Pitiche (testo greco a fronte) 9788817024983

Non si può non riconoscere a Pindaro il merito di una poesia capace di dispensare gloria immortale a chi si rende protag

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Pitiche (testo greco a fronte)
 9788817024983

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Pindaro PITICHE a cura di Franco Ferrari TESTO GRECO A FRONTE

Pindaro, questa persona tutta d'un pezzo, quesr'twmo, questo profeta delle Muse. Ci costringe prima al rispetto, poi all'amore. U. von \Vibmowitz-Moellendorff

Poeta aristocratico, cantore delle vittorie degli atleti e degli epigoni delle più antiche famiglie della Grecia antica, Pindaro celebrò con i suoi versi straordinari un mondo di ideali eroici e di valori classici e religiosi. Nei suoi epinici, o canti per la vittoria, il momento supremo del successo atletico viene innalzato a una sfera di valori assoluti ed eterni, in cui il vincitore assume i tratti degli dei e degli eroi mitici. Le Pitiche in particolare, composte fra il 498 e il 446 a.C., can­ tavano i vincitori dei grandi giochi panellenici di Pito (Delfi), dove si svolgevano ogni quattro anni, in onore di Apollo, gare atletiche e concorsi poetici che attiravano da tutta la Grecia un pubblico eterogeneo e multiforme. Nell'introduzione Franco Ferrari illustra la genesi e la struttura di queste odi e le vicende storiche che ne ispirano i versi. Di PrNDARO (520-446 a.C. ca.) BUR ha pubblicato anche le Olimpiche. FRANCO FERRARI è docente di Letteratura greca presso l'Uni­

versità dell'Aquila. Per BUR ha tradotto, oltre alle Olimpiche di Pindaro, anche Saffo, Teognide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Senofonte e Platone. In cop«rin.a: anfon. pan.u:ena.ica a 6gure: nere (pan.)

ISBN

l

9 788817

e Erich Les.sing

�grafico Mucca Design

www.bur.eu

983

€ 10,50

Pindaro in

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Olimpiche

A cura di Franco Ferrari

Il capolavoro di Pindaro. Le odi celebrative che accoglievano con musica e canti l'atleta al suo rientro in patria. Claaicl greci e latini · Pagine 208 -9-

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ISBN 1717226

Pindaro PITICHE Introduzione, traduzione e note di Franco Ferrari Testo greco a fronte

CLASSICI GRECI E LATINI

Proprietà letteraria riservata

© 2008 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-02498-3 Titolo originale dell'opera: IIYBIA Prima edizione agosto 2008

Per conoscere il mondo BUR visita il siro www.bur.rcslibri.eu

INTRODUZIONE

RITO E SPETIACOLO: PER LEGGERE LE P/T/CHE DI PINDARO

Come abbiamo ricordato nell'introduzione al volume delle Olimpiche portando l'esempio di Olimpica 6 e Ne­ mea 3,1 non sono rari negli epinici di Pindaro i riferi­ menti al contesto festivo, ai dati dell'esecuzione, al ruo­ lo del poeta o del corteo festivo ( KcO).Loç) che accompa­ gna il vincitore, ma questi richiami non sono istantanee dell'evento reale: appaiono invece inseriti nel tessuto artistico del carme in modo tale che l'immaginario si fonde col vissuto, l'evocazione del lontano si alterna al­ l'indicazione di ciò che è fisicamente percepibile dall'u­ ditorio, le scansioni della festa vengono trasposte in una libera successione. Incontriamo insomma una varietà di soluzioni che ri­ schia di sfuggire tanto ai fautori di una lettura rigorosa­ mente «pragmatica)) (iper-realistica) della lirica greca arcaica2 quanto a coloro che sembrano propensi a ridur1 Ferrari 1998,21-29. In particolare sulla Nemea 3 rimando anche a Ferrari 1990. 2 Propugnatore di una lettura dei lirici in chiave pragmatica è stato in primo luogo negli ultimi decenni W. Rosler (a partire da Rosler 1980) sulla base dell'antitesi fra deixis (demonstratio ad oculos) e im­ maginazione (Deixis am Phantasma) e della convinzione che, in un circuito di comunicazione orale qual è quello della lirica greca arcaica, i dati del reale incapsulati nel testo rinviano quasi sempre all'hic et

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re a mera convenzione letteraria i dettagli del reale per concentrarsi sui procedimenti retorici messi in atto dal poeta in vista della lode del vincitore. Del resto il tempo del canto può sovvertire la linea­ rità del tempo cantato anche in componimenti che ap­ paiono strettamente connessi al rito e che nella loro struttura originaria rispondevano a un'esigenza prag­ matica che la parola poteva tutt'al più enfatizzare attra­ verso parallelismi e anafore. Anche perché i confini fra carmi «cultuali» ed epinici sono talora molto sfumati, un breve sguardo alle tendenze operanti nei primi può contribuire ad apprezzare certe va­ lenze degli epinici e, in particolare, di alcune odi pitiche. l. Un caso molto interessante è offerto dal Partenio 2,

eseguito per la processione (dafneforia) che, a stare alla descrizione che ce ne offre Proclo,3 recava ogni otto an­ ni ai santuari beotici di Apollo Ismenios e Galaxios4 un tronco d'olivo coronato di nastri di porpora, rami d'al­ loro, globi multicolori. In testa al corteo procedevano un ragazzo che avesse in vita entrambi i genitori e il suo parente più prossimo, che portava il pesante tronco d'olivo. Poi venivano un giovane che fungeva da dafneforo e toccava i rami d'al­ loro attaccati al tronco e, in fila dietro di lui, le ragazze che cantavano recando ramoscelli di supplica. D'altra parte Pausania (IX 10, 4) offre dettagli in par­ te diversi facendo riferimento a una processione non en­ neaterica bensì annuale e a un unico giovane in testa al corteo (il dafneforo) a proposito del quale precisa che ,

nunc della performance cadendo sotto la percezione visiva e/o acusti­ ca dell'uditorio. 3 In Fozio, Bibl. 321ab. 4 Alla dafneforia per Apollo Galaxios, connessa a una miracolosa abbondanza di latte, fa riferimento Plutarco, Pyth. or. 409a, che cita il fr.l04b (= fr. 997 PMG), la cui attribuzione a Pindaro è tuttavia incer­ tissima.

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doveva essere di famiglia in vista, bello, forte e che veni­ va dichiarato «sacerdote annuale» di Apollo. La compatibilità fra le due testimonianze è contro­ versa,5 ma il cast di attori del rito proposto da Pindaro­ oltre al coro di vergini esso comprende l'adulto Pagon­ da, il giovane Agasicle (sul quale si concentra l'interesse delle coreute, cfr. v. 37 ss.) e sua sorella Damena, che funge da corega - pone alla testa della processione co­ me reggitore del tronco d'olivo il padre (Pagonda) del ragazzo, non il parente più prossimo, e prevede una sola figura maschile di giovane, appunto Agasicle. A principio del carme le coreute non solo rievocano il momento in cui hanno stretto «in fretta» (v. 6)6 il pe­ plo con una cintura preparandosi alla cerimonia, ma si riferiscono in tempo futuro al canto che hanno già intra­ preso a intonare (vv. 11-5): Canterò con il capo virginale fiorito di serti e la voce della Sirena al suono di auli brevi di loto imiterò con i miei canti ...

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Si tratta di un uso del futuro connesso a un Io corale e perciò ben distinto dai casi frequenti di futuro (in gene­ re etichettato come «encomiastico» )1 in cui i momenti della composizione e dell'esecuzione sembrano coinci5 Vedi Schachter 1981, 77-85 e Lehnus 1984,83-5.

6 Il motivo della fretta nel partire dalla loro sede abituale si ritrova per le Oceanine che formano il coro del Prometeo di Eschilo, che ad­

dirittura non hanno avuto il tempo di calzare i sandali (cfr. v. 135). 7 Una trattazione panoramica delle funzioni del futuro in Pindaro ha dato Pfeijffer 1999a, orientato per altro a negare l'esistenza di un futuro . Per ciò che ci riguarda, Pfeijffer 1999a, 33-43 assegna una specifica rubrica ai che annunciano la totalità dell'ode creando l'illusione che il carme non sia ancora co­ minciato (si possono richiamare in particolare gli attacchi di Olimpica 10, Nemea 3 e 9, /stmica B).

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dere. Un precedente è offerto dal Partenio per Astimelu­ sa di Alcmane, dove le coreute proiettavano nel prossi­ mo futuro l'esecuzione appena intrapresa e descriveva­ no i propri preparativi a partire dal momento del risve­ glio nelle loro case (fr. 3, 7-9 PMGF): ... dissiperà8 dalle palpebre il dolce [sonno] e mi spinge ad andare all'agone[... ] [dove al più presto] agiterò la bionda chioma. Assai più oltre, nel corso del partenio pindarico, il se­ gnale di avvio della processione, e dunque del canto ri­ tuale, viene espresso con un invito rivolto dal coro a Pa­ gonda, padre della corega, affinché si metta in movi­ mento (vv. 66-70): Padre di Damena, ora con passo tranquillo guidami avanzando: lieta ti seguirà per prima lungo il tragitto tua figlia, presso il ramo rigoglioso d'alloro procedendo con i calzari.

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Poco dopo, nei lacunosi vv. 76-8 le coreute si rivolgono con un imperativo duale (o'ixt:aeov «andate») a due figu­ re della casa di Pagonda,9 committente del partenio per conto della comunità tebana, invitandole a non cercare altrove per il futuro, quando abbiano sete, acqua salma­ stra potendo disporre del «nettare» di pura fonte10 offer8 Soggetto era verosimilmente il canto delle Muse (o il desiderio di ascoltarlo). 9 Forse la coppia padre/figlia (Pagonda/Damena) su cui si è con­ centrata l'attenzione nelle due stanze precedenti. Lehnus 1984, 89 n. 49, pensa invece, sulla scia di Slater 1969, s. v. oi:xo11at b, a Dame­ na e Andesistrota, figlia e madre (se davvero Andesistrota è la ma­ dre e non la maestra del coro), ma escludere il presumibile com­ mittente nell'ambito dell'augurio di nuovi incarichi poetici appare inverosimile. 10 Con Kpa]vaç di Grenfell e Hunt al v. 76.

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to dal poeta tebano, dunque si esprimono come se il can­ to fosse già terminato o stesse terminando (ciò che inve­ ce non accade: esso continuava per almeno una trentina di versi) ed esse si congedassero dalla festa raccoman­ dando nuovi incarichi per il loro poeta in vista di future cerimonie pubbliche o private. Non solo il coro dilata la propria gamma di riferi­ menti al di là della pura denotazione di ciò che è at­ tualmente (ritualmente) presente, ma diventa l'alter ego del compositore nel propagandare la qualità del prodotto musicale in corso di esibizione: acqua di fon­ te (eccellenza artistica) contro l'acqua impura che in­ quina i carmi dei cattivi poeti, secondo un'antitesi che Callimaco riprenderà nella chiusa del suo Inno ad Apollo opponendo la piccola goccia che zampilla lim­ pida e pura da una fonte sacra alla corrente fangosa dell'Eufrate (vv. 108-12). 11 E come c'è intersezione fra i tempi del rito incontria­ mo anche una sorta di contaminazione fra partenio ed epinicio quando le parole del coro in lode di Agasicle e dei suoi genitori (vv. 38-49) sottolineano i successi ago­ nali ottenuti in passato e nel presente dalla casata di Pa­ gonda e non mancano di menzionare, attraverso un mo­ dulo tipicamente epinicio, i teatri delle singole vittorie, a partire dalle località beotiche di Onchesto e di Coronea: Sono venuta per danzare quale fida testimone ad Agasicle e ai suoi nobili genitori

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11 Per l'equivalenza fra poesia e acqua di fonte cfr. anche O l. 6, 847 e 10, 84 s., /s. 6, 74, Properzio II l, 3 e III 3, 51 s. Analogo l'uso di (Pae. 9, 25), me­ moria dell'unione con Apollo, e qui devono farsi in­ contro a lei le figlie di Cadmo e Alcmena per celebra­ re, in rapporto al successo ottenuto da Trasideo, il luo­ go della vittoria e i suoi numi tutelari, ma poiché un ta­ le ufficio spetterebbe istituzionalmente al komos che accompagna Trasideo, lo stuolo delle eroine non repli­ ca in dimensione mitico-cultuale una dafneforia di ver13 Si pensi agli esordi di Py. 4, dove la M usa è pregata di porsi ac­ canto al re Arcesilao per accrescere il soffio propizio dei canti, o di Ne. 3, in cui le si chiede di recarsi a Egina, dove è attesa da un k6mos di giovani, e cfr. anche 0/. 11, 16 ss., Ne. 9, l ss., Dith. l, 14 e Aristofane, Lys. 1296 ss. e Ra. 675.

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gini quanto piuttosto accompagna e favorisce l'esecu­ zione dell'ode pitica. Un termine di confronto al di fuori della produzione pindarica è offerto dal principio dell'inno alla Madre degli dèi rinvenuto su un'epigrafe di Epidauro (/G IV !2, 131 fr. 935 PMG) e attribuito da P. Maas (1933) a Telesilla di Argo, dove una serie di divinità femminili in­ ghiottite dalla lacuna iniziale sono pregate di scendere dal cielo verso il luogo della festa per celebrare la Ma­ dre insieme con l'Io lirico. Dell'ode pitica del poeta tebano le eroine della sua terra rappresentano dunque le ispiratrici e insieme l'u­ ditorio privilegiato, compendio del più vasto pubblico raccolto intorno al santuario. Analogamente, nell'Olim­ pica 14, le Cariti protettrici di Orcomeno sono invitate ad ascoltare la voce (v. 5 Kì..iìt" e 15 È7taKoo'ite) e a con­ templare il passo leggero (v. 17 Koiìcpa �t�rovw) del ko­ mos che festeggia il giovane Asopico, mentre ai v. 70 s. della Pitica 8 il coro dichiara che Dike sta accanto al corteo che intona una dolce canzone.14 Il testo non ci offre segnali espliciti sulle ragioni che possono aver determinato la scelta dell'Ismenio come luogo di esecuzione dell'epinicio, ma la messa a fuoco di quella cella dei tripodi per la quale il santuario era fa­ moso e il fatto che tripodi solevano essere dedicati da ragazzi che fossero stati dafne fori (cfr. Pausania IX 10, 4) suggerisce una spiegazione. Se Trasideo era stato dafneforo15 e «sacerdote annua­ le» di Apollo, e dunque aveva dedicato un tripode ad Apollo Ismenio nell'ambito di una «tripodeforia>> beoti­ ca, egli aveva il diritto e in qualche misura anche il do­ vere di far celebrare dal komos dei suoi compagni lì, =

1 4 Analogamente in Aristofane, Th. 977 ss. il coro invita Hermes, Pan e le Ninfe a sorridere propizi rallegrandosi dello spettacolo di danza. 1 5 Vedi Burton 1962, 62.

