Studi sulla dialettica

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D O C U M E N T I

E

R I C E R C H E

BIBLIOTECA DI CULTURA CONTEMPORANEA

ABBAGNANO - PACI - VIANO - GARIN CHIODI - ROSSI - BOBBIO

S T U D I SULLA

DIALETTICA

Ir

TAYLOR 1 958

TORINO

EDITORE

1958

« E il cielo di Mercurio si può comparare alla Dia Icttica per due proprietà : che Mercurio è la più piccola stella del cielo... che più va velata de’ raggi del sole, che nulFaltra stella. E queste due proprietadi sono nella Dialettica ; che la Dialettica è minore in suo corpo, che nulFaltra scienza ; che perfettamente è compilata e terminata in quel tanto testo, che nelYArte Vecchia e nella nuova si trova; e va più velata, che nulla altra scienza, in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti, più che altra ». DAN TE. Convivio, II, 14.

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QUATTRO CONCETTI DI DIALETTICA i. I potesi di lavoro dei presenti studi

Gli studi che seguono partono dall’ipotesi che la nozione di dialettica non sia stata, nella storia della filosofia, usata in un significato univoco, che possa essere determinato e chiarito una volta per tutte; ma abbia di volta in volta ricevuto significati di­ versi, diversamente imparentati tra loro e non riducibili l’uno all’altro o ad un significato comune. Studiando più da vicino al­ cune fasi fondamentali del concetto, gli studi che seguono accen­ nano a delineare quattro concetti principali di dialettica e precisamente i seguenti: i) La dialettica come metodo della divisione; 2) La dialettica come logica del probabile; 3) La dialettica come logica; 4) La dialettica come sintesi degli opposti. Questi quattro concetti traggono origine dalle quattro dottrine che hanno mag­ giormente influenzata la storia del ^termine e precisamente dalla dottrina platonica, dalla dottrina aristotelica, dalla dottrina stoica e dalla dottrina hegeliana. È senza dubbio possibile, sulla scorta della documentazione offerta da questo volume, assurgere a una caratterizzazione assai generica della dialettica, che in qualche modo riassuma tutte le altre. Si può dire, ad es\, che la dialettica è il processo nel quale compare un avversario da combattere o una tesi da confutare e che suppone perciò due protagonisti o due tesi in lotta ; oppure che è un processo che risulta dalla lotta o dal con­ trasto di due principi o due momenti o due attività quali che siano. Ma si tratta, come si vede, di una caratterizzazione cosi generis da non avere alcun significato né storico né orientativo. Il pro­ blema storico sarà piuttosto quello di individuare chiaramente 'i significati fondamentali e le molteplici e disparate relazioni che intercedono tra di essi. A tale problema, che può riuscire grande­ mente orientativo ai /fini di un uso critico della nozione, i saggi che seguono dànno un contributo importante. In questo saggio preliminare ci limiteremo a chiarire i quattro significati principali.

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2. L a dialettica come metodo della divisione

Questo fu il concetto che della dialettica ebbe Platone. Per esso, la dialettica è la tecnica della ricerca associata che si effettua attraverso la collaborazione di due o più persone col procedimento socratico del domandare e rispondere. La filosofia difatti per Pla­ tone non è compito individuate e privato, ma è opera di uomini che « vivono insieme» e «discutono con benevolenza»; è l’atti­ vità propria di una .« comunità della libera educazione (Lett. VII, 344 b). La dialettica è il punto più alto cui può giungere la ri­ cerca associata e si compone di due momenti : a) Il primo consiste nel ricondurre ..ad una unica idea le cose disperse e nel definire l’idea in modo da renderla comunicabile a tutti (Fedr. 265 cj. Nella Repubblica, Platone dice che, nel risalire all’idea, la dialettica si situa al di là delle scienze particolari perché considera le ipotesi iniziali delle scienze (che fanno sempre riferimento al molteplice sensibile) come un semplice punto di partenza per arrivare ai prin­ cipi, dai quali poi si può giungere alle conclusioni ultime (Rep. VI, 511 b-c). Ma questo secondo procedimento che va dai principi (cioè dalle idee) alle conclusioni ultime è, nei dialoghi posteriori, esplicitamente analizzato come divisione, b) Il procedimento della divisione, che consiste « nel poter di nuovo dividere l’idea nelle sue specie, seguendo le sue articolazioni naturali ed evitando di spezzarne le parti come farebbe uno scalco maldestro » (Fedr. 265 d). È proprio dalla dialettica, sotto questo aspetto, « il divi­ dere secondo generi e non assumere per diversa la stessa forma o per identica una forma diversa » (Sof. 253 d). Le quattro possi­ bilità rese possibili dai due momenti ora enunciati della dialettica sono chiaramente indicate in un passo famoso del Sofista (253 d-e). Esse sono le seguenti: 1) Che. ci sia un’unica idea che pervada di sé molte altre idee ognuna delle quali stia per suo conto ; 2) Che ci sia un’unica idea che abbracci daH’estérno molte altre idee /r tra loro diverse; 3) Che un’idea risulti dall’unione di una totalità di molte altre idee; 4) Che ci siano molte idee fra loro interamente divise. La dialettica consiste nel riconoscere, nelle situazioni che si presentano, quale di queste possibilità sia quella propria e nei procedere di conseguenza. Se si guarda al modo in cui Platone ha applicato il procedimento nel Fedro, nel Sofista e nel Politico, si ottengono altri chiarimenti. Una volta definita l’idea, Platone la divide in due parti che chiama rispettivamente la parte sinistra e

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la parte destra, caratterizzate dalla presenza e dall’assenza di un certo carattere; e dopo di ciò, divide la parte destra della divi­ sione nuovamente in due parti, che ancora si chiameranno sinistra e destra, utilizzando un nuovo carattere; e cosi di seguito (Fedr. 266 a-b). Il procedimento può essere fermato ad un certo punto o ripreso cominciando da un altra idea. Infine si potranno racco­ gliere o ricapitolare le determinazioni così ottenute dal principio alla fine (Sol., 268 c). Di questo procedimento Platone si serve nel Fedro per definire l’amore come « mania », dividendo poi la mania in quella cattiva (sinistra) e in quella buona (destra); e cercando ancora le determinazioni della mania buona. Nel Sofista lo stesso procedimento serve per la definizione della figura del so­ fista. La caratteristica di questo procedimento è la possibilità della scelta (lasciata ad ogni passo di esso) della caratteristica adatta a determinare la divisióne,in destra e sinistra in modo opportuno, cioè tale che segua la linea dell’articolazione del concetto e non « rompa » il concetto stesso. Pertanto la dialettica platonica non è un metodo deduttivo o analitico ma induttivo e sintetico, simile più ai procedimenti della ricerca empirica (nonostante ia pretesa di Platone che esso prescinda dai ’sensi’) che a quelli del ragio­ namento a priori o del sillogismo. Ciò che Aristotele rimprovera al metodo della divisione, cioè che esso non ha la capacità dedut­ tiva del sillogismo, (An. pr., I, 31, 46 a, 31 sg.) non è propria­ mente una critica, perché il metodo platonico non vuol essere questo. Certamente da « l’uomo è un animale » e dalla conseguente divisione « l’animale è o mortale o immortale » non segue che « l’uomo è mortale », ma solo che « l’uomo è o mortale o immortale »; ma lo scopo della divisione dialettica non_è questa dedu­ zione, ma la ricerca, la scelta e l’uso delle caratteristiche effettive di un oggetto, al fine di chiarire la natura o meglio le possi­ bilità dell’oggetto stesso. Il concetto platonico della dialettica non ha avuto un seguito diretto, sebbene siano evidenti le con­ nessioni che con esso hanno le nozioni della dialettica elaborate da Aristotele, dagli Stoici e dai Neo-platonici. Fra questi ultimi Plotino segna il passaggio dalla concezione platonica della dialet­ tica alla metafisica triadica di Proclo. Dice infatti Plotino che la dialettica « usa il metodo platonico della divisione per distinguere le specie di un genere, per definirle e per arrivare ai generi primi ; col pensiero essa fa di questi generi combinazioni complesse, fino a percorrere l’intero dominio dell’intelligibile; dopo, per una mar­ cia inversa, quella dell’analisi, ritorna al principio » (E n n I, 3,

