Eredità dell'Illuminismo. Studi sulla cultura europea fra Settecento e Ottocento

I saggi del volume si rivolgono essenzialmente alla cultura britannica e francese. Sul primo versante essi riprendono le

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Eredità dell'Illuminismo. Studi sulla cultura europea fra Settecento e Ottocento

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Er edi t àdel l ’ I l l umi ni smo St udi s ul l acul t ur aeur opea f r aSet t ecent oeOt t ocent o

acur adi Ant oni oSant ucci

Soci et àedi t r i cei l Mul i no

EREDITÀ DELL'ILLUMINISMO Studi sulla cultura europea fra Settecento e Ottocento

A CURA

DI ANTONIO SANTUCCI

SOCIETA EDITRICE IL MULINO

Copyright © 1979 Società editrice il Mulino via S. Stefano, 6 - Bologna

by

INDICE

Antonio Santucci, Presentazione

p.

7

PARTE PRIMA: LA FILOSOFIA E LE ISTITUZIONi

Luigi Turco, Vicence del 'moral sense' nel Sette-

cento scozzese Eugenio Lecaldano, Da Hume all'utilitarismo

13 47

Dino Buzzetti, La 'reazione del XIX secolo con­

tro il XVIII' e il metodo delle 'scienze morali' in fohn Stuart Mill Antonio Santucci, Filosofia, senso comune e Re-

staurazione

83

127

Pietro Capitani, Prodotti immateriali e funzioni

dello stato nella storia economica di JeanBaptiste Say Arrigo Pacchi, Schopenhauer tra Illuminismo e

materialismo

171

203

Giancarlo Carabelli, Blict'I"Ì: una parola per Ar-

lecchino

231 5

PARTE

SECONDA: SCIENZA DELL'UOMO E SCIEN­ ZA DELLA NATURA

Maurizio Ferriani, Dopo Laplace: determinismo,

probabilità, induzione Walter Tega, Classificazioni artificiali e classifi-

cazione naturale da D'Alembert ad Ampère . Sergio Moravia, Filosofia e medicina in Francia

alla fine del secolo XVIII

p.

261 305

341

Roy Porter, Charles Lyell, l'uniformitarismo e

l'atteggiamento del secolo XIX verso la geologia dell'Illuminismo

3 95

Giuliano Pancaldi, Conoscenza fine a se stessa,

tecniche e pubblico della scienza nel 'Preliminary Discourse' di f. Herschel

6

435

PRESENTAZIONE

Questo volume è nato per iniziativa del Gruppo di studi sull'Illuminismo del CNR che opera da tempo pres­ so l'Istituto di Filosofia nell'ateneo bolognese. Due altre raccolte di saggi, anch'esse pubblicate dal « Mulino », l'hanno preceduto negli anni scorsi. La prima comprende­ va contributi italiani e stranieri a un convegno svolto nel maggio del 1975 su Scienza e filosofia scozzese nell'età di Fiume; la seconda è stata curata da Paolo Casini e presentava, col titolo La politica della ragione, le comuni­ cazioni di tre giornate di lavori sull'Illuminismo francese (9-1 1 novembre 1976). L'accenno a tali raccolte sembra opportuno per inten­ dere l'arco e la natura dei temi qui presi in esame. Essi fanno parte del più complesso e diramato fenomeno dell' eredità illuministica, un fenomeno europeo nella peculiari­ tà delle aree nazionali, che gli specialisti affrontano da diverse angolazioni e con diversi metodi nel segno di una prospettiva interdisciplinare. Come le lumières resistano o gradualmente dileguino in una società divisa tra Rivolu­ zione e Restaurazione, quali significati il secolo illumina­ to assuma per le generazioni che s'affacciano al nuovo: questi problemi ci addentrano in un territorio ancora da esplorare per ampi tratti, nonostante i risultati raggiunti e gli imponenti materiali che si sono raccolti. Ma la cosa non meraviglia, soprattutto se si tiene conto delle doman­ de e degli interessi che premono sulla ricerca degli studio­ si, allontanandola spesso dai tracciati tradizionali e renden­ dola poco disposta ad accettare senza prove le vecchie etichette. Un work in pmgress, com'è sempre quello stori­ co quando si rivolge al passato senza chiudersi alle idee

7

del presente, un lavoro in cui la curiosità intelle ttuale non va mai malintesa con l'amore delle novità o delle « rotture » fine a se stesso e le rare costano

fatica. Questi rilievi non sono premessi ad arte, a sostegno d i un libro che vale (se vale) per ciò che è e riesce a proporre . Piuttosto vogliono segnalare le difficoltà di ordi­ nare in uno schema sviluppi, mutamenti e contraddizioni di una cultura che si distaccava dai valori dell'Illumini­ smo e cercava faticosamente nuovi assetti istituzionali. In tal senso la distribuzione dei saggi in due parti si l imi t a a fornire una guida, non esclude altre possibilità dì raggrup­ pare e confrontare gli argomenti. Cosi , nella nostra propo­ sta, essi si distingu ono tra qu ell i connessi alla riflessione dei filosofi e quelli che riguardano pitt direttamente le idee della nuova scienza. Ma l'una e le altre confluiscono in un movimento di pensiero che i singoli autori si preoc­ cupano di seguire nella sua complessità, senza smembrar­ lo o i rr igidirlo , ora attenti ai suoi condizionamenti sociali e ora incl i ni a una lettura di tipo a n al i t ico e testuale. I saggi del volume si rivolgono essenzialmente alla cultura britannica e francese. Sul primo versante essi ri­ prendono le discussioni etiche avviate dalla scuola scozze­ se nel tardo Settecento, gli sv iluppi della prob le matic a humiana in rapporto alle prime formulazioni dell'utilitari­ smo, la critica dei principi benthamiani intrapresa da Stuart Mill a l ivel lo logico ed epistemologico . Nell'ambi­ to francese l'indagine muove invece dall'esperienza degli idéologues e dalla scienza materialistica dell'uomo a cui non rimase estraneo Schopenhauer, si sofferma sulle ulti­ me battaglie illuministiche condotte nella « Décade philo­ sophique » in fatto di politica ed economia, e di qui si volge alle filosofie eclettiche e spiritualistiche dell'età del­ la Restaurazione. Passando alla seconda parte, la prim a questione che vi viene affrontata riguarda il nesso stabili­ to da L apl ace tra determinismo e concezione epistemica della probabilità e s'estende alle dottrine dell'induzione; di seguito si ripropone il problema della classificazione 8

naturale e artificiale' delle scienze da d'Alembert ad Ampè­

re, si precisano le relazioni tra filosofia e medicina in Francia alla fine del sec. XVIII, si considera l'apporto di

Lyell alla teoria dell'« uniformismo » o « attualismo » geo­ logico e a quella dell'evoluzione; e infine si mettono in evidenza taluni significati assunti dalla tradizione baconia­ na nella comunità scientifica inglese del primo Ottocento. Bastino questi accenni a confermare la varietà degli argomenti. Taluni sono trattati per la prima volta con tanta minuzia, altri (come è il caso della parola « blictri » ricondotta da Carabelli a una polemica antiscolastica) ap­ paiono del tutto nuovi. Può derivarne, come s'accennava, un sospetto di disordine. Ma ci premeva di lasciar libera la ricerca e vedere alla fine se, caduti i divieti, l'eredità illuministica ne venisse chiarita in qualche modo. Soprat­ tutto abbiamo tentato di evitare certi pericoli, tanto noti quanto reali: Io specialismo esasperato che divide più che non avvicini gli studiosi, le suggestioni totalizzanti, le for­ zature ideologiche. Ai quali non c'è da opporre che un lavoro consapevole dei suoi limiti, teoricamente aperto, a conferma di una precisa scelta filosofica. ·

ANTONIO SANTUCCI

9

PARTE

PRIMA

LA FILOSOFIA E LE ISTITUZIONI

LuiGI TuRco VICENDE DEL 'MORAL SENSE' NEL SETTECENTO SCOZZESE

l. A uno sguardo superficiale, l'etica del Settecento scozzese sembra tanto caratterizzata dal mora[ sense e dal privilegio accordato al sentimento come criterio della valu­ tazione morale, quanto quella dell'Ottocento inglese dall'u­ tility e dal calcolo razionale dei piaceri che gli si fa corri­ spondere. In realtà, qualsiasi storia dell'utilitarismo britan­ nico non può che rifarsi a Hobbes, o almeno ai suoi avversari seicenteschi, e ci ricorderà che la regola del greatest pleasure far the greatest number è principio, nep­ pure originale, abbracciato dallo stesso genitore del mora! sense, Francis Hutcheson. Né, per converso, la nozione di senso morale, o qualche suo analogo, smetterà di preoc­ cupare i moralisti britannici fino e oltre Mill. Resta co­ munque che l'Introduzione ai principi della morale e del­ la legislazione di Jeremy Bentham, stampata nel 1780 e pubblicata nel 1789, segna una svolta decisiva nella discus­ sione morale, probabilmente da ricercare in quello che Stuart Mill chiamò, con felice espressione, il method of detail e nell'attacco radicale e influente agli istituti positi­ vi della legislazione inglese. Il maggiore e dispotico avver­ sario del principio dell'utilità è il principio della simpatia e antipatia, affermava Bentham con evidente e derisorio riferimento alla fortunata Teoria dei sentimenti morali di Smith, e in nota rincarava la dose trattando tutti i criteri invocati nel suo secolo a fondamento della morale come altrettante varianti del principio criticato nel testo. Mo­

ra! sense, common sense, eterna! and immutable Rule of Right, Fitness of Things, Law of Nature, Right Reason, ecc. erano tutti espedienti per evitare l'obbligo di richia­

marsi a un qualche external standard e per costringere il 13

lettore ad accettare il sentimento o l 'opinione dell'autore come una giustificazione ragionevole e definitiva. Ma il disinvolto accostamento di razionalisti, giu snaturalisti e teorici del senso morale non deve ingannarci sulla sostan­ z a della nota di Bentham, che inizia e termina con un at tacco sprezzante contro il criterio del sentimento e non è mai tanto efficace e persuasiva come quando ne mima l'atteggiamento, sottolineandone l'insignificanza pratica e l'immobilismo politico: l. Qualcuno sostiene di avere una cosa che serve a dirgli cosa è giusto e cosa ingiusto e che si chiama mora! settSe; cosi può procedere tranquillamente e decretare « questo è giusto, quest'al­

tro è sbagliato » Perché? « perché il mio senso morale mi dice cosi ». 2. Arriva un altro e cambia la frase, togliendo mm·al e metten­ do common al suo posto. Poi vi racconta che il suo common sense gli insegna cosa è g ius to e cosa no, colla stessa certezza del s(;nso morale del primo. ( ... ) Questo espediente funziona meglio, giacché il senso morale costituisce una novità e chiunque può frugare un gran pezzo tra i propri sentimenti senza riuscire a trovarlo, ma il senso comune è antico quanto il mondo e chiun­ que si vergognerebbe a lasciar credere di esserne meno provvisto del vicino. Ha inoltre il gran vantaggio di attenuare l'invidia col dividere il potere: quando un uomo, infatti, si erge su questo to·reno per lanciare i suoi anatemi contro coloro che non sono cl'accordo con lui, non loJa con un sic volo, sic jubeo, ma con un semplice velitis jubeatis 1• -

-

Quando Bentham liquidava con tanto sarcasmo le nuo­ ve dottrine scozzesi , non una sola opera di rilievo era stata ancora dedicata alla morale dai protagonisti del sen­ so comune 2• Ma sarebbe errato attribuire il preventivo giudizio di Bentham al facile gioco di parole o al suo scarso interesse per i fondamenti della morale. Era stato 1 ] . Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, London, 1789 (ma stampato nel 1780), cap. II, § 14, nota. 2 Le opere dedicate alla morale di Th. Reid, J. Beattie e Dugald Stewart vengono pubblicate, rispetrivamente, nel 1788 (Ersayr on tbe Active Powers of Man), nel 1790-93 (Elements of Mora! Science, vol. I e vol. II), nel 1793 (Outlines of Moral Philosophy). Del 1792 sono anche i Principles of Moral and Politica! Science di A. Ferguson, estraneo alla scuola, ma grande est irnatore di Rei d.

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uno dei suoi principali maestri, Joseph Priestley, a sca­ gliarsi nell'Examination delle opere di Reid, Beattie e Oswald contro il dispotismo del �< nuovo senso comu­ ne », che poneva fine ad ogni spirito di indagine. In p articolare, egli aveva richiamato l'attenzione su u no dei rari brani di contenuto morale del Saggio sulla verità di Beattie, in cui le tradizionali nozioni di coscienza e senso del dovere si sposavano senza esitazione col dommatismo del sentimento e colla peculiare e provvidenziale « costitu ­ zione della natura umana». « Giudicando in prima e ulti­ ironizzava Priestley - è ma istanza by mere feeling impossibile distinguere le i ngiunzioni di una coscienza bene oppure male informata». « Pertanto, se qu alcuno sente che qualcosa è suo dovere o, il che è lo stesso per lui, se egli pensa di sentirlo - incalzava - non ha da procurarsi il fastidio di esaminare le basi del suo senti­ re». Su questo piano, le pratiche superstiziose dei papi­ sti, o la soppressione dell'eretico, valev ano tanto quanto l'autentico pentimento del cristiano riformato. Bentham, nella sua nota, non faceva che trasferire nel campo dell'in­ teresse pubblico e della riform a della legislazione le preoc­ cupazioni religiose del dissenter 3• Beattie, a sua volta, non aveva inventato nulla. La strada del sentimento come rimedio allo scetticismo e a tutte le sottigliezze della metafisica era ovvia e familiare negli ambienti scozzesi e aveva avuto soprattutto in Lord Kames - u n personaggio che tutti ormai riconoscono come centrale nelia cu ltura scozzese di quegli anni - il -

3 Cfr., in particolare, la parte finale della nota di Bentharn. Per i brani di J. Priestley, dr. Att Examination o/ Dr. Reid's Inquiry int o the I-Iuman Mind . Dr Beattie's Essa y on the Nature and Immutability of Tmth, and Dr Oswald's Appeal to Common Seme in Behalf of Religion, London, 1774, pp. 145, 153, 157 ss. Per Beattie, cfr. in/ra, nota 30. Criticano il moral sense come innovazione arbitraria R. Price, in A Review o/ the Principal Questions and Difficulties in Morals, London. 1758, pp. 10-12 e A. Smith, in The Theory of Mora! Smti­ ments, London, 1759 (17906), Parte VII, sez. III, cap. III. H. Home (Lord Kames), negli Sketches of the History o f Man, Edinburgh, 1778 (17741 in 2 voli.), vol. III, Parte l, sez. I, parla tanto di mora[ sense (p. 11), quanto di common sense (pp. 16, 19) del giusto e dell'ingiusto. ..

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suo più imperterrito sostenitore. Moral sense, Law of Nature e certezze del sentimento si intrecciavano senza f atica nelle 'facili' pagine dei suoi Saggi sui principi della morale e della religione naturale (1751) e se, da buon

professionista e interprete del diritto, rimproverava Hut­ cheson per aver anteposto la benevolenza alla giustizia, ne riprendeva totalmente la lezione sentimentale 4• ln que­ sto era confortato dagli stessi scritti di Hume. Senonché, se il sentimentalismo etico giovava alla causa dello scetti­ co come a quella del credente, non era possibile che il filosofo professionale non finisse per accorgersi che l' ar­ ma del sentimento è a doppio taglio. Non sarà inutile perciò riprendere per sommi capi le vicende del senso morale e del sentimento, per vedere in che misura, a quali condizioni e con quali riserve la « scuola del senso comune » dovesse farle proprie.

2. La questione si complica da principio, se si conside­ ra che gli interpreti sono assai divisi nel giudizio su Hut­ cheson. Dobbiamo farne u n più o meno lucido precursore dell'emotlvismo contemporaneo, oppure insistere sugli aspetti cognitivi o razionali della sua dottrina e sull'inten­ to di fornire un fondamento oggettivo alle distinzioni morali? Dobbiamo accogliere la novità della sua polemica antirazionalistica - contro chi, come Clarke, fondava la morale sulle eterne e immutabili relazioni tra le cose e tra gli esseri razionali, riprendendo l'ideale matematizzan­ te seicentesco della « morale dimostrativa » , condiviso an­ che da Locke oppure privilegiare la s u a polemica con­ tro l'egoismo mandevilliano? Credo che si tratti di una falsa alternativa, giustificata in buona parte dalla fortuna più e meno recente del professore di Glasgow 5• -

4 Cfr. H. Home (Lord Kames), Essays on the Principles o/ Morality and Natura! Religion, Edinburgh, 1751, Essay II, pp. 33-149, in particola­ re, pp. 55 ss. e § 4 del mio testo. 5 Ho presente soprattutto in questo p aragrafo l'art. di D.F. Norton, Hutcheson's Mora! Sense Theory Reconsidered, in « Dialogues >), XIII (1974), pp. 10-23, in Cl1Ì si riassume e critica l'interpretazione non-cogni­ tivistica, proposta da W. Frankena, Hutcheson's /\.fora[ Sense Theory,

16

Riprendiamo brevemente i termini della questione. Il senso morale è una facoltà, un senso interno o riflesso, nel linguaggio di Locke che Hutcheson adotta fedelmen­ te, che d determina, indipendentemente dal nostro interes­ se e dalla nostra volontà, ad approvare certe azioni e a disapprovarne altre, cioè, sempre nel linguaggio di Locke , a sentire un tipo specifico d i piacere o pena in presenza di determinati comportamenti umani. Un'indagine fattua­ le permette di stabilire che tali comportamenti sono quel­ li che evidenziano o meno - e in varia misura - benevo­ lenza, cioè una tendenza istintiva, altrettanto disinteressa­ ta e involontaria, volta alla ricerca del piacere o .felicità altrui, analoga e contraria a quella dell'amor di sé che nessuno ha mai messo in d iscussione. Il senso morale non è pertanto facoltà intuitiva o di giudizio, ha soltanto il compito di costituire a valore etico la benevolenza, che, come neutra caratteristica descrittiva di determinati com­ portamenti, è individuata mediante gli altri sensi e le vie normali del ragionamento 6• Quando Hume sostiene che considerare vizioso un carat tere o u n'azione non significa altro che sentire, per una particolare costituzione della nostra natura, un sentimento di biasimo di fronte a esso in >, XVI (1955), pp. 356-67. Per l'intera questione e ulteriori riferimenti bibliografici rimando al saggio di E. Lecaldano, Dal 'senso pubblico' in Hutcheson alla 'simpatia' in l-fume, in Scienza e filosofia scozzese nell'età di Hwne, a cura di A. Sant1.1cci, Bologna, Il Mulino, 1976, pp. 37-73, in particolare pp. 52-3. Negli ultimi quarant'anni, si sono interessati a Hutchcson per primi gli studiosi di Hume o i 'filosofi analitici' britannici, che ne hanno fatto un precursore dell'ernotivismo etico. È comprensibile, perciò, la successi­ va reazione a simili letture modernizzanti da parte degli storici della filosofia scozzese. 6 Cfr. F. Hutcheson, An Inquiry into the Origina! of our Ideas o/ Beauty and Virtue; in tu>o Treatises, London, 1725, in particolare Treatise II, cioè An Inquiry concerning ... Virtue or Mora! Good, sezz. I e II (che si può leggere nel I vol. delle Collected \'(! orks of F. Hutcheson, ristampa anastatica a cura di B. Fabian, Hildeshcirn, G. Olms, 1971 o nell'antologia British iHoralists, a cura di L. A. Selby-Big­ gc, New York, Bobbs Mcrrill, 1 964 - Oxford, 18971 - il quale utilizza però la II ed. del 1726). Per questa interpretazione rimando al mio art. La prima 'Inquiry' morale di F. Hutcheson, in . 2 2 Cfr. A. Smith, Tbeory of Mora! Sentiments, c i t ., Parte III, sez. III, cap. I I I . .

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( 17 5 1 ) di Kames, la fabbrica della mente si sforma in « una macchina complessa, composta di vari tra di movimento », di « pesi e contrappesi che con­ principi traggiscono e si bilanciano l'un l 'altro » 23 • Senonché è anche una macchina piuttosto pasticciata e alla fine non si saprebbe dire se è l 'egemone coscienza di Butler a tenerla sui binari o il sentimento di Hume a farla deraglia­ re. Se, per esempio, Kames oppone, rispettivamente, il senso del dovere di Butler e gli argomenti del giusnaturali­ smo agli errori di Hume, che ha tentato di « risolvere il senso morale in mera simpatia » e fatto della giustizia una virtù artificiale, d'altra parte, sulla scorta delle dotu·i­ ne dell'amico, fa della libertà una provvidenziale illusione e della coscienza un principio, non già di azione, ma di « freno e controllo » dei principi di azione 24 • Detto que­ sto, si farebbe torto a Kames, a non riconoscergli witti­ ness e una grande capacità nel cogliere e sfruttare per la causa della virtù e della religione novità e implicazioni del discorso filosofico . È suo merito (o demerito) aver congiunto la lezione del moral seme con quella giusnatura­ listica e, soprattutto, aver affidato alla certezza del senti­ mento il compito di sciogliere i nodi del l'epistemologia e della metafisica, oltre che della morale ; un compito su cui ha insistito Norton e che propone Kames a protagoni­ sta della prima stagione del senso comune 25• Il meglio di ne naturale

23 Cfr. H. Home (Lord Kames ) , Essays m1 the Principles. of Mora­ lity and Natura! Religion, cit., Parte I, Essay Il, pp. 140-41, che riprende, mettendoci solo qualche ingenuità espressiva di troppo, la nota iniziale del terzo dei Fi/teen Sermons Preached al the Rolls Chape!, London, 1726, in cui Butlcr parla del System o 1Vforai C01ntitzt· tion of Man, analogo al sistema o macchinea corporea, su cui la coscienza, come facoltà di riflessione, ha potere di supervisione e control­ lo - che è, a sua volta, un aggiornamento newtoniano della teoria lockiana dcll'uneasiness. Per al t ro Kames dice che la coscienza o mor{ll sense « non è >> un principio di azione (p. 63) , « 120n è, in ogni caso, il solo » (p. 77) e alle pp. 141-42, che sembra simile o cooperante con quei principi di riflessione che adesso sono principi d'azione. 24 Cfr. ibidem, p. 79; per le critiche a Hume pp. 57-58, 103 e 136-37; per la dottrina illusoria della libertà Essay III. 2 5 Cfr. D.P. Norton, From Moral Seme to Common Sense, cit., in particolare, pp. 2-3 e 236-276.

29

Kames, in altri termini, è nelle suggestioni immediate del­ la sua pagina, che, se non rappresentano certo delle novi­ tà, offriranno indicazioni preziose a Smith, ma soprattut­ to a Reid. Qui basterà ricordare l'insistenza sulla gerar­ chia dei doveri e delle virtù e il collegamento tra l'accen­ no di Hume alla is-ough.t question e il dovere di Butler, per correggere il senso morale di Hutcheson. Egli distin­ gue tra azioni fit to be dane e azioni « che sono percepi­ te e sentite non solo come unfit to be dane, ma come absolutely wrong t o be don e », che è quasi postulare un moral sense sup er, per subordinare la benevolenza alla giustizia. Del resto, la moltiplicazione senza ritegno di senses or feelings ha più di un collegamento con la sua riforma della fisica newtoniana ; in questo caso, infatti, portava chiarezza nei testi di meccanica e risolveva il mistero della gravità, moltiplicando in modo altrettanto disinvolto poteri e forze della natura 26• Se i saggi di Kames segnano il culmine della fiducia nel criterio del sentimento, questa sembra incrinarsi con la battaglia contro il 'moderatismo' religioso, scatenata dal­ la corrente tradizionalista ed evangelica due anni dopo. Se nel suo scritto satirico il reverendo Whiterspoon accu­ sa i moderati di fondare la loro religione solo sugli auto­ ri antichi e sulla filosofia di Shaftesbury e Hutcheson, il reverendo Anderson, riprendendo argomenti e temi di C l arke, attacca con violenza la degradazione della ragione operata mediante il feeling e il moral sense. Né si può trascurare James Balfour (si guadagna infatti la cattedra di filosofia morale a Edinburgo) che insiste, sia pure con molta confusione, sulle insufficienze del senso morale e denuncia la strategia sofistica e maligna di Hume. Que­ sti, nella ricerca sulla morale, malgrado le esplicite dichia­ razioni in contrario, avrebbe esercitato tutta la forza del suo genio e della sua sottigliezza per �< rendere il più possibile impercettibile la differenza tra virtù e vizio » , 26 C fr. i l mio Lord Kames, fohn Stewart e le leggi del moto, cit. Per il precedente brano di Kames citaro, cfr. Essay II, cit., p. 59.

30

finendo per raccomandare la giustizia come una faccenda di convenienza e l'adulterio come un affare. Sicché nel pamphlet che il reverendo Bonar scrive per ottenere u n diretto intervento della Assemblea generale della Chiesa scozzes e, Kames è accusato di fondare la libertà e la virtù sull'illusione e Hume si merita la terribile accusa - da di annullare ogni distinzione tra virtù e hobb esiano VIZIO •



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.

-

Ma la critica filosoficamente più seria e sistematica all'etica di Hutcheson e alla filosofia di Hume appare nel 1 7 5 8 , nella Review of the Principal Questions . . in Mo­ rals di Richard Price. Senza accontentarsi dell'agnostici­ smo di Butler, a cui pur si ispira fondamentalmente la sua etica, Price affida il criterio del giusto e dell'ingiusto al giudizio intuitivo dell'intelletto. Si tratta, però, di una posizione in fondo estranea all'ambiente scozzese, vincola­ ta com'è a una epistemologia che, riferendosi abbondante­ men te al Teeteto di Platone e al neoplatonismo di Cudwor­ th e in totale disaccordo con l'empirismo di Locke, fa dell'intelletto la fonte dei principi non solo della metafisi­ ca, ma anche della fisica newtoniana n. Non c'è dunque più di qualche nuvola nel cielo radio­ so del sentimento. Con la vittoria dei moderati, prima del termine del decennio, Kames può ristampare i suoi Saggi sostanzialmente identici, anche se con una esplicita sconfessione, più biografica che speculativa, del suo deter­ minismo morale. Assai più importante è la pubblicazione della Teoria dei sentimenti morali. Smith, partendo dall'u­ nico principio della simpatia, comune e familiare, come voleva la sua concezione del metodo scientifico , perviene a un sistema di etica « completo », capace cioè non solo .

27 Sullo scontro tra moderati c antimoderati riferisce con competen­ za e ricchezza di particolari F_ Restaino in Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da Reid a Hume, Bari, Laterza, 1974 ; per gli autori citati cfr. pp. 137-49 e 176-7 7 . Per la citazione da J. Balfour of Pilrig, cfr. A Delineation of tbe Nature and Obligation of J·lforality witb Reflexiom upon Mr Hume's . . . InquiT)' . . . , Edinburgh, 1763 ( 1 753 1 ) , p . 120. 28 Cfr. R. Price, A Review, cit . , cap . I, sez. I I e Pre/ace.

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di conciliare i valori dell'ortodossia religiosa con quelli della società mercantile, ma anche di recuperare gli aspet­ ti validi delle posizioni più antitetiche, aggiungendo così alla lista dei moralisti che contano, oltre a quelli 'speri­ mentali' indicati da Hume, Clarke e Hobbes 29• Ancora nel 1770, il già ricordato Beattie, mentre rin­ nova gli attacchi a Hume per aver confuso le distinzioni morali e indugia a smentirlo sulla morale degli antichi, non ha da opporgli altro se non la peculiarità del senti­ mento morale, che è un agreeable feeling of a peculiar kind: epp u re sostiene, si badi, di avere un trattato « pres­ soché finito » sulla morale 30• 5. L'atteggiamento di Reid nei confronti della teoria del senso morale non è limpido né costante lungo il corso della sua vita. È famosa la sua ammissione, nei saggi del 1 785, di aver un tempo « creduto così fermamen­ te alla dottrina delle idee, da abbracciare l'intero sistema di Berkeley, fino a quando, trovando altre conseguenze che mi procurarono un disagio anche maggiore della man­ canza del mondo materiale, mi venne in mente di chieder­ mi, pii\ di quarant'anni fa, su quali prove si fondasse salvo l'autorità dei filosofi - questa dottrina per cui tutti gli . oggetti della mia conoscenza sono idee nella mia mente » 3 1 • Le conseguenze erano quelle scettiche del pri­ mo libro del trattato, in cui Hume, tra l'altro, dichiarava 2 9 Sulla concezione del metodo scientifico di A. Smith, rimando al mio Dal sistema al senso comune, cit., p. 328, nota. Sulla integrazione della lista proposta cla Hurne nell'introduzione al Treatise cfr. A letter to the A uthors of the Edinburgh Review ( 1 755), in The Early Wri­ tings of Adam Smith, a cura di J.R. Lindgrcn, New York, M. Kelley, 1967, p. 23. 30 Cfr. ]. Beattie, An Essay on the Nature and Immutability o/ Truth; in Opposition to Sophistry and Scepticism, Edinburgh, 1770, pp. 69-70 per la natura sentimentale dell'approvazione morale; pp. 73-74 per il passo criticato da Priest!ey (cfr. supra, nota 3) ; p. 208, nota, per il trattato già scritto; pp. 421-46 per l'attacco alla morale di Hume, gran parte del quale (pp. 432-44) è dedicato alla difesa degli antichi, in particolare Cicerone, contro Hume. 3 1 /Th. Reid, Essays on the Intellectual Powers of M an, Edinburgh, 1785, in \Vorks, cit., p. 283.

32

i nconciliabile il contrasto tra filosofia moderna e senso comune; bastavano poi gli appelli al senso comune di Berkeley e dello stesso Hume per mettere Reid sulla buo­ na strada. Meno nota invece un'altra sua conversione, che Grave ha proposto all'attenzione; in un manoscritto destinato alla pubblica lettura - che reca il titolo: « so­ no le nostre determinazioni morali reali giudizi, che devo­ no essere veri o falsi e la cui verità non dipende dalla costituzione della persona giudicante, ma dalla natura del­ la cosa giudicata? » - Rei d afferma: . . . confesso d i non esser sempre stato della stessa opinione su questa questione, essendo stato a lungo assai propenso a una delle soluzioni, poi dubbioso e incerto, e per qualche tempo in passato F-iu incline alla soluzione contraria. In tendo però guardarmi dallo zelo del convertito e poiché, in questa riunione, mi aspetto di o.scoltare le obiezioni contro l'opinione che mi accingo a esprimere set iiz tbe strongest light, non mi vergognerò, se persuaso, a tornare dla mia fede primitiva 32 .

frase da me sottolineata potrebbe includere un rife­ rimento ironico alle dispute accanite e prossime all'insul­ to che Reid aveva alla Literary rociety di Glasgow con John Millar, l'autore delle Osservazioni sulla distinzione dei ceti nella società ( 1 7 7 1 ) , buon amico di Reid, ma acceso difensore di Hume 3 3 • Ciò confermerebbe il giudi­ zio di Grave, che si tratta di una conversione « sorpren­ dentemente tarda », posteriore alla pubblicazione della Ricerca sulla mente umana secondo i principi del senso comune ( l 7 64) e probabilmente da collocare nei primi anni settanta . Ma, se anche il manoscritto - e il capitolo finale dei saggi morali del 1 7 88 - risalisse ai tempi del Wise club di Aberdeen ('58 '65) , l'importante è che Reid sia consapevole della novità della sua dottrina, in ambiente scozzese, e dell'ostilità che l 'attende 3'�. La

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3 2 Cfr. S.A. Grave, The Scottish Philosophy of Common Sense, Oxfo:·d, Clarendon Press, 1960, p. 226. 3l Cfr. John Craig, An Account o/ tbe Li/e aud Writings o/ the Autbor, premesso all'ed. IV del 1 806 delle Observations Concerning the Dìrtù1ctio11 of Rankr in Society ( 1 77 1 ), p. LXI. 3 4 Nelle Works, cit ., p . 645, Reid afferma: « la sostanza dci quattro

33

La tesi a cui Reid perviene per i nostri scopi è del tutto chiara: abbiamo percezioni morali proprio come ab­ biamo percezioni degli oggetti esterni. Se non soddisfa il filosofo analitico, che di gran lunga preferisce l 'etica intui­ zionistica di Price, è perché Reid si è più adoperato a chiarirne l'aspetto 'psicologico', che a riflettere sulle sue implicazioni etiche. Per Reid , la percezione di un oggetto esterno è un atto complesso della mente umana ; ha come suo antecedente, ma non sempre, un feeling o sensazione e consiste nella concezione, o « apprensione semplice )> del­ la qualità dell'oggetto e s terno insieme alla credenza nella sua reale esistenza. Contro Locke, le idee semplici o origi­ nals della conoscenza sono un risultato analitico o filosofi­ co e non un dato primitivo della nostra esperienza . Con­ tro Hume, il belief o credenza non è la 'forza o vivacità' che caratterizza le nostre impressioni sensoriali rispetto alle idee dell'immaginazione, ma affermazione d'esisten­ za 3 5 • Come la vista non solo ci fornisce le nozioni dei vari colori, ma ci fa anche percepire, cioè giudicare, che questo corpo ha un colore, quest'altro un altro , così la facoltà morale non solo ci dà le nozioni di bene, merito, dovere, ma ci permette di giudicare che questa condotta è buona, quest'altra no . Anzi, se Reid ha qualche difficol­ tà nel collegare le percezioni esterne alle sensazioni o feelings che le precedono e le regolano e , in particolare, nel caso delle qualità secondarie, ha dovuto proporci, o riproporci con Berkeley, la teoria del linguaggio naturale, rispetto ai feelings dei « filosofi sentimentali » come -

capitoli seguenti è stata scritta molto tempo fa e letta a una società let teraria » - di Aberdeen, secondo Hamilton, di Glasgow, secondo Grave e si scusa per « alcune ripetizioni e forse qualche anacroni­ smo dovuti al fatto di esser stati scritti in tempi e circostanze diver­ se » . I quattro capitoli, che concludono gli Ersays on tbe Active Po­ wers of Man, sono rispettivamente intitolati : \Fhether an Action Deser­ vi ng Moral Approbation, Must be done with the Belief of its being Morally Good (cap. IV del V Essay ) ; Wlbether ]ustice be a Natura! or an Artificial \lirtue (V) ; Of the Nature and Obligatiort of a Contraet (VI ) ; That Moral Approbation Implies a Real ]udgement (VI I ) . 35 Cfr. An Inquiry into tbe Human 1Hind on tbe Principles of Common Sense, cap. I I , sezz . IV-V ; cap . V, sez. XX e Irztell. Powen, Essay I I , capp. V e XX . -

.34

ormai li chiama in privato · - non ha problema. Questi, infa tti, seguono, insieme alle affezioni di stima o di biasi­ mo, i giud izi morali 36• A tal pu nt o i sen tim en ti non condi­ zionano i nostri giudizi, che se Dio - secondo l'ipotesi già formulata da Hutcheson - capolvolgesse i feelings della nostra costituzione, continueremmo, anche se con som mo dispiacere, a gi udi care buona una persona o nesta; o, p er essere più esatti, l'ipo te si appare a Reid tanto assurda quanto quell a di ch i « percepisse la parte maggio­ re del tu t to » 3 7 • Fermiamoci a chiarire, s e possibile, questo suo itinera­ rio dal sentimen t o alla ragione . Un sentimen talista convin­ to non lo era da molto tempo. Se dobbiamo credere a Mc Cosh, c'è un m anoscritto assai antico - che si apre col richiamo alla « costituzione; f abbr ic a o struttura » di ogni cosa, da cui dipendono le sue qualità, pote ri e opera­ zioni - nel quale si insiste sull'indipendenza della verità dalla costituzione della mente o dal potere di percepirla e si affer ma l'oggettività delle qualità morali, come delle materiali 3 8 • Ma se non si può d at are con cer tezza questo manoscritto, già nel Saggio sulla quantità del 1 7 4 8 Reid mette in gu ardi a contro il tentativo di Hutcheson di misu­ rare la quantità di virtù e merito di u n'azione col ricorso al calcolo matematico, visto che appetiti e affezioni della mente sopportano al più nessi compara tivi, ma non si assoggettano a misurazione 39 • Nel maggio del '52, legge l a ricerca sui principi della morale di Hume e i saggi di Kames, come testimo ni an o due brevi manoscritti. Il primo, di tre pagine e mezza, consiste in una serie di ann ot azi on i tratte principalmente dalle p art i I e II, 2 d el la ricerca e si conclude con 19 ri36 Cfr. Act. Powers, Essay V, cap. V I I , pp. 672-73 (della cit. ediz. Hamilton, a cui d'ora in poi farò riferimento) e anche Essay I I I , Parte I I I , cap. V, pp. 589-93. 3 7 Intell. Powers, Essay V I I I , cap. I I I , p. 495 e cfr. Essay VI, cap. VI, p. 454. 3� Cfr. J. Mc Cosh, Tbe Scottìsh Pbilosophy, London, 1875 (rist . anastatica, Hildesheim, G. Olms, 1 966) , pp. 474-76. 39 Cfr. A u Essay on Quantity, p. 7 1 7 . 35

ghe di riflessione sulla questione proposta da Hume, se la morale trovi il suo fondamento nella ragione o nel sentimento ( « senso interno » dice Reid). Osserva che è più facile confutare che provare le due tesi. Ma c'è qualco­ sa di più dell'indifferenza di Butler rispetto al problema, di cui ci parla Grave sulla base di un altro manoscritto, e che dipende dal fatto che neppure Hume dubita delle distinzioni morali. Reid si interroga, infatti, su di una terza via rispetto alle percezioni del senso e della ragione e considera la questione oziosa e frivola fintanto che la geografia della mente non sia progredita e senso e ragio­ ne conservino il significato vago di ora. La questione potrà esser risolta esaminando le qualità reali delle nostre percezioni, separandole da quanto dipende dall'educazio­ ne, dall'esempio e altre accidentalità, che è il metodo adot­ tato per i sensi esterni nell'Inq�àry del '64 40• Nella prima orazione filosofica pronunciata al King's College di Aberdeen nel 1 7 5 3 - che, secondo un' antica consuetudine, rappresenta un bilancio dell'insegnamento impartito - si precisa la posizione di Reid. La possibilità di una trasformazione scientifica della filosofia è affidata alla scoperta e codificazione di leges philosophandi com­ muni consensu stabilitae e , provvisoriamente, si additano gli autori da seguire nelle singole scienze. Se in politica Reid ricorda, tra i moderni, Machiavelli, Harrington e Hume, ma soprattutto l'eccelso Montesquieu, in campo morale (che è scienza non già avvolta nelle tenebre, ma scritta da Dio nel cuore degli uomini) predilige l'insegna­ mento degli antichi. I modelli indicati sono Socrate, co­ me ce lo tramandano Senofonte e Platone, e le dottrine degli stoici esposte da Cicerone nel De officiis. Quant::> a « coloro, antichi e moderni, che si sono sforzati di indaga­ re sulle cause, l 'origine e la natura della virtù in modo sottile e sorpassando i limiti del senso comune, hanno progredito poco e colle loro sottigliezze filosofiche hanno 40

Questo, come gran parte dci Mss. reidiani, è conservato alla biblio­ classificato 2 1 3 1 . B. (Box) 3 op. cit., pp. 244-45 .

teca del King's College di Aberdeen e E. (Enlope) I - 23. Per Grave, eh.

