Democrito E L'Accademia: Studi Sulla Trasmissione Dell'atomismo Antico Da Aristotele a Simplicio 3110185423, 9783110185423

The Ancient Greek Atomists assumed atoms to be the basis of the world. It is however extremely difficult to ascertain ho

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Democrito E L'Accademia: Studi Sulla Trasmissione Dell'atomismo Antico Da Aristotele a Simplicio
 3110185423, 9783110185423

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M. Laura Gemelli Marciano Democrito e l’Accademia

Studia Praesocratica Herausgegeben von / Edited by

M. Laura Gemelli Marciano · Richard McKirahan Oliver Primavesi · Christoph Riedweg Gotthard Strohmaier · Georg Wöhrle Band 1



Walter de Gruyter · Berlin · New York

Democrito e l’Accademia Studi sulla trasmissione dell’atomismo antico da Aristotele a Simplicio di

M. Laura Gemelli Marciano



Walter de Gruyter · Berlin · New York

앝 Gedruckt auf säurefreiem Papier, 앪 das die US-ANSI-Norm über Haltbarkeit erfüllt.

ISBN 978-3-11-018542-3 Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar. 쑔 Copyright 2007 by Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, 10785 Berlin. Dieses Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany Einbandgestaltung: Christopher Schneider, Berlin Druck und buchbinderische Verarbeitung: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, Göttingen

A Clarisse

Premessa Questo lavoro è la rielaborazione della mia Habilitationsschrift approvata dalla Philosophische Fakultät I di Zurigo nel semestre estivo 1995. E' passato da allora molto tempo. La ragione di questa lunga gestazione sta principalmente nel fatto che, immediatamente dopo la libera docenza, mi sono dedicata ad una edizione commentata di una larga scelta di frammenti dei cosiddetti presocratici anch'essa in fase di pubblicazione. In ogni caso il lavoro sulle fonti e i problemi che avevo allora impostato sono, a mio avviso, a tutt'oggi estremamente attuali. Negli anni trascorsi dalla prima stesura di questo testo la ricerca sull'atomismo antico, se si esclude lo studio di P.-M. Morel, Démocrite et la recherche des causes, Paris 1996, che però coinvolge una tematica più ampia ed è condotto con metodi e scopi diversi rispetto a questo lavoro, non ha registrato grandi progressi per quanto riguarda l'analisi delle fonti. La Quellenforschung sembra essere passata di moda soprattutto fra gli storici della filosofia. Eppure, proprio lo studio dell'atomismo antico, che conosciamo in grandissima parte solo attraverso la trasmissione indiretta, non può prescindere da una analisi precisa e dettagliata dei contesti e delle tradizioni attraverso cui le testimonianze sono state tramandate. Dato che spesso le dottrine di Democrito e Leucippo vengono viste attraverso "gli occhiali aristotelici", ho cercato qui innanzitutto di esaminare la fattura di questi "occhiali" e mi è sembrato di poterne ricondurre in parte la fabbricazione anche più indietro, alla discussione delle aporie eleatiche e alla formulazione delle tesi basilari dell'atomismo nell'Accademia platonica. Da Aristotele ho preso poi le mosse per individuare anche nella tradizione successiva diverse linee di trasmissione che hanno generato una certa oscillazione nella definizione dell'indivisibilità dell'atomo leucippeo e democriteo nelle fonti tarde. Lascio al lettore più o meno benevolo il compito, certamente non facile, di seguire questi percorsi e di trovarne eventualmente dei nuovi. Questa via comporta anche la formulazione di ipotesi, ma la ricerca sugli atomisti e sui presocratici in genere è costellata di ipotesi e le varie teorie sull'indivisibilità dell'atomo sviluppate da una certa tradizione esegetica moderna lo dimostrano ampiamente. Se il lavoro di "scavo" da me fatto nella direzione della Quellenforschung e nel tentativo di ancorare l'atomismo antico al contesto culturale del V sec. a.C. contribuirà a scardinare alcuni luoghi comuni, a far vacillare

VIII

Premessa

delle sicurezze e a rimettere in moto una discussione costruttiva, lo scopo sarà raggiunto al di là delle inevitabili critiche che ne seguiranno. Desidero qui dunque ringraziare J. Barnes che, come relatore esterno di questa tesi, è stato il primo a sollevare obiezioni costruttive, di cui alcune mi hanno indotto a correzioni, altre mi hanno stimolato ad approfondire ulteriormente la ricerca nella direzione da me imboccata. Nonostante il nostro metodo esegetico e la nostra interpretazione non solo dell'atomismo, ma dei presocratici in genere divergano sostanzialmente nei metodi e nei risultati, ho trovato in lui un interlocutore intelligente e disponibile e uno stimolante dialettico. La mia più grande riconoscenza va al mio maestro, Walter Burkert, che ha ispirato, seguito e incoraggiato questo lavoro anche in momenti estremamente difficili per la mia storia personale. Le conversazioni con lui su questo e su altri temi della cultura antica sono per me, a tutt'oggi, una sorgente inesauribile di arricchimento scientifico e personale. Un ringraziamento infine a mio marito Dino, senza il cui costante supporto questo libro non avrebbe potuto essere portato a termine, e soprattutto a Clarisse che, irrompendo gioiosamente e talvolta con un pizzico di impertinenza nel mio "spazio di ricerca", mi ha costantemente ricordato che l'impegno scientifico non è produttivo e creativo se non è ancorato ad una realtà viva e globale. A lei è dedicato questo libro. Giubiasco, 20 Aprile 2007

M. Laura Gemelli Marciano

Indice Premessa ............................................................................................................. VII Introduzione 1. Considerazioni generali................................................................................... 1 2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio ..................................................................................... 4 2. 1. Democrito nella tradizione medica ............................................ 6 2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale ........ 10 2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici e di storia naturale ............................................................................... 12 2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche ...................... 13 3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico .......................................... 23 4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo........................... 29 5. Osservazioni metodologiche......................................................................... 34 Capitolo primo. Platone e Democrito 1. Considerazioni generali.................................................................................. 42 2. Democrito e Platone nella tradizione biografica ....................................... 47 3. Sintesi................................................................................................................ 58 Capitolo secondo. Principi corporei/ incorporei. Atomisti antichi, Platone, Accademici, da Aristotele a Simplicio 1. Il compito del vero fisico............................................................................... 59 2. La gigantomachia del Sofista e lo schema principi corporei/ incorporei in Aristotele.......................................................................................................... 61 3. Platone e Democrito in Teofrasto ............................................................... 65 4. La tradizione "diafonica": Accademici contro atomisti in Sesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.)............................................. 68 4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursus di Sesto.................................................................................................... 74 4. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista .. 79 4. 3. Una fonte scettica per Sesto ....................................................... 84 5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone e Democrito................ 90 5. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.)..................................... 91 5. 2. Galeno e i principi di Platone: PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) ...................................... 92

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Indice

6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone ........................................... 95 6. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12 ................................................... 97 6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss. (67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.) ......................................................... 99 6. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16 (68 A 120 DK; 171 L) ....................................................................... 102 7. Sintesi.............................................................................................................. 107 Capitolo terzo. Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8) 1. Considerazioni generali................................................................................ 109 2. Leucippo e gli "Eleati" ................................................................................. 110 2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23): considerazioni generali ....................................................................... 111 2. 2. Gli strati del logos eleatico .......................................................... 118 2. 2. 1. Lo schema sofistico ........................................................118 2. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos: vuoto, contatto e divisione ......................................................... 122 3. Logoi eleatici nell'Accademia? ......................................................................127 3. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24)........................................................ 127 3. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione (Arist. Phys. A 3, 187a 1) ................................................................... 133 4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.)......................................................................................... 137 4. 1. La prima parte del logos di Leucippo (De gen. et corr. A 8, 325a 23-30)........................................................ 140 4. 1. 1. Vuoto e movimento ....................................................... 141 4. 1. 2. Vuoto e non essere ......................................................... 143 4. 1. 3. Atomi e uno .....................................................................144 4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico ...................................... 145 4. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn (68 B 156 DK; 7, 78 L.)............................................................. 146 4. 2 .2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni ............................. 152 4. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico (De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11) ............................................ 155 5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde .................. 158 5. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.)............... 158 5. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gli Eleati ..................................................................................................... 161 6. Sintesi.............................................................................................................. 163

Indice

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Capitolo quarto. La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2) 1. Considerazioni generali................................................................................ 165 2. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preambolo aristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14) ........................................ 169 3. Le due parti del logos sugli indivisibili......................................................... 172 4. Il logos sugli indivisibili. Prima parte. Motivi accademici e rielaborazioni aristoteliche ............................................................................... 173 4. 1. Divisione mentale e divisione reale (De gen. et corr. A 2, 316a 15-29) ....................................................... 173 4. 2. Corpi e grandezze indivisibili ................................................... 176 4. 3. Punti, segatura e affezioni (De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16) .................................................... 177 5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35) ........................ 183 6. Sintesi.............................................................................................................. 186 Capitolo quinto. Atomi e minimi. Concetti accademici e terminologia democritea in Aristotele 1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia ............................... 188 2. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzante dell'atomo in Aristotele .................................................................................... 194 3. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomi in Aristotele ............................................................................................................ 205 4. Terminologia atomista in Aristotele .......................................................... 211 5. Sintesi.............................................................................................................. 218 Capitolo sesto. L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito nella dossografia tarda 1. Tradizione epicurea e peripatetica: atomo indivisibile per la solidità ..................................................................... 220 2. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità. La tradizione stoicizzante: Accademia scettica e classificazioni posidoniane ........................................................................................................ 224 2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualità nell'Accademia scettica....................................................................... 227 2. 1. 1. Cicerone. De natura deorum, Academica............................. 227 2. 1. 2. Plutarco. Contro Colote........................................................ 228 2. 2. La vulgata di matrice posidoniana ........................................ 231 3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisico negli autori tardi................................................................................................. 234

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Indice

3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele: atomi solidi e minimi dell'atomo ...................................................... 235 3. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomo nella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale ......... 243 3. 2. 1. Lattanzio........................................................................... 245 3. 2. 2. Pseudo-Plutarco .............................................................. 252 3. 2. 3. Galeno .............................................................................. 257 3. 2. 4. Teodoreto......................................................................... 261 3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche................... 264 3. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti: atomisti antichi, Aristotele, Epicuro nei commentatori neoplatonici ......................................................... 266 4. Sintesi.............................................................................................................. 275 Capitolo settimo. L'atomismo antico e il suo contesto culturale 1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi. Per una definizione dei fondamenti eterni ...................................................................................... 278 2. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nella cosmogonia di Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto atomistico............................ 284 3. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nella cosmogonia di Democrito...................................................................................................... 288 4. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo..................................................... 290 5. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo ............................. 292 6. Il metodo........................................................................................................ 296 6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo: caso e causalità..................................................................................... 296 6. 2. La visione dell'invisibile............................................................. 298 6. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica ............... 299 6. 2. 2. Riconoscere i segni: i mediatori dell'invisibile e l'esercizio della gnwvmh..................... 305 6. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" e ottimismo corporativo. Per una revisione dello "scetticismo" democriteo ..................................................................................... 311 7. Democrito e il Corpus Hippocraticum............................................................ 313 8. Sintesi.............................................................................................................. 320 Sintesi generale .................................................................................................. 323 Bibliografia ......................................................................................................... 330 Indice dei passi .................................................................................................. 352

Introduzione

1. Considerazioni generali Il complesso di osservazioni e dottrine attribuite a Leucippo e Democrito ha sofferto, forse più di altri, delle rielaborazioni e dei travisamenti della trasmissione indiretta. La riemergenza in età ellenistica dell'atomismo nella forma codificata da Epicuro ha contribuito in larga parte alla scomparsa delle opere di questi autori dall'orizzonte dei dotti antichi. Il fatto poi che nella biblioteca di Simplicio, la fonte più copiosa di citazioni letterali dei presocratici, non si trovassero testi originali degli atomisti ha definitivamente cancellato la possibilità di recuperarli. Di Leucippo non è rimasto neppure un brandello1. Di Democrito, a fronte delle numerose gnomai etiche, è sopravvissuta solo una manciata di frammenti fisici di cui è assai difficile ricostruire il contesto. Tutto il resto sono resoconti mediati dalla tradizione indiretta. Come è stato più volte sottolineato in questi ultimi decenni negli studi sulla storiografia filosofica antica, gli interpreti antichi non erano interessati ad una resa "alla lettera" degli autori di cui trattavano le opinioni, ma ad un loro inserimento nella problematica di volta in volta trattata secondo una certa ottica. E' sintomatico il fatto che Aristotele e Teofrasto, coloro che hanno costituito il modello per questa storiografia filosofica, raramente riportino citazioni letterali. I loro resoconti mirano soprattutto a cogliere la diavnoia di quanto i loro predecessori hanno detto, vale a dire ad estrapolare da testi talvolta oscuri e soprattutto nati in un clima culturale diverso da quello dell'Atene del IV sec. a.C., quello che essi hanno potuto comprendere nell'ottica del problema che stanno discutendo. Questo è naturalmente gravido di conseguenze per la forma e per il contenuto del resoconto stesso. L'immagine dell'atomismo antico che ci rimandano Aristotele, Teofrasto e in generale le fonti antiche costituisce dunque una visione filtrata da quelli che O'Brien ha indicato con 1

Quella che viene riportata da Stobeo 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) al Peri; nou' di Leucippo (un'opera indicata invece come democritea nel catalogo di Trasillo) è sicuramente dovuta ad una confusione di lemmi (la doxa precedente, quasi simile a questa, viene attribuita a Parmenide e Democrito), cf. Diels 1879, 321 app. ad loc., Rohde 1881 [I, 1901, 249 n. 2].

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Introduzione

una espressione felice come pré-jugé (nel senso etimologico di "opinione anteriore ad un giudizio", accettata senza essere sottoposta ad esame) e pré-supposé ("trama concettuale implicita preesistente" che costituisce il sistema di riferimento dell'esegeta e attraverso la quale viene filtrata ogni notizia). Soprattutto quest'ultimo, agendo a livello subliminale, preclude all'interprete la reale comprensione di ciò che non è conforme alla sua cultura e alle sue forme di pensiero2. Queste due categorie condizionano tuttavia non solo la trasmissione antica, ma anche l'interpretazione moderna. Si tratta di un problema riproposto sempre più frequentemente nella storia della filosofia degli ultimi decenni, ma risolto a volte troppo sbrigativamente con l'affermazione che ogni tentativo di interpretare la cultura del passato è comunque una costruzione basata su pre-giudizi e pre-supposti e che una interpretazione "filosofica" deve estrarre quei "nuclei" di pensiero, quelle idee che, pur non espresse nella forma che hanno assunto in epoche posteriori, hanno avuto uno sviluppo produttivo per la storia della filosofia fino ai nostri giorni3. E' opportuno fare qualche precisazione su questo punto perché l'interpretazione dell'atomismo antico, da Aristotele in poi, ha sofferto più di ogni altra delle conseguenze di questa prospettiva. Il problema della "traduzione" da un sistema culturale all'altro e della commensurabilità delle culture è un tema su cui gli antropologi discutono da più di mezzo secolo passando attraverso posizioni perfettamente parallele a quelle sopra citate e riconoscendone i limiti e i pregi. Da queste discussioni, però, essi hanno imparato a riflettere sui propri metodi e sui propri presupposti traendone stimoli per allargare il loro orizzonte metodologico. Così Tambiah (1993, 157) sintetizza il compito dell'antropologo rispetto al problema della traduzione delle culture La «traduzione delle culture» implica la cosiddetta «doppia soggettività», caratteristica del modo in cui oggigiorno si praticano le scienze sociali, ma estranea alle scienze fisiche. La doppia soggettività implica simpatia ed empatia oltre che distanza e neutralità da parte di colui che osserva, analizza e interpreta i fenomeni sociali: l'osservatore deve prima addentrarsi quanto più possibile «soggettivamente» nella mente degli attori e comprenderne le intenzioni e le reazioni alla luce delle loro categorie di significato, e dopo, o contemporaneamente, deve distanziarsi da quei fenomeni e tradurli o disegnarli secondo il linguaggio comune e le categorie occidentali, cosa che a sua volta favorisce un processo di autoanalisi, attraverso cui approfondiamo la comprensione di noi stessi, delle nostre valutazioni e dei nostri presupposti culturali.

Questa prospettiva mi sembra estremamente utile per definire anche un metodo di approccio agli atomisti e ai cosiddetti presocratici in generale. 2 3

O'Brien 1982, 189s. Cf. e.g. Makin 1993.

Introduzione

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Gli storici della filosofia tendono infatti a saltare il primo gradino dell'analisi, quello dell'empatia, del tentativo (per quanto difficile e limitato da impedimenti oggettivi) di sintonizzarsi attivamente col contesto culturale dell'autore esaminato, di capire quale mondo si nasconda al di là della diavnoia che i vari interpreti antichi hanno attribuito alle sue affermazioni. Come causa del rifiuto di penetrare in questa atmosfera viene generalmente addotto il fatto che il materiale a disposizione per ricostruire il contesto culturale dell'autore è scarso e parziale. Questo è vero solo in parte. Spesso, anche quando c'è, si rifiuta insistentemente di prenderne atto perché lo si giudica di scarso interesse filosofico4. In generale si ignora la possibilità di aprire la prospettiva a testi di altro tipo, anche contemporanei all'autore studiato, ad eventuali testimonianze storiche e archeologiche e si fa come se intorno a lui non ci fosse stata una vita sociale, politica e un clima culturale specifico. Emarginare questo genere di ricerca dalla storia della filosofia non è dunque una opzione giustificata dal taglio "filosofico", ma una omissione che, oltre a perpetuare in modo irriflesso i presupposti teorici su cui sono basati i giudizi e le analisi moderne, fa perdere di vista le reali dimensioni della dottrina stessa. La storia delle interpretazioni dell'atomismo antico da Aristotele fino alla tarda antichità, per la natura stessa dei presupposti più o meno esplicitati dagli autori, è dunque marcata dalla "traduzione anempatica" in categorie culturali eterogenee. Non si tratta qui di dare un giudizio di valore, ma di riconoscere un dato di fatto che deve essere tenuto ben presente all'atto della valutazione delle fonti. Anch'esse hanno bisogno di una contestualizzazione. Questo discorso vale non solo per i resoconti indiretti, ma anche per le citazioni letterali. Anche queste si inseriscono in un contesto pre-supposto e vengono finalizzate alla dimostrazione di tesi diverse da quella originaria. Dunque, laddove ci sono delle citazioni letterali o presunte tali, in particolare negli autori tardi, non c'è necessariamente an4

Paradigmatica a questo proposito è la posizione di Barnes 1982, XVI: "In speaking slightingly of history I had two specific things in mind—studies of the 'background' (economic, social, political) against which the Presocratics wrote, and studies of the network of 'influences' within which they carried on their researches. For I doubt the pertinence of such background to our understanding of early Greek thought[…]. I am sceptical, too, of claims to detect intellectual influences among the Presocratics. The little tufts of evidence which bear upon the chronology of those early publications are, as I observed in more than one connection, too few and too scanty to be woven into the sort of elegant tapestry which we customarily embroider in writing the histories of modern philosophy. Much of the historical detail with which scolarship likes to deck out its studies is either merely impertinent or grossly speculative". E' curioso osservare come proprio l'autore di una ricostruzione su base analitica altamente speculativa del "pensiero" dei cosiddetti presocratici proietti questa caratteristica sulle ricostruzioni del contesto storico-culturale di questi personaggi. Sull'interpretazione decontestualizzata in particolare di Parmenide ed Empedocle, cf. Kingsley 1995a, 2002, 2003.

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Introduzione

che una conoscenza diretta del testo integrale e, soprattutto, non c'è una interpretazione neutrale. La citazione letterale, estrapolata già in origine dal proprio contesto, si è spesso tramandata anche quando l'opera intera non era più letta o era andata perduta5. La trasmissione all'interno di una tradizione specifica ha giocato in alcuni casi un ruolo di primo piano e talvolta si è imposta anche quando il citatore conosceva di prima mano i testi: il famoso verso di Parmenide: ouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh; ejovnta (28 B 7,1 DK) citato in questa forma metricamente zoppicante da Platone6, viene riprodotto tale e quale da Aristotele7 e da Simplicio che pure riporta una porzione più ampia del testo parmenideo8. La presenza di citazioni letterali non è dunque una prova inconfutabile della conoscenza o dell'utilizzazione diretta da parte del citatore del testo integrale di un'opera e tantomeno dell'intera produzione dell'autore citato e, soprattutto, nasconde le stesse insidie del pre-giudizio e del pre-supposto della trasmissione indiretta. Queste premesse sono indispensabili in quanto l'argomento discusso nel presente lavoro è caratterizzato dal problema della trasmissione nella sua più acuta ed estrema manifestazione, dunque può essere affrontato e trattato solo attraverso una dettagliata analisi delle fonti, ma anche con lo sguardo rivolto al contesto culturale del V sec. a.C. in cui Leucippo e Democrito hanno vissuto e agito.

2. Trasmissione e ricezione dell'atomismo antico da Aristotele a Simplicio Dal momento che la fisica leucippea e democritea si è trasmessa quasi esclusivamente per via indiretta, si rende innanzitutto indispensabile una breve panoramica sulla ricezione di Democrito e di Leucippo nell'antichità per definire preliminarmente e brevemente i percorsi di questa trasmissione. E' opportuno, però, premettere che Leucippo viene citato da solo unicamente in alcuni passi di Aristotele e nei resoconti risalenti a Teofrasto. Quest'ultimo gli attribuiva il Mevga" diavkosmo"9 ritenendolo più antico dei libri di Democrito e di Diogene di Apollonia; affermava infatti che 5 6

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Cf. su questo Gemelli Marciano 1998. Soph. 237a. La lezione tou'to damh'i che si legge nelle edizioni del Sofista è dovuta ad una correzione operata dagli editori in base al testo del frammento in due codici di Simplicio, v. infra, III 3. 2 n. 84. Metaph. N 2, 1089a 3. In Phys. 187a 1, 143,31. Per la discussione del passo, v. infra, III 3. 2 n. 84. Diog. Laert. 9,46 (68 A 33 (III) DK; CXV (III) L.).

Introduzione

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Leucippo era stato maestro dell'uno e modello per l'altro che lo aveva in parte imitato10. Se Democrito nasce intorno al 460 a.C., la presunta data di nascita di Leucippo dovrebbe cadere intorno al 500 a.C. e la sua attività intorno agli anni '60 del V sec. a.C. Egli era dunque probabilmente un contemporaneo di Anassagora e di Zenone e un poco più vecchio di Empedocle e di Melisso. Epicuro e il suo discepolo Ermarco11 ne mettevano tuttavia in dubbio l'esistenza e Trasillo inseriva nel catalogo delle opere di Democrito anche il Mevga" diavkosmo". La questione della storicità di Leucippo e della differenza fra le sue tesi e quelle democritee è stata molto dibattuta alla fine del secolo scorso12. Oggi non è una priorità in quanto non sembra possibile isolare l'uno dall'altro per lo meno per quanto riguarda la concezione dell'atomo. Democrito si distingue piuttosto per una vasta produzione libraria che abbraccia tutti i campi della polymathia del suo tempo compresa la letteratura tecnica. Al di là delle possibilità di distinzione delle dottrine vale però la pena tener conto di un fatto: se è Leucippo il primo ad aver formulato l'ipotesi di un mondo fatto di "atomi", l'atmosfera in cui egli l'ha sviluppata è quella degli anni '60 non degli anni '20 del V sec. a.C. Difficilmente egli può aver tenuto conto degli scritti di Zenone o di Melisso o di Anassagora. Si pone dunque il problema della filiazione eleatica nella forma espressa da Aristotele e ripresa da Teofrasto. Il fatto che di Leucippo sia rimasta una labile traccia anche nelle testimonianze indirette è da imputare ad una specie di destino connaturato alla storia stessa dell'atomismo: le versioni più recenti hanno infatti cancellato quelle più antiche e l'avversione della grande maggioranza degli autori antichi contro gli Epicurei ha fatto il resto. Democrito ha "riassorbito" Leucippo, Epicuro ha praticamente eclissato ambedue e, a causa dell'ostilità verso le tesi atomistiche diffusa nelle scuole filosofiche e mediche di età imperiale, sono spariti dall'orizzonte non solo i testi degli Epicurei e, in parte, anche quelli del loro fondatore, ma anche quelli di medici che sostenevano tesi corpuscolariste come Erasistrato e Asclepiade. L'atomismo accademico è, dal canto suo, naufragato molto presto sotto il peso del giudizio aristotelico. Qui di seguito fornirò dunque una panoramica principalmente della ricezione di Democrito in quanto Leucippo compare solamente nella tradizione risalente a Teofrasto. Per il resto il suo nome è veicolato da quello del suo più famoso successore. Partendo da Aristotele, il primo che abbia trattato diffusamente degli atomisti antichi, si possono distinguere grosso modo quattro filoni, 10 11 12

Theophr. 226 A FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 25,1). Apollod. ap. Diog. Laert. 10,13 (67 A 2 DK; LXXV L.). Ricordo qui solo come esempio la polemica fra Rohde 1881 [1901] e Diels 1881 [1969], 1887. Per una bibliografia e una discussione sulla questione, rimando ad Alfieri 1936, 8 n. 27; Guthrie, II, 1965, 382 n. 1.

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ognuno dei quali mostra proprie peculiarità nella scelta, nell'interpretazione e nella trasmissione dei testi: 1. La tradizione medica. 2. L'ambito bibliotecario-grammaticale. 3. L'ambito degli scrittori di storia naturale e di trattati tecnici. 4. Le scuole filosofiche. Il nome di Leucippo compare unicamente nella tradizione filosofica, mentre il protagonista nella altre tradizioni è Democrito autore anche di un gran numero di scritti tecnici. 2. 1. Democrito nella tradizione medica Democrito ha goduto, non solo come filosofo, ma soprattutto come autore di scritti medici, di grande autorità nella tradizione medica fino all'età imperiale e oltre, testimoniata anche dal fiorire di opere spurie e dalla leggenda del suo incontro con Ippocrate. L'interesse dei medici si appunta, per ovvi motivi, principalmente sulle affermazioni democritee riguardanti la biologia umana, le malattie e il loro trattamento13, ma talvolta, soprattutto presso i medici di età ellenistica e imperiale, anche su più generali affermazioni di carattere epistemologico e metodologico. Citazioni e testimonianze indirette sulla biologia umana si sono tramandate attraverso la tradizione medica come il detto, parzialmente riportato da diversi autori di età imperiale a cominciare da Plinio, che definisce l'atto sessuale una "piccola epilessia"14 e una doxa sulla nutrizione 13

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Non tutte quante le testimonianze su questo tema classificate da Diels e da altri come spurie devono essere per forza tali. Se Democrito ha scritto opere di carattere medico specialistico come la Ihtrikh; gnwvmh non stupisce che egli abbia parlato delle malattie e di un loro eventuale trattamento. Cf. su questo Gemelli Marciano 2007, 220-224. Questo (e non ajpoplhxivh) è il termine riportato in tutte le fonti riconducibili ad una tradizione medica. Il detto compare per lo più in contesti che sottolineano gli effetti negativi dell'atto sessuale. Galeno, nei commenti al terzo e sesto libro delle Epidemie ne attribuisce la citazione a Sabino, un medico vissuto nella prima metà del II sec. d.C. il quale utilizza spesso un altro commentatore ippocratico, Rufo Efesio, a sua volta citatore di testimonianze più antiche (cf. Deichgräber 1965, 29 n. 1.). Gal. In Hipp. Epid. III 1,4 (25,3 Wenkebach = XVII A,521 K.) (68 B 32 DK; 527 L.) sumbaivnei toi'" ojyimaqevsin ejnantiwvmata levgein ajkaivrw" fluarou' sin. tiv" ga;r h\ n aj navgkh gravf ein Dhmovkriton me;n eijrhkev nai mikra;n ejpilhyivan ei\ nai th; n sunousivan, Epivkouron de; mhdevpote me; n wjf elei'n ajfrodisivwn crh'sin, ajgaphto; n dæ, eij mh; blavyeien… ejpi; ga;r tw'n ejx ajfrodisivwn ajmevtrwn noshsav ntwn ejcrh'n eijrh'sqai tou;" lovgou", ouj k ejpi; tw'n ej nantivw" aujtoi'" diaithqevntwn. ajllæ o{mw" kai; tau'tæ e[grayan oiJ peri; to;n Sabi'non, ouj k aijsqanovmenoi th'" ej nantiologiva" ª...º kai; tau'ta gravfousin aujtoi; mnhmoneuvs ante" ej n th'i tw'n prokeimevnwn ej xhghvs ei Dhmokrivtou te kai; Epikouvrou, mhdevpw mhde; n aj gaqo; n ejx ajfrodisivwn genevsqai faskov ntwn. Cf. Gal. In Hipp.

Epid. VI 3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff = XVII B,28 K.) A questa tradizione medica si riallacciano anche gli autori latini che riportano il frammento. Così Plin. Nat. hist. 28,58; Gell.

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dell'embrione nell'utero15. Alcune affermazioni sulle cause delle malattie sono state mediate da Sorano16. Fra il I sec. a.C. e i primi anni del I sec. d.C., in un clima di recupero degli antichi, Democrito ha avuto una reviviscenza in ambito medico fra personaggi che in qualche modo a lui si richiamavano17. Cicerone nomina dei non ben identificati Democritii in due passi. Dal primo si deduce solo che si tratta di un gruppo ristretto18, nel secondo si accenna alla divergenza fra costoro e gli Epicurei nell'interpretazione della dottrina di Democrito su un tema tipicamente medico quale quello della persistenza della sensazione e del dolore nei corpi morti19. "Democritei" compaiono anche in una Quaestio convivalis di Plutarco ancora in relazione ad un argomento medico come l'irrompere nel mondo di malattie prima sconosciute quali l'idrofobia e l'elefantiasi. Dato che queste erano state trattate in particolare da Temisone, allievo ribelle di Asclepiade e precursore della scuola meto-

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19,2,8 che attribuisce la prima parte del detto a Ippocrate stesso. Cf. inoltre Stob. 3,6,28 che la riporta ad Erissimaco, il medico del Simposio platonico; Clem. Paed. 1,94; [Gal.] An animal sit 5 (XIX,176 K). A questa citazione allude probabilmente anche il medico Zopiro nelle Quaestiones convivales (653 Bss.) di Plutarco. La versione più precisa e più ampia veniva invece riportata negli gnomologi. La lezione ajpoplhxivh si incontra infatti solo in Stob. 3,6,28 (xunousivh ajpoplhxivh smikrhv: ejxevssutai ga;r a[nqrwpo" ejx ajnqrwvp ou), in un contesto etico, ed è sottesa alla citazione in Hippol. Ref. 8,14 che la attribuisce però all'eresiarca Monoimo l'Arabo e la colloca sullo sfondo dell'interpretazione allegorica delle piaghe d'Egitto: Æa[nqrwpo" ãga;rà ejx ajnqrwvpou ejxevsãsÃutaiÆ, fhsivn, Ækai; ajpospa'tai, plhgh'i tini merizovmeno"Æ. Anche costui potrebbe aver tratto la citazione da gnomologi. Sulla trasmissione di questo frammento, cf. Gemelli Marciano 2007, 215-217. La doxa sulla nutrizione dell'embrione attraverso piccole mammelle poste nell'utero viene citata anonima in Arist. De gen. anim. B 4, 746a 19 (68 A 144 DK; 535 L.), ma attribuita a Democrito da Ps.-Plut. 5,16, 907 D (68 A 144 DK; 536 L.), cf. [Gal.] Hist. Phil. 120. In P. Flor. 115 B (Manetti 1985, 177) la stessa doxa è attribuita anche ad Alcmeone. Cf. Soran. 3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich = 105,1 Ilberg) (68 A 159 DK; 567a L.) che critica l'eziologia democritea dell'infiammazione (flegmonhv) dal flegma (inteso evidentemente come elemento caldo, cf. anche Philol. 44 A 27 DK). A Sorano attinge Celio Aureliano quando attribuisce a Democrito la spiegazione dell'idrofobia come un'infiammazione dei tendini e la rispettiva cura con decotto di origano (Acut. 3,14,112ss.). Questa testimonianza è stata considerata spuria dal Diels e dagli altri editori senza una ragione precisa. Se l'idrofobia come tale sembra essere stata riconosciuta solo alla fine dell'età repubblicana, dal testo di Celio risulta chiaro che Democrito non si riferiva a questa malattia e alla sua terapia, ma a due forme di spasmo come l'opistotono (Acut. 3,15,120) e l'emprostotono (Acut. 3,14,112). Su questo, cf. Gemelli Marciano 2007, 221s. Si trattava evidentemente di tendenze arcaizzanti che riprendevano in una certa ottica le tematiche e gli autori presocratici. Anche Enesidemo, il fondatore del neopirronismo, si richiamava in molti punti ad Eraclito (cf. l'espressione di Sesto Aijnesivdhmo" kata; ÔHravkleiton, infra, n. 21). Cic. Hort. Fr. 53 Straube-Zimmermann (Non. De comp. doctr. 418,13 Lindsay) Itaque tunc Democriti manus urguebatur; est enim non magna. Cic. Tusc. 1,34,82 (68 A 160 DK; 586 L.) Num igitur aliquis dolor aut omnino post mortem sensus in corpore est? nemo id quidem dicit, etsi Democritum insimulat Epicurus, Democritii negant.

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dica20 e dai suoi discepoli, siamo ricondotti ad un gruppo di medici vissuti in età tardo-repubblicana e sotto il primo impero, collegato sì ad Asclepiade, ma anche critico nei suoi confronti, che si richiamava a Democrito. Nella dossografia sull'egemonico riemergono ancora indizi che rimandano allo stesso ambito. Sesto riferisce che "alcuni, secondo Democrito", sostenevano che la sede del pensiero era in tutto il corpo21. Questo contrasta con la dossografia di matrice aeziana secondo cui Democrito situava l'egemonico nel cervello22. Quella che Sesto riporta è in realtà una tradizione interpretativa diversa, di ambito medico, che si ritrova anche in un passo parallelo del De anima di Tertulliano. Quest'ultimo, che ha come fonte Sorano, cita tuttavia al posto dei tine;" kata; Dhmovkriton di Sesto un nome ben preciso, quello del medico Moschione datato fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.23. Questo personaggio viene nominato da Galeno come il correttore della definizione di sfugmov" di Asclepiade24 e altrove come autore di ricette farmacologiche25. La denominazione "Democritei", sembra dunque essere stata applicata a medici che, pur prendendone le distanze, si situavano nell'orbita di Asclepiade 26, sostenitore di dottrine corpuscolari e sicuramente simpatizzante dell'atomismo27. 20 21

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Sulle relazioni fra Temisone e Asclepiade, cf. Moog 1994, 102ss. Sext. Emp. Adv. Math. 7,349 (68 A 197 DK; 456 L.) ajllæ oiJ me;n ejkto;" tou' swvmato" (scil. th;n diavnoian ei\nai), wJ" Aijnhsivdhmo" kata; ÔHravkleiton, oiJ de; ejn o{lwi tw'i swvmati, kaqavper tine;" kata; Dhmovkriton. Theodoret. 5,22 (68 A 105 DK; 455 L.) ÔIppokravth" me;n ga;r kai; Dhmovkrito" kai; Plavtwn ejn ejgkefavlwi tou'to iJdru'sqai. Cf. Ps.-Plut. 4,5, 899 A.

Tert. De an. 15,5 Ut neque extrinsecus agitari putes principale istud secundum Heraclitum, neque per totum corpus ventilari secundum Moschionem. Cf. Waszink 1947, 227 ad loc.; Polito 1994, 454, in base alla citazione di questo e di altri nomi di medici in Tertulliano-Sorano, ipotizza a monte di Sorano e di Sesto dei Placita medici. Il tinev" di Sesto si spiegherebbe col fatto che i nomi menzionati in quella sede erano conosciuti nell'ambito strettamente medico, ma non dicevano nulla ai profani. Per una diversa interpretazione del passo di Tertulliano, Mansfeld 1990, 3165. Gal. De diff. puls. 4,15 (VIII,758 K.). Gal. De comp. med. sec. loc. 1,2 (XII,416 K.); 4,8 (XII,745 K.); 7,2 (XIII,30 K.); De comp. med. per gen. 2,17 (XIII,537 K.) et al. Cf. anche Soran. 2,29 (II,41,37 Burguière-Gourevitch = 75,13 Ilberg); Plin. Nat. hist. 19,87. Su Moschione, cf. Deichgräber 1935, 349. La cui morte si situa con una certa sicurezza nel 91 a.C., cf. Rawson 1982. Sulla dottrina di Asclepiade e i suoi rapporti con l'atomismo, cf. Stückelberger 1984, 10113; per una interpretazione più strettamente medica di Asclepiade, Vallance 1990. Vallance tende a separarlo nettamente dalla tradizione "filosofica" atomista e a porlo invece sulla scia di Erasistrato. Sebbene questa visione sia in parte giustificata, egli tralascia il fatto che in un passo fondamentale, citato da Celio Aureliano, Asclepiade difende espressamente coloro che ponevano corpuscoli primi privi di qualità i quali non possono essere altro che gli atomisti (Acut. 1,14,106 Nec, inquit, ratione carere videatur quod nullius faciant qualitatis corpora). Faciant, che presuppone un soggetto plurale e traduce il verbo greco poiei'n, "assumere", indica chiaramente che Asclepiade si riferisce a teorie di altri ("e non sembra essere privo di logica, dice, che assumano corpi privi di qualità"). Vallance, seguendo Gottschalk

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Una posizione particolare nella ricezione di Democrito, soprattutto per quanto riguarda questioni di metodo, occupano i medici empirici che lo citano come un'autorità contro gli avversari dogmatici. Galeno, nell'opera Sulla medicina empirica, in gran parte perduta nell'originale greco, ma sopravvissuta in una traduzione araba28, riporta per lo meno due citazioni letterali da Democrito: il famoso frammento sul giudizio dei sensi contro la frhvn29 e un altro sul ruolo dell'esperienza nello sviluppo delle technai conservato solo nella traduzione araba30. Il fatto che questi frammenti non vengano citati da nessun'altra fonte costituisce un indizio forte per la consultazione diretta da parte dei medici empirici di opere democritee. Dalla cerchia empirica proviene forse anche una notizia riportata da Celso secondo cui, per Democrito, non sarebbe possibile stabilire con esattezza quando veramente un corpo è morto. Il contesto, infatti rimanda ad una impossibilità di prevedere in base a segni sicuri una morte imminente31. È invece improbabile che Galeno, nonostante la sua erudizione, avesse letto delle opere democritee innanzitutto perché le due citazioni suddette, le uniche letterali da lui riportate, provengono dalla tradizione empirica (è infatti un medico empirico che parla nel dialogo). Per il resto, i vari riferimenti agli atomisti antichi disseminati nella sua opera, compreso il lungo excursus del De elementis secundum Hippocratem32, sono basati sulla rielaborazione di resoconti di varia provenienza. Galeno, inoltre, sembra non conoscere un attributo originale dell'atomo come nastovn33, attestato

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1980, 46, pone corpora come soggetto di faciant aggiungendo un complemento oggetto inesistente nel testo latino (It is not illogical, says Asclepiades, that bodies with no quality should make up the sensible world). Cf. su questo punto la critica a Gottschalk e la traduzione esatta del passo di Stückelberger 1984, 109. Contro la svalutazione dei rapporti di Asclepiade con l'atomismo anche Casadei 1997. Walzer 1944; sulla presenza di Democrito nella medicina empirica, cf. anche Walzer 1932, 466ss.; Löbl 1976, 26ss.; 1987, 8ss. Gal. De exper. med. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.). Cf. su questo passo, Gemelli Marciano 1998. Gal. De exper. med. 9,5, 99 Walzer (68 A 171 DK Nachtr.; 558 L.) And in short, we find that of the bulk of mankind each individual by making use of his frequent observations gains knowledge not attained by another; for as Demokritos says, experience and vicissitudes have taught men this, and it is from their wealth of experience that men have learned to perform the things they do. Cels. 2,6,13s. (68 A 160 DK; 586 L.) Illud interrogari me posse ab aliquo scio: si certa futurae mortis indicia sunt, quomodo interdum deserti a medici convalescant? quosdamque fama prodiderit in ipsis funeribus revixisse. Quin etiam uir iure magni nominis Democritus ne finitae quidem uitae satis certas notas esse proposuit, quibus medici credidissent: adeo illud non reliquit, ut certa aliqua signa futurae mortis essent. Su questo brano, v. infra, VI 3. 2. 3. Sul debito di Galeno nei confronti della tradizione scettica, cf. Morel 1996, 375-91 e Gemelli Marciano 1998. Cf. la critica al medico di età traianea Archigene per aver usato il termine in relazione alle arterie piene di sangue in De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK) ejn touvtwi de; tw'i lovgwi prw'ton tiv dhloi' to; nastotevr an ouj pavnu safw'" oi\da, dia; to; mhde; suv nhqe" ei\ nai

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in Aristotele e ben documentato in tutta la dossografia di ascendenza teofrastea. 2. 2. Democrito nella tradizione bibliotecario-grammaticale L'ambito bibliotecario-grammaticale ha tramandato per lo più glosse in sé scarsamente informative da un punto di vista "dottrinale", ma interessanti perché, nella loro specificità, aprono uno spiraglio sullo stile di Democrito, uno stile particolare, ricercato, talvolta criptico e vicino a quello di sofisti come Antifonte, uno stile che, fuori dall'ambito in cui e per cui gli scritti sono stati redatti, doveva risultare estremamente inusuale e ostico. In effetti, già nel III sec. a.C. Callimaco aveva composto un Pivnax tw'n Dhmokrivtou glwssw'n kai; suntagmavtwn34, un segno che i testi democritei erano ai suoi tempi di difficile lettura anche per i dotti. A quest'opera risalgono probabilmente in ultima analisi le glosse sparse riportate da Esichio e dai grammatici35. Sempre da notizie riguardanti la sfera bibliotecario-grammaticale in senso lato si apprende che l'opera di Democrito era presente ancora alla fine del II sec. a.C. in Asia Minore. Egesianatte, un grammatico proveniente dalla Troade, che aveva esercitato funzioni di consigliere e ambasciatore di Antioco III di Siria36, aveva redatto un'opera Sullo stile di

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toi'" ”Ellhsin o[noma kata; tou' toiouvtou prav gmato" levgesqai. a[rton me; n gavr tina nasto; n ejkavloun, ouj mh;n a[llo gev ti sw'ma pro;" auj tw'n ou{ tw" wjnomasmev non ejpivstamai. auj to;" de; oJ Arcigevnh", dikaiovtaton ga;r th;n ej n toi'" oj novmasin aujtou' sunhvqeian par aujtou' manqavnein, dokei' moi to; nasto; n ajnti; tou' plhvrou" oj nomav zein. Callim. Fr. 456 Pfeiffer (Suda s.v. Kallivmaco") (68 A 31 DK; CXXIV L.). Questa formula-

zione ha creato difficoltà ad alcuni interpreti moderni e portato talvolta a tentativi di correzione del testo. Oder 1890, 74 proponeva Pivnax tw'n Dhmokrivtou kai; glwssw'n suvntagma. West 1969, 142 corregge glwssw'n in gnwmw'n con la motivazione che Democrito non era famoso per le glosse, ma per le massime. Dato che dal IV sec. a.C. in poi si sarebbe diffuso un gran numero di sentenze falsamente attribuite a Democrito, Callimaco avrebbe redatto un inventario di quelle autentiche per mettere ordine in questa congerie. Il titolo dell'opera viene tradotto generalmente Indice delle glosse e delle opere di Democrito (Diels-Kranz app. ad loc.). Secondo questa traduzione, dunque, Callimaco avrebbe stilato, con l'elenco delle glosse, anche quello di tutte le opere democritee. Cassio 1991, 11s., ha formulato invece l'ipotesi che si trattasse di un elenco di glosse con il titolo delle rispettive opere da cui esse erano tratte. Egli cita il parallelo di un glossario ippocratico di Glaucia, cui fa cenno Erotiano (7,23 Nachmanson) compilato secondo questo criterio. Cf. anche O'Brien 1994, 699ss. L'ipotesi mi sembra verosimile in quanto anche le glosse di Antifonte Sofista riportate dai lessici sottendono un procedimento del genere (cf. 87 B 3-5, 11, 14-15, 17-19 al. DK). Cf. Schmid 1948, 245 n. 3. Cf. Jacoby 1912.

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Democrito37. A quest'opera, attraverso i manuali di retorica, fanno capo probabilmente i giudizi sullo stile di Democrito che troviamo negli autori posteriori quali Cicerone e Dionisio di Alicarnasso38. All'età di Tiberio risale poi il grande catalogo delle opere democritee, corredato di una introduzione e redatto da Trasillo per tetralogie sul modello di quello che egli aveva composto per Platone39. Il fatto che Trasillo scrivesse un'introduzione alla lettura degli scritti di Democrito, testimonia che tali opere nella sua cerchia e nel luogo in cui egli si trovava al momento della redazione del catalogo erano ancora lette. La difficoltà sta, però, proprio nell'identificare questo luogo. Il Löbl40 dà per sicuro che Trasillo abbia redatto il suo catalogo a Roma alla corte di Tiberio, ma non c'è nessun indizio a supporto di questa ipotesi. Più interessante è invece osservare da quale territorio l'astrologo-filosofo proviene e a quale tradizione si riallaccia. Egli è infatti un egiziano di Alessandria41 che si riconosce nella tradizione pitagorica con cui a più riprese collega anche Democrito. Se si pensa inoltre che Trasillo è indovino e astrologo (caratteri tipici della rinascita del pitagorismo in età repubblicana e imperiale), si può capire perché Democrito fosse così importante per lui e per quelli come lui. Proprio in Egitto, qualche secolo prima, egli era stato l'autore di riferimento per Bolo di Mende, autore di un'opera di carattere magico Sulle simpatie e sulle antipatie42 e dei Cheirokmeta (Manufatti). Bolo viene definito dalle fonti tarde, oltre che espressamente come "Democrito", anche come un pitagorico43. Le due cose non si escludono44 visto che Democrito viene più volte, dal V sec. a.C. in poi, messo in relazione col pitagorismo. È possibile dunque che in Egitto, fra i neopitagorici platonizzanti per i quali la magia era un elemento essenziale, il nome e le opere stesse di Democrito assumessero una particolare rilevanza. Nella grande biblioteca di 37

Herodian. Peri; parwnuvmwn, 895,40 Lentz (68 A 32 DK; CXXV L.) ÔHghsiavnax grammatiko;" gravya" Peri; th'" Dhmokrivtou levxew" biblivon e} n kai; Peri; poihtikw'n levxewn. h\ n de; Trwiadeuv".

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V. infra, 2. 4 n. 90. Diog. Laert. 9,41 (68 A 1 DK; I, CXXVII L.) wJ" de; Qrasuvlo" ejn tw'i ejpigrafomevnwi Ta; pro; th'" ajnagnwvsew" tw'n Dhmokrivtou biblivwn. Non ci sono testimonianze che possano far risalire l'ordinamento tetralogico delle opere di Democrito ad un periodo anteriore, cf. Mansfeld 1994, 101. 1987, 128. Cf. Vetter 1936, 581. L'attenzione di Bolo per Democrito in questo contesto non è così strana come si potrebbe pensare se si tiene conto del fatto che la dottrina dei pori e degli effluvi, che caratterizza gran parte delle eziologie democritee e in particolare la spiegazione dei sogni, delle apparizioni di fantasmi, del malocchio, sta alla base della magia, v. infra, VII 4. Pitagorico: Suda s.v. Bw'lo" Mendhvsio". Democriteo: Schol. Nic. Ther. 764; Suda s.v. Bw'lo"

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Dhmovkrito". 44

Cf. Kingsley 1995a, 326ss.

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Alessandria queste ultime erano ancora presenti. In questo campo si possono naturalmente fare solo ipotesi, ma è probabile che Trasillo abbia redatto il suo catalogo ad Alessandria in particolare per una cerchia di filosofi pitagorizzanti che si interessavano a Democrito come autore-modello. Trasillo è comunque l'ultimo erudito del quale sia testimoniato un interesse per l'intera opera democritea. 2. 3. Democrito negli scrittori di trattati tecnici e di storia naturale Dal catalogo di Trasillo si può dedurre che Democrito fa parte di quel gruppo di sophistai che nell'ultimo quarto del V sec. a.C. invadono il campo delle technai scrivendo trattati teorici sui più svariati argomenti45. Delle sue opere tecniche si è tuttavia conservato ben poco anche per una caratteristica propria alla letteratura tecnica per cui generalmente i manuali più recenti soppiantano quelli più antichi. A questo si aggiunge il problema costituito dalla letteratura pseudo-democritea legata al nome di Bolo che rende ardua la valutazione delle citazioni riportate da autori tardi. Così è spesso difficile stabilire se e in che misura Columella, Plinio e i Geoponica riportino materiale democriteo originale, anche se lo scetticismo della filologia tedesca di fine '800-inizio '900 è sicuramente esagerato e determinato in parte anche dal pregiudizio secondo cui un filosofo che si rispetti non può scrivere di agricoltura46. Per quanto riguarda gli autori latini di scritti tecnici si può osservare che Vitruvio riporta alcune notizie su Democrito non presenti in altre fonti. Tuttavia i suoi brevi accenni in cataloghi di autori che hanno trattato un determinato tema, rivelano la loro provenienza da manuali tecnici e non da letture dirette47. 45

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Una polemica contro questi autori in ambito medico, è evidente già nei trattati ippocratici come ad esempio VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré) e Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238 Littré). Per quanto riguarda l'agricoltura se ne avvertono gli echi in Xen. Oec. 16 dove viene loro rimproverato di trattare il tema da un punto di vista teorico, senza avere alcuna esperienza pratica. Questa stessa obiezione sta alla base dell'ironica tirata socratica nel Lachete platonico (183c-184a) contro il sofista Stesileo, che tiene conferenze dotte sull'oplomachia e subisce una clamorosa smentita all'atto pratico quando tenta di usare (a sproposito) in una battaglia navale una nuova arma. Nei Memorabili di Senofonte (3,1,1) Socrate ironizza sul sofista Dionisodoro che insegna la tattica militare. Cf. Oder 1890; Wellmann 1921. Cf. anche Hammer-Jensen 1924. Per una visione più articolata del problema, cf. Sider 2002; Gemelli Marciano 2007, 224-228. Cf. Vitruv. 7,pr. 11 (68 B 15b DK; 139, 160 L.); 9,5,4; 9,6,3 (68 B 14,1 DK; 424,1 L.). Alla dossografia manualistica risale anche l'excursus sui principi di Vitruv. 2,2,1 Democritus quique est eum secutus Epicurus atomos, quas nostri insecabilia corpora, nonnulli individua vocitaverunt; Pythagoreorum vero disciplina adiecit ad aquam et ignem aera et terrenum. Ergo Democritus, etsi non proprie res nominavit sed tantum individua corpora proposuit, ideo ea ipsa dixisse videtur, quod ea, cum sint disiun-

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Anche Eliano (II sec. d.C.), che nelle Storie naturali riporta notizie piuttosto dettagliate sulle cause di alcune caratteristiche di animali in diverse zone climatiche48, difficilmente ha avuto accesso ai libri delle Aijtivai peri; zwviwn (68 A 33 (VI) DK; CXV (VI) L = Diog. Laert. 9,47). e ha molto più verosimilmente utilizzato materiale indiretto49. 2. 4. Leucippo e Democrito nelle scuole filosofiche Per il tema trattato in questo lavoro, in particolare la tradizione sull'atomo, ci si può avvalere solo in maniera indiretta ed episodica delle fonti cui ho finora accennato. Le peculiarità dell'atomo sono descritte infatti principalmente nelle testimonianze che fanno capo alle diverse scuole filosofiche, un fatto che pone serie ipoteche sulla possibilità di avere un quadro chiaro e incontrovertibile dei fondamenti stessi della dottrina. Infatti le teorie degli atomisti hanno subito i più profondi rimaneggiamenti proprio nell'ambito della tradizione filosofica. Se si escludono gli scarsi frammenti riguardanti la gnoseologia, ci si trova infatti di fronte ad una trasmissione indiretta che si estende da Aristotele e Teofrasto fino ai commentatori neoplatonici di Aristotele. Lasciando per ora da parte le interpretazioni di Democrito nell'Accademia e nel primo Peripato, tema che costituisce l'oggetto principale di questo studio, cercherò qui di seguito di tracciare un breve schizzo della ricezione degli atomisti nell'ambito delle scuole filosofiche dall'età ellenistica in poi. Si tratta ovviamente non di un esame esaustivo, ma di una panoramica globale offerta a titolo di orientamento.

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cta, nec laeduntur nec interitionem recipiunt nec sectionibus dividuntur, sed sempiterno aevo perpetuo infinitam retinent in se soliditatem. Il testo corrisponde grosso modo alla prima parte di Ps.-Plut. 1,3, 877 D, infra, VI 3. 2. 2. Alla letteratura pseudo-democritea è da riportarsi invece Vitruv. 9,14 (68 B 300,2 DK). Aelian. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.): perché ci sono più aborti nelle zone meridionali che in quelle settentrionali del mondo. 12,16 (68 A 151 DK; 519, 545, 561 L.): perché il cane e il maiale sono multipari. 12,18 (68 A 153 DK; 541 L.): perché ai cervi crescono le corna. 12,19 (68 A 154 DK; 543 L.): perché i buoi arabi femmina hanno corna sottili lunghe e storte. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.): spiegazione del fatto che ci sono tori senza corna. Cf. inoltre 9,64 (68 A 155a DK; 554 L.): i pesci si nutrono dell'acqua dolce che si trova nel mare. 5,39 (68 A 156 DK; 549 L.): il leone nasce con gli occhi aperti. In quello che il Diels designa come Fr. 150a, Eliano cita in realtà Democrito solo come esempio retorico di ricerca di cause e non come autore della doxa contenuta nel brano, Hist. nat. 6,60 (68 A 150a DK; 560 L.) ajlla; ei[te aijdw' famen ei[te fuvs ew" dw'ron ajpovrrhton, tau'ta Dhmokrivtwi te kai; toi'" a[lloi" kataleivpwmen ejlev gcein te kai; ta;" aijtiva" levgein oi[esqai iJkanoi'" uJp e;r tw'n aj tekmavrtwn te kai; ouj sumblhtw' n. Allo stesso modo procede Cicerone

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in De orat. 2,58,235 (68 A 21 DK; LXI, 513 L.) Atque illud primum, quid sit ipse risus, quo pacto concitetur, ubi sit, quo modo exsistat [...] viderit Democritus. Cf. su questo Perilli 2007, 158s.

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Introduzione

Nel Peripato Democrito ha suscitato un particolare interesse soprattutto nelle prime due generazioni di aristotelici. Oltre a Teofrasto, anche l'altro allievo di Aristotele, Eudemo di Rodi, aveva sicuramente letto Democrito seguendo le linee interpretative del maestro. Simplicio cita direttamente le sue parole per lo meno su due questioni: la critica al vuoto democriteo, da lui interpretato come causa del movimento50, e la discussione sul ruolo della tuvch. Soprattutto riguardo a questo secondo punto, Eudemo sembra aver avuto davanti un testo specifico democriteo. Riferisce infatti un logos, non altrimenti attestato, che eliminerebbe la funzione della tuvch51. Come già Aristotele e Teofrasto, anche Eudemo preferisce la parafrasi alle citazioni letterali. Democrito è sicuramente conosciuto anche da Stratone (attraverso di lui i suoi scritti potrebbero essere arrivati alla biblioteca di Alessandria) il quale aveva ammesso, come gli atomisti e contrariamente all'aristotelismo ortodosso, un vuoto interno ai corpi. Stratone aveva comunque aspramente criticato la dottrina delle forme atomiche quali quelle ad amo e ad uncino definendola come "sogni di un Democrito non maestro, ma visionario"52. Dopo di lui non si hanno più tracce di una discussione o di una acquisizione di dottrine democritee nel Peripato. E' piuttosto verosimile che, in generale, da questo momento in poi, l'interesse per Democrito cadesse progressivamente, soppiantato dalle discussioni sull'atomismo epicureo. La difficoltà di lettura dei testi, di cui proprio nel III sec. a.C. si cominciavano a redigere le glosse, e le opere di Aristotele e di Teofrasto su Democrito, più semplici e di più agevole consultazione, contribuivano ovviamente all'oblio53. Per trovare menzioni di Democrito fra i Peripatetici bisogna scendere fino ad Alessandro di Afrodisia il quale, però, non ha letto nulla degli atomisti antichi. Non solo egli non riporta alcuna citazione diretta, ma, o si serve unicamente di materiale di scuola (dal quale non sono assenti talvolta sovrapposizioni fra atomismo democriteo ed epicureo54), o si limita a parafrasi dei testi aristotelici nei quali viene nominato Democrito. Dunque, nel Peripato, dal III sec. a.C. in poi non è più documentabile una lettura diretta delle opere democritee. L'Epicureismo è stato determinante non tanto per la trasmissione di testi, quanto soprattutto per l'interpretazione delle dottrine di Democrito. 50 51

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Eud. Fr. 75 Wehrli (Simpl. In Phys. 209a 18, 533,14) (251 L.). Eud. Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK; 24, 99 L.), infra, VII 6. 1 n. 64. Cf. anche Fr. 54b Wehrli (Simpl. In Phys. 196b 10, 338,4). Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.). Per il testo e un esame più approfondito del passo, v. infra, VI 3. 2. 1 n. 111. Per le opere di Aristotele su Democrito, cf. Diog. Laert. 5,26s. (68 A 34 DK; CXVII L.). Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 294,33) (68 A 37 DK; 172, 197 L.). Per quelle di Teofrasto, cf. Diog. Laert. 5,43; 49 (68 A 34 DK; CXVIII L.). Ovviamente Teofrasto faceva testo anche col De sensu e con la sua raccolta di Physikai (o Physikon) Doxai. V. infra, VI 1.

Introduzione

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Dall'epoca di Epicuro infatti, inevitabilmente, l'atomismo antico si è trovato ad essere veicolato, in positivo e in negativo, dalla forma moderna e dominante dell'atomismo epicureo. Contrapposto o assimilato a quest'ultimo, non ha più avuto una vita autonoma né rappresentato un oggetto di interesse primario. Ma qual è il ruolo giocato da Epicuro stesso e dalla sua scuola nella lettura e nella trasmissione dei testi e delle dottrine degli atomisti antichi? Da quanto è rimasto, non sembra che gli Epicurei abbiano contribuito molto alla diffusione delle teorie dei loro antenati dottrinali, anzi, semmai si sono distinti per un atteggiamento critico nei loro confronti55. Epicuro, come si è visto, aveva, con il suo discepolo Ermarco, negato l'esistenza di Leucippo56. Con questa presa di posizione, una fra le tante destinate a suscitare scandalo, Epicuro rispondeva probabilmente a Teofrasto che aveva attribuito a Leucippo il Mevga" diavkosmo". Nell'Epistola a Pitocle ci sono comunque chiare allusioni anonime alla cosmogonia di Leucippo, in particolare al "grande vuoto", al vortice cosmico, all'ajnavgkh, alla fine dei mondi. Dato che le espressioni caratteristiche della cosmogonia di Leucippo di ascendenza teofrastea sono tutte presenti nel passo epicureo57, non si può stabilire con sicurezza se Epicuro si riferisse al testo originale o al resoconto che ne aveva dato Teofrasto. Allo stesso modo la critica all'infinità delle forme atomiche58 lascia aperta sia la possibilità di una conoscenza diretta, sia quella della consultazione delle opere di Aristotele e Teofrasto, sia ambedue. Alcune testimonianze dei papiri ercolanesi sembrerebbero indicare che Democrito era presente nella biblioteca di Epicuro. In un'opera di Filodemo infatti si menziona la ri55

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Per una esaustiva trattazione della posizione degli Epicurei nei confronti degli atomisti antichi rimando a Morel 1996, 249-355. V. supra, n. 11. Ep. Ep. 2,88 (67 A 24 DK; 383 L. comm.) kovs mo" ejs ti; periochv ti" oujranou' a[stra te kai; gh'n kai; pav nta ta; fainovmena perievcousa, ajpotomh; n e[cousa ajpo; tou' ajp eivrou ª...º o{ti de; kai; toiou'toi kovsmoi eijsi;n a[peiroi to; plh'qo", e[s ti katalabei' n, kai; o{ti kai; oJ toiou'to" duvnatai kovsmo" giv nesqai kai; ej n kovsmwi kai; metakosmivwi o} levgomen metaxu; kovs mwn diavsthma ej n polukev nwi tovpwi kai; oujk ejn megavlwi kai; eijlikrinei' kenw' i, kaqavper tinev" fasin, ejpithdeivwn tinw' n spermavtwn rJ uev ntwn ajfæ eJ no;" kovsmou h] metakosmivou h] kai; ajpo; pleiovnwn ª...º ouj ga;r ajqroismo;n dei' mov non genevsqai oujde; di'non ejn w|i ej ndevcetai kovs mon givnesqai kenw'i kata; to; doxazovmenon ejx aj nav gkh", au[xesqaiv te, e{w" a]n eJtevrwi proskrouvshi, kaqavper tw'n fusikw' n kaloumev nwn fhsiv ti". tou' to ga;r macovmenovn ejsti toi'" fainomevnoi". Cf. su questo passo, Silvestre 1985, 125-29. Per Leucippo, cf. Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) kovsmou" te ejk touvtou ajpeivrou" ei\nai kai; dialuvesqai eij" tau'ta. giv nesqai de; tou; " kovs mou" ou{tw: fevresqai kata; ajpotomh; n ejk th' " ajp eivrou polla; swvmata pantoi'a toi'" schv masin eij" mev ga kenov n, a{per ajqroisqevnta divnhn ajp ergavzesqai mivan kaqæ h}n proskrouvonta kai; pantodapw' " kuklouvmena diakriv nesqai cwri;" ta; o{moia pro;" ta; o{moia. ei\naiv te w{sper genevsei" kovsmou, ou{tw kai; aujxhvs ei" kai; fqivsei" kai; fqora;" katav tina ajnavgkhn. Cf. anche Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 23, 291 L.). Una pa-

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noramica dei passi di Epicuro riferentisi a Democrito in Gigante 1981, 50-62. Ep. Ep. 2,42s.

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Introduzione

chiesta di Epicuro ad un discepolo di testi di Democrito59. Lo stato estremamente lacunoso del papiro impedisce però di sapere di quali libri si trattasse. In un'altra opera, Filodemo accenna ad uno scritto di Epicuro contro Democrito, ma anche qui il testo non fornisce ulteriori chiarimenti60. Nei frammenti dal Peri; fuvsew" di Epicuro non ci sono menzioni dirette degli atomisti antichi, ma piuttosto una critica al presunto determinismo democriteo61. Anche queste allusioni, tuttavia, non dicono nulla di certo sulla consultazione delle opere originali in quanto si tratta di punti trattati diffusamente nei testi aristotelici62 che Epicuro sicuramente aveva presenti. Insomma, se Epicuro aveva letto le opere degli atomisti antichi e anzi, come gli aneddoti biografici vogliono far credere, era stato spinto alla filosofia dai libri di Democrito63, la sua critica segue le linee delle esposizioni aristoteliche e teofrastee e non aggiunge nessuna informazione supplementare a quanto già detto dai due Peripatetici. Per quanto riguarda gli allievi di Epicuro, a Metrodoro di Lampsaco viene attribuita un'opera contro Democrito64. Essendo un trattato ad hominem, è probabile che egli conoscesse gli scritti di prima mano, ma anche qui non c'è nulla che lo testifichi. Diverso è il discorso per Colote, l'altro allievo di Epicuro che aveva attaccato Democrito. Le sue citazioni democritee hanno infatti tutta l'aria di essere di seconda mano e la sua interpretazione ha buone probabilità di essere basata sull'immagine del Democrito scettico che circolava anche nell'Accademia di Arcesilao65. Plutarco, nell'opera Contro Colote, forse con una esagerazione retorica, ma da tenere pur sempre in considerazione, gli rimprovera proprio di non aver mai letto i libri di Democrito. Dall'epicureismo tardo, dal I sec. a.C. in poi, non vengono testimonianze tali da far propendere per una consultazione diretta dei testi piuttosto che per una conoscenza di tipo manualistico. Tracce di questa manua59

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Philod. Ad contubernales Fr. 111,166s. Angeli æprºosevªtºaxa ª---ºON uJmi'n ª---º.. KTAª..---º perievstaªi---º. A. ª...... to; perºi; ªSwºkravtªou" tou' Arºistivppou ªkºai; Speuªsivppou toºu' Plavtwno" ªejgkwvmionº kai; Aristotevªlou" ta;º Analutika; kai; ªta; Peri;º fuvsew", o{saper ejªnekrivnºomenæ: ejpi; d Eujbouvlªou: æth;º n ejpistolh; n PROSDª....ºGOIS kai; tw'n Dhªmokrivºtou tinav, oujc oi|on... Philod. De libert. dicendi Fr. 20 Olivieri (68 A 34 DK; 36a L.) e[ti de; th;ªnº merizomevnhn sungªnºwvªmºhn ejn oi|" dievp eson, wJ " e[ n te toi'" pro;" Dhmovkriton i{stat ai dia; tevlou" oJ Epivkouro" kªai; pro; "º ÔHr akleivdhn ej n… Per la critica al determinismo contenuto nel concetto di ajnavgkh contro coloro "che hanno ricercato le cause" (oiJ d aijtiologhvsante"), cf. Long-Sedley 1987, II,20C, 107 (Ep. Peri; fuvsew" [34. 30] Arr.) (68 A 69 DK; 36a L.). Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.); Arist. Phys. B 4, 196a 24ss. (68 A 69 DK; 18, 288 L.). Diog. Laert. 10,2 (68 A 52 DK; XCV L.). Diog. Laert. 10,24 (68 A 34 DK; CXXIII L.) V. infra, VI 2. 1. 2.

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listica scolastica di ambito epicureo o di altra provenienza si ritrovano in Lucrezio. Egli cita Democrito espressamente solo due volte: sul corso e la posizione delle stelle, e sulla posizione dei corpuscoli dell'anima alternati a quelli del corpo. Le notizie sull'astronomia corrispondono a quelle del resoconto di Diogene Laerzio su Leucippo e di Pseudo-Plutarco66. La doxa sull'anima non è pervenuta attraverso altre fonti, ma potrebbe derivare anche da materiale dossografico di ambito medico data la brevità e lo stile dell'accenno67. Filodemo è l'unico epicureo attraverso cui conosciamo citazioni dirette da Democrito. La doxa sull'origine della credenza negli dèi contenuta nel De pietate è tuttavia chiaramente di matrice dossografica in quanto corrisponde a Sext. Emp. Adv. Math. 9,24 (68 A 75 DK; 581 L.)68, negli altri casi si tratta di excerpta che non riguardano la dottrina fisica, bensì la sfera etica e l'origine della musica69. D'altra parte nei titoli della biblioteca ercolanese non compaiono opere dell'Abderita. Evidentemente la scuola epicurea era concentrata soprattutto sul proprio atomismo e riteneva ormai superato quello antico, atteggiamento, del resto, condiviso anche dalle altre scuole filosofiche. Diogene di Enoanda riporta anch'egli delle doxai di Democrito derivate comunque da una trasmissione indiretta interna alla tradizione epicurea, ma nulla più70. Nel complesso si può quindi concludere che la lettura diretta delle opere fisiche democritee e leucippee da parte di Epicuro è probabile, ma 66

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Lucr. 5,621-37 (68 A 88 DK; 380 L.); cf. Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382, 389 L.); Ps.Plut. 2,15, 889 B (68 A 86 DK; 390 L.). Lucr. 3,370 (68 A 108 DK; 454 L.). Sulle concezioni dei medici che, secondo Sesto, Adv. Math. 7,349, seguivano Democrito nell'affermare che l'egemonico è sparso in tutto il corpo, v. supra, n. 21 e 23. Lucrezio allude, fra l'altro, nei versi precedenti (350-69), alle teorie di Stratone che in Sesto sono attribuite anche ad Enesidemo "secondo Eraclito". Lucrezio segue nell'esposizione anche lo stesso ordine: teoria di Stratone (in Sesto di Enesidemo)-teoria di Democrito (in Sesto "alcuni secondo Democrito"). Una sequenza simile si trova anche nel passo parallelo di Tertulliano (De an. 15,5), supra, n. 23. La doxa potrebbe risultare dallo sviluppo di una osservazione aristotelica in De an. A 5, 409b 2-4 (ei[per gavr ejstin hJ yuch; ej n panti; tw'/ aijsqanomevnwi swvmati, aj nagkai'on ej n tw'i aujtw'i duvo ei\nai swvmata, eij sw'mav ti hJ yuchv).

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P. Herc. 1428 fr. 16, cf. Henrichs 1975, 96-106. Sull'etica, cf. Philod. De ira P. Herc. 182, col. XXIX,20 Indelli (68 B 143 DK; 64 L.); De adulat. P. Herc. 1457, col. X (Crönert 1906, 130) (68 B 153 DK; 611 L.). La stessa citazione compare anche in Plut. Reip. ger. praec. 821 A. Considerazioni sulla morte, in Philod. De morte, P. Herc. 1050, col. XXIX,27-32 e col. XXXIX,9-15 Mekler (68 B 1a DK; 587 L.). Sull'origine della musica, Philod. De mus. IV, P. Herc. 1497, col. XXXVI,87 Neubecker (68 B 144 DK; 568 L.). Cf. l'ultima lettura del papiro in Gigante-Indelli 1980, 451-66. Così l'accusa di sovvertire la vita (Diog. Oenoand. Fr. 7 II Smith = 61 L.), corrisponde quasi perfettamente a quella di Colote (Plut. Adv. Colot. 1109 A-1110 F); quella al moto "costretto" degli atomi (Diog. Oenoand. Fr 54 II-III Smith = 68 A 50 DK; 39 L.), riecheggia un frammento del Peri; fuvs ew" di Epicuro ([34.30] Arr.). L'accenno agli idoli che compaiono nei sogni (Diog. Oenoand. Fr. 10 I,4ss.; IV,10ss. Smith) corrisponde alla descrizione data da Plut. Quaest. conv. 734 F (68 A 77 DK; 476 L.).

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Introduzione

non produce in ogni caso informazioni di particolare rilievo. La sua scuola, invece, sembra aver vissuto piuttosto, a parte qualche rara eccezione, di una trasmissione interna indiretta o mediata da altre scuole. Per quanto riguarda lo stoicismo antico è pervenuto solo un titolo di un'opera di Cleante Contro Democrito71. Un allievo suo e di Zenone, Sfero, aveva scritto contro gli atomi e gli ei[dwla72, ma il titolo non lascia capire se si dirigesse contro Epicuro o contro Democrito. Nella lunga lista delle opere di Crisippo, non compare invece nulla che abbia a che fare con l'atomismo antico, ma sappiamo, attraverso Plutarco, che Crisippo aveva per lo meno discusso un paradosso democriteo, il cosiddetto dilemma del cono73. E' evidente che comunque l'interesse degli Stoici doveva essersi concentrato soprattutto sull'atomismo epicureo a loro contemporaneo dalla cui ottica probabilmente veniva giudicato anche quello antico: le critiche fondamentali agli atomi di Epicuro (mancanza di un principio attivo e ordinatore e discontinuità di una materia "passiva"74) erano valide anche per quelli di Democrito. Questa tendenza assimilatrice delle due dottrine è poi quella dominante nella dossografia tarda. Fondamentali per la trasmissione di notizie dirette e indirette su Democrito è stato sicuramente Posidonio. Attraverso di lui si sono tramandati tre tipi di informazioni: 1. citazioni più o meno rimaneggiate75, 2. doxai su argomenti specifici, in particolare sull'astronomia e le questioni naturali76, 3. schemi dossografici nei quali le concezioni atomiste rientrano in un quadro più generale e classificatorio dei vari tipi di corpuscolarismo77. 71 72 73 74 75

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SVF I 481, 107,1. SVF I 620, 139,25. Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 287a L.). Su questo punto, v. infra, VI 2. Tali sono quella sull'attrazione dei simili conservata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,116-118 (68 B 164 DK; 11, 316 L.), cf. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 C-D (68 A 128 DK; 11, 316, 491 L.), l'esempio dei vasi di vetro e di bronzo in Sen. Nat. quaest. 4,9,1, una testimonianza non riportata né da Diels-Kranz né da Lur'e, ma segnalata da Stückelberger (1990, 2576), v. anche infra, VII 6. 2. 1 n. 88. Per le affermazioni sugli ei[dwla che si ritrovano in diversi autori di età imperiale, infra, VII 4. In quest'ultimo ambito rientrano gli excursus piuttosto ampi che si incontrano nelle Naturales quaestiones di Seneca come la descrizione dei venti e dei terremoti in Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.) e, rispettivamente, 6,20 (68 A 98 DK; 414 L.), una doxa democritea sulla via lattea (F 130 E.-K. = Macr. Somn. 1,15,6, infra, VII 6. 2. 1 n. 87) non presente nelle raccolte di frammenti del Diels e del Lur'e, e probabilmente anche una doxa sulla spiegazione dei terremoti riportata in un commento di Olimpiodoro ai Meteorologica aristotelici, diverso da quello greco e tramandato solo in arabo (Badawi 1971, 133s.; traduzione in Strohmaier 1998, 363, v. infra, VII 6. 2. 1 n. 84). V. infra, VI 2. 2.

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Un particolare interesse nell'ambito del tema dell'atomo riveste la tradizione scettica nei suoi due filoni ben distinti, ma spesso confluenti e intersecantisi nelle testimonianze antiche: scetticismo pirroniano e neopirroniano (da Timone ad Enesidemo fino a Sesto Empirico) e scetticismo dell'Accademia di mezzo nelle sue varie gradazioni fino ad Antioco. Nelle successioni dei filosofi Pirrone è posto spesso in stretta relazione con Democrito attraverso la linea Anassarco-Metrodoro di Chio78. Pirrone non ha però scritto nulla e sembra fosse interessato soprattutto all'etica79. Dunque la notizia di un allievo, secondo cui egli apprezzava molto Democrito80, potrebbe riferirsi ad opere etiche di quest'ultimo. Il detto "nulla è in verità, ma gli uomini agiscono per consuetudine e secondo un costume stabilito"81 sembra comunque riecheggiare la famosa massima democritea "novmwi glukuv..."82. Il suo allievo Timone dedica a Democrito alcuni versi dei Silloi chiamandolo, oltre che "sapientissimo" (perivfrona), anche "pastore di discorsi" (poimevna muvq wn) e "ciarlone dal pensiero ambiguo" (ajmfivnoon lesch'na)83. Timone potrebbe alludere con queste definizioni alla polymathia, al carattere narrativo ed evocativo del linguaggio84, alla enorme produzione libraria di Democrito e a quella sua presunta ambiguità rispetto al problema della conoscenza delineata nelle opere aristoteliche e in Teofrasto85. Nell'ambito del neopirronismo abbiamo infine la testimonianza di Sesto Empirico la cui posizione esemplifica tra l'altro quanto si diceva sul valore delle citazioni letterali per determinare la conoscenza di prima mano di un autore. Per quanto infatti egli riporti un discreto numero di citazioni altrimenti sconosciute, col titolo delle opere da cui sono tratte, Sesto non ha letto nulla di Democrito. Nel caso ad esempio dell'ampio frammento riportato in Adv. Math. 7,135 si rifà ad una fonte intermedia86. Per altre citazioni, che si incontrano anche in autori

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Cf. Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.); [Gal.] Hist. phil. 3 (67 A 5 DK; 152 L.); Eus. Praep. Ev. 14,17,10 (VIII L.); cf. anche 14,18,27 (LXXXIII, XCIV L.); Epiph. De fide 15, 505,30 Holl (VIII L.). Il carattere principalmente etico della filosofia di Pirrone viene ribadito con energia da Görler 1994, 735ss. Diog. Laert. 9,67 (XCII L.). Pyrrh. T 1 Decleva Caizzi (Diog. Laert. 9,61) oujde;n ga;r e[fasken ou[te kalo;n ou[t aijscro;n ou[te divkaion ou[ t a[dikon: kai; oJmoivw" ejpi; pav ntwn mhde;n ei\nai th'i ajlhqeivai, nov mwi de; kai; e[qei pav nta tou; " ajnqrwvpou" pravttein: ouj ga;r ma'llon tovde h] tovde ei\nai e{ kaston.

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Cf. Hirzel III, 1883, 14 n. 2; Decleva Caizzi 1981, 144; 1984, 16-19; Di Marco 1989, 218s. Tim. Fr. 46 Di Marco (68 A 1 DK; LXXX L.). Sulle immagini di Democrito, v. infra, cap. VII. Decleva Caizzi 1984, 18; Di Marco 1989, 218. Cf. Sedley 1992, 27-44; Gemelli Marciano 1998.

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come Cicerone, si serve di materiale proveniente dall'Accademia scettica87, per le interpretazioni e le doxai democritee fa capo, oltre che a quest'ultima, a Posidonio, alla tradizione epicurea e ai medici empirici. L'immagine completamente scettica di Democrito, tuttavia, più che dal pirronismo, viene mediata dall'Accademia scettica di Arcesilao. Come di tutti i predecessori, anche di Democrito, Arcesilao forniva questa visione estrapolando verosimilmente dal contesto alcune massime interpretabili secondo i suoi scopi. A lui risale sicuramente una sequenza di due citazioni, la famosa massima "novmwi glukuv..." e quella altrettanto famosa "ejn buqw'i...", riportate da Diogene Laerzio come esempi di interpretazioni scettiche di Democrito. Le stesse due frasi, infatti, compaiono rispettivamente in parafrasi e in traduzione letterale negli Academica di Cicerone: Arcesilao avrebbe dichiarato di seguire, nella sua professione di scetticismo, non solo Socrate, ma anche presocratici come Empedocle, Anassagora, Democrito88. Ad Arcesilao non si può attribuire una trattazione globale dell'atomismo in quanto, al di fuori di questi frammenti gnoseologici, non ci è rimasta nessun'altra testimonianza, ma è verosimile che egli avesse conoscenza diretta delle opere di Democrito per poterne fare degli excerpta. Al contesto della sentenza "ejn buqw'i…" allude infatti anche Aristotele nel libro G della Metafisica89. La presenza di Democrito nell'Accademia di mezzo da Carneade fino ad Antioco è deducibile con sicurezza soprattutto dalle opere ciceroniane. Cicerone, nelle vesti di Accademico, o per bocca di un Accademico, cita più volte Democrito, spesso esprimendo un giudizio positivo e contrapponendolo ad Epicuro, ma talvolta anche pronunciandosi criticamente sulle sue teorie proprio per la loro affinità con quelle epicuree. Importante è anche il fatto che Cicerone nomina più di una volta insieme a Democrito anche Leucippo, cosa non frequente nelle testimonianze postteofrastee. Cicerone, tuttavia, non ha sicuramente letto i libri di Democrito. Le sue osservazioni sullo stile, che a prima vista potrebbero fa pensare ad una conoscenza diretta, erano luoghi comuni nella retorica90 e risalivano probabilmente all'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. La sua conoscenza degli atomisti antichi si basa per lo più su materiale 87

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E' questo ad esempio il caso dell'incipit dell'opera democritea che compare solo in Sext. Emp. Adv. Math. 7,264 e in Cic. Ac. 2,23,73 (68 B 165 DK; 63, 65 L.). Per altre citazioni comuni, cf. Decleva Caizzi 1980; Gemelli Marciano 1998. Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.); Cic. Ac. 1,12,44 (59 A 95 DK; II, 58 L.). Su questo, cf. Gemelli Marciano 1998. Arist. Metaph. G 5, 1009b 11 h[toi oujqe;n ei\nai ajlhqe;" h] hJmi'n gæ a[dhlon. Cf. soprattutto l'affinità della sequenza Democrito-Platone-Aristotele in Cic. De orat. 1,11,49 e Dionys. De comp. verb. 24 (68 A 34 DK; 827 L.); la coppia Democrito-Platone ritorna ancora in Cic. Orat. 20,67 (68 A 34 DK; 826 L.).

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dossografico scolastico interno all'Accademia91. Dai testi ciceroniani emerge soprattutto un interesse strumentale alle dottrine fisiche democritee in contesti critici dell'epicureismo e in excursus dossografici più generali atti a giustificare una attitudine scettica nei confronti delle varie scuole filosofiche. Per quanto riguarda il primo tipo di contesto gli accenni ciceroniani si possono sostanzialmente ordinare in due gruppi principali: 1. critica globale ai principi atomistici e relativa assimilazione di Democrito ad Epicuro, 2. critica specifica all'atomismo epicureo in cui, per contrasto, viene valutata positivamente la dottrina democritea. Nel primo gruppo rientrano le critiche agli atomi impassibili e privi di qualità, alla possibilità di un arresto della divisione in un corpo per sua stessa natura divisibile all'infinito, alle forme atomiche e ad un cosmo governato dal caso. La confutazione attinge ad argomentazioni di diversa provenienza sia stoica che peripatetica. Nei testi del secondo gruppo viene sottolineata invece la superiorità delle tesi democritee e vengono confutate le eventuali obiezioni di parte epicurea a queste ultime. Un esempio è la trattazione della teoria epicurea del clinamen, presentata nel De fato (10,22) non come un miglioramento, ma come un peggioramento della dottrina democritea. Ambedue i tipi di testo rientrano comunque in sequenze dialettiche di ampio respiro che si servono di tesi e controtesi tipiche del modo di argomentare accademico. Un secondo tipo di contesto è costituito dall'excursus dossografico di Ac. 2,37,118 risalente in ultima analisi all'opera teofrastea92 e rimaneggiato in versione accademica (per sottolineare il disaccordo fra i filosofi e quindi l'impossibilità di aderire ad una o ad un'altra tesi dogmatica). Gli Accademici scettici hanno comunque usato una pluralità di schemi interpretativi e confutativi a seconda della necessità del contesto. All'occasione si sono serviti anche, cambiando loro di segno, delle polemiche epicuree contro l'atomismo antico e di quelle di matrice stoica contro la dottrina atomistica in generale. Se Cicerone riflette per lo più una rappresentazione manualistica e scolastica dell'atomismo antico, la conoscenza diretta delle opere fisiche di Democrito nei filosofi vissuti dopo il I sec. a.C., è piuttosto desolante. L'immagine che ci restituiscono le fonti antiche è quella di un'assoluta preponderanza della tradizione indiretta anche laddove ci sono citazioni letterali. Forse un'unica eccezione è costituita da Plutarco. La sua conoscenza diretta di Democrito è una vexata quaestio mai risolta definitiva91

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Anche a tanta distanza di tempo, sulle fonti di Cicerone rimane fondamentale e insuperata nella sua globalità Hirzel I, 1877, 32-45 per le fonti accademiche del primo libro del De natura Deorum e III, 1883, 251-341 per le fonti degli Academica. La menzione di Leucippo è un'ulteriore indicazione in questo senso. Sulla provenienza teofrastea delle doxai di Ac. 2,37,118, cf. Mansfeld 1989 [1990b, 238-63].

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mente. Un fatto tuttavia è certo: egli riporta una gran quantità di citazioni letterali non reperibili in altre fonti. Questo non basta comunque per affermare che egli abbia sempre attinto agli originali democritei. Infatti i relativi contesti permettono di ipotizzare non una, ma due modalità di acquisizione dei testi: 1. Una consultazione diretta di opere democritee. Il fatto che non citi mai titoli particolari non è in sé rilevante in quanto, anche per altri autori presocratici egli riporta raramente l'indicazione dell'opera. 2. Una consultazione di fonti molto dettagliate che riportavano anche citazioni letterali democritee soprattutto nel caso di oggetti specifici quali ad esempio la demonologia93. Plutarco riutilizza comunque più volte nelle sue opere, secondo la sua normale prassi, le citazioni democritee creando dei "doppioni" diversamente ricontestualizzati94 e rendendo difficile l'eventuale ricostruzione del contesto originale. Egli si serve però anche di resoconti di matrice dossografica laddove espone sinteticamente i fondamenti della dottrina democritea con relativa critica come nella Contro Colote95. In questo caso riproduce un modello di esposizione e critica dell'atomismo corrente nell'Accademia di mezzo. Le argomentazioni fornite da Plutarco compaiono infatti anche in Cicerone e, per accenni, in Sesto Empirico. Dopo Plutarco e, in generale, dopo il I sec. d.C., nei primi decenni del quale Trasillo redige il suo catalogo, difficilmente si possono trovare indizi di una conoscenza diretta delle opere fisiche democritee. Gli autori dal I sec. d.C. in poi fanno ricorso, per lo meno per illustrare la dottrina fisica, a fonti indirette siano esse pure di pregevole fattura come quella di ascendenza teofrastea utilizzata da Diogene Laerzio per la sua esposizione della cosmogonia leucippea. Quest'ultimo usa solo fonti di seconda e di terza mano96 e così fanno anche gli autori cristiani Ippolito e Clemente97, per 93

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Secondo Hershbell 1982, 94 apparterebbero a questo gruppo anche le citazioni delle Quaestiones convivales. Per il problema della presenza di Democrito nel De tranquillitate animi e in altre opere etiche, cf. Id., 84-89 con bibliografia in n. 3. Cf. ad es. la citazione sul cordone ombelicale in due contesti diversi: embriologico, vicino probabilmente all'originale, De amore prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.) e cosmogonico, ma riportato come citazione dotta e senza nominare Democrito, De fort. Rom. 317 A (68 B 148 DK; 537 L.). Sulle modalità di citazione di Plutarco, cf. Kidd 1998. Lo stile dossografico di Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) è indubitabile per le numerose concordanze con altri resoconti che si incontrano negli autori tardi quali ad esempio Pseudo-Plutarco e Galeno. Su questo brano, v. infra, VI 2. 1. 2. Le scarse e incomplete citazioni letterali sono di provenienza scettica, cf. Gemelli Marciano 1998. Le due uniche citazioni letterali riguardanti, una la fisiologia umana, l'altra la concezione degli dèi che troviamo in Clemente provengono, una da una tradizione di tipo medico presente anche in altri autori (v. supra, n. 14), l'altra, pur essendo attribuita in questi termini a Democrito solo da Clemente Protr. 6,68,5; Strom. 5,14,101,4 (68 B 30 DK; 580 L.), si ritrova

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non parlare poi dei commentatori tardi di Aristotele cui si accennerà in seguito. In pratica, dopo Plutarco, le opere fisiche originali di Democrito sembrano essere sparite dall'orizzonte dei dotti.

3. Interpretazioni moderne dell'atomismo antico Dalla mappa fin qui tracciata risulta anche troppo evidente come la trasmissione delle dottrine democritee abbia sofferto dei pre-giudizi e dei pre-supposti delle fonti antiche tanto da rendere estremamente arduo qualsiasi tentativo di interpretazione. Chi cerca di comprendere i fondamenti dell'atomismo antico deve dunque non solo destreggiarsi fra le varie tendenze della trasmissione indiretta, ma anche spingersi al di là dell'ambito ristretto delle scuole filosofiche dal IV sec. a.C. in poi per ricostruire, nei limiti del possibile, l'atmosfera e il contesto in cui Leucippo e Democrito hanno vissuto. Le ipotesi sulla natura del cosiddetto atomo e, più in generale, sul carattere delle dottrine di Leucippo e Democrito dall'ottocento ad oggi sono caratterizzate da un approccio teorico-ideologico oscillante continuamente fra due poli opposti: fisica o ontologia in qualche modo già condizionata dalla matematica, empiria o deduttivismo, dottrina di matrice eleatica o radicata nella filosofia della natura della Ionia? Ciò che colpisce è proprio la scarsa attenzione ai due punti succitati: all'analisi delle fonti che veicolano la visione dell'atomismo98 e alla realtà storico-culturale in cui gli atomisti antichi hanno vissuto e operato. La preoccupazione principale degli interpreti, a parte rare eccezioni99, sembra quella di "salvarli" da accuse di materialismo e di superficialità etica e filosofica (come la maggior parte degli storici della filosofia di fine-ottocento) o di scarsa coerenza

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in una serie di esemplificazioni del comune concetto dell'esistenza degli dèi. Il corrispettivo esempio latino (versi di Ennio) di ciò che nel modello greco andava sotto il nome di Democrito compare in Cic. De nat. deor. 2,2,4. Allo stesso modo la citazione riguardante l'ispirazione del poeta in Clem. Strom. 6,18,168 (68 B 18 DK; 574 L.) proviene molto probabilmente in ultima istanza dall'opera sullo stile di Democrito di Egesianatte. Una simile rappresentazione si ritrova infatti anche in Cic. De orat. 2,46,194; De div. 1,37,80; Hor. Ep. 2,3,295-97 (68 B 17 DK; 574 L.). Clemente conosceva le massime etiche democritee attraverso gnomologi del tipo di quelli che si trovano in Stobeo con il quale talvolta concorda, cf. e.g. Strom. 4,23,149,3; Stob. 2,31,65 (68 B 33 DK; 682 L.). Una eccezione è Morel 1996 il quale, però, è interessato soprattutto al contesto più strettamente filosofico delle fonti. Cf. Salem 1996, che cerca per lo meno di storicizzare le testimonianze e di precisare le relazioni delle opere democritee nella loro globalità con altri testi a loro contemporanei.

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logica (prevalente invece negli interpreti del novecento in particolare di area anglosassone100 ). La critica del primo ottocento, i cui rappresentanti di spicco sono l'allievo di Schleiermacher, Ritter, e Brandis, interpretava l'atomismo soprattutto come una teoria materialista e meccanicista legata alla rappresentazione del mondo dei cosiddetti ionici e in stretta correlazione/ opposizione con le dottrine anassagoree101 . Ritter, sulla scia del suo maestro102 , ne dava un giudizio estremamente negativo considerandolo una forma di sofistica che non andava a fondo di nessun problema, che aveva rifiutato di porsi domande sull'origine del movimento103 , ridotto i fenomeni spirituali a fatti corporei104 e negato la possibilità di conoscenza e quindi di scienza105 . Insomma l'atomismo era una teoria antifilosofica che negava l'unità e dissolveva tutto nell'infinita molteplicità degli atomi e nell'infinità del vuoto106 . Questa visione prevalente ai tempi dell'edizione preliminare dell'opera zelleriana107 scaricava sull'atomismo un pre-giudizio etico e di merito derivato da considerazioni completamente anacronistiche. Sul versante opposto stava l'autorevole interpretazione di Hegel che nelle sue Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, pubblicate postume, aveva visto nell'atomo non un'entità fisica, ma piuttosto l'unità astratta, il tentativo di determinazione dell'assoluto108 . Proprio a questa visione hegeliana dell'atomo come uno si riallacciava Zeller nella sua rivalutazione dell'atomismo soprattutto contro Ritter109 . Egli insisteva in particolare su due punti strettamente connessi e non scevri anch'essi da pre-supposti: 100

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Cf. ad es. Makin 1993, 12 "What recommends the account that will be given of Democritean atomism is charity. The indifference arguments which generate, and practically constitute, the basic atomic theory are cogent and stimulating arguments, and one should so interpret a philosopher as to attribute the more cogent and plausible positions to him". E' ovvio che qui la "cogenza" e la "plausibilità" pre-supposte sono quelle codificate dalle categorie del pensiero filosofico moderno. Sui problemi sollevati da questa "concezione criteriologica della razionalità", cf. Putnam 1985, 120-123; Tambiah 1993, 166s. Cf. Brandis I, 1862, 303ss. Schleiermacher 1839, 19; 72; 74ss. L'opera fu pubblicata postuma da Ritter stesso. Ritter, 1829, 567; cf. anche Brandis I, 1862, 319s. Ritter 1829, 574. Ritter 1829, 576ss. Ritter 1829, 581 "Überblickt man diese ganze Lehre des Demokrit, so läßt sich das Antiphilosophische seiner Bestrebung nicht leicht verkennen. Denn nicht nur hebt er die Einheit der Welt, sondern auch die Einheit der Seele und des Bewußtseins auf. An die Einheit der Wissenschaft ist dabei nicht zu denken; Alles löst sich ihm in die unbestimmte Vielheit der Atome und in das Unermeßliche des Leeren auf". Zeller 1844, 195-200. Hegel 1996, 355ss. Zeller si rivolgeva contro queste tesi già nel 1843 in un excursus sulle "storie della filosofia" pubblicate negli ultimi 50 anni (Zeller 1910, 46s.) e riprendeva con maggior dovizia di ar-

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1. Da una parte sul fatto che l'atomismo come dottrina materialistica, per una specie di necessità storica dello sviluppo dello spirito, non poteva derivare dalla dottrina anassagorea che poneva invece un principio spirituale (il Nous) al di fuori della materia sviluppando un primo nucleo di concezione teleologica del mondo. Anassagora "doveva", secondo lo schema evoluzionistico hegeliano, essere anche cronologicamente posteriore agli atomisti. Per questo Zeller si schierava a favore della cronologia bassa di Leucippo: non era Anassagora ad aver influenzato gli atomisti, bensì il contrario. Conseguentemente, nella Philosophie der Griechen, quest'ultimo veniva trattato dopo Leucippo e Democrito. 2. Dall'altra sul fatto che l'atomismo, pur essendo una dottrina materialista, era radicato nella dottrina eleatica sulla cui scia aveva posto il problema dell'uno110 . A questo proposito Zeller portava in primo piano la testimonianza aristotelica di De generatione et corruptione A 8 secondo cui l'atomismo deriverebbe dalla accettazione/ correzione di tesi eleatiche 111 ed enfatizzava poi sempre più nelle successive edizioni della Philosophie der Griechen questa dipendenza a scapito della presunta ascendenza eraclitea112 . In questo modo cercava di liberare l'atomismo dal pregiudizio etico contro materialismo e sofistica diffuso ai suoi tempi, senza tuttavia staccarsi egli stesso da una visione che valutava positivamente soprattutto le dottrine nelle quali si potesse intravvedere in qualche modo una teorizzazione dell'unità e una preminenza dello spirito sulla materia.

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gomentazioni la critica a Ritter nell'edizione preliminare della Philosophie der Griechen I, 1844, 198ss.; cf. anche Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1166ss. Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1171 "Ebenso ist es schief, wenn man wegen der Vielheit der Atome behauptet, es fehle diesem System gänzlich an Einheit. Fehlt seinem Prinzip auch die Einheit der Zahl, so fehlt doch nicht die Einheit des Begriffs; indem es vielmehr der Versuch macht, alles ohne Einmischung weiterer Voraussetzungen aus dem Grundgegensatz des Vollen und des Leeren zu erklären, so erweist es sich eben damit als das Erzeugnis eines konsequenten, nach Einheit strebenden Denkens und Aristoteles ist in seinem rechte, wenn er gerade seine Folgerichtigkeit und die Einheit seiner Prinzipien rühmt und ihm in dieser Beziehung vor der weniger strengen empedokleischen Lehre den Vorzug gibt". Zeller 1844, 213s. Sul passo, infra, cap. III. Questa evoluzione si riscontra confrontando l'edizione preliminare del 1844 con le successive. Così se in Zeller 1844 l'influsso eracliteo è dato per sicuro (216 "Eben dieser Satz (Das Ichts sei nicht mehr als das Nichts) ist es aber nun auch, durch den die Atomistik auf's Bestimmteste auf Heraklit zurückweist [...] Wenn daher die Atomisten dem eleatischen Sein das Nichtsein eben in der Absicht zur Seite setzen, um dadurch das Werden und die Bewegung möglich zu machen, so sind wir durch den innern Zusammenhang dieser Idee mit der Heraklitischen Philosophie genöthigt, auch einen geschichtlichen Einfluß des letzteren auf die Entstehung des atomistischen Systems zu vermuthen"), molto più cauta è la formulazione nella sesta edizione (1920, 1177 ob bei dem Widerspruch der Atomiker gegen die Eleaten der Einfluß des heraklitischen Systems mitwirkte, läßt sich nicht sicher bestimmen") dove anche un influsso degli ionici viene messo in discussione (1181, "von einem Einfluß der älteren ionischen Schule zeigen sich in der atomistischen Physik vereinzelte Spuren").

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Mentre Zeller rielaborava le diverse edizioni della sua monumentale opera, le tesi di un atomismo radicato nella filosofia anassagorea venivano riprese dalla critica positivista, da Gomperz nei suoi Griechische Denker, la cui prima edizione era comparsa nel 1896, e da Brieger113 . Gomperz attribuiva congiuntamente a Parmenide e a Leucippo il riconoscimento della "costanza qualitativa" della materia, ma metteva in guardia dal sopravvalutare i punti di contatto fra gli atomisti e gli Eleati114 in quanto questi ultimi avevano risolutamente negato quello che per gli altri era un postulato fondamentale e cioè il movimento. Gomperz vedeva piuttosto le radici dell'atomismo nelle dottrine ioniche e in Anassagora. Allo stesso modo Brieger sottolineava in particolare come i presupposti dell'atomismo fossero contenuti nelle tesi anassagoree dell'eternità e dell'infinità dei semi (che egli interpretava tuttavia come corpuscoli), della generazione e della dissoluzione per composizione e scomposizione, dell'affermazione implicita che nulla nasce dal nulla115 . Il problema delle origini dell'atomismo ha cessato di essere tale nel momento in cui sono venute meno le ragioni storiche per cui era stato posto e la visione zelleriana è stata accolta quasi come un dogma. Se si eccettua uno studio di Sinnige che ha discusso le testimonianze aristoteliche alla maniera chernissiana riportando alla Ionia e ad Anassagora le radici dell'atomismo e riferendo eventuali echi eleatici alla mediazione di quest'ultimo116 , la rappresentazione eleatizzante trasmessa soprattutto da Aristotele o da quello che di Aristotele si è voluto interpretare come tale, si è imposta in maniera indiscussa a cominciare dal Bailey che nel suo Greek Atomists and Epicurus, faceva di Leucippo un allievo degli Eleati. Sempre sulla scia di questa tendenza, ma con una ulteriore spinta verso una ontologizzazione e una rappresentazione matematizzante della dottrina atomista, si è posto l'Alfieri il quale, fortemente influenzato dal giudizio hegeliano, ha sovrapposto un assunto metodologico, di tipo hegeliano appunto, alle testimonianze reali sull'atomismo. Egli dichiarava apertamente che si devono ricercare, al di là delle testimonianze dossografiche, i presupposti logici della dottrina atomista per non sminuirne il valore speculativo117 . La preoccupazione, già zelleriana, per eventuali critiche ad un atomismo empirico determina tutta l'interpretazione alfieriana la quale fa di Leucippo e Democrito dei platonici ante litteram, sostenitori di 113 114

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Brieger 1901, 161-186. Gomperz 1922, 288: "Verkehrt aber ist es, aus den sonstigen Berührungen der beiden Lehren (scil. des Leukipp und des Parmenides) auf die Abhängigkeit der einen von der anderen zu schliessen". Brieger 1901, 179. Sinnige 1968, 138-71. Alfieri 1979, 15.

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una dottrina di matrice eleatica matematizzante, radicata negli assunti del pitagorismo (o piuttosto in quelli che Alfieri riteneva tali). A queste radici matematiche risalirebbero la valutazione positiva del non essere come spazio e della molteplicità. Ancora al pitagorismo sarebbe da ricondurre il carattere dell'atomo concepito come unità aritmetica e forma geometrica astratta. In pratica Alfieri trasponeva esplicitamente118 agli atomisti le origini della filosofia platonica: Platone avrebbe solamente sviluppato un maggior interesse per l'intellegibile, gli atomisti per il sensibile, l'uno e gli altri, però, avrebbero individuato nelle forme matematiche degli enti intermedi. A prescindere dal carattere teorico astratto della matematica democritea, tutto da dimostrare, l'interpretazione dell'Alfieri è il risultato più evidente della persistenza nei secoli dei pre-supposti che avevano originato anche una certa rappresentazione aristotelica dell'atomismo, e cioè la problematica dell'infinita divisibilità e degli indivisibili e i relativi concetti elaborati in questo ambito da Platone e dall'Accademia. Rispetto comunque ad Aristotele, che forniva anche una immagine alternativa e una rappresentazione fisica dell'atomismo, Alfieri prescindeva metodologicamente proprio da quelle testimonianze che presentano una dottrina fisica e non matematica come egli la intendeva. Dipendenza dagli Eleati e anticipazione di dottrine accademiche119 ed Epicuree costituiscono in sintesi l'interpretazione dell'atomismo fornita da Lur'e le cui tesi sono state comunque ampiamente confutate già da Mau e Furley. Lur'e ha il merito di aver raccolto finora la più grande congerie di testimonianze sull'atomismo, ma il suo principale difetto metodologico consiste nell'utilizzazione acritica delle fonti120 . Se Alfieri e Lur'e costituiscono portano all'estremo la platonizzazione dell'atomismo, altri interpreti come Furley (1967; 1987), pur accettando le tesi della derivazione dall'eleatismo, individuano anche i problemi che ne scaturiscono, in particolare la difficoltà di definire il tipo di indivisibilità dell'atomo e la sua specifica relazione con i paradossi zenoniani. Una linea interpretativa di area anglosassone si è, in questo ultimo decennio, affannata a "salvare" la reputazione di Democrito come filosofo 121 proprio basandosi sulle presunte risposte ai paradossi zenoniani e sviluppando brillanti ipotesi che tuttavia fanno sparire completamente dall'oriz118 119

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Alfieri 1979, 50. Fino all'assurdità di anticipare a Democrito la successione punto-linea-superficie-solido, testimoniata solo per la scuola platonica e di vedere anche una critica all'atomismo antico nel trattato De lineis. Cf. Lur'e 1932, 148ss.; 1970, 333. Lur'e attribuisce ad esempio lo stesso valore ad Aristotele e ai suoi commentatori neoplatonici. Il suo esempio è stato seguito anche in alcune dissertazioni più recenti sull'atomismo, in particolare Löbl 1976 (cf. anche 1987) e Nikolau 1998. Cf. Makin 1993, supra, n. 100.

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zonte il contesto in cui Democrito ha vissuto e il sostrato della trasmissione delle sue dottrine. A monte del rapporto Democrito-Zenone c'è naturalmente l'ulteriore problema della definizione dei paradossi, della loro funzione e della posizione stessa di Zenone nel suo contesto storicoculturale. Negli studi moderni egli viene infatti interpretato secondo l'immagine canonica tramandata da Platone nel Parmenide, quella di un allievo che ha cercato di dimostrare per altra via l'assunto del suo maestro secondo cui l'essere è uno. In realtà questa rappresentazione, predominante nella storiografia filosofica antica, ha completamente isolato questa figura dal suo contesto storico-culturale. Sebbene non sia questo il luogo di rivedere la tradizione su Zenone, è opportuno sottolineare che, quando si parla di una "reazione" democritea ai paradossi, si deve tener presente che Democrito, se mai li ha presi in considerazione, potrebbe averne avuto anche una percezione diversa da quella platonica122 . I paradossi zenoniani risultano in effetti molto meno matematizzanti e astratti se liberati dal carico concettuale delle interpretazioni seriori e visti come una strategia pratica tesa a distruggere gli automatismi mentali. In ogni caso sia il vero Zenone che il vero Democrito potevano essere anche diversi dalla rappresentazione che ne dà la tradizione platonica e rispettivamente aristotelicoteofrastea. L'inserimento dell'atomismo nell'ambito della problematica degli indivisibili conduce comunque ad un ulteriore dilemma, sempre dibattuto, ma mai risolto completamente e cioè quello della natura dell'atomo. Si tratta, anche in questo caso, di una vecchia questione presente nella tradizione antica in descrizioni del tutto contrastanti che hanno generato, a seconda del peso maggiore assegnato all'uno o all'altro testo, interpretazioni del tutto divergenti. Una soluzione palesemente anacronistica è quella di Lur'e che ha interpretato l'atomo democriteo come un indivisibile fisico delimitato a sua volta da minimi privi di parti come quello epicureo. Lur'e si appoggia in particolare su un passo di Alessandro di Afrodisia123 adattando altre testimonianze a questo schema e attribuendo errori di interpretazione ai numerosi testi che contraddicono questa visione. Per il resto, l'interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi è oscillante a seconda della valutazione delle fonti. Alcuni interpreti vedono l'atomo come un indivisibile assoluto in quanto solo così potrebbe costituire una soluzione del paradosso zenoniano. A conferma di questa tesi citano il rimprovero di Aristotele agli atomisti di essere andati contro i principi della matematica e altri testi tardi che attribuiscono loro specifi122

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Su una rappresentazione alternativa a quella del Parmenide platonico, attestata già dal IV sec. a.C. e in Platone stesso, che vede Zenone disputare in utramque partem, v. infra, III 2. 1. n. 24. Alex. Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.). Per la discussione del passo, v. infra, VI 3. 1 n. 77.

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camente dei minimi privi di parti124 . Indivisibilità fisica, ma non teoretica gli viene attribuita da coloro che ritengono invece il problema dell'indivisibilità matematica estraneo alla prospettiva fisica democritea che separa nettamente la fisica dalla geometria125 . Mau faceva dell'atomo democriteo un minimo-misura variabile a seconda dell'ordine delle grandezze126 . Una tendenza impostasi in area anglosassone negli anni novanta punta invece il dito sull'inadeguatezza di queste interpretazioni giudicando il dibattito sull'indivisibilità fisica e teoretica un falso problema. L'indivisibilità sarebbe giustificata non in base ad un argomento fisico, ma in base ad un argomento "filosofico" di matrice eleatica quale quello dell'omogeneità dell'atomo che risponderebbe ai requisiti posti dall'argomento dell'indifferenza: non c'è ragione che un atomo sia divisibile più in un punto che in un altro127 .

4. Democrito, l'Accademia e le interpretazioni dell'atomo Come si vede le ipotesi sui fondamenti dell'atomismo antico e sulla natura dell'atomo sono numerose e partono comunque tutte dal pre-supposto che specifici testi aristotelici o di autori tardi offrano una visione reale e obiettiva dell'atomismo e delle sue radici. In tutti questi studi manca tuttavia una decisa e radicale analisi delle fonti a cominciare dai vari passi aristotelici per finire con gli autori neoplatonici. Tali testi vengono usati di volta in volta per dimostrare l'una o l'altra tesi, ma mai sottoposte ad un'analisi critica globale. Lo scopo primario di questo lavoro consiste invece principalmente nell'esame e nella valutazione contestuale e sistematica delle fonti antiche che permetta di individuare i pre-supposti di una certa interpretazione unidirezionale delle dottrine di Leucippo e Democrito, limitata esclusivamente alla considerazione dei rapporti con altre "filosofie" e all'inserimento nella problematica degli indivisibili. Si tratta di un passaggio necessario per ampliare la prospettiva sul contesto e la natura dell'atomismo ad altri ambiti fuori di quello specificamente filosofico. Uno dei lavori più importanti per un nuovo inquadramento della problematica dell'atomismo, non tanto perché tratti il tema specifico, quanto per le indicazioni e gli spunti che offre, e che è incomprensibilmente pas124

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Furley 1967, cap. VI; 1987, 124-127. Per la discussione dei passi di Arist. De cael. G 4 e Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10 (67 A 13 DK; 113 L.) in particolare, v. infra, VI 3. 4. Calogero I, 1967, 432; Baldes 1972, 16, 38, 43ss.; lo stesso Furley 1987, 130 sembra ventilare un'ipotesi di questo tipo per risolvere i problemi del rapporto con la matematica. Mau 1954, 22ss. Cf. Makin 1989; 1993, 54-62; Lewis 1998.

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sato quasi inosservato anche nelle interpretazioni più recenti, è il capitolo su Democrito di Platonismus und hellenistische Philosophie di Hans Joachim Krämer. Krämer individua molto chiaramente nelle polemiche di Aristotele contro gli indivisibili accademici uno dei maggiori pre-supposti dell'inquadramento aristotelico dell'atomismo antico. L'atomismo accademico, il cui rappresentante principale per la tradizione antica è Senocrate, è stato in realtà sempre completamente trascurato negli studi sull'atomismo antico (se si esclude un breve capitolo eminentemente descrittivo, ma isolato, dedicatogli da Furley128 ). Eppure la tematica della divisibilità all'infinito delle grandezze e degli indivisibili discussa nell'Accademia fornisce ad Aristotele l'apparato concettuale per interpretare l'atomismo e rappresenta il filtro culturale attraverso cui passano le sue letture non solo degli atomisti, ma anche delle presunte teorie corpuscolariste dei presocratici. E' infatti principalmente il confronto critico implicito o esplicito con le dottrine accademiche a costituire il sottofondo di molti passi nei quali Aristotele discute questi temi129 , confronto di cui egli spesso si serve come di un'arma contro quelli che erano nel frattempo divenuti i suoi più diretti avversari. Indizi presenti in allusioni aristoteliche e in testi più tardi, combinati con aneddoti riguardanti la conoscenza di Democrito da parte di Platone, portano a pensare che le teorie democritee fossero state interpretate e discusse non tanto dal maestro quanto soprattutto dai suoi allievi pitagorizzanti130 . Gli autori antichi riportano inoltre con sicurezza a Senocrate la discussione e la soluzione dei paradossi zenoniani con la dottrina delle linee indivisibili. Si tratta proprio dello stesso punto da cui, secondo l'interpretazione moderna di un passo di Aristotele (De gen. et corr. A 2), avrebbe preso le mosse anche Democrito. Questa coincidenza e il fatto che il passo aristotelico non attribuisce la dimostrazione della necessità degli indivisibili specificamente a Democrito, ma si mantiene su formulazioni piuttosto vaghe, giustifica il sospetto che il pre-supposto della problematica trattata qui da Aristotele stia proprio nella discussione accademica del paradosso cosiddetto "della dicotomia" di Zenone. In questo sostrato interpretativo, nel quale anche Aristotele spesso si inserisce e del quale utilizza i concetti, si devono dunque ricercare le radici di quella rappresentazione delle dottrine fisiche leucippee e democritee in una certa prospettiva teorica (il vuoto come un altro dall'essere, l'atomo come un minimo fisico assolutamente indivisibile) legata alla problematica dell'eleatismo. In questa ottica va rivista anche la trattazione aristotelica della nascita dell'atomismo di Leucippo come correzione di teorie eleatiche, ma su 128 129 130

Furley 1967, cap. VII. Per il presunto corpuscolarismo di Empedocle, cf. Gemelli Marciano 1991a. V. infra, I 2. Eraclide Pontico aveva scritto ben due opere su Democrito. Heraclid. Fr. 22 Wehrli (Diog. Laert. 5,86) Pro;" Dhmovkriton. Pro;" to;n Dhmovkriton ejxhghvsei" a .v

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presupposti eleatici e la presentazione della dottrina dell'atomo come risposta alle aporie zenoniane. D'altra parte Aristotele e Teofrasto forniscono parallelamente anche un quadro dell'atomismo diverso dal precedente, legato soprattutto a considerazioni eminentemente fisiche che sembra talvolta entrare in collisione con l'altra rappresentazione. Si tratta in realtà di contesti diversi in cui prevalgono interessi storico-descrittivi su quelli argomentativi maggiormente sottoposti al condizionamento dell'apparato concettuale corrente e dei fini stessi della dimostrazione. L'immagine bifronte dell'atomismo antico si estende comunque attraverso la mediazione della dossografia e della tradizione di scuola per tutta l'antichità rendendo difficile qualsiasi tentativo di interpretazione. Accanto ad un atomo di Leucippo e Democrito solido e compatto come quello epicureo (la rappresentazione nettamente prevalente), emerge qua e là un minimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo di parti contrapposto a quello solido di Epicuro. Come sia stata mediata questa immagine, che nei testi aristotelici si intravvede solo raramente in un sottofondo di allusioni, rimane un problema. Si può stabilire invece, attraverso l'esame delle caratteristiche strutturali dei testi che presentano questa interpretazione dell'atomo, l'identità dei mediatori di questa visione "diafonica" dell'atomismo. Jaap Mansfeld ha mostrato, per quanto riguarda la dossografia sull'anima, che il tratto specifico della diaphonia, presente in alcuni testi rimanda all'Accademia scettica131 . Lo stesso si può dire per i passi in cui l'atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti di Leucippo (più raramente di Democrito), viene opposto a quello solido epicureo: è l'Accademia scettica ad aver discusso e formulato in maniera dialettica la problematica dell'atomismo e ad aver propagato anche l'immagine bifronte del rapporto fra le dottrine di Epicuro e quelle degli atomisti antichi sottolineandone, a seconda del contesto, la sostanziale uguaglianza o l'aperto dissenso. Questo procedimento, che ha disorientato gli esegeti moderni, era tuttavia funzionale al metodo dialettico confutativo con cui l'Accademia scettica affrontava le dottrine dei cosiddetti dogmatici. Nel momento in cui si voleva mettere in rilievo la scarsa originalità di Epicuro, se ne sottolineava la servile dipendenza da Democrito, quando invece si voleva dimostrare che Epicuro aveva fatto peggio dei predecessori o che gli atomisti si contraddicevano l'un l'altro, si applicava lo schema della diaphonia. Alcuni degli excursus delle fonti antiche impostati soprattutto su una critica all'atomismo in genere hanno come modelli queste confutazioni. Ciò non impedisce ovviamente che, per altri aspetti della dottrina atomista, autori come Cicerone e Plutarco abbiano potuto servirsi anche di altre fonti. Gli autori cristiani, spesso tralasciati e considerati di scarso rilievo negli studi 131

Mansfeld 1989a, 338-342; cf. anche 1990a, 3056-3229.

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sull'atomismo, si sono abbondantemente serviti, ovviamente attraverso mediazioni, della rappresentazione critica elaborata nell'Accademia scettica. Per quanto arbitrarie e personali possano sembrare certe loro argomentazioni, non si tratta affatto di critiche sviluppate individualmente, ma di motivi dialettici risalenti all'uso dell'Accademia scettica di confutare le dottrine dogmatiche mettendone in luce non solo la discordanza con altre, ma anche le contraddizioni interne. Quest'uso si integrava perfettamente con il fine degli scrittori ecclesiastici: l'annientamento della tradizione culturale pagana. Dimostrando come quelli che i "gentili" stimavano filosofi fossero una accolita sempre in disaccordo fra di loro e sostenessero delle tesi apertamente contradditorie, essi minavano alle basi la credibilità della cultura e dei valori pagani132 . Gli autori cristiani si dimostrano dunque estremamente utili per chiarire certe oscurità di resoconti dossografici facenti capo in definitiva alla stessa tradizione. Una attenzione particolare è stata dedicata nel presente lavoro anche ai commentatori aristotelici la cui utilizzazione ha portato ad interpretazioni assolutamente discordanti. Essi sono stati spesso assunti come testimonianze valide a tutti gli effetti per ricostruire una dottrina atomista originaria, nonostante sia comunemente ammesso che nessuno di loro aveva accesso diretto alle opere degli atomisti133 . Se è vero che Simplicio conosceva di prima mano l'opera di Aristotele su Democrito, di cui riporta l'unico frammento esistente, e le doxai di Teofrasto dalle quali verosimilmente attinge per il resoconto su Leucippo e Democrito, non è comunque assolutamente scontato che se ne serva ogniqualvolta tratta dell'atomismo. I commentatori, quando devono commentare uno specifico passo aristotelico, seguono spesso esegeti a loro vicini o si rifanno alla dossografia o a tradizioni più antiche, ma non ai testi originali. Lo stesso Simplicio, l'unico che conosce gran parte degli originali di prima mano, li cita solo in casi particolari, quando cioè è in disaccordo con qualcuno dei suoi predecessori sull'interpretazione di un determinato passo. Per quel che riguarda le testimonianze di questi esegeti sull'atomismo antico, il panorama è complesso e sconsolante: a fronte dell'ortodossia peripatetica e aristotelica talvolta integrata con la tradizione epicurea di Alessandro, sta la volubilità 132

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Questo assunto, fondamentale delle opere di Eusebio e Teodoreto, giustifica la dovizia di informazioni sulle opinioni dei filosofi greci da loro offerta. Cf. Diels 1879, 47. Sull'uso della diaphonia presso gli autori cristiani finalizzato alla confutazione delle dottrine pagane, cf. Riedweg 1994, VI 3 con abbondante esemplificazione. Ancora negli studi più recenti (cf. e.g. Löbl 1976, 1987, Nicolau 1994, Makin 1993, 49-53) si continua sorprendentemente ad utilizzare ad esempio il Filopono nel quale non c'è la minima traccia di contatto diretto coi testi non solo degli atomisti, ma neppure degli altri presocratici più citati come Empedocle. Sullo scarso valore delle testimonianze del Filopono in relazione all'indivisibilità dell'atomo, cf. anche Bodnár 1998. Simplicio poi continua a fare testo, cf. Makin 1993, Lewis 1998, Hasper 2002.

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dei commentatori neoplatonici che, senza alcun problema, offrono esegesi opposte in contesti diversi. Questo è tuttavia perfettamente comprensibile alla luce della tradizione dei commenti neoplatonici ad Aristotele: talvolta infatti i commentatori si rifanno ad Alessandro o a qualche altro peripatetico, talaltra utilizzano i testi dei loro predecessori neoplatonici quali Porfirio e Giamblico creando nei moderni quell'impressione di "schizofrenia esegetica" da cui scaturiscono rappresentazioni totalmente discordanti dell'atomismo antico. Qualcuno potrebbe obiettare che queste considerazioni rischiano di offuscare l'immagine di Simplicio togliendogli ogni "originalità" e facendone un semplice compilatore, ma anche la difesa dell'"originalità" degli autori antichi è in gran parte un bisogno derivato dai nostri pre-supposti culturali. Oggi, essere "originali" significa distanziarsi dalla tradizione, dire qualcosa che nessuno ha mai detto. Per i commentatori neoplatonici di Aristotele, e non solo per loro, invece, la continuità con la tradizione, che significa anche ripresa più o meno letterale di brani dei predecessori, è fondamentale. Essi possono "aggiungere" qualcosa a quanto già detto o anche talvolta esprimere posizioni differenti, ma il grosso del loro commento è basato sugli insegnamenti dei "maestri"134 e sull'interpretazione che costoro hanno dato dei singoli passi. Su questo punto è illuminante un articolo di John Dillon che illustra in modo esemplare il tema dei "debiti" dei commentatori neoplatonici soprattutto nei confronti di Giamblico. Cercando di raccogliere i frammenti del perduto commento alle Categorie aristoteliche di quest'ultimo, Dillon afferma di essere arrivato a questa conclusione that there is really no pressing need to collect the fragments of Iamblichus' lost commentary on the Categories because after all it is not really lost; it is virtually all still there, embedded in the amber of Simplicius135 .

Prescindendo dunque da giudizi di valore e tenendo conto di questa peculiarità metodologica dei commentatori neoplatonici di Aristotele, si può affermare che le loro testimonianze sugli atomisti antichi vanno esaminate alla luce dei singoli contesti. Il risultato, come si vedrà, non è entusiasmante: i testi dei commentatori, fuori dalle citazioni dirette da Aristotele o Teofrasto, sono inutilizzabili per la ricostruzione delle dottrine atomisti134

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Cf. e.g. le dichiarazioni Simplicio nel suo commento alle Categorie (Prooem. 3,4 ejgw; ga;r ejnevtucon me; n kaiv tisi tw'n eijrhmev nwn suggrav mmasin, ejpimelevsteron de; wJ" oi|ov" te h\ n toi'" Iamblivcou parakolouqw'n ajpegrayavmhn, kai; aujth'i pollacou' th'i levxei tou' filosovfou crhsavmeno"), su cui ha attirato l'attenzione Dillon 1998, 175. Simplicio continua affermando che il suo scopo è quello di riassumere le opere dei suoi predecessori per comunicarne il contenuto anche a coloro che non sono in grado di leggerle per esteso. Sul metodo di Simplicio, cf. anche Hadot 1987 e 2002. Dillon 1998, 176.

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che originali. La delusione per l'esito è comunque compensata dalla constatazione che uno dei principali motivi di confusione e di infiniti dibattiti è completamente privo di consistenza.

5. Osservazioni metodologiche Dato che alcuni problemi e concetti più generali concernenti la trasmissione e l'interpretazione delle dottrine degli antichi e altri riguardanti più specificamente l'atomismo sono stati e sono tuttora oggetto di discussione e ridefinizione, ritengo opportuno fare alcune precisazioni sull'approccio e la terminologia adottata nel presente studio. Un punto fondamentale da chiarire poiché spesso, soprattutto in questi ultimi anni, ha costituito un nodo cruciale e dibattuto nell'ambito dell'interpretazione dei presocratici e sul quale a mio parere vige attualmente una certa confusione è la legittimità di un certo approccio "filosofico", in particolare analitico, a questi autori. E' un problema antico che risale soprattutto ad Aristotele al quale più o meno consciamente si richiamano tutti i difensori della tesi secondo cui i presocratici sono "filosofi" e come tali vanno interpretati. Rimane tuttavia da definire se essi debbano considerarsi "filosofi" nel senso moderno, cioè personaggi dediti alla discussione speculativa e lontani dalle "cure" pratiche e se debbano quindi rientrare a questo punto in una storia della filosofia che si ostina a considerare tale solo la discussione di questioni teoriche, o se invece si tratti di sapienti radicati nel loro contesto culturale che li influenza e che essi stessi influenzano attivamente e dunque siano "filosofi" nel senso etimologico di "amanti della sofiva" con tutte le connotazioni pratiche che questo termine comporta. E' questo infatti il nodo cruciale passato sotto silenzio nell'approccio esclusivamente filosofico. Si deve dunque essere ben consci del fatto che i loro testi sono stati, da Aristotele in poi, estrapolati a piacere dal loro contesto culturale e continuamente riusati e manipolati ai fini della discussione dialettica o della dimostrazione di determinate teorie o della ricostruzione di un albero genealogico delle scuole filosofiche senza alcuna considerazione per la loro diversità intrinseca e per il loro contesto specifico. Essi sono stati per così dire "travolti dalla filosofia" e da testi estremamente diversi fra loro per origine, scopi e destinazione pratica, sono diventati appunto esercizi speculativi di personaggi che, come moderni accademici, discutono fra loro più o meno a distanza di questioni teoriche. Se questa immagine può attagliarsi alle scuole filosofiche ellenistiche (ma anche qui ci sarebbero da fare dei distinguo), è assolutamente priva di fondamento per i presocratici, ma viene continuamente riproposta nell'approccio filosofico analitico che può così prescindere dall'analisi

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globale delle fonti e della tradizione indiretta, dall'esame di una più vasta gamma di testimonianze di diverso genere fuori dell'ambito strettamente filosofico, dal tentativo di ancorare i frammenti e le testimonianze ad un contesto storico. La giustificazione generalmente fornita per questo tipo di interpretazione è che in ogni caso non si può arrivare ad una ricostruzione esatta del pensiero di questi autori e che dunque è legittimo spiegarli con concetti a noi familiari per poterli comprendere (la cosiddetta "rational reconstruction"136 ), ma su questo punto valgono le osservazioni fatte all'inizio di questo capitolo. Questo tipo di approccio alla cultura antica, se nell'immediato sembra produttivo e gratificante, a lungo termine non può che portare alla cancellazione di ogni traccia delle dottrine originali. L'interpretazione moderna di Democrito, condotta su questa linea, ha condotto non solo a durissimi giudizi etici e filosofici e a successivi tentativi altrettanto anacronistici di "salvataggio"137 , ma anche al rigetto e all'emarginazione sistematica di aspetti importanti della sua opera quali quello "tecnico", un fatto che si è ripercosso anche sull'interpretazione della dottrina dell'atomo. In questo lavoro ho quindi cercato, con tutti i limiti e le possibilità di errore connaturati ad una ricerca a vasto raggio su un campo disseminato di rovine, di affrontare l'analisi delle fonti antiche sull'indivisibilità dell'atomo e di contestualizzarle ogni volta nell'ambito da cui esse provengono. Per tutto quanto ho ora esposto e nonostante ormai sia divenuto un topos nella Sekundärliteratur sugli atomisti precisare tutte le possibili sfumature del termine indivisibilità, ho deciso deliberatamente di tralasciare questo tema non solo perché altri lo hanno già fatto138 , ma soprattutto perché, in relazione all'atomismo antico, si tratta, a mio avviso, di distinzioni prive di qualsiasi fondamento storico139 . Rimando per questo alla lettura del capitolo conclusivo in cui ho cercato brevemente di contestualizzare le dottrine degli atomisti nell'atmosfera culturale del V sec. a.C. sottolineandone in particolare il rapporto con la medicina e rivalutando anche aspetti stilistici e testimonianze generalmente trascurate. In questo contesto le speculazioni moderne sull'indivisibilità dell'atomo risultano

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Cf. Makin 1998 e Rorty 1984. Makin 1993, 15 giustifica il suo uso di "analytic techniques" lontane dalla realtà storica dei presocratici con il già citato principio della "charity", ma aggiunge che tuttavia i risultati di questo procedimento non devono essere necessariamente "ahistorical". Egli però intende per "storico" una "Entwicklungsgeschichte des Geistes" alla maniera zelleriana e si limita a considerare come "evidenza storica" la testimonianza o il frammento in sé e per sé senza alcuna correlazione con un contesto storico-culturale. Cf. la discussione del termine in Barnes 1982, 50ss.; Lewis 1998, 6ss.; Makin 1979, 1993, cap. III; Taylor 1999, 164-171. Cf. anche Sorabji 1983, 354-357; Held 1998, 27.

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estremamente lontane da una visione del mondo sostanzialmente ancorata alla realtà socio-politica, ai fenomeni, ai corpi. Un'altra precisazione va fatta riguardo all'impiego dei termini "dossografia" e "dossografico". Diels, che li ha coniati, si riferiva esclusivamente alle raccolte di doxai facenti capo al cosiddetto Aezio e risalenti nel loro nucleo originario alle Fusikai; dovxai di Teofrasto. Col tempo questi termini hanno assunto una connotazione più ampia con evidenti degenerazioni140 . Mansfeld 141 e Runia mettono in guardia dall'uso improprio di questo termine estendendo la restrizione anche a quei testi contenenti sì passi "dossografici", ma tali solo nella forma, non negli scopi. In un discorso sulla trasmissione di dottrine specifiche rimane comunque, al di là delle distinzioni concettuali, il problema di rendere questi passi immediatamente riconoscibili. Ed è per questo che, in maniera pur imprecisa, ma per una questione di comodità, ho usato talvolta il termine "dossografico" anche quei resoconti caratterizzati da uno stile dossografico come certi brani di Cicerone, Plutarco e Sesto Empirico142 . Un ulteriore problema di denominazione si presenta in relazione ad un altro tipo di testimonianze. Ci sono infatti buone ragioni per credere che, accanto ad una trasmissione compendiaria (la dossografia cioè in senso stretto), ci fosse, per lo meno in alcune scuole filosofiche, la consuetudine di utilizzare repertori di citazioni letterali su temi particolari. Questa tendenza è particolarmente evidente nella trasmissione di citazioni sul tema della gnoseologia nella tradizione scettica. Le stesse citazioni o gli stessi gruppi di citazioni letterali dagli stessi autori si ripetono regolarmente nelle fonti riconducibili a questo filone e riportabili in alcuni casi sicuramente al capostipite dell'Accademia scettica, Arcesilao143 . Tali "repertori" non appartengono al genere "dossografico" in senso stretto, ma presentano similitudini nella forma (in quanto riportano, sebbene in forma letterale, dovxai su argomenti specifici) e negli obiettivi (in quanto forniscono una panoramica generale delle opinioni su determinati problemi). Gli studi moderni hanno inoltre evidenziato l'importanza di rudimentali raccolte di opinioni, organizzate intorno a temi-chiave quali il numero dei principi, circolanti in ambito sofistico già prima di Platone144 e di cui quest'ultimo e Aristotele, si sono serviti ampliandoli e adattandoli ai loro scopi145 . Mi sembra dunque che l'uso ristretto della denominazione "dossografia" e "dossografico", invece di 140 141 142

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Cf. un excursus sugli usi moderni impropri del termine in Runia 1999, 33s. Mansfeld 1999, 19. Cui, secondo Mansfeld 1999, 19 e Runia 1999, 52 non si dovrebbe applicare questa "etichetta". Nel caso specifico di Democrito, cf. Gemelli Marciano 1998. V. infra, III 2. 2. 1. Cf. von Kienle 1961, Cambiano 1986, Mansfeld 1986 [1990b, 22-83].

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semplificare, complichi inutilmente il problema terminologico. Se ci può essere accordo sul fatto che la dossografia come genere specifico è quella teofrasteo-aeziana, è tuttavia anche innegabile che certi brani di stile dossografico, con relative interpretazioni, nella letteratura filosofica o scientifica fanno parte a pieno titolo di una trasmissione di doxai all'interno di una tradizione e non sono semplici rimaneggiamenti dell'autore stesso di materiale direttamente tratto da manuali come quello di Aezio146 . Per questi motivi ho usato la denominazione resoconto dossografico in maniera talvolta informale e in una accezione più vasta rispetto all'uso originale dielsiano e a quello raccomandato da Mansfeld e Runia. Ho considerato resoconti dossografici in senso lato anche dei brani di Aristotele, sia isolati sia inseriti in contesti argomentativi, caratterizzati da uno stile "dossografico" vale a dire da una esposizione schematica, basata su concetti-chiave (ad es. numero dei principi, carattere dei principi) nella quale prevalgono interessi descrittivi. In pratica quegli appunti che Aristotele stendeva per avere davanti a sé un panorama riassuntivo globale delle opinioni dei predecessori su un determinato problema e dai quali attingeva di volta in volta a seconda delle proprie esigenze147 . Che Aristotele disponesse, anche nel caso di Democrito, di appunti di questo genere, lo si può dedurre dal parallelismo di diversi passi descrittivi riguardanti le dottrine atomiste148 . Nella tradizione tarda si fa poi strada anche una maniera diversa di utilizzare i dati dossografici. Spesso infatti le informazioni sono organizzate secondo schemi antilogici, vale a dire come doxai contrapposte tese a dimostrare l'inconsistenza di tutte le opinioni dogmatiche. Si tratta del metodo utilizzato nell'Accademia scettica e nel neopirronismo di cui si trovano esempi numerosi in Cicerone e Sesto Empirico, ma anche negli autori cristiani. In questo caso le doxai vengono usate in un contesto particolare, talvolta organizzato in forma di dialogo, che implica, spesso in maniera non facilmente distinguibile, interventi critici. In questi casi, le singole opinioni degli antichi trascinano con sé anche il bagaglio critico e il tutto diventa "repertorio" manualistico. Ho impiegato con parsimonia anche il termine "fonte" nella sua accezione tradizionale di testo identificabile con una certa sicurezza e ricopiato in maniera più o meno fedele da un determinato autore. Ho fatto invece

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Sulla necessità pratica dell'uso più ampio della denominazione di "dossografia", cf. Van der Eijk 1999, 21s. Sulla necessità di redigere tali appunti subordinatamente alla trattazione dei singoli problemi, cf. Top. 105b 12 e Mansfeld 1992b, 332. Cf. in particolare le concordanze fra Arist. Fr. 208 Rose e De gen. et corr. A 8, infra, III 4. 3.

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più spesso riferimento ad una "tradizione"149 . Questo perché, nella maggioranza dei casi, i resoconti postteofrastei, generali o particolari, sulla dottrina dell'atomo risalgono a schemi correnti nelle diverse scuole filosofiche ellenistiche e tardo-ellenistiche, talché è impresa disperata stabilire con precisione la "fonte". Si può invece, con un margine inferiore di arbitrarietà, parlare di "tradizione" intendendo con questo termine le tendenze interpretative delle teorie democritee tipiche di singole scuole filosofiche o di una specifica letteratura tecnica. In questo tipo di trasmissione rimane aperto e fluttuante, spesso entro limiti non ben definibili, il gioco di interscambio fra trasmissione orale e fissazione scritta di una determinata interpretazione. Questo vale ad esempio per l'immagine di un Democrito scettico cui è collegato un gruppo specifico di sentenze irradiate dalle lezioni di Arcesilao150 , ma confluite poi nelle trattazioni di scuola da cui attinge ad esempio Cicerone. Soprattutto risulta difficile stabilire delle precise distinzioni fra trasmissione orale e scritta nell'ambito, peraltro importante e indicativo, della critica sviluppata contro una determinata doxa. Qui repertori argomentativi tramandatisi oralmente nell'esercizio scolastico hanno avuto probabilmente la stessa efficacia e la stessa persistenza di critiche fissate per iscritto. In questo caso, più importante della determinazione della precisa provenienza della critica e della doxa che l'ha generata, è l'individuazione della tendenza interpretativa da questa veicolata e, in termini più generali, la possibilità di risalire per lo meno ad una scuola filosofica o ad una tradizione di altra provenienza. E' soprattutto l'elemento di continuità nell'esegesi dei testi e degli autori antichi all'interno delle scuole filosofiche e delle altre tradizioni a costituire il filo conduttore dell'interpretazione dei dati. Nel caso particolare delle testimonianze sui fondamenti dell'atomismo antico, anche le rigide differenziazioni fra citazione letterale, parafrasi, reminiscenza perdono facilmente il loro valore funzionale. Si può comunque osservare che testi fondamentali rimangono delle parafrasi quali quelle di Aristotele e di Teofrasto che, nonostante i rimaneggiamenti, attingono direttamente agli originali. Paradossalmente spesso le scarse citazioni letterali, quali quelle di Sesto Empirico, Diogene Laerzio, Galeno ed altri, provengono da excerpta conservatisi in una determinata tradizione di scuola o tramandatisi attraverso raccolte e, più che chiarificare, creano ulteriori complicazioni e possibilità di fraintendimento. La maggior parte del materiale è però costituito da resoconti di seconda o di terza mano importanti per determinare il 149

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Cf. Mansfeld 1999, 29 il quale utilizza, per l'interpretazione data dai singoli autori all'interno di una tradizione, il termine "ricezione". Per la discussione sui termini "fonte" e "tradizione" in relazione a Plotino, cf. Harder 1957. Se Arcesilao abbia posto per iscritto delle opere filosofiche, risulta ancora poco chiaro dalle testimonianze, cf. Görler 1994, 786s.

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filone che li ha trasmessi, ma non fondamentali per risalire ad un nucleo dottrinario originale. Il presente lavoro è dedicato, per ragioni di economia e di unitarietà, unicamente all'esame dei fondamenti e dell'origine della dottrina atomista e tralascia volutamente un altro aspetto importante quale il tema della conoscenza. Questo non solo investe una problematica che si allarga a tutta la cultura del V sec. a.C., ma assume un suo carattere specifico anche per ciò che concerne l'esame delle fonti e necessiterebbe di una trattazione particolare. A questo aspetto ho dedicato comunque un piccolo spazio nel capitolo conclusivo esaminando il cosiddetto "scetticismo" democriteo da un'altra ottica, quella cioè delle strategie comunicative comuni anche ai medici ippocratici. Ho tralasciato altresì il problema specifico della matematica democritea la cui discussione si basa soprattutto su testi generici o di difficile interpretazione151 , dai quali poco di sicuro si può ricavare, o sui titoli delle opere che presentano tutti i problemi dovuti alla catalogazione e alla titolazione tarda e la cui lezione è talvolta controversa. Il problema rientra, a mio avviso, nella questione generale della definizione della matematica del V sec. a.C. il cui carattere di astrattezza e di sistematicità "scientifica" in senso moderno non è assolutamente dimostrato. Del resto, se anche Democrito fosse stato un buon matematico, ciò non deve necessariamente aver influito sulla dottrina fisica; Senocrate, sostenitore delle linee indivisibili, pur conoscendo gli assunti della matematica, ha ugualmente formulato un'ipotesi considerata contraria a queste leggi. In secondo luogo il problema del carattere matematico della dottrina democritea si pone solo per chi parta dal presupposto che egli abbia veramente impostato la sua teoria riflettendo sul problema astratto della divisibilità, presupposto ben lungi dall'essere sicuro in quanto dipende in gran parte dall'interpretazione del passo aristotelico di De gen. et corr. A 2 già citato precedentemente. Questo lavoro affronta anche problematiche relative all'atomismo accademico, ma non può costituire uno studio specifico su di esso. Per questa ragione, pur tenendo conto delle diverse tendenze interpretative, le ho discusse dettagliatamente solo riguardo ai punti più direttamente significativi per le relazioni con l'atomismo antico, per il resto ho rimandato agli studi specialistici. Per lo stesso motivo, ho lasciato ai margini la vexata quaestio dell'attribuzione della dottrina delle linee indivisibili anche a Platone e in generale il problema della ungeschriebene Lehre e ho preferito seguire la tendenza esplicita delle fonti antiche che attribuisce sicuramente a Senocrate la discussione delle aporie di Zenone e le linee indivisibili. In 151

Cf. Plut. De comm. not. 1079 E (68 B 155 DK; 126 L.); Archim. Mech. II,428,26 Heiberg (68 B 155 DK app.; 125 L.).

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effetti, l'unico brano in cui sia menzionata esplicitamente una posizione critica dell'Accademia nei confronti degli atomisti152 , sembra piuttosto da ricondursi a Senocrate che a Platone. Un particolare ruolo di chiarificazione dei presupposti e delle metodologie dell'atomismo acquistano nell'ambito del presente studio i confronti con i testi ippocratici. Nonostante la datazione controversa, secondo le edizioni recenti di alcuni trattati, sembra ormai assodato che i più antichi si situino fra la seconda metà del V e la prima metà del IV sec. a.C. e sono quindi grosso modo contemporanei a Democrito. Il principio secondo cui ho utilizzato questi testi è tuttavia in certo modo indipendente dal problema cronologico in senso stretto. Non mi sono infatti, se non in un caso specifico, soffermata su presunti echi più o meno diretti di dottrine democritee nel corpus secondo una metodologia invalsa fra gli storici della filosofia, quanto piuttosto sul confronto neutro di tematiche e metodi, non necessariamente correlati, ma scaturenti da un fondo di cultura e di esperienza comuni. A differenza di quanto è stato fatto in molti studi sull'atomismo antico, ho utilizzato solo marginalmente, e in casi specifici, finalizzati ad una interpretazione delle fonti antiche, i testi epicurei e lucreziani nei quali è sempre difficile stabilire i confini fra il riproduttivo e l'esegetico. Per quanto riguarda in particolare l'interpretazione di Epicuro dell'atomismo antico, ho cercato soprattutto di individuare una via alternativa: ho infatti collegato la rivalutazione da parte di Epicuro delle dottrine democritee all'interazione fra le critiche accademiche a quelle teorie da una parte, e la sistematica utilizzazione in funzione antiaccademica da parte di Aristotele dall'altra, e non alle critiche aristoteliche all'atomismo antico come vuole la tradizione dall'antichità ad oggi. La trattazione di Epicuro sotto questo aspetto non vuole essere un'analisi esauriente né una presa di posizione definitiva, ma uno spunto funzionale alla ricostruzione della trasmissione dell'atomismo antico, e come tale va valutata. Per quanto riguarda l'ambito della dossografia in senso stretto, ho tenuto conto dell'interrogativo che oggi, sempre più frequentemente si pone sulla validità oggettiva delle classificazioni dielsiane153 . Se nessuno misconosce il grande valore dei Doxographi graeci del Diels, molti sono dell'avviso che comunque vadano rivisti i presupposti che hanno guidato le sue ricostruzioni in particolare quella del cosiddetto Aezio attraverso il confronto fra i testi dello Pseudo-Plutarco e di Stobeo. Tali testi spesso coincidono perfettamente, ma talvolta sono anche piuttosto diversi so-

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Sext. Emp. Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4. Cf. Kingsley 1994, 235 n. 3; Mansfeld-Runia 1997.

Introduzione

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prattutto nell'ordinamento delle voci154 e nell'espressione stessa di determinate doxai. Diels ha spesso uniformato intervenendo sull'uno o sull'altro testo ed eliminando così delle differenze che hanno ragione di esistere non solo per la distanza cronologica fra un testo e l'altro, ma anche per la loro diversità strutturale. Nel presente lavoro ho fatto riferimento separatamente ai due testi rilevandone l'identità, ma indicandone anche all'occasione, le differenze funzionali. Allo stesso modo ho citato separatamente il testo di Teodoreto che nei Doxographi graeci compare sempre in nota e in subordine ai due autori precedenti. Per lo Pseudo-Plutarco ho riportato le varianti della versione eusebiana solo nel caso in cui questo era necessario al chiarimento testuale, per il resto ho seguito la lettura fornita da Diels indicando le eventuali deviazioni. Ho fatto talvolta ricorso, ma solo limitatamente, anche alla versione araba dello Pseudo-Plutarco nella traduzione tedesca di Daiber 1980. I frammenti e le testimonianze sono stati citati secondo le edizioni di Diels-Kranz 1952 (DK) e Lur'e 1970 (L.). Laddove compaia solo l'indicazione di quest'ultima edizione, significa che la testimonianza manca nell'altra.

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Nello Stobeo, come lo stesso Diels 1879, 56 osservava, il carattere antologico richiede una strutturazione completamente diversa. Cf. Mansfeld-Runia 1997, cap. IV.

Capitolo primo

Platone e Democrito

1. Considerazioni generali L'interrogativo sulla presenza di Democrito nell'Accademia si pone presso le fonti più antiche nella forma del rapporto Platone/ Democrito. Conosceva Platone Democrito e, se sì, perché non lo ha mai nominato? Platone è, in generale, piuttosto parco di riferimenti diretti ad autori specifici e in questo segue una prassi già consolidata negli autori del V sec. a.C.1 Inoltre, frequentemente, critica un'idea diffusa sotto la quale raggruppa più autori perché, in un contesto dialettico, sono più importanti le idee che le persone2. Quello di Democrito (o Leucippo), tuttavia, sarebbe per Platone stesso un caso estremo. Egli infatti nomina Eraclito, Empedocle, Anassagora, Parmenide, Zenone, Melisso, i Sofisti, ma non Democrito. Platone, comunque, non menziona mai neppure Diogene di Apollonia che, secondo gli interpreti moderni, avrebbe goduto di una grande fama ad Atene tanto da essere addirittura il bersaglio delle allusioni di Aristofane nelle Nuvole3. Ora, nessuno degli antichi, si è mai chiesto perché Platone non nomini mai Diogene4. Il fatto quindi che il quesito nelle fonti antiche sia stato posto solo in relazione a Democrito, che Aristotele contrappone spesso a Platone e agli Accademici, è un indizio per scoprire l'ambiente in 1

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Erodoto, ad esempio, fa riferimento esplicito all'opera di Ecateo solo due volte (2,143; 6,137), pur alludendo spesso polemicamente a lui. Diogene di Apollonia menzionava genericamente dei Sophistai. Gli autori ippocratici sono anch'essi estremamente vaghi sull'identità dei loro avversari e solo raramente fanno dei nomi. Cf. Cambiano1986, 69ss. Su questo procedimento dialettico, v. infra, III 2. 2. 1. Questa opinione corrente va comunque ridimensionata in quanto le allusioni di Aristofane potrebbero riguardare un'ampia gamma di personaggi che sostenevano teorie simili a quelle di Diogene, cf. Orelli 1996, 94-109. Fra i moderni solo Steckel 1970, 194s. rileva questo fatto.

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cui esso si è originato. Un interrogativo che suona come una chiara polemica nei confronti di Platone si adatta perfettamente all'atmosfera del primo Peripato e in particolare alla vena antiplatonica che ne attraversa la storiografia. In questa prospettiva si inquadra il resoconto di Diogene Laerzio (9,40) risalente nel suo complesso ad Aristosseno: Platone non nomina l'Abderita, in quanto era cosciente di non poter competere col migliore dei filosofi5. Sul resoconto di Aristosseno tornerò comunque diffusamente in seguito. Per ora mi limito a segnalare che il problema del silenzio di Platone era già stato sollevato nell'antichità e che si è di volta in volta riproposto fino ai giorni nostri. Fra i moderni, Gigon (1972) ha avanzato l'ipotesi che Platone non parli di Democrito in quanto Socrate, il protagonista dei suoi dialoghi, non lo conosceva. Tuttavia le opere nelle quali si sono ravvisate allusioni alla fisica democritea, sono, oltre al Cratilo e al Teeteto, anche il Sofista e il Timeo dove il protagonista non è più Socrate. Secondo un articolo della Hammer-Jensen divenuto famoso, il Timeo rivelerebbe una recente acquisizione da parte di Platone di teorie che Aristotele attribuisce anche agli atomisti, ma si distinguerebbe soprattutto per una valutazione diversa delle concause rispetto al Fedone. Nel Timeo Platone avrebbe accettato anche una spiegazione meccanicistica della formazione del mondo legata all'ananke, pur subordinandola alla causa finale; il mondo si svilupperebbe infatti inizialmente in modo del tutto meccanico senza l'intervento del dio6. A parte le difficoltà di interpretazione della cosmogonia del Timeo (che dagli allievi di Platone in poi è sempre risultata enigmatica), c'è tuttavia da osservare che la cosiddetta concausa non è rigettata neppure nel Fedone dove (99a), come nel Timeo (46d), si afferma che essa può essere considerata solo "ciò senza il quale", cioè una condizione necessaria, ma non una vera causa. Sulla scia della Hammer-Jensen molti hanno ipotizzato che nel Timeo Platone non solo abbia preso le mosse dall'atomismo di Democrito, ma vi alluda criticamente7. Secondo Eva Sachs8 la critica alla dottrina dei quattro elementi in Ti. 48b-c sarebbe rivolta espressamente contro Democrito. Siccome in realtà la dottrina atomista diverge notevolmente da quella criticata da Platone, la Sachs era necessariamente costretta, per salvare l'ipotesi, ad attribuire forzatamente agli atomisti una dottrina dei quattro elementi mutuata da Empedocle e inserita come un corpo estraneo in quella atomista. Tutto questo sarebbe deducibile:

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Su questo punto, v. infra, § 2. Hammer-Jensen 1910, 96-105. Cf. e.g. Guthrie II, 1965, 462, 502; Stückelberger 1990, 2562. Sachs 1917, 193-221.

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Platone e Democrito

1. Dalla cosmogonia di Pseudo-Plutarco9 riportata dal Diels come leucippea, ma in realtà anonima, dove, secondo la Sachs, gli atomi giocherebbero un ruolo limitato rispetto agli elementi veri e propri. 2. Dalla cosmogonia-zoogonia riportata da Diodoro10 nella quale gli atomi non compaiono affatto. Al tempo in cui scriveva la Sachs si era imposta la visione reinhardtiana11, ormai ampiamente ridimensionata12, secondo cui la cosmogonia e la zoogonia diodorea risalirebbero, attraverso Ecateo di Abdera, a Democrito. Ora, la sicura provenienza democritea del resoconto di Diodoro non è più accettata da nessuno e il passo di Pseudo-Plutarco è di dubbia attribuzione13. In ogni caso, gli atomi, in questa cosmogonia compaiono e, semmai, è la dossografia tarda che ha mediato il resoconto ad esprimere i concetti nella propria terminologia. Un altro punto nella quale la Sachs individuava il riferimento agli atomisti, era l'ironica allusione all'ajpeiriva di chi aveva ipotizzato l'esistenza di a[peiroi kovsmoi (Ti. 55c), ma la dottrina degli infiniti mondi è attribuita dalla dossografia anche ad altri presocratici14. Dunque nessuno degli ipotetici riferimenti a Democrito nel Timeo è sicuro15 perché Platone si mantiene comunque sul generico. 9 10 11 12 13

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1,4, 878 C (67 A 24 DK; 297, 372, 383 L.). 1,7,1 (68 B 5,1 DK; 515, 572a L.). Reinhardt 1912, 492-513. Cf. in particolare Spoerri 1959. Uno status quaestionis aggiornato in Utzinger 2003, 155-167. Il discorso su questo brano è complesso e comunque esula da questo contesto. Accenno qui solo ad alcuni problemi fondamentali per l'attribuzione di questa cosmogonia: 1. La discrepanza con quella di Leucippo in Diog. Laert. 9,30 (67 A 1 DK; 382, 389 L.) secondo cui gli astri si formano per afflusso nell'aggregato sferico di atomi provenienti dall'esterno e non per espulsione dei corpuscoli più leggeri dalla massa più pesante all'interno dell'agglomerato stesso. 2. La preponderanza di elementi epicurei che aveva portato l'Usener ad inserire il brano fra le testimonianze su Epicuro (Ep. Fr. 308 Us.). Michele Psello (Theol. 23, 87,9 Gautier), in un testo che riassume lo Pseudo-Plutarco, afferma che si tratta di una cosmogonia epicurea, ma aggiunge, in una nota erronea dovuta ad un fraintendimento, che Democrito ha seguito in questo Epicuro (Epikouvreio" au{th dovxav ejstin, h|" ta;" ajrca;" diadexavmeno" oJ Dhmovkrito" to; kivbdhlon tw' n spermavtwn ej n toi'" fuomev noi" aj nevd eixen). Forse Psello ha inventato, come fa spesso, forse aveva davanti una versione dello PseudoPlutarco che esordiva con una frase del tipo: Epivkouro" kata;; Dhmovkriton filosofhvsa" (cf. Ps.-Plut. 1,3, 877 D) e ha dunque riferito ad ambedue la cosmogonia, ma ordinando Democrito dopo Epicuro. Per una attribuzione ad Epicuro anche Epiph. Adv. haer. 1,8,1, 186,12 Holl. Solo Herm. Irris. 12 (67 A 17 DK; 306, 373 L.) riporta questa cosmogonia a Leucippo. Cf. la sezione Peri; kovsmou presso Stob. 1,22,3 (Dox. 327; 12 A 17 DK; 352 L.) che enumera insieme a Leucippo e Democrito anche Anassimandro, Anassimene, Senofane, Diogene di Apollonia e Archelao. Per Diogene di Apollonia, cf. anche [Plut.] Strom. 12 (64 A 6 DK); Diog. Laert. 9,54 (64 A 1 DK). Sulla confutazione della Sachs riguardo a questo punto e ad altri menzionati sopra, cf. Sinnige 1968, 184-187. Per altre possibili allusioni, cf. Morel 2003, 138ss. il quale si mostra tuttavia molto cauto sulla loro reale portata.

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Per quanto riguarda altri dialoghi, Haag16 ha, ad esempio, voluto vedere in certe etimologie del Cratilo e in una certa metodologia di scomposizione e di analisi delle parole, l'influsso di una concezione atomista. Platone l'avrebbe solo riecheggiata, ma non affrontata direttamente in quanto egli si rivolgeva a dei lettori che non conoscevano i testi democritei, ma solo quelli di Anassagora e di quegli "Eraclitei" che ad Atene andavano per la maggiore. Singoli accenni come l'accusa contro Anassagora di aver utilizzato delle teorie astronomiche antiche, la stessa che Apollodoro attribuiva a Democrito17, o l'etimologia di gunhv come gonhv (Crat. 414a), che è anche democritea18, sono sì interessanti, ma rimandano probabilmente a opinioni diffuse e non attribuibili specificamente ad un solo autore. Haag, seguito poi da altri19, vedeva un'allusione a Democrito anche nella teoria dei komyovteroi del Teeteto (156a), secondo cui le sensazioni non hanno una loro essenza specifica, ma sono il prodotto temporaneo dell'incontro di due dunavmei" provenienti rispettivamente dall'oggetto sensibile e dal soggetto senziente. Haag vedeva una conferma nel fatto che ai sostenitori di queste tesi viene attribuita una concezione corpuscolarista. Tutto: l'uomo, la pietra e ogni essere vivente, sarebbe costituito da aggregati. A prescindere dal fatto che le teorie esposte nel passo sembrano avvicinarsi maggiormente a quelle dei cirenaici20, si potrebbe obiettare che, se c'è una allusione a Democrito nel Teeteto, non è da individuarsi nelle tesi dei komyovteroi, bensì in quelle di coloro che considerano sostanze solo i corpi e ciò che si può afferrare con le mani21. Tali individui vengono infatti designati con termini che sembrano ricordare le proprietà degli atomi democritei: sklhroi; kai; ajntivtupoi. Richiama ancora le cosmogonie atomiste che fanno nascere il mondo ajpo; taujtomavtou l'affermazione ironica di Teodoro secondo cui i cosiddetti Eraclitei non sono allievi di nessuno, "ma spuntano spontaneamente da dove capita" (180c ajll aujtovmatoi ajnafuvontai oJpovq en a]n tuvchi). Tuttavia la caratterizzazione di costoro come "ispirati" e critici gli uni nei confronti degli altri fa pensare piuttosto ai dibattiti sofistici e all'immagine degli agoni retorici descritti nell'Encomio di Elena di Gorgia22 che agli atomisti. L'allusione sembra coinvolgere più 16 17 18 19 20

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Haag 1933. Apollod. ap. Diog. Laert. 9,34s. (68 B 5 DK; 159 L.). 68 B 122a DK; 567 L. Haag 1933, 60ss. Su questa linea anche Guthrie V, 1978, 78. Cf. Natorp 1884, 24s. n. 1. Zeller, scettico su questo punto dalla prima alla quarta edizione della sua Philosophie der Griechen, nella quinta edizione del 1892 (I. 2, 1098) accetta anch'egli questa tesi. Per una storia di questa interpretazione e di quella contraria che invece nega il riferimento ad Aristippo e ai Cirenaici, cf. Giannantoni 1968, 129-45. Cf. anche Friedländer, III, 1975, 144. Theaet. 155e. Si tratta di una tesi sostenuta a suo tempo da Duemmler 1882, 58. 82 B 11 (13) DK.

