Ôippiva, levgei" kai; mevga tekmhvrion 283A sofiva" th'" te seautou' kai; tw'n nu'n ajnqrwvpwn pro;" tou;" ajrcaivou" o{son diafevrousi. tw'n ga;r protevrwn ªperi; ∆anaxagovrou levgetaiº pollh; ajmaqiva kata; to;n so;n lovgon. toujnantivon ga;r ∆anaxagovra/ fasi; sumbh'nai h] uJmi'n: kataleifqevntwn ga;r aujtw'/ pollw'n crhmavtwn katamelh'sai kai; ajpolevsai pavnta < ou{tw" aujto;n ajnovhta sofivzesqai < levgousi de; kai; peri; a[llwn tw'n palaiw'n e{tera toiau'ta. tou'to me;n ou\n moi dokei'" kalo;n tekmhvrion ajpofaivnein peri; sofiva" tw'n B nu'n pro;" tou;" protevrou", kai; polloi'" sundokei' o{ti to;n sofo;n aujto;n auJtw'/ mavlista dei' sofo;n ei\nai: touvtou d∆ o{ro" ejsti;n a[ra, o}" a]n plei'ston ajrguvrion ejrgavshtai. kai; tau'ta me;n iJkanw'" ejcevtw: tovde dev moi eijpev, su; aujto;" povqen plei'ston ajrguvrion hjrgavsw tw'n povlewn eij" a}" ajfiknh'/… h] dh'lon o{ti ejk Lakedaivmono", oi|per kai; pleistavki" ajfi'xai… IPPIAS ouj ma; to;n Diva, w\ swvkrate". SWKRATHS pw'" fhv/"… ajll∆ ejlavciston…

C

IPPIAS oujde;n me;n ou\n to; paravpan pwvpote.

12

Vedasi sopra, la nota 6. per comprendere l’ironica e pungente ironia di Socrate, si legga il passo di platone dal Protagora (342 a-e), riportato sopra alla nota 3. 13

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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Socrate ippia, mi fornisci una bella testimonianza della tua sa- 283A pienza e della diferenza che c’è tra voi uomini di oggi e i sapienti antichi. Stando a quello che hai detto, l’ignoranza di quelli del passato a questo riguardo era grande! dicono che ad anassagora12 sia successo il contrario di quello che è successo invece a voi. infatti, non si curò delle molte ricchezze che ricevette in eredità e le perse tutte quante, tanto insensato era il modo con cui usava la sua sapienza! Si narrano, poi, altre cose di questo genere anche di altri sapienti del passato. perciò mi sembra che tu dia una bella testimonianza sulla sapienza dei contemporanei rispetto a quella degli antichi. È, B infatti, una convinzione di molti che il sapiente debba essere sapiente soprattutto a favore di se stesso, e questo signifca che deve far denaro il più possibile. Queste cose che sono state dette sono sufcienti. dimmi invece: in quale delle città in cui sei andato hai ricavato più denaro? o non è evidente che si tratta di Sparta, dove tu ti sei recato il maggior numero di volte?

[A Sparta l’arte sofstica di Ippia non ha avuto successo] IppIa proprio no, per Zeus, Socrate! Socrate come dici? ma lì hai guadagnato di meno?13 IppIa non ho guadagnato niente, assolutamente niente!

C

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IppIA mAggIore, 283 d

SWKRATHS Tevra" levgei" kai; qaumastovn, w\ Ôippiva. kaiv moi eijpev: povteron hJ sofiva hJ sh; oujc oi{a tou;" sunovnta" aujth'/ kai; manqavnonta" eij" ajreth;n beltivou" poiei'n… IPPIAS Kai; poluv ge, w\ swvkrate". SWKRATHS ∆alla; tou;" me;n ∆inukivnwn uJei'" oi|ov" te h\sqa ajmeivnou" poih'sai, tou;" de; spartiatw'n hjdunavtei"… IPPIAS pollou' ge devw. SWKRATHS ∆alla; dh'ta sikeliw'tai me;n ejpiqumou's in ajmeivnou" d givgnesqai, Lakedaimovnioi d∆ ou[… IPPIAS pavntw" gev pou, w\ swvkrate", kai; Lakedaimovnioi. SWKRATHS «ar∆ ou\n crhmavtwn ejndeiva/ e[feugon th;n sh;n oJmilivan… IPPIAS ouj dh'ta, ejpei; iJkana; aujtoi'" ejstin. SWKRATHS Tiv dh't∆ a]n ei[h o{ti ejpiqumou'nte" kai; e[conte" crhvmata, kai; sou' dunamevnou ta; mevgista aujtou;" wjfelei'n, ouj

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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Socrate dici una cosa straordinaria e stupefacente, ippia! dimmi, allora: la tua sapienza non è forse capace di rendere più virtuosi coloro che si impegnano in essa e la apprendono? IppIa e anche molto, Socrate! Socrate dunque tu sei stato capace di rendere migliori i fgli degli inici, e non quelli degli Spartani? IppIa Sei molto lontano dalla verità. Socrate allora gli uomini della Sicilia desiderano che i loro fgli diventino migliori, mentre gli Spartani no. IppIa lo desiderano, e molto, Socrate, anche gli Spartani! Socrate evitavano forse di aver rapporti con te per mancanza di denaro? IppIa proprio no, ne hanno abbastanza. Socrate allora, qual è la ragione per cui, pur desiderando questo e avendo denaro, e nonostante tu fossi in grado di procurare loro vantaggi assai grandi, non hanno voluto

d

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IppIA mAggIore, 283 e - 284 A

plhvrh se ajrgurivou ajpevpemyan… ajll∆ ejkei'no, mw'n mh; Lakedaimovnioi sou' bevltion a]n paideuvseian tou;" auJtw'n pai'da"… h] tou'to fw'men ou{tw, kai; su; sugcwrei'"… IPPIAS e

oujd∆ oJpwstiou'n. SWKRATHS povteron ou\n tou;" nevou" oujc oi|ov" t∆ h\sqa peivqein ejn Lakedaivmoni wJ" soi; sunovnte" plevon a]n eij" ajreth;n ejpididoi'en h] toi'" eJautw'n, h] tou;" ejkeivnwn patevra" hjdunavtei" peivqein o{ti soi; crh; paradidovnai ma'llon h] aujtou;" ejpimelei'sqai, ei[per ti tw'n uJevwn khvdontai… ouj gavr pou ejfqovnoun ge toi'" eJautw'n paisi;n wJ" beltivstoi" genevsqai. IPPIAS oujk oi\mai e[gwge fqonei'n. SWKRATHS ∆alla; mh;n eu[nomov" g∆ hJ Lakedaivmwn. IPPIAS

284A

pw'" ga;r ou[… SWKRATHS ∆en dev ge tai'" eujnovmoi" povlesin timiwvtaton hJ ajrethv. IPPIAS pavnu ge.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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rimandarti in patria carico di denaro? la ragione non è forse che gli Spartani ritengono di essere capaci di educare i loro fgli meglio di te? potremo dire così, e tu sei d’accordo? IppIa niente afatto!

e

Socrate forse a Sparta non sei stato capace di convincere i giovani che, stando con te, sarebbero diventati più virtuosi di quanto non lo potessero diventare frequentando i loro concittadini, o non sei riuscito a convincere i loro padri che bisognava che afdassero a te i fgli, se avevano cura di essi, più che occuparsene loro stessi? non avranno certo voluto impedire ai loro fgli di diventare migliori il più possibile. IppIa non lo credo davvero che lo impedissero per invidia. Socrate ma Sparta ha buone leggi. IppIa e come no?

284A

Socrate e nelle città che hanno buone leggi la virtù ha pregio in sommo grado. IppIa certamente!

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IppIA mAggIore, 284 B

SWKRATHS su; de; tauvthn paradidovnai a[llw/ kavllist∆ ajnqrwvpwn ejpivstasai. IPPIAS Kai; poluv ge, w\ swvkrate". SWKRATHS Ôo ou\n kavllist∆ ejpistavmeno" iJppikh;n paradidovnai a\r∆ oujk a]n ejn Qettaliva/ th'" Ôellavdo" mavlista timw'/to kai; plei'sta crhvmata lambavnoi, kai; a[lloqi o{pou tou'to spoudavzoito… IPPIAS eijkov" ge. SWKRATHS Ôo dh; dunavmeno" paradidovnai ta; pleivstou a[xia maqhvmata B eij" ajreth;n oujk ejn Lakedaivmoni mavlista timhvsetai kai; plei'sta ejrgavsetai crhvmata, a]n bouvlhtai, kai; ejn a[llh/ povlei h{ti" tw'n Ôellhnivdwn eujnomei'tai… ajll∆ ejn sikeliva/, w\ eJtai're, oi[ei ma'llon kai; ejn ∆inukw'/… tau'ta peiqwvmeqa, w\ Ôippiva… eja;n ga;r su; keleuvh/", peistevon.

14

in grecia i tessali erano particolarmente famosi per l’arte ippica. platone nel Menone (70 a-B) scrive: «menone, in passato i tessali erano famosi fra i greci ed erano ammirati per l’arte del cavalcare …»; Leggi, i 625 d: «i tessali si servono per lo più dei cavalli, noi ci spostiamo a forza di gambe». 15 i Siciliani da platone erano considerati di facili costumi. nella Repubblica, (iii 404 d) parla dei Siciliani come particolarmente legati al cibo: «caro mio, a sentirti approvare queste regole

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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Socrate e tu sai comunicare la virtù ad altri meglio di tutti. IppIa e molto meglio, Socrate! Socrate ma chi sa insegnare l’arte ippica nel modo migliore, non sarebbe apprezzato in sommo grado in tessaglia14 più che in ogni altra parte della grecia, e non guadagnerebbe grande quantità di denaro, qui e in qualunque altro luogo in cui l’arte ippica sia tenuta in gran conto? IppIa È evidente! Socrate allora, chi è capace di comunicare insegnamenti che sono del più grande valore per la virtù, non godrà del più grande onore a Sparta, e se lo vorrà vi guadagnerà B moltissimo denaro, se lo vorrà, e così in qualsiasi altra città della grecia ben governata? o credi, carissimo, che questo gli sarà più possibile in Sicilia15 e a inico? dobbiamo credere a questo, ippia? Se tu lo comandi, bisognerà crederci16.

non si direbbe che sei un grande estimatore della cucina siracusana e dei sofsticati manicaretti di Sicilia». nella lettera Vii (336 d) giudica severamente il «modello di vita dei Siciliani». 16 È, questa, una assai simpatica battuta ironica. infatti, nel corso del dialogo non sarà afatto ippia a comandare, ma Socrate, mediante il suo sosia.

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IppIA mAggIore, 284 C-d

IPPIAS ouj ga;r pavtrion, w\ swvkrate", Lakedaimonivoi" kinei'n tou;" novmou", oujde; para; ta; eijwqovta paideuvein tou;" uJei'". SWKRATHS pw'" levgei"… Lakedaimonivoi" ouj C pravttein ajll∆ ejxamartavnein…

pavtrion

ojrqw'"

IPPIAS oujk a]n faivhn e[gwge, w\ swvkrate". SWKRATHS oujkou'n ojrqw'" a]n pravttoien bevltion ajlla; mh; cei'ron paideuvonte" tou;" nevou"… IPPIAS ∆orqw'": ajlla; xenikh;n paivdeusin ouj novmimon aujtoi'" paideuvein, ejpei; eu\ i[sqi, ei[per ti" a[llo" ejkei'qen crhvmata e[laben pwvpote ejpi; paideuvsei, kai; ejme; a]n labei'n polu; mavlista < caivrousi gou'n ajkouvonte" ejmou' kai; ejpainou's in < ajll∆, o} levgw, ouj novmo".

d

SWKRATHS novmon de; levgei", w\ Ôippiva, blavbhn povlew" ei\nai h] wjfelivan… IPPIAS Tivqetai me;n oi\mai wjfeliva" e{neka, ejnivote de; kai; blavptei, eja;n kakw'" teqh'/ oJ novmo".

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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[Secondo Ippia a Sparta l’arte sofstica non ha successo perché in contrasto con le leggi patrie] IppIa per gli Spartani, Socrate, non è conforme al costume patrio modifcare le leggi, e neppure educare i fgli contrariamente ai costumi. Socrate come dici? per gli Spartani non è costume patrio agire in modo retto, ma sbagliare? C IppIa non lo direi proprio, Socrate. Socrate allora, non agirebbero rettamente, educando i loro fgli in maniera migliore e non peggiore? IppIa agirebbero rettamente, sì. però, è contro la legge, per loro, educare con criteri stranieri. infatti, devi sapere che, se mai qualche altro, con l’educazione, fosse riuscito a guadagnare là ricchezze, io ne avrei guadagnato molte di più. in efetti, gli Spartani nell’ascoltarmi si dilettano e mi lodano. però, torno a dirlo, non così la legge. Socrate tu, ippia, dici che la legge è un bene per una città o un male? d IppIa la legge, credo, si stabilisce per vantaggio della città, ma talvolta è di danno, quando è fatta male.

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IppIA mAggIore, 284 e

SWKRATHS Tiv dev… oujc wJ" ajgaqo;n mevgiston povlei tivqentai to;n novmon oiJ tiqevmenoi… kai; a[neu touvtou meta; eujnomiva" ajduvnaton oijkei'n… IPPIAS ∆alhqh' levgei". SWKRATHS ”otan a[ra ajgaqou' aJmavrtwsin oiJ ejpiceirou'nte" tou;" e novmou" tiqevnai, nomivmou te kai; novmou hJmarthvkasin: h] pw'" levgei"… IPPIAS Tw'/ me;n ajkribei' lovgw/, w\ swvkrate", ou{tw" e[cei: ouj mevntoi eijwvqasin a{nqrwpoi ojnomavzein ou{tw. SWKRATHS povteron, w\ Ôippiva, oiJ eijdovte" h] oiJ mh; eijdovte"… IPPIAS oiJ polloiv. SWKRATHS eijs i;n d∆ ou|toi oiJ eijdovte" tajlhqev", oiJ polloiv… IPPIAS ouj dh'ta. SWKRATHS ∆alla; mhvn pou oi{ g∆ eijdovte" to; wjfelimwvteron tou'

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l’eunomia indica il governo ben ordinato di una città fondato su buone leggi. erano celebri le composizioni poetiche di tirteo e Solone, che avevano il titolo appunto di Eunomia.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

163

Socrate e allora? i legislatori, quando stabiliscono una legge, non la stabiliscono forse per il bene più grande per la città? e non a caso, senza di essa, è impossibile governare una 17 città con ordine? IppIa dici il vero. Socrate Quando, dunque, coloro che si impegnano a stabilire le leggi falliscono nel raggiungere il bene, fanno uno sbaglio per quanto riguarda il diritto e la legge. o come dici? e IppIa per dirla in modo giusto, Socrate, è proprio così. però gli uomini, di solito, non parlano così. Socrate Quelli che sanno, o quelli che non sanno, ippia? IppIa i più. Socrate ma i più sono forse coloro che conoscono la verità? IppIa certo che no. Socrate ma coloro che sanno non ritengono forse, secondo verità, che ciò che è più vantaggioso è più conforme alla legge

164

IppIA mAggIore, 285 A

ajnwfelestevrou nomimwvteron hJgou'ntai th'/ ajlhqeiva/ pa's in ajnqrwvpoi": h] ouj sugcwrei'"… IPPIAS naiv, sugcwrw', o{ti ge th'/ ajlhqeiva/. SWKRATHS oujkou'n e[stin te kai; e[cei ou{tw" wJ" oiJ eijdovte" hJgou'ntai… IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS “esti dev ge Lakedaimonivoi", wJ" su; fhv/", wjfelimwv285A teron th;n uJpo; sou' paivdeusin, xenikh;n ou\san, paideuvesqai ma'llon h] th;n ejpicwrivan. IPPIAS Kai; ajlhqh' ge levgw. SWKRATHS Kai; ga;r o{ti ta; wjfelimwvtera nomimwvterav ejsti, kai; tou'to levgei", w\ Ôippiva… IPPIAS ei\pon gavr. SWKRATHS Kata; to;n so;n a[ra lovgon toi'" Lakedaimonivwn uJevs in uJpo; Ôippivou paideuvesqai nomimwvterovn ejstin, uJpo; de; tw'n patevrwn ajnomwvteron, ei[per tw'/ o[nti uJpo; sou' pleivw wjfelhqhvsontai.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

165

e per tutti gli uomini, rispetto a ciò che è più dannoso? o non sei d’accordo? IppIa Sì, sono d’accordo che sia così, almeno per la verità. Socrate dunque, le cose stanno veramente così, come ritengono coloro che sanno? IppIa Sicuramente. Socrate allora, come tu dici, sarebbe più vantaggioso per gli Spartani essere educati con il tuo metodo, anche se è 285A straniero, invece che con il loro tradizionale. IppIa e dico il vero. Socrate e dici anche, ippia, che le cose più vantaggiose sono quelle più conformi alle leggi? IppIa l’ho detto, infatti. Socrate allora, stando al tuo ragionamento, per i figli degli Spartani è più conforme alle leggi essere educati da ippia, e invece è più contrario alle leggi essere educati dai padri, se da te potranno in realtà ricevere maggiori vantaggi.

166

B

IppIA mAggIore, 285 B-C

IPPIAS ∆alla; mh;n wjfelhqhvsontai, w\ swvkrate". SWKRATHS paranomou's in a[ra Lakedai movnioi ouj didovnte" soi crusivon kai; ejpitrevponte" tou;" auJtw'n uJei'". IPPIAS sugcwrw' tau'ta: dokei'" gavr moi to;n lovgon pro;" ejmou' levgein, kai; oujdevn me dei' aujtw'/ ejnantiou'sqai.

SWKRATHS paranovmou" me;n dhv, w\ eJtai're, tou;" Lavkwna" euJrivskomen, kai; tau't∆ eij" ta; mevgista, tou;" nomimwtavtou" dokou'nta" ei\nai. ejpainou's i de; dhv se pro;" qew'n, w\ Ôippiva, kai; caivrousin ajkouvonte" poi'a… h] dh'lon dh; o{ti ejkei'na a} su; kavllista C ejpivstasai, ta; peri; ta; a[stra te kai; ta; oujravnia pavqh… IPPIAS oujd∆ oJpwstiou'n: tau'tav ge oujd∆ ajnevcontai. SWKRATHS ∆alla; peri; gewmetriva" ti caivrousin ajkouvonte"…

18

ippia si occupò con competenza di geometria, e scoprì la cosiddetta «curva quadratrice», occupandosi della quadratura del cerchio. cf. 86 B 21 diels – Kranz, e in particolare il commento dettagliato che di questo frammento tratto da proclo fa mario Untersteiner nella sua edizione di Sofsti, Testimonianze e frammenti, di cui abbiamo curato la riedizione per la collana «testi a fronte», Bompiani, milano 2009, pp. 502-507.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

167

IppIa ma riceveranno sicuramente maggiori vantaggi, Socrate!

B

Socrate allora, gli Spartani violano le leggi, non ofrendoti denaro e non afdandoti i loro fgli. IppIa Sono d’accordo su questo; mi sembra, infatti, che il tuo discorso sia a mio favore, e non c’è bisogno che mi opponga a esso.

[Agli Spartani non interessano i discorsi sull’astronomia, sulla matematica e sulle cose delle quali Ippia è esperto] Socrate allora, gli Spartani, caro amico, ci sembrano contrari alle leggi, e proprio per quanto riguarda cose della massima importanza, mentre sembrano essere i più fedeli alle leggi. però ti lodano, per gli dèi, ippia, e se la godono nell’ascoltarti, ma su quali cose? o non è evidente che sono quelle cose che tu conosci nel modo migliore, ossia quelle che riguardano gli astri e i feno- C meni celesti? IppIa per niente! Questi discorsi non li sopportano nemmeno. Socrate allora se la godono nel sentirti parlare di qualcosa di geometria?18

168

IppIA mAggIore, 285 d -e

IPPIAS oujdamw'", ejpei; oujd∆ ajriqmei'n ejkeivnwn ge, wJ" e[po" eijpei'n, polloi; ejpivstantai. SWKRATHS pollou' a[ra devousin periv ge logismw'n ajnevcesqaiv sou ejpideiknumevnou. IPPIAS pollou' mevntoi nh; Diva.

d

SWKRATHS ∆alla; dh'ta ejkei'na a} su; ajkribevstata ejpivstasai ajnqrwvpwn diairei'n, periv te grammavtwn dunavmew" kai; sullabw'n kai; rJuqmw'n kai; aJrmoniw'n… IPPIAS poivwn, wjgaqev, aJrmoniw'n kai; grammavtwn… SWKRATHS ∆alla; tiv mhvn ejstin a} hJdevw" sou ajkrow'ntai kai; ejpainou's in… aujtov" moi eijpev, ejpeidh; ejgw; oujc euJrivskw.

IPPIAS peri; tw'n genw'n, w\ swvkrate", tw'n te hJrwvwn kai; tw'n ajnqrwvpwn, kai; tw'n katoikivsewn, wJ" to; ajrcai'on ejktivsqhsan aiJ povlei", kai; sullhvbdhn pavsh" th'" ajrcaiologiva" h{dista e ajkrow'ntai, w{st∆ e[gwge di∆ aujtou;" hjnavgkasmai ejkmemaqhkevnai te kai; ejkmemelethkevnai pavnta ta; toiau'ta.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

169

IppIa niente afatto, poiché, si può dire, alcuni di loro non sanno neppure fare i conti. Socrate dunque, sono ben lontani dal sopportare le tue declamazioni sui calcoli! IppIa davvero molto lontani, per Zeus! Socrate ma allora, si compiacciono di quelle distinzioni assai precise che tu sai fare più di tutti sul valore delle lettere, d delle sillabe, dei ritmi, delle armonie? IppIa ma, mio caro, quali armonie e quali lettere? Socrate allora, quali sono le cose che ascoltano volentieri da te, e per le quali ti lodano? dimmelo tu stesso, dato che io non riesco a trovarle.

[I tipi di discorsi che gli Spartani gradiscono] IppIa agli Spartani, Socrate, piacciono i discorsi che riguardano le stirpi degli eroi e degli uomini, le fondazioni, ossia come anticamente sono state fondate le città. insomma, ascoltano volentieri ogni racconto sulle cose dei tempi antichi, tanto che io, per causa loro, sono co- e stretto a esaminare e apprendere tutte queste cose.