36

reso dubbio e oscuro ciò che è a tutti chiaro e palese » . Nondimendo accorda al vescovo Butler la supremazia in­ c ontr a st a t a nell'indagine morale teorica 4 1 • Se la seconda orazione del '56 presenta una prima codificazione delle leggi dell'indagine filosofica sulla scor­ ta di Bacone, le successive del '59 e del '62 espongono i tem i fondamentali della Inquiry del '64 : la teoria de] giudizio, in polemica con Locke e Hume, della percezione come operazione complessa e l 'errore dell'ipotesi delle idee. Ma sul finire del decennio è forse la Teoria dei sentim enti morali a risvegliare l'interesse di Reid per l e questioni morali. Ci sono almeno quattro manoscritti dedi­ cati all'esame dell'opera di Smith, composti probabilmen­ te in periodi differenti. Uno di essi dà l'impressione di un primo diretto approccio col testo ed è in gran parte un riassunto in terrotto da commenti assai sospettosi e critici e persino astiosi contto « questi teorici » che, per analizzare l'approvazione morale e spiegare la virtù, fini­ scono per sfigurarla totalmente . Il giudizio migliora nel corso della lettura 42• Nelle lezioni su Smith del 1 7 80, recentemente pubblicate, Reid ammetterà· che il sistema di Smith non ha la « tendenza licenziosa » presente in quello di Hume e che contiene parti eccellenti, a comincia­ re dall'account dei sistemi etici del passato 4 3 • Tuttavia, 4 1 Philosophical Orations of Thomas Reid, Delivered at graduation ceremonies in King's College, Aberdeen, 1753, 1756, 1759, 1762, con intr. e a cura di W.R. Humphries, Aberdeen, University Press, 1937, pp. 13-14. 42 Aberdeen Mss. 2 131 , B.3-l 26 (di 7 pp.). Gli altri sono il 27 e 28 della stessa busta e il B. 7-V-7 . Il Iv! s . 27 è la continuazione del Ms. 26, della stella lunghezza, e reca la data 1759; è pitt probabile che questa indichi l'edizione consultata della Theory (esplicita nel Ms. 26) che l'epoca di lettura. Gli altri due manoscritti, assai più brevi, presentano brani assai simili a quelli delle Lectures del 1780 (cfr. nota 4 3 ) . Comunque, riesce difficile pensare che Reid abbia atteso molti anni, prima di consultare l 'opera, di immediato successo, del suo predecesso· re alla cattedra di filosofia morale di Glasgow. 43 Cfr. E.H. Duncan e R.M. Baird, Thomas Reid's Criticism of Adam Smitb's Theory of the Mora! Sentiments, in « Journal of the History of Ideas », XXXVIII (1977), pp. 509-22, qui p. 513. La trascri­ zione (pp. 51 1-1 8) riguarda l'inizio della Lecture 98, l'intera 99, e l'inizio della Lecture 100 dell'ultimo anno di insegnamento a Glasgow.

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fin dal primo manoscritto, la critica si con..:entra sul princ i­ pio della simpatia, un principio inizialmente assai sempli ce, ma chiamato a spiegare una quantità di fenomeni ed « esteso » o « ristretto » a piacere per concordare con es­ si, mentre contraddice le nostre esperienze introspettive. L'unica 'simpatia', in breve, che Reid è disposto a ricono­ scere è quella del linguaggio quotidiano; essa implica una predisposizione benevola ed è proporzionale ad essa. In un altro manoscritto, non solo accusa Smith di risolvere la simpatia in amor di sé, tesi confutata da Cicerone nel De finibus, da Shaftesbury, da Hutcheson e da molti altri, ma di aver proposto u n principio ambiguo: se richie­ de uno sforzo, implica l 'intervento della volontà e può essere oggetto di approvazione morale; se è una propensio­ ne istintiva, siamo al di qua della morale 44 • Tutte queste critiche ritornano in forma sistematica nelle lezioni del 1 7 80 , insieme a quella, più importante, secondo cui la simpatia presuppone una facoltà morale di giudizio, visto che bisogna giudicare ciò che una persona « ought to feel » . La fallacia dell'is-ought di Hume diviene qui la fallacia del should-ought 4 5 • Proprio l'indifferenza di Smi­ th rispetto ai problemi di giudizio, in altri termini, potreb­ be aver indotto Reid a prendere una posizione assolutamen­ te eterodossa rispetto all'ambiente scozzese 4 6 • In ogni caso, l'attenzione di Reid per i problemi mora­

44

Cfr. Ms. BJ-I 28, cit. c Duncan-Baird, art. dt., pp. 514-15. Ibidem, 515-16. Se l'approvazione della condotta altrui dipende dall'osservazione dell'accordo con ciò che immaginiamo we should feel nelle stesse circostanze, nota Rcid, il termine è ambiguo. Può significa­ re sia ciò che noi ought to feel, sia ciò che noi actually wouid feel. Anche se Reid è molto prevenuto nei confronti di Smith, questa e molte altre osservazioni mi sembrano assai acute e degne della moderna riflessione 'analitica'. Lo dico non !JCt e n trare nel merito della questio­ ne, ma per sottolineare il buon livello della discussione. �6 In questo caso la lettura della > di Price avrebbe avuto solo una funzione di conferma rispetto alla « conversione » di Reid. Proprio il Ms. B.3-I 28, cit. si conclude con una riflessione, barrata, sui vari tipi di giudizio. All'inizio di essa, Reid dice di aver esaminato con ogni attenzione ciò che Hutcheson e Hume hanno detto per mostra­ re che l'approvazione morale è solo un « sense or feeling >> come la chiama Hutcheson o un Sentiment or affection come la chiama Hume e che non include giudizio alcuno. 45

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li cont inua negli anni della composizione dell'Inquiry. Al wise club di Aberdeen, infatti, egli discute « sull'immuta­ bilità del genere umano rispetto alla morale » (giugno '59 ) , « se il carattere virtuoso consista in inclinazioni istin­ tive o - come vuole Butler, con Aristotele - in fixed, habitu al an d constant purposes » (aprile '6 1 ) , j2• · Sicché Reid può fornirci, nel cap itolo finale dei Saggi del1'88, una diversa storia del sistema delle idee ! ' Dopo aver ricordato Descartes e Loc­

ke, per aver fatto delle qualità secondarie « semplici

fee­

lings o sensazioni nella nostra mente >> , Berkeley e Col­ lier, per aver esteso il criterio alle qualità primarie, « la stessa filosofia » per averlo riproposto nel campo esteti­ co , egli dice: Il passo successivo er a una facile conseguenza di tutti i prece ­

denti : l'approvazione e la di sapprovazione morale no n sono giudi­

zi. , che devono essere veri o falsi, ma, semplicemente feelings o sens azioni piacevoli o penose . Hume fece l'ultimo passo in questo percorso, e coronò i l sistema con ciò che chiama l a s u a ipotesi, cioè che l a credenza è un atto della parte sensitiva piuttosto che di quella cogitativa della nostra natura. Non credo che nessuno possa procedere oltre per questa via; la sensazione e il feeling sono tutto e non riesco a capire cosa resti alla parte cogitativa della nostra natura 5 3 •

Reid nomina tutti i responsabili dell'errore tranne Hutcheson e il testo si presta a una d u plice lettura, se non erro; la riduzione a sentimento dell'approvazione mo­ rale potrebbe attribuirsi tanto a Hume, quanto a Hutche­ son, come vogliono Hume, Smith e Price. Ma una simile reticenza ha le sue giustificazioni . Reid ricopre la catte­ dra di filosofia morale che era stata di Smith e, prima, di Hutcheson . Li nomina per lodarli, ma ne critica le dottri­ ne senza nominarli 5 4 • 6 . Con qualche fatica per il lettore, abbiamo percorso un itinerario che potrà, forse, chiarirsi ulteriormente do­ po la prevista pubblicazione dei manoscritti di Reid . In­ tanto c'è da notare che questa ennesima versione della 52 Cfr. Intell. Powers, Essay I I I , cap. V, p . 347. 53 Act. Powers, Essay V, cap. VII, pp. 670-7 1 . 5 4 Per limitarmi a u n solo esempio, in Act. Powers, Essay V , cap . IV, p. 650, scarta le tesi sulla natura della virtù di Hutcheson, Hume

e Smith senza nominare nessuno, ma anche senza possibilità di e­ quivoco .

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storia dell'errate - l'« ipotesi delle idee » - sembra l'esatto contrario della tesi di Bentham; sia pure con inten­ ti diversissimi, la protesta contro il sentimento li accomu­ na. I due elementi del sentimentalismo etico e dell'indagi­ ne sui poteri originari della mente (la fabbrica della men­ te) , presenti in Hutcheson e ancora congiunti in Kames, si dividevano nei risultati. Hume c Smith facevano del sentimento il fondamento unitario, o sarebbe meglio dire il pretesto, per costruire dal basso l'uomo civile e rivolger­ si così allo studio della società e della s toria. Reid diffida­ va del sentimento prima ancota di leggere Kames, si inte­ ressava da principio a quel contrasto tra filosofia moder­ na e senso comune di cui discorreva Hume e, opponendo­ gli un progetto di fisica della mente che trovava nelle leggi e nelle regole s t ab il ite da Newton il suo modell o, non poteva certo affidare alla soggettività del sentimento le certezze del senso comune . Proprio perché non smetteva di dialogare con lo scetti­ co e di esaminarne i testi, la sua posizione ne guadagnava in originalità. Sarebbe un errore . confondere, per restare alla morale, il suo intuizionismo con quello di Price, garan­ tito da principio dal carattere platonico della facoltà che vi presiede. La distanza che li separa è quella che distin­ gue l'intuizionismo di un Moore da quello di un Pri­ chard; una distinzione sottile, senza dubbio , neppure com­ presa dal più attento dei suoi discepoli, Dugald Stewart 5 5 , e che presenta non poche difficoltà . La prima è quella di rischiare d i confondere giudizi di fatto e giudizi di valo­ re ; la seconda, più gtave, dipende dal fatto che, se il giudizio morale concerne il rapporto singolare tra la perso­ na e le circostanze peculiari della sua azione, non si com­ prende come possa costituire il fondamento dei primi prin­ cipi della morale . Ma è questa una difficoltà generale del 55 Cfr. Dugald Stewart, Outlines o/ Mora! Pbilosophy, Edinburgh, 1793, p. 9 1 . Per la dis tinzione tra le due forme Ji intuizionismo rimando a E. Lecaldano , Le analisi del linguaggio mf1rale, 'Buono' e 'Dovere' nella filosofia ir1glese dal 1 903 al 1 965, Roma, Edizioni dell'A­ teneo, 1970, p. 45. 42

sistema di Reid, è stato giustamente notato, o del suo senso comune 5 6 . Per altro, l 'interesse di Reid per i problemi della valu­ tazio ne morale è secondario rispetto a quelli che lo induco­ no a precisare i contorni della fabbrica della mente. An­ che in Scozia, le scienze della natura moltiplicavano i loro s tatuti e si facevano specialistiche; persino gli studi sull'elettricità e sulla chimica abbandonavano il terreno newtoniano e le congetture di Boscovich riaprivano il dibattito sulla materia. Similmente, la percezione di Reid si svincolava ancor più, se possibile, dal suo antecedente sensibile o corporeo. Nel rapporto mente-corpo, la distin­ zione di Berkeley tra cause fisiche e cause efficienti assicu­ ra tutta l'iniziativa alla mente e sorprendiamo Reid nelle lezioni di Glasgow, in forme più esplicite che nei saggi della vecchiaia, intento a ricercare nella fisiognomica e nell'estetica il perfezionamento della dottrina berkeleyana del 'linguaggio della natura' 5 7 • La corporeità e la sensibili­ tà è sempre più il pretesto o l'occasione per la conoscen­ za del mondo degli spiriti - quasi che si tratti più di perfezionare il sistema di Berkeley, che di rispondere allo scetticismo di Hume. Né la lettura dei Dialoghi sulla religione naturale di Hume, o gli attacchi di un Priestley, sono una remota per Reid . Lo inducono semmai a impegnarsi di più sui problemi della causalità o della libertà del volere - con­ tro la libertà del fare della tradizione empiristica - e a distinguere, con la consueta attenzione, istinti, abiti, affe­ zioni, desideri e principi razionali, non per questo meno 'attivi ', della condotta. Se fa fatica tanto a distinguere, quanto a conciliare, la condotta semplicemente razionale o saggia e la condotta propriamente morale, la fabbrica della mente ne esce non solo « ben equipaggiata », ma anche compiutamente gerarchizzata. Per giunta, è una ge­ rarchia col suo chiaro riflesso nella società, perché ai più 56 Cfr. D.D. Raphael, Tbe Mora! Sense, Oxford, 1947, pp. sulla prima difficoltà si sofferma Grave, op. ci t. , p. 234. on tbe Fine Arts, cit., pp . 57 Cfr. Th. Reid's Lectures

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ss.;

22

ss.

43

(la massa degli uomini, i bambini) sembra sufficiente la via provvidenziale degli istinti buoni, alle persone di ran­ go una condotta prudente e responsabile, e l'eccellenza del dovere, se resta un comando per tutti, è l'affanno di pochi 5 8 • Il vantaggio è nella coerenza. Accantonato il criterio provvidenziale, ma arbitrario, del sentimento, il nuovo senso morale si salda con la libertà come autodeter­ minazione e con la dottrina dei motivi, che sono - per cosl dire - consigli di cui si può tenere o meno conto, anziché impulsi all'azione. Con la conversione del m oral sense in facoltà di giudi­ zio, la via agevole di Kames e di Beattie, che si affida alle certezze irresistibili del sentire, è sempre meno quel­ la di Reid . Piuttosto gli preferisce la via laboriosa dell'« a­ nalisi filosofica », con quel suo paziente stare ai fatti e sottrarsi alla suggestione delle ipotesi, che smonta un seco­ lo di certezze filosofiche. Di metafisica ce n'è tanta, alla fine, quanta nei testi dei suoi avversari, e Priestley può perfidamente sostenere che lo scetticismo, con Reid, ha davvero compiuto l'ultimo passo, visto che diventano un mistero incomprensibile le nostre stesse percezioni 5 9 • Ma è il segno di una moral philosophy che, insieme e non sopra le altre scienze, si fa specialistica e perde l'illusione di una sua pronta riforma newtoniana. I principi del senso comune finiscono per costituire il limite piuttosto che il fondamento dell'indagine, come quelli già indicati nelle lezioni di Aberdeen, trent'anni prima. Reid, se si riconosceva un merito, era quello di aver messo in questio­ ne la common theory delle idee, tanto fondata su pregiudi­ zi naturali da intrecciarsi con gli usi quotidiani del linguag­ gio, o, per riprendere l 'epigrafe della devota figlia Mar­ tha, di essere stato il Bacone, piuttosto che il Newton

58 Cfr. Act. Powers, Essay I I I , Parte II, p . 564 ; Parte III, pp. 580, 584-85, 587, 595. Per la distinzione tra la ricerca del go od /or us upon the whole e il regard to duty cfr. ibidem, capp. II-V, pp. 580-89 e cap. VIII, p. 598. Cfr. Priestley, An Examination, cit., pp. XX e 5.

59

44

della fisica della mente 6 0 • Anche questo un luogo comune del Secolo dei Lumi, che oggi ci fa sortidere. Ma sembra H destino di ben altre 'scientificità' filosofiche, a comincia­ re da quel le 'storiche', che Reid avversava, per finite con quelle 'logiche' o 'linguistiche', che in qualch e modo ne ripetono gli errori.



Cfr. la lettera a James Gregory, sempre in Works, cit.,

p. 88.

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EuGENIO LECALDANO DA HUME ALL'UTILITARISMO

Nel ricostruire la storia della cultura inglese del XVII I secolo Leslie Stephen collocava l a riflessione sull'etica di David Hume all'interno dell'utilitarismo : « . . . tutti debbo­ no ammettere che le dottrine essenziali dell'utilitarismo sono formulate da Hume con una chiarezza e coerenza che non si trova in nessun altro scrittore del secolo. Da Hume a J.S. Mill la dottrina non ebbe nessun cambiamen­ to sostanziale » 1 • L'accostamento tra Hume e l'utilitari­ smo è stato largamente riproposto da quanti si sono occu­ pati della filosofia inglese della seconda metà del XVII I secolo 2 • A Hume come a un utilitarista guardano anche le due oramai classiche storie dell'utilitarismo di Ernest Albee 3 e di John Plamenatz 4 • Se questo accostamento è valido, Hume risulta quin­ di l'iniziatore di quella teoria etica e politica che dominò la cultura britannica per circa un secolo, tra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo, e che tuttora è largamen-

1 L. Stephen, History o/ English Thought in the Eightee�zth Cen­ tury, ( 1 876), New York, 1962, vol. II, p. 73.

2 Non mancano ovviamente le voci discordanti; basti ad esempio ricordare G. Della Volpe, La filosofia dell'esperienza di David Hume, ( 1933-1935) , Roma, 1972, p. 329 che riconosceva : « . . . da Hartley a Smith a Bentharn e a Mill la morale inglese, . nonchè offrire come è usuale credere, sviluppi e integrazioni della morale humiana, viene spo­ gliandosi vieppitl del contenuto speculativo di quest'ultima, che ci appa­ re, per la sintesi organica e originale dei IJlOtivi etici precedenti, il sistema conclusivo e rappresentativo per eccellenza della morale dell'em­ pirismo classico ». 3 E. Albee, A History of English Utilitarianism, London, 190 1 , specialmente p. 1 1 2 : « la Ricerca sui principi della morale con tutti i suoi difetti e le sue insufficienze è la formulazione classica dell'Utilita· rismo ». 4 ]. Plamenatz, The English Utilitarùms, (1949 ) , Oxford, 1958 2 . ·-·

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riproposta nel mondo anglo-sassone. Inoltre, sulla base delle decise convergenze tra concezioni etico-politiche de­ gli utilitaristi inglesi e quelle dei philosopbes del continen­ te S, sarebbe questa la linea interpretativa che permette di collocare integralmente la filosofia di Hume all'interno del movimento illuministico 6• La questione della fortuna delle idee sulla morale di Hume va sicuramente affrontata esaminando l'accoglienza delle sue conclusioni da parte degli utilitaristi della secon­ da metà del XVIII secolo. Non vi sono infatti equivoci sulla decisa lontananza da Hume degli esponenti della cosiddetta scuola intuizionista, come Richard Price e Tho­ mas Reid : le analisi dell'etica di questi autori sono esplici­ tamente rivolte a confutare le conclusioni humiane. Il senso principale della Review of the Chief Questions and Difficulties in Morals di Price, comparsa nel 1758, stava proprio nel « difendere l'ordine mora le » « dall'empiri­ smo di Francis Hutcheson e David Hume » 7 e per quan­ to ri gu arda Reid, il suo più rilevante scritto di etica gli Essays on the Active Powers of the Human Mind del 1 7 8 8 - costituiva « un costante attacco agli empiristi Locke e Hume » a . È dunque alle opere di pensatori come William Paley e Jeremy Bentham - oltre, ovviamente, che alla Theory te

s Un accostamento tra l'utilitarismo e l'illuminismo del continente viene, ad esempio, suggerito da M.A. Cattaneo, Il positit>ismo giuridico inglese. Hobbes, Bentham, Austin, Milano, 1962 , p. 2 1 2 : « La teoria basata sul principio d'utilità e la teoria dei diritti dell'uomo giungono quindi alle s tesse conseguenze politiche pratich e : questo conferma l'i­ dea ... che utilitarismo c illuminismo non siano che l'aspetto inglese e l'aspetto continentale dello stesso movimento politico-culturale >> . 6 È quanto fa, ad esempio, P. Gay, The Enlightenme11t: An Interpre­ tation. The Science of Freedom, Lon don 1969, pp. 459-4 6 1 , che a proposito delle idee sul governo di Hume conclude che esse furono portate alle loro « conclus ioni logiche » da J. Bentham. 7 Come sottolinea D.O. Thomas in The Honest Mind. The Thought and Work of Richard Price, Oxford, 1977, pp. 20 c 42. B Come rileva B.A. Brody nella sua Introduction agli Essays o n the Active Powers of the Human Mind, di Reid, Cambridge Mass., 1969, p. XI. Il primo degli Essays è o r a tradotto in i t a l i a no in Thomas Reid, Ricerca sulla mente umana e altri scritti, Torino, 1975 a cura di A. Santucci, pp. 731-769. ,

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o/

iVforal Sentiments di Adam Smith -, tradizionalmen­

te collocati volgersi per le soluzioni ni avanzate

alle origini dell'utilitarismo, che bisognerà ri­ ripercorrere le p rime tappe della fortuna del­ humiane sulla morale. Quante delle conclusio­ da Hume nel terzo libro del Trattato sulla natura umana e nella Ricerca sui principi della morale furono riprese nelle pagine di A . Smith, W. Paley e _T. Bentham ? E poi c 'è davvero una completa identità tra le tesi sulla morale avanzate da Hume nel Trattato e nella seconda Ricerca? Ancora : tra Hume e la successiva rifles­ sione sulla mora'le c'è continuità o frattura ? Infine, per cogliere il senso del lavoro fatto da Hume nello studio della morale, basta concludere con Plamenatz che egli fu il « fondatore » dell'utilitarismo che se « non dette un nome alla dottrina, né inventò la formula sacra » , « . . . forni però ai suoi successori la parola 'utilità' di cui essi hanno bisogno più di qualsiasi altra cosa se debbono espri­ mere la loro teoria concisamente e senza ambiguità )> 9 ?

l . Dalla 'scienza della natura umana' alla 'scienza della ttlOf'ale' Il nucleo centrale del Trattato sulla natura umana di Hume consisteva nel dare vita ad una ricerca sulla natura umana fondata sul sulla base di una concezione immaginaria della natura umana, Hume si proponeva di ricostruire con preci­ sione la reale « natura » degli uomini. Cosl, dopo avere esaminato nel I libro i meccanismi conoscitivi della men­ te umana e nel II libro le passioni prevalenti negli uomi­ ni, il terzo libro era dedicato ad una anatomia della natu­ ra umana nelle sue scelte e valutazioni morali. La descri­ zione e l'« anatomia '> della natura morale degli uomini rappresentava l 'obiettivo principale del giovane Hume, fi­ no al punto di non dedicare nemmeno un rigo al ben 9

J. Plamenatz, The English Utilitarians, ci t.,

p.

22.

49

diverso compito di edificare una precisa teoria della vir­ tù. In luogo delle prediche e delle massime morali che erano, ad esempio, il centro degli scritti di Hutcheson, Hume intendeva portare a termine un esame distaccato e neutrale sulla effettiva natura degli uomini 1 0 • La fondazione di una ben precisa morale, la prer;enta­ zione della virtù con toni e colori che ne favoriscono l'accettazione dovevano costituire una delle applicazioni della « scienza della natura umana >> preannunciata nel1a Introduzione al Trattato sulla natura umana, ma continua­ mente rinviata da Hume. Uno dei nuclei intorno a cui ruotava il lavoro compiuto nel III libro del Trattato era invece proprio quello di tenere ben distinto il piano dell'a­ natomista, o scienziato della natura umana, da quello del moralista . Laddove i precedenti sistemi etlCl erano stati tutti soggetti al grande errore di oscillare continuamente dall'es­ sere al dovere, Hume voleva tenere chiaramente distinti i due piani 1 1 • Una scienza della natura umana che riguarda ciò che è, non va confusa con la giustificazione di una particolare morale o con la difesa di una determinata tavola di doveri . In questo raggiunto rigore metodologico stava uno dei meriti principali e l'originalità della filoso­ fia di Hume . È appunto nel tenere fuori dal proprio orizzonte di ricerca l'esplicita difesa della virtù o del 'dovere' che l'ana­ lista della natura umana trova il suo specifico terreno di lavoro. Hume non si propone certo di negare che esista la dimensione del 'dovere ' 1 2 o che non sia legittimo cerca10 S ul proposito di Hume di differenziare radicalmente la sua ricer­ ca sulla morale da quella di Hutcheson mi sono già fermato in Dal 'senso pubblico' in Hutcheson alla 'simpatia' in Hume nel volume a cura di A. Santucci Scienza e filosofia scozzese nell'età di F-Iume,

Bologna, 1976, specialmente pp. 41-50.

11 È quanto risulta dal famoso capoverso sull'« è- d eve » in Trattato sulla natura umana, in David Hume, Opere, a cura di E. Lecaldano ed E. Mistretta. Bari, 197 1 , vol. I, pp . 496-497. 12 Che Hurne si sia proposto nell'« è-deve capoverso » di rifiutare il d ov ere come categoria m ora le è st at o sostenuto da N. Capaldi, per la prima volta in Hume's Rejection of Ought as a Mora! Category,

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re di giustificare le prese di posizione morale richiamando­ si ai fatti 1 3 , quanto piuttosto di distinguere nettamente due diversi livelli di considerazione della morale. Le anali­ si psicologico-genetiche, in cui si impegna lo scozzese, hanno una completa autonomia rispetto ai · propositi di raccomandare, prescrivere o giustificare una morale. Con­ tro le confusioni del passato Hume è principalmente preoc­ cupato di far valere senza oscillazioni questo nuovo modo di guardare alla morale. Il filosofo, ovvero 'lo scienziato della natura umana', deve quindi preoccuparsi esclusiva­ mente di esporre ciò che l ' e speri enza e l'osservazione gli mostrano, di mettere ordine in questi dati, di proporre leggi e principi sulla condotta morale degli uomini, che possano stare al passo, per rigore e generalità, con quelli avanzati da Newton per quanto riguarda la natura . Ad un ben diverso ordine di problemi risponde invece i l moralista impegnato nel lodare l a virtù e nel condannare il vizio. Questo compito prevalentemente anatomico Hume non abbandona nelle linee essenziali nemmeno al tempo della stesura delle due Ricerche . Cosf, nella sezione dedicata alla Libertà e necessità della Ricerca sull'intelletto uma­ no, Hume è impegnato a fissare le condizioni teoriche che consentono la costruzione di una scienza esplicativa della natura umana. Da una parte sottolineava che « tan­ to facilmente e universalmente noi possiamo conoscere una uniformità nei motivi e nelle azioni degli uomini, guanto nelle operazioni del corpo » 14; dall'altra, ribadiva il valore esplicativo dei principi della scienza della natura umana, anche rispetto alle azioni « capricciose » e « inca« Journal of Philosophy l>, (1966), pp. 126-137, c riproposto nel volu­ me David Hume. Tbe Newtonian Philosopber, Boston, 1975, specialmen­ te pp. 165-17 1 . 1 3 È questo i l senso dato tra l'altro all'is-ought passage dai sostenito­ ri della largamente diffusa brief-line interpretation. Si veda la parte I del volume The Is/Ought Question a cura di W .D. Hudson, London, 1969, dedicata alla Interpretation of Hume on ls-Ought e con interven­ ti di A.C. Maclntyre, R.F. Atkinson, G. Hunter, A. Flew, W.D. Hudson. 1 4 Ricerca sull'intelletto umano, in Opere, cit., vol. II, p. 8 9 .

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stanti » , in quanto « i principi ed i motivi interni posso­ no operare in maniera uniforme nonostante queste appa­ renti irregolarità; allo stesso modo in cui il vento, la pioggia, le nubi e le altre variazioni metereologiche si suppone che siano governate da princìpi stabili, per quan­ to non facili a scoprire da parte della sagacia e della ricerca degli uomini » 1 5 • L'intento di costruire una 'scien­ za della natura umana' prevalentemente anatomica ed esplicativa risultava chiaro, infine, laddove si indicava « l'utilità principale della storia » « nello scoprire i princì­ pi costanti ed universali della natura umana, mos trando gli uomini in tutte le varie circostanze e situazioni e for­ nendoci il materiale da cui ci sia possibile ricavare le nostre osservazioni e sulla cui base ci sia possibile infor­ marci delle sorgenti regolari dell'azione e del comporta­ mento umani. Questi ricordi di guerre, di intrighi, di fazioni e di rivoluzioni sono altrettante raccolte di esperi­ menti, con cui il filosofo della politica e della morale fissa i princìpi della sua scienza, nella stessa maniera in cui il fisico o il filosofo della natura si informa della natura delle piante, dei minerali e degli altri oggetti ester­ ni per mezzo degli esperimenti che conduce intorno ad essi » 1 6 • Il rifiuto di incamminarsi su di un piano esplicitamen­ te normativa veniva ribadito anche nella Ricerca sui prin­ cipi della morale, quando Hume dichiarava : « Ma io di­ mentico che il mio compito non è adesso quello di racco­ mandare la generosità e la benevolenza, o queUo di dipin­ gere, nei loro colori genuini, tutte le vere attrattive delle virtù sociali. Queste, in veri tà, si impongono sufficiente­ mente al cuore di ognuno, non appena vengono conosciu­ te ed è difficile guardarsi da qualche uscita in tono di panegirico tutte le volte che accade di trattarne nel discorre­ re o nel ragionare. Ma poiché qui il nostro oggetto è più 15 Ricerca sull'intelletto 16 Ibidem, p. 88.

52

umano,

m

Opere,

cit.,

vol. I I ,

p.

94.

la parte speculativa che la parte. pratica della mora-

le.

..

)�

17

.

Naturalmente non si vuole negare che vi siano delle differenze tra il Trattato sulla natura umana e le due Ricerche 1 �. Tuttavia, malgrado il tono meno assertorio e dommatico, malgrado la caduta dell'illusione di avere iden­ tificato nella forza per cui un'impressione comunica una parte della sua vivacità alle idee che sono in relazione con essa il principio in grado di ricondurre ad unità la ricchezza e varietà della natura umana 19, malgrado la ritto­ sia ad incamminarsi sulla strada di analisi troppo sottili e profonde come quelle dedicate nel Trattato al meccani­ smo della simpatia, restava comunque prevalente, anche nelle due Ricerche, l'intento descrittivo e fenomenologico proprio dello scienziato della natura umana. Per quanto riguarda l 'etica l'obiettivo principale di Hume è sempre quello di costruire, in piena autonomia, il campo proprio della morale come spiegazione della condotta umana, da non confondere con una filosofia della morale retorica ed edificatoria. Proprio questa raggiunta consapevolezza sulla specifici­ tà dell'ottica dello scienziato della natura umana, rispetto a quella propria del moralista, si perde nella riflessione sull'etica nella seconda metà del XVIII secolo, fino ad essere completamente abbandonata nell'opera di Ben­ tham . Così, già in Smith, troviamo nuovamente confuso

1 7 Ricerca sui principi della morale in Opere, cit., vol. II, p. 188. Del tutto a ragione quindi A. Flew, Hume's Philosopby of Belie.f. A Study o/ his Fil'st ltJquirJ•, London, 1961 , p. 271 conclude « .. . possiamo solo travisare la seconda Ricerca, come il I I I libro del Trattato che ne era stato il predecessore, se persistiamo nel leggerl i come un saggio di filosofia morale alla moda anglo-sassone ... lo scopo prevalente di Hume è di produrre quanto di più vicino ad una sezione di scienza quasi-nèw­ toniana, una sorta di prolegomena alla meccanica della morale >> . 1 8 È comunque eccessiva la conclusione di L.A. Selby-Bigge nella Introduction ( 1 893) alle Enquiries Conceming Human Understanding and Concerning the Principles of Morals, si cita dalla terza edizione a cura di P.H. Nidditch, Oxford, 1975, per cui « . . . il sistema morale nella Ricerca è realmente ed effettivamente differente da quello del Trattato » , p. XXII. l9 Cfr. Trattato sulla natura umana in Opere, cit., vol. I, p. 112. 53

il compito dello scienziato con quello del moralista. La « scienza che è propriamente chiamata etica » ritorna ad operare con Smith sul piano precettivo ed esortativo, es­ sendo il suo ruolo essenziale quello di « abbellire con l'eloquenza » le regole del dovere, « animandoci alla prati­ ca della virtù » 20 • Malgrado Smith non mancasse di espri­ mere il suo apprezzamento per il 2 1 , non vedeva poi nessu­

na incongruenza

«

nell'aggiungere prescrizione

a

descrizio­

ne, o nel fare seguire alla spiegazione di un atteggiamen­ to morale una parte esortativa . . . il suo metodo caratteristi­ co essendo quello non già di passare dalla spiegazione causale alla giustificazione morale, quanto di combinare i due approcci, lavorando sulla assunzione che la spiegazio­ ne scientifica rappresenta il centro di ogni giustificazione adeguata degli atteggiamenti morali » 2 2 • Che Smith fosse consapevole della differenza sottolineata da Home nel­ l'« è - deve capoverso » risulta ad esempio nella Teoria dei sentimenti morali quando, a proposito delle sua anali­ si sui principi che spingono ad approvare la punizione delle azioni malvage, precisa che « la ricerca presente non riguarda una questione di diritto, se si può dire così, m a 20

The Theory o / Mora! Sentiments, ed. b y D.D. Raphael e A.C.