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4). Qui il metodo platonico della divisione, che per Platone è il secondo momento della dialettica, è diventato il primo e gli si è aggiunto, come secondo momento, « il ritorno al principio » cioè all’Unità, accennando così a quello che sarà lo schema di Proclo. 3. La

dialettica come logica del probabile

Per Aristotele, la dialettica è semplicemente il procedimento razionale non dimostrativo; dialettico è il sillogismo il quale, invece di partire da premesse vere, parte da premesse probabili cioè generalmente ammesse. « Probabile, dice Aristotele è ciò che appare accettabile a tutti, o ai più, o ai saggi e tra questi o a tutti o ai più o a quelli più noti ed illustri » (Top., I, 1, 100 b, 21 sg.). Per estensione, poi, è detto da Aristotele dialettico anche il sillogismo « eristico », cioè quello che parte da premesse che sembrano probabili, ma non lo sono (Ih., 100 b, 23 sg.). Per questo concetto della dialettica Aristotele riconosceva l’inventore di essa in Zenone d ’Elea (Diog. L., V i l i , 57). Zenone infatti, nella sua confutazione del movimento, parte dalla tesi probabile, cioè accettata dai più, che il movimento ci sia. Il perché dell’uso del termine « dialettica » ih questo senso, è poi spiegato da Ari­ stotele stesso dicendo che « mentre la premessa dimostrativa è l ’as­ sunzione di una delle due parti della contraddizione, quella dialet­ tica è la domanda che presenta la contraddizione come un’alterna­ tiva » (An. pr.f I, 1, 24 a, 20 sg) ; e così essa fa un certo riferi­ mento al dialogo. Questa nozione della dialettica che rimane secondaria e talvolta dimenticata nella prima età della scolastica (nella quale prevale il concetto stoico della dialettica come logica) viene ripresa, pur senza eliminare l’altra, a partire dal secolo XII, quando una conoscenza più completa dell’ Organo aristotelico e. specialmente dei Topici, e degli Elenchi Sofistici richiama l’atten­ zione sulla dialettica intera come arte della disputa e del Teserei- _ tazione logica : arte che si avvale di premesse probabili ed è perciò dialettica neh senso aristotelico del termine. Questo significato, pertanto,' viene ammesso erillpstràto anche da coloro che conti­ nuano a considerare la dialettica come lògica generale o scienza delle,scienze (come fa pér es. Piefro Ispano, Summul. Logic., 7. 41). Solo Giovanni di Salisbury tende a restringere il significato della dialettica alla « scienza delle cose ^probabili ». Ma proprio in questo significato egli scopre nuove applicazioni della dialettica (che per lui è inutile se non si unisce ad altre discipline) : giacché,

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DI DIALETTICA

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stante la difficoltà di ottenere conoscenze necessarie nel dominio delle cose naturali, le premesse probabili saranno le sole cui si potrà fare ricorso : ed esse sono proprie della dialettica (Melalogicus II, 13). Ad una concezione analoga sembra far riferimento Dante che paragona la dialettica a Mercurio, che è il più piccolo e il più velato dei pianeti; difatti « la dialettica è minore in suo corpo che null’altra scienza; che perfettamente è compilata e ter­ minata in quel tanto testo che nell 'Arte vecchia e nella nuova si trova; e va più velata che nulla altra scienza in quanto procede con più sofistici e probabili argomenti, più che altra » (Conv. II, 14). Alla concezione ' della dialettica come «arte della disputa » si rifanno di regola gli umanisti a partire da Lorenzo Valla (DiaL Disp. II, Prol. 693); essi ravvicinano pertanto alla retorica, con la quale Nizolio esplicitamente l’identifica (De.veris principiis II, 5). D all’altro lato Pietro Ramo accentuava nella dialettica quell’aspetto inventivo che già gli antichi avevano rico­ nosciuto alla Topica e vedeva in essa l’arte dell’invenzione e quin­ di « la luce stessa della ragione » (Dialectique, 1555, p. 1, 69-119). Ma oscillando tra la retorica e la dottrina dell’invenzione, la dia­ lettica si manteneva nell’ambito della nozione aristotelica. Tuttavia la più notevole ricorrenza storica di questa nozione si doveva avere solo per opera di Kant : il quale partiva, esatta­ mente come Aristotele, da una preliminare svalutazione della dia­ lettica come strumento di conoscenza. La dialettica è, per Kant, una « logica dell’apparenza >t. Ciò significa che essa è « un’illu­ sione naturale e inevitabile che si fonda su principi soggettivi e li scambia per oggettivi », illusione tuttavia che è u inscindibilmente legata all’umana ragione e che perciò permane anche dopo che ne . è stata scoperta la radice » (Crii. R. Pura, Dial. trasc., Intr., I). Oggetto della dialettica sono le tre idee dell’Anima, del Mondo e di Dio : delle quali la prima è frutto di un paralogismo, la secon­ da mostra la sua illegittimità col dar luogo ad antinomie insolu­ bili, la terza è indimostrabile. ' Ovviarnente, U significato kantiano di dialettica s ’identifica col< secpjiclo dei due significati del termine distinti da Aristotele cioè còn quello per il quale la dialettica è il procedimento sofistico. Kant stesso^stabilisce quesfà connessione: « Per quanto vario sia il significato in cui gli antichi usarono, questa denominazione di una scienza o arte, si può desumere con sicurezza dall’uso che ne fecero che la dialettica per loro non era altro che la logica dell’apparenza : cioè l’arte sofistica di dare alla propria ignoranza, anzi alle proprie volontarie illusioni, la tinta

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della verità, imitando il metodo della fondazione che la logica generale prescrive e servendosi della sua 'topica per colorire ogni vuoto modo di procedere » (Crii. R , Furti, Logica trascendentale, intr., H I; cfr. Fond* della pici. dei cosi., I). 4. L a

dialettica come logica

Il terzo concetto di dialettica ò dovuto agli Stoici che la iden­ tificarono con la logica in generale o almeno con quella parte della logica che non è retorica. Considerarono infatti la retorica come la scienza di parlar bene nei discorsi che concernono le « vie d ’u­ scita », mentre la dialettica è la scienza di discutere rettamente nei discorsi che consistono di domande e risposte (Diog. L., V II, 1, 42). Questa identificazione della dialettica con la. logica generale fu resa possibile dalla trasformazione radicale che gli Stoici fecero subire alla teoria aristotelica del ragionamento. La dimostrazione essendo per essi « il far servire le cose più comprensibili a spie­ gare le cose meno comprensibili » (Diog. L., V II, 1, 45), e le cose più comprensibili essendo quelle evidenti per i sensi (Ih., 46), la base di ogni dimostrazione erano per loro quei «ragionamenti anapoditticj f» che poggiano direttamente sull’evidenza sensibile. Il ragionamento in generale era poi, per essi, ciò che consta di premessa e di conclusione e tale è anche il sillogismo (Ib., 45). La loro teoria del ragionamento non consentiva pertanto quella distinzione tra premesse necessariamente vere e premesse proba­ bili sulla quale era fondata, secondo Aristotele, la distinzione fra sillogismo dimpstrativo e sillogismo dialettico. La dialettica s’i­ dentificò con la logica intera ch’era per loro una teoria dei segni e delle cose significate; e veniva definita come « la scienza del vero e del falso, e di ciòNche non è né vero né falso » (Diog. L., V II, 1, 42). Per « ciò che non è né vero né falso » essi intende­ vano (come risulta dal passo più oltre citato di Cicerone) la con­ nessione della conclusione con la premessa, di cui la dialettica stabilisce le condizioni di verità. Questa interpretazione dell’intera logica come dialettica non è un semplice ritorno alla concezione platonica della dialettica. In realtà la logica stoica imperniata com’era sulla base delle deduzioni anapodittiche (del tipo « Se è giorno, c’è luce ») non conosce sillogismi che non partano da premesse ipotetiche; e le premesse ipotetiche sono quelle che, an­ che secondo Aristotele, dànno carattere dialettico al ragionamento. La dottrina stoica della dialettica è stata la più diffusa nell’anti­ v