170

IppIA mAggIore, 286 A-B

SWKRATHS nai; ma; Div∆, w\ Ôippiva, hujtuvchkav" ge o{ti Lakedaimovnioi ouj caivrousin a[n ti" aujtoi'" ajpo; sovlwno" tou;" a[rconta" tou;" hJmetevrou" katalevgh/: eij de; mhv, pravgmat∆ a]n ei\ce" ejkmanqavnwn. IPPIAS povqen, w\ swvkrate"… a{pax ojnovmata ajpomnhmoneuvsw.

ajkouvsa"

penthvkonta

SWKRATHS ∆alhqh' levgei", ajll∆ ejgw; oujk ejnenovhsa o{ti to; mnhmoniko;n e[cei": w{st∆ ejnnow' o{ti eijkovtw" soi caivrousin 286A oiJ Lakedaimovnioi a{te polla; eijdovti, kai; crw'ntai w{sper tai'" presbuvtisin oiJ pai'de" pro;" to; hJdevw" muqologh'sai. IPPIAS Kai; nai; ma; Div∆, w\ swvkrate", periv ge ejpithdeumavtwn kalw'n kai; e[nagco" aujtovqi hujdokivmhsa diexiw;n a} crh; to;n nevon ejpithdeuvein. e[sti gavr moi peri; aujtw'n pagkavlw" lovgo" sugkeivmeno", kai; a[llw" eu\ diakeivmeno" kai; toi'" ojnovmasi: provschma dev moiv ejsti kai; ajrch; toiavde ti" tou' lovgou. ejpeidh; hJ Troiva h{lw, levgei oJ lovgo" o{ti neoptovlemo" B nevstora e[roito poi'av ejsti kala; ejpithdeuvmata, a} a[n ti" 19 Solone di atene, vissuto fra il Vii e Vi secolo a.c., fu un uomo politico, grande legislatore e poeta. È considerato anche uno dei Sette Sapienti. i detti a lui attribuiti si trovano in diels – Kranz, 10 ii, 1-17 (Presocratici, Bompiani, p. 137) e come primo il celebre «nulla di troppo», tipico dello spirito greco. 20 era probabilmente il Dialogo troiano di ippia. cfr. diels – Kranz, 86 a 2; a 9; B 5 (Presocratici, Bompiani, pp. 1707) 21 neottolemo è un personaggio mitologico, fglio di achille e di deidamia, nato e cresciuto a Sciro. partecipò alla guerra di troia, dopo la morte del padre, e uccise priamo. 22 nestore è un personaggio mitico greco, fglio di neleo e di cloride. fu il saggio e assai apprezzato consigliere di agamenno-

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

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Socrate per Zeus, ippia, sei fortunato che gli Spartani non si dilettino di sentire l’elenco degli arconti a partire da Solone19; se no, avresti dovuto imparare davvero tante cose. IppIa perché mai, Socrate? io, infatti, dopo aver sentito una volta sola cinquanta nomi, so ripeterli tutti a memoria . Socrate È vero, non pensavo che tu possiedi l’arte di imparare a memoria. comprendo come mai gli Spartani si dilet- 286A tino con te che sai molte cose, e vengano da te come i fanciulli vanno dalle vecchie, per sentire racconti in maniera piacevole. IppIa Sì, per Zeus, Socrate! di recente ho riscosso un grande successo, parlando delle belle occupazioni, e mostrando a quali un giovane debba applicarsi. infatti, su queste cose ho composto un bellissimo discorso ben congegnato, e tra l’altro anche con buona disposizione delle parole20. ecco la prefazione e l’inizio del discorso. dopo che troia fu presa, viene detto che neottolemo21 domandò a nestore22 quali fossero le belle B

ne alla guerra di troia, ormai assai vecchio. nell’Iliade, i 247 sgg., fra l’altro si dice di lui: «… fra loro nestore / dalla dolce parola s’alzò, l’arguto oratore dei pilî: / dalla sua lingua anche più dolce del miele la sua parola scorreva. già sotto di lui due generazioni d’uomini mortali / s’erano estinte, che nacquero e crebbero un tempo con lui / a pilo divina, e sopra la terza regnava: a loro, saggio pensando, egli parlò e disse…».

172

IppIA mAggIore, 286 C

ejpithdeuvsa" nevo" w]n eujdokimwvtato" gevnoito: meta; tau'ta dh; levgwn ejsti;n oJ nevstwr kai; uJpotiqevmeno" aujtw'/ pavmpolla novmima kai; pavgkala. tou'ton dh; kai; ejkei' ejpedeixavmhn kai; ejnqavde mevllw ejpideiknuvnai eij" trivthn hJmevran, ejn tw'/ Feidostravtou didaskaleivw/, kai; a[lla polla; kai; a[xia ajkoh'": ejdehvqh gavr mou eu[diko" oJ ∆aphmavntou. ajll∆ o{pw" parevsh/ C kai; aujto;" kai; a[llou" a[xei", oi{tine" iJkanoi; ajkouvsante" kri'nai ta; legovmena.

prologo. InContro dI SoCrAte Con IppIA

173

occupazioni, coltivando le quali un giovane sarebbe diventato famoso. dopo queste cose, parla nestore, proponendo molti consigli e molto belli. Ho recitato questo discorso a Sparta e mi accingo a ripeterlo anche qui fra due giorni nella scuola di fidostrato23, e anche molti altri discorsi degni di essere ascoltati. me li ha chiesti eudico, fglio di apemanto24. ma fa in modo di essere presente anche tu, e conduci tu stesso anche al- C tri capaci di giudicare le cose che verranno dette, dopo averle ascoltate

23

fidostrato è un maestro che dirigeva una scuola, a noi peraltro sconosciuto. 24 eudico fglio di apemanto è uno dei protagonisti dell’Ippia minore, che invita Socrate a discutere con ippia, 363 a-364 B, e poi a proseguire la discussione 373 a-c.

parte prima poSiZione del proBlema SUll’eSSenZa del Bello e le tre definiZioni propoSte da ippia

SWKRATHS ∆alla; tau't∆ e[stai, a]n qeo;" qevlh/, w\ Ôippiva. nuni; mevntoi bracuv tiv moi peri; aujtou' ajpovkrinai: kai; gavr me eij" kalo;n uJpevmnhsa". e[nagco" gavr ti", w\ a[riste, eij" ajporivan me katevbalen ejn lovgoi" tisi; ta; me;n yevgonta wJ" aijscrav, ta; d∆ ejpainou'nta wJ" kalav, ou{tw pw" ejrovmeno" kai; mavla uJbristikw'": “povqen dev moi suv,” e[fh, “w\ swvkrate", oi\sqa 286 d oJpoi'a kala; kai; aijscrav… ejpei; fevre, e[coi" a]n eijpei'n tiv ejsti to; kalovn…” kai; ejgw; dia; th;n ejmh;n faulovthta hjporouvmhn te kai; oujk ei\con aujtw'/ kata; trovpon ajpokrivnasqai: ajpiw;n ou\n ejk th'" sunousiva" ejmautw'/ te wjrgizovmhn kai; wjneivdizon, kai; hjpeivloun, oJpovte prw'ton uJmw'n tw/ tw'n sofw'n ejntuvcoimi, ajkouvsa" kai; maqw;n kai; ejkmelethvsa" ijevnai pavlin ejpi; to;n ejrwthvsanta, ajnamacouvmeno" to;n lovgon. nu'n ou\n, o} levgw, eij" kalo;n h{kei", kaiv me divdaxon iJkanw'" aujto; to; kalo;n o{ti

25 in greco c’è l’espressione eij~ kalovn, che alla lettera suona: «nel momento bello», con evidente richiamo all’idea del bello, su cui si impernia il dialogo (per il greco bello e buono coincidono). in italiano non c’è questa precisa espressione, ma la corrispondente: «al momento buono», «al momento giusto». Qui rimaniamo fedeli al testo greco, in quanto l’espressione è usata con un gioco ironico che rinvia al tema del bello.

[Introduzione di un «personaggio anonimo» come maschera drammaturgica di Socrate e posizione del problema del bello]

Socrate Sarà così, se un dio vuole, ippia. ora, però, rispondimi in breve su una cosa che mi hai fatto venire in mente nel momento bello25. di recente, carissimo, un tale26, mi ha fatto cadere in difficoltà in una discussione, nella quale io biasimavo alcune cose come brutte e ne lodavo alcune altre come belle, facendomi all’incirca questa domanda in maniera assai arrogante e dicendomi: «come fai tu, Socrate, a sapere quali cose sono belle e 286 d quali brutte? ebbene, saresti in grado di dirmi che cosa è il bello?»27. e io, per la mia piccolezza, sono caduto in difficoltà, e non sono stato capace di rispondergli nel modo dovuto. Uscendo poi dalla riunione, me la prendevo con me stesso, mi rimproveravo e mi minacciavo, e mi ripromettevo, non appena avessi incontrato uno di voi sapienti, dopo aver ascoltato, imparato e riflettuto, di ritornare da colui che mi aveva interrogato, per controbattere il suo discorso. ora, dunque, come dico, giungi proprio in un momento bello28. Spiegami

26

Quel tale, di cui qui si fa cenno, è l’alter ego, ossia il sosia di Socrate, che si imporrà come protagonista principale del dialogo, per i motivi che spieghiamo nel Saggio intr., cap. iii, § 1. 27 È la domanda-chiave da cui parte il dialogo: tiv ejsti to; kalovn, che verrà trattata a fondo, alla quale ippia non sa rispondere, e che discutiamo in modo dettagliato nel Saggio intr., cap. iV, passim. 28 Si veda quanto diciamo sopra, alla nota 25.

178

e

IppIA mAggIore, 286 e - 287 A

ejstiv, kai; peirw' moi o{ti mavlista ajkribw'" eijpei'n ajpokrinovmeno", mh; ejxelegcqei;" to; deuvteron au\qi" gevlwta o[flw. oi\sqa ga;r dhvpou safw'", kai; smikrovn pou tou't∆ a]n ei[h mavqhma w|n su; tw'n pollw'n ejpivstasai. IPPIAS smikro;n mevntoi nh; Div∆, w\ swvkrate", kai; oujdeno;" a[xion, wJ" e[po" eijpei'n. SWKRATHS ÔRa/divw" a[ra maqhvsomai kai; oujdeiv" me ejxelevgxei e[ti.

IPPIAS oujdei;" mevntoi: fau'lon ga;r a]n ei[h to; ejmo;n pra'gma 287A kai; ijdiwtikovn. SWKRATHS eu\ ge nh; th;n ”Hran levgei", w\ Ôippiva, eij ceirwsovmeqa to;n a[ndra. ajta;r mhv ti kwluvw mimouvmeno" ejgw; ejkei'non, eja;n sou' ajpokrinomevnou ajntilambavnwmai tw'n lovgwn, i{na o{ti mavlistav me ejkmelethvsh/"… scedo;n gavr ti e[mpeirov" eijmi tw'n ajntilhvyewn. eij ou\n mhv tiv soi diafevrei, bouvlomai ajntilambavnesqai, i{n∆ ejrrwmenevsteron mavqw.

29

Si noti la forte ironia con cui platone presenta la hybris di ippia, che in realtà si dimostrerà, proprio all’opposto, un incompetente. 30 Nell’Ippia minore (372 a-c) questo concetto viene chiarito molto bene nel modo che segue: « Vedi, ippia, che dico il vero, quando afermo che sono insistente nel fare domande ai sapienti? e si dà il caso che io abbia solo questo bene, mentre in tutte le altre cose valgo ben poco. infatti, sbaglio nel comprendere come stanno le cose, e non so come siano. Una prova sufciente di questo è che, quando mi trovo con qualcuno di voi che avete una grande fama per la sapienza, e della quale sapienza sono testimoni tutti i

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

179

in modo conveniente che cosa è il bello in sé, e cerca e di rispondermi parlandomi nella maniera più precisa, perché non venga confutato per la seconda volta, e non mi renda di nuovo ridicolo. tu, infatti, lo sai bene, e questa non sarebbe se non una piccola conoscenza fra le molte che hai. IppIa davvero piccola, per Zeus, Socrate, e di nessuna importanza, per così dire. Socrate allora, imparerò con facilità, ippia, e nessuno potrà più confutarmi. IppIa nessuno, certo. altrimenti, il mio insegnamento sarebbe 287A di scarso valore e da incompetenti29.

[prima defnizione di Ippia: il bello è una bella ragazza] Socrate per era, dici bene, ippia, se riusciremo a vincere quell’uomo! ma non ti sarò di ostacolo, se, imitando quel tale, mentre tu mi rispondi, faccio obiezioni a quello che dici, in modo che tu mi istruisca quanto più è possibile? infatti, io ho una certa esperienza nel fare obiezioni. allora, se non ti dispiace, vorrei fare obiezioni al tuo discorso, per imparare nella maniera più consistente possibile30.

180

IppIA mAggIore, 287 B-C

IPPIAS ∆all∆ ajntilambavnou. kai; gavr, o} nundh; ei\pon, ouj B mevga ejsti; to; ejrwvthma, ajlla; kai; polu; touvtou calepwvtera a]n ajpokrivnasqai ejgwv se didavxaimi, w{ste mhdevna ajnqrwvpwn duvnasqaiv se ejxelevgcein. SWKRATHS Feu' wJ" eu\ levgei": ajll∆ a[g∆, ejpeidh; kai; su; keleuvei", fevre o{ti mavlista ejkei'no" genovmeno" peirw'maiv se ejrwta'n. eij ga;r dh; aujtw'/ to;n lovgon tou'ton ejpideivxai" o}n fhv/", to;n peri; tw'n kalw'n ejpithdeumavtwn, ajkouvsa", ejpeidh; pauvsaio levgwn, e[roit∆ a]n ouj peri; a[llou provteron h] peri; tou' kalou' < e[qo" C gavr ti tou't∆ e[cei < kai; ei[poi a[n: ««W xevne ∆Hlei'e, a\r∆ ouj mdikaiosuvnh/ divkaioiv eijs in oiJ divkaioi…» ajpovkrinai dhv, w\ Ôippiva, wJ" ejkeivnou ejrwtw'nto". IPPIAS ∆apokrinou'mai o{ti dikaiosuvnh/. SWKRATHS «oujkou'n e[sti ti tou'to, hJ dikaiosuvnh…» IPPIAS pavnu ge.

greci, sembro uno che non sa nulla. infatti, mi pare di non essere d’accordo con voi, per così dire, su nulla. e quale prova di ignoranza più grande c’è che trovarsi in dissenso con uomini sapienti? io ho questo unico bene straordinario che mi salva: non mi vergogno, infatti, di imparare, ma faccio domande e sono molto grato a chi mi dà risposte, e non ho mai privato nessuno della mia riconoscenza. né mai ho negato di aver appreso qualcosa da altri, presentando me stesso come scopritore di quello che avevo appreso.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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IppIa fa’ pure obiezioni! infatti, come prima dicevo, la domanda non è gran cosa, e io potrei insegnarti a rispondere su B cose molto più difcili di questa, in modo che nessuno degli uomini possa confutarti31. Socrate oh, come parli bene! allora, poiché tu me lo comandi, io cercherò di interrogarti, cercando di diventare quell’uomo, quanto più è possibile. Se tu gli recitassi quel discorso, cui facevi riferimento, sulle belle occupazioni, dopo averlo ascoltato, subito dopo che tu abbia smesso di parlare, egli non ti farebbe domande su altro prima che sul bello, dato che ha questa abitudine, C e direbbe: «Straniero di elide, i giusti non sono giusti per la giustizia?». rispondimi, ippia, come se fosse lui a interrogarti32. IppIa ti risponderò che lo sono per la giustizia. Socrate dunque, la giustizia è un qualcosa? IppIa certamente.

elogio, invece, come sapiente colui che mi ha insegnato, rivelando quali sono le cose che ho imparato da lui». 31 Si ricordi che la confutazione (e[legco~) costituisce un momento-chiave della dialettica socratica. Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 2. 32 Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 3.

182

IppIA mAggIore, 287 d

SWKRATHS «oujkou'n kai; sofiva/ oiJ sofoiv eijs i sofoi; kai; tw'/ ajgaqw'/ pavnta tajgaqa; ajgaqav…» IPPIAS pw'" d∆ ou[… SWKRATHS «ou\s iv gev tisi touvtoi": ouj ga;r dhvpou mh; ou\s iv ge.» IPPIAS ou\s i mevntoi.

d

SWKRATHS ««ar∆ ou\n ouj kai; ta; kala; pavnta tw'/ kalw'/ ejsti kalav…» IPPIAS naiv, tw'/ kalw'/. SWKRATHS «“onti gev tini touvtw/…» IPPIAS “onti: ajlla; tiv ga;r mevllei… SWKRATHS «eijpe; dhv, w\ xevne,» fhvsei, «tiv ejsti tou'to to; kalovn…» IPPIAS “allo ti ou\n, w\ swvkrate", oJ tou'to ejrwtw'n dei'tai puqevsqai tiv ejsti kalovn…

33 È un chiaro cenno alla dimensione ontologica della teoria delle idee, tuttavia mantenuta in dimensione socratica. È chiaro, infatti, che il «che cos’è», ossia l’essenza delle cose, anche per Socrate era una realtà, ossia un qualcosa che è, e non certo qualcosa che non è. 34 Si veda la nota precedente.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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Socrate allora, anche i sapienti sono sapienti per la sapienza, e tutte le cose buone sono buone per il bene? IppIa come no? Socrate e lo sono, in quanto queste sono «un qualcosa»33, e non certo in quanto non lo sono? IppIa lo sono certamente. Socrate e allora, anche tutte le cose belle non sono belle per il d bello? IppIa Sì, per il bello. Socrate e questo è un qualcosa?34 IppIa lo è! ma dove vuoi arrivare? Socrate dimmi, straniero, chiederà, che cosa è questo bello? IppIa che cos’altro vuole, Socrate, chi fa questa domanda, se non sapere «che cosa è bello»?35 35

ippia confonde la profonda domanda «che cosa è il bello» con quella superfciale «che cosa è bello», ossia con la richiesta di indicare una cosa bella, e quindi riduce la domanda sull’essenza del bello alla richiesta di esempi di cose belle.

184

IppIA mAggIore, 287 e - 288 A

SWKRATHS ou[ moi dokei', ajll∆ o{ti ejsti; to; kalovn, w\ Ôippiva. IPPIAS Kai; tiv diafevrei tou't∆ ejkeivnou… SWKRATHS oujdevn soi dokei'… IPPIAS oujde;n ga;r diafevrei. SWKRATHS ∆alla; mevntoi dh'lon o{ti su; kavllion oi\sqa. o{mw" dev, wjgaqev, a[qrei: ejrwta'/ gavr se ouj tiv ejsti kalovn, ajll∆ o{ti e ejsti; to; kalovn. IPPIAS manqavnw, wjgaqev, kai; ajpokrinou'maiv ge aujtw'/ o{ti ejsti to; kalovn, kai; ouj mhv pote ejlegcqw'. e[sti gavr, w\ swvkrate", eu\ i[sqi, eij dei' to; ajlhqe;" levgein, parqevno" kalh; kalovn. SWKRATHS Kalw'" ge, w\ Ôippiva, nh; to;n kuvna kai; eujdovxw" ajpekrivnw. a[llo ti ou\n, a]n ejgw; tou'to ajpokrivnwmai, to; 288A ejrwtwvmenovn te ajpokekrimevno" e[somai kai; ojrqw'", kai; ouj mhv pote ejlegcqw'… IPPIAS pw'" ga;r a[n, w\ swvkrate", ejlegcqeivh", o{ ge pa's in dokei' kai; pavnte" soi marturhvsousin oiJ ajkouvonte" o{ti ojrqw'" levgei"… 36

Si veda quanto diciamo alla nota precedente. risposta ironica che dice il contrario per far intendere l’opposto di ciò che aferma. cfr. sopra la nota 29. 38 Si veda quanto diciamo sopra, alla nota 35. 37

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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Socrate non mi sembra, ma, piuttosto, vuole sapere «che cosa è il bello»36, ippia. IppIa che diferenza c’è fra questo e quello? Socrate ti pare che non ce ne sia nessuna? IppIa infatti, non ce n’è. Socrate ma, allora, è evidente che tu sai qualcosa di più bello37. però, caro, fa’ attenzione: ti chiedo non «quale cosa è bele la», ma «che cosa è il bello». IppIa capisco, caro, io gli risponderò che cosa è il bello, e non sarò certamente confutato. Socrate, sappi bene che, se si deve dire il vero, tu lo sai bene, il bello è una bella ragazza38. Socrate corpo di un cane, ippia, hai dato una bella risposta in modo egregio! e allora, se io gli risponderò così, e alla sua domanda avrò dato una risposta in modo giusto, pen- 288A si che non sarò confutato? IppIa come potresti essere confutato, Socrate, in quello che è un parere di tutti, e di cui tutti ti daranno conferma, dopo aver sentito che parli in modo giusto?

186

IppIA mAggIore, 288 B-C

SWKRATHS ei\en: pavnu me;n ou\n. fevre dhv, w\ Ôippiva, pro;" ejmauto;n ajnalavbw o} levgei". oJ me;n ejrhvsetaiv me ouJtwsiv pw": «“iqi moi, w\ swvkrate", ajpovkrinai: tau'ta pavnta a} fh;/" kala; ei\nai, eij tiv ejstin aujto; to; kalovn, tau't∆ a]n ei[h kalav…» ejgw; de; dh; ejrw' o{ti eij parqevno" kalh; kalovn, e[sti di∆ o} tau't∆ a]n ei[h kalav…

B

IPPIAS oi[ei ou\n e[ti aujto;n ejpiceirhvsein se ejlevgcein wJ" ouj kalovn ejstin o} levgei", h] eja;n ejpiceirhvsh/, ouj katagevlaston e[sesqai… SWKRATHS ”oti me;n ejpiceirhvsei, w\ qaumavs ie, eu\ oi\da: eij de; ejpiceirhvsa" e[stai katagevlasto", aujto; deivxei. a} mevntoi ejrei', ejqevlw soi levgein. IPPIAS Levge dhv.

SWKRATHS «ÔW" gluku;" ei\,» fhvsei, «w\ swvkrate". qhvleia de; i{ppo" kalh; ouj kalovn, h}n kai; oJ qeo;" ejn tw'/ crhsmw'/ ejphv/nesen…» C tiv fhvsomen, w\ Ôippiva… a[llo ti h] fw'men kai; th;n i{ppon kalo;n ei\nai, thvn ge kalhvn… pw'" ga;r a]n tolmw'/men e[xarnoi ei\nai to; kalo;n mh; kalo;n ei\nai…

39

riferimento al concetto-chiave della discussione sul bello: se ci sono cose belle, allora ci deve essere anche un qualcosa in base al quale sono belle, ossia una causa del bello, al di là delle singole cose belle. 40 il testo dell’oracolo cui si fa riferimento era il seguente: «argo pelasgica è la terra migliore, cavalla di tracia e donna spartana», come viene riferito da uno scolio a teocrito, XV, 48.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

187

Socrate Sia pure! ma lasciami ritornare per conto mio, ippia, su ciò che tu dici. Quel tale mi farà all’incirca questa domanda: «Su, Socrate, rispondimi allora: tutte queste cose che tu dici belle, sono belle se c’è un bello in sé?». io gli risponderò che, se una bella ragazza è una cosa bella, allora c’è qualche cosa per cui cose come questa sono belle?39 IppIa credi, allora, che quel tale cercherà ancora di confutarti, sostenendo che il bello non è quello che tu dici, o B che, se cercherà di farlo, non si renderà ridicolo? Socrate So bene, carissimo, che cercherà di farlo. Se, però, per avere cercato di farlo, risulterà ridicolo, sarà la cosa stessa a dimostrarlo. però quello che certamente dirà te lo voglio riferire. IppIa dillo pure.

[Critica alla prima defnizione del bello] Socrate «come sei ingenuo, Socrate, mi dirà. allora una bella cavalla non sarà una cosa bella, dato che anche il dio l’ha lodata anche in un oracolo?»40. che cosa gli ri- C sponderemo, ippia? non dovremo dire che anche una cavalla è bella, almeno quando è bella? come oseremo, infatti, affermare che una cosa bella non è bella?

