Dogmattica cattolica. La Chiesa [Vol. 3.1]

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MICHELE SCHMAUS PROFESSORE ALL'UNIVERSITÀ DI MONACO

DOGMATICA CATTOLI CA

l.

INTRODUZIONE- DIO- CREAZIONE

IL

DIO REDENTORE- LA MADRE DEL REDENTORE

III/1.

LA CHIESA

III/2. LA GRAZIA IV/1.

I SACRAMENTI

IV/2. I NOVISSIMI

Titolo originale dell'opera KATHOLISCHE DOGMATIK Verlag Max Hueber - Miinchen

Edizione italiana a cura

di Natale Bussi

Nulla osta: Casale, 24-VII-1963. - Can. Teol.

L. Baiano, Rev. Ecci.

Imprimatur: Casale, 30-VII-1963. - Mons. M. Debernardis,

Proprietà letteraria (20-VII-1963).

Vie. Gen ..

PARTE PRIMA

LA

CHIESA

§

165. Prospetto e divisione.

l. - Cristo è venuto nel mondo per stabilire il regno di Dio (Mc. I, I5) e per comunicare a chiunque lo accetti l'esistenza vera e propria. Chi crede in lui avrà la vita (Gv. 3, I 6) . Perché questo è il volere del Padre che chiunque conosce il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna, e il Figlio lo risusciterà nel giorno del giudizio (Gv. 6, 40). Questa vita è in­ trinsecamente e sostanzialmente diversa da tutte le forme di vita che ca­ dono sotto la nostra esperienza e che sono soltanto un'analogia di quella vita vera e propria, definitiva, che in Cristo è apparsa ed è diventata acces­ sibile. La ragione per cui l'uomo può diventare partecipe di tale vita sta nell'unità che esiste tra Cristo e l'umanità, anzi tra Cristo e il cosmo. Si tratta di una unità di relazione. In Cristo è compendiato il genere umano e inoltre l'universo intero (Ef. I, IO). Egli è la pienezza dei tempi e perciò il centro della storia (vedi vol. II,§ 154). Perciò la vita divina penetrata con Cristo nella nostra storia non rimane limitata alla sua natura umana indi­ viduale, ma deve anzi diffondersi e pervadere ogni cosa. Il creato intero e tutti gli uomini devono essere inseriti in questa vita. Cristo, come è la pienezza dei tempi, cosi deve egli stesso giungere alla pienezza mediante l'inserimento degli uomini nella sua esistenza divino-umana. Con ciò egli viene integrato in modo da raggiungere quella totalità, che Dio ha predi­ sposto nella sua economia divina. 2. L'universo venne consacrato e santificato mediante l'incarnazione. Poi la risurrezione e l'ascensione gettarono nel mondo il germe della glo­ rificazione. In tal modo la creazione fin d'ora partecipa alla gloria del Signore glorificato. Ciò per il momento rimane occulto. Nel giorno del ritorno di Cristo, la gloria di Dio fino allora nascosta, si sprigionerà nel suo pieno fulgore, si che il creato verrà trasformato nel nuovo cielo e nella nuova terra (Apoc. 2I-22; Is. 69, I7; I 6, 22; 2 Piet. 3, I3). -

3. - L'uomo riceve la partecipazione alla vita di Cristo in modo da rima­ nere personalmente responsabile dell'acquisto o della mancanza di tale vita, che non germina in lui automaticamente secondo un processo natu-

8

P.

I.

-

LA CHIESA

rale, come avverrebbe per uno sviluppo organico, ma gli viene partecipata quand'egli, con libero atto di fede, si pone alla sequela di Cristo, al quale, secondo l'eterna economia divina, è ordinato (Rom. 3, 24 s.; cfr. vol. Illj2, § !82). Solo in questo « incontro » personale si attua quell'unione dell'uomo con Cristo, che è principio della vera vita. Sorge ora la domanda: in che modo colui che intende acquistare la nuova vita fondata in Cristo, sulla sua nascita, morte, risurrezione e ascensione, ne può divenire partecipe? Evidentemente non mediante i soli atti della sua intelligenza e vo­ lontà. « Per il fatto che io ritengo Cristo quale figlio di Dio e credo giuste le sue pretese; per il fatto che io l'amo e mi comporto in tutto secondo il suo beneplacito, io non posseggo ancora la sua vita. Cosi come un uomo che mosso da un grande entusiasmo e venerazione per Goethe modellasse la sua vita su quella del poeta, non per questo vivrebbe la vita concreta di Goethe, ma soltanto la propria vita sul modello di Goethe» (]. Pinsk, Die sakramentale Welt, .26). 4.

Affinché l'uomo diventi partecipe della vita di Cristo è necessario che venga incorporato in lui ed inserito nel campo d'azione della sua vita e della sua risurrezione. Solo questo costituisce per lui l'esistenza vera e propria, la salvezza. Un simile rapporto vivo con Cristo, può venire uni­ camente dall'alto, da Dio stesso per una iniziativa celeste ; ma spetta al­ l'uomo rimanere aperto a Dio (Rom. 3, 24). La predicazione e i sacra­ menti servono appunto all'iniziativa celeste e all'apertura dell'uomo nei confronti di Dio. La salvezza proviene dalla fede viva, ma questa presup­ pone la predicazione e l'ascolto (Rom. 10, 14). La fede acquista la sua forma concreta nei sacramenti. Parola ·e sacramento sono strumento e garanzia dell'azione salvifica divina, ciascuno in modo diverso. Nei sacra­ menti l'opera salvifica di Gesu Cristo viene rinnovata in un senso che sarà meglio precisato in seguito, in modo da essere accessibile ad ogni genera­ zione venuta dopo Cristo. Di questo si parlerà nel volume IVf I. La virtU salvifica della predicazione, sarà, invece, esposta nel trattato sulla Chiesa. 5.

-

Poiché Dio non comunica all'uomo la vita apparsa in Cristo con intervento diretto ma con la parola e con il segno sacramentale, seb­ bene la parola e il sacramento siano segni celesti efficaci, occorre un fat­ tore terreste che annunci la parola e ponga il segno, poiché essi, pur essendo creati da Dio, sono sempre realtà e fatti composti di cose e di forze terrestri. Cristo stesso costitui un organo mediante il quale pone i segni della grazia celeste da lui fissati. Si tratta della Chiesa. un

-

9

§ 165. PROSPETTO E DIVISIONE

L'incontro tra Cristo e l'uomo che in lui crede non avviene con un pro­ cesso di illuminazione od un contatto individuali, per

un

atto di perso­

nalismo salvifico individuale, ma in un modo socialmente determinato. Prima

di

lasciare il mondo

il

Signore ha trasmesso ai suoi apostoli e ai loro

successori, e quindi alla Chiesa, la stessa missione che egli aveva ricevuta dal Padre. La Chiesa doveva rendere presente, attualizzare la sua opera salvifica in tutti i tempi perché fosse accessibile ad ogni generazione vi­ vente tra l'ascensione e la seconda venuta di Cristo. Essa esplica tale fun­ zione, come già osservammo,

in due modi, cioè predicando e ammini­

strando i sacramenti, al centro dei quali sta l'eucaristia, la commemora­ zione cioè della morte sacrificale di Cristo, e per essa ha ricevuto la capa­ cità, il diritto ed il dovere. L'annunzio orale della fede e l'amministrazione dei sacramenti da parte della Chiesa significano un'offerta e una chiamata impegnativa di Dio ad ogni generazione. Cosi la Chiesa, mentre realizza la missione conferitale da Cristo, esercita un altissimo potere in nome di Dio e nello stesso tempo attua il compito salvifico affidatole e impostale da Cristo. Come ciò avvenga sarà esposto nel presente trattato.

6.

-

in tre gruppi di problemi. Tratteremo della carattere umano-divino e della sua missione.

Il tema verrà sviluppato

origine della Chiesa,

del suo

I tre gruppi non sono separati fra loro, ma s'intre�ciano a vicenda. Infatti nell'origine della Chiesa sono sostanzialmente determinati anche il suo carattere umano-divino e la sua missione. E viceversa

il

carattere umano­

divino e la missione della Chiesa in ultima analisi si possono riconoscere e giudicare unicamente dalla sua origine, cioè dalla sua fondazione ad opera di Gesu Cristo. Il secondo gruppo di prob!emi viene indicato con le parole « carattere umano-divino», non con

il termine «essenza», che potrebbe originare

malintesi. Infatti se col termine « essenza

»

noi intendiamo quel nucleo

interiore che si ottiene mediante astrazione da ciò che appare, prescin­ dendo dal concreto e dallo storico, saremmo indotti ad un giudizio errato sulla Chiesa. Per essa, infatti - a motivo del suo rapporto con Cristo e della sua storicità - gli elementi esteriori e fenomenici sono altrettanto essenziali come per Cristo la natura umana e la sua manifestazione. Chi pretendesse di determinare la natura della Chiesa prescindendo dalla sua manifestazione visibile, cadrebbe nello stesso errore in cui anticamente caddero i monofisiti negando o sottovalutando la natura umana di Cristo. Si arriverebbe ad una ecclesiologia monofisita. Nell'epoca moderna nasce una concezione monofisitica della Chiesa ogni volta che, per dare l'in-

IO

P.

l.

-

LA CHIESA

terpretazione della Chiesa, si fa ricorso alla filosofia idealistica di Hegel, in base alla quale le concrete manifestazioni della Chiesa medesima, sono le realizzazioni graduali e progressive dello spirito assoluto o dell'idea. Ogni grado successivo annulla il precedente in quanto lo assume in sé e lo supera.

7. Solo tardi la Chiesa divenne oggetto della riflessione teologica. I teologi Giovanni da Parigi (t 1306) e Giacomo da Viterbo (t 1308), vissuti tra la fine del sec. XIII e l'inizio del XIV, composero i primi trattati sistematici sulla Chiesa. Segui poi il Card. Torquemada (t 1468) con un'opera voluminosa. Gli attacchi dei riformatori offrirono lo spunto a numerose ricerche sulla Chiesa, si che dopo il Concilio di Trento il trat­ tato sulla Chiesa ottenne un posro fisso nella teologia. Partil:olare impor­ tanza ebbero gli scritti polemici di S. Roberto Bellarmino (t 1621). Le opere postridentine miravano soprattutto a confutare le obiezioni dei riformatori e a discriminare la concezione cattolica della Chiesa da quella protestante. Ciò servi a determinarne le proprietà. Si difese soprattutto la visibilità della Chiesa contro la dottrina della sua invisibilità, in quanto i protestanti la consideravano come una società nello Spirito Santo. Quantunque la trattazione esplicita della Chiesa sia stata fatta soltanto tardi, la coscienza che i cristiani formano una comunità ecclesiale, ha non­ dimeno dominato fin da principio sia la teologia che la vita di fede. La Chiesa era anzi l'ambiente spirituale e l'atmosfera in cui si svolgeva il pensiero teologico e la vita di fede. E cosi essa era sentita e vissuta. Le opere di S. Ireneo, di S. Ambrogio, di S. Agostino, per non citare che alcuni teologi, sono permeate del pensiero della Chiesa, sebbene questi autori non abbiano scritto nessun trattato speciale su di essa. Particolare importanza e fecondità per lo sviluppo dell'ecclesiologia, riveste l'opera di S. Tommaso, specie con la dottrina del carattere sacramentale. -

8. Prima di affrontare i tre gruppi di prob�emi suaccennati è neces­ sario esporre brevemente il metodo secondo il quale la Chiesa deve essere lumeggiata. E cosi pure occorre stabilire una definizione preliminare della Chiesa stessa per precisare l'oggetto del nostro studio. -

§

1668, La fede, via alla comprensione deUa Chiesa.

Per usare il linguaggio di Troeltsch (i· 1923) dobbiamo rimarcare che, trattando della Chiesa, non applicheremo il metodo storico, ma quello dogmatico; il giudizio sulla Chiesa viene dato da un determinato punto

§ I 66 A.

LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CIDESA

II

di vista, e precisamente da quello della fede nella rivelazione di Cristo. Siccome la Chiesa è un fenomeno storico, si devono ricercare ed esporre gli avvenimenti storici che portarono alla sua nascita e sono manifesta­ zioni della sua vita. Non basta però la semplice esposizione del corso degli avvenimenti; occorre anche una valutazione. Diversamente lo studio della Chiesa cadrebbe in balia dello storicismo o relativismo storico che conosce soltanto il flusso del divenire, ma non possiede una norma pre­ cisa e sicura per dare una valutazione definitiva degli avvenimenti storici, della loro connessione e delle forze motrici che dominano la storia me­ desima. Tale norma, per noi, è la rivelazione che Dio ci ha data per mezzo di Cristo.

I. - LA CHIESA, OGGETTO DI FEDE. l . - Mediante la fede l'uomo esprime il suo assenso al Dio vivente che si è rivelato in Cristo Gesti La fede viva è un atto dell'intelletto; ma è pure qualcosa di piu, proprio perché è qualcosa di vivo. Non è solo fede intellettuale, ma è dedizione dell'io umano a Dio mediante Cristo. Con questa fede il credente partecipa alla vita di Dio stesso. La fede è quindi un atto vitale. Alla vita del Padre si è ammessi se si è partecipi della vita di Gesu Cristo (Gv. I4, 5). L'assenso a Dio è perciò incluso in quello dato a Cristo. Solo in questo assenso al Signore è possibile vivere. Da parte sua Cristo si raggiunge nella Chiesa di cui è il capo. Per eterno consiglio di Dio egli è in cosi stretto rapporto con la Chiesa che non lo si può pienamente comprendere senza di essa, come non si può arri­ vare a lui senza di essa. Nella Chiesa si presenta la nuova umanità il cui capostipite spirituale è Cristo Gesu. Adamo fu il progenitore della umanità terrestre in senso biologico. Cristo è il progenitore dell'uomo celeste, vivente e rinato dallo Spirito Santo (Rom. 5, I 2-2I ; I Cor. I 5 , 44-49; Gv. 3, 3). Alla formazione di cotesta umanità mira la missione del Figlio di Dio. « Cristo venne nel mondo per fondare la Chiesa » (Tommaso d'Aquino, Comm. in evang. Matth. I 6, I 8). Nell'eterno de­ creto del Padre di inviare il Figlio nel mondo, noi fummo eletti avanti la creazione, ad essere un giorno partecipi in Cristo di ogni benedizione celeste (Ef. I, 3 s.). Questo è l'eterno mistero divino su cui si fonda la salvezza degli uomini e che rimase nascosto nel Padre fino alla pienezza dei tempi. Ma ora è stato svelato ed è divenuto comprensibile in Cristo, nel quale il Padre ha voluto dare un nuovo inizio al genere umano.

P. l.

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-

LA CHIESA

La nuova umanità è quella che, mediante il Verbo di Dio, viene chiamata a svincolarsi da una forma d'esistenza terrestre e carnale, dal mondo, cioè dal peccato e dall'ingiustizia, per formare nello Spirito Santo una nuova comunità, che sta al cospetto del Padre santa ed immacolata, tributan­ dogli gloria e lode per la grazia della redenzione (Ef.

I, 1-14), confor­

mata a Cristo suo capo per mezzo dei sacramenti. L'umanità che ha acquistato in Cristo una nuova forma di esistenza è eternamente presente al cospetto del Padre come archetipo divino della vera umanità vivente. Il mistero eterno dell'umanità consiste nel fatto di essere chiamata a partecipare alla vita del Figlio di Dio incarnato. Con questa partecipazione l'umanità trascende se stessa per avvicinarsi a Dio e giunge cosi ad essere se stessa. Nel mistero di Cristo, nascosto da tutta l'eternità, entrato a far parte della storia nella pienezza dei tempi, è perciò incluso il mistero degli uomini. Secondo l'eterna economia di­ vina la vita di Cristo si deve estendere a tutti coloro che obbediscono alla parola divina di giudizio e di grazia diretta in Cristo agli uomini. La comunità degli uomini chiamati da Cristo e partecipi della sua vita è la Chiesa. Essa possiede una struttura determinata in quanto ha un ordinamento gerarchico. Per la sua relazione con Cristo, noi l a possiamo chiamare in certo senso l'estensione del mistero di Cristo nella storia.

2.

-

La sola via per intendere Cristo nel suo mistero piu profondo è

quella della fede (vol. II, § 145). La stessa cosa vale per tutto quanto appar­ tiene a Cristo. Perciò anche il mistero della Chiesa, strettamente con­ nesso con lui, si può intendere solo nella fede. La Chiesa fa parte degli oggetti e delle realtà della rivelazione divina, anzi proprio essa completa Cristo e l'opera sua formando quel tutto che risponde all'eterno disegno salvifico divino. Solo la fede conferisce la forza visiva necessaria per capire

il mistero della Chiesa nel suo pieno significato. A chi ragiona e

indaga secondo principi puramente naturali la Chiesa non si rivela nel suo senso piu genuino. Egli considera la Chiesa sotto gli aspetti che gli sono accessibili: come fenomeno storico, come formazione sociale, come potenza politica, come forza educatrice, ecc. Ma pur potendo percepire

il Al miscredente manca la facoltà visiva, cioè la fede, che

molti elementi della Chiesa, non è in grado di afferrarne l'insieme e senso divino.

sola permette di scorgere il mistero della Chiesa. Di fronte alla Chiesa egli si trova come il daltonista davanti ad un'armonia di colori, o come uno privo di orecchio musicale davanti ad una stupenda melodia. Ambedue percepiscono solo elementi parziali isolati, ma sfugge loro l'insieme.

13

§ I 66A. LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CHIESA

La realtà salvifica resa a noi accessibile in Cristo non può essere afferrata dalla carne e dal sangue

(Mt. 16, 17); la penetra solo colui che guarda

con gli occhi della fede.

3. - Data l'assoluta necessità della fede è estremamente importante esaminare ciò che significhi credere nella Chiesa. Qui occorre fare una chiara distinzione. In senso proprio e definitivo si può credere solo in Dio, non in una creatura, fosse pure la piu eccelsa. La dedizione incon­ dizionata con cui l'uomo crede in Dio era ignota al mondo pagano e fu resa possibile solo dalla rivelazione. La distinzione di cui parliamo si può esprimere bene in latino e nelle lingue che ne sono derivate. Noi diciamo:

credo Deo;

oppure:

credo in Deum.

Con ciò affermiamo di

credere a Dio che ci rivela qualcosa, oppure che ci affidiamo a lui. Tut­ tavia in rapporto alla Chiesa la formula suona :

Credo Deo ecclesiam.

Nei confronti di Dio l'uomo può dunque fare un atto di fede in due modi diversi: credendo veramente quando Dio si rivela; secondo: rimet­ tendosi nella fede a Dio. Tuttavia ciò che Dio comunica o manifesta non può essere creduto in nessuno di questi due modi; può essere solo il contenuto, l'oggetto della fede con cui noi accogliamo la parola divina e Dio stesso. Questa differenza appare evidente nel simbolo apostolico, che ha una struttura trinitaria. Dapprima si professa la fede nel Padre, crea­ tore, poi nel Figlio, redentore, infine nello Spirito Santo, e qui è inclusa la professione di fede nella Chiesa. Tutte le antiche formule esprimono la fede nella Chiesa, e questa è sempre strettamente connessa con lo Spirito Santo (Denz. 1-12).

La Chiesa appare come la sua prima opera,

prima della comunione dei Santi, della remissione dei peccati, della risur­ rezione della carne e della vita eterna. Tutte queste cose vengono infatti comunicate per mezzo della Chiesa.

Ma essa vive di Spirito Santo.

L'uomo crede in Dio, per amore di Dio; nella fede viva egli si dona a lui. La Chiesa è oggetto di quella fede che l'uomo esercita per amore di Dio. Usando una distinzione della terminologia scolastica possiamo

i

dire: Dio è oggetto formale del a fede, mentre la Chiesa ne è oggetto materiale. Nella dedizione a Dio, gli crediamo quando fa comunicazioni sulla Chiesa. In questo senso la Chiesa che annuncia il messaggio salvifico esigendo che sia creduto, è oggetto di fede. Essa è un mistero

4.

-

di fede.

Stante l'importanza di questa distinzione, si comprende come la teologia

ne abbia sempre tenuto conto. Pier Crisologo, ad es. (Sermo 57, PL. 52, 360 C) dice:

« Crede in Dio colui che sull'autorità di Dio confessa la santa Chiesa ».

Pascasio

Radberto

espone

con

molta esattezza la

distinzione

a

questo

modo

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P.

I. - LA CHIESA

(De fide, spe et cari�ate, I, 6, n. I e 2; PL. I20, I402-I404) : «In linea di diritto nessuno può dire : io credo nel mio prossimo, o in un angelo o in qualunque altra creatura. Nelle sacre Scritture si troverà sempre che tale professione si riferisce unicamente a Dio.. . È vero che diciamo : credo in quest'uomo, cosi come diciamo : credo in Dio; ma non crediamo né in questo né in quell'uomo. Essi infatti non sono né la verità, né la bontà, né la luce, né la vita; ma ne sono sol­ tanto partecipi. Perciò il Signore nel Vangelo, là dove vuole indicare la sua identità di natura con il Padre, dice : credete in Dio, credete anche in me! Se egli infatti non fosse Dio, non si dovrebbe credere in lui; con queste parole quindi egli si rivela ai suoi come Dio. Perciò noi non diciamo : credo nella santa Chiesa cattolica, ma omettiamo la particella in e diciamo: credo la santa Chiesa cattolica, come la vita eterna e la risurrezione della carne. Altrimenti parrebbe che noi crediamo negli uomini, il che non è permesso. Noi crediamo solo in Dio e nella sua sola maestà ». Secondo Rutino di Aquileia con la preposizione mono­ sillabica « in » il creatore viene distinto dalle creature, il divino dal l'wnano (Comment. in symbol. apost., 26; PL. 2I, 373 A-B). Non diversamente pensa Tommaso d'Aquirto, che (S. Th., II-II, q. I , a. 9 ad 5) dichiara: « Quando si dice : credo nella santa Chiesa cattolica, ciò si deve intendere in base al fatto che la nostra fede si riferisce allo Spirito Santo, che santifica la Chiesa, per modo che il senso che ne risulta è questo: credo nello Spirito Samo che santifica la Chiesa. Tuttavia è meglio e piu conforme all'uso generale tralasciare la par­ ticella " in " e dire semplicemen te : credo la santa Chiesa cattolica, come si esprime lo stesso papa Leone». Parimenti Alberto Magno dice (/n 3 Senc., d. 3 4, a. 6) : « Cinque anicoli di fede si riferiscono allo Spirito Santo, sia alla sua persona che ai suoi doni ... Ma tra questi il primo è quello mediante il quale egli unisce a santifica la Chiesa... Io credo la santa Chiesa cattolica, cioè : credo nello Spirito Santo che santifica la Chiesa cattolica, ossia la Chiesa universale». La distinzione di queste diverse formule risale ad Agostino che parla di cre­ dere in Dio (in Deum), credere a Dio (Deo) e di credere Dio (Deum). Cosi ad es. in una predica sul vangelo di S. Giovanni (In Ioarm., tract. 29, 6; PL. 35, 163 1 ) egli dice : « Non cercare dunque di capire per credere, ma credi onde possa capire; se voi infaui non credete, non intenderete. Mentre per rendere possibile la comprensione della fede io ho consigliato l'ubbidienza... troviamo che egli (Cristo) ha detto: clu fa la volontà del Padre, conoscerà la mia dottrina. Ma cosa significa : conoscerà? - Significa : comprenderà. Ma cosa significa : se qualcuno farà la volontà del Padre? Significa: credere. Che l'espressione "conoscerà " equivalga a "comprenderà., .lo capiamo tuui; mentre per ca­ pire meglio che le parole " se alcuno farà la volontà del Padre " si rife­ riscono alla fede abbiamo bisogno della spiegazione dello stesso nostro Signore che ci mostri come l'adempimento della volontà del Padre fa realmente parte della fede... Il Signore dice chiaramente " questa è l'opera di Dio che crediate in colui che egli ha mandato". Che crediate in lui, non che crediate a lui. Ma se credete in lui credete pure a lui; mentre credere a lui non vuol già dire credere in lui. Infatti anche i demoni hanno creduto a lui e non hanno creduto in lui. Dal canto nostro possiamo anche dire dei suoi apostoli: crediamo a Paolo, ma non : crediamo in Paolo; crediamo a Pietro, ma non : crediamo in Pietro ... Che cosa significa dunque credere in lui? Mediante la fede essere affezionati a lui, "

"

§ .I66A. LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CHIESA

15

per mezzo della fede amarlo; mediante la fede rivolgersi a lui ed essere uniti ai suoi membri ». Nello spirito di Agostino si muove Fausto di Riez (De Spiritu Sancto, 1, 2; PL. 62, I I A): c Io credo la Chiesa quale madie della rinascita, non nella Chiesa come se fosse la fonte della salvezza :t. Il Catechismo romano dice a questo proposito: c Bisogna necessariamente credere che la Chiesa è una, santa, catto­ lica. Noi crediamo nelle tre persone della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo in modo da collocare in esse tutta la nostra fede. Ma qui, mutando il modo di dire, professiamo di credere la santa e non nella santa Chiesa; questo per distin­ guere, anche con la diversità della frase, Dio creatore dell'universo, dalle cose create e per riferire a dono di sua bontà gli immensi benefici che nella Chiesa sono stati radunati » (Catechismo romano, trad. di E. Benedetti, Roma 19I8, n. II7, p. 155). 5. - Il Catechismo romano poi esige la fede, nel senso detto sopra, per una esatta comprensione della Chiesa, scrivendo: c Da ultimo bisogna anche inse­ gnare in qual senso sia articolo di fede la nostra credenza nella Clliesa. Certo ognuno con l'intelligenza e con i sensi percepisce l'esistenza sulla terra della Chiesa, cioè di un'assemblea di uomini, addetti e consacrati a Gesti Cristo; né sembra vi sia bisogno della fede a capire ciò, dacché nemmeno i Giudei o i Turchi lo pongono in dubbio. Ma sol tanto illuminata dalla fede, e non dietro considerazioni umane, può la mente comprendere i misteri contenuti nella santa Chiesa di Dio ... Dunque poiché anche questo articolo, come gli altri, supera le facoltà e le forze della nostra intelligenza, a buon diritto professiamo di consi­ derare la fondazione, gli uffici e la dignità della Chiesa non con gli occhi della umana ragione, ma con quelli della fede, (n. II7, p. 153-154).

6. È quindi naturale che la Chiesa formi anche oggetto del Credo o simbolo di fede in tutte le sue forme. In esso il fedele esprime la sua fede nella Chiesa. Ma non è l'individuo isolato ad esprimere pregando la sua fede, bensf quell'lo determinato dall'appartenenza alla comunità degli uomini congiunti dalla parola di Dio nello Spirito Santo. In certo modo a pregare non è l'io individuale, ma l'io sociale, non l'uomo in quanto persona, isolata, ma in quanto membro d'una comunità (cfr. D. Koster, Ekklesiologie im Werden, 1940, 2 3-82 ). Perciò nella pre­ ghiera e nella professione del singolo è la stessa comunità a pregare ed a professare la sua fede. Per bocca del singolo parla l'intera comunità. Quando il credente fa la sua professione di fede, la fa in nome di tutta la Chiesa (S. Th., 11-11, q. I, a. 9, ad 3; In III Sent., d. 25, q. I, a. 2, ad 4). Giungiamo cosi a questo risultato : nel Credo la Chiesa esprime, per bocca dei suoi membri, la fede nella Chiesa, cioè in se stessa, nel suo mistero, che è un elemento del mistero della salvezza. Per quanto possa sembrare strano che la Chiesa creda, anzi debba credere in se stessa, tuttavia è certo che soltanto nella fede essa raggiunge la vera conoscenza -

P. I.

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LA CHIESA

di sé, quale nuovo popolo di Dio costituito da Cristo. Senza la fede non può avere una simile coscienza di sé, anzi dovrebbe fraintendere se stessa. Infatti ciò che percepisce immediatamente nella propria esistenza è l'ele­ mento umano, non il divino; e specialmente l'umano con le sue debolezze ed i suoi limiti. Nella fede la Chiesa, nonostante le esperienze che spesso fa direttamente con se stessa, si riconosce quale prolungamento del mi­ stero di Cristo. Solo nella fede dunque la Chiesa conosce se stessa e tale conoscenza è racchiusa nella fede in Dio rivelatosi in Cristo. In questa conoscenza di sé la Chiesa attesta di essere la Chiesa una, santa, apostolica, la Chiesa del Dio vivente, la colonna e il fondamento della verità divina. L'assenso dato a se stessa è quindi una preghiera nei confronti di Dio, in quanto è appunto l'assenso prestato a Dio stesso; nei confronti dell'uomo invece è una testimonianza a Cristo che la Chiesa deve prestare nello Spirito Santo secondo il mandato di Cristo, fino al suo ritorno (Atti 1, 9). Nell'ambito della Chiesa ogni cristiano rende all'altro questa testimonianza e, in particolare, la rendono i titolari del magistero ecclesiastico verso la Chiesa discente. Tale argomento verrà trattato espressamente in seguito. Nel 9° articolo del simbolo apostolico la Chiesa appare quindi sia come oggetto che come soggetto della fede. È l'uno in quanto è pure l'altro. Come l'individuo può esprimere la sua fede solo in quanto membro della Chiesa, cosi la Chiesa professa la sua fede per opera dei credenti. 7 . Qui sorge la domanda se queste riflessioni non si muovano in un circolo chiuso. Cosi è di fatto. Tuttavia non c'è affatto un circolo vizioso (cfr. K. Adam, Von dem angeblichen Zirkel im katholischen Lehrsystem oder von dem einen W"eg der Theologie, in Wissenschaft und Weisheit, 6, 1939, 1 -25). Siamo piuttosto nell'ambito della fede che rappresenta qualcosa in sé di compiuto e d'integrale. Solo chi guarda in essa dal­ l'esterno ha l'impressione di trovarsi davanti ad un enigma. Per com­ prendere la cosa si può dire: la Chiesa ci attesta la rivelazione attuatasi in Cristo e tale testimonianza acquista tutta la sua forza dal fatto che la Chiesa è fornita della autorità di Cristo; ma questo a sua volta ci è garantito dalla testimonianza della Chiesa. Il motivo per cui la testimo­ nianza della Chiesa costituisce una garanzia assoluta, cioè la sua autorità divina, ci è ancora garantita dalla testimonianza che essa fa di se stessa. Nella testimonianza che la Chiesa rende a Cristo è implicita quella che essa fa di se stessa, e sulla testimonianza che essa fa di se stessa si fonda quella data a Cristo. La sua autotestimonianza regge la testimonianza di -

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§ I66A. LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CHIESA

Cristo e viceversa. Soltanto se è vera l'una è vera pure l'altra, e viceversa. L'una si fonda sull'altra, l'una condiziona l'altra. Come si può giustificare questo circolo? Dal fatto che la Chiesa ha una coscienza immediata del mistero di Cristo ed in esso del suo proprio mistero. « Tutto in definitiva deve essere fatto risalire ad una certezza immediata. Cosi è certezza immediata anche questa: la Chiesa cattolica ha appreso dalla bocca del Signore ciò che deve essere; a lei furono ri­ volte le parole divine: " Io sono con voi sino alla fine del mondo "; a lei fu detto : " Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi Al suo capo il Signore ha dato l'assicurazione: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa ". Queste ed altre simili parole che piu tardi vennero scritte da uomini che essa sola conosc!, a!le q ua\i essa sola può dare i relativi pre­ dicati, ed alle quali, fuori del suo ambito, non si può mai assegnare con certezza assoluta il vero predicato, le ha dunque sentite essa stessa, cosi come ha visto il Signore ed i suoi atti ed ascoltato gli altri suoi di­ scorsi; e se essa dovesse cercare ancora altre prove, sarebbe come pre­ tendere da uno, il quale ha visto personalmente un qualche fatto e ne è perfettamente cosciente che inviti altri uomini a testimoniargli che ha visto il fatto, quasi che la sua esperienza gli possa divenire certa soltanto se un altro gli dice che egli l'ha fatta. Non esiste certezza maggiore di quella immediata; della nostra propria esistenza nessuno può darci cer­ tezza se non noi stessi. Anche questa conoscenza non è mediata, ma immediata» (J. A. Mohler, Neue Untersuchungen, 1835, 341). Chi con la fede entra nella Chiesa, partecipa di questa conoscenza che essa custo­ disce nel suo ricordo. ".

8. - Alla visione di fede giunge solo chi si è liberato da ogni forma di orgoglio, di ostinazione e di autosufficienza nei confronti di Dio. Poiché la tentazione di ergersi contro Dio sollecita continuamente l'uomo, questi è sempre in pericolo di considerare la Chiesa in un modo errato. Tale tentazione riceve continuo alimento dallo scandalo che la Chiesa offre. Il motivo dello scandalo, è, come per Cristo, l'unione del divino con l'umano; l'abbassamento di Dio nella debolezza umana (Fil. 2, 6-8; cfr. vol. II, § 145 e vol. 111/2, § 193). Mohler (Symbolik, § 36) cosi descrive l'unione del divino con l'umano quale si realizza nella Chiesa: « I cattolici intendono per Chiesa in terra la società visibile di tutti i credenti, fondata da Cristo, nella quale l'opera da lui svolta durante la sua vita terrena per redimere e santificare gli uomini, sotto la guida del suo Spirito viene continuata fino alla fine del mondo per mezzo d'un apo-

P. I. - LA CHIESA

18

stolato ininterrotto da lui voluto e tutti i popoli nel corso dei tempi sono ricon­ dotti a Dio.

È dunque ad una società visibile che

è

affidata una missione cosi grande e

cosi importante. La ragione ultima della visibilità della Chiesa sta nell'incarna­ zione del Verbo divino; se egli fosse sceso nei cuori degli uomini, senza assu­ mere la forma di servo e senza apparire cosi in modo corporeo, avrebbe anche fondato una Chiesa puramente interiore e invisibile. Verbo si

è

Ma dal momento che il

fatto carne, si manifestò in modo umano, esternamente percepibile,

parlò come uomo ad altri uomini, soffri e operò in guisa umana, per riconqui­ stare gli uomini al regno di Dio, dovette scegliere una via che corrispondeva perfettamente al metodo solito di insegnamento e di educazione, richiesto dalla natura e dalle necessità dell'uomo. Scomparso dagli umani sguardi, il Salvatore doveva pur sempre operare nel mondo e per il mondo; e pertanto, se la divinità aveva in Cristo esercitata la sua virtu nella guisa che

è

solita all'uomo, ecco

determinata anche la forma in cui doveva essere continuata l'opera sua. Ciò fu decisivo per la natura dei mezzi con cui il Figlio di Dio, anche dopo la sua scomparsa dal mondo, intendeva operare nel mondo e per il mondo. La divinità in Cristo si era rivelata attiva in un modo umano consueto; con ciò stesso veniva indicata la forma in cui l'opera sua doveva essere continuata. La predicazione della sua dottrina richiedeva dunque una mediazione umana visibile e doveva essere affidata a messaggeri visibili che insegnassero ed educassero secondo il metodo abituale. Uomini dovevano parlare ad altri uomini e trattare con essi, onde comunicare loro la parola di Dio e come nel mondo degli uomini ogni cosa grande si sviluppa solo socialmente, cosi Cristo costitui una comunità,

c

la

sua parola divina, la sua volontà viva e l'amore che ne fluisce, esercitarono sui suoi una forza interiore unificatrice per modo che alla sua disposizione esterna corrispose

un

impulso imerno nel cuore dei fedeli tra i quali sorse un reciproco

legame appariscente di concatenazione viva e si poté dire: eccoli qua, eccoli là, ecco la sua Chiesa, l'istituzione in cui egli continua a vivere, il suo Spirito ad agire e la parola da lui detta a risuonare in eterno. Sotto il punto di vista or ora sviluppato la Chiesa visibile è dunque il Figlio di Dio che appare continuamente in forma umana fra gli uomini, che continua­ mente si rinnova e ringiovanisce eternamente: la sua incarnazione permanente; ed infatti i fedeli della sacra Scrittura sono chiamati corpo di Cristo. Ma di qui appare pure chiaro che la Chiesa, sebbene composta di uomini, non

è

sem­

plicemente umana. Anzi, come in Cristo l'elemento umano e quello divino, pur distinti, si trovano uniti, cosi anche nella Chiesa egli continua in una totalità indivisa. La Chiesa che è la sua permanente manifestazione,

è

divina e umana

ad un tempo, riunisce i due elementi. Nascosto sotto le forme terrestri e umane, egli opera nella Chiesa; perciò questa presenta uniti un lato divino e uno umano, per modo che il divino non può essere separato dall'umano, e viceversa. Questi due lati si scambiano quindi anche i loro predicati: se il divino, il Cristo vi­ vente ed il suo Spirito

è

in essa propriamente l'elemento infallibile, l'eternamente

certo, nondimeno anche l'umano

è

l'umano per noi non esiste; l'umano manifestazione del divino.

infallibile e certo, perché il divino senza

è

tale non per sé, ma come organo e come

Perciò comprendiamo come una cosa cosi grande,

importante e significativa abbia potuto essere affidata a uomini».

§ I66A. LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CHIESA

19

L'abbassamento di Dio nella Chiesa è piu profondo e piu esteso che non in Cristo; giacché nella Chiesa il divino è entrato nell'umana im­ perfezione e peccabilità; è affidato a mani che si possono macchiare. Perciò nella Chiesa rimane piu occulto che in Cristo. Ma la debolezza ha un limite nella indistruttibilità promessa da Cristo alla Chiesa, e so­ prattutto nella sua infallibilità. « L'immediatezza

è

e la forza originaria dell'ispirazione divina, il tempo

del­

revelare, sottentra il tradere, alla sovrabbondanza dello Spirito sottentra l'assistentia Spi­ ritus Sancti per preservare dall'errore. All'intuizione profetica sottentra la rario theologica. La straordinaria dinamica della predicazione di Cristo cede il posto ad ordinamenti stabili e a formule codificate. I vigorosi ed avvincenti Logia di

l'azione creatrice

terminato con Gesu Cristo e con i suoi apostoli. Al

Gesu e degli apostoli ispirati vengono trasmessi nel rigido schema dei dogmi.

ethos e del nuovo amore viene governato da una regula disciplinae. Sorge un diritto ecclesiastico con prescrizioni e leggi che vanno

L'ardore del nuovo

sempre piu ramificandosi. Nasce una teologia ecclesiastica con tutto l'apparato di

un

esercizio scolastico, con definizioni

e

distinzioni, con brillanti sillogismi

ed argomenti di vasta portata, una scienza del

credibile che racchiude la vita

erompente dal Vangelo in concetti e tesi condizionati dai tempi, e proprio per questo dà al tessuto divino della rivelazione una ricca trama umana. La Chiesa di Cristo entra nella visuale del credente come una compagine di istituzioni e di poteri oggettivi, di tesi e di norme precise. Questa

exinanitio della Chiesa

è

la forma specifica della

».

Ma questa va piu oltre ancora:

«

Per il fatto che la Chiesa, al pari del suo

capo divino, ma in misura ancora molto maggiore, si assoggettò alle potenze della storia, alle particolarità dei caratteri umani, alle singolarità dell'ambiente storico, agli effetti specifici del tempo fuggevole, la sua figura esteriore subi numerosi influssi dall'esterno che deturparono la sua bellezza originaria e pos­ sono minacciare la nostra fede, allorché questa si limita ad una considerazione puramente esteriore del cristianesimo, invece di rivolgersi con salda fiducia nelle

(K. Adam, Vom )frgemis zum sieghaften Glauben, in Die eirre Kil·che. Zum Gedenken J. A. Mohlers, 1939, 41, 51).

sue recondite forze spirituali ad una lieta attesa della fine»

Cosi l'uomo è dunque tentato di scandalizzarsi delta Chiesa. Solo la fede l'aiuterà a vincere questa tentazione. La fede gli dirà che la Chiesa, mistero di Cristo perpetuantesi nella storia, sta sotto la stessa legge che portò Cristo alla morte (Mt. 16, 21; Le. 24, 26), a quella fine che fu scandalo ai Giudei e stoltezza ai pagani. La gloria di Dio è presente nella Chiesa, ma si manifesta soltanto nelle forme dell'umano, del finito e del limitato che nello stesso tempo la nascondono. L'eterno appare in forma temporale; anzi soltanto cosi può giungere a noi, essendo il tempo desti­ nato a risolversi nell'eternità. Nella fede l'uomo acquista pure la certezza

20

P. I.

-

LA CHIESA

che le cose occulte saranno un giorno rese manifeste. Cosi lo scandalo viene superato con la fede. Chi non lo supera con la fede, ne diviene vittima. Come risero di Cristo Giudei e pagani, cosi devono considerare anche la Chiesa come una stoltezza ed un inganno (Rom. I, I6; I Cor. I, 20-3 I ; Atti I 7, I 8-20. 32) . Il. - L'ECCLESIOLOGIA, SCIENZA DELLA FEDE. l . - Ciò che la Chiesa afferma nella fede in Cristo e nella fede in se stessa che vi si fonda viene sviluppato nell'ecclesiologia con i metodi consueti della scienza teologica. L'ecclesiologia è l'intelligenza acquisita metodicamente del mistero della Chiesa. Anche la fede semplice ed in­ genua che afferma il fatto della Chiesa, ha una certa intelligenza del mistero che afferma, altrimenti sarebbe un atto privo di senso e perciò indegno dell'uomo. Senza un minimo eli intellectus la fides non può sus­ sistere. Ma nella teologia, l'intelligenza della verità creduta, viene svi­ luppata metodicamente in modo da diventare piu ampia e piu profonda, sistematicamente ordinata e completa, senza che il mistero cessi di re­ stare tale, senza che la fede venga sostituita o repressa. Nel fare questo la dogmatica impiega sia il metodo storico che quello filosofico, ma non successivamente o parallelamente, bensi con una simultaneità organica, in cui però ciascuno dei due metodi deve svolgere la funzione che gli è propria. Si confronti in proposito quanto è stato detto nella introduzione al primo volume sul metodo teologico. La teologia dogmatica concernente la Chiesa si distingue per il suo metodo da tutti gli altri modi di considerarla, e quindi sia da quello della teologia fondamentale o apologetica, sia del diritto canonico, de1la socio­ logia, della storia e della scienza delle religioni. Le differenze non impe­ discono uno stretto rapporto. Tutte le discipline teologiche considerano la Chiesa alla luce della fede, ma ciascuna soltanto sotto un determinato punto di vista. La teologia dogmatica invece si sforza di giungere ad una visione completa, cerca di offrire una vasta analisi che, dal punto di vista della fede, consideri tutti gli elementi essenziali alla conoscenza della Chiesa. Nel fare questo la dogmatica parte dalla conoscenza di fede che la Chiesa ha attualmente di se stessa; si sforza cioè di esporre ciò che la Chiesa di oggi afferma di se stessa nella fede. Ma quanto essa dice attual­ mente di se stessa può essere compreso solo in base all'intero sviluppo

§ I66A. LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA CHIESA

2I

storico che le ha fatto prendere coscienza di quanto oggi crede. La dogma­ tica quindi potrà conseguire una piena conoscenza della Chiesa, quale oggetto di fede, solo tenendo conto di tutto lo sviluppo dottrinale con­ cernente la Chiesa medesima. 2. Il Diritto canonico considera la Chiesa dal punto di vista dell'or­ dinamento visibile datole da Cristo e da essa stessa elaborato secondo le esigenze del suo sviluppo storico. -

3. La teologia fondamentale dimostra che l'attuale Chiesa romano­ cattolica è istituzione di Cristo, mostrando che egli ha fondato una Chiesa e che essa si identifica con la Chiesa cattolico-romana. Dimostra pertanto che la consapevolezza della Chiesa di essere la Chiesa di Cristo è legit­ tima e che essa quindi è autorizzata ad esigere una fede incondizionata, una ferma adesione e una fiduciosa dedizione (cfr. A. Lang, Compendio di apologetica, trad. it., Torino 1960). -

La teologia fondamentale è in grado di svolgere questo suo compito perché la Chiesa è un segno innalzato tra i popoli e per questo suo carattere di segno si rivela come Chiesa di Cristo. Il Concilio Vaticano dice in proposito: affinché noi potessimo soddisfare al dovere di abbracciare

«Ora,

la vera fede e di

perseverare in essa fino alla fine, Dio istitui la Chiesa per mezzo del Figlio suo unigenito e la forni di segni evidenti della sua origine divina, perché essa potesse essere riconosciuta da tutti quale custode e maesua della parola rivelata. Soltanto infatti alla Chiesa cattolica appartengono tutti i numerosi e meravigliosi contrassegni stabiliti da Dio per rendere evidente la credibilità della fede cristiana. Anzi, già di per se stessa la Chiesa è un grande e perpetuo motivo di credibilità

ed una testimonianza irrefutabile della sua divina missione, per la sua meravi­

gliosa propagazione, per la sua eminente santità ed inesauribile fecondità in ogni bene, per la sua unità cattolica e per la sua invincibile stabilità. Ne consegue

che essa, come un segno levato tra i popoli (ls. II, 12), invita a sé coloro che ancora non credono, e assicura ai suoi figli che la fede da loro professata poggia su un saldissimo fondamento » (Denz. 1793 s.). Il concilio si riferisce alla promessa del regno di pace fatta dal profeta Isaia, il quale (cap. II) preannunzia che dal tronco di J esse spunterà un rampollo: su di esso scenderà lo Spirito del Signore; egli giudicherà secondo giustizia e eliminerà i delinquenti; sarà un'èra di pace simboleggiata dal fatto che il lupo sarà ospite dell'agnello, e il fanciullo giocherà sulle buche delle vipere. In questo regno di pace "' al rampollo di J esse, eretto a segnale per i popoli, si volgeranno ansiose le genti e la sua sede sarà cinta di gloria. In quel tempo ancora porrà mano il Signore a riscattare il residuo del suo popolo superstite dall'Assiria, dal basso e dall'alto Egitto, dal Cus, dall'Elam e dal Sennaar, da Hamat e dai lidi del mare. Alzerà un segnale per le genti e raccoglierà i dispersi d'Israele, e gli sbandati di Giuda adunerà dai quattro canti della terra» (Is. 11, 10-12).

P. I.

22

-

LA CHIESA

Come per i pagani il popolo rinnovato da Dio e portato a nuovo splendore

è un segno mirabile, cosi la Chiesa, il popolo di Dio della nuova alleanza, è nel mondo un mirabile segno celeste. Il carattere di segno non comporta soltanto che la Chiesa sia visibile, ma che sia visibile come popolo di Dio. La teologia fondamentale si sforza di spiegare il carattere

di segno della Chiesa, ma restrin­

gerebbe troppo il suo compito, se limitasse tale carattere di segno a ciò che si può vedere con l'occhio e non vi includesse ciò che si può udire con l'orecchio. Il segno, che è la Chiesa, abbraccia ciò che si può vedere ed udire e perciò tutto l'ambito di ciò che rappresenta il fenomeno della Chiesa. La dogmatica considera anch'essa la Chiesa nel suo carattere di segno, ma sotto un punto di vista diverso dalla teologia fondamentale, perché essa cerca di spiegare il mistero della Chiesa che si manifesta nel segno, mentre la teologia fondamentale cerca di spiegare il carattere di segno della Chiesa per dimostrarne cosi l'origine divina e la legit­ timità della pretesa d'essere la Chiesa di Cristo. Tuttavia non può procedere come se nulla sapesse dell'origine della Chiesa dalla volontà di Cristo. Se usasse un simile metodo, non sarebbe una scienza teologica; si ridurrebbe piuttosto ad una semplice scienza delle religioni o ad uno studio comparativo delle religioni. Di fatto però la teologia fondarnen.tale viene guidata dalla fede nella Chiesa, come istituzione di Cristo. Questa fede dà alla teologia fondamentale l'impulso decisivo, prendere e condurre a termine

la

sia nell'intra­

ricerca, sia nel percepire e scartare le deviazioni

dal sentiero della verità. Senza la fede nella Chiesa di Cristo mancherebbe quel­ l'interesse esistenziale che

in ceno modo fa della teologia fondamentale una que­

stione di vita e di morte. Inoltre la fede come fides purgans, come forza purifi­ catrice, pone lo studioso di fondamentale in grado di indagare in modo oggettivo, richiesto dall'argomento, purificando spirito

c

cuore dalla cecità e dall'egoismo.

Lo mette in quel rapporto con il suo oggetto, senza cui non sono possibili una ricerca fruttuosa ed una lotta genuina. Tuttavia il cultore della fondamentale, pur ricevendo gli impulsi necessari dalla fede, nel tentativo di

dimostrare la

legittimità della pretesa della Chiesa non impiega la rivelazione stessa,

ma

argo­

menti di ragione. Egli cerca quei motivi di ragione, che dimostrano che la fede

è razionale. Egli guarda alla Chiesa in quanto è un segno di Dio e cert:a di interpretarlo. Lo scopo dei suoi sforzi è � giustificare la fede nella Chiesa, quale istituzione di Cristo. Co5i la fede è per lui punto di parrenza e meta del suo cammino scientifico, ma il cammino stesso è il movimento della ragione. Non è qui possibile esporre come da una l:onoscenza di ragione si giunga all'ano di fede. La ragione può dimostrare che l'atto di fede non lo può produrre. In ultima analisi esso

è

razionale, anzi obbligatorio, ma

è una decisione dell'uomo, mosso

dalla grazia (cfr. vol. I, § § 24 ss.). Il teologo fondamentale porta in ceno modo alla Chiesa e ne determina la posizione e la struttura nel complesso della storia umana. Il teologo dogmatico penetra nella casa stessa e ne spiega l'interna magnificenza, e precisamente in base a ciò che la Chiesa insegna e annuncia di se stessa. Ma anche il primo non può prescindere del tutto dal fare altrettanto; deve infatti dimostrare che la realtà cui spiana la via è la Chiesa. A sua volta il dogmatico non può prescindere del tutto dal determinare via, posizione e struttura, perché solo cosi diventa comprensibile il significato interno. In un certo senso si può dire che lo sguardo

§ 166 ".

LA FEDE, VIA ALLA COMPRENSIONE DELLA

23

CHIESA

del teologo fondamentale abbraccia il lato esterno, quello del dogmatico il lato interno.

«

Esterno

»

ed

c

interno

»

non devono però essere nettamente separaù,

giacché il lato esterno si può comprendere soltanto come mezzo e manifestazione dell'interno, e quello interno solo come la

o:

entelechia

»

dell'esterno. Cosi l'uno

si scorge nell'altro. Con piu chiarezza e forse con meno malintesi la differenza si può precisare dicendo che per la teologia fondamentale la fede è il punto di par­ tenza e la meta, mentre per la dogmatica è anche la via della indagine. Infatù qui si tratta di penetrare con l'intelligenza ciò che già prima si riùene per fede. La dogmatica guarda sempre all'oggetto che le viene presentato nella fede con due occhi :

l'occhio della fede e l'occhio della ragion e.

Il compito numerose

del

teologo fondamentale riveste parùcolare importanza,

comunità

religiose

sostengono

di

essere

la

Chiesa

di

perché

Cristo.

Di

fronte a tali pretese la teologia fondamentale diviene apologetica, che difende la pretesa della Chiesa cattolica romana, e può realizzare il suo intento per duplice via, una storica e l'alLra empirica.

Il metodo storico parte dal

fatto

della Chiesa e ne ricerca l'origine; si rifà agli scritti del Nuovo Testamento e

li considera come fonte storica; l'esame di essi porta al risultato che Cristo ha fondato una Chiesa; l'indagine storica mostra che la Chiesa fondata da Cristo, con uno sviluppo omogeneo si è evoluta nell'attuale Chiesa romano-cattolica, sicché in essa si ha la Chiesa fondata da Cristo. Una tesi essenziale di questa dimostrazione è il primato del Papa. Il metodo empirico invece cerca di es porre le verità ed i valori religiosi che sono esperimenta in essa; presenta la

derio di verità, del nostro anelito comunione, e conchiude :

realizzati nella Chiesa

e che il

fedele

Chiesa come l'appagamento del nostro desi­ alla

santità, all'ordine, alla

bellezza,

alla

un'istituzione che realizza tali valori deve essere la

Chiesa di Dio, se non vogliamo porre in dubbio che la storia e la nostra vita abbiano un significato. Cfr. L. Kosters, 12-1 7; trad. fr.

L'Eglise de notre foi,

Die

Kirche

unseres Glaubens,

1935,

1938, 13-19. La cosa migliore sarà che

la teologia fondamentale unisca i due metodi. Ciò potrà avvenire ad es. nel modo seguente :

si parte dal cristianesimo, come ci

si presenta oggi, se

ne

mostrano a grandi linee le proprietà per cui esso si disùngue da tutte le altre manifestazioni

religiose

origine. Si giunge cosi

del a

risale alla

sua

Gesu Cristo. A questo punto sorge la quesùone :

presente,

e

attraverso

i

secoli

si

Chi

era Gesu Cristo? Egli appare come un essere unico e incomparabile, che supera ogni misura umana. In lui Dio viene incontro agli uomini (cfr. ciò che

è

detto

nei §§ 145 e 1 5 2). Secondo quanto affermano i Vangeli, egli fondò una comunità religiosa. Ci si domanda ora dove questa si trovi. La domanda

è

necessaria,

perché numerose comunità religiose prendono nome da Cristo. Quale di esse lo fa con diritto? Se all'inizio della dimostrazione il cristianesimo è stato consi­ derato solo in modo generico, come un fenomeno unico e singolare che si stacca da tutte le formazioni religiose non cristiane, ora si considerano invece le comu­ nità che entro il cristianesimo sono in contrasto e non di rado in lotta tra di loro. La pretesa di essere la Chiesa di Cristo potrà essere sostenuta con ragione da quella che conserva senza frattura storica il rapporto con Cristo; da quella in cui il suo messaggio viene annunciato integro e genuino, senza sottrazioni ed aggiunte estranee; da quella che possiede le caratteristiche date da Cristo alla sua Chiesa. Invertendo ora il cammino che dal presente ha portato a Cristo,

P. l.

-

LA CHIESA

e procedendo da Cristo al presente si giunge alla Chiesa cattolica. In essa, e soltanto in essa

è conservata e annunciata la pienezza della rivelazione verifi­

catasi in Cristo. Essa, e soltanto essa, possiede le proprietà conferite da Cristo alla sua Chiesa. Essa, e soltanto essa, può saziare la farne dello spirito e del cuore umano. L'apologetica

può quindi dimostrare che la

Chiesa cattolica è

stata fondata da Cristo, che essa sola è il luogo in cui la dottrina di Cristo viene

è il posto in cui si è ordinata nel suo spiriw (cfr. A. Lang, Compendio di apologetica, trad. it., Torino 196o, 249-25 2). predicata integra e nella sua purezza originaria, che essa

vive secondo il suo esempio e l'esistenza

4. Oltre alla visione apologetica e dogmatica della Chiesa c'è ancora quella della scienza delle religioni. Qui la Chiesa viene considerata come un dato constatabile mediante l'esperienza e l'indagine storica. Ma a differenza di ciò che avviene nella visione apologetico-teologica, il suo carattere divino non viene affermato in partenza. A tutta prima lo stu­ dioso delle religioni l'affronta piuttosto come altri fenomeni religiosi e cerca di afferrare ciò che le è proprio e ciò che la distingue. Il suo me­ todo è da prima quello comparativo; ma attraverso al semplice confronto egli può procedere alla valutazione. Nel farlo egli seguirà in gran parte le stesse vie dell' apo�ogeta, ma con atteggiamento diverso. Egli si muove su di esse come un osservatore staccato, freddo, anche se non privo di un'intima partecipazione; l' apologeta come un amico intimo, affezionato e consapevole. Quest'ultimo osserva non meno acutamente del primo, ma guarda con occhi illuminati dall'amore, i quali vedono di piu che non gli occhi della > o degli « eletti ». >> è addirittura sinonimo di « Chiesa ». Anche essa deriva dall'Antico Testamento. Infatti il popolo di Dio dell'Antico La designazione « i santi

Testamento era santo in quanto per un lato era separato dal mondo, e perciò era e doveva essere diverso degli altri popoli della terra; per l'altro

I9, 6 ; 1 6, 3 ; Lev. 1 7-26 ; specialmente Lev. I I, 44 s. ; 20, 7 ; 27, I 6. 3 3 ; Giudit. 6 , I 9 ; Esd. 9 , 2 ; 2 Mac. 1 5, 24). Perciò anche i suoi membri sono chiamati santi (Deut. 33, 3 ; Sal. 78, 2 ; 82, 4; 84, 9; 149, r. 5· 9 ; I Mac. I , 46 ; Tob. 8, 1 5 ; 1 2, I 5 secondo i Settanta ; 2 , I 8). Con questa

apparteneva a Dio, il santo, del cui onore era responsabile (Es. Num.

§ 166 8• DEFINIZIONE DELLA CHIESA

37

designazione è intesa anzitutto la santità antologica, cioè la santità sca­ turiente dall'economia divina e dalla sua realizzazione. Quella morale ne deve essere la conseguenza. Il popolo della fine dei tempi promesso nel­ l' Antico Testamento deve essere santo

in senso particolarmente intenso.

Secondo la predizione profetica dell'Antico Testamento Dio creerà una nuova comunità che gli apparterrà interamente (Am. 3, 1 2 ; 5, I 5 ; 9,

8;

Os. 2, I 6 ss. 23 ; 3 , 4 ; Is. 4 , 2 s. ; 6, 1 3 ; IO, 20 ; 37, 32). Il pensiero del santo popolo di Dio del futuro riveste una forma parti­ colarmente chiara in Daniele. Nel capo 7 il profeta vede la parte del popolo fedele a Dio come « i santi dell'Altissimo » o semplicemente come « i santi ». Si dice che essi, nella grave tribolazione dell'Anticristo, rimar­ ranno fedeli e avranno in eredità il dominio di tutto il mondo. Negli ultimi secoli avanti Cristo, esisteva nel popolo opposizione fra i pii ed un settore mondanizzato. I pii pretendevano l'attributo della santità perché si ritenevano gli eredi della promessa. Essi però non si chiamavano abi­ tualmente santi, ma pii o giusti. Quando talvolta usurpavano quel titolo anticipavano con esso il futuro. Infatti la santità di tutti è un dono messianico. Questo stato di cose permette di comprendere perché i cristiani si desi­ gnassero come santi. Con tale denominazione intendevano esprimere che essi erano il popolo eletto di Dio, il vero Israele del tempo della salvezza. A. Wikenhauser

Apostel Paulus,

(Die Kirche als der mystische Leib Christi nach dem

I 937, 26) dice :

«

Se l'Israele empirico è un popolo santo

ed i suoi membri sono spesso chiamati semplicemente santi,

è naturale

che anche il popolo di Dio della fine dei tempi sia un popolo santo ed i suoi membri siano santi. Anzi, per esso il carattere della santità è sup­ posto e richiesto

in un senso ancora piu intenso. Ed anche nell'Antico

Testamento e nella tarda letteratura giudaica si trovano espressioni che gli attribuiscono esplicitamente il predicato della santità. Bisogna ancora notare che la profezia dell'Antico Testamento presagisce un giudizio che precede immediatamente la venuta del regno messianico ed ha lo scopo di estirpare da Israele ogni male; idea, questa, che avrà una parte im­ portante anche nella tarda letteratura giudaica, specialmente in quella apocalittica. Per questo il futuro popolo di Dio ha un particolare diritto d'essere chiamato santo (cfr. Henoch etiopico e Salmi di Salomone, I 7). Anche questo titolo fu usato da prima nella primitiva comunità di Gerusalemme, cui compete I Cor. I6, I ; 2 Cor.

8, 4;

di preferenza (Atti 9, I 3 ;

Rom.

I 6, 3 I ;

9, 1 . I 2). Di là Paolo l'ha desunto. Anche i

pagani convertiti vengono denominati con lo stesso titolo, poiché acco-

P. I.

-

LA CHIESA

gliendo con fede il Vangelo sono diventati essi pure eredi della promessa. Cosi esso divenne una designazione per tutta la Chiesa ( I Cor. I, 2 ; 6 , I s. ; Rom. 8 , 2 7 ; I 5, 2 ; Col. 3 , 1 2 ; Ef. I, I 5 i 5 , 3 ; 6, I 8 ; Tit. I , I ; 2 Tom. 2, Io). Lo troviamo anche in altri scritti del Nuovo Testamento (Atti 9, 4 I ; 26, I O ; Apoc. 5, 8 ; 8, 3· 4; I 3, 7· I O ; I4, 1 2 ; I 7, 4 i I8, 24; I 9, 8; 20, 9i I Piet. 2, s-9).

B. Gli « eletti ». L'autodesignazione della Chiesa pnmltlva come la comunità degli « eletti » è attestata sia dai Vangeli sinottici, sia dalle lettere di S. Paolo. Cristo stesso chiama « eletti » coloro che credono in lui (Mt. 22, I4i 24, 22. 24. 3 I ; Mc. I 3, 20. 22. 27). Paolo usa il termine ad es. in Rom. 8, 27 s. ; 8, 3 3 ; Col. 3, 1 2 ; 2 Tim. 2, IO (cfr. pure 1 Piet. I , 1 ; 2, 9 ; 5 , I3). Particolarmente frequente è l'uso di questa designazione nei Padri apostolici (I Clem. I, I ; 2, 4; 49, 5 ; 59, 2 ; Pastore di Erma, vis. II, I, 3 i II, 2, 5 ; 2 Clem. I 4, 5 ) . Anch'essa ha la sua radice nell'Antico Testa­ mento. Il popolo di Dio dell'Antico Testamento era un popolo eletto di Dio. Era separato dal paganesimo circostante (Lev. 20, 26 ; Deut. 7, 6 s. ; I 4, 2 ; 26, 1 8 ; Is. 4 I , 8 s. ; 43, 20 s. ; 45, 4 ; Sal. 33, 1 2 ; 47, 5 ; 88, 4 ; 105, 4 3 ; Io6, 5· 23; Eccli. 46, r ; Tob. 8 , I 5). Come il predicato della santità, cosi quello della elezione nell'Antico Testamento venne attribuito con accento speciale al popolo della fine dei tempi (ls. 65, 9. 22 ; Sap. 3, ro). Un equivalente di « eletti » è il termine « prediletti da Dio ». Significa la stessa cosa. Infatti l'elezione è un atto dell'amore di Dio (Deut. 7, 7). L'espressione « il diletto figlio di Dio », è un antico predicato onorifico del popolo d'Israele (Os. I I , 1 ; Is. 43, 4 ; Bar. 3, 37 ; Sal. 59, 7 i Sap. 16, 26). La giovane Chiesa attribui a sé anche questo predicato onorifico (1 Tess. I, 4i 2 Tess. 2, I 3 i Col. 3, 12; Rom. I, 7 ; I I, 2 8 ; Ef. 5, I i Giuda 1). La comunità primitiva di Gerusalemme e, sul suo esempio, tutta la Chiesa generale si identificò con la comunità dei santi e degli eletti pro­ messa nell'Antico Testamento. In questa terminologia si rivela sia la continuità che la discontinuità tra il popolo di Dio dell'Antico Testamento e la Chiesa. Di ciò si par­ lerà piu diffusamente in seguito. Degli altri nomi della Chiesa, a cui abbiamo precedentemente accennato, si tratterà nel corso del lavoro ; soprattutto della denominazione « corpo di Cristo ».

CAPITOLO Il. DEFINIZIONE REALE

l . - La definizione nominale ci permette di dare una definizione reale provvisoria. Si è discusso a lungo se sia possibile dare della Chiesa una definizione in senso stretto. Poiché la Chiesa è un mistero della rivela­ zione divina, non se ne potrà dare una definizione strettamente scientifica in senso proprio. F. Commer (Vom W'esen der Kirche, Vienna 1 904, 1 0), osserva giustamente : « L'impossibilità d'una definizione strettamente scientifica non deriva in questo caso dalla imperfezione dell'essere della Chiesa come oggetto da definirsi, ma piuttosto dalla sua sovrabbondanza, dal contenuto troppo ricco e troppo vigoroso, che non può essere deli­ mitato da concetti finiti di genere e differenze specifiche cosi da renderlo comprensibile per noi. Anche Dio è indefinibile e cosi pure Cristo, perché è persona divina. Ma, come vedremo, Cristo e la Chiesa sotto un certo aspetto sono la stessa e identica cosa. Se dunque la Chiesa, per il suo singolare carattere soprannaturale non è passibile di una stretta defini­ zione logica, dovremo, per conoscere questo mistero di fede, nella mi­ sura in cui un tale mistero può divenire accessibile alla nostra mente, accontentarci di analogie che converrà desumere in prima linea dalle immagini simboliche della rivelazione divina fissata nella sacra Scrittura » . Similmente l o stesS() autore in altro luogo ( Das Leben der Kirche. Grundlegung, in Divus Thomas, 6, 1 9 1 9, 1 7 3) scrive : « Ma se noi po­ tessimo conoscere perfettamente la misteriosa essenza della Chiesa, do­ vremmo essere in grado di definire con rigore scientifico che cosa è la Chiesa. Dovremmo allora afferrarla con un concetto formale che le cor­ risponda esattamente in tutte le sue proprietà. Ma nella storia della teo­ logia non si trova neppure una sola definizione del genere, che soddisfi alle esigenze che la logica pone per una definizione essenziale e perciò non debba contenere metafore; ma tutti i tentativi sono piu o meno delle definizioni che possono avere un valore pratico per l'apologetica o per il

P.

I.

-

LA CHIESA

Diritto canonico, ma non equivalgono mai ad una stretta definizione della natura. Ciò non vale solo per la definizione del Bellarmino, ma anche per tutti i tentativi recenti che, pur approfondendo la conoscenza della Chiesa mediante l'introduzione del concetto di sacramentalità, rimangono tut­ tavia descrizioni analogiche e perciò non fanno che confermare il carattere del mistero » . 2. Sebbene non si possa dare una definizione in senso stretto, si può offrire tuttavia una definizione in senso largo cioè descrittiva, che al pari di tutti gli effati teologici, presenta carattere analogico. Essa deve espri­ mere che la Chiesa non è un risultato di sviluppi storici, ma è un'istituzione divina; ed inoltre che essa non deve servire a scopi terreni, ma celesti. Date queste sue caratteristiche è meglio chiamarla fondazione che non corporazione o associazione. -

La corporazione o associazione è un istituto giuridico il cui ordinamento giu­ ridico

è determinato dai membri. Nella corporazione anche gli statuti dipendono

dalla volontà dei membri che l'hanno creata e fornita di una determinata costi­ tuzione. Essi sono i padroni della corporazione

c

mediante decisioni di maggio­

ranza possono modificare gli statuti, in parte abrogarli, o completarli con nuove disposizioni.

Gli statuti d'una fondazione, invece, vengono stabiliti dal fonda­

tore, e quindi hanno la loro fonte nella volon tà di chi la istituisce e ne detennina gli scopi, per modo che non possono piu essere modificati da un ano di volontà dei suoi membri. Il fondatore rimane ndlo stesso tempo padrone dell'istituzione. Coloro che sono chiamati a fa rne parte ne possono modificare gli statuti solo nella misura in cui il fondatore ba conferito ai membri determinati poteri. Essi possono muoversi solo entro gli statuti fissati dal fondatore stesso. Perciò l'atto di volontà dei membri della fondazione è legato alla disposizione di chi l'ha istituita, vi

è sottoposto; e il senso della fondazione si esprime propriamente nella

obbedienza dei membri al volere del fondatore. Di qui emerge che la differenza tra corporazione e fondazione non sta nel fatto che la prima rappresenta una comunità di persone e la seconda no (infatti anche questa può essere una comunità di persone);

ma

sta nel modo in cui la

Der KirchenbegJ-ifj des Kano­ nischen Rechts. Versuch einer methodologischen Begriindung, in M ThZ, 4, comunità sorge ed è costituita. Vedi B. Panzram,

1953, I87-2 I I .

3. - Poiché la Chiesa non è formata dal volere dei suoi membri, ma è sorta per fondazione di Cristo, poiché quindi la sua esistenza ed il nu• eleo della sua costituzione è indipendente dalla cerchia delle persone in essa raccolte, essa non costituisce una corporazione, ma una fondazione, la cui forma fondamentale possiede un carattere trascendente in quanto è stata stabilita da Cristo. Infatti la Chiesa esiste in base ad una disposi-

§ I66 H. DEFINIZIONE DELLA CHIESA

41

zione divina, e serve alla salvezza, che raggiungerà la sua piena forma al di là della storia. (Se nel campo politico la Chiesa è trattata come corpo­ razione di diritto pubblico, ciò non esprime un dato teologico, ma serve a necessità pratiche, cioè a regolare il reciproco rapporto tra stato e Chiesa). 4. Sotto questo punto di vista si possono giudicare le descrizioni della natura della Chiesa, apparse finora nella storia. I concetti della Chiesa elaborati dalla teologia protestante non sono sufficienti. -

La storiografia ecclesiastica protestante distingue tra Chiesa in senso dogmatico e Chiesa in senso storico. Per Chiesa in senso storico essa intende tutto il cristia­ nesimo nella sua estensione piu ampia, cioè « la complessa struttura storica che dura ormai da 19 secoli e che ha avuto inizio con l'azione di Gesu e degli apo­ stoli » (K. Heussi, Kompendium der Kirchengeschichte, 9 ed. 1937, 4). Nelle definizioni dogmatiche che i protestanti danno della Chiesa, sta in primo piano la comunità di coloro che sono w-liti mediante la fede e lo Spirito Santo (societas fidei et Spiritus Sancti). Tali definizioni furono preparate dalle dottrine di G. Wiclif (1320-1384) e di G. Hus ( 1370-141 5). Wiclif dichiarò che la Chiesa è la comunità invisibile dei predesùnati alla beatitudine. Egli attaccò specialmente i Papi Gregorio XI ed Urbano VI e rigettò il papato in se stesso. Il vero papa è Cristo; ogni eletto è un autentico sacerdote dinanzi a Dio; la scomunica del papa o del vescovo non nuoce a chi prima non sia stato respinto da Dio. Negli scritti posteriori egli designa il papato come l'istituzione dell'anticristo; attribuisce al re il dominio evangelico sul clero (Denz. 588-623). Da lui dipende in gran parte Giovanni Hus, il quale sostenne simili tesi ecclesiologiche e defini la Chiesa la comunità dei predestinati. Hus fece dipendere specialmente l'efficacia salvifica dei sacramenti dallo stato di grazia del ministro (Denz. 627-655). Secondo Lutero la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, che partecipa all'esi­ stenza storica di Cristo. La Chiesa deve soffrire e morire con Cristo, per entrare anche nella sua gloria. Essa ricalca dunque la stessa via dolorosa terrena di Cristo ed è pure misticamente unita a Maria, la Madre dolorosa. L'unità nella Chiesa viene fondata e garantita dal Vangelo. La comunità di coloro che sono retti dal Vangelo è nello stesso tempo visibile e invisibile. Nella comunità visi­ bile e sotto di essa si forma continuamente, mediante la parola di Dio, la Chiesa invisibile. Lutero, nel corso della sua accesa polemica contro la Chiesa, designa il papa come l'anticristo. Melantone, nella Confessione Augustana, ha descritto la Chiesa come la « Congregatio sanctorum, in qua Evangelium recte docetur et recte administrantur sacramenta » (Art. 7). Martin Chemnitz distinse la Chiesa late dieta come Chiesa invisibile, e la defini come coetus vere in Christum cre­ dentium. Calvino e Zwingli intendono la Chiesa come la comunità dei prede­ stinati. Nel Catechismo di Heidelberg, la Chiesa è detta il coetus ad vitam electus. Tutte queste definizioni trascurano la struttura visibile della Chiesa,

P.

l.