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Platone e Democrito

personaggi catalogabili tutti sotto la denominazione generale di Eraclitei. Come nella famosa gigantomachia del Sofista (245e) che sarà esaminata più dettagliatamente in seguito, anche qui Platone non vuole probabilmente alludere a nessuno in particolare, ma piuttosto a tendenze generali23. I passi platonici suggeriscono in ogni caso che, nella cerchia dei cosiddetti Eraclitei, e in generale nella fisica di fine V sec. a.C., tesi corpuscolariste erano molto più diffuse di quanto si pensi. Non è da escludere che anche coloro che si richiamavano a Cratilo sostenessero dottrine di questo genere: nel Fedro, l'etimologia di i{mero", che riecheggia quelle del Cratilo, è basata proprio sullo scorrere di particelle dall'oggetto all'occhio e sulla loro azione materiale sull'anima24. Un testo molto indicativo in questo senso è anche il gorgiano Encomio di Elena. Gorgia presenta il logos non come qualcosa di incorporeo e immateriale, ma come un corpuscolo piccolissimo e invisibile che produce azioni divine25 e provoca una alterazione dell'anima, sia nel bene che nel male, agendo su di essa come una medicina agisce sul corpo. Anche se la data di composizione dell'Encomio è incerta26 e non si può escludere a priori che Gorgia sia stato influenzato dall'opera di Leucippo27, è più probabile che abbia egli stesso elaborato indipendentemente dottrine corpuscolariste come potrebbero aver fatto anche i seguaci di Cratilo. Sulle allusioni del Sofista ai materialisti, mi soffermerò in seguito. Per quanto riguarda poi il passo del decimo libro delle Leggi (889a-890a) che, per alcuni28, costituirebbe una sicura allusione a Democrito, valgono le controosservazioni già elaborate dal Sinnige e da altri29: se è vero che la terminologia della prima parte, la menzione di teorie che fanno nascere il 23

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Friedländer III, 1975, 144 sostiene una posizione estrema, secondo cui Platone non solo non vorrebbe alludere a nessuna dottrina specifica, ma si costruirebbe un avversario non filosofo con cui è impossibile ogni forma di discussione. Se tuttavia le posizioni descritte da Platone si avvicinano in qualche modo alla tendenza eracliteggiante, è piuttosto improbabile che egli voglia dirigersi semplicemente contro un "non filosofo". Inoltre risulta chiaro da Theaet. 152d che Platone cerca di inglobare sotto la denominazione di Eraclitei il maggior numero possibile di predecessori: tutti i sapienti, tranne Parmenide, sarebbero infatti d'accordo sul fatto che tutto diviene e nulla è mai. In questa schiera vengono annoverati non solo Protagora ed Eraclito, ma anche Omero ed Epicarmo. Phaedr. 251c ejkei'qen mevrh ejpiovnta kai; rJevo nt—a} dia; dh; tau'ta i{mero" kalei'tai. 82 B 11 (8) DK lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o}" smikrotavtwi swvmati kai; ajf anestavtwi qeiovtata e[rga ajpotelei'. In ogni caso difficilmente cade dopo il 415 a.C. in quanto le Troiane di Euripide, rappresentate in quell'anno, ne presuppongono la conoscenza. Cf. Mazzara 1984, 133. Per la bibliografia su questo punto, cf. Ferwerda 1972, 359 n. 1 che accetta l'ipotesi di un'influenza indiretta delle tesi atomiste su Platone. Cf. Sinnige 1968, 199, il commento ad loc. di England 1921 e Tate 1936, 48-54. Anche Furley 1987, 173 sottolinea la difficoltà di individuare gli atomisti come obiettivo dell'attacco platonico. Una pluralità di personaggi fra cui, ma con molte riserve, potrebbe essere compreso anche Democrito, indica Zeppi, 1989, 209-214.

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mondo fuvsei kai; tuvchi ricorda le definizioni della cosmogonia democritea presso Aristotele, la seconda parte (in particolare 889e-890a) allude chiaramente a tesi sofistiche. Inoltre, la dottrina dei quattro elementi, attribuita a questi nuovi sapienti, porta ad escludere che Platone pensi agli atomisti. Partendo dunque dai dialoghi platonici non si può evincere alcuna notizia certa di un suo riferimento diretto a questi ultimi30.

2. Democrito e Platone nella tradizione biografica Forse più indicative, nonostante la loro marcata partigianeria, sono le notizie biografiche frequentemente liquidate come inattendibili31. Tali indicazioni, per lo più di carattere aneddotico, sono spesso, dal punto di vista della verità storica, contraffazioni, ma, nei particolari, riportano all'ambiente in cui sono sorte e al fine per cui sono state concepite, due elementi fondamentali per inquadrare la ricezione di un autore. Nel caso del rapporto Platone/ Democrito è importante un aneddoto che fa entrare in scena anche Socrate. Diogene Laerzio riporta di seguito tre notizie di diversa provenienza, ma strettamente collegate una all'altra sui rapporti (o non-rapporti) fra Socrate e Democrito: 1. Secondo Demetrio di Magnesia (I sec. a.C.), Democrito sarebbe stato ad Atene, ma non si sarebbe preoccupato di farsi conoscere, poiché disprezzava la fama. Egli avrebbe conosciuto Socrate, ma questi lo avrebbe ignorato. Demetrio riporta a questo proposito la famosa frase "sono venuto ad Atene e nessuno mi ha riconosciuto"32. 2. Trasillo sostiene invece che sarebbe proprio Democrito il personaggio anonimo al quale Socrate, nel dialogo I rivali in amore sulla cui autenticità, però, Trasillo stesso nutre dubbi, dice che il filosofo è un pentatleta33 in quanto veramente Democrito avrebbe sperimentato tutti i campi della filosofia, della matematica, della ejgkuvklio" paideiva e delle technai34. 30

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Questa è anche la conclusione di Sinnige 1968, 187. Ferwerda 1972, 359 giudica molto probabile la conoscenza degli atomisti da parte di Platone nonostante riconosca che nei dialoghi platonici non si incontrano sicure allusioni. Cf. ora per una posizione critica e bilanciata nei confronti delle presunte allusioni platoniche a dottrine democritee Morel 2003. Un esempio tipico di questo scetticismo che riduce tutta la tradizione aneddotica sui rapporti Socrate/ Democrito e Platone/ Democrito ad un gioco di deduzioni di Diogene Laerzio o a semplici topoi biografici è Chitwood 2004, 100-102. Dem. Magn. ap. Diog. Laert. 9,36 (68 B 116 DK; XXIV L.). [Pl.] Amat. 136a. Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,37 (68 A 1 DK; 493a L.). In realtà Socrate nel dialogo si rivolge ad un giovane ateniese che si atteggia a filosofo polymathes e mette in discussione proprio attraverso la similitudine col pentatleta la concezione della filosofia come polymathia.

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Platone e Democrito

3. Demetrio Falereo, a sua volta, nell'Apologia di Socrate, affermava che Democrito non era mai stato ad Atene35. Queste tre notizie, riportate da Diogene senza alcun legame apparente, sono tuttavia implicitamente collegate in quanto la seconda e la terza costituiscono due risposte alternative alla prima. La notizia di Demetrio di Magnesia, al di là dell'autenticità letterale della frase democritea, mette in risalto soprattutto la modestia di Democrito, ma getta nel contempo un'ombra sulla figura di Socrate il quale risulta per lo meno sprezzante per non aver neppure preso in considerazione un così grande personaggio. Il sospetto che questo aneddoto sia piuttosto antico e possa derivare da una fonte peripatetica, quale ad esempio Aristosseno, interessata ad una svalutazione di Platone e del suo maestro, è per lo meno legittimo: la frase di Democrito sarebbe in perfetta sintonia con una dimostrazione dell'arroganza socratica36. Le altre fonti, contemporanee o posteriori a Demetrio, riportano in effetti la stessa notizia senza alcun accenno a Socrate37. La terza informazione confuta l'ipotesi che Democrito sia mai stato ad Atene. Il fatto che risalga a Demetrio Falereo (il quale tende sistematicamente a sminuire l'importanza di Atene a causa delle sue vicende personali) e che comparisse nell'Apologia di Socrate suggerisce che l'autore la riportava per rimuovere ogni ombra dalla figura di Socrate: questi non conosceva Democrito non perché, per arroganza, non lo avesse neppure preso in considerazione, ma perché quest'ultimo non era mai stato ad Atene38. Trasillo doveva conoscere l'aneddoto riportato da Demetrio di Magnesia e potrebbe averlo addirittura citato nella sua introduzione alla lettura di Democrito perché la sua suona come una risposta implicita a quelle affermazioni: Socrate e Platone conoscono Democrito e lo stimano. Tuttavia il fatto che Trasillo, il quale aveva redatto il catalogo delle opere

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Dem. Phaler. Fr. 93 Wehrli (Diog. Laert. 9,37) (68 A 1 DK; XXV, 493a L.). Aristosseno aveva fornito di Socrate un quadro non propriamente edificante descrivendolo come incontinente, collerico e ignorante, cf. Fr. 52b; 54a-b; 56 Wehrli. Cic. Tusc. 5,36,104 (68 B 116 DK; XXIV L.); Val. Max. 7,7 ext. 4 (68 A 11 DK; XXIV L.); cf. anche l'allusione anonima in Antonin. 7,67 livan ejndevcetai qei'on a[ndra genevsqai kai; uJpo; mhdeno;" gnwrisqh'nai. Gigon 1972, 155 sostiene che Demetrio Falereo o non conosceva la presunta frase di Democrito, o la emarginava come invenzione. Il fatto che Demetrio negasse la presenza di Democrito ad Atene proprio nell'Apologia di Socrate rende tuttavia più probabile la seconda soluzione. Non solo egli conosceva la frase, ma sapeva che era finalizzata ad una svalutazione della figura di Socrate.

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platoniche, abbia fatto ricorso ad un dialogo della cui autenticità dubitava 39 significa che non aveva trovato in nessun altro possibili riferimenti a Democrito. E veniamo ora all'aneddoto principale sui rapporti fra Platone e Democrito riportato da Diogene Laerzio Aristosseno nei Commentari storici, dice che Platone voleva bruciare tutti gli scritti di Democrito che si potessero raccogliere, ma i Pitagorici Amicla e Clinia glielo impedirono dicendo che non serviva a nulla: infatti i libri erano già nelle mani di molti. Ed è chiaro: infatti Platone, che fa menzione di quasi tutti gli antichi, non nomina da nessuna parte Democrito, ma neppure laddove dovrebbe confutarlo, chiaramente sapendo che dovrebbe misurarsi col migliore dei filosofi40.

Tre sono i problemi principali posti dal testo di Diogene: 1. La diversità di stile, indiretto fino a bibliva e poi diretto da kai; dh'lon de; ha fatto pensare che solo la prima parte del resoconto provenga da Aristosseno. Gigon sostiene che sarebbe costruita sul modello del rogo dei libri di Protagora da parte degli Ateniesi. Platone, che nel decimo libro delle Leggi si era scagliato contro i filosofi empi, avrebbe voluto punire con l'annientamento dei libri l'empietà di non ben precisate affermazioni democritee. La seconda parte, invece, riguarderebbe il giudizio sul valore filosofico di Democrito, l'unico a potersi contrapporre a Platone41. 2. Se si ammette, con Wehrli e Bollack42 che si tratti invece di un blocco compatto proveniente da Aristosseno e che faccia parte di un gruppo di storielle sui plagi di Platone, la seconda parte non sarebbe armonizzata con la prima. Infatti l'accusa di plagio contrasterebbe con l'assenza di Democrito nell'opera platonica. 3. Enigmatico è poi il richiamo ai Pitagorici. Wehrli e Bollack hanno cercato di integrarlo nel motivo del plagio: i Pitagorici avrebbero impedito la distruzione dei libri, testimonianza del plagio di Platone, memori di 39

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Il valore ipotetico di ei[per è stato messo ultimamente in dubbio da Mansfeld 1994, 100 il quale traduce con "because". Cf. tuttavia le convincenti controargomentazioni di Tarrant 1995, 150s. Aristox. Fr. 131 Wehrli (Diog. Laert. 9,40) (68 A 1 DK; LXXX L.) Aristovxeno" dæ ejn toi'" ÔIstorikoi'" uJpomnhvmasiv fhsi Plav twna qelh's ai sumflevxai ta; Dhmokrivtou suggravmmata, oJpovsa ejdunhvqh sunagagei' n, Amuvklan de; kai; Kleinivan tou; " Puqagorikou;" kwlu's ai aujtov n, wJ" oujde; n o[felo": para; polloi'" ga;r ei\nai h[dh ta; bibliva. kai; dh'lon dev: pav ntwn ga;r scedo;n tw'n ajrcaivwn memnhmev no" oJ Plav twn oujd amou' Dhmokrivtou diamnhmoneuvei, ajllæ oujdæ e[ nqæ aj nteipei' n ti aujtw'i devoi, dh'lonãovtià eijdw;" wJ" pro; " to;n a[riston auj tw'i tw'n filosovfwn ãoJ ajgw; nà e[soito. Accetto il testo canonico, mantenuto anche nell'ultima edizione di

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Diogene Laerzio del Marcovich, che presenta alcune correzioni, ma necessarie, contro l'inverosimile mantenimento del testo dei Mss. proposto da Bollack 1967, 243s. (dh'lon eijdw;" wJ" pro;" to; n a[riston ou{tw tw'n filosovfwn e[soito. Sachant de toute évidence que quand il répondait au meilleur, il serait de cette manière parmi les philosophes). 1972, 153s. Wehrli 1967, II, ad loc., 87; Bollack 1967, 243s.

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quello subito dalla loro setta43. Gigon lascia in sospeso la questione dichiarando enigmatica la loro presenza. Il problema sintattico e quello della coerenza contenutistica dell'aneddoto possono essere chiariti attraverso il confronto con altri passi di Diogene Laerzio. In un passo della vita di Platone ricompare infatti il quesito del perché il filosofo non abbia menzionato Democrito. Il brano offre una lista di "invenzioni" platoniche: Platone è stato il primo ad aver introdotto nella filosofia il metodo dialettico, il primo ad aver usato termini specifici come "elemento", "qualità", "dialettica", il primo ad aver studiato le potenzialità della grammatica e, avendo egli per primo parlato contro quasi tutti i suoi predecessori, ci si chiede perché non abbia ricordato Democrito44. Questa lista risale a Favorino (II sec. d.C.), ma non è certamente inventata da lui perché una variante della stessa viene riportata anche dall'autore dei Prolegomena alla filosofia platonica45 e singole "invenzioni" platoniche sono nominate anche da altri46. Favorino si è rifatto verosimilmente ai Peripatetici di cui, a detta di Plutarco47, era un fervido ammiratore. L'immagine di Platone come prw'to" euJrethv" e "rinnovatore" della filosofia circolava infatti sicuramente in ambito peripatetico, ma era seguita talvolta da un giudizio negativo. Mentre infatti Eudemo aveva attribuito a Platone l'introduzione di stoicei'on come termine tecnico per "elemento", la fondazione di una nuova astronomia e, probabilmente, anche di una nuova matematica48, Dicearco lo aveva definito nel contempo rinnovatore e distruttore della filosofia in quanto, con il suo stile raffinato, avrebbe creato una "moda" (la forma del dialogo) che allontanava dalla vera filosofia (le ricerche specialistiche del Peripato)49. I Peripatetici accettavano evidentemente alcuni assunti sviluppati dagli allievi di Platone sulle innovazioni del maestro, ma ne mettevano in luce 43

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49

Wehrli 1967, II, ad loc. 87; Bollack 1967, 242s. Wehrli si limita a formulare l'ipotesi, Bollack interpreta invece sunagagei'n come "comprare" forzando il testo. La storia sarebbe collegata con quella del famoso plagio del libro di Filolao, cf. Burkert 1972, 223ss. Diog. Laert. 3,24 (LXXX L.) prw'tov" te ajnteirhkw;" scedo;n a{pasi toi'" pro; aujtou', zhtei'tai dia; tiv mh; ejmnhmov neuse Dhmokrivtou. Anon. Proleg. 5,1-46. Cf. Barigazzi 1966, 219-20; Riginos 1976, 188. Quaest. conv. 734 F. Per il primo punto, cf. Eudem. Fr. 31 Wehrli, Burkert 1958, 174. Per l'astronomia, Eudem. Fr. 148 Wehrli. Per la matematica, Eudem. Fr. 133 Wehrli. In Index Acad. P. Herc. 1021, col. Y, nel quale Platone viene presentato come l'ispiratore di tutti i progressi compiuti dalla matematica nell'Accademia, sono state fatte ipotesi diverse sulle fonti, ma il parallelismo con la funzione attribuita a Platone da Eudemo nello sviluppo dell'astronomia ha fatto propendere Gaiser 1988, 347 per Eudemo mediato da Dicearco. Cf. anche Dorandi 1991, 207s. Ap. Philod., Index Acad. P. Herc. 1021, col. I. Che il testo riporti le parole di Dicearco ha sostenuto Gaiser 1988, 314; cf. anche le considerazioni di Burkert 1993, 25s.

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polemicamente anche i lati negativi. Nella vita di Platone di Diogene Laerzio si avverte un'eco di quella tradizione, epurata dalle polemiche perché mediata da Favorino, un Accademico. Il quesito della non menzione di Democrito da parte di Platone viene posto in modo neutrale come tema di ricerca (zhtei'tai dia; tiv). Nel brano della vita di Democrito, invece, l'aggressività antiplatonica è ancora tutta presente e ben evidenziata e non può risalire né a Diogene stesso, che non mostra mai particolare avversione nei confronti di Platone, né tantomeno al pitagorico platonizzante Trasillo. Neppure l'aristotelismo tardo raggiunge punte polemiche così aspre nei confronti di Platone. Dunque anche la seconda parte del brano, che spiega il perché Platone non abbia mai menzionato Democrito, deve risalire ad Aristosseno. L'improvvisa variazione di stile da diretto a indiretto senza soluzione di continuità non è d'altra parte un problema in Diogene: la si ritrova infatti anche nell'aneddoto immediatamente precedente, derivato da Antistene di Rodi50. E' probabile che anche il brano di Aristosseno sia stato mediato da Trasillo. La sua identificazione del personaggio anonimo dei Rivali in amore con Democrito è infatti anche una risposta indiretta a chi attaccava Platone e Socrate facendo perno sulla mancanza di accenni a Democrito nelle opere platoniche. Per quanto riguarda invece l'argomento di Gigon, che ipotizza una provenienza diversa delle due parti del brano di Diogene Laerzio vedendo nella prima una condanna morale di Democrito da parte di Platone, nella seconda un giudizio filosofico, si può osservare quanto segue: l'aneddoto sul rogo dei libri democritei difficilmente è stato costruito sulla tipologia del rogo di quelli di Protagora per due motivi. Quest'ultimo risulta infatti una misura pubblica con valenza politica (sarebbe stato infatti decretato dagli Ateniesi) ed è difficilmente trasferibile ad una vicenda privata (non esistono nell'aneddotica antica altri esempi di simili proiezioni). Inoltre sarebbe stato anacronistico rappresentare un Platone che vuole distruggere per la sua empietà unicamente i libri di Democrito, quando avrebbe avuto davanti altri esempi di presunti atei quali Protagora, Crizia o Prodico citati spesso come tali nella tradizione successiva51. Dunque non ci sono motivi per separare il brano di Diogene Laerzio in due parti e ci 50

Diog. Laert. 9,39 (FGrHist 508 F 14) ejlqovnta dhv fhsin (scil. oJ Antisqevnh") aujto;n ejk th'" ajpodhmiva" tapeinovtata diav gein, a{te pa'san th; n ouj sivan katanalwkovta: trevfesqaiv te dia; th;n ajporivan ajpo; tajdelfou' Damavsou. wJ" de; proeipwvn tina tw'n mellovntwn eujdokivmhse, loipo;n ejnqevo u dovxh" para; toi'" pleivstoi" hjxiwvqh.

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Per Protagora, cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,56 (80 A 12 DK). Per Crizia, cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,54 con la citazione dei versi del Sisifo (88 B 25 DK). Per Prodico Sext. Emp. Adv. Math. 9,51; cf. anche 9,18 (84 B 5 DK). Queste accuse di empietà sono comunque nella maggioranza dei casi un topos letterario.

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sono invece buone ragioni per riportarlo nella sua globalità ad Aristosseno. Se tutto il resoconto risale a lui, il fatto che Democrito sia assente dall'opera platonica, porta ad escludere il motivo del plagio52 come movente del desiderio di Platone di bruciarne i libri. Il tono antiplatonico del brano e la ricezione aristotelica di Democrito in funzione antiplatonica e antiaccademica suggeriscono invece un'altro motivo: Platone vuole toglierli dalla circolazione perché li avverte come un pericolo per il suo prestigio anche e soprattutto all'interno della sua scuola. Un punto fondamentale per la comprensione e la contestualizzazione del racconto è costituito dall'enigmatica figura dei due "Pitagorici" i cui nomi non sono fatti a caso. Clinia è un personaggio citato anche altrove da Aristosseno come modello di vita pitagorica53 e Amicla, soprattutto, non è un pitagorico qualsiasi, ma uno dei fedelissimi discepoli di Platone. Amicla di Eraclea nel Ponto era annoverato da Eudemo54, fra quei platonici che avevano portato la geometria ad una maggiore perfezione. Una variante del nome, “Amuklo", dovuta probabilmente ad una corruttela del testo, ma con la stessa indicazione toponomastica, ÔHraklewvth", si trova nel catalogo dei discepoli di Platone in Diogene Laerzio (3,46). Amicla compare inoltre come fedele discepolo del vecchio Platone, accanto a Speusippo e Senocrate, in un aneddoto di parte accademica nel quale viene sottolineata l'arroganza di Aristotele e i suoi tentativi di mettere in difficoltà il vecchio maestro, rintuzzati poi da Senocrate. Aristotele non era amato da Platone per il suo comportamento e la sua eleganza troppo raffinata e disdicevole per un filosofo. Il maestro quindi gli preferiva Speusippo, Senocrate e Amicla. Durante un'assenza di Senocrate ed essendo Speusippo malato e impossibilitato ad accompagnarlo, Platone uscì nel peripato esterno della scuola senza i discepoli più fedeli. Aveva già ottant'anni e una memoria ormai piuttosto labile. Aristotele gli si fece incontro e, postoglisi dinanzi, cominciò a tendergli dei trabocchetti e a porgli delle domande con un ben determinato intento confutatorio. Platone, comprendendone lo scopo, si ritirò all'interno. Quando Senocrate ritornò, non lo trovò più ad insegnare nel peripato dove l'aveva lasciato; al suo posto c'erano Aristotele e i suoi seguaci. Senocrate notò che quest'ul52

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Accuse così velate non sono, del resto, nello stile di Aristosseno, il quale rinfacciava apertamente a Platone di aver copiato di sana pianta la Repubblica dagli Antilogici di Protagora (Fr. 67 Wehrli). Aristox. Fr. 30 Wehrli, da Spintaro che aveva conosciuto direttamente anche Socrate (Fr. 54a Wehrli). Clinia è menzionato anche da un altro peripatetico, Chamaileon (Fr. 4 Wehrli). Eudem. Fr. 133 Wehrli che lo designa specificamente come ei|" tw'n Plavtwno" eJtaivrwn distinguendolo ad esempio da Menecmo, allievo di Eudosso, che aveva solo "frequentato" Platone (Plavtwni suggegonwv").

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timo, terminato il suo insegnamento, non rientrava presso il maestro, ma se ne andava a casa propria, in città. Chiese dunque notizie di Platone e apprese che questi, costretto da Aristotele a ritirarsi, teneva ora scuola nel suo giardino. Senocrate andò a salutarlo e lo trovò che dialogava con i suoi numerosi discepoli. Quando il raduno si sciolse, rimproverò Speusippo per aver lasciato cacciare il maestro e poi affrontò Aristotele in modo così deciso che riuscì ad estrometterlo e a restituire a Platone la sua sede usuale55. Questo aneddoto presenta due gruppi contrapposti: da una parte Platone e i suoi fedeli discepoli che, in assenza di Senocrate, non riescono ad opporsi con sufficiente energia all'arroganza di Aristotele; dall'altra lo Stagirita con una buona schiera di seguaci che assume un atteggiamento di sfida nei confronti del vecchio maestro. Se si inserisce l'aneddoto di Aristosseno su Platone e Democrito nell'atmosfera dell'Accademia negli ultimi anni di Platone, come indica la presenza di Amicla, correlato con questo periodo della sua vita, e lo si inquadra nel clima di crescente rivalità fra Platone e i suoi fedelissimi e Aristotele e il suo gruppo56, i particolari del racconto acquistano un loro valore funzionale. I libri di Democrito, da un punto di vista peripatetico, costituiscono un oggetto destabilizzante per il prestigio platonico: Aristotele li usa ripetutamente nella sua opera in funzione antiplatonica. Aristosseno attribuisce dunque a Platone il desiderio di bruciarli come un ultimo tentativo di salvare il suo prestigio compromesso insinuando nel contempo malignamente che Platone non ha mai fatto cenno a Democrito, anche quando avrebbe dovuto contrapporglisi, per mancanza di validi argomenti. L'aneddoto riportato da Eliano presenta lo stesso atteggiamento rinunciatario di Platone di fronte alla pressione della dialettica aristotelica. Davanti ad Aristotele e, metaforicamente, davanti a Democrito, il vecchio Platone si ritira. La presenza di Amicla e Clinia, soprattutto in un autore come Aristosseno che ha dedicato a Pitagora e ai Pitagorici diverse opere, e ne ha conosciuti alcuni di persona, non deve stupire. Il loro atteggiamento è quello di chi conosce i libri di Democrito e il loro impatto, ma anche di chi cerca di preservare un autore a loro vicino. La tradizione che collega Democrito ai Pitagorici è infatti molto antica e contemporanea al filosofo stesso: secondo Glauco di Reggio era infatti discepolo di un non ben precisato

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Ael. Var. hist. 3,19 (Xenocr. Fr. 11 IP; Arist. T 36 Düring). Sulla correlazione di questo passo con quella serie di rappresentazioni dell'Accademia negli ultimi anni della vita di Platone che compaiono nell'Index Academicorum e che risalgono alla generazione degli immediati allievi di Platone o di Aristotele, cf. Burkert 1993, 18ss. Per ulteriori aneddoti biografici sui rapporti fra Platone e Aristotele, cf. Düring 1957; Swift-Riginos 1976.

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pitagorico57. Ecfanto, un Pitagorico contemporaneo di Platone, aveva sostenuto tesi chiaramente atomiste58. E' probabile che anche alcune interpretazioni pitagorizzanti di Democrito che emergono di tanto in tanto in Aristotele siano influenzate da questa ricezione "pitagorica". Dal resoconto di Aristosseno si possono trarre dunque alcune indicazioni: 1. egli non intravvedeva evidentemente nei dialoghi platonici alcuna esplicita presenza di Democrito né attribuiva a Platone una diretta utilizzazione delle dottrine atomiste ai fini dell'elaborazione del Timeo. Se infatti avesse individuato nel dialogo delle affinità con l'atomismo, non avrebbe certamente risparmiato a Platone delle accuse esplicite di plagio. 2. L'atmosfera e i personaggi dell'aneddoto rimandano agli ultimi anni della vita di Platone. La ricezione di Democrito coinvolge soprattutto i suoi allievi. Sono infatti principalmente loro, sia quelli favorevoli, come Clinia e Amicla, che quelli ostili al maestro, come Aristotele, a prendere posizione sull'opera democritea. Queste considerazioni trovano conferma anche nell'opera aristotelica dove Platone e Democrito vengono spesso confrontati, ma mai posti in un rapporto di dipendenza diretta. Mentre Aristotele dice chiaramente che Platone ha ripreso la dottrina pitagorica sostituendo unicamente il termine mimesi con metessi59, pone la relazione fra Platone e Democrito (o Leucippo) sempre e solo a livello tipologico, mai genetico. Particolarmente significativo a questo proposito risulta il confronto di due brani della Metafisica: A 6, 987a 29ss. e M 4, 1078b 12ss. Se è vero che i problemi posti dalla cronologia delle opere aristoteliche sono insolubili e che è difficile datare i libri dei vari trattati, nessuno mette tuttavia in dubbio che il secondo passo sia una rielaborazione del primo60. In Metaph. A 6, 987a 29ss. Aristotele traccia le linee della nascita della dottrina platonica dell'uno e della diade: essa risulterebbe dalla confluenza di tre tradizioni, quella eraclitea, quella socratica e quella pitagorica. Dagli Eraclitei Platone avrebbe mutuato la concezione del continuo scorrere del sensibile e della conseguente impossibilità di conoscere qualcosa su di essi, da Socrate, interessato unicamente all'etica, la ricerca dell'universale e della definizione, vale a dire la dottrina delle idee, dai Pitagorici, invece, il concetto di 57

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Diog. Laert. 9,38 (68 A 1 DK; XVII, 154 L.). La notizia di Duride di Samo (FGrHist 76 F 23; 154 L.), secondo cui Democrito era allievo di Arimnesto figlio di Pitagora è da spiegarsi probabilmente come un tentativo di individuazione di questo generico pitagorico cui allude Glauco. 51 1 DK (Hippol. Ref. 1,15); 51 2 DK (Aet. 1,3,19 [Stob. 1,10,16a]); 51 4 DK (Aet. 2,3,3 [Stob. 1,21, 6a]). Metaph. A 6, 987b 10ss. Cf. Annas 1976, 154 con riferimenti bibliografici.

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partecipazione dei sensibili alle idee e l'idea del numero come principio. In questo contesto non compare nessuna menzione di Democrito o di Leucippo, anzi, poco prima, Aristotele sottolinea come solo i Pitagorici, fra i presocratici, abbiano "cominciato a parlare di essenza e a definirla" anche se lo hanno fatto in maniera troppo semplicistica61. Egli utilizza qui, soprattutto per sottolineare la dipendenza di Platone dai Pitagorici, uno schema canonico, probabilmente già accademico, concepito per presentare la dottrina platonica come compendio e culmine di tutte le ricerche precedenti62. Il fatto che Democrito non compaia affatto, significa che Aristotele non vedeva fra la dottrina democritea e quella platonica alcun rapporto genetico né tantomeno un influsso diretto dell'una sull'altra, influsso che invece egli espressamente ribadiva nel caso dei Pitagorici. In Metaph. M 4, 1078b 12ss. Aristotele ripropone lo stesso schema per giustificare la nascita della dottrina delle idee. Questa ha le sue radici nella fusione della dottrina eraclitea del continuo scorrere del sensibile e dell'impossibilità di averne conoscenza con quella socratica della definizione dell'universale ricercata attraverso la dialettica. Fra i fisici Democrito (con il tentativo di definizione del caldo e del freddo) e, prima di lui, i Pitagorici (definendo alcuni concetti per mezzo di numeri) avrebbero solo sfiorato in qualche modo il problema della definizione dell'essenza63. Si tratta di una seconda fase di sviluppo dello schema, come si può dedurre dal richiamo alla precedenza dei Pitagorici su Democrito nella definizione dell'essenza. Quest'ultimo viene dunque inserito in uno schema già preesistente, ma in una prospettiva ben lontana da una parentela genetica. La stessa tipologia del confronto a posteriori, con gradazioni che vanno dal parallelismo neutrale all'utilizzazione polemica della dottrina atomista contro quella platonica, si incontra costantemente nell'opera aristotelica. Mi limiterò a far riferimento ai brani senza affrontare la spinosa questione della differenza fra Leucippo e Democrito che porterebbe troppo lontano dal tema centrale. Si può qui solamente osservare che, in effetti, il nome di Leucippo compare senza quello di Democrito per lo meno in un testo considerato molto antico come il libro L della Metafisica. Il confronto è neutrale, Leucippo e Platone si trovano appaiati e posti 61

Metaph. A 5, 987a 20-21 peri; tou' tiv ejstin h[rxanto me;n levgein kai; oJrivzesqai, livan d aJplw'" ejpragmateuvqhsan.

62

Lo schema presenta infatti la dialettica platonica come sintesi e superamento delle ricerche precedenti distinte in fisica ed etica, uno schema che persiste nella tradizione platonica e che ritroviamo nella vita di Platone di Diogene Laerzio (3,56) ou{tw" kai; th'" filosofiva" oJ

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lovgo" provteron me;n h\n monoeidh;" wJ " oJ fusikov", deuvteron de; Swkravth" prosevqhke to; n hjqikovn, trivton de; Plav twn to;n dialektiko; n kai; ejtelesiouvr ghse th;n filosofivan. Metaph. M 4, 1078b 19 tw'n mevn ga;r fusikw'n ejpi; mikro;n Dhmovkrito" h{yato movnon kai; wJrivsatov pw" to; qermo;n kai; to; yucrovn: oiJ de; Puqagovr eioi provteron periv tinwn ojlivgwn, w|n tou;" lovgou" eij" tou; " ajriqmou;" aj nh'pton, oi|on tiv ejsti kairo;" h] to; divkaion h] gav mo".

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sullo stesso piano per aver assunto l'eternità del movimento64 (Aristotele si riferisce qui al movimento disordinato della Chora nel Timeo65). Il solo Leucippo come rappresentante dell'atomismo compare un'altra volta nell'opera aristotelica e precisamente in De generatione et corruptione A 866, che verrà esaminato dettagliatamente nel terzo capitolo. In questo testo, che si inserisce nella trattazione dell'agire e del patire, Aristotele sottolinea, senza commenti particolarmente polemici, le similarità e le differenze fra la dottrina dei triangoli e quella dei corpi indivisibili. Platone si differenzia da Leucippo per il fatto che pone come indivisibili delle superfici invece che dei solidi, e perché assume forme prime limitate invece che infinite e ammette inoltre che la generazione e la separazione avvengano solo attraverso il contatto mentre Leucippo le fa avvenire attraverso il contatto e il vuoto (325b 25-33)67. Per il resto ambedue pongono dei principi indivisibili e definiti dalla forma. Più apertamente polemici sono invece altri confronti riguardanti i principi del mondo sensibile come in De gen. et corr. A 2. Qui infatti Aristotele prende posizione, pur rilevandone l'incongruenza, a favore delle tesi degli atomisti contro Platone. La divisione fino alle superfici è assurda, quella fino ai corpi, pur essendo anch'essa poco conforme a ragione, ha comunque il merito di giustificare la genesi e il cambiamento ipotizzando delle differenze di figura di posizione e di ordine dei corpuscoli. Invece quelli che mettono insieme dei triangoli possono ottenere solo dei solidi, ma non dei corpi in quanto questi enti matematici non possono generare alcuna affezione tipica del corpo. Rispetto all'altro passo, compare qui anche Democrito che viene nominato addirittura prima di Leucippo. Al di là delle differenze di tono, è comunque comune ad ambedue i brani il confronto tipologico e non genetico delle tesi atomiste con quelle del Timeo. Il tono di crescente polemica in questi brani del De generatione et corruptione denota un dibattito sempre più acceso e ruotante intorno alle dottrine del Timeo, o meglio, intorno all'interpretazione che di questo dialogo davano gli allievi di Platone. Quest'ultimo, infatti, non ha mai parlato di triangoli indivisibili come invece costantemente si afferma nel De generatione et corruptione e come interpretavano anche gli altri allievi di Platone. Se inoltre Aristotele sottolinea con insistenza la superiorità delle dottrine 64 65 66

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Metaph. L 6, 1071b 31-37 (67 A 18 DK; 17 L.). Cf. anche De cael. G 2, 300b 9-19. L'ipotesi di De Ley 1968, 629ss. secondo cui tali brani sarebbero residui di appunti redatti nel periodo di permanenza nell'Accademia non è da sottovalutare. Contrariamente a quanto sostiene Silvestre 1985, 38 n. 17, non c'è in questo brano alcuna conferma del fatto che Platone abbia utilizzato le dottrine atomistiche per la stesura del Timeo. Aristotele instaura infatti unicamente un confronto tipologico, non genetico, fra le due dottrine.

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degli atomisti su quelle platoniche, è altrettanto verosimile che dall'altra parte, nell'Accademia, queste stesse dottrine fossero invece considerate inferiori a quelle del maestro. Dunque l'opera aristotelica, in particolare il De generatione et corruptione, riflette in certo modo l'atmosfera che troviamo nell'aneddoto di Aristosseno e cioè una polemica sempre più aspra nei confronti di Platone per condurre la quale viene utilizzato Democrito: le sue teorie, secondo la rappresentazione aristotelica, sono in ogni caso superiori a quelle platoniche. Questo confronto, dal quale Democrito esce vincitore, sta probabilmente alla radice del maligno quesito, perché Platone non abbia mai fatto menzione di Democrito anche laddove (nel Timeo?) avrebbe dovuto criticarlo. Nell'opera aristotelica tuttavia, se pure in rari accenni, si può cogliere anche una rappresentazione pitagorizzante di Democrito che giustifica la presenza nell'aneddoto di Aristosseno del pitagorico e dell'allievo pitagorizzante come consiglieri di Platone e, nel contempo, come tutori dei libri di Democrito. In particolare sono significativi due brani in cui a Democrito e ai Pitagorici vengono attribuite dottrine simili. In De cael. G 4, 303a 9-11 gli atomi vengono esplicitamente equiparati ai numeri dei Pitagorici in un certo modo anche costoro fanno di tutte le cose esistenti dei numeri e le compongono da numeri; e se anche non lo manifestano chiaramente, tuttavia vogliono dire proprio questo68.

Si tratta di una strana assimilazione che non compare altrove in Aristotele. La ragione va forse cercata nella stretta relazione che quest'ultimo instaura fra la concezione dell'anima degli atomisti e dei Pitagorici in De an. A 2, 404a 1-21: ambedue la porrebbero nel pulviscolo atmosferico69. Nello stesso capitolo Aristotele allude alla eguaglianza fra le sferette democritee e la monade, l'anima numero che muove se stesso, di Senocrate, a sua volta "pitagorizzante". Se si pensa che la prima menzione di Democrito in autori a lui posteriori compare nei due titoli di Eraclide Pontico70, notoriamente pitagorizzante, su di lui, risulta chiaro che le opere democritee non erano conosciute solo da Aristotele, ma anche dagli allievi pitagorizzanti di Platone.

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Arist. De cael. G 4, 303a 9-11 (67 A 15 DK; 109, 174 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta ta; o[ nta poiou'sin ajriqmou; " kai; ejx ajriqmw' n: kai; ga;r eij mh; safw' " dhlou'sin, o{mw" tou'to bouvlontai lev gein.

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Su questo brano, v. infra, VII 5. 68 A 34 DK; CXIX L.

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Platone e Democrito

3. Sintesi L'aneddoto di Aristosseno e i brani aristotelici ora esaminati forniscono in qualche modo degli indizi per porre l'entrata dell'atomismo nell'Accademia durante gli ultimi anni della vita di Platone. Leucippo e Democrito sono stati recepiti e discussi dai suoi allievi "pitagorizzanti" e da Aristotele. Quest'ultimo in particolare se ne è servito per polemizzare contro il maestro. Da questa atmosfera scaturisce l'aneddoto di Aristosseno sul desiderio di Platone di bruciare quei libri la cui diffusione avrebbe potuto inferire un duro colpo al suo prestigio. Posto che comunque per lo meno gli allievi pitagorizzanti di Platone devono aver conosciuto le dottrine atomiste, come i criptici accenni aristotelici e l'aneddoto del salvataggio dei libri di Democrito da parte dei "Pitagorici" sembra indicare, il problema è quello di stabilire se, nell'ambito della ricezione dell'atomismo antico, da Aristotele in poi, si possa ritrovare qualche traccia di una "lettura" accademica degli atomisti. Questo è possibile per lo meno riguardo alla querelle sui principi corporei o incorporei, impostata nel Sofista platonico, e presentata da Aristotele come dibattito fra Accademici e materialisti fra i quali sono talvolta compresi anche gli atomisti. Lo stesso confronto riemerge in Sesto Empirico, in un passo che riporta sicuramente anche dottrine accademiche71, nella forma di una diaphonia fra gli "eredi dei Pitagorici", vale a dire gli Accademici, e i sostenitori di dottrine corpuscolari, in particolare, gli atomisti. Dalla critica alle dottrine che pongono come principi dei corpi, ancorché invisibili, gli Accademici partono per ribadire la superiorità dei principi incorporei. Questo aspetto della ricezione di Democrito verrà trattato nel capitolo successivo.

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Adv. Math. 10,248ss., v. infra, II 4.

Capitolo secondo

Principi corporei/ incorporei. Atomisti antichi, Platone, Accademici da Aristotele a Simplicio

1. Il compito del vero fisico La contrapposizione che Aristotele instaura fra atomismo antico e principi accademici si inquadra nel più ampio dibattito che egli conduce con la scuola platonica sulla concezione della scienza. Per Aristotele esistono più scienze ognuna delle quali abbraccia un ambito limitato ed ha principi propri1. Quelli del mondo fisico devono avere tutte le caratteristiche dei corpi per poter generare i fenomeni. La ricerca fisica deve dunque tener conto di questo limite. I principi dell'essere costituiscono invece il campo di indagine di un'altra scienza, la scienza prima2, che studia l'essere in quanto tale. Per Platone e per i suoi allievi, invece, la scienza è sostanzialmente una, quella dell'essere, e ha una struttura piramidale al cui apice stanno i principi ultimi; la matematica, l'astronomia, la fisica, sono solo gradi nell'ascesa verso questi principi. Aristotele imposta spesso sullo sfondo del problema generale dei principi propri alla fisica il confronto fra atomisti e Platone/ Accademici, confronto dal quale i primi risultano sempre vincitori proprio perché hanno posto a fondamento della realtà naturale dei corpi. Il motivo conduttore della critica agli Accademici è invece quello di aver assunto come principi del mondo fisico degli enti matematici che si situano ad un livello completamente differente e non possono generare alcun fenomeno fisico. Nel primo libro della Metafisica, pur considerandosi ancora, all'atto della stesura di queste considerazioni, un membro dell'Accademia (come indica 1

2

Sulla stretta correlazione fra l'ambito di ricerca e i suoi principi e sulla conseguente differenziazione negli obiettivi e nei metodi, cf. Wieland 1970, 52-58. Cf. e.g. Phys. A 2, 184b 25s.

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Principi corporei/ incorporei

l'uso della prima persona plurale), Aristotele critica dall'interno questo modo di affrontare la ricerca sulla natura E, in generale, mentre la "sapienza" ricerca la causa dei fenomeni evidenti, noi abbiamo tralasciato di indagare proprio questo (infatti non diciamo nulla sulla causa da cui trae origine il mutamento) e, credendo di enunciarne la sostanza, affermiamo che vi sono altre sostanze, ma, per dimostrare che queste ultime sono sostanze di quelle, parliamo a vuoto; infatti la partecipazione, come abbiamo detto anche prima, non è nulla. [...] ma la filosofia, per quelli dei nostri giorni, è divenuta matematica anche se loro affermano che si deve studiare la matematica in vista di altri fini3.

Poco più oltre, Aristotele critica la concezione di un'unica scienza i cui principi sarebbero il fondamento anche del mondo sensibile sottolineando che una scienza operante fuori dalle sensazioni non potrà mai averne conoscenza4. Quelli che sostengono la dottrina delle idee, come egli afferma nel secondo libro della Fisica5, fanno come il matematico che studia sì gli stessi oggetti del fisico, ma astrae col pensiero dalla loro fisicità e li considera come se fossero privi di movimento. Una costante della critica aristotelica a Platone e agli Accademici è proprio la debolezza dei loro fondamenti epistemologici e del loro metodo: essi riducono tutto a un numero limitato di ipotesi teoriche che ritengono assolutamente vere senza occuparsi di ciò che ne consegue per la realtà fenomenica. Il fine della fisica è però proprio quello di trovare una spiegazione in consonanza coi fenomeni6. Per gli Accademici, invece, il fenomeno non è qualcosa di evidente da accettare come tale, ma un punto di partenza per un cammino a ritroso verso i veri fondamenti dell'essere, i primi principi, che si situano fuori del mondo fisico e che sono individuabili solo attraverso la dialettica. I fondamenti di questa concezione, come è risaputo, sono già enunciati da Platone soprattutto nel Timeo, nella Repubblica e nel Filebo. La realtà fisica, in quanto in continuo fluire, non offre alcuna possibilità di una scienza sicura; la scienza vera è solo quella dell'invisibile e dell'intellegibile sempre uguale a se stesso ed eterno7. E' necessario dunque superare il comune 3

4 5 6 7

Metaph. A 9, 992a 24-29 o{lw" de; zhtouvsh" th'" sofiva" peri; tw'n fanerw'n to; ai[tion, tou'to me;n eijavkamen (oujqe; n ga;r levgomen peri; th'" aijtiva" o{qen hJ ajrch; th'" metabolh'"), th; n d oujsivan oijovmenoi levgein aujtw' n eJ tevr a" me;n oujsiva" ei\naiv famen, o{pw" d ejkei'nai touvtwn oujsivai, dia; kenh'" lev gomen: to; ga;r metevc ein, w{sper kai; provteron ei[pomen, oujqev n ejstin. ª...º ajlla; gevgone ta; maqhvmata toi'" nu' n hJ filosofiva, faskov ntwn a[llwn cavrin aujta; dei'n pragmateuvesqai. Metaph. A 9, 992b 18-993a 10. Phys. B 2, 193b 22-37. De cael. G 7, 306a 5-26. Ti. 51e-52a touvtwn de; ou{tw" ejcovntwn oJmologhtevo n e}n me;n ei\nai to; kata; taujta; ei\do" e[con, ajgevnnhton kai; ajnwvl eqron, ou[te eij" eJ auto; eijsdecov menon a[llo a[l loqen ou[te aujto;

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metodo di ricerca dei fisici che si arresta ai principi corporei per rivolgersi invece a quelle che sono le vere cause prime del reale, incorporee e intellegibili8. I fisici si arrestano al mondo del divenire, ma non raggiungono la conoscenza vera che si può acquisire solo studiando le cose eterne e prime in se stesse9. Questo ha come conseguenza anche la totale svalutazione dell'aspetto empirico delle scienze in quanto l'empiria opera su singoli oggetti corporei, in sé non conoscibili con sicurezza, senza astrarne le forme eterne. Il vero geometra non studierebbe mai seriamente per scoprirvi i concetti geometrici disegni anche bellissimi fatti da un pittore espertissimo così come il vero astronomo non studia i movimenti degli astri reali nella loro corporeità, ma coglie teoricamente i rapporti numerici fra questi astri e i fra i loro movimenti. Per Platone, dunque, bisogna procedere non con l'osservazione, ma formulando dei problemi e lasciar perdere sia le figure geometriche reali, che i corpi celesti reali se vogliamo far funzionare davvero l'elemento intelligente dell'anima10. In questa tensione fra il superamento della fisica da parte di Platone e degli Accademici e il ritorno alla fisica su altre basi rispetto a quelle dei filosofi della natura da parte di Aristotele si colloca il dibattito sugli atomisti antichi.

2. La gigantomachia del Sofista e lo schema principi corporei/ incorporei in Aristotele Come già osservato nel primo capitolo, difficilmente Platone faceva precisi riferimenti agli atomisti. Tuttavia spesso ci si appoggia su un passo specifico per dimostrare il contrario: la "gigantomachia" del Sofista. Qui lo straniero di Elea accenna a due schiere contrapposte: coloro che considerano come oujsiva solo quello che si può toccare, cioè il corpo, e i sostenitori delle forme intellegibili e incorporee Str. E dunque sembra che fra di loro si combatta come una gigantomachia a causa del dibattito sull'essenza. […] Gli uni trascinano tutto dal cielo e dall'invisibile sulla terra, afferrando semplicemente con le mani rocce e querce. Infatti toccando tutte queste cose assicurano che esiste solo quanto offre qualche possibilità di essere toccato e palpato, definendo l'essenza e il corpo la stessa cosa e eij" a[llo poi ijovn, ajovraton de; kai; a[llw" aj naivsqhton, tou' to o} dh; novhsi" ei[lhcen ejpiskopei'n: to; de; oJmwvnumon o{moiovn te ejkeivnwi deuvteron, aijsqhtovn, gennhtov n, peforhmev non aj ei;, gignovmenovn te e[ n tini tovpwi kai; pavlin ejkei'qen ajpolluvmenon, dovxhi met ai[sqhvsew" perilhptovn. Cf. anche Resp. 524c-d. 8 9 10

Ti. 46d; 48a-b; 68e. Phil. 58c-59b. Resp. 529d-530c.

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Principi corporei/ incorporei

guardando dall'alto in basso chi affermasse che qualcos'altro che non ha corpo è, senza voler ascoltare null'altro — Teet. Parli sicuramente di uomini tremendi; infatti anch'io ho già avuto occasione di incontrarne numerosi— Str. Per questo i loro oppositori nel dibattito si difendono assai prudentemente dall'alto, da una certa zona dell'invisibile, incalzandoli col dire che la vera essenza sono certe forme intellegibili e incorporee e, facendo a pezzettini nelle loro argomentazioni i corpi di quegli altri e quella che loro chiamano verità, li definiscono un divenire incessante invece che un'essenza. Riguardo a queste cose c'è sempre stata fra gli uni e gli altri, o Teeteto, un'accanita battaglia11.

Chi si debba identificare nei due gruppi è stato oggetto di infinite congetture12. In ogni caso l'opposizione fra coloro che ammettono solo essenze corporee e coloro che, al contrario, assumono come essenze forme incorporee è una novità introdotta da Platone accanto a schemi oppositivi preesistenti e da lui stesso utilizzati13 e si inserisce nel quadro più generale della ricerca dei principi ultimi del reale. In questo contesto tutti i fisici sono coinvolti nella denominazione di materialisti in quanto il campo comune della loro scienza è quello della natura e del sensibile e quindi dei corpi, un modello superato solo da Platone e dai suoi allievi. Che la tipologia dei materialisti fosse una struttura generica e aperta, passibile di ricevere qualsiasi contenuto a seconda della discussione e del contesto è dimostrato dal fatto che in Aristotele l'identità dei sostenitori di principi corporei varia da testo a testo proprio perché tutti i cosiddetti "filosofi della natura" vengono considerati "materialisti"14. La tipologia dei sosteni11

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13

14

Soph. 246a XE. kai; mh;n e[oikev ge ejn aujtoi'" gigantomaciva ti" ei\nai dia; th;n ajmfisbhvthsin peri; th'" oujsiva" pro;" ajllhvlou". ª...º oiJ me; n eij" gh' n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pav nta e{lkousi, tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambav nonte". tw' n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevc ei prosbolh;n kai; ejpafhv n tina, tauj to;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw' n de; a[llwn ei[ tiv" ãtià fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde; n ejqevlonte" a[llo ajkouv ein. QEAI. h\ deinou;" ei[rhka" a[ ndra": h[dh ga;r kai; ej gw; touvtwn sucnoi'" prosevtucon. XE. toigarou' n oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou' nte" mavla eujl abw' " a[ nwqen ej x ajoravtou poqe; n ajmuvnontai, nohta; a{tta kai; ajswv mata ei[dh biazovmenoi th; n ajlhqinh; n oujsivan ei\nai: ta; de; ejkeiv nwn swvmata kai; th;n legomev nhn uJp auj tw'n ajlhvqeian kata; smikra; diaqrauvo nte" ej n toi'" lovgoi" gevnesin aj nt oujsiva" feromev nhn tina; prosagoreuvousin. ej n mevswi de; peri; tau'ta a[pleto" aj mfotevrwn mavch ti", w\ Qeaivthte, aj ei; sunevs thken. Per la definizione dei materialisti come "non iniziati, uomini rozzi, duri e resistenti" i quali danno il nome di ousia solo a ciò che è corpo, cf. anche Theaet. 155e. Cf. in particolare la lista fornita da Diès 1925, 291-293; Friedländer III, 1975, 476 n. 44. Ambedue sono però convinti dell'impossibilità di individuare l'identità di questo gruppo e sottolineano il carattere generalizzante della descrizione platonica. Questa ipotesi è confermata a mio parere dall'affermazione di Teeteto di avere incontrato spesso individui come i materialisti descritti dallo straniero. Sui modelli "dossografici" preplatonici utilizzati poi anche da Aristotele, cf. von Kienle 1961, 38-57; Mansfeld 1986 [1990b, 22-83]. In Metaph. A 5, 987a 3-5 i sostenitori di principi corporei sono in generale "i primi filosofi", in G 5, 1010a 1-3 tutti i presocratici fino ad Omero. In De cael. G 1, 298b 15-26 rientrano in

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tori delle forme incorporee del Sofista rimanda invece inequivocabilmente a Platone e ai suoi allievi15. In alcuni passi Aristotele riprende per intero lo schema del Sofista riproducendo le argomentazioni degli Accademici contro la concezione del corpo come sostanza. Sebbene egli non offra chiare indicazioni sull'identità delle dottrine materialiste prese di mira dai sostenitori dei principi incorporei, ci sono tuttavia indizi che rimandano alle tesi atomiste. In Metaph. B 5, sottoponendo a verifica l'affermazione che le sostanze vere sono gli enti matematici, Aristotele riproduce le argomentazioni con le quali gli Accademici hanno superato la concezione del corpo come sostanza. In quanto a ciò che sembrerebbe indicare in maggior grado la sostanza, cioè l'acqua, la terra, il fuoco e l'aria, di cui sono costituiti i corpi composti, le loro affezioni, il caldo, il freddo e le altre di tal genere non sono sostanze; come ente e sostanza permane invece solo il corpo che subisce queste affezioni. Ma il corpo è meno sostanza della superficie, questa della linea e questa della monade e del punto; il corpo è infatti delimitato da queste e sembra che queste possano sussistere senza il corpo, il corpo invece non possa senza quelle. Perciò i molti e gli antichi erano del parere che il corpo fosse l'ente e la sostanza, le altre cose sue affezioni, talché anche i principi dei corpi sarebbero i principi delle cose esistenti; i moderni, invece, che sembrano più sapienti di quelli, hanno posto come principi delle cose esistenti i numeri16.

Le dottrine degli "antichi", che ipotizzano come ousia solo il corpo in quanto tale e che i sostenitori degli enti matematici e dei numeri ritengono di superare, hanno le caratteristiche tipiche dell'atomismo. E' infatti solo Democrito fra i predecessori di Platone a porre alla base del mondo sensibile semplici corpi privi di affezioni17. Aristotele, con un'ironia di stampo

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questa categoria anche Parmenide e Melisso pur avendo essi attribuito ai sensibili caratteristiche tipiche degli enti eterni. In Phys. D 6, 213a 19ss. sono gli "uomini comuni" a sostenere che gli enti veri sono solo corpi. Sulle varie identificazioni degli amici delle forme, cf. Diès 1925, 292 n. 1 e Friedländer III, 1975, 476 n. 44. Metaph. B 5, 1001b 32-1002a 12 a} de; mavlist a]n dovxeie shmaivnein oujsivan, u{dwr kai; gh' kai; pu'r kai; ajhvr, ej x w|n ta; suv nqeta swvmata sunevs thke, touvtwn qermovthte" me;n kai; yucrovthte" kai; ta; toiau'ta pavqh, oujk oujsiv ai, to; de; sw'ma to; tau' ta peponqo;" movnon uJpomevnei wJ" o[ n ti kai; oujsiv a ti" ou\sa. ajlla; mh; n tov ge sw'ma h|tton oujsiva th' " ejpifaneiva", kai; au{th th' " grammh' ", kai; au{th th'" monavdo" kai; th' " stigmh' ": touvtoi" ga;r w{ ristai to; sw'ma, kai; ta; me; n a[neu swvmato" ejndev cesqai dokei' ei\nai to; de; sw' ma a[ neu touvtwn ajduv naton. diovper oiJ me;n polloi; kai; oiJ provteron th; n oujsivan kai; to; o]n w[ionto to; sw'ma ei\nai ta; de; a[lla touvtou pavqh, w{ ste kai; ta; " ajrca; " ta;" tw'n swmavtwn tw' n o[ntwn ei\ nai ajrcav ": oiJ d u{steroi kai; sofwvteroi touvtwn ei\ nai dovxante" ajriqmouv". Sulla definizione democritea della "sostanza", cf. Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36

DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; Theophr. ap. Simpl. In de cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120 DK; 171 L.), infra, 6. 3 n. 137.

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platonico18, liquida la presunta superiorità degli Accademici ristabilendo le proporzioni. In un diverso contesto, nel quarto libro del De caelo, il confronto fra gli antichi e i moderni, che si conclude con una notazione simile, ha come protagonisti atomisti e Accademici: Platone e i suoi allievi hanno spiegato la leggerezza e la pesantezza dei corpi composti col fatto che essi sono formati da una quantità più piccola o più grande di triangoli: Gli uni [Platone e i suoi allievi] hanno dunque definito in questo modo il leggero e il pesante; ad altri [gli atomisti] 19, invece, una definizione di questo genere non sembrò sufficiente, ma, pur appartenendo ad un'epoca più antica, elaborarono concezioni più nuove su quanto ora esposto20.

Anche qui Aristotele sottolinea, sebbene in maniera meno ironica e pungente, che le teorie degli atomisti, pur essendo più antiche, sono superiori a quelle più recenti degli Accademici. In ambedue i brani, della Metafisica e del De caelo, si ritrova comunque lo spirito dell'aneddoto di Aristosseno: come là il prestigio di Platone, così qui quello dell'Accademia in generale subisce un duro colpo nel confronto con le dottrine atomiste. Uno schema ancora più vicino nell'espressione linguistica a quello del Sofista si ritrova in Metaph. Z 2. Qui Aristotele nomina espressamente coloro che ritengono i corpi meno sostanze degli incorporei, e i limiti dei corpi e i numeri come le vere ousiai Sembra ad alcuni che i limiti del corpo, cioè la superficie, la linea, il punto e la monade, siano sostanze e ancor più del corpo e del solido. Inoltre gli uni pensano che oltre ai sensibili non ci sia nulla di tal genere, gli altri invece ritengono che ce ne siano di più e che siano più eterni, come Platone, il quale considera che le idee e gli enti matematici siano due sostanze e che la terza sia quella dei corpi sensibili. Speusippo, invece, pone un numero ancora maggiore di sostanze, cominciando dall'uno, e principi per ciascuna sostanza: uno per i numeri, uno per le grandezze e poi per l'anima e, in questo modo, allarga il numero delle sostanze. Alcuni, invece, affermano che le idee e i numeri hanno la stessa natura e che le altre cose, le linee e le superfici fino alla sostanza dell'universo e agli oggetti sensibili, dipendono da queste21.

18 19 20

21

Cf. Pl. Theaet. 180d. Che siano gli atomisti risulta chiaro dal seguito, 309a 2ss. De cael. D 2, 308b 29 oiJ me;n ou\n tou'ton to;n trovpon peri; kouvfou kai; barevo " diwvrisan: toi'" d oujc iJkano;n e[doxen ou{tw dielei' n, ajlla; kaivper o[ nte" ajrcaiovteroi tai'" hJlikivai" kainotevrw" ejnovhsan peri; tw' n nu'n lecqev ntwn. Metaph. Z 2, 1028b 16 dokei' dev tisi ta; tou' swvmato" pevrata, oi|on ejpifavneia kai; grammh; kai; stigmh; kai; monav ", ei\nai oujsiv ai, kai; ma'llon h] to; sw'ma kai; to; stereovn. e[ti para; ta; aijsqhta; oiJ me; n oujk oi[ontai ei\ nai oujd e;n toiou' ton, oiJ de; pleivw kai; ma' llon o[nta ajivdia, w{sper Plavtwn tav te ei[dh kai; ta; maqhmatika; duvo oujsiva", trivthn de; th;n tw'n aijsqhtw'n swmavtwn ouj sivan, Speuv sippo" de; kai; pleivou" oujsiv a" ajpo; tou' eJ no;" ajrxav meno", kai; ajrca; " eJkavs th" oujsiva", a[llhn me; n ajriqmw'n a[llhn de; megeqw' n, e[peita yuch'": kai; tou'ton dh; to; n trovpon ejpekteiv nei ta;" oujsiva". e[nioi de; ta; me;n ei[dh kai; tou; " ajriqmou; " th;n aujth; n e[cein

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Anche qui Platone, Speusippo e Senocrate (il sostenitore delle idee-numero) partono dal confronto con coloro che pongono le sostanze nei sensibili per sviluppare poi una gerarchia degli incorporei fino ai principi. Rispetto al brano precedente della Metafisica qui i Platonici sottolineano che le loro sostanze sono "più eterne" dei corpi. Questo stesso dibattito sulle sostanze eterne si avverte in sottofondo nel resoconto aristotelico su Democrito riportato da Simplicio. Aristotele esordisce infatti spiegando che Democrito avrebbe individuato "la natura delle cose eterne" in "piccole sostanze"22. I principi atomistici vengono qui inquadrati in un dibattito più ampio sulla natura delle sostanze eterne (corpi privi di affezioni o incorporei?) già inscenato nella gigantomachia del Sofista e rappresentato con attori più definiti nei passi della Metafisica analizzati sopra. Se Aristotele, riprende la diaphonia del Sofista, facendo intravvedere una contrapposizione degli Accademici agli atomisti, è possibile che la critica degli "amici delle forme incorporee" cui Platone allude, si sia concentrata ad un certo punto, negli ultimi anni di vita del maestro, specificamente contro questi ultimi. Nel clima di rivalità fra l'Accademia e il Peripato non stupisce che proprio quelle tesi che gli allievi di Platone ritenevano superate dalla dottrina dei principi incorporei, fossero invece da Aristotele considerate nettamente superiori e utilizzate per minare il prestigio dei Platonici. Nei brani della Metafisica aristotelica si lasciano comunque intravvedere gli indizi di una critica agli atomisti che Sesto Empirico, nel decimo libro Contro i Matematici, attribuisce ai "figli dei Pitagorici" (gli Accademici appunto) e che verrà esaminata più oltre.

3. Platone e Democrito in Teofrasto Teofrasto nel De sensibus riprende dei concetti aristotelici, ma mantiene il parallelo Platone/ Democrito su un piano di neutralità. Essi sarebbero gli unici ad aver affrontato il problema della definizione della natura dei sensibili nel modo più ampio e ad averli trattati individualmente. Platone però non avrebbe negato loro una physis, mentre Democrito ne avrebbe fatto delle semplici affezioni della sensazione23. Ambedue avrebbero comunque disatteso le loro premesse elaborando in pratica delle tesi opposte ai loro

22

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fasi; fuvsin, ta; de; a[lla ejcovmena, gramma;" kai; ejpivpeda, mevcri pro;" th;n tou' oujranou' oujsivan kai; ta; aijsqhtav. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,1-2) (68 A 37 DK; 172 L.) Dhmovkrito" hJgei'tai th;n tw'n ajidivwn fuvsin ei\ nai mikra;" oujsiva" plhvqo" ajpeivrou". De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.) Dhmovkrito" kai; Plavtwn ejpi; plei'stovn eijsin hJmmevnoi, kaq e{kaston ga;r ajforivzousi: plh;n oJ me;n oujk ajposterw'n tw'n aijsqhtw'n th; n fuvsin, Dhmovkrito" de; pav nta pavqh th' " aijsqhvsew" poiw'n.

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Principi corporei/ incorporei

scopi. In questa maniera Teofrasto pone sullo stesso piano le loro dottrine e le accomuna nella critica. Altrove egli accennava, sulla scia di Aristotele, a coloro che, considerando semplici affezioni le quattro qualità fondamentali, proseguivano la ricerca al di là di queste fino alle cause prime24. Platone è il primo referente, ma Democrito, che aveva cercato di definire "la sostanza del caldo e del freddo"25, veniva in una certa misura inglobato nello schema. Teofrasto riteneva tuttavia superfluo ricercare la causa di questi fenomeni fisici e, altrove, criticava proprio per questo Platone sostenendo che è ridicolo domandarsi perché il fuoco brucia e la neve raffredda26. Lo schema teofrasteo nel quale Platone e Democrito vengono posti in maniera neutrale sullo stesso piano e criticati conseguentemente per aver ricercato ulteriori cause delle qualità fondamentali determina poi gran parte della tradizione posteriore. Il quadro finora delineato, soprattutto attraverso Aristotele, con riscontri nei testi platonici e con uno sguardo alla posizione di Teofrasto ci offre dunque sostanzialmente tre modelli di confronto fra Platone/ Accademici e gli atomisti. 1. Lo schema apertamente polemico di Aristotele che vede in Platone e negli Accademici coloro che trattano la fisica coi logoi e assumono quindi principi inadeguati per quest'ambito. Egli utilizza all'occasione le dottrine atomiste in funzione antiplatonica e antiaccademica sottolineandone la superiorità nel campo della ricerca fisica. Il confronto verte comunque principalmente sulle dottrine del Timeo reinterpretate dagli allievi e, in misura minore, su quella delle idee-numero. L'utilizzazione polemica delle teorie atomiste contro Platone e gli Accademici da parte di Aristotele va inquadrata nel contesto più vasto della concorrenza fra le due scuole: dall'altra parte probabilmente, come si può dedurre dagli accenni aristotelici stessi, gli Accademici cercavano di dimostrare la superiorità delle loro tesi su tutte quelle che ponevano principi corporei, in particolare l'atomismo. 2. Il secondo modello di confronto consiste nell'opposizione critica degli Accademici a tutte le dottrine materialiste, già adombrata nella gigantomachia del Sofista. L'atomismo, in particolare, che poneva il corpo in 24

25

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Theophr. De igne 7-8 ajlla; ga;r tau'ta e[oiken eij" meivzw tina; skevyin ejkfevrein hJma'" tw'n uJpokeimev nwn, h} zhtei' ta; " prwvta" aijtiva". faiv netai ga;r ou{ tw lambavnousi to; qermo;n kai; to; yucro;n w{sper pavqh tinw'n ei\nai kai; oujk ajrcai; kai; dunav mei". Arist. Metaph. M 4, 1078b 19-21 (68 A 36 DK; 99, 171 L.), supra, I 2 n. 63; per l'opinione di

Teofrasto, cf. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24, infra, n. 137. Theophr. Fr. 159 FHS&G (Procl. In Tim. II,120,18-22) toiau'ta me;n oJ Qeovfrasto" ejpitima'i tw'i Plav twni peri; th'sde th' " yucogoniva", oujde; ejpi; tw'n fusikw' n pav ntwn levgwn dei'n hJma'" ejpizhtei'n to; dia; tiv: geloi'on gavr fhsin ajporei' n, dia; tiv kaivei to; pu'r kai; dia; tiv yuvc ei hJ ciwvn.

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sé privo di qualità a fondamento del mondo fisico, doveva essere ad un certo punto diventato l'obiettivo principale per chi, invece, non si fermava, ma procedeva nella ricerca fino alle sostanze incorporee, ai numeri e ai principi ultimi, uno e diade indefinita. In questo contesto, il termine di confronto non era solo il Timeo, ovviamente reinterpretato, ma anche e soprattutto la dottrina dei primi principi. Questo schema oppositivo, che riproduce quello del Sofista platonico, è presupposto in alcuni passi della Metafisica aristotelica. 3. Un paragone sostanzialmente neutro, quello di Teofrasto, che si richiama in parte ad Aristotele, ma senza le sue punte polemiche, e cerca di confrontare a livello tipologico gli atomisti e Platone in particolare sul problema dei fondamenti delle qualità elementari prendendo in considerazione soprattutto la dottrina del Timeo. Il modello di confronto polemico aristotelico, fuori dall'ambito delle discussioni a lui contemporanee e soprattutto a causa dell'enorme influsso del platonismo non poteva ovviamente essere assunto nella tradizione posteriore. Esso poteva semmai valere limitatamente a singole osservazioni critiche e sembra essere stato utilizzato in questo modo da Epicuro e dalla sua scuola27. Nella tradizione tarda che riporta notizie sui principi di Democrito e di Platone ha prevalso, per ovvi motivi, il modello neutro teofrasteo anche perché Teofrasto costituiva il principale punto di riferimento per la dossografia antica. La polemica di segno opposto a quella aristotelica, quella cioè degli Accademici contro gli atomisti, emerge invece in un brano del decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico. Esso si discosta, non solo per il suo carattere dialettico, ma anche per il contenuto (confronto fra atomismo e dottrina dei principi), dagli altri resoconti tardi facenti capo alla tipologia teofrastea di parallelismo neutro fra l'atomismo e la geometria del Timeo e restituisce probabilmente quel nucleo di discussione sull'atomismo antico nell'Accademia di cui sono rimaste solo labili tracce nell'opera aristotelica. Qui di seguito il brano di Sesto verrà trattato dettagliatamente e confrontato con il resto della tradizione tarda facente capo al modello teofrasteo e ai suoi intermediari. Si potrà quindi cominciare a precisare entro quali binari si muove la tradizione sull'atomismo antico fuori dai testi fondamentali di Aristotele e Teofrasto, un lavoro necessario anche per operare un distinguo fra notizie di autori tardi di varia provenienza e valore che non hanno certamente attinto agli originali.

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Cf. su questo punto, infra, VI 3. 1.

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Principi corporei/ incorporei

4. La tradizione "diafonica". Accademici contro atomisti in Sesto Empirico Adv. Math. 10,248-262 (121 L.) Adv. Math. 10,248-262 costituisce un testo fondamentale per ricostruire un'eventuale discussione dell'atomismo nell'Accademia. Si tratta di un passo molto discusso, non solo per il suo valore di testimonianza sulla dottrina accademica, ma anche per i vari problemi che esso pone. Il primo è un problema di attribuzione: il brano si riferisce alle lezioni platoniche Sul bene o piuttosto alle interpretazioni che ne davano gli allievi? Il secondo, quello che in questo contesto interessa più da vicino, riguarda l'autenticità della polemica dei cosiddetti Pitagorici contro gli atomisti: si tratta solo di una ricostruzione a posteriori o ha un valore anche storico? Il terzo punto, il più controverso, riguarda la fonte del brano di Sesto. Prima di affrontare l'analisi del brano è opportuno premettere un dettaglio importante spesso trascurato e cioè che Sesto ne fornisce una redazione parallela e riassuntiva negli Schizzi Pirroniani (3,151ss.). In questa versione, di stile tipicamente dossografico, mancano sia l'esposizione dettagliata delle varie teorie che i riferimenti a polemiche dirette. Attraverso il confronto dei due passi è possibile perciò stabilire quali sono i punti della redazione originale della fonte che Sesto ha mantenuto nel resoconto principale, ma che ha giudicato poi non essenziali nella redazione riassuntiva. Il resoconto di Sesto si presenta piuttosto articolato. Molto probabilmente la sua fonte aveva attinto a sua volta a più fonti, come indica lo stacco fra i paragrafi 262 e 26328. Nei paragrafi che seguono, vengono infatti esposte altre versioni di dottrine accademiche: quella delle categorie, quale si ritrova anche in Ermodoro, diretto allievo di Platone29, e la versione manualistica, canonica negli autori tardi e di probabile provenienza posidoniana30, della derivazione del tutto dai numeri. Per il tema qui trattato sono però rilevanti i paragrafi 248-262 in quanto sono gli unici a riportare una diaphonia dei Pitagorici (Accademici) con gli atomisti nella ricerca dei principi. L'excursus sui numeri in cui questa compare viene in-

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Sext. Emp. Adv. Math. 10,262s. kai; o{ti tai'" ajlhqeivai" au|taiv eijsin tw'n o{lwn ajrcaiv, poikivlw" oiJ Puqagorikoi; didavskousin. Cf. Hermod. Fr. 7 IP. Per i rapporti fra i due testi, cf. Heinze 1892, 38ss.; Wilpert 1941, 230; De Vogel 1949, 205ss.; Theiler 1964, 92; Krämer 1959, 284; Isnardi Parente 1979, 108s.; 1982 440s. Cf. Burkert 1972, 54ss. La teoria della rJuvsi" del punto riportata nei § 281-283 era stata comunque per lo meno sicuramente trattata e difesa anche da Eratostene (Sext. Emp. Adv. Math. 3,28). Cf. Isnardi Parente 1992, 159-163.

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trodotto nella discussione sul tema del tempo trattato poco prima perché, come osserva Sesto, è con i numeri che si misura il tempo31. Egli passa poi ad una considerazione generale sull'importanza dei numeri nella fisica dei "Pitagorici" Dopo aver portato a termine l'esame di quel tema [il tempo], riteniamo opportuno fare un resoconto anche su questo [il numero], soprattutto perché i più sapienti fra i fisici hanno attribuito ai numeri una tale importanza da farne i principi e gli elementi di tutte le cose. Costoro sono i seguaci di Pitagora di Samo. Quelli che filosofano veramente —essi dicono— sono simili a quelli che studiano il discorso. Come infatti questi ultimi esaminano prima le parole (infatti il discorso è composto da parole) e, poiché le parole sono composte da sillabe, esaminano prima ancora le sillabe, siccome però le sillabe si risolvono nelle lettere della lingua scritta, studiano ancor prima queste ultime, così —dicono i Pitagorici— i veri fisici, quando ricercano i principi del tutto, devono in primo luogo esaminare in quali elementi il tutto si scompone32.

Carattere distintivo di questa introduzione è la definizione dei Pitagorici come "i più sapienti fra i fisici" che non si ritrova in nessun altro dei passi paralleli di Sesto, né in Pyrrh. hyp. 3,151, né in Adv. Math. 7,93ss., né in Adv. Math. 4,2ss. né è corrente nella tradizione tarda anche di ascendenza neopitagorica. Questo giudizio, che riecheggia in certo modo quello del Filebo (16c-e) sui saggi antichi che hanno elaborato la dottrina dei numeri come intermedi fra l'uno e l'infinito, risale dunque ad un ambito platonico che si poneva come alternativo alla concezione aristotelica del fisico: i migliori fisici non sono quelli che si occupano dei fenomeni, ma quelli che hanno scomposto il tutto fino ai suoi principi ultimi, i numeri. Di ascendenza platonica, sebbene mediata, è anche l'analisi grammaticale come modello della scomposizione del mondo fino agli elementi primi33. Di ben altro tenore è l'introduzione parallela di Pyrrh. hyp. 3,151. Qui si passa ex abrupto dalla dichiarazione che l'estremismo dei dogmatici sui numeri ha sollevato le critiche degli scettici, al semplice accenno al fatto

31 32

Adv. Math. 10,248. Adv. Math. 10,248 kalw'" e[cein hJgouvmeqa meta; th;n proanusqei'san hJmi'n peri; ejkeivnou zhvthsin kai; to;n peri; touvtou diaqevsqai lovgon, kai; mavlisq o{ti oiJ ejpisthmonevstatoi tw'n fusikw'n ou{tw megavlhn duv namin toi'" ajriqmoi'" ajpev neiman, w{ste ajrca;" kai; stoicei'a tw' n o{lwn touvtou" nomivzein. ou|toi dev eijsin oiJ peri; to;n Sav mion Puqagovran. ejoikevnai ga;r levgousi tou; " filosofou'nta" gnhsivw" toi'" peri; lovgon ponoumev noi". wJ" ga;r ou|toi prw'ton ta;" lev xei" ejxetavzousin (ejk levxewn ga;r oJ lovgo"), kai; ejp ei; ejk sullabw' n aiJ levxei", prw'ton skevptontai ta;" sullabav", kai; ejpei; ejk sullabw' n ta; stoicei' a th'" ejggrammavtou fwnh'" ajnaluomevnwn, peri; ejkeiv nwn prw'ton ejreunw'sin, ou{tw dei'n fasin oiJ peri; Puqagovran tou;" o[ntw" fusikouv", ta; peri; tou' panto;" ejr eunw' nta", ej n prwvtoi" ejxetavzein eij" tivna to; pa' n lambav nei th; n ajnavlusin. Cf. anche Moderat. ap. Porph. V. P. 48s.

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Cf. e.g. Pl. Pol. 278d; Theaet. 201ess.; Ti. 48b e Wilpert 1949, 129ss.

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che i Pitagorici hanno considerato elementi i numeri34. Manca sia l'encomio di questi ultimi, sia la parte giustificativa del loro metodo, e cioè il parallelismo con l'analisi del discorso. In Adv. Math. 10,250 Sesto espone poi l'argomentazione dei Pitagorici a favore della loro tesi E' dunque in certo modo contrario alla fisica sostenere che il principio di tutte le cose è visibile: infatti ogni cosa visibile deve essere composta da invisibili, ma ciò che è composto da qualcosa non è principio, lo è invece ciò da cui quello è composto. Per questo non bisogna affermare che ciò che appare è principio di tutte le cose, ma che lo sono le componenti di ciò che appare, le quali, però, non sono più visibili. Perciò [i Pitagorici] hanno posto come principi delle cose esistenti dei principi non evidenti e invisibili e in maniera differenziata35.

Qui si intravvede l'intervento dello scettico (Sesto o la sua fonte) in quanto manca sostanzialmente una dimostrazione del fatto che i fenomeni sono composti. Il tutto viene presentato tendenziosamente come una ipotesi. Nei tropi scettici la considerazione delle dottrine dogmatiche come semplici ipotesi riveste una funzione fondamentale36. Proprio questa argomentazione è l'unica dell'introduzione ad essere riportata nella versione parallela di Pyrrh. hyp. 3,152 dove invece è caduto tutto il resto37. Nel brano di Adversus Mathematicos segue poi il passo che interessa più da vicino e cioè la diffusa critica alle dottrine atomiste e corpuscolariste le quali hanno posto come principi sì degli invisibili, ma pur sempre dei corpi Infatti quelli che hanno affermato che gli atomi o le omeomerie o le "masse" o, in generale, i corpi intellegibili sono i principi di tutte le cose esistenti, per un verso hanno visto giusto, per l'altro invece hanno sbagliato. Infatti, in quanto ritengono che i principi siano invisibili, procedono come si conviene, in quanto però li pongono come corporei, sbagliano. Come infatti i corpi intellegibili e invisibili precedono i corpi sensibili, così anche gli incorporei devono essere principi dei corpi intellegibili. E questo è logico: come infatti gli elementi della parola non 34

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Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,151 ejp ei; oJ crovno" dokei' mh; a[neu ajriqmou' qewrei'sqai, oujk a]n ei[h a[topon kai; peri; ajriqmou' bracev a diexelqei'n. o{son me; n ga;r ejpi; th'i sunhqeivai kai; ajdoxavstw" ajriqmei'n tiv famen kai; ajriqmo;n ei\ naiv ti aj kouvomen: hJ de; tw'n dogmatikw' n periergiva kai; to;n kata; touv tou kekiv nhke lovgon. aujtivka gou'n oiJ ajpo; tou' Puqagovrou kai; stoicei'a tou' kovs mou tou;" ajriqmou; " ei\ nai levgousin. Adv. Math. 10,250s. to; me;n ou\n fainomevnhn ei\nai levgein th;n tw'n o{lwn ajrch;n ajfusikovn pw" ejstivn: pa' n ga;r to; fainovmenon ejx ajf anw'n ojfeivlei sunivstasqai, to; d e[k tinwn sunestw; " oujk e[stin ajrchv, ajlla; to; ej keivnou aujtou' sustatikov n. o{qen kai; ta; fainovmena ouj rJhtevon ajrca;" ei\ nai tw'n o{lwn, ajlla; ta; sustatika; tw'n fainomevnwn, a{p er oujkevti h\n fainovmena. toivnun ajdhvlou" kai; ajfanei' " uJpevqento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw' ". L'assegnazione ai dogmatici di un passaggio non motivato dai fenomeni alle loro cause nascoste è un procedimento tipico anche dei medici empirici, cf. Gal. De exper. med. 24,3, 133s.; 25,2, 136 Walzer. Pyrrh. hyp. 3,152 fasi; gou'n, o{ti ta; fainovmena e[k tino" sunevsthken, aJpla' de; ei\nai dei' ta; stoicei'a: a[dhla a[ra ejsti; ta; stoicei'a.

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sono parole, così anche gli elementi del corpo non sono corpi; ma devono essere o corpi o incorporei, perciò certamente sono incorporei. E non è ammissibile dire che gli atomi si trovano ad essere eterni e che, per questo, essi possono essere principi di tutto pur essendo corporei. In primo luogo, infatti, anche coloro che assumono come elementi le omeomerie e le "masse" e i minimi privi di parti assegnano loro una esistenza eterna, talché gli atomi non sono più elementi di questi. Secondariamente, si ammetta pure che gli atomi siano veramente eterni; tuttavia, come coloro che ammettono che il cosmo sia ingenerato ed eterno, non di meno ricercano con la mente i primi principi che lo compongono, così anche noi, dicono i fisici Pitagorici, cerchiamo con la mente da quali principi sono composti questi corpi eterni e visibili con la ragione. Dunque le loro componenti saranno o corpi o incorporei. Ma non potremmo dire che sono corpi, poiché bisognerebbe porre come componenti di quelli dei corpi e così, procedendo la mente all'infinito, il tutto sarebbe privo di principio 38.

Questo brano, al di là dei rimaneggiamenti, contiene le linee generali di quella che doveva essere una argomentazione originaria dei "Pitagorici". Essi partivano dalla critica a coloro che ponevano principi corporei (esattamente come gli Accademici di Aristotele), fossero essi pure invisibili, sottolineando come l'eternità da loro attribuita a tali corpi fosse solo apparente (in Aristotele Platone e i suoi allievi sottolineano che i loro principi sono "più eterni" dei corpi39). La vera eternità e i veri principi si trovano infatti negli incorporei cui si arriva attraverso un procedimento mentale (kat ejpivnoian). Se inizialmente l'argomentazione sembra rivolta contro tutte le dottrine atomiste e corpuscolariste, nella seconda parte è però inequivocabilmente diretta contro gli atomisti che hanno posto gli atomi corporei come sostanze eterne. I Pitagorici-Accademici prendono le distanze da questi ultimi utilizzando un tipico argomento dialettico basato 38

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Adv. Math. 10,252-256 oiJ ga;r ajtovmou" eijpovnte" h] oJmoiomereiva" h] o[gkou" h] koinw'" nohta; swvmata pavntwn tw'n o[ ntwn a[rcein ph'i me; n katwvrqwsan, ph'i de; dievp eson. h|i me; n ga;r ajdhvlou" ei\ nai nomivzousin ta;" ajrcav ", deov ntw" ajnastrevfontai, h|i de; swmatika;" uJpotivqentai tauvta", diapivptousin. wJ " ga;r tw'n aijsqhtw'n swmavtwn prohgei'tai ta; nohta; kai; a[dhla swvmata, ou{tw kai; tw' n nohtw' n swmavtwn a[rcein dei' ta; ajswvmata. kai; kata; lovgon: wJ" ga;r ta; th' " levxew" stoicei'a oujk eijsi; levxei", ou{tw kai; ta; tw' n swmavtwn stoicei'a ouj k e[sti swvmata: h[toi de; swvmata ojf eivlei tugcav nein h] ajswvmata: dio; pav ntw" ejsti;n ajswvmata. kai; mh; n oujde; e[ nesti fav nai, o{ti aijwnivou" sumbev bhken ei\nai ta;" ajtov mou", kai; dia; tou' to duvnasqai swmatika;" ou[sa" tw'n o{lwn a[rcein. prw'ton me;n ga;r kai; oiJ ta;" oJmoiomereiv a" kai; oiJ tou;" o[gkou" kai; oiJ ta; ejl avcista kai; aj merh' lev gonte" ei\nai stoicei'a aijwvnion ajpoleivpousi touvtwn th; n uJpovstasin, w{ste mh; ma'llon ta; " ajtov mou" h] tau't ei\nai stoicei' a. ei\ta kai; dedovsqw tai'" ajlhqeivai" aijw nivou" ei\ nai ta; " ajtovmou": ajl l o}n trovpon oiJ ajgevnhton kai; aijwvnion ajpoleivponte" to;n kovsmon oujde; n h|tton pro;" ejpivnoian zhtou' si ta;" prw'ton susthsamev na" aujto; n ajrcav ", ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'n filosovfwn, kat ejpivnoian skeptovmeqa to; ejk tivnwn ta; aijwv nia tau'ta kai; lovgwi qewrhta; sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw' n h] ajswvmata. kai; swvmata me;n oujk a]n ei[paimen, ejp ei; dehvsei kajkeivnwn swvmata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{ tw" eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiv a" a[ narcon givnesqai to; pa'n. Metaph. Z 2, 1028b 16ss., v. supra, n. 21.

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sulla scomposizione mentale dei composti nelle loro costituenti più semplici. Come i sostenitori delle idee nel Sofista, essi "fanno in briciole nei logoi" i corpi dei loro avversari e dimostrano che questi non sono vere sostanze eterne, in quanto mentalmente possono sempre essere scomposti in altri corpi in una infinita progressione che priva il tutto di un principio e di un ordine (a[narcon givnesqai to; pa'n). E' un'immagine parallela a quella della molteplicità senza l'uno fatta balenare da Platone nel Parmenide e riemergente anche nelle presunte critiche degli Eleati ai pluralisti in De generatione et corruptione A 8 di cui si parlerà nel terzo capitolo40. Nel resoconto parallelo di Sesto in Pyrrh. hyp. 3,152 manca sia la critica agli atomisti sia la conseguente spiegazione della sottrazione kat ejpivnoian fino ai principi e rimane solo l'opposizione rigidamente binaria fra corporeo e incorporeo nella forma tipica anche di altri passi dossografici di Sesto e in generale di una certa tradizione sui principi: degli invisibili alcuni sono corporei (atomi, o[gkoi), altri incorporei (figure, idee, numeri). Il brano di Sesto non riproduce comunque alla lettera il discorso dei Pitagorici-Accademici come è evidente sia dallo stile che dagli incisi sparsi qua e là. Uno di questi è il richiamo ad Epicuro al paragrafo 257. I "Pitagorici" concludono infatti la loro argomentazione contro i principi corporei ribadendo che l'unica possibile soluzione rimane quella di cercare dei principi incorporei. A questo punto viene introdotta la seguente osservazione completamente anacronistica in un discorso fatto da Pitagorici-Accademici: Cosa che anche Epicuro ha ammesso, dicendo che il corpo è concepito per aggregazione di figura, grandezza, solidità e peso41.

La proposizione relativa e per di più espressa all'aoristo segnala comunque che si tratta di un inciso42. Il discorso dei Pitagorici-Accademici è infatti condotto tutto al presente. Che dunque i principi dei corpi visibili solo col pensiero debbano essere degli incorporei è evidente, continua il testo, ma il solo fatto di essere incorporei non li qualifica automaticamente come principi. Infatti anche Platone ha riconosciuto che le idee, pur essendo incorporee e preesistenti ai corpi, che si generano secondo il loro modello, non sono principi in quanto ciascuna idea presa in sé è uno, ma in combinazione

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V. infra, III 2. 2. 2 e n. 56 per il testo di Parm. 165a-b. Adv. Math. 10,257 o{per kai; Epivkouro" wJmolovghse, fhvsa" kata; ajqroismo;n schvmatov" te kai; megevqou" kai; ajntitupiva" kai; bavrou" to; sw'ma nenoh'sqai. Si tratta di una definizione di corpo variamente utilizzata da Sesto: in Adv. Math. 10,240 viene riportata ancora come epicurea e confutata, in Pyrrh. hyp. 3,152 viene invece introdotta come definizione generale di corpo come ajqroismov" di accidenti incorporei, in Adv. Math. 9,367 ricompare come tesi dei "Matematici".

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con altre è due, tre o quattro; dunque esse sono governate dal numero43. Nel resoconto parallelo degli Schizzi pirroniani mancano completamente le osservazioni su Platone, le quali quindi risalgono con molta probabilità al testo originario dei cosiddetti Pitagorici. Se Alessandro sosteneva che Aristotele, nel Peri; tajgaqou', attribuiva a Platone il superamento della dottrina delle idee verso i principi, uno e diade, Simplicio faceva risalire questa notizia non solo al libello aristotelico, ma anche alle altre redazioni della lezione platonica sia di Speusippo che di Senocrate e di altri allievi44. Dunque questo passaggio dalle idee al numero si integra perfettamente con l'ipotesi dell'utilizzazione di uno scritto degli allievi di Platone da parte della tradizione cui la fonte di Sesto si richiama45. Dopo l'accenno alla teoria platonica delle idee, i Pitagorici-Accademici procedono ad esporre il passaggio dai corpi agli elementi incorporei fino ai principi primi, l'uno e la diade indefinita: e le figure solide, che hanno una natura incorporea, vengono pensate prima dei corpi, ma ancora non sono i principi di tutte le cose; infatti nella rappresentazione mentale vengono prima le superfici poiché i solidi sono formati da queste. Ma neppure le superfici possono essere poste come principi di tutte le cose; infatti ciascuna di esse a sua volta è composta da elementi che la precedono, le linee, e le linee hanno come presupposti i numeri in quanto la figura composta di tre linee si chiama triangolo e quella composta di quattro quadrangolo. E poiché la semplice linea non viene pensata senza il numero, ma, condotta da un punto all'altro, segue il due e tutti i numeri cadono anch'essi sotto l'uno (infatti la diade è una diade e anche la triade è un uno e la decade è una somma di numeri). Prendendo le mosse da queste considerazioni, Pitagora ha posto come principio delle cose esistenti la monade per partecipazione alla quale ciascuna delle cose esistenti si dice uno. E questa, pensata secondo l'identità con se stessa, viene pensata come monade, aggiunta a se stessa secondo la diversità, costituisce la cosiddetta diade indefinita in quanto non è nessuna delle diadi numerabili e definite, ma tutte vengono pensate come tali per partecipazione a questa. Dunque due sono i principi degli esseri: la prima monade, per partecipazione alla quale tutte le mo-

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Adv. Math. 10,258 h[dh de; oujk ei[ tina proufevsthke tw'n swmavtwn ajs wvmata, tau't ejx ajnavgkh" stoicei'av ej sti tw'n o[ntwn kai; prw'taiv tine" ajrcaiv. ijdou; ga;r kai; aiJ ijdevai ajswvmatoi ou\sai kata; to; n Plav twna proufesta'si tw' n swmavtwn, kai; e{kaston tw'n ginomev nwn pro;" auj ta; " giv netai: ajll ou[k eijsi tw'n o[ ntwn ajrcaiv, ejpeivper eJkavsth ijdev a kat ijdivan me; n lambanomev nh e} n ei\nai levgetai, kata; suvllhyin de; eJ tevra" h] a[llwn duv o kai; trei'" kai; tevssare", w{ste ei\naiv ti ejpanabebhko; " aujtw' n th'" uJpostavs ew", to; n ajriqmovn, ou| kata; metoch;n to; e} n h] ta; duvo h] ta; triv a h] ta; touvtwn e[ti pleivona ejpikathgorei'tai aujtw' n.

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Xenocr. Fr. 98 IP (Simpl. In Phys. 187a 12, 151,6-11). Gaiser 1968b, 66 emargina la notizia su Platone come aggiunta ellenistica. Se fosse tale, non si capisce perché non dovrebbe comparire, per lo meno in accenno, anche nella versione degli Schizzi pirroniani.

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nadi numerabili sono pensate come monadi, e la diade indefinita, per partecipazione alla quale le diadi definite sono diadi46.

Il resoconto è qui in alcuni punti sicuramente distorto in quanto la tetrade nella dottrina delle idee-numero non ha come corrispettivo geometrico il quadrangolo, ma la piramide e c'è una confusione fra la diade come primo dei numeri e la diade-principio (v. infra), ma il procedimento di sottrazione dal corpo alla linea riproduce quello che si trova anche in altre testimonianze sulla dottrina delle idee-numero. Nel resoconto degli Schizzi vengono assunti come principi incorporei, in sequenza, le figure, le idee e i numeri47 senza alcun accenno al metodo di sottrazione, come se si trattasse di entità a sé stanti. 4. 1. Autenticità della polemica antiatomista nell'excursus di Sesto Tra gli anni quaranta e cinquanta Paul Wilpert, nella sua opera di raccolta di testimonianze sulla dottrina non scritta di Platone, aveva creduto di individuare in questo brano di Sesto Empirico un frammento delle lezioni Sul bene di Platone e ipotizzato conseguentemente una opposizione di quest'ultimo a Democrito48. In seguito, tuttavia, anche chi ha riconosciuto 46

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Adv. Math. 10,259-262 kai; ta; sterea; schvmata proepinoei'tai tw'n swmavtwn, ajswvmaton e[conta th;n fuv sin: ajll ajnavpalin ouj k a[rcei tw'n pavntwn: proavgei ga;r kai; touvtwn kata; th;n ejpivnoian ta; ejpivpeda schvmata dia; to; ejx ejkeiv nwn ta; sterea; sunivstasqai. ajlla; me;n oujde; ta; ejpivpeda schvmata qeivh ti" a] n tw' n o[ ntwn stoicei'a: e{kaston ga;r aujtw'n pavlin ejk proagovntwn suntivqetai tw'n grammw' n, kai; aiJ grammai; proepinooumevnou" e[cousi tou;" ajriqmouv", parovson to; me; n ejk tw' n triw'n grammw'n trivgwnon kalei'tai kai; to; ej k tessavrwn tetrav gwnon. kai; ejp ei; hJ aJplh' grammh; ouj cwri;" ajriqmou' nenovhtai, ajll ajpo; shmeivou ejpi; shmei'on aj gomev nh e[cetai tw' n duei' n, oi{ te ajriqmoi; pav nte" kai; aujtoi; uJpo; to; e}n peptwv kasin (kai; ga;r hJ dua;" miva ti" ejsti; duav ", kai; hJ tria; " e{ n ti ejstiv, triav ", kai; hJ deka; " e} n ajriqmou' kefavl aion), e[nqen kinhqei;" oJ Puqagovra" ajrch; n e[fhsen ei\ nai tw' n o[ ntwn th; n monavd a, h|" kata; metoch;n e{kaston tw' n o[ ntwn e}n levgetai: kai; tauvthn kat aujtovthta me; n eJauth'" nooumev nhn monavd a noei'sqai, ejpisunteqei's an d eJauth'i kaq eJterovthta ajp otelei'n th;n kaloumev nhn ajovriston duavda dia; to; mhdemiv an tw' n ajriqmhtw'n kai; wJrismevnwn duavdwn ei\ nai ªth;n secl. Heintzº aujthv n, pavs a" de; kata; metoch;n aujth'" duavd a" nenoh'sqai, kaqw;" kai; ejpi; th'" monavdo" ejlev gcousin: duvo ou\ n tw' n o[ ntwn ajrcaiv, h{ te prwvth monav ", h|" kata; metoch;n pa'sai aiJ ajriqmhtai; monavde" noou'ntai monavde", kai; hJ ajovristo" duav", h|" kata; metoch;n aiJ wJrismevnai duavde" eijsi; duavde". Pyrrh. hyp. 3,152 tw'n de; ajdhvlwn ta; mevn ejsti swvmata, wJ" aiJ a[tomoi kai; oiJ o[gkoi, ta; de; ajswvmata, wJ " schvmata kai; ijdev ai kai; ajriqmoiv. w| n ta; me;n swvmatav ej sti suv nqeta, sunestw'ta e[k te mhv kou" kai; plavtou" kai; bavqou" kai; aj ntitupiva" h] kai; bavrou". ouj movnon a[ra a[dhla ajlla; kai; ajswvvmatav ejsti ta; stoicei' a. ajlla; kai; tw'n ajswmavtwn e{kaston ejpiqewrouvmenon e[cei to;n ajriqmovn: h] ga;r e{ n ejstin h] duvo h] pleivw. di w|n sunav getai o{ti ta; stoicei'a tw'n o[ntwn eijsi;n oiJ a[dhloi kai; ajswv matoi kai; pa' sin ejpiqewrouvmenoi ajriqmoiv. kai; oujc aJplw'", ajll h{ te mona;" kai; hJ kata; ejpisuv nqesin th'" monavdo" ginomev nh ajovristo" duav ", h| " kata; metousiv an aiJ kata; mevro" givgnontai duavde" duavde". Wilpert 1941, 229-248; 1949, 128ss.; 1950, 49-66.

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nel brano la presenza di un nucleo di dottrina platonica, ha avanzato dubbi sulla sua originalità globale. Già Jaeger, recensendo il lavoro di Wilpert, aveva richiamato l'attenzione sulla terminologia ellenistica di vari punti del brano e sugli evidenti interventi della fonte o delle fonti intermedie. Tra questi Jaeger annoverava anche la diaphonia fra "Pitagorici" e atomisti considerandola una ricostruzione a posteriori49. Gaiser, che nel volume Platons ungeschriebene Lehre la accettava come parte del resoconto originale concordando con Wilpert sull'ipotesi di una diretta critica platonica all'atomismo50, diviene poi più cauto nello studio particolare dedicato a questo brano. Come altri dopo Jäger, anch'egli inclina a considerare il nucleo che illustra la diaphonia un inserimento in quanto presenta il repertorio dossografico ellenistico sui principi presente anche altrove in Sesto e in altri autori51. A favore di questa tesi sembrerebbe giocare anche un passo di Sesto in cui viene esposto il decimo tropo scettico della sospensione del giudizio, quello della relatività delle concezioni dogmatiche, nel quale compare anche la lista tipica della vulgata dossografica sui principi e la dichiarazione che le varie ipotesi dogmatiche vengono dagli scettici contrapposte, ora a loro stesse (l'accento è sulle loro contraddizione interne), ora a ciascuna delle altre52. La diaphonia fra i Pitagorici e gli atomisti potrebbe dunque essere una costruzione seriore. Per stabilire se e in che misura il brano presenti una contrapposizione originale degli Accademici agli atomisti bisogna tuttavia osservare il resoconto di Sesto da un'ottica diversa rispetto a quella di chi ne rifiuta in blocco l'originalità. In questo brano, come è stato più volte rilevato, ci sono sì dei rimaneggiamenti (evidenti ad esempio nella terminologia di matrice stoica, corrente negli autori di età imperiale) e degli inserimenti che risalgono ad una tradizione posteriore, ma questi in generale risaltano 49 50

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Jaeger 1951, 250s. [1960, 424s.]. Gaiser 1968a, 28s.; 82-85; 354 n. 60; cf. anche 229, 298, 465. Della stessa opinione anche Krämer 1971, 294 n. 227. Cf. in Gaiser 1968b, 64; 74 n. 103 con l'elenco degli autori in cui compare la sequenza atomisti, corpuscolaristi, sostenitori di principi incorporei. Un elenco più esauriente in Theiler 1964, 90 dove però non viene fatta alcuna differenziazione fra i vari tipi di resoconto dossografico. Manca in ambedue le liste un passo di Alessandro di Afrodisia, De mixt. 213,18-214,6 dove i limiti dei corpi sono identificati con i triangoli platonici, v. infra, n. 77. In ogni caso questi resoconti trattano i limiti dei corpi come dottrina a sé stante così come Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,152ss. La problematizzazione di questo passo manca sorprendentemente in Thiel 2006, 343s. e 349s. che dà per scontata l'autenticità della polemica antiatomista. Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,145ss. devkatov" ejsti trovpo" ª...º oJ para; ta;" dogmatika;" uJpolhvyei" ª...º dogmatikh; dev ejstin uJpovlhyi" paradoch; prav gmato" di ajnalogismou' h[ tino" ajpodeivxew" kratuv nesqai dokou'sa, oi|on o{ti a[toma e[sti tw' n o[ntwn stoicei'a h] oJmoiomerh' ãh]Ã ejlavcista h[ tina a[lla. aj ntitivqemen de; touvtwn e{kaston oJte; me; n eJ autw'i oJte; de; tw'n a[llwn eJkavs twi.

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proprio per il loro anacronismo come l'accenno ad Epicuro menzionato precedentemente. Il fatto che Sesto riporti lo schema dossografico ampliato sui principi corporei di età ellenistica (atomi, omeomeri, "masse", minimi privi di parti) non è in sé probante in quanto non esclude a priori che il nucleo originale (Accademici contro atomisti) sia stato "aggiornato" con tutta la lista tipica della dossografia tarda53. In generale, comunque, Sesto presenta come storicamente vere, riproducendone abbastanza fedelmente la sostanza, solo le polemiche effettivamente condotte da autori specifici contro altri54. Non presenta invece come un dato storico, ma come una semplice divergenza di opinioni fra i dogmatici deducibile dalle loro rispettive dottrine una diaphonia ricostruita a posteriori. Nel brano di Sesto si avverte comunque quell'atmosfera di contrapposizione dialettica degli Accademici ai sostenitori dei principi corporei delineata nel Sofista ed evocata più volte nell'opera aristotelica che ho cercato di delineare nella prima parte di questo capitolo. Qui si possono aggiungere ulteriori considerazioni a conferma di questo fatto: 1. L'affermazione di principio secondo cui i fenomeni devono necessariamente essere composti di elementi invisibili sembra proprio riprodurre nella terminologia stessa quella tendenza degli Accademici contro cui Aristotele si scaglia nel primo libro della Metafisica e nel secondo libro della Fisica accusandoli di far derivare le cose evidenti da ciò che non si vede55. 2. I Pitagorici di Sesto mettono sullo stesso piano teorie corpuscolari e atomiste: ambedue presupporrebbero corpuscoli eterni, ma non tali in realtà in quanto sia gli uni che gli altri sono ulteriormente divisibili con la mente. Questa assimilazione fra dottrine atomiste e corpuscolariste ritorna sia nei resoconti aristotelici che trattano gli indivisibili sia, in particolare, in un brano del terzo libro del De caelo, il cui tema è proprio l'alternativa fra eternità o corruttibilità dei corpi elementari: i corpi elementari eterni ai quali si arresterebbe la divisione sono o atomi, o ancora divisibili, ma mai divisi. Questa seconda teoria corpuscolare viene attribuita molto stranamente ad Empedocle: egli avrebbe ammesso un corpuscolo "divisibile, 53

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Su questa linea si pone la risposta data da Krämer 1964, 156ss. alle critiche rivoltegli da Vlastos 1963, 644-648 il quale, adducendo l'argomento della rielaborazione tarda, negava la possibilità di una eventuale presenza di materiale originale accademico nel brano. Ciò che invece risulta più problematico della tesi di Krämer, come vedremo, è che il brano di Sesto riporti effettiva dottrina platonica non filtrata dall'interpretazione degli allievi. Sull'amplificazione da parte della dossografia di problematiche e discussioni originarie, cf. Mansfeld 1992b e 2002 che tratta in particolare il materiale peripatetico. Cf. e.g. quella fra Alessino il megarico e il suo contemporaneo Zenone stoico e degli stoici successivi contro Alessino (Adv. Math. 9,108-110); fra Diogene di Babilonia e gli oppositori di Zenone (9,133s.). Metaph. A 9, 992a 24-29, v. supra, n. 3; cf. anche Phys. B 1, 193a 5ss.

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senza che possa mai venire dissolto"56. Tale esegesi dei principi empedoclei è tuttavia, molto probabilmente, già accademica e deriva da una reinterpretazione della dottrina empedoclea alla luce della teoria corpuscolare di Eraclide Pontico. Egli aveva infatti assunto come componenti ultime dei corpi piccole masse prive di connessioni al loro interno (a[narmoi o[gkoi), e quindi ulteriormente scomponibili, separate da pori57. In Sesto i "Pitagorici" fanno presente che l'assumere come principi dei corpi intellegibili, siano essi atomi o corpuscoli ulteriormente divisibili come gli o[gkoi, equivale ad una progressione all'infinito: in quanto corpi essi si possono sempre immaginare composti di altri corpi senza poter arrivare ad un principio ordinatore del tutto. 3. Il brano di Sesto si stacca da tutto il resto della tradizione dossografica tarda di marca teofrastea in quanto è l'unico non solo a presentare una contrapposizione fra atomismo e dottrine "pitagoriche" dei principi, superando lo schema della concordanza di fondo58, ma anche a confrontare gli atomi non con i triangoli del Timeo, bensì con la dottrina dell'uno e della diade. 4. Sesto menziona fra coloro che hanno assunto come principi dei corpi solo intellegibili gli atomisti, coloro che hanno posto le omeomerie, o gli onkoi, o i minimi privi di parti secondo il normale schema presente anche in altri autori tardi (v. infra). L'allusione ai sostenitori degli ejlavcista kai; ajmerh' è, nel migliore dei casi, un anacronismo, in quanto questi principi sono attribuiti nella lista dossografica corrente a Diodoro Crono posteriore a Senocrate59. Tuttavia, nel seguito del passo, la critica dei cosiddetti Pitagorici è rivolta espressamente contro gli atomisti e non contro tutte le tesi menzionate. Anzi, come risposta all'eternità dei loro atomi, si obietta che, in fondo, anche i corpuscolaristi hanno considerato i loro corpuscoli eterni; dunque gli atomi non sono "più elementi" dei corpu56

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De cael. G 6, 305a 1-6 eij de; sthvsetaiv pou hJ diavlusi", h[toi a[tomon e[stai to; sw'ma ejn w|i i{statai, h] diaireto;n me;n ouj mevntoi diaireqhsovmenon oujdevpote, kaqavper e[oiken Empedoklh'" bouvlesqai levgein. a[tomon me;n ouj k e[stai dia; tou;" provteron eijrhmevnou" lovgou": ajlla; mh; n oujde; diaireto;n me; n oujdevpote de; dialuqhsovmenon. Heraclid. Fr. 118-123 Werhli. Sull'interpretazione degli a[narmoi o[gkoi di Eraclide, cf. Stückelberger 1984, 17-19 con bibliografia. Sull'interpretazione corpuscolare di Empedocle e sulle sue ascendenze accademiche, cf. Gemelli Marciano 1991a. Anche Aristotele applica del resto lo schema "sinfonico" Pitagorici-atomisti nel breve accenno congiunto a Democrito e ai Pitagorici di Metafisica M 4. Le differenze di questo accostamento con lo schema diafonico del brano di Sesto sono evidenti. Innanzitutto i Pitagorici di Aristotele vengono prima di Democrito e non possono essersi posti in posizione critica nei suoi confronti. Inoltre sostengono anch'essi dei principi corporei in quanto i loro numeri non sono separati dai sensibili. Aristotele li situa poi sullo stesso piano di Democrito in quanto anch'essi hanno cercato in qualche modo di definire l'essenza. V. infra, V 1 n. 12.

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scoli. Atomisti e corpuscolaristi vengono posti sullo stesso piano. La negazione di una eternità vera e propria all'ambito del corporeo è in perfetta consonanza con la tradizione platonica che, da Platone in poi, esclude dal mondo sensibile tutti i concetti assoluti60. L'intervento di cosmesi della fonte di Sesto non è dunque da individuarsi nell'argomentazione principale, bensì unicamente nell'ampliamento della lista dei sostenitori dei principi corporei. 5. Nel suo nucleo, inoltre, questa parte introduttiva del brano in cui si parte dalla critica agli atomisti per il successivo superamento del corporeo attraverso le figure fino al numero, presenta delle strette analogie coi brani aristotelici nei quali, nella prima parte di questo capitolo, si sono ravvisate tracce di una possibile critica degli Accademici agli atomisti. Wilpert faceva inoltre rilevare in particolare due punti che riguardano sia l'aspetto più generale dell'excursus dossografico, sia l'opposizione specifica Pitagorici/ atomisti61: 1. La necessità di porre elementi non ulteriormente scomponibili, neppure con la mente, scaturisce dalla problematica della divisibilità all'infinito così come era stata impostata nell'Accademia62. 2. Alla base dell'opposizione dei "Pitagorici" alle dottrine atomiste e alla loro ricerca dei principi sta una marcata equivalenza fra ciò che può venir pensato e ciò che è nella realtà63 quale si ritrova anche nella descrizione dei molti senza l'uno del Parmenide platonico (165b) e quale viene continuamente rimproverata da Aristotele agli Accademici in generale64. Per loro ciò che si può scomporre con la mente è in realtà scomponibile e dunque non può essere principio. Le critiche rivolte alle dottrine atomiste e corpuscolariste dai "Pitagorici" di Sesto sono perfettamente coerenti con le concezioni e il metodo degli Accademici e richiamano l'immagine degli amici delle idee del Sofista platonico che fanno a pezzi nei logoi i corpi dei loro avversari. Nel brano di Sesto è dunque possibile individuare, al di là delle rielaborazioni tarde, una terminologia e una impostazione della discussione che rimanda ad una opposizione degli Accademici agli atomisti su punti fondamentali quali l'essenza e l'eternità dei principi. 60

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Una conferma indiretta dell'autenticità della polemica antiatomista degli Accademici viene poi dalla formulazione della dottrina dei minimi dell'atomo da parte di Epicuro che tiene conto sia delle critiche accademiche che delle risposte aristoteliche agli Accademici stessi, v. infra, VI 3. 1. Wilpert 1949, 128ss.; 1950, 55. Wilpert 1950, 56ss. Wilpert 1949, 242-244; 1950, 62-65. Il termine "tecnico" usato da Aristotele per questo modo di procedere è logikw'" skopei'n, cf. De gen. et corr. A 2, 316a 5; Phys. G 8, 208a 14, v. infra, IV 2.

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Verificata l'autenticità della polemica antiatomista del brano di Sesto rimangono da definire ancora due punti qualificanti per la ricezione dell'atomismo nell'Accademia e per la trasmissione di questa visione dell'atomo alla tradizione tarda: 1. In primo luogo l'identità dei Pitagorici in questione. Wilpert e Gaiser attribuivano la dottrina direttamente a Platone, la Isnardi Parente è incline a considerarla più propriamente senocratea. Nel primo caso sarebbe l'unico indizio reale di una trattazione da parte di Platone dell'atomismo antico, nel secondo verrebbe invece rafforzata l'ipotesi secondo cui erano piuttosto gli allievi ad aver preso posizione nei confronti degli atomisti. 2. In secondo luogo chi sia la fonte di Sesto e da dove essa stessa presumibilmente attinga. 4. 2. Senocrate "figlio dei Pitagorici" e la polemica antiatomista Se Wilpert, Gaiser e Krämer vedevano nel resoconto di Sesto la dottrina non scritta di Platone, c'è invece una corrente che riporta il passo all'Accademia, ma non a Platone stesso65. Alcuni elementi nella prima parte del resoconto, già accennati dalla Isnardi Parente, fanno propendere per una derivazione da Senocrate. In particolare la concezione dell'idea come una realtà composita, molteplice al suo interno (kata; suvllhyin). Si tratterebbe di un ulteriore sviluppo della dottrina del Sofista dove Platone parla di sumplokh; tw'n eijdw'n, ma non di suvllhyi", un concetto a lui estraneo, mentre Senocrate viene indicato da Temistio come il sostenitore di una concezione dell'idea-numero come molteplicità (sugkeivmeno" ejx eijdw'n)66. Ai fini dell'attribuzione a Senocrate sono però ancora più rilevanti altri due fatti e cioè: 1. La considerazione del solido come un incorporeo con una conseguente nettissima separazione, senza possibilità di mediazione se non attraverso il concetto di partecipazione, fra sensibile e intellegibile.

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Merlan 1960, 203s. accettava la tesi che il contenuto del brano di Sesto fosse basato su un nucleo derivato dall'Accademia, ma non da Platone facendo notare, fra l'altro, che nel resoconto viene citato il nome di Platone stesso. Krämer 1964, 158 n. 56 e Gaiser 1968b, passim, interpretano il riferimento come una aggiunta della fonte di Sesto, ma in realtà esso rientra in un discorso originario e coerente che accoglie la dottrina delle idee, indicando nel contempo anche le linee del suo superamento. Isnardi Parente 1982a lo ha riportato espressamente a Senocrate inserendolo nella sua edizione. Cf. ultimamente anche Thiel 2006, III 6. Isnardi Parente 1981, 41s.; 1982, 348-50.

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2. L'allusione alla generazione del cosmo kat ejpivnoian che, al di là della terminologia di matrice stoica67, richiama l'interpretazione didaskaliva" cavrin data dagli allievi di Platone della generazione del cosmo nel Timeo68. Il chorismos dei corporei dagli incorporei e la complessità delle idee, sono i temi dominanti di un resoconto sulla dottrina di Senocrate nella parafrasi al De anima di Temistio che si richiama, anche se forse attraverso mediazioni69, al Peri physeos di Senocrate stesso. In questo brano, come nel resoconto di Sesto, il solido è appunto considerato un incorporeo mentre in Platone è il corpo stesso e nelle testimonianze sul Peri; tajgaqou' e nella tradizione platonica tarda il primo incorporeo è la superficie 70. La natura incorporea, spiega Temistio esponendo l'opinione di Senocrate, essendo priva della massa corporea, non appartiene alla sfera del continuo, ma deve possedere i caratteri del discontinuo. La molteplicità presente in questo ambito è fatta di monadi vere e non di unità apparenti quali quelle del mondo fisico. L'incorporeo è dunque costituito di numeri ideali che, in quanto numeri, esprimono una molteplicità, in quanto unità ideali, sono realmente delle unità. Elementi del numero ideale sono l'idea dell'uno e quella della prima diade, della prima triade e della prima tetrade. Siccome, però, nel mondo intellegibile devono comparire anche i fondamenti matematici del sensibile e questo è composto da lunghezza, larghezza e profondità, la lunghezza prima (la linea), la superficie prima (il triangolo), il solido primo (la piramide) costituiscono i corrispettivi geometrici della diade, della triade e della tetrade71. Al di là della terminologia 67

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L'espressione non è attestata né in Platone né in Aristotele, ma risale all'opposizione stoica kat ejpiv noian (o ejpinoiv ai)/ kaq uJpovstasin (Posidon. F 16; 92 E.-K.) e diventa un termine corrente negli autori di età imperiale, cf. e.g. Gal. De diff. puls. 2,7 (VIII,609 K.); PHP 8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.), infra, 5. 2 n. 108. Cf. Arist. De cael. A 10, 279b 32. Isnardi Parente 1982a, 429-431; 1992, 147 n. 38. Cf. Pl. Ti. 53c; Leg. 894a; Arist. Fr. 28 Rose (Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20) ajrca;" me;n tw'n o[ntwn tou;" ajriqmou;" Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ ti ejdovkei aujtoi'" to; prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajs uvnqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejp ivpeda ei\nai—ta; ga;r aJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei. Philo Op. 50; Macr. Somn.

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Scip. 1,5,13 Ipsam vero superficiem cum lineis suis primam post corpora diximus incorpoream esse naturam nec tamen sequestrandam propter perpetuam cum corporibus societatem; cf. anche Chalc. In Tim. 101,19ss. Theiler 1964, 101 riteneva questi ultimi brani paralleli a quello di Sesto, ma essi differiscono proprio in questo punto fondamentale. Xenocr. Fr. 260 IP (Themist. In De an. 404b 20, 11,20) th;n ga;r ajswvmaton fuvsin tou' me;n sunecou' " posou' povrrwqen ei\nai pantavp asin uJpelavmbanon oiJ a[ ndre" ejkei'noi, a{ te ej n o[gkwi mh; uJf estw's an, tou' diwrismevnou de; oijkeivan ei\nai: plh'qo" ga;r kai; ejkeivnh" ei\nai th'" fuvsew" ej x eJ navdwn ajlhqinw' n sunteqeimev non uJp enovo un, oujc oi{ai" hJmei'" crwvmeqa ejpi; tw'n swmavtwn monavsin, w|n oujdev n ejsti e}n ajkribw' ", ajlla; pleivw, ma'llon de; a[peira: dio; kai; eijjdhtiko;n ejkavloun tou'ton to; n ajriqmo;n a{te sugkeivmenon ejx eijdw' n, kai; tou;" ajriqmou;" ejkeivnou" ei[dh tw'n o[ntwn ejtivqento: 'ajriqmw'i dev te pant ejpevoike'. tou' me; n ou\n aujtozwviou, toutevsti tou' kovsmou tou' nohtou', stoicei'a ta; prw'ta ejpoivoun tw' n eijdhtikw'n ajriqmw'n th;n

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tarda nella quale Temistio espone72, le concezioni di fondo del brano combaciano comunque con la dottrina dei Pitagorici di Sesto se si esclude il fatto che quest'ultimo o la sua fonte distorcono il concetto di triade e tetrade applicandolo erroneamente a triangolo e quadrangolo e non a triangolo e piramide. Ambedue i brani sottolineano comunque il chorismos del mondo sensibile dalle entità geometriche che ne costituiscono il fondamento, un tratto tipico della dottrina di Senocrate73. La concezione del solido come incorporeo non è dunque platonica né deriva da una eventuale contaminazione della fonte tarda in quanto, più oltre, nello stesso resoconto il solido viene chiaramente definito come to; stereo;n sch'ma kai; to; sw'ma 74, ma risale a Senocrate. Un altro punto che porta ad escludere la provenienza del brano di Sesto dalle dottrine non scritte di Platone e a riportarlo invece a Senocrate è l'allusione ad una interpretazione non letterale, ma kat ejpivnoian della nascita del cosmo e degli enti di per sé eterni. Essa infatti non può essere di Platone per ovvie ragioni e difficilmente è inserzione della fonte intermedia. Se infatti l'interpretazione allegorica della nascita del cosmo è comune nel medio- e neoplatonismo75, non è invece documentata in relazione alla genesi dei solidi e dei numeri. Ambedue le interpretazioni, compresa la generazione dei numeri qewrh'sai e{neka, sono invece attribuite nei testi aristotelici espressamente ai sostenitori delle idee-numero, cioè a Senocrate76. Dunque l'accenno alla genesi del cosmo, ma anche al carattere tou' eJ no;" ijdev an kai; th; n th'" prwvth" duavdo" kai; th;n th'" prwvth" triavdo" kai; th;n th'" prwvth" tetravdo": ejp eidh; ga;r ej n tw'i nohtw'i kovsmwi dei' pavntw" ta; " ajrca; " paremfaiv nesqai tou' aijsqhtou', oJ de; aijsqhto;" ej k mhvkou" h[dh kai; plavtou" kai; bavqou", tou' me;n mhv kou" ijdevan ei\nai th; n prwvthn ajpefhv nanto duavda: ajpo; ga;r eJno; " ejf e} n to; mh'ko", toutev stin ajpo; shmeivou ejpi; shmei'on: tou' de; mhvkou" a{ma kai; plavtou" th;n prwvthn triavda: prw'ton ga;r tw'n ejpipevdwn schmav twn ej sti; to; trivgwnon: tou' de; mhvkou" kai; plavtou" kai; bavqou" th;n prwvthn tetravda: prw'ton ga;r tw' n sterew' n ejsti; n hJ puramiv". tau'ta de; a{panta labei'n e[stin ejk tw'n Peri; fuvsew" Xenokravtou". 72

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Il brano di Temistio, che Saffrey 1955, 37-43 aveva considerato di scarsa affidabilità, è stato riabilitato da Cherniss 1977, 427-429 nella recensione a Saffrey e accettato a pieno titolo come testimonianza su Senocrate da Pines 1961, 15ss. e da Isnardi Parente 1982a, 429-431; 1992, 145 n. 36. Cf. anche la netta separazione fra sostanza sensibile e intellegibile in Xenocr. Fr. 83 IP (Sext. Emp. Adv. Math. 7,147-149). Cf. su questo punto anche la critica aristotelica alle dottrine senocratee Metaph. N 3, 1090b 21-29. Adv. Math. 10,280; cf. anche i passi paralleli Adv. Math. 7,100 e 4,5. Per altre testimonianze che utilizzano la vulgata tarda e identificano il solido col corpo, cf. Philo Op. 49-51; Plut. De E 390 D; Hippol. Ref. 6,23,3; Anatol. ap. Iambl. Theolog. arithm. 23, 29,10-12 De Falco. Per un elenco esauriente degli autori che hanno affrontato questa problematica, cf. Cherniss 1976, 170 n. a. Per la genesi del cosmo Arist. De cael. A 10, 279b 32 e il commento corrispondente in Simpl. In De cael. 279b 32, 303,33 (Xenocr. Fr. 154 IP). Per la genesi dei numeri qewrh'sai e{neka Metaph. N 4, 1091a 23-29 e il commento di Burkert 1972, 79s.

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composto degli enti ideali kat ejpivnoian, porta ad identificare i cosiddetti Pitagorici con quest'ultimo. E' perciò assai probabile che Senocrate, il quale è l'unico nell'Accademia ad aver elaborato una dottrina degli indivisibili, abbia preso posizione nei confronti dell'atomismo (che Aristotele invece esaltava) contrapponendogli non semplicemente le tesi del Timeo, ma la dottrina dei principi incorporei. L'interpretazione di coloro che vedono nella prima parte del resoconto di Sesto una ricostruzione a posteriori di una polemica non è dunque corretta. La sua fonte ha solo ampliato, secondo uno schema corrente, la lista delle teorie corpuscolariste, ma ha ripreso sicuramente un confronto dialettico originale come fa in molti punti del suo resoconto sui numeri. Questo risulta anche dall'esame degli altri brani dossografici sui principi (che definirò "la vulgata"), alcuni dei quali di Sesto stesso, portati generalmente come prova della derivazione tarda della polemica77. Nonostante siano sempre stati considerati perfettamente paralleli a questo, essi presentano in realtà differenze di 77

Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ajtovmou", eij mhv ti ajrcaiotevr an tauvthn qetevon th; n dovxan, kai; wJ" e[legen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo; Movcou tino;" aj ndro;" Foivniko" katagomevnhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio" oJ moiomereiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejl avcista kai; ajmerh' swvmata, Asklhpiavdh" de; oJ Biquno;" ajnavrmou" o[gkou", oiJ me; n peri; Puqagovr an tou;" ajriqmouv" e[lexan pav ntwn a[rcein, oiJ de; maqhmatikoi; ta; pevrata tw'n swmavtwn, oiJ de; peri; to;n Plavtwna ta; " ijdeva". Cf. Pyrrh. hyp. 3,32; Adv. Math. 10,318. [Gal.] Hist. phil. 18 (124 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ta;" ajtovmou" ajrca; " pav ntwn nomivzousin, ÔHrakleivdh" de; oJ Pontiko;" kai; Asklhpiavdh" oJ Biquno;" aj navrmou" o[gkou" ta; " ajrca; " uJpotivqentai tw'n o{l wn, Anaxagovra" de; oJ Klazomevnio" ta;" oJmoiomereiv a" Diovdwro" de; oJ Krov no" ejpikeklhmevno" aj merh' kai; ejlavcista swvmata, Puqagovra" de; tou;" ajriqmouv ", oiJ maqhmatikoi; ta; pevr ata tw' n swmavtwn, Strav twn de; oJ fusiko;" proswnomasmev no" ta;" poiovthta". Alex. De mixt. 213,18 (124 L.) w|n oiJ me;n a[toma swvmata a[p eira tw'i plhvqei, kata; sch'ma kai; mevgeqo" movnon th;n pro;" a[llhla diafora; n e[ conta, ta;" ajrca;" kai; ta; stoicei' av fasin ei\ nai, kai; th'i touvtwn sunqev sei te kai; poia'i periplokh'i e[ti te tavxei kai; qevsei ta\lla givnesqai: ejf h|" dovxh" prw'toi me;n Leuv kippov" te kai; Dhmov krito" genevsqai dokou'sin, u{steroi de; Epivkourov" te kai; oiJ th;n aujth; n touvtwi trapevnte": oiJ de; aujtw' n, ouj k ajtovmou", oJmoiomerh' dev tinav fasin a[peira ei\nai swvmata, ejx w| n hJ tw' n aijsqhtw'n gev nesi" swmav twn ginomevnh kata; suv gkrisin kai; suvnqesin, ãejfà h|" dovxh" Anaxagovra" te kai; Arcevlao" dokou'si gegonev nai: h[dh dev tine" kai; ajmerh' tina swv mata ta; " ajrca;" kai; stoicei'a tw' n pav ntwn prohvcqhsan eijpei' n: e[sti dev ti" dovxa kai; ej x ejpipevdwn th;n gevnesin poiou'sa tw'n swmavtwn kai; ejx ajriqmw'n ti" a[llh. Cf. la versione riguardante i principi corporei di Calc. In Tim. 283,17-284,8 Waszink

Restat nunc, ut eorum quoque qui generatam esse corpoream silvam negant sententias exequamur; quorum aeque diversae opiniones omnino sunt. Sunt enim qui textum eius et quasi continuationem quandam corpusculis, quae intellegantur potius quam sentiantur, conexis sibi invicem assignent in aliquo modo positis et aliquatenus figuratis, ut Democrito et Epicuro placet. Addunt alii qualitatem, ut Anaxagoras, sed hic omnium materiarum naturam proprietatemque in singulis materiis congestam esse censet; alii propter exiguitatem individuorum corporum, quorum numerus in nullo fine sit, subtilitatem silvae contexi putant, ut Diodorus et non nulli Stoicorum, quorum sit fortuitus tam coetus quam segregatio. Il resoconto di Calcidio presenta le tipiche assimilazioni della trasmissione dossografica (ad alcuni stoici viene addirittura attribuita una forma di atomismo e una formazione casuale dei corpi, ciò che essi sempre criticano). Su questi schemi Mansfeld 1990a, 3070 n. 38 e 3158s.

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rilievo. In questi brani, infatti, le dottrine che pongono come principi le idee, le superfici (o i limiti dei corpi) e i numeri vengono considerate come tesi separate, senza alcun collegamento fra loro e attribuite a personaggi diversi: i sostenitori dei "limiti dei corpi" (le superfici) come principi sono ad esempio i "Matematici", identificati con sicurezza come matematici e astronomi di età ellenistica78, quello dei numeri è Pitagora, delle idee, Platone. Una breve notazione del Filopono, unica nel panorama dossografico antico, solo apparentemente simile alla vulgata, riporta invece una lista con varianti significative che richiamno il resoconto di Sesto. Se infatti fra i "materialisti" vengono annoverati Talete, Democrito, Anassimene Anassimandro ed Eraclito, che compaiono anche nella vulgata79, i sostenitori dei principi incorporei sono unicamente i Pitagorici e Senocrate che hanno posto come come principi i numeri. L'aggiunta a quest'ultimo gruppo di Platone con formula dubitativa rimanda evidentemente all'interpretazione della sua dottrina da parte della fonte del Filopono80. Nella vulgata Senocrate non compare mai come sostenitore del numero (che è invece Pitagora) e Platone è sempre decisamente il rappresentante della dottrina delle idee. Inoltre il Filopono fa seguire anche un elenco di coloro che avrebbero sostenuto una posizione intermedia ammettendo sia principi corporei che incorporei, come Anassagora (omeomerie e Nous), Empedocle (quattro elementi e Neikos e Philia) e lo stesso Democrito (atomi e vuoto). Il Filopono attinge dunque ad un'altra versione dell'opposizione corporei/ incorporei che ha ben presenti le tesi di Senocrate e che mostra delle analogie con l'excursus di Sesto sulla diaphonia fra "Pitagorici" e atomisti. Ambedue si distanziano dalla vulgata sui principi corporei e incorporei e attribuiscono gli incorporei unicamente ai Pitagorici e, il Filopono, anche a Senocrate, la fonte ultima del brano di Sesto. La prima parte di questo passo, dunque, lungi dal riprodurre semplicemente la vulgata di età ellenistica, riporta, pur con qualche integrazione, una originale critica di Senocrate agli atomisti. La parte critica si incentrava sull'assimilazione delle loro dottrine alle presunte tesi corpuscolariste e sul concetto di eternità dei principi. La considerazione che i principi corporei, per definizione, non possono essere eterni in quanto mentalmente sempre scomponibili, serviva poi come punto di partenza per l'ajnavl usi" eij" ta; prw'ta, l'uno e la diade secondo quel procedimento rispecchiato nei testi aristotelici esaminati nella prima parte di questo capitolo. Il carattere teoretico dell'opera78 79 80

Burkert 1972, 42s., n. 76; Isnardi Parente 1992, 159ss. Sext. Emp. Adv. Math. 9,360-364 e 10,310-318. Philop. In De an. 404b 30, 82,17 (Xenocr. Fr. 119 IP) swmatika;" me;n ou\n ta;" ajrca;" ejtivqento oiJ fusikoiv, Qalh'", Dhmovkrito", Anaximev nh" Anaxivmandro", ÔHravkleito", ajswmavtou" de; oiJ ajriqmou;" levgonte" wJ" oiJ Puqagovreioi kai; Xenokravth", dokei' de; kai; oJ Plavtwn.

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zione di sottrazione dal corporeo alle figure geometriche, ai numeri e ai principi stessi veniva espressamente sottolineato col risultato di separare nettamente l'ambito degli incorporei da quello del corpo: quest'ultimo infatti anche se, di fatto, fosse eterno, non potrebbe comunque esserlo in realtà, poiché i veri enti eterni sono solo gli intellegibili. Gli oggetti matematici perdevano così quel carattere di mediazione che avevano rivestito per Platone per rientrare nel dominio degli intellegibili puri. 4. 3. Una fonte scettica per Sesto La fonte del brano di Sesto è difficile da determinare e la discussione è tuttora aperta, ma, anche solo dall'analisi della prima parte del brano, che termina con 10,263, si possono ricavare elementi utili per individuarla. Universalmente riconosciuto è il fatto che si tratta di una fonte tardo-ellenistica in quanto presenta in alcuni punti quella volgarizzazione delle teorie del numero che si ritrova in autori tardi81. Il problema si pone quando si tratta di stabilire con precisione a quale ambito appartenga. Come si è già osservato, la questione è complicata dal fatto che la fonte di Sesto ha a sua volta utilizzato più fonti per questo excursus sui numeri. Sono state avanzate varie ipotesi di cui vale la pena fornire un breve sunto valido anche come punto di partenza per ulteriori riflessioni. 1. Posidonio. La tesi di Posidonio ha avuto un grande seguito soprattutto per le analogie di Adv. Math. 10,277-284 con 7,92-100 dove il filosofo viene espressamente nominato. Ed effettivamente questi paragrafi mostrano una utilizzazione di Posidonio o, per lo meno, di una versione tarda, da lui derivata, sui numeri pitagorici, versione che, del resto, ricompare tale e quale anche in Adv. math. 4,2-982. Essa è basata sostanzialmente su una interpretazione del Timeo alla luce delle dottrine dell'uno e della diade e della massima pitagorica della tetraktys, fonte della natura eterna. La tetrade costituisce il fondamento sia della struttura corporea che dell'anima del mondo. Genera il corpo attraverso la progressione, o lo scivolamento del punto alla linea, di questa alla superficie, e di questa al solido corporeo, e l'armonia del cosmo sulla base degli accordi contenuti nei numeri dall'uno al quattro: l'accordo di quarta (4:3) di quinta (3: 2) e l'ottava (2:1)83. Né in questi resoconti, né nella vulgata tarda che ritorna in altri 81 82 83

Cf. Burkert 1972, 54s. Cf. Burkert 1972, 53ss. Adv. Math. 10,282s. La derivazione posidoniana della teoria dell'anima del mondo è confermata dal passo corrispondente in Adv. Math. 4,8 (kata; th;n ajrchvqen uJpovqesin tessavrwn o[ntwn ajriqmw'n, tou' te eJno; " kai; duvo kai; triva kai; tev ssara, ej n oi|" ejlevgomen kai; th;n th'" yuch'" ijdev an perievcesqai kata; to; n ej narmov nion lovgon...) nel quale viene riecheggiata la

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autori compaiono, però, il motivo della diaphonia dei Pitagorici con gli atomisti e la caratterizzazione del solido come incorporeo. 2. Eudoro o un neopitagorico. E' la tesi più affermata da quando il Theiler l'ha proposta leggendo in 10,260s. una reinterpretazione monistica della dottrina dei principi tipica di Eudoro84. In realtà, nel brano di Sesto, come è stato osservato, non c'è un monismo del tipo eudoreo che pone l'uno come principio supremo, identificabile con il dio, al di là della dualità dei principi uno e diade85, ma una predominanza dell'uno rispetto al secondo principio che Aristotele stesso nella Metafisica attribuisce ad alcuni Pitagorici e agli Accademici86. Venuta meno dunque la motivazione principale per far risalire ad Eudoro il resoconto di Sesto, non ci sono altri particolari possano confermare questa tesi. La coloritura stoica del linguaggio è infatti una caratteristica comune degli autori tardo-ellenistici87. Non c'è, d'altra parte, neppure nessuna ragione per attribuire ad un non ben identificato neopitagorico un resoconto sui numeri solo perché vi si parla di Pitagorici e viene riferita anche la vulgata pitagorizzante relativa alla tetrade. Sesto, infatti, non si limita ad attingere alla sua fonte per il semplice resoconto, ma, come vedremo in seguito, assume in blocco anche la parte critica della dottrina dei cosiddetti Pitagorici. Soprattutto la prima parte del brano, quella già commentata (248-262) e questa parte critica sono importanti per individuare questa fonte che ha composto un resoconto sui numeri pitagorici servendosi di materiali disparati: della vulgata tardoellenistica, ma anche di altre fonti più antiche. Alcuni indizi rimandano ad una fonte scettica, nella fattispecie Enesidemo88: 1. Enesidemo aveva preso in considerazione i numeri probabilmente trattando il tema del tempo in quanto li annoverava nelle stesse categorie: per lui sia la monade sia l'istante erano sostanze, gli altri numeri e il giorno definizione di Posidonio (F 141a; T 45 E.-K.) (Plut. De an. procr. 1023 B ijdevan ei\nai tou' pavnthi diastatou' kat ajriqmo;n sunestw' san aJrmonivan perievconta). Sulla provenienza po84 85 86

sidoniana della vulgata relativa alla tetrade pitagorica come espressione della formula del corpo e dell'anima, cf. Merlan 1960, 51-53. Theiler 1965, 208. Cf. Burkert 1972, 54 n. 7; Isnardi Parente 1992, 150 n. 41. Metaph. M 6, 1080b 6 scedo;n de; kai; oiJ levgonte" to; e}n ajrch;n ei\nai kai; oujsivan kai; stoicei'on pavntwn, kai; ej k touvtou kai; a[llou tino; " ei\nai to;n ajriqmovn, e{kasto" touvtwn tina; tw'n trovpwn ei[rhke. Ibid. 30-32 monadikou;" de; tou; " ajriqmou;" ei\nai pav nte" tiqev asi, plh;n tw'n Puqagoreivwn, o{soi to; e} n stoicei'on kai; ajrchvn fasin ei\nai tw'n o[ntwn.

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In particolare Theiler 1964, 90 si riferisce alla terminologia stoica della seconda parte del brano di Sesto, quella riguardante la sistemazione categoriale. Egli stesso, però (p. 89), cita un passo (Adv. Math. 8,161) che indica chiaramente come la terminologia stoica fosse impiegata anche dagli scettici. A quanto mi risulta, finora solo il Krämer 1967, 29 n. 30; 1964, 157 n. 55 ha ventilato questa ipotesi senza tuttavia soffermarvisi.

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il mese e l'anno solo dei multipli, cioè una quantità. L'introduzione del brano sui numeri come attinenti alla definizione di tempo, ricorda inoltre quella data da Enesidemo89. 2. In Adv. Math. 10,251-52, in un inciso non ben integrato con il discorso dei Pitagorici, si sottolinea come coloro che hanno assunto elementi invisibili lo abbiano fatto ouj koinw'"90. Questa espressione riecheggia la formula del quinto tropo di Enesidemo contro le opinioni dogmatiche secondo cui tutti coloro che assumono delle cause lo fanno ciascuno secondo proprie ipotesi sugli elementi, ma non secondo un metodo comune e concordato91. 3. Ad Enesidemo rimanda anche la confutazione che Sesto fa seguire all'excursus sui Pitagorici dove vengono utilizzati argomenti dei dialoghi platonici in particolare del Fedone e del Parmenide92. Sesto confuta, utilizzando un Platone "scettico"93, il dogmatismo dei Pitagorici. Particolarmente indicativo è l'uso dell'aporia del Fedone (96e-97b) per la critica al concetto di diade. Nel dialogo platonico era impiegata per mostrare l'impossibilità della generazione meccanica da composizione o divisione di entità preesistenti: come è possibile infatti che il due possa derivare da due 89

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Sext. Emp. Adv. Math. 10,248 ejpei; e[ti tw'n suzugouvntwn tw'i crovnwi pragmavtwn ejsti; kai; oJ ajriqmo;" dia; to; mh; cwri;" ejxariqmhvsew" th;n tou' crovnou givnesqai katamev trhsin, kaqavper wJrw'n kai; hJmerw' n kai; mhnw'n, e[ti de; ejniautw'n. Cf. Enesidemo in Adv. Math. 10,216s. th;n me;n crovno" proshgorivan kai; th;n mona;" ejpi; th'" oujsiva" tetavcqai fhsivn, h{ti" ejsti; swmatikhv, ta; de; megevqh tw' n crov nwn kai; ta; kefavlaia tw'n ajriqmw'n ejpi; poluplasiasmou' mavlista ej kfevresqai. to; me; n ga;r nu' n, o} dh; crovnou mhvnumav ejstin, e[ ti de; th; n monavda oujk a[llo ti ei\ nai h] th;n oujsivan, th; n de; hJmevr an kai; to; n mh' na kai; to;n ejniauto; n poluplasiasmo;n uJpavrcein tou' nu' n, fhmi; de; tou' crovnou, ta; de; duvo kai; triva kai; devka kai; eJkato; n poluplasiasmo; n ei\ nai th'" monavdo". La frase toivnun ajdhvlou" kai; ajf anei'" uJpevq ento ta;" tw'n o[ntwn ajrcav" kai; ouj koinw'" è una riflessione della fonte sulla diaphonia fra dogmatici che sta per esporre. Segue infatti la critica dei Pitagorici alle tesi che sostengono principi invisibili corporei in generale e agli atomisti in particolare. Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 1,183 pevmpton kaq o}n pavnte" wJ" e[po" eijp ei'n kata; ta;" ijdiva" tw'n stoiceivwn uJpoqevs ei" ajll ouj katav tina" koina; " kai; oJmologoumev na" ej fovdou" aijtiologou'sin. Sulla eventuale trattazione diafonica dei "fisici" da parte di Enesidemo e sulle sue

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ascendenze nell'Accademia scettica, cf. Mansfeld 1988, 250 [1990b, 211] e n. 47; 251 [1990b, 212] e n. 48-50. In particolare l'aporia del Parmenide (131a-c) secondo cui i molti non possono partecipare dell'idea né come tutto né come parte. Cf. Adv. Math. 10,293-298. Nel passo corrispondente degli Schizzi pirroniani (3,159), per dimostrare che il concetto di partecipazione distrugge l'unità dell'idea, viene riportata una variante dell'esempio del velo del Parmenide (uJpoteqevntwn gumnw'n ajnqrwvpwn, eJno;" de; o[nto" iJmativou kai; tou'to eJno;" ajmfiasamevnou, gumnoi; menou'sin oiJ loipoi; kai; cwri;" iJmativou. eij de; mevrou" aujth'" metevc ei e{kaston, prw'ton me;n e{xei ti mevro" hJ monav", kai; a[p eirav ge e{xei mevrh, eij " a} diairei' tai).

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Sull'immagine e l'evoluzione dell'interpretazione scettica di Platone, cf. l'esauriente resoconto in Tarrant 1985, 71-88. Cf. anche Bonazzi 2003. Il Fedone e il Parmenide sembrano essere stati utilizzati per tale rappresentazione.

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unità distinte, di cui ciascuna era uno prima di aggiungersi all'altra, se esse rimangono tali e quali erano precedentemente, o che lo stesso due si generi semplicemente se una unità viene tagliata a metà? Si tratta di un preambolo introduttivo alla critica alla spiegazione meccanicistica dei fenomeni da parte di Anassagora e dei fisici come lui. Nel brano di Sesto gli argomenti vengono ripresi, anche con una lunga citazione letterale (Phaed. 97a), e ampliati94. Il Platone scettico che emerge da questo brano non è quello di Sesto stesso, che lo considerava un dogmatico come gli altri e lo criticava come tale95, ma risale a quell'esegesi scettica cui egli allude nel primo libro degli Schizzi pirroniani e che è sempre stata oggetto di controversa attribuzione. Secondo Sesto, alcuni interpretavano non solo il Platone dei dialoghi aporetici, ma anche quello dei dialoghi dogmatici, come un puro scettico. Dato che i manoscritti esibiscono in questo punto una irreparabile crux, si è posto il quesito se questa visione fosse quella di Enesidemo o se costui, come Sesto, vi si opponesse96. L'espres94

Adv. Math. 10,302-307 eij de; mnhvmhi kat ejpisuvnqesivn tinwn e[gnwstai (scil. oJ ajriqmov"), ajporhvsei ti" tw'n aijsqhtw'n ajpostav ", kaqw;" kai; oJ Plavtwn hjpovrei ejn tw'i Peri; yuch'" pw' " ta; duvo kat ijdivan me; n o[ nta ouj noei'tai duvo, sunelqovnta de; eij" taujto; givnetai duvo ktl.).

Isnardi Parente 1992, 163ss. ipotizza per questo passo una polemica diretta di Sesto contro Platone. Che questo sia impossibile risulta in primo luogo dal fatto che il passo viene riportato come un sostegno alla confutazione dei Pitagorici come indicano le espressioni introduttive dei singoli punti dell'aporia (cf. 10,302 e 305 oJ de; Plavtwn kai; a[llw" ejpiceirei'n bouvletai... 308 toiou'to" me; n kai; oJ Plavtwn: e[ nesti kai; w|d e sunerwta'n), in secondo luogo dal confronto con un passo parallelo (Adv. Math. 4,11ss.) dove effettivamente Sesto polemizza contro Platone attribuendo a lui la dottrina dei numeri e sostenendo che pitagorizza (puqagorikwvteron oJ Plavtwn fhsivn...). Cf. in particolare Adv. Math. 4,21 (contro la diade assunta da Platone come principio) a[poro" gavr pw" kai; au{th (scil. hJ duav") sunivstatai kata; th;n tw' n monavdwn suvnodon, w{sper kai; Plavtwn dia; tou' Peri; yuch'" provteron hjpovrhken). Il Fedone viene in questo secondo caso utilizzato espressamente per dimostrare 95

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come Platone sia in contraddizione con se stesso. Cf. la feroce critica contro la composizione e il carattere matematico dell'anima nel Timeo in Pyrrh. hyp. 3,189. Una stessa differenza di giudizio su Platone in passi paralleli, da cui risulta chiaro che Sesto offre un'immagine scettica di Platone solo quando segue letteralmente la sua fonte, in Pyrrh. hyp. 1,28 e Adv. Math. 7,281. La stessa definizione di uomo tratta dalle definizioni pseudo-platoniche viene interpretata nel primo passo alla luce dell'affermazione che nessuno dei sensibili esiste veramente: Platone fornisce la definizione di uomo, non come un dato sicuro, ma solo, come è solito fare, secondo la verosimiglianza (kata; to; piqanovn). Nel secondo caso (Adv. Math. 7,281), invece, Sesto critica la definizione platonica come la peggiore di tutte in quanto non definisce affatto l'uomo, ma elenca solo una serie di attributi positivi e negativi. Nel brano degli Schizzi pirroniani abbiamo proprio un saggio interpretativo di quella corrente da cui Sesto prende le distanze, ma di cui nel contempo si serve come fonte. Cf. su questo punto Tarrant 1985, 75-77; Decleva Caizzi 1980, 408s.; 1986, 175. Pyrrh. hyp. 1,221s. to;n Plavtwna ou\n oiJ me;n dogmatiko;n e[f asan ei\nai oiJ de; ajporhtikovn, oiJ

de; kata; mevn ti ajporhtiko;n kata; dev ti dogmatikovn ª...º. peri; me; n ou\ n tw'n dogmatiko; n aujto; n ei\nai legov ntwn, h] kata; mevn ti dogmatiko;n, kata; dev ti ajporhtikovn, perisso;n a]n ei[h levgein nu' n: aujtoi; ga;r oJmologou'si th; n pro; " hJma'" diaforav n: peri; de; tou' eij e[stin eijli-

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Principi corporei/ incorporei

sione che segue direttamente la menzione di Enesidemo nel tormentato passo: ou|toi ga;r mavlista tauvth" proevsthsan th'" stavsew", denota tuttavia una presa di distanza da quella tendenza, della quale evidentemente Enesidemo era uno dei rappresentanti principali97. Proprio il fatto che Sesto usi lo stesso passo platonico del Fedone in Adv. Math. 10,302ss. nell'argomentazione contro i "Pitagorici", seguendo l'interpretazione scettica di Platone, e in Adv. Math. 4,21, invece, per confutare un Platone pitagorico e dogmatico, fa pensare che l'interpretazione data da Enesidemo fosse quella di un Platone scettico sul modello del Platone aporetico dell'Accademia di mezzo98. Enesidemo aveva, del resto, tradotto in termini scettici l'aporia del Fedone argomentando contro il concetto di generazione 99. krinw'" skeptiko;" platuvteron me; n ej n toi'" uJpomnhv masi dialambavnomen, nu'n de; wJ " ej n uJpotupwvsei lev gomen † katapermhdoton† kai; Aijnhsivdhmon (ou|toi ga;r mavlista tauv th" proevsthsan th'" stavsew") o{ti o{tan oJ Plavtwn ajpofaiv nhtai peri; ijdew'n h] peri; tou' provnoian ei\nai h] peri; tou' to;n ejnavreton bivon aiJretwvteron ei\nai tou' meta; kakiw'n, ei[te wJ" uJpavrcousi touvtoi" sugkatativqetai, dogmativzei, ei[te wJ" piqanwtevroi" prostivqetai, ejp ei; prokrivnei ti kata; pivstin h] ajpistivan, ejkpevfeuge to;n skeptiko; n carakth' ra. Se il nome di

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Enesidemo è chiaro, così non è né per il contesto, né per il nome di Menodoto, che si sono voluti ricostruire dall'incomprensibile katapermhdoton dal Fabricius in poi. Nonostante tutti i tentativi di ripristinare il testo (kata; ãtw'nà peri; Mhnovdoton Heintz, Mau: kata; ãtou;"à peri; Mhnovdoton Natorp, Mutschmann: kaqavper oiJ peri; Mhnovdoton Spinelli 2000), la crux rimane, cf. Perilli 2004, 105-109; 2005. Sesto usa anche altrove una espressione simile per definire una tendenza rappresentata da Enesidemo e da altri da cui egli si dissocia. Cf. Adv. Math. 7,350 (identità fra anima e sensazioni) h|" stavsew" h\rxe Stravtwn oJ fusiko;" kai; Aijnhsivdhmo". Inoltre con il termine stavsi" Sesto indica sempre una posizione filosofica diversa dalla sua (cf. TLG da cui traggo solo alcuni esempi Pyrrh. hyp. 3,131 Stoici; Adv. Math. 7,190; 202; 300 Cirenaici; 7,399 Seniade; 8,62 Democrito e Platone), cf. anche Heintz 1922, 30ss. Görler 1994, 840 osserva che un attacco ad Enesidemo da parte di Sesto non è fuori luogo in quanto poco prima (Pyrrh. hyp. 1,210-212) egli polemizza contro Enesidemo e contro la sua interpretazione di Eraclito in chiave scettica. C'è dunque una tendenza del fondatore del neopirronismo ad attribuire posizioni scettiche ai predecessori. L'eventuale opposizione di Sesto ad Enesidemo è stata rigettata sostanzialmente con l'argomentazione che quest'ultimo, richiamandosi a Pirrone e a Timone, difficilmente avrebbe potuto considerare Platone un puro scettico (Decleva Caizzi 1992, 186s.; Isnardi Parente 1992, 122s. n. 3; Bonazzi 2003, 150ss.). Tuttavia coloro che sostengono questa tesi omettono, nella discussione del passo, proprio l'analisi della frase che segue la menzione di Enesidemo tauvth" proevsthsan th'" stavsew". Per quanto riguarda l'attribuzione ad Enesidemo dell'interpretazione di Platone scettico, cf. Ioppolo 1992, 186ss. e Tarrant 1985, 74-77. Cf. Cic. De or. 3,18,67 Arcesilas primum, qui Polemonem a udierat, ex variis Platonis libris sermonibusque socraticis hoc maxime arripuit, nihil esse certi quod aut sensibus aut animo percipi possit. Cf. Glucker 1978, 36ss.; Ioppolo 1984, 342. Sulla interpretazione aporetica di Platone nell'Accademia di mezzo, cf. inoltre Annas 1992, 43ss. Un corpo non può generarne un altro rimanendo in sé (dalla divisione di una unità non possono risultarne due), né, congiungendosi con un altro, generarne un terzo diverso da ambedue (da due unità non può generarsene un'altra diversa da ambedue). Infatti l'uno non può generare il due se già prima non lo conteneva nella sua natura, né il due il tre. Ma se così fosse ogni unità conterrebbe in sé numeri infiniti, cf. Sext. Emp. Adv. math. 9,220s.

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Enesidemo probabilmente raccoglieva, da fonti disparate, una serie di testimonianze sulle dottrine di quelli che al suo tempo erano designati come "Pitagorici". L'utilizzazione di una pluralità di fonti su una stessa dottrina "dogmatica" è del resto tipica delle tradizioni scettiche, sia accademica che neopirroniana, ed è funzionale alla confutazione: la credibilità dei dogmatici è seriamente messa in discussione se essi sono colti in contraddizione con se stessi o con quelli che sostengono le loro stesse dottrine. Fonti diverse forniscono informazioni e prospettive diverse e sono estremamente utili a questo scopo. Per quanto riguarda la parte che qui interessa, cioè i paragrafi 248-261, se non si può escludere a priori, sembra tuttavia improbabile che Enesidemo attingesse direttamente a Senocrate. Per gli altri due resoconti sui "Pitagorici" successivi a questo, quello sulla dottrina delle categorie e la vulgata sulla derivazione dai numeri, egli ha infatti certamente utilizzato fonti intermedie100. E' dunque assai verosimile che anche i paragrafi 248-261 siano stati mediati da una fonte la cui identità rimane, però, campo di congettura101 . Si può solo osservare che non riproduce la tradizione interpretativa teofrastea della somiglianza fra i fondamenti della dottrina platonica e atomista comune nei testi tardi e di matrice posidoniana (v. infra, § 5-6), bensì il modello polemico sostenitori degli incorporei contro materialisti sviluppato nell'Accademia antica. Rispetto ai resoconti tardi sui principi in cui compare Democrito il brano di Sesto si caratterizza comunque per un elemento fondamentale. Il confronto, infatti, non riguarda Platone e Democrito, ma gli atomisti e i cosiddetti Pitagorici, cioè gli Accademici. Nei resoconti successivi, che fanno capo alla tradizione teofrastea, gli attori del rapporto rimangono in primo luogo Platone e Democrito e, solo in seguito, per influsso del neopitagorismo, vengono aggiunti anche i Pitagorici. Questo termine fa però

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Il Fedone costituiva un testo fondamentale per l'interpretazione scettica di Platone, cf. Anon. Proleg. 10,1ss. in cui vengono citati a questo proposito Phaed. 65b, 66b, 79c. La terminologia dell'esposizione sulle categorie (263-276) rispecchia sicuramente una rilettura posteriore pur basandosi sostanzialmente sulle teorie dell'allievo di Platone, Ermodoro (Gaiser 1968b, 63ss., Isnardi Parente 1982a, 443; 1992, 152-157). Nel resoconto sulla genesi delle figure dal punto (277-282) sono descritte due teorie distinte, una statica e una dinamica, che compaiono anche in altri passi di Sesto e in autori tardi (Adv. Math. 7,99-100; 3,20-21; Philo, Op. 49; Theo Smyrn. Exp. rer. math. 93,21 Hiller): 1. quella di derivazione speusippea, che si basa sulle analogie punto-monade, linea-diade, superficie-triade, solido-corpo-tetrade (Speus. Fr. 84-85 IP), 2. quella della rJuvsi" del punto che origina dinamicamente le varie dimensioni, risalente probabilmente al pitagorismo antico, ma ripresa anche da Eratostene come si può ricavare da Sesto stesso (Adv. Math. 3,28). Burkert 1972, 94 ipotizza che l'attribuzione della dottrina dell'uno e della diade a Pitagora e la denominazione degli allievi di Platone come "pitagorici" risalga all'Accademica scettica che voleva tenerli distinti da un Platone genuinamente "scettico" e rileva come questa tradizione potrebbe aver influenzato anche il resoconto di Sesto Empirico.