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presso la cella che ospitava con altri anche il tripode che egli aveva dedicato come dafneforo, la vittoria nello sta­ dio conseguita a Delfi. Per una cerimonia presso l'Ismenio Pindaro compose un peana di genere appunto «tripodeforico» (fr. 66), mentre il fr. 59, che menziona in rapida successione l'o­ racolo di Zeus, la cetra, i tripodi e i sacrifici (vv. 6-12), apparteneva anch'esso a un carme tripodeforico, ma per una delegazione tebana presso il santuario di Dodona.16 Se così è, }'«anche ora» (Kai vuv) del v. 7 non va as­ sunto come segnale di una cerimonia che si ripeteva se­ condo regolari cadenze liturgiche, ma collega una prassi tradizionale (il corteo tripodeforico) al presente epini­ cio: Apollo, o forse piuttosto la ninfa Melia, 17 invita Se­ mele e Ino insieme con Alcmena a raccogliersi «anche ora» presso l'Ismenio, ma per cantare Pito e l'ombelico della terra (per lodare il giovane vincitore), n dove sono riposti i tripodi e dove esse in passato hanno assistito al­ la cerimonia della tripodeforia di cui Trasideo è stato protagonista. 3. Un parallelo puntuale con la dafneforia all'lsmenio del Partenio 2 lo riconosciamo piuttosto in un altro car­ me di ambientazione beotica, il Peana 7, che mette in scena la processione che si snodava verso la cima tricu­ spide dello Ptoion, il colle a oriente della palude Copai­ de sul quale, nell'area attigua all'odierno villaggio di Perdikovrysi, sorgeva un santuario in onore di Apollo Ptoieus/Ptoios.18 16 Cfr. Eforo FGrHist 70 F 119 e Strabone IX 2, 4-5. 17 A favore dell'identificazione del soggetto (lasciato inespresso) di

tcaì..ci 8 con Melia era Schol. Py. 11, 12e, e in effetti è Melia nei versi precedenti ad essere presentata come la meta del movimento delle eroine tebane. 1B Cfr. Schachter 1981, 52-73. Pindaro compose per Apollo Ptoios un inno a cui appartengono i fr. 51 a-d.

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Il titolo del peana, parzialmente superstite in P.S.I.147 (fr. vv, r. 5), «Per i Tebani, (peana) processionale»,19 mo­ stra che il canne era considerato dagli editori alessandri­ ni come appartenente a quel genere di confine del «pea­ na processionale» a cui si richiama, con riferimento al nostro Peana 4, anche uno scolio (lnscr. b) all'Istmica l. Ecco la traduzione di quanto resta del Peana 7: Al datore di responsi divini e veridico penetrate del dio [sono giunto]e alla corte splendida di Melia, [la figlia]di Oceano [bella di chiome], 5 [per portare]ad Apollo [...] e per celebrare [Artemide]che corre sui monti unitamcnte alla [madre]diletta dai miti pensieri versando la goccia [... insieme con le Cariti[... 10 al suono dell'auto [... a mc che vado verso la cima che brilla di lontano,[dove diciamo che l'eroe Tenero ...]di tori [ ... 15 ... ]davanti all'altare[... ...]fecero risuonare la voce: ... istitul]211 per gli indovini ... un oracolo... Nonostante lo stato di un testo che il contributo di due testimoni papiraceF1 riesce solo in parte a colmare, in­ travediamo con sufficiente chiarezza le scansioni del ri­ to e la distonia fra tempo cantato e tempo del canto. Nell'esordio i coreuti, esprimendosi in prima perso­ na singolare, dicono di essere arrivati a destinazione, 1 9 Eh]J3aiotç e[iç - - - l7tpocrqò�[aK6ç. Per la lettura e l'integrazione vedi D'Alessio in D'Alessio-Ferrari 1988, 169 n. 29. 2° Con K-ricre Jl]av-rem (Erbse). 21 P.Oxy, 841 e P.S.I. 147.

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ma ai vv. 10-2 rappresentano se stessi come ancora in movimento (cfr. v. 12 iovn) verso la cima lucente dello Ptoion: una sorta di inversione temporale affine a quel­ l'hysteron proteron per cui il penetrate (aou-rov) del dio viene menzionato (vv. 1-3) come meta del movimento processionale prima della «corte» (aÙÀ.a) che circonda il santuario e che ovviamente, nel tempo reale, i coreuti dovevano attraversare prima di calcare lo spazio inter­ no del santuario. In tal modo l'attacco evocava imme­ diatamente quel penetrate su cui il discorso lirico sa­ rebbe tornato più oltre narrando di Tenero, figlio di Apollo e di Melia, e dell'istituzione del suo oracolo (vv. 13-8).22 La parola scompagina le scansioni dell'evento rituale così come le gocce di sangue dei tori da sacrificare (]a -mùprov �l[ al v. 14) sembrano confondersi con una «goc­ cia» poetica (xÉrov pa8a[Jlty]yq) secondo la metafora molto cara a Pindaro del liquido canoro, che però sareb­ be qui realizzata usando per «goccia)) un termine (ap­ punto pa8a)ltyl;) che nella poesia greca arcaica trovia­ mo attestato altrove quasi sempre (l'eccezione è rappre­ sentata dagli schizzi di polvere di Il. 23, 502) per gocce di sangue: quelle dei caduti calpestati dai cavalli di Etto­ re in Il. 11, 536 e di Achille in Il. 20, 501 e quelle di Ura­ no evirato da Crono in Esiodo, Th. 183. 4. Il Peana 7 mostra un tenore comunicativo quale Pin­ daro propone anche in uno dei suoi epinici più antichi, la Pitica 6 del 490, dove il Noi lirico23 dichiara nell'attac22 Dunque Tenero, >. 30 Vedi Krummen 1990, 98-151. Più di recente ha concordato in pie­ no con le tesi della Krummen per quanto riguarda sia la Pitica 5 che l'lstmica 4 Stehle 1997,20 s. e 56 s. 3 1 Vedi Wilamowitz 1922,79, Mullen 1982, 78,Gentili 1995,160. 32 Sono da identificare con le tombe a camera scavate nella roccia lungo il pendio settentrionale dell'acropoli, vedi Giannini 1995,536.

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la nitida indicazione del «giardino» (Kà1toç) di Afrodite (v. 24) come luogo di esecuzione dell'epinicio rimanda, proprio in base ai dati archeologici, al santuario situato a nord-ovest della città.33 È solo la parola del coro che richiama alla memoria del pubblico lo scenario delle Carnee, legando lungo un singolo discorso poetico incentrato sul tema della fon­ dazione della polis la tomba di Batto, che era collocata al margine orientale dell'agorà, con i sepolcri extraur­ bani dei Battiadi, il komos di giovani che si fa incontro al sovrano all'interno di uno spazio sacro a nord-ovest della città con la celebrazione (crE�içollEV 80) di Cirene nel contesto di un banchetto sacrificale (oaiç) in onore di Apollo Carneo, fino all'immagine dei Battiadi che ascoltano «con infero cuore» la grande virtù del loro di­ scendente irrorata dal flusso dei canti (v. 96 ss.), secondo uno slargarsi dell'uditorio cittadino fino a comprendere i sovrani defunti. Affine il caso della Istmica 4, dove Melisso di Tebe viene festeggiato dai compagni per una vittoria eque­ stre riportata all'Istmo ma, dopo aver rievocato la lotta di Eracle con Anteo e la sua assunzione fra i celesti, il poeta vi aggancia (vv. 61-8) un richiamo alle feste dette Iolaee (o Eraclee) che si celebravano a Tebe oltre la porta Elettra in onore dei figli di Eracle e Megara con un pasto sacrificale e, il secondo giorno, con agoni che avevano come premio, in coerenza con il loro carattere di commemorazione funebre, una corona di mirto:34 Già Schol. Py. 5, 129 postulava abitazioni situate . 33 Sono state proposte due identificazioni comunque legate a que­ sta zona sacra nord-occidentale (vedi Giannini 19�5. 517): sulla terraz­ za dedicata alla fonte Kyra (cfr. Callimaco, Ap. 88),eponima della città (cfr. Stefano di Bisanzio, s. v. Kup�VT)), non !ungi dal tempietto arcaico di Afrodite,o nel Recinto del mirto, in una posizione più prossima al tempio di Apollo. 34 Cfr. Pausania IX 23, l e vedi Privitera 1982, 184-86.

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Nell'offrirgli oltre le porte d'Elettra il festino e le nuove corone d'altari, noi cittadini compiamo grandi sacrifici per gli otto defunti armati di bronzo, che la Creontide Megara gli generò come figli: sorge per essi al tramonto dei raggi 65 la fiamma e dura tutta la notte, scaldando l'aere col fumo fragrante, e il giorno dopo, data dei giochi annuali, v'è la prova di forza. (trad. G.A. Privitera) L'aggancio con la carriera agonistica di Melissa è molto stretto perché al nesso «prova di forza» si lega immedia­ tamente il ricordo delle corone di mirto (due fra gli adulti e una fra i giovani) da lui conquistate nelle Iolaee e naturalmente ben distinte dalla vittoria appena ripor­ tata all'Istmo. Così la dimensione pragmatica del pre­ sente epinicio legato alla vittoria all'Istmo viene a cor­ relarsi con la dimensione allusiva del convito delle Io­ laee e dei passati successi agonali di Melissa.

6. Mai forse come nella Pitica 2 Pindaro manipola i pia­ ni temporali elaborando una sceneggiatura basata su una prospettiva «dissociata». Con attualizzazione di tipo «epistolare>> di ciò che è avvenuto in un prossimo passato si dice ai v. 67 s. che il carme viene spedito al di là del mare e si utilizza quel modulo del «salve» (xa'ìpE) rivolto al laudando per con­ gedarsP5 che troviamo realizzato in modo molto simile in Ne. 3, 76 ss. ma che, diversamente che nella Nemea 3, 35 Vedi Most 1985,96 ss. e Cingano 1995, 51,col richiamo all'uso di xa'ipE come formula di congedo nei confronti della divinità da parte del rapsodo, cfr. Horn. Bacch. 20, Ap. 145, Ven. 292 e Callirnaco, Jov. 91. D'altra parte il carme pindarico non finisce subito dopo il conge­ do, ma continua con un'ampia costituita da un intero sistema strofico.

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non si fissa in una figurazione simposiale (l'ode-bevanda), bensì comporta, con più realistica trasposizione dei con­ creti rapporti finanziari fra poeta e committente, una prospettiva dell'ode come «merce fenicia». Poco prima, ai v. 62 s., l'Io lirico dichiara invece di vo­ ler salire, per il suo viaggio poetico, a bordo di una pro­ ra adorna di fiori al fine di cantare la virtù di Ierone, e anche se, come parrebbe,36 il ricorso al tempo futuro non rimanda all'ode nel suo complesso ma, più limita­ tamente, all'elogio del tiranno siciliano che sopravvie­ ne ai v. 64 ss. (dunque funziona, come in 01. 1, 37 e 13, 52 e Ne. 9, 43, da indicatore temporale agganciato alla progressione testuale dell'ode),37 riesce trasparente l'intento del poeta di mettere in atto una sorta di «fin­ zione orale» che ponga l'uditorio di fronte allo svilup­ po del canto nella sua mobile attuazione e nei suoi sno­ di improvvisi e non, come ai v. 67 s, quale prodotto fini­ to («merce fenicia>>). Con puntuale sincronia col tempo dell'esecuzione, l'ode si propone invece nell'esordio come un omaggio che l'lo, arrivando da Tebe, reca ora a Siracusa (vv.1-4): Grande città di Siracusa, sacrario di Ares bellicoso, divina nutrice d'uomini e cavalli bardati di ferro, per te vengo da Tebe splendida recando questo carme, messaggio di quadriga vibrante. Poiché l'identificazione dell'Io con il poeta appare esclusa dalla natura dell'ode come cann e inviato ma an­ che quella con il coro, che pure è stata sostenuta a più riprese,38 non convince di più perché contrasta con la 36 Vedi Cingano 1995,389. 37 Vedi Pfeijffer 1999a, 19-33. 38 Vedi ad es. Tedeschi 1985, 32 s. e Cingano 1995, 366 (ma Cingano non esclude l'identificazione con il poeta).

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determinazione spaziale «da Tebe splendida», nessuno potrebbe dire di recare dalla città del poeta un carme che funge da «messaggio» meglio di un latore che, al pa­ ri del Nicasippo ricordato nella chiusa dell'lstmica 2,39 interpreti sulla cetra il testo che reca con sé?40 D'altra parte questa stessa spedizione poetica si sdop­ pia in due canni, la Pitica 2 e quel Castorio a cui Ierone, 39 /s. 2, 47 s. (> del carme è stata lasciata all'oblio o consi­ derata assurda,46 ma è meritevole di attenzione proprio perché non trova alcun addentellato esplicito nel carme e dunque non poteva essere fabbricata ricamando sul te­ sto. D'altra parte essa potrebbe essere messa in connes­ sione con i già ricordati riferimenti ai canti dei Ciprioti per Cinira e della vergine locrese per Ierone, legati en­ trambi a contesti rituali commemorativi: nel primo caso il ricorso al nesso «celebrano spesso» (KEÀ.>) e 327 s. 56 Vedi Wilamowitz 1 922, 286 s., Burton 1 962, 1 14 s., Gentili 1995, LIII-LV. 57 Vedi Cingano 1991. 58 Vedi Gentili 1995, 10.

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chema, gli altri due carmi interpretati da solisti delegati dai rispettivi poeti.59 In gara serrata con Bacchilide, che alcuni commentato­ ri antichi identificavano con la «scimmietta» del v. 72,60 Pindaro nella Pitica 2 inventa un mobilissimo percorso che stimola la sua audacia nell'intersecare i piani tem­ porali e nell'offrire l'immagine proteica di un Io lirico che può proporsi tanto come compositore quanto co­ me latore del messaggio elaborato dal poeta,61 ma nel contempo si assicura, tramite il richiamo ai canti dei Ciprioti e delle vergini locresi, un'autorevole cornice rituale per il suo impegnato messaggio e, se prestiamo fede a Timeo, associa un carme occasionato da una vit­ toria con il carro a un rito sacrificale per la prosperità di Etna. 59 E inoltre proprio in questa occasione Eschilo dovette proporre sia una replica dei Persiani sia le perdute Etnee (fr. 6-11 R.). 60 Cfr. Schol. Py. 2, 132d e vedi Gentili 1995, LI-LIII. Comunque sia delle effettive allusioni a Bacchilide - del resto il poeta stesso ac­ cenna anche a un referente politico o piuttosto poliziesco,le «delatri­ ci>> (into�nEç) nominate in Py. 2, 76-, mi pare ben difficile spiegare la messe di riferimenti all'invidia e all'ingiuria di individui malevoli negando qualsiasi risonanza extra-testuale e supponendo nulla più che convenzioni letterarie e topoi encomiastici. 61 Nella Pitica 8 si arriva a una triplice focalizzazione dell'Io da par­ te del k6mos eginetico: -compositore che sottolinea, di nuovo in chiave meta-narrativa, gli snodi del suo percorso (vv. 28-34); -vincitore che getta ghirlande all'eroe Alcmeone (v. 57 ss.), suo «vicino» e >, visto che con un solo libro si vengono ad avere complessivamente 16 libri in luogo dei 17 dichiarati e nella Vita Ambrosiana i libri di iporchemi sono appunto due.