-

LA CHIESA

proveniente da Cristo, la sua forma giuridica. Cosi pure non esprimono chiara­ mente l'origine da Cristo. La Chiesa anglicana si considera come

visibilis coetus

fidelium.

5. Delle definizioni cattoliche della Chiesa, ne riportiamo due : quella del santo cardinale Roberto Bellarmino e quella di A. Mohler. Il Bellar­ mino accetta nella sua definizione la parola coetus già usata dai rifor­ matori, e dice : « La Chiesa è una società di uomini, uniti tra loro dalla professione della stessa fede cristiana e dalla partecipazione agli stessi sacramenti, sotto la guida dei pastori legittimi, soprattutto dell'unico rap­ presentante di Cristo in terra, il Romano Pontefice » (De Ecci. Mil., 2). Per giudicare questa definizione ampiamente accolta nella teologia, oc­ corre notare che il Bellarmino la formulò per determinare l'appartenenza alla Chiesa e non già per spiegare in primo luogo la Chiesa stessa. La prima parte della definizione coincide con la teologia protestante. Nella seconda parte il Bellarmino aggiunge l'elemento specificatamente cattolico. Egli però non pone in evidenza che la costituzione gerarchica come pure la fede ed i sacramenti sono di origine divina. Di conseguenza la sua defi­ nizione può essere fraintesa in senso corporativo. In essa non è espresso l' aspetto di fondazione ed in ciò sta l'incompletezza di questa definizione. Ma quanto sia importante che già nella definizione sia inclusa anche l'ori­ gine divjna della costituzione ecclesiastica appare dal fatto che il teologo protestante Weinel formula la differenza tra l'ecclesiologia cattolica e quella protestante, nel modo seguente : « La Chiesa, come insegna il catto­ licesimo, è fondata da Gesti come istituto salvifico con una costituzione esterna visibile, con un capo visibile che è Pietro o il vescovo di Roma, oppure, come insegna il protestantesimo, essa è intesa come una comunità invisibile di tutti i credenti, e tutta la sua amministrazione non è che una istituzione puramente umana (iure humano), per conseguenza sempre mutevole e sempre suscettibile di miglioramento » (in Religion in Geschi­ chte und Gegenwart, III, 2 ed. 1 9 2 9 , 786). Del carattere istituzionale della Chiesa, come della sua missione tra­ scendente, si tiene conto nella definizione di Mohler, il quale dice : « Per Chiesa in terra i cattolici intendono la società visibile di tutti i credenti, fondata da Cristo, nella quale l'opera da lui svolta durante la vita terrena per la purificazione e santificazione degli uomini, viene con­ tinuata sotto la guida del suo Spirito fino alla fine del mondo per mezzo d'un apostolato ininterrotto da lui voluto, e tutti i popoli nel corso dei tempi sono ricondotti a Dio ... Cosi dunque la Chiesa visibile è il Figlio -

§ 1 66 8• DEFINIZIONE DELLA CHIESA

43

di Dio, che appare continuamente in forma umana tra gli uom1m, che sempre si rinnova e ringiovanisce eternamente : la sua incarnazione per­ manente, ed infatti i credenti, nella sacra Scrittura, sono chiamati corpo di Cristo » (Symbolik, § 36). Questa definizione non può essere fraintesa in senso corporativo. Infatti essa esprime inequivocabilmente l'origine e la perpetua unione con Cristo, il quale agisce nella Chiesa, come Signore e sorgente di vita, fino alla fine della storia. Tuttavia è inferiore alla definizione del Bellarmino in quanto non afferma con la stessa chiarezza la costituzione gerarchica. Inoltre la formula secondo cui la Chiesa sarebbe l'incarnazione perma­ nente del Figlio di Dio esige una delucidazione, affinché non nasca l'im­ pressione che si dimentichi l'unicità della incarnazione. Sulle molteplici definizioni della Chiesa si può vedere Ch. Journet, L'Eglise du Verbe incarné, II, Paris 19 5 1 , 5 80-599 ; 1 1 72- 1 1 89.

6 . Pio XII nell'Enc. Mystici corporis del 1943 ha messo in rilievo l'importanza della dottrina paolina della Chiesa quale corpo di Cristo, per la comprensione della Chiesa. « A definire e descrivere questa verace Chiesa di Cristo (che è la Chiesa santa, cattolica, apostolica, romana) nulla si trova di piu nobile, di piu grande, di piu divino che quell'espressione con la quale essa viene chiamata " il corpo mistico di Gesti Cristo » (n. 1 3). -

"

7. Il concetto simbolico « corpo di Cristo » che esprime in modo parti­ colarmente profondo la realtà in questione, offrirà nella nostra opera il motivo conduttore per spiegare il carattere umano-divino della Chiesa. Esso proviene dalle lettere paoline e precisamente dalla prima ai Corinti, da quella ai Romani, e soprattutto dalle lettere agli Efesini ed ai Colos­ sesi. La parola « mistico » venne aggiunta nel primo medio evo, ed ha una lunga storia. -

Nel periodo patristico il corpo sacramentale di Cristo viene talora designato come il corpo mistico e la Chiesa come il vero corpo di Cristo, ad es. in Agostino. Al tempo di Pascasio Radberto et 86o c.) e di Ratramno Ct dopo 1'868) si intro­ dusse la formula corpus Christi mysticum per indicare la Chiesa. Tuttavia questa locuzione rimase sconosciuta alla Scolastica primitiva. Ci si accontentava della perifrasi biblica corpus Christi, quod est ecclesia, oppure si chiamava la Chiesa corpus Christi spirituale, o generale o improprium. Stefano di Tournai (nelle sentenze scritte tra il n6o- r r6s) e Udone, d'accordo con Agostino, la chiamano corpus Christi verum. Nella prima metà del sec. XII sembra ricorra anche la terminologia parvus Christus-magnus Christus: la prima per designare il Cristo

44

P. l.

-

LA CHIESA

storico o sacramentale, la seconda per designare la Chiesa. Nella scuola d'Anselmo

et 1 1 17), come già prima in Claudio di Torino, si parla della spil"itualis caro Christi. La stessa cosa vale per la Summa sententiarum e per la Ysagoge Odonis, ma specialmente per le questioni di Simone di Tournai et 1201 c.).

di Laon

Questi spiega che esiste un duplice corpo di Cristo, uno fisico ricevuto dalla Vergine, e uno spirituale e = spirituale collegium, collegium ecclesiasticum; vedi J. Warichez, Les disputationes de Simon de Toumai eSpicilegium sacrum Lo­ vaniense, 12, Lovanio 1932, 203 ). Quello spirituale è la Chiesa . Anche Pietro Lombardo

et

dopo il

I

159), in un commento alla prima ai Corinti, designa come

res dell'eucaristia la caro spiritualis Christi, che è l'unità dei fedeli. Ma nello stesso passo usa pure l'espressione caro mystica Christi, per indicare la Chiesa. la

Nella letteratura canonistica, troviamo ancora fino a Sicardo di Cremona ed a Benecasa la designazione della Chiesa come

cm·pus spirituale.

Solo Uguccione

conosce il termine misùco. Ma quanto si sia diffusa la designazione della Chiesa

corpus mysticum

quale

e gli altri termini siano andati sempre piu scomparendo

Tractatus de sac1·ameruis del Magister Simon, altri­ (Maìtre Simon et san groupe de sacramentis (Spicilegium sacrum Lovaniense, 1 7, Lo­ lo dimostra il fatto che il

menti sconosciuto, scri tto a giudizio di A. Weisweilcr prima del 1 1 60

vanio 1937) chiama sovente la Chiesa il corpo mistico. Qui il corpo eucaristico viene distinto come

corpus Vei"Um dal corpo mistico che è la Chiesa. La stessa De septem sacramentis ecclesiae, che appartiene alla

cosa troviamo nel trattato

sfera di influenza di Maestro Simone. In Pietro Comesrore (t circa il 1 1 78) questa terminologia ha già assunto salda forma. La troviamo pure usata da Pietro di Poitiers (t tino

et

1 2 10) alla fine del sec.

XII,

ed inoltre nelle

1205) e da Preposi­

Notulae super III Sen tentiarum

del Cod. Vat. Reg. lat. 4 I I, appartenenti al principio del sec. opere manoscritte. Si può dire che verso la fine del sec.

corpo mistico di Cristo applicato alla Chiesa era assicurato.

XIII,

ed in altre

l'uso del termine

xn «

La marcia vitto­

riosa della nuova terminologia si completa nella seconda raccolta di questioni, appartenente alla cerchia di S tefano Langton ( T 1 228) del Cod. Erlang. lat. in una Questione del cod. lat. 434 della biblioteca di Douai, nella di Guglielmo d'Auxerre

(t

1 237

c.), nel Commento alle sentenze

domenicano Ugo di S. Caro, dipendente sovente

da

153,

Summa aurea del teologo

Guglielmo e nella cerchia

del teologo francescano Oddone Rigaldi ». Vedi A. M. Landgraf, Di e Lehre vom geheimnisvollen Leib Christi in den fri4herr. Paulinenkommentaren und in der Fruhscholastik, in Divus Tl10mas, 24, 1946, 21 8-222; S. Tromp, Ccrrpus Christi, quod est ecc/esia, I, Roma 1937; F. Holbock, Der �-uc haristische und der mystische Leib Christi in ihrem Beziehungen Zueinander nach der Lehre der Friihscholastik, Roma 1941, 1 88 s.; H. de Lubac, Corpus mysticum. L'Eucha­ ristie et l'église au moyen-éì.ge, 1944.

8. Il concetto simbolico « corpo mistico » si può unire con l'espres­ sione « popolo di Dio » che ricorre sovente nel Nuovo Testamento e nella liturgia della Chiesa, dando cosi la seguente definizione : « La Chiesa è il popolo di Dio del Nuovo Testamento fondato da Gesti Cristo, gerar­ chicamente ordinato, che serve a promuovere il regno di Dio ed alla sal-

§ 166 8• DEFINIZIONE DELLA CHIESA

45

vezza degli uomini, e che esiste come corpo mistico di Cristo ». La Chiesa ortodossa riconosce questa « definizione », ma nega l'istituzione divina del primato. 9 . Nella sfera del diritto civile e del diritto internazionale, nella defi­ nizione della Chiesa se ne trascura il carattere trascendente, soprannatu­ rale. La Chiesa viene considerata come una corporazione di diritto pub­ blico. Il diritto civile riconosce uguaglianza di diritti a piu Chiese. La di­ versità delle confessioni religiose, per il diritto civile, è irrilevante. Il di­ ritto internazionale considera la Chiesa come una comunità che crea il suo proprio diritto e stabilisce cosi la differenza tra autorità e sudditi. Secondo la concezione del diritto internazionale la Chiesa ha in comune con gli stati questo carattere di comunità giuridica. La differenza essen­ ziale sta in questo che la comunità giuridica di uno stato è determinata e nello stesso tempo delimitata dal territorio dello stato ; la comunità giu­ ridica della Chiesa, invece, lo è dalla professione di fede dei membri della Chiesa. -

SEZIONE I.

ORIGINI DELLA CHIESA

§

1673• L'origine della Chiesa da Dio (causalità teologica).

La Chiesa ha origine dall'alto, non dal basso. Questa proposizione esprime la dottrina cattolica sull'origine della Chiesa ed è in contrasto con il consenso dominante nella teologia protestante, alla fine del secolo scorso relativamente all'origine della Chiesa. Esso era stato preparato da un concetto della Chiesa che compare talora in Schleier:macher. Nel­ l'opera Der Christìiche Glaube (§ 1 1 5) egli scrive : « La Chiesa cristiana si forma mediante l'unione dei singoli rigenerati per un ordinato influsso e collaborazione reciproca » . La Chiesa viene quindi dopo l'individuo. Sohm (Kirchenrecht, I, 1892, 672) scrive : « La personalità singola scende in campo per produrre e dominare l'intero mondo della vita sociale » . La Chiesa non è quindi necessaria per la redenzione; ma per motivi pratici i singoli cristiani si riuniscono in una comunità. Le condizioni gene­ rali della vita umana portano nel campo della religione cristiana alla for­ mazione di comunità. La Chiesa è una necessità empirica, pratica, perché nessuna società umana può sussistere senza organizzazione. In questa concezione si esprime l'idea divenuta comune dopo l'illuminismo che la Chiesa sia una società religiosa. Secondo questa tesi il fedele inizialmente esistette come cristiano libero. Le chiese sono quindi delle corporazioni che esistono per la libera riunione di uomini. Nella Chiesa l'ufficio fu originariamente una semplice istituzione amministrativa. I titolari di uffici dovevano provvedere agli affari esterni della comunità e dirigere le discus­ sioni e le decisioni. Occasionalmente però esercitavano anche una attività pastorale. Solo piu tardi si verificò una combinazione dell'attività dottri­ nale con l'ufficio della comunità. Come i singoli unendosi hanno creato le comunità, cosi le comunità si sono unite nella Chiesa. La Chiesa cri-

§ 167 A. L'ORIGINE DELLA CHIESA DA DIO (CAUSALITÀ TEOLOGICA)

47

stiana è quindi una confederazione, costruita dal basso. La parte è prima del tutto. La Chiesa è concepita atomisticamente. Questa concezione della Chiesa è stata di recente quasi del tutto superata dalla stessa indagine protestante. Salvo poche eccezioni (ad es. E. Brunner, M. Werner, Goguel) anche la teologia protestante oggi sostiene la tesi che la Chiesa è stata fondata da Cristo. Cfr. O. Lington, Das Problem der Urkirche in der neueren Forschung, 1932, 3-30.

l.

-

CHIESA E REDENZIONE.

La fondazione della Chiesa da parte di Cristo presuppone l'eterno decreto salvifico di Dio Padre (Ef. r, 1 0 ; 3, 2. 9 ; Col. 1, 25) e la preparazione compiutasi nella storia in base all'eterno disegno della economia divina. Cosi la Chiesa di Cristo, come Cristo stesso, sta nel punto d'intersezione d'un movimento verticale dall'alto al basso, e d'un movimento orizzontale che passa attraverso la storia. Sotto quest'aspetto si può dire che alla Chiesa si confà la figura della Croce. L'esistenza della Chiesa si deve far risalire in primo luogo alla discesa di Dio nel mondo, al descensus Dei ad creaturas. Soltanto a motivo di una simile discesa divina nella storia, nella creazione, esiste un gruppo, tratto dall'intera comunità umana, di eletti figli di Dio, che costituiscono un'unità visibile e ordinata in Gesu Cristo. La Chiesa non proviene dunque dalla terra, ma dal cielo; pur vivendo, almeno nei suoi membri ancora pellegrini nella storia, « in basso », non è dal basso; non è una libera unione di uomini per soddisfare bisogni religiosi. Se cosi fosse, chiunque non avverte tali bisogni avrebbe il diritto di tenersi lontano da essa. Ma essendo da Dio, essa è obbligatoria per ogni uomo a prescindere da eventuali bisogni religiosi. La Chiesa non è il risultato di aspirazioni e di sforzi umani, ma una istituzione di Dio. La sua origine non è nell'uomo, ma in Dio. Essa esiste soltanto perché esiste Dio e perché egli nel suo eterno disegno salvifico ha decretato di inter­ venire nella storia umana, per creare un'umanità nuova in ordinamento visibile. L'origine della Chiesa dall'alto, non esclude che la sua figura esterna del momento contenga elementi formati dagli uomini stessi che compongono la Chiesa. Con la tesi dell'origine celeste della Chiesa non si afferma che la Chiesa nel suo modo contingente d'esistere ed in tutte le sue forme sia creata direttamente da Dio stesso. Poiché essa è una comunità vivente, è naturale che, sulla base della struttura assegnatale da

P. l.

-

LA CHIESA

Dio, essa si sviluppi secondo le necessità e le leggi della vita storica. Il decreto divino di fondare una Chiesa è strettamente connesso con il decreto della redenzione. Lo si può comprendere se riflettiamo che }3. Chiesa è quella società nella quale e per mezzo della quale Cristo rende presente la sua opera a tutte le generazioni umane fino alla consumazione dei tempi, affinché vi abbiano parte e possano cosi essere partecipi del regno di Dio e della salvezza. Se la Chiesa è il Cristo che continua a vivere, se ne è il suo corpo ed egli ne è il capo, essa fu decretata contemporaneamente alla Incarnazione dell'eterno Figlio di Dio. Precedentemente (vol. I, § I 03) abbiamo designato Cristo come il· primo pensiero creatore del Padre celeste. Ora dobbiamo completare il già detto afferman.do che non il Cristo staccato dagli uomini, ma Cristo quale secondo progenitore fu la prima idea creatrice del Padre, e che quindi la concezione cristologica della creazione include quella eccle­ siologica. Malebranche (Entretiens métaphysiques, XI, § 1 3) cosi es?rime questo pensiero : . Nell'opera De P1·aedestinarione sancton.tm (15, 31) è scritto : « Appaia a noi nel nostro capo la sorgente della grazia stessa, donde essa secondo la misura di cia­ scuno si spande attraverso a tutte le sue membra. Dal principio della sua fede l'uomo, chiunque egli sia, diventa di Cristo per la stessa grazia, per la quale quell'uomo fin dall'inizio è divenuto Cristo : rigenerato anch'egli dallo stesso Spirito dal quale quello è nato; nello stesso Spirito avviene in noi la remissione dei peccati, nel quale avvenne che quello non ebbe peccati ... Come dunque quel­ l'uno è predestinato ad essere il nostro capo, cosi noi molti siamo predestinati ad essere sue membra ... Lo stesso Spirito che ci fa credere in Cristo, ci ha fatto Cristo, in cui crediamo; lo stesso Spirito che pose negli uomini il fondamento della fede e la perfezione in Ge�ti, fece dell'uomo il fondatore della fede e per­ fezionatore, Gesti ». Nel Sermo 144, 5 s., il Padre della Chiesa dice : « La vostra fede, o diletti, è chiara in proposito e noi sappiamo che l'avete appreso nella istruzione del maestro celeste, in cui riponete la vostra speranza : che nostro Signore Gesti Cristo, che già per noi pati e risuscitò, è il capo della Chiesa e che la Chiesa è il suo corpo e che in questo corpo l'unione delle membra e l'opera connettiva della carità rappresenta la salute. Ma chiunque si raffredda nell'amore, diviene malato nel corpo di Cristo. Ma colui, che già ha innalzato il nostro capo, ha la forza di risanare anche le membra ammalate : purché per altro non siano state tagliate da una eccessiva empietà, ma siano unite con il corpo, finché avviene la gua­ rigione. Poiché qualunque cosa è ancora unita al corpo, non c'è da disperare della sua guarigione : ma ciò che è tagliato non può essere né risanato né ricostituito ... Poiché dunque quello è il capo della Chiesa e la Chiesa è il suo corpo, il Cristo totale è insieme capo e corpo. Quello è già risorto : cosi dunque noi portiamo il nostro capo in cielo. Il nostro capo intercede per noi. Il nostro capo imma­ colato, immortale, prega già Dio per i nostri peccati, affinché anche noi alla fine risorgendo e trasformati in gloria celeste, seguiamo il nostro capo. Poiché dove

§ 1 69 A.

LA CHIESA COME CORPO DI CRISTO

è il capo, ivi devono essere anche le altre membra. Ma noi siamo già membra, finché siamo qui; quindi non scoraggiamoci : è prossimo il momento di seguire il nostro capo. Vedete infatti, o fratelli, l'amore del nostro capo. Egli è già in cielo, eppure soffre quaggiu, finché quaggiu soffre la Chiesa. Quaggiu Cristo ha fame, ha sete, è nudo, straniero, infermo, in carcere.

Poiché qualunque cosa

soffre qui il suo corpo, la soffre, cosi dice, anche lui... " Io avevo fame e mi deste da mangiare... Poiché tutto ciò che avete fatto al piu l'avete fatto a me " (Mt.

piccolo dei miei,

25, 42. 45). Cosi anzi anche nel nostro corpo il capo è

in alto, mentre i piedi poggiano sulla terra; eppure se qualcuno in una ressa ed assembramento di gente ti pesta i piedi, non esclama il capo : mi hai pestato !? ... Cosi anche Cristo, che nessuno pesta, esclama : " Io avevo fame, e voi mi deste da mangiare " ». Nel Roma

Sermo Denis, 19, 1-4 (G. Morin, Miscellanea Agosliniana, I : Sermones, 1 930, 101-104) è detto : « Ci sono uomini che pos seggono la fede, ma non

l'amore? Molti sono che credono e non amano... " Tu dici - cosi sta scritto (Giac.

2, 19)

-

che c'è un solo Dio. La tua fede è retta, ma anche i demoni

tremano e credono

··.

Se tu dunque soltanto credi e non ami, ciò ti è ancora

comune con i demoni. Pietro disse :

" Tu sei il figlio di Dio ", ed ebbe come

risposta : ,; Beato sei, Simone Barjona, poiché questo non ti ha rivelato la carne ed il sangue, ma il mio Padre celeste " (Mt. 1 6, 1 6- 1 7) . Troviamo che anche i demoni dissero : " Che abbiamo a fare con te, figlio di Dio? ". Il figlio confes­ sano gli apostoli, il figlio di Dio confessano anche i demoni : la confessione ap­ pare

uguale,

l'amore è

diverso.

Quelli

credono

ed amano,

questi

credono

e

temono; l'amore attende la ricompensa, la paura il castigo. Nessuno quindi si ringalluzzisca

per un qualche dono

della

Chiesa, nel

caso che spicchi

nella

Chiesa per un qualche dono a lui affidato, ma consideri piuttosto se possegga l'amore. Infatti Paolo enumera molti doni di Dio nelle membra di Cristo che sono la Chiesa, e dice che a ciascuno dei membri vengono affidati doni particolari ed è impossibile che tutti possano possedere gli stessi doni. Ma nessuno rimane senza dono :

" Apostoli, profeti, dottori, interpreti, glossolali, guaritori, soccorsi,

ispezioni, lingue diverse "

(1 Cor. 1 2, 28). Cosi fu detto, e noi vediamo alcuni

doni in questi, altri in quelli. Nessuno quindi si affligga se ciò che fu destinato ad altri :

a

lui non è destinato

abbia l'amore, non invidi colui che possiede e

cosi ha con lui ciò che non ha egli stesso. Qualunque cosa abbia il mio fratello, se io non nutro invidia, ma lo amo, è mia. Non l'ho in me, ma la posseggo in lui :

non sarebbe mia se non fossimo in un solo corpo e sotto lo stesso capo.

Se ad esempio nel corpo porta un anello la mano sinistra e non la destra, questa rimane perciò senza ornamento? Considera le mani in sé : vedi ciò che l'una ha, l'altra non ha. Considera l'insieme del corpo, cui entrambe le mani sono unite e vedi come l'una mano che non ha, ha nell'altra che possiede. Gli occhi vedono dove si va, i piedi vanno là dove gli occhi hanno previsto : ma i piedi non possono vedere e gli occhi andare. Ma il piede ti dirà :

anch'io ho

luce, non in me, ma nell'occhio; poiché l'occhio non vede per sé e non per me. Ed anche gli occhi a loro volta : Anche noi camminiamo, non in noi, ma nei piedi; poiché i piedi non portano se stessi e non noi. Le singole membra com­ piono quindi, suddiviso in singoli, propri uffici, ciò che l'anima comanda :

ep­

pure tutti sono fondati in un solo corpo e conservati nell'unità; non usurpano

268

P. I . - LA CHIESA

per sé ciò che hanno altre membra, pur non avendo esse stesse quelle membra, non ritengono estraneo ciò che posseggono in comune nello stesso corpo. Ed in­ fine, o fratelli : se ad un membro del corpo capita qualche conuarietà, quali membra rifiuteranno il loro aiuw? Che cosa sembra nell'uomo occupare l'ultimo posto piu del piede? E nel piede stesso cos'è piu periferico della pianta? Eppure questa estremità è cosi congiunta con tutta la compagine del corpo che, se vi si conficca una spina, tutte le membra collaborano per espellerla : subito le ginoc­ chia si piegano, la spina dorsale s'incurva, ... ci si siede per esuarre la spina; e già lo stesso sedersi è una funzione di tutto il corpo. Quanto piccola è la parte tribolata! Il punto che la spina ha potuto pungere è cosi minuscolo, eppure la tribolazione di un punto cosi piccolo ed insignificante non viene trascurata dal corpo intero : le alue membra non soffrono nulla, e soffrono tutte in quell'unico punto. L'apostolo ne ha uatto un paragone dell'amore, incoraggiandoci ad amarci l'un l'altro cosi come nel corpo si amano le membra : " Se un membro soffre, soffrono con esso llnche le al ue membra; e se un membro è onorato, si rallegrano con esso tutte le membra! Voi siete corpo di Cristo e sue membra " (I Cor. 1 2, 26-27). Se si amano le membra che hanno il loro capo sulla terra, come devono amarsi le membra il cui capo si trova in cielo? Certamente anche esse non si amerebbero, se fossero abbandonate dal loro capo : ma poiché questo capo è tale e così elevato ed ha posto in cielo alla desua del Padre in modo da affaticarsi non di meno in terra - non in sé, ma nelle sue membra, tanto che alla fine dice : Io avevo fame, avevo sete, ero straniero, e se viene interrogato : " Quando mai ti vedemmo aff amato ed assetato? '' per cosi dire risponde : Io, il capo, ero in cielo, ma in terra avevano sete le membra - per questo dice infine : " Quanto voi avete fatto ad uno dei nriei piu piccoli l'avete fatto a me ", ed in­ vece a coloro che non hanno fatto : " Quanto voi non avete fatto ad uno dei miei piu piccoli, non l'avete fatto a me" (Mt. 25, 35-45). A questo capo noi veniamo uniti unicamente con l'amore. Cosi infatti, o fratelli, vediamo le singole membra nei loro uffi ci compiere cia­ scuno la propria opera : l'occhio vede, ma non fa; la mano invece fa, e per contro non vede; l'orecchio ode, ma non vede e non fa; la lingua parla, ma non ode e non vede; e quantunque tutte nei loro uffici siano diverse e separate, hanno tuttavia, collegate dalla stessa compagine del corpo, qualcosa di comune in tutte. Gli uffici sono distinti, la salute è una sola. Questo è nelle membra di Cristo l'amore, che nelle membra del corpo è la salute. L'occhio è posto nella posizione migliore, piu elevata, e per cosi dire a vedetta sulla torre per avvistare di là, per vedere, per mostrare : grande onore è negli occhi per via dell'elemento piu ardente del senso, per la mobilità, per una determinata forza che le altre membra non hanno. Perciò gli uomini giurano piuttosto per i loro occhi che per qualunque altro membro. Nessuno dice ad un altro : Ti amo come le mie orecchie; eppure il senso dell'udito non è distante, anzi il piu vicino agli occhi. E gli altri allora? Quotidianamente gli uomini dicono : Ti amo come la mia pupilla. Ed anche l'apostolo indica che l'amore per gli occhi è piu grande di quello per le altre membra : quand'egli si presenta come amato dalla Chiesa di Dio dice : " Vi rendo testimonianza che, se possibile, vi sareste cavati gli occhi per darmeli " (Gal. 4, 15). Nulla quindi nel corpo è piu elevato ed ono­ rato degli occhi e nulla forse è piu piccolo del mignolo del piede. Eppure è

§ I 69 A.

LA CHIESA COME CORPO DI CRISTO

nell'ordine che nel corpo ci sia il mignolo e stia bene, piu che l'occhio non sia ammalato e cisposo : poiché la sanità, che è comune a tutte le membra, è piu preziosa dell'ufficio dei singoli. Cosi vedi nella Chiesa qualcuno che ha un piccolo ufficio, ma per contro ha l'amore; ed un altro forse nella Chiesa con un ufficio superiore, ma che non ha l'amore. Quello è soltanto il mignolo, questo l'occhio : appartiene maggiormente alla compagine del corpo colui che può conservare la sanità. Infine è molesta al resto del corpo qualunque cosa si am­ mala nel corpo; e tutte le membra si adoprano a risanare la parte ammalata, che per lo piu viene risanata. Ma se non viene risanata ed incomincia a manifestarsi una putrefazione tale che non può piu essere risanata, allora è da consigliare alle altre membra che quella venga tagliata dalla compagine del corpo 11. Nel Sermo Denis, 3 (G. Morin, l. c., 18-20) il Padre della Chiesa dice : « L'ufficio della parola e la cura che ci fece soffrire per voi le doglie del parto finché Cristo fu formato in voi, ci spinge ad ammonire la vostra fanciullezza - voi che, rinati dall'acqua e dallo Spirito, in nuova luce vedete qui sulla mensa del Signore questo cibo, questa bevanda e li ricevete con serena devozione, circa il significato di questo sacramento cosi grande, divino, del medicamento cosi rinomato e nobile, della vittima cosi pura e facile, che oggi non piu soltanto nella città terrena di Gerusalemme, in quel tabernacolo eretto da Mosè, né in quel tempio edificato da Salomone, ombre del futuro, ma secondo la predizione del profeta " dal sorgere del sole fino al suo tramonto " viene immolata e se­ condo la grazia del Nuovo Testamento viene offerta a Dio come sacrificio di lode. Non piu una vittima cruenta viene scelta dalle gregge di animali, non piu una pecora od un capro viene uascinato agli altari divini : la vittima dei nostri tempi è la carne ed il sangue dello stesso sacerdote offerente. Di lui solo infarti è stato predetto nei Salmi : " Te sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech ". Ma noi leggiamo e riteniamo dal libro della Genesi che Mel­ chisedech, sacerdote del Signore, offri pane e vino allorché venne per benedire il nostro padre Abramo. Cristo dunque, nostro Signore, che nella passione offri per noi ciò che da noi aveva ricevuto alla nascita, costituito per primo sacerdote in eterno, stabili l'ordine del sacrificio che voi vedete : del suo corpo cioè e del suo sangue. In­ fatti il suo corpo trafitto dalla lancia ha dato quell'acqua e quel sangue con cui egli ha perdonato i nostri peccati. Memori di questa grazia, operando in timore e tremore la vostra salvezza - poiché è Dio che opera in voi - accostatevi alla comunione con questo altare. Riconoscete nel pane ciò che pendette dalla croce; nel calice ciò che usci dal costato. Infatti quegli antichi sacrifizi del popolo di Dio nella loro varietà e molteplicità erano immagine dell'unico sacrificio futuro. Poiché Cristo stesso per l'innocenza dei semplici sentimenti è l'agnello, e per la somiglianza della carne del peccato è il capro. E qualunque altra cosa era presi­ gnata in molti e vari modi nei sacrifìzi dell'antica alleanza, appartiene all'unica cosa che nella nuova divenne manifesta. Ricevete dunque e mangiate il corpo di Cristo, fatti voi stessi, nel corpo di Cristo, membra di Cristo; ricevete e bevete il sangue di Cristo. Non tornate a staccarvi, mangiate il vincolo della vostra unità; riconoscete la vostra dignità, bevete il vostro prezzo. Come questo si trasforma in voi, quando lo mangiate e bevete, cosi voi vi trasformate nel corpo di Cristo, quando vivete piamente e

P. l.

270

-

LA CHIESA

docilmente... Ricevendo in lui la vita, siete

m

una sola carne con lui. Poiché

questo mistero non significa la carne di Cristo in modo da separarvene. L'apo­ stolo ricorda che questo è predetto nella Scrittura : carne " (I Cor. IO, I7)

I due saranno in una sola

"

Ed in un altro passo dice della stessa eucaristia :

" Un

unico pane, un unico corpo siamo noi, i molti ". Cosi incominciate ora a rice­ vere ciò che incominciaste a essere ... Ma ricevete degnamente, se vi guardate dal

·•

fermento di una falsa dottrina ",

al fine di essere " pani azimi in sincerità e verità "; oppure se conservate quel fermento dell'amore che " una donna nascose in tre misure di farina finché tutto fu fermentato " . Quella donna infatti è la sapienza di Dio, che per mezzo di una vergine venne in carne mortale ed in tutto L'orbe, che dopo il diluvio essa sud­ divise tra i tre figli di Noè, come in tre misure, disperse il suo vangelo finché tutto fu fermentato. Questo è quel " tutto ", che in greco è detto " h6lon ", dove voi, conservando il vincolo della pace, sarete " conforme a tutto ·•, che significa " kam61on " e donde ha preso nome La Chiesa cattolica

».

Il passo i n cui il Padre della Chiesa proclama con p i u efficacia L'unione tra Cristo ed i cristiani si trova in una predica sulla (Sermo Io, n.

prima lettera di Giovanni

3; trad. di P. Tablino, Roma 1 954) : « " Da questo conosciamo di

amare i figli di Dio ". Che è questo, fratelli? Prima parlava del Figlio

di

Dio,

non dei figli di Dio e presemava alla nostra contemplazione il Cristo con queste parole :

" Chiunque crede che Gesu il Cristo è nato da Dio, e chiWlque ama

Chi l'ha generato ", cioè il Padre, ·· ama anche Chi il Signore nostro Gesu Cristo. E poi dice : figli di Dio ", quasi dicesse :

è nato da lui ", cioè il Figlio,

" Da questo conosciamo di

amare

i

da questo conosciamo di amare il Figlio di Dio.

Perché mentre parlava del Figlio, passa di colpo a parlare dei figli di Dio? Perché i figli di Dio sono il corpo dell'Unico Figlio di Dio, e con lui capo e noi membra urio è il Figlio di Dio. Perciò chi

ama

i figli di Dio,

ama

il Figlio

di Dio e chi ama il Figlio di Dio ama il Padre. E nessuno può amare il Padre, se non ama il Figlio, e chi ama il Figlio, ama anche i figli di Dio, cioè le membra del Figlio di Dio. E nell'amore egli stesso diventa membro, nell'amore entra nella compagine del corpo di Cristo. E ci sarà un solo Cristo che ama se stesso. Quando, infatti, si amano a vicenda le membra, il corpo si ama. membro soffre, soffrono tutte le membra,

e

se uno

" E se un

è onorato, tutte le altre

sono nella gioia ". E che dice ancora? " Vo i siete il corpo e le membra di Cristo ·· (I Cor. I 2, 26-27). Giovanni parlava poc'anzi della carita fraterna e diceva :

''

Chi non ama il

fratello che vede, come può amare Dio che non vede? ". S e invece ami ìl fra­ tello, amerai forse il fratello e non amerai il Cristo? Come è possibile ciò, dal momento che ami un suo membro? Poiché dunque ami le membra di Cristo, ami Cristo, e se ami Cristo, ami il Figlio di Dio, e se ami il Figlio di Dio, ami anche il Padre. La carità dunque non è possibile dividerla. Se ami una cosa, seguiranno

anche

le

altre.

Dirai :

Amo

solo

Dio,

Dio

Padre.

Sei

bugiardo.

Se veramente lo ami, non ami soltanto lui; se ami il Padre, ami anche il Figlio. Ecco, dici, amo il Padre, amo anche il Figlio, ma poi basta, nient'altro :

Dio

Padre e il Figlio, Dio e S ignore nostro Gesu Cristo, che è salito al cielo e siede alla destra del Padre, quel Verbo per cui tutto è stato creato e che si è fatto carne e abitò tra noi, questo solo amo. Sei bugiardo. Infatti se ami veramente

§ 169 A.

LA CHIESA COME CORPO DI

CRISTO

271

il capo, ami anche le membra, e se non ami le membra non ami neppure il capo. " Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? " (Atti 9, 4). Chiamò suo persecutore chi perseguitava le sue membra : ama lui chi ama le sue membra. Ormai sapete, fratelli, chi sono le sue membra : è la Chiesa di Dio. " Da questo sappiamo di amare i figli di Dio, se cioè amiamo Dio ". Cos'è questo? Non è una cosa Dio e un'altra i figli di Dio? Ma chi ama Dio ama i suoi comandamenti. E Dio che comandamenti ha dato? " Vi do un comandamento nuovo : che vi amiate l'un l'altro " (Gv. 13, 34). Nessuno vada cercando scuse con un'altra carità, per un'altra carità : la carità è quel che è e poiché essa è strettamente una, tutti coloro che la seguono ne vengono stretti in unità, e la carità quasi come fuoco li avvolge; l'oro forma cosi una massa e si crea qualcosa di unico, ma se non c'è il fuoco del fervore della carità non può, di molti, crearsi un'unità. " Se amiamo Dio, di li conosciamo di amare i figli di Dio " ».

2. A questi testi patristici se ne potrebbero aggiungere altri innume­ revoli, che attestano tutti l'unanime dottrina dei Padri, che la Chiesa è il corpo di Cristo. In essa spiccano con particolare chiarezza due elementi. a) Molti Padri sostengono la tesi che nella incarnazione il Verbo ha assunto l'uomo in genere. Si trova in Ireneo, Melitone di Sardi, Metodio di Olimpo. In definitiva essa risale alle lettere agli Efesini ed ai Colossesi, dove Paolo dichiara che Cristo è il capo dell'universo, pur non designando questo come corpo di Cristo, e che l'universo viene in lui ricapitolato. Come deve essere spiegata questa dottrina di Paolo? Evidentemente Paolo afferma che Cristo ha un rapporto particolare con l'universo. L'universo è l'intera compagine del mondo, tutto ciò che è in cielo ed in terra. Tutto è stato assoggettato a Cristo. Tutte le potenze gli sono soggette, per modo che egli ne è il signore. Tale egli è in modo diverso da come è signore della Chiesa, della quale è signore in quanto capo della sua sposa diletta. Nella misura in cui le potenze si pongono a sua disposizione, vengono formate dalla Chiesa quale sua incaricata. Ma in quanto sono possedute dal loro proprio potere, sono fatte da lui prigioniere. Le parole di Paolo significano dunque due cose : stabilimento del giusto rapporto di tutti gli esseri tra loro e stabilimento del giusto rapporto con Cristo o con Dio, quest'ultimo nel senso della soggezione. Sembra che i Padri citati, nella lotta contro lo gnosticismo, contro il mito dell'uomo primitivo, abbiano fatto una certa concessione, in quanto hanno descritto l'incarnazione del Verbo, sia pure in un senso molto atte­ nuato, come l'assunzione di tutta la umanità. Nella Chiesa è realizzato ciò che venne iniziato nella incarnazione, l'appartenenza degli uomini a Cristo. Ma quanto tuttavia questa teoria a sua volta sia lontana da ogni gnosticismo, lo si vede in questo, che secondo i menzionati Padri lo svi-

272

l'. l.

-

LA

CHIESI\

luppo della nuova umanità, esistente potenzialmente in Cristo, perviene alla figura della Chiesa soltanto mediante la fede e l'amore, e non attra­ verso ad un avvenimento cosmico. Proprio per questo lreneo ad esempio combatteva contro lo gnosticismo. Egli difendeva l'elemento personale di storia della salvezza di fronte dell'elemento meta.fisico naturale degli gnostici. Atanasio dovette difendere la fede ortodossa contro la riduzione che ne facevano gli Ariani. A tal fine dovette occuparsi di quei testi della Scrit­ tura, che sembravano negare la consustanzialità di Cristo con il Padre e perciò venivano sfruttati dai seguaci di Ario. Ciò lo portò alla tesi che Cristo ha assunto tutti gli uomini in quanto è il rappresentante di tutti. Egli intende quindi l'unione che esiste tra Cristo ed i cristiani come una unione rappresentativa. Ma va ancora oltre, quando dice che l'uomo nuovo, che ha acquistato nella Chiesa la sua figura sociale sviluppata, si manifesta anticipatamente in Cristo come nel rappresentante della Chiesa. Egli vede dunque in Cristo L'abbozzo della Chiesa, la quale è lo sviluppo e la realizzazione di ciò che era abbozzato in Cristo. b) Particolare importanza riveste la dottrina, sostenuta comunemente dai Padri, che la Chiesa è corpo di Cristo, perché in essa si mangia il corpo eucaristico del Signore. Da Tertulliano fino alla Scolastica primi­ tiva, anzi fino all'inizio del sec. XIII noi incontriamo questa tesi. La Chiesa partecipa al corpo sacramentale di Cristo, perciò è il corpo di Cristo. Secondo Ilario i cristiani sono in Cristo ed egli è in essi mediante il sacra­ mento del corpo e del sangue. I fedeli sono corpo di Cristo per la loro unità nel sacramento del corpo di Cristo. Tale unità, che si manifesta nel­ l'amore reciproco dei cristiani, ba le sue radici nel fatto che Cristo nella incarnazione ba assunto il corpo di noi tutti e con ciò è diventato pros­ simo di ciascuno, ma acquista la sua vera forza e figura dalla unità nella eucaristia. Similmente pensa il Crisostomo, il quale si distingue dai Padri precedenti perché non vede piu nel fatto che gli uomini sono realmente o potenzialmente nel Cristo storico la ragione reale della unità con lui nella Chiesa. Egli non applica piu questo presupposto, cui sottentra la pre­ senza reale del Cristo storico nel pane eucaristico. L'eucaristia diventa cosi la ragione principale ed il centro della unità dei cristiani con Cristo nel corpo della Chiesa. La dottrina di S. Agostino ha molti aspetti. La si può cosi sintetizzare. Anzitutto occorre stabilire che anche Agostino sostiene la teoria della assunzione. L'incarnazione del Figlio di Dio significa quindi anche per lui l'assunzione di tutto l'uomo. Ciò si deve spiegare nel senso che Cristo

§ 1 69 A. LA

CHIESA COME

CORPO DI CRISTO

273

è unito solidalmente con tutta l'umanità e quindi agisce e parla a suo nome. Egli è il suo rappresentante in quanto è ordinato a tutta l'umanità. Questa ordinazione si realizza per mezzo della Chiesa. Col sacramento del batte­ simo l'uomo viene inserito nella umanità ampliata di Cristo, nel corpo di Cristo. Il battesimo è quindi il sacramento della incorporazione. L'euca­ ristia è il sacramento dello scambio di vita tra Cristo capo e le membra del suo corpo, la Chiesa. Eucaristia e Chiesa sono quindi strettissimamente congiunte tra loro. Nell'eucaristia il partecipante diventa continuamente e di bel nuovo partecipe dello spirito di Cristo. Soltanto nella Chiesa si può celebrare l'eucaristia ed ottenere cosi lo spirito di Cristo. I pecca­ tori sono esclusi dalla eucaristia. Secondo Agostino l'eucaristia è il sacramento sia del Cristo storico, sia del Cristo totale che abbraccia corpo e capo. È il sacramento della carne di Cristo e nello stesso tempo il sacramento dell'unità e dell'amore (In Ioann., tract. 26, I 3 ). Nella lotta contro i donatisti con il loro partico­ larismo, Agostino ha accentuato la funzione unitiva dell'eucaristia. Sarebbe una interpretazione errata considerare Agostino nei riguardi della euca­ ristia come un puro simbolista, perché dichiara l'eucaristia segno efficace dell'unità ecclesiastica. È piuttosto il contrario : l'eucaristia può essere il segno efficace della unità soltanto se contiene realmente il corpo con­ creto, storico di Cristo. L'affermazione della funzione unitiva dell'euca­ ristia esige il realismo eucaristico. Agostino di fatto insegna che Cristo nell'eucaristia offre quella carne, in cui visse la sua vita terrena (Enarr. in Ps., 98, 9 ; De baptismo, 5, 8, 9). Egli vede inoltre nell'eucaristia la memoria del sacrificio della croce. Cristo è qui e là sacerdote e vittima. Il sacrificio della croce è stato un sacrificio unico, ma la Chiesa celebra quotidianamente il sacramento di questo sacrificio ed in esso compie anch'essa un sacrificio (De civitate Dei, I o, 20 ; Contra Faustum, 20, I 8). Stante la sua stretta unione con Cristo, anche la Chiesa, mentre Cristo si offre al Padre, offre se stessa al Padre per mezzo suo. Mediante il suo capo la Chiesa nella eucaristia è sia vittima che sacerdote (De civitate Dei, 6, 1 0 ; I O, 2o; Sermo 227 ; Enarr. in Ps., 33 , I, 5 ss., ecc.). I segni euca­ ristici, pane e vino, sono simboli sia del corpo storico di Cristo presente nella euc�ristia, sia del corpo mistico della Chiesa. (Agostino designa ta­ lora come corpo mistico anche il corpo individuale, storico di Cristo nella eucaristia). Il contenuto, la res del sacramento è dunque l'unico Cristo, che abbraccia capo e corpo (In Ioann., tract. 26, 7). Ma il capo vi è pre­ sente nella sua realtà storica, quantunque in modo misterioso. Cosi Ago­ stino può dire addirittura : « Se voi siete il corpo di Cristo e le sue mem-

274

P.

I.

-

LA CHIESA

bra, è il vostro mistero che viene posto sull'altare. Voi ricevete il vostro mistero... siete ciò che vedete, e ricevete ciò che siete » (Sermo 179; dr. Sermo 272 e 229). Per la sua tesi della funzione unitiva dell'eucaristia Agostino si serve dell'immagine, diffusa nel periodo patristico a partire dalla Didaché, della unione naturale nel pane e nel vino. Come questi si formano soltanto con un faticoso processo, cosi pure furono necessarie molte fatiche da parte della madre Chiesa, perché i figli potessero essere congiunti pienamente nella nuova unità del corpo di Cristo, il cui mistero oggi essi ricevono, in quanto fedeli, nella eucaristia. Com'è da intendere la presenza del corpo mistico di Cristo nella euca­ ristia affermata da Agostino? Essa non è tanto una presenza metafisico­ statica, quanto piuttosto una presenza antologico-dinamico-attualistica. Le membra del corpo di Cristo sono presenti nel sacramento eucaristico, in quanto si sacrificano in Cristo e con Cristo loro capo. Ciò avviene mediante l'amore, quell'amore che Agostino chiama caritas e distingue dall'amore chiamato cupiditas, desiderio. L'amore con cui l'uomo si sacrifica, ha una duplice direzione : una verso l'alto ed una verso tutti i lati. Si muove quindi sia secondo una linea verticale che secondo una linea orizzontale. Con esso l'uomo sale a Dio (Agostino usa sovente la frase sursum corda), ed entro il corpo mistico di Cristo si rivolge a tutte le sue membra. Di una simile ascesa l'uomo è capace soltanto perché Cristo è prima disceso, perciò in Cristo e per mezzo di Cristo capo, il quale spinge il suo corpo mistico là, dove egli già vive, verso il Padre in cielo. L'eucaristia è conti­ nuamente, come dice Agostino, in taluni luoghi ogni giorno, in altri a determinati intervalli, il luogo ed il modo di questa ascesa al Padre, perché nell'eucaristia il corpo mistico di Cristo si offre per mezzo del capo al Padre. Ma per altra parte la celebrazione eucaristica non avrebbe senso, se i partecipanti per mezzo di Cristo nell'amore non si innalzassero al Padre e non si rivolgessero ai fratelli, in quell'amore che è alimentato dalla fede in Cristo. Questo amore che sale al Padre ed è rivolto ai fratelli non è soltanto effetto dell'eucaristia, ma un elemento della sua struttura ; fa parte della res eucaristica, e perciò della realtà indicata dal segno sacra­ mentale. Qui Agostino non pensa in senso causale, ma formale. Queste considerazioni mostrano che logicamente soltanto i santi possono parte­ cipare alla eucaristia; soltanto coloro che sono ripieni dell'amore. Dei pec­ catori e degli scismatici Agostino dice : « Chi riceve il mistero della unità e non ritiene il vincolo della pace, non riceve il mistero a suo favore, ma una testimonianza contro di sé » (Sermo 272). Un tale sacrificio viene rigettato da Dio. Dio esige sacrifici, ma non il sacrificio del corpo trafitto,

§ 1 69 A.

LA

CHIESA COME CORPO

DI

CRISTO

275

bensi il sacrificio del cuore contrito. Non ha quindi valore se il sacrificio viene offerto soltanto sull'altare di pietra, ma non sull'altare del cuore. Dio esige il sacrificio che viene bruciato per lui sull'altare del cuore dal fuoco dell'amore. In quanto è l'amore acceso dallo Spirito Santo che tiene unite le membra del corpo nùstico, l'amore che tutti unisce, nel quale viene offerto il sacrificio dei cuori, Agostino può dire : questo è il sacri­ ficio dei cristiani : molti un solo corpo in Cristo. Cosi ogni atto di amore, ogni opera di misericordia, ogni aiuto, ogni buon consiglio diventa un sacrificio, perché io ciascuna di queste azioni l'uomo si rimette a Dio nel­ l'amore. Questa tesi di Agostino non deve essere intesa in senso di pura teologia morale ; poiché ogni movimento del cuore parte, secondo lui, dalla fede in Cristo, dalla unione con il capo, che nella celebrazione euca­ ristica si realizza sempre ex novo come movimento sacrificale del Cristo totale che comprende capo e corpo. Cosi ogni atto di amore è una manife­ stazione del fatto eucaristico. La celebrazione eucaristica, includendo come elemento formale il movi­ mento d'amore del corpo mistico di Cristo verso l'alto al Padre ed in linea orizzontale ai fratelli, porta in sé il desiderio del compimento, della consu­ mazione. La realtà (res) eucaristica si manifesterà nella sua forma com­ pleta soltanto nel futuro. Cosi l'eucaristia è per il corpo di Cristo il sacra­ mentum spei. « Essa designa la fine dei tempi, in cui il riposo dei santi non sarà piu nel sacramento della speranza, nel quale nel tempo presente la Chiesa realizza la sua unità, fin tanto che essa beve ciò che è fluito dal costato di Cristo » (Contra Faustum, 1 2, 20 ; Fr. Hofmann, Der Kirchen­ begrifl des heiligen Augustinus, 1 9 33, 390-4 1 3 ; cfr. anche J. Ratzin­ ger, l. c.). La dottrina di Agostino del rapporto tra eucaristia e Chiesa in quanto corpo di Cristo, e quindi tra corpo sacramentale e corpo nùstico, soprav­ vive sino al trapasso dal sec. XII al sec. XIII. È espressa in testi innume­ revoli, secondo i quali l'uomo è nella Chiesa in quanto riceve il corpo eucaristico, e può ricevere il corpo sacramentale soltanto nel corpo che rappresenta la Chiesa. lo questa idea il realismo ecclesiologico si unisce a quello eucaristico. Non di rado la realtà del corpo sacramentale di Cristo viene dimostrata dalla realtà della Chiesa; e quindi la Chiesa non po­ trebbe essere un fenomeno reale se il corpo sacramentale non fosse reale. Sovente è detto dell'eucaristia che è un simbolo del corpo di Cristo, ma ciò non significa una concezione puramente simbolica dell'eucaristia in opposizione alla realistica. Con tale formula si intende piuttosto che il corpo eucaristico indica il corpo ecclesiale di Cristo. Qui un realismo con-

P.

I.

-

LA CHIESA

diziona l'altro (cfr. H. de Lubac, Corpus mysticum, Parigi I 949). Dal­ l'inizio del sec. XIII l'idea della Chiesa quale corpo di Cristo si è resa sempre piti indipendente nei confronti del corpo sacramentale. Questo non venne piti considerato come l'intima realtà nascosta del corpo ecclesiale, ma come la sua causa e conseguenza. Alla considerazione formale del rapporto tra eucaristia e Chiesa sottenuò quella causale. Le singole realtà vennero piti accuratamente riconosciute nel loro essere proprio. Ciò portò alla elaborazione dei loro reciproci rapporti sotto l'aspetto di causa e di effetto, al che ha pure contribuito l'influsso del pensiero aristotelico. Il progresso portò una chiarificazione. Ma questo vantaggio era minac­ ciato dal pericolo che si introducesse un eccessivo distacco della eucaristia dall'idea della Chiesa quale corpo di Cristo. Quanto grande potesse diven­ tare questo pericolo lo si vede nelle esposizioni della eucaristia dei se­ coli XIV e xv, in cui sovente si parla soltanto della transustanziazione e della presenza reale di Cristo, ma non piti della virru formativa della euca­ ristia nei riguardi della Chiesa. In Tommaso d'Aquino lo stretto rapporto tra Chiesa ed eucaristia è ancora visto chiaramente, e viene inteso come rapporto di causa e di effetto. Nella enciclica sulla Chiesa quale corpo mistico, Pio XII ha richiamato espressamente l'attenzione su tale stretto rapporto. Dice tra l'altro : « Quanto finora abbiamo esposto di questa intima unione del corpo mi­ stico di Gesti Cristo col suo capo, ci parrebbe imperfetto, se qui non ag­ giungessimo almeno poche parole intorno alla santissima eucaristia, con la quale una siffatta unione in questa vita mortale raggiunge il grado piti alto. Giacché Gesti Cristo volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro capo, si manifestasse ai credenti in modo speciale per mezzo del sacrificio euca­ ristico. In esso infatti i ministri dei sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche tutto il corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono all'eterno Padre, quale ostia gratissima di lode e di propiziazione per i bisogni di tutta la Chiesa, l'Agnello imma­ colato, dalla voce del solo sacerdote reso presente sull'altare. E come il divino Redentore, morendo in croce, offri all'eterno Padre se stesso quale capo di tutto il genere umano, cosi " in questa ablazione pura " (Mal. I , I I), non offre quale capo della Chiesa soltanto se stesso, ma in se stesso offre anche le sue mistiche membra, poiché egli nel suo cuore amantissimo tutte le racchiude, anche se deboli e inferme. Il sacramento dell'eucaristia, vivida e mirabile immagine dell'unità della

§ I6g A. LA CHIESA COME CORPO DI CRISTO

Chiesa in quanto il pane da consacrarsi deriva da molti grani che formano una cosa unica (cfr. Didaché, IX, 4), ci dà lo stesso autore della grazia santificante, affinché da lui attingiamo quello spirito di carità con cui vi­ viamo non già la nostra vita ma la vita di Cristo, e in tutti i membri del suo corpo sociale amiamo lo stesso Redentore » ( nn. 8 1 -8 3). 3. - Lo sguardo dato alla dottrina dei Padri dimostra che essi, soprat­ tutto S. Agostino, non hanno sempre esposta in tutta la sua ampiezza la dottrina paolina della Chiesa quale corpo di Cristo. Agostino pone l'ac­ cento sull'unione dei membri della Chiesa con Cristo; la struttura visibile non viene da lui né negata, né trascurata. La lotta contro i donatisti lo costringe anzi a mettere in forte rilievo la visibilità della Chiesa. Ma là, dove egli intende la Chiesa come corpo di Cristo, lo interessa di piu la intima unione di grazia che non la struttura visibile. Trattando della visi­ bilità della Chiesa spiegheremo meglio la cosa. Quanto vediamo in Agostino continuò nella teologia medievale. Anche Tommaso d'Aquino intende la dottrina paolina della Chiesa corpo di Cristo di preferenza come comunità nella grazia. Egli insegna energica­ mente anche la struttura gerarchica della Chiesa; ma la dottrina paolina del corpo di Cristo gli offre poche occasioni per esporre il lato visibile della Chiesa. Nell'immagine della Chiesa quale corpo di Cristo egli ne vede piuttosto attestata l'unione con Cristo. La teologia posteriore conserva e sviluppa questa idea. Citiamo come esempio il teologo francese Tournely ( 1 658-1729), il quale, in accordo con tutta la teologia posttridentina, distingue un lato invisibile ed uno visibile nella Chiesa, che non coincidono. Essi sono in certo modo due campi che si intersecano. Il campo della Chiesa invisibile è nello stesso tempo piu grande e piu piccolo del campo della Chiesa visibile, in quanto taluni appartengono alla Chiesa invisibile, che non appartengono alla Chiesa visibile, e taluni non appartengono alla Chiesa invisibile, alla co­ munione di grazia in Cristo, che appartengono alla Chiesa visibile. La Chiesa invisibile viene identificata da Tournely, sempre in accordo con la teologia del suo tempo, con il corpo di Cristo. In questa concezione dall'idea totale della Chiesa quale corpo di Cristo viene separato l'elemento della comunità visibile. Ci si può domandare se in questa separazione di una Chiesa invisibile non si faccia sentire la concezione protestante della Chiesa, secondo cui la Chiesa è la comunità invisibile nello Spirito Santo. La teologia posttridentina ha decisamente affermato ed elaborato il carat­ tere visibile della Chiesa. Non di meno la teologia protestante potrebbe

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LA CHIESA

avervi esercitato un influsso. In ogni caso la dottrina paolina della Chiesa quale corpo di Cristo non fu intesa in senso completo. Questa interpre­ tazione ristretta dell'apostolo Paolo è stata pienamente superata soltanto dall'enciclica Mystici Corporis di Pio XII. Qui, e soltanto qui, si è nuova­ mente raggiunto il pieno senso della dottrina paolina. Secondo l'enciclica la sola Chiesa cattolico-romana è il corpo mistico di Cristo. Ma qui sorge un grave problema : se soltanto tale Chiesa può essere designata come il corpo mistico di Cristo, ci si chiede se coloro che non appartengono ad essa, non appartengano affatto ed in nessun modo alla Chiesa. Nella teo­ logia moderna si è potuto dire che essi appartengono alla comunione in­ tema della grazia, in certo modo all'anima della Chiesa. Tuttavia, se la comunione interna della grazia non trascende il campo della Chiesa visi­ bile, perché il corpo mistico di Cristo è identico alla Chiesa romana, questa risposta non è piu possibile. La questione ha una straordinaria portata esi­ stenziale, perché fuori della Chiesa nessuno può salvarsi. Daremo la ri­ sposta nella sezione relativa alla visibilità della Chiesa. Cfr. A. Mitterer, Geheimnisvoller Leib Christi. Nach St. Thomas von Aquin und nach Papst Pius XII, Vienna 1950; Tim. Zapelena, De ecclesia Christi, 2 voli., Roma 1954-195 5 i M. Schmaus, Die Kirchengliedschaft nach Tournely, in Festschrift fiir ]. Lortz ; P. Tromp, S. 1., Corpus Christi quod est Ec­ clesia: I. lntroductio generalis, Roma 1937·

§

169h, La Chiesa sposa di Cristo.

l.

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DOTTRINA DELLA SCRITTURA.

l . - All'immagine della Chiesa corpo di Cristo è strettissimamente col­ legata quella di sposa di Cristo. Le due immagini si compenetrano. Infatti Cristo mediante la parola di vita e mediante il battesimo si è conquistata la Chiesa, suo corpo, come sposa pura ed immacolata (Ef. 5, 27). E vice­ versa la Chiesa presentata come sposa è chiamata corpo di Cristo, che egli ha redento (Ef. 5, 23). La comunità di coloro che nel seguito del capitolo Paolo presenta come la sposa di Cristo è costituita da Giudei e da pagani, che secondo il disegno di Dio dovevano essere salvati e furono salvati. 2. - Potrà servire a chiarire l'immagine paolina dare un breve sguardo alle raffigurazioni di matrimoni sacri, che si trovano fuori della Bibbia e nell'Antico Testamento.

§ 169 8• LA CHIESA SPOSA DI CRISTO

279

a) Ne incontriamo nel campo culturale orientale, ad es. in quello egi­ ziano, dove il re fin dai tempi piu remoti viene designato come figlio di Re (Amon). Dalla metà del terzo millennio esiste la leggenda, secondo cui il dio stesso sotto la figura del re si accosta alla regina, per modo che questa diventa a sua volta dea. Piu tardi l'espressione « moglie divina di Amon » divenne il titolo ufficiale della principessa piu anziana di grado e presunta regina. Questa ed altre rappresentazioni del campo culturale orientale e greco­ romano, trattandosi in esse di regola di rapporti sessuali, non possono essere fonte della dottrina paolina della Chiesa come sposa di Cristo. Esse mostrano soltanto quanto fosse diffuso il desiderio dell'uomo di una unione intima con il divino. Si afferma sovente che lo gnosticismo abbia offerto all'apostolo Paolo le immagini ed i concetti per la sua dottrina della qualità di sposa della Chiesa. Effettivamente nello gnosticismo, soprattutto nel sistema di Valentino e della sua scuola, le nozze mistiche, il sacra­ mento della camera nuziale hanno una parte di primo piano. La Sofia Achamoth dal mondo invisibile dello spirito, il pléroma, è caduta un giorno nella materia oscura, perdendo il suo sposo celeste. La segue, accompa­ gnato da molti angeli, e la libera un supremo dio del cielo, un salvatore, col quale essa ritornerà nella camera nuziale del pléroma e celebrerà le nozze sacre. Ciò che qui è avvenuto tipicamente, si compie di continuo nei singoli gnostici : ciascuno di essi ha carattere di sposa. L'unione matri­ moniale con il suo salvatore celeste, pur essendo descritta con immagini sessuali, è concepita però in modo del tutto spirituale. Le nozze celesti sono un fatto puramente spirituale. Una descrizione molto particolareg­ giata delle nozze celesti è offerta dagli Atti dì Tommaso, secondo i quali la figlia della luce, la Sofia, attende il Cristo celeste che la libera dalla prigionia. L'idea paolina della Chiesa CQme sposa di Cristo si differenzia cosi sostanzialmente dal motivo della gnosi, che non si può ammettere nessun influsso da parte dello gnosticismo sull'apostolo. b) All'apostolo l'immagine è giunta dall'Antico Testamento e dalla teologia del giudaismo antico. Nell'Antico Testamento il rapporto di Dio con il suo popolo è presentato sotto l'immagine del matrimonio. Si tratta di una unione di amore. L'immagine è stata creata da Osea (1 -3) : Jahvè ama la sua sposa adultera, il suo popolo, come il profeta continua ad amare la propria sposa adultera, e la castiga per indurla a convertirsi. Geremia designa come nozze soprattutto la conclusione del patto sul Sinai (3 1 , 32). La rottura del patto è da lui sferzata come adulterio (9, 2). Quantunque

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CHIESA

Jahvè abbandoni la moglie infedele ai suoi nemici (3, I ; I I, I 5 ; 1 2, 7-9) , tuttavia non la ripudia. Egli infatti non può dimenticare l'amata della sua giovinezza (2, 1 -3). L'immagine è esposta in modo particolareggiato e chiaro da Ezechiele ( I 6 ; 23). Isaia tratteggia l'immagine dell'amata nella giovinezza, che Dio riaccoglie con eterna misericordia (54, 4-8 ; 6o, 1 5 ; 62, 5). Anche il Can­ tico dei cantici, dalla sua assunzione nel canone dei libri sacri, è stato interpretate come rappresentazione simbolica del matrimonio di Dio con il suo popolo, e la stessa interpretazione ha avuto il Sal. 44· I profeti annunziano che Dio nel futuro tempo della salvezza conclu­ derà nuovamente un matrimonio con gli uomini. Anche le antiche raffi­ gurazioni giudaiche offrono indicazioni per comprendere la dottrina pao­ lina. In dipendenza dai profeti i rabbini interpretano la conclusione del patto sinaitico come le nozze di Dio con Israele. Jahvè muove incontro al popolo come uno sposo e Mosè svolge l'ufficio di colui che conduce la sposa. Troviamo pure l'idea che le nozze tra Dio ed il popolo avranno luogo alla fine del mondo, per cui l'epoca attuale è il periodo di fidanza­ mento. Alla teologia giudaica è ignota l'idea che il Messia inviato da Dio sia lo sposo del popolo, poiché essa indica come tale soltanto il Dio che invia il Messia. Qui soprattutto appare chiaro il punto in cui la dottrina paolina si dif­ ferenzia fondamentalmente anche dall'immagine dell'Antico Testamento e del giudaismo antico. Secondo Paolo è il Messia, Cristo, e non Dio ad acquistarsi la comunità umana come sposa immacolata. 3. - Queste nozze, secondo la dottrina di S. Paolo, furono già preannun­ ziare e prefigurate all'inizio dell'umanità (Ef. 5 , 3 r s.). Conseguentemente la creazione del primo uomo come maschio e femmina (Gen. 2, r 8-2 5 ; cfr. il trattato del matrimonio) non deve essere intesa semplicemente come istituzione del matrimonio, ma anche come un accenno alla misteriosa unione tra Cristo e la Chiesa. La formazione di Eva dal fianco dell'uomo è un simbolo dell'uscita della Chiesa dal costato di Cristo addormentato nella morte. Cristo ha abbandonato per cosi dire il Padre celeste assu­ mendo la natura umana, ha abbandonato la sua madre, la sinagoga, per aderire alla sua sposa, la Chiesa. Il Concilio di Vienne dice : « Il Verbo di Dio non ha voluto soltanto essere affisso in croce e morirvi, ma ha pure voluto che, dopo aver reso lo spirito, il suo corpo fosse trafitto da una lancia, affinché fluissero sangue ed acqua ed in essi si formasse l'unica, immacolata vergine madre Chiesa, sposa di Cristo, come dal costato di

§ 1 69 8• LA CHIESA SPOSA DI CRISTO

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Adamo addormentato fu formata Eva per l'unione matrimoniale con esso. Cosi al tipo del primo ed antico Adamo, che secondo l'apostolo è la figura del futuro, doveva corrispondere la realtà nel nostro ultimo Adamo » (Denz. 480 ). La Scrittura indica sempre quale elemento decisivo nel matrimonio la unità. Tutta la creazione, compreso l'uomo, è dominata dalla legge della separazione e della divisione. La pienezza dell'umano non è realizzata né nell'uomo solo, né nella donna sola. Perfetta pienezza nella somma sem­ plicità e somma semplicità nella perfetta pienezza esistono soltanto in Dio. Nel creato fuori di Dio esiste semplicità soltanto a spese della pienezza e pienezza soltanto a spese della semplicità. Cfr. § 67. L'uomo e la donna sono dunque espressioni e modi diversi di realizzazione di ciò che noi chiamiamo uomo. Soltanto in entrambi assieme appare l'umano in tutta la sua estensione. Essi sono dunque reciprocamente ordinati come membri complementari di una sola realtà « uomo ». La reciproca ordinazione è espressa chiaramente nel sentimento di solitudine di Adamo e nella crea­ zione di Eva dall'uomo (Gen. 2, 1 8-25). L'uomo e la donna tendono natu­ ralmente l'uno verso l'altro. Appunto nella loro diversità somatica, psi­ chica, spirituale sta la ragione per cui possono e vogliono completarsi a vicenda per la pienezza dell'umano. Questo completamento avviene nello scambio della vita fisica, psichica e spirituale. Nello scambio di vita si fonda l'unità dell'uomo e della donna, che la Scrittura indica con le parole « diventare una sola carne » . L'espressione « una sola carne » o « un solo corpo » indica che l'uomo e la donna in tutta l'estensione del loro essere umano diventano una cosa sola - « corpo » significa la totalità dell'uomo nella sua realtà corporea - e che l'unità riceve espressione e sigillo nella unione corporea. Nello scambio di vita e nella unità dell'uomo e della donna che in esso si fonda, il matrimonio è una immagine della comu­ nione antologica e vitale tra Cristo e la Chiesa. Secondo l'apostolo Paolo dunque il rapporto tra l'uomo e la donna, quale è descritto nella Genesi, è un abbozzo del rappono tra Cristo e la Chiesa. Con ciò egli trascende di molto l'idea dell'Antico Testamento, idea che troviamo anche nel Nuovo Testamento. L'idea che la rivolta contro Dio è adulterio ricorre sovente (Mt. 1 2, 39 ; Mc. 8, 3 8 ; Giac. 4, 4 ; forse Apoc. 2, 22). Paolo invece si serve dell'immagine familiare ai fedeli dell'Antico Testamento per descrivere il rapporto del popolo di Dio del Nuovo Testamento con il suo fondatore Gesu Cristo. Secondo Paolo Cristo è il secondo Adamo (Rom. 5, 1 2- 1 9 ; 1 Cor. 1 5, 2 s. 45-49). Come il primo Adamo fu la causa della rovina universale, cosi il secondo Adamo divenne

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I.

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LA CHIESA

la causa della salvezza. Ma a fianco di Adamo vtsse ed operò Eva da lui uscita. I Padri della Chiesa, interpretando la Chiesa come la seconda Eva, si muovono nella direzione del pensiero paolino. Soltanto quando Cristo venne e si associò la Chiesa come sposa, si poté intendere pienamente il significato realizzato dal rapporto di Adamo con Eva. L'uomo, inteso in definitiva con Adamo, è Cristo. La donna, intesa in definitiva con Eva, è la Chiesa. Cosi tra l'epoca della storia umana introdotta e caratterizzata da Adamo e quella introdotta da Cristo esiste, nonostante le diversità, una evidente continuità. Infatti il matrimonio tra Cristo e la Chiesa è la realizzazione del matrimonio istituito da Dio nel paradiso tra Adamo ed Eva. È Agostino a parlare con particolare frequenza della Chiesa come seconda Eva e sposa del secondo Adamo.

