Il Nuovo Testamento alla luce dell'Antico

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Il Nuovo Testamento alla luce dell'Antico

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J\iS OCIAZIONE BIBLICA ITALIANA

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Stanislao Lyonnet

Il Nuovo Testamento alla luce dell'Antico

Il Nuovo Testamento alla luce dell'Antico Lezioni di P. Stanislao Lyonnet VII Settimana Biblica del Oero Napoli, Luglio r 9 6 8

r~ ..~

PAIDEIA - BRESCIA

Opere dello stesso Autore citate nel presente volume

14 Slorill della Salvt;aa. D'Auria, Napoli x966. Died Medit"1.ioni su S. Paolo. Paideia, Brescia x96,. - La legge e Ili libertà del Popolo di Dio. Ed. Dchoniane, Bologna 1968.

LEZIONE PRIMA

L'UNITÀ DEI DUE TESTAMENTI (Dei Verbum, 16)

In quesm momento della vita della Chiesa, tutta protesa ad attuare anche in campo liturgico le direttive del Concilio Vaticano 11, l'argomento che prendiamo a trattare è della massima attualità. Nei Documenti conciliari infatti e in particolare nella Cc-stituzione sulla Sacra Liturgia si insiste perché i te· sori della Sacra Scrittura siano offerti con maggiore abbondan· za ai fedeli 1, e non si fa alcuna distinzione fra i libri dell'Antico e del Nuovo Testamento; è raccomandato anzi un vivo e soave affetto per tutta la Bibbia 2• Ora è ben noto, e I'esperien~a di quesd primi anni lo prova anche troppo, che la grande maggioranza dei fedeli trova difficile entrare nel mondo biblico, così lontano dalla loro mentalità; essi restano sconcertati udendo o leggendo la Parola di Dio, specialmente quella del1'Antico Testamento, ma anche quella del Nuovo, che in realtà resta ai margini della loro formazione.

Il pensiero della Chiesa Tuttavia proprio l'Antico Testamento fu sin dall'inizio della.Chiesa il ~bro base per la formazione delle generazioni cri· st1ane. Basu richiamare quello che S. Paolo scriveva a Timoteo ~ella sua seconda Lettera ( 3, 15) per ricordargli l'educazione ricevuta: «Sin da fanciullo hai conosciuto le Sacre Scrittu1·

Coat. Sacro!dt1Cl11m Condlium,

2.

lvi, 2-l·

n.1;

,1. 9

re». Queste Sacre Scritture, da Timoteo conosciute sin da fanciullo, erano quasi esclusivamente quelle ddrAntico Testamento, pcrchè all'epoca, nella quale fu scritta la Lettera, quelle del Nuovo cominciavano appena ad esistere. E l'Apostolo aggiungeva: « .. .le quali possono darti la sapier:za che conduce alla salvezza», non cioè la sapienza che consenta vantaggi terreni, ma quella che conduce alla salvezza; eè è la sapienza che il popolo cristiano deve desiderare e cercare nelle Sacre Scritture mediante la fede in Gesù Cristo. Nel versetto seguente (v. 16) S. Paolo continua: «Tutta la Scrittura divinamente ispirata è anche utile per Pinsegnìltnénto, per convincere, per correggere, per formare alla giustizia, affinchè l'uomo di Dio sia formato perfetto, pronto per ogni opera buona». L'Apostolo vede dunque nella Bibbia il libro per eccellenza in ordine alla formazione delJ>uomo di Dio nel caso è Timoteo, non solamente Sacerdote, ma anche Vescovo-, sia che la usi per farne lettura spirituale o meditazione, sia che la usi come testo di Teologia: in essa vi è l'essenziale! Il Concilio Vaticano II, che nella Costituiione sulla Divina Rivelazione Dei Verhum dedica all'Antico Testamento un intero capitolo, ha lo stesso insegnamento. Scrive che i fedeli «devono ricevere con devozione questi Libri, che esprimono un vero senso di Dio, nei quali sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiera, nei quali infine è na..c;costo il mistero della nostra salvezza»3 • La Chiesa del resto ha sempre insegnato cosl. Nella Liturgia essa attinge quasi esclusivamente dall'Antico Testamento per il Breviario, ed anche in parte considerevole per li Messa. Più dell'attuale ne faceva uso la Liturgia antica: l'Introito, l'Offertorio, e la Comunione constavano quasi per intero di un Salmo cantato; le letture erano tre e talora quattro, come attuai3. Cost. Dti Verb11m, IO

1,.

mente nd Sabato ddle Quattro Tempora, e ad esse seguiva la lettura dell'Epistola e del Vangelo. Anche oggi: nella nuova Liturgia della Parola, dopo la prima lettura, il S:Lmista o Cantore canta o legge un Salmo, e il popolo vi partecipa rispondendo con un ritornello preso pure quasi sempre da un Salmo. Se pJi apriamo le opere dei Padri della Chiesa, troveremo che assai spesso i loro commenti biblici, i loro sermoni, le catechesi e le invocazioni vertono su testi dell'Antico TestamentO. Qualcuno pouà us:sc::rvare che il fatto è dovute alla sua lunghezza; ed è vero, anche alla sua lunghezza, ma soprattutto alla visione che i Padri avevano dell'unità dei due Testamenti.

Difficoltà ed esigenze attuali Siamo abituati a pensare che il Nuovo Testamento illumina 19Antico: è un modo di vedere che si direbbe das~ico; e di fat· to il Nuovo è nascosto nell'Antico. Ne consegue :he, per ben capire l 1Antico, è necessario conoscere la sua realizzazione nel Nuovo. È proprio quello che mettono in evidenza numerose Encicliche e lo stesso Vaticano II, «Dio dunque. il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'Auto· re, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel1'Antico e l'Antico diventasse chiaro nel Nuovo. Poichè, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel s~ngue suo... , tuttavia i libri dell,Antico Testamento, integralmente assunti m:lla predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento ... »". Per questo il Nuovo Testamento è indispensabile per ben conoscere r Antico, che va letto alla luce del Nuovo. Ma, se veramente tutto l'Antico si trova nel Nuovo Testamento, è ovvio chiederci: a che scopo trascinarcelo dietro? Basta leggere il Nuovo! Pensiamo che non pochi cristiani, e forse anche Sacerdoti, sarebbero disposti a contentarsi del Nuo-

Il

vo; anzi si direbbe che il loro atteggiamento è abbastanza legittimo, atteso che tutta la Rivelazione è contenuta in esso. Il Vaticano u, però, nell'ultima redazione della Costituzione sulla Sacra Scrittura, ha fatto al testo precedente una breve ma significativa aggiunta: i libri dell'Antico Testamento «acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento... che essi a loro volta illuminano e spieganm~ 5 • Vuol dire il Concilio che l'Antico Testamento è molto utile per conoscere meglio il Nuovo? Non vi è dubbio; ma :>ensiamo che la sua affermazione vada ben oltre; tanto è utile la conoscenza dell'Antico da essere indispensabile per una conoscenza profonda ed esatta del Nuovo Testamento. Di qui la somma importanza della conoscenza dell'Antico Testamento per la Pastorale e per la Liturgia. Abbiamo già rilevato quanta parte esso abbia in quest'ultima: sebbene adesso essa faccia uso della lingua parlata, i fedeli non la capiscono molto di più di quando usava esclusivamente la lingua latina. È un passo avanti, senza dubbio; prima infatti non la capivano, e non se ne rendevano conto; ora invece si rendono conto di non capirla; è possibile che sorga in loro il desiderio di conoscere il suo intimo valore, e così abbiano le migliori disposizioni per ascoltare i Pastori d'anime, che li devono formare alla fruttuosa partecipazione della preghiera della Chiesa6. I Pastori poi chiedono quale metodo debbano usare per introdurre i fedeli nella conoscenza di tante espressioni e cose oscure èell'Antico Testamento. Ci sembra che bisognerà su· scitare anzitutto la stima e l'amore verso di esso. mostrando come le espressioni e le formule del Nuovo Test~mento ricevono la loro piena luce soltanto dall'Antico, perché lo suppongono. Questa formazione biblica, necessaria per una ~ttiva e proficua partecipazione alla Liturgia, ha oggi la sua importanza ,. /Jri, 16 6. Cfr. S1tcrosdn&111m Conrilium, q. 12

anche ai fini dell'Ecumenismo. Protestanti e Ortodossi, come a tutti è noto, hanno una Teologia e una Liturgia essenzialmente bibliche: se noi presentassimo la nostra dottrina teologica in categorie scolastiche, essa non avrebbe per loro alcun senso; se invece presenteremo loro le stesse realtà in categorie bibliche, li troveremo disposti a prenderle in considerazione e a penetrarle. Quando osserviamo il cammino percorso in pochissimi anni verso l'unione dei credenti in Cristo, vorremmo dire che l'ora, anche se non è ~ncor gi11nh1, si f. molto avvicinata. Molti fratelli separati sono veramente desiderosi cli unirsi in un'unica famiglia, nella quale trovarsi a loro agio. Quale scandalo e quale danno se i cattolici ponessero un ostacolo a questa sospirata unione presentando una Teologia che essi non capiscono! Ma per approfondire le formule bibliche del Nuovo Te· stamento è indispensabile conoscere PAntico. P. X. Léon-Dufour, parlando del commento al Vangelo anche sokmente dal punto di vista scientifico, scrive: «Un commentario evangelico unicamente scienti.fico, che non tenesse conto dell'Antico Testamento, quale ambiente di pensiero, dove si è elaborato il Nuovo, è senz'altro sorpassatm>7. Non intendiam:> con questo affermare che molti commenti non possano essere oggi di grande attualità; dal punto cli vista scienti.fico però essi sono e devono dirsi sorpassati. Perché l'interprete «deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà abbiano inteso significare e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parolc»8• Questo vale anche per chi si accinge a interpretare il Nuovo Testamento, i cui agiografi erano compenetrati dell'Antico: il loro pe.'.lSiero era rivolto sempre ad esso, talvolta in modo implicito, di frequente anche in modo esplicito; suppongono inoltre che la cosa sia nota ai loro lettori. Faremo tre considerazioni per aiutarci ad intendere meglio 7. In lfftrod•ctio" ò la Biblt: di A. Robcrt ·A. Fcuillcc, voi. II, p. 1,6. 8 Dei Verhi.1'1,

12.

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come il Nuovo Testamento sia illuminato e spiegato clall 'An-

tico. Il Nuovo Testamento suppone noto l'Antico Il Nuovo Testamento non solo suppone l'Antico in quanto ne è il suo compimento, ma anche in quanto lo suppone noto ai suo: lettori. Quando, ad esempio, S. Paolo scriveva ai fedeli, aveva ben presente che si indirizzava a rhi già conosceva l'Antico Testamento; spessissimo quindi nelle sue Lettere si contentava di fare qualche allusione, sicuro di essere capito dai destinatari; non riteneva necessario ripetere tutto quello che essi già sapevano. Di conseguenza chi legge le Lettere di S. Pao:o senza conoscere le realtà da lui supposte note, si lascia sfuggire certamente molte idee da lui intese. Diamo qualche esempio: il Nuovo Testamento scrive di Cristo come del vero centro di tutto il creato. Scrive anche di Dio; la figura di Dio non è meno centrale di quella del Cristo, anzi nel Nuovo Testamento Dio ricorre più spesso cli Cristo; di Lui però gli agiografi neotestamentari non insegnano molte cose, perché per loro, ad eccezione di q·Jalche testo, Dio è Jahvè dell'Antico Testamento che suppongono conosciuto. La Lettera agli EfesiniJ per esempio, è tutta rivolta al~ resaltazione di Gesù Cristo; all'inizio però S. Paolo indirizza la sua preghiera a Dio 9 • Scrive infatti: «Benedetto sia Dio e Padre del Signore nostro GeJ>1'1 Cristo, il qunle (Dio) ci ha benedetti nelle sedi celesti con ogni benedizione spirituale in Cristo, come in Lui ci aveva eletti (Dio Padre) prima ancora della fondazione del mondo, affinché fossimo san:.i e immaco9 Non ricordiamo nessun testo, nel quale l'Apostolo indiriui la sua preghiera a ~to opp11re allo Spirito Santo. Questo non significa evidcmcmcntc, che per lui Cm~o ~eta Dio, ll14 114:ll1 sua preghiera egli si rivolge sempre a Dio, come nell'ant1l'8 L1tngi11 della Cùcsa, in panicolare della Cbics.a Ambrosiana, che non ha una 1011 Ortzionc indirizuta a Cri1to. D'altra pane nella Lirurgìa latinA quasi tut· te le Onaxioni a CrislO sono n:cenri.

lati dinanzi a Lui (Dio Padre) nell'amore, predestinandoci all'adozio:ie di figli suoi (di Dio Padre) per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere (di Dio Padre), e a lode della sua (di Dio Padre) grazia, della quale ci ha (Lui, il Padre) gratificato nel suo Diletto (il Figlio), nel quale abbiamo la :edenzione ... » (E/. 1 ,3-7). Come si vede, quasi tutti i verbi hanno per soggetto Dio Padre, in uno sc:1tto che è totalmente a lode e ad esaltazione della persona e della regalità di Cristo. Ora, ogni volta che ritorna il nome 'Dio', Paolo e i suoi lettori, ahneno quelli provenienti dall'ebraismo, pensavano a tutto quello che l'Antico Testamento scrive di Dio, pensavano cioè a quel Dio che era apparso a Mosè, a quel Dio che era stato sempre fedele a Israele con tutto quello che per I· sraele aveva operato, che aveva detto a Mosè: «Ho ben veduto l'afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho ascoltato i loro lamenti ... sono sceso per liberarlo» (Es. 3,7s. ); pensavano a quel Dio che già nell'Antico Testamento era il Dio dell'amor: totalmente gratuito, come appare, per esempio, dalla trovatella cli Ezechiele (c.16) e dal . il senso resta cambiato: si tratta di una liberazione e non più di un acquisto; quest'ultimo non è un senso del tutto diverso dal primo, però c~è un aspetto che scompare. Tocchiamo di nuovo quanto sia utile avere presente i testi delrAntico Testamento. Ancora: il Nuovo Testamento non scrive molto intorno alla fede, ma piuttosto vi fa allusione. Quando S. Paolo vuole spiegarci che cosa è la fede, si richiama ad Abramo; çuindi chi non ha presente la storia di Abramo e non l'ha app:ofonclita 17

un poco, non può conoscere bene cosa è la fede. Assistiamo di fatto alla tendenza di fare della fede una c:-edenza, un'attività wi (fo parte sua fabbricare una caso R David ( 2 Sam. 7,2 ss. ). Di fatto fu il figlio Salomone che edificò il tempio (I Re 6 :1. Ma col tempio non sarebbe stato tutto finito; gli Ebrei pensavano di avere in esso la salve"aa, perché la bella abitazior:e eretta a Dio era simbolo dei loro buoni rapporti con Lui. Verso la fine però del secolo vn capiò Geremia a gridare: «Il tempio del Signore! il tempio del Signore! Se voi migliorerete la vostra condotta ... , se agirete secondo giustizia ... , illora soltanto Io abiterò con voi in questo luogo» (Ger. 7 ,4-11 ). Ma gli Ebrei non obbedirono, e venne l'esilio: il tempio fu bruciato e il popolo abbandonato. Riromato dal-

l'esilio, la prima premura del popolo fu di ricostruire il tem· pio, sempre per il suo valore simbolico: la sua presenza era una assicurazione della salvezza per il popolo, che poteva pensare poi di poter condursi secondo il prcprio gusto; è più facile infatti costruire un tempio che condurre una vita moralmente onesta! Ma più tardi giungerà Gesù Cristo, che identificherà il tempio con Se stesso; di fatto per alcuni decenni i credenti in Lui non ebbero nessw1a chiesa; soltanto più tardi la comunità volle edificare anche i' tempio; perché sta bene che ci sia, purché però serva e aiuti la comunità ad essere veramente tale. Non si può infatti cdebrarc la Litur· gia se non c'è la comunità, la comunità invece può celebrare la Liturgia anche senza il tempio. Ma capita talora che il tempio, invece di creare e sostenere la comunità, finisce per esse.re un 'ersatz' ( = surrogato), si pensa cioè che l'esistenza del tempio dimostri l'esistenza della comunità, mentre invece questa più non esiste, e se non esiste, il tempio è a danno, non a vantaggio.