44

PITICHE

Fra V e IV secolo a.C. il testo pindarico subì una tra­ slitterazione (!JE-raypaj.lJlancr)loç) in alfabeto ionico18 e a partire dai primi decenni del III secolo a.C. divenne og­ getto di catalogazione e di revisione critica nell'ambito dell'attività filologica svolta presso il Museo e la Biblio­ teca di Alessandria, fondati poco dopo il 300 a.C. Zenodoto di Efeso, il primo bibliotecario alessandri­ no (circa 330-260 a.C.), raccolse e collazionò le copie pervenute nella Biblioteca, riportando varianti o propo­ nendo congetture.19 Il suo lavoro rappresentò non già una «edizione» (h:oomç) destinata a pubblica diffusio­ ne, bensì una «recensione» (ot6p8romç), cioè una revi­ sione del testo accompagnata da segni critici e annota­ zioni marginali e destinata alla circolazione fra i dotti e gli allievi del Museo. Neppure a proposito di Aristofane di Bisanzio (circa 257-180 a.C.), direttore della Biblioteca dal 195 circa, siamo sicuri che approntasse una vera edizione. Di certo divise il corpus pindarico secondo la già ricordata arti­ colazione in 17 libri e introdusse la colometria (la dispo­ sizione del testo su righe coincidenti con singoli cola metrici)20 e un sistema di segni - paragraphos, coronide 18 In particolare, nelle primitive versioni non si doveva distinguere né durata né timbro delle vocali O ed E. 19 Cfr. Schol. a Ol. 2, 7a e 6, 92b (in entrambi i casi si tocca di una lezione da lui congetturata o almeno sostenuta, cosl come nello scolio a Ol. 3, 52a si accenna a un suo intervento sul testo di Anacreonte). Non gli può essere invece attribuita una serie di note marginali ai Pea­ ovvero ni presenti in P.Oxy. 841 e 2442 accompagnate dalla sigla Z ZH, che non è abbreviazione di Znv6ootoç bensl di sntt:itat (slitet) f: la sigla intendeva rimandare il lettore a una discussio­ ne, già avviatasi all'interno della tradizione dei commentari, in merito a una lezione particolarmente difficile (se non assurda) attestata in uno o più esemplari di un determinato testo, vedi McNamee 1977, 125 e 176 e le mie osservazioni in 92 (1992), 273-76. 20 La disposizione del testo nelle nostre edizioni correnti discende da quella stabilita nella sua edizione (Leipzig 1811-1821) da August Boeckh, che numerò i componimenti non secondo i cola ma secondo i «versi>>, individuati come unità ritmiche autonome sulla base dei prin-

PREMESSA AL TESTO

45

e asterisco - volto a segnalare rispettivamente fine di strofe o di antistrofe, fine di sistema strofico e fine di componimento. Dopo Apollonio l'Eidografo (che curò una classifica­ zione della poesia lirica secondo criteri musicali) Ari­ starco di Samotracia (216-144 a.C.) lavorò intensiva­ mente sul testo pindarico occupandosi soprattutto di questioni grammaticali ed esegetiche secondo un meto­ do «analogico» talora indulgente a inopportune sotti­ gliezze, ma anche utilizzando felicemente dati eruditi di varia natura - mitologica, storica, geografica. In parte sulla linea di Aristarco,21 ma con un orienta­ mento più conservatore in ambito critico-testuale e so­ prattutto con una maggiore valorizzazione dei dati sto­ rici grazie a una poderosa documentazione desunta da­ gli storici delle singole aree geografiche - Timeo per la Sicilia, Istro per l'Elide, Teotimo per Cirene, Piteneto per Egina - e dalle liste dei vincitori negli agoni operò, all'epoca di Augusto, Didimo di Alessandria, che com­ pilò commentari agli epinici, ai Peani e forse anche agli altri generi di carmi. E un commento alle Pitiche, di cui ci resta un estratto in relazione alla Pitica 12 grazie a P. Oxy. 2536, fu redatto nello stesso tomo di tempo da Teo­ ne di Alessandria. L'opera di Didimo rappresentò la base da cui presero cipii (enunciati nel trattato posto come seconda parte del I tomo della stessa edizione, De metris Pindari libri tres): (a) della presenza in fine di sequenza dello iato e/o dell'elementum indifferens e (b) della cogni­ tio metrorum. Ecco perché la numerazione degli scoli differisce da quella del testo: essa si basa sulla colometria della tradizione mano­ scritta, sostanzialmente ripresa nelle edizioni pre-boeckhiane e in par­ ticolare in quella curata da C.G. Heyne (Giittingen 1773, 1797-17992). 21 Talora gli scoli (ad es. per la lezione èçcim:acrE in luogo di i:ç >, inten­ dendo sia gli stretti collaboratori che alcuni prosecutori del suo meto­ do lontani nel tempo. Come Aristarchei possiamo identificare Anuno­ nio, Cheris e suo figlio Apollonia, Aristodemo, Dionisio figlio di Car­ mide e Tolomeo Pindarione (vedi Irigoin 1952, 57-60).

46

PITICHE

gradualmente forma gli scoli al testo (scholia vetera), ri­ salenti a un commentario compilato forse verso la fine del II secolo d.C. e trasmessi dai codici medievali in margine al testo degli epinici. Sul loro valore si è aperta un'accesa discussione, ma essi, nonostante non rare assurdità e pedanterie (quali le varie liste dei tredici pretendenti di Ippodamia negli scoli 127b-e all'Olimpica l o dei figli di Helios negli sco­ li 131a-b, 13lc, 132a, 132c all'Olimpica 7) rappresentano comunque uno strumento imprescindibile per la nostra stessa esegesi del poeta tebano.22

4. LA TRADIZIONE MANOSCRITTA

La tradizione manoscritta (testo e scolli) degli epinici si ripartisce in due recensioni - la recensione Ambrosiana e la recensione Vaticana - risalenti attraverso distinte traslitterazioni a tre capostipiti della tarda antichità (per la recensione Vaticana occorre infatti postulare due di­ verse redazioni risalenti al VI secolo d.C., una completa e una limitata a Olimpiche e Pitiche, derivate da un co­ mune modello della prima metà del V secolo d.C.). La recensione Ambrosiana è rappresentata da un so­ lo codice, l'Ambrosiano C222 (A), trascritto verso il 1280 e contenente le Olimpiche 1-12. La recensione vaticana (v) comprende due mano­ scritti (B e D) e tre gruppi di codici o «recensioni»: la recensione parisina (ç), la recensione laurenziana (A.) e la recensione di Gottinga (y o e). Il codice Vaticano greco 1312 (B) risale alla fine del 22 Vedi Gentili 2005, LXXXI I: iwç) e in fs. l, 32 (xaipEt'). La parte successiva dell'ode si prospetta pertanto come un'estesa appendice di tenore didattico. 23 Un iporchema (ce ne restano due brani: fr.105 e 107ab), modula­ to secondo !'- una melodia guerriera che accompa­ gnava gli Spartani in battaglia - e annesso alla spedizione della Pitica 2 (vedi Introduzione,§ 6).

65

92

ΠΥθΙΑ

70 άθρησον χάριν έπτακτύπου

φόρμιγγος άντόμενος. γένοι', οίος έσσl. μαθών. καλός τοι πίθων παρά παισίν, α\εί t1 καλός. ό δΕ: 'Ραδάμανθυς εύ πέπραγεν, δτι φρεν&ν

έλαχε καρπόν άμώμητον, ούδ' άπάταισι θυμόν τέρπεται ένδοθεν, 75 οία ψιθύρων παλάμαις έπετ' αίεt βροτφ.

άμαχον κακόν άμφοτέροις διαβολιiiν ύποφάτιες, όργαίς άτενΕ:ς άλωπέκων ϊκελοι. κέρδει δΕ τί μάλα τοmο κερδαλέον τελέθει; aτε γάρ έννάλιον πόνον έχοίσας βαθύν 80 σκ:ευiiς έτέρας, άβάπτιστος είμι φελ­

λός

ως ύπΕρ ερκος aλμας.

άδύνατα δ' έπος έκβαλείν κραταιόν έν άγαθοίς δόλιον άστόν· δμως μάν σαίνων ποτί πάντας ά­ ταν πάγχυ διαπλέκει. οϋ οί μετέχω θράσεος. φίλον εϊη φιλείν·

24 Come suggerisce Cingano, nel riferimento alle «corde eolie>> i!: probabilmente da ravvisare «Un'allusione alla forma metrica usata nell'ode: analoga definizione caratteήzza 0/.1, 102 e Ne. 3, 79, compo­ ste anch'esse in metri eolici misti>>. Ε vedi anche Prauscello 2006, 2833 sulla classificazione delle odi pindaήche per 'annonie' ad opera di Apollonio Eidografo e sull'aiuto che per questa operazione pote veni­ re a questo grammatico dal «somehow standard, consistent link between musical modes and metήcal types in Pindar's odes>>. 25 Come suggerisce Jo stesso ordine delle parole, οίος έσσί si con­ nette sia a γένοι· (cfr. Menandro, Sic. 354 γέρων ος είμι γέγονα) che a μαθών (cfr. Sofocle, Αί. 1259 μαθιΟν δς εί φύσιν), cioi!:, precisamente, «diventa chi sei imparando (chi sei)>> (vedi Carey 1981,49 e Most

1985, 102). 26 Poiche in et� arcaica Ja scimmia valeva come paradigrna di brut­ tezza fisica, l'accento batte sull'ineνitabile immaturit� di giudizio dei fanciulli, a cui viene contrapposta Ja proverbiale saggezza di Rada­ manti (vedi Cingano 1995, 393 s. ) 27 L'eroe cretese figlio di Zeus e di Europa, divenuto giudice infer­ nale (cfr. οι. 2, 75), a] quale si faceva risalire il codice di Jeggi in vigore nell'isola. .

PITICHE

93

in corde eolie,24 dono

70

della cetra dalle sette corde. Dimostra di sapere chi sei!25 Bella davvero agli occhi dei fanciulli la scimmietta, sempre bella,26 ma Radamanti27 è beato perché colse

IV

il frutto irreprensibile della sua mente né gode in cuore d'inganni quali sempre seguono un uomo per le trame dei maledici. 75 Sciagura insopprimibile per entrambF8le delatrici,29 in tutto simili nell'indole a volpi. Ma qual è il lucro di questo lucro?30 Come quando il resto della rete è impegnata in fondo al mare,31 io galleggio a mo' di sughero sul recinto dell'acqua salsa. Non può scagliare fra i valenti parola gagliarda il cittadino intrigante, ma mentre adula tutti tesse fino al termine la propria rovina. Non condivido la sua impudenza. Mi sia dato d'amare chi mi ama, 28

Chi propaga la calunnia e chi ne è l'oggetto, cioè gli

ljli.6upot e il

ppot6ç del verso precedente (vedi Lee 1978). 29 Si tratta di cortigiane che operavano come spie presso la corte di

Ierone (cfr. Aristotele, Poi. 5, 1313b13

ai.Jtotaymyilìeç lmÀoUIJ.EVat «le

cosiddette agenti provocatrici» e vedi Gentili 1995, LI n. 1). 30 Modulo proverbiale, ripreso anche da Eschilo, Se. 437 Kaì tc\)lìe KÉpOEt KÉpooç aUo TilC'tE'tOt θ' άμετέρας άπό γλώσσας κοινόν εϋξασθαι επος, ζώειν τον άποιχόμενον, Ούρανίδα γόνον εύρυμέδοντα Κρόνου, βάσσαισί τ' λον έν άνθρώποιm ματαιότατον, δστις αίσχύνων έπιχώρια παπταίνει τά πόρσω, μεταμώνια θηρεύων άκράντοις έλπίmν. 15

lσχε τοι ταύταν μεγάλαν άυάταν καλλιπέπλου λilμα Κορωνίδος έλθόν­ τος γάρ εύνάσθη ξένου λέκτροιmν άπ' 'Αρκαδίας. ούδ' lλαθε σκοπόν· έν δ' aρα μηλοδόκφ Πυθ&νι τόσσαις aϊεν ναο\> βαmλεύς Λοξίας, κοινaνι παρ' εύθυτάτφ γνώμαν πιθών, πάντα iσάντι νόφψευδέων δ' ούχ άπτεται, κλέπτει τέ μι ν 30 ού θεός ού βροτός εργοις οϋτε βουλα'iς. Β'

25

7

Leggo, con Pauw,έκ θαλάμω (έν θαλάμφ i codici e Snell-Maehler). La cerimonia nuziale compariva invece nel racconto del Catalogo esiodeo (fr. 60,1 M.-W. ίερfις άπό δαιτός). Conservo con Gentili (vedi Gentili 1995, 410) νυμφιδίαν della tradizione manόscritta concorde ri­ fiutando Ia correzione νυμφίαν di Ps.-Moscopulo, accolta da Snell­ Maehler. 9 Ripresa del motto formulato daEsiodo (fr. 61 M.-W.) nell'ambi­ to della stessa vicenda: νήπιος δ ς τιi έτοιμα λιπrον ιiνέτοιμα διώκει 8

PffiCHE

99

scese dalla sua stanza7 alla casa di Ade per le arti di Apollo. Non manca il bersaglio la collera dei figli di Zeus. Spregiandola per un errore della mente, ella accettò altre nozze di nascosto al padre dopo che si era congiunta a Febo dalla chioma irrecisa e, pur portando il seme puro del dio,

15

non aspettò che arrivassero la mensa nuziale8 e il suono vario degli imenei, quali le vergini coetanee amano cantare nel vespro per la compagna, ma, come accade a molti, s'invaghì di cose lontane.

20

C'è una specie stoltissima di uomini: quanti, spregiando le cose vicine, puntano a quelle remote e con vane speranze9 vanno a caccia di illusioni. Patì una tale cecità

II

la mente smaniosa di Coronide dal bel peplo, che

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giacque nel letto d'uno straniero10 venuto dall'Arcadia. Ma non sfuggì al suo guardiano.11 In Pito folta di armenti il Lossia12 sovrano del tempio udì e persuase l'intelletto col più sicuro alleato, la sua mente che tutto sa:13 non tocca menzogna né mai lo froda con atti o pensieri dio o mortale.

«stolto chi, avendo lasciato ciò che è a portata di mano, insegue ciò che non lo è». 10 Ischi (cfr. v. 31 ) 11

.

Apollo stesso. In Esiodo era invece un corvo a rivelare al dio il

tradimento di Coronide. 12 L' Ambiguo, epiteto di Apollo in relazione al carattere enigmati­ co dei suoi oracoli. 13

Sull'onniscienza di Apollo cfr. Py. 9, 44 ss.

30

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Γ

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ΠΥθlΑ

και τότε γνΟ'uς 'Ίσχυος Είλατίδα ξεινίαν κοίταν aθεμίν τε δόλον, πέμ­ ψεν κασι γνήταν μένει θυίοισαν άμαιμακέτφ ές Λακέρειαν, έπειπαρά Βοιβιάδος κρημνοίσιν Q>κει παρθένος δαίμων δ' eτερος ές κακόν τρέψαις έδαμάσσατό νι ν, καιγειτόνων πολλοιέπαυρον,άμα δ' έφθαρεv- πολλάν δ'{ έν} δρει πυρ έξ ένός σπέρματος ένθορόν ά"tστωσεν ϋλαν. άλλ' έπει τείχει θέσαν έν ξυλίνφ σύγγονοι κούραν,σέλας δ'άμφέδραμεν λάβρον Άφαίστου, τότ' έειπεν 'Απόλλων· Όύκέτι τλάσομαι ψυχ� γένος άμόν όλέσσαι οίκτροτάτφ θανάτφ ματρός βαρείι;ι σύν πάθι;t.' ώς φάτο· βάματι δ' έν πρώτφ κιχrον παίδ' έκ νεκρου aρπασε· καιομένα δ' αύτφ διέφαινε πυρά. καί pά νιν Μάγνητι φέρων πόρε Κενταύρφ διδάξαι πολυπήμονας άνθρώποισιν ίfiσθαι νόσους. τούς μέν ών,δσσοι μόλον αύτοφύτων έλκέων ξυνάονες,fι πολιφ χαλκφ μέλη τετρωμένοι fι χερμάδι τηλεβόλφ, fι θερινq'ι πυρι περθόμενοι δέμας fι χειμό>νι, λύσαις aλλον άλλοίων άχέων έξαγεν, τους μέν μαλακαίς έπαοιδαίς άμφέπων, τους δέ προσανέα πίνοντας, fι γυίοις περάπτων πάντοθεν φάρμακα, τους δέ τομαίς έστασεν όρθούς

14 Arteιnide. Ιs

Una palude della Tessaglia.