4 . - Paolo attesta l'idea della Chiesa come sposa di Cristo in 2 Cor. 1 1 , 2, dove descrive la sua attività apostolica. Come apostolo egli è il padre spirituale della comunità di Corinto. In quanto tale si preoccupa di por­ tare la sua figlia spirituale al suo sposo Cristo come vergine illibata. Il mo­ mento della introduzione nella casa dello sposo è la parusia. La sposa di cui Paolo qui parla è la comunità cristiana di Corinto. Tuttavia essa rap­ presenta tutta la Chiesa. Secondo la descrizione dell'apostolo la sua ver­ ginità consiste nella purezza ed illibatezza della fede. Il luogo in cui l'apo­ stolo parla in modo piu particolareggiato della immagine è la lettera agli Efesini (5, 2 1 -33). Per la sua esposizione l'apostolo ricorre al Salmo 44, al Cantico dei cantici, ma soprattutto a Gen. 2, 24. La Chiesa viene da lui presentata come la sposa di Cristo, che egli si è acquistata come tale con la sua morte. Nella morte egli si è dato per essa (Ef. 5, 2 ; Gal. 2, 2o ; I, 4 ; 1 Tim. 2 , 6 ; Tit. 2 , 1 3 s. ; Apoc. 20, 28). Ma sacrificando per essa l a sua vita, egli le ha donato una vita indefettibile ed eterna. Nella risurrezione e nella ascensione questa vita è diventata visibile in lui stesso e con la missione dello Spirito Santo egli l'ha immessa nella Chiesa. Allora fu stabilito non soltanto un rapporto di anima ad anima o di anima al Logos, ma un rapporto vivo ed intimo di tutta la comunità, comprendente i suoi membri con corpo ed anima, alla quale lo Spirito Santo fu inviato. La Chiesa accoglie la vita accordatale, per custodirla e curarla. La dedizione di Cristo alla sua sposa non è un fatto isolato e passeggero. Essa non cessa mai, perché il suo amore che si dona non si stanca mai. Egli vive sempre per la sua sposa, la custodisce e la cura come il suo proprio io; la nutre con la forza della sua parola, ma soprattutto con la sua carne e

§ 1 69 H.

LA CHIESA SPOSA DI CRI STO

il suo sangue nella eucaristia. Donandole il suo corpo e il suo sangue nel sacramento, egli diventa con essa realmente un solo corpo, una sola carne. Anzi, l'unità tra Cristo e la Chiesa supera per intimità, forza e durata, l'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna. Cristo infatti trae a sé la Chiesa con una intensità che trascende tutte le possibilità umane. L'unità dell'uomo e della donna è una debole immagine dell'unità tra Cristo e la Chiesa. Qui infatti avviene lo scambio non di una vita debole e peritura, ma di una vita ricchissima, indefettibile ed indistruttibile. In defintiva quella, con cui Cristo si unisce alla Chiesa, è la forza infinita d'amore fatta persona, cioè lo Spirito Santo. L'unità e la completezza, a cui aspira tutta la creazione, si realizza cosi nel matrimonio tra Cristo e la Chiesa. Sul matrimonio terreno cade un riflesso di questa unità. Il matrimonio dei battezzati è la conseguenza e la manifestazione della unità che Cristo e la Chiesa contraggono tra di loro. Ma ciò che l'unione matrimoniale significa, cioè l'rmità dell'uomo e della donna, è realizzato in modo piu completo nell'unione di Cristo con la Chiesa, necessariamente in altre forme, poiché proprio le forme fisiologiche condizionano la mancanza di unificazione (J. Pinsk, Die sakramentale Welt, 1 20 s.). Si capisce ora che cosa l'apostolo intende quando esige l'ubbidienza dalla sposa o dalla Chiesa. Essa si realizza quando la Chiesa accoglie i doni di Cristo suo sposo e forma la sua vita entrando nella forma di vita propria di Cristo, cioè nella forma di vita dell'amore e della dedizione a Dio ed agli uomini. Cosi la forma di esistenza nell'amore acquista valore addirittura costitutivo per la Chiesa in quanto sposa di Cristo. Di qui si vede pure che tra la designazione della Chiesa come sposa di Cristo e la designazione come corpo di Cristo esiste un rapporto vivo. La sposa diventa corpo di Cristo in quanto ne accoglie in sé la vita, cosi come il corpo di Cristo in tanto è sposa, in quanto ha carattere personale. « Come la sposa in un primo tempo è estranea allo sposo, ne è separata e gli si contrappone, desiderandone soltanto la vita, e diventa con lui un solo corpo, una sola carne, solamente quando ne accoglie in sé la vita, cosi anche la Chiesa, in quanto rappresenta l'umanità, che aspira alla salvezza, ad essere pervasa della vita divina, è in un primo tempo sposa di Cristo ; ma quando il Figlio di Dio ne soddisfa il desiderio e nella missione dello Spirito le dona come propria la sua vita, diventa anch'essa una sola carne con lui ; cioè la sposa di Cristo acquista la forma di corpo di Cristo, diventa con lui un solo essere mistico » (J. Pinsk, l. c., I 19). Il punto di unione delle due immagini sta nell'amore che Cristo rivolge a coloro che ha

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LA CHIESA

redento. Nel versetto secondo del capitolo quinto della lettera agli Efesini l'apostolo invita i suoi lettori a camminare nell'amore e motiva questa sua richiesta ricordando « che anche Cristo vi ha amati e si è donato per noi a Dio come sacrificio di soave odore » . La sposa partecipa alla gloria di Cristo, ma la gloria non è ancora palese. La Chiesa attende il momento in cui lo sposo la introduca nella casa del Padre. Nella parusia Cristo le verrà incontro dal cielo, per unirla con sé. Questo significato escatologico delle nozze si trova già in Ef. 5, 3I ed in 2 Cor. I I, 2, ma diventa particolarmente chiaro nei capitoli finali della Apocalisse, dove (I9, 7-9) il veggente vede che le nozze dell'agnello sono giunte e la sua sposa, la comunità degli eletti, si è adornata per esse. Piena di desiderio ella grida nello spirito : Vieni. E si sente dire : si, vengo presto (22, I7. 20). Essa desidera di essere introdotta nella casa e si sente dire che l'ora si avvicina. Per quest'ora ella si adorna come una sposa per il suo sposo (2I , 2. 9). Allora vengono celebrate le nozze eterne dell' agnello. La sua sposa, la Chiesa, viene rivestita di abiti splendenti. Lo sposo uscirà dal suo nascondimento e regnerà come sovrano. Beati coloro che sono invitati a questo banchetto nuziale (Apoc. I9, 6-9). In Apoc. 2 I , 2. 9 la sposa è identica alla Gerusalemme celeste che discende sulla terra. Qui si sente l'influsso del passo di Is. 6 1 , IO, secondo il quale la nuova Sion appare come una sposa ornata per il suo sposo. La ragione oggettiva per la identificazione sta nel fatto che la città celeste di Dio sarà la dimora della comunità di Dio, anzi è essa stessa costituita dalla comunità degli uomini perfetti e degli angeli.

II. - TESTIMONIANZE PATRISTICHE.

Nei Padri troviamo l'immagine in numerose formulazioni, da cui ve­ diamo quanto l'idea della Chiesa quale sposa di Cristo sia penetrata profondamente nei cuori. Echeggia continuamente il ringraziamento ed il giubilo per il patto di amore in cui sono assunti gli uomini. Basteranno pochi esempi. Nella cosiddetta seconda lettera di Clemente, già menzionata una volta, si dice : « Vogliamo preferire di appartenere alla Chiesa della vita, per raggiungere la salvezza. Voi ben sapete che la Chiesa vivente è il corpo di Cristo. Dice infatti la Scrittura : Dio creò l'uomo maschio e fem­ mina. L'elemento mascolino è Cristo, quello femminile la Chiesa... Se affer­ miamo che la carne è la Chiesa e lo spirito è Cristo, allora chi disonora la carne, disonora la Chiesa. Costui non parteciperà allo spirito (pneuma), che è Cristo. Ad una vita cosi grande e ad una simile incorruttibilità questa carne non può

§ 16911•

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partecipare, se a lei non si unisce lo Spirito Santo, e nessuno può dire od espri­ mere a parole ciò che Dio ha preparato ai suoi eletti » (14, 2-5). Clemente A lessandrino interpreta sovente il passo della lettera agli Efesini (ad es. Stromata, 7, 87. 88. 107; Pedagogo, I, 18. 21 s.). Con linguaggio poetico egli celebra la verginità e la dignità di madre della Chiesa : « O misterioso mi­ racolo; uno solo è il padre dell'universo, uno solo è pure il Verbo dell'universo, ed uno solo e dovunque identico è lo Spirito Santo, una sola diventa madre­ vergine; chiamarla Chiesa è la mia gioia. Questa madre sola non ha latte; perché essa sola non è diventata donna; ma è nello stesso tempo vergine e madre, intatta come una vergine, piena d'amore come una madre e chiama a sé i suoi figli e li nutre col santo latte, con il Verbo divenuto bambino. Perciò non ebbe latte, perché il suo latte era il Verbo. Con esso ella nutre questo bello e amabile bambino, il corpo di Cristo, la novella creatura che viene nutrita dal Verbo, che il Signore stesso ha generata nei dolori della sua carne, che il Si­ gnore stesso ha avvolto in fasce con il suo sangue prezioso » (Pedagogo, I , 6). Egli ammonisce i cristiani ad affrettarsi verso quella madre (Pedagogo, 3, 99) : « O alunni del beato Pedagogo, riempiamo l'amabile persona della Chiesa e, come fanciulletti, corriamo a questa buona madre; e se siamo diventati uditori del Verbo, celebriamo il beato disegno salvifico, mediante il quale l'uomo viene educato, viene santificato come figlio di Dio ed è certo cittadino del cielo mentre viene educato quaggiu, ma solo lassu riceve il Padre che impara a conoscere sulla terra ». Quando Tertulliano parla di Dio Padre, subito gli viene in mente la madre Chiesa, la quale è tanto madre, che il solo nome di « madre » basta già a designarla. Anche ai martiri egli ricorda la madre Chiesa (De oratione, 2; De baptismo, 20; Ad martyres, 1). Alla fine del periodo dei martiri le nozze tra Cristo e la Chiesa sono state ampiamente trattate dal vescovo e martire Metodio di Filippi nel suo Banchetto delle dieci vergini. Dice tra l'altro (Discorso liI, cap. 8) : « È stato dimostrato con prove molto importanti tratte dalle Scritture come a buon diritto il primo uomo possa essere paragonato al Cristo, non essendo soltanto il tipo, la rasso­ miglianza e l'immagine dell'unigenito, ma essendo divenuto proprio ciò, Sa­ pienza e Logos. Perché l'uomo, mescolato a guisa d'acqua alla sapienza e alla vita, è divenuto proprio quella luce incorruttibile che era entrata in lui. Perciò giustamente l'Apostolo rifeci al Cristo le cose dette intorno ad Adamo. E per questa ragione si può affermare giustamente che dalle sue ossa e dalla sua carne è nata la Chiesa, grazie alla quale il Logos lasciò il Padre nei cieli e venne ad unirsi alla sua donna, e si addormentò nell'estasi della sofferenza, morendo volon­ tariamente per essa " per rendere a se stesso la Chiesa gloriosa e pura, purifi­ candola con un bagno " (Ef. 5, 27) affinché essa riceva il seme spirituale e beato, che egli stesso pianta e coltiva nelle profondità dello spirito; mentre la Chiesa, a guisa di donna, lo riceve e gli dà forma per generare e nutrire la virtu. In questa maniera per di piu si realizza convenientemente il " crescete e moltiplicatevi " accrescendosi essa giorno per giorno in grandezza, bellezza e numero grazie alla unione e alla vita comune con il Logos, che ancora oggi scende verso di noi ed è rapito in estasi al ricordo delle sue sofferenze. La Chiesa infatti non potrebbe in altra maniera concepire i credenti e rigenerarli col bagno di puri­ ficazione, se il Cristo, annichilendosi (Fil. 2, 7) a causa loro, non rinnovellasse

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LA CHIESA

da capo le sue sofferenze, come già ho detto, e scendesse dai cieli e morisse, e si unisse alla Chiesa sua sposa e le offrisse la forza del suo fianco, affinché possano crescere quelli che sono edificati su di lui e che sono generati con il bagno (bat­ tesimale) e che sono divenuti partecipi delle sue ossa e della sua carne, vale a dire della sua santità e della sua gloria. Intende giustamente, infatti, chi inter­ preta le ossa e la carne della saggezza per la intelligenza e la virtu, e per fianco lo Spirito della verità, il Paracleto, partecipando del quale i battezzati rinascono cosi per l'immortalità. Ma è impossibile a chiunque essere partecipe dello Spirito Santo e divenire membra del Cristo, se prima il Logos non scenda su di lui e con lui si addormenti nell'estasi, affinché, svegliandosi dal sonno assieme a colui che aveva dormito per lui, egli possa ricevere la rinnovazione e la restaurazione, essendo riempito di Spirito. Si potrebbe chiamare a buon diritto questo fianco del Logos lo spirito della verità delle sette forme, come dice il profeta (Is. 9, 2); da lui prendendo Dio durante l'estasi del Cristo, cioè dopo la sua incarnazione e la sua sofferenza, prepara a lui la compagna, voglio dire le anime a lui uoitesi e sposatesi. Accade infatti spesso che le Scritture chiamino Chiesa questa riu­ nione e questa massa dei fedeli, paragonando i piu perfetti nel possesso della verità alla persona e al corpo della Chiesa. I migliori, infatti, e quelli che hanno abbracciato piu strettamente la verità a causa della loro perfetta purez7.a e fede rigettano le follie carnali e divengono Chiesa e sposa del Cristo, a lui unici e sposati come una vergine, per dirla con l'Apostolo (2 Cor. 2, 2), affinché avendo ricevuto in essi il seme puro e fecondo della dottrina, cooperino, aiutando la predicazione, alla salvezza degli altri. Gli imperfetti, invece, e quelli che inco­ minciano appena ad istruirsi per la salvezza, sono portati e formati, come nel seno d'una madre, dai piu perfetti finché siano partoriti e rigenerati per la gran­ dezza e bellezza della virtu; e, divenuti per i loro progressi anch'essi la Chiesa, cooperano alla nascita e all'educazione di altri figli, come una madre, realizzando nel loro seno la volontà purissima del Logos " (trad. di A. Zeoli). Con formulazioni sempre nuove Agostino esprime il pensiero che la Chiesa è sposa e madre. I Padri della Chiesa interpretano pure la stessa incarnazione come uno spo­ salizio del genere. Troviamo il pensiero in Origene, in Metodio che ne dipende ed in altri scrittori ecclesiastici greci. Piu ampiamente di tutti lo sostiene Agostino, il quale lo unisce all'idea che la Chiesa, creata dal Figlio incarnato, ne è la sposa. Cosi in lui, in taluni testi, l'idea che il Verbo nella incarnazione si è congiunto in matrimonio con la carne umana, :o;i intreccia con l'altra, che il Figlio di Dio incarnato si è unito in matrimonio con la Chiesa. Egli scrive (In Ioann., tract. 8, 4; PL. 35, 1452) : « Il Signore venne, invitato, alle nozze. Che meraviglia che si sia recato in quella casa per le nozze, lui, che è venuto a nozze in questo mondo? Poiché, se non è venuto a nozze, non ha qui una sposa. E che significa allora quanto dice l'apostolo : Vi ho fidanzati ad un solo sposo, per presentarvi a Cristo quale vergine pura? Perché egli teme che la verginità della sposa ài Cristo possa essere lesa dalla perfidia del demonio? Io temo - dice l'apostolo - che, siccome il serpente con la sua astuzia ha se­ dotto Eva, non vengano corrotti anche i vostri pensieri e traviati dalla fede sin­ cera e pura in Cristo. Egli ha quindi qui una sposa, che si è comprata col suo sangue, ed alla quale ha dato come pegno lo Spirito Santo. L'ha liberata dalla

§ 1698•

LA CHIESA SPOSA DI CRISTO

schiavitu del demonio; è morto per le sue mancanze ed è risorto per la sua giu­ stificazione. Chi potrà offrire doni si grandi alla propria sposa? Offrano pure gli uomini tutti gli ornamenti immaginabili della terra, oro, argento, pietre pre­ ziose, cavalli, schiavi, terreni, poderi; ma chi potrà offrire il proprio sangue? Poiché se uno dà il suo sangue per la fidanzata, non potrà piu certamente spo­ sarla. Ma il Signore mori tranquillamente e diede il suo sangue per essa per ricevere, dopo la risurrezione, colei che già aveva unito a sé nel seno della ver­ gine. Poiché il Verbo è lo sposo e la sposa è la carne umana, ed entrambi sono l'unico Figlio di Dio e nello stesso tempo il figlio dell'uomo. Quando egli di­ ventò il capo della Chiesa, il seno della vergine Maria fu la sua camera nuziale; donde usci come uno sposo dalla sua camera, secondo le parole della Scrittura : e simile ad uno sposo che esce dalla sua camera, egli esultò per correre come un eroe la sua via ». Nel commento alla prima lettera di Giovanni (I, 2) Agostino scrive : « La ca­ mera nuziale di quello sposo fu il seno della Vergine, perché in quel seno ver­ ginale due si sono uniti, lo sposo e la sposa : lo sposo è il Verbo, la sposa la carne. Infatti sta scritto : e saranno due in w1a sola carne ». Qui dunque l'im­ magine non è usata in senso ecclesìologico, ma cristologico. Ma quanto l'una cosa rientri nell'altra, lo si vede nella continuazione del testo citato, che dice : « A quella carne viene aggiunta la Chiesa e cosi si forma il Cristo totale, capo e corpo ». E subito dopo (commento alla prima lettera di Giovanni 2, 2) : « Ogni Chiesa è infatti sposa di Cristo, di cui la carne di Crisw è l'inizio e la forma primitiva (principium et primitiae). lvi la sposa è stata unita allo sposo nella carne ». Nel commento al Sal. 44 (3) Agostino dice : « L'unione matrimoniale esiste tra il Verbo e la carne. La camera nuziale di questa unione è il seno della vergine. Infatti la carne stessa è unita al Verbo; perciò è detto : non piu due, ma una sola carne. La Chiesa venne assunta dal genere umano, per modo che il capo della Chiesa è la carne unita con il Verbo divino e tutti i fedeli sono membra di questo capo ». In questa visione la natura umana di Cristo riveste quindi in primo luogo la qualità di sposa, ma il Figlio di Dio incarnato la qualità di sposo, in quanto la sua natura umana è l'abbozzo e la radice della umanità redenta, rac­ colta nella Chiesa. Questa concezione spiega pure come la madre di Gesu venga chia­ mata sovente dai Padri della Chiesa madre dei credenti, anzi madre della Chiesa. Nella immagine della Chiesa quale sposa di Cristo i Padri mettono in rilievo un elemento che non troviamo esplicito nella sacra Scrittura. Mentre nell'imma­ gine Paolo vede simboleggiata soprattutto l'unione tra la Chiesa e Cristo, i Padri affermano anche la fecondità della Chiesa, la quale è per essi vergine e madre nello stesso tempo. È vergine per la purezza della sua fede; ma è pure la santa madre Chiesa, perché produce continuamente nuovi figli, nuove membra del corpo di Cristo. Veramente neppure la sacra Scrittura ignora il pensiero della fecondità della Chiesa, poiché questa deve crescere sempre piu nella vita di Cristo, deve sempre piu diventare un solo cuore ed una sola anima con lui, onde risplenda sempre piu luminosa in essa l'immagine di Cristo (Col. 2, 19; Ef. 2, 22; 4, 1 1 -16). Qui è intesa una forma di fecondità, che significa un arric­ chimento interno, un approfondimento ed una intensificazione, in continuo pro­ gresso, del patto con Cristo. Quella forma di fecondità, che i Padri annunziano, consiste invece nel fatto che la Chiesa dalla sua comunione con Cristo produce

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P.

I. -

LA CHIESA

sempre nuovi figli e figlie, un numero grande, che nessuno può contare (Apoc. 7,

9).

Cosi accanto all'idea che la Chiesa è la comunità unita a Cristo di coloro che credono in lui (suo corpo), appare l'altra, cioè che essa ne è la madre. Nasce l'immagine della vergine madre Chiesa. La troviamo per la prima volta in una lettera dei cristiani di Vienna e di Lione del 177 alle comunità di Asia e

i cristiani a Lione (Eusebio, Hist. ecci., 5, Pastore di Erma. È quindi antichissima. I Padri della Chiesa

di Frigia sulla persecuzione contro 1, 1 -2, 8) e nel

erano pienamente coscienti della diversità, anzi della tensione ed opposizione delle due immagini, e cercano di accordarle tra loro con una minuta dialettica. La sintesi di verginità e di maternità della Chiesa si può spiegare col fatto che l'unione tra Cristo e la Chiesa è una unione nello spirito. In questa unione con Cristo, che si fonda nello Spirito ed è formata dallo Spirito, la Chiesa riceve quella fecondità che la rende capace di generare continuamente nuovi figli di Dio. La nascita dei fedeli avviene mediante l'annunzio della parola e mediante il battesimo. Che il battesimo rappresenti il seno materno della Chiesa è trattato in modo molto particolareggiato nei sermoni battesimali

di Zenone (dal 362 al

371 /372 vescovo di Verona); appare nella iscrizione del battistero del Laterano, composta dal papa Leone Magno, e nel rito della benedizione dell'acqua batte­

j r,

simale (cfr. il vol. IV

§ 236).

Agostino è colui che piu frequentemente e piu profondamente descrive questi rapporti. Nel trattato 12 sul Vangelo di Giovann i (n. «

5; PL. 35, 1 486) dice :

Un padre mortale genera mediante la sposa un figlio, che sarà il suo suc­

cessore. Dio mediante la Chiesa genera dalla Chiesa dei figli, che non gli suc­ cederanno, ma res teranno eternamente con lui

».

Cosi la Chiesa, che per mezzo

di Cristo, il quale per lei diede la sua vita, fu uatta dalla stirpe corrotta di Adamo e fu fatta sua sposa pura e verginale, trasmettendo continuamente ad altri la sua vita, diventa la madre feconda, in quanto con la sua parola ed il sacramento forma di peccatori giusti, di perversi santi, di empi dei credenti

in Cr is to, anzi

Cristo stesso. Ad una sola essa è paragonabile in questa duplice dignità di ver­ gine-madre : Maria. Come questa generò il capo, cosi la Chiesa genera le membra, che per il loro rapporto con il capo sono anch'esse Cristo. Agostino attribuisce questa fecondità alla Chiesa universale. La proprietà della

Chiesa,

di essere

vergine-madre, consiste secondo lui, nel fatto che coloro che nascono da essa entrano anch'essi nella maternità della Chiesa. In quanto individui essi costi­ tuiscono i figli della Chiesa, ma in quanto comunità costituiscono essi stessi la madre Chiesa. La maternità spirituale

(

=

soprannaturale)

della Chiesa non è

nelle singole membra, in modo che nella Chiesa l'essere madre e l'essere figlio sia ripartito fra membri diversi. Come la Chiesa universale è la sposa di Cristo, cosi la Chiesa universale è la madre verginale, che produce sempre nuovi figli, i quali subito a loro volta partecipano anch'essi al suo ano creativo sopranna­ turale operato da Cristo. La Chiesa universale, in quanto sposa ripiena dello Spirito e della vita di Cristo, opera la rinascita ed il perdono dei

peccati.

La Chiesa compie la sua azione creatrice con la parola e con i sacramenti; e la può compiere soltanto cosi. Uno solo può compiere i sacramenti, ma nel ministro visibile dei sacramenti agisce la Chiesa universale, la comunione dei santi ripieni della vita di Cristo. Il singolo agisce come un membro di questa comunità, qualificato ed autorizzato da Cristo per il suo servizio. In esso si esprime la

§ 1 69 8•

LA CHIESA SPOSA

DI

CRISTO

comunità. La Chiesa, non il singolo, è la vera ed unica madre della nuova vita. Alla domanda di un coepiscopo sul modo in cui i bambini che vengono portati al battesimo con intenzione falsa, superstiziosa, siano nondimeno rigenerati dallo Spirito Santo, Agostino risponde (E p. 98, n. 5 ; PL. 33, 361 -362) : « La rinascita non viene negata ai bambini perché coloro che li hanno portati al battesimo non hanno la retta intenzione. Questi prestano i servizi necessari e profferiscono le parole rituali; senza cui il bambino non può essere santificato. Ma lo Spirito Santo, che abita nei santi, dai quali si form:1 quell'unica colomba argentea (cfr. Sal. 67, 14) nel fuoco dell'amore, opera ciò che opera, talora anche me­ diante il ministero di coloro che sono non soltanto ignoranti, ma anche indegni in modo riprovevole. Infatti, i bambini vengono presentati a ricevere la grazia dello Spirito non tanto da coloro che li portano nelle braccia, quantunque anche da essi, se sono buoni credenti, quanto piuttosto da tutta la comunità dei santi e dei credenti. Si può infatti ritenere con buona ragione che essi siano portati al battesimo da tutti coloro cui piace di presentarli, ed il cui santo ed indiviso amore li aiuta ad ottenere la comunione dello Spirito Santo. Questo opera dunque l'intera madre Chiesa, che esiste nei santi, perché infatti è la Chiesa intera che genera tutti ed i singoli ». Qui appare anche evidente il motivo per cui la Chiesa, in quanto comunità degli uniti con Cristo, genera la vita sopran­ naturale : appunto nel suo insieme essa è la sposa di Cristo, nella quale lo Spirito Santo pone il germe di vita di Cristo. Cosi in fondo è Cristo o lo Spirito Santo ad agire mediante la Chiesa universale (cfr. Agostino, Sermo 99, 9; Contra epi­ stolam Parmenidis, 2, n, 24; In loann., uact. 27, 6 ; Sermo 71, 13, 23). Cosf quindi all'insieme dei santi compete il perdono dei peccati e la produzione della vita soprannaturale. Ma l'esercizio di questo potere creativo è legato ai sacra­ menti, il cui compimento, per volontà di Cristo, è riservato a membri deter­ minati, qualificati all'uopo (cfr. F. Hofmann, Der Kirchenbegrifj des heiligen Augustinus, 1933, 265-269 con piu ampie indicazioni bibliografiche; inoltre ]. Ratzinger, l. c., 140 s.). Mentre in Paolo la parusia è il momento delle nozze tra Cristo e la Chiesa (della introduzione della sposa), i Padri spostano lo sposalizio nella storia stessa. Quindi durante la storia la Chiesa non è soltanto la fidanzata, ma anche la sposa di Cristo. Ci sono alcune eccezioni. Agostino distingue un duplice sposalizio. Entro la storia, secondo lui, Cristo è fidanzato con la Chiesa quale sua promessa immacolata, ma soltanto al termine della storia la porterà a nozze. D'altra parte, secondo lui, la Chiesa è la sposa di Cristo, perché mediante essa egli nel batte­ simo dà ai fedeli, suoi figli, la nuova vita. In genere lo sposalizio di Cristo con la Chiesa viene spostato nella passione. Come Eva è sorta dalla costa di Adamo, cosi la Chiesa dalla ferita aperta nel costato di Cristo. III. - LA LITURGIA.

Nella liturgia la Chiesa ci appare nella sua azione cultuale, che pro­ cede dalla sua santa unione con Cristo e rende questa efficace per i singoli fedeli. Ciò che in un misterioso nascondimento avviene tra Cristo e la Chiesa trova la sua espressione visibile nei misteri della liturgia, soprattutto

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LA

CHIESA

nel battesimo e nell'eucaristia. La morte di Cristo non è soltanto un fatto lontano nel passato. Essa viene resa continuamente presente nella liturgia, affinché sempre nuovi uomini possano partecipare alla sua morte ed alla sua risurrezione e da esse acquistare la vita dello spirito (pneuma). La liturgia è cosi un'azione nuziale della Chiesa. Secondo Metodio, come abbiamo visto, è un'azione di tutta la Chiesa, non soltànto di singoli membri. Di fatto la Chiesa nelle testimonianze di se stessa, sia nelle sue parole che nei suoi riti, esprime la convinzione che la liturgia è effetto della unione d'amore con Cristo. Il Concilio di Trento ha detto che il Signore, allorché si parti da questo mondo, ha affidato alla sua sposa diletta, la Chiesa, la rappresentazione continua ed il ricordo del suo sacrificio in croce. La consacrazione di una nuova Chiesa è una manifestazione sim­ bolica dell'unione coniugale di Cristo e della cruesa; diventa uno sposa­ lizio di Cristo con la comunità. L'inno della consacrazione della Chiesa canta la casa di Dio come l'immagine della città celeste, che discende dal cielo in giovanile bellezza, ornata per la camera nuziale, per essere unita come sposa al Signore, circondata dal corteo nuziale degli angeli. All'idea dello sposalizio si unisce quella della maternità. La benedizione dell'acqua battesimale è la consacrazione per la maternità spirituale della Chiesa. Il fonte battesimale viene designato nella liturgia come il seno materno, dal quale sotto l'alito dello spirito di Cristo vengono generati sempre nuovi membri e figli alla Chiesa. Nella benedizione dell'acqua battesimale si fa questa preghiera : « Riguarda Signore, la faccia della tua Chiesa, e moltiplica in essa le tue nuove generazioni tu, che con l'im­ peto dell'affluente tua grazia rallegri la tua città, e per tutto il mondo apri la fonte del battesimo alla rinnovazione delle nazioni ; affinché per un atto sovrano di tua maestà essa riceva la grazia del tuo Unigenito, dallo Spirito Santo. Il quale con l'arcana influenza di sua divinità fecondi questa acqua preparata alla rigenerazione degli uomini; affinché questo divin fonte, ricevuta la santificazione, veda uscire dal suo seno purissimo una generazione celeste, una creatura rinnovellata » . Ancora piu abbondante e piena risuona la lode della vergine-madre Chiesa nelle liturgie orientali. (Cfr. A. Wintersig, Die Selbstdarstellung der heiligen Kirche in ihrer Liturgie, in Mysterium, I926, 85-90 ; O. Casei, Die Kirche als Braut Christi, in Die Kirche des lebendigen Gottes, I936, 9 I-I I I ; soprattutto J. Schmid, nell'articolo Heilige Brautschaft in Reallexikon fur Antike und Christentum, edito da Th. Klauser, I953, 528-564 con ricchissima docu­ mentazione e bibliografia. Cfr. anche M. Schmaus, Mariologia).

§ 1 70.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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Nel medioevo l'idea della Chiesa quale sposa di Cristo si è conservata, ma in seguito è andata sempre piu regredendo, per sopravvivere soltanto piu nella liturgia ecclesiastica. Sovente (come già in Cipriano ; cfr. Ratzinger, l. c., 88) la designazione « madre Chiesa » acquista il senso di una mite auto­ rità e di una dolce direzione e viene cosi trasferita dal campo sacramentale in quello giurisdizionale. Per Tommaso d'Aquino cfr. M. Grabmann, Die Kirche als Gotteswerk.

§

170. Lo Spirito Santo e la Chiesa (l'aspetto pneumatologico della Chiesa).

l.

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LA PROMESSA DELLO SPIRITO NELL' ANTICO TESTAMENTO.

La Chiesa è il popolo di Dio che esiste come corpo di Cristo. Cristo ne è il capo. Ciò significa, come abbiamo visto or ora, che ne è il Signore e la fonte di vita. Il che ha come conseguenza che la Chiesa riceve da lui l'im­ pronta ; è cristiforme. Sia l'unione con Cristo che la conformità a Cristo viene stabilita e con­ servata dallo Spirito Santo mandato da Cristo. Ci si potrebbe chiedere se la missione dello Spirito Santo sia la ragione della comunione di vita con Cristo, o non piuttosto questa sia la ragione della missione dello Spirito Santo. È Cristo ad operare la partecipazione alla vita dello Spirito Santo, oppure lo Spirito Santo ad operare l'unione con Cristo? Entrambe le cose sono giuste. In base all'impenetrabile disegno salvifico del Padre celeste Cristo viene all'uomo e lo tocca. La forza con cui lo tocca è lo Spirito Santo che permea la sua natura umana. Questo stesso Spirito durante la vita mortale dì Cristo era presente in lui, ma in modo nascosto. Nella risurrezione e nella ascensione è stato, per cosi dire, liberato. Ciò significa che, come una scintilla di amore celeste, egli colpisce colui col quale Cristo si mette a contatto. Con ciò l'uomo afferrato da Cristo viene portato in una unione viva con lui. Viene trasformato sul modello del Cristo glorificato, notando però che questa trasformazione non può essere percepita entro la storia. Il movimento parte cosi da Cristo, ma porta ad un incontro vivo con Cristo solo mediante l'attività dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il vincolo attivo mediante il quale Cristo ed il cristiano vengono con­ giunti in forte unità. Di questa unione con Cristo il singolo diventa par­ tecipe nel corpo di Cristo, nella Chiesa. Lo Spirito Santo, stabilendo questa unione, compie in modo analogico

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LA CHIESA

in terra ciò che presta continuamente in cielo. Infatti nella vita trinitaria di Dio lo Spirito Santo, secondo l'interpretazione elaborata da Agostino ed accolta da tutta la teologia, è il vincolo d'amore con cui Padre e Figlio si appartengono l'un l'altro (cfr. il vol. l, § 90). Spirando il Padre il suo amore verso il Figlio e questi, a sua volta, spirando il suo amore verso il Padre, si costituisce quell'amore personale, che noi chiamiamo lo Spirito Santo. Nel respiro d'amore che, nello scambio di vita divina, muove dal Padre verso il Figlio e dal Figlio verso il Padre, si forma quell'atmosfera perso­ nale di amore, in cui Padre e Figlio vivono in reciproco incontro e dedi­ zione. Lo Spirito Santo è quindi in certo modo il clima di Dio, e lo è in quanto amore. Il clima, che è amore, è il clima del cielo. L'idea dello Spirito Santo come clima personale od atmosfera personale risulta, se poniamo mente al significato originario del greco pneuma o del larino spiritus. Nelle lingue moderne, nel termine « spirito » questo significato originario non appare piu chiaramente. Quando intendiamo le denomi­ nazioni dello Spirito Santo nel loro significato originario, non dobbiamo dimenticare che il clima celeste di amore è personale. Come il Padre ed il Figlio anch'egli è una persona. Occorre inoltre riflettere che questo clima celeste sviluppa anch'esso un'attività. Infatti lo Spirito Santo è il vincolo attivo tra Padre e Figlio ; è vincolo, in quanto unisce. La sua anto­ logia presenta carattere attualistico. Ciò che avviene in cielo, avviene in modo analogo in terra. Cristo ha promesso e mandato il suo Spirito, lo Spirito Santo, agli apostoli, anzi a tutta la Chiesa. Assieme al Padre lo ha inspirato nella Chiesa. In base a questa missione lo Spirito Santo compie la funzione che è propria del suo essere personale, la funzione del legare assieme per amore. Lo Spirito Santo inviato nella Chiesa crea in essa quell'atmosfera celeste di amore, o piuttosto è egli stesso l'atmosfera personale di amore, il clima, in cui la comunità ecclesiastica respira e vive. Egli è il vincolo di amore, che con­ giunge Cristo e la Chiesa in un solo tutto, in quella unità, che Paolo esprime dicendo che la Chiesa è il corpo di Cristo e questi è il suo capo. Come l'amicizia fa degli amici e l'amore degli amanti una cosa sola, cosi l'a�ore, che è lo Spirito Santo, abbraccia come un vincolo di unità Cristo ed i cristiani. Lo Spirito Santo dà al popolo di Dio del Nuovo Testamento la sua spiritualità. L'attività con cui egli compie la sua funzione unificatrice, la esercita con un processo continuo. È quindi, come abbiamo potuto dire prima, un principio personale che agisce continuamente. In base alla presenza od al particolare rapporto dello Spirito Santo con

§ 170. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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la comunità ecclesiale ed alla sua attività in essa, l'epoca della Chiesa, il periodo tra l'ascensione ed il ritorno di Cristo, si può chiamare l'epoca dello Spirito Santo. Ciò non dev'essere però inteso nel senso di Gioachimo da Fiore, secondo il quale all'epoca di Cristo tiene dietro l'epoca dello Spirito Santo. L'epoca del Figlio non viene sostituita dall'epoca dello Spirito Santo, poiché lo Spirito Santo non crea una nuova epoca salvifica, che succede a quella del Figlio, ma piuttosto informa dello Spirito di Cristo l'epoca introdotta da· Cristo. Mentre Agostino distingueva sette epoche del mondo, Ruperto di Deutz ed Ugo da S. Vittore, assieme ad altri, hanno ammesso soltanto tre grandi periodi del mondo : il regno del Padre dall'inizio della creazione fino al peccato originale, il regno del Figlio dal peccato originale fino alla morte di Cristo, il regno dello Spirito Santo dalla morte di Cristo sino alla fine del mondo. G ioachino da Fiore muta questa tripartizione nel senso che il primo regno, quello del Padre, sia durato fino a Zaccaria, padre di S. Giovanni Battista, il secondo, quello del Figlio, da Giovanni Battista fino a S. Benedetto, il terzo, quello dello Spirito Santo, da Benedetto fino alla fine del mondo. Nel terzo periodo, secondo Gio­ achino, entra in vigore ed in attività l'evangelium aecernum promesso nella Apo­ calisse di Giovanni ( 14, 6). In quest'epoca, maestro della Chiesa non è un libro, ma lo stesso Spirito Santo. Sotto la sua attività la Chiesa diventa una Chiesa spirituale. Portatori della conoscenza spirituale della rivelazione sono gli uomini spirituali, cioè gli ordini contemplativi. La Chiesa dello Spirito costituisce cosi un progresso decisivo oltre la semplice Chiesa di Cristo. Ma al contrario occorre affermare che la Chiesa divenne partecipe di quella pienezza dello Spirito, che nel disegno dell'economia divina è prevista per il periodo tra la prima e la se­ conda venuta di Cristo, non soltanto al tempo di S. Benedetto, ma nel giorno della Pentecoste. Intanto si può chiamare periodo dello Spirito Santo, in quanto è lo Spirito Santo che porta ad effetto l'opera di Cristo.

Che il periodo introdotto da Cristo sia un periodo dello Spirito era predetto nell'Antico Testamento. Anche nell'Antico Testamento lo Spirito ha svolto una grande funzione. Lo Spirito di Dio fluttuava sulle acque nel mattino della creazione. Mediante il suo spirito Jahvè ha guidato il popolo fin dai giorni della peregrinazione nel deserto. Lo Spirito scende sui capi del popolo. Ciò vale particolarmente dei profeti, ma anche la retta con­ dotta nella vita quotidiana viene attribuita allo Spirito di Dio (Atti 2, 4 s. ; Sal. 5 1 , 1 3 ; 1 39, 7 ; 143, 10). Soprattutto del futuro re messianico è detto che sarà partecipe dello Spirito di Dio (Is. 1 1, 2 s. ; 42, 1). Per il tempo messianico è promessa la pienezza dello Spirito (Ez. 36, 27). Secondo la profezia di Gioele (3, 1-5) la effusione dello Spirito introduce il grande giorno del Signore. Vi si dice : « Dopo ciò spanderò il mio spirito sopra tutti i viventi; e profe-

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LA CHIESA

teranno i vostri figli e le vostre figlie, e i vostri vecchi vedranno in sogno, e i vostri giovani godranno visioni; anche sui servi e sulle fantesche in quei giorni spanderò il mio spirito. Darò segni portentosi in cielo e in terra, sangue e fuoco e colonne di fumo; il sole si cangerà in tenebre e la luna in sangue all'avvicinarsi del grande e terribile giorno del Signore. Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo, perché sul monte Sion e in Gerusalemme si troverà salvezza, come disse il Signore, e scampo avranno i chiamati da Dio » . Secondo questo testo la effusione dello Spirito, con le manifestazioni ad essa congiunte, è per cosi dire il segnale di inizio degli avvenimenti finali. Il profeta assicura che in quel tempo tutto il popolo diventerà partecipe dello Spirito di Dio e potrà rivendicare a sé la promessa : chi aderisce al Signore, sarà salvato. Gli effetti dello Spirito, i sogni e le visioni, attestano la realtà del possesso dello Spirito. Poiché esse si manifesteranno a tutte le età ed in entrambi i sessi, se ne potrà riconoscere anche la partecipazione di tutti alla salute futura. Lo Spirito formerà la futura comunità salvifica. Cosi ha ìnteso il passo di Gioele anche Pietro nella sua predica della Pentecoste (Atti 2, I6-2 I). Egli introduce il suo discorso dicendo : « Costoro non sono, come voi pensate, ubriachi, poiché è soltanto l'ora terza del giorno; rna si avvera ciò che è detto dal profeta Gioele » . Cosi dunque anche nell'Antico Testamento ci furono missioni dello Spirito e portatori de!lo Spirito. Ma la pienezza dello Spirito è promessa per il Nuovo, il quale apporta una intensità di presenza dello Spirito diversa dall'Antico. Dell'Antico Testamento si può dire che gli era data la sufficienza dello Spirito; ma del Nuovo Testamento si deve dire che vive nell'abbondanza dello Spirito. Le due espressioni : sufficienza ed abbon­ danza, caratterizzano sia la convenienza che la diversità (cfr. S. Tommaso, S . th., I, q. 43, a. 7 ; ln Sent., I, dist. I6, q. 1 , a. 2; a. 3; Bonaventura, In Sent., I, dist. 1 6, q. 2 ; Riccardo di Mediavilla, ln Sent., I, dist. r6, q. 2). Nel primo libro del Commento alle Sentenze Tommaso d'Aquino cosi descrive la missione dello Spirito propria del Nuovo Testamento : « Come nella missione invisibile dello Spirito Santo, dalla pienezza dell'amore divino la grazia fluisce nel cuore dell'uomo e, mediante questa azione della grazia, colui che diviene partecipe di una simile missione interna fa una conoscenza sperimentale di questa persona divina, cosi nella missione visibile dello Spirito si ha di mira un altro grado di sovrabbondanza, in quanto la grazia interna per la sua pienezza trabocca per cosi dire all'esterno, mediante una manifestazione visibile. Con ciò la inabitazione della persona divina diviene manifesta non soltanto a colui in cui avviene la

§ 1 70.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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missione dello Spirito, ma anche agli altri. Nella missione visibile rientrano quindi due elementi : primo, una sovrabbondanza della grazia in coloro a cui è partecipata la missione; e, secondo, ordinamento di questa pienezza di grazia ad altri, in modo che la sovrabbondanza della grazia trabocchi in una qualche forma in altri. Conseguentemente la manifestazione della grazia interna avviene non soltanto in colui che ha questa grazia, ma anche in altri. Perciò una simile missione visibile dello Spirito è partecipata in prima linea a Cristo Signore, ed in seconda linea agli apostoli, perché per mezzo loro la grazia è stata effusa, in quanto per essi è stata fondata la Chiesa » (Sent., I, dist. r 6, q. r , a. 2; M. Grabmann, Die Lehre des Hei­ ligen Thomas von Aquin von der Kirche als Gotteswerk, 1903, 125 s.).

II. - CRISTO COME PORTATORE DELLO SPIRITO.

La pienezza dello Spirito del Nuovo Testamento è stata addotta dal Messia. Da prima lo Spirito è a lui legato, ma da lui trabocca nella comu­ nità da lui fondata e nei suoi membri, non con un processo naturale-vitale, ma in base alla missione, che Cristo ha compiuta secondo l'eterno disegno della economia divina e tuttavia liberamente. Anzi Cristo è l'inizio di una nuova umanità, nel quale inizio, che è Cristo, era contenuto come in germe il futuro. I nuovi uomini creati da Cristo formano una unità, la Chiesa, che è preesistita in Cristo, come l'albero nel granello di seme, come i discen­ denti nell'antenato, come la casa nel progetto. Tutte queste similitudini possono soltanto accennare, non spiegare, il rapporto, che è un mistero. Ma in esse appare evidente questo : quantunque la grande quercia esista già come in germe nella ghianda, non in miniatura, ma secondo le leggi ìnterne della crescita, tuttavia il granello di seme deve prima cadere in terra e morire, perché dalla sua morte possa germogliare la nuova vita. Cristo dovette osservare la legge di morte imposta all'umanità (Gen. 3, ro) ; dalla sua morte doveva crescere la nuova umanità divinizzata. Il Cristo glorificato doveva divenire il principio vitale, il lievito della nuova uma­ nità. In certo modo doveva divenire l'uomo interiore della storia umana, in modo che l'umanità ricevesse una nuova interiorità e da questa venisse trasformata. A sua volta la vita di Cristo è una vita nello Spirito Santo, tanto che Paolo può dire che Cristo è diventato uno Spirito (2 Cor. 3, 1 7). La nuova comunità, essendo creata da Cristo e formata a sua immagine,

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LA CHIESA

è una comunità ripiena di Spirito. Lo Spirito Santo che fu e viene sempre inspirato in essa da Cristo, la conforma sempre piu all'immagine del suo capo, il Cristo crocifisso e glorificato. In Cristo lo Spirito è presente in quella intensità e pienezza, che nell'An­ tico Testamento è profetizzata per il Messia (Is. I I, 2). Durante la sua vita lo Spirito inabitante in lui era nascosto. Lo Spirito Santo informò la vita di Cristo dalla concezione fino alla ascensione. Formò il corpo del Signore in Maria : il Messia è concepito di Spirito Santo e nato dalla Vergine (Le. I, 35). Ciò è attestato dalla Sacra Scrittura ed è espresso nei piu antichi simboli di fede della Chiesa (cfr. Denz. 2-12 ; P. Nautin, Je crois à l'Esprit-Saint dans la sainte Eglise, Paris I 947). Quando Cristo fu battezzato e sali dalle acque, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Samo scendere su di sé a guisa di colomba (Mt. 3, 13-I7). Come la colomba di Noè dopo il diluvio indicò l'inizio di un nuovo mondo (Gen. 8, 8-1 I), cosi lo Spirito Santo in forma di colomba indica l'inizio di una nuova creazione, che ascende con Cristo dalle acque del battesimo ( 1 Piet. 3, I9-22). Cristo non ha ricevuto lo Spirito Santo soltanto nel battesimo, poiché lo possedette fin dalla concezione (Le. I , 35); ma con la discesa dello Spirito nel battesimo venne avviato al suo compito dopo gli anni silenziosi di Nazareth. Il battesimo di Gesti è l'inizio della realiz­ zazione del suo mandato messianico (Le. I, 2; 3, 23 ; Gv. 15, 27 ; Atti I, 2 I ; cfr. il vol. IV/ I , § 236). Cosi esso venne inteso dagli stessi apostoli. Gio­ vanni svolse nei confronti di Cristo lo stesso ufficio di Samuele nei confronti di Davide ( I Sam. 1 6 ss.). La missione dello Spirito al Giordano è un segno; il segno dell'inizio dell'ultima èra mondiale. Il fatto che ciò sia stato annun­ ziato proprio al battesimo del Signore riveste un profondo significato; poi­ ché, ricevendo il battesimo di penitenza di Giovanni, Cristo, che non era capace di peccato e non aveva bisogno di penitenza, ha rivelato, come rap­ presentante dell'umanità peccatrice e bisognosa di redenzione, quanto essa sia obbligata alla penitenza, ma come ora la penitenza si faccia in modo da avere forza sufficiente per superare realmente il peccato. Per questo suo ministero messianico (Is. 42, I ; 4 I , I-3) Cristo, che già era unto di Spirito Santo dalla concezione (Mc. I, 10; Le. 3, 22; Gv. I , 32 s.), con la sua discesa nel battesimo di Giovanni venne consacrato in modo nuovo e particolare. Da quel momento si delinea la nuova epoca, in cui noi stessi dobbiamo diventare figli di Dio. Lo Spirito, disceso su Cristo, lo spinse subito nel deserto, dove per qua­ ranta giorni e quaranta notti si preparò alla sua opera (Mt. 4, 1 - 1 1 ), che

§ I ]O.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

297

svolse dall'inizio fino al termine nello Spirito Santo, nel quale ha com­ piuto il sacrificio della vita in croce (Ebr. 9, 1 3). Nella risurrezione di Cristo ad opera del Padre celeste la sua natura umana venne trasformata in modo che la vita dello Spirito, fìn'allora in essa nascosta, proruppe in modo cosi potente che, come abbiamo visto, Cristo stesso divenne un essere spirituale (2 Cor. 3, 1 7). III. - LA MISSIONE DELLO SPIRITO DA PARTE DI CRISTO.

l . - Cristo ha donato lo Spirito Santo, di cui egli stesso era ripieno, alla comunità da lui formata ed organizzata durante la sua vita terrena. La missione dello Spirito presuppone quindi il Cristo storico e la sua opera; è legata al fatto della incarnazione. Con ciò la missione dello Spirito, atte­ stata nella sacra Scrittura, si differenzia da tutte le illuminazioni dello Spirito, che avvengono in campo extrabiblico. Sia il buddismo che il plato­ nismo ed il neoplatonismo conoscono similì illuminazioni. Tuttavia la mis­ sione dello Spirito, che ci è attestata dalla sacra Scrittura, avviene in rapporto con la storia, cioè in rapporto con il Cristo storico. Anche la sacra Scrittura conosce delle missioni invisibili dello Spirito; ma anch'esse sono legate a Cristo, sia ancora futuro, sia già apparso (cfr. i voll. I e Il, §§ 50 e 1 60). La missione dello Spirito, mediante la quale Cristo portò a perfezione nella Chiesa la comunità umana da lui creata, non è soltanto legata ad un fatto storico, ma è essa stessa un fatto storico, verificatosi in un determinato momento ed in un determinato luogo : luogo e momento che possiamo determinare con esattezza. 2. Qui appare chiaro un importante rapporto. Per la scelta, la voca­ zione e la missione degli apostoli fu sufficiente l'ingresso del Verbo nella storia umana e la sua vita terrena, quantunque la conferma definitiva av­ venga soltanto dopo la risurrezione. I presupposti per la missione dello Spirito sono piu ampi. Anche per essa, come per la vocazione degli apo­ stoli, l'incarnazione del Figlio di Dio costituisce il fondamento indispen­ sabile ; anch'essa ha bisogno della risurrezione; ma richiede inoltre l'ascen­ sione. Anche se è giusta l'opinione di quei teologi (cfr. il vol. Il, § 1 5 8 /9), i quali fanno coincidere risurrezione e glorificazione, si deve affermare che la missione dello Spirito richiede il ritorno definitivo di Cristo al Padre. Giovanni attesta che vi può essere lo Spirito soltanto dopo l'ascensione (Gv. 7, 39 ; 16, 7). Egli è il frutto di tutta l'opera redentrice di Cristo e perciò presuppone non soltanto una o piu fasi, ma tutto il complesso. -

P.

l.

-

LA CHIESA

In certo modo lo Spirito Santo diventa libero ooltanto nella risurrezione e nell'ascensione ; fino allora è legato in Cristo. Mediante la trasformazione subita da Cristo nella risurrezione, lo Spirito personale in lui presente ed agente diventa in certo modo una corrente personale, che afferra tutti coloro che se ne lasciano afferrare. Soltanto il Signore salito al cielo può mandare lo Spirito. La ragione ne è evidente. Lo Spirito doveva rendere presente ad ogni generazione l'opera compiuta da Cristo, in modo che ogni epoca possa entrare nella situazione creata da Cristo. Tutte le parole dovevano essere dette, prima che lo Spirito le potesse spiegare (Gv. 16, 1 3). L'opera do­ veva essere compiuta, prima che lo Spirito possa distribuirla e formarla nei cristiani (Gv. 1 4, 26; I 6, 1 4). La casa doveva essere costruita, prima che lo Spirito la possa abitare (Ef. 2, 22). Cristo deve essere ritornato al Padre, prima che lo Spirito gli possa rendere testimonianza dinanzi al mondo (Gv. 1 5, 26; Atti r, 8 ; r Gv. 4, 1 s. ; Apoc. 19, I o). Non fu quindi per decreto arbitrario di Dio che lo Spirito non fu mandato prima. D'altro canto la missione dello Spirito non poteva neppure farsi atten­ dere piu a lungo. L'opera di Cristo era compiuta con il suo ritorno al Padre, in quanto Cristo aveva assolto tutti i mandati del Padre; ma in un certo senso doveva essere continuata. Non nel senso che oltre Cristo si dovesse comunicare o fare qualcosa di nuovo ; in Cristo tutto era compiuto, egli era il coronamento della rivelazione predisposta da Dio entro la storia umana ; e neppure si può immaginare che cosa dovesse ancora accadere oltre l'ingresso di Dio nella storia umana. Ma l'opera compiuta da Cristo doveva essere resa presente a tutti i tempi ; conteneva in sé una promessa, la promessa cioè che non sarebbe né dimenticata, né eliminata dalla storia Gv. I4, r 8 ; r6, 2 5 ; I 5 , 2 6 ; I 6, 6 s.). Questo appunto doveva fare lo Spi­ rito. Anche agli apostoli Cristo ha dato l'incarico di annunziare il mes­ saggio salvifico da lui portato e mediante le parole dell'annunzio ed il segno sacramentale trasformare gli uomini in discepoli (Mt. 28, 18-20; Atti I, 8). Lo Spirito Santo doveva produrre le condizioni e gli impulsi interni, che danno efficacia all'azione degli apostoli; questo compito egli lo deve svolgere fino alla seconda venuta di Cristo. Nell'epoca della assenza « relativa » di Cristo egli deve essere in certo senso il « vicario >> invisibile di Gesu Cristo. L'espressione risale a Ter­ tulliano (De praescriptione haer., I 3 ; PL. 2, 26; 2, 40 ; C.S.E.L., 70, I 8 . 34; De virginibus velatis, 1 ; PL. 2, 937; Ad Valentinianos, c. r 6 ; PL. 2, 605), ma non si è imposta nella teologia. Rettamente intesa essa esprime bene la funzione dello Spirito Santo ed il suo rapporto con Cristo. Egli non deve

§ I 70. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

299

essere il successore invisibile di Cristo, poiché l'opera di Cristo ha il ca­ rattere della unicità e della irripetibilità. Cristo è morto una volta e non muore piu; non trova e non può trovare un successore invisibile. Lo Spi­ rito Santo ha soltanto il compito di conservare e tenere continuamente vivo e presente ciò che già è stato fatto e non è piu da ripetere. 3. - Ma « vicario di Cristo » lo Spirito Santo non si può chiamare nep­ pure in senso completo, perché non è mandato, come gli apostoli, soltanto da Cristo, ma an::he dal Padre celeste. Nella missione degli apostoli con­ tinua in linea retta, come abbiamo visto, la missione di Cristo, che egli ha ricevuto dal Padre. La missione dello Spirito Santo avviene invece dal Padre e dal Figlio, e precisamente in quel rapporto in cui avviene la pro­ cessione dello Spirito Santo, il quale procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Se si tiene conto che il Figlio stesso è generato dal Padre e deve al Padre tutta la sua esistenza di Figlio ; che anche la sua funzione di produrre lo Spirito Santo la deve al Padre, si può dire : lo Spirito Santo procede dal Padre « per mezzo » del Figlio (dr. in proposito il vol. I, § 56). Nella missione dello Spirito Santo nella Chiesa si manifesta nell'ordine storico-salvifico ciò che avviene sul piano antologico : la antologia della vita divina si unisce al fatto di storia della salvezza. Cosi la missione dello Spirito è nello stesso tempo opera del Padre e del Figlio, non del Figlio solo ; ma è il Figlio che eseguisce i mandati del Padre.

IV. - LA CHIESA NON È SOLO CHIESA DELLO SPIRITO. l. Dal fatto che il Figlio, insieme con il Padre e dal Padre, manda lo Spirito Santo si ricavano importanti deduzioni. Pur essendo lo Spirito Santo presente e operante nella Chiesa, questa non è la Chiesa dello Spi­ rito Santo, ma di Cristo. Lo Spirito Santo ha la missione di formare la Chiesa secondo l'immagine di Cristo e di attualizzare ossia rendere pre­ sente in essa la parola e l'opera di Cristo. Perciò la Chiesa da lui vivificata non può essere una pura Chiesa dello Spirito. Chi cosi la intendesse la edificherebbe soltanto sulla Pentecoste, mentre essa annovera veramente tra le sue premesse e condizioni anche l'incarnazione, la morte in croce e la domenica di risurrezione. I Padri attestano molto chiaramente questa base totalitaria quando insegnano che la Chiesa è nata dal costato ferito di Cristo, o dal cuore di Gesu in croce. (S. Tromp, De nativitate ecclesiae ex corde Iesu in cruce, in Gregorianum 1 3, 1932, 489-527). Con tale dot-

P. I.

300

-

LA CHIESA

trina essi accentuano la fase decisiva in un tutto indivisibile : la morte di Cristo. Lo ricorda con insistenza Pio XII nell'Enciclica Mystici Corporis. 2. Tanto meno la Chiesa può essere una pura Chiesa dello Spirito, in quanto Cristo ha anche affidato agli apostoli la missione di rendergli testimonianza fino alla fine dei tempi (Atti 1 , 8). Questo duplicato di missione non può significare che due missioni devono svilupparsi paral­ lelamente; piuttosto la missione dello Spirito e quella degli apostoli for­ mano una intima unità. Cercheremo di spiegarne in seguito la natura. Per ora rileviamo che l'opera invisibile dello Spirito non elimina la figura visibile della Chiesa che è conseguenza del suo aspetto cristologico e della sua struttura apostolica. Ambedue sono essenziali per la Chiesa : tanto la figura visibile corrispondente alla struttura divino-umana ed alla isti­ tuzione apostolica, quanto l'attività invisibile dello Spirito Santo. -

3. Cadono in una contraddizione interna i teologi protestanti i quali da un lato fondano la Chiesa di Cristo sulla morte in croce e sulla risur­ rezione, ma dall'altro negano la sua forma visibile, cioè, in definitiva, giu­ ridica. D'altra parte sembra sia coerente che la teologia greco-ortodossa neghi, almeno parzialmente, l'aspetto giuridico della Chiesa : infatti essa non ammette che lo Spirito Santo proceda anche dal Figlio. Se egli pro­ cede solo dal Padre, anche la sua missione nella Chiesa è puramente opera del Padre. Cosi alla missione dello Spirito manca il carattere cristologico. Noi sappiamo tuttavia che il presupposto della teo!ogia greco-ortodossa non è vero ; poiché lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, o dal Padre attraverso il Figlio. S. Tommaso nella sua opera Contra errores Graecorum ha accennato a questo rapporto (l. Il, pro!.). -

4. Il carattere cristologico della missione dello Spirito implica che Cristo sia costantemente presente alla sua Chiesa nello Spirito Santo. Non bisogna quindi intendere la sua relazione con la Chiesa nel senso che egli abbia inviato lo Spirito Santo nella Pentecoste e poi si sia ritratto da essa e che lo Spirito informi la Chiesa in modo interiore ed occulto fino al momento del ritorno di Cristo. Allora Cristo si troverebbe solo al principio e alla fine. Egli, invece, è costantemente presente e operante nella Chiesa mediante lo Spirito Santo. Quando, con la risurrezione, Cristo venne trasportato in un nuovo stato della sua umanità, cioè nello stato di glorificazione, e con l'ascensione in cielo iniziò il suo dominio sul mondo alla destra di Dio, non sciolse il suo vincolo con la Chiesa, ma lo intensificò; acquistò nei suoi confronti una maggiore vicinanza ed interiorità, che sono realizzate appunto dalla -

§

170.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

301

missione dello Spirito. Lo Spirito è in certo senso la potenza personificata con la quale Cristo regna sulla Chiesa. Ciò appare chiaramente dai testi della Liturgia pentecostale. La Pentecoste è tanto festa eli Cristo quanto dello Spirito, ha portata cristologica e pneumatologica. Infatti lo Spirito apparso nella Pentecoste è lo Spirito inviato da Cristo e che vive sempre in relazione con Cristo. Per mezzo suo Cristo regna e opera nella Chiesa. L'Apocalisse di Giovanni e gli Atti degli Apostoli offrono una ricca testi­ monianza in proposito. 5 . In definitiva però è lo stesso Dio Padre che agisce per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Lo attesta il canone della Messa romana quando nella prima orazione si invoca il Padre affinché conceda pace alla Chiesa, sparsa su tutta la terra e benevolmente la custodisca, la renda unita e la guidi. Si può ritenere dunque che il Dio trino non è solo il fondatore della Chiesa, ma anche la forza che la plasma e la guida durante tutta la sua esistenza. Il Dio trinitario esercìta nella Chiesa il suo dominio salvifico in quanto il Padre lo esercita mediante il Figlio fatto uomo, nello Spi­ rito Santo. -

Dalla partecipazione di tutte tre le Persone alla formazione della 6. Chiesa appare anche chiaro come la Chiesa non può essere associata, come vuole Gioachino CÙl Fiore, all'epoca dello Spirito Santo che succede al Figlio. Come già abbiamo visto sopra, secondo questa teoria l'intera storia della salvezza si dividerebbe in tre epoche: quella del Padre, quella del Figlio e quella dello Spirito Santo. La Chiesa sarebbe l'epoca dello Spi­ rito Santo che sostituisce e supera le altre due. In forma esagerata troviamo la tesi della Chiesa quale epoca dello Spi­ rito Santo, nell'antichità in Sabellio e nell'era moderna in Schleiermacher. In ambedue i casi si nega sostanzialmente la trinità delle persone in Dio. Secondo Sabellio il Dio unico si manifesta dapprima come Padre, poi come Figlio e infine come Spirito Santo. Le tre Persone sono quindi dei semplici modi di manifestazione del Dio trino. La trinità si risolve in fasi di storia salvifica, che viene qui accentuata in modo esagerato ed ingiusti­ ficato. Secondo questa teoria la Chiesa è la manifestazione del Dio unico, in quanto Spirito Santo; rappresenterebbe perciò l'ultima fase di mani­ festazione di Dio nel processo di storia della salvezza. In Schleiermacher a questa concezione si collega l'idea del divenire. Dio stesso si sviluppa nelle tre fasi della storia della salvezza come Padre, come Figlio e come Spirito Santo. La divina autoevoluzione raggiunge -

302

P. I. - LA CHIESA

nella Chiesa il grado dello Spirito Santo, dal quale sono eliminati i gradi precedenti. Si avvertono qui le ripercussioni della filosofia di Hegel in campo ecclesiologico.

V.

-

LA DOTTRINA DI MOHLER SULLO SPIRITO SANTO NELLA CHIESA.

Quanto sopra si può chiarire ancora meglio tratteggiando nelle sue fasi prin­ cipali lo sviluppo del concetto di Chiesa, elaborato da Giovanni Adamo Mi:ihler. Ciò sarà fatto in base alle indagini di J. Ruperto Geiselmann (cfr. specialmente Geiselmann, Der Einfluss der Christologie des Konzils von Chalkedon auf die Theologie 1ohann Adam Mohlers, in Das Konzil von Chalkedon. Geschichte und Gegenwart, ed. da A. Grillmeier, e H. Bacht, I I I, 1954, 341-420). l. - Dapprima, negli anni Ill23-1824, in Mohler coesistono fianco a fianco due concetti della Chiesa.

a) Da un lato Mohler, come Giovanni Michele Sailet·, in questo tempo intende la Chiesa come una società religiosa, la quale è tenuta unita dalla dot­ trina, dal culto e dalla costituzione. Questa interpretazione della Chiesa è deter­ minata interamente in senso antropologico; culturalmente parlando, dipende dal­ l'orientamento verso l'uomo, verificatosi con l'urnanesimo ed il rinascimento, dalla opposizione all'idea protestante della Ol.iesa invisibile, infine dall'illumi­ nismo con il suo accentuato individualismo. Nella Chiesa i singoli fedeli sono uniti in una società nella quale la verità è annunciata e rappresentata nel culto conformemente al bisogno dell'uomo. Simile tesi tradisce l'influsso delle teorie sociali dell'epoca del barocco e dell'illuminismo. Tuttavia, in contrasto con la tesi illuministica della ragione autonoma ed autosufficiente, Mi:ihler insegna che la conoscenza della verità non può fondarsi sul principio della Scrittura che spiega se stessa e perciò è affidata alla ragione umana, ma sulla Scrittura che deve essere garantita dalla Chiesa infallibile, cioè dal suo magistero. In questo periodo Mohler limita l'elemento divino della Chiesa quasi esclusivamente alla sua fondazione da parte di Cristo. Contro la dottrina protestante dell'azione esclusiva di Dio, l'autonomia dell'uomo viene marcata a tal punto che l'azione dello Spirito Santo è ridotta alla semplice assistenza, cioè alla preservazione dall'errore. Cosi l'importanza massima è attribuita all'inizio della Chiesa. Tutto ciò che in essa si sviluppa esiste fin dall'inizio. Lo sviluppo di ciò che esisteva dall'inizio costituisce, secondo Mohler, la tradizione. L'entusiasmo per Le origini lo porta, sull'esempio di Ferdinando Walter, ad identificare la tradizione con la fede ecclesiastica dei primi secoli cristiani, a sostenere quindi il concetto classicistico della tradizione.

b) D'altra parte Mi:ihler patrocina nello stesso tempo la tesi che la Chiesa sia la comunità dominata dallo Spirito Santo con tale intensità che l'elemento umano ne resta menomato. Dal punto di vista culturale questa tesi rivela l'in.

§

170.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

flusso della lotta contro il deismo e del romanticismo, specie della sua idea della società e della sua dottrina dello spirito del popolo. Mohler combatte pure il concetto di Chiesa del periodo posttridentino con la sua dottrina del carattere istituzionale della Chiesa, in cui ravvisa il naturalismo. Con molta insistenza egli sostiene che l'azione di Dio non si restringe all'inizio della Chiesa, ma che lo Spirito di Dio è sempre attivo nella Chiesa. Anzi, con questa dottrina egli costruisce addirittura la Chiesa sulla base dello Spirito Santo, continuando cosi quanto avevano iniziato i teologi Alois Giigler e Johann Seba­ stian Drey, ispirandosi alle idee del romanticismo. Per conto suo alla concezione pneumatocentrica della Chiesa egli collega inoltre la dottrina dello spiriro del popolo. Lo Spirito Santo è il principio mistico del popolo cristiano. La Chiesa è intesa come comunità nello Spirito Santo, in cui clero e fedeli portano allo stesso modo l'impronta dello Spirito e perciò partecipano ugualmente in modo attivo alla custodia ed alla trasmissione del patrimonio di fede. Secondo questa concezione non è l'ufficio ecclesiastico che custodisce il patrimonio cristiano, ma Io Spirito di Dio il quale permea l'intera comunità del popolo, che è sostenuto da una sola fede e da un solo amore e costituisce una sola unità vivente.

2.

-

Queste due opposte concezioni della Chiesa nel 1825 vengono ridotte ad

una concezione unitaria nell'opera L'unirà nella Chiesa, ossia il plincipio del

Cattolicesimo, secondo lo spirito dei Padri della Chiesa dei primi secoli. La chiave di volta è l'idea dell'organismo vivente, scoperta da Alois Giigler, Franz von Baader e J. S. Drey. In questo periodo ciò che sta piu a cuore a Mohler è di mettere al sicuro il principio divino della Chiesa contro l'illuminismo col suo principio della ragione autonoma. Egli scorge il principio divino nello Spirito Santo. Secondo lui, non il Verbo incarnato, ma il Pneuma non incarnato,

è il rappresentante appropriato del divino nel cristianesimo. I fedeli formano il corpo di Cristo perché il superiore principio divino dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, ha generato e formato questo corpo. Il Dio-Uomo Gesu Cristo è solo il modello della giustificazione dell'uomo. Come in Cristo la divi­ nità del Verbo si unisce sostanzialmente con l'uomo, cosi nell'uomo giustificato il Pneuma divino gli si unisce, là in maniera ipostatica, qui in modo «abituale». Con la missione dello Spirito, Cristo, pur essendo la causa prima della Chiesa, non ne è il principio portante; lo è invece lo Spirito Samo, che come principio interiore della vita della Chiesa ne crea anche l'aspetto esteriore. La somatologia della Chiesa risulta dalla sua pneumatologia, l'esterno dall'interno. Anche la costi­ tuzione della Chiesa nasce dall'azione dello Spirito Santo. Poiché questa è una azione d'amore,

anche la forma

giuridica

della Chiesa deve essere

ricondotta

all'amore. Essa non è altro che l'amore fatto corpo. Siccome lo Spirito Santo domina ed agisce nella comunità della Chiesa, i fedeli tutti assieme sono suo organo. Cosi la Chiesa, cioè la somma dei fedeli, riveste il carattere di un sacramento. Lo Spirito Santo agisce nella Chiesa e mediante la Chiesa in modo da comu­ nicare la nuova vita a chi ne è ricettivo, servendosi dell'insieme dei fedeli. In que­ st'immagine della Chiesa appare l'ideale romantico del cristianesimo, inteso come una grande comunità di vita o, come dice Schelling,

«

vita universale », contrap­

posto al cristianesimo del singolo soggetto autonomo,

autosufficiente ed isolato,

P. I.

LA CHIESA

-

proprio dell'illuminismo. Qui la Chiesa è diventata il postulato pm mtimo dei fedeli stessi. Essa non forma piu dei fedeli, ma ne è formata. Con l'ausilio della idea dell'organismo vivente Mohler supera il dissidio tra Spirito ed ufficio eccle­ siastico, tra gerarchia e popolo della Chiesa, esistente nelle sue precedenti con­ cezioni. Qui egli applica il principio secondo cui lo spirito nel suo operare è legato al corpo. Neppure lo Spirito Santo vi fa eccezione. Nella Chiesa egli è legato a forme visibili, come ad un corpo. Si aggiunge che lo Spirito Santo nella Chiesa svolge, in certo

modo, la funzione dell'anima.

Come

questa

forma

il

corpo e gli organi ad esso necessari, cosi lo Spirito Santo forma nella comunità della Chiesa gli organi necessari. In tal modo gli uffici ecclesiastici diventano creazioni dello Spirito Santo con cui egli opera; creazioni necessarie per la con­ servazione del Vangelo che esige una predicazione ordinata e regolare. Cosi è stabilita tra laici e ministri sacri una distinzion.: che però non

è giuridica, ma

ha fondamento carismatico ed organologico. Gli uffici ecclesiastici sono forme viventi dello

spirito

di amore

operante nella Chiesa.