Conclusione Da tutto quello che abbiamo esposto sinora appare che non pochi problemi - molto concreti e molto attuali! - attingono la loro soluzione dalla Bibbia, purché essa sia studiata alla luce che le deriva dal suo insieme, anche dall'Antico Testamento, e la soluzione su questa base è qrnmto ma.i solido; ne potremo toccare degli esempi nelle seguenti lezioni. Attualmente un valido aiuto, un vero dono della Chiesa offertoci dopo il Concilio, è il Lezionario quotidiano per la celebrazione liturgica. Se i Sacerdoti saranno fedeli a farne uso nella celebrazione quotidiana della S. Messa, ~arà impossibile che non arrivino, come è loro obbligo, a una buona conoscenza della S. Scrittura, dcl Nuovo e anche dell'Antico Testamento, almeno nella parte essenziale; e ancor più sicura· mente approderanno a tanto bene se faranno inoltre uso dei 26

buoni commenti al Lezionario già pubblicati. Di conseguenza sarà loro facilitato il compito cli far penetrare nelle ricchezze della Puola cli Dio alwmi e fedeli, i quali hanno pure il di-

ritto di goderne e nessuno ha quello di privarneli.

LEZIONE SECONDA

LA FEDE DEL NUOVO TESTAMENTO

ALLA LUCE DELLA FEDE DI ABRAMO (Rom.4)

Anche oggi' una stupenda coincidenza come ieri sera! Oggi celebriamo la festa della Visitazione. Secondo la relazione che ne fa S. Luca, la sola virtù che S. Elisabetta sottolineò nel presentare le sue felicitazioni a Maria dopo l' An:mnciazione è la virtù della fede. È assai significativo che il Vangelo ci presenti co:ne primo aspetto essenziale della Vergine Maria il suo atteggiamento di fede. È l'atteggiamento che anche il Concilio Vaticano u mette con insistenza in rilievo nella Lumen Genlium, )6: «Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina-questo acconsentire è precisamente l'atto di fede! -diventò Madre di Gesù, e abbracciando con tutto l'animo e senza alcun impedimento di peccato, la volontà salvifica di Dio, cor:sacrò totalmente se stessa quale ancella del Signore alla penona e alPopera del Figlio suo, servendo al Mistero della redenzione in dipendenza da Lui e con Lui, a:>n la grazia cli Dio cnnipotente. Giustamente quindi i Santi Padri ritengono c.he Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza delt 'u•)mo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice S. Ireneo, essa, 'obbedendo divenne causa di salvezza per sè e per tutto il genere umano'. Onde non pochi antichi Padri, nella loro pre· clicazione, volentieri affermano con lui che •il nodo della disobbedienza di Eva si è sciolto con l'obbedienza d. Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Ma1.

Questo lttionc fu tenuta la mattina dcl

.i

luglio.

ria sciolse con la fede'» 2• Anche S. Ireneo esprime l'essenziale di questo atteggiamento della Madonna Sant:ssima con la ste.i;. sa Y-trola della fede. Ìliteniamo molto opportuno trattare di GUCSta virtù e di· mostrare che la sua genuina nozione secondo il Nuovo Testa· mento non può essere stabilita, spiegata e illustrata se non alla luce dell'Antico. Un primo esempio - in questi giorni se ne offriranno truiti altri! - è quello già abbastanza significativo cli Maria; esso ci fa suhitn intr:tvedere l'eccczionuh: importarua che la fede ha nd Nuovo Testamento. Quel i giudaizzanti. « ...sapendo che un uomo non è giustificato seco.J.do le opere della Legge, ma dalla fede in Gesù Cristo ... », si potrebbe anche dire: solamente per la fede in Gesù Cristo, in opposizione alla pratica della Legge. Non pensiamo che qui la Legge sia solamente quella mosaica, perché, se la pratica della Legge mosaica, che era stata rivelata da Dio, era incapace di salvare, a fortiori lo era ogni altra legge, come è tanto evidente. Per un giudeo sare:,be una cosa assurda pensare che ci possa essere un'altra legge della stessa portata della Legge mosaica, la quale giusti.fichi, se la mosaica non può tanto. La giustificazione dunque si ottiene senza la pratica della legge, mediante la fede, e forse possjamo dire: solamente mediante la fede in Gesù Cristo, poiché mediante la pratica della legge nessuno pt:ò essere giustificato. Quello che S. Paolo afferma nella Lettera ai Galati lo ripete senza alcuna attenuazione in quella ai Romani. Ricordiamo il testo, da questo punto di vista forse il più decisivo, del capitolo 3°: «Ma ora senza la legge si è manifestata la gimtizia di Dio, attesta:a dalla Legge e dai Profeti» ( v. 2 I). Indipendentemente dunque dalla Legge si è manifescata l'auività giustificante di Dio, che però era «attestata dalla Legge e dai Profeti». non è cioè qualche cosa che contraddica alla rivelazione dell'Antico Testamento, anzi è da essa affermata e preannunciata. S «giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo verso tutti coloro che credono» (v. 22). Basta credere, a condizione però che si sappia che cosa significa 'crederet e di fare secondo le sue esigenze. E Paolo continua per tutti i dieci versetti del pas31

so: il solo atteggiamento umano, che viene preso in considerazione, è sempre e Wlicamente la fede, il credere; l'uomo non deve fare altro; ogni volta che S. Paolo fa allusione all'attività dell'uomo la chiama esclusivamente 'fede', o 'credere'. Conclude l'Apostolo al v. 27: «Dov'è dunque il motivo di vantarsi?» ( xa.tix110-t.c; ). Può l'uomo appoggiarsi a quello che ha fatro? alla sua attività personale in quanto sua, in quanto ha fatto questo o ha fatto qudlo? ... No, wia attività che consista nel fare è esclusa. «Da quale legge? delle opere? No!», !lOll esistr. nn'economiQ, che couLi:mpli l'aEire, il tare; «ma dalia legge ddla fede», da una economia, che, per quanto spetta all'uomo, esige l'attività del suo 'credere', perché l'uomo è giustificato mediante la fede senza la prati:a della legge e senza le opere di essa. È questo il testo, nd quale Lutero, nella sua prima tradu7..i.one della Bibbia, introdusse l'avverbio 'allein' = soltanto, soltanto per la fede. Queste affermazioni dell'Apostolo apparvero talora esagerate; si possono leggere, per esempio, dei passi nell'Ambrosiaste, commentario lw1go tutto il Medio Evo, sino ad Erasmo, attribuito a S. Ambrogio, donde il mo nome. Il com· mentatore tenta cli addolcire un po' le affermazioni cli S. Paolo, introducendo quanto al rifiuto della Legge mosaica, una distinzione: l'uomo è giustificato sen7.a la pratica della legge ceremoniale, non senza la pratica di quella morale; S. Paolo cioè avrebbe voluto dire che la giutificazione si reali?.za non per mezzo di sacrifici, non con l'osservanza della legge dei cibi mondi e immondi, uè um l'osservanza dcl sabato e delle feste; l'Apostolo però non intendeva affermar~ che essa si ottiene senza la pratica della legge morale. S. Tommaso invece non è di questo avvi'°: nei suoi commentari non teme cli affermare, con tutta chiarezza e in contrasto non raramente con i suoi contemporanei, quello che pensa essere secondo verità. Gli si opponeva una grandissima autorità, quale era quella di S. Ambrogio, al quale, come abbiamo accennato, si attribuiva, alPepoca di Tommaso, il commentario 32

dell'Ambrosiaste. Il Santo Dottore commenta: 11.Sine operi-

bus legin>: non autem solum sine operibus caeremonialibus, quae grt1tia non con/erebant, sed solum significabcmt, sed etiam sine operibus moralium praeceptorum, secuna'um illud ad Titum 3,5: «Non ex operibus ;ustiliae, quae /ecimus nos, etc.»4 • Ora queste opera ;ustitiae è la nostra attioçità morale: non per questa Dio ci ha giustificato. Nel commento alla prima Lettera a Timoteo S. Tommaso ha anclit UL ahru passo poco conosciuto; in quel commento egli si riferisce anche al testo ora considerato della Lettera ai Romani 3,28: Sdmus autem quoniam bona est lex ( 1 Tim. 1,8). È 'buona'? A condizione però che non la riteniamo capace di giustificare; è buona purché non le attribuiamo una efficacia, per la quale non è stata data. Pensiamo a qualsiasi strumento, per esempio a un coltello: può essere indicatissimo in quanto viene adoperato per il suo scopo, non lo è affatto se si usasse per altri scopi, ad es. per uccidere qualcuno invece che per tagliare. Altrettanto si dica per la legge: se la si voles!e far servire ad uno scopo non previsto da Dio nel darlat sarebbe dannosiss~ ucciderebbe (cfr. Rom. 8,2ss.); al contratio, se Ja si utilizza per il fine per il quale è fatta ed è da Dio prevista, allora è eccellente. Questa, in altre parole, la spieg~ione di S. Tommasc, che comincia con l'escludere la facile soluzione della distinzione fra legge ceremoniale e legge morale: Apostolus videtur - S. Tommaso è generalmente modesto quando scrive, il suo videtur equivale a 'sono sicuro' - videtur loqui de mo-

ralibus, quia subdit, quod lex posita est propter peccata, et haec su11t praecepla moralia. Horum legitimus usus est ut homo non attribuat eis plus quam quod in eis continetur. Data est lex ut cognoscatur peccatum ... , affinché l'uomo possa prendere coscienza del suo stato di peccatore, non per essere da essa giustificato. È una condizione necessaria, è vero: per decidersi di andare dal medico bisogna avere coscienza di essere .J. Tn Ep. 111J f...omanot, capitis tcrtii lectio IV.

malati, altrimenti nessuno vi andrebbe; la febbre quindi può e~sere molto utile non per operare la guarigione, ma per spingere il malato a fare uso dei mezzi per guarire. Tale è la legge:

dt1ta est lex ul cognoscatur peccatum. L'Angelico Dottore conclude- se non fo$e lui a concludere ccsì, chissà che cosa avrebbero detto altre autorità! -: Non est ergo in eis, nei precetti cioè morali, spes ;ustificationis, sed in sola fide. In sola fide! Cosi Tommaso molto tempo prima di Lutero, il quale molto probabilmente ignorava questo commculo di S. Tommaso, almeno quando aggiunse nella sua versione della Bibbia 'allcin'. Per giustificare la sua affermazione tanto audace, S. Tommaso cita precisamente il versetto sopra visto della Lettera ai Romani: Arbitramur, continua S. Tommaso citando S. Paolo, ;ustificari hominem per /idem sìne operibus legis. Molto tempo prima di Lutero dunque anche S. Tommaso interpretava il per fidem dell'Apostolo ;usti/icari

homminem per solam fidem, sine operibus legir. Abbiamo insistito su questi testi perché si rifletta sulla importanza della fede, che, secondo la Sacra Scrittura e la teologia di S. Tommaso, è l'atteggiamento dell'uomo che lo rende partecipe dell'attività di Dio giustificante; è l'unica cosa che può e deve dare.