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Principi corporei/ incorporei

riferimento non agli Accademici, ma agli scritti pseudo-pitagorici quali quello di Timeo di Locri o comunque a teorie neopitagoriche.

5. La tradizione "sinfonica" sui principi di Platone e Democrito I testi tardi che nominano congiuntamente Platone e Democrito presentano dei caratteri piuttosto diversi da quelli del brano di Sesto. Le teorie platoniche e atomiste sui principi vengono infatti poste sullo stesso piano in quanto ambedue avrebbero superato l'ambito del sensibile per ricercare principi che diano una ragione delle qualità come il caldo e il freddo. In questi contesti i corpuscoli di Democrito vengono avvicinati sempre più agli intellegibili platonici e vengono definiti nohta; swvmata . Si tratta di una terminologia distinta da quella della dossografia aeziana dove gli atomi democritei vengono per lo più designati come lovgwi qewrhta; swvmata 102 . Questo confronto, basato sostanzialmente su una rielaborazione del modello teofrasteo, domina tutta la tradizione tarda sui principi di Democrito e Platone. Di quest'ultimo vengono prese in considerazione unicamente le dottrine del Timeo, che si spingono fino ai limiti dei corpi (cioè alle superfici), non la cosiddetta dottrina non scritta. I triangoli platonici vengono invece subordinati ai principi ultimi, forma e materia, secondo i canoni del platonismo aristotelizzante di matrice tardo ellenistica. Il parallelismo Platone-Democrito è stato dunque ripreso in margine all'interpretazione del Timeo secondo il modello aristotelico-teofrasteo. Sia Aristotele che Teofrasto, infatti, l'uno a fini polemici e affermandone la superiorità, l'altro in maniera neutrale, confrontavano l'atomismo con le teorie del Timeo. La tradizione tarda subordina Democrito a Platone valutandolo positivamente solo in quanto avrebbe, come quest'ultimo, superato il sensibile nella ricerca dei principi e inserendolo comunque sempre in uno schema fisso privo di qualsiasi ulteriore valore informativo. L'evoluzione del modello di un Democrito superiore ad un Democrito subordinato e funzionale a Platone, che passa attraverso il confronto neutro di Teofrasto, porta il marchio dei tempi. Se al tempo di Aristotele e di Teofrasto la discussione sulle teorie democritee e platoniche era un elemento vitale non solo a livello di teorie filosofiche, ma anche di prestigio di scuola, con l'affermazione indiscussa del platonismo e la sovrapposizione a quello antico del più recente atomismo epicureo, l'interesse filosofico in positivo o in negativo per Democrito sfuma a poco a poco. Per la maggioranza dei 102

Nel brano di Sesto (Adv. Math. 10,253-257) compaiono ambedue le denominazioni.

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filosofi di età imperiale egli è poco più che un nome. Se mai viene letto, l'ottica interpretativa è comunque quella della filosofia dominante legata al fantasma di Platone. In questo clima si afferma un cliché che si riprodurrà invariato per secoli, pur in contesti esegetici diversi, fino ai commentatori di Aristotele. 5. 1. Plutarco De prim. frig. 948 A-C (506 L.) In un brano singolare dal De primo frigido, Plutarco devia brevemente dal discorso esclusivamente fisico sul caldo e sul freddo correlati agli elementi per porre la questione sul piano dei principi "veri" di queste qualità. Egli osserva che, coloro che hanno posto la causa del freddo nella ruvidezza di certe forme triangolari (l'allusione ai triangoli del Timeo è chiara), se anche sbagliano in qualcosa, per lo meno, partono da una metodologia corretta. Infatti chi si limita alle cause più prossime al fenomeno, si comporta come un medico o un contadino o un costruttore di flauti i quali, ovviamente, si accontentano di risalire a quelle cause che sono immediatamente utili per la loro arte, ma non vanno oltre. Per il fisico, invece, che cerca la verità in vista della conoscenza teorica, la conoscenza delle cause più prossime [al fenomeno] non è il fine, ma il principio dell'ascesa verso le cause prime e più alte. Per questo giustamente Platone e Democrito, cercando la causa del caldo e del peso, non hanno arrestato il loro ragionamento alla terra e al fuoco, ma, riportando i fenomeni sensibili alle cause intellegibili, sono arrivati come a dei semi minimi103 .

Il brano rimane un fatto episodico nel De primo frigido perché subito dopo Plutarco ritorna ai principi sensibili dei quattro elementi, le qualità, menzionando Empedocle, Stratone e gli Stoici. Il tono difensivo del brano presuppone, però, una "risposta" ad una critica a Platone soprattutto, ma anche a Democrito, per aver posto dei principi non sensibili per il mondo sensibile. Aristotele rivolge normalmente questa accusa contro Platone e gli Accademici contrapponendo loro, però, proprio Democrito. Teofrasto, invece, nel De sensibus, critica congiuntamente ambedue, Platone e Democrito, per aver posto delle figure alla base delle affezioni sensibili. Il fantasma di Teofrasto aleggia su tutto il brano di Plutarco. La ricerca dei 103

Plut. De prim. frig. 948 C (506 L.) tw'i de; fusikw'i qewriva" e{neka metiovnti tajlhqe;" hJ tw'n ejscavtwn gnw'si" ouj tevlo" ejs ti;n ajll ajrch; th'" ejpi; ta; prw'ta kai; aj nwtavtw poreiva". dio; kai; Plavtwn ojrqw'" kai; Dhmovkrito" aijtivan qermovthto" kai; baruvthto" zhtou' nte" ouj katevpausan ejn gh'i kai; puri; to;n lovgon ajll ejpi; ta; " nohta;" aj nafevronte" ajrca; " ta; aijsqhta; mevcri tw'n ejl acivstwn w{sper spermavtwn proh'lqon. Il termine spevrma richiama chiaramente Ti. 56b e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;n gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma.

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principi del caldo e del peso richiama proprio il De sensibus che fa seguire al confronto fra i due autori la trattazione del peso in Democrito. La difesa di Plutarco presuppone poi la critica di Teofrasto a coloro che sono andati a ricercare le cause del caldo e del freddo oltre il sensibile104 . Plutarco confuta queste obiezioni ricordando che per il filosofo, il quale si trova all'apice della piramide della conoscenza, i principi fisici sono solo un punto di partenza verso la ricerca di cause più alte. Si tratta della concezione della filosofia tipica di Posidonio che classifica le varie scienze secondo un criterio gerarchico: la filosofia, la sola scienza in grado di spiegare le cause e la physis di tutto sta al primo posto105 , le altre, come la geometria e la matematica, sono scienze ausiliarie che non si occupano della ricerca delle cause ultime, ma si basano sugli elementi di cui la filosofia ha fornito la dimostrazione. Il brano di Plutarco si colloca dunque in quella tradizione, che si irradia da Teofrasto e passa attraverso Posidonio, che vede Democrito e Platone come sostenitori di principi "intellegibili". 5. 2. Galeno e i principi di Platone: PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) Una trattazione sui principi perfettamente parallela a quella plutarchea, ma concernente solo le dottrine platoniche, compare anche in Galeno, sicuramente da una fonte di ambito stoico, in quanto viene menzionato Crisippo. Il resoconto di Galeno è ovviamente indipendente da Plutarco in quanto è molto più dettagliato e non nomina Democrito. Nell'ottavo libro del De Placitis Hippocratis et Platonis, Galeno, confrontando i principi dei due autori, osserva che il primo non ha ritenuto opportuno procedere oltre i quattro corpi elementari nella ricerca dei principi perché si occupa di una scienza pratica quale la medicina. Platone, invece, mettendo al primo posto la filosofia teoretica, non si è fermato alle proprietà apparenti 104 105

V. supra, n. 26. Posidon. F 90 E.-K. (Sen. Ep. 88,24-26) Quemadmodum, inquit, est aliqua pars philosophiae naturalis, est aliqua moralis, est aliqua rationalis, sic et haec quoque liberalium artium turba locum sibi in philosophia vindicat. cum ventum est ad naturales quaestiones, geometriae testimonio statur: ergo eius, quam adiuvat, pars est [...] 26 Sapiens enim causas naturalium et quaerit et novit, quorum numeros mensurasque geometres persequitur et supputat. Qua ratione constent caelestia, quae illis sit vis quaeve natura sapiens scit: cursus et recursus et quasdam obversationes, per quas descendunt et adlevantur ac speciem interdum stantium praebent, cum caelestibus stare non liceat, colligit mathematicus. Questa divisione delle scienze è testimoniata anche per l'allievo di Posidonio, Gemino (Posidon. T 73 E.K.), ed è diffusissima nella filosofia tarda dove è evidentemente entrata a far parte delle definizioni scolastiche. Si ritrova infatti in Filone Alessandrino (De congr. erudit. grat. 144-147) e viene riportata, negli stessi termini, come una delle definizioni di filosofia nel commento di Ammonio all'Isagoge di Porfirio (Prooem. 7,13ss.). Sulla relazione del brano di Plutarco con la concezione della scienza di matrice posidoniana, cf. anche Theiler 1982, II, 178.

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degli elementi, ma ha cercato anche le cause della loro generazione, ricerca che per un medico è inutile. Chiedersi infatti perché l'acqua bagna e perché il fuoco brucia o perché l'acqua scorre e il fuoco va verso l'alto, o perché la terra è la più stabile e la più pesante non serve per guarire le malattie. Il ricercare le cause per cui il fuoco taglia e divide, siano esse la sua forma piramidale o qualche altro motivo, è invece compito della filosofia teoretica cui Platone ha posto mano106 . La corrispondenza di questa prima parte del brano di Galeno con quello plutarcheo è pressoché perfetta: la distinzione fra una scienza pratica, quale quella del medico, che si limita alle cause più prossime, e quella teoretica del filosofo, che risale ai primi principi, porta a giustificare la ricerca platonica delle cause nelle forme geometriche. Anche qui è implicita la risposta alle critiche teofrastee: se lo scoprire perché il fuoco brucia non è compito delle scienze pratiche, lo è invece del filosofo il quale deve risalire alle cause prime. L'impronta posidoniana di questa concezione risulta chiara dal confronto con i testi che riflettono le concezioni di Posidonio107 . Galeno passa poi a descrivere la composizione degli elementi in una maniera che rivela ancora l'impronta di Posidonio: Platone avrebbe diviso "concettualmente" gli elementi in materia e figura e, essendo la figura solida limitata da superfici, sarebbe risalito ai triangoli rettangoli che compongono il triangolo equilatero di aria, acqua e fuoco e il quadrato della terra. Dal momento che non avrebbe potuto andare oltre, si sarebbe fermato a questi triangoli come a minimi chiamandoli elementi108 . Qui ab106

Gal. PHP 8,3,1 (II,494,26 De Lacy = V,667 K.) dovxei d ejn tw'i mh; kalei'n aujta; (scil. pu'r, ajhvr, u{dwr, gh') stoicei'a diafevresqai pro;" ÔIppokravthn: kaivtoi ge oujd ejkei'no" wj novmasen aujta; stoicei' a, mov non d o{ti touv twn suniovntwn kai; kerannumevnwn ta; fusika; givgnetai swvmata. kai; touvtwn proswtevrw cwrei' n oJ me; n ÔIppokravth" oujd emivan aj nav gkhn ei\ naiv fhsi, praktikh;n ouj qewrhtikh; n metercov meno" tevc nhn: oJ de; Plavtwn wJ" a]n th; n qewrhtikh;n filosofivan hJgouv meno" ei\nai timiwtavthn oujk hjrkevsqh movnai" tai'" fainomevnai" ej n toi'" stoiceivoi" dunavmesin ajlla; kai; th;n aijtivan ejpizhtei' th' " genevsew" aujtw' n, a[crhston ijatrw'i skevmma. dia; tiv ga;r uJgraiv nei me; n to; u{dwr, kaivei de; to; pu'r h] dia; tiv rJei' me;n to; u{dwr, a[nw de; fevretai to; pu'r, eJdraiotav th de; kai; barutavth tw'n stoiceivwn ejsti; n hJ gh', pro;" ta;" tw'n novswn ijavsei" oujde; n suntelei' ª...º to; d ejkzhtei'n ei[t ejk puramoeidw'n tw'i schvmati morivwn suvgkeitai to; pu'r ei[t a[llh tiv" ejs tin aijtiv a di h}n tev mnei te kai; diairei' ta; plhsiavzonta swvmata, th'" qewrhtikh'" filosofiva" e[r gon ejstivn, h}n metaceirizovmeno" oJ Plavtwn ta; me;n tou' puro;" movria puramoeidh' fhsin ei\nai, ta; de; th'" gh' " kuboeidh', to; de; kalouvmenon ojktavedron sch' ma tou' aj evro" i[dion ei\nai nomivzei kaqavp er kai; to; eijkosav edron u{dato".

107

V. supra, n. 105. Gal. PHP 8,3,7 (II,496,14 De Lacy = V,668 K.) diairei' de; tw'i lovgwi pavlin aujta; tau'ta

108

kat ejpivnoian ei[" te th; n u{lhn kai; to; sch'ma: kajpeidh; to; sch'ma suv nqetovn ejsti, to; me;n th'" puramivdo" ejk tettavrwn ijsopleuvrwn trigwvnwn, to; de; ejxavedron tou' kuv bou tetragwv nwn e{x,ª...º pavlin ejpiskopei'tai tw' n ta; sterea; schvmata periorizovntwn ejpipevdwn th;n tav xin kaiv fhsi to; me;n ijsovpleuron trivgwnon ejk trigwv nwn ojrqogwnivwn duoi'n genevsqai, to; de; tetravgwnon ejk tettavrwn. ejp ei; de; mhkev ti aj nwtevrw proelqei'n ei\c en, wJ " ej n ejlacivstoi"

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biamo una versione più diffusa di quello che Plutarco liquida con un accenno (Platone e Democrito sarebbero giustamente risaliti per i sensibili a minimi intellegibili). Indicativo è il rilievo che Platone non ha di che andare oltre le superfici nella ricerca dei principi. Si tratta di una interpretazione scolastica stoicizzante della dottrina platonica basata esclusivamente sul Timeo, che esclude ogni allusione agli a[grafa dovgmata. In questa ottica, che concilia platonismo e aristotelismo, il corpo, nella sua unità di forma e materia, viene assunto come fondamento della realtà. Le forme geometriche platoniche vengono invece relegate nell'ambito della pensabilità, funzionale alla ricerca delle cause: la forma, infatti, è mentalmente analizzabile nelle sue componenti geometriche pur non esistendo in sé, al di fuori di un corpo. Tale esegesi, che risale a Posidonio, non ammetteva, però, che si superasse nella ricerca dei principi del corpo l'ambito della geometria109 fondandosi su Ti. 53d: gli ulteriori principi, al di là dei triangoli, li conosce solo il dio o chi fra gli uomini gli è caro110 . Questa interpretazione è presupposta in Antioco di Ascalona, per quanto si può giudicare dal Varro ciceroniano111 ed è corrente nel platonismo successivo; i commentatori neoplatonici di Aristotele la utilizzano in particolare in difesa di Platone dalle accuse aristoteliche di aver generato i corpi da elementi incorporei. Così, nel commento al De caelo, Temistio giustifica la teoria della composizione dei corpi da triangoli come una operazione mentale tesa alla ricerca delle cause, che comunque non infirma la realtà del sinolo di forma e materia112 .

i{statai touvtoi", kai; dia; tou't aujto; prosagoreuvei stoicei' a, to; me;n e{teron ijsopleuvrou trigwvnou, to; d e{teron tetragwvnou. 109

110

Nella versione stoicizzante della dottrina del Timeo che si trova in Diogene Laerzio (3,67) vengono distinti due ambiti, quello dell'anima, che avrebbe un principio di carattere matematico, e quello dei corpi, invece, basato su principi geometrici. Cf. 3,70 per la descrizione della composizione degli elementi da triangoli. Questo presupposto viene esplicitato in Anon. Proleg. 11,27 tw'i d ajnalutikw'i (scil. trovpwi) ejn Timaivwi kevcrhtai aj naluvwn ta; fusika; pav nta eij" dexamenh; n kai; ei\do" (dexamenh; n kalw'n th;n u{lhn), to; de; ei\do" pavlin eij" schvmata, ta; de; schvmata eij" trivgwna, ta; de; ejpevkeina touvtwn movnon qeo; n lev gwn eijdev nai kai; to; n touv twi fivlon. Cf. anche [Justin.] Co-

111

112

hort. ad Graec. 26,1. Cic. Ac. 1,2,6 Nostra tu physica nosti, quae cum contineantur ex effectione et ex materia ea, quam fingit et format effectio, adhibenda etiam geometria est. Themist. In De cael. 299b 31, 158,23-159,2 Atque in universum modo aliquo absurdum non est, ut, cum de prima forma, quae est in materia, quaesierit aliquis—et est id, quod tribus dimensionibus praeditum est— quam reliquae naturae, nempe caliditas, frigiditas, siccitas, humiditas et qualitates, quae ex eis constant, consequuntur —et ideo tantum invenitur forma per se, cum quaesierit primam formam, quae est in materia, et formas dissolverit— ut primo superficies sint et istae ante rectangulos (ad eas namque sermo terminatur), quoniam ipsae longe plurimum praecedunt, in quantum etiam inveniuntur reliquas qualitates corpori impartiri, sed ea ratione, qua forma, non praecedunt, siquidem corpus eis prius extitit.

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Interessante è anche la seconda parte del testo di Galeno che prosegue esemplificando il concetto di "elemento" come lo intende Platone: egli chiamerebbe infatti elementi sia i triangoli che le figure solide113 . A riprova di ciò viene citato Ti. 56b: "sia dunque secondo la giusta definizione e secondo quella verosimile la forma della piramide che si è generata elemento e seme del fuoco". Il fuoco è un ammasso di corpuscoli di figura piramidale così come in un mucchio di grano ciascun granello è elemento del mucchio. Questa concezione viene corroborata attraverso il confronto con la dottrina crisippea del linguaggio: allo stesso modo anche Crisippo chiama "elementi" sia le sillabe, in quanto esse generano i nomi, i verbi e le altre parti del discorso, sia le lettere che compongono le sillabe114 . Il nome di Crisippo e l'esemplificazione, tipicamente stoica, del mucchio115 , riporta chiaramente il resoconto di Galeno nell'ambito dello stoicismo. La similitudine dei granelli di un mucchio di grano con le piramidi del fuoco (favorita dal testo platonico stesso) getta inoltre luce sull'affermazione di Plutarco secondo cui Platone e Democrito sono arrivati fino ai "semi" minimi. Plutarco si è dunque rifatto ad un'interpretazione corrente del Timeo risalente a Posidonio, nella quale Democrito veniva citato, secondo il modello teofrasteo, accanto a Platone per essere risalito ai principi "intellegibili" del corporeo.

6. Simplicio sui principi di Democrito e Platone La dossografia derivata da Posidonio marca comunque tutta l'impostazione successiva del confronto fra Platone e Democrito che si trova sintetizzata e stratificata principalmente in Simplicio. Simplicio stesso sceglie consapevolmente la tradizione sinfonica opponendola a quella diafonica, un metodo, come egli dice, applicato da alcuni (l'allusione è agli autori cristiani che sfruttano ampiamente la tradizione scettica) a tutta l'inter113 114

Cf. anche Diog. Laert. 3,70. Gal. PHP 8,3,11 (II,496,31 De Lacy = V,670 K.) nu'n me;n ou\n ta; sustatika; trivgwna tw'n oJrizovntwn ejpipevdwn ta; sterea; schvmata kevklhtai stoicei'a: pro[s]elqw;n de; kai; aujta; ta; periorizovmena swvmata pro;" tw' n eijrhmevnwn ejpipevdwn oj nomav zei stoicei' a gravfwn ou{tw": "e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n ejoikovta to; me;n th'" puramivdo" gegono;" stereo;n ei\do" puro;" stoicei'ovn te kai; spevrma". to; aijsqhto;n touti; pu'r ajqrovon a[qroisma nomivzei[n] mikrw'n ei\nai swmavtwn to; sch'ma pav ntwn ejcovntwn puramivdo". ejkeiv nwn ou\ n e{kaston stoicei'on ei\naiv fhsi tou' purov", wJ " eij kai; tou' tw' n purw' n swrou' stoicei'on e[legen ei\naiv ti" e{kaston tw' n purw' n, kata; de; to; n aujto; n lovgon kai; ta; me; n th'" fwnh'" stoicei'a genna' n prwvta" me;n ta;" sullabav ", ei\t ejx aujtw' n genna'sqai tov t o[noma kai; to; rJh'ma kai; th; n provqesin a[rqron te kai; suvndesmon a} pavlin oJ Cruvsippo" ojnomav zei tou' lovgou stoicei' a.

115

Cf. SVF II 471, 153,2-6; 472, 153,29-31; 473, 154,14s.

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pretazione della filosofia. Egli cerca invece costantemente di conciliare le tesi presocratiche fra loro e con la dottrina neoplatonica trasponendo a tutte le teorie dei fisici quel carattere enigmatico che gli altri commentatori attribuiscono alle dottrine pitagoriche116 . Si giustifica così la scelta da parte di Simplicio di fonti che sottolineino piuttosto la concordanza fra Platone e Democrito che una eventuale discordanza. Esiste tuttavia nelle testimonianze di Simplicio una varietà di contesti che rivelano la sedimentazione nel tempo di diverse problematiche fra loro collegate su di un unico troncone dossografico di matrice teofrasteoposidoniana riguardo ai principi di Platone e Democrito. Ogni interprete ha assunto una tesi precedente ampliandola secondo i propri scopi. In questo ambito compaiono sempre accenni a Democrito praticamente privi, però, di un vero valore informativo in quanto ormai cristallizzati nello schema di assimilazione a Platone. Quello che presenterò qui di seguito fa parte di una tradizionale Quellenforschung che va ben oltre il ristretto ambito dell'atomismo penetrando nella selva della tradizione dei commenti neoplatonici ad Aristotele. Questa ricerca rivela però i suoi lati positivi e, talvolta, la sua imprescindibile utilità perché dimostra in via definitiva come tali testi siano del tutto inutilizzabili ai fini dell'interpretazione della dottrina democritea. Le notizie dossografiche sui principi di Platone e Democrito in Simplicio si inquadrano principalmente nel contesto generale dell'interpretazione del Timeo (identificato nelle fonti più tarde con Timeo di Locri e considerato cronologicamente anteriore a Platone). Nei testi simpliciani, che ammettono una continuità fra Pitagorici, Platone e Aristotele e una comunanza di metodo fra atomisti e Platone nella ricerca dei principi, compaiono anche chiari indizi del dibattito sull'ordinamento delle categorie sviluppatosi dopo la pubblicazione del testo aristotelico da parte di Andronico (I sec. a.C.) e protrattosi fino all'inizio del II sec. d.C. Era infatti sorta una disputa fra coloro che ordinavano la quantità dopo la sostanza117 , seguendo Aristotele, e coloro che invece davano la precedenza alla qualità. Sappiamo, dai commenti alle Categorie, che al primo gruppo 116

Simpl. In Phys. 184b 15, 36,15-32 ou{tw" ou\n oiJ me;n eij" nohtovn, oiJ de; eij" aijsqhto;n diavkosmon ajforw'nte", kai; oiJ me;n ta; prosech' stoicei' a tw' n swmavtwn, oiJ de; ta; ajrcoeidevstera zhtou'nte" ª...º kai; oiJ me; n stoicei' a mov non, oiJ de; pavnta ta; ai[tia kai; sunaivtia zhtou' nte" diavfora me; n lev gousi fusiologou'nte", ouj me; n ejnantiva tw'i krivnein ojrqw' " dunamev nwi ª...º ajlla; tau'ta me; n dia; tou; " euj kovlw" diafwniv an ej gkalou'nta" toi'" palaioi'" ejpi; plevon hjnagkavsqhmen mhku' nai. ejpeidh; de; kai; Aristotevlou" ejl evgconto" aj kousovmeqa ta; " tw'n protevrwn filosovfwn dovxa" kai; pro; tou' Aristotevlou" oJ Plavtwn tou'to faivnetai poiw'n kai; pro; aj mfoi'n o{ te Parmenivdh" kai; Xenofav nh", ijstevon o{ti tw'n ejpipolaiovteron ajkrowmev nwn ou|toi khdovmenoi to; fainovmenon a[topon ej n toi'" lovgoi" aujtw' n dielevgcousin, aijnigmatwdw'" eijwqovtwn tw'n palaiw'n ta; " eJ autw'n ajpofaivnesqai gnwvma".

117

Cf. Olymp. In Cat. 4b 20, 81,21.

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apparteneva probabilmente Andronico stesso (al quale infatti i commentatori non attribuiscono cambiamenti di sorta nell'ordine delle categorie) e Lucio118 , al secondo Eudoro e lo Pseudo-Archita119 . L'accanimento con cui le due tesi opposte venivano difese si spiega col fatto che, per questi autori, l'ordinamento delle categorie non aveva una funzione esclusivamente logica, ma si dilatava nel campo dell'ontologia. Dunque era importante stabilire se l'essere si fondasse su una concezione qualitativa o quantitativa. Le teorie platoniche non solo venivano utilizzate per difendere l'una o l'altra teoria, ma venivano a loro volta difese contro i sostenitori della tesi opposta. Automaticamente, per effetto della trasmissione scolastica marcata dal modello teofrasteo-posidoniano, la menzione dei triangoli platonici veicolava anche quella degli atomi di Democrito. Due brani del commento alla Fisica riportano una versione dei principi di Platone e Democrito proveniente da un ambito che difendeva la priorità della quantità sulla qualità: ambedue i filosofi avrebbero infatti cercato ulteriori elementi degli elementi e sarebbero risaliti dalle qualità alle figure. Si tratta di due brani complementari che si integrano e si illuminano a vicenda e che permettono di individuare con una certa trasparenza la stratificazione delle fonti. Lo schema teofrasteoposidoniano viene mantenuto praticamente intatto soprattutto in uno dei due resoconti. Verrà trattato in primo luogo il brano che, pur venendo dopo nell'ordine del libro simpliciano, evidenzia maggiormente il contesto della discussione sull'ordinamento delle categorie. 6. 1. Simpl. In Phys. 188a 17, 179,12 Nel commento a Phys. 188a 17 Simplicio fornisce un elenco di coloro che hanno posto principi "più principianti": Anassagora avrebbe assunto degli elementi più principianti di Empedocle introducendo come principi le qualità, ma avrebbe fallito perché queste per lui sono composte, non semplici. Avrebbero invece condotto una ricerca più perfetta Aristotele, Platone e, "prima di lui", i Pitagorici risalendo a forma e materia. Fra queste ultime dottrine, tuttavia, le più complete sono quelle che hanno posto 118

Simpl. In Cat. 6a 36, 156,20 a[llw" tev, fasivn (scil. oiJ peri; to;n Louvkion) eij" duvo diairoumevnwn tw'n legomev nwn, ei[" te to; kaq auJto; kai; eij" to; pro;" e{teron, ajrxavmenon peri; tw'n kaq auJto; lev gein, ej n oi|" hJ oujsiva kai; to; posovn, e[dei kai; to; poio;n prosqev nta ou{tw" ejpi; ta; prov" ti metabh'nai. Cf. Moraux 1983, 547 n. 89; Gioè 2002, 151.

119

Per Eudoro, cf. Simpl. In Cat. 8b 25, 206,10. Per altri passi, risalenti probabilmente ad Eudoro, in cui compare questo ordinamento, cf. Mansfeld 1992a, 68 n. 26. Per PseudoArchita, cf. Ps.-Arch. Peri; tou' kaqovlou lovgou, 34,13ss. Szlezák (22,13ss. Thesleff); T 3 Szlezák (Dexipp. In Cat. 4b 20, 65,8-15); Simpl. In Cat. 4b 20, 121,14-18. Cf. anche Moraux 1983, 522; Dillon 1981, 24-27.

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la forma (la piramide o altre figure) alla base delle differenze qualitative degli elementi, ritenendo la differenza di forma del corpo privo di qualità più consona alla materia. Anche Democrito sembra aver visto giusto, ma, rispetto agli altri, non ha proceduto alla scomposizione dei corpi semplici in forma e materia120 . L'interpretazione della materia sensibile primariamente come "quanto" e non come "quale", si allinea sulle posizioni di coloro che ordinavano la quantità (come dimensionalità) prima della qualità considerandola più adeguata al concetto di sostanza corporea. Quest'ultima, infatti, non viene eliminata come tale se le si sottraggono tutte le qualità e le si lasciano solo le dimensioni, mentre non esiste più se viene privata della dimensionalità121 . Questa tendenza era seguita sicuramente da Porfirio122 il quale si rifaceva comunque ad autori precedenti123 . Quando Simplicio, nel brano del commento alla Fisica, dice che le figure (espressione della dimensionalità e quindi della quantità) "sono maggiormente adeguate alla materia", segue dunque probabilmente una interpretazione porfiriana che utilizzava il solito schema dossografico di derivazione teofrasteo/ posidoniana per confermare l'esattezza dell'ordinamento aristotelico delle categorie: la posizione della quantità prima della qualità si giustificava in quanto la materia corporea, per sua stessa definizione, è inconcepibile senza la dimensionalità. Non a caso nel brano di Simplicio non si fa cenno alla scomposizione dei solidi in triangoli che non presentano la terza dimensione.

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Simpl. In Phys. 188a 17, 178,33-179,19 eij mh; a[ra kai; Anaxagovra" ta;" aJp la'" kai; ajrcoeidei'" poiovthta" uJpevqeto stoicei'a, ajlla; ta; suvnqeta (cit. 59 B 12 e B 15 DK) ª...º. ou{tw" me;n ou\ n ejpi; ta; aJpla' ei[dh ajnadramw;n Anaxagovra" ajrcoeidev steron dovxei tou' Empedoklevou" ta; peri; tw'n stoiceivw n filosofei'n. teleiovteron de; i[sw" Aristotevlh" kai; Plavtwn kai; pro; ajmfoi'n oiJ Puqagovreioi stoiceiwvdei" ajrca; " th; n u{lhn kai; to; ei\do" uJpevqento, kai; e[ti teleiovteron, o{soi th;n kata; ta; schvmata diafora; n tou' ajpoivou swvmato" prosecestevran th'i u{lhi nomivs ante" uJpevqhkan tai'" kata; ta;" poiovthta" tw'n stoiceivwn diaforai'", puramivda me; n tw'i puriv, a[llo de; a[llwi tw' n schmavtwn: o{p er kai; Dhmovkrito" e[oike teqea'sqai kalw'", ejlleivpei de; to; mhkevti eij" ei\do" kai; u{lhn aj nalu's ai ta; aJpla' swvmata. Simpl. In Cat. 4b 20, 120,29-121,3 levgousin ou\n o{ti sunufivstatai tw'i o[nti to; posovn ª...º o{ti prohgei'tai to; a[poion diastato;n th'" ejn aujtw'i ej gginomev nh" poiovthto", kai; o{ti tw'n me; n a[llwn aj naireqev ntwn oujk aj nairei'tai hJ oujsiv a, eij to; diastato;n kataleiv poito, touvtou de; ajnaireqev nto" sunanhvirhtai hJ swmatikh; ouj siva. Cf. Ibid. 8b 25, 207,19. Porph. Isag. 4b 20, 100,13-16 to; sw'ma, i{na me;n sw'ma h\i, trich'i diastato;n ei\nai ojfeivlei, i{na de; poio;n sw'ma h\i, tovte leuko; n h] mevlan ei\nai ojfeivlei. prohgei'tai de; to; sw'ma ei\nai tou' poio;n ei\nai sw'ma. Cf. anche Ammon. In Cat. 4b 20, 54,4-9; 5a 3, 58,10-11.

Cf. la concezione della materia sensibile come "quanto" che accoglie ed è determinato da estensione e molteplicità di Moderato che Porfirio stesso cita altrove (Porph. ap. Simpl. In Phys. 191a 7, 231,6ss.).

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6. 2. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22ss. (67 A 14 DK; 111, 247, 273 L.) C'è però nella Fisica un altro passo molto più dettagliato di questo nel quale compaiono tre ulteriori elementi: 1. la menzione di Timeo di Locri, autore dello pseudoepigrafo Sulla natura del cosmo, come pitagorico e ispiratore di Platone, 2. l'interpretazione dei triangoli platonici come figure fisiche, aventi cioè anche la terza dimensione, 3. l'attribuzione a Leucippo e Democrito di forme particolari del freddo contrarie a quelle del caldo. Il modello interpretativo di Simplicio per questo passo è diverso dal precedente. L'autenticità dello scritto di Timeo, già sostenuta da autori medioplatonici124 , ricorre in seguito, in particolare, in Giamblico125 il quale è anche il primo a interpretare i triangoli platonici come tridimensionali per difendere Platone dagli attacchi aristotelici alla generazione del sensibile da corpi matematici126 . Leucippo, Democrito e il pitagorico Timeo, dice Simplicio, non negano che i quattro elementi siano principi dei corpi composti. Anche costoro, come i Pitagorici, Platone e Aristotele, vedendo che il fuoco, l'aria e l'acqua e forse anche la terra si cambiano l'uno nell'altro, cercavano delle cause più principianti e più semplici che potessero giustificare anche le differenze qualitative degli elementi. Dunque Timeo e Platone, che ne segue la dottrina, hanno posto dei triangoli di figura differente e forniti anche di profondità come "elementi degli elementi" ritenendo la natura corporea con le figure corporee più principio e causa delle differenze qualitative127 . Leucippo e Democrito, invece, che chiamano i corpi primi minimi, atomi, [affermano] che dalla differenza delle loro figure, posizione e ordine derivano i corpi caldi e infuocati, quelli che sono composti da corpi primi più acuti e sottili e disposti in maniera omogenea, e i corpi freddi e acquosi, quelli che sono com-

124 125 126 127

Nicom. Encheir. Harm. 11,6; Taur. ap. Philop. De aet. mundi 6,8, 223,12. Cf. Baltes 1972, 20. In Nicom. Intr. arithm. 105,11; 118,26. V. infra, n. 129. Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 (273 L.) oiJ de; peri; to;n Leuvkippon te kai; Dhmovkriton kai; to;n Puqagoriko;n Tivmaion oujk ejnantiou'ntai me; n pro;" ta; tevttara stoicei'a tw' n sunqev twn ei\nai swmavtwn ajrcav". kai; ou|toi dev, w{sper oiJ Puqagovreioi kai; Plavtwn kai; Aristotevlh", oJrw'nte" eij " a[llhla metabavllonta to; pu'r kai; to; n aj evra kai; to; u{dwr, i[sw" de; kai; th;n gh' n, ajrcoeidevs terav tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, di w| n kai; th; n kata; ta;" poiovthta" tw' n stoiceivw n touvtwn diafora; n ajpologhvsontai. kai; ou{tw" oJ me; n Tivmaio" kai; oJ touv twi katakolouqw' n Plavtwn ta; ejpivpeda bavqo" ti e[conta kai; schmavtwn diafora;" stoicei'a prw'ta tw' n tettavrwn touv twn e[qeto stoiceivwn th; n swmatikh; n fuvsin meta; tw'n swmatikw' n schmavtwn ajrcoeidestevran kai; aijtivan th' " tw' n poiothvtwn diafora; " nomivzwn.

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Principi corporei/ incorporei

posti da forme contrarie, e gli uni sono luminosi e splendenti, gli altri foschi e bui128 .

La sequenza soggiacente è quella già incontrata precedentemente per il mondo sensibile: corpo (fornito di dimensioni)-figura-qualità. Tuttavia la terminologia indica una fonte che riprende meno sobriamente di Porfirio i dati della dossografia. Questa fonte immediata di Simplicio è sicuramente Giamblico, come si può dedurre da un passo parallelo del commento simpliciano alle Categorie nel quale egli viene citato espressamente e nel quale ricompare l'interpretazione dei triangoli platonici "materiali". E infatti [Giamblico] obietta che Platone spiega che le figure, precedenti alla formazione dei corpi, sono cause dell'essere dei corpi e che le differenze di qualità derivano dalle differenze di figura, dicendo che è caldo ciò che è composto da figure con angoli acuti, quali le piramidi, e freddo ciò che è composto da figure che ne hanno di meno, quali l'icosaedro, e ciò vale anche per le altre qualità, ma non intende le figure matematiche; quelle infatti non sono né materiali, né fisiche, né sono osservabili in movimento come invece le superfici platoniche; Platone infatti pone queste ultime come materiali e fisiche129 .

Dato che questo passo viene citato a proposito del quarto genere della qualità, la figura, si può dedurre che Giamblico accettava sì la teoria secondo cui le figure venivano prima delle qualità dei corpi elementari, ma considerava anch'esse come qualità riallacciandosi ad Aristotele130 . Su queste basi poteva anteporre le figure alle qualità fisiche degli elementi e sostenere nel contempo la precedenza della qualità sulla quantità nell'ordinamento delle categorie: le figure venivano prima "delle altre qualità". Quando dunque in Simplicio si incontra la formula secondo cui le figure sono "più principianti delle altre qualità", c'è, mediata o diretta, la mano di 128

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Simpl. In Phys. 184b 15, 36,1-7 (67 A 14 DK; 111, 247 L.) oiJ de; peri; Leuvkippon kai; Dhmovkriton ta; ejlavcista prw'ta swvmata a[toma kalou'nte" kata; th;n tw' n schmavtwn aujtw' n kai; th'" qev sew" kai; th' " tavxew" diafora; n ta; me;n qerma; givnesqai kai; puvr ia tw'n swmav twn, o{sa ejx ojxutevrwn kai; leptomerestevrwn kai; kata; oJmoivan qevsin keimev nwn suvgkeitai tw'n prwvtwn swmavtwn, ta; de; yucra; kai; uJd atwvdh, o{s a ejk tw'n ej nantivwn, kai; ta; me; n lampra; kai; fwteinav , ta; de; aj mudra; kai; skoteinav. Iambl. Fr. 78 Larsen (Simpl. In Cat. 10a 11, 271,8-16) kai; ga;r ejfistavnei (scil. oJ Iavmbliko") o{ti Plavtwn me; n ta; schvmata prohgouvmena th'" sustavsew" tw' n swmavtwn wJ" ai[tia toi'" swvmasi tou' ei\nai kai; tw'n poiothvtwn ta; " diafora; " ajpo; th'" tw' n schmavtwn diafora' " ajpologivzetai, qermo;n levgwn ei\nai to; ajpo; tw' n ojxugwnivwn schmavtwn sugkeivmenon, oi|aiv eijsin aiJ puramivde", kai; yucro;n to; ajpo; tw'n h|tton toiouvtwn, oi|on to; eijkosav edron, kai; ejpi; tw' n a[llwn wJsauvtw", ouj ta; maqhmatika; schvmata paralambav nwn: ejkei'na ga;r ou[te e[nulav ejstin ou[te fusika; ou[te ej n kinhvs ei qewrouvmena, w{sper ta; Plav twno" ejpivpeda: tau'ta ga;r kai; e[ nula kai; fusika; tivqhsin oJ Plavtwn. Cf anche Procl. In Tim. II,36,24, infra, n. 138. Proclo stesso, cui Simplicio attinge nel commento al De caelo sostiene la tesi dei triangoli "materiali" cioè forniti anche di profondità in quanto la materia prima è sì priva di qualità, ma corporea e come tale tridimensionale. Simpl. In De cael. 306a 23, 648,19 pro;" tou'to levgei oJ Provklo", o{ti ta; fusika; ejpivpeda ouj k e[s tin ajbaqh . Cat. 10a 11ss.

Capitolo secondo

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Giamblico. Così, in un passo di commento alle Categorie, in base a questa formula, le figure atomiche di Democrito e di Epicuro divengono impercettibilmente dei qualia: Anche Democrito e, in seguito, Epicuro, ipotizzando gli atomi impassibili e privi di tutte le altre qualità tranne la figura e la loro composizione qualitativa, affermano che le altre qualità, quelle semplici, come il calore e la levigatezza, e quelle relative ai colori e ai succhi vengono dopo131 .

Se si confronta questo passo con la versione dossografica canonica degli atomi privi di qualità che si trova in Plutarco, in Sesto e in altri autori, si nota subito la precisazione significativa e tipica di Giamblico che le figure sono "prive delle altre qualità tranne le figure"132 . Tornando al brano del commento alla Fisica, Simplicio/ Giamblico, nel descrivere gli atomi di Leucippo e Democrito, si riferisce agli atomi dell'anima come risulta da un passo parallelo del De anima di Giamblico stesso non incluso né da Diels né da Lur'e nella raccolta delle testimonianze su Democrito nel quale gli atomi vengono definiti "più elementari degli altri elementi"133 . L'affermazione che i corpi freddi e acquosi hanno forme contrarie a quelli caldi e infuocati è ovviamente una deduzione sulla base del confronto con i solidi platonici. Questo passo di Simplicio non può dunque essere citato come testimonianza del fatto che Democrito 131

Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24 kai; oiJ peri; Dhmovkriton de; kai; u{steron oiJ peri; Epivkouron ta;" ajtovmou" ajp aqei'" kai; ajpoivou" uJpotiqevmenoi tw' n a[llwn poiothvtwn para; ta; schvmata kai; th;n poia;n aujtw' n suv nqesin ejpigivnesqai levgousi ta; " a[lla" poiovthta", tav" te aJpla'" oi|on qermovthta" kai; leiovthta", kai; ta; " kata; ta; crwvmata kai; tou; " cumouv ". O'Meara 2000, 246 suppone che in questo passo Simplicio utilizzi Giamblico. La formulazione usata dal commentatore costituisce a mio avviso, una prova sicura. La stessa formula ricompare ancora nel commento a De cael. 299b 23, 576,5ss. dove ad Aristotele viene attribuita una teoria della precedenza della figura sulle "altre qualità" (o{ti de; ajrcoeidevsteraiv eijsin aiJ

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kata; ta; schv mata aijtivai tw' n kata; ta; " poiovthta", dh'lon, ei[per kai; aujto; " oJ Aristotevlh" pro; tw'n a[llwn poiothvtwn ej ggiv nesqai ta; schvmata th'i u{lhi nomivzei). Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) ti; ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajpeivrou" to; plh'qo" ajtov mou" te kai; ajdiafqovrou", e[ti de; ajpoivou" kai; ajp aqei'", ejn tw'i kenw'i fevr esqai diesparmevna". Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK; 112 L.) aiJJ me;n ou\n a[tomoi suvmpasai swvmata ou\s ai smikra; cwri;" poiothvtwn eijsiv. Sext. Emp. Pyrrh. hyp. 3,33 ouj ga;r dhvpou dunhsovmeqa kai; toi'" peri; Asklhpiavdhn sugkatativqesqai, qrausta; ei\nai ta; stoicei'a levgousi kai; poiav, kai; toi' " peri; Dhmovkriton, a[toma tau' ta ei\nai favskousi kai; a[poia. Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon (Stob. 1,49, 363,11-18 Wachsmuth) tine;" eij" ta;" tw'n tessavrwn stoiceivwn ajrca; " th; n oujsivan th' " yuch' " ajnafevrousin. ei\nai me;n ga;r ta; prw'ta swvmata a[toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivwn stoiceiwdevstera: eijlikrinh' d o[nta kai; peplhrwmev na pav nthi kaqara'" prwvth" oujsiv a" mh; devcesqai mhd oJpwstiou'n eij " aujta; diaivresin. tau'ta toivnun a[peira e[c ein schvmata, e}n de; autw' n ei\nai to; sfairoeidev", ajpo; de; tw'n sfairoeidw'n ajtov mwn ei\nai th;n yuchvn. Il riferimento all'infinità delle forme atomi-

che e alla forma sferica degli atomi dell'anima mostra chiaramente che il resoconto riguarda solo gli atomisti antichi e non anche Epicuro. Giamblico segue qui Aristotele, cf. Finamore-Dillon 2002, 78.

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Principi corporei/ incorporei

dava una forma agli atomi del freddo134 perché è solo l'epigono di uno schema dossografico ripetutamente rielaborato. 6. 3. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10-566,16 (68 A 120 DK; 171 L.) Simplicio riporta ancora in due brani paralleli del commento al De caelo (299a 2, 564,10ss. e 306a 1, 641,1ss.) una interpretazione della genesi dai triangoli del Timeo nella quale è compreso l'accenno a Democrito: prima di Platone anche Democrito sarebbe risalito nella ricerca delle cause oltre i quattro elementi fino agli atomi, come Platone fino ai triangoli. Lo scopo di Simplicio, in ambedue i casi, è la difesa di Platone dagli attacchi aristotelici. Nel commento a De Cael. 299a 2 Simplicio affronta uno dei temi più spinosi e ricorrenti nella critica di Aristotele a Platone e ai suoi allievi, quello di aver voluto comporre il mondo sensibile da oggetti matematici che, non avendo nessuna delle caratteristiche di un corpo fisico, non sono in grado di generare corpi. Simplicio, come è solito fare, rimprovera ad Aristotele di fermarsi alle apparenze e di non approfondire la sostanza. Infatti i triangoli del Timeo non sono triangoli matematici, ma fisici, hanno cioè una profondità in quanto Platone avrebbe posto a fondamento del mondo fisico innanzitutto il sinolo di materia e forma. I triangoli che formano i quattro elementi non sono semplici "forme" disgiunte dalla materia corporea tridimensionale, ma sono forme "materiali". Simplicio cita a questo proposito il "pitagorico" Timeo di Locri e distingue poi due tipi di interpretazioni platoniche: da una parte quella "simbolica", cioè non letterale, di alcuni esegeti di Platone, e di Giamblico e, dall'altra quella dei "platonici recenti" che interpretano invece il Timeo in senso letterale135 . Chi siano questi ultimi è difficile determinare, ma si tratta probabilmente di Proclo che Simplicio utilizza ampiamente nel commento al De caelo. La prima parte (quella che esemplifica l'interpretazione dei "platonici recenti") contiene infatti lo schema teofrasteo di critica alla ricerca delle cause fisiche al di là dei sensibili cui Proclo, come si è visto, si riferisce. Queste sono le linee del resoconto della prima parte, quella nella quale è nominato anche Democrito: siccome i quattro elementi sono composti di forma e materia e in un discorso sui principi non possono essere considerati primi, alcuni, come Aristotele, fanno generare per primi nella mate134 135

Come ad es. Curd 2004, 185. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,10 tauvthn de; th;n dia; tw'n schmavtwn fusiologivan tine;" me;n tou' Plav twno" ej xhghtw' n, w|n kai; oJ qei'o" Iav mblicov" ejsti, sumbolikw'" eijrh'sqai nomivzousi, kai; ou{tw" aujto;" ejxhgei'tai to;n Platwniko; n Tivmaion, oiJ de; newvteroi tw'n Platwnikw'n filosovfwn wJ" ou{tw" kata; to; legovmenon e[cousan peirw'ntai deiknuv nai.

Capitolo secondo

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ria le qualità cosiddette passive (caldo, secco e i loro contrari) e i quattro elementi col corpo privo di qualità. Alla domanda perché il fuoco riscaldi, rispondono unicamente: perché è caldo (564, 14-24)136 . Democrito, invece, come riferisce Teofrasto nella Fisica, fra coloro che hanno cercato in modo imperfetto una giustificazione del caldo e del freddo e hanno addotto tali cause, è risalito agli atomi; allo stesso modo i Pitagorici ai triangoli ritenendo le figure e le grandezze cause del caldo e del freddo. Infatti le figure che distinguono e dividono producono la sensazione di caldo, quelle che uniscono e astringono quella di freddo; e infatti ogni corpo, per la sua stessa sostanza, subito diventa un quanto, la figura, se anche è una qualità, ma è stata tratta dal genere dei quanti, perciò ciascun corpo è un quanto fornito di figura. La materia in sé infatti è incorporea, il secondo sostrato è un corpo privo in sé di qualità, ma informato da varie figure e differisce dal corpo matematico perché è materiale e tangibile, in quanto il tatto lo percepisce come massa e non come caldo o freddo. Questo secondo sostrato decorato con diverse figure, costituisce—dicono—gli elementi più principianti dei quattro elementi.137 .

A questa differenza di figure conseguono tutte le altre proprietà e i cambiamenti reciproci. Dunque i Pitagorici e Platone non hanno ragionato in modo sbagliato (mh; ajlovgw") quando hanno riportato tutto alle figure. Qui vengono in sostanza riprodotte le argomentazioni dei sostenitori della precedenza della quantità sulla qualità riassunte nel commento al primo libro della Fisica e viene ribadito (implicitamente contro l'interpretazione di Giamblico) che, pur essendo la figura una qualità, essa appartiene al genere dei "quanti". L'argomentazione viene arricchita con la caratterizzazione delle figure come e[nula ei[dh, forme "materiali" impresse in un corpo tridimensionale preesistente caratteristica di Giamblico, ma anche di Proclo138 . E' verosimilmente quest'ultimo il modello interpretativo di Simpli136

137

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La linea è quella dell'esposizione delle teorie teofrastee fornita da Proclo (In Tim. II,120,1822 = Theophr. Fr. 159 FHS&G). Per quest'ultimo testo, v. supra, n. 26. Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24 (68 A 120 DK; 171 L.) Dhmovkrito" de;, wJ" Qeovfrasto" ejn toi'" Fusikoi'" iJstorei', wJ" ijdiwtikw'" ajpodidovntwn tw' n kata; to; qermo;n kai; to; yucro;n kai; ta; toiau'ta aijtiologouvntwn ejpi; ta; " ajtovmou" ajnevbh, oJmoivw" de; kai; oiJ Puqagovreioi ejpi; ta; ejpivpeda nomivzonte" ta; schv mata ai[tia kai; ta; megevqh th' " qermovthto" ei\ nai kai; th' " yuvxew": ta; me; n ga;r diakritika; kai; diairetika; qermovthto" sunaivsqhsin parevcesqai, ta; de; sugkritika; kai; pilhtika; yuvxew": kai; ga;r pa' n sw'ma kat ouj sivan eujqu;" pepovswtai, to; de; sch'ma, eij kai; poiovth" ejstivn, ajll ejk tou' gevnou" ei[lhptai tw'n posw' n, dio; tw'n swmavtwn e{kaston posovn ejstin ej schmatismev non: hJ me;n ga;r u{lh kaq auJth; n aj swvmatov" ejs ti, to; de; deuvteron uJpokeivmenon sw'ma me;n a[poion kaq auJtov, schvmasi de; poikivloi" memorfwmev non kai; tou' maqhmatikou' swv mato" diafevron tw'i e[nulon kai aJpto; n ei\nai th' " aJfh' " kata; to; n o[gkon ajntilambanomev nh" aujtou' kai; ouj kata; qermovthta h] yucrovthta. tou'to ou\ n to; deuvteron uJpokeivmenon diafovroi" schvmasi diazwgrafouvmenon ta; tw' n tessavrwn stoiceivwn fasi;n uJfistavnein ajrcoeidevs tera stoicei' a. Cf. Procl. In Tim. II,36,24 oJ me;n qei'o " Iavmblico" ou|to" ga;r oJ ajnh;r diaferovntw" ajntelav beto th'" toiauvth" qewriva", tw' n a[llwn w{ sper kaqeudovntwn kai; peri; to; maqhmatiko;n kalindoumev nwn mov non, diakriv nein moi dokei' ta; aJpla' tw' n sunqev twn kai; ta; mevrh tw'n o{lwn kai; aJplw'" eijpei'n ta;" ej nuvlou" dunavmei" kai; ta; ei[dh ta; e[nula tw'n sumplhrou-

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cio in questo passo del De caelo. Da qui anche la differenza nel taglio esegetico. In ogni caso lo schema di fondo di questi resoconti di Simplicio, pur attraverso i vari rimaneggiamenti e adattamenti, permane quello di matrice posidoniana che si ritrova anche nel De primo frigido Plutarco e nel De placitis di Galeno. Elementi comuni a questi resoconti sono: 1. La individuazione dei principi ultimi di Platone in materia e forma (u{lh e sch'ma in Galeno, u{lh e ei\do" in Simplicio). 2. L'accenno al fatto che i peripatetici si fermavano alle qualità elementari ritenendo inutile farsi domande sull'origine del caldo e del freddo. 3. La ricerca delle cause protratta invece da Democrito fino agli atomi e dai Pitagorici, nella fattispecie Timeo di Locri, e da Platone fino ai triangoli elementari (in Plutarco compaiono Democrito e Platone, in Galeno solo Platone). Si può dunque a questo punto ricostruire l'iter di un brano dossografico sui principi di Platone e di Democrito da Teofrasto fino a Simplicio: 1. Brano della Fisica di Teofrasto nel quale Platone e Democrito vengono presi come esempio di un procedimento contrario ai principi della fisica in quanto hanno superato i limiti propri di questa scienza cercando elementi di elementi. 2. Utilizzazione critica del testo teofrasteo da parte di Posidonio in un contesto sulle finalità della filosofia come scienza universale delle cause: Platone e Democrito hanno fatto quello che il vero fisico e il vero filosofo devono fare, sono cioè risaliti alle cause ultime dei corpi. Per Platone tuttavia si tratterebbe sostanzialmente di una scomposizione mentale a fini eziologici che non comporterebbe necessariamente l'esistenza della forma separata dalla materia. Plutarco riporta, di questo testo, solo un breve excursus nel quale compaiono sia Democrito che Platone. Galeno, dato il carattere specifico della sua trattazione, si limita ovviamente alla dottrina platonica, ma riproduce una versione più ampia del testo di matrice posidoniana. 3. Utilizzazione dello stesso testo nell'ambito del dibattito sull'ordinamento delle Categorie aristoteliche: la precedenza della quantità sulla qualità viene dimostrata attraverso l'esempio delle figure di Democrito e Platone. Questa potrebbe essere forse già la posizione di Andronico seguito da altri commentatori del secondo secolo e infine da Porfirio, una delle fonti di Simplicio nel commento alla Fisica. Giamblico, dal canto suo, riprende lo stesso modello spiegando, però, che la figura è una qualità e mevnwn ajpæ aujtw' n oujsiw'n, kai; ta; me; n ejpivpeda kalei'n, ta; de; stereav: kaqavper ga;r to; ejpivpedon e[scato" o{ro" ejsti; tou' maqhmatikou' swvmato", ou{tw dh; kai; to; e[nulon ei\do" kai; hJ duvnami" hJ tw' n swmavtwn morfh; kai; pevra" ejsti; tw' n uJpokeimev nwn.

Capitolo secondo

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non una quantità e che quindi Platone e Democrito hanno posto le figure prima delle "altre qualità". Anche questa interpretazione riemerge nel commento alla Fisica di Simplicio. Proclo, a sua volta, si riallaccia a Giamblico, ma ribadisce che le figure di Democrito e Platone sono una quantità, non una qualità, una esegesi che Simplicio riprende nel commento al De caelo. E' superfluo sottolineare come in tutti questi contesti la funzione dei principi democritei sia totalmente subordinata rispetto ai triangoli platonici, tanto che, fuori dal nucleo teofrasteo vero e proprio, non vengono neanche più presi in considerazione. Se si confrontano i brani di Simplicio con la tradizione "diafonica" presente in Sesto Empirico si può constatare dunque una diversità di impostazione nel rapporto Platone (Pitagorici)-Democrito. Da una parte, in Sesto, abbiamo una opposizione di fondo basata su due concezioni diverse della realtà: una sostanzialmente materialista, quella atomista, una di tipo matematico, quella dei cosiddetti Pitagorici i quali presenterebbero le loro dottrine proprio come un superamento decisivo della mentalità soggiacente alla concezione atomistica antica. Solo nell'ambito dei principi incorporei intellegibili si possono trovare i fondamenti di tutta la realtà, anche di quella del mondo sensibile. E questo non è un assunto tardo ellenistico, ma una problematica viva nell'Accademia platonica le cui tracce sono ben individuabili sia nelle allusioni platoniche che negli excursus aristotelici riguardanti le dottrine dell'Accademia. L'autore tardo ellenistico che ha rielaborato il resoconto originale ha aggiunto alla diaphonia solo i caratteri superficiali tipici dell'ellenismo, ma ha riportato una problematica che non era tipica del suo tempo. Questo risulta dal confronto con il filone rappresentato da Plutarco nel De primo frigido, da Galeno nel De Placitis e dai brani dei commentari aristotelici di Simplicio. L'assunto fondamentale di tutto questo filone è una sostanziale identità fra le concezioni atomiste e quelle platoniche e pitagoriche. Il pitagorismo che compare qui è però ben diverso da quello che si incontra in Sesto ed è in particolare legato al nome di Timeo di Locri, rappresentante di un platonismo aristotelizzante. La somiglianza configurata in questi testi tardi fra Platone, i Pitagorici e Democrito dipende da una visione condizionata dall'immagine aristotelizzante e stoicizzante di Platone e basata principalmente sull'interpretazione del Timeo. Nell'ottica di una interpretazione che attribuiva a Platone materia e forma come ultimi principi (u{lh a[poio" che riceve le forme geometriche) e che arrestava la ricerca dei principi dei corpi ai triangoli del Timeo, anche le distanze dei triangoli dai corpuscoli di Democrito si accorciavano. L'unica effettiva mancanza di Democrito era quella di non aver enunciato materia e forma come principi ultimi, ma in sostanza la sua dottrina non si discostava molto da quella platonica. È un

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punto che Alessandro stesso rilevava139 . Questa simbiosi fra l'atomismo democriteo e il Timeo platonico si concreta in due tendenze presenti nei commentatori neoplatonici: 1. Le forme degli atomi del freddo o di certi colori, che Democrito non ha specificato o ha definitio diversamente, possono anche essere descritte come i solidi del Timeo. Si tratta di un procedimento utilizzato soprattutto dal Filopono, sia nel commento alla Fisica, sia in quello al De generatione et corruptione140 . 2. Per contro, i triangoli platonici si trasformano in figure corporee, fornite cioè di una terza dimensione come in Giamblico e possono essere difese dagli attacchi aristotelici. La distanza che li separa dagli atomi democritei, che Aristotele aveva considerato nettamente superiori, non è più così grande e, in ogni caso, il confronto non va a svantaggio di Platone. Se il processo di avvicinamento fra l'atomismo di Democrito e i triangoli di Platone è già particolarmente evidente nella vulgata di matrice posidoniana quale quella di Plutarco, è ulteriormente accelerato dagli autori che si servono dei principi platonici e democritei, fuori da un contesto che riguarda direttamente le loro dottrine, in vista di uno scopo ben preciso, vale a dire per dimostrare la correttezza o la debolezza dell'ordinamento aristotelico delle categorie, un dibattito vivo soprattutto fra il I sec. a.C. e la prima metà del II sec. d.C., e ripreso dai neoplatonici. In questo contesto non contavano tanto le differenze fra Democrito e Platone, quanto piuttosto i loro caratteri comuni, il fatto cioè che essi avessero posto a fondamento del sensibile delle figure, vale a dire la quantità. Se dunque il rapporto Democrito-Platone-Pitagorici veniva trattato su questa linea di 139

140

Alex. ap. Simpl. In De cael. 299b 23, 576,5 (122 L.) ajlla; tiv, fhsivn (oJ Alevxandro"), dioivsei th'" Dhmokrivtou dovxh" hJ ejk tw'n ejpipevdwn levgousa, ei[per kai; auj th; kata; ta; schvmata eijdopoiei'sqai ta; fusika; swvmatav fhsi… Philop. In Phys. 184b 20, 25,19 (101 L.) ei[dou" ga;r lovgon ejn tai'" ajtovmoi" to; sch'ma e[cein e[legen oJ Dhmovkrito". h] kai; ej nantiv a": h[toi tou'tov fhsin o{ti Dhmovkrito" e}n to; gevno" uJp etivqeto tw'n aj tovmwn, diafevrein de; aujta;" kata; ta; schvmata, ouj movnon de; diafevrein, ajlla; kai; ejnantiva" ei\nai (ejpeidh; ga;r qermovthta kai; yuv xin kai; leukovthta kai; melanivan oujk e[legen ei\nai ej n tai'" ajtovmoi" oJ Dhmovkrito", ajll ejk tw' n schmavtwn ajp egev nna ta; pavqh kai; th'" pro;" hJma' " tw' n ajtovmwn scevs ew": ta; " me;n sfairikav ", wJ" eujkinhvtou", qermovthto" kai; tou' puro;" ei\nai aijtiva": wJ" ga;r eujkivnhtoi, diairou'si qa'tton kai; dieisduvnousi, tou'to de; i[dion puro;" to; tmhtiko;n kai; eujkiv nhton: ta; " ga;r kubika;" de; fevr e eijpei'n, wJ" wjqouvs a" ma'llon kai; pilouvsa", yuvxin ejr gav zesqai: pilhtiko;n ga;r to; yucrovn. oJmoivw" kai; ejpi; tw'n crwmavtwn giv nesqai e[legen. o{tan me;n tw'n puramivdwn fevre eijpei'n aiJ korufai; prosbavllwsi th'i o[yei, toiavnde poiei'n crwvmato" fantasivan, oi|on leukou': diakritiko;n ga;r th'" o[y ew" to; leuko;n, diairetiko; n de; kai; to; ojxuv , oi{a ejsti; kai; hJ korufh; th'" puramivdo": o{tan de; aiJ bavsei", mevl ano": sugkritiko;n ga;r to; mevl an, toiou'ton de; to; ajmbluv: pilei' ga;r kai; eij" taujto;n th'i pilhvsei sunwqei' ta; diestw' ta. ejp ei; ou\ n toi'" diafovroi" schvmasi tw'n ej nantivw n paqw'n poihtikaiv eijsin aiJ a[tomoi, ouj movnon diafevrein aujta;" toi'" schvmasin ei\pen, ajlla; kai; ejnantiva" ei\nai)... Cf. anche Ibid. 188a 19, 116,28-117,10; 194a

20, 228,28-229,2; In De gen. et corr. 314b 15, 17,29-33.

Capitolo secondo

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sostanziale omogeneità, è improbabile che Eudoro, cui da alcuni viene attribuito il resoconto di Sesto, seguisse la via opposta. Eudoro infatti era stato uno dei primi ad avviare il dibattito sull'ordinamento delle Categorie. In ogni caso tutti questi autori utilizzano schemi manualistici in diatribe nelle quali anche lo scopo puramente informativo della notizia dossografica viene a cadere. In questo contesto soprattutto vanno valutate le testimonianze sui principi di Democrito e di Platone presso i commentatori di Aristotele ora esaminate.

7. Sintesi Se le ipotesi sviluppate in questo capitolo sono esatte, ci si trova di fronte, per quanto riguarda il confronto fra i principi di Democrito e Platone (Pitagorici), ad una doppia tradizione. 1. Quella dominante di matrice teofrastea che si fonda sulla ricerca delle somiglianze fra l'atomismo di Democrito e la dottrina del Timeo. Teofrasto criticava ambedue per aver ricercato "elementi di elementi" violando quindi una concezione della fisica che Aristotele aveva elaborato, secondo cui la ricerca fisica doveva arrestarsi ai quattro elementi. Aristotele aveva finalizzato il confronto Democrito/ Platone alla sua polemica contro i principi accademici preferendo ogni volta l'atomismo fisico del primo rispetto a quello matematizzante del secondo. Teofrasto ha invece posto Platone e Democrito sullo stesso piano criticandoli poi ambedue, ma astenendosi dal prendere posizione a favore di uno o dell'altro. Da Teofrasto si è sviluppata una linea conciliatoria che, attraverso Posidonio, è passata in quasi tutta la tradizione successiva. La versione prettamente manualistica di questo confronto è stata poi accolta e variamente utilizzata nel dibattito sull'ordinamento delle categorie aristoteliche ed è arrivata fino a Simplicio. Quest'ultimo, per questo confronto, non attinge direttamente a Teofrasto, anche se lo conosceva di prima mano, ma ad altri commentatori quali Porfirio, Giamblico e Proclo. 2. Se la tradizione ora esaminata propone una sostanziale similarità fra i triangoli del Timeo e gli atomi di Leucippo e Democrito, nel decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico emerge invece la prospettiva "diafonica". I Pitagorici, cioè gli allievi di Platone, avrebbero criticato e superato le dottrine atomiste postulando, invece che dei corpi di per sé sempre scomponibili e quindi non eterni per natura, delle sostanze incorporee ed eterne in assoluto, gli oggetti matematici, e i numeri i cui principi ultimi sono l'uno e la diade indefinita. Si tratta di uno schema di opposizione corporeo/ incorporeo che riprende quello del Sofista platonico, arricchendolo di nuovi contenuti e che emerge in Aristotele in brani che espon-

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Principi corporei/ incorporei

gono appunto la dottrina accademica nella prospettiva del superamento dei principi corporei. Il confronto non è legato alle teorie del Timeo, ma alla dottrina delle idee-numero di Senocrate. L'atteggiamento critico degli allievi di Platone verso gli atomisti è presupposto anche dalle prese di posizione talvolta estreme a favore di Democrito e dell'atomismo antico nell'ambito dell'assunzione dei principi in diversi passi dell'opera aristotelica, in particolare del De generatione et corruptione e del De caelo. La veemenza di tali attacchi ai principi accademici e l'utilizzazione di Democrito in funzione antiaccademica, si spiegano meglio se, dall'altra parte, nell'Accademia, Senocrate predicava, in direzione opposta, il superamento dei principi degli atomisti. La sopravvivenza in Sesto di questo filone, deviante rispetto a quello dominante di matrice teofrastea, si spiega proprio per l'utilizzazione da parte dello scetticismo tardo non solo di una varietà di fonti, ma anche di tradizioni diverse rispetto a quelle correnti. Sesto, infatti, fa capo ad una fonte interna allo scetticismo stesso, ovverosia Enesidemo, il fondatore del neoscetticismo.

Capitolo terzo Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8) 1. Considerazioni generali Sullo sfondo del confronto con le dottrine accademiche dei principi e con le specifiche problematiche ad esse legate, anche i resoconti aristotelici che individuano l'origine delle dottrine atomiste nella soluzione delle aporie "eleatiche" sulla molteplicità e il movimento vanno viste in una diversa prospettiva. L'immagine di un Leucippo che, in un confronto dialettico, "concede" agli Eleati alcune premesse (non c'è movimento senza il vuoto), ma nel contempo vuole accordare le sue dottrine con i fenomeni (il vuoto esiste in quanto non essere e l'essere non è uno, ma molti simili all'uno eleatico), presentata in un famoso passo del De generatione et corruptione (A 8), ha infatti segnato tutta la storia dell'interpretazione dell'atomismo antico fino ai giorni nostri. La rappresentazione degli atomisti come Eleati deviati è stata inoltre corroborata nei primi anni del novecento dall'individuazione, in un altro passo dello stesso trattato (A 2), di una presunta argomentazione di Democrito a favore degli indivisibili come soluzione dei paradossi zenoniani della divisione all'infinito1. La versione aristotelica della nascita dell'atomismo è stata considerata dall'ottocento ad oggi quasi un dogma. In realtà, come notava Solmsen2, e come si cercherà di mostrare con l'analisi dei due brani in questo capitolo e nel successivo, i due resoconti sollevano più dubbi di quanti ne risolvano. Le aporie che essi presentano necessitano però più che di una soluzione di un inquadramento nel contesto nel quale Aristotele pensava, sviluppava le sue idee e interpretava i predecessori. Tale contesto è costituito dalle discussioni sulle presunte tesi eleatiche nell'Accademia platonica, che hanno portato alla definizione del non essere come "altro dall'essere", alla distinzione fra 1 2

Cf. Hammer-Jensen 1910. 1988, 60ss. Solmsen, per istituire un legame fra gli atomisti antichi e gli Eleati, si basava però su un passo ancora più dubbio di quelli succitati e cioè Phys. A 3, 187a 1ss. (su questo brano, v. infra, 3. 2) e su altri di Lucrezio che, sebbene interessanti, non permettono di inferire nulla sulle origini dell'atomismo antico.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

essere e uno e all'assunzione di indivisibili, e dalla contestazione da parte di Aristotele di tali soluzioni. La trattazione delle tesi di Leucippo e Democrito sullo sfondo di queste problematiche più ampie non poteva e non doveva essere un esatto resoconto. A questo proprosito assume una grande rilevanza il carattere dialettico dei contesti aristotelici3. Aristotele fa infatti dialogare di volta in volta i suoi protagonisti secondo schemi impiegati nelle discussioni accademiche e da lui codificati nei Topici per poi dimostrare l'inadeguatezza della loro impostazione e affrontare i problemi da premesse diverse. E' necessario dunque esaminare le testimonianze aristoteliche sulla derivazione dell'atomismo dall'eleatismo in un'ottica differente da quella nella quale generalmente vengono lette, concentrando l'attenzione soprattutto sugli schemi dialettici in base ai quali viene impostata la discussione.

2. Leucippo e gli "Eleati" De gen. et corr. A 8, 324b 35 - 325a 2-30 ha costituito uno dei cardini della tesi secondo cui l'atomismo antico è il risultato di una correzione delle dottrine eleatiche sull'unità dell'essere, con l'accettazione però di determinate premesse. Leucippo avrebbe formulato la sua concezione del mondo composto di atomi e di vuoto a seguito di una "discussione" con non ben precisati "Eleati", accettandone alcune affermazioni, ma cercando nel contempo anche un "accordo" con la realtà dei fenomeni. L'artificialità di questo schema è già di per sé palese non solo perché non trova alcun riscontro nella realtà storica (di Leucippo non è neppure sicuro il luogo di provenienza), ma soprattutto perché questo tipo di "cavalleresco" confronto dialettico è del tutto anacronistico nel V sec. a.C. Lo schema aristotelico rimanda piuttosto a quell'atmosfera rarefatta e "cortese" della conversazione fra Zenone, Parmenide e Socrate nel Parmenide e più specificamente agli esercizi dialettici della scuola platonica i cui fondamenti sono delineati nei Topici aristotelici4. 3

4

L'influsso della discussione dialettica sull'impostazione delle aporie in altri scritti aristotelici è già stato più volte esaminato. Cf. le considerazioni generali in Krämer 1971, 27-32 e le analisi particolari in Beriger 1989 e Föllinger 1993. I dibattiti pubblici hanno nel V sec. a.C. una marcata forma agonale che non permette di "concedere" nulla agli avversari. Cf. ad es. le violente polemiche nei trattati ippocratici e in particolare gli agoni nella tragedia euripidea e nelle Nuvole di Aristofane che riproducono, se pure in rielaborazioni letterarie, lo spirito di questi dibattiti. Aristotele stesso distingue nettamente nei Topici (Q 5,159a 26ss.) la discussione dialettica di scuola, che ha come scopo l'apprendimento e che viene condotta cavallerescamente, rispettando regole ben precise, da quella agonale che mira invece alla vittoria con qualsiasi mezzo.

Capitolo terzo

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Se i pre-supposti aristotelici sono, come si vedrà, da ricercarsi negli schemi dialettici accademici, quelli degli interpreti moderni hanno le loro radici nell'indiscussa autorità di Aristotele e dei grandi storici della filosofia dell'ottocento, in particolare Hegel e Zeller, come si è già detto nell'introduzione. Se il tentativo di questi ultimi di rivalutare l'atomismo radicandolo nella filosofia (per quei tempi) positiva e "metafisica" dell'eleatismo ha una sua giustificazione storica, oggi, cadute le ragioni che stavano alla base delle tesi zelleriane, le relazioni degli atomisti con gli Eleati vanno nuovamente verificate. Il modello interpretativo dominante dal Bailey5 ad oggi si basa sul presupposto evoluzionistico secondo cui l'atomismo costituirebbe il naturale sviluppo delle teorie eleatiche dell'essere-uno. Gli atomisti sarebbero dunque necessariamente partiti da un esame dialettico delle proposizioni eleatiche per formulare la loro ipotesi. Siccome questa tesi si basa principalmente sulle testimonianze aristoteliche del De generatione et corruptione, è indispensabile far riemergere i pre-supposti di queste ultime, cioè l'impostazione storico-dialettica dei passi per ricostruire il quadro culturale in cui l'interpretazione aristotelica degli atomisti si è sviluppata. 2. 1. Il logos eleatico in Aristotele (De gen. et corr. A 8, 325a 2-23): considerazioni generali Il resoconto del De generatione et corruptione sulle origini dell'atomismo costituisce solo una parte di un discorso più ampio nel quale Aristotele nega validità a tutte le dottrine che spiegano i fenomeni fisici attraverso la suvgkrisi" e la diavkrisi" di particelle o di grandezze atomiche per introdurre la sua tesi della generazione e della corruzione come cambiamenti qualitativi di un sostrato. E' importante dunque esaminare nel dettaglio anche la prima parte del brano, quella che costituisce, secondo Aristotele, la fonte dei tentativi successivi di soluzione del problema uno-molteplice, stasi-movimento alla base dei concetti di generazione, corruzione e cambiamento, cioè le aporie "eleatiche" che negano tutti questi fenomeni e affermano che l'essere è uno e immobile. Aristotele, che aveva trattato in A 2 il problema degli indivisibili come soluzione del paradosso della divisibilità all'infinito, presenta in A 8 l'atomismo di Leucippo come risposta alla negazione dell'esistenza del non essere, della molteplicità e del movimento. A Leucippo viene poi aggregato un Empedocle presunto atomista e Platone per la sua presunta assunzione di superfici indivisibili. Il presupposto aristotelico nella trattazione di queste dottrine sta nel fatto che co5

Bailey 1928, 70ss.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

loro che hanno ammesso in qualche maniera degli indivisibili sono comunque partiti dalle tesi eleatiche accettandone certe premesse e cadendo quindi in una aporia. E' l'accettazione non ponderata di alcune premesse dell'avversario spesso a determinare il fallimento di una confutazione. In un brano della Metafisica di cui si parlerà ancora in seguito6, Aristotele traccia una netta linea di demarcazione fra il vecchio e il nuovo modo, il suo, di affrontare le aporie riguardanti l'essere e l'uno. Platone e i suoi allievi non sono arrivati ad una soluzione soddisfacente perché non hanno definito prima correttamente i vari significati dell'oggetto di ricerca e hanno quindi assunto, come gli Eleati, per l'essere e per l'uno un significato univoco (per Aristotele essi si predicano in più modi). Così facendo hanno dovuto dar ragione a questi ultimi su assunti fondamentali e ammettere l'esistenza del non essere assoluto per spiegare la molteplicità rimanendo imprigionati nelle stesse aporie che intendevano risolvere. L'ajporh'sai ajrcaikw'" è per Aristotele l'elemento che unifica tutte le soluzioni del problema dell'essere, della molteplicità e del divenire antecedenti alla sua, in particolare quelle che presentano la maggiore affinità fra loro come i due tipi di atomismo leucippeo-democriteo e accademico. A questo si deve aggiungere una ulteriore considerazione sui metodi espositivi aristotelici delle aporie stesse. Le formulazioni di base dei logoi eleatici e quelle dei loro avversari che troviamo in Aristotele risalgono in definitiva alla prassi dialettica platonica di unificare il più possibile sotto una sola voce diverse teorie e di contrapporre fra loro quelle i cui fondamenti, in questo modo sintetizzati, sembrino opposti7. Lo scopo principale di queste sintesi non è quello di dare un resoconto obiettivo dei testi presi in considerazione, ma, al contrario, di coglierne il significato profondo, la diavnoia, che gli autori non hanno potuto o non sono stati in grado di esprimere esplicitamente8. Si tratta quindi in sostanza di adattare i testi di volta in volta al tema in discussione trovandovi elementi comuni o opposizioni di fondo, la prassi dialettica usuale nei dialoghi platonici9 e nell'Accademia codificata poi da Aristotele nei Topici10. Questa prassi di co6 7

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9 10

Metaph. N 2, 1088b 35ss., v. infra, 3. 2 n. 83. Per l'utilizzazione di schemi polari da parte di Platone e Aristotele, cf. anche Giannantoni 1986, 273. Cf. ad es. Metaph. A 4, 985a 3ss. in relazione ad Empedocle e le numerose affermazioni di Aristotele sulle "dottrine" presocratiche che rimandano, nell'uso di e[oike, dokei' e di altre espressioni simili, ad una interpretazione non letterale delle stesse. In particolare, per Esiodo, Metaph. A 4, 984b 23-31; per Empedocle, De cael. G 6, 305a 3-4; Phys. D 1, 208b 29209a 1; per Anassagora, Metaph. A 8, 989a 30-b 21. Cf. a questo proposito, Cambiano 1986, 68ss. Cf. in particolare le osservazioni sulla formulazione della proposizione, del problema e della tesi nel primo libro dei Topici (A 10, 104a 3-11; 11, 105a 1-9; 14, 105a 34-105b 25). Sulla presenza in sottofondo nei Topici di una prassi scolastica accademica, cf. Düring 1976,

Capitolo terzo

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struzione di logoi dialettici, che ha le sue radici nella sofistica11, sta alla base del brano del De generatione et corruptione che espone la tesi eleatica e la risposta di Leucippo12. Il logos eleatico riportato da Aristotele costituisce un caso di quella che in Top. A 11, 104b 19-22 viene definita una "tesi", vale a dire un tipo particolare di teorema dialettico13: Tesi è un'ipotesi contraria all'opinione generale di qualche personaggio famoso nel campo della filosofia come [...] il fatto che tutto si muove, secondo Eraclito, o che l'essere è uno, come dice Melisso14.

E ancora: discende necessariamente da quanto si è detto che o la grande maggioranza delle persone sia in disaccordo con i sapienti riguardo alla tesi o che all'interno di uno qualsiasi di questi due gruppi (i molti e i sapienti) ci sia disaccordo giacché la tesi è una ipotesi fuori del senso comune15.

Ciò significa che si potevano assumere come tesi quella eleatica e come antitesi le opinioni di coloro che sostenevano il movimento incessante di tutte le cose, oppure, all'inverso, porre queste ultime come tesi e attribuire agli Eleati il ruolo di critici. In ogni caso i disputanti si mettevano nei panni dell'uno o dell'altro autore le cui opinioni venivano poste come tesi e, rispettivamente, come antitesi e si immedesimavano col suo presunto

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85ss., Krämer 1971, 17ss. n. 68 con una ricca bibliografia; Flashar 1994, 326s. Sull'importanza dei passi dei Topici riguardanti la "tesi" per la definizione del carattere e della struttura della dossografia peripatetica, cf. Mansfeld 1992b, 332ss. Sul problema della presenza in Aristotele di interpretazioni dei cosiddetti presocratici correnti nell'Accademia, cf. anche Gemelli Marciano 1991a, passim; 1991b, passim. Cf. Arist. Soph. El. 34,183b 36ss. Cf. a questo proposito von Kienle 1961, 38-57; il volume di Cambiano 1986 in generale e, in particolare, l'esauriente resoconto di Mansfeld 1986 [1990b]. Come si vedrà anche in seguito, coloro che hanno assunto il logos eleatico e la successiva risposta di Leucippo se non come autentiche e dirette citazioni, per lo meno come una parafrasi diretta di testi di Eleati e di Leucippo (cf. e.g. Bollack 1969; Löbl 1976, 145-150), hanno proprio tralasciato di considerare questo carattere schematico e topico dell'opposizione e dei termini dell'opposizione stessa. Cf. anche la critica di De Ley 1972. Il termine tecnico è già accademico: Senocrate aveva scritto venti libri di qevsei" oltre che quattordici sulla dialettica (Xenocr. Fr. 2 IP) qevsewn bibliva k', th'" peri; to; dialevgesqai pragmateiv a" bibliva id'. Top. A 11, 104b 19-22 qevsi" dev ejstin uJpovlhyi" paravdoxo" tw'n gnwrivmwn tino;" kata; filosofivan, oi|on ª...º o{ti pavnta kinei'tai, kaq ÔHravkleiton, h] o{ti e}n to; o[n, kaqavp er Mevlissov" fhsin. Le due tesi vengono confrontate e poste sullo stesso piano da Aristotele nel primo libro della Fisica (A 2). Sull'importanza di Top. A 11 nella impostazione della di-

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scussione dei problemi fisici in Aristotele stesso e nella dossografia in generale, cf. Mansfeld 1992b, 332ss. Per considerazioni generali, cf. anche Beriger 1989, 40ss. Top. A 11, 104b 32-34 ajnavgkh ga;r ejk tw'n eijrhmevnwn h] tou;" pollou;" toi'" sofoi'" peri; th;n

qevsin ajmfisbhtei' n h] oJpoterousou' n eJ autoi'", ejp eidh; uJpovlhyiv" ti" paravdoxo" hJ qevsi" ejstivn.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

modo di pensare scambiandosi all'occasione anche i ruoli16. In questo schema i sostenitori delle varie tesi e antitesi variavano a seconda del contesto. Le tesi e le antitesi inoltre non solo erano interscambiabili, ma potevano anche essere attribuite ad autori diversi. Su questo sfondo si delinea la struttura dialettica di De generatione et corruptione A 8 composto di due parti: la tesi presupposta (e non enunciata) nella prima parte è quella di coloro che sostengono la molteplicità, il movimento e l'esistenza del vuoto, l'antitesi è il logos eleatico che confuta tutto questo sostenendo l'unicità dell'essere. Questo logos viene però presentato a sua volta come tesi cui si contrappone, come antitesi, la dottrina di Leucippo17. In altri passi aristotelici gli oppositori degli Eleati non sono gli atomisti, ma gli Accademici18. Ryle, riferendosi espressamente alla prassi descritta nei Topici, evidenzia tre tratti fondamentali delle argomentazioni dialettiche: il loro carattere "pubblico" (tutti conoscevano gli argomenti principali a favore dell'una o dell'altra tesi19), la loro conseguente, progressiva cristallizzazione in "blocchi" e la loro riutilizzazione da parte di interlocutori diversi con sviluppo o esclusione di determinati punti20. Aristotele non ha dunque "costruito" ex novo delle contrapposizioni dialettiche fra i suoi predecessori, ma ha sicuramente attinto ad un patrimonio di logoi dell'Accademia platonica la cui paternità si perde nell'esercizio dialettico ripetuto e costante21. Un modello di questi logoi è il Parmenide. Secondo le dichiarazioni del protagonista 16

Cf. Top. Q 5, 159b 27 a]n dæ eJtevrou dovxan diafulavtthi oJ ajpokrinovmeno", dh'lon o{ti pro;" th;n ejkeivnou diav noian ajpoblevponta qetevo n e{kasta kai; ajr nhtevo n ª...º poiou'si de; tou'to kai; oiJ paræ ajllhvlwn decovmenoi ta; " qev sei": stocavzontai ga;r wJ " a] n ei[peien oJ qevmeno".

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A questo carattere di logos dialettico-tipo fa probabilmente riferimento anche l'enigmatico accenno ai logoi di Leucippo nel trattatello De Melisso Xenophane et Gorgia (980a 3-9) interpretato spesso come allusione proprio al passo di De gen. et corr. A 8. Cf. Newiger 1973, 120-22, con rassegna critica di altre interpretazioni. Il carattere particolare dell'espressione era già stato rilevato da Diels che tuttavia lo considerava un possibile termine leucippeo (lettera a Zeller del 26 Aprile 1880, Ehlers II, 1992, 38 "aber da der betr. Ausdruck lovgou" bei Aristoteles, soviel ich weiß, allerdings auffallend und vielleicht aus Leucipp selbst genommen ist…"). Cf. Phys. A 9, 191b 35ss. e Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, infra, 3. 2 n. 83. Cf. Arist. Top. Q 14, 163b 17 prov" te ta; pleistavki" ejmpivptonta tw'n problhmavtwn ejxepivstasqai dei' lovgou", kai; mavlista peri; tw' n prwvtwn qevsewn. Poco prima (163b 4-9) Aristotele raccomanda di scegliere e confrontare argomenti correlati ad una stessa tesi perché questo fornisce una gran quantità di materiale per poter poi condurre più facilmente la confutazione. Cf. su questo passo Balthussen 2000, 38. Ryle 1968, 75s. Cf. Ryle 1968, 76 (in relazione ad una tesi di tipo etico) "To ask whether the finally crystallized refutation of the thesis that pleasure is not a good is the handiwork of Aristotle or of someone else is to ask an unanswerable question. It has passed between all the mill-stones. Dialectic is a co-operative and progressive polemic—a polemic not between persons, but between theses and counter-theses".

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stesso del dialogo, il vecchio Parmenide, si tratta di un lovgo" gumnastikov" nel quale si dimostrano tutte le conseguenze di una tesi paradossale quale "se l'uno è uno" (e in questo caso si arriva alla conclusione che esso deve essere tale da non esistere) e di quella, altrettanto paradossale, "se l'uno non è" (e anche in questo caso si arriva al paradosso della non esistenza del tutto), ma anche le difficoltà della tesi intermedia e cioè "se l'uno è", la quale implica o la contemporanea presenza di unità e molteplicità o la non esistenza dell'uno sia nell'uno che nell'altro dall'uno. Il Parmenide è un logos costruito sulle aporie di Zenone che ha influenzato tutta la tradizione sull'Eleate, talché a tutt'oggi si discute se i suoi paradossi fossero una difesa della dottrina dell'uno di Parmenide o se invece fossero diretti sia contro l'assunzione dell'essere come uno sia contro la sua qualificazione come molti22. Probabilmente non sono né l'uno né l'altro23, ma si inquadrano in un metodo tendente a demolire le opinioni umane e a confondere la mente per prepararla alla ricezione di un altro messaggio, quello parmenideo appunto24. Non è questo il luogo di trattare in modo approfondito i paradossi di Zenone. Quello che interessa è invece il fatto che nel Parmenide platonico si ritrovano alcuni tratti tipici della costruzione di logoi quali quelli descritti nei Topici aristotelici. Tre sono in particolare interessanti per il contesto del De generatione et corruptione in questione: 22

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La versione secondo cui Zenone vuole ajnairei'n to; e{n è quella che troviamo in Alessandro il quale a sua volta la fa risalire ad Eudemo di Rodi (ap. Simpl. In Phys. 185b 25, 99,13 = 29 A 21 DK). Un'interpretazione di Zenone scettico negatore dell'uno, derivata da una dossografia di matrice accademico-scettica, si ritrova anche in Sen. Ep. 88,44 (29 A 21 DK). Simplicio rigetta questa esegesi perché segue l'interpretazione canonica platonizzante che vede in Zenone il difensore delle dottrine parmenidee. Altre fonti (e.g. Philop. In Phys. 185b 5, 42,9 = 29 A 21 DK) riferiscono la confutazione all'uno della molteplicità: questa è infatti composta di unità. La tradizione riguardante Zenone è stata più volte esaminata sotto tutti questi aspetti. La tendenza prevalente è quella di dar credito alla versione del Parmenide platonico e all'interpretazione ortodossa di Simplicio (così Fränkel 1975, 102-142; Furley 1967, 63ss.). Un'analisi della tradizione zenoniana condotta "in utramque partem" da Solmsen 1971, 116-141, si conclude con una sospensione del giudizio e allo stesso modo si pronuncia anche Barnes 1986, 234s. Il Parmenide monista è in realtà il risultato di tutta una tradizione interpretativa dovuta ad un approccio esclusivamente filosofico e ha poco a che fare con lo stile del poema stesso che si basa principalmente su "immagini" ed ha una marcata funzione evocativa: l'attributo e{n fa parte di una sequenza di "immagini" di completezza dell'essere che vuole trasmettere una esperienza e non una "dottrina" filosofica in senso platonico-aristotelico. Per un approccio a Parmenide che tiene conto della funzione e del contesto del poema, cf. Kingsley 2003. Cf. Kingsley 2003, 295-302 e 585. Platone stesso, nel Fedro (261d = 29 A 13 DK), riferisce che Zenone dava l'impressione ai suoi ascoltatori di affermare che le stesse cose sono uno e molti. Una interpretazione simile si trova anche in Isocrate, Hel. 3 (pw'" ga;r a]n ti" uJperbavloito ª...º Zhvnwna to;n taujta; dunata; kai; pavlin ajduv nata peirwvmenon aj pofaivnein…) ed è adombrata nell'epiteto ajmfoterovglwsso" affibiatogli da Timone (Fr. 45 Di Marco). Evidentemente Zenone era famoso proprio per questa sua capacità di confondere.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

1. Il tentativo di inglobare le dottrine di Zenone in quelle di Parmenide per farle confluire in un solo logos. A Zenone viene attribuita solo una variazione di forma che avrebbe ingannato i profani. Per sua espressa ammissione, egli sarebbe stato lontano da qualsiasi pretesa di originalità rispetto al pensiero del maestro25. 2. Come conseguenza di questo primo passo, la successiva discussione delle aporie sull'uno da parte dello stesso Parmenide e non dell'allievo Zenone. In sostanza questo significava trattare un logos eleatico come un blocco compatto in cui le differenze potevano essere trascurate. 3. Il fatto che Parmenide rivesta il ruolo di oppositore a tesi cronologicamente a lui posteriori. Egli infatti imposta il suo discorso partendo dalla critica alle idee socratiche. In questo caso la tesi è rappresentata da Socrate, l'antitesi da Parmenide. Il logos aristotelico di De generatione et corruptione A 8 riproduce tratti e schemi delle discussioni dialettiche descritte nei Topici e ha qualcosa in comune con quelli del Parmenide descritti sopra. Si tratta infatti di un logos composto di argomentazioni tratte in parte dagli Eleati, ma sicuramente filtrate e rielaborate in quanto mancano riferimenti precisi sia a singoli personaggi, sia alle dottrine contro cui si rivolgevano. Normalmente, Aristotele, quando riporta dottrine eleatiche, è sempre abbastanza preciso nell'indicarne l'appartenenza26. Sono state tentate varie ipotesi sugli autori cui egli allude27 e tutte risultano plausibili e implausibili allo stesso modo proprio perché probabilmente egli si serve di una forma generica di logos che riassume le presunte argomentazioni a favore dell'unicità e dell'immobilità dell'essere e contro la molteplicità e il movimento. Inoltre, le aporie che il logos mette in evidenza potrebbero essere dirette anche contro un'ipotesi atomista28 oltre che contro tesi corpuscolariste29. Infatti, non solo si 25 26 27

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Parm. 128a-e. Cf. ad es. le discussioni delle teorie eleatiche in Phys. A 2-3; De cael. G 1, 298b 15ss. Per un elenco dei vari autori che sono stati di volta in volta identificati nelle teorie esposte da Aristotele, cf. Löbl 1976, 138ss. con relativa bibliografia. Che il logos eleatico di Aristotele contenga argomentazioni contro l'atomismo è già stato notato da Newiger 1973, 117-119 il quale vi vede una critica diretta di Melisso a Leucippo. Il carattere dialettico degli argomenti esposti nel logos eleatico era stato notato da Joachim 1922, 159. L'argomentazione eleatica era diretta secondo lui contro i pluralisti le cui premesse non potevano dar ragione della pluralità e del movimento. Due sono le tesi dei pluralisti in questione: A. Che i molti sono separati dal vuoto. B. Che i molti sono unità discrete in contatto non separate dal vuoto. La prima sarebbe dei Pitagorici, l'altra di Empedocle. L'Empedocle corpuscolarista (e atomista) che emerge talvolta in Aristotele è un'interpretazione probabilmente già accademica (cf. Gemelli Marciano 1991a). La concezione del vuoto che separa è sì di matrice pitagorica, ma si inserisce in un contesto di reinterpretazioni come si vedrà più oltre. L'unico motivo per cui Joachim negava categoricamente che nella critica eleatica fossero compresi gli atomisti era la successiva attribuzione a Leucippo di una risposta agli Eleati. E' importante citare alla lettera il suo commento in

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nega il vuoto come condizione del movimento e come elemento di divisione, ma viene rigettata come una ipotesi artificiosa anche l'assunzione di una pienezza di parti del tutto contrapposta ad una non pienezza, la tesi fondamentale del successivo logos di Leucippo. C'è infatti da tener presente che il discorso sull'omogeneità dell'essere degli Eleati riguarda il tutto e non le sue singole parti. Sullo sfondo del carattere dialettico del brano aristotelico si delinea anche il significato tecnico del termine logoi riferito alle dottrine di Leucippo riportate come "antitesi" al logos eleatico (Leuvkippo" d e[cein wjihvqh lovgou"). I logoi di Leucippo non sono infatti necessariamente la trasposizione fedele di opinioni espresse dall'autore stesso, ma piuttosto una loro rielaborazione nell'ottica di una discussione dialettica. Ciò risulta principalmente da due fatti: 1. I due logoi, quello degli Eleati e quello di Leucippo, hanno in sé una struttura chiusa ed estrapolabile dal contesto: non riguardano infatti espressamente l'agire e il patire, il tema principale del capitolo aristotelico (che nel logos eleatico non viene neppure nominato), ma la problematica dell'uno e del molteplice, del movimento e della stasi, problemi generali di cui l'agire e il patire costituiscono solo un aspetto specifico e contingente. Aristotele ricollega il problema dei principi col suo tema solo in 325a 32325a 32-325b 5 ritrascrivendo in termini di poiei'n e pavscein il meccanismo che per Leucippo spiegava la generazione, la corruzione e il cambiamento cioè l'intrecciarsi e il separarsi degli atomi nel vuoto30. 2. C'è una scarsa coerenza fra il logos eleatico che confuta implicitamente delle tesi come quelle di Leucippo e l'affermazione di Aristotele secondo cui quest'ultimo risponderebbe agli Eleati accettandone certi postulati. Questi problemi sono dovuti ad una sovrapposizione, non immediatamente percepibile, su di un originario schema piuttosto semplice e di probabile matrice sofistica, di tematiche sviluppate nell'Accademia e riprese e discusse da Aristotele. Qui di seguito cercherò di individuare gli

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quanto è un esempio di ragionamento seguito dalla gran parte degli interpreti moderni, 159s.: "The opponents in question cannot be the atomists: for atomism (cf. 25a 33ss.) was developed under the influence of, and subsequently to, the Eleatic criticism of this particular theory of a many and void". De gen. et corr. A 8, 325a 32-325b 5 poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcavnousin aJptovmena ª...º kai; suntiqevmena de; kai; periplekovmena genna' n ª...º ou{tw pa's an ajlloivwsin kai; pa'n to; pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomev nh" th' " dialuvsew" kai; th' " fqora'", oJmoivw" de; kai; th'" auj xhvsew", uJpeisduomev nwn sterew' n. Hussey 2004, 244 parla a

proposito di questo brano di una posizione a "sandwich" (The two parts of the discussion of Empedocles begin and end the chapter, like the outside of a sandwich. Inside the sandwich is a long discussion (324b 35-326b 6) of atomism as a physical theory, which goes well beyond the topic of 'action-passion').

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strati del brano aristotelico e di inquadrarlo nel contesto più ampio del dibattito con l'Accademia sulla questione dei principi. 2. 2. Gli strati del logos eleatico 2. 2. 1. Lo schema sofistico Il logos eleatico è formulato come segue: Con metodo soprattutto e con un discorso globale che abbraccia tutto Leucippo e Democrito hanno dato le loro spiegazioni assumendo un principio conforme alla natura, così come essa è. Alcuni infatti degli antichi erano dell'opinione che l'essere fosse necessariamente uno e immobile; [dicevano] infatti che il vuoto è un non-essere, ma che non ci può essere movimento se non c'è un vuoto separato. E neppure ci sono i molti, se non c'è ciò che separa; d'altra parte non c'è nessuna differenza fra il credere che il tutto non sia continuo, ma [fatto di parti che] si toccano rimanendo separate, e l'affermare che esistono i molti, che non c'è un "uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisibile in ogni parte, non c'è un "uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il tutto è vuoto. Ammettere d'altra parte che è divisibile in un punto e non in un altro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e perché una parte del tutto si trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte invece è divisa? Allo stesso modo è necessario [secondo loro] affermare che non c'è il movimento. Da questi argomenti desumono, senza curarsi e senza tenere alcun conto della sensazione come se ci si dovesse lasciar guidare soltanto da un ragionamento dialettico, che il tutto è uno, immobile e alcuni anche infinito; il limite infatti, [dicono], confinerebbe col vuoto. Gli uni dunque si sono espressi in questo modo e per questi motivi "sulla verità". Inoltre a parole sembra che questo avvenga, nella realtà dei fatti, invece, pensare in questo modo sembra avvicinarsi alla follia, giacché nessun pazzo sembra essere andato a tal punto fuori di sé da credere che il fuoco e il ghiaccio siano una sola cosa, ma ad alcuni a causa della loro follia sembra solo che le cose belle e quelle che appaiono tali solo per consuetudine non differiscano in nulla 31.

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Arist. De gen. et corr. A 8, 324b 35 (67 A 7 DK; 146 L.) oJdw'i de; mavlista kai; peri; pavntwn eJni; lovgwi diwrivkasi Leuv kippo" kai; Dhmovkrito", ajrch; n poihsavmenoi kata; fuvsin h{per ejstivn. ej nivoi" ga;r tw' n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx aj nav gkh" e} n ei\ nai kai; ajkivnhton: to; me;n ga;r keno; n oujk o[n, kinhqh'nai dæ oujk a] n duvnasqai mh; o[nto" kenou' kecwrismevnou. oujdæ au\ polla; ei\nai mh; o[ nto" tou' dieivrgonto": tou'to de; mhde; n diafevrein, ei[ ti" oi[etai mh; sunece;" ei\nai to; pa' n ajllæ a{ptesqai dihirhmevnon, tou' fav nai polla; kai; mh; e}n ei\nai kai; kenovn. eij me; n ga;r pav nthi diairetov n, oujde; n ei\nai e{ n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno; n to; o{lon: eij de; th'i me; n th'i de; mhv, peplasmev nwi tini; tou'tæ ejoikev nai: mevcri povsou ga;r kai; dia; tiv to; me;n ou{tw" e[cei tou' o{lou kai; plh'rev" ejs ti, to; de; dihirhmev non… e[ti oJmoivw" fav nai ajnagkai'on mh; ei\nai kivnhsin. ejk me;n ou\n touvtwn tw' n lovgwn, uJperbav nte" th;n ai[sqhsin kai; paridovnte" auj th;n wJ" tw'i lovgwi devon ajkolouqei'n, e}n kai; ajkivnhton to; pa' n ei\naiv fasi kai; a[peiron e[nioi: to; ga;r pevra" peraivnein a] n pro;" to; kenov n. oiJ me; n ou\ n ou{tw" kai; dia; tauv ta" ta;" aijtiva" ajp efhvnanto peri; th'" ajlhqeiva". e[ti de; ejpi; me; n tw' n lovgwn dokei' tau'ta sum-

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Il logos è formulato già come un'antitesi a tesi che pongono il movimento e la molteplicità. Lo schema sostenitori del movimento e della molteplicità/ sostenitori della stasi e dell'uno è corrente in testi risalenti ai primi decenni del IV sec. a.C. In un passo polemico dell'Elena, Isocrate, scagliandosi contro i suoi contemporanei che, secondo lui, vogliono fare sfoggio della loro abilità retorica sostenendo tesi paradossali e di nessuna utilità per la vita, fa notare come questa pratica non sia affatto nuova, ma risalga ai sapienti del secolo precedente. Egli cita come esempio Gorgia, che ha affermato che nulla esiste, Zenone, che avrebbe presentato successivamente la stessa tesi come possibile e impossibile e Melisso il quale avrebbe cercato di dimostrare che tutto è uno nonostante per natura esista una infinita pluralità di cose32. Nell'Antidosis l'oratore mette in guardia i giovani dal lasciarsi inaridire la mente perdendosi nei logoi degli antichi sapienti ognuno dei quali sostiene una tesi diversa dall'altro sul numero delle cose esistenti. La gamma dei sapienti si estende qui dai sostenitori dell'infinita molteplicità, di cui non vien fatto alcun nome, a quelli di una molteplicità finita (Empedocle, Ione e Alcmeone), a quelli di un solo ente (Parmenide e Melisso), per concludere con Gorgia che afferma che nulla esiste33. baivnein, ejpi; de; tw'n pragmavtwn maniv ai paraplhvsion ei\nai to; doxavzein ou{tw": oujd evna ga;r tw'n mainomev nwn ejxestav nai tosou' ton w{ste to; pu'r e}n ei\nai dokei'n kai; to;n kruvstallon, ajlla; movnon ta; kala; kai; ta; fainovmena dia; sunhvqeian, tau't ej nivoi" dia; th;n manivan oujqe; n dokei' diafevrein. Per i problemi testuali e sintattici della seconda parte del brano (oiJ me; n ou\n ª...º diafevrein), cf. Joachim, ad loc., 161s. Egli vede una lacuna dopo ajlhqeiva" e ipotizza che uno o più argomenti contro l'eleatismo siano caduti. La lezione ejpei; per e[ti, sa-

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rebbe un tentativo di ripristinare la logica del passo; cf. anche Löbl 1976, 146s. In realtà, se si considera il fenomeno dello iotacismo, la lezione ejpei; potrebbe essere stata favorita dal successivo ejpi; e il problema sintattico è solo apparente. Aristotele riprende e adatta infatti un logos preesistente intercalandolo con osservazioni proprie e procedendo per accumulazione, non sempre ordinata, di argomenti. Egli sembra aver concluso il tema (oiJ me;n ª...º ajlhqeiva") dopo un giudizio critico sulle argomentazioni eleatiche (ejk me;n ou\n ª...º e[ nioi) e l'aggiunta di una ulteriore teoria fuori degli schemi uno/ molti e immobile/ in movimento, quella cioè che pone l'uno come infinito (a[peiron... kenovn). In realtà egli riprende poi ancora la critica precedentemente espressa con la formula cumulativa tipica nei suoi scritti (e[ti dev). Si tratta di un procedimento dialogico-discorsivo tipico delle discussioni dialettiche e funzionale al discorso orale. Su questo "residuo" di oralità nelle pragmateiai aristoteliche, cf. Föllinger 1993, 268. Non c'è dunque alcuna necessità di supporre una lacuna come Joachim e Löbl, né di accettare la lezione ejp ei; di altri manoscritti come Rashed 2005, 38 e 138s. n. 6. Isocr. Hel. 3 pw'" ga;r a[n ti" uJp erbavloito Gorgivan to;n tolmhvsanta levgein wJ" oujde;n tw'n

o[ntwn e[stin h] Zhv nwna to; n taujta; dunata; kai; pavlin ajd uvnata peirwvmenon ajpofaiv nein h] Mevlisson o}" ajpeivrwn to; plh'qo" pefukovtwn tw' n pragmavtwn wJ" eJno; " o[nto" tou' panto;" ejpeceivrhsen ajpodeivxei" euJrivskein; Isocr. Antid. 268 (82 B 1 DK) ª...º tou;" lovgou" tw'n palaiw'n sofistw'n, w|n oJ me;n a[p eiron to; plh'qo" e[fhsen ei\ nai tw'n o[ntwn ª...º Parmenivdh" de; kai; Mevlisso" e{ n, Gorgiva" de; pantelw'" oujdev n. Platone, nel Sofista (242c), fa ricorso ad una lista simile, ma senza contem-

plare i sostenitori dell'infinita pluralità e del numero zero.

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Senofonte riproduce, da parte sua, nei Memorabili, varianti di questo schema in una forma ancora più decisamente antitetica. Il suo Socrate paragona infatti coloro che si occupano della ricerca sulla natura a due schiere di pazzi che sostengono tesi contrarie: gli uni sono dell'opinione che l'essere sia uno solo, gli altri invece che gli enti siano infiniti di numero, gli uni pensano che tutto si muova, gli altri che nulla si muova, gli uni che tutto si generi e si distrugga, gli altri che nulla mai si generi e si distrugga34. Il panorama descritto da Senofonte rimanda in effetti ai dibattiti pubblici fra "filosofi" cui allude anche Gorgia nell'Encomio di Elena (82 B 11 (13) DK). Gorgia stesso sta probabilmente all'origine di questi schemi di diaphonia: nel suo scritto Sul non essere aveva infatti delineato le posizioni antitetiche dei suoi predecessori prima di passare alla dimostrazione che nulla esiste35. E' possibile dunque che le origini remote del logos eleatico nel De generatione et corruptione siano da ricondursi ad una sintesi di ambiente sofistico di dottrine contrapposte: da una parte i sostenitori della molteplicità e del movimento, dall'altra quelli dell'unità e immutabilità dell'essere. Ad una originaria matrice sofistica dello schema fa pensare anche la critica che segue immediatamente (325a 17-23): se a parole queste dottrine sembrano verosimili, nei fatti nessun pazzo andrebbe così fuor di senno da dire che il ghiaccio e il fuoco sono la stessa cosa. Il tono fortemente ironico della polemica e l'insistenza sulla maniva è estraneo alla tipologia delle critiche aristoteliche sempre piuttosto misurate, anche quando sono più decise36. Tale accusa, rivolta sia agli Eleati che ai loro antagonisti, era però un topos nel periodo della sofistica come si può vedere nel passo di Senofonte citato sopra37. Critiche di questo tipo erano certamente conosciute anche nella cerchia platonica se, nel Parmenide, Zenone afferma espressamente di 34

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Xen. Memor. 1,1,13 ejp ei; kai; tou;" mevgiston fronou'nta" ejpi; tw'i peri; touvtwn levgein ouj taujta; doxavzein ajllhvloi", ajlla; toi'" mainomevnoi" oJmoivw" diakei'sqai pro;" ajllhvlou" […] tw'n te peri; th'" tw' n pavntwn fuvs ew" merimnwv ntwn toi'" me; n dokei'n e} n mov non to; o] n ei\nai, toi'" d a[peira to; plh'qo": kai; toi'" me;n ajei; pav nta kinei'sqai, toi'" d oujde;n a[ n pote kinhqh'nai: kai; toi'" me; n pav nta giv gnesqai te kai; ajpovllusqai, toi'" de; ou[t a]n genevsqai pote; oujde; n ou[te ajpolevsqai. MXG 979a 13-18 kai; o{ti me;n oujk e[sti, sunqei;" (scil. Gorgiva") ta; eJtevroi" eijrhmevna, o{soi peri; tw'n o[ntwn lev gonte" tajnantiva, wJ" dokou'sin, ajpofaivnontai auJtoi'", oiJ me;n o{ti e} n kai; ouj pollav, oiJ de; au\ o{ti polla; kai; oujc e{n. Cf. Mansfeld 1986, 32ss. [1990b, 55ss.] Cf. ad es. le obiezioni rivolte a Parmenide e Melisso in Phys. A 2-3. Aristotele rivolge una accusa simile, ma più attenuata (debolezza mentale) ai sostenitori della stasi continua in Phys. Q 3, 253a 32 to; me;n ou\n pant hjremei'n kai; touvtou zhtei'n lovgon ajfevnta" th;n ai[sqhsin, ajrrwstiva tiv" ejsti dianoiv a". La stranezza dell'accusa di follia nel brano del De generatione et corruptione viene notata anche da Hussey 2004, 250. Cf. Xen. Memor. 1,1,13 supra, n. 34. Cf. ancora l'accusa del Socrate di Senofonte ad Anassagora in Mem. 4,7,6. L'accusa di maniva viene utilizzata come strumento confutativo anche nel trattato ippocratico De arte 8,2 (232,17 Jouanna = VI,12 Littré).

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aver voluto difendere il suo maestro da coloro "che volevano ridicolizzarlo" e di aver a sua volta dimostrato che, assumendo le tesi degli antagonisti, sarebbero risultate delle conseguenze ancora più risibili38. L'originario schema sofistico consisteva probabilmente in una contrapposizione dei sostenitori della stasi e dell'unicità dell'essere (Melisso?) alle tesi del movimento e della infinita molteplicità degli enti con una successiva ridicolizzazione, però, dei primi. I passi di Isocrate e di Senofonte suggeriscono inoltre alcune ulteriori considerazioni: 1. Il fatto che Isocrate (e in subordine anche Senofonte il quale però, in generale, non fa nomi) in nessuno dei due passi menzioni i sostenitori della pluralità infinita e che questa voce non compaia neppure nel passo parallelo sul numero degli enti del Sofista platonico (242d) fa pensare che tale posizione non venisse attribuita a nessuno in particolare, ma fosse considerata una opinione corrente e condivisa che Platone, proprio in quanto tale, non prende in considerazione. Si tratta dunque di una casella "vuota" nello schema passibile di essere "riempita" con nomi diversi39. 2. Dagli schemi isocratei si ricava l'impressione che le tesi dei sostenitori dell'uno siano principalmente ricalcate sui logoi di Melisso che aveva espressamente polemizzato contro coloro che ammettevano il movimento e la molteplicità senza fare però precisi riferimenti40. Era infatti principal38

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Parm. 128c e[sti de; tov ge ajlhqe;" bohvqeiav ti" tau'ta ta; gravmmata tw'i Parmenivdou lovgwi pro;" tou;" ejpiceirou'nta" aujto; n kwmwidei'n wJ " eij e{n ejsti, polla; kai; geloi'a sumbaiv nei pavscein tw'i lov gwi kai; ej nantiv a aujtw'i. Quella di portare alle sue conseguenze paradossali una tesi era una pratica sofistica (Arist. Soph. elench. 12, 172b 10s.) ampiamente utilizzata nella dialettica accademica. Nelle Confutazioni sofistiche (12, 173a 6), Aristotele esemplifica l'eij" paravdoxon a[gein con un esempio tratto dal Gorgia platonico. Cf. su questi punti Krämer 1971, 45. Aristotele, nel primo libro della Metafisica, cita come rappresentante di questa tesi Anassagora (A 3, 984a 11-13), mentre ordina gli atomisti fra i dualisti, nel primo della Fisica, invece, i sostenitori dell'infinita pluralità sono Democrito e probabilmente Anassagora (A 2, 184b 20) e all'inizio del De generatione et corruptione (A 1, 314a 17s.), in ordine: Anassagora, Leucippo, Democrito. Melisso parte dalla considerazione che tutto ciò che vediamo è molteplice e cambia. Se tuttavia si ammette che ciò corrisponda alla verità, ma che, d'altra parte, esista una molteplicità di enti eterni che rimangono, si va incontro a due difficoltà principali: A. Che questo va contro la verità dei fenomeni da cui si parte per affermare che c'è la molteplicità (com'è possibile infatti dire che ci sono i molti perché noi vediamo che tutto cambia e poi affermare nello stesso tempo che non è vero ciò che noi vediamo e che ci sono dei molti che non cambiano?). B. Che questi enti eterni o hanno una massa, e quindi hanno parti e sono una molteplicità soggetta alla dissoluzione come tutto il resto o, se non hanno parti, non sono nulla perché sono incorporei (30 B 8 e B 9 DK). La priorità di Melisso o Leucippo è ancora argomento di discussione, ma, se Melisso è il generale che ha combattuto contro Pericle, Leucippo, contemporaneo di Anassagora, dovrebbe essere più vecchio di una ventina d'anni. Questo non esclude naturalmente che egli potesse criticare un suo contemporaneo più giovane, ma il fatto che il nome di Melisso come rappresentante dell'uno e della stasi emerga soprattutto negli autori di fine V-inizio IV sec. a.C. oltre che presso il Socrate

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mente Melisso per gli autori di inizio IV sec. a.C. il sostenitore-tipo dell'unicità dell'essere, come si può vedere dal passo dell'Elena e dallo scritto ippocratico De natura hominis risalente a questo periodo41. In Isocrate gli Eleati negano la realtà della molteplicità infinita posta da altri secondo uno schema usato anche da Platone e Aristotele nell'ambito della problematica della stasi e del movimento. Nel Teeteto "i Melissi e i Parmenidi" si opporrebbero42 ai sostenitori del moto continuo ("Eraclitei" e loro predecessori) e nel quarto libro della Fisica Melisso risponde a coloro che ammettono il vuoto (fra i quali sono compresi anche gli atomisti) che quest'ultimo è un non-essere43. In una problematica del movimento e della stasi o dell'uno e del molteplice, il logos eleatico poteva comparire dunque tanto come tesi, quanto come antitesi. 2. 2. 2. Le problematiche accademiche del logos: vuoto, contatto e divisione Lo schema sofistico si presenta tuttavia estremamente rielaborato nel resoconto aristotelico. La terminologia rimanda a definizioni del vuoto e a discussioni sulla divisibilità all'infinito riecheggiate anche in altre opere aristoteliche, che hanno però le loro radici nelle discussioni accademiche sui primi principi: l'uno e la diade indefinita. In particolare le definizioni del vuoto alla base del logos eleatico sono estremamente importanti per individuare i pre-supposti del passo. Fra gli "Eleati" l'unico ad aver parlato espressamente di vuoto è Melisso44. Tutte le interpretazioni moderne che hanno attribuito allusioni al vuoto a Parmenide si basano su pure speculazioni e su una esegesi decontestualizzata del poema, non hanno quindi alcuna reale consistenza. Melisso aveva negato l'esistenza del vuoto, in quanto "non essere", e con questo anche quella del movimento e del

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platonico, suggerisce in ogni caso che le sue dottrine hanno avuto una larga diffusione solo in un periodo in cui Leucippo era presumibilmente già morto. Nat. hom. 1 (166,9-11 Jouanna = VI,34 Littré), cf. Mansfeld 1986, 34 [1990b, 56s.]. Platone stesso (cf. Theaet. 180e, nota seguente) menziona Melisso prima di Parmenide e Aristotele, nel primo libro dei Topici (A 11, 104b 22), indica come sostenitore della tesi paradossale che l'essere è uno Melisso e non Parmenide. Plat. Theaet. 180e to; de; dh; provblhma a[llo ti pareilhvfamen para; me;n tw'n ajrcaivwn meta; poihvsew" ejpikruptomev nwn tou; " pollouv", wJ" hJ gevnesi" tw' n a[llwn pavntwn Wkeanov" te kai; Thqu;" rJeuvmata ão[ntaà tugcav nei kai; oujde; n e[ sthke ª...º ojlivgou de; ejpelaqovmhn, w\ Qeovdwre, o{ti a[lloi au\ tajnantiva touvtoi" ajp efhvnanto (cit. errata di 28 B 8,38 DK) kai; a[lla o{sa Mevlissoiv te kai; Parmenivdai ejnantiouvmenoi pa'si touvtoi" diiscurivzontai, wJ" e{n te pavnta ejsti; kai; e{sthken aujto; ej n auJ tw'i oujk e[con cwvr an ej n h|i kinei'tai. In questo

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passo Platone traduce significativamente nel concetto più astratto di chora il vuoto di Melisso (30 B 7 DK kenou' de; mh; ejovnto" oujk e[cei o{khi uJpocwrhvs ei). Phys. D 6, 213b 4-14, v. infra, 4. 1. 1 n. 104. Cf. anche Barnes 1986, 217s.; Curd 2004, 182 n. 7.

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denso e del rado, in quanto quest'ultimo è più vuoto del denso (30 B 7,6-9 DK). Nell'argomento riportato da Aristotele emergono tuttavia una impostazione del problema e una terminologia che vanno ben oltre il frammento di Melisso. Il vuoto è definito come "ciò che separa" (definizione che non compare in Melisso), quindi, in seguito, equiparato alla divisione e concepito come un sostrato della realtà: se il tutto fosse diviso in ogni parte, esso si ridurrebbe a un tutto vuoto. Per comprendere meglio i concetti soggiacenti a questa rielaborazione di tesi eleatiche offerta nel logos aristotelico, è opportuno andare alla discussione sul vuoto e sul luogo del quarto libro della Fisica. Aristotele presenta qui due concezioni del vuoto: quella di Platone e dei Platonici e quella attribuita a "Democrito, Leucippo e a molti dei fisici". I primi postulerebbero un vuoto-spazio concepibile mentalmente come sostrato "separato" di corpi e grandezze, ma nella realtà sempre pieno (la Chora del Timeo e il vuoto come ipostasi fisica della diade indefinita dei Platonici45). Per gli altri, invece, il vuoto esiste "in atto" e "divide l'intera massa corporea del tutto in modo che sia discontinua" o "si trova fuori della massa corporea del tutto"46. Le definizioni del vuoto che Aristotele attribuisce agli atomisti e ad altri fisici sono in realtà modellate su quelle pitagoriche, come si può constatare dal seguito dell'esposizione. Egli riferisce infatti poco dopo che nelle cosmogonie pitagoriche, l'universo respira dall'infi45

Phys. D 2, 209b 6-12, per il testo, v. infra, n. 59. Phys. D 7, 214a 13 diov fasivn tine" ei\nai to; keno; n th;n tou' swvmato" u{lhn (oi{per kai; to;n tovpon to; aujto; tou'to), levgonte" ouj kalw'": hJ me;n ga;r u{lh ouj cwristh; tw' n pragmavtwn, to; de; keno; n zhtou' sin wJ" cwristovn. Che questa sia la concezione dei Platonici, derivata dall'interpretazione della Chora del Timeo alla luce del secondo principio, la diade indefinita, è confermato dal commento di Simplicio In Phys. cor. de loc., 618,16 (267 L.) pavlin de; au\ tw'n to; keno;n aujto; tiqemevnwn oiJ me;n a[peiron

ei\naiv fasi kai; uJperbavllon ajpeirivai ta; swvmata kai; dia; tou'to a[llo ejn a[lloi" eJautou' mevresi katadecovmenon, wJ" a]n e[t ucen, ei[per mevrh levgein ejpi; tou' ajpeivrou kenou' dunatov n. toiauvthn de; peri; aujtou' dovxan ejs chkev nai dokou'sin oiJ peri; Dhmovkriton ajrcai'oi fusiolovgoi. oiJ de; ijsovmetron aujto; tw'i kosmikw'i swvmati poiou'si, kai; dia; tou'to th'i me;n eJautou' fuvsei keno; n ei\ nai lev gousi, peplhrw'sqai de; aujto; swmavtwn ajeiv, kai; movnhi ge th'i ejpinoivai qewrei'sqai wJ" kaq auJ to; uJfestwv", oi|oiv tine" oiJ polloi; tw'n Platonikw'n filosovfwn gegov nasi. Cf. anche 601,17 (266 L.). Per "Platonici" sono intesi qui gli allievi diretti di Platone, cf. la stessa denominazione in In De cael. 279b 32, 303,33 dokei' me;n pro;" Xenokravthn mavlista kai; tou;" Platwnikou; " oJ lov go" teivnein. Per la concezione accademica del

vuoto come ipostasi della diade indefinita nel mondo fisico, cf. Theophr. Metaph. 6a 25 (Xenocr. Fr. 100 IP; Speus. Fr. 87 IP) tou;" ga;r ajriqmou;" gennhvsante" kai; ta; ejpivpeda kai;

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ta; swvmata scedo;n ta\lla paraleivpousin plh;n o{son ejf aptovmenoi kai; tosou'ton movnon dhlou'nte", o{ti ta; me;n ajpo; th'" ajorivstou duavdo", oi|on tovpo" kai; keno; n kai; a[peiron, ta; d ajpo; tw' n ajriqmw' n kai; tou' eJ no;", oi|on yuch; kai; a[ll a{tta. Cf. anche Happ 1971, 111s. Phys. D 6, 213a 31 ou[koun tou'to dei' deiknuvnai, o{ti ejstiv ti oJ ajhvr, ajllæ o{ti oujk e[sti diavsthma e{teron tw' n swmav twn, ou[te cwristo;n ou[ te ej nergeivai o[n, o} dialambavnei to; pa'n sw'ma w{s te ei\nai mh; sunecev", kaqavper lev gousin Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" kai; e{ teroi polloi; tw'n fusiolovgwn, h] kai; ei[ ti e[xw tou' panto; " swvmatov" ejstin o[nto" sunecou' ". Per la

traduzione, cf. Ross 1960, 582 ad loc.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

nito il vuoto che entra e lo divide poiché "il vuoto è una separazione e una delimitazione di parti contigue"47. La definizione del vuoto attribuita qui agli atomisti non dà ragione della complessità della loro concezione, come si vedrà in seguito48, ma, soprattutto, si basa sull'idea che esista una massa omogenea primordiale dalla quale il cosmo si genera per divisione, tipica dei Pitagorici. Gli atomisti in realtà partono dal principio opposto, da corpuscoli che si muovono nel vuoto e generano per aggregazione. La definizione "pitagorica" del vuoto come "ciò che separa" e che permette la molteplicità sta alla base del discorso degli "Eleati" in De generatione et corruptione A 8. Secondo la prospettiva assimilante del quarto libro della Fisica, la critica eleatica potrebbe, però, senza problemi essere rivolta anche contro gli atomisti. La seconda parte del logos eleatico è invece diretta contro presunte tesi corpuscolariste, che, pur senza ammettere il vuoto, comporrebbero il tutto da particelle separate, ma in contatto. La confutazione di queste tesi è basata ancora sulla equivalenza vuoto-divisione, ma con l'aggiunta significativa della concezione del vuoto come sostrato pensabile tipica degli Accademici. D'altra parte non c'è nessuna differenza fra il credere che il tutto non sia continuo, ma [fatto di parti che] si toccano rimanendo separate, e l'affermare che esistono i molti, che non c'è un "uno" e che c'è il vuoto. Se infatti [il tutto] è divisibile in ogni parte, non c'è un "uno", cosicché non ci sono neppure i molti, ma il tutto è vuoto. Ammettere d'altra parte che è divisibile in un punto e non in un altro è simile ad una spiegazione inventata ad arte; infatti fino a che punto e perché una parte del tutto si trova in questa condizione ed è piena, un'altra parte invece è divisa? Allo stesso modo è necessario affermare che non esiste il movimento49.

L'equivalenza di vuoto e divisione, oltre che essere un concetto mutuato dal pitagorismo, è in perfetta consonanza con la proiezione a livello fisico del secondo principio accademico, la diade indefinita, quella che genera divisione e molteplicità: il vuoto, sostrato pensabile del mondo sensibile, ne è una manifestazione50 e l'infinita divisione lo farebbe emergere nella sua attualità. L'equivalenza divisione-vuoto permette inoltre di porre sullo

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Arist. Phys. D 6, 213b 22-27 (58 B 30 DK) ei\nai d e[f asan kai; oiJ Puqagovreioi kenovn, kai; ejpeisievnai auj tw'i tw'i oujranw'i ej k tou' ajpeivrou †pneuv mato"† wJ " aj napnevo nti kai; to; kenovn, o} diorivzei ta;" fuvsei", wJ" o[ nto" tou' kenou' cwrismou' tino" tw'n ejfexh'" kai; [th'"] diorivsew". Sul problema testuale e i vari emendamenti, cf. Burkert 1972, 35 n. 35. Cf. inoltre Arist. Phys. G 4, 203a 10ss.; Fr. 201 Rose.

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V. infra, 4. 2. 2 e VII 2. Per il testo greco, v. supra, n. 31. V. supra, n. 45.

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stesso piano presunte dottrine corpuscolari e atomiste51. Se infatti non c'è più nessuna distinzione fra i due concetti, ambedue le teorie sono attaccabili secondo i presunti postulati eleatici in quanto ambedue non solo introducono il non essere, ma, o riducono il tutto a nulla, o pongono artificialmente un arresto della divisione ipotizzando che una parte sia piena e l'altra no senza ulteriori giustificazioni. La stessa critica viene rivolta ad un inusitato Empedocle atomista nel seguito del brano aristotelico52. Di una riduzione a un tutto vuoto attraverso la divisione non parlano né Zenone 53 né Melisso il quale si limita ad equiparare la divisione al movimento54 seguito in questo da Gorgia che, secondo l'autore del trattatello De Melisso Xenophane et Gorgia, parlava di divisione invece che di vuoto55. Parte delle argomentazioni riportate da Aristotele, sviluppano sul piano fisico gli assunti del Parmenide platonico. Il vecchio Parmenide, esaminando alcune conseguenze dell'ipotesi "se l'uno non è" (una rilettura dell'aporia del Fr. 29 B 1 DK di Zenone), presentava lo scenario angosciante di una processione continua alla ricerca di quell'uno che manca e che sempre sfugge56. Egli concludeva che, se l'uno non è, anche "l'altro dall'uno", vale a dire la molteplicità, non può esistere in quanto, essendo questa composta di unità, il tutto si riduce a nulla: eij ga;r mhde;n aujtw'n

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Una unificazione fra atomismo e presunto corpuscolarismo in senso inverso, dove il vuoto degli atomisti viene equiparato ad una divisione e quindi, di fatto, privato della sua fisicità si trova ancora in un brano della Fisica sulla definizione di infinito: per Democrito e Anassagora sarebbe "continuo per contatto", Phys. G 4, 203a 16 (68 A 41 DK; 145, 220, 237 L.) o{soi dæ a[peira poiou'si ta; stoicei'a, kaqavper Anaxagovra" kai; Dhmovkrito", oJ me; n ejk tw'n oJmoiomerw'n, oJ dæ ejk th' " panspermiva" tw'n schmavtwn, th'i aJfh'i sunece;" to; a[peiron ei\nai fasivn. Schofield 1980, 47 ha notato questa strana assimilazione senza tuttavia fermarsi ul-

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teriormente sul problema. Sulle ascendenze accademiche di una tale interpretazione che emerge anche in altri scritti aristotelici, cf. Gemelli Marciano 1991a. Cf. in particolare l'assimilazione dell'atomismo ad un presunto corpuscolarismo empedocleo che postula corpuscoli indivisi anche se ulteriormente divisibili in De cael. G 6, 305a 1-6, supra, II 4. 1 n. 56. Furley 1967, 80, che fa risalire a Zenone l'argomento dell'infinita divisione, trova infatti strana l'equivalenza, non zenoniana, di "tutto diviso" e "tutto vuoto". Questo punto è invece trascurato da Makin 1993, 27s. e Lewis 1998, 15ss. che, come Furley, attribuiscono l'argomentazione a Zenone. Mel. 30 B 10 DK. eij ga;r dihvirhtai, fhsiv, to; ejovn, kinei'tai: kinouvmenon de; oujk a]n ei[h. MXG 980a 3-9 w{ste eij pavnthi kinei'tai, pavnthi dihvirhtai. eij dæ ou{tw", pavnta oujk e[stin.

ejklipe;" ga;r tauv thi, fhsivn, h|i dihvirhtai, tou' o[nto", ajnti; tou' kenou' to; dihirh'sqai levgwn, kaqavper ej n toi'" Leukivppou kaloumev noi" lovgoi" gev graptai. Questo significa che Gorgia

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evidentemente non impiegava il termine "vuoto" e che l'autore del trattatello si basa per la sua deduzione su una equivalenza fra vuoto e divione presente in un "discorso-tipo" messo in bocca a Leucippo (nei cosiddetti logoi di Leucippo). V. supra, 2. 1, n. 17. Parm. 165a-b prov te th'" ajrch'" a[llh ajei; faivnetai ajrchv, metav te th;n teleuth;n eJtevr a uJpoleipomevnh teleuthv, e[n te tw'i mevswi a[lla mesaivtera tou' mevsou, smikrovtera dev, dia; to; mh; duv nasqai eJ no;" aujtw' n eJ kavs tou lambav nesqai, a{ te oujk o[ nto" tou' eJ nov".

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

ejsti;n e{n, a{panta oujdevn ejstin, w{ste oujd a]n polla; ei[h57. Nel brano aristotelico quest'ultimo assunto è riprodotto quasi letteralmente: eij me;n ga;r pavnthi diairetovn, oujde;n ei\nai e{n, w{ste oujde; pollav, ajlla; keno;n to; o{lon. L'oujdevn platonico è sostituito dal vuoto, ipostasi fisica della diade indefinita. Il tutto vuoto è infatti concepibile se si considera il vuoto un sostrato spaziale pensabile delle grandezze, nella realtà sempre occupato. Come già accennato, Aristotele esemplifica questo assunto nel quarto libro della Fisica proprio parlando della concezione accademica del "luogo" che equivarrebbe, secondo lui, al "vuoto" In quanto sembra essere l'intervallo della grandezza, il luogo è materia/ sostrato58: questo è infatti altro dalla grandezza, cioè è lo spazio occupato e delimitato dalla forma, ad esempio da una superficie e da un limite. E questo è la materia/ il sostrato e l'indefinito. Se si sottraggono la superficie delimitante e le proprietà della sfera, non rimane nulla al di là della materia/ del sostrato. Perciò Platone nel Timeo dice che la materia e lo spazio sono la stessa cosa…59

L'equivalenza fra tutto-diviso e tutto-vuoto di cui gli "Eleati" di Aristotele si servono per criticare dottrine che ammettono una infinita serie di parti che si toccano ha dunque le sue radici nelle concezioni accademiche del vuoto come manifestazione fisica della diade indefinita. Si può dunque concludere che il logos eleatico riportato da Aristotele presenta tracce della rielaborazione accademica di uno schema sofistico di opposizione degli Eleati (in particolare di Melisso) ai pluralisti. Il logos prendeva di mira sia atomisti che presunti corpuscolaristi accusandoli di introdurre il non essere, ridurre tutto a vuoto o postulare un arbitrario arresto della divisione in un tutto omogeneo e dimostrava che costoro, avendo ricercato dei principi corporei, erano criticabili dal punto di vista eleatico, in quanto, in mancanza di ulteriori fondamenti logici e ontologici, non spiegavano perché un essere omogeneo (corporeo) potesse essere da una parte diviso e dall'altra no. Solo attraverso la ricerca di principi incorporei e la definizione di categorie logiche universali, anche la molteplicità del mondo fisico poteva essere spiegata in modo soddisfacente.

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Parm. 165e. Lascio qui espressa la doppia valenza del termine perché la sola accezione "materia" potrebbe dare adito a fraintendimenti. Sul significato di "materia" in questo passo cf. Happ 1971, 129; Algra 1995, 114s. Cf. Phys. D 2, 209b 6-12 h|i de; dokei' oJ tovpo" ei\nai to; diavsthma tou' megeqou", hJ u{lh: tou'to ga;r e{teron tou' megevqou", tou'to dæ ejsti; to; periecovmenon uJpo; tou' ei[dou" kai; wJrismevnon, oi|on uJpo; ejpipevdou kai; pevr ato", e[sti de; toiou'ton hJ u{lh kai; to; ajovriston: o{tan ga;r ajf aireqh'i to; pevra" kai; ta; pavqh th'" sfaivra", leivpetai oujde;n para; th;n u{lhn. dio; kai; Plavtwn th;n u{lhn kai; th; n cwvr an taujtov fhsin ei\nai ej n tw'i Timaivwi.

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3. Logoi eleatici nell'Accademia? 3. 1. Il logos eleatico di Porfirio 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24) I commentatori di Aristotele attribuiscono costantemente la soluzione delle aporie eleatiche dell'uno e del molteplice non agli atomisti, ma a Senocrate. Egli sembra aver postulato indivisibili come "misure" e ipostasi dell'uno ad ogni livello dell'essere, dai corpi alle grandezze matematiche 60 distinguendo i concetti di uno (come parte, indivisibile) e di essere (come tutto, divisibile e derivante dalla combinazione dell'uno con il secondo principio, la diade indefinita). Il limite ultimo assoluto della realtà fisica sarebbe però la linea indivisibile che Senocrate avrebbe postulato partendo dall'aporia "zenoniana" della divisione all'infinito, il cosiddetto "logos della dicotomia" la cui formulazione esatta peraltro non è mai stata individuata con sicurezza61. Presso le fonti antiche, al di fuori dei testi aristotelici, la soluzione di questo paradosso con la dottrina degli indivisibili viene costantemente riportata a Senocrate, non a Leucippo o a Democrito62. Fra questi testi uno, quello di Porfirio, è particolarmente interessante in quanto, contrariamente a tutti gli altri, attribuisce il logos della dicotomia, cui Senocrate avrebbe risposto, non a Zenone, ma a Parmenide riportandolo per esteso come citazione letterale (fhsiv). Tale logos presenta delle analogie con quello eleatico di De gen. et corr. A 8 e con la dimostrazione della necessità degli indivisibili di A 2 che verrà trattata più oltre, ma non 60

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Riguardo all'interpretazione degli indivisibili senocratei esiste una certa confusione nelle fonti antiche. Se la tendenza dei neoplatonici è quella di trasporre l'indivisibilità della linea nell'ambito delle forme intellegibili, il trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus presenta invece un allargamento degli indivisibili anche a tutte le grandezze matematiche e ai corpi postulando degli indivisibili ad ogni livello dell'essere come "misure" e ipostasi dell'uno. Cf. Krämer 1971, 356-362; 1983, 55; Heinze 1892, 62s.; Isnardi Parente 1974, 966ss. con una esauriente bibliografia sull'argomento. Di un logos sulla dicotomia parlano sia Aristotele (Phys. A 3, 187a 1-3, v. infra, 3. 2) che i commentatori, ma Aristotele non sembra riferirsi a nessuno dei logoi di Zenone fra quelli riportati da Simplicio. In Phys. Z 9, 239b 11-14 (29 A 25 DK) sembra identificarlo con il primo argomento contro il movimento secondo cui un mobile che si muove lungo una linea, prima di arrivare ad un dato punto, deve sempre percorrere la metà del segmento di cui quel punto è l'estremo. Simplicio (In Phys. 187a 1, 140,27-141,8) invece, parlando dell'argomento della dicotomia, riferisce i frammenti 59 B 1 e B 3 DK che illustrano il processo all'infinito nell'individuazione delle parti del tutto. A questo argomento si riferiscono per lo più gli interpreti moderni, cfr. Ross 1936, 479s.; Furley 1967, 63-69; Baldes 1972, 30). Aristotele stesso, quando nel terzo libro della Fisica ribadisce l'infinita divisibilità delle grandezze, cita come esempio-tipo di soluzione atomista, le linee indivisibili e non gli atomi di Democrito Phys. G 6, 206a 16-18 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin a[peiron, ei[rhtai, diairevs ei d ejstiv n: ouj ga;r calepo;n aj nelei' n ta;" ajtovmou" grammav".

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deriva da Aristotele. In primo luogo perché la risposta al logos eleatico è attribuita a Senocrate e non a Leucippo, secondariamente perché le presunte argomentazioni di Parmenide sono dirette esplicitamente sia contro dottrine corpuscolari che atomiste, cosa che nel logos aristotelico viene sottaciuta. Secondo Porfirio, Parmenide avrebbe utilizzato il "logos della dicotomia" per dimostrare che l'essere è uno e, come tale, indivisibile e privo di parti. Porfirio, comunque, dice che anche il logos della dicotomia è di Parmenide il quale cercava di dimostrare, partendo dalla dicotomia, che l'essere è uno. Egli scrive quanto segue: "Parmenide aveva un altro logos, quello che si riteneva dimostrasse attraverso la dicotomia che l'essere è uno solo e che questo uno è privo di parti e indivisibile. Se infatti l'essere fosse divisibile, dice, lo si divida in due parti, e poi ancora ciascuna delle due parti in due. Se si continua con quest'operazione, è chiaro —dice— che, o rimarranno alcune grandezze ultime minime e insecabili, infinite di numero, e il tutto sarà composto di minimi infiniti per numero, o sparirà e si dissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. Queste ipotesi sono assurde, dunque non si dividerà, ma rimarrà uno. E infatti, dal momento che l'essere è omogeneo in ogni parte, se è divisibile, lo sarà dappertutto allo stesso modo, ma non in una parte sì e nell'altra no. Lo si divida dunque in ogni parte; è chiaro perciò nuovamente che non rimarrà nulla e sparirà e, se si ricomporrà, si ricomporrà dal nulla. Se infatti rimarrà qualcosa, non sarà ancora diviso in ogni parte. Da questo è chiaro —dice— che l'essere è indivisibile e privo di parti e uno"63.

Il logos di Parmenide riferito da Porfirio presenta delle analogie con quello eleatico del De generatione et corruptione A 8 in quanto assimila le due soluzioni atomista e corpuscolarista e afferma che, ammettendo la divisione, il tutto si riduce a nulla. Il logos di Porfirio, però, dice espressamente che non si può arbitrariamente fermare la divisione a corpuscoli minimi e indivisibili perché l'essere è omogeneo, cosa che nel logos aristotelico viene presupposta, ma non esplicitata. Inoltre accenna a due presunti paradossi risultanti dalla prospettiva della ricomposizione del tutto (che riemergono in De generatione et corruptione A 2 e presuppongono una equivalenza fra ciò 63

Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 139,24) (Xenocr. Fr. 139 IP) oJ mevntoi Porfuvrio" kai; to;n ejk th'" dicotomiva" lovgon Parmenivdou fhsi;n ei\nai e} n to; o]n ejk tauv th" peirwmevnou deiknuv nai. gravfei de; ou{tw": Æe{tero" de; h\ n lovgo" tw'i Parmenivdhi oJ dia; th'" dicotomiva" oijovmeno" deiknuvnai to; o]n e} n ei\nai movnon kai; tou'to ajmere; " kai; ajdiaivreton. eij ga;r ei[h, fhsiv, diairetovn, tetmhvsqw divca, ka[peita tw' n merw' n eJkavteron divca, kai; touvtou ajei; genomev nou dh'lovn fhsin, wJ" h[ toi uJpomenei' tina; e[scata megevqh ejl av cista kai; a[toma, plhvqei de; a[peira, kai; to; o{lon ejx ejlacivstwn, plhvqei de; ajpeivrwn susthv setai: h] frou'don e[stai kai; eij" oujqe; n e[ ti dialuqhvsetai, kai; ejk tou' mhdeno;" susthvs etai: a{per a[ topa. oujk a[ra diaireqhvsetai, ajlla; menei' e{n. kai; ga;r dh; ejpei; pavnthi o{moiovn ejstin, ei[per diaireto;n uJpavrcei, pavnthi oJ moivw" e[ stai diairetovn, ajll ouj th'i me; n th'i de; ou[. dihirhvsqw dh; pav nthi: dh'lon ou\n pavlin wJ" oujde;n uJpomenei', ajll e[stai frou'don, kai; ei[per susthvsetai, pavlin ejk tou' mhdeno;" susthvsetai. eij ga;r uJpomenei' ti, oujdev pw genhvsetai pav nthi dihirhmevnon. w{ste kai; ej k touv twn fanerov n fhsin, wJ " ajdiaivretovn te kai; ajmere; " kai; e} n e[stai to; o[n.

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che può essere pensato e la realtà infra, IV 4. 1): la ricostituzione da minimi indivisibili darebbe come risultato una estensione infinita. Nel caso della divisione all'infinito invece, l'essere dovrebbe ricomporsi dal nulla e cioè dal non essere. Rispetto al logos aristotelico manca in quello di Porfirio la menzione esplicita del vuoto e l'equiparazione vuoto-divisione. Questo dipende dalla diversa focalizzazione delle aporie: il logos di Porfirio, come anche quello di De generatione et corruptione A 2, è incentrato principalmente sull'aporia della divisibilità all'infinito, quello di De generatione et corruptione A 8 su quella dell'esistenza del non essere. Porfirio continua riportando la risposta di Senocrate al logos parmenideo: Senocrate ha ammesso che sussista la prima conseguenza, cioè che, se l'essere è uno, è anche indivisibile, ma l'essere non è indivisibile. Perciò ancora l'essere non è uno, ma molti. Pertanto esso non è divisibile all'infinito, ma la divisione ha fine in certi indivisibili. Questi, però, non sono indivisibili in quanto minimi privi di parti, ma, in relazione alla quantità e alla materia sono divisibili e hanno parti, in relazione invece alla forma, sono indivisibili e primi, assumendo che ci siano alcune linee indivisibili prime e che ci siano superfici prime da queste formate e solidi primi. Dunque Senocrate crede di risolvere l'aporia derivante dalla dicotomia e semplicemente dalla sezione e dalla divisione all'infinito, introducendo le linee indivisibili e in generale assumendo grandezze indivisibili, evitando di dissolvere e di eliminare l'essere nel non essere dal momento che le linee indivisibili da cui gli esseri sono composti, rimangono insecabili e indivisibili64.

Il lungo brano di Porfirio propone uno schema di aporia e soluzione nella quale si possono distinguere due momenti: 1. la "tesi" dell'unità dell'essere di Parmenide diretta nel contempo contro soluzioni atomiste e corpuscolariste. 2. l'"antitesi" di Senocrate il quale fa a Parmenide alcune concessioni (indivisibilità è uguale ad unità), correggendone però il presupposto fondamentale, dando cioè una diversa definizione dei concetti universali di essere (divisibile e molteplice) e di uno (indivisibile). Le grandezze indivisibili proposte da Senocrate sarebbero comunque diverse dai minimi criti64

Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,5) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n Xenokravthn th; n me;n prwvthn ajkolouqivan uJp ei'nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to; o]n kai; ajdiaivreton e[stai, ouj mh;n ajdiaivreton ei\nai to; o[n. dio; pavlin mhde; e} n movnon uJpavrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mev ntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij" a[tomav tina katalhvgein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavcista, aj lla; kata; me; n to; poso;n kai; th; n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw' ta, prwvta" tina;" uJpoqevmeno" ei\nai gramma; " aj tovmou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta. th;n ou\n ejk th'" dicotomiva" kai; aJplw'" th' " ejp a[p eiron tomh'" kai; diairevsew" uJp antw'san ajporivan oJ Xenokravth" oi[etai dialuvesqai ta; " ajtovmou" eijsagagw;n gramma; " kai; aJ plw'" a[toma poihvsa" megevqh, feuvgwn to; ãto;Ã o] n ei[per ejs ti; diaireto;n eij " to; mh; o]n dialuqh'nai kai; ajnalwqh'nai tw'n aj tovmwn grammw' n ejx w| n uJfivstatai ta; o[ nta menousw' n ajtmhvtwn kai; ajdiairevtwnÆ.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

cati da Parmenide in quanto sarebbero indivisibili solo "secondo la forma", ma non "secondo la quantità e la materia" cioè non dal punto di vista matematico. Porfirio rielabora senz'altro la dottrina di Senocrate alla luce dei concetti aristotelici di materia e forma per difenderlo dagli attacchi che gli erano stati rivolti da Aristotele stesso di essere andato contro la matematica assumendo degli indivisibili. I presupposti teorici della soluzione senocratea dell'aporia sono esposti tuttavia più chiaramente da Alessandro secondo cui, però, Senocrate risponderebbe a Zenone. L'Accademico avrebbe basato la sua soluzione sulla differenza fra tutto (l'essere, divisibile e molteplice) e parte (l'uno, indivisibile). Egli avrebbe dunque concesso che tutto ciò che è divisibile è molteplice e che non è possibile che la stessa cosa sia uno e molti, ma avrebbe affermato che non tutte le grandezze sono divisibili e hanno parti (perché altrimenti non esisterebbe un uno) e posto come unità le linee indivisibili65. Nonostante le diversità, Alessandro concorda con Porfirio nei concetti di fondo che hanno caratterizzato la teoria senocratea e che corrispondono grosso modo a quelli riferiti nel trattato sulle linee indivisibili: Senocrate traccia una distinzione logica universale fra essere come tutto (molteplicità definita e divisibile), e uno come parte indivisibile che ne costituisce il limite ultimo e la misura66. In questo modo elimina l'aporia dell'omogeneità dell'essere e della presenza contemporanea nello stesso oggetto di unità e molteplicità e definisce dei limiti ultimi delle grandezze (le linee indivisibili) che corrispondono all'unità. Porfirio, rispetto ad Alessandro, cerca di mascherare la parte dell'indivisibile dimensionale per non esporre Senocrate alle critiche di essere andato contro i principi della matematica. Per quanto riguarda il discorso di Parmenide, Porfirio non l'ha certamente inventato perché la frequente ripetizione di fhsiv indica che egli ha davanti un testo di cui ritiene di riferire la lettera. Non riproduce d'altra parte il logos di De generatione et corruptione A 8 perché parla apertamente di una critica di Parmenide a tesi atomiste e di un superamento di tali dottrine da parte di Senocrate. Per inciso, il Filopono, commentando il brano aristotelico, riproduce il modello esegetico porfiriano attribuendo a Par65

Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP) touvtwi de; tw'i lovgwi, fhsiv, tw'i peri; th'" dicotomiva" ej ndou' nai Xenokravth to; n Kalchdovnion dexavmenon me; n to; pa'n to; diaireto;n polla; ei\nai (to; ga;r mevro" e{teron ei\nai tou' o{lou) kai; to; mh; duvnasqai taujto; n e{n te a{ ma kai; polla; ei\ nai dia; to; mh; sunalhqeuvesqai th; n ajntivf asin, mhkevti de; sugcwrei'n pa' n mevgeqo" diaireto;n ei\nai kai; mevro" e[cein: ei\nai gavr tina" ajtovmou" grammav", ejf w|n ouj kevti ajlhqeuvesqai to; polla;" tauvta" ei\nai. ou{tw" ga;r w[ieto th;n tou' eJno; " euJrivskein fuvsin kai; feuvgein th; n aj ntivfasin dia; tou' mhvte to; diaireto; n e} n ei\nai ajlla; pollav, mhvte ta;" aj tovmou" gramma;" polla; ajll e}n movnon.

66

Il valore fondamentale per il pensiero senocrateo della distinzione logica fra tutto e parte, estesa a diversi ambiti, è stato messo in luce da Pines 1961, 5ss.

Capitolo terzo

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menide il logos eleatico e interpretandolo come una critica congiunta all'atomismo e al corpuscolarismo incurante del fatto che lo scopo di Aristotele è quello di dimostrare come gli atomisti abbiano risposto agli Eleati e non come Parmenide abbia confutato le dottrine atomiste67. Porfirio si riallaccia ad un filone di tradizione platonica in quanto la sua esposizione presenta diverse tracce che portano fino a Platone. Anche quest'ultimo attribuiva infatti a Parmenide dei logoi in prosa a quanto risulta dal breve accenno del Sofista68. Simplicio, a dieci secoli di distanza, si trovava davanti un testo di Parmenide nel quale, fra i versi, comparivano alcune frasi in prosa69. C'era dunque, da Platone in poi, una tradizione che attribuiva a Parmenide dei discorsi in prosa. Inoltre, come nel Parmenide platonico l'Eleate confutava la dottrina delle idee di Socrate notevolmente più giovane di lui, anche nel logos di Porfirio, Parmenide rigetta delle teorie a lui cronologicamente posteriori quali quelle atomiste e corpuscolariste. Ciò è indizio di una impostazione soprattutto dialettica e non cronologica dei rapporti fra i vari autori. Inoltre la trasposizione a Parmenide di logoi zenoniani ha il suo capostipite nel Parmenide platonico stesso dove le aporie di Zenone sono proposte da Parmenide e non è isolata nella tradizione tarda. Favorino, a detta di Diogene Laerzio, trasferiva a Parmenide la paternità del famoso paradosso di Achille e della tartaruga70. Porfirio, d'altra parte, era entrato in contatto non solo mediato71, ma anche diretto con opere degli allievi di Platone. Simplicio riferisce come, in un commento al Filebo, egli affermasse di aver corretto l'esposizione oscura e enigmatica delle trascrizioni degli allievi di Platone del Peri; tajgaqou' del maestro72. 67

68 69

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72

Philop. In De gen. et corr. 325a 6, 157,12ss. oJ de; ajlhqh;" lovgo" e[cei o{ti kai; kenou' mh; o[nto" oujde;n kwluv ei kai; diaivresin ei\ nai kai; kivnhsin, tw' n pragmavtwn dihirhmevnwn me; n aJptomevnwn de; ajllhvlwn kai; kenw'i mh; dieirgomev nwn, tou'to aj nairw'n oJ Parmenivdh" fhsi;n o{ti to; ou{tw" uJpotivqesqai oujd e;n diafevr ei tou' a[toma kai; keno;n eijsfevrein. povteron gavr, fhsiv, to; o]n pav nthi ejsti; diaireto;n h] ou[ … eij me;n ga;r pavnthi ejsti; diairetovn, ouj movnon polla; oujk e[stai ta; prav gmata, ajll oujde; e{ n (diaireqe; n ga;r pav nthi oujde; n e[s tai loipovn, ajlla; movnon kenov n), eij de; mh; pav nthi diairetovn, peplasmev nwi to; toiou'ton e[oiken: dia; tiv ga;r ph'i mev n ejsti diaireto;n ph'i d ou[… ou{tw de; kai; hJ tw'n aj tovmwn eijskwmavs ei dovxa, h|itini e{petai kai; to; keno;n ei\nai. Soph. 237a pezh'i te w|de eJkavstote levgwn kai; meta; mevtrwn. Simpl. In Phys. 184b 15, 31,3 kai; dh; kai; katalogavdhn metaxu; tw'n ejp w'n ejmfevr etaiv ti rJhseivdion wJ" auj tou' Parmenivdou e[con ou{ tw"... Diog. Laert. 9,23 (30 A 1 DK) kai; prw'ton (scil. to;n Parmenivdhn) ejrwth'sai to;n Acilleva lovgon, wJ " Fabwri'no" ej n Pantodaph'i iJstorivai. Cf. anche Diog. Laert. 9,29 (29 A 1 DK).

Egli aveva attinto ad opere di medioplatonici quali Dercillide che avevano letto direttamente scritti degli allievi di Platone quali Ermodoro. Cf. Porph. 146 F Smith (Simpl. In Phys. 192a 3, 247,30ss.; Hermod. Fr. 7 IP). Simpl. In Phys., 202b 36, 453,27-454,14 (Porph. 174 F Smith) kai; to; mevga de; kai; to; mikro;n tiqei;" a[p eiron ei\ nai e[legen ej n toi'" Peri; taj gaqou' lovgoi", oi|" Aristotevlh" kai; ÔHrakleivdh" kai; ÔEstiai'o" kai; a[lloi tou' Plavtwno" eJtai'roi paragenov menoi ajnegravyanto ta; rJhqevnta aijnigmatwdw'", wJ " ejrrhvqh, Porfuvrio" de; diarqrou'n aujta; ejpaggellovmeno" tavde

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

C'è inoltre un passo specifico delle Confutazioni sofistiche di Aristotele, l'unico in cui Parmenide e Zenone siano accomunati come sostenitori dell'uno non solo nel corpus aristotelico, ma anche negli autori del IV sec. a.C. al di là di Platone73, che rimanda a discussioni in corso sulla definizione di essere e uno proprio come risposta congiunta ai due Eleati. Si tratta di discussioni che non possono essere nate altro che nell'Accademia ai cui modelli dialettici Aristotele si richiama nei Topici e nelle Confutazioni. Parlando dei paralogismi legati all'omonimia Aristotele afferma: altri sembrano sfuggire anche ai dialettici più sperimentati (un segno di questo fatto è che spesso dibattono sui nomi, come ad esempio sul fatto se l'essere e l'uno abbiano in tutti i casi lo stesso significato o un significato diverso; infatti agli uni sembra che l'essere e l'uno significhino la stessa cosa, gli altri risolvono il logos di Zenone e di Parmenide affermando che l'essere e l'uno si dicono in molti modi)74.