188

IppIA mAggIore, 288 d

IPPIAS ∆alhqh' levgei", w\ swvkrate": ejpeiv toi kai; ojrqw'" aujto; oJ qeo;" ei\pen: pavgkalai ga;r par∆ hJmi'n i{ppoi givgnontai. SWKRATHS «ei\en,» fhvsei dhv: «tiv de; luvra kalhv… ouj kalovn…» fw'men, w\ Ôippiva… IPPIAS naiv. SWKRATHS erei' toivnun meta; tou't∆ ejkei'no", scedovn ti eu\ oi\da ejk tou' trovpou tekmairovmeno": ««W bevltiste suv, tiv de; cuvtra kalhv… ouj kalo;n a[ra…».

d

IPPIAS «W swvkrate", tiv" d∆ ejsti;n oJ a[nqrwpo"… wJ" ajpaivdeutov" ti" o}" ou{tw fau'la ojnovmata ojnomavzein tolma'/ ejn semnw'/ pravgmati. SWKRATHS Toiou'tov" ti", w\ Ôippiva, ouj komyo;" ajlla; surfetov", oujde;n a[llo frontivzwn h] to; ajlhqev". ajll∆ o{mw" ajpokritevon tw'/ ajndriv, kai; e[gwge proapofaivnomai: ei[per hJ cuvtra kekerameumevnh ei[h uJpo; ajgaqou' keramevw" leiva kai; strogguvlh kai; 41

il testo del Simposio (221 d-222 a), messo in bocca ad alcibiade, spiega molto bene queste afermazioni di ippia, che erano piuttosto difuse contro Socrate: «…i suoi discorsi assomigliano moltissimo ai Sileni che si aprono. infatti, se uno intendesse ascoltare i discorsi di Socrate, gli potrebbero sembrare del tutto ridicoli: tali sono i termini e le espressioni con cui sono avvolti dal di fuori, appunto come la pelle di un arrogante Satiro. infatti, parla di asini da soma e di fabbri e di calzolai e conciapelli, e sembra che dica sempre le medesime cose con le medesime parole, al punto che ogni uomo che non lo abbia praticato e non capisca ri-

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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IppIa dici il vero, Socrate, perché anche il dio giustamente lo ha detto. infatti, presso di noi, ci sono cavalle molto belle. Socrate «Sia così, mi dirà. e una bella lira? non è forse anch’essa una cosa bella?». dobbiamo dirlo, ippia? IppIa Sì. Socrate Quel tale, dopo questo, lo so bene, in quanto conosco i suoi modi, mi dirà: «carissimo, e una bella pentola? non è forse una cosa bella?». IppIa Socrate, chi è questo uomo? come è rozzo, uno che osa d pronunciare nomi tanto volgari, in un argomento così elevato!41 Socrate È proprio fatto così, ippia, non è raffinato, ma volgare, preoccupato di niente altro che del vero. però a quest’uomo bisogna dare una risposta, e io ti dico subito come la penso. Se la pentola è stata fatta da un buon vasaio, liscia, tonda, ben cotta, come lo sono alcune derebbe dei suoi discorsi. ma se uno li vede aperti ed entra in essi, troverà, in primo luogo, che sono i soli discorsi che hanno dentro un pensiero, e, poi, che sono divinissimi e hanno in sé moltissime immagini di virtù, e che mirano alla maggior parte delle cose, e anzi, meglio ancora, a tutte quelle cose sulle quali deve rifettere colui che vuole diventare un uomo buono».

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IppIA mAggIore, 288 e - 289 A

kalw'" wjpthmevnh, oi|ai tw'n kalw'n cutrw'n eijs iv tine" divwtoi, tw'n e}x coa'" cwrousw'n, pavgkalai, eij toiauvthn ejrwtwv/h e cuvtran, kalh;n oJmologhtevon ei\nai. pw'" ga;r a]n fai'men kalo;n o]n mh; kalo;n ei\nai… IPPIAS oujdamw'", w\ swvkrate". SWKRATHS «oujkou'n kai; cuvtra,» fhvsei, «kalh; kalovn… ajpokrivnou.» IPPIAS ∆all∆ ou{tw", w\ swvkrate", e[cei, oi\mai: kalo;n me;n kai; tou'to to; skeu'ov" ejsti kalw'" eijrgasmevnon, ajlla; to; o{lon tou'to oujk e[stin a[xion krivnein wJ" o]n kalo;n pro;" i{ppon te kai; parqevnon kai; ta\lla pavnta ta; kalav.

289A

SWKRATHS ei\en: manqavnw, w\ Ôippiva, wJ" a[ra crh; ajntilevgein pro;" to;n tau'ta ejrwtw'nta tavde: ««W a[nqrwpe, ajgnoei'" o{ti to; tou' ÔHrakleivtou eu\ e[cei, wJ" a[ra “piqhvkwn oJ kavllisto" aijscro;" ajnqrwvpwn gevnei sumbavllein,” kai; cutrw'n hJ kallivsth aijscra; parqevnwn gevnei sumbavllein, w{" fhsin Ôippiva" oJ sofov". oujc ou{tw", w\ Ôippiva…» IPPIAS pavnu me;n ou\n, w\ swvkrate", ojrqw'" ajpekrivnw. SWKRATHS “akoue dhv. meta; tou'to ga;r eu\ oi\d∆ o{ti fhvsei: «Tiv dev, w\ swvkrate"… to; tw'n parqevnwn gevno" qew'n gevnei a[n ti"

il «congio» (covo~, xou`~) signifca boccale, ed è una misura di tre litri e un quarto all’incirca. 43 È un testo di eraclito 22 B 82 diels – Kranz (Presocratici, Bompiani, p. 361). 42

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belle pentole a due anse della capacità di sei congi42 veramente molto belle, e se quel tale alludesse a una pentola di questo tipo, bisognerebbe ammettere che e è bella. in che modo, infatti, potremmo dire che una cosa bella non è bella? IppIa in nessun modo, Socrate. Socrate «dunque, mi dirà, anche una bella pentola è una cosa bella? rispondi!». IppIa la cosa sta così, Socrate, credo. È bello anche un utensile come questo ben fatto, ma nel suo complesso non è conveniente giudicarlo una cosa bella a confronto con una cavalla, o con una ragazza, e con tutte le altre cose belle. Socrate Sia pure. capisco, ippia, che a uno che fa tali doman- 289A de dovremmo fare queste obiezioni: «amico, tu non sai come sia giusto quel detto di eraclito, secondo il quale “la più bella delle scimmie è brutta paragonata al genere degli uomini”43, e anche la più bella delle pentole è brutta, paragonata al genere delle ragazze, come ben dice il sapiente ippia». non è forse così, ippia? IppIa Sicuramente, Socrate! Hai risposto in modo giusto. Socrate ora ascolta. dopo questo, infatti, so bene che dirà: «allora, Socrate, se qualcuno paragonasse il genere

192

B

IppIA mAggIore, 289 B-d

sumbavllh/, ouj taujto;n peivsetai o{per to; tw'n cutrw'n tw'/ tw'n parqevnwn sumballovmenon… oujc hJ kallivsth parqevno" aijscra; fanei'tai… h] ouj kai; ÔHravkleito" aujto; tou'to levgei, o}n su; ejpavgh/, o{ti “∆anqrwvpwn oJ sofwvtato" pro;" qeo;n pivqhko" fanei'tai kai; sofiva/ kai; kavllei kai; toi'" a[lloi" pa's in…” oJmologhvswmen, Ôippiva, th;n kallivsthn parqevnon pro;" qew'n gevno" aijscra;n ei\nai…» IPPIAS Tiv" ga;r a]n ajnteivpoi touvtw/ ge, w\ swvkrate"…

C

SWKRATHS ‘an toivnun tau'ta oJmologhvswmen, gelavsetaiv te kai; ejrei': ««W swvkrate", mevmnhsai ou\n o{ti hjrwthvqh"…» “egwge, fhvsw, o{ti aujto; to; kalo;n o{ti potev ejstin. «“epeita,» fhvsei, «ejrwthqei;" to; kalo;n ajpokrivnh/ o} tugcavnei o[n, wJ" aujto;" fhv/", oujde;n ma'llon kalo;n h] aijscrovn…» “eoike, fhvsw: h] tiv moi sumbouleuvei", w\ fivle, favnai… IPPIAS Tou'to e[gwge: kai; ga;r dh; prov" ge qeou;" o{ti ouj kalo;n to; ajnqrwvpeion gevno", ajlhqh' ejrei'.

SWKRATHS «eij dev se hjrovmhn,» fhvsei, «ejx ajrch'" tiv ejsti d kalovn te kai; aijscrovn, ei[ moi a{per nu'n ajpekrivnw, a\r∆ oujk a]n ojrqw'" ajpekevkriso… e[ti de; kai; dokei' soi aujto; to; kalovn, w|/

44

È un testo di eraclito 22 B 83 diels – Kranz (Presocratici, Bompiani, p. 361). 45 le cose belle, come esempi concreti, se da un lato sono belle, dall’altro sono anche non-belle, ossia brutte, come dimostrano gli esempi di cui sopra.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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delle ragazze con il genere degli dèi, non si verifiche- B rebbe la stessa cosa che si è verificata dal confronto tra le pentole e le ragazze? la più bella delle ragazze, non sembrerà brutta? eraclito, che tu chiami in causa, non dice forse la medesima cosa, ossia che “il più sapiente degli uomini è una scimmia in confronto con il dio, e in sapienza e in bellezza e in tutte le altre cose?”44. ammetteremo, ippia, che la più bella delle ragazze a confronto con gli dèi è brutta?». IppIa in efetti, che cosa gli si potrebbe rispondere, Socrate, in opposizione a questo? Socrate Se, allora, saremo d’accordo anche su queste cose, si C metterà a ridere e mi domanderà: «Socrate, ti ricordi che cosa ti ho domandato?». io dirò di sì, ossia che cosa è il bello in sé. «pertanto, dirà, tu, alla domanda che cosa è il bello, rispondi che esso è qualche cosa che, come tu stesso dici, si dà il caso che sia non più bello che brutto?»45. io risponderò che così sembra. o che cosa mi consigli di rispondergli, amico mio? IppIa Questo anch’io. infatti, dicendo che in confronto al genere degli dèi il genere degli uomini non è bello, dirà la verità. Socrate «Se io ti avessi domandato fin dall’inizio, dirà quel tale, di indicarmi che cosa è bello e brutto, e tu mi d avessi risposto come hai fatto, mi avresti forse risposto in modo giusto? Se, invece, ti pare ancora che il bello

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IppIA mAggIore, 289 e - 290 A

kai; ta\lla pavnta kosmei'tai kai; kala; faivnetai, ejpeida;n prosgevnhtai ejkei'no to; ei\do", tou't∆ ei\nai parqevno" h] i{ppo" h] luvra…» IPPIAS ∆alla; mevntoi, w\ swvkrate", eij tou'tov ge zhtei', pavntwn rJa'/ston ajpokrivnasqai aujtw'/ tiv ejsti to; kalo;n w|/ kai; ta; a[lla pavnta kosmei'tai kai; prosgenomevnou aujtou' kala; faivnetai. e eujhqevstato" ou\n ejstin oJ a[nqrwpo" kai; oujde;n ejpaiv>ei peri; kalw'n kthmavtwn. eja;n ga;r aujtw'/ ajpokrivnh/ o{ti tou't∆ ejsti;n o} ejrwta'/ to; kalo;n oujde;n a[llo h] crusov", ajporhvsei kai; oujk ejpiceirhvsei se ejlevgcein. i[smen gavr pou pavnte" o{ti o{pou a]n tou'to prosgevnhtai, ka]n provteron aijscro;n faivnhtai, kalo;n fanei'tai crusw'/ ge kosmhqevn. SWKRATHS “apeiro" ei\ tou' ajndrov", w\ Ôippiva, wJ" scevtliov" ejsti kai; oujde;n rJa/divw" ajpodecovmeno". IPPIAS Tiv ou\n tou'to, w\ swvkrate"… to; ga;r ojrqw'" legovmenon 290A ajnavgkh aujtw'/ ajpodevcesqai, h] mh; ajpodecomevnw/ katagelavstw/ ei\nai.

46 il termine qui usato è quello di ei\do~, e può certamente essere un termine usato già da Socrate, pur senza porre il problema «che cos’è la forma in quanto tale», come giustamente dice Vlastos (tr. it. 1998, p. 77), nel testo riportato nel Saggio intr., cap. ii, § 4, alla fne del paragrafo. 47 È uno dei testi più forti dal punto di vista ontologico: tiv ejsti to; kalo;n w|/ kai; ta; a[lla pavnta kosmei'tai kai; prosgenomevnou

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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in sé sia qualcosa dal quale tutte le cose belle vengono ordinate e appaiono belle, una volta che a esse si aggiunga quella forma46, puoi credere che esso sia una ragazza, o una cavalla, o una lira?».

[Seconda defnizione di Ippia: il bello è l’oro] IppIa ma, per la verità, Socrate, se è questo che cerca, è la cosa più facile di tutte rispondergli che cos’è il bello: è ciò per cui tutte le cose belle vengono ordinate e che, quando si aggiunge a esse47, appaiono belle. Quell’uomo è vera- e mente stupido, e non si intende afatto di cose belle. Se, infatti, tu gli rispondessi che quello che cerca, ossia il bello, altro non è che l’oro, si troverà in difcoltà, e non cercherà di confutarti. tutti sappiamo, infatti, che quando si aggiunge l’oro a un oggetto, anche se questo era prima brutto, ornato con l’oro, sembra bello. Socrate tu non sai, ippia, come quest’uomo sia arcigno, e non accetti nulla facilmente! IppIa ma che cosa signifca questo, Socrate? Quello che gli viene detto in modo giusto, deve necessariamente accettar- 290A lo. Se non lo accetta, si renderà ridicolo! aujtou' kala; faivnetai. il «che cos’è», col suo essere presente (prosgivgnesqai), imprime ordine (kosmei'tai) e fa apparire belle le cose.

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IppIA mAggIore, 290 B-C

SWKRATHS Kai; me;n dh; tauvthn ge th;n ajpovkrisin, w\ a[riste, ouj movnon oujk ajpodevxetai, ajlla; pavnu me kai; twqavsetai, kai; ejrei': ««W tetufwmevne suv, Feidivan oi[ei kako;n ei\nai dhmiourgovn…» kai; ejgw; oi\mai ejrw' o{ti oujd∆ oJpwstiou'n. IPPIAS Kai; ojrqw'" g∆ ejrei'", w\ swvkrate". SWKRATHS ∆orqw'" mevntoi. toigavrtoi ejkei'no", ejpeida;n ejgw; oJmologw' ajgaqo;n ei\nai dhmiourgo;n to;n Feidivan, «ei\ta,» B fhvsei, «oi[ei tou'to to; kalo;n o} su; levgei" hjgnovei Feidiva"…» Kai; ejgwv: Tiv mavlista… fhvsw. «”oti,» ejrei', «th'" ∆aqhna'" tou;" ojfqalmou;" ouj crusou'" ejpoivhsen, oujde; to; a[llo provswpon oujde; tou;" povda" oujde; ta;" cei'ra", ei[per crusou'n ge dh; o]n kavlliston e[melle faivnesqai, ajll∆ ejlefavntinon: dh'lon o{ti tou'to uJpo; ajmaqiva" ejxhvmarten, ajgnow'n o{ti cruso;" a[r∆ ejsti;n oJ pavnta kala; poiw'n, o{pou a]n prosgevnhtai.» tau'ta ou\n levgonti tiv ajpokrinwvmeqa, w\ Ôippiva…

C

IPPIAS oujde;n calepovn: ejrou'men ga;r o{ti ojrqw'" ejpoivhse. kai; ga;r to; ejlefavntinon oi\mai kalovn ejstin.

48 fidia di atene ebbe il suo acme nella seconda metà del V secolo a.c. È il massimo scultore della grecia. Sue opere sono le sculture del partenone, e in particolare la gigantesca statua crisoelefantina di atena, di cui qui si parla. fu anche autore di una gigantesca statua di Zeus a olimpia, andata perduta, ma assai ap-

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

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[obiezioni alla seconda defnizione del bello di Ippia] Socrate Questa risposta non solo non l’accetterà, mio caro, ma si farà befe di me, e mi dirà: «Stupido che sei! pensi forse che fidia48 sia un cattivo artista?». e io, penso, dovrò rispondergli: «no, assolutamente!». IppIa e dirai giustamente, Socrate! Socrate giustamente, certo! e allora quello, dopo che io avrò ammesso che fidia è un buon artista, riprenderà: «credi che fidia ignorasse che cosa fosse questo bel- B lo di cui tu parli?». e io: «perché mai?», gli chiederò. «perché fidia, mi risponderà, non fece d’oro gli occhi di atena, né le altre parti del viso, né i piedi né le mani, tutte parti che, se fatte in oro, avrebbero fatto apparire bellissima la statua, ma le fece in avorio. È evidente che, in questo, ha sbagliato per ignoranza, non sapendo che è l’oro che rende belle tutte le cose, quando si aggiunga». a chi dice queste cose, che cosa dobbiamo rispondere, ippia? IppIa non è per niente difcile: diremo che fece bene. infatti, C l’avorio, io penso, è bello.

prezzata a quei tempi. per avversioni di carattere politico a motivo dei suoi rapporti con pericle, fnì miseramente i suoi giorni, o esiliato o mandato in carcere intorno al 431 a.c.

198

IppIA mAggIore, 290 d

SWKRATHS «Tou' ou\n e{neka,» fhvsei, «ouj kai; ta; mevsa tw'n ojfqalmw'n ejlefavntina hjrgavsato, ajlla; livqina, wJ" oi|ovn t∆ h\n oJmoiovthta tou' livqou tw'/ ejlevfanti ejxeurwvn… h] kai; oJ livqo" oJ kalo;" kalovn ejsti…» fhvsomen, w\ Ôippiva… IPPIAS Fhvsomen mevntoi, o{tan ge prevpwn h\/. SWKRATHS «”otan de; mh; prevpwn, aijscrovn…» oJmologw' h] mhv… IPPIAS Ôomolovgei, o{tan ge mh; prevph/.

d

SWKRATHS «Tiv de; dhv… oJ ejlevfa" kai; oJ crusov",» fhvsei, «w\ sofe; suv, oujc o{tan me;n prevph/, kala; poiei' faivnesqai, o{tan de; mhv, aijscrav…» e[xarnoi ejsovmeqa h] oJmologhvsomen aujtw'/ ojrqw'" levgein aujtovn… IPPIAS Ôomologhvsomen tou'tov ge, o{ti o} a]n prevph/ eJkavstw/, tou'to kalo;n poiei' e{kaston.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

199

Socrate «allora, per quale motivo, dirà, non ha fatto di avorio le parti intermedie degli occhi, ma di pietra, avendo trovato una pietra quanto più possibile simile all’avorio? o anche la pietra è una cosa bella?». lo diremo, ippia? IppIa lo diremo, quando essa sia conveniente49. Socrate Quando, invece, non sia conveniente, è brutta? dovrò ammettere questo, o no? IppIa ammettilo. È brutta, quando non è conveniente. Socrate «e allora? l’avorio e l’oro, dirà, sapiente che sei, quando d sono convenienti, fanno apparire belle le cose, in caso contrario, brutte?». negheremo o ammetteremo che egli parla in modo giusto? IppIa ammetteremo questo, che ciò che è conveniente per ciascuna cosa, questo la rende bella.

Questo richiamo al concetto di «conveniente» (prevpon) sarebbe essenziale per la soluzione del problema del bello, ma ippia lo chiama in causa in modo superfciale e accidentale, mentre poi si vedrà che è di ben altra portata (293 e); cfr. Saggio intr., cap. iV, § 2. 49

200

IppIA mAggIore, 290 e - 291 A

SWKRATHS «povteron ou\n prevpei,» fhvsei, «o{tan ti" th;n cuvtran h}n a[rti ejlevgomen, th;n kalhvn, e{yh/ e[tnou" kalou' mesthvn, crush' toruvnh aujth'/ h] sukivnh…» IPPIAS ÔHravklei", oi|on levgei" a[nqrwpon, w\ swvkrate". ouj e bouvlei moi eijpei'n tiv" ejstin… SWKRATHS ouj ga;r a]n gnoivh", ei[ soi ei[poimi tou[noma. IPPIAS ∆alla; kai; nu'n e[gwge gignwvskw, o{ti ajmaqhv" tiv" ejstin. SWKRATHS mevrmero" pavnu ejstivn, w\ Ôippiva: ajll∆ o{mw" tiv fhvsomen… potevran prevpein toi'n toruvnain tw'/ e[tnei kai; th'/ cuvtra/… h] dh'lon o{ti th;n sukivnhn… eujwdevsteron gavr pou to; e[tno" poiei', kai; a{ma, w\ eJtai're, oujk a]n suntrivyasa hJmi'n th;n cuvtran ejkcevai to; e[tno" kai; to; pu'r ajposbevseien kai; tou;" mevllonta" eJstia'sqai a[neu o[you a]n pavnu gennaivou poihvseien: hJ de; crush' ejkeivnh pavnta a]n tau'ta poihvseien, w{st∆ e[moige 291A dokei'n th;n sukivnhn hJma'" ma'llon favnai prevpein h] th;n crush'n, eij mhv ti su; a[llo levgei".

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

201

[Ulteriori obiezioni alla seconda defnizione del bello di Ippia] Socrate «allora, dirà, nel caso uno voglia usare la pentola di cui parlavamo prima, quella bella, piena di legumi, sarebbe più conveniente un mestolo d’oro o di legno di fico?». IppIa per eracle, di che uomo parli, Socrate! non vuoi dirmi e chi è? Socrate non lo conosceresti, anche se ti dicessi il nome50. IppIa ma conosco già fn d’ora che è un ignorante! Socrate È proprio stizzoso, ippia! però, che cosa gli risponderemo? Quale dei due mestoli conviene per i legumi e per la pentola? o non è forse evidente che è quello di legno di fco? infatti, esso dà ai legumi un buon profumo e, nello stesso tempo, caro amico, non rovina la pentola, facendo rovesciare i legumi, facendo spegnere il fuoco e privando i convitati di un cibo così appetitoso. il mestolo d’oro causerebbe tutti questi inconvenienti, tanto che a me sembra di dover dire che il mestolo di legno è 291A più conveniente di quello d’oro, a meno che tu non abbia qualche cosa di diverso da dire. 50

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 1.

202

IppIA mAggIore, 291 B-C

IPPIAS prevpei me;n gavr, w\ swvkrate", ma'llon: ouj menta]n e[gwge tw'/ ajnqrwvpw/ toiau'ta ejrwtw'nti dialegoivmhn. SWKRATHS ∆orqw'" ge, w\ fivle: soi; me;n ga;r oujk a]n prevpoi toiouvtwn ojnomavtwn ajnapivmplasqai, kalw'" me;n ouJtwsi; ajmpecomevnw/, kalw'" de; uJpodedemevnw/, eujdokimou'nti de; ejpi; sofiva/ ejn pa's i toi'" ”ellhsin. ajll∆ ejmoi; oujde;n pra'gma fuvresqai B pro;" to;n a[nqrwpon: ejme; ou\n prodivdaske kai; ejmh;n cavrin ajpokrivnou. «eij ga;r dh; prevpei ge ma'llon hJ sukivnh th'" crush'",» fhvsei oJ a[nqrwpo", «a[llo ti kai; kallivwn a]n ei[h, ejpeidhvper to; prevpon, w\ swvkrate", kavllion wJmolovghsa" ei\nai tou' mh; prevponto"…» a[llo ti oJmologw'men, w\ Ôippiva, th;n sukivnhn kallivw th'" crush'" ei\nai… IPPIAS Bouvlei soi ei[pw, w\ swvkrate", o} eijpw;n ei\nai to; kalo;n ajpallavxei" sauto;n tw'n pollw'n lovgwn…

C

SWKRATHS pavnu me;n ou\n: mh; mevntoi provterovn ge pri;n a[n moi ei[ph/" potevran ajpokrivnwmai oi|n a[rti e[legon toi'n toruvnain prevpousavn te kai; kallivw ei\nai. IPPIAS ∆all∆, eij bouvlei, aujtw'/ ajpovkrinai o{ti hJ ejk th'" sukh'" eijrgasmevnh.

