Dogmattica cattolica. Dio Redentore [Vol. 2.1]

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MICHELE SCHMAUS PROFESSORE ALL'UNIVERSITA DI MONACO

DOGMATICA CATTOLI CA

l.

INTRODUZIONE�DIO�CREAZIONE

II.

DIO REDENTORE�LA MADRE DEL REDENTORE

III/1. LA CHIESA III/2. LA GRAZIA IV/ 1. I SACRAMENTI IV /2. I NOVISSIMI

Titolo originale dell'opera KATHOLISCHE DOGMATIK Verlag Max Hueber - Miinchen

Edizione italiana a cura di Natale Bussi

Il EDIZIONE

Nulla osta:

Casale 24-V-1961.

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Can. Teol. L. Baiano, Rev. Ecci.

Imprimatur: Casale 30-V-1961. - Mons. M. Debernardis, Vie. Gen. Proprietà letteraria (2o-x1-1963).

PARTE PRIMA DIO REDENTORE (Cristologia)

NB. - Nell'edizione originale la Cl-istologia costituisce un volume a pam: con il titolo Sezione II: Dio Redentore, in dipendenza della Parte seconda del vol. I. Nel preseme vo­ lume, che per motivi editoriali raggruppa la Cristologia e la Mariologia, tale Sezione II ha mutato la denominazione in Parte 1: Dio Redenwre,

CAPITOLO I.

IL DECRETO DIVINO DI REDENZIONE

§ 138.

Prospetto.

L'umanità esistente alle origini in Adamo ed Eva dicendo no a Dio, alla sua somiglianza e amicizia, si è svincolata dal dominio divino, stac­ candosi cosi dalla santità, dalla vita, dalla gioia. Fuggendo da Dio, l'uomo è divenuto preda del peccato, della morte, della tristezza, della solitudine; in una parola, si è rovinato e perduro. L'esperienza dell'abbandono, del dolore, della morte, dell'insicurezza e dell'esilio, delle miserie e indigenze della vita, risvegliò in lui la coscienza e il sentimento della sua lontananza da Dio. Questa sua infelicità sgorgante dal peccato stesso è la punizione inflitta da Dio medesimo, la quale manifesta appunto lo stato di perdi­ zione, di miseria e di decadimento in cui l'uomo si trova dopo la colpa. Stato, questo, che invano l'uomo cerca di superare, poiché da sé non può costringere nuovamente Dio a quell'amore e amicizia, che egli ha tradito e distrutto. Per giungere a un cambiamento di situazione è neces­ saria una iniziativa che provenga da Dio. Soltanto lui può ristabilire il suo dominio salvifico nella storia wnana e in tal modo riannodare il distrutto vincolo d'amicizia; soltanto lui può rivolgersi di nuovo al figlio perduto giacente nella miseria e convertire il cuore tormentato da tristezza e da pene inenarrabili. Solo Dio può eliminare l'infe1icità e recare di nuovo al mondo dissacrato la santifìcazione che dovrebbe avere. E, in realtà, Dio ha di nuovo ricondotto l'umanità perduta nella casa paterna, non mediante ammonimenti e consigli, richiami e precetti, bensi con un suo atto : egli le si accostò, si rese presente nella storia umana, prese su di sé il destino umano (Guardini), sopportò la miseria dell'uomo e la vinse nella sua radice. Il che ebbe luogo med:ante l'incarnazione del Figlio di Dio. Decisa sin dall'eternità, promessa nel tempo, s'avverò nella pienezza dei tempi dopo millenni di brama e di tristezza, di speranze e

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di perplessità. Nell'attimo in cui Dio fece umana, l'umanità ebbe

il suo ingresso nella storia

un nuovo principio.

Principio questo che reca in sé la forza dell'ultimo compimento, che si attuerà alla seconda venuta di Cristo. Nel tempo intermedio tra l'ascen­ sione di Cristo e la sua parusia, la Chiesa, che è il popolo di Dio da lui creato, deve lavorare per addurre agli uomini il dominio divino, sia pure non nella sua ultima perfezione. L'uomo che si lascia dominare da Dio, ossia che a lui si assoggetta con tutto il suo essere, raggiunge la sal­ vezza. Chi accetta Cristo, chi lo accoglie con la fede viene rinnovato: partecipa alla vita, alla morte e alla risurrezione di Cristo e perciò alla gloria di Dio. Passa dalla morte alla vita, dal peccato alla santità, dalla rovina alla sicurezza, dall'indegnità all'onore5 dal disonore alla gloria, dalla lontananza all'intimità con Dio. A Cristo ci uniamo per mezzo della fede predicata dalla Chiesa e per mezzo dei sacramenti della fede, amministrati dalla Chiesa medesima. In essa, nella sua parola e nei suoi sacramenti, è presente Cristo per operarvi la salvezza in ogni momento fino al ter­ mine della storia.

piano salvifìco persona e l'attività di Cristo e il modo con cui la Chiesa, che continua l'opera di Cristo, adduce la signoria di Dio entro la storia umana in modo che gli uomini possano partecipare, mediante la fede e i sacra­ menti, alla salvezza, sino a quando Cristo tornerà per portare a compi­ mento la sua opera. Dovremo quindi nel corso del nostro studio esaminare il

di Dio, la

§ 139.

Tentativi umani di redenzione.

l . Nessuno può nascondersi che il mondo giace nel disordine e nello scompiglio. Si comprende quindi come siano stati fatti in ogni tempo -

dei tentativi per porvi rimedio. Sempre vi furono uomini che non solo cer­ carono di recare pace e gioia nell'ambiente limitato della loro vita, ma anche felicità e progresso, benessere e fiducia a tutta l'umanità o almeno a una grande parte di essa. Segretamente agisce in essi la coscienza che ognuno è responsabile per la collettività, che ciascuno è debitore verso gli altri, che ciascuno per la nascita è immesso in un complesso di doveri e di responsabilità, che abbraccia l'umanità non solo orizzontalmente, bensi anche verticalmente ossia in tutta la sua storia. Nel fatto che essi non accettano come un dato naturale e irreformabile che il mondo sia tormentato da tanti mali quali la fame, la malattia, la

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morte emerge la verità che il mondo stesso travasi attualmente in uno stato di opposizione a Dio e al suo originario piano di creazione. Il mondo doveva essere ben diverso. Ciò che a noi, a motivo di inveterata abitudine e deplorevole inavvertenza, sembra normale e naturale, è di fatto una si­ tuazione anormale e innaturale. Dio ha creato l'uomo per la vita e non per la morte, perché sia saziato e non perché senta la fame, perché trovi un tetto e non perché sia senza casa ; lo ha creato per la libertà e non per la schiavitu, per la letizia e non per la tristezza. Non ci dovrebbero essere né dolori, né morte, né malat tie, né miseria. Siamo in un mondo che il peccato ha colpito alla testa. Nella volontà di colui che vuoi cam­ biare tale stato di cose vive il segreto ricordo, anche se tenue e variamente deformato, di un mondo originariamente migliore, senza distruzioni e ro­ vine venute dopo la ribellione del primo uomo; in altre parole vive il

ricordo del paradiso. 2. Ma tutti questi tentativi puramente umani sono destinati a non raggiungere il pieno successo nel loro sforzo di bandire dal mondo il di­ sordine e la soffertnza, la rovina e la decadenza, di liberare l'uomo dalle conseguenze del peccato d'origine (cfr. § 1 3 8). Essi non riescono infatti a penetrare sino a quella profondità dalla quale l'infelicità scaturisce inin­ terrottamente. Essi non possono eliminare la separazione da Dio. Si, l'uomo, e particolarmente se colpevole, non può gettare il suo sguardo sino nel­ l'abisso tenebroso del peccato. Egli infatti può comprendere e capire che cosa esso sia solo nel grado e nella misura con cui conosce e senre Dio. Ma che cosa e chi sia Dio lo sanno assai meglio i giusti che non i pec­ catori, co!oro che gli stanno vicini che non quanti gli stanno discosti. Perciò anche la miseria del peccato la capiscono meglio coloro che da esso rifuggono, ossia i giusti anziché quelli che sono intricati nella colpa. Quindi temerà meglio il peccato non colui che piu ne avrebbe motivo perché ne è schiavo, bensi il giusto che vive nell'amore (cfr. § II 3). Il pieno orrore del peccato lo può di conseguenza avere soltanto Iddio, poiché lui sol­ tanto può comprendere se stesso. Ma anche se l'uomo potesse con il suo spirito misurare l'abisso della colpa, non gli sarebbe mai poss ibile di gettare un ponte sull'immensa di­ stanza che lo separa da Dio. Non vi è una scala che dia all'uomo la possi­ bi'ità di trascendere se stesso e di pervenire al regno del divino, nessuna possibilità di captare l' amicizia e l'amore di Dio. Quando qualcosa di si­ mile fu pensato, come ad esempio nel neoplatonismo, vi stava alla base una concezione panteistica, o quasi, di Dio. -

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L'uomo ha solo questa possibilità : procacciarsi nel mondo in rovina ordine di ripiego, in cui possa vivere e anzi trovare non poche sod­ disfazioni e gioie. La vita in certo senso scorre su di un binario anche in quell'ordine. Ma l'uomo non perviene tuttavia alla pienezza che Dio gli ha prestabilita. Rimane pur sempre nei limiti del finito. Non gli è possi­ bile pervenire alla infinita pienezza della vita tripersonale di Dio, dove, soltanto, il suo essere può raggiungere l'ultimo compimento. È perciò sotto tale aspetto assai piu povero dell'uomo che sta unito a Dio e quindi non riesce a realizzare pienamente se stesso. L'uomo non ha la libertà di trascurare tale pienezza d'esistenza per accontentarsene d'una limitata, poiché Dio, nel suo amore, lo ha destinato alla partecipazione della sua stessa vita e lo obbliga a ricercare la sua ricchezza infinita. L'uomo non si può sottrarre a tale obb!igo dal momento che Dio, essendo il Signore, ha la facoltà di disporre a suo riguardo. Perciò quando l'uomo s'accontenta d'una vita finita e limitata s'oppone in realtà allo stesso Dio. Si mette anzi in contraddizione con la sua stessa natura ordinata a Dio (cfr. § 1 05). Il che diviene ancor piu comprensi­ bile se si riflette che l'uomo, essendo di origine divina, è intimamente dominato dall'amore. In altre parole può vivere soiranto superando se stesso, per donarsi a un altro, e in ultimo per donarsi a Dio. Solo in tal modo egli può davvero realizzare se stesso. E soltanto nell'Iddio tripersonale può raggiungere la sua perfezione ultima. Se non può rin­ venire in Dio tale compimento, allora perdura nel suo cuore una tristezza invincibile. Cfr. § I40. un

3. Nell'epoca precristiana tutti i tentativi umani di redenzione erano prodromi di Dio Salvatore. Ogni pensiero e ogni amore terrestre era il preludio di quello divino. Ma in essi si nascondeva il pericolo che l'uomo si attendesse tutto dai suoi sforzi e piu nulla da Dio, che egli sti­ masse conveniente di porre la sua fiducia piu nei carri, nei cavalli e nelle alleanze umane senza piu ricorrere a Dio, alla sua potenza e misericordia. Spesso i salmi e i profeti biasimano una tale condotta (Sal. I9 [20], 8 ; Is. 30, 1-7. I 5 ; 3 I , I-3; 7, 9 ; 28, r6). Il cuore che confida soltanto nelle sue forze e che tutto vuole ottenere per suo conto, non riesce piu a va­ lutare i suoi limiti e si allontana perciò da Dio. Nulla piu vuol ricevere, ma tutto procurarsi da se stesso. Può persino non piu bramare Dio, né pensare affatto a lui. Diviene in tal modo comprensibile una cosa mun­ maginabile, che cioè Dio sia venuto in mezzo ai suoi e che i suoi non l'abbiano accolto (Gv. I, I I). -

§ 139.

TENTATIVI UMANI DI REDENZIONE

II

Non vi è infatti rovina peggiore di quella in cui incorre colui che piu non si accorge nemmeno del suo stato, né stoltezza peggiore di colui che si scosta da chi vuol ritrarlo dalla sua rovina e che passa oltre come se non avesse bisogno di aiuto. L'io che si racchiude in se stesso e che ama soltanto se stesso, si drizza contro ogni penetrazione della santità divina, dinanzi alla quale non può fare a meno che riconoscere la propria mal­ vagità. In Gv. 8, 31-59 Cristo promette ai Giudei la libertà a patto che essi ascoltino le sue parole. Chi crede in lui ha la vita e la libertà dei figli di Dio ; soltanto per mezzo di lui si possono conseguire tali beni. I Giudei gli obiettano che non ne hanno bisogno dal momento che già sono liberi. Essi non hanno nemmeno la capacità di capire che, essendo peccatori, stanno sotto la schiaviru del peccato, privi di libertà. E dire che non sono affatto deboli i vincoli che li incatenano, essendo essi figli e schiavi del diavolo. Ma come figli del padre della menzogna, il loro spirito e il loro cuore sono talmente disorientati da non sentire piu la necessità della liberazione e da ritenere, in una alterazione paurosa della verità, indemoniato e messaggero di Satana proprio colui che loro prometteva la liberazione dal peccato e dal demonio. È cosa mostruosa: il male inceppa gli uomini piu gravemente di ogni altra catena. E pur tuttavia chi giace in cosi dura schiaviru odia persino colui che lo vuoi liberare. Le tenebre possono venire fugate solo dalla luce. Ma chi teme la luce ama le tenebre e permane in esse (Gv. 3, 19 s.). Nonostante che i tentativi precristiani per raggiungere la salvezza non fossero immuni da si grave pericolo, si deve tuttavia riconoscere che essi costituivano una preparazione a Cristo. Vi si può persino vedere un'eco della promessa originaria fatta all'uomo da Dio (Gen. 3, 14 s.). Anche se essa nel corso dei secoli era stata avviluppata dai densi sterpeti della su­ perstizione e delle creazioni fantastiche, non era passata del tutto in oblio.

4.

Diversamente vanno invece giudicati i tentativi di redenzione del­ l'epoca postcristiana. Tali sforzi in quanto coscientemente cercano di so­ stituire o di rifiutare l'opera di Cristo, vanno intesi come opposti alla redenzione da Dio attuata. Per il fatto che non creano un ordine entro il mondo redento da Dio e non mettono in luce la liberazione apportata da Cristo, ma cercano di realizzarne una per loro conto, essi presentano un carattere antidivino, negano Cristo e la sua opera. Per ulteriori spie­ gazioni vedi § 70. -

5. Le precedenti riflessioni ci offrono la linea direttiva per giudicare tutte le dottrine e le attuazioni pratiche che nel corso della storia sono -

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apparse per redimere l'umanità. Ricorderemo, com'è ovvio, soltanto le principali. Esse si ricollegano tutte intimamente alla valutazione che danno all'abisso da cui sgorga l'infelicità umana, ossia al peccato e alla colpa. Diversa sarà infatti l'idea della redenzione di chi vede l'origine del disor­ dine nelle mancanze morali dell'uomo, negli atti di egoismo e di odio, nei crimini e nella cupidigia, nell'invidia e nell'orgoglio senza riferimenti a una realtà trascendente. Per costui il mondo si cambierà solo miglio­ rando la volontà umana. Chi cosi pensa porrà la sua fiducia nella istru­ zione e nell'educazione. L'educatore sarà apportatore di redenzione. Di­ versamente sarà concepita la salvezza da quelli che vedono la radice d'ogni male nella coscienza, nello spirito che si oppone al corpo. Costoro s'aspet­ teranno ogni salvezza da un

ritorno alla natura, dalla eliminazione dello

spirito per immergersi nel ritmo della vita. Il redentore dev'essere un ne­ mico o uno spregiatore dello spirito. Diversamente ancora sarà concepita la liberazione da colui che ritiene causa di ogni errore e di ogni disordine l'aver obliate le leggi della vita. Suo monito sarà quindi:

Vivi rettamente!

La sua speranza e la sua fiducia sono legate a questo evento. Nel corso della storia queste diverse concezioni si sono tra loro incro­ ciate e intrecciate piu o meno parzialmente. fatto che tutte si attendono la liberazione

È significativo e comune il dall'intelligenza e da sforzi

umani, dal basso e non dall'alto (Gv. 8, 23). Il mondo si trasforma cosi in un castello chiuso che non ha finestre o porte per una realtà extra­ mondana. Si tratta pur sempre di sforzi immanentistici anche là dove apparentemente si parla di Dio. L'iddio in cui si confida e che l'uomo si costruisce è pur sempre un dio non distinto dal mondo, ma costituente una parte di esso. Anche quando si concepisce com'essere personale, lo si pensa pure sempre alla stregua del mondo, del tutto simile ad esso. Che Dio sia qualcosa di ben diverso dal mondo e che lo trascenda in modo assoluto dev'esserci rivelato da Dio stesso. L'iddio che è parte del mondo, che è simile ad esso e della sua stessa qualità, è un dio a dispo­ sizione dell'uomo. Può, come ogni altra cosa cosmica, essere maneggiato, sia per mezzo della riflessione e della potenza umana, sia per mezzo della stregoneria e della magia. Quando le concezioni extrabibliche della salvezza si ripartono in auto­ soteriche ed eterosoteriche (autoredenzione ed eteroredenzione), ciò si deve solo intendere in un senso ristretto. In fondo sono tutte dottrine di auto­ redenzione, poiché soltanto nel campo biblico della fede si rinviene la concezione di un Dio immanente nel mondo e pur tuttavia ad esso tra­ scendente. La differenza tra i molteplici tentativi extrabiblici di redimere

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l'uomo sta nel fatto che in alcuni si spera di ottenere la redenzione diret­ tamente dalle forze umane e in altri dall'intervento di un dio, creato però dal cuore dell'uomo e quindi, in definitiva, anche qui è l'uomo che spera di redimersi da se stesso (cfr. §§ roo e 105). Solo con questa nota correttiva si può dire che le religioni extrabibliche accentuano che la liberazione proviene da Dio, mentre le filosofie precri­ stiane e quelle postcristiane ostili al cristianesimo affermano che essa de­ riva dai nostri proprii sforzi. Non è però sempre possibile fare una distin­ zione netta tra religione e filosofia, e quindi alcuni tentativi rimangono ambigui, ossia non si sa se classificarli tra quelli religiosi oppure tra quelli filosofici.

- Basti ricordare e delineare i seguenti tentativi: I. - Dottrine salvifiche filosofiche. a) Chiunque pensa che il fonda­ mento d'ogni infelicità consista non nel distacco da Dio bensi in una irrazionale ripartizione dei beni terrestri, in un disordine posto alla super­ ficie della terra e della stessa vita umana, in un ordine economico errato, crederà di porvi rimedio con misure economico-sociali o mediante la tecnica o la scienza. È la fede nel progresso - non fondata su ragioni ma su un vago sentimento - dell'illuminismo positivista e del marxismo distrug­ gitore d'ogni personalità umana. Di fronte a un idealismo e spiritualismo unilaterale, si deve riconoscere che questi movimenti sono non solo giu­ stificati ma anche necessari perché l'uomo è corpo e spirito e svolge la sua vita entro un mondo materiale. Tuttavia tali tentativi non potranno mai condurci alla liberazione, ma solo a distruzioni ancor piu temibili, se non saranno incanalati sull'ordine stabilito da Dio, ma saranno concepiti in modo assoluto ed esclusivo. b) Coloro che pongono la radice dell'infelicità nell'ignoranza, credono di potervi rimediare mediante la conoscenza. Spesso la conoscenza si ri­ collega con la fuga dal mondo sensibile e la soppressione della volontà di vivere. In questa corrente d'idee vanno incluse le religioni e le filo­ sofie indiane. Secondo il bramanesimo ( r 3 % della popolazione terrestre) la redenzione ha luogo quando si intuisce la coincidenza dell'Atm.an (l'io singolo) con il Brahman, il principio monistico dell'universo. In tale con­ dizione non vi è piu ragione per desiderare possedimenti e figli. Con spiccata originalità si presenta il buddismo, che trae il nome dalla figura storica di Budda. « Non vi è forse alcuna personalità religiosa che come Budda si presenti con una pretesa cosi straordinaria e che insieme la realizzi con tanta pacatezza. Egli viene celebrato come sublime, perfetto, 6.

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illuminato, ricco di scienza, pratico della strada, conoscitore del mondo, incomparabile educatore dell'umanità, maestro degli dèi e degli uomini. La sua autorità è incondizionata. Tutti gli esseri, non solo quelli umani ma anche quelli spirituali e divini, da lui attendono salvezza Lo stesso Brama, che nella tradizione vedica è senza alcun dubbio la divinità piu eccelsa, a lui chiede consiglio e dottrina ». Egli conosce la quadruplice verità della sofferenza: Tutto è dolore; causa del dolore è la sete d'essere; l'annientamento di tale sete sta nel distruggere ogni desiderio; il cammino verso tale meta è il sentiero divino (retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto pensiero, retta concentrazione). Finché l'uomo non ha raggiunta questa perfetta conoscenza deve rinascere di continuo e ripercorrere la sua esistenza. La scienza perfetta mette fine a tali rinascite e introduce nel Nirvana, stato in cui hanno termine e desi­ deri e dolori, inteso o come perfetta felicità o come cessazione della co­ scienza. Redenzione questa che include la fuga dal mondo, dalla cultura e che disprezza lavot'o e donna. Già da questo emerge una differenza essenziale con il cnstianesimo. Ma la diversità è ancor piu profonda, per quanto grande sia e possa essere l'importanza di Budda e del buddismo. Budda significa « il risvegliato ». Egli ha superata l'illusione. Egli ha po­ tuto parlarci cosi, perché ha conosciuta la legge dell'esistenza, la legge del dolore, l'origine di questo; perché ha potuto sapere come dalla sofferenza ci si potesse liberare attraverso l'ottuplice cammino. Senza di lui nes­ sun altro in quest'età del mondo arriverebbe a conoscere la legge dell'essere e della via della liberazione, ma solamente perché nessuno ne avrebbe avuto la forza, come non l'ebbe lo stesso Budda nelle precedenti rinascite. Gli uomini hanno quindi bisogno di lui come di una guida, ma saio in via di fatto, cosi come essi ora sono, non in linea di principio. In linea di principio ognuno potrebbe percorrere la stessa via, qualora fosse retta­ mente intenzionato e forte abbastanza. Il fine a cui Budda tende è il dis­ solvimento, il « non vi è piu nulla». Da questo momento egli realmente non è piu: rimane ancora il ricordo di lui, e per il resto vige « la Dottrina e la Comunità ». Della Dottrina però si ripete sempre che essa viene attuata con le proprie forze; con le proprie forze si percorre la via della liberazione... Alla richiesta del suo discepolo prediletto Ananda che egli volesse istituire prima della morte un ultimo ordine, risponde Budda : « Ananda, che cosa aspetta dunque da me la comunità dei monaci? Io ho predicato la Dottrina senza distinguere un interno e un esterno, poiché l'Illuminato non è avaro quando si tratta della Dottrina, come sogliano fare altrimenti i maestri... Cosi dunque cercate, Ananda, quaggiu luce e rifugio ...

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in voi stessi, non altrove, e cercate nella Dottrina della verità luce e rifugio e non altrove!... L'importanza religiosa del Budda è quindi straordinaria, ma alla fine egli dice solo ciò che fondamentalmente ognuno potrebbe dire. Egli mostra la strada che, anche senza di lui, sussiste col valore di una legge cosmica. La persona stessa del Budda non è parte essenziale di quel ch'è propriamente religioso; essa si estingue. È quindi logico presentare la fede nella persona in generale, come la forma piu pericolosa della illusione. In verità non c'è nessuna persona. L'apparenza di una personalità sussi­ stente deve, se l'uomo vuoi arrivare alla liberazione, venir eliminata strato a strato dicendo di ognuno: "Questo è nulla ", e non per cogliere alla fine un ultimo nucleo essenziale, ma per sopprimere ogni personalità » (R. Guardini, L'essenza del cristianesimo, trad. ital. di M. Baronchelli, Brescia 1950, 16-20). Cristo al contrario è unico e irreperibile, sicché ciò che avviene in lui, per principio non può realizzarsi in nessun altro uomo. Perciò la salvezza è vincolata alla sua persona. La salvezza è partecipata all'uomo che ac­ coglie Cristo per mezzo della fede e che nel battesimo a lui si unisce (cfr. il trattato sulla Grazia). Cristo non indica solo il cammino, ma è lui stesso il cammino a Dio. Budda e Cristo non si diversificano solo per la loro dottrina e la loro morale, ma per la qualità del loro essere e per la loro posizione nei riguardi della salvezza. Alla forma di redenzione per via di conoscenza appartengono pure lo gnosticismo (la redenzione significa liberazione dalla materia della scin­ tilla divina che è in ogni uomo; il che si attua mediante la conoscenza [ = gnosi] e proprio secondo i vari gradi in cui la scintilla rifulge gli uomini si ripartiscono in ilici, psichici e pneumatici); il manicheismo (la redenzione assai difficile specialmente presso la donna, consiste nel libe­ rare la parte luminosa dai legami delle tenebre, il che si attua per mezzo di un triplice sigillo: della bocca da cui piu non usciranno bugie e ca­ lunnie, delle mani con la fuga dal lavoro servile, del seno con la astensione dal matrimonio); le filosofie di Socrate e di Platone (la virtu è sapere), di Platino per cui la redenzione consiste nell'unione intellettuale con Dio attraverso vari gradi condizionati dall'estinzione del senso. Anche per Spi­ noza la redenzione è legata alla conoscenza di Dio da cui nasce l'amor intellectualis, senza alcuna speranza ad un contraccambio d'amore divino che è impossibile. Per Schelling il peccato consiste nel distacco dall'As­ soluto per vivere un'esistenza individuale e finita; perciò la redenzione consisterà nel far progredire sempre piu la coscienza dell'Assoluto che esiste nell'uomo. Schopenauer fa consistere la redenzione nell'eliminare

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la volontà di vivere; il che parte dal presupposto che non vale la pena di vivere la nostra vita. Edoardo von Hartmann asserisce che la morte individuale è la redenzione dell'individuo, come lo sarà pure per l'uni­ verso la sua distruzione mediante la comune volontà di non vivere che si raggiungerà al massimo vertice del progresso culturale, quando rutti i ten­ tativi di addurre felicità e benessere appariranno fallaci e illusori. Per Eucken la redenzione non si avvera mediante il ravvedimento, la penitenza e il cambiamento di vita, bensi nel riconoscere un mondo spirituale con­ cepito panteisticamente, immanente in ogni esistenza particolare, che è sorgente di forza, fine e supremo oggetto della vita spirituale. Si devono inoltre aggiungere il neo-buddismo, la teosofia e l'antroposofia (un con­ glomerato di dottrine buddistiche, neoplatoniche e cristiane); la psicoana­ lisi e la psicologia individuale che vedono la radice del male in complessi psichici e la salvezza nella loro eliminazione; la psicologia del profondo che pensa di condurre a salvezza l'uomo colpito dall'angoscia solo me­ diante l'arte psicoterapeutica senza alcun bisogno di rivolgersi a Dio, supe­ rando in tal modo la neurosi. c) Chiunque vede l'origine prima della miseria umana nel fatto che la volontà manca di forza e di direzione, metterà ogni sua speranza di salvezza nell'energia e negli sforzi morali. Vi si può includere il confu­ cianismo (8,5 % della popolazione terrestre), per il quale la redenzione consiste nell'eliminare la barbarie mediante le virtu civili, politiche e so­ ciali. Kant faceva consistere la perfezione della vita nell'adempimento del dovere per il dovere; Fichte la poneva nell'azione che ci conduce ad una piu compiuta libertà spirituale, ad una sempre piu piena realizzazione deli'io puro. Il peccato capitale e mortale è l'inerzia, l'accidia; ce ne libe­ riamo mediante l'attività: activitate iustificamur. d) Altri si aspettano la redenzione non da un determinato ordine della vita umana e nemmeno dallo sforzo e dal comportamento di una deter­ minata potenza spirituale, sia essa la volontà o l'intelletto, bensi dall 'a ffer­ mazione dell'esistenza o dal potenziamento della vita stessa. Per costoro ogni speranza di salvezza va riposta in un'umanità autosufficiente, bella e forte, o nel trascendere l'esistenza umana attuale per porne una nuova piu completa. Il primo modo di redenzione si palesò nell'ideale umanistico del rinascimento, dell 'illuminismo e del classicismo teutonico. Il profeta del secondo modo fu Nietzsche (filosofia della vita). Egli predicò la ne­ cessità di trascendere l'attuale stato di esistenza umana per raggiungere quello del superuomo, di superare l'esistenza ristretta e misera, per crearne una piu ricca e possente. Quest'esistenza è avvolta da un fervore religioso.

§ 1 39·

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Lo stesso mondo finito è divinizzato (Dio è morto, rimani fedele alla terra). Il santo e il santificante non va ricercato in un mondo ultraterreno, bensi nello stesso mondo presente. Dovrà essere raggiunto con la volontà di potenza, che generi il superuomo. e) Heidegger e Jaspers respingono di principio ogni redenzione. La filosofia di Heidegger non ci insegna un superamento dell'uomo nel super­ uomo, bensi il suo superamento nella morte. Guardando la morte l'uomo entra in se stesso e perviene alla sua esistenza autentica. Egli sperimenta d'essere votato alla morte e al nulla nel sentimento fondamentale dell'an­ goscia. Questo pensiero si trasforma in una esistenza tragico-eroica in cui l'uomo orgogliosamente e senza felicità afferma l'orrore della sua esistenza, senza alcuna speranza di liberazione. Jaspers proclama che la vita è rac­ chiusa in uno spazio limitato e colmo di pericoli. Ogni sicurezza, che pro­ viene dalla speranza in un aiuto divino, contrasta con l'affermazione fiera e orgogliosa dell'individuo. La vita dev'essere vissuta liberamente e fiera­ mente, tenendo lo sguardo fermo sul pericolo da cui non vi è scampo. Non si deve però trascurare la differenza tra Heidegger e Jaspers. Mentre J aspers afferma che non vi è alcun modo di sfuggire a questo mondo limitato per la semplice ragione che non vi è vera e propria trascendenza, Heidegger sembra intravvedere qualcosa oltre il « nulla », attraverso il quale rimane aperta una via verso l'essere. Cfr. L. S tefanini, Esistenzia­ lismo ateo ed esistenzialismo teistico, Padova 1952, 150-1 61. II. - Nelle religioni redentrici di solito il salvatore è una figura mi­ tica (animale, uomo, dio in sembianze umane). Una eccezione è presen­ tata, come abbiamo visto, dal buddismo che si può considerare anche come concezione religiosa e non solo come intuizione filosofica. Una figura mi­ tica di redentore ci è data dalle religioni primitive e dai culti misterici: Osiride in Egitto, Marduk in Babilonia, Adone in Siria, Attis nell'Asia minore, Mitra presso i popoli iranici ecc. Nei miti si riflettono simbolica­ mente la morte e la rinascita della natura ; nei redentori che essi ci pre­ sentano si esprime e si simbolizza l'intimo legame dell'uomo con la na­ tura medesima. La redenzione si ottiene partecipando alla morte e alla rinascita della divinità, ossia immergendosi nel ritmo della natura, il che significa l'annientamento dell'essere personale. La differenza tra le concezioni dei culti misterici e il cristianesimo è profonda e sostanziale. Nei culti misterici il salvatore è una figura mitica, nel cristianesimo una persona storica. Le concezioni redentrici mitiche provengono dalla terra, ed esprimono simbolicamente i desideri del cuore umano verso la liberazione. Cristo al contrario viene dall'alto, poiché in

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lui è il Padre celeste che si abbassa verso la terra. Nei culti misterici l'uomo annienta se stesso, in Cristo raggiunge, al contrario, la massima perfezione (cfr. § § I e 3 I). Oggi alcuni seguaci della teologia liberale, ad esempio Bultmann, pensano che anche la rivelazione cristiana sia mi­ ticizzata, specialmente per quanto concerne la morte espiatoria di Cristo, la sua risurrezione e ascensione al cielo, e cercano, conseguentemente, di smitizzarla in modo da renderla accetta anche all'uomo di oggi. Certo si deve ammettere che la rivelazione abbia potuto alle volte rivestirsi di forme derivanti dall'antica immagine del mondo, delle quali si è servita come mezzo di espressione (cfr. Enciclica Divino Affiante Spiritu del 30 settembre I943); ma la smitizzazione di cui parla Bultmann è influen­ zata dallo spirito moderno dell'uomo e dal suo soggettivismo, per cui egli stesso decide ciò che dev'essere vero e ciò che tale non può essere me­ diante una cernita aprioristica, anziché accogliere con semplicità ciò che di fatto è storicamente provato. Cfr. L. Malevez, Le message chrétien et le mythe, Bruxelles-Bruges-Paris 1954; R. Marlé, Bultmarm et l'inter­ prétation du N. Testament, Paris I956; G. Miegge, L'Evangelo e il mito nel pensiero di R. Bultmann, Milano I956; A. Vogtle, Rivelazione e mito, in Problemi e orientamenti di teologia dogmatica, I, Milano 1957, 8 27-960.

§ 140. Dio, unico salvatore deU'oomo. l. Ogni tentativo redentore compiuto dall'uomo con le sole sue forze, per quanto possa essere grandioso e preso sul serio, per quante fatiche, sforzi e lagrime possa comportare, deve necessariamente fallire perché il suo è un compito irrealizzabile, dovendo distruggere il peccato. L'umanità -

non può da se stessa liberarsi dal peccato e tornare di nuovo a Dio: né lo possono i pagani mediante le forze della natura né lo possono i Giudei mediante la lettera della Legge. Questo dogma di fede fu asse rito dal Concilio di Trento (Sess. 5, cap. 3, Denz. 790; cfr. il testo nel § I 32). Nella Sessione 6 (cap. I e 2, Denz. 793 s.) è detto: « Il sacrosanto Con­ cilio dichiara in primo luogo che per ben comprendere la dottrina della giustificazione si deve riconoscere e confessare che tutti gli uomini hanno perso l'innocenza a causa del peccato di Adamo (Rom. 5, 12 ; I Cor. I 5, 22), sicché tutti sono divenuti impuri (Is. 64, 6), (come dice l'Apostolo) " figli d'ira " (Ef. 2, 3), " schiavi del peccato " (Rom. 6, 20) e stavano talmente sotto il potere del demonio e della morte che non solo i Gentili con le forze della natura, ma nemmeno i Giudei con la lettera della Legge

§ 140.

DIO, UNICO SALVATORE DELL ' UOMO

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mosaica potevano liberarsi e risorgere, pur non essendo il loro arbitrio totalmente estinto (can. 5) ma solo attenuato e inclinato al male. Per questo, quando venne quella beata pienezza di tempi, il Padre celeste, che è Padre di misericordia e di ogni consolazione" (2 Cor. I , 3), ha inviato il suo Figlio, già manifestato e promesso a molti santi padri prima della Legge e durante il periodo mosaico, affinché redimesse i Giudei che stavano sotto la Legge e i pagani che non seguivano la giustizia potessero cono­ scere la giustizia (Rom. 9, 30) e in tal modo tutti ricevessero l'adozione a figli di Dio. Cristo è stato posto come propiziazione per i nostri peccati mediante la fede che si ha nel sangue suo (Rom. 3, 25) e non solo per i nostri peccati ma anche per quelli di tutto il mondo (I Gv. 2, 2) ». Si veda al riguardo il canone r: « Se qualcuno dirà che l'uomo può venire giustificato davanti a Dio mediante le forze naturali o mediante la dot­ trina della Legge, prescindendo dalla grazia divina che si ottiene in Cristo Gesu, sia anatema » (Denz. 8 I 1 ). "

2. L'insegnamento del Concilio di Trento non è altro che la fedele riproduzione di quanto la Bibbia chiaramente afferma. I. Tutto l'Antico Testamento testimonia che la salvezza dell'uomo caduto per sua colpa nella miseria e nella morte può venire esclusivamente da Dio, in quanto egli ha deciso nella sua incomprensibile misericordia di salvare coloro che erano perduti. Ma Dio non costringe gli erranti a salvarsi ; egli s'accontenta di presentare loro la salvezza sospingendoli ad accettarla con promesse, minacce e incitamenti, pur non togliendo loro la libertà. Nasce cosi una specie di lotta tra Dio che vuol condurre l'uomo a salvezza e l'uomo che al contrario non vuol lasciarsi guidare ad essa, benché ne abbia estremamente bisogno. La volontà salvifica di Dio trova spesse volte l'opposizione dell'uomo, il quale, proprio per tale sua oppo­ sizione, s'affonda sempre piu nell'abisso del male che lui medesimo si è schiuso. Ma quanto piu vi si immerge tanto piu insistenti divengono i richiami divini, piu impressionanti le minacce di giudizio e piu luminose le promesse di Dio. I modi con cui Dio opera la salvezza dell'uomo corrispondono ai modi con cui questi scava la fossa alla sua vita e alla sua felicità. La morte viene a lui in quanto si scosta da Dio; la salvezza verrà solo per mezzo di Dio che gli si accosta e palesa cosi la sua signoria. Dio attua quindi la salvezza umana in quanto cerca di ristabilirvi il suo dominio palesan­ dosi re dell'uomo. Ma proprio qui i tentativi divini si spezzano di fronte a colui che di continuo vuol ancorarsi alla roccia della propria volontà, -

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P. l.

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DIO REDENTORE

divenendo in tal modo sempre meno atto a tornare a Dio e ad attuare la condizione della sua salvezza, ossia la conversione a Dio medesimo. Perciò la lotta tra la volontà salvifica di Dio e la volontà dell'uomo, bisognoso di salvezza ma che si rivolta contro di essa, si trasforma in una lotta per la signoria di Dio. La testimonianza della volontà salvifica di· Dio diviene perciò una testimonianza dell'avanzare e retrocedere, del rin­ vigorirsi e indebolirsi del regno di Dio nell'umanità, finché verrà defini­ tivamente stabilito da Cristo, anche se non ancora nella sua ultima forma. Le testimonianze veterotestamentarie del piano divino di redenzione si possono ripartire in due gruppi: il primo riguarda rutti quegli atti in cui Dio stesso apporta immediatamente la salvezza e il secondo tutti gli altri atti in cui Dio l'attua mediante strumenti terrestri. Vedremo anzitutto il primo gruppo di testimonianze che di fatto sono tutte allusioni alla sal­ vezza che Dio attuerà per mezzo di Cristo. Secondo Matteo 1 1, 1 3 tutti profeti e la Legge hanno « profetizzato " sino a Cristo. a) Secondo Genesi 3, 15 lo stesso Dio è colui che emene la sua sentenza contro l'uomo colpevole e nello stesso tempo lo libera dalla disperazione. In co­ loro che sono cacciati dalla pienezza della vita e dalla iilcurezza in cui vivevano nel paradiso terrestre suscita una speranza che, come una grande luce sona agli albori dell'umanità, accompagna l'umanità stessa anche nei tempi piu tenebrosi della sua storia. Dio promette la liberazione dal male. • E il Signore Iddio disse al serpente: Perché hai fatto ciò, sii tu maledetto tra tutto il bestiame e tra tutti gli animali selvatici; tu camminerai sul tuo ventre e morderai la terra tutti i giorni della tua esistenza. lo porrò irumicizia tra te e la donna, e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiacceril il capo menue tu ti avventi al suo calcagno » (Geo. 3, 14 s.). La punizione di Dio all'umanità colpevole e inabissata nel peccato ha rag­ giunto un'acme spaventosa al tempo del diluvio. Ma Dio ha in quell'epoca stabilito con Noè e con la sua famiglia scampata all'immane disastro un patto che garantisce ai salvati il futuro ausilio. Per sua benevolenza si lega ai noachidi con fedeltà eterna; e ne stabilisce pure un segno nell'arcobaleno. « Parlò poi Dio a Noè e ai suoi figli ch'erano con lui: Ed io, ecco stabilisco il mio pano con voi e coi vostri discendenti dopo di voi, e con ogni animale vivente che è con voi: uccelli, bestiame e fiere terresui; con tutti insomma gli animali che uscirono dal­ l'arca. Stabilisco un patto con voi: che mai piu sarà distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio; né piu verrà il diluvio a guastare la terra... questo è il segno del patto ch'io pongo fra me e voi ed ogni essere vivente che è con voi per le gene­ razioni future. L'arco da me posto sulle nubi, servirà di segnale del patto tra me e la terra. Or quando io adunerò le nubi sulla terra, apparirà l'arco nella nube, ed io ricorderò il mio patto tra me e voi ed ogni anima vivente in qualsiasi carne; né piu le acque diverranno un diluvio per distruggere ogni carne» (Gen. 9, 8-15; cfr. 8, 20-22). Il patto noachico, che si racchiudeva si può dire nei ranghi della religione

§ 140. DIO, UNICO SALVATORE DELL 'UOMO

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naturale, fu rinnovato e perfezionato con Abramo (Gen. 12-25). Dio intervenne nuovamente con la sua potenza nel corso della storia. Egli chiamò Abramo da Ur della Caldea dov'egli abitava, e trancio fuori dalla sua terra, dalla sua fa­ miglia gli comandò di recarsi in una terra tgnota, verso un avvenire ancora piu ignoto, promettendogli di renderlo capo di molte tribu e di un popolo nu­ meroso e che per lui i popoli tutti della terra sarebbero stati benedetti (Gen. 12, r-3. 14- 18). Abramo ubbidi e iniziò la vita randagia che gli era stata prescritta. Dovunque difficoltà e pericoli. La terra promessa non si faceva vedere. Ma Abramo mantenne la sua fede nelle promesse divine. E Dio gli rinnovò la sua parola: «Quando Abramo fu giunto ai novantanove anni gli apparve il Signore e gli disse: Io sono l'Iddio onnipotente; cammina dinanzi a me e sii perfetto. Io farò un patto fra me e te, e ti accrescerò molto, molto. Abramo si gettò boc­ coni e Dio gli parlò cosi: Io, ecco, il mio patto è con te; e tu diverrai padre di una folla di popoli, né piu ti chiamerai Abramo sebbene Abraham, perché ti faccio padre di una folla di popoli, e persino re usciranno da te. E manterrò il mio patto con te e coi tuoi posteri dopo di te nel corso delle loro generazioni, qual patto perpetuo, per essere Dio tuo e dei tuo1 posteri dopo di te, e darò a te e ai tuoi posteri dopo di te la terra dove vai ramingo, tutto il paese di Canaan, in proprietà perpetua; e sarò loro Dio» (Gen. 17, 1-8). Abramo credette in tal modo da non perdere mai la sua fiducia in Dio, anche quando egli cadde nella polvere senza aver visto l'attuazione della promessa divina. La Lettera agli Ebrei elogia la fede di questi patriarchi perché essi mai vacillarono nella fiducia alle promesse divine e ciò che era loro personalmente assicurato se lo aspenavano fiduciosi per la loro posterità. Dio era visto come il salvatore che al momento giusto avrebbe attuato la sua parola. « Per la fede Abramo obbedi alla chiamata di partire per un paese che doveva rice\rere in eredita; e parti ignorando dove an­ dava. Per la fede venne a soggiornare nella terra della promessa come in terra straniera, abitando sotto le tende, con Isacco e Giacobbe coeredi della medesima promessa; poiché aspettava la città che ha salde fondamenta, di cui architetto e costruttore è Dio. Per la fede Sara ricevette la forza di concepire, e questo oltre l'età appropriata, poiché ritenne fedele chi aveva fatto la promessa. Per questo pure da uno solo, e per di piu, pressoche morto, derivò una discendenza come le stelle del cielo per moltitudine e come l'arena lungo la spiaggia del mare, innume­ rabile. Nella fede morirono turri costoro, senz'avere conseguite le cose promesse, ma avendole vedute e salutate da lontano e avendo riconosciuto d'essere forestieri e pellegrini sulla terra. Coloro infatu che parlano cosi, mosLrano chiaro che essi cercano una patria. E certo, se avessero fatto menzione di quella onde erano usciti, avrebbero avuto opportunità di ritornarvi. Ora invece essi aspirano ad una migliore, cioè celeste: per questo di loro non si vergogna Iddio nell'essere chia­ mato Dio da loro; poiché ha preparato per essi una città» (Ebr. 1 1, 8-16). Quando Giacobbe, nipote di Abramo, stava per lasciare questa terra e riunirsi con i suoi padri, radunò i suoi figli per congedarsi da loro. E nella benedizione allora pronunciata egli disse: «Da te, o Signore, io attendo salute» (Gen. 49, r8). Giuseppe dimorò in Egitto con i suoi fratelli. E quando conobbe che era giunta la sua ora cosi disse: « Io muoio, ma Dio certamente verrà in vostro soccorso, e vi farà salire da questo paese alla terra da lui giurata ad Abramo, ad !sacco e a Giacobbe ». E fece loro giurare di portare le sue ossa in Canaan: c Come

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DIO REDENTORE

Dio certamente verra m vostro soccorso, voi porterete via di qua le mie ossa » (Gen. so, 22-26). Anche se i patriarchi scendono uno dopo l'altro nella romba, la loro speranza non muore con loro, ma si trasmette da una generazione all'altra. c Per la fede Giuseppe, in fin di vira, menzionò l'uscita dei figliuoli d'Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa », commenta l'epistola agli Ebrei ( t i, 22). Dio intraprese la liberazione mediante il suo servo Mosè, a cui diede l'incarico di condurre verso la terra promessa le tribu d'Israele ancora viventi, e cioè i discendenti di Abramo. Cosi egli comanda : « Di' dunque ai figli d'Israele : Io sono il Signore; io vi trarrò dall'oppressione degli Egizi, e dalla servitù loro vi salverò, vi libererò con braccio reso e con puni zioni grandi. Vi assumerò come mio popolo, e sarò vostro Dio, e voi conoscerete che io sono il Signore, il vostro Dio, che vi fa uscire dall'oppressione degli Egiziani. E v'introdurrò nel paese, che con la mano alzata ho promesso di dare ad Abramo, a !sacco e a Giacobbe; ve lo darò in possesso perpetuo. Io sono il Signore » (Es. 6, 6-8). Il cammino verso la terra promessa era pure il cammino verso la libertà, ma un cammino denso di pericoli e di lotte, sicché non rare volte le tribù liberate pre­ ferivano la quiete c la sicurezza della schiavilù a uno stato simile. Avrebb.:ro pre­ ferito la schiavitu egizia alla morte nel deserto! (Es. I4, to-14). Ma Dio stesso ne era il fidato condoniero : « E il Signore andava loro innanzi, di giorno in una colonna di nube per guidarli nel canunino, di notte in una colonna d1 fuoco per far loro luce, onde potessero camminare di giorno e di notte » (Es. r3, zr s.). Quando il Faraone con seicento carri da guerra rincorse gli schiavi fuggitivi per ricondurli al loro lavoro, Iddio mostrò la sua immensa superiorità sulle forze della terra. Pavidi gridano gli Israeliti a Mosè, come se fossero stati condotti da lui a una morte certa, tosto che videro avanzarsi auorno a loro le armi nemiche : c Forse perché non c'erano cimiteri in Egitto che ci hai condoui a morire nel deserto? ,. (Es. I4, 1 1). Ma Mosè è convinto che colui che lo ha tratto dalle acque del Nilo, può ora con un piccolo cenno del capo aprire un varco asciutto anche in mezzo al Mar Rosso. Ed egh assicura : t: Non temete.. siate forti e vedrete la salvezza del Signore che egli oggi recherà a voi, perché quegli Egiziani che oggi avete visti, non lì tornerete mai piu a vedere in eterno. Il Si­ gnore combatterà per voi, senza che voi ve ne diate pensiero » (Es. 14, 13 s.). Dio è il Liberatore. Quand'egli ha deciso di apportare salvezza, nessuna forza ostile gli si può opporre. La salvezza del popolo attraverso il mare è un atto di potenza tale che mostra il destino riservato ai figli di Israele. « Tu soffiasti con il tuo alito; li copri il mare; sprofondarono come piombo in acque poderose. Chi a te pari tra gli dèi, magnifico in santità, venerando per gloria, operatore di pro­ digi?» (Es. 15, IO s.). Israele capi il segno : « Israele vide il grande prodigio che il Signore aveva operato contro gli Egizi; e temette il Signore; e credette al Signore e a Mosè suo servo » (Es. 14, 31). Il passaggio del Mar Rosso è una pietm miliare sulla via della salvezza. Rivela la potenza e la decisione di Dio di sgominare tutte le potenze ostili per raffer­ mare il suo dominio sul mondo e salvare coloro che sono senza aiuto. Si com­ prende allora come la Sacra Scrittura per questo atto possente esalti Dio come il vero liberatore e salvatore (Is. S I , 9-11; Sal. 74 [73], I3; 89 [88], 10, ecc. in circa zo passi; cfr. pure Es. r 8, ro). Dio stabili poi con le tribu liberate un patto sul Sinai, che rinnovò quelli

§

140. DIO, UNICO SALVATORE DELL' UOMO

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precedenti dando loro la forma definitiva per i l tempo precristiano. Dal momt: il Signore chiamò Mosè in questJ termini : « Cosi dirai alla casa di Giacobbe e dichiarerai ai figli di Israele : Voi avete veduto ciò che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portati sopra ali d'aquila e vi ho condotti a me. Ora dunque se voi attentamente ascolterete la mia voce e osserverete il patto mio, sarete mia spe­ ciale proprietà fra tutti i popoli; poiché mia è tutta la terra ; e voi sarete per me un regno di sacerdoti, gente santa » (Es. 1 9, 3-5). Nel sacrificio d'ogni mattina Dio si rivelerà dinanzi al padiglione del convegno, affinché tra tutti i popoli che son !ungi da Dio, Israele abbia un luogo d'incontro con il suo Dio : c E abi­ terò in mezzo ai figli d'Israele, e sarò Iddio loro. E riconosceranno che io, il Signore, sono il loro Dio; il quale li ha uatti fuor del paese d'Egitto, per abitare nel mezzo di loro : io il Signore, il loro Dio » (Es. 29, 45 s.). Dopo che il popolo ebbe rotto il patto sancito, Dio, dietro preghiera di Mosè, lo rinnovò : « Ecco, io stringo un patto : io farò in presenza di tutto il popolo meraviglie, quali non furono operate in tutta la terra, né fra nazione alcuna; e tutto il popolo, in mezzo al quale tu sarai, vedrà l'opera del Signore; poiché ter­ ribile è infatti quanto io sto per fare con te » (Es. 34, IO). Aronne e i suoi figli, per ordine del Signore, cosi dovranno benedire i figli di Israele : « Il Signore ti benedica e t.i conservi; il Signore volga a te sereno il suo volto e ti sia benigno; il Signore posi gli occhi su di te e ti conceda la pace » (Num. 6, 22-27). Il re moabita Balak al vedere l'immensa moltitudine del popolo d'Israele, s'impaurisce e fa venire per maledirlo il mago e indovino Balaam, che tuttavia per ordine di Jah vè deve benedire Israele : c Come maledirò? Dio non ha maledetto ! Come imprecherò? Dio non ha imprecato! Dalla cima delle rocce io lo vedo, dall'alto dei colli io lo contemplo. Ecco un popolo che ha la sua sede a parte, e tra le nazioni non si annovera. Chi può contare la polvere di Giacobbe, e numerare gli accampamenti d'Israele? Possa io morire la morte del giusto, e sia la mia fine simile alla sua » (Num. 23, 7-10). Quando il popolo spezzerà il patto srabilito da Dio, sarà colpito dalla male­ dizione divina. Disseminato tra molti popoli, scacciato da un'estremità all'altra della terra non potrà avere riposo né godere quiete e nemmeno pouà scomparire. Dio gli vuoi lasciare la possibilità del ritorno : « Quando però ti sopraggiunge­ ranno tutte queste cose, la benedizione e la maledizione, che io ti ho proposto, e le richiamerai alla mente in mezzo a tutte le nazioni tra le quali il Signore, tuo Dio, ti avrà bandito, e tornerai al S ignore, tuo Dio e ascolterai, tu e i tuoi figli, la tua voce... il Signore, tuo Dio, murerà le tue sorti, avrà compassione di te e di nuovo ti radW1erà di mezzo a tutti i popoli, in seno ai quali ti aveva disperso. Quand'anche si trovassero i tuoi dispersi all'estremo lembo del cielo; di là ti r01dunerà il S ignore, tuo Dio, e di là verrà a prenderti ; e il Signore, tuo Dio, ti condurrà alla terra che i tuoi padri possedettero e ne prenderai pos­ sesso, ed egli ti renderà piu felice e piu numeroso dei padri tuoi » (Deut. 30, 1-7). Dio è verace e non permetterà giammai che il suo popolo scompaia. La fedeltà divina anche nel cosiddetto cantico di Mosè è indicata come una potenza che sola può salvare e dare libertà. Cielo e terra sono invitati a tacere per ascoltare ciò che Mosè ha da dire. La sua parola infatti, annuncia la salvezza dell'uomo che è il piu profondo mistero della storia. Il popolo rovinato dall'abbondanza, di continuo si allontana da colui che solo può dare salvezza, seguendo in ciò

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DIO REDENTORE

gli esempi dei popoli circonvicini. Ma Dio, pur nella sua ira, non lo distruggerà totalmente. Ne salverà un resto, destinato a rendergli onore. Quando il popolo dopo aver abbandonato Dio, pone la sua fiducia nelle potenze di questo mondo, s'illude che esse siano piu possenti di Dio; al contrario Dio solo è la vera rupe

32, 1-43 ; cfr . 33, 3). b) Al tempo dei Giudici e dei Re i conquistatori della terra promessa furono

alla quale Israele deve star ancorato perché non abbia mai a vacillare (Deut.

sempre sottoposti al pericolo di cadere sotto l'influsso della cultura cananea con il relativo culto degli dèi e delle dee della fertilità, dimenticando cosi del tutto l'Iddio che li aveva liberati o almeno accomunandolo con i la

c

regina del cielo » Astarte (Ger.

44, n).

baalim mitici o con

Ne derivò la schiavitu e l'oppres­

sione del popolo, che veniva liberato quand'esso ritornava a Dio. I secoli che tra­ scorsero tra la conquista della terra cananea e la venuta di Cristo si avvicen dano con il seguente ritmo :

allontanamento del

popolo

dal vero Dio - punizione

divina - ravvedi mento del popolo - benedizione di Dio sino ad una

nuova

caduta e cosi per una catena ininterrotta. Con tal modo d'agire Dio si mostra fedele al suo patto

ma

anche si potente da ricondurre di continuo, e nonostante

tutte le opposizioni, il suo popolo al fine prefisso. Se ne veda la documentazione in

Giosuè 24, 2-24 e in Giudici 2, 1-23. In quei tempi selvaggi Dio pose il destino del suo popolo anche in mano di

una donna,

Debora, che quale giudice radunò tutte le tribù e le condusse a una

guerra vittoriosa contro gli oppressori. Essa esaltò Dio in un cantico che ci è stato conservato :

e:

Del vessillo spiegato dai duci d'Israele, del generoso accor­

rere del popolo, ben edite il Signore. Udite, o re, ascoltate, o principi ! Io al Si­ gnore, voglio innalzare un camo, inn eggerò al Signore Iddio d' Israele ! Signore, quando tu movesti da Seir, quando ti avanzasti dai campi di Edom, la terra tremò, si turbò anche il cielo, anch.: le nubi si sciolsero in acqua ; i munti rabbrividirono innanzi al Signore del Sinai, innanzi al Signore, Iddio d'Israele » (Giud.

5, 1 -5. 31).

Dio si è mostrato un meraviglioso salvatore. Quasi a corollario del fatto prece­ dente si legge la chiusa :

c

Perciò la terra ebbe riposo per quaran t'anni



(Giud.

5, 31). Dio è l'unica speranza che il popolo possieda. Di Samuele, ultimo giudice, che cosi alacremente si affaticò per liberare il popolo dalla dura oppressione filistea,

abbiamo

le consolami parole :

" Se con

tutto il cuor vostro tornate a Dio, se levate via di mezzo a voi gli dèi stranieri, e ir:dirizzando

il vostro cuore al

Signore, servite

a

lui

solo; egli vi libererà dal

potere dei Filistei » ( I Sam. 7,

3)- V erso lo stesso tempo (circa il 1030 a. C.) incominciarono pure ad agire g1·uppi di projeli, che condussero una lana acca­ nita contro gli impotenti baalrm della popolazione cananea a favore dell'onnipos­ sente dominatore,

l'Iddio

d'Israele.

Questi

è infatti

il

creatore

di

ogni

cosa,

questi con un palmo della mano misura tutta la terra, per lui i popoli tutti sono come piccole goccioline d'acqua, che scorrono senza nemmeno che se ne accorga. Chi ha una tale fede in Dio, non si rassegna quando vede le tenebre che senza punto diminuire lo attorniano.

Egli

anzi eleva la speranza dal

presente

verso

un avvenire meraviglioso e con intensità grande.