La menzione congiunta di Parmenide e Zenone come monisti, estranea ad Aristotele e inusitata fuori dai testi platonici, non può che derivare dai logoi dialettici cui egli si riferisce, cioè quelli accademici e spiega anche perché Porfirio, se aveva davanti un logos di Senocrate, abbia potuto trovarvi il nome di Parmenide e non quello di Zenone. L'Accademico, come il suo maestro, metteva in bocca a Parmenide aporie rielaborate su quelle zenoniane. E' ovviamente impossibile dimostrare con certezza che il logos parmenideo di Porfirio è antico quanto quello eleatico di Aristotele, anche se ci sono buone ragioni per ritenerlo tale, come si è visto, ma il dato di fatto più importante è che comunque Senocrate è partito da un logos di questo tipo che, nella sostanza, era conosciuto a tutti i commentatori antichi75. Infatti Alessandro e altri gli attribuiscono concordemente, in termini simili a quelli porfiriani, la soluzione delle aporie eleatiche sulla divisibilità delperi; auj tou' gev grafen ej n tw'i Filhvbwi: ª...º tau'ta oJ Porfuvrio" ei\pen aujth'i scedo; n th'i levxei, diarqrou'n ejpaggeilavmeno" ta; ej n th'i Peri; taj gaqou' sunousiv ai aijnigmatwdw' " rJhqevnta. 73 74

Cf. anche Fedele 1999, 11s. Arist. Soph. El. 33, 182b 22 ta; de; kai; tou;" ejmpeirotavtou" faivnetai lanqavnein (shmei'on de; tou'tou o{ti mav contai pollavki" peri; tw'n ojnomavtwn, oi|on povteron taujto; shmaivnei kata; pavntwn to; o]n kai; to; e{n, h] e{teron: toi'" me; n ga;r dokei' taujto; shmaivnein to; o]n kai; to; e{ n, oiJ de; to;n Zhvnwno" lovgon kai; Parmenivdou luvousi dia; to; pollacw' " fav nai to; e}n levgesqai kai; to; o[n). Sull'ambiente accademico in cui queste distinzioni vengono fatte Krämer 1971, 18

75

n. 69; Ryle 1968, 74. Makin 1993, 24ss. attribuisce il logos tout-court a Zenone senza prendere in considerazione né il contesto (che rimanda alla soluzione di Senocrate e comporta quindi la possibilità che il logos sia stato rimaneggiato), né il fatto che la prima parte di questo passo contiene una critica all'atomismo. Senocrate aveva del resto scritto un'opera Sulle dottrine di Parmenide (Fr. 1 IP Peri; tw'n Parmenivdou aæ). Sull'origine accademica del logos della dicotomia in generale e sulle sue varie interpretazioni fino a Simplicio, cf. Fedele 1999.

Capitolo terzo

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l'essere attraverso l'introduzione delle linee indivisibili. La differenza sta nel fatto che essi accennano solamente ad un logos della dicotomia di Zenone ed espongono invece più diffusamente la soluzione di Senocrate. Le similitudini fra il logos eleatico di Porfirio, da cui Senocrate sarebbe partito per definire l'essere e l'uno e assumere degli indivisibili, e quello aristotelico rendono verosimile l'ipotesi che Aristotele si sia ispirato ad un logos eleatico corrente nell'Accademia che costituiva il punto di partenza per definire i concetti di essere e di uno e impostare il discorso sugli indivisibili. Aristotele stesso indica del resto costantemente le aporie eleatiche come base per le soluzioni accademiche del problema dell'essere e dell'uno. 3. 2. "Concedere ai logoi". Aporie eleatiche e loro soluzione (Arist. Phys. A 3, 187a 1) In un famoso passo della Fisica Aristotele allude ad "alcuni" che avrebbero fatto concessioni (un termine tecnico nella discussione dialettica) ai logoi degli Eleati proprio in relazione alla problematica dell'essere e dell'uno Alcuni hanno fatto concessioni ad ambedue i logoi: a quello secondo cui tutto è uno, se essere significa uno, affermando che c'è il non essere, a quello della dicotomia, ponendo grandezze indivisibili76.

I commentatori moderni hanno spesso letto in questo passo un riferimento agli atomisti in base al confronto con la presunta risposta di Leucippo agli Eleati in De generatione et corruptione A 8. In realtà, se si considera che a monte della presentazione aristotelica dell'atomismo sta tutta la discussione ora esaminata sulle aporie eleatiche nell'Accademia, la prospettiva va rovesciata. Il brano della Fisica è piuttosto una chiave per comprendere lo schema dialettico e la "soluzione" dell'aporia eleatica da parte di Leucippo e non viceversa. I commentatori antichi sono concordi nell'affermare che Aristotele vuole alludere a Platone, principalmente al Sofista77, e a Senocrate78 i quali 76

Phys. A 3,187a 1 e[nioi d ejnevdosan toi'" lovgoi" ajmfotevroi", tw'i me;n o{ti pavnta e{n, eij to; o]n e}n shmaiv nei, o{ti e[sti to; mh; o[ n, tw'i d ejk th'" dicotomiva", a[ toma poihvsante" megevqh.

77

Alessandro (ap. Simpl. In Phys. ad loc., 134,21ss.) lo presuppone implicitamente; il Filopono, richiamandosi ad Alessandro stesso e a Temistio, vi accenna esplicitamente (In Phys. ad loc., 81,25-29 tau'ta dev fasin aujto;n aijnivttesqai eij" Plavtwna kai; oJ Alevxandro" kai; oJ Qemivstio": uJpotiqevmeno" ga;r oJ Plavtwn, fasivn, ejn tw'i Sofisth'i ei\nai to; kaqovlou mh; o[n, o{per th;n tou' o[nto" fuvsin ejkpevf eugen, aj nhvirei to; ta; pav nta e}n ei\nai levgwn ou{tw": æeij to; o]n pa'n e{ n ejstin, oujk e[stai to; mh; o[n: ajlla; mh;n e[sti to; mh; o[n: oujk a[ra to; o]n pa' n e{ n ejstiæ.

Cf. Themist. In Phys. ad loc., 12,6-17; Simpl. In Phys. ad loc., 134,14ss. Solo Porfirio, che riferisce la dottrina platonica in termini aristotelici di forma e materia, si distanzia da quella degli altri commentatori basandosi, invece che sul Sofista, sul Timeo e identifica il non essere

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avrebbero risposto rispettivamente a Parmenide e a Zenone. E' pur vero che anche questo schema esegetico (l'opposizione di maestro a maestro e di allievo ad allievo) ha sapore di manualistica scolastica e che il passo del Sofista non rientra in una problematica fisica, ma in un contesto logicodialettico. Nel Sofista Platone dirige la dimostrazione dell'esistenza del non essere come altro dall'essere esplicitamente contro la proposizione parmenidea Æouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i ei\nai mh; ejovnta79 dimostrando come ogni cosa partecipi sia dell'essere, in quanto esiste, che del non essere, non come negazione dell'essere, ma in quanto "altro" rispetto a tutto il resto. Infine dichiara di aver dimostrato, contro Parmenide, non solo che ciò che non è è, ma anche di aver individuato il genere del non essere nella natura dell'"altro" di cui tutte le cose partecipano80. Lo schema del Sofista costituiva tuttavia un modello di soluzione di aporia trasferibile dall'ambito della logica a quello dei principi. Tale modello riemerge infatti molto chiaramente in un brano della Metafisica aristotelica nella critica ai principi accademici e in particolare alla diade indefinita. Molte sono dunque le ragioni dell'essersi rivolti in maniera fuorviante81 verso queste cause (scil. l'uno e la diade indefinita), ma il motivo principale è costituito dal fatto che essi hanno posto i problemi in modo antiquato82. Infatti sembrò di Platone con la materia prima a[morfon kai; ajneivdeon, secondo principio metafisico (134 F Smith) (Simpl. In Phys. ad loc., 135,1-5 fhsi; de; oJ Porfuvrio" to;n Plavtwna kai; to; mh; o]n levgein ei\nai, ou{tw" mev ntoi ei\nai wJ" mh; o[n. to; me;n ga;r o[ntw" o]n ajpefhvnato ei\nai th; n ijdevan kai; tauvthn o[ntw" ei\nai oujsivan, th; n de; ajnwtavtw prwvthn a[ morfon kai; ajneivdeon u{lhn ejx h|" ta; pavnta ejsti; n ei\nai mevn, mhde;n de; ei\ nai tw'n o[ ntwn. auj th; ga; r ejf eJauth' " ejpinooumevnh dunav mei me; n pavnta ejstiv n, ejnergeivai de; oujd e;n. Per l'allusione al Timeo, cf. Ibid. 78

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135,9). Alex. ap. Simpl. In Phys. ad loc., 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Per il testo, v. supra, n. 65. Cf. Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. ad loc., 140,6-18) (Xenocr. Fr. 139 IP); Themist. In Phys. ad loc., 12,6-17 (Xenocr. Fr. 140 IP); Philop. In Phys. ad loc., 83,19-22 (Xenocr. Fr. 141 IP); Schol. In Arist. Phys. 334a 36ss. Brandis (Xenocr. Fr. 144 IP); Simpl. In Phys. ad loc. 142,16-27 (Xenocr. Fr. 145 IP). Parm. 28 B 7,1-2 DK. Per il problema testuale costituito dalla lettura non metrica v. infra, n. 84. Soph. 258d hJmei'" dev ge ouj movnon ta; mh; o[nta wJ" e[stin ajp edeivxamen, ajlla; kai; to; ei\do" o} tugcav nei o]n tou' mh; o[nto" ajpefhnav meqa: th; n ga;r qatevrou fuvsin ajpodeiv xante" ou\sav n te kai; katakekermatismevnhn ejpi; pavnta ta; o[nta pro;" a[llhla, to; pro;" to; o]n e{kaston movrion aujth' " ajntitiqevmenon ejtolmhvs amen eijpei'n wJ " auj to; tou' tov ejstin o[ ntw" to; mh; o]n. Cf. Phys. A 8,191a 24-32 e b 31-33 dove il verbo ejktrevpein viene impiegato per indicare la

maniera fuorviante degli "antichi" di porre il problema dell'esistenza del non essere unicamente in antitesi all'essere. Si tratta di una obiezione che Aristotele mantiene, nella sostanza, anche contro gli Accademici. La ragione dell'accusa di Aristotele di usare un sistema antiquato di porre i problemi, sta anche nello schema topico dell'argomentazione dell'esistenza del non essere in quanto non essere, tipico di una certa dialettica sofistica. Altrove Aristotele lo ritiene infatti un procedimento eristico generatore di un sillogismo apparente (Rhet. B 24, 1402a 3-6 e[ti w{sper ejn toi'" ejristikoi'" para; to; aJplw'" kai; mh; aJplw'", ajlla; tiv, givgnetai fainov meno" sullogismov", oi|on ejn me;n toi'" dialektikoi'" o{ti ej sti; to; mh; o]n o[n, e[sti ga;r to; mh; o]n mh; o[ n...).

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loro che tutte le cose esistenti fossero uno, l'uno in sé, se non si fosse risolto e confutato il logos di Parmenide "che infatti mai in nessun modo si verifichi questo, che le cose che non sono siano", ma sembrò necessario dimostrare che il non essere è; così infatti, dall'essere e da un "qualcos'altro" deriverebbero le cose esistenti se sono molte"83.

Il passo di Parmenide proposto come aporia da risolvere è esattamente quello citato da Platone nel Sofista, di cui mantiene persino la lettura non metrica84. Evidentemente costituiva, dopo Platone, un modello-tipo di aporia eleatica sul non essere proposto alla discussione nell'Accademia. Non si tratta tuttavia di una semplice riproduzione dell'argomentazione logico-dialettica del Sofista, ma della sua trasposizione al piano dei principi, uno e diade indefinita. Un passo della Fisica insiste sullo stesso tema: gli Accademici avrebbero concordato con Parmenide che la genesi deve derivare dal non essere. Per risolvere il paradosso, avrebbero però attribuito a questa natura, grande e piccolo o diade indefinita che dir si voglia, un carattere di esistenza in assoluto senza distinguere i significati di non essere assoluto e relativo come invece ha fatto Aristotele85. L'aspetto più interessante del passo della Fisica per il tema qui trattato è la formulazione della presunta risposta accademica al problema posto dagli Eleati: essi "concordano" con Parmenide che, per giustificare la generazione, è necessario ammettere l'esistenza del non essere. Si tratta dello stesso modo arcaico di porre i problemi (ajporh'sai ajrcaiücw'") che Aristotele rimprovera anche altrove in modo più o meno esplicito agli Accademici86. 83

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Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6 polla; me;n ou\n ta; ai[tia th'" ejpi; tauvta" ta;" aijtiva" ejktroph'", mavlista de; to; ajporh's ai ajrcaiükw'". e[doxe ga;r aujtoi'" pavnt e[sesqai e}n ta; o[ nta, aujto; to; o[n, eij mhv ti" luvsei kai; oJmovse badiei'tai tw'i Parmenivdou lovgwi Æouj ga;r mhvpote tou't oujdamh'i, ei\ nai mh; ejovntaÆ, ajll aj nav gkh ei\ nai to; mh; o]n dei'xai o{ti e[stin: ou{tw gavr, ejk tou' o[nto" kai; a[llou tinov ", ta; o[nta e[sesqai, eij pollav ejstin. La lezione tou'to damh' di E e J, accettata sia in Diels-Kranz 1952 per il Fr. 28 B 7,1 DK di Parmenide, sia nell'edizione della Metafisica dello Jaeger, costituisce solo una correzione tarda dell'evidente errore metrico tou't oujdamh'i riportato invece tale e quale in Ab (un codice che risale ad una edizione papiracea per lo meno del I sec. d.C., cf. Jaeger 1957, IX-X). Fra i codici di Simplicio, che cita tre volte il frammento nel commento alla Fisica (187a 1, 135,21; 143,31; 191b 35, 244,1), solo quello più dotto, E, riporta tou'to damh'i costantemente, una evidente correzione a posteriori di una metrica zoppicante da parte di un copista colto. Il codice D, inferiore ad E, ma ancora relativamente buono, oscilla: in 135,21 e 244,1 porta tou'to mhdamh'i, in 143,31 concorda con E. Il codice F, invece, il meno dotto, presenta una lacuna in 135,21, tou'tou oujdamh; in 143,31 e tou't oujdamh'i in 244,1. Evidentemente non vede il problema metrico e riproduce fedelmente il testo che ha davanti. Ross 1924, ad loc., accetta la lezione tou'to damh'i dell'edizione dielsiana di Simplicio senza far parola di questa oscillazione nei codici. A 9, 191b 36 prw'ton me; n ga;r oJmologou'sin aJplw' " giv nesqai ejk mh; o[ nto", h|i Parmenivdh" ojrqw'" lev gein. Aristotele rimprovera agli Accademici di non aver distinto non essere per accidente (materia) e non essere assoluto (privazione). Sull'ajporh's ai ajrcaikw'", cf. Merlan 1967, 120 il quale, però, non menziona questo passo della Fisica.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

La problematica di fondo cui rimanda l'allusione aristotelica in Phys. A 3 a coloro che "hanno concesso" ai logoi eleatici l'esistenza del non essere e che hanno risposto con le grandezze indivisibili all'argomento della dicotomia, è dunque quella della definizione di essere, non essere e uno e dell'assunzione di grandezze indivisibili nell'Accademia87. Questo è tanto più vero se si considera che, per la tradizione neoplatonica, che interpreta l'allusione aristotelica come diretta contro gli accademici, sarebbe stato molto più comodo in questo caso spiegarla come un attacco contro gli atomisti per evitare di dover poi difendere Platone e Senocrate. E' evidente che questo passo della Fisica in tutta la tradizione antica era sempre stato interpretato come una allusione a questi ultimi. Dato però che, fra i moderni, proprio in base alla presunta risposta di Leucippo in De generatione et corruptione A 888, la "concessione" ai logoi degli Eleati è sempre stata attribuita agli atomisti, si è interpretato in questo senso anche l'allusione nel passo di Phys. A 389 e perciò si è dovuto necessariamente sostenere che 87

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Sedley, che ringrazio per avermi gentilmente messo a disposizione un suo articolo in corso di stampa (Atomism's Eleatic Roots, in Curd-Graham), è anch'egli incline, per motivi diversi da quelli ora esposti, a vedere nel passo aristotelico una allusione agli Accademici e in particolare a Senocrate. Sintomatico a questo proposito è il commento al passo di Ross, 1936, 480s., che rispecchia perfettamente questo tipo di ragionamento fondato essenzialmente su una valutazione unidirezionale delle testimonianze aristoteliche. Dopo aver affermato che tutto sembrerebbe alludere a Platone e alla sua scuola sulla base del confronto con Metaph. N 2, 1089a 1ss. e i commenti dei commentatori antichi che riferiscono l'allusione aristotelica a Platone e Senocrate, Ross nota che Simplicio avanza delle riserve per quanto riguarda il riferimento a Platone in quanto quest'ultimo non avrebbe assunto un semplice non essere, ma un non essere qualcosa (In Phys. ad loc., 137,7-20). Da questa obiezione, che egli considera valida, Ross parte per cercare un'alternativa e la trova nell'allusione agli atomisti fondandosi su De gen. et corr. A 2. Ora, la critica di Simplicio (anche se centra il punto debole dell'interpretazione aristotelica di Platone) è, come sempre, tesa alla difesa di Platone stesso e dunque non può costituire l'unico elemento per rigettare delle testimonianze evidenti. In secondo luogo, se così fosse, non si spiega come mai, lo stesso Ross non citi anche 191b 35ss. dove compare la stessa formulazione del problema e che, secondo il suo stesso commento (ad loc., 497), è un chiaro riferimento a Platone e all'Accademia, riferimento che Simplicio ugualmente rigetta, contro tutti gli altri esegeti, sulla base delle stesse argomentazioni addotte per il brano precedente (Simpl. In Phys. 191b 35, 242,22ss.). Il ragionamento di Ross è seguito evidentemente anche da Barnes 1986, 354 e 619 n. 26, il quale afferma che solo gli atomisti avrebbero sostenuto ambedue le tesi cui Aristotele si riferisce. Tuttavia, quando Aristotele allude alle dottrine accademiche, spesso considera in blocco determinate problematiche senza differenziare un autore dall'altro. Inoltre, come si è visto nei brani della Metafisica e della Fisica esaminati sopra, attribuisce la ammissione del non essere (la diade indefinita) a seguito dell'aporia eleatica principalmente agli Accademici. Per l'attribuzione agli atomisti Burnet 1930, 173; Ross 1936, ad loc. 479-81; Cherniss 1962, 75 n. 303; Hirsch 1953, 66; Furley 1967, 81; Kirk-Raven-Schofield 1983, 409; Baldes 1972, 45 non si pone neppure il problema di una diversa esegesi; Barnes 1982, 354; secondo Krämer 1971, 260 con bibliografia in n. 103, sarebbero sottintese ambedue le scuole. Per l'attribuzione a Platone e ai Platonici, Nicol 1936, 120s.; Isnardi Parente 1982, 356.

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tutti i commentatori si sono sbagliati90. Questa interpretazione è dovuta però ad un rovesciamento della prospettiva che fa perdere di vista la problematica più generale sottesa agli schemi dialettici di De generatione et corruptione A 8, quella radicata nelle discussioni accademiche delle aporie eleatiche.

4. I logoi di Leucippo: De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.) Aristotele è partito da un logos eleatico, le cui tracce portano all'Accademia e che già conteneva una confutazione dell'atomismo e delle dottrine corpuscolari, per riformularne un altro. Agli argomenti degli Eleati egli contrappone infatti, come antitesi, quelli di Leucippo secondo uno schema dialettico di cui generalmente si serve per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche. Egli si basa ovviamente anche su effettive affermazioni dell'autore come risulta dai tratti più marcatamente espositivi che emergono nella seconda parte del resoconto e corrispondono ad altri brani di questo tipo presenti nella sua opera, ma nello schema dialettico della risoluzione del problema eleatico dell'uno e del molteplice attraverso il non essere e una molteplicità di "unità" simili all'essere eleatico, Leucippo sta sulla stessa linea di Platone e degli Accademici91. 90

91

L'argomentazione dell'errore dei commentatori è il modo più sbrigativo per eliminare una importante controprova. A Ross aveva già risposto Nicol 1936, 121 n. 1, facendo notare che Aristotele, nel passo di Metaph. N 2 citato più sopra, si riferisce a Platone e non agli atomisti. Furley 1967, 81s., che riprende il tema dell'errore dei commentatori, accenna a questo passo come possibile supporto per la loro tesi, ma afferma comunque, senza ulteriori argomentazioni, che è più probabile che Aristotele pensi agli atomisti portando come unica prova il brano del De generatione et corruptione A 2. Aristotele impiega anche altrove questo procedimento di assimilazione di dottrine presocratiche ed accademiche allo scopo di dimostrare che Platone e i suoi allievi hanno riprodotto un modo di pensare antiquato, con l'aggravante di non accordare i loro principi coi fenomeni. Un passo significativo a questo proposito è quello del primo libro della Metafisica, in cui espone (considerandosi ancora un accademico e usando la prima persona plurale "noi") l'interpretazione accademica di Anassagora. Anassagora, pur non avendolo espresso chiaramente, avrebbe assunto due principi, l'uno (il nous), e l'"altro" (l'infinito). Egli avrebbe dunque detto le stesse cose degli Accademici, ma col vantaggio di accordare maggiormente coi fenomeni le sue teorie, Metaph. A 8, 989a 30-b 21 (59 A 61 DK) Anaxagovr an d ei[ ti" uJpolav boi duvo levgein stoicei' a, mavlist a] n uJpolav boi kata; lovgon, o} n ejkei'no" aujto; " me;n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse ment a]n ejx aj nav gkh" toi'" ejp avgousin aujtov n ª...º ejk dh; touvtwn sumbaiv nei levgein aujtw'i ta; " ajrca; " tov te e} n (tou'to ga;r aJplou' n kai; aj mige; ") kai; qavteron, oi|on tivqemen to; ajovriston pri;n oJrisqh'nai kai; metascei'n ei[dou" tinov", w{ste levgei me; n ou[t ojrqw'" ou[te safw'", bouvletai mev ntoi ti paraplhvsion toi'" te u{steron levgousi kai; toi'" [nu' n] fainomevnoi" ma'llon ãajkolouqei'Ã ). Platone aveva criticato

Anassagora per essere partito da principi giusti, ma per non averli poi in pratica applicati

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

Qui di seguito, dunque, esaminerò i modelli dialettici ed esegetici più generali sottesi al logos di Leucippo e li confronterò con le altre testimonianze aristoteliche e quelle posteriori ad Aristotele sugli atomisti che offrono prospettive esegetiche alternative. Aristotele, dopo aver esposto il logos eleatico, propone in questi termini la risoluzione di Leucippo: Leucippo, invece, credette di avere dei logoi che, procedendo in accordo con la sensazione, non confutassero né la generazione né la corruzione e neppure la molteplicità delle cose esistenti. Avendo da una parte concesso questo ai fenomeni, dall'altra, a quelli che sostengono la tesi dell'uno, che non ci sarebbe movimento senza il vuoto, dice che il vuoto è non essere e che nulla di ciò che è è non essere. Infatti l'essere nel senso proprio è il tutto-pieno92, ma non è uno solo, ma

92

(Phaed. 97c). Aristotele riprende una interpretazione accademica, per dimostrare invece implicitamente che gli Accademici hanno riprodotto lo stesso modo di affrontare i problemi con lo svantaggio di non accordare le loro teorie coi fenomeni. Seguo qui il testo tradizionale e la punteggiatura del passo di Joachim e Diels (oJmologhvsa" de; tau'ta me;n toi'" fainomev noi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" ouj k a] n kivnhsin ou\ san a[neu kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o] n pamplh're" o[ n ajllæ ei\ nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[peira to; plh'qo" v. nota seguente) per-

fettamente giustificabile alla luce della terminologia e del carattere dialettico del logos. La proposta di una nuova lettura da parte di Rashed 2001, 323-25 (cf. anche 2005, 39 e 139 n. ad loc.), seguito da Hussey 2004, 263s. non tiene conto né del senso generale del brano, né dello stile aristotelico. Le ricerche di Rashed sulla tradizione testuale del De generatione et corruptione, per quanto estremamente documentate e importanti per il testo in generale, non aggiungono in realtà su questo punto nulla di sorprendentemente nuovo. L'esistenza di queste varianti era già ben documentata nell'apparato critico di Joachim e non è in sé particolarmente rilevante. La tradizione manoscritta da sola non giustifica la scelta dell'una o dell'altra, tanto è vero che Rashed stesso si basa abbondantemente su presupposti e interpretazioni personali (cf. 2001, 324). Il testo offerto da Rashed è il seguente oJmologhvsa" ª...º toi'" de; to; e} n kataskeuav zousin wJ" ou[t a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[ nto" oujq e;n mh; o[n, fhsin ei\ nai to; kurivw" e} n pamplh're" o[n (2001, 324 pamplh're"): ajll ei\nai to[ toiou'ton oujk e{n ... Hussey dà un testo che si discosta in parte da questo (oJmologhvs a" ª...º toi'" de; to; e}n kataskeuavzousin wJ" oujk a]n kivnhsin ou\s an a[neu kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[nto" oujqe; n mh; o[ n, fhsin ei\ nai to; kurivw" o]n pamplh're" o]n: ajll ei\nai to; toiou'ton oujk e{ n. Un ou[te, da lui citato al posto di oujk, nella sua spiega-

zione del testo, non compare invece all'interno di quest'ultimo). La versione di Rashed è estremamente problematica per il senso e per lo stile. A differenza di quanto afferma Rashed, che fa dipendere, senza ulteriori argomentazioni, tutte le proposizioni da wJ" a oujqe;n mh; o[n da oJmolovghsa", la costruzione tov te keno;n mh; o]n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[n è sintatticamente perfetta (te ... kai; retto da fhsin ei\nai) e coerente, anche dal punto di vista dello schema dialettico, con una presunta risposta di Leucippo agli Eleati. Il fatto che il vuoto sia non essere (e come tale esista) e che l'essere sia il tutto pieno e molteplice è, secondo le regole della discussione dialettica, la nuova riformulazione del problema da parte di Leucippo che dopo aver concordato con una premessa degli Eleati (che non c'è movimento senza il vuoto), ridefinisce le altre premesse (la concezione di essere e di non essere) facendo le necessarie distinzioni. In questo contesto oujk, riportato da E e M, è perfettamente corretto e notevolmente superiore a ou[te accolto da Rashed. Al sintagma fhsin ei\nai egli attribuisce poi una posizione inusitata in Aristotele. Il sintagma (con l'altra variante ei\naiv fhsin) è infatti frequentissimo nelle opere aristoteliche (come del resto in tutti

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infiniti per numero e invisibili per la piccolezza delle loro masse. Questi si muovono nel vuoto —infatti il vuoto c'è— e producono, combinandosi, la generazione, separandosi, la disgregazione. Essi agiscono e subiscono nella misura in cui vengono fortuitamente a contatto; in questo modo infatti non formano una unità. E, componendosi e intrecciandosi, generano. Ma da ciò che è veramente uno non può generarsi una molteplicità né da quelli che veramente sono molti l'uno, ma ciò è impossibile. Ma come Empedocle e alcuni altri dicono che le affezioni si producono attraverso i pori, così [anche Leucippo sostiene che] ogni alterazione e ogni affezione si produce in questo modo, dal momento che la dissoluzione e la disgregazione si producono attraverso il vuoto, e allo stesso modo anche l'accrescimento, a causa della penetrazione delle particelle solide [negli spazi vuoti]. Anche Empedocle deve però quasi necessariamente sostenere le stesse tesi di Leucippo. Infatti ci devono essere certi corpi solidi, e per giunta indivisibili, se non ci sono dovunque pori che si susseguono l'un l'altro. Questo è tuttavia impossibile: infatti oltre ai pori non ci sarebbe qualcosa di solido, ma tutto sarebbe vuoto. Dunque è necessario che le particelle a contatto siano indivisibili e che gli interstizi fra l'una e l'altra, che egli chiama pori, siano vuoti. Così parla anche Leucippo riguardo all'agire e al subire93.

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gli autori greci), ma compare sempre (e non solo in Aristotele) o immediatamente dopo il soggetto (espresso, e non sottinteso come qui), ma con fhsin in posizione enclitica (costruzione peraltro molto rara, cf. Hist. anim. Z 5, 563a 6 kai; dia; tou'to kai; ÔHrovdwro" oJ Bruvswno" tou' sofistou' pathvr fhsin ei\nai tou;" gu'p a" ajfæ eJtevr a" gh'"), o, molto più frequentemente, dopo il soggetto di ei\nai (Phys. A 5, 188a 22 kai; Dhmovkrito" to; plh're" kai; kenov n, w|n to; me; n wJ" o]n to; de; wJ" oujk o]n ei\naiv fhsin. Cf. anche A 2, 185a 33 Mevlisso" de; to; o]n a[peiron ei\naiv fhsin. D 2, 209b 11 Plavtwn th;n u{lhn kai; th;n cwvran taujtov fhsin ei\nai ej n tw'i Timaivwi. De gen. et corr. A 5, 320b 33Dio; kai; croia;n ou[ fhsin ei\nai. A 8, 325b 32 Plavtwni de; kata; th;n aJfh;n movnon: keno;n ga;r oujk ei\naiv fhsin. Cf. anche Metaph. A 3, 983b 21 e passim), o comunque dopo il nome del predicato (Metaph. A 8, 989a 21 Empedoklh'" tevttarav fhsin ei\nai swvmata th;n u{lhn. De gen. et corr. A 8, 326a 9 kaivtoi baruvterov n ge kata; th; n uJperochv n fhsin ei\nai Dhmovkrito" e{kaston tw' n ajdiairevtwn). La posizione del sintagma proposta da Rashed e Hussey è dunque contraria all'uso aristotelico. Per quanto riguarda la scelta di e{n per o[n è importante sottolineare che la tesi eleatica qui discussa non è la natura dell'uno, ma quella dell'essere, se esso è uno o molti, immobile o in movimento (ejnivoi" ga;r tw'n ajrcaivwn e[doxe to; o]n ejx ajnavgkh" e}n ei\nai kai; ajkivnhton). L'inquadramento del brano nell'ambito della distinzione di essere e uno come risposta alle aporie eleatiche giustifica, anche al di là delle considerazioni stilistiche, la lettura tradizionale. Arist. De gen. et corr. A 8, 325a 23-b 11 (67 A 7 DK; 146 L.) Leuvkippo" dæ e[cein wjihvqh lovgou", oi{tine" pro;" th;n ai[sqhsin oJmologouvmena levgonte" oujk aj nairhvs ousin ou[te gevnesin ou[te fqora; n ou[te kivnhsin kai; to; plh'qo" tw'n o[ ntwn. oJmologhvs a" de; tau'ta me; n toi'" fainomevnoi", toi'" de; to; e} n kataskeuavzousin wJ" oujk a] n kivnhsin ou\s an a[ neu kenou', tov te keno; n mh; o] n kai; tou' o[ nto" oujqe; n mh; o[ n fhsin ei\nai: to; ga;r kurivw" o]n pamplh're" o[n, ajllæ ei\nai to; toiou'ton oujc e{ n, ajllæ a[p eira to; plh'qo" kai; ajovrata dia; smikrov thta tw' n o[ gkwn. tau'ta dæ ejn tw'i kenw'i fevresqai (keno;n ga;r ei\nai), kai; sunistavmena me;n gev nesin poiei'n, dialuovmena de; fqoravn. poiei'n de; kai; pavscein h|i tugcav nousin aJptovmena: tauvthi ga;r oujc e}n ei\nai. kai; suntiqev mena de; kai; periplekovmena genna' n: ejk de; tou' katæ ajlhvqeian eJ no;" oujk a] n genevsqai plh'qo" oujdæ ejk tw' n ajlhqw'" pollw'n e{ n, ajllæ ei\nai tou'tæ ajduv naton: ajllæ, w{sper Empedoklh'" kai; tw'n a[llwn tinev" fasi pavscein dia; povrwn, ou{tw pa'san ajlloivwsin kai; pa'n to; pavscein tou'ton givnesqai to;n trovpon, dia; tou' kenou' ginomevnh" th'" dialuvs ew" kai; th'" fqora' ", oJmoivw" de; kai; th'" aujxhvs ew", uJp eisduomevnwn sterew' n scedo; n de; kai;

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

L'esposizione aristotelica è caratterizzata da tre parti: 1. Una di tipo argomentativo che mira a inquadrare le teorie di Leucippo nella discussione dialettica di tesi generali sulla definizione di essere, sul movimento e sul numero dei principi secondo lo schema dei Topici. 2. Una di carattere descrittivo che espone più dettagliatamente la dottrina per confermare l'inquadramento fornito nella prima parte e correlarlo col tema dell'agire e del patire trattato nel capitolo94. Le notizie di questa seconda parte corrispondono pressoché esattamente a quelle dell'excursus di Aristotele su Democrito presso Simplicio95 e concordano grosso modo anche con le notizie sulla cosmogonia di Leucippo riportate da Diogene Laerzio96 e Ippolito97 di derivazione teofrastea. 3. Una che, riprendendo e specificando il logos eleatico, cerca di dimostrare la sostanziale equivalenza fra le teorie di Empedocle e quelle di Leucippo. 4. 1. La prima parte del logos di Leucippo (De gen. et corr. A 8, 325a 23-30) La prima parte del logos, che, in sostanza, inquadra in uno schema dialettico incentrato sulla formulazione di un'antitesi quanto esposto nella seconda parte, risente ovviamente di una più profonda rielaborazione. La terza parte riprende un assunto del logos eleatico (equiparazione di un presunto corpuscolarismo empedocleo all'atomismo) e fornisce una interpretazione di Empedocle pressoché inusitata per lo stesso Aristotele. La formulazione dell'antitesi alle tesi eleatiche della prima parte dei logoi di Leucippo è fortemente marcata dalla terminologia tecnica della discussione dialettica. Così l'espressione "avere dei logoi" indica, nei Topici, il possesso di argomentazioni generali da usare in una disputa dialettica98. I logoi di Leucippo non "confutano" (oujk ajnairhvsousin) la generazione, la corruzione, il movimento e la molteplicità: ajnairei'n è un termine tipico

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Empedoklei' aj nagkai'on levgein w{ sper kai; Leuvkippov" fhsin. ei\nai ga;r a[tta stereav, ajdiaivreta dev, eij mh; pav nthi povroi sunecei'" eijsin. tou'to dæ ajduv naton: oujqe;n ga;r e[stai e{teron stereo;n para; tou;" povrou", ajlla; pa' n kenov n. ajnavgkh a[r a ta; me; n aJptovmena ei\nai ajdiaivreta, ta; de; metaxu; aujtw'n kenav, ou}" ejkei'no" levgei povrou". ou{tw" de; kai; Leuvkippo" levgei peri; tou' poiei' n kai; pavs cein. Ad esempio ajll ei\nai to; toiou'ton (scil. to; o]n) oujc e}n, ajll a[p eira to; plh'qo" è una

espressione tipica degli schemi prearistotelici che oppongono monisti a pluralisti (cf. Xen. Mem. 1,1,13, supra, n. 34). Cf. a questo proposito Mansfeld 1986, 32-41 [1990b 55-63]. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,5-20) (68 A 37 DK; 293 L.). Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.). Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 16, 23, 291, 318 L.) Per quanto riguarda invece la testimonianza su Leucippo attribuita a Teofrasto, v. infra, 5. 1. Top. Q 14, 164b 16 dei' de; kai; pepoihmevnou" e[cein lovgou" pro;" ta; toiau'ta tw'n problhmavtwn ejn oi|" ejl acivstwn eujporhvsante" pro;" plei'sta crhsivmou" e{xomen.

Capitolo terzo

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per indicare la confutazione come kataskeuavzein per indicare la difesa di una tesi99. Con gli Eleati che difendono la tesi (kataskeuavzonte") monista Leucippo concorda (oJmologhvsa", un altro termine tecnico della discussione dialettica100 ) che non c'è movimento senza il vuoto, ma, secondo le regole dei Topici, "definisce" con più esattezza gli oggetti in discussione: l'essere propriamente inteso101 è il "tutto pieno" che va distinto dal vuoto-non essere, un essere improprio. Una volta introdotta la definizione precisa di essere (corrispondente a quella dell'essere-uno eleatico), nulla si oppone alla tesi della molteplicità degli enti come tante unità, che, per Leucippo, però, sono infinite di numero102 . Già dalla terminologia del passo risulta dunque che i logoi di Leucippo non sono una riproduzione fedele, ma un rimaneggiamento dell'originale in base ad uno schema dialettico-tipo di soluzione delle aporie eleatiche. La stessa impressione si ricava dall'analisi dei presupposti della concessione e della risposta agli Eleati103 . Infatti nella formulazione degli argomenti viene implicitamente presupposto: 1. Che Leucippo si sia posto un "problema del movimento" cercandone nel vuoto la causa o, per lo meno, la condizione necessaria. 2. Che abbia definito l'essere come una molteplicità di unità simili all'essere-uno eleatico e attribuito al non essere un grado inferiore di esistenza (un essere non propriamente inteso, dunque un "altro dall'essere"). 4. 1. 1. Vuoto e movimento Come si è visto, Aristotele, nei Topici, porta come esempio di "tesi" e "antitesi" in una disputa dialettica le trattazioni del movimento: da una parte la negazione assoluta dello stesso (Melisso), dall'altra la tesi del movimento continuo (Eraclito). Nel primo brano del De generatione et corruptione gli Eleati rispondono ai sostenitori del movimento, così come Melisso nel

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I due termini compaiono appaiati in Top. B 3, 110b 9, 11; 7, 112b 29; 8, 113b 16; G 6, 119a 34 e passim. Top. G 6, 120a 4; Z 13, 150b 31; H 3, 153b 29; Q 7, 160a 20. Sulla necessità di "definire" i significati delle espressioni di una tesi per eliminarne le ambiguità e renderne più facile la confutazione, cf. Top. Q 3, 158b 8 tw'n de; o{rwn dusepiceirhtovtatoi pavntwn eijsi;n o{soi kevcrhntai toiouvtoi" ojnovmasin a} prw'ton me;n a[dhlav ej stin ei[te aJplw'" ei[te pollacw'" lev getai, pro;" de; touv toi" mhde; gnwvrima povteron kurivw" h] kata; metafora;n uJpo; tou' oJrisamev nou levgetai…

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Nel logos eleatico di Porfirio l'assunzione di grandezze atomiche infinite viene però rigettata in quanto assurda, v. supra, n. 64. Cf. anche Gomperz I, 1922, 279; Lewis 1990, 241-245.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

quarto libro della Fisica104 , nei logoi di Leucippo è invece quest'ultimo a sostenere l'antitesi. La sua presenza in uno schema dialettico non implica dunque necessariamente una sua reale presa di posizione nei termini descritti da Aristotele. Da altre testimonianze aristoteliche e di derivazione teofrastea sugli atomisti, infatti, non risulta che essi si siano posti il problema di giustificare il movimento o di cercarne una causa rispondendo ad eventuali oppositori. Il movimento degli atomi ha un valore di postulato, è qualcosa che esiste da sempre ed è connaturato all'atomo stesso. Non c'è dunque bisogno di cercarne una causa esterna105 . Aristotele stesso, nella Metafisica, critica Leucippo, insieme a Platone, proprio perché avrebbe posto un movimento eterno senza cercarne la causa106 e nei brani più prettamente espositivi non fa alcun cenno alla ricerca di cause del movimento esterne agli atomi, ma riferisce semplicemente che essi lottano e si muovono nel vuoto perché sono diversi di forma e di grandezza107 . Teofrasto, da parte sua, pur riprendendo lo schema dialettico aristotelico, tratta comunque le dottrine di Leucippo come affermazioni dogmatiche diametralmente opposte a quelle degli Eleati: questi ultimi hanno posto un tutto uno immobile e ingenerato, Leucippo elementi infiniti e sempre in movimento108 . Il carattere assiomatico del movimento eterno connaturato agli atomi è confermato anche da altri resoconti risalenti alla tradizione teofrastea dove gli atomi sono descritti come a[peira kai; ajei; kinouvmena109 e soprattutto dal fatto che anche le loro proprietà (figura, modo di "voltarsi" e di intrecciarsi reciprocamente) non sono concepibili a prescindere dal movimento110 . Per questa natura stessa di particelle dinamiche gli atomi non sono comunque comparabili all'essere eleatico immobile. 104

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Phys. D 6, 213b 4-14 levgousi d e}n me;n o{ti kivnhsi" hJ kata; tovpon oujk a]n ei[h (au{th d ejsti; fora; kai; au[xhsi"): ouj ga;r a] n dokei'n ei\nai kivnhsin, eij mh; ei[h kenov n: to; ga;r plh're" ajduv naton ei\nai devxasqaiv ti. eij de; devxetai kai; e[stai duvo ej n taujtw'i , ejndevcoit a] n kai; oJposaou'n ei\ nai a{ma swvmata ª...º Mevlisso" me; n ou\n kai; deivknusin o{ti to; pa'n ajkiv nhton ejk touvtwn: eij ga;r kinhvs etai, aj nav gkh ei\naiv fhsi kenov n, to; de; keno;n ouj tw'n o[ntwn. Aristotele riproduce lo schema platonico di Theaet. 180d-e dove vengono contrapposti i sostenitori dell'eterno movimento a Parmenide e Melisso, v. supra, n. 42. Cf. già Gomperz I, 1922, 281-283. Cf. anche Morel 1996, 65 e Perilli 1996, 94-97. Metaph. L 6, 1071b 31 (67 A 18 DK; 17 L.) dio; e[nioi poiou'sin ajei; ejnevrgeian, oi|on Leuvkippo" kai; Plavtwn: ajei; ga;r ei\naiv fasi kivnhsin. ajlla; dia; tiv kai; tivna ouj lev gousin. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,9-11) (68 A 37 DK; 293 L.) stasiavzein de; kai; fevresqai ej n tw'i kenw'i diav te th; n anomoiovthta kai; ta;" a[lla" eijrhmevna" diaforav ". Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,7) (67 A 8 DK; 147 L.) ejkeivnwn ga;r

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e}n kai; ajkiv nhton kai; aj gev nhton kai; peperasmev non poiouv ntwn to; pa' n, ª...º ou|to" a[p eira kai; aj ei; kinouvmena uJpevqeto stoicei'a ta; " ajtovmou". Su questo brano, v. infra, 5. 1 n. 164. Hippol. Ref. 1,12 (67 A 10 DK; 151 L.) Leuvkippo" de; Zhvnwno" eJtai'r o" ouj th;n aujth;n dovxan diethvrhsen, ajllav fhsin a[peira kai; ajei; kinouvmena kai; gev nesin kai; metabolh; n sunecw' " ou\ san.

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V. infra, 4. 2. 2 e cap. VII.

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4. 1. 2. Vuoto e non essere Secondo Aristotele, Leucippo avrebbe "concesso" agli Eleati che non esiste il movimento senza il vuoto, ma affermato che il vuoto è non essere distinguendo un significato proprio, "forte", di essere (il tutto pieno), da uno più "debole" (il vuoto). In questa argomentazione il vuoto si configura dunque come un tiv, un qualcosa "altro dall'essere" proprio, che esiste, ma non alla stessa stregua ed è necessario per poter spiegare il movimento e la molteplicità. Lo schema soggiacente alla prima parte del logos di Leucippo è dunque quello della soluzione dell'aporia eleatica attraverso l'ammissione dell'esistenza del non essere come un "altro dall'essere" che esiste, ma in un grado inferiore, e che Aristotele stesso attribuisce agli Accademici111 . In questo modello, applicato al mondo fisico, luogo e vuoto equiparati corrispondono alla Chora platonica e all'ipostasi fisica della diade indefinita112 . Aristotele lo impiega anche per l'interpretazione di un autore al di sopra di ogni sospetto di "filosofia" come Esiodo proprio seguendo un modello esegetico accademico113 . Nella discussione delle dottrine che ammettono l'esistenza del luogo come "un qualcosa" di indipendente e "altro" dal corpo, egli spiega, infatti, sulla falsariga della Chora platonica, il Chaos esiodeo come spazio preesistente e indistruttibile, condizione necessaria delle cose esistenti114 .

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Cf. Metaph. N 2, 1088b 35-1089a 6, supra, n. 83. La distizione fra un essere a pieno titolo (o[ntw" o[n) e un essere di grado inferiore è comunque di ascendenza platonica (cf. e.g. la descrizione della Chora in Ti. 52a-d). Cf. anche Owen 1960, 183s. Phys. D 2, 209b 6-12 e supra, n. 59. Sull'interpretazione del Chaos esiodeo in Aristotele e negli autori tardi, cf. Gemelli Marciano 1991b. Arist. Phys. D 1, 208b 25-209a 1 e[ti oiJ to; keno;n favskonte" ei\nai tovpon levgousin: to; ga;r keno; n tovpo" a] n ei[h ejs terhmevno" swvmato". o{ti me; n ou\ n e[sti ti oJ tovpo" para; ta; swvmata kai; pa' n sw'ma aijsqhto; n ej n tovpwi, dia; tou'twn a] n ti" uJpolav boi: dovxeie dæ a]n kai; ÔHsivodo" ojrqw'" levgein poihvsa" prw'ton to; cavo". levgei gou' n Æpavntwn me; n prwvtista cavo" gev netæ, aujta;r e[p eita gai'æ eujruvsterno",Æ wJ" devo n prw'ton uJpavrxai cwvran toi'" ou\si, dia; to; nomivzein, w{sper oiJ polloiv, pavnta ei\naiv pou kai; ej n tovpwi. eij dæ ejsti; toiou' to, qaumasthv ti" a]n ei[h hJ tou' tovpou duv nami" kai; protevr a pav ntwn: ou| ga;r a[ neu tw' n a[llwn oujde; n e[ stin, ejkei'no dæ a[ neu tw'n a[llwn, ajnavgkh prw'ton ei\nai: ouj ga;r ajpovllutai oJ tovpo" tw'n ej n auj tw'i fqeiromevnwn. Il linguaggio ispirato alla descrizione della Chora del Timeo (52b) è palese. Cf. anche Simpl. In Phys. 209a 18, 533,35 mavlista de; teivnei pro;" to; mh; ei\nai ajrch;n aujtovn, o{per ejdovkoun lev gein oiJ to; ÔHsiovdou cavo" kai; to; keno;n Dhmokrivtou profevronte" kai; th; n fusikh;n tw' n swmavtwn kivnhsin wJ" ajp aijtiva" tou' tovpou ginomevnhn. L'autore del trattatello

pseudo-aristotelico De Melisso, Xenophane et Gorgia pone sia il vuoto che il Chaos esiodeo come antitesi alle tesi di Melisso (non c'è il movimento perché non c'è il vuoto), interpretandoli, sulla scia di Aristotele, come "un qualcosa", un non-corpo e uno spazio (MXG 976b 12-18 ajkivnhton d ei\naiv fhsin, eij keno;n mh; e[stin: a{panta ga;r kinei'sqai tw'i ajllavttein tovpon. prw'ton me; n ou\ n tou'to polloi'" ouj sundokei', ajll ei\naiv ti kenovn, ouj mevntoi tou'tov gev ti sw'ma ei\ nai, ajll oi|on kai; oJ ÔHsivodo" ejn th'i genevsei prw'ton to; Cavo "

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

La presunta "risposta" di Leucippo agli Eleati che assegna al vuoto-non essere una certa esistenza, ma di grado diverso rispetto all'essere vero e proprio e ne fa una condizione necessaria del movimento si iscrive dunque in questi schemi di soluzione delle presunte aporie eleatiche che introducevano un "non essere" come altro dall'essere per spiegare la molteplicità e il movimento e che Aristotele stesso attribuiva agli Accademici. 4. 1. 3. Atomi e uno Anche la dottrina degli atomi come tante unità aventi tutte le caratteristiche dell'essere eleatico che segue subito dopo, rientra in uno schema preesistente di definizione dell'essere e dell'uno: dell'essere niente è non essere perché l'essere propriamente detto è il tutto-pieno, ma questo non è uno, ma infiniti per numero.

In termini dialettici si tratta infatti di una "ridefinizione" delle premesse che porta ad una riformulazione della tesi eleatica. L'essere-uno eleatico è solo quello propriamente detto, il pieno, e non è uno solo, ma una molteplicità. Il presupposto non espresso consiste nel fatto che questa molteplicità è resa possibile dall'esistenza di un "altro dall'essere" (il vuoto). Ma c'è di più. I singoli atomi possono essere paragonati all'essere-uno eleatico solo eliminandone, come Aristotele fa ripetutamente e insistentemente, la caratteristica naturale, il movimento, e facendone delle unità astratte. Egli li interpreta infatti sullo sfondo della problematica più generale della definizione di essere e uno, uno dei punti-chiave delle discussioni accademiche che egli stesso riesamina più volte criticamente. Nella Metafisica Aristotele distingue due impostazioni del problema: quella di Platone e dei Pitagorici, che avrebbero posto l'uno e l'essere come sostanze in se stesse distinte una dall'altra, e quella dei fisici che avrebbero considerato congiuntamente come essere e uno uno o più sostrati materiali senza fare alcuna distinzione fra i due concetti. Fra questi ultimi, dice Aristotele, coloro che hanno posto una pluralità di elementi devono necessariamente sostenere che l'essere e l'uno sono tutti quegli elementi che essi hanno posto come principi115 . Il presupposto della definizione degli atomi di

115

fhsi; genev sqai, wJ" devon cwvr an prw'ton uJp avrcein toi'" ou\si toiou'ton dev ti kai; to; kenovn, oi|on ajggei'ov n ti ajna; mevson ei\ nai zhtou'men). Metaph. B 4, 1001a 9-19 Plavtwn me;n ga;r kai; oiJ Puqagovreioi oujc e{terovn ti to; o]n oujd e; to; e}n ajlla; tou'to aujtw'n th; n fuvsin ei\nai, wJ" ou[sh" th' " oujsiva" auj tou' tou' eJ ni; ei\nai kai; o[nti: oiJ de; peri; fuvsew", oi|on Empedoklh'" wJ" eij" gnwrimwvteron aj nav gwn levgei o{ ti to; e{n ejstin: dovxeie ga;r a]n levgein ti toiou'to th;n filivan ei\nai (aijtiva gou' n ejs ti;n au{th tou' e}n ei\nai pa'sin), e{teroi de; pu'r, oiJ d ajevr a fasi;n ei\nai to; e}n tou'to kai; to; o[n, ejx ou| ta; o[ nta ei\naiv te kai; gegonev nai. w{" d au[tw" kai; oiJ pleivw ta; stoicei'a tiqevmenoi: aj navgkh ga;r kai; touvtoi" tosau'ta levgein to; e} n kai; to; o] n o{s a" per ajrca; " ei\ naiv fasin.

Capitolo terzo

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Leucippo, in De generatione et corruptione A 8, sta dunque nella problematica della definizione di essere e uno non leucippea, ma aristotelica e accademica. La definizione di essere e uno come concetti universali e distinti costituisce uno dei motivi portanti della soluzione delle aporie eleatiche che i commentatori attribuiscono a Senocrate. E' la distinzione logica fra parte (uno indivisibile) e tutto (essere divisibile) a fondare la dottrina degli indivisibili senocratei. Senocrate risponde agli Eleati che l'essere, in quanto tutto, è divisibile e dunque non è uno, ma molteplice. L'uno, nelle grandezze, è la parte indivisibile116 . In queste pur sintetiche notazioni, sono individuabili i punti fondamentali delle tesi di Senocrate: definizione degli universali, essere e uno, rispettivamente come tutto (risultante dalla compresenza dei principi, uno e diade indefinita) e come parte (governata dal primo principio, l'uno) e loro applicazione all'ambito delle grandezze. 4. 2. Altre prospettive sul vuoto atomistico Esaminati i pre-supposti teorici dei logoi di Leucippo, è opportuno ora verificare, comunque, in che misura la formulazione aristotelica corrisponda ad una dottrina originale. Si potrebbe infatti obiettare che, al di là dei presupposti aristotelici, nulla impedisce che anche Leucippo si sia espresso in questi termini. Il discorso sul contesto culturale delle dottrine atomistiche, che naturalmente ha una grande rilevanza anche per l'interpretazione delle radici dell'atomismo, verrà affrontato più diffusamente nel capitolo conclusivo. Qui di seguito verranno invece esaminate altre testimonianze che permettono di riconsiderare i punti già trattati da una diversa angolazione. L'analisi della seconda parte dei logoi di Leucippo, quella più propriamente descrittiva, chiuderà il cerchio permettendo di stabilire da quali punti della dottrina originale Aristotele è partito per la sua rielaborazione. Infine verranno prese in esame e interpretate alla luce della tradizione aristotelico-teofrastea le testimonianze tarde che istituiscono una relazione fra gli atomisti e gli Eleati.

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Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 138,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. testo, supra, n. 65. Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,6) (Xenocr. Fr. 139 IP) oiJ de; peri; to;n Xenokravthn th;n me; n prwvthn ajkolouqivan uJpei' nai sunecwvroun, toutevstin o{ti eij e{n ejsti to; o]n kai; ajdiaivreton e[stai, ouj me; n ajdiaivreton ei\nai to; o]n. dio; pavlin mhde; e}n mov non uJp avrcein to; o[n, ajlla; pleivw. La formulazione della soluzione riecheggia da vicino quella attribuita da

Aristotele a Leucippo nel brano in questione.

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

4. 2. 1. Vuoto e non essere: mh; ma'llon to; de;n h] to; mhdevn (68 B 156 DK; 7, 78 L.) Gli interpreti moderni hanno visto una conferma dello schema aristotelico di soluzione delle aporie eleatiche attraverso l'introduzione del non essere da parte di Leucippo in una famosa massima: mh; ma'l lon to; de;n h] to; mhdevn che compare decontestualizzata, parafrasata o solo accennata nelle testimonianze. In questa forma è riportata solo da Plutarco e attribuita specificamente a Democrito e non a Leucippo117 , ma essa viene riecheggiata soprattutto da Aristotele e Teofrasto e nella tradizione successiva che a loro si richiama. I termini isolati devn e mhdevn compaiono come denominazione degli atomi e del vuoto nel frammento dell'opera su Democrito di Aristotele118 . Quest'ultimo fornisce tuttavia, nel resoconto su Leucippo e Democrito del primo libro della Metafisica, una parafrasi del contesto in cui presumibilmente la massima compariva. Qui, però, come anche altrove nella Metafisica119 e nella Fisica120 , egli considera gli Abderiti da un'altra ottica e cioè come dualisti che avrebbero posto principi contrari, e assegna conseguentemente agli atomi e al vuoto lo stesso grado di esistenza come sostrato materiale Leucippo e il suo discepolo Democrito dicono che sono elementi il pieno e il vuoto, chiamando l'uno essere, l'altro non essere; di questi il pieno e solido è l'essere, il vuoto e rado il non essere (perciò dicono anche che l'essere non è più del

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Plut. Adv. Colot. 1109 A (68 B 156 DK; 7, 78 L.) oi|" oujdæ o[nar ejntucw;n oJ Kwlwvth" ejsfavlh peri; levxin tou' ajndrov", ejn h|/ diorivzetai mh; ma'llon tov Æde;nÆ h] tov Æmhde; nÆ ei\nai, Æde; nÆ me; n ojnomavzwn to; sw' ma Æmhde;nÆ de; to; kenov n, wJ " kai; touvtou fuvsin tina; kai; uJpovstasin ijdivan e[conto". Le altre occorrenze del termine devn, se si eccettua un passo del Filopono (v. nota seguente), sono dovute a congetture, in alcuni casi giustificate, in altri no. Nel testo di Galeno De elem. sec. Hipp. 2,16 (60,17-19 De Lacy = I,418 K.) (68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.) kata; de; th; n ajlhvqeian e} n kai; mhdev n ejsti ta; pavnta. kai; ga;r au\ kai; tou'tæ ei[rhken auj tov", e} n me;n ta; " ajtovmou" ojnomavzwn, mhdev n de; to; kenovn, i Mss. riportano concordemente e{n, che Mullach, seguito poi da Diels, ha corretto in devn. Dato che Galeno concepisce sempre gli

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atomi come unità che hanno tutte la stessa sostanza, ha sicuramente "normalizzato" lo strano termine democriteo. La lezione dei manoscritti va quindi mantenuta (cf. De Lacy 1996, 167 ad loc.). Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,3) (68 A 37 DK; 172, 197 L.) prosago-

reuvei de; to;n me;n tovpon toi'sde toi'" ojnovmasi tw'i te kenw'i kai; tw'i ouj deniv ª...º, tw'n de; oujsiw'n eJ kavs thn tw'i te dev n. Lo Heiberg ha emendato la lezione corrotta (tw'ite de; A) o altrimenti lacunosa (tw'i te seq. lac. 7 litt. D: lac. 8 litt. E) di questo passo in Simplicio,

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rifacendosi ad un brano del Filopono che sicuramente lo riecheggia, In Phys. 188a 19, 110,10 (188, 197, 328 L.) to; de; plh're" kai; to; keno;n ejnantiva, a{tina o]n kai; oujk o]n ejkavl ei, kai; de;n kai; oujdev n, de;n me;n to; plh're" to; de; keno; n oujdev n. Anche qui tuttavia compaiono nei codici le lezioni de;n (K) e e}n (LMt). Metaph. G 5, 1009a 22 (8, 143 L.). Phys. A 5, 188a 19 (68 A 45 DK; 238 L.).

Capitolo terzo

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non essere, perché neppure il vuoto è più del corpo), questi sono causa delle cose esistenti come materia121 .

Questo testo ha sempre costituito un problema perché presenta una versione inusuale dell'atomismo. Accanto a pieno e vuoto, compaiono infatti rispettivamente come essere e non essere, anche il solido, il corpo in generale, e il rado. Queste "devianze", sono state imputate per lo più alla tradizione manoscritta, ma, molto più verosimilmente, derivano da una difficoltà oggettiva di Aristotele di adattare a categorie fisse e ben delimitate delle formulazioni probabilmente vaghe e di più ampio respiro del testo originale. Due sono le principali difficoltà testuali del brano: 1. Il fatto che vengano indicati come essere e non essere prima il pieno e il vuoto, poi, immediatamente dopo, il pieno e solido e il vuoto e rado. In seguito a questa anomalia, che distingue questa dalle altre testimonianze su Democrito di tradizione aristotelica e teofrastea, dove solo il pieno e il vuoto vengono definiti essere e non essere, la maggior parte degli editori ha espunto te kai; manovn. 2. Il fatto che l'affermazione che l'essere non è più del non essere sia giustificata da un apparente paradosso: perché neppure il vuoto è più del corpo. Qui l'esistenza del pieno sarebbe misurata anche su quella del vuoto e non solo viceversa. Anche in questo caso, già nell'antichità, il testo è stato reinterpretato e normalizzato. Simplicio, che si richiama a Teofrasto, riferisce nel suo resoconto la frase con l'integrazione e[latton122 , Alessandro, invece, nel suo commento al passo, aveva operato tacitamente una metatesi dei casi123 . Gli editori moderni hanno adottato ora l'una, ora l'altra 121

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Arist. Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.) Leuvkippo" de; kai; oJ eJtai'ro" aujtou' Dhmovkrito" stoicei'a me; n to; plh're" kai; to; keno; n ei\naiv fasi, levgonte" to; me;n o]n to; de; mh; o[n, touvtwn de; to; me; n plh're" kai; stereov n, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn, to; mh; o[n (dio; kai; oujqe;n ma'llon to; o]n tou' mh; o[nto" ei\ naiv fasin, o{ti oujde; to; keno; n tou' swvmato"), ai[tia de; tw'n o[ntwn tau'ta wJ " u{lhn. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (67 A 8 DK; 147 L.) e[ti de; oujde;n ma'llon to; o] n h] to; mh; o] n uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomev noi" a[mfw. th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsiv an nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai kai; ejn tw'i kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[nto" ei\naiv fhsi. A questa rein-

terpretazione risale l'integrazione più in voga presso gli editori moderni del testo aristotelico oujde; to; keno;n ãe[l attonà tou' swmato" (cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1056 n. 2; Diels ad loc.; Taylor 1999, 72). Sulla paternità teofrastea (e non simpliciana, pace Schofield 2002) del passo, v. infra, n. 168. Alex. In Metaph. 985a 21, 35,24 (214 L.) eJxh'" de; th;n Leukivppou te kai; Dhmokrivtou peri;

stoiceivwn dovxan iJstorei', kai; safw' " ejktivqetai thvn te dovxan aujtw'n kai; th;n pro;" tou; " a[llou" diaforav n te kai; koinwnivan th; n kata; th; n dovxan. plh're" de; e[legon to; sw'ma to; tw'n ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; ajmixivan tou' kenou' . ojnomavzonte" de; to; me;n plh're" o]n to; de; keno; n mh; o[n, ejp ei; oJmoivw" aujtoi'" h\n ej n uJp avrxei tov te plh're" kai; to; kenov n, oujde; n ma'llon e[legon ei\nai to; plh're" tou' kenou'. Fra i moderni hanno proposto questa soluzione Ross

1924, ad loc.; Lur'e 1970, ad loc.; Mansfeld II, 1986, 286; Curd 2004, 181 n. 4, 189. Asclepio pur accogliendo quest'ultima interpretazione, la vede come l'affermazione di una ugua-

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Le origini dell'atomismo (De gen. et corr. A 8)

soluzione per restituire lo stesso significato ad ambedue le frasi col risultato di produrre una tautologia. Lo Pseudo-Filopono, tradotto dal Patrizi124 , metteva invece in rilievo la paradossalità della seconda frase interpretandola come una osservazione ironica di Aristotele nei confronti degli atomisti125 . In realtà questo apparente paradosso non ha bisogno di correzioni o aggiustamenti in quanto è perfettamente comprensibile alla luce dell'uso leucippeo e democriteo del mh; ma'llon. La massima compare infatti più volte nella tradizione sugli atomisti come enunciazione di una assoluta equivalenza126 . Piuttosto i punti oscuri del brano rispecchiano la difficoltà di Aristotele di adattare al suo schema sui principi un testo originale che probabilmente si riferiva non solo agli atomi e al vuoto, ma anche, più in generale, ai corpi solidi e a quelli radi. Se si prescinde per un momento dagli atomi e dal vuoto e si osserva la struttura del parallelismo aristotelico touvtwn de; to; me;n plh're" kai; stereovn, to; o[n, to; de; kenovn te kai; manovn, to; mh; o[n, risulta subito evidente che te kai; manovn non può essere espunto senza comprometterne irrimediabilmente la simmetria127 . D'altra parte anche plh're" e stereovn non sono del tutto equivalenti, come invece sostiene Jäger128 , in quanto l'uno denota la pienezza, l'altro la solidità che non compete solo all'atomo, ma, in misura diversa, anche ai corpi visibili e

glianza quantitativa fra atomi e vuoto, cf. Ascl. In Metaph. 985b 4, 33,9 (177 L.) kai; e[legon o{ti oujk e[stin ejpi; plevon to; o]n tou' mh; o[nto", ejp eidh; ou[te to; sw'ma, toutevstin aiJ a[tomoi, pleivone" uJp avrcousi tou' kenou': pantacou' ga;r kai; keno;n kai; a[tomoi uJp av rcousin). Egli si basa evidentemente su Metaph. G 5, 1009a 22. Sulla stessa lunghezza d'onda la correzione del testo aristotelico (to; sw'ma tou' kenou') di Casaubon. 124

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Un testo composto tra il XII e il XIV sec. Cf. l'introduzione di Ch. Lohr alla ristampa dell'edizione del Patrizi del 1583, XII. Cf. Ps.-Philop., In Metaph. vers. lat. Patritii, f. 3 Iam dicit et de Leucippo et Democrito qui dicebant, plenum vel ens; et vacuum vel non ens, elementa. Ideo non plus tribuerunt enti, quam non enti. Quando etiam ambo, elementa dixerunt. Quod vero neque vacuum corporis? irrisio est philosophi in illos. Secondo Simplicio/ Teofrasto, Leucippo e Democrito avrebbero giustificato l'infinita varietà delle forme atomiche col fatto che una cosa non è più di tal forma che di talaltra, Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,9-10; 28,25-26) (67 A 8 DK; 2, 147 L.) kai; tw' n ej n tai'" ajtov moi" schmavtwn a[peiron to; plh'qov" fasi dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton h] toiou'ton ei\nai. Per l'uso della massima in vari contesti, cf. in particolare De Lacy 1964,

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128

Graeser 1970, che però si attiene all'esegesi tradizionale del passo della Metafisica con relative correzioni del testo, e Burkert 1997, 30s. che interpreta la frase come espressione positiva di equivalenza e argomenta a favore del mantenimento del testo tràdito. Cf. anche Sedley 1982, 191s.; Waschkies 1997, 162. Ambedue sottolineano la vaghezza della concezione di "vuoto" esteso anche al rado. Essi non mettono però in discussione la valenza dell'interpretazione aristotelica perché tralasciano l'altro problema testuale e il fatto che plh're" e stereovn indicano sia gli atomi che i corpi composti. 1957 app. ad loc.; 1917, 484. Jaeger non offre peraltro alcun argomento a sostegno della sua tesi.

Capitolo terzo

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tangibili129 . I due concetti sono speculari a vuoto e rado nella seconda parte. Vuoto e rado compaiono appaiati come concetti simili anche in un testo ippocratico contemporaneo a Democrito. Descrivendo le parti porose del corpo quali il polmone o le mammelle, l'autore del trattato De vetere medicina afferma che esse sono le più adatte ad assorbire liquido in quanto non sono in grado di evacuarlo ogni giorno come le parti cave ma quando una di queste parti assorba e riceva in sé il liquido, si riempiono le parti vuote e rade anche quelle piccole in ogni parte e, invece che molle e rada, la parte diventa dura e compatta e non opera né cottura né evacuazione130 .

Si tratta qui ovviamente di un contesto fisiologico, che tuttavia dimostra come vuoto e rado potessero essere posti sullo stesso piano. Del resto anche l'opinione comune identificava, secondo Aristotele, l'essere col corpo tangibile, il non essere sia col vuoto che con l'aria (il rado), ambedue invisibili e impercettibili131 . Sembra dunque che la massima parafrasata da Aristotele definisca come essere e non essere non solo atomi e vuoto, ma anche corpi solidi e radi. Plutarco stesso, citando la massima, identifica mhdevn col vuoto, ma devn col corpo (sw'ma). Se è vero che egli usa il termine "corpi" al plurale anche per gli atomi seguendo l'uso epicureo132 , qui si riferisce evidentemente non all'"atomo" singolo, ma al concetto più generale di "corpo". Solo Galeno, che sostituisce in base ad una sua interpretazione e{n a devn e comunque utilizza un resoconto di seconda mano, identifica ovviamente l'unità con l'atomo. Melisso, equiparando espressamente il vuoto al mhdevn, lo distingue implicitamente dal rado: ambedue non esistono, come non esiste il denso, ma definisce solo il vuoto un non essere, non anche il rado133 . Anche se la 129

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132 133

L'immagine che si forma dalla compressione dell'aria all'atto della vista è "solida", Theophr. De sens. 50 (68 A 135 DK; 478 L.). Per la durezza dei corpi composti, cf. Ibid. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) sklhro;n me;n ga;r ei\nai to; puknovn, malako;n de; to; manovn ª...º sklhrovteron me;n ei\nai sivdhron. Compattezza e durezza sono caratteristiche dei corpi anche nella testimonianza di Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse. [Hippocr.] VM 22,6 (151,2 Jouanna = I,630 Littré) ajll o{tan pivhi kai; devxhtai aujto;" ej" eJwuto; n to; uJ grovn, ta; kena; kai; ajraia; ejplhrwvqh kai; ta; smikra; pavnth, kai; ajnti; malqakou' te kai; ajr aiou' sklhrov" te kai; pukno;" ej gev neto, kai; ou[t ejkpev ssei ou[t ajf ivhsi. Phys. D 6, 213a 27-31 (67 A 19 DK; 255 L.) oiJ d a[nqrwpoi bouvlontai keno;n ei\nai diavsthma ej n w|i mhdevn ejsti sw'ma aijsqhtovn: oijovmenoi de; to; o]n a{pan ei\nai sw'ma fasivn, ej n w|i o{lw" mhdevn ejsti, tou't ei\nai kenov n, dio; to; plh're" ajevro" keno;n ei\nai. I Pitagorici identificavano del resto il vuoto con il pneuma Phys. D 6, 213b 22-24. Cf. anche De gen. et corr. A 3, 318b 19 dokei' de; ma'llon toi'" polloi'" tw'i aijsqhtw'i kai; mh; aijsqhtw'i diafevrein: ª...º to; ga;r o] n kai; to; mh; o]n tw'i aijsqavnesqai kai; tw'i mh; aijsqav nesqai diorivzousin. Cf. Plut. Quaest. conv. 653 F; cf. anche. De fort. Rom. 317 A. 30 B 7 DK, 7-8 oujde; keneovn ejs tin oujd evn: to; ga;r keneo;n oujd evn ejstin: oujk a]n ou\n ei[h tov ge mhdev n ª...º pukno;n de; kai; ajr aio;n oujk a] n ei[h: to; ga;r ajr aio;n oujk aj nusto;n plevwn ei\nai oJmoivw" tw'i puknw'i, ajllæ h[dh to; ajraiov n ge kenewvteron givnetai tou' puknou'.

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massima del mh; ma'llon fosse rivolta contro questa tesi di Melisso, la denotazione di "non essere" presso gli atomisti sarebbe comunque più ampia e si estenderebbe al di là dell'ambito dei principi cui Aristotele vorrebbe ridurla. Essa costituirebbe inoltre una asserzione dogmatica dell'esistenza del non essere decisamente opposta a quella di Melisso così come lo sarebbe anche se si supponesse, come spesso viene fatto, che la massima fosse diretta contro un Parmenide reinterpretato. Dunque gli atomisti non avrebbero concesso nulla agli Eleati e non avrebbero nulla in comune con loro, ma andrebbero esattamente nella direzione opposta. Alcuni interpreti, nel tentativo di "salvare" il prestigio "filosofico" di Leucippo e Democrito e di farne in qualche modo gli eredi degli Eleati, ipotizzano però che la massima fosse solo la conclusione di una argomentazione più ampia che è andata perduta134 , altri suppongono che gli atomisti distinguessero due significati di ei\nai: uno più debole, "esserci" (del vuoto e degli atomi) e uno più forte, "essere reale", (solo degli atomi in quanto riempiono lo spazio). Il vuoto esisterebbe in un senso più debole, in quanto spazio vuoto, ma non sarebbe "reale"135 . Tutto questo riecheggia, in forme moderne, il tentativo di distinzione fra un significato proprio e improprio di essere già aristotelico, ma non trova alcun riscontro nelle testimonianze sugli atomisti. Il pre-supposto di queste ipotesi sta nel rifiuto di collocare gli atomisti nel loro contesto storico. Se si esaminano i testi concernenti la natura dell'universo e dell'uomo più o meno contemporanei a Leucippo o a Democrito come i frammenti di Anassagora, di Ione di Chio, di Filolao e i trattati ippocratici, risulta subito chiaro che affermazioni dogmatiche e lapidarie non vengono a conclusione di un'argomentazione, ma introducono il discorso e non sono precedute da definizioni e distinzioni (un tratto tipicamente platonico e aristotelico). Talvolta sono seguite da qualche "prova" empirica (tekmhvrion, shmei'on, martuvrion) o argomenti che, dal punto di vista degli interpreti moderni, sono spesso del tutto insufficienti e nebulosi come le massime stesse136 . Questo è dovuto al fatto che lo scopo dello scritto non è quello di presentare un trattato teorico redatto secondo i canoni della logica aristotelica, ma quello di influenzare e persuadere un pubblico che condivide gli stessi pre-supposti culturali compresa la concezione di "argomento persuasivo". 134 135 136

Mc Gibbon 1964, 254s.; Curd 2004, 191. Bailey 1928, 75; Barnes 1982, 403-405. Per una critica a questa tesi, cf. Curd 2004, 191s. Cf. e.g. l'incipit del libro di Filolao (44 B 1 DK) "la natura nel cosmo è stata composta di cose illimitate e di cose limitanti, e il cosmo nella sua interezza e tutto quanto si trova in esso". I frammenti B 2-6 DK, che dovrebbe fornire una argomentazione a favore di questa tesi, sono formulati in maniera altrettanto vaga e sibillina quanto l'incipit e proprio per questo sono indice di autenticità. Cf. Burkert 1972, 252ss., Huffman 1993, Part II. 1, cf. anche 93ss.

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Lo stile dell'enunciazione è dunque parte fondamentale del discorso. In questo contesto l'affermazione dogmatica, soprattutto se foneticamente ben costruita, aveva un impatto e un effetto sul destinatario altrettanto forte di quanto poteva averlo una argomentazione logica formalmente perfetta sugli allievi del Peripato. Essa denota infatti sicurezza e autorità, infonde fiducia e soddisfa esteticamente l'uditore ed ha perciò ha tutti i requisiti per essere accettata. La stessa massima anassagorea oJmou' crhvmata pavnta h\n (59 B 1 DK), con la sua meravigliosa eufonia137 , è un buon esempio di questo tipo di enunciazione e non viene esplicitamente giustificata o spiegata prima, ma costituisce semmai il fondamento del discorso successivo. Allo stesso modo i Triagmoi di Ione di Chio e il trattato ippocratico De genitura si aprono con una frase ad effetto138 . La massima atomista era dunque quella che è, una affermazione lapidaria ed efficace, seguita probabilmente da considerazioni quali quelle che si trovano nella parafrasi aristotelica: il corpo non è più del vuoto perché quest'ultimo non è più del corpo. Quello dell'esistenza del non essere, del vuoto, del rado era un problema dibattuto nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Sul non essere si era espresso ad esempio Seniade di Corinto, un contemporaneo cui Democrito stesso aveva fatto riferimento, il quale sosteneva che tutte le cose nascono dal, e periscono nel non essere139 . Gorgia, dal canto suo, aveva cercato di dimostrare l'opposto di Democrito e cioè che non esistono né l'essere né il non essere. L'affermazione dell'esistenza del non essere, la sua equiparazione al rado erano dunque temi correnti nell'ultimo terzo del V sec. a.C. e su questo sfondo di concezioni comuni e discorsi sofistici va interpretata la massima democritea. Il vuoto e il rado sono "enti" a pieno titolo in quanto esistono alla stessa stregua, ma in ogni caso non più, dei corpi. All'enunciazione della formula poteva seguire qualche prova, secondo la procedura corrente nei testi presocratici, ippocratici e in generale negli autori della seconda metà del V sec. a.C. Aristotele allude, senza 137

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La sua sequenza vocalica centrale (e-a-a-a-a) è degna della poesia (riecheggia infatti la formula epica h{mata pavnta Hom. Il. 8,539 al.; Od. 4,209 al.; Hes. Th. 305 al.) e naturalmente va persa nella versione che si ritrova più spesso nella tradizione antica oJmou' pavnta crhvmata (e sostituita da Diels nel testo di Simpl. In Phys. 155,27 alla versione corretta riportata dai codici in questo passo, cf. Rösler 1971 e Sider 2005, 69s.) che non tiene alcun conto del suono e del ritmo. Ion 36 B 1 DK (Harpocr. s.v. “Iwn) ajrch; dev moi tou' lovgou: pavnta triva kai; oujden plevon h] e[lasson touv twn tw'n triw'n. eJ no;" eJkav stou ajreth; triav ": suv nesi" kai; kravto" kai; tuvch. [Hippocr.] Genit. 1,1 (44,1 Joly = VII,470 Littré) novmo" me;n pavnta kratuvnei: hJ de; gonh; tou' ajndro;" e[rcetai ajpo; panto; " tou' uJgrou' tou' ej n tw'i swv mati ejovnto", to; ijscurovtaton ajpokriqevn. In questo trattato segue la "prova" (tou' tou de; iJstovrion tovde, o{ti ajpokrivnetai to; ijscurovtaton): dopo il coito, pur eiaculando una piccola quantità di liquido, ci si sente

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deboli. Sext. Emp. Adv. Math. 7,53 (68 B 163 DK; 75 L.).

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tuttavia riportare nomi, ad alcuni martuvria sull'esistenza del vuoto: l'esempio del vaso pieno di cenere che contiene tanta acqua quanto ne contiene quando è vuoto, rivela che la cenere ha una struttura estremamente rada e contiene moltissimi vuoti140 ; l'esempio della crescita dei corpi, che avviene per assunzione di cibo, rivela che il corpo ha una struttura porosa che ne permette la penetrazione 141 . Lo scenario che la massima mh; ma'llon to; de;n h] to mhdevn con i suoi corollari presenta è dunque diverso da quello descritto in De generatione et corruptione A 8: non solo non si vede nessuna differenza fra un essere propriamente detto e un non essere che ha un grado di esistenza inferiore, ma c'è un'estensione della denotazione di questi termini ad un ambito più vasto di quello degli atomi e del vuoto. Inoltre, se la massima ha una qualche relazione con gli Eleati, questa è di pura opposizione di una dottrina formulata indipendentemente e non di derivazione o di "concessione". 4. 2. 2. Vuoto e vuoti. Modalità e funzioni Al di là della massima del mh; ma'llon, l'attenzione degli atomisti si concentra comunque non tanto sull'esistenza del vuoto in generale, quanto piuttosto su quella dei "vuoti" e sulle funzioni specifiche della loro forma e posizione nella generazione e nel funzionamento del mondo e dei corpi. Questo non equivale affatto ad una concezione astratta del vuoto come condizione necessaria o addirittura causa del movimento quale sembra riflessa in certi passi aristotelici. Riguardo agli atomisti si tratta di un problema mal posto in quanto essi cercano non la ragione teorica del movimento in generale, ma la causa fisica dell'origine del cosmo e l'eziologia di fenomeni concreti. Il vuoto, fuori da questo contesto, non è causa di nulla, come non lo sono gli atomi presi in se stessi come unità astratte ordinate una dopo l'altra in un generico vuoto. Ciò che fa la differenza sono le forme diverse e irregolari dei corpuscoli ognuna delle quali conferisce loro una spinta specifica creando disordine e scompiglio, le loro giravolte e il loro reciproco impigliarsi, ma anche la forma, la grandezza e la posizione dei "vuoti" nel contesto cosmogonico e fenomenico. Il mondo degli atomisti è un mondo "poroso" e permeabile, dove i pori-vuoti, anch'essi "irregolari", hanno la funzione di accogliere e di lasciar passare effluvi dall'interno all'esterno e viceversa e di permettere continui riassetti all'interno dei corpi e del cosmo stesso, piuttosto che di "dividere". Le formulazioni 140

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Phys. D 6, 213b 21-22 martuvrion de; kai; to; peri; th'" tevfra" poiou'ntai, h} devcetai i[son u{dwr o{son to; aj ggei'on to; kenovn. Cf. [Arist.] Probl. 938b 24-27. Phys. D 6, 213b 18-20 e[ti de; kai; hJ au[xhsi" dokei' pa'si givgnesqai dia; kenou': th;n me;n ga;r trofh;n sw'ma ei\nai, duvo de; swvmata ajduv naton a{ma ei\nai.

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aristoteliche in De generatione et corruptione A 8 e in tutti i passi in cui il vuoto e gli atomi vengono trattati in termini generali e astratti fanno perdere di vista proprio il fatto che gli atomisti parlano soprattutto di forme atomiche particolari e di vuoti specifici concepiti in un contesto dinamico e non statico. E' il grande vuoto, il mevga kenovn, e non il vuoto in quanto tale, a "fagocitare" la massa disordinata di atomi in lotta fra loro e ad innescare il processo cosmogonico142 . Nei corpi i vuoti più grandi o più piccoli favoriscono in misura maggiore o minore il passaggio di succhi, di nutrimento e di aria. Quelli più grandi e più diritti, come i pori di certe piante, offrono ovviamente un transito più agevole al nutrimento accogliendone una maggiore quantità e permettendo una maggiore crescita143 . Fenomeni analoghi si verificano all'interno dei corpi viventi: nella zona dello stomaco e del ventre, che contiene un grande vuoto, confluisce una grande quantità di figure dei vari succhi144 . Il suono, pur spandendosi in tutto il corpo, viene percepito solo con le orecchie perché al loro interno c'è un vuoto più grande, secco e facilmente penetrabile145 . Pori troppo stretti, invece, come quelli dell'osso frontale dei buoi senza corna, non possono accogliere il nutrimento proveniente dal ventre e impediscono la crescita delle corna146 . Una determinata collocazione dei vuoti e dei pieni all'interno dei corpi, ne determina la maggiore o minore durezza o le variazioni di peso: il ferro, che ha una struttura non omogenea con molti vuoti, ma disposti a grandi intervalli è più duro, ma, nel contempo, più leggero del piombo il quale contiene meno vuoti, ma ha una struttura regolare e omogenea147 . Il colore 142

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Sul contesto e la funzione di questa immagine, v. infra, VII 2. Orelli 1996, Parte II, assegna a tutti i vuoti un effetto di "trazione", lo stesso esercitato dalle koilivai ippocratiche. Berryman 2002, 188-90, individua questo ruolo del vuoto nel movimento di corpi macroscopici senza però prestare attenzione alla funzione specifica delle forme e delle dimensioni dei vuoti. Theophr. De caus. plant. 1,8,2 (68 A 162 DK; 557 L.) o{sa de; kata; ta;" ijdiva" fuvsei", wJ" a]n gev no" pro;" gevno" ªoJº sugkrivnwn lavboi ti", povtera kata; ta; " eujquvthta" tw'n povrwn lhptevon, w{ sper Dhmovkrito"… eu[rou" ga;r hJ fora; kai; aj nempovdisto" w{" fhsin. Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) uJgrainovmena de; kai; ejk th'" tavxew" kinouvmena surrei'n eij " th;n koilivan: tauv thn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauv thi plei'ston ei\nai kenovn. Teofrasto nel De sensu non parla mai di atomi, ma di figure (schvmata). Theophr. De sens. 56 (68 A 135 DK; 488 L.) eij" ga;r to; keno;n ejmpivptonta to;n ajevr a kivnhsin ej mpoiei'n, plh; n o{ti kata; pa'n me; n oJmoivw" to; sw'ma eijsiev nai, mavlista de; kai; plei'ston dia; tw' n w[twn, o{ti dia; pleivstou te kenou' dievrcetai kai; h{kista diamivmnei. ª...º ajqrovon ga;r a] n ou{tw" eijsiev nai th; n fwnh; n a{ te dia; pollou' kenou' kai; aj nivkmou kai; eujtrhvtou eijsiou's an. Aelian. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.) oiJ de; a[kerwi tau'roi to; tenqrhniw'de" (ou{tw de; ojnomavzei Dhmovkrito") ejpi; tou' brevgmato" ouj k e[conte" (ei[h dæ a]n to; shraggw'd e" levgwn) ajntituvpou tou' panto;" o[ nto" ojstevo u kai; ta;" surroiva" tw' n cumw' n ouj decomevnou gumnoiv te kai; a[ moiroi givnontai tw' n ajmunthrivw n. Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) diafevrein dev ti th;n qevsin kai; th;n ejnapovlhyin tw'n kenw' n tou' sklhrou' kai; malakou' kai; barevo" kai; kouvfou. dio; sklhrovteron me; n ei\ nai

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nero ha pori non diritti e quindi difficilmente permeabili alla luce148 , il verde è anch'esso costituito di grosse "figure" e di grossi vuoti e le sue varietà dipendono dall'ordine e dalla reciproca disposizione degli uni e degli altri149 . I fulmini e i turbini sono dovuti alla formazione, in nuvole che si scontrano, di interstizi con molti vuoti attraverso cui (dia; tw'n polukevnwn ajraiwmavtwn) gli atomi generatori del fuoco vengono filtrati. Quando aggregati di fuoco con molti vuoti al loro interno e circondati da membrane sono inglobati in spazi contenenti a loro volta molto vuoto (polukenwvtera sugkrivmata puro;" ejn polukevnoi" katasceqevnta cwvrai") e si slanciano verso il basso, si forma il turbine infuocato, il prhsthvr150 . Come si può vedere da tutti questi esempi, non è il vuoto, principio fisico astratto, che contribuisce a produrre i fenomeni, ma la grandezza, la forma e la distribuzione dei vuoti concreti nell'universo e nei corpi. Quello che si trova nella prima parte del resoconto aristotelico di De generatione et corruptione A 8 è dunque una rielaborazione di testi atomisti in base ad una impostazione di problemi quali quello del movimento e della definizione di essere e uno tipici del contesto culturale in cui Aristotele si era formato.

sivdhron, baruvteron de; movl ubdon: to; n me;n ga;r sivdhron ajnwmavlw" sugkei'sqai kai; to; keno; n e[c ein pollach'i kai; kata; megavl a, pepuknw'sqai de; kata; e[ nia, aJplw'" de; plevo n e[cein kenov n. to;n de; movlubdon e[latton e[conta keno;n oJmalw' " sugkei'sqai kata; pa' n oJmoivw": dio; baruvteron mevn, malakwv teron dæ ei\ nai tou' sidhvrou. 148 149

Theophr. De sens. 74 (68 A 135 DK; 484 L.). Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.) to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou' sunestavnai megavlwn ejx ajmfoi'n, th'i qevs ei de; kai; tavxei aujtw' n th; n crov an. Diels, evidentemente ritenendo improbabile che Democrito tenesse conto anche della dimensione e disposizione dei vuoti per la determinazione del colore e delle sue sfumature, ha cambiato e integrato la lezione dei manoscritti in questo passo (to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou' sunestavnai mikto;n ejx aj mfoi'n, th'i qevsei de; kai; tavxei ãdiallavtteinà aujtw' n th;n crovan). La correzione mikto;n non ha senso perché è chiaro che non solo il verde, ma ogni

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colore come ogni altro oggetto o proprietà è fatto di atomi e vuoto, la seconda è superflua perché Teofrasto non si riferisce al cambio di colore, ma alle sue varie sfumature: come ci sono diversi bianchi e rossi (cf. 73; 75) così anche diversi verdi. Sassi 1978, 142 n. 111 cambia, evidentemente in base allo stesso presupposto, megavlwn in me;n gavr. Il passo così come è tramandato dai manoscritti ha invece un senso perfetto se si tiene conto che la forma e la disposizione dei vuoti hanno, insieme a quella degli atomi, una funzione fondamentale. 68 A 93 DK; 415 L.

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4. 3. La seconda parte del resoconto aristotelico (De gen. et corr. A 8, 325a 30-b 11) Aristotele non costruisce naturalmente sul nulla. Esistevano indubbiamente, come si ricava dalla parte più propriamente espositiva del resoconto su Leucippo, ma anche dagli altri resoconti di questo tipo sparsi qua e là nell'opera aristotelica, delle affermazioni che, se astratte dal loro contesto immediato e rielaborate in uno schema dialettico, potevano far rientrare questo autore nel gruppo di coloro che hanno accettato in parte delle tesi eleatiche pur criticandole. Il fatto che avesse posto come base del mondo fisico corpuscoli pieni, solidi e indistruttibili, rendeva facile la loro assimilazione all'uno, assimilazione che Aristotele stesso fa esplicitamente in Metaph. B 4 (v. supra, 4. 1. 3 n. 115) e che diverrà poi un caposaldo dell'interpretazione hegeliana dell'atomismo. La massima del mh; ma'llon e la designazione di vuoto e rado come "non essere" favoriva, se lievemente modificata, l'inserimento di Leucippo nello schema di soluzione dell'aporia "eleatica" attraverso la distinzione di un essere propriamente detto e di un non essere come "altro dall'essere". Il passaggio dalla rielaborazione dialettica alla parte descrittiva di dottrine atomistiche in De generatione et corruptione A 8, che riproduce in sostanza una "scheda" aristotelica, è piuttosto brusco e sconnesso: non è chiaro infatti come la tesi di un infinito numero di corpuscoli invisibili si correli con la presunta risposta agli Eleati. L'invisibilità e l'infinità sono del tutto ridondanti nel contesto della presunta disputa151 . La ragione di questo passaggio estemporaneo sta nel fatto che Aristotele collega qui lo schema dialettico con un suo resoconto-tipo sull'atomismo che impiega anche altrove e da cui ha preso le mosse per costruire lo schema. Secondo questa descrizione infiniti corpuscoli invisibili si muovono nel vuoto e, urtandosi e intrecciandosi, producono una genesi, separandosi, una dissoluzione. Agiscono e subiscono nei loro contatti fortuiti e generano componendosi e intrecciandosi: dal vero uno non si genera il molteplice, né dalla vera molteplicità l'uno. L'immagine dell'atomismo che viene offerta in questa parte del resoconto è diversa da quella dello schema precedente di confronto dialettico con gli Eleati. Qui viene semplicemente ribadito che il vuoto esiste e gli atomi non vengono presentati come unità astratte (il tutto-pieno) separate fra loro dal vuoto, ma come forme in movimento che "agiscono e subiscono", vengono a contatto e si intrecciano senza formare mai un corpo unico. Vale la pena soffermarsi su quest'ultima caratteristica in quanto ritorna frequentemente nei resoconti aristotelici 151

Cf. anche Hussey 2004, 252 n. 18 "why the particles of 'what is' were supposed collectively infinite in number and individually invisible because of their smallness il left unexplained".

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sull'atomismo152 e viene spesso interpretata come prova del fatto che manca un vero contatto fra gli atomi, perché essi sono sempre tenuti separati da una patina di vuoto153 . Gli interpreti moderni hanno seguito su questo punto il commento del Filopono154 il quale, però, è frutto di pura speculazione155 . L'idea che due atomi della stessa materia debbano necessariamente divenire uno, se non c'è nulla che li tiene divisi, deriva dal presupposto aristotelico che le singole parti di un sostrato materiale della stessa natura debbano necessariamente fondersi se vengono a contatto senza che ci sia qualcosa che li separa156 . Contatto e vuoto hanno tuttavia ciascuno la loro funzione per gli atomisti, come dichiara esplicitamente Aristotele stesso nel seguito del resoconto: per Leucippo la generazione e la dissoluzione avverrebbero attraverso il contatto e attraverso il vuoto. Il contatto fra gli atomi è dunque un contatto vero e proprio, come mostra il termine specifico per il contatto reciproco diaqighv e il richiamo agli intrecci (periplevkesqai), agli incroci (ejpallaghv) e al reciproco sostegno (ajntivlhyi")157 . La prospettiva teorica della divisione attraverso il vuoto in un sostrato unico continuo fa completamente dimenticare le caratteristiche fisiche reali degli atomi: essi non si fondono mai in un unico corpo non perché sono separati dal vuoto, ma perché sono assolutamente duri e 152

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Arist. De cael. G 4, 303a 6 (67 A 15 DK; 47, 292 L.) ou[t ejx eJno;" polla; givgnesqai ou[te ejk pollw'n e{n. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,12-14) (68 A 37 DK; 293 L.) fuvsin mev ntoi mivan ejx ejkeivnwn kat ajlhvqeian oujd hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe" ei\nai to; duvo h] ta; pleivona genevsqai a[n pote e{n. Cf. Metaph. Z 13,1039a 7-14 (68 A 42 DK; 46, 211 L.). Come si vede la formulazione dell'enunciato varia a seconda del contesto. Nella Metafisica, dove compare non più la molteplicità, ma il due, ha sicuramente influito il confronto con le teorie senocratee delle idee numero che, secondo Aristotele, ponevano contemporaneamente come unità sia l'idea-numero (la diade), sia le sue singole componenti (su questo, v. infra, V 2 n. 27). Cf. e.g. Bailey 1928, 87; Löbl 1976 Barnes 1982, 349; Curd 2004, 184 n. 12. Philop. In De gen. et corr. 325a 32, 158,27-159,3. Cf. l'analisi critica dettagliata della testimonianza del Filopono e dell'interpretazione moderna in Bodnár 1998, 136-140; cf. anche Mansfeld 2007. Cf. De gen. et corr. A 8, 326a 31-33 (critica agli atomisti) eij me;n ga;r miva fuvs i" aJpavntwn, tiv to; cwrivsan… h] dia; tiv ouj giv netai aJy avmena e{ n, w{sper u{dwr u{dato" o{tan qivghi… cf. Metaph. H 2, 1042b 11-15; Phys. G 4, 203a 33-203b 1; De cael. A 7, 275b 30ss. L'interpretazione aristotelica ha condizionato non solo la concezione epicurea, ma tutta l'interpretazione dell'atomismo antico fino ad oggi. Epicuro, quando accenna al vuoto che tiene divisi gli atomi (Ep. 1,44), presuppone la definizione aristotelica (usa lo stesso termine diorivzein). La concezione degli atomi come "materia" e sostrato unico che deve essere tenuto diviso dal vuoto è anche il pre-supposto più o meno esplicito delle interpretazioni moderne che accettano come autenticamente democritea la testimonianza aristotelica sugli atomisti antichi di De gen. et corr. A 8. Cf. e.g. Furley 1987, 118; Makin 1993, 13, 52s.; Algra 1995, 45; Pyle 1997, 46; Curd 2004, 187s. V. anche infra, VII 2. Arist. Fr 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,11-18) (68 A 37 DK; 293 L.). Su ajntivlhyi" come "sostegno", cf. Xen. Eq. 5,7; [Hippocr.] Off. 9 (II,36,10 Kühlewein = III,302 Littré).

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compatti e dunque non possono né interpenetrarsi né fondersi. Le stesse caratteristiche spiegano anche la sterilità dell'atomo. Nella Fisica, dove confronta le due teorie di Anassagora e Democrito attribuendo ad ambedue la concezione di un "infinito per contatto", Aristotele spiega che, mentre l'uno attribuisce agli omeomeri una infinita capacità generativa Democrito dice che fra i corpi primi nessuno si genera dall'altro158 .

Questa formulazione potrebbe avvicinarsi maggiormente all'originale della formula tipica uno-molti, che Aristotele impiega in De gen. et corr. A 8 e in altri passi in cui parla di queste caratteristiche dell'atomo. Egli tende infatti a sostituire la formula-tipo ad espressioni come ajpo; (o ejk) tou' aujtou' eJteroiou'sqai159 . Gli atomisti distinguono così, diversamente da Anassagora, i corpi fenomenici, sottoposti a continua genesi e cambiamento e, come tali esposti a squilibri e dissoluzione, dai corpuscoli che ne costituiscono i fondamenti eterni che, per essere tali, devono essere sterili, immutabili e inattaccabili e dunque privi di "vie" che permettano l'entrata, l'uscita e lo spostamento di materia. Non bisogna dimenticare che Democrito equiparava l'atto della generazione, in cui "un uomo balza fuori da un uomo", ad una piccola apoplessia e osservava che i corpi fenomenici sono esposti all'azione anche di minuscole particelle che vi si insinuano dall'esterno o che cambiano posizione al loro interno160 . Generazione e cambiamento sono dunque per Democrito potenziali cause di squilibrio e dissoluzione. Questa concezione del cambiamento è fondamentale nella medicina del quinto secolo 161 e ha come complemento la convinzione che corpi più duri e più compatti, come quelli maschili, siano più resistenti e più immuni da malattie di quelli

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Phys. G 4, 203a 33 (68 A 41 DK; 220 L.) Dhmovkrito" d oujde;n e{teron ejx eJtevrou givgnesqai tw'n prwvtwn fhsiv n. Cf. ad esempio la "traduzione" aristotelica di Diogene di Apollonia, in De gen. et corr. A 6, 322b 13 (64 A 7 DK) kai; tou't ojrqw'" levgei Diogevnh", o{ti eij mh; h\n ejx eJno;" a{p anta, oujk a]n h\n to; poiei'n kai; to; pavs cein uJp ajllhvlwn. Cf. anche Theophr. De sens. 39 (64 A 19 DK). Il testo di Diogene è invece il seguente (64 B 2 DK) pavnta ta; o[nta ajpo; tou' aujtou' eJteroiou'sqai kai; to; auj to; ei\ nai ª...º ajlla; pav nta tau'ta ejk tou' aujtou' eJ teroiouvmena a[llote ajlloi'a givnetai kai; eij" to; aujto; aj nacwrei'. Per la concezione dell'atto sessuale, cf. 68 B 32 DK (527; 804a L.), supra, Introduzione n. 14. Per l'estrema influenzabilità e mutevolezza dei corpi, cf. Arist. De gen. et corr. A 2, 315b 13-15 (67 A 9 DK; 70 L.); Theophr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,11) (68 A 8 DK; 147 L.). La medicina si sofferma soprattutto sul carattere negativo del cambiamento prodotto in uno stato di equilibrio per l'introduzione di qualcosa dall'esterno o per il prevalere di un elemento all'interno del corpo, processi alla radice della malattia, cf. e.g. Alcmaeon 24 B 4 DK; [Hippocr.] Morb. sacr. 18,1 (31,16 Jouanna = VI,394 Littré); VM 14,4 (136,8 Jouanna = I,602 Littré). Per il coito come forte alterazione dell'equilibrio corporeo, cf. Genit. 1,2-3 (44,10-45,8 Joly = VII,470-472 Littré). Cf. anche Schubert 1993, 158ss.

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molli e porosi come quelli femminili162 che possono accogliere e trattenere sostanze estranee dall'interno e dall'esterno. Se è valido tutto quanto si è osservato finora sul rapporto fra vuoti e atomi e sulla concezione dei corpi presso gli atomisti, bisogna riconoscere che la tesi di una nascita dell'atomismo sull'accettazione-correzione di concetti eleatici nei termini esposti da Aristotele è dettata da una visione estremamente teorica e astratta che prescinde dai testi reali, dalla loro terminologia specifica e dalle immagini che rimandano al contesto del loro tempo come si vedrà più diffusamente nel capitolo settimo. Aristotele non è in malafede, ma interpreta questi testi alla luce della problematica del suo tempo, quella cioè finalizzata alla soluzione delle aporie eleatiche impostate nell'Accademia.

5. Atomisti ed Eleati in Teofrasto e nelle testimonianze tarde 5. 1. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.) Le testimonianze tarde riguardo al tema delle presunte relazioni fra atomisti ed Eleati sono in diversa misura influenzate dai resoconti aristotelici e soprattutto teofrastei. E' dunque importante prendere in considerazione anche la testimonianza di Simplicio la quale risale, probabilmente in modo mediato, a Teofrasto163 . Leucippo l'Eleate o il Milesio (infatti gli vengono attribuite ambedue le provenienze), pur partecipando della filosofia di Parmenide, non ha seguito la stessa via di Parmenide e Senofane nella determinazione delle cose esistenti, ma piuttosto, come sembra, quella contraria. Mentre infatti quelli ponevano il tutto come uno, immobile, ingenerato e limitato e non ammettevano neppure che si cercasse il non essere, egli ha posto elementi infiniti e sempre in movimento, gli atomi, e ha supposto che la quantità delle forme in essi presenti sia infinita perché nulla è più di tal forma che di talaltra e perché osservava nelle cose esistenti una genesi e un cambiamento incessanti. Inoltre diceva che l'essere non esiste più del non essere e che ambedue sono cause delle cose esistenti allo stesso modo. Infatti, ponendo la sostanza degli atomi come compatta e piena, disse che era l'essere e che si muove nel vuoto, che chiamava non essere, e dice essere non meno del non essere164 . 162 163

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Su queste concezioni mediche, v. infra, V 4 n. 99-100 e VII 1. Per una utilizzazione mediata di Teofrasto da parte di Simplicio, per lo meno in alcuni punti dell'excursus sui presocratici, von Kienle 1961, 58ss. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4-15) (67 A 8 DK; 147 L.) Leuvkippo" de; oJ Eleavth" h] Milhvsio" (ajmfotevrw" ga;r levgetai peri; aujtou') koinwnhvs a" Parmenivdhi th'" filosofiva", ouj th;n aujth;n ej bavdise Parmenivdhi kai; Xenofav nei peri; tw'n o[ntwn

Capitolo terzo

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In questo resoconto l'appartenenza eleatica di Leucippo non è ritenuta un dato incontrovertibile, ma solo una delle ipotesi che circolano su di lui, l'altra lo farebbe, invece, originario di Mileto165 . Teofrasto inoltre non usa per designare il rapporto Leucippo-Parmenide i termini tecnici del discepolato, eJtai'ro" o ajkousthv", bensì un più generico koinwnhvsa" Parmenivdhi th'" filosofiva"166 che fa pensare piuttosto ad una ricostruzione a posteriori sulla scia di De generatione et corruptione A 8. Infine, nel resoconto teofrasteo risulta abbastanza trasparente un intreccio di schemi oppositivi di matrice sofistica con interpretazioni aristoteliche. Lo schema di fondo è, infatti, quello canonico dell'opposizione netta monisti/ pluralisti, sostenitori del movimento continuo/ sostenitori della stasi, sostenitori/ negatori della generazione e della dissoluzione di matrice sofistica che si inoJdovn, ajll wJ" dokei' th;n ejnantiv an. ejkeiv nwn ga;r e} n kai; ajkiv nhton kai; ajgevnhton kai; peperasmev non poiouv ntwn to; pa'n, kai; to; mh; o]n mhde; zhtei' n sugcwrouv ntwn, ou|to" a[p eira kai; ajei; kinouvmena uJp evqeto stoicei' a ta; " aj tovmou" kai; tw' n ejn auj toi'" schmavtwn a[peiron to; plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou' ton h] toiou'ton ei\nai ªtauvthn ga;rº kai; gevnesin kai; metabolh;n ajdiavleipton ej n toi'" ou\si qewrw'n. e[ti de; oujde; n ma'llon to; o]n h] to; mh; o] n uJpavrcein, kai; ai[tia oJmoivw" ei\nai toi'" ginomevnoi" a[ mfw. th; n ga;r tw'n ajtovmwn ouj sivan nasth; n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o] n e[legen ei\nai kai; ej n tw'i kenw'i fevresqai, o{per mh; o]n ejkavlei kai; oujk e[latton tou' o[ nto" ei\naiv fhsi. 165

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Io non credo che Teofrasto su questo punto si limiti a "tradurre" dei dati semplicemente ricavabili da diverse trattazioni di Leucippo nell'opera aristotelica come pensava Mc Diarmid 1970, 229. Secondo Mc Diarmid il resoconto teofrasteo sarebbe ricavato dalla conflazione di Metaph. A 4, dove Leucippo e Democrito sarebbero posti fra gli ionici, e De gen. et corr. A 8 nel quale appunto Leucippo è rappresentato come seguace degli Eleati. Teofrasto rielabora indubbiamente interpretazioni aristoteliche, ma si basa anche su schemi provenienti da altre tradizioni quali quella sofistica e platonica. La classificazione che compare in Metaph. A 4 è ben lungi, del resto, dal presentare una generazione "ionica" di filosofi (Leucippo e Democrito compaiono fra Empedocle e i Pitagorici), anzi, Aristotele ha difficoltà ad inserire gli atomisti. Inoltre, se l'origine milesia di Leucippo fosse dedotta unicamente dalle classificazioni aristoteliche, anche Democrito, che nella Metafisica viene nominato insieme a Leucippo, dovrebbe essere definito milesio oltre che Abderita, cosa che non avviene. Dunque Teofrasto ha evidentemente accesso anche a delle notizie biografiche, per quanto inesatte possano essere, indipendenti dalle successioni dedotte da Aristotele. Cf. anche Diels 1881, 98 [=1969, 187]. Le stesse ipotesi con l'aggiunta di Abdera come luogo di provenienza sono presenti nel resoconto di matrice teofrastea in Diog. Laert. 9,30 (67 A 1 DK; 152 L.) Leuvkippo" Eleavth", wJ" dev tine", Abdhrivth", kat ejnivou" de; Milhvsio". L'espressione è stata considerata da Kranz 1912, 19 n. 3 un indizio del fatto che Leucippo non è stato allievo diretto di Parmenide. Così anche Alfieri 1936, 16 n. 61. Teofrasto definisce fra l'altro con la stessa espressione il rapporto fra Anassagora e Anassimene (Simpl. In Phys. 184b 15, 27,2 = 59 A 41 DK) che, chiaramente, non è di discepolo ad allievo. La lieve differenza nell'espressione (koinwnhvs a" Parmenivdhi th'" filosofiva" per Leucippo, col dativo della persona che sarebbe indice di un rapporto personale, koinwnhvs a" th'" Anaximevnou" filosofiva" nel caso di Anassagora con il genitivo subordinato a filosofiva" che sottolineerebbe solo il rapporto con l'oggetto) per la quale Burnet 1930, 392 n. 2, giustificava il rapporto di discepolato di Leucippo con Parmenide, non è un motivo sufficiente in quanto, come giustamente osservava Kranz, Teofrasto non si sarebbe certo servito, per indicare il rapporto discepolo-maestro, di un'espressione così artificiosa.

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contra nel brano dei Memorabili di Senofonte già citato (1,1,13)167 . Questo è dunque lo scheletro originario del resoconto basato su una diaphonia, ma non su una accettazione da parte di Leucippo di concetti eleatici, né tantomeno su una dipendenza scuola. I modelli aristotelici di De generatione et corruptione A 8 e del primo libro della Metafisica, del quale vengono mantenute in parte anche le formulazioni168 , agiscono comunque in sottofondo. E' la tensione fra i due modelli, quello aristotelico e quello sofistico, a creare l'impressione di una certa incongruenza fra la tesi iniziale di un Leucippo seguace di Parmenide e l'esposizione successiva che ne fa praticamente un avversario169 .

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V. supra, 2. 2. 1 n. 34. l'opposizione Parmenide/ Leucippo si articola esattamente sui punti indicati nel brano di Senofonte: Parmenide (e Senofane) sostengono che il tutto è uno, immobile, ingenerato, finito, Leucippo che è infiniti, sempre in movimento e che nelle cose esistenti c'è una continua genesi e cambiamento. Schofield 2002 ha recentemente sostenuto la tesi che in questo brano Simplicio stesso abbia operato un ampliamento del resoconto teofrasteo su Leucippo prendendo la massima del mh; ma'llon dal resoconto su Democrito che segue immediatamente (la spia sarebbe il tauvthn ga;r già posto tra parentesi da Diels 1879, 484 come svista, però, di un copista), e integrandolo con materiale aristotelico (Metaph. A 4, supra, n. 121) per sottolineare maggiormente l'opposizione di Leucippo agli Eleati. Questa tesi mi sembra debole per due motivi: perché Teofrasto stesso poteva aver assimilato nel suo resoconto le tesi di Leucippo e Democrito pur mantenendo una lieve distinzione fra i due (anche Aristotele, del resto, pur distinguendo in De gen. et corr. A 8 la posizione di Leucippo, aveva unificato nella Metafisica le tesi di ambedue). Questo si ricava chiaramente dal resoconto parallelo di Ippolito (citato anche da Schofield levgei de; oJmoivw" Leukivppwi peri; stoiceivwn) e non c'è nessuna ragione di escludere che Teofrasto stesso avesse attribuito la stessa massima a Leucippo e a Democrito e di ipotizzare una macchinosa combinazione di Aristotele e Teofrasto da parte di Simplicio. Il fatto che Eusebio e Ippolito non riportino per Leucippo la massima del mh; ma'llon non è di per sé indicativo. Ippolito taglia inesorabilmente in molti punti tanto da risultare quasi incomprensibile se non vi fosse il resoconto parallelo di Diogene Laerzio. Non solo, ma sia lui che quest'ultimo sono concentrati soprattutto sulla cosmogonia di Leucippo e quindi tendono ad eliminare tutto quanto non sia strettamente connesso con questo tema. E' Teofrasto, su un modello sofistico di opposizione fra Eleati e sostenitori del moto e non Simplicio su un modello aristotelico (che sarebbe piuttosto di conciliazione come si è visto) a sottolineare la divergenza fra Leucippo e Parmenide. Questo è confermato anche dall'origine "alternativa" proposta per Leucippo, Mileto. Su questa incongruenza, cf. Mc Diarmid 1970, 228.

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5. 2. Le testimonianze tarde sui rapporti degli atomisti con gli Eleati Nelle testimonianze tarde abbiamo due tipi di collegamento degli atomisti agli Eleati. Uno che si basa sullo schema delle successioni e costituisce una ricostruzione a posteriori su una tradizione peripatetica170 , uno che accenna ad una eventuale menzione di Parmenide e Zenone da parte di Democrito. Nella tradizione posteriore, Leucippo viene indicato come allievo di Zenone contrariamente alla testimonianza teofrastea che invece si limita ad affermare che avrebbe avuto una concezione filosofica comune a Parmenide e Senofane. Da Clemente, Ippolito, Diogene Laerzio e altri, si deduce che Zenone è stato collocato nella successione eleatica fra Parmenide e Leucippo e ha potuto così diventare maestro di quest'ultimo171 . Una testimonianza di Trasillo sembra accennare ad una menzione degli Eleati da parte, non di Leucippo, ma di Democrito. Trasillo fornisce alcuni dati per avvallare la sua datazione di Democrito nel 470 a.C. Egli sarebbe infatti più vecchio di Socrate di un anno e sarebbe stato contemporaneo di Archelao (che fra parentesi era maestro di Socrate e dunque doveva essere ben più vecchio di Democrito) e di Enopide di Chio e infatti menziona anche quest'ultimo. Menziona anche la dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone, poiché ai suoi tempi erano assai famosi e Protagora di Abdera, che, concordemente viene indicato come contemporaneo di Socrate.

Il brano, in verità, presenta problemi di critica testuale e, conseguentemente, anche di interpretazione172 . Un punto particolarmente controverso è proprio quello che indicherebbe la menzione di Parmenide e Zenone. I codici BPF riportano infatti concordemente la lezione mevmnhtai de; kai; peri; th'" tou' eJno;" dovxh" tw'n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna, mentre D (uno dei manoscritti della vulgata) e le versioni latine, in base alle quali il Casaubon ha corretto il testo, seguito per lo più dagli editori moderni, ne forniscono un'altra: mevmnhtai de; kai; th'" peri; tou' eJno;" dovxh" tw'n peri;

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Sul carattere di ricostruzione a posteriori delle diadochai, a cominciare da Teofrasto, cf. in particolare von Kienle 1961, passim. Clem. Strom. 1,14,64,2 (67 A 4 DK; VIII, 152 L.) th'" de; Eleatikh'" ajgwgh'" Xenofavnh" oJ Kolofwvnio" katavrcei, ª...º Parmenivdh" toiv nun Xenofav nou" ajkousth; " giv netai, touvtou de; Zhvnwn, ei\ta Leuv kippo", ei\ta Dhmovkrito". Cf. anche Diog. Laert. Prooem. 15 (152 L.);

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9,30 (67 A 1 DK; 152 L.); Hippol. Ref. 1,12,1 (67 A 10 DK; 151 L.); Eus. Praep. Ev. 10,14,15s. (VIII L.). Thrasyll. ap. Diog. Laert. 9,41 (68 A 1, B 5 DK; I L.) ei[h a]n ou\n katæ Arcevlaon to;n Anaxagovrou maqhth;n kai; tou;" peri; Oij nopivdhn: kai; ga;r touv tou mev mnhtai. mevmnhtai de; kai; th'" peri; tou' eJ no;" dovxh" tw' n peri; Parmenivdhn kai; Zhvnwna wJ " katæ aujto; n mavlista diabebohmev nwn, kai; Prwtagovrou tou' Abdhrivtou, o}" oJmologei'tai kata; Swkravthn gegonev nai.

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Parmenivdhn kai; Zhvnwna173 . Nel primo caso la traduzione dovrebbe essere la seguente: "menziona anche, riguardo alla dottrina dell'uno, Parmenide e Zenone...". Ora, Diogene Laerzio usa la forma mevmnhtai o ejmevmnhto col genitivo della persona (solo in due casi, 1,76; 9,111, col genitivo della cosa) senza interposizioni di sorta. Anche se la costruzione risalisse a Trasillo, sarebbe comunque strana in quanto gli altri nomi ricordati da Democrito vengono citati senza alcuna ulteriore osservazione. Dunque la lezione più corretta deve essere la seconda. Tuttavia, anche in questo caso, l'espressione è sibillina. Perché Trasillo attribuisce a Democrito la menzione "della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone" e non la semplice citazione dei nomi dei due filosofi? Un ulteriore problema è costituito dalla menzione di Zenone in relazione alla dottrina dell'uno. L'immagine dell'Eleate corrente ai tempi di Democrito non era affatto quella del Parmenide platonico, ma quella di chi argomenta in utramque partem. Lo stesso Platone lo definisce nel Fedro "il Palamede eleatico che fa sembrare agli ascoltatori le stesse cose uguali e disuguali, uno e molti, immobili e in movimento" e Isocrate lo considera uno che fa apparire le stesse cose possibili ed impossibili, un'immagine che persiste ancora in epoca tarda nel giudizio di Alessandro di Afrodisia174 . Se dunque a Parmenide teoricamente si poteva attribuire la dottrina dell'uno anche ai tempi di Democrito, sebbene in realtà egli parlasse dell'essere e "uno" fosse solo un segno di completezza, è piuttosto difficile che la si riferisse anche a Zenone. In realtà questa interpretazione è quella della tradizione platonica che prende le mosse dal Parmenide ed è, sulla scia di questo dialogo, che Trasillo attribuisce a Democrito la menzione della dottrina dell'uno di Parmenide e Zenone. Dato che egli vuole avvalorare la tesi della contemporaneità di Democrito e Socrate, non c'è dialogo più adatto di questo per inquadrarla storicamente: i due Eleati compaiono come ospiti di riguardo intorno ai quali si raccolgono gli intellettuali ateniesi fra cui il giovane Socrate. L'osservazione "poiché ai suoi tempi erano i più famosi" rimanda direttamente all'aura di rispetto e di ammirazione che circonda Parmenide e Zenone nel dialogo platonico. La presunta menzione di Trasillo è dunque altamente sospetta. In conclusione si può affermare che, al di là del resoconto aristotelico del De generatione et corruptione e di quelli influenzati da questo modello, non ci sono altre testimonianze su un eventuale influsso degli Eleati sulla nascita della dottrina atomista.

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Per le lezioni dei codici, cf. Marcovich 1999, 659 in app. Per le versioni latine, cf. l'apparato di Huebner 1831, 368 (De uno Ambrosius: deque Parmenidis ac Zenonis de uno sententia Aldobrandinus). Per questi passi, v. supra, n. 22 e 24.

Capitolo terzo

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6. Sintesi La tesi della nascita dell'atomismo da una ripresa e correzione delle dottrine eleatiche dell'essere-uno dominante nell'interpretazione moderna dell'atomismo antico si basa sostanzialmente sul resoconto aristotelico di De generatione et corruptione A 8. Tale resoconto mostra però, sia nella presentazione delle dottrine eleatiche che in quella dei logoi di Leucippo, una struttura marcatamente dialettica che ha le sue radici negli schemi oppositivi sofistici rielaborati per le discussioni nell'Accademia e ampliati e codificati da Aristotele stesso nei Topici. A formulazioni di tesi e antitesi di matrice accademica rimandano certi tratti del logos eleatico (cui risponderebbe Leucippo), in particolare l'equivalenza vuoto-divisione di ascendenza pitagorica, ma influenzata dalla rappresentazione delle ipostasi fisiche della diade indefinita della scuola platonica. Questa assimilazione permette di riunire sotto una sola voce tesi corpuscolariste e atomiste e confutarle ambedue. Secondo la rappresentazione corrente nei commentatori di Aristotele la confutazione delle tesi eleatiche e il superamento delle posizioni atomiste e corpuscolariste in base a nuovi presupposti logico-ontologici (definizione di essere e di uno) costituisce il punto di partenza per l'argomentazione di Senocrate a favore delle linee indivisibili. Come il logos eleatico, anche la presunta risposta di Leucippo nel brano aristotelico, è influenzata dagli schemi dialettici correnti (soluzione delle aporie eleatiche) e dall'impiego di concetti di cui Aristotele stesso si serve altrove per esporre le soluzioni accademiche delle aporie eleatiche: introduzione del non essere (il vuoto), come un essere di grado inferiore, un "altro" dall'essere vero e proprio, definizione di essere propriamente detto come pieno (e uno come l'essere eleatico), molteplicità di queste "unità". L'esame della parte espositiva del logos e di altri brani aristotelici e teofrastei sugli atomisti mostra che il resoconto sull'origine dell'atomismo da una concessione/ correzione delle dottrine eleatiche sull'essere, la molteplicità e il movimento è piuttosto una costruzione dialettica che un dato di fatto. Gli atomisti non si sono posti il problema del movimento e delle sue cause perché il movimento è da sempre e non ha bisogno di giustificazioni, né hanno attribuito al vuoto-non essere un'esistenza di grado inferiore rispetto al pieno, perché nella loro spiegazione dei fenomeni i vuoti, con le loro forme e grandezze, hanno una funzione altrettanto importante dei "solidi". Inoltre, con la loro massima "il devn non è più del mhdevn " hanno inteso non solo l'atomo e il vuoto, ma anche il corpo in generale e il rado rivolgendosi in primo luogo contro concezioni comuni che negavano esistenza a tutto ciò che non era visibile o tangibile. Se essi hanno polemizzato anche contro gli Eleati, lo hanno comunque fatto da posi-

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zioni dogmatiche già acquisite e non "riflettendo" sui problemi posti dalle aporie eleatiche, un atteggiamento, questo, tipico della scuola platonica.

Capitolo quarto La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

1. Considerazioni generali Come si è visto nel capitolo precedente, secondo tutti i commentatori antichi l'aporia zenoniana cosiddetta "della dicotomia" aveva costituito il punto di partenza per la teoria degli indivisibili di Senocrate. Una versione di questa aporia, attribuita a Parmenide da Porfirio, da cui l'accademico avrebbe preso le mosse, presenta strette affinità col logos eleatico di De generatione et corruptione A 8. Questo contesto di soluzione di aporie eleatiche nell'Accademia va tenuto presente anche quando si analizza la dimostrazione-tipo della necessità degli indivisibili di De gen. et corr. A 2. Il punto di partenza è infatti un logos che ricorda sia quello eleatico di A 8, sia quello riportato da Porfirio. Questo brano sulla necessità degli indivisibili ha goduto sempre di una grande fortuna presso gli interpreti e non c'è studio sugli atomisti che non vi abbia dedicato almeno un piccolo spazio. La problematica che il resoconto aristotelico propone è quindi così nota che basterà riassumerla solo brevemente. Aristotele pone il problema se, per spiegare la generazione, la corruzione e l'alterazione, si debba ammettere l'esistenza di grandezze indivisibili e presenta innanzitutto le tesi di coloro che hanno sostenuto questa necessità. Egli distingue in questo ambito i due atomismi: quello fisico di Democrito e Leucippo, che avrebbero assunto corpi indivisibili, e quello matematico di Platone, che nel Timeo avrebbe posto triangoli indivisibili. Ambedue le teorie sono problematiche, ma per lo meno quella dei corpi indivisibili è in grado di spiegare la generazione e l'alterazione dei corpi fisici, l'altra no perché non ha una base fisica, ma dialettica. La ragione per cui costoro hanno una minore capacità di vedere nel suo complesso quanto concorda [coi fenomeni] è la mancanza di esperienza. Perciò coloro che hanno maggiore dimestichezza con la fisica sono maggiormente in grado di postulare principi tali che possano abbracciare un maggior numero di

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fenomeni; quelli, invece, che a causa del loro perdersi in molte discussioni non vedono i fatti concreti, sono più portati a fare affermazioni sulla base di un numero limitato di fatti. Si può vedere anche da questo in che cosa differiscano quelli che fanno una ricerca su basi fisiche da quelli che invece la perseguono attraverso ragionamenti dialettici; infatti riguardo all'esistenza di grandezze indivisibili gli uni dicono che il triangolo in sé sarebbe una molteplicità, Democrito, invece, sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti più appropriati e di carattere fisico. Quello che andiamo dicendo risulterà chiaro nel seguito del discorso1.

Nel seguito in realtà viene offerto innanzitutto un logos sulla necessità di porre un limite, mentale prima che fisico, alla divisione all'infinito di corpi e grandezze, dove non solo il nome degli atomisti, ma anche i tratti tipici delle loro dottrine (come il vuoto, la differenza di forme, il movimento) sembrano sparire nel nulla, mentre stile e argomenti sono quelli di una dimostrazione dialettica-tipo. Nella seconda parte viene poi fornita una dimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili nella quale fra l'altro emergono anche i tipici concetti aristotelici di potenza e atto come si vedrà. Dunque nulla risulta chiaro proprio perché questo logos sembra invece un modello generale di discorso sulla necessità degli indivisibili. L'ipotesi che Aristotele si basi su materiale democriteo, ma da lui reinterpretato è quella generalmente più accreditata presso i commentatori moderni dalla Hammer-Jensen in poi2. Alcuni dei sostenitori questa tesi intravvedono un ulteriore punto di appoggio nel commento al passo del Filopono il quale attribuisce espressamente a Democrito la dimostrazione della necessità degli indivisibili qui riportata3. Ora, il Filopono non solo non aveva a disposizione alcun testo di Democrito (tutto ciò che egli riferisce sugli atomisti o è frutto di proprie speculazioni o risale alla tradizione dei commentari ad Aristotele o a resoconti di diversa provenienza), ma aveva dietro di sé tutta la tradizione neoplatonica che identificava l'atomismo principalmente con quello di Democrito e di Epicuro. I Neo1

Arist. De gen. et corr. A 2, 316a 5 ai[tion de; tou' ejpæ e[l atton duvnasqai ta; oJmologouvmena sunora'n hJ ajp eiriva: dio; o{soi ejnwikhvkasi ma'llon ejn toi'" fusikoi'" ma'llon duv nantai uJpotivqesqai toiauvta" ajrca;" ai} ejpi; polu; duvnantai suneivrein: oiJ dæ ej k tw' n pollw'n lovgwn ajqewvrhtoi tw'n uJparcov ntwn o[nte", pro;" ojlivga blevy ante", ajpofaiv nontai rJa'ion. i[doi dæ a[n ti" kai; ejk touv twn o{son diafevrousin oiJ fusikw'" kai; logikw'" skopou' nte": peri; ga;r tou' a[toma ei\ nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to; aujtotrivgwnon polla; e[stai, Dhmovkrito" dæ a] n faneivh oijkeivoi" kai; fusikoi'" lovgoi" pepei'sqai. dh'lon d e[stai o} levgomen proiou'sin.

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Hammer-Jensen 1910, 103-105; 211-214; Joachim 1922, 76 ad loc.; Frank 1923, 52; Lur'e 1932, 129-138; 1970, 441-445; Alfieri 1936, 81s. n. 160; 1979, 63; Cherniss 1962, 113; Guthrie II, 1965, 503s.; Stokes 1971, cap. 8; Baldes 1972, 64ss.; Löbl 1976, 150-156; 1987, 7581; Makin 1993, cap. 3; Curd 2004, 185s.; Sedley 2004; Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n. 2. Hammer-Jensen 1910, 103; Lur'e 1932, 130; 1970, 441-445; Furley 1967, 83; Löbl 1976, 151; 1987, 78.

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Capitolo quarto

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platonici, come si può agevolmente constatare da altri testi del Filopono stesso, di Porfirio, Siriano e Simplicio, avevano fatto quadrato intorno a Platone e Senocrate per preservarli dalle accuse di Aristotele di andare contro i principi della matematica assumendo grandezze indivisibili e tendevano quindi a scaricare sugli atomisti il peso delle critiche aristoteliche4. Non a caso il Filopono, immediatamente prima dell'attribuzione del logos sugli indivisibili a Democrito, commentando l'accenno al triangolo in sé come indivisibile, si produce in una accanita difesa di Platone secondo le linee tipiche dei commentatori Neoplatonici5. Questa testimonianza non ha dunque alcun valore come aveva già del resto visto Zeller e hanno ribadito altri dopo di lui6. Non esiste dunque, al di là delle interpretazioni soggettive del testo aristotelico, alcun indizio sostanziale del fatto che la dimostrazione della necessità degli indivisibili risalga specificamente a Democrito7 anche perché nessuno è in grado di spiegare esattamente quale sia il nucleo originale democriteo del logos. D'altra parte, lo stesso problema si presenta per l'individuazione esatta nei testi di Zenone del cosiddetto argomento della "dicotomia" che, secondo i commentatori moderni, costituirebbe il punto di partenza della presunta dimostrazione democritea della necessità degli indivisibili. Le versioni del logos fornite da Aristotele e da Porfirio non corrispondono a nessun frammento superstite dell'Eleate. La communis opinio è che l'originale sia andato perduto. In realtà Aristotele non dice 4 5

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V. infra, VI 3. 4. Cf. Philop. In De gen. et corr. 316a 12, 27,8ss. La sostanza dell'argomentazione è la seguente: Platone non ha mai sostenuto l'esistenza di grandezze indivisibili. Tale tesi gli è stata attribuita da Aristotele nei resoconti sulle lezioni non scritte o, secondo l'opinione di alcuni, risale invece ai Platonici. Una giustificazione di questa presunta indivisibilità del triangolo consiste nell'affermare che è la figura geometrica ultima non scomponibile in altre figure, ma solo in un ordine di grandezze ad esso immediatamente successivo, cioè in linee. Il Filopono, però, la esclude e separa, seguendo una linea esegetica tipicamente neoplatonica, l'idea del triangolo dalla figura geometrica: il triangolo in sé, in quanto logos del triangolo, si trova fuori dell'ordine delle grandezze ed è quindi indivisibile. La stessa linea è tenuta da Porfirio nei confronti delle linee indivisibili di Senocrate come si è visto nel capitolo precedente. Zeller-Nestle I, 2, 2, 1920, 1058 n. 2; Mau 1952-53,12; 1954, 26; cf. anche Maccioni 1983, 44-53. Sedley 2004 divide, come Lur'e 1932-1933, il resoconto aristotelico in due parti: una "storica" (316a 15-b 19), dove non ci sarebbero "presupposti" aristotelici (con questo intende evidentemente unicamente la dottrina della potenza e dell'atto), e una ricostruita da Aristotele stesso (316b 20-34) nella quale egli consciamente fa sollevare a Democrito obiezioni contro la sua stessa teoria della potenza e dell'atto. Tuttavia nel contempo ammette di sospendere il giudizio sul nodo cruciale del problema e cioè se la prima parte sia un resoconto diretto da Democrito o solo una ricostruzione aristotelica (68 n. 6). Ma se questa seconda ipotesi fosse vera, cadrebbe anche la divisione fra resoconto "storico" e resoconto "ricostruito". Ambedue sarebbero in ogni caso ricostruzioni.

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affatto che il logos da cui avrebbe preso le mosse il discorso sugli indivisibili sia di Zenone e Porfirio non lo attribuisce a Zenone, ma a Parmenide, e ne fa, come si è visto, il punto di partenza della dimostrazione della necessità degli indivisibili di Senocrate. Alessandro e Simplicio sostengono che il logos della dicotomia è di Zenone, ma Simplicio, per confermare questa tesi, non riesce a far di meglio che riportare i frammenti 29 B 2, 3, 1 DK in sequenza, nessuno dei quali coincide col logos riportato da Porfirio e tantomeno con quello aristotelico. Nei frammenti di Zenone riportati da Simplicio non si parla affatto di "divisibilità", ma di un processo progressivo di individuazione di parti intermedie in un "ente" che porta a dilatarne all'infinito la dimensione (in quanto non si arriva mai alla fine del processo), ma anche, nel contempo, siccome l'individuazione comporta anche un movimento retrogrado, a dissolverlo in qualcosa nel quale non sono più individuabili parti perché non ha più né estensione né spessore alcuno. Questo qualcosa, come dimostra Zenone nel frammento B 2, non è nulla perché, aggiunto ad una grandezza non la rende più grande, sottratto, non la rende più piccola. Se si abbandona per un attimo il condizionamento esercitato da tutte le trattazioni successive di questi frammenti alla luce del problema matematico dell'infinita divisibilità delle grandezze e si guarda Zenone da un'altra angolazione, vediamo qui perfettamente rappresentato il percorso della mente che, concentrata sulla concezione tradizionale di ciò che è, come corpo fornito di grandezza e spessore, è costretta ad immaginarlo8 nello stesso tempo come infinitamente grande e come nulla. In definitiva, Zenone riproduce perfettamente l'immagine dei dikranoi con una mente "vagante" incapaci di decidere fra l'essere e il non essere, così efficacemente descritta nel Fr. 28 B 6 DK di Parmenide, e demolisce le concezioni tradizionali di "essere". Simplicio riporta questi frammenti perché evidentemente non aveva davanti a sé nessun testo che corrispondesse al "logos della dicotomia", ma altri che contenevano solo in parte argomenti assimilabili a quello che veniva designato in questi termini. Nasce quindi il sospetto che il famoso argomento della dicotomia e i logoi ad esso collegati siano una riformulazione dialettica di testi zenoniani alla luce del problema della divisibilità all'infinito e della definizione dell'uno e del molteplice discussi nella scuola platonica.

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Lo spirito, se non la lettera, dei frammenti zenoniani è mantenuto da Platone nel Parmenide (164c) nella descrizione del "sogno" della mente vagante in una molteplicità senza l'uno: "ma ciascuna massa di questi (scil. dei molti senza l'uno), come sembra, è infinita per numero di parti, e se anche uno colga ciò che sembra la parte più piccola, come nel sonno un sogno, compaiono improvvisamente, invece di ciò che sembrava uno, molti, e invece della parte più piccola una massa enorme rispetto alle particelle che risultano dalla sua frammentazione".

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2. Democrito e gli Accademici sugli indivisibili: il preambolo aristotelico (De gen. et corr. A 2, 315b 28-316a 14) Aristotele parla esplicitamente, nel preambolo, di triangoli indivisibili del Timeo9, una tesi naturalmente mai espressa nel dialogo. Egli lo conosceva ovviamente molto bene, ma la sua esegesi era marcata dalle interpretazioni che dei triangoli platonici davano gli allievi come dimostra la sua breve e sibillina notazione secondo cui coloro che argomentano dialetticamente (cioè i Platonici) assumono che, se non ci fossero grandezze indivisibili, il triangolo in sé sarebbe una molteplicità10. Questa palese deviazione dal testo platonico così come il sottofondo di interpretazioni accademiche che l'ha generata dovrebbe in ogni caso rendere cauti sul grado di aderenza di Aristotele ai testi originali in un resoconto così fortemente marcato dai concetti e dalle problematiche correnti nella scuola platonica. Un altro problema del preambolo, già da tempo rilevato da Mau, ma poi generalmente sottaciuto o sbrigativamente messo da parte dagli interpreti successivi, riguarda l'accenno alla supposta argomentazione di Democrito; la formulazione aristotelica a questo riguardo è ambigua e imprecisa e suggerisce che Aristotele non ha in mente un preciso testo democriteo11. Mentre infatti attribuisce con certezza agli Accademici (oiJ mevn fasin) la teoria secondo cui il triangolo in sé sarebbe molti se non fosse indivisibile, si esprime, nel caso di Democrito, con la formula dubitativa: Democrito sembrerebbe essere stato persuaso da argomenti "fisici" appropriati al soggetto (Dhmovkrito" d a]n faneivh oijkeivoi" kai; fusikoi'" lovgoi" pepei'sqai). Questa formulazione rimanda a tesi non di Democrito stesso (in tal caso infatti ci si aspetterebbe un kecrh'sqai12), ma ad argo9

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11 12

De gen. et corr. A 2, 315b 28 kai; pavlin eij megevqh (scil. ajdiaivreta), povteron, wJ" Dhmovkrito" kai; Leuv kippo" swvmata tau't ejstiv n, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda. De gen. et corr. A 2, 316a 11-12 peri; ga;r tou' a[toma ei\nai megevqh oiJ mevn fasin o{ti to; aujtotrivgwnon polla; e[stai. Questo breve accenno è stato interpretato in due maniere: come una trasposizione dell'indivisibilità del triangolo in sé alla molteplicità dei triangoli fisici (che sarebbero indivisibili in quanto sue ipostasi fisiche), cf. Heinze 1892, 58s.; Cherniss 1962, 127s.; Mugler 1966, ad loc., 7 e 80 n. 1; Hirsch 1953, 55s. Maccioni 1983, 32 e n. 21. Come riferimento all'indivisibilità del triangolo in sé (che altrimenti avrebbe parti e sarebbe quindi una molteplicità), cf. Joachim 1922, 76; Barnes 1982, 354. Quest'ultima interpretazione non solo è la più aderente alla sintassi del brano (l'apodosi del periodo ipotetico della irrealtà al futuro è comunissima in Aristotele e la protasi è qui sottintesa: se non fosse indivisibile il triangolo in sé sarebbe una molteplicità), ma trova corrispondenza negli argomenti che nel trattato pseudo-aristotelico De lineis insecabilibus vengono riferiti ai sostenitori delle linee indivisibili. Queste sono tali in quanto parti rispetto ad un tutto. Se infatti così non fosse ed esse avessero parti, ci sarebbero altre grandezze prime rispetto a queste, vale a dire esse risulterebbero una molteplicità (968a 9-14 = Xenocr. Fr. 127 IP). Mau 1954, 26. Cf. Metaph. G 4, 1006a 2 crw'ntai de; tw'i lovgwi touvtwi polloi; kai; tw'n peri; fuvsew".

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menti che gli si potrebbero attribuire interpretando le sue dottrine da una certa ottica13. Aristotele contrappone inoltre nel preambolo un modo di argomentare "logico" (quello degli Accademici) e un modo di argomentare "fisico" (quello di Democrito) e annuncia che nel seguito del discorso risulterà chiaro quanto va dicendo. Quest'ultima affermazione è stata generalmente interpretata come un riferimento al solo argomentare fisico di Democrito e conseguentemente come una implicita ammissione che tutto ciò che viene dopo è da considerarsi argomento "democriteo"14. In realtà il problema del riferimento è più complesso. Nulla esclude infatti che Aristotele si riferisca ad ambedue i modi di argomentare citati prima e che offra nel seguito, come fa in altri punti della sua opera, semplicemente un esempio di ambedue i modelli di argomentazione, dialettica e fisica. Se si guarda in particolare ai passi in cui la contrapposizione è implicita o esplicita, si può osservare che, per Aristotele, la differenza fra i due modi di argomentare logikw'" e fusikw'" non concerne tanto l'aspetto formale, gli oggetti e i singoli argomenti, quanto i limiti e gli scopi dell'argomentazione. L'esame "dialettico" di un problema fisico non fa distinzioni fra ciò che può essere pensato e ciò che esiste o può verificarsi veramente nel mondo fisico perché il suo scopo è quello di arrivare ai principi generali non a quelli specifici di quest'ultimo15. Simplicio, commentando la defini13

In Metaph. A 8, 989a 30ss. Aristotele "conduce" Anassagora a riconoscere che il suo oJmou' pavnta e il suo nou' " corrispondono in realtà all'"altro" e all'"uno" dei Platonici (Anaxagovran d ei[ ti" uJpolaboi duvo levgein stoicei'a, mavlist a]n uJpolavboi kata; lovgon, o} ejkei'no" aujto;" me; n ouj dihvrqrwsen, hjkolouvqhse mev nt a] n ejx ajnav gkh" toi'" ejpavgousin aujtov n).

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Un esempio di questo procedimento e della maniera sbrigativa di trattare in generale il preambolo si trova in Furley 1967, 83s. Dopo aver accennato alla formulazione dubitativa di Aristotele riguardo a Democrito e al fatto che comunque il logos che segue contiene concetti aristotelici così come era stato rilevato da Mau egli osserva: "All this is true: Aristotle has certainly expressed the arguments in his own terms. But I still think it probable that the logic of the argument belongs to Democritus. I cannot see why else Aristotle should begin as he does", e cita 316a 11-14. Nessun altro argomento viene portato a sostanziare la tesi che l'argomentazione sia di Democrito. Cf. anche Makin 1993, 49-55; Curd 2004, 186. Sedley 2004 ritiene che la prima parte sia un resoconto storico democriteo senza presupposti aristotelici, ma è chiaro che non c'è nessuna testimonianza indipendente che permetta di attribuire a Democrito ad esempio l'argomentazione della dissoluzione del corpo fino ai punti. V. infra, 4. 3. Cf. Phys. G 5, 204b 4ss. dove si incontra la stessa contrapposizione in relazione all'infinito per grandezza (l'altro corno del dilemma dell'infinità). L'argomentazione dialettica si basa sulla definizione di corpo come "ciò che è delimitato da una superficie". In base a quest'ultima non c'è dunque un corpo infinito né sensibile né intellegibile, ma neppure un numero infinito esiste separatamente perché il numero in quanto numerabile può essere numerato e non è possibile percorrere, cioè numerare, in un tempo finito un infinito. L'argomentazione fisica si basa sul fatto che l'infinito non può essere né composto (due corpi infiniti si limiterebbero a vicenda) né semplice (un corpo sensibile infinito dovrebbe essere diverso dagli elementi, ma tale corpo non esiste nella realtà, e, d'altra parte, visto che i fenomeni si

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zione di ajporiva logikhv, fornisce due spiegazioni del termine che corrispondono perfettamente al concetto di argomentare "logico" sopra esposto la chiama logica […], o perché trae unicamente dal ragionamento la sua verosimiglianza e non trova sostegno nei fatti concreti (così infatti vengono definiti i logoi di Zenone i quali confutano in modo verosimile il movimento), oppure definisce logica una aporia più generale non aderente a, né specifica dell'oggetto in discussione né tale da prendere le mosse dai principi che sono propri di quest'ultimo16.

Tutti gli interpreti moderni hanno riconosciuto che il resoconto sulla dimostrazione della necessità degli indivisibili che segue la succitata affermazione in De gen. et corr. A 2 è nettamente diviso in due parti chiaramente delimitate da Aristotele stesso. Quello che invece è stato inspiegabilmente trascurato è che le due parti nei loro oggetti e nei loro scopi corrispondono perfettamente ai due tipi di argomentazione, logica e fisica, annunciati nel preambolo. Questa specificità delle due parti è dunque estremamente rilevante non solo per definire la reale importanza del passo aristotelico ai fini della "ricostruzione" della nascita dell'atomismo dall'eleatismo, ma per ricollocare nel suo contesto reale il problema degli "indivisibili". Qui di seguito esaminerò dunque dapprima in maniera generale le caratteristiche delle due parti alla luce della distinzione fra argomentazione logica e argomentazione fisica. In seguito prenderò in esame i punti soprattutto della prima parte che, in base a questa classificazione sono piuttosto attribuibili agli Accademici che a Democrito. Infine cercherò di definire l'importanza del brano per l'inquadramento generale della dottrina democritea nel contesto della discussione sugli indivisibili fra Aristotele e l'Accademia.

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generano sempre dai contrari, è impossibile che questo infinito sia uno solo degli elementi). Mentre l'argomentazione "logica" si basa esclusivamente su ciò che si può pensare, quella "fisica" considera (almeno nelle intenzioni) anche ciò che esiste in realtà. Sulla distinzione fra argomentazione dialettica e fisica, cf. la dettagliata analisi di Algra 1995, 164ss. dei contesti in cui l'opposizione ritorna. Egli sintetizza il problema come segue "A survey of the way in which Aristotle contrasts physical and logical or general (katholou) problems and arguments shows indeed that to his mind the distinction did not boil down to the contrast between 'special empirical' arguments on the one and more general or theoretical arguments on the other hand, but rather to a contrast between arguments (either directly empirical or of a more theoretical character) which are, so to speak, embedded in a theory about the physical world, and, on the other hand, those which are of a purely abstract character, taking no recourse to the world as it actually appears to us or even flatly contradicting common appearances. Among the latter kind he ranked tha arguments of the philosophers of the Eleatic tradition". Simpl. In Phys. 202a 21, 440,21. Il brano è segnalato e riportato in questo contesto in Algra 1995, 164 n. 106.

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3. Le due parti del logos sugli indivisibili Come già aveva visto Lur'e e ha ribadito recentemente Sedley17 il brano è articolato in due parti: nella prima (316a 15-b17), nella quale si sono tradizionalmente intravvisti argomenti democritei, l'aporia dell'indivisibilità presenta tutti i tratti dell'argomentazione "logica" quali si trovano anche in altri passi aristotelici di cui ho parlato precedentemente. Essa infatti prospetta una situazione "verosimile solo sul piano mentale" come la definirebbe Simplicio, ma non sul piano fisico18. La divisione mentale all'infinito di un corpo fisico sta in effetti alla base della dimostrazione della necessità degli indivisibili in questa prima parte. La seconda parte (316b 29-34) è una riformulazione del logos da parte di Aristotele stesso sulla base di una argomentazione "fisica", sulla base cioè di quanto accade effettivamente quando si divide un corpo. Se lo si divide progressivamente non si potrà materialmente portare a termine una infinita frammentazione, d'altra parte, non è possibile dividere realmente il corpo contemporaneamente in ogni punto, ma solo in una certa misura. Se la distinzione fra dimostrazione dialettica e fisica postulata da Aristotele nel preambolo come linea di demarcazione fra la dimostrazione della necessità degli indivisibili nell'Accademia e quella di Democrito è rispecchiata nelle due parti succitate, si deve dedurre che la prima parte, che offre una argomentazione dialettica, non può essere comunque attribuita a Democrito. In questo caso però cadono tutti i problemi sull'indivisibilità fisica o teoretica dell'atomo democriteo intravvisti dai commentatori moderni. La dimostrazione "fisica", d'altra parte, ci pone chiaramente di fronte una grandezza indivisibile perché colui che divide non può procedere materialmente nella divisione oltre un certo limite. Questa dimostrazione non va al di là del senso comune e significativamente Aristotele non si produce in ulteriori spiegazioni delle cause di questa impossibilità (per mancanza di tempo? per l'impossibilità di operare una divisione oltre una certa soglia quando si arriva ad una grandezza minima? perché non c'è uno strumento adeguato nel caso in cui la divisione sia progressiva? per l'impossibilità materiale di dividere in ogni punto in simultanea, nel

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Sedley 2004; cf. anche Atomism's Eleatic Roots (in corso di stampa). Barnes 1982, 358s. tende a sottovalutare proprio il carattere mentale dell'operazione di divisione sottolineato da formulazioni che insistono sulla possibilità di immaginarla anche se non verrà mai eseguita nella realtà, cf. 316a 17-19 eij ga;r pavnthi diairetovn, kai; tou'to dunatovn, ka]n a{ma ei[h tou'to dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihviretai. 316a 22s. ejpei; oujd a] n eij" muriv a muriav ki" dihirhmevna h\i, oude; n ajd uvnaton: kaivtoi i[sw" oudei; " a]n dievloi. Cf. il passo della Fisica nella nota seguente che prospetta un'infinità per accrescimento th'i nohvsei ed è diretto contro gli Accademici.

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caso della divisione contemporanea in tutti i punti?) perché a lui interessa l'evidenza dell'impossibilità di una divisione reale all'infinito. Il richiamo al senso comune, alla realizzazione pratica e all'esistenza reale di un certo fatto, fa parte di un tipico modo di argomentare "fisico" aristotelico. Questo risulta chiaro se si confronta il passo con la critica all'infinito per accrescimento postulato dai Platonici nel terzo libro della Fisica: è assurdo basarsi [per affermare che l'infinito esiste in atto] su una rappresentazione mentale; infatti l'eccesso e il difetto non si producono [in questo caso] in un oggetto reale, ma nella rappresentazione mentale. Infatti ci si potrebbe rappresentare ciascuno di noi crescere in progressione all'infinito, ma uno non è più grande della città o della dimensione che egli possiede perché qualcuno lo pensa così, ma perché è così19.

come uno non è più grande della dimensione che possiede anche se si potrebbe immaginare tale, così una divisione di una grandezza all'infinito e in tutti i punti contemporaneamente o progressivamente quale viene postulata nel primo logos sugli indivisibili non si verificherà mai nella realtà. Questo è quanto in modo riassuntivo si può dire dei due logoi. E' opportuno ora passare ad una loro trattazione più specifica per confermare quanto detto in sintesi. Nell'esame della prima parte verrà dunque messo in rilievo il carattere "dialettico" dell'argomentazione e gli elementi che fanno pensare alla rielaborazione di un logos accademico. Nell'esame della seconda parte, invece, si cercherà di stabilire se sia ancora possibile definire l'argomento "fisico" come un argomento "democriteo".

4. Il logos sugli indivisibili. Prima parte. Motivi accademici e rielaborazioni aristoteliche 4. 1. Divisione mentale e divisione reale (De gen. et corr. A 2, 316a 15-29) Punto di partenza del logos sugli indivisibili, è una "tesi" (ei[ ti" qeivh), nel senso tecnico dei Topici20, una formulazione paradossale, che contiene una ajporiva (e[cei ajporivan). La tesi pone l'esistenza di un corpo e di una grandezza divisibili per natura in ogni parte e la possibilità di compiere 19

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Arist. Phys. G 8, 208a 14 to; de; th'i nohvsei pisteuvein a[topon: ouj ga;r ejpi; tou' pravgmato" hJ uJperoch; kai; hJ e[lleiyi", ajll ejpi; th'" nohvsew". e{kaston ga;r hJmw' n nohvs eien a[ n ti" pollaplavsion eJautou' au[xwn eij" a[peiron: ajll ouj dia; tou'to e[xw tou' a[steov " tiv" ejstin h] tou' thlikou'de megevqou" o} e[comen, o{ti noei' ti", ajll o{ti e[stin . Top. A 11, 104b 19-22, v. supra, III 2. 1 n. 14.

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questa divisione. Se questo è possibile, però, si potranno anche dividere o dovunque e simultaneamente (ka]n a{ma ei[h tou'to pavnthi dihirhmevnon), o per bisezione continua (oujkou'n kai; kata; to; mevson wJsauvtw"). Nulla infatti è impossibile, neppure se le si dividesse in innumerevoli parti innumerevoli volte anche se forse nessuno potrebbe dividerle nella realtà21. Il risultato sarà che non rimarrà né un corpo né una grandezza, ma solo la divisione e il corpo si dissolverà nel nulla e sarà composto dal nulla. In questo caso il tutto non sarà altro che un'apparenza (316a 29 to; pa'n dh; oujde;n ajll h] fainovmenon). Abbiamo qui dunque due modi di dividere la grandezza, i quali portano ambedue alla sua dissoluzione: la divisione contemporanea in tutte le parti e la bisezione progressiva. La formulazione della tesi richiama, anche nella terminologia, l'immagine della molteplicità senza l'uno del Parmenide platonico. Platone esponeva il problema nei termini più generali di uno e altro dall'uno, ma la sostanza del discorso, e talvolta anche la lettera, sono identici: l'altro dall'uno, senza quest'ultimo, si presenta sempre come una molteplicità infinitamente frammentabile col pensiero. Ogni massa si sbriciola in pezzi laddove la si concepisca senza l'uno22. Platone sottolinea proprio il carattere mentale (th'i dianoivai) di questo procedimento secondo il quale della molteplicità pensata senza l'uno (una molteplicità concepita in termini fisici se l'espressione specifica per designarne le parti è o[gko" e quella per indicarne lo sbriciolamento è qruvptesqai23) non rimangono nient'altro che delle unità apparenti, ma non reali (Parm. 164d oujkou'n polloi; o[gkoi e[sontai, ei|" e{kasto" fainovmeno", w]n de; ou[, ei[per e}n mh; e[stai;). In De generatione et corruptione A 2 abbiamo lo stesso schema: la divisione mentale all'infinito porta all'annullamento della realtà nell'apparenza. Rispetto però all'immagine platonica, ai frammenti stessi di Zenone, che presentano una individuazione progressiva di parti, al logos di Porfirio e anche al logos elea21

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De gen. et corr. A 2, 316a 14-23 (68 A 48b DK; 105 L.) e[cei ga;r ajporivan, ei[ ti" qeivh sw'mav ti ei\nai kai; mev geqo" pavnthi diaireto; n kai; tou'to dunatovn. tiv ga;r e[stai o{per th;n diaivresin diafeuvgei… eij ga;r pav nthi diaireto; n kai; tou' to dunatovn, ka] n a{ma ei[h tou'to pav nthi dihirhmevnon, kai; eij mh; a{ ma dihvirhtai. ka] n eij tou'to gev noito, oujd e;n a] n ei[h ajduv naton. oujkou' n kai; kata; to; mevson wJ sauvtw". kai; o{lw" dev, eij pavnthi pevfuke diairetovn, a] n diaireqh'i, oujde;n e[stai ajduv naton gegonov", ejp ei; oujd a]n eij" muriva muriavki" dihirhmevna h\i, oujde; n ajduv naton: kaivtoi i[sw" oujdei;" a] n dievloi. Parm. 165b qruvptesqai dh; oi\mai kermatizovmenon ajnavgkh pa'n to; o[n, o} a[n ti" lavbhi th'i dianoivai: o[gko" gavr pou a[neu eJ no;" ajei; lambav noit a[ n. Cf. anche 158c. Il passo è interessante in quanto Barnes 1982, 358s. e Sedley 2004, 69 concludono, in base al fatto che in 316a 34ss. si immagina come risultato della divisione del corpo una specie di segatura (e[kprisma), che nella prima parte del logos aristotelico non venga presa in esame una divisione mentale, ma reale e se ne servono come argomento per attribuire a Democrito il logos. Come dimostra l'esempio del Parmenide, tuttavia, l'uso di una terminologia fisica non significa nulla. Platone usa infatti immagini estremamente concrete per indicare la frammentazione mentale dei molti senza l'uno.

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tico di A 8 che si situa sulla stessa linea, nell'argomento di A 2 compare anche la divisione simultanea in ogni parte. Questo è un tratto aristotelico dovuto alla tipica distinzione di significati sempre operata da Aristotele quando affronta un'aporia: pavnthi diairetovn può essere infatti inteso sia come divisibile in ogni parte nello stesso momento che in momenti successivi. In ogni caso la concezione di una divisione mentale all'infinito come reale è tipicamente platonico-accademica. Si potrebbe obiettare che anche l'aporia di Zenone non distingue fra processi mentali e reali, ma il logos che Aristotele presenta, come si è visto, è vicino a Platone, non a Zenone e, in ogni caso, il tema della divisibilità all'infinito delle grandezze nei termini espressi nel logos aristotelico è un punto focale nella trattazione platonico-accademica del secondo principio (il grande e il piccolo o la diade indefinita) come si può evincere da numerose testimonianze di Aristotele stesso e dei commentatori24. Aristotele critica in altri punti della sua opera e in relazione al concetto di infinito per divisione proprio i Platonici (e non Zenone) per aver attribuito ai procedimenti mentali un carattere di realtà. Nel terzo libro della Fisica, affermando la possibilità della divisione all'infinito delle grandezze, specifica, in esplicita polemica contro la dottrina delle linee indivisibili, come si deve intendere l'infinito per divisione. Si tratta di un infinito in potenza, non nel senso che può essere trasposto in qualche momento in atto, ma nel senso che la divisione può essere effettuata in un punto qualsiasi in momenti diversi. Ma che la grandezza non sia in atto infinita, è stato detto; lo è, però, per divisione, infatti non è difficile confutare l'ipotesi delle linee indivisibili. Rimane dunque la possibilità che l'infinito sia in potenza. Non si deve, però, prendere il significato 'infinito in potenza' nello stesso modo in cui si dice 'se è possibile che questo divenga una statua, sarà in effetti una statua', così ci sia anche un infinito che sarà tale in atto, ma, poiché l'essere si predica in molti modi, come l'essere del giorno e della gara per essere sempre un altro ed un altro ancora, così anche l'infinito25.