Che cos'è la fede che salva? Ma è altrettanto necessario comprendere bene che cosa si-

gni.6ca credere, che cosa significa fides, sola ,6des; e per questo~ necessario ricorrere all'Antico Testamer.to al fine di precisare che cosa gli agiografi intendevano esprimere quando fecero uso del termine •credere', 1tt. le affermazioni che abbiamo considerate circa la giustificazione non per mezzo della Legge, ma per mezzo della sola fede: siamo alla fine del c. 3 e nel c. 4 della Lettera ai Romani. L'Apostolo d rinvia all'esempio di Abramo, alla fede del «nostro patriarca Abramo». In realtà, per chi voglia penetrare nelle profondità signilìcate dallo fede, dlll credere, non si dà mezzo più efficace della lettura delle meravigliose pagine, che la Bibbia ha consacrato ad Abramo. Sono: fra tutte le pagine dell'Antico Testamento, le più chiare e le più care ai Giudei; pagine, quindi, che anche Gesù Cristo tante volte certamente meditò insieme con la Madonna, e che anche gli Apostoli ben conoscevano e amavano. Ci capita qualche volta, nella nostra meditazione, che desideriamo di indovinare, in quanto possibile, i sentimenti che passavano per l'anima degli Apostoli, di Maria, di Gesù, e 39

ci industriamo allora di rappresentarci la loro psicologia. Ebbene, il mezzo migliore per riuscirvi, senza deviare in visioni soggettive, è quello stesso che si adopera in campo letterario, quando si vuole conoscere la mentalità di un autore. Che cosa Cacciamo? Ci informiamo delle letture da lui fatte e se riusciamo a scoprire la sua biblioteca siamo a buon punto. Cosl è avvenuto per S. Teresa del Bambino Gesù: furono scoper· ti i libri da lei letti durante il Noviziato, e cosl si aprl la via per comprendere meglio la psicologia e la sptiritmùità della ~anta. Ora noi abbiamo la sorte di conoscere la biblioteca di Gesù e della Vergine sua Madre: l'unica loro biblioteca era la Bibbia, non c'era per loro altra biblioteca! Ma questo Libro lo avevano, lo leggevano di continuo, e le pagine dedicate aJa storia del capostipite di Israele, le più lette certamente dai Giudei, furono anche quelle più lette, non v'è dubbio, dalla S. Famiglia, da Gesù Cristo. Ora rutta la storia di Abramo ci conduce a scoprire che cosa è la fede. Questa storia comincia al c. r2 della Genesi, con la storia propriamente detta; gli undici capitoli precedenti infatti, come è noto, sintetizzano la preistoria umana. ~ molto significativo che la storia del Patriarca cominci con una parola di Dio, esattamente come la creazbne: Dio parlò, e il mondo fu; allo stesso modo: Dio parlò, e Abramo ha il suo posto nella storia. La parola di Dio ad Abramo è un invito, una chiamata al distacco totale. Il Signore gli disse: «Parti dal tuo paese. dal tuo J:l1trentedo, dalla casa di tuo pa· dre, e va nella terra che io ti mostrerò» (Gen. 12,1 ). Abramo dunque deve lasciare tutto quello, che sino a quel momento era stato il suo sostegno, e partire senza vedere il futuro; unico suo appoggio è la parola di Dio, che è insieme una promessa, perché Dio non si limita a impartire ordini, ma fa sempre anche qualche promessa. La nostra fede, sarà bene ricordarlo, suppone questo aspetto, che è di una portata somma. «lo farò cli te un popolo grande, ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu sarai benedizione. Benedirò

quelli che ti benediranno ... » (Gen. -r2,2 s.). E Abramo se ne partl, come gli aveva ordinato il Signore. No:iamo che all'epoca di questa vocazione Abramo era gjà avanzato in età e non aveva figli, perché la sua sposa era sterile; partl ugualmente, appoggiandosi soltanto sulla parola di Dio. L'autore della Lettera agli Ebrei scriverà: «Parti senza sapere dove andavt» (Il ,8 ). L'avvenire dunque di tutta la storia di Abramo, che vuol dire di tutta la storia di Tsr11f"lP t'! di rutta la nostra storia: Patriarcha noster Abraham 7, poggia sulla parola-promessa di Dio ed ebbe inizio con ratto di fede di Abraa:o. Non ci fnrà più tanca meraviglia che la fede abbia una importanza eccezionale nella storia della salvezza; secondo la Bibbia infatti l'inh:io di una storia ha valore di simbolo per tutta la storia che seguirà, e l'autore che riferisce quell'inizio tiene conto di questo suo aspetto simbolico. Se è così, prendiamo coscienza di quanto sia eloquente H fatto che la ncstra storia comincia con un atto di fede. Adesso però dobbiamo inoltrarci nelle vicende di Abramo per ben vedere in che cosa consiste la sua fede. Il tempo passava e la promessa sembrava non realizzarsi. Dio fece attendere, perché voleva educare Abramo nella fede, come fa ora anche per la nostra: Eg]i infatti ci ama e, come un padre che ama veramente i suoi figli, vu::>lc dare a noi una vera educazione perché cresciamo nella fede, come fece crescere in essa il Patrio.rea. In Gen. :r .5, con le parolP citate da S. Paolo (Rom. 4,3), Dio rinnova la sua promessa: «Dopo qJeste cose, la parola fu rivolta ad Abrarr.o in visione: 'Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo! La tua ricompensa sarà assai grande'» (Gen. I5,1). «Sarà»! «E Abramo pensava: 'Signore, Iddio, che cosa mi darai tu? lo me ne vado senza prole ... ed ecco un mio domestico sarà mio erede'. Ma tosto la parola del Signore gli fu rivolta, dicen7. Me.ss11/i: F.om., C.rnone Romano.

do: 'No, non sarà lui il tuo erede, ma anzi, colui che uscirà dalle tue viscere, egli sarà il tuo erede'!. Poi lo condusse fuori e gli disse: 'Guarda il cielo e conta le s:elle, se ti riesce contarle'. E soggiunse: 'Cosl sarà la tua progenie'!» (Gen. 15,2-5).

Segue adesso la parola citata da S.Paolo (Rom. 4,3}, ed è la prima volta che leggiamo nella Bibbia il verbo 'credere': «Egli credette al Signore e il Signore glielo ascrisse a giustizia». Anche il sostantivo '_giustizia', Ot.xm.nO"uvT}, ricorre adesso per la prima volta nella Bibbia; e S.Paolo fa notare ai Romani che questo termine 'giustizia' è unito all'altro ·credere', e vuole già con questo insinuare quanta sia l'importanza della fede per la giustizia. Nonostante questa bella fede di Abramo, niente sembra cambiare nella sua vita: gli anni passano e ... l'erede non compare! Allora Sara, lei stessa afllitta per la mancanza di figli, suggerisce ad Abramo di tentare di realizzare la promessa di Dio, perché, essendo sua promessa, doveva pur realizzarsi: non può realizzarsi per mezzo di un figlio concepito da lei, forse potrà essere realizzata per mezzo di un figlio che Abramo avrà dalla sua schiava Agar (cfr. Gen. 16,2). Abramo acconsente alla proposta di Sara, e di fatto nasce un figlio, Ismaele. TI Patriarca dovette pensare fra sé che finalmente la divina promessa cominciava ad avere un senso per lui; sino a questo momento era del tutto campata in aria, addirittura impossibile, ora invece può res1linarsi perché c'è un figlio, che può essere l'erede; adesso insomma aveva un appoggio umano sicuro. Nel c. 17 però ci troviamo di nuovo in alto mare: «Aveva Abramo novantanove anni quando gli apparve il Signore e gli disse: 'Io sono El Saddai; cammina alla mia presenza e sii perfetto. Stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò in modo stragrande'» (vv. r-2). Abramo dovette pensare fra sé e sé che adesso la cosa era possibile, e ne era soddisfatto: «Abramo si prostrò fino a terra, e Iddio gli parlò dicen-

do: 'Sor:o lo! Ecco il mio patto con te: cu diventerai padre di una moltitudine di genti; non ti chiamerai più Abramo, ma il tuo nome sarà Abrahamo, perché Io ti costituisco paclre di una moltitudine di genti. Ti farò moltiplicare in modo stragrande, ti farò diventare molte genti; dei re usciranno da te. Stabilirò il mio patto fra me e te e i cuoi discendenti dopo ~i te, nel corso della loro generazione, come patto perpetue, per essere tuo Dio e dei cuoi discendenti dopo di te. Darò a te e ai tuoi discendenti dopo di te la terra dove abiti ora come forestiero, tutta la terra cli Canaan in possesso perpetuo, e sarò loro Dio'» (vv.3-8). Abramo non ebbe difficoltà ad aderire a rutto questo, perché adesso aveva un 6.g1io. Senonché «disse poi Iddio ad Abramo: 'Sarai è ora il nome della tua moglie, ma tu non la chiamerai pi~ così, poiché Saro ( =principessa) è il suo nome. Io la benedirò e ti darò un figlio da lei; Io la benedirò ed ella diver.tcrà molte genti; da lei usciranno te di popoli'. Abramo si prostrò fino a terra e rise, dicendo in cuor suo: 'Potrebbe forse nascere un figlio a un uomo di cento anni? e Sara, a novant'anni. potrà partorire'?. Poi disse a Dio: 'Oh, viva Ismaele al tuo cospetto'!». Abramo pensava: È già nato, posso appoggiarmi a lui. «Ma Iddio rispose: 'Proprio Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio, e gli porrai nome Isacco; e Io stabJirò il mio patto con lui, qual patto perpetuo per la tua progenie dopo di lui»> (vv. I,5·•9). Crollano i piani di Abramo e cli Sara! .Erano piani umani! Dovevano appoggiarsi unicamente alla promessa di Dio. Notiamo che quando abbiamo già ricevuto un dono dal Signore ci è più difficile rinunciarvi, proprio perché si tratta di un dono da Lui elargitoci. Ma Abra:no vi deve rinunciare per appoggiarsi unicamente alla parola di Dio, se pur vuole che si realizzi quanto Dio gli ha promesso. Stupendo anche il quadro che ci tratteggia il c. r 8 ! Vi leggiamo dei tre personaggi venuti ad Abramo per annunziargli che di fatto Sara avrebbe concepito e partorito ur. bambino. Sara probabilmente stava preparando il pranzo, mentre i tre 43

parlavano col marito fuori della tenda; tuttavia lei ascoltò che cosa si diceva di lei e senti tutto: «Gli domandarono: 'Dov'è Sara tua moglie'?. Rispose: 'Là ndla tenda'. Ed egli (=i tre) disse: 'Tornerò certamente da te fra un anno e Sara, tua moglie, allora avrà già un figlio'. Sara intanto stava ad ascoltare all'ingresso della tenda, dietro di lui. Abrahamo e Sara erano vecchi, inoltrati negli anni. .. Rise Sara dentro dj sé, pensando: 'Dopo essere invecchiata avrò io del piacea re? E anche il mio signore f. vecchio'. Il Signore disse ad Abrahamo: 'Perché Sara ha riso, dicendo: Potrei io mai partorire, vecchia come sono? Vi è forse qualche cosa cli difficile per il Signore? - è la parola che Gabriele rivolgerà alla Madonna!-. Tornerò da te fra un anno, di questo tempo, e Sara avrà già un figlio'. Negò Sara dicendo: 'Io non ho riso', perché ebbe timore; ma egli le disse: 'No, tu bai riso'» ( \'V. 9-1, ). La parola di Dio si compì, nacque il figlio promesso: «Il Signore visitò poi Sara, come aveva detto, e il Signore compi in Sara quanto aveva annunziato. Sara quindi concepi e partorì un figlio ad Abrahamo, già vecchio, proprio nel tempo che il Signore gli aveva predetto. E Abrahamo a questo figlio, che gli era nato e che Sara gli aveva partorito, pose nome Isacco. Abrahamo circoncise Isacco, suo figlio, all'età cli otto gio:ni, come Iddio gli aveva ordinato. Ahra.1amo aveva centc anni quando gli nacque Isacco suo figlio». E Sara cantò il suo Magnipcal, come lo canterò Elisabetta (cir. Le. r,24-25). «E Sara disse: 'Oggetto di sorriso mi ha oostituito Iddio, chiunque lo saprà gioirà con me'. E soggiunse: 'Chi avrebbe mai detto ad Abrahamo: Sara allatterà dei figli? Gli ho partorit-:> un figlio nella sua vecchiaia'! » ( 2 I , 1 -7). Tutto si direbbe ormai concluso; dopo prove numerose, la fede di Abramo è stata veramente compensata. Ma non è cosi! Tutto invece deve ricominciare: la fede di Abramo tocca il suo vertice nel e. 2 2, dove ci è riferito quella che la Bibbia chiama la prova della fede di Abramo. 44

«Dopo questi fatti, Iddio volle provare Abrahamo ... »: Dio prova solamente coloro che ama; li prova infatti perché abbiano a crescere. In qual modo? Disponendo per loro cir~ costanze difficili, che offrono a Lui l'occasione di elargire loro le grazie sufficenti per superarle, e più le difficoltà sono gravi, più le sue grazie saranno grandi, in proporzione cioè delle difficolcà, nelle quali essi vengono a trovars~. Dio dunque «volle provare Abralnullu e: gli disse: 'Abrahamo! '.Ed egli rispose: 'Eccomi!'. E il Signore: 'Orsù, prendi il tuo figlio, l'unico che hai e che tanto ami, Isacco'». Notiamo bene che questo figlio è unico e che, inoltre, è stato ottenuto in modo prodigioso; non c'è nessuna possibilità, nessuna speranza di averne un altro, è l'unico! Su questo figlio poi riposa, secondo la promessa di Dio, rutto il destino non solamente di Abramo, ma del mondo incero; Abramo si sente veramente responsabile di tutto il suo avvenire e di quello di rutta la sua discendenza; d'altra parte Dio non può mentire, quello che ha promesso deve compiersi Ma precisamente qui sta la prova della fede di Abramo: di nuovo, Dio vuole che egli si appoggi unicamente sulla sua parola. «Orsù, prendi tuo figlio, l'unico che hai e che tanto ami. Isacco, e va nella regione di Moria». Sappiamo dal secondo libro delle Cronache ( 3, r) che Salomone prese a costruire il tempio sul monte Moria; d'altra parte il tempio fa costruito sul monte Siuu; dobbiamo quindi concludere che già la tradizione giudaica, riferita nelrAntico Testamento, identificava il Moria col Sion. Nel tempio poi venivano offerti tutti i sacrittci degli Ebrei, figura a loro volta del sacrificio del Calvario. attivo, però è tutto un accogliere. E questo vuole insegnarci S. Paolo quando scrive che la giustificazione si ottiene per mezzo della fede. Sappiamo che questo è il senso profondo del racconto secondo l'ultima redazione, perché il nome che Abramo diede al monte fu: «Il Signore p:ovvede» (22,r4). S:>no possibili diverse traduzioni del testo, ma la realtà è sempre la stessa. 47

Ecco che cos'è la fede! Essa consiste nell'intimo atteggia.n:ento dell'anima, disposta ad accettare Dio e tutto quello che Djo vorrà disporre di noi. Egli è buono, noi lo sappiamo, e lo riteniamo buono anche a dispetto delle apparenze contrarie; siamo fermamente convinti che tutto quello che fa è per il nostro bene, come cé lo dimostra eloquentemente la storia di Abramo. Quando ci chiediamo se abbiamo fede, dovremmo aprire questa pagina, che è molto più chiara di tutte le definizioni che si potrebbero darne. La storia di Abramo non è in ~enso stretto una ddi.uizione della fede, che si possa far imparare a memoria ai piccoli dd catechismo; ma a che serve la sua definizione appresa a memoria dal bambino senza che egli capisca nulla di quello che ripete con la bocca? D'altra parte occorrerebbe un trattate· di teologia per spiegargli il senso delle parole! Al contrario, se ai piccoli e ai grandi raccontiamo l'episodio di Abramo e cli Isacco, essi capiranno. S. Tommaso, neJ suo commento al testo: «A colui che non compie un lavoro, ma crede in Colui che giustifica l'empio, la sua fede gli è tenuta in conto di giust:zia» (Rom.4,5 ), scrive: Computabitur haec e;us fides ad ;ustitiam, secundum

propositum gratiae Dei; nnn quidem ila 4uod per /idem justitiam mereatur - non si merita per mezzo della fede -, sed quia ipsum credere est primus actus ;ustitiae, quam Deus in eo operalur; ex eo enim quod credit in Deum justificantem, justi,ficationi ejus sub;icit se, et sic rccipit e,ms eHectum» 9 • Non conosciamo una dcscr.iziunc più perfetta dell'atto di f~ de secondo la Bibbia, ed essa risponde perfettamente al senso inteso da S.Paolo. Quanta luce dunque l'Antico Testamento proietta sul Nuovo!