51

Si rilegga il testo del Simposio (221 d-222 a), riportato sopra, alla nota 41. 52 anche per quanto riguarda la comprensione del richiamo alla pentola e al mestolo è fondamentale, dal punto di vista erme-

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

203

IppIa Socrate, è senz’altro più conveniente. ma io non mi metterei mai a discutere con un uomo che facesse domande di questo genere51. Socrate e faresti bene, caro. infatti, non sarebbe conveniente per te essere riempito da discorsi come questi, per te così vestito in modo bello, calzato in modo bello, per la tua sapienza famoso fra tutti i greci. io, invece, non ho nessuna difcoltà a intrattenermi con questo uomo52. allo- B ra, istruiscimi e rispondi per me. Quell’uomo dirà: «Se il mestolo di legno di fco è più conveniente del mestolo d’oro, allora non dovrà essere anche più bello, dal momento che tu, Socrate, hai ammesso che il conveniente è più bello del non conveniente?». dovremo ammettere o no, ippia, che un mestolo di legno di fco è più bello di un mestolo d’oro? IppIa Socrate, vuoi che ti suggerisca il modo in cui devi defnire il bello per liberarti da molti discorsi? Socrate certamente! però, non prima che tu mi abbia detto quale C dei due mestoli, di cui prima parlavamo, devo rispondere che è conveniente e più bello. IppIa ma, se vuoi, rispondigli che è più bello quello fatto di legno di fco. neutico, il testo del Simposio (221 d-222 a), riportato sopra, alla nota 41.

204

IppIA mAggIore, 291 d -e

SWKRATHS Levge dh; nuni; o} a[rti e[melle" levgein. tauvth/ me;n ga;r th'/ ajpokrivsei, ªh|/º a]n fw' to; kalo;n cruso;n ei\nai, oujde;n wJ" e[oikev moi ajnafanhvsetai kavllion o]n cruso;" h] xuvlon suvkinon: to; de; nu'n tiv au\ levgei" to; kalo;n ei\nai…

d

IPPIAS ∆egwv soi ejrw'. zhtei'n gavr moi dokei'" toiou'tovn ti to; kalo;n ajpokrivnasqai, o} mhdevpote aijscro;n mhdamou' mhdeni; fanei'tai. SWKRATHS pavnu me;n ou\n, w\ Ôippiva: kai; kalw'" ge nu'n uJpolambavnei". IPPIAS “akoue dhv: pro;" ga;r tou'to i[sqi, ejavn ti" e[ch/ o{ti ajnteivph/, favnai ejme; mhd∆ oJtiou'n ejpaiv>ein. SWKRATHS Levge dh; wJ" tavcista pro;" qew'n.

IPPIAS Levgw toivnun ajei; kai; panti; kai; pantacou' kavlliston ei\nai ajndriv, ploutou'nti, uJgiaivnonti, timwmevnw/ uJpo; tw'n Ôellhvnwn, ajfikomevnw/ eij" gh'ra", tou;" auJtou' goneva" teleuthve santa" kalw'" peristeivlanti, uJpo; tw'n auJtou' ejkgovnwn kalw'" kai; megaloprepw'" tafh'nai.

53 È un richiamo al problema di fondo, che ippia si è dimostrato incapace di risolvere con la sua seconda defnizione del bello. 54 l’elogio di Socrate va inteso in senso ironico, in quanto la nuova defnizione, pur essendo più generale, ha gli stessi difetti delle precedenti: per alcuni, quell’ideale tanto difuso fra i greci non costituisce la cosa più bella. infatti, ci sono alcuni eroi che per la gloria scelgono una vita eroica, che in genere è breve, e che si conclude in ben altro modo che col mettere nella tomba i propri genitori ed essere sepolto dai propri discendenti.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

205

Socrate ora dimmi quello che stavi per dire poco fa. in base alla tua risposta, infatti, se io gli dirò che il bello è l’oro, risulterà, mi pare, che l’oro sia per niente più bello del legno di fco. ma ora, che cosa dici che è il bello?53

[terza defnizione di Ippia: il bello è una vita lunga e felice] IppIa te lo dirò. a me pare che tu cerchi un qualcosa di bello d tale che non possa mai diventare brutto, in nessun modo e per nessuno. Socrate certo, ippia, ora mi capisci bene! IppIa perciò ascolta. Sappi allora, che, se qualcuno avrà ancora da criticarti in questo, di’ pure che non sa proprio niente. Socrate parla senza indugio, in nome degli dèi! IppIa io dico, dunque, che per ogni uomo, sempre e dovunque, la cosa più bella è l’essere ricco, sano, onorato dai greci, e, dopo aver raggiunto la vecchiaia e decorosamente deposto nella tomba i propri genitori, essere sepolto dai propri discendenti in modo bello e con e magnificenza!54

206

IppIA mAggIore, 292 A

SWKRATHS ∆iou; ijouv, w\ Ôippiva, h\ qaumasivw" te kai; megaleivw" kai; ajxivw" sautou' ei[rhka": kai; nh; th;n ”Hran a[gamaiv sou o{ti moi dokei'" eujnoi>kw'", kaq∆ o{son oi|ov" t∆ ei\, bohqei'n: ajlla; ga;r tou' ajndro;" ouj tugcavnomen, ajll∆ hJmw'n dh; nu'n kai; plei'ston katagelavsetai, eu\ i[sqi. IPPIAS ponhrovn g∆, w\ swvkrate", gevlwta: o{tan ga;r pro;" tau'ta e[ch/ me;n mhde;n o{ti levgh/, gela'/ dev, auJtou' katagelavsetai 292A kai; uJpo; tw'n parovntwn aujto;" e[stai katagevlasto". SWKRATHS “isw" ou{tw" e[cei: i[sw" mevntoi ejpiv ge tauvth/ th'/ ajpokrivsei, wJ" ejgw; manteuvomai, kinduneuvsei ouj movnon mou katagela'n. IPPIAS ∆alla; tiv mhvn… SWKRATHS ”oti, a]n tuvch/ bakthrivan e[cwn, a]n mh; ejkfuvgw feuvgwn aujtovn, eu\ mavla mou ejfikevsqai peiravsetai. IPPIAS pw'" levgei"… despovth" tiv" sou oJ a[nqrwpov" ejstin, kai; tou'to poihvsa" oujk ajcqhvsetai kai; divka" ojflhvsei… h] oujk

55

chiaro richiamo al successo delle esibizioni dei Sofsti, le quali conquistano il pubblico ben più che le discussioni con criteri dialettici-elenctici.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

207

[Socrate pensa che l’anonimo si opporrà fortemente a questa defnizione] Socrate evviva, ippia, hai parlato in modo magnifico, grandioso e degno di te. e, per era, ti ammiro, perché mi sembra che, per quanto puoi, ti sforzi di venirmi in aiuto con benevolenza. ma, ugualmente, non ce l’abbiamo fatta con quell’uomo. e ora, sappilo bene, riderà di noi ancora di più. IppIa Sarà un riso vile, Socrate. infatti, se non avrà niente da contrapporre alle cose che abbiamo detto e ride, è di se stesso che dovrà ridere, e sarà deriso anche dai 292A presenti55. Socrate forse è così. però per questa risposta, come prevedo, si dà il caso che non si limiterà a deridermi! IppIa e perché mai? Socrate perché, se si troverà ad avere fra le mani un bastone, e io non riuscirò a scappare, cercherà di picchiarmi a dovere. IppIa che cosa dici? Quest’uomo, allora, è forse padrone di te, e, dopo aver fatto questo, non sarà trascinato in tribunale e non sarà condannato? la vostra città è forse

208

B

IppIA mAggIore, 292 B-C

e[ndiko" uJmi'n hJ povli" ejstivn, ajll∆ eja/' ajdivkw" tuvptein ajllhvlou" tou;" polivta"… SWKRATHS oujd∆ oJpwstiou'n eja'/. IPPIAS oujkou'n dwvsei divkhn ajdivkw" gev se tuvptwn. SWKRATHS ou[ moi dokei', w\ Ôippiva, ou[k, eij tau'tav ge ajpokrinaivmhn, ajlla; dikaivw", e[moige dokei'. IPPIAS Kai; ejmoi; toivnun dokei', w\ swvkrate", ejpeidhvper ge aujto;" tau'ta oi[ei. SWKRATHS oujkou'n ei[pw soi kai; h|/ aujto;" oi[omai dikaivw" a]n tuvptesqai tau'ta ajpokrinovmeno"… h] kai; suv me a[kriton tupthvsei"… h] devxh/ lovgon…

C

IPPIAS Deino;n ga;r a]n ei[h, w\ swvkrate", eij mh; decoivmhn: ajlla; pw'" levgei"…

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

209

senza giustizia, e lascia che i cittadini si percuotano a B vicenda contro giustizia? Socrate non lo permette afatto! IppIa allora sconterà la giusta pena, se ti colpirà ingiustamente. Socrate non mi pare, ippia, proprio no. non mi picchierà ingiustamente, ma, mi pare, a giusta ragione, se gli darò queste risposte. IppIa Sembra così anche a me, Socrate, dal momento che tu stesso sei di questo parere. Socrate posso dirti il motivo, per cui ritengo che sarei giustamente picchiato, dando questa risposta? o forse anche tu vuoi picchiarmi, senza processo? mi permetterai di parlare? IppIa Sarebbe cosa tremenda, Socrate, se non ti ascoltassi. ma C che cosa intendi dire?

210

IppIA mAggIore, 292 d -e

SWKRATHS ∆egwv soi ejrw', to;n aujto;n trovpon o{nper nundhv, mimouvmeno" ejkei'non, i{na mh; pro;" se; levgw rJhvmata, oi|a ejkei'no" eij" ejme; ejrei', calepav te kai; ajllovkota. eu\ ga;r i[sqi, «eijpev moi,» fhvsei, «w\ swvkrate", oi[ei a]n ajdivkw" plhga;" labei'n, o{sti" diquvrambon tosoutoni; a[/sa" ou{tw" ajmouvsw" polu; ajph'/sa" ajpo; tou' ejrwthvmato"…» pw'" dhv… fhvsw ejgwv. «”opw"…» fhvsei: «oujc oi|ov" t∆ ei\ memnh'sqai o{ti to; kalo;n aujto; hjrwvtwn, d o} panti; w|/ a]n prosgevnhtai, uJpavrcei ejkeivnw/ kalw'/ ei\nai, kai; livqw/ kai; xuvlw/ kai; ajnqrwvpw/ kai; qew'/ kai; pavsh/ pravxei kai; panti; maqhvmati… aujto; ga;r e[gwge, w[nqrwpe, kavllo" ejrwtw' o{ti ejstivn, kai; oujdevn soi ma'llon gegwnei'n duvnamai h] ei[ moi parekavqhso livqo", kai; ou|to" muliva", mhvte w\ta mhvte ejgkevfalon e[cwn.» eij ou\n fobhqei;" ei[poimi ejgw; ejpi; touvtoi" tavde, a\ra oujk a]n a[cqoio, w\ Ôippiva… ∆alla; mevntoi tovde to; e kalo;n ei\nai Ôippiva" e[fh: kaivtoi ejgw; aujto;n hjrwvtwn ou{tw" w{sper su; ejmev, o} pa's i kalo;n kai; ajeiv ejsti. pw'" ou\n fhv/"… oujk ajcqevsh/, a]n ei[pw tau'ta… IPPIAS eu\ g∆ ou\n oi\da, w\ swvkrate", o{ti pa's i kalo;n tou't∆ ejstivn, o} ejgw; ei\pon, kai; dovxei.

56 il ditirambo cantato in modo stonato è un modo ironico assai rafnato di dare un giudizio sul ragionamento fatto da ippia. 57 anche questo accenno al «ricordarsi», riferito proprio a ippia, è un evidente richiamo alla «mnemotecnica» di cui il Sofsta dichiarava di essere maestro, e che qui dimostra di non mettere in

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

211

[Critiche alla terza defnizione del bello di Ippia] Socrate ti parlerò nello stesso modo di poco fa, imitando quell’uomo, per non dire io direttamente quelle parole dure e sgradevoli che egli dirà contro di me. Sappi bene che, in effetti, mi dirà: «dimmi, Socrate, credi che riceverebbe percosse in modo ingiusto, chiunque canti un ditirambo in modo così stonato56, andando lontano dalla domanda iniziale?» ma in che modo? – io gli dirò. e lui risponderà: «come? non sei capace di ricordarti che ti avevo chiesto che cosa è il bello in sé57, quel bello che rende bello tutto ciò in cui è presente, d e pietra e legno e uomo e dio e azione e cognizione? io ti domando, buon uomo, che cosa è il bello in sé, e non riesco a farmi ascoltare da te, più che se avessi accanto a me una pietra o una macina, senza orecchie e senza cervello». ti adireresti con me, se io, spaventato, a queste parole rispondessi: «ma, in verità, che questo è il bello me lo ha detto ippia. eppure io facevo e a lui queste stesse domande che tu ora fai a me, ossia che cos’è il bello per tutti, sempre»? che cosa diresti allora? ti irriteresti con me, se io dovessi dare queste risposte? IppIa no, Socrate. So bene che il bello è questo che io ho detto, e che tale sembrerà a tutti. atto, soprattutto per quanto riguarda il problema di fondo dell’essenza del bello. evidentemente si vuol sottolineare che ippia non ricorda la cosa che in realtà non ha capito, e che dimostra di non essere all’altezza speculativa per poterla capire.

212

IppIA mAggIore, 293 A

SWKRATHS ««H kai; e[stai…» fhvsei: «ajei; gavr pou tov ge kalo;n kalovn.» IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS «oujkou'n kai; h\n…» fhvsei. IPPIAS Kai; h\n. SWKRATHS ««H kai; tw'/ ∆acillei',» fhvsei, «oJ xevno" oJ ∆Hlei'o" e[fh kalo;n ei\nai uJstevrw/ tw'n progovnwn tafh'nai, kai; tw'/ pavppw/ aujtou' 293A aijakw'/, kai; toi'" a[lloi" o{soi ejk qew'n gegovnasi, kai; aujtoi'" toi'" qeoi'"…» IPPIAS Tiv tou'to… bavll∆ ej" makarivan. tou' ajnqrwvpou oujd∆ eu[fhma, w\ swvkrate", tau'tav ge ta; ejrwthvmata. SWKRATHS Tiv dev… to; ejromevnou eJtevrou favnai tau'ta ou{tw" e[cein ouj pavnu duvsfhmon… IPPIAS “isw".

58

Questo richiamo al «sempre», come caratteristica dell’essenza, ha un preciso nesso con l’eternità dell’idea. ma viene usato in senso temperato, e probabilmente già Socrate in questo senso poteva usarla. 59 achille, fglio di peleo e di tetide, è l’esempio emblematico dell’eroe che sceglie la vita breve per la fama, e non la vita lunga nel senso comune, secondo il modello cui si è riferito ippia.

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

213

Socrate lui mi domanderà: «e anche lo sarà? Sempre, infatti, il bello in qualche modo è bello»58. IppIa certamente. Socrate «e dunque anche lo era?», mi domanderà. IppIa «anche lo era». Socrate e lui dirà: «lo straniero di elide ha detto che anche per achille59 il bello era essere sepolto dopo i suoi genitori, e anche per il suo avo eaco60 e per tutti quanti discendono 293A dagli dèi e per gli dèi stessi?». IppIa che cosa è mai questo? mandalo a miglior vita! le domande di quell’uomo sono sconvenienti, Socrate. Socrate e come? il rispondere alla sua domanda che le cose stanno così, non è forse sconveniente? IppIa forse. 60

eaco, fglio di Zeus e di egina, era il padre di peleo, e quindi il nonno di achille. fu un uomo considerato molto abile a comporre vertenze e a dare giusti giudizi, tanto che Zeus, alla sua morte, lo fece diventare giudice delle anime nell’aldilà.

214

IppIA mAggIore, 293 B

SWKRATHS «“isw" toivnun su; ei\ ou|to",» fhvsei, «o}" panti; fh;/" kai; ajei; kalo;n ei\nai uJpo; me;n tw'n ejkgovnwn tafh'nai, tou;" de; goneva" qavyai: h] oujc ei|" tw'n aJpavntwn kai; ÔHraklh'" h\n kai; ou}" nundh; ejlevgomen pavnte"…» IPPIAS ∆all∆ ouj toi'" qeoi'" e[gwge e[legon.

B

SWKRATHS «oujde; toi'" h{rwsin, wJ" e[oika".» IPPIAS oujc o{soi ge qew'n pai'de" h\san. SWKRATHS «∆all∆ o{soi mhv…» IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS «oujkou'n kata; to;n so;n au\ lovgon, wJ" faivnetai, tw'n hJrwvwn tw'/ me;n Tantavlw/ kai; tw'/ Dardavnw/ kai; tw'/ zhvqw/

61

eracle, fglio di Zeus e di alcmena, scelse la via della vita della virtù, respingendo la vita del piacere e della mollezza. con le sue dodici proverbiali fatiche, che superò con straordinaria forza, divenne simbolo del coraggio. È un esempio di vita antitetico a quello presentato da ippia con la sua nuova defnizione del bello. 62 tantalo, fglio di Zeus e di plutide, re della lidia o della frigia, scelse la vita eroica, ma commettendo vere nefandezze. rappresenta comunque una scelta di carattere opposto a quella presentata da ippia. fu condannato nel modo che omero nell’Odissea (Xi 382-392) rappresenta come segue: «e tantalo vidi, che pene atroci sofriva, / ritto nell’acqua: e questa s’avvicinava al suo

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

215

Socrate «allora, dirà, forse sei tu che dici che per tutti e per sempre il bello è l’essere sepolti dai propri discendenti, dopo aver dato sepoltura ai propri genitori. ma uno fra tutti non era anche eracle61, e anche tutti quelli di cui abbiamo parlato poco fa?». IppIa ma io non dicevo per gli dèi. Socrate neppure per gli eroi, a quanto sembra. IppIa non per quelli che erano fgli degli dèi. Socrate ma per quanti non lo erano? IppIa Sicuramente. Socrate dunque, secondo quello che hai detto, a quanto pare, la cosa è terribile, empia e turpe per gli eroi quali tantalo62,

mento; / era là ritto, assetato: ma non poteva prenderne e bere. / ogni volta che il vecchio voleva piegarsi avido a bere, / tutte le volte l’acqua spariva, inghiottita; intorno ai suoi piedi / nereggiava la terra: la prosciugava un dio. / alberi eccelsa chioma sulla sua testa lasciavano pendere frutti, / peri e granati e meli dai frutti lucenti, / e fchi dolci e foridi ulivi: ma quando / si protendeva il vecchio a toccarli, / il vento in su li scagliava, fno alle nuvole ombrose» (tr. calzecchi onesti).

B

216

IppIA mAggIore, 293 C-d

deinovn te kai; ajnovs ion kai; aijscrovn ejsti, pevlopi de; kai; toi'" a[lloi" toi'" ou{tw gegonovs i kalovn.» IPPIAS “emoige dokei'. SWKRATHS «soi; toivnun dokei',» fhvsei, «o} a[rti oujk e[fhsqa, to; qavyanti tou;" progovnou" tafh'nai uJpo; tw'n ejkgovnwn ejnivote kai; C ejnivoi" aijscro;n ei\nai: e[ti de; ma'llon, wJ" e[oiken, ajduvnaton pa's i tou'to genevsqai kai; ei\nai kalovn, w{ste tou'tov ge w{sper kai; ta; e[mprosqen ejkei'na, h{ te parqevno" kai; hJ cuvtra, taujto;n pevponqe, kai; e[ti geloiotevrw" toi'" mevn ejsti kalovn, toi'" d∆ ouj kalovn. kai; oujdevpw kai; thvmeron,» fhvsei, «oi|ov" t∆ ei\, w\ swvkrate", peri; tou' kalou' o{ti ejsti; to; ejrwtwvmenon ajpokrivnasqai.» tau'tav moi kai; toiau'ta ojneidiei' dikaivw", eja;n aujtw'/ ou{tw" ajpokrivnwmai. ta; me;n ou\n pollav, w\ Ôippiva, scedovn d tiv moi ou{tw dialevgetai: ejnivote de; w{sper ejlehvsa" mou th;n ajpeirivan kai; ajpaideusivan aujtov" moi probavllei ejrwtw'n eij toiovnde moi dokei' ei\nai to; kalovn, h] kai; peri; a[llou o{tou a]n tuvch/ punqanovmeno" kai; peri; ou| a]n lovgo" h\/. IPPIAS pw'" tou'to levgei", w\ swvkrate"… 63

di dardano, apollodoro (Miti greci, iii 12, 1, tr. ciani) dice: «da elettra fglia di atlante e da Zeus nacquero iasone e dardano. iasone si innamorò di demetra e voleva violentarla, ma venne fulminato. addolorato per la morte del fratello, dardano lasciò Samotracia e si recò nel continente che stava di fronte. Qui regnava teucro fglio del fume Scamandro e della ninfa idea. dal suo nome, anche gli abitanti del paese erano chiamati teucri. dardano fu accolto dal re. ricevette metà del territorio, e sua fglia Batia in sposa; fondò la città di dardano. e, alla morte di teucro, diede a tutto il paese il nome di dardania». 64 dell’eroe Zeto ci dice omero nell’Odissea (260-265, tr. calzecchi onesti): «dopo di quella, antiòpe vidi, dell’asòpo fglia, / che si vantava d’aver dormito tra le braccia di Zeus; / e partorì due fgli, anfíone e Zeto, / che primi la sede di tebe sette porte

I. Il proBlemA del Bello e le tre defInIzIonI dI IppIA

217

dardano63, Zeto64, e invece è bella per pelope65 e per tutti gli altri che sono stati generati allo stesso modo. IppIa mi sembra. Socrate «allora, dirà, a te pare quello che poco fa non dicevi, ossia che, dopo aver degnamente onorato i propri genitori, l’essere sepolti dai discendenti, talvolta e per alcuni è brutto. C anzi e più ancora, come sembra, risulta addirittura impossibile che ciò sia stato e sia bello sempre e per tutti, e così anche per questo come per i casi precedenti della bella ragazza e della bella pentola, vale la stessa cosa, e in modo ancor più ridicolo, ossia di essere per alcuni bello e per altri brutto. e dirà anche: «neppure questa volta, Socrate, sei in grado di dare una risposta alla domanda che cosa è il bello». così, dunque, e con queste parole mi insulterà giustamente, se gli risponderò in questo modo. per lo più, ippia, discute con me all’incirca in questa ma- d niera. però, a volte, per pietà per la mia insipienza e ignoranza, lui stesso mi suggerisce una risposta mentre mi interroga, se per caso a me pare che il bello sia una determinata cosa, oppure anche su qualche altro argomento su cui mi sta interrogando, o su cui cade il discorso. IppIa che cosa vuoi dire con questo, Socrate? innalzarono; / e vi fecero mura, ché non potevano senza le mura / vivere in tebe sacra contrada, pur essendo gagliardi». 65 pelope era fglio di tantalo e di dione. Si narra che sia stato tagliato a pezzi, cucinato e servito in pasto agli dèi dal padre, per verifcare se davvero conoscessero ogni cosa. gli dèi scoprirono il delitto e maledissero tantalo. Sarebbe stato fondatore dei primi giochi olimpici, poi consolidati da eracle. cfr. pindaro, Olimpiche, i 40 sgg.

parte Seconda definiZioni del Bello propoSte da Socrate

SWKRATHS ∆egwv soi fravsw. ««W daimovnie,» fhsiv, «swvkrate", ta; me;n toiau'ta ajpokrinovmeno" kai; ou{tw pau'sai < livan ga;r eujhvqh te kai; eujexevlegktav ejstin < ajlla; to; toiovnde 293 e skovpei ei[ soi dokei' kalo;n ei\nai, ou| kai; nundh; ejpelabovmeqa ejn th'/ ajpokrivsei, hJnivk∆ e[famen to;n cruso;n oi|" me;n prevpei kalo;n ei\nai, oi|" de; mhv, ou[, kai; ta\lla pavnta oi|" a]n tou'to prosh'/: aujto; dh; tou'to to; prevpon kai; th;n fuvs in aujtou' tou' prevponto" skovpei eij tou'to tugcavnei o]n to; kalovn.» ejgw; me;n ou\n ei[wqa sumfavnai ta; toiau'ta eJkavstote < ouj ga;r e[cw o{ti levgw < soi; d∆ ou\n dokei' to; prevpon kalo;n ei\nai… IPPIAS pavntw" dhvpou, w\ swvkrate". SWKRATHS skopwvmeqa, mhv ph/ a[r∆ ejxapatwvmeqa. IPPIAS ∆alla; crh; skopei'n.