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Per quanto riguarda i commentatori, oltre al già citato logos di Porfirio che avrebbe costituito il punto di partenza dell'assunzione di linee indivisibili da parte di Senocrate, è interessante ad esempio un altro passo di Porfirio che riferisce della cosiddetta "divisione del cubito" risalente alle lezioni non scritte di Platone (Porph. 174 F Smith = Simpl. In Phys. 202b 36, 453,30-454,14). Qui viene riproposto il tema della divisione progressiva delle grandezze all'infinito con il suo corrispettivo, l'infinito per accrescimento: si assuma una grandezza finita, come un cubito, la si divida in due parti lasciandone poi una intatta; se si divide l'altra metà continuamente e si aggiungono le parti a questa sottratte alla metà rimasta intatta, si otterranno due parti, una che procede verso l'infinitamente piccolo e l'altra che tende all'infinitamente grande. Platone avrebbe dimostrato con questo esempio la presenza, anche nelle grandezze finite, di una tendenza verso l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, effetto del secondo principio, la diade indefinita. Phys. G 6, 206a 16-23 to; de; mevgeqo" o{ti me;n kat ejnevr geian oujk e[stin a[peiron, ei[rhtai, diairevsei d ejstivn: ouj ga;r calepo;n aj nelei'n ta; " ajtov mou" grammav ": leivpetai ou\n dunav mei ei\nai to; a[p eiron. ouj dei' de; to; dunav mei o]n lambavnein, w{sper eij dunato; n tou't ajndriav nta

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

L'accenno alle linee indivisibili e l'alternativa che Aristotele propone costituiscono un corrispettivo della più diffusa critica al logos sugli indivisibili di De gen. et corr. A 2. Qui egli spiega che, in quel tipo di dimostrazione si nasconde un paralogismo che consiste nella mancata distinzione di significati fra "divisibile in ogni parte" e "diviso in ogni parte". Divisibile in ogni parte all'infinito non significa che la divisione debba avvenire in realtà né simultaneamente, né progressivamente "in tutti i punti" in quanto questo comporterebbe l'esistenza contemporanea di punti contigui uno all'altro. Questo non è possibile perché i punti sono limiti e non grandezze, e dunque esistono solo nel momento in cui vengono posti. Una grandezza è divisibile in ogni parte nel senso che lo è in un dato momento in un punto, in un altro, in un altro: ogni volta, però, non ci sono nella grandezza infiniti punti, ma uno solo26. La tesi nella prima parte del logos sugli indivisibili di De gen. et corr A 2 è basata dunque su argomenti tipicamente accademici rielaborati da Aristotele. Il riportare a Democrito una rielaborazione dell'aporia zenoniana in questi termini non ha alcun fondamento perché non trova nessuna ulteriore conferma nelle testimonianze antiche. 4. 2. Corpi e grandezze indivisibili Aristotele nel brano suddetto parla costantemente di "corpi e grandezze indivisibili". Ora, le due espressioni non sono equivalenti come taluni inclinano a credere27, ma designano i due livelli del problema degli indivisibili, quello propriamente fisico, i corpi, e quello delle grandezze matematiche, in questo contesto le superfici indivisibili. Se è vero che, nel brano che precede immediatamente l'excursus sugli indivisibili, Aristotele utilizza il termine "grandezze indivisibili" in una accezione più generale, egli distingue però al loro interno i corpi indivisibili (di Democrito e Leucippo) e le superfici indivisibili (del Timeo). Che egli abbia in mente una distinzione precisa quando parla di corpi e grandezze, è confermato del resto da ei\nai, wJ " kai; e[stai tou't ajndriav ", ou{tw kai; a[peirovn ti, o} e[stai ej nergeivai: ajll ejpei; pollacw'" to; ei\ nai, w{sper hJ hJmevra ejsti; kai; oJ ajgw; n tw'i ajei; a[llo kai; a[llo givnesqai, ou{tw kai; to; a[peiron. Sulle teorie accademiche come obiettivo di Aristotele nei passi suc26 27

citati, cf. Krämer 1971, 296-297. De gen. et corr. A 2, 317a 2-12. Questo è stato notato da più parti. Baldes 1972, 44s., partendo dal presupposto che Aristotele si riferisca a materiale democriteo, ipotizza, in modo piuttosto nebuloso, che si tratti di grandezze matematiche concepite come immanenti ai corpi fisici indivisibili e, in quanto tali, accidentalmente indivisibili. Lewis 1998, 19 n. 34 fa notare che kai; megevqh è estraneo alla discussione seguente che riguarda solo la divisione dei corpi e ritiene l'espressione una semplice aggiunta aristotelica in quanto per lui ogni corpo è anche una grandezza.

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un altro brano del capitolo nono dello stesso libro dove riassume il ragionamento che ha portato agli indivisibili28. Qui Aristotele sostituisce al sintagma sw'mata ajdiaivreta kai; megevqh, sw'ma ajdiaivreton h] plavto" in cui il riferimento ai triangoli platonici è palese. Il logos era evidentemente un discorso generale sugli indivisibili che comprendeva sia la trattazione dei corpi che quella dei triangoli. Come si vedrà nel cap. V, l'indivisibilità (relativa) dei corpi e delle grandezze fino all'indivisibile assoluto, la linea, è un assunto di Senocrate. Per ora comunque ci si può limitare a constatare che nel logos aristotelico corpi e grandezze hanno due referenti diversi. 4. 3. Punti, segatura e affezioni (De gen. et corr. A 2, 316a 30-b 16) Vale la pena riesaminare ora singolarmente gli argomenti della prima parte a favore di corpi e grandezze indivisibili in quanto questi sono un tipico esempio di rielaborazione aristotelica di temi trattati nell'Accademia e più volte ripresi da Aristotele in altre parti della sua opera. Da questo esame si potrà constatare che, in tutto questo, di Democrito non c'è traccia. L'argomento fondamentale della prima parte del logos è diretto contro la divisione dei corpi e delle grandezze fino ai punti. Ammettere che questo sia il risultato della divisione equivale a dissolvere i corpi e le grandezze nel nulla e a volerli ricomporre dal nulla. Poiché dunque il corpo è divisibile in ogni parte, lo si divida. Che cosa rimarrà dunque? una grandezza? non è possibile perché altrimenti ci sarebbe qualcosa di non diviso, ma era divisibile completamente. Se tuttavia non sarà né un corpo né una grandezza, ma ci sarà la divisione, consisterà di punti, e ciò di cui è composto saranno non grandezze, o nulla del tutto, talché sarà generato da nulla e composto da nulla e il tutto non sarà altro che apparenza. Allo stesso modo, se sarà composto da punti, non avrà una estensione misurabile. Infatti quando i punti si toccavano e la grandezza era un tutto unico e i punti erano insieme, non rendevano più grande il tutto. Infatti quando il tutto è stato diviso in due o in più parti, non lo rendevano né più piccolo, né più grande di prima, talché, se tutti venissero messi insieme, non produrrebbero una grandezza 29.

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De gen. et corr. A 9, 327a 6 eij me;n ga;r mh; pavnthi diaireto;n to; mevgeqo", ajll e[sti sw''ma ajdiaivreton h] plavto" oujk a]n ei[h pavnthi paqhtikovn, ajll oude; sunece; " ouj devn. De gen. et corr. A 2, 316a 23-34 ejpei; toivnun pavnthi toiou'tovn ejs ti to; sw'ma, dihirhvsqw. tiv ou\n e[stai loipovn… mevgeqo"… ouj ga;r oi|ovn te: e[ stai gavr ti ouj dihirhmev non, h\n de; pav nthi diairetovn. ajlla; mh;n eij mhde;n e[stai sw'ma mhde; mevgeqo", diaivresi" dæ e[stai, h] ejk stigmw' n e[stai, kai; ajmegevqh ejx w| n suvgkeitai, h] oujde;n pantavpasin, w{ste ka]n givnoito ejk mhdeno;" ka]n ei[h sugkeivmenon, kai; to; pa'n dh; oujde; n ajllæ h] fainovmenon. oJmoivw" de; ka] n h\i ejk stigmw'n, oujk e[s tai posovn. oJpovte ga;r h{ptonto kai; e}n h\n mevgeqo" kai; a{ ma h\san, oujde; n ejpoivoun mei'zon to; pa' n: diaireqev nto" ga;r eij " duvo kai; pleivw, oujde;n e[latton oujd e; mei'zon to; pa' n tou' provteron, w{ste ka] n pa' sai sunteqw'sin, oujd e;n poihvsousi mevgeqo".

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

In questo argomento viene scartata una prima soluzione, cioè che da una divisione completa possa risultare una grandezza. "Grandezza" in questo contesto viene generalmente interpretato come sinonimo di corpo, ma ciò è inverosimile almeno per due ragioni: in primo luogo perché Aristotele subito dopo distingue fra corpo e grandezza come possibile risultato della divisione (se non ci sarà né un corpo né una grandezza), in secondo luogo perché il caso della divisione fino ad una minuscola particella corporea come segatura viene prospettato dopo, come alternativa distinta (316b 1). Siamo dunque qui confrontati con due possibilità: quella della divisione fino a corpuscoli e quella della divisione fino a grandezze geometriche. Aristotele non spiega qui come si possa arrivare nella divisione ad una grandezza, ma lo fa più volte altrove riferendo il metodo di sottrazione dei Platonici: il corpo è divisibile in superfici, queste in linee e queste in punti30. Quest'ultimo passaggio, la divisione in punti, tuttavia, non era ammesso da chi sosteneva la dottrina delle linee indivisibili come limite ultimo della realtà fisica. A detta di Aristotele lo stesso Platone avrebbe polemizzato contro le tesi che ponevano il punto come principio della linea e avrebbe posto l'arresto della divisione a linee indivisibili31. Lasciando da parte la dibattuta questione se questa sia tesi platonica o derivi da una interpretazione di Senocrate, che non è rilevante ai fini del presente argomento, rimane comunque il fatto che la divisione fino al punto era stata criticata nell'Accademia nel contesto dell'assunzione di indivisibili: la divisione doveva arrestarsi prima, pena la dissoluzione in una nongrandezza. L'identificazione del punto con la non-grandezza ritorna in Aristotele anche in relazione a Zenone. In Metaph. B 4, in un contesto critico contro 30

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Si tratta in particolare della tesi di Speusippo che genera dal punto la linea, da questa la superficie e infine il solido, cf. Arist. Metaph. N 3, 1090b 5-7 (Speus. Fr. 81 IP); M 9, 1085a 31-34 (Speus. Fr. 84 IP); Iambl. De comm. math. sc. 4, 16,15ss. Festa (Speus. Fr. 88 IP). Un passo aristotelico particolarmente indicativo perché ripropone la dissoluzione del corpo in punti (in una critica ai triangoli e alle linee indivisibili) è De cael. G 1, 300a 7-12 o{lw" de; sumbaivnei h] mhdevn pot ei\nai mev geqo", h] duvnasqaiv ge aj naireqh' nai, ei[ per oJmoivw" e[cei stigmh; me;n pro;" grammhvn, grammh; de; pro;" ejpivpedon, tou'to de; pro; " sw'ma: pav nta ga;r eij" a[llhla ajnaluovmena eij " ta; prw'ta ajnaluqhvs etai: w{st ej ndevcoit a] n stigma;" mov non ei\nai, sw'ma de; mhqevn. Per critiche simili, cf. anche De cael. G 1, 299a 6-9; Metaph. K 2, 1060b 12; Metaph. B 5, 1002a 4-6. Metaph. A 9, 992a 19-24 e[ti aiJ stigmai; ejk tivno" ejnupavrxousin… touvtwi me;n ou\n tw'i gevnei kai; diemavc eto Plavtwn wJ" o[nti gewmetrikw'i dovgmati, ajll ejkavlei ajrch; n grammh' "—tou'to de; pollavki" ejtivqei—ta;" ajtovmou" grammav ". kaivtoi aj nav gkh touv twn ei\naiv ti pevra": w{st ejx ou| lovgou grammhv ejsti, kai; stigmhv ejstin. Questo passo è stato molto discusso in quanto contraddice le testimonianze tarde sul Peri; tajgaqou', in particolare quella di Alessandro,

dove il punto viene equiparato all'uno e definito "monade avente una posizione" (In Metaph. 987b 33, 55,20-26; ap. Simpl. In Phys. 202b 36, 454,23-29). In generale, però, si suppone che la testimonianza di Alessandro sia imprecisa e viziata da interpretazioni sue o delle sue fonti, cf. De Vogel 1949, 306-311 e Burkert 1972, 18 n. 17.

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il concetto accademico di uno in sé come sostanza universale separata e indivisibile, egli riporta un'interpretazione matematizzante del frammento 29 B 2 DK. Zenone sosteneva che ciò che non ha grandezza è nulla perché aggiunto o sottratto ad un ente non lo rende più grande o più piccolo32. Aristotele identifica questo nulla col punto privo di dimensioni Ancora, se l'uno in sé è indivisibile, secondo l'assunto di Zenone, non è nulla; infatti egli nega che ciò che aggiunto o tolto non rende più grande o più piccolo, sia uno degli enti, poiché chiaramente l'ente è una grandezza e, se è una grandezza, è corporea; questo infatti è un essere nella sua completezza, le altre, come la superficie e la linea, quando vengono aggiunte, in un certo modo rendono più grande, in un certo modo no, il punto e la monade in nessun modo 33.

Aristotele ritorce più volte l'argomento dell'equivalenza del punto col nulla contro le dottrine dei triangoli e delle linee indivisibili: il punto (che i sostenitori di queste tesi rigettano come principio in quanto non-grandezza) non è diverso dalle linee e dai triangoli dai quali essi fanno derivare i corpi in quanto tutti sono limiti e, come tali, non-grandezze. E' dunque necessario assumere che nella dissoluzione del corpo in grandezze prospettata in questa prima parte del logos sugli indivisibili sia presupposta una dissoluzione del solido in superfici, di queste in linee e infine in punti che, in quanto non-grandezze, non sono nulla e non possono ricomporre né una grandezza né un corpo. Tale procedimento è però tipico di Senocrate e di Platone, non di Democrito. Significativamente, coloro che attribuiscono l'argomento a quest'ultimo, non spiegano come avvenga il passaggio dal corpo ai punti, ma, quando devono portare l'esempio concreto di una divisione in punti, scivolano impercettibilmente dal corpo alla linea34. Non c'è dunque nulla che possa far pensare a Demo-

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29 B 2 DK eij de; ajpoginomevnou to; e{teron mhde;n e[latton e[s tai mhde; au\ prosginomevnou aujxhvs etai, dh'lon o{ti to; prosgenovmenon oujde; n h\n oujde; to; ajpogenovmenon. B 4, 1001b 7 e[ti eij ajdiaivreton aujto; to; e{ n, kata; me; n to; Zhvnwno" ajxivwma oujqe;n a] n ei[h: o} gavr mhvte prostiqevmenon mhvte ajf airouvmenon poiei' mei'zon mhde; e[latton, ou[ fhsin ei\nai tou'to tw'n o[ntwn, wJ " dhlonovti o[nto" megevqou" tou' o[nto": kai; eij mev geqo" swmatikovn: tou'to ga;r pav nthi o[n: ta; de; a[lla pw;" me; n prostiqevmena poihvsei mei'zon, pw;" d oujqevn, oi|on ejpivpedon kai; grammhv , stigmh; de; kai; mona;" oujd amw' ". Su questo passo e sul suo contesto accademico, cf. Burkert 1972, 286. La decontestualizzazione del passo e l'errata attribuzione della definizione del punto come monade avente una posizione ai Pitagorici e non agli Accademici è all'origine della tesi, sostenuta in primo luogo da Tannéry 1930, 258ss. e Burnet 1930, 314-17 (cf. anche Alfieri 1979, 41ss.) secondo cui i paradossi di Zenone sarebbero diretti contro una ipotetica matematica pitagorica. Lur'e 1932-1933, 108ss., non devia sostanzialmente da questa linea in quanto mantiene l'ipotesi di una argomentazione zenoniana contro il punto, cambiandone solo i presunti obiettivi polemici: invece che i Pitagorici, la matematica del tempo. Cf. anche Mau 1954, 12ss. Per la critica dettagliata a queste interpretazioni, cf. Burkert 1972, 285-289. Cf. e.g. Furley 1967, 85; Sedley 2004, 70.

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

crito di cui non vengono mai menzionate opinioni sul punto o su una eventuale dissoluzione delle grandezze in punti. La seconda ipotesi del logos della divisione all'infinito sembrerebbe più vicina ad una possibile argomentazione democritea: la divisione all'infinito non produce questa volta punti o nulla, ma un corpuscolo minuscolo, simile ad una particella di segatura Anche se comunque dalla divisione del corpo risulta qualcosa, una sorta di segatura, e così dalla grandezza si stacca un corpo, vale per questo lo stesso argomento, come è divisibile?35

Poiché tuttavia si era ammesso che un corpo, per quanto piccolo, poteva essere per definizione diviso, sorge la domanda di come questo corpuscolo possa essere ancora diviso e si ricade nell'aporia precedente (divisione fino ai punti e al nulla). La terminologia fisica, come si è visto, non è necessariamente indice di una divisione reale. Una teoria corpuscolare che ammetteva dei corpuscoli ulteriormente divisibili con la mente, ma mai divisi era sostenuta nell'Accademia da Eraclide Pontico e, probabilmente sulla sua scia, veniva attribuita anche ad Anassagora e ad Empedocle36. Questa tesi, però, supponeva che un corpo in quanto tale fosse divisibile all'infinito, dunque il corpuscolo non diviso deve essere ulteriormente divisibile, per lo meno con la mente. Questo tema ritorna in forme diverse nel logos eleatico di De generatione et corruptione A 2 e in quello di Porfirio. In ambedue si afferma che l'essere non può essere diviso in una parte sì e in un'altra no e Porfirio ne spiega anche la ragione col fatto che l'essere è omogeneo. Uno dei capisaldi della critica all'atomismo e al corpuscolarismo dei Pitagorici-Accademici in Sesto Empirico era basato sulla tesi che i corpi sono ulteriormente divisibili con la mente e quindi non possono essere eterni37. In base a tutto questo, l'arresto della divisione in un corpuscolo minuscolo come segatura sarebbe non "reale", ma solo fisico in quanto la mente può procedere oltre. Si può ricordare a questo punto anche la frase di Platone riguardo agli "amici delle idee" nella gigantomachia del Sofista: questi ultimi, secondo lo straniero di Elea, "fanno a pezzettini nei loro logoi i corpi di quegli altri" definendo un divenire incessante quella che costoro chiamano essenza38. La prima parte del logos riportato da Aristotele, che fa proprio questo, potrebbe ben figurare come punto di 35

De gen. et corr. A 2, 316a 34-b 2 ajlla; mh;n kai; ei[ ti diairoumevnou oi|on e[kprisma givnetai tou' swvmato", kai; ou{tw" ejk tou' megevqou" sw'mav ti ajp evrcetai, oJ aujto;" lovgo", ejkei' no pw'" diairetovn.

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V. supra, II 4. 1 n. 56-57. V. supra, II 4 n. 38. Soph. 246b ta; de; ejkeivnwn swvmata kai; th;n legomevnhn uJp aujtw'n ajlhvqeian kata; smikra; diaqrauvonte" ejn toi'" lovgoi" gevnesin ajnt oujsiva" feromevnhn tina; prosagoreuvousin. V. supra, II 2 n. 11.

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partenza per un discorso sugli indivisibili dietro al quale sta, però, quello sui principi: i corpi e le grandezze, in quanto formati anche dalla diade indefinita, tendono all'infinità nei due sensi, per divisione e per aggiunta39, essi vengono però limitati dall'uno, che si configura come misura indivisibile. La necessità del triangolo indivisibile è data dal fatto che questo, in quanto misura ultima della realtà fisica (nel Timeo la divisione viene protratta solo fino ai triangoli elementari), deve essere tale, altrimenti sarebbe anch'esso una molteplicità. Aristotele aggiunge poi un ulteriore argomento che allude a teorie specifiche da lui criticate altrove: la divisione all'infinito di un corpo produce un ei\do" o un pavqo" separato che agisce su punti e contatti. In questo caso si ricade nella prima ipotesi in quanto si deve presupporre una divisione del corpo in punti (da cui si separerebbero poi forme e affezioni) e quindi la dissoluzione nel nulla40. Egli attribuisce altrove una dottrina della "mescolanza" di forme (nel senso platonico di idee) e affezioni separate dalla materia ad Anassagora e a Eudosso. Quest'ultimo avrebbe sostenuto la tesi secondo cui le idee sarebbero immanenti nei sensibili in quanto "mescolate" ad essi come il bianco al bianco ponendosi, secondo Aristotele, sulla scia di Anassagora41. I dettagli di questa mescolanza, non risultano affatto chiari né da qui né dalla lunga serie di critiche che Aristotele esponeva nel Peri; ijdew'n42. Egli vi vedeva, però, la possibilità che, in quanto "mescolate", le idee potessero anche essere separate dalla materia così come, secondo lui, si potevano separare le affezioni dal tutto in tutto di Anassagora43. Nello stesso primo libro del De generatione et corruptione Aristotele, più oltre, discutendo il concetto di mescolanza, si esprime in modo altrettanto critico nei confronti di questa presunta teoria: le affezioni non possono essere mescolate perché ciò che si mescola, si può anche separare e nessuna di esse è separata dai sensibili44. Si spiega perciò 39

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Cf. il già citato esempio della "divisione del cubito" attribuito a Platone da Porfirio e derivante dal Peri; tajgaqou', supra, n. 24. De gen. et corr. A 2, 316b 2-5 eij de; mh; sw'ma ajll ei\dov" ti cwristo;n h] pavqo" o} ajph'lqen, kai; e[sti to; mevgeqo" stigmai; h] aJf ai; todi; paqou' sai, a[topon ej k mh; megeqw' n mev geqo" ei\nai. Metaph. A 9, 991a 14 (Eudox. Fr. D 1 Lasserre) ou{tw me;n ga;r a]n i[sw" ai[tia dovxeien (scil. ta; ei[dh) ei\nai wJ" to; leuko; n memigmevnon tw' leukw'i, ajll ou|to" me; n oJ lovgo" livan eujkiv nhto", o}n Anaxagovra" me;n prw'to" Eu[doxo" d u{steron kai; a[lloi tine;" e[legon (rJavdion ga;r sunagagei'n polla; kai; ajd uvnata pro;" th;n toiauvthn dovxan). Cf. anche 998a 35.

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Arist. De ideis Fr. 5 Ross (Alex. In Metaph. 991a 14, 97,27-98, 24). Sui problemi di interpretazione di tale dottrina attribuita da Aristotele ad Eudosso, cf. Krämer 1983, 74-77. Metaph. A 8, 989a 30-b 4 (59 A 61 DK) ajtovpou ga;r o[nto" kai; a[llw" tou' favskein memi'cqai th;n ajrch;n pavnta, kai; dia; to; sumbaivnein a[ mikta dei' n proupavrcein kai; dia; to; mh; pefukevnai tw'i tucov nti mivgnusqai to; tucovn, pro;" de; touvtoi" o{ti ta; pavqh kai; ta; sumbebhkovta cwrivzoit a] n tw' n oujsiw'n (tw'n ga;r aujtw' n mi'xiv" ejs ti kai; cwrismov"). De gen. et corr. A 10, 327b 13-22 to;n aujto;n de; trovpon ou[te tw'i swvmati th;n trofh;n ou[te to; sch'ma tw'i khrw'i mignuvmenon schmativzein to; n o[gkon: oujde; to; sw'ma kai; to; leuko;n oujd

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

perché Aristotele prospetti, al di là della divisione dei corpi, anche l'ipotesi di una ulteriore divisione in un ei\do" o in un pavqo", perché egli pensa alle presunte tesi di Eudosso e di Anassagora45 e le aggiunge come ulteriore caso di risultato di una divisione all'infinito. Siccome tuttavia le idee o le affezioni dovrebbero agire su punti e contatti, si ricade nell'aporia precedente: come si può ricostituire un corpo da questi ultimi? Tutte le domande e gli esempi che Aristotele fa seguire immediatamente e che hanno disorientato gli interpreti fanno parte di una strategia di dilazione che Aristotele stesso raccomanda nei Topici. Esse infatti introducono argomenti che, o ripetono quanto già si è detto, o sembrano non essere pertinenti al tema. Ma questa è una tecnica che, in una disputa dialettica, permette di confondere l'avversario46. Con questo espediente si può spiegare ad esempio la strana domanda sulla posizione dei punti e sul loro eventuale movimento che non ha nulla a che fare col problema della divisibilità (qui non si parla affatto di corpi in moto, ma di corpi e grandezze in quanto tali) e la ripresa e l'ampliamento di argomenti già trattati il cui unico scopo è di rafforzare ulteriormente l'aporia: se divido un pezzo di legno e poi lo ricompongo, rimane uguale (vale a dire nulla si aggiunge e nulla si toglie) e lo stesso succede se lo divido in qualsiasi punto. Se posso dividerlo dovunque, però, significa che in potenza è diviso in ogni parte47 e, inoltre, se la ricomposizione non ha aumentato la dimensione del legno, il risultato della divisione dovranno essere necessariamente dei punti privi di dimensioni48. La conclusione, secondo questo logos, è che vi debbano essere dei corpi e delle grandezze indivisibili. Come si vede, l'argomentazione "dialettica" che pone come tesi una infinita divisibilità mentale dei corpi e delle grandezze è un "modello" di dimostrazione sviluppata su un nucleo di matrice accademica, ma con aggiunte e rielaborazioni da parte di Aristotele. Non c'è alcun indizio, al di o{lw" ta; pavqh kai; ta; " e{xei" oi|ovn te mivgnusqai toi'" pravgmasin: swzovmena ga;r oJra'tai. ajlla; mh; n oujde; to; leukovn ge kai; th; n ejpisthvmhn ej ndevc etai micqh'nai, oujd a[llo tw' n mh; cwristw'n oujd evn. ajlla; tou'to lev gousin ouj kalw'" oiJ pav nta pote; oJmou' favs konte" ei\nai kai; memivcqai: ouj ga;r a{pan a{panti miktovn, ajll uJp avrcein dei' cwristo;n eJkavteron tw'n micqevntwn: tw' n de; paqw'n oujqe; n cwristov n. 45

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Sedley 2004, 71, riportando questo argomento a Democrito, ipotizzando che qui si voglia parlare di "massa" o "solidità" o di qualche altra proprietà dei corpi, tralascia proprio di considerare il carattere specificamente aristotelico dell'allusione all'ei\do" e al pavqo". Top. Q 1, 157a 1 e[ti to; mhkuvnein kai; parembavllein ta; mhde;n crhvsima pro;" to;n lovgon, kaqavper oiJ yeudografou'nte": pollw'n ga;r o[ ntwn a[dhlon ej n oJpoivwi to; yeu'do". Il perfetto (pavnthi a[r a dihvirhtai dunavmei), che ha un valore risultativo, si spiega col fatto che la divisione in potenza che si immagina avverrà di fatto è equivalente ad una divisione già operata. Questo argomento, che Sedley 2004, 72s. e 75s. vuole trasporre prima di 316b 28 sulla base del fatto che non sarebbe "democriteo" e dunque non potrebbe stare nel contesto precedente, è invece in perfetta consonanza con la strategia aristotelica delineata nel testo.

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là di ragioni puramente ipotetiche, che possa far pensare alla riutilizzazione di un testo democriteo.

5. La seconda parte del logos. La dimostrazione "fisica" della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2, 316b 18-35) La dimostrazione "fisica", nella quale il Lur'e intravvedeva la parte più propriamente democritea del logos sugli indivisibili e che invece da altri è stata considerata un argomento aristotelico, è in realtà una riformulazione dell'aporia "logica" in termini più propriamente "fisici". Il problema, come osservano molti interpreti, è che essa contiene i concetti tipicamente aristotelici di atto e potenza49. La tesi originaria supponeva che, se si assume un corpo divisibile in ogni parte, bisogna necessariamente ammetterne anche la divisione totale, anche se questa in concreto non verrà mai realizzata. Il presupposto di questa tesi è che ciò che si può dividere con la mente è reale. Aristotele riformula la tesi partendo dalla sua dottrina dell'atto e della potenza, le muove una possibile obiezione, ma riporta poi la discussione nell'ambito "fisico". Una cosa è ciò che si immagina, un'altra ciò che invece avviene nel mondo reale: Orbene: che ogni corpo sensibile sia divisibile in qualsivoglia punto e indivisibile non è nulla di assurdo; infatti sarà divisibile in potenza, ma indivisibile in atto. Sembrerebbe invece che l'essere divisibile in potenza simultaneamente nella sua totalità fosse impossibile. Se infatti ciò fosse possibile, la divisione potrebbe essere realmente eseguita cosicché il corpo non sarebbe simultaneamente ambedue le cose, indivisibile e diviso in atto, ma diviso in ogni punto. Dunque nulla resterebbe e il corpo si dissolverebbe nell'incorporeo e si genererebbe nuovamente o da punti o assolutamente dal nulla e questo come è possibile? Ma è chiaro, comunque, che si divide in grandezze separabili, sempre più piccole, distanziate e distinte una dall'altra. Né se si divide il corpo parte per parte la frammentazione sarà infinita, né sarà possibile dividere simultaneamente in ogni punto, non è infatti possibile, ma solo fino ad un certo punto. E' necessario dunque che esso contenga grandezze insecabili invisibili, soprattutto se la generazione e la corruzione avvengono l'una per associazione, l'altra per dissociazione50.

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Mau 1952-53, 12 aveva appunto rigettato per questo la paternità democritea di tutto il passo di De generatione et corruptione A 2; cf. anche Sinnige 1968, 147. Coloro che, invece, vedono nella prima parte del passo un resoconto "storico" delle tesi di Democrito spiegano questo argomento come un rimaneggiamento aristotelico di tesi democritee (Furley 1967, 90s.; Baldes 1972, 38; Sedley 2004). Joachim 1922, 84 ipotizzava addirittura che si trattasse in origine di una nota marginale di Aristotele stesso. Arist. De gen. et corr. A 2, 316b 21-27 to; me;n ou\n a{p an sw'ma ai[sqhto;n ei\nai diaireto;n kaq oJtiou'n shmei'on kai; ajdiaivreton oujde; n a[topon: to; me; n ga;r dunavmei, to; d ej nteleceivai

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La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

L'obiezione che Aristotele muove alla sua soluzione dell'aporia (la possibilità di distinguere fra divisione in atto e in potenza), si basa sui presupposti dell'argomentazione "dialettica", cioè sull'ipotesi che una divisione attuabile col pensiero equivalga ad una divisione reale; in questo caso la distinzione fra potenza e atto è nulla e si deve ammettere l'esistenza degli indivisibili. Anche questa di muovere obiezioni alla propria tesi è un tipico espediente dialettico, codificato nei Topici, il cui scopo è quello di rendere l'avversario meno diffidente51. Aristotele ribatte però a questa obiezione ritornando all'ambito concreto della fisica. In ossequio al principio secondo cui, trattando di fenomeni fisici, ci si deve attenere a quanto è realizzabile veramente e non a quanto si immagina, prospetta un altro scenario. Come riguardo all'infinito per accrescimento osservava che uno non è più grande di una città perché si immagina tale, così per quanto riguarda la divisione si richiama a quanto accade in realtà: e di fatto si osserva che, quando si divide, si ottengono delle grandezze sempre più piccole, ben distinte e separate (e non delle grandezze in cui non si arriva mai a isolare veramente una parte come veniva ipotizzato nell'argomentazione "logica" da Platone nel Parmenide e nel paradosso stesso di Zenone), non solo, ma, anche che, dividendo progressivamente parte per parte, non si può portare la frammentazione all'infinito né è possibile materialmente dividere la grandezza simultaneamente in ogni punto. Ed è questo argomento dell'impossibilità materiale che, nell'argomentazione fisica, porta a postulare delle grandezze indivisibili nei corpi. Aristotele prosegue poi a confutare sia l'argomento dialettico, sia quello fisico dimostrando che in ambedue si nasconde un paralogismo. Ambedue partono infatti dalla premessa che una grandezza sia costituita in ogni momento da un infinito numero di punti contigui, ma questo è falso perché il punto non è una sostanza, ma un limite e quindi non ha un'esistenza in atto. Non è possibile dunque dividere in due o più punti simultaneamente (ad esempio nel punto centrale della grandezza e in quello immediatamente successivo), o anche successivamente, ma solo in uno. La grandezza è infinitamente divisibile in quanto è divisibile in tutti i punti, ma ogni volta c'è su di essa

51

uJpavrxei. to; d ei\nai a{ma pavnthi diaireto;n dunavmei ajduv naton dovxeien a] n ei\nai. eij ga;r dunato; n, ka] n gevnoito, oujc w{ste ei\ nai a{ma a[mfw ej nteleceivai ajdiaivreton kai; dihirhmevnon, ajlla; dihirhmevnon kaq oJtiou'n shmei'on: oujde;n a[ra e[stai loipovn, kai; eij" ajswv mata ejfqarmev non to; sw'ma, kai; giv noito d a]n pavlin h[toi ejk stigmw'n h] oJlw" ejx oujdenov". kai; tou'to pw' " dunatovn… ajlla; mh; n o{ti ge diairei'tai eij " cwrista; kai; ajei; eij " ejl avttw megevqh kai; eij" ajpevconta kai; kecwrismevna fanerov n. ou[te dh; kata; mevro" diairou'nti ei[h a] n a[peiro" hJ qruvyi", ou[te a{ma oi|ovn te diaireqh' nai kata; pa'n shmei'on, ouj ga;r dunatovn, ajlla; mev cri tou: aj nav gkh a[ra ejnupavrcein a[toma megevqh ajovrata, a[llw" te kai; ei[per e[stai gev nesi" kai; fqora; hJ me; n diakrivs ei hJ de; sugkrivsei. Top. Q 1, 156b 18 dei' de; kai; aujtovn pote eJautw'i e[nstasin fevrein: ajnupovp tw" ga;r e[cousin oiJ ajpokrinovmenoi pro;" tou;" dokou' nta" dikaivw " ejpiceirei'n.

Capitolo quarto

185

un solo punto, non infiniti. Dunque non c'è bisogno di porre alla base della realtà delle grandezze indivisibili, anche perché la generazione e la dissoluzione non avvengono per composizione e scomposizione. Ritorniamo ora all'argomento "fisico". Se fosse democriteo, risulterebbe che gli atomi sono tali solo perché sono le parti più piccole a cui possa materialmente arrivare una divisione fisica, sono dunque degli ejlavcista52 del tutto simili ai corpuscoli delle teorie corpuscolari, cioè a quella segatura rigettata nell'argomento precedente. In Sesto gli Accademici-Pitagorici rimproverano agli atomisti e ai corpuscolaristi di essersi fermati nella scomposizione a corpuscoli indivisibili riconoscendo loro una prerogativa, l'eternità, che in realtà, in quanto corpi, essi non hanno. Infatti, anche se materialmente non si possono dividere, col pensiero sono ulteriormente scomponibili fino ai limiti ultimi. Aristotele rovescia invece la gerarchia dei "modelli" preferendo comunque quello "fisico", che bada alla realtà dei fatti, a quello "dialettico" che sposta l'argomentazione fuori della realtà fisica perché ha come scopo la ricerca dei principi universali. Ambedue sono però argomenti-tipo usati con varianti nelle dispute dialettiche. Democrito "sembrerebbe essere stato persuaso" dall'argomento fisico che in realtà non è suo, ma può essere dedotto leggendo i suoi testi nell'ottica degli indivisibili. La parte finale dell'argomentazione rivela infatti in certe piccole incongruenze che Aristotele ha sì in mente la formulazione generale della dottrina democritea, quella che egli espone nelle sue "schede" in altri punti della sua opera, ma che l'ha "adattata" alla problematica degli indivisibili. In particolare saltano agli occhi la menzione di grandezze "invisibili", che non ha nulla a che fare col problema della divisibilità, e l'affermazione che la generazione e la corruzione si verificano per composizione e, rispettivamente, per separazione. La stessa ridondanza è presente nella presunta risposta di Leucippo agli Eleati in A 8 dove, alla dichiarazione che l'essere propriamente detto non è uno, ma infiniti, segue inopinatamente (325a 30) kai; ajovrata dia; smikrovthta tw'n o[gkwn, che nulla a a che fare con l'argomento. Questa è però ogni volta la "spia" dell'adattamento della solita "scheda" generale aristotelica sull'atomismo al problema in discussione, così come lo è l'allusione alla generazione e alla corruzione per composizione e disgregazione di particelle che si ritrova puntualmente anche nell'altro brano del De generatione et corruptione così come in tutti i brani in cui viene dato un sunto delle dottrine atomistiche53. Si tratta di quelle schede 52

53

Aristotele stesso critica più sotto nello stesso capitolo (326a 24-29) la tesi che l'indivisibilità sia da attribuire solo ai corpuscoli piccoli e non a quelli grandi. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279 b 12, 295,8-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejk touvtwn (scil. mikrw'n oujsiw'n) ou\n h[dh (D E, Diels: h[/dei A Heiberg) kaqavper ejk stoiceivwn genna'i kai; sugkriv nei (Diels: genna' n kai; sugkrivnein codd.) tou;" ojfqalmofanei'" kai; tou; "

186

La dimostrazione della necessità degli indivisibili (De gen. et corr. A 2)

che Aristotele nei Topici raccomanda di redigere per poter poi utilizzare al bisogno54. L'affermazione che la generazione e la dissoluzione avvengono per associazione e dissociazione era una enunciazione dogmatica che non aveva bisogno di dimostrazione perché era largamente condivisa. Né Empedocle né Anassagora hanno dato alcuna giustificazione di questo loro assunto. L'assunzione di minuscoli corpuscoli invisibili diversi dai corpi visibili (i quali sono esposti a cambiamento, malattia e dissoluzione) e dunque resistenti, compatti e non tagliati55 era perfettamente adatta a giustificare la persistenza dell'universo. Non c'era bisogno di una trattazione dialettica generale del problema dell'indivisibilità per questo. Aristotele ha costruito su questa semplice base di dottrina atomistica una argomentazione fisica da cui Democrito avrebbe potuto essere persuaso se avesse formulato la sua tesi partendo dalla problematica degli indivisibili viva fra gli Accademici e tesa alla soluzione delle presunte aporie eleatiche sulla divisibilità all'infinito. Se questo è vero, la dimostrazione dell'indivisibilità delle grandezze come è delineata in De generatione et corruptione A 2 scaturisce da una problematica accademica e aristotelica, non democritea. Dunque questo brano non ci dice nulla né su una ipotetica soluzione democritea dei paradossi zenoniani, né sul tipo di indivisibilità che Democrito attribuiva all'atomo, ma ci informa unicamente sui presupposti interpretativi di Aristotele e sul contesto in cui egli colloca e discute l'atomismo.

6. Sintesi Il logos sulla necessità degli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è stato considerato, come quello di A 8, una ulteriore prova del fatto che gli atomisti sarebbero partiti dall'aporia zenoniana della divisibilità all'infinito per formulare la loro dottrina degli indivisibili. In realtà Aristotele riproduce nel suo resoconto sulla necessità degli indivisibili due tipi di argoaijsqhtou;" o[gkou" ª...º ejpi; tosou'ton ou\n crov non sfw' n aujtw'n ajntevc esqai nomivzei kai; summevnein, e{w " ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" aj navgkh paragenomevnh diaseivshi kai; cwri;" auj ta; " diaspeivrhi. La dichiarazione che generazione e corruzione non sono altro

che composizione e scomposizione di elementi già preesistenti è anche in Anassagora una enunciazione dogmatica, cf. Anaxag. 59 B 17 DK to; de; givnesqai kai; ajpovllusqai oujk

54 55

ojrqw'" nomivzousin oiJ ”Ellhne": oujde; n ga;r crh'ma givnetai oujde; ajpovllutai, ajllæ ajpo; ejovntwn crhmavtwn summivsgetaiv te kai; diakrivnetai. kai; ou{ tw" a]n ojrqw' " kaloi'en tov te givnesqai summivsgesqai kai; to; ajpovllusqai diakrivnesqai. Top. A 14, 105b 16-18. Sul significato dell'aggettivo a[tomo" al tempo di Democrito e sulle denominazioni originali

del corpuscolo democriteo, v. infra, V 3.

Capitolo quarto

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mentazione: una dialettica, che presuppone un'equivalenza fra pensabile e reale che egli, qui e altrove, designa come caratteristica peculiare degli Accademici, e una fisica, che "presta" a Democrito nella seconda parte del logos. Secondo l'argomentazione dialettica, la necessità di corpi e grandezze indivisibili è la conseguenza del fatto che, se non si arresta la divisione ad un certo punto, si rischia di dissolvere la realtà in punti e quindi nel nulla rendendone impossibile la ricomposizione. L'argomento della dissoluzione in punti presuppone il metodo di sottrazione accademico dal corpo, alla superficie, alla linea, al punto e l'equivalenza del punto al nulla sostenuta da Platone e Senocrate. Anche l'altro argomento alla base del logos sulla necessità degli indivisibili, quello della ulteriore divisibilità col pensiero di corpuscoli minuscoli non divisi nella realtà, ha le sue radici nell'Accademia come si può dedurre dalle argomentazioni dei Pitagorici-Accademici nel decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico esaminati nel secondo capitolo. Queste argomentazioni costituivano la base di partenza per formulare la dottrina dei principi, uno e diade indefinita, e per ordinare il reale: l'indivisibile nei corpi e nelle grandezze è il riflesso dell'uno che impone un ordine all'infinita molteplicità generata dalla diade. L'argomentazione "fisica" si basa invece, come altre argomentazioni aristoteliche dello stesso tipo, non su ciò che si può pensare avvenga, ma su ciò che si verifica effettivamente: non si può infatti dividere materialmente un corpo, né simultaneamente, né in successione, in tutti i punti, ma ci si deve arrestare necessariamente a corpuscoli indivisibili. Aristotele "presta" a Democrito quest'ultimo argomento traendo le sue conclusioni dalla solita "scheda" sull'atomismo che egli utilizza anche altrove. La spia di questo passaggio da quanto gli atomisti effettivamente dicono a quanto Aristotele deduce è la menzione di grandezze "invisibili" che, qui come altrove, non è funzionale all'argomento dell'indivisibilità. Il logos sugli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 è dunque una ricostruzione aristotelica di due modelli di argomentazione, dialettica e fisica, che si basa principalmente su problematiche accademiche, non democritee e non è utilizzabile per spiegare la genesi dell'atomismo antico e la concezione dell'atomo.

Capitolo quinto Atomi e minimi. Concetti accademici e terminologia democritea in Aristotele

1. Minimo privo di parti come misura nell'Accademia Nei capitoli precedenti si è delineato lo sfondo generale su cui Aristotele interpreta l'atomismo e cioè le discussioni accademiche delle aporie eleatiche che sfociano nella dottrina degli indivisibili e dei due principi, l'uno e la diade indefinita. Aristotele rielabora schemi dialettici e logoi correnti e inserisce in questi contesti la dottrina atomistica. L'interpretazione dell'atomo cui ci troviamo di fronte, soprattutto nei brani in cui viene discussa la problematica specifica degli indivisibili, è in generale influenzata dalle concezioni accademiche delle grandezze indivisibili e dei minimi (ejl avcista). E' quindi necessario tentare di inquadrare questa concezione per capire meglio le oscillazioni dei testi aristotelici nella rappresentazione dei corpuscoli leucippei e democritei che vengono ora definiti nei termini della problematica degli indivisibili, ora colti nella loro fisicità e sullo sfondo specifico della nascita, della disgregazione e del cambiamento del cosmo sensibile. Una teorizzazione dei minimi fisici come solidi geometrici primi gerarchicamente ordinati, costituiva il naturale sviluppo degli assunti del Timeo1. Platone, infatti, accenna ad una gerarchia delle figure che compongono i vari elementi: primo per genesi è il fuoco, seconda l'aria, terza l'acqua2 e inoltre, ad esclusione della terra che ha una posizione particolare, le

1 2

Così Krämer 1971, 354ss.; Furley 1967, 106. Ti. 56b-c e[stw dh; kata; to;n ojrqo;n lovgon kai; kata; to;n eijkovta to; me;n th'" puramivdo" stereo;n gegono;" ei\do" puro;" stoicei'on kai; spevrma. to; de; deuvteron kata; gev nesin ei[pwmen ajevro", to; de; trivton u{dato". pav nta ou\n dh; tau'ta dei' dianoei'sqai smikra; ou{tw", wJ " kaq e}n e{kaston me;n tou' gevnou" eJkavstou dia; smikrovthta oujde; n oJrwvmenon uJf hJmw' n, sunaqroisqevntwn de; pollw'n tou;" o[ gkou" aujtw' n oJr a'sqai.

Capitolo quinto

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figure dell'ottaedro dell'aria e dell'icosaedro dell'acqua costituiscono dei multipli del tetraedro ovverosia della piramide del fuoco3. Aristotele, nel terzo libro del De caelo raggruppa sotto una stessa voce due dottrine anonime che assumerebbero come elemento primo del mondo fisico il fuoco. Alcuni di loro, infatti, attribuiscono al fuoco una figura, come quelli che pongono la piramide, e, fra costoro, gli uni dicono più grossolanamente che la piramide è la più tagliente fra le figure geometriche, il fuoco è il più tagliente dei corpi, altri invece adducono in maniera più raffinata a sostegno della loro tesi l'argomentazione che tutti i corpi sono composti da quello più sottile, le figure solide dalla piramide. Cosicché, siccome fra i corpi il fuoco è il più sottile, mentre fra le figure solide la piramide è quella composta di parti più piccole e la figura prima è quella del corpo primo, il fuoco sarebbe una piramide4.

Le due dottrine sono chiaramente accademiche. In particolare quella dei più raffinati risale probabilmente a Senocrate. E' lui infatti a separare l'ambito del corpo da quello del solido e a sostenere, come si vedrà più oltre che il minimo è l'elemento primo e la misura delle grandezze appartenenti allo stesso livello dell'essere. A Senocrate Stobeo attribuisce per ben due volte una concezione corpuscolare, generalmente contestata in quanto considerata risultato di confusioni. Nella sezione Sulla mescolanza egli riferisce che Empedocle e Senocrate componevano gli elementi da masse più piccole che sono minimi e come elementi di elementi5.

Pseudo-Plutarco riporta nel passo parallelo solo il nome di Empedocle, ma questo è semmai il risultato di una epitome6, non di una maggiore accuratezza. E non c'è neppure ragione di postulare una confusione del dossografo con Eraclide7, visto che Senocrate compare come sostenitore di minimi fisici anche nella sezione Sui minimi (v. infra). La testimonianza di Stobeo, per lo meno nelle sue linee generali, esprime invece concezioni 3 4

5

6

7

Cf. anche Krämer 1971, 358 n. 437. De cael. G 5, 304a 9-18 oiJ me;n ga;r aujtw'n sch'ma periavptousi tw'i puriv, kaqavp er oiJ th;n puramivda poiou' nte", kai; touvtwn oiJ me; n aJploustevrw" levgonte" o{ti tw' n me; n schmavtwn tmhtikwvtaton hJ puramiv", tw'n de; swmavtwn to; pu'r, oiJ de; komyotevrw" tw'i lovgwi prosavgonte" o{ti ta; me; n swvmata pav nta suv gkeitai ejk tou' leptomerestavtou, ta; de; schvmata ta; sterea; ej k tw'n puramivdwn, w{st ejp ei; tw'n me; n swmavtwn to; pu'r leptovtaton, tw'n de; schmavtwn hJ purami;" mikromerevstaton kai; prw'ton, to; de; prw'ton sch'ma tou' prwvtou swvmato", purami;" a]n ei[h to; pu'r. Stob. 1,17,1 (Xenocr. Fr. 151 IP) Empedoklh'" kai; Xenokravth" ejk mikrotevrwn o[gkwn ta; stoicei'a sugkriv nei, a{per ejsti; n ejl avcista kai; oiJonei; stoicei'a stoiceivwn. Anche per quanto riguarda la prima dovxa di questa sezione, Stobeo ha "Talete e i suoi

successori" mentre Pseudo-Plutarco abbrevia in "gli antichi". Inoltre, anche nella sezione "Sui minimi" (1,13, 883 B), quest'ultimo omette sia Senocrate e Diodoro che Eraclide che compaiono invece in Stobeo 1,14,1k. Cf. Isnardi-Parente 1982, 374s.

190

Atomi e minimi

simili a quelle del passo del De caelo: il fuoco, l'acqua, l'aria e la terra, possono scomporsi a loro volta in particelle "elementi di elementi". Quest'ultima definizione è profondamente influenzata dal Timeo platonico. Platone rimprovera ai suoi predecessori proprio di non essersi occupati della genesi dei quattro elementi e di averli posti come tali quando non sono da paragonarsi neppure a sillabe8. Nel De generatione et corruptione Aristotele riferisce, con una terminologia apertamente platonica, che, in quanto ad Empedocle non risulta con chiarezza come si generi e si distrugga la loro (scil. degli elementi) grandezza ammassata, né gli è possibile dare spiegazioni in merito dal momento che egli non dice che c'è un elemento del fuoco e ugualmente di tutti gli altri come ha scritto Platone nel Timeo 9.

Si tratta di un'interpretazione di Empedocle diametralmente opposta a quella corpuscolare riferita da Stobeo e da Aristotele stesso poco prima e in altri passi10, ma che utilizza gli stessi concetti di base del Timeo per ribadire la necessità di porre "elementi di elementi". L'assunzione di minimi fisici come "elementi di elementi" è dunque perfettamente coerente con l'insegnamento platonico. Nel brano di Sesto Empirico esaminato nel secondo capitolo, gli Accademici-Pitagorici accettano che la scomposizione effettiva del mondo fisico possa fermarsi ai corpuscoli, ma proseguono poi a scomporre "mentalmente" fino ai fondamenti di tali corpuscoli, gli elementi degli elementi appunto11. Se dunque il corpuscolo primo del mondo fisico è il fuoco, il suo corrispettivo a livello matematico, quello che "ordina" la massa corporea, sarà la piramide, la prima delle figure solide e "elemento dell'elemento fuoco". Nella sezione Sui minimi, dopo Empedocle ed Eraclito, e prima di Eraclide e ben distinto da lui, Stobeo cita ancora Senocrate come sostenitore di una dottrina corpuscolare che pone dei minimi fisici privi di parti. Senocrate e Diodoro definivano privi di parti i minimi12. 8 9

10

11 12

Pl. Ti. 48b. Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 22-25 aujtw'n de; touvtwn pw'" givnetai kai; fqeivretai to; swreuovmenon mev geqo", ou[te dh'lon ou[ te ejndevcetai levgein aujtw'i mh; levgonti kai; tou' puro;" ei\nai stoicei'on, oJmoivw" de; kai; tw'n a[llwn aJpav ntwn, w{sper ejn tw'i Timaivwi gevgrafe Plavtwn. De gen. et corr. A 8, 325b 5-11 (supra, III 4 n. 93) dove ad Empedocle vengono affiancati

"alcuni altri che sostengono che le affezioni si producono attraverso i pori", probabilmente Eraclide Pontico; cf. anche De cael. G 6, 305a 1-6, (supra, II 4. 2 n. 56) e Gemelli Marciano 1991a. Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256 (v. supra, II 4 n. 38). Stob. 1,14,1k (Xenocr. Fr. 148 IP) Xenokravth" kai; Diovdwro" ajmerh' ta; ejlavcista wJrivzonto. Secondo Krämer 1971, 313s. n. 290, Senocrate sarebbe menzionato prima di Diodoro in quanto cronologicamente precedente. Il termine ajmerev" sottintende infatti la problema-

Capitolo quinto

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Che cosa si intenda per privi di parti, verrà specificato in seguito. Per ora è importante rilevare che, siccome il paragrafo riguarda esclusivamente autori cui viene attribuita l'assunzione di minimi fisici, si deve dedurre che tali siano anche quelli di Senocrate. Ora, queste testimonianze dossografiche corrispondono ad alcuni tratti della dottrina di Senocrate descritti nel trattato peripatetico Sulle linee indivisibili, a tutt'oggi una delle testimonianze principali sull'Accademico. Nel trattato, al di là dei possibili fraintendimenti da parte dell'autore dell'opera, viene attribuito a Senocrate un preciso apparato teorico che subordina la fisica alla logica e giustifica l'assunzione di grandezze minime ad ogni livello dell'essere (corpi, solidi, superfici, linee) ciascuna come riflesso dell'uno e misura del suo ambito e, in quanto tale, priva di parti. In pratica, secondo questa concezione, la piramide prima, il solido più piccolo, in quanto "misura" degli altri solidi, non potrebbe essere scomponibile in altre parti tridimensionali più piccole altrimenti non sarebbe più misura (lo è invece nelle componenti che appartengono al livello successivo dell'essere, quello delle superfici13). Nel De lineis il concetto di ejlavciston viene definito in linea generale in base all'opposizione molto-grande/ poco-piccolo (quantità e grandezze sono poste sullo stesso piano in quanto anche queste ultime sono caratterizzate da un certo numero di divisioni e sono quindi quantificabili) che viene a sua volta configurata come opposizione infinito/ finito: se ciò che ha divisioni quasi infinite è molto, il piccolo e il poco avranno divisioni limitate. Per ogni "poco" (ojlivgon) viene quindi ipotizzato un minimo (ejlavciston) che, in quanto unità di misura, per definizione, deve essere privo di parti: se in tutto c'è il poco e il piccolo, ci sarà anche una grandezza minima priva di parti14. In questo contesto tuttavia ogni ajmerev" non è indivisibile in assoluto, ma solo in quanto misura, riflesso dell'uno che "ordina" lo spazio e la materia sensibile. L'unico indivisibile vero è la linea, l'elemento ultimo dell'ordinamento spaziale. Questa teoria costituisce un

13 14

tica parte-tutto tipica della dottrina senocratea. Se fosse stato Diodoro a coniare il termine per il corpo minimo, come sostiene Dionisio (ap. Eus. Praep. ev. 14,23), Aristotele avrebbe dovuto dipendere da lui nella trattazione del moto, e non viceversa. Sulla dipendenza di Diodoro da Aristotele, cf. Giannantoni 1980, 131s. La datazione di Diodoro è assai controversa (cf. Sedley 1977, 78-81; Furley 1967, 131ss.; Giannantoni 1990, III, 69ss.), ma sia i sostenitori di una cronologia più alta che quelli di una più bassa lo collocano dopo Senocrate. Cf. Krämer 1971, 345-47. De lin. insec. 968a 2-9 (Xenocr. Fr. 127 IP) eij ga;r oJmoivw" uJpavrcei tov te polu; kai; to; mevga kai; ta; aj ntikeivmena touvtoi", tov te ojlivgon kai; to; mikrovn, to; dæ ajpeivrou" scedo;n diairevsei" e[con oujk e[stin ojlivgon ajlla; poluv, fanero; n o{ti peperasmev na" e{xei ta;" diairevsei" to; ojlivgon kai; to; mikrovn: eij de; peperasmev nai aiJ diairevs ei", aj navgkh ti ei\nai aj mere; " mevgeqo", w{ste ejn a{p asin ej nupavrxei ti ajmerev", ejpeivper kai; to; ojlivgon kai; to; mikrovn. Per

la discussione sui problemi posti dal passo, cf. Hirsch 1953, 68-71; Krämer 1971, 338 n. 362 e 338-40 per l'origine accademica dei concetti impiegati e i rimandi a passi paralleli.

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Atomi e minimi

naturale sviluppo degli assunti del Parmenide: infatti nella molteplicità senza l'uno che vi è rappresentata la distinzione delle parti di una massa corporea non finisce mai proprio perché manca l'"unità" che la ordina. Al di là dei dubbi sollevati sull'obiettività dell'esposizione generale del peripatetico, tutti sono concordi sul fatto che i punti succitati riflettono una dottrina senocratea. Si possono quindi ricavare da questo due considerazioni: 1. Senocrate dava una definizione generale del concetto di minimo come elemento ultimo di una divisione finita ad ogni livello dell'essere. 2. Questo minimo, nel suo carattere di misura, era necessariamente un ajmerev" (se avesse avuto parti non avrebbe più potuto essere misura). Ciò valeva anche nell'ambito del corporeo come informa il terzo argomento del De lineis: si tratta infatti non di un corpo considerato in se stesso, ma nel suo carattere di unità di misura prima che "ordina" gli altri corpi15. La definizione di minimo privo di parti è dunque la risultante di un ragionamento logico-dialettico che tende a stabilire dei limiti all'infinito ordinando la realtà sul modello numerico16 e non ha molto in comune con la definizione adottata generalmente dagli interpreti moderni che intendono privo di parti in senso assoluto. Priva di parti in questo senso è solo la linea, misura ultima della spazialità. Gli altri minimi, il triangolo, il tetraedro e il corpuscolo fisico, sono relativamente privi di parti in quanto unità di misura del corrispettivo livello dell'essere17. L'attendibilità dell'autore del De lineis su questo punto è stata variamente valutata18, ma il fonda15

De lin. insec. 968a 16-18 (Xenocr. Fr. 127 IP) e[ti eij swvmatov" ejsti stoicei'a, tw'n de; stoiceivwn mhde;n provteron, ta; de; mevrh tou' o{lou provtera, ajdiaivreton a] n ei[h to; pu'r kai; o{lw" tw'n tou' swvmato" stoiceivw n e{kaston, w{st ouj movnon ej n toi'" nohtoi'", aj lla; kai; ej n toi'" aijsqhtoi'" ejstiv ti ajmerev ".

16

Cf. in particolare Krämer 1971, 360s.; Isnardi-Parente 1982, 158s. Questa distinzione fra un un ajmerev" relativo, il corpo, e un ajmerev" assoluto che può esistere solo nell'incorporeo, si ritrova costantemente nella tradizione tarda, cf. Plut. Quaest. plat. 1002 C kai; mh;n ajmerev" ge levgetai kai; ajmevriston to; me;n sw'ma mikrovthti, to; dæ

17

ajswvmaton kai; nohto;n wJ " aJplou' n kai; eijlikrine; " kai; kaqaro; n aJp avsh" eJterovthto" kai; diafora'". De an. procr. 1022 E hJ me; n ou\ n ajmevristo" oujsiv a kai; aj ei; kata; taujta; kai; wJsauvtw" e[ cousa mh; mikrovthti, kaqavper ta; ejlavcista tw'n swmavtwn, noeivsqw feuvgousa to;n merismovn. 18

Hirsch 1953, 75-77, mette in rilievo come la dottrina della priorità della parte rispetto al tutto esposta nel secondo argomento, stia alla base anche del terzo e come esso rispecchi effettivamente una concezione senocratea. Furley 1967, 106, sottolinea come non ci sia contraddizione nell'assunzione di diversi indivisibili nei diversi gradi delle grandezze se li si considera ognuno come "misura" del proprio ambito; Krämer 1971, 346s., ritiene essenzialmente valida l'attribuzione del peripatetico in quanto si basa su concetti tipicamente senocratei come la priorità della parte rispetto al tutto e, come Furley, sottolinea il loro carattere di misura, riflesso dell'uno (cf. anche 360ss.). Isnardi-Parente 1982, 362 non accetta l'esattezza della applicazione dell'indivisibilità ai corpi fisici in quanto, in base alla dottrina del Timeo, su cui Senocrate si appoggiava, i corpi elementari si dissolvono nei corpi geometrici. Il peripatetico avrebbe interpretato l'assunzione di minuscoli corpuscoli geometrici primi come una teoria fisica corpuscolare. Tuttavia nel resoconto di Sesto Empirico (Adv.

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mento logico-dialettico su cui è basata l'assunzione di indivisibili nei vari ambiti (priorità della parte rispetto al tutto19 e modello numerico che informa la realtà) è una concezione originale senocratea. Il minimo fisico è quindi quel corpuscolo elementare cui si riferisce l'autore del De lineis, che compare anche in De cael. G 5, 304a 9-18 (v. supra, n. 4) e che viene espressamente citato dalla notizia dossografica di Stobeo. Esso è privo di parti in quanto considerato nel suo aspetto di parte/ misura prima rispetto ad un tutto, vale a dire nel suo carattere di riflesso dell'uno principiante. L'autore del De lineis separa inoltre l'ambito del nohtovn, da quello dell'aijsqhtovn, nel quale rientra appunto la menzione dei corpuscoli elementari. La dottrina riportata come senocratea nel commento al De anima di Temistio, insiste proprio sul carattere aleatorio delle unità del mondo sensibile contro la vera unità presente solo nell'incorporeo20. La definizione di minimo fisico come privo di parti relativo contrapposta ad un ajmerev" assoluto presente solo negli incorporei, rientrava probabilmente nell'ambito delle distinzioni tese a porre una barriera fra incorporei intellegibili e corpi sensibili. Sulla falsariga della concezione del minimo fisico come privo di parti relativo, ma non tale per natura venivano evidentemente interpretate e anche criticate le dottrine presocratiche che ponevano come principi dei corpi; oltre quelle di Empedocle, probabilmente anche Anassagora, Leucippo, Democrito, quegli autori cui allude il brano Sesto esaminato nel secondo capitolo. Tutti, secondo l'interpretatio academica, avevano posto come sostanze eterne dei corpuscoli minimi che invece, per natura, non lo erano. Nelle loro teorie mancava infatti quell'apparato concettuale (la sottrazione fino ai principi primi e la distinzione fra parte e tutto) che invece caratterizza la definizione dei minimi accademici21.

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20 21

Math. 10,255ss.), i cosiddetti Pitagorici, cioè Senocrate, separano il solido dal corpo ponendoli su due livelli diversi, intellegibile e sensibile, e sembrano accettare, insieme con gli atomisti e i corpuscolaristi, che i corpuscoli fisici possano essere eterni (supra, II 4; 4. 1 e 2). Questo non impedisce loro di proporre una ulteriore scomposizione mentale dei corpi fisici negli enti matematici. Dunque non c'è contraddizione fra una eventuale indivisibilità dei corpuscoli elementari e una loro scomposizione kat ejpivnoian negli elementi incorporei che ne costituiscono il fondamento. La priorità della parte rispetto al tutto è uno dei tratti caratteristici della dottrina di Senocrate, cf. Pines 1961, 1-34; Krämer 1971, 342-344; Isnardi-Parente 1982, 350-53. Themist. De an. 404 b 20, 11,20 (Xenocr. Fr. 260 IP), supra, II 4. 2 n. 71. Sext. Emp. Adv. Math. 10,252-256, supra, II 4 n. 38 e 4. 1.

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Atomi e minimi

2. Atomi e minimi. L'interpretazione matematizzante dell'atomo in Aristotele Aristotele non riferisce mai esplicitamente il termine ejl avciston, nella sua accezione di elemento minimo risultante da una divisione finita, all'atomo di Leucippo e Democrito. Il termine compare invece per lo più in contesti generici, senza precise attribuzioni e soprattutto come definizione corrente. Aristotele lo utilizza generalmente nell'ambito della critica a quelle teorie che ammettono una composizione e scomposizione di particelle nella costituzione e nella mescolanza dei corpi. In alcune di esse è compreso anche l'atomo, ma Aristotele, quando prende in considerazione separatamente la dottrina gli atomisti, non lo designa mai specificamente come tale. Egli parla di ejl avcista sia nel De generatione et corruptione che nel De sensu criticando il concetto di mescolanza come giustapposizione di particelle: dal momento che i corpi sono divisibili all'infinito, la mescolanza non è una composizione di ejlavcista posti l'uno accanto all'altro e impercettibili22. Non vengono fatti nomi specifici, ma sembra siano attaccati congiuntamente l'atomismo e il presunto corpuscolarismo di Empedocle e di Anassagora23. Da un brano del primo libro del De caelo in cui, come ha abbondantemente documentato Krämer, gli obiettivi della critica sono principalmente gli Accademici, in particolare Senocrate24, si può tuttavia 22

De gen. et corr. A 10, 327b 33ss. o{tan ga;r ou{tw" eij" mikra; diaireqh'i ta; mignuvmena kai; teqh'i par a[llhla tou'ton to; n trovpon w{s te mh; dh'lon e{kaston ei\nai th' i aijsqhvsei, tovte mevmiktai h] ou[, ajll e[stin w{ste oJtiou'n par oJtiou' n ei\nai movrion tw'n micqevntwn… ª...º ejpei; d oujk e[stin eij" tajl avcista diaireqh'nai, ãoujde;Ã suv nqesi" taujto; kai; miv xi" ajll e{teron, dh'lon wJ" ou[te kata; mikra; swzovmena dei' ta; mignuvmena favnai memivcqai. De sens. 3, 440a 31-440b 4 eij d ejsti; mivxi" tw'n swmavtwn mh; movnon to;n trovpon tou'ton o{nper oi[ontaiv tine", par a[llhla tw'n ejlacivstwn tiqemevnwn, ajdhvlwn d hJmi'n dia; th; n ai[sqhsin, ajll o{lw" pavnthi pav ntw" w{sper ejn toi'" peri; mivxew" ei[rhtai kaqovlou peri; pav ntwn...

23

Per possibili allusioni all'atomismo, v. infra nel testo e n. 34. Per quanto riguarda la critica a teorie corpuscolari, cf. De gen. et corr. B 7, 334a 26-30 ejkeivnoi" te ga;r toi'" levgousin wJ"

24

Empedoklh'" tiv" e[ stai trovpo"… aj nav gkh ga;r suv nqesin ei\nai kaqavp er ejx plivnqwn kai; livqwn toi'co": kai; to; mi'gma de; tou'to ejk swzomev nwn me;n e[stai tw'n stoiceivwn, kata; mikra; de; par a[llhla sugkeimev nwn. Phys. A 4, 187a 36-187b 2 (riferito ad Anassagora) to; loipo;n h[dh sumbaiv nein ej x ajnav gkh" ej novmisan ejx o[ntwn me; n kai; ej nuparcovntwn givnesqai, dia; mikrovthta de; tw'n o[gkwn ej x aj naisqhvtwn hJmi'n. diov fasi pa'n ej n panti; memi'c qai diovti pa'n ejk panto; " eJwvrwn gignovmenon. Krämer 1971, 266 n. 123 fa notare come in De Cael. G 1, 299a 2ss. la stessa accusa di scuotere i principi della matematica sia rivolta contro gli Accademici e in Metaph. N 3,

1090b 28 contro i sostenitori delle idee-numero. Se è vero che in un altro passo del De caelo (G 4, 303a 20-23, v. infra, n. 31) anche gli atomisti antichi vengono accusati di aver sconvolto i principi della matematica, osserva ancora Krämer, lo sono in quanto assimilati agli Accademici come assertori di grandezze indivisibili. Questo loro coinvolgimento in una più generale confutazione degli indivisibili diretta soprattutto contro le dottrine accademi-

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dedurre che Aristotele vede nell'ejlavciston soprattutto un concetto accademico, la grandezza minima indivisibile che scuote i principi della matematica25. Proprio nell'ambito degli attacchi a Senocrate sono più frequenti anche le allusioni al corpuscolo democriteo interpretato come ejlavciston. Quest'ultimo costituisce per Aristotele il corrispettivo della monade/ parte/ misura di Senocrate. In Metaph. M 8, 1084b 27ss., egli instaura una esplicita relazione fra coloro che costruiscono la realtà dal "minimo" e gli Accademici. Questi ultimi avrebbero posto la monade come 'materia' del numero, quelli il minimo come elemento costitutivo degli esseri. Il difetto degli Accademici è però quello di aver assunto contemporaneamente due tipi di unità, ambedue in qualche modo prime: la monade costitutiva del numero ideale e il numero ideale stesso (la diade, la triade, la tetrade). In realtà Senocrate distingue fra questi due tipi di unità (l'una è la parte, l'altra è il tutto) e le pone a due differenti livelli: le unità che costituiscono il triangolo in sé, indivisibile, non sono a loro volta triangoli, ma linee, che, avendo una sola dimensione, non appartengono più allo stesso ambito, cioè alle superfici. Il triangolo in sé è dunque nel contempo indivisibile, in quanto unità di misura delle superfici, e scomponibile, ma in unità che appartengono ad un altro livello (la linea). Lo stesso vale per i numeri ideali: la triade è una unità in quanto elemento ultimo del suo ambito, molteplicità in quanto può essere scomposta in monadi appartenenti però ad un livello superiore. Aristotele tuttavia non fa cenno a questa distinzione e rimprovera ai sostenitori delle idee-numero di aver sbagliato rispetto a coloro che avrebbero posto dei minimi poiché questi ultimi non considerano il corpo composto di corpuscoli una vera unità, gli Accademici ritengono invece anche il composto una unità a tutti gli effetti. Aristotele non fa alcun riferimento specifico, ma instaura un'analogia fra le monadi componenti dell'idea-numero e i minimi posti da "alcuni" a fondamento della realtà. I commentatori antichi vedono in questo brano un'allusione a Democrito e Leucippo26. L'attribuzione può essere il riflesso di una tradizione che dirotta sugli atomisti antichi ogni accenno all' ejlavciston, ma potrebbe anche corrispondere in questo caso all'intenzione di Aristotele. Egli potrebbe infatti essersi servito a fini critici di una inter-

25

26

che è sottolineato dal rinvio ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. Il fatto che Simpl. In De cael. ad loc. 202,27-31 individui in Democrito o chiunque altro sostenga grandezze minime l'obiettivo dell'attacco è semplicemente il riflesso di quella tradizione neoplatonica di difesa degli Accademici che dirotta il più possibile su Democrito le critiche aristoteliche contro le grandezze indivisibili. Su questo, v. infra, VI 3. 4. De cael. A 5, 271b 9-11 oi|on ei[ ti" ejl avciston ei\naiv ti faivh mevgeqo": ou|to" ga;r toujl avciston eijsagagw;n ta; mev gist a]n kinhvs eie tw' n maqhmatikw'n. [Alex.] In Metaph. 1084 b 23, 775,28; Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152,20; Simpl. In De cael. 271b 2, 202,27. Themist. In De cael. 271b 4-19, 22,16-19 mantiene invece la genericità del riferimento aristotelico (Si quis minimam aliquam esse dicat magnitudinem indivisibilem...).

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Atomi e minimi

pretazione degli atomisti come sostenitori di minimi fisici proprio per mostrare agli avversari che le loro teorie non erano migliori di quelle che essi criticavano. Un parallelo si ritrova infatti in Metaph. Z 13 dove i sostenitori dell'idea-numero risultano perdenti nel confronto con Democrito: Perciò, se la sostanza è una, non sarà composta da sostanze che in essa si trovano ed è giusto il modo in cui si esprime Democrito: infatti dice che è impossibile che dal due derivi l'uno o dall'uno il due; egli, infatti, pone come sostanze le grandezze indivisibili. E' chiaro perciò che allo stesso modo staranno le cose in relazione al numero, se il numero, come dicono alcuni, è una composizione di monadi; infatti o la diade non è un uno o non c'è alcuna monade in atto al suo interno27.

Il confronto con la diade accademica e l'ironica allusione all'aporia del Fedone sulla causa della genesi del due (96e-97b), condizionano anche la formulazione della dottrina di Democrito in questo passo: la molteplicità da cui non può derivare una unità citata altrove, diventa qui unicamente il due28. L'obiettivo di Aristotele è infatti quello di dimostrare che gli Accademici non solo utilizzano gli stessi concetti di coloro che essi criticano, ma cadono in contraddizioni che quelli hanno evitato. Alla stessa matrice critica nei confronti dell'atomismo senocrateo è da riportarsi la strana assimilazione di atomi democritei (non denominati espressamente ejl avcista, ma considerati in ogni caso come oggetti matematici) e monadi di Senocrate che emerge in un passo del De anima sulla teoria dell'anima come numero che muove se stesso. Le sferette dell'anima di Democrito sono considerate equivalenti a monadi in quanto, in relazione a questa tesi, non sarebbero rilevanti le loro diverse dimensioni, ma il fatto che siano una quantità29. Le due dottrine così assimilate soggiacciono alle stesse obiezioni. L'obiettivo polemico principale è tuttavia proprio Senocrate e non Democrito30 in quanto Aristotele discute in particolare la definizione senocratea dell'anima come numero che muove se stesso (cf. A 4, 408b 32).

27

Metaph. Z 13, 1039a 7-14 (68 A 42 DK; 46, 211 L.) w{st eij hJ oujsiva e{n, oujk e[stai ejx oujsiw'n ejnuparcousw' n kai; kata; tou'ton to; n trovpon, o} n lev gei Dhmovkrito" ojrqw'": ajduv naton ga;r ei\naiv fhsin ejk duvo e} n h] ejx eJ no;" duvo genevsqai: ta; ga;r megev qh ta; a[toma ta; " oujsiva" poiei'. oJmoivw" toivnun dh'lon o{ti kai; ejp ajriqmou' e{xei, ei[per ejsti;n oJ ajriqmo;" suvnqesi" monavdwn, w{sper lev getai uJpov tinwn: h] ga;r oujc e} n hJ dua;" h] ouj k e[sti mona;" ej n aujth'i ejnteleceivai.

28 29

Su questi passi, v. supra, III 4. 3 e n. 152. De an. A 4, 409a 10-15 (117 L.) dovxeie d a]n oujqe;n diafevrein monavd a" levgein h] swmavtia mikrav: kai; ga;r ejk tw' n Dhmokrivtou sfairivwn ej a;n gev nwntai stigmaiv, mov non de; mevnhi to; posovn, e[stai ti ejn aujtw'i to; me; n kinou' n to; de; kinouvmenon, wJsper ej n tw'i sunecei': ouj ga;r dia; to; megevq ei diafevr ein h] mikrovthti sumbaivnei to; lecqev n, ajll o{ti posov n.

30

Come invece sostiene Silvestre 1985, 77.

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Nei contesti in cui riporta il termine o il concetto di ejlavciston, Aristotele si riferisce dunque o ad una definizione generale di minimo applicata all'interpretazione di più dottrine presocratiche o, se allude specificamente a Democrito, lo fa nell'ambito di una polemica con Senocrate e con l'Accademia per dimostrare agli avversari che quei corpuscoli sono del tutto simili, se non superiori sul piano teorico, alle loro monadi. In quest'ultimo caso è Aristotele stesso a spingere nella direzione matematizzante la concezione dell'atomo per farla aderire il più possibile alla monade accademica. C'è poi un altro tipo di contesto, complementare a questo, nel quale, per ragioni di economia, Aristotele sembra avvallare una interpretazione dell'atomo come minimo matematizzante. In questi casi egli si serve dell'assimilazione dell'atomo all'ejlavciston kai; ajmerev", minimo indivisibile e misura, per la ragione opposta, per poter sollevare cioè contro Democrito le stesse obiezioni da lui rivolte ai minimi di Senocrate e per non doversi quindi produrre in una critica specifica dell'atomismo antico. In questi casi egli rimanda puntualmente ai libri della Fisica, Sul tempo e sul movimento. In questo contesto rientra il rimprovero agli atomisti nel terzo libro del De caelo di andare contro i principi della matematica e di confutare molte opinioni comuni e molti fenomeni ponendo corpi indivisibili31. Aristotele utilizza qui strumentalmente un'interpretazione matematizzante dell'atomo democriteo che gli permette di cumulare un ulteriore motivo critico senza doverlo poi sviluppare specificamente. Il fatto che rimandi ai libri Sul tempo e sul movimento (rispettivamente il cap. 1 e 2 del sesto libro della Fisica) diretti in generale contro gli indivisibili, ma principalmente contro quelli accademici32, conferma che Aristotele economizza sulla discussione del problema più specifico unificando sotto un'unica voce teorie democritee e indivisibili accademici. Ancora in De sens. 6, dove non menziona espressamente alcun nome, allude agli indivisibili conoscibili solo col pensiero e privi di qualità sensibili che risulterebbero dalla divisione dei corpi come a dei corpi "matematici": talché necessariamente la sensazione deve essere divisibile all'infinito e ogni parte deve essere una grandezza sensibile; poiché è impossibile vedere il bianco senza vedere una quantità di colore bianco. Se infatti così non fosse, sarebbe possibile l'esistenza di un corpo privo di colore, di peso e di qualsiasi affezione del genere; talché un tal corpo non sarebbe per nulla sensibile, dal momento che i sensibili possiedono queste affezioni. Dunque il sensibile sarebbe composto di enti non

31

De cael. G 4, 303a 20-23 (67 A 15 DK; 109 L.) pro;" de; touvtoi" ajnavgkh mavcesqai tai'" maqhmatikai'" ejpisthvmai" a[toma swvmata levgonta", kai; polla; tw'n ejndovxwn kai; tw'n fainomev nwn kata; th;n ai[sqhsin aj nairei' n, peri; w| n ei[rhtai provteron ej n toi'" peri; crovnou kai; kinhvsew".

32

Cf. Krämer 1971, 265s.

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Atomi e minimi

sensibili. E' necessario invece che lo sia poiché non può essere certamente composto di enti matematici33.

Aristotele rimanda per la critica ancora agli stessi passi del sesto libro della Fisica dove vengono trattati specificamente gli indivisibili, ma non è chiaro se qui, nel De sensu, egli alluda solo all'atomismo accademico o anche all'atomismo democriteo interpretato in questa ottica34. Il tratto caratterizzante dei passi aristotelici in cui il corpuscolo democriteo viene considerato un ejlavciston indivisibile contrario ai principi della matematica è dunque il confronto con concetti e teorie accademiche. Questo rafforza il dubbio che nella dottrina originale l'atomo non comparisse in una problematica marcata da una visione matematizzante della realtà e dalla ricerca dei principi universali e che non fosse affatto una reazione al paradosso della divisibilità all'infinito. Giudicato però da quest'angolazione, il corpuscolo solido e compatto degli atomisti antichi era interpretabile come la particella ultima indivisibile risultato di una divisione finita e misura della realtà fisica, corrispondente in qualche modo al concetto accademico di ejl avciston kai; ajmerev". L'astrattezza di tipo matematico che caratterizza questa concezione urta però contro i tratti peculiari dei cosiddetti atomi di Leucippo e Democrito che non hanno un numero definito di forme tali da poter "misurare" e ordinare il sensibile e non possono a loro volta essere "misurati" da un'unica unità di misura35. Gli ejlavcista kai; ajmerh' prospettati nel De lineis sono infatti misure prime delle lunghezze, delle superfici, dei solidi e dei corpi elementari, e corrispondono ciascuno ad una unità nel loro ambito. L'interpretazione degli atomi di Leucippo e di Democrito sullo sfondo di problematiche e concetti ad essi estranei favoriva ovviamente le critiche, in particolare quella all'infinità e all'irregolarità delle forme che emerge occasionalmente in Aristotele e si intravvede dietro una osservazione marginale della Metafisica teofrastea, passi che verranno commentati qui di seguito. 33

34

35

De sens. 6, 445b 8-15 (110, 429 L.) w{st ajnavgkh thvn te ai[sqhsin eij" a[peira diairei'sqai kai; pa' n ei\nai mev geqo" aijsqhtovn: ajd uvnaton ga;r leuko; n me;n oJra' n, mh; poso;n dev. eij ga;r mh; ou{tw", ej ndevcoit a]n ei\ naiv ti sw'ma mhde; n e[con crw'ma mhde; bavro" mhd a[llo ti toiou'ton pavqo": w{st oujd aijsqhto;n o{lw", tau'ta ga;r ta; aijsqhtav. to; a[r aijsqhto;n e[stai sugkeivmenon oujk ejx aijsqhtw'n. ajll ajnagkai'on: ouj ga;r dh; e[ k ge tw' n maqhmatikw'n. De sens. 6, 445b 15-21 (110, 429 L.) e[ti tivni krinou'men tau'ta h] gnwsovmeqa… h] tw'i nw'i… ajll ouj nohtav, oujd e; noei' oJ nou' " ta; ejkto;" mh; met aijsqhvsew" o[ nta, a{ma d eij tau't e[cei ou{tw", e[oike marturei' n toi'" ta; a[toma poiou'si megevqh: ou{tw ga;r a] n luvoito oJ lovgo". ajll ajduv nata: ei[rhtai de; peri; aujtw' n ej n toi'" lovgoi" toi'" peri; kinhvsew".

Il problema è stato rilevato da Sinnige 1968, 152s. che proprio su queste basi rifiuta la caratterizzazione matematica che in più punti Aristotele attribuisce all'atomo degli atomisti antichi presentandolo come risultato della divisibilità all'infinito. Su questo problema si è appuntata in particolare anche l'attenzione della critica anglosassone, cf. Baldes 1972, 1; Konstan 1987, 6 n. 7; Furley 1987, 127ss.; Lewis 1990, 249ss.

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L'ultima parte di De caelo G 4, è, come giustamente osserva Krämer36, fondamentale per individuare dei residui di interpretazioni accademiche degli atomisti in Aristotele in quanto ripropone in sequenza tutti i punti qualificanti di quella esegesi dell'atomo ora delineata. Il passo si apre infatti con un breve resoconto sull'atomismo che si conclude inopinatamente con l'osservazione: in un certo modo anche costoro riducono tutte le cose esistenti a numeri e le fanno composte di numeri; e infatti, anche se non lo dichiarano apertamente, tuttavia vogliono dire proprio questo37.

Ora, questo contrasta con tutti gli altri giudizi aristotelici che vogliono l'atomismo antico distinto da quello platonico proprio per il fatto che pone a fondamento del reale dei corpi e non degli enti matematici, ma concorda con una visione matematizzante degli atomi considerati come unità tutte uguali alla stregua di quelle numeriche e, come tali, misure ultime della realtà38. Da questa interpretazione scaturisce la successiva critica alle forme infinite degli atomi: Ancora neppure secondo la loro teoria sembrerebbe che gli elementi fossero infiniti se i corpi differiscono per la figura e tutte le figure sono composte da piramidi, quelle rette da piramidi rette, la sfera da otto parti. Infatti necessariamente ci sono dei principi delle figure. Cosicché, sia che questi principi siano uno, sia che siano due o più, anche i corpi semplici saranno altrettanti per numero39.

Queste teorie della composizione degli elementi da piramidi sono state attribuite a diversi allievi di Platone40, ma la matrice accademica della critica non è mai stata messa in discussione. Le forme degli atomisti, che non hanno nulla a che fare con le figure matematiche, vengono interpretate e criticate alla luce della concezione accademica esposta da Aristotele stesso

36 37

Krämer 1971, 265. Arist. De cael. G 4, 303a 8-10 (67 A 15 DK; 109 L.) trovpon gavr tina kai; ou|toi pavnta ta; o[nta poiou'sin ajriqmou;" kai; ejx ajriqmw'n: kai; ga;r eij mh; safw'" dhlou' sin, o{mw" tou'to bouvlontai lev gein.

38

39

Questa è anche l'interpretazione fornita dai commentatori, cf. Themist. ad loc. 178,8-22; Simpl. ad loc. 610,3-7. Arist. De cael. G 4, 303a 29-303b 3 e[ti oujde; kata; th;n touvtwn uJpovlhyin dovxeien a]n a[peira givgnesqai ta; stoicei'a, ei[per ta; me; n swv mata diafevrei schv masi, ta; de; schvmata pav nta suvgkeitai ejk puramivdwn, ta; me; n eujq uvgramma ejx eujqugravmmwn, hJ de; sfai'ra ejx ojktw; morivwn. aj nav gkh ga;r ei\naiv tina" ajrca; " tw'n schmavtwn. w{ste ei[te miv a ei[te duvo ei[te pleivou", kai; ta; aJpla' swvmata tosau'ta e[s tai to; plh'qo".

40

Heinze 1892, 70 n. 1 e Cherniss 1962, 143 le hanno attribuite a Senocrate, Isnardi Parente 1982, 357s. a Speusippo, Furley 1967, 98 e Krämer 1971, 265 le hanno riportate ad un esempio di scuola corrente nell'Accademia. Assolutamente infondata è invece la tesi di Lur'e 1970 che, in accordo con la sua concezione di un Democrito matematico, le riferisce a quest'ultimo (Test. 130), pur ammettendone la "somiglianza" con quelle accademiche (450 ad loc.). La sua interpretazione è stata tuttavia ripresa anche da Baldes 1972, 2 e 10 n. 5.

200

Atomi e minimi

poco dopo41 secondo cui gli elementi sono costituiti ciascuno da una figura solida la prima delle quali è la piramide42. In questo capitolo Aristotele si serve dunque sia di argomenti accademici contro gli atomisti43, sia del modello di assimilazione di atomismo antico e accademico per criticare ambedue. Del resto anche in Teofrasto, che ci restituisce la versione più marcatamente fisica delle dottrine democritee e leucippee, sono individuabili, in un accenno dell'ultimo capitolo della Metafisica (11b 17-22), residui di una critica alle forme atomiche espressa dall'ottica matematizzante secondo cui gli indivisibili sono le unità di misura dei vari gradi dell'essere. Teofrasto, conclude il suo trattato dicendo che negli enti non esiste un ordine assoluto, né un finalismo assoluto, ma solo fino ad un certo punto. Su queste basi classifica una serie di enti in relazione al grado di ordine che essi possiedono: sembrerebbe che, fra i sensibili, possedessero il massimo ordine i corpi celesti, fra gli altri, se non sono addirittura precedenti a questi ultimi, gli oggetti matematici. Se anche infatti non tutto in questi è ordinato, almeno lo è la maggior parte di loro, a meno che non si prendano in considerazione forme quali quelle che Democrito attribuisce agli atomi44.

La sequenza teofrastea è ordinata in maniera dicotomica: da una parte gli aijsqhtav (nel cui ambito il massimo ordine è rapppresentato dai corpi celesti), dall'altra i maqhmatikav che fanno parte dei nohtav. Subordinatamente a quest'ultima voce Teofrasto cita specificamente le forme democritee. Qui non solo è presupposta la distinzione fra aijsqhtav e nohtav presente anche nelle argomentazioni dei "Pitagorici" di Sesto, ma anche il modello esegetico di De caelo G 4 che considera gli atomi alla stessa stregua degli oggetti matematici. L'accenno alle forme non va interpretato tanto come la possibilità dell'introduzione di un disordine reale in questi ultimi, quanto piuttosto come un caveat nei confronti di dottrine come quella di 41

G 4, 304a 14ss., v. supra, n. 4.

42

Temistio, nel commento al passo, mette proprio in rilievo questa incongruenza di giudicare le figure atomiche e di criticarle come se fossero delle figure matematiche, In De cael. 181,29-34 Perspicuum est autem et manifestum figuras regulatas esse finitas, quemadmodum sunt omnes figurae, quae equilaterae sunt ac aequis angulis constant, figurae autem irregulatae termino ac fine vacant. Itaque si isti dixerint individua ita se habere, quemadmodum etiam dicere solent, consentaneum non est, ut per hunc sermonem eis opponatur. Non si tratta quindi semplicemente di un uso arbitrario da parte di Aristotele della dottrina del Timeo per confutare Democrito (Cherniss 1935, 6s.), ma della ripresa di una critica corrente nell'Accademia basata sulla considerazione delle figure atomiche come solidi regolari. Il contesto stesso giustifica quest'uso. Theophr. Metaph. 11b 17-22 (175 L.) mavlista d a]n dovxeien e[cein thvn ge tavxin tw'n me;n

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44

aijsqhtw'n ta; oujrav nia, tw'n d a[llwn, eij mh; a[ra kai; provtera touvtwn, ta; maqhmatikav: eij ga;r kai; mh; pa' n ajll ej n touvtoi" plevon to; tetagmevnon. plh; n ei[ ti" toiauvta" lambav noi ta;" morfa;" oi{ a" Dhmovkrito" uJpotivqetai tw' n ajtovmwn.

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Democrito: le forme atomiche si situano sì al di fuori del sensibile, ma non possono essere paragonate agli oggetti matematici proprio per le loro forme irregolari. La distanza da questi ultimi è sottolineata dall'uso da parte di Teofrasto del termine morfaiv che designa l'aspetto, la foggia in generale, ma non le forme geometriche (schvmata). Questa equiparazione con, e nel contempo distinzione dagli oggetti matematici costituisce un caso singolare nell'esegesi teofrastea dell'atomismo antico e si giustifica col fatto che nella Metafisica Teofrasto presta maggiore attenzione alle tesi accademiche45. Proprio la trattazione delle forme e delle grandezze fa risaltare la diversa ottica con cui gli atomisti antichi affrontano il tema della generazione e della corruzione rispetto agli Accademici. Se i corpuscoli indistruttibili degli atomisti presentano variazioni infinite di forma e grandezza, significa che essi erano concepiti non come unità minime cui si arriva per divisione di corpi e grandezze omogenee, ma, al contrario, come corpuscoli indistruttibili ed eterni da cui si parte per comporre una varietà infinita di corpi: l'infinità delle forme è concepita a questo fine46 e forme particolari degli atomi, come quelle uncinate e ad amo hanno senso in un'ottica costruttivistica47 non in una prospettiva matematizzante che arriva ai minimi per divisione48. Aristotele faceva osservare nel De caelo che la differenza fra la fisica e la matematica sta nel fatto che l'una procede per addizione l'altra per sottrazione 49. Questa definizione si addice anche alla diversità di impostazione e di origine fra l'atomismo antico e quello accademico. Interpretare gli atomi come risultanti da una divisione in parti 45

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Gli ultimi editori della Metafisica teofrastea hanno visto in questo accenno alle forme democritee un problema che è forse risolvibile se correlato con il contesto interpretativo più ampio dell'atomismo in generale. Laks-Most 1993, 88, pur ammettendo che l'irregolarità delle forme atomiche spiegherebbe l'allusione ad un disordine negli enti matematici, ritengono inutile il plh;n eij in quanto gli atomi di Democrito non sono affatto forme geometriche. L'eccettuativa si giustifica però alla luce della critica di matrice accademica contro l'infinità e l'irregolarità delle forme che si ritrova anche in De caelo G 4. Cf. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,22) (68 A 38 DK; 318 L.) w{ste eujlovgw" ajpeivrwn oujsw' n tw'n ajrcw' n pav nta ta; pavqh kai; ta;" ouj siva" ajpodwvsein ejphggevllonto, uJf ou| tev ti givnetai kai; pw'".

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Cf. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,14-18) (68 A 37 DK; 227, 293 L.) tou' de; summev nein ta; " ouj siva" met ajllhvlwn mevcri tino; " aijtia'tai ta;" ejp allaga;" kai; ta;" ajntilhvyei" tw'n swmavtwn: ta; me; n ga;r aujtw' n ei\nai skalhnav , ta; de; ajgkistrwvdh, ta; de; koi'la, ta; de; kurtav, ta; de; a[lla" ajnarivqmou" e[conta diaforav ". Cf. Stob. 1,22,1 (67 A 23 DK; 386 L.) Leuvkippo" kai; Dhmovkrito" citw'na kuvklwi kai; uJmevna periteivnousi tw'i kovsmwi, dia; tw' n aj gkistroeidw'n ajtovmwn sumpeplegmev non. Cf. anche Diog. Laert. 9,31ss.

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(67 A 1 DK; 382 L.); Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,19-22) (68 A 38 DK; 318 L.); Id. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.). Non a caso le critiche all'indivisibilità dell'atomo nella tradizione tarda (v. infra, VI 3. 2. 1 e 3. 2. 2) si appuntano in particolare contro tali forme atomiche. Arist. De cael. G 1, 299a 17s.; cf. anche Metaph. K 3, 1061a 28-1061b 7.

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sempre più piccole di un corpo, significa infatti inserirli in una soluzione matematizzante del problema dell'infinita divisione che subordina il mondo fisico ai principi incorporei e alla definizione di essere e uno tipica dell'Accademia. Significa inoltre isolare il corpuscolo degli atomisti dalla sua caratteristica peculiare, il movimento, e soprattutto sradicarlo dal contesto socio-politico e culturale del tempo in cui è stato concepito. Un'astrazione in questo senso viene operata in certi contesti da Aristotele stesso. Se si guarda infatti ai tre termini che egli riporta come originali democritei e che designano le potenzialità generatrici del corpuscolo di Leucippo e Democrito, rJusmov", trophv, diaqighv, si può percepire chiaramente la distanza che separa una concezione del mondo di tipo componenziale e dinamico articolata su uno sfondo socio-politico da una di tipo afairetico e statico concepita in termini matematico-dialettici. Gli atomi sono rappresentati come esseri viventi che si muovono e si combinano in un contesto di lotte e di cambiamenti, gli ejl avcista kai; ajmerh' che invece emergono dai resoconti sugli indivisibili accademici hanno tutte le caratteristiche astratte delle unità matematiche e derivano da una scomposizione teorica della realtà fisica subordinata alla definizione di essere e di uno. Aristotele traduce dunque in una terminologia più adeguata ai problemi teorici dell'atomismo del suo tempo i termini originali democritei con il risultato di trasformare l'atomo da corpo in movimento ad entità spaziale astratta50, non solo, ma di privarlo di quelle connotazioni che riflettono una realtà socio-politica dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Così la denominazione sch'ma, per rJusmov", trasforma l'atomo in una figura statica e astratta alla stregua delle figure geometriche platoniche. ÔRusmov" veicola tuttavia un'immagine dinamica: il "ritmo" è il passo cadenzato della danza e della marcia51. I poeti arcaici lo usano poi per indicare una "disposizione" dell'essere umano in una sequenza mutevole o in una varietà di

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Sul tratto del movimento indissolubilmente legato alle denominazioni dell'atomo democriteo e sulla completa scomparsa di tale caratterizzazione nelle traduzioni aristoteliche, cf. von Fritz 1938, 25-29; Silvestre 1981, 40ss. sottolinea ulteriormente questo fatto, ma intravvede nel termine rJusmov" "la proporzione e il rapporto armonico esistente tra le misure fondamentali dell'atomo (che ha elencato prima in configurazione esteriore, altezza, larghezza, profondità ecc.)" o "il rapporto esistente tra la forma e la grandezza dell'atomo" (42). In questa definizione tuttavia viene tacitamente presupposto che l'atomo sia concepito come teoreticamente divisibile e che possieda dei minimi con i quali essere misurato, insomma che coincida con l'atomo epicureo. Se la misura non viene concepita inoltre nei termini di una misura di lunghezze come il minimo dell'atomo di Epicuro, riesce difficile immaginare come possa essere concretamente pensabile una misura di forme irregolari come quelle degli atomi democritei. Per una recente e approfondita analisi del termine, cf. ora Morel 1996, 54-59. Ar. Th. 956; Xen. An. 5,4,14; Cyr. 1,3,10; Pl. Leg. 670b.

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stati d'animo52. Anche nell'uso erodoteo, già molto vicino a quello democriteo, il termine compare in un contesto di cambiamento. Erodoto riporta l'origine delle lettere greche all'alfabeto fenicio: i Greci ne avrebbero col tempo cambiato il suono e la "foggia"53. Il titolo di un'opera democritea, che, per lingua e terminologia sembra essere originale, è: "Sulle cose che cambiano foggia" (Peri; ajmeiyirusmiw'n54). In altri testi contemporanei a Democrito rJusmov" significa la "foggia" particolare di un vestito o di qualche altro capo di abbigliamento che lo distingue da altri e ne caratterizza la provenienza geografica55. Dunque rJusmov" non è la figura geometrica di un atomo isolato e astratto, bensì l'aspetto caratteristico e distintivo di un corpuscolo in movimento in un contesto vario e mutevole o comunque di forma irregolare. Trophv rimanda anch'essa ad un cambiamento, in quanto indica la "giravolta" di un atomo in movimento ed è tratto sicuramente dal lessico militare56: trophv è infatti l'atto di volgersi in fuga di fronte al nemico57. Nel frammento aristotelico su Democrito aleggia in effetti l'immagine di una stavsi", di una "guerra civile", nella quale gli atomi si scontrano gli uni con gli altri: Queste essenze sono in lotta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causa della loro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate e, muovendosi, si scontrano e si avviluppano…

Alcuni atomi, nello scontro, si "volgono in fuga" di fronte ad altri; ecco dunque la trophv. Quello di Aristotele è un contesto cosmogonico, ma la 52

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Cf. e.g. Archil. Fr. 128,6s. West ajlla; cartoi'sivn te cai're kai; kakoi'sin ajscavla/ mh; livhn, givnwske dæ oi|o" rJusmo;" aj nqrwvpou" e[cei. Theogn. 1,963s. mhvpotæ ejp ainhvshi", pri; n a] n eijdh'i" a[ ndra safhnw'"/ ojrgh;n kai; rJuqmo;n kai; trovpon o{sti" a]n h\i. Hdt. 5,58,1 meta; de; crovnou probaivnonto" a{ma th'i fwnh'i metevballon kai; to;n rJuqmo;n tw'n grammavtwn. Come ha già ricordato il von Fritz 1938, 25s. una relazione diretta fra i due usi, erodoteo e democriteo, è comunque inverosimile. Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (V) L.). [Hippocr.] Art. 62 (II,214,2 Kühlewein = IV,268 Littré), per la foggia particolare delle calzature chiote. Cf. anche Eur. Her. 130 per la foggia "greca" del peplo. Non bisogna dimenticare che fra i titoli di Democrito compaiono anche un Taktiko;n e un ÔOplomacikovn. Queste opere sono state talvolta considerate spurie dalla critica moderna solo in seguito al pregiudizio che Democrito, da filosofo qual era, non avesse potuto scrivere anche opere tecniche di questo genere. In realtà Democrito non è un filosofo, ma un tipico polymathes dell'ultimo terzo del V sec. a.C. (come lo era del resto Ippia) il cui tratto caratterizzante è appunto quello di invadere anche il campo delle technai. Il sofista Dionisodoro che conosciamo anche da Platone tiene fra l'altro anche corsi di tattica militare (Xen. Mem. 3,1,1). Democrito esortava ad imparare la tevcnh polemikhv poiché era importantissima. Plut. Adv. Colot. 1126 A (68 B 157 DK; 728 L. w|n Dhmovkrito" me;n parainei' thvn te polemikh;n tevcnhn megivsthn ou\san ejkdidavskesqai...). La lezione politikhvn che si trova in Diels (e in Lur'e) è una correzione di Reiske della lezione dei manoscritti, cf. invece De Lacy 1967 ad loc. Hdt. 1,30; Thuc. 2,19; 6,69 al.; Aesch. Ag. 1237; Soph. Aj. 1275; [Eur.] Rhes. 82; Ar. Eq. 246.

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trophv è un fenomeno frequente anche all'interno dei composti nel mondo attuale tenuti insieme da una ajnavgkh più forte delle loro spinte centrifughe: in questo caso la "giravolta" non comporta una "fuga", ma determina semplicemente un assetto diverso del composto stesso: il corpo cambia, ad esempio, colore. Aristotele traduce il termine con qevsi" eliminando non solo l'aspetto dinamico e il carattere relazionale di questa "giravolta", ma soprattutto cancellando tutto il complesso di immagini e connotazioni socio-politiche evocate da questo termine e sradicandolo dal contesto in cui è stata concepito. Gli atomi in movimento dunque si scontrano: gli uni si 'volgono', gli altri invece, evidentemente quelli che hanno forme complementari, rimangono "impigliati" nella lotta e, volenti o nolenti, imprigionati nell'abbraccio adattandosi senza arrivare però mai ad una unione completa. Questo processo di reciproco contatto è definito diaqighv. Si tratta di un hapax, ma qiggavnw significa, oltre che "toccare", anche "abbracciare" e avere rapporti sessuali58. Il termine rimanda dunque all'immagine di una lotta che tuttavia, producendo dei "contatti" anche forzati, può trasformarsi in una forza generatrice. Anche la diaqighv determina l'apparenza dei composti: il contatto può essere più o meno stretto, riguardare superfici più o meno ampie e dare origine ad aggregati più o meno omogenei, più friabili o più compatti, come nel caso degli oggetti bianchi descritti da Teofrasto59. Aristotele traduce il termine con tavxi", l'ordine degli atomi in un composto, eliminandone il carattere di reciprocità, il dinamismo e soprattutto le connotazioni che stanno alla radice dell'immagine. I corpuscoli di Leucippo e Democrito sono concepiti sullo sfondo di una visione socio-politica della natura, dove singoli individui resistenti e indistruttibili, in continua fibrillazione, forniti di movimenti propri e spiccate tendenze all'autonomia, rimangono volenti o nolenti impigliati in aggregazioni aleatorie60. Era però inevitabile che, una volta inseriti in una visione matematizzante e astratta finalizzata al discorso sugli indivisibili e sui principi, questi corpuscoli assumessero quelle caratteristiche concettuali astratte che si incontrano in molti resoconti aristotelici e venissero interpretati come ejl avcista, corpuscoli minimi che, in qualità di riflessi dell'uno nel mondo fisico, lo misurano e lo ordinano e che, quanto non rientrava in queste categorie, fosse o modificato, o criticato, o espunto. Si tratta di una costante dei processi di assimilazione culturale alla quale la prassi scolastica imprime talvolta una accelerazione innaturale. 58

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"Abbracciare": Eur. Ph. 300. "Avere contatti sessuali": Eur. Hippol. 885, 1044; Soph. OC 329. Per altri termini dello stesso campo semantico usati nella dossografia democritea e probabilmente originali, cf. Decleva Caizzi 1984, 14s. De sens. 73 (68 A 135 DK; 484 L.). V. infra, VII. 3.

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3. Terminologia accademica nelle denominazioni degli atomi in Aristotele L'influsso della problematica accademica degli indivisibili è particolarmente marcato a livello terminologico quando Aristotele menziona i corpuscoli democritei nell'ambito del tema più generale delle grandezze indivisibili e prime, o li confronta con i triangoli platonici. Qui di seguito prenderò in esame i singoli termini tecnici con cui Aristotele designa l'atomo sottolineando, all'occasione, la differenza fra il contesto aristotelico e quello dell'uso del termine nel V sec. a.C., l'età in cui la dottrina atomistica è stata formulata. “Atoma. Il termine a[tomon è considerato generalmente originale democriteo e probabilmente è così. Senza voler negare il valore di tutta una tradizione che assegna a Leucippo e a Democrito come carattere distintivo proprio la denominazione "atomo", non ci si può tuttavia nascondere che le testimonianze, in particolare quella aristotelica, lasciano aperte delle questioni sul suo uso e sul suo reale significato, che devono comunque essere rilevate. Una famosa citazione democritea corrente in molti testi tardi recita: per convenzione dolce, per convenzione amaro, per convenzione caldo, per convenzione freddo, per convenzione colore, in realtà atomi e vuoto61.

Il termine compare qui al neutro e non permette particolari considerazioni sul suo significato originario. Della massima in questa forma non sembra essere rimasta traccia in Aristotele. Teofrasto vi allude in un passo del De sensu62 nel quale però parla di schvma e non di a[tomon. Plutarco, nella Contro Colote, ne riporta la parafrasi specificando che Democrito chiamava gli

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Cito la versione più ampia riportata da Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.) novmwi glukuv, novmwi pikrovn, nov mwi qermovn, novmwi yucrovn, novmwi croihv: ejteh'i de; a[toma kai; kenov n. Cf. anche Diog. Laert. 9,72 (68 B 117 DK; 51 L.). Altre versioni non

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menzionano il caldo e il freddo, cf. Gal. De elem. sec. Hipp. 2,9 (60,8 De Lacy = I,2,417 K.) (68 A 49 DK; 90, 185, 197 L.), cf. De med. empir. 15,7, 114 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.). Su queste varianti, cf. Gemelli Marciano 1998. La formulazione della seconda parte della citazione è invece costante in tutti gli autori. Ho dato qui di proposito una traduzione il più possibile neutra che lascia aperta la via per più di una interpretazione. Quella esistenziale ("per convenzione [è il] dolce… in realtà [ci sono solo] atomi e vuoto") risale all'Accademia scettica e viene ripresa dai neopirroniani, quella relativistica (per convenzione [qualcosa] è dolce… in realtà [è] atomi e vuoto) è riflessa in Galeno. La prima nega esistenza e valore alle qualità sensibili, l'altra invece ne sottolinea unicamente la relatività. Su questa massima e sulla sua trasmissione e interpretazione, cf. Gemelli Marciano 1998. De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.) aJplw'" de; to; me;n sch'ma kaqæ auJtov ejsti, to; de; gluku; kai; o{lw" to; aijsqhto;n pro;" a[llo kai; ejn a[lloi", w{ " fhsin.

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atomi ijdevai: "tutto è atomi, da lui chiamati forme, e nient'altro"63. Questi passi fanno balenare la possibilità che a[toma, nella formulazione corrente della massima, sia stato sostituito ad ijdevai certamente meno indicativo, ma ben attestato anche per Democrito64. A favore di a[toma, però, depongono il ritmo e l'eufonia. L'uso e il significato del termine a[tomon (sw'ma?) da parte degli atomisti si presentano dunque un poco più problematici di quanto a prima vista non sembri. Mi limiterò qui ad accennare ad un'ulteriore stranezza. Aristotele, nel già citato frammento dell'opera su Democrito65, non riporta fra le denominazioni dei corpuscoli democritei il termine a[tomon. Sebbene le corrispondenze da lui istituite non siano del tutto precise66, rimane comunque singolare che egli non faccia alcun cenno proprio ad una denominazione che in altri testi ritiene scontata e fondamentale, tanto più che riporta quella molto più inusuale di nastovn. I corpuscoli di Democrito vengono definiti mikrai; oujsivai, o[nta, nastav, devn, ma non a[toma né ajdiaivreta, né compare alcun accenno all'indivisibilità. Il fatto che essi vengano a contatto senza fondersi mai in un solo ed unico corpo è spiegabile, come si è visto, con la compattezza e la durezza e non presuppone necessariamente il discorso teorico sull'indivisibilità67. Se si confronta, però, il passo parallelo di Metaph. Z 13, 1039a 7-14 citato sopra68 dove Aristotele oppone esplicitamente Democrito a Senocrate, si osserva come le oujsivai del primo siano senza esitazione qualificate come a[toma megevqh (ta; ga;r megevq h ta; a[toma ta;" oujsiva" poiei'). Lo stesso fenomeno si riscontra in altri resoconti aristotelici dove esse vengono designate con la stessa espressione o come a[toma o a[toma swvmata. In generale si tratta di 63

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Plut. Adv. Colot. 1111 A (68 A 57 DK; 198 L.) ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdeva" uJp aujtou' kaloumev na", e{teron de; mhdev n. Non sono assolutamente giustificate quelle interpretazioni che considerano a[tomoi attributo di ijdevai (cf. Diels-Kranz, ad loc., II, 99 app.;

Alfieri 1936, 100 n. 228; id. 1979, 59s.). Come già faceva notare Westman 1955, 269s., la costruzione sintattica indica chiaramente che Plutarco attribuisce a Democrito l'esistenza reale solo di quelli che nella tradizione sono chiamati atomi e che l'Abderita, invece, definiva ijdevai. L'altra interpretazione richiederebbe una diversa costruzione: ei\nai de; pavnta ta;" uJp auj tou' kaloumev na" ajtovmou" ijdev a", e{teron de; mhdevn. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,137 (68 B 6 DK; CXVI, 48 L.) ejn de; tw'i Peri; ijdew'n. Simpl. In Phys. 195b 31, 327,24s. (68 B 167 DK; 19, 288 L.) dei'non ajpo; tou' panto;" ajpokriqh'nai pantoivw n eijdevw n. Simplicio la riporta come citazione letterale attingendo probabilmente ad Eudemo menzionato immediatamente dopo (327,27). La forma eijdevwn non è in ogni caso democritea. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1ss.) (68 A 37 DK; 172, 197, 293 L.). Cf. ad esempio la denominazione a[p eiron con la quale, secondo Aristotele, Democrito avrebbe indicato il vuoto. Nel resoconto di Diogene Laerzio su Leucippo, a[peiron è invece il tutto, l'insieme del pieno e del vuoto (Diog. Laert. 9,31 = 67 A 1 DK; 289 L.). Forse Aristotele interpretava una espressione del tipo ejn ajpeivrwi kenw'i. V. supra, III 4. 3 n. 152. V. supra, n. 27.

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contesti che, o utilizzano schemi di classificazione correnti69, o instaurano comunque delle analogie con forme di atomismo accademico70. Altre singolarità si riscontrano nei testi teofrastei. Le testimonianze che risalgono a lui solo in maniera indiretta non fanno testo in quanto il termine compare nella forma femminile adottata dall'epicureismo e corrente negli autori tardi, hJ a[tomo"71. Nei testi originali di Teofrasto ricorre invece solo due volte, e nella forma neutra, di cui una nel De causis plantarum, quando nega che le forme di Democrito possano trasformarsi una nell'altra per generare un succo da un altro: "infatti l'atomo è incapace di patire"72. Quest'ultima osservazione è un inciso di Teofrasto perfettamente consonante col giudizio aristotelico di De gen. et corr. A 8, 326a 1 ("è necessario definire ajpaqev" ciascuno degli indivisibili"). Nel passo della Metafisica citato nel paragrafo precedente, il termine è correlato, come detto, con la caratterizzazione matematica del corpuscolo democriteo. Singolare è inoltre che nel De sensibus, nel lungo resoconto sulla teoria democritea delle sensazioni (di cui la famosa massima dovrebbe fare parte), non si parli mai di a[toma, ma sempre e solo di schvmata. Se, nonostante tutto, si accetta il termine a[tomon come originale, si pone comunque il problema semantico. Non è infatti scontato che Democrito gli attribuisse quel significato tecnico di "indivisibile" che assume in Platone e nella sua scuola e in Aristotele. Il termine è rarissimo prima di Platone e si incontra solo una volta nelle Trachinie di Sofocle. Il prato dell'Eeta, consacrato a Zeus, è definito a[tomo", non naturalmente nel senso di "indivisibile", ma in quello di "non tagliato, non falciato, inviolato"73. Più tardi, nel V sec. a.C., viene utilizzato dal comico Efippo per indicare la barba fluente, "non tagliata" 69

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Cf. De an. A 2, 404a 2 (67 A 28 DK; 200 L.) ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwn ta; sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n lev gei, dove kai; ajtovmwn sembra piuttosto una aggiunta a schmavtwn ripreso subito dopo da sfairoeidh'. Cf. De gen. et corr. A 2, 316a 11ss. dove le dottrine di Democrito e Leucippo vengono trattate nel problema generale dell'esistenza di a[toma megevqh e confrontate con quelle accademiche. Cf. anche De cael. G 4, 303a 20-23, supra, n. 31, dove a Democrito viene mossa

l'accusa, coniata specificamente per i Platonici, di andare contro i principi della matematica. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,4ss.) (67 A 8 DK; 147 L.; 68 A 38 DK; 318 L.); Theophr. Fr. 238 FHS&G (Simpl. In De cael. 299a 2, 564,24-26) (68 A 120 DK; 171 L.); Diog. Laert. 9,30ss. (67 A 1 DK; 289, 382 L.). Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.) Dhmokrivtwi mevn ge pw'" pote ejx ajllhvlwn hJ gev nesi" (scil. tw'n cumw' n) ajporhvs eien a[ n ti". ajnavgkh ga;r, h] ta; schvmata metar-

ruqmivzesqai, kai; ejk skalhnw' n kai; ojxugwnivwn periferh' givnesqai ª...º. ejpei; dæ ajduv naton metaschmativzesqai, (to; ga;r a[ tomon ajp aqev"), loipo;n ta; me; n eijsievnai ta; dæ ejxiev nai h] ta; me;n uJpomevnein ta; dæ ejxiev nai. Nella composizione del colore verde in De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.), invece, il termine a[tomon non compare to; de; clwro;n ejk tou' stereou' kai; tou' kenou' sunestavnai meikto;n ejx ajmfoi' n. Soph. Tr. 200 w\ Zeu', to;n Oi[th" a[tomon o}" leimw'n e[cei". Questo passo viene segnalato,

proprio per questo significato di "non tagliato", anche da Lewis 1998, 2s. n. 1, il quale però non ne trae alcuna conclusione.

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dei filosofi74. Il termine, nel suo uso corrente, designa dunque un oggetto su cui non è intervenuto alcun strumento da taglio. Il significato di "indivisibile" è attestato solo a cominciare da Platone che ne fa un termine tecnico della diaivresi" logica75 così come aveva fatto con stoicei'on nell'ambito della fisica per designare gli elementi76. Se Democrito si atteneva al significato corrente ai suoi tempi, gli a[toma swvmata erano non corpi "indivisibili", ma corpi intatti su cui non è intervenuto nessun strumento da taglio. In questa accezione il termine evoca una bella immagine anassagorea le cose che si trovano in un insieme ordinato77 non stanno separate una dall'altra né è reciso con la scure ciò che è caldo da ciò che è freddo né ciò che è freddo da ciò che è caldo78.

A loro modo anche gli "omeomeri" di Anassagora sono "atomi", in quanto le loro componenti basilari non sono separate una dall'altra né "tagliate con la scure", ma sono sempre lì, tutte insieme. L'azione separatrice del Nous infatti, non si esercita su di loro, ma sulla mescolanza in generale. L'immagine è molto concreta ed evocativa e precorre in un certo senso quella degli "atomi" di Democrito: a[tomon è quel corpo che nessuna lama ha mai reciso, che è rimasto intatto, non scalfito da nessuna ajnavgkh. Non si tratta in questo caso di un significato tecnico derivato dalla problematica della divisione, ma di un termine che evoca un'immagine. Una stessa carica evocativa ha anche un altro hapax democriteo molto vicino per formazione a a[tomon cioè ajpavthton, "non calcato da piede", per designare ciò che ha una struttura irregolare79. Questa terminologia, che attinge alla realtà della vita ed è altamente evocativa e pittorica è caratteristica di Democrito80. Se dunque anche a[tomon è termine democriteo, difficilmente lo è il suo significato tecnico "indivisibile", tipico di Platone e della sua scuola. L'estensione delle connotazioni che la parola aveva assunto nella problematica della diaivresi" e degli indivisibili anche all'uso democriteo era però naturale per chi osservava le dottrine di Democrito dall'ottica astratta del problema della divisibilità. 74 75

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Ephipp. Fr. 14,7 K.-A. a[toma pwvgwno" bavqh. Pl. Soph. 229d ajlla; ga;r hJmi'n e[ti kai; tou'ton skeptevon, a\r a[tomon h[dh ejsti; pa'n h[ tina e[con diaivresin ajxivan ejpwnumiv a". V. supra, I 2 n. 44, 45 e 48. Traduco così eJni; kovsmwi in quanto, se kovsmo" qui indicasse il nostro mondo, non ci si aspetterebbe il numerale. Anassagora parla qui evidentemente di singoli aggregati. 59 B 8 DK (Simpl. In Phys. 188a 5, 175,12-14) ouj kecwvristai ajllhvlwn ta; ejn tw'i eJni; kovsmwi oujde; ajpokevkoptai pelevkei ou[te to; qermo; n ajpo; tou' yucrou' ou[te to; yucro;n ajpo; tou' qermou'. Hesych. s.v. ajpavthton (68 B 131 DK; 828 L.) ajp avthton: to; ajnwmavlw" sugkeivmenon para; Dhmokrivtwi.

Per altri esempi, v. infra, VII 6. 2. 1.

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Adiaivreta. La definizione ajdiaivreta è chiaramente aristotelica e deriva dalla sovrapposizione al corpuscolo democriteo della terminologia corrente per designare le grandezze ultime derivate da una diaivresi" per sottrazione di tipo accademico81. Gli ajdiaivreta per eccellenza sono l'uno e il punto82, ma, in quanto corrispondenti all'uno, anche l'elemento83 o la misura nell'ambito del sensibile possono essere ajdiaivreta, sebbene in senso relativo84. In particolare in contesti dove designa i corpuscoli di Leucippo e Democrito con le tipiche formule accademiche (prw'ta swvmata o prw'ta megevqh)85 e li individua come stoicei'a Aristotele li chiama ajdiaivreta e li definisce "grandezze prime indivisibili"86 e "corpi primi dai quali sono composti e nei quali si dissolvono" tutti gli altri87, 81

Cf. De gen. et corr. A 2,315b 24 (67 A 7 DK part.; 101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteron ou{tw giv netai kai; ajlloiou'tai kai; aujxav netai ta; o[nta kai; taj nantiva touvtoi" pavscei, tw'n prwvtwn uJp arcovntwn megeqw' n ajdiairevtwn, h[ oujq evn ejsti mev geqo" ajdiaiv reton: diafevr ei ga;r tou'to plei'ston. kai; pavlin eij megevqh, povteron, wJ" Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" swvmata tau't ejstiv n, h] w{sper ej n tw'i Timaivwi ejpivpeda. tou'to me; n ou\ aujtov, kaqavper kai; ejn a[lloi" eijrhvkamen, a[logon mevcri ejpipevdwn dialu's ai. dio; ma'llon eu[logon swvmata ei\nai ajdiaivreta. De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.) tosou' ton ga;r diafevrei tou' mh; to;n auj to;n trovpon Leukivppwi levgein, o{ti oJ me;n sterea; oJ d (scil. oJ Plavtwn) ejpivpeda levgei ta; ajdiaivreta, kai; oJ me; n ajpeivroi" wJrivsqai schvmasi tw'n ajdiairevtwn sterew' n e{kaston oJ de; wJrismevnoi", ejpei; ajdiaivretav ge ajmfovteroi levgousi kai; wJrismevna schvmasin. Sull'uso aristotelico di ajdiaivr eton per il corpuscolo democriteo come risultato di un'inter-

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pretazione, cf. Sinnige 1968, 153. Per l'uno, cf. Phys. A 2, 185b 8; G 7, 207b 6; Metaph. B 3, 999a 1; 4, 1001b 7; I 1, 1053a 1 (come definizione corrente della monade), a 10; 3, 1054a 21; M 9, 1085b 16. Per il punto, cf. Phys. Z 1, 231a 25; De cael. G 1, 299b 6; Metaph. B 6, 1002b 4; D 3, 1014b 8. Cf. in particolare Metaph. D 3, 1014b 4-6 kai; metafevronte" de; stoicei'on kalou'sin ejnteu'qen o} a] n e} n o]n kai; mikro;n ejpi; polla; h\i crhvsimon, dio; kai; to; mikro;n kai; aJplou' n kai; ajdiaivreton stoicei'on levgetai. Cf. in particolare Metaph. I 1, 1052b 31ss. Cf. Pl. Ti. 57c o{s a me;n ou\n a[krata kai; prw'ta swvmata dia; toiouvtwn aijtiw'n gevgonen. Cf. anche Alex. In Metaph. 987b 33, 55,20 (Arist. De Bono, Fr. 2, 113 Ross) ajrca;" me;n tw'n o[ntwn tou;" ajriqmou; " Plavtwn te kai; oiJ Puqagovreioi uJpetivqento, o{ti ej dovkei aujtoi'" to; prw'ton ajrch; ei\nai kai; to; ajsuv nqeton, tw'n de; swmavtwn prw'ta ta; ejpivpeda ei\nai —ta; ga;r aJplouvsterav te kai; mh; sunanairouvmena prw'ta th'i fuvsei... De gen. et corr. A 2, 315b 24-30 (101 L.) ajrch; de; touvtwn pavntwn, povteron ou{tw givnetai kai; ajlloiou'tai kai; aujxav netai ta; o[ nta kai; taj nantiv a touv toi" pav scei, tw' n prwvtwn uJp arcovntwn megeqw' n ajdiairevtwn, h[ oujqev n ejsti mevgeqo" ajdiaivreton: diafevrei ga;r tou'to plei'ston. kai; pavlin eij megevqh povteron, wJ " Dhmovkrito" kai; Leuvkippo" swvmata tau't ejstivn, h] w{sper ejn tw'i Timaivwi ejpivpeda. De cael. G 4, 303a 5-6 (67 A 15 DK; 109, 292 L.) fasi; ga;r ( scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkrito") ei\nai ta; prw'ta megevqh plhvqei me;n a[peira, megevqei de; ajdiaivreta. De gen. et corr. A 8, 325b 17-19 (337 L.) toi'" me;n gavr ejs tin ajdiaivreta ta; prw'ta tw'n swmavtwn, schv mati diafevronta mov non, ejx w| n prwvtwn suv gkeitai kai; eij " a} e[scata dialuvetai... Cf. la definizione in Metaph. D 3, 1014a 31-34 oJmoivw" de; kai; ta; tw' n swmavtwn stoicei'a levgousin oiJ levgonte" eij" a} diairei''tai ta; swvmata e[scata, ejkei' na de; mhkevt eij" a[lla ei[dei diafevronta. Che l'impiego di stoicei'on per designare gli elementi costitutivi della realtà fisica risalga a Platone è testimoniato da Eudemo (Fr. 31 Wehrli) ... o{ ge

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attribuendo loro le prerogative tipiche delle grandezze indivisibili elementari degli Accademici. Stereav. Aristotele talvolta, designando i corpuscoli di Leucippo e Democrito come stereav, li carica di una connotazione matematica tipica della scuola platonica. Stereav è infatti il termine tecnico con cui Platone designa i solidi geometrici (che, per lui, sono anche i corpi)88. Non a caso Aristotele usa il termine in questa accezione particolare quando mette sullo stesso piano la dottrina platonica e quella atomista89. Quando invece vuole porre l'accento sulla loro differenza schierandosi a favore dell'atomismo fisico, distingue fra i corpi (swvmata) di Leucippo e Democrito e i solidi geometrici (stereav) risultanti dalla combinazione dei triangoli platonici90. Probabilmente Democrito non usava il plurale stereav neppure per i solidi geometrici. Il problema dei titoli delle opere democritee è una questione spinosa, ma un titolo dell'elenco riportato da Diogene Laerzio, peri; ajlovgwn grammw'n kai; nastw'n aæ bæ91, dove compare il termine tipico democriteo nastav (e dunque sembrerebbe originale) fa pensare che Democrito usasse questa denominazione, e non stereav, anche per designare i solidi geometrici. Diverso è invece il discorso per l'aggettivo al singolare (stereov") che Democrito, come del resto i contemporanei autori ippocratici, può aver impiegato in senso non tecnico come attributo dei corpi in generale92. Si possono dunque distinguere, all'interno dei resoconti aristotelici sull'atomismo antico, due tipi di influssi accademici: nell'interpretazione e nella critica dell'atomo e nella terminologia. 1. L'atomo viene interpretato sullo sfondo della dottrina senocratea dei "minimi privi di parti" (ejlavcista kai; ajmerh'), elementi ultimi di una divisione finita e misure dei vari livelli dell'essere in quanto riflesso dell'uno. Senocrate distingueva comunque una mancanza di parti relativa (quella dei corpi primi e dei minimi nei vari gradi della spazialità fino alla linea) e una assoluta, quella della linea indivisibile, limite ultimo della spaPlavtwn... kaj n toi'" fusikoi'" kai; genhtoi'" ta; " stoiceiwvdei" ajrca; " tw' n a[llwn dievkrine kai; stoicei' a prw'to" aujto;" wjnovmase ta;" toiauvta" ajrcav", wJ " oJ Eu[dhmo" iJstorei'. Sull'at-

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tendibilità di questa notizia e per la derivazione platonica di questo uso risalente ad un impiego particolare in matematica nel significato di "fondamento costitutivo" in un sistema ordinato di teoremi, cf. Burkert 1958, 167-197 dove vengono discusse anche le ipotesi di coloro che fanno risalire a Democrito l'uso del termine nel significato di elemento fisico. Nel Timeo compare "la figura solida della piramide, elemento e seme del fuoco" (56b). De gen. et corr. A 8, 325b 25-30 (67 A 7 DK; 118, 222 L.), v. supra, n. 81; cf. 326a 21; De cael. D 2, 309a 2ss. (68 A 60 DK; 368 L.). Cf. De gen. et corr. A 2, 315b 32-316a 4. Diog. Laert. 9,47 (68 A 33 DK; CXV (VIII) L.). Cf. Metaph. A 4, 985b 7; cf. Theophr. De sens. 75 (68 A 135 DK; 484 L.), supra, III 4. 2. 2 n. 149.

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zialità e non ulteriormente divisibile neppure in elementi di un livello superiore. Privi dell'apparato teorico su si fondava la concezione accademica (dottrina dei principi, uno e diade indefinita, che fonda le distinzioni fra essere e uno, parte e tutto), gli atomi leucippei e democritei reinterpretati come minimi indivisibili in assoluto prestavano ovviamente il fianco a critiche. Essi, infatti, equivalevano ai corpuscoli dei corpuscolaristi, mai divisi, ma comunque ulteriormente divisibili con la mente. Questa assimilazione di atomi e corpuscoli, caratteristica della posizione degli Accademici-Pitagorici in Sesto, emerge più volte anche in Aristotele: nel logos eleatico di De generatione et corruptione A 8, nella classificazione delle dottrine che pongono come limite ultimo del reale dei corpuscoli (indivisibili o divisibili, ma non più divisi) in De cael. G 6 e nella critica agli atomisti per aver posto come indivisibili per natura solo dei corpi piccoli in De generatione et corruptione A 9. Gli atomi di Leucippo e Democrito, inoltre, interpretati alla luce della dottrina dei minimi come unità di misura, venivano attaccati anche per la mancanza di un ordine e di un limite nelle forme, critica che Aristotele puntualmente rivolge proprio sulla scorta di una interpretazione matematizzante delle forme in De cael. G 4 e a cui Teofrasto accenna nella Metafisica. 2. La discussione sugli indivisibili nell'Accademia costituisce poi il filtro concettuale e terminologico attraverso cui Aristotele giudica o denomina gli atomi in particolare nelle trattazioni generali sugli indivisibili e nel confronto fra dottrine platonico-accademiche e democriteo-leucippee. In questi casi egli prende come punto di riferimento sia i triangoli, reinterpretati, del Timeo, sia la teoria delle grandezze indivisibili e prime degli a[grafa dovgmata e di Senocrate. Questi due tipi di influsso esercitato dall'atomismo accademico sull'interpretazione delle dottrine degli atomisti antichi già nell'opera aristotelica, sono molto importanti per comprendere anche una certa differenziazione nei resoconti tardi su Leucippo e Democrito. E' ora opportuno riprendere, a scopo contrastivo, anche un'altra presentazione dell'atomismo antico nelle opere aristoteliche. Si tratta di passi più strettamente espositivi caratterizzati da un maggior interesse storico e meno marcati da un'impostazione argomentativa tipica della trattazione di problemi generali.

4. Terminologia atomista in Aristotele E' indubbio che, leggendo le opere degli atomisti, Aristotele era necessariamente condizionato dalla sua formazione nell'alveo dell'Accademia. E' tuttavia altrettanto vero che, rispetto alle linee interpretative di Platone e

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dei suoi allievi, interessati soprattutto all'estrapolazione dai testi della problematica generale di volta in volta trattata, Aristotele sviluppa anche un interesse più marcatamente storico per i suoi predecessori. E sono appunto i suoi resoconti di carattere più propriamente espositivo, i suoi appunti riassuntivi, le testimonianze più facilmente leggibili. L'interesse eminentemente descrittivo più che argomentativo di tali testi rivela infatti più facilmente le difficoltà di integrazione delle teorie descritte nel sistema di riferimento di Aristotele, rende maggiormente distinguibile la terminologia derivata o sovrapposta da quella originale e permette quindi di individuare più agevolmente un nucleo originale di terminologia e dottrina leucippea e democritea. In uno di questi excursus, il frammento dell'opera su Democrito riportato da Simplicio, Aristotele dichiara espressamente di riferire i termini originali democritei per le sostanze costitutive del mondo e per il vuoto. Se alcuni di questi fanno nascere il sospetto di qualche lieve rimaneggiamento93, altri, come devn e nastovn, sono sicuramente autentici perché estremamente specifici e assolutamente estranei alla terminologia platonica e aristotelica. Il frammento aristotelico su Democrito si distingue inoltre anche per ulteriori peculiarità: gli atomi vengono specificamente classificati fra gli enti eterni e la loro piccolezza viene considerata unicamente causa della loro invisibilità, non messa in relazione con l'indivisibilità94. Proprio quest'ultima problematica, che tanto spazio occupa nel resto dell'opera aristotelica, viene sorprendentemente passata sotto silenzio: il grande assente è appunto l'"atomo". Il termine non compare nell'elenco delle denominazioni democritee delle oujsivai eterne e nessun accenno a una problematica degli indivisibili emerge nel resto del resoconto. Come si è già detto, il fatto che da due sostanze non può derivare una unità è perfettamente giustificabile alla luce della compattezza dei corpuscoli. E' anche piuttosto improbabile che Aristotele trattasse l'indivisibilità in qualche altra parte del suo scritto su Democrito in quanto proprio questo passo sarebbe stato il punto cruciale per la definizione degli atomi come indivisibili. Qui di seguito tratterò quindi innanzitutto più diffusamente il termine specifico nastovn e poi altri attributi dell'atomo che ricorrono in altri passi aristotelici e che ne mettono in luce la "fisicità" lontana da quella matematizzazzione operata da Aristotele nei passi sugli indivisibili. Nastovn. Il termine nastovn è rarissimo e soprattutto non è un termine "tecnico" o "filosofico". La sua attestazione più antica si ha nella comme93 94

Per le denominazioni del vuoto, v. supra, n. 66. Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,1-6) (68 A 37 DK; 172, 197 L.) Dhmovkrito" hJgei'tai th;n tw' n ajidivwn fuvsin ei\ nai mikra; " oujsiv a" to; plh'qo" ajpeivrou" ª...º tw'n de; ouj siw'n eJ kavsthn (scil. prosagoreuvei) tw'i te de;n kai; tw'i nastw'i kai; tw'i o[nti. nomivzei de; ei\nai ou{tw mikra; " ta;" oujsiva" w{s te ejkfugei'n ta;" hJmetevr a" aijsqhvsei".

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dia attica del V sec. a.C. dove designa un dolce sacrificale95. L'Etymologicum Magnum lo descrive come il pane pressato, compatto, pieno e senza nulla di leggero; così chiamato per essere completamente infarcito di condimenti e frutta secca96.

Tali caratteristiche corrispondono perfettamente a quelle dei corpuscoli democritei ed è del tutto verosimile, visto il suo stile ricco di immagini, che Democrito li abbia definiti proprio in analogia con questo dolce di uso comune che doveva essere estremamente difficile tagliare. Nastovn rimane in tutta la tradizione dossografica indissolubilmente legato all'atomo democriteo ed è raramente impiegato in altri ambiti tecnici. Uno di questi usi è però estremamente importante non solo per quanto riguarda la ricezione di Democrito, ma perché contribuisce a fare chiarezza anche sulle connotazioni del termine e sui contesti in cui può essere stato usato dagli atomisti. Nastovn ricorre infatti in un passo del Corpus Hippocraticum proprio nel significato di "compatto, spesso" applicato al corpo maschile in contrasto con la struttura rada del corpo femminile. L'uso del termine e i sinonimi da cui è affiancato nell'opera Sulle ghiandole97 sono importanti in quanto si distanziano dalle "traduzioni" aristoteliche e peripatetiche dello stesso. L'autore ippocratico, amante degli usi ricercati e dei preziosismi, ha certamente Democrito come modello98. Non solo infatti questa è l'unica attestazione del termine nel Corpus Hippocraticum, ma è assente nel passo parallelo dell'opera ginecologica De muliebribus I, che tratta lo stesso motivo e produce gli stessi esempi analogici in maniera ben più dettagliata99. L'autore del De glandulis, trattando dei seni, spiega le ridotte dimensioni 95 96

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Ar. Av. 567; Pl. 1142; Metag. Fr. 6 K.-A.; Pherecr. Fr. 113 K.-A. Etym. magn. s. v. nastov": oJ pepilhmevno" a[rto", oJ mestov", plhvrh", kai; mh; e[con ti; kou'fon: ajpo; tou' navssesqai ajrtuvmasin h] traghmasiv tisi. La datazione del trattato è oggetto di controversie come quella di quasi tutti gli scritti ippocratici e va dal V sec. a.C. fino al II d.C. , ma Joly 1978, 110 offre buoni argomenti per collocarla fra la fine del V e l'inizio del IV sec. a.C. L'autore sarebbe quindi un contemporaneo più giovane di Democrito. Stranamente questo passo, che documenta in maniera evidente la conoscenza di Democrito da parte di un autore ippocratico, è stato tralasciato da tutti gli interpreti moderni (compresi Stückelberger 1984 e Salem 1996) che hanno analizzato la ricezione democritea nel Corpus Hippocraticum. Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré). Anche qui, come nel testo del De glandulis, la struttura del corpo femminile è paragonata alla lana e quella del corpo maschile ad un tessuto compatto. Se si pongono un tessuto di lana e uno compatto su un terreno umido o sulla bocca di un vaso contenente acqua e si lasciano lì per due giorni e due notti, si vedrà che la lana diventa molto più pesante. Questo perché essa ha una struttura più rada e accoglie e trattiene quindi molto di più l'umidità. I termini impiegati per la struttura corporea femminile sono i comuni ajraiov", aJpalovsarko" e per la lana ajraiov" e malqakov". Quelli per il corpo maschile stereovs arko" e, per il tessuto, plh're" e bebusmevnon.

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delle ghiandole nel corpo maschile rispetto a quello femminile con una differenza di struttura: Nei maschi la strettezza [degli interstizi] e la densità del corpo contribuisce grandemente alla dimensione ridotta delle ghiandole; il maschio infatti è compatto e come una stoffa spessa alla vista e al tatto; la femmina invece è rada e porosa e come lana alla vista e al tatto; cosicché ciò che è rado e molle non lascia uscire l'umidità; il maschio, d'altra parte, non potrebbe accoglierne neppure una piccola quantità, giacché è denso e inospitale, e la fatica ne indurisce il corpo in modo tale che non ha interstizi attraverso cui accogliere qualcosa di superfluo100 .

Due fattori in questo contesto mi sembrano particolarmente rilevanti: 1. Il parallelismo con la concezione democritea delle parti dure e molli dei corpi conformate nell'uno o nell'altro modo in base alle loro capacità di ricezione ed emissione di umori ed effluvi. In Democrito l'occhio deve avere vuoto e umidità per poter "ricevere" in maggior misura gli effluvi che producono la sensazione della vista e trasmetterli al resto del corpo101 ; gli occhi umidi sono perciò migliori di quelli duri. I buoi senza corna sono tali perché il loro osso frontale, attraversato da vene sottili e deboli, non è spugnoso ed è così "respingente" (ajntivtupo", forse un termine democriteo) da non poter accogliere umori dall'interno del corpo. Al contrario, i buoi arabi femmina hanno belle corna perché accolgono molto umore; le vene che lo veicolano sono spesse e ne trattengono quanto più ne possono102 . Significativamente Democrito definiva le vene dexamenaiv, "ricettacoli, cisterne"103 . Seneca in un brano delle Naturales quaestiones, riferisce che, secondo Democrito, "quei corpi che sono più duri e più compatti hanno necessariamente pori più piccoli"104 . Le espressioni latine duriora et pressiora sono perfette traduzioni del greco sklhrovtera kai; nastovtera e attestano un uso più generalizzato del termine da parte di Democrito anche per i corpi composti, proprio come nel trattato ippocratico. 2. Il fatto che il termine nastovn venga caratterizzato soprattutto dal non accogliere e dal non emettere nulla così come per Democrito le parti 100

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Gland. 16,2 (121,20 Joly = VIII,572 Littré) toi'si de; a[rsesi kai; hJ stenocwrivh kai; hJ puknovth" tou' swvmato" mevga sumbavlletai mh; ei\ nai megavla" ta;" ajdev na": to; ga;r a[rsen nastov n ªedd.: ajston codd.º ejsti kai; oi|on ei|ma pukno;n kai; oJrevonti kai; ejpafwmev nwi: to; de; qh'lu ajraio;n kai; cau' non kai; oi|on ei[rion oJrevonti kai; ejpafwmev nwi: w{ste th;n uJ grasivh n ouj meqivhsi to; ajr aio;n kai; malakovn: to; de; a[rsen ouj k a[n ti prosdevxaito, puknovn te ejo; n kai; ajstergev ", kai; oJ povno" kratuv nei aujtou' to; sw'ma, w{ste ouj k e[cei di ou| lhvyetaiv ti tw'n perissw'n. Theophr. De sens. 54 (68 A 135 DK; 478 L.) fhsi; ga;r dia; tou'to kenovthta kai; uJgrovthta e[cein dei' n to;n ojfqalmov n, i{n ejpi; plevon dev chtai kai; tw'i a[llwi swvmati paradidw'i. dio; kai; tou;" uJgrou;" tw'n sklhrw'n ojfqalmw'n aj meivnou" ei\nai pro;" to; oJra' n. Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.). Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.), v. infra, VII 6. 2 n. 78. Sen. Nat. quaest. 4,9,1 His, inquit (scil. Democritus), corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse.

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spesse e dure. Democrito imputava la dissoluzione dei corpi proprio all'irrompere dall'esterno di una qualche ajnavgkh più forte che scompiglia gli atomi e li disperde105 e le affezioni e i cambiamenti dei corpi alla presenza di vuoti che permettono la penetrazione e lo spostamento di corpuscoli al loro interno106 . La struttura del corpo si modifica anche "se vi si introduce un piccolo corpuscolo"107 . L'uso di nastovn da parte dell'autore ippocratico permette dunque nel contempo di precisare meglio il significato e l' impiego del termine anche in Democrito. Egli infatti lo ha applicato non solo agli "atomi", come ci dice la tradizione aristotelico-teofrastea, ma anche ai corpi composti, come dimostra il passo di Seneca. Il titolo citato sopra dell'opera matematica di Democrito Sulle linee e i solidi irrazionali, dove il termine designa i solidi geometrici, conferma questo uso allargato. Negli autori tardi di trattati tecnici riemerge solo per designare una sfera piena in opposizione alla sfera vuota108 , dunque solidi "concreti", corporei, non figure astratte. Il termine nastovn rimanda dunque in primo luogo alla tematica generale dell'inattaccabilità dei corpi da agenti esterni o da squilibri interni tipica della medicina, che costituiva un importante punto di partenza per l'assunzione dei cosiddetti "atomi". L'autore del De glandulis non è influenzato dalle interpretazioni di Aristotele o di Teofrasto e ha avuto sicuramente davanti un testo democriteo. Il suo uso di nastovn permette quindi di cogliere il legame profondo fra la concezione dell'atomo democriteo e quelle mediche del corpo, che nel telegrafico accenno aristotelico rimane completamente in ombra. Da quanto finora osservato, risulta dunque che il termine nastovn rimanda alla sfera semantica specifica della cucina e degli oggetti sacrificali. Democrito, trasponendolo ai corpi, non solo ne ha sfruttato la carica analogica e pittorica, ma ne ha allargato le connotazioni alla sfera biologico-medica e, per ulteriore estensione, a quella geometrico-tecnica. Un tale termine, tipico del linguaggio estremamente ricercato e inusuale di età sofistica, fuori di quel periodo era destinato alla sparizione. In effetti esso è limitato alla dossografia su Democrito e ad un autore che ricerca i pre105

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Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; tosou'ton ou\ n crovnon sfw' n aujtw' n (tw'n oujsiw' n) ajntevc esqai nomivzei kai; summev nein, e{w" ijscurotevra ti" ej k tou' perievconto" aj navgkh paragenomev nh diaseivshi kai; cwri;" aujta;" diaspeivrhi. Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.); Arist. De gen. et corr. A 8, 325b 3-5 (67 A 7 DK; 338 L.); cf. anche Phys. D 6, 213b 18-20. Arist. De gen. et corr. A 2, 315b 11 (67 A 40 DK; 240 L.) kai; metakinei'sqai mikrou' ejmmignumev nou. Cf. Hero Metr. 1, Prooem. 92,17; 19 Schöne; Philo Belop. 1,330; cf. anche Philop. In Phys. Cor. de loc. 562,6; 575,22. Esichio (s. v. nastovn) si riferisce proprio a quest'uso quando riporta fra le definizioni del termine, oJlosfuvrhto", mh; e[cwn uJpovkoufav tina.

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ziosismi come quello del trattato ippocratico Sulle ghiandole. Riemerge poi, probabilmente perché Democrito stesso l'aveva usato in quell'ambito, presso gli autori di trattati tecnici tardi per indicare una sfera o una figura solida concreta, piena e compatta. In ogni caso, l'uso di questo vocabolo così estraneo ad un livello "teorico" denota una prospettiva piuttosto lontana dalla problematica dell'indivisibilità così come è configurata in altri testi aristotelici. Sklhrovn, plh're". Aristotele impiega il termine sklhrovn in De generatione et corruptione A 8 quando afferma che gli atomisti si sono contraddetti ponendo degli indivisibili e quindi "impassibili" e nel contempo assegnando loro qualche qualità. Essi infatti non avrebbero attribuito agli atomi solo il caldo, ma anche il peso109 e la durezza senza però contemplare anche il suo opposto, la cedevolezza. Se infatti l'atomo è duro, sostiene Aristotele, dovrebbe essere anche cedevole (una proprietà richiede necessariamente anche il suo contrario) e, come tale, essere anche capace di patire110 . Il termine sklhrovn è originale in quanto viene attribuito, come 109

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De gen. et corr. A 8, 326a 4ss. Aristotele fa, in relazione al caldo, una deduzione: siccome gli atomi sferici sono atomi dell'anima e questa è calda, gli atomi sferici sono caldi. Per il peso, cf. anche Theophr. De sens. 61 (68 A 135 DK; 369 L.) che assegna peso diverso ad atomi grandi e piccoli. De gen. et corr. A 8, 326a 13-14 ajlla; mh;n eij sklhrovn, kai; malakovn. to; de; malako;n h[dh tw'i pavscein ti levgetai: to; ga;r uJpeiktiko;n malakov n. Cf. anche Philop. ad loc. 167,21-24. Mantengo la punteggiatura e il testo dell'edizione di Joachim 1922. Nella sua recente edizione del De generatione et corruptione Rashed 2005, 41 adotta un'altra punteggiatura e un'altra lieve variante testuale: ajlla; mh;n eij sklhrovn kai; malakovn, to; de; malako;n tw'i pavscein ti levgetai, e traduce: "Mais s'il y a dur et mou, «mou» est employé parce que la chose subit une affection", considerando de; come l'introduzione di una apodosi con effetto avversativo (143 n. 10). Il risultato di questa interpretazione sarebbe che "Ar. se contente donc de tirer la conséquence non pas d'une prémisse atomiste «absolue», mais de l'extension dialectique opérée aux ll. 6-8: si on admet le couple dur-mou, on admet par définition l'existence de l'affection". Nei casi cui fa riferimento Rashed (K.-G. II 2, 275) il de; ha il valore di "comunque, in ogni caso" (cf. Il. 1,137 "sia che lo diano…, sia che non lo diano, io comunque me lo prenderò da me"), una sfumatura che scompare nella sua traduzione così come dal suo testo scompare h[dh (di FHJ1V, posposto a pavscein in W), riportato da Joachim e da altri, perché egli segue invece ELM e Hunain. Inoltre traduce sklhrovn e malakovn come neutri sostantivati equivalenti a to; sklhrovn ktl., ma qui sono nomi del predicato che si riferiscono al soggetto e{kaston tw'n ajdiairevtwn (come sopra baruvteron). Rashed si riferisce sì all'argomento dialettico delle linee 6-8, ma non tiene conto delle linee successive che specificano questo argomento e confermano la traduzione corrente del periodo (per inciso Rashed non spiega perché quest'ultima debba essere rifiutata). Aristotele vuole infatti dimostrare che Democrito non solo ha attribuito agli atomi delle qualità, contraddicendo le premesse secondo cui un atomo deve essere impassibile, ma ha introdotto una ulteriore contraddizione, non ammettendo i contrari di queste qualità, pur essendo essi necessariamente presupposti. Tutto il resto del passo è incentrato sulla dimostrazione di questo assunto. La confusione nasce dal fatto che l'argomento del peso viene impiegato per un doppio fine: 1. per dimostrare che Democrito ha ammesso solo una delle qualità senza il suo contrario (in questo caso il pesante, ma non il leggero), 2. per dimostrare che, nono-

Capitolo quinto

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nastovn, anche ai corpi composti nella citazione dal quarto libro delle Naturales quaestiones di Seneca riportato sopra (n. 104): duriora è la traduzione latina di sklhrovtera come pressiora lo è di nastovtera. Evidentemente, come esistono diversi gradi di compattezza nei corpi, così anche di durezza. I più duri e i più compatti sono gli "atomi". Anche plh're"111 , termine riportato poi generalmente da tutta la dossografia su Democrito a cominciare da Teofrasto, è probabilmente democriteo in quanto termine piuttosto comune, anche al di là di Melisso, nei testi contemporanei. È però dal punto di vista sia lessicale che semantico assai meno specifico e caratterizzante di nastovn e per questo assai più fruibile e diffuso in tutta la dossografia sull'atomismo. Il resoconto su Leucippo di matrice teofrastea112 riportato da Simplicio riferisce ambedue i termini, nastov" e plhvrh", uno accanto all'altro, ma il secondo suona come una specificazione in termini più correnti del primo (th;n ga;r tw'n ajtovmwn oujsivan nasth;n kai; plhvrh uJpotiqevmeno" o]n e[legen ei\nai). Allo stesso modo procedono i commentatori di Aristotele e i dossografi, nella maggioranza dei casi, quando si imbattono in nastovn. Da quanto osservato, dunque, si può dedurre che Aristotele, in certi contesti, più propriamente descrittivi, riporta sicuramente dei termini originali quali nastovn, sklhrovn, plh're". Egli tuttavia restringe probabilmente la loro referenza agli atomi, mentre Democrito li utilizzava anche in qualità di semplici attributi di corpi composti. La terminologia aristotelica, sia quella che riproduce un originale democriteo, sia quella influenzata dalla problematica accademica, è comunque il punto di partenza anche per le testimonianze tarde nelle quali compaiono ora l'uno ora l'altro termine presente in Aristotele.

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stante ciò, egli ha implicitamente ammesso l'esistenza di questo contrario non solo per il pesante, ma anche per il caldo: se infatti un atomo è più pesante, potrà essere anche più caldo e dunque anche più freddo. Dunque se un atomo è caldo e pesante, un altro potrà essere freddo e leggero. Stando così le cose, gli atomi non sono impassibili, ma subiscono affezioni uno dall'altro. Allo stesso modo, dato che Democrito ha ammesso un atomo duro, deve averne contemplato uno molle ricadendo nell'aporia precedente: infatti il molle si dice tale perché subisce un'affezione. Dunque Democrito ha contraddetto la premessa secondo cui l'atomo, in quanto indivisibile, è impassibile. Nella traduzione di Rashed uno dei punti critici di Aristotele, cioè che l'Abderita ha ammesso solo una delle qualità senza il suo contrario, presupponendolo però, senza rendersene conto, cade come cadono i parallelismi con le linee precedenti nelle quali questa argomentazione viene espressa. L'atomo duro non è dunque una deduzione di Aristotele come non lo è l'atomo pesante, ma rispecchia una dottrina originale democritea. Metaph. A 4, 985b 4 (67 A 6 DK; 173 L.); G 5, 1009a 28 (143 L.). Pamplh're" De gen. et corr. A 8, 325a 29 (67 A 7 DK; 146 L.). Improbabile, per il contesto eleatizzante in cui Aristotele inserisce Leucippo, la lezione pamplhqev". Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,13) (67 A 8 DK; 147 L.).

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Atomi e minimi

5. Sintesi Nelle notizie aristoteliche riguardanti i corpuscoli di Democrito e Leucippo si possono distinguere due tipi di resoconto cui è collegata anche una specifica terminologia: uno di carattere argomentativo, influenzato in qualche modo dalla problematica accademica degli indivisibili, l'altro di carattere espositivo, avulso dalla discussione di questioni particolari. Nel primo tipo di testo il corpuscolo indistruttibile di Leucippo e Democrito viene visto come un ejlavciston, un minimo fisico, "misura" del corporeo e unità ultima indivisibile di una divisione finita in altre unità dello stesso livello. In questa ottica l'atomo si distingue dai presunti corpuscoli di Empedocle e di Anassagora che per natura sarebbero ancora mentalmente divisibili in tali unità, sebbene materialmente non divisi. Questa intepretazione matematizzante elimina o critica quei caratteri propriamente fisici del corpuscolo democriteo che non sono in consonanza con il concetto di minimo. In particolare passa sotto silenzio il tratto della solidità e della compattezza così come tutte le connotazioni del termine non tecnico nastovn e traspone in un linguaggio più filosofico altri termini democritei caratterizzanti come rJusmov", trophv, diaqighv, i quali evocano immagini ben lontane da definizioni di tipo matematizzante. Essa porta inoltre alla critica contro l'infinità e la mancanza di un ordine delle forme. Aristotele la utilizza talvolta, in contesti particolari, soprattutto critici nei confronti dell'atomismo in generale. Non solo, ma si serve di una terminologia accademica per descrivere le proprietà dell'atomo quando lo tratta nell'ottica del problema degli indivisibili o lo confronta con l'atomismo accademico. Aristotele tuttavia nei resoconti di carattere più prettamente espositivo, non correlati specificamente al tema dell'indivisibilità, riflette un'altra immagine delle dottrine leucippee e democritee derivata dalle sue letture dirette. In questo tipo di testi egli pone l'accento in primo luogo sul carattere fisico del corpuscolo, sulla sua solidità, compattezza e assoluta impenetrabilità, sul suo carattere dinamico, sul fatto che costituisce un punto di partenza per la generazione del mondo piuttosto che un punto di arrivo in un processo di divisione. Ne risulta dunque una concezione dell'indistruttibilità dei corpuscoli di carattere fisico-medico: i corpi si alterano o si dissolvono a causa dell'irruzione dall'esterno di qualcosa di estraneo o di mutamenti nel loro equilibrio interno. Questo avviene perché essi presentano degli interstizi, cioè dei "passaggi" vuoti, che permettono tale penetrazione e tale cambiamento interno. Ciò che è eterno e indistruttibile non può avere questa struttura e quindi non deve contenere vuoti che "accolgano" effluvi o che permettano assestamenti. Il termine più caratteristico per indicare queste proprietà è nastovn, un vocabolo non

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filosofico caratterizzato dall'analogia con gli omonimi dolci pressati e infarciti. Ambedue le interpretazioni dell'atomo, quella derivante dalla prospettiva accademica e quella derivante dai testi democritei, si ritrovano nelle testimonianze tarde, separate in quelle più antiche, fuse in quelle più recenti e per lo più intrecciate con quelle sull'atomismo epicureo, necessariamente il punto di riferimento più vicino e più conosciuto. Individuare i percorsi di queste tradizioni è un'opera ardua, ma necessaria per ordinare con una certa plausibilità anche la congerie di testimonianze sull'indivisibilità dell'atomo democriteo fonte incessante di dubbi e di discussioni. Ed è quanto verrà fatto nel capitolo seguente.

Capitolo sesto L'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito nella dossografia tarda 1. Tradizione epicurea e peripatetica: atomo indivisibile per la solidità Nella dossografia tarda la tradizione che fa capo in qualche modo ad Aristotele e Teofrasto restituisce ovviamente solo i tratti superficiali di quelle concezioni dell'atomo che invece sono ancora leggibili nei testi dei capostipiti. Si incontra infatti frequentemente l'attributo più generico plh're", oppure quelli ripresi da Epicuro stereovn e sklhrovn con i rispettivi sostantivi stereovth" e sklhrovth". Il termine nastovn compare raramente anche perché Epicuro non lo usa neppure laddove potrebbe farlo; nella critica alla dottrina dell'infinità delle forme chiaramente diretta contro l'atomismo antico, preferisce la "traduzione" mestovn1. Evidentemente lo considerava un termine desueto e forse anche poco preciso. In una serie di testimonianze tarde gli atomi vengono esplicitamente definiti indivisibili per la loro solidità. Qui la tradizione di provenienza teofrastea, che non accentua particolarmente la problematica dell'indivisibilità dell'atomo, ma pone soprattutto in rilievo la sua compattezza, viene corroborata da quella epicurea che definisce esplicitamente l'atomo indivisibile per la solidità e per la mancanza di vuoto2. Stereovth", sklhrovth", i termini epicurei, sono quelli di uso più frequente. A questa tradizione epicurea si riallaccia il breve brano di stile dossografico sulla dottrina democritea di Diogene Laerzio, nel quale gli atomi sono definiti impassibili e 1

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Ep. Ep. 1,42 a[toma tw'n swmavtwn kai; mestav. mestov" è una delle definizioni di nastov" del lessico di Esichio (s. v. nastov") e mestav compare proprio dove ci si aspetterebbe nastav in Stob. 1,16,1 (68 A 125 DK; 94, 214, 243, 487 L.) Dhmovkrito" fuvs ei me;n mhde;n ei\nai crw'ma, ta; me; n ga;r stoicei' a a[poia, tav te mesta; kai; to; kenov n. I manoscritti riportano infatti concordemente mestav. La lezione nastav che si trova nei Vorsokratiker e in Diels 1879, 314 è una correzione di Diels stesso. Cf. Schol. Dionys. Thrac. 116,11 Hilgard (Ep. Fr. 92 Us.) sw'ma stereo;n ajmevtocon kenou' paremplokh'". Lucr. 1,485s.; 500; 510; 518s.; 548; 574; 609.