9. J,, tf.i11. lld RtJ,,,,, capitis quarti lectio prima.

Il Vaticano II e la vera fede Giunti alla fine dell'esposizione, ci accorgiamo di capire

più facilmente perché la Costituzione Dei Verhum definisca

la fede ne] modo accennato sopra. Dal primo capitolo, che tratta della stessa ri\.'elazione, appare chiaramente che essa non è anzirutto ed essenzialmente una comunicazione di verità, bensl la comunicazione della vita di Dio all'uomo, che si apre ad accoglierla in se stesso: «A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede~ (cfr. Rom. z,.J; 16,26). La fede è dunque un atto di obbedienza! Con la fede l'uomc si sottomette all'attività di Dio, «si abbandona a Dio tutto intero liberamente,. Questa espressione si legge soltanto nell'ultima redazione della Costituzione conciliare; i Padri sin dall'inizio hanno voluto definire la fede per mezzo di questo atto di totale abbandono dell'uomo in Dio, col quale non gli sottomette soltanto il proprio intelletto; il Concilio infatti spiega: « ...prestandogli 'il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà.'». Si osservi che il «prestare» - la parola è dd Vaticano r 10 - l'ossequio dell'intelletto e della volontà è un mezzo per esprimere l'abbandono; essenziale è di fatto l'abbandono; ma l'uomo si abbandona proprio prestando a Dio l'ossequio dell'intelletto e ddla volontà «e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia cli Dio cl:e previene e socco1re, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muovn il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli lX.."'Chi Jel:a mente, e dia 'a tu:ti dolce?.za nel consentire e nel credere alla verità'» 11. Inoltre, le parole di Paolo e i fatti di Abramo ci conducono a un'altra conclusione, da non dimenticare ma~ specialmente nel nostro tempo: è essenziale per la fede che sia viva e non morta; e cioè; se la vita e la vitalità di Dio, che noi 10.

u.

C.OSt. Doga. De ,fde Cath., c. 3e· D~i Vnbum, ,.

49

accogliamo, non si traducono nella vita nostra quotidiana concreta, vuol dire che noi non abbiamo la vera fede; pensiamo di fare un atto di fede, ma in realtà è la fede che ha anche il demonio; secondo S. Giacomo egli pur crede e trema (2,19); non è la fede del cristiano. Questo rilievo è di somma importanza per noi, perché troppo tendiamo a separare la fede perfetta dalla vita; mentre, se questa non corrisponde a quella, quella non è, non può essere perfetta, meglio diremmo: non esiste affatto! ~ una fede mnrta, non è viva. Per questo S. Paolo scriveva ai Galati: « ...op~ante per la carità» ( 5 ,6 ). Se la vita cli Dio non si manifesta nella nostra, vuol dire che essa non è in noi; abbiamo l'illusione di essere uniti a Lui, ma in realtà non lo siamo, perché non c'è in noi la sua vita; ora ritenere di averla e di fatto non averla è più dannoso che non farsi alcuna illusione. La vita separata dalla fede non aveva nessun senso per Abramo, come nessun senso aveva per S.Paolo, nessuno per S. Tommaso. Lo svolgimento del tema ci fa toccare con mano quanto sia utile leggere e studiare il Nuovo Testamento alla luce deil'Antico per una sua conoscenza più esatta e più profonda.

LEZIONE 'fERZA

LA GIUSTIZIA DI DIO RIVELATA IN GESÙ CRISTO ATTESTATA DALLA LEGGE E DAI PROFETI (Rom. 3,21 s)

Un secondo esempio, che prova l'utilità, anzi la necessità di ricorrere alla luce offertaci dall'Antico Testamento per capire esattamente il Nuovo, l'abbiamo nella noziole di «giustizia cli Dio» 1•

Il conceuo di 'J!.iustizia di Dio' nella Lettera ai Rmnani Questa nozione non è marginale, è piuttosto una nozione centrale, della massima importanza teologica. Ritorna anzitutto con tanta frequenza nella Lettera ai Romrui, da dover affermare che, almeno in gran parte, essa influisce sulla retta intelligenza della Lettera stessa: dal concetto diverso che si ha ddla ~iustizia di Dio dipende pure la diversa interpretazione della Lettera. Questa nozione ricorre inoltr: in alcuni suoi pm:si più importanti, in particolare tomll quattro volte nel celebre passo del trattato teologico della passione e della redenzione di Cristo: Rom. 3,21-26. Cominciamo da questo testo: «Ma ora senza la Legge, si è manifestf.ta la giustizia di Dio, attestata dalla Legge e dai Profeti, giustizia di Dio per me-no della fede in Gesù Cristo, verso tutti quelli che credono» (3,21-22). Sepie la spiegazione: «Dio ha posto quale propiziatorio (Gesù), mediante la fede nel suo sangue, per manifestare la sua giustizia I

Cfr. S. Lytmncr, La storia Jt/Ja

sala.~:na

ndla !~tura ai Ronumi, cc. 2.3.

,.

poiché nella sua tolleranza aveva lasciati impuniti i peccati commessi prima (di Cristo) -, per manifestare, dico, la sua giustizia nel tempo presente, in modo da essere egli giusto e giustificatore di chi si appella alla fede in Gesù» ( 3,25-26). Pe: questo ha voluto la morte di Gesù in croce. Questo testo è tanto più meritevole di essere considerato perché, quando il Nuovo Testamento fa parola della passio· ne o ddla morte di Gesù riferendola a Dio, a un attributo di Dio Padre, mai fa allusione alPattributo della giustizia, ma in tutti i u:sri, senza eccezione, fa appello all'attributo di Dio, che la Scrittura chiama 'amore,, 'carità'. Prendiamo, ad esempio, la Lettera ai Romani 8 ,31: «Che diremo dunque a riguardo di tutto questo? Se Dio è per noi, chi sarà con· tro di noi?». Per darci una prova delramcre cli Dio Padre per noi, l'Apostolo ci mette dinanzi il sacrificio e la passione del Figlio di Dio: «Egli, che non ha risparmiato il suo pro?rio Figlio, ma che l'ha consegnato per tutti noi, come non sarà disposto a darci ogni altra cosa insieme con lui?» (v. 32): se Dio ha dato per noi quello che aveva di più pre~ioso, il Figlio suo, che cosa non ci darà? E subito S. Paolo pas~a a dire della carità: «Chi ci separerà dall'amore cli Cristo?» (v. 35). Lo stesso si deve dire di Rom. 5,5 1 dove Paolo scrive dell'amore di Dio diffuso nei nostri cuori. Nel v. 8 spiega e afferma che la prova oggettiva, la più evidente ( auvlcrt"11atv) dell'amore di Cristo per noi sta nd fatto che Egli è morto per noi, per noi peccatori e suoi nemici. IA stesso rilievo possiamo fare nella Lettera agli Efesini 2.4~.: «Dio che è ricco in misericordia, portato dal suo infinito amore con cui ci ha amati, quando ancora noi si era mor· ti a :susa dei nostri peccati, ci ha convivificati con Cristo». Cosl pure nella Lettera a Tito, in quei testi, che la Liturgia ci fa leggere nella prima e nella seconda Messa del S. Natale: «Ma quando si è mostrata la bontà del Salva:ore nostro Dio e il suo amore per l'uomo (qn.>..avDpw-rtla), Egli allora ci ha salvati, non per merito delle opere di giustilia, che noi p}l

revamo aver fatto, ma per la sua misericordia, n:ediante il lavacro di rigenerazione e rinnovazione di Spirito Santo, che Egli ha diffuso sopra di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché, giustificati dar.a sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna» (Tito 3,4-7 ). P~olo contempla l'incarnazione come via alla passione: Gesù è nato per noi al fine di poter patire, morire e risuscitare, e cosi salvarci. Tutto il processo di questa storia della salvezza è ricondotto all'omore, alla misericordia, nllQ .filantropia, alla benignità di Dio, mai alla sua giustizia. Il Nuovo Testamento scrive anche delramore cli Gesù, anzi è una sua e)ptessione classica quella ai Galati (2,20): «Mi ha amato e ha sacrificato se stesso (1t(l(Jt0oxtv)». Perthé ha sacrificato se stesso? Perché ha amato; non si dà altra ragione; il Nuovo Testamento non vede, non scopre, non conosce, della passione di Gesù, altro motivo. Perciò suona, almeno apparentemente, strana l'eccezione del testo Rom. 3,21 s., perché ivi tutta la passione è riferita non all'amore di Dio, ma all'attributo della sua giustizia. Il fatto, dicevamo, merita di essere sottolineato, perché c'è il pericolo di interpretare erroneamente l'affermazione di S. Paolo, come è provato dalle false interpretazioni che molti di fatto ne diedero.

Il concetto di 'gitlstit.ia' nel linguaggio comune L'errore è dovuto al linguaggio corrente, al senso cioè che ha per noi abitualmente il termine 'giustizia'. Quando, ad esempio, parliamo del «Ministero di Grazia e Giustizia», noi intendiamo quel Ministero che concede l'assoluzione o infligge la punizione, che fa grazia o fa giustizia; grazia infatti e giustizia si oppongono, di modo che, se a qJalcuno si fa grazia, :ion si fa giustizia, e quando si fa giustizia. non gli si fa grazia. Anche nel film: «.Giustizia è stata fatta» si intende dire che a condannato è stato punito, perché cosl intendiaH

mo comunemente: diciamo che giustizia è stata fatta quando l'accusato è stato punito, non quando è stato assolto; in questo caso non ha senso dire: giustizia è fatta'. Cosi avviene non soltanto nel comune parlare, ma anche nel linguaggio teologico, perché dell'attributo cli Dio, che si chiama 'giustizia', siamo abituati a intendere cosl. S. Tom~ maro 2 afferma che in Dio si devono considerare due cose: da un lato la giustizia, secondo la quale punisce i peccatori, daC'altro la misericordia, secondo la qualt~ libera i peccato ri; secondo dunque la giustizia Dio ci punisce, non ci libera, mentre secondo la misericordia ci libera, non ci punisce. Considerando la sua giustizia, continua S. Tommaso, sorge in noi il timore; considerando invece la sua misericordia, sorge in noi la speranza. Concluderemo quindi che la passione di Gesù è per noi una fonte di timore? Se la prova per eccelle02a della divina misericordia, che è la passione di Cristo, seccndo Rom. 3,21 ss. è la manifestazione della sua giustizia, la passione di Cristo non può far sorgere in noi la speranza, bensl il timore: è infatti manifestazione della giustizia di Dio. Di qui prese le mosse l'inganno di Lutero. Lui stesso ci riferisce che cosa gli avvenne da principio: «Ben vedevo che era dd tutto necessaria una gratuita donazione per conseguire la luce e la vita celeste, e con cura e con assiduità mi affaticavo per comprendere qucll 'espressione, Rom. r •r i: 'In esso (il Vangelo) si rivela I~ giustizia di Dio'. Alloro cercavo a lungo e chiedevo; era infatti un ostacolo quel vocabolo 'giustizia di Dio'» 3• In teologia infatti essa veniva trattata come la virtù, per la quale Dio stesso è forn:almente giusto e condanna i peccatori; era questo il concetto teologico di giustizia di Dio; tutti i Dottori, i Teologi interpretavano cosl, ar.che se non era altrettanto per l'esegesi di S. Tommaso. 2 . .i.2.,q. 19,

a. 1 ad

2.

3 CTr. S. Lyonnct, Li s101ia

54

della salvnta nelLr let1"11 ai Ro.wani, p. 27.

Lutero quindi doveva confessare: «Ogni volta che leggevo quel passo desideravo che Dio non mi avesse mai rivelato il Vangelo. Chi mai infatti può amare un Dio adirato che giudica e condanna?» 4 •

Il pensiero di S. Tommaso Desolrnce conseguenza di un errore d'interpretazione! Egli non aveva rilt:vai.Lu il i;c;nso diverso, che ha il termine 'giustizia' nel1a Bibbia e nel comune parlare. S. Tommaso invece, quando cerca di legittimare l'attributo ddla giustizia di Dio, in quanto si oppone alla sua misericordia, non adduce mai un passo del Nuovo Testamento, nel quale sia ricordato l'attributo che S. Paolo chiama «la giustizia cli Dio»; volendo far uso di un testo scritturistico, egli ricorre piuttosto a quei passi, nei quali, come Rom. 9,22, si parla dell'ira di Dio: òpy'i) 'tOU Sfoù. Di qui veniamo a sapere che S. Tommaso era perfettamente consapevole che la Teologia ha diritto di parlare di un attributo di Dio, chiamato •giustizia' in opposizione alla sua misericordia, :na sapeva pure che la Sacra Scrittura, quando parla di questo attributo, non fa uso del termine 'giustizia', bensl del termine 'ira' ( Òprfl ): quando invece tratta della redenzione, non scrive mai che essa è la manifestazione dell'ira di Dio, oppone piuttosto l'ira di Dio alla sua giustizia, come leggiamo nei primi capitoli della Lettera ai Romani. Molti Teologi non si accorsero di usare il termine con significato opposto a quello della Bibbia; di qui le difficoltà. VAquinate conosce bene una nozione di giustizia di Dio, che era assente nella teologia del suo tempo. Nel suo De veritate5, ad esempio, leggiamo: ..•quamvis in remisrione peccatorum aliq1'a justitia servetur, «nella remissione dei pec4. lhid.