66

Si noti il modo assai abile con cui Socrate critica ippia, con la maschera del suo sosia; cfr. Saggio intr., cap. iii, § 1.

[prima defnizione proposta da Socrate: il bello è il conveniente]

Socrate te lo dirò. «divino Socrate, smetti di darmi risposte di questo tipo. infatti, le tue risposte sono troppo semplici e facili da confutare66. esamina invece, se ti pare che il bello sia quello che poco fa abbiamo preso in considerazio- 293 e ne nella tua risposta, quando dicevamo che l’oro è bello per quelle cose alle quali conviene e che non è bello per quelle cose per le quali non conviene, e che lo stesso vale per le cose nelle quali esso è presente. esamina, allora, il conveniente67 e la sua natura per vedere se non si dia il caso che esso sia il bello». Quando quel tale mi interroga, io, di solito, mi mostro d’accordo in ogni caso, perché non sono in grado di rispondere. a te, allora, pare che il conveniente sia il bello? IppIa certamente, Socrate, in ogni modo. Socrate facciamo l’indagine per non cadere in qualche inganno. IppIa Bisogna fare l’indagine!

67

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 2.

222

IppIA mAggIore, 294 A-B

SWKRATHS ”ora toivnun: to; prevpon a\ra tou'to levgomen, o} para294A genovmenon poiei' e{kasta faivnesqai kala; touvtwn oi|" a]n parh'/, h] o} ei\nai poiei', h] oujdevtera touvtwn… IPPIAS “emoige dokei' ªpovteraº o} poiei' faivnesqai kalav: w{sper ge ejpeida;n iJmavtiav ti" lavbh/ h] uJpodhvmata aJrmovttonta, ka]n h\/ geloi'o", kallivwn faivnetai. SWKRATHS oujkou'n ei[per kallivw poiei' faivnesqai h] e[sti to; prevpon, ajpavth ti" a]n ei[h peri; to; kalo;n to; prevpon, kai; oujk a]n ei[h tou'to o} hJmei'" zhtou'men, w\ Ôippiva… hJmei'" me;n gavr pou B ejkei'no ejzhtou'men, w|/ pavnta ta; kala; pravgmata kalav ejstin < w{sper w|/ pavnta ta; megavla ejsti; megavla, tw'/ uJperevconti: touvtw/ ga;r pavnta megavla ejstiv, kai; eja;n mh; faivnhtai, uJperevch/ dev, ajnavgkh aujtoi'" megavloi" ei\nai < ou{tw dhv, famevn, kai; to; kalovn, w|/ kala; pavnta ejstivn, a[nt∆ ou\n faivnhtai a[nte mhv, tiv a]n ei[h… to; me;n ga;r prevpon oujk a]n ei[h: kallivw ga;r poiei' faivnesqai h] e[stin, wJ" oJ so;" lovgo", oi|a d∆ e[stin oujk eja'/ faivnesqai. to; de; poiou'n ei\nai kalav, o{per nundh; ei\pon,

68

Questa distinzione fra il «sembrare» e l’«essere» è certamente di origine socratica, ma qui assume una coloritura ontologica per opera di platone, anche se in maniera sfumata e senza portare il discorso sul piano metafsico; cfr. Saggio intr., cap. iii, § 3.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

223

[esame critico della prima definizione del bello di Socrate] Socrate fa’ allora attenzione: dobbiamo dire che il conveniente è ciò che, quando è presente, fa sembrare le cose belle, o le 294A fa essere belle, oppure nessuna delle due cose?68 IppIa mi sembra che sia ciò che le fa sembrare belle. È come quando uno indossa abiti o calzari che gli stanno bene, anche se è ridicolo, sembra più bello. Socrate dunque, se il conveniente fa sembrare una cosa bella più di quanto non sia, allora il conveniente sarebbe un inganno per quanto riguarda il bello, e non ciò che noi cerchiamo, ippia? infatti, noi in qualche modo B cerchiamo ciò per cui tutte le cose belle sono belle, così come ciò per cui tutte le cose grandi sono grandi è qualcosa di superiore, in quanto per questo tutte le cose grandi sono grandi, e anche se questo qualcosa di superiore non appare, le cose sono necessariamente grandi69. allo stesso modo, diciamo, il bello per cui tutte le cose belle sono belle, sia che tali appaiano sia che no, che cosa è? non potrebbe infatti essere il conveniente, perché, secondo il tuo discorso, esso fa apparire le cose più belle di quanto lo sono, e le fa apparire come non sono. Bisogna cercare, invece, di dire che 69

Questo richiamo all’idea di grandezza conferma quanto diciamo, ossia che, sia pure in modo sfumato, fa intendere la via che seguirà nello sviluppo della teoria socratica del «che cos’è».

224

C

IppIA mAggIore, 294 C-d

ejavnte faivnhtai ejavnte mhv, peiratevon levgein tiv ejsti: tou'to ga;r zhtou'men, ei[per to; kalo;n zhtou'men. IPPIAS ∆alla; to; prevpon, w\ swvkrate", kai; ei\nai kai; faivnesqai poiei' kala; parovn. SWKRATHS ∆aduvnaton a[ra tw'/ o[nti kala; o[nta mh; faivnesqai kala; ei\nai, parovnto" ge tou' poiou'nto" faivnesqai… IPPIAS ∆aduvnaton.

SWKRATHS Ôomologhvsomen ou\n tou'to, w\ Ôippiva, pavnta ta; tw'/ o[nti kala; kai; novmima kai; ejpithdeuvmata kai; doxavzesqai kala; d ei\nai kai; faivnesqai ajei; pa's in, h] pa'n toujnantivon ajgnoei'sqai kai; pavntwn mavlista e[rin kai; mavchn peri; aujtw'n ei\nai kai; ijdiva/ eJkavstoi" kai; dhmosiva/ tai'" povlesin… IPPIAS ou{tw ma'llon, w\ swvkrate": ajgnoei'sqai. SWKRATHS oujk a[n, ei[ gev pou to; faivnesqai aujtoi'" prosh'n: prosh'n d∆ a[n, ei[per to; prevpon kalo;n h\n kai; mh; movnon kala; ejpoivei ei\nai ajlla; kai; faivnesqai. w{ste to; prevpon, eij me;n 70 alcune cose possono essere belle pur non apparendo tali, come le leggi o le occupazioni, che sono viste in maniera diferente da diversi gruppi di uomini. È quindi evidente che, in certi casi, quello che conta è il loro essere e non il loro apparire, e che quindi il loro apparire non è decisivo per quanto riguarda la loro efettiva natura. 71 È in ogni caso la «presenza» del bello in sé nelle cose belle che le fa essere e apparire tali. 72 Si veda quanto diciamo sopra, alla nota 70.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

225

cos’è ciò che fa essere belle le cose, come prima dice- C vo, sia che appaia, sia che no70. È questo che dobbiamo ricercare, se cerchiamo il bello. IppIa ma il conveniente, Socrate, con la sua presenza71, fa sia essere, sia apparire belle le cose. Socrate allora è impossibile che, in realtà, le cose belle non sembrino essere belle, quando in esse è presente ciò che le fa apparire belle? IppIa È impossibile. Socrate dunque, ammetteremo questo, ippia, che tutte le cose che, in realtà, sono belle, come leggi e occupazioni, sono ritenute belle e tali appaiono a tutti, o che, al d contrario, non sono riconosciute come belle, e che su di esse più che su tutte le altre cose ci sono contrasti e lotte, sia privatamente per i singoli, sia pubblicamente per le città?72 IppIa piuttosto, Socrate, si deve dire che non sono riconosciute. Socrate non sarebbe però così, se a esse fosse presente anche l’apparire. e sarebbe presente, se il conveniente fosse il bello, e facesse non solo essere belle, ma anche apparire belle le cose. così, se il conveniente fosse ciò che fa

226

IppIA mAggIore, 294 e - 295 A

to; kala; poiou'n ejstin ei\nai, to; me;n kalo;n a]n ei[h, o} hJmei'" zhtou'men, ouj mevntoi tov ge poiou'n faivnesqai: eij d∆ au\ to; e faivnesqai poiou'n ejstin to; prevpon, oujk a]n ei[h to; kalovn, o} hJmei'" zhtou'men. ei\nai ga;r ejkei'nov ge poiei', faivnesqai de; kai; ªpoiei'nº ei\nai ouj movnon kala; oujk a[n pote duvnaito to; aujtov, ajll∆ oujde; a[llo oJtiou'n. eJlwvmeqa dh; povtera dokei' to; prevpon ei\nai to; faivnesqai kala; poiou'n, h] to; ei\nai. IPPIAS To; faivnesqai, e[moige dokei', w\ swvkrate". SWKRATHS Babai', oi[cetai a[r∆ hJma'" diapefeugov", w\ Ôippiva, to; kalo;n gnw'nai o{ti potev ejstin, ejpeidhv ge to; prevpon a[llo ti ejfavnh o]n h] kalovn. IPPIAS nai; ma; Diva, w\ swvkrate", kai; mavla e[moige ajtovpw".

295A

SWKRATHS ∆alla; mevntoi, w\ eJtai're, mhvpw ge ajnw'men aujtov: e[ti gavr tina ejlpivda e[cw ejkfanhvsesqai tiv pot∆ ejsti;n to; kalovn. IPPIAS pavntw" dhvpou, w\ swvkrate": oujde; ga;r calepovn ejstin euJrei'n. ejgw; me;n ou\n eu\ oi\d∆ o{ti, eij ojlivgon crovnon eij" ejrhmivan ejlqw;n skeyaivmhn pro;" ejmautovn, ajkribevsteron a]n aujtov soi ei[poimi th'" aJpavsh" ajkribeiva".

73

cfr. Saggio intr., cap. iV, passim. Queste afermazioni sono una frecciata ironica assai forte contro ippia che credeva di essere in grado di rispondere a chiunque su qualsiasi domanda gli venisse fatta. nell’Ippia minore (363 d) si legge: «… mi reco sempre dalla mia patria elide a olimpia, e là nel tempio mi metto a disposizione per chi lo desidera, sia per 74

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

227

essere belle le cose, sarebbe il bello che noi cerchiamo, ma non è ciò che le fa apparire belle. Se, invece, il conveniente è ciò che fa apparire belle le cose, allora non e sarebbe il bello che noi cerchiamo. esso, infatti, fa essere belle le cose. in efetti, la medesima cosa non potrà mai far apparire e far essere le cose non solo belle, ma neppure in alcun altro modo. decidiamo, allora, se il conveniente risulta ciò che fa apparire belle le cose o ciò che le fa essere. IppIa mi pare, Socrate, che sia ciò che le fa apparire belle. Socrate ahimè, ippia, si allontana e fugge via da noi la conoscenza di che cosa è il bello, in quanto il conveniente ci è risultato qualcosa di diverso dal bello. IppIa Sì, per Zeus, Socrate, e proprio in maniera assurda. Socrate però, caro amico, non lasciamo ancora cadere la cosa. io, 295A infatti, ho ancora qualche speranza che si possa scoprire che cosa è il bello73. IppIa certamente, Socrate, perché non è difcile trovarlo. io so bene che, se mi ritirassi per poco tempo, e potessi rifettere da solo con me stesso, te lo potrei dire nella maniera più esatta di ogni esattezza74. pronunciar qualcuno dei discorsi in precedenza preparati per essere esposti, sia per rispondere a qualsiasi domanda a chiunque».

228

IppIA mAggIore, 295 B-d

SWKRATHS «a mh; mevga, w\ Ôippiva, levge. oJra'/" o{sa pravgmata hJmi'n h[dh parevschke: mh; kai; ojrgisqe;n hJmi'n e[ti ma'llon B ajpodra'/. kaivtoi oujde;n levgw: su; me;n ga;r oi\mai rJa/divw" aujto; euJrhvsei", ejpeida;n movno" gevnh/. ajlla; pro;" qew'n ejmou' ejnantivon aujto; e[xeure, eij de; bouvlei, w{sper nu'n ejmoi; suzhvtei: kai; eja;n me;n eu{rwmen, kavllista e{xei, eij de; mhv, stevrxw oi\mai ejgw; th'/ ejmh'/ tuvch/, su; d∆ ajpelqw;n rJa/divw" euJrhvsei": kai; eja;n me;n nu'n eu{rwmen, ajmevlei oujk ojclhro;" e[somaiv soi punqanovmeno" o{ti h\n ejkei'no o} kata; sauto;n ejxhu're": nu'n de; qevasai aujto; o{ soi C dokei' ei\nai to; kalovn. levgw dh; aujto; ei\nai < ajlla; ga;r ejpiskovpei moi pavnu prosevcwn to;n nou'n mh; paralhrhvsw < tou'to ga;r dh; e[stw hJmi'n kalovn, o} a]n crhvs imon h\/. ei\pon de; ejk tw'nde ejnnoouvmeno": kaloiv, famevn, oiJ ojfqalmoiv eijs in, oujc oi} a]n dokw's i toiou'toi ei\nai oi|oi mh; dunatoi; oJra'n, ajll∆ oi} a]n dunatoiv te kai; crhvs imoi pro;" to; ijdei'n. h\ gavr… IPPIAS naiv. SWKRATHS oujkou'n kai; to; o{lon sw'ma ou{tw levgomen kalo;n ei\nai, to; me;n pro;" drovmon, to; de; pro;" pavlhn, kai; au\ ta; d zw'/a pavnta, i{ppon kalo;n kai; ajlektruovna kai; o[rtuga, kai; ta; skeuvh pavnta kai; ta; ojchvmata tav te peza; kai; ta; ejn th'/ qalavtth/ ploi'av te kai; trihvrei", kai; tav ge o[rgana pavnta

75

insistenza ironica su quanto abbiamo spiegato nella nota precedente. 76 Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 3.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

229

[Seconda defnizione di Socrate: il bello è l’utile] Socrate non dire cose grandi, ippia! guarda quante difficoltà la cosa ci ha già procurato. fa’ attenzione che, infastidito, il bello non ci scappi via ancora di più. io, veramente, non dico nulla. però credo che lo scoprirai facilmente, quando sarai da solo75. però, per gli dèi, se B vuoi, trovalo in mia presenza, e, come hai fatto finora, cercalo insieme con me. e se lo troveremo, tanto meglio; se no, mi rassegnerò, penso, alla mia sorte, mentre tu, dopo che te ne sarai andato, lo troverai facilmente. Se, invece, ora lo scopriamo, non ti preoccupare, perché non ti darò più fastidio con le mie domande su quello che avresti scoperto da solo. considera, ora, quello che a te pare essere il bello. io dico – ma tu fa’ C attenzione che io non sragioni – che il bello è per noi ciò che è utile76. e lo dico sulla base delle seguenti considerazioni. noi diciamo che sono belli non gli occhi che risultino incapaci di vedere, ma quelli che sono capaci di vedere e che sono utili a tale scopo. non è così? IppIa certamente. Socrate ebbene, non consideriamo forse bello il corpo nel suo insieme, quello adatto a correre, quello capace di lottare, e così pure, riferendoci a tutti gli animali, non d chiamiamo bello un cavallo, un gallo, una quaglia allo stesso modo? e così, non consideriamo belli tutti gli oggetti che usiamo, e i mezzi per muoversi per terra e per mare, navi mercantili e triremi; e anche tutti quan-

230

IppIA mAggIore, 295 e

tav te uJpo; th'/ mousikh'/ kai; ta; uJpo; tai'" a[llai" tevcnai", eij de; bouvlei, ta; ejpithdeuvmata kai; tou;" novmou", scedovn ti pavnta tau'ta kala; prosagoreuvomen tw'/ aujtw'/ trovpw/: ajpoblevponte" pro;" e{kaston aujtw'n h|/ pevfuken, h|/ ei[rgastai, h|/ kei'tai, to; me;n crhvs imon kai; h|/ crhvs imon kai; pro;" o} crhve simon kai; oJpovte crhvs imon kalovn famen ei\nai, to; de; tauvth/ pavnth/ a[crhston aijscrovn: a\r∆ ouj kai; soi; dokei' ou{tw", w\ Ôippiva… IPPIAS “emoige. SWKRATHS ∆orqw'" a[ra nu'n levgomen o{ti tugcavnei panto;" o]n ma'llon kalo;n to; crhvs imon… IPPIAS ∆orqw'" mevntoi, w\ swvkrate". SWKRATHS oujkou'n to; dunato;n e{kaston ajpergavzesqai, eij" o{per dunatovn, eij" tou'to kai; crhvs imon, to; de; ajduvnaton a[crhston… IPPIAS pavnu ge.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

231

ti gli strumenti musicali e quelli delle altre arti, e se vuoi le occupazioni, le leggi, quasi tutte queste cose le consideriamo belle alla stessa maniera, se rispondono alle caratteristiche sopra indicate? osservando ciascuna di queste cose nella natura che ha, nel modo con cui è stata fatta, nella condizione in cui si trova, noi diciamo che è bella quella che è utile, come e a che cosa e quando è utile; la diciamo brutta, invece, se non e è utile da nessun punto di vista. Sembra anche a te, ippia, che sia così? IppIa Sì.

[rapporto fra utile e potere] Socrate allora diciamo giusto, afermando che il bello è l’utile più di ogni altra cosa? IppIa diciamo giusto, Socrate. Socrate allora, ciò che ha il potere di fare ciascuna cosa, in ciò in cui ha il potere, in questo è anche utile, mentre ciò che non ha potere è inutile? IppIa Sicuramente.

232

IppIA mAggIore, 296 A-B

SWKRATHS Duvnami" me;n a[ra kalovn, ajdunamiva de; aijscrovn…

296A

IPPIAS sfovdra ge. tav te gou'n a[lla, w\ swvkrate", marturei' hJmi'n o{ti tou'to ou{tw" e[cei, ajta;r ou\n kai; ta; politikav: ejn ga;r toi'" politikoi'" te kai; th'/ eJautou' povlei to; me;n dunato;n ei\ nai pavntwn kavlliston, to; de; ajduvnaton pavntwn ai[sciston. SWKRATHS eu\ levgei". a\r∆ ou\n pro;" qew'n, Ôippiva, dia; tau'ta kai; hJ sofiva pavntwn kavlliston, hJ de; ajmaqiva pavntwn ai[sciston… IPPIAS ∆alla; tiv oi[ei, w\ swvkrate"… SWKRATHS “ece dh; hjrevma, w\ fivle eJtai're: wJ" fobou'mai tiv pot∆ au\ levgomen.

B

IPPIAS Tiv d∆ au\ fobh'/, w\ swvkrate", ejpei; nu'n gev soi oJ lovgo" pagkavlw" probevbhke… SWKRATHS Bouloivmhn a[n, ajllav moi tovde sunepivskeyai: a\r∆ a[n tiv" ti poihvseien o} mhvt∆ ejpivstaito mhvte to; paravpan duvnaito… IPPIAS oujdamw'": pw'" ga;r a]n o{ ge mh; duvnaito…

77

afermazione importante per comprendere la fgura di ippia, al quale interessa soprattutto il potere politico, ben più che il flosofare in senso socratico. Si veda quanto platone dice al riguardo in Repubblica, Vi 496 a sgg.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

233

Socrate il potere, allora, è una cosa bella, e il non aver potere è una cosa brutta? IppIa certamente. del resto, Socrate, una prova che le cose 296A stanno proprio così ci è fornita, tra l’altro, proprio dalla politica. infatti, nelle faccende politiche e nella propria città, l’avere potere è la cosa più bella, il non aver potere è la cosa più brutta77. Socrate dici bene. allora, per gli dèi, ippia, è per questo motivo che la sapienza è la cosa più bella e l’ignoranza è la più brutta? IppIa che cosa intendi dire, Socrate? Socrate abbi pazienza, caro amico, in quanto ho paura di quello che stiamo per dire. IppIa di che cosa hai paura, Socrate, dato che ora il tuo ragio- B namento procede in modo molto bello? Socrate lo vorrei proprio! prima, però, considera questo con me: un uomo può fare qualche cosa di cui non ha conoscenza o che non ha in alcun modo il potere di fare? IppIa niente afatto. come potrebbe, infatti, fare quello che non ha il potere di fare?

234

IppIA mAggIore, 296 C-d

SWKRATHS oiJ ou\n ejxamartavnonte" kai; kaka; ejrgazovmenoiv te kai; poiou'nte" a[konte", a[llo ti ou|toi, eij mh; ejduvnanto tau'ta poiei'n, oujk a[n pote ejpoivoun… IPPIAS Dh'lon dhv. C

SWKRATHS ∆alla; mevntoi dunavmei ge duvnantai oiJ dunavmenoi: ouj gavr pou ajdunamiva/ ge. IPPIAS ouj dh'ta. SWKRATHS Duvnantai dev ge pavnte" poiei'n oiJ poiou'nte" a} poiou's in… IPPIAS naiv. SWKRATHS Kaka; dev ge polu; pleivw poiou's in h] ajgaqa; pavnte" a[nqrwpoi, ajrxavmenoi ejk paivdwn, kai; ejxamartavnousin a[konte". IPPIAS “esti tau'ta.

SWKRATHS Tiv ou\n… tauvthn th;n duvnamin kai; tau'ta ta; crhvs ima, a} a]n h\/ ejpi; to; kakovn ti ejrgavzesqai crhvs ima, a\ra fhvsomen tau'ta d ei\nai kalav, h] pollou' dei'… IPPIAS pollou', e[moige dokei', w\ swvkrate".

78

Sul tema si legga soprattutto quanto è detto nell’Ippia minore.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

235

Socrate allora, coloro che sbagliano e compiono cattive azioni, anche involontariamente, se non avessero il potere di farlo non le farebbero certamente?78 IppIa È evidente! Socrate ma quelli che possono, possono perché hanno potere, C non certo perché non hanno potere? IppIa no, certo. Socrate tutti coloro che fanno quello che fanno, dunque, hanno potere di fare quello che fanno? IppIa Sì. Socrate ma tutti quanti gli uomini fanno cose cattive molto più che cose buone, a cominciare da fanciulli, e sbagliano involontariamente79. IppIa È così. Socrate e allora? Questo potere e questa utilità, anche quando servono a fare del male, sono belle, o molto ci manca? d IppIa ci manca molto, mi sembra, Socrate. 79

anche su ciò nell’Ippia minore è espresso il pensiero di Socrate.

236

IppIA mAggIore, 296 e

SWKRATHS oujk a[ra, w\ Ôippiva, to; dunatovn te kai; to; crhvs imon hJmi'n, wJ" e[oiken, ejsti; to; kalovn. IPPIAS ∆eavn ge, w\ swvkrate", ajgaqa; duvnhtai kai; ejpi; toiau'ta crhvs imon h\/. SWKRATHS ∆ekei'no me;n toivnun oi[cetai, to; dunatovn te kai; crhvsimon aJplw'" ei\nai kalovn: ajll∆ a[ra tou't∆ h\n ejkei'no, w\ Ôippiva, o} ejbouvleto hJmw'n hJ yuch; eijpei'n, o{ti to; crhvs imovn te kai; to; dunato;n ejpi; to; ajgaqovn ti poih'sai, tou't∆ ejsti; to; e kalovn… IPPIAS “emoige dokei'. SWKRATHS ∆alla; mh;n tou'tov ge wjfevlimovn ejstin. h] ou[… IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS ou{tw dh; kai; ta; kala; swvmata kai; ta; kala; novmima kai; hJ sofiva kai; a} nundh; ejlevgomen pavnta kalav ejstin, o{ti wjfevlima.