Davide segnò una prima attuazione della speranza riposta in Israele. Egli scon­ fisse tutti i suoi nemici, espugnò la fonezza Gebusea, facendone la capitale del suo stato. Anzi, ne fece una città santa. La capitale del suo regno divenne una

§ J40. DIO, UNICO SALVATORE DELL 'UOMO

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città di Dio, una perenne garanzia che il Signore era presente in mezzo al suo popolo. Nei salmi cosi si canta : « Ciò che ha fondato sui sacri monti ama il Signore, le porte di Sion ( ogg1 cosi si chiama la collina occidentale, allora lo era invece la parte orientale della collina) più che tutte le abitazioni di Gia­ cobbe. Stupende cose di te si dicono, o città di Dio » (Sal. 87 [88], 1-3). Dio fece il suo ingresso nella città durante una festa straordinaria, in cui Da­ vide vi fece addurre l'arca dell'alleanza. Dio prese allora possesso della città, che divenne cosi la sua città. Da quel luogo santificato esercitò la sua signona su tutti i re della terra. Egli è l'unico re, Davide ne è solo il luogotenente ter­ restre. Il suo tron.:> è stabilito per l'eternirà (Sal. 47 [48]; 92 [93 ] ; 1 44 [ 1 45]; 9 6 [97] ecc.). Compito del re è quello di dare libertà al suo popolo annientandone gli atten­ tatori. La signoria divina è salvezza per il popolo di Dio (I Sam. 9, 16; 10, 1 ; 8 , 20; Io, 27; I I, 20; 2 Sam. 3 , r8; 7, 9 ; I4, 4 ; I 8, 28. 3 2 ecc.). Nulla può opporsi alla sua potenza. Egli è infatti signore e re di tutta la terra. Anzi egli ne è il crea­ tore che con piena libertà dirige il corso sia della storia che della natura. La si­ gnoria di Dio è quindi in stretto legame con la creazione (Sal. 92 [93 ], I ; 95 [96], ro; 94 [95], 3; 88 [89], Io-I6; 97 [98], 6). La realtà sta, tuttavia, ben al di sotto delle speranze che si attendono dalla signoria divina. Essa si protende nel futuro. Dio è anzitutto un re nascosto. Ma la fiducia nella sua potenza, che non può essere scessa da alcun pericolo, rimane incontrastata e viva. Nonostante tutte le illusioni contrarie, la parte credente del popolo vede nel suo Dio una rocca e una difesa sicura. La fede in Dio fa elevare la preghiera perché essa gli si sveli nella realtà. Questa speranza ci fa meglio comprendere l'assicurazione di Cristo che il regno di Dio da tanto tempo atteso sta per avere il suo compimento (Mc. I, 15). Tale brama che si trasmette di gene­ razione in generazione è racchiusa nella preghiera neotestamemaria : Venga il tuo regno! Davide poté cosi caratterizzare i risultati del suo governo : c Sii tu b enedetto, o Signore, Dio di Israele nostro padre, di eternità in eternità! Tua o Signore, è la grandezza e la possanza e la gloria e lo splendore e la maestà; giacché tuo è tutto ciò che sta nei cieli e sulla terra! Ti è proprio, o Signore, il regnare e l'in­ nalzani sopra ogni cosa qual capo. Ricchezza e gloria da te procedono, e tu do­ mini su tutto; nella tua mano ci sono forza e possanza, e sta in mano tua rendere ognuno grande e potente. Perciò adesso nm ti celebriamo e lodiamo il tuo nome glorioso ... O Signore, Dio d'Abramo, di lsacco e di Israele padri nostri, conserva in perpetuo queste disposizioni nella inclinazione dell'animo del tuo popolo e dirigi verso di te il loro cuore. A mio figlio Salomone poi da' un cuore perfetto, onde osservi i tuoi precetti, i tuoi ammonimenti e le tue leggi; tutto ponga in opera e costruisca il palazzo per cui ho fatto i preparativi » (I Cron. 29, IO-I9; cfr. pure I Cron. r6, 8-36). Il ricordo del regno davidico e dell'apice in esso raggiunto accese 1a speranza nella salvezza divina anche nelle ore piu tragiche e oscure della storia nazionale. Morto Davide il popolo cadde di nuovo nell'idolatria, e non appena un secolo dopo il re Achab introdusse il culto di Baal. Il profeta Elia s'oppose a tale defe­ zione del popolo. La gente si è data al culto delle divinità pagane della fertilità, ebbene essa proverà per tre anni una terribile siccità e conseguente carestia =

P. I.

- DIO REDENTORE

(I Re I7, I). Questi i frutti dell'infedeltà nazionale. Dinanzi all'incertezza di rutta la gente Elia esige una decisione sul Carmelo : « Fino a quando andrete barcol­ lando fra due contrari? Se il Signore è il vero Dio, seguitelo; se invece è Baal, andate dietro a lui » (I Re 1 8, 21). « Profeta del Signore sono rimasto io solo, mentre i profeti d1 Baal sono quattrocentocinquanta. Orbene : ci si diano due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo mettano sopra la legna, ma non vi appicchino il fuoco; io poi appresterò l'altro giovenco e lo porrò sopra le legna senza appiccarvi il fuoco. Quindi voi invocherete il nome del vostro Dio, e io invocherò il nome del Signore. Vero Dio è quello che risponderà col fuoco ... Venuto il tempo dell'offerta del sacrifizio, il profeta Elia si avan7..ò e disse :

Si­

gnore Dio di Abramo, di !sacco e di Israele, si renda noto oggi che tu sei Dio d'Israele e che io sono il tuo servo e che per ordine tuo ho fatto questo! Esau­ discimi, o Signore, esaudiscimi; e riconosca questo popolo che tu, o Signore, sei il vero Dio e tu avrai convertito il suo cuore! Cadde allora il fuoco del Signore e consumò l'olocausto, le legna, le pietre, la terra e asciugò l'acqua del fossatello. Tutta la moltitudine ciò vedendo si gettò con la faccia a terra esclamando : Il Si­ gnore è il vero Dio! Il Signore è il vero Dio! » . Con la vittoria di Jahvè e la susseguente pioggia ha termine la lotta del Signore con i baalim cananei. Ma Elia deve fuggire dinanzi

a

Gezabel sino al monte Horeb; e Dio gli appare cosi di­

cendo : « Che fai tu qui, Elia?

».

Egli rispose :

«

Sono arso di zelo per il Signore

Iddio degli eserciti, perché i figli d'Israele hanno disertato il tuo patto, distrutti i tuoi altari e ucc1si di spada i tuoi profeti. Io solo sono rimasto, c v:mno in cerca della mia vita per togliermel::! ». Ma Elia senti la potenza di quel Dio che gli parlava entro il leggero mormorio del vento. Egli dovrà rirornarc per com­ piere la volontà di Dio. E riceve la con solante assicurazione : « Io poi mi serberò in Israele settemila uomini : ogni ginocchio che non si è piegato bocca che non lo ha baciato

»

(1

Re

19,

a

Baal

c

ogni

11:1).

L'importanza del profeta Elia per il progresso dell'opera salvifica di Dio si può cosi caratterizzare : « Pochi profeti ebbero nel ricordo del tempo posteriore un posto eguale a 4uello di Elia ... Mosè ed Elia stanno accanto l'uno all'altro. Ciò che l'uno ha stabilito, l'altro ha salvato. Di lui il libro dell'Ecclesiastico parla nei seguenti termini (48,

I.

4) :

"

Sorse il profeta Elia che pareva di fuoco

e le sue parole una fornace ardente. Quanto eri terribile, Elia! Può ben vantarsi chi ti somiglia ". La comunità giudaica al tempo di Cristo pensava che Elia le stesse accanto sia pure in modo invisibile. Perciò le parole di Gesu sulla croce poterono essere fraintese come un appelio all'aiuto di Elia (Mt. 27, 46). Come Mosè, cosi anche Elia, si attendeva alla fine dei tempi. L'antica profezia culmi­ nava con le parole : " Ecco io vi mando Elia, il profera, prima che venga il giorno dell'Eterno, giorno grande e spaventevole. Egli ricondurrà il cuore dei padri verso i figliuoli e il cuore dei figliuoli verso i padri, ond'io, venendo, non abbia a colpire il paese di sterminio " (Mal. 3, 23 ss. ; Ebr. 4, 5 s.). Gli Apostoli inter­ rogano Gesù sulla venuta di Elia : " E i suo1 discepoli gli domandarono : Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia? Rispose egli :

Si, verrà

Elia e rimetterà ogni cosa a posto; io però vi dico che Elia è già venuto e non lo hanno riconosciuto e gli hanno fatto ciò che han voluto " (Mt. 17, 10 s.). Mosè sta all'inizio del patto, Elia dove questo patto sta per essere infranto; si com­ prende in tal caso che entrambi stiano accanto a Gesu durante la sua trasfigura-

§

140. DIO, UNICO SALVAJORE DELL ' UOMO

27

zione : " Ed ecco apparire ad essi Mosè ed Elia, che parlavano con lui " (Mt. 1 7, 3). Emrambi si trovano nel grande cammino tracciato da Dio attraverso il deserto dell'esistenza umana. L'opera di Elia è ora passata a un altro venuto quando suonò la sua ora : " Elia è già venuto ma non lo hanno affatto conosciuto " (Mt. 17, 1 2) » (Leist, Zeugnis des Lebendigen Gottes. Zum Verstiindnis des Alten Testamentes, Donauworth 1948, 66). c) Appena il popolo si allontanò nuo\'amente dal suo Signore, questi su­ scitò i profeti di cui conosciamo l'attività attraverso gli scritti pervenuti sino a noi. Tre momenti storici, in cui si è attuata la salvezza divina, sono ricordati dagli scritti profetici. Amos, Osea, Isaia e Michea vissero al tempo in cui gli Assiri spinùsi sino al Mar Mediterraneo distrussero il regno settentrionale di Israele, uno dei due stati in cui si era diviso il regno Davidico, e assediarono Gerusalemme, capitale di Giuda (verso il 76o-7oo). Dal 650 fece la sua com­ parsa il regno babilonese che soppiantò quello assiro. In questo tempo risonarono le voci di Sofonia, Nahum, Abacuc, e soprattutto di Geremia (verso il 64o-5 8o). Durante l'esilio babilonese e dopo il ri torno degli esuli agirono i profeti Eze­ chiele, Aggeo, Sofonia, Malachia. L'esegesi critica pone la seconda parte del libro di Isaia (capp. 40-6o) al tempo dell'esilio babilonico riferendolo a un autore anonimo. Ma la Commissione Biblica del 29 giugno 1908 ha dichiarato che gli argomenti sinora addoni contro la sua autenticità non sono cosi probativi da scuotere l'opinione tradizionale. L'autore, Isaia, verso la fine della sua vita sa­ rebbe stato trasportato profeticamente all'epoca dell'esilio per consolare gli esuli. Verso il soo a. C. la profezia ebbe termine. Per tutti gli scritti profetici due sono i momenti importanti nella rivelazione della volontà salvi fica di Dio : aa) Essi affermano che il giudizio di Dio si rivolgerà minaccioso non solo verso i popoli pagani, ma anche verso Io stesso popolo del patto. Amos prean­ nuncia la completa distruzione d'fsraele, il regno settentrionale, in una catastrofe assai vicina. >. Allorché attua intenzionalmente questa sua caratteristica nel­ l'amicizia e nell'amore, l'io lascia in certo senso se stesso e si unisce al « tu » che gli viene incontro, lo riceve in sé, si lascia da esso formare e plasmare, sicché il suo pensiero, il suo volere e il suo giudicare ricevono un orientamento nuovo, lma nuova maniera. Si può dire che l'io viene a vivere del « tu >.' . Ciò che s'attu� nell'amicizia e nell' amore Lra gli uomini, s'avvera in modo ancora piu profondo nell'unione dell'uomo con Cristo. Qui Cristo diviene la potenza persoo2 l e che permea e regge l'io umano. Non è piu il mio io che vive in me, dice l'Apostolo Paolo, ma l'io di Cristo (Gal. 2, 20). Da Cristo l'io umano viene plasmato cosi profonda­ mente che Paolo parla della morte del vecchio io vincolato al mondo e della nascita di un nuovo io. Cfr. il trattato della Grazia. Tutto ciò non è che un paragone di quel processo che si verifica nell'incarnazione. Qui la tendenza verso il « tu >) ha assunto una forza tale che la natura è stata strappata dal suo centro. Di certo pur essa non vive senza centro, non vive senza io. Ma l'io, il centro per cui essa vive e a cui appartiene, non è piu il suo proprio centro, il suo proprio io, bensi l'io del Figlio di Dio. Il centro da cui proviene il suo agire è Dio stesso. L'io del Figlio di Dio plasma e informa cosi potentemente la natura umana, la unisce a sé cosi s�rettamente da essere lui che in essa pensa, vuole, ama, parla, agisce, ubbidisce e muore. �) Un altro modo per avvicinarci alla comprensione del mistero del-

§ 1 46. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA ) l'incarnazione è il seguente. La

pr.rola dell'uomo è

95

tma potenza si grande

che può muovere, formare, plasmare cuore e spirito altrui. Di certo non tutte le parole hanno tale potenza. Molte restano inefficaci o perché sono troppo deboli, o perché incontrano un muro impenetrabile per l'indurì­ mento del cuore o l'accecamento della mente. Ma quando una parola riesce a penetrare nell'intimo di un'altra persona la può arricchire, scuo­ tere, trasformare e ricreare. Nessuna parola può essere cosi potente come la parola di Dio.

È viva, efficace e tagliente come una spada a doppio

taglio ; penetra sino a divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolle ; è capace di discernere i sentimenti e i pensieri del cuore (Ebr. 4, 12). Dio ha pronunziato svariate parole. Ha parlato a coloro che fece portatori della sua rivelazione, penetrando nella loro coscienza con tale forza da conferire loro la certezza che in quel momento parlava loro

di Cristo il Padre il suo Verbo personale ; Verbo che egli pronunzia sino

uno diverso da tutti gli altri. E nella natura umana ha pronunciato

dall'eternità e nel quale formula ed esprime tutto il suo sapere. Il Padre mandò il suo Figlio nella natura umana di Cristo. Questa ne fu intima­ mente scossa e sconvolta. Il mutamento, la trasformazione derivante dalla Parola personale di Dio

è ben piu p rofonda che non quella prodotta da

parole umane. L'umana natura di Cristo ricolmata di questa Parola ne viene cosi pienamente informata da non possedere piu la propria esistenza, ma da esistere soltanto nell'esistenza del Logos. Il Logos è l'Io della na­ tura umana, sia nella sua totalità che nelle singoli parù.

y)

Ed ecco il terzo paragone per rendere piu accessibile l'inesauribile

mistero dell'incarnazione.

strati. e

L'uomo dall'esterno all'interno risulta di vari

Noi parliamo di organi esterni e di organi interni, di ferita esterna

interna, di un do!ore superficiale

e

di uno intimo. Un'esperienza può

rimanere solo ai margini della nostra coscienza oppure pervenire sino al nostro io piu intimo. Il piu interiore recesso dell'uomo, viene chiamato dai mistici, in armonia con Agostino, la scintilla, il vertice, l'intimo del­ l'anima. Qui Dio viene ad abitare allorché santifica l'uomo. Quando Dio entra nell'uomo apre una nuova intimità, che, pur non essendo dovuta alla natura umana, appartiene all'uomo perché donata da Dio. Dio stesso si fa

il centro, l'interiorità, l'intimità dell'uomo, e da questo momento

non esiste che una vera interiorità, quella dell'uomo che divenuto abita­ zione di Dio in lui si raccoglie (cfr. il trattato della

Grazia).

Ora nell'in­

carnazione Dio) il Figlio di Dio è divenuto l'intimità della natura umana in una forma che trascende ogni intimità creata negli altri uomini dalla grazia. Se si va dall'esterno all'interno si raggiunge, anche. qui, il punto in

96

P.

I. - DIO REDENTORE

cui si apre l'intimità di Dio ; ma tale punto non è al di là della scintilla, dell'apice dell'anima, ma si trova già là dove per gli altri uomini c'è solo ancora interiorità umana. In Cristo il centro da cui proviene ogni volere e ogni pensiero, ogni desiderio e ogni atto d'amore, da cui sfociano tutti i movimenti del cuore umano e a cui essi tornano non è solo ripieno di Dio ma è anzi lo stesso Figlio di Dio. (Sono qui stati utilizzati i concetti di alto e basso, di interno ed esterno definiti da R. Guardini, W el t und Person, 1939 ; trad. frane. 1959, 48 ss.). Si deve tuttavia ricordare che la natura umana non perde affatto gli elementi che la costituiscono (essenza), né il Logos diviene una parte essenziale della natura umana. Con il nostro paragone si è unicamente inteso far vedere che il Logos è l'io agente della natura umana. 3. Per questo le azioni della natura umana si devono attribuire all'io del Logos divino. Egli agisce nella natura umana e nella divina, ed è perciò -

responsabile anche delle azioni della natura umana medesima. Pur suo­ nando strano e incredibile all'orecchio umano si deve dire che il Figlio di Dio, in quanto è divenuto l'io della natura umana, è nato e che la madre sua terrena si può quindi chiamare madre di Dio; si deve anche asserire che egli ebbe fame e sete, che si affaticò e dormi, che pianse e consolò, che si adirò e perdonò, che temette e vinse la paura, che fu in questo o quel luogo, che ha versato il suo sangue, che ci ha dato la sua carne. Il modo di esprimersi per cui le proprietà e le azioni della natura umana vengono attribuite all'io del Logos e le proprietà e azioni della natura divina si attribuiscono allo stesso lo, in quanto esso è la forza personale d'esistenza della natura umana, è stato chiamato comunicazione degli

idiomi. Per regola questo modo di esprimersi si può usare solo quando si tratta di termini concreti, non mai in caso di termini astratti. Si può dire : Dio è morto, questo uomo è onnipotente; ma non : La divinità ha patito, la natura umana è onnipotente. Inoltre si può usare solo in caso di affermazioni positive mai in c&so di proposizioni negative. Perciò non si può dire : Il Verbo di Dio non ha patito, il Figlio di Maria non è onnipotente.

§ 1 46. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA)

97

II. - INSEGNAMENTO DELLA CHIESA. 4. - Le deci sioni della Chiesa con il loro peso e numero mostrano l'importanza del soggetto. Se Cristo è il centro della nostra fede è ben comprensibile che di continuo siano sorte al suo riguardo tante domande e risposte. Di fronte a tutte le false interpretazioni la Chiesa con pre­ cise e brevi formule ha dichiarato, per quanto il mistero può entrare nella chiarezza del discorso umano, che cosa e chi è Cristo. Tra le espressioni del magistero in proposito, sono da ricordarsi in modo par­ ticolare : il Simbolo apostolico, quello atanasiano e quello niceno-costan­ tinopolitano (Denz. 2, 39 s., 86), l'Epistola dogmatica di Leone I (Denz. 1 43 s.), il Concilio di Calcedonia (Denz. 1 48), il secondo Concilio di Co­ stantinopoli (Denz. 224), il Concilio di Roma dell'anno 68o (Denz. 288), la confessione di fede di Leone IX (Denz. 344), la confessione di fede per i Valdesi (Denz. 422), il Concilio di Trento (Denz. 994), il Decreto Lamentabili (Denz. 202 7 ss. ), l'Enc. Pascendi (Denz. 208 8; 2096), l'Enc. Lux veritatis sul Concilio di Efeso (A.A.S., 1 9 3 1 , 493 ss.), l'Enc. Sempi­ ternus Rex sul Concilio di Calcedonia (A.A.S., 1 9 5 1 , 62 5 ss.). Scegliamo i testi seguenti. Leone Magno cosi scrive nella sua Epistola dogmatica al patriarca Flaviano di Costantinopoli il 13 giugno 449 : «

Dacché (Eutiche) non sapeva che cosa esattamente pensare sul mistero della

Incarnazione del Verbo di Dio e dato che non voleva, per chiarire alla sua intel­ ligenza la verità, affaticarsi a cercare nella vastità delle Scritture, avrebbe almeno dovuto conoscere la fonnula chiara e comune con cui si esprime la verità di tutti

i cristiani : Credo in Dio Padre onnipotente - e in Geszt Cristo, suo unico Fi­ gliuolo, nostro Signo1·e - che è nato dallo Spil'ito Santo e da Maria Vel'gine. Queste tre proposizioni di fede distruggono, si può dire, ogni insidia ereticale. Infatti colui che crede che Dio è onnipotente e Padre, riconosce il Figlio coeterno al Padre, in nulla diverso da lui, perché è nato Dio da Dio, onnipotente da onni­ potente,

coeterno

potere, né

da

eterno,

senza posteriorità

disuguaglianza nella

gloria,

nel

tempo,

né divisione nella



inferiorità

sostanza. E

nel

proprio

questo eterno unigenito dell'eterno Padre è nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine. Questa sua nascita nel tempo nulla ha tolto e

nulla ha portato alla

nascita divina ed eterna, ma si realizza tutta per la riabilitazione dell'uomo che era decaduto :

per vincere la morte e distruggere con la forza il demonio che

con la morte aveva il dominio sull'uomo. Non potremo infatti vincere l'autore del peccato e della morte, se non avesse presa e fatta sua la nostra narura colui che il peccato non poté contaminare, né la morte vincere, che fu concepito nel seno della Vergine Madre per opera dello Spirito Santo e che dalla Vergine fu dato alla luce, rimanendo integra la di lei verginità nel parto, cosi com'era rimasta integra nel concepimento ... Fu in verità lo S pirito Santo a dare fecondità alla

g8

P. I.

-

DIO REDENTORE

Vergine, ma un corpo reale fu assunto dal corpo materno, sicché, costruendosi la sapienza una dimora in noi (Prov. 9, I), il Verbo si fece carne ed abitò tra noi (Gv. I, I 4), cioè in quella carne che prese dall'uomo e vivificò con l'anima razionale. Rimanendo dunque pienamente salvaguardate le proprietà di entrambe le na­ ture e sostanze, e confluendo entrambe in una sola persona, la maestà ha assunto l'umiltà, la forza la debolezza, l'eternità la mortalità. Per pagare il debito della nostra colpa, la natura inviolabile si è congiunta a una natura passibile, affinché, come conveniva alla nostra riabilitazione, un solo e medesimo mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesu Cristo, potesse per un aspetto morire e, per un altro, non morire. Perciò il vero Dio è nato nella natura di uomo integra e perfetta, completo nelle sue (proprietà), completo nelle nostre, perfeno nella sua natura, perfetto nella nostra. Nella nostra diciamo, quale in noi il Creatore creò all'inizio, e che egli assunse per ripararla. Poiché quella che ci portò l'ingannatore e che l'uomo ingannato ricevette, non ebbe traccia alcuna nel Salvatore. Cosi pure per il fatto che volle partecipare alla debolezza umana, non consegue che sia stato partecipe dei nostri peccaù. Assunse la forma di servo senza la macchia della colpa, elevando l'umanità, non diminuendo la divinità : quell'abbassamento in­ fatti, per cui da invisibile si rese visibile, per cui il Creatore e Signore di tutto volle essere uno dei mortali, fu slancio di misericordia non mancanza di potestà. Colui che rimanendo nella forma di Dio creò l'uomo, quello stesso, nella forma di servo, divenne uomo ... Viene dunque in questo basso mondo il Figlio di Dio, scendendo dalla sua sede del cielo, non lasciando ruuavia la gloria del Padre, generato con una nuova nascita, secondo un nuovo ordine di cose. Un nuovo ordine, perché invisibile nella sua natura fu reso visibile nella nostra; incomprensibile volle essere com­ preso; rimanendo eterno cominciò ad esistert: nel tempo; Signore dell'universo assunse forma di schiavo, nascondendo la immensità del suo potere; Dio impas­ sibile non disdegnò di essere un uomo passibile, e immortale assoggettarsi alla legge della morte. Una nuova nascita, perché una vergine intatta, senza cono­ scere la concupiscenza, gli diede la materia del corpo. Dalla Madre Gesù prese la natura senza la colpa, e dal fatto che il Signore Gesu Cristo, nato dal seno di Maria, venne concepito in modo miracoloso, non segue che la sua natura sia diversa dalla nostra. Colui infatù che è vero Dio è anche vero uomo; e in questa unione non c'è finzione alcuna : c'è l'umiltà dell'uomo, c'è la maestà della Divi­ nità, insieme entrambe. Comt: Dio non VIene annullato dall'abbassamento miseri­ cordioso, cosi l'uomo non viene soppresso dalla dignità divina. Opera infatti l'una e l'altra forma ciò che le è proprio in comunione con l'altra, il Verbo cioè operando ciò che è (proprio) del Verbo, e la carne eseguendo ciò che è della carne : l'uno risplende di miracoli, l'altra soccombe alle ingiurie. E come il Verbo rimane sempre eguale, nella gloria, al Padre cosi la carne non perde la natura della nostra stirpe. L'unico e medesimo - bisogna ripeterlo - è vero Figlio di Dio e vero figlio dell'uomo : Dio perché in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv. r, r); uomo perché il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi (Gv. r, 14); Dio, p erché tutto fu fatto per mezzo di lui e nulla fu fatto senza di lui (Gv. I, 3); uomo, perché fatto di donna, sottomesso alla legge (Gal. 4, 4). La nascita corporale è manifestazione della sua natura umana.

§ 146. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA )

99

il parro verginale è prova della potenza divina. L'umiltà della culla ci mostra un piccolo fanciullo, il canto degli angeli la maestà dell'Altissimo. È un fragile nato dell'uomo, che Erode va empiamente meditando di uccidere; ma è il Si­ gnore di rutti che i Magi adorano nella commozione della gioia. E ancora, quando viene per il battesimo da Giovanni Battista suo precursore, perché non rimanesse ignorata la divinità sotto il velo della carne, la voce del Padre, dal cielo, cosi si

Questo è

espresse :

il

mio Figlio

diletto,

nel

quale mi

sono compiaciuto

(Mt. 3, 1 7). Quello adunque che, come uomo, viene tentato dall'astuzia del de­ monio, come Dio, viene servito dagli angeli. Aver fame e sete, stanchezza e sonno

è cosa evidentemente umana; ma saziare con cinque pani cinquemila uomini, offrire alla Samaritana acqua viva, tale che chi ne beve non avrà piu sete, cam­ minare sulle acque del mare, spianare l'impeto dei flutti ondeggianti per la tem­ pesta, è senza dubbio opera di Dio. Come dunque, per non ricordare altri fatti, non è opera della stessa natura piangere per aff etto e per compassione l'amico morto e ordinargli con una sola parola di lasciare il sepolcro dopo quattro giorni di sepoltura e di ritornare alla vita; o pendere dalla croce e, fattosi di giorno notte, far tremare tutti gli elementi; o essere trafitto dai chiodi

e

aprire alla fede

del !adrone le porte del paradiso, cosi non è della stessa natura dire : Padre siamo una cosa sola (Gv. (Gv. 14,

28).

Io, 30) e clire :

Io e il

Il Padre è maggiore di me

Perciò dunque, benché nel Signore Gesu Cristo unica sia la per­

sona dell'uomo-Dio, diversa è l'origine p er cui è comune ad entrambe le nature sia l'umiliazione che la gloria. Da noi egli ha l'umanità per cui è minore del Padre, dal Padre possiede la divinità per cui gli è uguale. Pertanto a motivo di questa unità di persona in due nature, si legge che il Figlio dell'uomo è disceso dal cielo, benché propriamente sia il Figlio di Dio che ha assunta la carne umana dalla madre dalla quale è nato. E si dice anche che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, benché non abbia patito queste cose nella divinità, per cui l'Unigenito è coeterno ed eguale al Padre, bensi nella debolezza della natura umana ... La Chiesa cattolica vive e progredisce con questa fede, per cui di Gesu Cristo non si può credere la divinità senza la vera umanità, né l'umanità senza la vera divinità

Al Concilio di Ca/cedonia

»

(PL.

54, 755-780).

(45 1) fu definito quanto segue :

« Noi dunque, sulle

orme dei Santi Padri, insegnamo in pieno accordo a confessare simo Figlio

e

perfetto nella

un

solo e mede­

Signore nostro Gesu Cristo; il medesimo perfetto nella divinità e umanità,

Dio vero e uomo vero, fatto di anima

razionale e di

corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità, con sustanziale a noi secondo l'umanità, simile a noi in tutto, tranne che nel peccato; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e generato da Maria Vergine genitrice di Dio se­ condo l'umanità, n egli ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito da riconoscersi in due nature senza confusione, senza separazione, in nessun modo tolta la differenza delle nature per ragione d ell'unione, e anzi salva la proprietà dell'una e dell'altra natura con­ correnti in una sola persona e sussistenza; non in due persone scisso e diviso, ma uno solo e medesimo Figlio, Unigenito, Dio, Verbo, Signore Gesu Cristo. Come già i profeti e Gesu Cristo in persona ci insegnarono e ci trasmise il simbolo dei Padri

»

(Denz. 1 48) .

IOO

P. I.

-

DIO REDENTORE

Nel Simbolo atanasiano è detto : « La retta fede esige che noi crediamo e con­ fessiamo che Nostro Signore Gesu Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. Dio generato dalla sostanza del Padre prima dei secoli; e uomo nato nel tempo dalla sostanza della Madre. Perfetto Qio, perfetto uomo fatto di anima razionale e di carne umana. Uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità. E sebbene egli sia Dio e Uomo, tuttavia è un solo Cristo, non due. Ed è uno non per cambiamento della divinità in carne, ma per unione dell'uma­ nità di Dio. Assolutamente uno non per confusione di sostanza, ma per unità di persona. Poiché come l'anima razionale e la carne sono un solo uomo, cosi Dio e Uomo sono un solo Cristo. Il quale ha patito per la nostra salvezza, è disceso all'in­ ferno, il terzo giorno è risuscitato dai morti. È asceso al Cielo, siede alla destra del Padre onnipotente : di là dovrà venire a giudicare i vivi e i morti » (Denz. 40). Dalla 2° lettera di S. Cirillo di Alessandria a Nestorio letta e approvata al Con­ cilio di Efeso (43r) stralciamo quanto segue : 11. Noi non di.:iamo che la natura del Verbo mutandosi e diventata carne e neppure che si è trasformata in uomo intero costituito di anima e di corpo; ma affermiamo che il Verbo, unendo a sé, secondo l'ipostasi, la carne animata dall'anima razionale, si è fa t to uomo inetla­ bilmente e incomprensibilmente, e si è chiamato Figlio dell'uomo, non per sola volontà o compiacenza né per l'assunzione di una persona. E sebbene le nature siano diverse, sono convenute i...11 una vera unione e cosi da ambedue (è risultato) un solo Cristo e Figlio; non che sia stata eliminata la differenza delle nature a causa della unione, ma anzi la Divinità e l'Umanità per una arcana c ineffabile unione ci hanno dato un solo Signore Gesti Cristo e Figlio. In ta l e modo egli, sebbene sussistente prima dei secoli, generato dal Padre, si dice nato da donna secondo la carne; non come se la sua divina natura avesse avuto origine dalla Santa Vergine, o come se avesse avuto bisogno per se stessa di una seconda nascita, dopo quella che ebbe dal Padre; poiché è da stolw e ignorante dire che colui che sussiste prima di tutti i secoli ed è coeterno al Padre abbia bisogno di una seconda ori­ gine per esistere. Ma dopo che per noi e per la nost:a salvezza, unendo a sé la natura umana secondo l'ipostasi, venne alla luce da donna, per questo appunto si dice generato secondo la carne. Infatti non è nato dalla Vergine prima un uomo comune e poi è disceso in esso il Verbo di Dio; ma nello stesso utero unitosi (alla carne), si dice che ha subito una generazione carnale nel senso che ha fatto sua la generazione della propria carne , (Denz. t I I ; rrad. di P. Par eme). Un'altra lettera dello stesso Cirillo contiene i 12 anatematismi con tro Nestorio. Essi sono riconosciuti come una retta espressione della fede canolica, ma non essendo decisioni conciliari non sono infallibili anche se dodati di grande auto­ rità. Li riportiamo integralmente : « 1 . Chi non confessa che l'Emmanuel è vera­ mente Dio e perciò che la Santa Vergine è Madre di Dio (generò essa infatti la carne del Verbo di Dio incarnato) : sia scomunicato. 2. Chi non confessa che il Verbo di Dio Padre si è unito alla carne secondo l'ipostasi e che è un solo Cristo con la propria carne, cioè evidentemente il medesimo Dio e Uomo insieme : sia scomunicato. 3. Chi nell'unico Cristo divide le ipostasi dopo l'unione e le congiunge so[.. tanto per via di unione di dignità, di autorità o di podestà e non piuttosto per via di unione fisica : sia scomunicato.

§ 1 46. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA) 4·

IOI

Chi attribuisce a due persone o ipostasi le voci (che occorrono) negli scrini

evangelici e apostolici e che sono attribuite dai Santi a Cristo o da Cristo a se stesso; e chi (di queste voci) alcune ne attribuisce all'uomo considerato separa­ tamente dal V erbo di Dio e altre, come convenienti alla Divinità, al solo Verbo del Padre : sia scomunicato.



Ch1 osa affermare che Cristo è un uomo teoforo e non piuttosto un vero

Dio, in quanto unico e naturale

Figlio, dal momento che il

carne e partecipò, come noi, alla carne e al sangue :

Verbo si è fatto

sia scomunicato.

6. Chi osa dire che il Verbo di Dio Padre è il Dio e il Signore di Cristo e non confessa piuttosto il medesimo Dio e Uomo insieme, essendosi il Verbo fatto carne, secondo la Scrittura : sia scomunicato.



reso

Chi dirà che Gesu come uomo era mosso dall'azione del Verbo Dio e

partecipe

della

gloria

dell'Unigenito

come

un

altro

per



stante :

s1a

scomunicato.

8. Chi

oserà dire che un Uomo assunto deve adorarsi insieme col Dio Verbo

e insieme con esso deve glorificarsi e chiamarsi Dio, come

se

fosse uno nel­

l'altro (giacché cosi porta a pensare la !)articella con costantemente aggiunta), e non onora piuttosto l'Emmanuel con una sola adorazione e non gli attribuisce una sola glorificazione, in quanto il Verbo è diventato carne :

sia scomunicato.

9· Chi dice che l'unico S ignore Gesu Cristo è stato glorificato dallo Spirito come se fosse altrui la potenza di cui si serviva, e dallo Spirito ricevesse la forza di agire contro gli spiriti immondi

e

di operare miracoli verso gli uomini, e non

dice piuttosto che lo S pirito, per cui operava i miracoli, era suo proprio :

sia

scomunicaro. ro. La di vina Scrittura attesta che Cristo è stato il Pontefice e l'Apostolo della nostra confessione, e si è offerto per noi a Dio Padre in onore di soavità. Chi dunque dirà che Po n t e fi ce

e

Apostolo nostro non è stato costituito lo stesso

Verbo di Dio, dopo che divenne carne come noi, ma un uomo (nato)

propria­

mente da donna come se fosse un altro (soggetto distinto) dallo stesso (Verbo) : e che (Cristo) ha offerto anche per sé

e

non piuttosto per noi soltanto il sacri­

ficio di se stesso (non aveva infatti bisogno di sacrificio colui che non conosceva peccato) :

sia scomunicato.

1 1 . Chi non confessa che la carne del S ignore è vivificante ed è propria dello stesso Verbo di Dio Padre, ma dice che è propria di un cerro altro unito al Verbo secondo la dignità cioè per aver sortito

soltanto l'inabitazione di

Dio ; e non

confessa piuttosto che (quella carne) è vivificame, come dicemmo, perché divenuta propria del Verbo, che tutto può vivificare :

sia scomun icato.

12. Chi non confessa che il Verbo di Dio ha patito nella (sua) carne, ed è stato crocifisso nella carne, e nella carne ha gustato la morte, divenuto il Primo­ genito dei morti, in quanto è vita ed è vivificante come Dio :

(Denz. I 13-124; trad. di P. Parente). Nel

secondo Concilio di Costantinopoli (553)

sia scomunicato

tra l'altro si dichiara :

«

»

Se alcuno

dice che l'unione di Dio Verbo all'uomo è stata compiuta secondo la grazia, o secondo l'operazione, o secondo la dignità, o secondo l'uguaglianza di onore, o secondo l'autorità, o la relazione, o l'affetto, o la virtù; oppure ancora secondo la buona volontà, quasi che a Dio Verbo fosse piaciuto l'uomo e avesse avuto una

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P.

I.

-

DIO REDENTORE

buona opinione di lui, come afferma Teodoro; o secondo l'omonimia, per la quale i Nestoriani chiamando il Dio Verbo, Figlio e Cristo, e l'uomo separatamente

Cristo e Figlio ed affermando cosi evidentemente (l'esistenza di) due persone, ma fingendo di ritenere una sola persona, un unico Figlio, un unico Cristo per la sola appellazione e l'onore e la dignità e l'adorazione; e non professa che la unione del Verbo Dio alla carne animata di anima razionale ed intellettuale, è stata compiuta secondo la composizione cioè secondo l'ipostasi, come già i Santi Padri insegnarono e perciò che una sola è la sua sussistenza composta, che è il Signore Nostro Gesii Cristo, uno della S S . Trinità, cosmi sia anatema. Siccome poi l'unità si può concepire in piii modi, coloro che seguono l'empietà di Apollinare e di Eutiche, distruggendo la realtà di ciò che è stato uniro, affer­ mano un'unione secondo la confusione. I seguaci di Teodoro e di Nestorio, in­ vece, contenti della divisione, introducono l'unione affettiva. La Santa Chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra posizione, professa l'unione del Verbo Dio alla carne secondo la composizione, cioè secondo l'ipostasi. Infatti la unione per composizione, nel mistero di Cristo, non solo conserva in modo in­ confuso ciò che è stato unito, ma neppure ammette la divisione » (Denz. 2 1 6). Nel Concilio Lateranense del 649 è detto : « Can. 4. Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo verità due nati vità dello stesso ed unico S1gnore Nostro e Dio, Gesu Cristo, l'una prima dei secoli da Dio Padre, in modo incorporate e sernpiterno, l'altra negli ultimi tempi dalla sempre Vergine Maria, Madre di Dio; e che l'unico e identico Signore Nostro e Dio, Gesii Cristo, è consustanziale a Dio e Padre secondo la divinità e consu­ stanziale all'uomo ed alla madre secondo l'umanità; che lo stesso è passibile nella carne, ed impassibile nella divinita, circoscritto quanto al corpo, ma incir­ coscritto quanto alla divinità, increato e creato, rerreno e celè:ste, visibile ed intel­ ligibile, comprensibile ed incomprensibile : in modo tale che, da colui che è perfetto uomo e insieme Dio, fosse riformato lUtto l'uomo, che cadde in pec­ cato, sia condannato. Can. 5· Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo la verità l'unica natura incarnata di Dio Verbo, per il fatto che incar­ nata viene detta la nostra sostanza in modo perfetto in Cristo Dio e senza dimi­ nuzione, contrassegnata runavia dalla sola assenza del peccato, sia condannato. Can. 6. Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo la verità, che dalle due e nelle due nature sostanzialmente unite in modo inconfuso e indiviso (vi è) l'unico e lo stesso Signore e Dio, Cristo Gesu, sia condannato. Can. 7· Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo la verità che è salvata in lui la sostanziale differenza delle nature in modo inconfuso e indiviso, sia condannato. Can. 8. Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo la verità la sostanziale unione delle nature, in modo inconfuso e indi­ viso, quale in lui è conosciuta, sia condannato. Can. 9. Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo la verità, che le proprietà naturali della sua divinità e dell'umanità sono in lui salvate senza alcuna minorazione, sia condannato » (Denz. 257-262).

§ q6. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE I POSTATICA)

III.

-

103

SCRITTURA E TRADIZIONE.

5. La Chiesa nelle sue decisioni si è tenuta alla Scrittura e alla Tra­ dizione. Le sue dichiarazioni sono un'autentica spiegazione, fatta con pa­ role adatte ai tempi, della rivelazione divina contenuta nella Scrittura e nella Tradizione e perciò hanno la medesima forza vincolante di queste. Il valore dottrinale di tali decisioni non è certo diverso da quello della Scrittura, tuttavia questa conferisce alla convinzione di fede in esse fon­ data piu calore e vita. Il motivo sta nel fatto che la parola della Bibbia ci presenta l'immagine di Cristo con maggiore originalità e freschezza, con piu vivacità e colore, mentre le decisioni ecclesiastiche risentono del lin­ guaggio filosofico astratto. Il che è facilmente comprensibile se si pensa che la Bibbia riferisce della storia e ci parla della vita, dei discor� e del­ l'opera di Cristo, mentre le decisioni ecclesiastiche, sulla base della storia biblica, presentano una dottrina che si oppone a degli errori. Dal momento che il credente deve lasciarsi imprimere in sé la figura di Cristo, è di notevole valore che egli possa imbeversi della raffigurazione di Cristo pre­ sentata dalla Bibbia. La Scrittura da questo punto di vista è piu ricca delle decisioni ecclesiastiche. -

a) L'unità della persona nelle due nature, espressa nelle decisioni ecclesiastiche, viene garantita svariate volte nella Scrittura, ma special­ mente in due passi : Gv. I , 14 e Fil. 2, 7· « Il Logos si è fatto carne ». Il Logos, il Verbo personale del Padre, che eternamente esiste nella sua relazione al Padre, è penetrato nel campo della carne, ossia nella nul­ lità, caducità e debolezza dell'uomo. Egli, che è immutabile, non poteva trasmutarsi in una creatura. Non poteva cessare di esistere ciò che è sempre stato, per iniziare ad essere ciò che prima non era. Egli, per­ manendo ciò che era, si appropriò di ciò che prima non aveva, la carne, ossia la natura umana con tutte le sue debolezze. Egli scese dal cielo, senza tuttavia lasciare alcun luogo, senza passare da un posto a un altro. Egli che è onnipresente non può essere piu vicino a un luogo o piu lontano da un altro, dato che riempie e agisce in ogni spazio. Egli ha va­ licato sf un confine, ma non visibile bensi invisibile, il confine che sussiste tra la forma d'essere della creatura e quella del creatore. Egli travalicò il confine che separa la creatura dal creatore per assumere la natura della carne, la natura peritura dell'uomo, in modo che questa divenisse la sua

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P. I.

-

DIO REDENTORE

natura, la natura del Verbo personale di Dio. La prese e se la uni. Si mise in cosi stretta e profonda relazione con essa, da divenirne il suo Io. L'incarnazione del Verbo non è una limitazione della sua presenza al luogo in cui la sua natura umana si trova, quasi che al di là di essa il Verbo non fosse presente, ma è solo una relazione, dt:l tutto particolare ed unica, con la natura umana concreta proveniente da Maria. La sua venuta dipende da una eterna decisione del Padre. Dio « ha mandato il proprio Figlio io una carne simile alla carne del peccato e per vincere il peccato » (Rom. 8, 3). E il Figlio che aveva un'esistenza divina, ubbidiente alla sua missione, non ritenne di doversi attaccare egoisticamente alla sua dignità divina, ma rinunciò ad essa (ossia se ne spogliò) per as­ sumere la forma di servo, per farsi simile all'uomo nella forma e nel­ l' aspetto ; si umiliò nell'obbedienza sino alla morte e alla morte di croce (Fil. 2, 6-8). La persona del Logos divino rimase tuttavia immutabilmente la stessa. Ma al suo modo d'essere divino ne ha aggiunto un altro umano, e il primo si è come nascosto nel secondo. E questo è atto di amore e di grazia di Gesti Cristo « che, essendo ricco, per noi si fece povero, a fine di farci ricchi con la sua povertà » (2 Co r. 8, 9) L'unità della persona nella quale le due nature sono tra loro inscindi­ bilmente collegate è pure restificata da tutti quei passi in cui allo stesso Cristo si attribuisce ciò che è umano e ciò che è divino. Vi sarebbe qui contraddizione se non si ammettesse che l'unico e medesimo lo di Cristo ha due nature e due serie di azioni. Gv. 2, 19 riferisce la frase di Cristo : « Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo riedificherò » . Egli par­ lava del tempio del suo corpo, ci assicura Giovanni. Un identico individuo perciò muore e con libera e sovrana naturalezza risorge da morte. Non ba ancora cinquant'anni (Gv. 8, 57) e può asserire d'essere anteriore ad Abramo. Sono due espressioni che costituiscono un enigma insolubile, la cui chiave ci è data soltanto dalla fede nell' incarnazione. Cristo prega il Padre che lo glorifichi e nello stesso istante aggiunge che ciò deve essere nel modo con cui era glorificato presso di lui, quando il mondo ancora non era (Gv. 1 7, 5). Pietro nel suo discorso dopo la guarigione dello zoppo dice : « Uomini israeliti, perché vi meravigliate di questo? Perché tenete gli occhi su noi, come se di potenza nostra e bontà nostra avessimo fatto si che costui cammini? II Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei padri nostri ha glorificato il suo figliuolo Gesti, che voi metteste in mano di Pilato e rinnegaste in faccia a lui, mentr'egli aveva deciso di liberarlo. Si, voi rinnegaste il Santo e il Giusto, e chtedeste vi fosse graziato un omicida. .

� 146. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA )

1 05

Voi uccideste l'autore della vita ; ma Dio l'ha risuscitato dai morti, e noi ne siamo testimoni. Ond'è che per La fede nel nome di lui, un tal nome ha rafforzato quest'uomo, che vedete e conoscete ; e la fede che viene da lui, gli ha dato, in presenza di tutti voi questa perfetta guarigione » (Atti 3, 12-16). Cristo è il Signore, Dio, che ha acquistato con il proprio sangue la sua comunità, la Chiesa, sopra la quale lo Spirito Santo ha costituito degli uomini come vescovi (Atti 20, 28). Cristo è Dio, benedetto, e pro­ viene tuttavia dalla stessa carne dei padri (Rom. 9, 5). Nel Cristo vi è una gloria che i principi di questo mondo non possono in alcun modo conoscere, che può essere penetrata solo dallo Spirito di Dio e che è nota solo a quelli a cui lo Spirito la rivela. E tuttavia egli, il signore della gloria, è stato appeso a una croce (I Cor. 2, 6-1 2). Ciò che fa meraviglia in queste espressioni non è tanto il loro contenuto paradossale, quanto piuttosto la sicurezza e la naturalezza con cui tali dati contrastanti sono affermati. Colui al quale si potevano attribuire simili cose, viveva nella trascendenza di Dio e anche nella debolezza della carne, nell'immortalità della vita divina e nelle caducità della fragilità umana. b) I Padri della Chiesa hanno sentito questo carattere paradossale come qualcosa di santo, e degno del massimo valore. Ignazio d'Antiochia ringrazia gli Efesini per l'amore fraterno che hanno usato verso di lui. Essi sono in questo imitatori di Dio, e lo possono essere soltanto perché nella fede e nell'amore di Cristo hanno ereditata la giustizia e nel sangue di Cristo sono pervenuti a nuova vita (Ef. 1, 1). Egli prega insistentemente i Romani di non adoperarsi per la sua liberazione, perché vuoi essere maci­ nato come il frumento di Cristo, ardendo dal desiderio di imitare la pas­ sione del suo Signore. Gli devono lasciare questa consolazione. Chiunque ha in sé Cristo può comprendere il suo ardente desiderio (Rom. 6, 3). I pensieri di Ignazio sono rivolti al Cristo storico, ma sono totalmente dominati dalla viva coscienza della sua identità col Logos di Dio. Egli non sente affatto il minimo bisogno di sminuire o sopprimere la natura umana di Cristo a vantaggio della sua figliolanza divina. Ne risente tutto il pa­ radosso, ma questo lo rende felice. È proprio Cristo in carne ed ossa colui al quale egli si incatena e da cui attende il conforto. Qui sta la nostra sal­ vezza, che il nostro Dio, Cristo Gesti, fu concepito da Maria Vergine (Ef. 1 8, 2). Sono perciò da elogiare quei di Smirne perché perfetti in una fede incrollabile, stanno inchiodati, per cosi dire, anima e corpo, alla croce del Signore Gesu Cristo e sono confermati nell'amore mediante il sangue di Cristo ; perché credono pienamente che nostro Signore discende real­ mente dalla stirpe di Davide secondo la carne, è Figlio di Dio secondo la

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P. I. - DIO REDENTORE

vo!ontà e la potenza divina, nato veramente da una vergine, battezzato dal Battista affinché fosse da lui compiuta ogni giustizia (Smyrn., I , 1). Una terminologia piu accurata e precisa apparve, nella teologia greca solo durante i secoli rv e v nella discussione sorta circa l'essere di Cristo. In Occidente era già sorta con Tertulliano (cfr. ad es. Adv. Praxeam, 27). Sopra abbiamo già riferita la lettera dogmatica di Leone Magno. Sentiamo ora due altri passi tratti dai suoi Discorsi. In un Discorso sulla Passione (Sermo 54, 1 ; PL. 54, 319) egli dice : « In tutto quello che riguarda la Passione di N. S . Gesu Cristo, la fede cattolica ci insegna, ed esige di riconoscere che nel nostro Redentore si sono unite due nature, e sebbene rimanessero intatte le loro proprietà, pure si fece un'unità si grande delle due sostanze, che da quel tempo in cui il Verbo si fece carne (Gv. 1 , 14) nell'utero della beata Vergine, come richiedeva la causa del genere umano, non è piu lecito pensare che (in Cristo) Dio sia senza l'uomo, o l'uomo senza Dio. Ambedue le nature manifestano la loro verità sotto azioni distinte, ma l' una non si stacca dal­ l'altra. Nulla è difettoso da ambedue le parti; nella maestà vi è tutta l'umiltà, nell'umiltà tutta la maestà; l'unità non produce confusione, né la proprietà di ciascuna dirime l'unirà. L'umanità passibile è distinta dalla Divinità inviolabile, e tunavia è il medesimo Cristo che ha la gloria e riceve le ingiurie ; è il medesimo che si trova nella debolezza della natura umana e nella virru della divina ; è la medesima persona che è capace di morire ed è vincitrice della morte. Come Dio uni a sé tutto l'uomo, e per una ragione di misericordia e di potenza si strinse talmente a lui, che l'una natura ineri all 'al tra, ma nessuna delle due fece il passaggio da11e sue proprietà a quelle dell'aitra » . In un altro Discorso sul medesimo argomeNo (Sermo 69, 3; PL. 54, 377) afferma : « In Crisro dobbiamo riconoscere la vera divinità e la vera umanità. Colui che è Verbo è anche carne umana; e come è di una me­ desima sostanza col Padre, cosi è di una medesima natura con la madre. Non è duplice nella persona, non è mescolato nell'essenza; impassibile per la potenza divina, mortale per l'umiltà umana. Però si servi di am­ bedue in maniera tale che la fortezza potesse glorificare la debolezza, mentre la debolezza non valesse ad oscurare la fortezza. Colui che con­ tiene il mondo è preso dai persecutori, e mentre non è contenuto dal loro cuore, viene legato dalle loro mani. La giustizia non resiste agli ingiusti, la verità cede ai falsi testimoni. Restando cosi nella condizione di Dio, adempi anche quella di servo, e le sevizie della Passione corporale con­ fermarono la verità della nascita corporale » .

§ 146. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA)

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IV. - VALORE SALVIFICO.

6. Queste testimonianze sia bibliche che patristiche ci mostrano che la dottrina dell'umtà della persona di Cristo nella distinzione delle due nature non è affatto una pura speculazione filosofica a riguardo della ri­ velazione, anche se la ragione vi può trovare campo per investigazioni e scoperte sia logiche che metafisiche. Come quella trinitaria, cosi anche la rivelazione sull'incarnazione del Verbo apre l'adito ad approfondimenti sulla persona e sulla natura e sui loro mutui rapporti, approfondimenti che senza tale rivelazione sarebbero rimasti insospettati. Ma la dottrina del­ l'incarnazione non ci fu rivelata anzitutto perché la ragione potesse rag­ giungere nuove cognizioni di gran valore, si, ma pur sempre infruttuose. La rivelazione dell'incarnazione è piuttosto garanzia della nostra salvezza. « In primo luogo il Verbo stl!sso ha voluto nascere dall'uomo affinché tu potessi rinascere sicuramente da Dio e perché tu potessi dire : Non senza ragione Dio volle nascere da una creatura umana ; egli mi stimò tanto da rendermi immortale, e da farsi lui mortale per cagione mia. Ma perché noi non ci meravigliassimo e impressionassimo di questa grazia immensa in virtu della quale, cosa quasi incredibile, degli uomini diventano figli di Dio, è stata aggiunta l'altra espressione : E il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora presso di noi. Come puoi allora rneravigliarti che anche gli uomini possano nascere da Dio? » (Agostino, ln lo an n., tract. 2, I 5 ; P L. 3 5 · 139 5 ). Per il fatto che al Logos si è unita in modo si stretto una determinata natura umana, il creato, al cui cemro sta la morte, ha in lui ricevuta la vita piena, generata dal Padre con un ano eterno, di fronte alla quale ogni vita terrena è piuttosto morte che vita. Grazie all'unione sostanziale della natura umana con il Verbo di Dio l'atto generativo del Padre trapassa il circolo della vita intima di Dio per penetrare nel campo del creato. Luce, amore, beatitudine e vita riempiono la natura umana, che il Figlio si è assunta. Ma di rimando, la natura umana assunta dal Logos è stata introdotta nel processo generativo divino. In tal modo è stato gettato un ponte sull'immane abisso esistente tra Dio e l'uomo, i limiti sono stati superati. -

7.

- Siccome Cristo nella sua natura umana è il capo del creato, anche tutte le creature sono state ripiene di luce e di vita. Certo solo le creature ragionevoli, capaci d'accogliere il Cristo storico mediante la fede, possono

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P. I.

- DIO REDENTORE

penetrare nell'intima vita di Dio. Se l'unità tra Dio e l'uomo in Cristo fosse solo estrinseca, come insegnava il nestorianesimo, allora anche Dio e l'uomo in lui camminerebbero uno di fronte all'altro. Non si potrebbe mai pervenire a un superamento dei limiti, mai si riuscirebbe a gettare un ponte sull'abisso, a varcare la distanza che ci separa da Dio. L'uomo permarrebbe sempre entro la linea della morte, senza poterla superare. La vivacità con cui si combatté il nestorianesimo nasceva proprio dalla preoccupazione di spiegare la liberazione dal peccato e dalla morte, e non soltanto dal desiderio di aver ragione e di cantare vittoria.

V. - SI'IEGAZIONE SPECULATIVA. 8. - L'unità personale di Cristo nella duplicità della natura e un mistero impe­ netrabile, che l'uomo può accogliere solo con fede ma che non riesce a capire. Quando si cerca di penetrare questa realtà ci si imbatte anzitutto nella questione emergente dal fatto che la natura umana non possiede una personalità propria, ma vive in unità personale con il Logos. La teologia nel corso dei secoli ha com­ piuto, per risolvere questo problema, diversi tentativi, tre de1 quali meritano di essere considerati. La spiegazione del tomismo ha come suo presupposto la dottrina della distin­ zione reale tra essenza (o natura) ed esistenza. La natura spirituale di venta inco­ municabile, cioè persona, con l'aggiunta del modo di essere sussistente ( sussi­ stenza) distinto realmente da essa. Data la distinzione reale tra natura e sussi­ stenza, Dio, con la sua onniporenza, può per cosi dire tener lontana questa ultima dalla natura. Dio ha proprio agito cosi una sola volta, e precisamente nella natura umana di Cristo. Siccome, dove non vi è propria sussistenza non vi è nemmeno una propria esistenza, si deve dire che la natura umana di Cristo non ha una propria esistenza. Al posto dell'esistenza e sussistenza mancanti alla natura umana di Cristo v'è l'esistenza e sussistenza del Logos. L'incarnazione ha fatto si che l'esistenza e sussistenza del Logos si estendessero anche alla na­ tura umana, in modo che questa ne fosse sostenuta. È facilmente comprensibile che quan10 dicemmo sopra per chiarire l'incarna­ zione del Verbo è nella linea del pens1ero tomistico. La concezione tomistica ha il grande vantaggio di prendere sul serio la rivelazione sulla appropriazione della natura umana da parte del Logos divino e di allontanarsi il piu possibile dal terreno nestoriano, pericoloso per la fede. Ma paga questo suo vantaggio con una grande difficoltà : non riesce infatti a chiarire come mai la natura umana possa avere una sua propria realtà senza possedere anche una propria esistenza. Ma essa trasferisce questa difficoltà nel campo del mistero, che non può mai essere rimosso da chiunque cerchi di indagare la realtà dell'incarnazione, e si rifugia nell'onnipotenza divina, che può penetrare con la sua azione creatrice nel­ l'intima struttura dell'essere piu profondamente di quanto lo possa fare il nostro pensiero. =

§ 146. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA)

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Scoto e i suoi discepoli ammettono tra natura e persona una distinzione sol­ tanto formale o virtuale. Natura e persona in realtà s'identificano tra loro, diffe­ rendo solo per il fatto che la persona dice incomunicabilità e la natura no. La personalità non significa una perfezione che si aggiilllg e alla natura (razionale), ma solo il fatto che questa è indipendente, è lasciata a se stessa e non appar­ tiene ad LUla ipostasi superiore. La natura umana di Cristo non è quindi persona per il fatto che è unita con il Logos. Non ha perciò quella indipendenza che compete alla persona. Ma con questo non ha perso nulla, dal momento che se cessasse d'essere unita il Logos diverrebbe per ciò stesso persona anche senza l'aggiunta di altra perfezione. Questa spiegazione sminuisce il valore dell'essere personale. Inoltre mette un po' in pericolo l'illl i tà di Cristo. È difficile capire che sia possibile una reale unità tra il Logos e la natura umana, quando da parte della natura umana non si attua alcun mutamento reale che tocchi l'intima struttura del suo essere. Secondo Suarez e i suoi seguaci non vi è d istinzione reale tra natura ed esistenza, bensi tra natura e persona. La natura spirituale diviene persona mediante l'ag­ giunta di un modo sostanziale (moàus substantialis), che invece manca nella natura umana di Cristo. Esso è tenuto lontano dall'onniporenza divina. Al posto di questo modo sostanziale mancante, vi è quello dell'unione (modus unim1ìs). Poiché esistenza e natura esistente si idenrificano, alla natura umana d i Crisro non manca l'esistenza. In tale modo si elimina la difficoltà del tomismo. Ma questa vittoria si deve pagare a troppo caro prezzo. An zitutto non si riesce a vedere o a spiegare come mai una natura esistente non abbia in pari tempo necessariamente la sussistenza e quindi, se razionale, non abbia la personalità. O si attribuiscono alla natura umana di Cristo l'esistenza e la sussistenza o si negano ambedue. Inoltre il modus unionis fa l'impressione d'essere un deus ex machina, introdotto per la circostanza, d'essere una semplice parola che non spiega nulla. Che l'unità di Cristo sia fondata sul modo di unione è per se stesso ovvio. Ma il problema sta proprio nella domanda : Che cosa è mai questo modus unionis? Siccome l'io della natura umana è quello del Figiio di Dio, Cristo, anche in quanto è questo determinato uomo, è figlio namrale e non adoaivo di Dio, come invece pensavano Elipando di Toledo e Felice di Urgel nel secolo VIIJ. * g. - « Ma il problema dell'unirà di c,·isto si acuisce sul piano psicologico, che è quello della coscienza. Per esso non si trova soluzione sistematica né in San Tommaso né in tutta la teologia scolastica fino ai nostri giorni : si tratta dj un problema nuovo. Si domanda non come Cristo sia uno (sul piano ontologico­ dinamico), ma come Cristo si senta uno. Per un uomo qualunque il problema

non è estremamente difficile, perché trova la sua soluzione neli'unica coscienza, che ogni individuo possiede. Ma in Cristo il problema si esaspera, perché ci troviamo di fronte ad un Uomo-Dio, che è una Persona divina sussistente in due nature, una divina e l'altra umana, che distano tra loro infinitamente e hanno ciascuna la propria volontà, la propria intelligenza, la propria attività e anche la propria coscienza. S econdo la psicologia moderna la coscienza ha come suo termine di espressione un Io : in Cristo le due coscienze si esprimeranno in due Io distinti? E in questo senso non si compromette l'unità della Persona?