16 Forse si allude a una pestilenza (cfr. Schol. 64a). 17 ll rogo funebre.

PmCHE

101

Anche allora, conosciuto il letto straniero di Ischi figlio di Elato e il non lecito inganno, mandò la sorella 14 furente di slancio possente

a Laceria, ché la vergine abitava presso le sponde della Bebiade.15 Un demone ostile la trasse a rovina e la fiaccò, molti fra i vicini

35

ne furono travoltP6 e perirono con lei: fuoco balzato da unico seme cancella molta selva montana. Ma quando i parenti deposero la giovane sul muro di legno17 e serpeggiò tutt'intorno la vampa violenta di Efesto, Apollo disse: «Non più18

40

sopporterò di lasciar perire di misera morte la mia prole nella cupa sciagura della madre». Diceva così e d'un balzo raggiunse il bimbo, lo strappò al cadavere: la fiamma del rogo gli schiudeva un varco. Lo portò al centauro di Magnesia e gli affidò d'insegnargli 45 a curare le multiformi malattie degli uomini. E coloro che vennero piagati

m

da ulcere congenite o squarciati nelle membra da bronzo corrusco o da pietra scagliata da lungi o sfibrati nel corpo da febbre estiva o invernale, tutti li rimandava sciolti da una pena o dall'altra, curando con gentili incantamenti o con miti pozioni o fasciando gli arti con bende intrise d'unguento; altri li rimise in piedi tagliando.

18 «Perché nella prima rabbia Apollo aveva intenzione di uccidere anche il bambino, oltre la madre, poi pensò di salvarlo» (Fraenkel 1994,28).

so

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IJ1 11

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ΠΥθΙΑ

άλλα κέρδει καί σοφία δέδεται. έτραπεν καί κε'iνον άγάνορι μισθφ χρυσός έν χερσίν φανείς άνδρ' έκ θανάτου κομίσαι 1\δη άλωκότα· χερσί δ' άρα Κρονίων pίψαις δι' άμφο'iν άμπνοάν στέρνων κάθελεν ώκέως, αϊθων δέ κεραυνός ένέσκιμψεν μόρον. χρfι τά έοικότα πάρ δαιμόνων μαστευέμεν θνατα'iς φρασίν γνόντα τό πάρ ποδός, ο'ίας είμέν αϊσας. μή, φίλα ψυχά, βίον άθάνατον σπε\Jδε, τάν δ' έμπρακτον άντλει μαχανάν. εί δέ σώφρων άντρον έναι' έτι Χίρων, καί τί οί φίλτρον θυμφ μελιγάρυες ϋμνοι άμέτεροι τίθεν, ίατίΊρά τοί κέν νι ν πίθον καί νυν έσλΟισι παρασχε'iν άνδράσιν θερμaν νόσων η τινα Λατο"ϊδα κεκλημένον η πατέρος. καί κεν έν ναυσίν μόλον Ίονίαν τάμνων θάλασσαν Άρέθοισαν έπί κράναν παρ' Αίτνα'iον ξένον, δς Συρακόσσαισι νέμει βασιλεύς, πραiJς άστο'iς, ού φθονέων άγαθο'iς, ξεί­ νοις δέ θαυμαστός πατήρ. τφ μΕ:ν διδύμας χάριτας εί κατέβαν ύγίειαν άγων χρυσέαν κό)μόν τ' άέθλων Πυθίων αϊγλαν στεφάνοις, τούς άριστεύων Φερένικος έλεν Κίρρι;χ ποτέ, άστέρος ούρανίου φαμί τηλαυγέστερον κ:είνφ φάος έξικόμαν κε βαθύν πόντον περάσαις.

19 Ε un'apostrofe del poeta a se stesso piuttosto che a Ierone (vedi Gildersleeve 1890,274 e Sullivan 2002,100 s.). 20 Si chiamasse Asclepio, figlio di Apollo e di Latona, ο Apollo stes­ so (figlio di Zeus e padre di Asclepio ) 21 Nell'isola di Ortigia, a Siracusa. .

PffiCHE

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Ma perfino la scienza resta irretita dal lucro. L'oro apparso in mani tentatrici lo indusse

55

per ingente compenso a strappare alla morte un uomo già spento, ma il figlio di Crono scagliò il fulmine strappando all'uno e all'altro subitamente il respiro: la folgore roggia inferse la morte. Dobbiamo cercare dagli dèi cose che a menti mortali convengono sapendo ciò che è accessibile e qual è la nostra condizione. 60 No, anima mia,19 non ambire a vita imperitura, ma sfrutta vie praticabili. Se il saggio Chirone abitasse ancora il suo antro e se una magia potessero instillargli in cuore i nostri inni dolci come il miele, anche oggi lo persuaderei

65

a fornire ai valenti un guaritore di febbri maligne, che si chiamasse figlio del Latoide o di suo padre.20

E solcando il mare ionio sarei salpato alla volta della fonte Aretusa21 verso l'ospite etneo che da sovrano governa Siracusa:

IV

dolce verso i concittadini, non invidioso dei valenti,

71

padre meraviglioso per gli stranieri. Se fossi giunto recandogli l'aurea salute e il corteo che dà luce ai serti di quei pitici agoni che un giorno Ferenico22 conquistò primeggiando a Cirra,2l dichiaro che varcando il mare profondo a lui sarei venuto

75

come luce più fulgida di stella in cielo.

22 Il destriero preferito di Ierone

( cfr. Ol.

l, 18), col quale il tiranno

vinse, nella corsa col cavallo montato, ai giochi pitici nel482 e nel478 e a Olimpia nel 476 e ne1472. 2.' Il borgo della piana di Crisa dove si svolgevano le gare equestri e

di corsa dei giochi delfici.

104

ΠΥθΙΑ

άλλ'έπεύξασθαι μΕνέγrονέθέλω Ματρί, τάν κ:σuραι παρ'έμόν πρόθυρον σUν Παν\. μέλπονται θαμά σεμ νάν θεόν έννύχιαι. 80 εί δε λόγων συνέμεν κ:ορυφάν, 'Ιέρων, όρθάνέπίστ�. μανθάνων οίσθα προτέρων εν παρ'έσλόν πήματα σύνδυο δαίονται βροτΟις άθάνατοι. τα μεν ών ού δύνανται νήπιοι κ:όσμφ φέρειν, άλλ' άγαθοί, τα κ:αλά τρέψαντες εξω.

τ\. ν δε μο'iρ' εύδαιμονίας επεται. λαγέταν γάρ τοι τύραννον δέρκ:εται, εϊ τιν' άνθρώπων, ό μέγας πότμος. αίrον δ' aσφαλής ούκ: iγεντ' οϋτ' Αίακ:ίδ� παρa Πηλε'i οϋτε παρ' aντιθέφ Κάδμφ· λέγονται { γε} μaν βροτrον ολβον ύπέρτατον o'i σχε'iν, ο'ίτε κ:α\. χρυσαμπύκ:ων 90 μελπομενδν έν ορει Μοισδν κ:α\.ένέπταπύλοις aϊον Θήβαις, όπόθ' Άρμονίαν γδμεν βοι:Οπιν, ό δε Νηρέος εύβούλου Θέτιν πα'iδα κ:λυτάν, 85

κ:α\. θεο\. δαίσαντο παρ' άμφοτέροις, κ:α\. Κρόνου πα'iδας βασιλfιας ϊδον χρυ­ σέαιςέν Εδραις, εδνα τε 95 δέξαντο· Διός δε χάριν Ε'

24 La Grande madre di origine anatolica identificata con Cibele e Rea. Su questa invocazione vedi lntroduzione, § 7. 25 Sulla tradizione secondo cui, in seguito a una visione della Ma­ gna Mater, Pindaro avrebbe eretto presso la sua casa una statua alla dea vedi Introduzione, § 7. 26 Ninfe ο Grazie, tradizionali compagne di Pan (cfr. fr. 95,3-5 e ve­ di Introduzione, § 7). 27 In particolare da Omero, e precisamente dal passo dell'lliade (24, 527-33) in cui Achille, per consolare Priamo, gli racconta l'apo­ logo dei due vasi di Zeus, l'uno pieno di beni e l'altro di mali (e cfr.

PmCHE

105

Ma io voglio invocare la Grande Madre,24la dea arcana che presso il mio atrio25 vergini26 spesso cantano nella notte in compagnia di Pan. Se delle parole, o Ierone, tu sai intendere il vertice,

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questa lezione degli antichF7 tu conosci: per un singolo bene due mali assegnano ai mortali gli eterni. Non gli stolti ma solo i valenti possono accettarla con decoro, rivoltando il bello all'estemo.28 Ti è compagna una porzione di felicità: grande destino ha negli occhi, se mai altri

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fra gli uomini, il tiranno che guida il popolo.Z9 Vita sicura non toccò né a Peleo figlio di Eaco né a Cadmo3(J pari agli dèi, eppure si dice che fra i mortali attinsero suprema felicità perché udirono le Muse dall'aureo diadema cantare su quel monte31 e in Tebe dalle sette porte 90 quando l'uno sposò Armonia32 dagli occhi di giovenca e l'altro Teti, la figlia gloriosa del saggio Nereo. E gli dèi banchettarono alle mense di entrambi

v

ed essi videro i sovrani figli di Crono sui troni dorati e ne accolsero i doni nuziali, e sfuggiti

anche

Od.

95

4, 236 s. e 8, 62-4 e vedi Cannatà Fera 1986 e Sotiriou

1998, 109-11). zM L'immagine è forse tratta dai mantelli, che possono essere rivol­ tati quando una faccia comincia a sporcarsi (cfr.Schol.149). 29

Aayétaç è vocabolo raro, usato altrove da Pindaro per fondatori

mitici di città o dinastie

(O/. l, 89, Py.

4, 107 e 10, 31), ma attestato già

in miceneo nella forma ra-wa-ke-ta. 30 II fondatore di Tebe, figlio del fenicio Agenore.

31 II Pelio, sede delle nozze fra Peleo e Teti. 32 Figlia di Ares e di Afrodite.

106

ΠΥθΙΑ

έκ προτέρων μεταμειψάμενοι καμάτων έστασαν όρθaν καρδίαν. έν δ' αύτε χρόνφ τόν μέν όξείαισι θύγατρες έρήμωσαν πάθαις εύφροσύνας μέρος αί τρΕις άτaρ λευκωλένφ γε Ζεύς πατήρ ήλυθεν ές λέχος ίμερτόν Θυώνε;t. 100

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του δΕ παίς, δνπερ μόνον άθανάτα τίκτεν έν Φθίε;t Θέτις, έν πολέμφ τό­ ξοις άπό ψυχaν λιπών ώρσεν πυρl. καιόμενος έκ Δαναrον γόον. εί δέ νόφ τις έχει θνατrον άλαθείας όδόν, χρfι πρός μακάρων τυγχάνοντ' εύ πασχέμεν. aλλοτε δ' άλλοίαι πνοαί ύψιπετaν άνέμων. δλβος {δ'} ούκ ές μακρόν άνδρrον έρχεται σάος, πολi>ς εύτ' dν έπιβρίσαις έπηται. σμικρός έν σμικροίς, μέγας έν μεγάλοις έσσομαι, τόν δ' άμφέποντ' αίεί φρασίν δαίμον' άσκήσω κατ' έμaν θεραπεύων μαχανάν. εί δέ μοι πλοmον θεός άβρόν όρέξαι, έλπίδ' έχω κλέος εύρέσθαι κεν ύψηλόν πρόσω. Νέστορα καί Λύκιον Σαρπηδόν', άνθρώπων φάτις, έξ έπέων κελαδεννrον, τέκτονες οία σοφοί aρμοσαν, γινώσκομεν· ά δ' άρετa κλειναίς άοιδαίς χρονία τελέθει παύροις δέ πράξασθ' εύμαρές. ·

33 Peleo fu bandito dal padre per aver ucciso insieme col fratello Telamone il fratellastro Foco, Cadmo uccise il drago sacro ad Ares e per questo dovette servire come schiavo lo stesso Ares per otto anni. 34 Ino, Autonoe e Agave. 35 La «furente» ( cfr. θύω), nome alternativo di Semele, madre di Dioniso. 36 Achille, colpito dalla freccia di Paήde.

PmCHE

107

per il favore di Zeus alle trascorse fatiche33 risollevarono il cuore. Ma poi, nel volgere del tempo, le tre figlie34 privarono il primo con acuti patimenti d'una parte di gioia- entrò però Zeus padre nel letto amoroso di Tione35 dalle candide braccia-, e il figlio dell'altro, quello che unico a Ftia

100

aveva partorito Teti divina, lasciò in guerra la vita per una freccia36 e arso dal fuoco suscitò il cordoglio dei Danai. Se nella sua mente un mortale possiede la via di verità, deve gioire quando per volontà dei beati gli arride fortuna. Cangianti i soffi dei venti che volano in alto.

105

Umana prosperità a lungo non dura salda qualora, affluendo in eccesso, gravi col suo pesoY Sarò umile fra gli umili, grande fra i grandi e coltiverò il demone che sempre cura la mia mente onorandolo secondo le mie risorse.

E se un dio tenderà verso di me ricchezza copiosa

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ho speranza di trovare fama eccelsa in futuro. Nestore e il licio Sarpedone, di cui gli uomini raccontano, li conosciamo dai versi sonori che abili artefici composero, e resiste nel tempo la virtù per i canti portatori di fama; pochi, però, sanno meritarseli.

37 È l'idea arcaica per cui un eccesso di ricchezza o di fortuna com­ porta il rischio della rovina inducendo accecamento e arroganza e at­

tirando la punizione divina. Per la formulazione cfr. in particolare So­ Ione, fr. 6, 3 s. w. TIK"tEl yàp Kopoç uj3plV, ihav 1tOÀ1Ìç oÀj3oç EltE"tat l àv6pcim:otç ÒTtoaotç J.llÌ vooç èipnoç 'ij ς κ:α1. Φιλύρας,ϊνα Κενταύ­ ρου με Κ:Ο'uραι θρέψαν άγναί. ε'ίκ:οσι δ' έκ:τελέσαις ένιαυτοi>ς ούτε έργον 105

οϋτ' επος έντράπελον κ:είνοισιν είπrον ίκ:όμαν ο'ίκ:αδ', άρχαίαν κ:ομίζων πατρός έμου,βασιλευομέναν ου κ:ατ' αίσαν, τάν ποτε Ζεi>ς ό>πασεν λαγέτq. Αίόλφ κ:αι παισt τιμάν. πεύθομαι γάρ νιν Πελίαν aθεμιν λευ­ κ:αίς πιθήσαντα φρασίν

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άμετέρων άποσυλδσαι βιαίως άρχεδικδν τοκ:έων· τοί μ',έπε\. πάμπρωτον είδον φέγγος,ύπερφιάλου άγεμόνος δείσαντες ϋβριν,κ:δδος ώσεί τε φθιμένου δνοφερόν έν δώμασι θηκ:άμενοι μίγα κ:ωκυτφγυναικ:ι:Ον, κ:ρύβδα πέμπον σπαργάνοις έν πορφυρέοις,

115

νυκ:τt κ:οινάσαντες όδόν, Κρονίδq. δέ τράφεν Χίρωνι δι:Οκαν.