Macfie, Oxford, 1976, p. 329.

21 A. Smith, Lecturer on Rbetoric ami Belles Lettres, ed. by J, Lothian, London, 1963, p. 140. Ma per l'apprezzamento di A. Smith nei confronti della « filosofia naturale newtoniana » sono da vedere anche le pp. 107-108 dei Principles which Lead and Direct Philosophi­ cal Enquiries: Illustrated by the History of Astronomy in Tbe Early Writiugs of Adam Smitb, ed. by J.R. Lindgren, New York, 1967. T.D. Campbell, Adam Smith's Science of Morals, London, 1971, p. 2 1 , ha finito con il sostenere che « La Ricchezza delle nazioni ed ancora più i Sentimenti morali sono tentativi di applicare la sua comprensione dei metodi scientifici newtoniani allo studio della società ». Ma W.P.D. Wightman, Adam Smith and the History of Ideas in Essays on Adam Smith, ed. by A.S. Skinner e T. Wilson, Oxford, 1975, invita a non prendere troppo alla lettera questa tesi di Campbell, n. 62 . 2 2 Cosl rileva T.D. Campbell, Scienti/ic Explrmation and Ethical ]ustification in the 'Moral Sentiments' in Essays on Adam Smith, cir., p. 6 8 .

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riguarda una questione di fatto » 23 • Ma malgrado questo, nella sua teoria della morale troviamo chiaramente supera­ ti i limiti della scienza anatomica della natura umana fissa­ ti da Hume, proprio con un passaggio dal piano della descrizione a quello della prescrizione. Per Smith non vi è infatti dubbio che « un'azione gradevole, un'azione ri­ spettabile, un'azione orrenda, sono tutte azioni che natu­ ralmente suscitano nello spettatore amore, rispetto ed or­ rore nei riguardi della persona che le compie. Le regole generali che determinano quali azioni sono l'oggetto di questi sentimenti e quali no, non possono stabilirsi in altro modo che osservando quali azioni effettivamente e realmente destino tali sentimenti » 24• Smith non manca poi di indicarci ciò che è bene e conveniente fare quando conclude: « Ciò che è gradevole alle nostre facoltà morali è opportuno, giusto e conveniente che si faccia ; il contra­ rio inopportuno, ingiusto e sconveniente. I sentimenti che esse approvano sono giusti e convenienti, gli altri cattivi e sconvenienti. Le stesse parole giusto, ingiusto, adatto, improprio, conveniente, sconveniente significano solo ciò che piace e non piace a tali facoltà » 25 . Un intento prevalentemente edificatorio caratterizza le pagine sulla morale di William Paley. Siamo con que­ sto autore all'interno dell'> 3 3 • Un'analoga esigenza di fondazione prevale nell'opera di Bentham, anche se depurata dalle estrapolazioni teologi­ che di Paley e tesa ad affermare una morale ben lontana dall'(< eudemonismo cristiano » dei Principles of Moral and Politica! Philosophy. Era lo stesso Bentham a mostrar­ si pienamente consapevole della profonda differenza tra lui ed Hume, quando confessava a Etienne Dumont, in una lettera del 6 settembre 1 8 2 2 : « La differenza tra Hume e me è questa: egli si serve del principio di utilità per descrivere quello che è; io per mostrare quello che dovrebbe essere �> 34 • Bentham riconosceva nella Chresto­ matia 35 al Trattato sulla natura umana di Hume il gran­ de merito di avere salvaguardato, diversamente da ciò che accadeva nell'opera di Grozio e Pufendorf, la differen­ za tra ciò che è stato fatto e ciò che deve essere fatto . Ma per il resto egli stesso mostrerà una scarsa considera­ zione per questa differenza fino al punto che il suo piu l, sottolineatura di Paley. Scrive E. Albee, A History of English Utilita­ rùmism, dt. pp. 168-169, « l'obiettivo di Paley, come della maggior parte degli scrittori sull'etica del suo tempo, era eminentemente prati­ co. L'etica era importante per lui, non principalmente come una discipli· na filosofica, ma come un aiuto verso la condo tta giusta. La sua trattazione perciò è concreta fin dall'inizio » . 3 2 The Principles o f Mora! rmd Politica! Philosoph}', c i t . , pp. 42-43. 3 3 Ibidem, p. 27. 3 4 Mss. Univ. College, n. 1 0 ; citato in E. Halevy, La jezmesse de Bentham, Paris, 1 90 1 , vaL I di La formation du radicalisme philosophi­ que, p. 282 . 35 ]. Bentham, Chrestomatia, p. 1 2 8 nota, nell'VIII volume di The Works of Jeremy Bentham, ed. by John Bowring, 1838-1843, reprint Ncw York , 1962.

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prestigioso interprete, Elie Halevy, potrà concludere che l'idea dominante di Bentham sarà precisamente di ave­ re scoperto, nel principio di utilità, contemporaneamente un comandamento pratico ed una legge scientifica, una proposizione che ci insegna indivisibilmente dò che è e quello che deve es sere » 36• Al di là di questa differenza, comune risultava invece in Hume e Bentham il richiamo a Newton ed il proposi­ to di dar vita ad un'applicazione del metodo sperimentale in morale. Eppure, quando si trattava di rendere conto dello status della ricerca sulla morale Bentham, che ben conosceva il Trattato sulla natura umana, trascurava com­ pletamente il contributo di Hume, dichiarando che « l 'ope­ ra presente, cosf come ogni altra mia opera che è stata o sarà pubblicata sul tema della legislazione o su ogni altro ramo della scienza morale è un tentativo di estendere il metodo sperimentale di ragionamento dal settore fisico a quello morale. Ciò che Bacone è stato per il mondo fisi­ co, Helvétius lo è stato per il morale . Il mondo morale ha perciò avuto il suo Bacone, ma il suo Newton non è ancora venuto » 3 7 • In realtà il silenzio sul contributo di Hume all'edificazione di una scienza newtoniana della mo­ rale è pienamente giustificato , tenuto conto che è comple­ tamente mutato, con Bentham, il senso del richiamo a Newton e il tipo di scienza che si vuole costruire. New­ ton non è piu apprezzato - come nel caso di Hume per aver trovato un principio come quello di gravitazione potentemente esplicativo, quanto per avere permesso con la sua meccanica il fiorire di un gran numero di applicazio«

3 6 E. Halevy, La ieunesse de Bentham, cit . , p. 1 4 . l7 Frammento intitolato Civil Preface, Mss. Univ. College, n. 32, citato da E. Halevy, La iezmesse de Bentham, cit., pp. 289-290. La mia sottolincatura serve a richiamare l'at tenzione sulla formula benthamiana che è identica a quella che compare nel sottotitolo del Trattato sulla natma umana d i Hume. Riempiendo il vuoto segnalato da Bcntham E. Halcvy ha definito l'utilitarismo benthamiano come « un saggio di newtoniancsimo applicato alle cose della politica e della morale » , in La jeutJesse de Bentbam, cit. , p. 4. 58

ni pratiche 3 8 • La lontananza poi tra la « scienza della natura umana » di Hume e la « scienza della morale » 39 di Bentham risulta evidente nel modo in cui quest'ultimo definisce « l'etica, la morale, la filosofia morale » come « l'arte di ottenere la felicità . . . L'etica è l'arte di ottenere la piu grande quantità ottenibile di felicità in tutti i modi possibili e in tutte le molteplici occasioni che occorro­ no a un uomo » 40• 2. Dal 'sentimentalismo' al 'razionalismo' Le soluzioni prospettate da Hume sono largamente

rifiutate anche quando si passa dalle enunciazioni metodo­ logiche alla ricerca sul campo, ricostruendo la 'natura uma­ na' nelle sue manifestazioni morali. Gli uomini, come li descrive Hume, non sono affatto quelli che emergono dallS

Così C.W. Everett, Jeremy Bentham, London, 1966, p. 18 rileva Bemham era deciso a fare per la società umana ciò che Newton aveva fatto per la scienza naturale. Se si potessero applicare alla legisla­ zione i principi scientifici e scoprire per l'ingegneria sociale un calcolo matematico, ci si sarebbe potuto aspettare per i rapporti umani e la struttura della società cambiamenti non minori di quelli che la fisica aveva provocato sulla faccia del mondo ». 3 9 Già in A n Introduction to the Principles of Morals a1zd Legisla­ tion, stampato nel 1780, ma pubblicato nel 1789, ed. by J.H. Burns e H.L.A. Hart, London, 1970, Bentham - p. 1 l chiarisce che è sua Ìn· tenzione fare progredire la « scienza morale » . Un riferimento alla « scienza della morale » troviamo poi nel titolo stesso di Deontolo­ gy; or the Science of Morality edito da .T. Bowring dai manoscritti di Bentham in due volumi, l..ondon and Edinburgh, 1834, si veda in particolare il II capitolo del I volume sul significato del termine deontologia, pp. 21-37. Sulla Deontology c l'attendibilità dell'attività di editore di J, Bowring è stato abbandonato il giudizio fortemente ridutti­ vo di J.S. Mi!!. Già E. Albee, History of Euglish Utilitarianism, cit., pp. 176-177 ed E. Halevy, in Le radicalisme philosophique, III vol. di La formati011 du radicalisme philosophique, Paris, 1904, pp. 464466, convenivano nel considerare sostanzialmente autentico il primo vo­ lume della Deontology. Ancora recentemente L. Werner, A Note about che

«

-

Bentham «

on Equality and about the

Greatest

Happiness Principle,

Journal of the History of Philosophy », 1 1 ( 1 973), p. 244 e ss., ha sottolineato la corrispondenza tra la Deontology e i manoscritti di Bentham. 4° Frammenti di Bentham datati tra il 17 nov. 1794 e il 12 sett. 1795, Mss. Univ. Col!. n. 14, riportato in E. Halevy, Le radicalisme philosophiq11e, cit., pp. 462-463 .

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le pagine di Smith e dei primi utilitaristi, quali Paley e Bentham . Per Hume è ad esempio u n punto fermo che la mora­ le sia frutto dell'intervento di un senso o sentimento del tu tto peculiare. Anche a questo proposito possiamo trova­ re una sostanziale omogeneità tra la soluzione prospettata nel Trattato sulla natura umana e quella avanzata nella Ricerca sui principi della morale. Resta infatti costante in Hume la tendenza a ricondurre le distinzioni morali ad una radice sentimentale, considerando come secondario e ausiliario l'intervento della ragione. Hume aveva dedicato la prima parte del terzo libro del Trattato sulla natura umana a confutare le tesi di S. Clarke e W. Wollaston, che facevano derivare dalla ragio­ ne la distinzione tra vizio e virtu . Contro il razionalismo Hume concludeva, invece, che « la ragione è, e deve solo essere, schiava delle passioni » 41 , che essa « è del tutto inerte . . e non può mai essere l'origine di un principio cosi attivo come la coscienza ossia il senso della mora­ le )> 41• Ma l 'osservazione della natura umana non solo por.­ tava Hume a negare che la morale derivasse dalla ragio­ ne, ma a scoprire anche un peculiare « senso morale )) che distingue il vizio dalla virtu. Difficile precisare poi la natura esatta di questo « senso morale ». Lo stesso Hu­ me lo considerava di volta in volta come un « istinto )> 43 o riprendendo da Hutcheson una gnoseologia di im­ pianto sostanzialmente lockiano come un « certo sen­ so che agisce senza riflessione e che prescinde dalla ten­ denza delle qualità e dei caratteri )> 44• L'individuazione di un « senso morale )> come . origine della discriminazione .

-

-

4 1 Trattato mlla natura umana, in Opere, cir., vol. I, p. 436. 4 2 Ibidem, pp. 484-485.

43 In una lettera a Hutcheson del 26 gennaio 1743, in The Letters of David Hume, ed . by ].Y.T. Grcig, Oxford, 1932, vol. I, p . 4 7 Humc scrive con tro la tendenza di Hutcheson ad abbracciare l'opinio­ ne di Butler, che « il senso morale ha un'autorità distinta dalla sua forza e durata, per cui noi sempre riteniamo che esso debba avere la meglio » che egli è invece incline a considerarlo « niente altro che un istinto o principio ». 4 4 Trattato sulla natura umana, in Opere, cit., vol. I, p. 646.

60

virtu e v1z10 permetteva a Hume di far valere anche sul piano morale la sua teoria generale sulla genesi delle impressioni e delle idee Le idee morali debbono essere derivate - come le altre idee - da impressioni. A loro volta per quanto riguarda le impressioni specificamente morali, la loro origine va spiegata riconducendole ad un senso peculiare 45 • In realtà a Hume interessava principal­ mente stabilire un dato di fatto sulla natura morale degli uomini, ovvero la necessità di salvaguardare nelle spiega­ zioni della morale l'intervento di un « senso », « sentimen­ to » o « gusto » del tutto originale, peculiare ed irriducibi­ le ad altro . Contro qualsiasi semplificazione o travisamen­ to dei dati , lo scienziato della natura umana conclude che . l 'approvazione delle qualità morali non deriva, e que­ « sto è assolutamente certo, da1la ragione o da un confron­ to di idee, ma deriva interamente da un gusto morale o da certi senti menti , di piacere o di ripugnanza che sorgo­ no alla vista e alla contemplazione di particolari qualità o caratteri » 46• Il riconoscimento di un'origine sentimentale delle di­ stinzioni morali veniva riproposto nella Ricerca sui princi­ pi della morale. Nella prima appendice, dedicata appunto al 'sentimento morale', Hume concludeva chiaramente: « L'ipotesi che noi abbracciamo è semplice e sostiene che la moralità è determinata dal sentimento » 4 7 • Né sembra possibile accettare la tesi che nella Ricerca Hume abbia abbandonato il rinvio ad uno specifico e peculiare « sentra

.

. .

4 5 Tra gli interpreti di Hume vi è ampio disaccordo sull'identificazio­ ne della natura del 'senso morale'. Cosl, a chi nega che si tratta di una « facoltà psicologica >> - come ad esempio E. Albcc, A History of English Utilitarian ism, cit., p . 91 e pp . 1 1 1-1 1 2 o M.S . Kuypers, Studies in the Eigbteenth Century Background of Hume's Empiricism (1930) , rist. anast., New York, 1966, p. 102 - si contrappone chi invece considera il 'senso morale' come una vera e propria facoltà - cfr., ad es empio R .D. Broiles, The Moral Philosophy o/ David Hume, The Hague, 19692, p. 19. Per una interpretazione del 'senso morale' che faccia riferimento alla teoria 'impressioni-idee' si veda B.M. Laing, David Hume, ( 1932 ) , rist. anast., New York, 1968, p. 1 90. 46 Trattato sulla natura umana, in Opere, cit., vol. I, p. 614. 4 7 Ricerca su i principi della morale, in Opere, cit., vol. II, p. 305.

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50 » come fonte delle distinzioni morali 48 • Hume pur am­ mettendo che « tanto la ragione quanto il sentimento concorrono in quasi tutte le determinazioni e conclusioni morali » finisce con il concludere che '< è probabile che la sentenza finale . . . dipenda da qualche senso o sentimento interno posto universalmente dalla natura in tutti gli Lo­ mini » 49 • In realtà , nella Ricerca come nel Trattato, con­ tro le tendenze ad assimilare la natura morale degli uomi­ ni a qualcosa di diverso, Hume voleva stabilirne con chia­ rezza l'autonomia, riconoscendo operante in essa un « sen­ so », un > 5 1 • Ancora piu a fondo sembra andare Smith nelle critiche a Hume laddove, « contro ogni spiegazione del principio d'approvazione che lo fa dipendere da un pecu­ liare sentimento distinto da ogni altro », rileva che « è

48 È

quanto invece suggerisce M.S. Kuypers; Studies cit. , p. 102. in Opere, cit., vol. II, p . 183. Proprio Stllla base di questo passo sembra giustificata la conclusione

  • > 5 7 • Ma la critica di Paley si caricava di un piu radica­ le rifiuto per le indagini mosse da « pura curiosità » ed egli lasciava la questione se ci fosse o meno un tale « senso morale » a coloro che piu di lui erano impegnati nella ricerca sulla « storia naturale e la costituzione delle specie umane » 58 . L'ordine di problemi a cui vuole rispondere Paley con l a sua ricerca è completamente mutato. Non si tratta piu di ricostruire i meccanismi del comportamento mora­ le degli uomini, quanto piuttosto di porre su di una soli­ da base valutazioni e decisioni. Partendo da questa pro­ spettiva, l' appello al « senso motale » non soddisfa affat­ to, in quanto il richiamo ad esso può servire a trovare ragioni e giustificazioni per qualsiasi pregiudizio. Già con Paley la teoria del ) 1 1 1 • In effetti, James Mill sosteneva che « 'l 'essere consci di un sentimen· to' non era una cosa distinta dal 'mero avere quel sentimen· to' » 1 1 2 ; ma il figlio, commentando queste affermazioni nell'edizione che curò dell 'A nalysis of the Mind 1 1 3 , non può fare a meno di proporne « una lieve correzione » e di sostenere che occorrerebbe ammettere « un processo men­ tale al di là e al di sopra del mero avere un sentimen­ to >) , un processo costituito dal « riferimento del sentimen· to al nostro io (se!f) >) , che « non sarebbe improprio » chiamare « coscienza (consciousness) » . Sicché il Mill non può fare a meno di compromettersi con una 'filosofia della mente' che faccia posto all'« autocoscienza (self-con­ sciousness) >) , quel « demone degli uomini di genio » del suo tempo, « dallo Wordsworth al Byron, dal Goethe al­ lo Chateaubriand », che « non fu mai risvegliato >) nel 107

    R.D. Cumming, op. cit., p. 242. Bentham , p. 98. 1 0 9 Mill a Sterling, EL, C\11, XII, p. 1 0 1 . I l O Bentham, p . 93. 111 R .J. Halliday, op. cit., p . 22. 112 R . D. Curnming, op. cit., p . 24 1 ; cfr. James Mill, Analysis of the Phaenomena of the Human Mine!, a new edition, ed. }.S. Mill, 2 voi!., London, 1869, p p . 229 ss. lOS

    1 13

    96

    v.

    nota precedente.

    Bentham 1 1 4, insensibile come era all'esperienza poetica . Sennonché, riconoscere il 'demone' dell'autocoscienza si­ gnifica porre in discussione anche un altro punto fonda­ mentale della teoria associazionistica della mente, ossia la concezione che risolve l 'io in una serie di sensazioni, tra­ scurando l 'esistenza di un legame che le trattenga organica­ mente unite. Ma ancora una volta non si tratta solo del dibattuto problema dell'esistenza dell'io o del passaggio del lV1ill « da una teoria analitica a una teoria organica delia mente umana » 1 1 5 • Certamente egli si trova di fron­ te al problema di « appianare le differenze » 1 1 6 che esisto­ no tra la 'metafisica' hartleyana, alla quale egli non rinun­ cia affatto, e quella della scuola del Coleridge, alla quale pure si accosta ; ma la questione è anche, inevitabilmente, una questione di metodo, che porta con sé rilevanti impli­ cazioni di ordine logico ed epistemologico. Si tratta infat­ ti di conciliare, anche sul piano della congruenza dei « pro­ cessi logici » su cui sono fondate, e che sono indubbiamen­ te « diversi ma entrambi legittimi » 1 ! 7 , le hal/-truths del Bentham 1 1 8 con la loro completing counterpart 1 1 9 tratta dalla filosofia coleridgiana. Ma fino a che ptmto la soluzio­ ne accolta dal Mill per rimuovere la difficoltà deterministi­ ca che gli rendeva inaccettabile la teoria della 'necessità filosofica', produce anche una trasformazione del proces­ so logico, altrettanto deterministico, che la giustificava? La · nozione di autocoscienza che il Mill ritrova nella poesia dello \XTordsworth, e che non si sente di rifiutare ancora nel 1 869 nonostante il riaccostamento alla psicolo­ gia associazionistica, è quanto mai densa di significato teo­ rico . Dalle poetiche romantiche essa è collocata all'inter.­ no di una teoria della mente che assegna all'immaginazio­ ne il compito di renderla possibile. Nella 'metafisica' del­ la scuola coleridgiana è solo l'immaginazione che ci dà la 1 1 4 . Bentham, p. 92. 115

    116 1 17

    R .D. Cumming, op. Ibidem. Coleridge, p. 1 2 1 .

    cit., p. 255.

    1 1 8 Bcntham p. 93 . , 1 1 9 Coleridge, p. 1 2 1 .

    97

    possibilità di considerare la mera successione degl i stati d 'a n im o in sequenze armonicamente ordinate, di cogl ier­ ne unitariamente e organicamente l'insieme, mettendoci addirittura in grado di riportarne l'andamento lineare alla perfezione del « movimento circolare » 1 20 - il se rp ent e che si morde la coda « che il Co le ridge amava immagina­ 12 re » 1 . Infa t ti , come egli la concepisce, l'« immaginazio­ ne » è « quella capacità di ridurre una molteplicità in unità », di « t ra sf orma re la serie dei pen sie ri in un unico pensiero o sentimemo dominante » 1 22 , che la rende facol­ tà eminentemente poetica. L'immaginazione è proprio ciò che fa vivere il componimento poetico, il cui fine è preci­ samente quello di « convertire una serie in un tutto » 1 2 3 C osi , dal Coleridge e dai poeti della sua scuola, il Mill ha indubbiamente appreso che la totalità organica, il tutto, è propri o quello �< che l'immaginazione costruisce a partire dai materiali forniti dalla fantasia 1> m . Quest'ultima rap­ presenta invece « l'attività della mente », quando se ne assuma come teoria valida « l'associazionismo del lo Har­ tley » 1 2 5 • Infatti, la fantasia mette insieme in modo « pura­ mente meccanico 1> 126 i « materiali forniti dalla legge di 1 a ssoci azione » 2 7 e « non avendo altri tavoli su cui gi oca­ 128 trascorre re, se non quello delle cose fisse e definite » , da un'idea all'altra restando legata alla loro individualità e determinatezza, senza collegarle organicamente in un tut­ to; attraverso la fantasia diversi significati parziali e « se_

    120 Unpublished Letten of Samuel Taylor Coleridge, cd. E. L. Griggs, 2 voli., London, 1932, vol. II, p. 128. l2l ] . R . de ]. Jackson, Method mzd Imagination in Coleridge's Criticism, London, 1969, p. 97. 122 S.T. Coleridge, Sbakespearean Criticism, ed. T.M. R aysor, 2 voli., London-New Yo rk , 1960, vol . I I , p. 63 1 2 3 Unpublished Letters o/ Samuel Taylor Coleridge, cit., vol. II, p. 128. 12 4 Two Kinds of Poetry, cit., p . 1 2 1 . 1 25 L A. Richards, Coleridge o n Imaginatio11, London, 1962, p. 77. 1 26 Collected Letters of Samuel Taylor Coleridge, ed. E .L. Griggs, Oxford, 1956, vol. IV, p. 579. 1 2 7 L A . Richards, op. cit., p. 77. 1 28 S.T. Colerìdge, Biographia Literaria, cd. G . Watson, London· New York, 1956, p. 167.

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    parati » sono « app re si come se fossero indip endent i » gli uni dagl i altri, mentre attraverso l ' imm aginazione essi « so­ no radunati in uno » e col l eg at i nell'« uni tà di significato risultante » dalla loro « mutua modificazione » 1 29 . Ma se l 'immaginazione rappresenta proprio quel l a fa­ coltà della mente che i romantici oppongono alla fantasia delle poetiche sensistiche, la stessa opposizione si deve ritrovare sul piano dei d i ver s i 'processi l ogic i' ai quali le due facoltà necessariamente rim an da no . È lo stesso Cole­ ridge che ricorda a « coloro che calcano il terreno i nc anta­ to della poe s i a » ciò che ess i « spesso non sospettano nem­ meno », o ssi a il fat t o che « a gu i d a re i loro passi c'è quella cosa che si chiama metodo » 1 3 0• Non si può quin­ di trascurare, come solitamente si fa, il « negletto lega­ me » fra la sua « teoria del metodo » e la sua poetica 1 3 1 • Ma la lettura dei saggi sul me todo che il Coleridge pubbli­ cò nel Friend e ra familiare al Mil1 1 32; e gli non poteva quindi ignorare che essi « ci forniscono una parte essenzia­ le >> del « programma » poetico del Col er idge 1 3 3 e che « è n e ce s s ar io averne conoscenza » 134 per cogliere nella trama logica d ell a poesia coleridgiana i fondamenti astrat­ ti d el l a sua capacità esplicativa - capacità alla quale egli stesso ricorre nei noti p as si dell'Autobiography in cui ne cita i versi per chiarire la s ua in terpre tazione della cri­ si 1 3 5 . Tuttavia le categorie totalizzanti introdotte sul pia­ no 'metafisica' per superare il determinismo della 'necessi­ tà filos ofica ' entravano in opposizione, sul piano logico, col metodo grazie al quale il Bentham « meritò gius tamen­ te nella scienza mora le una posizione analoga a quella di Bacone nella scienza fisica » 1 36. Esso « può essere breve1 29 I. A. Richards, op. cit., pp. 86 ss. 1 3 0 S.T. Coleridge's Treatise on jYJethod, cd . A.D. Snyder_, London, 1934, p. 25. 1 3 1 ]. R. de _T. Jackson, op. cit., p . xiv. 132 Cfr. Mill a Sterling, EL, CW, XII, p. 79. m J,R. de J. Jackson, op. cit., p. 74. 1 3 4 Ibiclem, p. 19. 135 Cfr. Autob., pp. 81 e 8 4 . ll6 Wh ew ell, p . 174 .

    99

    mente descritto come il metodo del dettaglio » , il metodo che tratta « le totalità separandole nelle loro parti, le astrazioni risolvendole in cose » , le classi e i concetti generali « suddividendoli negli individui di cui sono com­ posti » 1 3 7 • Secondo il Bentham « nelle generalità si anni­ da l 'errore », poiché « la mente umana non è in grado di comprendere una totalità complessa finché non ha e s ami­ nato e catalogato le parti di cui è composta » 1 3 8 • Al contrario, l 'immaginazione romantica considera gli oggetti come totalità di senso : dal punto di vista logico, essa può essere interpretata come il « vede re qualcosa come qualcosa d 'altro » 1 39, mentre i diversi « modi di vedere lo stesso oggetto » possono essere considerati come diversi sistemi di significati, o diversi « sistemi logici », che lo descrivo­ no Ho . Quindi, se il 'metodo del dettaglio' scompone analiti­ camente i concetti generali, che considera espressione di totalità formate da individui, l'immaginazione romantica com pon e sinteticamente gli oggetti individuali, che consi­ dera totalità generate dall'interrelazione delle sue parti. Il M ill sente l'esigenza di « combinare i metodi » del ­ le due scuole 141 , ma il problema, che riguarda essenzial­ mente la teoria del significato, investe questioni comples­ se che egli non affronterà direttamente nemmeno nel System of Logic. Egli si limita invece a osservare che la « sintesi » del Bentham è insoddisfacente p e rché « non può essere piu completa della sua analisi » . Ma il metodo benthamiano non comporta solo il rischio di tralasciare « qualche elemento » e di considerare solo « alcune pro­ prietà » della « cosa » presa in esame; le sue carenze so· no molto piu gravi, poiché non si raggiunge la cono-

    1 37

    Bentham, p. 83 . Ibidem, p . 84. 139 H.W. Piper, The Active Universe,

    13

    8

    London, 1962, p. 210; cfr. l a discussione del 'vedere come' in L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. i t. a cura di M. Trinchero, Torino, 1 967, pp. 255 ss., par· te II, sez. xi. 140 Ibidem, p. 220. 14 1 C oleridge, p. 121 .

    100

    scenza adeguata di un « oggetto complesso » 142, non lo si coglie organicamente in « tutte le sue relazioni » 1 43, se lo si ricava solamente per pura aggregazione dei suoi elemen ti . D'altra parte, anche il ricorso a categorie to­

    talizzanti non può essete ammesso in forme del tutto incontrollate. È vero che solo la scoperta dell'autocoscien­ za permette al Mill di trovare una spiegazione della cri­ si, ma si tratta, in questo caso, di interpretare un dato di fatto, la su a s t e ssa esperienza vissuta. L'immaginazio­ ne, poi, non può e sse re accettata nella forma di un'in­

    tuizione to talmente creatrice. Certamente essa costituisce una facoltà attiva della m en t e , « un analogo attenuato del­ la creazione » 1 44, ma la oeta » , dota­ to di « immaginazione creativa », riesce a evocare i fatti storici come una « compiuta totalità >> da « un insieme cao­ tico di indizi sparsi e di confuse testimonianze >> 200• Sic­ ché, se l'« immaginazione » è la « facoltà » che « fa il poeta », essa è anche > , tanto che si ]_:>otrebbe « es­ sere tentati » di dire che « l a vita reale e l e occupazioni attive degli uomini (a parte quelle degli agricoltori e di 1 98

    Ibidem, pp. 138-9. Cumming, op. cit ., p. 246 . 2oo J .S. Mill, Early Essays, ed. J.W.M. Gihbs (Bohn's Standard Library), London, 1897, pp. 2 7 1 , 278 ss. 20 1 Bentham, p. 92. 202 Coleridge, p. 139. 1 99 R.D.

    110

    altri uomini di campagna) non lo interessino » affatto 20 3 In effetti, secondo lo Wordsworth, « il poeta » è proprio colui che . « tiene unito con la passione e la conoscenza il vasto impero della società umana, quale si spande per tut­ ta la terra e per ogni tempo » 2 04 Sicché, di nuovo, anche nel prendere la società a oggetto della propria immagina­ zione, il poeta rivelava « un genere più alto di veri­ tà » 205 ; con « il suo devoto rispetto, la sua reverenza » per il « popolo » , inteso in senso « filosofico », e « per lo spirito delle conoscenze che esso incorpora » , lo « scritto­ re » 206 si rivolgeva a « una corte d'app el lo in cui si stabili­ vano valori reali, di solito in contrasto con i valori 'fitti­ zi' fatti emergere dal mercato e da simili operazioni della società » 2 0 7 • L'opera dei poeti diveniva così « una via pra­ ticabile d'accesso all 'ideale della perfezione umana, che do­ veva costituire il fulcro della difesa contro le tendenze disgregatrici dell'epoca » 208 Anche il Mill ne era seriamente preoccupato, se lamen­ tava al d'Eichthal, l'amico e corrispondente sansimonia­ no, la presenza nella società inglese di « aberrazioni » quan­ to mai « odiose », dovute all'« insensibilità » e all'« egoi­ smo » 2090 Sicché, a suo giudizio, « il miglioramento dell'uo­ mo stesso in quanto essere morale e intelligente » doveva costituire « il più alto e il più importante » dei fini di « governo » 2 1 0 . Tanto che, nell'Inghilterra del suo tempo, dove invece « l 'idolo della 'produzione' » era stato �< innal­ zato e venerato » da più di un secolo, rendendo « quasi disperato » ogni tentativo di « elevazione dell'intelletto o dell'anima » della gente 2 1 1 , una filosofia come quella del o

    o

    o

    20 3 Mill a Sterling,

    EL, CW, XII, p. 8 1 . The Poetica/ Works o f Willùzm Wordsworth, ed. T . Hutchinson, Oxford, 1908, p. 939. 2 0 5 R. Williams, Cultm-e and Society. 1780-1950, Harmondsworth, 1 97 1 , p. 60. 206 Tbe Poetica[ Works of William 1'(1ordsworth, ci t., p. 953 . 207 R. Williams, op. cit., p. 52. 20B Ibidem, p. 59. 209 Mill a d'Eichtal, EL, CW, XII, p. 3 2 . 2 1 o Ibidem, p. 36. 2 1 ! Ib idem, p. 37 .

    204

    111

    212, che faceva « Traité de Politique Positive del Comte » « esplicitamente della produzione il solo fine dell'unione sociale », avrebbe reso « irrimediabili » i « peggiori vizi della nazione » 2 1 3 • Ma anche a questo proposito occorre guardarsi « da molti degli errori in cui caddero i filosofi del diciottesimo secolo », i quali supponevano che « la dif­ fusione delle conoscenze tra le classi lavoratrici » dovesse essere « il principale strumento della rigenerazione dell'u­ manità » 2 1 4 • È « assolutamente impensabile e chimeri­ co » 2 1 5 pensare che la si possa ottenere « modificando le opinioni degli uomini » , che, anzi, « è spesso molto danno­ so sconvolgere, finché non se ne sia portata la mente a quello stato piu elevato di cultura, da cui opinioni miglio­ 216• ri si sviluppano naturalmente e quasi spontaneamente » L a « perfezione dell'umanità » non s i può quindi raggiun­ gere « insegnando » e propagandando qualche dottri­ na 2 1 7 ; occorre invece « educare la mente » degli uomi­ 8, ni 2 1 perché l'« adozione » di nuove dottrine può essere solo « il risultato e l'effetto naturale di un alto stato di cultura intellettuale e morale precedentemente ricevu­ ta » 2 1 9 • Anche la pratica politica, come quella morale può essere motivata e diretta soltanto attraverso abiti stabil­ mente acquisiti e carichi di emotività come lo sono i senti­ menti morali. Dunque, solo i sentimenti possono garanti­ 2 0 re « quell'entusiasmo e dévouement » 2 che sono necessa­ ri al perseguimento di ogni fine politico. Ma è proprio il discorso sui fini che solleva le maggiori difficoltà. La dot­ trina sansimoniana conforta il Mill nel credere che « il calcolo o il ragionamento, ossia la scienza ap plicat a agli

    2 12 Ibidem, p. 35. Si tratta del Système de Politìque Positive apparso come terzo cahier del Catéchisme des lndustriels di Saint-Si­ mon nell'aprile del 1824. 21 3 Ibidem, p. 37. 2 1 4 Ibidem, p. 40. 21s Ibidem, p . 47. 216 Ibidem, p. 42.

    21 7 Ibidem, p . 49. 2 1s Ibidem, p. 48. 2 1 9 Ibidem, p. 49. 220 Ibidem, p. 39.

    112

    interessi materiali, non è il solo motore delle azioni uma­ ne >>; essa insegna pure che noi « agiamo in seguito a sim­ patie che le belle arti eccitano e favoriscono »; che « sia­ mo ragionatori, ma anche appassionati » ; che « siamo inte­ ressati e tuttavia sappiamo risolverei all'abnegazione (dé­ vouement) piu generosa » 2 2 1 • Ma con quale criterio è pos­ s ibile stabilire che « non c'è incompatibilità tra la morale dell'interesse personale illuminato e quella del dévoue­ ment »? Com'è possibile affermare che « né l 'una né l 'al­ tra di queste due formule (phrases) », tratte rispettivamen­ te dalla scuola utilitaristica e da quella sansimoniana, « con­ tiene » da sola « il principio della morale » e che esse esprimono invece « due diversi tipi di impulso, ciascuno dei quali potrebbe, e può, fino a un certo punto, condur­ re gli uomini alla virtu » 222 ? Molto si può ancora ricavare dagli insegnamenti di Saint-Simon. Egli ha avuto il grande merito di riconosce­ re « la necessità di un pouvoir spirituel », di cogliere l'esi­ genza, che anche il Mill « approva e raccomanda mol­ to » 22 3 , di costituire un potere « capace di dominare la fede della maggioranza, che crede e deve credere nell'auto­ rità » 224• Questo compito dovrebbe essere riservato alle « classi istruite » ; tuttavia, per fare si che esse non siano « soggette a pregiudizi » è certo necessario che « siano ri­ mossi i grandi interessi sinistri di natura sociale » che le influenzerebbero, ma occorre soprattutto che l'« autorità degli istruiti » possa ispirare « in morale e in politica » gli ) 2 3 1 • Inol­ tre, sebbene il Mill sapesse che « una delle parti piu vali­ de » 2 32 della filosofia dei sansimoniani, la loro « divisione di tutta la storia in periodi organici e periodi critici » 233 non fosse completamente originale, furono essi a presentar­ gli « per primi >) una dal quale esso sorge; egli si propone invece di « trovare quel frammento di verità che trae in ingan­ no )> chi sbaglia, di « analizzarlo e chiarirlo }> per « suggeri­ re }> alla sua stessa mente, senza introdurvele dall'esterno, le idee che paiano migliori 24 1 • Ma con questo atteggiamen­ to, che n on insiste per « fare abbandonare agli altri il loro punto di vista e accettare quello contrario )> , si rende anche un servizio alla ricerca della verità; si è in grado di « accogliere » nella propria concezione « la verità tutta in­ tera » e di « illustrare agli altri quella totalità }> di cui hanno precedentemente visto solo « una parte » 242• Sic­ ché, « indurre noi stessi a non combattere » pregiudizial2 3 7 Ibidem. 2 38 Ibidem. 2 39 Ibidem, p. 45. 240 I bidem, p . 42. 2 4 1 Ibidem, p. 46. 242

    Ibidem.