I lO

P. I.

-

DIO Rl!DENTORE

Anzitutto bisogna guardarsi da una falsa posizione del problema. Tale sarebbe quella di chi si metresse davanti l'umanità di Cristo e la considerasse come un soggetto, un individuo umano, in tutto uguale agli altri uomini, col suo essen:, con la sua libertà, con la sua perfetta autonomia, con la sua coscienza, preten­ dendo di ritrovare in Cristo Uomo come la stessa natura specifica, cosi anche la stessa psicologia che in noi, quasi che l'unione ipostatica non vi incidesse affatto. Per questa via si raggiungerebbe il nestorianesimo. Male porrebbe anche il problema chi si mettesse tutto dalla parte della Divi­ nità per attribuirle una funzione trasformatrice delle facoltà operative, della strut­ tura antologica e psicologica della natura umana di Cristo. Per questa via si arri­ verebbe al monofisismo. Occorre dunque procedere con la massima cautela! La vera posizione del problema è questa : Cristo è il Verbo incarnato, un Uomo­ Dio, un essere teandrico, perfetto Dio e perfetto Uomo, perché in due nature, ma la natura umana in lui manca della sua personalità, supplendo in essa il Verbo la funzione di Persona. Posizione antologica singolare, che non può non incidere nella sfera dinamica e psicologica, pur lasciando la natura umana sostanzialmente integra nella sua struttura e nelle sue funzioni proprie. Insomma non l'Uomo e poi Dio né Dio e poi l'Uomo, ma indivisibilmen tc l'Uomo-Dio nella sua singolarissima situa­ zione antologica e psicologica. L'unità psicologica in Cristo, come in noi, è legata alla coscienza; ma in Cristo la coscienza è duplice, come duplice è la natura, l'intelligenza, la volontà, l'ope­ razione. Sappiamo inoltre che la coscienza psicologica ha un carattere profon­ damente personale e perciò ha come termine l'I o psicologico, centro unificatore di tutta l'attività cosciente, che postula necessariamente un Io antologico, cioè una persona sussistente. In primo luogo si deve considerare la coscienza dìvma del Verbo Incarnato : certo non si può parlare univocamente di coscienza psicologica in Dio. In noi tale coscienza è intesa comunemente come riflessione sui propri atti e in questo senso non la si può attribuire alla Divinità, che come Atto puro s'identifica con la sua attività conoscitiva e però ha la piena, semplice e immutata intuizione di sé. Ma presa come presenza avvertita di sé a sé, l'autocoscienza si può am­ mettere in Dio. Tuttavia, pur ammessa, questa coscienza divina non sembra personale, perché identica con l'unica e semplicissima natura. In sana teologia come si parla di una sussistenza in senso assoluto, che è trina in senso relativo, cosi si può rite­ nere che la coscienza, pure essendo assolutamente una è rrina in quamo ciascuna delle tre Persone divine la possiede secondo la sua propria relazione e in base ad essa si afferma come Io. Nell'ambito della Divinità è dunque possibile il dialogo lo-Tu, come appare in vari testi dell'Evangelo, dove Cristo, anche in quanto Dio, pone se stesso e la sua azione distintamente dal Padre e dallo Spi­ rito Santo. Con la coscienza divina dunque il Verbo si scruta e si sente nella sua attività divina (posseduta in modo relativamente proprio), nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo (filiazione, spirazione, missione), ma particolarmente nei suoi rapporti con la natura umana assunta ipostaticamente. Questa coscienza divina, in quanto posseduta dal Verbo, si esprime in un Io, .•

§ J46. INCARNAZIONE DEL FIGLIO DI DIO (UNIONE IPOSTATICA)

III

che si riferisce al Verbo stesso come distinto dal Padre e dallo Spirito Santo e come termine esclusivo dell'unione ipostatica. Resta ora a vedere la fnnzione della coscienza umana, che certamente esiste in Cristo come proprietà imprescindibile della natura assnnta. Senza dubbio essa è essenzialmente uguale alla nostra e in Cristo è più personale che quella divina, perché è parte di quella natura che è personalmente propria del Verbo. Il suo termine di espressione, come in noi, è un I o psicologico, che p erò non significa, come in noi, nna persona antologica umana (sarebbe contro la fede!). A chi si riferisce allora l'Io-termine della coscienza umana di Cristo? Se è vero che l'Io antologico dell'Uomo-Dio è uno solo ( la Persona del Verbo), coerentemente a quanto abbiamo fin qui esposto anche l'Io psicologico è uno solo. Piu chiaramente : la Persona del Verbo, come Io antologico di Cristo, è espressa psicologicamente in un Io-termine dalla coscienza divina e dalla co­ scienza umana. È vero che la Persona del Vtrbo è realmente e adeguatamente distinta dalla natura umana assunta e dalle sue facoltà, compresa la coscienza; ma distinta non significa separata né estranea. Tomisticamente lo hiatus tra il Verbo e la natura assunta è superato da due motivi : la comnnicazione dell'essere e l'influsso ege­ monico del Verbo sull'attività umana. Certam�:nte per avere nna perfetra auto­ coscienza è n ecessario che il soggetto e l'oggetto siano una stessa cosa, come l'anima nostra quando si ripiega su se stessa. Questa esigenza di identità tra sog­ getto e oggetto non si attua in Crisro a causa della distinzione reale tra natura umana e Persona divina : l'autocoscienza umana in lui ha come oggetto proprio l'umanità nel suo essere e nel suo operare. Ma l'umanità di Cristo manca della sua personalità naturale e però non ha vera auwnomia né antologica né psico­ logica, sussistendo e quindi personifìcandosi in certo modo nel Verbo, il quale conseguentemente entra nella sfera di quell'umanità prestando il suo essere e muovendo all'azione. In altri termini il Verbo assolve in linea di massima nella natura umana di Cristo la funzione propria della persona umana. La coscienza dunque ripiegandosi sulla natura non può non avvertire che questa natura esiste e opera in virtu di un Altro, cioè in dipendenza del Verbo, che la investe col suo essere, la fa sussistere e la regge in tutta la sua attività. E siccome è proprio della coscienza psicologica polarizzare l'essere e l'attività di una natura intorno all'Io (persona), la coscienza umana di Cristo deve registrare un Io che è la sua personalità. Ora in Cristo non c'è altra personalità che quella del Verbo e però in definitiva il termine focale di quella coscienza dev'essere il Verbo, attinto, sia pure oscuramente, come lo proprio. Se, come afferma S. Agostino, l'anima umana ripiegandosi su se stessa riesce a toccare le radici del suo essere e ad averne coscienza come di un essere subordinato e contingente, e quindi impli­ cante l'Assoluto, a maggior ragione si deve riconoscere alla coscienza umana di Cristo la virtu di attingere lo stato di subordinazione antologica e psicologica in cui si trova la natura assunta dal Verbo. Ma si obietta : come mai una facoltà finita, qual è la coscienza umana di Cristo, può percepire la Persona divina del Verbo? Anzitutto non si tratta di percezione diretta del Verbo; la coscienza ha per oggetto la natura cui appartiene, nel suo operare e nel suo essere; ma siccome =

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l'umanità di Cristo dipende dal Verbo per l'uno e per l'altro, la coscienza coglie questa dipendenza, in cui è implicito il Soggetto Divino. In secondo luogo la coscienza umana di Cristo non va equiparata sic et sim­ pliciler alla coscienza nostra, perché, a differenza della nostra, essa si trova ele­ vata alla sfera divina in forza dell'unione ipostatica e però la sua attività, come quella di tutta la natura assunta, è sotto l'influsso e il dominio del Verbo. Senza confondere l'ordine naturale con l'ordine soprannaturale, diciamo che la coscienza umana di Cristo, p11r rimanendo finita come creatura, è aperta al divino per le singolari condizioni in cui si trova in forza dell'unione ipostatica. Anche l'anima nostra è aperta al divino col suo desiderio naturale di vedere Dio, che si attua in virtu della grazia e del lume della gloria. In Cristo non ha senso la considerazione di uno stato naturale e di uno stato soprannaturale, perché la sua natura umana fin dal primo istante entra nell'or­ bita del soprannaturale in virtù dell'unione ipostatica e delle conseguenti ric­ chezze di grazie e di carismi. Difatti essa è immersa nel divino, per dire cosi, pur essendone distinta : le sue facoltà, già naturalmente aperte al divino (come l'anima nostra), aumentano di capacità sotto l'influsso del Verbo, che le ha fatte ineffabilmente proprie. La grazia, il lume della gloria, i doni dello Spirito Santo, la visione beatifica inondano di energia e di luce soprannaturale tutta l'amma di Gesu, che acquista cosi una maggiore perspicacia anche dal punto di vista funzionale. La sua coscienza psicologica passa da una inruizione oscura a una intuizione chiara dell'Io, che è il Verbo. Non si tratta, come vogliono alcuni, di una sostituzione della coscienza con la scienza o infusa o beata, ma di una c01-roborazione della coscienza stessa in virtu di quei doni soprannaturali. Mettiamo insieme nell'anima di Cristo tutto quello che è nei Santi e nei Beati, e piu ancora, teniamo como di quanto si sa dell'espenenza dei mistici, e allora non si vede alcuna difficoltà né metafisica né psicologica R concedere alla co­ scienza di Cristo la capacità di cogliere e di registrare il Verbo, esprimendolo nell'unico Io, che è il centro focale di tutra la vita wnano-di\'ina di Cristo. Come il lume della giona corrobora l'intelleuo creato, senza mutarne la na­ tura, e lo rende capace d'intuire Dio, alla cui conoscenza propendeva narural­ mente; cosi, la coscienza umana di Cristo già aperta al divino è rafforzata e potenziata dai doni soprannaturnli perché percepisca per \'Ìa quasi sperimentale (senza concetti) la Persona divina del Verbo, unico Soggetto sussistente e ope­ rante nelle due nature unite ipostaticameme. Come nel piano onrologico cosi in qudlo psicologico il principio di unita in Cristo rimane soltanto la Persona del Verbo, il quale pronunzia l'Io di fronte al Padre e allo Spirito Santo nelle operazioni personali ad intra e in rapporto all'umanità da lui solo assunta come strumento di salvezza, e si pone come principio e termine dell'attività cosciente umana, dicendosi Io umanamente, non per una semplice attribuzione estrinseca, ma in forza del vincolo reale, onto­ logico e psicologico, che lega intimamente l'esistenza e la vita della natura as­ sunta al Verbo. Le due coscienze convergono cosi nell'unico lo, che è il Verbo, coefficiente e termine di perfetta unità an::he nell'ordine psicologico. Per questa via, squisitamente tomistica, noi non pretendiamo di risolvere il

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mistero di Cristo in formule evidenti : pretesa assurda! M a crediamo di acco­ starci con maggiore sicurezza a quel sacrario misterioso, dove si svolge la vita intima dell'Uomo-Dio, dove l'umano e il divino si toccano e interferiscono senza confondersi e donde erompe quell'lo umanamente umile e divinamente sublime, che abbiamo indagato alla luce della rivelazione e della teologia » (P. Parente, L'lo di Cristo, Brescia 1955, 372-377). Per la storia della questione dell'unità psicologica di Cristo vedere il libro citato di P. Parente e lo studio dello stesso autore : La psicologia di Cristo, in Problemi e Orientamenti di Teol. Dogmatica, I I , 345-372; inoltre J. Galot, La psycho[ogie du Christ, in Nouv. Revue Théol., 1958, 337-358. * VI. - DURATA DELL ' UNIONE IPOSTATICA.

l O. - Si devono ancora chiarire due questioni complementari. Quando ebbe inizio l'unione del Figlio di Dio con la natura umana? Vi fu un qual­ che momento in cui essa cessò di essere? L'unione ipostatica cominciò nello stesso istante della concezione di Gesu, sicché non vi fu mai alcun mo­ mento in cui la natura umana non sia stata posseduta dall'io del Logos (cfr. i Simboli; Gal. 4, 4; Rom. r, 3). Agostino dice : « Dall'istante in cui cominciò ad essere uomo, (Gesti) è anche Dio » (De Trin., 1 3, 1 7, 22). Né l'anima di Gesu esistette prima della concezione, né il Logos scese nell'uomo Gesti solo al momento del battesimo. L'unità del Logos con la natura umana non subi alcuna interruzione (dottrina teologica certa), né mai avrà fine (dogma di fede ; cfr. il simbolo Niceno-costantinopolitano, Denz. 86; Le. r , 32 s. ; Ebr. 7, 24; 1 3, 8). Anche durante la quiete del sepolcro il Logos era unito alla carne. Per intendere rettamente l'eterna durata dell'unità personale in Cristo, non si deve dimenticare che Dio è attualità, atto sussistente, essere ope­ rante (cfr. § 63 s.). La durata ininterrotta dell'unione ipostatica non si­ gnifica quindi relazione statica, ma continuo atto di appropriazione della natura umana da parte del Logos. Da parte della natura umana sì tratta di essere diuturnamente posseduta e sostenuta dal Logos, da parte di Dio si tratta di un continuo possedere e sostenere la natura umana. E ciò per tutta l'eternità. Mai la natura umana può sganciarsi da questo intimo vin­ colo con l'Io del Figlio di Dio. 1 1 . - Per una risposta piti approfondita alla domanda chi sia mai Cristo, dobbiamo ora esaminare le due parti essenziali che lo compongono e cioè la sua umanità e la sua divinità. Anche qui vale ciò che abbiamo detto della persona di Cristo e della sua opera : si devono distinguere la divinità e l'umanità ma non si devono mai separare tra loro. Tratteggiando la

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figura di questo uomo non si deve mai dimenticare che egli è Dio; par­ lando di lui come Figlio di Dio non si deve mai dimenticare che egli agisce e opera in una natura di uomo entro la storia umana. Nessun uomo può mai essere descritto esaurientemente se ci si ferma alla pura espe­ rienza, dato che l'uomo vive trascendendo continuamente se stesso (cfr. § § 105 e 190). Egli esce di continuo da sé per rivolgersi a un'altra realtà. Ciò vale in modo del tutto particolare ed unico per la natura umana di Cristo. Essa si trascende per volgersi a Dio, come nessun'altra mai . Tutto ciò che vi è in essa e tutto ciò che essa fa, procede dal Figlio di Dio e ritorna a lui. La trattazione della sua umanità e della sua divinità dev'essere condotta in modo da mettere in luce prima che il Figlio di Dio esiste nella natura umana, poi che la natura umana sussiste nell'io divino del Logos. Ciò che è piu importante è che Dio esiste nella natura umana, che il Figlio di Dio spogliò se stesso prendendo la natura di servo. Questo deve essere quindi posto in particolare risalto, parlando in primo luogo del­ l'uomo Cristo ( § § 1 47- 1 5 1). La sua divinità ci apparirà poi come la gloria nascosta operante in questa vira di uomo (§ 1 5 2). § 147. L'apparizione storica del Figlio di Dio in una vera natura umana. l . I l Figlio di Dio è apparso in una vera natura umana. È dogma di fede. Vedere le decisioni ecclesiastiche riferite nel § 1 46 ; inoltre il 2° Concilio di Lione (Denz. 462) e il Concilio di Vienna (Denz. 480). Con la corporeità è connessa la temporalità e la storicità del Logos fattosi uomo. Secondo S. Agostino la proposizione « Dio si è incarnato » equivale a « Dio si è fatto temporale e storico » (In I Ioann., tr. 2, n. Io). -

2. Gli scritti del Nuovo Testamento non presentano una storia con­ tinua e progressiva della vita di Cristo dalla nascita alla morte, non sono una biografia di Cristo, ma racchiudono solo delle testimonianze sul mi­ stero della redenzione, resosi presente nel corso di questa vita. Sono un racconto sulla proclamazione e certezza del regno messianico e della si­ gnoria di Dio con esso instaurata. Perciò molte cose che interessano la curiosità umana, sono lasciate in silenzio. Dio stesso, che è il principale autore della Scrittura, le ha avvolte in un oblio perenne. Tutte le descrizioni apocrife della vita di Gesu e tutte le cosiddette rive­ lazioni private destinate a supplire le lacune dei racconti biblici, tradi­ scono il tentativo di migliorare e accrescere la parola di Dio. -

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L'APPARIZIONE DEL FIGLIO DI DIO IN UNA VERA NATURA UMANA

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Nonostante il loro riserbo voluto dallo Spirito Santo, i testimoni neo­ testamentari di Cristo ci parlano di lui in modo piu che sufficiente perché la sua figura ci si presenti come una realtà viva, nella sua piena realtà corporale e dai contorni ben precisi. In modo particolare, essi si accor­ dano nel dirci che Dio stesso ha scelto un'ora ben precisa della storia per rendersi presente tra di noi, sicché l'incarnazione si può datare. Essa è il punto in cui culminano tutte le precedenti rivelazioni divine. Quando giunse la pienezza dei tempi Dio mandò il Figlio suo (Gal. 4, 4; Mc. I 2, I-7). In Cristo il tempo è giunto a compimento (Mc. I , I 5). La testimonianza del Nuovo Testamento va esposta prima nel suo ca­ rattere generale e poi nei suoi particolari. A) Il carattere generale della testimonianza neotestamentaria circa la corporeità e storicità di Cristo emerge al massimo negli Atti degli Apostoli, particolarmente nei passi che riportano i discorsi missionari. La caratteristica di Luca sta nel fatto che egli già nella composizione del suo Vangelo ha ricercato accuratamente tutte le notizie reperibili in­ torno a Gesu Cristo. Egli si considera, come tutti gli altri scrittori neote­ stamentari, non come creatore ed inventore di quanto narra, ma come testimone e trasmettitore di fatti realmente accaduti. Secondo quanto scrive negli Atti, i dodici si presentano come testimoni di ciò che hanno speri­ mentato e vissuto. Il concetto di testimonio imporra tre elementi. Anzi­ tutto testimone è solo colui che ha visto e udito guanto racconta. Solo il testimone oculare e auricolare può realmente testimoniare guanto dice. In Atti I, 2 I sono menzionate le condizioni necessarie perché uno possa chiamarsi testimone. « Bisogna che di questi uomini, i quali sono stati uniti con noi per tutto quel tempo, in cui fece sua dimora tra noi il Si­ gnore Gesu, cominciando dal battesimo di Giovanni, sino al giorno in cui fu assunto di mezzo a noi, uno di questi sia costituito testimone con noi della risurrezione di lui ». Inoltre è richiesto che il testimone non solo abbia sperimentato il fatto storico nella sua realtà, ma ne abbia capito il senso. Cristo ha rivelato il significato dei suoi miracol i, delle sue sofferenze, della sua morte e risurrezione. Ha mostrato che in questi avvenimenti agisce Dio, che essi quindi non formano storia nel senso or­ ' dinario, ma storia sacra; una storia cioè nella quale Dio opera la salvezza dell'uomo. Tali avvenimenti nella loro pura realtà possono essere osservati con gli occhi carnali, ma il loro significato salvifico può essere conosciuto solo per fede (Atti 1 0, 37-4 1 ). Infine di siffatta testimonianza è solo ca­ pace colui che fu prescelto da Dio (Atti 10, 40). Solo nello Spirito Santo è possibile testimoniare Cristo (Atti 5, 32; I , 4-6).

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I testimoni cosi qualificati testimoniano la storicità di Cristo presentan­ dolo come il realizzatore delle profezie veterotestamentarie. Ne testimo­ niano non solo l'esistenza nella storia, ma danno anche la situazione sto­ rica in cui egli vive. Gesu è il redentore promesso nell'Antico Patto. Il nucleo dei discorsi missionari riferiti negli Atti è che Gesu è il Messia, l'unto che Dio ha promesso mediante i profeti. L'Antico Testamento ap­ partiene essenzialmente a Cristo, il quale adempie e realizza ciò che è stato profeticamente visto e detto. Come l'Antico Testamento manca del suo ultimo senso se non viene interpretato alla luce di Cristo, cosi alla teologia di Cristo manca il suo fondamento se egli non viene inteso come il redentore profetato nel Vecchio Patto. Antico e Nuovo Testamento si compongono nell'unità di un'unica storia di salvezza operata da Dio, e nella quale Cristo costituisce il punto centrale. Come esempio valga il discorso che Paolo tenne nella sinagoga di An­ tiochia in Pisidia : « Fratelli, a voi è stata inviata questa parola di salvezza. Infatti gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi, non avendolo voluto ri­ conoscere e pronunciando la sua condanna, hanno adempiuto anche gli oracoli dei profeti, che tutti i sabbati si leggono, e pur non trovando in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a PilatO che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutto quello che era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero in un sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ; e per molti giorni di seguito è apparso a coloro, che con lui dalla Galilea erano saliti a Gerusalemme, i quali sono ora i suoi te�tirnoni di fronte al popolo. E noi vi annunciamo la buona novella, che, la promessa fatta ai padri nostri, Dio l'ha compiuta per noi loro figli, risuscitando Gesu, come sta scritto nei salmo secondo : Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato. E che Dio lo abbia risuscitato dai morti, è quanto egli affermò dicendo : Io darò a voi le grazie assicurate a David. Per questo dice ancora in altro luogo : Non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. Ora David, dopo aver compiuto nel corso della sua vìta i disegni divini, mori e, se­ polto coi suoi padri, vide la corruzione. Ma colui che Dio ha risuscitato non ha veduto la corruzione » (Atti 1 3, 26-37). Sostanzialmente troviamo lo stesso schema (promessa veterotestamentaria - suo adempimento in Cri­ sto) nei discorsi tenuti da Pietro nella casa di Cornelio (Atti 10, 34-43) e nel giorno di Pentecoste (Atti 2, 2 1 -36). Per piu ampi sviluppi si veda ]. R. Geiselmann, 7esus der Christus, 195 1 . B) In particolare della testimonianza neotestamentaria circa l a corpo­ reità e storicità di Cristo riportiamo quanto segue.

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a) È significativo che proprio Giovanni, l'evangelista che piu degli altri parla dell'esistenza eterna (pre-istorica e soprastorica) di Cristo, ce ne testimoni con tanta forza la corporeità e la conseguente storicità. Anche l'Evangelo di Giovanni non annette alcuna importanza alla completezza, volendoci solo ricordare gli eventi principali della vita di Cristo da cui deve scaturire la fede nella sua maestà divina (Gv. 20, 30 s . ; 2 I , 25). Ciò che l'Apostolo Giovanni narra è una viva testimonianza contro ogni tentativo di ridurre la vita di Cristo a un puro mito. Ci tiene ad assicu­ rarci che egli stesso ha visto, udito e toccato quel Dio che è apparso sulla terra. L'immagine di Cristo gli si è impressa in tutti i sensi, e ancor dopo due generazioni egli conservava nell'orecchio il timbro della sua voce e risentiva nelle mani il tratto del Signore ( I Gv. I, 1 -3). Egli fu testimone oculare delle opere di Dio avveratesi a Gerusalemme, a Cafar­ nao, a Nazaret. Con scandalizzante risolutezza afferma nel suo Evangelo che il Verbo si è fatto carne (I, 14). Ogni interpretazione che riduca il corpo di Cristo a pura parvenza o a un corpo celeste utta contro la chia­ rezza di questa frase. Si vede che Giovanni ha di mira un avversario, lo gnosticismo duali�tico e dispregiatore del corpo. Perciò il suo dire assume un tono polemico e accentua nel modo piu forte possibile che il Logos ha veramente assunto una natura umana con le sue debolezze e necessità. Lo gnostico, spregiatore del corpo, non può ammettere e nemmeno com­ prendere questo fatto. Per lui la carne è sede o fonte del male ; perciò egli non riesce affatto a concepire che il Logos si sia intricato con il male assumendo un corpo terrestre. Anche Giovanni, che parla di tenebre, ha una concezione assai fosca del mondo : gli uomini sono cosi fatti da amare piuttosto la tenebra che non la luce. Però mai il mondo come tale è da lui concepito come una realtà ostile a Dio. Cosi invece pensava Marcione il maggior esponente della gnosi pagano-cristiana durante il n secolo. Per costui l'Iddio Salvatore venne solo con una parvenza di corpo nel mondo a lui ostile al fine di strappare e redimere le creature appartenenti al cattivo Dio creatore del Vecchio Testamento. Per Giovanni le tenebre che si oppongono alla luce, non sono altro che gli uomini malvagi dal cuore indurito nel male. Anche il corpo è creatura di Dio e proprio in esso è apparsa la gloria dell'unigenito di Dio (Gv. I, 5· 1 4). Parlare diver­ samente sarebbe eresia. Vi sono parecchi maestri d'errore nel mondo che, bugiardamente, negano che Cristo sia apparso nella carne. Sono costoro dei ciurmatori, tra i quali è l'anticristo (2 Gv. 7). No ! Cristo non è un'idea intemporale. In un particolare momento sto­ rico il Figlio di Dio è penetrato nel mondo e vi è apparso come il rive-

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latore inviato da Dio. E proprio in questo momento si decide tutto. Pro­ prio in questo momentll è venuta la luce, che apporta salvezza e condanna. La rivelazione divina non si avvera in una perennità atemoorale, ma in un'ora ben precisa, né prima né dopo. Chi trascura quest'ora perde la visita di Dio, e quindi pesa su di lui il « troppo tardi » della disperazione (Gv. 8, 2I). L'ora della grazia e della salvezza, della vita e della luce è stata preparata attraverso i secoli e proclamata da Giovanni, il profeta che predica l'approssimarsi del regno di Dio (Gv. I , I 5-27). Tra i molti che venivano a farsi da lui battezzare egli ne addita uno. Tutti lo possono vedere. Questi è l'agnello di Dio. Ora è il tempo del condono dei pec­ cati. Ora è giunto l'istante in cui il Battist::t deve ritrarsi perché il Messia cresca. Tuttavia la vita di Cristo non si esaurisce nel suo corso storico; essa proviene da un abisso tutto rifulgente della gloria di Dio, e quindi chiun­ que vuoi rettamente comprendere Cristo deve unire insieme la sua debo­ lezza umana con la sua grandezza divina. Egli venne dalla pienezza di Dio alla quale è ritornato. Tale pienezza era pure presente, ma in modo occulto, in Cristo vivente nella storia ; con la risurrezione sfolgorò in tutto il suo splendore. Perciò il Cristo testimoniato da Giovanni è una realtà di una tensione gigantesca : entro la caducità dell'umana natura racchiude la pienezza di vita e la luminosità dello stesso Dio. b) Anche Paolo, l'Apostolo che non vuoi piu conoscere Cristo nella carne e che lo ha esperimentato come una realtà spiùuale, come il Si­ gnore glorificato, ossia come una persona possente e celeste permeata dallo Spirito Santo, proclama l'esistenza corporea e storica di Cristo. Per lui Cristo non è affatto uno di quegli esseri celesti luminosi di cui parla il mito. Colui che ora esiste nello stato glorioso è il medesimo che prima fu partorito da una donna terrena (Gal. 4, 4). La realtà storica di questa vita raggiunge il suo coronamento nella passione, nella morte e nella sua risurrezione (r Cor. 1 5, 3-u), a cui l'Apostolo Paolo annette un peso straordinario (ivi). Anche i miti parlano di morte e risurrezione di dèi salvatori, ma la loro morte e risurrezione non è altro che un simbolo di eventi naturali che s'avverano con una ripetizione eterna. Ma la morte e la risurrezione di Cristo non sono affatto un simbolo, bensi un evento storico unico e irripetibile (Ebr. g, 2 I ). Si parla infatti del sepolcro e si ricordano i testimoni sia della passione che della risurrezione. Come il credo apostolico con il ricordo del seppellimento vuole sottolineare ancora l'umanità di Cristo, cosi il richiamo del sepolcro in I Cor. 1 5, 4 vuole sottrarre la vita di Cristo ad ogni contaminazione con le leggende mito-

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logiche per situarla nella realtà storica (cfr. pure Rom. 6, 4 ; Col. 2, 1 2). Il sepolcro conferisce alla vita e alla morte di Cristo la sua concretezza, la sua unicità e irripetibilità. Molti testimoni della risurrezione vivono ancora ( 1 Cor. 1 5, 6); si pos­ sono quindi ricercare e interrogare. Essi possono ancora ricordare l'avve­ nimento che sotto Ponzio Pilato si è svolto fuori della porta di Gerusa­ lemme (Ebr. 1 3, 1 2). L'importanza della risurrezione appare anche nel fatto che l'Apostolo, come lui stesso testifica, ne è stato profondamente scosso e totalmente mutato si da divenire da feroce persecutore, uno dei piti attivi fra coloro che avevano seguito Gesti sin dal principio. Cosi un evento storico come la vita, la morte e la risurrezione di Cristo pretende d'essere il centro della storia e di vincolare la vita, il pensiero e il volere di ogni uomo. Appunto per questo esso è la pietra d'inciampo. Possiamo quindi dire che proprio la storicità separa nettamente il cri­ stianesimo da tutte le religioni pagane, le quali, parlando cristianamente, sono tutte religioni di natura, poiché in esse la natura viene divinizzata. Nella rivelazione cristiana l'elemento storico ha una tale forza da spezzare l'eterno ciclo della natura. Per mezzo della sua risurrezione Cristo, il ri­ velatore di Dio, ha eliminato il continuo ripetersi della nascita, della vita e della morte. Non vi è un ciclo eterno di vita e di morte, di novella vita e di novella morte, di estate e autunno, d'inverno e primavera. La risur­ rezione di Cristo ci ha aperta la via per evadere dalla natura e per entrare in una vita svincolata dalla sua legge che è legge di caducità. È qui che si decide dell'obbedienza e della disubbidienza, della rovina e della risurrezione degli uomini. La vita di Cristo, anche se per Paolo è qualcosa di veramente storico, non si esaurisce tuttavia nella storia, ma varca i limiti della storia e del­ l'wnano, poiché in essa si attua il mistero della salvezza. La lettera agli Ebrei ci raffigura Cristo secondo lo spirito delle altre lettere paoline. Alla fine dei tempi è apparso il rivelatore che riassume e condensa in sé tutte le rivelazioni precedenti. Egli, il Figlio di Dio, non si è vergognate di divenire fratello degli uomini; ha infatti preso come gli altri carne e sangue, per essere in tal modo il duce della nostra salvezza (Ebr. 2, 10-1 8). Egli è un sommo sacerdote che ha esperimentato tutte le nostre debo!ezze, essendo divenuto in tutto simile a noi, fuorché nel peccato (Ebr. 4, 1 5). c) I sinottici narrano piti concretamente la vita terrestre di Gesti, la sua nascita e la sua morte. Egli fu un bimbo come tutti gli altri, fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, non essendoci posto alcuno

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nel caravanserraglio (Le. 2, 7). Gli anni della sua fanciullezza, salvo insi­ gnificanti eccezioni, trascorsero come quelli di tutti gli altri ragazzi senza manifestazioni straordinarie e ciò in contrasto con gli eroi mitici delle leg­ gende. Cristo fu un uomo che come gli altri pati la fame e la sete, che si stancava e che riposava, che si adirava e si meravigliava, che soffriva e dolorava, che combatteva e amava, la cui esistenza trascorse dunque si­ mile all'esistenza di ogni altro uomo. Egli sta al termine di una lunga serie di antenati che da Adamo giungono a lui attraverso Enoc, Lamec e giu sino a Maria e a Giuseppe (Mt. 1 , r-1 7 ; Le. 3, 23-38). La storicità di Cristo è pure comprovata dai nomi ricordati nell'Evangelo e che non appartengono direttamente alla storia della salvezza. Sono i nomi di co­ loro che stanno ai margini delle testimon ianze su Cristo, come gli impe­ ratori romani Cesare Augusto, che ordinò un censimento, Quirinio, pro­ console romano di Siria, Ponzio Pilato il procuratore romano della Giudea (Le. 2, 4i 3> I-3). Essi servono per la documentazione cronologica. ar. ]. Schmid, L'Evangelo secondo Luca, Brescia 1957, 88-92 : Il censimento di Quirinio ; 1 2 1 - 1 2 5 : L'anno decimoquinto dell'imperatore Tiberio e la cronologia della vita di Gesu. Con Cristo il regno di Dio da lungo tempo promesso entra nel corso della storia. Con lui si è avverato il tempo (kairos) che nei secoli precedenti tanto era stato atteso (Mc. I, I 5) e che da Dio era stato preparato in svariate maniere. Il corso di questa vita fu presrabilito dal Padre. Tutte le sue fasi ob­ bediscono a un preciso comando divino (Mc. 8, 3 1 ; Gv. 1 0, 1 6). Era nel disegno eterno di Dio che Gesu dovesse entrare nella casa di Zaccheo, per portarvi la salvezza (Le. 19, 5· 9 s.). Cristo deve lasciare Cafarnao poiché a tutte le città d'lsrae!e bisogna ch' egli rechi la buona novella (Le. 4, 42 s.). Ogni giorno e ogni ora hanno il loro compito (Mt. 26, 1 8 ; Gv. 9, 4). In una discussione con i Farisei che volevano indUI]o ad ab­ bandonare il territorio di Erode, Cristo sottolinea il carattere storico della sua attività : « Andate a dire a quella volpe : Ecco io scaccio demoni e opero guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno sono al termine. Però devo fare la mia strada oggi, domani e il di seguente, perché non è ammesso che un profeta perisca fuori di Gerusalemme » (Le. 1 3, 3 1 -3 3). Quando giunge il momento fissato da Dio allora, e solo allora, s'avvera la passione, non un giorno prima né un giorno dopo (Mc. 1 4, 4 1 ; Gv. I I , 8 s . ; Le. I 8, 3 1 ). Nel Getsemani egli si prepara agli eventi decisivi della sua vita (Mc. 1 4, 33-42 ; Gv. I 2, 27). Prima che giunga l'ora delle tenebre, può ben spuntare l'odio atroce che ne brama la morte, ma esso non potrà avere alcun effetto (Le. 22, 5 3). Quindi ciò che si narra di

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Cristo non è affatto leggenda, bensi un complesso di avvenimenti voluti da Dio in un determinato momento della storia. Anzi egli è cosi profon­ damente radicato nella nostra temporalità e in modo cosi significativo, che i tempi prima di lui sono improntati di lui e quelli dopo la sua nascita sono rivolti a lui e chiamati a decidersi pro o contro di lui. In Cristo la storia ha un punto centrale stabile, dal quale passato e futuro possono ricevere un senso preciso. È altamente significativo il fatto che l'ostilità contro Cristo e l'ostilità contro la storia sono intimamente legate tra loro. Il crollo della coscienza cristiana racchiude in sé il crollo della coscienza storica. Quando l'uomo si erge contro Cristo finisce con l'adulterare anche i fatti storici secondo i propri preconcetti naturalistici o razionalistici. Cfr. M. Schmaus, Von den Letzten Dingen, 1948, 2 I -8o. Ma va aggiunto anche qui che la vita di Cristo, quale ce la descrivono i sinottici (Matteo, Marco e Luca) non si esaurisce nella pura storia. Anche se questa breve vita sembra scorrere normalmente, essa spira tut­ tavia qualcosa di misterioso e di indicibile. E talora uno splendore inso­ lito riluce nella quotidianità dei fatti usuali. 3. - Anche scrittori pagani (Tacito, Svetonio, Plinio) e giudei (Giuseppe Flavio) testificano il carattere storico dell'esistenza di Cristo. Tacito nei suoi Annali (scritti circa il I r6) narra che Nerone dopo aver incendiato la città di Roma (a. 64) accusò di tale misfatto i cristiani. « L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato ; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono e sono esaltate tutte le cose atroci e vergognose » (Ann., r s, 44). Svetonio, verso il I 20, racconta che Claudio « espulse da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cresta, facevano frequenti tumulti » (Claudius, 25). Cfr. Atti I 8, 2. Plinio il giovane, verso il I 1 2, scrive all'imperatore Traiano informan­ dolo che nella Bitinia erano molto diffusi i cristiani, i quali « in un giorno stabilito si adunavano, prima del sorgere del sole, per cantare inni a Cristo come a un Dio » (Ep., Io, 96). Lo storico giudeo Giuseppe Flavio in un passo delle Antiq. lud., scritte fra gli anni 93 e 94, riferisce la morte violenta di Giacomo « fratello di Gesti, chiamato il Cristo » (c. 20, 200). In un altro passo cosi scrive di Gesti stesso : « Ora, ci fu verso questo tempo Gesti, uomo sapiente,

P. l .

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-

DIO REDENTORE

seppure bisogna chiamarlo uomo : era infatti facitore di opere straordi­ narie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei e anche molti Greci. Costui era il Cristo ». Anche se le frasi scritte in corsivo si debbono considerare come un'aggiunta cristiana posteriore, il passo testifica tuttavia l'esistenza storica di Gesti. 4. La storicità di Cristo non può essere scossa a motivo delle diffi­ coltà cronologiche riguardanti alcuni particolari e della riservatezza dei testi oculari. Questi, ad esempio, nulla ci dicono sulla figura esteriore di Cristo. K. Adam ha cercato di dedurre l'aspetto fisico di Cristo basandosi sulle sue azioni, sulle sue parole e sulla loro efficacia negli uditori. Da tutto ciò pare che si debba attribuire a Gesti un aspetto bello ed affascinante, il quale emergerebbe pure dall'influsso da lui esercitato sulle masse popolari. Forse ci si può anche richiamare all'intima unione della natura umana di Cristo con Dio, sorgente d'ogni bellezza. Tuttavia Origene, poggiando sulla descrizione che Isaia fa del servo di Dio, attribuisce a Cristo un corpo piccolo e brutto. Sarebbe questo un nuovo segno dell'annientamento di­ vino. Dai numerosi fatti prodigiosi da Cristo operati, dalla sua frequente astensione dal cibo e dalla bevanda, dalle sue notti spesso trascorse al­ l'aperto, lo stesso Adam attribuisce a Cristo anche una notevole forza fisica, grande salute, resistenza e capacità di lavoro. Ai suoi occhi sembrano assai probativi passi come Mc. 3, 5· 34; 5, 32; 8, 33 · Cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesu, nn. 1 89-1 9 3 : L'aspetto fisico di Gesti. -

5. Gli scritti neotestamentari non ci danno tuttavia una diretta descri­ zione del suo aspetto fisico. E in tal modo si distinguono fondamental­ mente dalle narrazioni ellenistiche circa gii uomini divini. -

Queste descrivono di soli10 la forma meravigliosa e l'abito rifulgente del loro eroe. Anche il luogo della loro nascita è descritto con colori smaglianti. Dopo la nascita di Apollonia di Tiana, cigni cantanti anormano la madre che in con­ formità a un sogno era andata in un parco per raccogliervi dei fiori; spira lo zeffiro e un lampo scende sulla terra dal cielo per quivi nuovamente salire. Solo tra tutti gli altri uomini, Zoroastro nel giorno della sua nascita ha sorriso alla madre. I figli degli dèi, presso i Greci, sono caratterizzati da una rapida crescita della corporatura e dal loro precoce sviluppo intellettuale. L'iddio Poros divenne il piu bello degli uomini e con una statura tale da non trovarsene altri simili a lui sin dal tempo degli eroi omerici. Luciano esalta Peregrino Proteo come la più meravigliosa figura coniata dalla natura. Con grandi particolarità Luciano descrive pure l'aspetto esteriore di Alessandro Abonuteico. Proclo era cosi bello che anche le sue migliori raffigurazioni erano ben sbiadite al suo confronto. Egli possedeva anche una salute di ferro e una intelligenza senza paragone. Isidoro

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aveva una statura gigantesca e snella, con un viso meraviglioso, divino come quello di Mercurio ; i suoi occhi in special mod0 erano degni di considerazione, come espressione divina della sua anima. Ma al contrario gli scritti neorestamentari nulla di speciale ci riferiscono per quanto riguarda l'apparenza esteriore di Cristo. Quel che conta non è ciò che egli era esteriormente. Di questo non si sono affatto interessati gli scrittori guidati dallo Spirito Santo. Perciò tali scritti non hanno nulla a che vedere con le bio­ grafie ellenistiche (R. Hanslik, Christus und dze hellenistischen Gottesmiin ner bis zu ihrer Lehr- und Wundertiitigkeit, in Theologie der Zeit, 4, 203-214). Gli scrittori neotestamentari descrivono brevemente la realtà che hanno sperimentato e nella quale ciò che è decisivo è che la vita divina apparve nella carn e . Le bio­ grafie ellenistiche sono invece il frutto della forza creatrice umana che sogna i suoi eroi cosi come

il

cuore dell'uomo desidererebbe fossero vissuti.

6. Potrebbe destare meraviglia il fatto che i cristiani dell'epoca post­ apostolica, come anche i Padri posteriori, si sono opposti fieramente alla concezione di un Cristo in cui il Figlio di Dio fosse apparso soltanto nella -

nobiltà di uno spirito umano, rivestendosi della splendida apparenza di un cor{Xl umano. Gli è che essi in questa concezione vedevano minacciata tutta l'essenza stessa del cristianesimo. Di qui la forza della loro difesa. Ignazio di Antiochia che sta per essere condotto al martirio, cosi supplica i Trallesi : « Turate le vostre orecchie quando alcuno vi parla senza Gesu Cristo, il quale discendendo dalla stirpe di Davide, fu concepito c nacque realmente da Maria, mangiò e bevve, fu realmente perseguitato sotto Ponzio Pilato, fu real­ mente crocifisso e mori alla presenza di coloro che sono in cielo, in terra e negli inferi. Cosi pure egli è veramente risuscitato da morte per volere del Padre, al modo stesso che noi, che crediamo in lui, saremo risuscitati dal Padre in Gesu Cristo, senza il quale non possediamo la vera vita. Che se egli soffri solo in apparen za, come dicono alcuni atei, cioè increduli, i quali sono essi stessi una apparenza, perché dunque io sono incatenato e imploro di combattere con le fiere? Io morrei dunque invano; e ciò che dico intorno al Signore non sarebbe che una menzogna! Fuggire, dunque, questi dannosi rami parassiti, che gene­ rano frutti di morte : chi ne gusterà perirà all'istante. Essi infatti non sono pian­ tagione del Padre » (Trall., c. 9-1 I). S imilmente scrive alla comunità di Smirne : « Egli sopportò tutte queste soffe­ renze per noi, affinché fossimo salvi; e soffri realmente, come realmente risu­ scitò se stesso, e non apparentemente, come sostengono alcuni increduli, i quali sono essi stessi un'apparenza, destinati, in conformità al loro modo di pensare, ad essere senza corpo e simili ai d�moni. Io so e credo che, anche dopo la risurrezione, Gesti Cristo aveva il corpo. E quando s'avvicinò a quelli che erano intorno a Pietro, disse loro : Prende­ temi, toccatemi e vedete che non wno uno spirito senza corpo. E subito lo toc­ carono e, al contatto della sua carne e del suo spirito, credettero. Per questo essi disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la risurrezione poi (Gesu)

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P. I.

-

DIO REDENTORE

mangiò e bevette con loro, come un essere di carne, benché fosse spiritualmente unito al Padre. Io vi do questi consigli, o carissimi, pur sapendo che voi la pensare già cosi. Mio scopo è di mettervi in guardia contro le belve in forme umane, che voi non solo non dovete accogliere, ma, se è possibile, dovete cercare di non incontrare neppure, !imitandovi a pregare per loro, se mai volessero convertirsi; cosa che è difficile, ma possibile a Ges.J Cristo, nostra vera vita. Se ciò che il Signore ha fatto è solo un'apparenza, anche le catene che mi legano sono un'apparenza. E allora perché io mi sono offcno alla morte per mezzo del fuoco, della spada, delle belve? Ma invece, essere vicino alla spada è essere vicino a Dio, essere con le fiere è essere con Dio; purché ci si sia nel nome di Gesti Cristo. Per as•o­ darmi alla sua passione, io sopporto ogni cosa, perché me ne dà la forza lui, che s'è fatto perfetto uomo. Vi sono alcuni che, per ignoranza, lo rinnegano, o piuttosto, è lui che li ha rinnegati, perché essi sono avvocati della mone piuttosto che della verità. Non li convinsero i profeti, né la legge di Mosè, né, fino ad ora, il Vangelo, né le soffe­ renze di ciascuno di noi. Poiche, anche a riguardo nostro, costoro la pensano come a riguardo di Cristo. Che

rru

giova infatti se ah:tmo loda me c bestemmia

poi il mio Signore, negando che egli ha preso umana carne? Chi nega questa verità rinnega pienamente Gesti Cristo ed è egli stesso un becchino. Non mi è sembrato bene scrivere i loro nomi, perché ;ono nomi d'infedeli. Possa io non fare mai piu menzione di loro, finché si siano convertiti alla fede nella passion e d i Cristo, che è nostra risurrezione. Nessuno si lasci t rarre

m

con tutta la loro gloria, e i

inganno :

anche gli abitanti del cielo e gli angeli,

p ri n ci pi visibili e invisibili, se non credono nel può intendere in­

sangue di Cristo, anch'essi non sfuggiranno al giudizio.

Chi

tenda.

poiché

Nessuno s'inorgoglisca per il

posto che occupa,

rutto sta nella

fede e nella carità, delle quali non c'è nulla di piu eccellente. Osservate come è contraria al pensiero di Dio la condotta di coloro che professano l'e rrore in­ torno alla grazia di Gesù Cristo,

venuta

a noi. Essi non si curano della carità,

né della vedova, né dell 'orfano, né dell'oppresso, né di chi è prigioniero o libero, né di chi ha fame o sete. Essi se ne stanno lontani dall'Eucaristia e dalla pregh1era, perché non vogliono riconoscere che l'Eucaristia è la carne del Salvatore nostro Gesu Cristo, quella carne che sofferse per i nostri peccati e che il P:Jdre, nella sua bontà, risuscitò. Costoro, che n egano il dono di Dio, trovano la morte nella loro stessa contesta­ zione.

Meglio

sarebbe per loro praticare la carità

per poi risorgere.

quindi che stiate lontani da cosTOro e che non ne parliate, né

Bisogna

in privato n é in

pubblico; state invece attaccati ai profeti e specialmente al Vangelo, nel quale ci è descritta la passione, e la risurrezione c1 e mostrata come un fatto com­ piuto. Fuggite le divisioni come principio di tutti i mali

»

(Smyrn., c. 2-7; trad.

di G. Bosio). Secondo lreneo tutta l'economia della salvezza sarebbe vana finzione se Cristo non avesse una vera umanità. dell'uomo, la disfatt11 di

«

Se non fosse st:tto un uomo a vincere il nemico

quesro nemico non sarebbe stata giusta. Se poi non

fosse stato un Dio a darci la salvezza, noi non i'avremmo fine l'uomo non fosse stato

co8tituito

in modo sicuro. Se in­

in stretta unità con Dio, non

avrebbe

§ I 47· L' APPARIZIONE DEL FIGLIO DI DIO IN UNA VERA NATURA UMANA

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potuto aver parte alla incorruttibilità. Occorreva dunque che il mediatore di Dio e degli uomini, per la sua parentela con le due parti, ristabilisse tra loro l'amicizia e la concordia e facesse in modo che da una parte Dio assumesse l'uomo e l'uomo si donasse a Dio. Come infatti avremmo potuto pa rtecipare mediante l'adozione alla sua filiazione, se attraverso il Figlio non avessimo rice­ vuta da Dio la comunione con lui, se il suo Verbo non avesse comunicalO con noi facendosi carne? Ed è pure per questa ragione che egli ha traversato tutte le età, per restituire a loro tutta la comunione con Dio. Dunque coloro i quali affermano che egli si è mostrato " in apparenza ", che " non è nato nella carne ", che non si è veramente " fatto uomo ", sono ancora sotto l'antica condanna . Era dunque necessario che colui che doveva uccidere il peccato e riscattare l'uomo dalla sua condanna a morte divenisse precisamente ciò che era questi, cioè un uomo - un essere ch'era stato ridotto in servitu per il peccato e che era soggetto al potere della morte - affinché il peccato fosse ucciso da un uomo e l'uomo sfuggisse alla morte. Poiché come per la disobbedienza di un solo uomo - che primo fu plasmato nella terra \'ergine - molti sono diventati pec­ catori e hanno perso la vita, cosi fu necessario che per l'obbedienza di un solo uomo, nato dalla Vergine, molti fossero gi u stificati e ricevessero la salvezza. È in queste condizioni che il Verbo di Dio " si è fatto uomo " e come lo dice Mosè : Dio : le sue opere sono vere! Se dunque senza essersi fatto carne, egli avesse preso l'apparenza della carne, la sua opera non sarebbe stata vera. Ma ciò che egli pareva essere lo era veramente, cioè Dio, ricapitolante in sé questa carne del­ l'uomo da lui un tempo plasmata, al fine di uccidere il peccato, annientare la morte e vivificare l'uomo » (Adversus haet·eses, 3, t 8, 7). ..

7 . Si può comprendere lo zelo con cui si difese l' umanità di Cristo contro quelli che la negavano, pensando alle deformazioni e alle disastrose conseguenze che tale negazione adduce nella vita di fede. La natura umana di Cristo è indispensabile per la sua mediazione (cfr. § 1 54). Proprio per la sua natura umana egli è il sommo sacerdote che per noi offre il sacri­ ficio, è la via che ci conduce al Padre. Per lui, fattosi uomo, noi abbiamo la redenzione e la pace con Dio Padre (Rom. 5, 1). In lui noi preghiamo, ringraziamo e lodiamo. In lui, che è la vita divina apparsa in forma umana, possiamo raggiungere, se credenti, la vita che distrugge la morte (1 Gv. I, 2) e la possiamo raggiungere proprio perché egli è divenuto presente nella nostra natura. Da lui tale vita si riversa su noi sicché, rinascendo, diveniamo figli di Dio. La riceviamo nei sacramenti, nei quali il mistero salvifico del Figlio di Dio incarnatosi viene reso presente. Nella sicurezza di partecipare a tale vita, il credente supera l'angoscia della sua esistenza. Non vive piu nel terrore dell'inferno bensi nella fede e nell'amore per Cristo. Coloro che partecipano a questa vita divina formano tra loro una unità, di cui Cristo è il capo, ossia la potenza personale che li forma e li plasma. In lui sono uno (Gal. 3, 28). Pertanto « se ben si osserva, il -

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P. I.

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DIO REDENTORE

punto a cui converge l'interesse vitale del cristianesimo, finché dura il mondo attuale, non è la sfera della divmità, neppure il Logos che esisteva per sé solo, prima dei tempi, ma è questo uomo Gesu, il quale mediante la sua unione sostanziale con la divinità, e proprio in virtu di questa unione, divenne colla sua morte e risurrezione il nostro mediatore, il nostro redentore, il nostro salvatore » (K. Adam, Gesu il Cristo, ed. cit., 20). « Ciò che è incomprensibile e sbalorditivo in Cristo non è tanto che l'uma­ nità sia stata assunta dalla persona del Verbo, ma, piu precisamente, che Dio si sia fatto uomo totalmente e pienamente. Il mistero non è che l'uomo è asceso a Dio, ma che Dio è disceso all'uomo. L'essenziale, il decisivo non sta nel fatto che l'uomo è divenuto Dio, bensi nel fatto che Dio si è incarnato » (K. Adam, Christus unser Bruder, 1 947, 59 s.). Perciò la negazione o anche solo la sottovalutazione della natura umana di Cristo finisce con il deformare e snervare la pietà cristiana . Il che appare evidente tanto nello gnosticismo e in tutte le tendenze che ad esso si ispirano, quanto nel monofisismo (cfr. § 145). Secondo il primo errore il corpo di Cristo non era che pura apparenza, dal momento che Dio non può realmente unirsi alla materia, essendo questa sede e sorgente del male. Cristo non ci ha perciò redenti con !a sua vita umana, con la sua passione e morte, bensi con « la luce della verità irradiantesi dalla sua divinità e che egli inviò nei cuori ». Perciò Cristo primariamente, o per meglio dire esclusivamente, è il maestro divino ma non la vita da accogliersi con la fede. I redenti sono coloro che si lasciano istruire da lui, quelli che da lui sono guidati verso una nuova conoscenza, senza per questo partecipare a una vita novella. Costoro non formano perciò una comunità di rinati, bensi un gruppo di discepoli. La Chiesa gnostica è una scuola, i cui membri sono tra loro riuniti da un medesimo pensiero e da una medesima conoscenza ma non da una identica vita soprannaturale. Dopo e ssere stati istruiti devono percorrere da soli e con le proprie forze la via che conduce a Dio. Di qui le innumerevoli fatiche e gli sforzi im­ mani, di qui gli spasimi che si rinvengono nella loro conoscenza religiosa e nella loro vita morale. Quest'ultimo fatto si rivela per esempio dalla loro lotta instancabile contro tutto ciò che è corporeo. Lo gnostico deve liberarsi da ogni contaminazione con la materia per aver accesso alla per­ fezione divina. Egli, liberandosi dalle esigenze corporali, spera di meglio accostarsi alla divinità. Come Cristo non ha accolto in sé alcunché di corporeo, cosi anche chi è da lui istruito deve allontanarsi dalla materia. L'eccesso ascetico condusse alcuni circoli gnostici - vendetta logica della natura da Dio creata e qui cosi sprezzata - alla dissolutezza morale.

§ I 47· L'APPARIZIONE DEL FIGLIO DI DIO IN UNA VERA NATURA UMANA

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Anche le tendenze monofisite, dando un'importanza esclusiva alla na­ tura divina di Cristo e sottovalutando il valore proprio e salvifico del­ l'umanità di Cristo, portano ad uno squilibrio nella pietà cristiana, come si può facilmente osservare in alcune liturgie orientali. Cfr. K. Adam, Gesu il Cristo, ed. cit., 2 3 -24.

8. La storicità di Cristo suscita ancora un altro problema. Se Cristo è vissuto in una determinata epoca della storia, come mai è possibile che coloro i quali vivono a distanza di piu secoli possano incontrarsi con lui nella fede, costituire con lui un'unica comunione, senza ridurre la fede a un semplice atto intellettivo sia pure dipendente dalla nostra volontà? (cfr. Gv. 6, 3 5). Paolo annuncia la lieta novella che noi « siamo in Cristo » e che « Cristo è in noi » . Il Gesu storico continua a vivere, come Signore glorioso, nella forma di esistenza celeste. Egli è intimamente operante nel mistero sacramentale. Qui vi è la possibilità di un continuo incontro con lui. I sacramenti sono istituzioni di Cristo, in cui la sua morte e la sua risurrezione divengono operanti, anzi in un certo senso, diventano « pre­ senti ». In tal modo sono valicati i confini del tempo. Chiunque si ac­ costa ai sacramenti si trova sotto la potente efficacia della morte e della risurrezione del Signore. La vita dei credenti è perciò un essere e un vi­ vere con Cristo glorioso che attraverso la croce e la risurrezione è cosi asçeso al cielo. Ciò sarà piu profondamente studiato nel trattato sulla Grazia. -

9 . l cosiddetti salvatori, fuori del cnsuanesimo, sono essenzi almente diversi da Cristo proprio perché in essi, secondo la confessione dei loro stessi seguaci, l'umano è assorbito dal divino. Non sono via a Dio, ma Dio stesso. Nei culti misterici, avvenimenti e forze della natura vengono venerati come dèi. Antinoo, il favorito dell' imperatore Adriano, dopo la sua morte fu venerato come Osiride. Effettivamente tali salvatori non sono altro che aspetti della natura e uomini divinizzati. Cfr. Pinard de la Boul­ laye, Gesu Messia, Torino 1 9 3 1 , 45 -84 : I pseudo-cristi del paganesimo. -

§ § 148, 149.

L'edizione tedesca dedica questi due paragrafi a Maria, Madre di Dio. Siccome lo stesso argomento viene di nuovo trattato nella Parte seconda : La Madre del Redentore, che fa parte del presente corso di Dogmatica, si rimanda ad essa e si tralasciano i due paragrafi.

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§ 150.

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DIO REDENTORE

La vita spirituale della natura umana di Cristo: la sua cono­ scenza.

l . - La vita spirituale della natura umana di Cristo ricevette la sua caratteristica, la sua elevatezza, la sua ricchezza e profondità dal fatto .:he il s uo portatore era l'Io divino della seconda persona della Trinità. Questo stesso Io che nella natura divina viveva da Dio, nella natura umana vi­ veva, pensava, voleva, amava e sentiva da uomo. Se già la vita spirituale di un uomo comune sfugge alla nostra conoscenza, se già ciascun uomo è per chiunque altro un mistero, tanto piu ciò si dovrà verificare per la vita spirituale dell'uomo Cristo. Il suo conoscere, il suo volere e il suo amore provengono da una insondabile profondità in cui tornano ad ina­ bissarsi : la divina Persona del Logos. E tuttavia tale vita non cessa di essere una vita perfettamente umana. 2. - Cerchiamo in primo luogo di precisare la vita cortoscitiva di Gesu. Nonostante che l' anima di .Cristo fosse intimamente unita al Logos divino non possiamo attribuirgli l'onniscienza, dato che nessuna creatura può ri­ cevere in sé attributi divini. Tuttavia la sua conoscenza, proprio in virtu ddl'unione ipostatica, dovette avere un'estensione assai vasta. Cosi la maggioranza dei teologi con ragione insegnano che già durante il pelle­ grinaggio terreno egli godeva della visione immediata di Dio. Benché al riguardo non esista alcuna decisione definitiva da parte del magistero ec­ clesiastico e nessuna precisa testimonianza della rivelazione, tuttavia il 5 giugno 1 9 1 8 fu asserito da parte del Santo Uffizio che non si può inse­ gnare con sicurezza (tuta) il contrario. Gesti nel suo colloquio con Nico­ demo afferma solennemente con parole umane, quindi in quanro uomo, che egli, parlando del regno di Dio, riferisce ciò che sa e testifica ciò che ha veduto (Gv. 3, I I . 32; cfr. Gv. 5, 19. 30; 8, 38. 5 5). È difficile pensare che lo spirito umano di Cristo, esistente proprio per virtu del Logos, non fosse cosciente di questa sua unione nel modo piu perfetto possibile. Di piu Cristo è capo del creato, anche degli stessi angeli ; deve quindi avere i loro privilegi e le loro perfezioni; ora gli angeli posseggono la visione di Dio (Mt. r8, ro). Inoltre egli è la via al cielo, ossia alla visione immediata di Dio ; deve perciò sapere lui stesso che cosa è il cielo. Delle cose extradivine Cristo ha la scienza che gli compete per la sua dignità di capo del creato e di primogenito tra molti fratelli. Siccome doveva riconciliare cielo e terra con il Padre (Ef. I, I o), la maggioranza

§ 1 50. CONOSCENZA DELLA VITA SPIRITUALE DELL' UOMO CRI STO

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dei teologi afferma che egli conosceva, senza errori, tutto il reale sia pre­ sente, che passato e futuro. Non si può restringere l'ambito della sua scienza da ritenerla imperfetta per quanto concerne la sua missione. Il Decreto Lamentabili ha condannata l'opinione di coloro che pretendevano, richiamandosi al Vangelo, attribuire a Cristo una conoscenza limitata e soggetta ad errori (Denz. 2032 s.). Anche il già citato Decreto del S. Uf­ fizio (5 giugno 19 1 8) dichiara non sicura l'opinione che vuoi mettere dei limiti alla scienza di Cristo (Denz. 2 r 8 4 s.). Per intendere quest'ambito della conoscenza di Cristo occorre distin­ guere tra scienza infusa e scienza acquisita, ambedue attribuite a lui dai teologi. La prima si attua mediante idee conferite immediatamente da Dio alla sua anima ; la seconda deriva dalla sua esperienza personale. Si deve attribuire la scienza infusa a Cristo perché egli non può essere privo di alcuna delle perfezioni delle creature : gli angeli hanno tale scienza, quindi deve averla anche lui, che è loro capo. La scienza infusa è abituale. Questa scienza non deve tuttavia indurci a sminuire la scienza acquisita di Cristo, poiché ciò significherebbe diminuzione e svalutazione della sua vera natura umana e condurrebbe perciò a una sorta di monofisismo. Qui sorge il problema se la scienza acquisita di Cristo non sia del tutto inutile e superflua dal momento che gli si attribuisce la visione di Dio e la scienza infusa, le quali abbracciano già tutta la realtà divina e creata. Per rispon­ dere occorre distinguere tra la scienza abituale, e la scienza attuale. Con la prima, che non importa concetti e immagini, conosciamo cose alle quali non pensiamo in atto, ma che tuttavia sono presenti nella nostra memoria; con la seconda, che si svolge invece con concetti e immagini, conosciamo cose a cui pensiamo in atto. La scienza abituale che è precosciente fonda quella attuale che è cosciente. La scienza infusa di Cristo è simile alla scienza di fede (habitus fidei) che ciascuno riceve nel battesimo e che rimane sotto la soglia della co­ scienza finché con lo sviluppo della ragione non giunga alla consapevo­ lezza. Si può dire che anche la visione divina non fosse da Cristo posse­ duta sempre in modo attuale. Dio poteva impedire che essa varcasse la soglia del subcosciente per giungere alla perfetta coscienza. Mentre il vertice della sua intelligenza si immergeva nella gloria del Figlio di Dio, Cristo poteva entro i limiti in cui si svolgono gli atti usuali della vita umana essere occupato in cose terrestri. Si può anche parlare con S . Ago­ stino di diverse parti della natura umana. La parte piu intima (secondo Agostino la mens superior) godeva della visione della beltà divina, mentre nella parte piu esterna e in cui si trova la coscienza (mens inferior) questa

P. I.

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DIO REDENTORE

VlSlone non vi opera piu. Il che non significa che la natura umana eli Cristo potesse in qualche modo obliare la visione eli Dio, ma soltanto che tale visione non è in se stessa comprensibile in concetti umani e perciò non necessariamente deve diventare cosciente in idee e rappresentazioni umane strettamente intese. 3. Queste considerazioni possono chiarire tre fatti testimoniati dagli Evangeli e che di solito sembrano sfuggire a ogni spiegazione. -

a) Una volta si legge che Gesu cresceva e si rafforzava non solo cor­ poralmente ma anche mentalmente (Le. 2, 40. 52). Cresceva in sapienza, età e grazia presso Dio e gli uomini. Cristo volle trascorrere tutte le età umane dalla fanciullezza alla giovinezza, fino alla virilità e alla maturità. Nella sua giovinezza non era già saggio come un adulto, né da adulto era ancora ingenuo come un fanciullo. Il che significa che egli « dovette pos­ sedere quella pienezza umana propria di rutti gli uomini che si sviluppano quanto al corpo, alla sensibilità, all'intelligenza ; la raggiunse cioè con pro­ gressivo sviluppo, frutto della propria attività. Si deve pure ricordare ciò che a questo riguardo afferma S. Tommaso, e cioè che Gesu nel suo sviluppo umano non dovette mancare eli quel naturale ed umano progresso perfettivo che compete a ogni essere personale e che si svolge con libera autodecisione e autoformazione, dato che è eli maggior valore e importanza ciò che si raggiunge con la propria attività e scelta anziché quello che semplicemente si riceve da un altro o da Dio » (Feuling, Katholische Glaubenslehre, 378). Ora è legge della crescita umana che lo sviluppo dello spirito vada di pari passo con lo sviluppo del corpo che serve da strumento allo spirito. Il cervello del fanciullo non può ancora essere usato come stru­ mento dallo spirito per quelle attività, che esigono un cervello già sviluppato e adulto. I sensi possono presentare tanto maggiore materiale all'attività dello spirito quanto piu essi sono sviluppati e progrediti. La maturità sensi­ bile ha quindi grande importanza per l'attività dello spirito (Feuling). Anche Cristo con la crescita del suo corpo acquistò maggiore esperienza sensibile e conseguentemente maggiore conoscenza intellettiva e concettuale. Per quanto riguarda tuttavia l'estensione della conoscenza sperimentale si deve elire che Cristo non venne ad apprendere nulla piu di quanto egli già conosceva o per scienza di visione o per scienza infusa. Solo che quanto fino a un determinato momento era rimasto al di là della sua coscienza umana che conosce per concetti e immagini ora, a seconda dell'età eli Cristo e a seconda delle circostanze, vi penetra e diventa scienza concet­ tuale. In tal modo si può dire che Cristo, con la sua esperienza, cresceva

§ 1 50. CONOSCENZA DELLA VITA SPIRITUALE DELL 'UOMO CRISTO

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in scienza e sapienza. D i qui s i spiega come potesse provare meraviglia. Gli evangelisti infatti ci riferiscono che egli si meravigliava e si stupiva (Mt. 8, 10; Mc. 6, 6). E quando la sua scienza intuitiva o infusa si tradu­ ceva nella chiarezza di concetti e di immagini umane, egli la poteva co­ municare agli altri, i quali venivano cosi a conoscere sempre meglio chi e che cosa egli fosse. S. Tommaso alla questione se Cristo potesse meravigliarsi risponde : « Pro­ priamente la meraviglia riguarda qualcosa di nuovo e di insolito. Ora in Cristo non vi poteva essere alcunché di nuovo e di insolito né quanto alla sua scienza divina, né quanto alla sua scienza umana con la quale conosceva le cose nel

Verbo, né quanto alla sua scienza infusa. Però vi poté essere qualcosa di nuovo e di insolito quanto alla sua scienza sperimentale, secondo la quale gli si pote­ vano presentare ogni giorno delle novità. Se quindi parliamo di Cristo secondo la sua scienza o divina o beata o anche: infusa non vi fu in lui meraviglia, al contrario vi poté essere quanto alla sua scienza sperimentale » (S. Th., III, q. 15, a. 8).