;s. Q. 28, a.

1,

ad 8.

''

cati si osserva una certa giustizia». Ecco in qual senso: .. .se-

czmdum quod omnes viae Domini sunt misericordia et veritas, «tutte le vie del Signore sono misericordia e verità». Per stabilire questa nozione di giustizia egli invoca un testo cli S. Anselmo nel Pros/ogium, c. x, che scrive: «Quando perdoni ai peccatori, o Signore, sei giusto», cum parcis peccato1'ibus, ;ustus es, Domine; non quando punisce, ma quando perdona, il Signore è giusto. Perché, quando perdona, è giusto? ...;ustus es, decet enim te, questo infatti conviene a. te, e ciò dat: ~onvfenc a Dio si può dire 'giusto'; non conviene all'uomo, che non merita la misericordia, mil conviene a Dio, che ha promesso la misericordia, e in questo senso è fedele alle sue promesse. S. Tommaso è talmente sicuro che questa è la nozione biblica di giustizia, che subito dopo cita un testo della Bibbia: Et hoc est quod i11 Ps. xxx, I didtur: In ;ustitia tua libera me. La giustizia dunque è qui l'attributo, in virtù del quale Dio ci libera, ed è precisamente quello che. nella Somma Teologica, il santo Dottore chiamava la misericordia di Dio. Egli dunque chiama 'giustizia' quell'attributo di Dio, per il quale Dio ci libera, in netta opposizione col concetto della giustizia teologica.

Rim>io di S. Paolo all'Antico Testamento S. Paolo ha presente proprio questa nozione di giustizia. Scrive infatti che nell 'Antko Testamento «In giusti~ia di Dio» è attestata dalla legge e dai Profeti (Rom. 3 ,2 I). Era ovvio pensare che l'Apostolo, per precisarci la nozione di giustizia, cui intendeva riferirsi - con diritto o meno, questo poco importa - ci facesse aprire le pagine dell,Antico Testamento; a questo quindi dobbiamo rivolgerci se desideriamo conoscere che cosa è la giustizia, della quale Paolo intende parlare. Per questa consultazione egli ha molto abilmente preparato gli spiriti, quelli almeno che conoscono i libri veterotestamentari; fa infatti precedere la sezione, che inizia

,6

col c.3,21: dalla sezione 1,18-3,20: in questa ha presentato la manifestazione dell'ira e della collera di Dio, aentre, a partire . Non si può infatti conferire il Battesimo a chi non è stato evangelizzato, perché non è essenziale avere dei battezzati, bensl avere dei cristiani; cli qui la necessità che gli uomini ascoltino e accolgano il Vangelo.

Quae (fides) de verbo nascitur el nulritU'i quod praecipue va/et pro Liturgia verbi in Missarum celebratione, in qua inseparabiliter uniuntur annuntialio mortis et resurrectio· nis Domini, responsum populi audientis et G·blatio ipsa qua Chrirtus Novum Foedus con/irmavit i11 .'\tZr.guine suo, c11i ob/aiioni fideles, et votis et Sacramenti perceptione, communicant. Le diverse traduzioni del Decreto, ad esempio quella in lingua italiana e anche quella in lingua francese, hanno tra· dotto votis con «preghiere». Questa versione sembra non soltanto ambigua, ma addirittura errata, perché votum significa 'impegno'; chi fa un voto, si impegna. Il Novum Foedus, sancito col Sangue di Cristo, suppone fimpegno preso da Dio e dal popolo col suo responsum; questo responsum popul.i è il votum, che è accompagnato dalla ,tJerceptione Sacramenti; si tratta cioè, come vedremo, di una legge interna; vi è un impegno datoci da Dio stesso, che ci comunica il suo amore. Abbiamo cosl una descrizione perfetta e biblica della liturgia della Messa. Ci sia consentito di aggiungere che il Sacrificio eucaristico cosl descritto è proprio quello che il mondo cli oggi si attende; riteniamo che una predicazione ad esso intonata vada incontro ai desideri di tutti, e specialmente dei cristiani vera mente tali, di quelli cioè che sono impegnati.

Il sacrificio di alleanza neU A.T. 1

Per una adeguata intelligenza di questo senso della S. Mes-

sa inteso dal Concilio è indispensabile e, si direbbe, altrettanto ovvio invocare la luce dell'Antico Testamento, e precisamente di quei testi che trattano dei sacrifici di alleanza. Per noi e in generale per tutto il popolo cristiano il sacrificio di

alleanza è qualche cosa di sconosciuto, perché nella vita sociale del nostro tempo non si offre l'occasione di celebrare sacrifici di alleanza; noi, nella nostra vita, non abbiamo mai celebrato un sacrificio di alleanza all'infuori del Sacrificio eucaristico, che non sempre è conosciuto come t:n Sacrificio

di Alleanza. Non fu cosi per gli Ebrei: il sacrllicio di alleanza era addirittura al centro della loro vita. Come per loro, cosi pure per gli Apostoli e per S. Paolo, per i qm:ili

l'Alh~11n7.R

rii nin

era tutto; il popolo di Israele infatti era figlio di Dio in virtù dell'alleanza; questa era al centro della loro religione, della loro storia e l'avvenimento per eccellenza, il Sinai donum, il dono della Legge. Ma tutti sapevano bene che quell'alleanza era stata sancita per mezzo di un sacrificio di alleanza. E a queste sacrificio intese riferirsi certamente Gesù; volle certamente rievocarlo, come prova il fatto che, consacrando il vino, ripeté le parole pronunziate da Mosè all'atto di sancire l'alleanza del Sinai. Gesù non dovette ripetere per caso quella formula. s~ vogliamo quindi conoscere quello che fece Gesù all'ultima Cena, è indispensabile che vediamo quello che fece Mosè; s:>ltanto per questa via potremo entrare nel pensiero di Gesù e ad esso uniformarci, come soltanto per questa via potremo sapere che cosa passò per la mente degli Apostoli, quando udirono per la prima volta le parole consE.cratorie del Maestro, la vigilia della sua passione. Ed altrettanto vale per intendere il pensiero dei primi cristiani, qudndo assistev:ano alla «frazione del pane», nella quale il celebrante ripeteva la formula pronunciata da Gesù: per loro la formula della consacrwone del vino era chiarissima e altrettanto evocatrice. Dalla lettura di Es. 24,,-8 emerge subito che il rito essenziale è quello della effusione del sangue. Richiamiamo che il sangue era per gli Ebrei il portatore della vita, l'elemento divino nell'uomo; quello che per i Greci era l'anima, per gli Ebrei n:>n era l'anima (ne/d), ma piuttosto il sangue. Da 71

questo modo di concepire deriva il grande valore simbolico del sangue, in quanto esprime l'unione, l'alleanza fra Jahvè e il popolo: lo stesso sangue fu da Mosè asperso sull'altare, simbolo di Dio, e sui dcxlici cippi, simbolo delle dodici tribù (cfr. Es. 24,4). Mosè, per volontà di Jah\·è e in nome cli Lui, dovette compiere quell'azione simbolica, la quale era un rito atto ad esprimere quello che Dio realizzò; Egli non lo realizzò per me-zzo del rito, realizzò però in qualche modo quello che il rito significava, e cioè una vera alleanza. Jahvf. intt:m.lcva manifestare la sua intenzione: d'ora innanzi il popolo di Israele sarebbe stato il suo popolo, quasi un solo essere con Lui. Il rito eta simbolico, ma ad esso corrispondeva una realtà. Valiamo lo stesso racconto biblico: Mosè «Comandò a dei giovani dei figli di Israele di offrire olocausti e di immolare giovenchi», A che scopo questo ordine? Mosè aveva bisogno di sangue; ma per averlo bisognava immolare; ecco perché ordinò l'immolazione. Egli incaricò deil'immolazione i giovani, perché si trattava di una azione molto secondaria nel rito che stava per compiere. «Poi Mosè prese la metà del sangue e lo mise in catini, e l'altra metà la sparse sull'altare», e·1identemente in quanto esso era il simbolo di Dio. Ne abbiamo conferma nella lettera agli Ebrei, dov'è riferito questo episodio dell1Esodo, dove però si legge che Mosè versò il san~e non sull'altare bensl sul libro, e il libro, come l'altare, era il simbolo di Dio. Quale poi sia stato in realtà il simbolo utilizzato è di poco interesse. «Prese quindi il libro del patto e lo lesse alla presenza del popolo»: probabilmente lesse l'essenziale, forse il Decalogo o la legge dell'alleanza (Es. 20-23). Si noti bene che, prima di completare il rito, prima di aspergere il popolo, Mosè chiese a questo cli impegnarsi. Dio, il primo contraente del patto, si era impegnato in quanto il sangue era già stato versato sull'altare; né a Lui, che del patto aveva preso l'iniziativa ed era Dio, occorreva chiedere d'impegnarsi a osservarne le clausole. Dopo la 1ettura, il po72

polo disse: «'Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo e noi obbediremo'. Allora - e allora soltanto'. - Mosè prese il sangue e 1o sparse sopra il popolo dicendo: 'Ecco il sangue dell'alleanza - le stesse parole che ripeterà Gesù che il Signore ha stretto con voi, mediante tutte queste parole'». L'impegno dunque del popolo di osservare la legge dell'allearua fa parte del sacrificio dell'alleanza; questi due aspetti sono indissociabili: un sacrificio di alleanza suppone un impegno da parte di Dio che si impegna per primo, ma suppone ugualmente l'impegno del popolo. Ne s~e che è inconcepibile per gli Ebrei avere un sacrificio di alleanza senza una legge, senza una clausola dell'alleanza. Co:isiderato questo loro modo di pensare, l'alleanza di fatto si identifica per loro ccn la legge; essi scambiano runa con l'altra; il dono dell'alleanza equivale al dono della legge. Basterebbe questa semplice lettura del racconto dell'Esodo per farci un'idea dell'importanza che aveva per un Israelita l'impegno preso dal popolo alle radici del Sinai. A questo scopo potrà fornirci nuova luce però la lettura cella celebre rinnovazioone dell'alleanza avvenuta con Giosuè, cosl come è riferita nell'ultimo capitolo del suo libro (c. 24). Questi, dopo la conquista della terra cli Canaan, avvertl la necessità di rinnovare l'alleanza, anche perché gli Israeliti entrati nella terra promessa ai Patriarchi non erano più gli stessi di quarant'anni prima, testimoni delle meraviglie cell'esodo e dd Sinai. Una rinnovazione solenne dell'alleanza era veramente necessaria per richiamare efficacemente alla nuova generazione le cose mirabili, che Dio nveva compiuto per Israele, affinché questi fosse stimolato a corrispondere a tanta bontà del Signore; il popolo doveva rendersi conto che la sua storia era una storia sacra, non per quanto avevano operato i suoi padri, ma perché si identificava con la storia degli interventi di Dio 1• 1.

Pr;... bubihnat~ questo capitolo ha unii Bf'andissinu imporranz" per ù. Bibbiia dcl-

71

Percorriamo il testo di Giosuè: siamo a S:chem, dove dodici secoli più tardi avverrà l'incontro di Gesù con la Samaritana 2, ma era già un luogo tanto ricco di storia per Israele (cfr. Gen. 12,6; 33,18; 34,2ss.; ecc.). «Giosu~ riunl tutte le tribù di Israele in Sichem, e convocò gli anziani, i capi, i giudici e gli ispettori dinanzi al Signore, e disse loro: 'Cosl dice il Signore, Dio d'Israele'»; e segue una sintesi dd Pentateuco. «'I padri vostri Tare, padre di Abramo e di Nahor, abitavano, da principio, di là dal Fiume (Eufrate) 3 e servivano ad altri dei'»; erano cioè idolatri come gli altri popoli. Questa è una circostanza che Dio ricorda Spe$o al suo popolo: prima erano come gli altri, adesso non più, perché Egli li ha scelti, e non per i loro meriti, come appare, ad esempio, dalla parabola della trovatella in Ezechiele, 16; al v. 13 si sottolinea che il padre del popolo era Amorreo! «!via io presi il vostro padre Abramo di là dal Fiume e lo guidai per tutta la terra di Canaan, e moltiplicai la sua posterità, e gli diedi Isacco, e ad Isacco diedi Giacobbe ed Esaù. Ad Esaù diedi in possesso il monte di Seir, mentre Giacol:De e i suoi figli scesero in Egitto. Là mandai Mosè cd Aronne, e colpii l'Egitto con i prodigi operati in mezzo ad esso e vi feci uscire di là. Feci uscire i padri vostri dall'Egitto, i quali appena giunt'. al mare furono dagli Egiziani inseguiti con carri e cavalieri presso il Mar Rosso. I figli di Israele alzarono le loro grida al Signore ed Egli interpose le tenebre fra voi e gli Egiziani, poi sopra di questi fece i;ronere le acque del more che li coprirono. I vostri occhi hanno veduto ciò che ho fatto in Egitto. Quindi voi avete dimorato lungo tempo nel deserto. l'A.T.; si avrebbe io esso il 41 Sitt im l..cbcm> del PcntRr~co. q.1csto doè si s11rcbbc fonmto a poro a poco in OCl:tiione di queste rinnov11rioni dell'alleanza.

2 Forse non senza mgione Gc.'IÙ scelse qucstn citrndina per il suo colloquia con la donn11 (cfr. Gio1J. 4) 3· •Di làit traduce la prcposwonc ebraica eber, donde fonc deriva il nome degli

hnrd, in quanto erano coloro, che erano venuti in Canaan d4l di là deU'Eufrare.