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chità e nel Medioevo. Essa fu. adottata da Cicerone che per dia­ lettica intendeva « l’arte che insegna a distribuire una cosa intera nelle sue parti, a spiegare una cosa nascosta con una definizione, a chiarire una cosa oscura coir una interpretazione, a scorgere prima, poi a distinguere ciò che e ambiguo e da ultimo a otte­ nere una regola con la quale si giudichi il vero ed il falso e se le conseguenze derivino dalle assunte premesse» (Brut. 41, 152; cfr. pure De or., IT, 38, 157; Tusc., V , 25, 72; Acacl., II, 28, 91; Top., 2, 6). Quintiliano (Inst. or., XII, 2, 13) e Seneca (E p., 1, 1) accettano questo concetto della dialettica che si ritrova egual­ mente nella patristica' orientale, per esempio in Origene e Gre­ gorio di Nissa (De hom. opif., 16) e nella patristica latina, per esempio in Sant’ Agostino (De ord., 13, 38). Attraverso le tradi­ zioni di questi scrittori e l’opera di Boezio (Ad Cic. Top., I, P. L ., 64°, col. 1047) la nozione della dialettica come logica generale, secondo il concetto stoico, dura per tutto il medioevo : giacché coesiste col concetto più ristretto di dialettica come arte della di­ sputa o del ragionamento probabile anche quando questo concetto, a partire dal secolo XII, si diffonde nelle scuole come effetto della migliore conoscenza dei Topici e degli Elenchi Sofistici. Isidoro di Siviglia aveva ripreso il concetto stoico (Etymol., II, 22-24) e lo stesso concetto fu ripreso da Rabano Mauro, che ripete le pa­ role di Agostino : , 1x 4

EUGENIO GARIN

definizione ciceroniana a cui, non a caso, faceva appello Francesco Piccolomini, opponeva alla dialettica risolta in metafisica l’ambito di una tecnica della discussione articolata ai fini di un discorso persuasivo. Ne L ’instrumento della filosofia compiuto nel 1550 a Roma, e che è tra i primi trattati di logica in volgare comparsi nell’età moderna, A \lessandro Piccolomini sostituisce sistematicamente il termine dialettica con quello di disputativa, e definisce : «quella facultà che si chiama disputativa, la quale del detto sillo­ gismo [disputativo] si serve, non è una particolare sciehtia, rac­ chiusa dentro a confini limitati, dintorno ad alcuna materia, e sog­ getto determinato, come son le parti della filosofia : anzi è comune a tutte, et in ogni luogo e materia s ’intromette; non con proprii principii appropriati, e necessarii et a lei peculiari, ma con gene­ rali e communi : non lasciando conclusione che non ardisca di pro­ vare, se non necessariamente almeno verisimilmente, mercè delPistrumento communissimo, che ella possiede : il quale è questo sillogismo verisimile, di cui habbiamo ora da trattare. Per essempio adunque, sebben questa propositione, che la Luna sia minore della terra, essendo propria dell’astrologo, non può in alcun’altra facultà demostrarsi per la vera causa sua, se non nella stessa astrologia, con i proprii principii suoi, tuttavia il disputativo come comune artefice, e che a nessuna materia appartata s ’astringe, potrà pari­ mente concluderla per sillogismo, se non demostrativo, (che allora il farebbe come astrologo) almeno disputativo, e probabile; non con causa propria concludendo la Luna esser minore della terra, ma con qualche ragione verisimile ».7 La dialettica, ben distinta nell’ambito delle tecniche logiche, si muove sul piano dell’opinione, nella sfera degli evSo^a, campo estremamente indeterminato che include, ma oltrepassa, il proba­ bile, il credibile, il generalmente accettato.89È una tecnica che Melanto'ne non esiterà a considerare caratteristicamente pedagogica : «dialectica est ars ac via docendi : haec enim est proprie vis dialecticae ».e 7. VInstrum ento della Filosofia di M. A lessandro P iccolomini, IV , 1, in Venetia 1566, p. 97-98. 8. La Suda riunisce, nella definizione di dialettica, elementi vari (ed. Adler, Lipsiae 1931, II, p. 62): SiaAexxix'q éaxiv £jucfxt)|j,t) àXryfràyv x a i ^ ev 5 d>v x a i ouSexépcov. ruYxàvet 8’ auxr) èrti aq p aivovxa x a i ar|p,aivopiva, r\ ouxcoq prdoSog 8i'èv86|cov rcepi Jtavxòi; xou Tcpoxeijxevou ouXXoyloxixt), xaXetxai 8è SiaXexxixq aitò xoù òiaXéYeafrai* tò 8è SicdÉYeaÒai év èpcoxfjaei xe x a i cbtoxpiaei. Cfr. Sext. Hyfi. Pyrrh. 11,94. 9. P h ilippi M klanchtonis, Dialecticae libri I I I , Lugduni 1537, p. 5, ove con tinua : « omnis docendi via ac ratio consistit in definiendo, dividendo et argumen tando. Definimus autem, cum aut nomen interpretamus, aut quid res sit exponimus

LA DIALETTICA DAL SECOLO XII AI PRINCIPI DELL’ETÀ MODERNA

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v.

Ora una determinazione del campo proprio della dialettica, di fronte alla identificazione e confusione con la logica, comincia nel medioevo gq^ secolo XII, quando viene definendosi il metodo del­ l’insegnamento scolastico con l’aiuto dei Topici e degli Elenchi aristotelici, di testi ciceroniani e boeziani. La dialettica verrà allora strutturandosi come disciplina di un discorso duplice — ars oppo­ nenti et respondendi — che vuole, di fronte a posizioni contra­ stanti, ed entrambe possibili, giungere ad una conclusione. La disputatio, di cui la dialettica costituisce la tecnica, è imposta dagli statuti universitari in modo sempre più rigoroso: «statuimus... quod scholares audientes tam logicam quam grammaticam habeant ad minus ter vel bis in septimana disputare, magistro praesente ».10 Secondo la celebre definizione che si incontra in Lamberto di Auxerre, e che fu per secoli consegnata alle Summulae di Pietro Ispano, « dicitur autem dyaletica a dya quod est duo, et lexis quod est ratio, vel logos quod est sermo, quasi ratio vel sermo duorum, scilicet opponentis vel contradicentis in disputatone ».11 Se è vero che fino al dodicesimo secolo spesso per dialettica si intese la logica nel suo insieme, «questa accezione ampia del tèr­ mine sparì quando tutti i libri de\V Organo furono conosciuti nelle scuole latine, e la dialettica designò ormai un’arte speciale là cui acquisizione era subordinata allo studio di una parte sola dèlia logica [dialectica vero traditur in libro Thopicorum et Elenchórum solum] : era l’arte di confondere l’avversario, cercandone i difetti dell’argomentazione e opponendogli ragioni più forti di quelle che faceva valere».12 Può affermarsi anzi che, dal secolo dodicesimo Dividimus, cum membra aut partes. enumeramus. Argumentamur, cum aliam sententiam ex alia ratiocinamur... Vulgus audit nomen religionis, at si interroges quid sit religio, alius aliud respondebit... A t dialecticus consulet suos lòcos, et ex his requiret quae res sit, quae sint eius causae... ». 10. S iger de C ourtrai, Les oeuvres. Étude critique et textes inédits, par G. Wallerand, Louvain 1913, pp. 21-22 (dell’introduzione) ; M. Grabmann, Die Geschichte der scholastischen Methode, Friburgo in Br. 1911, voi. II, p. 42 e sgg., p. 446. 11. M. G rabmann, Handschriftliche Forschungen und Funde su den philosophischen Schriften des Petrus Hispanus, des spdteren Papstes Johannes X X I (+ 1277), « Sitzungsberichte des Bayerischen Akademie der Wissenschaften », Phil.-hist. Abt. 1936, 6, p. 47. La definizione di Lamberto si ritrova nelle D en vationes di Uguccione (ms. Naz-. Fir. II, I, 2), che insiste sul rapporto binario della dialettica (« dialettica disputatio tota versatur et finitur inter duos, scilicet apponentem et respondentem »), senza che sia « necessarius tertius iudex, ut in causis agendis ». Nel lessico di Papias (Venetiis 1491, 4Óv) si sottolinea la funzione didattica (« disciplina ad discernendas rerum causas intellectum mentis acuens, veraque a falsis distinguens, dieta quod in ea de dictis disputetur »). 12. M. G rabmann, Die Introductiones in logicam des Wilhelm von Shyreswood (4- nach 1267), « Sitzungsberichte des Bayerischen Akademie der Wissenschaften », Phil. hist. Abt. 1937, Jo» P- 24.