Che la scienza sperimentale di Cristo fosse assai estesa risulta evidente all'esame delle parabole. « Pochi tratti bastano a presentarcì nella loro evidenza, nel pieno calore della loro vita contadini, pescatori, vignaiuoli, mercanti di perle, affittuari e commercianti, giornalieri, costruttori e giar­ dinieri, la donna di casa e la vedova desolata, su su fino al giudice, al guerriero, al re. Quanta ricchezza e varietà di sfumature troviamo nella descrizione della vita quotidiana, nel presentare il bimbo che giuoca ru­ morosamente sulla via, le larghe bende e le lunghe frange usate dagli scribi nella preghiera, il convito nuziale nella notte silenziosa, la cena allegra, la rigida etichetta osservata alla tavola del convito, il povero mendicante coperto di piaghe che sta fuori sulla strada, gli sfaccendati che vanno a zonzo sui crocicchi e lungo le siepi perché nessuno li ha assunti ; il pub­ blicano timido in un angolo del tempio, la povera donna smarrita, la par­ toriente felice che, in vista del suo piccolo, dimentica le doglie che l'op­ primono, l'agricoltore facoltoso che lieto si abbandona al sonno, perché i suoi granai sono colmi » (K. Adam, Ge.sU il Cristo, ed. cit., p. 122-1 23). Egli si mostra assai al corrente delle istituzioni e situazioni sociali, econo­ miche e politiche, e l'averle accettate cosi com'erano rivela di quale senso della realtà fosse dotato. Le parabole ci fanno pure vedere che Cristo aveva gli occhi ben aperti sulla natura. Ciò che egli vedeva o udiva, ciò che le circostanze, l'ambiente o la terra gli offrivano serviva di mezzo espressivo per meglio raffigurare il regno di Dio. b) La Scrittura ci riferisce inoltre che Cristo disse che il giorno o

P. I. - DIO REDENTORE

l'ora del giudizio nessuno lo sa, neanche lo stesso Figliuol dell'uomo (Mc. 1 3, 32). Altrove sembra che tale giorno se lo immaginasse vicino (Mt. 16, 28). Se Cristo attesta di ignorare il giorno in cui sarebbe tornato a giudicare gli uomini, si può dire che la sua scienza di visione e la sua scienza infusa erano al riguardo trattenute o ritenute per volere del Padre. * Giuseppe Huby (Vangelo secondo Marco, Roma 1 955, 366 s.) scrive in pro­ posito : « Per comprendere in quale senso il Figlio poteva attribuire al Padre solo il segreto dell'ultimo giorno bisogna considerare quanro nel Vangelo Gesti ami ricordare la sua dipendenza nei confronti del Padre e con quale infinita compiacenza il Figlio riceva tutto dal Padre, come il Padre gli comunichi tutto con un amore ineffabile. Quando duran te il suo ministero, discepoli o persone estranee fanno appello alla sua potenza e alla sua bontà, Gesti, in piu di una occasione, li invita a risalire fino al Padre, fonte di ogni potere e di ogni bene. Cosi riserva al Padre di disporre dei posti nel Regno dei cieli, non perché il Figlio non possieda questo stesso potere - il Padre gli ha affidato tutto, il giu­ dizio e il premio, - ma questa ripartizione non fa attualmente parte della sua missione di Cristo che vive e predica sulla terra. " Non spetta a me concedervi la destra o la sinistra nel mio Regno : ma questi posti sono di coloro ai qlllll i mio Padre li ha preparati (Mr. 20, 23). Cosi per la fine del mondo Gesti rinvia al Padre come alla fonte di ogni scienza, non perché il Figlio, anche considerato nella sua natura umana, ignori il giorno del giudizio - il Padre infatti gli ha confi­ dato tutti i suoi segreti, - ma perché né gli Angeli nelle loro relazioni col nostro pianeta, né il Figlio nella sua vita terrestre, hanno avuto in carico di far cono­ scere agli uomini la dara dell'ultimo giorno. " Nostro Signore Gesu Crisw, che ci è stato inviato come Maestro, ha detto che neanche il Figliuol :idl'uomo non conosceva il giorno del giudizio, perché non rientrava nelle attribuzioni del suo magistero il rivelarlo "' (S. Agostino, Enm;a r . in Psalm., 36, r). Approfondendo questa dottrina, eminenti teologi hanno spiegato in quale senso la conoscenza che il Cristo aveva del giorno del giudizio era incomunicabile. La visione imuitiva dava al Cristo, in quanto uomo, la conoscenza sicura del giorno del giudizio; ma appunto perché non �pettava a lui comunicarla agli uomini, non si verificò in lui il pas­ saggio da questa conoscenza attraverso la visione intuitiva alla scienza concet­ tuale, la sola comunicabile �ocialmente, perché è la sol a che possa esprimersi in linguaggio umano ». * "

Poteva la « ritenzione » della v1s1one divina e della scienza infusa rag­ giungere un grado tale da permettere che nella sua coscienza sorgesse l'errore? Siccome è l'io divino del Figlio di Dio quello che per mezzo dello spirito umano conosce (non è infatti l'intelletto che conosce, bensi la per­ sona mediante l'intelletto) l'errore si dovrebbe attribuire al Verbo. Si vede perciò come Cristo intimamente ed essenzialmente non possa essere soggetto ad alcun errore. Ch'egli non supponesse vicino il giorno del giudizio ap­ pare dal fatto che affidò ai suoi discepoli il compito di predicare l'evangelo

§ 150. CONOSCENZA DELLA VITA SPIRITUALE DELL 'UOMO CRISTO

133

per tutto il mondo, e risulta pure dalle sue parabole sul lievito, sul granello di senape, sul:a zizzania nel campo, sul fidanzato che indugia. mez�anotte appare co�ui ch'era atteso dalle giovani donne (Mt.

Solo a

25, 6). Il

Signore andato lontano torna dopo lungo tempo per domandare conto ai suoi servi (Mt.

25, 19). Solo perché sembra che il Signore non debba 24, 48 ss.).

tornare presto, il cattivo economo sperpera i beni affidatigli (Mt.

Ma d'altro canto Cristo afferma tassativamente che non passerà questa generazione senza che tutto ciò non accada (Mt.

24, 34). L'apparente con­

traddizione si potrebbe riso!vere affermando che Cristo vede qui l'avve­ nire secondo la

«

prospettiva profetica

»

(Eillot) in cui, similmente alle

vette dei monti che da lontano sembrano elevarsi le une sulle altre pur distando tra loro enormemente, gli eventi del fururo (qui la fine

di Geru­

salemme e la fine del mondo) si accostano gli uni agli altri, si intrecciano tra loro saltando tutto l'intervallo di tempo che li separa. Ma si danno

J. Schrnid, L'Evangelo secondo Marco, Brescia 1 956, 302-305. c) Il terzo fatto attestato dalla Scrittura e che sembra contrastare con la v isione beatifica di Dio, è la tristezza e il timore provati da Gesu (Mt. 26, 30. 36-46 ; Mc. 14, 26. 32-4 2 ; Le. 22, 39-46; Gv . 1 1, 35 · 38). S . Tommaso esamina piu volte questo problema (cfr. S. Th., III, q. 1 5 , aa. 4 · 6 . 7). Il pensiero fondamentale delle sue riflessioni è il seguente. Le pure altre soluzioni. Cfr.

parti inferiori dell'anima di Cristo nelle quali si svolge la vita cosciente per mezzo di concetti e immagini, vale a dire la ragione inferiore e le facoltà sensitive, non sono investite dalla gloria divina - la potenza di Dio lo im­ pedisce - che viene invece contemplata dagli occhi interiori dello spirito. Esse possono conseguentemente essere immerse nel dolore e nella tristezza, nel timore e nello spavento. Proprio perché la gloria divina

è ritenuta in

modo che non passi nel campo inferiore della umana coscienza, lo spirito

di Cristo, nella sua parte piu alta, ha la possibilità di penetrare sempre piu profondamente nello splendore di Dio. Si deve anzi dire che Cristo piu di ogni altro uomo ebbe la possibilità di subire l'angoscia e il terrore. Piu di ogni altro uomo egli vedeva la gravità del peccato umano, l'umano accecamento e indurimento, e in pari tempo l'impotenza del bene sempre esposto al pericolo, l'insicurezza del­ l'esistenza umana. Egli perciò era piu di ogni altro in grado di sentire tristezza e angoscia, e questo perché potesse cosi soggiacere a tutte le angosce del mondo e in tal modo superarle. Perciò Cristo, venuto quaggiu per redimere l'uomo dal peccato, penetrò pure nel mistero dell'angoscia generato dall'a:tro mistero costituito dalla colpa.

I34

P . I.

§ 151.

-

DIO REDENTORE

La vita spirituale della natura umana di Cristo: sua grazia

e

santità.

Possiamo distinguere in Cristo una santità antologica od oggettiva e una santità morale o soggettiva.

A. - SANTITÀ OGGETTIVA. I. - La santità oggettiva è duplice : increata e creata. l . - La natura umana di Cristo mercé la sua unione al Figlio di Dio è consacrata e santificata, partecipando alla santità increata di Dio (gratia unionis, gratia increata o santità sostanziale) (cfr. § 70). La santità di Dio non diviene in tal caso una proprietà (accidente) della natura umana, ma questa per il fatto di esistere in forza dell'io divino, che è la santità, la dignità e la sublimità personale, quindi per il fatto che il suo proprio io è la stessa santità personale, acquista pure santità e dignità, consacrazione ed eccellenza. Siccome il Figlio nato da Maria è lo stesso Figlio di Dio, ne viene che ella ha generato il « santo » (Le. I, 35). I Padri scorgono la santificazione sostanziale dell'umana natura di Gesu nel nome « Cristo », che significa l'unto. Cristo è unto, è permeato e dominato dalla divinità (cfr. Atti 2, 36 ; 4, 27; I o, 3 8 ; Ebr. I , 9). La pa­ rola proviene dal greco chriéin, che venne usato dai LXX per rradurre la parola ebraica meshiah o mashiah. Nel Vecchio Testamento venivano unti i re per significare che essi ricevevano il loro ufficio da Dio (1 Sam. I 6 , 2 3 ; 24, 7; 26, 9 ; Sal. 2, 2 ; 17 [ 1 8 ] , 5 1 ; 45 [44], 8 ; 8 9 f8 8], 2 1 ; 1 32 [ 1 3 1 ], 1 7 ecc.); talvolta ricevevano l'unzione anche i profeti e i sa­ cerdoti (cfr. Es. 29, 7 ; 40, r 3 ; Lev. 8 , 1 2 ; Num. 3, 8 ; 1 Re 19, 1 6). Nelle profezie di Daniele il « principe futuro » viene per due volte chiamato « unto » (Dan. 9, 24-27). L'unzione è cosi significativa da dare il nome al redentore che deve venire. l s. 6 I , 1 dice : « Lo Spirito del Signore Iddio è sopra di me, perché il Signore mi ha data l'unzione ; mi ha inviato a dare la buona novella ai miseri ». L'app!icazione del termine « unto » per indicare il promesso e atteso re salvatore diviene, anche per l'uso che ne fanno i libri extracanonici, come i Salmi di Salomone, il libro di Enoch, il IV di Esdra e l'Apocalisse di Baruch, uno degli elementi co-

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTIT À DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO 135

stitutivi della pietà popolare veterotesta!llentaria. Nei Salmi il termine ricorre svariate volte. Direttamente si riferisce al re teocratico che eredi­ terà e ristabilirà la signoria di Davide. Ma in pari tempo il re terreno è figura del re salvatore ; il primo è tipo del secondo. Quest'interpretazione dei salmi è stata coltivata dai rabbini, sicché era diffusa al tempo di Cristo. Cristo stesso l'ba ripresa e confermata. Egli è il Messia promesso ; è sem­ plicemente il Cristo. Con tale parola si esprime quindi la sua missione, il suo ufficio. Gesti si chiama Cristo, perché egli è l'incaricato di Dio. Ac­ canto a lui non vi è un altro Cristo, non vi è un altro incaricato divino. Tutti i Cristi (unti) che lo precedettero sono suoi precursori. Nelle lettere apostoliche il nome di uffi cio si va trasformando sempre piu in nome di persona e, come tale, si impone definitivamente nell'epoca paleocristiana e medievale. Questo nome allude in pari tempo all'essenza di Cristo. Egli è stato unto dalla divinità. Per la sua unzione mediante l'essenza divina egli è intrinsicamente, essenzialmente e sostanzialmente santificato. Se­ condo Tertulliano Cristo è stato unto da Dio Padre con lo Spirito Santo (De Baptismo, 7). Appunto per la sua natura umana santificata con l'un­ zione divina, egli ha la possibilità di adempiere la sua missione. Cfr. A. Romeo, Cristo, in Enc. Catt. , 4, 9 1 8-92 1 . Per il fatto che la natura umana di Cristo fu santificata e unta mediante la sua unione con il Logos i Padri traggono la conseguenza che il cibo eucaristico ha una potenza santificante capace di donare vita. Cfr. la dot­ trina eucaristica. L'unzione racchiude in sé la consacrazione, l'elezione di Cristo, la sua ordinazione a D io, la missione da Dio affidatagli, la piu in­ tima e viva re:azione a Dio e agli uomini e con essa una grandezza, dignità e posizione unica come pure la sua partico:are partecipazione alla gloria divina. L'unione della natura umana di Cristo con Dio è la grazia su­ prema e la forma primordiale di ogni grazia, sicché Cristo è il prototipo dell'uomo in grazia di Dio. Tale unione è operata d:Illo Spirito Santo. 2. La grazia sostanziale della umana natura di Cristo non rende af­ fatto superflua la grazia creata, accidentale, cosi come la visione immediata di Dio non rende inutile la scienza infusa e quella sperimentale acquisita. Si deve piuttosto ammettere che la grazia di unione rechi con sé anche tutta la pienezza delle a!tre grazie. La natura umana santificata per la vicinanza di Dio, diviene intimamente, fin nelle sue radici, rilucente di luce divina e fiammeggiante per il fuoco de: div�no amore. In altre parole essa possiede la grazia santificante (cfr. il trattato sulla Graz:a). Dall'unione personale della natura umana con il Logos deriva, mediante -

P. I. - DIO REDENTORE

la conoscenza e l'amore di Dio, quell'illuminazione e infocamento che i Padri amano paragonare all'in�andescenza del ferro messo nel fuoco. La grazia santificante anzitutto conforma soprannatura\mente a Dio la natura umana di Cristo perché, quale forma ad essa inerente, la determina acci­ dentalmente, la compenetra e la plasma intimamente, la div:nizza. Essa è pure la radice prima dei suoi atti soprannaturali di conoscenza e d'amore di Dio. Per quanto riguarda la sua misura si può dire che la grazia san­ tificante conferita a Cristo fu la massima possibile a un essere creato. Anche tutte le virru (abiti) soprannaturali infuse, che quale nobile cor­ teggio accompagnano la santificante, vanno attribuite alla natura umana di Cristo. Secondo Gv. I, 14 nell'Unigenito che prese dimora tra gli umani rifulgeva la gloria di Dio, ossia la pienezza di grazia e di verità. La pie­ nezza sua è tale che da esso noi possiamo ricevere grazia su grazia (Gv. 1, 1 6). Egli fu unto di Spirito Santo e di potenza miracolosa (Atti I o, 38). Su di lui riposa lo spirito di saggezza e di intelligenza, lo spirito di con­ siglio e di fortezza, lo spirito di conoscenza e del timore di Dio (ls. 1 1, 2 s.). 3. Anche se la grazia creata di Cristo è in sé qualcosa di finito, egli tuttavia la possedette sin dall'inizio nella pienezza massima. Sembra quindi difficilmente pensabile che egli, come è detto in Luca 2, 5 2, mentre cre­ sceva in età e sapienza, crescesse anche in grazia presso Dio e gli uomini. Non si deve sminuire il valore né dei passi biblici che parlano di una pienezza di grazia in Cristo né di quello di Luca che parla di una sua crescita, per il semplice desiderio di eliminare una diffi coltà. Non si può poi interpretare il progresso di Cristo nella grazia semplicemente come una sua progressiva sempre piu chiara manifestazione, poiché tale pro­ gresso non si avverava solo presso gli uomini ma anche presso Dio. Si può forse cosi sciogliere la difficoltà : Gesu possedeva dall'inizio una grazia si piena da non porersi accrescere in alcuna maniera, sia per quanto con­ cerne la grazia santificante che per quelle che ne costituiscono il corteggio. Queste grazie abituali rimanevano al di sotto della soglia della sua coscienza umana; ma si esplicavano nella volontà, spingevano all'azione. La loro forza e la loro ricchezza non potevano in alcun modo crescere. Ma dalla sfera per cosi dire precosciente sgorgavano in quella della esperienza, non in quanto esse stesse potessero sperimentarsi ma in quanto si espli­ cavano in azioni religiose e morali, in atti che erano determinati dai vari momenti o gradi o situazioni della vita di Cristo e, in definitiva, dalla volontà del Padre. La grazia abituale fu il fondamento da cui per tutta la vita terrena di Cristo sgorgò ogni sua attività religiosa e morale. Su -

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTIT À DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO 1 3 7

tale fondamento furono date a Cristo le grazie attuali per le singole azioni secondo che il mo:nento lo esigeva. Queste grazie attuali si accrebbero durante il corso della vita terrena di Cristo. Si ebbe cosi un duplice aumento della grazia : un arricchimento delle grazie attuali e una corri­ spondente maggiore esplicazione della grazia abituale. 4 . Cristo possedette tutte le grazie non solo per se stesso ma anche per tutto il mondo in quanto capo dell'umanità e specialmente della Chiesa. Come Cristo svo�gendo la sua vita non solo raggiunse la propria perfe­ zione ma procurò anche la sa1vezza degli uomini, cosi anche le grazie che possedeva furono mezzi e strumenti non solo della sua perfezione ma anche fonte di salvezza per l'umanità. Per una piu precisa e profonda spiegazione di questo punto si veda il trattato sulla Chiesa. Tommaso d'Aquino cosi spiega la grazia di Cristo come capo dell'umanità (S. Th., III, q. 8 , a. 1) : « Come tutta la Chiesa si dice un solo corpo mistico per similitudine col corpo naturale dell'uomo. . . ; cosi Cristo è detto capo della Chiesa per ana�o�ia con il capo umano. In questo possiamo considerare tre aspetti : l'ordine, la perfezione e l'energia. Sotto l'aspetto dell'ordine, il capo è la parte prima e piu nobile dell'uomo, donde l'usanza di chia­ mare capo tutto ciò che è principio . .. Sotto l'aspetto della perfezione, il capo è la sede di tutta la sensibilità interna ed esterna, mentre nelle altre membra si trova solo la sensibilità tatti1e ... Sotto l'aspetto dell'energia, è ancora il capo che per la sua virtu sensibi�e e motrice comunica alle altre membra forza e movimento, e le governa nei loro atti... Ora questi tre aspetti del capo convengono in senso spirituale a Cristo. Infatti, sotto il primo aspetto, in ragione della sua prossimità con Dio, la di lui grazia è la piu nobile e la pri!Da, se non temporalmente, almeno nel senso che tutti hanno ricevuto la grazia per rispetto alla sua, secondo quanto dice l'Apostolo : " Quelli che ha preconosciuti ha anche predeterminati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia primogenito tra molti fratelli " (Rom. 8 , 29). Similmente rispetto alla perfezione, Cristo possiede la pienezza di tutte le grazie, come scrive S. Giovanni : " Noi lo abbiamo visto, pieno di grazia e di verità ". Da ultimo, sotto l'aspetto dell'energia, Cristo può comunicare la grazia a tutti i membri della Chiesa : " Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto " (Gv. 1, 1 6) » . La natura umana di Cristo, in quanto tutta permeata dalla grazia, è strumento di Dio per la santificazione e la salvezza di tutta l'umanità. Cfr. § 1 )4. -

P. I. - DIO REDENTORE

B.

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SANTITÀ SOGGETTIVA.

II. - Quanto alla santità soggettiva, dobbiamo dire che la grazia con­ ferita a Cristo importò in lui la piena eliminazione del peccato, anzi la stessa impossibilità di peccare e un perenne e illimitato amore verso Dio e gli uomini. l . - Anzitutto si può in generale asserire che il regno di Dio, la signoria del Padre suo celeste, fu l'unica cura della sua vita (Mt. 6, 33). Egli è l'inviato del Padre di cui tutti i messaggeri precedenti erano solo delle prefigurazioni. Egli è il re del regno messianico (la Chiesa) e mentre sta­ bilisce il suo regno fonda pure ù dominio di Dio, il dominio dell'amore e della santità, della verità e della giustizia, spezzando in tal modo defi­ nitivamente la potenza delle forze antidivine. Dio stesso per mezzo suo ha ristabilita la propria signoria nella storia umana. Cristo, suo plenipo­ tenziario, è lo strumento del Padre celeste che per mezzo suo si palesa di nuovo signore degli uomini. Egli con serietà indefettibile, mercé la sua parola e la sua az10ne, conduce a termine il suo mandato. Non ha che una sola brama : far si che anche sulla terra si compia quella volontà di­ vina che in cielo continuamente s'avvera (Mt. 6, ro). La sua vita non ha che un unico significato : adempiere la volontà di Dio. Ad essa si sotto­ pone in tutte le circostanze della sua esistenza. Ogni suo passo è deter­ minato da questa volontà (Gv. 10, 16). Compierla per lui è necessario come è necessario mangiare e bere; si può dire ch'egli vive d'essa (Gv. 4, 34), e vi rimane fedele anche quando significa per lui sacrificare la vita. In tal modo il suo camm ino è un cammino di sofferenze e di morte (Le. 22, 37). Per la signoria del Padre, Cristo si sottopone all 'amaro ca­ lice della stessa morte ( Mc. 4, 4 1 ; 1 4, 2 1 ; Le. 18, 3 1 ; Gv. I I , 8 s.). La sua premura per il regno di Dio si manifestò in modo negativo e positivo. Negativo, in quanto egli non albergò mai nel suo cuore, anzi cercò sempre di sradicarlo dal mondo, quello spirito di indipendenza e di amor proprio per cui gli uomini e per mezzo loro Satana s'oppongono al regno divino. Positivo, in quanto si donò a Dio nell'obbedienza e nel­ l'amore.

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTITÀ DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO 139

C. - LIBERTÀ DAL PECCATO. 2. a) Cristo fu esente da ogni peccato sia personale che originale. È dogma di fede. Cfr. Decreto per i Giacobiti (Denz. 7 1 1); Concilio di Efeso (Denz. 1 22) e di Calcedonia (Denz. 148). La Scrittura (cfr. Is. 53, 9-1 1 ; Le. 1 , 3 5 ; Gv. 1 , 29 ; 8, 46 ; 14, 30; 2 Cor. 5· 21 ; Ebr. 4· I 5 ; 7, 26 ; I Piet. 2, 22 ; I Gv. 3· 5) ci fa vedere che Gesti con la piu perfetta sicurezza e senza alcuna tema o ansietà po­ teva porre a quelli che gli erano ostili e che lo andavano scrutando con occhi malevoli la domanda : Chi di voi mi può accusare di peccato? Inoltre anche ai discepoli cbe di continuo erano con lui e che al suo contatto avevano la possibilità di scandagliarne i sentimenti piu intimi diede l'im­ pressione d'essere del tutto innocente. Con la tranquilla coscienza della sua completa innocenza Gesu predicò p�nitenza e ravvedimento, perdonò le colpe, curò la salvezza altrui e ammoni gli altri dei pericoli del mondo. Mai ebbe difficoltà di coscienza. Persino di fronte alla morte non rénti la minima ansia per la sua responsabilità verso Dio, per il suo eterno de­ stino; ma pregò Dio per il perdono dei suoi persecutori. Conso!ò, senza aver bisogno di conforto anche di fronte alla morte, i discepoli da cui stava per separarsi. Disse loro : Non siate in ansia (Gv. 14, r). Nell'ora dolorosa in cui gli ultimi eventi stavano per cadere sul suo capo, egli apri loro il suo cuore e spiegò ai discepoli che la sua ardente brama era sempre stata quella di festeggiare quell'ora insieme con essi (Le. 22, 1 5). Egli cosi inizia la sua partenza verso la morte come se si trattasse di un viaggio gioioso. La donna che lo unse per la sepoltura e che per questo si attirò l'indignazione dei circostanti, si ebbe da lui un encomio (Mc. 14, 3-9). Cristo in qualsiasi situazione critica era al di sopra di ogni dubbio perché si sentiva guidato dalla volontà del Padre. L'esenzione dal peccato desta ancor piu meraviglia in quanto Gesu con caldo cuore e con sentimento aperto v·isse una vita tutta movimentata (K. Adam) e, soprattutto, perché ha dovuto compiere una importantissima e ben grave missione, la quale implicava la distruzione del dominio sata­ nico nella storia umana. Cristo doveva sostenere una lotta con un nemico potente e raffinato, che a tutti i costi voleva mantenere il suo dominio utilizzando ogni mezzo : astuzia e frode, menzogna e strapotere. Anche Satana capiva quale avversario avesse in Cristo. Gli si doveva perciò opporre con la massima energia. Vide il suo potere minacciato e ne ri­ senti paura (Mc. r, 24 ; 5, 7-1 3), ma si preparò pure con tutti i mezzi per -

P. I.

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DIO REDENTORE

conservarlo. Il suo dominio si manifestava anche nei molti ossessi che esistevano al tempo di Cristo. Non si tratta qui di pura accidentalità. Sic­ come risentiva il grave pericolo incombente sul suo regno, Satana usava ogni sforzo pur di salvare il salvabile. A ncor piu che nelle possessioni, il demonio dovette rivolgere i suoi attacchi contro lo stesso Cristo. In tutte le opposizioni che Gesu dovette subire, dalla persecuzione di Erode al­ l'odio mortale dei capi del popo�o, dal tradimento di un Apostolo al grido della massa, che una volta lo seguiva ed ora, abilmente sobillata da una propaganda nazionalistica, reclama la sua morte, fino alla condanna dei suoi giudici convinti della sua innocenza, era Satana che agiva da sobillatore. L'attacco di Satana contro Cristo si fece ancora piu aperto in quanto si rivolse alla stessa volontà di lui. Con tre tentazioni egli cercò di renderlo infedele al suo compito di stabilire il regno di Dio. Tre volte gli propose di servire alla gloria del mondo anziché a quella di Dio, di ricercare l'onore degli uomini anziché l'onore di Dio, e precisamente all'inizio della sua attività pubblica, sulla via di Gerusa!emme dove Satana si espresse per la bocca dell'Apostolo Pietro e da ultimo sul monte degli Ulivi ove sfruttò l'ansietà naturale che l'uomo prova dinanzi alla morte e al dolore (Mc. I, I2 s. ; 8, 3 I-33 i Mt. 4, I -I I ; I6, 23 ; Le. 4, I-I J ; 23, 3 1 . 44· 46). Ma Cristo non cedette. Non cadde rassegnato e stanco ai piedi del suo avversario. Resistette. Dinanzi al suo amore e alla sua obbedienza si fran­ tumarono tutti gli assalti del tentatore. Perciò il cammino futuro della storia viene deciso dalla volontà di Gesu, particolarmente nella sua pre­ ghiera del Getsemani (Stauffe r). Egli non ha nulla a che vedere con il diavolo, il rappresentante di ogni orgoglio antidivino (Mc. 7, 21-23 ; Gv. I 4, 30). La vittoria di Cristo balza ancor piu luminosa se si pensa che Cristo non combatté con le stesse armi di Satana. Egli respinse il diavolo non con l'uso di forze terrestri o demoniache, ma so�o con il dito di Dio (Mt. 1 1 , 20 ss. ; Mc. 3, 23). Egli non respinse l'odio con altro odio, la distruzione con altre distruzioni, la menzogna con altre menzogne. Il suo fu un modo di agire del tutto nuovo e cosi insolito da sembrare incredibile ai contemporanei (Le. I I, 20). Le potenze demoniache furono respinte con forze divine, con la potenza della santità, dell'amore e della verità, per il fatto che Cristo diede onore a Dio. Proprio in questo modo di combattere Satana, egli fece vedere chiaramente di non avere nulla in comune con il demomo (Gv. I 4, 30). Anche se Cristo afferma che Dio solo è buono, non intende con questo menomare la propria purezza dal peccato (Mt. I9, I7). Egli vuole solo

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTITÀ DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO I4I

dire che Dio e soltanto lui è la sorgente e la norma del bene. E se alcune azioni di Cristo, come la cacciata dei venditori dal tempio, i discorsi polemici con i Giudei, il rimprovero rivolto a Pietro, sono considerate dai teologi liberali come mancanze, si deve invece pensare che Cristo ba com­ piute tali azioni animato da vivo zelo per il Signore e quindi santamente. b) Cristo fu esente dalla concupiscenza (è dottrina di fede, espressa dal secondo Concilio di Costantinopoli, Denz. 224) e da ogni cattiva di­ sposizione. Al riguardo Tommaso d'Aquino dice : « Cristo possedeva in modo per­ fettissimo la grazia e tutte le virtù. Ora la virtu morale, che ha sede nella parte irrazionale dell'anima, rende questa parte soggetta alla ragione e ciò in modo tanto piu radicale quanto piu la virtu è perfetta : cosi la temperanza sottopone alla ragione l'appetito concupiscibile; la fortezza e la mansuetudine le sottopongono l'appetito irascibile. Ora il fomite o fo­ colaio del peccato consiste in un'inclinazione dell'appetito sensibile verso ciò che è contro la ragione. Pertanto è evidente che quanto piu la virru è perfetta in un individuo, tanto piu essa snerva e indebolisce il focolaio del peccato. Siccome Cristo possedeva le virili nel grado massimo ne segue che in lui non vi era affatto tale focolaio di peccato; poiché una tale de­ bolezza lungi dall'essere utile alla sua opera di soddisfazione, l'avrebbe inclinata verso il contrario » (S. Th., III, q. 15, a. 2). c) L'intrinseca impossibilità di peccare deriva dal fatto che l'io del­ l'umana natura è il Logos. Cristo ha di certo una propria libera volontà umana. Ma l'io, che per mezzo di essa agisce, è Dio. Perciò delle azioni operate dalla volontà umana è pur sempre responsabile la persona divina. Siccome questa non può mai agire contro se stessa, Cristo non solo non commise mai alcun peccato ma non poteva nemmeno compierne. Egli perciò non poteva essere tentato alla colpa per una cattiva inclinazione che nascesse dal suo interno. Il tentatore poteva bensi assalirlo dall'esterno, ma non poteva trovare dei complici nei sentimenti, nelle esperienze o nei desideri di Cristo. Questi perciò gli si opponeva con piena e perfetta li­ bertà (Mc. r, 1 3 ; Mt. 4, r - u ; Le. 4, r-1 3).

D.

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IL MONOTELISMO.

cl) Una questione assai difficile sta nel fatto che Cristo, pur posse­ dendo una natura umana integra e non sminuita, era tuttavia impeccabile. Non appartiene forse alla natura della libertà umana la possibilità di poter

P. I.

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DIO REDENTORE

opporsi a Dio e perciò di peccare? Chi non può peccare non è pereto stesso privo della volontà o almeno della libertà? Nell'epoca cristiana an­ tica per timore che fosse messa in pericolo l'impeccabilità di Cristo, alcuni furono indotti a mettere in dubbio o anzi a negare la sua volontà umana. Nel settimo secolo i monoteliti, pur ammettendo che Cristo avesse due nature, gli attribuivano un'unica volontà e operazione. Questa dottrina aveva pure dei moventi politici. Quando il tentativo di soffocare nel se­ condo Concilio di Costantinopoli l'eresia monofisita (a. 5 53) fece nau­ fragio, il patriarca Sergio di Costantinopoli (6 10-638), d'accordo con l'imperatore d'Oriente Eraclio, cercò di riunire nella fede i dissidenti per rafforzare cosi il regno orientale esposto al pericolo degli Slavi e dei Persiani. Egli sperava di vincere i monofisiti attribuendo a Cristo una duplicità di natura, ma concedendo tuttavia che egli avesse un'unica vo­ lontà e un'unica operazione. Gli avversari del monofisismo aderenti alla retta fede, videro con ragione che questa dottrina era una nuova edizione rielaborata dell'errore monofisita. L'attribuire a Cristo un'unica volontà avrebbe logicamente condotto ad attribuirgli un'unica natura. Il monotelismo fu condannato dapprima dai vescovi italiani e africani riuniti nel Concilio Lateranense l'anno 649 sotto papa Martino I (Denz. 256-269); e definitivamente nel III Concilio Costantinopolitano (68o-6 8 I ), ecumenico sesto (Denz. 289-293). Perciò è dogma di fede che come in Cristo vi sooo due nature cosi vi sono pure due volontà e due operazioni. Nelle dichiarazioni del Concilio Lateranmse del 649 si dice : Can. 10. Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo verità, due volontà strettamente unite dell'unico e medesimo CristO, nostro Dio, cioè la divina e l'umana, poiché è per mezzo dell'una e dell'altra natura che egli ha voluto operare naturalmente la nostra salvezza, sia condannato. Can. 1 1 . Se qualcuno non confessa, d'accordo con i Santi Padri, propriamente e secondo verità, due operazioni strettamente unite dell'unico e medesimo Cristo, nostro Dio, cioè l'operazione umana e la divina, perché è per mezzo di entrambe le sue nature che egli ha naturalmente operato la nostra salvezza, sia condannato. Can. 12. Se qualcuno, seguendo i criminali eretici, confessa una sola volontà di Cristo, nostro Dio, e una sola operazione, distruggendo cosi la confessione (dottrina) dei Padri e negando l'economia redentrice del medesimo Salvatore, sia condannato ... Can. 15. Se qualcuno, seguendo i criminali eretici, intende insipientemente la operazione divino-umana, detta dai greci teandrica, nel senso di unica e non confessa d'accordo coi Santi Padri che questa operazione (teandrica) è duplice, cioè divina e umana; oppure ritiene che il nuovo termine « teandrica » designa

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTITÀ DELLA VITA SPIRITUALE DELL' UOMO CRISTO 143 un'unica operazione e non la meravigliosa e gloriosa unione dell'una e dell'altra, sia condannato. Can. 16. Se qualcuno coi criminali eretici e a sua perdizione allo scopo di salvaguardare in Cristo Dio le due volontà e le due operazioni, divina e umana, essenzialmente unite e piamente predicate dai Santi Padri, introduce insipien­ temente discordie e divisioni nel mistero della sua economia redentrice, e perciò le parole del Vangelo e degli Apostoli circa il medesimo S alvatore non le attri­ buisce, in accordo col beato Cirillo, ad una sola e medesima persona e essen­ zialmente al medesimo Signore e Dio nostro Gesti Cristo per dimostrare che il medesimo è naturalmente Dio e uomo, sia condannato (Denz. 263-269). Il III Concilio di Costantinopoli dichiara : c Similmente proclamiamo in lui (Cristo) due volontà naturali e due operazioni naturali senza divisione, senza mutazione, senza separazione, senza confusione, giusto l'insegnamento dei Santi Padri; e le due volontà naturali non opposte tra loro, come sostennero certi empi eretici, ma la sua umana volontà docile e non resistente o ribelle, bensi sotto­ messa alla sua volontà divina e onnipotente. Bisognava infatti che la volontà umana fosse attiva, ma soggetta alla divina, come dice il sapientissimo Atanasio. Poiché alla stessa stregua che la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, cosi la naturale volontà della sua carne si dice ed è propria volontà del Verbo di Dio, come egli stesso d1sse : " Io sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma quella di colui che mi ba mandato, cioè del Padre (Gv. 6, 38) : ossia indica come volontà sua propria quella che era la volontà della carne. Anche la carne infatti divenne propria di lui. Orbene, come non andò perduta, divenendo di­ vina, la sua umanità santissima e immacolata, ma perseverò nella sua individua costituzione e ragione, cosi anche l'umana volontà di lui, fatta divina, non andò perduta, ma anzi fu salvata come dice Gregorio il Teologo : " La volontà di lui, quale s'intende del Salvatore, non è a Dio contraria, fatta com'è tutta divina ". Proclamiamo inoltre nello stesso nostro Signore Gesu Cristo, nostro Dio, due operazioni naturali senza divisione, senza mutazione, senza separazione, senza confusione, cioè : l'operazione divina e l'operazione umana, secondo quanto af­ ferma chiaramente il divino predicatore Leone : " Opera l'una e l'altra forma (natura) ciò che le è proprio in comunione con l'altra, il Verbo cioè operando ciò che è del Verbo, e la carne eseguendo ciò che è della carne ". Non anunet­ tiamo in nessun modo che vi sia una sola e stessa operazione di Dio (divinità di Cristo) e della creatura (umanità di Cristo), poiché non possiamo né elevare la creatura all'altezza dell'essenza divina, né abbassare la sublimità della natura divina al livello delle creature. Riconosciamo infatti che a un solo e medesimo appartengono e i miracoli e le sofferenze, ma secondo l'elemento proprio a cia­ scuna delle nature di cui è composto e nelle quali sussiste » (Denz. 291 -292). ·•

La Scrittura distingue la volontà umana di Cristo da quella divina per la quale egli è uno con il Padre (Le. 22, 42; Mt. 26, 39; Gv. 5, 30; 6, 38). Cristo come uomo dovette apprendere l'obbedienza di fronte alla volontà del Padre (Ebr. 5, 8). Lo Pseudo Dionigi l'areopagita a motivo della du­ plice volontà di Cristo, parla di azioni divino-umane (teandriche). Anche se in Cristo vi erano due volontà non si deve tuttavia pensare

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che vi potesse essere opposlZlone o contrasto tra loro. Infatti è sempre lo stesso io divino che opera tanto nell'una che nell'altra. E se in Mc. 1 4, 36 (cfr. Le. 22, 42) si legge che Cristo pregò il Padre perché lo esone­ rasse dalle sofferenze mortali che l'attendevano, anzi, che la sua volontà umana si è in certo senso ritratta dal cumulo di dolori incombenti, ciò non significa affatto che essa si sia opposta al comando del Padre. Alla richiesta d'essere esentato da tanta sofferenza Cristo aggiunge : Però non la mia volontà ma la tua sia fatta. Proprio perché Cristo aveva una vera natura umana doveva sentire ansia e terrore di fronte alle sofferenze della passion�. Ma egli attraverso tutti i terrori che naturalmente la morte ad­ duce si mostrò perfettamente obbediente alla volontà del Padre. Qui anzi Cristo ha compiuto il suo massimo atto di ubbidienza. Cristo ebbe dunque una volontà libera, ma si sottomise di continuo alla volontà paterna. Gli era anzi si sottoposto da non poter nemmeno peccare. Come si possono conciliare questi due fatti? La difficoltà emerge particolarmente nell'accettazione della morte in croce. Cristo stesso par­ lava d'una missione che doveva svolgere cella sua vita, diceva di dover ubbidire a un comando del Padre (Gv. 1 4, 3 1 ). Data la sua impeccabilità sembra che egli non fosse stato libero di fronte a tale comando paterno. Ecco le principali soluzioni che sono state proposte : aa) Si trattava di un comando in senso largo, di un beneplacito del Padre. - In tal modo però si sminuiscono le chiare espressioni bibliche che parlano di un vero mandato e di una reale obbedienza di Cristo (Gv. I4, 3 I ; 1 5, 1 0 ; Rom. 5, 19; Fil. 2, 8 ; Ebr. 5, 8 s.). Sembra inoltre che Cristo non avrebbe potuto trasgredire neanche il beneplacito del Padre sen­ za venir meno, in qualche modo, alla santità e perfezione che gli conviene. bb) Il comando riguardava soltanto la sua morte e non le circostanze in cui essa si sarebbe avverata. Queste dipendevano dalla libera scelta di Cristo. - Ma in tal caso il merito della morte di Cristo dipenderebbe non dalla morte in se stessa, ma solo dalle circostanze che l'accompagnarono. cc) Cristo possedeva la grazia efficace che muoveva la sua volontà ad accettare in modo libero, ma infallibile il mandato divino. Tomisti e Molinisti spiegano poi diversamente l'intima natura della grazia efficace. Cfr. § 2 I I . - Questa soluzione sembra spiegare bene solo l'esenzione dal peccato in Cristo, ma non la sua intrinseca impeccabilità. dd) Dio diede il comando solo in previsione dell'accettazione di Cristo, che in ogni tempo avrebbe potuto esonerarsi da tale compito si gravoso. - Questa opinione sembra far troppo dipendere il decreto della redenzione dalla volontà umana di Cristo.

§ I 5 I . GRAZIA E SANTITÀ DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO

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ee) H. Schell dice che la libertà è la capacità di valutare quello che si deve fare prescindendo dal sentimento o impressione che può destare nell'animo. Ora Cristo sentiva il comando di Dio non come qualcosa di desiderabile, bensi di doloroso sia per l'anima che per il corpo. La sua anima era quindi nella condizione di compiere la volontà divina, accet­ tando liberamente il mandato e reprimendo quei sentimenti che vi si opponevano. Anche se era impossibile che Cristo non avesse a com­ piere la volontà divina, il compimento di essa era tuttavia un atto con cui egli rinnegava se stesso (Le. 1 2, so; Gv. 1 2, 27). Nonostante che l'anima umana di Cristo avesse in sé la possibilità di non adempiere il mandato da Dio ricevuto, non si deve tuttavia concludere che Cristo avrebbe potuto peccare, poiché il vero principio del volere è il Logos divino. In ultima analisi, il problema è qualcosa di insolubile e rientra nell'im­ penetrabile mistero dell'uomo-Dio. Dobbiamo quindi accontentarci di af­ fermare che l'io del Logos divino, il quale vuole e decide liberamente, sostiene la volontà umana, conferisce alla natura umana, insieme con l'esi­ stenza, anche il volere umano libero, ed opera questo volere proprio in quanto libero. Cfr. § § 1 1 2 e 127. Non si deve poi dimenticare che essen­ zialmente la libertà consiste nel realizzare spontaneamente con consape­ volezza e decisione ciò che corrisponde al proprio essere, non nel fare anche ciò che ad esso si oppone.

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L'AMORE A DIO.

3. L'aspetto positivo della sua ansia per la signoria divina sta nel­ l'amore bruciante verso il Padre (Le. 2, 49 ; 23, 46). Di qui scaturisce l'incondizionata prontezza e l'ardente brama di eseguire la volontà del Padre, di adempierne il mandato, di far prevalere i suoi comandi (Gv. 4, 34). La vita di Cristo è consacrata al Padre (Mt. 26, 39). In ogni istante egli è pronto a sacrificarla per la sua missione superando ogni angoscia e paura. Tutte le sue opere egli le compie in unità con il Padre (Le. 3, 2 I s.; 6, I 2 s. ; Gv. I 4, 1 0 ; Mt. I I , 27); egli vive in un'ininterrotta co­ munione con lui (Gv. I 6, 32; 8, I6. 29). Questa comunione si realizza e a un tempo si manifesta nella sua ricca e profonda vita di preghiera che fu un intimo, fiducioso e vivo dialogo con il Padre o un parlare di suo Padre con gli uomini. Si, tutte le parole sue furono un colloquio con il Padre o riguardante il Padre, tutte le espres-

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sioni che sgorgarono dal suo labbro1 furono parole di preghiera. Siccome il suo cuore era immerso nel Padre, ne scaturirono solo parole verso il Padre o riguardanti il Padre (Mt. I I, 2 5 ; 14, 23; 26l 39 ; Gv. 1 6, r s ; 1 1, 4 1 s.). Per la sua intima comunione con il Padre egli non aveva bi­ sogno di rivolgersi a lui per chiedergli perdono1 per cui la sua preghiera ben di rado è una preghiera di domanda, ma usualmente una preghiera di lode e di ringraziamento (Mt. I I, 25 ; Gv. 1 1 , 41). Anche la preghiera di petizione non è una supplica ansiosa, ma un desiderio sicuro del suo esaudimento (Gv. 1 7, 24; 1 1, 41 s. ; Mc. 1 1, 22 s.). Prega piu per gli altr-i che per se stesso, piu per la glorificazione del Padre che per avere un aiuto nella necessità (Le. 22, 32 ; Gv. 1 4, r 6 ; 17, r . 24). Egli non aveva bisogno di chiedere come tutti gli altri, perché la sua era la preghiera di uno che vive in perfetta unità con il Padre, che non è nulla da se stesso ma che possiede sia l'essere che l'agire come un dono fluente di continuo dal Padre. Egli dice solo quello che ha udito dal Padre e opera solo quello che ha visto compire dal Padre (Gv. 5, 19-47). Egli perciò, anche senza elevare una formale preghiera di petizione, stava dinanzi al Padre in con­ tinuo atteggiamento di preghiera, poiché viveva sempre pronto e disposto ad accogliere i doni dal Padre ed era libero da ogni volontà di autonomia opposta a Dio. Non abbandonò mai questo atteggiamento di orante poiché era sempre pronto a udire e a ricevere. Non doveva quindi elevarsi da uno stato privo di orazione a speciali atti di preghiera; quando pregava egli non faceva altro che realizzare ciò che perennemente viveva in lui. Siccome egli aveva coscienza di essere come uno a cui il Padre aveva donato tutto, la preghiera, la prontezza e il desiderio di ricevere tali doni divini sfociavano logicamente in atti di ringraziamento. Nella sua pre­ ghiera Cristo esprimeva la sua disposizione e il suo desiderio di voler rite­ nere la sua vita e la sua azione solo come dono del Padre. Tutto questo appare ben chiaro nella domanda rivolta al Padre in oc­ casione della risurrezione di Lazzaro (Gv. 1 1, 41 s.). Gesu elevò lo sguardo in alto, non disse alcuna preghiera percettibile, ma ringraziò piuttosto il Padre per l'esaudimento già assicurato e aggiunse che, pur essendo certo dell'esaudimento, egli pregava tuttavia perché la massa dei presenti aves­ sero a credere ch'egli era stato inviato dal Padre. Da queste parole di Cristo gli uditori dovevano giungere alla conclu­ sione che egli non agiva come un mago che agisce per potenza propria, ma come inviato di Dio che nulla voleva compiere di suo arbitrio, bensi solo realizzare la missione che il Padre gli aveva data quale rivelatore di Dio (cfr. pure Gv. 1 1 , 22). Con questa spiegazione la preghiera di Cristo

§ 1 5 1 . GRAZIA E SANTIT À DELLA VITA SPIRITUALE DELL ' UOMO CRISTO

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non vuoi essere considerata come pura apparenza, un conformarsi alle usanze degli uomini o come una illusione degli spettatori, Tale preghiera conserva invece la sua serietà e la sua importanza. Soprattutto la sua se­ rietà in quanto rivela la prontezza con cui Cristo accettava tutto, senza riserva, come dono del Padre, e la certezza che il Padre non avrebbe in­ dugiato a garantire al suo incaricato tutto ciò che gli conveniva. Mentre si rivolge al Padre Cristo rivela in pari tempo chi egli è : attua la sua caratteristica piu intima e la dimostra a quelli che lo vedono e lo ascoltano. La sua preghiera era come una spinta perché essi credessero davvero che egli era l'inviato del Padre. Nell'esaudimento il Padre confermava ciò che Cristo affermava di sé, ossia, che non compiva opere proprie e non cer­ cava la propria gloria, ma faceva le opere e cercava la gloria di colui che l'aveva inviato (cfr. R. Bultmann, Das Joh.-Evangelium, in Gv. I I , 4 1 ; protestante). Fu con la preghiera, con l'elevazione del suo spirito al Padre, che Cristo poté superare tutte le angosce e gli abbandoni dell'ora dolorosa della sua morte. Nella sua preghiera sacerdotale confluiscono e si fondono tutte le preghiere particolari, per assumere un ininterrotto atteggiamento di ora­ zione. Egli vede e risente la volontà del Padre in tutti gli eventi e i fatti della natura, della storia e della vita quotidiana (Gv. 5, 1 7 ; Mt. 5, 45) e perciò abbraccia nel suo amore anche tutto ciò che è extradivino. Egli accetta la volontà divina in piena libertà, indipendenza ed energia. Di qui sgorga la sua perenne fiducia verso il Padre e la sua opposizione contro quelli che hanno poca o nessuna fede, contro gli orgogliosi e i ricercatori della pro­ pria volontà. Qui sta la radice della sua lotta contro i Farisei, i quali par­ tendo da una rigida fedeltà alla lettera della legge avevano sviluppato tutta una serie di contraffazioni, di falsità, di limitazioni, di esteriorità. Di qui sgorgò il fuoco e l'ardore con cui egli si oppose a tutto ciò che è falso, superstizioso, contro ogni limitazione, pedanteria, irrigidimento, contro ogni servilismo letterale e formalista. L'obbedienza alla volontà del Padre fu da Cristo attuata per l'intero corso della sua vita senza alcuna esitazione o modificazione o alterazione. A causa della sua dedizione alla volontà paterna, Cristo è perfettamente libero e distaccato da ogni vincolo terreno (possedimenti, onore, famiglia, amicizia), anche se l'amore stesso del Padre lo rende caldamente amante di ogni cosa creata, siano essi uomini, madre, apostoli, compaesani, pec­ catori, L'amore del Padre lo riempie di gioia e di felicità, di calma e di serenità, di coraggio e di fiducia. Si stupisce ma senza ansietà e preoc-

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cupazione (Mc. I I, 22 ss. ; ro, 27; Le. 12, 6-3 1 ), che proibisce pure ai suoi discepoli (Mt. 6, 33; Gv. 1 4, 1). Ogni azione riferita dall'Evangelo è conseguenza e rivelazione del suo amore per il Padre. Quest'amore dà alla sua vita unità e semplicità; costituisce il centro in cui riposa e si muove; gli dona forza, sicurezza, confidenza, e gli rende superflua ogni consolazione, ogni incoraggiamento, ogni sostegno degli uomini. Cfr. K. Adam, Gesu il Cristo, capo V. Cfr. pure la trattazione sulla Prqvvi­ denza al § 1 1 3. § 152.

Cristo vero Figlio di Dio.

I. - Ciò che i contemporanei di Cristo hanno provato al cospetto di questo uomo e ciò che noi possiamo cogliere di lui negli scritti neote­ stamentari, supera tutto ciò che la storia e l'esperienza ci fanno conoscere degli altri uomini, sicché giustamente fu detto che la figura di Cristo è incomprensibile (Lavater). Essa rimard sempre enigmatica finché non si vedrà la realtà profonda in cui è radicata. Tutto ciò che questo uomo è o compie scaturisce dalla sua realtà divina. Tutti gli scrittori neotesta­ mentari hanno la convinzione e la fede che colui che essi accompagnano nelle sue evangelizzazioni, di cui essi ascoltano le parole, con il quale essi siedono a tavola, trascende !a misura possibile a un puro essere umano. Egli è l'unigenito figlio di Dio consustanziale al Pad1·e. È questo un dogma di fede, come appare dalle decisioni ecclesiastiche riferite al § 1 46. Qui si intende non la figliolanza divina morale, bensi quella metafisica, per cui Gesu Cristo possiede l'essenza divina che è propria al Padre, e per la quale egli è Dio. II. Le testimonianze sia bibliche che patristiche sono cosi innume­ revoli che occorre accontentarci d'uno sguardo d'insieme, tratto da testi selezionati. Per la Scrittura occorre distinguere l'Antico dal N uovo Te­ stamento. -

A) L'Antico Testamento non presenta alcuna prova chiara per la divi­ nità del Messia promesso. I passi che parlano della sua relazione con Dio (ad es. Is. 9, 5 s. ; 7, 14; 8, 8 ; Dan. 7, 1 3 s. ; Sal. 2, 7 s.) vanno intesi non nel senso di una figliolanza metafisica bensi solo di una figliolanza morale, cioè dell'adozione gratuita a figlio da parte di Dio. In tal senso anche il re, che è chiamato « l'unto di Dio » e di cui è infatti il rappresentante, anzi l'intero popolo di Israele si possono dire « figli di Dio » (Es. 4, 22).

§ 152. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

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Certo questi passi riguardanti il Messia visti alla luce neotestamentaria acquistano un significato piu pieno e piu comprensivo. Ma è solo in questa luce che il Messia promesso è vero Figlio di Dio, anche se l'Antico Te­ stamento, per conto suo, non lo dice espressamente. Ciò che s'avvera per tutto l'Antico Testamento, cioè che esso si possa capire solo alla luce del Nuovo, vale in modo tutto particolare per i passi messianici. Solo alla luce della rivelazione completa si può comprendere ciò che al di là del loro valore letterale significano le espressioni veterotestamentarie.

CARATTERISTICHE GENERALI DELLA TESTIMONIANZA NEOTESTAMENTARIA SU CRISTO B) Ciascuno degli scrittori del Nuovo Testamento ha visto e sentito Cristo a modo suo e a modo suo ce lo ha descritto utilizzando la termi­ nologia allora in uso, nel desiderio di esprimere la realtà nel modo che gli sembrava piu acconcio, e di presentare cosi meglio il mistero di Dio. Ciascuno ci offre la sua testimonianza di Cristo, e ciò che essi asseriscono di lui, benché in forme e modi di dire diversi, coincide sostanzialmente. E ciò è naturale poiché la loro testimonianza si riduce in definitiva a una testimonianza non dello spirito umano, ma dello Spirito Santo. È lui in­ fatti che testifica di Cristo (Gv. I 5, 26). Egli è l' invisibile autore degli scritti neotestamentari (cfr. § 1 2 s.). Ma la sua testimonianza è una testi­ monianza trasmessaci per mezzo di uomini, per mezzo cioè di Matteo, Marco, Luca, Paolo, Giovanni ecc. (Atti 1 , 8). Lo Spirito Santo infatti non aboli la personalità propria a ciascuno di loro ma ne tenne conto e le si adattò quando li scelse come strumenti della sua azione. Caratteristica propria degli uomini sono anche le unilateralità e le imperfezioni umane. Perciò ci incontreremo pure con queste quando leggeremo gli scritti sacri composti per volere divino da uomini. Lo Spirito Santo ha impedito loro soltanto un vero e proprio errore. Si può dire che in un certo senso anche nella Sacra Scrittura si è avverato quell'abbassamento di Dio che già ve­ demmo nell'incarnazione del Verbo, sia pure in un modo ben diverso ma pur sempre visibile e ad esso paragonabile. In ogni scritto neotestamentario Cristo intero vi si rispecchia tutto, ma in modi ben diversi l'uno dal­ l'altro. Accanto alla sostanzialità unica del messaggio troveremo una diver­ sità notevole sia nella scelta del materiale che nella forma della testimo­ nianza. È dal complesso di tutte queste testimonianze che ci sarà possibile trarre la fisionomia completa di Cristo.