74

Io poi vi ho introdotti nella terra degli Amorrei che abitavano al di là dal Giordano. Essi combatterono contro di voi J ma io li diedi nelle vostre mani e voi prendeste possesso dd loro paese, dopo che io li ebbi disfatti davanti a voi. Si levò allora Balac, figlio di Scfor, re di Moab, per combattere contro Israele, e mandò a chiamare Balaam, figlio di Beor, per maledirv:, ma io non volli esaudirlo, egli anzi do·1ette benedirvi e io vi liberai dalle sue mani» (Gios. 24 13-10). Tutti questi mirnmli Pf"T i1 superamento di tanti contrasti tornavan::> a esaltazione della bontà e della fedeltà di Dio verso il suo popolo: quanto più numerosi e forti i nemici, tanto più si era manifestata la potenza e la bontà di Dio. Giosuè adesso richiamava questa storia meravigliosa di Israele perché non ;i dimenticassero le battaglie e le vittorie del Signore a favCll'e del suo popolo e a favore di tutta l'umanità. «Attraversaste poi il Giordano e giungeste a Gerico; e i dominatori di Gerico e gli Amorrei, i Ferezei, i Cananei, gli Etei, i Gergesei, gli Evei, i Gebusei vi mossero guerra, ma io li diedi in vostro potere. Spedii innanzi a voi i calabroni che misero in fuga i due re amorrei, non con la v:>stra spada né col vostro arco. Cosl vi diedi una terra che voi non avevate lavor11.to, delle città che voi non avevate costruito; e voi poteste mangiare i frutti delle vigne e degli oliveti che non avevate piantati~ (Gios. 24,n-13 ): tutto gratuito quello che Israele aveva ricevuto! «Or dunque adorate il Signore e servitelo con sincerita e fedeltà; :ab~ndonate qm~gli déi che i vostri pi:dri hanno servito di là dal Fiume e in Egitto, e servite il Signore! Che se non vi pare giusto servire il Signore, scegliete oggi a chi preferite servire: se agli déi dei padri vostri di là dal Fiume, oppure agli déi degli Amorrei, nella cui terra voi abitate» (Gios. 24,14-t,5 ). Giosuè voleva dire che l'impegno doveva esse:e accettato in piena libertà, in nessun modo intendeva dire che potessero scegUere la religione che volevano; la religione che sceglievano però dovevano sceglierla in rutta libertà. Questa è 75

la libertà religiosa, perché si tratta di un impegno. « ...quanto a me e nlla mia famiglia. noi serviremo il Signore» (v. I 5 ), aggiunge Giosuè. Con tutta responsabilità doveva scegliere anche il popolo; non poteva prendersda Giosuè stesso per lui: erano adulti, non erano dei bambini! «Allora rispose il popolo esclamando: 'Lungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri déi, poiché il Signore, Iddio nostro, ha tratto noi e i nostri padri dall'Egitto, dalla ca~a di schiavitù, ha compiuto dinanzi ai nostri occhi quei grandi prodigi e e-i ha pr·::>tettl per tutto il cammino da noi peroorso e &a tutti i popoli da noi incontrati. Egli ha cacciato davanti a noi tutti i popoli, come pure gli Amorrei che dimoravano in questa terra. Anche noi, dunque, serviremo il Signore, poiché Egli è il nostro Dio'» (Gios. 24,16-18). Giosuè allora fece prendere coscienza al pepalo della serietà della promessa: non è una promessa in aria, è una promessa dalle conseguenze straordinarie! « ...E Giosuè disse al popolo: 'Voi non riuscirete a servire il Signore, poiché Egli è un Dio santo, un Dio geloso che non tollererà le vostre prevaricazioni, né i vostri peccati. Se abbandonerete il Signore per se:vire divinità straniere, Egli si rivolterà contro di voi, e, nonostante i suoi grandi benefizi, vi punirà fino a sterminarvi'. Ma il popolo soggiunse: 'Non sia mai! Noi serviremo il Signore!'. Rispose Giosuè al popolo: 'Siete dunque testimoni contro voi stessi, che vi siete scelto il Signore per servirlo'. Risposero: 'Sl, siamo testimoni!')) (vv. 19-22). La lettura di questa rinnovazione del patto ci illumina veramente per cogliere la visione degli Israeliti circa l'impegno assunto ul Sinai, sancito coi sacrificio dell'alleanza. Ma essa ci apre anche il segreto della nostra Messa quotidiana, che corrisp::>ndc a quel sacrificio come la realtà alla sua figura: anche la Mess~t è un Sacrificio di alleanza, ce ne assicura Gesù stesso. Adesso possiamo renderci conto perché la Chiesa ci obbliga a partecipare alla Messa domenicale e festiva, ne vediamo meglio il motivo. Vista come sacrificio dell'alleanza 76

nuova la Messa non può non esigere una mutazione di tutta la vita; ben altrimenti se si trattasse di una cerimonia qualsiasi> nd qual caso non si capirebbe perché la Chiesa imponga sub gravi l'osservanza del precetto domenicale e festivo; essa invece confida che tutta la vita cristiana sia ordinata e vivificata dal Sacrificio e dall'Alleanza nuova. L';mpPgn., della Nuova Alleanza

Potrebbe sembrare, a prima vista, che il Sacrificio della Messa non comporti una legge. Veramente, se disponessimo soltanto del racconto dei Sinottici, sarebbe possibile pensare così; essi infatti non fanno accenno a nessun impegno, a nessuna legge da osservare; ma non ne parlano, ormai lo sappiamo, perché per loro era sottinteso che il sacrificio ddl'alleanza implicava l'esistenza d'una legge, alla quale il popolo aveva giurato obbedienza. Questa strettissima Ul.Ìone era talmente presente nell'animo dei primi cristiani e degli Evan~elisti, che, mentre i Sinottici omettono di dire della legge da osservare e riferiscono soltanto l'istituzione del Sacrificio dell'alleanza, S. Giovnnni non ha ritenuto necessario ripetere il ra:conto dell'istituzione del Sacrificio, ma non ha omesso di ricordare la legge con esso congiunta; né soltanto l'ha ricordata, l'ha pure illustrata e in maniera veramente solenne. Scrive che all'ultima Cena Cn>sÌ1 disse: «Vi do' un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda: amatevi l'un l'altro, come io ho amato voi». E aggiunse Gesù: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri» (Giov. r3,34-3,). Gesù impone un unico precetto; se adempiuto, esso sarà il segno per distinguere i suoi discepoli, anzi sarà l'unico distintivo, dal quale riconoscere se sono cristiani o pagani. Ecco il precetto che richiede il loro solenne impegno. S. Giovanni, inoltre, previene pure una grossa difficoltà 77

nell'interpretazione del precetto del Signore. Egli ci comanda di amarci come Lui ci ha amati; ora Egli ha dato la vita per noi, di modo che uno potrebbe chiedersi come si possa dare ogni giorno la propria vita, potrebbe anche concludere che si deve attendere l'occasione di morire martiri, o in modo simile, per imitare l'amore di Gesù. Gesù, che tutto questo prevedeva, preparò i suoi Apostoli ad intendere bene il senso profondo del suo precetto. Cominciò a lavare loro i piedi, e quand'ebbe finito disse loro: «Come vi ho fatto in, fate anche voi» (dr. Giov. 13,Ij). Voleva dire: l'osservanza del precetto del Signore non si ofire possibile un'unica volta nella nostra vita, quando cioè dovremo darla, ma ogni giorno si presentano le occasioni di praticarlo, se ci presteremo vicendevolmente con perfezione e costanza quei servizi molto umili e frequenti, che si accompagnano a tutta la vita. In questo sti, l'impegno del Sacrificio dell'alleanza, questa la sua legge. Ce lo ricorda anche il Concilio Vaticano II nella sua Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, quando definisce la condizione del nuovo popolo messianico: Habttl pro conàitione a'ignitatem libertatemque filiorum Dei, in quorum cor-

dibus Spiritus Sanctus sicut in templo inhabitat. Habet pro lege m'Jndatum novum diligendi sicut ipse Christus dilexit nos (Lumen Gentium, 9). Gesù, però, non ha ripetuto alla lettera le parole cli Mosè semplicemente; ha aggiunto un aggettivo, che Mosè non aveva dett::>; Gesù ha parlato dd Ssmgne della N11ova Alleanza, o, secondo Luca, ddla Nuova Alleanza nel suo Sangue, in quanto il sigillo di questa Alleanza è il Sangue di Gesù. Ora Egli si riferiva, anche per questa aggiunta, a un passo ddl'Antico Testamento, e per questo gli Apostoli dovettero cogliere a volo il suo pensiero, tanto più che in tutti i libri veterotestamentari c'è un unico passo, nel quale leggiamo la formula «Nuova Alleanza», come possiamo provare consultando una concordanza biblica, ebraica o greca o latina. «La Nuova Alleanza~ è l'oggetto di una celebre prcfezia di Ge78

remia (31,31): il Profeta oppone la Nuova alla prima, all'antica alleanza. Il testo era certamente noto agli Apostoli e ai Giudei; ora ne siamo anche più sicuri dopo i preziosi reperti di Qumran. Nel monastero, che la setta giuéaica degli Esseni aveva a Qumràn, fu educato probabilmente S. Giovanni Battista, o almeno nelle sue vicinanze; a tre km. di distanza, battezzò, come più tardi Gesù stesso. Ora gli Esseni si chiamavano precisamente «la setta della Nuova Alleanza»; nei manoscritti riguardanti la setta si fa parola ddla Nuova Alleanza almeno cinque o sei volte, e sempre in riferimento al passo di Geremia. Non intendiamo ripetere cose già note; se sosteremo un poco per osservare la descrizione che il Profeta fa della Nuova Alleanza, scopriremo la caratteristica del Nuovo Testamento, la sua novità. Geremia distingue, anzi, a maggior nostra utilità, contrappone la Nuova Alleanza all'antica. Scrive: «Ecco giorni verranno, dice il Signore, quando stringerò con Israe:e e con Giuda un patto nuovo; non come il patto che strinsi con i Joro padri», il patto cioè di Mosè. la prima alleanza, «quando li presi per mano per trarli dall'Egitto, patto che essi violarono», non Dio cioè ha violat:> il patto, Egli è stato sempre fedele ad esso, ma non altrettanto il popolo ( 3 I ,J I-J2 ). Come poté il popolo violare quel patto? Si trattava di una legge scritta su tavole di pietra, era cioè una legge esterna all'uomo, come del resto tuttP IP- Jeegi positive. e non basta la promulgazione di una legge perché essa sia osservata. Nella Nuova Alleanza non sarà cosl; continua infatti Geremia: «Ma questo sarà il patto che io stringerò con la casa di Israele, dopo quei giorni, dice il Signore. Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nei loro cuori» ( v. 3 3 ), nel loro intimo; i LXX traducono St.avoi.a.., nella loro mente. Li legge dd Signore resta sempre la stessa, perché è l'espressione della sua volontà; quindi la formula «la nuova legge» non è biblica; ma la differenza fra i due patti sta nel fatto che la leg79

ge prima era scritta sulle tavole cli pietra, nel Nuovo Testamento invece essa diventa nostra, fa parre in qualche modo ddla nostra natura o, piuttosto, della nostra soprannatura. Ed ecco la conseguenza: «Essi mi avranno per loro Dio e io li avrò per mio popolo» (v.39). È la fonnula dell'alleanza molto più intima, perché Dio comunica adesso una legge interna, e in questo sta l'essenziale della grande novità. Desideriamo ulteriori precisazioni? Alcuni anni più tardi, un altro Profeta, riprenderà alla lettera e con:,apc::vohnente le stesse espressioni di Geremia. Il suo testo è molto noto, perché sta alla base della nostra lintrgia di llenteco~te: Jo si legge nella Messa della Vigilia, che attualmente si comincia a celebrare alla sera, quasi ritornando all'antica Messa vigiliare: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi, e farò sl che camminiate nei miei statuti e che osserviate e mettiate in pratica le mie leggi» (36,26-27). Invece di «vi darò» si può tradurre «metterò», nell'ebraico è sempre lo stsesso verbo natan, che dai L.icx ora è tradotto col verbo "t'l~riµr., ora col verbo ol8wµr., ma il senso resta sempre Io stesso. «...un cuore nuovo»: Ez:=chiele ha conservato l'aggettivo 'nuovo', che coma raramente nell'Antico Testamento e sempre in un contesto messianico: «Il cantico nuovo, il patto nuovo, un cuore nuovo, lo spirito nuovo»; «cuore» poi dice principio di attività. «Spirito (ruab) nuovuo significa la docilità al soffio della volontà divina. Ezechiele continua spiegando che cosa intenda in concreto per cuore nuovo e spirito nuovo, e afferma niente meno che lo spirito immesso nell'intimo delPuomo è lo spirito proprio di Jahvé: «Porrò il mio spirito dentro di voi». Geremia aveva detto: «Porrò dentro di voi la mia legge», Ezechiele sostituisce al termine legge il termine spirito; ne consegue che lo spirito è la legge interna, oppure che la legge interna altro non è che lo spirito stesso cli Jahvé, da Lui com1micato all'uomo. 80

Ecco la novità del Nuovo Testamento, già promessa nell'Antico. Se è cosl, non possiamo più stupirci tanto se lo Spirito Santo ha nel Nuovo Patto un ruolo di primo piano; potremmo affenri.are che Egli è la sintesi di tutta la redenzione.