    115

    mente « gli errori in ciò che ci viene presentato », signifi­ ca « cogliere e appropriarci di quella porzione o frammen­ to (per quanto piccolo) di verità che deve necessariamen­ te esserci al fondo di ogni errore, che non sia una mera fallacia di ragionamento » 24 3 • Tuttavia, agli occhi del Mill , l'« eclettismo » dei sansimoniani, « quello spirito che piu si oppone allo spirito della critica e della dispu­ ta », non si deve ridurre semplicemente a quell'atteggia­ mento di « aperta liberalità >> , che in loro « pare perfino eccessivo » 244; esso deve essere invece valutato soprattut­ to per i suoi aspetti logici e di metodo. Della profonda intuizione originale dei sansimoniani, che assumono come principio critico valido lo stesso princi­ pio che può essere considerato da un punto di vista organi­ co come falso, il Mill cerca soprattutto « la spiegazione logica » e pensa che essa risieda nel fatto che « una propo­ sizione, benché falsa nella sua totalità, può comprendere come sua parte, può includere logicamente la negazione di qualche errore corrente » H s . La verità deve essere quin­ di considerata come una « totalità » 246 e « ciò che occorre non è sostituire un frammento della verità con un altro, ma combinarli insieme per ottenere la piu grande parte possibile del tutto » 247 • È in queste affermazioni che va vista la radice dell'atteggiamento del Mill nei confronti del benthamismo e del suo accostamento alle filosofie ro­ mantiche. Ma l'acquisizione, prima che di nuove 'opinio­ n i ' , è l'acquisizione di un metodo, di un nuovo 'modo di pensare' che il Mill caratterizza, secondo il « motto del Goethe >> , come l'atteggiamento della « multilateralità (many-sidedness) » 24 8 , la « diretta antitesi di ciò che i Te­ deschi chiamano, nel modo piu espressivo, unilaterali­ tà » 249 • Tutto ciò non è privo di profonde implicazioni di 243 Ibidem, pp. 41-2. 24 4 Ibidem, p. 4 1 . 2 45 Ibidem, p . > (op. cit., p. 1 6 1 ) .

    1 64

    froy lo era senz'altro nella fedeltà all'uomo. L'a\ eva la­ sciato intatto nd Jura dell'infanzia e temeva d, veder­ selo dileguare a Parigi, un po' come Rousseau, diviso tra le opposte correnti. « Lo spiritualista, non serv�udosi dei sensi, cerca la materia dentro di lui e non la trova; il mate· rialista, trascurando la coscienza, cerca l'anima all'esterno e ugualmente non la trova. Il primo si meraviglia che si possa credere alla materia e il secondo che si possa credere all'anima, e ognuno ha per l'altro un profondo disprezzo . In realtà essi non sono che due mezzi uomi­ ni » 79 • Locke e Condillac ne erano, una volta di piu, gli e­ semplari . Locke preoccupato di sapere come l'io conosce il mondo e Condillac come il mondo agisca nella statua e ne spieghi l'intelligenza : entrambi oscillanti tra filosofia e sen­ so comune, sicuri che c 'è una materia e c'è un'anima e tut­ tavia incapaci di giustificarlo. Cosi, se Condillac non è ma­ terialista, lo è sicuramente la sua filosofia come appa­ riva dai Rapports del sono tali, e consentono di ridurre al minimo le enunciazioni, se possiedono un grado di rigore che consenta di descrive­ re in modo aderente tutte le situazioni particolari, e ciò avviene quando tra una serie di eventi descritta ed un'al­ tra affine le differenze, al livello di astrazione richiesto dalla necessità del discorso formalizzato, si riducano all'a­ spetto quantitativo . In questo modo i « dati » per dono effettivamente di interesse, sempre beninteso che si tratti di conoscere e ordinare i principi generali di una discipli­ na e non di risolvere problemi particolari . La polemica con la statistica, benché fosse condotta sul terreno del dibattito scien tifico, non era priva di riferi­ menti alla situazione politica del periodo consolare e impe­ riale, e non fu estranea al rifiuto con il quale Say accolse le proposte di collaborazione che Napoleone gli aveva rivolte . È anche vero che la statistica non si presentava come l 'o­ dierna scienza dei metodi per la raccolta e l'interpretazione dei dati numerici - e quindi come tecnica dell'induzione - ma come indagine attorno allo status del paese, « com­ prendendovi anche le situazioni scolastiche e culturali, l 'am­ biente geografico, la situazione demografica, l'agronomia ecc . , sf da ottenere, come si diceva, il quadro globale della potenza civile del paese » 20 • In definitiva, la s tatistica si po­ neva come assertrice, nel campo del comportamento uma­ no, di un metodo descrittivo fondato sull'induzione, e costi­ tuiva un sorta di supplemento « neutrale }> dell'econo­ mia teorica. I governi autoritari dell'epoca, e quello na­ poleonico in particolare, ricorsero volentieri ai lumi de­ gli statistici per i loro provvedimenti di politica economi­ ca. L'economia intesa come scienza sperimentale e genera2 0 A. Macchìoro, La fondazione della scienza economica, in Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano, 1970, p. 183; nello stesso volume, alle pp. 103-1 59, si veda anche Say, Ricardo, lvfaltbus.

    180

    lizzante (cioè enunciatrice di leggi), si presentava con pre­ tesa di necessità e quindi, in prospettiva, come poco conci­ liante. Si fondava su bisogni e desideri e su di essi costrui­ va un sis.t ema, che cercava, è vero, di non definirsi prema­ turamente, ma che doveva pur essere espresso, una volta che la « natura delle cose » fosse conosciuta. Come spes­ so accade, il radicalismo antimetafisico presupponeva una visione generale della realtà, e in questo caso si trattava del­ l'utilitarismo individuale 21 • La scienza non è politica, dun­ que , e non è morale: non fa prediche, mostra presupposti e conseguenze 22• Tuttavia un sistema di morale si prospet­ ta come ottimo e un criterio di politica economica come tassativo: morale e politica debbono garantire la liber tà umana, cioè la facoltà di perseguire l 'utile proprio in tut­ te le forme che non contrastino con l'analogo diritto de­ gli altri. Se tale principio, generalissimo e vincolante, non viene rispettato, non può stabilirsi alcuna moralità, né svilupparsi prosperità duratura. Il liberalismo di Say è intransigente, e « statistica » diverrà per lui sinonimo di politica protezionistica, di intervento turbativo nel proces­ so dell'economia. La scienza naturale che funge da model­ lo all 'economista idéologue non è la meccanica, ma la fisiologia. In Say coesistono psicologia individualistica e organicismo fisiologico : non si deve esercitare coercizione sull'individuo, altrimenti la salute del corpo sociale sarà compromessa 2 3 • Al di là della prospettiva organicistica resta la realtà della natura umana e della propensione all'utile . La teo2 1 Sull'util.itarismo di Say, cfr. E. Teilhac,

    ]ean-Baptiste Say, ci t., in particolare alle pp.

    L'oeuvre économique de

    142-5 1 . Invece d i dire agli uomini: vi esorto a mcttervi i l cappello quando andate alla pioggia o al sole, sarebbe meglio, credo, mostrargli a cosa ci si espone uscendo con la testa scoperta al sole o alla pioggia »;

    22

    «

    Petit volume contenant quelques aperçus des bommes et d e la société, in Oeuvres diverses, ci t., p. 675. 2 3 Sull'influenza della fisiologia sul pensiero di Say, cfr. E. Teìlhac, L'oetwre économique de ]ea n-Baptiste Say, cit., in particolare alle pp. 159-90; sì veda inoltre E. Allix, La méthode èl la conception de l'économie politique dans l 'oeuvre de ].-B. Say, in « Revue d'hìstoire

    économique et sociale », ( 19 1 1 ) , pp. 321-60.

    181

    ria economica di Say non soltanto è fondata sui bisogni dell'uomo ma, senza assumere un esplicito atteggiamento finalistico, è palesemente ottimista nei riguardi del desti­ no intellettuale, morale ed economico dell'umanità . Ave­ va torto Rousseau a considerare come naturale l'uomo quale si presentava o avrebbe dovuto presentarsi al di fuori dello stato di civiltà: « Il vero stato di natura, per tutti gli esseri, è il punto massimo di sviluppo al quale essi possano giungere » 2\ e quindi le scienze e le arti non corrompono, ma aiutano gli uomini ad essere meno crudeli, persino quando accade che commettano dei delitti. Non si deve aver paura dei bisogni: -

    S i dice che moltiplicando i nostri bisogni l a società moltiplica le nostre p rivazion i, quando succede che i bisogni non possano essere soddisfatti . Ma non è meglio imparare a soddisfare i propri bisogni, piuttosto che non averne? L'esperienza ci insegna . che la felicità dell'uomo è legata al sentimento della sua esistenza e allo sviluppo delle sue facoltà; ebbene, tanto piu la sua esis tenza è completa, tanto piu le sue facoltà si esercitano, quanto piu egli produce e consuma . . . Il Creatore ha reso [l'uomo] capace di moltiplicare le cos e che gli sono necessarie; moltiplicare i nostri prodotti piuttosto che limitare i nostri desideri significa pertanto concorrere al fine per cui siamo stati creati 25 . .

    .

    Ma i bisogni umani non sono soltanto materiali; ,capi­ ta anzi spesso che vi siano uomini disposti a s acrificare notevoli quantità di ricchezza per istruirsi o per viaggia­ re, per procurarsi godimenti artistici o per essere edifica­ ti da prediche morali. In una società prospera queste esigenze saranno anzi sempre piu sentite. Poiché dobbia­ mo presumere che coloro che offrono ricchezza per ottene­ re questo particolare genere di servizi intendano ottenere in cambio un equivalente, concluderemo che i servizi fan­ no parte essi stessi della ricchezza, sono « prodotti » nel senso economico del termine . Questi prodotti immateriali tuttavia sono talmente atipici che fanno nascere una serie 24 2s

    1 82

    Cours, I,

    p.

    52 .

    Ibidem, pp. 53-54.

    di problemi difficilmente risolubili 26 • Anzitutto, costitui­

    scono ricchezze effettive, tali che si possa dire che un paese che ne pos siede è piu ricco di un altro paese che ne è sprovvisto? E poi, quale vantaggio c'era a introdur­ re concetti cosi imprecisi in economia politica, con il rischio di fornire argomenti a chi sosteneva che non pote­ va darsi una scienza che trattasse dei comportamenti uma­ ni, non sempre razionali e per loro natura imprevedibi­ li? Le obiezioni erano aderenti, e tuttavia Say restò per quasi trent'anni fedele alla sua dottrina, che ispirò decisi­ vamente, in senso ati-sansimoniano, l'industrialismo del �< Censeur européen » e costitui una delle eredità con la quale maggiormente si confrontarono gli economisti fran­ cesi deile generazioni successive, tanto che alla fine del secolo il dibattito non sarà ancora estinto 27• Sviluppando la teoria dei prodotti immateriali, Say am­ metteva di allontanarsi da Smith, eppure nel farlo rite­ neva di restare fedele alla sostanza del suo insegnamento : « Io non trovo ragionevole pretendere che l'abilità del pittore sia produttiva e quella del musicista non lo sia » 2 8 • Era stato proprio Smith a introdurre nell'economia un principio immateriale quando, opponendosi ai Fisiocrati, aveva sostenuto che la ricchezza non si deve cercare nei frutti della terra - vale a dire nell'aumento materiale dei beni fisici a nostra disposizione - ma nell'incremen­ to del valore, attraverso il lavoro umano . E poi la Weal­ th of Natiom tracciava la distinzione tra lavoro produtti­ vo e improduttivo non soltanto riferendola all'esistenza di oggetti materiali, ma indicandola anche in termini di valore, e questo appariva a Say il modo piu esatto : è dun­ que produttivo quel lavoro che paghi se stesso, ovvero 26 La migliore definizione del « prodotto immateriale » si trova nel Catéchisme d'économie politique (1817): « Si designa con questo nome un'utilità prodotta, che non sia legata ad alcuna ma teria e tuttavia abbia un valore e sia tale che se ne possa fare uso » ; in Oeuvres diverses, cit.,

    p. 3 5 . 27 Si veda in merito Ch. Turgeon, Des prétendues richesses immaté­ l"ielles, in « Revue d'économie politique )>, I I I ( 1889), pp. 222-7 1 . 28 T raité, I, p . 123.

    1 83

    « oggetto » in grado di « mettere in mo­ to, se necessario, una quantità di lavoro eguale a quella che lo abbia originariamente p rodo t t o » 29• Il lavoro dei medici, degli avvocati e dei p rofes so ri di scienza e di morale « me t te in moto >> una quantità di altro lavoro sufficiente per p ag arlo , e quindi non si capisce perché Smith lo dichiari improduttivo, anche se certo il suo « og­ getto » non è materiale. Al di là di ogni intendimento, la dottrina di Say si prestava piu a una classificazione dei ruoli all'interno di una società industriale avanzata ch e alla descrizione del processo produttivo della ricchezza . All'inizio dei Princi­ ples of Politica! Economy, M althu s aveva rilevato come Say si contraddicesse, affermando da un lato che, qualora in una nazione vi sia abbondanza di produttori di beni immateriali, tut tavi a « il suo c api t ale non riceverebbe da tutto il lavoro di quegli uomini alcun incremento diretto, perché i loro lavori si consumerebbero a m a no a mano che fossero cre ati », e sostenendo poche pagin e dopo che « l'abilità st ess a di un pu bblico ufficiale è un capitale accumulato » 30• La conclusione di M a lth us era che:

    che produca un

    Se . . . assieme a Say desideriamo fare dell'economia politica una

    scienza positiva, fondata sull'esperienza e capace di rendere noti i suoi risultati, dobbiamo essere particolarmente precisi nella defini­ zione dei suoi principali termini, e comprendervi solo quegli ogget­ ti il cui aumento o la cui diminuzione sia no tali da poterli valuta­ re; e la linea che sembra piu ovvia e utile da tracciare è qu ella che separa gli oggetti materiali da quelli immateriali 3 1 •

    La polemica che nacque d a queste osservazioni si pro­ lungò oltre il pu r lungo car teggio tra i due economisti (l'ultima lettera è del 1 827), se è vero che, tra gli appun­

    ti che Malthus lasciò alla sua morte per una seconda

    19 A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nCJzio n i, trad. it. di F. Bartoli, C. Carnporesi, S. Caruso, Milano, 1973,

    p. 32 5. J o Traité, I , pp. 1 2 4 , 127. 3 1 T.R. Malthus, Principi di economia politica considerati in vista della loro applicazione pratica, trad. it. di C. Omodei Zorini e P . Barucci, Milano, 1972, p. 3 1 .

    1 84

    edizione del suo lavoro, il vescovo Otter trovò alcune note che si riferivano a certe osservazioni del Cours com­ plet in merito alla possibilità di computare « i talenti naturali o acquisiti » tra le ricchezze di una nazione 32• Nella polemica Say radicalizzava la propria posizione in modo pericoloso per la sostenibilità della tesi, ma con qualche vantaggio per l'approfondimento dei concetti . Il discorso sui prodotti immateriali tende a trasformarsi da descrizione dei processi attraverso i quali si crea la ricchez za in riflessione sulle condizioni generali che rendono pos­ sibile l'attività economica: ­

    Voi pretendete

    signore

    che non

    siano prodotti

    vi

    immateriali:

    eh,

    in origine non ve ne sono altri . Persino un campo non offre alla produzione altro che il suo servi zio, che è un prodotto immateriale. :t: come un crogiolo, nel quale potreste mettere del ,

    minerale c dal quale u scirebbero metallo e scorie. C'è qualche particella di crogiolo in questi prodo tti ? No, il crogiolo serve a una nuova operazione produttiva . Il servizio che fornisce un capitale in un'impresa qualsiasi, agricola o manifatturiera, è an ch ' es so un prodotto immateriale . . . A sua volta il servizio dell'operaio è u n servizio immateriale. L'operaio esce dalla sua fabbrica , alla sera, con le sue dieci dita, come vi è entrato al mattino: non ha lasciato nulla nei laboratori. :t: un servizio immateriale che ha fornito al processo produttivo 33• . .

    L'origine e la destinazione delle operazioni economi­ che risiedono parimenti nell'uomo; il lavoro, aveva inse­ gnato Smith, aggiunge valore, e attraverso la teoria dei prodotti immateriali Say concentra l'attenzione sul momen­ to formale della produzione. L'inconseguenza che Mal­ thus aveva rilevato si può in qualche modo risolvere sol­ tanto riflettendo su ciò che distingue i prodotti immateria­ li dalle altre forme di ricchezza : la loro specificità consi­ ste nell'avere pure funzioni di soddisfacimento, non fissa­ te in oggetti durevoli, ma proprio per questo idonee a evidenziare la natura profonda dell'attività produttiva. I concetti essenziali della teoria economica - bisogno, lavo32 Cfr. Ibidem, p. 28. Prima le ttera a Malthus, scritta nel 1820; è riportata senza data in Oeuvres diverses, cit. , pp . 451-52. 33

    1 85

    ro, utilità - rimandano a disposizioni ed att ività che so­ no per loro natura immateriali, indipendentemente dalle qualità dell'oggetto al quale siano riferite. La nozione di prodotto immateriale riflette la duplice esigenza che Say aveva mutuato dalla sua cultura idéologi­ que 34 : da un lato la necessità di svolgere la science de l' homme come disciplina assimilabile alle scienze naturali, dall'altro il riconoscimento che la « fisiologicità » umana non è riducibìle a successione causale, ma presenta proble­ mi tipici di comprensione. È la caratteristica di un setto­ re del pensiero filosofico francese - che si sviluppa sino alla philosopbie positive ed oltre - quella di superare la fisicità senza negarla, di porre le scienze dell'uomo e del­ Ia società su di un piano distinto da quello delle scienze esatte o naturali, pur senza rinunciare all'esigenza di conti­ nuità antologica tra i settori investigati. Le aporie che nascevano dalla difficoltà di limitare la produzione econo­ mica alla trasformazione della materia riprendono la pro­ blematica dei 1·apports du physique et du mora!, che Caba­ nis aveva svolta nella sua opera fondamentale. L'opposizio­ ne alla matematica come strumento privilegiato d'indagi­ ne in economia politica e la polemica nei confronti della statistica si comprendono, all'interno del dibattito idéologi­ que, come espressione della critica all'influenza cartesiana sull'antropologia scientifica. Osserviamo che la teoria dei prodotti immateriali ritorna, in termini assai vicini a quel­ li in cui l'aveva svolta Say, nel Traité de la volonté di Destutt de Tracy . Per il sistematore dell' Idéologie: Le nostre ricchezze non si compongono solamente di una pie­ preziosa o di una massa di metallo, di un terreno o di un arnese, o anche di una quantità di cibo o di un'abitazione. La conoscenza di una legge di natura, l'addestramento a un metodo te cnico, l ' uso di una lingua per comunicare con i nostri simili e sommare le nostre forze alle loro, o almeno per non essere distur­ bati dalle loro quando usiamo le nostre forze, il godimento di tra

    34 Si veda in merito S. Moravia, Il pensiero degli idéologues, cit., in particolare l'ultimo capitolo « l-B . Say, Destutt de Tracy e l'idéologie come scienza

    186

    della

    società » , pp.

    775-804.

    convenzioni fatte o di istituzioni create per tale scopo, sono altret­ tunte ricchezze dell'individuo e della specie; perché sono altrettan­ te cose utili per potenziare i nostri mezzi, o almeno per usarne liberamente, cioè secondo la nostra volontà e con meno ostacoli possibile, sia da parte degli uomini sia da parte della natura 3 5 .

    Per giungere a tale formulazione, Tracy aveva fatto nascere dalla volontà e dai bisogni non soltanto l 'attività economica e la tendenza degli uomini ad associarsi, ma la formazione stessa della personalità umana . Dopo i rivolgi­ menti del '48 , i critici liberali respingeranno con fermez­ za una concezione che, partendo dalla sensazione, defini­ va la libertà del volere come capacità di soddisfare i desideri e pone va il bisogno a fondamento dell'economia politica. Se l 'attività economica era l 'espressione pratica della libertà dell'uomo, come poteva muovere dall'aspet­ to meno libero del suo essere, vale a dire dal bi sogno e dalla fisici tà? La libertà di Tracy (e di Say) che si fonda sui bisogni e non vuole separarsi dalla fisicità, non soltan­ to non era quindi libertà mo1'ale, ma dava luogo ad impli­ cazioni pericolose : > , una precedente pubblicazione sequestra t a e di fatto soppressa nel sospetto· so periodo che segui la seconda restaurazione, a conclusio­ ne dei cento giorni napoleonici . Tra i maestri ideali che ispirarono il ) del milanese e la « piccola casa », oltre che la « piccola cosa », del romagnolo . Da notare poi come l 'e­ spressione piu diffusa in cui blictri compare nei dialetti () , in cui si ritrova l 'uso di un termine della logi­ ca scolastica. Alle principali varianti semantiche corrispondono le diverse radici etimologiche cui il termine è stato via via ricondotto : l) il greco �À.�-c-upt.; cfr. il passo di Leopardi riporta­ to piu sopra 3 • 2 ) i l basso latino blictrum, schiuma della birra ; cfr. Du Cange e A. Prati, Vocabolario etimologico italiano,

    1 95 1 .

    3 ) il latino blitum, greco �'ì.t:-c-ov, erba di poco valo­ re, bieta; cfr. « bietolone » ; spagnolo « no valer un ble­ do » . 4 ) il francese bélltre, pezzente, furfante; cfr. Batta­ glia; il francese deriverebbe a sua volta dall'olandese. Imboccando la via piu prudente, si può dire che le diverse etimologie si sovrappongono e contribuiscono in3 Nel '900 il primo ad argomentare convincentemente questa tesi è sta­ Z. Simonyi, « Magyar lyelvor », XLII ( 1 9 1 3 ) , p. 285 ; cit. in Spi tzel', op. cit. Si noti che secondo Slmonyi , Spitzer e Camporesì, anche il tel'mi­

    to

    ne francese bélltre deriverebbe dal greco blituri. Filippo Di Benedetto, G. Leopardi e una nuova etimologia del francese bélitre, « Siculorurn gymnasìum >>, IV ( 1 95 1 ) , p p . 129-30 e Sebastiano Tìmpanaro, La filologia di Giacomo Le opardi, Bari, 19772 (1 9551 ), p. 5 3 n attribuiscono questa tesi anche a Leopardi.

    234

    sieme a definire l'area semantica in cui il termine è impie­ gato. Solo in casi estremi, in cui vi sia la netta prevalen­ za di un significato su un altro, è possibile che soltanto uno dei quattro etimi lo determini. Salvo questi casi limite, si deve pensare che nessuno degli etimi sia da escludere dall'opera di formazione del significato. Ciò va­ le anche per l'etimo che qui ci interessa, SÀ.C-.up�. Vedremo come l'uso del termine blictri negli ambien­ ti colti del '700 sia probabilmente da ricondurre a BÀ.C-.up�. Pur volendo escludere che la presenza del termi­ ne nei dialetti si possa ricondurre unicamente, come vor­ rebbe Camporesi, a un prestito dalla lingua colta, è possi­ bile che l'uso colto andasse a rafforzare e, nel contempo, a riorientare nei dialetti (o almeno nei compilatori di vocabolari dialettali . . . ) l'uso di termini legati a e timi diver­ si, ma passibili di convergenza semantica. Quanto al fenomeno in un certo modo paradossale della permanenza del termine nei dialetti e della sua scom­ parsa dalla lingua colta, esso si può spiegare con il fatto che nella lingua colta il termine era in realtà soltanto un prestito da un ambito specialistico (quello della logica, come vedremo). Di questo fenomeno tenteremo piu avan­ ti - una volta cercato di far luce sull'origine, la natura e le implicazioni dell'uso del termine nella lingua colta di dare un'altra spiegazione, altrettanto ipotetica, ma piu ampia . 3 . In quanto termine colto, blictri discende da una voce greca, probabilmente onomatopeica, PH·.upt (o BÀ.L-t'pt, o S:\ frru p�, o �À(K1Jp�) , che significa « il pizzicare una cor­ da d'arpa » e quindi « parola senza senso, vuota » (cfr. Liddell-Scott) 4 • In Diogene Laerzio troviamo « ÀÉ�tç Krt.Ì. èicr1]p.oç, t�ç 1] �À.C'tupt » ( �< invece una parola detta, ad

    4 Gli autol'l dei dizionari citati sopra propendono per una tesi: il Battisti-Alessio e il Battaglia sembrano essere per l'etimo il Prati per blictrum (ma nella voce compresa in Etimologie riporta sia blictrum che bélttre). Facciamo qui nostra invece sostenuta da Camporesi e da Spitzer.

    diversa bé!Ztre, venete la tesi

    235

    esempio blituri, può essere senza significato ») (De cla­ ra rum philosophorum vitis, 7 .57 ) . In Sesto Empirico tro­ viamo « af.).'é:v IJ.È'V IJ:h O"fJ[.lfi..L'Vovtr·f} ·n, ctov 'tfj �ÀL"t'UPL Kat "t'Tj trKLvowjJ6ç,, où1< il\i > , VI

    ( 1975),

    288

    pp .

    159- 1 8 1 .

    re, nella distinzione fra mean e average e nella legge binomiale vede dei modelli matematici che, almeno sul piano metodo logico-operativo, possono essere trasferiti da­ gli errori di osservazione ai fenomeni (sia pur visti come errori) della natura . Non a caso - come abbiamo già ripetutamente notato - Herschel costitut un importante punto di riferimento per Maxwell. L'ambiguità tuttavia rimane ed è presente an che a un altro livello, quello piu precisamente logico-epistemologi­ co . Per Herschel la teoria delle probabilità svolge una funzione « ausiliaria » nei confronti della filosofia indutti­ va: è il senso di tale funzione che va ora chiarito, in quanto coinvolge la questione dei rapporti fra probabilità e induzione nella fase storica che stiamo considerando. 3. Nel saggio The Order of Nature, Peirce rimprove­ ra a Mill di avere invocato a sostegno della validità delL'in­ duzione una mera formula metafisica, il principio dell'uni­ formità della natura, quando avrebbe potuto disporre di una dottrina, la teoria delle probabilità « dalla quale tut­ te le regole del ragionamento sintetico possono essere de­ dotte sistematicamente con rigore matematico » 4 1 . Se di fronte alle difficoltà che ancor oggi circondano tanto il problema della giustificazione dell'induzione quanto vari progetti di logica induttiva, la posizione di Peirce appare forse troppo fiducio sa, ci si può tuttavia chiedere legitti­ mamente come mai solo nella seconda metà del secolo scorso alcuni filosofi ( Jevons e lo stesso Peirce, in primo luogo) abbiano sostenuto l'esistenza di un rapporto siste­ matico fra probabilità e induzione, dal momento che la teoria matematica delle ptobabil ità si era già da tempo consolidata, affermandosi per di piu come un settore di ricerca di vasto interesse interdisciplinare . La questione è complessa e molto ramificata : qui si può accennare in modo schematico soltanto ad alcuni svi­ luppi . Anzitutto, mentre attualmente, per quanto concer­ ne l'induzione, l'interesse si concentra sul suo carattere 4 1 C.S. Peirce,

    Caso amore e

    logica, trad.

    it.,

    Torino, 1956,

    p.

    87.

    289

    di inferenza non dimostrativa, fino a buona parte del secolo scorso non si distingueva nett ament e fr a processo induttivo, cioè un'operazione mentale con cui si perviene a generalizzazioni in t orno al mondo, e inferenza logica che ci consente di passare, in base a certe regole, da enunciati su casi noti a enunciati su casi ignoti . Cosi. come s'intrecciavano non di rado piu aspetti del proble­ ma dell'induzione o, se si vuole, piu problemi dell'induzio­ ne: uno di tipo analitico, intorno alla distinzione fra gra­ di di forza degli argomenti induttivi secondo il nesso evi­ denziale che si stabilisce fra premess e e conclusioni ; uno di tipo scettico sulla possibi li tà di giustificare razionalmen­ te convinzioni e previsioni circa il futuro sulla base delle nostre conoscenze sul passato; e infine uno concernente la natura dell'evidenza induttiva e quindi del tipo di con­ ferma relativa a costrutti teorici o a modelli ipotetici su processi inosservabili. Di questa articolata problematica c'interessano soprattutto il pr ogre ssi vo affermarsi della consapevolezza riguardante il carattere fallibile della cono­ scenza acquisita nelle scienze empi riche , i ri fless i di ta le coscienza sulle concezioni della dinamica delle teorie scien­ tifiche e il nesso p roblematico che si venne gradualmente a stabilire fra metodo induttivo e probabilità In età moderna non occorre aspettare Hume per senti­ re da vari autori professioni di modestia epistemologica sulla probabilità di raggiungere conclusioni certe in scien­ ze diverse dalle matematiche : per non citarne che uno, Locke distingue nettamente fra conoscenza scientifica, cioè dimostrativa, e conoscenza sperimentale, che non ci con­ sente di pervenire alla certezza delle dimostrazioni raziona­ li . Anche talune affermazioni di Newton, e soprattutto di suoi seguaci quali Pemberton e s'Gravesande, fanno ritene­ re che le verità sp eriment a li della scienza newtoniana rien­ trino nell' ambito della « probabilità » , se s im piega il ter­ mine in contrapposizione a verità m atem a tica strettamen­ te intesa . Tuttavia bisogna attendere Hume perché l'idea­ le stesso della scienza come conoscenza dimostrativa da primi principi subisca un'esplicita critica scettica e le scien.