38

Riecheggiarnento del verso, che cornpare sei volte nell'Odissea,

τίς πόθεν είς άνδρών; πόθι τοι πόλις ήδΕ τοιcήες; . 39

L'aggettivo πολιός , «canuto>> assurne talora, corne ήco­

noscevano Schol. 172 e 174b, la valenza di τίμιος , (cfr. Eschilo, Su. 673 πολιqΊ νόμφ e vedi Braswell 1988,190 s.). 4Ό

Su Chirone vedi la nota a Pitica 3, 1.

41 La rnoglie e la rnadre di Chirone.

PITICHE

121

per patria?38 E quale delle creature nate sulla terra ti espulse dal nobile39 ventre? Non macchiarla d'infami menzogne, ma dichiara la tua origine!>>

100

Sicuro gli rispose con gentili parole così: «Dichiaro di voler mettere alla prova gli insegnamenti di Chirone.40 Ho lasciato Cariclo e Filira41 e vengo dalla grotta dove mi allevarono le figlie venerande del Centauro. Compiuti vent'anni senza far motto o azione impudenti42 fra quelli, a casa

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sono giunto per reclamare l'antico onore di mio padre, il titolo di re usurpato da altri, quello che un tempo Zeus concesse a Eolo43 condottiero di genti e ai suoi figli. Ho saputo che l'iniquo Pella, confidando in un cuore furioso,44 lo strappò con la forza

110

ai miei genitori, sovrani legittimi. Come io vidi la luce, essi, temendo l'arroganza di un capo superbo, allestirono in casa, come fossi morto, un cupo cordoglio commisto a gemiti di donne e di nascosto mi spedivano via in fasce scarlatte facendo partecipe del viaggio la notte,45 e mi affidarono a Chirone figlio di Crono perché mi crescesse. 42 Conservo Èvtpa1t€A.ov della tradizione manoscritta Pauw e Heyne), vedi Pavese 2007,297.

(ÈK'tpaltEA.ov

43 Figlio di Elleno e di Orsete, sovrano della Magnesia e capostipite

della famiglia di Giasone. 44 Per questa valenza di À.Et>Katç cfr. Schol. 193 e la glossa di Esi­ chio À.Et>Kaì(jlpÈvEç· llatVOilEVat. Forse si tratta di un diverso aggettivo rispetto a À.EvKoç ς ι'iφθιτος Τιτtiνας. έν δε χρόνφ μεταβολαt λήξαντος οϋρου ίστίων. άλλ' εϋχεται ούλομέναν νοϋ­ σον διαντλήσαις ποτέ οίκον ίδε'iν, έπ' Άπόλλωνός τε κράνι;ι συμποσίας έφέπων θυμόν έκδόσθαι πρός ilβαν πολλάκις, έν τε σοφο'iς δαιδαλέαν φόρμιγγα βαστάζων πολίταις ήσυχίι;ι θιγέμεν, μήτ' ών τινι πt;μα πορών, άπαθής δ' αύτός πρός άστόΊν· καί κε μυθήσαιθ', όποίαν, Άρκεσίλα, εύρε παγaν άμβροσίων έπέων, πρόσφατον Θήβι;ι ξενωθείς.

92

Il Ίίtano figlio di Giapeto condannato da Zeus a sostenere Ia νol­

ta del cielo. "3 Cosi, analogamente, e bene che ora Arcesilao perdoni Damofilo

e !ο restituisca all'antico onore. 94 L' esilio.

PITICHE

141

non offre alla maldicenza la sua limpida voce: ha imparato a odiare gli arroganti, non contende con i valenti

285

né dilaziona il termine dell'agire.

Il momento giusto ha per gli uomini breve durata. Ben lo conosce e come uno scudiero, non come un servo, lo segue. La cosa più penosa, dicono, è riconoscere il bene ma tenerne fuori il piede per necessità. Quello, come Atlante,92 lotta ancora col cielo lungi dalla terra

290

patema e dai suoi beni, ma Zeus imperituro liberò i Titani.93 Col tempo, se cade il vento, si cambiano di posizione le vele. Ed egli dunque, vuotato il fondo del suo triste morbo,94 prega di vedere un giorno la sua casa e, presso la fonte di Apollo,95 indulgere spesso alla sua giovinezza prendendo parte a conviti e raggiungere 295 la quiete reggendo in mezzo a competenti% la ben costruita cetra senza recar danno ad alcun cittadino e senza patime. E potrà raccontarti, Arcesilao, quale sorgente97 di parole immortali trovò quando di fresco fu ospite a Tebe.

95 La fonte attigua all'area sacra chiamata anche , donde de­

rivava il nome della città. 96 Competenti (cro�i) nella poesia e nella musica. 97 Anche in Parth. 2, 76-78l'Io lirico paragona il poeta a una fonte (vedi Introduzione,§ 1).

ν

ΑΡΚΕΣΙΛΑΩΙ ΚΥΡΗΝΑΙΩΙ ΑΡΜΑΠ Α' Ό πλούτος εύρυσθενής,

δταν τις άρετQ κεκραμένον καθαρQ βροτήσιος άνiιρ πότμου παραδόντος αύτον άνάηι πολύφιλον έπέταν. 5 ώ θεόμορ' Άρκεσίλα, σύ τοί νι ν κλυτaς αίrονος άκρaν βαθμίδων &πο σύν εύδοξίι;χ μετανίσεαι εκατι χρυσαρμάτου Κάστορος 10 εύδίαν δς μετά χειμέριον δμβρον τεάν καταιθύσσει μάκαιραν έστίαν. σοφοί δέ τοι κάλλιον φέροντι καί τάν θεόσδοτον δύναμιν. σέ δ' έρχόμενον έν δίκι;χ πολiις δλβος άμφινέμεται· 15 το μέν' δτι βασιλεύς

1 Viene ήchiamata Ia figura di Castore sia per il suo legame con la vittoria agonale (Castore avrebbe aggiogato Ia pήma biga e insieme con il fratello Polluce presiedeva alle gare con il caπo a Olimpia, cfr.

PITICAV PER LO STESSO ARCESILAO CON IL CARRO Poderosa la ricchezza quando, intrisa d'immacolata virtù, per dono del destino un mortale la rechi con sé, compagna generosa di amici. O Arcesilao favorito dagli dèi,

5

con buona fama tu la persegui fin dai primi gradini di una vita gloriosa con l'ausilio di Castore dal carro d'oro1 che dopo la pioggia invernale2

10

irradia il tuo focolare beato. Meglio reggono i saggi anche il potere che emana dagli dèi. Poiché procedi secondo giustizia grande prosperità ti circonda: sei sovrano

01. 3, 36 ss.) sia perché a Cirene i Dioscuri erano oggetto di culto in un tempio eretto lungo la Via sacra. 2 Metafora della recente rivolta aristocratica contro Arcesilao e il regime dei Battiadi (cfr. v.120 s.).

15

144

ΠΥΘΙΑ

έσσl. μεγαλaν πολίων· έχει συγγενής όφθαλμός αίδοιότατον γέρας tEQ τουτο μει γνύμενον φρενί. 20 μάκαρ δΕ κα\. νυν, κλεεννaς δτι

εύχος i\δη παρa Πυθιάδος ϊπποις έλών δέδεξαι τόνδε κό)μον άνέρων, Άπολλώνιον &θυρμα· τω σε μη λαθέτω, Κυράνςι γλυΚ'uν άμφ\. κaπον Άφροδίτας aειδόμενον, 25 παντ\. μέν θεόν αϊτιον ύπερτιθέμεν,

φιλε'iν δΕ Κάρρωτον έξοχ' έταίρων· δς ού τaν Έπιμαθέος &γων όψινόου θυγατέρα Πρόφασιν Βαττιαδaν αφίκ:ετο δόμους θεμισκ:ρεόντων· 30 άλλ' aρισθάρματον

ϋδατι Κασταλίας ξενωθε\.ς γέρας άμφέβαλε τεα'iσιν κ:όμαις, s· άκ:ηράτοις άνίαις

ποδαρκ:έων δώδεκ:' άν δρόμων τέμενος. κ:ατέκ:λασε γaρ έντέων σθένος ούδέν· aλλa κρέμαται 35 όπόσα χεριαρaν

τεκτόνων δαίδαλ' &γων

3 Con Pavese 2007,315 s. e Gentili postu\o pausa sintattica dopo πολίων, non dopo έσσί (H.J. Rose [1939] e Sneii-Maehler), e intendo come incidentale la sequenza έχει ... φρενί. Le «grandi citta» sono \e colonie di Cirene (Barce, Tauchira, Euesperidi) lungo il golfo della Sirte. 4 Arcesi\ao rivela gia nel\o splendore del suo sguardo (cfr. ν. 56 e anche 0/impica 2, 9 s. e 6, 16) \a propήa dignita regale. 5 Sulla possibile identificazione del sito vedi Introduzione, § 5. 6 Figlio di Alessibio (cfr. ν. 45) e, secondo Schol. 34, fratel\o della moglie di Arcesilao, questo auήga avrebbe condotto a Cirene i nuovi co\oni che Arcesilao aveva racco\to in Grecia per popolare la citta di Euespeήdi.

PffiCHE

145

di grandi città3 (l'occhio a te connaturato detiene questo privilegio augusto4 fuso con la tua mente) e sei beato anche oggi perché

20

con i cavalli già traesti vanto dalla pitica festa e ora accogli questo corteo maschile di cui Apollo gioisce. E dunque, mentre a Cirene sei celebrato presso il soave giardino di Afrodite,5 ricordati di dare ogni merito agli dèi

25

e di amare più d'ogni altro compagno Carroto,6 egli che non tornò alla reggia dei Battiadi,7 sovrani per divino decreto, recando Scusa, la figlia di Epimeteo tardo a capire,8 ma ospitato dall'acqua

30

di Castalia9 cinse la tua chioma col premio del carro vincitore10 serbando intatte le redini

II

sulla sacra pista per i dodici giri della corsa. Non infranse giuntura del telaio, ma ogni arnese lavorato dalle mani di abili carpentieri che varcando

7 Con Gentili conservo Barn.alìàv della tradizione manoscritta (da interpretare come trisillabico per la perdita di autonomia sillabica del­ lo iota); Thryn e Snell-Maehler accolgono la correzione Batnlìàv di Ps.-Moscopulo. 8 Allusione alla É1tt1.11'\6Eta (il ) di Epimeteo, fratello del 'preveggente' Prometeo (cfr. O/. 7, 44). llp6$amç personifica le scuse per la sconfitta agonale che Carroto, ove non avesse vinto, avrebbe dovuto addurre. 9 Da Delfi. 10 La corona di alloro, che veniva assegnata al proprietario del car­ ro e dei cavalli.

35

146

ΠΥθΙΑ

Κρισαίον λόΦΟν &μειψεν έν κοιλόπεδον νάπος θεου· τό σφ· εχει κυπαρίσσινον 40 μέλαθρον άμφ· άνδριάντι σχεδόν, Κρήτες δν τοξοφόροι τέγεϊ Παρνασσίφ καθέσσαντο μονόδροπον φυτόν. έκόντι τοίνυν πρέπει νόφ τόν εύεργέταν ύπαντιάσαι. 45 Άλεξιβιάδα, σέ δ' ήiJκομοι φλέγοντι Χάριτες. μακάριος, δς €χεις και πεδά μέγαν κάματον λόγων φερτάτων μναμήϊ'· έν τεσσαράκοντα γάρ so πετόντεσσιν άνιόχοις δλον δίφρον κομίξαις άταρβεί φρενί, ήλθες f\δη Λιβύας πεδίον έξ άγλα&ν άέθλων και πατρωl:αν πόλιν. πόνων δ' οϋ τις άπόκλαρός έστιν οϋτ' εσεται· Βάττου δ' επεται παλαιός δλβος εμπαν τά και τά νέμων' πύργος &στεος δμμα τε φαεννότατον ξένοισι. κείνόν γε και βαρύκομποι λέοντες περι δείματι φύγον,

ss ό

11 La citta che un tempo sorgeva ai piedi del Parnaso su uno sprone sovrastante il fiume Pleistos (oggi Xeropotarni) e dorninava la strada che univa Delfi al porto di Ciπa. Ma gia al tempo di Pindaro di Cήsa esistevano solo rovine in seguito alla distruzione avvenuta nel 585 a.C., ai tempi della pήma gueπa sacra. Le gare equestή si svolgevano nella piana di Ciπa in un ippodromo improvvisato ogni volta. 12 Il tetto, effettivamente costruito con legno di cipresso, del grande tempio di Apollo sul Parnaso (al tempo di Pindaro, un peήptero a co­ lonnato doήco- sei colonne per facciata,15 per lato- che rnisurava in larghezza esterna m 23,82 e in lunghezza m 60,32 e che circondava una costruzione rettangolare a pronao, cella e opistodomo ultimata verso

PmCHE

147

il colle di Crisa11 aveva portato alla valle concava del dio pende da una trave di cipresso vicino alla statua

40

tagliata da un unico tronco che i Cretesi maestri nell'arco piazzarono sotto il tetto parnasio.12

È ora di farsi incontro con affetto al benefattore.

Ti illuminano, Alessibiade,13le Grazie dalle belle chiome.14 45 Te beato che dopo intensa fatica15 ricevi anche un monumento di parole eccelse perché, fra quaranta aurighi caduti, 16 illeso

50

riportasti il carro con impavida mente e ora sei tornato dai sacri agoni alla piana

di Libia e alla città dei padri. Nessuno manca né mancherà del suo carico di pene, ma ti accompagna comunque, con veci alterne, l'antica prosperità di Batto, torre della città,17 occhio radioso agli stranieri. Davanti a lui fuggirono per il terrore anche i leoni ruggenti

il 50S a.C.). Sulla statua !ignea (uno 1;6avov) offerta dai Cretesi non abbiamo altre informazioni. 13 Alessibio era il padre di Carroto. 14 La parola del poeta è come una fiamma che illumina il laudando (cfr. /s. 7, 23 e fr. 52s, 5 Uj.I.VWV aÉÀ.aç). 15 II cimento della gara. 16 Eccezionale in effetti, e talora messo in dubbio, il numero dei carri in gara (almeno una cinquantina: non è pensabile che il carro di Arcesi­ lao fosse l'unico a restare illeso), spiega bile solo ipotizzando una pista estremamente larga, commisurata ogni volta al numero dei partecipanti. 17 Cfr. Ol. 2, 6 (Terone baluardo di Agrigento).