I SO

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Gli scrittori sinottici, sia pure con sfumature e toni diversi, ci di­ pingono Cristo come il Figlio di Dio incarnatosi, come l'uomo misterioso che è penetrato nella loro vita, come il Messia promesso dagli scritti veterotestamentari, come l'atteso figlio di Abramo e di Davide che ristabi­ lir� la signoria divina, come colui che perdona i peccati e dona salvezza. Dovunque si risente il mistero della sua divinità, ma esso è tuttavia espresso con voce assai flebile. L'occultamento della gloria divina è mag­ giore negli Evangeli sinottici che non presso qualsiasi altro scritto neote­ stamentario. Paolo presenta Cristo soprattutto come la potenza personale, celeste, come il Signore possente del cielo che agisce nella sua vita e che lo domina. Giovanni, il prediletto discepolo del Signore, che poté gettare piu pro­ fondamente di tutti il suo sguardo nel mistero di Cristo, mette io risalto la gloria divina che si svela e rifulge entro la natura umana di Cristo e che si è manifestata nell'involucro carnale, senza per questo sminuire la natura umana. In nessun altro scritto neotestamentario è cosi evidente la polemica antignostica come nel suo Vangelo ; ma tuttavia nessun altro Vangelo fu, come il suo, sotto l'influsso della Pasqua e della Pentecoste, poiché niuno fu come il suo autore introdotto dallo Spirito Santo cosi profondamente nella conoscenza del mistero di Cristo. Egli descrive Cristo cosi come avrebbe dovuto vederlo se prima della discesa dello Spirito Santo l'avesse conosciuto come dopo ; ce lo descrive cioè come Cristo era realmente senza che i discepoli riuscissero a comprenderlo. Giovanni quindi ci conduce nella profondità del mistero di Cristo. Per quanto la realtà che agisce e opera in Cristo sia del tutto impenetrabile - Dio è infatti sempre incomprensibile e ineffabile - nessun evangelista ebbe come lui tanta dimestichezza con il mistero. Perciò nessuno piu di Giovanrù ci presenta la chiave per meglio comprendere Cristo, per cogliere l'intima ragione della sua vita. Presso i sinottici mancano molte cose che noi brameremmo sa­ pere per potere comprendere la singolarità di questa vita. Se ci chiediamo che cos'è che possa chiarirci il perché la vita travalichi ogni consueta misura umana, i sinottici ci offrono, fatte poche eccezioni, solo delle allusioni. Certo essi illuminano l'aspetto esterno di questa vita, ma se ci chiediamo quali siano state le forze che la nutrivano, i sinottici sono piu riservati di Giovanni. Perciò la testimonianza di Giovanni è piu chiara di quella dei sinottici. Presso di lui balza evidente che una vita umana nu­ trita e governata come la sua da simili potenze divine, non poteva essere diversa da quella che in Cristo si è avverata. Paolo conosce Cristo prin­ cipalmente come colui che fu elevato, glorificato. Ci è dubbio se egli

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l'abbia visto durante la sua vita terrena. Potremmo dire che i sinott.Lct accentuano l'aspetto umano di Cristo, Pao!o l'aspetto divino (la glorifica­ zione), mentre Giovanni mette in luce simultaneamente entrambi gli aspetti in modo però che il divino rifulga attraverso l'umano. La sua testimonianza su Cristo è conseguentemente quella piu completa e meglio sviluppata tra tutte le testimonianze neotestamentarie. Lo Spirito Santo per mezzo di Giovanni ci ha cosi presentata la piu chiara testimonianza su Cristo. Ciò che colpisce subito nelle testimonianze neotestamentarie su Cristo è che il suo modo di essere è al di là di qualsiasi schema psicologico o biologico, bio­ grafico o storico. Perciò Cristo non può essere l'invenzione di un uomo. Se cosi fosse, non dovrebbe essere impossibile farlo entrare nelle categorie umane. Non è, dunque, l'invenzione degli uomini, giacché i testimoni di Cristo parlano di lui, nel Nuovo Testamento, come di una realtà che ad essi si è imposta dal di fuori. Tanto è vero che essi, pur essendogli stati vicini, non riuscirono mai a penetrare il segreto finché egli visse. Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci vi fu un momento in cui parve loro di esserglisi di mollo appressati; ma subito dopo egli sfuggi loro di nuovo (Mc. 6, 3 r -45). Si veda cosa avvenne, quando i discepoli vollero dargli da mangiare (Gv. 4, 32-34). All'invito : i Maestro, mangia ! », la risposta fu : « lo ho da mangiare un cibo che voi non conoscete ». E i discepoli l'uno all'altro : « Forse che qualcuno gli ha portato da mangiare? ». E Gesu : « Il mio cibo è quello di fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera ». Ugualmente, sino all'Ascensione (Atti r, 6-8) rimase incompreso ai discepoli, anche ai piu imimi, il messaggio di Cristo sul regno di Dio. Fu la trasformazione operata dallo Spirito Samo ad aprire loro gli occhi sul mistero di Cristo. Se dunque Cristo rimase per i discepoli, fino a che fu con loro, un segreto impenetrabile, è chiaro che non può essere un'invenzione dei discepoli stessi; che altrimemi essi avrebbero conferito altri trani alla sua figura. Non fu il pro­ dotto di una intuizione creatrice dei suoi seguaci, ma una realtà che cadde sorto la loro esperienza e che �empre li riempiva di nuovo stupore. Tutto ciò si riscontra con la massim:i evidenza in Paolo e in Giovanni. Fu per Paolo l'enigma di tutta la sua vita che la magnificenza di Dio si fosse rivelata nella debolezza della carne e nella follia della croce. Piu consona alla sua origi­ naria idea di Dio sarebbe stata la figura sostanzialmente diversa di un Dio-Re­ dentore sotto l'aspetto di un Forte, di un Potente che annienta i suoi nemici. Si sente spesso nelle lettere di Paolo lo sforzo di porsi sulla difensiva contro l'idea di un Dio siffatto, per potersi affidare all'esperienza di Dio che gli veniva dal di fuori. Quando nella lettera ai Romani (r, r6) egli dichiara di non vergo­ gnarsi della croce, tradisce con ciò di voler ricacciare un pensiero segreto che tenta sempre di riemergere. Lo stesso vale per il passo ove egli dice che il messaggio della croce è scandalo ai Giudei e stoltezza ai Gentili (r Cor. 1, 22-25). Si ride di una siffatta rivelazione ed è evidente che l'Apostolo sente in sé la tentazione di unirsi a questo ridere. Come può infatti ogni uomo non turbarsi di fronte alla figura di un Dio debole e condannato dagli uomini

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a morire sul patibolo. Ciò è in comrasw con tutte le idee e le immagini che l'uomo ha del divino, del numinoso. L'ammagine del Dio crocifisso, predicata da Paolo, non è nata davvero nel cuore di Paolo, né di altro uomo. Essa deriva da un'esperienza che investe Paolo dal di fuori e lo sopraffà; un'esperienza che infrange l'idea che di Dio si fa il cuore umano. Davanti alle porte di Damasco, Cristo pose su lui la sua mano, e lo trasformò, contro ogni aspettativa, in guisa tale che da allora egli adorò quanto prima aveva perseguitato, lodò e si fece banditore di quanto aveva condannato. U guaii considerazioni si possono fare sulla testimonianza cristologica dell' Apo­ stolo Giovanni. Guardini ha messo in rilievo che Giovanni per indole possedeva una formidabile capacità di amare, ma gli mancava la dolcezza ; che aveva amore per le cose, per una causa, e non per gli uomini; che aveva, tutto sommato, una natura violenta, intollerante, fanatica. A questo amore senza benignità fa riscontro la capacità di odiare ardentemente. Ciò si manifesta nella veemenza con cui egli investe Giuda. Per indole e convinzioni religiose originarie, Giovanni si avvicina allo gnosticismo che vede dual isticameme tutta la realtà. La considera cioè composta del divino e del demoniaco, di bene e di male, di luce e di te­ nebra, di materia e di spirito, di amore e di odio, di mascolinità e di femminilità. Tutta la realtà posa su questa bipolarità di forme fondamentali. Sono reahà meta­ fisiche. Dal Vangelo di Giovanni si vede che dopo le esperienze fatte con Gesù, l'Apostolo trasformò la sua indole origmaria e le sue primitive convinzioni reli­ giose. Tuttavia, esse riappaiono qua e là nel Vangelo ccme fugaci ricordi. Se Gio­ vanni avesse tratto dal suo intimo l'immagme di Cristo, ci avrebbe dato una visione gnostica del mondo e un'idea di Dio ad essa consona. Ne sarebbe bal zata una figura di Cristo, di Redemore, accesa di odio fanatico contro i suoi nemici. Quanto diversa invece la figura di Cristo del suo Vangelo ! Giovanni non l'ha foggiata da sé, ma l'ha ricevuta. Il suo Cristo non è un mito, ma è storia ddla quale egli riferisce. La sua testi monianza cri stologica non è scevra di forme espressive mitiche, poiché egli si esprime in un linguaggio che è anche il lin­ guaggio degli gnostici. Ma il contenuto della sua testimonianza sul Cristo non è che la risultanza di quanto egli ha visto e h a udito. È lo stesso Giovanni ad asserirlo esplicitamente. Nella prima lettera scrive : « Quello che era da principio, quello che abbiamo udito. quello che abhiamo Yeduro con gli occhi nostri, quello che contemplammo e le mani nostre palparono del Verbo di vira perché la Vita si manifestò, e abbiamo veduro e ne facciamo testimonianza ed annunziamo a voi la Vita, la Vita et erna che era presso il Padre, e si manifestò a noi quello che abbiamo veduto e udito. l'annunziamo anche a vo i ; perché anche voi abbiate comunione con noi » (I Gv. I , 1 -3). Se dunque Cristo apparve misterioso ed estraneo agli intimi del suo seguito, Immaginarsi quanto fosse incomprensibile alle turbe che di lui non si curavano o gli erano ostili. 11 suo messaggio su Dio e sull'uomo, sul Regno e sul mondo era agli antipodi addirittura di quanto il popolo si aspettava da Dio e dal regno promesso. La folla se ne irritò. Cristo veniva ad infrangere sogni e speranze divenute care. Lo scandalo e il dispetto si acuirono fino a divenire odio, che solo poteva placarsi con la sparizione di Gesu. QueHo odio non fu un fenomeno casuale. Non è a dire che, agendo con maggiore prudenza e tatto, Cristo avrebbe potuto evitarlo e vincerlo; fu un evento inevitabile, giacché in esso si mani-

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festava la resistenza che oppone a Dio, che gli va incontro, l'uomo precluso a Dio stesso e infatuato di sé. L'uomo caparbio, ostinato, sicuro di sé, non sopporta di dover adorare Dio che si presenta sotto le spoglie di un debole e di un inerme, condannato a una mone violenta. La sua resistenza, la sua opposizione, la sua irritazione e il suo odio non scaturiscono da un nocivo influsso di Cristo sulla vita dell'uomo. Un uomo maldisposto, anche se intuisce vagamente che Cristo è mallevadore del­ l'ordine terreno, di una convivenza ispirata al rispetto della dignità umana, non diminuisce per questo la sua avversione, per il solo fatto che il Dio che gli si presenta in Cristo è diverso dalle divinità, o meglio, dagli idoli che egli stesso si è foggiato e di cui non vuole disfarsi. Che Dio finisse sul patibolo non fu dovuto a un malinteso o a un errore tattico : fu necessaria conseguenza del con­ trasto fra l'uomo presuntuoso e orgoglioso e un Dio che era apparso sotto le fragili spoglie umane. L'uomo gonfio di sé e dei suoi diritti, non poteva tollerare un Dio siffatto. Il cuore preso nelle spire del peccato si ribella contro il Dio viveme (Gv. 8, 43 ss.). Cristo era consapevole di essere straniero in un mondo di uomini amanti della propria indzpendenza. Fu un grave fardello per lui questa consapevolezza. Egli sapeva di riuscire estraneo non a questo o a quell'uomo soltanto, ma a tutti. Necessariamente, quindi, la sua vita fu q u ella di un solitario ; null'altro volle esprimere quando ebbe a dire che non aveva dove posare il capo. Ciò che Rilke dice dell'esistenza umana in genere, che cioè nel mondo l'uomo è straniero fra stranieri, fu vero soprattuno di Cristo. Cristo dovene sopportare per runa la vita di apparire intempestivo sia ai suoi fedeli che ai suoi avversari. Per l'uomo peccatore egli è sempre intempestivo, perché egli è in contrasto con la sua pre­ suntuosa indipendenza. Il mondo trova nell'odio contro Cristo un elemento unificatore. L'astio contro Cristo è al di sopra e al di là di tutti gli altri contrasti. Questi perdono di forza di fronte all'antitesi fondamentale che vi è nella storia, quella cioè fra l'uomo che si atteggia a padrone e il Dio apparso in Cristo. Si comprende cosi come nemici irriducibili divengano amici nella comune avversione a Cristo. Il pa­ gano Pilato e il giudeo Erode dimenticano davanti a Cristo la loro vecchia e profonda inimicizia. Tutte le disparità che affliggono il mondo spariscono di fronte al contrasto mondo-Cristo. lreneo dichiara verso la fine del secolo II : c Con l'invocazione del nome di Cristo, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, �i produce fra gli uomini una scissione » . Cristo espresse questa realtà in quelle parole che rivelano come egli fosse co­ sciente dell'isolamento che il mondo gli impose : c Quando il mondo vi odia, sappiate che per primo ha odiato me. S e voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo. Ma poiché non siete del mondo, anzi io vi ho segregati dal mondo, avviene che il mondo vi odia... Ma devono pure adempirsi quelle parole : Mi hanno odiato senza ragione ... » (Gv. 15, 18 ss. e 25). La ragione piu profonda per cui Cristo è un estraneo in questo mondo sta nel fatto che egli viene dall'alto, mentre tutti gli altri uomini vengono dal basso. Cristo non è nato per volontà della carne e dell'uomo; è stato mandato in questo mondo dal Padre. Egli si inserisce, è vero, nella serie delle generazioni umane, ma nello stesso tempo trascende ogni umana cosa.

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I VANGELI SINOTTICI. l . - a) Per quanto riguarda i sinottici Cristo sa di essere colui che adempie tutte le profezie veterotestamentarie e in modo particolare quelle che preannunziano il Messia, il redentore, il re salvatore, l'apportatore di salvezza (Le. 24, 25. 4 5 ; cfr. § I 5 5). In lui i secoli e i millenni hanno rag­ giunto il compimento. Egli è quindi anche l'inizio dei nuovi secoli. Tutto attende il Messia. Già durante la predicazione del Battista « il popolo stava in attesa. Tutti in cuor loro andavano ragionando sul conto di Gio­ vanni se non fosse egli il Messia » (Le. 3, 1 5 ). Simeone, il giusto, atten­ deva ansiosamente il promesso Unto del Signore (Le. 2, 25). Proprio questa attesa bramosa ci fa capire la gioia di Andrea e Filippo per aver trovato colui di cui la Legge e i profeti parlavano (Gv. I , 44). Gesu iniziò la sua predicazione annunziando che egli era il salvatore promesso. Tornato dal deserto dopo aver vittoriosamente combanuto la tentazione di Satana, ammaestrava « con la potenza dello Spirito », e la sua fama si diffondeva fra la gente. In quel tempo secondo la consuetu­ dine entrò di sabbato nella sinagoga : « Ora gli fu porto il volume del profeta Isaia ; e svolto che l'ebbe, trovò il luogo dove stava scritto : Lo spirito del Signore è sopra di me, poiché mi ha conferito l'unzione ; mi ha mandato a predicare La buona novella ai poveri, ad ann unziare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi il dono della vista; a mettere in libertà gli op­ pressi, a promulgare un anno di grazia del Signore. Arrotolato il volume, lo rese all'inserviente, e si pose a sedere, mentre gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. E cominciò a dire loro : Oggi si è adempiuto questo passo della Scrittura come voi l' avete udito » (Le. 4, I4-2 1 ; Mt. 1 3, 53-5 8 ; Mc. 6, I-6 ; cfr. Is. 6 1 , 1 s.). Perciò ora è tempo di gioire come nel periodo delle feste nuziali (Mc. 2, 1 8 s.). Per coloro che hanno la possibilità di vedere i suoi giorni si può dire : « Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete ; poiché io vi dico che molti profeti e re desiderarono di vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e di udire ciò che voi udite, e non l' udirono » (Le. 10, 23 s. ; cfr. Mt. 1 3, 1 6 s.). E qui sta lo strano : è giunta ormai l'ora da tanti secoli attesa, ma gli uditori di Cristo non l'hanno capito. Essi si immaginavano il Messia ben diversamente da quegli che a loro cosi si presentava. In seguito alla lunga dominazione straniera si attendevano un Messia che fosse un liberatore nazionale e politico. Si attendeva da lui la liberazione dal giogo romano

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(Mc. 1 2, 1 3-17). Ma Cristo smentiva questa loro attesa. Egli predicava si la liberazione ma da un'altra schiavitu, da quella cioè del peccato che è una schiavitu ben peggiore della precedente (Mt. 6, 1 3 ; Mc. I , I 5 i Gv. 8, 33-37). La massa del popolo non poté pervenire alla comprensione di tale messianismo. I Farisei per conto loro avevano già rinunziato a tale idea messianica, per cui Cristo parlando con loro non poté che entrare in lotta aperta. Mediante un'abile propaganda nazionalistica indussero anche le masse popolari a ergersi contro Cristo. Esaltati dal fatto che erano di­ scendenti di Abramo sentivano sonare come una mancanza nei loro ri­ guardi il detto di Gesu che li proclamava schiavi del peccato e perciò biso­ gnosi di redenzione (Gv. 8, 4 8 ). Gli stessi discepoli fedeli a Cristo tro­ varono difficile capire il carattere spirituale, invisibile e apolitico del mes­ sianismo di Cristo. Essi lo confessarono quando Gesu da Betsaida andò verso « i villaggi di Cesarea di Filippo. Cammin facendo egli chiese loro : " Chi dice la gente che io sia? ". Gli risposero : " Chi dice Giovanni Bat­ tista, chi Elia, e chi uno dei profeti Ed egli chiedeva loro : " Ma voi chi dite che io sia? ". E Pietro gli rispose : Tu sei il Cristo » (Mc. 8, 27-30). Ma subito dopo Gesu dovette avvertirli che le speranze messia­ niche da loro concepite erano false, poiché pensavano il regno di Cristo come una potenza di questo mondo, in cui avrebbero bramato di conqui­ stare i primi posti (Mc. IO, 35-45). Siccome le speranze messianiche erano slittate nel campo politico, Gesu non poteva parlare chiaramente della sua missione messianica, « senza provocare un equivoco radicale sulla sua mis­ sione e persona, causando il pericolo di un movimento politico e l'inter­ vento dei Romani » (J. Schmid, L'E·vangelo secondo Marco, 1 9 56, 204). Perciò egli, a chiunque capi la sua dignità messianica, prescrisse di con­ servare il segreto (Mc. I, 24 s. 34· 44 s. ; 3, I I s . ; 5, 43 ; 7, 35 s. ; 8 , 29 s. ; 9, 9) e mai designò se stesso come Messia bensi come il Figlio dell'uomo. b) L'espressione « Figliuol dell'uomo », con la quale Cristo non fu mai designato dagli altri ma che egli usò personalmente per indicare se stesso, non era frequente fra gli Ebrei del tempo per designare il Messia. Cristo trasse l'espressione dall'Antico Testamento. Daniele vide dapprima quattro regni antidivini raffigurati in quattro animali. Per la loro alterigia e per la loro inumanità si attirarono il giudizio divino. Daniele in una vi­ sione terrificante vide il giudizio di Dio. Gli animali furono giudicati. I regni da loro raffigurati svanirono. Sorse allora il regno messianico che non avrà mai fine : « Io stavo osservando, quando dei troni furono posti e un Antico dei giorni si assise. Il suo vestito era bianco come neve e i capelli della sua testa candidi come lana; il suo trono vampe di fuoco, ·•.

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le sue ruote fuoco fiammeggiante. Un fiume di fuoco si spandeva e usciva da lui. Mille migli3ia lo servivano e diecimila decine di mig�iaia stavano davanti a lui. La corte si assise e i libri furono aperti. Io stavo osservando, allora a motivo del frastuono delle molte arroganti paro�e, che quel corno proferiva ... ; io stavo osservando, quand'ecco fu uccisa la bestia e andò di­ strutto il suo cadavere, che fu gettato al fuoco da bruciare; quanto alle rimanenti bestie; fu loro tolto il potere e la durata della loro vita fu fissata fino a tempo e ora. Io stavo osservando nelle visioni notturne. Ed ecco con le nubi del cielo veniva Uno come Uomo, giunse fino all'Antico dei giorni e fu presentato al suo cospetto. E gli fu dato potere e maestà e regno e tutti i popoli e le nazioni e le lingue lo servivano ; il suo potere è un potere eterno che non passerà e il suo regno tale che non andrà in rovina » (Dan. 7, 9-12 ). L'annientamento dei regni del mondo a causa delle loro colpe apre il cammino al regno messianico, in cui si affermerà la dominazione di Dio. Il suo rappresentante non sorge come le bestie raffiguranti i distrutti regni terrestri dal mare, dall'abisso. Proviene dall'alto. Egli sta perciò vicino a Dio, a quel Dio, che troneggia sulle nubi e vive nelle altezze. Ha figura umana; indizio questo che solo il dominatore che verrà dall'alto condurrà un governo degno dell'uomo. l regni antidivini sono regni indegni del­ l'uomo, lo degradano al rango delle bestie distruggendo libertà e dignità. Ma Dio stesso dona al rappresentante del nuovo regno potenza e dominio ; per mezzo suo è Dio stesso che attua il suo governo. Al v. 27 del c. 7 il Figliuol dell'uomo è ancora piu precisato : « Il regno poi e il potere e la grandezza dei regni sotto il suo dominio sarà dato al popolo dei Santi dell'Altissimo; e il suo regno sarà un regno eterno e tutti i potentati a lui serviranno e saranno soggetti ». Il « popolo dei santi dell'Altissimo » è il popolo appartenente a Dio, il popolo di Dio, specialmente nei suoi membri piu fedeli alla legge. Perciò è primariamente al Figliuol dell'uomo che spetta il popolo di Dio (cfr. anche v. 1 8 . 21 s. 25). L'espressione come nelle altre visioni notturne di Daniele riguardanti le bestie ha un significato collettivo. Ma nel v. 1 3 essa assume un significato individuale. Anche se direttamente l'autore del volume intende il Figliuol dell'uomo non indi­ vidualmente ma come espressione collettiva di tutto il suo popolo e perciò in se stesso non ha significato messianico, tuttavia la collettività quivi presentata fini nel corso dei tempi ad assumere un valore individuale e personale. Cosi fu infatti sempre inteso il Figliuol dell'uomo nella esegesi rabbinica anche piu antica. Mentre il Figliuol dell'uomo sia nel libro di Daniele che in tutto l'antico Oriente senza essere considerato una figura

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direttamente messianica si riduceva a simboleggiare l'eterno governo co­ smico di Dio, nella tradizione rabbinica e nella letteratura apocrifa vete­ rotestamentaria (4 Es d. I 3, 1 ss. ; Enoch, cc. 36-72 ; specialmente c. 46) in seguito allo stretto legame intuito tra il regno di Dio e il regno del mondo, esso assunse un significato individuale e passò a designare il Messia. Cristo ricollegando assieme il passo di Daniele e l'antica esegesi rabbinica si è autodefinito il Figliuol dell'uomo. Egli usò quindi la parola in senso individuale. Ciò che Daniele diceva del popolo di Dio, egli se lo è personalmente attribuito. Perciò, trascendendo l'immediato significato letterale, ha autenticamente definito che quanto Daniele immediatamente diceva del popolo di Dio doveva mediatamente riferirsi a Cristo. Che Gesti preferisse chiamarsi Figliuol dell'uomo anziché Messia può dipendere dal fatto che voleva rimuovere dalla sua personalità le false concezioni politico­ materialistiche ricollegate al concetto di Messia. D'altro canto l'uso di questa espressione voleva indicare che Cristo proveniva dalle altezze celesti. Infatti il Figlio di Dio vi è ammantato di gloria ulrraterrena, e il suo dominio si estende sino agli estremi confini della terra. Egli deve passare purtroppo per una via dolorosa, ma che lo farà poi apparire circonfuso di gloria quando verrà a giudicare tutti gli uomini. Perciò l'espressione « Figliuol dell'uomo » include tre aspetti: origine e nobiltà celeste, forma di servo, rivelazione della sua maestà celestiale. Il Figliuol dell'uomo è un dominatore, che non è però venuto a farsi servire, ma per servire (Mc. Io, 45). Egli non va ricercando i potenti e i magnati di questo mondo, bensi i piccoli e i perduti (Le. 19, 10). Egli è il signore del creato e della storia, e tuttavia possiede ancora meno degli animali. Non sa dove posare il capo (Le. 9, 28) ma dispone del sabato e delle altre forme di pietà veterotestamentarie che pure erano stabilite da Dio (Mc. 2, 28). Si stanca e si rattrista, può essere giudicato e tuttavia è il piu potente sostituto di Dio su questa terra, colui che decide tra la vita e la morte, tra la colpa e la grazia, tra la santità e la riprovazione (Mc. 2, I I s. ; Le. 19, Io). Guai all'uomo che si lascia ingannare dalla poca apparenza del Figliuol dell'uomo e scandalizzandosi di lui lo tradisce. Egli è un perduto (Le. 12, 9). Ma beato è colui che confessa il Figliuol del­ l'uomo e lo riconosce Salvatore e apportatore di felicità (Le. 2, 34; 6, 22 s. ; 1 2, g ; Mt. 2 1 , 42 ; IO, 32). La maestà di Dio, rivestitosi della forma di servo, si nascose al massimo sul Calvario. Il Figliuol dell'uomo percorre questa via come è stato stabi­ lito (Mc. 14, 21). Di lui sta scritto che avrebbe dovuto molto soffrire e pas­ sare attraverso varie ignominie. « Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e per

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il Figliuol dell'uomo si adempirà tutto quanto fu scritto dai profeti; sarà dato in mano dei Gentili, schernito, oltraggiato, sputacchiato, e dopo averlo flagellato lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà » (Le. 18, 31-33). Quanto piu si accosta alla croce, tanto piu Cristo è pronto a manifestare pubblicamente la sua dignità messianica che invece sino a quel momento aveva cercato di tenere velata proprio per impedirne le false interpreta­ zioni politico-nazionali comuni tra gli Ebrei (Mc. 1 1, I-Io; Mt. 2 1, 1-9 ; Le. 19, 28-38 ; cfr. Gv. 1 2, 1 2-1 9). Dinanzi al Pontefice, ossia al rappre­ sentante dell'intero popolo, che gli aveva chiesto s'egli fosse il Messia, il Figlio del Benedetto, rispose : « Io lo sono ! E vedrete il Figliuol del­ l'uomo sedere a destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo » (Mc. 1 4, 6 1 s.). I giudici terrestri lo possono ben uccidere ; ma egli è piu potente di tutti i viventi; egli ha il dominio sulla morte. Con meravigliosa sicurezza annunzia dinanzi alla stessa morte che verrà giorno in cui egli tornerà per giudicare gli uomini rutti, compresi gli stessi giudici che ora lo vanno condannando (Mc. 1 3, 26; Le. 17, 24; 21, 34). Quello sarà il suo giorno, il giorno del « Figliuol dell'uomo ». In quella futura ora il Figliuol dell'uomo dirà l'ultima parola della storia e libererà da ogni male la crea­ zione del Padre suo celeste, perché definitivamente vi si stabilisca la si­ gnoria divina (Mt. 1 3, 4 1 s. ; 25, 3 1 ; Mc. 8, 38). Allora sarà definitiva­ mente compiuta la missione ricevuta dal Padre, la quale includeva pure la sofferenza e la morte (Mt. 15, 24 ; Le. 13, 33; 17, 2 5 ; 22, 37i 24, 7· 25. 45). Cfr. J. Schmid, L'Evangelo secondo Marco, 1956, nota 1 5 . Il Figlio dell'uomo, 208-2 10. Si veda anche O. Cullmann, Christologie du N. T., 1958, u 8- 1 66; K. Adam, ll Cristo della fede, 1959, 1 27-140. Forse nella figura del Figliuol dell' uomo si può ancora vedere un quarto aspetto. Siccome in Daniele esso è raffigurato nella forma di un uomo, contro il simbolo animalesco dei regni antidivini, si può pensare che il regno messianico sarà un regno in cui la dignità umana sarà rimessa al suo giusto posto, cosicché per mezzo di Cristo i figli di Adamo torneranno a possedere la loro vera umanità, in modo che il vero umanesimo poggerà su Cristo anziché radicarsi nell'antichità pagana. Cfr. K. Buchheim, Das Messianische Reich, Miinchen 1948, 1 76. c) Il compito piu alto del Messia, caratterizzato come Figliuol del­ l'uomo, fu quello di instaurare il regno di Dio. L'espressione « regno di Dio » non era insolita per coloro che ascoltavano Cristo. Tale regno era infatti preannunziato nelle principali profezie del Vecchio Testamento. Dio, infatti, è per creazione re del mondo. Ma gli uomini si sottrassero a tale signoria, attirandosi cosi ogni male, e cadendo sotto la tirannia di

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Satana e dei suoi ausiliari terreni quali il peccato, la morte, il dolore, la malattia, la necessità. Allo ra Dio preannunziò il « giorno » del Signore, in cui tutte le potenze antidivine evocate dall'uomo sarebbero definitiva­ mente annientate. Tutto l'Antico Testamento serve di preparazione a que­ sto giorno di salvezza e di gioia. Gli scritti veterotestamentari testimoniano il modo con cui Dio cercò di ristabilire il suo dominio sul mondo. Per questo egli utilizzò come suoi rivelatori i patriarchi, i giudici, i re e i profeti. Cristo annunziò che la signoria di Dio da lungo tempo promessa, preparata e bramata ansiosamente ora si è avverata. È di certo ben diversa da quello che i piu si immaginavano. Non è un dominio politico nazionale diretto contro i Romani, non è un ripristino dell'antico regno davidico nella forma con cui già si era avverata ; ma è un regno spirituale, non politico. Non lo proclama in Giudea dove il Battista fu condannato, ma nella Galilea separata dalla Giudea e aliena dall'influsso del Sinedrio, dei farisei dottori della legge e dei partiti nazionalistici. « Dopo la cattura di Giovanni, Gesu tornò in Galilea, predicando la buona novella di Dio di­ cendo : Il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio ; pentitevi e cre­ dete alla buona novella » (Mc. 1, 14 s.). Pur non essendo un regno politico, il regno di Dio ha, come vedremo in seguito, una reale consistenza storica. Certo, raggiungerà il suo ultimo svolgimento solo al di là della storia ed è quindi una grandezza escatolo­ gica. Ma opera nella storia medesima rendendosi visibile in vari modi. Suoi avversari sono la potenza del male, il peccato, S atana e ogni malanno. Ciò che l'uomo può e deve fare nei riguardi di tale regno è di prepararsi e aprirsi ad esso. L'arrivo del regno è l'ora della decisione. Il che significa allontanarsi dal male per consacrarsi a Dio. La fede che include un mu­ tamento di pensiero, è l'atto in cui l'uomo si dischiude all'azione domi­ natrice di Dio. Il dominio regale di Dio ha fatto la sua comparsa con Cristo. Egli lo attua e lo rivela. Per mezzo di lui Dio realizza il suo regno. Che in Cristo sia apparsa la signoria divina, risulta anche dal fatto che colui che sino a quel momento governava il mondo, cioè Satana, il principe di questo mondo, sente ora frantumarsi il suo potere : « Io vidi S atana precipitare come folgore dal cielo » (Le. 10, 1 8 ; cfr. 1 1 , 20 ; Mt. 1 2, 2 8 ; Mc. 3, 23-27). In Gesu è apparso colui che essendo piu forte lega il forte che di questo mondo era signore (Mc. 3, 27 ; Le. 1 1, 22 s.). Vi sono quindi dei segni che il regno di Dio è arrivato. Non sono tali però quali la curiosità umana bramerebbe vedere a sua soddisfazione. « Il regno di Dio non viene ostensibilmente, né si avrà a dire : eccolo qui,

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eccolo là ; ecco infatti che il regno di Dio è già tra voi » (Le. I 7, 2 r ). Per i veri segni il popolo rimane cieco, e brama soltanto segni dal cielo, sulle nuvole, sul vento. L'uomo capisce i segni del cielo, delle nuvole e del vento per cui sa presagire quando sta per piovere o deve fare bel tempo, ma non sa capire i segni del regno di Dio che sta per avverarsi (Le. 1 2, 5 4- 5 6). Il segno del regno di Dio che è penetrato nella storia è lo stesso Cristo, sono le sue parole e le sue azioni. « I ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati ; i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri si annunzia la buona novella ; e beato è colui che non troverà in me occasione di inciampo » (Mt. 1 1 , 5). Il regno di Dio che è apparso con Cristo è bensi presente ma in modo velato. È perciò comprensibile soltanto a coloro che sono chiamati, a cui sono confidati i misteri di Dio. I rimanenti « vedranno con gli occhi ma senza vedere, udranno con gli orecchi ma senza intendere » (Mc. 4, 10- 1 2). Si va però sempre piu incontro alla sua completa manifestazione, quando Dio sarà tutto in tutti ( 1 Cor. 1 5, 28). Cristo apportatore del regno di­ vino e dominatore di quello satanico, ristabilirà il nuovo ordine soprattutto per mezzo del suo sangue (Mc. 14, 24). La sua morte in sacrifizio an­ nienterà i peccati e stabilirà il nuovo patto nel quale Dio sarà re. In tal modo si attuerà nel mondo il dominio di Dio. Il regno di Dio e il regno di Cristo sono intimamente uniti. Benché non si possano scindere tra loro, tuttavia non si identificano perfettamente (Mt. I 3, 4 1 ; I6, 28 ; Le. I, 33 ; 22, 29 s. ; 23, 42). Il regno di Cristo, che è il regno messianico, è manifestazione e strumento del regno di Dio. Si può anche identificare il regno di Cristo con la Chiesa. Essa durerà per l'intero corso della storia, poi avrà pur essa termine. In quell'istante si tra­ sformerà nel regno di Dio, nella dominazione regale del Padre. Cristo stesso, perché pleniporenziario e incaricato di Dio nella storia, è re del regno di Dio. I re veterotestamentari sono suoi precursori. Del futuro Messia è detto che siederà sul trono di Davide, padre suo. Benché questa profezia nel suo contesto immediato possa essere intesa nel senso di una restaurazione del regno di D avide, come pure l'intesero per lo piu i contemporanei di Cristo, tuttavia Cristo medesimo diede un'auten­ tica spiegazione del suo regno e per ciò stesso indicò come andava intesa la profezia veterotestamentaria. Egli fece ciò che avrebbero dovuto fare i re del Vecchio Testamento, ma che in realtà fecero ben poco, vale a dire instaurò il regno di Dio. E l' attuò facendo regnare Dio nella sua vita e richiedendo agli uomini di piegarsi al regno di Dio resosi presente in lui. In tal modo divenne il mediatore tra Dio che agisce da Signore

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nell'umanità e gli uomini che si sottomettono a Dio. Obbedendo a Cristo e unendosi a lui l'uomo partecipa al regno di Dio. L'ingresso nel regno di Dio, ossia lo stato di salvezza, è quindi legato alla persona di Cristo. Chiunque crede in lui avrà parte nel suo regno (Mc. I , I 5). Chiunque indurrà un altro nell'orrore nei riguardi di Cristo avrà su di sé una responsabilità enorme (Mc. g, 42). È quindi preferibile perdere ogni bene terreno anziché scostarsi da Cristo. Perciò la colpa estrema è appunto l'incredulità nei suoi riguardi. Per coloro che mancano di fede egli esprime una condanna assai severa (M t. 8, I I s. ; 1 1 , 20-24 ; 23, I -39). Nulla infatti è cosi importante quanto il seguire Cristo. Per il regno di Dio, per amore di Cristo, si deve essere pronti a tutto abban­ donare (Mc. IO, 29 ; Ig, 29 ; Le. I 8, 29), persino la stessa vita (Mc. 8, 35 s.). d) Ma qui, di fronte alla incondizionata dedizione che Cristo esige per la sua persona, sorge con piu forte urgenza la domanda : Chi è mai costui che cosi sovranamente decide del destino di ogni uomo? Gli Evan­ geli ci permettono di gettare un ultimo sguardo sul mistero di questo uomo : Egli è Figlio di Dio, essenzialmente uguale al Padre. L'espressione « figlio di Dio » non si deve sempre intendere in senso cosi pieno. Anche i re sono detti figli di Dio; pure Israele è figlio di Dio (Es. 4, 22 ss.) ; anche i giusti sono figli di Dio (Mt. 5, g). Ma Cristo si sente figlio di Dio in modo tutto particolare che trascende essenzialmente ogni altra figliolanza divina. Egli ha coscienza di essere Figlio di Dio in virtu di una filiazione intima ed essenzialmente distinta da quella degli altri uomini Cristo si presenta rivendicandosi prerogative divine. Parla di Dio suo Padre come nessun altro può parlare. « Quegli che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli » (Mt. 7, 2 I ). « Chi mi confesserà din anzi agli uomini, anch'io lo confesserò dinanzi al Padre mio che è nei cieli » (Mt. ro, 32 s.). Si veda anche Mt. 1 2, so. Anche gli altri uomini sono figli del Padre celeste (Mt. 5, 1 6. 45· 48 s.), ma Cristo distingue sempre la sua figliolanza da quella degli altri. Egli è l'unico figlio carissimo di Dio (Mc. I 2, 6). Egli è « il figlio » (Mc. I 3, 32 ). Per lui Dio è ciò che per gli altri sono il padre e la madre terreni. Tutto quanto egli è e fa lo deve al Padre. A lui il Padre ha conferito ciò che gli è proprio. Cristo ha parte in senso completo all'essere paterno. Egli è es­ senzialmente Dio. L'uomo Gesu Cristo è della stessa essenza divina del Padre. Perciò niuno può capire il Padre cosi come lo capisce lui, il Cristo. Di qui il giubilo suo. Quando i settantadue discepoli tornarono dalla loro missione esultanti per avere potuto anche scacciare i demoni, Gesu vide l' annientamento di Satana e nello Spirito Santo, ossia illuminato e raffor-

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zato da Dio, disse : « Io ti lodo e ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché bai tenute nascoste queste cose ai saggi e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici. Si, o Padre, perché cosi ti è piaciuto. Ogni cosa è stata data a me dal Padre mio, e nessuno conosce chi è il Fi­ gliuolo, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figliuolo, e colui al quale il Figliuolo voglia rivelarlo » (Le. Io, 2 I s . ; cfr. Mt. I I, 25-27 : passo « giovanneo » in Matteo). Solo il Figlio è in grado di comprendere il Padre, per cui non vi può essere alcuna conoscenza di Dio se non si ha per mezzo del Figlio. Cristo ciò afferma anche di fronte alla morte incombente (Mt. 26, 6 3 s. ; Mc. I 4, 6 I s. ; Le. 22, 70), anzi è proprio l'af­ fermazione di essere Figlio di Dio che serve di accusa per la condanna a morte. Il Padre stesso per ben due volte dal cielo testifica solennemente l'affermazione di Cristo (Mc. I , IO s . ; 9, 7). Quando Cristo chiama se stesso il Figlio e viene chiamato e riconosciuto dai discepoli come tale, il concetto di figlio è da intendersi in senso ana­ logico, e non mai nel senso che in Dio vi sia differenza di sesso. Come già abbiamo visto, l'idea di Dio annunciata da Cristo è caratterizzata, fra l'altro, dal fatto che essa è al di sopra di ogni differenziazione sessuale, scostandosi in ciò essenzialmente dalle divinità mitiche. Con la parola Figlio non si vuoi esprimere che Cristo nella sua eterna esistenza sia di sesso maschile piuttosto che femminile : si vuole solo dire in senso analo­ gico, che il suo essere Dio, la sua vita divina, il suo divino conoscere e volere e amare, Cristo Ii deve a Dio. Trattandosi di rappresentare qui soltanto questa relazione di dare e ricevere, si potrebbe altrettanto bene - e sempre analogicamente - usare per Cristo il termine figlia. La ra­ gione per cui egli è chiamato Figlio potrebbe essere questa : nella parola Figlio si vuole esprimere la parte che egli ebbe nella manifestazione della storia umana. All' uomo infatti compete la parte pubblica della vita, mentre alla donna si confà il velo del nascondimento. La ragione dunque per cui Crisro è diverso da tutti gli altri inviati di Dio e dagli altri uomini è che egli è il Figlio di Dio. Perché Figlio di Dio, Cristo è il padrone della legge veterotestamentaria, ha i pieni poteri di abrogarla e di esigere, al posto della santità promossa dalla legge, una piu perfetta giustizia (Mc. 7 , I-2 3 ; I o, I - 1 2). Dalla for­ mula solenne piu volte ripetuta « agli antichi fu detto, io invece vi dico » traspare la coscienza che egli non è solo il plenipotenziario di Dio, ma anche colui che ha potere sulle cose stesse da lui create. Proprio perché Figlio di Dio egli è piu di Giona e di Salomone (Mt. 12, 4 1 s.), piu del Tempio (Mt. 1 2, 6); è signore del suo stesso antenato Davide (Mc. 12,

§ 152. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

35-3 7). Egli, anzi, interpreta con autorità la legge del sabbato e determina ciò che è lecito e illecito; ha il potere di perdonare i peccati, di annul­ lare nell'uomo la lontananza sua da Dio (Mc. 2, 5 ). In piena autorità di­ vina invia i suoi discepoli (Mt. Io, I 6 ; Le. IO, I-16). Può loro promettere che sarebbe stato di continuo con essi (Mt. 28, 20). I suoi possono fidarsi di tale promessa, poiché le sue parole hanno un valore eterno (Mc. I 3, 3 1 ). Essendo figlio di Dio tutte le sue promesse, disposizioni, minacce sono giuste. Egli è competente per tutte le cose concernenti la salvezza. Egli è colui per il quale tutte le vie e i tempi, tutti gli spiriti e i destini si scindono, attorno al quale si raccolgono tutti gli amatori di Dio, contro il quale si scaglia la lotta satanica sino alla fine dei tempi, per il quale si vive e si muore perseguitati (Le. I 8, 22; 2 1 , 1 2 ; Mc. g,2 I ; 13, I 3 ; Mt. I 8, 5). Gesu sin dal principio possedette la coscienza di essere Figlio di Dio . Questa non subi alcun progresso. A dodici anni ne ebbe coscienza come all'età di trenta (Le. 2, 4 1 -52). Tale coscienza non fu il frutto di una forte esperienza, ma l'espressione di un fatto. Le. I, 35 non significa af­ fatto che Gesu sia divenuto figlio di Dio perché nato da una vergine come nelle antiche mitologie greche che parlano di « uomini divini )> per l a loro nascita da una donna terrestre per intervento sessuale di un dio. Egli non è Figlio di Dio perché la sua nascita fu meravigliosa, ma la sua nascita fu tale perché lui era Figlio di Dio.

e) Cristo provò la verità delle sue affermazioni con miracoli e prodigi (Atti 2, 22; 10, 36-38 ; 1 3, 24 s.), che sono la conferma di Dio alle parole di lui (Ebr. 2, 3 s.). I miracoli sono cos! intrecciati nella vita di Cristo che non si possono da lui rimuovere senza per questo distruggerne la vera fisionomia. Essi abbracciano guarigioni da malattie, espulsione di demoni, risurrezione di morti e interventi sulla natura (sedamemo della tempesta, cattura di pesci, moltiplicazione dei pani, cammino sulle acque). aa) Quanto al significato e allo scopo dei miracoli, dobbiamo osservare che Cristo li ha operati non per puro e semplice senso di pietà verso i sofferenti e nemmeno per suscitare meraviglia o per soddisfare la curio­ sità umana. Che non li facesse unicamente per senso di pietà emerge dal fatto che pochi furono i guariti di fronte al numero stragrande dei malati. Che poi non li facesse per farne mostra ossia per autoesaltazione (e per questo si diversifica essenzialmente dagli operatori di miracoli e dai maghi ellenistici) appare dal fatto che non poté operare alcun miracolo là dove mancava la fede (Mc. 6, 5). I miracoli dovevano preparare la fede in lui e nella sua missione. Perciò quando trova il cuore indurito e lo spirito

P. I. - DIO RED!�NTORE accecato egli non agisce, non perché gliene manchi la forza ma perché il senso dei suoi miracoli sarebbe frainteso (Mc. 2, 5 ; 5, 34; 6, 5 ; 10, 5 2 ; Mt. 13, 5 3-58). Il miracolo quindi sta al servizio della sua missione. Cristo nel miracolo si svela come nelle sue parole. Tali sue manifestazioni for­ mano un tutto unico e inscindibile. Con le parole mostra che le sue azioni sono il sigillo divino a comprova della sua testimonianza. E le sue azioni miracolose rivelano l'intervento della potenza di Dio, e come tali diventano una prova per la parola di Cristo. Sia con la parola che con i miracoli Cristo si manifesta come l'inviato di Dio, come il Figlio di Dio. L'interdipendenza tra parola e miracolo l'asseri Cristo stesso nella sua risposta alla domanda dei discepoli di Giovanni Battista circa la sua mes­ sianicità : « Andate e riferite a Giovanni ciò che vedete : i ciechi ricupe­ rano la vista, gli zoppi camminano, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri si annunzia la buona novella ; e beato è colui che non troverà in me occasione di inciampo » (Mt. I I , 2-5). bb) Dove risulta con piu chiarezza che i miracoli sono segni della gloria e della potenza divina apparse in Cristo, è indubbiamente nella guarigione del paralitico di Cafarnao. « Gesu veduta la loro fede, disse al paralitico : Figliuolo, ti sono rimessi i peccati. Ora v'erano alcuni scribi, che stavano là seduti e che dicevano in cuor loro : Come parla costui a questo modo? Egli bestemmia ! Chi può rimettere i peccati se non Dio soltanto? Ma Gesu conosciuto subito nel suo spirito che essi dentro di sé cosi pensavano, disse loro : Perché ragionate cosi in cuor vostro? Che cosa è piu facile : dire al paralitico : Ti sono rimessi i tuoi peccati, ovvero dire : Lévati, prendi il tuo letruccio, e cammina? Ora, affinché sappiate che il Figliuol dell'uomo ha potestà di rimettere i peccati sulla terra, disse al paralitico : Dico a te ! Lévati, prendi il tuo lettuccio, e vattene a casa ! E quegli si levò e, preso subito il lettuccio, alla vista di tutti se ne andò; cosicché si meravigliarono rutti e lodarono Iddio, dicendo : Cosa simile non l'abbiamo mai vista ! » (Mc. 2, 1-1 2). Gesu dimostra di avere il po­ tere divino di rimettere i peccati, cosa che nessuno può contestare, me­ diante un segno verificabile da tutti. cc) Il miracolo non può tuttavia costringere a credere in lui e nella sua missione cosi come non lo può fare la sua parola. La ragione, lasciata a se stessa, può anche compiere vari tentativi per spiegare i miracoli di Cristo in modo solo naturale. Cosi, ad esempio, il metodo puramente sto­ rico di spiegare i Vangeli può sostenere che Cristo ha guarito uomini dei quali si credeva fossero posseduti dal demonio. Ma la ragione non può

§ 1 52. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

co! se:nplice racconto evange'ico essere costretta a credere che Cristo ha realmente cacciato i demoni. Le paro�e di Cristo non sono pure informazioni o teorie, ma avverti­ menti, richiami, inviti, spinte perché ci si sottoponga alla signoria divina pa1esatasi con lui. Gli uditori di Cristo possono sempre impuntarsi nella disubbidienza. Anche i miracoli sono richiami di Dio. Inducono a chie­ dersi : Chi è mai questa persona? Dalla meraviglia da essi suscitata può sgorgare la fede. Siccome però non ci fanno vedere direttamente la gloria e la potenza divina, di cui sono soltanto segni, coloro che hanno una volontà cattiva li possono anche interpretare come azioni demoniache. In tal modo i miracoli diventano occasione di scandalo e di rovina (Mt. I I , 20-24). Sulla risurrezione di Cristo, che è il miracolo dei miracoli, si par­ lerà espressamente piu sotto. O.rca i miracoli di Cristo cfr. J. Schmid, L'Evangelo secondo Marco, 19 56, 69-72.

LE LETTERE

DI PAOLO.

2. Pao!o ha visto Cristo sulla via di Damasco come un'apparizione sfo1gorante che lo ha gettato nella polvere. Non poté reggere dinanzi alla sua maestà. Colui che gli era apparso circonfuso di luce era proprio quel Cristo ch'egli perseguitava. Pao:o, l'acceso persecutore di Cristo, fu da Gesu costretto a servirgli da strumento per la diffusione della lieta novella. « Egli è una fiamma che arde per Cristo ; è una procella in cui Cristo svela la sua potenza ; è un libro che non contiene altro se non Cristo crocifisso. Gesu, e so1tanto lui, è la ragione per cui Paolo vive. Per questo fu definito Apostolo delle genti, perché ha sentito si profondamente nella sua vita Gesu Cristo da costituirne lo scopo della sua esistenza e da essere spinto, lui il rigido fariseo nazionalista, a varcare i limiti della propria patria per portare a tutti il messaggio di salvezza. Egli doveva presentare a tutti quale fosse la ragione della sua vera vita; egli risenti Cristo dav­ vero come la pienezza di ogni valore e di ogni forza. Paolo fu uno spirito ricco, potente e fecondo : ma la sua ricchezza, il suo amore e la sua po­ tenza non hanno che un solo nome : Cristo » (H. Schell, Christus, 1906, 14). -

a) Egli risenti Cristo come una forza che si prende al suo servizio chi vuole e quando lo vuole, contro la quale uno si può opporre, ma alla quale non può mai sottrarsi. Paolo può quindi testimoniare Cristo di cui ha risentita la maestà e la signoria. E Cristo è quello stesso che nacque da una donna (Gal. 4, 4), che fu sotto posto alla Legge, che fu crocifisso, e

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DIO REDENTORE

dal quale Paolo per la sua fine ingloriosa ricevette occasione di scandalo. Ma attraverso la croce è pervenuto alla gloria. Per l'Apostolo è glorificato proprio perché è stato crocifisso. Paolo è stato chiamato all'apostolato da Dio per portare al mondo l'evangelo concernente il Figlio di Dio che i profeti hanno preannunziato nelle sacre Scritture, quel Gesu che prove­ nendo dalla famiglia davidica secondo la carne fu dopo la sua risurrezione proclamato figlio di Dio in potenza (Rom. I, I -4). Perciò egli non predica se stesso, ma Cristo Gesu il Signore (2 Cor. 4, 5). b) Nella parola « Signore » si esprime il potere generale, legittimo, totale di Dio che esige obbedienza (Foerster, in K.ittel, Warterbuch zum N. T., III, 1038 ;Io87). Che Cristo sia il Signore, si può asserirlo solo nello Spirito Santo, cioè con la forza e la l uce di Dio stesso ( I Cor. I 2, 3 ; 2 Cor. 4 , 4 s.). Chi non è illuminato da Dio, vede un Cristo p uramente carnale, nella sua manifestazione esclusivamente terrestre. Ma chi nello Spirito Santo confessa che Cristo è il Signore, questi avrà salvezza (Rom. Io, 9). Confessare che lui è il Signore e piegare dinanzi a lui le ginocchia, come si piegano dinanzi a Dio, è una stessa e identica cosa (Fil. 2, 8-u). Verrà il giorno in cui l' intero cosmo, ossai tutto ciò che è in cielo o sulla terra o negli abissi si curverà dinanzi a Cristo il Signore ( 1 Cor. I 5, 24-2 8). Cristo, anche secondo la sua natura umana, dopo la sua risurrezione ebbe parte alla gloria del Padre, alla cui destra ora siede . Sta su tutti gli ahri, sopra le signorie e le potenze, i principati e le forze esistenti sia in cielo che sulla terra. Tutto gli è sottoposto. Egli esercita la signoria divina sul mondo, per potere poi, dopo avere debellato tutti gli oppositori di Dio, mettere se stesso ai piedi del Padre (Ef. I, 20 ss. ; I Cor. 1 5 , 28). È il massimo cul­ mine espresso anche nel sermone di Pietro : « Dio ha fatto Signore e Mes­ sia proprio questo Gesu che voi avete appeso alla croce » (Atti 2, 36). Il cristiano è ricollegato a Cristo il Signore. EgH vive nell' atmosfera e nel campo di azione della sua morte e risurrezione (Rom. 6, 3-1 1 ). Il cri­ stiano è dominato da Cristo (Gal. 2, 20). Le comunità della Chiesa sono opera di Cristo. Egli è il capo di tutto. Chiunque in lui crede è chiamato ad avere parte alla sua gloria (2 Tess. 2, 1 4). Fino a quando apparirà il giorno in cui tale gloria sarà rivelata ( I Tess. 2, I 9 i I Tirn. I , I 2), il cristiano deve camminare in modo degno di Cristo ( I Cor. I I , 2 7) e gli deve servire (Rom. I 2, I I ; I 6, I 8 ; Col. 2, 6; 3, 24 ; I Co r. I 2, 5 ). La sua vita è fede in lui e amore per lui (Ef. I, I 5 ; 6, I 3). Il suo corpo appar­ tiene al Signore con cui egli è divenuto un solo spirito. Non ne può dunque abusare con il peccato (I Cor. 6, I 2-20). Il Signore sta accanto ai suoi perché possano superare le forze del male ( I Cor. I 2, 7 ss.). Tutto

§ 1 5 2. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

avviene per il Signore. Nel Signore si saluta e si ringrazia, si prega e si opera, si vive e si muore. A lui è affidata l'eterna nostra sorte. Egli verrà come giudice e dirà l'ultima parola di salvezza o di dannazione (I Cor. 4, 4). Il credente andrà incontro a questa sentenza con fiducia e serenità (I Cor. I, 8). Infatti colui che verrà a giudicare è il suo Signore, il S i­ gnore che con grande misericordia lo h::1 chiamato alla santità e alla giu­ stizia. Egli sottrarrà i suoi da ogni opera malvagia .e con sé li condurrà nel suo regno celeste (2 Tim. 4, r 8). Il cristiano può quindi gloriarsi del suo Signore, ma non in alcun altro che non sia il S ignore crocifisso (Gal. 6, I4). Non vi sono altri dèi e signori in cielo o sulla terra. « Ma per noi c 'è un unico Dio Padre, da cui ogni cosa ha origine e al quale noi siamo ordinati, e un solo Signore Gesu Cristo, per cui tutte le cose esistono e per mezzo del quale noi pure siamo » (r Cor. 8, 6). Solo a lui compete la gloria in eterno (2 Tim. 4, r 8). Quando Paolo dice che Cristo con la sua risurrezione è divenuto Si­ gnore, vuoi insegnare che la sua umanità partecipò da quel momento alla gloria di Dio. Sino a quell'istante la gloria di Dio era bensi in lui, ma senza trasparire nell'mvolucro della sua carne. Ma ora ciò si è avverato. Cristo è divenuto spirito (2 Cor. 3, 1 7 ; cfr. §§ 44, 1 5 8 s.). In questa trasformazione si è solo svelato ciò che già esisteva in Cristo. Nella denominazione di Cristo come Signort:, non vi è ombra di apoteosi. Questa è fondata sul mito, e Cristo non sta nel terreno del mito, ma in quello della storia. Egli non è una figura mitologica in cui una comunità umana, sia essa un popolo o un particolare gruppo culturale, rappresenra le sue esperienze religiose, ma è una realtà srorica. Il suo titolo di Signore traduce le esperienze che i suoi discepoli fecero con lui. Essi lo riconobbero come il S ignore dei si­ gnori. Tutti gli altri signori furono precursori e stettero in attesa del suo Avvemo. Ciò che essi adombravano soltanto, egli fu in realtà. La sua fu una signoria ben piu vasta e profonda di quante mai ne abbiano a possedere altri uommi. Egli aveva potere sulle forze del destino, a cui gli altri signori dovettero tutti pie­ garsi ; aveva potere sulla vita e sulla morte, sulle ansie c sulle angosce, sulle forze della natura e sulle colpe degli uomini; non fu soggetto alla morte come rutti gli altri uomini. S e Cristo, invece, prende su di sé la morte, lo fa per sua propria sovrana de­ cisione. Nell'ora dell'addio egli può dire, mostrandosi superiore a ogni destino : « Io vado, e ritornerò » (Gv. q, 28). Il principe di questo mondo non ha nulla da spartire con lui (Gv. q, 30). Su Cristo non ha potere la sua mano, che rutto atterra. Cristo va liberamente incontro alla morte, l'accetta per obbedire alla vo­ lontà del Padre. Da ciò il mondo dovrà riconoscere che egli ama il Padre e che adempie il mandato del Padre (Gv. I4, 3 I ). Nel fare ciò non vi è costrizione da parte di Cristo : non muore come un eroe o come un martire in senso proprio. Egli sa dove va, e dove arriverà attraverso la morte.

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Poiché la morte per Cristo non è che il passaggio ad una vita nuova, immune da ogni terrena corruzione, la sua morte viene a sigmtìcare la ronura dell'eterno ciclo della natura. Morendo, egli ha spezzato una volta per sempre l'eterno ri­ torno di nascita e morte, ha spianata la via per evadere da questo ritmo. Ma con ciò siamo proprio agli opposti del mito. Dato, infatti, che le divinità mitologiche sono personificazioni di cose e di eventi di natura, la fede in esse non conduce al di fuori della natura, ma, all'opposto, vi si affonda ancor piu profondamente. La pietà mitologica significa che i credenti si inseriscono completamente nella natura e nel suo divenire, dissolvendosi e risolvendosi

infine nella vita

univer­

sale della natura. Al contrario, colui che riconosce Cristo come suo Signore, spera di essere aiutato a evadere dalla natura, per rifugiarsi nella vita perenne di Dio. Nessuno ha tale potere al di fuori del solo Signore, cioè Cristo. La sua superiorità sulle forze della natura, Cristo la manilestò con atti di po­ tenza durante la sua vita. Nella mùltiplicazione dei pam, nella guarigione degli infermi, nel sedare le tempeste e le onde, dimostrò come potesse

dommare le

forze della natura che opprimono e schiacciano l'uomo. Cristo afferra la natura e la trasforma in guisa tale che essa sia al servizio dell'uomo. Ponendo la natura al servizio dell'uomo, egli

spiana la via a una vita veramente degna dell'uomo.

Poiché l e miserie che egli solo può guarire, incidono profondamente, legando e soffocando, nella

vita dell'uomo, una

vita umanamente degna può solo

esservi

al riparo della sua forza. È innegabile che l'uomo sia in grado con le sue proprie forze di

creare un certo ordine. Anche senza Cristo egli

può dare vita a una

grande, anzi splendida, prestigiosa civiltà matenale; può, senza Cristo, fare cose grandi nella scienza e nell'ane. Ma per quanto s1a eccelso, un ordme umano sarà sempre provvisorio.

Nell'era

precristiana questo ordine sta sono

il regno del­

l'Avvento del Signore, d ell'a tte sa del vero Salvatore. Nell'era dopo la nas.:ita di Cristo, le opere degli uomini ostili a Cristo sono i segni del presumuo:.o spirito di indipendenza dell'uomo e portano perciò in i germi

della

corruzione .