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F.tJGENlO GARIN

in poi, non solo l’ambito della dialettica si fa sempre più preciso, ma si definiscono sempre meglio i suoi procedimenti e i suoi rap­ porti con le aarti» vicine. Come nella teologia, anche qui il punto di crisi è rappresentato da Abelardo, al cui atteggiamento non può non rifarsi chi voglia intendere i modi dello sviluppo successivo della dialettica. Se è vero infatti che sotto il termine dialettica egli pose il complesso della trattazione logica nel suo insieme, è proprio lui che, nell’uso di un metodo specifico determinato ai fini delle discussioni teologiche, venne in qualche modo fissando le linee della dialettica come quell’ara opponendi et respondendi, che il Grabmann considerò essenziale appunto alla tecnica della disputa. Ed è, questo, un punto da non trascurare, mostrandosi qui a chiare note il nesso strettissimo fra le tecniche logiche e la teologia per il cui insegnamento e per la cui organica sistemazione le prime vennero elaborate. La valorizzazione autonoma di taluni di quei procedimenti, e di quelle impostazioni logiche, è forse meno age­ vole di quanto sembra. Nata al servizio di un insegnamento, con lo scopo di addestrare nella difficile arte delle controversie per il trionfo di una fede fondata su principi non dimostrabili « analiti­ camente », la dialettica medievale fiorì, e declinò, con quell’impo­ stazione della cultura e della ricerca. Al di fuori dell’orizzonte creato dalla « riduzione delle arti alla teologia », gli strumenti di indagine e di insegnamento si vennero trasformando profondamente.

2. L a dialettica come tecnica della dispu ta .

La dialettica come metodo e tecnica della disputa, e trattazione degli schemi dei ragionamenti probabili (il sillogismo dialettico distinto dal sillogismo dimostrativo e da quello sofistico) trovò la sua prima lucida fondazione nel famoso prologo del Sic et non, a cui andrà fatto costante riferimento; la molla che mise in moto l’indagine è da ricercarsi nel fatto che i dieta sanctorum sono non solum ab invicem diversa, verum etiam invicem adversa. Ora per solvere controversiam è necessario innanzitutto giungere a precisare la significalo dei termini (« cum modo in hac modo in illa significatione vox eadem sit posita ») ; « facilis autem plerumque controversiarum solutio reperietur, si eadem verba in significationibus a diversis auctoribus posita defendere poterimus». Gli stessi termini * .

Ciò vuol dire però che il processo dialettico della realtà spirituale e il processo dialettico della ragione, che si adegua alla successione delle determinazioni dello sviluppo dello spirito, coincidono. In­ fatti la dialettica della realtà spirituale è diventata la dialettica stessa della scienza, una volta che lo spirito è giunto al culmine del sapere assoluto; e il procedimento della ragione speculativa risulta l’e­ spressione suprema dello stesso processo dello spirito.95 La strut­ tura della realtà e la struttura del pensiero appaiono, nel sapere assoluto, tra loro assolutamente identiche : la dialettica nella sua 91. Sulla dialettica della religione si veda J. H yppolite, op. cit., parte VI. 92. Phanomenologie des Geistes, p. 556. 93. Sulla dialettica del sapere assoluto si veda J. H yppolite, op. cit., parte VII ; per ciò che concerne le prime formulazioni di tale nozione, cfr. la Jenenser Logik, Metaphysik und Naturphilosophie, pp. 172-86, nonché la Jenenser Realphilosophie, Voi. I, pp. 262-3. Di grande importanza è il commento del Kojève, op. cit., parte VI. 94. Phanomenologie des Geistes, pp. 558 9. 95. Su tale identità, e sull’identità che si viene realizzando tra l’io e l’essere, cfr. J. H yppolite, op. cit., pp. 570-9.

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PIETRO ROSSI

portata metafisica è coincidente con la dialettica nella sua portata logica. E proprio perché il procedimento della ragione speculativa è ^espressione suprema del processo dialettico della realtà spiri­ tuale, in cui la totalità dei momenti che questo ha percorso risulta compiuta, e tutti i momenti sono conservati nel loro contenuto — come già nel periodo di Francoforte era stato posto in rilievo — viene con ciò giustificata la pretesa del pensiero di esprimere adeguatamente la struttura disila realtà, vale a dire di riprodurne concettualmente le determinazioni. Il significato logico della dia­ lettica, in quanto metodo proprio della ragione, si situa cosi al punto di confluenza delle varie direzioni lungo le quali Hegel ha proceduto ad elaborare il concetto di dialettica — ed in tale senso questo viene ripreso nelle successive opere sistematiche. 4. S truttura metafisica lettico.

e

struttura logica

del

processo dia­

Non è a caso, quindi, che i riferimenti espliciti alla dialettica formulati nella Wissenschaft der Logik (1812-6) e nelVEncyclop ’àdie der philosophischen Wissenschaften (1817) — nonché nelle Grundlinien der Philosophie des Rechts (1821) e nelle lezioni te­ nute a Berlino — abbiano il proprio centro nella determinazione della sua funzione metodica, e pertanto nella determinazione del rapporto tra la forma e il contenuto della speculazione filosofica. La struttura della dialettica, nella sua duplice portata, rimane in­ fatti quella definita nella Phdnomenologie des Geistes; ed i pre­ supposti che sono Stati fissati nel corso di tale opera non verranno più mutati. È pur vero che nelle opere sistematiche la dialettica non si svolge più tra figure della coscienza, bensì si svolge tra cate­ gorie che sono costitutive dello sviluppo dell’idea nel suo assurgere a spirito — cioè tra momenti dell’intrinseco divenire del reale, che è oggetto del sapere assoluto. Ma ciò non cambia la formulazione del concetto di dialettica. Nella prefazione (ia ediz.) della Wissen­ schaft der Logik, infatti, la dialettica viene presentata come il me­ todo capace di penetrare « la natura del conteauto »*6 — in quanto il contenuto è esso stesso, nella sua struttura, un processo dialet­ tico. Su questa base Hegel riprende la distinzione tra intelletto e ragione, in termini non molto distanti da quelli del saggio sulla Differenz.9 6 96. Wissenschaft der Logik voi. I, p. 6.

(ediz.