Il nuovo comandamento Quale è staro il motivo principale dell'incarnazione del Verbo e della sua venuta nd mondo? Dobbiamo riipondere: la possibutà, per questa via, di morire. Ma pere~ morire? Perché mediante questo atto supremo dd suo amore avrebbe dato agli uomini lo Spirito Santo. Cosl ci spieghi:ltno come all'inizio deUa Chiesa la festa di Pentecoste non ere. probabilmente separata dalla Veglia pasquale, ma con essa formava un'unica festa, nella quale si commemoravano insieme i Misteri del Venercll Santo, del Sabato Santo, della Domenica di Pasqua, ddl'Ascensione e della Pentecoste. Solamente in seguito si ebbero feste distinte; adesso però, con la riforma liturgica, torniamo a quegli inizi: il nuovo calendario liturgico ha come suo centro la Quinquagesima pasquale, nella quale il primo e l'ultimo giorno: Pasqua e Pentecmte, hanno giustamente un particolare rilievo. In realtà tutto è subordinato al dono dello Spirito Santo, che Gesù ci comunica per mezzo deJa sua morte e della sua risurrezione. Tutta la legge nuova è in questo dono. Gesù infatti non ha detto soltanto: «Vi do' un comandamento», ma ha completato: «Vi do' un comandamento nuovo» (Giov. 13,34). Come può essere nuovo, se la legge è sempre l'espressione della •1olontà cli Dio? Dopo quanto abbiamo visto sopra nei testi cli Geremia e di Ezechiele, il senso profondo del «comandamento nuovo» e la :agione dell'uso fatto da Gesù di quell'aggettivo si intendono subito. Si può affermare che il precetto in qualche modo è nuovo a motivo del suo contenuto. Se confrontiamo infatti il precetto dato da Gesù alPultima Cena con quello da Lui stesso

SI

dato antecedentemente nel discorso sul monte: «Tutto quanto desiderate che gli uomini facciano a voi, fatelo voi pure a loro» (Mt. 7,12 ), o con quell'altro: Passiamo alla seconda profezia citata da Giovanni: «E un'altra Scrittura dice ancora: 'Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto'» ( r9,37). Anche per la fonte di questa citazione nessuna incertezza; tutti ammettono che non c'è che un solo passo, dove si incontrano queste parole, e cioè in Zaccaria 12,10. Anche stavolta Giovanni si riferisce a un particolare, ma, valendosi di esso, l'Evangelista intende riferirsi alrinsicme della profezia di Zaccaria. Per questo, come per l'agnello pasquale, se vogliamo cogliere anche qui il pensiero del sacro autore dcl Nuovo Testamento che cita rAntico, è indispensabile che, senza limitarci alla frase citata, ci riferiamo a tutto il contesto immediato. La prima constatazione che facciamo leggendo questa pagina è di trovarci dinanzi a una profezia abbastanza oscura. Si dice della morte misteriosa di qualcuno, morte però che appare come una catastrofe, pur in un contesto di annuncio e di liberazione: «In quel giorno il Signore stenderà la sua protezione sopra gli abitanti di Gerusalemme in modo che il vacillante diverrà come David, e la casa di David come un Dio, ccme un Angelo del Signore davanti a loro. In quel giorno io m'impegnerò a di~ struggere tutte le genti che verranno contro Gerusalemme (i pagani). Ed effonderò sopra la casa di David e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di suppliche; euarderanno a colui che hanno trafitto» (r2,8-roa). Ecco qui, sul finire, una morte misteriosa, che sembra il segno della catastrofe definitiva, proprio come sul Calvario. Fu cosl anche per gli Apostoli: «Sperava.mo» (Le. 24,21 ); adesso tutto è finito! Non si è difeso; si è lasciato prendere dai suoi nemici; dunque non era il Messia, non può salvare il mondo; pensavamo dovesse essere il liberatore; invece è

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morto, non può esser dunque il liberatore tanto atteso. La morte di Gesù apparve agli ApostoH l'ostacolo numero uno per la salvezza, invece che il mezzo per realizzarla. C:Ome gli Apostoli, la pensavano pure le pie donne: osservarono bene dov,era stato sepolto per poterne completare la sepoltura come di uoo che non doveva mai più risorgere: tutte• finito! Cosl in Zaccaria: «Ne faranno lutto come si fa lutto per l'unico figlio, lo piangeranno come si piange il primogenito. In quel giorno grande sarà il cordoglio ... », e il Profeta ne sviluppa la descrizione e fa passare dinanzi a noi ruue le tribù di Israele, le une dopo le altre, che faranno lamentazioni, come ancor oggi in Oriente. «In quel giorno grande sarà il cordoglio in Gerusalemme; simile al cordoglio di lùdadrimmon nella pianura di MagE.-ddo (si allude probabilmente alla grande disfatta del regno di Giuda nel 609, quando il pio re Giosia trovò la morte in battaglia). Farà cordoglio il paese, tribù per tribù: la tribù della casa di Davide da sé e le loro donne da sé; la tribù della casa di Natan da sé e le lo:o donne da sé; la tribù della casa di Levi da sé e le loro donne da sé; la tribù della casa di Simei da sé e le loro donne èa sé; e cosi tutte le altre tribù da sé e le loro donne da sé» (12,1ob-r4). Ma proprio in questo giorno di definitiva catastrde si annuncia qualche cosa di stupendo: «In quel giorno vi sarà per la casa di David e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente d'acc;,ua sempre aperta per il peccato e l'impcrità» (Zacc. 13, 1 ). Questo giorno. che sembrava il giorno della morte per sempre, sarà invece il giorno della vita, perché il peccato, che era la grande causa di tutte le calamità di Israele, sarà tolto. Non è precisamente quanto S. Giovanni ci lui annunziato sin dall'inizio del suo vangelo, facendoci la presentazione di Gesù, il protagonista del messaggio evangelico? Egli si vale della presentazione fattane dal suo stesso maestro, Giovanni Battista. Questi indica ai suoi discepoli Gesù esclamando: «Ecco :1Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo> (Giov. 1,29). E il Precursore insiste: ~'Egli è colui 99

del quale ho detto: Dopo cli me viene uno che è stato anteposto a me, perché era prima di me. E io non lo conoscevo; ma, affinché egli sia manifestato a Israele, io venni a battezzare nell'acqua'. E Giovanni rese la sua testimonianza dicendo: 'Ho veduto lo Spirito che discendeva dal cielo, a guisa di colomba, e posarsi su cli lui. E io non lo conoscevo, ma chi m'inviò a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è quello che battezza nello Spirito Santo'» (Giov. 1 1 30-33). «Ecco l'Agnello cli Dio. che toglie il peccato del mondo»: notfamo che il Battista rha sapuro perché Colui che l'aveva mat:dato gli aveva detto: «Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è quello che battezza nello Spirito Santo». Noi sappiamo che cosa significa battezzare nello Spirito Santo, perché negli Atti degli Apostoli leggiamo che Gesù, il giorno dell'ascensione, disse: «Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi, fra pochi giorni, sarete battezzati nello Spirito Santo» (I ,5 ). Dal confronto cli questi testi balza evidente che, secondo Giovanni Battista, Gesù doveva essere l'Agnello di Dio, chetoglie il peccato del mondo, comunicando lo Spirito Santo. Questa problematica ricorre, più o meno, anche nei docu· menti di Qumrin: il peccato, le perversità saranno tolti in quanto l'uomo riceverà lo spirito cli verità o di santità. Senonché da Qumran non siamo informati se l'uomo riceverà lo Spirito Santo, perché il Maestro di giustizia, del quale si fa parola in quei reperti. non comunica affatto lo Spirito Santo. Invece sappiamo bene, anche se non sappiamo come, che Gesù deve togliere il peccato dando lo Spirito Santo. È precisamente quello che avviene al termine della sua passione: l'acqua fluita dal costato di Gesù è simbolo evidente dello Spirito Santo; e ne siamo tanto più sicuri, perché Giovanni ci ha preparati a questa intelligenza lungo l'intero suo vangelo. Leggendolo sotto questo punto cli vista, potremo notare che dall'inizio alla fine l'Evangelista riporta le attestazioni del Battista quasi ad ogni capitolo, ed esse diventano a 100

mano a mano sempre più chiare. Qualche cosa traspare già in 2,19.21: «Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere». I Giudei replicano (v. 20); «Ma egli intendeva il tempio del proprio corpo». P. D.Mollat annota nella Bibbia di Gerusalemme: «Il corpo di Cristo risorto sarà ... il tempio spirituale, dal quale scaturirà la sergente d'acqua viva». Gesù sarà il tempio escatologico, annunziato da Ezechiele (c. 4 7 ), che illustra splendidamente la sorgente, della quale scrive Zauorìa .r3,r. Gli Agingrafi veterotestamentari, lo sappiamo, si integrano volentieri a vicenda. Ezechiele, nella grandiosa visione degli ultimi capitoli (40-48) della sua profezia, descrive il tempio, simbolo della comunità messianica: l'Angelo «mi ricondusse poi all'ingresso del tempio; e vidi che di sotto alla soglia del tempio uscin dell'acqua»: è l'acqua ricordata nell'antifona dell'aspersione con l'acqua benedetta prima della Messa parrocchiale in tutto il Tempo dopo Pasqua. Quell'acqua usciva «in direzione d'oriente, poiché la facciata del tempio era verso est. Quell'acqua discendeva di sotto, al lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare». E adesso il Profeta ci fa assistere al meraviglioso crescere di quell'acqua che, piccola mrgente all'inizio, diventa poi un largo fiume. «Mi condusse fuori della porta settentrionale e mi fece fare il giro all'esterno fino alla porta esterna, che guarda a oriente, e vidi che l'acqua scaturiva dal Iato destro. QuelJ>uomo avanzò vt:rso oriente e con una cordicella che ovevo in mano, misurò mille cubiti, poi mi fece attraversare quell'acqua: mi

dava alk caviglia. Misurò altri mille cubiti, poi mi fece attraversare quell'acqua: mi dava al ginocchio. Misurò altri mille cubiti, i:oi mi fece attraversare: l'acqua mi arrivava ai fianchi. Ne misurò altri mille: era un fiume che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute, erano acque navigabili, un fiume da non potersi passare a guado. Allora egli mi disse: 'Hai veduto, figlio dell'uomo?'. Poi mi fece ritornare sulla sponda dcl fiume, e, voltatomi, vidi che sulle sponIOI

de del fiume vi era una grandissima quantità di alberi da una ;:>ane e dall'altra. E mi disse: Queste atllue vanno a riuscire nella regione orientale, scendono nella pianura ed entra30 nel mare», e cioè nel Mar Morto, nel deserto, simbolo della morte totale, dove nulla, nessun vivente, né piante né :.1omini possono vivere. «Sboccate in mare, ne risanano le acque». Incredibile! Quest'acqua è di tale potenza, da ridare la vita a ciò che era divenuto il simbolo della morte. «E ogni Cl5SCrC vivente che SÌ muove, dovunque arriva iJ nume, vivrà. n pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, esse risanano e tutto rivi•nà là dove giungerà 1 torrente. Sulle sue rive vi saranno pescatori: da En-ghedi a En-eglaim vi sarà una distesa di reti. I pesci, secondo le loro specie, saranno abbondanti come i pesci del Mar Grande» 1:Ez. 47 ,1-ro ); forse, secondo un'altra traduzione possibile, saranno tanti quanti le specie del Mare Grande, e cioè del Mediterraneo. Già S. Girolamo faceva notare che gli antichi, che si occupavano di animali, distinguevano 153 specie di pesci. L'applicazione sembra abbastanza ovvia: abbiamo un simbolo stupendo dell'acqua che esce dal lato di Gesù e va a risanare tutto il mondo mediante la Chiesa, che con i suoi apostoli è impegnata a prendere nelle sue reti tutti i pesci. E cosl appare pure chiaro che già in Giov 2 si tratta del tempio escatologico, che è Gesù. Ma la cosa è ancor più chiara nel c. 3, dove Gesù parla di un battesimo dall'acqua e dallo Spirito Santo, secondo il te· sto attuale: acqua e Spirito sono abbinati. Nel c. 4 incontriamo l'episodio della Samaritana al pozzo di Giacobbe. Il pozzo di Giacobbe per i Giudei, come consta anche da Qumran e dal Documento di Damasco, dove ricorre almeno due volce, è la Legge; e Giovanni scrive già nel Prologo del suo vangelo: «Da Mosè fu data la Legge, da Gesù Cristo invece è stata fatta la grazia e la verità» ( I, 17 ). Mosè dà la Legge, Gesù dà l'acqua, e quale acqua! «Chi beve di quest'acqua tornerà ad aver sete; chi invece berrà l'ac~ua che gli darò io, 102

non avrà più sete in eterno» ( 4 ,13 ). Molti studiosi vi scorgono anche un'allusione a un passo, che l'Antico Testamento, i Giudei applicavano alla Legge; il testo ricorre nel libro del Siracide e lo leggiamo come epistola nelle Feste della Madonna: «Coloro che mangiano di me avranno ancora fame, e quelli che bevono di me avranno ancora sete» (Eccli. 24, 2 I). Ecco la Legge! Non così Gesù: «Chi invece berrà l'acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l'acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante sino alla vita eterna» (4,13-14). Altrettanto Gesù dirà per la manna degli Ebrei e del pane che Egli stava per dare: «I padri vostri mangiarono nel deserto la manna, e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia» (6A9). Ma resta ancora un problema: che cos'è quest'acqua? Passiamo al c. 7 del vangelo di Giovanni. Ci riconduce alla festa dei Tabernacoli, che si protraeva per sette giorni, durante i quali si commemorava il miracolo dell'acqua nd deserto, scaturita dalla roccia per l'intervento di Mosè, ricordata anche da S. Paolo: « ... tutti bevettero la stessa be·11anda spirituale (bevevano infatti a una pietra spirituale che li seguiva, e questa pietra era il Cristo) (I Cor. 10,4). «Nell'ultimo giorno, il più solenne della festa, Gesù, levatosi in ?iedi, esclamò ad alta voce; 'Chi ha sete, venga a me e beva. Dall'intimo di chi crede in me, come dice la Scrittura, scaturiranno fiumi di acqua viva'» (7,37-38). La Scrittura rkur )», e 11Apostolo si spiega subito: «Chi dunque disprezza questi precetti, non disprezza un ucmo». Si noti che S. Paolo non dice che chi li disprezza, disprezza un comando di Dio, come forse noi diciamo quando vo· gliamo dimostrare la gravità di un peccato: esso è un'offesa di Dio, perché gli uomini comandano in nome di Lui; chi dunque trasgtedisce i loro ordini disprezza la volontà di lij

Dio. Paolo però non ragiona cosl, dice invece una cosa molto più profonda: « ... Chi dunque disprezza questi precetti, non disprezza un uomo, ma Dio, che è pure Colui che dà per voi il suo Spirito Santo ('tÒV bEÒ'V "tÒ'V xcxl o~oov-tct. = che dà continuamente il suo Spirito Santo a voi)». Disobbedendo quindi non ci opponiamo soltanto a un comando di Dio, bensl alla sua attività in noi, impediamo a Dio di agire in noi. Qui è la gravità del peccato; cosi vede le cose S. Paolo, che, rome è evidente. si riferisce a Ezechiele: Dio ci dà lo Spirito Santo. Continua subito: poiché questa volontà di santificazione è la carità, e tutta la legge si riconduce a un solo precetto, spiega: «Quanto alla carità fraterna non c'è bisogno di scrivervi», esattamente come leggiamo in Geremia: «Né donà uno ammaestrare il suo prossimo e dire al suo fratello: 'Riconosci il Signore', perché tutti mi riconosceranno» 1: 3 1 ,34 ). «AÙ"toL yàp Ùµt~ ilEooloa.x-roi ÈO"'tE = voi slessi siete stati ammaestrati da Dio»; è Dio stesso che vi ha educati. A che cosa? «Etc; 'tÒ ò:ya'Jtàv Ò:À.Ì..1}À.o~' ~µwv: autore è Cristo, ministri gli Apostoli. Evidentemente, se un Apostolo si fosse immaginato di essere un grande uomo perché aveva fondato molte comuniù. cristiane, sarebbe stato come se Terzo si fosse stimato molto I