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ΠΥθΙΑ

γλωσσαν έπεί σΦιν άπένεικεν ύπερποντίαν· ό δ' άρχαγέτας έδωκ' 'Απόλλων θfιρας αίνψ φόβφ, δφρα μη ταμίι;ι Κυράνας άτελiις γένοιτο μαντεύμασιν. και βαρειaν νόσων άκέσματ' ι'iνδρεσσι και γυναιξι νέμει, πόρεν τε κίθαριν, δίδωσί τε Μο'iσαν οίς άν έθέλτι, άπόλεμον άγαγών ές πραπίδας εύνομίαν, μυχόν τ' άμφέπει μαντήϊον· τψ {και} Λακεδαίμονι έν Αργει τε καt ζαθέι;ι Πύλφ ένασσεν άλκάεντας Ήρακλέος έκγόνους Αίγιμιαu τε. τό δ' έμόν γαρύεν άπό Σπάρτας έπήρατον κλέος,

Γ δ 65

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δθεν γεγενναμένοι ϊκοντο Θήρανδε φc:Οτες Αίγεtδαι, έμοι πατέρες, ού θεών ι'iτερ, άλλά Μο'iρά τις ι'iγεν· πολύθυτον έρανον ένθεν άναδεξάμενοι, Απολλον, τεζi, Καρνήϊ', έν δαιτt σεβίζομεν Κυράνας άγακτιμέναν πόλιν· �

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18 Secondo Aristarco (la cui esegesi � registrata da Schol. 76b) si al­ lude alle forrnule incantatorie (έπφδαί) suggerite a Batto da Apollo appunto per scacciare i leoni e civilizzare la regione. 19 Apollo in quanto promotore di un'impresa coloniale (cfr. fr.

140a, 58 άρχαγέτι;ι τε [Δ]άλου). 20 Riferirnento a quella 'invasione dorica' che � nota anche corne «ήtomo degli Eraclidi>> perche i figli e poi i discendenti di Eracle ave­ vano piu volte consultato l'oracolo delfico e infine, sotto la guida di Ossilo re dell'Elide, avevano conquistato il Peloponneso insierne con i Dοή discendenti da Egimio sconfiggendo Yιsarneno figlio di Oreste. 21 Leggo l'infinito γαρύεν (ma γαρύειν gia G. Hermann nel1847),

PmCHE

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quando ad essi riportò parola oltrematrina:18 Apollo archegeta19 consegnò

60

le fiere a orrida paura perché non fossero vani i suoi vaticini al sovrano di Cirene. Apollo dona a uomini

m

e donne rimedi ai morbi letali, elargl la cetra e dà la Musa a chi vuole

65

ispirando nei cuori buon governo ignaro di guerre, e regge il penetrale profetico dove sand che anche a Sparta e in Argo e in Pilo divina

70

si insediassero i discendenti valorosi di Eracle e di Egimio.20 Mio compito celebrare21 la gloria preziosa che viene da Sparta. Di là originari, gli Egidi,22 miei padri, arrivarono

75

non senza gli dèi -li guidava la Moira - a Tera, donde derivammo il pasto sacrificale a spese comuni e nel convito in tuo onore, Apollo Cameo,23 veneriamo

so

la ben edificata città di Cirene:

congetturato da Th. Bergk sulla base della lezione Vaticanus gr. 121

yapuEv't· del cod. (rapuEi gli altri codici; yapuE'tat, inteso come trisil­

labico per la perdita dell'autonomia sillabica di u, ha proposto Genti­ li);Thryn e Snell-Maehler accolgono l'emendamento yapuEt di Wila­ mowitz (1900). 22 Una tribù spartana che doveva il suo nome a Egeo nipote di Theras. 23 Le Carnee, che erano la festa più importante dei Dori e che era­ no state importate a Cirene attraversoTera (cfr. Callimaco,Ap. 72 ss.), si caratterizzavano anche per un pasto sacrificale (le vittime erano to­ ri) alle cui spese contribuivano tutti i convitati

(epavoç).

150

ΠΥθΙΑ

έχοντι τaν χαλκοχάρμαι ξένοι ΤρόΊες Άντανορίδαι· σUν Έλένι;χ γaρ μόλον, καπνωθε'iσαν πάτραν έπε\. ϊδον 85

90

/{ 95

100

έν "Αρει· τό δ' έλάσιππον έθνος ένδυκέως δέκονται θυσίαισιν &νδρες οίχνέοντές σφε δωροφόροι, τους 'Αριστοτέλης ι'iγαγε ναυσ\. θοα'iς aλός βαθε'iαν κέλευθον aνοίγων. κτίσεν δ' &λσεα μείζονα θεrον, εuθύτομόν τε κατέθηκεν Άπολλωνίαις άλεξιμβρότοις πεδιάδα πομπαίς έμμεν ίππόκροτον σκυρωτaν όδόν, ένθα πρυμνο'iς άγορciς έπι δίχα κεΊται θανών· μάκαρ μέν aνδρrον μέτα έναιεν, f\ρως δ' έπειτα λαοσεβής. &τερθε δέ πρό δωμάτων έτεροι λαχόντες Άίδαν βασιλέες ίεροί έντί. μεγάλαν δ' aρετάν δρόσφ μαλθακ� pανθε'iσαν κώμων {θ'} Uπό χεύμασιν, άκούοντί ποι χθονίι;χ φρενί, σφόν ολβον υίφ τε κοινόν χάριν ένδικόν τ' Άρκεσίλι;χ· τόν έν aοιδ� νέων πρέπει χρυσάορα Φο'iβον άπύειν,

24 Dopo la caduta di Ίroia Antenore, che era stato ήsparrniato dai Greci per Ia simpatia che aveva Ioro rnanifestato, segul Elena e Mene­ lao giungendo in Libia, dove si ferrnό insediandosi con i suoi seguaci su un colle situato fra la cittiΊ e ίΙ rnare. 25 11 norne originario di Batto. 26 La Via sacra, l'arteήa principale di Cirene, che congiungeva l'a­ cropoli all'agoriΊ con un dislivello di circa 8 rn. Dal fondo in pietήsco ( σκϋρος), idoneo all'attraversarnento da parte di cavalli e carή, era detta Σκ:υρωτή (vedi Giannini 1995,535 s.).

PmCHE

151

la proteggono stranieri bardati di bronzo, i Troiani discendenti di Antenore che vennero con Elena quando nella mischia di Ares videro la patria avvolta dal fumo.24 Premurosi accolgono questa gente

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equestre andando incontro con sacrifici e doni a quelli che Aristotele25 condusse su rapide navi solcando la via profonda del mare. Fondò santuari più vasti dei numi e tracciò una via lastricata,

90

diritta e piana, per i cortei apollinei che proteggono i mortali, risonante degli zoccoli dei cavalli:26 n, al margine della piazza, giace in solitudine.27 Beato viveva

IV

fra gli uomini e come eroe fu venerato dal popolo.

95

Ma davanti all'abitato giacciono altri in disparte,28 santi sovrani che raggiunsero l'Ade, e ascoltano il grande successo asperso29 di tenera rugiada dai flussi dei canti con infero cuore, felicità per loro stessi e gloria giustamente condivisa col discendente Arcesilao. Tramite la voce dei giovani30 è giusto che egli invochi Apollo dalla spada d'oro

27 Le ceneri di Batto erano state raccolte in un sepolcro a tumulo che sorgeva al margine dell'agorà, lontano dalle tombe dei Battiadi.

zH I sepolcri dei Battiadi si trovavano fuori dell'abitato urbano, pro­ babilmente lungo il pendio settentrionale dell'acropoli. 29 Con Thryn e Gentili leggo llEYciÀav o' cipE'tÒV ... pavOdcrav, non jlE'{OMlV o' apE'téiV ... pav0Etcréiv (Snell-Maehler e altri). Thtta la frase riecheggia il linguaggio delle libagioni funebri (vedi Kurke 1991, 69). 30 Allusione alla composizione del coro.

100

152 105

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115

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ΠΥθΙΑ

έχοντα Πυθωνόθεν τό κ:αλλίνικ:ον λυτήριον δαπανάν μέλος χαρίεν. &νδρα κ:ε'ίνον έπαινέοντι συνετοί· λεγόμενον έρέω· κ:ρέσσονα μf:ν άλικ:ίας νόον φέρβεται γλ&σσάν τε· θάρσος δΕ: τανύπτερος έν ορνιξιν αίετός επλετο άγωνίας δ', ερκ:ος οίον, σθένος εν τε Μοίσαισι ποτανός άπό ματρός φίλας, πέφανταί θ' άρματηλάτας σοφός οσαι τ' είmν έπιχωρίων κ:αλrον εσοδοι, τετόλμακ:ε. θεός τέ οί τό νυν τε πρόφρων τελε'ί δύνασιν, κ:αι τό λοιπόν όμΟια, Κρονίδαι μάκ:αρες, διδοίτ' έπ' έργοισιν άμφί τε βουλαίς έχειν, μη φθινοπωρlς άνέμων χειμερία κ:ατa πνοa δαμαλίζοι χρόνον. Διός τοι νόος μέγας κ:υβερνQ δαίμον' άνδρrον φίλων. εϋχομαί νιν Όλυμπίι;χ το\>το δόμεν γέρας έπι Βάττου γένει.

mousike (cfr. Py. 8, 34). 32 In agoni locali, non a Delfi. Ad agoni cirenaici si accenna anche 31 Coltivava le arti della

in Py. 9, 102 s.

PITICHE

153

ora che da Pito ha ricevuto,

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compenso alle spese, il bel canto per la vittoria. I saggi lodano quell'uomo, io ne ripeto le parole: pasce intelletto e linguaggio superiori alla sua età

110

e per coraggio è come, fra uccelli, l'aquila dalle lunghe ali. Nell'agone, come una diga la sua forza. Fin quando era con la madre volava fra le Muse31 e ora si è rivelato abile auriga.32

115

Ogni occasione di successi locali ha tentato, propizio un dio oggi gli accorda potere e voi, figli beati di Crono, ugual sorte concedetegli per il futuro in atti e decisioni, sì che raffica tempestosa di venti autunnali non fiacchi i suoi anni.33 La mente vasta di Zeus pilota il fato degli uomini a lui cari. Io prego che in Olimpia egli conceda questo onore alla stirpe di Batto.

33 Di fatto Arcesilao sarebbe stato poi ucciso a Cirene o ad Eue­ speridi.

120

VI

ΞΕΝΟΚΡΑ'fΕΙ ΑΚΡΑΓΑΝΠΝΩΙ ΑΡΜΑΠ fιί Άκούσατ'· η γaρ έλικώπιδος Άφροδίτας

ι'iρουραν fι Χαρίτων aναπολίζομεν, όμφαλόν i:ριβρόμου χθονός ές λάϊνον προσοιχόμενοι· 5 Πυθιόνικος Ε.νθ' όλβίοιmν Έμμενίδαις

ποταμίι;χ τ' Άκράγαντι και μaν Ξενοκράτει έτο'iμος ύμνων θησαυρός έν πολυχρύσφ 'Απολλωνίι;χ τετείχισται νάπι;χ·

1 La vittoήa � del490. 2 11 coro annuncia i1 propήo arήvo con un imperativo che ήchiama

i1 gήdo dell'araldo quando si ήvolgeva al popolo (cfr. Aristofane,Pax 551 e Av. 448 άκούετε λεq)). 3 Per la metafora del 'campo' della poesia cfr. 0/. 9, 26 ( > (cfr. οι 13, 29 τεθμόν, τόν ciγει ΕΚ Πίσας, Py. 8, 38 λόγον φέρεις, /s. 7, 22 ciγει τ' άρετάν). 12

PITICHE

157

che non pioggia invernale, spietato

n

stuolo invasore

11

di nube fragorosa,11 né il vento sprofonderanno nei recessi del mare investendolo con pietrisco che tutto trascina. In pura luce la sua facciata proclamerà, o Trasibulo, 12 fra le balze di Crisa

15

un'equestre vittoria amplificata dalle voci degli uomini e comune a tuo padre e alla tua stirpe. Tenendolo13 alla tua destra, diritto

m

rechP4 il precetto15

20

che, dicono, un giorno impartì sui monti il figlio di Filira al Pelide separato dai genitori:16 fra gli dèi venerare

in sommo grado il figlio di Crono, 17 signore cupotonante di folgori e lampi, ma non negare mai ai parenti

25

simile onore per quanto tempo è destino che vivano. Un tempo fece suo questo pensiero

IV

il forte Antiloco, che diede la vita per il padre opponendosi

30

al capo degli Etiopi, Memnone sterminatore d'uomini.18 Bloccava il carro di Nestore un cavallo trafitto dalle frecce di Paride, e quello brandiva l'asta possente: l'anima sconvolta del vecchio messenio19 gridò: «Figlio mio!».

15 Secondo Schol. 22 Pindaro si rifaceva alle Esortazioni di Chirone (XEipwvoç into6fitmt) attribuite a Esiodo. 16 Abbandonato da Teti, Peleo aveva affidato l'educazione del ic­ p colo Achille al centauro Chirone, che lo allevò sul monte Pelio. 17 Zeus, figlio di Crono e di Rea. 18 Era venuto a difesa dei Troiani do o la morte di Ettore. Per l'e­ p pisodio qui rievocato Pindaro si doveva rifare al poema Etiopide, at­ tribuito ad Aretino di Mileto. 19 Nestore regnava a Pilo, città della Messenia.

158

ΠΎΘΙΑ

Ε' χαμαιπετες δ' &ρ' επος ούκ: άπέριψεν· αύτού

μένων δ' ό θε'iος άνήρ πρίατο μεν θανάτοιο κ:ομιδάν πατρός, 40 έδόκ:ησέν τε των πάλαι γενε{j. όπλοτέροισιν εργον πελώριον τελέσαις ϋπατος άμφ\. τοκ:εύσιν Εμμεν πρός άρετάν. τά μέν παρίκ:ει· των νυν δέ κ:α\. Θρασύβουλος 45 πατρq)αν μάλιστα πρός στάθμαν εβα, f' πάτρφ τ' έπερχόμενος άγλα'ϊαν {Εδειξεν} &πασαν.

νόφ δέ πλουτον &γει, &δικ:ον οϋθ' ύπέροπλον f\βαν δρέπων, σοφίαν δ' έν μυχόισι Πιερίδων· so τίν τ', Έλέλιχθον, όρμ{j.ς δς ίππείαν εσοδον, μάλα άδόντι νόφ, Ποσειδάν, προσέχεται. γλυκεΊα δε φρην κ:α\. συμπόταισιν όμιλε'iν μελισσaν άμείβεται τρητόν πόνον.

20 La virtiι del padre e paragonata alla corda ο Ίivella' (στάθμη) usata da carpentieή e muratoή per tracciare ο veήficare una linea retta. 21 Terone, il futuro tiranno di Agήgento, 22 Le Muse in quanto native della Pieήa (Grecia settentήonale). 23 Leggo con R. Rauchenstein (1845) όpμQς δς ίππίαν έσοδον

PmCHE

159

Non si perse a terra la sua parola,

v

ma resistendo l'uomo divino pagò con la vita la salvezza del padre e ai giovani del tempo antico

40

parve, per aver compiuto atto sì egregio, essere sommo per virtù filiale. Ma sono cose passate: fra i viventi Trasibulo in sommo grado si avvicina alla livella20 del padre

45

e manifesta il suo fulgore sulle tracce dello zio patemo.21

vn

Con senno usa la ricchezza cogliendo una giovinezza non ingiusta né arrogante e la poesia nei recessi delle Pieridi,22 e a te, Scuotiterra che inciti i cavalli alla corsa,23

50

si consacra, o Posidone, con mente devota. E anche fra i compagni a simposio la dolcezza del suo cuore supera l'opera traforata24 delle api.

(apxEtç oç i�tmiiv Ecr6Srov Snell-Maehler; opya'ìç micratç oç i1t1tEiav €croSov la tradizione manoscritta). 24 L'opera delle api è il favo, in cui si deposita il miele (cfr. fr. 152 JlEAtcrcro'tt:\nnrov Kllpirov EJ.l.Ò yA.uKt:po>'tt:poç oJl«jja «la mia voce è più dolce dei favi costruiti dalle api>>).