Lasson), Leipzig, Meìner Verlag, 1923,

LA DIALETTICA HEGELIANA

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* L'intelletto stabilisce e mantiene ferme le determinazioni ; la ragione è nega­ tiva c dialettica, poiché essa risolve in nulla le determinazioni dell’ intelletto — ed è positiva, poiché produce relemento universale, e abbraccia con questo il parti­ colare... Ma nella sua verità la ragione è spirito... [il quale] nega il semplice, e pone così la differenza determinata deH'intclletto ; ma parimenti la risolve in sé, « così è dialettico... Questo movimento spirituale, che dà a sé nella sua semplicità la propria determinazione, ed in questa la propria eguaglianza con sé — e che perciò costituisce lo sviluppo immanente del concetto — è il metodo assoluto del conoscere, e nel medesimo tempo l’anima immanente del contenute stesso ».97

La dialettica, lungi dall’essere un metodo indifferente al proprio contenuto, è l’espressione adeguata *— e necessariamente corrispon­ dente — del suo interno movimento. E ciò in quanto la sostanza di tale movimento è il concettp, vale a dire una struttura razionale e di per sé intelligibile. Nell’introduzione della Wissenschaft der Logìk la funzione della dialettica come metodo della ragione spe­ culativa risulta precisata nella medesima maniera. Il metodo dialet­ tico — dice Hegel — « non è nulla di diverso dal suo oggetto e dal suo contenuto — poiché è il contenuto in sé, la dialettica che esso ha in se stesso, a muoverlo in avanti »,989Ciò definisce LLdir stacco della dialettica hegeliana dalla concezione "che della dialet­ tica aveva enunciato Kant — distacco che già era emerso, in maniera dichiarata, fin dal saggio Glauben und Wissen. Facendo della dialettica « un’opera necessaria della ragione », Kant ha senza dubbio avuto il merito di far valere ," ,1’ha ridotto ad espressione dì un’esigenza che non può trovare soddisfazione razionale. Da ciò deriva la conclusione kan­ tiana che « la ragione sia incapace di conoscere l’infinito »100 — conclusione la quale comporta una riduzione della dialettica a logica dell’apparenza., che dimostra come il pensiero kantiano si muova ancora nella dimensione dell’astratta universalità dell’intelletto. Procedendo oltre l’unilateralità della posizione di Kant, e ricono­ scendo la necessità di risolvere gli opposti in una superiore unità, jè possibile determinare nella dialettica il metodo proprio della ragione speculativa, che consente esso soltanto di comprendere la realtà. Attraverso il riferimento a Kant, Hegel perviene infatti a pre97. 98. 99. 100.

Wissenschaft Wissenschaft Wissenschaft Wissenschaft

der Logìk, der Logik, der Logik, der Logik,

voi. voi. voi. voi.

I, pp. 6-7. I, p. 36. I, p. 38. I, p. 38.

204

METRO ROSSI

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cisare nella Wissenschaft der Logik i momenti fondamentali del processo dialettico in. quanto processo di risoluzione degli opposti, e a determinare la f u n z i o n e s p e c i f i c a m e n t e d i a ­ l e t t i c a delPantitesi — cioè del per sé.101 Con il sorgere del­ l’alienazione viene in luce il momento negativo inerente alie deter­ minazioni della realtà; e tale momento « è il negativo del primo e, se poniamo mente in anticipo all’ulteriore processo, è il primo ne­ gativo ».102 Ma tale negazione è sempre una negazione determinata — la negazione di un certo momento, particolare, che si era pre­ sentato nella sua immediatezza. « L ’immediato è, con questo aspetto negativo, trapassato nell’altro [ nel proprio altro, cioè nella propria forma estraniata] ; però l'altro non è essenzialmente il vuoto negativo, il nulla che vien’e di solito assunto come risultato della- dialettica, ma è invece l’altro del primo, il negativo dell’immediato ; in tale maniera esso è determinato come mediato — contiene in sé, in generale, la determinazione del primo momento. Il quale è così essenzialmente conservato e mantenuto nell'altro».103

Il momento della negazione diventa pertanto il momento della rela­ zione. E ciò in quanto esso inserisce nel processo un eleménto che è altro rispetto alla determinazione immediata, inizialmente data, e che rappresenta il necessario termine di riferimento di tale deter­ minazione. In tale maniera la .« determinazione negativa,» è nel medesimo tempo quella per « cercare nella storia uno scopo universale, il fine ultimo del mondo, e non un fine particolare dello spirito soggettivo o del sentimen­ to »,131 riconoscere in altri termini il piano provvidenziale che « pre­ siede alle vicende del mondo » e le vie specifiche mediante cui esso si realizza 132 — sono formule tipiche, queste, delle Vorlesungen iiber die Philosophie der Geschichte — è il compito di una consi­ derazione filosofica della storia; e tale compito diventa possibile solamente attraverso l’impiego della dialettica come strumento di comprensione del processo storico. La nozione di dialettica espri­ me infatti, in riferimento alla storia, la necessità razionale dePsuo sviluppo e di ogni momento dello sviluppo; e tale necessità per un verso designa la dipendenza del processo storico dall’opera di una ragione infinita ad esso immanente, e per l’altro esprime l ’in­ tegrale intelligibilità di tale processo per la ragione speculativa., È pertanto possibile enunciare i presupposti che definiscono il si­ gnificato della dialettica della storia nella maniera che segue: 130. 1 3 1. 132.

DieVernunft in der Geschichte, p . 28. Die Vernunft in der Geschichte, p . 29. Die Vernunft in der Geschichte, p . 39.

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i LA DIALETTICA

ÌIKGT'LTANA

215

1) ogni avvenLineata ..storico è, in quanto determinazione parti­ colare dello sviluppo dello spirito nella forma dell’esistenza naturale, un momento del processo di realizzazione.dello spirito del mondo; 2) l’insorgere della negatività in seno ad ogni avvenimento segna la fine della funzione di un qualsiasi fenomeno storico, e la sua necessaria risoluzione in un’altra forma di esistenza dello spirito del mondo; 3) ogni determinazione dell’esistenza dello spirito del mondo, in quanto risultato di una mediazione, conserva in sé, necessa­ riamente, il contenuto dello sviluppo precedente, e nel mede­ simo tempo costituisce un passo innanzi nei confronti della determinazione che in essa si è risolta; 4) il processo storico, in quanto processo di superamento, si pre­ senta fornito dell’attributo del progresso; 5) la comprensione razionale del processo storico si compie come comprensione del posto che ogni momento occupa nella tota­ lità del processo, adempiendo ad una funzione strumentale in vista dell’attuazione del suo fine ultimo, che è lo sviluppo stes­ so dello spirito nella sua autocoscienza. Sulla base di questi presupposti il problema della compren­ sione razionale della storia si è configurato come un problema non più di analisi e di interpretazione storica, ma invece di giustifica­ zione metafisica. 11 riferimento alla totalità del processo storico, e al fine ultimo che esso persegue, risulta infatti essenziale per defi­ nire il significato di ogni singolo avvenimento :133 soltanto in base al rapporto con tale scopo conclusivo è possibile comprendere ra­ zionalmente, e cioè nella sua funzione dialettica, qualsiasi momento della storia. Non già l’individuazione delle relazioni, a raggio più o meno vasto, che congiungono un particolare fenomeno storico con una serie limitata di altri fenomeni antecedenti, contemporanei e successivi, bensì la determinazione del suo rapporto con la tota­ lità — e quindi del contributo che necessariamente fornisce alla realizzazione del piano provvidenziale — diventa il fondamento di comprensione della storia. E si tratta appunto di una specie di comprensione la quale si muove non già entro un campo di ricerca, definito di volta in volta, ma entro una prospettiva cosmica, cioè nel quadro dei rapporti tra finito e infinito sui quali si impernia 133. Si vedano, a questo proposito, le osservazioni di G. L ukàcs, Geschichte tmd Klassènbewusstsein, Berlin, Drei Masken Verlag, 1923, pp. 39-41, 167-8, 17880, 190 ecc.