    '

    290

    ze fisiche vengano poste su una base sperimentale non dissimile da quella che caratterizzerebbe le scienze umane e le credenze della vita quotidiana. In precedenza, lo sco­ po riconosciuto della scienza, per Bacone come per Carte­ sio, era quello di sostituire alla semplice opinione una conoscenza infallibile . Bacone, che credeva di avere individuato nelle sue procedure d'induzione eliminativa un congegno sicuro per la scoperta scientifica, vedeva nel progresso una sorta di processo di accumulazione successiva di verità che con­ tribuivano a costruire l'edificio complessivo della scienza_ Se le difficoltà interne a tale progetto, insieme con gli attacchi scettici che si attirò, portarono a modificare que­ sta immagine di ascesa costante e quasi meccanica, non perciò gli illuministi, convinti della perfettibilità intellet­ tuale e morale dell'uomo -. abbandonarono la fiducia nel progresso scientifico : pur non credendo a un metodo di ricerca capace di produrre la scoperta diretta, quasi istanta­ nea, della verità, aderivano a un modello di sviluppo scien­ tifico inteso come progressiva approssimazione alla verità stessa, ammettendo cos1 la possibilità d'errore e insieme di modifica e di autocorrezione nella ricerca di spiegazio­ ni dei fenomeni naturali sempre piu ampie, ricche ed effi­ caci . Per di piu, le risposte allo scetticismo humiano sui fondamenti della conoscenza naturale non mancarono : se tralasciamo quelle di ambito tedesco, razionaliste e critici­ ste, si possono ricordare soprattutto quelle derivate dall'at­ teggiamento induttivista e anticongetturale dei filosofi del senso comune, o formulate nel corso del dibattito fra i newtoniani francesi intorno allo sta.t us epistemologico delle leggi della meccanica. D 'altra parte, lo stesso Hume com'è noto - tende ad abbandonare ai pirroniani puri l'aspirazione alla certezza assoluta che finisce per rovesciarsi in un atteggiamento distruttivo, contrapponen­ dovi una d o t t rin a della credenza naturale, abituale e pro­ babile che non disdegna di s tabilire distinzioni fra gradi razionali di belief. Anzi, pur critico nei confronti della distinzione operata piu o meno apertamente dai matemati-

    291

    ci fra probabilità dei casi e delle cause, riconosce come criteri di credenza ragionevole principi analoghi ai postula­ ti ammessi dai fondatori del calcolo moderno delle proba­ bilità, quali la nozione di equipossibilità e quella di caso come ignoranza delle cause, accentuando però maggiormen­ te l'aspetto psicologico-fenomenologico rispetto a quello logico-razionale. Fra probabilità non quantificata e probabilità matema­ tica restava tu ttavia aperto un divario abbastanza profon­ do, che Condorcet e Laplace si proposero di superare a favore della probabilità matematica, lasciando però irrisol­ te talune ambigu ità. Certo R. Price aveva interpretato il teorema di Bayes come un « fondamento s icuro per tutti i nostri ragionamenti riguardanti i fatti passati e quelli che verosimilmente sono destinati ad accadere successiva­ mente » 42; e i due illuministi francesi avevano, come si è visto, affidato un ruolo di primo piano al teorema della probabilità delle cause. La m atematica sembrava cosf inva­ dere anche il campo dei problemi filosofico-epistemologi­ ci . Condorcet inoltre si era fatto portavoce di un probabili­ smo integrale cui non sfuggiva nessuna verità di esperien­ za, nemmeno postulati fondamentali quali la costanza del­ le leggi psicologiche e l'invariabilità delle leggi naturali. D'altro canto, egli stesso lasciava intravedere una distinzio­ ne - che però restava implicita - fra una probabilità intesa in senso lato, riguardante principi la cui verosimi­ glianza era tale da sfuggire effettivamente al calcolo, e una probabilità matematica in senso stretto. Anche Lapla­ ce, che pure aveva esordito nell'Essai philosophique pro­ cla mando il carattere probabile di quasi tutte le nostre conoscenze, i n uno dei capitoli finali, intitolato Des di­ vers moyens d'approcher de la cer.titude, riproponeva un'a­ nalisi tradizionale dei procedimenti d'indagine scientifi­ ca (induzione, analogia, esperimento) , indicandone come scopo la ricerca di leggi natu rali semplici, generali, inecce42

    Sono le parole scritte da Price per presentare il lavoro di T. Baycs,

    An Essay towards solving a Problem in the Doctrùze of Chances.. in : fra i suoi esempi preferì ti la forza di gravità, le onde luminose, i processi sottostanti ai fenomeni elettromagnetici. Dal canto suo Whewell ritiene che il processo d'inter­ pretazione dei fenomeni naturali trovi la propria realizza­ zione nell'atto della scoperta scientifica, la quale consiste­ rebbe essenzialmente nel collegare i fatti secondo un'idea o una concezione appropriata. Ne consegue la proposta di un modello di scienza di tipo ipotetico-deduttivo in cui piuttosto che di prova in senso proprio si può parlare di ricerca dell'adeguamento dei dati alle ipotesi scelte dallo scienziato secondo criteri di natura concettuale piuttosto che empirica. L'induzione perde quindi in Whewell l 'acce­ zione tradizionale preminente di collezione di fatti e gene46

    London,

    1830. 295

    ralizzazione dell'esperienza, per cui occorre individuare cri­ teri di valutazione degli elementi rilevanti di prova. Il processo di scoperta scientifica e di selezione delle ipote­ si , pur essendo irriducibile a regole canoniche, non è co­ munque abbandonato alla s empli ce creatività del genio . Anzi, una profonda conoscenza della storia del pensiero scientifico co nsente all'epistemologo inglese di proporre un paradigma di sviluppo della scienza che suggerisce nel contempo una serie d'indicazioni metodologiche sui crite­ ri di accettabilità di una teoria scientifica o di scelta fra teorie rivali . La dinamica delle scienze corrisponde per Whewell alla progressiva incorporazione di risultati con­ seguiti precedentemente in nuove leggi e di queste ulti­ me in teorie di ambito piu vasto : la generalizzazione suc­ cessiva, il procedere verso una sempre maggiore semplici­ tà e soprattutto il criterio di concordanza delle induzioni (cioè la possibilità di prevedere fatti di genere diverso da quelli su cui l'induzione originaria è stata costituita) sono i contrassegni piu precisi dell'adeguatezza, anzi della veri­ tà, di una teoria scientifica. Piu radi ca lmen te induttivista, l'impostazione di Mill accoglie la ricerca delle cause come scopo essenziale dell'at­ tività sc ien t ifica , accentuando d'altronde l'aspetto della prova rispetto a quello della scoperta, quindi mira all'indi­ viduazione di regole idonee a verificare la legittimità dei ragionamenti ampliativi. Contrario a u na filosofia dell'in­ tuizione aprioristica la sua idea di i nduz ione è connessa a qu ella di inferenza reale dal n oto all 'ignoto in contrappo­ sizione all'« i deal is mo » whewelliano b as ato sulla ricerca del concetto appropriato da imporre ai fatti per collegar­ li. Mill non accetta neppure la concordanza delle induzio­ ni come segno pressoché incontrovertibile della verità di una t eor i a scientifica o della scoperta di una vera cf\usa . Nonostante ciò, anch'egli difende l'impiego delle ipotesi, soprattutto al livello delle scienze avanzate, e sposta il problema sull a verità dei criteri in base ai quali si posso­ no ritenere provate. Per di piu sarebbe errato vedere nella sua filosofia della ca usalità la riproposizione puea e 296

    semplice di un modello empiristico-associazionistico che riconduce il nesso causa-effetto a una mera sequenza co­ stante fra due eventi : in Mill l ' i de a di successione incondi­ zionata rinvia sia pure ambiguamente a una nozione di causa intesa come condizione necessaria e sufficiente, e in ultima analisi alla tesi che l'universo sia costituito di una collezione di fatti discreti, di eventi semplici collegati in un ordine determinato da una catena causale ininterrotta; mentre la formulazione deduttiva dei metodi di prova eliminativi implica il ricorso a un principio di varietà limitata delle circostanze nonchè all'assioma gener a le del­ l'uniformità della natura 47 • In base a questa impostazio­ ne Mill si dichiara convinto che in non pochi casi i suoi metodi, e soprattutto quello della differenza, funzionano come effettivi e ineccepibili schemi di scoperta e soprattut­ to di prova. Nonostante le divergenze e le polemiche talora acute, varie analogie percorrono dunque le riflessioni sulla scien­ za degl i epistemologi britannici della prima metà dell'Ot­ tocento. Il confronto con le posizioni comtiane può mette­ re in rilievo almeno un aspetto distintivo che le accomu­ na. Com'è noto, Comte tende infatti a relegare la ricerca delle cause a una fase delle scienze precedente lo stadio positivo, considerando caratteristica di quello stadio la sco­ perta di correlazioni tra fatti esprimibili sotto forma di leggi piu che di nessi causali, e accentuando il momento della previsione come criterio di demarcazione fra scientifi­ co e non scientifico . Inoltre, per quanto non sia corretta l'in terpretazione tradizionale che vede nella posizione di

    Con1te - scarsamente incline ad accogliere per il termi­ ne « causa » perfino il significato milliano di antecedente invariabile - l 'espressione di un rigido indu ttivismo con4 7 A proposito della famosa giustificazione « circolare » dell'induzione che inficerebbe - tramite il ricorso al principio di uniformità della natura - la posizione milliana, va però precisato che secondo Mill la prova di particolari leggi causali non procede dalla legge di causalità universale, ma secondo essa; il discorso rinvia quindi a quello del ruolo della premessa maggiore del sillogisrno; cfr. A. Ryan, The Phi/osoph)• of fohn Stuarl l'Ili!!, London, 1970, p. 55. 297

    trario a qualsiasi uso delle ipotesi, occorre rilevare che la sua insistenza sulla loro verificabilità lo porta a respin ge­ re come inaccettabile ogni congettura non solo su cause prime e finali ma anche su entità inosservabili, a meno che non si tratti, in questo ultimo caso, di meri costrutti ar tificiali e temporanei 48 Nel dibattito dei filosofi si ri­ flette quindi, suscitando risposte in parte diverse, il con­ flitto fra teorie rivali sulla luce, l'elettromagnetismo, il co rpu scolarismo , per limitarsi ai problemi piu dibattuti in fisica. E mentre nella comunità scientifica britannica, sia pure in maniera non uniforme, si verifica una progressiva modificazione del newtonianismo a nticonget tu rale a favo­ re di una almeno parziale riabilitazione delle ipotesi su entità e proprietà inosservabili 49, in Francia la posizione positivista di Comte sembr a fortemente condizionata dal­ l ' at teggiamen to di Fourier, favorevole alla costruzione di t eorie fisico-matematiche svi ncolate da modelli sulla costi­ tuzione ultima delle cose 50• In questo periodo la posizione degli epistemologi bri­ tannici lasciava quindi spazio a congetture sui meccanismi dell'un iverso o sul funzionamento di certi agenti causali che implicavano considerazioni complesse e non ultimati­ ve sull'accettabilità di ipote s i o teorie. È anzi possibile - come ha fatto Laudan - ricostruire nelle loro metodo­ logie la presenza di alcuni criteri di valutazione della pro­ babilità delle ipo tesi , i qu ali pur non traendo origine dal­ la teoria matematica delle probabilità , precosti t ui vano le condizioni minime di adeguatezza per tentativi ulteriori _

    48

    Cfr. L.L. Lauda n , Towards a Reassessmenl o/ Comte's '' Méthode in « Philosophy of Science » , XXXVIII (197 1 ) , pp. 35-53. 49 Si veda ad esempio, per quanto riguarda l'ottica, G. Cantor, The

    positive » ,

    Reception of the \\7ave Theory of Light in Britain: A Case Study i/lustrating tbe Role o/ Methodology in Scienti/ìc Debate, in « Historical Studies in the Physical Sciences », VI ( 1 975 ) , pp. 109- 1 3 2 . so È l'interpretazione suggerita, fra gli altri, da J_W_ Herivcl, Aspects of French Theoretical Physics in the Nineteenth DJntury, in « The Bri­

    tish Journal for the History of Science >> , III ( 1 966) , pp. 109-132; e R. Kargon, iiiiodel and Analogy in Victorian Science: Maxwell's Critique of the French Physicists, in « Journal of the History of Ideas », XXX ( 1969 ) , pp . 423-436.

    298

    di fondare una logica induttiva probabilistica 5 1 • Questi criteri piu o meno impliciti di selezione delle ipotesi diversamente interpretati dai singoli autori - davano adi­ to a notevoli varianti nella concezione generale del pro­ gresso della scienza verso la verità : alcuni (Herschel e Whewell soprattutto) ritenevano che questo tipo di dina­ mica dipendesse essenzialmente dalla crescente conferma che le ipotesi potevano trovare, altri che derivasse dalla critica e dalla loro eventuale confutazione, altri ancora (Mill, in particolare) dall'esclusione di quelle false all'in­ terno di un numero che si supponeva finito di casi possibi­ li 52. Accanto a questi aspetti innovativi nel loro pensiero restavano tuttavia presenti non pochi elementi dell'eredi­ tà metodologica del passato . Basterà ricordare il fatto che tutti , in misura maggiore o minore, continuavano a pensa­ re di avere proposto dei procedimenti induttivi - i noti metodi per Herschel e Mill, la concordanza delle induzio­ ni per Whewell - in grado di produrre conclusioni indtt­ bitabil i ; oppure si rifletta sulla perdurante influenza che il determinismo meccanicistico esercitava, nonostante cer­ te svolte venissero chiaramente riconosciute. Non a caso Herschel e Whewell, pur svincolandosi da una metodolo­ gia newtoniana strettamente intesa, conferiscono alle leg­ gi newtoniane del moto uno status epistemologico presso­ ché equivalente a quello delle proposizioni matematiche e 5 ! Riassumendoli brevemente, i requisiti che Laudan ricostruisce sono i seguenti : l) la probabilità di un'ipotesi non confutata sta fra gli estremi dell'impossibilità e della certezza; 2) la probabilità di un'ipotesi aumenta sia pure non uniformemente - con l 'addizionarsi dei casi che la confermano ; 3) la previsione di un fenomeno inatteso contribuisce ad aumentare la probabilità di un'ipotesi in misura maggiore della previsione di un fenomeno non sorprendente; 4) la prob�bilità di una generalizza­ zione empirica diverge da quella di una teoria scientifica, se l'evidenza su cui si fondano è confrontabile. Cfr. L.L. Laudan, Induction and Probabi­ lity in the Nineteentb Century, in Logic, Methodology and Philosopby of Science , IV, a cura di P. Suppes e altri, Amsterdam, 1973, p. 4 3 1 . 52 Si veda, dello stesso Laudan, Peirce and the Trivialization o f the s elf-correcting Tbesis, in Foundations of Scientific Method: the Nineteen­ th Century, cit., pp. 285-286. -

    299

    un ambito di applic azione estremamente ampio , se pure non esclusivo 53; d 'al tronde Mill, meno convinto di Com­ te dell'inalterabilità delle leggi della dinamica sociale, e a p erto alle influenze romantiche nel tentativo di concilia­ re libertà e determinismo, resta comun que metodologica­ mente legato a una sorta di modello di astronomia socia­ le 54. Ma la conferma piu precisa della diffidenza o del ri tard o intellettuale cui si accennava riguardo all'uso di certi strumenti, si ha analizzando il ruolo che la probabili­ tà matematica assume nelle concezi oni epistemologiche che stiamo esaminando. Abbiamo già commentato l 'aspro rifiuto c om tiano di attribuirle una qualsias i funzione posi­ tiva nell'ambito delle scienze naturali e sociali; mentre, come abbiamo visto, Cournot, che aveva posto le premes­ se di un'analisi originale e articolata dell'intreccio fra de­ termini sm o e probabilità, era rimasto isolato. Per quanto concerne Whewell, se si s fo g l i ano le sue opere alla ricer­ ca di riferimenti degni di nota a temi di questo genere, si resterà delusi, eccezion fatta per i l suo riconoscimento dei metodi delle medie e dei minimi quadrati q u al i proce­ dimenti induttivi utili a fissare i valori corretti delle osser­ vazioni .

    Nell'atteggiamento di Mill è invece possibile riscontra­ re qualche oscillazione significativa riguardo ai fondamen­ ti stessi della probabilità matematica. Nella prima edizio­ ne del System of Logic egli rivolgeva un deciso attacco alla posizione laplaciana che basava il concetto di equipos­ sibilità dei casi sul principio di ragione non sufficiente, sostituendovi la nozione, di stampo ch i aramente empiristi­ co, di uguale frequenza in una lunga serie di prove. Però nelle edizioni successive Mill - accettando il punto di vista di Herschel 5 5 - accogli ev a nella sostanza la conce53 Cfr. D . B . Wilson, Herschel and Whewell's Versio11 of Newtonia­ nism, in « Journal of the History of Ideas », XXXV ( 1 974 ) , pp. 79-95. 5 4 Come sostiene A. Ryan, op. cit. , cap. X. 55 Espresso in una lettera scritta allo stesso Mill il 22 dicembre 1845 ; in seguito allo scambio epis tolare con Herschel , i\-1ill cambiò in maniera

    300

    zione laplaciana della probabilità come grado di fondatez­ za razionale della nostra credenza nel verificarsi di un evento, anche se poneva alcune qualificazioni limitative all'uso del teorema di Bayes) respingendo come scandalo­ se certe applicazioni aprioristiche del calcolo, in particola­ re alla questione delle testimonianze e dei verdetti delle giurie nei tribunali. Inoltre egli includeva fra le generaliz­ zazioni induttive non soltanto verità universali ma anche proposizioni del t ipo « la maggior parte degli A sono B », cioè generalizzazioni approssimate, leggi statistiche in forma non quantificata. Tuttavia, se al livello della vita pratica la loro funzione risultava insostituibile, per il ricercatore scientifico esse assumevano nella visione di Mill il ruolo di una postazione a metà strada verso la meta ultima costituita da leggi universali, ineccepibili. L'autonomia delle leggi statistiche - che pure otteneva­ no un importante riconoscimento - andava cosi perduta, in quanto Mill, diversamente da Quetelet, riteneva che neppure nelle scienze sociali la statistica potesse andare oltre la fase preparatoria alla scoperta di leggi scientifi­ che in senso proprio. Di Herschel abbiamo già piu volte parlato come di un autorevole punto di riferimento per numerosi autori; dobbiamo aggiungere che anche sulla questione della pro­ babilità dimostrò di essere un metodologo al passo con i tempi . Mentre nel Preliminary Discourse, a parte un bre­ ve excursus sugli errori di osservazione, mancava qualsia­ si cenno alla probabilità matematica, nella recensione a Quetelet che abbiamo ripetutamente citato la probabilità entrava a pieno titolo a far parte degli strumenti della metodologia scientifica, ma la sua funzione manteneva una significativa ambiguità. All'ammissione del carattere non rigorosamente conclusivo dei singoli ragionamenti in­ duttivi faceva infatti riscontro il presupposto della conti­ nuità della natura, fondato su considerazioni tutto sommail contenuto del cap. li..'VIII del libro Earlier Letters of ]ofm Stuart Mill 1812-1848, consistente

    System: cfr. The di F.E. Mineka, 1963 , pp . 688-689.

    III del a cura

    (vol. XIII dei Collected Works), Toronto-London,

    301

    to psicologistiche. All'esclusione di ogni forma di causali­ tà metafisica dall'ambito del calcolo delle probabilità si collegava la proposta di una nozione ad esso adeguata, quella di causa formale, intesa come occasione per il verifi­ carsi piu o meno frequente di un risultato; ma nel contem­ po il termine « pr obabili tà » continuava a essere interpre­ tato d a Herschel in riferimento alla nostra ignoranza del­ le cause efficienti da cui gli eventi necessariamente dip en­ derebbero. Inoltre, d'accordo con Quetelet, egli riconob­ be l 'importanza della distinzione fra mean e average e i n sieme vide nella distribuzione normale un mezzo per individuare il « tipo », elemento di stabilità naturale e sociale. Nei confronti della filosofia induttiva la teoria delle pr obabili t à , senza investirne i presupposti fondamen­ tali , assumeva cosf un ruolo pratico-ausiliario prestandole tutti i mezzi tecnici utili ai fini della scoperta di cause p ermanenti o di tendenze indicative della loro azione. Il quadro non è ancora completo se non si tiene con­ to del fatto che, di fronte all'esitazione dei metodologi ad ammettere per la probabilità matematica un ruolo non esclusivamente ausiliario rispetto ai procedimenti indutti­ vi, fu un logico, De Morgan, a considerare, fin dagli anni trenta 56, le tecniche matematiche della probabilità inver­ sa come il nucleo fondamentale dell'intera metodologia induttiva, antici p an do cosf tentativi analoghi messi in atto sistematicamente nella seconda metà del secolo . Il teore­ ma di Bayes e la regola di successione consentivano infat­ ti , secondo De Morgan, di misurare sia il nostro « convin­ cimento p arzi ale » circa la validità relativa di un'ipotesi, sia la probabilità di una causa rispetto ad altre , sia quella del verificarsi del prossimo evento. Le tecniche probabili­ stiche 1aplaciane non si arrestavano piu di fronte alla me56 Di De Morgan vanno citati in particolare l'articolo Theories o/ Probabilities, in Encycloptledia Metropolitana, London, 1817-1845, e An Essay atl Probabilities, London, 1838. Sui rapporti fra probabilità e induzione in questo periodo è da leggere anche J.V. Strong, The Infinite Ballo! Box of Nature: De Morgall, Boole and ]evons on Probabili!)', in PSA 1976, a cura di F. Suppe c P.D. Asquith, East Lansing (Michigan),

    1976, pp. 197-211.

    302

    todologia induttiva, tradizionale o rinnovata, che tendeva a relegarle in un secondo piano; ma il prezzo da pagare in termini di semplificazioni eccessive, quali l'arbitraria assegnazione delle probabilità a priori, era molto forte. La scarsità delle adesioni raccolte, almeno in una fase iniziale, dal programma di riduzione dell'induzione alla probabilità matematica non fu dovuta esclusivamente alle resistenze intellettuali di cui si è parlato; critiche severe furono infatti rivolte a quel progetto non solo da Mill ma anche da Boole. Questi, pur concependo non diversa­ mente da De Morgan, la probabilità come relazione logi­ ca fra ipotesi ed evidenza, sostenne che l'uso indiscrimina­ to del principio d'indifferenza, basato com'era sul postula­ to dell'uguale distribuzione dell'ignoranza, portava a risul­ tati contraddittori, e negò l'efficacia dell'analogia fra l'e­ su·azione a sorte da un'urna e la scelta fra ipotetiche leggi causali 57• Ex nihilo nihil fu anche la parola d'ordi­ ne dei primi frequentisti, come R.L. Ellis: radicalmente contrari all'apriorismo laplaciano essi fornirono i primi elementi di una concezione che, grazie all'opera di Venn, si trasformò nella seconda metà del secolo in una teoria della probabilità pienamente sviluppata e alternativa a quella di Laplace 58. L a storia dei rapporti fra probabili tà e induzione in questo periodo presenta quindi un andamento tutt'altro che lineare . Proprio nel momento in cui le tecniche della probabilità inversa cominciavano a essere ammesse nel campo della metodologia induttiva, le loro condizioni spe­ cifiche di applicabilità venivano poste in discussione. L'o­ scillazione presente in Laplace fra una concezione dell'in­ duzione svincolata dalla probabilità matematica e l'accogli­ mento di procedimenti induttivi matematico-probabilistici aveva dato luogo a vari tentativi di soluzione. Molti aveva57 Si veda il cap. XX di G . BooJe, An Investigation oj tbe Lmvs of Thougbt, London, 1854. 58 Di Ellis ricordiamo qui soltanto On tbe Foundations of the Theory of Probabilities, in « Transactions of the Cambridge Philosophical So­ ciety »,VIII (1843), pp. 1-6. Per Venn rinviamo a The Logico/ Chance, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1866.

    303

    no perpetuato, rinnovandola, l'ambiguità dell'impostazio­ ne laplaciana, per affidare a quei metodi un esplicito ruolo ausiliario; altri avevano superato ritardi e diffiden­ ze, appiattendo però la questione esclusivamente sul pia­ no della probabilità inversa e trascurando la complessità dei problemi investiti . Per quanto ancora legati, in misura diversa, al paradig.­ ma epistemologico laplaciano , Maxwell e Quetelet aveva­ no legittimato definitivamente l'uso della probabilità e del­ la statistica nella meccanica e nelle scienze sociali. Con l'avvento del frequentismo e la prevalenza dell'interpreta­ zione oggettiva, empiristicamente fondata, del concetto di probabilità, lo specifico e resistente nesso che Laplace aveva instaurato fra determinismo e probabilità, già forte­ mente scosso, venne totaLnente spezzato . Non ne scatud la fine del determinismo, processo molto piu complesso e ancor oggi controverso, cos{ come, d'altronde, il riconosci­ mento progressivo dei rapporti sussistenti fra probabilità matematica e induzione non comportò l 'esclusione di pro­ cedimenti induttivi extraprobabilistici neppure da parte dei sostenitori piu agguerriti di tali rapporti. Tra i filoso­ fi un pensatore isolato, Cournot, pur con i limiti ricorda­ ti, aveva forse intravisto la soluzione piu o rigina le a qu e ­ sto intrico di problemi; mentre nella seconda metà del secolo fu Peirce, ancor meno vincolato all'eredità laplacia­ na, a fornire un'analisi adeguata al loro livello di comples­ sità 59•

    59 In questo lavoro abbiamo deliberatamente escluso ogni riferimento all'ambiente filosofico tedesco. Va però ricordato che, piu o meno contemporaneamente a Cournot, alcuni autol'i del filone kantiano non idealista (Fries, Drobisch, Apdt) propongono una distinzione fra probabi­ lità filosofica e probabilità matematica che presenta significative analogie con quella suggerita dal fllosofo francese. D'altro canto la loro concczio· ne dell'induzione come processo basato su presupposti che funzionano da «massime guida >> dimostra un'adesione, pur critica, all'impostazione kantiana, che non si ritrova negli stessi termini in Cournot e neppure in Whewell,

    304

    WALTER TEGA CLASSIFICAZIONI ARTIFICIALI E CLASSIFICAZIONE NATURALE DA D'ALEMBERT AD AMPÈRE

    l. Con la pubblicazione del primo tomo de ll 'Ess ai sur la Philosophie d es Sciences ( 1834) Amp ère concludeva

    una ricerca che durava ormai da oltre trent'anni avanzan­ do la proposta di una classificazione naturale delle scien­ ze. Qualche anno prima, nel 1830, Auguste Comte, nel primo tomo del Cours de Philosophie Positive, aveva di­ chi arato , a sua volta, di voler fondare una classificazione del sapere « sulla n atura delle cose e dell'intelligenza uma­ na » 1• I ndu bbiamen te il fatto che i due filosofi fossero giunti a con cl usioni simili, senza avere avuto la possibilità di m et t ere a confronto il risultato delle rispettive ricer­ che, attribuiva un signific a to ancora piu profondo alle analogie e alle coincidenze ch e era dato cogliere fra i due sistemi. E le coincidenze non riguardavano solo la pars destruens: di comune fra i due sistemi non vi era solo l'idolo polemico, cioè le classificazioni di tipo artificiale, la cui fallaCia princ ipale consisteva nel fatto che esse pote­ vano es se re tante quanti erano i principi posti a loro fondamento; vi era anche il progetto di fondare la classifi­ zione naturale dell'universo delle scienze la quale per con­ tro « è una e una sola». La matutazione pressoché simul­ tanea dei due complessi siste m i del mondo, le loro analo­ gie, apparivano come il segno inequivocabile del ripropor­ si, certamente in forme nuove, di una linea di tendenza propria di tutta la filosofia moderna, costituita da una forte sollecitazione a dominare la crescita impetuosa dei li­ vell i della con os cenza scientifica la quale si esprimeva an­ che attraverso l ' esigenza di inventariarne e di classificarne i l A.

    Comte, Cours de Philosophie Positive,

    wme

    I, Paris,

    1830.

    3 05

    risultati. Da questo punto di vista il Système figw·é der connaissances humaines ( 1 7 51), premesso all'Encyclo pé­ die e che teneva dietro tanto al progetto baconiano quan­

    to all'utopia lelbniziana, rappresentava per la cultura scien­ tifica e storica del primo Ottocento, e quindi anche per Ampère e per Comte, il punto di riferimento piu alto raggiunto dalla tecnica classificatoria e, insieme, la sintesi che meglio d'ogni altra evidenziava il ritardo che l'ars inventariandi aveva accumulato rispetto aii'ars invenien­

    di.

    Tanto ad Ampère quanto a Comte, come si vedrà in seguito, sembrava però sfuggire che il ritardo obiettivo, del resto apertamente dichiarato dagli autori del Système figuré, non aveva rappresentato un freno per la ricerca; la stessa sistemazione delle scienze, ispirata all'esigenza di ridisegnare in modo esaustivo lo spazio del sapere, di ricomprenderne tutte le conquiste che si succedevano or.­ mai con ritmo incalzante, finiva certamente per arricchire l'edificio di contributi nuovi che non solo ampliavano le dimensioni stesse dell'inventario, ma vi introducevano an­ che moduli di conoscenza scientifica e criteri di classifica­ zione tali da renderlo sostanzialmente diverso rispetto al­ le sistemazioni precedenti alle quali peraltro rimaneva am­ piamente legato. Nella seconda metà del secolo questa sistemazione non rigida del sapere si arricchiva di contri­ buti fondamentali: « Condorcet rende popolare l'idea di progresso », i savants e i philosophes , « sol­ tanto dopo un lungo uso dei primi segni perfezionammo l'arte di questi stessi fino a farne una scienza; finalmente soltanto dopo una lunga serie di operazioni sugli oggetti delle nostre idee abbiamo, con la riflessione, imposto rego­ le a queste medesime operazioni >> 14• La natura, sosteneva d'Alembert, è composta di indivi­ dui, sono questi i primi oggetti di conoscenza che ci forniscono tutti gli elementi che servono a paragonarli e dunque a distinguerli . Le classi sotto le quali li ricompren­ diamo sono costituite da quegli elementi e da quelle pro­ prietà designate con termini astratti. Ma un oggetto pre­ senta sempre piu proprietà e soprattutto può essere osser­ vato da molteplici punti di vista e pertanto può essere ricompreso ad un tempo sotto classi diverse. Questo è quell'ordine naturale che d'Alembert sottolineava essere altra cosa rispetto all'ordine enciclopedico il quale consiste­ va nel « raccogliere entro il minimo spazio possibile e nel collocare il filosofo, per cosi dire al di sopra di questo vas to labirinto, in un punto di osservazione assai elevato donde egli possa abbracciare tutte insieme le principali arti e scienze » 1 5• Le r affigurazioni cartografiche che ne risultavano erano destinate a cambiare a seconda delle prospettive scelte dal cartografo e dunque a d' Alembert appariva già chiaro quan-

    14 ]. D'Alembert, Discourr PrèlimiiMire, trad. it. in Enciclopedia o Dixio•tario Ragionato delle Scienze, delle Arti e dei Mertieri, ordinato da Didero! e d'Aiembert, a cura di P. Casini, Bari, 1968, p. 37. ts Ibidem, p. 38.

    3 12

    to Ampère doveva rilevare poi, e cioè che « si possono ave­ re o meglio immaginare tanti diversi sistemi della conoscen, za umana quanti sono i mappamondi che si possono costrui­ re secondo differenti proiezioni; e ciascuno di tali sistemi potrà avere perfino, ad esclusione di altri, qualche partico­ lare vantaggio» 16• Lo spazio dell' arbitrio in questa sistemazione era am­ pio e toccava all 'uomo di scienza per un verso ridurlo, per l'altro saper trovare punti di unità e di convergenza fra i diversi sistemi originati dalle osservazioni della real­ tà effettuate secondo differenti posizioni. Indubbiamente sarebbe stato preferibile un assetto, una sistemazione se­ condo la quale « gli oggetti si susseguissero sulla base di quelle insensibili sfumature che servono ad un tempo a distinguerli e a unirli » 17• Ma qui per d'Alembert occor­ re riconoscere in primo luogo che il cosiddetto sistema generale delle scienze e delle arti altro non è che un filo per percorrere il labirinto entro il quale l'uomo si avventu­ ra spinto dai suoi bisogni. I n secondo luogo la strada che porta alla conoscenza dell'origine delle idee è tortuosa, contraddittoria, piena di rotture e di discontinuità. In ter­ zo luogo le scienze che all'interno di un sistema assolvo­ no il ruolo di principi e che nell'ordine enciclopedico occupano i primi posti, non sono state inventate per pri­ me. Da ultimo gli esseri a noi noti sono troppo pochi, non riusciamo a prendere nota di tutte queste sfumature e « l 'universo non è che un vasto oceano sulla cui superfi­ cie distinguiamo alcune isole piu o meno grandi mentre i loro nessi con il continente ci sfuggono» 18• Ampère dun­ que sembrava non cogliere l ' esigenza presente nell'impre­ sa enciclopedista di mettere in rapporto la conoscenza individuale e quella astratta della natura e comunque di considerare l' albero enciclopedico come una trama destina­ ta a tenere legate le poche conoscenze che abbiamo; o una bussola per muoverei in un grande oceano dì cui ci è 16

    17 18

    I bidem, Ibidem, Ibidem,

    pp. 38-39. p. 39. p. 40.

    313

    noto solo qualche arcipelago; un sistema destinato a subi­ re variazioni non solo relativamente al variare del punto di osservazione, ma anche al mutare e all'accrescersi della conoscenza degli individui. E da questo punto di vista le stesse categorie di unità e di distinzione, di rapporto e di analogia, assumevano significato diverso a seconda che si collocassero entro l'ordine naturale o entro l 'ordine enci­ clopedico che le faceva fungere da elementi di raccordo fra conoscenze frammentarie , anche assai lontane tra di loro. In Ampère dominava l'esigenza di chiudere invece questo scarto, di fare coincidere in modo ferreo un ordi­ ne naturale compiutamente descritto e un ordine enciclope­ dico esaustivo non solo d'ogni spazio conosciuto ma an­ che di ogni punto di osservazione; di qui la sottovalutazio­ ne della perizia di quell 'esperto car tografo che era d' Alem­ bert; certamente le coordinate generali del Système figu­ ré restavano quelle baconiane, ma il mappamondo d'alem­ bertiano era costruito secondo una differente proiezione che teneva conto di quanto era nel frattempo maturato entro l'ambito del sapere scientifico. Intendo dire che Ampère non si era concentrato sui punti di rottura o solo di novità che questo mappamondo presentava, non aveva colto che le novità e le rotture ivi contenute non erano solo il frutto dell'immaginazione scientifica, ma della cate­ na di analogie e di rapporti nuovi che il procedere della conoscenza aveva posto tra il continente, le isole esistenti e quelle recentemente scoperte. Diderot e d' Alembert ave­ vano adottato lo schema baconiano perché tra quelli esco­ gitati era il piu v icino all'ordine naturale, ma vi avevano introdotto modificazioni di ordine sostanziale. L'ordine delle facoltà, ad esempio, era rovesciato in un punto cardi­ ne : l'immaginazione non occupava piu il luogo centrale che aveva nell'albero del De Augmentis, ma veniva posposta alla ragione che dunque assolveva una funzione di cernie­ ra, di congiunzione tra memoria e immaginazione. La nuo­ va disposizione sembrava a Diderot e a d'Alembert mag­ giormente conforme al progresso naturale che si osserva nell'attività dello spirito. « Se anteponiamo la ragione al314

    l'immaginazione quest'ordine ci appare ben fondato e con­ forme al naturale progresso delle operazioni dello spirito: l'immaginazione è una facoltà creatrice, e lo spirito, pri­ ma di creare comincia col ragion are su quanto vede e conosce 1> t9• Procedere per immagini, aggiungeva d'Alem­ bert, vuoi dire congiungere i dati della storia e quelli della ragione: la ragione conduce in qualche modo all'immaginazione: tali operazioni infatti consistono nella creazione, per cosf dire, di esse­ ri generali i quali, una volta separati per astrazione dal loro sogget­ to, non rientrano piu nell'immediato dominio dei nostri sensi. Di tu t te le scienze, quelle che competono alla ragione, alla metafisica e alla geometria sono dunque quelle nelle quali l'immaginazione ha maggior parte. Chiedo scusa agli spiriti brillanti che amano denigrare la geometria; certo non si credevano tanto prossimi alla geometria, dalla quale forse soltanto la metafisica li tiene lontani. L'immaginazione in un geometra che crea, non è meno attiva di quanto lo sia in un poeta che inventa. È vero che essi operano in modo diverso sopra il loro oggetto: il primo lo sfoglia e analizza, il secondo compone e abbellisce. È anche vero che questo diverso modo di operare è da attribuirsi alla diversità delle indoli indivi­ duali; forse perciò i talenti del grande poeta e del grande geometra non si troveranno mai uniti 20• ·

    Ma le novità sostanziali rispetto all'albero baconiano si trovano, come è facile pensare, nell'ambito della filoso­ fia d ell a natura che non solo registrava e inventariava, sempre secondo i presupposti enunciati da d' Alernbert, gli avanzamenti, le scoperte, le acquisizioni delle scienze, ma colmava la lacuna piu grave dello schema baconiano, quella relativa alle matematiche. Ma dopo quanto abbiamo detto si può concludere sem­ plicis ticamente che ad Ampère sfuggiva del tutto l'intrec­ cio di p roblemi e lo sforzo teso a ridurre la distanza tra ordine naturale e ordine encicloped ico presente in Dide­ rot e d' Alembert? Sf u ggiva l'insieme dei camb i amen t i in­ tro do tti nell'albero e nciclopedico che mantenevano quella classificazione nel solco della tradizione baconiana ma la 19 20

    Ibidem,

    Ibidem,

    pp. pp.

    41-42. 42-43.

    3 15

    rendevano infinitamente piu efficace? Sfuggiva infine che d'Alembert, di fatto , anticipava le sue conclusioni quan­ do distingueva una classificazione naturale che descrive l e scienze relativamente a l loro oggetto, da una classificazio­ ne enciclopedica che non è necessariamente legata « all'og­ getto delle scienze e che lo spirito che le costruisce e le pensa può essere, in virtu della sua differenziazione natu­ rale e innata, un principio di classificazione naturale e maneggevole? » 21• Ad Ampère che era stato un lettore precoce e attento dell'Encyclopédie, che ne conosceva a m ena d ito , a memo­ ria dicono le biografie, interi volumi, potevano sfuggire queste implicazioni? Se è legittimo dubitarne, allora que­ sta lettura semplificata del Discours Prèliminaire, questo schiacciamento dell'Encyclopédie verso l 'opera baconiana a quali esigenze obbediva? A una presa di dis t anze nei confronti della cultura illuministica o ancor piu precisa­ mente nei confronti di una linea di riflessione filosofica e scientifica che da Bacone giungeva fino ai tempi suoi e che aveva tenuto in subordine i temi proposti da Cartesio per un verso e dai naturalisti per l'altro ? O piu semplice­ mente, come si accennava, a un artificio retorico destinato a sottolineare con maggiore forza gli elementi di novità con­ tenuti nel suo progetto di classificazione naturale ? I due ul­ timi argomenti meriterebbero di essere sviluppati a prefe­ renza degli altri in quanto mi sembrano quelli maggiormen­ te col legati al lento e mai interrotto processo di formazione e di elaborazione che caratterizza la riflessione filosofica di A mpère . Ma fin da ora va detto che al di là di considera­ zioni estemporanee, il rappo r to di Ampère con la cultura filosofica settecentesca e in particolare con quella gnoseo­ logica e scientifica, è stato sempre di fondamentale impor­ tanza, anche se certamente le fasi della sua complessa matu­ razione intellettuale lo faranno ritrovare, specie dopo gli anni '20, su posizioni assai distanti rispetto a quelle di 21

    316

    Ibidem,

    p. 41.

    d'Alembert, di Didero t e piu in generale della filosofia dei lumi 22• La formazione di Ampère è intrinsecamente lega ta al­ la cultura illuministica. I tomi dell'Encyclopédie e la Mé· chanique Analitique di Lagrange sono già parte integran­ te del suo patrimonio di conoscenze quando la stessa collocazione poli tica della sua fam iglia lo mette· in rappor­ to con le idee rivoluzionarie e con gli eventi dei quali il padre sarà protagonista prima, e vittima innocente poi. Da questa esperienza tragica, come molti hanno soste· mito, uscirono profondamente scosse anche le sue convi n­ zioni filosofiche? Indubbiamente Ampère si fece piu sensi­ bile ai fermenti culturali del milieu lionese nel quale si av­ vertivano ancora le idee illuministiche portate da Claude de Saint Martin (che soggiornò nella città dal '7 3 al '7 6 e vi fece ritorno tra 1'85 e 1'86) e, piu forte nei primi anni del nuovo secolo, si faceva sentire l'influenza della tradi­ zione ca t tol i ca . Proprio in quegli anni insieme a Ballanche e a Bredin, Ampère dava vita alla Société Chrétienne sulla quale, se dobbiamo prestare fede ·a Valson, es erci tò qualche incidenza anche il pensiero di De Maistre oltre a quello eli Chateaubriand 23. Ma la Société non durò piu di un anno e si sciolse quando Ampère fu chiamato a Parigi per svol· gervi le funzioni di ripetitore di analisi alla Scuola Politec­ nlca . L 'ambiente parigino consenti ad Ampère di rinsaldare subito i vincoli con i temi caratteristici della sua formazio­ ne culturale, con conoscenze e tendenze acquisite negli anni 22 Sulla formazione di Ampère si pos�ono vedere: L. De Launay, Co!'respondance du Grand Ampère, Paris, 1836; C.A. Sainte-Beuve, A.M. Ampère, in « Revue dcs Deux Mondcs », 1837; E. Littre, Ampè­ !'e et l'electwmagnetisme, in « Revuc des Deux Mondes », 1837 (lo scritto di Sainte·Beuve insieme a quello di Littre sono stati in seguito riprodotti in apertura del secondo tomo dell'Essai sur la Philos ophie des Scir:nces, pubblicato nel 1843, dopo la morte di Ampère, e curato dal figlio Jean-Jacques); l Barthelemy Saind·Iilaire, La Philosopbie des Deux Ampère, Paris, 1866; C.A. Valson, La vie et !es tml!aux de A.M. Ampère (1775-1836), Lyon, 1886. 23 Sul milieu lionese c sui rapporti che Ampère vi intrattenne anche dopo la sua partenza per Parig i v.: l Buche, L'École Mistyque de Lyon, Paris-Lyon, 1935.