VII ΜΕΓΑΚΛΕΙ ΑΘΗΝΑΙΩΙ ΤΕΘΡΙΠΠΩΙ Κάλλιστον αί μεγαλοπόλιες Άθδναι προοίμιον Άλκμανιδδν εύρυσθενέι γενεfι. κρηπ'ίδ' άοιδδν ϊπποισι βαλέσθαι. 5 έπε\. τίνα πάτραν, τίνα οίκον ναίων όνυμάξεαι

έπιφανέστερον 'Ελλάδι πυθέσθαι; πάσαισι γaρ πολίεσι λόγος όμιλε'i 10 Έρεχθέος aστ&ν, 'Άπολλον,

o'i τεόν

δόμον Πυθ&νι δίι;ι θαητόν έτευξαν. aγοντι δέ με πέντε μέν Ίσθμο'i ν'iκαι, μία δ' έκπρεπής 15 Διός 'Ολυμπιάς,

δύο δ' aπό Κίρρας,

ώ Μεγάκλεες, ύμαί τε και προγόνων. I

La vittoria e del 486. Figlio di Ippocrate, Megacle proveniva dal

demo ateniese di Alopece e apparteneva al potente clan degli Alcmeo­ nidi: qualche mese prima del successo pitico era stato ostracizzato. 2 αr. Py. 2, 1 Μεγαλοπόλιες ώ Συράκοσαι. 3 Per la metafora architettonica vedi la nota a Py. 6, 8. 4

Gli Ateniesi, e in particolare gli Alcmeonidi, avevano contήbuito

con ingenti somme alla ήcostruzione del tempio di Apollo a Delfi, che

PITICA VII PER MEGACLE DI ATENE CON LA QUADRIGAI Splendido preludio la grande città di Atene2 per gettare in favore dei potenti Alcmeonidi una base3 di canti per l'equestre successo. Abitando quale patria o quale casa avrai un nome

5

più illustre a udirsi in Grecia? Penetra in ogni città, Apollo, la fama dei cittadini di Eretteo, che in Pito

10

divina eressero la tua sede meravigliosa.4 Mi guidano cinque vittorie all'Istmo e una, insigne, nell'Olimpiade sacra a Zeus,5 e due a Cirra,6 o Megacle, vostre7 e dei vostri avi. era stato distrutto da un incendio nel 548 a.C. (cfr. Erodoto5, 62 e Fi­ locoro, FGrHist 328 F115). 5 Si tratta di una vittoria di Alcmeone (il primo ateniese a vincere a Olimpia con la quadriga) nel592 a.C. 6 Nei giochi pitici. 7 Di Megacle e dei membri in vita degli Alcmeonidi.

15

162

ΠΥΘΙΑ

vέrz. δ' εύπραγίrz. χαίρω τι· τό δ' aχνυμαι, φθόνον άμειβόμενον τα καλα έργα. φαντί γε μάν 20 οϋτω κ' άνδρ\. παρμονίμαν

θάλλοισαν εύδαιμονίαν τα κ:α\. τα φέρεσθαι.

8 Probabile allusione all'ostracismo recentemente subito da Mega­ cle (vedi Bemardini 1995,560 s.).

PmCHE

163

Del nuovo successo gioisco, ma mi dolgo che l'invidia ricambi le belle imprese.8 Eppure, dicono, anche la prosperità che così stabile fiorisce l'una cosa e l'altra reca con sé.9

9 Successi e invidia piuttosto che, genericamente, buona e cattiva sorte, come in lstmica 5, 52 e in Teognide 398.

20

VIII ΑΡΙΣΤΟΜΕΝΕΙ ΑΙΠΝΗΠΠ ΠΑΛΑΙΣτΙΠ Α'

5

ιο

Φιλόφρον 'Ησυχία, Δίκ:ας ώ μεγιστόπολι θύγατερ, βουλαν τε κ:α\. πολέμων έχοισα κ:λα'tδας ύπερτάτας Πυθιόνικ:ον τιμaν Άριστομένει δέκ:ευ. τυ γaρ τό μαλθακ:όν έρξαι τε κ:α\. παθε'ίν όμως έπίστασαι κ:αιρφ συν aτρεκ:ε'ί. τυ δ' όπόταν τις aμείλιχον κ:αρδίι;χ κ:ότον ένελάστι, τραχε'ία δυσμενέων ύπαντιάξαισα κ:ράτει τιθε'ίς ϋβριν έν aντλφ, τaν ούδέ Πορφυρίων μάθεν παρ· αίσαν έξερεθίζων. κέρδος δέ φίλτατον, έκόντος εϊ τις έκ: δόμων φέροι.

1 La vittoήa � del446 e l'ode �. a quanto ci consta,la piu tarda di Pindaro. Dal ν. 33 si ήcava che Aήstomene, al tempo della vittoήa del­ fica, era ancora un ragazzo. 2 'Ησυχία� la personificazione della concordia all'intemo della po­ lis (cfr. οι 4, 16), in antitesi alla stasis e al disordine (cfr. fr. 109).

PITICA VIII PER ARISTOMENE DI EGINA NELLA LOTTAI Quiete2 benigna, figlia di Dike, tu che fai grandi le città e di consigli e guerre tieni le somme chiavi,3 ricevi da Aristomene l'omaggio di una vittoria pitica.4

5

Th sai dispensare e ricevere gentilezza a tempo debito, ma se qualcuno si conficca

in cuore rancore implacabile, aspra ti opponi alla forza dei nemici e cacci l'arroganza nella sentina, e anche Porfirione5 non si avvide

di provocarti contro giustizia. Davvero prezioso il profitto che si trae dalla casa di chi dona spontaneamente.

3 Per l'immagine della dea KÀ:ooouxoç cfr. Py. 9, 39 (a proposito di Peithò) e Eschilo, Eu. 827 s. 4 Il vincitore dedicherà a Hesychia la corona della vittoria. 5 Sovrano dei Giganti, gli esseri mostruosi nati da Gea e dal sangue di Urano evirato, li guidò all'assalto degli dèi (cfr. Ne. l, 64-70 e Ps.­ Apollodoro I 6, 1-2).

10

166 15

20 Β'

25

30

35

ΠΥθΙΑ

βία δΕ: και μεγάλαυχον εσφαλεν έν χρόνφ. τυφως Κίλιξ έκατόγιφανος οϋ νιν άλυξεν, ούδΕ μάν βασιλεύς Γιγάντων· δμτ' Ε.πραξεν, τό δε συγγενf:ς έμβέβακεν ϊχνεm ν πατρός

1 La vittoήa e del498. 2 Α Sparta attraverso gli Eraclidi, il cui ramo regnante ήsaliva a Π­

Ιο, figlio di Eracle, e alla figlia di Egimio (cfr. Py. 1, 61 ss.), in Tessaglia attraverso Tessalo, figlio di Eracle e re di Cos, e suo figlio Antifo, ap­ prodato in Tessaglia di ritomo da Troia. 3 La citt1ι del vincitore,Jungo il corso del Peneo. 4 Omonimo del fondatore della stirpe degli Aleuadi (Aleua Pirro) che avevano la loro sede a Larissa ed erano succeduti agli Scopadi, si,

PITICAX PER IPPOCLEA DI TESSAGLIA NEL DOPPIO STADIO DEI RAGAZZJI Felice Sparta, beata la Tessaglia! Regna su entrambe una stirpe discesa da unico padre, Eracle sommo in battaglia.2 Levo la mia voce oltre la misura? Ma Pito e Pelinneo3 mi reclamano e

i figli di Aleua4 che vogliono recare

a Ippoclea la voce trionfale di uomini in festivo corteo. Egli assaggia le gare5 e nell'adunanza delle genti vicine la gola del Parnaso lo proclamò primo fra i ragazzi nel doppio stadio.6 Dolce, Apollo, l'esito per gli uomini, e dolce cresce il principio se dà l'impulso un dio: un tale effetto egli ha sortito per le tue cure, ma l'indole procede sulle orme del padre,

gnori di Crannone, nel dominio della Tessaglia. Aleua figlio di Simo fu 'tago' (capo) della confederazione tessala. 5 Per l'immagine cfr. /s. l, 21 e vedi Pavese 2007,218. 6

Sul 'diaulo' vedi Premessa al testo,§ l.

10

190

ΠΎΘΙΑ

Όλυμπιονίκ:α δ\.ς έν πολεμαδόκ:οις "Αρεος δπλοις 15 έθηκ:ε κ:α\. βαθυλείμων ύπό Κίρρας πετρav άγrον κ:ρατησίποδα Φρικ:ίαν. εποιτο μο'iρα κ:α\. ύστέραισιν έν άμέραις άγάνορα πλοϊ>τον άνθε'iν σφίσιν· Β' 20

τών δ' έν 'Ελλάδι τερπνών λαχόντες ούκ: όλίγαν δόσιν, μη φθονερα'iς έκ: θεών μετατροπίαις έπικ:ύρσαιεν. θεός ε"ίη άπήμων κ:έαρ· εύδαίμων δε κ:α\. ύμνητός ούτος άνfιρ γίνεται σοψο'iς, δς άν χερσ\.ν η ποδών άρετ� κ:ρατήσαις τα μέγιστ' άέθλων ελτι τόλμι;χ τε κ:α\. σθένει,

κ:α\. ζώων έτι νεαρόν κατ' αtσαν υίόν "ίδτι τυχόντα στεφάνων Πυθίων. ό χάλκ:εος ούρανός οϋ ποτ' άμβατός αύτφ· δσαις δε βροτόν έθνος άγλαtαις άπτόμεσθα,περαίνει πρόςέσχατον πλόον· ναυσ\. δ' οϋτε πεζός ίών εϋροις 30 ές Ύπερβορέων άγώνα θαυμαστάν όδόν. 25

παρ· οtς ποτε Περσεi>ς έδαίσατο λαγέτας, δώματ' έσελθών, 7

Nell'oplitodromia (la corsa in armi). Il padre di Ippoclea. Le sue due vittoήe olimpiche ήsalivano ή­ spettivamente al 508 e al 504; di quella pitica non conosciamo la data. 9 Sull"invidia' divina (un motivo particolarmente caro a Erodoto) 8

cfr. ls. 7, 39.

10 Gia in Omero (cfr. 1/. 17, 425) il cielo � detto «bronzeo» (saldo, incoπuttibile) . 11 La scelta del termine πλόον favoήsce il trapasso fra l'immagine di scalare il cielo e l'idea di andare su nave (vedi Burton 1%2, 6). 12 Popolazione mitica dell'estremo settentrione sacra ad Apollo (che presso di essa trascoπeva i mesi invemali) e irnmersa in una con­ dizione di edenica serenita (cfr. 0/. 3,16 ss. e Is. 6,22 s.). 1-' Figlio di Danae e nipote del re argivo Acήsio, il piccolo Perseo, generato da Zeus in forma di pioggia d'oro, era stato ήnchiuso insie-

PITICHE

191

che due volte vinse a Olimpia negli attrezzi guerreschi di Ares,7 e anche sotto lo sprone di Cirra la pista nel fertile

15

prato esaltò il primato di Fricia nei piedi.8 Buona fortuna li segua anche nei giorni futuri e fiorisca per essi ricchezza superba. Dei piaceri dell'Ellade

n

avendo ottenuto non esigua razione, non cozzino in invidiosi 20 rovesci voluti dagli dèi!9 Solo un nume può restare immune da rovina, ma fortunato e degno del canto dei poeti è l'uomo che, vincendo con le mani o col valore dei piedi, coglie per il suo coraggio e la sua forza i premi più alti e vede ancor vivo

25

il giovane figlio conquistare con merito le corone di Pito. Inaccessibile a lui il cielo di bronzo,10 ma ogni splendore che possiamo toccare noi stirpe mortale egli lo persegue fino alla rotta11 estrema pur se non troverai né su nave né a piedi la via meravigliosa che porta all'accolta degli lperboreiP 30 Banchettò fra quelli un giorno Perseo,13 capo di genti, entrato nel tempio:

me con la madre in una cassa e poi gettato in mare dal nonno, timoro­ so dell'avveramento di un oracolo che gli preannunciava la morte per mano del nipote (cfr. Simonide, fr. 543 PMG). Ma la cassa approdò nell'isola di Serifo e Perseo poté compiere una serie di avventure fra cui la più nota è l'uccisione della Gorgone Medusa, il cui sguardo pie­ trificava chiunque la fissasse negli occhi. A parte il fr. l, l s. Powell del poeta alessandrino Simia di Rodi (che però potrebbe essersi ispirato allo stesso Pindaro), non sappiamo da altre fonti di un soggiorno di Perseo nella contrada degli Iperborei, ma si dovette trattare di una tappa del suo viaggio in cerca di Medusa.

192

ΠΎθΙΑ

κλειτaς δνων έκατόμβας έπιτόσσαις θεφ pέζοντας ών θαλίαις εμπεδον 35 εύφαμίαις τε μάλιστ' 'Απόλλων χαίρει, γελfι. θ' όρων ϋβριν όρθίαν ΙCVωδάλων. Μο'ίσα δ' ούκ aποδαμε'ί τρόποις έπι σφετέροισι· παντ� δΕ χοροι παρθένων λυρaν τε βοαι καναχαί τ' αύλrον δονέονται· 40 δάΦνι;χ τε χρυσέι;χ κόμας άναδήσαντες είλαπινάζοισιν εύφρόνως. νόσοι δ' οϋτε γήρας ούλόμενον κέκραται ίερ� γενε�· πόνων δέ και μαχaν aτερ Γ

οίκέοισι φυγόντες ύπέρδικον Νέμεσιν. θρασείι;χ δέ πνέων καρδίι;χ 45 μόλεν Δανάας ποτέ πα'iς, άγε'iτο δ' Άθάνα, ές άνδρrον μακάρων δμιλον· επεφνέν τε Γοργόνα, και ποικίλον κάρα δρακόντων φόβαισιν f\λυθε νασιώταις λίθινον θάνατον φέρων. έμοι δέ θαυμάσαι

50

θεrον τελεσάντων ούδέν ποτε φαίνεται εμμεν aπιστον. κώπαν σχάσον, ταχύ δ' aγκυραν ερεισον χθονί πρφΡαθε, χοιράδος aλκαρ πέτρας. έγκωμίων γaρ aωτος ϋμνων έπ' aλλοτ' aλλον ωτε μέλισσα θύνει λόγον.

14 Gifι Didimo (cfr. Schol. Slb e 56a) vedeva nell'erezione fallica degli asini pήma del sacήficio la ragione del ήsο di Apollo. 15 Sulla longevita degli Iporborei cfr. Callimaco, Del. 282. 16 Personificazione di quella giustizia punitήce in cώ gli Iperborei non possono incoπere data la loro pietas. 17 Per la precisione Medusa (le altre due Gorgoni erano Euήale e Steno).