Quanto siano

vani

sé, come ogni

gli

sforzi

cosa antidivina,

de ll'uomo

di

costruire

con mezzi di questo mondo una vita veramente degna dell'uomo, lo si vede dalle rovine e dalle catastrofi di cui la storia è disseminata. Gli atti di potenZ> rsrauffer, in Kittel, Worterbuch zum N. T., II, 3 4 8). BB) Giovanni è pure autore dell A ,�: oca : sse, l'uitjmo iibro della Bibbia. È un :ibro di conforto, che Dio inviò alla sua Chiesa durante le persecuzioni dell'imperatore Domiziano. Nel libro sono chiariti i principi latenti che agiscono ne!!a storia. Anche se in apparenza le lotte sembrano essere solo tra uomini bramosi di g:oria o di potenza, in realtà si tratta pur sempre della lotta tra il bene e il ma!e. Dio può tacere, può anzi apparire come il vinto, come se non esistesse, ma verrà tempo in cui egli apparirà vincitore. Questo non accadrà nel senso che egli nell'ora del su­ premo bisogno intervenga miraco:osamente per volgere ogni cosa al bene. Le potenze del male, alla fine dei tempi, si scaglieranno contro i buoni. Ma la loro vittoria non sarà che momenranea e costituirà una prova per i buoni. Poi si paleserà la gloria. Essa sta al di là della morte. L'A poca­ lisse di Giovanni quindi consola i cristiani con una promessa che ci riporta oltre la morte. Questa consolazione che Io Spirito Santo apporta servendosi di Giovanni è espressa in grandi visioni. L'Apostolo scrive rapito in estasi, trasportato oltre i limiti di spazio e di tempo, al di sopra della vicenda delle cose. '

§ 1 5 2. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

Gli avvenimenti si intrecciano tra loro e si confondono. Ma ciò che emerge chiarissimo è che Cristo è il Signore, il vincitore, il Giudice, il Consuma­ tore, colui che dà il senso alla storia. Sopra il mare agitato dell'odio, del­ l' oppressione, della incredulità si erge colui che era, che è e che sarà. « Mi voltai per vedere di chi fosse la voce che parlava meco; e, volta­ tomi, vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo dei candelabri, uno simile a uomo, vestito di un abito talare, e recinto alle mammelle di una fascia d'oro. Aveva il capo e i capelli bianchi come lana candida, come neve, e gli occhi quali fiamme di fuoco, i piedi simili a bronzo, come arroventati in un forno. Emetteva un fragore come di molte onde, e teneva nella sua mano destra sette stelle. Dalla bocca gli usciva un'acuta spada a due tagli, e splendeva nel viso come fa il sole nel suo forte. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto ; ma egli posò la sua destra su di me, dicendo : Non temere ; io sono il primo e l'ultimo, il vivente ; fui bensi morto, ma ecco che sono vivo per tutti i secoli, e tengo le chiavi della morte e dell'averno » (Apoc. 1 , 12-1 8). Cristo è l'eccelso e onnipotente dominatore. Egli attua la storia, anche quando questa lo ignora. Tutte le creature sono, secondo l'Apocalisse, strumenti di Cristo. Ogni evento e fatto s'avvera secondo la sua volontà. « Vidi anche nella destra di colui che sedeva sul trono un rotolo scritto al di dentro e sul dorso, sigillato con 7 sigilli. Vidi ancora un ange!o forte che bandiva a gran voce : Chi è degno di aprire il rotolo e di sciogliere i sigilli? E nessuno era capace né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, di aprire il rotolo, e gettarvi uno sguardo. Ed io piangevo dirotto, perché non si trovò alcuno che fosse degno di aprire il rotolo, e gettarvi lo sguardo. Ma uno dei vegliardi mi dice : Non piangere ! Ecco che il leone della tribU di Giuda, il rampollo di Davide, ha vinto si da poter aprire il rotolo ed i suoi sette sigilli. - Vidi allora in mezzo, fra il trono con i quattro viventi ed i vegliardi, stare un agnello come svenato, con sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. Egli si avanzò a prendere il rotolo dalla destra di colui che sedeva sul trono. Preso che l'ebbe, i quattro viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono dinanzi all'Agnello, tenendo ciascuno una cetra e fiale d'oro piene di profumi, i quali sono le orazioni dei santi. Cantano poi un can­ tico nuovo, dicendo : Degno sei di prendere il rotolo e di aprirne i sigilli, perché fosti ucciso, e hai riscattato a Dio, col tuo sangue, anime d'ogni tribu e lingua, d'ogni popo�o e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e tanti sacerdoti, e regneranno sopra la terra. - Vidi ancora e udii la voce di molti angeli intorno al trono e ai viventi e ai vegliardi.

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DIO REDENTORE

Erano in numero di migliaia e migliaia, di milioni e milioni, e dicevano a gran voce : L'Agnello che è stato ucciso è degno di ricevere la potenza, la ricchezza, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la benedizione ! E ogni creatura che è nel cielo e sopra la terra, e sotto la terra e sul mare, e tutte le cose che vi sono contenute, le udii esclamare : A colui che siede sul trono e all'Agnello va la benedizione, l'onore, la gloria e il dominio per tutti i secoli. E i quattro viventi dicevano : Amen. E i vegliardi si prostrarono io adorazione » (Apoc. 5, 1-1 4 ). Le corna sono simbolo della potenza, gli occhi della sapienza. Egli miete la storia umana al tempo prestabilito da Dio. « Vidi ancora, ed ecco una bianca nuvola, e sulla nuvola seduto uno simile a uomo ; portava in capo una corona d'oro e in mano teneva una falce affilata. Usci poi dal tempio un altro angelo, che gridava forte a colui che stava seduto sulla nuvola : Mena la tua falce e mieti, perché è giunta l'ora di mietere, giacché la messe sulla terra è secca. E colui, che sedeva sulla nuvola, calò la sua falce sulla terra, e la terra fu mietuta » (Apoc. 1 4 , 1 4- 1 6). Con i segni della maestà divina ingaggia la lotta per cui Satana viene definitivamente sconfitto e la gloria di Dio s'irradia per sempre in tutto il suo splendore. « Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco. Colui, che gli sta in sella, è detto fedele e verace, e giudica e guerreggia con giustizia. I suoi occhi sono fiamma di fuoco ; sul suo capo stanno molti diademi ; porta scritto un nome che nessuno conosce, fuorché egli stesso ; indossa un mantello intriso di sangue, e ha nome : Il Verbo di Dio. Lo seguono sopra cavalli bianchi le schiere celesti, vestite di bisso bianco, nitido. Dalla sua bocca esce una spada tagliente, con la quale percuote le genti; ed egli avrà da governare con verga di ferro, da pigiare nel tino il vino dell'accesa ira di Dio Onnipotente. E porta scritto sul mantello e sul fianco un nome : Re dei re e S ignore dei signori » (Apoc. 19, I 1 - 1 6). È proprio nella vittoria e nel giudizio sul male che Cristo porta la storia al suo compimento. Egli adduce nuovi cieli e nuova terra. Ciò che Gio­ vanni ha visto nelle sue visioni, la comunità cristiana, sulla quale gravano i giorni della prova, lo attende ansiosamente. Essa prega : Vieni, Signore Gesu. Finché egli non verrà, la grazia del Signore Gesu sarà con tutti i suoi santi; tale la conclusione di Giovanni (Apoc. 22, 2 1 ).

§ 1 52. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO

LA TESTIMONIANZA DELLA RISURREZIONE. 5. Tutte le affermazioni di Cristo sulla sua origine divina e la loro conferma da parte di Dio mercè i miracoli sono irradiate da una testi­ monianza che riassume e supera tutte le altre, quella cioè della sua risur­ rezione dai morti. Svariati sono i racconti che ne abbiamo. È asserita da Paolo ( 1 Cor. 1 5 , 3 ss.), dagli Atti apostolici ( 1 , 22; 2, 22 ss. ; IO, 34 ss. ; I 3, 29 ss.) e dai quattro evangelisti. Il racconto principale, perché piu antico, è quello di Paolo. Risale all'anno 57 e ci prova che già dal cin­ quanta d. C. Paolo ha predicato tale risurrezione presso i fedeli di Corinto. Secondo Gal. 2, I si può supporre che Cristo gli è aflryarso negli anni 34-36. Perciò Paolo nel suo colloquio con Pietro dovette conoscere ciò che riferisce nella sua prima lettera ai Corinzi, e cioè che Cristo era ap­ parso a molte persone. Perciò il racconto degli Atti in cui si afferma che sin dalla discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, pochi mesi dopo la morte di Gesu, si predicava la risurrezione di Cristo, merita la piu ampia fiducia. Gli Evangeli spiegano come sia sorta la fede nella risurre­ zione di Cristo. Nacque dall'esperienza personale che i discepoli ebbero il mattino della domenica quando videro il sepolcro vuoto. Cristo, poi, apparve loro piu e piu volte e parlò con essi. I discepoli lo poterono toc­ care. Paolo ci assicura che tale racconto era uno dei principali elementi della dottrina tradizionale. Tutti i tentativi di svalutare i racconti della risurrezione (ipotesi del­ l'inganno, ipotesi della morte apparente, ipotesi mitica, ipotesi delle vi­ sioni) urtano contro il tono spontaneo e l'espressione letterale del rac­ conto, contro il carattere dei testimoni e la fiducia che si meritano. Tali tentativi non provengono da riflessioni storico-esegetiche, ma da preven­ zioni sia naturalistiche che razionalistiche. Le contraddizioni tra i vari racconti concernono solamente alcune particolarità secondarie e si possono spiegare con le caratteristiche letterarie dei singoli Evangeli (§ I 45) o con l'impressione che quell'evento ha prodotto in loro turbandoli. Per la ge­ nuinità milita pure la semplicità e la brevità del racconto. Contro l'ipotesi che gli Apostoli furono vittima di illusioni sensibili, stanno i fatti : che essi constatarono il sepolcro vuoto e aperto ; che tale constatazione anziché dar loro gioia li turbò ; che essi non credettero affatto al racconto delle donne le quali per prime s'accorsero che il sepolcro era vuoto ; che non contarono affatto sulla risurrezione di Cristo, ma che ormai, con la sua -

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P . l.

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DIO REDENTORE

morte, credevano svanita ogni speranza ; che inoltre dubitarono anche quando ebbero incominciato a vedere il risorto. In particolare quanto a Paolo non v'era in lui alcun presupposto psico�ogico, poiché fino al mo­ mento della sua conversione era stato un accanito persecutore di Gesu. Per la realtà della risurrezione milita anche il fatto della completa e co­ stante trasformazione dei pensieri e dei sentimenti operata negli Apostoli dalle apparizioni di Cristo. ar. § § 1 45 e 160; e anche K. Adam, Gesu il Cristo, 1955, 1 86-207. 6. - Per meglio valutare le testimonianze bibliche va poi anche osservato che la figura di Cristo, che esse ci presentano, nonostante gli strani con­ trasti e le grandi tensioni forma tuttavia un'unità perfetta. Sotto questo aspetto Cristo non ha eguali. Alcuni tratti singoli si possono anche rin­ venire presso altre personalità di « salvatori » presentate dall'antichità pagana, però non si trova mai una figura che nella sua totalità sia pa­ ragonabile con quella di Cristo. Siccome poi ogni tratto riceve la sua impronta dal tutto, cosi come in un quadro ogni tocco riceve il suo valore dal complesso armonioso della raffigurazione, ne deriva che anche i singoli tratti di Cristo sono sostanzialmente senza paragone. Per quanto evidente e chiara sia la testimonianza della Scrittura, colui che, per principi filosofici o religiosi suoi personali, ritiene impossibile che Dio abbia a penetrare nella storia umana o che il Logos abbia a unirsi a una natura umana, riterrà i racconti evangelici come leggendari perché secondo la sua opinione, riferiscono cose impossibili. Solo colui che, con­ vinto dell'esistenza di un Dio personale ed operante nella storia, è pronto ad ogni chiamata divina, si trova nella posizione di poter accogliere con tutta la serietà dovuta le narrazioni evangeliche.

LA DIVINITÀ DI CRISTO PRESSO I PADRI. III. - Per la fede nella divinità di Cristo al tempo patnsttco, si può rileggere quanto è già stato detto nel § 146. Basti qui aggiungere quanto segue. Nell'epoca postapostolica la denominazione di Cristo piu usuale, piu espressiva è il titolo di « Signore » . Esso non va inteso come un derivato dalla terminologia religiosa pagana o dal culto dell'imperatore. I cristiani erano in cosi rigido contrasto con tale culto da non potervi trarre la loro dottrina piu importante. Le comunità cristiane hanno chia­ mato Cristo col nome di « Signore » senza alcun influsso estraneo. Era

§ 1 5 2. CRISTO VERO FIGLIO DI DIO l'espressione naturale della fede in Cristo. Cfr. § 148 e O. Cullmann, Christologie du N. T., I958, I 69-205. Colui che è venuto nella carne, ha patito ed è morto è il Signore che « appartiene totalmente a Dio, si muove nella sfera divina ». « Di Gesu Cristo questo è il concetto che dobbiamo farci : considerarlo quale Dio, quale giudice dei vivi e dei morti » (2a lettera di Clemente ai Corinti, r, I ). « Secondo il racconto di Plinio il Giovane, i cristiani di Bitinia non facevano nulla di strano quando nel primo mattino di un giorno stabilito, si radu­ navano per celebrare il loro culto " cantando un carme a Cristo come a un Dio ". Era conveniente e normale. Chi disprezza Cristo pecca. Non misura equamente il dono trasmessoci da Gesu, non valuta seriamente quanta gratitudine gli si debba. In ventà Cristo è dispensatore della luce, dona la conoscenza di Dio. Egli, come un padre ai figli, ba parlato ai fedeli incorporati nella Chiesa, li ba salvati e li ha chiamati dal non essere all'essere » (Gilg, in Jesus Christus im Zeugnis der Heiligen Schri(t und der Kirche, I936, 96, nella spiegazione dei cap. I e 2 della seconda lettera di Clemente). Ciò che lo Pseudo Clemente (cap. 1 e 2) dice di Cristo viene poi ripetuto nei cap. 9 e IO del Padre. Secondo la lettera di Barnaba, Cristo è il Signore dell'universo, è il giudice del mondo (5, 5 ; 5, 7; 4, I2). Ignazio ripetutamente chiama Cristo Dio. Egli parla del « mio Dio », del « nostro Dio ». Nella lettera ai Romani scrive :

per

causa

della sua disubbidienza, era conveniente e

§ 1 56. VITTORIA DI CRISTO SUI SUOI AVVERSARI E LIBERAZIONE DELL 'UOMO

253

giusto che per opera dell'obbedienza di colui, che per noi è divenuto uomo, fosse disciolta la morte; poiché la morte regnava sulla carne, era conveniente e giusto che in virtu dell'avere sofferto la distruzione della sua carne egli liberasse l'uomo dalla sua oppressione. n Verbo dunque divenne carne, affinché i peccati che per opera di quella carne avevano signoreggiato e invaso e dominato, di­ strutti per virtu di questa, piu non esistessero in noi. E per questo assunse il Signore nostro la forma corporea stessa della prima creatura, per entrare in lotta per i padri e vincere per mezzo di Adamo (cioè del corpo avuto da Adamo) quello ( il demonio) che per mezzo di Adamo ci aveva atterrati » (trad. di U. Fal­ dati, Roma 1923). Alanasio dice : « Nessun altro poteva ricondurre all'incorruttibilirà un essere corruttibile, se non il Salvatore che all'inizio aveva fatto tutte le cose dal nulla. Nessun altro poteva rifare gli uomini secondo l'immagine, se non colui che è la immagine del Padre. Nessun altro poteva rendere immortale un essere mortale, se non colui che è la vita stessa, nostro Signore Gesu Cristo. Nessun altro poteva far conoscere il Padre e distruggere il culto degli idoli, se non il Verbo che ha ordinato tutte le cose e che solo è il Figlio vero e unigenito del Padre. Ma gli restava ancora da pagare il debito di tutti, poiché tutti dovevamo morire : e ciò fu la r.ausa principale della sua venuta tra noi. Pertanto, dopo aver mostrato la sua divinità con le sue opere, doveva ancora offrire il sacrificio per tutti, dando per tutti a morte il tempio del suo corpo, al fine di liberare tutti dall'antica tra­ sgressione. In tal modo farebbe vedere di essere piu potente della morte, mo­ strando nel suo corpo incorruttibile Le primizie della risurrezione universale. Il corpo di Cristo era della medesima sostanza di quello di tutti gli uomini, era un corpo umano, e, benché con un nuovo prodigio fosse nato dalla sola Vergine, era tuttavia mortale, ed è morto secondo la sorte comune ai suoi simili. Ma per la venuta in lui del Verbo, esso non era piu soggetto alla corruzione come ri­ chiedeva la sua propria natura ; per la presenza del Verbo era esente dalla cor­ ruzione. Cosi due prodigi si incontrano nel medesimo essere : la morte di tutti si compiva nel corpo del Signore, e d'altra parte la morte e la corruzione veni­ vano distrutte dal Verbo che abitava in questo corpo. La morte era necessaria, e bisognava che egli morisse per tutti per pagare il debito di tutti. Cosi, come ho già detto, poiché il Verbo non poteva morire egli stesso - egli ern immor­ tale - prese un corpo capace di morire, al fine di offrirlo per tutti, come suo bene proprio, e, soffrendo lui stesso per tutti nel corpo in cui era venuto, debellare il signore della morte, ossia il demonio, e affrancare tutti quelli che dal timore della morte per tutta la loro vita erano tenuti in sch.iavitu » =

(De Incarn., 20).

Lo stesso Atanasio cosi fa pregare Cristo : « Non fossi venuto e non avessi io assunto la carne umana, nessun uomo sarebbe divenuto perfetto, ma tutti sarebbero rimasti nella colpa. Agisci dunque in essi, o Padre, e come tu mi hai dato da portare questa carne, cosi ad essi dona il tuo spirito, affinché anch'essi per mezzo suo siano uno e in me raggiungano la loro perfezione... Donde infatti la loro p erfezione se non da me, il tuo Logos, che ha preso la loro carne, si è incarnato e ha adempiuto l'opera che tu, o Padre, gli hai data? È compiuta ormai questa opera perché gli uomini, liberati dal loro peccato piu non rimangano

254

P. I.

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DIO REDENTORE

morti, ma divinizzati e con lo sguardo verso noi posseggano il vincolo di un

(Orat. adv. Arianos, 3, 23). Leone Magno in un suo discorso sulla Passione dice :

mutuo amore »

«

Cristo si è offerto

come vittima nuova e vera riconciliazione al Padre, non nel tempio, di cui ormai era finita la santità, e nemmeno dentro le mura della città, destinata giustamente alla rovina per il suo delitto, ma fuori. Lungi dalla città fu crocifisso. Cessato il mistero degli antichi sacrifizi, una nuova vittima si collocò sopra un nuovo altare e la croce di CristO non fu ara del tempio, ma del mondo tutto (Ebr. 13,

n ).

Innalzata Cristo sulla croce, o fratelli carissimi, non sia la vostra mente presa solo da quella scena che colpi gli occhi degli empi, ai quali fu detto per bocca di Mosè :

"

E la vita tua sarà per te sospesa davanti ai tuoi occhi, e starai notte

e giorno in timore, e non crederai alla tua vita " (Deut. 26, 66). Costoro non poterono pensare nel Crocifisso Signore niente altro fuori del loro delitto, sen­ tendosi pieni di quel timore, col quale non è giustificata la fede vera, ma è tor­ mentata la coscienza malvagia Ma la nostra

mentt:,

illuminata dallo Spi rito di

verità, accolga con puro e libero cuore la gloria della croce, che irraggia sul cielo e sulla terra, il

Signore

stesso,

e

vegga con lo sguardo mteriore quanto sia vero quel che disse

paria va della imminente

quando

sua Passione :

" È \'enuta

l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà glorificato ·· (Gv. 12, 23); e poi :

" Ora

l'anima mia è turbata : e che dirò io? Padre liberami da quest'ora. Ma io sano venuto 2ppunto per quest'ora; perciò, Padre, gloriiìca il Figlio tuo

E siccome venne dal cielo questa voce del Padre :

• · (Gv.

12, 27).

" L'ho glorificato e ancora

lo glorificherò ", Gesu rispondendo ai circostanti, disse :

" Questa voce ha riso­

nato non per me, mfl per voi. E venuto il momento in cui il mondo sarà giudi­ c.ato; ora il principe di questo mondo 5arà cacciato fuori, ed io quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me " (Gv. t 2, 28. 30-32). O ammirabile potenza della croce ! O ineffabile gloria d el l a Passmne, nella quale abbiamo insieme il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e la patest2. del Crocifis5o. S ignore, traesti tutto

a

Si,

a

te, quando stendendo le tue mani tutto il giorno ad un

popolo non credente e insultante, il mondo intero acquistù allora la sensibilità nel confessare la tua maestà (ls. 65, 2; Rom.

IO.

21). Traesti, o Signore, tutto

a te, quando tutti gli elementi proferirono un'unica s entenza, in esecrazione del delitto giudaico; poiché si oscurarono le luci del cielo, il giorno si cangiò in notte, mentre la te!'ra

era

squassata da moti insoliti, e tutte le creature negavano

il loro servizio agJj empi. Traesti, o Signore, nmo a te, po iché il velo del tempio

si quarciò, e il Santo dei Sami si tolse agli indegni pontefici, affinché i simboli si cambiassero néUa \'erità,

e

i.a profezia nella evidenza, la legge antica nel van­

gelo. Traesti, o Signore, tutto a te; poiché tutto quello che si faceva sotro ombre simboliche nell'unico tempio della Giudea, ora si celebra dovunque da tutte le nazioni fedeli con riti pieni e aperti. Ora è piu splendente l'Ordine dei Leviti, piu attraente la dignità dei sacerdoti, piu sacra l'unzione dei vescovi, perché la tua croce è fonte di tutte le benedizioni, causa di tutte le grazie. Ai credenti essa fa avere fortezza dall'infermità, gloria dagli obbrobrii, vita dalla morte, Ora poi, che è cessata la varietà di tanti sacrifici carnali, l'unica offerta del tuo corpo e del tuo

sangue abolisce tutte le specie delle

vittime,

poiché tu

Agnello che togli i peccati del mondo " (Gv. r, 29); cosi

ru

sei

il

"

vero

compi in te stesso

tutti i misteri, in maniera che vi è un solo regno di tutti i popoli, come vi è

§ 1 56. VITTORIA DI CRISTO SUI SUOI AVVERSARI E LIBERAZIONE DELL' UOMO

2j j

un unico sacrificio al posto di tutte le vittime » (Sermo 59, 5-7; PL. 54, 340-341. Trad. di A. Puccetti). In un alrro discorso sulla Passione lo stesso Padre dice : � Non fu per una ragione di necessità, ma di misericordia, che l'Unigenito di Dio subisse e patisse questa Passione : " Mandandolo per il peccato, condannò il peccato nella carne " (Rom. 8, 3), e l'opera del demonio fu disciolta dall'opera stessa di satana. Infatti il nemico del genere umano aveva inferto fin dalle origini un colpo mortale alla umanità, né la progenie schiava poteva schivare il diritto ferreo del seme sog­ giogato. Per conseguenza il demonio, vedendo fra tante generazioni a sé soggette con legge di morte uno solo tra i figli degli uomini, le cui virtu e i cui poteri mera­ vigliosi eccellevano sopra i santi di ogni tempo, si stimò sicuro della perperuità del suo diritto, se nonostante i meriti della sua santità, Cristo non avesse potuto superare i diritti della mone. Eccitati furiosamente i suoi scherani e prezzolati, infierisce proprio a suo pregiudizio. Mentre crede che qualcosa gli sia dovuto da colui, che poteva uccidere, non vede la indipendenza di una innocenza spe­ cialissima, perseguitando in Cristo ciò che è simile alla nostra natura. Non sba­ gliava nel giudicarne la carne umana, ma sbagliava nel giudicarne la colpa. Il primo e il >econdo Adamo erano una cosa identica nella carne, non nell'opera. Nel primo tutti moriamo; nel secondo tuui riabbiamo la vita. L'uomo con la sua superbia cupida fece la strada della miseria; l'altro tracciò la via della gloria con ia fortezza dell'umiltà » (Sermo 69, 3; PL. 54, 377-378). c La Passione di Cristo racchiude il mistero della nostra salvezza, poiché la potenza del Salvatore si servi di quello strumento, che l'iniquità dei Giudei aveva pr�parato per la pena, e ne fece per noi una scala della gloria » (Senno 55, r; i vi 323). c Che altro mai ba fatto e fa la croce di Cristo, se non distruggere le inimicizie, riconciliando il mondo a Dio, e richiamando tutto alla \'era pace col sacriJìcio dell'Agnello immacolato? » ( Senno 66, 3; ivi 366). Di qui si comprende come « in tutti i tempi dell'anno il mistero della passione e risurrezione del Signore nutre l'anima dei cristiani; né vi e pratica della nostra religione, in cui si celebri non tanto la riconciliazione del mondo quanto l'assunzione (glorificazione) della nat ura umana in Cristo • (Sermo 64, 1 ; ivi 358). Cristo come redentore è sempre presente. « Insieme con lui patisce non soltanto la gloriosa fortezza dei martiri, ma la fede di coloro che rinascono nel sacramento della rigenerazione. Quando si rinuncia al diavolo, quando si crede a Dio, quando si depone l'immagine dell'uomo terrestre e si prende la forma di quello celeste, interviene come una specie di morte ed una immagine della risurrezione. Chi è accolto da Cr!Slo e accoglie Crisw non è il medesi mo avanti e dopo il lavacro del battesin10; il corpo dell'uomo rigenerato diventa carne del Crocifisso » (Sermo 63, 6; ivi 357). Se talvolta i Padri, ad es. Origene, designano la morte come « prezzo » pa­ gato da Cristo al demonio, ciò è 5olo un modo immaginoso di esprimere il fatto che Cristo con la sua morte ha liberato l'umanità caduta, col peccato, sotto il dominio di Satana. È ovvio che se il demonio poteva esercitare ovunque questo suo dominio, la cosa dipendeva dalla permissione di Dio.

P. I.

§ 157. U

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DIO REDENTORF.

sacrificio di Cristo come soddisfazione vicaria e come merito.

l . - La morte di Cristo non è stata solo una vittoria sulle potenze ostili e un ristabilimento della signoria divina, ma anche soddisfazione ed espiazione; e proprio in quanto tale serve al ripristino del regno di Dio. Dio stesso mediante la morte del Figlio ha attuato la sua santità e perciò ri­ stabilito la sua signoria, in quanto Cristo ha riconosciuto la sovrana volontà del Padre e umilmente vi si sottopose. Dio è stato soddisfatto in quanto nel Figlio si palesarono la sua giustizia e santità. Cristo offri soddisfa­ zione a nome di tutti. La sua opera fu infatti un'opera dell'umanità, in quanto ciò che egli compi lo compi come capo del genere umano. Ciò che il capo fece, lo fece pure il corpo intiero. Perciò la sua obbedienza e il suo amore sono obbedienza ed amore nostro, la sua morte e la sua risurrezione sono la nostra morte e risurrezione. Egli fece tutto in nostra vece. Si offri come rappresentante di tutti. Sul Golgota era tutta l'uma­ nità che in lui si trovava al cospetto di Dio e si curvava dinanzi alla con­ danna divina. Per mezzo suo l'umanità ha soddisfatto la giustizia divina. (Che tuttavia la redenzione non si attui automaticamente, che l'amore e l'obbedienza di Cristo non si diffondano nell'umanità come la luce e il calore, che invece ognuno debba accogliere Cristo con una decisione per­ sonale di fede, che pertanto la redenzione per ogni singolo uomo non sia un evento puramente passivo, ma anche una vera azione vitale sarà spie­ gato al § 1 6 1). 2. Cristo sulla croce ha espiato e soddisfatto per noi e ci ha meritato la giustificazione. Questa proposizione fu asserita dal Concilio di Trento, -

non propriamente per stabilire il mistero della soddisfazione e del merito di Cristo, ma per dichiarare il significato del peccato originale e della giustificazione. Pertanto si può dire che è sentenza prossima alla fede (fidei proxima). Il Concilio di Trento nella sua decisione sul sacramento della penitenza (Sess. 1 4, cap. 8 ; Denz. 904) cosi afferma : « Vi si ag­ giunga che, mentre con la soddisfazione patiamo per i peccati, diveniamo conformi a Gesu Cristo che soddisfece per i peccati nostri e da cui proviene ogni nostra sufficienza, e abbiamo cosi la certezza e la caparra che se soffriamo con lui, con lui anche saremo glorificati (Rom. 8, 1 7). Né questa soddisfazione che diamo per i nostri peccati è cosi nostra, che non si compia per mezzo di Gesu Cristo ; poiché noi che per nostro

§ 1 57· SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO DI CRISTO

257

conto nulla possiamo, diveniamo onnipotenti in lui che ci conforta. L'uomo quindi nulla ha di che gloriarsi, ma ogni nostra gloria è in Cristo nel quale viviamo, e ci muoviamo, e diamo soddisfazione, facendo frutti di penitenza, che da lui hanno valore, da lui sono offerti al Padre e per lui sono dal Padre accetti ». Vedere il Decreto sulla giustificazione capp. 2-3 e 7 (Denz. 794 s., 799 s.) e i canoni I o, 26, 32 dello stesso Decreto (Denz. 820, 8 36, 842). Inoltre occorre tener presenti altre dichiarazioni del magistero ecclesia­ stico. L' undecimo Concilio di Toledo (anno 675) dice : « Noi crediamo, secondo la verità evangelica, che nella natura umana assunta fu concepito senza peccato, nacque senza peccato, mori senza peccato, colui che, solo, è stato fatto peccato per noi, ossia sacrificio per i nostri peccati. E, pur rimanendo salva la sua divinità, egli per noi subi la sua dolorosa passione, per i peccati nostri fu condannato a morte e subi sulla croce una vera morte, benché poi per sua propria virtU sia risorto dal sepolcro il terzo giorno » (Denz. 286). Pio XI nella Enciclica Miserentissimus Redemptor dell'anno 1928 cosi dichiara : « Sebbene la copiosa redenzione di Cristo con sovrabbondanza ci abbia condonato tutti i peccati, tuttavia per quella mirabile disposizione della divina Sapienza, onde si ha da compiere nella nostra carne ciò che manca dei parimenti di Cristo a pro del corpo di lui che è la Chiesa (Col. I, 24), noi possiamo, anzi dobbiamo aggiungere alle lodi e soddisfazioni che Cristo, in nome dei peccatori, tributò a Dio, le nostre proprie lodi e soddisfazioni. Dobbiamo tuttavia sempre ricordare che tutto il valore espiatorio dipende unicamente dal cruento sacrificio di Cristo, il quale incessantemente viene offerto in modo incruento sui nostri altari » (A.A .S., I 928, I70- I 7 I ). Nella Enciclica di Pio X per il cinquantenario della definizione della Immacolata Concezione (Ad diem illum), l'anno 1 904, si legge : « Certo, solo Gesti Cristo ha il diriuo proprio e particolare di dispensare quei te­ sori che sono il frutto esclusivo della sua morte, essendo egli per sua natura il mediatore tra Dio e gli uomini. Tuttavia per quella comunione di sofferenze e di angosce tra la madre e il Figlio, è stato concesso al­ l'augusta Vergine di essere presso il suo unico Figlio la potentissima media­ trice e conciliatrice del mondo intero. La fonte è dunque Cristo e noi tutti abbiamo derivato qualcosa dalla sua pienezza ; da lui tutto il corpo, ben connesso e solidamente collegato per tutte le congiunture del riforni­ mento secondo l'attività proporzionata a ciascun membro, opera il suo accrescimento e si va edificando nella carità (Ef. 4, I6) » (A.S.S., 36, 454). Cfr. pure la Bolla Unigenitus Dei Filius dell'anno I 343 (Denz. 550).

P. I.

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DIO REDENTORE

3. - La Bibbia testimonia la soddisfazione vicaria di Cristo, quando dice che il Messia si è addossato i nostri mali, si è caricato dei nostri dolori, è stato piagato per i nostri peccati, è stato schiacciato per le nostre iniquità (Is. 5 3 , 4 s.). Il Figliuol dell'uomo dà la sua vita come prezzo di riscatto per molti, in vece loro e per loro vantaggio (Mc. 10, 4 5). Il suo sangue è stato versato per molti (Mc. 1 4, 24). Egli, l'uno, muore al posto e per la salvezza degli uomini. Sono « molti » coloro per i quali egli offre se stesso ; sono infatti gli uomini tutti. È stato fatto come pec­ cato per noi, e Dio lo ha dato in balia della morte in vece nostra (2 Cor. 5, 2 1). In vece nostra è stato sottoposto alla maledizione (Gal. 3, 1 3). Se­ condo il volere paterno egli si è offerto in obbedienza come vittima per le nostre colpe, per redimerei da questo mondo malvagio (Gal. r, 4 s.), sicché ora noi siamo fondati su lui e portiamo il suo sigillo (2 Cor. I, 2 1 ). In lui vittima di espiazione per tutti, Dio ha palesata la sua giustizia (Rom. 3, 2 3-26). 4 . - Tra le molte testimonianze patristiche basti ricordarne solo qual­ cuna. Anche se la dottrina della soddisfazione di Cristo è stata messa maggiormente in risalto dai Padri e dai teologi occidentali anziché dai Padri greci, tuttavia anche presso costoro non manca del tutto. Pur essi parlano chiarameme del carattere espiatorio e soddisfattorio della morte di Cristo. Cristo è morto per noi e per noi risorto (Ignazio, Rom., 6, I; Trall., z, I). Eusebio di Cesarea cosi dice : « Quando venne ciò che era perfetto... allora cessarono le cose antiche e subito furono sostituite da un sacrifizio piu grande e piu vero. È quello di Cristo, l'unto di Dio, che dai tempi piu remoti e antichi fu preannunziato e che venne tra gli uomini come un agnello per essere immo­ lato a pro dell'intero genere umano... Cosi, secondo la testimonianza profetica, si è · avuto il grande prezzo di riscatro offerto sia per i Giudei che per i Pagani, la vittima pura immolata per le macchie del peccato, la pecorella monda e ac­ cetta a Dio, l'agnello di Dio proclamato dai profeti, l'espiazione per il mondo intero, il pegno di vita per gli uomini tutti » (Demonstratio evang., 1, IO). Cirillo di Gerusalemme (Catech., I3, 33) scrive : « Tutto ciò sopportò il Sal­ vatore per riconciliare, mediante il sangue della croce, quanto v'è in cielo e in terra. Eravamo nemici di Dio a causa del peccato, e Dio aveva stabilito che il peccatore dovesse morire. Era dunque necessario che Dio eseguisse la sentenza di morte, oppure distruggesse quella sentenza con la sua infinita misericordia. Ammira la sapienza di Dio, che seppe mantenere la sentenza di morte, ed appli­ care la sua infinita bontà. Assunse sopra di sé i peccati e li portò sulla croce, affinché noi, già morti per i peccati, potessimo rivivere alla giustizia per la sua morte. Colui che moriva per noi aveva un valore infinito. Non era un agnello

§ 1 5 7. SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO Dl CRISTO

259

irragionevole, non era un semplice uomo, non era neppure un angelo :

era Dio

umanato. Non è l'iniquità dei peccatori grande quanto la giusùzia di colui che moriva per noi. Noi non abbiamo peccato tanto, quanto egli è giusto; egli che dette la vita per noi e la riprese quando volle

»

(trad. D. Casagrande).

Leone Magno (Senno 66, 4; PL. 54, 367) : « Poiché l'umanità aveva da essere risanata dalle anùche piaghe, e purgata dalla colluvie del peccato, cosi l'Uni­ genito di Dio si fece anche figlio dell'uomo, per non mancare né di tutta la verità della natura umana, né della pienezza della Divinità. Come dunque è cosa grande quel che la verginità materna ha partorito, ed

è

unito alla Divinità, cosi

è cosa grande quel che l'empietà giudaica ha crocifisso. È nostro quel che giacque (;Sanime nel sepolcro, risuscitò il terzo giorno, e sali alla destra della maestà pa­ terna sopra tutte le altezze dei cieli. S e noi avanzeremo per la via dei suoi co­ mandi, e se non ci vergogneremo di riconoscere quanto egli ha speso per la nostra salvezza nell'umiltà del corpo, anche noi saremo portati a partecipare della sua gloria. Si compirà chiaramente quanto annunziò :

Chiunque mi avrà con­

fessato davanti agli uomini, anche io lo confesserò davanù al Padre mio che è

nei cieli (Mt.

w,

52). Chi venera veramente la Passione del Signore, vo lg e lo

sguardo del cuore a Gesti crocifisso in modo tale da riconoscere come sua la carne di lui » . Se1-mo 54. 4 (PL. 54, 320-321) :

è possibile, passi via da me questo calice

"

)



Con queste parole (" o Padre, se

che svelano un certo timore, mostrava

di partecipare ai sentimenti della nostra fragilità umana per curarli; e col subire

il timore della sofferenza, lo discacciava. Il Signore trepidava in n oi, e trepidava

del nostro timore, indossando la nostra debole natura umana, e rivestendo la nostra incostanza con la solidità della sua virtu. Era v enuto dai cieli in questo mondo quale ricco e misericordioso negoziante; con uno scambio ammirabile, aveva iniziato meraviglioso commercio di salvezza, prendendo il nostro oltraggi

largi l'onore,

c

un

dandoci il suo. Per gli

per i dolori la salute, per la morte la vita. M entre potevano

servirlo piu di dodici legioni di angeli per sterminare i persecutori, preferi assog­

gettarsi al sentimento del nostro timore, che esercitare il suo po te r e

;> .

Sermo 58, 5

(PL. 54, 336-337): « Quando dunque il Figlio di Dio dice: " O Padre, se è possibile, passi via da me questo calice ", si serve della voce della nostra natura, cosicché nelle sofferenze sia corroborata la pazienza, e scacciata la paura. Ma in fine cessa di fare questa domanda; e dopo avere quasi scusato il timore della nostra debole natura, in cui non ci conviene persistere, passa ad un altro pensiero, e dice : " Tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu ";

e

ancora : " S e non è possibile che questo

calice sia rimosso da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà

··

(Mt. 26, 42).

Questa parola del capo è salvezza di tutto il corpo; essa ha istruito tutti i fedeli, acceso tutti i confessori, coronato tutti i martiri. E chi potrebbe mai superare gli odi del mondo, i turbini delle tentazioni, i terrori dei persecutori, s e Cristo non dicesse in tutti e per tutti al Padre : " Sia fatta la tua volontà

"?

La impa­

rino dunque tutti questa parola. I figli della Chiesa, riscattati a si grande prezzo e salvati gratuitamente, si servano del presidio di questa potentissima orazione, contro l' avversità di una qualche tentazione violenta, e superato cosi il tremore dello spavento, riescano a tollerare le pene » . Sermo 59, 8 (PL. 54, 342) :

« La

misericordia di Dio è ancora piu ammirabile per il fatto che Cristo sia morto non per i giusti o per i santi, ma per gli iniqui e gli empi (Rom. 5, 6); e siccome la natura della Deità non poteva ricevere il pungolo della morte, tuttavia, col nascere

260

P. I.

-

DIO REDENTORE

da noi uomini, prese in sé quel che poteva offrire per noi ». Agostino: « Noi siamo stati crocifissi con Cristo, quando la sua carne, che in certo qual modo conteneva in sé tutta la natura umana, fu crocifissa » (Enarr. in Ps., 127, 3).

5. Perché mai Dio abbia voluta una punizione e una soddisfazione per i peccati, fu variamente risolto dai teologi. La ragione vera rimane tuttavia -

un mistero di Dio (vedi § 142).

6. Cristo poté offrire una soddisfazione adeguata, anzi sovrabbondante, proprio perché egli era Dio e uomo. L'adeguatezza, anzi la sovrabbon­ danza del sacrificio di Cristo sono testificate in I Cor. 6, 20; I Piet. 1, 18 s. ; Rom. 5, 20 s. ; Ef. 1 , 7 s. Solo lui era in grado di offrire la soddi­ sfazione richiesta dal Padre : come uomo poteva sottoporsi alla condanna; come Dio poteva misurare l'orrore del peccato e prenderlo su di sé. Sic­ come il peccato si rivolge contro Dio, raggiunge un abisso tale nel quale nessun uomo può penetrare. Cristo lo può comprendere e mediante il si ch'egli, mosso da amore ubbidiente, dice al Padre, ne può annien­ tare la forza. La misura del suo amore è quindi adeguata alla misura del peccato umano ; anzi la trascende immensamente. La luce e la fiamma del suo amore sono piu possenti di tutte le forze delle tenebre in cui, per il peccato, il mondo fu immerso. Il peccato ha strappato l'onore dovuro a Dio, ha offuscata e oscurata la gloria divina. Osservando il mondo deturpato dal peccato ci si può chiedere : Come mai Dio può aver creato un mondo simile? Mediante la crocifissione di Cristo è stato restituito a Dio, e in modo sovrabbon­ dante, l'onore che gli spetta, sia perché, nel dare il suo Figlio, Dio rivelò se stesso come amore e giustizia che nulla può soffocare (la crocifissione è la rivelazione e l'attuazione della sua gloria), sia perché con la spon­ tanea offerta di Cristo egli è stato riconosciuto come il Signore, il Santo, il Giusto, anzi come la santità e la giustizia in persona. L'amore che irradia dalla croce soffoca l'odio e la menzogna. In tal modo chi contempla tale amore, ossia il credente che fu liberato da Cristo dalla cecità spirituale, nonostante l'attuale dura situazione del mondo, può riconoscervi Dio, il creatore, che è verità e amore. Non può piu dubitare di Dio o del mondo. Solo la croce di Cristo può ritrarre dal nichilismo e dal dubbio coloro che osservano e sperimentano l'abisso del mondo. -

Romano Guardini scrive a questo riguardo : « Iddio è andato in traccia del­ l'uomo - come sta scritto nella parabola della pecorella e della dramma smar­ rita (Le. 15) - nel regno dello smarrimento, nel nulla maligno spalancato sotto

§ 1 57· SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO DI CRISTO

261

l'azione dell'uomo. Dio non si è accontentato di guardare giu con uno sguardo di amore, di chiamare e attrarre l'uomo, ma - come dice cosi con forza Gio­ vanni nel primo capitolo del suo Vangelo - vi è entrato egli stesso. Ecco, ora, nella storia della umanità, Uno il quale è Dio e uomo : puro come Dio, aggra­ vato di responsabilità come l'uomo. Costui ha percorso tutto il cammino dell'essere colpevole, fino al profondo. Il puro uomo questo non lo può. Egli è piu piccolo della colpa che commette, perché la colpa si oppone a Dio. Egli la può commettere ; rappresentarsi però, con una perspicacia adeguata al suo tremendo significato, che cosa essa implica, non è in suo potere. Non sa misurarla. Non può sopportarla in tutte le sue con­ seguenze. Egli, che pure l'ha commessa, non può introdurla nella propria esi­ stenza per esaurirla vivendo. Dinanzi ad essa si confonde, si turba, si dispera, ma rimane inerte. Per la colpa c'è solo Iddio. Egli solo ha potere di scrutarla, di misurarla, di giudicarla. Con questo essa riceverebbe la parte sua, e l'uomo che l'ha commessa ne rimarrebbe schiantato. Grazia denota che Iddio ha voluto fare giustizia, ma salvando l'uomo : che ha voluto amare. Egli si è fatto uomo, e cosi, ecco un Essere che avvera in un'esistenza umana l'adrquazione di Dio di fronte alla colpa. In uno spirito, in un cuore, in un corpo d'uomo si opera il saldo di D io con il peccato. Ecco l'esistenza di Gesti. Quella caduta dell'uomo nel nulla, determinata con la ribellione a Dio, e LD cui alla creatura non rimanevano se non sfacelo e disperazione, Egli l'ha vissuta a grado a grado nell'amore di uno spirito vigilante, di una volontà libera e di un cuore sensibile. L'annichilimento è tanto piu profondo quanto piu grande è colui che ne è colpito. Nessuno è morto cosi come è morto Cristo, perché egli era la stessa Vita. Nessuno è stato colpito per il peccato come lui. Nessuno ha sperimentato la caduta nel perfido nulla come lui, fino a quella tremenda realtà che si cela dietro le parol e : Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato " perché egli era il Figlio di Dio » (Il Signore, ed. cit., 369 s.). "

7. Le teologie occidentale e orientale hanno considerato la dottrina rivelata della espiazione e soddisfazione vicaria sotto punti di vista diversi.

a) La teologia dei Padri greci, come già abbiamo sottolineato, ha in­ teso il peccato soprattutto come rottum e sconvolgimento dell'ordine an­ tologico . La redenzione fu perciò il ripristino di tale ordine, la liberazione dalla schiavitu della morte e del demonio. b) La teologia occidentale che ha le sue radici nella Bibbia e negli scritti di Tertulliano e di Cipriano e che, non senza influsso del diritto romano e del concetto germanico dell'onore, fu sviluppata da S. Anselmo, vede nel peccato piu che tutto una rottura dell'ordine morale, una in­ giuria e un'offesa fatta a Dio. La soddisfazione consiste quindi nel ri­ parare l'offesa, nel restituire l' onore rubato. L'uomo peccatore non è in grado di fare questo poiché, dato che l'ingiuria si misura dalla dignità della persona offesa, il peccato, che si rivolge a Dio, assume una gravità

262

P. I.

-

DIO REDENTORE

infinita. Solo un uomo-Dio poteva offrire una riparazione adeguata, poiché lui solo è capace di tma soddisfazione infinita. Questa consistette nella vita, nell'insegnamento, nella sofferenza, ma specialmente nella morte del Figlio di Dio. Anche se ogni azione di Cristo, perché azione di un uomo-Dio, poteva offrire una espiazione infinita, tuttavia egli diede pure la sua vita, come segno del suo immenso amore. Tommaso d'Aquino ha sviluppato la dottrina di S. Anselmo. La passione di Cristo non solo compensò adeguatamente, ma sovrabbondantemente l'offesa fatta a Dio, perché questa era infinita solo moralmente, mentre la soddisfazione è stata infinita fisicamente, per sua natura. Il suo valore infinito è qualcosa di intrinseco, derivante dal fatto che essa è opera dell'uomo-Dio, e non è solo qualcosa di estrinseco, proveniente dalla benevola accettazione da parte di Dio, benché tale accettazione sia necessaria perché possa est.en­ dersi ai peccati di tutto il mondo. Appunto perché infinita, la soddisfa­ zione offerta da Cristo con la sua Passione e morte vale per tutti i peccati, tanto per quello originale quanto per quelli personali. c) La vittoria sul peccato attraverso la soddisfazione ed espiazione di Cristo si presenta come riparazione dell'ingiuria recata a Dio col pec­ cato medesimo. La cosa si p uò spiegare nel modo seguente. Dio, con l'immolare sulla croce il suo Figlio, ha manifestato e attuato la sua bontà e giustizia in modo cosi luminoso ed efficace, che tale rivelazione non potrà mai piu venire offuscata da peccato alcuno. Cristo, da parte sua, con la sua dedizione amorosa ed obbediente, ha una volta per tutte pro­ clamato e riconosciuto Dio come Signore e come santità e giustizia per­ sonale, sicché la gloria divina in tutta la sua grandezza fu rivelata e resa presente nella storia umana. L'amore che dal Calvario sale al Padre è ben piu possente dell'odio che si riversa dall' inferno, e mostra che il mondo nella sua parte piu intima e profonda è governato dalla carità, cioè da Dio. Cosi fu ristabilito l'onore divino. Il peccato fu una diffamazione di Dio, un tale oscuramento della sua gloria da far sorgere non pochi dubbi su Dio stesso. Ma la croce ha palesato che Dio è amore e santità. L'uomo, peccando, aveva messo Dio al disotto delle creature ; Cristo, morendo, lo ha riconosciuto come supremo Signore e quindi gli ha dato piena sod­ disfazione. d) Solo chi crede riesce tuttavia a vedere questa realtà. La vittoria di Cristo sul peccato si può affermare solo con fede. Coloro che vedono solo gli aspetti esterni delle cose sono indotti a pensare che il peccato, anche dopo la morte di Cristo, continui a crescere e a svilupparsi straor-

§ I 5 7 · SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO DI CRISTO

263

dinariamente. La vittoria di Cristo non si può ora percepire in modo indubitabile con l'esperienza. Questo avverrà solo col ritorno del Signore. Sino a quel momento chiunque parla di vittoria sul peccato, ne parla per fede. Perciò non si può a rigor di logica convincere alcuno di questa vit­ toria. Anche se vi sono dei segni e indizi chiari, come ad esempio la vita dei santi, essa tuttavia può solo essere dichiarata e accettata per fede. Eppure è qualcosa di molto reale. Sta nel fatto che la fiamma del divino amore rilucente dalla croce offusca l'odio e l'orgoglio, e che colui il quale accoglie Cristo con fede è liberato dalle potenze maligne che portano alla perdizione. Lo strepito del peccato, per chi crede, è come il ruggito di una belva incatenata. *

Scrive

Garrigou-Lagrange: « Quello che noi dobbiamo credere, dopo l'esi­

stenza di Dio, autore della grazra e rimuneratore supremo, è che Gesu, Figlio di Dio,

il S alvatore, " l'Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo ",

è

Bisogna credere con una fede viva alla verità della sua parola :

" Venite a me,

voi tutti che siete affaticati e piegate sotto il peso, e io vi ristorerò "', rifarò le anime vostre traendole dal peccato, dando loro la vita della grazia, germe della vira eterna. Quest'atto di vede viva dovrebbe essere in noi, non solo come una certezza speculativa senza influenza sopra la vita, ma come un convincimento profondo e

costante, che trasforma tutto quello che abbiamo da fare o da soffrire ogni

giorno. Spesso quest'atto di fede resta uoppo debole in noi. Se in mezzo alle nostre pene, noi restiamo abbattuti, ripiegati sopra noi stessi,

è

perché non ab­

biamo abbastanza fede e confidenza in Gesu Cristo, nostro Salvatore. Gli Apostoli per primi sentirono, in certi giorni, prima della Pentecoste, la debolezza della loro fede : il S ignore disse loro un giorno durante una burrasca

sul lago di Genezareth : " Perché temete, uomini di poca fede? " (M t. 8, 26). Spe­ rimentarono anche di piu la loro fragil ! t à durante la Passione. Certo, erano stati rapiti dal sublime insegnamento del Maestro; lo avevano veduto fare dei mira­ coli, risuscitare Lazzaro, scacciare i demoni, camminare sulle acque; tre di essi avevano anche assistito alla sua trasfigurazione sul Tabor; ma lo videro anche triste fino alla morte nel Getsemani, lo videro insul tato, flagellato, coperto di sputi, e lo stesso Pietro traviò un momento fino a negare tre volte di conoscerlo. Quello che bisogna credere, e quello che bisogna credere ai piedi della Croce,

è che Gesu agonizzante è appunto per la sua agonia, piu che per i suoi mi­

racoli, il Salvatore delle anime. Agonia vuoi dire combattimento, e l'agonia di Cristo fu il grande combattimento contro lo spirito del male, combattimento in cui Gesu fu definitivamente vincitore. Egli aveva detto ai suoi discepoli dopo la Cena :

Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo (Gv. r6, 33). Sulla Croce riportò

la vittoria definitiva sopra il male piu grave, piu profondo che ci sia al mondo, sopra il peccato e sopra il demonio. Ma, umanamente parlando, sulla Croce Gesu sembra vinto : per

l'opera

sua, condannata dalla Sinagoga, può

sempre; crocifisso tra due !adroni,

è

abbandonato

dal

sembrare suo

distrutta

popolo, dalla

P. I.

-

DIO REDENTORE

maggior parte dei suoi discepoli, i quali sembrano pensare che il cielo non ascolti piti la loro supplica. Nell'ora del Consummatum est, Maria, indubbiamente, fece il piti grande atto di fede che mai sia esistito sopra la terra, e non cessò un istante dal credere che il suo Figliuolo crocifisso era il Salvatore di tutti gli uomini; a questa grande fede della Vergine parteciparono le sante donne che erano vicino a lei, come pure S. Giovanni, il buon !adrone, il centurione. Essi credettero in vari gradi, che l'opera della salute si compiva in quest'annientamento della vittima scelta da tutta l'eternità per portare in nostra vece il peso delle nostre colpe. Ma furono rari quelli che credettero cosi in quell'ora suprema. I piti non po­ terono tollerare la morte di Gesti Cristo : Fac ut portem Christi mortem, si dice nello Stabat Mater. Quello che bisognava credere, quello che bisogna credere, è che l'oggetto di derisione, considerato come il rifiuto dell'wnanità, colui davanti al quale si scuo­ teva il capo facendosene beffe, è la forza e la luce delle anime, quegli che ha vinto il mondo. Quello che bisogna credere è che l'ora delle tenebre e dell'igno­ minia, vista dall'alto, è in ogni tempo l'ora gloriosa della salute, la piu feconda di tutte per le anime. Ebbene, in quell'ora, molti discepoli, come lo dimostrano quelli di Emmaus, si sentirono vacillare, come può avvenire nelle ore di persecuzione e di odio. Ecco però quello che bisogna credere, che il Crocifisso, il quale pare affatto vinto, è vincitore del peccato, è ·• colui che cancella i peccati del mondo :t (Il Salvatore e il suo amare per noi, Torino 1948, 303-305). * "

8. Ci si può chiedere se Cristo non abbia offerto la soddisfazione a se stesso, dato che egli era veramente Dio. Si deve rispondere che, pren­ dendo alla lettera i testi della rivelazione e le preghiere liturgiche, la sod­ disfazione fu offerta al Padre, ossia alla prima persona di Dio, che Cristo invoca sempre con il nome di Padre. È il Padre che ha inviato il Logos nella natura umana ed è verso il Padre che sale la fiamma del suo amore. Tuttavia, secondo un'altra opinione oggi communior, l'espiazione fu rivolta all'Iddio tripersonale. In quanto uomo, Cristo offri la soddisfazione ; in quanto Dio, l'accettò in unione con il Padre e lo Spirito Santo. -

Sembra esatto quanto a questo riguardo scrive P. Lippert: « Quella di Cristo guardare con assoluto compiacimento : " Ecco, il mio servo opera come si conviene ! " (ls. 52, 13), e che ha compiuto quindi una vera e propria riabilitazione di Dio. Il peccato era una deformazione e una profanazione dell'immagine divina; esso intorbidava la luce di Dio, che brilla nel mondo; esso sovrapponeva alla creazione, con cui Dio rende testimo­ nianza a se stesso, impronte e aspetti in stridente contraddizione con la sua vera immagine. Gesti ha ripagato una volta per tutte il suo Dio di questa diffama­ zione; egli ha compensato e riparato pienamente, anzi sovrabbondantemente questa calunnia e misconoscenza. Cosi " egli ha soddisfatto a Dio Padre per noi ., (Conc. Trid., Sess. 6, cap. 7), e pagato il prezzo della colpa, che eravamo tenuti a pagare è stata una vita a cui Dio ha potuto

§

1 5 7 · SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO DI CRISTO

265

per il nostro disprezzo del nome di Dio. Infatti Dio stesso, che pure è l'onore in sé e per sé, non poteva esigere una soddisfazione piu completa di quella affer­ ragli da Gesu. Questo Figlio dell'uomo non era soltanto una immagine pallida e sbiadita dell'essenza divina; in lui si è manifestato Dio stesso personalmente in figura umana e si è presentato direttamente com'è. Ecco, era la via, la verità e la vita, che in lui si offriva al mondo decaduto e pieno di confusione. Una vita cosi pura, fedele, generosa e magnanima non era mai stata veduta. Cosi schietta e vera, cosi perfetta, eppure uman a ! Tanta dedizione e dignità, tanta potenza e bontà, tanta sapienza e semplicità riunite insieme con mirabile armonia. Anche se Gesu avesse condotto la sua vita in un deserto remoto, nascosto dalla vista degli uomini, essa avrebbe portato col solo fatto della sua semplice esist enza piu luce sulla terra. Tale è dunque Dio, in quanto luce e vita, e questa è la sua fedele e verace immagine ! Contro di essa non può piu insorgere neanche la ca­ lunnia piu torva : come possiamo ora ingannarci sulla vera natura di Dio? Anche se scorressero sui nostri occhi fiumi di sangue, non potremmo piu essere indotti in errore intorno a Dio; e anche se tutti gli uomini si spogliassero della loro umanità e diventassero fiere selvagge, noi continueremmo imperturbati a credere nella santità. In realtà però quest'immagine non è rimasta sola ed isolata :

altre

immagini parziali della bellezza e bontà divina sono derivate da essa; la sua luce ha illuminaro uomini veramente e mirabilmente simili a Dio. L'avvento del Figlio manifestò Dio come generatore e sorgente di vita, da cui scaturisce l'adozione divina, e ovunque giunge il Figlio,

sgorga la vita divina,

una vera e propria comunicazione di vita : il suo essere e la sua presenza fanno scaturire la filiazione divina. A questo muto linguaggio si aggiunge però ancora l'implorazione esplicita, che sale continuamente dal cuore di Gesti, non soltanto per i suoi discepoli e per il suo popolo, non soltanto per pochi eletti ma per tutta quanta l'umanità. Egli prese nelle sue mani trafitte tutte le opere e i parimenti della sua vita di servo e li presentò al Padre come espressione commovente della sua volontà di preghiera e di sacrificio. E in primo luogo il coronamento sangui­ noso della sua vita, la sua morte, che interruppe la sua missione e la sua opera tra una stirpe decaduta e nella regione di morte : egli l'accolse di buon grado

e

anzi, con gioia, e l'offerse al Dio santo come segno visibile del suo sacrificio ed espressione della sua volontà interiore, con cui donò se stesso e tutto ciò che gli apparteneva, il suo corpo incontaminato e il suo sangue prezioso, in una rinunzia cosi totale e spontanea, in un'implorazione al Padre cosi p erfetta che le porte del cielo, chiuse da tanto tempo, si aprirono. L'uomo che compi questo atto, era lo stesso Figlio unigenito, e colui al quale era rivolto, era il Padre stesso, colui che non ha causa né origine, il principio dì tutti i principi, e l'ardore, che Io portava in alto, era lo stesso fuoco del Pneuma. L'implorazione di una tale vit­ tima non soltanto non trovò mai porte sbarrate, non soltanto trapassò i cieli e non si fermò davanti al trono del Dio Uno e Trino, ma penetrò nel seno della vita divina, nell'intimo dei rapporti vitali tra le Persone divine :

essa divenne

un colloquio intimo tra il Padre e il Figlio, tenuto nel linguaggio del loro mutuo amore p ersonale, nella lingua materna della Divinità » Alba 1954, 254-256).

(Credo, trad. E. Corsini,

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P. I.