    317

    dello studio e della formazione, e nel contempo apriva una fase particolarmente feconda della riflessione in ordine ai fatti psicologici durante la quale si avvicinò progressivamen­ te al gruppo di Auteil il cui esponente piu in vista era anco­ ra il vecchio Cabanis e i cui ingegni piu vivaci erano De Tracy e De Gerando, al quale andava senz'altro, in quel mo­ mento, la sua preferenza. Ma Auteil non era solo il luogo e lo stimolo per una riflessione approfondita sui temi della psicologia e della gnoseologia degli idéologues; qui farà conoscenza e stringerà amicizia con Maine de Biran al quale resterà legato da una fitta corrispondenza sui grandi temi gnoseologici e metafisici che noi qui seguiremo solo relati­ vamente al problema della clàssificazione dei fatti psicolo­ gici. E del resto questi rapporti, questi concreti legami con la filosofia degli idéologues, con la cultura illuministi­ ca, prendevano corpo e si definivano già intorno all'805 quando Ampère andava componendo un Mémoire , rima­ sto inedito fino a quando nel 1 866 Barthelemy de Saint­ Hilaire non lo diede alle stampe, destinato ad avere un grande rilievo nella maturazione delle sue convinzioni filo­ sofiche e dedicato all'analisi del pensiero e delle facoltà intellettuali e morali dell'uomo 24• In quelle pagine si pos­ sono leggere già assai chiaramente e la presa di dis tanze rispetto alle posizioni lockiane e condillachiane, e l'adesio­ ne, non priva di riserve, alle nuove pwposte gnoseologiche ed etiche di De Gerando, di De Tracy, e ancora l' attenzio24 I Fragments del lvfémoire de l'An XII sono stati resi noti per la prima volta in forma completa e sistematica da J. Barthclemy Sai nt-Hi­ laire nel 1866. La composizione del Mémoire si colloca fra il 1803 e il 180 6 . Sono gli anni nei quali A mpère comincia la sua attività di professore all'Ecole Polytechnique (vi è chiamato nel1'804 in qualità di ripetitore di analisi matematica) e frequenta con assiduità i filosofi di Auteil. Qu ando si stringe con vincoli di amicizia e di collaborazione con De Tracy, De Gerando e con il giovane Maine de Biran, aveva già iniziato la serie delle sue pubblicazioni matematiche ; nel 1802 aveva dato alle stampe le considerazioni sulla teoria matematica del gioco, nel 1803 la memoria sugli invarianti differenziali sulle curve e nel 1806 la dimostrazione del principio delle velocità virtuali. Naturalmente il peso di questa attività scientifica incideva sulla riflessione eminentemente gnoseologica contenuta nel Mémoire. Su questo scritto è indispensabile soffermarsi se si vogliono poi in tendere i passaggi successivi del pensie· ro di Ampère.

    318

    ne rivolta ad un lavoro del giovane Maine de Biran sull'a­ bitudine 2 5 • Non credo dunque si possa parlare d i distacco, di rottura con la tradizione illuministica, tanto piu che sul piano della ricerca fisica, nello studio dei fenomeni natura­ li, il legame di Ampère con Newton, d'Alembert, Lagran­ ge e Laplace restava altrettanto stretto di quello intratte­ nuto con la linea critica della filosofia degli idéologues 26• E del resto alla critica serrata al Système figuré e alla lettura facilior del programma degli enciclopedisti, in Am­ père faceva riscontro un interesse non privo di esagerazione per le classificazioni approntate dai naturalisti settecente­ schi, i quali, per primi, a suo avviso, avevano attinto un cer­ to grado di perfezione, anche perché gli oggetti da loro pre­ si in esame presentavano caratteri determinabili con suffi­ ciente esattezza . Bernard De Jussieu, D'Aubenton, Buffon, Linneo e da ultimo il suo contemporaneo Cuvier avevano mostrato la via da seguire anche se poi il loro lavoro aveva insistito su domini circoscritti, aveva centrato solo una par­ te degli oggetti, e talora li aveva studiati da un punto di vi­ sta particolare. Si trattava per Ampère di trasportare questi criteri , questi principi di analisi e di sintesi sul piano della classificazione generale : si può dire che nella classificazione di tutte le scienze umane,

    ii filosofo deve considerare le verità individuali come il naturali­

    sta considera le diverse specie di vegetali e di animali. Allo stesso modo suo, per classificare i corpi organizzati, comincia con il nunire in generi le specie piu vicine; raccoglie in seguito in una stessa famiglia i generi che presentano tra loro maggiori analogie ; r�ggruppa poi a loro volta tutte le famiglie in ordini, gli ordini in classi, queste in branche, le branche in regn i ; allo stesso modo i l filosofo deve formare successivamente, con le verità che vuole

    25 Si tratta dello scritto Influence de l'Habitude su,. la Faculté de Pensel' pubblicato nel 1802; notevole influenza doveva poi esercitare sul giovane Ampère anche il Mémoire sur la Decompositio11 de la Pensée composto da Biran nel 1 805. 2 6 Sul pensiero filosofico degli Idéologues v. : S. Moravia, Il Tramon­ to dell'Illuminismo, Bari, 1968; Le Scienze dell'Uomo nel '700, Bari, 1 972; Il pensiero degli I déo!ogues, Scierr:.a e Filosofia in Francia (1780-1814), Firenze, 1974. 319

    classificare, gruppi di diversi ordini. I gruppi in cui si trovano riuni­ te le verità che hanno tra di loro i rapporti piu intimi corrisponde­ rJnno ai generi del natu ralista e saranno le scienze dell'ultimo ordine. Esse si riuni ranno in scienze dell'ordine immediatamente precedente come i generi si riuniscono in famiglie. Da queste nnove scienze si formet·anno scienze piu estese che corrisponderan­ no agli ordini adottati in storia naturale e cosi di seguito fino a quando non si giunga a due grandi divisioni di verità che si possono pa ragonare al regno vegetale e al regno animale 27 .

    Come si è de tto, per Ampère i due principali criteri che caratterizzano una scienza e la distinguono da tutte le altre sono per un verso la natura dell'oggetto studiato, per l 'altro il punto di vista sotto il quale questo stesso oggetto viene considerato ; combinando questi due strumen­ ti di definizione e di classificazione si può sperare di trova­ re l'ordine nel quale gli oggetti si raccordano nel modo piu naturale e di riunirli in gruppi di diversi ordini sulla base delle loro vere analogie. « Le scienze sono fatte dall'uo­ mo per l'uomo , di qui la necessità di prestare at tenzione ai diversi punti di vista dei quali abbiamo parlato ed è per questo anche che vi sono due specie di caratteri in base ai quali si può riconoscere se una classificazione gene­ rale delle scienze umane è veramente naturale » 2 8 • Per quanto attiene al carattere del primo tipo, si riconoscerà che le scienze sono classificate nel modo giusto , quando i gruppi che si saranno formati con le ve dtà di cui esse si compongono corrisponderanno ai gruppi che si saranno formati con gli oggetti s tessi e ancora, quando l'ordine nel quale questi gruppi sono sistemati corrisponde all'ordi­ ne naturale degli oggetti. Ma, circa il secondo tipo di caratteri, sarà necessario che si trovino riunite in un me­ desimo gruppo le scienze di cui si occupano gli stessi uomini ; questa circostanza sta ad indicare che fra di loro vi è una analogia reale . Di qui la necessità che esse si dispongano secondo un ordine tale che chi volesse percor­ retne tutta la serie, le trovi collocate di seguito, le une 27

    28

    320

    A.M. Ampere, Essai, cit., Ibidem, pp. 12-13.

    pp.

    6-7.

    accanto alle altre, di modo che se gu endole in quest'ordi­ ne non vi sia mai bisogno di fare ricorso, per lo studio di una scienza, ad altre conoscenze oltre a quelle acquisite con lo studio delle scienze precedenti. Questo per Amp ère vole­

    v a dire dare inizio all'ordine naturale, cominciare dalle scienze che hanno una organizzazione piu semplice e proce­ dere via via con quelle piu co mples se ; una procedura diversa, non opposta ma combin ata, poteva essere adotta­ ta solo nel caso della classificazione naturale degli esseri organizzati.

    Mi accorsi allora come in ogni classificazione verament e natura­ le delle scienze, si doveva cominciare da quelle che ordinariamen­ te si riuniscono sotto il nome di matematiche perché queste scien­ ze comparativamente alle altre, si compongono di un piccolo nume­ ro di idee che derivano tutte dalle nozioni di grandezza, di esten­ sione, di mov i mento è di forza, e ancora per il fatto che le si possono studiare senza improntare nulla alle altre scienze 29

    E alle matematiche terranno dietro le scienze che si occupano delle proprietà inorganiche dei corpi e quindi tutte quelle che s t udi ano gli esseri viventi. A questo pun­ to e solo a questo, si colloca lo studio dell'uomo che ci scopre l'altra metà dell'universo delle conoscenze : quelle filosofiche morali e politiche. Questo studio deve venire dopo quello del mondo e della natura poiché come ci serviamo dell'occhio senza conoscere la sua stwttura e il modo in cui si produce la v i si one , allo stesso modo i l matematico, il fisico, il naturalista possono condursi nei lo ro lnvori, dallo studio filosofico delle facoltà che impiegano per misu­ rare l'universo, a osservare e a classificare i fatti relativi a tutti gli esseri che racchiude . Mentre è in una conoscenza almeno gene­ rale delle scienze matematiche fisiche e naturali che il filosofo troverà materiali per s tudiare le facoltà dell'intelligenza umana d i cui queste stesse scienze sono i l p rod o tto migliore 3°.

    Per Ampère si trattava a questo p unt o di passare a riunire i n gruppi sempre piu larghi le scienze del primo ordine, quelle relative al mondo naturale, alle quali dà il 29 lO

    Ibidem, pp. Ibidem, pp.

    14-15. 15-16.

    321

    nome di « scienze cosmologiche », e di quelle relative al pensiero umano, alle società, alle istituzioni alle quali dà il nome di « scienze noologiche », « ammettendo con i filosofi delle scuole piu distanti, da Descartes a Condil­ lac, che la parola pensiero ricomprende nella sua acce­ zione tutte le facoltà dell'intelletto e tutte quelle della volontà » 3 1 • L'approdo del 1 8 34, come si diceva, è prece­ duto da una lunga fase di ricerca e da molteplici tentativi di sistemazione del sapere. La ricerca procedeva per vie anche assai diverse e quando approdava al ptogetto com­ plessivo, lasciava leggere indubbiamente i termini della concezione filosofica generale sulla quale si fondava, ma lasciava anche scorgere con uguale chiarezza in che misu­ ra avessero contribuito a quella sistemazione sia la ricerca sul campo in fisica e nelle altre scienze della natura, sia la tenacia e il forte interesse con il quale Ampère si era applicato per oltre vent'anni alla definizione dei criteri sulla base dei quali classificare i fatti psicologici e quelii intellettuali. Si può dire anzi che la volontà di mettere ordine nello spazio del sapere, di classificare i fatti del dominio intellettuale, di azionare gli st rumenti stessi del­ la comprensione della natura, abbia preceduto il lavoro di sistemazione e di classificazione dei fatti naturali. Infat­ ti è solo nel periodo che prepara l'Essai, cioè a partire dalla fine degli anni '20 - come del resto Ampère stesso lascia intendere - che prende corpo e volto il progetto di classificazione generale delle scienze. 2.

    In appendice alla Prèface del primo tomo dell'Es­

    sai, Ampère riproponeva, con qualche modifica e corre­

    zione, il testo di una lezione tenuta al College de France e della quale il dottor Roulin aveva curato un estratto per il « Temps » del 22 luglio 1 8 3 3 . La lezione faceva per cosi dire il punto sul problema della classificazione dei fatti intellettuali al quale Ampère si era dedicato a partire dagli anni della stesura del Mémorie de l'An XII. 3!

    Ibidem, p. 28 . La Mémoire de

    ripresa dal

    322

    proposizione dell'Essai ( 1834) è interamente l'An XII.

    Su questo stesso argomento inoltre si era costruito il rapporto con i filosofi di Auteil e si era snodata una parte consistente della corrispondenza con Maine de Bi­ ra n . Giunto ormai in sede di bilancio , Ampère faceva notare che , relativamente all'a rgomento in questione , altra cosa è cl a ss i fica re gli oggetti stessi della nostra conoscen­ za come fanno i cbimici e i matematici, altra ancora classi­ ficare le c ono s cen z e , altra infine classificare i fatti intellet­ tuali e le facoltà dell'intelligenza umana . Nel pr imo caso infatti il posto centrale spetta alla natura degli oggetti; nel secondo occorre aggiungervi il punto di vista in base al quale, secondo le leggi della nostra intelligenza, gli oggetti possono essere considerati. L'ultimo caso, quello che interessa appunto esaminare piu da vicino, individua come essenziali questi pu nti di vista e fa riferimento alla na tur a degli oggetti solo in quanto questa consente all'in­ telligenza che la studia di mettere in evid enz a le diverse facoltà di cui dispone. Fenomeni e concezioni costituisco­ no e compongono il p ensiero umano il qu ale per Am pè re ripropone in ogni suo momento una distinzione tra sensi­ bilità e attività. Si deve in t endere infatti per fenomeno tanto tutto ciò che è perc epit o attraverso la sensibilità come ad esempio le sen sazion i, le immagini e le conctezio­ ni (fenomeni formati dalla riunione di una sensazione pre­ sente e di una immagine della stessa sensazione ricevuta anteriormente) , quanto quel che è p ercep ito attraverso la coscienza che abbiamo della nostra attività, come ad esem­ pio l'emestesi ( sentimento stesso di qu e s ta attività) , l 'au­ tomnestia (la traccia che ne conserva la memoria) e la personalità fenomenica che si configura come il piu com­ plesso tra i fenomeni in quanto deriva dall'unione di una em estesi attuale e dalle tr acce che la memoria ha conserva­ to delle eme stesi passate 32• Le c onc ezi on i le quali, secondo la definizione data da A mpè re in una lunga e importante lettera a Biran, « porta­ no la nostra mente al di là di tutto ciò che esiste, come le

    32 Ibidem, Note

    à

    la Préface. 323

    rappresentazioni l'hanno portata al di là del dominio del­ la sua sensibilità e della sua attività » 33, si distinguono a loro volta in concezioni rispettivamente indipendenti dal linguaggio, come quelle primitive e obiettive, e legate al linguaggio generale, come lo sono per l'appunto le conce­ zioni comparative od onomatiche e quelle esplicative. Le concezioni sono inseparabili dai fenomeni e proprio in quanto tali lasciano anch'esse campo alla distinzione tra sensibilità e attività. Le concezioni primitive che sono « le forme sotto le quali ci appaiono i fenomeni >) 34 g u a r­ dano alla sensibilità attraverso l'estensione e la mobilità, mentre si riferiscono ai fenomeni attivi relativamente alla durata e alla causalità. Le concezioni obiettive si riferiscono ai fenomeni sensitivi relativamente all'idea che abbiamo della materia e degli atomi che la compongono, mentre guardano ai fenomeni attivi per quel che attiene all'idea di sostanza « che muove il nostro corpo e nella quale risiedono il pensiero e la volontà » 35 • Le concezioni comparative od onomatiche (relative al­ le parole) a loro volta sono legate ai fenomeni sensitivi da quelle che si definiscono comunemente idee generali o meglio, come Ampère preferisce chiamarle, idee matemati­ che. I fenomeni attivi fanno invece leva su termini quali sentire, desiderare, giudicare che cercano dunque di coglie­ re ciò che vi è di comune negli stati o negli atti del pensiero ai quali si intende dare lo stesso nome. Sotto il dominio della riflessione, assunta qui nella piu pura accezione lockiana, vengono ricomprese le idee relative ai rapporti sociali, al bene, al male, al dovere, ecc. Infine, l'ultima specie di concezioni, quelle esplicati­ ve, consentono di risalire alle cause attraverso lo studio comparato dei fenomeni. Ma il furore distintivo e analogi­ co di Ampère andava oltre; una evidente analogia raccor­ da i fenomeni sensitivi e attivi da una parte e dall'altra i

    33 Lettera di Ampère a Mainc de Biran datata 1806 in Oeuvres de Maine de Biran, par. P. Tisserand, tome VII, Paris, 1930, p. 394. 3 { A.M. Ampère, Essai, cit. Note à la Préface, p. LII. 35 Ibidem.

    324

    due grandi oggetti della nostra conoscenza : il mondo e il pensiero rispettivamente, che poi per l 'intelletto non so­ no altro se non i punti di riferimento intorno ai quali si raccolgono i due grandi regni delle scienze cosmologiche e di quelle noologiche. E l 'analogia non è meno sorpren­ dente fra i quattro tipi di concezioni esaminati e i quat­ tro punti di vista che determinano le branche nelle quali ogni regno si suddivide. Il primo in effetti, abbracciando tutto ciò di cui acquisiamo immediatamente conoscenza, corrispondente alle concezioni pri­ mitive; al secondo, che si occupa· di ciò che è nascosto dietro que· ste apparenze, rispondono le nozioni obiettive in base alle quali concepiamo da una parte la materia che è come nascosta dietro alle sensazioni, dall'altra, la sostanza motrice che pensa e vuole e che è nascosta dietro i fenomeni relativi all'attività; il terzo è quello nel quale si comparano le proprietà dei corpi o i fatti intellettuali per stabilire leggi generali . . . ; infine il punto di vi­ s t a che riposa sulla dipendenza reciproca delle cause e degli ef­ fetti che è cosi l'oggetto delle concezioni esplicative 3 6 .

    La classificazione dei fatti intellettuali, la definizione fondata sulla natura delle concezioni è prioritaria rispet­ to a quella che dipende dalla natura dei loro oggetti. L'insieme dei fatti si raccoglie anche qui in quattro bran­ che nelle quali si intrecciano e si coniugano i fenomeni e le concezioni, di modo che la distinzione fondata sulla differenza esistente fra i fenomeni sensitivi e i fenomeni attivi, non deve essere usata che per suddividere ciascuna delle quattro grandi divisioni in due gruppi o sistemi di fatti intellettuali. In effetti i fenomeni della sensibilità e quelli dell'attività come le concezioni che s i rapporta· no agli uni e agli altri si sviluppano parallelamente con una azione e una reazione reciproche 3 7 .

    Le teorie concernenti la natura delle nostre facoltà intellettuali e morali sono ancora tanto imperfette - so­ stiene Ampère - in quanto l 'orientamento della metafisi­ ca che le ha studiate è stato costantemente sintetico. È 36 37

    Ibidem, Ibidem,

    p. LV. p. LVI.

    325

    necessario capovolgere questo procedimento e applicare al­ la teoria delle nostre facoltà non l'analisi matematica, ma piuttosto quella « che dipende dalla osservazione dei fatti e dalla concatenazione delle conoscenze ». Dunque pro­ prio sul finire della sintesi del '33, Ampère ribadiva il ruolo di preminenza che nel suo sistema assumeva il te­ ma del rapporto tra sistema sensitivo e sistema attivo, e ancora, quello tra conoscenza fenomenica e conoscenza nou­ menica. Per larga parte era una riproposizione, certo sem­ plificata ed emendata, dei sistemi classificatori che Ampè­ re aveva maturato nei primi anni del secolo sui quali è agevole cogliere l'incidenza che ha avuto l'intenso rappor­ to con l'idéologie rationelle, la fitta corrispondenza con Maine de Biran, la frequentazione assidua quanto poco chiarificatrice della Dissertatio del '70 e dalla Critica del­ la Ragion Pura . Nel 1807 infatti, durante un corso « a metà matematico, a metà meta fisico » 3 8 preparato per l'A­ teneo p arigino, Ampère tentava un primo abbozzo di clas­ sificazioni dei fenomeni relativi all'intelligenza umana fa­ cendo leva sulla psicologia che gli appariva come la scien­ za mediante la quale si rivelava possibile « esaminare e classificare i fenomeni che presenta l'intelligenza umana » in quanto cosentiva, secondo il sistema del naturalista, « di esaminare e di classificare gli oggetti esterni » 39• Que­ sto primo tentativo di cl as sific are i fatti psichici teneva die­ tro a una paziente ricognizione che Ampère aveva fatto intorno ai temi gnoseologici affrontati dagli idéologues, consegnati alle pagine del Mémoire de l'An XII al quale si è fatto già cenno . Nessuna sorpresa dunque se dopo questo lavoro di diligente compilazione scritto sotto l'in­ fluenza di De Tracy, di De Gerando e del giovane Maine de Biran, Ampète approdava a una classificazione dei fatti psichici che si fondava sulla distinzione delle facoltà umane in attiv e e passive . 36

    Lettel'a di Amphe a Maine de Biran, cit. in

    39 Ibidem. 326

    Oeuvres, cir.,

    p.

    384.

    L'uomo - dirà in una lunga l e t tera a Biran del 1807 agisce e cono sce . Di qui due classi di fenomeni, quelli che presen­ ta in quanto essere che agisce e q uelli che offre in quanto essere che conosce. Queste d u e classi di fenomeni non si sv iluppa no se non l\ma dall 'altra . . . ed è precisamente perché queste due classi di fenomeni dipendono reciprocamente l'una dall'altra e non posso· no svilupparsi se non simultaneamente che mi sembra impossibile, senza questa prima distinzione, c omprendere una classificazione conforme alla natura, i fenomeni che osserviamo nell'essere che ci si o ffr on o sotto due punti di vista cosf di vers i 40•

    Mentre il primo punto di vista consente di individua­ re e di classificare due ordini di fe nome ni e precisamente quelli che suscitano attrazione e repulsione (denominate determinazioni ) , e le modificazioni prodotte dal soggetto nel suo modo di essere, indipendentemente dal cambia­ mento di ci rcos t anze (denominate azioni ) . Il secondo pun­ to di vis ta, quello relativo al conoscere, mette capo per un verso a quelle che De Gerando chiamava idee, per l 'al­ tro alla coordinazione di queste stesse idee, cioè alle idee complesse. Dunque le determinazioni, le azioni, le idee e le coordinazioni, sono i quattro ord ini di fenomeni ai quali può essere ricondotto l'uomo considerato dal pu nto di vista psicologico ; e non solo ma questi ordini di feno­ meni per Ampère corrispondono alla divisione di diverse applicazioni della psico logia in quattro scienze: la morale che studia le nostre determinazioni e rettifica quelle che devono diventarlo; l'economia che ci insegna a dirigere le nostre azioni nel modo piu conveniente verso lo scopo che ci proponiamo; l'ideologia attraverso la quale esaminiamo le nostre! idee e il modo in cui le acquisiamo; la logica che si occupa dei mezzi atti a rendere le diverse coordinazioni di queste idee confor­ mi alla verità 4 1 .

    Biran non riserverà a questa proposta di classificazio· ne formulata da Ampère un'accoglienza positiva ; nel giudizio assai severo, espresso in una lettera dello stesso anno, ribadiva il suo rifiuto, che del resto Ampère aveva già avuto modo di registrare anche in precedenza, ad aro40 Ibidem, 4.1 Ibidem,

    p. 385. p. 386.

    327

    mettere ogni divisione tra conoscenza e azione, tra l 'at­ to del conoscere e la volontà 42• Certamente, sosteneva Biran , la divisione delle facoltà dell'uomo nel sistema dell'intelletto e in quello della volontà è stata autore­ volmente sostenuta; e tuttavia il suo modo di concepi­ re i fenomeni e di spiegare la genesi delle conoscenze, gli impediva di accettare questa divisione nel modo in cui di recente l'aveva riproposta Condillac e, dopo di lui, non pochi degli idéologues dai quali Ampère sembrava ispi­ rato. Biran manifestava la sua contrarietà all 'analyse gno­ seologica d'isp irazione condillachiana proposta da Ampè­ re, richiamandosi provocatoriamente a Locke. Definiva la volontà come « potenza di muovere e di agire » e la separava nettamente dal desiderio con il quale, viceversa a suo avviso, metafisici e sensisti la confondevano . Biran dichiarava ancora piu esplicitamente di ricomprendere sot­ to il termine volontà « questo insieme di movimenti, di azioni e di operazioni di cui l 'io dispone o che dipende da lui cominciare, sospendere, arrestare, in una parola tutto il sistema delle nostre facoltà attive e niente piu » 4 3 • Con ciò stesso escludeva dal sistema della volontà tutti quei fenomeni relativi alle affezioni e alle passioni che molti filosofi, soprattutto fra i sensisti, avevano ricompre­ so sotto il titolo di volontà distinguendola dall'intelletto. E del resto siccome Biran sosteneva che non vi è una idea intellettuale, una percezione distinta, una conoscenza propriamente detta « che non sia originariamente legata a un atto della volontà » 44 , non poteva di conseguenza fare a meno di considerare il sistema intellettuale o cognitivo 42 Su Maine de Biran e più in particolare sul rapporto con Ampère v . : P. Tisserand, L'Anthropologie de Maiue de Birtm ou la Scieuce de l'Homme Interieur, Paris, 1909; V. Delbos, Maine de Biran et son Oeuvre Philosophique, Paris, 193 1 ; G. Madinier, Conscience et Mouve­ ment: Etade sur la Philosophie Française de Conditltlc à Bergson, Paris, 1938 (II ed. Paris-Louvain, 1967) ; H. Gouhier, Les Conversions de Maine de Biran, Paris, 1 947; M. Ghio, Maine de Biran e la traduzione biraniana in Francia, Cuneo, 1962; D. Voutsinas, La ps)'ch olo gie de Mai11e de Biran. Paris, 1975 . 4 3 Lettera di Biran ad Ampère del 1807 in Oeuvres, cit., pp. 399-400. 4 4 Ibidem. ­

    328

    come assolutamente fuso, per cosi dire, in quello della volontà dal quale differisce solo in virtu dell'espressione. E d 'altro canto, concludeva, che siccome può essere prova­ to dall'esperienza che l a volontà non ha alcun potere sul sistema delle affezioni che ci rendono felici o infelici, che il principio delle passioni si oppone in piu punti tanto alla volontà quanto all'intelligenza, si può stabilire « una divisione del tutto naturale fra il sistema naturale e il sistema affettivo o passivo » 45 • Solo in questo senso a Biran poteva sembrare accettabile la suddivisione dei feno­ meni in rela tivi alle conoscenze e alle determinazioni che Ampère gli proponeva . E del resto che il sistema di Ampè­ re gravitasse ancora troppo verso il sensismo o meglio verso l' idéologie rationelle lo dimostrava inconfutabilmen­ te, per Biran, l'accezione stessa nella quale veniva usato il termine détermination sotto il quale sembrava essere ti­ compreso tutto quello che era stato denominato > che approfit­ tavano della situazione. Il vuoto teorico della medicina, il silenzio e la confusione regnanti nelle facoltà universita­ rie favorivano singolarmente la turba degli impostori, dei médicastres, dei charlatans. Molti membri della Société médicale d'Emulation si affannavano a denunciare i rischi impliciti in questa situazione. Nella sua Nosologie naturel­ le, rievocando i tempi della Société royale de Médecine e di alcuni grandi medici degli anni '90, Alibert traccerà un giorno un quadro inquietante di quel periodo : 45 Th. Bordeu, Recherches sur l'histoire de la médecine ( 1764 ) , in Oeuvres compl�tes, Paris, 1818, vol. Il, p. 550 e passim. 4 6 Plnel, Nosograpbie pbilosophique, ou la Méthode de l'Analyse appliquée à la Médecine, Paris, an. VI, vol. II, p. 373. 3 64

    Tandis que de pareils maitres répandoient au loin l'ardeur communicative qui les enflammoit, tandis que toutes !es branches de notre art se vivifioient d'une chaleur nouvelle, à còté mème du foyer qu'on venait d'allumer pour l'accroissement de leurs progrès, on vit se renouveler cles scénes dignes de l' ignorance du XIII' siècle. Dc toutes parts !es esprits parurent se fatiguer cles idées positives, et semblèrent vouloir se replonger dans les vague des supp ositions ténébreuses ou fantastiques. Les grands surtout, lr.ssés d'un excès de civilisation, favorisoient ce mouvement étran­ ge, et ne cessoient d'opposer aux talens véritables dont la capitale abundoit, Ics impostures de Mesmer et de Cagliostro. Ces deux hommes obtinrent un succès extraordinaire où tant de riches oisifs et passionnés pour tout ce qui égare les sens aiment à se bercer d> . 1966, XXIII, pp. 86-96 . 54 L'opera del Delaméthetie fu pubblicata nel 1 7 8 7 . Da segnalare altre due sue op e r e : De l'Homme coiZSidéré moralement, de ses moeurs et de celles des animaux, Paris 1802, 2 voU . ; Considerations su;- les etres organisés, Paris, 1 804, 2 voli . Una ricerca intorno ai « différens degrés dc certintde >) era stata condotta anche da Condillac, Logique in Oeuvres cit., vol. II, parte II, cap. IX. 55 Lo scritto ebbe un grande successo, il che testimoniava l'attualità della tematica della certitude medica. Alcune tra le p i u importanti riviste culmrali del tempo, come il « Magasin encyclopédique » ( 1 798, XVIII, pp. 300-9) e la « Décade philosophique » (10 fruct. an VI, 18, pp. 385-95) parlarono ampiamente dell'opera. Nei Mémoires della Socié­ té médicale d'Emulation comparve un articolo assai elogiativo di Picrte Roussel (an VI, l, pp. 5 1 1-6) . Da segnalare, infine, q ue ll a sorta di applicazione del discorso cabanisiano (e prima an cora condillachiano) al campo filosofico ch'è l'art. di P.P.F. Bu te t Du de[!.ré de certitude sur la métaph)'sique, pubblicato proprio nei Mémoires de la Société médica­ le d'Émulation, vol. Il, pp. 488-501 e recante come epigrafe una frase dell'idéologue Garat. Qualche anno fa abbiamo curato un'edizione italia-

    vérité matematica

    ,

    367

    Nella scienza medica come pure (piu in generale) nel­ la scienza dell'uomo - questo ,è il punto sostenuto dalla m aggior parte dei médecins-phllosophes sarebbe vano e anche pericoloso chiedere quella vérité c ui tendono i géomètres. « La science de l'homme scriveva un medi­ co montpelleriano - s'occupe d'un objet trop compli­ qué, elle embrasse une moltitude de faits trop variés, elle opère sur des élémens trop subtils et trop nombreux pour donner toujours aux immenses combinaisons dont il est susceptible, l'uniformité, l'évidence, la certitude qui caractérisent les sciences physiques et mathématiques » 56• L'inattingibilità di una verità assoluta è dunque connessa, nella medicina e nella « science de l ' homme », con caratte­ ristiche intrinseche a queste due discipline cosf strettamen­ te legate fra loro. La complessità della materia e l'es·igen­ za di un'observation e di un'analyse individuale-concreta della stessa impediscono alle discipline medico-antropologi­ che di enucleare leggi universalmente e necessariamente valide. Il compito epistemologico della medicina si veni­ va cosf a configurare per molti come ricerca di certitudes particolari, come elaborazione di metodi analitico-osservati­ vi rigorosi, come enucleazione di regole e p rincipi operati­ vamente val id i in situazioni specifiche. Non era - è chia­ ro - un compito tale da sottrarre i medici ad un severo esame critico ed autocritico della situazione della medici­ na. La conquista della certitude imponeva anch'essa un gravoso lavoro di ripensamento teorico dei fondamenti e dei principi ispiratori della scienza medica. -

    -

    Da Mon.tpellier a Parigi Il primo serio impulso ad avviarsi per questa strada

    non provenne dagli scienziati e dalle istituzioni della capi-

    na della Certitude de la médecine (Bari 1974 ) , accompagnandola con

    un

    saggio su Medicina ed epistemologia nel 5 6 C.L. Dumas, Discours sur !es progrès

    l'bomme, Montpellier, an XII, pp. 27-8.

    368

    giovane Cahanis. juturs de la sciwce de

    tale. Prima di quella parigina, fu l ' an tica e gloriosa Scuo­ la di Montpellier a proporsi di liberare la medicina da un eccessivo condizionamento da parte delle altre scienze, e di costruire una metodologia medica finalmente autono­ ma 5 7 • L'ispirazione che aveva guidato l'opera dei medici montpellierani era nata, innegabilmente, dalla dottrina stahliana, che s'era diffusa a Montpellier intorno al 1 7 3 0 . Ep p u re non a torto, illustrando a distanza ormai di alcuni decenni i caratteri generali della Scuola di Mont­ pellier, Cabanis aveva rilevato le notevoli differenze che sussistevano fra il pensiero ancora cosf tudesque 5 8 dello Stahl e le tesi di Théophile Bordeu e dei suoi amici e seguaci 5 9• In effetti, già i vari Bordeu, La Caze, Genel, De la Mure, Fouquet, Barthez, Grimaud avevano cercato di respingerne - sia pure in misura non sempre soddisfa­ cente - i principi piu difficilmente verificabili, preferen­ do sviluppare quelle tesi relative all'autonoma attività del sistema nervoso e della sensibilità umana (un'attività in­ spiegabile sulla base dei modelli e dei principi forniti dalla scuola iatromeccanica) che anche altri studiosi di diversi orientamenti avevano accolto. Proprio alcuni di quei maestri - Bordeu, La Caze, Venel, De la Mute - insieme ad altri seguaci del nuovo indirizzo si erano trasferiti piu o meno permanentemente a Parigi a partire circa dalla metà del secolo. Questo inne57 Su questo an tico c glorioso centro di studi medici cfr. J. Astruc, Mémoires pour servir à l'histoire de la Faculté de Médecine de Montpel­ lier, Paris, 1767; F. Bérard, Doctrine médicale de Montpetlicr et compa­ raison de ses prùtcipes avec ceux der autres écoles d'Europe, Montpcl· lier, 1 8 1 9 ; Ch. Daremberg, Histoire des sciencer médicales, Paris, 1870, (vol. II, catJ. 3 2 ) . Cfr. anche Fr. Grancl, Pages médico-historiqu.er montpelliéraines, Montpellier 1964, e la collezione della rivista « Montpe­ liensis Hippocrates » ove si distinguono numerosi contribu ti di L. Du­ lieu (del quale si veda altresi l'art. su Le mouvemerrt scientifique montpelliérain du XVIII' siècle, « Revue d'histoire cles sciences » , 1958, XI, pp. 227-49 ) . Molti riferimenti alla Scuola di Montpel!icr anche in S. Moravia, Il pensiem degli Idéologues cit., parte primà. ss L 'espressione è di A. Richerand, Notice sttr la uie et les outJrages de Bordeu, in Bordeu, Oeuvres complètes cit., vol. I, p . l . 5 ? Cabanis , Coup d'Oei!. . . cit., pp. 143-4. Osservazioni analoghe ritor­ nano altrove in questa stessa opera, ed anche nei Rapports du physi·

    que et d11 moral de l'homme.