Essi perciò sottostanno

pure alle leggi che regolano la crescita dell'organismo vivificato dallo spirito di carità. Cosi questo

organismo,

cioè l'insieme dei fedeli dominato dallo Spirito

Santo, con un processo vivo di crescita organica forma da sé il vescovo come riflesso personificato dell'amore della Chiesa singola, il metropolita come organo personale di una unione metropolitana cd il primato del vescovo di Roma come riflesso personificato di tutto l'episcopato. Per quanto tale immagine della Chiesa, anti-deistica,

anti-individualisrica

ed

anti-razionalistica

sia

grandiosa,

tuttavia,

come giustamente ha contestato Anton Gtinther, essa è concepita troppo secondo le categorie biologiche di un processo vitale che si svolge in base alle regole di uno sviluppo organico.

In particolare manca in essa la comprensione dell'im­

portanza fondamentale dell'autorità per l'ordinamento della vita nella comunità. Inoltre non sembra si riconosca alla libertà dell'uomo il diritto che le spetta. Qui l'uomo viene considerato troppo come organo o come luogo dove il Pneuma agisce e si manifesta. Per quesro motivo tale concezione si avvicina pericolosa­ mente ad un monofisismo ecclesiologico.

3.

-

Mohler ha superato la sua costruzione finora delineata applicando la dot­

trina cristologica del Concilio di Calcedonia alla ecclesiologia. Egli è riuscito a vedere il rapporto piu profondo tra Cristo e la Chiesa attraverso alle sue inda­ gini patristiche. I Padri gli insegnano a riconoscere che la funzione di Cristo non consiste soltanto nel mandare, in quanto Verbo e Figlio di Dio, lo Spirito, ren­ dendo con ciò possibile la nuova vita nello Spirito, ma nell'aver distruno, in quanto Verbo incarnato, il peccato con la sua morte sacrificale e nell'avere ope­ rato la riconciliazione con Dio. Ciò egli ha potuto compiere perché in lui Dio e l'uomo erano uniti riconciliazione

degli

«

inseparabili

uomini

con

»

e

Dio

«

non confusi

soltanto

in

».

virtu

Cristo poté operare la della

propria

unione

con Dio e della sua unione con gli uomini. Egli è l'uomo nuovo e tutto ciò che consegue alla nuova vita creata da Dio è lo sviluppo della pienezza di vita esi­ stente in lui. Cosi Mohler ha riconosciuto le premesse che portano ad una com­ prensione della Chiesa non piu partendo dallo

Spirito

Santo, ma da Cristo.

Cristo in quanto unione del divino e dell'umano, in quanto Dio e uomo, in quanto unico Dio-uomo è oramai per lui il principio formativo della Chiesa.

§

170.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

Questa concezione della Chiesa raggiunge la sua perfezione nella Simbolica (apparsa nel 1 832, 2 ediz. 1 833). Qui egli non considera piu la Chiesa come la unione d'amore formata dallo Spirito, ma come un'istituzione salvifica, fondata da Cristo e dominata dal Figlio di Dio fatto uomo, come il Cristo-Redentore che continua a vivere e ad operare. Nella comunità visibile della Chiesa si de­ vono perpetuare le attività redentrici di Cristo, cioè l'attività profetica, sacer­ dotale e regale. Il rappresentante del divino nella Chiesa anche secondo questa concezione è lo Spirito Santo, che ora però viene inteso come lo Spirito del Figlio di Dio, incarnato, alle cui proprietà perciò si adatta. La sua discesa nella Pentecoste sulla collettività dei fedeli avviene conformemente al carattere del Figlio di Dio fatto uomo, mediante un segno visibile e percepibile. « Lo Spirito non volle venire soltanto in modo interiore quasi dovesse sostenere una comu­ nità invisibile, ma, a guisa del Verbo fatto carne, anch'egli discese in forma ac­ cessibile ai sensi e tra movimenti grandiosi e percepibili ai sensi, simile ad un vento impetuoso ». Al pari della sua prima venuta nella Chiesa, cosi anche la sua azione durante l'intera durata della Chiesa è legata al principio indicato dalla incarnazione, secondo cui il divino deve prendere corpo e manifestarsi visibil­ mente. In tal modo il lato umano della Chiesa acquista la sua consistenza e la sua azione propria. « Di fronte al dogma protestante della Chiesa invisibile ed alla sua interpre­ tazione idealistica da parte di Schleiermacher e di Hegel, Mohler giustifica ora la visibilità della Chiesa non piu partendo dall'uomo, ma dal Dio-uomo, non piu in modo antropologico, ma cristologico ». La visibilità della Chiesa fa si che essa sia l'autorità decisiva nelle questioni della salvezza per gli uomini di tutti i tempi. Infatti Cristo è l'autorità normativa per tutti i tempi e popoli. Gli organi della Oliesa non sono piu creazioni dell'unico principio mistico, dello Spirito Santo ed ancora meno l'espressione del movimento d'amore dei fedeli, ma si fondano sulla disposizione del Figlio di Dio, fatto uomo. La forma giuridica della Chiesa è fondata da Cristo stesso ed offre la giusta cornice affinché prosperi la vera vita della comunità ecclesiale. Il primato non è piu la conclu­ sione che corona il movimento unitario nella Chiesa, ma ne è il fondamento. Il vescovo non è piu il riflesso personificato del suo amore, ma un titolare di ufficio, cui spettano, in virtu della missione ricevuta da Cristo, determinati diritti e doveri, per mezzo dei quali egli fa sentire il suo influsso sulla Chiesa ·uni­ versale e su ciascuna sua parte. Nei sacerdoti è rappresentato il vescovo. Egli è la sorgente visibile della loro autorità, il loro capo, il loro centro e con ciò è nello stesso tempo l'organo della loro unità. Ma il fondamento ultimo che tutto sostiene è Cristo stesso. « Come avviene per una pianta la quale, quanto piu profondamente affonda e cela le sue radici in terra, tanto piu bella corona di rami ordinatamente disposti innalza al cielo, cosi è per la comunità del Signore. Quanto piu la comunità dei fedeli è saldamente unita a lui in profondità ed ha le sue radici in lui quale terreno fecondo, tanto piu possente e forte si manifesta anche all'esterno ». Cosi la Chiesa è sia la società fondata sull'ufficio, la quale si edifica sulla missione di Cristo, sia la comunità formata dallo Spirito Santo, che è lo Spirito inviato da Cristo. Essa è le due cose in una sola. L'esterno è l'elemento primo e fondamentale; l'interno è coronamento e frutto.

P. I.

VI.

-

LA CHIESA

- LA MISSIONE DELLO SPIRITO NELLA PENTECOSTE.

l . - La missione dello Spirito promessa da Cristo avvenne il giorno di Pentecoste. Prima di salire al cielo Cristo ha comandato ai suoi di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettare la promessa del Padre, che essi avevano ascoltata dalla sua bocca. Su di essi scenderebbe la virtU dello Spirito Santo (Atti 1, 4-8). Lo Spirito disceso sui discepoli nella Pentecoste è il dono del Padre riconciliato ed il segno della riconciliazione. Il Crisostomo afferma nella prima predica sulla Pentecoste (PG. 50, 456): «Or sono dieci giorni la nostra natura è salita sul trono regale, ed oggi lo Spirito Santo è disceso nella nostra natura. Il Signore ha portato in cielo le primizie della nostra natura e ci ha inviato lo Spirito Santo ... Affinché nessuno dubiti e domandi che cosa mai il Signore abbia fatto dopo essere asceso al cielo, se ci abbia riconciliati con il Padre, se l'abbia reso benevolo verso di noi, per mostrare che il Padre si è placato, ba subito mandato i doni della riconciliazione. Quando infatti dei nemici si mettono d'accordo e si riconciliano, alla riconciliazione fanno seguito inviti, conviti e doni. Noi abbiamo dunque inviato verso l'alto la fede e riceviamo il dono dello Spirito, abbiamo inviato verso l'alto l'ubbidienza e riceviamo la giustificazione ». S. Tommaso dice (su Gv. 7, 5): « Prima della morte sacrificate di Cristo noi eravamo nemici di Dio. Per questo era necessario che prima venisse offerto il sacrificio della conciliazione sull'altare della croce, onde noi fos­ simo rappacificati e fatti amici con Dio mediante la morte del Figlio e potessimo poi ricevere il dono dello Spirito Santo ». Certo che allora questo dono non doveva rimanere nascosto piu a lungo. Dopo la morte redentrice di Cristo il Padre circonda dello stesso amore che nutre per il Figlio suo, anche coloro che ha predestinati ad essere figli in lui (Ef. I, 5-7). Egli dona loro l'amore di cui arde il suo cuore verso il Figlio, e questo appunto è lo Spirito Santo. « La grazia increata partecipata io tutta la sua pienezza al capo, doveva traboccare nelle membra del suo corpo mistico, non appena il sacrificio della vita e della morte dell'uomo­ Dio fosse compiuto sulla terra ed offerto in cielo » (H. Schell, Das Wirken des dreieinigen Gottes, 5 I 3). Lo Spirito Santo doveva trasformare coloro ai quali veniva mandato, come aveva trasformato il Cristo ; doveva plasmare in essi la figura e la forma di Cristo (J. A. Mohler, Athanasius der Grosse und die Kirche seiner Zeit, I 827, II, 30 I). La ragione «per cui Cristo non l'ha inviato

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subito dopo la sua ascensione in cielo, ma soltanto dopo un periodo di dieci giorni) nei quali i discepoli si prepararono a riceverlo con digiuni, preghiere e sospiri », viene indicata da Bonaventura : « Nessuno può es­ sere ripieno di questo fuoco se non prega, domanda e bussa con costante ed insistente desiderio di speranza » (Breviloquium, 4, 1 0). 2. Lo Spirito Santo discese, ma non inviato ad uno od a molti indi­ vidui, bensi ad una comunità. I discepoli raccolti nel cenacolo in Geru­ salemme erano infatti circa 1 20. La vicinanza di luogo era segno della loro unione interiore. Il fatto che non un individuo solo, ma l'insieme di tutte quelle persone sia stato ripieno di Spirito Santo dimostra la pro­ fonda diversità dalle precedenti venute dello Spirito Santo, specie nel­ l' Antico Testamento. -

3. La discesa nella Pentecoste (vedi il racconto degli Atti nel § 1 60) si verificò in pubblico, cosi come la morte in croce di Cristo era avvenuta alle porte di Gerusalemme, al cospetto del popolo giudaico e dell'Impero Romano. La presenza dello Spirito Santo si annunziò con segni visibili, che non potevano sfuggire agli occhi ed alle orecchie di nessuno. Un ru­ more violento come di vento impetuoso attraversò la casa e lingue come di fuoco testimoniarono ai discepoli la presenza divina e richiamarono l'attenzione dei Giudei, indicando che fatti singolari si erano verificati. Benché questi ultimi abbiano frainteso i segni, non poterono tuttavia sot­ trarsi alla loro forza inquietante. A coloro che vissero gli avvenimenti di quel mattino non era ignoto che Dio si serve del fuoco come messaggero della sua venuta (Es. 3, 2; 14, 20. 28; 19, 18; 24, 17). Essi avevano udito che Dio stesso è fuoco ardente (ad es. Deut. 4, 24; Ebr. 12, 29). Il fuoco è simbolo della grazia divina e dell'ira di Dio. Per il regno messianico era predetto che l'ira di Dio sarebbe passata tra gli uomini come fuoco (Mt. 3, 1 1; Le. 3, 16). Il regno messianico è iniziato con la Pentecoste. Esso è l'ultima epoca. Chi vive in questo tempo deve vivere in attesa del giudizio, se non abbandona il peccato e non si converte. Nelle lingue di fuoco è quindi simboleggiata la presenza dello Spirito Santo, che è ad un tempo grazia e giudizio (Gv. 14, 16 s. ; 1 5, 26-1 6, 1 5). Il suo avvento era prean­ nunciato come grazia e giudizio e fin dalle prime ore della sua presenza si sente l'aria del giudizio, sebbene la virtu beatificante della sua vicinanza rìempia tutto. Anche questa manifestazione di Dio era esposta a false interpretazioni. Allo stupore degli uni si mescola la derisione degli altri : costoro sono pieni di mosto (Atti 2, 1 3 ; cfr. Ef. 5 , 1 8). Tuttavia proprio questa falsa interpretazione ha offerto alla comunità ripiena di Spirito -

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Santo l'occasione di presentarsi ora in pubblico al cospetto della città, anzi del mondo intero. In mezzo agli ascoltatori ed agli spettatori c'erano pure uomini di tutte le principali regioni. In virtu dello Spirito di Dio, da poco ricevuto, Pietro parlò alla folla convenuta, a nome di tutti gli altri su cui era sceso lo Spi­ rito Santo e rese testimonianza a Cristo, che i Giudei avevano ucciso, ma che il Padre aveva risuscitato da morte a vita, che ora siede alla destra di Dio ed ha mandato lo Spirito Santo com'era stato preannunciato dalle antiche profezie per il tempo messianico. Di questo Spirito può divenire partecipe chiunque faccia penitenza e riceva il battesimo nel nome di Gesu Cristo (Atti 2, 14-38). Con queste parole Pietro e quelli per i quali egli parlava aderivano a Cristo ed all'opera da lui compiuta; si dichiaravano una comunità ripiena dello Spirito Santo e fondata in Cristo. Come tali apparvero pure agli ascoltatori del sermone. La testimonianza dei 120, resa a Cristo nello Spirito, li rendeva visibili quale comunità di Cristo, sorta nello Spirito Santo. La parola con la quale essi aderivano a Cristo li ponò nello stesso ambiente pubblico e visibile dove stava Cristo. Al pari di lui, anche i suoi testimoni da questo mo­ mento si trovano davanti agli occhi del mondo. Anzi la Chiesa di Cristo non ha soltanto il mondo come pubblico, ma anche come campo di azione. Ciò è simboleggiato dal parlare in diverse lingue, che costituisce in primo luogo un segno esterno per indicare il fatto interno della pienezza dello Spirito; ma nello stesso tempo è un in­ dice di quella unità di fede, cui sono chiamati tutti i popoli. La parola di Dio è annunciata ed intesa in tutte le lingue. Con ciò la Chiesa cessa di essere legata ad un popolo e si allarga a tutta la terra. Appare infatti subito che i discepoli ripieni dello Spirito Santo portano il messaggio di Cristo ai pagani (cfr. il vol. II, § 1 6 1). VII. - L' AZIONE DELLO SPIRITO NELLA PENTECOSTE.

l . - Per ben comprendere il rapporto dello Spirito Santo con la Chiesa dobbiamo ancora dare uno sguardo agli effetti prodotti dalla sua venuta nella Pentecoste. I discepoli vennero trasformati (vol. II, § 160). Fino a quel momento essi non avevano compreso bene l'opera di Cristo. Ancora poco prima dell'ascensione essi dimostrarono che non avevano ancora capito il Cristo e la sua missione (Atti I, 6; cfr. inoltre Mc. 4· 13. 40 s.; 6, so-s2 ; 7, 18; 8, 1 6-2 1 ; 9, 9 s. 32 ; 14, 37-4 1 ; Le. 1 8, 34; Gv. 2, 22; 12, 1 6 ; 13, 7 · 2 8 s. ; 14, 5· 8 s. ; 16, 1 2. 17 s.).

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Lo Spirito Santo nella Pentecoste ha dischiuso loro il mistero di Cristo e del regno di Dio. Ora essi vedono Cristo nella luce delle Scritture del­ l'Antico Testamento, che comprendono in modo nuovo (Le. 24, 2 5 -47 ; Gv. 2, 22; I2; I6; 20, 9; Atti 2, 2 5 -3 5 ; 3, I3. 22-2 5 ; 4, I 1 . 24-28; IO, 43; I Cor. I5, 3). Da questo momento infatti la testimonianza per Cristo si impone loro come un dovere inevitabile; nessun pericolo o tormento li può dispensare. Con coraggio indomito, con gioia e fermezza, davanti al Sinedrio ed a tutto il popolo essi predicano Cristo, il Figlio di Dio croci­ fisso e risorto. E ciò non avviene in un momento di commozione e di entu­ siasmo passeggero. L'evento della Pentecoste ha creato uno stato perma­ nente in cui gli apostoli non indietreggiano dinanzi a nessuna minaccia ed imposizione. Però non essi soli, ma tutti gli uomini e le donne raccolti in­ sieme nel giorno del grande evento, furono ripieni dello Spirito Santo (Atti 2, 4). Lo Spirito Santo illuminò gli ascoltatori sul significato della testimo­ nianza degli apostoli per modo che essi la compresero, si convertirono e si fecero battezzare. Oltre tremila fedeli, convertiti dal discorso di Pietro, furono aggregati alla Chiesa nelle prime ore seguite alla sua costituzione (Atti 2, 4I). Conseguenza ed effetto della presenza dello Spirito Santo nella giovane Chiesa fu la vita fiorente, che è descritta in Atti 2, 42-47. I componenti della Chiesa primigenia, uniti sul fondamento della predi­ cazione apostolica da un santo timore di Dio per i molti prodigi verificatisi, formavano un solo cuore ed un'anima sola a tal punto da dividere con gioia e con generoso spirito di carità i beni necessari alla vita con i piu bisognosi di aiuto (cfr. anche Atti 4, 31-32). Cfr. N. Adler, Das erste christliche Pfingstfest, 1938. 2. Cosi la Pentecoste può essere indicata come il giorno della nascita della Chiesa. Ciò che precedette era lavoro preliminare e preparazione. Nel mattino di Pentecoste Iddio pose il suggello all'opera del Figlio suo. La Chiesa fu la conseguenza della effusione dello Spirito (Atti 2, 42). Ora le promesse fatte da Cristo sono adempiute; ora la sua missione è com­ piuta. Prima non esisteva né battesimo, né remissione dei peccati, né annunzio del lieto messaggio, né amministrazione dei sacramenti. Ora invece diventano effettivi i poteri ed i doveri affidati da Cristo agli apostoli. Per la prima volta, quel mattino, la comunità di Cristo apparve come una società configurata e formata dallo Spirito Santo inviato da Cristo, la quale per virtu propria rende testimonianza a Cristo, rimette i peccati e comu­ nica la grazia. Pur esistendo anche prima, essa rassomigliava al primo -

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uomo nel momento in cui Dio lo aveva plasmato dalla polvere della terra, ma non gli aveva ancora alitato la vita. Era un corpo morto, in attesa della scintilla vitale. Meschler scrive: « Quando mai la Chiesa cominciò a vivere e ad operare? Non prima del giorno sacro di Pentecoste. Eppure già prima di esso esistevano le parti costitutive della Chiesa raccolte insieme, orga­ nizzate e dotate di tutti i poteri ; la dottrina era stata annunciata, gli apo­ stoli scelti, i sacramenti istituiti, la gerarchia ordinata, eppure essa non viveva né si muoveva. Le forze divine erano ancora, per cosi dire, assopite, i mandati erano sotto sigillo, nessuno predicava, battezzava, assolveva dai peccati; nessuno celebrava il santo sacrificio; davanti alla porta attendevano impazienti i pagani ed i Giudei, ma nessuno apriva. La Chiesa si trovava come in uno stato di inerzia, simile al corpo di Adamo, prima che gli fosse comunicato l'alito di vita ... Cosi giacque anche la Chiesa fino all'ora nona di Pentecoste, quando lo Spirito Santo discese su di essa sotto forma di vento impetuoso e di lingue di fuoco. Questo fu il momento della vivifi­ cazione; tutto si mosse e si pose in azione » (Die Gabe des hl. Pfingst­ festes, 103). Similmente Schell scrive: « L'effetto della effusione dello Spirito di Dio fu la fondazione, sulla base della domina apostolica, della prima Chiesa, che è unita dalla costituzione gerarchica e c ura la vita della rina­ scita mediante la celebrazione del mistero eucaristico ». Tommaso d'Aquino designa la Pentecoste come il giorno della fondazione della Chiesa : « Come nella missione invisibile dello Spirito Santo, dalla pienezza dell'amore di­ vino la grazia fluisce nel cuore dell'uomo e per essa colui, al quale questa missione interna è destinata, acquista una conoscenza sperimentale della persona divina, cosi nella missione visibile dello Spirito si mira ad un altro grado di effusione, in quanto la grazia interiore, a motivo della sua pie­ nezza, trabocca per cosi dire all'esterno attraverso ad una manifestazione visibile. Con ciò la inabitazione delle persone divine si manifesta non solo a colui nel quale avviene la missione dello Spirito, ma anche agli altri. La missione visibile comprende quindi due elementi: dapprima una sovrab­ bondanza di grazia in coloro ai quali la missione è destinata ; in secondo luogo tale pienezza di grazia è ordinata ad altri, per modo che in una qualche forma l'eccesso di grazia trabocca in altri. Conseguentemente la manifestazione della grazia interiore avviene non solo in chi possiede questa grazia, ma anche in altri. Pertanto questa missione visibile dello Spirito è toccata innanzitutto a Cristo Signore ed in secondo luogo agli apostoli, perché per mezzo loro la grazia è stata effusa, in quanto, per essi, è stata fondata la Chiesa» (Sent., I, d. r6, q. r, a. z; M. Grabmann, Die Lehre

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des hl. Thomas von Aquin von der Kirche als Gottes-werk, 1903, 1 25 s.). Bonaventura dice: « La Chiesa è stata fondata dallo Spirito che è disceso dal cielo » (Sermo l in Circumcisione Domini, ed. Quaracchi IX r 35b). 3. Quando i Padri della Chiesa dichiarano sovente, come vedemmo, che la Chiesa è nata dal costato ferito di Cristo, non enunciano una dot­ trina in contrasto con il fatto che la Pentecoste segna l'origine della Chiesa. Infatti la morte, la risurrezione, l'ascensione e la missione dello S pirito formano un tutto unico. Morte, risurrezione e ascensione sono ordinate alla discesa dello Spirito Santo e solo in essa acquistano il loro pieno signi­ ficato. A sua volta la dist:esa dello Spirito presuppone gli altri tre avveni­ menti. Il Figlio dell'uomo, entrato nella gloria di Dio attraverso la morte e la risurrezione, manda lo Spirito Santo. In ultima analisi è Cristo stesso che ha fondato la Chiesa per mezzo dello Spirito Santo nella Pentecoste. Il Crisostomo nel primo sermone sulla Pentecoste, riferendosi a Gv. 7, 39 dice (PG. 50, 457): «Finché egli non venne crocifisso, lo Spirito Santo non fu dato agli uomini. La parola " glorificato ha lo stesso senso di " crocifisso ". Infatti, anche se la cosa, per sua natura, è ignominiosa, tut­ tavia Cristo l'ha designata come gloria, perché essa apportava gloria a coloro che egli amava. Perché dunque, mi domando, lo Spirito Santo non è stato dato prima della passione? Perché il mondo intero giaceva nel pec­ cato, nel delitto, nell'odio e nell'ignominia, finché non era ancora immo­ lato l'agnello che toglie i peccati del mondo ». Dal legame della Chiesa con la morte di Cristo viene dato maggiore rilievo al carattere cristologico della Chiesa. Ripetiamo ancora una volta: La Chiesa non è esclusivamente né la Chiesa dello S pirito, né la Chiesa del risorto, ma la Chiesa del Cristo totale, il cui mistero abbraccia sia la vita terrestre che quella gloriosa. Da lui essa ricevette la sua struttura, ma la sua vita la riceve dallo Spirito Santo. È molto significativo che Ago­ stino attribuisca l'origine della Chiesa tanto alla passione di Cristo_. quanto allo S pirito Santo. Nel Trattato 1 20, 2 sul Vangelo di Giovanni egli dice ad es.: « Uno dei soldati apri il suo cuore con una lancia e subito ne usci­ rono sangue ed acqua (Gv. 19, 34). L'evangelista usa un termine accurato per non dover dire: egli trafisse, oppure ferf il suo costato o qualcosa di simile, ma " apri ", affinché là venisse aperta per cosi dire la porta della vita, attraverso cui fluirono i sacramenti della Chiesa, senza i quali non si entra nella vera vita. Il sangue fu versato per la remissione dei peccati, l'acqua riempie la coppa salutare e procura ad un tempo lavacro e bevanda. Ciò venne prefigurato dalla porta che Noè dovette fare nel fianco dell'arca, -

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attraverso la quale entrassero gli animali risparmiati dal diluvio, simboli della Chiesa. Allo stesso fine la prima donna fu formata dal fianco dell'uomo addormentato e venne chiamata vita e madre dei viventi. Infatti essa signi­ ficava un grande bene prima del grande male del peccato. Qui si addor­ mentò, col capo reclinato sulla croce, il secondo Adamo, affinché gli fosse formata una sposa da ciò che sgorgò dal costato del dormiente. O morte per cui i morti rivivono. Che c'è di piu puro di questo sangue, di piu salutare che questa ferita? » (PL. 3 5, I9 53). Il rapporto tra la passione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo si può paragonare con la creazione del primo uomo e l'inspirazione della vita. Secondo il racconto della sacra Scrittura il corpo dell'uomo era già formato, ma restava privo di vita. Allora Iddio gli soffiò l'alito vitale e cosi l'uomo divenne essere vivente (Gen. 2, 7). La stessa cosa viene attribuita allo Spirito di Dio in una grande visione d'Ezechiele. Egli vide un vasto campo di morti, cosparso di ossa. Il profeta ricevette ordine da Dio : « Profetizza allo spirito! Profetizza, figlio d'uomo, e di' allo spirito: cosi parla il Signore: vieni dai quattro venti, o spirito! Soffia sopra di questi morti, affinché essi rivivano. Il profeta fece come gli veniva ordinato ». Allora venne lo spirito nelle ossa morte ed esse rivissero (Ez. 37).

VIII. - L'AZIONE CONTINUA DELLO SPIRITO NELLA CHIESA. L'azione svolta dallo Spirito Santo quando discese nella Penteco ste non restò limitata a quelle ore mattutine. Essa si esplica, senza pausa, da quel giorno fino al ritorno di Cristo. La Chiesa è convinta d'essere costante­ mente sotto l'influsso normativa dello Spirito Santo e perciò tutto quello che fa, lo compie nello S pirito Santo. A) L'opera dello Spirito in genere. l. - J..a sua azione generica era stata predetta da Cristo nel discorso di addio. In quell'ora Cristo annunciò ai discepoli la sua venuta e quella del Padre (Gv. 14, 18-24). Ma nello stesso tempo promise loro lo Spirito Santo: « Se voi mi amate, osservate i miei comandamenti. Io pregherò il Padre e vi darà un altro Paraclito (aiuto, consolatore, salvatore), affinché resti con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può rice­ vere, perché non lo vede, né lo conosce : voi però lo conoscerete, perché abiterà con voi e sarà in voi » ( I 4, I 5-I 7 ). Di lui Cristo dice ancora : « Queste cose ho detto a voi, conversando tra voi. Il Paraclito poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, vi insegnerà ogni cosa e vi

§ I 70. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA ricorderà tutto quello che ho detto a voi » (14, 25 s.). Piu avanti dichiara: « Ma venuto il Paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e voi pure renderete testimonianza, perché siete stati con me fin da principio » (Gv. 15, 26 s.). Dice inoltre Cristo ai discepoli: « Ora io vado a colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda : dove vai? Ma perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io dico il vero: è bene per voi che io vada, perché se io non vado, non verrà a voi il Paraclito: ma quando sarò andato, ve lo manderò. E quando verrà, egli convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al pec­ cato, perché non credettero in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete piu; riguardo al giudizio poi, perché il principe di questo mondo è già giudicato. Ho ancora molte cose da dirvi, ma per ora non ne siete capaci. Ma quando egli sarà venuto, lo Spirito di verità, vi guiderà in tutta la verità; perché non parlerà da se stesso, ma quanto ode dirà e vi annunzierà le cose che dovranno accadere. Egli mi glorifi­ cherà, perché prenderà del mio· e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre è mio. Per questo ho detto che egli prende del mio e ve lo annun­ zierà » (Gv. 16, 5-1 5). Con queste parole Cristo rimprovera i suoi discepoli, perché si lasciano prendere da profonda tristezza per la sua dipartita, senza riflettere al van­ taggio che il suo ritorno al Padre apporterà loro e che consiste nella venuta del Paraclito. Essa riveste un'importanza immensa, perché l'azione del Paraclito è indispensabile per il giusto rapporto dei discepoli con Cristo. Si ha quasj l'impressione che Cristo non possa aprire personalmente ai discepoli gli occhi dello spirito e del cuore, affinché raggiungano una vera conoscenza della sua persona e della sua opera, ma solo lo Spirito Santo. Ma poiché una simile conoscenza è decisiva per la vita vera e propria, anche la venuta dello Spirito Santo è fondamentale per i discepoli. Perciò la dipartita di Cristo è veramente un bene per essi (Gv. 16,7) perché è la condizione per la venuta dello S pirito. 2. Le funzioni con cui egli fa conoscere Cristo ai discepoli e nello stesso tempo toglie le bende dai loro occhi, sono ricordate nelle parole di commiato. Lo S pirito Santo ricorda loro Cristo. Questo ricordo ha virtu sia psicologica che antologica. Lo S pirito preserverà i discepoli dal dimen­ ticare Cristo; ed inoltre farà si che Cristo sia loro continuamente presente. La funzione del ricordare, svolta dallo Spirito, è dunque la funzione del rendere presente affinché egli diventi un loro possesso interiore. Egli agirà -

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in essi. Lo Spirito Santo crea la « presenza operante » di Cristo nei disce­ poli, la « inabitazione » di Cristo. Cfr. il vol. Illj2, § 182. Lo Spirito Santo introdurrà poi i discepoli nella verità, in modo che essi conoscano la ricchezza e la profondità della sapienza di Dio. Egli rende testimonianza a Cristo, ma in modo che tale testimonianza sviluppi quanto Cristo ha detto e ne dischiuda nello stesso tempo il significato. Questa fun­ zione intesa a sviluppare ed a far comprendere è tanto importante che da essa lo S pirito riceve addirittura il suo nome; egli è lo S pirito di verità. Cristo qul non intende nuove verità, non ancora annunciate, ma solo l'attestazione della verità già portata da lui; ciò risulta dal fatto che per due volte egli afferma che lo Spirito prenderà del suo e lo annunzierà (cfr. in proposito anche I Gv. 4, 1 s.; Apoc. I9, IO). 3. Le promesse di Cristo, relative allo S pirito Santo, ci vengono pre­ sentate come adempiute negli Atti e nelle lettere degli apostoli, da cui appare come Cristo sia sempre il centro attorno a cui si svolge l'azione dello Spirito Santo. Quanto questa sia strettamente legata a Cristo, ci è dimo­ strato dalla Apocalisse di Giovanni, dove nelle lettere indirizzate alle sette Chiese, si insiste continuamente nel dire che esse sono invitate ad ascol­ tare quanto lo Spirito dice loro (2, 7· II. 17. 29; 3, 6. 13. 22). E tuttavia all'inizio di ciascun messaggio si dichiara che è Cristo a parlare alla comu­ nità (2, 1. 8. 12. 18; 3, 1. 7· 14). Evidentemente è Cristo che parla me­ diante lo Spirito Santo. Egli è pure descritto come il Signore che dirige la storia. È l'« agnello immolato » che in una scena grandiosa è procla­ mato signore della storia, anzi del mondo (Apoc. 5). -

4. Nei passi di Giovanni che abbiamo citati sono ancora indicate altre funzioni dello Spirito Santo. Egli si presenta al mondo anche in veste di accusatore. Dice in proposito Wikenhauser (Das Evangelium nach Johan­ nes, 1948, 242 s.) : « Dietro le parole di Gesu, difficili a capirsi, sta l'idea d'un processo che si svolge dinanzi al tribtmale di Dio. Il mondo incre­ dulo, che ha respinto e crocifisso Cristo, è l'accusato, il Paraclito è l'accu­ satore. Il compito di quest'ultimo è di convincere il mondo, con il che non è detto che egli lo persuada della sua colpa, ma soltanto che egli ne metterà in luce la colpa e porterà quindi le prove per dimostrare che è nel torto. Ma questo processo non si svolge alla fine dei tempi (nel giudizio finale), bensi in tutto il decorso della storia, a partire dalla risurrezione di Cristo. Il convincimento da parte del Paraclito si compie nella testimo­ nianza che egli renderà a Cristo davanti al mondo ( 15, 26), e cioè nella predicazione cristiana sostenuta dallo Spirito. -

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Essa metterà in piena luce l'ingiustizia, la colpa del mondo. Ora, quando si dice che il convincimento si riferisce a "peccato ", " giustizia " e "giu­ dizio", ciò vuoi significare che il Paraclito chiarirà che s'intende per pec­ cato, giustizia e giudizio, ma con ciò stesso (come mostrano i versetti 9-1 r), si risolve anche la questione da che parte vadano ricercati il peccato, la giustizia ed il giudizio. Il peccato è l'incredulità di fronte alla rivelazione di Dio, fatta in Gesu. Il vero peccato del mondo è quello di essersi chiuso ostinatamente al messaggio di Gesu e di continuare a rimanere ostile alla predicazione cristiana (cfr. 15, 21-25). La giustizia va intesa in senso giu­ ridico e come giustificazione oppure dichiarazione di colpa davanti al tri­ bunale, perciò nel processo, poiché nel convincimento si tratta di un processo. Che la vittoria sia dalla parte di Gesu, lo prova il suo andare al Padre, che costituisce nello stesso tempo la sua glorificazione (cfr. r Tim. 3, r6 e l'aggiunta apocrifa di Mc. 16, 14: manifesta ora la sua giustizia vittoria). L'andare al Padre è espressione propria di Giovanni per indicare ciò che altrove il Nuovo Testamento chiama l'esaltazione di Cristo da parte di Dio (cfr. Atti 2, 33; 5, 3I; Ef. I, 20 s.; Fil. 2, 9 ; Ebr. I, 3). L'opera di convincimento del mondo si realizza in quanto il Paraclito con la sua azione di testimonianza (IS, 26) adduce la prova che Gesu è andato al Padre... Infine, mediante l'opera sua il Paraclito chiarirà che sia il giudizio e chi sarà giudicato. Il mondo credette di avere giudicato Gesu, ma nella morte di Gesu si è compiuto in verità il giudizio di Dio sul dominatore del mondo, che ha mandato sulla croce Gesu (cfr. 13, 2. 27). Infatti Gesu, proprio con la sua morte, ha trionfato sul demonio, perché attraverso la morte ha avuto accesso a Dio e presso di lui è stato glorificato. Da quel momento il demonio è privato del suo potere ; egli dunque è il soccom­ bente, il giudicato (cfr. 12, 31; Col. 2, 15) ». ·

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B) L'azione dello Spirito nei titolari di ufficio. l. - I n g e n e r a l e. a) In questa duplice funzione, di interprete di Cristo e di accusatore del mondo, lo Spirito Santo agisce nella Chiesa intera. Come nella sua discesa della Pentecoste egli ricolmò tutti coloro che erano radunati in Gerusalemme, gli apostoli e gli altri discepoli (Atti 2, 1-4), cosi riempie tutti i membri della Chiesa. Però agisce in essi in modo diverso. Egli non crea la distinzione tra laici e titolari di ufficio, perché questa risale a Cristo, ma opera negli apostoli e nei loro succes­ sori ciò che è proprio del loro ufficio, per modo che essi siano in grado di compiere ciò che Cristo ha loro commesso nel tempo che separa la -

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Pentecoste dalla sua seconda venuta e siano cosi veramente i suoi vicari (cfr. tuttavia il Prefazio degli apostoli, dove il Padre è indicato come il pastore eterno e gli apostoli appaiono come suoi vicari). Anzi gli apostoli nominati da Cristo adempiono anche le loro funzioni per mezzo dello Spirito Santo (Atti 1, 2). Essi infatti nella Pentecoste hanno un posto di particolare rilievo (Atti 2-3). Lo Spirito Santo li sospinge ad intraprendere subito al primo giorno il compito loro affidato da Cristo. Anche in seguito lo Spirito Santo li spinge a fare tutto ciò che è racchiuso nella economia divina. Ce lo riferiscono gli Atti degli Apostoli, che perciò giustamente furono chiamati il vangelo dello Spirito Santo. b) Riferiamo alcuni esempi. Nella festa di Pentecoste Pietro rese a Cristo una chiara testimonianza, in cui appare sia la sua nuova conoscenza di Cristo, sia il suo coraggio indomito. Si è nella stessa sfera d'azione dello Spirito quando Pietro e Giovanni ascendono al tempio e lungo il cam­ mino guarisc ono uno sciancato dalla nascita e successivamente rendono di nuovo testimonianza a Gesu come Messia. Questo discorso portò ad un conflitto con i sacerdoti, il prefetto del tempio ed i sadducei. Pietro e Giovanni furono arrestati ed imprigionati. Quando, il mattino seguente, i capi, gli anziani ed i dottori della legge di Gerusalemme, il sommo sacer­ dote Anna, Caifa, Giovanni ed Alessandro ed in genere coloro che erano della casta del sommo sacerdote, si radunarono e domandarono ai prigio­ nieri in virtu ed in nome di chi avessero compiuto quella guarigione, ancora una volta lo Spirito Santo indusse Pietro ad annunciare il messaggio della redenzione di Gesu, il Cristo, al cospetto di rutto il giudaismo uffi­ ciale di Gerusalemme (4, 1-22; specialmente 4, 8; cfr. inoltre 4, 3 1). Quando si dovettero stabilire uomini per il servizio dei poveri, furono presi in considerazione soltanto quelli che erano ripieni di Spirito Santo (Atti 6, 3). Furono infatti eletti Stefano, un uomo pieno di fede e di Spi­ rito Santo, e sei altri, di cui ci sono trasmessi i nomi (Atti 6, 5 s.). Quando Stefano, elevato al diaconato, fu portato innanzi ai Giudei ed al Sinedrio e dovette difendersi, rinfacciò ai suoi accusatori di resistere sempre allo Spirito Santo (7, 5 1). Questo rimprovero destò nei suoi avversari una rabbia cieca. Ma egli, pieno di Spirito Santo, guardò fisso in cielo e vide la gloria di Dio e Gesu alla destra di Dio (Atti 7, 55). Fu ancora lo Spirito Santo che indusse Filippo, mandato dall'angelo verso il sud, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza, ad interloquire con l'alto ufficiale di Candace, regina d'Etiopia, il quale faceva ritorno in patria da Geru­ salemme. Ciò portò Filippo ad interpretare la Scrittura all'Etiope e questi richiese il battesimo (Atti 8, 29. 39). Lo Spirito spiegò a Pietro la visione

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i n cui Dio gli metteva sott'occhio l'uguaglianza di diritti di Giudei e Gentili nel nuovo patto divino (Atti 1 0, 1 9). Ripieno di Spirito Santo, Paolo si oppose al mago Elima, nell'isola di Cipro, ed annunciò la buona novella al proconsole Sergio (Atti 1 3, 9). In antecedenza lo Spirito Santo aveva voluto che Barnaba e Paolo fossero riservati per l'opera a cui li aveva destinati (Atti 1 3, 2). Lo Spirito accompagnava dunque gli apostoli in tutte le loro vie, li sospingeva nei campi della messe di Dio, ma li tratteneva anche dalle vie che personalmente avrebbero voluto seguire e che non erano nelle inten­ zioni di Dio (Atti 16, 7). Conseguentemente gli apostoli assolvevano i loro incarichi in virtu dello Spirito Santo ; era questi infatti che agiva in essi e per mezzo loro. c) Con ciò la loro azione acquistava un'importanza fondamentale. Chi incontrava gli apostoli, incontrava lo Spirito Santo stesso. Lo incontrava sia come consolatore celeste inviato da Cristo, sia come giudice celeste. Questi due aspetti erano già accennati nelle lingue di fuoco. Come giudice lo provarono Anania e Saffira. Questi due coniugi non vollero sottrarsi all'uso comune della primitiva comunità, in cui nessuno riteneva qualcosa come sua proprietà esclusiva (Atti 4, 32), ma non vollero mettere comple­ tamente il loro possesso a disposizione della collettività. Perciò portarono appena una parte e la deposero ai piedi degli apostoli, ma suscitarono l'im­ pressione di avere dato tutto. Allora Pietro disse : « Anania perché Sa­ tana ha potuto istigare il tuo cuore ad ingannare lo Spirito Santo e a trat­ tenere parte del ricavato dal tuo fondo? Non potevi forse !asciarlo inven­ duto, e dopo averlo alienato non potevi disporre liberamente del ricavato? Perché hai deciso nel tuo cuore simile azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio » . Dopo queste parole, Anania cadde morto al suolo, ed anche la moglie mori poche ore dopo. d) Questi esempi dimostrano che la direzione della comunità da parte degli apostoli e le misure che essi adottano sono accompagnate e sugge­ rite dallo Spirito Santo. Lo Spirito Santo agisce internamente nell'azione degli apostoli per modo che questa deve essere considerata come azione dello Spirito Santo. Gli apostoli sono suoi strumenti. Nella loro azione si rivela lo S pirito Santo stesso. 2. Ne1 1 a p r e dic a zio n e e nel l ' a mmi n i s tr az ione dei s a c r a m e n t i . - Nell'attività generale svolta dagli apostoli nello Spi­ rito Santo o da questi per mezzo degli apostoli, possiamo ancora mettere -

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in risalto due gruppi di attività, cioè la predicazione apostolica e l'ammi­ nistrazione dei sacramenti. a) Cristo ha mandato gli apostoli affinché gli rendessero testimonianza mediante l'annuncio della buona novella. Ma ha predetto anche la testi­ monianza dello Spirito Santo. Le due testimonianze non si svolgono paral­ lelamente, ma si congiungono in una sola. Ciò è espresso in modo parti­ colarmente chiaro in una frase di Cristo, riferita da Luca, e rivolta ai disce­ poli, poco prima dell'ascensione. Vi si dice (Le. 24, 44-49 ; cfr. Atti I, 4-8) : « Egli disse loro : " Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero ancora tra voi : che era necessario si adempisse tutto quello che di me sta scritto nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi ". Allora apri loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro : " Cosi sta scritto : che il Messia deve patire e risuscitare da morte il terzo giorno, e nel suo nome devono essere predicate la penitenza e la remissione dei peccati a tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose. Ecco che io mando su di voi la promessa del Padre mio; e voi trattenetevi in città finché siate rivestiti di virtu dall'alto " ». Gli apostoli, secondo il mandato di Cristo, devono annunciare, nello Spirito Santo, i fatti salvifici compiuti da Gesu, e li debbono spiegare come la realizzazione delle promesse fatte nell'Amico Testamento. Devono testimoniare Cristo come il risorto da morte, come il perfezionatore del mondo, come colui che deve ritornare. Devono cosi collegare il passato all'avvenire e spiegare il passato ed il futuro, la morte e la risurrezione da una parte, la seconda venuta di Cristo dall'altra, come atti salvifici di Dio. Cosi Cristo è glorificato come l'alfa e l'omega. Riportiamo un esempio. Al secondo scontro con l'autorità giudaica, Pietro e gli altri apostoli risposero : « Bisogna ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini. Il Dio dei padri nostri ha risuscitato Gesti, che voi uccideste appendendolo ad un legno. Lui Iddio esaltò, come principe e salvatore, con la sua destra, per dare ad Israele la penitenza e la remissione dei pec­ cati e noi siamo testimoni di queste cose, ed anche lo Spirito Santo, dato da Dio a tutti quelli che gli ubbidiscono » (Atti 5, 29-3 3 ; cfr. 4, I 9 s.). Poco prima gli Atti raccontano : « E con grande vigore gli apostoli testi­ moniavano la risurrezione di Gesti Signore e la grazia scendeva copiosa SU tutti loro » (4, 3 I-3 3 ; cfr. Atti I , 8. 2 1 s. ; 3, I 5 ; 4, I 3 ; Io, 39· 4 1 ; 1 3, 3 I i 2 Piet. I , I 6 ; I Gv. I , I-3; Ebr. 2, 3 s. ; I Tess. I , 5 ; I Piet. r , 1 2). Di particolare importanza è la formulazione del Concilio degli Apostoli. Il decreto dice : È parso allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso (Atti 1 5 , 28 ; cfr. p. I 3 I). Tale formulazione ricorda le formule

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1 70.

LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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con cui nel mondo ellenis tico venivano espresse le deliberazioni delle cor­ porazioni. Lo Spirito Santo appare in certo modo come il primo di coloro che partecipano al cosi detto Concilio Apostolico. La presenza dello Spirito Santo garantisce il carattere di infallibilità alle decisioni degli apostoli. Ciò vale pure per le successive decisioni del magistero ecclesiastico, con cui il Papa o la totalità dei vescovi uniti con il Papa si rivolgono ai fedeli. Di questo tratteremo nella sez. III. Qui basti sottolineare che lo Spirito Santo è la ragione dell'infallibilità di tali decisioni. Cosi ad es. il Concilio di Efeso (43 1) dice a proposito di quello di Nicea, che i Padri erano colà convenuti nello Spirito Santo (Denz. 125). Cirillo di Alessandria dichiara che Cristo stesso presiede, invisibile, all'assemblea della Chiesa ed illu­ mina i Padri ivi radunati (Lettera 55 ; PG. 77, 293). Leone Magno afferma che le decisioni dei concili sono decisioni dello stesso Spirito Santo. I con­ cili della Chiesa sanno infatti di essere assemblee raccolte nello Spirito Santo. L'effetto dello Spirito di maggiore portata è la sacra Scrittura. Fu lo Spirito Santo che indusse gli autori a mettere per iscritto il messaggio salvifico e a rendere a Cristo una testimonianza perenne con la parola scritta. Fissata per iscritto la testimonianza resa dagli apostoli a Cristo acquista una stabilità particolare ; essa costituisce il fondamento per la continuità della predicazione ecclesiastica. Tutto ciò che viene predicato nella Chiesa è detto esplicitamente od implicitamente nella Scrittura. Quanto vi è di implicito viene sviluppato nel corso della storia. L'ispira­ zione degli scrittori sacri è un fatto unico, transeunte ; ma lo Spirito Santo dopo la composizione degli scritti e la formazione del canone non si ritrae dall'opera sua, ma vi rimane presente, in quanto egli stesso interpreta ciò che è stato scritto sotto il suo influsso determinante. Come si è servito degli agiografi per la composizione degli scritti sacri, cosi per l'interpretazione si serve della Chiesa, e precisamente degli esponenti del magistero. Alla Chiesa, anzi, egli ha affidato la Scrittura, creando con ciò un elemento della sua esistenza e della sua vita. A questo modo egli adempie perenne­ mente la funzione assegnatagli da Cristo nel discorso di commiato. Vedi la sez. III di questo vol., p. 1 7 8 . L o scopo d i tutta l'attività dello Spirito è l'edificazione del corpo di Cristo (2 Cor. 3, 2-3 ; Ef. 4, 4 s. ; 1 Cor. 12, 1 2 s.). I passi citati attestano che gli apostoli, i diaconi ed i presbiteri formanti la gerarchia della comu­ nità di Gerusalemme si ritenevano mossi ed illuminati dallo Spirito Santo. Gli apostoli vivevano nella convinzione d'essere i portatori dello Spirito. b) Una seconda forma dell'attività dello Spirito negli apostoli riguarda

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P. I.

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LA CHIESA

l'amministrazione dei sacramenti. Lo Spirito Santo si collega con il bat­ tesimo (Mt. 3, I ; Mc. I, 8 ; Le. 3, I 6 ; Gv. 3, 5 ; Atti 2, 4 I ; I9, 2-6 ; I Cor. I 2, I 3). Lo Spirito viene comunicato mediante l'imposizione delle mani degli apostoli in quell'atto che noi chiamiamo cresima (Atti 8, 14- I 7 ; 9 , I 7 ; I 9 , 6). Con l'imposizione delle mani egli viene pure comunicato per il servizio al corpo di Cristo (Atti I 3, 2-4 ; I Tim. 4, I4; 2 Tim. I , 8). È pure presente-nella remissione dei peccati (Gv. 20, 22 s.). Anche l'euca­ ristia è strettamente legata all'azione dello Spirito Santo. Quando Paolo afferma che il corpo di Cristo nasce dall'eucaristia e dallo Spirito Santo, manifesta chiaramente appunto tale connessione ( I Cor. Io, I 7 ; 12, 1 3 ; Ef. 4 , 4). Se lo Spirito Santo prende parte ad ogni amministrazione di sa­ cramenti, anche la sua invocazione rientra in ogni atto sacramentale. Ciò significa che l'invocazione dello Spirito Santo, l'epìclesi, non è riservata all'eucaristia, ma è un elemento dei sacramenti in genere. c) Lo Spirito Santo, come agisce mediante gli apostoli ed i loro suc­ cessori in quanto li spinge all'azione, la accompagna e produce internamente quello che essi intendono col loro atto, cosi agisce pure in coloro ai quali è rivolta la parola degli apostoli e nei quali si compie il segno sacramentale. La sua azione ci è descritta come una chiamata, un'esortazione, un raffor­ zamento, un conforto, una illuminazione, come un'apertura del cuore, come una conversione della mente, un movimento con cui l'ascoltatore comprende il suo stato di peccato e se ne allontana per tornare a Cristo (cfr. Atti 2, 40; 9, 3 1 ; I I , 22 s. ; 13, 1 5 ; 14, I 4 ; Rom. 8, 28-30 ; I 2, 8 ; I Cor. 14, 3 ; 2 Cor. 8, 4· 1 7 ; Ebr. I2, s ; 3 · 7 ; I Tim. 4, I 3). Lo Spirito Santo rende l'uomo capace di dare il suo assenso di fede a Gesu come a Signore (I Cor. 12, 1 3 ; I Gv. 4, 2-3 ; I Cor. 2, I2- I 5 ; Ef. 1, 17-I S). Egli testimonia allo spirito umano nel suo intimo che è figlio di Dio (Rom. 8, 1 6 ; I Gv. 3 , 19-24). Egli prega nell'io umano con gemiti inenarrabili, quando l'uomo stesso tace al cospetto di Dio (Rom. 8, 26 s. ; I Gv. 2, 20-27 ; Gv. I6, I 3). C) L'azione dello Spirito nei profeti.

l . - Per quanto lo Spirito Santo agisca mediante l'autorità ecclesiastica, gli apostoli ed i loro successori, tuttavia agisce ancora in un secondo modo, cioè mediante i carismi. Questi vengono accordati dallo Spirito Santo anche a quei membri del corpo di Cristo che non possono essere designati quali successori degli apostoli e perciò come titolari del potere gerarchico. Ce ne fornisce una dettagliata testimonianza Paolo nel cap. I 2 della prima lettera ai Corinti.

§ 170. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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Lo Spirito Santo è bensi legato ai titolari dell'ufficio ecclesiastico, tanto che questo si compie nello Spirito Santo ed anzi in particolari circostanze l'annunzio del messaggio salvifico sotto l'influsso dello Spirito Santo reca l'impronta dell'infallibilità; ma nello stesso tempo egli trascende l'ufficio ecclesiastico ed agisce nei laici. Tale attività non è solo una illuminazione ed un rafforzamento ordinati alla loro propria salvezza, ma è spesso una chiamata ad un servizio particolare verso la comunità. 2. - Ci si è abituati a chiamare questo servizio del laico nella comunità l'elemento profetico nella Chiesa. Qui la parola è intesa in senso diverso che nella frase con cui si dice che la Chiesa è costruita sul fondamento dei profeti e degli apostoli (Ef. 2, 2 0); infatti in questa formula sono cer­ tamente intesi i profeti dell'Antico Testamento, i quali nella linea di storia della salvezza hanno preparato Cristo. Essi hanno quindi un compito entro la stessa storia della salvezza, che Cristo ha portato ad un compimento provvisorio. Una cosa simile non può essere attribuita a nessun uomo del tempo postapostolico. Di conseguenza il termine « profetico » va inteso in senso diverso, quando viene usato per indicare l'attività o il servizio dei laici nel corpo di Cristo, a cui chiama lo Spirito Santo. Cfr. l'art. Profeta, in Haag, Dizionario biblico, trad. it., 1960, 795-80 1. Per comprendere la testimonianza di Paolo sui carismi occorre pure considerare che parecchi dei carismi da lui menzionati competono ai tito­ lari di un ufficio ecclesiastico. L'esegeta inglese Lightfoot nel suo com­ mento alla lettera ai Filippesi ( 1 868) dimostra che molti dei carismi elencati da Paolo sono funzioni dell'ufficio ecclesiastico. Ciò prova che non si deve fare una rigorosa distinzione tra l'attività ufficiale e carisma­ tica nella Chiesa, se si vuole tenere conto della terminologia della Scrittura. 3. - Tuttavia esiste una differenza nella realtà stessa; lo dimostra l'elenco dei carismi nella prima lettera ai Corinti, cap. 12. Qui Paolo parla della diversità nei doni, nei ministeri e nelle operazioni. Ad uno è dato il lin­ guaggio della sapienza, all'altro il linguaggio della scienza, ad un altro la fede, ad un altro il dono delle guarigioni, ad un altro il potere di ope­ rare miracoli, ad un altro il dono della profezia, ad un altro il discerni­ mento degli spiriti, ad un altro il parlare in varie lingue, ad un altro il dono di interpretarle. Con sapienza operata dallo Spirito, Paolo intende una conoscenza illuminata della verità divina ; con scienza, una visione pro­ fonda dei misteri della fede; con fede, una particolare forza di credere ; con dono della profezia, una visione dei misteri divini con la quale il veg­ gente contribuisce all'opera di ammonimento, di edificazione e di con-

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LA CHIESA

forto della comunità ( I Cor. 1 4, 3); col dono delle lingue, un parlare entu­ siastico, estatico, di difficile interpretazione (I Cor. I2, 4-1 1 ; cfr. I 4, 26-33). L'apostolo conosce ancora altri carismi : nella lettera ai Romani ( 1 2, 7) parla di carismi di insegnamento, ma li attribuisce anche ai titolari del­ l'ufficio ecclesiastico (4, I I ; I Tim. 4, I 3 ; 2 Tim. I , I I ; Atti I 3, I ; I Cor. I 2, 28). Un altro carisma è il dono della profezia (Rom. I2, 6 ; I Cor. I 2, I o ; I 3, 2 ; I 4, I s. 29 s.). Anche questo viene attribuito ai tito­ lari di ufficio (Ef. I 4, 1 1 ; Atti I 3, I s. ; I 5 , 22. 32; I Cor. 1 2 28). Anche il dono degli evangelisti appare tra i carismi (Atti 8, 4); ma anch'esso in altri passi è attribuito ai titolari di ufficio (Atti 2 I , 8 ; Ef. 4, I I ; 2 Tim. I, I I). Si può dunque stabilire che alcuni carismi certamente non sono riser­ vati ai laici, ma vengono partecipati pure ai rappresentanti dell'ufficio ec­ clesiastico. Anzi, si deve dire che nella terminologia della sacra Scrittura ogni attività proveniente dallo Spirito Santo è da designare come carisma. Tuttavia rimangono alcuni doni dello Spirito, dei quali risulta che non coincidono con l'ufficio ecclesiastico, ma vengono piuttosto accordati ai « laici » con un libero flusso di Spirito Santo. Paolo non contesta il loro diritto, ma esige che essi si inseriscano nella comunità. Taluni di essi sono inclini a segregarsi dalla comunità. Secondo il racconto dell'apostolo, ciò vale soprattutto della cosi detta glossolalia, di cui si parla anche in Atti 2, I-I 3· Il glossolalo non può dire nulla di edificante alla comunità. Egli pronuncia parole incomprensibili, inspiegabili per un altro che non sia particolarmente chiamato all'uopo. È come se parlasse al vento. È come se dal suono di strumenti si sprigionasse una melodia non afferrabile, ovvero se da una tromba di guerra uscisse solo un vago rumore, ma non un segnale ben preciso ; nessuno potreblx orientare le proprie azioni in base ad un simile suono. ,

4. Cosi dunque l'edificazione della comunità è la regola che deve gui­ dare i carismi ed in base alla quale questi devono essere giudicati (I Cor. I4, I -33). Paolo afferma che i maestri, cioè i titolari d'un man­ dato ufficiale, devono giudicare ed interpretare i carismi, specie il dono delle lingue. Gli apostoli hanno dunque il compito di misurare i carismi sul messaggio salvifìco affidato loro da Cristo. Essi sono i custodi di quanto Cristo ha loro trasmesso; sono i garanti della continuità della rivelazione, che non deve essere soffocata da esaltazioni. Nella Chiesa non vi può es­ sere rivoluzione della fede o della costituzione. Diversamente cesserebbe di essere la Chiesa di Cristo. Anzi Paolo, consapevole d'essere stato chiamato direttamente da Cristo -

§ 1 70. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

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e quindi d'essere un carismatico in senso particolare, si adopra egli stesso per fare la conoscenza degli apostoli di Gerusalemme. Proprio in lui risulta chiaro che ufficio e carisma non si escludono, ma si esigono e si condizio­ nano a vicenda. Non c'è vero contrasto tra Gerusalemme e Corinto, tra la primitiva comunità cristiana con i suoi titolari di ufficio e le comunità fondate da Paolo in Grecia con i loro carismatici. Sovente, è vero, si deter­ mina una tensione, ma è cosa comune ad ogni vita. Lo Spirito Santo è presente ed attivo sia in Gerusalemme che in Corinto. Egli opera nei titolari di ufficio, e nei cristiani che non rivestono alcuna carica. In Geru­ salemme è maggiormente accentuata la prima forma di attività dello Spi­ rito Santo, in Corinto la seconda; ma entrambe sono connesse, e non come elementi di pari grado. Infatti i carismi

in Corinto devono essere ordinati

e subordinati al tutto; ma questo tutto si presenta negli apostoli e nei loro successori.

5.

-

Ciò che noi incontriamo nella sacra Scrittura ha valore per sempre.

Lo S pirito Santo continua ad agire anche nei semplici cristiani e preci­ samente in modo che essi si sentano spinti a particolari servizi nella Chiesa. Queste azioni sono incalcolabili ed imprevedibili e servono a particolari esigenze di ciascuna epoca. Ne vengono favoriti soprattutto i santi, i quali sono i « profeti » o meglio, gli esponenti del mandato profetico nella Chiesa

di Cristo. Essi vivono in una unione particolarmente stretta con

Cristo e ne ricevono speciali influssi dello Spirito di Cristo ; sono indispen­ sabili per la vitalità della Chiesa. La Chiesa ha sempre bisogno di santi. L'importanza della loro presenza nella vita comune della Chiesa, per ci­ tare qualche esempio, risulta particolarmente evidente nei fondatori di ordini religiosi. Basti ricordare S. Benedetto, S. Domenico, S. Francesco, S. Ignazio di Loyola. La funzione di S. Francesco d'Assisi è rappresen­ tata in un dipinto di Giotto nella basilica superiore di Assisi. Il quadro descrive la visione di Papa Innocenzo III, ed è diviso

in due parti : in

quella di destra si scorge il Papa sotto il baldacchino aperto, rivestito con le insegne della sua dignità, mentre riposa su un divano e sta evidente­ mente sognando ; davanti a lui ci sono due servi : uno di essi è pure im­ merso nel sonno, mentre l'altro guarda con intensa attenzione il suo si­ gnore, come se sospettasse qualcosa di ciò che passa nell'anima di lui. Il riquadro di sinistra raffigura il contenuto del sogno : un laico rivestito degli abiti della povertà, circonfuso dall'aureola di santo, sostiene con le sue robuste spalle il Laterano vacillante, la Chiesa papale. Altri esempi possono essere Teresa d'Avila o Teresa di Lisieux o fra' Nicola della Fliie.

l'.

I.

-

LA CHIESA

Non è raro che questi santi, incaricati dallo Spirito Santo di qualche missione speciale nella Chiesa, in un primo momento si trovino in con­ trasto con i rappresentanti del magistero ecclesiastico. Ciò è compren­ sibile, giacché questi ultimi si ritengono responsabili davanti a Cristo della conservazione del patrimonio loro affidato. Anche in essi agisce lo Spirito Santo. Se ciò nonostante esiste una certa prudenza e riserbo, anzi talora diffidenza verso l'azione dello S pirito nei laici, non si deve pensare ad una contraddizione, come se lo Spirito fosse in contrasto con se stesso. Infatti lo Spirito Santo agisce sf negli uomini, ma non sempre con una illuminazione diretta. Perciò la sua attività non è sempre chiara e com­ prensibile fin da principio. L'esperienza insegna che taluni movimenti che si richiamano allo Spirito Santo non portano all'edificazione del corpo di Cristo, ma aprono in esso ferite e lacerazioni. Tertulliano è un tremendo esempio di come un pensatore religioso non porti sempre piu a fondo nella Chiesa, ma ne possa anche uscire e portare fuori. Di fronte a questi peri­ coli i pastori, fatti responsabili da Cristo, devono vigilare attentamente. La vigilanza diventerebbe una minaccia per la vita vera soltanto quando ii santo dovesse ammutolire nella Chiesa. I santi sono i garanti della vita­ lità, i titolari di ufficio sono i garanti della verità e dell'ordine nell'unico corpo di Cristo. Senza la prima garanzia la Chiesa sarebbe minacciata dal pericolo del­ l'intorpidimento, senza la seconda correrebbe il rischio della decomposi­ zione. In verità entrambi, l'ufficio pastorale e la santità, sono connessi. Soventissimo sono anche uniti in una felice realizzazione nello stesso uomo. Fulgido esempio di questa armonia è il Papa S. Pio X, rivestito del supremo potere pastorale della Chiesa e creatore del movimento euca­ ristico. Lo Spirito Santo opera l'una e l'altra cosa, senza mai contraddirsi. Ma l'ufficio è la norma per la vita, poiché la verità è la misura per la vitalità. IX.

-

SPIEGAZIONE TEOLOGICO-METAFISICA.

Lo Spirito Santo come cuore ed anima della Chiesa. l . - Affrontiamo ora la questione del modo in cui possiamo spiegare antologicamente il rapporto dello Spirito Santo con la Chiesa. È stato messo sovente in rilievo che esso è simile al rapporto del Logos con la natura umana di Cristo. Il card. Manning, al Concilio Vaticano I, propose si spiegasse la relazione dello Spirito Santo in base all'analogia dell'incar-

§

I 70. LO SPIRITO SANTO E LA CHIESA

nazione, ma che in nessun caso si parlasse d'una unione ipostatica (E. Mersch, Le Corps Mystique, 2 ed. 19 3 6, II, 3 57). Di fatto i Padri della Chiesa cercano spesso di spiegare il rapporto in cui lo Spirito Santo sta alla Chiesa, paragonandolo all'incarnazione del Logos. Come il Figlio di Dio si uni alla natura umana e l'assunse nella sua forza esistenziale, si che essa esiste solo piu in lui e per mezzo suo, cosi, secondo la loro opi­ nione, lo Spirito Santo si uni alla Chiesa per modo che questa esiste sol­ tanto in lui e per mezzo suo. Questo paragone può effettivamente chia­ rire la relazione che intercorre tra lo Spirito Santo e la Chiesa, ma ha tut­ tavia i suoi limiti, poiché tra lo Spirito Santo e la Chiesa non esiste unione ipostatica. La Chiesa non appartiene allo Spirito Santo come al supposto divino che la sostiene, mentre invece la natura umana di Cristo appartiene al Logos divino come alla persona che la sostiene. Si può caratterizzare convenientemente il rapporto tra la Chiesa e lo Spirito Santo come « unione », « società ». Non esiste un'unità di esistenza, ma di attività, che sta anch'essa nel piano antologico, ma lascia tuttavia sussistere la personalità dei membri della Chiesa. La Chiesa è l'opera dello Spirito Santo, non è la natura umana congiunta con esso in unità personale. Ciò esprime Alberto Magno nel modo seguente (De sacrificio missae, II, 9, a. 9) : « Tenendo presente che lo Spirito Santo è dato ed inviato per santificare le creature - questa santità non può mai mancare nella Chiesa, benché venga meno talora nell'individuo - si dice : " santa Chiesa ". Poiché ogni articolo di fede ha il suo fondamento nella verità divina ed eterna ... questo articolo viene ricondotto all'opera propria dello Spirito Santo, cioè la frase " credo nello Spirito Santo " non va solo intesa dello Spirito Santo in sé, ma dell'opera che gli è propria e che consiste pro­ priamente nella santificazione della Chiesa. Egli riversa in essa la santità nei sacramenti, nelle virtu e nei doni che accorda per il perfezionamento della santità, ed infine nei miracoli e nei carismi ». Bisogna ancora osservare che la natura umana, che Cristo assunse nella sua divina forza esistenziale, è individuale, mentre lo Spirito Santo si unisce con una pluralità di uomini. I singoli fedeli, che sono uniti nello Spirito Santo a formare la comunità della Chiesa, conservano il loro essere personale, pur venendo trasformati in nuove creature divinizzate. Essi non sono uniti in una specie di natura universale mistica, la cui sussi­ stenza abbia come causa lo Spirito Santo. Una cosa del genere non si può dire nemmeno di Cristo. Quando nel periodo patristico ed anche nella teologia moderna si dice sovente che Cristo e la Chiesa costituiscono « un solo » uomo, che rappresentano una sola persona, una sola carne, simili

P.

L

-

LA

CHIESA

formulazioni devono essere rettamente intese.

S.

Tommaso aggiunge

sempre un « quasi ». A suo giudizio Cristo e la Chiesa sono quasi una sola persona mistica. Questo prudente modo d'esprimersi tiene conto che la Chiesa rappresenta una comunità d'individui, i quali, nonostante la loro stretta unione con Cristo e tra loro, conservano la loro esistenza parti­ colare. Del resto Tommaso d'Aquino, con la sua formulazione, intende fare piuttosto un'asserzione cris tologica che non ecclesiologica. Egli indaga il problema del modo in cui l'opera di Cristo ha potuto ridondare a salvezza di tutta ·l'umanità, e ne trova la ragione nell'unità di Cristo con gli uomini. Tale unità è stata attuata per disposizione divina. In base al disegno salvifico divino essa trova la sua giustificazione nel fatto che in Cristo fu realizzata la pienezza della grazia. In virtu di questa pie­ nezza egli è ordinato all'umanità intera in modo che questa gli appartiene e costituisce con lui quasi una sola persona. Ma affinché ogni individuo diventi partecipe della pienezza di grazia del Cristo deve realizzare

il rap­

porto con Cristo mediante la fede. La teologia posttridentina interpretò la formula di S. Tommaso, secondo cui Cristo e la Chiesa formano quasi una sola persona, piu sotto l'aspetto ecclesiologico. Ciò significa che si indaga il problema di che specie sia l'unione della Chiesa con il suo capo, o con lo Spirito Santo infuso in lei dal capo. L'unione della Chiesa con lo Spirito S anto è dunque simile a quella del

in misura maggiore dissimile. Se già di in lui ci sono due na ture, due volontà e due atti­

Logos con la natura umana, ma è Cristo si deve dire che

vità, cioè una divina ed una umana, ciò vale della Chiesa in un senso sostanzialmente piu intensivo. Se il Concilio

di Calcedonia dice che le due

nature ed attività in Cristo sono sta nel carattere bat­ tesimale; quello del sacerdozio ufficiale nel carattere dell'ordine. Il primo abilita a partecipare al culto, il secondo a compiere il culto e, in concreto specialmente, quantunque non soltanto, alla consacrazione, per la quale il carattere del battesimo non conferisce affatto il potere. Il battezzato partecipa al culto unendosi all'azione del sacerdote ordinato ed inserendosi in essa. Molto discussa è la questione se al sacerdozio spirituale appartenga anche l'elemento della mediazione. Che appartenga al sacerdozio ufficiale è assodato, e ne è inseparabile ; anzi, il sacerdozio ufficiale ha il suo signi­ ficato in questo, che i suoi detentori, servendo all'opera salvifica di Cristo, comunicano salvezza. Poiché anche il sacerdozio spirituale deriva dal sa­ cerdozio di Cristo, che serve alla comunicazione della salvezza, si dovrà pure attribuire funzione mediatrice al sacerdozio battesimale, però in un senso diverso dal sacerdozio ufficiale. La mediazione salvifica che compete al sacerdozio spirituale è una mediazione in senso largo, non in quel senso stretto in cui spetta al sacerdozio ufficiale. Il battezzato, come abbiamo detto poco fa, con la sua preghiera, con il suo amore, con tutta la sua vita, diventa una sorgente continua di grazia e di salvezza. Grande effi­ cacia sviluppa il buon esempio. Tuttavia la funzione salvifica non sta soltanto nel buon esempio, ma soprattutto nella misteriosa solidarietà che Dio ha stabilita e che appare sovente nella sacra Scrittura. In Geo. I 8 come motivo della misericordia promessa da Dio è indicata la presenza di un determinato numero di giusti. Paolo può attestare ai Giudei che essi, nonostante il loro rifiuto di credere, rimangono i beniamini di Dio per amore dei padri (Rom. I I , 28). Cristo promette che i giorni della tribolazione alla fine del mondo saranno abbreviati per amore degli eletti (Mt. 24, 22). Per altre prove cfr. il trattato della Mariologia, § 8. Conse­ guentemente la funzione del sacerdozio spirituale viene realizzata nel modo piu forte ed efficace dei santi. Cfr. G. Soll, Das Priestertum der Kirche. Ein Desiderat der Ekklesiologie und ihrer Verkundigung, in « Festschrift M. Schmaus », 1957, 1 8 I-198. Sui modi di esercitare il sacer­ dozio battesimale si tratterà ampiamente parlando del battesimo (vol. IV/ I , § 226). Per i l momento mettiamo i n rilievo quanto segue. Il portatore del sacerdozio spirituale è il « laico ». Il termine laico non significa l'ignorante nei confronti del dotto. Tale modo di parlare, usato talvolta nel linguaggio profano, non coglie il significato di « laico >> nel

P.