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PIETRO ROSSI

2 IÓ

l’impostazione della filosofia di Hegel. Non è a caso che la ricerca di una mediazione c o n c r e t a tra questi due termini, versò cui Hegel aspira nelle Vorlesungen uber die Philosophie der Geschichte — come ha posto in rilievo Niel 134 — oltre le conclusioni formulate nelle opere sistematiche, conduca ad una visione della storia che è., in ultima analisi, teologica,. Il richiamo a quella con­ nessione di interessi religiosi e di, interessi etico-politici che erano a base del pensiero del giovane Hegel, e che avevano ispirato le posizioni degli scritti del periodo di Francoforte, ha come risultato l’elaborazione di una concezione del processo storico che poggia sulla presenza operante di Dio e sul dispiegarsi progressivo di un piano provvidenziale. Per quanto tradotto in termini filosofici — e impostato immanentisticamente — è pur sempre il problema della Menschwerdhing di Dio che sta sullo sfondo della filosofia hege­ liana della storia, e ne lascia trasparire, al di sotto di ogni trave­ stimento, l’originaria ispirazione teologica. Al « fatto » dell’incar­ nazione si è sostituita una mediazione che si riproduce in ogni momento del processo storico, e che ne costituisce la struttura dia­ lettica ; alla fede nella provvidenza di Dio trascendente è subentrata la fede nell’« astuzia della ragione » che volge ai suoi fini le azioni dei popoli e degli individui; alla visione beatifica del governo divino della storia è subentrata la comprensione razionale del pro­ cesso storico. Ma il problema della giustificazione del drapoma storico dell’umanità — divenuto il processo dello spirito che si realizza storicamente — è pur sempre al centro della filosofia della storia di Hegel, come era stato al centro della concezione roman­ tica del processo storico della quale il pensiero hegeliano, al di là di ogni polemica, esprime una delle direzioni di svolgimento. Dal riferimento a tale problema deriva il proprio senso reale la dialet­ tica della storia, e questo a sua volta illumina retrospettivamente il significato dello sforzo compiuto da Hegel — nelle diverse fasi del suo sviluppo speculativo — per definire la struttura dialettica della realtà e della conoscenza. Dalle considerazioni precedenti emerge pertanto il carattere fittizio e illusorio dei tentativi — comuni, seppure in veste diffe­ rente, sia alla critica materialistica della filosofia di Hegel che al processo di revisione dell’hegelismo nell’ambito di presupposti idealistici — di isolare la funzione metodica della dialettica dal quadro sistematico in cui Hegel l’ha formulata e utilizzata. Quaie che sia l’importanza di tali tentativi sotto altri rispetti, rimane però 134. H. N iel , op . cit., cap. V II.

LA DIALETTICA HEGELIANA

217

sempre il fatto che essi sono un travisamento del significato della dialettica hegeliana e dei suoi presupposti. In primo luogo, infatti, la dialettica della storia — a cui essi si sono richiamati in maniera precipua 135 — è inscindibile dalla dialettica delle determinazioni interne dello sviluppo dello spirito, della quale essa rappresenta l’estrinsecarsi nella forma dell’esistenza naturale. In secondo luogo la dialettica, in quanto organo di comprensione razionale del pro­ cesso storico, n o n è r i d u c i b i l e a u n a c a t e g o r i a m e t o d o l o g i c a ; essa non è altro che l’espressione in termini logici di una struttura metafisica della storia. Se comprensione razionale del processo storico vuol dire — come vuol dire nelle Vorlesungen ilber dìe Philosophie der Geschichte — comprensione degli avvenimenti nel loro rapporto con la totalità del processo, è evidente che l’impiego della dialettica come strumento interpretativo presuppone sempre la conoscenza preliminare del fine ultimo di tale processo, e del, piano provvidenziale mediante cui esso deve necessariamente'realizzarsi. Il che vuol dire, come già si è osser­ vato, che l’impiego della dialettica implica l’assunzione di una visione della storia che è, nella sua radice, di carattere teologico, e da cui procede un atteggiamento di giustificazione integrale del processo storico e delle sue fasi successive. Parlare di dialettica della storia, nel senso hegeliano, è possibile soltanto se si ammette che il processo storico sia retto da un’intrinseca necessità, riporta­ bile all’azione di una ragione infinita —- o^d| una razionaiità^mma­ nente al processo. Al di fuori di questo orizzo rfte^parlare d iaialettica ih riferimento all’impostazione filosofica hegeliana perde qualsiasi senso preciso — o si riduce al tentativo contradditorio, e sviante, di mantenere in piedi un certo significato della dialettica pur attraverso il rifiuto di assumere consapevolmente i presupposti che, essi soltanto, valgono a definirlo. n

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135. Sull’eredità della dialettica della storia nella filosofia tedesca dell’Ottocento si veda il volume di K. L owith, Von Hegel bis Nietzsche, Zurich und New York. 1941, i cui risultati rimangono — sotto molti aspetti — sempre fondatnentali.

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P ie t r o R o s s i

LA DIALETTICA IN MARX i.

P o s iz io n e

d el

pro blem a .

L ’uso del termine «dialettica» nella filosofia contempora­ nea è diventato ormai un contrassegno della filosofia marxistica. Le correnti idealistiche neo-hegeliane, che avevano posto ripetu­ tamente in discussione il problema della dialettica, vanno a poco a poco estinguendosi. Lo stesso rinato interesse per Hegel, in questi ultimi anni, — da un H y ppolite, a. un Kojève, a un Lukàcs — è avvenuto in occasione della rinascita del marxismo, in Fran­ cia, in Italia, in Germania. A un Marx successore di Hegel, quale si era venuto designando negli scrittori idealisti, si è venuta sosti­ tuendo la figura di un Hegel precursore di Marx. Il metodo dia­ lettico sembra ormai esclusivo appannaggio dei marxisti.1 Nella Unione Sovietica la dialettica è tuttora al centro delle discussioni e viene considerata come il segno distintivo — e insieme il titolo di primato — della filosofia marxistica rispetto alle filosofie occi­ dentali.2. Se esiste oggi ur^problem a di chiarimento del concetto di dialettica, esso esiste soprattutto in relazione al rinnovato interesse per il- marxismo, e all’uso e abuso del termine che si è venuto . —. •»— , , allargando in questi anni dagli scritti filosofici agli scritti di cul­ tura politica e di pubblicistica, e al suo conseguente impiego come ultimatum per respingere gli attacchi d ell’avversario (allo stesso uso servirono, in altro clima filosofico, i termini « trascendentale » o « sintesi a priori »). Una discussione intorno al concetto di dia­ lettica non può pertanto prescindere d all’esame del pensiero di C arlo Marx, anche se in verità l ’esame del pensiero di Marx non dovrebbe restare isolato e dovrebbe essere seguito d all’esame del pensiero di Engels, di Lenin, di Lukàcs, e di altri teorici del marxismo. 1. P er un’esposizione delle più recenti discussioni tra filosofi m arxisti sul pro­ blema della dialettica si vedano G. C h eru bin i , Logica formule e dialettica in un dibattito sovietico, in « S o c ie tà » , IX, 1953, pp. 136-155; e N. M erkkr , Una di­ scussione sulla dialettica, in « Società », X II, 1956, pp. 819-848. 2. Si veda, da ultim o, i vari articoli pubblicati sotto il titolo generale Problem i della contraddizione, in « R assegna sovietica », V i l i , 1957, pp. 1-35.

I

f ,A DIALETTICA IN

MARX

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Qui raccolgo le mie osservazioni intorno a due punti : i) qua­ le importanza abbia avuto la dialettica nel pensiero di Marx, o, con altre parole, se Marx sia stato e in quale misura e in quale circostanze un pensatore dialettico (§§ 2, 3, 4, 5); 2) se il termine dialettica abbia nel pensiero di Marx un significato univoco, e quali siano i principali significati del. termine, il chiarimento dei quali ci permetta di comprendere non soltanto se, ma anche in qual sen­ so, Marx sia stato un pensatore dialettico (§§ 6, 7, 8).3

2.

I l m a t e r ia l is m o

d ia l e t t ic o

n ella

f o r m u l a z io n e

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E n g els.