    3 69

    sto s'era prodotto in un momento quanto mai opportuno. La medicina parigina - come scriverà un giorno Alibert - attraversava allora un periodo di stanchezza, era priva di una scuola sua propria " 0 • Si l im i tava ad accogliere dot­ trine importate dall'Inghilterra, da ll a Germania o dall'O­ landa. Ma né l'empirismo pragmatico di Sydenham, né le tesi di Stahl, né le dottrine dei solidisti e degli umoristi avevano suscitato stimoli davvero fecondi. Probabilmente Richerand non s'ingannava quando, rievocando quel tem­ po, scriveva ch'erano state le opere dello scienziato olande­ se B oerh aav e ad incontrare il successo piu vivo e duratu­ ro 61 • È tuttavia da osservare che neppure queste opere, legate alla matrice iatromeccanica, possedevano uno slan­ cio t eor ico realmente nuovo. Non pochi studiosi della nuo­ va generazione ne metteranno in rilievo oltre che i limiti peculiari di una scienza medica troppo condizionata d a modelli fisico-meccanici, anche il fondamentale eclettismo e il mancato approfondimento di temi (come quelli della sensibilità e dell'azione autonoma-dinamica di determinatÌ 62• organi) d 'importanza decisiva per la fisiologia moderna L'arrivo dei medici mon tpellierani m o difich er à sensibil­ mente la situazione . Accolti con simpatia nelle scuole e nei salons parigini, essi stringono rapporti sia con gli scienziati che coi philosophes della capitale. Basterebbe ricordare, a questo proposito, l'amicizia che legò Bordeu a Diderot e l'importanza ch'essa ebbe per l'autore del Réve de d'Alembert 6 3 • Molti di questi studiosi furono anche invitati a t enere delle lezioni, a collaborare all'Ency­ clopédie. Alcuni articoli forniti all 'uopo da Bordeu, Fou­ quet, Vene], Barthez, Ménuret suscitarono un vivo interes60 Alibert, Nosologie naturelle, cit., pp. LXXXV e ss. Contr. 61 Richerand, Notice. . . , cit., p. VII . 62 Si veda il giudizio su Boerhaave di Cabanis, Coup d'Oeil . . . , cit., pp. 1 40-2 e passim e di Alibert, Nosologie naturelle, cit., dove pure non mancano le lodi per l'efficacia delle sue lezioni. Sul maes tro di Halle cfr. l'opera recentissima (ma piu soddisfacente sul piano biografi­ co-documen tario che scientifico-culturale) di M. Lindeboom, M. Booehaa­ ve. The man and his work, London, 1968. 63 H. Dieckrnann, Théophile Bordeu tmd Diderots 'Rh•e de d' Alem­ bert', « Romanische Forschungcn », 1938, LII, pp. 55-122.

    370

    se 64 • Non sempre esenti da poco fondate tentazioni metafi­ siche, ancora legati in qualche caso all'animismo di Stahl, questi studiosi esercitano tuttavia una funzione fortemen­ te positiva entro la cultura parigina del tempo. Temi di rilevanza generale e teorica vengono riproposti con nuova vivacità all'attenzione di medici e filosofi parigini, come le nozioni di vita e di sensibilità, di malattia e di classifica­ zione nosologica. La voce sulla sensibilità redatta da Fou­ quet per I'Encyclopédie, malgrado evidenti concessioni a talune dottrine stahliane, ha il merito di richiamare l'atten­ zione sulla specificità dei fenomeni sensorial i dell'uomo e sull'impossibilità di ricondurli senza mediazioni a leggi fi­ sico-meccaniche 65 • Per quanto dedicati apparentemente a questioni tecniche, i saggi di Bordeu sulle funzioni ghiando­ lari, sul sangue, sui tessuti mucosi, sulla storia degli studi medici delineano una nuova concezione dell'uomo e della medicina 66 • C'est cles ouvrages de Bordeu - leggiamo in una preziosa testimonianza di Richerand - que nous vint la lumière dont furent éclairés !es premiers temps de cette école . Ce fut de lui que l'an apprit à se tenir en garde contre !es applications de la chimic à ! a médecine, et cela au moment où l a première de ces sc!ences renouvelée sembloit devoir s'emparer du domaine de l'art, et promettoit de nous révéler !es acres !es plus mystérieux de la vie 67•

    64 Cfr. in proposito H. Zeiler, Les collaborateurs médicaux de l'Ency­ clopédie de Didero! et de d'Alembert, Paris, 1934; M. Laignei-Lavasti­ ne, Les médecins collaborateurs de l'Encyclopédie, « Revuc d'Hist. des Sciences » , 1 95 1 , pp. 353-8; ]. Roger, Les sciences de la vie dam la pensée française du .WIITe siècle, Paris, 1963, pp. 614 ss. 65 H. Fouquet, v. Semibilité, in Enc;•clopédie, ed. de Livourne 1774, vol. XV, pp. 36-48. 6 6 « L'objet du Traité des Glandes est de prouver que la sécrétion dcs humeurs, dont les organes sont chargés, consiste en une véritable élahoration du liquide dont le sang fournit Jes éléments, et non point dans une simple séparation, comme le terme de sécrétion sembleroit l'indiquer. Cette fonction est le résultat de l'action propre de l'organe glandulaire, et ne résulte point d'un rapport mécanique entre la capaci­ té des vaisseaux glandulaircs et le volume cles globules qui doivent y penétrer, non plus d'une affinité chimique entre l'humeur sécrétée et la substance de la glande ». Richerand, Notice . . . , cit., p. V I I . 67 Ibidem, p p . JL'\: I I-XX I I L 37 1

    L'uomo non è piu considerato una machine bens1 un organismo vivente irriducibile a strutture naturali piu ele­ mentari. Disciplina deputata allo studio di questo organi­ smo, la medicina viene richiamata alle sue funzioni analiti­ co-conoscitive prima ancora che pratico-terapeutiche. Non per caso è in questo periodo e in questo ambiente che si diffonde la nozione di « science de l 'homme » . La medici­ na ha da essere, in primo luogo, analisi scientifica dell'or­ ganisation (psico-fisica umana 63• Nel 1 755 il libro del montpellierano La Caze sull'uomo fisico e morale, pubbli­ cato a Parigi, esemplifica un modo certo discutibile ma assai stimolante e philosophique di utilizzare gli strumen­ ti dell' observation e dell'analyse medica. Ritornano nel volume i temi dell'irriducibile peculiarità della natura uma­ na e del 'fatto' medico. Una viva attenzione è prestata ai fenomeni della sensibilità, considerata sotto vari punti di vista. Viene assunta, soprattutto, una vivace posizione cri­ tica contro il pragmatismo di troppi studiosi, contro quel­ l'idoleggiamento delle esperienze empiriche non raisonnées, che avrebbe certo indotto Newton (se fosse stato ancora vivo) a domandare « où sont les vues dans l'ordre desquel­ les ces expériences doivent se trouver » 69• Sono i temi ripresi dapprima da Barthez e De Sèze e che ritroveremo piu tardi negli scritti dei membri della Société médicale d'Emulation. Non a caso uno di costoro, Pinel, sottolinee­ rà un giorno il rapporto profondo fra « la fameuse Ecole de Montpellier » e l'opera sua propria nonché quella dei médecim-philosophes di fine secolo, decisi a completare l'opera teorica avviata dai confrères montpellierani 7 0 • 68 Su tutto ciò sia lecito rinviare successivamente al nostro Il p en sie­ ro degli Idelogues, cit., e segretamente alla parte su « Cabanis e la fondazione di un'antropologia ma terialistica » . Cfr. anche S. Moravia, La scienza dell'uomo nel Settecento, Bari, 1970 c 19782). 69 L. La Caze, Idée de l'homme pbysique et mora!, pour se1·vir d'introduction à un traité de médecim:, Paris, 1755, pp. 1 8- 9 . 7 0 Pine!, Nosographie philosophique, cit., vol. l, p p . XXVIII-XXIX. Malgrado questa ed altre numerose testimonianze sull'impor tante rappor­ to intercorso fra la Scuola medica di Mont pcllier e la Scuola parigina, mancano per ora studi specifici in materia. Si veda comunque ]. Roger, op. cit., pp. 618 s s . , 619 ss. ecc.

    372

    Nell'ultimo quarto di secolo, grazie anche all'opera dei medici di Montpellier, l'ambiente medico-filosofico pa­ ricrino appare percorso da una nuova vivacità, da un fervo­ 0 re insolito . Accanto agli « empirici » crescono e si moltipli­ cano gli studiosi che concepiscono la medicina non come mera arte pratico-terapeutica, bens1 come un vero e pro­ prio strumento d'indagine conoscitiva: l'ind agine sull'uo­ mo, sul suo physique e sul suo mm·al, sulla sua struttura fisiologica e sulle sue dégénérations pa tologiche. Nel 1 7 7 5 un medico che incontreremo di H a poco nella villa di Auteuil, Pierre Roussel, pubblica il suo singolare Systè­ me physique et moral de la /emme, dove il tono palese­ mente divulgativo non annulla del tutto il valore del recupero (su moduli montpellierani) della sensibilità fi­ sica e della sua utilizzazione in chiave critica contro cer­ ti aspetti 'riduzionistici' dell'an tropologia di Condillac e di Helvétius. Nel 1 7 7 8 giunge a Parigi Pinel, che sa­ rà di li a poco il protagoni sta del gran moto di rinnova­ mento nel campo della médecine morale. Nel 1 7 8 1 , di ritorno nella capitale, Barthez diffonde i suoi Nouveaux élémens de la Science de l'Homme, pubblicati tre anni innanzi a Mon tpe ll ier e ristampati piu tardi a Parigi. Que­ st'opera dal titolo cosi significativo si presentava un po' come la summa del pensiero medico della Scuola di Mont­ pellier. La presa di posizione contro ogni tentativo di ricondurre la medicina ad altre scienze vi appariva assai energica . L'uomo è una totalità complessa e irriducibile : « Si nous nous rapprochons d'une partie de ce tableau de manière à perdre l'effet de l'ensemble, nous ne décou­ vrons plus le dessein de l'Auteur; nous n'apercevons que des traits grossiers, et qui ont souvent l ' apparence de la confusion et de l'hazard » 7 1 • Per non incorrere in questa confusione la prima misura da prendere è quella di rispetta­ re la fenomenologia specifica dell'organisation umana . Nel corpo dell'uomo, infatti, agisce secondo Barthez tutta 7! Barthez, Nouveaux 18062 , vol. I, p. 38.

    éléments de la Science de l'Homme,

    Paris an

    373

    una serie di pulsioni e di dinamismi che non è comprensi­ bile alla luce delle semplici norme chimico-fisiche. Non si tratta quindi di ridurre l'uomo a machine, ma di vedere che tipo di machine è l'uomo . Come gli altri medici mont­ pellierani, Barthez pone l'accento soprattutto sulla sensibi­ lità , intesa come un principio che vivifica e dinamicizza le varie parti del corpo in una continua interazione - o « sympathie ,> - fra i vari organi. Siamo ritomati altrove sulla concezione barthesiana della sensibilità e sulla sua influenza sopra le tesi di Cabanis. Qui è da dire solo che prima ancora che nei Rapports du physique et du mora{ de l'homme l a tematica della sensibilità, della « simpa­ tia » fra gli organi corporei, dell'autonoma e irriducibile vitalità dell' organisation u ma na era stata avviata dai medi­ d montpellierani che l'avevano poi trasmessa (e fu certo il loro lascito piu prezioso) alla cultura medico-filosofica parigina . Nel 1 7 86 un altro médecin-philosophe formato­ si a Mon tpel lier , Paul Vietar De Sèze, pubblicava a Parigi le proprie Recherches physiologiques et philosophiques sur la sensibilité ou la vie animale dove sono presenti molti dei temi piu tardi studiati da Cabanis e d agl i altri membri della Société médicale d'Emulation. Non è un caso che il nome del De Sèze figuri nella lista dei confrè­ res corrispondenti dell'I nstitut, sezione di An alisi delle sensazioni e delle idee. Ma non si deve credere che la scienza parigina si vada interessando solo di questioni di carattere generale, o philosophiques. La medicina del tempo è anzi ben lungi dal di sdegnare problemi d'indole tecnico-pratica. In una situazione di crisi poteva essere un'operazione culturale proficua anche la diffusione di manuali in grado di favori­ re una preparazione piu aggiornata e rigorosa dei medici. È quanto fanno, proprio in questo periodo, alcuni studio­ si di valore, non per nulla legati alla Société d'Au teuil o ad altri gruppi di punta della cultura parigina . Nel 1 7 85, ad esempio, Phllippe Pinel traduce le Istituzioni di medici­ na pratica (uno dei testi di medicina piu organici del tempo) di William Cullen, il celebre maestro della scuola

    3 74

    medica di Edimburgo, che anche Cabanis mostrerà, nei Rapports, di stimare assai 72• E l'anno seguente veniva ti­ pubblicata un'altra opera fondamentale: quella Nosologia methodica in cui François Boissier de Sauvages, uno dei rinnovatori della medicina montpellierana nel secolo }..'VIII, aveva cercato di costituire una classificazione orga­ nica delle malattie valendosi del lavoro empirico di Syde­ nham e delle categorie teoriche di Linneo. In quello stesso anno 1 786 Vicq d'Azyr affronterà nel suo Traité d'Anatomie e.t de Physiologie, con lucida coscienza teorica, buona parte dei piu scottanti problemi della medicina del tempo . Delle istanze e dei tentativi di rinnovamento metodologico-istituzionale nelle scienze me­ diche egli è probabilmente, negli anni fra il 1 7 75 e il '90, l'interprete piu preparato, il protagonista piu energi­ co e consapevole. La fondazione della Société royale de in massima parte Médecine era stata - lo sappiamo opera sua. Pochi avevano sentito quanto lui la necessità -

    di riunire studiosi di varia provenienza al fine di elevare la medicina a reale dignità scientifica. « Toutes les scien­ ces qui se perfectionnent par l'observation - aveva scrit­ to quando andava organizzando la Société - ont besoin d'ètre cultivées en commun » 7 3 • Negli anni seguenti, fi­ no alla morte prematura nel 1794, aveva svolto un'attivi· tà intensissima. Il suo campo specifico era essenzialmente l'anatomia, e in parte la fisiologia; allo studio del cervel­ lo e a varie questioni di anatomia comparata aveva dedica­ to lavori di grande rilievo 74• Ma per quanto impegnato in un intenso lavoro sperimentale, non aveva mai tralascia­ to di occuparsi di temi d'ordine piu generale, di proble-

    72 Cabanis, Rapports , cit., pp. 149, 1 67 , 578-9 ecc. Cfr. anche J.D. Comrie, History of Scottish Medicine, London 19322• ...

    ,

    73 Vicq d'Azyr, Réflexions sur le perfectionnement de la médecine . . . , in Oeuvres, dt., vol. V, p. 80. 74 Vicq d'Azyr, Recherches anatomiques sz1r le cerveau; Mémoires sur la structure du cerveau des animaux comparée avec celle du cerveau de l'homme; Recherches mr différens points de l'anatomie de l'homme et des animaux, etc. Cfr. Oeuvres, cit., voll . V e VI .

    375

    mi teorico-metodologid. Sapeva quanto questi problemi fossero gravi e ineludibili. En m�decinc scriveva tous parlent des fruits de leur cxpérience, et plusieurs appellent ainsi cles faits douteux et non approfondis, qu'ils prennent pour base de leurs conjectures, et qu'ils citent avec confiance, quoi qu'ils les aient vus sans soin et recueillis sans choix; toujours en contradiction avec la nature, qu'ils prétendent connoitre, interpréter et diriger, mais dont ils ne font que gener les opérations ou voler le succès, les médecins courent beaucoup et réfléchissent peu, parviennent prcsque toujours à persuader et à crorie qu'ils sont de grands homrnes; ce qui est eneo re un grand abus 7 5 . -

    -

    Qualche anno innanzi Bar thez aveva avviato un discor so ana logo sulla medicina, qual è e quale dovrebbe esse­ re. La medicina non può ridursi a meta pratica empirica, indifferente ad ogni istanza conoscitiva, ad ogni esigenza di rig orizz azi one metodologica. Essa deve invece tornare alla sua piu intima vocazione ed essere « sdence de l'horn­ me » . E deve tornarvi ecco il punto da sottolineare - ricorrendo all'ausilio teorico fornito dalla philosophie . Nella mancata collaborazione fra medicina e filosofia Bar­ thez scorge la vera causa dell 'arretratezza presente della prima rispetto alle altre scienze. « La cause de cette diffé­ rence - scriveva - me paroit etre qu'on a négligé, dans l'étude de l'homrne, les règles fondamentales de la vraie Méthode de Philosopher. On ne peut attendre de grands progrè s dans une science où la Méthode Philosophi que a été négligée, que lorsqu'on y re nouvell e le corps entier de la doctrine, conforrnément aux vrais principes de cette Méthode » 7 6 • Vicq d'Azyr fa propria e s viluppa questa stessa impo­ stazione. Consaeevole di quanto fosse sterile e pericoloso abbandonarsi « sans métho de >> alla lezione dei fatti, non esiterà a rivolgersi allo studio delle questioni piu delicate e complesse. La filosofia , intesa come disciplina e orienta mento teorico, gli p areva indispensabile. « Il attachoit ­

    -

    ­

    ­

    75 Vicq d'Azyr, Réflexions sur le perfectionnement cit., pp. 61-62. 76

    376

    Barthez, Nouveaux élémens , vol. I, ...

    p.

    2.

    de la médecine

    ...

    scriverà piu tardi Moreau de la Sarthe, un altro méde­ - une gran­ de importance à ce gente de travaux, et à tout ce qui pouvoit contrib uer à former les bases d'une véritable phi­ losophie médicale » 7 7 • Di qui le sue letture di Locke e di Condillac , e le numerose pagine di me todologi a filosofico­ scien tifica. D'altronde la sua diffidenza nei confronti di quei medici o scienziati che maneggiavano la filosofia con troppa disinvoltura non era meno grande. Lo si v ede an­ che nei n umero si éloges accademici , nei quali espresse talvolta critiche assai severe nei confronti di chi (com e ad esempio Buffon ) aveva concesso troppo spazio alle astrazioni specul ati ve 7 8 • Anche nel Traité d'Anatomie et de Physiologie Vicq d'Azyr rivela , accanto ad una grande apertura teorico-culturale, una non meno grande cautela critica. Non esita, cosi, ad esprimere giudi zi fortemente limitativi sull 'op era degli stahliani e in genere dei vitali­ sti e degli animisti. Ogni recupero, diretto o indi retto, metaforico o me no , dell ' a ni m a gli sembra sterile e perico­ loso 79• In questa prospetti va tende perfino a far proprie a l cu ne posizioni dei meccan i cisti , i cui risultati erano se non altr o verificabili sperimentalmente. Cosi ogni analisi della sensibilità deve rifuggire dal ricorso ad astratti « pri n­ cipes vitaux » (di ascendenza stahliano-montpellierana) per fondarsi invece su dati positivi : « Qu'est-ce qu'une théo­ rie des sensations - scriveva - si elle n'est pas appuyée sur la description exacte des sens eux-mèmes ? L'examen des nerfs, de leu r ori gin e , de leurs connexions, n'expli­ que-t-il pas un grand nombre de phénomènes sur lesquels il est si commun et parfoi s si dangeureux de raisonner mal ? )) 8 0 .

    cin-philosophe della cerchia degli idéologues

    77

    Moreau de la Sarthe, Avertissement premesso ai Fragmens de

    philosophie médicale di Vicq d'Azyr nelle Oeuvres, cit., vol. I, pp. 57-84. 78 Vicq d'Azyr, Eloge de M. de Bu/fon, in Oeu vres, cit., vol. I, pp.

    57-84.

    79 « Loin d'id ces vaines et dangereuscs spéculations sur la siège de Fame ... » , esclamerà nel Premier discours sur l'Anatomie, in Oeuvres, cit. , vol . IV, p. 28. 80 Ibidem, p. 20.

    377

    Diffidente nei confronti dei medici d'indirizzo vitalisti­ co, Vicq D'Azyr ne condivide tuttavia in pieno l'istanza autonomistica. La medicina non si occupa di ciò che rien­ tra nella giurisdizione della meccanica e della fisica. Il suo oggetto sono non i corpi morti, m a i corpi vivi 8 1 • Se l'anatomia gli sembra richiedere un allargamento temati� co ed interdisciplinare, esso deve tuttavia avvenire in pie­ na indipendenza dalle altre scienze, e secondo precise nor.­ me filosofiche . Altrimenti perdureranno indefinitamen­ te quei vizi e quegli errori, contro i quali il grande studio­ so conduce qui una ba ttaglia (non solo destruens) assai efficace 8 2 • Non è un caso che rievocando la figura e l'ope­ ra di Vicq d'Azyr Cabanis non si limiterà ad esaltare l 'ampiezza e il rigore del lavoro compiuto, ma indicherà indirettamente in quel lavoro l'incipit di un modo nuovo e davvero pbilosophique di trattare l'arduo campo delle scienze mediche : Dejà l 'on peut entrevoir, dans un avenir assez prochain, le moment où l a vraie philosophie, en dissipant toutes les fausse idées qu'on s'était successivement faites des forces vitales et de ltur action dans l'état de santé et de maladie, achèveta la réforme de la médecine, que sans un tel secours les plus gtands génies eussent toujours tentée vainement 8J.

    Una medicina autonoma, non isolata Quale fosse una delle principali « fausses idées » che rallentavano il progresso della medicina ancora nell'ulti­ ma parte del secolo lo abbiamo già visto nelle pagine precedenti. Era l'idea che la medicina dovesse mettersi alla scuola delle altre scienze naturali, e in primo luogo SI

    Ibidem, pp. 9- 10,

    14-15 ecc. Particolarmente importanti, fra le altre, le sue considerazioni sulla duplice necessità di connettere insieme anatomia e fisiologia e di svilup· pare l'anatomia comparata, attraverso paragoni sis tematici fra l'uomo e gli animali. Si vedano in proposito i Discours programmatico-metodologici contenuti in Oeuvres, cit., vol. IV. 8 3 Cabanis, Eloge de Vicq d'A.zyr, ci t , p. 37 1 .

    82

    .

    378

    della fisica. Inutile ricordare ai medici che variamente s'ispiravano a questa conce zi one 'allotria' della medicina le acute considerazioni antimeccanicistiche di Maupertuis o di Diderot, o le sagge parole che un fisico e un « mecca­ nico » come d'Alembert aveva espresso a questo proposi­ to 84 • Eppure le perple s sit à formulate dai philosophes e da­ gli studiosi piu avvertiti non concernevano certo l'utilità e perfino la necessità per la medicina di valersi dell'ausi­ lio di varie « sciences accessoires » (come le chiamava Ali­ bert ) . Concernevano solo l'utilità e la legittimità di appli­ care in modo immediato strumenti, analisi e interpretazio­ ni, valide ad un determinato livello della materia organiz­ zata, ad un altro e piu elevato, o piu complesso live1lo. Come non accorgersi della di fferenza, grandissima, che se­ p arava i fenomeni che sono oggetto della chimica e della fisica da quelli di pertinenza della medicina ? Vieq d' Azyr l'aveva detto molto bene: la medicina si occupa non già del fenomeno naturale che manifesta all'observation s en s i bile « cette immobilité, ce silence qui caractérisent un en­ tier abandon de la vie »; essa si occupa invece di quell' « état tout-à-fait opposé » ch'è il corpo vivente e senzien­ te 8 5 • « Quoi! - esclamava negli stessi an ni il rnontpellie­ rano De Sèze - Une machine active et sensible dans toutes les parties pourra étre comparée à une machine inactive, insensible , morte, dont une force étrangère meu t tous les re s sor t s ? » 86 . Nella loro p ol em ic a contro il meccanicismo Stahl e i suoi seguaci piu diretti erano caduti nell'eccesso opposto, riproponendo un insostenibile dualismo tra materia e ­

    8 4 �< On a voulu réduire au calcul jusqu'à l'art de guérir; et le corps humain, cette machine si compliquée, a été traitée par nos médecins algébristes comme la machine la plus simple ou la plus facile à décompo­ ser. C'est une chose singulière de voir ces auteurs résoudre d'un trait de piume des problèmes d'hydraulique et de statique, capables d'arreter toute leur vie les plus grands géomètres ». D'Alembert, Di­ scours préliminaire à l'Encyclopédie, in Encyclopédie, ed. cit., vol. I, p. VL. 85 Vicq d'Azyr, Premier discours sur l'Anatomie, cit., p. 1 0 . 86 De Sèze, Recherches physiologiques ., dt., p. 17 . ..

    379

    « principe vital ». Piu d'un medico montpellierano - lo si è accennato - non aveva saputo evitare questo nuovo eccesso. Ma gli studiosi piu consapevoli erano riusciti in varia misura, e talora con indubbia efficacia, ad indicare la via di un possibile giusto mezzo. Il già ricordato De Sèze, ad esempio aveva caldeggiato non già una novella gerarchizzazione metafisica tra fenomeni antologicamente diversi, bensf solo una distinzione di carattere conoscitivo­ operativo : « Pourquoi n'accorderions-nous pas aux corps animés une physique particulière ? Les facultés qu'on re­ marque en eux, et qu'on ne remarque qu'en eux, n'annon­ cent-elles pas qu'ils font une classe à part, qui a ses lois d 'action, ses lois de mouvement indépendantes de celles qui dirigent les autres corps? » 8 7 • Molti philosophes, certo , avevano dato man forte, piu o meno intenzionalmente e direttamente, ai medici riduzionisti. Tra qualche iatromeccanico e certi matériali­ stes di fine secolo esisteva un nesso non imperce ttibile. Gli uni e gli altri tendevano - questo è il punto - a saltare certe tappe, ad epochizzare certe differenze empiri­ camente accertabili. Oltrepassando con troppa disinvoltu­ ra il piano dei fenomeni reali (pur ancora cosf mal noti) , gli uni e gli altri cercavano le strutture elemen tari, le leggi primarie dei corpi alla luce di principi filosofici insufficientemente fondati su dati sperimentali. Nella mi­ sura in cui le loro ricerche operavano questi salti, si configuravano come un materialismo di tipo metafisica : at tento piuttosto al coerente sviluppo logico di certe pre­ messe generali che alla realtà empiricamente accertabile dei fenomeni naturali. Era insomma l'esprit de sysrtème che induceva alcuni scienziati e alcuni filosofi ad operare riduzioni ed omogeneizzazioni che la realtà sensibile ( alme· no quella nota a livello sperimentale) non pareva per il momento autorizzare . Quest'operazione costituiva - co­ me osservava con fermezza il De Sèze - un'ennesima testimonianza della violenza dell'uomo sulle cose: « La 87

    380

    Ibidem,

    p.

    16.

    vraie philosophie doit-elle toujours généraliser les causes, et restreindre la nature aux seules manières d 'agir analo­ gues à nos conceptions ? » 8 8 • Anche per i médecins-philosophes della cerchia della Société médicale d'Emulation questa impostazione, lungi dall'essere coraggiosa e stimolante, costituiva una delle ragioni della crisi della medicina. Contro certe tendenze ancora perduranti in vari settori delle scienze mediche il segretario della Società ricordava con energia che la medicina « existe par elle-mème » ; che lungi dall'essere composta di « un assemblage de membres détachés des autres sciences » essa possiede dei principi e delle verità sue proprie 8 9 • Non meno indignata, nello stesso periodo , la reazione di Pinel contro la superficiale pretesa dei medi­ ci di util izzare in modo diretto-immediato strumenti e regole appartenenti ad altre scienze. A dire il vero, egli era partito inizialmente da posizioni molto vicine a quelle dello iatromeccanicismo . Trasferitosi nella prestigiosa fa­ coltà medica di Montpellier dopo aver conseguito i titoli dottorali a Tolosa, aveva presentato alla Société royale cles Sciences locale alcune memorie ispirate appunto a dottri­ ne iatromeccaniche 90 . Ma fin da allora era andato acqui­ stando per altri versi viva coscienza di quella dimensione 'antropologica' della medicina su cui tanto insistevano va­ ri maestri montpellierani. Ed è proprio r iflettendo sui compiti di una scienza medica specificamente consacrata allo studio dell'uomo come tale che già in uno di quei lavori egli s 'interrogava criticamente sul rapporto (in parti­ colare) fra la medicina e la matematica : 8 8 Ibidem.

    89

    Alibert, Discours , cit., pp. CII-CII I .

    9 0 Pine!, Mémoires

    ...

    w r le talent qu'exige l'application des mathémati­ ques au corps humain; . . . Des courbes que décrivent les extrémités de nos membres dans leurs divers mouvemens (Il testo del primo lavoro è

    pur troppo andato perduto). Sulla giovinezza di Pine! cfr. W. Lechlcr, Philippe Pine!, Jeine Familie, seine ]ugend und Studien fah,-e, 1 745-1 778, Miinchen, 1959. Le opere fondamentali sul grande alienista restano quelle di R. Semelaigne, Pà1el et son oeuvre, Paris, 1888; e Aliénistes et Philanthropes, cit. e di W. Riese, Tbe Legacy of Philippe Pinel, New York, 1969.

    381

    Un médecin, dane, paurra se permettre I'étude cles ma thémati­ ques camme un délassement hannéte ou un moyen efficace de cultiver son esprit, il pourra les appl.iquer au dévelappement de certaines fonction méchaniques [ sic] qui ant lieu dans le corps humain, com me la marche, le saut, l'équilibre . . . . les mouvemens variés dc nos cxtrémités; mais camme ces recherches sant étra ngè­ res à la science de l'homme (qui dait fairc san étude fondamenta­ le), il n'y donnera que des momens de laisir 91 .

    Giunto a Parigi, Pinel tornerà ad occuparsi di questo tipo di problemi interdisciplinari: senza disconoscere l'uti­ lità del contributo della matematica e di altre discipline in certi settori ben determinati dello studio dell'uomo, ma insistendo anche, con crescente energia, sulla necessi­ tà di una completa autonomia della medicina 92• La polemi­ ca contro gli orientamenti eteronomi della medicina è dav­ vero uno dei temi di fondo dei medici-filosofi della fin de siècle. Dinanzi a quella che definiva « la fausse applica­ don que les médecins ont souvent faite à leur art des théories générales, ou des vues particulières propres aux au tres sciences >> , anche Cabanis assumerà una posizione estremamente polemica. Evocando l'autorità di Bacone, egli sottolineava che questo « abus » era « la cause de tous les écarts singuliers >> e della stessa > , ha cercato con successo di elaborare un linguaggio adatto « à la méthode descriptive cles mala­ » 1 1 9. dies Lo stesso paragone ritorna, con un piu trasparente rife­ rimento alla medicina moderne, in Cabanis. Galeno è stato un medico troppo eclettico e sistematico, troppo incline a mediare scienze tra loro inconciliabili. Egli è stato, insom­ ma, il Boerhaave dell'antichità: « L'un et l'autre ont réu­ ni toutes les connoissances de leur siècle; l'un et l'autre ont voulu les transporter dans la médecine » . Per questo entrambi hanno lasciato in eredità l'esigenza di separare ciò che deve restare distinto, discernere i fatti dai « dog­ mes hypothétiques » 1 20 • Di contro, Ippocrate è stato mol­ to meno incline ad astrattezze e a sincretismi di dubbia validità, e molto piu sensibile all 'esigenza di un'observa­ tiott diretta dei fatti concreti . Per questo egli può essere considerato a buon diritto il padre della medicina philoso­ phique moderna 1 2 1 • Questa è la chiave della lettura caba­ nisiana di Ippocrate. Una lettura nella quale si sente agel l7 118

    Pine] , Nosographie Philosophique_. cit ., vol. II, p. 336. Ibidem, p. 326 . 1 1 9 Ibidem, p . 332. Sul rapporto lppocrate-Pinel si veda (anche se si tratta di questioni piu specifichee tecniche) \'(/ . Riese, Les source;; bippocratiques de l'oeuvre de P b. Pine!, « Annales Thér. psychiat. " , 1969, IV, pp. 1 30-48. IlO Cabanis, Coup d'Dei! . . . , cit., p. 1 16. 1 21 Ibidem, p . 100.

    391

    volmente non solo l'eco di tante controversie mediche, ma anche la forte presenza dell'ottica sensista e idéologi­ que. Non è un caso, infatti, che i temi ippocratici sui quali Cabanis si sofferma di piu sono la sagacia osservatri­ ce e il metodo analitico : due motivi nei quali non è difficile scorgere le nozioni dell'observation e dell'analy­ se care alia Société d'Auteuil. Nessuno, scriveva già nelle Observations sur les Hopitaux, ha saputo descrivere le malattie con piu minuzia ed esattezza di Ippocrate 1 22 • Alla su a scuola - aggiungerà nei Rapports i giovani medici dovevano anzitutto esercitarsi ad una pratica osser­ vativa e descrittiva, accanto al letto dei malati 123• IL mae­ stro, inoltre, insegnava a non fermarsi al caso in esame, ma ad esplorare tutto il contesto relativo alla malattia: bisogna studiare > (anche questa espressione è molto 'contemporanea') non già irri­ gidita in una dottrina dogmatica, bensf risolta tutta in una metodologia concreta e sperimentale, valida per il presente e il futuro : talché, se certo « toutes les décou­ vertes n'étoient pas sans doute faites encore . . . dès ce mo­ ment on étoit dans la route qui peut seule y conduire » 1 29 •

    m Cabanis, Coup d'O eil 12 9 Ibidem.

    3 94

    .

    . . , cit . , p.

    100.

    RoY PoRTER

    CHARLES LYELL, L'UNIFORMITARISMO E L'ATTEGGIAMENTO DEL SECOLO XIX VERSO LA GEOLOGIA DELL'ILLUMINISMO

    l . Introduzione: le vestigia delt'uni/ormitarismo I geologi sono tuttora impegnati polemicamente a di­ fendere o ripudiare l'uniformitarismo. Per i difensori di quest'ultimo la scientificità della geologia riposa sul pre­ supposto della uniformità. In questo senso Longwell e Flint h a nno affermato che . Lyell invece - affermava Sedgwick - credeva che essa mostrasse « una sequenza di fenomeni simili sen­ za alcun ordine ben definito » 4 5 . In altre parole, da Descartes in poi e nel contesto degli imperativi prescritti dall'Illuminismo alla conoscen4 3 Vedi Porter, op. cit., (nota 9), pp. 190·7; G.L. Davies, The Earth in Decay, London, 1969, cap. V I . 4 4 Vedi Michael Bartholomew, The non-progress o/ Non·Progres­ sion: Two responses to Lyell's doctrine , « The Brìtish Journal for the History of Science » , IX ( 1 976) , pp. 166·74. 4 5 Adam Scdgwick, Addrers of tbe Preside1rt, « Proceedings of ìhe Geologica! Socicty of London 1826-1833 » , I ( 1 834),. pp. 281-316, p. 304.