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campo della Chiesa. Questa non si divide in dotti e illetterati, bensi in titolari del potere apostolico istituito da Cristo ed in partecipanti alla sua natura sacerdotale e regale senza carattere e mandato ufficiale. Ciò risulta chiarissimamente dall'uso originario del termine, che deriva dal greco la6s. Da prima l'espressione indicò il popolo di Dio del Nuovo Testamento, che assunse l'eredità del popolo di Dio dell'Antico Testamento e fu il nuovo e vero Israele. Da questo uso largo si formò il significato piu ristretto che porta al senso odierno. In Giustino (Apol. I, 67, 5) troviamo l'espres­ sione per indicare la comunità presente alla celebrazione eucaristica, che risponde Amen a chi offida la liturgia. Qui il termine significa la co­ munità cultuale, e nello stesso senso ricorre nella prima lettera di Cle­ mente (cap. 40). Anche quando l'ufficio ecclesiastico andò sempre piu sviluppandosi, il vescovo con i suoi coadiutori, i diaconi ed i presbiteri, ed i laici formavano la comunità che cultualmente, spiritualmente e co­ stituzionalmente rappresentava una unità. Il carattere sacerdotale di tutti i battezzati è attestato in vario modo dalla Scrittura. Accenniamo soprattutto a 1 Piet. 2, 1 - 1 0, ·e poiché in questo passo sono descritti anche i compiti dei « laici », riportiamo il testo : « Rigettate dunque ogni genere di cattiveria, inganno, ipocrisia, in­ vidia e maldicenza. Simili a bambini appena nati, siate avidi di un latte spirituale e puro per crescere, per esso, fino alla salvezza, se davvero avete gustato quant'è soave il Signore ! (Sal. 34, 9). Avvicinandovi a lui, pietra vivente, rigettata dagli uomini, ma scelta e pregiata da Dio (Is. 28, 1 6), pure voi, simili a pietre viventi, siate edificati come edificio spirituale per un sacerdozio santo, allo scopo di offrire vittime spirituali bene accette a Dio per mezzo di Gesu Cristo. Perciò c'è nella Scrittura : ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, pregiata; e chi pone su essa la sua fede non resterà deluso (Is. 28, 1 6). A voi dunque l'onore, a voi che credete. Ma per quelli che non hanno fede, la pietra che i costruttori hanno scar­ tato, questa è diventata pietra d'angolo (Sal. I I 8, 22), e pietra d'inciampo e roccia di scandalo (Is. 8, 1 4) : essi vi inciampano non dando retta alla parola, per la quale pure erano stati posti. Voi invece siete la stirpe eletta (Is. 43, 20), il sacerdozio regale, la nazione santa (Ez. 19, 1 6), popolo di acquisto, per annunciare le virtu di colui che dalle tenebre vi chiamò alla meravigliosa sua luce (Is. 43, 2 1 ) ; voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi i già esclusi dalla misericordia, siete ora invece figli di misericordia (cfr. Os. I, 6. 9 ; 2, 3· 25 ) ». Secondo que­ sto testo a tutti i cristiani è dato incarico di rendere testimonianza a Dio, il quale ha agito nella storia con potenti atti salvifici ( I Cor. I4, 26 ;

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Apoc. 1 2, 1 1). L'altro compito consiste nell'offerta di vittime spirituali, cioè nella partecipazione al sacrificio di Cristo in croce, formato dallo Spirito Santo, e nel sacrificio della vita cristiana quotidiana, alimentato dalla croce. Tutta la Chiesa è comunità cultuale ( 1 Cor. 14, 24 ; Rom. 1 2, I ; Fil. 3, 3; 4, I 8 ; Ebr. 1 2, 28 ; I 3, I 5 s.). Nella testimonianza e nel sacrificio l'uno deve edificare l'altro (I Tess. 5, 1 1). Vedi l'esposizione particolareggiata al § 226. Nel periodo patristico la dignità sacerdota�e del laico viene affermata innumerevoli volte, e deve manifestarsi sia nel culto che nella vita quoti­ diana (cfr. vol. IV / I , § 226). Essa conferisce al laico una grande protezione giuridica. La Didascalia scrive nel sec. m : « Se alcuno chiama stolto o raca un laico incorre nel giudizio della comunità, come coloro che resistono a Cristo; poiché egli ha offeso il suo fratello, in cui abita Cristo, e lo Spirito Santo che lo riempie di ogni scienza. Chi dunque dice qualcosa del ge­ nere contro un laico incorre nella stessa condanna di colui che la dice con­ tro un diacono od un vescovo ». Nel medio-evo la coscienza di fede della posizione del laico nella Chiesa non s'è mai perduta. Con la sua dottrina del carattere battesimale Tommaso d'Aquino ha posto il fondamento per lo sviluppo teologico successivo della piu profonda comprensione del laico. Ma nella vita concreta del medio-evo i laici , se non erano monache o monaci, passarono in secondo piano. I fedeli non sacerdoti, che avevano influenza sulla conformazione della vita cristiana, non vivevano nel mondo, ma in convento. Però tra i monaci e le monache non ordinati ci furono figure che esercitarono una grandissima e profonda influenza (ad es. Ilde­ garda di Bingen o Francesco d'Assisi). I laici che vivevano nel mondo furono sempre piu relegati ai c omp iti mondani. La cosa è comprensibile se si riflette che gli imperatori, in conseguenza del particolare sviluppo del rapporto tra Stato e Chiesa, si immischiavano nelle faccende ecclesia­ stiche. Sorse cosi la parola d'ordine : le cose della Chiesa ai sacerdoti, le cose del mondo ai laici. Dice il cardinal Umberto da Silva Candida : « I laici devono trattare soltanto le loro cose, cioè quelle mondane, ma i chierici soltanto le loro, cioè quelle ecclesiastico-spirituali. Come i chierici non devono permettersi nulla di mondano, cosi i laici nulla di ecclesia­ stico ». (Adversus Simon., III, g, in Mon. Germ. Hist., libelli de lite, I, 208). Questo pensiero si trova pure nel Corpus luris Canonici (C. 7· C. XII, q. I [Friedberg I, 678]) : « Ci sono due specie di cristiani : una che è costituita per il servizio sacro ed è dedita alla contemplazione ed alla preghiera, e si astiene da ogni rumore di cose terrene; sono i chierici ed i devoti di Dio, cioè i convertiti ... l'altra sono i laici. Laico infatti equi-

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vale ad appartenente al popolo. Ad essi è permesso possedere cose terrene, però soltanto per l'uso. Poiché nulla è piu vile che disprezzare Dio per amore del danaro. Ad essi è permesso sposarsi, coltivare la terra, tenere giudizio, trattare cause, porre vittime sull'altare, pagare le decime; in tale modo essi possono salvarsi, se facendo il bene evitano i vizi ». Secondo la concezione espressa in questi testi, il laico è rimosso dalla posizione sacrale­ cultuale ed è entrato nel mondo. Cosi il rapporto del titolare d'ufficio ec­ clesiastico col laico venne determinato dal rapporto spirituale-ecclesiastico da una parte, mondano dall'altra. Minacciava di avviarsi uno sviluppo, in cui il laico non si considerava piu come un membro appartenente sostan­ zialmente al complesso della Chiesa, in cui piuttosto la Chiesa veniva intesa e concepita sempre piu come una Chiesa di chierici. In tal modo il laico sovente non si è sentito responsabile di tutta la Chiesa che in piccola misura. Ma sarebbe una esagerazione l'affermare che i laici non abbiano piu avuto voce nella Chiesa moderna. Dopo che la scuola teologica di Tubinga ebbe spiegato nuovamente la Chiesa come corpo di Cristo, il papa S. Pio X, promuovendo la devozione eucaristica e soprattutto con i suoi decreti sulla comunione, ha iniziato un movimento col quale i laici sono stati ricondotti con piu forza nel campo sacrale. I papi Pio XI e Pio XII hanno favorito in vari modi con la massima energia la partecipazione del laico al culto, quest'ultimo so­ prattutto con le due Encicliche Mystici corporis e Mediator Dei e con numerosi discorsi. La scienza teologica, specialmente la liturgia e la dogmatica, hanno chiarito con successo i problemi insorgenti. La posi­ zione che occupa il laico nella Chiesa ha preso sempre piu chiaro rilievo, quantunque non si sia ancora potuto creare chiarezza definitiva. Due cose sono assodate, e cioè che al cristiano non ordinato, in base alla sua appar­ tenenza alla Chiesa, specialmente in base al battesimo, spettano compiti importanti, e d'altra parte il sacerdote consacrato possiede poteri che mancano al non ordinato, specialmente il potere di consacrare, il potere del governo ecclesiastico ed il potere dottrinale. Questa situazione del laico esige che da una parte egli abbia indipendenza nel pensare e nel decidere, dall'altra che sia inserito nella gerarchia ecclesiastica. Sia Pio Xl che Pio XII hanno proclamato energicamente la responsabilità dei laici. I compiti che oggi spettano al laico si possono dividere in quattro cate­ gorie. Anzitutto egli è chiamato a partecipare al culto ecclesiastico. Ciò fu chiaramente espresso da Pio XI nella Enciclica Miserentissimus Deus. Nella Enciclica sulla liturgia, Mediator Dei, Pio XII, riprendendo le pa­ role di S. Roberto Bellarrnino, dichiara che tutta la Chiesa consente nel-

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l'ablazione fatta da Cristo e offre insieme con lui. I fedeli « offrono il sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico » (n. 90). Si può ricordare a questo punto che in Tit. 2, 3 le donne sono esortate a vivere sacerdotalmente (hieroprepéis) conforme al luogo sacro. Qui il laico ha quindi un potere ed un dovere cultuale, che può realizzare assieme al sacerdote e soltanto in unione con lui (cfr. § § 226, 254). Il secondo gruppo abbraccia il compito profetico-morale continuamente alimentato dalla partecipazione al mistero. Esso si realizza in quanto il laico, sia con la parola, sia anche e soprattutto con la sua vita, rende te­ stimonianza a Cristo ed a Dio, la quale testimonianza si concretizza come veridicità, come prontezza al sacrificio, come volontà di servire, come pu­ rezza, come mansuetudine, come giustizia, come coraggio. Cfr. ad es. B. Welte, Vom Geist des Christentums, 1955. Il laico è chiamato a rea­ lizzare nella vita quotidiana la « confessione » che incombe alla Chiesa dinanzi a Dio nei confronti del mondo. Un'altra categoria abbraccia i membri dell'« Azione Cattolica », cui in­ combe l'obbligo, nella partecipazione immediata all'attività della gerar­ chia ecclesiastica, e come suoi coadiutori, di riempire il mondo con lo spi­ rito di Cristo. Non ogni cristiano è idoneo e chiamato all'Azione Cattolica; tuttavia è importante che i chiamati ne assumano i compiti, che rappre­ sentano una intensificazione della testimonianza per Cristo, che spetta a tutti i cristiani. A proposito della responsabilità che investe ogni cnsuano e dei compltl parti­ colari dell'Azione Cattolica, nella allocuzione del 1 4/ I0/195 1 al Congresso mon­ diale dell'aposrolato dei laici in Roma, il papa Pio XII cosi dice tra l'altro : « Ci si compiace spesso di dire che la Chiesa, nei quattro secoli ultimi, è stata esclusi­ vamente " clericale " per reazione alla crisi che nel secolo decimosesro aveva preteso di giungere all'abolizione pura e semplice della gerarchia, e su tali pre­ messe, s'insinua che è tempo per lei di allargare i suoi quadri. Un simile giu­ dizio è tanto lontano dalla realtà che, proprio dal santo Concilio di Trento, il laicato si è schierato ed ha progredito nell'attività apostolica. La cosa è facilmente accertabile; basta ricordare due fatti storici evidenti fra tanti altri : le congrega­ zioni mariane di uomini, che esercitavano attivamente l'apostolato dei laici in tutti i campi della vita pubblica, l'ammissione progressiva della donna nell'apostolato moderno. Ed è opportuno ricordare su questo punto due grandi figure della storia cattolica : una è quella di Maria Ward, incomparabile donna, che nelle ore piu oscure e piu sanguinose l'Inghilterra cattolica dette alla Chiesa; l'altra quella di S. Vincenzo de Paoli, incontestabilmente in primo piano tra i fondatori e i promotori della carità cattolica...

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V'è pure, è vero, tutta una folla confusa di tiepidi, irresoluti e oscillanti, per i quali la religione, forse, è ancora qualcosa, ma qualcosa di molto vago, senza nessun influsso sulla vita. Questa turba amorfa, come insegna l'esperienza, può trovarsi da un giorno all'altro, all'improvviso, nella necessità di prendere una decisione. Quanto alla Chiesa, essa, di fronte a tutti, ha una triplice missione da compiere : portare i credenti ferventi all'altezza delle esigenze del tempo presente; introdurre quelli che indugiano sulla soglia, nella calda e salutare inti­ mità del focolare; ricondurre quelli che si sono allontanati dalla religione e che pure non può abbandonare alla loro miserevole sorte. Bel compito per la Chiesa, ma reso assai difficile dal fatto che, se, nel suo insieme, essa s'è accresciuta, il suo clero non è tuttavia aumentato in proporzione. Ora il clero ha bisogno di ser­ barsi prima di tutto per l'esercizio del suo ministero propriamente sacerdotale in cui nessuno può sostituirlo ... Tutti i fedeli, senza eccezione, sono membra del corpo mistico di Gesu Cristo. Ne consegue che la legge di natura, e piu urgente ancora, la legge di Cristo, li obbliga a dare il buon esempio di una vita veramente cristiana : " Christi bonus odor sumus Deo in iis qui salvi fiunt, et in iis qui pereum " (Noi siamo per Dio il buon odore di Cristo tra coloro che sono salvati e coloro che si perdono; 2 Cor. 2, 15). Tutti cosi sono impegnati, e oggi ancor di piu, a pensare, nella preghiera e nel sacrificio, non solo alle loro necessità private, ma anche alle grandi intenzioni del regno di Dio nel mondo, secondo lo spirito del Pater noster che Gesu Cristo medesimo ha insegnato. Si può affermare che tutti sono egualmente chiamati all'apostolato nella stretta accezione della parola? Dio non ha dato a tutti né la possibilità, né le attitudini. Non si esigerà che si accolli le opere di questo apostolato la sposa, la madre che alleva cristianamente i suoi figli e che, inolrre, deve p rendere un lavoro a domi­ cilio per aiutare il marito a nutrire i suoi. La vocazione di apostoli non si rivolge dunque a tutti. Certo, non è facile tracciare con precisione la linea di demar­ cazione, dalla quale comincia l'apostolato dei laici propriamente detto. Per esem­ pio, bisogna comprendervi : l'educazione data o dalla madre di famiglia, o da maestri e maestre prese di santo zelo nella pratica della loro professione peda­ gogica; oppure la condona del medico celebrato e francamente cattolico, la cui coscienza non transige mai quando la legge naturale e divina è in causa, e che milita con tutte le sue forze per la dignità cristiana degli sposi, per i sacri dirini della loro progenitura; o anche l'ariane di un uomo di stato canolico per una vasta politica della casa per i meno favoriti ? Molti propenderebbero per la ne­ gativa, non vedendo in tutto ciò che il puro e semplice compimento, lodevolis­ simo, ma obbligatorio, del dovere di stato. Noi sappiamo però quale potente e insostituibile valore abbia, per il bene delle anime, questo semplice compimento del dovere di stato da parte di milioni e milioni di fedeli coscienziosi ed esem­ plari. L'apostolato dei laici, in senso proprio, è senza dubbio organizzato in gran parte nell'Azione Cattolica e in altre istituzioni di attività apostolica approvate dalla Chiesa; ma, fuori di queste, possono essere e vi sono apostoli laici, uomini e donne, i quali guardano il bene da fare, le possibilità e i mezzi di farlo; e lo fanno, preoccupati solo di portare anime alla verità e alla grazia. Noi pensiamo anche a tanti ottimi laici, che, nelle regioni in cui la Chiesa è perseguitata come lo era nei primi secoli del Cristianesimo, supplendo come meglio possono i preti

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imprigionati, anche con pericolo della vita, insegnano intorno a loro la dottrina cristiana, istruiscono alla vita religiosa e al giusto modo di pensare cattolicamente, inducono a frequentare i sacramenti e a praticare le devozioni, specialmente la devozione eucaristica. Tutti questi laici li vedete all'opera; non vi preoccupate di domandare a quale organizzazione appartengono, ammirate piuttosto e riconoscete di buon grado il bene che fanno. Lungi da noi il pensiero di svalutare l'organizzazione o di stimarne poco il valore come fattore di apostolato; noi, anzi, la stimiamo molto, specialmente in un mondo in cui gli avversari della Chiesa premono su di essa con la massa compatta delle loro organizzazioni. Ma essa non deve condurre ad un esclusi­ vismo meschino, a quel che l'apostolo chiamava : " explorare libertatem ". Nella cornice della vostra organizzazione lasciate ad ognuno una grande larghezza per spandere le proprie qualità e doni personali in tutto ciò che può servire al bene e all'edificazione : " in bonum et aedificationem " (cfr. Rom. 1 5, 2), e rallegratevi quando, fuori dalle vostre file, voi ne vedete altri, " condotti dallo spirito di Dio " (Gal. 5, 1 8), che guadagnano a Cristo i loro fratelli. È evidente che l'apostolato dei laici è subordinato alla gerarchia ecclesiastica; questa è di istituzione divina; esso, perciò, nei suoi confronti non può essere indipendente. Pensare diversamente sarebbe colpire alla base il muro sul quale Cristo stesso ha costruito la sua Chiesa. Ciò detto, sarebbe ancora erroneo credere che, nell'ambito della diocesi, la struttura tradizionale della Chiesa o la sua forma attuale pongano essenzialmente l'apostolato dei laici in una linea parallela all'apostolato gerarchico, in modo che lo stesso vescovo non possa sottomettere al parroco l'apostolato parrocchiale dei laici. Lo può; e può stabilire come regola che le opere dell'apostolato dei laici destinate alla parrocchia siano sotto l'autorità del parroco. Il vescovo lo ha costi­ tuito pastore di tutta la parrocchia, ed egli è, come tale, responsabile della salute di tutto il suo gregge. Che possano esservi, d'altra parte, opere d'apostolato dei laici extra-parrocchiali e anche extra-diocesane - noi diremmo piu volentieri so­ pra parrocchiali e sopra diocesane - a seconda che il bene comune della Chiesa lo richieda, è anche vero e non è necessario ripeterlo. Nella nosua allocuzione del 3 maggio scorso all'Azione cattolica italiana, noi abbiamo lasciato intendere che la dipendenza dell'apostolato dei laici dalla ge­ rarchia ammette dei gradi. Tale dipendenza è strettissima per l'Azione cattolica; questa, infatti, rappresenta l'apostolato dei laici ufficiale : è uno strumento nelle mani della gerarchia, deve essere come il prolungamento del suo braccio, è, per questo fatto, sottomessa per natura alla direzione del superiore ecclesiastico. Altre opere d'apostolato dei laici, organizzate o no, possono essere lasciate di piu alla loro libera iniziativa, con la larghezza che domandassero gli scopi .da conseguire. È evidente, in ogni caso, che l'iniziativa dei laici nell'esercizio dell'apostolato deve mantenersi sempre nei limiti dell'ortodossia e non può opporsi alle legit­ time prescrizioni delle competenti autorità ecclesiastiche. Quando noi paragoniamo l'apostolato laico, o piu esattamente, il fedele di Azione cattolica, ad uno strumento nelle mani della gerarchia, secondo l'espres­ sione divenuta comune, intendiamo il confronto nel senso che i superiori eccle­ siastici usino di lui nel modo che il Creatore e Signore usa le creature ragione­ voli come strumenti, come cause seconde, " con una dolcezza piena di riguardo "

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(Sap. 1 2, 1 8). Ne facciano uso, dunque, coscienti della loro grave responsabilità, incoraggiandoli, suggerendo iniziative e accogliendo di buon grado quelle che fossero proposte da loro e secondo l'opportunità approvandole con larghezza di vedute. Nelle battaglie decisive è dal fronte che talvolta giungono le piu felici iniziative. La storia della Chiesa ne offre esempi assai numerosi. In via generale, nel lavoro apostolico

è desiderabile che la piu cordiale intesa

regni tra sacerdoti e laici. L'apostolato degli uni non è una concorrenza a quello degli altri.

A dire il vero anche l'espressione " emancipazione dei laici

",

sentita

qua e là, non ci piace troppo. Essa ha un suono un poco sgradevole ; è d'altra parte storicamente inesatta. Eran dunque ragazzi minorenni ed avevano bisogno di attendere la loro emancipazione, quei grandi condottieri ai quali noi allude­ vamo parlando del movimento cattolico degli ultimi centocinquant'anni? Del resto, nel regno della grazia, tutti sono considerati adulti. Ed

è questo che importa ... è in contatto

Necessariamente e continuamente la vita umana, privata e sociale

con la legge e lo spirito di Cristo; ne deriva, per forza di cose, una compenetra­ zione reciproca dell'apostolato religioso e dell'azione politica. Politica, nel senso elevato della parola, non vuoi dir altro che collaborazione al bene della città, della polis. Ma questo bene della città si estende molto largamente

e,

quindi,

è sul

terreno politico che si discutono e si enunciano anche leggi di altis simo signifi­ cato, come quelle che riguardano il matrimonio, la famiglia, il fanciullo, la scuola, per !imitarci a questi esempi. Non sono, questi, problemi che interessano innanzi tutto la religione? Possono lasciare indifferente,

apatico, un apostolo? Nell'allo­

cuzione sopra citata, noi abbiamo tracciato il limite tra l'azione cattolica e l'a­ zione politica. L'azione cattolica non deve entrare

m

lizza nella politica di par­

tito. Ma, come noi dicevamo anche ai membri della Conferenza Olivaint, " tanto

è lodevole tenersi al di sopra delle contese contingenti che inaspriscono le lotte dei partiti..., altrettanto sarebbe biasimevole lasciar libero il campo per dirigere gli affari di Stato, agli indegni o agli incapaci ". Fino

a

qual segno l'apostolo può

e deve tenersi a distanza da questo limite? È difficile formulare su questo punto una regola uniforme per tutti. Le circostanze, le mentalità non sono le stesse dovtmque

»

(Insegnamenti Pontifici. Il laicato,

Roma 1958, 555-565).

Come si vede, alla terza categoria non possono accedere tutti; ma ognuno, pur saltando la terza, deve raggiungere la quarta, nella quale sta il cristiano che dà forma alle realtà terrene in base alla sua fede in Cristo ed alla sua appartenenza alla Chiesa. Esponendo i compiti della Chiesa, abbiamo visto che essa ne ha pure uno per il mondo, che viene svolto soprattutto, anche se non esclusivamente, dai laici, perché questi per la loro professione sono ordinati direttamente al mondo e quindi lo curano per se stesso e per i valori e le leggi proprie insite nel mondo. Se nel compito, che spetta alla Chiesa, di trasformare come un lievito le realtà terrene secondo lo spirito di Cristo, i laici hanno una parte speciale, ciò non costituisce, come già s'è detto, un falso laicismo. Questo consisterebbe nel sottrarre il mondo alla legge di Cristo; ma i laici che si sentono in modo particolare respon-

§ 1 76 A. GLI ORGANI DELL'ATTI VITÀ SALVIFICA DELLA CHIESA

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sabili a che il mondo e i suoi ordinamenti siano formati secondo lo spirito di Cristo, superano proprio il laicismo anticristiano. A tale fine occorre al laico non soltanto buona volontà, ma una profonda ed ampia cognizione di causa e la volontà di decidere e di agire in modo indipendente. La tesi del compito terreno del laico si fonda su Tommaso d'Aquino, il quale ha scoperto l'indipendenza della scienza e della cultura. Una con­ veniente configurazione degli ordinamenti terreni, che proceda dalla cono­ scenza della materia, è il compimento della volontà creatrice divina, la quale può essere violata in due modi : con l'indifferenza nei confronti del mondo creato da Dio e con la trascuranza dei suoi ordinamenti da una parte, con l'asservimento ad essi dall'altra. La retta configurazione del mondo esige nello stesso tempo dedizione e distacco, quel distacco nella dedizione, che viene prestato dall'atto che chiamiamo astensione, e quella dedizione nella astensione dal mondo, che chiamiamo servizio. Ma ciò significa che nello sforzo per la retta forma del mondo, nello sforzo del politico e dell'econo­ mista, è levata la croce di Cristo, su cui l'uomo unito a Cristo inchioda brama di dominio ed avidità, orgoglio e vanità. Cfr. il vol. 111/2, § 2 1 7. L'attività intesa a formare il mondo, che si compie da prima per amore del mondo, ma da ultimo per amore di Dio, ha un rapporto intrinseco con il perfezionamento delle cose, che sarà compiuto da Dio. È in certo modo uno slancio continuamente rinnovato per dare al mondo la forma che gli spetta e che Dio gli ha assegnato. Ai tentativi è negata una riuscita definitiva entro la storia, ma Dio stesso porterà a termine la fatica umana, trasformando il mondo in un nuovo stato di perfezione non raggiungibile entro la storia. Nel mondo trasformato tutte le configurazioni provvisorie sopravviveranno in modo misterioso, per modo che il nuovo cielo e la nuova terra renderanno una eterna testimonianza degli sforzi ordinati a formare il mondo. Cfr. la particolareggiata esposizione di questa proble­ matica in G. Philips, Le r8le du la"icat dans l'Eglise, Tournai 1954, trad. ital., Milano 1956; Yves Congar, ]alons pour une théologie du la"icat, 2 ed., Paris 1954 ; Al. Sustar, Der Laie in der Kirche, in Fragen der Theologie heute, Einsiedeln 1 9 5 7, 5 1 9-548 ; Spiazzi, Il laicato nella Chiesa, in Problemi e orientamenti di teologia dommatica, Milano 1 9 5 7, 303-358. Per la bibliografia in proposito si veda il volume : L'apostolato dei laici: Bibliografia sistematica, Milano 1957. La precisazione del campo di attività dei laici ne rivela pure i limiti, che sono rappresentati da quei poteri, che possono essere conferiti sol­ tanto dall'ordine o dall'assegnazione dell'ufficio, e quindi competono sol­ tanto ai titolari del potere di ordine e di giurisdizione.

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Questa constatazione ha la sua portata per giudicare dei titolari d'uf­ ficio nelle comunità cristiane non cattoliche. Secondo la dottrina cattolica vero potere di ordine e di giurisdizione spetta soltanto ai titolari d'ufficio della Chiesa ortodossa (e dei Vecchi Cattolici), perché soltanto qui esiste successione apostolica ; il che non si può dire degli altri gruppi, neppure degli anglicani, come ha dichiarato Leone XIII. Ciò ha come conseguenza che nelle comunità cristiane non cattoliche (prescindendo dalla Chiesa ortodossa) non hanno pieno effetto salvifico quelle azioni per le quali si richiede il potere di ordine o di giurisdizione. Cosi ad es., fuori della Chiesa cattolica e della Ortodossia, non si può compiere la consacrazione eucaristica. Parimenti non può essere conferita validamente l'assoluzione. Ciò non significa che queste azioni non abbiano alcun effetto salvifico; esse non sono nulla, non sono gesti vuoti, tuttavia si deve loro negare l'effetto salvifico che compete alle stesse azioni nella Chiesa cattolica. Si può ad esse applicare la parola di Cristo : dove due o tre sono adunati nel mio nome, io sono in mezzo ad essi (Mt. r8, 20). Il presupposto è il carattere battesimale di coloro che sono adunati ; ma il battesimo può es­ sere amministrato validamente persino fuori della Chiesa cattolica, se il segno viene posto rettamente. Cosi ogni protestante è in grado di ammi­ nistrare il sacramento fondamentale. Colui che è in buona fede viene in tal modo indirizzato a Cristo e sulla via della salvezza.

§ 176b.

Le singole funzioni salvifiche della Chiesa.

La Chiesa assolve il suo mandato di promuovere entro la storia il regno di Dio, stabilito da Cristo, fino al momento in cui egli stesso vi darà forma perfetta, e di favorire in tal modo la salvezza degli uomini, eserci­ tando i poteri a lei affidati, compiendo quindi le funzioni del potere di ordine e di giurisdizione. Ciò implica l'esercizio del potere dottrinale, poiché questo è un elemento del suo potere di giurisdizione e partecipa nello stesso tempo del potere di ordine. Lo stesso potere di ordine si realizza soprattutto nell'amministrazione dei sacramenti. Di quest'ultima funzione tratta ampiamente il vol. IVf r. Qui perciò ne metteremo in rilievo soltanto alcuni aspetti e tratteremo piu ampiamente dell'attività dottrinale della Chiesa.

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

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ATTIVITÀ SACRAME NTALE DELLA CHIESA.

Il Figlio di Dio incarnato ha operato la salvezza tramite la sua natura umana, che fu il mezzo ed il segno della sua attività salvifica. Egli assunse cose di questa terra : pane, vino, polvere, acqua, nel simbolismo della sua natura umana. Cosi può essere designato come sacramento primordiale, in quanto cose create, la sua natura umana e le cose da lui assunte, diven­ nero segni (simboli) e veicoli della salvezza. Mentre nella sua vita umana egli usò tali prolungamenti della strumentalità e del simbolismo salvifici della sua natura umana soltanto in modo transitorio, ha stabilito per il popolo di Dio questi segni simbolici e salutiferi per tutta la durata dello stato intermedio, che va dalla discesa dello Spirito Santo fino alla Parusia ; e la Chiesa li deve amministrare. Al compimento di questi segni da parte della Chiesa Cristo ha collegato la sicura promessa che per mezzo loro viene prodotta grazia. Cosi i segni sacramentali della Chiesa sono segni che tengono vivo il ricordo di Cristo, soprattutto il ricordo della sua morte sacrificale. Tuttavia essi non sono soltanto segni commemorativi, ma anche rappresentativi : hanno la virtu di rendere presente l'opera salvifica di Cristo. In questo duplice significato di ricordo e di rappresentazione essi sono segni di Cristo. La Chiesa li può porre efficacemente soltanto per mezzo di determinati membri forniti dei poteri necessari. Si richiede una somiglianza di natura particolare con Cristo, per potere realizzare validamente i segni sacramentali. (Fa ecce­ zione il battesimo, cfr. il vol. IVj r , § 240). Ciò si comprende facilmente, se si riflette che in fondo è Cristo ad agire per mezzo dei segni sacramentali. Non soltanto egli sta al loro inizio come istitutore visibile, ma come ministro invisibile nell'atto della loro amministrazione. Si devono vedere le due cose : sia l'azione presente di Cristo, sia la istituzione passata. Questa istituzione a sua volta include non solo la volontà istitutiva del Signore, ma anche l'intera opera salvifica. La cristologia e la soteriologia sono il presupposto per comprendere i sacramenti, poiché senza la morte, la risurrezione e la missione dello Spirito non c'è salvezza e non c'è azione salvifica della Chiesa. Se nei sacramenti si vedesse soltanto l'azione presente di Cristo, li si staccherebbe dalla loro base, dalla storia; li si relegherebbe in uno spazio gnostico, non storico. Ma se si trascurasse l'azione presente di Cristo, si svuoterebbero i sacramenti, riducendoli ad un puro segno com­ memorativo. La Chiesa diverrebbe un luogo per la semplice conservazione di una tradizione storica.

P. I.

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Poiché Cristo conserva e mantiene i segni, i simboli, che ha istituito, e nello Spirito Santo li riempie continuamente di nuova vita ed agisce cosi in ogni momento come ministro invisibile dei sacramenti, ma la sua azione deve manifestarsi visibilmente, ha bisogno di uno strumento umano visibile. Questo dev'essere capace di rappresentarlo e quindi di svolgere visibilmente la funzione che Cristo svolge invisibilmente. Ciò esige che il vicario visibile di Gesu Cristo sia simile a lui, in quanto nel suo volto spiri­ tuale è impressa quella forma che è caratteristica di Cristo, cioè la sua impronta divino-umana, e questa a sua volta non soltanto nella sua sta­ ticità, ma nel suo dinamismo. Cristo ha svolto la sua esistenza divino-umana durante tutta la vita, ma soprattutto sulla croce e nella risurrezione. La forma di Cristo implica quindi l'immagine del Cristo che muore e che risorge. Può rappresentare Cristo nell'amministrazione dei sacramenti sol­ tanto colui che riflette il Signore caratterizzato per sempre dall'evento del Golgota e del mattino di Pasqua. Questa realtà riflettente viene creata dal battesimo, dalla cresima e dall'ordine. Per la maggioranza dei sacramenti (soltanto il battesimo ed, in certo senso, il matrimonio fanno eccezione) si richiede quella forma di Cristo che è creata dall'ordine. Cristo è quindi il sacramento primordiale, dal quale rutti i singoli sa­ cramenti derivano. La derivazione avviene attraverso alla Chiesa, la quale quindi è il sacramento primordiale in modo secondario o vicario. Essa è in certo modo il sacramento primordiale che riflette Cristo come sacra­ mentum vicarium. I singoli sacramenti sono smembramenti di questo sacramentum vicarium. Cfr. O. Semmelroth, Die Kirche als Ursakra­ ment, 1953. L'attività strumentale del singolo ministro umano è sostenuta da tutta la Chiesa. Egli svolge la funzione di Cristo, ma è nello stesso tempo il rappresentante della comunità. Ciò appare nel modo piu evidente nel sacramento dell'eucaristia. La partecipazione di Cristo al compimento dei segni sacramentali rivela piu cose : primo, che la Chiesa con la sua mediazione sacramentale della grazia non diviene padrona della salvezza, ma ne rimane ministra, perché è lo strumento del suo capo : Cristo rimane il Signore della salvezza. In secondo luogo mostra che i sacramenti non costituiscono una « spersona­ lizzazione » della salvezza e quindi non rappresentano un pericolo per il legittimo personalismo. La nota personale consiste in ciò, che è Cristo ad agire per mezzo dei ministri umani. Quindi è lui che nel siqibolo sacra­ mentale si rivolge all'uomo. D'altra parte l'atteggiamento del « soggetto » non significa pura passività. Benché l'iniziativa sia in Cristo, tuttavia dal

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suo atto viene risvegliata nel modo piu energico l'attività del soggetto. Cfr. § § 207-209. I sacramenti creano quindi l'incontro dell'uomo con Cristo e si compiono in esso. Cristo a sua volta è la via al Padre. In tal modo nei sacramenti viene prodotto il contatto immediato con Dio, retta­ mente inteso. La Chiesa non si inserisce illegalmente nel rapporto tra Dio e l'uomo; Cristo stesso ha stabilito la mediazione della Chiesa. Tuttavia ciò che la Chiesa crea è l'unione dell'uomo con Dio ; ma non entra essa stessa nell'attuazione di questo rapporto. Cfr. O. Semmelroth, Gott und Mensch in Begegnung, 1956 ; trad. it., Alba 1959 ; Idem, Personalismus und Sakramentalismus. Zur Frage nach der Ursiichlichkeit der Sakra­ mente, in « Festschrift M. Schmaus », a cura di J. Auer e H. Volk, 1957, 199-2 1 8 ; H. Volk, Gnade und Person, ibid., 2 19-236. I segni sacramentali sono stabiliti da Cristo e quindi la Chiesa non ha il potere di mutarli a piacimento : essa è vincolata ad essi. La Chiesa è consapevole di questo suo legame ai segni fissati da Cristo e al Concilio di Trento ha enunciato il dogma che la sostanza dei segni sacramentali è immutabile. Ma d'altro lato i segni che essa pone sono espressione della sua propria vita. La Chiesa non è uno strumento morto o agente in modo meccanico, ma una comunità di uomini liberi, sia pure legati a Cristo, a cui serve come strumento. Infatti per l'amministrazione dei sacramenti essa ha creato, in virtu del potere sovrano che le compete, una determi­ nata disciplina. Inoltre il singolo ministro dei sacramenti, nel porre i segni sacramentali, in tanto è accaparrato come essere libero, in quanto entra nell'intenzione di Cristo e non vuole altro se non porre con efficacia sal­ vifica il segno stabilito dallo stesso Salvatore. Da queste considerazioni risulta quanto segue. Quantunque la Chiesa non possa mutare il nucleo del segno sacramentale, tuttavia le compete, in quanto i segni sacramentali sono manifestazioni della sua propria vita, un certo potere su di essi, cosi come ad ogni essere vivente, e specialmente a quello dotato di libertà, spetta il potere ed il diritto di manifestare la sua vita in modi determinati. Fin dove arrivi questo potere della Chiesa, non lo si può dire in partenza, in base ad un principio aprioristico, ma soltanto la storia offre schiarì­ menti in proposito. Lo sviluppo storico è essenziale per la Chiesa, che non è stata creata da Cristo in forma definitiva. Come Dio non ha creato il mondo in forma definitiva, ma in un germe primitivo, fornito di potenti forze di sviluppo, cosi Cristo ha prodotto la Chiesa in una forma primi­ tiva, che sotto la direzione determinante dello Spirito Santo, quale prin­ cipio vitale nascosto della Chiesa, si sviluppa nelle forme successive. In questo campo di sviluppo stanno anche i segni sacramentali. Anch'essi,

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conformemente al carattere iniziale della Chiesa, sono stati consegnati in genere alla Chiesa da Cristo in un simbolo fondamentale od in un simbolo nucleare iniziale, che si sviluppa ulteriormente secondo i movimenti ge­ nerali di sviluppo della Chiesa. Questo processo non avviene automatica­ mente, ma in corrispondenza della decisione della Chiesa richiesta dalle singole situazioni storiche. Cfr. K. Rahner, Kirche und Sakramente. Zur theologischen Grundlegung einer Kirchen- und Sakramentenfrommigkeit, in Geist und Leben, 28, 1955, 434-4 5 8 ; Idem, Dogmatische Vorbemer­ kungen fiir eine richtige Fragestellung iiber die Wiedererneuerung des Diakonats, in « Festschrift M. Schmaus », 1957, 1 35-144 ; Idem, Personale und sakramentale Frommigkeit, in Schriften zur Theologie, II, 1955, I I5I4 I ; J. Pascher, Form und Formwandel sakramentaler Feier, Miinster 1949·

II.

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LA MEDIAZIONE SALVIFICA NELLA PAROLA.

A) Rapporto tra parola e sacramento. All'amministrazione dei sacramenti è strettissimamente congiunta la co­ municazione della salvezza mediante la parola. La Chiesa è Chiesa della parola e del sacramento. Mentre la Chiesa orientale accentua il segno, il simbolo, nei confronti della parola, il protestantesimo si concepisce so­ prattutto, se non esclusivamente, come Chiesa della parola. In realtà la Chiesa di Cristo riunisce in sé le due cose : parola e segno. In essa non regna la unilateralità, ma la totalità e la pienezza ; non l'alternativa, ma la sin­ tesi di tutte le verità rivelate. Nella parola la gloria di Dio si rivela all'uomo che è disposto ad ascoltare Dio ed a diventare con ciò suo servo. Nel sa­ cramento si rivela la gloria di Dio all'uomo che è disposto a vedere Dio e ad essere cosi a lui unito nell'amore. Parola e sacramento non sono due eventi salvifici totalmente diversi tra loro, poiché la parola dell'an­ nunzio è parola salvifica efficace ed ha quindi somiglianza coi sacramenti, ed il sacramento è annunzio visibile della fede ed ha quindi carattere di parola. Parola e sacramento sono reciprocamente ordinati. L'Imitazione di Cristo dice (4, 1) : « Due cose infatti mi paiono oltre­ modo necessarie in questa vita, senza le quali questa misera vita mi sa­ rebbe insopportabile. Chiuso nel carcere di questo corpo, ho bisogno di cibo e di luce. Per questo a me, debole, tu hai dato il tuo santo corpo per il rafforzamento dell'anima e del corpo, ed hai anche posto la tua parola come lucerna ai miei piedi. Senza di essi non potrei vivere bene,

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poiché la parola di Dio è la luce dell'anima ed il tuo sacramento è il pane della vita. Li si può chiamare anche le due mense, che sono poste nel santuario della Chiesa, l'una da questa parte e l'altra dall'altra. L'una è la mensa del santo altare, che contiene il pane consacrato, cioè il corpo prezioso di Cristo, l'altra è la mensa della legge divina e su di essa sta la dottrina santa, che ci istruisce nella vera fede e ci conduce con sicurezza dietro il velo del santissimo » . L'unione tra parola e sacramento presenta vari aspetti. Anzitutto la parola è costruttiva del sacramento, in quanto questo si compone d'una cosa materiale e della parola spirituale. Inoltre l'annunzio della parola av­ viene in senso proprio entro la celebrazione eucaristica, nella quale costi­ tuisce una fase dell'azione celebrativa. Ma anche quell'annunzio della parola, che avviene senza rapporto con il compimento dei segni sacramentali, è un modo in cui la Chiesa compie le sue funzioni salvifiche. Per quanto concerne il primo modo del reciproco ordinamento, la pa­ rola di fede, che viene pronunziata sugli elementi, conferisce loro un si­ gnificato soprannaturale. Essa è nello stesso tempo onusta di dinamismo, poiché non è un semplice eloquio, ma parola salvifica, in cui agisce Dio, producendo la salvezza. L'elemento a sua volta conferisce alla parola sta­ bilità e forza di esistere. Anche l'elemento non viene qui considerato nel suo puro stato naturale, ma nel suo significato, e precisamente sopranna­ turale. Parola ed elemento si completano a vicenda. « La parola riempie il sacramento con la pienezza di una potente spiritualità, e l'elemento riempie la parola con la pienezza di una realtà spirituale » (G. Sohngen, Symbol und Wirklichkeit im Kultmysterium, r 8). Parola ed elemento stanno tra loro in un rapporto simile a quello di anima e corpo ; sono reciprocamente ordinati e si condizionano e so­ stengono a vicenda. L'anima è bensi la forma sostanziale del corpo, ma senza il corpo non avrebbe forza di esistere e capacità di agire entro la storia. Quando la parola viene pronunciata sulla materia si compie un'azione. L'azione sacra, in cui consiste il singolo segno sacramentale, ha il com­ pito di presentare la morte e la risurrezione di Cristo in un qualche modo, di volta in volta diverso. In tal modo l'azione acquista carattere dramma­ tico. Il simbolismo sacramentale ha il carattere di dramma. Il dramma simbolico sacramentale è forma espressiva della grazia, in quanto rappre­ senta con efficacia salutare la morte e risurrezione di Cristo. Poiché la parola non si può staccare da chi la pronuncia, la cosa da chi

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la usa, e tutta l'azione del dramma sacramentale da chi la compie, il mi­ nistro entra a far parte del simbolismo sacramentale. Poiché l'atto del ministro ha un senso soltanto se è accolto dal soggetto, anche questo rientra nel dramma simbolico. Entrambi sono, ciascuno a modo suo, rap­ presentanti della Chiesa, in modo diverso in ciascun sacramento. Il dram­ ma sacramentale è un'azione della Chiesa, che essa compie per mezzo dei sacerdoti, che secondo la volontà di Cristo ne vengono incaricati ed autorizzati. Cosi la Chiesa nell'azione del sacerdote, ed anche in quella del soggetto, e quindi nella attuazione dei sacramenti, appare davanti alla storia come comunità mediatrice della salvezza. Nella parola del segno sacramentale essa diviene udibile e nella cosa diviene visibile come popolo di Dio e corpo di Cristo. Ciò vale per ogni sacramento, ma raggiunge la massima intensità e concentrazione nella eucaristia. Cfr. J. Pascher, Eucha­ ristie. Gestalt und Vollzug, 2 ed., 1953; trad. it., Milano 1 960. Il secondo modo in cui parola e sacramento sono uniti tra loro è la predicazione, che a sua volta abbraccia due elementi che qui esporremo. Il primo è l'insegnamento, e quindi la presentazione delle verità rivelate, il secondo è la mediazione della salvezza che avviene mediante la presen­ tazione di tali verità. I due elementi, pur potendosi distinguere, costitui­ scono tuttavia una unità viva.

B) Presentazione della rivelazione da parte della Chiesa. Per quanto concerne il primo elemento, la rivelazione lasciata da Cristo e dagli apostoli viene comunicata mediante l'insegnamento della Chiesa, che l'ha ricevuta dalla bocca del Signore e dei suoi apostoli e la trasmette ad ogni generazione nella parola viva. In tale modo crea l'unione con Cristo. a) L a C h i e s a c o m e c u s t o d e , d i f e n d i t r i c e e d i n t e r ­ p r e t e d e 1 1 a v e r i t à r i v e l a t a . - Cristo non è raggiungibile diret­ tamente, ma soltanto attraverso la Chiesa, cui ha conferito il mandato di rendergli testimonianza, di annunziare il messaggio salvifico fino ai con­ fini della terra. Sull'esempio dell'apostolo Paolo, al centro della testimo­ nianza che la Chiesa rende a Cristo sta la morte e la risurrezione. Poiché la morte di Cristo diviene pienamente comprensibile soltanto alla luce della risurrezione, attorno al risorto si accentra l'annunzio della Chiesa. Egli è diventato visibile agli apostoli come realtà viva nelle apparizioni, e nel sepolcro vuoto essi ebbero la conferma del carattere reale delle apparizioni. Come la morte di Cristo rivela il suo pieno significato soltanto alla luce della risurrezione, cosi la vita intera del Signore, a partire dalla conce-

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zione e dalla nascita, attraverso all'attività pubblica in Galilea ed a Geru­ salemme, fino alla conclusione sul Golgota, diviene pienamente compren­ sibile soltanto per mezzo della risurrezione. Cosi dunque la testimonianza che la Chiesa rende a Cristo sta nella luce del mattino della risurrezione, quantunque la croce abbia una parte notevole nella predicazione. L'accesso a Cristo non viene quindi aperto da un libro, ma da una parola viva, dal­ l'incontro con il testimone di Cristo, che presenta il messaggio lasciato dal Signore. La Chiesa rende la sua testimonianza a Cristo nello Spirito Santo, il quale a sua volta ha fissato la sua testimonianza di Cristo nella sacra Scrittura e l'ha pure conservata nelle tradizioni orali non scritte. La sacra Scrittura rappresenta la fissazione per iscritto, operata dallo Spirito Santo, della testimonianza apostolica a Cristo. Essa è nello stesso tempo testi­ monianza dello Spirito Santo e degli apostoli. Gli agiografi scrissero sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. In tale modo la Chiesa nella sua testi­ monianza a Cristo è legata alla Scrittura ed alla tradizione; ha il compito di conservare fedelmente ciò che è attestato nella Scrittura e di preser­ varlo da falsificazioni, menomazioni ed aggiunte umane. Essa è responsa­ bile che nulla vada perso di ciò che è attestato nella Scrittura e di nulla aggiungere di umano quasi fosse parola di Dio. Non può annunziare come verità rivelata delle nuove verità, che non hanno alcun fondamento nella Seri ttura (sulla tradizione orale parleremo tra poco). La Chiesa preserva la rivelazione dalle indebite aggiunte gnostiche. Nel Concilio Vaticano I essa ha espresso questa sua responsabilità dicendo : « Per adempiere questo ufficio pastorale, i nostri predecessori si adopra­ rono incessantemente di diffondere in tutti i popoli della terra la dottrina salutifera di Cristo. Con la stessa cura vigilarono affinché là, dov'era ac­ colta, venisse conservata integra e pura. Perciò i vescovi di tutto l'orbe, ora isolatamente, ora in concili, hanno conservato la consuetudine delle Chiese, esistente fin dai tempi antichissimi, e la prescrizione antica : i particolari pericoli, che sorgevano in materia di fede, li riferirono alla sede apostolica, affinché i danni fossero riparati là, dove la fede non può subire alcun danno. Ma i romani pontefici, a -seconda delle esigenze dei tempi e delle situazioni, convocando concili ecumenici od indagando l'opinione della Chiesa dispersa in tutto l'orbe, mediante sinodi particolari o con altri mezzi offerti dalla provvidenza divina, hanno determinato come salda dot­ trina ciò che essi con l'aiuto di Dio riconoscevano conforme alle sacre Scritture ed alle tradizioni apostoliche. Infatti ai successori di Pietro non è promesso lo Spirito Santo affinché per sua ispirazione pubblicassero una

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nuova dottrina; ma con la sua assistenza essi devono conservare santa­ mente ed interpretare fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, cioè il patrimonio di fede depositato » (Denz. I 836). La Chiesa conserva la rivelazione e la interpreta, conservando, interpre­ tando e predicando la Scrittura e la Tradizione. Essa è consapevole che la sacra Scrittura è il suo libro, perché contiene i misteri divini a lei affi­ dati da Cristo affinché li annunzi in perpetuo. Essa quindi sa di essere responsabile che i misteri divini fissati nella sacra Scrittura siano presen­ tati integri e genuini ; ed ha pure la certezza che Dio le ha conferito una particolare capacità e potere per assolvere questo mandato decisivo. La portata di questo potere e dovere risulta dal fatto che, mediante l'annunzio del mistero di Dio conservato nella sacra Scrittura e nella tradizione orale ed affidato al popolo di Dio, si deve realizzare il significato piu intimo della storia umana, il progresso del regno di Dio e l'umana salvezza. Cosciente di questa grave responsabilità, la Chiesa vigila affinché la sacra Scrittura non venga travisata da persone non chiamate, oppure anche dai suoi propri figli che errano. Il Concilio di Trento ha cosi stabilito : « Nelle cose di fede e di costume, che appartengono alla edificazione della dot­ trina cristiana, nessuno, fidando nella propria prudenza, osi contorcere la sacra Scrittura secondo il proprio senso, contro il senso che ha stabilito e ritiene la santa madre Chiesa, cui spetta il giudizio circa il vero senso e l'interpretazione delle sacre Scritture; oppure interpretare la sacra Scrit­ tura contro l'unanime consenso dei Padri » (Sess. 4; Denz. 786). Il Con­ cilio Vaticano I ha ripreso e confermato questa decisione (Sess. 3, cap. 4 ; Denz. I 7 8 8 ; cfr. anche l'Endcl. Providentissimus Deus, Denz. I942 ss. ; il Motuproprio Sacrorum antistiium, Denz. 2I46; ed in particolare l'En­ ciclica di Pio XII sullo studio della Sacra Scrittura. Quando la Chiesa si considera come l'interprete e la custode, ma non come la creatrice ed inventrice di verità di fede, sa di essere in accordo con la stessa sacra Scrittura. Nella prima lettera ai Corinti (4, 6) Paolo dice : « Da noi stessi imparate a non eccedere " oltre ciò che sta scritto " e a non fare gli insolenti l'uno contro l'al tro in favore di un terzo ». Ai Galati ( I , 8 s.) scrive : « Chiunque vi annunciasse un Evangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, fossimo noi stessi o un angelo disceso dal cielo, sia anatema ! Come già vi abbiamo detto, cosi ripeto ora : se qualcuno vi annuncia un evangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia ana­ tema ! ». Queste parole insolitamente aspre dell'apostolo Paolo danno una idea viva del carattere addirittura deleterio, che avrebbero verità « rivelate » umane.

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b) C o m p i m e n t o d e l l a r i v e l a z i o n e i n C r i s t o . - La rivelazione destinata da Dio all'uomo è terminata con Cristo e con gli apostoli. Gli apostoli per parte loro rientrano ancora nell'epoca della rive­ lazione e ne sono organi. Ma dopo il periodo apostolico incomincia l'epoca in cui Dio non si manifesta piu con nuove rivelazioni, ma è piuttosto caratterizzata dalla presentazione di ciò che è stato portato da Cristo e dagli apostoli qna volta per sempre. II momento in cui è apparso Cristo è la pienezza dei tempi (Gal. 4, 4 ; Ef. I , 10), l'ultimo tempo (Atti 2, I 7 ; I Piet. I , 20), l a fine dei tempi ( I Cor. I O, 1 1). Cristo promette ai suoi apostoli che lo Spirito Santo li introdurrà in tutta la verità da lui mani­ festata ; e li illuminerà su ciò che Cristo medesimo ha loro comunicato, ma che sovente è rimasto per essi incomprensibile (Gv. I6, I 2- I 5 ). Questo essi dovranno annunziare in tutto il mondo in testimonianza a tutti i popoli. Poi verrà la fine (Mt. 24, 1 4). Tale è il mandato di Cristo agli apostoli. Egli aggiunge che sarà con essi fino alla fine del mondo, fino alla fine dei tempi, e quindi finché questo compito sia svolto (Mt. 28, 16-20). Infatti gli apostoli sanno di essere i custodi ed annunziatori responsabili della dottrina affidata ed inculcano ai loro successori di perseverare fedel­ mente nella Tradizione (Gal. 1 , 9 ; Rom. I6, 1 7 ; I Tim. 6, 20; 2 Tim. r, I4). Cristo è il fondamento posto da Dio stesso e nessuno ne può porre un altro. Ognuno può soltanto costruire su questo fondamento ( I Cor. 3, IO s.). L'umanità non può andare oltre Cristo, può soltanto crescere sempre piu in lui (Ef. 4, I I-I6). Come i discepoli non possono aggiungere nulla alle autocomunicazioni di Dio fatteci per mezzo di Cristo, cosi nep­ pure possono togliere loro alcunché. Il discepolo che nascondesse alla co­ munità parti della rivelazione divina, diverrebbe responsabile della sua salvezza (Atti 20, I 8-28) e verrebbe cancellato da Dio dal libro della vita (Apoc. 22, I9). Ogni mutazione del vangelo attira su colui che la compie l'anatema (Gal. I, 8). Ed infatti nel periodo patristico tutte le pretese di possedere nuove rivelazioni che andavano oltre Cristo furono nettamente respinte, special­ mente da Ireneo, Tertulliano e Vincenzo di Lerino. Ireneo di Lione contro le esaltazioni dello gnosticismo ha dichiarato che nella predicazione degli apostoli non c'è nulla da migliorare. A suo giudizio gli apostoli hanno comunicato apertamente, sicuramente e completamente ciò che Cristo ha loro commesso. Un « miglioramento » della loro dottrina sarebbe una falsicazione della rivelazione divina. La rivelazione vera e genuina scom­ parirebbe nei gorghi del mito, se non fosse preservata da simili creazioni umane. Qual cosa seria fosse per la Chiesa antica la ripulsa di assalti

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gnostici caratterizzati da un fanatismo incontrollabile, lo si avverte spe­ cialmente in una dichiarazione di Vincenzo di Lerino, il quale a propo­ sito di I Tiro. 6, 2 I dice (Commonitorium, 22) : « Conserva, dice l'apo­ stolo, il deposito : che cos'è deposito? Vuoi dire : ciò che ti è affidato, non ciò che tu hai inventato; ciò che hai ricevuto, non ciò che hai esco­ gitato; un frutto non della ragione, ma dell'insegnamento, non del parere personale, ma di tradizione pubblica; ciò che ti è stato �ortato, non ciò che è stato prodotto da te; di cui devi essere non l'autore, ma il custode, non il fondatore, ma il discepolo, non il capo, ma il seguace... Ciò che ti è stato affidato, questo rimanga presso di te, questo venga da te trasmesso. Hai ricevuto oro, restituisci oro; io non sono d'accordo che in luogo di una cosa ponga qualcosa di diverso, non sono d'accordo che in luogo di oro sostituisca o piombo o rame fraudolento; non voglio orpello, ma oro genuino ». La ragione intrinseca per cui non esistono rivelazioni nuove dopo Cristo, ma con lui è terminata la rivelazione divina, non sta nel fatto che Dio intende nascondere agli uomini altri schiarimenti che li interessano, che vuole ad esempio negare loro la risposta ai molti problemi che li tormen­ tano ; ma dovrebbe essere piuttosto nel carattere storico-attivo della rive­ lazione. Infatti la automanifestazione divina non avvenne soltanto nella manifestazione di verità celesti, ma nell'azione di Dio verso gli uomini creatrice della storia. Le verità manifestate da Dio sono non esclusiva­ mente, ma per lo piu interpretazioni dell'azione intrapresa da Dio nella storia verso gli uomini. Nell'azione storica di Dio l'uomo esperimenta chi è Dio, quali sono le sue intenzioni, quali disegni ha per l'uomo. Fin da principio, dalla vocazione di Abramo e dì Mosè, attraverso alla chiamata dei profeti, l'azione divina mirava ad un determinato evento nella storia. Tale evento era la morte e la risurrezione di Cristo e l'ascensione e mis­ sione dello Spirito ad esse connesse. Fino a quel momento le intenzioni di Dio verso l'uomo rimanevano in certo modo aperte. Negli ordinamenti salvifici che si succedevano, fino alla venuta di Cristo non era « ancora manifesto il modo in cui Dio avrebbe risposto definitivamente alla risposta, per lo piu negativa, data dagli uomini alla sua azione; se l'ultima delle sue parole creatrici della realtà sarebbe stata la parola dell'ira o dell'amore. Ma ora è già posta la realtà definitiva, che non può piu essere sorpassata e sostituita : la presenza indissolubile, irrevocabile di Dio nel mondo come salvezza, amore e perdono, come comunicazione al mondo della stessa intima realtà divina e della sua vita trinitaria : Cristo » (Karl Rahner, Schriften zur Theologie, Einsiedeln 19 54, 59-60). La ragione quindi per

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cui dopo Cristo non vi possono piu essere nuove rivelazioni sta nel carat­ tere della rivelazione stessa manifestatasi in Cristo. In lui Dio è divenuto presente nella storia umana ; quindi è avvenuto il fatto decisivo. In parti­ colare Cristo nella risurrezione ha acquistato egli stesso la forma defini­ tiva di esistenza, creando cosi il modello in base al quale tutto il mondo ed ogni singolo dev'essere trasformato. Ciò che può ancora avvenire è « solo piu » il fatto della trasformazione stessa, cioè la fine dell'attuale stato del mondo. Per mezzo di Cristo è stata prodotta quella forma di vita, che deve avere carattere definitivo per tutti gli uomini e per tutta la creazione : la vita della risurrezione. Al di là di essa non si può raggiun­ gere una forma di vita superiore. Si può quindi trattare soltanto di inten­ dere sempre meglio Cristo e la sua azione, e di penetrare sempre piu in lui e nella sua opera. Cfr. la dottrina della redenzione da parte di Cristo nel vol. II di questa Dogmatica. È quindi naturale che il popolo di Dio non si attenda nuove comuni­ cazioni celesti oltre la rivelazione avvenuta in Cristo, salvo la seconda venuta di Cristo medesimo. Il Concilio Vaticano I esprime questa consape­ volezza e la responsabilità che compete alla Chiesa nel modo seguente : « La dottrina di fede rivelata da Dio non venne proposta allo spirito umano come un ritrovato filosofico per essere perfezionata, ma fu piut­ tosto consegnata alla sposa di Cristo come bene divino, affinché lo con­ servi fedelmente e lo spieghi senza errori. Perciò si deve sempre anche ritenere quel senso delle sante verità di fede, che è stato presentato una volta dalla santa madre Chiesa. Non bisogna mai scostarsi da questo senso in nome e col pretesto di una conoscenza superiore. Cosi " cresca quindi e si sviluppi con forza la conoscenza, la scienza e la sapienza in ciascuno e nella collettività, nell'uomo singolo come nella Chiesa intera, secondo i gradi dell'età e delle epoche, ma nel modo che ad essi compete, cioè nella stessa dottrina di fede, nello stesso senso e nella stessa sentenza » (Vincenzo di Lerino) (Sess. 3, cap. 4; Denz. 18oo). Le rivelazioni private non danno alcun contributo all'aumento sostan­ ziale della rivelazione divina. Mentre la rivelazione generale e pubblica, conservata nella sacra Scrittura e nella tradizione orale, vale per la comu­ nità ecclesiastica, la rivelazione privata è indirizzata a singole persone, e quindi non appartiene al depositum fidei. Come custode della rivelazione la Chiesa ha il diritto ed il dovere di esaminare la rivelazione privata, e di fronte ad essa assume una posizione di grande prudenza e riservatezza. È straordinariamente difficile distinguere se una rivelazione privata nasce dalla profondità delle possibilità insite nel cuore umano, oppure discende "

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dal cielo. Anche quando la Chiesa, dopo esame accurato e circospetto, riconosce una rivelazione privata come genuina, questa non viene mai proposta come oggetto di un obbligo universale di fede. L'approvazione ecclesiastica dice semplicemente che la rivelazione privata non è in con­ traddizione con la rivelazione generale e pubblica e può servire alla edi­ ficazione spirituale. Se da rivelazioni private sono partiti movimenti reli­ giosi che hanno portato a dichiarazioni dottrinali della Chiesa, esse hanno costituito soltanto la spinta per la presentazione di ciò che era contenuto nello stesso deposito della fede. La ragione per cui Dio, tra la risurrezione di Cristo, e quindi la crea­ zione di quel modello in base al quale alla fine dovrà essere trasformata tutta la creazione, e la trasformazione effettiva, interpone un lungo pe­ riodo di tempo, non la si può rendere del tutto chiara. C'è qui un pro­ fondo mistero. Paolo cerca di chiarirlo nella lettera ai Romani, ricordando che Dio vuole portare alla conversione il popolo giudaico mediante dure prove nella storia, senza tuttavia privarlo della sua libera decisione, e che d'altra parte la vocazione dei pagani deve avere una genuina possibilità di sviluppo. Si può aggiungere che, secondo l'idea di Dio, il mondo da lui creato, e la storia umana che ne fa parte, possiede un cosi alto valore relativo, che devono essere date ad esso possibilità di sviluppo. Tutte le possibilità della creazione e dell'uomo devono estrinsecarsi e manifestarsi individualmente e socialmente. Tuttavia questa ragione per la continua­ zione della storia oltre la risurrezione di Cristo va unita e subordinata a quella presentata da Paolo nella lettera ai Romani. Anch'essa però ha un suo valore, perché il secondo e terzo articolo di fede non eliminano il primo. La fede nella redenzione e la fede nello Spirito Santo non rende illusoria la fede nella creazione e nella storia che le appartiene. La storia umana, non importa quale sia la ragione della sua continua­ zione dopo la risurrezione di Cristo, non è in alcun caso l'epoca di nuove rivelazioni divine, ma quella della trasmissione di ciò che Cristo e gli apostoli hanno comunicato. Al servizio dell'annunzio sta l'infallibilità della Chiesa, che si riferisce quindi alla determinazione, alla delimitazione ed allo sviluppo della rivelazione completa in Cristo. c) S c r i t t u r a e C h i e s a . - Il compito della Chiesa di preser­ vare la rivelazione immune da errori, non le impedisce, anzi la spinge a rilevare tutto il contenuto della rivelazione stessa. Non si tratta di ag­ giunta umana, ma di una interpretazione voluta dallo Spirito Santo, quando la Chiesa sviluppa in forma piu chiara ciò che nella Scrittura è detto soltanto oscuramente. Se essa si fermasse alla lettera, ciò costituì-

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rebbe il servizio alla lettera morta, condannato da S. Paolo, ma non un servizio nello spirito (2 Cor. 3, 6 s.). Questo esige la conoscenza della verità fissata nella Scrittura, che si può presentare in immagini ed in concetti. Senza la comprensione umana della rivelazione, questa non rag­ giunge il suo scopo, perché non è rivelazione in sé, ma rivelazione per gli uomini. Ma la comprensione implica una qualche specie di sviluppo. Come la Chiesa nella sua predicazione è legata alla Scrittura, ed in questo legame trasmette la testimonianza degli apostoli nello Spirito Santo, cosi a sua volta la sacra Scrittura è legata alla Chiesa ed alla sua parola viva. La Scrittura non si presenta da sé come parola di Dio, e neppure interpreta se stessa. Certo lo Spirito Santo oggettiva la sua testimonianza a Cristo nella Scrittura, per modo che essa vi è contenuta; ma egli non parla agli uomini hic et nunc mediante le lettere della Scrittura, e nep­ pure si interpreta al singolo in un incontro immediato, bensi ha affidato la sua testimonianza di Cristo oggettivata nella Scrittura alla Chiesa affin­ ché la presenti agli uomini. Quando la Chiesa con le sue parole dà voce alla testimonianza dello Spirito Santo a lei affidata, in modo che possa essere udita, è lo stesso Spirito Santo che parla a colui che ascolta. Si adempie cosi la parola dell'apostolo Paolo, secondo cui la fede viene dal­ l'udito e perciò richiede degli inviati (Rom. 10, I 7). Questo compito della Chiesa nei confronti della Scrittura abbraccia tre compiti parziali : atte­ stare le Scritture come scritti sacri, stabilire l'ampiezza del canone ed interpretare gli scritti che vi sono contenuti. Il canone, cioè la lista dei libri ispirati dallo Spirito Santo, richiede una testimonianza che sia al di fuori di se stesso. Non si può affermare che il carattere dei libri sacri, quale parola di Dio, si imponga da solo ad un lettore attento, che si apre liberamente a Dio, e non abbia quindi bisogno di una garanzia esterna. Ad una simile opinione si oppone non soltanto l'esperienza, ma piu ancora, ed in modo decisivo, il fatto che Dio stesso ha disposto che la sua parola sia annunziata all'uomo dalla voce viva delle autorità da lui costituite (Mt. 28, 19 s.; Rom. I o, 14-17). Naturalmente la Chiesa non fissa il canone dei libri sacri in modo arbitrario, ma ha accolto nel catalogo dei libri sacri ed ispirati soltanto quegli scritti che effettivamente sono ispirati, la cui ispirazione è quindi nota alla Chiesa, e precisamente in base alla Tradizione. La Chiesa non crea libri sacri, ma li fa riconoscere ; non è un principio antologico, ma gnoseologico per i libri sacri. Essa infatti conserva il depositum fidei, ma non lo produce ( I Tim. 6, 20 ; 2 Tim. I, I 2-I4). Essa è pure, per volontà di Cristo, l'in­ terprete della Scrittura.

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LA CHIESA

In definitiva la ragione per cui la fede viene dall'udito e quindi può nascere soltanto nell'incontro, e per cui non il singolo nella illuminazione individuale da parte dello Spirito Santo, ma la comunità ecclesiastica, rappresentata dalle autorità costituite da Dio, deve assumere la garanzia e l'interpretazione delle sacre Scritture, si può spiegare dal carattere della Chiesa quale comunità salvifica costituita da Dio. Essa non è la somma dei singoli fedeli che provvedono alla propria salvezza, ma la comunità dei cristiani, ai quali la salvezza viene comunicata mediante l'esercizio dei poteri salvifici istituiti da Cristo. La salvezza ha una struttura sociale, perché ha la sua sorgente in Cristo quale capo del suo corpo, la Chiesa. Ha nello stesso tempo una struttura storica, perché viene comunicata me­ diante un'azione. pubblica della Chiesa che si compie in un determinato momento. Benché sia il singolo ad esperimentare la salvezza, tuttavia ne diventa partecipe soltanto entro la comunità e mediante azioni sociali e storiche, non in avvenimenti metastorici ed individualistici. Cosi stando le cose, si comprende come la Chiesa venga chiamata la regola prossima di fede, mentre Scrittura e Tradizione ne sono la regola remota. Con ciò non è detto che essa si ins·erisca illegalmente tra Dio ·e l'uomo, ed impedisca il contatto immediato con Dio. Nella sua funzione di interprete essa è la via a Cristo e propone all'uomo la rivelazione, il deposito della fede consegnato ad essa dagli apostoli, per modo che colui che viene cosi raggiunto dalla sua parola può afferrare Cristo nella fede. Ma essa non entra affatto nella fede stessa, non ha valore cosrirutivo, ma soltanto regolativo per la fede ; non è la causa della fede, ma l'occa­ sione. Essa non è neppure ispirata, come gli apostoli e gli autori dei libri sacri, ma viene incitata dallo Spirito Santo ad annunziare la parola ispirata di Dio e nel farlo è preservata dalle false interpretazioni. Il suo annunzio porta gli uomini alla parola ispirata di Dio. In tal modo proprio la sua azione crea il contatto imrnediato con Dio. Mediante la sua parola l'uomo viene reso certo sul come e sul dove può trovare Cristo e la testimonianza che a lui ha reso lo Spirito Santo e gli apostoli hanno annunziato. Ciò diviene ancora piu comprensibile se riflettiamo che la Chiesa nell'inter­ pretazione della Scrittura è lo strumento dello Spirito Santo, ed è questi che per mezzo della Chiesa interpreta la Scrittura. Poiché egli è l'autore principale della sacra Scrittura, interpretandola per mezzo degli organi del magistero ecclesiastico, egli interpreta la sua stessa parola. Lo Spirito Santo compie qui la funzione promessa da Cristo nei discorsi di com­ miato del Vangelo di Giovanni ( 16, 12-15) : « Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in condizioni di portarle. Quando però verrà

§ 1]6 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE

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lui, lo Spirito di verità, vi introdurrà a tutta intera la verità; egli infatti non parlerà per conto suo, ma dirà quanto ascolta, e vi annunzierà le cose da venire. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio per comunicar­ velo. Tutto ciò che ha il Padre è mio; ecco perché vi ho detto che pren­ derà del mio per comunicarvelo ». Di qui si vede che l'interpretazione della Scrittura da parte della Chiesa non costituisce né un arbitrio né un dominio sulla parola di Dio. Cristo rimane il padrone della sua propria parola, e rimane tale nello Spirito Santo. Qui la Chiesa presta quel ser­ vizio, per il quale è mandata da Cristo, e trascurando il quale verrebbe meno alla sua missione. Lo Spirito Santo si serve di essa per far parlare le lettere morte. Con ciò l'attività dello Spirito Santo acquista forma con­ creta, storica, lontana da ogni fanatismo spirituale. Chi vede nella Chiesa una istituzione legittima di Cristo con organi visibili, non può legittima­ mente scandalizzarsi del rapporto cosi descritto della Scrittura con la Chiesa. Ma chi rigetta la Chiesa come istituzione visibile, è conseguente quando le nega il diritto di interpretare la Scrittura. Tuttavia è in con­ traddizione con questa stessa Scrittura, in quanto essa attesta la Chiesa come istituzione visibile. L'intimo rapporto tra Chiesa, Scrittura e Tradizione viene riconosciuto anche da parecchi teologi protestanti. Cosi W. Stahlin (Allein. Recht und Gefahr einer polemischen Formel, 1950, r 8 s.) dice : « La Bibbia in quanto sacra Scrittura è il libro della cristianità e come documento della rivelazione di Dio viene letta e interpretata nell'ambito della Chiesa. Sol­ tanto nella connessione di una storia viva, nella trasmissione (traditio) di generazione in generazione, la Bibbia, in quanto norma della Chiesa, diventa efficace... Non c'è possibilità di saltare fuori della tradizione viva della Chiesa in un rapporto immediato con la sacra Scrittura. L'umane­ simo, trattando i testi sacri sotto l'aspetto storico-filologico, fece il tenta­ tivo di stabilire un rapporto proprio ed indipendente anche con il loro contenuto, e credette per tal via di risalire alle fonti . L'idea che si possa stabilire un rapporto immediato con la sacra Scrittura fuori della tradi­ zione ecclesiastica e quindi giungere alle fonti mediante un'esegesi storica, è una illusione umanistica » . Bisogna pure considerare che non si può fare a meno d i interpretazione della Scrittura. Chi non ne attribuisce il potere alla Chiesa, lo attribuisce o al suo proprio spirito suscettibile di errore, oppure alla esegesi scientifica. Nasce quindi o la Chiesa di un individualismo estremista, o quella dei professori e quindi ancora dell'individualismo. Quali errori ci siano allora da aspettarsi, lo ha già visto Vincenzo di Lerino (Commonitorium, cap. 2), .