-

DIO REDENTORE

9. - La morte di Cristo in croce è pure merito, in quanto azione degna di ricompensa.

a) Il concetto di « merito » sarà meglio spiegato nel trattato sulla Grazia. Qui basti quanto segue. Si dice merito tanto l'azione degna di premio, quanto il premio stesso. Per eliminare i non pochi malintesi al riguardo, è di somma importanza considerare che sorta di premio viene promesso all'uomo nella Scrittura. Quando Cristo a coloro che hanno fame e sete di giustizia promette come premio la giustizia stessa, emerge chiaramente che il premio non è un dono aggiunto esternamente all'azione buona, ma un bene immanente e sgorgante da essa medesima. Il premio è il perfezionamento prodotto da Dio della nostra dedizione a Cristo : è un crescere in Cristo e, per mezzo suo, nella tripersonale vita di Dio; è un radicarsi piu intimamente in Dio; finalmente è l'inondazione della gloria divina nel nostro corpo e nel nostro spirito. Il premio è quindi da paragonarsi allo sviluppo e al maturarsi di un frutto . b) Quando diciamo che Cristo con la sua morte ba meritato ricom­ pensa intendiamo dire che per essa ba raggiunto uno stato in cui la gloria divina, prima nascosta, s'è resa fulgente nel suo corpo e s'è riversata sul suo spirito e sul suo animo, in modo da eliminare ogni ansietà e timore. Pensiamo quindi alla sua trasformazione dallo stato di abbassamento a quello di gloria, alla sua risurrezione e ascensione. Cristo si è « meri­ tato >> tutto questo con la sua passione e la sua morte, perché tale era la volontà del Padre (Le. 24, 26. 46 ; Gv. I7, 19; Rom. 5, 19; Fil. 2, 8 s. ; Ebr. 2, 9 ; 5, 9). c) Ciò che Cristo ha meritato per sé lo ha meritato anche per �toi. Egli, infatti, è nostro capo in tutto. Cfr. Gv. 1 5 , 5 ; Rom. 3, 24 ; 7, 25 ; Ef. I , 3 ; 2, 5- 1 0 ; 2 Tim. I , 9 ; Ebr. 5 , 9 · * A proposito dei meriti di Cristo Gat"l'igou-Lagrange scrive : 11 Penetriamo in quel segreto delle anime nostre dove si formano i nostri atti d'amor di Dio e del prossimo, per sollevarci cosi per gradi alla contemplazione dei meriti di Cristo, che sono la sorgente eminente dei nostri. Quali sono le condizioni rich i este affinché un atto sia soprannaturalmente me­ ritorio, affinché ci dia diritto a una ricompensa soprannaturale? Le condizioni del merito soprannaturale propriamente detto si riducono gene­ ralmente alle seguenti : dev'essere un atto libero, che proceda dalla carità, durante la vita terrena, e per il quale Dio ha promesso una ricompensa. L'atto meritorio dev'essere libero, procedere dal libero arbitrio. Bisogna che l'anima dia liberamente del suo, e l'offra a Dio. La seconda condizione dell'atto meritorio soprannaturale è che proceda dalla carità, che suppone lo stato di grazia. Infatti ci deve essere proporzione tra il

§ 157· SODDISFAZIONE VICARIA E MERITO DEL SACRIFICIO DI CRISTO

267

merito e la ricompensa; un merito d'ordine naturale può ottenere una ricom­ pensa dello stesso ordine, ma non una ricompensa soprannaturale. E non baste­ rebbero la fede e la speranza, ma ci vuole la carità, perché, come dice S . Paolo : " Quand'anche avessi il dono della profezia, ... quand'anche avessi una fede tale da trasportare le montagne, se non ho la carità, non sono nieme " (2 Cor. 13, 2). Senza la carità, infatù, la nostra volontà, schiava del peccato, è volta in senso inverso della volontà divina, verso la sensualità o l'orgoglio. L'anima nostra, priva della grazia santificante e della carità, non vive della vita divina; ora come pro­ durrebbe frutti soprannaturali? All'opposto la carità comanda, ispira, vivifica tutte le altre vinti, e quanto piti essa cresce, tanto piti cresce il merito. Il valore so­ prannaturale dell'atto meritorio, sia prodotto immediatamente dalla carità, o dalle vinti che essa ispira, aumenta insieme con l'amor di Dio che esso attesta; il modo di offrire raddoppia il pregio di ciò che è offerto. A tale segno che la S. Vergine meritava piti con atù facili che noi con atti difficili, perché poneva piti amor di Dio e delle anime in un sorriso a un povero, di quello che ne met­ tiamo noi nel nostro sforzo più generoso. Bisogna dunque che l'atto meritorio proceda dalla carità, che sia buono d'una bontà soprannaturale ossia compiuro per amor di Dio. La terza condizione dell'atto meritorio è che sia compiuto durante la vita ter­ rena nello stato di viaggio per l'eternità. In cielo non si merita piti, si gode la ricompensa. Non si merita piti nemmeno in Purgatorio, ma ci si purifica so­ lamente. Finalmente la quarta condizione del merito è che Dio ab bia promesso una ricompensa per l'atto che noi gli offriamo. Cosi egli ha promesso ai giusti che fanno atti di carità un aumento di questa vinti e delle altre vinti infuse, dei doni dello Spirito S anto ed anche la vita eterna, se muoiono in stato di grazia. Tali sono le condizioni del merito :

un atto libero, che proceda dalla carità,

durante la vita terrena, e per il quale Dio ha promesso una ricompensa. Se è cosi, quale sarà il valore dei meriti di Cristo? Gli atù liberi, che, durante la vita terrestre di Cristo, procedevano dal suo amore di Dio e delle anime, avevano già un grandissimo valore per la sua emi­ nente carità che superava quella di rutti i santi e di rutti gli angeli insieme, poiché aveva ricevuto la pienezza della grazia creata. Tuttavia questa carità eminente dell'anima di Gesu era ancora qualcosa di creato che non poteva dare un valore strettamente infinito ai suoi atti meritori. I meriti di Cristo traggono soprattutto il loro valore assolutamente eccezionale

dal fatto che erano gli atti umani d'una persona divirza la cui dignità è infinita. '' Il sangue di Gesti, Figlio di Dio, ci purifica da ogni peccato ", dice S. Giovanni

(1 Gv. 7), perché è il sangue del Figlio di Dio, versato per amore nostro, e per il quale Dio ha promesso questa ricompensa che è la giustificazione e la salute di quei che credono a Cristo e lo seguono. Tuttavia alcuni teologi, come gli Scotisti, hanno sostenuto che gli atti d'amore di Cristo non avevano per se stessi, ossia intrinsecamente, un valore meritorio e soddisfattorio infinito a cagione della persona del Verbo, ma che conveniva che fossero accettati estrinsecamente da Dio per la nostra salute. Quasi tutti gli altri teologi ammettono invece che il minore degli atti d'amore del Salvatore aveva per sé e intrinsecamente un valore infinito a cagione della

268

P. I.

-

DIO REDENTORE

persona del Verbo fatto carne. Questi atti si chiamano teandrici o divino-umani, ' perché sono gli atti umani di un'anima personalmente unita al Verbo, gli atti umani della persona del Figlio di Dio. Ora il valore di un atto meritorio o soddi­ sfattorio dipende, non solo dalla nobiltà del suo oggetto, ma piu ancora dalla dignità della persona che lo produce. Qui la persona del Verbo è di una dignità infinita. È lo stesso Figlio di Dio che si offre per noi. Se la gravità dell'off esa aumenta con la dignità della persona offesa, il pregio della soddisfazione e del merito aumenta con la dignità della persona che sod­ disfa e che merita. Le azioni umane del Salvatore sono unite a una persona divina con un vincolo indissolubile, forse come l'eternità, per l'unione personale, di modo che si può dire veramente : È Dio, il Figlio, che opera, che soffre, che merita, che soddisfa nella natura umana che prese per salvarci. Questi atti riparatori hanno l'unione fisica piu intima con Dio; per conse­ guenza il loro infinito valore oltrepassa l'infinita gravità di tutti i peccati mor­ tali, che non possono offendere Dio se non moralmente, senza raggiungerlo nella sua realtà fisica e intima. Il minimo dei meriti di G esu piaceva dunque a Dio piu che non gli dispiac­ ciono tutti i peccati insieme. Cosi, fatte le debite proporzioni, gli attestati di affetto, che sono per noi piu preziosi, �ono quelli che ci sono dati dalle persone che ci toccano piu intimamente. La minima delle loro attenzioni ha per noi un grande pregio e a volte basta a fa rc i dimenticare grandi ingiustizie. Questa dottrina, senza esagerare affatto, ci fa stimare oltre ogni espressione la minima azione del nostro Salvatore. A proposito di questo insegnamento, sì è a volte proposta questa difficoltà : Se tutti gli atti del Salvatore hanno un pregio infinito, pare che siano assoluta­ mente uguali, e che per conseguenza la morte di Gesu sulla croce non sia piu meritoria degli atti della sua infanzia, anzi, che essa loro non aggiunga niente, poiché già il loro valore era infinito. Per conseguenza la croce sarebbe superflua. Questa conclusione, che urta cosi vivamente il senso cristiano, proviene da una confusione; ed è facile rispondere : Tutti gli atti di Gesu, i minùni come i piu eroici, hanno lo stesso valore personale, che risulta dall'unione della sua umanità al Verbo, ma non hanno lo stesso valore oggertivo, che dipende dall'oggetro e dalle circostanze di questi atti. Infatti vi è una subordinazione nei diversi oggetti delle virnl. Cosi gli atti supremi della Passione, che avevano un oggetto cosi alto, circostanze cosi eccezionali e cosi dolorose, sorpassarono in valore oggetdvo gli atti precedenti, accrebbero il tesoro già accumulato, colmarono la misura dei meriti e delle soddisfazioni di Cristo, perché giunsero fino all'estremo del sacri­ ficio, della sofferenza e dell'amore. Niente è superfluo per l'amore che cerca di glorificare Dio quanto piu è possibile e di dimostrarsi alle anime in modo irre­ sistibile. Finalmente Gesu offri al Padre suo i suoi primi atti di amore, non separatamente, ma come l'inizio del suo sacrificio che si doveva compiere piena­ mente sulla croce. Entrando nel mondo egli offri tutta la sua vita usque ad mortem, mortem autem crucis. Cosi, ad esempio di Cristo, deve fare il cristiano e piu particolarmente il religioso quando fa professione di vivere nell'ubbidienza, nella castità e nella povertà fino alla morte. Tale è il valore del merito di Cristo. È una fonte spirituale, a cui tutte le

§ 1 5 8 . DISCESA AGLI INFERI E RISURREZIONE DI CRISTO

269

anime possono andare ad attingere senza che essa si possa mai esaurire. " Là dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondaro la grazia (Rom. 5, 20). In ogni tempo, specialmente nelle ore di tristezza e di tentazione, appoggia­ moci sopra i meriti infiniti di Cristo, come fa la Chiesa che termina le sue ora­ zioni con queste parole : per Christum Dominum nostrum. Come il figliuol prodigo, come il buon !adrone pentito, le anime piu traviate devono pensare ad appoggiarsi sopra i meriti di Cristo. Come quel penitente che, non essendosi piu confessato da quarant'anni, dopo la dichiarazione delle sue colpe intese dirsi dal sacerdote : " Ma allora che bene avete fatto? ". Egli rispose : " Ho conservato la fede nel valore infinito dei meriti di Cristo, ed è per questo che sono venuto a confessarmi ". Costui per la fede in Cristo aveva toccato la profondità di Dio » (Il Salvatore e il suo amore per noi, ed. cit., 263-267 e 270). * ··

§ 158.

Discesa agli inferi e risurrezione di Cristo.

l . - « Cristo soffri in vista. della risurrezione; infatti, dopo essere ri­ sorto, egli non pati piu e la morte piu non ebbe il sopravvenro su di lui » (Origene, in U. Urs von Balthasar, Origenes. Geist und Feuer, 1 9 38, 208). Egli era essenzialmente vivo, era la vita stessa. Mori perché lo volle. Né per questo la morte perse il suo orrore; anzi Cristo lo provò come nessun altro perché essa era qualcosa del tutto contraria alla sua intima essenza, perché egli non le era soggetto, né essa dimorava già in lui, come in tutti gli altri uomini, intaccando la sua forza vitale. Se egli subi la morte come parte della sua missione, non poteva però rimanere in essa. Mori di morte dolorosa ed amara, ma per debellare definitivamente la morte medesima. Passò per la morte, ma per vincerla. Segno di questa vittoria è la risurrezione. Questa dimostra che Cristo non era in balia della morte, ma che era in suo potere dare la vita e di nuovo riprenderla. Con la risurrezione manifestò ciò ch'egli era sempre stato, che cioè egli era la vita. Quando Cristo mori, il Logos non si separò né dal corpo né dall'anima. Anima e corpo rimasero assunti nell'esistenza del Figlio di Dio. Il corpo irrigidito dalla morte, ma assunto all'esistenza stessa del Figlio di Dio, fu messo nel sepolcro (Mc. 1 5, 42-47 ; Mt. 27, 57-6 1 ; Le. 23, 50-56; Gv. 19,

38-42). 2. - L'anima di Cristo, dopo la morte scese nel limbo. È dogma di fede : simboli sin dal sec. IV ; IV Concilio ecumenico del Laterano (Denz. 429); Sinodo di Sens dell'anno 1 140 (Denz. 3 85).

a) Cristo

«

ucciso quanto alla carne, ma vivificato quanto allo spi-

P.

I.

-

DIO REDENTORE

rito, sussistendo in questo spirito si recò a proclamare la salvezza anche agli spiriti che si trovavano in carcere » (1 Piet. 3, 1 8 s.). b) lreneo cosi spiega il passo : « Il Salvatore è sceso nell'oltretomba ad annunziare la sua venuta anche a quelle anime, dando loro la possi­ bilità di ricevere il condono dei peccati purché avessero creduto in lui. Gli credettero tutti coloro che in lui avevano sperato, ossia coloro che avevano preannunziata la sua venuta e avevano eseguito i suoi disegni, e cioè i giusti, i patriarchi e i profeti » (Adv. haer., 4, 27, 2). Giovanni Damasceno: « L'anima divinizzata (di Cristo) scese all'inferno (nell'oltre­ tomba). Il sole divino, come era apparso sulla terra, doveva pure illumi­ nare con la sua luce coloro che dimorano nelle tenebre e nell'ombra di morte. A quelli che erano sulla terra egli ha recato la pace, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, donando ai credenti la vita eterna e con­ vincendo gli increduli del loro errore. Lo stesso s'avverò anche nelle regioni dell'oltretomba, affinché ogni ginocchio si piegasse sia nei cieli, che sulla terra, che sotto terra. E cosi egli liberò gli avi che vi giacevano in­ catenati, e risorse poi novellamente dai morti per aprirci in tal modo la via della risurrezione >> (De fide orthodoxa, 3, 29). Cirillo di Gerusalemme: « Solo scese nel regno dei morti, lo lasciò con un ricco corteo. Scese nella morte e risuscitò non pochi corpi dei santi che si erano addormentati. La morte si spaventò quando vide che egli scendeva nell'oltretomba come un estraneo, non soggetto alle leggi proprie di quel luogo. Perché, o guar­ diani dell'oltretomba, tremaste rabbrividiti alla sua vista? Quale insolito timore vi prese? La morte fuggi e quella fuga era l'indice piu evidente della sua paura. Corsero mcontro a Gesu i santi profeti, Mosè il legisla­ tore, Abramo, !sacco, Giacobbe, Davide e Samuele, Isaia e Giovanni Battista. Tutti furono liberati dal dominio della morte perché conveniva che colui che era stato annunciato come re, fosse il redentore dei suoi piu grandi araldi » (Catech., 14, 19). c) La discesa di Cristo nell'oltretomba non va intesa come un mo­ vimento spaziale. Ciò non è necessario. Essa sign ifica che Cristo si rivelò ai morti di ogni secolo e di ogni nazione che erano defunti uniti a Dio e quindi senza peccato, ma che non avevano ancora raggiunta la visione di Dio perché nessuno, prima della morte di Cristo, poteva penetrare nel santuario dell'Altissimo (Ebr. 9, 8). Il Salvatore recò loro la novella che l'ora della liberazione era suonata : era il medesimo lieto annunzio che il buon !adrone aveva udito sulla croce (Le. 23, 43). Non vi è ragione di ammettere che Cristo si sia manifestato anche a coloro che giacevano in stato di dannazione o in stato di purificazione,

§ 1 5 8 . DISCESA AGLI INFERI E RISURREZIONE DI CRISTO

271

quantunque pure a costoro, dovette pervenire la notizia che ormai era sorta l'era nuova. d) La storia liberale delle religioni comparate non vuole vedere nella di­ scesa di Cristo nell'oltretomba che una derivazione dai miti greci od orientali

in

cui un eroe o un dio scende nell'Ade (cfr. i sistemi gnostici o pregnostici, le

concezioni babilonesi o egizie). Tale opinione è però insostenibile per le seguenti ragioni. La dottrina della discesa di Cristo nell'oltretomba non si può scindere dalla sua persona e dalla sua opera. Forma un tutto unico e armonico che si suole designare con l'espressione

«

persona e opera di Cristo

»,

e perciò acquista

la sua particolare fisionomia da questo tutto. Ora Cristo a differenza di tutti gli altri personaggi mitici, è una persona storica e storicamente controllabile. Inoltre anche il senso della discesa di Cristo nell'oltretomba è essenzialmente diverso da quello delle discese degli eroi mitici. Cristo vi è sceso per proclamare a tutti coloro che vi attendevano la redenzione, la vittoria sul peccato, sulla morte e sul demonio. Le concezioni

mitiche del paganesimo, rivelano invece

una lotta

tra colui che vi scende e le divinità sotterranee. Non di rado quello soccombe o almeno deve pagare il suo tributo alle potenze infernali. Il pensiero poi, che la persona scesa nell'abisso vi debelli con assoluta sovranità una volta per sempre e per tutti la morte, fa totalmente difetto nei miti pagani. Nonostante queste essenziali diversità si può dire che i miti del paganesimo rappresentano un'espres­ sione, certo molto imperfetta, dell'anelito verso quella realtà, cioè verso la libe­ razione, che ci è testimoniata dalla Scrittura . I mid pagani sono pure ricollegati in un altro modo alla credenza cristiana. I Padri spesso si servono della raffigu­ razione pagana del cosmo come di mezzo espressivo per spiegare la fede cri­ stiana. Si deve perciò distinguere accuratamente nella fede ciò che è il rivesti­ mento

tratto

sostanza

dal paganes imo e l'essenza propria dalla rivelazione cristiana.

che vi

è la massima

diversità tra

J. Chaine, Descente du Christ aux enfers,

cristianesimo

e

� ne! la

paganesimo.

Cfr.

in Dict. de la Bible, Supplément,

2, 395-43 1 .

3. Al terzo giorno dalla sua morte Cristo risorse gloriosamente dai morti. È dogma di fede, riferi to in tutte le professioni di fede. Cfr. inoltre -

Denz. 2036 s. e 2084.

a) La risurrezione dai morti è il perno della fede cristiana. Cfr. § 1 52 e la teologia fondamentale. Gli Apostoli non si stancarono mai nell'atte­ starla. Dopo il disastro del venerdi santo, la Pasqua fu per i discepoli non solo il risorgere della loro precedente fede, ma anche l'inizio di una nuova comprensione di Cristo, andata vieppiu perfezionandosi e sviluppandosi mediante gli insegnamenti loro impartiti dal risorto. Nel fatto che Cristo viveva, essi videro la conferma delle sue pretese messianiche (cfr. Atti 2, 14-36). « E nell'immagine del risorto si inserirono ai loro occhi tutte le taumaturgiche dimostrazioni di potenza che Gesu aveva dato prima della sua morte e di cui erano stati testimoni oculari, e tutto ciò che avevano

272

P. I.

-

DIO REDENTORE

udito e visto (cfr. Atti 2, 22; IO, 37-39) nella pratica quotidiana con lui. Solo ora si chiari loro il vero significato di molti suoi detti. In particolare, ora anche la sua morte, che prima era stata per loro un intollerabile mo­ tivo di scandalo (cfr. Mc. 8, 3 I-33), fu compresa nel suo valore effettivo » (]. Schmid, L'Evangelo secondo Matteo, Brescia I957, 470). Paolo di­ chiara che la risurrezione, assieme alla morte in croce, è il centro del suo messaggio salvi.fico (I Cor. I 5, I-2 I ). Quando si tratta di eleggere un altro al posto del traditore Giuda, Pietro mette come condizione il fatto ch'egli sia stato un testimone della risurrezione. Essere testimone della risurrezione è, per Pietro, la vocazione stessa dell'apostolato (Atti I , 22; cfr. 4,33 ; I O, 4 1 ).

Per gli increduli la risurrezione è pietra d'inciampo al pari della stessa morte del Figlio di Dio. Ne ridevano i liberali Sadducei e i boriosi Greci (Mt. 22, 23-32 ; Atti I7, 3 1 s.). Per chi si fonda solo sulla sua esperienza e sulla sua ragione è comprensibile che un uomo possa sopravvivere nel ricordo di un altro, nelle proprie opere o parole, e forse anche col suo spirito. Che sopravviva invece in carne ed ossa è qualcosa di inamissibile. Lo può accettare solo chi cominci a ragionare prendendo come base di partenza Dio. Quando costui sente dalla rivelazione che Dio ha fatto ri­ sorgere il suo Figlio Gesu Cristo, allora cessa di opporre a tale fatto il no della sua esperienza e del suo ragionamento umano. Muta il suo pensiero in armonia con quello di Dio. b) Anche i discepoli di C1·isto furono mutati, attraverso una lunga formazione, per poter divenire i testimoni della risurrezione. Essi erano stati da tempo preparati a questo evento, poiché ogni volta che Cristo predisse la sua passione aggiunse pure che egli il terzo giorno sarebbe risuscitato da morte. Ma essi obliarono quasi del tutto questi insegna­ menti, tanto essi erano lontani dai loro pensieri, dalle loro aspettative e dalle loro concezioni. Per questo furono sbigottiti quando sul Calvario videro fal­ lire tutte le loro speranze protese verso il regno di Dio. Anche quando il risorto apparve, rimasero ancora dubbiosi ed esitanti. Ma proprio questo comportamento dei discepoli è di grande importanza per ben valutare le testimonianze neotestamentarie riguardanti la risurre­ zione. Dimostra infatti che la figura del risorto non poté sorgere come un ideale vagheggiato (visione) dal fondo del loro subcosciente, quasi che la loro fede sia stata una creazione di una forza incosciente del loro spirito lottante contro la disperazione, e quindi una illusione trasmessa poi ad altri. A partire da Federico Strauss la teologia liberale spiega la fede pasquale

§ 1 5 8. DISCESA AGLI INFERI E RISURREZIONE DI CRISTO

273

nel Cristo risorto come un fenomeilo visionario, sia individuale sia di tutti i discepoli. Questa ipotesi ammette le apparizioni del risorto come qual­ cosa di reale, ma soggettivo, avveratosi nella coscienza dei discepoli ; nega quindi la storicità della risurrezione. L'affermazione che Cristo è risorto il terzo giorno non sarebbe altro, secondo tale ipotesi, che una interpre­ tazione teologica delle visioni che ebbero i discepoli. Questa spiegazione non si regge perché trascura l'iniziale disperazione dei discepoli (cfr. Le. 24, 19-2 1) e dimentica che per il passaggio dalla loro incredulità iniziale alla fede nella risurrezione del maestro si esige uno spazio di tempo ben piu lungo dei tre giorni, testimoniati unanimemente dalla tradizione. Il principale errore di metodo di questi teologi liberali sta nel fatto che essi non partono dallo studio accurato dei racconti evan­ gelici, ma dal presupposto teorico e aprioristico che nella storia non si può avverare alcun miracolo e che perciò ogni racconto, che ne riferisce qualcuno, dev'essere necessariamente leggendario. Presupponendo che la risurrezione è impossibile, cercano poi di spiegare come mai possa essere sorta la fede in Cristo risorto. Essi devono perciò forzare i racconti biblici e misconoscere la psicologia dei discepoli. Cfr. J. Schmid, L'Evangelo se­ condo Matteo, Brescia 1 957, 476. Anche il tentativo di H. S. Reimarus ( 1 778), che pretendeva a ttribuire i racconti della risurrezione a un inganno da parte dei discepoli, è asso­ lutamente inconciliabile col loro carattere e la loro disposizione psicolo­ gica susseguita alla morte di Cristo. Secondo questa teoria i discepoli, rapito il cadavere di Gesu, avrebbero poi mostrato, a prova della sua risurrezione, il sepolcro vuoto. Questa spiegazione non fa altro che ri­ prendere la propaganda che contro la risurrezione già avevano tentata i Giudei avversari di Gesu (Mt. 28, 1 2- 1 5) . Similmente è del tutto contrario al racconto biblico il fatto che, non i discepoli, ma che qualcun al tro, come Giuseppe d' Arimatea o un altro membro del Sinedrio, abbia aspor­ tato la salma e che i discepoli abbiano erroneameme interpretato il se­ polcro vuoto come una prova della risurrezione. In tal modo questi sa­ rebbero stati vittima di un errore. La loro predicazione sarebbe quindi frutto di un autoinganno. Contro ciò sta il fatto che Giuseppe d' Arimatea o i membri interessati del sinedrio hanno taciuto dinanzi alla prima pre­ dicazione apostolica, e, specialmente, il fatto che gli Apostoli non giunsero alla convinzione che Cristo era risorto dal sepolcro vuoto, bensi dalle sue apparizioni. Se gli Apostoli ci danno testimonianz_a sulla risurrezione di Cristo (Att(2, 32\ ciò dipende dal fatto che la realtà del Signore risorto li aveva _

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P. l.

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DIO REDENTORE

talmente impressionati e dominati da trasformarli completamente. Hanno il comando di predicare da colui che essi hanno visto e udito. Devono perciò testificare il risorto, incuranti di ogni pericolo e minaccia. Non pos­ sono tacere di ciò che, dopo le apparizioni del risorto Signore, li sorregge e urge nel loro cuore (Atti 3, I 6 ; 4, I9 s. ; I Cor. 9, I 6). Il Nuovo Testamento testifica in molti modi il fatto della risurrezione di Cristo, cosi importante per i discepoli. È il punto centrale delle testi­ monianze neotestamentarie su Cristo. È presupposto da tutto il Nuovo Testamento. c) La risurrezione del Signore crocifisso è la base su cui poggia la fede della comunità cristiana. Se essa fosse un inganno o una menzogna allora, secondo Paolo, la predicazione apostolica sarebbe frode ed errore. Allora regnerebbero ancora le antiche potenze delle tenebre, della morte e del peccato. Si riesce perciò a comprendere che i di scepoli, e special­ mente Paolo, anche con scapito della propria vita, abbiano a testificare la risurrezione del Signore. La risurrezione di Cristo appartiene, come abbiamo visto, a q uei fatti storici che gli Apostoli si ritengono autorizzati e obbligati di testimoniare. Cristo stesso li ha incaricati di questo. Egli, come ci racconta Luca (Le. 24, 44-48), dopo l'ultima apparizione disse loro : « Sono queste le cose, che io vi dicevo stando ancora tra voi, che cioè bisogna si adempia tutto quello che di me sta scritto nella Legge di Mosè e nei profeti e nei Salmi. Allora aperse loro la mente a comprendere le Scritture. Indi soggiunse : Cosi sta scritto, dover il Messia patire e risorgere da morte il terzo giorno e predicarsi in nome di lui penitenza e perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi di queste cose siete testimoni » . Lo scopo della predicazione apostolica a i Giudei e ai pagani è la fede nella risurrezione di Gesu ( I Tess. I, 9 s . ; Atti I 7, 3 I ; I J , 46; 4, 26). Quello che gli Apostoli annunciano e testimoniano non sono né miti, né umane speculazioni, ma fatti, e fatti salvifici. E li predicano come rali perché lo stesso Signore risuscitato ne ha spiegato loro il significato di salvezza. Di qui la loro continua pretesa di essere testimoni tanto della storicità dei fatti quanto del loro significato salvifico (Atti I, 8. 2 2 ; 2, 32; 3, I 5 ; 4, 33 ; 5,22; 7,44; I0, 4 I ; I 3 , 22. 3 I ; 14, 3 ; I 5 , 5 . 8 ; I 6, 2 ; 22, I 5 . 2o; 23, I I ; 26, 5· I 9). Trattandosi di sostituire Giuda, fu scelto uno che fosse stato testimone della risurrezione. « Occorre dunque che uno tra quelli che sono stati insieme con noi per tutto il tempo che il Signore Gesu è andato e venuto tra noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni

§ 1 58. DISCESA AGLI INFERI

E

RISURREZIONE DI CRISTO

27 5

sino al giorno in cui fu tra di noi assunto al cielo, sia fatto con noi te­ stimone della sua risurrezione » (Atti r, 2 1 s.). Anche la risurrezione è quindi ritenuta un avvenimento del tempo che il Signore ha dimorato con loro, proprio come il battesimo nel Giordano, la passione, la morte e la sepoltura ; si tratta dunque di un fatto storico. ( r ) La pili antica testimonianza è quella dell'Apostolo Paolo, scritta verSG il 56. L'Apostolo, avendo sentito che la fede nella risurrezione in­ contrava difficoltà presso i Corinti, i quali, seguendo il dualismo greco, disprezzavano il corpo, cosi loro scrive : « Vi rendo manifesto, o fratelli, l'Evangelo che vi annunziai, e che voi accettaste e nel quale state ; per il quale anche siete salvi, se lo ritenete cosi come ve lo annunziai, salvo il caso che abbiate creduto invano. In primo luogo infatti io vi trasmisi quello che anch'io ricevetti, che Cristo è morto per i nostri peccati se­ condo le Scritture, e che fu sepolto, e che fu risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che fu visto da Cefa e poi dai dodici. Poi fu visto da piu di cinquecento fratelli, in una volta, dei quali i piu sono tuttora viventi, e solo alcuni sono morti. Poi fu visto da Giacomo, poi dagli Apostoli tutti; in ultimo fu visto anche da me, come a un aborto. Io in­ fatti sono il minimo degli Apostoli, ché non sono idoneo ad essere chia­ mato Apostolo, appunto perché perseguitai la Chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio sono quel che sono, e la grazia a me concessa non riusci vana, ma ho faticato piu di tutti loro; non già io solo, ma la grazia di Dio con me. Dunque sia io che loro, cosi predichiamo e cosi avete creduto. Ora se si predica che Cristo è risuscitato da morte, come mai taluni tra voi dicono che non si ha risurrezione dei morti? Ma se non c'è risurre­ zione dei morti, neppure Cristo è risorto. Ora se Cristo non è risorto, vana è dunque la nostra predicazione, e vana la nostra fede. Ci si ritrova anche falsi testimoni di Dio, poiché testimoniammo contro la volontà di Dio, che egli risuscitò il Cristo, cui non risuscitò, se di fatto i morti non risorgono. Poiché se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; e se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede; voi siete ancora nei vostri pec­ cati. Dunque anche quelli che sono morti in Cristo, sono perduti. Se noi soltanto in questa vita abbiamo in Cristo riposta la nostra speranza, noi siamo piu miserabili di tutti gli uomini. Ora invece Cristo è risorto dai morti, primizia di quanti si sono addormentati » ( r Cor. 15, r-2 1). Per intendere questo passo è assai importante conoscerne lo scopo. Qui Paolo vuole non già risvegliare la fede nella risurrezione, ma approfon­ dirla e difenderla dalle obbiezioni. Perciò si richiama alla sua propria esperienza, cioè all'apparizione che egli ebbe sulla via di Damasco, e alla

l'.

I.

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DIO REDENTORE

tradizione secondo la quale Cristo risuscitò il terzo giorno ed apparve a Pietro e poi ai dodici. È assai importante sapere ciò che Paolo attribuisce alla tradizione che egli ha ricevuta, e ciò che attribuisce alla sua propria esperienza. La cosa si può decidere considerando la predica missionaria che egli, secondo il capo 1 3 degli Atti, tenne ad Antiochia di Pisidia. « O fratelli, figli della stirpe di Abramo, e chiunque tra voi teme il Si­ gnore : il verbo della salvezza fu inviato per noi. Infatti gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi, disconoscendo lui e le voci dei profeti che vengono lette ogni sabato, condannandolo, le adempirono, e senza avere trovato nessuna causa per ucciderlo, ne chiesero a Pilato la morte. Com­ pito alfine tutto ciò ch'era scritto di lui, lo deposero dalla croce entro un monumento. Ma Dio lo risuscitò di tra i morti, e per molti giorni egli apparve a quelli ch'erano saliti con lui dalla Galilea in Gerusalemme, ed essi ne sono ora testimoni al popolo. E noi pure vi rechiamo il lieto an­ nuncio che la promessa fatta ai padri Dio l'adempi per noi loro figli, suscitando Gesu, come anche è scritto nel salmo secondo : Figlio mio sei tu, io oggi t'ho generato ". L'averlo poi risusci tato da morte, destinato a non piu tornare alla corruzione, cosi lo predisse : " Adempirò per voi le misericordie a Davide promesse ", poiché dice ancora altrove : " Non lascerai che il tuo Santo provi la corruzione ". Eppure Davide, compiti nella sua vita i disegni di Dio, ebbe riposo, e fu riunito ai suoi padri, e subi la corruzione. Ma quello che Dio risuscitò, non subi corruzione. Vi sia dunque noto, o fratelli, come per lui vi è annunciata la remissione dei peccati, e che di tutte quelle cose da cui nella Legge di Mosè non poteste venire giustificati, viene giustificato in lui chiunque crede » (Atti 13, 26-39). Geiselmann cosi precisa il contenuto di questo passo : La passione di Gesu come adempimento delle profezie veterotestamentarie ; la sepoltura di lui come puro fatto storico senza riferimento alle profezie ; la risurre­ zione come compimento di promesse profetiche; l'appar:zione del risorto ai dodici, di nuovo senza riferimento alle profezie (1. R. Geiselmann, Jesus Christus, Stuttgart 195 1 , 28). (2) Con la predicazione di Paolo coincide, tanto nel contenuto quanto nella struttura, la predicazione di Pietro. Nel discorso di Pentecoste l'Apo­ stolo dice : « O Israeliti, ascoltate queste parole : Gesu di Nazaret, uomo da Dio comprovato presso di voi con grandi opere e prodigi e portenti che Dio operò per mezzo suo tra voi, come voi medesimi sapete, questo Gesu, secondo il determinato consiglio e la prescienza di Dio, catturato per mano d'iniqui, voi l'avete crocifisso e ucciso. E Dio lo risuscitò, scio­ gliendo i vincoli della morte, perché era impossibile ch'egli restasse in ··

§ 158. DISCESA AGLI INFERI E RISURREZIONE DI CRISTO

27 7

suo potere. Davide infatti dice di lui : " Ho avuto il Signore innanzi agli occhi sempre, ché egli sta alla mia destra affinché non vacilli. Perciò fu lieto il mio cuore ed esultò la mia lingua, e persino la mia carne ripo­ serà nella speranza : poiché non abbandonerai l'anima mia nell'inferno, né lascerai che il tuo Santo provi la corruzione. Mi mostrasti le vie della vita, mi empirai di letizia accanto a te " (Sal. 1 6, 8-I I ). O fra­ telli, · è permesso con voi di dire francamente del patriarca Davide che mori e fu sepolto e il suo sepolcro è tra di noi fino ad oggi. Ma essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento di far sedere uno dei suoi discendenti sul trono, previde e predisse la risurrezione del Messia, nel senso che egli non fu abbandonato nell'inferno, né la sua carne provò la corruzione. Questo Gesti Iddio lo risuscitò e tutti noi ne siamo te­ stimoni. Esaltato egli dunque alla destra del Padre, e ottenuta la promessa dello Spirito Santo, questo egli ha effuso, come voi vedete e sentite. Ché non certo Davide sali ai cieli ; eppure egli dice : '' Disse il Signore al mio S ignore : siedi alla mia destra, finché io avrò messo i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi ". Riconosca adunque fermamente tutta la casa di I sraele che lui appunto Iddio costitui Signore e Messia, questo Gesti che voi cro­ cifiggeste » (Atti 2, 22-36). Nella predica che Pietro tenne in occasione della conversione di Cor­ nelio a Cesarea troviamo lo stesso schema. « Allora Pietro prese a parlare e disse : In verità io riconosco che Dio non fa distinzione di persone, ma in ogni nazione chi lo teme e opera la giustizia è accetto a lui. Egli mandò la sua parola ai figli di Israele, annunciando la pace per Gesti Cristo, che è il Signore di tutti. Voi sapete quello che è accaduto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo annunziato da Giovanni : come Dio unse di Spirito Santo e di potenza Gesu di Nazaret, il quale passò facendo del bene e sanando tutti gli oppressi dal demonio, ché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose che fece nella terra dei Giudei e in Gerusalemme ; ed essi lo uccisero, configgendolo in croce. Ma Dio lo risuscitò nel terzo giorno e lo fece apparire manifesto, non a tutto il popolo, ma ai testimoni preordinati da Dio, a noi, che mangiammo e bevemmo con lui dopo che risorse di tra i morti. E impose a noi di predicare al popolo e attestare che egli è colui che fu costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. Di lui testificano tutti i profeti, cioè che riceve il perdono dei peccati per il suo nome chiunque crede in lui » (Atti Io, 34-43). La predicazione di Pietro differisce da quella di Paolo solo perché non ricorda la sepoltura. L'Apostolo delle genti invece parla pure della sepol-

P. I.

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tura non solo come fatto salvifico, ma anche come simbolo efficace del battesimo, nel quale l'uomo viene sepolto per partecipare a Cristo. La risurrezione di Cristo è pure testimoniata concordemente da tutti e quattro gli evangelisti (Mt. 28, 1-2 0 ; Mc. I 6 ; Le. 24; Gv. 20, 1 -23). Essi fanno ciò anche per smascherare i Giudei, i quali avevano sparso la diceria che il corpo di Cristo era stato rapito (Mt. 28, I I -Is). Nel Talmud tale diceria « è diffusa sino ad oggidi ». Il risorto si è mostrato solo « ai testi­ moni preordinati da Dio » (Atti I o, 4 1 ), i quali hanno il compito di an­ nunziare il lieto messaggio della sua risurrezione. Solo per opera dello Spirito Santo il fatto della risurrezione ebbe la piu vasta pubblicità. (3) Nella Scrittura per lo piu è detto che Cristo fu risuscitato dai morti (Le. 24, 34; Mc. I6, 6; Mt. 28, 6 ; Atti 2, 32; 3, 1 3. I 5 ; 4, Io; s, 30i IO, 40 i 1 3, 30. 37i I7 , 3 I ; l Cor. 1 5, 1 3. r s ) ; tuttavia alcune volte si dice che egli è risorto (Le. 24, 46 ; Mc. I 6, 9 ; Cfr. Atti 2, 3 1 ; 4, 3 3 i 26, 23 i Rom. I, 4 i 6, s ; Fil. 3 , I O ; I Piet. I, 3 i 3 , 2 1 ). Questo non in­ clude in sé alcuna contraddizione. Cristo fu risuscitato dai morti in quanto uomo, ma risorse per virru propria in quanto Dio. Se i passi in cui si dice che Cristo fu risuscitato, sono piu numerosi, ciò dipende dalla con­ cezione neotestamentaria di Cristo, la quale, pur asserendo chiaramente che egli è Dio, accentua tuttavia il fatto che la sua vita era stata preor­ dinata da Dio Padre. Questi con H miracolo della risurrezione ha mostrato che Cristo è suo Figlio ed è il Messia (Atti 3> r s ; 4· I O j s, 30 ; IO, 40 i 1 3, 30. 37). (4) Non è poi di grande importanza il fatto che in non pochi parti­ colari le varie narrazioni neotestamentade della risurrezione presentano delle divergenze. Le troviamo non solo tra le testimonianze paoline da una parte e quelle evangeliche dall'altra, ma anche tra quelle degli stessi Vangeli. Tali divergenze riguardano vari punti, come ad esempio le per­ sone alle quali il risorto apparve. Tutti e quattro gli evangelisti riferiscono l'episodio delle donne al sepolcro di Gesu il mattino di Pasqua. Marco e Luca tuttavia nominano tre donne, Matteo due, Giovanni solo una. Anche per le stesse esperienze, la loro qualità, il modo con cui Cristo apparve, le sue parole e i suoi comandi vi è non poca divergenza tra i vari racconti. Kotevole la diversità dei luoghi in cui il risorto apparve : Luca non riferisce nessuna apparizione in Galilea ma solo alcune in Ge­ rusalemme, mentre gli altri tre evangelisti conoscono apparizioni sia in Galilea che in Gerusalemme. Risulta chiara l'esistenza di una duplice tradizione relativa alle apparizioni del Signore : una gerosolimitana pre­ sentataci da Luca e l'altra galilea conservataci dagli altri Evangeli.

§ 158. DISCESA AGLI INFERI E RISURREZIONE DI CRISTO

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(5) Nonostante queste divergenze il racconto della risurrezione con­ serva il suo completo valore storico. Dal modo con cui si parla si vede che gli evangelisti non si interessarono di elencare tutti i luoghi delle apparizioni, che i testimoni furono intimamente sconcertati da quell'evento strano e inaspettato in modo che non poterono darne una relazione con l'esatta materialità di un protocollo, ma tradiscono l'eccitazione di quel­ l'ora. Tuttavia nei punti essenziali l'accordo è completo. J. Schmid enumera i seguenti punti di accordo : aa) La certezza dei discepoli che la risurrezione è un fatto storico. Nonostante gli eventi del venerdi santo, tutti credono subito che il Maestro giustiziato e sepolto è risorto ed è apparso a diversi di loro. bb) Il fatto del sepolcro vuoto. cc) La fissazione del tempo, ossia che la risurrezione avvenne nel terzo giorno. dd) La limitazione delle apparizioni a un determinato periodo di tempo. Esse sono quindi distinte dalle successive apparizioni o visioni del Signore . Se Paolo accentua espressamente che Cristo da « ultimo » ap­ parve anche a lui, vuoi dire che dopo non vi furono piu apparizioni di tale genere e che perciò esse sono da distinguere dalle visioni che Paolo ebbe altre volte (2 Cor. 1 2, 1 ; dr. Atti 1 8, 9 ; 22, 1 7 s. ; 23, 1 1 ; 2 Cor. 1 2, 7). ee) La nuova forma di esistenza del risorto, che tuttavia conserva una vera corporeità. ff) La fede nella risurrezione non fu causata dal sepolcro vuoto, bensi dalle apparizioni. gg) La risurrezione è un miracolo operato da Dio per il Messia. hh) L'avvenimento stesso della risurrezione non è affatto descritto. Nessuno infatti si era trovato presente come testi­ mone oculare. « Ma proprio questo deve venire addotto come una prova fondamentale : che essi intendono narrare la storia e non una leggenda ». Inoltre è da attribuirsi particolare valore al fatto che « il sepolcro vuoto non servi in alcun modo per rafforzare la credenza nella risurrezione. D alle affermazioni delle donne che avevano visto il sepolcro vuoto, non si è affatto dedotto che il Cristo doveva essere risorto. Luca e Giovanni dicono esplicitamente che il sepolcro vuoto aveva dapprima suscitato solo stupore e meraviglia. I due discepoli di Emmaus, pur sapendo che il sepolcro era vuoto, non furono affatto indotti alla convinzione che Cristo doveva essere risorto (Le. 24, 22-24). Maria di Magdala, secondo Gv. 20, 1-15, alla vista del sepolcro vuoto rimane solo turbata e perplessa e pensa che il corpo di Cristo fosse stato sottratto. Anche secondo Marco e Matteo non è il sepolcro vuoto ma la parola angelica a convincere le donne che il Cristo era risorto. E questa convinzione non è ancora salda e lieta fede pasquale, perché le donne fuggirono via prese da terrore e da sbigottimento (Mc. 1 6, 8). Sono esclusivamente le apparizioni del risorto che dànno

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ai discepoli la certezza che egli vive veramente. Ne deriva la insoste­ nibilità dell'opinione moderna secondo cui il sepolcro vuoto sarebbe vi­ ceversa una creazione posteriore della fede pasquale, originata da espe­ rienze estatiche e intesa a convalidarla, oppure non altro che un'ovvia deduzione di quella » (J. Schmid, L'Evangelo secondo Matteo, Brescia 1 957, 474 s.). Gli scrittori neotestamentari dunque non si preoccuparono anzitutto di esporre ordinatamente tutti i particolari della risurrezione, bensi il fatto in quanto tale. Del resto le divergenze si possono spiegare psicologicamente. I racconti evangelici « rispecchiano bene, nella loro apparente discor­ danza, il disordine e l'eccitazione di quelle prime ore del giorno della risurrezione in cui s'incrociavano le notizie piu contraddittorie. Tale incoe­ renza è proprio un argomento in favore del carattere primitivo e della credibilità dei racconù evangelici appunto perché non lascia sospettare elaborazioni artificiose delle notizie o tentativi anche minimi di armoniz­ zare : tali racconti ci vogliono presentare solo, con semplicità e fedeltà, l'impressione immediata che i testimoni oculari ebbero a provare. Lo stesso carattere originario e sincero risulta dalla concisione, anzi dalle stesse lacune dei racconti. Se gli evangelisti avessero voluto inventare favole, il fenomeno straordinario della risurrezione offriva loro un materiale abbon­ dantissimo. Basti confrontare l'apocrifo Vangelo degli Ebrei, specialmente l'altro, pure apocrifo, Vangelo di Pietro, oppure l'antica versione slava della Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio. In questi scritti l'evento della risurrezione diventa un fenomeno cosmico che scuote l'universo sotto gli occhi attoniti dei Romaru e degli Ebrei. Gli autori non possono far di piu per esagerare fino al grottesco i minimi particolari. Anche negli apocrifi Discorsi di Gesu con i suoi discepoli giunti a noi nelle versioni etiopica e copta, vengono poste sul labbro del risorto una quantità di massime e sentenze che, evidentemente, sono fiori dell'eloquenza abbondante ed am­ pollosa dell'autore. Nulla di simile ci riferiscono i Vangeli. È degno di nota un fatto che mette in rilievo la loro sobrietà nel raccontare : gli evan­ gelisti non parlano per nulla della risurrezione propriamente detta, ma solo del risorto. Ciò che il risorto dice è conforme al suo stile dottrinale conciso, risoluto, discreto ; è perfettamente intonato alla sacra serietà del momento. Se teniamo presente lo stile diffuso degli evangelisti nel rac­ contarci il resto della vita di Gesu, dobbiamo precisamente asserire che poco importava agli autori dei Vangeli, come per altro specialmente a S. Paolo, di darci un racconto particolareggiato della risurrezione di Gesti. Piuttosto essi vogliono parlare della risurrezione solo in quanto essa è la

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conclusione gloriosa di una vita veramente divina, l'Amen di Dio su tutto quanto Gesu ha compiuto sulla terra » (K. Adam, Gesu il Cristo, Brescia 1935, 2 1 6 s.). cl) I Padri, soprattutto quelli greci, hanno esaltata la risurrezione di Cristo presentandola come vittoria sulla morte, come garanzia, anzi come anticipazione della nostra stessa risurrezione. Bastino i seguenti cenni. Origene cosi afferma : « Nessuno, al sentirei cosi parlare, sospetti che noi siamo di quei cristiani che, pur proclamandosi tali, negano la risurrezione di Cristo attestata dalle Scritture. Non diciamo che la carne torni in vita con le sue precedenti caratteristiche, cosi come non diciamo che il chicco di frumento affidato al terreno diventi nuovamente lo st.:sso chicco di frumento » (Contra Celsum, 5, 22, 23). Cirillo di Gerusalemme dichiara :

c Testimoni della risurrezione furono i suoi Apostoli. Essi ci assicurano dell'avvenimento storico della risurrezione non con discorsi da letterati, ma lottando per questa realtà fino ai supplizi e fino alla morte » (Catech., 4, 13). Atanasio scrive : « Non è senza ragione che il Verbo ha preso in sé le ahre debolezze del corpo : è perché noi non fossimo piu solo uomini, ma, appartenendo ormai al Verbo, partecipassimo alla vita eterna. È dunque finita quanto alla morte che deriva dalla nostra prima nascita in Adamo : questa nascita e tutte le altre miserie della carne sono state trasportate nel Verbo; noi, nati dalla terra, vediamo la maledizione del peccato abolita da colui, che in noi e per noi, è dive­ nuto maledizione. Ed è giusto. Allo stesso modo che, fatti di terra, moriamo io Adamo, cosi, rigenerati dall'acqua e dallo Spirito, noi siamo rutti vivificati in Cristo. Ormai la carne non è piu cosa terrestre, essa è stata verbificata, a causa del Verbo di Dio, che per noi è divenuto carne » (Orat. adv. An'anos, 3, 33). Altrove, commentando il passo di S. Paolo (Fil. 2, 9) : « Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, perciò Dio l'ha esalrato », dice : « Il Verbo, immagine del Padre, ed eterno, ha preso la forma di schiavo e ha sofferto, per causa nostra, la morte nella sua carne, alfine di offrirsi per noi al Padre con la morte. Pertanto si dice che, come uomo, a causa nostra e per noi, egli è esaltato. Allo stesso modo che, con la sua morte, noi tutti siamo morti in Cristo, cosi, nel medesimo Cristo, siamo tutti esaltati, risuscitati dai morti e introdotti in cielo. " Al cielo Gesti è entrato come nostro precursore " (Ebr. 6, 2o); è entrato, non nelle figure del­ l'antica legge, ma nel cielo propriamente detto, '' al fine di stare davanti a Dio per noi " (Ebr. 9, 24). Come si dice che egli è entrato nel cielo, benché sia per sempre il Signore e il creatore dei cieli, cosi si dice che è esaltato per noi. È pure scritto (Gv. 1 7, 19) che il Verbo che santifica, si santifica lui stesso davanti al Padre per noi. Non già che egli debba diventare piu santo, ma per santificarci tutti in lui. Ora, allo stesso modo si deve comprendere il testo presente : Dio l'ha esaltato non per rendere piu elevato lui : egli è l'Altissimo; ma perché dive­ nisse nostra giustizia e perché noi fossimo esaltati in lui » (Orat. adv. Arianos, 1, 41). Giovanni Crisostomo scrive : « Se Cristo fosse rimasto morto e non fosse risorto come spiegare che coloro i quali, lui ancora vivente, fuggirono di fronte al pericolo incombente, lui morto, andarono incontro a mille pericoli? Tutti in-

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fatti fuggirono, e Pietro lo rinnegò tre volte con giuramento; e proprio Pietro che l'aveva cosi rinnegato ed aveva avuto timore di una misera fantesca, dopo che Cristo era morto, quasi per assicurarci col suo stesso comportamento che l'aveva visto risorto, fu cosi repentinamente trasformam da non temere tutto un po­ polo, da gettarsi in mezzo ai Giudei e proclamare, senza timore, che colui che fu crocifisso e sepolto era risuscitato il terzo giorno e asceso al cielo. Donde gli venne tanta sicurezza? Donde se non dalla certezza della risurrezione? » (In princ. Actorum horn., 4, 8; PG. sr , 109). Leone Magno (Sermo 71, 4; PL. 54, 388) scrive : « Non discorda da questa fede l'apostolo Paolo, maestro delle genti, quando dice :

" Anche

se abbiamo

conosciuto secondo la carne il Crism, ora non lo conosciamo piu cosi ., (2 Cor.

s, r6). La risurrezione di Cristo infatti non fu la fine della sua carne, ma una trasformazione; la sostanza non fu consumata dall 'accrescimento d i potenza. Pas­ sarono certe qualità, non scomparve la natura; divenne impassibile quel corpo che poté essere crocifisso;

divenne immortale quello che poté essere ucciso, e

divenne incorruttibile quello che poté ignorare la carne di Cristo in

essere piagato. Giustamente diciamo di

quello stato in cui si manifestò, perché niente

rimase in essa di passibile o di fragile, essendo sostanzialmente la medesima di prima, ma non per la gloria. Quale meraviglia che Paolo affermi questo del corpo di Cristo, quando

proclama cosi di tutti i cristiani spirituali :

" D'ora innanzi

noi non conosciamo piu nessuno secondo la carne "? (ibid.). Il principio della nostra risurrezione in Crjgro, egli dice, proviene proprio dal fatto che la raffigu­ razione di tutta la nostra specie è preceduta in lui, che è morto per tutti. Noi non esitiamo per la poca fiducia, né restiamo sospesi per una aspettativa incerta; ma accogliendo l'esordio dell'aspettativa, già guardiamo con gli occhi ddla fede al futuro, e godendo della elevazione della nostra natura, già teniamo quanto crediamo » (trad. A. Pucceni).

e) Anche la risurrezione di Cristo, come la sua discesa nell'oltretomba, non si può spiegare con l'influsso dei miti pagani, che parlano della morte e della risurrezione di vari loro dèi. Questa sol uzione fu tentata dalla teologia liberale, per la quale la smitizzazione del cristianesimo include pure l'eliminazione della storicità della risurrezione. Si è pensato a Marduk, Baal, Tammuz-Adone, Osiride, Atti, Dioniso-Zagreus, divinità tutte, che, secondo l'opinione dei loro adoratori, morivano e risorgevano, e si è tentato spiegare la fede dei discepoli nella risurrezione pasquale proprio con l'accettazione della credenza mitica della risurrezione di questi dèi assai diffusa a quel tempo. In modo particolare va ricordato R. Bultmann con la sua teoria della smitizzazione del cristianesimo. Per lui i racconti della risurrezione sono spiegazioni teologiche, fatte con le immagini dell'an­ tica concezione del mondo, del valore salvifico che la passione e la morte di Cristo hanno per la vera e autentica esistenza cristiana. Cfr. R. Marlé, Bultmann e l'interpretazione del Nuovo Testamento, Brescia 1958. La fede nella risurrezione è sorta nella primitiva comunità palestinese

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e quindi esisteva già ancora prima che i cristiani si incontrassero con i miti ellenistici e ne potessero subire l'influsso. Di piu tra i racconti evan­ gelici della risurrezione e i miti ellenistici vi è un forte divario : le divinità pagane, secondo la fede dei loro adoratori, rinascono di continuo, ogni anno ; sono quindi personificazioni di eventi naturali che si ripetono se­ condo un corso perenne. Secondo la credenza biblica la risurrezione è un evento unico, irripetibile attribuito a una personalità storica, Gesu Cristo. Si può tuttavia vedere nei miti del paganesimo un presentimento e un oscuro anelito di ciò che in realtà si è avverato in Cristo. f) Come possiamo rappresentarci la risurrezione di Cristo e il corpo del risorto? ( 1 ) Si tratta di un mistero di Dio, che noi possiamo accettare solo per fede ( 1 Cor. 15, 5 1 ). Presupposto della risurrezione è la morte. I tor­ menti della crocifissione, il colpo di lancia, il sepolcro, la grossa pietra dinanzi ad esso, le guardie che vi furono poste, sono tutte prove che smentiscono l'affermazione di coloro che dubitano della morte reale di Cristo. La sua morte, come quella di ogni uomo, fu veramente una fine, la fine irrevocabile di questa vita. Non fu solo una porta da attraversare per continuare poi la stessa vita di prima. Tale era il malinteso dei Sad­ ducei (Mt. 22, 23-30). Se Cristo fosse di nuovo tornato come prima, per continuare perennemente la sua vita anterior�, allora il racconto della ri­ surrezione recherebbe il segno certo d'eso:,o ···: un puro mito. La morte non fu solo un passaggio. Essa creò piutto · (J qualcosa di nuovo. La vita del risorto non è la continuazione delh dta precedente alla risurrezione. Fu un'alt�a .vi!�- C�;- ìa 'ì:ìione� Yes i � : �HZa-prec�dente- fu trasmutata ; soprat: rutto non è piu soggetta alla 1, �ge dello spazio e del tempo come prima. Certo, è ancora legata a spa2: , �· e tempo, come essenzialmente esige il suo stato corporeo. Il Signore risorto non è onnipresente o in parecchi luoghi contemporaneamente. Cristo è si . o_nnipresente, ma solo per la sua natura clivii)a, non per la natura !.!!Dan a. Tutte le supposizioni del sec. VIII che, per il fatto della unione ipostatica, attribuivano l'inunensità divina al·· l'umanità di Cristo, furono condannate dal II Concilio di Nicea (VII ecu­ menico) dell'anno 787 : Se qualcuno non ammette che Cristo secondo la sua natura umana è circoscritto, sia anatema. Siccome dagli atti del con­ cilio appare che questa dichiarazione non fu sottoscritta dai Padri, l'opi­ nione contraria non è ancora formalmente un'eresia, ma urta contro il senso della fede e l'ordinario magistero della Chiesa e perciò si accosta assai da vicino all'eresia (cfr. pure Denz. 874). Nella tarda scolastica risorse l'opinione sulla ubiquità della wnana natura di Cristo, opinione

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accolta da Lutero per spiegare la sua concezione eucaristica (Mansi, Con­ ciliorum nova et amplissima collectio, 1 767, t. XIII, col. n6; 339; 4 1 5 ; Denz. 307). Cfr. § 1 82, II. Tuttavia, anche se Cristo nella sua natura glorificata è legato allo spazio, non lo è piu nel modo nostro, per cui noi non riusciamo a immaginarci tale sua vita. Prima, Cristo andava con i suoi discepoli, mangiava e beveva con loro, parlava loro, ora improvvisamente appare loro mentr'essi si tro­ vano in una stanza chiusa o camminano per via. I limiti dello spazio e del tempo non esistono dunque piu per lui. (2) Gli Evangeli testificano sia la realtà del suo corpo risorto che la diversità di esso da quello terrestre prima avuto. Dalle loro narrazioni appare che le parole umane non sono capaci di esprimere il mistero del corpo trasfigurato, dato che esso supera ogni nostra esperienza. Talvolta, accentuano talmente la trascendenza di Cristo sul tempo e sullo spazio, sulla « carne e sul sangue », da dare l'impressione che il risorto sia soltanto spirito (cfr. Gv. 20, 1 7 ; 20, 19-23; Le. 24, 1 5. 3 1 . 36). È per questo che i suoi non sempre lo riconoscono a prima vista (Le. 24, 16-32 ; Gv. 20, 1-1 8). Tal altra presentano Cristo nella sua piena corporalità : mangia e beve con i suoi, si fa toccare (Le. 24, 39· 42 s. ; Mc. 12, 20-2 3; Mt. 28, 9; Gv. 20, 20-27). La teologia liberale proprio da questi contrasti, vuole dedurre che i racconti della risurrezione non sono attendibili. In realtà non si tratta qui di aspetti contraddittori ma complementari, che cercano di rappresentare la nuova forma di esistenza iniziatasi per Cristo. Ciò risulta anche dal fatto che tali contrasti non provengono da Evangeli diversi, ma si rinvengono in uno stesso evangelo. Gli autori vogliono quindi sottolineare che il risorto, diversamente da un puro spirito, ha un'essenza corporea, ma, nello stesso tempo, non ha piu un corpo materiale come il nostro. In tal modo i racconti della risurrezione di Cristo si diversificano totab:_ nte sia dalla dottrina giudaica della risurrezione sia dalle teorie greche dell'immortalità. (3) Paolo ha cercato di mettere in rilievo le differenze tra la vita di Cristo risorto e quella precedentemente da lui vissuta, mediante il para­ gone del chicco di frumento e della pianta. « Ma dirà alcuno : Come risorgono i morti? Con quale corpo poi tornano? Stolto ! quel che tu se­ mini non germina se non muore ; e quel che semini non è il corpo che nascerà, ma un nudo chicco di frumento, ad esempio, o di altro, e Iddio poi gli dà corpo come ha voluto : a ciascun seme il proprio corpo. Non ogni carne è la stessa carne, ma altra è la carne degli uomini, altra quella degli animali domestici, altra la carne degli uccelli, altra quella dei pesci.