80

Sono qualcosa che può derivare dal bello, ma non il bello in quanto tale. Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 3. 81 Si ricordi che il problema dell’anima è centrale in Socrate, in quanto, per lui, l’uomo è soprattutto la sua anima, e il compito supremo per l’uomo è cercare di far diventare la sua anima la migliore possibile, come dice nell’Apologia e nell’Alcibiade primo.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

237

Socrate il piacere e l’utile, allora, a quanto pare, ippia, non sono il bello?80

[rapporti fra utile, bene e bello] IppIa lo sono, Socrate, nel caso in cui possano produrre cose buone e tali cose siano utili. Socrate dunque, la tesi che il potere e l’utile sono senz’altro il bello, se ne va via. ma, ippia, questa era la tesi che la nostra anima81 aveva intenzione di dire, ossia che ciò che è utile e che ha il potere di fare qualche cosa di buono, questo è il bello? e IppIa mi pare di sì. Socrate ma questo è ciò che è vantaggioso! o no? IppIa certamente. Socrate allora, i bei corpi e le belle leggi e la sapienza e tutto quello di cui ora abbiamo parlato, sono belli in quanto vantaggiosi.

238

IppIA mAggIore, 297 A

IPPIAS Dh'lon o{ti. SWKRATHS To; wjfevlimon a[ra e[oiken hJmi'n ei\nai to; kalovn, w\ Ôippiva. IPPIAS pavntw" dhvpou, w\ swvkrate". SWKRATHS ∆alla; mh;n tov ge wjfevlimon to; poiou'n ajgaqovn ejstin. IPPIAS “esti gavr. SWKRATHS To; poiou'n dev g∆ ejsti;n oujk a[llo ti h] to; ai[tion: h\ gavr… IPPIAS ou{tw". 297A

SWKRATHS Tou' ajgaqou' a[ra ai[tiovn ejstin to; kalovn. IPPIAS “esti gavr. SWKRATHS ∆alla; mh;n tov ge ai[tion, w\ Ôippiva, kai; ou| a]n ai[tion h\/ to; ai[tion, a[llo ejstivn: ouj gavr pou tov ge ai[tion aijtivou ai[tion a]n ei[h. w|de de; skovpei: ouj to; ai[tion poiou'n ejfavnh… IPPIAS pavnu ge.

82

Si noti l’ironico capovolgimento del rapporto fra il vantaggioso e il bene, che viene fatto per far cadere ippia in un tranello: non è il vantaggioso che produce il bene, ma, viceversa, è dal bene che deriva il vantaggioso.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

239

IppIa È evidente. Socrate allora, il vantaggioso sembra essere il bello, ippia. IppIa Sicuramente in ogni caso, Socrate. Socrate ma il vantaggioso è ciò che produce il bene82. IppIa È vero. Socrate e ciò che produce non è altro che la sua causa. o no? IppIa È così. Socrate il bello, allora, è causa del bene83. IppIa lo è. Socrate ma la causa, ippia, e ciò di cui la causa è causa, sono due cose diverse. infatti, la causa non potrebbe in nessun modo essere causa della causa. fa’ questa considerazione: non ci pareva che la causa fosse ciò che produce? IppIa certo. 83 anche questa afermazione è fatta in senso ironico-dialettico capovolto: non è il bello che causa il bene, ma viceversa. Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 4.

297A

240

IppIA mAggIore, 297 B

SWKRATHS oujkou'n uJpo; tou' poiou'nto" poiei'tai oujk a[llo ti h] to; gignovmenon, ajll∆ ouj to; poiou'n… IPPIAS “esti tau'ta. SWKRATHS oujkou'n a[llo ti to; gignovmenon, a[llo de; to; poiou'n… IPPIAS naiv. B

SWKRATHS oujk a[ra tov g∆ ai[tion ai[tion aijtivou ejstivn, ajlla; tou' gignomevnou uJf∆ eJautou'. IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS eij a[ra to; kalovn ejstin ai[tion ajgaqou', givgnoit∆ a]n uJpo; tou' kalou' to; ajgaqovn: kai; dia; tau'ta, wJ" e[oike, spoudavzomen kai; th;n frovnhsin kai; ta\lla pavnta ta; kalav, o{ti to; e[rgon aujtw'n kai; to; e[kgonon spoudastovn ejsti, to; ajgaqovn, kai; kinduneuvei ejx w|n euJrivskomen ejn patrov" tino" ijdeva/ ei\nai to; kalo;n tou' ajgaqou'.

84

Si è talvolta richiamato (ma in modo non appropriato) un passo di Repubblica (Vii 506 d sgg.), che conviene leggere: «ma benedetti amici, che cosa efettivamente sia il Bene in sé lasciamolo per ora da parte – infatti la possibilità di giungere a quello che io ne penso ora mi sembra superiore a ciò che miriamo al presente –; ma di quello che mi pare fglio del Bene (o}~ de; e[kgonov~ te tou` ajgaqou`) e somigliantissimo a lui, voglio parlarvi, se voi pure lo desiderate; se no, lasciamo stare». – e lui: «Suvvia, parla: paghe-

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

241

Socrate allora, ciò che produce non produce nient’altro se non ciò che viene prodotto, non certo viene prodotto ciò che produce. IppIa È così. Socrate e una cosa è ciò che viene prodotto, altra cosa è ciò che produce. IppIa Sì. Socrate dunque, la causa non può essere causa della causa, ma B solo del prodotto che deriva da essa. IppIa certamente. Socrate allora, se il bello è causa del bene, ne conseguirebbe che dal bello dovrebbe derivare il bene. e, per questo, come sembra, noi consideriamo l’intelligenza e tutte le altre cose belle, in quanto ciò che esse producono e generano, il fglio, ossia il bene, è degno di essere ricercato. e si dà il caso, dalle cose che scopriamo in seguito a queste considerazioni, che il bello rientra nell’idea di padre del bene84.

rai un’altra volta il debito della presentazione del padre (tou` pa trov~)». in realtà qui l’immagine del «padre» e del «fglio» è usata in altro senso, ossia per esprimere il rapporto tra l’idea del bene e il Sole che lo rafgura per immagine. invece nell’Ippia maggiore il nesso illustrato è fra il bello e il bene. e addirittura in senso capovolto, in quanto per platone il «padre» è il bene, mentre il «fglio» è il bello.

242

IppIA mAggIore, 297 C

IPPIAS pavnu me;n ou\n: kalw'" ga;r levgei", w\ swvkrate". SWKRATHS oujkou'n kai; tovde kalw'" levgw, o{ti ou[te oJ path;r uJov" C ejstin, ou[te oJ uJo;" pathvr… IPPIAS Kalw'" mevntoi SWKRATHS oujdev ge to; ai[tion gignovmenovn ejstin, oujde; to; gignovmenon au\ ai[tion. IPPIAS ∆alhqh' levgei". SWKRATHS ma; Diva, w\ a[riste, oujde; a[ra to; kalo;n ajgaqovn ejstin, oujde; to; ajgaqo;n kalovn: h] dokei' soi oi|ovn te ei\nai ejk tw'n proeirhmevnwn… IPPIAS ouj ma; to;n Diva, ou[ moi faivnetai. SWKRATHS ∆arevskei ou\n hJmi'n kai; ejqevloimen a]n levgein wJ" to; kalo;n oujk ajgaqo;n oujde; to; ajgaqo;n kalovn…

85

la causa non coincide con l’efetto, ma c’è un rapporto analogico, in quanto l’efetto rispecchia in qualche modo la causa per natura.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

243

IppIa Sicuramente. dici bene, Socrate! Socrate e non è forse bello dire anche questo, ossia che il padre C non è il fglio, e che il fglio non è il padre. IppIa dici bene. Socrate la causa, in efetti, non coincide con ciò che viene prodotto, né ciò che viene prodotto con la causa85. IppIa È certamente bello. Socrate per Zeus, carissimo, allora il bello non è il bene e il bene non è il bello. o non ti pare che sia così, in base alle cose che abbiamo detto? IppIa no, per Zeus, non mi pare.

[fallimento della seconda defnizione di Socrate] Socrate Questo ci lascia davvero soddisfatti, e vogliamo concludere che il bello non è il bene e il bene non è il bello?

244

IppIA mAggIore, 297 d -e

IPPIAS ouj ma; to;n Diva, ouj pavnu moi ajrevskei. SWKRATHS nai; ma; to;n Diva, w\ Ôippiva: ejmoi; dev ge pavntwn d h{kista ajrevskei w|n eijrhvkamen lovgwn. IPPIAS “eoike ga;r ou{tw". SWKRATHS Kinduneuvei a[ra hJmi'n, oujc w{sper a[rti ejfaivneto kavllisto" ei\nai tw'n lovgwn to; wjfevlimon kai; to; crhvs imovn te kai; to; dunato;n ajgaqovn ti poiei'n kalo;n ei\nai, oujc ou{tw" e[cein, ajll∆, eij oi|ovn tev ejstin, ejkeivnwn ei\nai geloiovtero" tw'n prwvtwn, ejn oi|" thvn te parqevnon wj/ovmeqa ei\nai to; kalo;n kai; e}n e{kaston tw'n e[mprosqen lecqevntwn. IPPIAS “eoiken. SWKRATHS Kai; ejgw; mevn ge oujk e[ti e[cw, w\ Ôippiva, o{poi travpwmai, ajll∆ ajporw': su; de; e[cei" ti levgein…

e

IPPIAS oujk e[n ge tw'/ parovnti, ajll∆, w{sper a[rti e[legon, skeyavmeno" eu\ oi\d∆ o{ti euJrhvsw.

86 Si veda la spiegazione dell’afermazione analoga a questa che diamo, sopra, alla nota 74.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

245

IppIa no, per Zeus, non sono per niente soddisfatto. Socrate Sì, per Zeus, ippia; tra tutti i discorsi che abbiamo fatto, questo è quello che mi soddisfa meno. d IppIa Sembra proprio così. Socrate Si dà il caso che quello che poco fa ci pareva il più bello dei discorsi, ossia che il bello fosse il vantaggioso, l’utile e ciò che ha il potere di produrre il bene, non regga più. mi risulta ancor più ridicolo di quelli di prima, nei quali credevamo che il bello fosse una bella ragazza e ciascuna delle altre cose di cui si è detto. IppIa pare. Socrate e io non so più da che parte girarmi, ippia, e mi trovo in difcoltà. tu hai qualcosa da dire?

[terza defnizione di Socrate: il bello è il piacere prodotto dalla vista e dall’udito] IppIa al momento presente, no; ma, come prima dicevo, dopo e aver indagato, so bene che troverò la risposta86.

246

IppIA mAggIore, 298 A-B

SWKRATHS ∆all∆ ejgwv moi dokw' uJpo; ejpiqumiva" tou' eijdevnai oujc oi|ov" te se; ei\nai perimevnein mevllonta: kai; ga;r ou\n dhv ti kai; oi\mai a[rti hujporhkevnai. o{ra gavr: eij o} a]n caivrein hJma'" poih'/, mhvti pavsa" ta;" hJdonav", ajll∆ o} a]n dia; th'" ajkoh'" kai; th'" o[yew", tou'to fai'men ei\nai kalovn, pw'" ti a[r∆ a]n ajgwni298A zoivmeqa… oi{ tev gev pou kaloi; a[nqrwpoi, w\ Ôippiva, kai; ta; poikivlmata pavnta kai; ta; zwgrafhvmata kai; ta; plavsmata tevrpei hJma'" oJrw'nta", a} a]n kala; h\/: kai; oiJ fqovggoi oiJ kaloi; kai; hJ mousikh; suvmpasa kai; oiJ lovgoi kai; aiJ muqologivai taujto;n tou'to ejrgavzontai, w{st∆ eij ajpokrinaivmeqa tw'/ qrasei' ejkeivnw/ ajnqrwvpw/ o{ti «W gennai'e, to; kalovn ejsti to; di∆ ajkoh'" te kai; di∆ o[yew" hJduv, oujk a]n oi[ei aujto;n tou' qravsou" ejpivscoimen…

B

IPPIAS ∆emoi; gou'n dokei' nu'n ge, w\ swvkrate", eu\ levgesqai to; kalo;n o} e[stin.

II. defInIzIonI del Bello propoSte dA SoCrAte

247

Socrate io però credo, a causa del mio desiderio di sapere, che non sarò capace di aspettarti. infatti, penso di aver trovato or ora il modo di uscire dalla difficoltà. fa’ dunque attenzione. Se noi dicessimo che il bello è ciò che ci procura piacere, non tutti quanti i piaceri, ma quelli che abbiamo mediante la vista e l’udito, perché dovremmo continuare a gareggiare con quell’uomo? gli uomini belli, ippia, tutte le decorazioni, le pittu- 298A re e le sculture ci procurano piacere a guardarle, se sono belle. e i bei suoni, la musica tutta quanta e le narrazioni di leggende mitiche producono il medesimo effetto. e così, se noi rispondessimo a quell’uomo insolente: «nobile amico, il bello è il piacevole che ci giunge mediante la vista e mediante l’udito», non credi che riusciremmo a trattenerlo dalla sua insolenza?87 IppIa mi pare proprio, Socrate, che tu dica bene ciò che è bello. B

87

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 1.

parte terZa criticHe alla terZa definiZione di Socrate e trappole di SofiSmi in cUi Viene fatto cadere il SofiSta

SWKRATHS Tiv d∆… a\ra ta; ejpithdeuvmata ta; kala; kai; tou;" novmou", w\ Ôippiva, di∆ ajkoh'" h] dij o[yew~ fhvsomen hJdeva o[nta kala; ei\nai, h] a[llo ti ei\do~ e[cein. IPPIAS Tau'ta d∆ i[sw", w\ swvkrate", ka]n paralavqoi to;n a[nqrwpon. SWKRATHS ma; to;n kuvna, w\ Ôippiva, oujc o{n g∆ a]n ejgw; mavlista aijscunoivmhn lhrw'n kai; prospoiouvmenov" ti levgein mhde;n levgwn. IPPIAS Tivna tou'ton… SWKRATHS To;n swfronivskou, o}" ejmoi; oujde;n a]n ma'llon tau'ta 298 C ejpitrevpoi ajnereuvnhta o[nta rJa/divw" levgein h] wJ" eijdovta a} mh; oi\da.

88 traduciamo con «carattere» il termine greco ei\do~, qui usato in senso più generale che specifco. Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 3. 89 Qualcuno traduce «Socrate fglio di Sofronisco». ma l’esplicitazione del soggetto qui è errata dal punto di vista ermeneutico.

[la defnizione di Socrate non include fra le cose belle le occupazioni e le leggi]

Socrate e con questo? diremo allora che le belle occupazioni e le leggi, ippia, sono belle per il piacere che ci procurano mediante la vista e mediante l’udito, o che hanno qualche altro carattere?88 IppIa forse, Socrate, queste cose potrebbero sfuggire al nostro uomo. Socrate no, corpo di un cane, ippia! non sfuggirà certamente a quell’uomo al quale io mi vergognerei di dire sciocchezze, e di fngere di dire qualcosa, dicendo invece niente. IppIa chi è costui? Socrate il fglio di Sofronisco89, che non mi permetterebbe di parlare con leggerezza di cose di cui non si è fatta indagine, 298 C come se sapessi quello che non so. Socrate, infatti, usa Sofronisco come nome attribuibile non solo al proprio padre, ma a molti uomini, per trascinare, come al solito, ippia nel suo gioco ironico-dialettico, ossia per non dirgli espressamente «quel tale sono io», e lasciare che ippia non capisca.

252

IppIA mAggIore, 298 d -e

IPPIAS ∆alla; mh;n e[moige kai; aujtw'/, ejpeidh; su; ei\pe", dokei' ti a[llo ei\nai tou'to to; peri; tou;" novmou". SWKRATHS “ec∆ hJsuch'/, w\ Ôippiva: kinduneuvomen gavr toi, ejn th'/ aujth'/ ejmpeptwkovte" ajporiva/ peri; tou' kalou' ejn h|/per nundhv, oi[esqai ejn a[llh/ tini; eujporiva/ ei\nai. IPPIAS pw'" tou'to levgei", w\ swvkrate"… SWKRATHS ∆egwv soi fravsw o{ g∆ ejmoi; katafaivnetai, eij a[ra ti; d levgw. tau'ta me;n ga;r ta; peri; tou;" novmou" te kai; ta; ejpithdeuvmata tavc∆ a]n faneivh oujk ejkto;" o[nta th'" aijsqhvsew" h} dia; th'" ajkoh'" te kai; o[yew" hJmi'n ou\sa tugcavnei: ajll∆ uJpomeivnwmen tou'ton to;n lovgon, to; dia; touvtwn hJdu; kalo;n ei\nai, mhde;n to; tw'n novmwn eij" mevson paravgonte". ajll∆ eij hJma'" e[roito ei[te ou|to" o}n levgw, ei[te a[llo" oJstisou'n: «Tiv dhv, w\ Ôippiva te kai; swvkrate", ajfwrivsate tou' hJdevo" to; tauvth/ hJdu; h|/ levgete kalo;n ei\nai, to; de; kata; ta;" a[lla" e aijsqhvsei" sivtwn te kai; potw'n kai; tw'n peri; tajfrodivs ia kai; ta\lla pavnta ta; toiau'ta ou[ fate kala; ei\nai… h] oujde; hJdeva,

90 Sul rapporto delle leggi e delle occupazioni con il bello si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 6.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

253

IppIa però anche a me, dopo che tu hai parlato, pare che la cosa sia diversa per quanto riguarda le leggi.

[dalla defnizione che restringe il bello ai piaceri della vista e dell’udito sono escluse anche tutte le altre forme di piaceri] Socrate calmati, ippia! infatti, si dà il caso che noi ricadiamo nella stessa difficoltà di poco prima a proposito del bello, e che crediamo invece che ci sia un’altra via di uscita. IppIa perché dici questo, Socrate? Socrate ti dirò la mia opinione, se pur mi riesce di dirti qualcosa. Queste cose che riguardano leggi e occupazioni d potrebbero non risultare estranee alle sensazioni visive e uditive90. noi, però, sosteniamo la nostra tesi che il bello sia il piacere che proviene dalla vista e dall’udito, senza prendere in considerazione quello che riguarda le leggi. Se però l’uomo di cui parlo o chiunque altro ci chiedesse: «allora, ippia e Socrate, perché delimitate il piacere che voi dite bello a questa parte del piacere, e non dite che sono belli i piaceri di tutte le altre sensazioni, quali quelli dei cibi e delle bevande, degli amori e e di tutte le altre cose di tal genere? o dite che queste sensazioni non sono neppure piacevoli, e quindi non

254

IppIA mAggIore, 299 A-B

oujde; hJdona;" to; paravpan ejn toi'" toiouvtoi" fate; ei\nai, oujd∆ ejn a[llw/ h] tw'/ ijdei'n te kai; ajkou'sai…» tiv fhvsomen, w\ Ôippiva… IPPIAS pavntw" dhvpou fhvsomen, w\ swvkrate", kai; ejn toi'" a[lloi" megavla" pavnu hJdona;" ei\nai. SWKRATHS «Tiv ou\n,» fhvsei, «hJdona;" ou[sa" oujde;n h|tton h] kai; ejkeivna" ajfairei'sqe tou'to tou[noma kai; ajposterei'te tou' 299A kala;" ei\nai…» ”oti, fhvsomen, katagelwv/h a]n hJmw'n oujdei;" o{sti" ou[, eij fai'men mh; hJdu; ei\nai fagei'n, ajlla; kalovn, kai; o[zein hJdu; mh; hJdu; ajlla; kalovn: ta; dev pou peri; ta; ajfrodivs ia pavnte" a]n hJmi'n mavcointo wJ" h{diston o[n, dei'n de; aujtov, ejavn ti" kai; pravtth/, ou{tw pravttein w{ste mhdevna oJra'n, wJ" ai[sciston o]n oJra'sqai. tau'ta hJmw'n legovntwn, w\ Ôippiva, «manqavnw,» a]n i[sw" faivh, «kai; ejgw; o{ti pavlai aijscuvnesqe tauvta" ta;" hJdona;" favnai kala;" ei\nai, o{ti ouj dokei' toi'" B ajnqrwvpoi": ajll∆ ejgw; ouj tou'to hjrwvtwn, o} dokei' toi'" polloi'" kalo;n ei\nai, ajll∆ o{ti e[stin.» ejrou'men dh; oi\mai o{per uJpeqevmeqa, o{ti «Tou'q∆ hJmei'" gev famen to; mevro" tou' hJdevo", to; ejpi; th'/ o[yei te kai; ajkoh'/ gignovmenon, kalo;n ei\nai.» ajlla; e[cei" e[ti ti crh'sqai tw'/ lovgw/, h[ ti kai; a[llo ejrou'men, w\ Ôippiva… IPPIAS ∆anavgkh prov" ge ta; eijrhmevna, w\ swvkrate", mh; a[ll∆ a[tta h] tau'ta levgein.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

255

sono afatto piaceri, e che non ci sono piaceri in altro se non nel vedere e nell’udire? che cosa risponderemo, ippia? IppIa risponderemo, Socrate, che anche in altre sensazioni ci sono assai grandi piaceri. Socrate e lui dirà: «perché, allora, a questi che sono piaceri non meno di quelli, togliete questo nome, e li spogliate del carattere di essere belli?». e noi risponderemo: 299A «perché non c’è nessuno che non riderebbe di noi, se dicessimo che mangiare non è piacevole ma bello, e se dicessimo che un odore non è piacevole, ma bello. Quanto poi ai piaceri dell’amore, tutti ammetterebbero con noi che sono piacevoli in sommo grado, ma che è necessario, quando li si pratica, praticarli senza che nessuno veda, in quanto è assai vergognoso essere visti». Se noi dicessimo queste cose, ippia, il nostro uomo risponderebbe: «So anch’io che da un pezzo vi vergognate di dire che questi piaceri sono belli, poiché gli uomini non sono di questa opinione. ma io non B volevo sapere quale sia l’opinione dei più, ma che cosa è il bello in sé». noi, credo, risponderemo quello che abbiamo stabilito, ossia questo: «noi pensiamo che il bello è quella parte del piacere che deriva dalla vista e dall’udito». Sei d’accordo su questo discorso, o dobbiamo aggiungere qualcos’altro, ippia? IppIa Bisognerà rispondere come si è detto, Socrate, e non dire nient’altro che questo.

256

IppIA mAggIore, 299 C-d

SWKRATHS «Kalw'" dh; levgete,» fhvsei. «oujkou'n ei[per to; C di∆ o[yew" kai; ajkoh'" hJdu; kalovn ejstin, o} mh; tou'to tugcavnei o]n tw'n hJdevwn, dh'lon o{ti oujk a]n kalo;n ei[h…» oJmologhvsomen… IPPIAS naiv. SWKRATHS ««H ou\n to; di∆ o[yew" hJduv,» fhvsei, «di∆ o[yew" kai; ajkoh'" ejstin hJduv, h] to; di∆ ajkoh'" hJdu; di∆ ajkoh'" kai; di∆ o[yewv" ejstin hJduv…» oujdamw'", fhvsomen, to; dia; tou' eJtevrou o]n tou'to di∆ ajmfotevrwn ei[h a[n < tou'to ga;r dokei'" hJmi'n levgein < ajll∆ hJmei'" ejlevgomen o{ti kai; eJkavteron touvtwn aujto; kaq∆ auJto; tw'n hJdevwn kalo;n ei[h, kai; ajmfovtera. oujc ou{tw" ajpokrinouvmeqa… IPPIAS d

pavnu me;n ou\n. SWKRATHS ««ar∆ ou\n,» fhvsei, «hJdu; hJdevo" oJtiou'n oJtouou'n diafevrei touvtw/, tw'/ hJdu; ei\nai… mh; ga;r eij meivzwn ti" hJdonh; h] ejlavttwn h] ma'llon h] h|ttovn ejstin, ajll∆ ei[ ti" aujtw'/ touvtw/ diafevrei, tw'/ hJ me;n hJdonh; ei\nai, hJ de; mh; hJdonhv, tw'n hJdonw'n…» oujc hJmi'n ge dokei': ouj gavr…

91

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. ii, §§ 8-9.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

257

Socrate e lui dirà: «dite bene. dunque, se il bello è il piacevole che deriva dalla vista e dall’udito, il piacevole che è al di C fuori di questo è evidente che non è il bello». Saremo d’accordo?91 IppIa Sì.