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il quale dice : « Perché alla norma della Scrittura, che pure è perfetta e basta benissimo da sola per tutto, deve collegarsi l'autorità del giudizio ecclesiastico? Perché la Scrittura a motivo della sua profondità non viene intesa da tutti in un solo ed identico senso, i suoi detti sono spiegati diversamente dai singoli e perciò si ha l'impressione che possano dedursi da essa quasi tante opinioni, quanti sono gli uomini. Diversamente infatti la spiega Novaziano, diversamente Sabellio, diversamente Donato, diver­ samente Ario, Eunomio e Macedonia, diversamente Fatino, Apollinare e Priscilliano, diversamente Gioviniano, Pelagio e Celestio, diversamente in­ fine Nestorio. E perciò, a motivo dei tanti raggiri di un vario errore, è molto necessario che nella spiegazione degli scritti profetici ed apostolici la corda sia regolata secondo la misura del senso ecclesiastico e cattolico » . I l pericolo di cosi opposti e d evidenti errori nella interpretazione della Scrittura, dopo il periodo patristico non è diminuito, ma aumentato; ed oggi è entrato in una fase acuta. Si delinea sempre piu chiaramente il pericolo che, se non si fa una interpretazione secondo una norma sicura, stabilita da Dio, la parola di Dio venga sopraffatta da desideri umani, da sentimenti di vita, da opinioni legate ai tempi. Allora l'uomo è tentato di fare norma della interpretazione della Scrittura il suo sentimento della vita, e di determinare in base ad esso quali libri o capitoli debbano essere espunti o conservati, quale senso sia da attribuire ai testi. Qui il singolo si erige a padrone della Scrittura, con la pretesa che la sua esegesi, regolata non sulla lettera della Scrittura, ma sul sentimento personale della vita, abbia validità universale. Si comprende quindi come oggi nelle comunità protestanti si invochi a voce sempre più alta un magistero vin­ colante. Lo impone la materia, cioè la rivelazione stessa. Contro desideri, inclinazioni, teorie umane la Sacra Scrittura per il suo proprio dinamismo richiede una norma per l'interpretazione autentica, quando tale norma non viene accettata come istituzione di Cristo. Ma il motivo ultimo per cui la sacra Scrittura non dev'essere interpre­ tata dal singolo fedele, ad es. dal dotto filologo in base alla sua scienza od alla sua illuminazione personale da parte dello Spirito, ma soltanto dal magistero ecclesiastico, non sta nei bisogni pragmatistici, ad es. della di­ sciplina dottrinale della Chiesa, ma nella disposizione di Cristo, il quale ha dato alla Chiesa il diritto ed il dovere di annunziare autenticamente la sua parola. Ciò naturalmente implica pure il potere di interpretare la pa­ rola salvifica trasmessale da Cristo attraverso agli apostoli (cfr. Mt. 1 8, 1 7 ; 28, 19 s. ; Mc. 1 6, 1 5 ; Le. 24, 1 7). Damiano van den Eynde, Tradizione

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e Magistero, in Problemi ed orientamenti di teologia dommatica, ed. dalla Pontificia Facoltà Teologica di Milano, Milano 1 9 5 7, I, 2 3 1 -252. d) L a t r a d i z i o n e o r a l e . - Per sua stessa testimonianza la sacra Scrittura non pretende di essere l'unica fonte attraverso alla quale giunge a noi la rivelazione. Ne esiste un'altra : la tradizione orale. Per il suo annunzio della parola la Chiesa infatti è cosciente del proprio legame sia alla Scrittura che alla tradizione orale. In questo duplice legame essa possiede la pienezza della rivelazione. E viceversa, come essa è l'interprete, stabilita da Dio, della sacra Scrittura cosi lo è pure della tradizione orale. Su questo argomento dobbiamo dire ancora una parola. Il concetto di tradizione sarà qui discusso non nel senso generale­ antropologico, ma soltanto in quello teologico (per il primo cfr. J. Pieper, Uber den Begriff der Tradition, in Tijdschrift voor Philosophie, 19, 1957, 2 1 -5 2). l . Ci troviamo subito di fronte ad una difficoltà non piccola. Infatti, se l'esistenza della tradizione orale è un fatto assodato, circa la sua natura e la sua conoscibilità regna fino ad oggi molta diversità di opinioni. La Chiesa, popolo di Dio, cui Cristo ha affidato la trasmissione della sua opera, in parecchie circostanze si è pronunziata sulla questione della tra­ dizione orale. Il secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli (553) esprime la coscienza viva di possedere nella tradizione la verità prove­ niente dal tempo degli apostoli, nel modo seguente : « Noi riteniamo ed annunziamo la fede che è stata donata fin da principio dal nostro grande Dio e salvatore Gesu Cristo agli apostoli e da questi è stata annunziata a tutto il mondo. I santi Padri l'hanno professata, spiegata e trasmessa alle sante Chiese » (Denz. 2 1 2). Nel secondo Concilio ecumenico di Nicea (787) si afferma : « Chi non accetta tutta la tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema » (Denz. 308). Nel Concilio di Trento ( I 546) la Chiesa ha cercato di stabilire piu esattamente il concetto di tradizione. Il concilio parla soltanto delle tradizioni di fede in senso stretto, di quelle tradizioni cioè che testimoniano una verità di fede come patrimonio ec­ clesiastico fin dai tempi apostolici. Altre tradizioni, come ad es. il digiuno, la disciplina penitenziale, il rito, furono escluse dalla dichiarazione del concilio. Il quale dice : « Il santo Sinodo universale di Trento... si è sempre proposto di estirpare gli errori e di conservare la purezza del van­ gelo nella Chiesa. Questo vangelo fu promesso un tempo dai profeti negli scritti sacri, fu annnunziato di propria bocca dal Signore Nostro Gesu Cristo, Figlio di Dio, il quale poi lo fece predicare dai suoi apostoli a tutte le creature come fonte di ogni verità salvifica e di ogni disciplina morale. -

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Il santo sinodo sa che questa verità e questa disciplina sono contenute nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte, che gli apostoli hanno rice­ vuto dalla bocca di Cristo o che dagli Apostoli stessi per ispirazione dello Spirito Santo furono per cosi dire trasmesse di mano in mano e sono giunte in tale modo fino a noi. Seguendo cosi l'esempio dei Padri orto­ dossi, esso riconosce e venera con uguale sentimento di pietà e di rispetto tutti i libri dell'Antico e Nuovo Testamento - poiché di entrambi è autore lo stesso Dio - unitamente alle tradizioni che riguardano la fede ed i costumi in quanto esse provengono dalla bocca di Cristo oppure sono ispirate dallo Spirito Santo e sono state conservate con tradizione continua nella Chiesa cattolica » (Denz. 783). Nella tradizione si possono distinguere piu aspetti : uno, per cosi dire, interno e l'altro esterno alla Bibbia, uno materiale-contenutistico e l'altro formale-funzionale, uno costitutivo e l'altro dichiarativo. Quanto alla prima distinzione, la rivelazione in tutta la sua pienezza si può designare come Tradizione sacra. Qui il termine tradizione viene in­ teso in senso largo ed abbraccia la rivelazione che Dio nel vecchio patto ha accordato agli uomini ed ha fatto fissare negli scritti dell'Antico Testa­ mento che Cristo e gli apostoli hanno continuato e completato e che poi fu messa per iscritto sotto ispirazione dello Spirito Santo. La tradizione cosi intesa abbraccia quindi anche la Sacra Scrittura, e non è quella che si vuole designare quando si dice che la tradizione orale è una fonte di rivelazione accanto alla Sacra Scrittura. Questa è tradizione in senso stretto. Per tradizione in senso stretto si intendono le rivelazioni divine non contenute nella Sacra Scrittura, ma annunziate da Cristo e dagli apostoli e affidate alla Chiesa e in essa trasmesse di bocca in bocca. Il concetto largo di tradizione implica quello stretto. Quantunque nel periodo patri­ stico sia prevalso quello largo, tuttavia quello stretto non è mancato. Contro la dottrina protestante, secondo cui la Sacra Scrittura sarebbe l'unica fonte di fede, esso fu messo in rilievo con particolare chiarezza dal Concilio di Trento e fu sviluppato nella teologia posttridentina. La tradizione in senso stretto è tradizione apostolica, perché il suo contenuto proviene dagli apo­ stoli. È nello stesso tempo tradizione ecclesiastica, perché è attuata dalla Chiesa. Sotto l'aspetto materiale-contenutistico è tradizione apostolica, sotto quello formale-funzionale è tradizione ecclesiastica. Nella tradizione orale l'elemento oggettivo, il contenuto, si congiunge con quello soggettivo, con l'attività del tramandare in modo da formare un tutto unitario. Come nelle comunità naturali, ad es. della nazione, della famiglia, regna un solo spirito che sostiene il tutto e di cui sono portatori

§ 1 76 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIl'ICHE DELLII. CHIESA

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responsabili i membri delle singole generazioni viventi, cosi nella comu­ nità soprannaturale del popolo di Dio regna un solo spirito comunitario. Esso non proviene da motivi naturali, come le forze del sangue, oppure da considerazioni od esperienze umane naturali, ma è acceso dallo Spirito Santo. Creando un magistero infallibile, Cristo ha provveduto a che l'azione dello Spirito Santo non sia ostacolata dallo spirito umano, che si leva di continuo anche nella Chiesa. Questo significato ampio il concetto di tradizione l'ebbe soprattutto nel­ l'antichità cristiana. Per sacra Tradizione si intendeva lo spirito vivo di rivelazione e di fede, che si accese in Cristo e da lui penetrò negli apostoli e nei discepoli degli apostoli ed attraverso ad essi nelle comunità, e fu trasmesso attraverso i secoli. La tradizione era considerata come l'unità viva di predicazione, di verità rivelata e di fede vissuta. Questo spirito della rivelazione è prodotto e viene tenuto sempre desto dallo Spirito Santo, inviato da Cristo alla Chiesa e sempre in essa presente. Egli si manifesta e si testimonia in tutta la Chiesa, ma in luogo primo e deci­ sivo nei titolari del magistero ecclesiastico. Mohler cosi descrive la tra­ dizione (Simbolik, § 38) : « Che cos'è dunque tradizione? Il vero senso cristiano, che esiste nella Chiesa e si trasmette mediante l'educazione ec­ clesiastica, il quale tuttavia non si può immaginare senza il suo contenuto, che anzi si è formato sul suo contenuto ed attraverso al suo contenuto, per modo che dev'essere chiamato senso pieno. La tradizione è la parola che vive continuamente nei cuori dei fedeli. A questo senso, in quanto senso totale, è affidata l'interpretazione d�lla sacra Scrittura. La spiega­ zione che essa enuncia nei casi controversi è il giudizio della Chiesa e perciò la Chiesa è giudice nelle questioni della fede (iudex controversia­ rum). La tradizione in senso oggettivo è la fede generale della Chiesa attra­ verso ai secoli, che si presenta in testimonianze storiche esterne. In questo senso la tradizione è detta abitualmente la norma della interpretazione della Scrittura, la regola della fede ». Di conseguenza attività docente e contenuto dottrinale formano nella tradizione una unità viva, un tutto inscindibile. L'attività docente si svolge nella trasmissione del tesoro dot­ trinale e questo acquista potenza e vita quando è garantito, annunziato e fatto valere dall'attività docente. 2. L'esistenza della tradizione ecclesiastica orale si può dimostrare dalla Scrittura e dalla dottrina patristica. È difficile però il farlo dalla Scrittura, adducendo che Cristo non ha scritto nulla ed anche agli apostoli non ha conferito il mandato di scrivere, ma di predicare. Effettivamente non possediamo di Cristo alcun documento -

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scritto. Come avrebbe dovuto parlarci e spiegarci anche per mezzo di scritti e di libri colui che è Dio e uomo, se egli stesso è il Verbo rivelato pronunziato nel mondo, venuto a noi dal silenzio di Dio? Egli stesso e la sua opera sono il Verbo visibile di Dio (Agostino). Questo Verbo rivela il Padre, apparendo tra gli uomini, e nelle parole dette esplicitamente da Cristo esso viene tradotto nella nostra lingua umana, per modo che può essere non soltanto visto, ma anche udito. Di fatto Cristo non ha conferito agli apostoli il mandato di scrivere il vangelo, ma di annunziarlo a tutto il mondo. Nella fede o incredulità verso l'annunzio apostolico si decide salvezza e rovina (Mt. IO, 7 ; 28, I 9 i Mc. I6, I 5 ). Essi devono rendergli testimonianza in tutto il mondo (Atti I , 8. 22; Io, 39 ; 20, 24). Il « ministero della parola » viene infatti consi­ derato e svolto dagli apostoli come un obbligo indeclinabile (Gv. 1 7, 20 ; Atti 6, 4 ; 20, 24). Paolo sa di essere inviato ad annunziare il vangelo e non con sapienza altisonante, affinché la croce di Cristo non sia privata del suo effetto ( I Cor. I, 17). In 1 Cor. 15 , I ss. egli ricorda ai Corinti i punti di dottrina loro trasmessi, che essi devono ritenere nella fede, se vogliono raggiungere la salvezza. La fede proviene dall' ascolto. La pre­ dicazione che porta alla fede salutare si compie per mandato di Cristo (Rom. 10, 1 7). Perciò Paolo considera pure cosa degna di lode che i Co­ rinti si attengano alle prescrizioni loro trasmesse (1 Cor. 1 1 ; 2, 23), mentre i Tessalonicesi sono invitati a camminare secondo la dottrina trasmessa ed a separarsi da un fratello che non lo fa (I Tess. 4, I ; 2 Tess. 3, 6). Dal suo vangelo i Tessalonicesi furono chiamati a conseguire La gloria del nostro Signore Gesti Cristo. Devono dunque stare saldi ed attenersi alle tradizioni che hanno da lui ricevuto a voce o per iscritto. Allora il nostro Signore Gesti Cristo e Dio nostro Padre, che ci ba amati e ci ba confe­ rito nella sua grazia consolazione perpetua e buona speranza, ecciterà i loro cuori e li rafforzerà per ogni parola ed opera buona (2 Tess. 2, 1 4- 1 7). Altre testimonianze della Scrittura circa l'attività di trasmissione degli apo­ stoli si trovano ad es. nei seguenti passi : Rom. I, 9 ; 6, I 7 i I o, 14 s. ; I Cor. 3, 4 - 4, I 8 ; 2 Cor. 1 1 , 4 ; Fil. 4, 9 ; Col. 2, 6 ; Ebr. 2, 3 ; Ef. 3, 4-7 ; 2 Piet. I , I 6. 2 I ; Giac. I, I 9 ; I Gv. I , 1 . Ma tutti questi passi non attestano in modo incontestabile e diretto che esiste anche una tradizione orale postapostolica o che essa ha semplice­ mente la precedenza suHa Scrittura. Che anzi, contro la supposizione che i fatti citati costituiscano, già da soli, « prove » sufficienti dell'esistenza di una tradizione orale anche nel periodo postapostolico, si possono addurre due ragioni :

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Benché Cristo non abbia comandato di scrivere, tuttavia lo Spirito Santo da lui inviato, « lo Spirito di Cristo », ha incitato gli apostoli a comporre degli scritti. Rientrava quindi nell'intenzione di Cristo che sorgessero delle Sacre Scritture. Inoltre la situazione in cui gli apostoli furono inviati nel mondo era unica ed irripetibile. Essi erano infatti testimoni oculari di ciò che annun­ ziavano ( I Gv. I, I-4 ; Le. I, I ; Gv. I, 14; Atti I, 3 ; Gal. I, I 5 s. ; I Cor. I 5, 3-8 ; 2 Piet. I, I 6). Per gli annunziatoti postapostolici della parola di Dio ciò non è piu vero. La testimonianza postapostolica presuppone come fondamento quella degli apostoli (Ef. 2, 20) ; soltanto legandosi alla parola dei testimoni oculari è anch'essa una testimonianza per Cristo. Ma questa testimonianza degli apostoli fu, per cosi dire, conservata dallo Spirito Santo nella Scrittura. Legame alla testimonianza degli apostoli significa quindi legame alla Scrittura. Ireneo (Adversus haereses, lib. 3, prefazione e cap. I ) dice : « n Signore ha dato l'incarico di annunziare il vangelo agli apostoli. Da essi noi abbiamo imparato la verità, cioè la dottrina del Figlio di Dio. Ad essi ha detto pure il Signore : Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me e colui che mi ha mandato. Da nessun altro, se non da coloro per mezzo dei quali il vangelo è giunto a noi, abbiamo appreso il disegno salvifìco di Dio. Ciò che essi da prima hanno predicato e poi, secondo la volontà di Dio, ci hanno trasmesso per iscritto, doveva diventare il fondamento e la colonna della nostra fede » . Perché sia stata volontà di Dio che gli apostoli scrivessero pure ciò che predica­ vano, non ci è detto. Possiamo tuttavia supporre che sia avvenuto affinché alle generazioni successive la testimonianza dei testimoni oculari fosse conservata nel suo tenore, nel suo accento e nel suo timbro, nella sua vi­ vezza e forza. Si comprende quindi come gli autori degli scritti del Nuovo Testamento annettano tanta importanza alla loro qualità di testimoni ocu­ lari (i Vangeli di Marco e di Luca non costituiscono una eccezione, poiché entrambi gli autori furono a loro volta informati ancne da testimoni oculari e ne hanno fissato le comunicazioni). Da queste considerazioni si può concludere quanto segue. Dal fatto che Cristo non abbia scritto e non abbia dato incarico di scrivere e che la stesura del Nuovo Testamento sia venuta dopo la predicazione orale, non si può ancora dimostrare con certezza incontestabile la legittimità della tradizione orale. Non si deve confondere la predicazione apostolica con la tradizione orale in senso stretto. Quest'ultima la troviamo soltanto nel periodo postapostolico sulla base della predicazione apostolica. Tuttavia, anche se la tradizione orale non si può giustificare sufficien-

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temente con i rimandi citati, depongono in suo favore quei passi della Scrittura in cui gli stessi apostoli invitano a trasmettere oralmente la pa­ rola di Dio da essi annunziata. Cosi Paolo, preoccupato delle eresie che minacciano le comunità cristiane, scrive a Timoteo, suo discepolo e coa­ diutore : « Conserva la norma delle sane dottrine, che da me hai ricevute, con la fede e la carità, che si hanno in Cristo Gesti Custodisci il buon deposito mediante lo Spirito Santo, che abita in noi » (2 Tim. r, 1 3 s.). Il compito di rendere testimonianza alla parola di Dio è assoluto e non c'è ragione alcuna per esimersi da esso : « Ti scongiuro davanti a Dio ed al Cristo Gesu, che verrà a giudicare i vivi ed i morti, e per la sua mani­ festazione ed il suo regno : àpplicati alla predicazione ed insisti a tempo e fuori tempo, riprendi, correggi, esorta con ogni longanimità e dottrina » (2 Tim. 4, r s.). La serie viva degli inviati, che s'inizia con i discepoli degli apostoli, appare chiaramente nella ammonizione : « Adunque, o figlio mio, prendi forza nella grazia, che è in Cristo Gesu, e gli insegnamenti da me avuti, innanzi a molti testimom, trasmettili a uomini fidati, capaci di ammaestrare anche gli a1tri » (2 Tim. 2, 1 s.). La Scrittura infatti non lascia mai trapelare di volere contenere e presentare in modo esclusivo e completo la rivelazione divina. Se cosi la si interpretasse, non si potrebbe spiegare perché Cristo non ba dato incarico di mettere per iscritto la sua dottrina. 3. La tradizione o trasmissione successiva alla morte degli apostoli ha come oggetto la dottrina di Cristo e degli apostoli, ed è opera dei cristiani dell'età postapostolica. Pertanto la si può chiamare tradizione ecclesiastica. Ma poiché il suo contenuto è la dottrina degli apostoli, essa è nello stesso tempo tradizione apostolica. Essa si distingue sostanzialmente da quella tradizione con cui gli apostoli stessi hanno reso testimonianza a Cristo ed hanno svolto il loro ministero della parola, perché la predicazione degli apostoli fa ancora parte integrante della rivelazione. Tuttavia con la mo�te dell'ultimo apostolo cessa di fatto questa specie di tradizione, perché cessa con essa la rivelazione. S'inizia l'epoca della conservazione e dell'annuncio della rivelazione. Il compito della Chiesa non consiste, come quello degli apostoli, nell'essere organo della rivelazione stessa, ossia nel rivelare, ma nel presentare, annunziare, custodire e far valere in ogni tempo la rivela­ zione !asciatale dagli apostoli. Essa trasmette il depositum fidei ricevuto dagli apostoli. In tal modo la fede non poggia su lettere morte, ma sul­ l'annuncio vivo. L'autorità degli apostoli non si è trasformata in lettera­ tura, ma è passata a mandatari vivi. Perciò la tradizione orale poggia sul fondamento degli apostoli. Essa non contiene nuove rivelazioni al di fuori -

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della predicazione apostolica. Ammettere una tale cosa porterebbe allo gnosticismo ed al fanatismo. La rivelazione che parte da Cristo e dagli apostoli giunge a noi per due vie : la Scrittura e la tradizione orale. La differenza fondamentale tra gnosticismo e fanatismo da una parte e tradizione orale dall'altra è stata dimostrata, nei tempi antichi, dal princi­ pale campione contro lo gnosticismo, Ireneo, quando nella sua difesa contro gli assalti gnostici si richiamava appunto alla tradizione orale. Dice infatti (Adversus haereses, 3, 4) : « Di fronte a simili prove non è il caso di indugiare a cercare presso altri la verità, che possiamo trovare facil­ mente dalla Chiesa. In essa gli apostoli hanno riposto nel modo piu com­ pleto, come in un ricco deposito, tutto ciò che appartiene alla verità, per modo che, chiunque voglia, può attingere qui l'acqua della vita. Di qui soltanto si entra nella vita : tutti gli altri sono predoni e ladri e perciò bisogna evitarli. Bisogna invece amare nel modo piu profondo tutto ciò che appartiene alla Chiesa e custodire la tradizione della verità. Qualora tuttavia sorgesse un dissidio su una questione di poca importanza, bisogna risalire alle chiese piu antiche, in cui hanno operato gli apostoli, per sa­ pere da loro quello che è certo e quello che è da abbandonare. Se infatti gli apostoli non avessero lasciato nulla di scritto, si dovrebbe seguire l'or­ dine della tradizione che essi hanno trasmesso ai capi della Chiesa. Que­ st'ordine seguono molti popoli barbari che credono in Cristo. Senza carta ed inchiostro essi portano la salvezza scritta nei cuori d allo Spirito Santo e conservano con cura la tradizione antica ». Allo stesso modo si pensava in genere nella Chiesa antica. Cosi S. Ata­ nasio si richiama al fatto che, interrogando la tradizione antica e la dot­ trina e la fede della Chiesa universale, si può acquistare piena certezza. « Questa fede - egli dice è stata annunziata dagli Apostoli e custodita dai Padri. Su di essa è fondata la Chiesa. Chi se ne stacca non si può chiamare cristiano » (Ep. I ad Serapionem, n. 28). Secondo Agostino (De baptismo, 5, 23) ci sono molte cose che la Chiesa universale ritiene, e che perciò giustamente si devono considerare come ordinate dagli Apostoli, quantunque non possano essere provate con lo scritto. Particolare impor­ tanza compete a Vincenzo di Lerino, che nel suo Commonitorium offre una esposizione dettagliata della tradizione, della sua funzione e natura. Dice (cap. 3) : « Perciò nella Chiesa cattolica devesi porre ogni cura per ritenere ciò che sempre, dovunque e da tutti è stato creduto ; perché è veramente e propriamente cattolico quello solo che, come ci è dettato dalla forza ed etimologia della stessa parola, tutto abbraccia in modo quasi universale, il che avviene appunto quando si segua l'universalità, l'anti-

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LA CHIESA

chità, il consenso generale. Ci atterremo all'universalità, confessando l'unica vera fede essere quella che è professata da tutta la Chiesa, per tutto il mondo ; all'antichità, non discostandoci per nulla dalle verità che sono state chiaramente insegnate dai nostri maggiori e padri santi ; al consenso, similmente, seguendo le definizioni e le dottrine che si possono dire di tutti o quasi tutti i sacerdoti ( vescovi) egualmente che dei mae­ stri, nell'antichità » . 4 . Per comprendere piu a fondo la tradizione occorre distinguere tra tradizione storica e tradizione dogmatica. Per tradizione storica s'intende la trasmissione di un dato storico da una generazione all'altra. Ma la tra­ dizione dogmatica, cioè la tradizione di fede, trascende quella storica. Ciò appare subito evidente se si pensa che essa crea certezza di fede. M a i n base a sole conoscenze storiche non si può acquistare certezza di fede. Come si può distinguere la tradizione dogmatica da quella puramente sto­ rica? La tradizione dogmatica include la tradizione storica, perché giunge a noi per la via della storia. Ma è qualcosa di piu della semplice storia. Tradizione di fede esiste ogni qual volta nella fede universale della Chiesa una dottrina ecclesiastica viene accettata ed insegnata universalmente come verità rivelata. Verificandosi questo caso, resta dimostrato che tale dot­ trina appartiene al deposito della tradizione dogmatica. Nella tradizione dogmatica un dato non viene dunque trasmesso di generazione in genera­ zione soltanto nella sua realtà, ma nel suo carattere di elemento rivelato. Per questo non è necessario che esso sia stato presente fin da principio in ogni generazione nella sua forma pienamente sviluppata. È possibile che da principio compaia soltanto in stato embrionale. 5. Anche dopo la spiegazione di Vincenzo di Lerino rimane difficile determinare con esattezza la natura e l'estensione della tradizione di fede. Quali elementi si richiedono per poter dire che ad una dottrina spettano le proprietà indicate da Vincenzo di Lerino? Chi è competeme a fare una simile constatazione? Qualora la competenza fosse riconosciuta all'indagine scientifica, si farebbe dipendere la fede dalla filologia e dalla interpreta­ zione storica delle fonti. Si deve dire piuttosto : soltanto il riconoscimento di una verità da parte della Chiesa permette di superare le incertezze che rimangono ancora dopo la tesi di Vincenzo di Lerino. Il criterio ultimo e decisivo sull'appartenenza di una verità alla tradizione di fede è il rico­ noscimento da parte della Chiesa. È facile scoprirne il motivo. La Chiesa è il corpo di Cristo, e Cristo appartiene alla Chiesa come il capo al corpo. Cosi nella Chiesa è Cristo =

-

-

§ 1 76 B. LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

665

stesso che agisce, e lo fa mediante la Chiesa come suo strumento. Cristo esercita la sua attività anche mediante lo Spirito Santo, che ha promesso ed inviato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste. Lo Spirito è l'anima della Chiesa, ne è la vita intima, invisibile, che rende possibile nella Chiesa la vita in ogni sua manifestazione. In esso gli apostoli hanno ini­ ziato la loro attività. Egli rende testimonianza a Cristo fino al suo ritorno, mediante la testimonianza della Chiesa ed infonde nei fedeli la vita di Cristo, la grazia della redenzione mediante l'amministrazione dei sacra­ menti da parte della Chiesa. Egli forma i cristiani come popolo di Dio, che è il corpo di Cristo. Conseguentemente la predicazione della fede da parte della Chiesa non è soltanto espressione di sforzo umano, ma attività nello Spirito Santo, che garantisce la genuinità ed infallibilità della Chiesa nell'insegnamento e nella fede. Ciò esprime Paolo in 1 Cor. (2, 1 0-16) nel modo seguente : « A noi lo rivelò Dio per mezzo dello Spirito, poiché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Infatti chi degli uomini conosce ciò che è nell'uomo, se non lo spirito dell'uomo, che è in lui? Cosi pure le cose di Dio nessuno le conosce, fuorché lo Spirito di Dio. Ora noi abbiamo ricevuto non lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio, a fine di conoscere le cose, che ci furono donate da Dio. E ne parliamo non con parole, quali insegna l'umana sapienza, ma con quelle parole, che insegna lo Spirito, adattando a dottrine spirituali un linguaggio spirituale. Ma l'uomo animale non accoglie le cose dello Spirito di Dio; per lui invero non sono che una stoltezza, e non le può intendere, perché vanno giudicate spiritualmente. L'uomo invece spirituale giudica di tutto e non è giudicato da nessuno; poiché chi ha conosciuto il pensiero del Signore da poterlo istruire? (Is. 40, 1 3). Ora noi abbiamo i pensieri di Cristo » . Perciò i teologi non stupiscono che il contenuto della tradizione non possa essere accertato come tradizione apostolica con i mezzi della sola scienza storica, ma soltanto mediante il riconoscimento da parte della Chiesa. La funzione della Chiesa non consiste nel creare una tradizione, ma nello stabilire che una tradizione è apostolica. Il riconoscimento da parte della Chiesa può avvenire in vari modi. Uno di questi è l'insegnamento del magistero ecclesiastico ordinario. Sotto questo punto di vista è comprensibile ed istruttivo che, prima della pro­ clamazione dogmatica dell'Assunzione di Maria in cielo, il papa ha inter­ rogato i vescovi cattolici sulla loro convinzione di fede e sull'insegnamento di fede nelle loro diocesi. Attraverso a questo questionario si è constatato

666

P. I.

-

LA CHIESA

l'insegnamento ecclesiastico ordinario. Esso non costituisce la ragione an­ tologica, ma il motivo gnoseologico attendibile dell'esistenza della tradi­

(A. Lang, Die loci theologici des Melchior Cano und die Methode des dogmatischen Beweises, 1925). Un altro modo con cui la Chiesa riconosce una tradizione orale è la

zione

definizione solenne del papa e del concilio. Tale dichiarazione solenne offre la garanzia che una dottrina appartiene alla tradizione apostolica orale ed ha perciò carattere rivelato (cfr.

H.

Volk,

Das neue Marien­

Dogrruz, 1 9 5 1 , 67-9 1). Il riconoscimento da parte della Chiesa crea certezza di fede anche quando la scienza teologica non può dimostrare che una verità di fede si trovi con piena certezza ed in forma esplicita nella tradizione apostolica. Bisogna quindi tenere conto del fatto che una verità sia contenuta nella tradizione orale, cosi come nella Scrittura, dapprima soltanto in modo implicito, ed appaia sviluppata pienamente soltanto nel corso dei tempi. Per la certezza di fede non ha importanza il momento in cui avviene il riconoscimento della Chiesa e perciò se tra questo e l'epoca apostolica

è

trascorso un piu breve o piu lungo spazio di tempo.

6.

-

Nell'antichità cristiana, come già abbiamo rilevato, per tradizione

sacra s'intendeva lo spirito vivo di rivelazione e di fede, accesosi in Cristo e da questi penetrato nelle comunità e trasmesso attraverso i secoli. Essa veniva considerata come l'unità viva di insegnamento, di contenuto dot­ trinale e di dedizione credente alla rivelazione. Questo spirito di fede

è

tenuto continuamente desto dallo Spirito Santo, inviato da Cristo alla Chiesa, e sempre presente in essa. Esso si manifesta ed attesta la sua presenza in tutta la Chiesa, ma

in primo luogo ed in modo decisivo nei

titolari del magistero ecclesiastico. Nei tempi moderni il concetto di tradizione fu chiarito soprattutto da Franzelin, Scheeben, Newman, dalla scuola cattolica di Tubinga e recen­

O. P. Poiché la tradizione ha una parte di rilievo è utile presentare i punti piu importanti delle varie

tissimamente da Koster nella vita della Chiesa,

interpretazioni che ne furono date. Franzelin nel suo trattato sulla tradizione divina e la S acra Scrittura, pubbli­

cato a Roma nel r 87o, distingue tra oggetto e organo della tradizione. Organo della tradizione è, secondo l'autore, il magistero ecclesiastico, cioè i Vescovi ed il Papa. Con successione ininterrotta dagli Apostoli fino al presente essi sono custodi della fede. A tale scopo sono dotati del charisma veritatis, promesso e concesso loro, che li rende capaci di conservare e trasmettere in modo integro e senza errori la rivelazione. Il carisma della verità è concesso loro a servizio della comunità, sicché al magistero ecclesiastico consegue la coscienza di fede e la

667

§ 1 76 u. LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

professione di fede di tutti i fedeli. Anche questa, secondo Franzelin, è infalli­ bile, perché lo Spirito di verità agisce nella comunità dei fedeli. In tal modo alla

infallibilità

dichiara :

«

nell'insegnare corrisponde

l'infallibilità

nel

credere.

Franzelin

La coscienza e la professione della fede nella comunità universale dei

fedeli viene sempre preservata dall'errore dallo Spirito di verità mediante il ma­ gistero autentico

della

successione

apostolica. Perciò, pur non competendo

ai

singoli membri del popolo della Chiesa, e neppure a questo nel suo complesso, la facoltà di insegnare autenticamente, ma il dovere di imparare, tuttavia il senso cattolico e il consenso di tutto il popolo cristiano nel dogma della fede cristiana dev'essere considerato come uno dei criteri della tradizione divina » (Tesi 12). Franzelin riconosce dunque come organo della tradizione, oltre a l Papa ed ai Vescovi, anche l'insieme dei fedeli, ma soltanto in dipendenza dai Vescovi. Quando l'insieme dei fedeli in accordo con i Vescovi ritiene w1a verità di fede come vera, questa è tale; ciò è un segno della sua appartenenza alla tradizione orale e perciò alla rivelazione. Scheeben, il maggiore discepolo del Franzelin, ha sviluppato le tesi del mae­ stro. Egli ritiene che la trasmissione della

rivelazione avvenga in un

totale » organico, che conserva in sé ed espone la verità cristiana : cristiana. «

Questo corpo completo si divide in un

«

« corpo

la comunità

corpo docente » ed in un

corpo credente » ; tuttavia i membri del corpo docente, sorto l'aspetto della loro

vita personale di fede, appartengono nello stesso tempo al corpo credente. Com­ pito del corpo docente è di testimoniare autenticamente e di prescrivere autori­ tativamente la rivelazione. A questo essi sono abilitati dal carisma dell'infallibi­ lità. Ma lo Spirito Santo agisce nella Chiesa non solo donando ai soggetti del corpo docente il carisma della infallibilità,

ma

anche ispirando al corpo credente

la retta professione di fede. Con seguentemente la professione del corpo credente ha una forza relativamente indipendente, ed in misura tale che l'unanime pro­ fessione di tutto il corpo credente rappresenta una testimonianza dello Spirito Santo altrettanto infallibile che la testimonianza concorde del corpo credente. A questa concezione fondamentale di S cheeben corrisponde la dottrina, secondo cui tutti i membri della Chiesa, che partecipano alla sua vita ed ai suoi beni, pos­ sono e devono pure partecipare alla testimonianza ed alla trasmissione della dot­ trina, in modo però che i successori degli apostoli, quali custodi e guardiani eletti ed autorizzati, guidino e conservino sempre nella sua purezza la corrente della tradizione. In tal modo Scheeben afferma la posizione particolare del corpo do­ cente nei confronti della tradizione. Egli anunette tuttavia la possi bilità che in talune epoche il senso di fede dei credenti attesti una verità di fede in modo piu evidente che non il corpo docente. Nondimeno la coscienza di fede dei credenti è soltanto una manifestazione secondaria della tradizione. Scheeben distingue tra la tradizione di una verità di fede e la sua proposizione. La prima avviene attra­ verso all'attività di tutti i membri, la seconda è opera dell'autorità ecclesiastica sia nel magistero ordinario, sia in quello straordinario. La scuola cattolica di Tubinga ha arricchito la dottrina della tradizione di una nota caratteristica. Essa ritiene che la tradizione sia qualcosa di vivo, di sempre presente, l'attività cioè della conservazione e trasmissione del patrimonio rivelato, affidato da Cristo alla Chiesa, attività che si svolge sotto l'assistenza e l'influsso dello Spirito Santo e si attua in ogni momento della storia della Chiesa. Con essa

668

P.

I.

-

LA

CHIESA

la Chiesa acquista coscienza sempre nuova, sempre piu profonda e chiara del contenuto della rivelazione. Quanto a Johann Adam Mohler cfr. la sua pagina citata sopra al n. 1. Attraverso al gesuita romano Giovanni Perrone, teologo dogmatico, Newman si è familiarizzato con questa citazione di Mohler. Perrone nel 1847 si è appel­ lato alla coscienza universale di fede nella Chiesa a favore della definibilità della Immacolata Concezione. Per questo suo giudizio della coscienza di fede dei cre­ denti egli poteva citare molti teologi del passato, ad es. Melchior Cano, Gregorio di Valencia e Petavio. In particolare poteva citare come esempi storici la prassi ecclesiastica nelle controversie ariane e nella disputa sulla visione beatifica di Dio, decisa al tempo di papa Giovanni XXII e di papa Benedetto XII, e precisa­ mente nel senso della coscienza di fede della Chiesa universale. Newman ha elaborato la sua dottrina della tradizione in dipendenza delle espressioni di Perrone influenzate da Mohler. Egli ritiene che la tradizione apo­ stolica, affidata a tutta la Chiesa nei suoi vari organi ed uffici, si manifesta in modo diverso a seconda dei tempi : ora per bocca dei Vescovi, ora attraverso al­ l'insegnamento della Chiesa, ora attraverso al popolo, ora attraverso alla liturgia, i riti, le cerimonie e le consuetudini, anche atuaverso a fatti, controversie, mo­ vimenti ed a tutte le altre manifestazioni, che si compendiano sotto il nome di storia (Pensées sur l'Eglise, trad. frane., Paris 1956, 404-439, contenenti lo scritto sul compito dei fedeli nella conservazione e nello sviluppo ddla fede, composto l'anno 1 859). Per coscienza di fede Newman intende un senso, anzi un istinto per l'attività dello Spirito Santo, un sentimento di zelo contro l'errore, che viene subito avvertito come pericolo. Egli afferma che il dono del giudizio, della distin­ zione, della definizione, del l'annunzio ed imposizione di una verità della tradi­ zione spetta unicamente alla Chiesa docente. Secondo Newman gli organi del ma­ gistero nelle loro decisioni infallibili non dipendono in alcun modo dai fedeli. Tuttavia egli nota che prima della definizione della Immacolata Concezione di Maria il magistero ecclesiastico si è informato della fede universale dei credenti e l'ha menzionata esplicitamente neila bolla di definizione, segno che il magi­ stero ecclesiastico, non astante la sua indipendenza dalla fede generale dei cre­ denti, ne tiene conto, evidentemente perché vede anche in essa una espressione della tradizione divina. Nella definizione della tradizione M. D. Koster segue vie nuove. Egli, come la maggior parte dei teologi moderni, distingue tra tradizione oggettiva cd at­ tiva. Ciascuno di questi modi di tradizione si auua in tre stadi che si corrispon­ dono. Il primo è rappresentato dal contenuto dogmatico di ciò che è affi dato alla Chiesa nel suo tesoro di fede ed è reso accessibile ai fedeli mediante i sacra­ menti, le celebrazioni liturgiche ed in altri modi. Il secondo consiste nel fatto che la Chiesa prende piu chiara coscienza di un particolare oggetto del deposito di fede, lo afferma con insistenza, senza proclamarlo costantemente e senza che il suo carattere rivelato sia affermato formalmente dai fedeli. Il terzo si mani­ festa nel fatto che la Chiesa nel corso dei tempi viene introdotta formalmente dallo Spirito Santo in una verità di fede non insegnata fino allora in modo espli­ cito, e la propone con decisione infallibile. Koster, come già Deneffe e Dieckmann prima di lui, intende per tradizione attiva la proposizione della tradizione da parte della Chiesa, proposizione che a sua volta avviene in stadi diversi. Perciò

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

669

la tradizione attiva è di competenza soltanto del magistero ecclesiastico. Tuttavia Koster attribuisce una grande importanza al

«

senso di fede

»

dei credenti, e lo

fa consistere nella forza della fede e nei tre doni dello S pirito Santo : la sapienza, l'intelletto e la scienza. È questo senso che opera lo spirito unitario di fede nella Chiesa; il che costituisce il suo compito fondamentale ecclesiastico-sociale. Per esso la Chiesa viene introdotta dallo Spirito Santo nelle cose della fede. In que­ sto senso della fede della Chiesa Koster vede l'organo indispensabile della Chiesa per tutto il contenuto della tradizione di fede. Esso si può presentare in forme diverse : come senso di fede dei semplici fedeli, come senso di fede dei semplici fedeli unitamente ai Padri ed ai teologi, oppure come senso di fede dei pastori od infine come senso di fede dei fedeli e dei pastori assieme. Al pari di Scheeben, Ferrone e Newman, Koster ritiene che ciascuna specie del senso di fede sia segno e prova dell'appartenenza di una verità alla tradizione e perciò alla rivelazione.

È quindi compito della Chiesa rivolgere la sua attenzione a ciascuna di queste diverse specie. Koster afferma che anche il senso generale della fede dei sem­ plici fedeli costituisce da solo un testimone pienamente valido della esistenza di una tradizione di fede. Tuttavia il senso di fede dei pastori è, in modo diverso, mezzo per conoscere una verità rivelata contenuta nella tradizione, perché è in­ fallibile, mentre il senso di fede dei semplici fedeli, quantunque retto e sicuro, non è, di per sé solo, infallibile. Affinché questo senso di fede obblighi vera­ mente a credere è indispensabile la proposizione da parte del magis tero infalli­ bile. Egli ritiene che il senso della fede del Papa e dei Vescovi costituisce il fon­ damento del loro magistero infallibile.

Da ciò nasce una difficoltà non

lieve.

Sembra infatti che Koster ritenga che soltanto il soggetto del magistero eccle­ siastico, che si trova in stato di grazia, possegga il charisma ven·catis. Mentre i teologi precedentemente nominati, pur affermando l'importanza della coscienza di fede di tutta la Chiesa, ammettono che la decisione del magis tero ecclesiastico non ne dipende, Koster ritiene che il magistero della Chiesa è ad­ dirittura obbligato a tener conto del senso di fede dei semplici fedeli, quantun­ que non sia costretto a seguirlo. Egli parla del diritto dello Spirito Santo di esprimersi chiaramente e farsi udire, sia mediante il senso di fede dei semplici fedeli, sia mediante il senso di fede dei Padri e dei teologi, riguardo ad una ve­ rità contenuta nel tesoro della rivelazione. Con queste espressioni sembra che Koster faccia pendere il rapporto tra i titolari del magistero e gli altri fedeli in favore dei laici (0. Milller, Zum Begriff der Tradition in der T/teologie der letzcen hundert Jahre, in Mii.nchener Theol. Zeitschr., 4, 1953, 164-186).

Rivedendo le opinioni che abbiamo esposto, possiamo cosi riassumerle : la tradizione è portata da tutta la Chiesa. Importanza decisiva spetta tut­ tavia al magistero ecclesiastico. Perciò il popolo cristiano può svolgere le­ gittimamente l'attività di tradizione che gli spetta soltanto in accordo e subordinazione al magistero ecclesiastico. Quantunque la sua attività non si risolva nella pura accettazione dell'insegnamento del magistero eccle­ siastico, tuttavia non ne è indipendente. L'attività, con cui il magistero ecclesiastico conserva e trasmette la tra-

P. I. - LA CHIESA dizione orale, differisce logicamente ed in parte anche oggettivamente dall'attività con cui annunzia e propone la rivelazione. Questo suo annun ­ ciare e proporre la fede ha però importanza fondamentale per la cono­ scenza del contenuto della tradizione orale. Le proposizioni

di fede del

magistero ecclesiastico sono il principio gnoseologico sicuro della tradi­ zione genuina. Sarebbe funesto ritenere che il magistero ecclesiastico crei nuove verità. Esso non aggiunge nuovi elementi alla tradizione. La sua attività non produce in alcun modo escrescenze gnostiche della rivelazione, ma serve piuttosto a far si che quanto

è

stato tramandato dagli Apostoli

venga riconosciuto da tutti come verità rivelata.

7.

-

Cosi Scrittura e tradizione, per quanto concerne l'attestazione della

rivelazione divina, hanno uguale valore. Ma la loro testimonianza non si può riconoscere con uguale certezza. Per cogliere la testimonianza della tradizione sono necessarie molte ricerche storiche, sovente difficili. Cer­ tezza definitiva

8.

-

è

data soltanto dal magistero ecclesiastico.

Nonostante la reciproca indipendenza Scrittura

e

tradizione sono

ordinate l'una all'altra ; quanto a contenuto per lo piu coincidono . Anzi, si fa questione se la tradizione orale, al di fuori della garanzia del canone) attesti verità che non si trovano in alcun modo nella Sacra Scrittura. Geiselmann sulla base dell'edizione critica degli Atti del Concilio di Trento ha richiamato l'attenzione su quanto segue. Per determinare il rapporro della Scrit­ tura con la tradizione furono presentati al concilio due progetti. Il primo dichiara che la verità del vangelo è contenuta pm·tùn in lim;s scriptis, partim in sine scripto

traditionibus, e cioè parte nei libri della sacra Scri ttura, parte nella tradizione orale. Geiselmann ricorda che questo progetto si collegava alla teologia imme­ diatamente precedente al concilio, rappresentata ad es. da John Fischer, Eck, Driedo (Concilium Trideminum, ed. Societas Goerresiana, V, 31, 23; l, 39, 2329; 523, 3-7; cfr. E. Ortigues, Ecritures et traditions apostoliques au Concile de Trente, in Recherches de science religieuse, 36, 1949, 27t-299; A. M. Du­ barle, Les fondemenrs bibliques du citre Marial de Nouvelle Eve, in Mélange:; Lebreton, I, 1952, so; J. R. Geiselmann, Die Tradition, in Eragen der Th eologie heute, Einsiedeln 1957, 69-108; Y. M. J. Congar, La Tradition et /es rraditions, Paris 196). Il progetto suscitò vivace opposizione.

Il dotto Padre del concilio, Bonucci,

rilevò che Scrittura e tradizione costituiscono un tutto unitario e non possono perciò essere intese come parti meccanicamente coordinate, e che in modo par­ ticolare la Sacra Scrittura contiene tutta la verità del vangelo. Perciò, come di­

mostra Geiselmann, in

un

espunto e sostituito da

un

secondo e definitivo progetto il partim-partim venne er. Geiselmann afferma che in base a questo fatto !'et

del concilio non si deve spiegare nel senso che la parola di Dio sia attestata in parte nella sacra Scrittura, in parte nella tradizione orale. Egli rileva inoltre che l'intenzione del concilio venne fraintesa dalla teologia posttridentina, perché il

§ 176 9• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

671

primo progetto non venne pubblicato, ma fu conosciuta soltanto la redazione definitiva con l'et. Non si è quindi notato che l'et sostituiva il primitivo partim­ partim e lo si è spiegato come se avesse il significato di partim-partim. Questa spiegazione, perché accolta dal Canisio nel suo catechismo, fu universalmente accettata. Geiselmann richiama l'attenzione sul fatto che la scuola cattolica di Tubinga, senza conoscere il tenore degli atti del concilio, ha determinato il rap­ porto di Scrittura e tradizione orale nel senso da essi inteso 1• e)

S c r i t t u r a e t r a d i z i o n e . - Secondo questa interpretazione

Scrittura e tradizione sono strettissimamente collegate. Perciò la sacra Scrittura costituisce il fondamento di ogni ricerca teologica e, secondo questa opinione, è in certo senso sufficiente, in quanto cioè contiene al­ meno in germe l'intera rivelazione. L a tradizione viva è la via per cui la parola

di

Dio contenuta nella Sacra Scrittura si sviluppa e si manifesta.

Con questa opinione concorda quanto dice il teologo Alois Miiller, noto per le sue ricerche mariologiche

(Ecclesia-Maria,

195 1 , 4) :

« Come è

certo che la sacra Scrittura poggia sulla tradizione, con la quale sta e cade sia nella sua conoscibilità che interpretazione, cosi non riteniamo che essa

(quantum ad se) scelta limitata o fortuita di verità parola autentica di Dio essa è sempre tutto il Logos,

contenga soltanto una di fede. In quanto

ma il suo autore, lo Spirito Santo " introduce " gradatamente la Chiesa " in tutta la verità "

(Gv. 16, 1 3). Perciò fondare un qualunque settore

della teologia sulla Sacra Scrittura (intesa nella fede), non significa mai restringerlo, ma offrirgli l'unica vera possibilità di sviluppo, purché non si restringa la Sacra Scrittura riducendola ad un libro di tesi » . Anche in una simile concezione l a tradizione non è soltanto dichiara­ tiva, ma è

traditio continuativa et constitutiva. Lo sviluppo della dottrina di conseguenza un arricchi­

della Scrittura nella tradizione non costituisce

mento sostanziale del deposito della rivelazione ; tuttavia conduce ad una comprensione sempre nuova ed approfondita della rivelazione. Essa in­ segna quindi a riconoscere delle verità rivelate, che senza la tradizione cosi spiegata, rimarrebbero ignote, pur essendo contenute in germe nella Scrittura. La spiegazione presentata da Geiselmann differisce sostanzial­ mente dalla dottrina protestante relativa alla tradizione, in quanto afferma che la tradizione orale è vera fonte di conoscenza della rivelazione ed in quanto assegna al magistero ecclesiastico l'interpretazione autentica della Scrittura e della tradizione.

1

La tesi di Geiselmann è però fortemente contestata da H. Lennerz in Gregoria­ 195 9, 38-53 ; 6 24- 653 ; 196 1 , 517-522. (N. dell'Ed. ital.).

num,

P. I.

-

LA CHIESA

f) S v i l u p p o d e l l a r i v e l a z i o n e d a p a r t e d e l l a C h i e s a . - Queste considerazioni ci portano al problema, già sfiorato, dello sviluppo della rivelazione compiuta con Cristo e con gli apostoli. l . La possibilità di uno sviluppo della rivelazione è fondata sul fatto che l'espressione concettuale e verbale non può mai rendere le verità ri­ velate se non in modo inadeguato. Cosi alle attestazioni della rivelazione contenute nella Scrittura e nella tradizione orale compete verità. Le loro proposizioni sono vere, ma non possono rappresentare le cose rivelate se non in modo analogico. Nessuno mai ha potuto gloriarsi di avere una co­ noscenza di Cristo come Paolo (Ef. 3, 1 -3). Tuttavia anch'egli, al pari di qualunque altro apostolo, non ha potuto comunicare in modo esauriente con formule concettuali quanto vide e conobbe, perché concetto e parola sono insufficienti. Ed allora poté avvenire e può avvenire che sotto la guida dello Spirito Santo, che tocca gli spiriti ed i cuori, talune verità contenute oscuramente nella Sacra Scrittura, nel corso dei tempi vengano portate alla luce della conoscenza concettuale. Le verità rivelate annunziate da Cristo e, per suo incarico, dagli apostoli costituiscono un tutto organico, sono unite ed intrecciate tra di loro. Perciò una verità può essere coperta da un'altra, come i petali di un fiore dalle foglie esterne, fino a che raggiunga un'esistenza propria dai contorni net­ tamente segnati. In un certo senso si può persino dire che uno sviluppo della rivelazione è necessario per un duplice motivo, uno piu esterno e l'altro piu interno. Per quanto riguarda il primo, la verità rivelata deve assumere continua­ mente quella forma, in cui può essere accolta ed assimilata dagli uomini di una determinata epoca. Il motivo interno sta nel fatto che la verità rivelata sviluppa un'attività nello stesso uomo credente. Infatti nella sua fede il credente non afferma soltanto proposizioni vere, ma mediante la fede è in diretto contatto con la realtà creduta, e questa, essendo di origine divina, possiede un dina­ mismo che afferra il credente e lo spinge ad una conoscenza sempre mag­ giore. Naturalmente il risultato può essere inteso come conoscenza infal­ libile di fede soltanto quando la Chiesa lo propone come tale. Lo sviluppo porta dunque soltanto sempre ad una conoscenza piu chiara di ciò che esiste già nel depositum {idei, ma non ad un mutamento del contenuto stesso della rivelazione. Né si abolisce una verità rivelata finora affermata, né si aggiunge una nuova verità al deposito della rivela­ zione. Ciò che è vero, ed è stato riconosciuto ed affermato come verità una volta, rimane tale. L'evoluzione del dogma differisce sostanzialmente -

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFTCHE DELLA CHIESA

673

da ogni relativismo dogmatico, ma la forma in cui un dogma viene espresso, può subire un perfezionamento. Nell'Enc. Humani generis si dice che la Chiesa non « è stata sempre costante nell'uso » dei termini tecnici, in quanto si è cercato il loro « miglioramento e perfezionamento ». L'evolu­ zione del dogma porta dunque ad un aumento della conoscenza da parte della Chiesa del patrimonio rivelato a lei affidato, ed alla creazione di sempre nuove forme espressive, richieste dall'oggetto e dai tempi. Ma la Chiesa rimane sempre la stessa. Ciò che si arricchisce è in certo modo la memoria con cui essa conserva la rivelazione per comprenderla ed annun­ ziarla in modo sempre piu profondo e piu ampio. Lo sviluppo del dogma può essere paragonato alla crescita di un orga­ nismo. Quantunque la figura di un uomo anziano sia diversa dalla figura che egli aveva quand'era bambino, si tratta sempre della stessa persona, che è passata dall'infanzia alla vecchiaia. Quando si parla di sviluppo dei dogmi, non bisogna pensare ad un processo naturale. I dogmi non crescono come un albero od un fiore. Il loro sviluppo si può, è vero, paragonare ad una crescita organica, ma bisogna essere coscienti della differenza. I dogmi sorgono dal fatto che la fede della Chiesa si schiera in favore della rivelazione contro l'errore. Sono il risultato di un impegno per Cristo, pieno di fede e di responsa­ bilità. Quando il magistero ecclesiastico stabilisce un dogma, vuole dire che la Chiesa, la cui coscienza di fede si presenta nel magistero sotto la guida dello Spirito Santo, esprime in modo accessibile agli uomini di una determinata epoca la fede in Cristo, ed incorpora per sempre nella sua memoria la nuova forma espressiva della fede. Perciò la imposizione di un dogma non è una prepotenza della Chiesa, ma una ratifica della fede. 2. Ciò appare ancora piu chiaramente quando osserviamo il sorgere di un dogma. Il dogma è motivato di regola dall'attacco del dubbio o della incredulità, che minaccia la rivelazione. Di fatto una verità rivelata può essere affermata in un primo tempo con fede immediata, che non riflette ancora su di sé. Poi entra nello stadio della riflessione, e qui può diventare oggetto di opposizione, la cui forma piu evidente è il rifiuto, che non di rado assume la forma di affermazione unilaterale di un'altra verità. Cosi ad es. al tempo della riforma il sacerdozio particolare fu ri­ gettato con l'affermazione unilaterale del sacerdozio universale. Si fece una scelta nel tutto e l'elemento scelto fu dichiarato come il solo valido (IXI:pe:crLc;, eresia). Contro simili decurtazioni e riduzioni il popolo di Dio afferma la rivelazione intera e mette in particolare rilievo proprio la verità minacciata dalla opposizione e dal rifiuto. Questo serve alla integrazione -

P. I.

-

LA CHIESA

della fede per l'affermazione di tutta la rivelazione. Nel fare questo il popolo di Dio è rappresentato dai titolari del magistero ecclesiastico isti­ tuito da Cristo, il quale ratifica la fede in tutta la rivelazione o con una decisione conciliare, oppure mediante una definizione ex cathedra del pontefice. Poiché la discussione su una verità rivelata, sul suo significato e valore, si svolge naturalmente nel linguaggio di una determinata epoca, è neces­ sario che il popolo di Dio esprima la sua fede nella verità rivelata minac­ ciata usando il linguaggio dell'epoca. La fede riveste cosi il modo di pen­ sare, di concepire e di parlare del tempo, senza mutare il proprio con­ tenuto. Essa si esinanisce in certo modo nella forma culturale del suo tempo, cosi come il Figlio di Dio si esinani in una natura umana concreta. Nella definizione dogmatica della rivelazione s.i rispecchia la incarnazione del Verbo. In essa appare che la rivelazione di Dio è entrata nella storia e vi agisce come un lievito, assumendo essa stessa continuamente forma storica. Questa forma fu, ad es. nel Concilio di Trento, la mentalità ed il linguaggio della filosofia aristotelica. Bisogna considerare come disposi­ zione divina che alla Chiesa si offrano appunto queste formule per incar­ nare la sua fede in Cristo. Talora il motivo del sorgere di un dogma non è una dottrina errata che contraddice direttamente alla verità rivelata espressa nel dogma, ma la situazione favorevole od ostile a tutta la rivelazione. Cosi ad es. la defi­ nizione del dogma dell'AssWIZione di Maria non è stata occasionata da una negazione esplicita di questa verità, ma dalla falsa interpretazione della vita umana ai tempi nostri. Impulso al sorgere di un dogma è anche l'amore di Cristo, che spinge ad una conoscenza sempre piu profonda, e non soltanto l'individuo, ma anche la comunità dei fedeli, il popolo di Dio, la Chiesa. Anche se la conoscenza progressiva di Cristo non si esprime senz'altro in un dogma, tuttavia c'è ragione di farlo, quando l'approfondimento della conoscenza di Cristo, promosso dall'amore, venisse minacciato dall'incredulità. In tal modo la cura della conservazione della fede si collega con la pietà, per dare origine ad un dogma, che appare come forma dell'amore a Cristo. Essere tenuti ad un dogma è quindi essere tenuti all'amore di Cristo. 3. Grande importanza ha la questione del rapporto tra un dogma proclamato dalla Chiesa e la testimonianza della rivelazione, che ci è conservata nella Sacra Scrittura e nella tradizione orale. Esistono al ri­ guardo diverse sentenze. -

§ 176 3• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

675

aa) Secondo una sentenza qualunque verità, proposta dalla Chiesa in un dogma, è contenuta formalmente, anche se non esplicitamente, nella Sacra Scrittura. Perciò il dogma è il risultato della esegesi accurata di una proposizione della Sacra Scrittura, per mezzo della quale ciò che è conte­ nuto implicitamente nei libri ispirati viene esplicitato. Questa esplicita­ zione può essere intesa come un vero e proprio sillogismo con due pr·e­ messe ed una conclusione. Entrambe le premesse, dalle quali si ottiene la nuova conoscenza come conclusione, sono verità riv·elate. Conseguente­ mente, dicono i sostenitori di questa sentenza, anche la conclusione si deve riconoscere come rivelazione formale. Per giudicare questa spiegazione della evoluzione del dogma occorre dire che essa fa pienamente comprendere come un dogma non costituisca mai un arricchimento della rivelazione mediante verità nuove, finora estranee alla rivelazione stessa, ma soltanto e sempre una nuova visione della verità già esistente. Ci si domanda tuttavia se la presente interpre­ tazione della origine dei dogmi soddisfi ai dati di fatto. Di taluni dogmi sarà molto difficile dimostrare che sono stati ottenuti soltanto mediante l'es·egesi di ciò è attestato nella Scrittura o che si possono raggiungere per questa via; in altri termini, che sono conclusioni tratte da due premesse formalmente rivelate. Per potere sostenere la tesi sembra che taluno dei suoi fautori mitighi troppo i postulati che si devono porre per una dimo­ strazione logica cogente. bb) Una seconda sentenza sostiene che per la definizione dogmatica di una verità è sufficiente che essa possa essere ottenuta mediante un sillogismo, in cui la maggiore è attestata formalmente nella Sacra Scrittura, mentre la minore contiene una verità naturale. Anche in questo caso, di­ cono i sostenitori della seconda sentenza, si potrebbe affermare che la conclusione esprime una verità rivelata, perché la conoscenza naturale espressa nella minore servirebbe soltanto a sviluppare il contenuto della maggiore. La verità espressa nella conclusione viene designata come vir­ tualmente rivelata. Contro questa spiegazione si può obiettare che in un sillogismo la cer­ tezza della conclusione dipende dalla certezza della premessa piu debole. Poiché l a minore contiene soltanto una verità naturale, la conclusione non potrebbe contenere una verità rivelata. Nonostante questa difficoltà sembra tuttavia che sia giusta la seconda sentenza. A suo favore si può addurre, in primo luogo, che, a quanto sembra, può far comprendere l'effettivo sviluppo del dogma, meglio della prima. In secondo luogo bisogna dire che Dio con le sue comunicazioni,

P.

l.

-

LA

CHIESA

attestate nella Sacra Scrittura e nella tradizione orale, intende comunicare non soltanto ciò che

è

detto immediatamente, ma anche le deduzioni che

se ne possono trarre, e che fin da principio egli ha visto e perciò voluto. Mentre noi non siamo mai in grado di abbracciare pienamente il dina­ mismo insito nel nostro discorso e le conseguenze che ne risultano, in Dio la cosa

è

diversa. « Egli ha necessariamente coscienza della vitalità e del

dinamismo oggettivo della sua comunicazione immediata e ne ha neces­ sariamente conoscenza di tutte le virtualità e conseguenze. Egli ha pure, fin da principio, l'intenzione e la volontà di provocare e di dirigere col suo spirito questa esplicazione. Perciò egli stesso dice anche ciò che si rivela come detto soltanto nella storia viva di ciò che

è

detto diretta­

mente. La esplicazione virtuale, considerata da parte di Dio che parla,

è

in realtà soltanto esplicazione, anche se per noi, cioè da parte degli

ascoltatori, necessita

di una vera deduzione. Ciò che noi deduciamo in

tal modo, pure non essendo detto formalmente da Dio nelle premesse, dalle quali parte la nostra deduzione (cioè, pur non essendo espresso nel loro senso immediato),

è

tuttavia comunicato, per modo che può essere

creduto benissimo come sua scienza » (K. Rahner,

Schriften

zur

Theo­

logie, I, 73). K. Rahner ricorda che rimane tuttavia insoluta la questione se

il

rap­

porto tra la nuova conoscenza della rivelazione ed il dato originario debba avere necessità logica o possa farne a meno. Egli crede che la conclusione, considerata dal punto di vista puramente logico, possa, ma non debba, essere cogente, e perciò possa essere anche soltanto

«

ovvia, conveniente,

nel fatto che colui il quale è in contatto in virtu dello Spirito Santo compie, con la rivelazione, esperienze che procurano una cono­

probabile

».

Ne scorge il motivo

con il contenuto di rivelazione oggetto della fede,

scenza certa, ma non riducibile a forme strettamente logiche. Egli afferma giustamente che certezza definitiva

è

data soltanto dalla decisione del

magistero ecclesiastico. Dice : « Nella stessa logica concreta che serve a trovare la verità comune, sovente la conseguenza, la conclusione deve già essere illuminata e percepita per vie totalmente diverse dalla deduzione logica, affinché sia possibile fare ricerche

in base alle possibili premesse

logiche od ai concetti piu generali, in cui la conclusione può essere im­ plicitamente contenuta. Se trasferiamo questo fatto al campo della cono­ scenza teologica : perché una coscienza (individuale o collettiva) non do­ vrebbe percepire con questa logica concreta che serve a trovare la verità, una proposizione teologica, la quale (quando si tratta della coscienza di fede della Chiesa) viene percepita come vera e certa con questa cono-

§ 176 H. LE SINGOLE FUN ZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

677

scenza diretta, globale e concreta della vita soprannaturale di fede, prima ancora che la ragione del teologo, che riflette e lavora con logica deduttiva, abbia portato la " prova " riflessa? Anche nel campo teologico dell'appro­ fondimento della conoscenza della rivelazione esiste una " esperienza con­ creta ", una conoscenza che si integra di migliaia di osservazioni percepite soltanto " in modo istintivo ", conoscenza che non può esprimersi, se non con molta difficoltà, in una catena di formule sillogistiche. Questa cono­ scenza molto " razionale " di natura irriflessa è piu ricca della sua articola­ zione riflessa e della sua esposizione logica sempre posteriore (quantunque in certa misura necessaria). Un essere vivente di natura piu complessa ha bisogno di uno scheletro, ma è qualcosa di piu di questo scheletro, che vive esso stesso del tutto. Pertanto anche la circostanza che non ogni teologo possa dimostrare hic et nunc con necessità logica che la verità di fede piu esplicita è contenuta nella conoscenza meno esplicita (anteriore), non può in ogni caso costituire un criterio che si opponga a che questa conoscenza posteriore sia contenuta di fatto nella anteriore » (K. Rahner, Schriften zur Theologie, I, 66-67). cc) K. Rahner propone ancora un'altra spiegazione della evoluzione del dog­ ma, che presenteremo brevemente, soprattutto perché può meglio chiarire i dati storici. Egli ritiene che nelle due teorie citate in precedenza si parta soprattutto da determinate proposizioni, per raggiungere nuove conoscenze. Ma si potrebbe anche partire dalla cosa stessa. Egli ricorda anzitutto che gli apostoli hanno fatto in Cristo delle esperienze, che sono anteriori a tutto ciò che essi hanno detto formalmente e costituiscono una fonte inesauribile di quanto hanno detto. Il Cristo, quale mediatore vivente tra Dio e il mondo, che essi hanno visto coi loro occhi e toccato con le loro mani, è oggetto di una esperienza piu semplice, piti raccolta e tuttavia piti ricca che non le singole proposizioni, mediante le quali si può tradurre in moneta spicciola questa esperienza in progresso fondamental­ mente illimitato. Anche nei casi in cui la parola viva del Signore in quanto tale, a motivo del contenuto determinato, non altrimenti accessibile, della rivelazione, è il punto di partenza necessario della fede degli apostoli, queste parole sono ascoltate entro l'esperienza viva dei rapporti concreti con il Signore. Perciò anche in questi casi l'esperienza concreta è un presupposto essenziale della conoscenza vera, sempre piti profonda, delle parole pronunziate ed udite. Ma questa espe­ rienza non può fare a meno di dire a se stessa ciò che sa. Il grado iniziale della autoriflessione dell'esperienza, per quanto piccolo, non potrebbe mai mancare. Ogni esplicazione in proposizioni, se ben riuscita, consolida, rischiara l'esperienza originaria, la rende sempre piti cosciente e diventa un intimo elemento essenziale della esperienza che rimane viva. Qui appare che una nuova proposizione, nata dalla autoriflessione, e la scienza antica non sono semplicemente collegate come logicamente esplicito e logicamente implicito, ma come espressione parziale espli­ cita in una proposizione e possesso spirituale, irriflesso, totale di tutta la cosa,

P.

I.

-

LA CHIESA

per modo che la proposizione esplicita è nello stesso tempo qualcosa dì piti e di meno dell'implicito, da cui proviene. Qualcosa di piu, perché, in quanto formu­ lata in modo riflesso, chiarisce il possesso spirituale, originario, semplice, della verità, arricchendolo. Qualcosa di meno, perché esprime in modo riflesso sempre soltanto un aspetto, già posseduto spiritualmente in precedenza. Quanto vale per gli apostoli, si può dire con le relative modifiche anche dei fedeli dell'età postapostolica. Anche ad essi spettano esperienze di ordine spiri­ tuale, che stanno dietro alle conoscenze espresse in dogmi. Rahner lo spiega nel modo seguente : « Gli apostoli non trasmettono soltanto proposizioni circa la loro esperienza, ma il loro spirito, lo Spirito Santo di Dio, perciò la vera realtà di ciò che essi hanno esperimentato in Cristo. Con la loro parola è conservata e pre­ sente anche la loro esperienza. Spirito e parola costituiscono assieme la possibi­ lità continuamente efficace di una esperienza, che è fondamentalmente la stessa degli apostoli, quantunque sia sempre essenzialmente un'esperienza che, fondan­ dosi su quella degli apostoli e continuandola, perché portata anche dalla parola trasmessa dagli apostoli, ha una radice storica e non pmrebbe mai rimanere vivR. qualora venisse staccata dal rapporto con gli apostoli mediante la parola, il sa­ cramento e la trasmissione dei poteri ufficiali. Ma appunto questa successio apo­ stolica in un senso pieno e largo della parola, anche proprio riguardo alla cono­ scenza di fede, trasmette alla Chiesa postapostolica non soltanto una somma di proposizioni, ma l'esperienza viva : lo Spirito Samo, il Signore, che è sempre nella Chiesa, il vivo presentimento e l'istinto della fede, la sensibilità sempre desta, operata dallo spirito, per ciò che, nel campo della fede, è vero e ciò cbc è falso, ciò che come proposizione formulata conviene alla vitalità intatta della verità posseduta ingenuamente e ciò che non conviene. Pertanto anche qui nella evoluzione dogmatica del periodo postapostolico yj può essere il rapporto tra l'implicito del possesso irriflesso, vivo, di tutta la verità e l'esplicito sempre par­ ziale in proposizioni. Solo che in questo caso, in una simile esplicazione, il si­ multaneo e necessario rappono con le precedenti esplicazioni già preesistenti in forma di proposizioni ed il passaggio dalla esperienza originaria ad una nuova esplicazione attraverso alla tradizione già formulata, esiste in misura maggiore e piti necessariamente che non nel tempo apostolico Jt (l. c., 8o s.). Rahner distingue tra ciò che è detto formalmente e ciò che, pur non detto formalmente, è formalmente comunicato. Questa distinzione si può fare in tutti gli enunciati umani all'infuori degli assiomi matematici, geometrici e di logica formale. Ogni enunciato possiede in certo modo un campo significativo che è di sua pertinenza e che viene comunicato formalmente con l'enunciato, anche se non è contenuto formalmente in esso. Viene pensato, comunicato ed ascoltaw nell'enunciato senza essere espresso. Ciò che è formalmente espresso non può a rigore aver carattere implicito. Ma ciò che è formalmente comunicato con l'e­ nunciato, come il campo significativo dell'enunciato, può essere contenuto impli­ citamente nell'enunciato. Si potrebbe affermare che esso, pur non essendo for­ malmente comunicato, è virtualmente espresso nell'enunciato vero e proprio. Rahner cita l'espressione : io ti amo; ed afferma giustamente che, pur essendo nella frase menzionato soltanto l'amore, viene pure intesa, comunicata ed accolta la fedeltà che conviene all'amore. Se dalla frase « io ti amo » si trae la conclu­ sione che l'amante A è fedele all'amante B, la conoscenza della fedeltà è una,

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA esplicazione dell'amore. La frase ciato formale diversa dalla frase

«

io ti sono fedele

«

io ti amo

»,

»,

679

pur essendo nel suo enun­

si trova tuttavia nel suo campo

significativo e vi appartiene formalmente. Mediante la esplicazione si passa da ciò che è soltanto formalmente comunicato ad una conoscenza che è formalmente enunciata. In base a queste considerazioni il rapporto tra un dogma e la rivelazione con­ tenuta nella Scrittura e nella tradizione si può esporre nel modo seguente :

gli

enunciati espliciti, immediatamente percepibili, della rivelazione vengono visti ed accettati nella loro varietà e vengono indagati e studiati per scoprire ciò che come sfondo e principio unitario, comprensivo è inteso e comunicato nella molteplicità degli enunciati. Questa idea fondamentale pensata e detta viene estratta esplici­ tamente e formulata essa stessa in

un

enunciato. Da questo enunciato che tra­

scende e compendia la molteplicità degli enunciati inizialmente uditi ed accettati, si ottiene la proposizione presa in considerazione, cioè il dogma, riconoscendo che esso è implicitamente comunicato. La conoscenza acquistata con questo pro­ cedimento non esula, come si può vedere facilmente, dalla sfera di ciò che è pro­ priamente rivelato. Perciò può essere proclamata dalla Chiesa come dogma. Cer­ tezza ultima si ottiene naturalmente soltanto attraverso a questo annunzio della Chiesa. Il magistero ecclesiastico può ancora garantire come vera una conoscenza ottenuta in tal modo, anche quando la riflessione di fede del singolo credente non perviene ad un risultato sicuro (cfr. Rahner, l. c.). In ultima analisi è lo Spirito Santo che inizia e guida tutto questo processo. Egli preserva da sviluppi eterogenei e spinge a conoscenza ed amore sempre piu profondi. Cfr. C. Boyer, Lo sviluppo del dogma, in Problemi e orientamenti di

teologia dommatica, ed. dalla Pontificia Facoltà Teologica di Milano, 1957, l, 359-386; R. Garrigou-Lagrange, Natura e valore delle formule dommatiche, ibid., 387-414.