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E vi sono corpi celesti e corpi terrestri; ma altro è lo splendore dei ce­ lesti e altro dei terrestri ; altro è lo splendore del sole, altro è quello della luna, e altro quello degli astri, poiché un astro differisce dall'altro per splendore. Cosi sarà anche della risurrezione dei corpi. Si semina il corpo corruttibile, risorge incorruttibile, si semina spregevole, risorge glorioso; si semina debole, risorge nella forza ; si semina corpo animale, risorge corpo spirituale. Se vi è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. E sta scritto cosi : Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente, l'ul­ timo Adamo è spirito vivificante. Ma non è prima lo spirituale, bensi l'animale. Il primo uomo tratto dalla terra, fu terrestre ; il secondo è dal cielo... Ecco io vi annunzio un mistero : tutti non morremo, ma tutti saremo trasformati » (1 Cor. I 5, 35-5 I). Paolo vide il Cristo come un essere luminoso. Il corpo era trasfigurato. Sul volto di Cristo vide brillare la gloria di Dio. Tra lo splendore che lo attorniava udi una voce che diceva : Io sono Gesti. Questa parola che tra lo splendore della gloria gli annunciava che l'apparso era il Cristo, ritorna di continuo nella pre­ dicazione dell'Apostolo : « Ché Iddio, il quale disse : dalle tenebre splenda la luce, egli brillò nei nostri cuori per l'illuminazione della scienza della gloria di Dio che risplende nel volto di Cristo » (2 Cor. 4, 6 ; cfr. I Cor. 4, 6; 9, I i IS, 8; Gal. I , 1 2. I6; Atti 9, I ss. ; 22, 4 s. ; 26, 9 ss.). Il risorto aveva un corpo spiritualizzato, informato e dominato dallo Spirito Santo. Paolo dice espressamente che è divenuto Spirito (pneuma: 2 Cor. 3, I 7). Egli ha esperimentato che il fulgore della sua apparizione, la maestà del suo volto può distruggere i malvagi (2 Tess. 2, 8 ; I, 9 ; cfr. H. Kahlefeld, Der Herr des Paulus, in Akad. Bonìfatius-Korr., 5 I, I936, 64 s.). (4) La natura umana di Cristo durante la vita terrestre rivelava bensi la gloria divina, ma nello stesso tempo la nascondeva ; si può anzi dire che la nascondeva di piu di quanto la rivelasse. Con la risurrezione, invece, la gloria divina apparve chiaramente attraverso il corpo glorificato. Coloro a cui Dio dona la capacità di vedere la gloria di Dio, la possono contem­ plare. La umana natura può accogliere in sé la gloria del Verbo di Dio senza struggersi dinanzi al suo fulgore, solo se la potenza divina la sor­ regge con nuove energie, solo se essa ne viene trasformata. Ciò che Pinsk dice dell'ascensione di Cristo al cielo, si può già applicare alla sua risur­ rezione. « Cosi dunque la umana natura di Gesu, senza perdere il carat­ tere di creatura materiale, senza perdere la sua rassomiglianza sostanziale con la polvere di questo mondo da cui fu tratta al pari di ogni altra natura umana, subisce una trasformazione che la rende capace di rive­ stire, senz'essere disorganizzata, la pienezza della vita divina e di mani-

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festarla fedelmente. Se si pensa che una lampada a basso vol taggio, quand'è innestata su un voltaggio superiore subito brucia, si può capire che cosa significhi per la natura umana di Cristo l'ascensione al cielo : fatta per la debole corrente della vita creata - polvere com'è di questo mondo viene introdotta nel torrente della eterna vita divina che circola tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Ormai deve sostenere tali energie di vita divina nelle quali trova la sua suprema perfezione » (]. Pinsk, Aufgefahren in den Rimmel, in Ich glaube, edito da Grosche, 1 9 37, 16). (5) La trasformazione del corpo di Cristo avvenne per opera dello Spirito Santo. Secondo la teologia dei Padri greci lo Spirito Santo è il fiore, l'effluvio e il fiotto della vita divina. Egli è la perfezione dell'azione divina ad extra. Tutto quanto esiste, è un'effusione della sua persona. Tutto è fatto dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Secondo i Padri latini dal tempo di Agostino, lo Spirito Santo è l'amore che unisce il Padre e il Figlio, è la manifestazione e l'attuazione di questa unità e vincolo d'amore. Comunque si voglia spiegare il mistero, egli è colui nel quale l'amore divino si rivolge al mondo. È quegli che ha plasmato il corpo di Cristo, il volto divino manifestatosi al mondo. Per mezzo di Cristo è stata eliminata l'inaccessibilità divina. In lui Iddio ci ha svelato la sua natura. Noi andiamo a Dio per mezzo di Cristo. Ma è lo Spirito Santo che ci svela il mistero di Dio al quale Cristo ci introduce . Ont lo Spirito Santo trasforma l'umana natura di Cristo, da lui creata, in modo che presenti e faccia rifulgere la gloria di Dio, sicché gli occhi umani, a ciò adatti, la possano contemplare in tutto il suo fulgore. Lo Spirito Santo, che è amore, imprime necessariamente, nella natura umana di Cristo, il sigillo dell'amore, per cui nel risorto l'amore rifulge con chiarore nuovo e irraggia visibilmente. Siccome la natura umana di Cristo è total­ mente permeata e plasmata dallo Spirito Santo, in modo da esserne come spiritualizzata, ne consegue che Cristo è lui stesso chiamato « spirito » (pneuma: 2 Cor. 3, 1 7). Tuttavia solo quelli che da Dio ne ricevono il dono, possono vedere la natura glorificata del Figlio di Dio (cfr. Atti 7, 5 5 s. ; 9, 4 s.). Dobbiamo asserire che Cristo, per rendersi visibile ai discepoli, dovette assumere una particolare forma di manifestazione nella quale si racchiudesse lo splen­ dore divino irradiante dalla carne glorificata. (6) La natura umana di Cristo, nonostante la sua trasformazione, non divenne qualcosa di totalmente nuovo. È quella di prima ma trasmu­ tata. Ciò che fu reso glorioso dallo Spirito Santo è proprio quel corpo che tutto insanguinato stava appeso alla croce, che, avvolto da panni, fu de-

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posto nel sepolcro e fu custodito dalle guardie. A prova che i discepoli non hanno visto un puro spirito, che non furono vittime di una ill usione, Cristo fa esperimentare la realtà del suo corpo. I suoi discepoli possono mettere il loro dito nelle piaghe delle sue mani, e la mano nella ferita del suo costato; sentono la sua voce. Lo riconoscono nel modo con cui spezza il pane. Egli aveva sempre fatto come quella sera in Emmaus (Le. 24, 30. 43) e quante volte essi avevano visto quel gesto ! Il risorto è quindi proprio il crocifisso, ma trasformato profondamente. Al dire di Giovanni di Damasco: « Dopo la risurrezione egli ha eliminato tutto ciò che era doloroso : piu non perisce, piu non ha fame o sete, piu non sente bisogno di riposarsi per la stanchezza. Anche dopo la risurrezione egli prese del cibo; ma non perché sentisse lo stimolo della fame, ma solo perché i discepoli potessero avere la certezza della sua risurrezione e sa­ pessero che lui, il risorto, era proprio in carne ed ossa colui che tanto aveva patito » (De fide orthodoxa, 4, I). g) Cristo è risorto come capo dell'umanità. Nulla infatti s'avverò in lui che non avesse in pari tempo valore per gli altri. La risurrezione è quindi un'opera di redenzione, e fa parte del mistero di salvezza ( § 1 54). Dio attua la salvezza attraverso la croce e la risurrezione con misterioso c impenetrabile atto di grazia. ( I ) Anzitutto nel risorto si manifesta chiaramente che cosa sia la re­ denzione « Piena chiarezza sul concetto di redenzione viene unicamente dalla risurrezione, non soltanto nel senso che ci fa manifesto chi è Dio, chi siamo noi, e cosa è il peccato; non soltanto nel senso che è indicata la via al nuovo operare dei figli di Dio e data la forza di cominciare e di condurre a termine ; e neppure unicamente nel senso che la colpa viene espiata, e cosi il perdono si innesta in una sovrabbondanza di carità e di giustizia, ma in un senso piu vasto o, detto con maggiore precisione, piu concreto : redenzione significa che la potenza innovatrice dell'amore di Dio investe il nostro essere vitale. Realtà, dunque, non solo idea, senti­ menti, orientazioni della vita. La redenzione è il secondo divino inizio, dopo il primo della creazione. E quale inizio ! Se qualcuno chiedesse : Che cosa è redenzione, aver redento, essere stati redenti? - La risposta dovrebbe essere : È il risorto. Lui nella sua esistenza concreta, nella sua umanità gloriosa è il mondo redento. Ecco perché si chiama " Primo­ genito di tutte le creature, primo frutto, primizia ". In lui la creazione fu trapiantata nell'esistenza eterna di Dio. Ora egli sta nel mondo in fun­ zione di imperturbabile Principio. Opera a guisa di giovane fiamma che seguita ad ardere, a guisa di porta che invita ad entrare, a guisa di cam.

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DIO REDENTORE

mino vitale che chiama perché lo si segua. In lui, il risorto, tutto deve essere attratto a condividere la sua gloria » (R. Guardini, Il Signore, ed. cit., 435-436). (2) La risurrezione di Cristo è inoltre preludio e caparra della nostra stessa risurrezione (Atti 1 3, 37; 1 Cor. 1 5 , 2 1 ; Fil. 3, 10 s. ; Gv. 1 1 , 25). Secondo indubbi passi biblici, il battezzato partecipa alla morte e alla risurrezione di Cristo. Il credente, con il battesimo, entra nella zona di influsso di Cristo, penetra nel campo operativo della sua morte e risur­ rezione. La redenzione si completa nella risurrezione della carne. « Tutti in Cristo saranno vivificati; ma ciascuno nel suo ordine. Cristo è la pri­ mizia, poi alla fine, al suo ritorno verranno tutti coloro che sono di Cristo » (1 Cor. 1 5 , 22 s.). Paolo scrive ai Colossesi : « Con lui voi siete risorti, per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risvegliato dai morti » (Col. 2, 12 s.). « Egli ci ha risvegliati in Cristo » (Ef. 2, 6; anche Rom. 8, 2. 9). Questi passi ci assicurano che il credente è già risorto con Cristo. Ma d'altro canto la nostra risurrezione è ricordata come un evento del futuro (Rom. 8, 10 s. ; 2 Cor. 5, 4). Anzi Paolo afferma esplicitamente che l'opi­ nione di coloro, che suppongono già avvenuta la risurrezione, è come una cancrena che va serpeggiando (2 Tim. 2, 1 8). Come riunire queste affermazioni tra loro opposte? Si deve dire che, secondo Paolo, nel cre­ dente è già stato deposto, con il battesimo, un germe che raggiungerà il suo pieno sviluppo nella risurrezione finale. Di già il credente è dominato dal Signore risorto (Gal. 2, 20). Ma la vira che in lui è immessa, resta tut­ tora invisibile e tale rimarrà sino al ritorno di Cristo (Col. 3, 4). Deve passare lungo le prove del pellegrinaggio terreno. Era stato l'abbaglio di Imeneo e di Fileto, due cristiani della comunità affidata a Timoteo, quello di non voler prendere sul serio le croci di questa terra e di fantasticare per questa vita la gloria della futura terra rinnovellata. Il cristiano è, si, un risorto, ma solo perché in lui già sono all'opera le forze che sfoceranno nella risurrezione. Egli tuttavia vive ancora nella speranza di questa, poi­ ché nella sua vita non vede ancora la manifestazione della sua gloriosa redenzione. (3) Ma non è solo l'uomo che parteciperà alla risurrezione di Cristo, bensi l' universo intero. Per colpa dell'uomo il mondo era stato soggetto alla caducità. Ma con la risurrezione di Cristo gli sono state immesse delle forze possenti che lo condurranno a nuovi cieli e a nuova terra. Frutto questo non di uno sviluppo naturale, bensi di un intervento gra­ tuito di Dio (Rom. 8, 9 ss.). Maggiori spiegazioni si troveranno nei trat­ tati sulla Grazia e sui Novissimi.

§ 1 5 9 . L ' ASCENSIONE

§ 159.

DI

CRISTO AL CIELO

L'Ascensione di Cristo al cielo.

l . Cristo è asceso al cielo sia con l'anima che con il corpo e siede alla destra di Dio Padre. È dogma di fede espresso in tutti i simboli. -

2. Cristo predisse che sarebbe tornato al Padre (Gv. 6, 62; I4, 2; I 6, 28; 20, I7). Quando, discorrendo sul pane di vita, presentò la sua carne e il suo sangue come il vero nutrimento delle anime e vide il pe­ ricolo che i suoi discepoli si scandalizzassero, cercò di far loro elevare lo sguardo al di là di quest'esistenza terrestre per loro mostrare la sua esi­ stenza sp}rituale. Essi vedranno la carne spiritualizzata del Figliuol del­ l'uomo tornare là donde era venuta. Là egli si è recato per preparare le dimore ai suoi amici e per inviare su di loro lo Spirito Santo. Il Figliuol dell'uomo ha il diritto di sedere alla destra del Padre (Mt. 26, 64). Ora quello che era stato predetto, si è davvero avverato alla presenza dei discepoli : « I convenuti dunque gli domandarono : Signore, è questo il tempo che ristabilirai il regno d'Israele? Egli rispose : Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti; il Padre li ha serbati nella sua potestà ; ma voi riceverete forza di Spirito Santo, quando verrà su di voi ; e mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria, e fino alle estremità della terra. E detto questo, mentr'essi guardavano, si levò in alto, e una nuvola lo nascose agli occhi loro. E com'essi avevano ancora gli occhi fissi in cielo mentr'egli se ne andava, ecco due uomini, in bian­ che vesti presentarsi, e dire : Uomini di Galilea, che cosa state riguar­ dando in cielo? Questo Gesu che è stato assunto in cielo di mezzo a voi, verrà nella medesima maniera che lo avete visto salire al cielo » (Atti I, 6- I Z ; cfr. 2, 33; 3, 2 I ; 5, 3 I s. ; Mc. I6, I 9 ; Le. 24, 50 ss. ; Ef. 4, 8 s.; Rom. IO, 6; I Piet. 3, 2 I s.). « Questo è il mistero della pietà : Colui che si manifestò in carne, che fu giudicato nello Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunziato alle Genti, fu creduto nel mondo e assunto nella gloria » (I Tim. 3, 16). Quivi, alla destra di Dio Padre, lo vide Stefano quando gli si palesò la gloria di Dio (Atti 7, 5 5 s.). Risurrezione e ascensione sono talvolta testimoniate assieme; il che avviene nei passi dove si parla della esaltazione o della glorificazione di Cristo, che comprende entrambe le cose : risurrezione e ascensione (Le. 24, 26; Mt. 22, 44; specialmente Fil. 2, 9 s.). Il fatto che l'ascensione sia strettamente unita con la risurrezione ci assicura del suo carattere storico. Fin qui Cristo risorto apparteneva in -

P. L

-

DIO REDENTORE

certo qual modo ancora alla terra - appariva agli Apostoli, mangiava e beveva con essi, si lasciava da loro toccare - mentre ora con l'ascensione si sottrae definitivamente ad essa. 3. Spesso i Padri celebrano l'ascensione di Cristo al cielo come pre­ ludio del nostro ingresso personale nel regno celeste, come dato su cui poggia la nostra speranza, come conforto per il nostro duro pellegrinaggio terrestre. -

Leone Magno dice : « In tutto quel tempo, che intercorse fra la risurrezione e l'ascensione del Signore, la provvidenza di Dio curò, insegnò e presentò, tanto agli occhi come ai cuori dei discepoli, questa verità : che il Signore Gesu Cristo era veramente risuscitato, come era veramente nato, ed aveva veramente patito, ed era veramente morto. Perciò i beatissimi Apostoli e tutti i discepoli, che avevano trepidato

per le

conseguenze della croce ed avevano vacillato sulla fede nella ri surrezione, si raf­ forzarono talmente per una verità cosi splendida, che non solo non provarono tristezza alcuna,

ma

si rallegrarono grandemente, quando il Signore ascese nel­

l'alto dei cieli (Le. 24, 52.). Fu davvero grande e ineffabile il motivo di gioire, quando al cospetto di una moltitudine sama la natura del genere umano (in Cristo)

saliva

sopra

la dignità delle

stesse

creature celesti,

oltrepassando

gli

ordini angelici e la sublimità degli arcangeli. La sua elevazione non ebbe altro limite che di stabilirsi nel

consesso dell'eterna Padre, associarsi sul trono alla

sua gloria, poiché si univa alla sua natura nel Figlio. Se dunque l'ascensione di Cristo è una nostra promozione, e se la speranza del corpo è chiamata dove

già ci

ba preceduto la gloria del Capo, esultiamo di

una gioia degna, e alli etiamoci in devoti ringraziamenti. Oggi non solo siamo confermati

quali

possessori

del paradiso,

ma

siamo

pure penetrati

con Cristo

nei cieli superni, guadagnando, per la grazia ineffabile di Cristo, piu di quanto perdemmo

per l'invidia del diavolo. Il

Figlio di Dio ha collocato alla destra

del Padre, incorporandoli a se stesso, quei medesimi, che il nemico virulento aveva

precipitato dalla felicita

della

prima dimora;

quel Figlio, che

insieme

al Padre e allo Spirito Samo vive e regna, come Dio, per turri i secoli dei secoli

J>

(Sermo 73 . 4 ; PL. 54, 396). E altrove cosi parla :

« Ed ecco che il Signore Gesu, compiuto tutto quello

che corrispondeva alla predicazione evangelica ed ai misteri del Nuovo Te�ta­ mento, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, si innalzò nel cielo, al cospetto dei suoi discepoli,

affinché noi potessimo essere capaci di

questa beatitudine.

Cosi pose termine alla sua presenza corporale in questa terra, per rimanere alla destra del Padre, fino a tanto che siano scorsi i tempi stabiliti da Dio per molti­ plicare i figli della Chiesa, quando ritornerà a giudicare i vivi ed i morti nei medesimo corpo, col quale ascese al cielo. Quello che appariva del nostro Reden­ tore passò nei sacramenti; e perché la fede fosse piu nobile e ferma, ecco che la vista diretta è stata seguita dalla dottrina della fede, la cui autorità, illuminata dai raggi soprannaturali, deve ora essere seguita dal cuore dei credenti. Né le catene, né il carcere, né l'esilio, né la fame, né il fuoco, né il dente delle

§ 1 59· L'ASCENSIONE

DI

CRISTO AL CIELO

291

belve, né i supplizi ricercati dalla crudeltà dei persecutori, poterono atterrire questa fede, che si è accresciuta per l'ascensione del Signore, e si è corroborata col dono dello Spirito Santo. Per questa fede, in tutto il mondo, non soltanto gli uomini, ma anche le donne, non soltanto i fanciulli, ma anche le tenere ver­ gini, lottarono sino allo spargimento del proprio sangue. Questa fede ha espulso i demoni, scacciato le malattie, risuscitato i morti. Perciò gli stessi santi Apostoli, che sebbene riconfermati da tanti miracoli ed ammaesuati da tanti discorsi, erano atterriti per l'atrocità della passione del Signore ed avevano accettato non senza esitazione la verità della sua risurrezione, trassero tanto profitto dalla sua ascensione, che tutta la loro paura di prima si cangiò in gioia. Avevano ormai sollevato lo sguardo dall'anima alla Divinità di Cristo, sedente alla destra del Padre; né erano piu ritardati dallo schermo dell'oc­ chio materiale, per fissare lo sguardo della mente in colui che, pur discendendo fra noi, non si assentava dal Padre, e salendo dai discepoli verso il cielo, non si allontanava da essi. Il Figlio dell'uomo e Figlio di Dio si manifestò in modo piu eccellente e santo, quando si ritirò nella gloria della maestà patema. Mentre con la sua natura umana si era fatto piu lontano, cominciò invece ad essere piu presente con la Divinità in modo ineffabile. Allora una fede, resa piu dotta, cominciò ad acco­ starsi al Figlio, eguale al Padre, col passo della mente, e a non sentire piu il bisogno di toccare la sostanza corporea in Cristo, per la quale è minore del Padre (Gv. 14, 28). credenti è chiamata Genitore, non si può Per questo, dopo la Chiesa, si affretta

Finché rimane la natura del corpo glorificato, la fede dei verso quel luogo, nel quale l'Unigenito, che è uguale al toccare con la mano di carne, ma con l'intelligenza spirituale. la risurrezione, menue Maria Maddalena che impersonava ad avvicinarsi per toccare il Signore, questi le dice : non mi

roccare, perché non sono ancora salito al Padre mio (Gv. 20, 17), come dicesse : non voglio che tu venga a me materialmente, né che mi riconosca col senso car­ nale; ti rimetto a cose più sublimi, te ne preparo di piu grandi; quando sarò asceso al Padre, allora mi toccherai in una maniera piu perfetta e piu vera, poiché afferrerai quello che non tocchi, e crederai a quello che non vedi. E quando gli occhi intenti dei discepoli seguivano con meraviglia il Signore, che ascendeva al cielo, ecco che due angeli, risplendenti di mirabile candore, si posero davanti ad essi e dissero : o uomini di Galilea, che stare a guardare in cielo? Questo Gesu, che è stato assumo in cielo di mezzo a voi, verrà nella medesima maniera che lo avete visto andare al cielo (Atti 1 , I 1). Con queste parole si insegnava a tutti i figli della Chiesa di credere che Gesti Cristo sarebbe un giorno ritornato visibilmente nella medesima carne, in cui era asceso; né dubitassero che tutte le creature dovessero essergli soggette, poiché ebbe a servizio gli angeli, fin dal momento della sua nascita corporea. Un angelo aveva annunziato alla beata Vergine che avrebbe concepito Cristo per vinti dello Spirito Santo; un coro di angeli cantò ai pastori il pano della Vergine; le prime testimonianze dei messaggeri celesti dichiararono che era risorto da mone. E cosi il ministero degli angeli predicò che sarebbe venuto nella medesima carne a giu­ dicare il mondo, perché comprendessimo quanti poteri celesti assisteranno Cristo giudice, se furono tanti a servirlo, quando era nello stato di essere giudicato dagli uomini

»

(Sernw 74, 2-4; PL. 54, 398-399. Trad. di A. Puccetti).

292

P. I.

-

Giovanni Damasceno cosi scrive :

DIO REDENTORE c

Diciamo che Cristo siede corporalmente

alla destra di Dio Padre; ma non insegnamo che Dio abbia materialmente la destra o la sinistra. Come potrebbe infatti essere in un luogo colui che è immenso? Una destra e una sinistra l'hanno solo le cose circoscritte. Con la destra del Padre intendiamo designare l'onore e la gloria della divinità nella quale il Figlio di Dio, essenzialmente pari al Padre, viene ad esistere e nella quale, ora, dopo la incarnazione, si trova anche corporalmente, poiché la sua carne è stata glorificata con lui. Per questo egli anche con il suo corpo è soggetto all'adorazione di tutto il creato

»

(De fide orchodoxa, 4, 2).

4.

- Ignoriamo dove Cristo sia stato durante i quaranta giorni trascorsi tra la risurrezione e l'ascensione al cielo (Tommaso d'Aquino, S. Th., III, q. 55, a. 3 ad 2). Durante questi giorni ragionò con i discepoli del regno di Dio (Atti I , 3). Tale tempo servi dunque a introdurre i discepoli nella comprensione della nuova realtà prodottasi con la crocifissione e la risur­ rezione ; e servi pure a staccarE gradualmente dalla figura corporale di Cristo e portarli a vivere di fede nel Signore glorificato. D'altra parte quel tempo doveva, come mostrano le apparizioni, confermarli nella realtà. del corpo risorto.

5. - L'ascensione di Gesu è un evento storico, compiutosi cioè nel tempo e nello spazio. È una trasposizione dell'umana natura glorificata di Cristo nel luogo del creato rispondente al suo stato glorioso e beato. Che la natura umana del Salvatore si trovi in qualche luogo, lo sappiamo dal carattere materiale che essa ha conserv!lto nonostante la sua glorificazione. Se la natura glorificata di Cristo è ancora vincolata allo spazio e al tempo, deve necessariamente esistere in qualche luogo. Ce lo garantiscono non pochi passi biblici (Le. 24, 50 s . ; Atti I, 9-I I ; Gv. 6, 28; 14, 2-3; Col. I , 3 i Fil. 3 , 20; Ebr. 1 3, 14; I Tess. 4 , 1 6-1 8; 2 Cor. 5 , 6-8 ; Apoc. 2 I ). Non ci è tuttavia possibile determinare con esattezza il luogo in cui l'umana natura di Cristo ora si trovi. Non conosciamo alcun luogo del creato che, a nostro parere, possa essere consono al nuovo stato della natura glorifi­ cata del Salvatore. Il suo salire verso il cielo non è altro che l'immagine espressiva e simbolica del fatto che la sua natura umana esiste ora in uno stato inaccessibile alla nostra esperienza terrena. Anche il salire oltre le nubi ha un valore simbolico, per indicare la misteriosità e l'invisibi­ lità dell'evento. L'ascensione al cielo significa che la natura umana di Cristo fu accolta nella misteriosa gloria della vita divina. Era una conse­ guenza della sua glorificazione, già avveratasi nella risurrezione. Ma Cristo volle apparire ancora quaranta giorni ai discepoli e presentarsi loro in una

§

1 5 9.

L 'ASCENSIONE DI CRISTO AL CIELO

293

forma simile a quella del mondo perituro. Ciò era necessario perché i discepoli, ancora esistenti nello spazio e nel tempo, potessero con i loro stessi sensi raggiungere la certezza di quanto vedevano. L'ascen­ sione fu un segno che da quel momento i discepoli piu non lo avrebbero visto sino al momento in ctù sarebbe scoccata l'ora del suo ritorno, alla fine del mondo, per portare ogni cosa a compimento. La fede nell'ascen­ sione, come si vede, è totalmente indipendente dal modo con cui gli antichi si configuravano il mondo. 6. L'ascensione di Cristo si diversifica essenzialmente da tutte le apoteosi delle antiche leggende, secondo le quali, come ci assicura la storia delle religioni, alcuni uomini, gli imperatori ad esempio, furono elevati a dignità divina, proprio perché in essa si è tmicamente palesato ciò che esisteva già prima, dal momento che la natura umana sin dall'in­ carnazione del Verbo era stata introdotta nella vita stessa di Dio. Nella risurrezione si manifestò questa realtà nascosta, col rifulgere della gloria di Dio attraverso la figura umana. La natura umana di Cristo, cosi glo­ rificata, aveva superato la legge dello spazio e del tempo e quindi le si adattavano piu le forme terrestri. « Il cielo lo terrà accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, dei quali Dio ha parlato fin dall'an­ tichità per bocca dei santi suoi profeti » (Atti 3, 2 r ; S. Tommaso, S. T h., I II , q . 57, a . r). -

7. L'ascensione del Signore non va intesa nel senso di semplice ter­ mine della sua attività terrestre, quasi che egli, dopo aver adempita la missione avuta dal Padre, sia tornato in cielo. Il risorto doveva piuttosto tornare nella sua patria, perché egli non era piu soggetto alle leggi limi­ tanti l'esistenza terrestre. Secondo il Catechismo Romano tutte le altre azioni della sua vita tendevano all'ascensione come al loro ultimo fine. Quivi sta il coronamento di tutta la sua vita e la sua opera. La nube che avvolge Cristo è simbolo della sua gloria; gli angeli, che appartengono al regno di Dio, ne sono garanti e testimoni. Colui che è salito al cielo, ossia colui che dalle forme periture di questo mondo è penetrato nel silenzio della gloria divina, siede alla destra di Dio Padre. Non si vuole con ciò simboleggiare il suo riposo in un deter­ minato luogo, quanto piuttosto lo stato di sicurezza del suo libero dominio. Cristo esercita la sua signoria. È signore di questo mondo, non solo degli uomini, ma dell'universo e anche degli angeli (Col. I, I6; Ef. I, I9-23). Perciò « nel suo nome ogni ginocchio si pieghi e degli esseri celesti e -

294

P. I.

-

DIO REDENTORE

dei terrestri, e di quei sotto la terra. E ogni lingua confessi che il Signore è Gesu Cristo nella gloria di Dio Padre » (Fil. 2, 9- u). Cosi anche gli Apostoli lo hanno adorato quando lui, Cristo, dopo averli benedetti ascese al cielo (Le. 24, 5 1 ; cfr. § § 1 47 e 1 53). Di là egli deve tornare per dare l'ultimo tocco alla sua opera. Ciò che egli ha attuato nella sua prima venuta è solo in certo modo preparazione e inizio della seconda. Sotto questo rispetto la sua opera ha già avuto un primo compimento nella sua ascensione al cielo (M t. 28, 30; Atti 1, I I ; Gv. q, 3). 8. L'ascensione di Cristo al cielo mostra a quale meravigliosa altezza e perfezione Dio conduca l'uomo e il mondo intero. Ciò che infatti è av­ venuto in Cristo è modello e anticipazione di quanto avverrà per tutta la creazione. Tutti i beati parteciperanno alla signoria di Cristo (Apoc. 3, 2 1). Ma anche la materia sarà rivestita dello splendore del Salvatore risorto. Il suo corpo glorioso è tipo della futura esistenza del mondo. 5 ; Col. I , I J ; Apoc. I I, I 5). c) All'epoca patristica la regalità di Cristo veniva sentita come dovere e distintivo del cristiano. Policarpo afferma al giudiche che egli, dopo

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P. I.

-

DIO REDENTORE

aver servito per ottantasei anni il suo Signore e re, non poteva, ora, alla fine della sua vita tradirlo, come gli si andava suggerendo (Martirio di Policarpo, 9, 3 ; cfr. 17, 3 ; cfr. pure Didaché, 14, 3). Nella Ep. ad. Diogn. (VII, 2-5) si legge :

« Colui che

è

veramente S ignore

e Creatore di ogni cosa e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dai cieli fra gli uomini la Verità e il Verbo santo e incomprensibile e gli diede una stabile sede nel loro cuore; non già come qualcuno potrebbe figurarsi, mandando agli uomini un qualche ministro o angelo o arconte o alcuno di coloro che sovrain­ tendono alle cose terrene, o di quelli cui

è

affidato il governo delle cose celesti,

ma lo stesso Artefice e Creatore dell'universo, per mezzo del quale costituf i cieli e chiuse il mare nei propri confini; i cui misteri (leggi e norme divine) sono fedelmente custoditi da tutti gli elementi cosmici. Da lui il sole trasse la misura da osservare nel quotidiano corso; a lui obbedisce la luna, cui egli impone di splendere la notte; a lui obbediscono gli astri, che seguono il corso della luna. Da lui fu ordinata e delimitata e gerarchicamente disposta ogni cosa :

i cieli e

le cose che sono nei cieli, la terra e le cose che sono nella terra, il mare e le cose che sono nel mare, il fuoco, l'aria, l'abisso, il mondo superiore, il mondo inferiore e quello che sta di mezzo. Questi egli mandò loro. Forse, potrebbe ra­ gionare qualcuno degli uomini, egli fece ciò per tiranneggiarli

e intimorirli e

abbatterli? No certamente; ma lo mandò in tutra mitezza e bontà, come un re manda il suo figlio re. Lo mandò come Dio e come uomo tra gli uomini; lo mandò perché vuole salvare, vuole persuadere, non già perché vuole forzare con la violenza; la violenza infatti non si conviene a Dio. Lo mandò perché vuole chiamare, non perché vuole perseguitare; lo mandò spinto da amore, non da rigore di giudice » (trad. di G. Bosio) . Anche Origene

celebra Cristo come re. Cristo stesso ne era cosciente, pur

sapendo d'esserlo in un modo ben diverso da quello che la gente s'illudeva che fosse. « Cristo stesso ne era cosciente; perciò egli disse di non essere re nel senso con cui la gente se lo aspettava, e mise chiaramente in luce il carattere tutto spe­ ciale del suo regno dicendo : Se il mio regno fosse di questo mondo, allora com­ batterebbero i miei servi perché non sia dato in balia dei Giudei. Ma il mio regno, invece, non è di quesro mondo » (Contra Celsum, I, 61).

II.

-

NATURA ED ESERCIZIO DELLA SUA REGAUTÀ.

3. Già da queste parole di Origene emerge la caratteristica tutta spe­ ciale della regalità di Cristo e del suo regno. Non è un regno di questo mondo limitato da confini geografici o svolgentesi secondo le forme dei regni terrestri (Gv. r 8, 36 ; Mt. 4, 8-ro; Mc. 9, 33-36). Si può avere una certa comprensione della signoria di Cristo quando si pensi che la fun­ zione propria, la missione di chi regna, di chi esercita la signoria è quella di rendere il popolo grande e glorioso, di renderlo signore. In tal modo il regnare diventa un servire, un servire alla grandezza e alla gloria del popolo. -

§ 162. CRISTO RE (REGALITÀ O UFFICIO PASTORALE DI CRISTO)

311

D a questo si vede il grado eccelso che compete alla regalità di Cristo. Cristo è il re come è pure il maestro e il sacerdote. Anzi, egli è il sacer­ dote e il maestro perché è il re. « Il suo compito è di servire l'umanità ; a ciò fu infatti inviato dal Padre. Egli deve donare la vita e la gloria all'uomo, non nel senso corrente, ma in un modo assoluto e totale : la vita cioè piena e la gloria stessa di Dio. Questo suo servizio a favore del­ l'umanità non è ancora completo; lo sarà solo alla fine dei tempi quando apparirà nella gloria che gli compete. Solo quando l'uomo avrà raggiunto lo stato glorioso e si saranno rinnovellati e cielo e terra, la cui luce non sarà piu quella peritura odierna bensi il riflesso fulgente del corpo glo­ rificato di Cristo ; quando vi brillerà la gloria di Dio e il suo luminare sarà l'agnello (Apoc. 2 1 , 23) ; solo allora diverrà chiaro quale grande ser­ vizio Cristo abbia prestato all'umanità donandole la gloria stessa di Dio. Tale comunicazione della gloria di Dio alla creatura avviene per mezzo dell'unico e vero Signore ; e ciò significa che la gloria che Cristo comu­ nica al mondo non è alcunché di facoltativo; al contrario, l'individuo e la società hanno il dovere di seguire quella via per la quale Dio vuole condurre il mondo al suo glorioso compimento. Anche nei confronti di Cristo il detto che ognuno può essere felice a modo suo, cioè arbitraria­ mente, non ha valore proprio perché Cristo è davvero il Signore del mondo. E questa sua signoria non si fonda solo su di una positiva dispo­ sizione del Padre, ma anche nell'intima essenza dello stesso Figlio di Dio incarnato, poiché in lui l'umanità ha raggiunto il suo ultimo perfeziona­ mento. Siccome la natura umana non può divenire piu perfetta di quel che sia in Cristo, ne deriva che questi dev'essere il signore, il piu eccelso di tutti, dalla cui pienezza tutti noi abbiamo ricevuto (Gv. 1 , 1 6) » (]. Pinsk, Die sakramentale Welt, 1 9 38, 8 3-88). Cristo ha esercitata la sua regalità per tutta la vita, poiché tutta la sua vita fu consacrata a redimere gli uomini e a comunicare loro la vita e la gloria di Dio. Ma ciò egli l'ha specialmente attuato per mezzo della sua morte, risurrezione e ascensione al cielo e, poi, con l'invio dello Spirito Santo. Perciò la sua regalità è inscindibile dal suo sacerdozio (Fil. 2, 7- I I), è una regalità sacerdotale. Le potenze che egli, come re, ha sgominate sono il peccato, la morte e il demonio, e ottenne la vittoria non con la forza, ma con l'amore e la giustizia. La sua regalità è quindi una rega­ lità d'amore che si sacrifica, che tutti vuole addurre all'onore, alla libertà e alla gloria (per la connessione tra la morte sacrificale di Cristo e la sua regalità vedi gli inni Rex gloriose praesulum, Rex Christe factor omnium,

Rex sempiterne Domine, Rex sempiterne caelitum, Vexilla regis prodeunt).

312

P. I.

-

DIO REDENTORE

La regalità di Cristo è pertanto ben diversa da ogni altra regalità e da ogni altra signoria. Ma non ne è per questo meno reale ed efficiente. Nessun'altra tocca e penetra cosi profondamente il mondo. Ogni altra è figura della sua e in essa si fonda e mette capo (Col. 1 , 1 6 s.). Proprio perché la signoria di Cristo è diversa da ogni altra l'uomo imprigionato nel mondo gli si rivolta contro. Essa è tale che la può accettare solo l'uomo vivente nella verità, ossia solo colui che è informato dalla realtà svelataci da Cristo e che è ttmto diversa da ogni altra realtà creata. Siccome le masse giudaiche, al pari di Erode e di Pilato sono ancorate in pensieri puramente terrestri, ecco che si accordano nell'opporsi al regno di Cristo trascendente questa terra : « E veramente in questa città si sono radunati Erode e Ponzio Pilato, insieme con i gentili e con tutto il popolo di Israele, contro il tuo santo Figliuolo Gesu, che tu hai consacrato » (Atti 4, 27). Né Erode né Pilato avrebbero dovuto temere la regalità di Cristo (Mt. 2, 1-18 ; Gv. 1 8, 36; 1 9, 1 2 s.). « Crudele Erode, ché terni tu la venuta di Dio re? Non rapisce i regni terrestri colui che dona il regno del cielo » (Inno dell'Epifania). 4.

Il dominio regale di Cristo abbraccia il mondo inrero, poiché l'universo fu da lui ripieno con la gloria di Dio (cfr. § 163). Ma sino al ritorno glorioso di Cristo perdureranno le attuali forme periture del mondo. Perciò il dominio di Cristo non elimina alcun ordinamento creato, tJt­ tualmente esistente. Come potrebbe essere diversamente se si pensa che queste forme sono volute da Dio e Cristo è venuto su questa terra per adempiere la volontà del Padre? Gli ordinamenri terrestri fondati nella creazione divina, non solo non furono da Cristo aboliti o messi in peri­ colo, ma anzi vieppiu rafforzati e fortificati. Certo, Cristo non è venuto per organizzare direttamente le cose della terra (la politica, la cultura, la scienza), ma tuttavia tra lui e gli ordina­ menti terreni esiste un vivo e intimo rapporto in quanto questi sono immessi nella redenzione da lui attuata. Piu precisamente Cristo ha recato agli ordinamenti terreni un duplice beneficio. Anzitutto, dal punto di vista oggettivo, egli ha confermato la creazione del Padre e quindi rinnovato il mandato divino all'uomo di sottomettersi e perfezionare il mondo creato. Nello stesso tempo però ha accentuato la precarietà e caducità di tutto ciò che è terreno : l'attuale figura del mondo sarà un giorno trasformata nel cielo nuovo e nella terra nuova. Pertanto gli ordinamenri terreni non hanno alcuna importanza definitiva e assoluta. Ma non per questo vengono svalutati. Essi infatti, -

§ I62. CRISTO RE (REGALITÀ O UFFICIO PASTORALE

DI

CRISTO)

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per adesso, sono simboli di quella futura forma del mondo prefigurata da Cristo risorto, in seguito, poi, esisteranno, ma in forma mutata, nel cielo nuovo e nella nuova terra. Ciò significa che Cristo ha riconsacrato al Padre il mondo caduto sotto la schiavitu di Satana col peccato del­ l'uomo. Egli in certo qual modo ha liberato il mondo dalla sua caducità, che in ultima analisi è demoniaca, e gli ha conferito la gloria divina, meglio la gloria del suo corpo risorto. Questa nuova situazione richiede che gli ordinamenti terrestri o tem­ porali vengano organizzati secondo la volontà del Padre, a cui sono stati da Cristo ricondotti, ossia secondo le loro leggi immanenti, nelle quali si esprime la volontà creatrice di Dio (diritto naturale). Chi ad essi si oppone contraddice non solo alla volontà divina, ma anche alla signoria di Cristo che con la sua morte sacrificale li ha liberati dalla schiavitii a cui erano stati sottoposti col peccato. Cosi organizzati, gli ordinamenti terreni manifestano la gloria di Dio. Sotto q uesto aspetto non vi è un'unica forma di cultura o civiltà valida per sempre, poiché nessuna forma terrena può esprimere adeguatamente Diò. Si deve tuttavia affermare che è relativamente migliore quella forma che meglio permette all'uomo di vivere come immagine di Dio e, al con­ trario, vanno respinte quelle forme economiche, sociali e politiche, che non permettono all'uomo di vivere come tale. Il secondo beneficio che Cristo ha indirettamente apportato alla civiltà concerne l'uomo stesso. Egli lo ha liberato dalla schiavitii del mondo, della superbia, della menzogna e dell'odio, donandogli la possibilità di vivere nella verità e nell'amore, nella disponibilità di sé e nella giustizia. L'uomo rifatto da Cristo è portatore dello spirito celeste, cioè dello Spi­ rito Santo. Questi è presentato dalla teologia come alito d'amore spirato dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. Egli è, come dice il termine latino spiritus, l'aura celeste, la celeste atmosfera e il clima nel quale vi­ vono il Padre e il Figlio e vicendevolmente si donano e appartengono. Proprio in questa celeste e personale atnn>sfera l'uomo unito a Cristo è rapito e quindi ne consegue che egli vive nell'amore che si dona, che egli concepisce la sua esistenza come servizio agli uommi. L'uomo unito a Cristo s'impegna perciò nelle opere della civiltà e della politica, non per se stesso, ma per servire i fratelli. Con ragione Agostino sottolinea che anche la signoria, l'autorità terrena è un servizio. Mentre la mondana volontà di potenza rappresenta una caratteristica diabolica, il cristiano usa del potere e del comando, che in questo mondo sono indispensabili, non per sete di dominio, ma con volontà pronta a servire, non con su-

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perbia per signoreggiare, ma con sollecitudine piena di bontà e di com­ passione. Di quest'amore servizievole l'uomo non è capace se non è pronto al sacrificio. Di qui si vede come sia necessaria la partecipazione alla croce di Cristo nelle opere della cultura e nell'azione politica. La gloria di Dio introdotta da Cristo nel mondo rimarrà tuttavia occulta fino al suo ritorno. Della regalità di Cristo si può dire quanto si afferma del regno di Dio, che cioè non si sviluppa in modo tale che gli uomini possano vederlo. Esso è nascosto e percorre la via di colui al quale il Padre, qui sulla terra, lo ha affidato, ossia la via della croce. La regalità di Cristo infatti si manifesta sempre nella sofferenza, nel martirio, nel­ l'umile confessione, nella testimonianza di coloro che credono in lui (cfr. l'inno di Gregorio Magno, Rex gloriose martyrum). 5. Da quanto è stato detto si deduce che il regno di Cristo non si identifica adeguatamente con la Chiesa. Questa ne è il nucleo centrale, la manifestazione e l'organo. Di qui la signoria di Cristo si irraggia su tutto il creato. Cosi l'universo intero giace nel raggio d'azione della regalità di Cristo. Si veda su ciò il trattato sulla Chiesa. Il regno di Cristo non coincide adeguatamente neppure con il rt:gno di Dio. Certo, questo è incominciato con Cristo. ar. § 1 32. II regno di Cristo è strumento e apparizione del regno di Dio, che è presente in modo occulto in quello di Cristo, iniziato con l'incarnazione o con la risurrezione. Ma verrà il momento in cui Cristo tutto assoggetterà al Padre, anche se medesimo. In tal modo il regno di Cristo sarà sostituito dal regno del Padre, che palesemente si manifesterà. Sarà il tempo in cui il Padre con Cristo, che ne è Figlio e con lo Spirito Santo, sarà « tutto in tutto » ( I Cor. 1 5 , 25-28). Egli, l'imperituro, l'invisibile, l'unico, l'incomprensibile è re eterno, a cui si deve l'onore, la gloria nei secoli dei secoli ( I Tim. I, 1 7 ; cfr. § 1 77). -

6. Agli atti della signoria di Cristo appartengono quelli di legiferare e di giudicare. -

a) Cristo ci ha liberati dalla legge, ma ci ha vincolati a se stesso. Già è stato detto ciò che dell'antica legge è sopravvissuto e ciò che fu eliminato (cfr. § 1 56). Il Concilio di Trento contro i riformatori ha de­ finito come dogma che Cristo è pure il legislatore a cui si deve obbedienza (Sess. 6, can. 2 r ; Denz. 8 3 r ) . Anzi lui stesso è legge ai credenti, come l'amato è legge per colui che lo ama. Il credente infatti non ubbidisce in

§ 162. CRISTO RE (REGALITÀ O UFFICIO PASTORALE DI CRISTO)

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definitiva e anzitutto a una prescrizione impersonale, ma a Cristo persona viva, che lo ha vincolato a sé. Le singole prescrizioni che Cristo e, in suo nome, la Chiesa ci presentano, non sono altro che espressioni con­ crete della legge che è Cristo in persona. Quando il credente adempie una legge egli ubbidisce a Cristo e personalmente s'incontra con lui. Come è impossibile scindere l'insegnamento di Cristo dalla sua persona, cosi è pure impossibile separare le sue leggi da essa, senza privarle della loro impronta cristiana. Nelle prescrizioni che, ad esempio, ci dà nel sermone della montagna, Cristo si presenta come uno che vincola il comportamento umano in ogni situazione della vita. Anche Paolo avvalora ogni sua esor­ tazione morale mediante l'unione che si ha con Cri�to (ad es. I Cor. 6, 1 2-20; I O, 14-22; 12, 1-3 I). Il comportamento cristiano viene quindi ad essere una manifestazione ed espressione dell'unione con Cristo. Di qui emerge pure lo stretto rapporto che esiste tra il magistero di Cristo e la sua regalità (già sopra abbiamo visto l'intima relazione della regalità di Cristo con il suo ufficio sacerdotale). Le rivelazioni di Cristo sono ri­ chiami di Dio ai quali ci dobbiamo sottomettere ubbidientemente. Cristo mentre è « Maestro » è re che dà leggi. D'altra parte dandoci dei pre­ cetti ci svela la gloria di Dio e ci insegna il modo con cui noi possiamo partedparvi. In ogni suo comando è Dio che ci obbliga a divenire per­ fetti com'egli è perfetto. Cristo mentre è legislatore è rivelatore di Dio. Compito della sua regalità è pure quello di testimoniarci la verità, ossia di palesarci la realtà di Dio (Gv. I 8) 37). Magistero e regalità si compe­ netrano quindi nel modo piu intimo (cfr. § 1 75). b) Cristo è giudice, anzi lui stesso è il giudizio, in quanto credendo in lui si ha la salvezza e non credendogli si ha la rovina (Gv. 3, 17-21). Anche le sue sentenze giudiziarie sono manifestazioni di ciò che egli è in realtà. A lui il Padre ha dato ogni giudizio (Gv. 5, 22-30). Al suo ritorno egli condannerà gli empi, ma condurrà seco nel regno, loro pre­ parato sino dall'eternità, tutti i buoni (Mt. 25, 34 ss.). Cfr. il trattato sui

Novissimi.

III. - PARTECIPAZIONE ALLA REGALITÀ DI CRISTO. 7 . - I credenti partecipano alla regalità sacerdotale di Cristo.

a) Giovanni cosi scrive alle sette Chiese dell'Asia : « Grazia a voi e pace da colui che è e che era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesu Cristo, il testimonio fedele, il primoge-

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nito dei morti e il principe dei re della terra. A colui che ci ha amato e ci lavò dai nostri peccati nel suo sangue, e ci ha fatto un popolo regale e sacerdoti del suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza per i secoli dei secoli. Amen » (Apoc. 1, 4-6). Anche la prima lettera di Pietro testifica la medesima cosa parlando del sacerdozio regale attribuito ai cristiani (I Piet. 2, 9). Non si può sminuire il valore di questi passi riducendoli a una regalità impropriamente detta. Si tratta invece, in essi, di una vera e propria regalità. ar. il trattato sul Battesimo e quello sui Novissimi. b) Leone Magno l'attesta esplicitamente quando cosi parla ai fedeli : « Mi rallegro, o dilettissimi del religioso affetto della vostra devozione e ringrazio Dio nel vedere in voi lo spirito della cristiana unità. Come di­ mostra la vostra numerosa presenza voi ben capite che questa odierna ricorrenza porta corr.une letizia e che nell'annuale festa del Pastore si ce­ lebra l'onore di tutto il gregge. Poiché sebbene la Chiesa di Dio sia ordinata in gradi distinti di modo che l'unità del mistico corpo risulta di membri diversi, tuttavia, come dtce l'Apostolo, " noi tutti siamo una cosa sola in Cristo " (Gal. 3, 28); né la elivisione dei compiti è tale che alcuno, per quanto umile sia la sua posizione, può essere separato dal capo. Nel­ l'unità della fede e del battesimo facciamo parte di una comune società e comune è l'onore che ci viene concesso, secondo le parole del beatis­ simo Pietro : " Anche voi quali pietre viventi venite a formare un tempio spirituale per un sacerd ozio santo, a offrire spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesu Cristo ", e inoltre : " Ma voi stirpe eletta, sacerdozio re­ gale, gente santa, popolo tratto in salvo " ( I Pie t. 2, 5. 9 ). Infatti tutti i rigenerati in Cristo il segno della croce li rende re e l'unzione dello Spi­ rito Santo li consacra sacerdoti, di modo che tutti i cristiani - prescin­ dendo dalla particolare natura di questo nostro ufficio - sentono di essere di stirpe regale e di partecipare all' ufficio sacerdotale. Che vi è di mag­ giormente regale dl uno spirito, che, sottoposto a Dio domina il proprio corpo? E quale ufficio piu propriamente sacerdotale di quello di consacrare al Signore una coscienza pura e di offrirgli sull'altare del proprio cuore i sacrifici immacolati della propria pietà? E benché un tal compito, per grazia di Dio, sia dato a tutti come dote comune, è cosa santa tuttavia e degna di lode che voi esultiate proprio per il giorno della nostra consa­ crazione episcopale, come di un onore vostro. In tal modo si onora in tutto il corpo della Chiesa quell'unico mistero del sacerdozio, che come il crisma della consacrazione, con piu abbondanza, si, profluisce sul capo e sulle parti piu alte del corpo, ma non poco tuttavia discende sulle parti

§ 163. UNIVERSALITÀ DELLA REDENZIONE DI CRISTO

rimanenti e piu basse » (De Natali ipsius IV; in anniv. die eiusdem as­ sumptionis, 1 ; PL. 54, I 48 s.). Agostino dice espressamente che i cristiani sono veri re e veri sacer­ doti. La regalità dei credenti consiste nel partecipare alla signoria, alla gloria di Cristo. Con lui sederanno su dei troni, e giudicheranno gli in­ creduli che, pure essendo stati chiamati a raggiungere il compimento della gloria divina, non hanno voluto sottoporsi a Dio, rendendosi cosi respon­ sabili della loro perdizione. Or. per una piu ampia spiegazione il trattato sul Battesimo e quello sull'Ordine, dove si parla pure della differenza tra il sacerdozio ufficiale e quello dei fedeli. Nella liturgia la regalità dei fedeli emerge dalle unzioni sacramentali. Nell'Antico Testamento venivano unti soprattutto i re, ma anche i sacer­ doti e i profeti. A questo fatto si riallacciano le unzioni dei sacramenti del battesimo, della cresima, dell'ordine sacro e dell'estrema unzione. In quest'ultimo sacramento il fedele viene unto in certo senso per la per­ fetta partecipazione alla regalità di Cristo, ossia alla regalità eterna del cielo. La Vergine Maria partecipa in modo del tutto particolare alla regalità di Cristo. Vedere la festa di Maria Regina del cielo e della terra.

§ 163.

Universalità della redenzione di Cristo.

I. I . Cristo è morto per tutti gli uomini. È dogma di fede : Con­ cilio di Trento (Sess. 6, cap. 2; Denz. 794), cfr. pure i Concili di Nicea e di Costantinopoli (Denz. 54 e 86). L'universalità della redenzione fu negata dai giudaizzanti, dagli gnostici e dai manichei, dai predestinazio­ nisti (ai quali pure appartenne Godescalco, condannato al Sinodo di Quierzy, Denz. 3 19), dai giansenisti (Denz. 1096, 1 294). 2. L'attività messianica di Cristo fu limitata, dapprima, ai figli per­ duti della casa d'Israele (Mt. I5, 24; cfr. 4, 23). A loro, per primi, doveva essere presentata la salvezza (Rom. I I, 1 I-24). Ma ben presto apparve che essi non erano pronti ad accogliere il messaggio di Gesu. Il popolo giu­ daico non vide in Cristo e tuttora gli Ebrei si rifiutano di vedere in lui il compimento delle profezie veterotestamentarie. Essi ne attendono ancora oggi l'avveramento, per cui continuano a guardare verso il futuro cosi come facevano le passate generazioni da Abramo a Gesu Cristo. Essi 11011 vollero accogliere Cristo come Messia ma lo giudicarono un usur­ patore pericoloso, che pretendeva attribuirsi ciò che non gli spettava e che perciò metteva in pericolo l'ordine della nazione. Doveva perciò mo-

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DIO REDENTORE

rire. Quanto piu il popolo gli divenne ostile, tanto piu Cristo restrinse la sua attività ai discepoli, scostandosi dalla sua gente. Talvolta si recò pure in territorio pagano, ma non per predicarvi l'evangelo, bensf per trovarvi uno scampo dalla folla che lo cercava non con verace fede ma solo per insaziata brama di prodigi. In tali occasioni egli poté accogliere le pre­ ghiere che con spirito di fede e con fiducia i pagani gli rivolgevano e, cosi, recare loro salvezza. In tal modo con la predicazione e con i miracoli compiuti anche tra i pagani (tra i « Greci ») ebbe inizio la nuova era (Mc. 7, 24-30; Mt. 8, 5-1 3 ; Gv. 4, 4-42 ; 1 2, 20-23). Il comportamento di Gesu verso i Gentili non proveniva dal disprezzo per gli altri popoli, che proprio il giudaismo aveva sviluppato partendo dalla coscienza della propria elezione. Ma d'altro canto Cristo era egualmente alieno dal con­ cetto « cosmopolita dei filosofi ellenistici del suo tempo, per il quale ogni essere umano a motivo della incancellabile impronta divina della sua na­ tura umana aveva diritto al messaggio dei filosofi stessi » (J. Schmid, L'Evangelo secondo Marco, commento a 7, 27). Cristo, invece, per la diffusione del suo messaggio deve seguire la via tracciatagli da Dio. Questa lo conduce al popolo giudaico, che è il popolo precristiano di Dio (salus ex Iudaeis: Gv. 4, 23), e per suo tramite la sal­ vezza deve raggiungere tutti gli uomini. Questa via era già stata predetta nell'Antico Testamento (ad es. Is. 2, 2-4 ; 2 1-29 ; 42, 10- 1 7 ; 45, 14-25 ; 6o, 3-22 ; anche la creazione del mondo da u_n unico Dio sospinge in tale direzione). Il Nuovo Testamento spesso ricorda la grazia donata ai Gentili anche nell'epoca precristiana (Mt. 1 3, 54 ss. ; 12, 38 ss. ; Le. 4, 16 ss. ; I I , 29 ss. ; specialmente Ebr. 7, r ss.). Le parabole del regno di Dio annun­ ziano il carattere universale della salvezza che deve estendersi a tutta l'umanità. 3· I pagani devono, quindi, venire incorporati nella salvezza procu­ rata da Cristo. Tuttavia Gesu al riguardo agisce con la coscienza che l'ora dei Gentili non è ancora scoccata. Quest'ora è venuta quando i Giudei respinsero la salvezza, condannando a morte il loro Salvatore. Da questo momento la maledizione è piombata su di essi e non è rimasta loro che la possibilità o di vivere come nazione oppressa o di decidersi per Barabba, il tipo del sedizioso politico » (E. Peterson, Das priesterliche Konigtum Christi, in Der katholische Gedanke, 7, 1937, 1 5). 4· Tuttavia anch'essi non sono del tutto respinti, poiché la stessa maledizione di Dio che pesa su loro è un mistero del suo amore. La morte del figlio di Dio non è solo imputabile a coloro cui Pietro dice : Voi avete ucciso il datore della vita (Atti 3, 1 5). Essa è un grande mistero, com-

§ 163. UNIVERSALIT À DELLA REDENZIONE DI CRISTO

3 19

prensibile soltanto per fede. Colui che non crede vedè: nella esecuzione di Cristo un evento che spesso si ripete nella storia. Il credente, al con­ trario, vede in essa un effetto della potenza del peccato. Secondo il mi­ sterioso giudizio di Dio e la sua volontà salvifica, la forza del male doveva esplicare in Cristo ogni sua possibilità. La morte di Cristo fu effetto del peccato e del peccato di tutta l'umanità. Ciascuno, e non solo il giudeo, dinanzi al Calvario deve dire : Mea culpa. Il popolo giudaico ha solo attuato ciò di cui tutta l'umanità è respon­ sabile. Lo ha eseguito, non nella totalità della sua nazione e nemmeno da solo. Non nella totalità, poiché solo i capi bramavano far scomparire Cristo. Il popolo, mosso da un'abile e subdola propaganda, vi diede solo il suo consenso. Come Dio stesso valuti la loro opera ce lo dice la parola di Cristo : Non sanno quel che si fanno ; anche se rimangono ciò nonostante talmente responsabili da aver bisogno di perdono. La preghiera di Cristo , 2 ed., III, I O I 6- I030. - A. GRILLMEIER, Zum Christusbild der heutige katholische Theologie, in « Fragen der Theologie heute », Ziirich-Koln 1957, 255-299. - I DEM , Christologie, in « Lex. f. Theol. u. Kirche •>, 2 ed., Il, 1 1 56- I I 66. - G. OGGIONI, Il mistero della redenzione, in • Problemi e Orientamenti di teologia dogmatica, Milano 1957, I, 237-343 con ricca bibliografia ragionata. B. XIBERTA, Tractatus de Verbo Incarnato, 2 voll., Madnd 1954. - I DEM , Enchiridion de Verbo Incamato. Fontes, Madrid 1 9 5 7 ; ricchissima raccolta di testi patristici concernenti Gesti Cristo e la sua opera di sal­ vezza. -

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142. Dio-Figlio redentore del genere umano.

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8

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§

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und die Heidenmission

(Diss.),

Gottingen

1943.

INDICE GENERALE

PARTE PRIMA (SEZIONE Il)

DIO REDENTORE (Cristologia)

CAP. l. § § § § § §

138. 1 39. 1 40. 141. 1 42. 1 43. A.

Il decreto divino di redenzione

-

Prospetto . Tentativi umani di redenzione Dio, unico salvatore dell'uomo La libertà del decreto divino di redenzione Dio-Figlio redentore del genere umano . La preparazione dell'Incarnazione

Preparazione della redenzione nell'Antico Testamento . Cristo fine dei tempi, so. - Cristo promesso con le parole, sr. Cristo prefigurato da personaggi (figure) e avvenimenti, 53· - Il sacerdozio veterotestamentario e Cristo, 54 · - Regalità veterotesta­ mentaria e Cristo, 55· Cristo pienezza intima dei tempi, 70. L'apparizione di Cristo, una sorpresa, 70.

B.

Preparazione della redenzione del niondo extrabiblico

C. Lunga durata della preparazione .

CAP. Il.

-

Gesu Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo

§ 1 44· Prospetto . § 1 45· La fede via a Cristo. Errori cristologici

Pag. 7 7 8

18

37 40 46 47

72 73 74 74 77

I. La fede in Cristo, 77· - Il. Errori cristologici, 83.

§ 146 . Incarnazione del Figlio di Dio (unione ipostatica)

92

I. Senso del dogma, 92. - II. Insegnamento della Chiesa, 97. III. Scrittura e Tradizione, 103. - IV. Valore salvifico, 107. V. Spiegazione speculativa, 108. - VI. Durata dell'unione ipostatica, I I 3 .

§ 1 47 . L'apparizione storica del Figlio d i Dio in una vera natura umana

114

INDICE GENERALE

§ 1 48, 1 49· § I 50. La vita spirituale della natura umana di Cristo : la sua conoscenza § 15 I. La vita spirituale della natura umana di Cristo : sua grazia e santità A. Santità oggettiva, I34· - B. S antità soggettiva, I38. - C. Libertà dal peccato, I39· - D. Il monotelismo, 141. - E. L'amore a Dio, I45· § I 52. Cristo vero Figlio di Dio

.

Pag. I 27 I 28 I 34

148

Caratteristiche generali della testimonianza neotestamentaria su Cristo, 149. - I Vangeli sinottici, 1 54. - Le lettere di Paolo, I65. L'Evangelo di Giovanni, 170. - La testimonianza della risurre­ zione, 1 87. - La divinità di Cristo presso i Padri, 1 88.

§ I 53· Il modo di venerare Cristo : l'adorazione

1 90

CAP. III. - L'opera di Cristo

I 99

§ I 54· Cristo mediatore tra Dio e gli uomini Il mediatore nell'Antico Testamento, 200. -

I 99

§ I 5 5· Gesti Cristo, sommo sacerdote e vittima del Nuovo Patto § I 56. Cristo vincitore del peccato, della morte e del demonio e creatore di una nuova vita di libertà, di santità e di giusxizia

2I6

Il mediatore nel Nuovo Testamento, 202. - Il mediatore nei Padri, 204. - Mediatore con l'incarnazione e la vita, 205.

23 I

Instaurazione della sovranità di Dio, 23 1 . - Vittoria sul demonio, 239. - Vittoria sulla morte e sofferenza, 240. - Vittoria sul peccato, 243. - Vittoria sulla legge, 244. - Vittoria sul mondo, 248. - La vittoria di Cristo come liberazione dell'uomo, 249. - La vittoria di Cristo come riconciliazione, 250. - Nuova creazione, 250. - Dottrina dei Padri, 252.

Il sacrificio di Cristo come soddisfazione vicaria e come merito Discesa agli inferi e risurreziOne di Cristo L'Ascensione di Cristo al cielo . La missione dello Spirito Santo Cristo, rivelatore di Dio (redenziOne per mezzo della parola) : suo magistero . § I 62. Cristo re (regalità o ufficio pastorale di Cristo) . I. Il fatto della regalità di Cristo, 306. - II. Natura ed esercizio

§ § § § §

I 57· I 58. I 59· I 6o. I6I.

256 269 289 295 301 306

della sua regalità, 31 0. - III. Partecipazione alla regalità di Cristo, 315.

§ I 6 3 . Universalità della redenzione di Cristo § 1 6�

3I7 323