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intelligente perché aveva scritto sotto dettatura la lettera ai Romani: non era stato lui a scriverla, era stato Paolo. C.OSl si dica di un Apostolo: non è lui che fa, ma è Cristo; l'Apostolo è un semplice strumento. ~ quanto S. Paofo scrive ai Corinti: «Ma che cos'è Apollo? Che cos'è Paolo? Dei ministri, per mezzo dei quali avete creduto» ( r Cor. 3'.5 ); Dio ha fatto rutto. E però, senza Terzo non avremmo la lettera ai Romani; Terzo o un altro ci voleva, perché a quell'epoca l'autore non scriveva, ma dettava. E Gesù ha voluto avere bisogno anche di noi; siamo quindi indispensabili, ma si ba· di in che senso. Per scrivere però una lettera non basta avere l'autore e lo scriba, che sono di prima importan2a: occorre anche l'inchiostro. Che cos'è nel caso nostro? È lo Spirito Santo, e cioè l'aspetto più interno: ÈyytypaµµÉVTJ où µÉÀ.tx.'ilr., à.Uà 1tVEuµa'tr. 0Eov ~WV'toç: voi siete I~ lettera di Cristo, redatta da noii scritta non con l'inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su 'tavole di pietra', ma su 'tavole di carne', che sono i vostri cuori» (2 Cor. 3,3), con allusione a quello che scrive Ezechiele. Osserviamo che per annunciare quest'opera bisogna ricordare t.1tte e tre le Persone della SS.ma Trinità: abbiamo Cristo, abbiamo lo Spirito, abbiamo il Padre, 9E~; ogni comunità cristianat ogni cristiano è l'opera delle tre Persone della SS.ma Trinità. E San Paolo continua: «Non perché da parte nostra si pos:ia rivendicare qualche cosa, ... ma perché la no~tra idoneità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei ad essere ministri di un Nuovo Patto»: ecco la Nuova Alleanza di Geremia. «... non della lettera, ma dello Spirito»: la lettera è la legge esterna, lo Spirito è la legge interna; «poiché la lettera ucride, mentre lo Spirito dà vita» (2 Cor. 3,6). Cioè: questa lettera che è esterna, non può cambiare l'uomo, e se l'uomo non è cambiato, non potrà osservarla; necessariamente la lettera sarà violata e quindi l'uomo sarà condannato. Se invece si tratta non di una lettera esterna, ma di una legge u8

interna, cioè dello Spirito Santo, lo Spirito vivifica: ricordiamo le ossa aride nella visione di Ezechiele, ricordiamo le acque del Mar Morto: Egli è capace di dare la vita e di risanare.

da Rom. 7,6 Anche nella lettera ai Romani Paolo aveva fatto allusione a LuLLo quato. Sopra abbiamo fatto cenno esplicito a 7,6: l'Apostolo annunzia gli sviluppi del c. 8. Scrive infatti: «Ora invece siamo stati liberati dalla Legge, essendo morti a ciò che ci teneva imprigionati, di modo che siamo schiavi per novità di spirito, non per vetustà di lettera: Èv xcx.r:vo"t1J''t!. '?NEuµa"t'o) il regno a Dio e Padre», quando Gesù stesso, Re messianico, consegnerà al Padre suo il regno conquistato di tutta l'umanità. Ma quando sarà? Quando avrà ridotto all'impotenza. avrà

à.u-

me

privato di efficacia tutte le poteru-..e preternaturali che sono a Lui opposte (5'ta.v xa.'ta.pyi)an TC non mitico: l'intercessore. Già S. Paolo faceva questa assimHazione, nel senso che Cristo continua la sua opera,e noi ci uniamo all'opera sua ogni volta che pre1

ghiamo, specialmente con la. Oiiesa; è la preghiera stessa di Cristo, che lotta contro i suoi nemici.

Perché xa:rÉxpwEV e non xa."tÉpyEnv Paolo dunque ha questa presentazione della redenzione, dell'opera salvifica di Cristo, o di Dio per mezzo cli Lui. Bisogna però notare che nella 1 Cor. 15 egli fa uso, e per due volte, del verbo xn't'ttp"(F.t'V, proprio cioè i1 verbo, che S. Cirillo d'Alessandria sostituisce a xa:taxplvEw, con significato probabilmente uguale: ridurre all'impotenza, vincere, trionfare di tutte le potenze avverse. ~ quindi spontaneo chiederci perché l'Apostolo nel testo ai Romani, che stiamo studiando, abbia avuco la strana idea di non usare XrL-trLpyE!'V, bensl xa>taxpl'VET.V. Quello che abbiamo visto di S. Giovanni, in linea con 1' Antico Testamento, ci aiuta a darne la spiegazione: per S. Giovanni è familiare vec!ere Gesù Cristo nor. soltanto sotto 1e. figura di un guerriero che lotta, ma anche sotto quella di colui che porta un giudizio: «... il principe di questo mondo è già giudicato (xÉxpt'trit)» (Giov. r6,n ). Per spiegare però come S. Paolo in Rom. 8,3 ricorre a questa figura con un termine giuridico, dobbiamo tornare al testo di Ezeçhiele più sopra considerato. Abbiamo visto che in Ram. 8,2 S. Paolo si riferisce alla profezia sia di Geremia che a quella di Ezechiele; di qui l'origine dell'espressione 11bbastanza strana: « ... la legge dello spirito della vita». Anche nel v. 4 l'Apostolo, come abbiamo visto, si riferisce a questi due vaticini, perché tanto il dono della legge interna per Geremia, quanto quello dello Spirito di Jahvè per Ezechiele avevano come scopo di consentire a Israele di compiere la legge; ed è quello che certamente S. Paolo intende in Rom. 8,3. Ora la profezia di Ezechiele si trova nel c. 36 del suo libro; il c. 37 è il commento alla visione delle ossa aride; i due capitoli seguono il c. 35 e precedono i a:. 38-39. Quale è l'argomento del c. 3,5? È il giu-

dizio e la condanna dei nemici, cioè di Edom, il nemico perpetuo di Israele. Ora questa lotta e vittoria di Dio contro Edom sono chiamate «il giudizio cli Dio»: «Per questo quant'è vero ch'io vivo, dice il Signore Iddio, io agirò secondo quell'ira e ~uello zelo che tu hai dimostrato nell'odio contro di loro (i figli di Israele), e mi farò conoscere in mezzo a loro quando farò giustizia di te: saprai allora che io sono il Signore» (Ez. 35,u-12). Cioè: Edom esperimenterà chi è Jahvè. il Dio :edele, come abbiamo visto, il Dio capace di fare tutto per il suo popolo, cli annientare dunque i sud nemici, che vogliono impedire la sua salvezza; il maligno, come Satana, che vorrebbe dominare, sarà cacciato fuori. Questo è il giudizio. I cc. 38-39 sono il racconto della guerra escatologica centro il nemico escatologico Gog, simbolo di tutti i nemici: Gog, il re di Magog. A questi capitoli si riferisce anche S. Giovanni nell'Apocalisse per il simbolo delle potenze avverse, ma considerando Magog, secondo i.cune tmdizioni giudaiche, come un altro re, non come il paese di Gog (Apoc. 20,7-10); in Ezechiele Magog è di fatto il paese, del quale Gog è il re. Abbiamo dunque nel Profeta il combattimento esaitologico, proprio quello che per Giovanni è la redenzione di Cristo, che è presentato in Ezechiele come un giudizio, come una condanna di Dio; questo è provato anche dal verbo xplVEl.V, che nella profezia di Ezechiele s: trova nel testo citato (3,,n) e nei due cc. 38-39 soltanto: «E forò giustizia (xpr.v17>) di lui t:'on IA ~tf" e rnl !;Angm~: forò piovere su di lui (come su Sodoma e Gomorra; dr. Gen- 19, 24) e le sue schiere, e sopra i popoli numerosi che sono con lui, torrenti di pioggia e grandine e fuoco e zolfo» (3 8,22 ). Nel c. 39, al termine della lunga descrizione, la sentenza è nuovamente ri?resa come conclusione di tutto l'oracolo: «E fra le genti manifesterò la mia gloria e tutte le genti vedranno la giustizia da mc compiuta ( "C''Ì}'V xploi.v µov, f}'V !-:toll)aa.) e la mano che io stenderò su di loro» (39,21 ). Ora è evidente che l'oracolo di .Ezechiele, al quale Paolo

si è riferito esplicitamente parlando dello Spirito, è inquadrato da due vaticini contro le nazioni, i quali mno due giudizi cli Dio contro i nemici di Israele; se cosi, era quasi naturale per l'Apostolo usare per il suo caso il vocabolario, la terminologia dell'Antico Testamento, e chiamare la vittoria di Dio per mezzo cli Cristo, una condanna del :iemico, esat· tamente come è in Ezechiele. Ma c'è di più: quello che è suggerito dal cor.testo attuale è espresso chiaramente dall'ultimo ven\P.tto cft>l r. 39. Quest'ultimo versetto prdude e introduce alla descrizione, che inizia al c. 40, del tempio simbolico messianico, simbolo della realizzazione di quello che Dio ha fatto e farì. Leggiamolo: «A1lora non nasconderò più loro la mia faccia, perché diffonderò (o, come traduce, meglio, P. Vaccari: avrò difiuso} il mio Spirito sulla casa di Israele, dice il Signore Iddio» (v. 29). Questa vittoria di Dio dunque, che è una condanna dei nemici, è proprio l'effetto del dono dello Spirito per Ezechiele. Come stupirci che S. Paolo, per esprimere Pefietto di questo dono, di questa effusione della legge dello Spirito di vira che ci ha liberato, abbia usato la stessa espressione «condanna», «ha condannato nella carne», usata da Ezechiele? Non osiamo affermarlo con tutta sicurezza, ma per Ezechiele forse il combattimento e la vittoria di Dio su Gog, re di Magog, hanno come teatro la stessa terra di Israele, dove quindi Gog subisce la sua disfatta. Se è cosl, la figura è anche pi11 rnmpletR: Sa.tana subisce la sua. disfatta proprio nel la carne, nella carne di Cristo a Gerusalemme, e in qualche misura, per la nostra unione a Cristo, anche nella nostra. Gesù Cristo, per mezzo della sua risurrezione, è spiritualizzato anche nella sua parte carnale, e noi con Lui. E in questo sta precisamente la straordinaria vittoria cli Dio: nel togliere, snidare il peccato, il suo dominio proprio di là, dove sembrava avere il suo campo e il suo regno incontrastato, dalla carne, dalla nostra carne, la quale godrà almeno di una prima spiritualizzazione per la presenza dello spirito Santo, in quan144

to Egli ci rende capaci di trionfare delle nostre cattive tendenze. Più avanziamo nella vita spirituale, più lo Spirito vince e prende possesso di noi, finché lo consegua totale nella risurrezione dei morti, quando avremo qualche cosa, secondo quello che scrive S. Paolo, che a prima vista sembrerebbe un paradosso: un corpo spirituale. Allora sarà il compimento della storia della nostra salvezza. Frattanto vediamo, come abbiamo già osservato, :'assoluta. necessità del dono dello Spirito Simto. Oi qni Anrhe l'importanza della festa di Pentecoste, che richiama e ripete cosl grande dono di Dio; giustamente nel nuovo calendario liturgico essa conclude il tempo pasquale: Pasqua include il dono dello Spirito, perché il Verbo si è incarnato e Gesù è morto ed è risuscitato per meritarci il suo Spirito, che è anche lo Spirito del Padre.

INDICE

Presenta:done

7

LEZIONE PRIMA

L'unità dei d11e Testamenti Il pensiero della Chiesa Difficoltà cd csigcme attuali Il N.T. suppone noto l'Antico Il N.T. illuminuo dall'Antico li N.T. continua, perfezionandolo, l'Antico AppliCl2ioni co:icrct~ Conclusione

9 9 11

14 16 19 .z 3

26

LEzIONE SECONDA

La fede del N.T. alla luce della fede di Abramo (Rom.4) La salvezza non è dalla legge, ma dalla fede Che cos'è la fede che salva? La fede alla luce di quella di Abramo Il Vaticano Il e la vera fede

29 3r 34 )9

49

LEzioNE TE:llA

La giustizia di Dio rivelata in Gesù Cristo attestata dall!l Legge e dai p,.ofeti Il concetto di 'siustizia di Dio' nella lettera ai Romani Il concetto di 'Eiustizia' nel linguaggio comune Il pensiero di S. Tommaso Rinvio di S. Paolo all'A.T. Le pene medicinali oggetto della divina bontà Origine del diverso concetto di 'giustizia di Dio'

51

,1 '3

n '6 61 63

147

LEZIONE Qt:ARTA

L'Eucaristia sacrificio della Nuova Alleanza

67

Il rito dd s~uc richiamato dal Vaticano n Il sacrilicio di alleanza nell'A.T. L'impegno della Nuova Alleanza Il nuovo comandamento Più luce per i Documenti dcl Vaticano n

67

70 77 81 83

LEztON'P. QHTNT A

La morte di Gesù secondo S. Giovanni

87

L'istituzione aicaristica inizio della passione La passione liberamente voluca La morte di Gesù effusione dello Spirito Santo .. Non gli speueranno alcun OSSO» «Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto» Lo Spirito Santo donato alla Chiesa

87 89 92

9' 98 10,

LEZIONE SESTA

«La legge dello Spirita della vita che ci libera affinché il precetto della legge sia compiuto in noi» Rom. 8.2-4 107 Difficoltà: «La legge dello Spirito della vitD La soluzione della difficoltà in Geremia ed Ezechiele C.Onferme della soluzione:

108 1 1o

da Qumriln dalla i Tess.4.2-9

114

111 117

dalla 2 CGr.3.1-6 da Rom.7,6 La libertà cristiana Il compimento del pfft:etto Ruolo della legge esterna

119 119

124 l

'-7

LEZIONE SETTIMA

«lddio condannò il peccato nella carne» (Rom.8,3) Oscurità di Rom.8,3 148

i

31 131

Tentativi di sp:cgazionc Una ricerca per tappe Il giudizi.o mcssianic;:o nel N.T. Il senso di Ronr.8,3 Perché l«t"dxpw!V e non x.ci-dpytxEV