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inalterabili per la solidità3. Questo brano si differenzia in generale da quelli di provenienza teofrastea per le tematiche e la terminologia che compaiono implicitamente o esplicitamente anche nelle opere di Epicuro e degli epicurei e non invece nella dossografia su Democrito. Mi limito qui ad indicare i punti più significativi a questo riguardo: 1. La massima secondo cui nulla nasce dal nulla né si dissolve nel nulla attribuita da Diogene Laerzio a Democrito, viene enunciata esplicitamente da Epicuro nella Epistola ad Erodoto4, ma è assente in generale nella dossografia teofrastea sugli atomisti. 2. Anche la formula dell'infinità degli atomi per numero e per grandezza è di matrice epicurea e non aristotelica o teofrastea5. Epicuro, sempre nell'Epistola ad Erodoto, metteva in guardia contro l'assunzione di una infinità di dimensioni che porterebbe a postulare anche atomi grandi. Da questo presupposto si è generata poi la doxa secondo cui Democrito avrebbe ammesso l'esistenza di atomi grandi come un mondo6. 3. La polemica contro coloro che avrebbero interpretato come semplice ricerca del piacere la dottrina dell'eujqumiva rientra nel campo dell'etica e si situa fuori della dossografia teofrastea (che contemplava solo la fisica)7 e non può che provenire dagli Epicurei8. 4. L'allusione alla massima novmwi glukuv... nei termini riferiti da Diogene all'inizio del brano (non alla fine) è anch'essa entrata con Colote nella tradizione epicurea9. 3

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Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 215, 382 L.) a{per (scil. ta; a[toma) ei\nai ajpaqh' kai; ajnalloivwta dia; th; n sterrovthta. Cf. Ep. Ep. 1,44; 54. Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 42, 382 L.) mhdevn te ejk tou' mh; o[nto" givnesqai mhde; eij" to; mh; o]n fqeivresqai. Cf. Ep. Ep. 1,38s.; 54. Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 184, 382 L.) kai; ta;" ajtovmou" de; ajp eivrou" ei\nai kata; mevgeqo" kai; plh'qo". In Arist. De cael. G 4, 303a 4 compare invece la formula plhvqei me; n a[peira megevqei de; ajdiaivreta (67 A 15 DK; 109, 292 L.). Ep. Ep. 1,42s. tai'" de; diaforai'" oujc aJplw''" a[peiroi, ajlla; movnon ajp erivlhptoi ª...º eij mevllei ti" mh; kai; toi'" megevq esin aJplw'" eij " a[peiron aujta;" ej kbavllein. Sugli atomi grandi come un mondo v. infra, 3. 2. 2. Diels 1879,167. Diog. Laert. 9,45 (68 A 1 DK; 735 L.) tevlo" dæ ei\nai th;n eujqumivan, ouj th;n aujth;n ou\san th'i hJdonh'i, wJ" e[ nioi parakouvs ante" ejxedevxanto, ajlla; kaqæ h}n galhnw'" kai; eujs taqw'" hJ yuch; diavgei, uJpo; mhdeno;" tarattomevnh fovbou h] deisidaimoniv a" h] a[llou tino;" pavqou". kalei' dæ aujth;n kai; euj estw; kai; polloi'" a[lloi" ojnovmasi. La descrizione dell'imperturbabi-

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lità e della libertà dalla paura e dalla superstizione è di chiara matrice epicurea. Diog. Laert. 9,44 (68 A 1 DK; 93, 382 L.) ajrca;" ei\nai tw'n o{lwn ajtovmou" kai; kenovn, ta; dæ a[lla pav nta nenomivsqai. Cf. Plut. Adv. Colot. 1110 E (61 L.); Diog. Oenoand. Fr. 7 II 2 Smith (61 L.). Per l'interpretazione Gemelli Marciano 1998. Bisogna tuttavia distinguere in questo caso la parafrasi epicurea che compare all'inizio del breve sunto di Diogene, da quella che invece compare alla fine (9,45 = 68 A 1 DK; 569 L.) poiovthta" de; novmwi (Zeller, edd.: poihta; de; novmima codd.) ei\nai, fuvsei dæ a[toma kai; kenovn. Nietzsche 1870, 19 [219] attribuiva questa aggiunta al fatto che Diogene si sarebbe rifatto ad un Fragmentum kata;

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

Si può dunque affermare che il brano di Diogene è uno dei più chiari esempi di dossografia epicurea sull'atomo democriteo e non contiene nessun accenno all'indivisibilità dell'atomo per la piccolezza, ma solo per la solidità. Uno strato di tradizione peripatetica più tarda presente nei commentatori di Aristotele combina invece la terminologia aristotelico-teofrastea con quella epicurea sulla falsariga però di definizioni aristoteliche. In questo gruppo rientrano passi di Alessandro, del Filopono e di Simplicio. Alessandro, nel commento al famoso passo sull'atomismo del primo libro della Metafisica, sostiene che Leucippo e Democrito hanno definito il "corpo" degli atomi pieno per la sua compattezza e perché non è mescolato col vuoto10. La terminologia aristotelico-teofrastea si arricchisce con un ulteriore tratto tipico delle definizioni dell'atomo epicureo, la ajmixiva col vuoto11, che non compare né in Aristotele né nei brani di ascendenza teofrastea. La stessa definizione, lievemente modificata e attribuita congiuntamente a Leucippo, Democrito ed Epicuro, si incontra in un brano del commento al De caelo di Simplicio: gli atomi sono impassibili per il fatto che sono compatti e non partecipano (ajmoivrou") di vuoto12. Questa seconda testimonianza mostra un'assimilazione dell'atomismo antico a quello epicureo e deriva probabilmente da Alessandro stesso. In un altro passo del commento alla Fisica Simplicio enumera i vari significati di indivisibile: Se l'essere è uno in quanto indivisibile; poiché l'indivisibile si definisce in molti modi: o quello che non è ancora stato diviso e che può essere diviso, come ciascuna delle grandezze continue, o ciò che per natura non è assolutamente divisibile in quanto non ha parti in cui essere diviso, come il punto e la monade, o per avere parti e grandezza, ma essere impassibile per la solidità e la compattezza come ciascuno degli atomi di Democrito13.

mevro". Si tratta invece di una aggiunta di Diogene stesso in base alla formula da lui cono-

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sciuta attraverso la tradizione scettica. La stessa parafrasi ricompare infatti nel capitolo sugli scettici (9,72). Alex. In Metaph. 985a 21, 35,26s. (214 L.) plh're" de; e[legon (scil. Leuvkippo" kai; Dhmovkrito") to; sw' ma to; tw' n ajtovmwn dia; nastovthtav te kai; aj mixivan tou' kenou'. Il termine usualmente adottato per l'atomo epicureo è ajmevtoco" kenou', cf. Ps.-Plut. 1,3,877 D-F e i passi di derivazione aeziana. Simpl. In De cael. 275b 29, 242,18 (67 A 14 DK; 214 L.) ou|toi ga;r e[legon ajp eivrou" ei\nai tw'i plhvqei ta;" ajrcav", a}" kai; ajtovmou" kai; ajdiairevtou" ejnovmizon kai; ajp aqei'" dia; to; nasta;" ei\nai kai; aj moivrou" tou' kenou'. Simpl. In Phys. 185b 5, 81,34-82,3 (212 L.) eij de; ou{tw" e}n to; o]n wJ" ajdiaivreton, ejp ei; to; ajdiaivreton pollacw' ", h] to; mhvpw dihirhmevnon oi|ovn te diaireqh'nai kaqav per e{kaston tw' n sunecw' n, h] to; mhde; o{lw" pefuko;" diairei'sqai tw'i mh; e[c ein mevrh eij " a} ãa] nà diaireqh'i, w{sper stigmh; kai; monav", h] tw'i movria e[c ein kai; mev geqo", ajp aqe;" de; ei\nai dia; sterrovthta kai; nastovthta, kaqavp er eJkavs th tw'n Dhmokrivtou ajtov mwn. Simplicio, per il commento a

Capitolo sesto

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Il modello è quello delle definizioni di uno di Metaph. I 1, 1053a 20-24 dove Aristotele distingue un indivisibile in assoluto, quale la monade, da un indivisibile solo in relazione alla sensazione (in quanto ogni grandezza continua è divisibile) come la linea di un piede. Rispetto al modello aristotelico, Simplicio amplia la gamma degli indivisibili con l'accenno all'atomo che viene comunque distinto dalla monade perché ha parti ed è indivisibile solo per la sua solidità. Nel commento al De anima l'autore (sia egli Simplicio o Prisciano14) distingue esplicitamente gli atomi democritei dalle monadi di Senocrate proprio in virtù del fatto che gli uni sono indivisibili per la solidità e la compattezza, le altre sono prive di parti e indivisibili in assoluto. Egli aggiunge, parafrasando Aristotele: infatti, anche se Democrito concepisce il numero [dell'anima] come costituito da corpuscoli, li pone indivisibili per la compattezza e inoltre indifferenziati per specie e per natura. […] L'anima è dunque secondo ambedue, Democrito e Senocrate, costituita da indivisibili della stessa natura. Infatti non c'è alcuna differenza, in relazione all'essere numero, se i corpuscoli hanno una massa, che Aristotele ha chiamato grandezza, mentre le monadi sono prive di parti, monadi che egli ha definito per questo piccole15.

Le monadi sono qui chiaramente concepite come ejl avcista kai; ajmerh' indivisibili in assoluto, gli atomi invece sono indivisibili solo per la loro compattezza. Una costante dunque di questo filone peripatetico è la netta distinzione, in base alle definizioni aristoteliche, fra l'indivisibilità della monade, priva di parti, e l'atomo indivisibile perché solido, ma fornito di parti e di grandezza. Alcuni commentatori moderni hanno basato su queste testimonianze di Simplicio la loro interpretazione dell'atomo democriteo come teoreticamente divisibile16. Tuttavia questi passi non hanno maggiore validità di altri in cui Simplicio dice che l'atomo è un indivisibile

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questo passo della Fisica, attinge abbondantemente a fonti peripatetiche quali Alessandro ed Eudemo stesso come risulta dal seguito (83,19ss.; 26ss.). Il dibattito è aperto, cf. Hadot 1987, 23s. e 2002 la quale sostiene che, in ogni caso, non ci sono argomenti sufficienti per negare la paternità dello scritto a Simplicio. In De an. 409a 10, 64,2-7 (117 L.) ka]n ga;r ejk swmativwn tinw'n poih'i to;n ajriqmo;n oJ Dhmovkrito", ajll ejx ajdiairevtwn dia; nastovthta kai; e[ti ajdiafovrwn kat ei\do" kai; th;n uJpokeimev nhn fuvsin. ª...º ajriqmo;" ou\n kat aj mfotevrou" (scil. Dhmovkriton kai; Xenokrav thn) hJ yuch; ejx ajdiairevtwn kai; ajdiafovrwn. oujde; n ga;r dioivsei pro;" to; ajriqmo;n ei\nai to; ta; me;n swmavtia o[ gkon e[c ein, o} dh; mevgeqo" e[fh, ta; " de; monavd a" ei\nai ajmerei' ", a} " mikra; " dia; tou'to ei\p en.

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Cf. Zeller-Nestle 1920, I, 2, 2, 1065 n. 2; Lur'e 1932-1933, 174 lo cita in appoggio alla tesi della doppia indivisibilità degli atomi e dei minimi dell'atomo in Democrito; cf. anche 1970, 465. Contra Furley 1967, 95, il quale però ritiene affidabili le testimonianze che vanno in senso contrario, su questo v. infra, 3. 4. Sul problema costituito in generale dalle testimonianze di Simplicio, cf. Guthrie II, 1965, 506s.; Krämer 1971, 270. Baldes 1972, 48s. accenna ad un possibile influsso delle definizioni aristoteliche sul brano di Simplicio senza tuttavia porsi il problema della tradizione esegetica sottesa al passo.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

per la piccolezza e privo di parti. A livello di testimonianze si tratta di ajdiavfora e, come tali, vanno valutate. Ciò non toglie che anche questo brano sia importante, come del resto tutti gli altri dei commentatori aristotelici, per ricostruire un brandello di tradizione scolastica che ha veicolato delle informazioni su Democrito. Dallo stesso filone peripatetico tardo derivano alcune testimonianze del Filopono. Sulla falsariga di alcuni brani espositivi aristotelici, il Filopono sottolinea come gli atomi degli atomisti (Leucippo, Democrito ed Epicuro) siano indivisibili per la durezza, ma invisibili per la piccolezza17, tenendo ben distinte le due caratteristiche. Per dimostrare come la piccolezza renda gli atomi invisibili, il Filopono cita l'esempio del pulviscolo atmosferico su cui si ritornerà più diffusamente in seguito18.

2. Atomi privi di qualità e indivisibili per la solidità. La tradizione stoicizzante: Accademia scettica e classificazioni posidoniane Un gruppo di testi presenta ancora ulteriori peculiarità rispetto ai precedenti: il nucleo di base è teofrasteo, gli atomi di Democrito ed Epicuro vengono assimilati e definiti indivisibili per la solidità, ma il tutto rivela, nella terminologia e nei concetti di fondo, un marcato influsso stoico. Tale rappresentazione dell'atomo si fonda infatti sulla concezione stoica di materia prima priva di qualità (u{lh a[poio"), principio passivo, cui si affianca un principio attivo, il dio19. In un buon numero di testi di questo gruppo le notizie sull'atomismo sono inglobate in un contesto critico: gli atomi (la materia) sono sì privi di qualità (come la materia stoica), ma sono nel contempo anche impassibili (ajpaqei'") e non sottoposti ad alcun principio attivo e ordinatore, dunque non possono generare nulla. Questo tipo di critica all'atomismo risale molto probabilmente già allo stoicismo antico. Nel catalogo delle opere di Cleante compaiono due titoli: Pro;"

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Philop. In Phys. 184b 15, 25,5 (200 L.) Dhmovkrito" de; kai; Leuvkippo" kai; Epivkouro" ta;" ajtovmou" kai; to; keno;n uJp etivqento ª...º ajtovmou" de; e[lege swvmatav tina dia; smikrovthta ajfanh' kai; ajdiaivreta dia; sklhrovthta, oi| av eijsi dia; tw'n qurivdwn ejn tai'" ajkti'si koniortwvdh fainovmena yhvgmata, a{per ajfanh' givnetai mh; ejpilampouvsh" ajkti'no" ouj dia; to; mh; ei\nai, ajlla; dia; th;n smikrovthta. Cf. anche In De gen. et corr. 316b 32, 39,4; In De an. 403b 31, 67,21 (200 L.). V. infra, VII 5. Cf. per Zenone SVF I 85, 24,6-7; per Cleante, SVF I 493, 110,25-29; per Crisippo, SVF II 300, 111,8-10 e passim.

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Dhmovkriton20 e un trattato Peri; tw'n ajtovmwn nel quale il filosofo sosteneva la dottrina dei due principi, passivo (u{lh a[poio" kai; paqhthv) e attivo (qeov")21. Sfero, un allievo di Zenone e di Cleante, aveva anch'egli scritto contro gli atomi e gli idoli22. Sicuramente, dunque, quelle critiche contro l'incapacità generativa degli atomi e la mancanza di un principio ordinatore che emergono spesso negli autori tardi hanno la loro origine nello stoicismo antico. L'Accademia di mezzo, però, che per il suo carattere non dogmatico, si è servita di materiale di provenienza disparata, ha ripreso e fatto propri a fini critici questi motivi. I brani che verranno esaminati qui di seguito hanno in comune la definizione degli atomi di Democrito e di Epicuro (il nome di Leucippo generalmente non compare) come indivisibili per la solidità e la critica ad ambedue le dottrine così assimilate. Gli atomi vengono definiti ajpaqh' dia; th;n sterrovthta e a[poia. Se ajpaqhv" è un termine tipicamente aristotelicoteofrasteo23, a[poio" caratterizza invece la definizione stoica di materia e non compare come attributo dell'atomo né in Aristotele, né in Teofrasto 24 e neppure in Epicuro il quale concepiva pur sempre figura, grandezza e peso come caratteristiche qualitative, per natura connesse al concetto stesso di corpo25. Questa rappresentazione degli atomi è inserita per lo più in un contesto critico marcato anch'esso da una concezione stoica dell'universo. In tali contesti si sottolinea che: 1. Gli atomi sono tutti di un'unica natura e privi di qualità (corrispondono cioè alla u{lh a[poio" degli Stoici), ma impassibili per la loro solidità (contrariamente alla u{l h stoica per natura solo passiva). 2. Essendo tali e mancando un principio attivo, non possono generare nulla.

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SVF I 481, 107,1. Secondo von Arnim I, 1901, 138, 8, potrebbe trattarsi di un titolo diverso dell'opera Sugli atomi. SVF I 493, 110,25-29. Un'eco di questa contrapposizione di Cleante all'atomismo si avverte nelle Irrisiones di Hermias che, fra le molte confusioni, riporta anche materiale pregevole come già osservava Diels 1897, 263. Cf. Herm. Irris. 14 (Cleante contro Epicuro) ajll oJ Kleav nqh" ajpo; tou' frevato" ejp avra" th;n kefalh;n katagela'i sou tou' dov gmato" kai; aujto; " ajnima'i ta;" ajlhqei'" ajrca;" qeo; n kai; u{lhn.

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SVF I 620, 139,25. Arist. De gen. et corr. A 8, 326a 1ss.; Theophr. De caus. plant. 6,7,2 (68 A 132 DK; 499 L.). Per Aristotele e Teofrasto ajpaqev" designa già la mancanza di qualità (pavqo"), cf. Arist. De sens. 6, 445b 11-13 (429 L.); Theophr. De sens. 60 (68 A 135 DK; 71 L.); 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.). Cf. in particolare Ep. 1,68s. Le attestazioni del termine che si trovano nel Glossarium Epicureum dell'Usener (Simpl. In Cat. 15a 13, 431,24; Sext. Emp. Adv. Math. 9,335) sono contenute in esposizioni di matrice dossografica che non riportano la terminologia originale epicurea.

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3. La teoria atomista non spiega dunque la realtà fenomenica. Come potrebbero infatti generarsi degli esseri forniti di qualità da atomi solidi, privi di qualità e incapaci di patire? Le critiche all'atomismo sono state formulate in questi termini verosimilmente dagli Stoici antichi, ma sono attestate per la prima volta in autori legati all'Accademia scettica. In effetti, come si può dedurre da Cicerone, anche gli Accademici argomentavano contro gli indivisibili. A Carneade viene specificamente attribuita l'opinione che non esiste alcun corpo indivisibile e tale da non poter essere frammentato26. Nel primo libro del De natura deorum l'accademico Cotta giudica la concezione di un cosmo continuo e privo di vuoto per lo meno più verosimile di quella epicurea di un universo discontinuo fatto di indivisibili e di vuoto27. Varrone, nell'omonimo libro degli Academica, esponendo le tesi di Antioco, ribadisce la teoria della continuità della materia e della sua infinita divisibilità "poiché non c'è assolutamente nulla nella natura di così piccolo che non si possa dividere"28. Le critiche all'atomo indivisibile per la solidità, impassibile e privo di qualità nei termini sopra indicati emergono poi qua e là in Cicerone e si incontrano tutte insieme nella Contro Colote di Plutarco. Caratteristico di questi testi è il procedimento dialettico, tipico dell'Accademia scettica, che tende ad annientare l'avversario sul suo stesso terreno. Proprio questo carattere specificamente polemico anche nei confronti di Democrito e non solo di Epicuro distingue questo filone di tradizione sull'atomismo da un altro di tipo descrittivo, che si ritrova nella vulgata tarda e risale verosimilmente a Posidonio. Tuttavia, in ambedue i casi, pur con differenze specifiche, viene fornita una interpretazione dell'indivisibilità dell'atomo che emargina Leucippo e unifica le tesi di Democrito ed Epicuro.

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Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24ss. Mette) Illa autem quae Carneades adferebat, quem ad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpus autem immortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non possit. Cic. De nat. deor. 1,23,65 Abuteris ad omnia atomorum regno et licentia; hinc quodcumque in solum venit, ut dicitur, effingis atque efficis. Quae primum nullae sunt. Nihil est enim***quod vacet corpore; corporibus autem omnis obsidetur locus; ita nullum inane, nihil esse individuum postest. Haec ego nunc physicorum oracula fundo, vera an falsa nescio, sed veri tamen similiora quam vestra. Sulle fonti accademiche della critica ad Epicuro nel primo libro del De natura deorum, rimane ancora fondamentale Hirzel I, 1877, 32-45. Sulla stessa linea anche Lévy 1992, 563ss. Cic. Ac. 1,7,27 Cum sit nihil omnino in rerum natura minimum quod dividi nequeat. La fisica di Antioco è marcata dai concetti stoici di materia priva di forma e passiva e principio attivo e divino, cf. Ibid. 27-29. Sull'influsso della fisica stoica su Antioco, cf. Luck 1953, 46; Lévy 1992, 552-554.

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2. 1. La critica all'atomo indivisibile e privo di qualità nell'Accademia scettica L'Accademia scettica, proprio per il suo carattere non dogmatico, si muove liberamente fra le diverse scuole filosofiche, riprendendo spunti e motivi diversi da diverse parti e attingendo a piene mani anche dall'armamentario stoico29. In più occasioni lo schema dialettico e i contesti in cui compare la descrizione dell'atomismo con relativa critica rimandano appunto all'Accademia. In questi casi più che parlare di una "fonte" comune è più corretto parlare di una tradizione tramandata, anche oralmente, all'interno della scuola che perciò può presentarsi anche con varianti e aggiunte a dipendenza dell'uso personale e contingente delle argomentazioni da parte dei vari autori30. 2. 1. 1. Cicerone: De natura deorum, Academica L'uso di tesi stoiche contro l'atomismo da parte degli Accademici scettici è particolarmente evidente in Cicerone il quale pone le argomentazioni enunciate sopra al paragrafo 2 talvolta in bocca ad Accademici talvolta a Stoici. Nel primo libro del De natura deorum è l'accademico Cotta a parlare in questo modo contro Velleio, l'epicureo: In che modo tuttavia nasce tutto questo apparato delle cose esistenti da corpi indivisibili? i quali, se anche ci fossero, ma in realtà non esistono, potrebbero forse spingersi e urtarsi venendo a contatto uno con l'altro, ma non potrebbero generare forme, vita, colori31.

Nel secondo libro del De natura deorum è lo stoico Balbo a sostenere le stesse tesi32, ma nel Lucullus è Cicerone stesso, in qualità di fautore delle tesi di Filone di Larissa, a spiegare con argomentazioni simili il suo rifiuto di aderire, tra le altre dottrine, anche a quella democritea. Se infatti volesse 29

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Cf. in particolare la dipendenza delle argomentazioni di Carneade da Crisippo, Cic. Ac. 2,27,87 (Carnead. F 5, 85,67ss. Mette). Per la rielaborazione delle argomentazioni sul tevlo" di Crisippo da parte di Carneade, cf. Algra 1997. Sulla prassi della memorizzazione di argomenti, del resto ampiamente in uso nelle scuole di retorica, cf. Mansfeld 1999, 15s. Cic. De nat. deor. 1,39,110 Omnis tamen ista rerum effigies ex individuis quo modo corporibus oritur? quae etiam si essent, quae nulla sunt, pellere se ipsa et agitari inter se concursu fortasse possent, formare figurare colorare animare non possent. De nat. deor. 2,37,93-94 Hic ego non mirer esse quemquam qui sibi persuadeat corpora quaedam solida atque individua vi et gravitate ferri mundumque effici ornatissimum et pulcherrimum ex eorum corporum concursione fortuita? [...] Isti autem quem ad modum adseverant ex corpusculis non calore, non qualitate aliqua (quam poiovthta Graeci vocant) non sensu praeditis sed concurrentibus temere atque casu mundum esse perfectum. Sulla stessa linea si situano anche le critiche all'atomismo di De fin. 1,6,18 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.).

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seguire Democrito, che peraltro egli stima, subito sarebbe incalzato da una schiera di Stoici i quali gli chiederebbero: Ma tu credi davvero che ci sia un qualche vuoto [...] o che esistano degli atomi completamente diversi da qualsiasi cosa essi formino?33.

La flessibilità con cui Cicerone affida gli stessi argomenti a Stoici e Accademici è in perfetta consonanza con il carattere dialettico degli stessi e col fatto che erano divenuti un patrimonio confutativo comune che poteva essere utilizzato in diverse maniere e in diversi contesti. 2. 1. 2. Plutarco. Contro Colote Il problema delle fonti della Contro Colote di Plutarco, anche dopo lo studio di Westman 1955, non può considerarsi risolto. Egli, infatti, tende in generale ad attribuire a Plutarco stesso delle argomentazioni che fanno invece parte di schemi retorici diffusi e a trascurare il ruolo della tradizione dell'Accademia scettica proprio nell'elaborazione e nella trasmissione di queste argomentazioni. In una dissertazione del 1911, che costituisce in effetti ancora oggi forse l'unico studio in qualche modo comprensivo delle relazioni fra Plutarco e l'indirizzo scettico, Schröter aveva rilevato che diversi punti della Contro Colote rimandano ad argomentazioni scettiche nella tradizione dei tropi di Enesidemo34. Egli si è tuttavia limitato a considerare il rapporto diretto Plutarco-scetticismo senza allargare la ricerca ad una consuetudine di trasmissione scolastica tipica anche dell'Accademia scettica, non rifuggendo così da una certa episodicità e anche da una certa inesattezza. La tesi dell'uso della tradizione accademica scettica da parte di Plutarco, soprattutto in opere polemiche come la Contro Colote e quelle contro gli Stoici, è stata ripresa negli ultimi decenni in un libro fondamentale per la ricostruzione dell'immagine dell'Accademia scettica quale quello di John Glucker35. Sulla sua scia altri studi moderni hanno sottolineato inoltre come Colote stesso abbia diretto i suoi strali, fra gli altri, anche contro autori prediletti dall'Accademia di Arcesilao e contro le 33

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Cic. Ac. 2,40,125 Sin agis verecundius et me accusas, non quod tuis rationibus non adsentiar, sed quod nullis, vincam animum cuique adsentiar deligam-quem potissimum? Quem? Democritum: semper enim, ut scitis, studiosus nobilitatis fui. urguebor iam omnium vestrum convicio: 'tune aut inane quicquam putas esse [...] aut atomos ullas, e quibus quidquid efficiatur, illarum sit dissimillimum'? L'argomento secondo cui gli elementi devono essere omogenei rispetto a ciò di cui sono elemento ha le sue radici nella distinzione crisippea fra elemento, che è appunto tale, e principio, che non lo è (SVF II 408, 134,37). Schröter 1911, 11ss. e passim. Glucker 1978. Per questa tesi, cf. anche De Lacy 1953-1954; Jones 1916, 18s.; Donini 1986, 205.

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interpretazioni che quest'ultima ne aveva dato36. Ovviamente il problema delle fonti della Contro Colote è complesso ed esula dai limiti di questo studio, ma alcuni passi in cui l'esposizione delle teorie atomiste è inquadrata in un giudizio critico globale su di esse riflettono la stessa tradizione che si ritrova nei testi di Cicerone. 1. Nella Contro Colote ricompare il leit-motiv ciceroniano del plagio epicureo di Democrito. Quando introduce qualche innovazione, Epicuro non fa che peggiorare la dottrina, per il resto copia37. 2. La critica agli atomi di Democrito e poi, successivamente, anche a quelli di Epicuro, viene impostata negli stessi termini di quella dell'Accademico Cotta nel De natura deorum ciceroniano. L'accusa è sempre la stessa: da atomi impassibili, solidi, privi di qualità non possono nascere esseri viventi e forniti di qualità, anzi non possono formarsi neppure degli aggregati in quanto tali atomi, incontrandosi, rimbalzano e si allontanano immediatamente uno dall'altro38. 3. Plutarco accenna, in diretta correlazione con la critica all'atomo impassibile, ad un motivo che riemerge in modo più esplicito e dettagliato solo più tardi in un testo di Galeno39, quello dell'impossibilità per i corpi 36

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Glucker 1978, 260s. L'immagine di Socrate che riflette la Contro Colote è ad esempio perfettamente congruente con quella circolante nell'Accademia filoniana ancora ai tempi di Cicerone (Ac. 1,4,16; 12,44; 2,23,74). Cf. Opsomer 1998, 101-105. L'incapacità di Socrate di definirsi come uomo è un tema che ritorna nell'interpretazione "scettica" del filosofo riferita da Sesto Empirico (Adv. Math. 7,264; Pyrrh. Hyp. 2,22). E' probabile che Colote si sia servito anche di una "vulgata" sui filosofi elaborata nell'Accademia di Arcesilao e assunta anche dall'epicureismo. Cf. Caizzi 1986, 155; Gemelli Marciano 1998; Brittain-Palmer 2001; Warren 2002. Plutarco gli rimprovera non solo di essersi servito di affermazioni degli autori che egli critica estrapolate dal loro contesto (Adv. Colot. 1108 D), ma di non averne neppure letto i libri (come nel caso di Democrito, Adv. Colot. 1109 A). La confutazione di Colote (o delle tendenze da lui rappresentate) in quanto avversario diretto dell'Accademia scettica, doveva costituire un esercizio retorico non così inusuale nella tradizione della scuola. Plut. Adv. Colot. 1111 C-E oujk ou\n ajnagkai'on uJpoqevsqai, ma'llon de; uJfelevsqai Dhmokrivtou, ajtovmou" ei\ nai tw'n o{lwn ajrcav ": qemev nwi de; to; dovgma kai; kallwpisamev nwi tai'" prwvtai" piqanovthsin aujtou' prosekpotevon ejsti to; duscerev", h] deiktevon o{pw" a[poia swvmata pantodapa; " poiovthta" aujtw'i movnwi tw'i sunelqei'n parevscen. Cf. Cic. De fin.

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1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); 1,6,21 (182, 350, 470 L.); De nat. deor. 1,26,73 (68 A 51 DK; XCIX L.); 1,33,93 (CIV L.); 1,43,120 (68 A 74 DK; 472a, 594 L.). Plut. Adv. Colot. 1110 F (68 A 57 DK; 179 L.) tiv ga;r levgei Dhmovkrito"… oujsiva" ajp eivrou" to; plh'qo" ajtovmou" te kai; ajdiafqovrou" (corr. Emperius: diafovrou" EB), e[ti de; ajpoivou" kai; ajp aqei'" ej n tw'i kenw'i fevr esqai diesparmevna": o{tan de; pelavswsin ajllhvlai" h] sumpevswsin h] periplakw'si faivnesqai tw'n ajqroizomev nwn to; me; n u{dwr to; de; pu'r to; de; futo;n to; de; a[nqrwpon, ei\nai de; pavnta ta;" ajtovmou", ijdev a" uJp aujtou' kaloumevna", e{teron de; mhdevn: ejk me;n ga;r tou' mh; o[ nto" oujk ei\ nai gev nesin, ejk de; tw' n o[ntwn mhde;n a]n genevsqai tw'i mhvte pavscein mhvte metabavllein ta; " ajtovmou" uJpo; sterrovthto": o{q en ou[te crov a ej x ajcrwvstwn ou[te fuvsin h] yuch; n ejx ajpoivwn kai; ajpaqw' n uJp avrcein. Cf. Cic. De nat. deor.

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1,39,110, supra, n. 31. Infra, 3. 2. 3.

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fatti di atomi e di vuoto di essere feriti o ammalarsi. L'obiezione è rivolta principalmente contro le teorie epicuree, ma è valida in blocco anche contro tutte le dottrine atomiste. A Colote che rimprovera ad Empedocle di aver eliminato la possibilità per gli esseri viventi di ferirsi e ammalarsi, Plutarco risponde che non è Empedocle ad aver fatto questo, ma semmai le dottrine epicuree che hanno composto i corpi da atomi e vuoto, ambedue insensibili40. Si tratta di una critica diffusissima cui risponde lo stesso Lucrezio nel secondo libro del De rerum natura41. Tale argomentazione fa parte di una serie di confutazioni dialettiche che mirava a porre le dottrine atomiste in una empasse: o gli atomi, in quanto impassibili, non possono generare nulla che sia vivo e con tutte le caratteristiche dell'essere vivente, cioè anche quella di ferirsi o ammalarsi, o, se non sono tali, anch'essi, come tutti gli altri corpi viventi, sono esposti a malattia, dolore e dissoluzione e non possono essere eterni. L'insistenza sulla malattia e la dissoluzione come caratteristiche proprie dell'essere vivente è un motivo tipico di Carneade così come il fatto che nessun corpo è immortale, indivisibile e tale da non poter essere frammentato42. Filodemo, già nel I sec. a.C., rispondeva a queste critiche affermando che i corpi sono corruttibili non in quanto corpi, ma in quanto partecipi del vuoto43. Il brano di stile dossografico di Plutarco su Democrito con la relativa critica agli atomi ha dunque le sue radici nella tradizione dell'Accademia scettica così come la maggior parte dei riferimenti ciceroniani. La rappre-

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Adv. Colot. 1113 E tivsin ou\n ajlhqw'" e{petai to; mh; traumativzesqai mhde; nosei'n, w\ Kwlw'ta… uJ mi'n toi' " ej x ajtovmou kai; kenou' sumpephgovsin, w| n oujd etevrwi mevtestin aijsqhvsew".

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Lucrezio (cf. in particolare 2,865ss.) confuta a sua volta punto per punto queste obiezioni con l'armamentario scolastico sviluppato nell'epicureismo. Cic. De nat. deor. 3,12,29 (Carnead. F 8a, 93,24 Mette) Illa autem quae Carneades adferebat, quem ad modum dissolvitis? Si nullum corpus immortale sit, nullum esse corpus sempiternum; corpus autem immortale nullum esse, ne individuum quidem nec quod dirimi distrahive non possit; cumque omne animal patibilem naturam habeat, nullum est eorum quod effugiat accipiendi aliquid extrinsecus, id est quasi ferendi et patiendi necessitatem, et si omne tale est, immortale nullum est [...] 13,32 Omne enim animal sensus habet; sentit igitur et calida et frigida et dulcia et amara nec potest ullo sensu iucunda accipere, non accipere contraria; si igitur voluptatis sensum capit, doloris etiam capit; quod autem dolorem accipit, id accipiat etiam interitum necesse est. omne igitur animal confitendum est esse mortale. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 9,139; 142 (Carnead. F 3, 80,2-3; 81,17-19 Mette); 151 (Carnead. F 3, 81,30 Mette). Philod. De signis 25, 53,2 De Lacy eujqevw " ga;r [t]a; par hJmi'n swvmata [o]ujc h|i swvmat ejsti;n fqartav ejstin ajll h|i fuvsew" hj nantiwmev nh" th'i swmatikh'i kai; eijktikh'" meteivlhfen. oJmoivw" de; crwvmat e[c ei ta; par hJmi' n swvmata oujc h|i swv mat ejstivn. Il fatto che Filodemo usi precedentemente il termine periodeuvein (cercare una sicura prova) tipico della termi-

nologia carneadea (Carnead. F 1, 72,26ss. Mette) potrebbe essere, più che un prestito (De Lacy, ad. loc., 109 n. 59), una allusione ad attacchi accademici contro i principi epicurei in questi termini.

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sentazione dell'atomo in questi testi rimane comunque costantemente quella di un corpuscolo indivisibile perché solido. 2. 2. La vulgata di matrice posidoniana Esiste tuttavia anche un'altra tradizione, più recente, interna allo stoicismo, cui si è già accennato nel secondo capitolo, che è divenuta la "vulgata" negli autori di età imperiale. I suoi tratti distintivi rispetto al filone precedente sono: il carattere manualistico, lo stile dossografico e la classificazione di Democrito ed Epicuro (Leucippo non compare) fra coloro che hanno posto come principi corpi indivisibili per la solidità, separati espressamente dai sostenitori di tesi corpuscolari. Questa classificazione risale probabilmente a Posidonio che, secondo la versione più completa della vulgata fornita da Sesto Empirico, riportava le origini della dottrina atomistica al saggio fenicio Moco44. I presupposti di questa distinzione fra atomisti e corpuscolaristi sono ben chiariti da Sesto nel primo libro Contro i Matematici in un passo nel quale vengono elencate le varie teorie di coloro che ammettono dei corpi solo intellegibili: alcuni li ritengono insecabili, altri li considerano divisibili. Questi ultimi vengono ancora distinti in due sottogruppi: quelli che li pongono divisibili all'infinito, quelli che, pur ritenendoli divisibili, li fanno terminare in certi minimi privi di parti45. In questo schema gli atomi di Epicuro e Democrito (assolutamente indivisibili) vengono costantemente distinti dai minimi privi di parti (ulteriormente divisibili col pensiero), attribuiti esclusivamente a Diodoro. Se Posidonio separava espressamente l'atomismo dalle dottrine corpuscolariste, si comprende perché nella sezione Sui minimi (Peri; ejl acivstwn) del cosiddetto Aezio46, che risale in ultima analisi a lui, compaiano Eraclito, Empedocle, Eraclide, Senocrate e Diodoro, ma non gli atomisti: gli ejlavcista infatti, nella definizione risalente all'Accademia platonica e corrente nella filosofia 44

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Sext. Emp. Adv. Math. 9,363 (68 A 55 DK; 124, 169 L.) Dhmovkrito" de; kai; Epivkouro" ajtovmou", eij mhv ti ajrcaiotevr an tauv thn qetevon th; n dovxan kai;, wJ" e[l egen oJ Stwiko;" Poseidwvnio", ajpo; Mwvcou tino;" aj ndro;" Foivniko" katagomev nhn, Anaxagovra" de; oJ Klazomev nio" oJmoiomereiva", Diovdwro" de; oJ ejpiklhqei;" Krovno" ejlavcista kai; ajmerh' swvmata, Asklhpiavdh" oJ Biquno; " ajnavrmou" o[ gkou". Per la menzione di Moco, cf. anche Strab.

16,2,24; Diog. Laert. Prooem. 1. Sext. Emp. Adv. Math. 1,27 ajll ª...º ou[te nohto;n (scil. to; sw'ma ei\nai duvnatai) dia; to;

ajdhlei'sqai kai; auj to; tou'to aj nepikrivtw" diafwnei'sqai para; pa'si toi'" filosovfoi", tw'n me;n a[tomon tou'to legov ntwn uJpavrcein tw' n de; tmhto;n, kai; tw' n tmhto;n famevnwn ei\nai ejnivw n me;n eij" a[peiron tevmnesqai tou'to ajxiouv ntwn, ej nivwn de; eij" ejlavciston kai; ajmere;" katalhvgein. Sull'importanza di questo passo per decifrare un testo corrotto di Pseudo-Plu46

tarco e Stobeo, v. infra, 3. 3. Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312).

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di età tardo-ellenistica e imperiale, sono corpuscoli minimi ulteriormente divisibili col pensiero anche se in realtà non divisi. Gli atomi non appartengono a quest'ambito. Questa classificazione delle dottrine atomiste ritorna, con delle varianti, in diversi autori di età imperiale. Una di queste versioni, quella del vescovo di Alessandria Dionisio (III sec. d.C.), è particolarmente interessante, non solo perché riporta un resoconto più ampio sull'atomismo rispetto alle liste usuali, ma anche perché ha scatenato ipotesi e discussioni sulla dimensione degli atomi democritei. Dionisio oppone ai monisti (Platone, Pitagora gli Stoici ed Eraclito) gli atomisti come sostenitori di una infinità di principi e di una sostanza infinita, ingenerata e non regolata da alcuna provvidenza (un altro tratto su cui insistono spesso i resoconti tardi di matrice stoica). A Epicuro e a Democrito attribuisce espressamente atomi indivisibili per la solidità e intravvede una diaphonia solo nel fatto che Democrito avrebbe assunto addirittura degli atomi grandi come un mondo, mentre Epicuro li avrebbe concepiti tutti come piccolissimi. Quest'ultimo dettaglio, che si trova anche in Stobeo47, deriva, come ha dimostrato O'Brien, da un pre-supposto e cioè dal motivo epicureo dell'esistenza di parti dell'atomo cui consegue una correlazione fra varietà di forme e varietà di grandezza: se l'atomo è formato di parti, una variazione infinita di forme, produce una variazione infinita anche di volume. Questa correlazione viene esplicitamente istituita da Lucrezio48 e tacitamente presupposta sia dai dossografi antichi che dagli storici della filosofia moderni49. Un altro fatto non è però mai stato rilevato e cioè che questa 47

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Stob. 1,14,1 (Dox. 311; 68 A 47 DK; 207 L.) dalla stessa fonte, che non è direttamente epicurea come vuole Diels, Vors. II, 96 n. ad loc., ma si basa semmai su dei presupposti epicurei secondo cui gli atomi sono infiniti per numero e per grandezza (cf. anche Diog. Laert. 9,44, supra, n. 5). 2, 479-499. O'Brien 1982, 191ss. I moderni si sono spesso limitati a utilizzare questo passo senza discuterlo criticamente. Bailey 1928, 126-28 vi vedeva una conferma della differenza da lui ipotizzata fra Leucippo e Democrito; invece di un atomo indivisibile per la piccolezza, Democrito avrebbe assunto un atomo indivisibile per la solidità e un'infinità di forme che avrebbe portato anche alla possibilità di un atomo grande e visibile. L'infinità di forme, tuttavia, è attribuita espressamente da Aristotele (De gen. et corr. A 2, 315b 6ss. = 67 A 6 DK; 240 L.) e da Teofrasto (Fr. 229 FHS&G = 67 A 8 DK; 147 L.) sia a Democrito che a Leucippo. Più fantasiosa l'interpretazione data da Mau 1954, 24 il quale, vedendo nell'atomo democriteo un minimo matematico e una misura, fa dell'atomo grande come un mondo una misura delle grandezze astronomiche (grandezze che richiedono una unità di misura molto grande). Mugler 1956, 234 vede nell'atomo grande l'applicazione del principio di isonomia (l'argomento dell'indifferenza) il quale tuttavia non viene mai enunciato rispetto alla grandezza, ma alle forme. Altrove (1959, 11) contempla la possibilità che Democrito potesse pensare che, in mondi diversi dal nostro, potessero esistere atomi di grandezza maggiore di quelli costituenti mediamente il nostro mondo, ma qui siamo nel campo della pura speculazione. Makin 1993, 63 riprende l'argomento dell'indifferenza delle

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affermazione così specifica è una presa di distanza da un'altra rappresentazione del rapporto Epicuro-atomisti antichi, che ritorna nei padri della chiesa e verrà esaminata in seguito, secondo la quale il primo avrebbe posto atomi indivisibili per la solidità, gli altri invece atomi indivisibili per la piccolezza. Qui viene ribadito proprio il contrario: Democrito, lungi dal sostenere questa ipotesi, ha invece ammesso atomi grandissimi poiché li riteneva, come Epicuro, indivisibili per la solidità. Nel seguito del resoconto Dionisio riproduce in maniera confusa lo schema classificatorio della vulgata, distinguendo gli atomisti da Diodoro, Eraclide ed Asclepiade, ma elimina la differenza sostanziale fra gli uni e gli altri facendone una questione di mera denominazione: i corpuscolaristi avrebbero solo "cambiato nome agli atomi" chiamandoli "minimi privi di parti" o "o[gkoi"50 . La versione fornita da Dionisio risale probabilmente ad una fonte neopitagorica che interpretava come principio di Pitagora, e quindi anche di Platone, l'uno inserendo ambedue fra i monisti. Tale fonte ha rielaborato un resoconto di matrice stoica così come hanno fatto anche altri autori di

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forme e sostiene che, per una forma di "charity", si devono far trarre a Democrito tutte le conseguenze di questo argomento anche per le grandezze. Lur'e 1970, 464 accetta senza discussione la testimonianza. Alfieri incline in 1936 ad una valutazione positiva dei testi di Dionisio e di Stobeo (13 n. 49; 19 n. 75; 80 n. 151; 94 n. 207), vi vede invece in 1979, 67 (cf. anche 1952, 149) una sorta di glossa critica non riferibile alla dottrina democritea stessa, bensì alle conseguenze che se ne potevano trarre. Così anche Guthrie II, 1965, 394s. e Furley 1967, 96. Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14, 23,1-4 (68 A 43 DK; 219, 265, 299, 310 L.) povteron e{n ejsti sunafe; " to; pa'n, wJ" hJ mi'n te kai; sofwtavtoi" tw'n ÔEllhvnwn Plav twni kai; Puqagovrai kai; toi'" ajpo; th' " Stoa' " kai; ÔHrakleivtwi faivnetai ª...º h] kai; polla; kai; a[peira, w{" tisin a[lloi" e[doxen, oi} pollai'" th'" dianoiva" paraforai'" kai; poikivlai" proforai'" ojnomavtwn th;n tw'n o{lwn ejpeceivrhsan katakermativzein oujsiv an a[peirovn te kai; ajgev nhton kai; ajpronovhton uJpotivqentai… oiJ me;n ga;r ajtovmou" proseivponte" a[fqartav tina kai; smikrovtata swvmata plh'qo" ajnavriqma kaiv ti cwrivon keno; n mev geqo" ajp eriovriston probalovmenoi, tauvta" dhv fasi ta;" ajtov mou" wJ" e[tucen ej n tw'i kenw'i feromevna" aujtomavtw" te sumpiptouvsa" ajllhvlai" dia; rJuvmhn a[takton kai; sumplekomev na" dia; to; poluschvmona" ou[sa" ajllhvlwn ejpilambav nesqai, kai; ou{tw tovn te kovsmon kai; ta; ej n aujtw'i, ma' llon de; kovsmou" ajpeivrou" ajpotelei'n. tauv th" th' " dovxh" Epivkouro" gegovnasi kai; Dhmov krito": tosou'ton de; diefwvnhsan o{son oJ me; n ejlacivsta" pavs a" kai; dia; tou'to aj nepaisqhvtou", oJ de; kai; megivsta" ei\ naiv tina" aj tovmou" oJ Dhmovkrito" uJpevl aben. ajtovmou" de; ei\naiv fasin ajmfovteroi kai; levgesqai dia; th; n a[luton sterrovthta. oiJ de; ta; " ajtovmou" metonomavs ante" ajmerh' fasin ei\ nai swvmata, tou' panto;" mevrh, ejx w|n ajdiairevtwn o[ ntwn suntivqetai ta; pavnta kai; eij" a} dialuv etai. kai; touvtwn fasi; ajmerw' n oj nomatopoio;n Diovdwron gegonevnai: o[noma dev, fasivn, auj toi'" a[llo ÔHrakleivdh" qevmeno" ejkavlesen o[gkou", par ou| kai; Asklhpiavdh" oJ ijatro;" ejklhronovmhse to; o[noma. Cf. per l'ultima parte [Gal.] Ther. ad Pis. 11 (XIV,250 K.) ejx ajtovmou kai; tou' kenou' kata; to;n Epikouvrou te kai; Dhmokrivtou lovgon suneisthvkei ta; pavnta, h] e[k tinwn o[gkwn kai; povrwn kata; to;n ijatro; n Asklhpiavdhn: kai; ga;r ou{tw" ajllavxa" ta; oj novmata movnon kai; ajnti; me; n tw' n ajtovmwn tou;" o[gkou", aj nti; de; tou' kenou' tou; " povrou" lev gwn th;n aujth; n ej keivnoi" tw' n o[ntwn oujsivan ei\nai boulovmeno".

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

età imperiale51, ma ha dato una diversa versione della diaphonia fra Epicuro e Democrito rispetto a quella che è accennata nella dossografia aeziana e si ritrova in altri autori della tarda età imperiale.

3. Atomo indivisibile per la piccolezza e minimo fisico negli autori tardi Nel capitolo quinto si è parlato di una interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi come "minimo" alla luce di una problematica logico-ontologica e di una visione matematizzante della realtà sensibile tipica dell'Accademia antica. In questa ottica l'atomo diviene l'unità ultima che ordina e misura il sensibile, il minimo privo di parti relativo e, come tale, viene posto sullo stesso piano di un corpuscolo sempre divisibile con la mente, anche se in pratica mai diviso. Tale interpretazione, che influenza la presentazione aristotelica dell'atomismo nei contesti che trattano la problematica degli indivisibili, si ripresenta anche nella tradizione successiva, se pure con una frequenza del tutto inferiore a quella della rappresentazione dell'atomo pieno e compatto di matrice aristotelico-teofrastea. Se si può tracciare una storia di questa particolare esegesi dall'Accademia scettica fino a Simplicio, resta tuttavia difficile riempire quel vuoto che separa gli allievi più prossimi di Platone dall'Accademia di Arcesilao, una difficoltà connaturata con la profonda trasformazione operatasi nella scuola sotto lo scolarcato di quest'ultimo52. Tale lacuna, nel caso specifico come in tante altre problematiche correlate alla seconda Accademia, può 51

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Sesto varia presentando non un elenco, ma una opposizione fra sostenitori dei vari principi principi corporei e incorporei, che la versione originale probabilmente non contemplava. Inoltre, rispetto a Dionisio, assegna agli Stoici quattro principi, classifica Pitagora e Platone fra i sostenitori dei principi incorporei e li qualifica non come monisti, ma come pluralisti tenendoli ben distinti uno dall'altro (Pitagora ha assunto come principi i numeri, Platone le idee). Ippolito (Ref. 10,6,1-7) fornisce una ulteriore versione ancora più complessa, probabilmente di provenienza medioplatonica in quanto a Platone sono attribuiti i classici tre principi medioplatonici: dio-materia-modello. Gli Stoici vengono inseriti fra i monisti, come in Dionisio, ma la lista dei sostenitori di infiniti principi si presenta ulteriormente rielaborata in base alla distinzione: uguali a ciò che essi generano (Anassagora)/ diversi da ciò che essi generano. Sotto quest'ultima voce vengono distinti coloro che pongono principi diversi e impassibili (Democrito ed Epicuro) da quelli che pongono invece principi diversi, ma capaci di patire (Eraclide e Asclepiade). Si tratta, come si vede, di schemi flessibili e adattati in base alle esigenze di ciascuna scuola filosofica. Uno stacco dall'Accademia platonica e radici peripatetiche ipotizza Weische 1961. Una continuità nella tradizione accademica, soprattutto per quanto riguarda il metodo dialettico e la base logica della dottrina delle idee e delle categorie, e dunque uno sviluppo della seconda Accademia sui metodi di fondo dell'Accademia platonica tramandatisi all'interno della scuola, vi vede Krämer 1971, cap. I.

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essere colmata solo da ipotesi più o meno plausibili. Sta di fatto che comunque l'interpretazione del corpuscolo solido come ejl avciston kai; ajmerev", minimo indivisibile per la piccolezza e privo di parti, riemerge nella tradizione tarda collegata, però, in particolare al nome di Leucippo. Solo di riflesso e per gli accidenti della trasmissione viene talvolta estesa anche agli atomi di Democrito e persino a quelli di Epicuro. Bailey aveva ricostruito una dottrina atomista di Leucippo diversa da quella di Democrito appoggiandosi soprattutto a questo filone53. 3. 1. Le premesse. Epicuro fra l'Accademia e Aristotele: atomi solidi e minimi dell'atomo La tradizione tarda che presenta l'atomo degli atomisti antichi come ejlavciston kai; ajmerev" ha come tratto distintivo la diaphonia fra Leucippo (talvolta anche Democrito) ed Epicuro: ad un atomo, minimo indivisibile per la piccolezza e privo di parti degli atomisti antichi, Epicuro avrebbe contrapposto il suo atomo indivisibile per la solidità. Si tratta di una rappresentazione opposta a quella del filone precedentemente esaminato che invece vede una sostanziale concordanza fra Epicuro e Democrito. Per verificare se tale diaphonia rispecchi veramente la posizione di Epicuro o sia solo una ricostruzione a posteriori, è opportuno fare una digressione sui fondamenti dell'atomismo epicureo. La definizione dell'ejlavciston come ajmerev" e misura di ogni singolo livello dell'essere e la sua utilizzazione per la soluzione delle aporie zenoniane, risale, come si è visto, a Senocrate. Aristotele non designa mai esplicitamente gli atomi di Democrito e Leucippo come ajmerh', ma applica questa definizione agli indivisibili matematici, in particolare al punto, estendendone però la denotazione, in contesti diretti contro gli Accademici, anche alle grandezze prime di ogni livello54. Nel sesto libro della Fisica si produce in un minuzioso esame dei problemi che questo concetto di indivisibile privo di parti comporta se applicato all'ambito della fisica, caratterizzato per eccellenza dal movimento. O si nega il movimento in atto (praticamente ricadendo nell'assurdo ancora più grave di ammettere che un oggetto non è mai in movimento, ma si è comunque mosso) o si deve concedere che non esistono indivisibili. Queste critiche non hanno come obiettivo principale Leucippo e Democrito cui Aristotele non attribuisce mai primariamente degli atomi privi di parti, ma gli Accademici55. 53 54 55

Bailey 1928, 78ss. In particolare Phys. Z 1-2, cf. Krämer 1971, 265s. Cf. Krämer 1971, 288ss.

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Questa premessa è indispensabile per comprendere le ragioni profonde della doppia caratterizzazione dell'indivisibile in Epicuro che sembra aggiungere ad un atomismo fisico una appendice matematizzante suggerita da ragioni teoriche, ma priva di una valenza fisica effettiva. Non è il caso di dilungarsi sul ruolo svolto dalle critiche aristoteliche agli indivisibili privi di parti della Fisica nell'elaborazione del concetto di minimo assoluto da parte di Epicuro56 e neppure sull'influsso esercitato dall'Accademia, un tema anch'esso già ampiamente trattato57. E' importante invece rivedere le modalità di ricezione di questi influssi. Epicuro stabilisce chiaramente una distinzione fra aspetto fisico e aspetto logico del problema degli indivisibili: l'atomo è il principio ultimo ipotizzabile nel campo della fisica, il minimo dell'atomo quello ipotizzabile nell'ambito della teoria, ma solo il primo costituisce il fondamento della realtà, mentre l'altro esiste solo kat ejpivnoian e ha quindi una funzione meramente logica. Esso serve a spiegare certi fenomeni (quali ad esempio il fatto che l'atomo abbia una grandezza58, ma non infinite variazioni59), ma non li genera. A mio parere si tratta di un elemento fondamentale, sostanzialmente polemico contro le concezioni accademiche. Si è visto che nel brano di Sesto Empirico Contro i Matematici60 i cosiddetti Pitagorici rimproveravano agli atomisti antichi proprio la mancanza di quella ulteriore scomposizione mentale (kat ejpivnoian) che, spingendosi al di là dell'apparente eternità del mondo fisico, li avrebbe portati a scomporre i corpi, per natura composti, nei più principianti incorporei matematici. Si è visto, d'altra parte, come Aristotele contrapponesse all'atomismo, secondo lui infecondo e statico, degli Accademici proprio quello degli atomisti antichi capace, se non altro, di generare degli oggetti fisici e in movimento e come attribuisse agli oggetti matematici un valore unicamente logico. Soprattutto nel quadro di queste due posizioni fondamentali del dibattito sull'atomismo fra l'Accademia e il Peripato, mi sembra si debba inserire la dottrina epicurea. Si tratta infatti di un compromesso fra l'ontologia matematizzante degli Accademici, che rimproveravano agli atomisti di non aver cercato le vere cause intellegibili del reale, e la fisica atomista ripresa e giustificata sulla base delle critiche aristoteliche all'Accademia. In questo senso la dottrina epicurea dei minimi dell'atomo costituisce anche una conferma indiretta dell'autenticità della polemica di Senocrate e degli Accademici contro gli atomisti. Epicuro accetta il principio accademico della scomposizione mentale privandolo 56 57

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Cf. su questo soprattutto Mau 1954, 27ss.; Furley 1967, cap. 8. L'opera fondamentale su questo aspetto è Krämer 1971, 231ss. Cf. anche Isnardi Parente 1980b, 367-392; 1981, 24s. n. 40. Ep. Ep. 1,59. Lucr. 2,481-499. 10,255ss., supra II 4.

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però di una validità ontologica e fondandolo su altre premesse metodologiche legate all'empiria e al ragionamento induttivo, non più al metodo matematico di sottrazione. Il minimo dell'atomo viene infatti inferito per analogia col minimo sensibile e non per scomposizione del corpo nelle sue componenti matematiche ai vari livelli. Vengono invece accettati i minimi privi di parti dell'Accademia nel loro carattere di limiti e unità di misura solo perché servono a spiegare fenomeni visibili, ma non viene loro attribuita una esistenza autonoma61. A questo proposito è da rilevare l'analogia dei minimi dell'atomo con la concezione delle qualità costitutive del corpo: figura, grandezza, peso. Anch'esse sono entità noetiche senza le quali un corpo non può essere concepito come tale, ma non hanno un'esistenza indipendente. Con questo Epicuro rifiuta implicitamente le idee incorporee platoniche come entità a sé stanti e si allinea sulle posizioni delle Categorie aristoteliche. Sia nella teoria dei minimi che nella concezione del corpo egli opera dunque una netta distinzione fra fisica e logica, sulla base delle obiezioni agli Accademici e delle conseguenti teorie elaborate da Aristotele. Questo spiega perché, nonostante le critiche aristoteliche della Fisica agli indivisibili, Epicuro mantenga degli indivisibili ultimi e assuma ciò che Aristotele aveva rifiutato come assurdo e cioè che qualcosa si è sempre mosso, ma non è in movimento attuale62. Proprio perché Epicuro distingue nettamente il presupposto logico, utile a spiegare il fenomeno, dalla realtà del fenomeno stesso, egli accetta alcune tesi accademiche e nel contempo alcune tesi aristoteliche. Siccome per lui l'infinito è qualcosa di 61

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Nella particolare argomentazione a favore dell'assunzione di un minimo privo di parti come argine alla divisibilità all'infinito di Lucr. 1,615-627, Furley 1967, 36-38, individua giustamente un riferimento alla tradizione argomentativa accademica. Lucrezio sostiene che, se non si concepissero dei minimi dell'atomo, anche i corpi piccolissimi sarebbero composti di infinite parti e niente sarebbe finito. Non ci sarebbe dunque nessuna differenza fra la somma delle cose, infinita, e la cosa più piccola, anch'essa infinita. Furley, contro tutta la tradizione interpretativa che vi vedeva una polemica antistoica, fa notare come questo argomento lucreziano rechi i tratti del primo argomento a favore degli indivisibili del trattato De lineis (968a 2): la distinzione fra molto e poco è appunto là garantita dall'esistenza di ajmerh'. Isnardi Parente 1980b, 375, individua anche nella definizione del minimo come misura, che distingue negli atomi il più piccolo e il più grande (Ep. 1,59), un implicito influsso delle categorie platonico-accademiche del grande e del piccolo. Il minimo sarebbe dunque un elemento che limita e definisce l'oscillazione grande/ piccolo. Sono i due punti con cui alla fine devono confrontarsi tutti coloro che accettano senza riserve la presentazione di Simplicio (v. infra, 3. 4) della teoria epicurea come correzione dell'atomismo antico in seguito alle critiche aristoteliche. Cf. Silvestre 1985, 70ss., che è poi costretta ad attribuire ad Epicuro la svista di aver trasferito in realtà sui minimi le caratteristiche degli atomi di Democrito. Furley 1967, 128s. ammette di non aver trovato nessuna testimonianza del perché Epicuro abbia spostato sui minimi dell'atomo l'assoluta indivisibilità e non abbia invece assunto un atomo indivisibile in assoluto come quello Democriteo. Infatti adottando il principio, rifiutato da Aristotele, che l'atomo si è mosso in ogni momento, ma non si muove mai, cioè ammettendo che il tempo è fatto anch'esso di indivisibili, non ci sarebbe stato bisogno di modificare la concezione dell'atomismo antico.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

reale e di esistente in atto accetta, contrariamente ad Aristotele, l'arresto della divisione e gli indivisibili. Dato che inoltre si devono spiegare alcuni fatti connessi con gli indivisibili, quali ad esempio la grandezza e la diversità delle forme, accetta anche l'ulteriore divisibilità teoretica dell'atomo, ma solo in funzione della giustificazione di questi fenomeni. I suoi minimi non esistono separati dall'atomo, dunque gli Accademici hanno ragione a ipotizzare un limite all'infinita divisione che vada al di là dei corpi, ma sbagliano quando scompongono il corpo nelle figure matematiche assegnando loro una validità reale e ponendole a fondamento del mondo fisico. Un tratto tipicamente epicureo è la critica a Platone e all'Accademia attraverso la rielaborazione di argomentazioni aristoteliche rivolte contro di loro. La critica alle forme geometriche degli elementi è condotta ad esempio con argomenti tratti dal terzo libro del De caelo63. Aristotele, polemizzando contro le figure geometriche elementari accademiche, aveva affermato che, se non si pongono queste figure come indivisibili, una parte del fuoco non sarà fuoco né una parte di terra, terra, in quanto le parti di una piramide non sono piramidi, né quelle del cubo o della sfera, cubi o sfere. Epicuro "traduce" il concetto generale di indivisibilità, cui Aristotele accennava, nei suoi termini (indivisibile uguale ad assolutamente solido) e rivolge la critica aristotelica contro le figure elementari accademiche: queste non sono indivisibili perché non sono solide. Non preesistendo questa condizione, si possono immaginare non solo divisibili all'infinito, ma anche in una grande varietà di forme, diverse dai quattro solidi e dai triangoli64. La critica alle forme atomiche di Platone e degli Accademici fornisce un esempio del modo di procedere di Epicuro nella definizione dei fondamenti della dottrina atomistica: 1. Ponendo come causa dell'indivisibilità degli elementi primi la solidità, egli nega che le quattro forme elementari possano essere i principi del mondo fisico e rivaluta nel contempo la tesi della varietà delle forme atomiche contro quella di forme matematiche ben definite.

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De cael. G 7, 306a 30-35 ajnavgkh ga;r o{soi sch'ma poiou'sin ejkavstou tw'n stoiceivw n kai; tou'twi diorivzousi ta; " oujsiva" aujtw' n, ajdiaivreta poiei' n aujtav: th' " ga;r puramivdo" h] th'" sfaivra" diaireqeivsh" pw" oujk e[stai to; leipovmenon sfai'ra h] puramiv". Cf. anche 305b 31-306a 1 e Arrighetti 1973, 606s. Ep. Peri; fuvsew", Fr. [29.23] Arr. pw'" a[n ti" u{dwr h] ajevªrºa dianohqeivhi h] pu'r, ejpei; oujd

a]n gh'n sterea;n kai; ajdiavl uton dianohqeivhi ti", mh; o{ti tau'ta, a[llw" tãeà kai; kªinduneuvw n eij"º ªa[ºpeiron e{kasªton aujtw'n tevº mnein w{sper oiJ tau'ªtaº ajpofainovmenoi tevmnousin. eij ga;r mh; stereo;n e{kaston touvtwn nohqhvs etªaºi, polla;" kai; pantoi'a" katªa;º ta;" toma;" fantasiva" par askeua'i schmavtwn kai; oªujº tªrºivgwna ªoºujde; puramivda" oujde; kuv bou" oujd a[llo oujqe;n wJªrºismev non sch'ma. oªujqºe; n gªa;ºr piqano; n e[coien ªa]º n lev gein wJ " ma'llovn ti ªta;º oJrwvmena tau'ta ªta;º tªevtºtara ªei[ºdh ejªsºti;ª.

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2. A questo scopo utilizza la critica aristotelica alle forme geometriche e ai corpi matematici come elementi del mondo fisico65. 3. Epicuro accetta però anche l'assunto accademico della limitatezza delle forme e delle grandezze in quanto questo spiega perché nessun atomo sia visibile. Nasce dunque quello strano ibrido secondo cui la varietà delle forme non è infinita, ma solo inconcepibile66. Ci sono dunque buone ragioni per credere che Epicuro abbia operato allo stesso modo nell'ambito della teoria dell'atomo e dei minimi: 1. Rivalutando la fisica democritea basata su corpuscoli assolutamente solidi come fondamenti ultimi del mondo fisico e facendo della solidità e della compattezza l'unico vero criterio di indivisibilità. 2. Utilizzando la critica aristotelica contro la scomposizione ulteriore dei corpi in elementi matematici degli Accademici. 3. Accettando di questi ultimi la divisione del corpo fino ai suoi limiti concettuali che permettono di pensarlo come finito, fornito di grandezza e di forme limitate, ma privando di qualsiasi valore reale questa scomposizione e facendone solo una necessità logica. Epicuro definisce infatti l'atomo come "corpo solido privo di vuoto al suo interno"67, assumendo un criterio di indivisibilità fisico, non matematico. Egli inoltre non definisce l'atomo come un minimo privo di parti perché quest'ultimo concetto appartiene al livello non della realtà fisica, ma della logica. Il minimo epicureo è il limite (delle lunghezze)68 e l'unità di misura prima69 come quello degli Accademici, ma nell'Epistola ad Erodoto viene confinato espressamente con una espressione fortemente allusiva alla "dia; lovgou qewriva ejpi; tw'n ajoravtwn". Questa espressione non indica genericamente "un metodo di ragionamento che si applica alle cose invisibili" (secondo la traduzione di Arrighetti), ma allude molto specificamente all'"esame dialettico nell'ambito degli invisibili", a quel metodo cioè che Aristotele attribuisce agli Accademici definendoli oiJ logikw'" skopou'nte" e opponendoli a Democrito immediatamente prima del brano sugli indivi65

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Cf. per la prima parte del frammento precedente le critiche di Arist. De cael. G 7, 306a 3035. Arrighetti 1973, 605s., ad loc. Ep. Ep. 1,42 per le forme; cf. per le grandezze, 55-56. Fr. 92 Us., v. supra, n. 2. Ep. Ep. 1,59. Il fatto che questi vengano definiti limiti delle lunghezze non può che far pensare alle linee indivisibili di Senocrate, cf. Isnardi Parente 1980b, 376; 1981, 25 n. 40. Ep. Ep. 1,59 e[ti te ta; ejlavcista kai; ajmerh' pevrata dei' nomivzein tw'n mhkw'n to; katamevtrhma ej x aujtw' n prw'ton toi'" meivzosi kai; ejlavttosi paraskeuavzonta th'i dia; lovgou qewrivai ejpi; tw'n ajoravtwn. Per il testo di questo brano mi attengo all'edizione di Arrighetti 1973 che accetta la correzione del von Arnim di ajmigh' dei codici in ajmerh' (cf. von Arnim

1907, 398 n. 5; Krämer 1971, 246 n. 53; Isnardi Parente 1980b, 372 n. 10) e la lezione prw'ton di BFZf contro prwvtwn degli altri codici, di Usener e dello stesso Krämer 1971, 247. Cf. anche Isnardi Parente 1980b, 375 n. 17.

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sibili in De generatione et corruptione A 2. Dato che il campo degli ajovrata comprende anche gli atomi, in questa precisazione di Epicuro si può leggere una implicita distinzione fra due ambiti di ricerca sugli elementi invisibili: quello fisico, che fonda la realtà, e quello dialettico, funzionale a questo e valido unicamente per giustificarne certi caratteri, ma non in sé. Nel secondo capitolo si è visto come i cosiddetti Pitagorici di Sesto lodassero atomisti e corpuscolaristi per aver posto dei principi invisibili del mondo fenomenico, ma li criticassero poi per aver arrestato arbitrariamente la divisione e per non aver ricercato principi incorporei veramente eterni. Epicuro sembra puntualizzare, nell'allusione all'indagine dialettica sugli invisibili, l'ambito in cui questa ulteriore divisione va collocata, che non è quello dei fondamenti reali del mondo fenomenico, ma quello dei loro presupposti logico-dialettici. Nelle definizioni di atomo e minimo fisico è dunque leggibile quella posizione di Epicuro a favore di un atomismo fisico di Democrito condotta con l'aiuto di Aristotele e contro le critiche accademiche, ma anche l'accettazione di un certo schema di pensiero accademico sconosciuto a Democrito e rifiutato da Aristotele. Tutti quei tratti dei minimi epicurei che rimandano ad una polemica velata contro le critiche degli Accademici agli atomisti antichi, condotta sulla falsariga degli attacchi aristotelici contro le dottrine accademiche, sono messi in rilievo in un testo di Lucrezio sui minimi. La testimonianza è interessante in quanto riporta una argomentazione non reperibile negli scritti superstiti di Epicuro, ma probabilmente presente nel Peri; fuvsew"70. Lucrezio, trattando dei minimi dell'atomo, ne ribadisce la necessità teorica, ma ne sottolinea, più di quanto non faccia Epicuro nella lettera ad Erodoto, la assoluta irrilevanza fisica: essi infatti non possono avere esistenza propria e separata71. Questo è già di per sé sintomatico in quanto Aristotele si era proprio accanito contro la valenza fisica attribuita, secondo lui, dagli Accademici a oggetti isolabili solo mentalmente, ma che non hanno alcuna incidenza sui processi fisici72. Come argomento contro l'esistenza separata dei minimi dell'atomo Lucrezio adduce il fatto che essi non potrebbero ricostituire nulla dal momento che ciò che non ha parti non possiede le proprietà che caratterizzano una materia generatrice e 70

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Per una trattazione dettagliata di questa testimonianza lucreziana Furley 1967, cap. 2; Krämer 1971, 249-254. Lucr. 1,602s. nec fuit unquam/ per se secretum neque posthac esse valebit;/ quae quoniam per se nequeunt constare, necessest/ haerere unde queant nulla ratione revelli. Cf. e.g. Metaph. B 5, 1002a 18-25. Linea, superficie solido sono presenti nel corpo in quanto divisioni, ma non in quanto sostanze separate. Konstan 1987, 5s. sottolinea come Epicuro si differenzi per questa posizione soprattutto dall'atomismo accademico piuttosto che da quello democriteo.

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stanno alla base dei processi fisici: svariate possibilità di contatto, peso, spinta verso l'alto73, capacità di combinarsi, movimenti vari74. Lucrezio si riferisce principalmente agli oggetti matematici i quali, secondo Aristotele, non possono dare origine a nessun corpo fisico perché privi delle caratteristiche di quest'ultimo. Aristotele rivolge costantemente questa critica non agli atomisti antichi i cui corpuscoli, in quanto tali, avevano il vantaggio di poter generare dei processi fisici75, bensì a Platone e ai suoi allievi e, occasionalmente, anche ai Pitagorici76. Negli attacchi aristotelici contro gli Accademici si possono ritrovare dunque quei punti qualificanti che Lucrezio designa come tipici della materies genitalis e che i minimi non hanno. In particolare la mancanza di peso degli indivisibili accademici (in Lucrezio pondera) è oggetto di una lunga critica in De caelo G 1. Aristotele oppone a questi ultimi proprio i corpuscoli di Democrito che, in quanto corpi, hanno peso77 e obietta che gli oggetti matematici, in quanto privi di movi73

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Cf. per la distinzione fra peso, movimento verso il basso, e plhghv, spinta verso l'alto che gli atomi ricevono da altri che stanno al di sotto, Stob. 1,14,1f; Ps.-Plut. 1,12, 883 B (Ep. Fr. 280 Us.) Epivkouro" ª...º kinei'sqai de; ta; a[toma tovte me;n kata; stavqmhn tovte de; kata; parevgklisin, ta; de; a[nw kinouvmena kata; plhgh; n kai; ajpopalmovn. Lucr. 1,628-634 Denique si minimas in partis cuncta resolvi/ cogere consuesset rerum natura creatrix,/ iam nil ex illis eadem reparare valeret/ propterea quia, quae nullis sunt partibus aucta,/ non possunt ea quae debet genitalis habere/ materies, varios conexus pondera plagas/ concursus motus, per quae res quaeque geruntur. De gen. et corr. A 2, 315b 33-34 o{mw" de; touvtoi" (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo") ajlloivwsin kai; gevnesin ej ndevc etai poiei' n. Cf. Ibid. 316a 2-4 toi'" d eij" ejpivpeda diairou'sin oujkevti: oujde;n ga;r givnetai plh;n sterea; suntiqemev nwn: pavqo" ga;r oujd ejgceirou'si genna'n oujde; n ejx aujtw' n. Sull'incapacità di generare degli oggetti matematici, cf. anche Metaph. B 5, 1002a 32. Contro i numeri pitagorici, cf. De cael. G 1, 300a 16-20 to; d aujto; sumbaivnein kai; toi'" ejx ajriqmw'n suntiqei'si to;n oujranovn: e[ nioi ga;r th;n fuvsin ejx ajriqmw'n sunista'sin, w{sper tw' n Puqagoreivwn tinev ": ta; me;n ga;r fusika; swv mata faivnetai bavro" e[conta kai; koufovthta, ta;" de; monavda" ou[te sw'ma poiei' n oi|ovn te suntiqemev na" ou[te bavro" e[cein. Cf. anche Metaph. M 8, 1083b 11-19. Cf. in particolare G 1, 299a 25-30 eij dh; tw'n ajdunavtwn ejsti;n eJkatevrou mevrou" mhde;n e[conto" bavro" ta; a[ mfw e[c ein bavro", ta; d aijsqhta; swvmata h] pav nta h] e[nia bavro" e[c ei, oi|on hJ gh' kai; to; u{dwr, wJ " ka] n aujtoi; fai'en, eij hJ stigmh; mhde; n e[c ei bavro", dh'lon o{ti oujd aiJ grammaiv, eij de; mh; au|tai, oujde; ta; ejpivpeda: w{st oujde; tw' n swmavtwn ouj qevn. Cf. anche D

2, 308b 36: gli atomisti avrebbero ragione a sostenere che i corpi composti più grandi sono più pesanti, ma non quelli che compongono i corpi da triangoli. Per i passi contro i Pitagorici, v. nota precedente. Cf. anche Metaph. A 8, 990a 12-14. E' curioso come proprio la proiezione delle caratteristiche dell'atomo epicureo sull'atomismo antico conduca all'interpretazione di questi passi, espressamente diretti da Aristotele contro gli Accademici, come rivolti invece contro Leucippo e Democrito in Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.) oujde; ga;r to; povqen hJ baruvth" ej n tai'" aj tovmoi" levgousi (scil. Dhmovkrito" kai; Leuvkippo"): ta; ga;r ajmerh' ta; ejpinoouv mena tai'" ajtovmoi" kai; mevrh o[nta aujtw' n aj barh' fasin ei\ nai: ejk de; ajbarw'n sugkeimev nwn pw'" a] n bavro" gev nhtai… ei[rhke de; peri; touvtwn ejpi; plevon ejn tw'i trivtwi Peri; oujranou'. Themist. In De cael. 306b 22, 201,24-25 accenna ancora a questa in-

terpretazione di Alessandro. E' chiaro che quest'ultimo utilizza, operando una conflazione fra i due atomismi, argomentazioni corrrenti contro le dottrine epicuree. E' trascurando le possibili assimilazioni fra i due atomismi spesso operate negli autori di età imperiale che

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mento, non possono essere sostanza generatrice di corpi fisici caratterizzati proprio dal movimento78. Epicuro si pone del resto anche nelle definizioni e nelle denominazioni dell'atomo, sulla scia di Aristotele e Teofrasto definendolo sw'ma stereo;n ajmevtocon kenou' paremplokh'"79 o attribuendogli una natura "piena"80, ma "traduce" nastov" con mestov"81. Lucrezio ripete in diverse varianti la definizione epicurea della solidità dell'atomo82. Dal passo di Lucrezio e dalle testimonianze di Epicuro stesso riguardanti le definizioni di atomo e minimo, si può dedurre che l'interpretazione dell'atomo come indivisibile per la solidità e l'assunzione dei minimi assoluti privi di parti dell'atomo da parte di Epicuro, più che essere dettata dalle critiche aristoteliche contro gli atomisti antichi, è stata suggerita: 1. Dalla critica accademica agli atomisti antichi per aver arbitrariamente arrestato la divisione ai corpi facendone i principi ultimi della realtà, una caratteristica che spetta invece agli incorporei. 2. Dalle critiche aristoteliche agli Accademici per aver identificato invece questi limiti negli indivisibili matematici assumendoli come sostanze separate e per aver quindi trattato i problemi fisici con criteri dialettici (logikw'" skopei'n). 3. Dal giudizio dello stesso Aristotele sull'atomismo di Democrito considerato in ogni caso superiore a quello accademico per aver posto per il mondo fisico dei principi fisici. Epicuro accetta alcuni assunti basilari della teoria accademica, quali la necessità dell'arresto della divisione kat ejpivnoian per porre un limite all'infinito e per imporre un ordine nell'ambito stesso degli atomi, ma svuota questi minimi privi di parti di qualsiasi valore reale riducendoli unicamente ad un presupposto logico. Integrando l'atomismo fisico con la teoria dei minimi e attribuendo solo a questi ultimi la definizione di ejlavcista kai; ajmerh', mostra nel contempo di interpretare il corpuscolo democriteo esclusivamente come un oggetto fisico, solido e compatto, come lo

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Lur'e 1932-1933, 124ss. ha costruito su questo passo l'ipotesi di un doppio atomismo, matematico e fisico, degli atomisti antichi che precorrerebbe quello epicureo. Su questa linea si svolge anche la critica ai numeri pitagorici che sono pur sempre dei numeri anche se immanenti e quindi sono posti sullo stesso piano delle sostanze accademiche. V. supra, n 2. Ep. 1,41 tau'ta (scil. swvmata) dev ejs tin a[toma kai; ajmetavblhta ei\p er mh; mevllei pavnta eij" to; mh; o]n fqarhvs esqai, ajll ijscuvonta uJpomenei'n ej n tai'" dialuvs esi tw'n sugkrivsewn plhvrh th;n fuvsin o[ nta kai; oujk e[conta o{phi h] o{pw" dialuqhvsetai.

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Ep. 1,42 Per le ulteriori occorrenze di questo termine fuori dai testi epicurei come sinonimo di nastov" v. supra, n. 1. Lucr. 1,510 Sunt igitur solida ac sine inani corpora prima. 1,518 Materies igitur, solido quae corpore constat,/ esse aeterna potest, cum cetera dissolvantur. Cf. 1,485, 500, 548, 574, 609, 627.

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aveva rappresentato Aristotele nell'opera su Democrito. Egli lo ripropone inoltre, proprio in questa sua caratteristica peculiare come principio spostando invece le caratterizzazioni matematiche del minimo fuori dell'ambito fisico e dunque privandoli di un reale valore ontologico. Il discorso su una possibile interpretazione dell'atomo democriteo da parte di Epicuro secondo le linee aristoteliche e contro i criteri matematizzanti dell'Accademia si è reso necessario in quanto tutto un filone della dossografia antica, accettato anche dai commentatori moderni, interpreta l'atomismo di Epicuro come una correzione dell'atomismo antico in termini esattamente opposti a quelli delineati: al minimo privo di parti di Leucippo (e Democrito), Epicuro avrebbe opposto invece un corpuscolo indivisibile per la solidità, ma ulteriormente divisibile teoreticamente per parare le critiche che Aristotele aveva rivolto agli indivisibili. Come si è visto, il discorso è invece molto più complesso e porta ad una valutazione del tutto opposta. 3. 2. Epicuro contro atomisti antichi sull'indivisibilità dell'atomo nella tradizione dossografica e negli autori di età imperiale Passiamo ora ad esaminare quella serie di testimonianze nella tradizione dossografica cui si è accennato. Un'interpretazione dell'atomo, di Leucippo soprattutto, come un ejlavciston indivisibile per la piccolezza emerge sporadicamente qua e là nella tradizione tarda accanto a quella dell'atomo indivisibile per la solidità di cui è stata già tracciata la storia. Come si è visto, la dossografia che deriva da Posidonio separa l'atomo indivisibile per la solidità di Democrito e di Epicuro, dai minimi privi di parti che attribuisce a Diodoro e, nella sezione specifica sui minimi, anche a Senocrate. Dunque l'attribuzione di minimi indivisibili per la piccolezza a Leucippo in particolare e talvolta anche a Democrito non può derivare né da Teofrasto né dalla vulgata di matrice posidoniana, ma neppure dal libro di Aristotele su Democrito nel quale la piccolezza è menzionata unicamente in relazione all'invisibilità, non all'indivisibilità di cui non si fa parola. Le versioni che riportano più diffusamente la tesi dell'indivisibilità per la piccolezza sono inglobate in contesti non classificatori e diairetici, ma dialettici a cominciare dal lungo resoconto Sui principi di Epicuro nei Placita dello Pseudo-Plutarco. Tale rappresentazione dell'atomo come minimo indivisibile per la piccolezza è stata mediata da una tradizione che non solo trattava le doxai in un contesto dialettico, ma attingeva liberamente da più parti soprattutto per poter avere maggiori possibilità di eventuali confutazioni. Questo tipo di procedimento non può che risalire all'Accademia

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scettica come si cercherà di dimostrare con riscontri più precisi qui di seguito. Il fatto che l'Accademia scettica avesse accolto anche l'altra interpretazione, quella di un atomo indivisibile per la solidità, non costituisce un problema: le due tesi infatti potevano essere utilizzate in contesti confutativi diversi o per portare alla luce le contraddizioni all'interno dell'atomismo stesso. Prima di passare all'esame dettagliato delle singole testimonianze e delle loro correlazioni, è opportuno ancora sottolineare che, ancor più dei precedenti, questi testi non possono costituire alcuna prova a sostegno di una o dell'altra concezione democritea dell'atomo. Essi fanno semplicemente parte di una tradizione che si è tramandata attraverso argomentazioni orali e manuali, ma non è fondata sulla conoscenza delle opere originali. L'interpretazione dell'atomo come minimo non sembra aver lasciato tracce nei testi superstiti di Cicerone sebbene riemergano, soprattutto nel De natura deorum e negli Academica, delle tematiche ad essa correlate. C'è però da tener presente che una parte degli Academica priora (l'Hortensius) nella quale il tema avrebbe potuto essere trattato più diffusamente, è andata perduta. Le testimonianze più diffuse si incontrano solo in testi piuttosto tardi: nei Placita dello Pseudo Plutarco e in due opere di Lattanzio83; Galeno vi dedica un fugace accenno, altrove la doxa viene citata anonima. Il nome di Leucippo si legge solo in Lattanzio e in Galeno, nello Pseudo-Plutarco compare unicamente quello di Democrito, Teodoreto non riporta alcun nome specifico. Tali testi sono comunque complementari in quanto si comprendono solo se messi in reciproca correlazione, dunque risalgono probabilmente ad un unico nucleo nel quale le dottrine atomistiche di Epicuro e di Leucippo venivano opposte dialetticamente e presentate l'una come una correzione dell'altra. In questo schema giocava un ruolo importante anche una voce critica che prima formulava obiezioni a Leucippo, provocando le "correzioni" di Epicuro, poi confutava anche queste ultime rigettando definitivamente l'atomismo in generale. Nell'opera degli epitomatori sono andati perduti senza dubbio gli stadi intermedi e, talvolta, anche i nomi; ne sono risultate una gran confusione nelle attribuzioni e incongruenze riscontrabili in alcune fonti particolarmente riassuntive. Dato che la rappresentazione dell'atomismo si basa su un blocco unico di argomentazioni e confutazioni che emerge con sfumature e ottiche diverse in diversi autori non contemporanei né dipendenti uno dall'altro, l'esposizione qui di seguito non seguirà un criterio cronologico, ma un ordine basato sull'ampiezza delle informazioni dei vari resoconti e sulla concatenazione delle argomentazioni da loro offerte. 83

Div. Inst. 3,17,21-27 (218, 235, 565 L.); De ira dei 10,1ss. (218, 235, 272, 302, 591 L.).

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3. 2. 1. Lattanzio I testi di Lattanzio, benché più tardi, meritano un'attenzione che è stata loro generalmente negata secondo un metro che identifica posteriores con deteriores. I resoconti sull'atomismo del De ira dei e delle Institutiones permettono invece di individuare il sostrato e di comprendere alcuni punti oscuri della testimonianza di Pseudo-Plutarco. Nell'opera di Lattanzio sono distinguibili tre presentazioni dell'atomo corrispondenti a fasi cronologiche diverse84: nel suo primo scritto dopo la conversione, il De opificio dei, 303/ 304 d.C.85, l'autore nomina solo la dottrina di Epicuro secondo cui atomi indivisibili e solidi formano il mondo attraverso una casuale aggregazione senza l'intervento di alcuna provvidenza86. Si tratta di una vulgata sull'atomismo, soprattutto epicureo, ma, per riflesso, anche democriteo, che si trova in Cicerone87, Pseudo-Plutarco88, Dionisio89, Plotino 90, Nemesio91 ed è comune alla tradizione cristiana92. Nel terzo libro delle Divinae institutiones, elaborate nel loro insieme dopo il 30593, invece, vengono sicuramente utilizzate altre fonti. Compare infatti lo schema di successione, già ciceroniano, Leucippo-Democrito-Epicuro e i loro atomi vengono congiuntamente descritti come indivisibili per la piccolezza, mentre la caratteristica della solidità viene solo accennata, ma non consi84

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La cronologia delle opere di Lattanzio è piuttosto incerta, tuttavia si è potuto stabilire che il De opificio dei è la prima opera da lui scritta dopo la conversione; le Institutiones, l'Epitome e il De ira dei presentano numerosi parallelismi che tuttavia non aiutano a fissare una cronologia definitiva. Sembra che il De ira dei sia stato scritto dopo il 311 e forse dopo alcuni libri o parallelamente ad altri delle Institutiones, cf. Heck 1972, 158s.; Ingremeau 1982, 25ss.; KraftWlosok 1983, Xss. Quest'opera viene datata con una certa sicurezza per le criptiche allusioni alle persecuzioni di Diocleziano, cf. Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983, XI. Lact. De op. dei 2,10 Unde ego philosophorum qui Epicurum secuntur amentiam soleo mirari, qui naturae operae reprehendunt ut ostendant nulla providentia instructum esse ac regi mundum, sed originem rerum insecabilibus ac solidis corporibus adsignant, quorum fortuitis concursionibus universa nascantur et nata sint . De fin. 1,6,17 (68 A 56 DK; C, 15, 180, 361 L.); Tusc. 1,18,42 (449 L.); De nat. deor. 2,37,93. Ps.-Plut. 2,3, 886 D, cf. Stob. 1,21,3c, Theodoret. 4,15 (67 A 22 DK; 23, 589 L.); [Gal.] Hist. Phil. 46. V. supra 2. 2. Plot. 3,1,2; cf. anche 3,1,3. Nem. De nat. Hom. 43 (592 L.). Cyrill. Contra Jul. 2,15; Didym. Caec. Comm. in Eccles. 7-8,8, Cod. p. 209,27; Ambros. Hexaemer. 1,2,7 (P. L. 14, 125 C). Se la data del 305 come termine di inizio dell'opera viene generalmente accettata, anche perché Lattanzio nel De opificio l'annuncia (20,2), è invece estremamente problematico stabilire il periodo in cui fu portata a compimento. Le date più frequentemente proposte sono il 313 o il 311. Per quest'ultima Heck 1972, 143; Ingremeau 1982, 25; Kraft-Wlosok 1983, XVs.

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derata causa dell'indivisibilità. La descrizione dell'atomismo è fondata su punti già trattati relativamente ai testi di Cicerone e Plutarco, ma con una diversa rappresentazione dell'indivisibilità dell'atomo, con ampliamenti ulteriori e soprattutto in un contesto dialettico di tesi e antitesi. Questi, in breve, i punti qualificanti del resoconto di Lattanzio94: Tesi: Ci sono dei "semina" che svolazzano nel vuoto e dalle cui composizioni fortuite tutto nasce. Domanda: Perché allora non li percepiamo né li vediamo? Risposta: Perché sono privi di ogni qualità sensibile e così piccoli da non poter essere né tagliati né divisi. Domanda: dove stanno e da dove vengono questi corpuscoli e perché se li è figurati solo Leucippo95 che ha poi istruito Democrito il quale a sua volta ha lasciato la sua stolta eredità ad Epicuro? In pratica si chiedono, come nel brano del decimo libro Contro i Matematici di Sesto Empirico (255), altri principi per questi corpuscoli (unde). Se sono corpi e sono solidi, come dicono, per il concetto stesso di corpo, dovrebbero cadere sotto i sensi. Inoltre, se hanno tutti la stessa natura, in che modo possono formare cose diverse? Risposta: in base ad una varietà nella loro posizione e disposizione e nelle loro forme come le lettere. Infatti sono scabri, ad amo, lisci. Confutazione: se hanno forme ad amo, non sono più indivisibili in quanto hanno parti che sporgono e che quindi si possono tagliare. Questo contraddice la loro definizione secondo cui l'atomo è così piccolo che non esiste alcuna lama così sottile che possa tagliarlo. Se, d'altra parte, sono solo lisci, non possono attaccarsi l'uno all'altro. Inoltre, mancando di sensibilità e di ragione, non possono costruire nulla di ordinato e razionale. 94

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Div. inst. 3,17,21-27 (591 L. partim) Sunt enim semina per inane volitantia, quibus inter se temere conglobatis universa gignuntur atque concrescunt. Cur igitur illa non sentimus aut cernimus? Quia nec colorem habent, inquit, nec calorem ullum nec odorem. Saporis quoque et umoris expertia sunt et tam minuta, ut secari ac dividi nequeant. Sic eum, quia in principio falsum susceperat, consequentium rerum necessitas ad deliramenta perduxit. Ubi enim sunt aut unde ista corpuscula? Cur nemo illa praeter unum Leucippum somniavit, a quo Democritus eruditus hereditatem stultitiae reliquit Epicuro? Quae si sunt corpuscula et quidem solida, ut dicunt, sub oculos certe venire possunt. Si eadem est natura omnium, quo modo res varias efficiunt? Vario inquit ordine ac positione conveniunt sicut litterae: quae cum sint paucae, varie tamen collocatae innumerabilia verba conficiunt. At litterae varias formas habent. Ita inquit et haec ipsa primordia. Nam sunt aspera, sunt hamata, sunt levia. Secari ergo ac dividi possunt, si aliquid inest illis quod emineat. Si autem levia sunt et hamis indigent, cohaerere non possunt. Hamata igitur esse oportet, ut possint invicem concatenari. cum vero tam minuta esse dicantur, ut nulla ferri acie dissici valeant, quomodo hamos aut angulos habent? Quos, quia extant, necesse est posse divelli. Deinde quo foedere inter se, qua mente conveniunt, ut ex iis aliquid conseratur? Si sensu carent nec coire tam disposite possunt quia non potest quicquam rationale perficere nisi ratio. Cf. una obiezione simile rivolta da Plutarco contro gli Stoici (solo loro hanno visto che ognuno di noi è un doppio soggetto: sostanza e qualità?) verosimilmente su un modello confutativo dell'Accademia scettica in De comm. not. 1083 C. Cf. Schroeter 1911, 19 n. 2.

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Nel De ira dei, composto forse dopo o parallelamente ad alcune sezioni delle Institutiones96, la dottrina degli atomi indivisibili per la piccolezza viene attribuita negli stessi termini al solo Leucippo e a lui viene anche riportata la denominazione di atomo in quanto appunto indivisibile perché piccolo. Le argomentazioni contro gli atomi indivisibili per la piccolezza sono le stesse che nell'opera precedente, ma arricchiti di altri elementi che fanno pensare ad una utilizzazione più ampia della stessa fonte per il De ira e, invece, ad un suo adattamento maggiore nelle Institutiones97. In particolare: 1. Fra coloro che negano la provvidenza, compare, insieme agli atomisti, anche Stratone. Egli, a sua volta, si oppone all'atomismo in quanto attribuisce la proprietà di generare alla natura. E' questo l'unico passo in Lattanzio in cui si incontri una menzione del peripatetico98. 2. Non viene fatto più alcun accenno alla solidità dell'atomo. 96

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Anche per questo trattato si pongono problemi di datazione analoghi a quelli delle Institutiones. Generalmente si concorda sul fatto che è stato composto in un periodo di relativa tranquillità per i Cristiani, vale a dire dopo il 311, data della cessazione delle persecuzioni. Manca infatti nel trattato, che però è eminentemente teorico, qualsiasi accenno a queste ultime. Cf. Ingremeau 1982, 27; Kraft-Wlosok 1983, XVs. Per l'ipotesi della stretta correlazione con il libro terzo delle Institutiones ha giocato proprio la sorprendente coincidenza dei due passi sull'atomismo, cf. Ingremeau 1982, 31. In ogni caso, il De ira è stato composto sicuramente dopo i libri 1, 2, 4 e 6 delle Institutiones ai quali fa riferimento (in 2,4 al secondo libro delle Institutiones; in 2,6 al quarto; in 11,1 al primo; in 17,12 al sesto). De ira dei 10,1 (591 L. partim) Qui nolunt divina providentia factum esse mundum, aut principiis inter se temere coeuntibus dicunt esse concretum aut repente natura extitisse, naturam vero, ut Straton ait, habere in se vim gignendi et minuendi, sed eam nec sensum habere ullum nec figuram, ut intellegamus omnia quasi sua sponte esse generata, nullo artifice, nec auctore. Utrumque vanum et impossibile. Sed hoc evenit ignorantibus veritatem, ut quidvis potius excogitent quam id sentiant quod ratio deposcit. Primum minuta illa semina, quorum concursu fortuito cohaesisse mundum loquuntur, ubi aut unde sint quaero. Quis illa vidit umquam? Quis sensit? Quis audivit? An solus Leucippus oculos habuit? Solus mentem? Qui profecto solus omnium caecus et excors fuit, qui ea loqueretur quae nec aeger quisquam delirare nec dormiens posset somniare. Quattuor elementis constare omnia philosophi veteres disserebant. Ille noluit, ne alienis vestigiis videretur insistere, sed ipsorum elementorum alia voluit esse primordia quae nec videri possent nec tangi nec ulla corporis parte sentiri. Tam minuta sunt, inquit, ut nulla sit acies ferri tam subtilis qua secari ac dividi possint. unde illis nomen inposuit atomorum. Sed occurrebat ei quod, si una esset omnibus eademque natura, non possent res efficere diversas tanta varietate quantam videmus inesse mundo. Dixit ergo esse levia et aspera, et rotunda et angulata et hamata. Quanto melius fuerat tacere quam in usus tam miserabiles, tam inanes habere linguam! Equidem vereor ne non minus delirare videatur qui haec putet refellenda; respondeamus tamen velut aliquid dicenti. Si levia sunt et rotunda, utique non possunt invicem se adprehendere, ut aliquod corpus efficiant, ut, si quis milium velit in unam coagmentationem constringere, lenitudo ipsa granorum in massam coire non sinat. Sin aspera et angulata sunt et hamata, ut possint cohaerescere, dividua ergo et secabilia sunt; hamos enim necesse est et angulos eminere, ut possint amputari. Ita quod amputari ac divelli potest, et videri poterit et teneri [...] 10,23 Sed putemus artus et ossa et nervos et sanguinem de atomis posse concrescere: quid sensus cogitatio mens memoriam ingenium? Quibus seminibus coagmentari possunt? Minutissimis, inquit. Sunt ergo alia maiora. Quomodo igitur insecabilia? Deinde si ex invisibilibus sunt quae non videntur, consequens est ut ex visibilibus sint quae videntur. Cur igitur nemo videt? Cf. Ingremeau 1982, 268 ad loc. Nella Epitome (62,6) si allude alle sue teorie, ma il nome non compare.

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3. Si insiste maggiormente sul fatto che Leucippo non ha spiegato l'origine dei corpuscoli99. La stessa critica (unde) è solo accennata nelle Institutiones e si richiama alla concezione che Sesto attribuisce ai cosiddetti Pitagorici: un corpo è per natura composto e quindi deve avere altri principi100 . 4. Viene riportato l'esempio del pulviscolo atmosferico per spiegare il moto disordinato degli atomi che ricompare poi in Teodoreto nella seconda parte del resoconto sull'atomismo101 . 5. Viene riportata più sotto anche una critica che non si incontra altrove. Alla spiegazione atomista secondo cui la mente e l'intelligenza sono formati da atomi più piccoli, si ribatte che, se si ipotizzano anche atomi più grandi, cade il discorso dell'indivisibilità. E' chiaro da qui che l'atomo è concepito esclusivamente come un ejl avciston kai; ajmerev", un minimo privo di parti e misura. L'eccezionalità della testimonianza di Lattanzio è stata rilevata e riportata a fonti quali l'Hortensius di Cicerone o a un'opera perduta di Seneca alle quali egli, per sua bizzarria avrebbe aggiunto l'argomentazione contro le forme atomiche come distruttrice del concetto di indivisibilità102 . Altrimenti, si è trattato il brano a frasi o a segmenti, cercando di istituire confronti con passi sparsi di Lucrezio tuttavia piuttosto lontani dalla globalità del contesto103 . Ora, senza voler negare la evidente presenza di Lucrezio nel De ira e nelle Institutiones, mi sembra tuttavia chiaro che la rappresentazione dell'atomo data in questi passi per punti fondamentali quali l'indivisibilità e le critiche alle forme atomiche, emargini completamente il tratto della solidità addotto da Lucrezio proprio per giustificare la varietà delle 99

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Cf. anche 10,11 Ac primum requiro quae sit istorum seminum vel ratio vel origo. Si enim ex illis sunt omnia, ipsa igitur unde esse dicemus? Sext. Emp. Adv. Math. 10,255-256 ou{tw kai; hJmei'", fasi;n oiJ Puqagorikoi; tw'n fusikw'n filosovfwn, kat ejpiv noian skeptovmeqa to; ej k tivnwn ta; aijwvnia tau'ta kai; lovgwi qewrhta; sunevsthke swvmata. h[toi ou\n swvmatav ejsti ta; sustatika; aujtw'n h] ajswv mata. kai; swvmata me;n oujk a]n ei[paimen, ejpei; dehvsei kajkeivnwn swv mata levgein ei\nai sustatika; kai; ou{tw" eij" a[peiron probainouvsh" th'" ejpinoiv a" a[ narcon givnesqai to; pa'n.

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De ira dei 10,9 "Haec, inquit, per inane inrequietis motibus volitant et huc atque illuc feruntur, sicut pulveris minutias videmus in sole, cum per fenestram radios ac lumen inmiserit. Ex his arbores et herbae et fruges omnes oriuntur, ex his animalia et aqua et ignis et universa gignuntur et rursum in eadem resolvuntur". Ferri hoc potest, quamdiu de rebus parvis agitur. "Ex his etiam mundus ipse concretus est". Il richiamo a Lucrezio (2,114-120) da parte di Ingremeau 1982, 274 ad loc., è senz'altro pertinente, ma Lucrezio è solo uno dei tanti autori che riportano l'esempio del pulviscolo. La reminiscenza può aver giocato a livello linguistico, ma, a livello strutturale, il contesto, nella sua globalità, è molto più vicino al brano di Teodoreto (4,8-10), v. infra, 3. 2. 4 n. 154. Così Ogilvie 1978, 86s. Cicerone non avrebbe anticipato l'argomento distruttivo di Lattanzio, ma l'uso di ergo potrebbe indicare una aggiunta di Lattanzio stesso. Egli propende poi però, per le Exhortationes di Seneca come fonte, piuttosto che per l'Hortensius ciceroniano senza tuttavia fornire alcun riscontro oggettivo. Questo tipo di commento ai singoli punti del cap. 10 è caratteristico di Ingremeau 1982.

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forme104 . Il brano sull'atomismo del De ira, è costituito inoltre da un corpo compatto di argomentazioni concatenate che sono state evidentemente assunte in blocco da un resoconto assai dettagliato. Tale resoconto utilizzava un repertorio critico consolidato e un modello dossografico ben preciso, quello cioè che faceva capo al nome di Leucippo e alla sua concezione di un atomo indivisibile per la piccolezza e che compare già per lo meno più di un secolo prima in un autore come Galeno (v. infra, 3. 2. 3). Dunque Lattanzio per questo non inventa nulla né tuttavia attinge alla versione corrente da lui stesso utilizzata nel De opificio, ma si rifà sicuramente ad un resoconto esteso sull'atomismo nel quale l'atomo di Leucippo era definito indivisibile per la piccolezza e alla solidità non veniva attribuito alcun ruolo in questo senso. Anche la terminologia è quella corrente nella dossografia, in particolare l'espressione ipsorum elementorum alia voluit esse primordia corrisponde alla formula greca stoicei'a stoiceivwn (o a quella più tarda ajrcai; stoiceiwdevsterai), di ascendenza platonica, che nello Pseudo-Plutarco e in Stobeo viene applicata ai corpuscolaristi (Empedocle e Senocrate)105 , ma negli autori neoplatonici in particolare a Democrito per il già citato "avvicinamento" degli atomisti antichi a Platone106 . In ogni caso Lattanzio nel De ira si serve di argomenti confutatori risalenti sicuramente all'Accademia scettica107 . La critica alle forme atomiche, in particolare, è un tema che si incontra solo in parti delle opere filo-

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Lucrezio (1,609-614) precisa che dagli atomi non si può strappare né togliere nulla in quanto sono di una "solida semplicità". I minimi dell'atomo sono infatti parti solo concepibili con la mente, ma non separabili in realtà: Sunt igitur solida primordia simplicitate/ quae minimis stipata cohaerent partibus arte,/ non ex illorum conventu conciliata,/ sed magis aeterna pollentia simplicitate,/ unde neque avelli quicquam neque deminui iam/ concedit natura reservans semina rebus. Cf. Ingremeau 1982, 273s. Cf. Ps.-Plut. 1,13, 883 B; Stob. 1,14,1 (Dox. 312); Ps.-Plut. 1,17, 883 E; Stob. 1,17,1 (Dox. 315). V. supra, V 1. Plot. 4,7,2,4-3,6 pu'r ga;r kai; ajh;r kai; u{dwr kai; gh' a[yuca par aujtw'n:ª...º a[lla de; para; tau'ta swv mata oujk e[ sti. kai; oi|" ge dokei' ei\nai stoicei'a touvtwn e{ tera, swvmata, ouj yucaiv, ejlevcqhsan ei\nai oujde; zwh;n e[conta. Cf. Iambl. De an. 26,13-18 Finamore-Dillon ei\nai me;n ga;r ta; prw'ta swvmata a[ toma, pro; tw'n tessavrwn stoiceivw n stoiceiwdevstera, supra, II 6. 2 n. 133; Simpl. In Phys. 184b 15, 35,22-36,7 kai; ou|toi dev, ª...º ajrcoeidevsterav tina touvtwn kai; aJplouvstera ejzhvtoun ai[tia, supra, II 6. 2 n. 127.

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Cf. ad es. in 13,9 la confutazione da parte degli Accademici della dottrina stoica secondo cui dio ha creato l'universo in funzione dell'uomo con l'argomento della presenza di animali dannosi all'uomo come i topi, le tarme e i serpenti (Sed Academici contra Stoicos disserentes...). La versione è lievemente diversa rispetto a Cic. Ac. 2,38,121. Le stesse obiezioni agli Stoici, in un contesto in cui viene espressamente nominato Carneade come critico di Crisippo, si ritrovano anche in Porph. De abst. 3,20. Cf. Ingremeau 1982, 305 ad loc. Per la posizione nei confronti della dottrina stoica nel De ira dei, Kraft-Wlosok 1983, XV.

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sofiche di Cicerone dove parla un accademico108 . Nel primo libro del De natura deorum Cotta rimprovera a Velleio di aver creduto fino alla sua età alle sciocchezze di Democrito e di Leucippo secondo cui ci sarebbero "corpuscoli lisci, scabri, rotondi, con angoli o ami o uncini, dai quali si sarebbe formato il cielo, la terra senza l'impulso di alcuna legge naturale, ma per un casuale incontro"109 . Cotta oppone all'aggregazione casuale degli atomi, non solo la dottrina stoica che fa governare il mondo da un principio divino razionale, ma anche quella di Stratone, che assegna questa funzione alla natura110 . Proprio quest'ultimo viene contrapposto a Leucippo nel De ira. La stessa diaphonia Stratone/ atomisti con relativa derisione delle forme ad amo e ad uncino compare nel Lucullus. Cicerone, per illustrare il dissenso fra i dogmatici sulle questioni fisiche, oppone alle tesi stoiche quelle di Stratone di Lampsaco: tu dici che senza la divinità non può esistere nulla. Ma eccoti improvvisamente Stratone di Lampsaco che esonera questo dio da un compito ben gravoso; [...] egli dichiara di non servirsi dell'opera degli dèi per costruire il mondo. Qualsiasi genere di cose esistenti, insegna, è stato creato dalla natura, non come colui che dice che queste cose sono state composte da corpi scabri, lisci, ad amo e ad uncino con il vuoto inframmezzato —questi egli ritiene siano sogni di un Democrito visionario, non maestro—; in quanto a lui, esaminando ad una ad una le parti del mondo, insegna che ogni cosa esistente o generata è o è stata generata dai pesi e dai moti naturali111 .

Questo brano, pur essendo molto più riassuntivo, costituisce un evidente parallelo al testo di Lattanzio: all'interno dello stesso gruppo di negatori della provvidenza Stratone si oppone a Democrito e lo giudica "un visionario". Secondo Lattanzio, è Leucippo ad "aver sognato" (somniavit) l'esistenza dei suoi corpuscoli112 .

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La tradizione di matrice posidoniana pone piuttosto in rilievo, nell'ambito dei processi generativi, l'attrazione delle forme simili e non l'aggregazione di forme diverse. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.); Dionys. ap. Eus. Praep. Ev. 14,25,9. Cic. De nat. deor. 1,24,66 (67 A 11 DK; 165, 226, 590 L.) Ista enim flagitia Democriti sive etiam ante Leucippi, esse corpuscula quaedam levia, alia aspera, rotunda alia, partim autem angulata, hamata (edd.: curvata B: firamata A) quaedam et quasi adunca, ex his effectum esse caelum atque terram nulla cogente natura sed concursu quodam fortuito- hanc tu opinionem, Gai Vellei, usque ad hanc aetatem perduxisti. Cic. De nat. deor. 1,24,67 Sed ubi veritas? […] an in individuis corpusculis tam praeclara opera nulla moderante natura, nulla ratione fingentibus? Cic. Ac. 2,38,121 (68 A 80 DK; 26 L.) Negas sine deo posse quicquam: ecce tibi e transverso Lampsacenus Strato, qui det isti deo immunitatem magni quidem muneris; [...] negat opera deorum se uti ad fabricandum mundum. Quaecumque sint, docet omnia effecta esse natura nec ut ille qui ex asperis et levibus et hamatis uncinatisque corporibus concreta haec esse dicat, interiecto inani: somnia censet haec esse Democriti non docentis, sed optantis; ipse autem singulas mundi partes persequens, quidquid aut sit aut fiat naturalibus fieri aut factum esse docet ponderibus et motibus. Div. Inst. 3,17,23, v. supra, n. 94.

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Il confronto fra Lattanzio e Cicerone permette di formulare alcune considerazioni: 1. La similarità degli schemi e dei contesti fa presupporre che Lattanzio abbia potuto rifarsi ad un ulteriore testo ciceroniano perduto come l'Hortensius nel quale l'atomo veniva presentato come un ejlavciston, un minimo fisico privo di parti e indivisibile per la piccolezza. Un accenno a questa concezione dell'atomo (questa volta epicureo), che violerebbe i principi non solo della fisica, ma anche della matematica si trova altrove, nel De finibus113 . 2. La critica alle forme atomiche si può far risalire per lo meno fino a Stratone. E' impossibile stabilire se egli la approfondisse con argomentazioni simili a quelle che si trovano in Lattanzio, ma si può affermare, in base ai testi di Cicerone, che sicuramente l'Accademia scettica aveva fatto proprie le sue obiezioni e le aveva utilizzate contro l'atomismo in generale. Ci sono comunque indizi del fatto che, nella scuola epicurea, verso la fine del II sec. a.C., fossero note delle argomentazioni contro le forme atomiche con le quali si cercava di demolire la tesi dell'infrangibilità dell'atomo. Demetrio Lacone, un Epicureo che si situa fra la metà del II e il primo quarto del I sec. a.C.114 aveva cercato di dimostrare, attraverso una interpretazione filologica dei testi del fondatore, come in realtà Epicuro non avesse detto quanto gli rimproveravano i suoi detrattori115 . Fra questi tentativi di difesa se ne incontra uno piuttosto interessante per il tema specifico. Demetrio risponde infatti ad una critica che rimproverava ad Epicuro di aver assunto forme infinite spiegando che: Epicuro definisce infinite le nature prime non per specie, ma per genere, sicché non tutte quante le forme che si riscontrano nei sensibili sono altrettante forme prime, ma solamente ... quelle compatte116 .

Attribuendo agli atomi epicurei solo forme compatte, Demetrio sosteneva l'argomento dell'impossibilità di infinite forme atomiche e parava nel 113

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De fin. 1,6,20 Deinde eadem illa atomorum in quo etiam Democritus haeret, turbulenta concursio hunc mundi ornatum efficere non poterit, ne illud quidem physici credere aliquid esse minimum, quod profecto numquam putavisset, si a Poliaeno familiari suo geometrica discere maluisset quam illum etiam ipsum dedocere. Per la datazione, cf. la discussione in Puglia 1988, 37ss. Sul metodo filologico e sulla sua funzione in Demetrio Lacone e, in generale nella scuola epicurea, cf. Erler 1993, 289-295. Dem. Lac. P. Herc. 1012 col. XV,154 Puglia oJ Epivkouro" ajpeivrou" levgei tºa;" prwvtaª" fuvsºei" ouj kªat eºi\do" ªajlla; kata;º g evno", w{sªteº mh; pav nta ªta; schvmaq o{sºa peri; ta; aijsªqhtav ejstin a[llºa tosau't ei\naªi schvmata pºrw'ta, movno n ªde; ... ta; sumfºuh': Seguo in

linea di massima la traduzione di Puglia 1988, 189. Non ritengo tuttavia che Epicuro stesso scartasse le forme ad amo e a tridente, come afferma Puglia (208s., ad loc.) basandosi sulla testimonianza di Ps.-Plut. 1,3, 877 D (su questo brano v. infra, 3. 2. 2). Demetrio non riproduce in questo caso esattamente la dottrina epicurea, ma la interpreta cercando di parare le critiche che le venivano rivolte.

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contempo le critiche alla friabilità dell'atomo come quelle che compaiono in Lattanzio. Demetrio Lacone era allievo di Zenone Sidonio117 , anch'egli filologo delle opere epicuree e, secondo quanto riferisce Cicerone, uditore di Carneade118 . Egli poteva dunque conoscere le critiche rivolte dall'Accademia di mezzo a determinate forme atomiche. Lucrezio ribadiva, come si è visto, che l'indivisibilità dell'atomo era dovuta alla sua solidità e ammetteva dunque senza problemi le forme ad amo e ad uncino119 . In ogni caso il testo di Lattanzio, sia esso mediato da Cicerone o da altra fonte, riporta argomentazioni che risalgono almeno al II sec. a.C. e che contengono una interpretazione dell'atomo leucippeo come un ejlavciston kai; ajmerev", un minimo fisico indivisibile per la piccolezza e privo di parti. Leucippo non compare nella sezione Sui minimi di Pseudo-Plutarco e Stobeo perché, come si è visto, nella vulgata di matrice posidoniana, non veniva classificato fra i corpuscolaristi. Qui è sempre Diodoro il sostenitore di ejlavcista kai; ajmerh' i quali, tuttavia, sono concepiti come ulteriormente divisibili con la mente120 . Ci sono però dei resoconti che differenziano fra l'atomo indivisibile per la piccolezza di Leucippo e quello indivisibile per la solidità di Epicuro. Tale distinzione è accompagnata dai nomi in un brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno (v. infra, 3. 2. 3), mentre rimane anonima in Teodoreto e implicita nello PseudoPlutarco. Qui di seguito verranno confrontati i tre testi fra di loro e con il brano di Lattanzio appena esaminato. 3. 2. 2. Pseudo-Plutarco Il brano dossografico sulla dottrina di Epicuro e Democrito dello PseudoPlutarco nella sezione Sui principi riflette alcune argomentazioni e una strutturazione dialettica simili a quelle del passo di Lattanzio. Proprio quest'ultimo contribuisce a chiarire alcune affermazioni del dossografo, altrimenti di difficile comprensione. Pseudo-Plutarco non fa il nome di Leucippo, ma espone la differenza fra Democrito ed Epicuro nella forma di uno scambio dialettico. Si tratta di un modello, consolidato nell'Accademia scettica e usuale in Cicerone e in altri autori che inglobano materiale dossografico in contesti più o meno letterari e marcatamente retorici, che prescinde dalle relazioni cronologiche e pone a confronto le tesi di diversi interlocutori121 . 117 118 119 120 121

Su questo personaggio, cf. Angeli-Colaizzo 1979. Cic. Ac. 1,12,46. Cf. Angeli-Colaizzo 1979, 70. Lucr. 1,609-614, supra, n. 104. Su questo, v. supra,V 1. Cf. anche Van der Eijk 1999, 23ss.

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Lo Pseudo-Plutarco presenta il resoconto sull'atomismo come dottrina epicurea che avrebbe preso le mosse da Democrito: Epicuro, figlio di Neocle, Ateniese, che filosofava secondo Democrito, disse che i principi delle cose esistenti sono corpi, concepibili con l'intelletto, privi di vuoto, ingenerati, eterni, indistruttibili che non possono essere né frammentati né riplasmati da parti, né alterati; essi sono concepibili con l'intelletto; questi dunque si muovono nel vuoto e attraverso il vuoto; il vuoto stesso è infinito e infiniti sono i corpi122 .

La versione di Pseudo-Plutarco citata da Eusebio, attribuisce invece la dottrina a Democrito, pur ponendo Epicuro sulla sua scia, lo Pseudo-Giustino, negli stessi termini, al solo Epicuro e così anche Stobeo, che riporta una versione estremamente abbreviata123 . Questa prima parte, che vede una sostanziale equivalenza delle dottrine di Democrito ed Epicuro, è seguita in Pseudo-Plutarco da un'altra sequenza nella quale invece vengono messe in particolare rilievo le discordanze. Il verbo fhsiv, che rimanda ad un presunto discorso di Epicuro, e l'uso del discorso indiretto fanno chiaramente capire che il testo di riferimento era strutturato in maniera dialettica alla stregua dei dialoghi ciceroniani e del brano di Lattanzio. Epicuro rispondeva a eventuali critiche formulate contro l'atomismo antico correggendone alcuni assunti. I corpi hanno questi tre accidenti: figura, grandezza e peso. Democrito ne ha ipotizzati due, figura e grandezza, Epicuro vi ha aggiunto anche il peso: è neces-

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Ps.-Plut. 1,3, 877 D Epivkouro" Neoklevo u" Aqhnai'o" kata; Dhmovkriton filosofhvsa" e[fh ta;" ajrca; " tw'n o[ntwn swvmata, lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou' , aj gev nhta, ajivdia, a[vfqarta, ou[te qrausqh'nai dunavmena, ou[ te diaplasmo; n ejk tw' n merw'n labei'n ou[ te ajlloiwqh'nai: ei\nai d aujta; lovgwi qewrhtav: tau'ta mev ntoi kinei'sqai ejn tw'i kenw'i kai; dia; tou' kenou': ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[peiron kai; ta; swvmata a[peira. L'espressione che definisce l'atomo non riplasmabile si presenta in varianti diverse ed è stata corretta in ou[te diavplasin ejk tw' n merw' n labei'n dal Diels sulla scorta di Ps.-Iustin. Cohort. ad Graec. 4,1. Diaplasmovn è il termine riportato nei manoscritti dello Pseudo-Plutarco. L'impossibilità della

riplasmazione dell'atomo corrisponde al dettato epicureo secondo cui i minimi non si muovono e sono fissi all'interno dell'atomo. Il dossografo oppone così implicitamente gli atomi di Epicuro agli o[gkoi di Asclepiade che potevano essere frammentati in infinite parti e poi ricomposti. Questa è per lo meno l'interpretazione del discusso passo di Celio Aureliano (Acut. 1,14,106), fornita da Vallance 1990, 20ss. Al contrasto con gli elementi di Asclepiade sembra rimandare anche l'espressione precedente ou[te qrausqh'nai dunavmena. Essi sono infatti più volte definiti, nelle testimonianze, qraustav (cf. Sext. Emp. Pyrrh. Hyp. 3,33; Galen. De const. art. med. 7 (I,249 K.); [Galen.] Intr. sive med. 9 (XIV,698 K.). Ps.-Plut. ap. Eus. Praep. Ev. 14,14,5 Dhmovkrito", w|i meta; plei'ston Epivkouro" hjkolouvqhsen, ajrca;" tw' n o[ntwn swvmata a[ toma, lovgwi de; qewrhtav, ajmevtoca kenou', aj gev nhta, ajdiavfqarta oujde; qrausqh'nai dunav mena, ou[te diplavsion ej k tw' n merw'n labei'n ou[te ajlloiwqh'nai, ei\ nai dæ auj ta; lovgwi qewrhtav . tau' ta mev ntoi kinei'sqai ej n tw'i kenw'i kai; dia; tou' kenou': ei\nai de; kai; aujto; to; keno;n a[p eiron kai; ta; swvmata a[p eira. Stob. 1,10,14 (Dox. 285) Epivkouro" ajrca;" ei\nai tw'n o[ntwn swvmata lovgwi qewrhtav, ajmevtoca kenou', ajgevnhta, ajdiavfqarta, ªtaº ou[te qrausqh' nai dunavmena, ou[te ajlloiwqh'nai.

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sario infatti, dice, che i corpi si muovano sotto la spinta del peso, altrimenti non potrebbero muoversi124 .

Le affermazioni sul peso dell'atomo costituiscono un punto controverso che qui non può essere esaminato nel dettaglio125 . Rilevante è tuttavia il fatto che lo schema: assenza di peso dell'atomo democriteo/ correzione apportata da Epicuro corrisponda perfettamente, anche nella formulazione, a quello di Cic. De fato 20,46. Anche qui, nella critica alla teoria del clinamen, viene attribuita ad Epicuro una simile correzione della tesi democritea: Democrito avrebbe infatti sostenuto che gli atomi sono mossi non dal peso, ma da un'altra spinta che egli chiama "colpo", Epicuro invece, da una spinta che deriverebbe loro dal peso126 . Anche qui Epicuro parla in prima persona in un confronto dialettico con Democrito, ma subito dopo viene confutato, ancora in forma dialogica, da un terzo interlocutore, critico nei confronti della dottrina atomistica127 . Il testo di Pseudo-Plutarco prosegue poi con la critica di Epicuro alle forme democritee: Le figure degli atomi sono concepibili, non infinite. Infatti, dice, non sono né uncinate, né a tridente, né ad anello. Infatti queste forme sono friabili, mentre gli atomi sono impassibili e infrangibili; ma gli atomi hanno forme proprie intellegibili. E si dice atomo non perché è il più piccolo, ma perché non si può tagliare in quanto impassibile e privo di vuoto; talché quando dice atomo, dice infrangibile e impassibile, privo di vuoto 128 .

L'assunzione di un numero non infinito di forme atomiche e il rifiuto delle forme friabili compaiono qui nella stessa sequenza in cui sono menzionate nel testo dell'epicureo Demetrio Lacone. Il testo di Pseudo-Plutarco si distingue però da quest'ultimo per due tratti specifici: innanzitutto definisce chiaramente quali forme Epicuro avrebbe escluso perché friabili (De124

Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) sumbebhkevnai de; toi'" swvmasi triva tau'ta, schvma mevgeqo" bavro". Dhmovkrito" me;n ga;r e[lege duvo, mevgeqov" te kai; sch'ma, oJ d Epivkouro" touvtoi" kai; trivton, to; bavro", ejpevqhken ªprosevqhken Eus., Dielsº: ajnav gkh gavr, fhsiv, kinei'sqai ta; swv mata th'i tou' bavrou" plhgh'i: ejp ei; ouj kinhqhvsetai.

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Per il problema del peso dell'atomo in questo passo e in quello ciceroniano, cf. in particolare O'Brien I, 1981, 229-248. Cic. De fato 20,46 (68 A 47 DK; 307, 365 L.) «Declinat» inquit (scil. Epicurus) «atomus». Primum cur? aliam enim quandam vim motus habebant a Democrito inpulsionis, quam plagam ille appellat, a te, Epicure, gravitatis et ponderis. La stessa sequenza in uno schema diairetico e non dialettico in Stob. 1,14,1; 1,19,1 (Ps.-Plut. 1,23, 884 C) (68 A 47 DK; 307, 365 L.). Per una sequenza simile (correzione epicurea di una tesi democritea-critica da parte di Carneade) riguardo al clinamen, cf. De fato 10,23 (68 A 47; 307, 365 L.). Ps.-Plut. 1,3, 877 E (Dox. 285; 217, 234 L.) ei\nai de; ta; schvmata tw'n ajtovmwn perilhptav, oujk a[p eira. mh; ga;r ei\nai mhvt ajgkistroeidei'" mhvte triainoeidei'" mhvte krikoeidei'":

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tau'ta ga;r ta; schvmata eu[qraustav ejstin, aiJ d a[ tomoi ajpaqei'" a[qraustoi: i[dia d e[cein schvmata lovgwi qewrhtav. kai; ei[rhtai a[ tomo", oujc o{ ti ejsti;n ejl acivsth ajl l o{ti ouj duvnatai tmhqh'nai, ajp aqh;" ou\s a kai; ajmevtoco" kenou': w{ste, eja;n ei[phi a[ tomon, a[qrauston lev gei kai; ajp aqh', ajmevtocon kenou'.

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metrio affermava genericamente che avrebbe ammesso solo forme compatte). In secondo luogo, come ulteriore risposta alla critica alle forme, fornisce una definizione dell'atomo come indivisibile perché solido in contrasto con un atomo indivisibile perché minimo che manca in Demetrio. La critica alle forme e la ridefinizione dell'atomo nel testo di PseudoPlutarco sembrano a prima vista mancare di una connessione logica. Il loro rapporto diviene, però, chiaro sullo sfondo dei brani di Lattanzio. In questi ultimi, infatti, la confutazione dell'atomo indivisibile per la piccolezza di Leucippo si basava proprio sulla critica alle forme atomiche friabili come quelle scabre, ad amo e con angoli. Non solo, ma, in risposta ad argomenti come quello avanzato da Demetrio, venivano criticate anche le forme "compatte" come quelle lisce e sferiche: tali forme, dice Lattanzio, non generano nulla perché non possono combinarsi. Gli atomi devono perciò avere anche forme ad amo e con sporgenze che, come tali, si possono tagliare e quindi non possono essere indivisibili. La presunta ridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro costituisce proprio una risposta a questa doppia critica: gli atomi non sono insecabili in quanto minimi, ma in quanto infrangibili, impassibili e privi di vuoto. In Galeno, come si vedrà, è presente la risposta anche a questa "correzione" epicurea che manca invece nei resoconti di Lattanzio. Dunque, nel brano dello PseudoPlutarco è implicita una struttura dialettica che presuppone: A. Tesi degli atomisti antichi: ci sono minimi indivisibili di infinite forme. B. Critica di un avversario: se gli atomi hanno, fra le altre, anche forme ad amo e con sporgenze, non sono indivisibili perché queste ultime si possono sempre tagliare. C. Correzione epicurea: gli atomi non hanno forme infinite, ma concepibili col pensiero. Alcune forme friabili possono dunque essere escluse. D. Critica dell'avversario: se non hanno forme con sporgenze, ma sono lisci e rotondi, non possono combinarsi. E. Risposta epicurea: l'atomo si definisce tale non perché è un minimo, ma perché è impassibile e privo di vuoto. Per quanto riguarda i punti C, D ed E, si può osservare che ad Epicuro sono attribuite delle tesi in parte da lui veramente sostenute, come quella della non infinità delle forme atomiche, ma anche delle opinioni palesemente in contrasto con le testimonianze come le forme "concepibili" e la negazione delle forme atomiche ad amo a tridente e ad anello. Per quanto riguarda il primo punto, la lezione perilhptav è stata generalmente riportata ad un errore della tradizione manoscritta e corretta, sulla scorta dell'Epistola ad Erodoto (1,42), in ajperivl hpta129 . In realtà i manoscritti di Pseudo-Plutarco, compreso quello che il traduttore arabo aveva 129

Duebner II, 1841; Diels 1879; Lachenaud 1993.

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davanti130 , hanno concordemente perilhptav. Il termine è perfettamente accettabile se lo si interpreta non come una affermazione originale di Epicuro, ma come una deduzione che si poteva trarre dall'epistola epicurea: se le forme atomiche non sono infinite, devono essere concepibili con la mente in quanto solo l'infinito è inconcepibile. Dunque Epicuro avrebbe ammesso che le forme sono concepibili131 . Riguardo al secondo punto, la negazione di certe forme atomiche, Demetrio Lacone allude al fatto che Epicuro ha ammesso solo forme compatte, ma non specifica di quali si tratti. Tale affermazione è però palesemente contraddetta all'interno della scuola stessa. Le forme ad amo a tridente e ad anello sono citate, infatti, espressamente da Lucrezio per spiegare la struttura di certi oggetti sensibili e di altri fenomeni. Atomi ad amo e "a ramo" compongono le cose che ci appaiono dure e spesse e l'attrazione del magnete e del ferro si spiega attraverso intrecci di atomi ad anello e ad amo132 . Anche Galeno accenna in un contesto critico a quest'ultimo punto133 . Per Cicerone, come si è già constatato, le forme ad amo e ad uncino sono dottrina leucippea e democritea accettata anche dagli epicurei134 . Pseudo-Plutarco attribuisce dunque ad Epicuro delle tesi che non sono sue, ma solo deduzioni di chi argomenta pro o contro le forme atomiche. Da affermazioni quale quella di Demetrio Lacone, secondo cui Epicuro avrebbe ammesso solo forme compatte e rifiutato quelle friabili, si poteva facilmente passare all'identificazione di queste ultime con le forme ad amo e ad uncino. D'altra parte la ridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro, che, detto per inciso, ripete 130

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Daiber 1980, 105: "Die Gestalten der Körper, welche nicht teilbar sind, lassen sich erfassen und sind nicht unendlich". Anche l'esclusione delle forme con sporgenze sia in Demetrio Lacone che nel testo di Pseudo-Plutarco è il risultato di una deduzione. L'Accademico Cotta nel primo libro del De natura deorum (1,32,90) usa un procedimento simile per confutare la concezione epicurea della divinità. L'affermazione di Epicuro secondo cui gli dèi sono simili agli uomini presuppone che anche gli uomini siano simili agli dèi. E' logico infatti che sia la forma degli uomini a derivare da quella degli dèi sempre eterni e ingenerati e non viceversa. Conseguentemente si deve dire non che gli dèi hanno forma umana, ma che gli uomini hanno forma divina. Quest'ultima deduzione viene poi assunta come effettiva tesi di Epicuro e confutata nel paragrafo seguente (perché dunque improvvisamente sarebbero nati degli uomini di forma divina?). Lucr. 2,444-446 Denique quae nobis durata ac spissa videntur,/ haec magis hamatis inter sese esse necessest/ et quasi ramosis alte compacta teneri; cf. 2,393s. Cf. anche 6,1087-1089 (del magnete): Est etiam, quasi ut anellis hamisque plicata/ inter se quaedam possint coplata teneri;/ quod magis in lapide hoc fieri ferroque videtur. Lur'e 1970, 466s. ha notato l'incongruenza del testo dello Pseudo-Plutarco con le testimonianze lucreziane, ma, senza addurre alcuna prova, ha attribuito a Lucrezio una ripresa di dottrine democritee che Epicuro avrebbe invece rifiutato. Gal. Nat. fac. 1,14 (III,137,1 Helmreich = II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) eij ga;r e{kaston aujtw'n muriostovn ejsti mevro" tw' n ejn tw'i aj evri feromevnwn yhgmav twn, phlivkon crh; noh'sai to; pevra" aujtw' n to; ajgkistroeidev", w|i periplevketai pro; " a[llhla…

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V. supra, 3. 2. 1 n. 110.

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in parte quella della prima parte del brano e sembra assolutamente superflua, presuppone un'ulteriore critica anche a forme compatte quali quelle lisce. Dato che queste ultime non possono generare nulla, si devono reintrodurre necessariamente quelle forme in un primo tempo rifiutate con tutti i problemi che ne conseguono. Si tratta delle argomentazioni addotte da Lattanzio. Ecco allora la ridefinizione dell'atomo che para tutte le obiezioni precedenti: l'atomo non è tale in quanto minimo (e dunque privo di parti), ma in quanto impassibile e privo di vuoto. Nell'epitome dossografica sono state probabilmente assimilate critiche degli avversari e risposte epicuree ed eliminato il nome di Leucippo135 . Alla luce dei passi di Lattanzio delle Institutiones e del De ira dei si può comprendere meglio anche la connessione fra le diverse parti del brano di Pseudo-Plutarco. Egli ha infatti riassunto una sequenza di tesi, confutazioni e controtesi alla maniera dei dialoghi ciceroniani dove l'Accademico scettico non solo illustra la diaphonia fra le teorie dogmatiche, ma formula critiche e attribuisce anche risposte agli interlocutori basandosi su un nucleo dottrinale effettivo, ma anche su deduzioni che da questo si possono trarre. Dunque la seconda parte del brano dello Pseudo-Plutarco, così come quello di Lattanzio, riportano all'ambito dell'Accademia scettica. Lattanzio espone la presunta dottrina di Leucippo con relativa critica, Pseudo-Plutarco riferisce anche le "correzioni" epicuree, ma la trattazione dell'atomismo nella sua globalità non si fermava qui. A questo punto entravano in gioco quegli argomenti contro l'impassibilità e la mancanza di qualità dell'atomo, assunti dalla tradizione stoica e presenti in Cicerone e Plutarco (v. supra, 2. 1). Questo quadro di insieme è ricostruibile attraverso un brano del De elementis secundum Hippocratem di Galeno. 3. 2. 3. Galeno Nel De elementis secundum Hippocratem Galeno propone un lungo excursus sull'atomismo per dimostrare come quest'ultimo si presti alla critica espressa nel trattato ippocratico De natura hominis secondo cui, se il corpo fosse composto da un unico elemento, non potrebbe sentire dolore. Galeno, come egli stesso afferma in questa e in diverse altre opere, ritiene che gli atomisti siano dei monisti in quanto hanno assunto come principi atomi tutti uguali per specie e privi di qualità136 . Per dimostrare come la 135 136

Che compare invece nel resoconto parallelo di Galeno, v. infra, 3. 2. 3. Gal. De elem. sec. Hipp. 2,16ss. (60,19 De Lacy = I,418 K.); cf. anche De const. art. med. 7 (I,246 K.). Si tratta di uno schema interpretativo già presente nella Contro Colote di Plutarco laddove si cerca di dimostrare che Epicuro, in realtà, ha sostenuto le stesse tesi monistiche che Colote rimprovera a Parmenide (1114 A). Il modello di questa "riduzione" di Galeno

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critica ippocratica sia rivolta contro tali posizioni, espone prima di tutto le teorie democritee. La struttura di tale resoconto richiama da vicino quella della Contro Colote di Plutarco. Come Plutarco, Galeno parte dalla massima novmwi gluku; ktl. per passare poi alla descrizione dell'insieme della dottrina e ritornare infine a criticare l'impassibilità dell'atomo e la sua inalterabilità. Egli, tuttavia, non si limita a riferire le tesi di Democrito. Dopo averne diffusamente descritto i caratteri basilari, soprattutto il meccanismo di generazione dei corpi composti, accenna ad una differenza fra due tipi di atomismo Essi ritengono i corpi primi impassibili; alcuni di loro, come Epicuro, infrangibili per la durezza, altri invece indivisibili per la piccolezza, come Leucippo137 .

Qui viene in pratica esplicitata quella diaphonia fra atomismo antico ed Epicuro nella concezione dell'indivisibilità dell'atomo che nello PseudoPlutarco è solo presupposta. Nel contempo si ritrova l'accenno alle presunte teorie di Leucippo oggetto di critica nei brani delle Divinae Institutiones e del De ira dei di Lattanzio. In Galeno ci sono dunque ancora dei resti di quella stessa tradizione critico-interpretativa che compare nei brani suddetti. Altrove egli menziona Leucippo una sola volta incidentalmente e in uno schema generico di concordanza con Epicuro e Democrito: tutti avrebbero posto come elementi piccoli corpuscoli138 . La terminologia del brano del De elementis ricorda quella dello PseudoPlutarco, in particolare l'attributo molto specifico a[qrausta degli atomi

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risale certamente in ultima analisi ad Aristotele, come afferma Morel 1996, 115ss., ma è sicuramente filtrato da una tradizione posteriore come mostra la corrispondenza con Plutarco. Morel, interessato al tema più generale della rappresentazione dell'atomismo in Galeno, non indaga ulteriormente sulla tradizione che sta dietro la struttura dialettica del brano e sulle strette relazioni di quest'ultimo con la Contro Colote. Sulle somiglianze e differenze fra i due brani, cf. Gemelli Marciano 1998, 121s. Gal. De elem. sec. Hipp. 2,17 (62,4-7 De Lacy = I,418-419 K.) (68 A 49 DK; 112 L.) ajpaqh' d uJpotivqentai ta; swvmata ei\nai ta; prw'ta: tine; " me; n aujtw' n uJpo; sklhrovthto" a[qrausta, kaqavper oiJ peri; Epivkouron, e[ nioi de; uJpo; smikrovthto" ajdiaivreta, kaqav per oiJ peri; to; n Leuvkippon. De Lacy, nella sua edizione, aggiunge, sulla scorta della traduzione araba, anche il nome di Diodoro kaqavp er oiJ peri; to;n Leuvkippon ãkai; Diovdwronà (app. ad loc. e p.

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22) ritenendo impossibile che il traduttore arabo possa aver aggiunto di suo pugno un nome così inusuale. Che il nome fosse anche nel manoscritto greco è comunque piuttosto strano in quanto Diodoro è sì il sostenitore-tipo degli ejlavcista kai; ajmerh' nella vulgata su atomisti e corpuscolaristi (il suo nome è comunque sistematicamente tralasciato da PseudoPlutarco e compare solo nei passi paralleli di Stobeo), ma non viene mai citato in un contesto dove compaiono solo atomisti ed è completamente assente nelle opere di Galeno. Quest'ultimo accenna più volte, qui e altrove, alla vulgata, ma senza fare nomi e distinguendo comunque il gruppo dei corpuscolaristi da quello degli atomisti, cf. De elem. sec. Hipp. 1,7 (58,21 De Lacy = I,416 K.) ejk taujtou' d aujtoi'" eijsi corou' kai; oiJ ta; ejlavcista kai; a[narma kai; aj merh' tiqevmenoi stoicei'a. Cf. anche De simpl. med. 5,25 (XI,783 K.) Comunque sia, se anche Galeno qui menziona Diodoro fuori luogo, questo non ha nessuna incidenza in relazione alla diaphonia Leucippo-Epicuro. De nat. fac. 2,6 (III,172,7 Helmreich = II,97 K.).

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epicurei, che corrisponde esattamente alla definizione del dossografo aiJ de; a[tomoi ajpaqei'" a[qraustoi. Galeno non lo usa più altrove. Egli non menziona inoltre il termine originale nastovn che, come si può dedurre da un altro passo139 , sembra non conoscere, e sembra presupporre una differenza fra a[qrausto", infrangibile per la durezza, e ajdiaivreto", indivisibile in quanto ejlavciston. Rispetto a Lattanzio e allo Pseudo-Plutarco, che si arrestano rispettivamente alla critica all'indivisibilità per la piccolezza e alla dichiarazione epicurea della solidità dell'atomo, Galeno riporta anche un'argomentazione contro il concetto di impassibilità già presente nei testi di Cicerone e Plutarco, che faceva dunque probabilmente parte di uno stesso blocco confutativo. Egli le dà un taglio medico, rifacendosi all'obiezione rivolta ai monisti nel De natura hominis ippocratico: se il corpo fosse composto da un solo elemento, non dovrebbe sentire dolore140 . Tuttavia Galeno utilizza anche un'altra argomentazione di tipo empirico: se si punge, anche con un piccolo ago, la pelle, tutto il corpo sente dolore. Ammettiamo che questo ago tocchi un solo atomo; se l'atomo è insensibile e per di più non può subire ferite, non avrà alcuna reazione dalla puntura dell'ago. Nessuna sensazione si produrrà neppure se l'ago toccherà due atomi e così via, talché, se componiamo un corpo di atomi impassibili e insensibili, anch'esso risulterà tale. Infatti sarebbe veramente strano se ogni parte di questo corpo fosse insensibile e impassibile, mentre il tutto è sensibile e capace di subire. Ora, il corpo è chiaramente soggetto a dolore e, se si ferisce una sua parte, il dolore viene avvertito dovunque, dunque deve essere composto di elementi sensibili e capaci di "patire"141 . L'argomentazione coincide con una delle tante obiezioni rivolte da Plutarco all'atomo di Epicuro nella Contro Colote: a chi dunque, veramente, o Colote, consegue di non venir feriti né di ammalarsi? a voi, a voi che siete fatti di atomo e di vuoto, nessuno dei due partecipe di sensazione142 .

Come si è visto sopra, Carneade considerava come caratteristica distintiva dell'essere vivente il provare sensazioni e dolore e sosteneva che nessun corpo è tale da non poter essere frammentato143 . Le critiche all'atomo e al vuoto insensibili, che mettono in rilievo le incongruenze insite nell'atomismo, fanno parte dunque di un bagaglio che risale per lo meno a Carneade. L'esempio dell'ago che punge, di carattere tipicamente medico, potrebbe essere stato inventato da Galeno, ma ci sono buoni motivi per 139 140 141 142 143

De dign. puls. 4,2 (VIII,931 K.) (68 A 46 DK), v. supra, Introduzione 2. 1 n. 33. Nat. hom. 2 (168,4s. Jouanna = VI,34 Littré). Gal. De elem. sec. Hipp. 2,24ss. (64,5 De Lacy = I,420 K.). Plut. Adv. Colot. 1113 E. Per il testo, v. supra, n. 40. V. supra, 2. 1. 2 n. 42.

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ritenere che non sia così. Innanzitutto non compare più in altri passi paralleli di Galeno, dove invece viene enunciata solo la tesi generale144 . In secondo luogo, riemerge nella confutazione delle tesi atomiste nel commento al De generatione et corruptione del Filopono145 . Il commentatore neoplatonico non attinge direttamente da Galeno, in quanto riporta una variante (l'ago potrebbe pungere l'atomo o andare nel vuoto, ambedue insensibili146 ) e lo cita come parte di un elenco di aporiai contro gli indivisibili che Aristotele avrebbe esposto nel terzo libro del De caelo147 . Ovviamente Aristotele non ha detto nulla di tutto questo, ma solo accennato al fatto che le dottrine atomiste minano alla base la sensazione. Alessandro di Afrodisia nel suo commento perduto al trattato, aveva ampliato le argomentazioni aristoteliche con aggiunte proprie148 , ma il Filopono non lo segue149 ; egli attinge a qualche altra fonte che sfruttava anche argomenti di matrice scettica. Infatti, la sua accusa agli atomisti di eliminare i sensibili riprende non solo la tematica incontrata in Cicerone e Plutarco, ma presenta una concordanza quasi letterale col giudizio espresso in un famoso brano di Sesto su Democrito. In sintesi il Filopono dice che, se gli atomi sono insensibili, neppure le cose da loro composte avranno sensibilità, dunque "non ci sarà nessun sensibile per natura"150 . Si tratta della defini144

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Cf. De const. art. med. 7 (I,247-249 K.) e In Hippocr. De nat. hom. 1,6 (21,11-23 Mewaldt = XV,36 K.) dove egli applica la stessa critica ad atomisti e corpuscolaristi. Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,24-165,8 trivton (scil. ejpiceivrhma) o{ti ajnairou'si th;n sunaivsqhsin kai; ta; pavqh. wJ" ga;r ei[rhtai pollavki", o{tan kenthvshi to; sw'ma belovnh ti", ajnavgkh pa'sa h] ej n tw'i kenw'i cwrh'sai auj th;n h] th'" ajtovmou ãa{y asqai. eij me;n ou\n ej n tw'i kenw'i cwrhvsei, oujk aijsqhvsetaià h} (sic eij?) de; th'" ajtov mou a{y etai, dia; to; ajpaqh' ei\nai pavlin oujk aijsqhvsetai. w{ste aj nhvirhtai hJ ai[sqhsi" kai; oujde; n e[s tai aijsqhtovn. eij ga;r to; aijsqavnesqai tw'i pavs cein ti uJpo; tw' n aijsqhtw' n th; n ai[sqhsin lev getai, oujk e[sti de; sunaivsqhsi" oujd e; pavqo", oujd a[r a aijsqhtov n ti a]n ei[h kurivw".

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Cf. Plut. Adv. Colot. 1113 D, supra, n. 40, dove sia il vuoto che gli atomi sono definiti insensibili. Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,11-13. Simplicio, nel commento ai passi del De caelo cui il Filopono allude, cita e segue appunto Alessandro (303a 17, 612,1ss.). Questo è chiaro dal confronto con l'argomentazione parallela nel commento al De caelo di Simplicio che invece si richiama ad Alessandro. Simplicio, riferendosi alla critica aristotelica alle dottrine atomiste di andare non solo contro la matematica, ma di eliminare anche la sensazione, si riferisce unicamente al fatto che, essendo i corpi discontinui, la sensazione non può propagarsi in tutto il corpo (612,15 "come infatti un dolore al piede si potrebbe sentire [nel resto del corpo], se i corpi non sono continui?"). Simplicio elenca questa obiezione come terzo argomento contro la discontinuità e l'indivisibilità dei corpi, il Filopono, invece, la riporta come quarto. Philop. In De gen. et corr. 326a 14, 168,4 eij me;n ou\n mhde;n e[coien pavqo", oujd a]n ta; ejx aujtw' n sugkeivmena scoivh a[ n ti pavqo". pw'" ga;r o} mh; e[cousi toi'" ej x aujtw'n sugkeimev noi" doi'en a[ n… ajll eij mhde; n e{xousi ta; ej x aujtw'n pavqo", ajnaireqhvsetai hJ ai[sqhsi" kai; ta; aijsqhtav. hJ ga;r ai[sqhsi" tw'i pavscein ti uJpo; tw' n aijsqhtw'n levgetai, tau'ta dev ejsti ta; pavqh. w{ste oujd e;n e[stai fuvsei aijsqhtovn.

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zione letterale di Sesto: Democrito ha assunto come veri solo gli intellegibili per il fatto che non c'è alcun sensibile per natura perché tutto quanto è formato da atomi privi di ogni qualità sensibile151 . In Sesto, come in Plutarco, questa argomentazione è correlata alla famosa frase novmwi gluku; ktl. e proviene in ultima analisi dall'Accademia scettica152 . Nel brano di stile dossografico di Galeno ritornano dunque quelle argomentazioni che emergono nei diversi passi esaminati finora e che costituivano il nerbo della confutazione dell'atomismo nell'Accademia di mezzo. 3. 2. 4. Teodoreto Il resoconto di Teodoreto sull'atomismo, come già notato da Mansfeld e Runia153 , costituisce un problema in quanto questo autore utilizza non solo Aezio, ma anche altre fonti e le combina in maniera idiosincratica aggiungendo e rimaneggiando. Così si esprime riguardo ai principi degli atomisti nel quarto libro Sulla materia e sul cosmo Democrito figlio di Damasippo per primo introdusse la dottrina del vuoto e dei corpi compatti; Metrodoro di Chio invece li chiamò indivisibili e vuoto, come di nuovo Epicuro figlio di Neocle, Ateniese, della quinta generazione dopo Democrito, chiamò atomi quei corpi che costoro [Democrito e Metrodoro] avevano denominato compatti e indivisibili. Gli uni dicono che si definisce indivisibile, atomo e compatto per l'impassibilità, gli altri, invece, per la piccolezza perché non può subire taglio o divisione. Chiamano così quei corpi piccolissimi e sottilissimi che il sole, penetrando attraverso le finestre, mostra sussultare su e giù nella sua luce. Alle loro dottrine ha aderito anche Ecfanto di Siracusa, il Pitagorico154 .

Il resoconto riproduce solo in parte ciò che si trova in Stobeo. Vi compare nella prima parte, come là, la successione Democrito-Metrodoro-EpicuroEcfanto e l'elenco delle varie denominazioni degli indivisibili (tutto questo 151

Sext. Emp. Adv. Math. 8,6 (57, 92 L.) oiJ de; peri; to;n Plavtwna kai; Dhmovkriton movna ta; nohta; uJp enovhsan ajlhqh' ei\nai, ajll oJ me;n Dhmovkrito" dia; to; mhde; n uJ pokei'sqai fuvs ei aijsqhtw'n tw' n ta; pav nta sugkrinousw' n ajtovmwn pavsh" aijsqhth'" poiovthto" e[rhmon ejcousw'n fuvsin.

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Cf. Adv. Math. 8,55; 6,53; 7,135 e Gemelli Marciano 1998. Per una contestualizzazione generale di queste interpretazioni in Sesto Empirico, cf. Morel 1996, 427ss. Mansfeld-Runia 1997, 280-82. Theodoret. 4,8-10 (Dox. 285; 113 L.) Dhmovkrito" de; oJ Abdhrivth" oJ Damasivppou th;n tou'

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kenou' kai; tw' n nastw' n prw'to" ejp eishvgage dovxan: tau'ta de; Mhtrovdwro" oJ Ci'o" ajdiaivreta kai; keno;n proshgovreusen, w{sper au\ pavlin Epivkouro" oJ Neoklev ou" oJ Aqhnai'o" pevmpthi genea'i meta; Dhmovkriton gegonw;" ta; uJp ejkeivnwn nasta; kai; ajdiaivreta dh; klhqevnta a[toma proshgovreusen. ajdiaivreton de; kai; a[tomon kai; nasto;n oij me; n dia; to; ajpaqe; " wjnomavsqai fasiv n, oiJ de; dia; to; a[gan smikro;n a{ te dh; tomh;n kai; diaivresin devxasqai ouj dunavmenon. kalou'si de; ou{tw ta; smikrovtata ejkei'na kai; leptovtata swvmata, a} dia; tw'n fwtagwgw' n eijs bavllwn oJ h{lio" deivknusin ejn eJ autw'i a[ nw kai; kavtw pallovmena. touvtoi" kai; “Ekfanto" oJ Surakouvsio" oJ Puqagovreio" hjkolouvqhse.

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manca in Pseudo-Plutarco). Tuttavia l'indicazione che Epicuro è della quinta generazione dopo Democrito è inusitata155 . La seconda parte, riassuntiva e senza nomi specifici, come spesso nelle epitomi dossografiche, attribuisce agli atomisti due concezioni diverse dell'atomo, una per la ajpavq eia, cioè per la solidità, l'altra per la piccolezza. Si tratta di una differenziazione che non è esplicita nei testi dossografici di matrice "aeziana" (Pseudo-Plutarco e Stobeo), ma sottintesa alla ridefinizione dell'atomo da parte di Epicuro, mentre in Galeno è legata ai nomi di Epicuro e Leucippo. Teodoreto, particolarmente attento a mettere in rilievo la diaphonia fra gli autori pagani, mantiene questo tratto eliminando però il nome di Leucippo, per lui secondario156 . La definizione dell'atomo come "ciò che non può subire taglio o divisione" è la formula corrente negli autori cristiani per lo meno dal III sec. d.C.157 . Teodoreto aggiunge però a questo punto come illustrazione dell'atomo l'immagine degli xuvsmata, che non compare nei testi dossografici di matrice "aeziana", ma è presente nel De ira di Lattanzio e segue la definizione dell'atomo in diversi autori latini fino all'epoca medievale158 . A differenza di questi ultimi, però, sicuramente influenzati dalla similitudine lucreziana (2,114), Teodoreto identifica pulviscolo e atomi. Questa interpretazione non è una sua Verschlimmbesserung come si potrebbe pensare159 , ma ha le sue radici in un passo del De anima aristotelico160 ed è attestata anche in una citazione di Democrito in un testo arabo, su cui si ritornerà nel capitolo conclusivo, e nel commento alla Metafisica dello Pseudo-Alessandro che cita le particelle del pulviscolo

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Mansfeld-Runia 1997, 281. Lo nomina una sola volta in relazione alla dottrina dell'infinità dei mondi (4,15). Cf. Hippol. Ref. 7,15,1 infra, n. 168; Aug. Serm. 362,20 (P. L. 39,V,2, 1624) Atomus dictus est a tomhv, quod est sectio: a[tomo" graece quod secari non potest. Sed dicitur atomus in corpore, dicitur in tempore. in corpore dicitur, si quid inveniri potest quod quidem dividi non posse perhibetur, corpusculum aliquod tam minutum, ut iam non habeat ubi secari possit. Cf. Ep. 118,28 (P. L. 33,II, 445) Epicurus vero neque aliquid in principiis rerum ponit praeter atomos, id est corpuscula quaedam tam minuta ut iam dividi nequeant, neque sentiri, aut visu aut tactu possint; quorum corpusculorum concursu fortuito et mundos innumerabiles et animantia et ipsas animas fieri dicit, et deos. Serv. Ecl. 6,31 Epicurei, vero […] corpus volunt esse atomos, id est quasdam minutissimas partes, quae tomhvn, id est sectionem, non recipiunt, unde et atomi dictae sunt: quas Lucretius minutiores dixit esse illis corpusculis, quae infusis per fenestras radiis solis videmus; dicit enim illas nec visum posse recipere. Isid. Etym. 13,2,1-4 Atomos philosophi vocant quasdam in mundo corporum partes tam minutissimas ut nec visui pateant nec tomh;n, id est sectionem, recipiant; unde et a[tomoi dicti sunt. Hi per inane totius mundi inrequietis motibus volitare et huc atque illuc ferri dicuntur, sicut tenuissimi pulveres qui infusi per fenestras radiis solis videntur. Ex his arbores et herbas et fruges omnes oriri, ex his ignem et aquam et universa gigni atque constare quidam philosophi gentium putaverunt. Raban. Maur. De universo 9,1 (P. L. 111,V, 262) (ad 594, p. 573 Nr.16 L.). Mansfeld-Runia individuano come tali alcune delle particolarità dei resoconti di Teodoreto. Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.), v. infra, VII 5 n. 50.

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come esempio di unità indivisibili161 . Sicuramente dunque Teodoreto attinge per questo passo non solo al cosiddetto Aezio, ma anche per lo meno ad un'altra fonte come hanno già fatto notare Mansfeld e Runia162 , la cui identità è però destinata a rimanere oscura163 . Si può dunque ricostruire, attraverso i brani di Lattanzio, Pseudo-Plutarco, Galeno e Teodoreto, un filone espositivo-interpretativo risalente all'Accademia scettica che istituiva una diaphonia all'interno dell'atomismo accogliendo una tradizione sull'indivisibilità dell'atomo in quanto minimo legata al nome di Leucippo e diversa da quella corrente su Democrito ed Epicuro. L'atomo di Leucippo veniva criticato con delle motivazioni capziose e legate all'empiria: essendo indivisibile perché minimo e privo di parti, non poteva assumere forme con sporgenze le quali si possono invece tagliare. Gli Epicurei reagivano eliminando le forme friabili e ammettendo solo quelle compatte, ma esponendosi ad una nuova critica in quanto queste ultime non possono intrecciarsi. Infine definivano l'atomo indivisibile non perché minimo, ma perché solido, infrangibile e impassibile. A sua volta questa risposta veniva sottoposta a critica attraverso l'argomentazione che troviamo in Plutarco e in Galeno: atomi insensibili e impassibili non possono formare corpi sensibili e quindi in grado di sentire dolore. Se, d'altra parte, anch'essi sentono dolore, allora sono, come gli altri corpi, soggetti a dissoluzione e dunque non eterni e indistruttibili. È praticamente impossibile stabilire da quale tradizione interpretativa l'Accademia scettica avesse assunto la rappresentazione dell'atomo leucippeo come insecabile perché elemento più piccolo. Questa interpretazione rispecchia sia l'argomento "fisico" di De Generatione et corruptione A 2, dove però il nome di Leucippo non compare, sia la definizione di minimo privo di parti risalente all'Accademia antica e corrente negli autori di età imperiale164 . La critica alle forme atomiche ad essa legata sembrerebbe riportare fino a Stratone di Lampsaco, ma quest'ultimo, criticava Democrito e non Leucippo. Teofrasto attribuiva inoltre ad ambedue gli stessi principi: il pieno e compatto e il vuoto. In ogni caso questa tradizione è confluita in 161

Ps.-Alex. In Metaph. 1056b 28, 631,8-11 ouj pa'n, o} a]n h\i e}n kai; ajdiaivreton, ajriqmov" ejstin, ajll eijsi; polla; e}n kai; ajdiaivr eta ta; ejn tai'" ajkti'si tou' hJlivou oJrwvmena xuvsmata, kai; ou[k eijsin ajriqmov", eij tavc a kai; e[stin ajriqmo;" auj tw'n.

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1997, 280-282. Si potrebbe pensare a Porfirio, che Teodoreto nomina espressamente come sua fonte accanto ad Aezio e Plutarco. Il fatto che la Historia philosopha del neoplatonico arrivasse fino a Platone (Eunap. Vita Soph. 2,1) mentre Teodoreto menziona anche Epicuro, non è necessariamente un ostacolo all'attribuzione. Infatti la classificazione delle teorie atomistiche avrebbe potuto far parte senza problemi di un resoconto sugli atomisti antichi. In ogni caso la fonte di Teodoreto seguiva da vicino la letteratura delle diadochai come mostra l'indicazione sul posto occupato da Epicuro nella successione degli atomisti. V. supra, V 1 n. 17.