C) Carattere salvifico dell'annunzio della parola. I . L'annunzio della fede della Chiesa è comunicazione della salvezza. Non è soltanto presentazione di oggetti di fede a modo di istruzione, ma è nello stesso tempo appello per una decisione personale, e poiché si compie nello Spirito Santo, principio vitale della Chiesa, è comunicazione di forze soprannaturali. Si può dire che nell'annunzio ecclesiastico della parola la grazia colpisce l'uomo come verità. L'annunzio della parola si compie in base al potere sovrano della Chiesa, ma ciò che la Chiesa compie in virtu di questo suo potere, è servizio sacerdotale che comunica grazia. È pure presentazione del contenuto della rivelazione. Erroneamente Lutero ha sostenuto la sentenza che la rivelazione di Gesti nel suo fondo piu intimo contenga soltanto due cose : la promessa divina del perdono dei peccati per i meriti di Cristo e l'appropriazione di questa promessa nell'atto della fede. Egli considerava quindi soprattutto la fides, qua ere-

68o

P. I.

-

LA CHIESA

ditur. La fides, quae creditur, cioè il contenuto materiale della fede, pas­ sava in seconda linea. Per quanto sia importante la fides, qua creditur, e per quanto essa non sia stata trascurata nei secoli antecedenti la riforma, specialmente nella Scolastica primitiva, tuttavia secondo la testimonianza della Sacra Scrittura il contenuto materiale della fede, e quindi l'elemento intellettuale, non deve essere in alcun modo taciuto o decurtato. Ciò ri­ sulta dal fatto che nella Sacra Scrittura sono attestati determinati conte­ nuti. La rivelazione divina conservata in essa e nella tradizione orale non rappresenta soltanto una chiamata alla decisione personale, ma anche una comunicazione circa il piano salvifico divino. Dio informa l'uomo circa le sue intenzioni e le sue imprese salvifiche, circa la sua propria vita divina e circa la partecipazione ad essa dell'uomo, contenuta nei suoi disegni. Ma la comunicazione di Dio, oltre l'istruzione dell'uomo, implica sempre l'elemento dell'offerta di partecipazione. Non manca però l'elememo in­ tellettuale della istruzione. L'apostolo Paolo esprime la sintesi dell'elemento intellettuale e di quello affettivo nell'annunzio ecclesiastico e nella fede, quando nel discorso di commiato di Mileto, dove aveva convocato gli anziani di Efeso, cosi dice : « Voi sapete in che modo io mi sia comportato costantemente con voi, dal primo giorno che ho messo piede nell'Asia proconsolare. Ho servito Gesu Cristo in tutta umiltà, tra lacrime e prove esperimentate per le in­ sidie dei Giudei. Nulla ho trascurato che vi fosse vantaggioso : cosi che ho predicato e vi ho istruito in pubblico e nelle case, annunziando solen­ nemente ai Giudei e proseliti la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesu. Se non che ora, avvinto dallo Spirito, sono in viaggio per Gerusalemme, all'oscuro di ciò che mi accadrà. So però questo : che lo Spirito Santo di città in città mi predice formalmente che mi attendono catene e tribolazioni. Ma io non tengo in nessun conto la vita stessa, pur di terminare la mia corsa e l'incarico ricevuto dalle mani del Signore Gesu d'annunziare il vangelo della grazia di Dio. E adesso so che voi tutti, in mezzo ai quali sono passato predicando il regno di Dio, non mi vedrete piu. Quest'oggi, perciò, vi attesto di essere iibero dalla responsabilità di voi tutti, poiché non ho mai trascurato di comunicarvi tutto il piano di Dio. Abbiate cura di voi stessi e di tutto il gregge in cui dallo Spirito Santo siete stati posti quali ispettori per pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata col sangue del proprio Figlio. So purtroppo che dopo la mia partenza entreranno in mezzo a voi lupi crudeli che non rispar­ mieranno il gregge. Anzi tra voi stessi sorgeranno maestri di perversità allo scopo di sviare dietro a sé i discepoli. Vegliate, quindi, ricordando

§ 176 u. LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

681

che per tre anni non ho cessato notte e giorno di esortare con lacrime ognuno di voi. Ora vi raccomando a Dio e al suo evangelo di grazia, che ha la virtu di farvi progredire e di conferirvi l'eredità tra i santi. Per me io non ho desiderato l'argento né l'oro né il vestito di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e dei miei collaboratori hanno provveduto queste mie mani. In ogni modo vi ho mostrato che cosi faticando si devono so­ stentare gli invalidi e tenere presente quel detto del Signore Gesu : non è tanto gioioso il prendere quanto il dare » (Atti 20, 1 8-35). In questo discorso di commiato l'apostolo mette in rilievo che egli ha comunicato la rivelazione divina in tutta la sua estensione. Gli parrebbe di avere quasi commesso un omicidio, cioè di avere peccato contro la sal­ vezza, se avesse nascosto ai suoi uditori una parte del disegno salvifico divino. D'altra parte tuttavia egli considera il suo annuncio della parola come una conti.nua ammonizione. A suo giudizio la comunicazione mate­ riale del contenuto è evidentemente il fondamento di una ammonizione efficace. Gli stessi rapporti li troviamo in tutte le lettere dell'apostolo. Quando ad es. egli ricorda ai Corinti il significato della celebrazione della cena, lo fa per invitarli ad una intelligente e degna celebrazione ( r Cor. 1 1, r 8-33). Lutero persegue quindi un postulato conforme alla Scrittura quando afferma l'elemento affettivo nella predicazione e nella fede ed in accordo con tutta la teologia scolastica, nel I 5 20 cosi descrive la fede : « Qui bi­ sogna notare che si crede in due modi. Anzitutto di Dio, quando cioè io credo essere vero ciò che si dice di Dio, cosi come quando credo essere vero ciò che si dice dei Turchi, del demonio, dell'inferno. Questa fede è piu una scienza ed un percepire che non fede. In secondo luogo si crede in Dio, quando cioè non soltanto io credo essere vero ciò che è detto di Dio, ma pongo in lui la mia fiducia, mi accingo e mi industrio di trattare con lui, e credo senza alcun dubbio che egli quindi sarà e farà con me come di lui si dice; nel qual modo io non credo al turco o ad un uomo, per quanto se ne decantino le lodi. Infatti io credo facilmente che un uomo sia pio, ma non per questo io mi fido di edificare su di lui. Questa sola fede, che si fida di Dio, cosi come di lui si dice, sia nella vita o nella morte, costituisce il cristiano ed ottiene da Dio tutto ciò che vuole. Nes­ sun cuore cattivo e falso può avere la fede ; poiché questa è una fede viva ... La particella in è benissimo posta e si deve fare diligente attenzione a non dire : credo a Dio Padre, oppure del Padre, ma in Dio Padre, in Gesu Cristo... e non si deve prestare la fede a nessuno se non al solo Dio » .

682

P.

I . - LA CHIESA

Tuttavia egli si pone dalla parte del torto quando, nella lotta contro le idee superstiziose della fede popolare, esagera a tal punto l'elemento della decisione personale che il contenuto di fede viene represso, anzi eliminato. Anche qui il suo errore non sta in ciò che egli afferma, ma in ciò che egli omette. Tale omissione è un elemento nel processo di atrofia del cristia­ nesimo, introdotto dagli sforzi di Lutero per la riforma. Contro tale sen­ tenza il Concilio di Trento ha fatto valere l'intatta pienezza della rivela­ zione, affermando sia il contenuto materiale, sia la decisione personale. Nella teologia posttridentina, contro il crescente processo di svuotamento, i teologi cattolici hanno sottolineato sovente l'elemento contenutistico della rivelazione. Viene accentuata con la massima energia la professio fidei, cioè l'affermazione della verità rivelata da Cristo, e quindi l'accettazione degli oggetti di fede. D'altra parte l'elemento affettivo e volitivo non viene dimenticato. Lo rivela, come vedremo subito, uno sguardo alla liturgia della Chiesa. Ma nella teologia illuministica la rivelazione viene intesa sempre piu esclusivamente sotto l'aspetto intellettuale. Di conseguenza la sua comunicazione diventa sempre piu in modo esclusivo istruzione. La religione quindi può essere presentata come materia scolastica al pari di altre materie. L'istruzione religiosa scolastica di questo periodo si attende dall'insegnamento della rivelazione una grande azione educatrice. Quantunque nella liturgia della Chiesa la forza salvifica dell'annunzio sia rimasta viva, tuttavia la teologia cattolica moderna in genere ne ha parlato poco. Nella Scolastica primitiva la forza salvifica della parola è stata espressa sovente ed in modo efficace. I n relazione al rinnovamento litur­ gico ed al movimento biblico la funzione salvifica della predicazione è rientrata con piu forza nel campo visivo dei teologi cattolici. L'idea domi­ nante nel periodo illuministico della funzione puramente istruttiva della predicazione della Chiesa è superata. 2. - Il dinamismo salvifico della predicazione si può illustrare mediante la differenza tra la concezione greca e quella biblica della parola (logos e dabCll·). Il concetto di logos ha per la concezione greca del mondo e dell'esistenza un valore simbolico. Esso significa in origine enumerare, calcolare, spiegare, raccontare, riferire; ed esprime la coerenza di un discorso ed il significato di una cosa. Quindi può essere riconosciuto ed espresso. Il logos quale senso intrinseco della cosa può essere compreso. Nello stesso tempo logos significa la legge insita nelle cose e come tale è norma dell'azione. Al termine greco logos manca completamente il significato di creazione. Ma proprio questo è l'elemento caratteristico del concetto ebraico dabar. Certo anch'esso contiene un elemento intellettuale. Nella « parola » è investito il senso, ma il termine ebraico non è esclusivamente, anzi neppure in primo luogo, notizia

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

683

di una cosa, bensi appello all'uomo, affi nché si pieghi alla chiamata. La parola non si rivolge primariamente alla ragione ed alla conoscenza, ma alla volontà ed alla forza di decisione. Nella sua attività rivelatrice Dio si è servito della proprietà della lingua ebraica quale forma espressiva della rivelazione. La lingua ebraica

vi si adattava piu

della greca, in quanto la rivelazione si è compiuta in un'azione storica di Dio. Il carattere dinamico della lingua ebraica non fu creato dalla rivelazione divina, ma preso a suo servizio e con ciò portato alla sua perfezione. Ma d'altra parte la lingua greca meglio dell'ebraica si adatta a rappresentare l'elemento di verità contenuto nella rivelazione soprannaturale. Quando perciò Scrittura e Chiesa si servono della lingua greca, ciò non porta a straniarsi dalla rivelazione biblica; ma in ciò si esprime la sintesi di fatto storico e di verità divina, una sintesi che è caratteristica della rivelazione. Cfr. in proposito A. Grillmeier, in Scholastik, I, 1957; Thorleif Boman, Das hebriiische Denken im Vergleich mit dem griechi­

schen,

2

ed. 1954.

3. Esporremo qui il dinamismo salvifico proprio della rivelazione, che si attua nella parola biblica. La parola biblica ha la potenza di creare il mondo e di produrre la storia ; anzi è la vera potenza nella storia. Ad essa spetta pure tenere il giudizio. Dove passa la parola di Dio, nulla ri­ mane immutato, si produce una trasformazione (E. Staufler, Die Theo­ logie des Neuen Testamentes, 194 1 , 39 ss.). -

Mentre in Geremia la lotta con la parola di Dio diventa un problema di de­ stino personale, in Isaia essa ci appare come potenza storica. Il teologo prote­ stante Procksch cosi descrive il concetto di parola in Isaia :

« Mentre la natura

scompare, la parola di Jahvè rimarrà in eterno (Is. 40, 8). La predizione di Dio porta in sé la realizzazione; nella parola adempiuta dei profeti il Deuteroisaia vede una dimostrazione di Dio. E poiché la parola profetica annunzia una nuova creazione, che si prepara nell'antica, questa creazione spunterà. Il dabar-1ahwe è inteso in modo del tutto assoluto secondo la sua natura nella celebre simili­ tudine della pioggia e della neve (55,

10

s.).

Come la pioggia e la neve non ri­

mangono infruttuose, ma abbeverano la terra e fanno germogliare le sementi, cosi la parola di Jahvè non ritorna inefficace al cielo, ma esegue la volontà di Dio e porta ad effetto la sua missione. La parola è legata alla profezia, che non ha ri­ cevuto però dalla sua propria forza, ma dal cielo. Ogni parola profetica è forza efficace, e l'essenza di ogni profezia è la parola viva di Dio che esiste in eterno. Come in Geremia, cosi anche qui nel dabar-1ahwe l'elemento dinamico appare piu forte che non quello intellettivo. La parola è riconosciuta come forza celeste che agisce in modo creativo in terra e compie la sua opera » (ThWNT, 4, 96-97). La teologia piu profonda della parola ce la presenta nell'Antico Testamento Geremia. « Nella parola di Dio egli non descrive tanto il senso intellettivo, quan­ tunque annetta grandissimo valore alla conoscenza, quanto piuttosto il contenuto dinamico, che egli avverti fortissimo nella lotta continua con Dio. In mezzo alla sofferenza egli riconosce che la parola di Dio è per lui gioia e delizia del cuore

P.

I.

-

LA CHIESA

(I5, I 6), che egli, se dobbiamo fidarci del testo ebraico però discutibile, l'ha in­ ghiottita (I5, I 6), il che in ogni caso avvenne oggettivameme. La grazia piu alta che gli può essere partecipata dalla sottomissione della sua volontà a Dio nella preghiera, è la rinnovata elezione ed essere bocca di Dio, la cui testimonianza possiede la forza di conversione anche per altri

(15, 19).

Ma la parola lo pone

pure sotto una pressione divina, alla quale la sua natura si oppone (20, 7 ss.); con ciò essa si distingue nel modo piu preciso dai suoi pensieri umani. La sua pre­ dicazione apporta al profeta soltanto ignominia e vergogna, per modo che egli vorrebbe tacere la parola di Jahvè. Ma allora essa diviene nel suo intimo come un fuoco ardente, chiuso nelle sue ossa, per modo che egli non lo può sostenere. Il senso dev'essere questo :

che egli brucia internamente della parola di J ahvè,

che la sua anima va in rovina se egli tace. La parola di Dio che non sale dalla sua anima, ma entra in essa come un incendio distruttore, costringe alla trasmis­ sione nell'annunzio. La face accesa deve risplendere, diversamente brucia chi la porta. La spinta alla predicazionc della parola non è

mai

stata espressa in modo

piu vibrante, ed il martirio del profeta non è mai stato sentito in modo piu ap­ passionato. Egli deve predicare la parola per la beatitudine della sua anima; ma con ciò ne diviene chiara la differenza specifica dalla parola umana. La pressione divina quale contrasto alla narura umana, anche la piu delicata e piu pura, è qui afferrata in piena chiarezza di coscienza. Ma anche la moralità della cono­ scenza e della forza, in cui il carattere di Geremia viene purificato dalla lotta con la parola, si manifesta in queste lotte della sua anima. Egli sente come sommo peso e somma gioia l'essere profeta della parola : rola di Dio nei grandi uomini della

dabar

=

preludio dell'effetto della pa­

storia della Chiesa.

Il lato dinamico del

Myoç appare potente anche nella autodistinzione di Geremia dal profe­

tismo volgare (23, 28 s.). Il profeta che ha sogni, racconta il suo sogno; ma colui in cui c'è la parola di Dio, racconta parola di Dio. La parola di Dio sta alla vi ­ sione del profeta come il granello di frumento alla paglia; puù essere rivestita in una visione, ma se ne stacca. Essa è forza irresistibile:, simile al fuoco in cui la paglia brucia, simile al martello che frantuma la roccia (23, 29). Cosi dabar­ Jahwe poteva essere descritto soltanto da uno che ne era stato egli stesso affer­ rato e squassato; anche qui si rivela

in Geremia la sorprendente capacità di

analisi della coscienza profetica, in cui è caduta la parola di Dio. Poiché la pa­ rola è forza, si avvera infallibilmente, la sua genuinità &i può conoscere dalla sua realizzazione (Ger. 28, 9; cfr. Giud. 1 3,

12.

I 7 ; 2 Re 22,

r6; Sal. ros, 19; 107, 20).

Essa può essere contenuta in un fatto, che in sé appare indifferente, come quando Geremia, nell'offerta del cugino di comprargli il campo, percepisce la parola di Jahvè (Ger. 32,

r

ss.). Ma può essere trovata soltanto nella preghiera (42, I ss.);

unicamente la preghiera, sia come sottomissione di sé a Dio

(I5, ro ss.) sia come » (ibid., 96 s.).

supplica (42, 7 ss.), può procurare chiarezza circa la parola rivelata

Lo stesso carattere ha la parola nel Nuovo Testamento. Nella parola Dio si rivolge all'uomo per trasformarlo. Per la sua origine da Dio, essa ha forza san­ tificante (I Tim. 4,

5). In essa abita la forza di Dio (I Cor. I, I 8). Perciò non può

essere incatenata (2 Tim. 2, 9). La parola è ripiena di energie celesti

(I

Tess. 2, 1 3 ;

Ebr. 4 , 1 2). È p i u acuta d i una spada a doppio taglio e penetra nel piu intimo dell'uomo (Ebr. 4, 12; Ef.

6, 1 7 ; 2 Cor. 6, 7). Essa produce grazia, salvezza, vita

e riconciliazione (Giac. 1, 21). La parola non è soltanto una relazione circa la

§ 1 76 8. LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

685

riconciliazione con Dio, ma è la grazia della riconciliazione. Perciò il nùnistero della parola equivale al ministero della riconciliazione (Atti 6,

r ss.; 1, 21 ss.; I I ,

1;

2 Cor. 5 , 1 8-20). Nei capitoli 4- 19 degli Atti la parola viene equiparata alla prt>­ dicazione missionaria degli apostoli. Della parola di Gesti si riferisce continuamente che era una dimostrazione di potenza. Al pari della sua azione e della sua manifestazione essa esige la fede negli inviati di Dio. La sua forza si fonda sul fatto che è la parola di Gesu e non si può separare da lui. Perciò è detto che vergognarsi delle sue parole equi­ vale a vergognarsi di lui stesso (Mc. 8, 38). Le sue parole, perché sue, parteci­ pano della sua stessa indefettibilità. Cielo e terra passeranno, ma le sue parole non passeranno (Mc. 13, 3 1). Le sue parole sono parole di vita eterna (Gv. 6, 68). La parola di Gesu ha una funzione purificatrice. S econdo Gv. 1 5, 3 egli dice ai suoi discepoli :

« Voi siete puri a motivo della parola che io vi ho detta :.. Chi

ascolta la sua parola, non vedrà la morte in eterno (Gv. 8, 5 1 ). Costui ha la vita eterna e non viene in giudizio, ma è entrato dalla morte nella vita (Gv. 5, 24). Le parole, che Cristo dice, sono spirito e vita (Gv. 6, 63). La parola di Dio è quindi un atto salvifìco.

4 - Di questo carattere dinamico della parola di Dio della Sacra Scrit­ tura è partecipe la parola della predicazione della Chiesa. Per comprendere questa predicazione occorre notare che la Chiesa non è soltanto l'istitu­ zione salvifica, in cui viene presentata la parola di Cristo. Il suo rapporto con Cristo è piu stretto, perché egli agisce in essa come il capo nel corpo (§ 1 69"). La Chiesa è il segno, che dura fino alla fine dei tempi, della sua presenza operativa della grazia, e perciò come tale, come realtà storica e socialmente strutturata, ha carattere sacramentale. In quanco Crisro vive ed agisce in essa quale Verbo eterno, incarnato del Padre, essa ha carat­ tere di parola. Come ha carattere di sacramento, cosi ha carattere di pa­ rola. Come, in quanto corpo di Cristo, è protosacramento in modo deri­ vato, cosi è pure protoparola, in quanto in essa si manifesta e si esprime Cristo, il Verbo incarnato. La predicazione è quindi essenziale per la Chiesa, che in essa attua di volta in volta la sua natura di protoparola, ed in essa si manifesta come tale. Se la Chiesa tralasciasse la predicazione, ciò sarebbe contro la sua natura, non soltanto contro il suo compito. Viceversa ogni predicazione della Chiesa è notificazione ed attualizzazione della sua natura di protoparola secondaria, in cui si palesa Cristo stesso, e precisamente come protoparola primaria, come verità eterna, incarnata. La parola della Chiesa non è identica con la parola di Cristo, ma ne è inseparabile. Cosi nella parola della Chiesa agisce in varie rifrazioni Cristo stesso, quale protoparola, piu precisamente quale parola e forza salvifica. In quanto la predicazione non è altro che la proclamazione della parola di Dio conservata nella Scrittura, il dinamismo della predicazione eccle.

686

P.

I.

-

LA CHIESA

siastica si comprende da sé. Ma anche quando interpreta e comunica la parola divina della Scrittura, essa è ripiena della forza creatrice della stessa parola di Dio. È vero che in tale predicazione viene espressa la parola della Chiesa, il Verbum ecclesiasticum; ma nella parola della Chiesa è conte­ nuta la parola di Dio. La parola della Chiesa può assumere le forme piu varie, e nel corso dei tempi muterà continuamente ; ma il suo nucleo, la parola di Dio in esso contenuta, rimane immutabile. Nella predicazione la parola della Chiesa offre alla parola di Dio la veste od anche il corpo che è richiesto dalle singole situazioni culturali, affinché la parola di Dio rag­ giunga gli uomini in una forma conveniente. Infatti la parola della predi­ cazione è un evento storico. 5. Il dinamismo della predicazione ecclesiastica ha tre gradi di inten­ sità, che possiamo rappresentare mediante circoli concentrici. a) Nel piu interno si trova quella parola che, assieme alla cosa, co­ stituisce il segno sacramentale. Verbum ed elementum formano il segno sacramentale unitario. La parola che entra nel simbolo sacramentale è una parola di fede in Cristo. Se ne tratta ampiamente nella dottrina dei sacramenti. b) Nel campo delimita [O dal secondo cerchio sta la parola che, pur non entrando nella costituzione del simbolo sacramentale, ha un rappDCto vivo con il compimento del sacramento, sia che venga proclamata nella celebrazione sacramentale, specialmente nell'eucaristia, sia che, pur fuori della consacrazione sacramentale, stia in un rapporto vivo di significato con il sacramento. Di questa parola si deve dire che partecipa dell'efficacia dei sacramenti, quantunque in modo diverso da questi. Essa non può essere inefficace, perché in essa lo Spirito Santo realizza la sua testimo­ nianza a Cristo per mezzo della Chiesa. « Infatti la predicazione, nel caso che avvenga realmente come tale, è qualcosa di piu che un parlare od un riferire circa cose avvenute, oppure un esortare ; predicazione è testimo­ nianza che rende presente. Predicazione cristìana non è soltanto predica­ zione circa Cristo, ma predicazione in Cristo, testimonianza di Cristo, che nella sua Chiesa vive spiritualmente, eppure realmente, ed attesta se stesso mediante la sua parola ed il suo sacramento, come un giorno nel suo pel­ legrinaggio terreno ha reso di presenza testimonianza a se stesso mediante la sua parola ed i suoi segni miracolosi. Cristo, che è risorto e vive, non ci ha lasciato la sua parola alla maniera di un uomo, che, una volta morto, non vive piu di persona in mezzo a noi ma possono rimanere vive le -

§ 176 8• LE SINGOLE FUNZIONI SALVIFICHE DELLA CHIESA

687

parole. Il Verbo eterno del Padre esprime pure la sua parola in modo del tutto diverso da come un uomo pronuncia le sue parole, che possono essere da lui separate e accolte per se stesse. La parola di Cristo non può essere percepita veramente, senza che sia accolto Cristo stesso, perché Cristo e la sua parola sono inseparabili. Soltanto dove Cristo stesso è presenza viva, come avviene nella sua Chiesa, anche la sua parola e con ciò Cristo stesso è realtà vivificante. Staccare la parola di Cristo da Cristo stesso, cioè dalla sua presenza, significherebbe ridurla a lettera morta e costruire da essa l'opera umana di una cosi detta concezione cristiana del mondo e della vita » (G. Sohngen, Symbol und Wirklichkeit im K.ultmysterium, 19 37, 2 3). Viceversa il sacramento partecipa della spiritualità e dei significati della parola. Il sacramento è un segno che simboleggia e produce la sal­ vezza; indica Cristo che agisce mediante il segno, e quindi è parimenti una testimonianza di Cristo. Agostino (In loan., tract. So, 3) dice del sacramento che è per cosi dire una parola visibile. La parola dell'annunzio della fede si potrebbe quasi chiamare, sia pme soltanto in modo analogico, un sacramento udibile. Lo stretto rapporto tra parola e sacramento ap­ pare chiarissimo nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Dall'unità di annunzio della parola e di sacramento risulta che l'annunzio della fede realizza il suo pieno significato quando avviene entro la celebrazione del sacrificio ed in memoria del sacrificio della croce, od almeno quando è testimonianza del Signore crocefisso e glorificato, presente nella sua Chiesa ; e che l'amministrazione dei sacramenti realizza il suo pieno significato quando viene intesa e compiuta nello stesso tempo come predicazione di Cristo e come confessione della fede. In tal modo annunzio della fede e compimento dei sacramenti si sostengono e condizionano a vicenda. In particolare l'annunzio della fede acquista il suo vero carattere cristiano per la relazione al sacramento. Senza di essa la predicazione non si distingue internamente ed ess·enzialmente da una morale naturale. Senza l'ordina­ mento a Cristo perderebbe il suo valore e diritto propri. ar. G. Sohngen, l. c., r 8 ; J. Kuhn, Zur Lehre von dem Worte Gottes und den Sakra­ menten, in Tubinger Theologische Quartalschrift, 37, 1 855, I-57· L'annunzio della parola diventa un evento salvifico tra Dio e l'uomo. La Chiesa professa l'efficacia salvifica della parola allorché nella celebrazione eucaristica conclude la seconda lezione con le parole : per evangelica dieta deleantur nostra delicta. Che essa riconosca anche all'annunzio, che avviene nella predicazione, la forza di riconciliazione, lo dimostra pure l'usanza, ancora abituale in talune regioni cattoliche, di pronunziare, subito dopo la predica, la formula deprecatoria di assoluzione sulla comunità.

688

P. I.

-

LA CHIESA

L'azione salvifica della proclamazione del vangelo e della predicazione dimostrano che questi eventi non hanno nella celebrazione della Chiesa un'importanza secondaria; non scompaiono dietro la parte della consacra­ zione, in modo da poter essere trascurati. Neppure possono essere intesi come un'introduzione, forse superflua, alla celebrazione del sacrificio euca­ ristico. Quindi è discutibile se sia del tutto legittima l'opinione che si possa sostanzialmente soddisfare al precetto ecclesiastico della partecipa­ zione alla santa Messa, anche tralasciando il servizio divino della parola. Alla base di questa opinione vi potrebbe essere una sottovalutazione della predicazione. La struttura della celebrazione del sacrificio eucaristico sem­ bra essere guidata dalla concezione che i partecipanti debbano prima essere purificati dalla potenza spirituale della parola di Dio e rafforzati nella fede, e soltanto dopo possano partecipare alla morte sacrificale e alla risurrezione di Cristo. Il dinamismo salvifico della predicazione della Chiesa non dev'essere equiparato a quello dei sacramenti, che agiscono in virru del segno posto. Ciò è garantito dalla istituzione di Cristo. Nei segni sacramentali agisce nascostamente Cristo stesso, che afferra il soggetto e gli infonde la grazia designata da ciascun simbolo. Nel sacramento quindi il legame di Cristo all'azione umana è straordinariamente stretto. Nella predicazione invece, pure agendo lo Spirito Santo inviato da Cristo, non esiste quel legame dello Spirito alla parola della Chiesa, che esiste nel sacramento. Il rapporto tra l'azione dello Spirito e la predica­ zione della Chiesa è piu allentato che non quello tra Cristo ed il segno sacramentale. Non abbiamo la possibilità di descrivere con precisione la natura dell'azione dello Spirito nella parola. Si devono soltanto evitare i due estremi : di vedere nella parola della Chiesa una parola vuota e di intendere l'efficacia salvifìca della predicazione della Chiesa come un atto sacramentale. Non si terrebbe neppure debito conto della predicazione, se in essa si vedesse soltanto una forza affettiva, quale può avere la parola umana nel campo naturale. La parola può consolare e deprimere, può produrre gioia e disperazione, può generare coraggio e scoraggiamento, può creare virtu e vizio. Anche questa possibilità, insita nella forza motiva naturale della parola umana, è intesa quando si parla del dinamismo spi­ rituale della predicazione della Chiesa. Ma si deve dire ancora qualcosa di piu, perché nella parola della Chiesa agisce una forza celeste che viene da Dio, e si congiunge assieme alla forza motiva naturale, che compete alla parola della Chiesa, formando un tutto unitario. Anche qui l'elemento naturale è il recipiente di quello spirituale.

§ 177. L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

c) Attorno al circolo, che abbraccia il secondo campo della predica­ zione della Chiesa, sta un terzo, che abbraccia quel settore della parola della Chiesa, che ha soltanto piu un debole rapporto con la vita sacra­ mentale, ma riveste importanza come vestibolo o campo marginale della vita sacramentale e della fede. È la parola con cui la Chiesa parla nel mondo. Poiché in definitiva trae anch'essa il suo alimento dall'unione con Cristo, da questa riceve pure energia spirituale. Ma meno ancora che per il secondo campo è possibile determinarne la dimensione ed il modo di agire. Quanto essa sia legittima ed indispensabile, è stato dimostrato precedentemente.

§ 177.

L'infallibilità pontificia.

l.

l.

-

-

L'INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA COME TALE.

Spiegazione.

L'incremento del regno di Dio nella predicazione della Chiesa e nel­ l'accettazione per fede della verità rivelata, e la salvezza cosi operata, acquistano la loro massima sicurezza dal fatto che la Chiesa nel suo com­ plesso è infallibile nell'insegnamento e nella fede. L'infallibilità non si riferisce alla comunicazione di nuove rivelazioni, ma alla dichiarazione e delimitazione della rivelazione compiutasi in Cristo. Essa non si fonda sulle doti e la sapienza dell'uomo, ma sull'azione dello Spirito Santo, che rende testimonianza a Cristo per mezzo della Chiesa come sua bocca. Si può anche dire : è Cristo che nello Spirito Santo rende testimonianza a se stesso per mezzo della Chiesa. L'annunzio della fede da parte della Chiesa, essendo una testimonianza dello Spirito Santo a Cristo od una testimonianza di Cristo a se stesso, è in ultima analisi infallibile. L'influsso dello Spirito Santo sull'uomo, mediante il quale parla, non è qui necessario che consista nell'illuminarlo su questioni finora oscure, quantunque tale illuminazione possa essere congiunta con l'infal­ libilità ; ma può limitarsi alla semplice preservazione dall'errore, al rigetto di una dottrina che contraddice alla rivelazione, sia che l'impedimento di una tale decisione avvenga mediante mezzi umani normali (ad es. mediante l'analisi scientifica della parola rivelata, operata dallo Spirito) oppure me­ diante un miracolo.

P.

I. - LA CHIESA

Dalla infallibilità di una decisione ecclesiastica è da distinguere la sua opportunità. L'infallibilità non ne garantisce in ogni caso l'opportunità. Poiché gli uomini, di cui lo Spirito Santo si serve nella sua testimonianza a Cristo, non sono automi, ma conservano la libera volontà, è possibile pensare che, non in rapporto al contenuto di verità, ma in rapporto al modo del suo annunzio, e quindi anche in rapporto al tempo, si insinuino imperfezioni. Quantunque una verità sia sempre valida, tuttavia non ogni tempo, e non ogni uomo di ogni tempo, è ugualmente atto a percepirla ed accoglierla. Per questo sono necessari determinati presupposti psicolo­ gici. Occorre inoltre notare che per principio ogni formulazione ecclesia­ stica può essere perfezionata e quindi sostituita da una nuova, piu ampia e piu profonda (cfr. l'Enc. di Pio XII Humani generis, in cui sono esposti la possibilità ed i limiti di tali mutazioni). Ma di questo il fedele può sempre essere certo : che non avviene mai una definizione della Chiesa, che non si sia rivelata necessaria in un qualche tempo. La Provvidenza divina impedirà una simile corsa a vuoto. Cosi in definitiva una decisione ecclesiastica infallibile serve sempre alla stessa salvezza, anche quando ciò non appare chiaro a prima vista. Gli uomini, che sono raggiunti ed obbligati da una decisione infallibile, vengono chiamati a donarsi con maggiore forza di prima alla verità divina ed a Cristo, che è la verità stessa, perché è la realtà svelata di Dio (Gv. 1 4, I ). La tesi della infallibilità non dev'essere intesa neppure come afferma­ zione che la Chiesa abbia una conoscenza completa o perfetta. Essa si ri­ ferisce soltanto al carattere di verità, e non al carattere di completezza per quanto riguarda l'ampiezza, e di perfezione per quanto riguarda la forza visiva. Quando da parte protestante, a motivo della dottrina della infallibilità della Chiesa, si muove l'obiezione che con ciò la Chiesa si arroghi una conoscenza perfetta, che è contraria alla Scrittura, ciò costi­ tuisce un malinteso. Anche le definizioni infallibili della Chiesa sottostanno alla legge sta­ bilita da Paolo nella prima lettera ai Corinti per ogni conoscenza di fede entro la storia (I Cor. I 3, 8-I 3) : « La carità non verrà mai meno. Invece, se sono le profezie, svaniranno; se è il dono delle lingue, cesserà ; se è la scienza, diverrà inutile. Poiché possediamo la scienza e abbiamo la pro­ fezia in modo ben imperfetto, e quando verrà ciò che è perfetto, l'imper­ fetto sparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino, e da bambino pensavo e ragionavo ; ma dacché sono diventato uomo, mi sono disfatto di ciò che era infantile. Ebbene noi vediamo ora come in uno specchio, in

§ 1 77. L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

un'ombra; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso io conosco im­ perfettamente ; ma allora conoscerò appieno, come sono conosciuto ». Il carattere di infallibilità si riferisce quindi al problema della certezza, da cui è da tenere accuratamente distinto il problema della perfezione. Anche per le conoscenze di fede, espresse ed affermate con certezza, vale ciò che vale per ogni conoscenza di fede : ha cioè carattere analogico. Secondo Tommaso d'Aquino questo significa che le nostre idee ed immagini, con cui ci rappresentiamo Dio, sono molto piu dissimili che simili a Dio. Il carattere di infallibilità non elimina quindi il carattere di mistero, ma ci dà la certezza che non affermiamo una cosa qualunque, bensi ciò che Cristo ha detto ed inteso. Ciò corrisponde anche di fatto al nostro proprio bi­ sogno di fede, poiché il nostro sforzo mira ad afferrare realmente ed esat­ tamente la parola del Signore. La sua rivelazione non avrebbe senso, se non riuscissimo ad afferrarla nel suo vero senso. A questo serve l'infalli­ bilità della Chiesa, che è un mezzo efficace per raggiungere la rivelazione divina e non afferrare in vece sua un fantasma. Poiché l'infallibilità non è identica a perfezione assoluta, e quindi anche decisioni infallibili della Chiesa sono suscettibili di perfezionamento, e precisamente riguardo alla formulazione ed all'inserimento nel senso ge­ nerale della rivelazione, anche ad esse conviene un carattere escatologico, che è espressione e conseguenza del carattere escatologico di tutta la Chiesa. Come l'infallibilità non dev'essere scambiata con completezza, cosi non dev'essere confusl.l. con immunità dal peccato. Verità di fede e santità, pur essendo strettamente congiunte, non sono tuttavia identiche. Il santo ha un accesso a Dio, che è precluso al peccatore, perché è aperto alla realtà di Dio, che è una realtà di amore. Cosi il santo può acquistare nozioni di Dio, che mancano al non santo. Ma nell'annunzio infallibile parla in ul­ tima analisi lo Spirito Santo, il quale può dire ciò che vuole anche per mezzo di un uomo non santo. Egli può impedire al non santo di dire ciò che non dev'essere detto, oppure che non dev'essere detto come lo vor­ rebbe dire un uomo autonomo. Cosi quindi con la tesi della infallibilità, con la tesi secondo cui chi enuncia una verità in nome e come rappre­ sentante di tutta la Chiesa è infallibile, non si afferma che egli sia un santo. La dottrina della infallibilità della Chiesa non urta contro la dottrina pao­ lina, secondo cui nessuno deve giudicare se stesso, perché il giudizio spetta a Dio.

P. I.

2.

-

-

LA CHIESA

Giustificazione. a)

Per quanto concerne il fatto della infallibilità, la Chiesa ne ba una

viva consapevolezza, che consegue alla sua consapevolezza di essere il popolo di Dio o il corpo di Cristo. Nella sua fede

in

se stessa quale corpo

di Cristo è inclusa la fede nella sua propria infallibilità. La convinzione della propria infallibilità è in ogni uomo presunzione, anzi illusione. Lo sarebbe anche nella Chiesa, se essa non fosse sostenuta dalla convinzione di essere ripiena di Cristo e dello Spirito Santo. La coscienza della propria infallibilità, essendo un settore della autocoscienza della Chiesa quale corpo di Cristo, è congiunta con la piu profonda umiltà. La Chiesa non attri­ buisce la sua infallibilità alla propria virtu creativa, ma allo Spirito creativo di Dio. Essa ha professato la propria fede nella sua infallibilità nel Con­ cilio Vaticano

I . « La dottrina di fede, rivelata da Dio, non fu proposta

allo spirito umano come una invenzione filosofica, perché la perfezionasse, ma fu consegnata come bene divino alla sposa di Cristo, perché lo con­ servasse fedelmente e lo spiegasse senza errore. Perciò si deve pur sempre ritenere quel senso delle verità di fede, che è stato esposto una volta dalla santa madre Chiesa ; da questo senso non bisogna mai scostarsi col pretesto ed

in

nome di una conoscenza superiore » (Sess.

3, cap. 4 ; Denz. 1 8oo).

Ancora piu chiaramente il concilio parla dell'infallibilità della Chiesa dove tratta del potere dottrinale del papa. Riporteremo tra poco

il testo.

Con la fede nella sua infallibilità la Chiesa professa la sua unione con Cristo, si presenta a se stessa come comunità di Cristo. Nelle decisioni infallibili, pronunziate in virru della fede in Cristo, essa attua la sua obbedienza ed il suo amore a Cristo. Quando non questo o quel membro, ma la Chiesa nel suo complesso viene assalita e minacciata dall'orgoglio dello spirito umano nemico di Cristo, essa si raccoglie in se stessa e si oppone nel suo complesso all'attacco ed alla minaccia. Poiché la rivelazione di Dio è incarnazione del suo amore, l'assenso ad essa di tutta la Chiesa è la risposta dell'amore e della dedizione. Quando nella sua decisione essa lega l'uomo, lo obbliga a donarsi all'amore di Dio in­ carnato nella rivelazione, a piegarsi alla verità personificata apparsa in Cristo, cioè alla realtà di Dio manifestatasi

in

Cristo. Il potere ed il diritto

di legare ed obbligare in tal modo l'uomo, le viene dalla sua unione con Cristo. Nella « decisione sovrana

»

della Chiesa Cristo lega la coscienza.

Soltanto nell'obbedienza e nell' amore a Cristo la Chiesa può e deve obbli­ gare l'uomo all'obbedienza assoluta alle sue decisioni infallibili. Soltanto

§

17 7.

L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

perché nella parola della Chiesa Cristo ci chiama, noi possiamCl e dob­ biamo sottometterei alla sua legge di fede. Cfr. il vol. I, § I 1 . b ) Senza l'infallibilità della Chiesa non ci sarebbe garanzia e sicu­ rezza per la retta comprensione della parola di Dio, che sarebbe lasciata alla ricerca ed alla critica dei singoli. Non la fede e l' amore sarebbero le forze e gli atteggiamenti decisivi, ma l'indagine scientifica e l'acume cri­ tico. Sarebbero spalancate le porte al razionalismo ed all'individualismo. Senza la sua autorità infallibile la Chiesa non potrebbe osare di occuparsi del mondo con i suoi errori e le sue passioni, per purificarlo e santificarlo; dovrebbe temere il pericolo di cadere essa stessa nella incertezza. « La spiegazione completa, lo sviluppo organico, la irradiazione feconda, la tra­ sformazione che dà una nuova impronta, la formazione concreta e la po­ tenza storica generale obbligante, la fecondità della verità cristiana che determina tutti i campi di vita » presuppongono l'ancoramento in una autorità infallibile (G. Siewerth, Uber Bedeutung und Funktion des Pri­ mates in der geschichtlichen Wirklichkeit der christlichen Wahrheit, io Die Schildgenossen� I 8, I9 39, I 6-32). Di fatto la Chiesa orientale non si arrischiò a dare forma al mondo, mentre il protestantesimo sovente vi si smarri. A queste considerazioni non si può opporre che lo Spirito Santo che agisce nella Chiesa porta esso stesso la verità alla vittoria anche senza autorità infallibile ; poiché, come la potenza invisibile di Dio si manifesta e concretizza in forme visibili nella Chiesa, cosi anche la testimonianza dello Spirito Santo a Cristo deve concretizzarsi e manifestarsi nella parola udibile obbligante. Senza questa incarnazione vincolante della testimo­ nianza a Cristo la Chiesa sarebbe l'arena di infinite lotte estenuanti e èiistruttive. c) La Chiesa ha il suo mandato dottrinale da Cristo (Mt. 28, I 8-2o ; Mc. 1 6, I 5 . 20; Le. 24, 47-49). Esso è una parte della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa e che costituisce una continuazione della sua stessa missione (Gv. 20, 2 I ). Egli stesso, che è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (Gv. 1 8, 37), sarà con essa tutti i giorni fino alla fine del mondo, per garantire in tal modo il retto insegnamento (Mt. 28, 20) Cosi essa, cui egli ha affidato le parole ricevute dal Padre� cui egli ha rivelato il nome del Padre (Gv. 1 7, 6-8), sarà testimone della ve­ rità (Atti I , 8 ; Gv. I 5 , 27). Inoltre, per l'esercizio del suo mandato dot­ trinale egli le promette lo Spirito Santo, che introdurrà la Chiesa in tutta la verità ; che non parlerà da sé, ma dirà ciò che ode ed annunzierà il futuro (Gv. I6, 1 3). Egli insegnerà alla Chiesa ogni cosa e le ricorderà .

P.

l.

-

LA CHIESA

tutto ciò che Cristo ha detto (Gv. I 4, 26). L'annunzio della parola di Dio non deve avvenire prima della discesa dello Spirito Santo (Le. 24, 49) ; ma allora i discepoli devono annunziare dai tetti ciò che Cristo ha predicato nelle tenebre (M.t. I O, 27). Ascoltare il loro messaggio equivale ad ascol­ tare Cristo stesso (Le. I O, I 6 ; M.t. IO, 40). Perciò chi accoglie la predi­ cazione della Chiesa sarà salvo, chi la rigetta sarà condannato (Mc. I 6, I 6). Infatti gli apostoli, dal giorno in cui lo Spirito Santo li ha formati come Chiesa, sono coscienti di essere i testimoni di Cristo ripieni di Spirito Santo, e perciò esigono fede ed obbedienza assolute alla loro parola. Al­ lorché gli apostoli dovettero giustificarsi dinanzi al Sinedrio giudaico per la loro predicazione, a nome degli altri Pietro dichiarò : « Noi siamo testi­ moni di questi fatti insieme con lo Spirito Santo » (Atti 5, 32). Parimenti il Concilio apostolico di Gerusalemme è cosciente di essere guidato dallo Spirito Santo. Nella lettera agli etnico-cristiani di Antiochia, Siria e Cilicia è detto : « È sembrato bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi alcun altro gravame » (Atti 1 5 , 28). Paolo scrive ai Corinti che Cristo parla in lui (2 Cor. I 3, 3). La sua predicazione non è parola umana, ma parola di Dio (I Tess. 2, I 3 i Rom. I, I ; 2, I 6 ; 2 Tess. I , 8 ; Gal. 1, I I s. ; I, 1 6). La Chiesa è quindi una colonna ed un pilastro della verità (I Tim. 3, 1 5). d) Nello schema De Ecclesia proposto al Concilio Vaticano l, riguardo all'infallibilità della Chiesa si dice : « La Chiesa di Cristo perderebbe la sua immutabilità e dignità e cesserebbe di essere la comunità della vita e mezzo necessario per la salvezza, se potesse sviarsi dalla verità salvifica della fede e dei costumi e nella sua predicazione ed interpretazione ingan­ nare sé od altri. Essa è la colonna ed il fondamento della verità, quindi esente ed immune da ogni pericolo dell'errore e della falsità. Con l'approvazione del santo concilio ecumenico noi insegniamo e di­ chiariamo che la dote della infallibilità, la quale è rivelata come caratreri­ stica perpetua della Chiesa di Crisro, e non è da confondere con il carisma della ispirazione, ed il cui scopo non è neppure di donare alla Chiesa nuove rivelazioni, è conferita alla Chiesa affinché la parola di Dio scritta e tra­ mandata oralmente rimanga genuina in tutta la Chiesa, sia conservata e custodita pura da innovazioni e mutazioni, come comandò S. Paolo : O Timoteo, custodisci il deposito che ti confido, schiva le vuote chiac­ chiere profane e le diatribe della pretesa gnosi che molti annunziando naufragarono nella fede (I Tim. 6, 20). La stessa cosa ripete ancora Paolo : Tieni a modello le sane parole che udisti da me, nella fede e nella carità che è in Cristo Gesti. Custodisci il bel deposito mediante lo Spirito Santo, che inabita in noi (2 Tim. I , I 3 s.).

§

177.

L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

Noi insegniamo dunque che l'oggetto della infallibilità si estende quanto si estende il deposito della fede e lo richiede il dovere di difendere questo deposito. Pertanto la prerogativa della infallibilità, che la Chiesa di Cristo possiede, abbraccia in primo luogo tutta la parola rivelata di Dio, ma poi anche tutto ciò che, pure non essendo rivelato, è non di meno assoluta­ mente necessario per conservare con sicurezza le cose rivelate, proporle e spiegarle in modo preciso e chiaro come proposizione di fede, oppure affermarle e difenderle efficacemente contro gli errori umani e le diatribe di una falsa scienza. Questa infallibilità, il cui fine è la verità immacolata della comunione dei fedeli nella dottrina di fede e dei costumi, si trova nel magistero che Cristo ha istituito per sempre nella sua Chiesa allorché disse agli Apostoli : Andate, dunque, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comanda!o. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt. 28, I9 s.). Agli apostoli Cristo pro­ mise pure lo Spirito della sua verità, che rimarrebbe sempre con essi, sa­ rebbe in essi ed In segnerebbe loro tutta la verità (Gv. 1 4, 1 6 s.) » (cap. IX). e) Secondo questo testo per la re tta comprensione della infallibilità della Chiesa è necessaria una distinzione. Si deve cioè distinguere tra l'infallibilità nel credere e quella nel predicare, tra l'infallibilità passiva e quella attiva. La Chiesa in quanto popolo di Dio, in quanto corpo di Cristo, è una comunità di fede. Nella fede in Cristo essa è nel suo com­ plesso infallibile. Questa infallibilità passiva ha la sua ragione ultima e piu profonda nell'unione con Cristo o con lo Spirito Santo. Tuttavia Cristo si serve qui degli organi del magistero da lui istituito, cui egli, dando la sua missione, ha pure comunicato il suo potere dottrinale. È vero che nello Spirito Santo egli influisce immediatamente sui membri del suo corpo mistico; tuttavia accorda loro il pane della verità in modo visibile ed udi­ bile mediante la parola della predicazione ecclesiastica. Affinché il pane della verità venga offerto di continuo, egli ha creato l'istituzione del ma­ gistero. Nello stesso tempo egli opera continuamente nello Spirito Santo nei titolari del magistero, i quali, per l'influsso continuo che Cristo esercita su di essi, ed attraverso ad essi sugli uditori, si distinguono essenzialmente ed intrinsecamente da una organizzazione morta, impersonale. In essi, come possiamo di nuovo constatare, l'istituzione si congiunge con l'avvenimento. Organi dell'infallibilità attiva della Chiesa, e quindi della sua predica­ zione infallibile, sono la totalità dei vescovi nel loro insegnamento ordi-

P. I. - LA CHIESA

nario e universale e nelle loro solenni decisioni di fede, e soprattutto il papa : i primi soltanto in unione con il papa. Infatti nella totalità dei ve­ scovi uniti al papa si presenta la Chiesa stessa.

II. - L'INFALLIBILITÀ DEL PAPA.

Nel papa è ancorata in modo indistruttibile l'infallibilità della Chiesa, di cui egli è debitore non alla Chiesa, bensi a Cristo, il quale però gliela ha conferita per la Chiesa medesima. Nelle decisioni dottrinali del papa c'è la manifestazione piu visibile dell'infallibilità della Chiesa e la sua garanzia piu sicura. La ragione per cui nel papa si presenta nel modo piu chiaro l'infallibilità della Chiesa e vi è garantita con sicurezza assoluta, sta nella sua importanza, voluta da Cristo, per tutta la Chiesa. A lui spetta, come abbiamo visto, il supremo e pieno potere nella Chiesa. In lui quindi si presenta la Chiesa intera. Perciò la Chiesa intera sarebbe minacciata dal­ l'errore nella fede, qualora il papa, come rappresentante di tutta la Chiesa, come titolare del supremo potere nella Chiesa, potesse cadere nell'errore di fede. Perciò nella fede nella infallibilità del papa stanno le radici della fede nella infallibilità di tutta la Chiesa. L'infallibilità del papa garantisce e sostiene l'infallibilità della Chiesa. l.

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Documenti ecclesiastici.

Il Concilio Vaticano I dichiara (Sess. 3, cap. 4; Denz. 18 32- I 8 35) : « In questo primato apostolico, che il romano pontefice quale successore del principe degli apostoli, Pietro, detiene su tutta la Chiesa, è incluso anche il supremo potere dottrinale. La santa Sede lo ha sempre ritenuto, l'eser­ cizio continuo lo dimostra, ed i concili universali l'hanno dichiarato, so­ prattutto quelli in cui l'Oriente si trovò unito all'Occidente nella fede e nella carità. I Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, seguendo le orme dei loro predecessori, confessarono solennemente : " L'inizio della sal­ vezza è l'osservare la regola della retta fede. E poiché le parole di nostro Signore Gesu Cristo : Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, non possono non adempiersi. Cosi queste parole si avverano nei fatti : poiché nella Sede apostolica la religione cattolica fu sempre conser­ vata intatta e la santa dottrina annunziata. Dalla sua fede e dalla sua dot­ trina non vogliamo mai essere separati, e speriamo di essere degni di vivere nell'unica comunione, che la santa Sede proclama. Su di essa si fonda la piena e vera saldezza della religione cristiana ". Col consenso

§

1 7 7.

L 'INFALLIBILITA PONTIFICIA

del secondo Concilio di Lione i Greci confessarono : " La santa Chiesa romana possiede il supremo e pieno primato e principato su tutta la Chiesa cattolica. Essa riconosce in verità ed umiltà di averlo ricevuto, con la pie­ nezza del potere, dallo stesso Signore in S. Pietro, principe e capo degli apostoli, di cui il romano pontefice è successore. E come essa, piu di tutte le altre, è tenuta a difendere la verità della fede, cosi anche tutte le que­ stioni insorgenti circa la fede devono essere decise dal suo giudizio ". Il Concilio di Firenze infine dichiara : " Il romano pontefice è il vero rap­ presentante di Cristo, il capo di tutta la Chiesa, il padre e maestro di tutti i cristiani. A lui nel beato Pietro è stato dato dal nostro Signore Gesu Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare tutta la Chiesa ". Per adempiere questo ufficio pastorale i nostri predecessori si sono in­ cessantemente adoprati di diffondere la dottrina salvifica di Cristo in tutti i popoli della terra. E con la stessa cura vigilarono affinché là, dove essa fu accolta, sia conservata intatta e pura. Perciò i vescovi di tutto l'orbe, ora personalmente, ora riuniti in concilio, seguendo l'antica consuetudine della Chiesa e la formula dell'antica regola, a questa santa Sede segnala­ rono quei pericoli, che sorgevano soprattutto in materia di fede, affinché i danni della fede fossero specialmente riparati là, dove la fede non può patire difetto. Da parte loro i romani pontefici, a seconda delle esigenze dei tempi e delle situazioni, ora convocando concili ecumenici, ora inda­ gando la sentenza della Chiesa dispersa in tutto l'orbe, ora mediante si­ nodi particolari od altri mezzi, quali offriva la Provvidenza divina, hanno definito come salda dottrina ciò che avevano, con l'aiuto di Dio, conosciuto conforme alla sacra Scrittura ed alle tradizioni apostoliche. Infatti lo Spi­ rito Santo non fu promesso ai successori di Pietro affinché, per sua ispi­ razione, rivelassero una nuova dottrina, ma perché, con la sua assistenza, custodissero santamente ed interpretassero fedelmente la rivelazione tra­ smessa dagli apostoli, cioè il deposito della fede. Il loro insegnamento apostolico è stato accolto da tutti i venerabili Padri, i Santi Dottori orto­ dossi l'hanno tenuto in onore e l'hanno seguito. Essi erano pienamente consapevoli e profondamente convinti che questa Sede del beato Pietro rimane sempre immune da ogni errore, secondo la promessa divina fatta dal nostro Signore e Redentore al principe dei suoi discepoli : " Io ho pregato per te, affinché la tua fede non vacilli, e quando ti sarai riavuto rafforza i tuoi fratelli ! " (Le. 22, 32). Questo carisma della verità e della fede che non viene mai meno è stato conferito da Dio a Pietro, ed ai suoi successori su questa cattedra, affinché esercitassero il loro sublime ufficio per la salvezza di tutti, affinché l'intero

P. I.

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LA CHIESA

gregge di Cristo per mezzo loro sia tenuto lontano dal cibo avvelenato dell'errore e sia nutrito col cibo della dottrina celeste, affinché, eliminata ogni occasione di scisma, tutta la Chiesa si conservi unita e, appoggiata su questo saldo fondamento, sia forte contro le porte dell'inferno. Ma poiché proprio in questo tempo, in cui l'azione salutare dell'ufficio apostolico è richiesta in modo cosi urgente, non sono pochi coloro che si oppongono alla sua autorità, riteniamo assolutamente necessario procla­ mare solennemente la prerogativa che il Figlio unigenito di Dio si è de­ gnato di congiungere col supremo ufficio pastorale. Pertanto ad onore di Dio, nostro Salvatore, ad esaltazione della reli­ gione cattolica, a salvezza dei popoli cristiani, aderendo fedelmente alla tradizione conservata fin dall'inizio della fede cristiana, con l'assenso del santo concilio insegniamo e definiamo come dogma da Dio rivelato che il romano pontefice quando parla ex cathedra, ossia quando, esercitando l'uf­ ficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtu della suprema autorità apostolica definisce che una dottrina circa la fede od i costumi è da rite­ nere da tutta la Chiesa, possiede, per l'assistenza divina promessagli nel beato Pietro, quella infallibilità della quale il divin Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa nel definire le dottrine di fede e di costume; e perciò che tali definizioni del romano pontefice sono irreformabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa. Se alcuno - Dio non voglia si permettesse di contraddire a questa nostra definizione, sia scomunicato » . Ciò che è stato espresso nella dichiarazione del Concilio Vaticano I il r 8 luglio 1 870, è stato esposto in molte precedenti dichiarazioni della Chiesa. Come già abbiamo rilevato, le piu importanti tra esse sono state inserite nella decisione vaticana e perciò non è piu il caso di citarle a parte. Inoltre tutte le dichiarazioni della Chiesa relative al supremo potere del papa riguardano nello stesso tempo la infallibilità pontificia, poiché il su­ premo potere papale include il supremo potere dottrinale. 2.

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Spiegazione dell'infallibilità pontificia.

a) Che cosa si insegna con la decisione vaticana? La vera definizione è contenuta nell'ultimo capoverso, dove l'infallibilità pontificia viene esat­ tamente circoscritta e vengono escluse molte idee ed istanze esagerate manifestatéSCin quel tempo. Anzitutto è detto che l'infallibilità compete soltanto al papa legittimo, quale successore dell'apostolo Pietro, e non ad autorità pontificie. Allo stesso papa essa compete come potere non dele­ gabile soltanto quando parla come papa, cioè quando come pastore e maestro di tutto il popolo di Dio proclama una verità di fede, e precisa-

§ 1 77 . L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

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mente con l'intenzione di prendere una decisione definitiva di fede. L'in­ fallibilità non compete quindi alle prediche o ad altre dichiarazioni orali o scritte, agli atti privati od ufficiali, in cui il papa non intende dare una decisione definitiva di fede, a misure di disciplina e di amministrazione ecclesiastica. Si può fondatamente ritenere che, dal Concilio Vaticano I ai nostri giorni, c'è stata con certezza soltanto una decisione infallibile, cioè la definizione dell'assunzione corporea di Maria. Soltanto in questo caso si sono verificate tutte le condizioni che recano e garantiscono il carattere di infallibilità di una decisione. Tuttavia il cattolico non può tenere un atteggiamento indifferente, o addirittura negativo, nei confronti delle en­ cicliche papali coi loro insegnamenti, avvertimenti ed ammonizioni. Il papa Pio XII nell'Enc. Humani generis dice : « Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, di cui valgono pure le parole : chi ascolta voi, ascolta me; e per lo più, quanto viene proposto ed inculcato nelle encicliche, è già, per altre ragioni, patri­ monio della dottrina cattolica. Che se, poi, i sommi pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evi­ dente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione tra i teologi » (Denz. 30 I 3). b) Il campo della infallibilità pontificia abbraccia non solo tutta la rivelazione, e quindi le dottrine rivelate di fede e di costumi, m a anche quei campi marginali che sono strettamente congiunti con il campo della rivelazione, cosi che questo non può più rimanere incolume, se non sono assicurati anche quelli. Si tratta qui delle cosi dette verità cattoliche, di prescrizioni discipli­ nari generali della Chiesa, dell'approvazione di Ordini ed infine della cano­ nizzazione dei santi. Per quel che riguarda le prescrizioni disciplinari della Chiesa e l'approvazione di Ordini, l'infallibilità si estende al giudizio dottrinale (iudicium doctrinale) circa la conformità di una regola religiosa o di una prescrizione disciplinare con la verità rivelata, e non al giudizio pratico (iudicium prudentiale) circa la oppor­ tunità. Oggi è pure dottrina comune dei teologi che la Chiesa sia infallibile nella ca­ nonizzazione dei santi, cioè nel giudizio definitivo che un uomo gode della vi­ sione di Dio e può essere venerato come santo da tutta la Chiesa. Per verità cattoliche sono da intendersi quelle verità che, pur non essendo rivelate da Dio, hanno tuttavia con la rivelazione un cosi stretto rapporto, che

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1'. l.

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l.A CHIESA

senza la loro validità non potrebbe essere accolta neppure la rivelazione. Tali verità non sono garantite direttamente da Dio che si rivela, ma dalla Chiesa che proclama la rivelazione di Dio. Il fedele quindi le accetta a tutta prima (imme­ diatamente) per l'autorità della Chiesa, ma in definitiva (mediatamente) per l'au­ torità di Dio, perché accetta pure la Chiesa per l'autorità di Dio (fides catholica o fides divino-catholica). Alle verità cattoliche appartengono anzitutto le conclusioni teologiche, con cui s'intendono le verità che mediante la ragione vengono dedotte da due verità ri­ velate quali premesse, oppure da una verità rivelata ed una verità razionale. Delle conclusioni teologiche, le cui premesse sono due verità rivelate, si deve dire che anch'esse sono rivelate direttamente quanto al contenuto. L'attività discorsiva della ragione umana serve soltanto a sviluppare ciò che è contenuto nella stessa rivelazione. Quindi possono essere dichiarate dogmi dalla Chiesa. Le conclusioni, in cui soltanto una premessa è verità rivelata, mentre l'altra è una verità di ragione, sono chiamate conclusioni teologiche in senso proprio. Ad esse conviene nel suo pieno significato la definizione di verità cattolica. Esse sono rivelate in radice (virtualmente); e non possono essere stabilite come dogmi nel senso precedentemente enunciato. Tuttavia la Chiesa le può proclamare in­ fallibilmente come verità. L'infallibilità della Chiesa nel giudizio delle conclusioni teologiche ha la sua ragione in questo, che esse sono cosi strettamente collegate con la rivelazione, che quest'ultima, senza tale infallibilità, non potrebbe essere assicurata e resa feconda per la vita religiosa. Vi appartengono inoltre le verità di ragione (verità filosofiche), che hanno un rapporto insolubile con il dogma. La Chiesa può stabilire infallibilmente le dot­ trine filosofiche, che costituiscono i presupposti necessari di verità rivelate, ad es. la capacità di conoscere della ragione umana, e rigettare quelle che sono in con­ traddizione con la rivelazione, ad es. l'agnosticismo assoluto, perché tra ragione e verità rivelata non vi può essere contraddizione (Concilio Vaticano I, sess. 3, cap. 4; Denz. 1798; Can. 2 de fide et ralione Denz. 1817). Appartengono infine alle verità cattoliche i cosiddetti fatti dogmatici. Si distin­ guono fatti dogmatici in senso stretto ed in senso largo. Per fatto dogmatico in senso largo si intende un fatto storico non rivelato, il quale è cosi intimamente intrecciato con la rivelazione, che la sua negazione compona anche la negazione di un dogma, ad es. la dimora di S. Pietro a Roma, la legittimità di un papa, la convocazione legittima di un concilio ecumenico. Per fatto dogmatico in senso stretto s'intende l'esistenza di un determinato senso di un testo dogmatico giudicato dalla Chiesa, come, ad es., i « Tre capi­ toli » nella controversia origenista. Nello stabilire il senso di un testo dogmatico la Chiesa dev'essere infallibile, perché diversamente non potrebbe proteggere sufficientemente i fedeli dall'errore (Cost. Vineam domini, Denz. 1350). E quando la Chiesa giudica un determinato testo dogmatico non intende giudicare l'inten­ zione del suo autore. Circa il contenuto dell'enunciato inteso dall'autore la Chiesa non prende alcuna decisione; essa mette soltanto in rilievo il senso che da esso trae il lettore non prevenuto, il quale abborda semplicemente il testo. Cosi ad es. con la condanna di parecchie proposizioni desunte dalle opere di Eccardo essa non ha condannato i sentimenti o le intenzioni di questo mistico, ma il significato che le proposizioni da essa valutate hanno nel loro tenore letterale. .•

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L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

701

c) Per quanto concerne l'effetto di una dichiarazione infallibile, si deve dire quanto segue. Con essa la rivelazione viene stabilita e protetta contro gli errori. Le definizioni pontificie sono irrevocabili e non hanno bisogno di essere prima confermate dai vescovi o da un concilio o da altra autorità (Denz. 1325). Cosi pure non hanno possibilità o bisogno di essere dimostrate in senso proprio; portano in se stesse la ragione della loro esattezza. La loro verità acquista evidenza dalla loro effettività, ed in questa sta la loro legittimità. Le definizioni infallibili non possono essere dimo­ strate nel senso che la loro accettazione si faccia dipendere dal buon esito di una prova. Quando nella scienza dogmatica si tenta di « provare » de­ cisioni infallibili della Chiesa, lo scopo di tale procedimento può consistere soltanto nel mostrare quale sia la forma espressiva in cui la verità rivelata, proclamata infallibilmente dal magistero vivo, è contenuta nella Sacra Scrit­ tura, o esplicitamente od implicitamente, e come questa si sia sviluppata fino a giungere alla proclamazione della Chiesa. Tale sforzo dà un impor­ tante contributo alla conoscenza di una definizione, in quanto ogni dogma si può comprendere pienamente soltanto dalla sua storia e dal nesso con tutta la rivelazione. La cosi detta prova dogmatica non serve quindi a giu­ stificare una verità della Chiesa in modo che senza giustificazione essa rimanga incerta, ma apre nuove prospettive e visioni. Essa spiega il con­ tributo che il dogma proposto dà alla conoscenza della rivelazione in tutta la sua pienezza. Nella « prova » dalla Scrittura e dalla tradizione appare la vivezza e la forza che una definizione infallibile contiene in sé per l'esercizio della fede. Un'·altra conseguenza dell'infallibilità della definizione dogmatica è l'ob­ bligo di tutte le membra del corpo di Cristo alla verità rivelata proclamata. La proclamazione infallibile di fede ha il carattere di legge di fede, e quindi carattere giuridico. È un obbligo di obbedire alla rivelazione. Chi si sottrae all'obbedienza, si esclude dalla comunità che è costituita dalla fede in Cristo, abbandona la comunità di fede che si raccoglie attorno a Cristo. Per questo non è necessaria una esclusione formale. Se alle defi­ nizioni della Chiesa viene aggiunto di regola un anatema, questo constata soltanto ciò che colui, il quale rifiuta la fede, ha compiuto con la sua di­ sobbedienza di fede. Non sarebbe una spiegazione oggettiva di questa situazione, se la si caratterizzasse col termine di costrizione dogmatica. Piuttosto c'è qui quell'obbligo, mediante il quale Cristo lega l'uomo a se stesso ed alla sua parola. È quell'imprigionamento dello spirito umano di cui parla Paolo, il quale nella lettera ai Romani dichiara che, preso egli stesso a servizio da Gesu Cristo, ha il compito, anzi il potere obbligante,

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P. I.

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LA CHIESA

di portare gli uomini all'obbedienza di fede (Rom. I, 5 ; cfr. I Cor. 9, 16 s. ; Gal. 6, 2). Con ciò la vera libertà non soltanto non viene minacciata, ma resa possibile e garantita, poiché essa è un legame alla verità. Senza tale legame l'esercizio della libertà sarebbe una corsa a vuoto, un arbitrio ed un'assurdità. L'obbligo che si trova in una definizione si può ancora considerare sotto un altro punto di vista. Il papa parla come vicario di Cristo, ma nello stesso tempo con una definizione infallibile egli realizza la fede in Cristo a nome della Chiesa. Perciò la sua definizione ha una duplice direzione : in essa in certo modo s'incontrano un movimento dall'alto in basso ed un movimento dal basso in alto. In quanto la definizione è un movimento dall'alto in basso, i membri della Chiesa sono chiamati ad accettarla come legge di fede. In quanto è un movimento dal basso in alto sono chiamat ì ad acconsentire nella fede di colui che li rappresenta. Cosi ognuno acquista la garanzia di credere ciò che Cristo ha detto e non ciò che desidera il proprio cuore, soggetto alla tentazione o non purificato. L'obbligo derivante da una definizione della Chiesa non è un legame qualunque ed arbitrario, ma il legame della verità stessa, di quella verità che è apparsa in Cristo. È quindi un legame conveniente all'uomo quale creatura di Dio, un legame salvifico. Con esso l'uomo viene congiunto e legato a Dio stesso. Con esso Dio, quale verità personale, stabilisce il suo dominio sull'uomo. Sottomettendosi ad esso, e soltanto cosi, l'uomo acqui­ sta la vita vera e propria. Sottomettendosi ad una definizione della Chiesa egli si libera dall'errore, che contraddice alla sua natura piu intima; e viceversa perviene alla pienezza della sua esistenza, che è fatta per la ve­ rità e precisamente per la verità ultima e suprema, cioè per Dio stesso. Come il peccato comporta un accecamento dello spirito umano, cosi l'uomo mediante l'annunzio del vangelo fatto dall a Chiesa viene liberato dalla cecità. Una dichiarazione dottrinale della Chiesa è quindi un passo nella realizzazione della economia salvifìca divina. Vale per ciascuna dì esse il principio : propter nostram salutem. Occorre qui notare che una definizione dogmatica della Chiesa e la sua proclamazione non costituisce soltanto una illuminazione intellettuale, e neppure soltanto un impulso all'obbedienza, ma comunicazione di grazia, poiché qui agisce lo Spirito Santo, anima del corpo di Cristo, del quale il papa è rappresentante. In tal modo nella definizione della Chiesa non sol­ tanto un uomo posto da Dio pronuncia una parola decisiva, ma nell'inse­ gnamento della Chiesa lo Spirito Santo si rivolge a chi ascolta e lo afferra

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1 77.