Per quanto la filosofia di Marx venga ormai chiamata abi­ tualmente « materialismo dialettico », questa espressione, com’è noto, non è di Marx ma di Engels. La raffigurazione abituale di un Marx che rifiuta di Hegel l’idealismo, cioè la concezione meta­ fisica, ma accetta il metodo, cioè la dialettica, o, con altro gioco di concetti, accetta dagli illuministi settecenteschi la concezione ma­ terialistica del reale ma ne rifiuta il metodo meccanicistico, è opera di Engels, il quale attribuisce^ a Marx e a se stesso, ma in primo luogo a Marx, il merito di. aver criticato Hegel attraverso Feuerbach e Feuerbach^lt^rgrverso Hegel. Il primo tentativo, da parte di Engels, di ricostruire il pensiero di Marx come congiunzione o sintesi di materialismo e di dialettica si legge nella recensione, che egli pubblicò sul giornale Das Volk di Londra (6 e 20 agosto 1859), dell’opera di Marx Per la critica dell’economia politica. Egli così scrive : « Marx era ed è il solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere scoperte fatte da Hegel in questo campo, e di stabilire il metodo dialettico spogliato dei suoi veli idealistici, nella forma semplice in cui esso è la sola forma giusta dello sviluppo del pensiero. Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica dell’economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi 3. Non tratto qui, se non di sfuggita, il problema del rovesciamento della dia­ lettica di Hegel, operato da Marx. Il problema è stato ampiamente trattato in Italia da G. D ella V olpe, ancora da ultimo nel saggio Per una metodologia mate­ rialistica dell*economia, in « Società », XVI, 1957, pp. 36-72 (ora compreso nel volume Rousseau e Marx. Roma, Editori Riuniti. ick7 . pp. 79-129) ; e nella rela­ zione Il marxismo e la dialettica di Hegel, in « Rinascita », XIV, n. 10-11, otto­ bre-novembre 1957, pp. 538-541. Pure al problema del rovesciamento sono dedicati | quasi esclusivamente i capitoli sulla dialettica nell’opera di J. Y . C alvez, L o pensée r de Karl Marx, Paris, aux éditions du Seuil, 1956, p. 335 e seg.

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NORBERTO

BOBBIO

altrettanto importante quanto la concezione materialistica, fonda­ mentale ».4 Molti anni più tardi, Engels sostenne con veemenza la difesa della dialettica di Marx ncU'Anliduhjjj&g (1878) e prese occasione proprio da questa difesa del metodo marxiano per esporre la pri­ ma — più nota e più discussa — teoria della dialettica. 1! « signor Diihring » si era divertito a mettere in ridicolo il metodo dialettico con espressioni di questo genere : « Questo schizzo storico [la sto­ ria dell’accumulazione del capitale]... è ancora relativamente la cosa migliore del libro di Marx e sarebbe ancora migliore se non si fosse puntellato per andare avanti, oltre che sulle grucce della dottrina, su quelle della dialettica. Cioè, in mancanza di qualche mezzo migliore e più chiaro, qui la hegeliana negazione della ne­ gazione deve far da levatrice ed estrarre l’avvenire dal grembo del passato... L ’ibrida forma nebulosa delle idee di Marx non sorpren­ derà, del resto, chi sappia che cosa si può combinare o piuttosto che stravaganze devono venir fuori prendendo come base scienti­ fica la dialettica di Hegel ». In questa forma scherzosa, del resto, Diihring diceva cose serie e niente affatto...campate in aria, dove, continuando, asseriva : « Per chi sia ignaro di questi artifici biso- o gna notare espressamente che la prima^negazione hegeliana è il concetto catechistico del peccato originale, e la seconda è quella di una superiore unità che porta alla redenzione ». Onde; traeva la — conseguenza che non fosse possibile « fondare la logica dei fatti » — come aveva preteso Marx — « su questo giochetto analogico preso a prestito dal campo della religione ».5 Il celebre passo della negazione della negazione, a cui il Diihring si riferiva, era alla fine del primo volume del Capitale. Era l’unico passo, del resto, in cui Marx avesse scoperto il proprio metodo usando il linguaggio della dialettica hegeliana : « Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la pro­ prietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondala sul lavoro personale. Ma la produ­ zione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della ne­ gazione ».6*Nella difesa deljr^tojfojrnirxiano. Engels^per la prima 4. Vedila pubblicata in appendice a Per la crìtica dell’ economia politica, trad. it., ed Rinascita,- 1957, P> 205- H corsivo è mio. 5. Antiduhring, trad. it., ed. Rinascita, 1950, p. 142. Il corsivo è mio 6. Il Capitale, trad. it., ed. Rinascita, 1952, III, p. 223. Nel Cap. IX aveva ricordato « la legge scoperta da Hegel nella sua logica, che mutamenti puramente quantitativi si risolvono in certo punto in distinzioni qualitative » (I, p. 337), legge

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NOJRBliKTO BOBBIO

il pensiero di Marx come un sistema filosofico o come una concezione totale della realtà, fu certamente una delle ragioni che con­ tribuirono a far trascurare o a far sottovalutare i motivi dialettici degli scritti di Marx, in un’età in cui, dominante il positivismo,! diffondendosi una concezione evolutiva e deterministica della real­ tà, si scolorì la visione dell’origine del pensiero marxiano dalla matrice hegeliana, e, come è stato ripetutamente osservato, fu con­ siderato sforzo meritevole ogni tentativo di staccare Marx da He­ gel. Si aggiunga che Marx disdegnò esporre al pubblico i suoi canoni metodologici, e preferì esercitare un metodo che parlarne : i suoi due principali frammenti metodologici, Critica della dialet­ tica e in genere della filosofia di Hegel e Introduzione alla critica deWeconomia politica, uscirono postumi.8 Di quest’ultima egli stes­ so scrisse nella prefazione a Per la critica delVeconomia politica : « Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato perché, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrarsi disturbi, e il lettore che avrà deciso di se­ guirmi dovrà decidersi a salire dal particolare al generale ».9 Nel passo più famoso in cui volle mostrare il suo debito di ricono­ scenza verso Hegel (nel Poscritto alla 2a ediz. del Capitale) e disse, tra l ’altro, che aveva « perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che era peculiare ad He­ gel »,10 lo fece, almeno parzialmente, in una forma che aggravò i dubbi anziché eliminarli. Da questa frase si trasse argomento per ribadire che lo hegelismo, e cioè la dialettica, era in Marx un mero involucro, una specie di reminiscenza di scuola, a cui non si sa­ rebbe dovuto dare troppa importanza. D ell’immagine di un Marx staccato da Hegel, pensatore non dialettico, è stata fatta da tempo giustizia. Basterà ricordare, per restar sul terreno della critica filosofica, la vecchia polemica di Lukacs contro i revisionisti, i quali, avendo messo da parte il metodo dialettico di Marx, ne avevano appiattito, svigorito il pen­ siero. Nella introduzione a Storia e coscienza di classe spiegò che ciò che era comune ai saggi che veniva pubblicando riuniti in vo­ lume ^ra la riaffermazione dell importanza della dialettica in Marx. e dei suoi rapporti con Hegel, e la critica di tutti coloro che ave8. Il primo fa parte dei Manoscritti economico-filosojici del 1844, trad. j.t,, Einaudi, 1949, pp. 164-191 ; il secondo, pubblicato per la prima volta nella « Neue Zeit » del 1903, è tradotto in Per la critica d ell economia politica, cit., pp. 171-199. 9. Per la critica dell’ economia politica, cit., p. 9. .t ....... 10. Il Capitale, cit I, p. 28.