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una sezione dossografica Sui principi di cui si trovano le tracce in Galeno e Teodoreto e, in parte, nel resoconto di Lattanzio. Nelle fonti tarde lo schema diafonico presente in questi testi scompare per effetto dell'epitome producendo una assimilazione di dottrine presentate in origine come contrarie e conseguentemente una attribuzione oscillante delle diverse definizioni. Tre sono gli schemi di assimilazione: 1. Citazione delle due definizioni dell'atomo come assolutamente equivalenti e senza attribuzioni specifiche come in Suda, il cui testo si avvicina a quello di Teodoreto165 . 2. Attribuzione di ambedue le definizioni dell'atomo ad Epicuro come nell'Isagoge di Achille166 . 3. Attribuzione dell'atomo indivisibile per la piccolezza ad Epicuro che, essendo il rappresentante canonico dell'atomismo, funge da paradigma. Nel III sec. d.C., questa tendenza è già affermata. Un autore come Ippolito, che pure riporta spesso abbastanza fedelmente molti brani dossografici, attribuisce l'indivisibile per la piccolezza ad Epicuro interpretandolo in pratica come un ajmerev"167 . 3. 3. Minimo privo di parti ed epitomi dossografiche La tradizione precedente riguardante i principi, che illustra una diaphonia fra Leucippo ed Epicuro all'interno degli atomisti, è comunque diversa dalla vulgata che si trova in altri autori tardi che non nomina mai Leucippo, classifica separatamente, ordinandoli fra i corpi "intellegibili", atomi e ajmerh' (questi ultimi sono posti fra i corpi divisibili all'infinito, ma indivisi insieme alle omeomerie di Anassagora e agli onkoi di Eraclide e Ascle165

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Sud. s. v. “Atoma (201 L.) leptovtata. ta; mh; dunavmena dia; th;n a[kran leptovthta tevmnesqai. o{ti a[toma wj novmasan oiJ ”Ellhne" kai; ajmerh' swv mata dia; to; ajp aqe; " h] smikro;n a[ gan, a{te mh; tomh; n h] diaivresin dev xasqai dunavmena. Achill. Isag. 3, 31,5 Maas (Ep. Fr. 267 Us.) Epivkouro" de; oJ Aqhnai'o" ejk swmavtwn nohtw'n smikrotavtwn ta; " ajrca;" tw' n o{lwn ei\naiv fhsi: kalei' de; auj ta; " ajtovmou" h] dia; smikrovthta ajkariaiva" tina;" ou[s a" h] dia; to; ajfqavrtou" aujta;" ei\nai kai; mh; tevmnesqai. Hippol. Ref. 1,22,2 Epivkouro" ª...º ta;" de; ajtovmou" to; leptomerevstaton kai; kaq ou| oujk a[n gev noito kev ntron oujde; shmei'on oujdev n, oujde; diaivresi" oujd emiva, e[fh ei\nai: dio; kai; ajtovmou" auj ta; " wj novmasen. Cf. invece Ref. 7,15,1 dove Ippolito contrappone alla concezione dell'atomo indivisibile per la piccolezza quella di individuo di Aristotele che per natura non può essere diviso: a[tomon de; ouj dia; smikrovthta swvmato" ejkei'no" (scil. oJ Aristotevlh") levgei, ajlla; ãto;Ã fuvs ei tomh; n ajnadev xasqai mhd hJ ntinaou' n dunavmenon. La contrazione risulta ancor più chiara in un autore come Psello, epitomatore per eccellenza (Theol. 49, 191,208 Gautier oJ ga;r Epivkouro" nou'n kai; qeo;n ajnairw'n oi[etai to;n kovsmon aujtomavtw" ejx aj merw' n susth'nai swmavtwn: lev gei ga;r o[ gkou" tina;" ajmerei'" te kai; aj paqei'", oi| a ta; ej n tai'" ajkti'si dia; tw' n qurivdwn xuvsmata faiv netai, eij " eJ autou;" sumplakevnta" to; xuv mpan ajpogennh'sai).

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piade) e attribuisce gli uni a Democrito ed Epicuro, gli altri a Diodoro168 . Tuttavia il procedimento riassuntivo, tipico della dossografia, che ha portato all'assimilazione delle varie dottrine atomiste, è stato applicato anche alla vulgata. Una "contrazione" spiega infatti una testimonianza di PseudoPlutarco e Stobeo, nella sezione Sulla divisione dei corpi, sulla quale alcuni si sono basati per attribuire a Democrito degli indivisibili in assoluto. Secondo il testo riportato da Diels 1879 e comunemente accettato, lo Pseudo-Plutarco parlerebbe genericamente di "coloro che pongono gli atomi" i quali negherebbero la divisione all'infinito e si fermerebbero a corpi privi di parti169 . Lo Stobeo attribuisce invece espressamente la concezione a Democrito170 . Lur'e usava questa testimonianza, insieme a quella sulla doppia concezione dell'atomo (atomo e minimo) di Alessandro171 , come prova di un doppio atomismo democriteo172 . Tuttavia il testo dello Pseudo-Plutarco risulta da una correzione del Diels il quale riteneva che, in generale, il testo di Stobeo riproducesse meglio il modello aeziano173 . In realtà i codici di Pseudo-Plutarco riportano un'altra lezione: oiJ ta;" ajtovmou" h] ta; ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\nai th;n tomh;n. Il senso è perfettamente coerente anche senza la correzione174 e corrisponde alla distinzione fra atomisti e Diodoro della vulgata: "quelli che hanno ipotizzato gli atomi o gli ajmerh' affermano che la divisione si arresta e che non procede all'infinito". La stessa costruzione sintattica, con la forma attiva del verbo, si ritrova anche in un passo parallelo del Filopono175 . Si

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Per la distinzione di atomi e ajmerh', cf. Sext. Emp. Adv. Math. 1,27, v. supra, n. 45. Ps.-Plut. 1,16, 883 D (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oiJ ta;" ajtovmou", peri; ta; ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[p eiron ei\nai th; n tomh;n. Riproduco qui il testo dielsiano accettato anche da Lachenaud 1993 ad loc. e, fra gli editori di Democrito, da Lur'e e Taylor 1999, 78. Stob. 1,14,1f (Dox. 315; 68 A 48 DK; 106 L.) oJ d aujto;" e[lege (scil. Dhmovkrito") peri; ta; ajmerh' i{stasqai kai; mh; eij" a[peiron ei\ nai th;n tomhv n. I Mss. riportano peri; ta; mevrh, ma si tratta di una aplografia frequente in Stobeo. Alex. In Metaph. 985b 19, 36,25 (123 L.), v. supra, n. 77. 1932-1933, 125. Democrito avrebbe assunto, accanto agli atomi indivisibili per la solidità, anche dei minimi matematici privi di parti precorrendo così Epicuro. Sull'assurdità di questa ipotesi, cf. Furley 1967, 97ss.; Krämer 1971. 270ss. Tuttavia il Furley, nella sua critica, non menziona il passo di Aezio. Diels 1879, 5 n. 2. Mau 1971 ad loc., ha introdotto un non necessario ãeijsavgonte"Ã accettato anche da Lachenaud 1993, 93 ad loc. Philop. In De gen. et corr. 326a 24, 175,7 kai; ga;r oiJ mh; a[toma uJpotiqevmenoi oujk eij" a[p eiron diairou'sin, ajll iJsta'si dia; th;n smikrovthta th; n tomhvn. Ad una stessa distinzione fra atomisti e corpuscolaristi, i quali avrebbero posto un arresto della divisione dei corpuscoli per mancanza di uno strumento da taglio adeguato allude anche Ps.-Alex. In Metaph. 1053a 14, 610,24-32 to; de; i[sw" provskeitai h] dia; tou;" levgonta" ejx ajtovmwn sugkei's qai ta; megevqh, h] dia; th;n ajsqev neian tou' te ojr gav nou, w|i crh'tai eij" th; n tmh'sin, kai; tou' tevmnonto" zwviou, ejpei; th'i oijkeivai fuvsei pa' n mevgeqo" tmhtov n ejstin. L'argomento è lievemente rimaneggiato,

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

tratta in pratica di un riassunto della classificazione di cui Sesto Empirico fornisce una versione integrale separando nettamente gli atomisti dai corpuscolaristi176 . Prima di arrivare allo Stobeo, i due gruppi non sono più stati distinti. Il risultato estremo e paradossale di questo processo di epitomazione si riscontra infatti in altri autori come Epifanio, che attribuisce agli Epicurei non solo atomi e ajmerh', ma anche gli omeomeri177 , e Michele Psello, che vi aggiunge anche gli o[gkoi178 . Dunque anche questa attribuzione di ajmerh' agli atomisti è solo apparente e risulta invece da una contrazione della classificazione di matrice posidoniana. 3. 4. Atomo indivisibile per la piccolezza e privo di parti: atomisti antichi, Aristotele, Epicuro nei commentatori neoplatonici Dall'esame della tradizione esposta nel paragrafo precedente, che gioca sulla diaphonia fra Epicuro e atomisti antichi, si deve partire per valutare una testimonianza di Simplicio intorno alla quale, in positivo o in negativo, ha ruotato gran parte dell'interpretazione dell'atomismo sia di Democrito che di Epicuro fino ai giorni nostri. Prima di affrontarla nei dettagli è opportuno ancora ricordare quanto si è già più volte detto sulle testimonianze simpliciane. Simplicio non riporta nulla di prima mano, e spesso neppure di seconda, sull'atomismo. Il fatto che conosca l'opera di Aristotele su Democrito non significa automaticamente che egli se ne serva sempre. Allo stesso modo, pur conoscendo di prima mano le dovxai teofrastee, utilizza talvolta rielaborazioni ben posteriori che egli trae da altri

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ma la distinzione (che risale in definitiva a quella fra atomisti e corpuscolaristi di Arist. De cael. G 4) è costante. Adv. Math. 1,27, supra, n. 45. Un residuo di questa classificazione, che nomina di seguito i sostenitori di atomi e di ajmerh' come due gruppi distinti, si ha ancora in Ps.-Plut. 1,10, 882 C oiJ dæ u{dwr levgonte" h] gh'n h] pu'r h] ajevra th;n u{lhn oujkevti a[morfon aujth;n levgousin ajlla; sw'ma: oiJ de; ta; ajmerh' kai; ta;" aj tovmou" a[morfon. Basil. Hexaem. 3 A dia; tou'to oiJ me;n ejpi; ta;" uJlika; " uJpoqevsei" katevf ugon, toi'" tou' kovsmou stoiceivoi" th; n aijtivan tou' panto;" aj naqevnte": oiJ de; a[toma kai; ajmerh' swvmata, kai; o[gkou" kai; povrou" sunevcein th;n fuvsin tw'n oJratw'n ejf antavsqhsan. Epiph. Anacephal. 1,8, 166,5 Holl Epikouvr eioi a[toma kai; ajmerh' swvmata kai; oJmoiomerh' te kai; a[p eira th; n ajrch; n ei\ nai tw'n pav ntwn uJp esthvs anto.

Michael. Psell. Theol. 49, 191,208 Gautier, v. supra, n. 167. Psello attribuisce altrove nella stessa opera le stesse definizioni all'atomo di Leucippo e Democrito, Theol. 6, 25,87 Gautier tivvne" ou|toi… Leuvkippo" kai; Dhmovkrito": ou|toi ga;r th;n ej nantivan tai'" o{ lai" filosofivai" ejbavdisan fasi; ga;r o{ti, kenou' tou' panto;" o[nto", gevgonev pote oJ kovsmo" provteron mh; o[n, ei\ta eijpei' n boulhqevnte" kai; o[ntina trovpon ejgev neto ª...º ajnevplasan eJautoi'" swmavtiav tina aj merh' oujk oi\d o{pw" kai; ajp aqevstata, qevsei kai; tavxei kai; schvmati diesthkovta. ajmerh' gou' n swv mata kai; a[ toma ta; sumplev konta kai; sumplekovmena katwnovmazon: o[ gkou" de; kai; pwvrou" ta; ejk tw'n sumplokw' n ginovmena e[f askon: ejk parallhvlou ga;r ta; oj novmata tauti; kei'tai.

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commentatori di cui si serve in quel passo e le cui formulazioni sono più vicine al suo scopo e all'argomento che sta trattando. Questo vale anche per le sue affermazioni sull'atomo di Democrito e Leucippo come indivisibile per la piccolezza e privo di parti che non possono costituire un punto di appoggio neppure secondario per ricostruire una originale concezione democritea dell'indivisibilità dell'atomo come invece spesso è stato fatto179 . Simplicio presenta una diaphonia fra atomisti antichi ed Epicuro come quella della tradizione dossografica or ora esaminata, ma arricchita di maggiori particolari. Il suo testo è il seguente: Coloro che hanno negato la divisione all'infinito, poiché non possiamo dividere all'infinito e provare da questo che la divisione è incessante, dicevano che i corpi sono composti da indivisibili e si dividono in indivisibili. Tuttavia Leucippo e Democrito considerano come causa del fatto che i corpi primi non si dividono non solo l'impassibilità, ma anche la piccolezza e la mancanza di parti, Epicuro, che viene dopo, invece, non li ritiene privi di parti, ma afferma che sono indivisibili per l'impassibilità. E in molti passi Aristotele ha confutato la tesi di Leucippo e Democrito e forse, proprio per quelle critiche rivolte alla mancanza di parti, Epicuro, venuto dopo di loro, concordando con la dottrina di Leucippo e Democrito sui corpi primi, li ha mantenuti impassibili, ma ha eliminato la mancanza di parti, poiché essi sono stati per questo confutati da Aristotele180

La concezione dell'atomo epicureo indivisibile unicamente per la solidità sarebbe nata dunque da una correzione delle teorie leucippee e democritee dovuta alle obiezioni rivolte da Aristotele alla mancanza di parti dei loro atomi. Questa versione simpliciana dei rapporti fra atomismo antico e atomismo epicureo ha avuto una grande fortuna presso i commentatori moderni perché offre un quadro apparentemente ordinato e verosimile, 179

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La valutazione favorevole di questa testimonianza a scapito di quella già citata di In Phys. 185b 5, 81,34ss. ha condizionato, unitamente ad altre considerazioni, per lo più riguardanti i passi aristotelici del De generatione et corruptione commentati nei capitoli III e IV, molte interpretazioni dell'atomismo democriteo o epicureo, cf. Furley 1967, 94ss.; Löbl 1976, 238s. (cf. anche 1987, 148s.); Arrighetti 1993, 509; Silvestre 1985, 72 n. 10. Lur'e 1932-1933, 124ss.; 1970, 448. Simpl. In Phys. 231a 21, 925,10-22 (67 A 13 DK; 113 L.) oiJ de; th'" ejp a[p eiron tomh'" ajpegnwkovte", wJ" ouj dunamev nwn hJmw'n ejp a[p eiron temei' n kai; ejk touvtou pistwvsasqai to; ajkatavlhkton th' " tomh'", ejx ajdiairevtwn e[legon uJf estavnai ta; swvmata kai; eij " ajdiaivreta diairei'sqai. plh;n o{ti Leuvkippo" me;n kai; Dhmovkrito" ouj movnon th;n ajp avq eian aijtiv an toi'" prwvtoi" swvmasi tou' mh; diairei'sqai nomivzousin, ajlla; kai; to; smikro;n kai; ajmerev ", Epivkouro" de; u{s teron ajmerh' oujc hJ gei'tai, a[toma de; aujta; dia; th; n ajpavq eian ei\naiv fhsi. kai; pollacou' me;n th;n Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxan oJ Aristotevlh" dihvlegxen, kai; di ejkeivnou" i[sw" tou;" ejlev gcou" pro;" to; ajmerev" ej nistamev nou" oJ Epivkouro" u{steron me; n genovmeno", sumpaqw'n de; th'i Leukivppou kai; Dhmokrivtou dovxhi peri; tw'n prwvtwn swmavtwn, ajp aqh' me;n ejf uvlaxen aujtav, to; de; ajmere;" aujtw' n pareivleto, wJ" dia; tou'to uJpo; tou' Aristotevlou" ejl egcomevnwn. Cf. anche In De cael. 303a 3, 609,17 (237 L.) metev bh pro;" tou;" peri; Leuvkippon kai; Dhmovkriton stoicei'a levgonta" ta;" dia; smikrovthta kai; nastovthta ajtovmou".

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ma ha lo svantaggio di creare più problemi di quanti ne risolva. Essa si scontra infatti con altre testimonianze dello stesso Simplicio181 e di altri autori antichi scatenando fra i commentatori moderni quella ridda di ipotesi sull'indivisibilità dell'atomo di Leucippo e Democrito cui si è già accennato. Per poter valutare questa testimonianza è dunque necessario analizzarne la struttura e inquadrarla nella problematica che Simplicio sta trattando. Il suo schema presenta tutti i tratti della tradizione diafonica sull'atomismo esaminata sopra182 , ma con varianti significative, indice di un'ulteriore rielaborazione: 1. Leucippo e Democrito, non vengono distinti, ma assimilati, con la conseguenza che la tesi dell'atomo-minimo ajmerev" e quella dell'atomo impassibile vengono attribuite sia all'uno che all'altro. Si tratta, come si è visto, di un fenomeno connaturato alla trasmissione dossografica. 2. Viene introdotta la critica aristotelica come mediatrice fra l'atomismo antico e quello epicureo. Questo elemento del tutto nuovo si spiega alla luce di una ben precisa tendenza neoplatonica ad individuare principalmente negli atomisti antichi l'obiettivo delle critiche aristoteliche agli indivisibili. La ricostruzione, probabilmente non di Simplicio stesso, ma già dell'autorità su cui si appoggia, contrariamente a quanto generalmente si pensa, è infatti del tutto artificiosa e dettata da fattori contingenti. In questo testo, infatti, non è tanto importante quanto viene detto, ma quanto viene taciuto. Simplicio sottace il fatto che Epicuro ha tuttavia supposto anch'egli degli ajmerh' (i minimi dell'atomo) contro i quali comunque si era diretta la critica aristotelica183 . Temistio rimprovera a Epicuro di aver ripreso esattamente quelle tesi che Aristotele aveva rifiutato e Simplicio stesso, poco più oltre nel commento allo stesso paragrafo della Fisica, riprende lo stesso motivo parlando del movimento dei minimi epicurei184 . Questa incongruenza nasce dal fatto che la testimonianza si basa sulla sovrapposizione di due tronconi concepiti separatamente: 181

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Simplicio applica in In De an. 409a 10, 64,5-7 (117 L.) la stessa equivalenza piccolo-privo di parti alle monadi di Senocrate dando invece dell'atomo di Democrito la definizione canonica di indivisibile per la solidità. Per il testo, v. supra, n. 15. Arrighetti 1973, 508s., ha in effetti messo in relazione il brano di Simplicio con quello di Pseudo-Plutarco senza però trarne le necessarie conseguenze. Cf. Krämer 1971, 268; cf. anche Silvestre 1985, 75. Epicuro ipotizza infatti diversi minimi ajmerh': dello spazio in cui si muovono gli atomi, del movimento, del tempo (cf. Krämer 1971, 255 e n. 82-86 con relative indicazioni di testi). Egli afferma che gli atomi non "si muovono" al presente su ognuno dei tratti privi di parti dello spazio, ma ogni volta "si sono mossi", una tesi che Aristotele aveva posto come paradosso (Phys. Z 1, 232a 6-11). Themist. In Phys. 232a 3-22, 184,9 (Ep. Fr. 278 Us.) ajll oJ sofwvtato" hJmi'n Epivkouro" oujk aijscuv netai crh'sqai farmavkwi th' " novsou calepwtevrwi kai; tau'ta Aristotevlou" th;n mocqhrivan tou' lovgou proepideivxanto". Simpl. In Phys. 231b 18, 934,23 (Ep. Fr. 278 Us.) o{ti de; ouj pavnthi ajpivqanon tauvthn tevqeike (scil. Aristotevlh") th; n e[ nstasin, dhloi' to; kai; qevnto" aujth; n kai; dialuvsanto" tou;" peri; Epivkouron o{mw" u{ steron genomevnou" ou{tw

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1. Lo schema dossografico riguardante le definizioni di atomo e i rapporti fra Epicuro e l'atomismo antico. 2. Una interpretazione seriore della critica aristotelica agli ajmerh' come diretta contro l'atomismo antico e non contro l'Accademia. Questo secondo elemento è di fondamentale importanza ai fini della comprensione non solo del testo simpliciano, ma anche di tutta una serie di testimonianze tarde che attribuiscono gli ajmerh' agli atomisti antichi o ai cosiddetti democritei e che hanno avuto esiti e valutazioni del tutto opposte nelle moderne interpretazioni dell'atomismo antico. Come ha accuratamente documentato Krämer, gli obiettivi principali della critica aristotelica contro gli ajmerh', soprattutto nel sesto libro della Fisica, ma anche altrove, non sono gli atomisti antichi, bensì Senocrate e l'Accademia185 . I problemi posti dal passo di Simplicio devono però essere inquadrati nel contesto generale dell'interpretazione degli attacchi aristotelici contro le dottrine accademiche da parte dei Neoplatonici. Il brano costituisce un preambolo al commento al sesto libro della Fisica, quello più espressamente rivolto contro gli indivisibili, e dunque riveste una funzione particolare. È una specie di segnale che Simplicio appone al suo testo per indicare in quale direzione questo libro vada interpretato: la critica di Aristotele agli indivisibili deve essere intesa cioè come rivolta contro gli atomisti e non contro gli Accademici che Simplicio non menziona in questo contesto. Attribuendo i minimi privi di parti agli atomisti antichi e interpretando le critiche aristoteliche come dirette contro di loro, egli nega implicitamente che gli obiettivi siano invece gli Accademici e in particolare Senocrate. Ora, la difesa di Senocrate, e il tentativo di preservarlo dalle obiezioni aristoteliche è una costante degli interpreti neoplatonici, Porfirio in prima linea. Ci sono diverse testimonianze a questo proposito, anche di Simplicio, nelle quali si nega recisamente che Senocrate abbia sostenuto l'indivisibilità della linea come oggetto matematico. Dunque, o Aristotele si è sbagliato, o i suoi attacchi non sono rivolti contro l'Accademico, ma contro gli atomisti. Le due interpretazioni sono complementari e talvolta si presentano unificate, talaltra invece isolate. In Porfirio, nel brano riportato da Simplicio nel commento al primo libro della Fisica, sono strettamente connesse: egli oppone infatti nettamente gli indivisibili di Senocrate agli ejlavcista kai; ajmerh', quei minimi che, nel logos da lui riferito come di levgein th;n kiv nhsin giv nesqai: ej x ajmerw'n ga;r kai; to; mevgeqo" kai; th;n kivnhsin kai; to;n crovnon ei\nai lev gonte" ejpi; me; n tou' o{lou megevqou" tou' ejx ajmerw'n sunestw'to" kinei'sqai levgousi to; kinouvmenon, kaq e{ kaston de; tw' n ejn aujtw'i ajmerw'n ouj kinei'sqai, ajlla; kekinh'sqai, dia; to; eij teqeivh kai; ejpi; touvtwn kinei'sqai to; ejpi; tou; o{lou kinouvmenon diaireta; aujta; e[s esqai. Cf. Furley 1967, 113, 119. 185

Krämer 1971, 263-7. Il fatto che nel libro della Fisica, che Simplicio commenta, Aristotele non nomini mai né Democrito, né Leucippo è sottolineato anche da Giannantoni 1980, 129.

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Parmenide, venivano appunto sottoposti a critica186 . Le linee e le figure indivisibili di Senocrate sarebbero tali solo in quanto ei[dh, ma non nella loro sostanza materiale che è divisibile all'infinito187 . Porfirio tenta qui di conciliare gli indivisibili senocratei con le teorie aristoteliche eliminando ciò che può costituire un oggetto di critica. Nel contempo egli scarica tutto il peso dell'assunzione degli indivisibili sulle teorie atomiste criticate nel logos di Parmenide. Siriano, nel commento a Metaph. M 8, in cui le monadi delle idee-numero vengono assimilate agli ejl avcista, segue la stessa linea rimproverando ad Aristotele di aver frainteso gli Accademici. Essi infatti non avrebbero sostenuto una dottrina degli ajmerh' come Democrito, ma distinto la monade numerica, principio ilico, e l'uno, principio eidetico188 . Proclo, in un passo del commento al Timeo, dichiara esplicitamente la matrice antiperipatetica dell'interpretazione neoplatonica precisando che Senocrate ha assunto delle linee indivisibili solo per quanto riguarda il loro carattere sostanziale, non in quanto enti matematici189 . Simplicio stesso, nel brano di commento al primo libro della Fisica immediatamente successivo alla citazione del logos di Porfirio, avanza un'altra possibile soluzione, tesa a salvare Senocrate dalle accuse di andare contro i principi della matematica e interpreta le linee indivisibili in direzione corpuscolare conciliandole con i concetti di potenza e atto aristotelici. Le linee senocratee, se potessero essere isolate, sarebbero indivisibili non per natura, ma per la piccolezza. Riunite però nei corpi, possono essere sottoposte a quella divisione che non sarebbe possibile se fossero prese singolarmente190 . Al di là delle acrobazie simpliciane, si riconosce l'argomento 186 187

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V. supra, III 1 n. 64: qui i minimi venivano definiti ejl avcista kai; a[toma. Porph. 135 F Smith (Simpl. In Phys. 187a 1, 140,8-13) (Xenocr. Fr. 139 IP) dio; pavlin mhde; e}n movnon uJp avrcein to; o[n, ajlla; pleivw. diaireto;n mev ntoi mh; ejp a[peiron ei\nai, ajll eij" a[tomav tina katalhv gein. tau'ta mevntoi mh; a[toma ei\nai wJ" ajmerh' kai; ejlavc ista, ajlla; kata; me;n to; poso;n kai; th; n u{lhn tmhta; kai; mevrh e[conta, tw'i de; ei[dei a[toma kai; prw'ta, prwvta" tina; " uJpoqev meno" ei\nai gramma;" ajtov mou" kai; ta; ejk touvtwn ejpivpeda kai; sterea; prw'ta. Syrian. In Metaph. 1084b 23, 152, 17-21 (120 L.) o{ti me;n ajd uvnaton tw'i aujtw'i tau'ta a{ma uJpavrcein, eu\ lev gei". ou[koun oujd ejkei' noi th;n aujth; n monavda pavntwn te aj riqmw'n ei\nai perilhptikh;n e[legon kai; movrion eJkav stou to; ejlav ciston, ajll ei[rhtai o{ti th;n me; n ajrchgikh;n th;n de; uJlikh; n w[ionto ei\ nai. ou[t ou\ n ej x ajmerw' n kai; ajtovmwn ta; pravgmata sunetivqesan, wJ" oiJ peri; Dhmovkriton. Cf. Ibid. 1080b 23, 124,1-6 (Xenocr. Fr. 147 IP). Procl. In Tim. II,245,23 Diehl (Xenocr. Fr. 146 IP) tiv ou\n e[ti fobhqhsovmeqa tou;" deinou;" tw'n Peripathtikw' n, oi} dh; ejrwtw'sin hJma'", poivan oJ Plavtwn pareivlhfen ej ntau'qa grammhv n… th;n fusikhv n… ajll a[topon: pevr a" ga;r au{th tw'n swmavtwn. ajlla; th; n maqhmatikhvn… ajlla; ajkivnhto" au{th kai; oujk oujsiva: th;n de; yuch; n oujsivan te ei\ nai kai; cwristh;n swmavtwn famevn. mavthn ou\ n tau'ta fhvsomen auj tou;" ejrwta' n: pavlai ga;r grammh;n hJmei'" oujsiwvdh levgonte" ouj pauov meqa, kai; pro; hJmw' n oJ Xenokravth", a[tomon grammh;n th; n toiauvthn ajpokalw'n: geloi'on gavr, ei[ ti" ajdiaivreton nomivzei mev geqo": ajlla; dh'lon, o{ti to; n lovgon th' " grammh' " to;n ouj siwvdh grammh;n w[ieto crh' nai kalei'n. Simpl. In Phys. 187a 1, 142,19-27 (Xenocr. Fr. 145 IP) mhvpote ou\n ouj pro;" th;n ejp a[peiron tomh;n ejnivstatai oJ Xenokravth" (ouj ga;r a] n gewmetrikh;n ajrch; n ajnei'le gewmetriko;" w] n

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aristotelico della divisibilità in potenza. Allo stesso modo il Filopono nel commento alla Fisica, riferisce che Senocrate ha sì ammesso un arresto della divisione all'infinito191 , ma aggiunge, sulla stessa linea di Simplicio (e probabilmente dalla stessa fonte), che ha postulato una divisione finita in atto, ma infinita in potenza. Più oltre spiega che alcuni hanno attribuito a Senocrate la tesi delle linee indivisibili, e rimanda appunto alla sua spiegazione che dimostra falsa questa affermazione192 . L'esegesi delle linee indivisibili senocratee dei Neoplatonici è dunque rivolta contro la tradizione peripatetica, in particolare rappresentata fra i commentatori da Alessandro, che individua invece in Senocrate il rappresentante-tipo degli indivisibili e quindi di teorie antimatematiche e lo designa come il referente delle critiche aristoteliche193 . Se, per i Neoplatonici, Senocrate non ha sostenuto una teoria atomista vera e propria, è chiaro ajnhvr), ajlla; pro;" to; eij" a[peira dihirh'sqai o[ntwn ajeiv tinwn ajtmhvtwn megeqw'n: a{ tina oujd uJpo; th'" fuvs ew" ijscuvei kaq auJta; diairei'sqai dia; smikrovthta, ajll eJnwqev nta pavlin a[lloi" swvmasin, ou{ tw tou' o{lou diairoumevnou, ej n eJ autoi'" ej kei'na devcetai th;n diaivresin, h}n movna o[nta ouj k a]n uJp evmeinen. wJ" ou\ n oJ Plavtwn ejpivpeda ei\pen ei\ nai ta; prw'ta kai; ejlavcista swvmata, ou{ tw" oJ Xenokravth" gramma; " ajdiairevtou" me;n dia; smikrovthta, diaireta; " de; kai; aujta;" ou[s a" th'i fuvs ei. Cf. la stessa concezione utilizzata da Simplicio, indipendentemente dalle teorie di Senocrate in In Phys. 206a 18, 493,33-494,11 ajll e[stw me;n dunavmei to; a[peiron ej n th'i tw'n megeqw'n diairevsei kata; th; n ejp a[peiron tomhvn. pw'" de; o{lw" diairei'taiv ti ejp a[peiron h] tiv to; diairou' n ejsti… tevc nh me; n ga;r ouj k a]n ejp a[peiron tevmnoi (kai; oJ bivo" ga;r ajpagoreuvsei tou' tecnivtou kai; ta; o[rgana oujk ijscuvsei), hJ de; fuvsi" eij ejp a[p eiron tevmnoi ti mev geqo", polla; a]n h[dh tmhvmata a[ crhsta pro;" suvstasin ejpoivhse dia; smikrovthta. eij de; pro; tou' eij" ejlavciston kai; a[crhston katamenei'n pavlin aujta; suntivqhsin, oujk e[stai hJ ejp a[peiron tomhv. mhvpote ou\ n rJhtevon o{ti hJ fuvsi" poiei'tai me;n ta;" diairevsei" mevcri th' " creiva", temou'sa de; duvo tmhv mata, eij tuvcoi ta; ejlav cista, kai; au\qi" aujta; suntiqei'sa, eij pavlin devoi temei'n, ouj pav ntw" kata; th;n sumbolh;n tevmnei, ajlla; kai; kat a[llo mevro" oujde; n a[tomon ajpolimpavnousa, eij kai; a[llote kat a[l la mevrh diairei'. kai; ou{tw" hJ ejp a[peiron tomh; kai; ej nergoumevnh fanhvsetai, kai; oujde; n i[ sw" a[topon ajkolouqhvsei. 191

192

Cf. Philop. In Phys. 187a 1, 83,19-27 (Xenocr. Fr. 141 IP). Cf. anche Ibid. 187a 2, 84,15-85,2 (Xenocr. Fr. 142 IP). In questo secondo passo la formulazione è simile a quella del brano di Proclo citato precedentemente (kakw'" ejnevdosan yeudw'" uJpoqevmenoi mh; ei\nai ejp a[peiron ta; megevqh diairetav). Philop. In Phys. 206a 14, 465,3-13 (Xenocr. Fr. 143 IP) o{ti ga;r ouj suvgkeitai hJ grammh; ejx ajtovmwn grammw'n, o{per oiJ lu'sai qevlonte" th; n Zhvnwno" ajporivan kakw'" uJpevqento, wJ" ej n tw'i prwvtwi ei[rhtai, ouj calepov n fhsi dei'xai: oJlovklhron ga;r biblivon pro;" Anaxagovran [sic] aujtw'i gevgraptai peri; ajtovmwn grammw'n, o{ti ajduvnaton a[toma ei\nai megevqh. eij ga;r devdeiktai toi'" gewmevtrai" th; n doqei'san eujqeiv an divc a temei' n, ajduv naton dhvpou grammh;n ei\nai a[tomon h] ej x ajtovmwn sugkei'sqai: eij ga;r sugkevoito ejk perittw'n ajtov mwn, ouj tmhqhvsetai divca, devdeiktai de; kai; o{ti pa'n to; ejx ajtovmwn sugkeivmenon, taujto; n de; eijpei' n ajmerw' n, kai; aujto; ajmere;" e[stai. ei[pomen de; kai; ejn tw'i prwvtwi lovgwi, o{ti tine;" to; n Xenokravthn uJpwvpteusan ta;" aj tovmou" eijshgei'sqai grammav ", kai; ejdeivxamen wJ" yeudh;" hJ uJpovnoia.

193

Cf. Alex. ap. Simpl. In Phys. 187a 1, 130,10 (Xenocr. Fr. 138 IP). Cf. anche Ps.-Alex. In Metaph. 1083b 1, 766,31-34 (Xenocr. Fr. 129 IP). Su questa linea tutte le testimonianze che fanno capo a questa tradizione, cf. Xenocr. Fr. 128; 135-136; 140-142; 144 IP.

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L'indivisibilità dell'atomo nella dossografia tarda

che le critiche aristoteliche non sono rivolte contro di lui, ma contro gli atomisti veri, quelli che hanno ipotizzato dei minimi indivisibili e privi di parti. Il filone dossografico che postulava la diaphonia fra gli atomisti esaminato nel paragrafo precedente offriva proprio questa immagine, per questo si ritrova con una certa frequenza in Simplicio l'attribuzione di minimi privi di parti a Democrito. Così nel commento all'affermazione aristotelica del primo libro del De caelo secondo cui chi introduce la dottrina delle grandezze minime scuote i principi della matematica, Simplicio riferisce l'allusione a Democrito o "a chiunque assuma come principi grandezze piccole e minime"194 . Questa formula, che serve a coprire ulteriori referenti, e l'accenno al tema della dicotomia, che compare in tutte le testimonianze su Senocrate, sono però il segnale di una attribuzione artificiosa solo a Democrito. Temistio, nel commento allo stesso passo, tace. Da queste considerazioni risulta assai verosimile che la ricostruzione dei rapporti fra Epicuro e l'atomismo antico via Aristotele in Simplicio risalga a Porfirio, un modello comunque per il commento alla Fisica195 . Gli ejlavcista kai; ajmerh' che Aristotele critica sono infatti riconducibili, secondo Porfirio, non a Senocrate ma agli atomisti (quelli criticati nel logos eleatico da lui attribuito a Parmenide). Egli dunque poteva riprendere lo schema dossografico della diaphonia fra Epicuro e l'atomismo antico, legato appunto alla diversa concezione dell'indivisibilità dell'atomo, e integrarlo con le presunte critiche aristoteliche agli atomisti. Questa interpre194

Simpl. In De cael. 271b 1, 202,27-31 (108 L.) Dhmovkrito" h] o{sti" a]n ou{tw" uJpovqoito mikrav tina uJpoqevmenoi ta; " ajrca;" kai; ejlav cista megevqh dia; to; megivsthn duvnamin wJ" ajrca; " e[c ein aJmartov nte" peri; aujta; ta; mev gista tw' n ejn gewmetriv ai ejkivnhsan to; ejp a[peiron ei\nai ta; megevqh diairetav, di o} kai; th; n doqei'san eujqei' an divca temei' n dunatovn.

195

Rashed 2001, 44-47 vede una relazione fra questo testo di Simplicio e quello dello scolio a De Gen. et corr. nel Cod. E f. 68v. da lui commentato, nel quale compare una differente concezione degli indivisibili fra Leucippo ed Epicuro e li riporta ambedue al commento perduto alla Fisica di Alessandro di Afrodisia. I due contesti sono tuttavia sostanzialmente differenti: Simplicio, come si è visto, riprende una tradizione neoplatonica e adduce la diaphonia in un contesto specifico sugli indivisibili, funzionale alla difesa di Senocrate. Lo scolio, così come lo riporta Rashed, invece, fornisce una delle tante versioni della vulgata sui principi di matrice posidoniana eliminando nomi come quello di Democrito e di Eraclide ed inserendo Leucippo al posto di Diodoro, che evidentemente non conosce: tw'n doxasavntwn peri; stoiceivwn ª...º oiJ d (scil. eijrhvkasin aujta;) a[peira: oJmoiomereiva" wJ " Anaxagovr a", ajtovmou", wJ " Epivkouro", ajmerh', wJ" Leuvkippo", a[narma, wJ" Asklhpiavdh"

(questo testo è quello che si può dedurre dallo schema fornito da Rashed). Per il confronto con altri passi paralleli della vulgata, v. supra, 2. 2 e II 4. 2 n. 77. Né Simplicio né lo scolio possono comunque derivare da Alessandro che non mostra di conoscere una diaphonia all'interno dell'atomismo e, nel De mixtione, segue invece molto da vicino la vulgata classificatoria di matrice posidoniana (per il testo, v. supra, II 4. 2 n. 77). Alessandro distingue qui espressamente i sostenitori di tesi atomiste da quelli di tesi corpuscolariste e tralascia i nomi di Diodoro, Eraclide e Asclepiade. Egli conosceva comunque Diodoro di prima mano, cf. De sensu 445b 27, 122,21; 449a 5, 172,28 (II F 9 SSR) e difficilmente avrebbe potuto scambiarlo con Leucippo.

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tazione che, inserendosi nel solco della tradizione dossografica, spostava tuttavia tutto il peso delle critiche aristoteliche contro le grandezze indivisibili sull'atomismo antico, è perfettamente coerente con l'attribuzione da parte di Porfirio di un atomismo solo ideale, ma non matematico, a Senocrate. A questa ricostruzione si potrebbe obiettare che le testimonianze dei Neoplatonici sull'atomismo di Senocrate non sono tuttavia unidirezionali. Passi di Proclo, Filopono e Simplicio sembrerebbero offrire anche una visione opposta secondo cui Senocrate avrebbe ipotizzato linee indivisibili andando contro i principi della matematica. In questo gruppo di testimonianze egli compare spesso insieme agli atomisti. Mi pare, dunque, sia importante esaminare anche questo aspetto in quanto il caso di Senocrate costituisce uno specchio del metodo di lavoro dei commentatori aristotelici e di conseguenza fornisce un'indicazione anche per l'interpretazione dei passi sugli atomisti antichi. Sia le testimonianze su questi ultimi, sia quelle su Senocrate possono infatti essere del tutto travisate se estrapolate dal contesto e dal riferimento ai modelli dei commentatori. Le dottrine di Senocrate vengono presentate come prototipo di teorie atomiste che vanno contro i principi della matematica sempre in contesti che affrontano, dal punto di vista matematico, il problema molto specifico della dicotomia della linea e delle grandezze incommensurabili. Tale interpretazione risale in ultima analisi al trattato peripatetico Sulle linee indivisibili le cui obiezioni hanno poi fatto scuola soprattutto fra i matematici e, ovviamente, nella tradizione dei commentatori di Aristotele196 . Proclo, nel commento alla Repubblica platonica, indica, senza ulteriori osservazioni, Epicuro e Senocrate come i rappresentanti di una teoria che va contro i principi della matematica per aver posto l'uno gli atomi, l'altro la linea indivisibile come misura delle rispettive grandezze197 . L'ottica è quella del trattato Sulle linee indivisibili che spiegava i minimi di Senocrate come misure delle grandezze nei vari gradi dell'essere. Simplicio, pur attribuendo nel commento alla Fisica le grandezze indivisibili solo agli atomisti e non a Senocrate, nel commento al De caelo, scritto precedentemente198 , riporta anche il nome di Senocrate, ma anche qui il contesto è importante. Quando infatti attribuisce a quest'ultimo le linee indivisibili, lo fa riferendo 196

197

L'insieme delle obiezioni contro le linee indivisibili e gli oggetti matematici degli Accademici vengono riportate esplicitamente come topoi correnti e ricondotte appunto al trattato menzionato sopra da Simplicio stesso in In De cael. 299a 2, 566,23-567,1. Cf. anche Philop. In De gen. et corr. 325b 34, 164,10ss. Procl. In Rempubl. II,27,3 Kroll (Xenocr. Fr. 130 IP) w|i kai; dh'lon o{ti ajsuvmmetrav ejstin megevqh, kai; o{ti Epivkouro" yeudw' " poiw'n mevtron th; n a[tomon pav ntwn swmavtwn kai; oJ Xenokravth" th; n a[tomon grammh; n tw'n grammw' n.

198

Cf. Hadot 1987, 22.

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il punto di vista aristotelico che egli successivamente critica. In questi casi egli segue la struttura e[nstasi"/ luvsi" che caratterizzava anche uno specifico libro di Proclo sulle obiezioni aristoteliche del De caelo ai Platonici (diretto contro le interpretazioni di Alessandro) che Simplicio cita espressamente come fonte199 . Così, quando nel commento al primo capitolo del terzo libro (contrariamente a quanto sostiene nel commento al primo paragrafo del sesto libro della Fisica), spiega che l'obiettivo degli attacchi aristotelici dei libri della Fisica sul movimento è appunto Senocrate, riferisce il pensiero di Aristotele osservando però subito dopo che quest'ultimo dirige i suoi strali contro l'apparenza delle dottrine degli Accademici200 . Anche nell'altra testimonianza Simplicio attribuisce le grandezze indivisibili a Democrito e Senocrate con formula dubitativa specificando che si tratta comunque di una obiezione aristotelica contro gli Accademici cui Proclo ha risposto201 . E' dunque chiaro che i Neoplatonici sono restii ad attribuire a Senocrate assunti che vanno contro i principi della matematica e tendono a confutare le critiche aristoteliche su questo punto o ad interpretarle come dirette contro gli atomisti antichi. Simplicio non fa eccezione e si allinea per lo più sulle posizioni di Porfirio. Anche le loro ricostruzioni non possono quindi fornire indizi attendibili né per ricostruire le caratteristiche originarie dell'atomo di Leucippo e Democrito né per determinare in quale contesto queste dottrine si sono sviluppate. A questo stesso ambito del platonismo tardo è da riportare anche la famosa testimonianza dello scolio al decimo libro di Euclide secondo cui "non c'è una grandezza minima come affermano i democritei"202 . Tale accenno è stato citato, ora per confermare l'esistenza di "minimi" dell'atomo di Democrito203 , ora a sostegno dell'indivisibilità matematica dell'a199

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203

Simpl. In De cael. 306a 1, 640,20 tou'to toivnun proeilhvfqw kai; th;n uJpo; Alexavndrou rJhqei'san e[ nstasin kai; th;n uJpo; Aristotevlou" prwvthn rJhqhsomevnhn dialuvein dunavmenon. ejpeidh; de; pro;" tauvta" ta;" ej nstavsei" ta;" th'i genevsei tw'n swmavtwn th'i ejk tw'n ejpipevdwn legomev nhi prosenecqeivsa" tine;" me; n kai; a[lloi tw'n Platwnikw'n aj nteirhvkasi, Provklo" de; oJ ejk Lukiva" ojlivgon pro; ejmou' gegonw; " tou' Plavtwno" diavdoco" biblivon e[ graye ta; " ejntau'q a tou' Aristotevlou" ej nstavsei" dialuvon, kalw'" e[cein e[doxev moi suntov mw" wJ" dunato; n tai'" ej nstav sesi ta;" luvs ei" ej keivna" uJpotavxai. Simpl. In De cael. 299a 2, 563,20-27 (Xenocr. Fr. 132 IP) ajlla; mh;n devdeiktai ejn th'i Fusikh'i ajkroav sei ejn toi'" peri; kinhvs ew" lovgoi", ej n oi|" aj ntevlege pro;" Xenokravth gramma; " ajtovmou" lev gonta, o{ti oujk e[stin ajdiaivreta mhvkh, toutevstin o{ti oujde; n mevro" ejsti; th' " grammh' " ajdiaivreton, ajll ejp a[peirovn ejsti diairethv: ª...º tau'ta me; n ta; tou' Aristotevlou", o{per aj ei; levgw, pro;" to; fainovmenon uJp antw'nto" tou' lovgou. Cf. In De cael. 307a 19, 665,5-16 (119 L.) (Xenocr. Fr. 133 IP) eij de; kai; e[stin a[toma megevqh kai; ajp aqh' kai; a[poia, wJ " oiJ peri; Dhmovkriton e[legon kai; Xenokravth" ta; " ajtovmou" gramma; " uJpotiqevmeno", a[ntikru" toi'" maqhmatikoi'" a] n h\n ejoikovta ª ...º tau'ta me;n oJ Aristotevlh", oJ de; Provklo" pro;" aujta; kalw'" uJpantw' n ª...º. Schol. Eucl. 10,1, V,436,15 Heiberg (68 A 48a DK; 107 L.) oujk e[stin ejl avciston mevgeqo" wJ" oiJ Dhmokrivteioiv fasin. Lur'e 1932-1933, 124-126.

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275

tomo204 . Se lo si interpreta invece alla luce delle testimonianze precedenti, si può intravvedere anche qui il modello esegetico neoplatonico che sposta la concezione degli ejlavcista dagli "Accademici" ai "Democritei"205 .

4. Sintesi Nelle testimonianze dossografiche tarde che descrivono l'atomo come indivisibile per la solidità, si possono distinguere più filoni: 1. Una tradizione epicurea che si intravvede nel resoconto di Diogene Laerzio. 2. Uno strato più tardo di tradizione peripatetica veicolato in particolare dai commenti ad Aristotele, presente ad esempio in Alessandro di Afrodisia, che amplia il modello descrittivo teofrasteo con le definizioni dell'atomo di Epicuro e tende a raggruppare sotto un'unica voce Leucippo, Democrito ed Epicuro stesso. Accanto alle definizioni epicuree correnti delle proprietà dell'atomo quali stereovth" (sterrovth"), compare anche quello di sicura derivazione teofrastea nastovth". Sono comunque queste, la compattezza e la solidità, unitamente all'assenza di vuoto (tipica delle definizioni epicuree), le caratteristiche che fanno dell'atomo di tutti gli atomisti un indivisibile. I commentatori aristotelici, in particolare Simplicio e il Filopono, inoltre, distinguono in alcuni passi, sulla scorta delle definizioni aristoteliche di indivisibile assoluto e relativo della Metafisica e di una tradizione di commenti peripatetici, la monade, indivisibile e priva di parti in assoluto, e l'atomo che ha parti ed è indivisibile solo per la solidità. Si spiega dunque anche l'apparente contraddizione fra queste testimonianze di Simplicio e altre da lui fornite in altri passi che presentano una visione opposta dell'atomo. E' evidente che egli si è servito di fonti diverse o di una prospettiva diversa a seconda del contesto commentato206 . 3. Una tradizione critica, mediata dagli Stoici, che riprende quella aristotelico-teofrastea dell'atomo indivisibile per la solidità e assimila l'atomo di Democrito a quello di Epicuro. Questo tipo di tradizione si incontra: A. In contesti dialettici (di Cicerone e Plutarco) risalenti all'Accademia scettica che criticano con una certa veemenza l'atomismo epicureo. Le obiezioni si concentrano soprattutto sulla mancanza di qualità e sull'impassibilità degli atomi che rendono impossibile la formazione di corpi sensibili fenomenici forniti di qualità e di vita. La critica viene estesa anche 204 205

206

Furley 1967, 88; Cf. Frank 1923, 230. Cf. Krämer 1971, 271 il quale accenna alla possibilità che lo scoliasta abbia interpretato erroneamente in senso matematico l'indivisibilità dell'atomo. Su questa caratteristica di Simplicio, cf. Hadot 2002,168ss. Hadot assegna un ruolo particolare fra le fonti di Simplicio appunto ad Alessandro, Porfirio e Giamblico.

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alla solidità degli atomi i quali, venendo a contatto possono solo rimbalzare, ma non unirsi in aggregati. B. In resoconti dossografici risalenti probabilmente a Posidonio, che rielaborano l'interpretazione dello stoicismo antico in maniera manualistica, sottolineando soprattutto la mancanza nei sistemi atomisti dell'elemento provvidenziale e cercando nel contempo di tracciare una storia dell'atomismo e di mettere ordine nelle concezioni atomiste e corpuscolariste riportando ognuna di esse a nomi precisi. Questa tradizione è alle radici della vulgata tarda. Una delle varianti della vulgata vede una diaphonia fra Democrito ed Epicuro unicamente nel fatto che il primo ha ipotizzato una infinita variazione di grandezza nell'atomo, mentre l'altro ha ammesso solo atomi piccolissimi. Ambedue i filoni hanno comunque in comune la definizione dell'atomo come "impassibile", privo di qualità e indivisibile per la solidità. 4. Esiste però nelle testimonianze tarde una interpretazione dell'atomo come indivisibile per la piccolezza, legata soprattutto al nome di Leucippo, che viene contrapposta dialetticamente alla concezione dell'atomo epicureo come indivisibile per la solidità. Tale schema ha le sue radici nell'Accademia scettica e si distingue dalla classificazione di matrice posidoniana che teneva separati atomismo (arresto della divisione a corpi indivisibili in assoluto) e corpuscolarismo (arresto della divisione a determinati corpuscoli tuttavia ulteriormente divisibili) e attribuiva unicamente a Diodoro minimi privi di parti. Paradossalmente i resoconti più ampi e dettagliati sull'atomismo e sull'atomo indivisibile per la piccolezza con il loro armamentario confutativo vengono conservati da un autore tardo quale Lattanzio il quale, a sua volta, risale probabilmente alla parte perduta degli Academica ciceroniani. Che utilizzi comunque materiale antico è confermato dal fatto che il suo resoconto non solo riprende obiezioni che la scuola epicurea aveva già cercato di parare nel II sec. a.C., ma permette anche di spiegare certe affermazioni, altrimenti oscure, nel brano sull'atomismo della sezione Peri; ajrcw'n dello Pseudo-Plutarco. Alla stessa tradizione si ricollega anche Galeno che dirige la critica soprattutto contro l'impassibilità dell'atomo, un tema anch'esso caro alla tradizione accademica scettica. In Teodoreto la diaphonia si presenta ulteriormente riassunta e priva di nomi, ma le similitudini con Pseudo-Plutarco, Galeno e Lattanzio fanno pensare alla consultazione di una fonte che aveva a disposizione un resoconto abbastanza ampio. Ad epitomi vieppiù semplificate sono poi da riportare tutte quelle testimonianze tarde che riferiscono ambedue le concezioni dell'atomo, indivisibile per la piccolezza e per la solidità, ora ad Epicuro, ora a Democrito e Leucippo, ora solo a Democrito. L'unificazione delle definizioni dell'atomo sotto la qualificazione di indivisibile per la piccolezza, attribuito sia ad Epicuro che a Leucippo e Democrito co-

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stituisce solo l'ultimo stadio di questo progressivo processo di assimilazione. Un processo di epitomazione anche all'interno della vulgata riguardante concezioni atomiste e corpuscolariste ha portato all'assimilazione, presso lo Stobeo e altri autori di età tardo imperiale e bizantina, di teorie atomiste e corpuscolariste. Atomi, ajmerh', o[gkoi vengono considerati un'unica dottrina e, talvolta, attribuiti ad Epicuro. E' superfluo dire che queste testimonianze non hanno alcun valore per la ricostruzione dell'originaria concezione democritea dell'atomo. 5. Le testimonianze dei commentatori Neoplatonici che attribuiscono agli atomisti antichi degli indivisibili per la piccolezza privi di parti sono invece dovute principalmente a due fattori strettamente interdipendenti: A. La rielaborazione del filone dossografico presente in Pseudo-Plutarco e risalente all'Accademia scettica che aveva impostato una diaphonia fra atomisti antichi ed Epicuro sulla concezione dell'indivisibilità dell'atomo. B. Il collegamento di questa interpretazione con la difesa di Senocrate dagli attacchi aristotelici. Secondo i commentatori neoplatonici Senocrate non avrebbe affatto ipotizzato delle linee matematiche indivisibili, ma avrebbe applicato la definizione degli indivisibili solo all'ambito delle forme intellegibili separandoli nettamente dalla materia stessa, di per sé infinitamente divisibile. In questo contesto interpretativo va inserita la testimonianza del commento al sesto libro della Fisica di Simplicio. Il passo si trova proprio all'inizio del libro e assume per ciò stesso il carattere di una traccia da seguire. Gli atomisti antichi avrebbero assunto degli atomi indivisibili per la solidità e per la piccolezza. Epicuro, costretto dalla critica aristotelica contro gli ajmerh' degli atomisti, avrebbe invece eliminato la mancanza di parti dell'atomo e sostenuto unicamente l'indivisibilità per la solidità. In Simplicio i due tronconi suddetti si presentano unificati. Dunque la sua ricostruzione ha delle ragioni storiche e filosofiche ben precise, ma è comunque artificiosa e, in ogni caso, tende a porre in ombra proprio quella parte della dottrina epicurea (nella fattispecie gli ajmerh') più strettamente collegata con le polemiche aristoteliche contro i principi matematici dell'Accademia e alle conseguenti reinterpretazioni di Epicuro di questi ultimi. Da tutto questo risulta che tale testimonianza non può essere utilizzata per ricostruire la concezione originale dell'atomo democriteo.

Capitolo settimo L'atomismo antico e il suo contesto culturale Passate in rassegna le varie interpretazioni dell'atomo nell'antichità e i presupposti che le hanno determinate, non resta che cercare di tracciare una via alternativa per arrivare al carattere originario dei corpuscoli di Leucippo e Democrito e alle radici della loro dottrina. Il tutto comporterebbe ovviamente uno studio specifico, perciò mi limiterò qui a riprendere e ad integrare alcuni dati emersi da questa ricerca e a fornire qualche spunto per ulteriori approfondimenti. Da questo lavoro è emerso che la concezione dell'atomo come soluzione dell'aporia dell'infinita divisione più che un dato di fatto è la risultante della proiezione sugli atomisti di tematiche accademiche riprese criticamente da Aristotele. I testi di carattere descrittivo in Aristotele e Teofrasto, nelle testimonianze di derivazione teofrastea e in altri resoconti e accenni sparsi lungo tutto l'arco dell'antichità fanno emergere invece altri possibili scenari per la nascita della dottrina atomista, in particolare un sostrato di immagini e di concezioni radicate nel contesto storico-culturale della sofistica e nell'atmosfera della riscoperta delle technai, soprattutto della medicina, nell'ultimo quarto del V sec. a.C. All'esame di queste immagini e di queste concezioni particolari e alle conseguenze che se ne possono trarre per una diversa rappresentazione dell'atomismo e delle sue origini sarà dedicato questo capitolo.

1. Costrizioni cosmiche e vulnerabilità dei corpi. Per una definizione dei fondamenti eterni Una funzione fondamentale nella cosmogonia e nella dottrina atomistica in generale ha l'ajnavgkh, quella forza cosmica che "costringe" i corpi a comportarsi in un certo modo in determinate condizioni, generando e disgregando con la stessa violenza. Il ruolo dell'ajnavgkh è una costante nei

Capitolo settimo

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riferimenti a Democrito da Aristotele, a Teofrasto, ad Epicuro1 ed è in perfetta consonanza con la concezione di questa forza e di questa "divinità" presso gli autori del V sec. a.C. come si preciserà più oltre. Da qui, dal "principio" enunciato e non spiegato, si deve partire per interpretare l'atomismo il cui scopo, come del resto anche quello dei cosiddetti fisici, era di chiarire "dove, in quali circostanze e come"2 si è generato il mondo, non di discutere sul problema dell'indivisibilità. Visti dalla prospettiva dell'azione dell'ajnavgkh, i fondamenti eterni devono, per poter sopravvivere alle "costrizioni" e agli assalti di questa forza, essere assolutamente compatti e duri senza "vie" (povroi) che permettano una penetrazione. Inoltre, contrariamente a quella di altri presocratici, e soprattutto di Anassagora, la cosmogonia degli atomisti non si verifica per separazione da una massa preesistente3, vale a dire non è concepita, nella sua fase originaria, per "divisione", ma per aggregazione da singoli corpuscoli durissimi e resistenti, già divisi uno dall'altro, che fluttuano e si scontrano nel vuoto. Questo significa che non si arriva alle componenti eterne sempre più piccole del mondo sensibile per "divisione", ma si parte da queste per comporlo (come sottolinea ripetutamente anche Aristotele). Le loro forme sono poi concepite come infinite e irregolari ai fini dell'aggregazione e della produzione dei fenomeni: non c'è ragione che una forma esista più di un'altra perché le forme sensibili che risultano da queste composizioni cambiano continuamente e sono infinite 4. La generazione del cosmo avviene per combinazione di atomi di forma e provenienza disparata5 che esistono dall'eternità e non potrebbero comporre nulla se si

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Per Aristotele v. infra, n. 14; per i resoconti risalenti in ultima analisi a Teofrasto, v. infra, n. 13; per Epicuro, cf. Ep. 2,90; Long-Sedley 1987, II, 20C, 105-107 (Fr. [34. 30] Arr.). Anche il resoconto di [Plut.] Strom. 7 (68 A 39 DK; 20, 23 L.), sebbene marcato dall'equiparazione stoica dell'eiJmarmevnh all'ajnavgkh (SVF II 925, 266,35-37), segue questa tradizione. La "definizione" delle prerogative del "filosofo della natura" è quella di un famoso frammento, contemporaneo a Democrito, dell'Antiope di Euripide (Fr. 910 Kannicht o[lbio" o{sti" th'" iJstoriva"/ e[sce mavqhsin,/ […] ajllæ ajqanavtou kaqorw'n fuvsew"/ kovsmon ajghvrwn, ph'i te sunevsth/ kai; o{phi kai; o{pw"). Per l'attribuzione, cf. Kambitsis 1972, 130; per il testo Kannicht 2004, 917s. Per un commento al frammento dal punto di vista del contesto culturale, cf. Gemelli Marciano 2006, 223s. L'espressione kata; ajpotomh;n ejk th'" ajpeivrou ªcwvra"?º in Diog. Laert. 9,31 (67 A 1 DK; 382 L.) è da intendersi come "in una sezione dell'infinito [spazio?]" non "per distacco dall'infinito [spazio?]", cfr. Bollack 1980, 13s. Theophr. Fr. 229 FHS&G (Simpl. In Phys. 184b 15, 28,8) (67 A 8 DK; 147 L.) ou|to" a[peira kai; ajei; kinouv mena uJpevq eto stoicei' a ta;" ajtovmou" kai; tw'n ej n aujtoi'" schmavtwn a[peiron to; plh'qo" dia; to; mhde;n ma'llon toiou'ton h] toiou'ton ei\nai ªtauv thn ga;rº kai; gevnesin kai; metabolh;n ajdiavleipton ej n toi'" ou\si qewrw' n.

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Anche "il vortice di forme di ogni genere" che "si separa dal tutto", nella formulazione riportata da Simplicio (In Phys. 195b 31, 327,24 = 68 B 167 DK; 19, 288 L.), infra, n. 64, non deve ingannare. Il vortice si forma nella seconda fase della cosmogonia, quando una

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disgregassero al primo impatto con i loro simili. Il problema dell'atomismo non è dunque quello della fine del mondo (come invece nella prospettiva anassagorea del Nous che continua a separare senza dissolvere mai la massa), ma quello dell'inizio e non è quello astratto dell'arresto della divisione in una grandezza continua, ma quello concreto di concepire un corpo originario che non sia come quelli che noi vediamo: vulnerabile, esposto all'azione di qualsiasi agente esterno o squilibrio interno, massa instabile attraversata da continui flussi, ma compatto e "inviolato, non tagliato", resistente a qualsiasi ajnavgkh. L'ajnavgkh (o piuttosto le ajnavgkai) è il problema centrale nella concezione dell'atomo e delle dottrine atomistiche in generale. Nonostante siano stati fatti molti studi su questo tema, la portata di questo fatto è generalmente sfuggita in quanto l'ajnavgkh è stata interpretata sulla scorta delle testimonianze antiche e, nel migliore dei casi, della critica epicurea, in maniera teorica unicamente come la legge o l'insieme delle leggi fisiche che determinano i fenomeni. Questa è però solo una concezione astratta e sublimata che compare in Platone e poi in Aristotele. Nel V sec. a.C. ajnavgkh ha tutta una gamma di significati molto concreti che vanno dal campo semantico della tortura a quello magico-religioso6. Essa è in primo luogo una "forza di costrizione" che si esercita sui corpi fenomenici e che non richiede di essere spiegata, contrariamente a quanto pensava Aristotele, perché è concepita come un semplice dato di fatto chiaro per tutti: l'ajnavgkh o le ajnavgkai esistono e basta. Tutto e tutti agiscono e subiscono costretti da una certa ajnavgkh. Lo sapevano gli autori di poesia orfica e i poeti in generale che ne facevano una divinità che governa l'universo7, e lo sapevano quelli che si occupavano dei corpi e dei fenomeni a vario titolo, in particolare i cosiddetti magoi, i medici, i "fisici" come Anassagora. Tutti cercavano di scoprire come funzionassero effettivamente le varie ajnavgkai per poter prevedere o riprodurre e provocare essi stessi i fenomeni. Ho già accennato altrove8 ad un passo di Senofonte particolarmente rivelatore a questo proposito. Socrate, criticando proprio i fisici, avanza dubbi sui loro scopi: Egli ricercava su di loro [i "fisici"] anche questo: se dunque, come fanno quelli che studiano le cose umane, che pensano di mettere in pratica ciò che hanno appreso a loro favore e a favore di quelli che loro vogliono, così anche quelli che indagano i fenomeni divini pensino, quando abbiano saputo a causa di quali "costrizioni" ciascuno di essi si produce, di provocare, quando lo vogliano, venti, ac-

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massa disordinata di atomi già aggregati si precipita nel vuoto. La prima fase è quella dell'aggregazione casuale dei corpuscoli. Schreckenberg 1964. Cf. Schreckenberg 1964, in part. 72-81 con relativa indicazione dei passi.. Cf. Gemelli Marciano 2005, 375; 2006, 221s.

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qua, stagioni e qualsiasi altro fenomeno di questo genere di cui essi necessitino, oppure non sperino nulla del genere, ma si accontentino di sapere soltanto in che modo ciascuno di questi si verifica9.

Le ajnavgkai qui non sono semplicemente le "leggi naturali", ma forze o, rispettivamente, condizioni particolari che "costringono" i fenomeni a verificarsi in un certo modo e che possono essere evocate o, rispettivamente, riprodotte (v. infra), ma anche solo scoperte e studiate. La differenza fra il meteorologos e il mago sta dunque principalmente nello scopo e non nell'oggetto della loro indagine. L'evocazione delle forze divine che "costringono" la natura a produrre venti, pioggia, siccità è una delle prerogative dei purificatori attaccati nello scritto ippocratico De morbo sacro, ma anche di Empedocle e degli specialisti di riti meteorologici della religione ufficiale10. Anche i medici, cui probabilmente il Socrate di Senofonte si riferisce (oiJ tajnqrwpei'a manqavnonte"), si situano in questo ambito sullo stesso piano dei magoi. L'autore ippocratico del De Arte, un contemporaneo di Democrito, afferma che la medicina ha trovato delle ajnavgkai per costringere la natura a dare dei segni quando questa non lo fa spontaneamente. Il medico riproduce delle "costrizioni" ancora più forti di quelle naturali che gli permettono di fare una diagnosi della malattia interna invisibile11. "Costringe" il flegma ad uscire sotto forma di pus somministrando bevande e alimenti aspri (che riscaldano e sciolgono), e il soffio a rivelare la sua natura, sottoponendo il malato a pesanti esercizi fisici. L'autore del secondo libro del Prorrhetikos parla di emissioni spontanee (ajpo; tou' aujtomavtou) o "forzate" (ejx ajnavgkh") prodotte dal medico stesso12.

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Mem. 1,1,15 ejskovpei de; peri; aujtw'n kai; tavde, a\ræ, w{sper oiJ tajnqrwvp eia manqavnonte" hJgou' ntai tou'qæ o{ ti a]n mavqwsin eJ autoi'" te kai; tw' n a[llwn o{twi a] n bouvl wntai poihvsein, ou{tw kai; oiJ ta; qei'a zhtou'nte" nomivzousin, ejpeida; n gnw'sin ai|" aj nav gkai" e{kasta givgnetai, poihvsein, o{tan bouvlwntai, kai; aj nev mou" kai; u{d ata kai; w{ra" kai; o{tou a]n a[llou devwntai tw'n toiouvtwn, h] toiou'ton me;n oujde;n oujdæ ejlpivzousin, ajrkei' dæ aujtoi'" gnw'nai movnon h|i tw'n toiouvtwn e{kasta givgnetai.

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Per i magoi, cf. Morb. sacr. 1,9 (7,3 Jouanna = VI,358 Littré); per Empedocle, cf. 31 B 111 DK e Kingsley 1995a, cap. 15; per i riti meteorologici, cf. gli ajnemokoi'tai di Corinto menzionati da Esichio e Suda (s.v.) e il rito per evocare la pioggia dei sacerdoti di Zeus Lykaios in Arcadia in Paus. 8,38,2-3. De arte 12,3 (240,10 Jouanna = VI,24 Littré) o{tan de; tau'ta ta; mhnuvo nta mhd aujth; hJ fuvsi" eJkou's a ajfih'i, aj nav gka" eu{rhken (scil. hJ tevcnh) h|isin hJ fuvsi" ajzhv mio" biasqei's a meqivhsin: ajneqei'sa de; dhloi' toi'si ta; th'" tevc nh" eijdovsin a} poihtev a. Prorrh. II,30 (276 Potter = IX,60 Littré) touvtoisin ajrhvgei ai|ma rJue;n ajp o; tou' aujtomavtou kai; ejx aj navgkh". Ibid. (278 Potter = IX,60 Littré) wjf elevousi de; kai; ptarmoi;, kai; blev nnai ejn th'isi rJisi; ginovmenai, ma'llon me;n ajpo; tou' aujtomav tou, eij de; mh; , ejx aj navgkh". In ambedue i passi sono enunciati rimedi per il mal di testa. Se l'emissione di sangue o di muco non avviene spontaneamente, il medico la fa uscire "forzatamente".

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Quando dunque Leucippo e Democrito parlano di ajnavgkh, evocano non un tranquillizzante quadro di fisica teorica, ma l'immagine presente a tutti i loro contemporanei di forze opprimenti e costrittive alla cui mercé si trovano tutti i corpi e il mondo stesso Come le generazioni che si verificano nel cosmo, così anche le crescite e le diminuzioni e le distruzioni avvengono secondo una certa ajnavgkh che non specifica quale sia13.

Così si legge nelle frasi conclusive del resoconto sulla cosmogonia di Leucippo in Diogene Laerzio, un motivo che ricompare anche nel frammento aristotelico su Democrito: Egli ritiene che (scil. i corpuscoli) rimangano attaccati gli uni agli altri e uniti (in un aggregato) finché non sopravvenga dall'atmosfera circostante una ajnavgkh più forte che li scuota violentemente e li disperda qua e là14.

E nelle parole stesse di Democrito Nulla accade a caso, ma tutto per una ragione e sotto la pressione di una ajnavgkh15.

Dovunque ci sia una forte pressione dall'esterno o dall'interno e delle vie che permettano la penetrazione o la fuoriuscita di effluvi, si verificano alterazione o distruzione in base alla maggiore o minore compattezza e resistenza dell'oggetto o al grado di "costrizione" esercitato. Anche l'instabilità delle sensazioni viene spiegata in termini di penetrazione e di "resistenza" di ciò che viene a contatto col corpo16. La sensazione stessa è una sorta di malattia in quanto è dovuta alla preponderanza nel corpo di certe forme atomiche sulle altre che crea squilibrio. La generazione sessuata è determinata da un "colpo" interno seguito ad un grande sconvolgimento e

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Diog. Laert. 9,33 (67 A 1 DK; 382 L.) ei\naiv te w{sper genevs ei" kovsmou, ou{tw kai; aujxhvs ei" kai; fqivsei" kai; fqora;" katav tina aj navgkhn, h} n oJpoiva ejsti;n ãoujà diasafei'. Cf.

Hippol. Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 23, 291 L.). Arist. fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,18-20) (68 A 37 DK; 293 L.) ejpi; to-

sou'ton ou\ n crovnon sfw' n aujtw'n aj ntevc esqai nomivzei kai; summevnein, e{w" ijscurotevra ti" ejk tou' perievconto" aj navgkh paragenomev nh diaseivshi kai; cwri;" aujta;" diaspeivrhi. Con

espressioni simili viene descritta nel trattato ippocratico De aeribus la possibilità di una alterazione o corruzione del seme al momento del concepimento nella Scizia, Aer. 19,5 (235,4 Jouanna = II,72 Littré) tw'n ga;r wJrevwn paraplhsivwn ejousevwn, fqorai; oujk 15

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ejggiv gnontai oujde; kakwv sie" ej n th'i tou' gov nou xumphvxei, h]n mhv tino" aj nav gkh" biaivou tuvchi h] nouvsou. Stob. 1,4,7c (67 B 2 DK; 22 L.) oujde;n crh'ma mavthn givnetai, ajlla; pavnta ejk lovgou te kai; uJpæ aj navgkh". Per l'attribuzione di questa massima a Leucippo cf. Introduzione n. 1. Sext. Emp. Adv. Math. 7,135 (68 B 9 DK; 55 L.) hJmei'" de; tw'i me;n ejovnti oujde;n ajtreke;" sunivemen, metapi'pton de; katav te swvmato" diaqhvkhn kai; tw'n ejpeisiovntwn kai; tw'n ajntisthrizov ntwn ("ma noi in verità non comprendiamo nulla di incontrovertibile, ma

qualcosa che muta secondo la disposizione del corpo e delle cose vi penetrano e di quelle che gli oppongono resistenza").

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spostamento di atomi che fa separare "un uomo da un altro uomo"17. Alla luce di queste considerazioni diviene più chiaro il motivo per cui l'atomo è assolutamente compatto e pieno (nastovn), solido (stereovn), duro (sklhrovn), secondo le denominazioni originali esaminate nel capitolo quinto. Esso è semplicemente un corpo non attaccabile da nessuna ajnavgkh, un corpo che può essere spinto qua e là, ma non "compresso" o disgregato, è il corpo privo di pori e sterile che non emana effluvi né li riceve. L'immagine è sorprendentemente vicina a quella dell'individuo "invulnerabile", inattaccabile dalle malattie, impassibile, eccezionale e duro come il diamante nel corpo e nell'anima che l'Anonimo di Giamblico presenta come un ideale inesistente18. Quando pensano al corpuscolo eterno tetragono a qualsiasi colpo o pressione gli atomisti hanno dunque come modello, non una "materia" generica e indistinta nella quale si possono operare "divisioni", ma i corpi fisici concreti e specifici con la loro forma, i loro interstizi, la loro varia compattezza e vulnerabilità. Non si deve dimenticare che nei contemporanei testi ippocratici il tema della "resistenza" e della "compattezza" del corpo è direttamente collegato alla sua predisposizione alla malattia: i maschi in generale sono più sani perché hanno un corpo più compatto, con pori stretti che non permettono l'assorbimento e la ritenzione di liquidi, mentre le femmine, con il loro tessuto poroso e la loro conseguente sovrabbondanza di fluidi, hanno un equilibrio estremamente instabile e sono le più esposte all'insorgere dei morbi19. Queste concezioni mediche sulla vulnerabilità e l'instabilità dei corpi e sulla loro predisposizione alla malattia e alla distruzione permeano comunque gran parte della letteratura della seconda metà del V sec. a.C.20. In questo contesto le problematiche dell'indivisibilità si stemperano nel sottofondo in cui sono nate e cioè nel contesto dialettico ed esegetico accademico e aristotelico. Qualcuno potrebbe obiettare che l'immagine fisica dell'atomo qui tracciata può coesistere con la soluzione matematizzante del problema dell'indivisibilità, ma a questo si può rispondere che Leucippo e Democrito non erano allievi né della scuola platonica, né di quella aristotelica e che il metodo dialettico che Aristotele presta loro, 17

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68 B 32 DK (527 L.). Sulla ricostruzione del frammento in base citazioni parziali e diverse di diversi autori, cf. Introduzione n. 14 e Gemelli Marciano 2007, 215-217 n. 23-29. Anon. Iambl. 89,6 DK eij me;n dh; gevnoitov ti" ejx ajrch'" fuvsin toiavnde e[cwn, a[trwto" to;n crw'ta a[ nosov" te kai; ajp aqh;" kai; uJperfuh;" kai; ajdamav ntino" tov te sw'ma kai; th;n yuchvn… A differenza degli atomi democritei, quest'uomo, secondo l'anonimo, non potrebbe sopravvivere se non salvaguardasse le leggi e la giustizia perché sarebbe sopraffatto dalla moltitudine coalizzata degli altri uomini. Cf. Mul. I 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré); Gland. 16,2 (121,20 Joly = VIII,572 Littré), supra, V 4 n. 99 e 100. Cf. in particolare le acute pagine scritte su questo tema nei testi tragici da Padel 1992, 4968.

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come si è visto, è abbondantemente basato sui modelli e sulle problematiche accademiche. Neppure Anassagora, cui Aristotele e molti fra i moderni hanno attribuito una forma di corpuscolarismo e una riflessione sul problema della divisibilità all'infinito, usa le espressioni astratte "divisione", "dividere" (diaivresi", diairei'n), ma sempre una terminologia fisica strettamente legata al movimento e ancorata ai processi corporei e parla di "separazione" e di "distinzione"21. Nell'ottica della problematica della divisibilità accademica e aristotelica i corpuscoli degli atomisti vengono invece astratti e trasformati: il corpo "non tagliato" compatto e assolutamente resistente diventa un "indivisibile". L'ananke, la forza concreta, opprimente e disgregatrice, scompare per lasciare il posto ad una mente che, nel contesto di una "lezione" scolastica, immagina scenari di divisione all'infinito. Se si elimina gradatamente dal quadro dell'atomismo antico il deposito delle interpretazioni antiche e moderne, si possono dunque intravvedere alcuni particolari che dirottano l'attenzione sul contesto in cui queste dottrine si sono sviluppate. E' da qui che bisogna prendere le mosse per "rileggere" il tutto.

2. Il grande vuoto: cosmologie orfiche ed embriologia nella cosmogonia di Leucippo. Per una ridefinizione del vuoto atomistico Già altri hanno messo in rilievo le radici embriologiche della cosmogonia di Leucippo e le sue affinità con la descrizione del concepimento e della formazione dell'embrione nei trattati ippocratici De genitura e De natura pueri22. E' stato pure sottolineato che, a differenza del meccanismo di riproduzione descritto nei trattati ippocratici, scatenato dall'attrazione sessuale e dal conseguente movimento del coito che porta il seme da ogni parte del corpo verso il centro, cioè i testicoli nel maschio e l'utero nelle femmine, quello cosmogonico di Leucippo e di Democrito è dovuto ad un impigliarsi loro malgrado di atomi in una parte dello spazio cosmico e alla loro conseguente forzata aggregazione in una massa disordinata pro21

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Apokrivnesqai, 59 B 4, 6, 7, 9, 12, 16 DK; per cwrivzesqai, B 8 DK; per diakrivnesqai, B

12, 13, 17 DK. Cf. in particolare Orelli 1996 che ha dedicato anche una buona parte del suo studio ai rapporti fra questi trattati e la cosmogonia atomistica. Cf. anche Lonie 1981. Per la funzione dell'embriologia nella cosmogonia e cosmologia di altri presocratici, cf. ancora Orelli 1996, 197-204; per la sua rilevanza in particolare nella cosmogonia e zoogonia empedoclea, Gemelli Marciano 2005.

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prio perché fatta di elementi in lotta fra loro. Tale massa rissosa si getta, secondo Leucippo, in un mevga kenovn, un grande vuoto23. Si tratta di un'immagine molto eloquente nel V sec. a.C., del particolare che rimanda ad un sottofondo offuscato dalla narrazione di stile dossografico del testimone antico. In un contesto cosmogonico infatti l'espressione, lungi dall'essere una nozione "più teorica che rigorosamente fisica"24, richiama immediatamente la cosmologia esiodea e le cosmogonie cosiddette orfiche. In Esiodo la terra, il mare e il cielo affondano le loro radici nel grande abisso il cavsma mevga, il regno della Notte dove infuriano continue, tremende tempeste25. Nei versi restanti di una cosmogonia "orfica" sicuramente già noti a Platone perché parafrasati in parte nel mito del Fedone, il mevga cavsma pelwvrion è l'immenso abisso originario nel quale "non c'era né un limite, né un fondo, né una base fissa"26. Nella cosmologia di matrice pitagorica del Fedone, ritorna l'allusione a questi versi nella descrizione del Tartaro: Uno degli abissi della terra inoltre è il più grande [di tutti gli altri] ed è perforato per tutta la grandezza della terra. E' questo abisso a cui Omero si riferisce quando dice: "molto lontano, dove l'abisso sotto la terra è più profondo" (Il. 8,14), quello che lui, in altri passi, e molti altri poeti hanno chiamato il Tartaro. A questo abisso infatti affluiscono tutti i fiumi e ne defluiscono poi nuovamente e ognuno di loro assume la sua qualità particolare secondo la natura della terra attraverso la quale esso scorre. La ragione per cui tutti i fiumi defluiscono da e affluiscono a questo luogo è il fatto che questo liquido non ha né un fondo né una base fissa27.

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In un modo simile si comportano gli atomi che formano il vento: quando si trovano in uno spazio stretto, cominciano a scontrarsi, a fare pressione l'uno sull'altro finché non rimangono impigliati e, dopo aver a lungo oscillato, prendono finalmente una direzione, cf. Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.). Il grande vuoto potrebbe formarsi per l'aggregarsi di atomi in un altro punto dell'infinito. Nel corpo, ad esempio, dei vuoti si formano quando vi penetrano atomi dell'acido, angolosi e sinuosi, che astringono e contraggono, Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.). Silvestre 1985, 128, seguita da Morel 1996, 269. Hes. Th. 736-745. 111 F,3 Bernabé (=OF 66,3) oujdev ti pei'rar uJph'n, ouj puqmhvn, oujdev ti" e{dra. Il cavo" ritorna poi nelle varie versioni di cosmogonie orfiche compresa quella comica degli Uccelli di Aristofane (691). Sulla stretta correlazione dei versi orfici con la descrizione esiodea del Tartaro e sulla loro posizione implicitamente critica nei confronti di Esiodo, così come sul loro carattere preplatonico e sui rapporti col Fedone, cf. Kingsley 1995a, 126-132. Phaed. 112b e{n ti tw'n casmavtwn th'" gh'" a[llw" te mevgiston tugcavnei o]n kai; diampere;" tetrhmev non diæ o{lh" th'" gh'", tou'to o{per ”Omhro" ei\pe, lev gwn auj tov: th'le mavlæ, h|ici bavqiston uJpo; cqonov " ejsti bevreqron: o} kai; a[lloqi kai; ejkei'no" kai; a[lloi polloi; tw'n poihtw'n Tavrtaron keklhvkasin. eij" ga;r tou'to to; cavsma surrevousiv te pavnte" oiJ potamoi; kai; ejk touvtou pavlin ejkrevousin: givgnontai de; e{kastoi toiou'toi diæ oi{a" a] n kai; th'" gh'" rJ evwsin. hJ de; aijtiva ejsti;n tou' ejkrei'n te ej nteu'qen kai; eijsrei'n pavnta ta; rJeuvmata, o{ti puqmevna ouj k e[cei oujde; bavsin to; uJgro; n tou'to.

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Il testo del Fedone dimostra che il mevga cavsma era una componente basilare delle cosmogonie poetiche più note nel V sec. a.C. e che veniva reinterpretato e integrato nelle cosmologie del tempo. Il mevga kenovn è dunque sicuramente un'espressione originale di Leucippo che allude al grande abisso cosmogonico: il grande vuoto esercita una sorta di attrazione sulla massa disordinata e rissosa degli atomi che, confluendo nel baratro (surruh'nai eij" mevga kenovn è l'espressione riportata da Ippolito28) come i fiumi del Fedone, comincia a girare vorticosamente. La funzione del vuoto non è qui dunque quella di "dividere", ma, al contrario, di favorire una maggiore aggregazione degli atomi. Il suvsthma sfairoeidhv" che si origina dalla massa vorticante nell'abisso ricorda la formazione del primo uovo cosmico nelle cosmogonie orfiche29. In Leucippo tuttavia si trova solo un'eco di questa letteratura. La sua cosmogonia è più vicina ai testi medici che a quelli orfici ed epici. L'uovo cosmico di poetica memoria diviene una membrana che contiene in sé ogni genere di corpuscoli e dentro la quale, come nell'embrione, a poco a poco si articola il cosmo. Costretti dal movimento rotatorio, gli atomi simili si aggregano, i più pesanti vanno verso il centro e formano qui il primo punto di resistenza, quello che corrisponde al cordone ombelicale 30. C'è però una differenza fondamentale fra la cosmogonia di Leucippo e il modello embriologico ippocratico o le cosmogonie pitagoriche: il cosmo di Leucippo non "inspira" come in queste ultime il vuoto (o il pneuma come l'embrione ippocratico) che 28

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Ref. 1,12,2 (67 A 10 DK; 291 L.). Si può ricordare che nella descrizione dei succhi, Democrito affermava, che gli atomi del dolce mettono in agitazione altri atomi; questi, scardinati dalle loro posizioni, "confluiscono" nel ventre (68 A 135 (65) DK; 496 L. ejk th'" tavxew" kinouvmena surrei'n eij" th; n koilivan), il luogo più accessibile poiché c'è la maggior quantità di vuoto (tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai kenovn). Cf. su questo Orelli 1996, 163ss., la quale fornisce anche i paralleli con i testi ippocratici. Anche quest'immagine compare in versi riportati da autori tardi (114 F Bernabé = OF 55), ma era sicuramente presente anche nelle antiche cosmogonie orfiche perché "l'uovo di vento" che nasce nel Tartaro è parodiato da Aristofane (Av. 695). Del resto questa relazione fra cosmogonia leucippea e cosmogonie orfiche è già stata ampiamente rilevata, cf. Guthrie II, 1965, 408 n. 1, Orelli 1996, 190ss. Il cordone ombelicale è definito da Democrito "un ancoraggio contro violenta burrasca e vagare errabondo" (Plut. De am. prol. 495 E; 68 B 148 DK; 537 L. «oJ ga;r ojmfalo;" prw'ton ejn mhvtrhisin» w{ " fhsi Dhmovkrito" «aj gkurhbovlion savlou kai; plav nh" ejmfuvetai») e viene citato da Plutarco anche in un contesto cosmogonico, in una similitudine con la terra (De fort. Rom. 317 A « ajgkurhbovlion savlou kai; plavnh"», w{" fhsi Dhmovkrito". wJ" ga;r oiJ fusikoi; to;n kovsmon lev gousin ouj k ei\nai kovsmon oujd ejqevlein ta; swvmata sunelqovnta kai; summigevnta koino; n ejk pavntwn ei\do" th'i fuvs ei parascei'n, ajlla; tw' n me; n e[ti mikrw'n kai; sporavdhn feromev nwn diolisqanovntwn kai; uJpofeugovntwn ta; " ejnapolhvyei" kai; periplokav", tw' n d aJdrotevrwn kai; sunesthkovtwn h[dh deinou; " aj gw' na" pro;" a[llhla kai; diatrachlismou;" lambanov ntwn, kluvdwna kai; brasmo;n ei\ nai kai; fqovrou kai; plavnh" kai; nauagivwn mesta; pav nta, privn ge th; n gh' n mev geqo" labou'san ejk tw'n sunistamev nwn kai; feromev nwn iJdruqh'naiv pw" aujth; n kai; toi'" a[lloi" i{drusin ej n auJth'i kai; peri; auJth; n parascei'n).

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divide perché è già un mondo diviso. Proprio per questo non attira atomi dall'esterno in un solo punto (nell'embriologia ippocratica è il cordone ombelicale che si forma appunto laddove l'embrione inspira)31, ma, per effetto del movimento vorticoso e per la sua stessa permeabilità, si appropria di qualsiasi corpuscolo con cui venga a contatto in ogni sua parte. L'immagine del grande vuoto di orfica memoria e la sua funzione di "attrazione" nei confronti delle masse disordinate di atomi vaganti nell'universo, così come la sua peculiarità rispetto al vuoto pitagorico che entra invece nella massa cosmica dividendola e articolandola, rimette in discussione la definizione che Aristotele dà del vuoto atomistico nella Fisica (D 6, 213a 32-34) come "ciò che divide la massa corporea in modo che sia discontinua". In realtà questa definizione si basa sull'assimilazione del vuoto atomistico al vuoto pitagorico e su un pre-supposto tipicamente aristotelico e cioè sulla tesi che "sostanze corporee" della stessa natura (il sostrato materiale) debbano fondersi un'unica massa se non sono tenute divise dal vuoto32. Il fatto però che gli atomi siano della stessa natura non conduce affatto necessariamente a questa conclusione. Infatti, a causa della loro durezza, essi non potrebbero mai, anche se il vuoto non ci fosse, fondersi in una massa compatta. In questo senso va interpretata anche la notizia ripetuta in varie forme da Aristotele che dai molti non può derivare una vera unità. Gli atomi, dunque, a rigore non hanno bisogno di qualcosa che li tenga divisi. In realtà i vuoti sono concepiti, come si è visto sopra (III 4. 2. 2), come pori e cavità che permettono un passaggio più o meno agevole di effluvi dall'esterno verso l'interno e viceversa e una circolazione all'interno del corpo. Corpi più o meno permeabili, sono più o meno predisposti alla dissoluzione, alla distruzione e all'instabilità, ma, proprio perché porosi, i corpi possono anche generare. Il corpo maschile, per quanto compatto, possiede comunque delle vie attraverso cui il seme confluisce nell'organo genitale per poi venire espulso, quello femminile delle cavità uterine per accoglierlo. I vuoti inoltre, con le loro varie forme, creano le condizioni perché qualcosa si generi con certe caratteristiche piuttosto che con altre e determinano dunque anche gli effetti dell'ajnavgkh e delle ajnavgkai sui corpi. Da queste osservazioni risulta che la concezione del vuoto atomistico è qualcosa di molto più ricco e complesso delle definizioni aristoteliche e ha le sue radici nell'interpretazione delle cosmogonie poetiche e nelle concezioni mediche, non nella riflessione astratta sulle definizioni di vuoto, movimento e divisione. 31

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Nat. puer. 12,6 (54,27-55,3 Joly = VII,488 Littré); 13,3 (56,3-5 Joly = VII,490 Littré); cf. anche 14,2 (56,19-21 Joly = VII,492 Littré): il sangue, nutrimento dell'embrione, viene assunto unicamente attraverso il cordone ombelicale. V. supra, III 4. 3 e n. 156.

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3. Stavsi" e aggregazione: immagini socio-politiche nella cosmogonia di Democrito Se nel resoconto sulla cosmogonia di Leucippo viene posto l'accento sul vortice cosmico, il frammento dell'opera di Aristotele su Democrito descrive in particolare le caratteristiche specifiche dei corpuscoli eterni, il loro movimento e il loro meccanismo generale di combinazione. Su alcuni tratti degli atomi si è già detto e si è accennato anche alle immagini di guerre civili e combattimenti che il loro volteggiare disordinato e ostile nel vuoto evoca. Qui vorrei aggiungere ancora qualche osservazione sul contesto cui tale rappresentazione rimanda e sulla distanza della stessa da una problematica astratta di tipo matematizzante. Dopo aver accennato alle denominazioni delle "sostanze eterne" di Democrito e alla loro piccolezza che le rende impercettibili, Aristotele passa a descrivere le loro caratteristiche formali e il loro movimento: Essi hanno aspetti e forme di ogni genere e differenze di grandezza. Da queste sostanze, inoltre, come da elementi fa generare e comporre gli aggregati che appaiono ai nostri occhi e gli aggregati percettibili. Queste sostanze sono [secondo Democrito] in rivolta l'una contro l'altra e si muovono nel vuoto a causa della loro disuguaglianza e delle altre differenze summenzionate, e, muovendosi, si scontrano e si avviluppano in un intreccio tale che le porta a contatto e in contiguità, ma non produce con esse veramente alcuna natura unica di qualsivoglia genere: infatti sarebbe del tutto insensato supporre che il due o i molti divenissero mai una sola cosa33.

L'immagine degli atomi è quella di tanti individui tendenzialmente isolati e diversi fra loro per aspetto (scabri o lisci), figura (rotonda, irregolare e così via) e grandezza. Le loro diversità rispecchiano a livello microscopico quelle che si riscontrano nel mondo fisico e negli agglomerati socio-politici. La loro naturale tendenza è quella all'isolamento, alla diversità e alla lotta reciproca. Gli atomi si muovono qua e là nel vuoto in uno stato di continua rivolta proprio perché sono uno diverso dall'altro (dia; th;n ajnomoiovthta)34. Questa loro tendenza naturale all'isolamento che li caratte33

Arist. Fr. 208 Rose (Simpl. In De cael. 279b 12, 295,7-14) (68 A 37 DK; 227, 293 L.) uJpavrcein de; aujtai'" pantoiv a" morfa;" kai; schvmata pantoi'a kai; kata; mev geqo" diaforav". ejk touvtwn ou\ n h[dh kaqavp er ejk stoiceivw n genna'i kai; sugkrivnei tou; " ojf qalmofanei'" kai; tou;" aijsqhtou; " o[gkou". stasiavzein de; kai; fevresqai ejn tw'i kenw'i diav te th;n ajnomoiovthta kai; ta; " a[lla" eijrhmev na" diaforav", feromev na" de; ej mpivptein kai; periplevkesqai periplokh;n toiauvthn, h} sumyauv ein me; n aujta; kai; plhsivon ajllhvlwn ei\nai poiei', fuvsin mev ntoi mivan ejx ej keivnwn katæ ajlhvqeian oujdæ hJntinaou'n genna'i: komidh'i ga;r eu[hqe" ei\nai to; duvo h] ta; pleivona genevsqai a[ n pote e{n.

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L'immagine "politica" della stasis fra proprietà e succhi diversi all'interno del corpo come elemento patogeno ricorre del resto più volte anche negli scritti contemporanei del Corpus Hippocraticum, cf. su questo tema Vegetti 1983, 463s.

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rizza come "individui" si manifesta anche nelle combinazioni: essi si avvicinano e si toccano, si danno sostegno, si abbracciano, quando casualmente rimangono impigliati l'uno all'altro, ma non formano mai un'unità e dunque, nel momento in cui una ajnavgkh più forte di quella che li tiene insieme li scuote, si disperdono nuovamente ritornando al loro stato naturale. La famosa attrazione fra i simili comincia ad esercitarsi solo sotto la spinta del vortice cosmogonico, cioè di una ajnavgkh più forte delle tendenze individualistiche degli atomi, che li costringe ad una particolare aggregazione. E non bisogna dimenticare che il mondo per gli atomisti continua a muoversi a vortice e che dunque l'attrazione dei simili va spiegata in questo contesto35. Anche nella vulgata della Kulturentstehungslehre, per lungo tempo attribuita a Democrito stesso, si presentano immagini simili dei primi uomini: essi vivono in una condizione belluina, uno separato dall'altro36 e si aggregano solo per necessità di difesa e sotto la spinta del bisogno sviluppando poi a poco a poco tutte le altre risorse e le altre arti che portano al vivere sociale. Anche in questo sfondo socio-politico che vede il corpo sociale non come un agglomerato compatto e armonico, ma come un aggregato "costretto", instabile e temporaneo di individui fra loro estremamente differenti e tendenti all'isolamento, continuamente esposto a fluttuazioni e cambiamenti violenti si deve cercare l'idea dell'atomo come corpuscolo isolato e autosufficiente che solo suo malgrado entra in "società" con altri. Queste spinte "centrifughe" e isolazioniste degli atomi sono lo specchio perfetto di quelle che le dottrine sofistiche contemporanee esaltano come caratteristiche "naturali" nell'individuo dando loro la priorità sulle necessità di coesione della compagine sociale. Già da queste prime osservazioni si delinea una concezione dell'atomo che ha le sue radici più che in speculazioni filosofiche, in una percezione medica del corpo e in una visione socio-politica della realtà: il corpo fisico come struttura instabile, attraversata continuamente da flussi destabilizzanti è parallelo al corpo sociale, aggregato aleatorio di individui eterogenei "costretti" insieme dalla necessità, ma con persistenti spinte centrifughe.

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Si deve dunque fare molta attenzione alle testimonianze indirette (come ad es. 68 B 164 DK; 11, 316 L. e 68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.) che per lo più sono mediate da fonti stoiche influenzate dalla teoria della sympatheia. In questi contesti il ruolo dell'ajnavgkh come elemento scatenante e costitutivo del fenomeno viene relegato in secondo piano. Diod. 1,8,1 (68 B 5 DK; 558 L.) tou;" de; ejx ajrch'" gennhqevnta" tw'n ajnqrwvpwn fasi;n ejn ajtav ktwi kai; qhriwvdei bivwi kaqestw'ta" sporavdhn ejpi; ta; " noma;" ejxievnai. Cf. anche Anon. Iambl. 89,6,1 DK il quale attribuisce all'instinto naturale di conservazione il bisogno di aggregarsi.

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4. Effluvi, eidola e inalterabilità dell'atomo Un'ulteriore immagine, frequente e paradigmatica, dell'atomismo antico, che concerne proprio l'estrema instabilità e la vulnerabilità dei corpi, è quella degli effluvi e degli eidola. Il mondo di Leucippo e di Democrito, al di là di tutte le spiegazioni "scientifiche" che essi ne hanno dato, è un mondo pieno di flussi e di fantasmi più o meno invisibili, più o meno potenti più o meno benefici o distruttivi. Tutti i corpi emettono effluvi, perfino i più duri come la pietra, il ferro e il magnete37. I corpi viventi ne emettono di più a causa del loro calore. Tutti questi effluvi mantengono non solo la forma, ma anche le caratteristiche e le affezioni psichiche dei corpi da cui sono usciti (evidentemente perché vi sono frammisti atomi dell'anima che escono anch'essi dal corpo sotto la spinta della pressione esterna), "vagano" e "si immergono" in altri corpi senza essere percepiti. "Riemergono" solamente durante il sonno (quando il corpo si raffredda, il movimento degli atomi interni si calma ed essi possono liberarsi dall'oppressione degli atomi più grandi e più spessi che li tengono soffocati) e vanno a riflettersi nelle pupille chiuse producendo le visioni oniriche38. Altri idoli, invece, come quelli che producono il malocchio, si insinuano allo stesso modo impercettibilmente attraverso i pori nei corpi e vi prendono dimora impregnandoli della loro cattiveria e provocandone la progressiva consunzione39. Talvolta idoli più grandi, di natura divina, si presentano agli occhi degli uomini per annunciare l'avvenire o emettono voci40. Si tratta, è vero, di aggregati atomici, che conservano però tutta la carica minacciosa di quei fenomeni che essi dovrebbero spiegare. Democrito, lungi dal minarne la credibilità, ne conferma la validità dando loro un fondamento naturale. Gli effluvi e gli idoli testimoniano dell'instabilità dei corpi e nel contempo confermano la realtà e la pericolosità degli influssi impercettibili che questi possono esercitare uno sull'altro. Non si deve dimenticare che questi erano anche i presupposti della cosiddetta 37

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Per la pietra, cf. Albert. Magn. De lapid. 1,1,4 (68 A 164 DK; 448 L.); per il magnete e il ferro Alex. Quaest. 2,23, II,72,28 Bruns (68 A 165 DK; 319 L.). Plut. Quaest. conv. 734 F-735 A (68 A 77 DK; 476 L.). Plut. Quaest. conv. 682 F (68 A 77 DK; 476 L.); Hermipp. (Iohann. Catrar.) De astrol. 25,19 Kroll-Viereck (68 A 78 DK; 472a L.) Sext. Emp. Adv. Math. 9,19 (68 B 166 DK; 472a L.); cf. Plut. Aem. Prooem. 4; De def. orac. 419 A; Clem. Strom. 5,13,87; Iren. Adv. haeres. 2,14,3; Michael Ephes. De insomn. 83,18 (con riferimento ad Alex. Aphr. Peri; daimovnwn) (472a L.). L'incontro coi demoni è una caratteristica dei pitagorici, cf. Arist. Fr. 193 Rose (Apul. De deo. Socr. 20 At enim [secundum] Pythagoricos mirari oppido solitos, si quis se negaret umquam vidisse daemonem, satis ut reor idoneus auctor est Aristoteles). Anche a Senocrate Plutarco attribuisce una concezione dei demoni come esseri "grandi e forti", De Is. 361 B (Xenocr. 225 IP) ei\nai fuvsei" ejn tw'i perievconti megavl a" me;n kai; ijscurav ", dustrovpou" de; kai; skuqrwpav ".

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"magia". Il primo in Grecia a dire che tutto ciò che esiste emette effluvi è stato del resto Empedocle, un carismatico "mago"41. Il suo allievo Gorgia che, nell'Encomio di Elena, designa espressamente la gohteiva e la mageiva come technai42, presenta allo stesso modo un mondo di corpi porosi, permeabili a tutti gli influssi esterni, in particolare all'azione della parola, che ne altera profondamente la struttura. I corpuscoli invisibili del logos agiscono come un filtro magico o un'incantesimo sull'anima; l'ejpwidhv, in particolare, la incanta e la sconvolge43. I magoi persiani, secondo Sozione, avrebbero sostenuto non solo che gli dèi appaiono loro, ma anche che l'aria è piena di eidola, prodotti di esalazione, che, in qualità di effluvi, si introducono negli occhi di "coloro che hanno una vista acuta"44. Si è spesso interpretato questo passo come una trasposizione ai magoi della dottrina atomistica degli effluvi, ma, in primo luogo Sozione non parla di immagini composte di atomi, ma di "fantasmi" che derivano da una "esalazione" (si può ricordare che Aristotele definisce con lo stesso termine l'anima di Eraclito), di esseri cioè "aerei", che vengono percepiti da "chi ha una vista acuta". Se il carattere di "esalazioni" di questi eidola sembra non avere corrispondenza nei testi avestici, il particolare degli ojxuderkei'" è stato considerato originale dagli iranisti ed equiparato45 all'"occhio dell'anima" che permette la visione "spirituale" (menog) ed è posseduto solo da uomini puri e santi. Democrito, caso unico fra i cosiddetti presocratici, aveva attribuito ai sofoiv (oltre che agli animali e agli dèi) ulteriori organi di percezione rispetto ai cinque sensi46. Il parallelismo non è certamente perfetto, ma permette di pensare che il resoconto di Sozione, lungi dall'essere una semplice "traduzione" in termini atomistici della dottrina dei magoi, riproduca invece ciò che sta a monte dell'immagine degli effluvi e degli idoli di Democrito e cioè l'idea che esseri eterei, invisibili, forniti di un proprio pensiero e di una propria coscienza si aggirino nell'aria agendo in qualche modo silenziosamente sugli esseri viventi. I magoi descritti nel papiro di Derveni, allontanano, attraverso incantesimi

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31 B 89 DK. Sull'Empedocle "mago", cf. Kingsley 1995a, 2002, 2003. 82 B 11,10 DK gohteiva" de; kai; mageiva" dissai; tevcnai eu{rhntai, ai{ eijsi yuch'" aJmarthvmata kai; dovxh" ajp athvmata. 82 B 11,10 DK aiJ ga;r e[nqeoi dia; lovgwn ejpwidai; ejp agwgoi; hJdonh'", ajpagwgoi; luvph" givnontai: sugginomev nh ga;r th'i dovxhi th'" yuch' " hJ duvnami" th' " ejpwidh'" e[qelxe kai; e[peise kai; metevsthsen aujth; n gohteiv ai. Sotion Fr. 36 Wehrli (Diog. Laert. 1,7) ajskei'n (scil. tou;" Mavgou") te mantikh;n kai; provrrhsin, kai; qeou;" auj toi'" ej mfanivzesqai levgonta". ajlla; kai; eijdwvlwn plhvrh ei\nai to; n ajevr a, kat ajporroivan uJp ajnaqumiavsew" eijskrinomev nwn tai'" o[y esi tw' n oj xuderkw' n.

De Jong 1997, 218s. con bibliografia. Ps.-Plut. 4,10, 900 A; Stob. 1,51,4 (68 A 116 DK; 86, 438, 520, 572 L.).

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e riti, chiaramente non greci, i demoni ostili47, che evidentemente solo loro sono in grado di vedere, riconoscere e dominare. La dottrina degli idoli di Democrito ha dunque le sue radici in un'atmosfera permeata dagli "incontri coi Magi"48. Non c'è quindi da meravigliarsi che le fonti tarde, inventando aneddoti impossibili, ma non per questo meno significativi, facciano di Democrito un allievo dei Magi49 e che Bolo di Mende abbia preso quest'ultimo come modello per il suo scritto Sulle simpatie e sulle antipatie dove trattava appunto di medicina magica. La dottrina stessa degli effluvi democritei lo suggeriva. La definizione dell'atomo si delinea dunque anche su questo sfondo socio-culturale in cui l'incontro con i magoi ha lasciato le sue tracce. L'idea degli effluvi è direttamente collegata a fenomeni magico-religiosi come le apparizioni di demoni, i sogni profetici, il malocchio, e alle "costrizioni" e alle alterazioni dei corpi da questi provocate. Apparizioni, percezione, malattia hanno tutti la stessa radice, il fatto cioè che i corpi sono porosi e perciò influenzabili, alterabili e distruttibili: l'atomo, a differenza di tutti gli altri corpi, non è nulla di tutto ciò.

5. Atomi e pulviscolo: per una ridefinizione dell'atomo L'atomo degli atomisti è dunque l'unico corpo duro e compatto, l'unico a non emettere e a non ricevere effluvi e, come tale, l'unico a sottrarsi a qualsiasi possibilità di influenza distruttiva. Per quanto riguarda gli effluvi, si può notare che, in linea generale, sono impercettibili anche se si inabissano continuamente nei corpi, ma divengono visibili in casi particolari, come appunto nelle visioni e nei sogni. L'aria ne è tuttavia piena. Proprio a questa miriade di corpuscoli che riempiono l'aria riporta un'immagine che ha sempre suscitato problemi dall'antichità ad oggi e che, a mio parere, è centrale per comprendere la natura dell'atomo: quella del pulviscolo atmosferico. In un controverso passo del De anima Aristotele spiega

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Cf. Burkert 2003, 129 che sottolinea anche il legame fra la rappresentazione dei magoi nel papiro e quella di Sozione. In ogni caso l'allusione ad un sacrificio di uccelli (col. VI,10s.) in relazione alla cacciata di demoni rimanda all'ambito mesopotamico. Nei testi accadici contenenti le istruzioni per riti esorcistici di guarigione viene inscenata una morte del paziente, ma al suo posto ucciso un animale il cui sangue viene fatto colare sul corpo del malato. In questo modo viene ingannato e appagato il demone che ne ha preso possesso. In uno di questi riti il sostituto è appunto una colomba, cf. Ebeling 1931, 83 Nr. 21, 5-7 (verso). In questo contesto di contatti culturali non c'è alcun bisogno di speculare su significati diversi di ojrnivqeion (come Betegh 2004, 76-78). Su questi "incontri" metaforici e reali, cf. in particolare Kingsley 1995b. Diog. Laert. 9,34 (68 A 1 DK; XI L.).

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che gli atomisti identificano l'anima con gli atomi sferici presenti nel pulviscolo: Perciò Democrito dice che essa (scil. l'anima) è una sorta di fuoco e di caldo; essendo infatti infinite le forme e gli atomi, definisce quelle sferiche fuoco e anima, vale a dire: le particelle del cosiddetto pulviscolo atmosferico che si vedono nei raggi del sole che penetrano attraverso le finestre, la cui panspermia egli definisce elementi di tutta la natura (e allo stesso modo Leucippo), di queste, però, quelle di forma rotonda sono l'anima, poiché queste fogge possono insinuarsi con la massima facilità dappertutto e muovere il resto, muovendo se stesse, dal momento che essi (scil. Democrito e Leucippo) ritenevano che l'anima fosse ciò che imprime il movimento agli esseri viventi […] Sembra che anche quanto è stato detto dai Pitagorici abbia lo stesso significato; infatti alcuni di loro hanno detto che l'anima è il pulviscolo atmosferico, altri ciò che lo muove. Di questo si dice che appare muoversi incessantemente anche quando ci sia una completa assenza di vento50.

Il passo è sintatticamente difficile e, in ogni caso, anacolutico. Epicuro e Lucrezio usavano il pulviscolo come una similitudine e altri autori antichi interpretavano il passo di Aristotele allo stesso modo, ma altri ancora, come lo Pseudo-Alessandro e la tradizione dossografica cui fa capo Teodoreto, equiparavano gli atomi al pulviscolo51. Non sono quindi le testimonianze antiche che possono decidere l'interpretazione del passo, ma la sintassi e il senso del contesto. Ora, Aristotele, dopo aver affermato che Democrito nell'infinità degli atomi e delle forme atomiche individua come caratteristici dell'anima quelli sferici, riferisce quanto è contenuto nel testo specifico (oi|on)52 di Democrito riguardante gli xuvsmata: secondo 50

Arist. De an. A 2, 404a 1-21 (67 A 28 DK; 200, 443a, 462 L.) o{qen Dhmovkrito" me;n pu'r ti kai; qermovn fhsin aujth; n (scil. th;n yuch;n) ei\nai: ajpeivrwn ga;r o[ntwn schmavtwn kai; ajtovmwn ta; sfairoeidh' pu'r kai; yuch;n lev gei oi|on ej n tw'i aj evri ta; kalouvmena xuvs mata, a} faivnetai ejn tai'" dia; tw' n qurivdwn ajkti'sin, w|n th; n me;n panspermiv an stoicei'a levgei th'" o{lh" fuvsew" (oJmoivw" de; kai; Leuvkippo"), touvtwn de; ta; sfairoeidh' yuch;n, dia; to; mavlista dia; panto; " duvnasqai diaduv nein tou;" toiouvtou" rJusmou; " kai; kinei' n ta; loipav kinouv mena kai; aujtav, uJpolambav nonte" th; n yuch; n ei\nai to; parevcon toi'" zwvioi" th;n kivnhsin ª...º e[oike de; kai; to; para; tw'n Puqagoreivwn legovmenon th;n auj th;n e[cein diavnoian: e[ fasan gavr tine" aujtw' n yuch; n ei\nai ta; ej n tw'i ajevri xuvsmata, oiJ de; to; tau'ta kinou'n. peri; de; touvtwn ei[rhtai o{ti sunecw'" faiv netai kinouvmena, ka] n h\i nhnemiva pantelhv".

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Per l'uso della similitudine in Epicuro, cf. Gal. De nat. fac. 1,14 (III,136,25 Helmreich = II,49 K.) (Ep. Fr. 293 Us.) naiv, fhsiv, smikra; ga;r aujta; crh; pavnu noei'n, w{ste tw'n ejmfero-

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mevnwn tw'i ajevri yhgmav twn touvtwn dh; tw' n smikrotavtwn ejkeivnwn e{ kaston muriosto;n ei\nai mevro". Cf. anche Lucr. 2,114. Per gli altri autori, cf. supra, VI 3. 2. 4. Per l'uso di oi|on per introdurre il contenuto di testi specifici di autori cui Aristotele fa riferimento, atto a spiegare la sua deduzione, cf. Metaph. M 4, 1078b 21 oiJ de; Puqagovreioi provteron periv tinwn ojlivgwn, w|n tou; " lovgou" eij" tou; " ajriqmou;" aj nh'pton, oi|on tiv ejsti kairo;" h] to; divkaion h] gavmo". Arist. Phys. D 6, 213b 15 a[llon (scil. trovpon) dæ o{ti faivnetai e[nia suniovnta kai; pilouvmena, oi|on kai; to; n oi\nov n fasi devcesqai meta; tw'n ajskw'n tou; " pivqou", wJ" eij" ta; ejnov nta kena; suniovnto" tou'p uknomev nou swv mato". Per altri casi in cui oi|on introduce un esempio e non una similitudine, cf. Phys. D 9, 216b 27 levgw d oi|on eij ejx

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quest'ultimo la loro mescolanza (w|n th;n me;n panspermivan) è il fondamento di tutta la natura e, fra questi, quelli rotondi (touvtwn de; ta; sfairoeidh') sono atomi dell'anima perché sono più mobili e penetranti. Il tutto risulta ambiguo forse perché Aristotele stesso, come in altri casi in cui il testo cui aveva accesso non corrispondeva alle sue categorie di pensiero e alle sue definizioni di atomo, aveva difficoltà ad adattarlo. Diels aveva comunque capito che il testo così com'è presuppone una identificazione di atomi e pulviscolo e, per evitare l'incongruenza con le opinioni comuni sull'atomo, aveva drasticamente espunto il passo da ta; sfairoeidh' fino a w|n. Gli interpreti moderni hanno invece cercato di farne un paragone cambiando variamente la punteggiatura, ma i pronomi al genitivo plurale w|n e touvtwn si riferiscono al pulviscolo e non alle forme e agli atomi della frase precedente53. Che sia da intendere come una equivalenza è del resto deducibile anche dal seguito del brano. Aristotele dice infatti che le concezioni pitagoriche hanno lo stesso significato. E i Pitagorici vedono nel pulviscolo, o l'anima o le particelle da questa mosse54. Ne consegue che anche per Democrito e Leucippo il pulviscolo è un insieme di atomi che compongono la natura compresi quelli sferici dell'anima che li muove tutti. A questo proposito è importante un'ulteriore testimonianza, da una traduzione araba di un'opera greca non ben identificata (forse Galeno De demonstratione). Non si tratta di una falsificazione, come ribadisce Strohmaier, l'arabista editore del frammento, anzi il passo sembra una citazione letterale: Affermazione di Democrito —l'uomo del pulviscolo e delle parti che non possono essere divise—, egli dice: "la composizione dei corpi deriva dal pulviscolo sottilissimo che è sparso nell'aria e diviene visibile nel raggio di sole. Una prova di ciò è la seguente: se ci si pone nel raggio e ci si gratta il corpo, un tale pulviscolo sale in alto da questo e si stacca dalla pelle in modo tale che, se si continua a grattare, la pelle si squama. Egli diceva: e questo squamarsi si verifica a causa

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u{dato" kuavqou gev gonen ajhvr, a{ma ejx i[sou aj evro" u{dwr tosou'ton gegenh's qai. Cf. anche De cael. G 8, 306b 33. Cf. Hicks 1907, 213 ad loc.. Hicks mette, come la maggior parte degli editori della testimonianza democritea, fra parentesi oi|on ... ajkti'sin, ma questo crea problemi sintattici e semantici. w|n e touvtwn sono troppo lontani da schmavtwn e ajtovmwn, mentre il loro riferimento a xuvsmata non presenta problemi. Se inoltre quella con il pulviscolo fosse una similitudine enunciata per inciso, essa rimarrebbe senza termini di riferimento (a che cosa è simile il pulviscolo: all'anima o agli atomi in generale? e in che cosa è simile?). Il senso invece è chiaro se si considera l'identità di atomi e pulviscolo: il pulviscolo è fatto di atomi di ogni genere di cui quelli sferici, che imprimono con la loro velocità il movimento agli altri corpuscoli, sono l'anima. Quest'ultima tesi è probabilmente quella di Ecfanto secondo cui gli atomi venivano mossi da una qeiva duvnami" che egli identificava con l'intelligenza e con l'anima 51 1 DK (Hippol. Ref. 1,15).

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del ridursi di ciò che della struttura corporea composta da quelle parti che non vengono divise viene distrutto"55.

Al di là dello stile perifrastico, tipico delle traduzioni arabe, i punti fondamentali sono chiari e consistono in una tesi (i corpi sono fatti di pulviscolo-atomi) e in una prova (il grattarsi al sole mostra che la pelle si squama e che il pulviscolo che la compone si stacca e sale). L'enunciazione di una tesi seguita dalla prova che deve corroborarla è un procedimento tipico negli autori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. come Erodoto, e i medici ippocratici56. Shmei'on o tekmhvrion è generalmente l'espressione caratteristica che la introduce. Il più grosso ostacolo a considerare il pulviscolo non come un'analogia, ma come un'identificazione con gli atomi sta nel fatto che questi ultimi sono definiti nelle testimonianze antiche da Aristotele in poi sempre come invisibili. Questo tuttavia non costituisce un problema. Gli atomi sono in effetti invisibili così come lo sono gli eidola che si aggirano nell'aria, ma, come questi ultimi, in certe particolari condizioni, possono diventare visibili. Questo non viene ovviamente detto da Aristotele o dagli altri autori perché la loro definizione di atomo non lo permette e forse non veniva neppure fatto notare esplicitamente dagli atomisti, ma dato per scontato. Sono gli Epicurei che, individuando un problema, hanno trasformato l'esempio del pulviscolo da una prova dell'esistenza dell'atomo ad una analogia con l'atomo57. Anche queste rappresentazioni del pulviscolo rimandano ad un quadro dell'atomismo meno rigido dal punto di vista teorico e più vicino alla realtà dei fenomeni: il pulviscolo apre, a chi sa guardarlo con l'occhio acuto della gnwvmh, la vista sull'invisibile e conferma appunto che i corpi sono fatti di piccolissime particelle. Non bisogna dimenticare che questo fenomeno veniva una utilizzato come "prova-tipo" anche per altre ipotesi. Anassagora se ne serviva per spiegare come mai di notte i suoni si sentissero meglio che di giorno: di giorno infatti l'aria, riscaldata dal sole, è scossa da tremiti e sussulti come si può vedere dal pulviscolo che appare

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Ibn al-Matran [12. sec. d.C.] (Strohmaier 1968, 2 [1996, 4]) Feststellung des Demokrates— das ist der Mann mit dem Staub und den Teilen, die nicht geteilt werden, er sagt: "Die Zusammensetzung der Körper ist aus dem ganz feinen Staub, der in der Luft verteilt ist und der im Sonnenstrahl sichtbar wird. Ein Beweis dafür ist: Wenn man sich in ihn hineinstellt und seinen Körper kratzt, steigt von ihm solcher Staub auf und nimmt von der Haut ab, so dass die Haut abgeschält wird, wenn das Kratzen andauert. Er sagte: und dieses Abgeschältwerden ist wegen der Verminderung dessen, was von dem Bau des Körpers aus jenen Teilen, die nicht geteilt werden, zerstört ist". Cf. Thomas 2000, 190-200. Per una trattazione dettagliata delle possibili difficoltà e della loro soluzione rimando a Strohmaier 1968 [1996].

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attraverso la luce. Sono queste particelle che, sibilando e strepitando, sono di ostacolo al propagarsi del suono58.

6. Il "metodo" 6. 1. Il sostrato "tecnico" del "metodo" democriteo: caso e causalità Quanto detto nei paragrafi precedenti introduce il discorso sul metodo democriteo, un discorso importante, perché costituisce la guida per l'interpretazione delle testimonianze e dei frammenti al di là delle opinioni antiche e moderne sulle sue dottrine. Sopra si è accennato alla famosa massima secondo cui nulla avviene per caso, ma per una ragione e sotto la spinta di una ajnavgkh. Se si individuano ogni volta l'ajnavgkh e le condizioni che ne hanno reso possibile l'azione (si fornisce cioè un logos di quanto avviene), non solo si può comprendere un fenomeno, ma si possono prevenirne o limitarne gli effetti e riprodurre altre condizioni simili quando ci sia necessità di provocarlo. L'esasperata ricerca democritea delle cause59 si inserisce in un discorso più ampio che si sviluppa negli ultimi decenni del V sec. a.C. sul sapere e la capacità tecnica e il loro rapporto con gli effetti della fortuna e del caso. La medicina è appunto una techne in quanto ha trovato cause e rimedi e sa come scoprire dove la malattia si nasconde interpretandone i segni e provocandoli ad arte. Il caso è il grande assente nell'arte come afferma l'autore dello scritto ippocratico De arte. Non si può guarire "da sé", spontaneamente e casualmente e, anche quando sembra che così avvenga, è perché coloro che guariscono hanno applicato senza saperlo le regole della medicina e quei rimedi naturali o artificiali che rientrano nel suo dominio. Il "da sé" infatti rivela la sua inesistenza alla prova dei fatti: infatti si troverebbe che tutto ciò che si verifica, si verifica per una causa e, nel fatto che c'è una causa, il "da sé" rivela che non ha un'esistenza se non in quanto nome; la medicina, invece, sia nel fatto che riconosce le cause che nel fatto che fa delle previsioni, rivela e rivelerà sempre la sua esistenza. Queste sono le cose che si possono dire a coloro che attribuiscono la salute al caso e la sottraggono all'arte.60 58 59 60

59 A 74 DK (Plut. Quaest. conv. 722 A; [Arist.] Probl. 903a 7). Dionys. ap. Eus. Praep. ev. 14,27,4 (68 B 118 DK; LVIII, 29 L.). De arte 6,4 (230,15 Jouanna = VI,10 Littré) to; me;n ga;r aujtovmaton oujde;n faivnetai ejo;n ejlegcovmenon: pa'n ga;r to; ginovmenon diav ti euJrivskoit a] n ginovmenon, kai; ejn tw'i diav ti to; aujtovmaton ouj faivnetai oujsivhn e[con oujdemivan ajll h] o[ noma: hJ de; ijhtrikh; kai; ej n toi'si diav ti kai; ej n toi'si pronoeumev noisi faivnetaiv te kai; fanei'tai aijei; oujsivh n e[ cousa. toi'si me; n ou\n th'i tuvchi th;n uJ gieivhn prostiqei'si, th;n de; tevc nhn ajf airevousi, toiauv t a[ n ti" levgoi. Il

passo è già stato messo in relazione con il frammento democriteo da Diller 1975, 87. Cf. anche Loc. in hom. 46 (76,6-77,4 Joly = VI,342-344 Littré). Sul fatto che le scoperte della

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Il discorso sulla casualità e la causalità espresso nel passo ippocratico si inserisce nella discussione specifica sull'esistenza delle arti scatenata dai Sofisti stessi i quali, invadendo il campo degli specialisti, cercavano di dimostrare che non esiste un sapere tecnico limitato ad un gruppo ristretto, ma che la techne è alla portata di tutti perché dipende in larga parte dalla fortuna e dal caso. Un'eco di queste concezioni, si ritrova in alcuni autori dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Ione di Chio, secondo Plutarco, diceva che la fortuna, sebbene sia così differente dall'abilità tecnica (sofiva), produce effetti molto simili a quest'ultima61. Il poeta Agatone, anch'egli come Ione contemporaneo di Euripide, affermava che "l'arte ama il caso e il caso l'arte"62. In questo contesto va inquadrata anche l'affermazione di Democrito secondo cui gli uomini si sono inventati il fantasma del caso per giustificare la propria sconsideratezza. Raramente infatti il caso si oppone all'intelligenza e una vista acuta e perspicace guida la maggior parte delle azioni nella vita63.

Democrito estende all'"arte di vivere" quella concezione che i medici applicavano all'arte medica. La vista acuta e perspicace è quell'occhio esperto che l'autore del De arte attribuisce allo specialista e che permette di scoprire al di là del "caso" la vere ragioni del fenomeno. Eudemo collegava la concezione democritea della casualità e della causalità nell'ambito della fisica proprio al discorso presente nel De arte e nei frammenti degli autori succitati. Egli infatti, sulla scia di Aristotele, attribuiva a Democrito una casualità nella spiegazione della formazione del cosmo, ma una rigida causalità in quella di altri fenomeni. Ma anche Democrito laddove dice "un vortice di forme di ogni genere si staccò dal tutto (come e per quale causa non lo dice) sembra che abbia fatto generare il mondo da sé e per caso. E Anassagora compone la pluralità delle cose lasciando da parte il Nous, come dice Eudemo, e facendole nascere spontaneamente. E alcuni fra i poeti riconducono al caso quasi tutto facendolo diventare una prerogativa dell'arte dicendo "l'arte ama il caso e il caso l'arte". E dicono che il fortunato ha senno. Inoltre vediamo che alcune cose che si verificano in virtù dell'arte, si

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medicina sono avvenute perché si è usato il logismov" e non ajpo; tuvch", cf. anche VM 12,2 (132,18 Jouanna = I,596 Littré). Plut. De fort. Rom. 316 D; Quaest. conv. 717 A (36 B 3 DK). Fr. 6 Snell-Kannicht tevcnh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tevc nhn. Stob. 2,8,16 (68 B 119 DK; 32 L.) a[nqrwpoi tuvch" ei[dwlon ejplavsanto, provfasin ijdivh" ajboulivh". baia; ga;r fronhvsei tuvch mavc etai, ta; de; plei'sta ej n bivwi eujxuv neto" ojxuderkeivh katiquv nei. ojxuderkeivh è una correzione di Diels per ojxuderkei'n di F e P. Cf. anche [Hippocr.] Loc. hom. 46,3 (76,26 Joly = VI,342 Littré) o{sti" de; th;n tuchn h] a[llou tino;" ejxelav sei, favmeno" ouj tou; " kalw'" ti prh' gma ejpistamevnou" crh'sqai tuvchi, to; uJp enantivon dokei' moi ginwvskein: ej moi; ga;r dokevousi mou'noi kai; ejpitugcavnein kai; aj tucei' n oiJ kalw'" ti kai; kakw'" prh'xai ejpistav menoi: ejpitugcav nein te ga;r tou't ejsti; to; kalw'" poiei'n, tou'to de; oiJ ejpistavmenoi poievousin: ajtucei'n dev, tou' t ejsti; n o} a[ n ti" mh; ejpiv sthtai, tou'to mh; kalw'" poiei' n: aj maqh;" de; ejwvn, pw' " a]n ejpituvcoi…

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verificano anche in virtù del caso; e infatti la salute sembra prodursi in virtù del caso come in virtù dell'arte. Infatti un tale, avendo sete e bevendo acqua fredda, ha riacquistato la salute. Ma forse, come dice Democrito, non è il caso la causa, ma l'aver sete64.

L'aver sete, l'ananke che spinge a bere acqua fredda, è un processo che cade sotto il dominio della medicina. L'autore del De arte cita il bere o l'astenersi dal bere, così come il mangiare e il suo contrario come applicazioni inconsapevoli di rimedi che hanno insegnato ciò che aiuta o danneggia e che rientrano nell'ambito dell'arte medica, non del caso65. L'eziologia democritea, dunque, lungi dall'essere un'escrescenza paradossale in una cosmogonia dominata dal caso come Aristotele la presenta, è un metodo perfettamente integrato in una visione "tecnica" dell'indagine sulla natura: nulla deve sfuggire all'occhio esperto di chi si spinge alla ricerca delle ajnavgkai. Anche il "da sé" all'origine del cosmo democriteo è solo apparente; in realtà è l'ajnavgkh fuvsew", la "costrizione naturale", che fa scontrare e incontrare gli atomi in modo tale da creare le condizioni per la generazione del cosmo, ma che non ha bisogno di essere spiegata perché è riconosciuta da tutti come il motore dell'universo. 6. 2. La visione dell'invisibile Il discorso sulla casualità e la causalità è dunque collegato ad un sapere particolare, specialistico, che non è alla portata di tutti, ma solo di coloro che riescono a scoprire, al di là di ciò che può sembrare casuale, le vere cause del fenomeno, per lo più invisibili. "I fenomeni sono una vista delle cose invisibili" è una famosa massima che sintetizza i procedimenti sia 64

Eud. Fr. 53 Wehrli (Simpl. In Phys. 195b 31, 327,24) (68 A 67; B 167 DK; 19, 288 L.) ajlla; kai; Dhmovkrito" ej n oi|" fhsi Ædei'non ajpo; tou' panto; " ajpokriqh'nai pantoiv wn eijdevw nÆ (pw'" de; kai; uJpo; tivno" aijtiv a" mh; lev gei) e[oiken ajpo; taujtomavtou kai; tuvch" genna'n aujtov n. kai; Anaxagovr a" de; to; n nou' n ej avsa", w{" fhsin Eu[dhmo", kai; aujtomativzwn ta; polla; sunivsthsi. kai; tw'n poihtw'n de; e[nioi pavnta scedo;n eij " th;n tuvchn a[ gousin, w{ste kai; th'" tevcnh" oijkeiv an aujth;n poiei'n lev gonte" Ætevc nh tuvchn e[sterxe kai; tuvch tev cnhnÆ. to;n euj tucou'nta de; kai; fronei' n fasi. pro;" de; touvtoi" oJrw'men e[nia tw' n ajpo; tev cnh" ginomev nwn kai; ajpo; tuvch" ginov mena: kai; ga;r uJ giveia kai; ajpo; tuvch" dokei' giv nesqai w{s per ajpo; tevc nh". diyhvsa" ga;r kai; piwvn ti" yucro;n u{dwr gevgonen uJ gihv". ajllæ i[sw" ou[ fhsi Dhmovkrito" th; n tuvchn aijtivan ei\nai ajlla; to; diyh'sai. Cf. anche il famoso discorso "che elimina il caso"

riportato ancora da Eudemo Fr. 54a Wehrli (Simpl. In Phys. 196a 11, 330,14) (68 A 68 DK; 24, 99 L.) to; de; kaqavper oJ palaio;" lovgo" oJ ajnairw'n th;n tuvchn pro;" Dhmovkriton e[oiken

eijrh'sqai: ejkei'no" ga;r ka]n ejn th'i kosmopoiivai ejdovkei th'i tuvchi kecrh's qai, ajllæ ejn toi'" merikwtevroi" oujd enov " fhsin ei\ nai th; n tuvchn aijtiv an ajnafevrwn eij " a[lla" aijtiva", oi|on tou' qhsauro;n euJrei'n to; skavptein h] th; n futeiv an th'" ejlaiv a", tou' de; katagh'nai tou' falakrou' to; kranivon to;n ajeto; n rJivyanta th; n celwv nhn, o{pw" to; celwv nion rJagh'i. ou{tw" ga;r oJ Eu[dhmo" iJstorei'. 65

De arte 5,4 (228,15-229,4 Jouanna = VI,8 Littré).

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delle arti, sia della ricerca sulla natura per tutta la seconda metà del V sec. a.C. Anassagora sembra averla enunciata, Democrito l'ha approvata ed applicata66 e così anche i polymatheis come Erodoto e i medici del Corpus Hippocraticum. Il procedimento, al di là della sua teorizzazione conscia, è naturalmente ben più antico e corrente nelle singole arti a cominciare dalla divinazione tecnica, dalla medicina, dall'agricoltura, dalla navigazione e così via. Dalla seconda metà del V sec. a.C. emerge tuttavia come presupposto conscio e come tale viene ripetutamente citato dai vari autori. Diller negli anni '3067 aveva individuato due tipi di procedimento che conducono dal visibile all'invisibile: 1. analogico, che presupporrebbe una identità di fondo fra i diversi ambiti del cosmo e fra le cose che lo popolano e chiarirebbe il fenomeno nascosto istituendo un confronto con un fenomeno visibile, 2. semeiotico, che istituirebbe una relazione diretta di causa ed effetto fra il visibile e l'invisibile. Il fenomeno è causato da un processo nascosto che può essere intuito osservandone gli effetti. Ambedue questi metodi si inseriscono in un discorso più ampio sull'interpretazione dei segni su cui si ritornerà più oltre. Qui vale la pena soffermarsi su ciascuno di questi due punti in una prospettiva diversa rispetto a quella di Diller e di altri dominata dai modelli epistemologici moderni. La massima stessa o[yi" ajdhvl wn ta; fainovmena indirizza infatti primariamente non verso un procedimento "scientifico" empirico-induttivo in senso moderno, ma piuttosto verso un procedimento "retorico" e comunicativo, quello cioè della "visualizzazione dell'invisibile", che corrisponde in ultima analisi allo scopo dei discorsi e degli scritti di questo periodo. Si tratta, come si vedrà, di un cardine non solo del "metodo" democriteo, ma della fisica e della medicina del V sec. a.C. in generale. 6. 2. 1. Visualizzare l'invisibile: l'immagine analogica Diller giudicava l'analogia un procedimento "arcaico"68 e riteneva perciò di individuarne solo sporadici esempi in Democrito. In realtà questo procedimento non è né arcaico né rozzamente esplicativo, ma tende soprattutto, come hanno evidenziato alcuni studi sulle similitudini omeriche, a rendere immediatamente "evidente" e "presente" a chi ascolta, il fenomeno che si sta descrivendo, è insomma un mezzo per "visualizzare" e

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Sext. Emp. Adv. Math. 7,140 (59 B 21a DK; 68 A 111 DK; 81 L.). Diller 1932, 17ss. Diller 1932, 36s.; cf. anche Mau 1952-53, 6.

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suscitare emozioni corrispondenti nella memoria dell'ascoltatore69. In questo senso l'uso dell'analogia va inquadrato nel contesto più ampio della definizione della figura del meteorologos (così viene designato il filosofo della natura) che si va delineando nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Gorgia attribuisce proprio ai Meteorologoi una particolare capacità di visualizzare l'invisibile. Sono loro infatti che, nei loro discorsi, "fanno apparire agli occhi dell'opinione l'incredibile e l'invisibile"70. L'analogia, in quanto strumento di "visualizzazione" e di "impatto" sul pubblico, lungi dall'essere un residuo "arcaico", è un procedimento fondamentale nella fisica dell'ultimo terzo del V sec. a.C. e si armonizza perfettamente con quello che in questo periodo veniva visto come lo scopo della "ricerca" (iJstoriva), anche quella sulla natura, cioè il qewrei'n. Nel suo uso originario questo verbo, così come il corrispondente sostantivo qewriva non implica una egocentrica contemplazione, ma ha una forte connotazione sociale: è un "osservare per riferire". La theoria era infatti un incarico ufficiale affidato dalla città a eminenti personaggi i quali avevano il compito di assistere a feste e partecipare alle corrispondenti cerimonie religiose di altre città per poi riferire al loro ritorno ai concittadini quanto avevano visto71. Sebbene nell'ultimo quarto del V sec. a.C. il significato del termine si evolva sempre di più verso l'aspetto della contemplazione fine a se stessa, il filosofo della natura che "osserva"72 con gli occhi della gnwvmh, ma comunica anche ad un pubblico quanto ha visto, mantiene comunque in parte anche questo ruolo pratico del theoros, presentandosi come mediatore dell'invisibile: egli visualizza attraverso immagini ciò che i profani non riescono a vedere e "trasporta" il suo pubblico in un ambito che gli viene normalmente precluso. In quanto tramite con gli ajfanh' egli si pone come figura di riferimento sullo stesso piano del mantis o del magos che vedono l'invisibile per dono divino, prendendo però nel contempo le distanze da una certa am-

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Questa funzione della similitudine omerica era già stata sottolineata da Fränkel nella sua Habilitationsschrift sul tema (1921, 98s.) ed è stata ripresa in alcuni studi sull'epica omerica dell'ultimo decennio, cf. in particolare Bakker 2005, 134s.; Minchin 2001, cap. IV. L'aspetto della visualizzazione in singoli termini tecnici democritei era già stato colto da von Fritz 1938, 25-30. Per l'analogia in questa funzione nel Corpus Hippocraticum, cf. Langholf 1987 con bibliografia. 82 B 11,13 DK …tou;" tw'n metewrolovgwn lovgou", oi{tine" dovxan ajnti; dovxh" th;n me;n ajfelovmenoi th;n d ejnergasavmenoi ta; a[pista kai; a[dhla faivnesqai toi'" th'" dovxh" o[mmasin ejpoivhsan.

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Sul significato di theoria e sull'evoluzione semantica del termine, cf. Rausch 1982; Nightingale 2004 esplora soprattutto l'aspetto filosofico del termine dal IV sec. a.C. in poi. Cf. Eur. Fr. 910,5s. Kannicht. ajllæ ajq anavtou kaqorw'n fuvs ew"/ kovsmon ajghvrwn, supra n. 2. Questo frammento, insieme all'affermazione di Gorgia è un chiaro segno che la "visione" è, contrariamente a quanto afferma Nightingale 2004, 32s., un elemento fondamentale nella ricerca sulla natura già nel V sec. a.C.

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biguità insita in quelle figure. Il fisico si limita infatti a "contemplare" la natura senza alcuna velleità di manipolarla73. Nonostante Diller, dunque, l'uso dell'analogia si inserisce perfettamente nel quadro della ricerca sulla natura e soprattutto della mediazione di questo sapere ad un pubblico di profani colti, non solo, ma è ampiamente documentato nei testi di e nelle testimonianze su Democrito che Diller non conosceva o aveva sottovalutato. Egli citava solo due esempi analogici: la formazione del vento, spiegata attraverso l'esempio dell'affollamento di molte persone in una strada stretta74, e l'attrazione dei simili esemplificata attraverso l'aggregazione degli animali, dei semi setacciati e dei ciottoli raggruppati dal movimento ondulatorio del mare75. Tuttavia immagini analogiche che rimandano all'ambito socio-politico, medico, tecnico, giocano, come si è già visto, un ruolo fondamentale nella descrizione delle caratteristiche dell'atomo e in generale in tutta la fisica democritea come del resto nei contemporanei scritti ippocratici76. Altre evidenziano in particolare la stretta relazione fra microcosmo e macrocosmo, corpo umano e fenomeni meteorologici o parti del cosmo, confermando testimonianze tarde e controverse secondo cui Democrito avrebbe affermato che "l'uomo è un piccolo cosmo"77. Le vene sono "cisterne" (dexamenaiv)78, in una analogia che mette sullo stesso piano il "corpo" terrestre e quello umano e che anticipa di gran lunga la concezione stoica79. L'orecchio è un "serbatoio di discorsi" (ejkdocei'on muvqwn) in quanto raccoglie e trattiene la voce come in un vaso80. Navigazione e tempeste sono invece preponderanti nella rappresentazione dell'embrione: il cordone ombelicale è un "un ancoraggio contro violenta burrasca e vagare errabondo"81. Il feto nelle zone settentrionali, dove regna il gelo e soffia Borea, si mantiene saldo nell'utero e "non viene scosso come da

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Cf. su questo tema Gemelli Marciano 2006, 225-229. Sen. Nat. quaest. 5,2 (68 A 93a DK; 12, 371 L.). Sext. Emp. Adv. Math. 7,116 (68 B 164 DK; 11, 316 L.). Cfr. anche Ps.-Plut. 4,19, 902 CD; (68 A 128 DK; 11, 316, 491, 565 L.). Sulle analogie esplicite ed "implicite", cioè sotto forma di immagini e metafore negli scritti ippocratici, cf. Langholf 1989. Gal. De usu Part. 3,10 (I,177,10 Helmreich = III,241 K.); David Prol. 38,14 (68 B 34 DK; 10 L.). Hesych. s.v. dexamenaiv (68 B 135 DK; 828 L.) uJdavtwn docei'a, kai; ejn tw'i swvmati flevbe". Dhmokrivtou. V. anche supra, V 4 n. 103. Cf. Gemelli Marciano 2007, 234. Porph. In Ptolem. Harm. 32,10 (68 A 126a DK; 480, 489 L.). Plut. De am. prol. 495 E (68 B 148 DK; 537 L.), v. supra, n. 30.

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marosi" poiché rimane "al riparo dai flutti e in bonaccia"82. Non si deve dimenticare che, nell'anatomia ippocratica, e in generale nella medicina fino a Sorano, l'utero è un organo "vagante"83 e quindi, per definizione, instabile e che la descrizione dell'embrione è perciò perfettamente in consonanza con l'immagine di una nave fluttuante sul mare in burrasca. Anche il percorso analogico contrario, dai fenomeni del corpo a quelli cosmici, veniva utilizzato da Democrito e da Leucippo. La cosmogonia stessa, come si è già visto, è basata sull'analogia con la formazione dell'embrione, ma anche nell'eziologia dei terremoti compariva un'esplicita analogia con la fisiologia umana: i terremoti che si verificano quando la terra è molto secca sono dovuti al fatto che le parti più secche attirano l'acqua che si trova nei rivoli sotterranei la quale, cadendo, fa tremare la terra. Allo stesso modo il corpo è scosso da un tremito quando, nella vescica vuota, affluiscono aria e liquido caldo84. L'autore del trattato ippocratico De morbis IV, che si serve ampiamente di esempi analogici, usa, al contrario, un esperimento dal mondo inanimato, e cioè il procedimento di estrazione del ferro attraverso successive combustioni, per spiegare lo sviluppo dei calcoli nella vescica sottolineando che, in quel caso, ciò che avviene "è ben visibile"(kai; o[yei oJra'tai to; ginovmenon)85. L'analogia fra due ambiti zoologici sta invece alla base di un attributo dell'osso frontale dei buoi, tenqrhniwvdh", un termine che Eliano qualifica espressamente come democriteo spiegandolo poi come shraggw'de"86. Tenqrhvnion è il favo, tenqrhniwvdh" significa dunque "pieno di cellette come un favo" cioè poroso. In effetti i buoi senza corna hanno un osso frontale "respingente" (ajntivtupo") il quale non può accogliere il "flusso congiunto" (surroiva) degli umori che arrivano dall'interno del corpo e farli passare all'esterno come avviene nel caso della normale crescita delle corna. Le analogie non si limitano però ai corpi viventi, ma si estendono anche agli oggetti inanimati. Democrito spiegava la sensazione della conti82

Ael. Hist. nat. 12,17 (68 A 152 DK; 521 L.) eij de; ei[h pavgo" kai; borra'" katapnevoi, sumpevphge me; n to; e[mbruon, duskivnhton dev ejsti kai; ouj taravttetai wJ " uJpo; kluvdwno", a{ te de; a[kluston kai; ej n galhvnhi o]n e[rrwtaiv te kai; e[sti suv ntonon.

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Cf. e.g. Manuli 1983, 156-158; Hanson 1991, 81-87; Dean-Jones 1994, 69-77. Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) "zur Zeit fehlenden Regens hingegen entstehen die Erdbeben, weil dann, wenn die Erde trocken ist, sie die Feuchtigkeit mit dem ihr eigenen Verlangen zu sich zieht. Und wenn ebenso das, was sie von den Wasserläufen in ihr anzieht, herabfällt, bewegt es sie wegen seiner Nähe zu ihr, und es entstehen Erdbeben, so wie der Wind und die Warme Flüssigkeit ein Zittern im ganzen Körper verursachen, wenn sie nach der Entleerung des Urins in die Blase eindringen". Questa teoria è nel testo espressamente attribuita a Democrito. Morb. IV 55,3 (118,3 Joly = VII,602 Littré). Ael. Hist. nat. 12,20 (68 A 155 DK; 542 L.), v. supra, III 4. 2. 2 n. 146.

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nuità della via lattea con l'esempio del sale: davanti ad un insieme fittissimo di minutissimi granelli di sale sparsi su una superficie, abbiamo la sensazione di un corpo continuo87. Nel caso della via lattea, gioca anche la distanza, ma il principio rimane lo stesso. Questo esempio è anche nel contempo un indizio del fatto che i corpi apparentemente continui sono invece composti di minutissimi corpuscoli. I terremoti che si verificano dopo forti piogge venivano spiegati attraverso l'analogia con i vasi pieni di mosto. I corsi d'acqua che scorrono nella terra, a causa di queste piogge, vengono invasi da una quantità di acqua che essi non sono in grado di contenere. Le acque che già vi scorrono si rivolgono su se stesse ed esercitano, con quelle che vi affluiscono, una reciproca pressione che scuote la terra. Allo stesso modo i vasi che vengono riempiti di mosto più del dovuto si crepano e si rompono per effetto dei "venti" che vi si sviluppano88. I vasi vengono ancora impiegati per instaurare un'altra analogia con fenomeni meteorologici come la formazione della neve: a differenza della grandine, che è ghiaccio compatto, la neve si scioglie facilmente. Questo perché si forma non a grandi altezze, ma nello strato di aria vicino alla terra che trattiene, in quanto più compatto, il calore che ha ricevuto dal sole. Per dimostrare questo fatto Democrito citava un'analogia: se si pongono al sole un vaso di bronzo e uno di vetro, il primo si riscalderà più velocemente e conserverà il calore più a lungo perché i corpi più duri e compatti hanno pori più piccoli e sentono prima il calore 89. L'analogia con 87

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Achill. Isag. 24, 55,24 Maas (68 A 91 DK; 418 L.) a[lloi de; ejk mikrw'n pavnu kai; pepuknwmev nwn kai; hJmi' n dokouv ntwn hJnw'sqai dia; to; diavsthma to; ajpo; tou' oujranou' ejpi; th;n gh'n ajstevrwn aujto;n ei\ naiv fasin, wJ" ei[ ti" aJlavsi leptoi'" kai; polloi'" katapav seiev ti. Achille è l'unico a riportare l'analogia del sale. La concezione democritea della via lattea compare senza l'esempio analogico anche in Aristotele (Meteor. A 8, 345a 25), e nella dossografia (Ps.-Plut. 3,1, 893 A; Stob. 1,27,1 = 68 A 91 DK; 418 L.). Cfr. anche Posid. F 130 E.-K. (Macr. In somn. Scip. 1,15,6 Democritus innumeras stellas brevesque omnes, quae spisso tractu in unum coactae, spatiis quae angustissima interiacent opertis, vicinae sibi undique et ideo passim diffusae lucis aspergine continuum iuncti luminis corpus ostendunt). Un'ulteriore testimonianza anonima, ma sicuramente relativa a teorie democritee in quanto la formulazione è del tutto simile a quella di Macrobio, si ritrova in Sen. Nat. quaest. 7,12,1. Olymp. ar. Meteor. (Strohmaier 1998, 363) In der Erde sind gefüllte Wasserläufe, und wenn aus diesem Grunde in die Wasserläufe aus den Quellen zur Zeit des Regens viel andere Gewässer eindringen und mehr als sie fassen können, wenden sich diese Gewässer zurück und bedrängen sich gegenseitig auf eine Weise, dass es die Erde erschüttert, so wie die Mostkrüge platzen und zerbrechen, wenn sie mehr als zulässig gefüllt werden, wegen der Winde, die davon entstehen. Sen. Nat. quaest. 4,8,1 Unam rem ad hoc adiciam et favere te ac plaudere iuvabit. Aiunt nivem in ea parte aeris fieri quae prope terras est. Hanc enim plus habere caloris ex quattuor causis […] 9,1 Accedit his ratio Democriti: «Omne corpus, quo solidius est, hoc calorem citius concipit, diutius servat. Itaque si in sole posueris aeneum vas et vitreum, aeneo citius calor accedet, diutius haerebit». Adicit deinde quare hoc existimet fieri. «His, inquit, corporibus quae duriora et pressiora sunt necesse est minora foramina esse et tenuiorem in singulis spiritum»; sequitur ut quemadmodum minora balnearia et minora miliaria citius calefiunt, sic haec foramina occulta et oculos effugientia et celerius fervorem sentiant et propter easdem angu-

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la clessidra (usata dagli autori del V sec. a.C. in diversi contesti) veniva impiegata per spiegare perché la terra sta immobile sopra l'aria90. L'analogia pervade anche il dominio dell'atomo. Nastovn è un dolce o un pane compatto usato talvolta come dolce sacrificale, il movimento degli atomi viene descritto con un linguaggio della sfera politico-militare come si è già visto. Qui si può aggiungere ancora qualche esempio. Democrito definiva la spinta dinamica degli atomi che vanno verso l'alto sou'n, termine spartano per indicare la "carica", come risulta dal Cratilo platonico91 ed equiparava l'azione degli atomi del caldo di tenere sospese sull'acqua le lamine larghe e piatte ad un "tenere all'ancora", un termine tecnico della navigazione 92. E' Aristotele a restituire questi due termini e a parafrasare il contesto in cui essi erano contenuti infatti si pone ora il problema del perché le lamine di ferro larghe e il piombo galleggino sull'acqua93, altre, invece, più piccole e meno pesanti, quando siano di forma rotonda o allungata come un'ago, siano trascinate verso il basso, e del perché alcuni corpuscoli, come il pulviscolo e altri piccoli frammenti di terra e di polvere, fluttuino per la piccolezza nell'aria. Il ritenere causa di tutti questi fenomeni quella che adduce Democrito, non è esatto. Quello infatti dice che gli atomi del caldo che dall'acqua salgono in alto "tengono all'ancora" i corpi larghi fra quelli pesanti, quelli stretti, invece precipitano; pochi sono infatti gli atomi che fanno loro resistenza. Ma questo dovrebbe verificarsi a maggior ragione nell'aria, una obiezione che lui stesso solleva. Ma, dopo averla sollevata, la risolve in maniera inadeguata: infatti dice che la "carica" non si dirige in una sola direzione, chiamando "carica" il movimento dei corpi che vanno verso l'alto94.

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stias, quicquid receperunt, tardius reddant. La conclusione (sequitur…) con la similitudine delle serpentine dei bagni proviene da Seneca che la usa anche altrove (3,24,2). Arist. De cael. B 13, 294b 13 (13 A 20 DK; 376 L.) che la attribuisce congiuntamente ad Anassimene, Anassagora e Democrito. Pl. Crat. 412b Lakwnikw'i de; ajndri; tw'n eujdokivmwn kai; o[noma h\n ÆSou'"Æ: th;n ga;r tacei'an oJrmh;n oiJ Lakedaimovnioi tou'to kalou'sin.

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Cf. Hdt. 6,116; 7,100, 168; 9,13. L'esempio di foglie e lamine d'oro che galleggiano sull'acqua era stato utilizzato anche da Anassagora secondo quanto riporta un frammento arabo del commentario ai Meteorologica aristotelici di Olimpiodoro (perduto nella versione greca) per dimostrare che la terra, essendo larga, può stare sospesa sull'aria, cf. Strohmaier 1998, 362 Die Ansicht seiner (von Anaximenes) Schüler Anaxagoras ist die, daß er sagt: "Die Luft trägt die Erde von Natur aus wegen ihrer Ausdehnung in der Breite, so wie das Wasser Blätter und Goldplättchen trägt". Arist. De cael. D 6, 313a 16 (68 A 62 DK; 375 L.) ajporei'tai ga;r nu'n dia; tiv ta; plateva sidhvria kai; movlibdo" ejpiplei' ejpi; tou' u{dato", a[lla de; ejlavttw kai; h|tton barev a, a] n h\i strogguvla h] makra;, oi|on belovnh, kav tw fevretai, kai; o{ti e[ nia dia; mikrovthta ejpiplei', oi|on to; yh'gma kai; a[lla gewvdh kai; koniortwvdh ejpi; tou' ajevro". peri; dh; touvtwn aJp avntwn to; me; n nomivzein ai[tion ei\nai w{sper Dhmovkrito" oujk ojrqw'" e[cei. ejkei'no" gavr fhsi ta; ajnaferovmena qerma; ej k tou' u{dato" aj nakwceuvein ta; platev a tw' n ejcov ntwn bavro", ta; de; stena; diapivptein: ojlivga ga;r ei\nai ta; aj ntikrouvonta aujtoi'". e[d ei dæ ejn tw'i ajevri e[ti ma'l-

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Ancora al linguaggio militare (e specificamente al lessico dell'assedio) riporta la descrizione della disposizione degli atomi che producono gli oggetti bianchi scabri. Essi sono grandi e disposti in raggruppamenti non tondeggianti, ma "a gradini" (prokrovssa") ed hanno ciascuno un aspetto misto come i terrapieni innalzati davanti alle mura95. Un'analogia implicita sta alla base della determinazione della dimensione degli atomi del salato. Lamine larghe galleggiano sull'acqua, il salato sta in superficie, dunque gli atomi che lo producono sono anch'essi grandi e larghi96. Democrito, come i meteorologoi descritti da Gorgia, "visualizza" dunque nei suoi discorsi una realtà nascosta attraverso immagini a tutti accessibili, prese dalla vita quotidiana. 6. 2. 2. Riconoscere i segni: i mediatori dell'invisibile e l'esercizio della gnwvmh La stessa centralità dell'"osservazione" e della conseguente "visualizzazione" sta anche alla base anche dell'altro procedimento di interpretazione dei segni che Diller definisce semeiotico. Dall'osservazione dei fenomeni visibili si parte per stabilirne le cause nascoste, per aprire cioè una finestra sull'invisibile. Questo non significa che i fisici del V sec. a.C. esaminassero "obiettivamente" e accuratamente tutti i "dati" empirici e li sottoponessero alla prova di verifica per poi formulare le loro tesi. Questo sarebbe del tutto anacronistico in un contesto come quello delineato or ora. Allora, ben più di oggi, l'osservazione era abbondantemente influenzata da ipotesi e tesi precostituite97, ma il punto fondamentale non è questo, bensì il fatto che essa fornisce comunque dei "segni" che devono essere ricono-

95

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lon tou'to poiei'n, w{sper ej nivstatai kaj kei'no" aujtov". Allæ ejnsta; " luvei malakw'": fhsi; ga;r oujk eij " e} n oJrma' n to; n sou' n, levgwn sou' n th; n kiv nhsin tw' n a[ nw feromev nwn swmavtwn. Theophr. De sens. 79 (68 A 135 DK; 484 L.) ejk megavlwn ga;r ei\nai tau'ta (scil. ta; leuka; tw'n tracevw n) kai; ta;" sundevs ei" ouj periferei'" ajlla; prokrovssa", kai; tw'n schmavtwn ta;" morfa;" mignumev na" w{sper hJ aj nav basi" kai; ta; pro; tw'n teicw'n e[c ei cwvmata. La lezione dei manoscritti, mignumevna", contrariamente a quanto sosteneva Diels, app. ad loc., cf. anche Sassi 1978, 140 n. 107, ha un senso, se si considera che morfhv (la foggia, cioè l'aspetto della superficie liscia, scabra etc.) è diverso da sch'ma (la figura rotonda, irregolare, aguzza etc.;

cf. De sens. 66 l'atomo che produce l'amaro è piccolo, liscio e rotondo). Ciascun atomo ha infatti un aspetto "misto", vale a dire è in certi punti liscio, in altri ruvido come appunto un terrapieno. Theophr. De sens. 66 (68 A 135 DK; 496 L.). Una allusione agli atomi del salato di Democrito, è da vedersi anche in De caus. plant. 6,10,3 h{kistav te uJpo; tou' hJlivou ajnavgesqai (scil. to; aJlmuro;n), kai; ejpipolavzein, pantacou' ga;r platev a kai; megavla toi'" uJgroi'" ejpifevr esqai, ajs uvmplekta de; kai; a[kolla dia; to; mhde; n e[cein skalhnev", ajlla; gwnoeidh' te ei\nai kai; polukamph'. Cf. Mc. Diarmid 1959, 58.

97

Cf. Lloyd 1979, 155ss..