PmCHE

193

li trovò che offrivano al dio gloriose ecatombi di asini. Sempre delle loro feste e preghiere in sommo grado si allieta

35

Apollo e ride notando il turgore eretto delle bestie.14 Non è assente dai loro costumi

m

la Musa, ma vorticano ovunque cori di fanciulle e rintocchi di lire e strepiti di auli, e con le chiome cinte di lauri dorati

40

banchettano in letizia. Né morbi né maledetta vecchiaia si attaccano15 a quella stirpe sacra, ma senza travagli e contese vivono lungi da NemesP6 supremamente giusta. Spirando ardimento nel cuore venne un giorno il figlio di Danae, e lo guidava Atena,

45

all'accolta di quegli uomini beati, e uccise la Gorgone,17 e tornò portando agli isolanP8 la testa varia di chiome serpentine, morte petrigna. A me nessuna cosa appare mai incredibile, sl da stupire, se la compiono gli dèi.

so

Ferma il remo e rapido da prua pianta nel fondale l'ancora, difesa da scogli.19 Lo splendore dei canti festivi balza come ape da un motivo all'altro.20

18

Gli abitanti di Serifo, pietrificati da Perseo mostrando loro il ca­

po di Medusa. 19 Inserto metapoetico (cfr.

Ne. 4, 68 s. anche per l'uso di un'analo­

ga metafora nautica) con cui il narratore si rivolge a se stesso incitan­ dosi a non proseguire il proprio 'viaggio' narrativo (l'inserto mitico s u Perseo e Medusa). 20 La libera variazione dei motivi è uno dei cardini della poetica pindarica, e per il confronto fra il poeta e l'ape cfr. Simonide, fr. 593 PMG e Bacchilide 10, 10.

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ΠΥθΙΑ

11 έλπομαι δ' 'Εφυραίων

δπ' άμφι Πηνεϊόν γλυκείαν προχεόντων έμάν τόν Ίπποκλέαν έτι και μc'iλλον σUν άοιδαϊς έκατι στεφάνων θαητόν έν aλιξι θησέμεν έν και παλαιτέροις, νέαισίν τε παρθένοισι μέλημα. και γάρ 60 έτέροις έτέρων έρως έΊCVιξε φρένας

των δ' έκαστος όρούει, τυχών κεν aρπαλέαν σχέθοι φροντίδα τaν πaρ ποδός τα δ' είς ένιαυτόν aτέκμαρτον προνοfισαι. πέποιθα ξενίςι προσανέϊ Θώρακος, δσπερ έμaν ποιπνύων χάριν 65 τόδ' έζευξεν aρμα Πιερίδων τετράορον,

φιλέων φιλέοντ'' aγων aγοντα προφρόνως. πειρrοντι δΕ: και χρυσός έν βασάνφ πρέπει και νόος όρθός, aδελφεούς τέ οί αίνήσομεν έσλούς, δτι 70 ύψου φέροντι νόμον Θεσσαλrον

αϋξοντες έν δ' άγαθοίσι κείται πατρώϊαι κεδναι πολίων κυβερνάσιες.

21 Gli abitanti di Crannone in Tessaglia, oήginaήamente chiamata Efira (cfr. Schol. 85a). Appunto di Efirei era composto il coro nono­ stante che Ippoclea fosse di Pelinn eo e che a Pelinneo si dovesse cele­ brare la festa per la vittoήa. 22 Cfr. Py. 9, 98-100 e Orazio, Carm. Ι 4, 20 s. quo calet iuventus I

nunc omnis et mox virgines tepebunt. 23 Con Gentili accolgo il testo dei codici έρως έιcνιξε φρένας con l'integrazione τdς di Demetrio Triclinio davanti a φρένας (έρωτες έιcνιξαν φρένας A.W. Mair, Thryn e Snell-MaeWer).

PmCHE

195

Spero che quando gli EfireF1

IV

spanderanno la mia dolce voce lungo il Peneo,

56

farò con i miei canti ancor più ammirato lppoclea per le sue corone fra i coetanei e i più anziani, e oggetto di desiderio per le vergini.22 E davvero l'amore a chi per una cosa e a chi per un'altra infiamma il cuore.23 60 Chiunque ottenga ciò che brama si tenga la dolce ossessione che ha con sé: non si può congetturare ciò che sarà di qui a un anno. Confido nell'ospitalità gentile di Torace, che sollecito della mia causa24 aggiogò questa quadriga delle Pieridi

65

amando chi lo ama e guidando di buon grado chi lo guida. Al saggiatore l'oro splende al contatto con la pietra,25 e tanto vale per la mente retta, e noi loderemo i suoi valenti fratelli26 perché, rafforzandolo, esaltano il governo dei Tessali: per tradizione avita stanno in mano a uomini valenti pilotaggi accorti di città.

24 Per l'interpretazione di È:J.!ÒV xaptv cfr. Pae. 9, 36 s. Uç (àoeA.cpeouç t' È:Jtatvl]cro­ J.!EV ÉcrÀ.ouç i codici, àoeÀ.c)leoicri. t' É1tat vl]croJ.!ev ÉcrÀ.otç Wilamowitz e

Snell-Maehler).

70

ΧΙ θΡΑΣΎ'ΔΑΙΩΙ ΘΗΒΑΙΩΙ ΠΑΙΔΙ ΣΤΑΔΙΕΙ κ

Κάδμου κόραι, Σεμέλα μΕν Όλυμmάδων άγυιaτι, Ίνrο δe Λευκοθέα ποντιaν όμοθάλαμε Νηρηίδων,

ίτε σi>ν Ήρακλέος άριστογόνφ ματρί πaρ Μελίαν χρυσέων ές ι'iδυτον τριπόδων 5

θησαυρόν, δν περίαλλ' έτίμασε Λοξίας, Ίσμήνιον δ' όνύμαξεν, άλαθέα μαντίων θόΊκον,

ώ πα'ίδες 'Αρμονίας, ένθα καί νυν έπίνομον ήρωίδων στρατόν όμαγερέα καλε'ί συνίμεν,

I La vittoήa e probabίlmente dei474. 2 11 fondatore di Tebe, figlio di Agenore e proveniente dalla Fe­ nicia. 3 Unitasi a Zeus, concepi Dioniso e resto inceneήta alla vista del dio in arrni. 4 Allevo Dioniso con ί figli Learco e Melicerte e per questo fu resa pazza da Hera al paή del maήto Atamante, tanto da uccidere Learco e da buttarsi in mare con Melicerte. Accolta fra le Nereidi, fu venerata come divinita maήna. 5 Figlia di Oceano, fu rapita da Apollo e a Tebe gli partori due figli, Tenero e lsmeno.

PITICAXI PER TRASIDEO DI TEBE NELLO STADIO DEI RAGAZZJI Figlie di Cadmo,2 Semele3 che abiti con le dee d'Olimpo e tu, Ino Leucotea4 che condividi le stanze delle marine Nereidi, venite presso Melia5 insieme con la madre di Eracle,6 genitrice di prole perfetta, al tesoro inaccessibile dei tripodi? aurei che il Lossia in sommo grado onorò e che chiamò Ismenio, seggio veridico di vati,8 o figlie di Annonia:9

n anche oggi ella10 convoca lo stuolo compatto delle eroine indigene

6

Alcrnena. In particolare, presso il santuario tebano dell'lsmenio erano con­ servati i tripodi dedicati dai giovani 'dafnefori' (cfr. Pausania IX 10,4 e vedi Introduzione, § 2). 8 Si traevano responsi dalle ceneri delle vittime (cfr. 01. 8, 1 ss., Sofocle, OR 21, Erodoto 8, 134). 9 La sposa di Cadmo. 10 Soggetto di K:aì..Ei è probabilmente Melia piuttosto che Apollo. 7

5

198

10

15

Β'

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ΠΥθlΑ

όφρα Θέμιν ίερaν Πυθώνά τε καt όρθοδίκαν γδς όμφαλόν κελαδήσετ' ι'iκρι;χ συν έσπέρι;χ έπταπύλοισι Θήβαις χάριν άγώνί τε Κίρρας, έν τφ Θρασυδ(iος εμνασεν έστίαν τρίτον επι στέφανον πατρq)αν βαλών, έν άφνεα'iς άρούραισι Πυλάδα νικών ξένου Λάκωνος Όρέστα. τόν δη φονευομένου πατρός Άρσινόα Κλυταιμήστρας χειρών ϋπο κρατερδν έκ δόλου τροφός ι'iνελε δυσπενθέος, όπότε Δαρδανίδα κόραν Πριάμου Κασσάνδραν πολιφ χαλκφ συν Άγαμεμνονίι;χ ψυχ(i πόρευ' Άχέροντος άκτάν παρ' εϋσκιον νηλfις γυνά. πότερόν νιν ι'iρ' Ίφιγένει' έπ' Εύρίπφ σφαχθε'iσα τίΊλε πάτρας εκνισεν βαρυπάλαμον όρσαι χόλον; η έτέρφ λέχεϊ δαμαζομέναν εννυχοι πάραγον κ:ο'iται; τό δe νέαις άλόχοις εχθιστον άμπλάκιον καλύψαι τ' άμάχανον άλλοτρίαισι γλώσσαις κακολόγοι δe πολ'iται. ίσχει τε γaρ όλβος ού μείονα φθόvοV' ό δε χαμηλCι πνέων ι'iφαντον βρέμει.

11 Come iπ Py. 5, 7 ιϊκρος ha, in prospettiva temporale, il valore di «first», «earliest» (Slater 1969, s.v. ιϊκρος c). 12 Cοπ Geπtili inteπdo Θέμιν come nome propήo, ποπ come nome comune (cosi invece Thryπ e Sπell·Maehler sulle orrne di Wilamowitz 1922,260, secoπdo il quale «l'epiteto mostra che ποπ e intesa la dea», ma cfr. [Orfeo,] Hymn. 77,2 Μούσας ... ίεράς). Tem.i era figlia di Gaia e di Urano e custode dell'ordiπe cosmico. 13 Su Ciπa vedi la nota a Py. 3, 74.

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per celebrare a prima sera11 la santa Temi12 e Pito e l'ombelico giusto del mondo

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in omaggio a Tebe dalle sette porte e ai giochi di Cirra,13 dove Trasideo ridestò la memoria del focolare paterno cingendolo della terza corona, ché ha vinto nelle pingui campagne

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di Pilade, l'ospite di Oreste lacone.14 Quando gli massacravano il padre le forti

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mani di Clitemestra, la nutrice Arsinoe15 lo sottrasse a trappola luttuosa nell'ora in cui Cassandra, la dardanide figlia di Priamo, per il bronzo luccicante fu mandata

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con l'anima di Agamennone alla sponda ombrosa d'Acheronte dalla donna spietata. Forse Ifigenia, sgozzata lungo l'Euripo16 lungi dalla patria, la mosse a scatenare l'ira greve di mano? O la seducevano, soggiogata da altro letto, notturni amplessi?17 Odiosissimo errore 25 per le giovani spose, impossibile da celare a lingue altrui:

mormorano i cittadini. Prosperità comporta non minore invidia, e chi ha respiro umile18 strepita nell'ombra.

14 Oreste è detto «lacone>> perché divenne sovrano della Laconia grazie al matrimonio con Ermione, figlia di Menelao e di Elena. 15 Altrove Laodamia (Stesicoro) o Cilissa (Eschilo). 16 Lo stretto che separa la Beozia dall'Eubea. 17 Le due motivazioni si affacciano entrambe anche nell'Orestea di Eschilo, la prima in Ag. 1417 s. e 1524 ss., la seconda in Ch. 906 s. 18 Chi è di umile condizione, il povero (vedi Gerber 1983).

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ΠΥθΙΑ

θάνεν μkν αύτός ηρως Άτρείδας ϊκων χρόνφ κλυτα1ς έν Άμύκλαις, Γ

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Δ' so

μάντιν τ' δλεσσε κόραν, έπε\. άμφ' Έλένι;t πυρωθέντας Τρώων ελυσε δόμους άβρότατος. ό δ' aρα γέροντα ξένον Στροφίον έξίκετο, νέα κεφαλά, Παρνασσου πόδα ναίοντ'· άλλa χρονίφ σUν "Αρει πέφνεν τε ματέρα θfικέ τ' Α'ίγισθον έν φοναt.ς. ήρ', ώ φίλοι, κατ' aμευσίπορον τρίοδον έδινάθην, όρθaν κέλευθον ίrον τό πρίν· η μέ τις aνεμος εξω πλόου εβαλεν, ως δτ' aκατον ένναλίαν; Μο1σα, τό δΕ τεόν, εί μισθο1ο συνέθευ παρέχειν φωνaν ύπάργυρον, &λλοτ' &λλι;t {χρiι} ταρασσέμεν fι πατρ\. Πυθονίκφ τό γέ νυν fι Θρασυδ�φ. τών εύφροσύνα τε καΙ. δόξ' έπιφλέγει. τa μkν aρμασι καλλίνικοι πάλαι Όλυμπίι;t τ' aγώνων πολυφάτων εσχον θοaν aκτtνα σύν ϊπποις, Πυθο1 τε γυμνόν έπ\. στάδιον καταβάντες i\λεγξαν Έλλανίδα στρατιaν rοκύτατι. θεόθεν έραίμαν καλών,

19 Borgo acheo della Laconia a sud di Sparta. 2 ° Cassandra, che Agamennone aveva portato

Ίtoia.

come concubina da

21 Ε cio� (άργυρωθείσαι ... άοιδαί) di ls. 2, 8, al compen­ so pattuito fra poeta e committente. 22 In quanto opposta alla corsa in arrni (oplitodromia). 23 «La struttura sintattica μΕν ... τε ... τε, tipica delle enumerazioni ( cfr. Py. 4, 249-51 e Ol. 6, 4-6), mostra che sono qui elencate non due vittoήe, come generalmente si ήtiene, ma tre: la piu antica, con il car-

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Morì egli stesso,l'eroe Atride, quando giunse col tempo ad Amicle19 illustre e fu causa di morte alla vergine indovina20 dopo che spogliò

dei lussuosi arredi le case dei Troiani arse dal fuoco a causa di Elena. Ma quello, il giovane rampollo, andò presso un ospite,il vecchio Strofio,

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che abitava ai piedi del Pamaso; poi,con lotta tardiva, uccise la madre e fece strage di Egisto. Forse, amici, mentre andavo per la retta via

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mi smarrii a un crocicchio ove le piste s'intersecano o una raffica di vento mi sbalzò fuori rotta come vascello sul mare?

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Musa, se hai concordato di prestare per compenso la tua voce argentata,21 agitala oggi di qua e di là sia per Pitonico, il padre, sia per Trasideo, di cui rifulgono letizia e fama.

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Vittoriosi un tempo con la quadriga, ebbero a Olimpia con i cavalli il raggio fulmineo degli agoni gloriosi e, scesi a Pito per la corsa ignuda,22

IV

umiliarono in velocità lo stuolo

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dei GreciY Che io brami cose belle dagli dèi ro, senza l'indicazione precisa del luogo della gara e, dunque, molto verisimilmente ottenuta in giochi minori da Pitonico; la seconda, sem­ pre del medesimo, a Olimpia, ancora con il carro; l'ultima infine a Pi­ to, nella corsa semplice, nella quale è da individuare la vittoria attuale, quella di Trasideo. Il plurale è assolutamente enfatico, nel senso che il poeta intende accomunare il padre e il figlio nei rispettivi successi, in linea con quanto detto nel proemio del giovane Trasideo, che con la sua vittoria ha ridestato "la memoria del focolare paterno" (v. 13 s.)» (Gentili 1995, LVI n.1).

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ΠΥθΙΑ

δυνατό μαιόμενος έν aλικίι;ι. των γaρ aνa πόλιν εύρίσκων τα μέσα μακροτέρφ {συν} όλβφ τεθαλότα, μέμφομ' αlσαν τυραννίδων·

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ξυναίm δ' aμφ' aρεταίς τέταμαι. φθονεροl. δ' όμύνονται,