[I piaceri della vista e dell’udito sono belli per una caratteristica che trascende la sensazione] Socrate e lui dirà: «allora, il piacere che deriva dalla vista è un piacere che dipende dalla vista e dall’udito, e il piacere che deriva dall’udito è un piacere che deriva dall’udito e dalla vista?». noi risponderemo: «niente afatto. il piacere che deriva da uno dei due sensi non potrebbe dipendere da tutti e due, mi pare che tu dica proprio questo; ma noi dicevamo che ciascuno di questi due piaceri è bello in sé e per sé, e che anche entrambi lo sono». non risponderemo così? IppIa certamente. Socrate «allora, dirà, un qualunque piacere diferisce da un altro quanto all’essere piacere? non intendo se un piacere è più grande o più piccolo, o se è più o meno intenso dell’altro, ma se uno diferisca dall’altro proprio nell’essere piacere, mentre uno è piacere e l’altro non lo è». a noi non pare, non è vero?

d

258

IppIA mAggIore, 299 e - 300 A

IPPIAS ouj ga;r ou\n dokei'. SWKRATHS «oujkou'n,» fhvsei, «di∆ a[llo ti h] o{ti hJdonaiv eijs i proeivlesqe tauvta" ta;" hJdona;" ejk tw'n a[llwn hJdonw'n, toiou'e tovn ti oJrw'nte" ejp∆ ajmfoi'n, o{ti e[cousiv ti diavforon tw'n a[llwn, eij" o} ajpoblevponte" kalav" fate aujta;" ei\nai… ouj gavr pou dia; tou'to kalhv ejstin hJdonh; hJ dia; th'" o[yew", o{ti di∆ o[yewv" ejstin: eij ga;r tou'to aujth'/ h\n to; ai[tion kalh'/ ei\nai, oujk a[n pote h\n hJ eJtevra, hJ dia; th'" ajkoh'", kalhv: ou[koun e[sti ge di∆ o[yew" hJdonhv.» ∆alhqh' levgei", fhvsomen… IPPIAS Fhvsomen gavr.

300A

SWKRATHS «oujdev g∆ au\ hJ di∆ ajkoh'" hJdonhv, o{ti di∆ ajkoh'" ejsti, dia; tau'ta tugcavnei kalhv: ouj ga;r a[n pote au\ hJ dia; th'" o[yew" kalh; h\n: ou[koun e[sti ge di∆ ajkoh'" hJdonhv.» ajlhqh' fhvsomen, w\ Ôippiva, levgein to;n a[ndra tau`ta levgonta. IPPIAS ∆alhqh'. SWKRATHS «∆alla; mevntoi ajmfovteraiv g∆ eijs i; kalaiv, wJ" fatev.» fame;n gavr… IPPIAS Famevn. 92 il piacere del bello che la vista e l’udito manifestano non deriva dalle percezioni della vista e dell’udito, ma dalla natura stessa del bello, che si manifesta mediante quelle sensazioni. Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iV, § 5.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

259

IppIa non pare proprio. Socrate «allora, continuerà, avete scelto questi piaceri distinguendoli dagli altri, per un motivo diverso dall’essere piaceri, vedendo che questi due hanno qualcosa che li diferenzia dagli altri, in considerazione del quale voi e dite che sono belli? infatti, il piacere che deriva dalla vista non è bello per questo, ossia perché deriva dalla vista. Se fosse questa la causa dell’essere bello, l’altro piacere che deriva dall’udito non potrebbe essere bello. dunque, il piacere della vista non è bello in quanto deriva dalla vista»92. noi gli risponderemo: «dici la verità»? IppIa lo diremo, infatti. Socrate «neppure il piacere uditivo, allora, risulta essere bello in 300A quanto deriva dall’udito. infatti, in tal caso, non potrebbe essere bello il piacere che deriva dalla vista. dunque, il piacere che deriva dall’udito non è bello in quanto deriva dall’udito». diremo, ippia, che il nostro uomo, dicendo queste cose, dice la verità? IppIa la verità. Socrate «ma l’uno e l’altro sono belli, voi dite». lo diciamo? IppIa lo diciamo.

260

IppIA mAggIore, 300 B-C

SWKRATHS «“ecousin a[ra ti to; aujto; o} poiei' aujta;" kala;" ei\nai, to; koino;n tou'to, o} kai; ajmfotevrai" aujtai'" e[pesti koinh'/ B kai; eJkatevra/ ijdiva/: ouj ga;r a[n pou a[llw" ajmfovteraiv ge kalai; h\san kai; eJkatevra.» ajpokrivnou ejmoi; wJ" ejkeivnw/. IPPIAS ∆apokrivnomai, kai; ejmoi; dokei' e[cein wJ" levgei". SWKRATHS eij a[ra ti au|tai aiJ hJdonai; ajmfovterai pepovnqasin, eJkatevra de; mhv, oujk a]n touvtw/ ge tw'/ paqhvmati ei\en kalaiv. IPPIAS Kai; pw'" a]n ei[h tou'to, w\ swvkrate", mhdetevra" peponquiva" ti tw'n o[ntwn oJtiou'n, e[peita tou'to to; pavqo", o} mhdetevra pevponqen, ajmfotevra" peponqevnai… SWKRATHS C

ouj dokei' soi…

93

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. ii, §§ 8-9.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

261

Socrate «Hanno, allora, qualche cosa di identico che li fa essere belli, un carattere comune a entrambi, e che è presente anche in ciascuno dei due in particolare. infatti, se B fosse diversamente, non sarebbero belli, considerati sia insieme sia singolarmente». rispondimi, dunque, come se parlassi con lui. IppIa rispondo che anche a me pare che le cose stiano come tu dici.

[Ci sono caratteri che possono appartenere a due cose messe insieme e non singolarmente a ciascuna di esse] Socrate Se, dunque, una afezione fosse comune a entrambi, ma non appartenesse a ciascuno singolarmente, non è per questa afezione che sarebbero belli. IppIa e come potrebbe essere possibile questo, Socrate, che non avendo né l’uno né l’altro una certa affezione singolarmente, si trovino poi ad avere, quando sono insieme, tale affezione93 che non hanno singolarmente né l’uno né l’altro? Socrate non ti pare?

C

262

IppIA mAggIore, 300 d

IPPIAS pollh; ga;r a[n m∆ e[coi ajpeiriva kai; th'" touvtwn fuvsew" kai; th'" tw'n parovntwn levxew" lovgwn. SWKRATHS ÔHdevw" ge, w\ Ôippiva. ajlla; ga;r ejgw; i[sw" kinduneuvw dokei'n mevn ti oJra'n ou{tw" e[con wJ" su; fh;/" ajduvnaton ei\nai, oJrw' d∆ oujdevn. IPPIAS ouj kinduneuvei", w\ swvkrate", ajlla; pavnu eJtoivmw" parora'/". SWKRATHS Kai; mh;n pollav gev moi profaivnetai toiau'ta pro; th'" yuch'", ajlla; ajpistw' aujtoi'", o{ti soi; me;n ouj fantavzetai, d ajndri; plei'ston ajrguvrion eijrgasmevnw/ tw'n nu'n ejpi; sofiva/, ejmoi; dev, o}" oujde;n pwvpote hjrgasavmhn. kai; ejnqumou'mai, w\ eJtai're, mh; paivzh/" prov" me kai; eJkw;n ejxapata'/": ou{tw" moi sfovdra kai; polla; faivnetai. IPPIAS oujdei;" sou', w\ swvkrate", kavllion ei[setai ei[te paivzw ei[te mhv, eja;n ejpiceirhvsh/" levgein ta; profainovmenav soi tau'ta: fanhvsh/ ga;r oujde;n levgwn. ouj ga;r mhvpote eu{rh/", o} mhvt∆ ejgw; pevponqa mhvte suv, tou't∆ ajmfotevrou" hJma'" peponqovta".

94

È, questo, un esempio tipico del gioco dell’ironia complessa che Socrate mette in atto. per ippia è vero che quello che Socrate dice è niente; in ottica dialettica, invece, risulta vero proprio il contrario.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

263

IppIa dovrei essere del tutto inesperto sia della natura di queste cose sia del senso dei ragionamenti presenti. Socrate parli in modo gradevole, ippia. ma, forse, io mi illudo di intravedere qualcosa che è proprio, come tu dici, impossibile, e invece non vedo niente94. IppIa forse no, Socrate, ma sicuramente vedi male. Socrate Sono molte le cose che mi si manifestano, e che si manifestano alla mia anima, ma io difdo di esse, dal momento che non si manifestano a te, un uomo che ha guadagnato d più denaro di tutti con la sua sapienza, e si manifestano invece a me, che non ho mai guadagnato niente. Ho perciò l’impressione, caro, che tu ti prenda gioco di me, e che deliberatamente mi inganni95. così tante e numerose e forti sono le cose che mi si presentano. IppIa nessuno saprà meglio di te, Socrate, se scherzo o non scherzo, quando cercherai di dirmi queste cose che ti si manifestano. risulterà, allora, che non dici niente96. tu non riuscirai mai a trovare qualche afezione che né tu né io possediamo singolarmente, e che invece possediamo insieme. 95

anche qui platone spinge l’ironia socratica ai limiti estremi. non è afatto ippia a prendersi gioco di Socrate, ma è Socrate stesso che si prende gioco di ippia e deliberatamente lo inganna. 96 Si veda quanto diciamo, sopra, alla nota 94.

264

e

IppIA mAggIore, 300 e - 301 B

SWKRATHS pw'" levgei", w\ Ôippiva… i[sw" me;n ti; levgei", ejgw; d∆ ouj manqavnw: ajllav mou safevsteron a[kouson o} bouvlomai levgein. ejmoi; ga;r faivnetai, o} mhvt∆ ejgw; pevponqa ei\nai mhvt∆ eijmi; mhd∆ au\ su; ei\, tou'to ajmfotevrou" peponqevnai hJma'" oi|ovn t∆ ei\nai: e{tera d∆ au\, a} ajmfovteroi pepovnqamen ei\nai, tau'ta oujdevteron ei\nai hJmw'n.

IPPIAS Tevrata au\ ajpokrinomevnw/ e[oika", w\ swvkrate", e[ti meivzw h] ojlivgon provteron ajpekrivnw. skovpei gavr: povteron eij ajmfovteroi divkaioiv ejsmen, ouj kai; eJkavtero" hJmw'n ei[h a[n, h] eij a[diko" eJkavtero", ouj kai; ajmfovteroi, h] eij uJgiaivnonte", 301A ouj kai; eJkavtero"… h] eij kekmhkwv" ti h] tetrwmevno" h] peplhgmevno" h] a[ll∆ oJtiou'n peponqw;" eJkavtero" hJmw'n ei[h, ouj kai; ajmfovteroi au\ a]n tou'to pepovnqoimen… e[ti toivnun eij crusoi' h] ajrguroi' h] ejlefavntinoi, eij de; bouvlei, gennai'oi h] sofoi; h] tivmioi h] gevrontev" ge h] nevoi h] a[llo o{ti bouvlei tw'n ejn ajnqrwvpoi" ajmfovteroi tuvcoimen o[nte", a\r∆ ouj megavlh ajnavgkh kai; eJkavteron hJmw'n tou'to ei\nai… SWKRATHS B

pavntw" ge dhvpou.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

265

[obiezioni di Ippia alla tesi di Socrate] Socrate come dici, ippia? forse tu dici qualcosa, ma io non ca- e pisco. cerca di fare maggiore attenzione a quello che voglio dirti. mi pare possibile che una afezione che io non ho mai avuto, e che in questo momento io non ho e che non hai neanche tu, entrambi presi insieme invece la possediamo, e che, d’altra parte, altre che entrambi presi insieme possediamo, nessuno di noi due possiede singolarmente. IppIa Socrate, sembri uno che dice cose assurde, ancora più assurde di quelle che hai detto poco fa. considera, infatti, questo: se entrambi siamo giusti, non lo sarà forse 301A anche ciascuno di noi singolarmente? e se ciascuno di noi è ingiusto, non lo saremo anche tutti e due? e se tutti e due siamo sani, non lo saremo forse anche ciascuno singolarmente? o, se l’uno e l’altro di noi è sofferente, ferito, colpito, e se soffre di qualsivoglia altro male, forse queste cose non le soffriamo insieme tutti e due? ancora, se entrambi fossimo d’oro, d’argento, d’avorio o, se tu preferisci, se fossimo nobili, sapienti, onorati, vecchi o giovani o ci trovassimo a essere in qualunque altra condizione umana, non sarebbe inevitabile che possedessimo queste caratteristiche l’uno e l’altro, singolarmente considerati? Socrate certamente.

B

266

IppIA mAggIore, 301 C-d

IPPIAS ∆alla; ga;r dh; suv, w\ swvkrate", ta; me;n o{la tw'n pragmavtwn ouj skopei'", oujd∆ ejkei'noi oi|" su; ei[wqa" dialevgesqai, krouvete de; ajpolambavnonte" to; kalo;n kai; e{kaston tw'n o[ntwn ejn toi'" lovgoi" katatevmnonte". dia; tau'ta ou{tw megavla uJma'" lanqavnei kai; dianekh' swvmata th'" oujs iva" pefukovta. kai; nu'n tosou'tovn se levlhqen, w{ste oi[ei ei\naiv ti h] pavqo" h] oujs ivan, h} peri; me;n ajmfovtera tau'ta e[stin a{ma, C peri; de; eJkavteron ou[, h] au\ peri; me;n eJkavteron, peri; de; ajmfovtera ou[: ou{tw" ajlogivstw" kai; ajskevptw" kai; eujhvqw" kai; ajdianohvtw" diavkeisqe. SWKRATHS Toiau'ta, w\ Ôippiva, ta; hJmevterav ejstin, oujc oi|a bouvletaiv ti", fasi;n a[nqrwpoi eJkavstote paroimiazovmenoi, ajll∆ oi|a duvnatai: ajlla; su; hJma'" ojnivnh" ajei; nouqetw'n. ejpei; kai; nu'n, pri;n uJpo; sou' tau'ta nouqethqh'nai, wJ" eujhvqw" diekeivmeqa, e[ti soi ma'llon ejgw; ejpideivxw eijpw;n a} dienoouvmeqa d peri; aujtw'n, h] mh; ei[pw… IPPIAS eijdovti me;n ejrei'", w\ swvkrate": oi\da ga;r eJkavstou" tw'n peri; tou;" lovgou" wJ" diavkeintai. o{mw" d∆ ei[ ti soi; h{dion, levge.

97

leggiamo un passo dell’Ippia minore (399 B-c) che illustra questo punto: «Socrate, tu attorcigli sempre i discorsi come questi, e, isolando il punto più difcile del ragionamento, ti attacchi a esso, lo prendi e lo fai a pezzi, e non afronti nella sua interezza l’argomento sul quale verte il discorso». 98 Questa frase altisonante è presentata volutamente da platone nella sua ambiguità, per indicare l’inconsistenza del pensiero flosofco di ippia. Usa grandi parole, per non dire niente di preciso.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

267

IppIa ma tu, Socrate, non consideri le cose nella loro interezza97, né tu né coloro con i quali sei solito discutere. Voi prendete in esame il bello e ciascuna delle altre cose, cogliendone solo una parte, e la fate a pezzi nei vostri discorsi. e così vi sfuggono le grandi realtà continue della sostanza nella loro natura98. e ora, questo ti è sfuggito al punto tale da farti credere che ci sia un qualcosa, una affezione o una sostanza che appartenga a due cose insieme contemporaneamente, ma non C a ciascuna di esse singolarmente, o che, al contrario, appartenga a ciascuna singolarmente, ma non ad ambedue nel loro insieme. in modo così sconsiderato, assurdo e stolto, la pensate tu e quelli con cui di solito ti intrattieni99. Socrate Questa è la nostra condizione, ippia, di essere come si può e non come si vorrebbe, dicono spesso gli uomini, secondo il proverbio100. tu, invece, con i tuoi ammonimenti ci sei di aiuto. ma ora, prima che tu ci dia i tuoi avvertimenti sulla condizione in cui ci troviamo, voglio darti una dimostrazione di questo, dicendoti ciò che noi ne pensavamo al riguardo. o non devo parlare? d IppIa parlerai a uno che la sa lunga, Socrate. infatti so bene quale sia la situazione in cui si trovano quelli che si occupano dei discorsi. tuttavia, se ti fa piacere, parla! 99 Si rilegga il passo dell’Ippia minore (399 B-c) riportato alla nota 97. 100 cfr. menandro, fr. 47: «Viviamo come possiamo, non come vogliamo».

268

IppIA mAggIore, 301 e - 302 A

SWKRATHS ∆alla; mh;n h{diovn ge. hJmei'" gavr, w\ bevltiste, ou{tw" ajbevlteroi h\men, privn se tau't∆ eijpei'n, w{ste dovxan ei[comen peri; ejmou' te kai; sou' wJ" eJkavtero" hJmw'n ei|" ejsti, tou'to de; o} eJkavtero" hJmw'n ei[h oujk a[ra ei\men ajmfovteroi < ouj ga;r ei|" ejsmen, ajlla; duvo < ou{tw" eujhqikw'" ei[comen: nu'n de; para; e sou' h[dh ajnedidavcqhmen o{ti eij me;n duvo ajmfovteroiv ejsmen, duvo kai; eJkavteron hJmw'n ajnavgkh ei\nai, eij de; ei|" eJkavtero", e{na kai; ajmfotevrou" ajnavgkh: ouj ga;r oi|ovn te dianekei' lovgw/ th'" oujs iva" kata; Ôippivan a[llw" e[cein, ajll∆ o} a]n ajmfovtera h\/, tou'to kai; eJkavteron, kai; o} eJkavteron, ajmfovtera ei\nai. pepeismevno" dh; nu'n ejgw; uJpo; sou' ejnqavde kavqhmai. provteron mevntoi, w\ Ôippiva, uJpovmnhsovn me: povteron ei|" ejsmen ejgwv te kai; suv, h] suv te duvo ei\ kajgw; duvo… IPPIAS Tiv levgei", w\ swvkrate"… SWKRATHS Tau'ta a{per levgw: fobou'mai gavr se safw'" levgein, 302A o{ti moi calepaivnei", ejpeida;n ti; dovxh/" sautw'/ levgein. o{mw" d∆ e[ti moi eijpev: oujc ei|" hJmw'n eJkavterov" ejsti kai; pevponqe tou'to, ei|" ei\nai…

101

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, §§ 4-5.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

269

[Alcune prove presentate da Socrate a favore della propria tesi] Socrate mi fa davvero piacere. noi infatti, carissimo, prima che tu dicessi queste cose, eravamo tanto sciocchi da credere, riguardo a te e a me, che ciascuno di noi fosse uno, ma anche che ciò che ciascuno di noi può essere, non possiamo esserlo entrambi. infatti, noi non siamo uno, ma due. ci trovavamo in una posizione così sciocca! ora abbiamo invece imparato da te che, se e presi insieme siamo due, è necessario che anche ciascuno di noi singolarmente sia due; e se singolarmente siamo uno, è necessario che anche entrambi insieme siamo uno. infatti, non è possibile che le cose stiano diversamente, in base al discorso continuo di ippia sulla sostanza, ma ciò che è per la coppia vale anche per ciascun membro della coppia singolarmente, e ciò che vale per ciascun membro vale anche per la coppia. convinto da te, dunque, io mi fermo qui. prima, però, ippia, fammi memoria di questo: tu e io siamo uno, oppure tu sei due e pure io sono due?101 IppIa che cosa dici, Socrate? Socrate dico ciò che dico. Ho paura, infatti, che tu dica espressamente di essere adirato con me, quando ritieni di dire qualche cosa di giusto. tuttavia dimmi ancora: 302A ciascuno di noi non è forse uno, e non gli tocca appunto di essere uno?

270

IppIA mAggIore, 302 B

IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS oujkou'n ei[per ei|", kai; peritto;" a]n ei[h eJkavtero" hJmw'n: h] ouj to; e}n peritto;n hJgh'/… IPPIAS “egwge. SWKRATHS «H kai; ajmfovteroi ou\n perittoiv ejsmen duvo o[nte"… IPPIAS oujk a]n ei[h, w\ swvkrate". SWKRATHS ∆all∆ a[rtioiv ge ajmfovteroi: h\ gavr… IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS mw'n ou\n, o{ti ajmfovteroi a[rtioi, touvtou e{neka kai; B eJkavtero" a[rtio" hJmw'n ejstin… IPPIAS ouj dh'ta. SWKRATHS oujk a[ra pa'sa ajnavgkh, wJ" nundh; e[lege", a} a]n ajmfovteroi kai; eJkavteron, kai; a} a]n eJkavtero" kai; ajmfotevrou" ei\nai. IPPIAS ouj tav ge toiau'ta, ajll∆ oi|a ejgw; provteron e[legon.

102

Si veda reale 201022, passim.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

271

IppIa certo. Socrate allora, ciascuno di noi, se è uno, dovrebbe essere anche dispari, o non ammetti che l’uno è dispari? IppIa lo ammetto. Socrate e noi insieme, pur essendo due, siamo forse dispari? IppIa non può essere, Socrate. Socrate ma l’uno e l’altro insieme siamo pari. o no? IppIa Sicuramente! Socrate e poiché noi due insieme siamo pari, per questo anche B ciascuno di noi è pari? IppIa certo che no. Socrate allora, non è proprio necessario, come tu dicevi poco fa, che ciò che siamo l’uno e l’altro insieme, deve esserlo anche ciascuno singolarmente, e ciò che siamo singolarmente lo dobbiamo essere anche tutti e due insieme102. IppIa non è necessario per queste cose, ma per quelle cose di cui prima dicevo.