L 'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

con la sua grazia. Nell'impulso, che dà la parola umana, agisce quindi l'impulso del cielo. In tal modo la funzione redentrice della definizione della Chiesa diviene visibile nel suo compiersi invisibile. 3.

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Giustificazione dell'infallibilità pontificia.

La ragione intrinseca del dogma dell'infallibilità pontificia sta nel ca­ rattere del papa quale titolare del pieno o supremo potere della Chiesa, il quale comprende il potere di magistero, cioè quello di obbligare tutti i membri del popolo di Dio all'annuncio dottrinale del papa, e precisamente con l'effetto che la disobbedienza a tale annunzio comporta la esclusione dalla comunione di fede della Chiesa. Ciò sarebbe assurdo se il papa non fosse infallibile in un simile atto che obbliga tutti, se quindi si potesse tenere conto del fatto che egli possa obbligare ad un errore. Il suo potere supremo ba un senso nel campo dell'annunzio di fede soltanto se esiste una garanzia che il papa, nell'esercizio del potere dottrinale, obbliga le membra del corpo di Cristo alla rivelazione e non ad una dottrina che vi contraddice. Cosi l'infallibilità si deduce dal supremo potere papale. Ma si può anche dimostrare che il magistero infallibile del papa è un potere particolare distinto dal potere supremo. Quale successore di Pietro, il papa ha il potere ed il dovere di svolgere i compiti di Pietro. Tale com­ pito viene circoscritto da Cristo con i termini di potere di legare e di scio­ gliere, con l'incarico di pascere il gregge e di rafforzare i fratelli. Come abbiamo visto, il potere di legare e di sciogliere implica il potere di sta­ bilire la verità. L'incarico di pascere il gregge include l'obbligo di ammi­ nistrargli il pane di vita nell'annunzio della verità. Infatti la verità è il pane della salvezza (Rom. r , 1 7 ; Gv. 6, 3 5 ; I 4, 6). Il mandato di Cristo a Pietro di rafforzare i fratelli equivale alla responsabilità di Pietro di essere per i fratelli un sostegno nella fede ; e tale egli non può essere, se è egli stesso insicuro nella fede. Poiché Pietro sopravvive nel papa, o poiché la missione di Pietro con­ tinua nel papa, questi ha per la fede del popolo di Dio la funzione tra­ smessa da Cristo a Pietro. Cosi infatti è stato inteso il significato del papa fin da principio nella Chiesa : lo attestano i testi, citati in precedenza, a favore del supremo potere del papa. In taluni di essi è affermato esplici­ tamente il potere dottrinale, che venne insegnato formalmente a partire dal medio-evo. Nel periodo patristico esso viene sovente accennato, quan­ tunque non espresso formalmente. Cosi ad es. Cipriano dice della Chiesa romana che l'eresia non può trovare accesso presso di essa (Ep. 5 9 , 14).

P. I.

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LA CHIESA

Pietro Crisologo invita Eutiche a sottomettersi al giudizio del vescovo di Roma, « poiché il beato Pietro, che continua a vivere nella sua sede epi­ scopale e tiene la presidenza, offre, a chi cerca, la vera fede » (cfr. Leone I, Ep. 25, 2). Corrispondeva all'antica convinzione cristiana di fede e ne era espres­ sione adeguata, se i papi si sentivano responsabili della conservazione della pura dottrina ed agivano di conseguenza; se quindi condannavano le eresie e scomunicavano gli eretici. Cosi papa Vittore I o Zefirino hanno condan­ nato il montanismo, Stefano I la ripetizione del battesimo dato dagli ere­ tici, Callisto I il sabellianismo, Dionigi di Corinto il subordinazionismo, Cornelio il novazianismo, Innocenza I il pelagianesimo, Celestino I il ne­ storianesimo, Leone I il monofisismo, Agatone il monotelismo. Papa Or­ misda ( 5 1 4-523) in una lettera del 2 aprile 5 1 7 presenta ai vescovi spa­ gnuoli una formula per la riammissione dei chierici orientali, in cui tutte le eresie, soprattutto il nestorianesimo ed il monofisismo, vengono con­ dannate e viene affermata l'autorità dottrinale della cattedra romana. Nella lettera si dice : « La prima condizione della salvezza sta nel conservare la regola della retta fede e nel non scostarsi in alcun modo dalle decisioni dei Padri. Non si deve trascurare la disposizione di nostro Signore Gesu Cristo, in cui dice : tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ecc. (Mt. 1 6, 1 8). Queste parole furono confermate dal corso degli avvenimenti, poiché sulla sede apostolica la fede cattolica è sempre stata conservata intatta » (W. Haackc, Die Glaubensformel des Papstes Hor­ misdas im akazianischen Schisma, Roma 19 33). Nello sviluppo del conciliarismo dal sec. XIV fino alle teorie del galli­ canesimo e del febronianismo è sorta l'opinione che, pure essendo la Chiesa in sé inerrante, il papa possa errare e cadere nell'eresia. Alcuni gallicani distinguono tra sede papale e titolare della sede papale. La cat­ tedra pontificia sarebbe infallibile, ma non il suo titolare. La cattedra pon­ tificia sarebbe infallibile in quanto l'errore di un papa potrebbe essere rettificato o da lui stesso o dal suo successore, e perciò non potrebbe mai mettere radice nella Chiesa. Contro tale distinzione stanno due ragioni : anzitutto qui non c'è mai la piena certezza circa l'esattezza o falsità di una definizione pontificia; in secondo luogo Cristo ha conferito il potere non ad un'istituzione, ma ad una persona quale titolare di una istituzione. Al tempo del Concilio Vaticano I i Vecchi Cattolici sono la guida di J. Dal­ tinger sono insorti contro l'infallibilità pontificia, perché sarebbe una in­ novazione ed un pericolo per gli Stati.

§

4.

1 77.

L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

False interpretazioni.

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Ciò che abbiamo detto precedentemente esponendo l'infallibilità della Chiesa in genere, vale anche per l'infallibilità pontificia. Essa non si iden­ tifica, come talora si obietta da teologi protestanti, con perfezlOn.�della conoscenza di fede e con l'impeccabilità del suo titolare. Sarebbe una funesta confusione se si facessero tali identificazioni; ma esse non rien­ trano affatto nella dottrina ecclesiastica della infallibilità pontificia, anzi ne sono formalmente escluse. Qui non si erige una una

theologia crucis.

lare della infallibilità,

theologia gloriae

contro

Nel cuore di quella responsabilità, che pesa sul tito­

è rizzata la croce.

Cosi pure la dottrina deH'infallibilità pontificia non significa legittima­ zione di qualsiasi arbitraria dichiarazione dottrinale. Viceversa l'infallibi­ lità implica un legame a Cristo della massima intensità. Essa

è un carisma

conferito al papa, che implica nello stesso tempo un obbligo indissolubile di annunziare la rivelazione che proviene da Cristo e dagli apostoli e nul­

al è nello stesso tempo, come ogni dono di Dio, un compito indeclina­

l'altro che la rivelazione, e ciò che serve alla sua tutela. Il potere dato papa

bile. Il papa non può abbandonare il campo della fede. Con la definizione infallibile egli presta obbedienza a Dio, la cui rivelazione

è attestata nella

Scrittura e nella tradizione orale. Poiché la rivelazione di Cristo

è attestata nella Sacra Scrittura e nella

tradizione orale, legame a Cristo equivale a legame alla Sacra Scrittura ed

è il padrone della Scrittura, è piuttosto sottoposto alla Scrittura, in quanto parola di Dio, e ne è dominato e spinto. La Scrittura è la sua

alla tradizione orale. Il papa infallibile non che ne può fare ciò che vuole; ma

sovrana, ma egli ha il compito di attestare e di interpretare la Sacra Scrit­ tura in quanto parola di Dio. Scrittura e titolare dell'autorità sono reci­ procamente ordinati. L'interpretazione della Scrittura da parte della Chiesa

è, come abbiamo visto, un'autointerpretazione dello Spirito Santo. Conse­ guentemente le definizioni del papa non sono altro che un'autointerpreta­ zione dello Spirito Santo. Il papa

è pure colui che può stabilire in modo

infallibile il contenuto della tradizione orale.

5.

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Infallibilità del papa ed infallibilità della Chiesa.

L'infallibilità della Chiesa

è inoltre ancorata all'infallibilità dell'insieme

dei vescovi, in quanto sono uniti al papa. In essi infatti si presenta tutta la Chiesa. Un errore dell'insieme dei vescovi significherebbe quindi un errore, una vittoria del padre della menzogna su tutta la Chiesa. All'in-

P. I.

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LA CHIESA

sieme dei vescovi l'infallibilità non compete senza un rapporto con il papa, perché essi rappresentano tutta la Chiesa soltanto in unione con il papa. Poiché il papa costituisce la sintesi di tutta la Chiesa, chiunque non si trova in unione con lui, si porrebbe in contraddizione con tutta la Chiesa. I vescovi esercitano il loro potere dottrinale in due modi : nei concili ecumenici e nel magistero ordinario, che essi esercitano mediante pre­ diche, pastorali o mediante i coadiutori, sia ecclesiastici che laici. Il sin­ golo vescovo non è infallibile (a differenza dei singoli apostoli), ma ciò nonostante è colui che nella sua diocesi annuncia e spiega la fede in modo normativa. Cfr. anche il vol. I, § I I . Qui sorge ancora una questione particolare per il fatto che anche al­ l'insieme dei vescovi viene attribuita l'infallibilità. Nasce il problema se si debbano ammettere due organi di infallibilità in concorrenza e, se mai, in contraddizione tra loro. Assolutamente no. Non dobbiamo dimenticare che l'insieme dei vescovi è infallibile soltanto in unione con il papa; in tal modo non può sorgere una contraddizione. Ma con ciò l'insieme dei vescovi od il concilio non diviene neppure superfluo ed illusorio, poiché il loro consiglio contribuisce a riconoscere una verità rivelata ed a creare cosi il presupposto di una definizione. Inoltre il popolo di Dio costituisce un organismo vivo, in cui ogni membro ha un legame vivo con ciascun altro, e quindi anche il titolare del supremo potere con gli altri pastori ; e perciò le decisioni del papa sono sostenute dall'amore e dall'assenso di tutti, soprattutto dei pastori, quantunque la definizione del papa sia in­ fallibile ed irrevocabile per se stessa. Contro l'obiezione protestante, che il dogma della infallibilità innalzi il papa sopra tutti gli altri fedeli e sopra tutti i vescovi, isolandolo in tal modo dalla Chiesa, occorre ripetere ancora una volta che la legge di fede emanata in una decisione infallibile non si deve intendere come legge arbitraria. Essa è ben !ungi dall'essere tale per due motivi. Anzitutto il papa stabilisce come legge di fede ciò che corrisponde alla dottrina apo­ stolica e non ciò che nasce da desideri umani. In secondo luogo la sua decisione di fede è sostenuta dalla fede in tutta la Chiesa. Con una deci­ sione infallibile egli stabilisce in modo definitivo qual è la fede della Chiesa. Tra una decisione infallibile e la fede della Chiesa esiste quindi uno stretto rapporto. Con la decisione infallibile non viene creata sostanzialmente una nuova fede, ma viene constatata la fede esistente. La definizione va oltre ciò che già esiste, non offrendo nuove rivelazioni, ma innalzando a legge di fede per tutti la fede già esistente, eliminando le oscurità e vincendo le incertezze, per modo che dopo tale definizione nessuno può rigettare ·

§ I 7 ?. L'INFALLIBILITÀ PONTIFICIA

la verità con essa proposta senza allontanarsi dalla comunione di fede della Chiesa. Rientra nel senso della infallibilità pontificia, che essa sia esercitata in rapporto strettissimo con tutta la Chiesa, specialmente con i maestri dei singoli territori particolari deUa Chiesa, costituiti dallo Spirito Santo, ossia con i vescovi, e non nel vuoto, cioè senza rapporto con l'episcopato. Quan­ tunque il papa, secondo il tenore del dogma del primato, possa esercitare il suo potere anche senza indagare la fede di tutta la Chiesa, tuuavia un tale procedere non sarebbe soltanto praticamente di difficile attuazione, ma, pur tenendo conto della lettera, non terrebbe conto dello spirito del primato. Questo rapporto tra il papa, che ha il diritto di definire, ed il popolo di Dio, che ha il dovere di accettare la definizione, si manifesta esternamente quando il papa, prima della definizione, si informa della convinzione di fede del popolo di Dio. Conseguentemente la sua defini­ zione significa pure una chiarificazione e legittimazione della coscienza di fede del popolo di Dio, operata e diretta dallo Spirito Santo. Qui appare visibile anche l'importanza della scienza teologica, che ha funzione preparatoria. Essa cioè fornisce i materiali per la definizione, materiali che si trovano anche e soprattutto nella fede di tutta la Chiesa, nel magistero ordinario e nella risposta di fede ad esso. Tuttavia la scienza ha un'importanza particolare in quanto penetra i dati che si trovano im­ mediatamente nella parola rivelata e li sviluppa a maggiore pienezza, cerca di chiarire le oscurità e mostra il nesso di un particolare con l'altro ed il suo posto nel tutto. Però essa altro non fa se non fornire il materiale. Tuttavia questa funzione è importante, perché al titolare dell'ufficio dot­ trinale, pure essendo promessa l'assistenza dello Spirito Santo, non è pro­ messa una diretta illuminazione divina. L'azione dello Spirito Santo si riferisce a questo : che il titolare del magistero viene preservato da una falsa definizione e portato ad una giusta definizione. Tuttavia questa attività dello Spirito Santo non lo esonera dallo stabilire il senso della Sacra Scrittura con i mezzi a nostra disposizione, e perciò anche con l'aiuto della scienza, della filosofia, della esegesi e della storia. Tuttavia alla scienza teologica non spetta nessuna decisione ultima. La proposta for­ malmente obbligante della verità rivelata è compiuta soltanto dal magi­ stero ecclesiastico, ed in modo infallibile dal papa quando decide ex

cathedra. Quando si afferma il nesso tra una decisione infallibile e tutto l'episco­ pato, anzi tutta la Chiesa, ciò non costituisce un allentamento del fatto di fede che le decisioni pontificie sono irrevocabili di per sé, cioè in base

708

P. l.

alla loro effettuazione, e non

-

Li\ CHIESi\

in seguito all'assenso della Chiesa. Se i papi

negli ultimi cento anni, cioè sia in occasione del dogma della Immacolata Concezione, sia in occasione di quello dell'Assunzione corporea di Maria in cielo, prima della definizione hanno richiesto ai vescovi, ed attraverso ad essi a tutta la Chiesa, il loro giudizio di fede, tale procedimento non ebbe lo scopo di assicurare alla definizione pontificia certezza interna ed irrevocabilità, ma di assodare qual era la fede della Chiesa. L'interpellanza si riferiva quindi primariamente all'aspetto materiale, contenutistico, e non a quello formale, giuridico.

6.

-

Infallibilità pontificia come abilitazione a servire alla salvezza.

Appare che ogni annunzio dottrinale del papa è un servizio alla rivela­ zione, alla sua attestazione nella Sacra Scrittura e quindi un servizio alla salvezza umana. Nella fede in Gesu Cristo

il papa con una definizione

dogmatica obbliga coloro che appartengono al corpo di Cristo alla stessa fede in Cristo. Ogni definizione è quindi ordinata al popolo di Dio, alla sua salvezza. Con essa il papa non si innalza al di sopra del popolo di Dio, ma si subordina come servus seroorum

Dei

alla sua salvezza, cosi come

si subordina alla parola di Dio. Questo scopo delle definizioni pontificie rivela che anche in esse agisce e si manifesta lo Spirito San to come amore e quindi la Chiesa come comunione di amore. Riguardo alle difficoltà, che possono derivare dalla pretesa della Chiesa di essere maestra della fede e della salvezza e dalle imperfezioni umane che accompagnano l'annunzio della fede, Feu!ing dice : (( Chi crede pie­ namente nella Chiesa quale vero istituto salvifico del Signore, alla Prov­ videnza divina per ogni individuo, alla illimitata forza di grazia del Cristo nella Chiesa ed in ciascun fedele, è certo e crede senza tema che nessuno è stato danneggiato, senza propria colpa, nella sua salvezza definitiva e nel suo vero e profondo bene dalla Inquisizione, dalla condanna degli eretici, da una qualunque specie di repressione ad opera di organi eccle­ siastici, e che ogni torto che

il singolo dovette subire e subirà per la de­

bolezza umana o per la malvagità che Satana semina nella Chiesa in tutti i suoi membri, in tutti i suoi gradi, se ha buona volontà e vera devozione ed amore, si è risolto e si risolverà soltanto a maggiore salvezza ed a piu profonda santificazione. Chi considera cosi le cose dal punto di vista della fede, avendo in mente tutte quelle parabole del Signore, ma ponderando sempre anche la bontà e la grazia del nostro Dio, senza dimenticare la legge divina della sofferenza espiatoria nella Chiesa, sia involontaria che volontaria, non sarà piu sconcertato o minacciato nella sua fede da tutte

§ 177 A. NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

709

le oscurità citate e dalle molte non citate, benché soffra sempre di questi mali, come per tutto il male che c'è nel mondo e nella Chiesa » (Katho­

lische Glaubenslehre, 607).

§ 177a.

Necessità della Chiesa per la salvezza.

I. - DOTTRINA DELLA CHIESA. l. La Chiesa non è una istituzione salvifica tra molte altre, ma l'unica istituzione salvifica fondata da Cristo, necessaria per tutti gli uomini, perché è il corpo di Cristo. E Cristo è la via, la verità e la vita (Gv. 14, 6). Altra via alla salvezza non esiste all'infuori di lui. « In nessun altro si trova la salvezza, poiché non c'è sulla terra altra persona inviata tra gli uomini per la cui opera è necessario siamo salvati » (Atti 4, 12). Soltanto il vangelo di Cristo ha la virtu di salvare gli uomini. « Chiunque vi an­ nunciasse un evangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, fos­ simo noi stessi o un angelo disceso dal cielo, sia anatema » (Gal. r , 8). Cfr. §§ 140, 142, 16 3 . Cristo vive ed agisce nella Chiesa e mediante la Chiesa. In essa e per mezzo di essa egli rende presente nello Spirito Santo la sua opera salvifica fino alla fine dei tempi. Nella Chiesa, e soltanto in essa, egli è presente come il Signore crocefisso e glorificato, che vuole fare partecipi tutti gli uomini della sua morte e della sua glorificazione. Se senza Cristo non c'è salvezza, non c'è salvezza senza il Cristo che agisce nella Chiesa. Cristo agisce nella Chiesa come il capo, dal quale il corpo non può essere sepa­ rato. La frase : senza il Cristo che agisce nella Chiesa non c'è salvezza, equivale quindi a quest'altra : senza la Chiesa, corpo mistico di Cristo, non c'è salvezza. Se l'uomo può giungere al Padre soltanto attraverso a Cristo (Gv. q, 6) e Cristo agisce soltanto per mezzo della Chiesa, soltanto attraverso alla Chiesa può giungere alla salvezza. -

2. - La Chiesa ha sempre avuto la convinzione di essere per gli uomini l'unica via della salvezza. Essa ha espresso sovente questa sua convinzione proprio perché consapevole della sua responsabilità per la salvezza degli uomini. Le sue dichiarazioni al riguardo perseguono tutte lo scopo di in­ durre gli uomini ad entrare nella Chiesa. La formula piu pregnante è co­ stituita dal principio che fuori della Chiesa non c'è salvezza, che essa è

7 10

P. I.

-

LA CHIESA

l'unica salvatrice. Il quarto Concilio Lateranense ( 1 2 1 5) dichiara : « C'è una sola Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno di salva. In essa Cristo è nello stesso tempo sacerdote e vittima. Il suo corpo ed il suo sangue sono veramente contenuti nel sacramento dell'altare sotto le specie del pane e del vino, dopo che per la potenza di Dio il pane è tra­ sformato nel corpo ed il vino nel sangue : affinché noi riceviamo del suo, ciò che egli ha assunto del nostro e si realizzi cosi il mistero dell'unità » (Denz. 4 3 0). Nella Bolla Unam Sanctam del papa Bonifacio VIII del 1 302 si dice : « La fede ci costringe ad ammettere ed a ritenere fermamente che c'è soltanto una Chiesa santa, cattolica ed apostolica. E con costanza noi crediamo ad essa e la professiamo con semplicità, essa, fuori della quale non troviamo salvezza né perdono dei peccati » (Denz. 468). Ancora piu nettamente si esprime il Concilio di Firenze (1438-1445) nel suo de­ creto per i giacobiti (1432) : « La santa Chiesa romana crede fermamente , confessa e proclama che nessuno fuori della Chiesa cattolica, né pagano né giudeo né infedele o separato dall'unità, diviene partecipe della vita eterna, ma piuttosto cade nel fuoco eterno, preparato per il demonio e per i suoi angeli, se non aderisce ad essa prima di morire. L'unità del corpo della Chiesa ha tanta importanza che i sacramenti della Chiesa rìdondano soltanto a salvezza di coloro che rimangono in essa, e che soltanto per essi i digiuni, le elemosine, le altre opere pie e la milizia della vita cri­ stiana producono la ricompensa eterna. Per quante elemosine faccia, per quanto versi anche il suo sangue per il nome di Cristo, nessuno si può salvare, se non permane nel seno e nella unità della Chiesa cattolica » (Denz. 7 14). Nell'allocuzione Singulari quadam contro il razionalismo e l'indifferentismo, cioè la equiparazione di tutte le forme religiose, cosi il papa Pio IX si espresse nei riguardi della necessità salvifica della Chiesa voluta da Dio : « Per fede dobbiamo ritenere che fuori della Chiesa apo­ stolica, romana, nessuno può salvarsi ; essa è l' unica arca della salvezza e chiunque non vi entra, deve perire nel diluvio; ma parimenti bisogna tenere per certo che davanti a Dio non hanno colpa di sorta quelli che vivono nella ignoranza invincibile della vera religione » (Denz. 1 647). Una formulazione simile troviamo nello schema preparato dai teologi per le discussioni del Concilio Vaticano I. I capitoli 6 e 7 di tale schema si occu­ pano del nostro problema. Il testo dice : « Cosi tutti possono comprendere quanto questa società, la Chiesa di Cristo, sia necessaria per raggiungere la salvezza. È tanto necessaria quanto il consorzio e la congiunzione con Cristo capo e col suo corpo mistico. Egli infatti non nutre e cura altra comunità se non la sua Chiesa, che sola egli ha amato e per la quale ha

§

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A.

NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

71 1

dato se stesso per santificarla e purificarla nel battesimo di acqua mediante la parola della vita : per farsela comparire innanzi questa Chiesa risplen­ dente di gloria, senza macchia né ruga od altro difetto, perché sia santa ed immacolata. Perciò insegniamo che la Chiesa non è una società libera, come se per la salvezza degli uomini sia indifferente il conoscerla oppure no, l'entrarvi o l'abbandonarla. Essa è assolutamente necessaria, e non soltanto di necessità di precetto avendo il Redentore ordinato a tutti i popoli di entrare in essa, ma anche di necessità di mezzo, perché nell'or­ dinamento salvifico disposto dalla Provvidenza divina l'unione con lo Spirito Santo, la partecipazione alla verità ed alla vita non possono mai essere raggiunte se non nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, di cui Cristo è il capo » (cap. 6). « È dogma di fede che fuori della Chiesa nessuno può salvarsi. Non tutti quelli, però, che vivono nella ignoranza invincibile circa Cristo e la sua Chiesa sono per ciò solo da condannare in eterno. Infatti tale igno­ ranza non costituisce colpa dinanzi agli occhi del Signore, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Egli dona pure la sua grazia a chiunque si adopra con tutte le sue forze, per modo che possa ottenere la giustificazione e la vita eterna. Ma questa grazia non la riceve nessuno che, per propria colpa, sia separato dall'unità della fede o dalla comunione della Chiesa e muoia in tale stato. Chi non è in quest'arca, perirà nel diluvio. Perciò rigettiamo ed aborriamo l'empia dottrina della equivalenza di tutte le religioni, che è pure contraria alla ragione umana. Cosi i figli di questo mondo vogliono eliminare la diffe­ renza tra vero e falso e dicono : la porta della vita eterna è aperta a tutti, qualunque sia la religione da cui provengono; oppure : circa la verità di una religione c'è sempre soltanto una maggiore o minore probabilità, ma non mai certezza. Parimenti condanniamo l'empia opinione di coloro che precludono agli uomini il regno dei cieli col falso pretesto che sia sconve­ niente, ed in ogni caso non necessario alla salvezza, abbandonare la reli­ gione in cui si è nati, educati, cresciuti, anche se è falsa. Anzi, essi accusano persino la Chiesa, la quale dichiara di essere l'unica vera religione e rigetta e condanna tutte le religioni e sette staccate dalla sua comunione. Essi ri­ tengono che l'ingiustizia possa avere qualcosa in comune con la giustizia o le tenebre con la luce, oppure che Cristo possa concludere un accordo con Satana » (cap. 7).

712

P.

Il.

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I . - L A CHIESA

DOTTRINA DELLA SCRITTURA E DEI PADRI.

l . - Con tale insegnamento la Chiesa esprime ciò che dicono la Scrit­ tura e la tradizione. Secondo la testimonianza della Scrittura Cristo ha dato ai suoi apostoli l'incarico di ammaestrare tutti i popoli e di battezzare coloro che avrebbero creduto. La salvezza dipende da questo : se gli uomini prestano fede alla parola degli apostoli e si fanno battezzare (Mt. 28, 19 s.). « Se alcuno non ascolta la Chiesa, sia per te come un pagano ed un pubblico peccatore » (Mt. 18, 1 7 ). « Chi crede e viene bat­ tezzato, sarà salvo ; ma chi non crede, sarà condannato » (Mc. 16, 1 6). Nella predicazione degli apostoli la fede nella loro parola ed in Cristo coincidono. Soltanto in Cristo c'è salvezza. Dinanzi al sinedrio Pietro dichiara : « Non c'è salvezza in nessun alrro » (Atti 4, I2). 2. Nei Padri la fede nella necessità salvifica della Chiesa si esprime nel dogma della sua unità. Nella Chiesa antica tale fede si rivelò inoltre nella lotta contro le eresie, negli sforzi per diffondere la fede di Cristo e nella disposizione a mettere a repentaglio la vita per l'appartenenza alla Chiesa. Che la Chiesa sia necessaria alla sal vezza viene formalmente espresso nelle parole di Ireneo, secondo cui non partecipano dello Spirito Santo coloro che non giungono alla Chiesa (Ad7J. haer., 3, 24, 1). Con inesorabile decisione il padre della Chiesa oordafricana, Cipriano, dichiara : « Affinché si possa avere Dio per padre, si deve avere la Chiesa per madre » (Ep. 7 4, 7 ). Oppure : « Nessuno può salvarsi se non nella Chiesa » (Ep. 4, 4). Nella forma piu concisa l'anno 2 5 6 egli scrive al vescovo Jubaiano (Ep. 73 , 2 1 ) : « Fuori della Chiesa non c'è salvezza ». Con que­ st'ultima frase era coniata la formula che piu chiaramente esprime la pre­ tesa della Chiesa di essere l' unica salvatrice. Del resto anche Origene dice : « Fuori della Chiesa nessuno si salva » (In libr. lesu Nave, homil. 3, 5). Sovente i Padri vedono prefigurata la necessità salvifica della Chiesa nell'arca, che è un tipo della Chiesa che salva gli uomini dal diluvio del peccato. Senza l'arca essi perirebbero. -

III .

-

SPIEGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA CHIESA.

La Chiesa è necessaria per la salvezza non in base ad un comando po­ sitivo di Cristo, ma in base al suo scopo ed alla sua natura. Sarebbe un ingiustificato positivismo teologico se in tale necessità si vedesse soltanto

§

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A.

NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

713

una necessitas praecepti. Il realismo teologico, che concepisce la Chiesa come corpo di Cristo, vede nella sua necessità per la salvezza una neces­ sitas medii, dalla quale non c'è, come dalle leggi positive, una dispensa. La Chiesa è il mezzo salvifico istituito da Dio, perché in essa sono depo­ sitati i beni salvifici. La necessità di cui parliamo ha il suo fondamento nella ontologia della Chiesa creata da Dio o da Cristo. Cristo non ha affi­ dato i suoi beni salvifici a nessun altro se non alla sua sposa, la Chiesa, la quale li rende accessibili agli uomini mediante la parola ed il sacramento.

IV. - LE POSSIBILITÀ DI SALVEZZA DI COLORO CHE NON APPARTENGONO ALLA CHIESA. l. Per comprendere appieno ed a fondo la necessità salvifica della Chiesa è indispensabile chiarire le possibilità di salvezza degli uomini che non vi appartengono. Con il principio « fuori della Chiesa non c'è sal­ vezza » a prima vista sembra essere loro preclusa ogni possibilità di salvarsi. Ma tale non è l'intenzione della dottrina della Chiesa. È vero che il problema della possibilità di salvezza è legato al problema dell'ap­ partenenza alla Chiesa, ma questa, come abbiamo visto, presenta molte­ plici gradi. Ci si deve domandare in quale rapporto stiano i singoli modi di appartenenza o di ordinamento alla Chiesa con la possibilità di salvezza dell'uomo. Ci si deve pure chiedere se la dottrina cattolica circa la neces­ sità della Chiesa sia da intendere nel senso che soltanto coloro che le appartengono in modo completo (mediante il vinculum liturgicum, sym­ bolicum e hierarchicum) possano fare assegnamento sulla salvezza. Oppure se il principio si possa anche intendere nel senso che l'appartenenza ridotta dei battezzati non cattolici o addirittura l'ordinamento dei non battezzati rendano possibile a certe condizioni la salvezza, benché questi uomini non appartengano in senso completo od in genere non formalmente alla Chiesa. Per comprendere pienamente la dottrina della necessità salvifica della Chiesa occorre pure notare che la Scrittura attesta la volontà salvifica universale di Dio. « Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla cono­ scenza della verità » ( 1 Tim. 2, 4). Questo non è soltanto un debole de­ siderio divino, ma una forza efficace che si rivolge ad ogni individuo ed ha i suoi limiti soltanto nella libera volontà che si oppone (vol. Illj2, § 2 1 2). Nessuna delle due verità rivelate elimina l'altra, e quindi ciascuna di esse richiede una spiegazione con cui l'altra rimanga in vigore. -

P.

I.

-

LA CHIESA

2. Non si può accettare la soluzione che un uomo possa appartenere all'anima della Chiesa, senza appartenere al corpo. Come abbiamo visto, l'« anima della Chiesa » venne sovente identificata con il corpo mistico di Cristo, intendendo con essa l'invisibile unione di grazia della Chiesa. Lo sviluppo teologico ha superato questa tesi, che non è piu accettabile. Lo ha dimostrato chiaramente l'Enc. Mystici corporis di Pio XII. L'uomo o appartiene all'unica Chiesa totale che abbraccia l' interno e l'esterno, oppure non vi appartiene. Non può appartenere semplicemente ad un aspetto della Chiesa. Questa è un tutto indivisibile e non può essere sezio­ nata e separata in un settore esterno ed in uno interno ; possiede questi due settori, che però sono indissolubilmente congiunti. -

3. Bisogna quindi ricercare la soluzione in un'altra direzione. Ci of­ frono un indirizzo le annotazioni che i teologi del Concilio Vaticano I ag­ giunsero al loro schema sopra riferito. Ricordiamo !'annotazione che spiega il termine « ignoranza invincibile » . L'osservazione dice : « Con questo si indica che è possibile che uno non appartenga alla comunione visibile ed esterna della Chiesa e tuttavia raggiunga la giustificazione e la salvezza eterna... Ma perché non sembri derivarne che uno possa salvarsi fuori della Chiesa, in un'altra redazione dello schema si diceva : se uno rag­ giunge in tal modo la giustificazione e la vita eterna, non per questo si salva fuori della Chiesa, perché i giustificati appartengono alla Chiesa o in realtà o nel desiderio (sive re sive voto) » . Quest'« altra redazione » non è stata accettata dai teologi. Alla maggioranza parve essere sufficiente dichiarare esplicitamente che nessuno può salvarsi se per propria colpa è separato dalla Chiesa e lascia la vita terrena in tale stato, mentre d'altra parte si riteneva che la formula accettata implicitamente esprimesse che nessuno che si salvi possa essere completamente fuori dalla Chiesa. Qui si presuppone quindi un'appartenenza alla Chiesa, che pur essendo diversa dall'appartenenza perfetta, basta però alla salvezza. Con ciò in fondo, anche se non detto formalmente, è intesa la tesi di una appartenenza in voto, sostenuta già parecchio tempo prima, ad es. da Suarez e Bellarmino. Quest'ultimo (De controversiis christianae fidei, 3, 1 6) dice : « Quando si dice che nessuno si salva fuori della Chiesa, ciò si deve intendere di co­ loro che non appartengono alla Chiesa né in realtà, né col desiderio » . Suarez dichiara : « È notorio che nessuno può essere in realtà nella Chiesa, se non è battezzato, e tuttavia si può salvare perché basta il desiderio di entrare nella Chiesa, cosi come basta il desiderio del battesimo » (Defensio fidei catholicae, 3, 1). Ci si chiede di quale natura debba essere questo -

§

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NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

71 5

votum: se debba riferirsi esplicitamente alla Chiesa, oppure basti una for­ mulazione implicita, la quale a sua volta può essere o la volontà di servirsi dei mezzi di salvezza istituiti da Dio (votum implicitum formale) oppure la stessa disposizione, ma inclusa nel desiderio di compiere la volontà di Dio (votum virtualiter implicitum). Dovrebbe corrispondere alla dottrina dei teologi del concilio che basti un votum virtualiter implicitum, se non è possibile qualcosa di pill. Cfr. J. Beumer, Die Heilsnotwendigkeit der Kirche nach den Akten des Vatikanischen Konzils, in Theologie und Glaube, 194 7-8, 76-86. Si vede qui il nesso tra la necessità del battesimo e la necessità della Chiesa. Le due necessità non sono identiche, perché l'appartenenza alla Chiesa in senso completo va oltre il carattere del battesimo ; ma sono strettamente congiunte, in quanto il carattere del battesimo è la base anto­ logica dell'appartenenza perfetta. Corrispondentemente anche il votum per la Chiesa è strettamente connesso con il votum per il battesimo. Perciò la teologia dei due voti ha avuto uno sviluppo in certo senso parallelo. Nella storia della teologia ci volle un certo tempo prima che si ricono­ scesse che anche al voto del battesimo compete forza salvifica. Ai cate­ cumeni, che muoiono prima di ricevere realmente il battesimo, Ambrogio attribuisce la salvezza in base al loro desiderio del battesimo ed ai loro sentimenti di pentimento (De obitu Valentiniani, 5 1 ). La stessa opinione manifesta Agostino (De baptismo, 4 , 22, 29). Ma che nella Chiesa antica questa tesi non fosse un possesso sicuro lo si vede dal fatto che Gennadio concede la salvezza ad un catecumeno che muore prima del battesimo soltanto nel caso di martirio. Per il medio-evo è caratteristica la dottrina di S. Tommaso, il quale dice (S. th., III, q. 68, a. 2) : « Se uno desidera il battesimo, ma è prevenuto dalla morte prima di riceverlo, può ottenere la salvezza senza il battesimo reale mediante il desiderio del battesimo. Questo desiderio nasce dalla fede, che si manifesta nell'amore. Mediante questa fede Dio santifica internamente l'uomo, perché la sua potenza non è legata ai sacramenti visibili ». Ed aggiunge ad 3um : « Intanto desi­ gniamo il sacramento del battesimo come necessario alla salvezza, in quanto la salvezza non è possibile, se non si possiede il battesimo almeno nella volontà, perché la volontà " vale presso Dio come l'opera compiuta " (Agostino, Enarr. in Ps., 57; PL. 37, 677) ». In Tommaso è ancora oscura la questione del modo in cui è da intendere il votum. Egli stesso ritiene condizione indispensabile della salvezza per gli uomini che vivono dopo Cristo la fede esplicita nella Trinità e nella incarnazione del Figlio di Dio ; ed insiste tanto su questa richiesta, da

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P. I.

-

L A CHIESA

affermare talora che un uomo, il quale non abbia ancora sentito mai par­ lare di Cristo, riceverebbe la conoscenza della dottrina della Chiesa per mezzo di una particolare provvidenza divina . Oggi questa rigida dottrina è sostenuta solo piu da pochi teologi, ad es. da Anselmo Stolz. Nel medio­ evo essa dovette avere un certo qual rapporto con l'opinione che il van­ gelo fosse già annunziato a tutti gli uomini. Le scoperte dell'epoca moderna distrussero questa idea. A mano a mano che nuovi popoli e uomini entra­ vano nella visuale dell'Occidente, tanto piu palpitante tornava a porsi il problema della loro salvezza. Sorgeva sempre piu l'impressione che la volontà salvifica di Dio non si potesse spiegare con la conveniente serietà sopravvivendo l'antico principio della Chiesa unica salvatrice. Questa si­ tuazione costrinse i teologi ad una piu profonda comprensione del dogma. Il risultato lo troviamo nelle tesi già citate di Bellarmino e di Suarez. Tuttavia la dottrina del votum virtualiter implicitum non dev'essere in­ tesa come un retrocedere della teologia dinanzi alla forza della realtà. Per quanto quest'ultima sia molto grande, essa offre alla teologia soltanto degli impulsi a comprendersi meglio. È come nell'individuo, che dalla opposizione esterna viene costretto ad entrare con piu forza in se stesso ed a ritrovarsi e comprendersi con piu vivezza. Ciò che la teologia post­ tridentina ha elaborato è oggi possesso comune di quasi tutti i teologi. Certo, si può già vedere benissimo il desiderio del battesimo nella dispo­ sizione e nel desiderio di vivere in conformità con la volontà di Dio. Forse basta già il desiderium naturale, insito nella natura umana, nel caso che venga in un qualche modo attivato. Il papa Pio XII parla di un « inconsapevole desiderio e anelito » (cfr. vol. IV/ I , § 239). Questo voto del battesimo implica oggettivamente il voto della Chiesa, perché il battesimo costituisce l'ingresso nella Chiesa. Nel testo dianzi citato il papa Pio IX ha accolto la dottrina moderna della virtll. salvifica del desiderio della Chiesa, quando insegna che coloro, i quali senza colpa sono nell'errore, cioè coloro che si trovano nell'errore invincibile, non per­ dono la salvezza per la mancanza dell'appartenenza formale alla Chiesa. Subito dopo il passo sopracitato il papa continua : « Chi avrebbe la pre­ tesa di fissare piu nettamente i limiti di questa ignoranza, secondo le varie differenze di popoli, di paesi, di caratteri e tante altre circostanze? Quando un giorno, liberi dai legami del corpo, vedremo Dio com'egli è, ricono­ sceremo certamente quanto intimo e bello è il vincolo che unisce tra loro la misericordia e la giustizia divine » (Denz. 1 647). Qui c'è una spiegazione autentica del principio della Chiesa unica sal­ vatrice. Anche coloro che non appartengono formalmente alla Chiesa hanno

§

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NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

71 7

possibilità di salvezza. Ma anch'essi non si salvano senz-a rapporto con la Chiesa, cui sono ordinati mediante il

votum,

il desiderio di salvezza, col

quale anche ad essi sono aperte le porte all'azione salvifica della Chiesa. Mediante il voto essi entrano nel campo dell'influsso salvifico della Chiesa. Gli uomini che si salvano per il loro voto della Chiesa, non si salvano nella Chiesa, ma per mezzo della Chiesa. Il principio

«

fuori della Chiesa non

c'è salvezza » si avvicina al significato : senza la Chiesa non c'è salvezza. Esso indica non un principio personale, ma reale ; non stabilisce chi si salva, ma il mezzo con cui l'uomo si salva. Non si circoscrive la cerchia degli uomini salvati, ma si descrive la via per cui si salvano tutti coloro che si salvano. Chiunque si salva, viene salvato per mezzo di Cristo, e di lui solo. Non esiste altra via a Dio. Ora Cristo non si comunica diretta­ mente a ciascun individuo ; avrebbe anche potuto farlo, ma ha disposto diversamente le vie della salvezza. Egli afferra il singolo soltanto nella comunità, cioè mediante la Chiesa quale suo strumento. L'azione salvifica di Cristo passa attraverso la Chiesa. Come il Padre celeste infonde in noi la sua vita divina per mezzo del suo Figlio incarnato, come quindi la grazia segue la via, che passa attraverso alla natura umana di Cristo, per giungere a noi, cosi Cristo esercita la sua azione santificante e salutare sulla persona umana nella Chiesa e per mezzo della Chiesa. Normalmente egli opera la salvezza mediante la parola della predica­ zione e mediante l'amministrazione dei sacramenti della Chiesa. Con la parola e col sacramento Cristo afferra l'uomo e lo pone dinanzi al volto del Padre. Non abbiamo da disputare sul perché Dio abbia scelto questa via della salvezza. Chi vuole giungere a Dio deve mettersi per questa via, se la conosce; non può giungere alla beatitudine ed alla salvezza per una qualunque altra via liberamente scelta, se conosce la via stabilita da Dio stesso. Non tenerne conto significherebbe non tenere conto della volontà di Dio. Ma nello stesso tempo bisogna considerare che il Cristo, che nella Chiesa opera la salvezza degli uomini, nella sua azione salvifica non è legato formalmente alla parola ed al sacramento (S. Tommaso). È vero che egli ha rimandato gli uomini alla parola ed al sacramento, per modo che nessuno che conosca questa disposizione divina può disprezzare pa­ rola e sacramento senza compromettere la sua salvezza ; ma Cristo rimane libero nella sua azione. Il suo braccio non è accorciato e può afferrare dove vuole ; può benedire, consacrare dove piace al suo imperscrutabile amore. Soltanto il Cristo che agisce neila Chiesa procura salvezza, ma la sua azione che produce salvezza non è ristretta all' ambito della Chiesa. Egli può penetrare dovunque, fuori di tutte le pareti ed i muri della Chiesa ;

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I. - LA CHIESA

non gli sono segnati dei limiti. Veramente noi non possiamo afferrare e comprendere questa azione di Cristo, che si compie del tutto nel mistero ; la possiamo soltanto sospettare, se abbiamo amore disinteressato e pronto al sacrificio, veridicità e nobiltà d'animo, coraggio e fedeltà. Quando in­ vece l'azione salvifica di Cristo si compie nel modo normale fissato da Dio, cioè mediante la parola ed il sacramento, allora la possiamo afferrare e comprendere. Si può dire : Cristo è qui e là. Se l'uomo con la sua ribel­ lione interna non frustra l'azione di Cristo, di questo atto salvifico si può dire : chi crede e si fa battezzare sarà salvo (Mc. 1 6, 16). Ma la forma straordinaria (via extraordinaria) dell'azione di Cristo, benché non facil­ mente constatabile, è tuttavia reale e ci viene garantita dall'assicurazione che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini ( 1 Tim. 2, 4). Perciò nes­ suno si perde, salvo che voglia perdersi, cioè assere lontano da Dio. Ma chiunque si salva, si salva per mezzo del Cristo che agisce nella Chiesa di cui è il capo. In altri termini : per ognuno la Chiesa, in quanto è il corpo e lo strumento di Cristo, è la madre che lo genera alla vita eterna, sia che egli conosca, oppure no, la madre che gli dona la vita soprannaturale. Chi si salva senza nulla sapere della Chiesa o senza ritenere la Chiesa cattolica come la Chiesa di Cristo, si trova nella situazione di un bambino, che non sa a chi deve la vita. Cosi non c'è salvezza senza la Chiesa. Ma in certe circostanze vi può essere salvezza senza l'appartenenza formale alla Chiesa. Condizione indispensabile da parte dell'uomo è la disposizione a ricevere la salvezza dalla Chiesa, cioè il desiderio della Chiesa. Questo desiderio può essere emesso esplicitamente, oppure essere incluso in un altro atto (ad es. nell'amore di Dio). 4. - In queste considerazioni bisogna distinguere tra la situazione dei battezzati non cattolici e quella dei non battezzati. Le loro possibilità di salvezza sono molto diverse. Col battesimo l'uomo viene incorporato a Cristo; il carattere del battesimo costituisce il fondamento antologico per l'appartenenza alla Chiesa. Esso, pur non conferendo l'appartenenza come membri perfetti, conferisce tuttavia un'appartenenza ridotta. Però anche di questa appartenenza si deve dire che coloro i quali sono partecipi di questa sola, mancano di molti doni ed aiuti divini efficaci, di cui si può fruire soltanto nella Chiesa cattolica, per modo che essi non possono essere sicuri della loro salvezza eterna (Pio XII, Enc. Mystici corporis). a) Chi si inserisce come membro perfetto nella vita sociale della Chiesa cattolica esperimenta la forza salvifica di Cristo nella sua forma originaria, nella sua limpida purezza e nella sua esauriente pienezza. Chi

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NECESSITÀ DELLA CHIESA

I'ER

LA

SALVEZZA

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non si inserisce in tal modo nella sua vita sociale, come i membri di gruppi cristiani non cattolici, pur essendo afferrato e penetrato dalle forze sal­ vifiche di Cristo, tuttavia è escluso dalla sovrabbondante pienezza della azione di Cristo. Egli non percepisce la parola di Dio nella sua interezza, ma in una scelta fatta da uomini ; riceve soltanto l'uno o l'altro dei sacra­ menti. La corrente della salvezza giunge a lui in un letto piu stretto e piu basso che non a colui che si trova nella vita sociale cattolica. Bisogna affermare ancora una volta che qui si parla soltanto dei modi abituali dell'azione salvifica di Cristo, che si compie appunto nella predicazione ecclesiastica della parola di Dio e nell'amministrazione dei sacramenti. Bisogna ancora fare una distinzione. Quanto è stato detto or ora sulla diversità della virtu e pienezza dell'azione salvifica di Cristo vale per le vie per cui essa muove verso l'uomo ed entra in lui, ossia vale per le isti­ tuzioni, i processi, le nùsure e le azioni oggettive, che servono alla sal­ vezza. Ma oltre a ciò vi è il modo in cui il singolo uomo si apre all'azione salvifica, la forza con cui la lascia entrare in se stesso, affinché lo trasformi e lo riempia della vita di Cristo. Chi sta nella totalità della vita della Chiesa normalmente riceve pure la pienezza dalla vita di Cristo (grazia santifi­ cante), che bussa al suo io in modi cosi molteplici e vari. Ma è possibile immaginare che egli - per quanto questo stato sia anormale - pur por­ tando in sé il sigillo di Cristo (il carattere inamissibile del battesimo) manchi della vita di Cristo, perché si chiude alla sua azione salvifica e intenzionalmente si stacca da lui (stato di peccato mortale). Parimenti si deve ritenere che colui il quale per errore invincibile è separato dalla pie­ nezza della vita sociale cristiana, ma porta il segno ed i lineamenti di Cristo (il battezzato non cattolico), è partecipe della vita di grazia. Con la pretesa della Chiesa di essere l'unica salvatrice non si nega affatto al battezzato non cattolico un'unione viva con Cristo. Essa non impedisce neppure di attribuire al battezzato non cattolico una vita santa. Anzi la Chiesa cattolica, nonostante la sua convinzione di essere l'unica portatrice della salvezza, crede nella validità dei sacramenti rettamente compiuti nelle comunità cristiane non cattoliche. Riconosce soprattutto il battesimo, qualora sia amministrato secondo la dottrina e la prescrizione di Cristo. Ciò vale in certe circostanze anche dell'ordine e della eucaristia. « Nelle comunità acattoliche in cui la dignità apostolica si è ancora conservata attraverso le regolari consacrazioni dei vescovi, come nelle Chiese scismatiche del­ l'Oriente e piu tardi presso le comunità giansenistiche e dei Vecchi Cattolici, la Chiesa riconosce ancora oggi la validità di tutti i sacramenti che richie­ dono soltanto la esplicazione dell'autorità sacramentale della Chiesa e non

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LA CHIESA

quella della sua autorità giurisdìzionale. In tutte queste Chiese è dunque ricevuto, secondo la dottrina cattolica, il vero corpo ed il vero sangue di Cristo : non perché sono scismatiche, non dunque in forza della loro peculiarità, bensi perché, malgrado quest'ultima, conservano ancora qual­ cosa dell'eredità cattolica origin aria. È l'elemento cattolico in esse che può ancora santificare e redimere » (K. Adam, L'essenza del cattolicesimo, ed. cit., 249). Ciò vale delle comunità della Chiesa orientale non unite con Roma. Presupposto per l'azione santificante dei sacramenti è, da parte del soggetto, la buona fede. Chi nell'errore invincibile circa la vera Chiesa di Cristo riceve i sacramenti in una comunità cristiana non cattolica, vuole essere con Cristo e perciò è anche con Cristo, quantunque s'inganni circa il luogo dove è da trovare la pienezza di Cristo. Ma chi riconosce la Chiesa cattolica come Chiesa di Cristo e ciò nonostante vi si sottraesse, rifiuterebbe l'obbedienza a Cristo e ne sarebbe quindi separato. Tale errore invincibile può essere congiunto con l'esatta conoscenza di tutti i ragio­ namenti che la teologia apo�ogetica e dogmatica adduce per dimostrare che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa dì Cristo. L'esattezza e validità logica di un ragionamento non si identifica con la sua forza intima di con­ vinzione. P·er quest'ultima si richiedono determinate attitudini e predì­ sposizioni psicologiche e morali. Cosi uno può conoscere nel modo piu esatto tutte le ragioni che vengono addotte a favore del primato, e ciò nonostante rigettarlo senza cattiva vo�ontà, perché difficoltà psicologiche insuperabili gli impediscono di vedere la validità di queste ragioni. b) In quale situazione si trovano i non battezzati? Naturalmente essa è meno favorevole che non quella dei battezzati non cattolici. Ma neppure essi mancano di possibilità di salvezza. Questa ha anche in essi una base oggettiva, spirituale-ontologica, ed una soggettiva, personale-etica. La prima consiste nella consecratio mundi compiuta con l'incarnazione e con l'opera di Cristo. Con l'incarnazione, col sangue versato del Signore, con la risurrezione, tutto il mondo è stato innalzato in un nuovo stato. Per mezzo di Cristo è stata creata una nuova situazione storica, che è deter­ minata dal fatto che, in Cristo, elementi del mondo, il corpo umano di Cristo, formato da Maria per la virtu creatrice dello Spirito Santo, furono assunti nell'unione piu stretta con il Verbo divino, e nella risurrezione furono trasformati nello stato di glorificazione. Da questi avvenimenti un nuovo splendore ricade con effetto retroattivo sulla creazione, alla quale fu infusa una nuova appartenenza a Dio, che le conferisce una dignità celeste che trascende e sopraeleva la dignità del mondo, insita nel suo carattere creaturale. Ogni uomo che entra nel mondo partecipa di questo

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stato del mondo, della nuova situazione prodotta da Cristo. Quando Cristo gli si presenta dinanzi agli occhi dello spirito, egli è chiamato a decidere : deve accettare o rifiutare la situazione della storia creata da Cristo. Finché Cristo non si presenta alla sua vista, egli non può decidersi consapevol­ mente pro o contro la situazione da lui creata. Ma se egli si rivolge a Dio, lo fa nella storia formata da Cristo. La sua dedizione a Dio è quindi carat­ terizzata dall'appartenenza alla situazione dovuta a Cristo. Viceversa questa si manifesta in ogni desiderio di Dio, che è di volta in volta un'attuazione ed attivazione della nuova situazione del mondo, e cosi in esse si manifesta di volta in volta Cristo stesso, il quale agisce qui anche direttamente, in quanto con le forze della sua grazia afferra pure coloro che, pur non es­ sendo a lui incorporati col battesimo, gli appartengono per via della conse­ cratio mundi, e nel loro desiderio di Dio si aprono a lui senza conoscerlo e senza nulla sapere di lui. Cristo infatti, secondo la lettera agli Efesini, è anche il capo dell'universo. I non battezzati in buona fede non portano quel segno di Cristo, che soltanto il battesimo conferisce ; tuttavia hanno in sé in modo confuso e oscuro i lineamenti di Cristo. Se si lasciano guidare dalla loro coscienza, in cui il Dio, che si manifesta in Cristo, parla loro, anch'essi per mezzo di Cristo e della Chiesa, corpo di Cristo, diventano partecipi della sal­ vezza. L'insigne teologo De Lugo dice : « Dio dà luce sufficiente per la redenzione ad ogni anima che è pervenuta all'uso di ragione... Le diverse scuole filosofiche e comunità religiose dell'umanità comunicano una parte di verità. . . e la regola è questa : l'anima, che in buona fede cerca Dio, la sua verità ed il suo amore, sotto l'influsso della grazia concentra l'atten­ zione su questi elementi di verità - siano essi molti o pochi - che le vengono offerti in libri sacri, in istruzioni, in servizi divini ed assemblee della Chiesa, se tta o scuola filosofica in cui è cresciuta. Si nutre di questi elementi, o meglio : la grazia divina nutre e redime l'anima sotto il velo di questi elementi di verità » (De fide, Sect. 1 9 , 7 · 1 0 ; 20, 10 7). 5. Da questa dottrina delle possibilità di salvezza di coloro che non appartengono o appartengono non pienamente alla Chiesa cattolico-romana non viene minato il dogma della Chiesa unica via di salvezza. Esso signi­ fica che senza la Chiesa non c'è salvezza, che chiunque si salva, si salva per mezzo della Chiesa, sia che egli lo sappia oppure no, che lo voglia o lo rifiuti per errore incolpevole. Questo rapporto con la Chiesa ha carattere di causalità salvifica. Tuttavia chi sta sotto l'influsso salvifico della Chiesa appartiene in un qualche senso alla Chiesa, o potenziale od attuale. Questa -

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unione con la Chiesa tanto piu confina con l'appartenenza ad essa in qualità di membro, quanto piu ha causalità salvifica. Il nesso antologico tra causalità salvifica ed appanenenza alla Chiesa implica che colui che rigetta formalmente, cioè nonostante una migliore conoscenza, l'apparte­ nenza alla Chiesa, perde anche la causalità salvifica. Viceversa il ricono­ scimento della causalità salvifica implica di per sé anche il desiderio di essere membro della Chiesa. Per i battezzati non cattolici esiste di fronte alla Chiesa cattolico-romana l'obbligo serio, importantissimo per la sal­ vezza, di esaminare innanzi a Dio la legittimità della propria non appar­ tenenza alla Chiesa cattolica e, nel caso, di rivolgersi alla Chiesa cattolica. Cosi il principio « senza la Chiesa non c'è salvezza » riconduce al prin­ cipio « fuori della Chiesa non c'è salvezza », dove « fuori della Chiesa » equivale a : se non si è membri della Chiesa non c'è salvezza. Per colui che riconosce la Chiesa cattolico-romana come Chiesa di Cristo, non sol­ tanto non c'è salvezza senza la causalità salvifica della Chiesa, ma non c'è neppure salvezza senza l'appartenenza perfetta alla Chiesa. Chi appartiene alla Chiesa in senso completo, come membro, afferra l'intera possibilità salvifica offerta da Cristo ; realizza nella sua fede e nel suo amore a Cristo ciò che questi ha oggettivamente istituito. Colui che non appartiene alla Chiesa cattolica rimane al di sotto delle possibilità

di salvezza offerte da

Cristo ; ed in quanto lo fa senza cattiva volontà, ciò non ridonderà a sua disgrazia. Rimane però privo di molti

beni

salvifici.

Questa spiegazione del dogma della Chiesa unica salvatrice da una parte conserva la serietà del dogma, ma dall'altra è ben lontana dall'emettere un giudizio di condanna su coloro che non vivono entro le mura della Chiesa. Non si può quindi rinfacciare alla Chiesa che la concezione che essa ha di se stessa quale mezzo necessario di salvezza implichi intolleranza. Il dogma non rappresenta un'intolleranza né spirituale né civile :

non

spirituale, perché non nega a nessuno la salvezza ; non civile, perché la Chiesa predica ed esige l'amore dd prossimo verso tutti gli uomini. La Chiesa è intollerante verso l'errore e ciò rientra nella natura dell'errore . Chi non è intollerante verso l'errore distrugge le basi della vita umana. Chi non è intollerante verso l'errore nel campo della rivelazione distrugge la fede. Tolleranza nel campo della verità naturale la potrebbe predicare soltanto lo scettico. Tolleranza nei confronti della rivelazione divina la potrebbe predicare soltanto colui che in essa non vede la comunicazione di verità, ma soltanto una chiamata di Dio (per la falsità di tale tesi cfr. le pp. 679-682). Proclamando il dogma di essere necessaria alla salvezza, la Chiesa riconosce la sua natura di corpo di Cristo ed aderisce a Cristo

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NECESSITÀ DELLA CHIESA PER LA SALVEZZA

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quale unico mediatore della salvezza. Ciò che la Chiesa rigetta non è la possibilità di salvezza di coloro che non appartengono e non credono ad essa, ma l'affermazione che ci siano molte vie equivalenti per salvarsi, che oltre ad essa ci siano ancora altre comunità di Cristo equivalenti. Quando altre comunità si designano come Chiese, ciò che conferisce loro l'apparenza di un diritto non è quel che le separa dalla Chiesa cattolico­ romana, ma ciò che hanno in comune con essa. Chi quindi appartiene ad una comunità cristiana non cattolica, non si salva ad es. perché non am­ mette il papato o il carattere sacrificale dell'eucaristia o rifiuta il culto ai santi, ma per il battesimo e per la parola di Dio che la comunità non cattolica ha preso dalla Chiesa universale allorché se ne è staccata. Secondo il papa Pio XI « i massi staccati da una montagna aurifera sono auriferi anch'essi » (discorso del 9-1-1 9 2 7 agli Universitari cattolici ; cfr. Discorsi di Pio XI, a cura di D. Berretto, l, 66 7, Torino 1 9 60). Nella parola della predicazione e nel battesimo agisce Cristo o la Chiesa una, che è stru­ mento di Cristo. Ma Cristo non opera la salvezza nella negazione della verità. Dalla autocoscienza della Chiesa cattolica consegue quindi necessa­ riamente il rigetto di tutte le comunità particolari. Se essa le riconoscesse come sorelle aventi parità di diritti, eliminerebbe se stessa quale Chiesa di Cristo. La pretesa di essere l'unica Chiesa salvatrice, cioè l'unica via alla salvezza, deriva necessariamente dalla dottrina della unità della Chiesa. Poiché c'è soltanto una Chiesa, c'è anche soltanto una speranza di sal­ vezza (Ef. 4, 4). Quando la Chiesa nei confronti di tutte le formazioni par­ ticolari cristiane afferma con straordinaria decisione di essere l'unico corpo di Cristo, agisce come ha agito Cristo allorché dinanzi al giudice giudeo e romano ha professato le sue vie quale Figlio di Dio. Senza questa asso­ luta professione di se stesso non sarebbe stato crocefisso; ma senza questa professione non sarebbe neppure stato il re della verità. Quando si distingue tra una via ordinaria della salvezza nella Chiesa e per mezzo della Chiesa ed una straordinaria soltanto per mezzo della Chiesa, non si proclamano due vie di salvezza, ma si rimane nell'unica via, la quale però ha diverse linee. Chi in buona fede cerca Dio fuori della Chiesa si muove sulla via della salvezza, ma entro la storia non arriva là dove la sia porterebbe, se la si continuasse nel senso inteso da Cristo : non arriva al battesimo. Il battezzato non cattolico ha percorso la via fino a questo punto, ma non la prosegue, perché crede che non continui. Ma in verità essa continua. Chi la percorre fino alla fine giunge quale membro perfetto nella Chiesa cattolica. L'appartenenza perfetta rappresenta quindi l'incarnazione della dedizione a Dio nel modo r�so possibile e voluto da

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Cristo. Chi nel suo sforzo per Dio non giunge alla Chiesa cattolica, non giunge alla logica incarnazione del suo desiderio di Dio. Egli non viene neppure afferrato in un atto salvifico che viene direttamente da Dio, ma viene afferrato anch'egli da quel movimento che da Cristo raggiunge gli uomini attraverso e per mezzo della Chiesa e dona loro salvezza. *

*

*

Poniamo a chiusura un testo di Agostino (In loann., tract. 1 24, 5), che rispecchia lo stato della Chiesa entro la storia e nello stesso tempo ne ce­ lebra la forma finale : « La Chiesa conosce due vite, annunziate e racco­ mandate da Dio. L'una si svolge nella fede, l'altra nella visione; l'una nel tempo del pellegrinaggio, l'altra nella patria eterna; l'una nella fatica, l'altra nel riposo ; l'una per via, l'altra nella patria; l'una sul campo dell'azione, l'altra nella ricompensa della visione ; l'una rifugge dal male e fa il bene, l'altra non ha male da evitare, ma grande bene da godere; l'una combatte col nemico, l'altra regna senza nemico alcuno; l'una è forte nelle avversità, l'altra non conosce contrarietà; l'una doma le cupidigie carnali, l'altra gode di delizie spirituali; l'una è tutta presa dalla preoccupazione di vincere, l'altra gusta senza affanni la pace della vittoria ; l'una è aiutata nelle tenta­ zioni, l'altra, senza piu alcuna tentazione si allieta in colui che l'ha aiutata; l'una soccorre gli indigenti, l'altra è là dove piu nulla manca ad alcuno; l'una perdona i peccati altrui affinché le siano perdonati i suoi, l'altra non conosce nulla da perdonare, e non fa nulla che richieda d'essere perdonato ; l'una è flagellata di mali affinché non si insuperbisca dei beni, l'altra è libera dal male per una tale pienezza di grazia, che senza alcuna tentazione di boria aderisce al sommo bene; l'una distingue bene e male, l'altra conosce soltanto il bene, e quindi l'una è buona ma ancora misera, l'altra è mi­ gliore e beata. La prima è rappresentata dall'apostolo Pietro, la seconda da Giovanni. L' una vive quaggiu fino alla fine dei secoli coi quali avrà fine, l'altra non sarà completa che alla fine dell'evo presente, ma non ha fine nell'evo futuro » .

B I B L I O GRAFIA

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IND ICE

GENERALE

PARTE PRIMA LA CHIESA

Pag. 7

§ 165. Prospetto e divisione .

10

§ I66a. La fede, via alla comprensione della Chiesa I. L a Chiesa, oggetto di fede, 1 1 . - I I . L'ecclesiologia, scienza della fede, 20.

27

§ x66b. Definizione della Chiesa CAP. I.

I. Il termine « ekklesia « gli Eletti », 36.

CAP. II.

27

Definizione nominale

-

-

»,

2 7. - II. Le espressioni

«

i Santi

»

e

Definizione reale SEz. I. -

39 Origini della Chiesa.

§ 1 67a. L'origine della Chiesa da Dio (causalità teologica)

46

I. Chiesa e redenzione, 47· - II. L'origine della Chiesa da Dio trino, 49. - III. Differenza della Chiesa da altre istituzioni, 52. IV. La Chiesa celeste, 54·

§ 1 67b. La preparazione storica della Chiesa di Cristo (causalità della economia salvifìca)

55

I. Idea generale, 55 · - II. La Chiesa avanti Cristo, 56. - III. La Chiesa a cominciare da Abele, 6o. - IV. Le fasi della prepara­ zione, 64. - V. Israele in quanto popolo di Dio, 68. - VI. La pro­ messa d'un nuovo patto, 71.

§ 1 67c. La fondazione della Chiesa ad opera d i Gesti Cristo

75

CAP.

75

l.

-

L'insegnamento ecclesiastico

CAP. II. - Fondazione antologica e storico-salvifica mediante l'incarnazione, la morte e la risurrezione . I. L'incarnazione in quanto fondamento della Chiesa, 78. - II. La morte e la risurrezione in quanto fondamento della Chiesa, 81.

78

INDICE GENERALE

CAP. III. - La volontà di Gesu Cristo di fondare la Chiesa .

Pag. 87

I. Significato del problema, 87. - II. Obiezioni contro la tesi della volontà di Cristo di fondare la Chiesa, 88. - III. Gesti e il regno di Dio, 90. - IV. La parola « Chiesa » sulla bocca di Gesu, 101. - V. Gli atti di Cristo istitutivi della Chiesa, 102.

Art. Art. Art. Art. Art. Art. Art. Art. Art. Art.

-

I. II. III. IV. V. VI. VII. Vlll. IX. X.

La vocazione dei discepoli La vocazione dei Dodici . La missione dei Dodici I dodici in quanto Apostoli Paolo, in quanto Apostolo Il potere di legare e di sciogliere Il potere di rimettere i peccati Il grande mandato missionario La successione apostolica . La vocazione di Pietro : Fondamento del primato

102 1 04 1 08 108 1 14 1 20 1 22 123 1 27 139

I. La testimonianza di Matteo, 140. - II. Il testo di Luca, 1 50. III. Il testo di Giovanni, 1 5 1 . - IV. Il primato dell'apostolo Pietro nella Chiesa primitiva, 157. - V. La successione dell'apostolo Pietro, 164.

Art. Art. Art.

- L a autodesignazione di Gesti quale Figlio dell'Uomo - Istituzione della Cena - Chiesa e missione dello Spirito Santo .

XI. XII. XIII.

SEz. Il.

1 75 1 75 1 77

- Le caratteristiche umano-divine della Chiesa.

Osservazione preliminare § 168. La Chiesa come popolo di Dio

r 8o

I. La testimonianza della liturgia, 1 80. - Il. Spiegazione del con­ cetto di popolo in base alla Sacra Scrittura, 1 86. - III. La Chiesa come popolo di Dio presso i Padri, 194. - IV. La Chiesa come città e come casa di Dio, 205.

§

1 6g•.

La Chiesa come corpo di Cristo

CAP. I. - Il fatto che la Chiesa ha il carattere di corpo di Cristo

212 217

I. Insegnamento della Chiesa, 217. - Il. La Sacra Scrittura, 223.

CAP. Il. - La penetrazione teologica della tes timonianza della Scrittura circa la Chiesa quale corpo di Cristo

254

CAP. III.

La dottrina dei Padri .

262

§ 16gb. La Chiesa sposa di Cristo

278

-

I. Dottrina della Scrittura, 278. - Il. Testimonianze patristiche, 284. - III. La liturgia, 289.

INDICE GENERALE Pag. § 1 70. Lo Spirito Santo e la Chiesa (l'aspetto pneumatologico della Chiesa) I. La promessa dello Spirito nell'Antico Testamento, 291 . II. Cristo come portatore dello S pirito, 295. - III. La missione dello Spirito da parte di Cristo, 297. IV. La Chiesa non è solo Chiesa dello Spirito, 299. - V. La dottrina di Mi:ihler sullo Spirito Santo nella Chiesa, 302. VI. La missione dello S pirito nella Pen­ tecoste, 306. - VII. L'azione dello Spirito nella Pentecoste, 308. VIII. L'azione continua dello S pirito nella Chiesa, 312. - IX. Spie­ gazione teologico-metafisica, 324. X. La presenza dello Spirito Santo come appropriazione, 332. - XI. Cristo, anima della Chiesa? 334· XII. La dottrina dei Padri e la Scolastica, 336. - XIII. L'amore, forma costitutiva interna della Chiesa, 340.

29 1

-

-

-

-

§ 1 7 1 . La visibilità della Chiesa . I. Il fatto della visibilità della Chiesa, 346. - Il. Le caratteristiche della visibilità, 355· - III. L'appartenenza alla Chiesa, 361. - IV. Il mutamento di forma della Chiesa, 380.

3 45

§ 1 72. La struttura giuridica della Chiesa I. Nozioni generali, 398. - Il. La struttura giuridica della Chiesa nei suoi singoli elementi, 414. § 1 73 . Le proprietà essenziali della Chiesa

472

CAP. I.

472

CAP. II.

Nozioni generali

-

-

4 74

L'unità della Chiesa

I. La unicità della Chiesa, 474· o unanimità, 480.

-

II. La unità nel senso di unione

CAP. III. - La cattolicità della Chiesa . I. Significato ed uso del termine « cattolico », 525. - Il. Testimo­ nianza della Scrittura, 532. - III. Testimonianza dei Padri, 537· - IV. La cattolicità di fatto della Chiesa cattolico-romana, 539.

CAP. IV. - La apostolicità della Chiesa I. Definizione del concetto, 543· 543· CAP. V.

-

-

Il. La realtà della apostolicità,

La santità della Chiesa . SEz. III.

-

543

5 50

La missione della Chiesa.

Osservazione preliminare

5 57

CAP. I. - La Chiesa e la gloria di Dio

5 59

§ 1 74 . La gloria di Dio come compito della Chiesa I. Sua attuazione diretta, 559. - Il. Sua attuazione indiretta : compito profano della Chiesa, 565.

559

770

INDICE GENERALE Pag. 5 88

§ 1 7 5 . Chiesa e regno di Dio I. Cristo e il regno di Dio, 589. - II. La Chiesa come organo e manifestazione del regno di Dio, 592.

CAP. II.

-

La Chiesa mediatrice della salvezza .

§ 1 76. La Chiesa come comunità ed istituzione di salvezza I. Senso della dottrina cattolica, 598. S crittura, 6o6.

-

596 596

Il. Testimonianza della

§ 176•. Gli organi dell'attività salvifica della Chiesa. - Potere di ordine e potere di giurisdizione. - Il laico nella Chiesa . I. L'ufficio in genere, 6 1 0 - Il. Divisione dell'unico potere apo­

61o

.

stolico in potere di ordine e potere di giurisdizione, 613. III. Potere dottrinale, 618. - IV. I laici come organi della funzione salvifica della Chiesa, 629.

§ 176b. Le singole funzioni salvifiche della Chiesa

640

I. Attività sacramentale della Chiesa, 641. - II. La mediazione salvifica nella parola, 644.

§ 1 77. L'infallibilità pontificia I. L'infallibilità della Chiesa come tale, 689. - Il. L'infallibilità del Papa, 696.

§ 177". Necessità della Chiesa per la salvezza . I. Dottrina della Chiesa, 709. - Il. Dottrina della Scrittura e dei Padri, 712. - III. Spiegazione della dottrina della Chiesa, 712. - IV. Le possibilità di salvezza di coloro che non appartengono alla Chiesa, 713.

689