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sciuti come tali e interpretati per poter "vedere" oltre. E' nell'ottica dell'interpretazione dei segni e della visualizzazione di ciò che rimane nascosto, piuttosto che in quella del procedimento empirico moderno, che si delinea il percorso "da ciò che appare all'invisibile". Questa via ha una lunga tradizione dietro di sé che in ultima analisi risale alla mantica e accomuna indovini, medici, meteorologoi, insomma tutti coloro che hanno sviluppato delle tecniche di osservazione e di visualizzazione in base a determinati criteri. Non tutti i segni sono infatti significativi, come risulta chiaramente dai trattati ippocratici e dal patrimonio di osservazioni comune ai cosiddetti presocratici. La capacità dello specialista sta appunto nel saper riconoscere e interpretare i segni giusti nel modo giusto. Nei trattati ippocratici emerge proprio su questo punto un confronto più o meno esplicito con gli altri specialisti dei segni, gli indovini. Nella prospettiva dei medici costoro si differenziano proprio per la non univocità di interpretazione: lo stesso segno sembra agli uni favorevole, agli altri funesto e ciò indica incertezza nella diagnosi e carenza di metodo, cose che un medico non può permettersi98: la casistica dei segni da interpretare deve essere ben determinata, le deduzioni che se ne possono trarre universalmente riconosciute e chiaramente codificate e, soprattutto, come sottolinea l'autore di Prorrhetikos II, accuratamente ponderate99. Per risalire alle cause di un fenomeno, non c'è bisogno di tanti segni, basta interpretarne correttamente anche uno solo. La speciale autorità riconosciuta all'"esperto" in questo campo giustifica il fatto che non ci sia quasi mai un grande accumulo di prove, di tekmhvria o shmei'a, negli scritti ippocratici più teorici. Quando c'è, gli autori ippocratici si giustificano per questo. L'autore dello scritto De Morbis IV adduce come giustificazione la necessità di persuadere un vasto numero di persone che sostengono un'opinione errata. E io non avrei aggiunto queste prove al mio discorso, se tantissime persone non credessero che ciò che si beve va al polmone; e necessariamente davanti ad opinioni così radicate si devono portare molte prove se si vuole, coi propri discorsi, persuadere l'uditore a recedere dal suo precedente giudizio100 .

L'autore infatti ha citato ben sette prove per dimostrare che il liquido che si beve non va al polmone, ma nel ventre.

98 99 100

Acut. 8,2 (39,12 Joly = II,242 Littré). Prorrh. II 2-3 (221-227 Potter = IX,10-14 Littré). Morb. IV 56,7 (121,16 Joly = VII,608 Littré) kai; tau'ta oujd a]n ejphgagovmhn e[gwge tw'i lovgwi ªtou'to iJstovrionº oujdevn, eij mh; o{ti polloi; kavrta tw'n ajnqrwvpwn dokevousin ej" to;n pleuvmona cwrei' n, kai; ajnavgkh ejsti; pro;" ta; ijscurw' " dokevonta ta; polla; iJstovria ejpav gesqai, ei[ ti" mevllei to;n ajkouvo nta ejk th'" pri;n gnwvmh" metastrevy ai toi'sin eJwutou' lovgoisi peivsein.

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Nel processo che va dall'individuazione all'interpretazione dei segni è importante l'uso corretto delle percezioni garantito dalla gnwvmh. La gnwvmh è la capacità di discernimento che permette di scegliere, fra le informazioni che si offrono alla vista, all'udito e agli altri organi, quelle utili, di interpretarle, di istituire collegamenti fra vari ambiti e in definitiva di ricostruire un quadro d'insieme per prevedere e dominare una certa situazione critica. La gnwvmh non è solo una facoltà innata, ma anche una capacità di "vedere oltre" che si sviluppa col tempo e con l'esercizio. E' quella di chi valuta, come Erodoto, quali informazioni sono attendibili e quali no ed è capace di fare considerazioni su ciò che non ha visto partendo da ciò che conosce, quella del medico che diagnostica e prevede attraverso i segni le malattie invisibili e le loro cause, quella del Meteorologos che, osservando i fenomeni celesti, ne individua le cause e prevede terremoti ed eclissi. Essere capaci di interpretare i "segni" che si colgono con la vista, l'udito, l'odorato, il tatto, non è dunque cosa di tutti, ma richiede una natura adeguata, un lungo esercizio pratico e una osservazione sul campo. Chi interpreta i segni deve avere l'autorità per farlo. I medici, per motivi corporativi, lo dichiarano apertamente. Secondo l'autore del De arte i profani che soffrono di malattie invisibili non sono in grado neppure di descrivere correttamente i loro mali perché si basano su loro opinioni e non sulla conoscenza del corpo e delle malattie Ed effettivamente anche le informazioni che i malati di malattie invisibili cercano di fornire sulle loro malattie a coloro che li curano, sono basate sull'opinione, piuttosto che su un vero sapere; se infatti avessero questo sapere, non sarebbero caduti preda delle malattie; è infatti compito della stessa intelligenza conoscere le cause delle malattie e saperle curare con tutti i rimedi che impediscono loro di aggravarsi. Quando dunque a chi cura non è possibile trarre una infallibile e chiara conoscenza dalle informazioni che gli vengono fornite, deve rivolgere la propria attenzione anche ad altro101 .

Nel De flatibus viene allo stesso modo sottolineato come le cose più difficili della medicina (cioè le malattie nascoste) possano essere conosciute solo ai medici e non ai profani perché "non sono fatti che cadono sotto il dominio del corpo, ma della gnwvmh"102 . L'accumulo di osservazioni nei 101

102

De arte 11,4 (237,17 Jouanna = VI,20 Littré) kai; ga;r dhv, kai; a} peirw'ntai oiJ ta; ajfaneva nosevo nte" ajpaggevllein peri; tw'n noshmavtwn toi'si qerapeuvousi, doxav zonte" ma'llon h] eijdovte" ajp aggevllousin: eij ga;r hjpivstanto, oujk a] n perievpipton aujtoi's i: th'" ga;r aujth'" sunevsiov" ejstin h|sper to; eijdevnai tw'n nouvswn ta; ai[tia, kai; to; qerapeuv ein aujta;" ejpivstasqai pavshisi th'isi qerapeivhisin, ai} kwluvo usi ta; noshvmata megaluv nesqai. o{te ou\n oujd ejk tw' n ajpaggellomev nwn e[sti th;n aj namavrthton safhv neian ajkou'sai, prosoptevon ti kai; a[llo tw'i qerapeuvo nti. Flat. 1,3 (103,6 Jouanna = VI,90 Littré) kai; ta; me;n flau'r a (scil. th'" tevcnh") toi'sin ijhtroi'sin mouv noisin e[ stin eijdevnai kai; ouj toi'si dhmovthisin: ouj ga;r swvmato" ajlla; gnwvmh" ejsti;n e[rga.

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trattati clinici come le Epidemie, che forniscono uno strumento diagnostico per gli autori stessi e per gli altri, e l'elenco dei segni da osservare nel Prognosticon mostrano che la gnwvmh dello specialista si costituisce anche attraverso l'esercizio al riconoscimento e all'interpretazione del segno giusto. L'osservazione è dunque fondamentale, ma è focalizzata su determinati "segni", quelli giudicati "significativi" nel campo specifico. Nel procedimento di osservazione è implicito dunque anche un criterio selettivo determinato dall'ambito in cui questa viene fatta e dal suo scopo. In ogni caso l'importante è il principio secondo cui chi osserva i segni con cognizione può "vedere" ciò che è invisibile: "quanto infatti sfugge alla vista degli occhi, viene dominato dallo sguardo della gnwvmh"103 , come afferma l'autore del De arte parlando delle malattie interne invisibili104 . Lo stesso medico fornisce un esempio di come e di che cosa si possa "vedere" partendo dai segni: egli afferma che tutte le parti del corpo, anche quelle non carnose, possiedono dei vuoti, degli interstizi e delle cavità e dimostra il suo assunto attraverso l'esempio del liquido sinoviale che si sviluppa proprio in parti ossee e dure come le articolazioni: quando fuoriesce, "annuncia" (kataggevllei) che là si nascondono delle "camere" (qalavma") che "si aprono"105 . Questa "prova" è anche interessante per il contesto e il modo in cui viene enunciata. Essa infatti, in quanto tale, viene portata a sostegno di una tesi precedentemente delineata, del fatto cioè che i corpi contengono vuoti e cavità, un assunto derivato a sua volta da una tradizione di osservazioni mediche. Inoltre la forza della prova e l'autorità del medico vengono consolidate attraverso un'immagine di tipo "politico" altamente evocativa, quella del "messaggero" (il liquido) che annuncia ufficialmente al medico (per conto della natura stessa) che cosa si nasconde all'interno delle parti ossee delle ginocchia: delle "camere" che si sono "aperte". In una prospettiva "scientifica" moderna questo "segno" 103

104

105

De arte 11,1 (237,11 Jouanna = VI,18 Littré) o{sa ga;r th;n tw'n ojmmavtwn o[yin ejkfeuvgei, tau'ta th'i th'" gnwv mh" o[yei kekrav thtai. kai;; o{sa d ejn tw'i mh; tacu; ojfqh'nai oiJ nosevonte" pavscousin, oujc oiJ qerapeuvonte" auj tou;" ai[tioi, ajllæ hJ fuvsi" h{ te tou' nosevo nto", h{ te tou'noshvmato". oJ me; n ga;r, ejpei; oujk h\ n aujtw'i o[yei ijdei'n to; mocqevon oujd ajkoh'i puqevsqai, logismw'i methviei. De arte 9,2 (234,13 Jouanna = VI,16 Littré) e[sti ga;r toi'si tauvthn th;n tevcnhn iJkanw'" eijdovsi ta; me; n tw' n noshmavtwn oujk ej n dusovptwi keivmena kai; ouj polla;, ta; dæ oujk ejn eujdhvlwi kai; pollav ejsti: ta; me; n ga;r pro; " ta; ejnto;" tetrammevna ejn dusov ptwi, ta; dæ ejxanqeu'nta ej " th;n croih;n h] croih'i h] oijdhvmasin ej n eujdhvlwi: parevcei ga;r eJw utw'n th'i te o[yei tw'i te yau's ai th'" stereovthto" kai; th' " uJ grovthto" aijsqav nesqai. 11,6 (238,16 Jouanna = VI,20 Littré) prolambavnei (scil. to; novshma th;n qerapeivhn) de; diav te th;n tw'n swmavtwn stegnovthta, ejn h|i oujk ej n eujovptwi oijkevo usin aiJ nou'soi... De arte 10,5 (236,15 Jouanna = VI,18 Littré) kai; aujta; ta; a[rqra ejn oi|sin aiJ sumbolai; tw'n kineomevnwn ojstevw n ejgkuklevo ntai, kai; touvtwn oujde; n o| ti oujc u{pafrovn ejsti kai; e[con peri; aujto; qalavma" a} " kataggevllei oJ ijcwvr, o{", ejkdioigomevnwn aujtevw n, pollov" te kai; polla; luphvsa" ej xevrcetai.

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non dimostra naturalmente nulla, ma nel contesto di questo trattato ha un enorme peso, non solo perché si appoggia sul bagaglio di conoscenze tecniche dello specialista, ma anche perché sottolinea il fatto che la natura stessa "collabora" col medico mandandogli dei "segni" che solo lui sa decifrare. Il valore di verità delle sue affermazioni è dunque garantito dal suo rapporto privilegiato con la natura. Nel contesto del riconoscimento dei segni il rapporto vista, udito, tatto/ gnwvmh è posto dall'autore del De arte, come da altri medici ippocratici, non sul terreno dell'antinomia, ma su quello della complementarietà. La vista della gnwvmh arriva là dove la vista, l'udito, il tatto non possono procedere, ma anche questi sono fondamentali per cogliere i "segni" perché vengono usati da chi "sa" dove e che cosa guardare, toccare, odorare. L'autore del De officina medici, un trattato chirurgico redatto verso la fine del V e l'inizio del IV sec. a.C. che illustra in maniera compendiaria come si deve attrezzare lo studio del medico e in che modo si deve operare, apre il suo scritto proprio con una considerazione sulla necessità di esaminare il paziente cominciando dai segni più evidenti e con tutte le facoltà percettive, nelle quali è inclusa, sullo stesso piano delle altre, anche la gnwvmh. [Guardare] ciò che è simile o diverso [dal normale], cominciando da principio, dai segni più evidenti, dai più facili ad individuarsi, da quelli che si possono riconoscere in ogni modo e completamente, quelli che si possono vedere, toccare e sentire; quelli che si possono percepire con la vista, il tatto, l'udito, il naso e la lingua e il giudizio; quelli che possono essere conosciuti con tutte le nostre facoltà cognitive106 .

Questo sostrato è importante anche per comprendere il rapporto fra gnwvmh skotivh e gnwvmh gnhsivh in Democrito, l'una, quella che percepisce i segni, l'altra, quella che li seleziona e li interpreta. Sebbene la seconda sia chiaramente superiore alla prima perché permette di penetrare nell'ambito del "più sottile", esse sono in ogni caso complementari. Egli dice letteralmente: "ci sono due specie di giudizio, l'uno è legittimo, l'altro è bastardo; a quello bastardo appartengono tutte queste facoltà: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto, quello legittimo è invece distinto da questo". Poi, giudicando quello legittimo superiore a quello bastardo aggiunge: "quando quello bastardo non può più né penetrare con lo sguardo nel più piccolo, né udirlo, né odorarlo, né gustarlo né percepirlo col tatto, ma verso il più sottile…"107 106

Off. 1 (I,30,1 Kühlewein = III,272 Littré) h] o{moia h] ajnovmoia, ejx ajrch'" ajp o; tw'n megivstwn,

107

ajpo; tw'n rJhivstwn, ajpo; tw'n pav nth pav ntw" gignwskomev nwn, a} kai; ijdei'n kai; qigei'n kai; ajkou's ai e[stin, a} kai; th'i o[yei kai; th'i aJfh'i kai; th'i ajkoh'i kai; th'i rJini; kai; th'i glwvsshi kai; th'i gnwvmhi e[stin aijsqevsqai, a{, oi|" ginwvskomen a{p asin, e[stin gnw' nai. Sext. Emp. Adv. Math. 7,139 (68 B 11 DK; 83 L.) levgei de; kata; levxin: Ægnwvmh" de; duvo eijsi;n ijdev ai, hJ me; n gnhsivh, hJ de; skotivh: kai; skotivh" me; n tavde suvmpanta, o[ yi", ajkohv, ojdmhv , geu'si", yau'si". hJ de; gnhsivh, ajpokekrimevnh de; tauvth".Æ ei\ta prokrivnwn th'" skotivh" th;n gnhsivh n ejpifevrei lev gwn: Æo{tan hJ skotivh mhkevti duv nhtai mhvte oJrh'n ej pæ e[latton mhvte

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Galeno restituisce una citazione letterale in cui gli stessi organi rimproverano alla phren di rigettarli pur avendo tratto da loro le "prove" (pivstei") Misera Phren, dopo aver preso da noi le prove, ci atterri? il nostro abbattimento segna la tua caduta108 .

Mi sembra che qui si debba andare al di là della dibattuta questione, che si trascina dall'antichità ad oggi109 , se Democrito sia un sensista convinto solo della verità dei fenomeni (come sembra essere descritto in alcuni passi di Aristotele), o un assertore della sola verità del pensiero (come in Sesto Empirico) e vedere che cosa è convinto di fare Democrito stesso. Nella massima suddetta egli considera ciò che viene offerto dai sensi come delle pivstei", delle prove. La mente non può rifiutarle, pena il suo fallimento, ma questo non significa che debba accettarle tutte. Infatti la gnwvmh gnhsivh valuta e sceglie quelle che possono fornire indizi sicuri. Così, se è vero che le sensazioni di uno stesso oggetto variano a seconda degli individui e delle condizioni di chi percepisce, tuttavia una stessa sensazione ha sempre caratteri costanti110 : l'acido, indipendentemente dall'oggetto in cui viene percepito, viene avvertito da tutti e sempre come pungente, ruvido e riscaldante. E' questa pivsti" sicura che permette di "penetrare con lo sguardo nel più piccolo", di risalire alle forme degli atomi che producono la sensazione corrispondente, atomi sinuosi, piccoli e sottili che possono penetrare dovunque, e angolosi che contraggono e astringono producendo vuoti e calore. Lo stesso avviene per la determinazione delle forme atomiche di altri sapori e dei colori. Si parte dalla percezione che tutti costantemente hanno, indipendentemente dalla condizione individuale e dalla qualità dell'oggetto, per risalire alle forme che la producono. La ricerca delle cause si inserisce dunque in questo discorso sulla scelta e l'uso da parte della gnwvmh gnhsivh delle prove offerte dai sensi per arrivare a "contemplare" l'invisibile. La differenza fra Democrito e i medici ippocratici sta nel fatto che questi ultimi non gerarchizzano percezione e gnwvmh. I dati forniti dai sensi non vengono da loro messi in discussione, anche se, nel caso delle malattie invisibili, devono essere interpretati. Questo perché in primo luogo l'uso delle mani, degli occhi, delle orecchie, dell'odorato costituisce un cardine della pratica medica che non può essere messo in dubbio, pena il fallimento dell'arte stessa, in secondo luogo perché la lunga pratica a fianco di un maestro insegna ad esercitarli nella maniera corretta e ad orientarli verso il segno giusto. Dun-

108

109 110

ajkouv ein mhvte ojdma'sqai mhvte geuvesqai mhvte ejn th'i yauvsei aijsqav nesqai, ajllæ ejpi; leptovteronã....Ã. Galen. De exper. med. 15,7, 114,4 Walzer (68 B 125 DK; 79-80 L.) tavl aina frhvn, paræ hJmevwn labou's a ta;" pivstei" hJ mev a" katabavllei"… ptw'mav toi to; katav blhma.

Sulle linee generali di questi dibattiti, cf. Sassi 1978, 200-203. Theophr. De sens. 69 (68 A 135 DK; 3, 441 L.).

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que i sensi sono, dal punto di vista strettamente professionale, un punto di riferimento forte111 . Democrito, cui manca questo sottofondo di pratica medica, è invece proiettato verso la theoria e dunque tende a ribadire la centralità dello strumento che gli permette di arrivare all'invisibile, la gnwvmh gnhsivh, quella che può vedere anche una realtà "più sottile", invisibile, relegando in secondo piano quello che coglie solo quanto appare immediatamente. Fuori dall'ambito medico e dai testi democritei il rapporto fra percezione e gnwvmh riemerge anche in altri autori di età sofistica, ma ridotto per lo più al rango di tipologia retorica come negli Aforismi di Crizia il cui titolo non può non far pensare all'omonima opera ippocratica né quello che viene percepito col resto del corpo né quello che viene conosciuto con la gnwvmh112 .

Qui sia l'ottica empirica del medico, sia quella più teorica di Democrito si stemperano in un puro gioco stilistico: il grande tema perde la sua funzionalità per trasformarsi in una convenzionale antitesi. 6. 2. 3. La difficoltà dell'impresa: dichiarazioni "scettiche" e ottimismo corporativo. Per una revisione dello "scetticismo" democriteo Il confronto con la tradizione medica sui metodi e sulla possibilità di conoscere l'invisibile permette un'altra considerazione importante riguardo al presunto scetticismo di Democrito. C'è infatti da tener presente che esso è dedotto da frasi estrapolate dal loro contesto e tramandate per lo più attraverso la tradizione dell'accademia scettica e neopirroniana. Dall'altra parte, su testimonianze aristoteliche si è invece ricostruita un'immagine di un Democrito "protagoreo" che vede ciò che appare come l'unica verità. Ambedue queste rappresentazioni hanno qualcosa di vero, ma non 111

112

Cf. e.g. Prorrh. II,3 (224-226 Potter = IX,12-14 Littré) e[xesti de; kai; tau'ta pavnta katabasanivzein kavllista kai; ta[lla toi'si dokimivoisin, oi|sin e[comev n te kai; creovmeqa eu\ pavnta. prw'ton me; n ga;r th'i gnwvmhi te kai; toi'sin ojfqalmoi'sin a[ nqrwpon katakeivmenon ej n tw'i auj tw'i kai; ajtrekevw " diaitwvmenon rJ a'iovn ejsti gnw' nai, h[n ti ajpeiqhvshi, h] periodoiporevonta kai; pavmpolla ejsqivonta: e[p eita th'isi cersi; yauvs anta th'" gastrov" te kai; tw' n flebw'n h|ssovn ejstin ejxapata'sqai h] mh; yauvs anta. ai{ te rJi' ne" ejn me; n toi'si puretaivnousi pollav te kai; kalw' " shmaivnousin: aiJ ga;r ojdmai; mevga diafevrousin: ej n de; toi'sin ijscuvo usiv te kai; ojrqw'" diaitwmevnoisin ouj k oi\da tiv a]n crhsaivmhn, oujdæ ej n touvtwi tw'i dokimivwi. e[peita toi'" wjsi; th'" fwnh' " aj kouvs anta kai; tou' pneuvmato", e[sti diaginwvskein, a} ej n toi'sin ijscuvousin oujc oJmoivw" ejsti; dh'la. Gal. In Hippocr. De Off. 1,1 (XVIII/2,656 K.) (88 B 39 DK) mhvte a} tw'i a[llwi swvmati aijsqavnetai mhde; a} th'i gnwv mhi gignwvskei. Cf. anche Antiphon 87 B 1 DK riferito da Galeno nello stesso passo come esempio di impiego del termine gnwvmh. Si tratta in questo caso di un testo estremamente corrotto e difficile da ricostruire, ma per lo meno le due espressioni o[yei oJra'n (oJra'i Diels) e gnwvmh gignwvs kei si leggono distintamente.

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vanno assolutizzate. E' vero che Democrito sembra esprimersi in maniera piuttosto pessimistica sulle possibilità di conoscenza, tuttavia, presso i medici ippocratici, l'affermazione della difficoltà di conoscere quanto è celato, si accoppia generalmente con un diffuso orgoglio corporativo che sottolinea come, nonostante ciò, il buon medico sia in grado riconoscere e interpretare i segni e di risalire alle cause anche delle malattie invisibili. L'autore del De vetere medicina dichiara esplicitamente di lodare quel medico che commette solo piccoli errori in quanto la perfezione è raramente osservabile, ma lo fa in un contesto che mette in luce sia la difficoltà dell'individuazione e dell'interpretazione esatta dei sintomi nei singoli individui113 , sia la portata dell'impresa del medico che deve arrivare a riconoscerli senza sbagliare, a risalire alle cause e proporre conseguentemente il rimedio adeguato per ogni singolo caso. La prima massima degli Aforismi ippocratici sottolinea ancora sia le insidie dell'esperienza diretta, sia le difficoltà del giudizio114 , ma lo scopo della raccolta è proprio quello di fornire gli strumenti per superarle. Anche nel De arte emerge il problema della conoscenza esatta delle malattie nascoste, ma anche qui, non solo serve a giustificare le eventuali dilazioni di una diagnosi, ma si accoppia ad una assoluta fiducia nella capacità tecnica del medico di individuare e di curare queste malattie115 o di riconoscere quale sia incurabile per poter rifiutare la terapia. Si ha dunque l'impressione che il richiamo alla difficoltà di conoscenza faccia parte di una strategia tesa ad esaltare le capacità del medico e a sottolinearne l'autorità116 . La stessa impressione si ha leggendo le testimonianze non dichiaratamente "scettiche" su Democrito. Aristotele, nella Metafisica, riferisce che, di fronte alla relatività delle percezioni in base agli individui e alle loro condizioni fisiche, Democrito 113

114 115

116

VM 9,4 (128,15-17 Jouanna = I,590 Littré) diovti pollo;n poikilwvterav te kai; dia; plevono" ajkribeivh" ejstiv. dei' ga;r mevtrou tino; " stocavsasqai: mevtron de; oujd e; ajr iqmo;n ou[te staqmo;n a[llon pro; " o} ajnafevrwn ei[shi to; ajkribe;", ouj k a] n eu{roi" a[llæ h] tou' swvmato" th;n ai[sqhsin. dio; e[r gon ou{tw katamaqei'n ajkribw' ", w{ste smikra; aJmartav nein e[ nqa h] e[ nqa. ka]n ejgw; tou' ton to;n ijhtro;n ijscurw'" ejp ainevoimi to;n smikra; ajmartavnonta, to; de; ajtreke; " ojligavki" e[sti katidei'n. Il problema di interpretazione di hJ tou' swvmato" th;n ai[sqhsin (si tratta della sensazione del paziente o di quella del medico? cf. Jouanna 1990, 174) va risolto nel contesto generale del passo che riguarda la dieta per la pletora e per gli stati di vacuità. Il medico deve infatti saper riconoscere se l'individuo in questione si trova in uno stato o nell'altro per non prescrivere un regime troppo scarso che ne indebolisca ulteriormente il fisico. Deve quindi avere come metro di valutazione i sintomi (cioè ciò che il paziente sente) che egli infatti più oltre elenca per ogni singolo stato in relazione al regime abituale del paziente, cf. 10,3-4 (130,9-131,10 Jouanna = I,592-94 Littré). Aph. 1 (98,1 Jones = IV,458 Littré) ... hJ de; pei'ra sfalerhv, hJ de; krivsi" calephv. De arte 11,1-4 (237,4-238,7 Jouanna = VI,18-20 Littré); 12 (240,1-241,11 Jouanna = VI,2226 Littré). L'aspetto positivo delle presunte dichiarazioni scettiche è stato intravvisto anche, sebbene in una prospettiva "filosofica", da Sassi 1978, 192s. in relazione a Senofane e Alcmeone.

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avrebbe dichiarato che o nulla è vero o la verità è invisibile117 , ma la massima già accennata secondo cui ciò che appare è una visione dell'invisibile e l'altra rappresentazione aristotelica di Democrito come assertore della verità dei fenomeni sono complementari a questa dichiarazione: se la vera essenza dei fenomeni è invisibile, bisogna servirsi delle "pisteis" fornite dalle apparenze e colte dalle sensazioni, per arrivare a conoscerla. Se si considerano le dettagliate descrizioni delle cause invisibili delle sensazioni e dei fenomeni riportate dalle testimonianze indirette, si può concludere che, come gli Ippocratici, anche Democrito, sottolineando la difficoltà dell'impresa di conoscere l'invisibile, mette tuttavia in rilievo la sua capacità di interpretare i segni e di penetrare nei minimi particolari in questo ambito nascosto alla maggior parte degli altri uomini. Viste in questo contesto e nella stessa ottica di quelle ippocratiche anche le presunte dichiarazioni scettiche di Democrito assumono dunque un'altra fisionomia: esse sottolineano in realtà le difficoltà di un'impresa che egli ha comunque brillantemente superato.

7. Democrito e il Corpus Hippocraticum Il confronto con i trattati ippocratici non è utile solo per far luce sul metodo e sulla concezione integrata di percezione e capacità di penetrazione nel dominio dell'invisibile e per inquadrare le testimonianze sulla conoscenza in generale, ma si rivela fondamentale anche per altri aspetti dell'interpretazione di Democrito. Nelle trattazioni esclusivamente "filosofiche", infatti, il suo carattere di autore di scritti tecnici, nei quali peraltro la medicina ha una posizione preponderante118 , è stato completamente emarginato. Il Corpus Hippocraticum, che offre in definitiva gli unici testi integrali di carattere tecnico contemporanei o poco anteriori a Democrito, costituisce infatti un buon filtro attraverso cui leggere anche determinate testimonianze e frammenti democritei ed è anche sulla strada del confronto parallelo con dottrine contemporanee o comunque radicate in un contesto culturale analogo che si deve procedere per inserire in una problematica più ampia e variegata di quella strettamente filosofica le dottrine atomistiche. In una ricerca dominata dall'interpretazione eleatizzante di Leucippo e Democrito, il confronto con i testi medici è stato limitato 117 118

Arist. Metaph. G 5, 1009b 7 (68 A 112 DK; 52, 80 L.). Nel catalogo di Trasillo (68 A 33 DK; CXV L.) compaiono i seguenti titoli: Peri; ajnqrwvpou fuvsio" o Peri; sarkov" (IV), Peri; diaivth" h] diaithtikovn, Provgnwsi", Ihtrikh; gnwvmh (XII). Le analogie coi titoli ippocratici sono di palese evidenza, cf. Peri; fuvsio" ajnqrwvpou, Peri; sarkw'n, definito dall'autore come un lovgo" peri; th'" tevc nh" th'" ijhtrikh'", Peri; diaivth" e Peri; diaivth" ojxevwn, Prognwstikovn.

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soprattutto alla genetica e all'embriologia e, anche in questo ambito, si è sempre ipotizzato un rapporto di dipendenza unilaterale dei testi ippocratici da Democrito119 . Un'importante e decisiva alternativa rispetto a questo metodo di analisi, è stata proposta da Jouanna120 , il quale tenta di impostare il discorso generale dei rapporti fra i cosiddetti presocratici e i testi ippocratici su basi diverse da quelle della pura e semplice dipendenza di questi ultimi dagli altri. Egli si serve proprio di un esempio tratto da Democrito per dimostrare come sia ingiustificato parlare in termini generali di una tale dipendenza121 . Jouanna propone piuttosto una relativizzazione del metodo, ma soprattutto un abbandono degli schemi rigidi e un'apertura all'idea del sostrato metodologico e dell'esperienza comune a presocratici e medici ippocratici122 . Questo significa che, se alcuni autori ippocratici potrebbero essere stati influenzati da Democrito, anche quest'ultimo poteva attingere ad un patrimonio medico generalizzato o che comunque due teorie simili, ma non uguali, in Democrito e negli Ippocratici, potevano avere origini comuni, ma indipendenti. Alcuni raffronti fra temi analoghi trattati dagli ippocratici in modo approfondito e in un ambito strettamente tecnico e da Democrito dal punto di vista più "teorico" del Naturphilosoph confermano che quest'ultimo ha attinto ad un sostrato di conoscenze mediche. Democrito è il primo fra i cosiddetti presocratici ad aver trattato diffusamente dei succhi e delle loro proprietà. Anche questo non è un caso. Infatti le dunavmei" dei succhi e dei cibi e il loro effetto sulle costituzioni individuali dei singoli pazienti sono un tema tipico della dietetica, un soggetto emergente nella medicina dell'ultimo quarto del V sec. a.C. e di cui, a giudicare dal titolo di un'opera, Peri; diaivth", Democrito si è sicuramente occupato. L'autore 119

120 121

122

Anche Stückelberger 1984, che ha trattato comunque, oltre che l'aspetto empirico della dottrina democritea, più sistematicamente il problema dei rapporti fra testimonianza democritee e testi ippocratici, parte sempre dal presupposto che gli autori ippocratici, più o meno consciamente, utilizzino materiali e idee provenienti da Democrito, cf. anche Lonie 1981 e Salem 1996. Jouanna 1992, 95ss. Nella fattispecie la relazione fra Ael. Hist. nat. 12,16 (68 A 151 DK; 545 L.) e Nat. puer. 31,2 (83,8 Joly = VII,540 Littré) dove ritorna l'esempio della maniera di generare del maiale e del cane. L'interpretazione corrente sottolinea una stretta analogia innazitutto nella scelta degli animali, in secondo luogo nel fatto che, in ambedue i testi, compare una stessa descrizione della conformazione dell'utero come fatto di più "tasche" atte a ricevere il seme. In realtà, secondo Jouanna (102-104), la scelta dell'esempio non dimostra nulla in quanto il maiale e il cane, essendo gli animali domestici più comuni, facevano parte di una tipologia corrente. Per quanto riguarda invece il resto, c'è una differenza fondamentale fra i due testi proprio nella concezione di fondo del concepimento di questi animali. Nel De natura pueri l'esempio del cane e del maiale serve a spiegare come i gemelli nascano da un solo coito; Democrito, invece, specificava chiaramente che il concepimento avviene in seguito a più coiti, una divergenza sostanziale. Si tratta di un principio che guida anche il lavoro di Orelli 1996. Cf. ora anche Perilli 2007.

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del De vetere medicina critica le tesi assolutizzanti sulla composizione dell'uomo e sulle proprietà dei cibi proprio basandosi sulla relatività degli effetti dei succhi sulle varie costituzioni e regimi alimentari: ci sono infatti nell'uomo salato, amaro, dolce, acido, astringente, insipido e altri innumerevoli [succhi] con svariate proprietà sia rispetto alla quantità che alla forza. Queste, finché esse sono mescolate e temperate l'una con l'altra non sono né manifeste né provocano sofferenza all'uomo, quando però qualcuna di loro si separa e si isola, allora diventa manifesta e provoca sofferenze all'uomo 123 .

A questi succhi interni si mescolano quelli provenienti dai cibi che non provocano grandi danni se ingeriti abitualmente, ma sono fonte di disturbi se penetrano in una costituzione non abituata ad un determinato regime. Nei frammenti democritei e nelle testimonianze del De sensibus di Teofrasto vengono ribaditi gli stessi principi a livello di forme atomiche e di sensazioni le quali, come la malattia, vengono percepite come un'alterazione dell'equilibrio corporeo. La prevalenza di una forma produce la sensazione del rispettivo succo, ma anche la relazione fra le forme che penetrano nei corpi e le strutture individuali gioca un ruolo nella percezione Nessuna figura si trova allo stato puro e non mescolata con le altre, ma in ogni cosa ce ne sono molte e la stessa cosa contiene il liscio e lo scabro, il rotondo e l'acuto e le rimanenti forme. La forma preponderante è quella che massimamente prevale ai fini della sensazione e della [relativa] proprietà [dell'oggetto], e inoltre [è importante] in quale costituzione le forme si introducano; infatti anche questo è di non poca importanza perché talvolta la stessa proprietà produce sensazioni contrarie e proprietà contrarie producono la stessa sensazione124 .

Democrito applica dunque alle sensazioni il modello che l'ippocratico applica alla malattia. C'è però un campo specifico in cui la teoria democritea dei succhi mostra analogie ancora più strette con un un testo ippocratico: quello della determinazione delle proprietà degli atomi di determinati succhi. La descrizione delle forme atomiche delle sostanze piccanti e dolci e dei loro effetti sul corpo nella testimonianza di Teofrasto ricorda infatti il resoconto sugli alimenti dello stesso tipo nel De victu che dedica 123

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VM 14,4 (136,10 Jouanna = I,602 Littré) e[ni ga;r ejn ajnqrwvpwi kai; aJlmuro;n kai; pikro;n kai; gluku; kai; ojxu; kai; strufno;n kai; pladaro; n kai; a[lla muriva pantoiva" dunav mia" e[conta plh'qov" te kai; ijscuvn: tau'ta me; n memigmev na kai; kekrhmev na ajllhvloisin ou[te fanerav ejstin ou[ te lupei' to;n a[nqrwpon, o{tan dev ti touvtwn ajpokriqh'i kai; aujto; ejfæ eJw utou' gev nhtai, tovte kai; fanerov n ejs ti kai; lupei' to; n a[nqrwpon. Theophr. De sens. 67 (68 A 135 DK; 496 L.) aJp avntwn de; tw'n schmavtwn oujde;n ajkevraion ei\nai kai; ajmige;" toi'" a[lloi", ajllæ ejn eJkavstwi polla; ei\ nai kai; to; n auj to;n e[ cein leivou kai; tracevo" kai; periferou' " kai; ojxevo" kai; tw'n loipw'n. ou| dæ a] n ejnh'i plei'ston, tou'to mavlista ej niscuv ein prov" te th; n ai[sqhsin kai; th;n duv namin, e[ti de; eij" oJpoivan e{ xin a] n eijsevlqhi: diafevrein ga;r oujk ojlivgon kai; tou' to dia; to; aujto; taj nantiva, kai; taj nantiv a to; aujto; pavqo" poiei'n ejnivote. Cf. Sext. Emp. Adv. Math. 7,136 (68 B 9 DK; 55 L.), supra, n. 16.

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alle proprietà dei cibi una parte considerevole del secondo libro. Così si esprime il medico sulle sostanze dolci, aspre, acide e simili Le sostanze dolci, grasse e oleose provocano pienezza in quanto, partendo da un piccolo volume, si espandono molto; scaldandosi e diffondendosi, integrano il calore del corpo ed hanno un effetto calmante. Le sostanze acide, aspre, agre, astringenti, grezze e secche non riempiono perché aprono gli orifizi delle vene e li purificano; e disseccando una parte, pungendo e contraendo l'altra, fanno fremere e contrarre in una piccola massa l'umido nella carne; e nel corpo si crea molto vuoto. Quando dunque si voglia riempire partendo da pochi cibi o vuotare partendo da una maggior quantità, si usino queste sostanze125 .

Secondo Teofrasto, Democrito descriveva in maniera analoga gli effetti delle forme dell'acido e del dolce: L'acido è, in quanto alla sua forma, angoloso e sinuoso, piccolo e sottile. Infatti per la sua acidità penetra velocemente e dovunque, d'altra parte, essendo ruvido e angoloso, astringe e contrae; per questo riscalda il corpo creando dei vuoti; infatti ciò che contiene più vuoto si riscalda massimamente. Il dolce è composto di figure tondeggianti non troppo piccole; perciò si diffonde per tutto il corpo e lo attraversa tutto senza violenza e non a gran velocità; provoca però sconvolgimento negli altri [succhi] perché, penetrando attraverso le altre forme, le fa spostare e le umidifica; queste, umidificate e smosse dal loro assetto abituale, si riversano nel ventre; infatti questo è il luogo più facilmente accessibile perché qui c'è la maggior quantità di vuoto126 .

Sia per Democrito che per il medico l'acido ha la proprietà di contrarre e di creare vuoto, il dolce di diffondersi nel corpo e di riempire il ventre. L'autore del De victu è più interessato agli effetti e soprattutto all'impiego terapeutico di queste sostanze. Democrito è invece concentrato sulla descrizione delle forme e dei meccanismi che producono questi effetti. I due approcci, pur nella loro somiglianza, divergono anche nei dettagli e non possono essere considerati l'uno la fonte dell'altro. Il medico è uno spe125

126

De vict. II,56,6 (180,14 Joly = VI,568 Littré) ta; glukeva kai; ta; pivona kai; ta; lipara; plhrwtikav ejsti, diovti ejx ojlivgou o[gkou poluv coav ejsti: qermainovmena de; kai; diaceovmena plhroi' to; qermo;n ejn tw'i swvmati kai; galhnivzein poiei'. ta; de; ojxev a kai; drimeva kai; aujsthra; kai; strufna; kai; sugkomista; kai; xhra; ouj plhroi', diovti ta; stovmata tw'n flebw' n ajnevwixev te kai; diekavqhre: kai; ta; me;n xhraiv nonta, ta; de; davknonta kai; stuvfonta fri'xai kai; susth' nai ej " ojlivgon o[gkon ejpoivhse to; uJgro;n to; ejn th'i sarkiv: kai; to; keneo;n polu; ejgev neto ej n tw'i swvmati. o{tan ou\ n bouvlhi ajp ojlivgwn plhrw'sai h] ajpo; pleiovnwn kenw's ai, touvtoisi crh'sqai. Theophr. De sens. 65 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n me;n ou\n ojxu;n ei\nai tw'i schvmati gwnoeidh' te kai; polukamph' kai; mikro; n kai; leptovn. dia; ga;r th; n drimuvthta tacu; kai; pavnthi diaduvesqai: tracu;n dæ o[nta kai; gwnoeidh' sunav gein kai; suspa' n: dio; kai; qermaivnein to; sw'ma kenovthta" ejmpoiou'nta: mavlista ga;r qermaiv nesqai to; plei'ston e[c on kenovn. to; n de; gluku;n ejk periferw' n sugkei'sqai schmavtwn oujk a[gan mikrw'n: dio; kai; diacei'n o{lw" to; sw'ma kai; ouj biaivw" kai; ouj tacu; pavnta peraivnein: tou;" ãdæà a[llou" taravttein, o{ti diaduvnwn plana'i ta; a[lla kai; uJ graiv nei: uJ grainovmena de; kai; ejk th'" tav xew" kinouv mena surrei'n eij" th; n koilivan: tauvthn ga;r eujporwvtaton ei\nai dia; to; tauvthi plei'ston ei\nai kenov n.

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cialista di dietetica e conosce da fonti mediche e dalla sua stessa pratica le proprietà dei succhi, Democrito attinge al patrimonio della dietetica del tempo rimaneggiandolo in direzione di un'eziologia atomista. Non sono rimaste testimonianze certe sulle sue opere mediche127 come il Peri; diaivth", la Ihtrikh; gnwvmh e la Provgnwsi", ma sicuramente esse erano conosciute ancora nel III sec. a.C. A questo proposito è indicativo, pur con tutte le riserve del caso, un passo della commedia di mezzo inserito dal Diels sotto la voce "imitazioni". Si tratta della rappresentazione del famoso cuoco di Damosseno (III sec. a.C.) che si dichiara epicureo, ma afferma che un cuoco che non abbia letto, oltre al canone di Epicuro, anche tutte le opere di Democrito è assolutamente da disprezzare (Fr. 2,13 K.-A.). Nelle teorie sulla distribuzione e sull'effetto dei succhi egli si richiama espressamente a quest'ultimo utilizzando una terminologia del tutto democritea. Dopo aver puntualizzato che un buon cuoco deve innanzitutto saper distinguere quale periodo dell'anno sia il migliore per pescare e cucinare determinati pesci, in quanto i mutamenti e i movimenti producono alterazioni nei cibi e conseguentemente in chi se ne ciba, il cuoco epicureo promette di somministrare cibi nutrienti che non provochino esalazioni sgradite e nocive e spiega gli effetti dei succhi da questi prodotti "secondo Democrito": (A.).... Pertanto il succo si dispone dovunque nei pori in maniera omogenea— (B.) Succo? (A.) Lo dice Democrito— e non si producono ostruzioni che rendono artritico colui che se ne ciba 128 .

La terminologia della distribuzione omogenea e dell'ostruzione è democritea129 . Anche l'immagine che il cuoco successivamente fornisce di sé, quella di un teorico, esperto di medicina e di scienza della natura in generale, che non si abbassa a cucinare lui stesso, ma osserva (qewrw') quello che fanno gli altri, stando loro vicino e soprattutto spiegando loro le cause e gli effetti di quello che fanno, richiama l'immagine, circolante già nel V sec. a.C., degli autori di trattati tecnici teorici, profani e medici che ne 127

128

129

Forse qualche sparsa notizia potrebbe trovarsi fra quelle testimonianze che Wellmann e Diels, seguiti dagli interpreti moderni, hanno qualificato senza appello come spurie, cf. su questo Gemelli Marciano 2007. Damox. Fr. 2,29 K.-A. (A.)... toigarou'n eij" tou;" povrou"/ oJ cumo;" oJmalw'" pantacou' sunivstatai—/(B.) cumov"; (A.) lev gei Dhmovkrito"— oujd ej mfrav gmata/ ginovmena poiei' to;n fagov nt ajrqritikovn. Per il testo mi attengo all'edizione di Kassel-Austin. Sulla "disposizione omogenea", cf. Theophr. De sens. 62 (68 A 135 DK; 369 L.) to;n de; movlubdon e[latton e[conta keno;n oJ malw'" sugkei'sqai kata; pa' n oJmoivw". Cf. Ibid. 55 (68 A 135 DK; 488 L.), sulla distribuzione della voce nel corpo tacu; skivdnasqai kai; oJmalw'" kata; to; sw'ma. Sulle "ostruzioni" dei pori, cf. Ibid. 66 (68 A 135 DK; 496 L.) to;n de; strufno;n ejk megavlwn schmavtwn kai; polugwnivw n kai; perifere; " h{kistæ ejcov ntwn: tau' ta ga;r o{tan eij" ta; swvmata e[lqhi, ejpituflou'n ejmplav ttonta ta; flebiv a kai; kwluv ein surrei'n: dio; kai; ta;" koiliva" iJstavnai.

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seguono le orme, e di sofisti che insegnano la techne: si tratta di sapienti che fanno della teoria, ma sono assai poco esperti nella pratica dell'arte 130 . Il testo di Damosseno, dunque, pur nella sua esagerazione comica, rimanda ad una ricezione di Democrito quale autore di trattati teorici di medicina, che ancora al suo tempo doveva essere abbastanza diffusa per poter avere un impatto sul pubblico131 . Questa immagine corrisponde a quella degli "esperti" profani con cui nell'ultimo quarto del V sec. a.C. i medici ippocratici di tendenze empiriche avevano un rapporto piuttosto conflittuale. Essi vengono descritti in trattati quali il De vetere medicina o il De victu acutorum come degli "intrusi" senza alcuna esperienza che si appropriano in modo superficiale di conoscenze mediche minacciando il buon nome dell'arte e criticati in particolare per il loro approccio "teorico"132 . Democrito si avvicina molto alla tipologia di questi "sapienti" profani. Una delle obiezioni ricorrenti nei testi ippocratici contro i "teorici" è rivolta alla definizione di "uomo" in generale. Sembra infatti che i profani autori di trattati tecnici, ma anche alcuni professionisti ritenessero compito primario definire innanzitutto la natura dell'uomo o dei singoli oggetti dell'arte che essi volevano trattare. L'autore del De vetere medicina polemizza proprio con i medici e i "sapienti" che vogliono definire la natura dell'uomo in generale senza invece riportarla alle costituzioni particolari e al loro rapporto con i vari alimenti e i regimi di vita specifici. Poiché questo mi sembra necessario che sappia il medico sulla natura [dell'uomo] 133 e che si adoperi in ogni modo di sapere, se vorrà fare il suo dovere: che cosa è l'uomo in rapporto ai cibi e alle bevande e che cos'è in rapporto alle altre sue abitudini e che cosa da ciascuno di questi fattori deriverà a ciascuno134 .

L'autore del De natura hominis si scaglia a sua volta contro coloro che definiscono l'uomo come composto da un solo elemento (aria o acqua o

130 131 132 133

134

Cf. supra, Introduzione 2. 3 n. 45. Cf. Gemelli Marciano 2007. Cf. Acut. 6,1 (38,11 Joly = II,238 Littré); VM 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré). Come ha già rilevato Jouanna 1990, 208 (cf. anche Ducatillon 1977, 96 e la traduzione di Littré ad loc.) quando l'autore del De vetere medicina parla della "natura" o di "quelli che hanno scritto sulla natura", si riferisce non alla natura in generale e agli scritti che la riguardano, bensì alla natura dell'uomo e agli scritti specifici su questo tema come suggerisce la specificazione successiva "che cosa è l'uomo …" in ambedue i casi. V. infra, nel testo e VM 20,1 (146,5 Jouanna = I,620 Littré) oi} peri; fuvsio" gegravf asin ejx ajrch'" o{ ti ejsti;n a[nqrwpo" ...) . VM 20,3 (146,15 Jouanna = I,622 Littré) ejpeiv tou'tov gev moi dokei' ajnagkai'on ei\nai ijhtrw'i peri; fuvsio" eijdev nai kai; pavnu spoudavsai wJ" ei[setai, ei[per ti mevllei tw'n deov ntwn poihvsein, o{ ti tev ejstin a[ nqrwpo" pro;" ta; ejsqiovmenav te kai; pinovmena kai; o{ ti pro;" ta; a[lla ejpithdeuvmata kai; o{ ti ajfæ eJkav stou eJkavstwi sumbhv setai.

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fuoco o terra)135 . Possiamo ora ricordare che Democrito aveva fornito in una breve e sibillina frase proprio la definizione di uomo: "l'uomo è quello che tutti conosciamo"136 . La frase è stata tramandata fuori da un contesto e variamente interpretata nell'antichità, ma doveva essere una affermazione ad effetto che non stupirebbe all'inizio di un trattato Peri; fuvsio" ajnqrwvpou che, in base alle "regole" dei trattati di questo genere, doveva appunto cominciare con una definizione dell'oggetto. In perfetta consonanza con queste esigenze definitorie e contro le tesi rappresentate in De vetere medicina e De natura hominis l'autore del De victu dichiarava infatti che la cura del corpo si inserisce in un ambito molto più vasto che comprende la conoscenza della natura dell'uomo e dell'universo. Per scrivere del regime bisogna conoscere prima la natura dell'uomo in generale, da che cosa è stato composto dall'inizio e quali elementi vi predominano. Senza questi presupposti è impossibile non solo stabilire l'origine delle malattie, ma anche somministrare i rimedi utili137 . Su questo sfondo di trattati specialistici la frase democritea assume contorni più definiti per lo meno per quanto riguarda la sua funzione, quella di incipit di un trattato sulla natura dell'uomo. In questa tensione fra il dare e l'avere fra medici e autori profani di trattati di medicina va situato dunque il complesso rapporto di Democrito con la medicina ippocratica e con la medicina in generale. Un esame dettagliato del sostrato culturale comune alle dottrine atomistiche e alla medicina ippocratica, esula dai limiti del presente studio ed è in parte già stato fatto, sebbene principalmente nell'ottica di un rapporto di dipendenza dei medici da Democrito stesso, ma questi aspetti fondamentali del problema devono essere comunque segnalati, in quanto, a mio avviso è sul terreno del confronto non solo con i trattati ippocratici, ma anche con le testimonianze sulle technai in generale che si deve ancora lavorare per comprendere meglio quell'atomismo democriteo che ha creato tanti problemi di interpretazione. Queste indicazioni di metodo, e un esame puntuale della tradizione dossografica, costituiscono due aspetti complementari imprescindibili per una reinterpretazione globale dell'atomismo antico.

135

Nat. hom. 1 (165,1 Jouanna = VI,32 Littré) o{sti" me;n ei[wqen ajkouvein legovntwn ajmfi; th'" fuvsio" th' " aj nqrwpivnh" proswtevrw h] o{son aujth' " ej" ijhtrikh; n ajfhvkei, touvtwi me; n oujk ejpithvdeio" o{de oJ lovgo" ajkouv ein: ou[te ga;r to; pavmpan hj evra levgw to;n a[nqrwpon ei\nai, ou[te pu'r, ou[te u{dwr, ou[te gh'n, ou[te a[llo oujde;n o{ ti mh; fanerovn ejstin ejneo; n ej n tw'i ajnqrwvpwi: ajlla; toi'si boulomevnoisi tau' ta levgein parivhmi.

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Sext. Emp. Adv. Math. 7,265 (68 B 165 DK; 65 L.); Pyrrh. Hyp. 2,23 (65 L.), cf. Arist. De part. anim. A 1, 640b 29 (68 B 165 DK; 65 L.). Vict. I,2 (122,22 Joly = VI,466 L.).

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8. Sintesi Se si abbandonano per un momento le interpretazioni filosofiche dell'atomo e ci si rivolge alle immagini veicolate dai frammenti e dalle testimonianze decrittive e al confronto coi testi contemporanei a Democrito, si può ricostruire un quadro alternativo dell'atomismo e delle sue "origini" molto meno "filosofico", ma probabilmente più vicino alla realtà. Come già aveva visto Epicuro, balza in primo piano innanzitutto l'immagine di un mondo governato dall'ajnavgkh, la "costrizione" cosmica che fa impigliare gli atomi originari, e dalle ajnavgkai, le singole pressioni che in ogni momento si esercitano su tutti i corpi fenomenici. Questa è una concezione-guida dei meteorologoi e dei medici del V sec. a.C., oltre che dei magoi. La ricerca delle cause è in fondo la ricerca delle ajnavgkai che producono e condizionano i corpi e i fenomeni. Su questo sfondo si delinea anche un'altra concezione dell'atomo, meno matematizzante e astratta: esso si configura come il corpuscolo resistente a qualsiasi ajnavgkh che garantisce perciò la persistenza stessa dell'universo al di là del continuo dissolversi di corpi e di mondi. L'atomo è un "individuo" invulnerabile, ma, come l'homo naturalis dei Sofisti, poco sociale e poco incline all'aggregazione. Le immagini della stasis precosmica fra corpuscoli di forme e tendenze differenti presenti nel resoconto aristotelico su Democrito sono parallele a quelle dei primi uomini vaganti in solitudine nella vulgata della Kulturentstehung, ma richiamano anche la situazione politica conflittuale della Grecia nell'ultimo terzo del V sec. a.C. Le aggregazioni si creano solo per effetto di ajnavgkai che fanno impigliare i corpuscoli gli uni con gli altri. A questo punto entra in scena il grande vuoto reminiscenza di cosmogonie orfiche, che, lungi dall'avere la funzione di dividere, produce invece una maggiore aggregazione e favorisce in definitiva il crearsi di un'altra ajnavgkh, il vortice cosmico. All'interno di questo vortice si sviluppa il gioco di costrizioni che genera e dissolve. I vuoti, con le loro forme e posizioni, sono altrettanto determinanti quanto gli atomi per il grado di persistenza, di resistenza e di interazione reciproca dei vari corpi. Su questi presupposti si comprende perché Democrito e Leucippo ponessero il vuoto e il rado sullo stesso piano del corpo e del solido. Il mondo è così un insieme di aggregati porosi, instabili, esposti a continue costrizioni, a continui flussi e influssi. Dietro a questa visione fondamentalmente ansiogena dei corpi stanno concezioni mediche e magiche: l'instabilità dei corpi e la loro predisposizione alla malattia costituiscono i presupposti basilari della medicina e la loro influenzabilità e alterabilità è un motivo-guida delle operazioni cosiddette magiche. Vista su questo sfondo la dottrina atomistica assume un nuovo aspetto e l'atomo si configura non più come la grandezza ultima derivata da una teorica divisione all'infinito, ma come il corpuscolo per-

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fetto che si sottrae alle regole che governano gli altri corpi, immune all'alterazione, alla malattia, a qualsiasi influsso esterno o squilibrio interno. Un corpo di tal genere, che non assomiglia a nessuno di quelli che vediamo è per lo più invisibile, ma non necessariamente sempre. Come i simulacri che generalmente si aggirano per l'aria invisibili, ma talvolta si manifestano, così masse di atomi che si muovono spasmodicamente divengono visibili agli occhi di chi sa osservare se illuminate da un raggio di sole. Il dogma dell'invisibilità dell'atomo stabilito dalla tradizione filosofica e la ferrea logica in cui è stata imprigionata la dottrina atomistica ha impedito un'interpretazione conseguente di alcuni testi (compresa la descrizione della dottrina democritea dell'anima nel De anima aristotelico) che fanno intravvedere questa possibilità. Se così invece è, anche la dottrina atomistica può essere vista sotto una nuova luce, più vicina all'osservazione dei fenomeni fisici e meno condizionata da presunti dibattiti filosofici a distanza. Le particelle del pulviscolo, invisibili in normali condizioni, piccole, compatte, mobili e in lotta tra loro, si prestavano particolarmente ad essere assunte come fondamenti eterni e come protagoniste della scena cosmogonica e cosmologica. Lo scopo di Leucippo e Democrito, come quello dei meteorologoi loro contemporanei descritti da Gorgia nell'Encomio di Elena, è però non la contemplazione solitaria degli ajfanh', ma la loro visualizzazione per un pubblico di specialisti e di profani colti. Il passaggio dai fenomeni all'invisibile e la ricerca delle cause presso i meteorologoi si inseriscono in questo clima di interazione con le technai e con i loro assunti e metodi e si chiariscono attraverso il confronto in particolare con i testi ippocratici. I medici sono i grandi avversari del caso. Il caso non esiste per lo specialista perché anche una guarigione casuale ha in realtà una causa: l'applicazione inconsapevole di principi dell'arte medica. Ogni fenomeno può essere quindi ricondotto alla sua causa nascosta dall'occhio acuto e dal giudizio dello specialista che, esercitato a riconoscere i segni giusti e ad interpretarli nel modo giusto, va al di là delle apparenze e vede ciò che ai profani rimane nascosto. Questo è un principio-guida dei medici come di Leucippo e Democrito. Sia gli uni che gli altri si avvalgono della scelta e dell'interpretazione di quei segni che rimandano all'invisibile. Il procedimento analogico, che mette in relazione fenomeni di ambiti diversi, abbondantemente presente nelle testimonianze sull'atomismo antico, rivela una fitta rete di immagini provenienti dall'ambito delle technai. Sullo sfondo dei testi ippocratici e della pratica medica risulta più chiaro anche il rapporto gerarchizzato fra gli organi di senso e il giudizio (definiti poi globalmente come gnwvmh skotivh e gnhsivh) in Democrito. Quest'ultimo, da meteorologos tutto teso alla theoria, istituisce un primato della gnwvmh gnhsivh perché è quella che in definitiva permette di "vedere" nel "più piccolo", di valutare le pivstei" fornite dagli organi di senso. Nei testi ippocratici questi

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ultimi sono invece posti sullo stesso piano della gnwvmh non solo perché ai fini pratici essi sono preziosi strumenti diagnostici e pronostici, ma anche e soprattutto perché il medico ha dietro di sé una lunga pratica all'affinamento e all'esercizio corretto dei sensi e non ha quindi alcun motivo di sfiducia. I confronti col Corpus hippocraticum permettono di chiarire anche la misura del presunto scetticismo democriteo. I medici usano espressioni apparentemente scettiche sulla possibilità di individuare le malattie e di curarle soprattutto per sottolineare la difficoltà dell'impresa con cui sono confrontati e la loro abilità nel superarla. Le dichiarazioni scettiche si inseriscono dunque in un quadro ottimistico e autocelebrativo. Alla luce del confronto con questi testi risulta più chiara anche la doppia immagine di Democrito rimandata dalle testimonianze antiche: di sensista e di scettico. Essa deriva in realtà dall'estrapolazione di una o dell'altra affermazione da un contesto globale che sottolineava sì la difficoltà di conoscere "il più piccolo" e l'invisibile, ma solo per ribadire la propria capacità di superarla. Se i testi ippocratici sono un supporto fondamentale per l'interpretazione dell'atomismo antico, rimane da chiarire il tipo di rapporto che lega questi due fenomeni nel panorama culturale degli ultimi decenni del V sec. a.C. Il discorso della dipendenza unilaterale dei medici dal "filosofo" è ormai basato su vecchi schemi di superiorità della "filosofia" che non hanno più ragione di essere. Piuttosto il rapporto va verificato a livello di casi singoli. Spesso anche ciò che sembra una dipendenza evidente si rivela all'esame dei fatti semplicemente una analogia scaturita da un sostrato culturale comune. Talvolta, invece, come nel caso della trattazione dei succhi, è molto più probabile che la dipendenza sia inversa, che cioè Democrito abbia preso spunto dalle trattazioni mediche per formulare le sue dottrine. La dietetica è infatti una caratteristica peculiare non della meteorologia, ma della medicina dell'ultimo terzo del V sec. a.C. Si tratta di spunti che dovranno essere tenuti presenti nelle future ricerche su Democrito e che possono aprire nuovi scenari interpretativi al di là delle consuete questioni sull'indivisibilità dell'atomo.

Sintesi generale Il quadro tracciato in questo lavoro che riguarda soprattutto l'individuazione della presenza di Democrito nella tradizione platonica nelle sue varie fasi, si presenta molto complesso, discontinuo e soprattutto, talvolta, tracciabile solo a livello ipotetico. Dell'Accademia, nei vari periodi della sua evoluzione, è rimasto poco e ci si deve accontentare di individuare tendenze e interpretazioni dell'atomismo antico che in essa sicuramente si erano sviluppate nel corso dei secoli, attraverso la filigrana di autori che con questa polemizzano, come Aristotele, o che rappresentano delle sue argomentazioni e delle sue dottrine solo una sbiadita immagine, come Cicerone. Pur avendo a che fare quasi sempre con testimonianze indirette, si può tuttavia istituire, nel confronto fra i testi, una rete di connessioni e di corrispondenze che finisce per delineare un sentiero interpretativo per lo meno verosimile. Si profila così una ricezione dell'atomismo nell'Accademia antica, soprattutto da parte degli allievi di Platone, che inserisce le dottrine di Leucippo e Democrito nei dibattiti correnti all'interno della scuola articolati principalmente su due punti: la soluzione delle presunte aporie eleatiche, che negherebbero la molteplicità in quanto introdurrebbe il non essere e condurrebbe ad una divisibilità all'infinito dell'essere, e la conseguente ricerca dei veri principi attraverso il metodo di sottrazione dai corpi agli oggetti matematici fino ai primi principi, l'uno e la diade indefinita. Si tratta di due punti la cui trattazione da parte degli allievi di Platone è ben documentata sia nei testi aristotelici, che li citano soprattutto a scopi polemici, sia in generale nelle testimonianze antiche. Riguardo alle dottrine accademiche e alla soluzione delle aporie eleatiche in esse formulate si possono fissare alcuni punti sicuri e rilevanti ai fini di una certa presentazione dell'atomismo offerta in alcuni testi aristotelici: 1. Gli Accademici davano ragione agli Eleati che, se si ammetteva la genesi, era necessario introdurre il non essere, ma ritenevano quest'ultimo non una negazione, bensì un "altro dall'essere", sulla falsariga del Sofista platonico. Essi lo individuavano nella diade indefinita, il secondo principio, una delle cui manifestazioni fisiche era il vuoto. Si tratta di una tesi cui Aristotele fa esplicito riferimento nella Metafisica e nella Fisica. 2. Senocrate, in particolare, aveva corretto le presunte definizioni eleatiche dell'essere distinguendo quest'ultimo dall'uno e giustificando così

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la molteplicità. Essere corrispondeva al tutto divisibile e molteplice (risultante dalla congiunzione fra uno e diade indefinita), uno all'unità indivisibile e parte (che ordina i vari livelli dell'essere). Su questi concetti universali fondava la sua teoria della linea indivisibile in assoluto, limite ultimo e unità di misura dello spazio, e degli indivisibili relativi (in quanto misure e riflesso dell'uno) ad ogni livello dell'essere fino ai corpi. Gli indivisibili contro cui Aristotele combatte sono principalmente e soprattutto quelli di Senocrate e, solo, talvolta, per riflesso, quelli degli atomisti antichi. 3. Su questi presupposti e sulla metodologia impostata da Platone nel Timeo, si procedeva alla definizione dei principi col metodo di sottrazione dal corporeo all'incorporeo superando quelle dottrine (anche quelle atomiste) che si erano fermate ai corpi. Lo schema oppositivo accademico fra i sostenitori dei principi corporei e quelli dei principi incorporei accennato nel Sofista è ben documentato anche nell'opera aristotelica. Aristotele propone inoltre anche uno schema rovesciato in cui gli atomisti sono superiori a Platone e agli Accademici verosimilmente proprio per contrastare la tendenza opposta nella scuola platonica. Ad una polemica esplicita degli Accademici (i cosiddetti Pitagorici, nella fattispecie Senocrate) contro gli Atomisti, accenna un passo di Sesto Empirico che riporta materiale antico e autentico. Gli atomisti vengono lodati perché hanno posto principi intellegibili, ma biasimati perché hanno posto a fondamento del mondo dei corpuscoli indivisibili ed eterni che, in quanto corpi, tali non possono essere. I veri principi infatti non stanno nel corporeo, ma negli enti matematici intellegibili governati in ultima analisi dall'uno, il principio dell'ordine e del finito e dalla diade indefinita, il principio del disordine e dell'infinito. 4. Nella definizione dei principi rientra anche quella del "minimo privo di parti" (ejl avciston kai; ajmerev") come unità più piccola di una divisione finita, riflesso dell'uno e, in quanto tale, misura delle grandezze ad essa omogenee. Tale definizione è chiaramente attribuita all'avversario (Senocrate) dall'autore del trattato Sulle linee indivisibili per il quale essa sarebbe stata estesa a tutti i gradi dell'essere fino ai corpuscoli elementari. Ci sono buone ragioni per ritenere che egli abbia riprodotto abbastanza fedelmente la dottrina senocratea che contemplava, a detta di testimonianze tarde rispecchiate anche in alcuni brani aristotelici, tesi corpuscolari. Il corpuscolo minimo privo di parti risultante da una divisione finita è comunque per Senocrate indivisibile solo relativamente in quanto "unità di misura" del corporeo, ma non in assoluto. In base a questa concezione anche l'atomo e il corpuscolo potevano essere interpretati come ejl avcista kai; ajmerh' e criticati di conseguenza in quanto assunti non come minimi relativi, ma assoluti. Questi quattro punti sono fondamentali per comprendere il sostrato di una certa rappresentazione dell'atomismo che

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emerge talvolta in Aristotele e che si basa proprio su una visione condizionata dalle problematiche suddette e dalle loro soluzioni. Innanzitutto il modello di derivazione dagli Eleati che Aristotele presenta in De generatione et corruptione A 8 è basato su uno schema di concordanza coi concetti basilari di essere e non essere degli Eleati e su una soluzione simile a quella accademica: accordo con gli Eleati sulla necessità di introdurre un non essere per spiegare il movimento, ridefinizione di questo non essere come un essere "debole", diverso dall'essere vero e proprio, e dell'essere come molteplicità di unità ciascuna simile all'essere eleatico. Le uniche attestazioni di una possibile allusione agli Eleati da parte di Leucippo e Democrito non presentano "concessioni" di questo tipo, ma piuttosto un attacco fortemente polemico alla distinzione fra essere e non essere identificati dagli atomisti non semplicemente come atomi e vuoto, ma anche, secondo le concezioni correnti al tempo, come corpo solido e rado e considerati assolutamente equivalenti (in quanto ambedue funzionali alla produzione delle caratteristiche specifiche dei fenomeni) e non in rapporo gerarchico di maggiore o minore esistenza. Il logos sugli indivisibili di De generatione et corruptione A 2 derivato dal tentativo di soluzione della presunta aporia zenoniana sulla divisibilità all'infinito è d'altra parte una ricostruzione aristotelica che offre due modelli di soluzione correnti: quello logico, basato probabilmente su logoi accademici, e quello fisico, in cui Aristotele stesso presta a Democrito le argomentazioni corrispondenti. L'allusione esplicita ai corpuscoli democritei come ejl avcista kai; ajmerh' si incontra assai raramente nei testi aristotelici e solo nel caso in cui gli atomi vengano confrontati con gli indivisibili senocratei o inseriti in una trattazione generale degli indivisibili per essere poi confutati con le stesse argomentazioni di cui Aristotele si serve contro gli Accademici. I resoconti di Aristotele di carattere espositivo, soprattutto il frammento dell'opera specifica su Democrito riportato da Simplicio nel commento al De caelo, descrivono invece in altri termini il corpuscolo democriteo. Le sue caratteristiche principali sono la compattezza e la solidità che ne garantiscono l'eternità. La piccolezza è messa in rilievo unicamente per giustificarne l'invisibilità. In realtà i corpuscoli sono di grandezze diverse ed hanno forme "innumerevoli" e sono concepiti soprattutto per comporre una infinità di fenomeni. L'irregolarità delle forme e la loro infinita diversità fanno pensare ad una dottrina che parte dai corpuscoli per "comporre" dei corpi fisici reali piuttosto che dal concetto teorico di corpo per arrivare a stabilire, attraverso un procedimento afairetico di tipo matematico, una unità minima e indivisibile. Se in alcuni punti Aristotele si è servito anche di concetti e di interpretazioni dell'Accademia per rappresentare le dottrine di Leucippo e

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Democrito, egli ha tuttavia restituito, proprio per il suo particolare interesse storico nei confronti degli autori che leggeva, anche una rappresentazione diversa, probabilmente molto più vicina alla realtà, dell'atomismo antico. A questa tradizione aristotelica, ripresa da Teofrasto, si richiama anche la maggioranza delle interpretazioni successive dell'atomo democriteo a cominciare da Epicuro stesso. L'interpretazione epicurea è tuttavia una specie di sintesi delle due versioni dell'atomismo ora presentate. Se da una parte infatti utilizza i dati e la rappresentazione fisica aristotelica dell'atomismo antico in funzione antiaccademica, integra nel contempo la concezione del corpuscolo con i minimi privi di parti, misura dell'atomo. Epicuro criticava Democrito non tanto per la definizione dell'atomo quanto piuttosto per i dettagli della cosmogonia e per il determinismo, implicito, secondo lui, nel sistema democriteo. Ad una interpretazione dell'atomismo antico vicina a quella aristotelico-teofrastea, si richiamava anche la tradizione stoica, forse già con gli allievi di Zenone. Essa riprende la concezione dell'atomo indivisibile per la solidità e sviluppa una sua critica, diretta nel contempo anche e soprattutto contro l'epicureismo, basata sulla mancanza di un dio, fattore attivo e provvidenziale, che plasma la materia passiva. Degli atomi privi di qualità e assolutamente solidi non possono formare da sé dei corpi e tantomeno un universo ordinato. Lo stoicismo tardo, probabilmente di matrice posidoniana, riprende questa tradizione ampliandola con una classificazione delle varie forme di atomismo e corpuscolarismo divenuta poi la "vulgata". In questa classificazione Democrito ed Epicuro compaiono accomunati nella assunzione di un atomo solido e compatto e distinti da coloro che invece assumono corpuscoli ulteriormente divisibili con la mente. Nell'età ellenistica l'atomismo antico è comunque sempre strettamente legato a quello epicureo e viene, alla luce di quest'ultimo, interpretato e criticato. Particolarmente interessanti sono quei pochi testi che presentano invece una diaphonia nella concezione dell'atomo fra Leucippo (Democrito) ed Epicuro e attribuiscono all'uno un atomo indivisibile per la piccolezza, all'altro una definizione di indivisibile per la solidità. Si tratta di un contesto funzionale ad una confutazione dell'atomismo in generale di cui emergono qua e là brandelli in testi separati fra loro anche da una notevole distanza cronologica, ma tenuti insieme da tematiche e strutture argomentative simili che si possono, nella loro globalità far risalire all'Accademia scettica. Curiosamente riemerge, proprio nel contesto della tradizione platonica, se pure nelle profonde modifiche subite dopo Arcesilao, una interpretazione dell'atomo quale verosimilmente era stata formulata nell'Accademia antica. Ma si tratta di una analogia che non dice nulla sulla trasmissione e sulle fonti. Le critiche correlate alla rappresentazione

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dell'atomo di Leucippo indirizzano piuttosto verso un peripatetico sui generis come Stratone di Lampsaco, ma, a questo punto, dobbiamo riconoscere che ci si trova davanti ad un fantasma. Con Stratone, che pure doveva aver giocato un ruolo importante nella filosofia del primo ellenismo, la storia è stata avara per lo meno quanto con gli Accademici allievi di Platone e con l'Accademia di mezzo. L'interpretazione dell'atomo degli atomisti antichi come minimo privo di parti non finisce la sua storia confluendo nelle raccolte dossografiche. E' ancora una volta la tradizione platonica a riprendere dalla dossografia e a ricontestualizzare questa immagine. Gli autori Neoplatonici, probabilmente già Porfirio, utilizzano la diaphonia fra Epicuro e gli atomisti per commentare testi aristotelici critici nei confronti degli indivisibili accademici. Gli atomisti antichi, secondo questa interpretazione, avrebbero sostenuto degli atomi indivisibili per la piccolezza e privi di parti oltre che impassibili. Epicuro, in seguito alle critiche mosse all'indivisibile privo di parti da Aristotele, avrebbe modificato tale concetto dell'atomo considerandolo solo impassibile, ma non minimo privo di parti. Per i Neoplatonici questa rappresentazione aveva il vantaggio di dirottare su Leucippo e Democrito quelle critiche che Aristotele invece aveva diretto contro Senocrate e gli indivisibili accademici. Come si vede, dunque, la continuità di questa tradizione sull'atomismo di marca platonica è solo apparente. Se esiste un collegamento fra l'interpretazione dell'Accademia scettica e quella riemergente negli autori neoplatonici, essa è sicuramente mediata dalla dossografia, mentre è, ancora una volta, impossibile trovare un filo che leghi fra loro le due fasi dell'Accademia. E' inutile dire che tutte queste interpretazioni dell'atomo degli atomisti antichi poco o nulla fanno trapelare dell'originale. Se le interpretazioni antiche non aiutano molto a comprendere la vera natura dell'atomo e della dottrina atomistica in generale, bisogna rivolgersi ai resoconti più descrittivi, ai frammenti rimasti degli atomisti, ai testi loro contemporanei e al contesto sociale, politico, religioso in cui essi hanno vissuto. Se si parte dalla lingua e soprattutto dalle immagini leucippee e democritee che affiorano qua e là nei frammenti e nelle testimonianze, abbiamo un quadro meno "matematico" e più "medico", più "politico" e in fondo anche più "letterario" dell'atomo. Il nucleo centrale intorno a cui ruotano queste immagini non è infatti il problema della divisibilità, ma quello della deperibilità e della alterabilità dei corpi, della loro influenzabilità reciproca e dunque della loro estrema precarietà. In ogni momento essi si trovano al centro di potenti influssi che li penetrano impercettibilmente alterandone l'equilibrio: la sensazione stessa è una sorta di malattia, come del resto lo è la generazione. Questo perché i corpi sensibili sono

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"porosi" contengono cioè dei vuoti più o meno grandi che favoriscono l'azione delle ajnavgkai e hanno anch'essi ruolo altrettanto importante degli atomi nella produzione dei fenomeni. Un "grande vuoto", un'immagine che richiama nel contempo il grande abisso cosmogonico delle cosmogonie arcaiche e l'utero degli scritti ippocratici, è quello in cui si genera il cosmo. I piccoli vuoti e le loro forme determinano d'altra parte anch'essi certe caratteristiche e una maggiore o minore instabilità e vulnerabilità dei corpi. La persistenza dell'universo non può dunque essere garantita da corpi quali noi li vediamo. Il corpo eterno deve essere un individuo "adamantino" privo di "pori", compatto, solido, inattaccabile e "non tagliato, inviolato". L'atomo è questo individuo per natura mosso, come gli uomini, da spinte centrifughe e restio all'aggregazione. La forza dell'ajnavgkh cosmica lo fa impigliare e lo trascina in un vortice con gli altri simili, ma, nel momento in cui altre ajnavgkai più forti irrompono o fanno pressione sull'aggregato, l'atomo si libera e fugge. La storia del mondo, delle sue componenti, dei fenomeni è una storia di ajnavgkai, di aggregazioni costrette, di liberazioni di atomi che Democrito, come i meteorologoi, e in parte anche i medici del suo tempo, narra con immagini estremamente vivide e "visualizza" aprendo al suo pubblico una finestra sull'invisibile. I tempi sono maturi perché si presti un po' più di attenzione anche a questo Democrito "visionario" e "pastore di racconti".

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Indice dei passi Achilles Isagoge (ed. Maas) 3, 31,5 264 n. 166 24, 55,24 303 n. 87 Aelianus Varia historia 3,19 53 n. 55 Historia naturalis 5,39 13 n. 48 6,60 13 n. 48 9,64 13 n. 48 12,16 13 n. 48, 314 n. 121 12,17 13 n. 48, 302 n. 82 12,18 13 n. 48, 12,19 13 n. 48, 12,20 13 n. 48, 153 n. 146, 214 n. 102, 302 n. 86 Aeschylus Agamemnon 1237

203 n. 57

Agathon Fragmenta (edd. Snell-Kannicht) 6 297 n. 62 Alcmaeon (24 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B4 157 n. 161 Alexander Aphrodisiensis In Aristotelis Metaphysicorum libros commentaria (ed. Hayduck) 985a 21, 35,24 147 n. 123 985a 21, 35,26s. 222 n. 10 985b 19, 36,25 28 n. 123, 241 n. 77, 265 n. 171 987b 33, 55,20 80 n. 70, 209 n. 85 987b 33, 55,20-26 178 n. 31 991a 14, 97,27-98, 24 181 n. 42

In librum De sensu commentarium (ed. Wendland) 445b 27, 122,21 272 n. 195 449a 5, 172,28 272 n. 195 De mixtione (ed. Todd) 213,18 82 n. 77 213,18-214,6 75 n. 51 Quaestiones (ed. Bruns) 2,23, II,72,28 290 n. 37 Alexander Aphrodisiensis ap. Simpl. In De cael. 299b 23, 576,5 106 n. 139 Alexander Aphrodisiensis ap. Simpl. In Phys. 202b 36, 454,23-29 178 n. 31 187a 1, 130,10 271 n. 193 Ps. - Alexander Aphrodisiensis In Aristotelis Metaphysicorum libros commentaria (ed. Hayduck) 1053a 14, 610,24-32 265 n. 175 1056b 28, 631,8-11 263 n. 161 1083b 1, 766,31-34 271 n. 193 1084 b 23, 775,28 195 n. 26 Albertus Magnus De Lapidibus 1,1,4

290 n. 37

Ambrosius Hexaemeron (ed. Migne) 1,2,7 (P. L. 14,125 C) 245 n. 92 Ammonius In Aristotelis Categorias commentarium (ed. Busse) 4b 20, 54,4-9 98 n. 122 5a 3, 58,10-11 98 n. 122 In Porphyrii Isagogem (ed. Busse) Prooem. 7,13ss. 92 n. 105 Anaxagoras (59 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A 41 159 n. 166 A 61 137 n. 91, 181 n. 43

352

Indice dei passi

A 74 B1 B3 B4 B6 B7 B8 B9 B 12 B 13 B 16 B 17 B 21a

296 n. 58 127 n. 61, 151 127 n. 61 284 n. 21 284 n. 21 284 n. 21 208 n. 78, 284 n. 21 284 n. 21 284 n. 21 284 n. 21 284 n. 21 186 n. 53, 284 n. 21 299 n. 66

Anaximander (12 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A 17 44 n. 14 Anaximenes (13 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A 20 304 n. 90 Anonymus Prolegomena in Platonis Philosophiam (ed. Westerink) 5,1-46 50 n. 45 10,1ss. 89 n. 99 11,27 94 n. 110 Anonymus Iamblichi (89 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) 6 283 n. 18 6,1 289 n. 36 Antisthenes Rhodius Fragmenta (ed. Jacoby) FGrHist 508 F 14

51 n. 50

Antiphon (87 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B1 311 n. 112 B 3-5 10 n. 34 B 11 10 n. 34 B 14-15 10 n. 34 B 17-19 10 n. 34 Apollodorus Atheniensis Ap. Diog. Laert. 9,34s. 45 n. 17 10,13 5 n. 11 Apuleius De deo Socratis 20

290 n. 40

Archimedes Peri; tw'n mhcanikw'n (ed. Heiberg) II,428,26 39 n. 151 Archilochus Fragmenta (ed. West) 128,6s. 203 n. 52 Ps. - Archytas In Aristotelis Categoriarum Libros commentaria (ed. Szlezák) T3 97 n. 119 Peri; tou' kaqovlou lovgou (ed. Szlezák) 34,13ss. 97 n. 119 Aristoteles Categoriae 10a 11ss. Topica A 10, 104a 3-11 A 11, 104b 19-22

100 n. 130

112 n. 10 113 n. 14, 173 n. 20 A 11, 104b 22 122 n. 41 A 11, 104b 32-34 113 n. 15 A 11, 105a 1-9 112 n. 10 A 14, 105a 34-105b 25 112 n. 10 A 14, 105b 16-18 186 n. 54 B 3, 110b 9 141 n. 99 B 3, 110b 11 141 n. 99 B 7, 112b 29 141 n. 99 B 8, 113b 16 141 n. 99 G 6, 119a 34 141 n. 99 G 6, 120a 4 141 n. 100 Z 13, 150b 31 141 n. 100 H 3, 153b 29 141 n. 100 Q 1, 156b 18 184 n. 51 Q 1, 157a 1 182 n. 46 Q 3, 158b 8 141 n. 101 Q 5, 159a 26ss. 110 n. 4 Q 5, 159b 27 114 n. 16 Q 7, 160a 20 141 n. 100 Q 14, 163b 4-9 114 n. 19 Q 14, 163b 17 114 n. 19 Q 14, 164b 16 140 n. 98 Sophistici Elenchi 12, 172b 10s. 121 n. 38 12, 173a 6 121 n. 38 33, 182b 22 132 n. 74 34, 183b 36ss. 113 n. 11 Physica A2 113 n. 14 A 2, 184b 20 121 n. 39 A 2, 184b 25s. 59 n. 2

353

Indice dei passi

A 2, 185a 33 A 2, 185b 8 A 2-3 A3 A 3, 187a 1 A 3, 187a 1ss. A 3, 187a 1-3 A 4, 187a 36-187b 2 A 5, 188a 19 A 5, 188a 22 A 8, 191a 24-32 A 8, 191b 31-33 A 9, 191b 35ss. A 9, 191b 36 B 1, 193a 5ss. B 2, 193b 22-37 B 4, 196a 24ss. G 4, 203a 10ss. G 4, 203a 16 G 4, 203a 33 G 4, 203a 33-203b 1 G 5, 204b 4ss. G 6, 206a 16-18 G 6, 206a 16-23 G 7, 207b 6 G 8, 208a 14 D 1, 208b 25-209a 1 D 1, 208b 29-209a 1 D 2, 209b 6-12 D 2, 209b 11 D 6, 213a 19ss. D 6, 213a 27-31 D 6, 213a 31 D 6, 213a 32-34 D 6, 213b 4-14 D 6, 213b 15 D 6, 213b 18-20 D 6, 213b 21-22 D 6, 213b 22-24 D 6, 213b 22-27 D 7, 214a 13 D 9, 216b 27 Z 1, 231a 25 Z 1, 232a 6-11 Z 1-2 Z 9, 239b 11-14 Q 3, 253a 32

139 n. 92 209 n. 82 116 n. 26, 120 n. 36 136 133 n. 76 109 n. 2 127 n. 61 194 n. 23 146 n. 120 139 n. 92 134 n. 81 134 n. 81 114 n. 18 135 n. 85 76 n. 55 60 n. 5 16 n. 62 124 n. 47 125 n. 51 157 n. 158 156 n. 156 170 n. 15 127 n. 62 175s. n. 25 209 n. 82 78 n. 64, 173 n. 19 143 n. 114 112 n. 8 123 n. 45, 126 n. 59, 143 n. 112 139 n. 92 63 n. 14 149 n. 131 123 n. 46 287 122 n. 43, 142 n. 104 293s. n. 52 152 n. 141, 215 n. 106 152 n. 140 149 n. 131 124 n. 47 123 n. 45 294 n. 52 209 n. 82 268 n. 183 197, 235 n. 54 127 n. 61 120 n. 36

De caelo A 5, 271b 9-11 A 7, 275b 30ss. A 10, 279b 32

195 n. 25 156 n. 156 80 n. 68, 81 n. 76 B 13, 294b 13 304 n. 90 G 1, 298b 15ss. 116 n. 26 G 1, 298b 15-26 62 n. 14 G 1, 299a 2ss. 194 n. 24 G 1, 299a 6-9 178 n. 30 G 1, 299a 17s. 201 n. 49 G 1, 299a 25-30 241 n. 77 G 1, 299b 6 209 n. 82 G 1, 300a 7-12 178 n. 30 G 1, 300a 16-20 241 n. 76 G 2, 300b 9-19 56 n. 65 G4 30, 211, 281 G 4, 303a 4 221 n. 5 G 4, 303a 5-6 209 n. 86 G 4, 303a 6 156 n. 152 G 4, 303a 8-10 199 n. 37 G 4, 303a 9-11 57 n. 68 G 4, 303a 20-23 194 n. 24, 197 n. 31, 207 n. 70 G 4, 303a 29-303b 3 199 n. 39 G 5, 304a 9-18 189 n. 4, 193 G 5, 304a 14ss. 200 n. 41 G6 211 G 6, 305a 1-6 77 n. 56, 125 n. 52, 190 n. 10 G 6, 305a 3-4 112 n. 8 G 7, 305b 31-306a 1 238 n. 63 G 7, 306a 5-26 60 n. 6 G 7, 306a 30-35 238 n. 63, 239 n. 65 G 8, 306b 33 294 n. 52 D 2, 308b 29 64 n. 20 D 2, 308b 36 241 n. 77 D 2, 309a 2ss. 64 n. 19, 210 n. 89 D 6, 313a 16 304 n. 94 De generatione et corruptione A 1, 314a 17s. 121 n. 39 A2 30, 39, 110s., 56, 128s., 137, 165-187 pass., 263 A 2, 315b 6ss. 232 n. 49 A 2, 315b 11 215 n. 107 A 2, 315b 13-15 157 n. 160 A 2, 315b 24-30 209 n. 86

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A 2, 315b 28 A 2, 315b 28-316a 14 A 2, 315b 32-316a 4 A 2, 315b 33-34 A 2, 316a 2-4 A 2, 316a 5

169 n. 9 169 210 n. 90 241 n. 75 241 n. 76 78 n. 64, 166 n. 1 A 2, 316a 11ss. 207 n. 70 A 2, 316a 11-12 169 n. 10 A 2, 316a 14-23 174 n. 21 A 2, 316a 15-29 173 A 2, 316a 15-b 19 167 n. 7 A 2, 316a 17-19 172 n. 18 A 2, 316a 22s. 172 n. 18 A 2, 316a 23-34 177 n. 29 A 2, 316a 29 174 A 2, 316a 30-b 16 177 A 2, 316a 34ss. 174 n. 23 A 2, 316a 34-b 2 180 n. 35 A 2, 316b 1 178 A 2, 316b 2-5 181 n. 40 A 2, 316b 18-35 183 A 2, 316b 20-34 167 n. 7 A 2, 316b 21-27 183s. n. 50 A 2, 316b 29-34 172 A 2, 317a 2-12 176 n. 26 A 3, 318b 19 149 n. 131 A 5, 320b 33 139 n. 92 A 6, 322b 13 157 n. 159 A8 25, 37 n. 148, 56, 109-164 pass., 186, 216 A 8, 324b 35 118 n. 31 A 8, 324b 35-325a 2-30 110 A 8, 325a 2-23 110 A 8, 325a 17-23 120 A 8, 325a 23-30 140 A 8, 325a 23-b 11 137, 139s. n. 93 A 8, 325a 29 217 n. 111 A 8, 325a 30 185 A 8, 325a 30-b 11 155 A 8, 325a 32-325b 5 117 n. 30 A 8, 325b 3-5 215 n. 106 A 8, 325b 5-11 190 n. 10 A 8, 325b 17-19 209 n. 87 A 8, 325b 22-25 190 n. 9 A 8 325b 25-30 209 n. 81, 210 n. 89 A 8, 325b 25-33 56 A 8, 325b 32 139 n. 92 A 8, 326a 1ss. 207, 225 n. 23

A 8, 326a 4ss. A 8, 326a 9 A 8, 326a 13-14 A 8, 326a 21 A 8, 326a 24-29 A 8, 326a 31-33 A9 A 9, 327a 6 A 10, 327b 13-22 A 10, 327b 33ss. B 7, 334a 26-30 Meteorologica A 8, 345a 25 De anima A 2, 404a 1-21 A 2, 404a 2 A 4, 408b 32 A 4, 409a 10-15 A 5, 409b 2-4 De sensu 3, 440a 31-440b 4 6, 445b 8-15 6, 445b 11-13 6, 445b 15-21 Historia animalium Z 5, 563a 6 De partibus animalium A 1, 640b 29 De generatione animalium B 4, 746a 19 Metaphysica A 3, 983b 21 A 3, 984a 11-13 A4 A 4, 984b 23-31 A 4, 985a 3ss. A 4, 985b 4 A 4, 985b 7 A 5, 987a 3-5 A 5, 987a 20-21 A 6, 987a 29ss. A 6, 987b 10ss. A 8, 989a 21 A 8, 989a 30ss. A 8, 989a 30-b 4 A 8, 989a 30-b 21 A 8, 990a 12-14 A 9, 991a 14 A 9, 992a 19-24

216 n. 109 139 n. 92 216 n. 110 210 n. 89 185 n. 52 156 n. 156 211 177 n. 28 181s. n. 44 194 n. 22 194 n. 23 303 n. 87 57, 262 n. 160, 293 n. 50 207 n. 69 196 196 n. 29 17 n. 67 194 n. 22 198 n. 33 225 n. 24 198 n. 34 139 n. 92 319 n. 136 7 n. 15 139 n. 92 121 n. 39 159 n. 165, 112 n. 8 112 n. 8 147 n. 121, 217 n. 111 210 n. 92 62 n. 14 55 n. 61 54 54 n. 59 139 n. 92 170 n. 13 181 n. 43 112 n. 8, 137 n. 91 241 n. 77 181 n. 41 178 n. 31

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A 9, 992a 24-29

60 n. 3, 76 n. 55 A 9, 992b 18-993a 10ss. 60 n. 4 B 3, 999a 1 209 n. 82 B 4, 1001a 9-19 144 n. 115, B 4, 1001b 7 179 n. 33, 209 n. 82 B 5, 1001b 32-1002a 12 63 n. 16 B 5, 1002a 4-6 178 n. 30 B 5, 1002a 18-25 240 n. 72 B 5, 1002a 32 241 n. 76 B 6, 1002b 4 209 n. 82 G 4, 1006a 2 169 n. 12 G 5, 1009a 22 146 n. 119, 148 n. 123 G 5, 1009a 28 217 n. 111 G 5, 1009b 7 313 n. 117 G 5, 1009b 11 20 n. 89 G 5, 1010a 1-3 62 n. 14 D 3, 1014a 31-34 209 n. 87 D 3, 1014b 4-6 209 n. 83 D 3, 1014b 8 209 n. 82 Z 2, 1028b 16 64s. n. 21 Z 2, 1028b 19ss. 71 n. 39 Z 13, 1039a 7-14 156 n. 152, 196 n. 27, 206 H 2, 1042b 11-15 156 n. 156 I 1, 1052b 31ss. 209 n. 84 I 1, 1053a 1 209 n. 82 I 1, 1053a 10 209 n. 82 I 1, 1053a 20-24 223 I 3, 1054a 21 209 n. 82 K 2, 1060b 12 178 n. 30 K 3, 1061a 28-1061b 7 201 n. 49 L 6, 1071b 31 142 n. 106 L 6, 1071b 31-37 56 n. 64 M4 77 n. 58 M 4, 1078b 12ss. 54s. M 4, 1078b 19 55 n. 63 M 4, 1078b 19-21 63 n. 17, 66 n. 25 M 4, 1078b 21 293 n. 52 M 6, 1080b 6 85 n. 86 M 6, 1080b 30-32 85 n. 86 M 8, 1083b 11-19 241 n. 76 M 8, 1084b 27ss. 195 M 9, 1085a 31-34 178 n. 30 M 9, 1085b 16 209 n. 82

355 N 2, 1088b 35-1089a 6 112 n. 6 114 n. 18, 135 n. 83, 143 n. 111 N 2, 1089a 1ss. 136 n. 88 N 2, 1089a 3 4 n. 7 N 3, 1090b 5-7 178 n. 30 N 3, 1090b 21-29 81 n. 73 N 3, 1090b 28 194 n. 24 N 4, 1091a 23-29 81 n. 76 Rhetorica B 24, 1402a 3-6 134 n. 82 Fragmenta (ed. Rose) 28 80 n. 70 193 290 n. 40 201 124 n. 47 208 14 n. 53, 16 n. 62, 37 n. 148, 65 n. 22, 140 n. 95, 142 n. 107, 146 n. 118, 156 nn. 152, 157, 185s. n. 53, 201 n. 47, 206 n. 65, 212 n. 94, 215 n. 105, 282 n. 14, 288 n. 33 Fragmenta (ed. Ross) De ideis 5 181 n. 42 De Bono 2 209 n. 85

[Aristoteles] De lineis insecabilibus 27 n. 119 968a 2 237 n. 61 968a 2-9 191 n. 14 968a 9-14 169 n. 10 968a 16-18 192 n. 15 De Melisso, Xenophane et Gorgia 976b 12-18 143s. n. 114 979a 13-18 120 n. 35 980a 3-9 114 n. 17, 125 n. 55

356

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Problemata 903a 7 938b 24-27 Aristophanes Aves 567 695 Equites 246 Pluto 1142

296 n. 58 152 n. 140

213 n. 95 286 n. 29 203 n. 57

Celsus De medicina 2,6,13s.

213 n. 95

Thesmophoriazousai 956 202 n. 51 Aristoxenus Fragmenta (ed. Wehrli) 30 52 n. 53 52b 48 n. 36 54a 48 n. 36, 52 n. 53 54b 48 n. 36 56 48 n. 36 67 52 n. 52 131 49 n. 40 Asclepius In Aristotelis Metaphysicorum libros A-Z commentaria (ed. Hayduck) 985b 4, 33,9 148 n. 123 Augustinus Epistulae (ed. Migne) 118,28 (P. L. 33,II, 445) 262 n. 157 Sermones (ed. Migne) 362,20 (P. L. V,2, 1624s.) 262 n. 157 Basilius Caesarensis Hexaemeron 3A

266 n. 176

Caelius Aurelianus De morbis acutis 1,14,106 8 n. 27, 253 n. 122 3,14,112ss. 7 n. 16 3,15,120 7 n. 16 Callimachus Fragmenta (ed. Pfeiffer) 456 10 n. 34

Carneades Fragmenta (ed. Mette) F 1, 72,26ss. F 3, 80,2-3 F 3, 81,30 F 5, 85,67ss. F 8a, 93,24

230 n. 43 230 n. 42 230 n. 42 227 n. 29 226 n. 26, 230 n. 42

9 n. 31

Chalcidius In Timaeum (ed. Waszink) 101,19ss. 80 n. 70 283,17-284,8 82 n. 77 Chamaileon Fragmenta (ed. Wehrli) 4 52 n. 53 Cicero Academica 1,2,6 1,4,16 1,7,27-29 1,12,44 1,12,46 2,23,73 2,23,74 2,27,87 2,37,118 2,38,121

94 n. 111 229 n. 36 226 n. 28 20 n. 88, 229 n. 36 251 n. 118 20 n. 87 229 n. 36 227 n. 29 21 n. 92 14 n. 52, 249 n. 107, 250 n. 111 228 n. 33

2,40,125 De divinatione 1,37,80 23 n. 97 De Fato 10,22 21 10,23 254 n. 127 20,46 254 n. 126 De finibus 1,6,17 229 n. 37, 245 n. 87 1,6,18 227 n. 32 1,6,20 251 n. 113 1,6,21 229 n. 37 De natura deorum 1,23,65 226 n. 27 1,24,66 250 n. 109 1,24,67 250 n. 110 1,26,73 229 n. 37 1,32,90 256 n. 131 1,33,93 229 n. 37 1,39,110 227 n. 31, 229 n. 38

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1,43,120 229 n. 37 2,2,4 23 n. 97 2,37,93 245 n. 87 2,37,93s. 227 n. 32 3,12,29 226 n. 26, 230 n. 42 3,13,32 230 n. 42 De oratore 1,11,49 20 n. 90 2,46,194 23 n. 97 2,58,235 13 n. 48 3,18,67 88 n. 98 Hortensius (Fragmenta) (ed. Straube-Zimmermann) 53 7 n. 18 Orator 20,67 20 n. 90 Tusculanae disputationes 1,18,42 245 n. 87 1,34,82 7 n. 19 5,36,104 48 n. 37 Clemens Alexandrinus Paedagogus 1,94 Protrepticus 6,68,5 Stromata 1,14,64,2 4,23,149,3 5,13,87 5,14,101,4 6,18,168

7 n. 14 23 n. 97 19 n. 78, 161 n. 171 23 n. 97 290 n. 40 23 n. 97 23 n. 97

Corpus Hippocraticum Aphorismi (ed. Jones; Littré) 1 (98,1 Jones = IV,458 Littré) 312 n. 114 De aeribus aquis et locis (ed. Jouanna; Littré) 19,5 (235,4 Jouanna = II,72 Littré) 282 n. 14 De arte (ed. Jouanna; Littré) 5,4 (228,15-229,4 Jouanna = VI,8 Littré) 298 n. 65 6,4 (230,15 Jouanna = VI,10 Littré) 296 n. 60 8,2 (232,17 Jouanna = VI,12 Littré) 120 n. 37 9,2 (234,13 Jouanna = VI,16 Littré) 308 n. 104 10,5 (236,15 Jouanna = VI,18 Littré) 308 n. 105 11,1 (237,11 Jouanna = VI,18 Littré) 308 n. 103

357 11,1-4 (237,4-238,7 Jouanna = VI,18-20 Littré) 312 n. 115 11,4 (237,17 Jouanna = VI,20 Littré) 307 n. 101 11,6 (238,16 Jouanna = VI,20 Littré) 308 n. 104 12,3 (240,10 Jouanna = VI,24 Littré) 281 n. 11 De articulis (ed. Kühlewein; Littré) 62 (II,214,2 Kühlewein = IV,268 Littré) 203 n. 55 De flatibus (ed. Jouanna; Littré) 1,3 (103,6 Jouanna = VI,90 Littré) 307 n. 102 De genitura (ed. Joly; Littré) 1,1 (44,1 Joly = VII,470 Littré) 151 n. 138 1,2-3 (44,10-45,8 Joly = VII,470-472 Littré) 157 n. 161 De glandulis (ed. Joly; Littré) 16,2 (121,20 Joly = VIII,572 Littré) 214 n. 100, 283 n. 19 De locis in homine (ed. Joly; Littré) 46 (76,6-77,4 Joly = VI,342-344 Littré) 296 n. 60 46,3 (76,26 Joly = VI,342 Littré) 297 n. 63 De morbis IV (ed. Joly; Littré) 55,3 (118,3 Joly = VII,602 Littré) 302 n. 85 56,7 (121,16 Joly = VII,608 Littré) 306 n. 100 De morbis mulierum I (ed. Grensemann; Littré) 1,11-19 (88,24-89,17 Grensemann = VIII,12-14 Littré) 213 n. 99, 283 n. 19 De morbo sacro (ed. Jouanna; Littré) 1,9 (7,3 Jouanna = VI,358 Littré) 281 n. 10 18,1 (31,16 Jouanna = VI,394 Littré) 157 n. 161 De natura hominis (ed. Jouanna; Littré) 1 (165,1 Jouanna = VI,32 Littré) 319 n. 135 1 (166,9-11 Jouanna = VI,34 Littré) 122 n. 41 2 (168,4s. Jouanna = VI,34 Littré) 259 n. 140

358

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De natura pueri (ed. Joly; Littré) 12,6 (54,27-55,3 Joly = VII,488 Littré) 287 n. 31 13,3 (56,3-5 Joly = VII,490 Littré) 287 n. 31 14,2 (56,19-21 Joly = VII,492 Littré) 287 n. 31 31,2 (83,8 Joly = VII,540 Littré) 314 n. 121 De officina medici (ed. Kühlewein; Littré) 1 (I,30,1 Kühlewein = III,272 Littré) 309 n. 106 9 (II,36,10 Kühlewein = III,302 Littré) 156 n. 157 De vetere medicina (ed. Jouanna; Littré) 9,4 (128,15-17 Jouanna = I,590 Littré) 312 n. 113 10,3-4 (130,9-131,10 Jouanna = I,592-94 Littré) 312 n. 113 12,2 (132,18 Jouanna = I,596 Littré) 297 n. 60 14,4 (136,8 Jouanna = I,602 Littré) 157 n. 161 14,4 (136,10 Jouanna = I,602 Littré) 315 n. 123 20,1 (145,18 Jouanna = I,620 Littré) 12 n. 45, 318 n. 132 20,1 (146,5 Jouanna = I,620 Littré) 318 n. 133 20,3 (146,15 Jouanna = I,622 Littré) 318 n. 134 22,6 (151,2 Jouanna = I,630 Littré) 149 n. 130 De victu (ed. Joly; Littré) I,2 (122,22 Joly = VI,466 L.) 319 n. 137 II,56,6 (180,5 Joly = VI,568 Littré) 316 n. 125 De victu acutorum (ed. Joly; Littré) 6,1 (38,11 Joly = II,238 Littré) 12 n. 45, 318 n. 132 8,2 (39,12 Joly = II,242 Littré) 306 n. 98 Prorrheticus II (ed. Potter; Littré) 2-3 (221-227 Potter = IX,10-14 Littré) 306 n. 98 3 (224-226 Potter = IX,12-14 Littré) 311 n. 111 30 (276 Potter = IX,60 Littré) 281 n. 12 30 (278 Potter = IX,60 Littré) 281 n. 12

Critias (88 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B 25 51 n. 51 B 39 311 n. 112 Cyrillus Alexandrinus Contra Iulianum 2,15 245 n. 92 Damoxenus comicus Fragmenta (edd. Kassel-Austin) 2,29 317 n. 128 David Prolegomena philosophiae (ed. Busse) 38,14 301 n. 77 Demetrius Laco (ed. Puglia) P. Herc. 1012 col. XV,154 251 n. 116 Demetrius Magnes Ap. Diog. Laert. 9,36 47 n. 32 Demetrius Phalereus Fragmenta (ed. Wehrli) 93 48 n. 35 Democritus (68 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz; Lur'e) A 1 (I L.) 161 n. 172 A 1 (I, CXXVII L.) 11 n. 39 A 1 (XI L.) 292 n. 49 A 1 (XVII, 154 L.) 54 n. 57 A 1 (XXV, 493a L.) 48 n. 35 A 1 (LXXX L.) 19 n 83, 49 n. 40 A 1 (42, 382 L.) 221 n. 4 A 1 (93, 382 L.) 221 n. 9 A 1 (184, 382 L. 221 n. 5 A 1 (215, 382 L.) 221 n. 3 A 1 (493a L.) 47 n. 34 A 1 (569 L.) 221 n. 9 A 1 (735 L.) 221 n. 8 A 11 (XXIV L.) 48 n. 37 A 21 (LXI, 513 L.) 13 n. 48 A 31 (CXXIV L.) 10 n. 34 A 32 (CXXV L.) 11 n. 37 A 33 (CXV L.) 4 n. 9, 13, 203 n. 54, 210 n. 91, 313 n. 118

359

Indice dei passi

A 34 (CXVII, CXVIII L.) 14 n. 53 A 34 (CXIX L.) 57 n. 70 A 34 (CXXIII L.) 16 n. 64 A 34 (36a L.) 16 n. 60 A 34 (826, 827 L.) 20 n. 90 A 36 (99, 171 L.) 63 n. 17, 66 n. 25 A 37 (172 L.) 65 n. 22 A 37 (172, 197 L.) 14 n. 53, 146 n. 118, 212 n. 94 A 37 (172, 197, 293 L.) 206 n. 65 A 37 (227, 293 L.) 16 n. 62, 140 n. 95, 142 n. 107, 156 n. 152, 156 n. 157, 185s. n. 53, 201 n. 47,215 n. 105, 282 n. 14, 288 n. 33 A 38 (318 L.) 201 n. 46s., 207 n. 71 A 39 (20, 23 L.) 279 n. 1 A 41 (145, 220, 237 L.) 125 n. 51, A 41 (220 L.) 157 n. 158 A 42 (46, 211 L.) 156 n. 152, 196 n. 27 A 43 (219, 265, 299, 310 L.) 233 n. 50 A 45 (238 L.) 146 n. 120 A 46 9 n. 33, 259 n. 139 A 47 (207 L.) 232 n. 47 A 47 (307, 365 L.) 254 n. 126s. A 48 (106 L.) 265 n. 169s. A 48a (107 L.) 274 n. 202 A 48b (105 L.) 174 n. 21 A 49 (90, 185, 197 L.) 146 n. 117, 205 n. 61

A 49 (112 L.)

101 n. 132, 258 n. 137 A 50 (39 L.) 17 n. 70 A 51 (XCIX L.) 229 n. 37 A 52 (XCV L.) 16 n. 63 A 55 (124, 169 L.) 231 n. 44 A 56 (C, 15, 180, 361 L.) 227 n. 32, 229 n. 37, 245 n. 87 A 57 (179 L.) 22 n. 95, 101 n. 132, 229 n. 38 A 57 (198 L.) 206 n. 63 A 60 (368 L.) 210 n. 89 A 62 (375 L.) 304s. n. 94 A 67 (19 L.) 298 n. 64 A 68 (24, 99 L.) 14 n. 50, 298 n. 64 A 69 (18, 288 L.) 16 n. 62 A 69 (36a L.) 16 n. 61 A 74 (472a, 594 L.) 229 n. 37 A 75 (581 L) 17 A 77 (476 L.) 17 n. 70, 290 n. 38s. A 78 (472a L.) 290 n. 39 A 80 (26 L.) 14 n. 52, 250 n. 111 A 86 (390 L.) 17 n. 66 A 88 (380 L.) 17 n. 66 A 91 (418 L.) 303 n. 87 A 93 (415 L.) 154 n. 150 A 93a (12, 371 L.) 18 n. 76, 285 n. 23, 301 n. 74 A 98 (414 L.) 18 n. 76 A 108 (454 L.) 17 n. 67 A 111 (81 L.) 299 n. 66 A 112 (52, 80 L.) 313 n. 117 A 116 (86, 438, 520, 572 L.) 291 n. 46 A 120 (171 L.) 63 n. 17, 102, 103 n. 137, 207 n. 71 A 125 (94, 214, 229, 487 L.) 220 n. 1 A 126a (480, 489 L.) 301 n. 80 A 128 (11, 316, 491, 565 L.) 18 n. 75, 289 n. 35, 301 n. 75 A 132 (499 L.) 207 n. 72, 225 n. 23

360

Indice dei passi

A 135 (50) (478 L.) A 135 (54) (478 L.) A 135 (55) (488 L.) A 135 (56) (488 L.) A 135 (60) (71 L.)

149 n. 129 214 n. 101 317 n. 129 153 n.145 65 n. 23, 225 n. 24 A 135 (61) (369 L.) 215 n. 109 A 135 (62) (369 L.) 149 n. 129, 153s. n. 147, 317 n. 129 A 135 (65) (496 L.) 153 n. 144, 285 n. 23, 286 n. 28, 316 n. 126 A 135 (66) (496 L.) 201 n. 47, 305 n. 95s., 317 n. 129 A 135 (67) (496 L.) 315 n. 124 A 135 (69) (3, 441 L.) 205 n. 62, 225 n. 24, 310 n. 110 A 135 (73) (484 L.) 204 n. 59 A 135 (74) (484 L.) 154 n. 148 A 135 (75) (484 L.) 154 n. 149, 207 n. 72, 210 n. 92 A 135 (79) (484 L.) 304 n. 95 A 144 (535, 536 L.) 7 n. 15 A 150a (560 L.) 13 n. 48 A 151 (519, 545, 561 L.) 13 n. 48, 314 n. 121 A 152 (521 L.) 13 n. 48, 302 n. 82 A 153 (541 L.) 13 n. 48 A 154 (543 L.) 13 n. 48 A 155 (542 L.) 13 n. 48, 153 n. 146, 214 n. 102, 302 n. 86 A 155a (554 L.) 13 n. 48 A 156 (549 L.) 13 n. 48 A 159 (567a L.) 7 n. 16 A 160 (586 L.) 7 n. 19, 9 n. 31 A 162 (557 L.) 153 n. 143 A 164 (448 L.) 290 n. 37 A 165 (319 L.) 290 n. 37

A 171 Nachtr. (558 L.) 9 n. 30 A 197 (456 L.) 8 n. 21 B 1a (587 L.) 17 n. 69 B 5 (I L.) 161 n. 172 B 5 (159 L.) 45 n. 17, 306 n. 35 B 5,1 (515, 572a L.) 44 n. 10 B 5,1 (558 L.) 289 n. 36 B 6 (CXVI, 48 L.) 206 n. 64 B 9 (55 L.) 205 n. 61, 215 n. 106, 282 n. 16, 315 n. 124 B 11 (83 L.) 309s. n. 107 B 14,1 (424,1 L.) 12 n. 47 B 15b (139, 160 L.) 12 n. 47 B 17 (574 L.) 23 n. 97 B 18 (574 L.) 23 n. 97 B 30 (580 L.) 23 n. 97 B 32 (527 L.) 6 n. 14 157 n. 160, 282 n. 17 B 33 (682 L.) 23 n. 97 B 34 (10 L.) 301 n. 77 B 116 (XXIV L.) 47 n. 32 B 117 (51 L.) 20 n. 88, 205 n. 61 B 118 (LVIII, 29 L.) 296 n. 59 B 119 (32 L.) 297 n. 63 B 122a (567 L.) 45 n. 18 B 125 (79-80 L.) 9 n. 29, 205 n. 61, 310 n. 108 B 131 (828 L.) 208 n. 79 B 135 (828 L.) 214 n. 103, 301 n. 78 B 143 (64 L.) 17 n. 69 B 144 (568 L.) 17 n. 69 B 148 (537 L.) 22 n. 94, 286 n. 30, 301 n. 80 B 153 (611 L.) 17 n. 69 B 155 app. (125, 126 L.) 39 n. 151 B 155 app. (287a L.) 18 n. 73 B 156 (7, 78 L.) 146 n. 117 B 157 (728 L.) 203 n. 56 B 163 (75 L.) 151 n. 139 B 164 (11, 316 L.) 18 n. 75, 250 n. 108,

361

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B 165 (63, 65 L.) B 166 (472a L.) B 167 (19, 288 L.) B 300,2 VIII L. LXXX L. LXXXIII L. XCII L. XCIV L. CIV L. 8 L. 57 L. 61 L. 92 L. 101 L. 108 L. 110 L. 113 L. 117 L. 119 L. 120 L. 122 L. 123 L. 124 L. 143 L. 152 L. 169 L. 175 L. 177 L. 182 L. 188 L. 197 L. 200 L. 201 L. 212 L. 214 L.

289 n. 35, 301 n. 75 20 n. 87, 319 n. 136 290 n. 40 206 n. 64, 279 n. 5, 298 n. 64 13 n. 47 19 n. 78, 161 n. 171 50 n. 44 19 n. 78 19 n. 78 19 n. 78 229 n. 37 146 n. 119 261 n. 151 17 n. 70, 221 n. 9 261 n. 151 106 n. 140, 209 n. 86 272 n. 194 198 n. 33s. 261 n. 154 196 n. 29, 223 n. 15, 268 n. 181 274 n. 201 270 n. 188 63 n. 17, 106 n. 139 28 n. 123, 241 n. 77, 265 n. 171 82 n. 77 146 n. 119, 217 n. 111 161 n. 171 82 n. 77 200 n. 44 148 n. 123 229 n. 37 146 n. 118 146 n. 118 224 n. 17 264 n. 165 222 n. 13 147 n. 123, 222 n. 10

217 L. 218 L. 234 L. 235 L. 237 L. 251 L. 266 L. 267 L. 272 L. 273 L. 302 L. 328 L. 337 L. 350 L. 376 L. 429 L. 449 L. 470 L. 506 L. 565 L. 591 L. 592 L. 594 L.

254 nn. 124, 128 244 n. 83 254 nn. 124, 128 244 n. 83 283 n. 180 14 n. 50 123 n. 45 123 n. 45 244 n. 83 99 n. 127 244 n. 83 146 n. 118 209 n. 87 229 n. 37 304 n. 90 198 n. 33s., 225 n. 24 245 n. 87 229 n. 37 91 n. 103 244 n. 83 244 n. 83, 246 n. 94, 247 n. 97 245 n. 91 262 n. 158

Dexippus In Aristotelis Categorias commentarium (ed. Busse) 4b 20, 65,9-13 97 n. 119 Dicaearchus ap. Philod. Index Acad. P. Herc 1021 col. Y 50 n. 49 Didymus Caecus Commentarium in Ecclesiastem 7-8,8, Cod. p. 209,27 245 n. 92 Diodorus Chronus Fragmenta (ed. Giannantoni) II F 9 SSR 272 n. 195 Diodorus Siculus Bibliotheca historica 1,7,1 44 n. 10 1,8,1 289 n. 36

362

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Diogenes Apolloniates (64 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A1 44 n. 14 A6 44 n. 14 A7 157 n. 159 A 19 157 n. 159 B2 157 n. 159 Diogenes Laertius Vitae philosophorum Prooem. 1 231 n. 44 Prooem. 15 161 n. 171 1,76 162 3,24 50 n. 44 3,46 52 3,56 55 n. 62 3,67 94 n. 109 3,70 94 n. 109, 95 n. 113 5,26s. 14 n. 53 5,43 14 n. 53 5,49 14 n. 53 5,86 30 n. 130 9,23 131 n. 70 9,29 131 n. 70 9,30 44 n. 13, 140 n. 96, 159 n. 165, 161 n. 171, 207 n. 71 9,31 201 n. 47, 206 n. 66, 279 n. 3 9,33 15 n. 57, 17 n. 66, 282 n. 13 9,34 292 n. 48 9,38 54 n. 57 9,39 51 n. 50 9,40 43, 49 n. 40 9,41 11 n. 39, 161 n. 172 9,44 221 nn. 3-5, 9, 232 n. 47 9,45 221 n. 8s. 9,46 4 n. 9 9,47 13, 203 n. 54, 210 n. 91 9,54 44 n. 14 9,61 19 n. 81 9,67 19 n. 80 9,72 20 n. 88, 205 n. 61, 222 n. 9 9,111 162 10,2 16 n. 63 10,13 5 n. 11 10,24 16 n. 64 Diogenes Oenoandensis Fragmenta (ed. Smith) 7 II 17 n. 70

7 II 2 10 I,4ss. 10 IV,10ss. 54 II-III

221 n. 9 17 n. 70 17 n. 70 17 n. 70

Dionysius Caesarensis Ap. Eus. Praep. ev. 14,23 191 n. 12 14, 23,1-4 233 n. 50 14,25,9 250 n. 108 14,27,4 296 n. 59 Dionysius Halicarnassensis De compositione verborum 24 20 n. 90 Duris Samius Fragmenta (ed. Jacoby) FGrHist 76 F 23

54 n. 57

Ecphantus (51 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) 1 54 n. 58, 294 n. 54 2 54 n. 58 4 54 n. 58 Empedocles (31 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B 89 291 n. 41 B 111 281 n. 10 Ephippus comicus Fragmenta (edd. Kassel-Austin) 14,7 208 n. 74 Epicurus Epistulae 1,38s. 1,41 1,42

221 n. 4 242 n. 80 220 n. 1, 221 n. 6, 239 n. 66, 242 n. 81, 255 1,42s. 221 n. 6 1,44 221 n. 3 1,54 221 n. 3s. 1,55s. 239 n. 66 1,59 236 n. 58, 239 n. 68s. 1,68s. 225 n. 25 2,42s. 15 n. 58 2,88 15 n. 57 2,90 279 n. 1 Fragmenta (ed. Usener) 92 220 n. 2, 239 n. 67 267 264 n. 166

363

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278 268 n. 184 280 241 n. 73 293 256 n. 133, 293 n. 51 308 44 n. 13 Fragmenta (ed. Arrighetti) Peri; fuvsew" [29.23] 238 n. 64 [34. 30] 16 n. 61, 17 n. 70, 279 n. 1 Epiphanius Adversus haereses (ed. Holl) 1,8,1, 186,12 44 n. 13 Anacephalaeosis (ed. Holl) 1,8, 166,5 266 n. 177 De fide (ed. Holl) 15, 505,30 19 n. 78 Erotianus Vocum Hippocraticarum collectio (ed. Nachmanson) 7,23 10 n. 34 Etymologicum Magnum s. v. nastov"

213 n. 96

Eudemus Rhodius Fragmenta (ed. Wehrli) 31 50 n. 48, 209s. n. 87 53 298 n. 64 54a 14 n. 51, 298 n. 64 54b 14 n. 51 75 14 n. 50 133 50 n. 48, 52 n. 54 148 50 n. 48 Eudoxus Cnidius Fragmenta (ed. Lasserre) D1 181 n. 41 Eunapius Vitae sophistarum 2,1 263 n. 163 Euripides Heracles 130 Hippolytus 1044 885

203 n. 55 204 n. 58 204 n. 58

Phoenissae 300 204 n. 58 Fragmenta (ed. Kannicht) 910 279 n. 2, 300 n. 72

[Euripides] Rhesus 82

203 n. 57

Eusebius Caesarensis Praeparatio evangelica 10,14,15s. 161 n. 171 14,17,10 19 n. 78 14,18,27 19 n. 78 Galenus De compositione medicamentorum secundum locos (ed. Kühn) 1,2 (XII,416 K.) 8 n. 25 4,8 (XII,745 K.) 8 n. 25 7,2 (XIII,30 K.) 8 n. 25 De compositione medicamentorum per genera (ed. Kühn) 2,17 (XIII,537 K.) 8 n. 25 De constitutione artis medicae (ed. Kühn) 7 (I,246 K.) 257 n. 136 7 (I,247-249 K.) 260 n. 144 7 (I,249 K.) 253 n. 122 De differentia pulsuum (ed. Kühn) 2,7 (VIII,609 K.) 80 n. 67 De dignotione pulsuum (ed. Kühn) 4,2 (VIII,931 K.) 9 n. 33, 259 n. 139 De elementis secundum Hippocratem (ed. De Lacy; Kühn) 1,7 (58,21 De Lacy = I,416 K.) 258 n. 137 2,9 (60,8 De Lacy = I,417 K.) 205 n. 61 2,16 (60,17-19 De Lacy = I,418 K.) 101 n. 132, 146 n. 117, 257 n. 136 2,17 (62,4-7 De Lacy = I,418-419 K.) 258 n. 137 2,24ss. (64,5 De Lacy = I,420 K.) 259 n. 141 De experientia medica (ed. Walzer) 9,5, 99 9 n. 30 15,7, 114 9 n. 29, 205 n. 61, 310 n. 108 24,3, 133 70 n. 36 25,2, 136 70 n. 36 De naturalibus facultatibus (ed. Helmreich; Kühn) 1,14 (III,136,25 Helmreich = II,49 K.) 293 n. 51

364

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1,14 (III,137,1 Helmreich = II,49 K.) 256 n. 133 2,6 (III,172,7 Helmreich = II,97 K.) 258 n. 138 De placitis Hippocratis et Platonis (ed. De Lacy; Kühn) 8,3,1 (494,26 De Lacy = V,6K.) 92, 93 n. 106 8,3,7 (496,14 De Lacy = V,668 K.) 80 n. 67, 93s. n. 108 8,3,11 (496,31 De Lacy = V,670 K.) 95 n. 114 De simplicium medicamentorum temperamentis (ed. Kühn) 5,25 (XI,783 K.) 258 n. 137 De usu partium (ed. Helmreich; Kühn) 3,10 (I,177,10 Helmreich = III,241 K.) 301 n. 77 In Hippocratis De natura hominis (ed. Mewaldt; Kühn) 1,6 (21,11-23 Mewaldt = XV,36 K.) 260 n. 144 In Hippocratis De officina medici (ed. Kühn) 1,1 (XVIII/2,656 K.) 311 n. 112 In Hippocratis Epidemiarum librum III commentaria (ed. Wenkebach; Kühn) 1,4 (25,3 Wenkebach = XVII A,521 K.) 6 n. 14 In Hippocratis Epidemiarum librum VI commentaria (ed. Wenkebach-Pfaff; Kühn) 3,12 (138,3 Wenkebach-Pfaff = XVII B,28 K.) 6 n. 14 [Galenus] An animal sit (ed. Kühn) 5 (XIX,176 K.) 7 n. 14 Historia philosopha (ed. Diels) 3 19 n. 78 18 82 n. 77 46 245 n. 88 120 7 n. 15 Introductio sive medicus (ed. Kühn) 9 (XIV,698 K.) 253 n. 122 Theriaca ad Pisonem (ed. Kühn) 11 (XIV,250 K.) 233 n. 50 Gellius Noctes Atticae 19,2,8

6s. n. 14

Gorgias (82 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B1 128 n. 33 B 11 (8) 46 n. 25 B 11 (10) 291 n. 42s. B 11 (13) 45 n. 22, 120, 300 n. 70 Harpocration Lexicon (ed. Keaney) s.v. “Iwn 151 n. 138 Heraclides Ponticus Fragmenta (ed. Wehrli) 22 30 n. 130 118-123 77 n. 57 Hermias Irrisio gentilium philosophorum (ed. Diels) 12 44 n. 13 14 225 n. 21 [Hermippus] (Iohannes Catrarius) De astrologia (edd. Kroll-Viereck) 25,19 290 n. 39 Hermodorus Fragmenta (ed. Isnardi Parente) 7 68 n. 29, 131 n. 71 Herodianus Peri; parwnuvmwn (ed. Lentz) 895,40 11 n. 37 Herodotus Historiae 1,30 2,143 5,58,1 6,116 6,137 7,100 7,168 9,13

203 n. 57 42 n. 1 203 n. 53 304 n. 92 42 n. 1 304 n. 92 304 n. 92 304 n. 92

Hero Alexandrinus Metrica (ed. Schöne) 1, Prooem. 92,17 1, Prooem. 92,19 Hesiodus Theogonia 305

215 n. 108 215 n. 108

151 n. 137

365

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736-745

Fragmenta (ed. Larsen) 78

285 n. 25

Hesychius Gramaticus Lexicon (ed. Latte) s.v. ajnemokoi'tai s.v. ajpavthton s.v. dexamenaiv s. v. nastov"

281 n. 10 208 n. 79 214 n. 103, 301 n. 78 215 n. 108, 220 n. 1

Hippolytus Refutatio omnium haeresium 1,12 15 n. 57, 140 n. 97, 142 n. 109 1,12,1 161 n. 171 1,12,2 282 n. 13, 286 n. 28 1,15 54 n. 58, 294 n. 54 1,22,2 264 n. 167 6,23,3 81 n. 74 7,15,1 262 n. 157, 264 n. 167 8,14 7 n. 14 10,6,1-7 234 n. 51 Homerus Ilias 8,14 8,539 Odyssea 4,209

302 151 n. 137 151 n. 137

Horatius Epistulae 2,3,295-97 23 n. 97 Iamblichus De anima (Fragmenta) (edd. Finamore-Dillon) 26,13-18 101 n. 135, 249 n. 106 De communi mathematica scientia (ed. Festa) 4, 16,15ss. 178 n. 30 In Nicomachi arithmeticam introductionem liber (ed. Pistelli) 105,11 99 n. 125 118,26 99 n. 125 Theologoumena arithmeticae (ed. De Falco) 23, 29,10-12 81 n. 74

100 n. 129

Johannes Philoponus De aeternitate mundi contra Proclum (ed. Rabe) 6,8, 223,12 99 n. 124 In Aristotelis De anima libros commentaria (ed. Hayduck) 403b 31, 67,21 224 n. 17 404b 30, 82,17 83 n. 80 In Aristotelis libros De generatione et corruptione commentaria (ed. Vitelli) 314b 15, 17,29-33 106 n. 140 316a 12, 27,8ss. 167 n. 5 316b 32, 39,4 224 n. 17 325a 6, 157,12ss. 131 n. 67 325a 32, 158,27-159,3 156 n. 154 325b 34, 164,10ss. 273 n. 196 325b 34, 164,11-13 260 n. 147 325b 34, 164,24-165,8 260 n. 145 326a 14, 167,21-24 216 n. 110 326a 14, 168,4 260 n. 150 326a 24, 175,7 265 n. 175 In Aristotelis Physicorum libros commentaria (ed. Vitelli) 184b 15, 25,5 224 n. 17 184b 20, 25,19ss. 106 n. 140 185b 5, 42,9 115 n. 22 187a 1, 81,25-29 133 n. 77 187a 1, 83,19-22 134 n. 78 187a 1, 83,19-27 271 n. 191 187a 2, 84,15-85,2 271 n. 191 188a 19, 110,10 146 n. 118 188a 19, 116,28-117,10 106 n. 140 194a 20, 228,28-229,2 106 n. 140 206a 14, 465,3-13 271 n. 192 Cor. de loc. 562,6 215 n. 108 Cor. de loc. 575,22 215 n. 108 Ps.-Philoponus Exegesis in Aristotelis Metaphysicam versio latina Patritii (ed. Lohr) f3 148 n. 125 Ibn al-Matran Busta–nu l-atibba–' wa-raudatu l-alibba– (ed. Strohmaier) Strohmaier 1968, 2 295 n. 55

366

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Ion Chius (36 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B1 151 n. 138 B3 297 n. 61 Irenaeus Adversus haereses 2,14,3 290 n. 40 Isidorus Hispalensis Etymologiarum Libri XX 13,2,1-4 262 n. 158 Isocrates Antidosis 268 Helena 3

119 n. 33 115 n. 24, 119 n. 32

Ps.-Iustinus Cohortatio ad Graecos 4,1 253 n. 122 26,1 94 n. 110 Lactantius De ira dei 245 10,1ss. 244 n. 83, 247 n. 97 10,9 248 n. 101 10,11 248 n. 99 10,23 247 n. 97 13,9 249 n. 107 De opificio Dei 2,10 245 n. 86 Divinae Institutiones 3,17,21-27 244 n. 83, 246 n. 94 3,17,23 250 n. 112 Epitome Div. Inst. 62,6 247 n. 98 Leucippus (67 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz; Lur'e) A 1 (152 L.) 159 n. 165, 161 n. 171 A 1 (289 L.) 206 n. 66 A 1 (289, 382 L.) 140 n. 96, 207 n. 71 A 1 (289, 318, 382, 389) 44 n. 13 A 1 (382 L.) 15 n. 57, 201 n. 47, 279 n. 3, 282 n. 13

A 1 (382, 389 L.)

17 n. 66, 44 n. 13, 140 n. 96 A 2 (LXXV L.) 5 n. 11 A 4 (VIII, 152 L.) 19 n. 78, 161 n. 171 A 5 (152 L.) 19 n. 78 A 6 (173 L.) 147 n. 121, 217 n. 111 A 6 (240 L.) 232 n. 49 A 7 (101 L.) 209 n. 81 A 7 (118, 222 L.) 209 n. 81, 210 n. 89 A 7 (146 L.) 118 n. 31, 137, 139s. n. 93, 217 n. 111 A 7 (338 L.) 215 n. 106 A 8 (2, 147 L.) 142 n. 108, 147 n. 122, 148 n. 126, 157 n. 160, 158s. n. 164, 207 n. 71, 217 n. 112, 232 n. 49, 279 n. 4 A 9 (70 L.) 157 n. 160 A 10 (16, 23, 291, 318 L.) 140 n. 97 A 10 (23, 291 L.) 15 n. 57, 282 n. 13, 286 n. 28 A 10 (151 L.) 142 n. 109, 161 n. 171 A 11 (165, 226, 590 L.) 250 n. 109 A 13 (113 L.) 29 n. 124, 259 n. 180 A 14 (111, 247 L.) 99 n. 128 A 14 (214 L.) 222 n. 12 A 15 (47, 292 L.) 156 n. 152 A 15 (109 L.) 197 n. 31, 199 n. 37 A 15 (109, 174 L.) 57 n. 68 A 15 (109, 292 L.) 209 n. 86, 221 n. 5 A 17 (306, 373 L.) 44 n. 13

367

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A 18 (17 L.)

56 n. 64, 142 n. 106 A 19 (255 L.) 149 n. 131 A 22 (23, 589 L.) 245 n. 88 A 23 (386 L.) 201 n. 47 A 24 (297, 372, 383 L.) 44 n. 9 A 24 (383 L. comm.) 15 n. 57 A 28 (200 L.) 207 n. 69 A 28 (200, 443a, 462 L.) 262 n. 160, 293 n. 50 A 40 (240 L.) 215 n. 107 B 2 (22 L.) 1 n. 1, 282 n. 15 Lucretius De rerum natura 1,485 1,500 1,510 1,518 1,548 1,574 1,602s. 1,609 1,609-614 1,615-627 1,627 1,628-634 2,114 2,114-120 2,393s. 2,444-446 2,479-499 2,481-499 2,865ss. 3,350-69 3,370 5,621-37 6,1087-1089 Macrobius Somnium Scipionis 1,5,13 80 n. 70

220 n. 2, 256 n. 82 220 n. 2, 256 n. 82 220 n. 2, 242 n. 82 220 n. 2, 242 n. 82 220 n. 2, 242 n. 82 220 n. 2, 242 n. 82 240 n. 71 220 n. 2, 242 n. 82 249 n. 104, 252 n. 119 237 n. 61 242 n. 82 241 n. 74 262, 293 n. 51 248 n. 101 256 n. 132 256 n. 132 232 n. 48 236 n. 59 230 n. 41 17 n. 67 17 n. 67 17 n. 66 256 n. 132

1,15,6

18 n. 76, 303 n. 87

Marcus Aurelius Antoninus Meditationes 7,67 48 n. 37 Melissus (30 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A1 131 n. 70 B7 122 n. 42 B 7,6-9 123 B 7,7-8 149 n. 133 B8 121 n. 40 B9 121 n. 40 B 10 125 n. 54 Metagenes Fragmenta (edd. Kassel-Austin) 6 213 n. 95 Michael Ephesius De insomniis (ed. Hayduck) 83,18 290 n. 40 Nemesius De natura hominis 43 245 n. 91 Nicomachus Encheiridion harmonices (ed. Ruelle) 11,6 99 n. 124 Nonius Marcellus De compendiosa doctrina (ed. Lindsay) 418,13 7 n. 18 Olympiodorus In Aristotelis Categorias commentarium (ed. Busse) 4b 20, 81,21 96 n. 117 Olimpiodorus (arabus) In Aristotelis Meteora commentaria (ed. Al Badawi; Strohmaier) Strohmaier 1998, 362 304 n. 93 Strohmaier 1998, 363 18 n. 76, 302 n. 84, 303 n. 88 Orphici Fragmenta (ed. Bernabé) 111 F,3 285 n. 26 114 F 286 n. 29

368

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Papyri Papyrus Derveni (edd. Kouremenos Parássoglou - Tsantsanoglou) col. VI,10s. 292 n. 47 Papyrus Florentinus 115 B (ed. Manetti) 7 n. 15 Parmenides (28 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B6 168 B 7,1 135 n. 84 B 7,1-2 134 n. 79 B 8,38 122 n. 42 Pausanias Descriptio Graeciae 8,38,2-3 281 n. 10 Pherecrates Comicus Fragmenta (edd. Kassel-Austin) 113 213 n. 95 Philo Alexandrinus De congressu eruditionis gratia 144-147 92 n. 105 De opificio mundi 49 89 n. 100 49-51 81 n. 74 50 80 n. 70 Philo Mechanicus Belopoiica (edd. Diels-Schramm) 1,330 215 n. 108 Philodemus Ad contubernales (ed. Angeli) 111,166s. 16 n. 59 De adulatione (ed. Crönert) P. Herc. 1457, col. X 17 n. 69 De ira (ed. Indelli) P. Herc. 182, col. XXIX,20 17 n. 69 De libertate dicendi (ed. Olivieri) 20 16 n. 60 De morte (ed. Mekler) P. Herc 1050, col. XXIX,27-32 17 n. 69 P. Herc 1050, col. XXXIX,9-15 17 n. 69 De musica IV (ed. Neubecker) P. Herc. 1497, col. XXXVI,87 17 n. 69 De pietate (Henrichs 1975, 96) P. Herc. 1428 fr. 16 17 n. 68

De signis (edd. Ph. H. De Lacy; E. A. De Lacy) P. Herc. 1065, col. 25, 53,2 230 n. 43 Index Academicorum (ed. Dorandi) P. Herc. 1021, col. Y 50 n. 48 Philolaus (44 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A 27 7 n. 16 B 1 150 n. 136 B 2-6 150 n. 136 Pythagorici (58 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B 30 124 n. 47 Plato Cratilus 412b 414a Laches 183c-184a Leges 670b 889a-890a 894a Parmenides 128a-e 128c 131a-c 158c 164c 164d 165a-b 165b 165e Phaedo 65b 66b 79c 96e-97b 97a 97c 99a 112b Phaedrus 251c 261d Philebus 16c-e 58c-59b Politicus 278d

304 n. 91 45 12 n. 45 202 n. 51 47 80 n. 70 28, 114ss. pass. 116 n. 25 121 n. 38 86 n. 92 174 n. 22 168 n. 8 174 72 n. 40, 125 n. 56 78, 174 n. 22 126 n. 57 89 n. 99 89 n. 99 89 n. 99 86, 196 87 138 n. 91 43 285 n. 27 46 n. 24 115 n. 24 69 61 n. 9 69 n. 33

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Respublica 524c-d 529d-530c Sophista 229d 237a 242c 242d 245e 246b 258d Theaetetus 152d 155e 156a 180c 180d 180d-e 180e 201ess. Timaeus 46d 48a-b 48b 48b-c 51e-52a 52a-d 52b 53c 53d 55c 56b 56b-c 68e [Plato] Amatores 136a

61 n. 7 61 n. 10 133 n. 77, 134s. 208 n. 75 4 n. 6, 131 n. 68 119 n. 33 121 46 180 n. 38 134 n. 80 46 n. 23 45 n. 21, 62 n. 11 45 45 64 n. 18 142 n. 104 122 n. 41s. 69 n. 33 133s. n. 77 43, 61 n. 8 61 n. 8 69 n. 33, 190 n. 8 43 60s. n. 7 143 n. 111 143 n. 114 80 n. 70 94 44 91 n. 103, 95, 210 n. 88 188 n. 2 61 n. 8

47 n. 33

Plinius Naturalis historia 19,87 8 n. 25 28,58 6 n. 14 Plotinus Enneades 3,1,2 245 n. 90 3,1,3 245 n. 90 4,7,2,4-3,6 249 n. 106 Plutarchus Aemilius Paulus Prooem. 4

290 n. 40

Adversus Colotem 1108 D 1109 A 1109 A-1110 F 1110 E 1110 F

1111 A 1111 C-E 1113 D 1113 E 1114 A 1126 A De amore prolis 495 E

229 n. 36 146 n. 117, 229 n. 36 17 n. 70 221 n. 9 22 n. 95, 101 n. 132, 229 n. 38 206 n. 63 229 n. 37 260 n. 146 230 n. 40, 259 n. 142 257 n. 136 203 n. 56

22 n. 94, 286 n. 30, 301 n. 80 De animae procreatione in Timaeo 1022 E 192 n. 17 1023 B 85 n. 83 De communibus notitiis adversus Stoicos 1079 E 18 n. 73, 39 n. 151 1083 C 246 n. 95 De defectu oraculorum 419 A 290 n. 40 De E apud Delphos 390 D 81 n. 74 De fortuna Romanorum 316 D 297 n. 61 317 A 22 n. 94, 149 n. 132, 286 n. 30 De Iside et Osiride 361 B 290 n. 40 De reipublicae gerendae praeceptis 821 A 17 n. 69 De primo frigido 948 A-C 91 n. 103 Quaestiones convivales 653 Bss. 7 n. 14 653 F 149 n. 132 682 F 290 n. 39 717 A 297 n. 61 722 A 296 n. 58 734 F 17 n. 70, 50 n. 47 734 F-735 A 290 n. 38 Quaestiones platonicae 1002 C 192 n. 17

370

Indice dei passi

Ap. Simpl. In Phys. 191a 7, 231,6ss.

[Plutarchus] De placitis philosophorum 1,3, 877 D

13 n. 47, 44 n. 13, 251 n. 116, 253 n. 122 1,3, 877 E 254 nn. 124, 128 1,4, 878 C 44 n. 9 1,10, 882 C 266 n. 176 1,12, 883 B 241 n. 73 1,13, 883 B 189 n. 6, 231 n. 46, 249 n. 105 1,16, 883 D 265 n. 169 1,17, 883 E 249 n. 105 1,23, 884 C 254 n. 126 2,3, 886 D 245 n. 88 2,15, 889 B 17 n. 66 3,1, 893 A 303 n. 87 4,10, 900 A 291 n. 46 4,19, 902 C-D 18 n. 75, 301 n. 75 5,16, 907 D 7 n. 15 Ap. Eus. Praep. ev. 14,14,5 253 n. 123 Stromata 7 279 n. 1 12 44 n. 14

Porphyrius De abstinentia 3,20

249 n. 108

Isagoge (ed. Busse) 4b 20, 100,13-16 98 n. 122 In Ptolemaei Harmonica (ed. Düring) 32,10 301 n. 80 Vita Pythagorae 48s. 69 n. 32 Fragmenta (ed. Smith) 134 F 134 n. 77 135 F 127, 128 n. 63, 129 n. 64, 134 n. 78, 145 n. 116, 270 n. 187 146 F 131 n. 71 174 F 131s. n. 72, 175 n. 24

98 n. 123

Posidonius Fragmenta (edd. Edelstein-Kidd) F 16 80 n. 67 F 90 92 n. 105 F 92 80 n. 67 F 130 18 n. 76, 303 n. 87 F 141a 85 n. 83 T 45 85 n. 83 T 73 92 n. 105 Proclus In Platonis Rempublicam (ed. Kroll) II,27,3 273 n. 197 In Platonis Timaeum (ed. Diehl) II,36,24 100 n. 129, 103s. n. 138 II,120,18-22 66 n. 26, 103 n. 136 II,245,23 270 n. 189 Prodicus (84 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) B 5 51 n. 51 Protagoras (80 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A 12 51 n. 51 Psellus Michael Theologica (ed. Gautier) 6, 25,87 23, 87,9 49, 191,208

266 n. 178 44 n. 13 264 n. 167, 266 n. 178

Pyrrho Fragmenta (ed. Decleva Caizzi) T1 19 n. 81 Rabanus Maurus De Universo (ed. Migne) 9,1 (P. L. 111,V, 262) 262 n. 158 Scholia In Arist. De gen. et corr. (ed. Rashed) E f. 68v. 272 n. 195 In Arist. Phys. (ed. Brandis) 334a 36ss. 134 n. 78

371

Indice dei passi

In Dionys. Thrac. (ed. Hilgard) 116,11 220 n. 2 In Eucl. (ed. Heiberg) 10,1, V,436,15 274 n. 202 In Nic. Ther. 764 11 n. 43 Seneca Epistulae 88,24-26 92 n. 105 88,44 115 n. 22 Naturales quaestiones 3,24,2 304 n. 89 4,8,1 303 n. 89 4,9,1 18 n. 75, 149 n. 129, 214 n. 104, 303 n. 89 5,2 18 n. 76, 285 n. 23, 301 n. 74 6,20 18 n. 76 7,12,1 303 n. 87 9,1 304 n. 89 Servius Commentarius in Vergilii Eclogas 6,31 262 n. 158 Sextus Empiricus Pyrrhoniae hypotyposes 1,28 1,145ss. 1,183 1,210-212 1,221s. 2,22 2,23 3,32 3,33 3,131 3,151 3,152ss.

3,159 3,189 Adversus Mathematicos 1,27

3,20-21

3,28 4,2ss. 4,2-9 4,5 4,8 4,11ss. 4,21 6,53 7,53 7,92-100 7,93ss. 7,99-100 7,100 7,116 7,116-118 7,135

7,136 7,137 7,139

87 n. 95 75 n. 52 86 n. 91 88 n. 97 87s. n. 96 229 n. 36 319 n. 136 82 n. 77 101 n. 132, 253 n. 122 88 n. 97 68, 69 n. 34 70 n. 37, 72 n. 42, 74 n. 47, 75 n. 51 86 n. 92 87 n. 95 231 n. 45, 265 n. 168, 266 n. 176 89 n. 100

7,140 7,147-149 7,190 7,202 7,264 7,265 7,281 7,300 7,349 7,350 7,399 8,6 8,55 8,62 8,161 9,18 9,19 9,24 9,51 9,56 9,108-110 9,133s. 9,139 9,142 9,151

68 n. 30, 89 n. 100 69 84 81 n. 74 84 n. 83 87 87 n. 94, 88 261 n. 152 151 n. 139 84 69 89 n. 100 81 n. 74 250 n. 108, 301 n. 75 18 n. 75 19, 205 n. 61, 282 n. 16, 261 n. 152 215 n. 106, 315 n. 124 206 n. 64 309s. n. 107 299 n. 66 81 n. 73 88 n. 97 88 n. 97 20 n. 87, 229 n. 36 319 n. 136 87 n. 95 88 n. 97 8 n. 21, 17 n. 67 88 n. 97 88 n. 97 261 n. 151 261 n. 152 88 n. 97 85 n. 87 51 n. 51 290 n. 40 17 51 n. 51 51 n. 51 76 n. 54 76 n. 54 230 n. 42 230 n.42 230 n.42

372

Indice dei passi

9,220s. 9,335 9,360-364 9,363 9,367 10,216s. 10,240 10,248

10, 248-261 10, 248-262 10,250 10,251-252 10,252-256 10,253-257 10,255ss. 10,255-256 10,257 10,258 10,259-262 10,260s. 10,262s. 10,263-276 10,277-282 10,277-284 10,280 10,282s. 10,293-298 10,302 10,302ss. 10,302-307 10,305 10,308 10,318 10,310-318

88 n. 99 225 n. 25 83 n. 79 82 n. 77, 231 n. 44 72 n. 42 86 n. 89 72 n. 42 40 n. 152, 58 n. 71, 69 n. 31s., 86 n. 89 89 68 70 n. 35 86 71 n. 38, 190 n. 11, 193 n. 21 90 n. 102 192s. n. 18, 236 n. 60 248 n. 100 72 n. 41 73 n. 43 74 n. 46 85 68 n. 28 89 n. 100 89 n. 100 84 81 n. 74 84 n. 83 86 n. 92 87 n. 94 88 87 n. 94 87 n. 94 87 n. 94 82 n. 77 83 n. 79

Simplicius In Aristotelis decem Categorias commentarium (ed. Kalbfleisch) Prooem. 3,4 33 n. 134 4b 20, 120,29-121,3 98 n. 121 4b 20, 121,14-18 97 n. 119 6a 36, 156,20 97 n. 118 8b 25, 206,10 97 n. 119 8b 25, 207,19 98 n. 121 10a 11, 271,8-16 100 n. 129 15a 13, 431,24 101 n. 131, 225 n. 25

In Aristotelis De anima commentaria (ed. Hayduck) 409a 10, 64,2-7 223 n. 15 409a 10, 64,5-7 268 n. 181 In Aristotelis De caelo commentaria (ed. Heiberg) 271b 1, 202,27 195 n. 26 271b 1, 202,27-31 195 n. 24, 272 n. 194 275b 29, 242,18 222 n. 12 279b 12, 294,33 14 n. 53 279b 12, 295,1ss. 206 n. 65 279b 12, 295,1-2 65 n. 22 279b 12, 295,1-6 212 n. 94 279b 12, 295,3 146 n. 118 279b 12, 295,5-20 140 n. 95 279b 12, 295,7-14 288 n. 33 279b 12, 295,8-20 185s. n. 53 279b 12, 295,11-18 156 n. 157 279b 12, 295,12-14 156 n. 152 279b 12, 295,14-18 201 n. 47 279b 12, 295,18-20 16 n. 62, 215 n. 105, 282 n. 14 279b 32, 303,33 123 n. 45, 81 n. 76 299a 2, 563,20-27 274 n. 200 299a 2, 564,10 102 n. 135 299a 2, 564,10-566,16 102 299a 2, 564,14-24 103 299a 2, 564,24 63 n. 17, 66 n. 25, 103 n. 137 299a 2, 564, 24-26 207 n. 71 299a 2, 566,23-567,1 273 n. 196 299b 23, 576,5ss. 101 n. 131, 106 n. 139 299b 23, 576,10 63 n. 17 303a 3, 609,17 267 n. 180 303a 3, 610,3-7 199 n. 38 303a 17, 612,1ss. 260 n. 148 303a 17, 612,15 260 n. 149 306a 1, 640,20 274 n. 199 306a 23, 648,19 100 n. 129 307a 19, 665,5-16 274 n. 201 In Aristotelis Physicorum libros commentaria (ed. Diels) 184b 15, 25,1 5 n. 10 184b 15, 27,2 159 n. 166 184b 15, 28,4 207 n. 71 184b 15, 28,4-15 158s. n. 164 184b 15, 28,7 142 n. 108 184b 15, 28,8 279 n. 4

373

Indice dei passi

184b 15, 28,9-10

148 n. 126 184b 15, 28,11 147 n. 122, 157 n. 160 184b 15, 28,13 217 n. 112 184b 15, 28,19-22 201 n. 47 184b 15, 28,22 201 n. 46 184b 15, 28,25-26 148 n. 126 184b 15, 31,3 131 n. 69 184b 15, 35,22ss. 99 184b 15, 35,22-36,7 99 n. 127, 249 n. 106 184b 15, 36,1-7 100 n. 128 184b 15, 36,15-32 96 n. 116 185b 5, 81,34ss. 267 n. 179 185b 5, 81,34-82,3 222 n. 13 185b 5, 83,19ss. 223 n. 13 185b 5, 83,26ss. 223 n. 13 185b 25, 99,13 115 n. 22 187a 1, 134,14ss. 133 n. 77 187a 1, 135,1-5 134 n. 77 187a 1, 135,21 135 n. 84 187a 1, 137,7-20 136 n. 88 187a 1, 138,10 130 n. 65, 134 n. 78, 145 n. 116 187a 1, 139,24 127, 128 n. 63 187a 1, 140,5 129 n. 64 187a 1, 140,6 145 n. 116 187a 1, 140,6-18 134 n. 78 187a 1, 140,8-13 270 n. 187 187a 1, 140,27-141,8 127 n. 61 187a 1, 142,16-27 134 n. 78 187a 1, 142,19-27 270 n. 190 187a 1, 143,31 4 n. 8, 135 n. 84 187a 12, 151,6-11 73 n. 44 188a 5, 175,12-14 208 n. 78 188a 17, 178,33-179,19 98 n. 120 188a 17, 179,12 97 191a 7, 231,6ss. 98 n. 123 191b 35, 242,22ss. 136 n. 88 191b 35, 244,1 135 n. 84 192a 3, 247,30ss. 131 n. 71 195b 31, 327,24s. 206 n. 64, 279 n. 5, 298 n. 64 196a 11, 330,14 14 n. 51, 298 n. 64 196b 10, 338,4 14 n. 51 202a 21, 440,21 171 n. 16 202b 36, 453,27-454,14 131s. n. 72

202b 36, 453,30-454,14 175 n. 24 206a 18, 493,33-494,11 271 n. 190 209a 18, 533,14 14 n. 50 209a 18, 533,35 143 n. 114 Cor. de loc. 601,17 123 n. 45 Cor. de loc. 618,16 123 n. 45 231a 21, 925,10 29 n. 124 231a 21, 925,10-22 267 n. 180 231b 18, 934,23 268s. n. 184 Sophocles Ajax 1275 203 n. 57 Oedipus Colonaeus 329 204 n. 58 Trachiniae 200 207 n. 73 Soranus Gynaecia (edd. BurguièreGourevitch; Ilberg) 2,29 (II,41,37 BurguièreGourevitch = 75,13 Ilberg) 8 n. 25 3,4 (17,25 Bourguière-Gourevich = 105,1 Ilberg) 7 n. 16 Sotion Fragmenta (ed. Wehrli) 36 291 n. 44 Speusippus Fragmenta (ed. Isnardi Parente) 81 178 n. 30 84 89 n. 100, 178 n. 30 85 89 n. 100 87 123 n. 45 88 178 n. 30 Stobaeus Eclogae 1,4,7c 1,10,14 1,10,16a 1,14,1 1,14,1f 1,14,1k 1,16,1 1,17,1 1,19,1

1 n. 1, 282 n. 15 253 n. 123 54 n. 58 231 n. 46, 232 n. 47, 249 n. 105, 254 n. 126 241 n. 73, 265 n. 170 189 n. 6, 190 n. 12 220 n. 1 189 n. 5, 249 n. 105 254 n. 126

374

Indice dei passi

1,21,3c 1,21,6a 1,22,1 1,22,3 1,27,1 1,51,4 2,8,16 2,31,65 3,6,28

245 n. 88 54 n. 58 201 n. 47 44 n. 14 303 n. 87 291 n. 46 297 n. 63 23 n. 97 7 n. 14

Strabo Geographica 16,2,24

231 n. 44

Suda

s.v. ajnemokoi'tai 281 n. 10 s. v. a[toma 264 n. 165 s.v. Bw'lo" Dhmovkrito" 11 n. 43 s.v. Bw'lo" Mendhvsio" 11 n. 43 s.v. Kallivmaco" 10 n. 34

Stoicorum Veterum Fragmenta (ed. Von Arnim) I 85, 24,6-7 I 481, 107,1 I 493, 110,25-29 I 620, 139,25 II 300, 111,8-10 II 408, 134,37 II 471, 153,2-6 II 472, 153,29-31 II 473, 154,14s. II 925, 266,35-37

224 n. 19 18 n. 71, 225 n. 20 224 n. 19 18 n. 72, 225 n. 22 224 n. 19 228 n. 33 95 n. 115 95 n. 115 95 n. 115 279 n. 1

Syrianus In Metaphysica commentaria (ed. Kroll) 1084b 23, 152, 17-21 195 n. 26, 270 n. 188 Taurus Ap. Philop. De aet. mundi 6,8, 223,12 99 n. 124 Tertullianus De anima 15,5

8 n. 23

Themistius In Aristotelis De anima libros paraphrasis (ed. Heinze) 404b 20, 11,20 80s. n. 71, 193 n. 20 In Aristotelis Physicorum libros paraphrasis (ed. Schenkl) 187a 1, 12,6-17 133 n. 77 232a 3-22, 184,9 268 n. 184 In libros Aristotelis De caelo paraphrasis (ed. Landauer) 271b 4-19, 22,16-19 195 n. 26 299b 31, 158,23-159,2 94 n. 112 303a 3, 178,8-22 199 n. 38 303a 29-b 4, 181,29-34 200 n. 42 306b 22, 201,24-25 241 n. 77 Theodoretus Graecarum affectionum curatio 4,8-10 248 n. 110 n., 261 n. 154 4,15 245 n. 88, 262 n. 156 Theognis Megarensis Fragmenta (ed. West) 1,963s. 203 n. 52 Theon Smyrnaeus Expositio rerum mathematicarum ad legendum Platonem utilium (ed. Hiller) 93,21 89 n. 100 Theophrastus De causis plantarum 1,8,2 153 n. 143 6,7,2 207 n. 72, 225 n. 23 De igne 7-8 66 n. 24 De sensu 39 157 n. 159 50 149 n. 129 54 214 n. 101 55 317 n. 129 56 153 n. 145 60 65 n. 23, 225 n. 24 61 216 n. 109 62 149 n. 129, 153s. n. 147, 317 n. 129 65 153 n. 144, 285 n. 23, 316 n. 126

375

Indice dei passi

66 67 69 73 74 75

201 n. 47, 305 n. 95s., 317 n. 129 315 n. 124 205 n. 62, 225 n. 24, 310 n. 110 154 n. 149, 204 n. 59 154 n. 148 154 n. 149, 207 n. 72, 210 n. 92 305 n. 95

79 Metaphysica 6a 25 123 n. 45 11b 17-22 200 n. 44 Fragmenta (edd. Fortenbaugh-HubySharples-Gutas) 159 66 n. 26, 103 n. 136 226 A 5 n. 10 229 142 n. 108, 147 n. 122, 148 n. 126, 157 n. 160, 158s. n. 164, 201 n. 46s., 207 n. 71, 217 n. 112, 232 n. 49, 279 n. 4 238 207 n. 71 Thrasyllus Ap. Diog. Laert. 9,37 47 n. 34 9,41 161 n. 172 Thucydides 2,19 6,69

203 n. 57 203 n. 57

2 11 83 98 100 119 127 128 129 130 132 133 135 136 138

139

140 141

142

Timon Phliasius Fragmenta (ed. Di Marco) 45 115 n. 24 46 19 n. 83

143 144

Valerius Maximus Facta et dicta memorabilia 7,7 ext. 4 48 n. 37

146 147 148 151 154 225 260

Vitruvius De architectura 2,2,1 7,pr. 11 9,5,4 9,6,3 9,14

12s. n. 47 12 n. 47 12 n. 47 12 n. 47 13 n. 47

Xenocrates Fragmenta (ed. Isnardi Parente) 1 132 n. 75

113 n. 13 53 n. 55 81 n. 73 73 n. 44 123 n. 45 83 n. 80 169 n. 10, 191 n. 14, 192 n. 15 271 n. 193 271 n. 193 273 n. 197 274 n. 200 274 n. 201 271 n. 193 271 n. 193 130 n. 65, 134 n. 78, 145 n. 116, 271 n. 193 128 n. 63, 129 n. 64, 134 n. 78, 145 n. 116, 270 n. 187 134 n. 78, 271 n. 193 134 n. 78, 271 nn. 191, 193 271 nn. 192, 193 271 n. 192 134 n. 78, 271 n. 193 134 n. 78, 270 n. 190 270 n. 189 270 n. 188 202 n. 12 189 n 5 81 n. 76 290 n. 40 80s. n. 71, 193 n. 20

145

Xenophon Anabasis 5,4,14 Cyropaedia 1,3,10

202 n. 51 202 n. 51

376

Indice dei passi

De re equestri 5,7 Memorabilia 1,1,13 1,1,15 3,1,1 4,7,6 Oeconomicus 16

156 n. 157 120 nn. 34, 37, 140 n. 94, 160 281 n. 9 12 n. 45, 203 n. 56 120 n. 37 12 n. 45

Zeno Eleaticus (29 DK) Fragmenta (edd. Diels-Kranz) A1 131 n. 70 A 13 115 n. 24 A 21 115 n. 22 A 25 127 n. 61 B1 125, 168 B2 168, 179 n. 32 B3 168