272

IppIA mAggIore, 302 C-d

SWKRATHS ∆exarkei', w\ Ôippiva: ajgaphta; ga;r kai; tau'ta, ejpeidh; ta; me;n ou{tw faivnetai, ta; d∆ oujc ou{tw" e[conta. kai; ga;r ejgw; e[legon, eij mevmnhsai o{qen ou|to" oJ lovgo" ejlevcqh, o{ti hJ dia; th'" o[yew" kai; ajkoh'" hJdonh; ouj touvtw/ ei\en kalaiv, C o{ti tugcavnoien eJkatevra me;n aujtw'n ei\nai peponqui'a, ajmfovterai de; mhv, h] ajmfovterai mevn, eJkatevra de; mhv, ajll∆ ejkeivnw/ w|/ ajmfovteraiv te kai; eJkatevra, diovti sunecwvrei" ajmfotevra" te aujta;" ei\nai kala;" kai; eJkatevran. touvtou dh; e{neka th'/ oujs iva/ th'/ ejp∆ ajmfovtera eJpomevnh/ w[/mhn, ei[per ajmfovterav ejsti kalav, tauvth/ dei'n aujta; kala; ei\nai, th'/ de; kata; ta; e{tera ajpoleipomevnh/ mhv: kai; e[ti nu'n oi[omai. ajllav moi levge, w{sper ejx ajrch'": hJ di∆ o[yew" hJdonh; kai; hJ di∆ ajkoh'", ei[per d ajmfovteraiv t∆ eijs i; kalai; kai; eJkatevra, a\ra kai; o} poiei' aujta;" kala;" oujci; kai; ajmfotevrai" ge aujtai'" e{petai kai; eJkatevra/… IPPIAS pavnu ge. SWKRATHS «ar∆ ou\n o{ti hJdonh; eJkatevra t∆ ejsti; kai; ajmfovterai, dia; tou'to a]n ei\en kalaiv… h] dia; tou'to me;n kai; aiJ a[llai pa'sai a]n oujde;n touvtwn h|tton ei\en kalaiv… oujde;n ga;r h|tton hJdonai; ejfavnhsan ou\sai, eij mevmnhsai. IPPIAS mevmnhmai.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

273

Socrate Basta così, ippia. ci si può accontentare anche di questo, dato che alcune cose sembrano così, mentre altre no. infatti, io dicevo, se ricordi da dove è partito questo discorso, che i piaceri che derivano dalla vista e dall’udito non sono belli per questo, ossia per l’affe- C zione che ha ciascuno di essi, ma non l’hanno entrambi insieme, o che l’hanno entrambi insieme, ma non ciascuno singolarmente, ma per ciò che è comune a entrambi e a ciascuno singolarmente preso, in quanto tu hai ammesso che sono belli tutti e due insieme e singolarmente. proprio per questo pensavo che dovevano essere belli per una sostanza che si accompagna a entrambi, dato che entrambi sono belli, e non per qualche cosa che mancava a uno di essi, singolarmente. e lo credo anche ora. ma dimmi, come all’inizio: se il piacere che deriva dalla vista e quello che deriva dall’udito sono belli, sia presi insieme sia presi singo- d larmente, ciò che li rende belli li deve accompagnare sia presi insieme sia singolarmente? IppIa certamente! Socrate allora, per il fatto che essi sono piaceri, sia singolarmente sia insieme, per questo sarebbero belli? o per questo, anche tutti gli altri piaceri non sarebbero per niente meno belli di questi? Se ricordi, infatti, risultarono essere piaceri non meno degli altri. IppIa me lo ricordo.

274

e

IppIA mAggIore, 302 e

SWKRATHS ∆all∆ o{ti ge di∆ o[yew" kai; ajkoh'" au|taiv eijs i, dia; tou'to ejlevgeto kala;" aujta;" ei\nai. IPPIAS Kai; ejrrhvqh ou{tw". SWKRATHS skovpei de; eij ajlhqh' levgw. ejlevgeto gavr, wJ" ejgw; mnhvmh" e[cw, tou't∆ ei\nai kalo;n to; hJduv, ouj pa'n, ajll∆ o} a]n di∆ o[yew" kai; ajkoh'" h\/. IPPIAS ∆alhqh'. SWKRATHS oujkou'n tou'tov ge to; pavqo" ajmfotevrai" me;n e{petai, eJkatevra/ d∆ ou[… ouj gavr pou eJkavterovn ge aujtw'n, o{per ejn toi'" provsqen ejlevgeto, di∆ ajmfotevrwn ejstivn, ajll∆ ajmfovtera me;n di∆ ajmfoi'n, eJkavteron d∆ ou[: e[sti tau'ta… IPPIAS “estin. SWKRATHS oujk a[ra touvtw/ ge eJkavteron aujtw'n ejsti kalovn, o} mh; e{petai eJkatevrw/ (to; ga;r ajmfovteron eJkatevrw/ oujc e{petai)

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

275

Socrate ma in quanto derivano dalla vista e dall’udito, noi diceva- e mo che sono belli. IppIa Si diceva così.

[Un ragionamento sofstico con cui Socrate sconfgge il Sofsta che non riconosce l’inganno] Socrate Vedi, allora, se dico la verità. Si diceva, infatti, se ben ricordo, che il bello è il piacere, non tutto, ma solo quello che deriva dalla vista e dall’udito. IppIa Vero! Socrate allora, questa afezione si accompagna a entrambi insieme e non a ciascuno singolarmente? infatti, ciascuno di essi, come dicevamo prima, non deriva da tutti e due, ma tutti e due derivano da tutti e due, e ciascuno di essi invece no. È così? IppIa È così. Socrate allora, ciascuno di essi è bello, non per ciò che non si accompagna a ciascuno, perché l’essere tutti e due insieme

276

303A

IppIA mAggIore, 303 A

w{ste ajmfovtera me;n aujta; favnai kala; kata; th;n uJpovqesin e[xestin, eJkavteron de; oujk e[xestin: h] pw'" levgomen… oujk ajnavgkh… IPPIAS Faivnetai. SWKRATHS Fw'men ou\n ajmfovtera me;n kala; ei\nai, eJkavteron de; mh; fw'men… IPPIAS Tiv ga;r kwluvei… SWKRATHS Tovde e[moige dokei', w\ fivle, kwluvein, o{ti h\n pou hJmi'n ta; me;n ou{tw" ejpigignovmena eJkavstoi", ei[per ajmfotevroi" ejpigivgnoito, kai; eJkatevrw/, kai; ei[per eJkatevrw/, kai; ajmfotevroi", a{panta o{sa su; dih'lqe": h\ gavr… IPPIAS naiv. SWKRATHS ’a dev ge au\ ejgw; dih'lqon, ou[: w|n dh; h\n kai; aujto; to; eJkavteron kai; to; ajmfovteron. e[stin ou{tw"… IPPIAS “estin.

103

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii. §§ 8-9.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

277

non appartiene a ciascuno singolarmente, per cui, secondo la nostra tesi, è possibile dirli belli tutti e due insieme, ma non è possibile dire che è bello ciascuno di essi singolarmente. o come dobbiamo dire? non è necessario 303A questo?103 IppIa Sembra. Socrate dobbiamo, allora, dire che sono belli l’uno e l’altro insieme, ma che ciascuno singolarmente non lo è? IppIa che cosa lo impedisce? Socrate lo impedisce questo, a mio parere, caro, ossia il fatto che, in tutti gli esempi che ci hai portato, il rapporto tra le cose e le loro afezioni era tale che, se un carattere appartiene a due cose insieme, appartiene anche a ciascuna singolarmente, e, se a ciascuna singolarmente, appartiene anche a tutte e due insieme. È così? IppIa Sì. Socrate ma negli esempi che portavo io, non era così. tra di essi c’era l’essere uno dei due singolarmente e l’essere l’uno e l’altro insieme. non è così? IppIa certo!

278

IppIA mAggIore, 303 B-d

SWKRATHS potevrwn ou\n, w\ Ôippiva, dokei' soi to; kalo;n ei\nai… povteron w|n su; e[lege": ei[per ejgw; ijscuro;" kai; suv, kai; ajmfovteroi, kai; ei[per ejgw; divkaio" kai; suv, kai; ajmfovteroi, kai; ei[per ajmfovteroi, kai; eJkavtero": ou{tw dh; kai; ei[per ejgw; kalo;" kai; suv, kai; ajmfovteroi, kai; ei[per ajmfovteroi, kai; eJkavtero"… h] oujde;n kwluvei, w{sper ajrtivwn o[ntwn tinw'n ajmfotevrwn tavca me;n eJkavtera peritta; ei\nai, tavca d∆ a[rtia, kai; au\ ajrrhvtwn eJkatevrwn o[ntwn tavca me;n rJhta; ta; sunamfovtera ei\nai, tavca C d∆ a[rrhta, kai; a[lla muriva toiau'ta, a} dh; kai; ejgw; e[fhn ejmoi; profaivnesqai… potevrwn dh; tiqei'" to; kalovn… h] w{sper ejmoi; peri; aujtou' katafaivnetai, kai; soiv… pollh; ga;r ajlogiva e[moige dokei' ei\nai ajmfotevrou" me;n hJma'" ei\nai kalouv", eJkavteron de; mhv, h] eJkavteron mevn, ajmfotevrou" de; mhv, h] a[llo oJtiou'n tw'n toiouvtwn. ou{tw" aiJrh'/, w{sper ejgwv, h] ∆keivnw"… B

IPPIAS ou{tw" e[gwge, w\ swvkrate". SWKRATHS eu\ ge su; poiw'n, w\ Ôippiva, i{na kai; ajpallagw'men d pleivono" zhthvsew": eij ga;r touvtwn g∆ ejsti; to; kalovn, oujk a]n e[ti ei[h to; di∆ o[yew" kai; ajkoh'" hJdu; kalovn. ajmfovtera me;n ga;r poiei' kala; to; di∆ o[yew" kai; ajkoh'", eJkavteron d∆ ou[: tou'to d∆ h\n ajduvnaton, wJ" ejgwv te kai; su; dh; oJmologou'men, w\ Ôippiva.

104 Qui irrazionale e razionale vanno intesi riferiti ai numeri dispari e pari, e al gioco delle somme che danno come efetto quanto qui si dice.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

279

Socrate allora, ippia, in quale dei due casi ti pare che rientri il B bello? in quello di cui parlavi anche tu, che, cioè, se tu e io siamo forti, lo siamo anche entrambi insieme, e se io e tu siamo giusti, lo siamo tutti e due insieme, e se lo siamo insieme lo siamo anche singolarmente; e allo stesso modo, se tu e io siamo belli, lo siamo anche ambedue insieme e, se lo siamo ambedue insieme, lo siamo anche ciascuno singolarmente? o nulla vieta che, come due numeri che messi insieme sono pari, ciascuno sia pari oppure dispari, o che, pur essendo ciascuno dei due singolarmente irrazionali, insieme possano essere sia razionali che irrazionali104, e che così avvenga in in- C numerevoli altri casi, che, come ti dicevo, mi venivano in mente? allora, in quale di questi due gruppi tu poni il bello? Sei della mia stessa opinione? credo, infatti, che sia una grande assurdità che entrambi considerati insieme siamo belli e singolarmente no, o che singolarmente siamo belli e insieme no, e così anche per altri esempi di questo tipo. Sei d’accordo con me o la pensi diversamente? IppIa penso anch’io così, Socrate. Socrate e fai bene, ippia, perché, in tal modo, eviteremo di fare ulteriori ricerche. infatti, se il bello rientra in questo d genere di cose, esso non può essere il piacere che deriva dalla vista e dall’udito. infatti, il derivare dalla vista e dall’udito li rende belli l’uno e l’altro insieme, ma non singolarmente. e questo è impossibile, come tu e io abbiamo ammesso, ippia.

280

IppIA mAggIore, 303 d

IPPIAS Ôomologou'men gavr. SWKRATHS ∆aduvnaton a[ra to; di∆ o[yew" kai; ajkoh'" hJdu; kalo;n ei\nai, ejpeidhv ge kalo;n gignovmenon tw'n ajdunavtwn ti parevcetai. IPPIAS “esti tau'ta.

III. CrItIChe AllA terzA defInIzIone dI SoCrAte

281

IppIa lo abbiamo ammesso! Socrate È impossibile, allora, che il bello sia il piacere che deriva dalla vista e dall’udito, in quanto, se diventa bello, implica qualche cosa di impossibile105. IppIa È così.

105 il bello in quanto tale trascende il piacere e non deriva dal piacere, ma un certo piacere può derivare dal bello.

conclUSioni Se non Si eSce dal modo di penSare di ippia non Si riSolVe il proBlema del Bello e Si gira a VUoto in circolo

SWKRATHS «Levgete dh; pavlin,» fhvsei, «ejx ajrch'", ejpeidh; 303 e touvtou dihmavrtete: tiv fate ei\nai tou'to to; kalo;n to; ejp∆ ajmfotevrai" tai'" hJdonai'", di∆ o{ti tauvta" pro; tw'n a[llwn timhvsante" kala;" wjnomavsate…» ajnavgkh dhv moi dokei' ei\nai, w\ Ôippiva, levgein o{ti ajs inevstatai au|tai tw'n hJdonw'n eijs i kai; bevltistai, kai; ajmfovterai kai; eJkatevra: h] suv ti e[cei" levgein a[llo w|/ diafevrousi tw'n a[llwn… IPPIAS oujdamw'": tw'/ o[nti ga;r bevltistaiv eijs in. SWKRATHS «Tou't∆ a[ra,» fhvsei, «levgete dh; to; kalo;n ei\nai, hJdonh;n wjfevlimon…» ∆eoivkamen, fhvsw e[gwge: su; dev… IPPIAS Kai; ejgwv.

106 Socrate non poteva certo dire direttamente ciò che qui afferma, per i motivi che spieghiamo nel Saggio intr., cap. iii, § 1. 107 l’attributo qui usato – ajsinevstatai, «innocente», «innocuo», ossia «che non arreca danno» – è volutamente generico, in quanto Socrate stesso conduce la conclusione della discussione e ippia non è in grado di intervenire in modo costruttivo.

[Conclusioni e rinuncia alla soluzione del problema]

Socrate Quel tale dirà allora di nuovo: «riprendete dall’inizio, poiché in questo avete sbagliato106. dovete preci- 303 e sare che cosa è questo bello che è in entrambi i piaceri, per cui avete considerato questi più belli di altri». mi pare che sia necessario dire, ippia, che essi sono i più innocenti107 tra tutti i piaceri e i migliori108, sia ambedue insieme sia singolarmente. o tu sei in grado di indicare qualcos’altro, per cui essi si differenziano dagli altri? IppIa proprio no, Socrate, essi sono, in efetti, i migliori. Socrate «dunque, egli dirà, voi afermate che il bello è un piacere vantaggioso?»109. «io credo di sì», dirò io. e tu? IppIa anch’io.

108 anche questo attributo, bevltistai, è volutamente generico per i motivi riferiti nella nota precedente. 109 il «vantaggioso» è qui richiamato, allo scopo di far tornare alla memoria l’aporia connessa con la seconda defnizione di Socrate.

286

IppIA mAggIore, 304 A-C

SWKRATHS «oujkou'n wjfevlimon,» fhvsei, «to; poiou'n tajgaqovn, to; de; poiou'n kai; to; poiouvmenon e{teron nundh; ejfavnh, kai; eij" to;n provteron lovgon h{kei uJmi'n oJ lovgo"… ou[te ga;r to; ajgaqo;n a]n 304A ei[h kalo;n ou[te to; kalo;n ajgaqovn, ei[per a[llo aujtw'n eJkavterovn ejsti.» pantov" ge ma'llon, fhvsomen, w\ Ôippiva, a]n swfronw'men: ouj gavr pou qevmi" tw'/ ojrqw'" levgonti mh; sugcwrei'n. IPPIAS ∆alla; dhv g∆, w\ swvkrate", tiv oi[ei tau'ta ei\nai sunavpanta… knhvsmatav toiv ejsti kai; peritmhvmata tw'n lovgwn, o{per a[rti e[legon, kata; bracu; dih/rhmevna: ajll∆ ejkei'no kai; kalo;n kai; pollou' a[xion, oi|ovn t∆ ei\nai eu\ kai; kalw'" lovgon katasthsavmenon ejn dikasthrivw/ h] ejn bouleuthrivw/ h] ejpi; a[llh/ B tini; ajrch'/, pro;" h}n a]n oJ lovgo" h\/, peivsanta oi[cesqai fevronta ouj ta; smikrovtata ajlla; ta; mevgista tw'n a[qlwn, swthrivan auJtou' te kai; tw'n auJtou' crhmavtwn kai; fivlwn. touvtwn ou\n crh; ajntevcesqai, caivrein ejavsanta ta;" smikrologiva" tauvta", i{na mh; dokh'/ livan ajnovhto" ei\nai lhvrou" kai; fluariva" w{sper nu'n metaceirizovmeno". SWKRATHS «W Ôippiva fivle, su; me;n makavrio" ei\, o{ti te oi\sqa a} crh; ejpithdeuvein a[nqrwpon, kai; ejpitethvdeuka" iJkanw'", wJ" C fhv/": ejme; de; daimoniva ti" tuvch, wJ" e[oike, katevcei, o{sti" planw'mai me;n kai; ajporw' ajeiv, ejpideiknu;" de; th;n ejmautou' ajporivan uJmi'n toi'" sofoi'" lovgw/ au\ uJpo; uJmw'n prophlakiv-

110

Si rilegga il passo dell’Ippia minore (399 B-c), riportato sopra, alla nota 97. 111 anche qui Socrate fa un gioco ironico piuttosto mordace. la felicità non deriva da un pensiero e da una vita come quelli di ippia, bensì da una vita e da un pensiero del vero flosofo.

ConClUSIonI

287

Socrate «ma il vantaggioso, dirà, è ciò che produce il bene; e ciò che produce e ciò che è prodotto ci sono sembrati cose diverse. il nostro discorso torna allora a essere quello di prima? infatti, né il bene può essere il bello, né il bello 304A può essere il bene, se ciascuno dei due è qualche cosa di diverso». Senz’altro, diremo, se abbiamo buon senso, ippia. infatti, non è lecito non dare ragione a uno che parla in modo giusto. IppIa ma, Socrate, che cosa pensi di tutte queste cose? per me sono frammenti e ritagli di discorsi, come dicevo poco fa, divisi in piccoli pezzi 110. invece, ciò che è veramente bello è molto importante, consiste nell’essere capaci di fare in modo bello e perfetto un discorso in tribunale, nell’assemblea o davanti a qual- B che altra autorità cui il discorso è diretto, e, dopo aver persuaso i presenti, tornarsene a casa non con premi piccoli, ma con i più grandi di tutti, la sicurezza propria, dei propri beni e degli amici. appunto di questo ci si deve occupare, dopo aver lasciato da parte questi piccoli discorsi, perché sembri veramente pazzo nell’occuparti, come fai ora, di cose vacue e di sciocchezze. Socrate caro ippia, tu sei un uomo felice111, perché sai quali sono le cose delle quali un uomo si deve occupare e di cui tu stesso ti sei occupato in modo adeguato, come C dici. io invece, come pare, sono vittima di una sorte demonica, per cui vado errando e mi trovo sempre in difficoltà. e, quando manifesto questa mia difficoltà a voi che siete sapienti, vengo insultato dai vostri

288

d

e

IppIA mAggIore, 304 d -e

zomai, ejpeida;n ejpideivxw. levgete gavr me, a{per kai; su; nu'n levgei", wJ" hjlivqiav te kai; smikra; kai; oujdeno;" a[xia pragmateuvomai: ejpeida;n de; au\ ajnapeisqei;" uJpo; uJmw'n levgw a{per uJmei'", wJ" polu; kravtistovn ejstin oi|ovn t∆ ei\nai lovgon eu\ kai; kalw'" katasthsavmenon peraivnein ejn dikasthrivw/ h] ejn a[llw/ tini; sullovgw/, uJpov te a[llwn tinw'n tw'n ejnqavde kai; uJpo; touvtou tou' ajnqrwvpou tou' ajeiv me ejlevgconto" pavnta kaka; ajkouvw. kai; gavr moi tugcavnei ejgguvtata gevnou" w]n kai; ejn tw'/ aujtw'/ oijkw'n: ejpeida;n ou\n eijsevlqw oi[kade eij" ejmautou' kaiv mou ajkouvsh/ tau'ta levgonto", ejrwta'/ eij oujk aijscuvnomai tolmw'n peri; kalw'n ejpithdeumavtwn dialevgesqai, ou{tw fanerw'" ejxelegcovmeno" peri; tou' kalou' o{ti oujd∆ aujto; tou'to o{ti potev ejstin oi\da. «Kaivtoi pw'" su; ei[sh/,» fhsivn, «h] lovgon o{sti" kalw'" katesthvsato h] mhv, h] a[llhn pra'xin hJntinou'n, to; kalo;n ajgnow'n… kai; oJpovte ou{tw diavkeisai, oi[ei soi krei'tton ei\nai zh'n ma'llon h] teqnavnai…» sumbevbhke dhv moi, o{per levgw, kakw'" me;n uJpo; uJmw'n ajkouvein kai; ojneidivzesqai, kakw'" de; uJp∆ ejkeivnou. ajlla; ga;r i[sw" ajnagkai'on uJpomevnein tau'ta

112

Si veda quanto diciamo nel Saggio intr., cap. iii, § 1. Qui Socrate spinge ai limiti estremi l’allusione all’identifcazione del sosia con se stesso, sempre però rimanendo nell’ambiguo. e certamente ippia non capisce neanche questa afermazione. 114 ippia parla delle belle occupazioni, ma ignora che cos’è il bello, e quindi quello che dice perde senso flosofco. 115 È, questa, una frase emblematica, che però si comprende a fondo solo tenendo presente che per platone bello e bene in certo senso coincidono, e senza conoscere il Bene-Bello perde senso la vita, come si dice in un passo della Repubblica (Vii 534 B-d), che 113

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discorsi, non appena l’abbia manifestata. infatti, voi dite, come tu hai ribadito anche ora, che io mi occupo di cose di scarsa importanza, vacue e inconsistenti. ma, una volta che, convinto da voi, dico le cose che dite voi, ossia che ciò che vale di più consiste nell’essere in grado di comporre un discorso in modo perfetto e recitarlo in tribunale o in qualche altra assem- d blea, allora, da quelli che sono qui presenti e da parte di quell’uomo che sempre mi confuta, sento insulti di ogni sorta112. e infatti si dà il caso che quest’uomo sia il più legato a me per parentela e che abiti dove abito io113. Quando torno a casa e mi sente ripetere questi discorsi, mi domanda se non mi vergogno di aver l’audacia di parlare delle belle occupazioni114, io che mi lascio confutare in modo così evidente sul bello, in quanto non so neppure che cosa sia il bello in sé. e dirà: «e come potrai sapere se un discorso è bello o e no, se una qualche azione è bella o no, dal momento che non conosci il bello? e pensi in una tale condizione che sia meglio vivere piuttosto che morire?115». mi è successo, come dico, di essere trattato male e di essere insultato da voi, come da quel tale. ma forse, ippia, è necessario che io debba sopportare tutte queconviene riportare: «chi non è capace di defnire l’idea del Bene con il ragionamento astraendola da tutte le altre, e come in battaglia passando attraverso tutte le prove con l’intenzione di provarla non secondo opinione ma secondo l’essenza, non afronti queste cose con un ragionamento che non crolla, tu dirai che chi si trova in tale condizione non conosce né il Bene in sé né nessun’altra cosa buona; ma che se anche ne apprenda una qualche immagine, non dirai forse che la coglie con l’opinione e non con la scienza, e che dormendo e sognando in questa vita, prima di potersi risvegliare qui, fnirà con l’addormentarsi di nuovo, e, scendendo nell’ade, terminerà il suo sonno?».

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IppIA mAggIore, 304 e

pavnta: oujde;n ga;r a[topon eij wjfeloivmen. ejgw; ou\n moi dokw`, w\ Ôippiva, wjfelh`sqai ajpo; th`" ajmfotevrwn uJmw`n oJmiliva~: th;n paroimivan o{ti pote; levgei, to; «Calepa; ta; kalav», dokw` mei eijdevnai.

ConClUSIonI

291

ste cose; non sarebbe strano, infatti, che ne traessi vantaggio! mi pare, comunque, ippia, di aver tratto vantaggio dai discorsi di voi due116: credo, infatti, di aver compreso che cosa significa il proverbio: «le cose belle sono difficili»!117

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i «due» sono ippia e il sosia di Socrate. Si dice che questo motto sia stato coniato da Solone. Qui però, ha un preciso signifcato flosofco. da un lato, messo qui alla fne della discussione con il sofsta ippia che non è giunto alle conclusioni, di primo acchito può suonare come aporetico. invece platone probabilmente pensava a quello che dice nella Repubblica (Vi 504 d), ossia che per conoscere il Bene bisogna percorrere una lunga e difcile via: «amico mio, per la via più lunga costui dovrà andare e dovrà faticare nell’apprendimento non meno che negli esercizi ginnici; se no, come ora dicevamo, non verrà mai a capo di quella conoscenza massima, che a lui conviene in grado supremo». 117

BiBliografia specifica a cura di Vincenzo cicero

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