LA DIALETTICA IN MARX

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vano creduto di sbarazzarsi della dialettica come di una super­ fetazione.11 Oggi noi siamo convinti clic gli argomenti addotti dagli anti­ dialettici erano mal fondati. Anche prescindendo per ora dalla più completa conoscenza che abbiamo del pensiero di Marx attraverso gli scritti postumi, il passo del « civettare » Ietto per intero e senza pregiudizi antihegeliani, dimostrava non già un superficiale con­ tatto di Marx con Hegel, ina_ua legame, almeno in quella dichia­ razione, profondo. Marx in realtà ci vuol far sapere anzitutto di aver voluto reagire contro i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che si compiacevano di trattare Hegel come Mendelssohn trattava .Spinoza, cioè come un cane morto. Hegel non era un cane morto, ma « un grande pensatore » ; e Marx se ne professava apertamente discepolo. Il passo è del 1873, ma ora sappiamo che già nel ’68 (cioè subito dopo l’apparizione del Capitale), in una lettera ad Engels aveva espresso lo .stesso concetto, e dunque non era un concetto occasionale : « Al Museum... ho poi anche visto che Dtihring è un grande filosofo, giacché ha scritto una Dialettica natu­ rale contro la dialettica “ non naturale” di Hegel. Rine illae lacrimae. Quei signori in Germania credono (ad eccezione dei reazio­ nari teologici) che la dialettica di Hegel sia un cane morto. A questo riguardo Feuerbach ha molte colpe sulla coscienza ».12 Nei passo del Poscritto. poi, continuava con una dichiarazione di prin­ cipio, che è in sintesi il programma del materialismo dialettico, teorizzato, commentato e volgarizzato da Engels : « La mistifica­ zione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampia­ mente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico ».13 Sulla convinzione che Marx si era venuto formando della bontà del metodo dialettico, proprio durante il lavoro per il Capitale, vi sono testimonianze ne\VEpistolario, che non possono essere tra­ scurate. Ne citiamo qualcuna. A Engels che leggendo le bozze di stampa gli scrive di non capire certi « nessi dialettici », Marx ri­ sponde (22 giugno 1867) : « Per quanto concerne lo sviluppo della forma di valore, ho seguito e non seguito il tuo consiglio, per 11. G. L ukacs, Geschichte und Klassenbewusstsein. Studien uber marxistischc Diaìektik, Berlin, Der Malik Verlag, 1923, Introduzione, passim. 12. Carteggio Marx-Engels, trad. it., ed. Rinascita, V, p. 137. Il corsivo è ; mio. 13. Carteggio, cit., V, p. 28. Il corsivo è mio.

NORBERTO BOBBTO

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mantenere anche a questo riguardo una linea dialettica »,14 e si vanta di aver applicato, a proposito della trasformazione del mae­ stro artigiano in capitalista, la legge scoperta da Hegel della tra­ sformazione della quantità in qualità. Un mese dopo (27 luglio 1867) scrive: « Qui [nel terzo libro] si mostrerà di dove origina il modo di veder le cose dei borghesucci e degli economisti volgari, e cioè del fatto che nei loro cervelli sempre soltanto si riflette la immediata forma di manifestazione dei rapporti, non la loro intima correlazione. Del resto, se così fosse, che ragione ci sarebbe poi d'una scienza? Ora, se io volessi in precedenza toglier di mezzo simili dubbi, rovinerei tutto il metodo dialettico di sviluppo ».15 Il passo più importante, peraltro, si trova in una lettera a Engels del 7 novembre 1867, in cui Marx dice di aver mandato una copia del Capitale ad una rivista cattolica inglese Chronicle, presentan­ dolo — per attrarre l ’attenzione su di esso — come « il primo tentativo di applicare il metodo dialettico alVeconomia politica )>.16 Torto o ragione ch’egli avesse, Marx dunque era convinto di aver compiuto un’ojiem^jdLroUura e di rinnovamento nel campo dell’ecpnomja politica sostituendo, nell’indagine dei concetti economici, il metodo naturalistico tradizionale col metodo dialettico appreso da Hegel ; di conseguenza, se la sua era una scienza nuova, ciò era dovuto al fatto che egli non aveva dimenticato di esser stato disce­ polo di Hegel. Il passo testé citato riceve luce da un brano di alcuni anni prima (i° febbraio 1858), in cui, annunciando ad Engels la pretesa di Lassalle di esporre l ’economia politica alla maniera di Hegel commenta : « Imparerà a sue spese che ben altra cosa è arrivare a portare per mezzo della critica una scienza al punto da poterla esporre dialetticamente, ed altra applicare un sistema di logica astratto e bell’e pronto a presentimento per l’appunto di un tale sistema ».17 Quel che non poteva riuscire a Lassalle, cioè di esporre una scienza dialetticamente, avrebbe egli stesso tentato, e gli studi di economia politica che già in quegli anni andava com­ piendo dovevano essere il primo abbozzo dell’opera maggiore.

14. 15. 16. 17.

Carteggio, Carteggio, Carteggio, Carteggio,

cit., cit., cit., cit.,

V , p. 35-36. Il corsivo è mio. V , p. 45-46 II corsivo è mio. V , p. 95. I l i , p. 166. Il corsivo è mio

LA DIALETTICA IN MARX

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4. C ritica di un ' obiezione.

Che gli scritti economici dell’età matura siano impregnati di spirito dialettico e alimentati da una continua suggestione hege liana, non elimina l ’obiezione, sollevata di recente, che Marx sia giunto alla comprensione della dialettica tardi, e pertanto sia un pensatore dialettico, sì, ma solo in una parte, seppure quella sto­ ricamente più importante, della sua opera, il cui corso si potrebbe rappresentare come uno sviluppo dal materialismo storico al ma­ terialismo dialettico. Questa tesi è stata sostenuta da Henri LefèbvreP8 Gli argomenti che egli adduce sono due : 1) in genere nelle opere giovanili e in particolare nella Miseria della filosofia, Marx condanna in modo particolarmente severo il metodo hegeliano; 2) solo nel 1858 si troverebbe una menzione non negativa della dia­ lettica hegeliana in una lettera, in cui Marx racconta ad Engels di aver ritratto gran beneficio per il suo lavoro dalla rilettura della Logica di Hegel, mandatagli in dono insieme con altri volumi hegeliani da Freiligrath,18 19 e commenta : « Se tornerà mai il tempo per lavori del genere, avrei una gran voglia di render accessibile all’intelletto dell’uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato». Né l’uno né l ’altro argomento sono-molta^CQayincenti. Nella Miseria della filosofia, è vero, vi sono alcune pagine dedicate alla critica . della dottrina hegeliana, e Proudhon è messo alla berlina per essersi lasciato attrarre dalle spire di Hegel, cioè in una pura dialettica delle idee che non riuscirà mài a comprendere il movi­ mento delle cose. Ma pagine siffatte possono sorprendere soltanto chi non abbia appreso dalle opere giovanili quanto complesso, complicato, ambiguo sia stato l’atteggiamento di Marx nei con­ fronti di Hegel, di rivolta e insieme di riverenza, di critica aspra, beffarda e insieme di ammirazione per la grandezza. Ciò che Marx critica in Hegel, a leggere attentamente, anche nelle pagine tanto discusse della Miseria della filosofia, non è la dialettica^come tale» gftna. pur sempre,l’uso speculativo della dialettica, a cui contrappone, Irsin da ora, la dialettica scientifica. Anzi, non c’è pagina forse, in tutta l’opera di Marx, in cui vi sia una spiegazione più chiara e più genuina della dialettica (almeno in uno dei suoi significati 18. Il materialismo dialettico, trad. it., Torino, Einaudi, 1947, p. 62 e sgg. 19. Carteggio, cit., I l i , p. 155. 15

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NORBERTO BOBBIO

principali). Di fronte a Proudlion, che non ha capito nulla della dialettica perché dei due lati di ogni categoria economica, quello buono e quello cattivo, vuol conservare il primo ed eliminare il secondo, Marx spiega : « Ciò che costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati coQtraddittori, lajo ro lotta "e la loro fusione in una nuova categoria. Basta in realtà porsi il problema di eliminare il lato cattivo, per liquidare di colpo il mo­ vimento dialettico. Al posto della categoria, che si pone e si oppone a se stessa per la sua natura contraddittoria, sta il signor Proudhon che si infervora, si dibatte, si dimena fra i due lati della catego­ ria ».20 Poco più oltre, a proposito della critica di Proudhon al feudalesimo, esce in una affermazione veramente decisiva che co­ g lie e fissa il nucleo centrale del metodo dialettico : « È il lato cat­ tivo a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta )>. E liminate il lato cattivo del feudalesimo e che cosa avrete ? 8 n., 101, 102 n., 103 n, , 104 n., t«Q D., 1 io n.

*75 n..

64. ;* n.. 100 n., 105 n..

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