    410

    za naturale, molti geologi sottoscrissero la tesi dell'unifor­ mità delle principali leggi della natura, senza p er questo essere uniformitaristi. L'equilibrio stabile del globo non era giustificato dalle testimonianze geologiche; né tale ipo­ tesi po teva dirsi fisicamente plausibile (in quanto chiara­ mente presupponeva il moto perpetuo) . Ma essi non perce­ pivano àlcuna tensione tra l 'ammessa uniformità delle fon­ damentali leggi chimico-fisiche della natura e la loro teo­ ria secondo cui la Terra era soggetta a uno sviluppo in una certa direzione attraverso i secoli. In quest'ultima categoria venne a trovarsi, a partire dal diciassettesimo secolo, la maggior parte dei geologi continentali come S te­ none e Leibniz, Lehmann e Raspe, Werner e Cuvier, Bergman e von Buch, come pure la maggior parte dei geologi britannici da Whitehurst e de Luc via via fino a Scrope e Fleming, De L a Beche, Sedgwick e Murchison. Costoro erano attualisti ed il loro attualismo rappresenta­ va la strada maestra della geologia negli anni in cui essa veniva emergendo �6 • La geologia degli uniformitaristi, al contrario, era una strada laterale, benché fosse tale da còndurre i pochi viaggiatori che la percorrevano nel cuore di regioni intel­ lettualmente esaltanti. L'uniformitarismo diede frutti rag­ guardevoli con la sua insistenza sul potere cumulativo del­ l 'azione lenta in natura. Esso richiedeva che si investigas­ se la Terra concependola come un sistema, comprenden­ do la complessa economia di processi interconnessi e in reciproco equilibrio 47 • Inoltre l 'uniforrnitarismo si rivelò , piu tardi, un'indispensabile pi attaform a di lancio per la 46 Per l'> era coordinata nelle sue parti come una macchi­ na, ma al contempo era capace di auto-ripararsi e riaggiu­ starsi come fosse un organismo. « Nell'ordine della natu­ ra » er a « prestabilita una successione di molteplici mon­ di » 5 3 . Il tempo, scriveva Lamarck, è « insignificante » per la natura 5 4 • I l sistema costituito dal globo terracqueo era dunque interamente ciclico e in uno stato di equilibrio permanen­ te. Per quanto poteva estendersi il giudizio umano, esso era sempre stato, ed era destinato ad essere in futuro, nella pressoché identica situazione complessiva. Non c'era - per Hutton - « alcuna traccia di un cominciamento, 51

    Toulmin, op. cit., (nota 26), p. 172. Hutton, op. cit., (nota 15), II, p. 222. B Hutton, op. cit., (nota 1 5 ) , l , p . 281. 54 Carozzi, op. cit., (nora 2 3 ) , p. 61 s . 52

    413

    nessun prospettarsi di una fine », né alcuna degradazione o progresso del sistema complessivo 5 5 • Gli uniformitaristi non costituivano un gruppo omoge­ neo ; le loro opinioni non erano del tutto uniformi. Alcu­ ni, per esempio, come James Hutton, erano del parere che l'economia del sistema terrestre fosse stata predispo­ sta come conveniente dimora per gli esseri viventi, com­ preso l'uomo; altri, al contrario, come Boulanger e Toul­ min, credevano fosse destino dell'uomo essere soggetto inesorabilmente a ininterrotte angherie da parte della natu­ ra 56• Similmente le ragioni che li determinavano a propor­ re l 'uniformitarismo divergevano assai . Monisti come d' Holbach, Helvétius e Lamarck, per esempio, auspicarono che la natura fosse riabilitata nella sua piu autentica glo­ ria, usurpatale dalla falsa teologia ; essi si proponevano di far comprendere all'uomo la modestia del suo stato, collo­ cato integralmente entro l 'ordine della natura . Lyell, al­ l'opposto, doveva piu tardi por mano alla sua personale versione anti-« progressista » dell'uniformitarismo con lo scopo preciso di salvaguardare l'uomo dal riduzionismo naturalistico e trasformistico. Alcuni uniformitaristi, co­ me Hutton, cercarono di combinare concezioni filosofiche assai complesse e articolate con estese ricerche sul cam­ po; altri, come Toulmin, elaboravano teorie della Terra prevalentemente sulla base di principi filosofici. Gli uniformitaristi, tuttavia, condivisero il rifiuto di chiudere entro maglie troppo strette il dominio della natu­ ra . In altre parole essi assegnavano alla natura gli attribu­ t i tradizionalmente riservati dai cristiani alla divinità. Nel­ la perfezione della natura non poteva verificarsi alcun cam­ biamento; essa si spiegava con i suoi propri principi; essa era completa in se stessa come un sistema organico ; e inoltre operava ciclicamente. Per Hutton e Playfair le ri55 56

    Hutton, op. cit., (nota 15) , I , p. 200.

    Per Toulmin vedi Porter, op. cit., (nora 32) . Per Boulanger vedi Frank E. Manuel, The Eighteenth Century Confronts the Gods, Cam­ bridge, Mass., 1 959; J. Hampton, Nicolas-Antoine Boulanger et la science de son temps, Genève, 1955.

    414

    voluzioni della faccia della Terra erano strettamente ana­ loghe alle orbite dei pianeti attorno al Sole: immutabili e senza tempo 5 7 • L'uniformitarismo non f u esclusivamente una metodo­ logia 5 5 : esso era una filosofia della natura e della Terra largamente comprensiva, capace di fare previsioni e aprio­ ristica ; comportava perciò certe interpretazioni che erano sempre, per lo meno, tendenziose - come il rifiuto da parte di Hutton e Lamarck di ogni forma di estinzione, o la credenza di Toulmin che l'uomo fosse coevo al globo terrestre, op p ure , piu tardi, la pretesa di Charles Darwin che ben trecento milioni di anni fossero stati necessari per portare a termine l'erosione del Weald; o anche la preferenza programmatica per la parsimonia in fatto di forze e la prodigalità in fatto di tempo. Inoltre l'uniformi­ tarismo implicava altre letture del tutto inaccettabili da parte di chiunque si collocasse esternamente rispetto alla metafisica sua propria (per esempio la teoria di Hutton secondo cui la Terra possedeva un fuoco centrale, che non diminuiva mai d'intensità) 5 9• La metafisica uniformitatistica della natura era fonda­ ta sul naturalismo illuministico; veniva propugnata da pensatori convinti che quanto di meglio potessero offrire per salvare l'indipendenza e la dignità dell'uomo e i dirit­ ti dell'obiettività scientifica consistesse nel postulato di una natura ciclica e autosufficiente. Ma esso risultò pure limitato all'ambito dell'Illuminismo : infatti né i seguaci di Hutton, né d'Holbach , né Boulanger, né Lamarck lascia· rono scuole che continuassero la loro opera. Ma a sentire tb,

    57 John Playfair, Illustratinns of the Huttonian Theory o/ the Ear­

    Edinuburg, 1802, p . 440.

    ss

    Benché, naturalmente, comprendesse una metodologia. « Noi dob­ biamo esaminare i modi di operare della Terra cosi com'è al presente per comprendere le operazioni della natura nel tempo passato » . Hut­ ton, op. cit., (nota 15}, I, p. 373. 5 9 Per la critica vedi [J. Murray] , A Comparative Vie w o/ the Huttonian and Wemerian Systems of Geology, Edinburgh, 1802 ; P. Gerstner, The Reaction to James Hutton's Use of Heat as a Geologica! Agent, « The British Journal far the History of Science », V ( 1971), pp. 353-62.

    4 15

    la difesa del l'ultima ora tentata da Lyell - per mot1v1 del tutto particolari e n on senza grande sforzo da parte sua - l'uniformitarismo vero e proprio sarebbe stato qua­ si interamente confinato al diciottesimo secolo, dunque all'età paleozoica della geologia .

    3 . La

    reazione

    Durante gli ultimi anni del diciottesimo secolo e agli inizi del diciannovesimo la Gran Bretagna assistette ad una massiccia ondata di rifiuto delle idee e delle credenze associate all'Illuminismo. Il cristianesimo evangelico trion­ fò sopra le forme di religiosità piu razionali in voga duran­ te l'età della ragione . Il Romanticismo prese il posto del­ le varie forme di 'classicismo'; l 'approccio 'organico ' all'e­ stetica, alla poetica, alle teorie della mente, alla morale, allo studio della persona e dell'educazione sostituf quello 'meccanico' . La coscienza 'critica' propria dell'Illumini­ smo cedette il passo, nel mutato clima, ad un modo 'stori­ co' di considerare le cose. Le concezioni illuministiche furono respinte, in parte perché demolite al loro s tesso interno ; ma soprattutto perché (come asserivano in parti­ colare Edmund Burke e John Robison) erano insanguina­ te dalle atrocità della rivoluzione francese 60• Quale impatto provocarono queste mutate scelte di campo nello studio della Terra? Stabilire la giusta posizio­ ne nei confronti della scienza illuministica era di grande im­ portanza per i naturalisti, poiché erano questi gli anni in 60

    Su questo sterminato argomento vedi, per esempio, M,J. Quinlan,

    Victorian Prelude, New York, 194 1 ; F.K. Brown, Fathers of the VictiJ· rians: tbe Age o/ Wilberforce, Cambridge, 1961 ; B . Willey, Nineteentb Century Studies, London, 1949; A. Cobban, Edmund Burke and the Revo/t Against the Eighteenth Century, London, 1929 ; V. Storr, The Development of English Theology in the NitJeteenth Century 1 800-1860, London, 191 3 ; M. Abrams, The Mirror and the Lamp: Romantic Theory and the Critica[ Tradition, New York, 1953 ; ].B. Marre] , Professors Robison and Pla}•fair and tbe Theophobia Gallica, « Notes and Records of the Royal Society of London », XXVI (197 1 ) , pp. 43-63.

    416

    cui la nuova scienza della geologia, divenuta oramai consa­ pevole di se stessa, andava cristallizzandosi. I geologi ave­ vano bisogno di sottoporre il passato della loro scienza a profonda verifica e di costruire nuove interpretazioni stori­ che adeguate e affidabili. Molti geologi manifestarono uno spirito di ripulsa contro le teorie della Terra speculati­ ve e congetturali sviluppate durante l'Illuminismo e cer­ carono di tagliare il cordone tra quelle e la geologia 61 • I filosofi francesi ed i loro soci come de Maillet, Voltaire e Buffon subirono un poderoso attacco (specialmente da par­ te di Jean André de Luc) 62, ma in Gran Bretagna il colpo piu pesante fu diretto contro gli Aufklarer indigeni dell'epoca, come James Hutton, George Hoggart Toul­ min ed Erasmus Darwin 63 • Su di un versante la manovra offensiva consisté in un attacco di tipo baconiano contro l'arrogante presunzione caratteristica dei metodi speculativi. La « Edinburgh Re­ view », riassumendo il confronto da essa compiuto tra le teorie di Hutton e quelle di Werner, concludeva : « Fra tutte le meraviglie che la geologia presenta ai nostri occhi la plu inspiegabile ci pare sia l'ardore e la sicumera che mostrano i suoi teorizzatori >> 64• I geologi si riproposero 61 Vedi Roy Porter, op.

    cit., (nota 9), cap. VIII, e introduzion�, A partire dalle prime pubblicazioni negli anni attorno al 1770, de Luc aveva condotto una crociata contro la geologia dei philosophes in nome dei principi baconiani e del cristianesimo liberaleggiante. Durante le guerre rivoluzionarie egli lavorò come agente nella diplomazia contro-rivoluzionaria. Vedi su di lui la tesi di dottorato, in corso di pre­ parazione, di Clarissa Campbell Orr del Girton College, Cambridge. Per la diffusione in Gran Bretagna della scienza dei philosophes, vedi B.N. Schilling, Conservative England and the CB-e Against Voltaire, New York, 1950, e per la conoscenza dell'opera di Lamarck vedi P. Corsi, Charles Lyell, the second volume o/ the Principles of Geolog)', and French Biologica! Thought, « The British Journal far the History of Scien­ ce », XI ( 1979) , pp. 221-244. 63 Vedi D.R. Dean, James Hutton and His Public, 1 785-1802, « An­ nals of Science », XXX ( 1973 ) , pp. 89-105; N. Garfinkle. Scio1ce and Religion in England, 1 790-1800: The Critica! Response to the \Vork of Erasmtts Darwin, « Journal of the History of Ideas », XVI ( 1955 ) , pp. 376-88; Porter, op. cit., (nota 32). 6 4 [F. Jeffrey] , Review of A Comparative View of tbe Huttonian and \Vernericm Systems of Geology, « Edinburgh Review », II (1803 ) , pp. 337-48, p. 348; cfr. [T. Thomson] , Review of E1·asmus Darwin, Tbe 62

    417

    la messa al bando delle ipotesi - fatto questo a cui Lyell senti l'obbligo di opporsi negli anni attorno al 1 8 2 0 65 • Ma la strategia adottata richiedeva pure un blitz frontale contro le speculazioni illuministiche in quanto era­ no (nelle intenzioni o nei fatti) non-cristiane o anti-cristia­ ne, dunque scientificamente false. Uniformitaristi come Hutton e Toulmin erano ( a ragione) attaccati per i loro sarcasmi sulla rivelazione, benché i virulenti attacchi ai dan ni di Hutton , presunto ateo, di certo mostrano un travisamento, se non addirittura una distorsione voluta­ mente tesa ad attizzare polemiche 66• Cosi benché l'attuali­ smo metodologico mantenesse la sua presa, le pubblicazio­ ni di Hutton e Playfair non guadagnarono nuovi sostenito­ ri alle teorie dell'equilibrio stabile 67 • La campagna « abrogazionista » ebbe origine dal fat­ to che l'uniformitarismo appariva all'opinione pubblica in­ quinato dal radicalismo politico della rivoluzione france­ se. Divenne moneta corrente la connessione, del tutto ipo­ tetica, tra la rivoluzione politica e le rivoluzioni periodi­ che dell'assetto terrestre deducibìli nel quadro della geolo­ gia uniformitaristica. John Williams affermò che la geolo­ gia di Hutton tendeva a promuovere l'« ateismo », l'« em­ pietà }> , l'« anarchia, il disordine e la miseria » 6 8 • E que­ ste correlazioni vennero fatte proprie da geologi di pri­ m'ordine come Kirwan, Walker, de Luc e Townsend; da of Nature, « Edinburgh Review >>, II ( 1803 ) , pp. 491-506. [Char!es Lyell] , Review of George Poulet Scrope, Memoir on the Geology of Centrai France, « Quarterly Review )), XXXVI ( 1827) , pp. 437-83, p. 4 4 1 . 66 Per un attacco di ques ta sorta vedi John Williams, The Natura! History o/ the .Mineral Kingdom, 2 voli., Edinburgh, 1789, I, introduzio­ ne. Per una vivace esposizione vedi C. C. Gillispie, Generis and Geo­ logy, Cambridge, Mass., 1951, in particolare i capp. I-III. 67 L'opera di Leroy E. Page rappresenta un utile correttivo al punto di vista secondo cui il catastrofismo acritico tenne il campo all'inizio del diciannovesimo secolo. Vedi The Rise of Diluviai Theory in British Geologica! Thought (tesi di dottorato, Università dell'Oklahoma, 1963 ) ;

    Temple 65

    idem, Diluvialism and its Critics in Great Britain in the Early Nin eteen­ th Century, in C._T. Schneer (a cura di), Toward a History of Geology,

    Cambridge, Mass., 1969, pp. 257-71 . 6S Williams, op. cit., (nota 64) , I , p. LIX.

    418

    prohni interessati all'argomento come Ramsay e Ochter­ tyre; nonché da ecclesiastici 69 • A partire dal 1 8 1 0 circa, tuttavia, l e prospettive di coloro che interpretavano lo sviluppo della geologia comin­ ciarono a divaricarsi. Questo non vuol dire che l'uniformi­ tarismo, o le teorie della Terra apparentate con l'Illumini­ smo, cominciassero ad essere tenute in una migliore consi­ derazione. Anzi, il precedente ripudio dell'uniformitari­ smo, guardato come un ramo della congiura illuministica, prosegui soprattutto negli scritti degli autori di commenti generali e dei cosiddetti geologi biblici 70• La « Quarterly Review » continuava a pronunciare verdetti di condanna contro naturalisti del calibro di de Maillet, Lamarck e d Erasmus Darwin, qualificandoli come « sapientoni incom­ petenti quanto disinvolti » , responsabili di aver messo in circolazione « teorie insane e visionarie » rivolte a mette­ re in discussione « l'autenticità delle sacre scritture » 7 1 . Lo stesso periodico mise in relazione Hutton con quella scuola francese che aveva « a lungo trattato » la storia di Noè « come fosse una favola )> e condannò Hutton per l a sua presunta fede nell'« eternità » della materia - opinio69 Per i geologi vedi Richard Kirwan. Examination of the Supposed lgneous Origin o/ Stony Substatzces, « Transactions of thc Royal Irish Academy >� , V ( 1 7 9 1 ) , pp. 51 -8 1 ; Rev. G . Graydon , On the Fish Enclo­ sed in Stone of Monte Bolca, « Transactions of the Royal Irish Aca­ demy », V ( 1791 ) , pp. 281-3 1 7 ; J.A. dc Luc, Letters to Dr. James Hutton, F.R.S. Edinburgh, on his 'Theory o/ the Earth', « Monthly

    Review », n.s., II (1790), pp. 206-27, 582-601 ; I I I (1790) , pp. 573-86; pp . 664-85. John Walker, Occasiona! Remarks (ros nella biblioteca dell'Università di Edinburgo DC 2 40; datapile intorno al 1790), dove Walker attribuisce i tempi rivoluzionari al sorgere dell'« cm­ pietà moderna », un principio della quale è quello secondo cui 72. Tuttavia, parallelamente a questa storiografia « di bat­ taglia » , ne andava prendendo forma un'altra; particolar­ mente tra l 'élite dei ge ologi addetti ai lavori. Esaltati dai progressi in corso nella loro scienza e sentendo meno n bisogno di prendere in considerazione e difendere i prece­ denti errori di direzione, geologi come \Villiam Fi t to n e William Conybeare per la prima volta intrapresero la co­ struzione di una storia « in terna » della geologia . Essi m i ser o sempre piu da parte la considerazione del piu am­ pio contesto sociale, culturale e religioso delta scienza, e cominciarono a concentrare la loro attenzione sui singoli contributi positivi - nuovi fatti, nuove tecniche recati individualmente dai loro colleghi e dalle scuole na­ zionali 7 3 . Lo sviluppo della geologia veniva dunque de­ scritto senza prestare attenzione a fattori estrinseci, quasi un registro di conquiste catalogate come in una scheda biografica : cosi i tedeschi avrebbero recato un precipuo contributo alla mineralogia, i francesi alla paleontologia, i br it annici alla stratigrafia. Figure individuali di ge ologi del diciottesimo secolo come Lehmann e de Saussure soli­ tamente trovavano posto nell'ordito di questa trama, ma 7 2 [E. Coples ton ] , Review of \V. Buckland, 'Reliquiae diluvianae', Quarter!y Review », XX:IX ( 1823), pp. 138-65 , p. 140. 73 Per un'utile esemplificazione vedi W.D. Conybeare c \Yl. Phillips, Outlines of the Geology o! Engla11d arJd Wtt!es, l ' parte, London, 1822, Introduzione; W.D. Conybcare, Report on the Progress, Actual «

    State and Ulterior Prospects o/ Geologica! Science, Report of the Briti­ sh Association far the Advancement of Science, 1831-2, London, 1833 , pp. 365-41 4 ; [W. Fitton] , Review of 'Transactions of the Geologica[ Socidy of London', « Edinburgh Rcvicw >>, XXVIII ( 1 8 1 7 ) , 70-94; [ W. Fitton], Review of W. Smith, Delineation of the Strata of E11gland and Wales, « Edinburgh Review », XXX: ( 1 8 18 ) , pp. 312-37 ; [T. Thom­ son] Review o! 'Tramactions o/ the Geologica! Society of London', n .s. I , II, I I I , « Edinburgh Review > > , LII (1830 ) , pp. 43-72; Rees's Cyclopae­ dia, vol. XVI, London, 18 19, sotto la voce 'Geology'_ W. Buckland, Vindi­ ciae geologicae, Oxford, 1820. È interessante notare che questo stesso punto di vista fu adottato da Charles Lyell nella sua anonima Review of 'Transactions o/ the Geologica{ Society of London', vol. I, 2nd series, « Quarterly Review », XXXIV ( 1 826), pp. 507-40, dove egli sosteneva con insistenza che la geologia si era liberata del suo passato incerto, e ora era fiorente.

    420

    problematiche piu ampie -. come le relazioni tra la scien­ za e movimenti filosofici di largo respiro come l'Illumini­ smo - erano tranquillamente lasciate da parte. Le poche volte che Hutton era ricordato, non era per il suo unifor.­ mitarismo, ma per il suo p!utonismo, o per il fluvialismo, o per altri aspetti marginali del suo pensiero. Il fantasma della controversia fra Hutton e Werner veniva ora rispedi­ to all'aldilà con tanti ringraziamenti. I geologi, in breve, non sentirono piu tanta necessità di confrontarsi con l 'uniformitarismo. Infatti pressoché tutti i geologi britannici negli anni 1 8 1 0- 1 8 20 (Lyell inclu­ so) erano convinti che la stratigrafia e la paleontologia stessero a dimostrare che la Terra - e la vita - non erano soggette ad una situazione di equilibrio stabile, ma ubbidivano piuttosto ad un modello caratterizzato da una storia, una direzione ed uno sviluppo. Tale punto di vista sembrava quadrare perfettamente sia con le conoscenze attorno ai fossili e agli strati, sia dar vigore alle concezio­ ni del mondo imperniate sulle nozioni di crescita cumulati­ va e di progresso storico, che erano in voga all'inizio del diciannovesimo secolo 74.

    4. L'uniformitarismo di Lyell e l'IllumittiJmo

    I Principles o/ Geology ( 1 8 30-33) di Charles Lyell, per tutto quanto detto in precedenza, rappresentano co­ me una formazione di roccia prodotta per intrusione da un cataclisma entro lo sviluppo della s c ienza geologica del secolo diciannovesimo : il revival del piu schietto uni­ formitarismo. Per Lyell l'uniformitarismo era qualcosa di piu di uno strumento euristico per la spiegazione del passa­ to mediante il presente; era qualcosa di piu di una comu­ ne, attualistica, accettazione delle presenti leggi di natura 7 � Per un'interpretazione vedi Rudwick e Hooykaas, citato in nota 6; P. Bowlcr, Fossils and Progre3S, New York, 1976; Oldroyd, op. cit., (nota 39) . Per l'accettazione da parte di Lyell stesso di questa ipotesi vedi la sua op. cit. , (nota 73).

    42 1

    e del maggior gradalismo possibile nelle cause che spiega­ no i fenomeni geologici. Si trattava piuttosto di una fede nell'equilibrio stabile dello stato della Terra, governata que­ sta da « cause secondarie uniformi e mai devianti » , attra­ verso cui « l 'energia utilizzata nei movimenti sotterranei [ della Terra ] si è sempre mantenuta uniforme nella totali­ tà del sistema terrestre » 7 5• Lyell presentò se stesso come « uno strenuo sostenitore dell'assoluta uniformità entro l 'ordine delia natùra » 76• Il « fondamento di ogni ragio na­ mento scientifico » era secondo lui il fatto che « nessuna al­ tra causa di alcun genere ha mai agito, dall'epoca piu remota che noi possiamo immaginare fino al presente, oltre quelle che agiscono tuttora, e che esse non hanno mai operato con gradi di energia diversi da quello che esercitano tut tora )> 7 7 • Ad eccezione dell'uomo (unico esse­ re suscettibile di progresso) , la Terra e la vita su di essa non mostravano alcuno sviluppo significativo nel corso della loro storia accessibile alla conoscenza scientifica da parte dell'uomo. Dando un'occhiata al largo stuolo di valenti s tudiosi che ora si affolla attorno a Lyell, sarebbe ozioso ed imper­ tinente aprire in questa sede la questione generale di quale sia la natura precisa dell'uniformitarismo di Lyell o del perché egli lo adottasse 7 3 • Mi limiterò qui a chiedermi in che misura sia storicamente corretto e fecondo colloca­ re Lyell nella prospettiva dell'eredità illuministica. Ho so­ s tenuto che l'uniformitarismo in senso proprio trasse origi75 Mrs K.M. Lyell, Sir Cbarles Lyell, Bart, Life, Letter.r nals, 2 voli., London, 188 1 , I , p. 234. 7 6 Lyell, Pi'inciples (nota 5), I, p. 264.

    cmd

    ]our-

    77

    Lycll, Life (nota 75) , I , p. 234. Come introduzioni alla piu recente letteratura su Lyell (e per ulteriori citazioni) vedi il Lyell Centenary Isme del « British Journal 73

    for the History of Science », IX ( 1 976) ; inoltre vedi le seguenti pubbli­ cazioni piu recemi : Michael Bartholomew, Tbe Singularity of Lyell, « History of Science », se ne prevede la pubblicazione per il 1979; D. Ospovat, Lyell's Theory o ! Ctitnate, « Journal of the History of Bio­ logy », X ( 1977) , pp. 317-39; M.J.S. Rudwick, Tramposed concepts /rom tbe hu111an sciences in the early work of Charles Lyell, in L. Jordanova e Roy Porter (a cura di), Images o/ the Eartb, Chalfont Sr Giles, 1979 .

    422

    ne dalla metafisica del naturalismo filosofico di orienta­ mento deistico proprio dell'Illuminismo - e invero que­ sta connessione fu chiaramen te, anche se polemicamente, riconosciuta dai primi suoi c ritici nel secolo diciannovesi­ mo . Ma Lyell dove si colloca ? I materiali attualmente disponibili non forniscono noti­ zie sufficienti circa i primi entusiasmi intellettuali, le pri­ me letture e convin z i oni di Lyell. Si può asserire nondime­ no, senza tema di errore, che la conversione di Lyell all'uniformitarismo non fu una conseguenza della frequen­ tazione di circoli intellettuali di radicali, liberi pensatori e non-cristiani risalente agli anni della sua giovinezza, da studen te o agli inizi della carriera scientifica. La sua educa­ zione, di tipo classico, era stata convenzionale; i suoi amici appartenevano al partito Whig o erano di generico orientamento liberale, mai philosophes o agitatori. Né la conversione fu dovuta al s uo approfondimento delle ope­ re di Hutton specificamente 79, o, piu in generale, d egl i scritti dei pbilosophes (benché, a dire il vero, la sua osti­ le risposta all'uniformitarista , deista ed evoluzionista La­ marck probabilmente derivasse dalla sua adesione a u n tipo differente di uniformitarismo) 8 0 • L' adozione dell'uni­ formitarismo da parte di Lyell fu incoraggiata dal timore che tutte le concezioni che sostenevano una direzione e un progresso della Terra e della storia organica sarebbe­ ro in definitiva sfo ci ate nel lamarckismo , distruggendo co­ si la dignità dell'uomo 8 1 • Ed essa fu rafforzata pure dalla 79 Dei

    suoi debiti nei confronti di Hutton Lyell doveva piu tardi ,, dubito di aver mai letto piu della metà dei suoi scritti e dato u n a scorsa al resto ». Lyell, Li/e, (nota 73) , II, p . 4 8 . (Non è chiaro se Lyell si riferisce specificamente agli scritti geologici di Hut­ ton, o alla sua intera opera) . William Fitton lo accusò di non rendere ad Hutton il dovut o , Review of Charles Lyell, 'Elements of Geology', > , LXIX ( 1839 ) , pp. 406-66. s o Vedi in special modo Michael Bartholomew, Lyell and Evolution: an Account of Lyell's Response to the Prospect of an Evolutionary Ancestry /or Man, « The Brit ish Journal for the Histol'}' of Science >> , VI ( 1972-3 ) , pp. 261-303. 81 V edi W.F. Bynum, Tùne's Noblest Offspring: tbe Problem o/ Man in the Britisb Natura! Historical Sciences 1800-1 863 (tesi di scrivere:

    423

    convinzione, 'interna' alla sua professione di geologo, che un'insistenza piu energica sull'azione graduale delle cause geologiche attuali, considerate su un'ampia scala tempora­ le, avrebbe fornito spiegazioni piu soddisfacenti nel qua­ dro stesso della scienza 8 2 • Non mi assumerei la responsabilità di sos tenere che Lyell fosse 'influenzato' molto direttamente nelle sue con­ vinzioni generali , o nel suo pensiero di geologo, da lettu­ re illuministiche. Ho scarse prove che egli abbia mai co­ scientemente identificato se stesso o i suoi scritti con le vedute dei philosophes; la sua esposizione della storia della geologia contenuta nel primo capitolo dei Principles è illuminante sotto questo punto di vista. Lyell, certo, deplorò la « malevolenza » 8 3 con cui elementi controrivo­ luzionari perseguitavano le libere speculazioni dei « vulca­ nisti eretici » dell'Illuminismo come Hutton 8 4 . Inoltre si esprimeva con tono di simpatia quando scriveva che du­ rante l'età della Ragione « un gruppo di scrittori aveva lavorato alacremente per molti anni in Francia allo scopo di ridurre l 'influenza del clero, indebolire le fondamenta della fede cristiana; e il successo da loro ottenuto, unito alle conseguenze della rivoluzione, aveva allarmato le men­ ti piu risolute, mentre l'immaginazione dei piu timidi era perseguitata di continuo dal terrore dell'innovazione come dal fantasma che appare in certi incubi terrificanti » 8 5 • M a la forma complessiva data d a Lyell alla sua storia non rivelava particolare simpatia né per i philosophes, né per la geologia del diciottesimo secolo - che a suo dire era un periodo « tanto di stasi quanto di avanzamendottorato, Universi tà di Cambridge, 1 974) . Certamente Lyel! stesso piu tardi concepf la cosa in questi termini : L.G. Wilson, Sir Charles L)'ell's Scientific Notebooks on the Species Question, New Haven, 1970, pp. 87 ss.; ecc. 82 Ved i L.G. Wilson, The Intellectual Background lo Cbarles L·yell's Prìnciples of Geology 1830-1833, in Schneer, op. cit., (nota 67) , pp. 426-43; Martin ].S. Rudwick, L}•ell on Ett1a, and the Antiquity o/ the Eartb, ibid., pp. 288-304. 83 Lyell, Principles, (nota 5 ) , I, p. 67. 84 Ibidem, I, pp. 35, 42. 85 Ibidem, I , p. 65.

    424

    to » 8 6 • Egli non si chinò indietro a guardare i suoi precur­ sori e a presentare se stesso come il continuatore dell'ope­ ra di Moro, Hutton o Toulmin (che nella sua opera non ricevette alcuna menzione) 8 7 . Piuttosto il tono generale della sua ricostruzione storica era volto a suggerire una relativa indipendenza dai suoi precursori del secolo prece­ dente. Quando Lyell giunse a tracciare uno schizzo delle radici storiche dell'uniformitarismo, non guardò tanto al diciottesimo secolo, ma piuttosto direttamente all'età an ti­ ca: ai Pi tagorici, a Ovidio, e addirittura agli antichi In­ du. Inoltre Lyell condannava i philosophes per la l o ro « malafede >> geologica 8 8 . Con quel loro aggrapparsi a ogni pretesto che consentisse di combattere l'idea predi­ letta dei geologi bigotti, quella del diluvio, uomini come Voltaire non avevano a cuore gli interessi reali della scien­ za, e perciò ne ostacolarono il progresso 89• Malgrado tutto ciò in innumerevoli aspetti delle sue convi nzioni, delle sue valutazioni, delle sue concezioni scientifiche, le vedute di Lyell risentivano profondamente dell'IIluminismo. Ciò era dovuto al fatto che la principa­ le convinzione che egli condivideva con i philosophes era che il progresso delia scienza fosse qualcosa di piu di una successiva accumulazione di fatti positivi particola­ ri. Esso era anche, e fondamentalmente, una lotta tra teologie, antologie ed antropologie rivali. Per Lyell l'au­ tentica geologia doveva progredire parallelamente a una filosofia tesa ad elevare la dignità dell'uomo ; e ciò per.­ ché il progresso della conoscenza scientifica doveva coinci­ d ere con l'elevazione spirituale del genere umano ed esse­ re quasi la sua salvezza e la sua redenzione 90• Come avreb­ be scri tto in età molto avanzata: -

    .

    86

    87

    I bidem, I,

    p. 30.

    Cfr., Porter, op. cit., (note 5 e 32) . 8 8 Lyell, Principles, (nota 5), I, pp. 5·8. Le implausibilità di sapore whig, implicite in queste attribuzioni, furono messe in luce da William Whewell nella sua History of the Inductive Sciences, (nota 3 ) . 89 Lyell, Principles, (nota 5), I , p. 66. 90 Cfr., Grant, op. cit. (nota 47 ) . Per simili idee tra gli scrittori dell'Illuminismo come Diderot, Herder e Condorcet vedi Gay, op. cit., (nota 1 3 ) , vol. l, cap. VII ; vol. I I , capp. IV e X.

    425

    Io credo e spero che la scoperta , e la diffusione di ogni verità e la dissipazione di ogni errore tenda a rendere migliori e piu d:gnitose le condizioni dell'uomo, anche se riformare opinioni ed istituzioni inveterate è causa di tanta pena e sofferenza 9 1 .

    Questa concezione illuministica secondo cui il genere umano deve realizzare se stesso nel progresso della scien­ za, guida la ricostruzione storica della crescita delia geolo­ gia tracciata da LyelL L'emergere della geologia era parte integrante del progresso dello spirito umano dallo stato di rozzezza alla civiltà 92, poiché esso consisteva nella sco.­ perta da parte dell'uomo del suo posto nella natura e nella creazione. Per Lyell i precedenti errori geologici dovevano in parte attribuirsi alla condizione biologica del­ l'uomo, cioè di un mammifero terrestre di vita breve 9 3 , Ma tali errori erano dovuti anche ad infantilismo psicologi­ co: l 'animismo, l' antropocentrismo, il desiderio di raffigu­ rarsi la genesi, l'immaginarsi catastrofi per terrore o sen­ so di colpa 94 • Ma alla fine di tutto la mente umana aveva pur raggiunto la maturità epistemologica e psicologica. Soltanto il filosofo naturale maturo aveva il coraggio di indirizzare lo sguardo con franchezza dentro un mondo infinito nel tempo e nello spazio, e di considerare la natura come indipendente, governata dalle sue stesse leg­ gi, nella sua separatezza rispetto alla mente di colui che la contempla. Lyell, dunque, proponeva l'uniformitarisrno non soltanto come metodologia geologica ; piuttosto esso doveva rappresentare il punto piu alto dell'epistemologia progressiva della razza umana. II credo fondamentale di Lyell - tanto scientifico quanto umanistico - poteva identificarsi in quel comples­ so di valori definito da Henry May « Illuminismo modera­ to » 9 5 . A differenza dei fautori dell'« Illuminismo radica91 92

    Lycll , Li/e, (nota 75) , I I , p. 452. Ho trattato ques t i punti piu distesamente

    nella mia op. cit.,

    (nota 5). 93 Lycll, Principles , (nota 5 ) , I , cap. V. 94 Q u i il pensiero d i Lyell assomiglia strettamente a quello dei philosophes come Hume, Boulanger e Toulmin, ma ha ben poca relazio­ ne con quello di altri geologi della sua epoca. 95 Henry May, The Enlightenment in America, Oxford, 1976.

    426

    le » , Lyell non si batteva per un cambiamento socio-politi­ co ; a differenza dei seguaci dell'« Illuminismo scettico », Lyell non cer c ava di fare uso della conoscenza al fine di diffondere il dubbio universale. I valori propri dell'« Illu­ minismo moderato » di Lyell esprimevano piuttosto la cre­ denza nella realtà di un essere divino a capo dell'univer­ so e la credenza nell'oggettività, nell'uniformità, e nella regolare conformità a leggi della natura. Tale modo di concepire Dio e la natura era la condizione minima e necessaria perché Lyell potesse a s sumere il patrocinio del­ la dign i t à dell'uomo, che deve essere superiore alla natu­ ra in quanto solo essere progressivo e razionale del crea­ to. E fu ngeva pure da garanzia per il suo convincimento secondo cui l'uomo è veramente un essere « spirituale », dotato di l ibero arbitrio ed autorizzato a coltivare in que­ sta vita speranze nell'al di là. Io non posso fare a meno di nutrire la convinzione che ho la possibilità di esercitare il libero arbitrio, per quanto grande sia il mistero nascosto in questa possibil ità, c parimenti che può esserci veramen te una continuazione della vita spirituale, per quanto ciò sj cfr. pp. 197 s. qua

    e

    427

    mente seguace del movimento unitario negli anni attorno al 1 850 9 7 • Due punti, tuttavia, consentono d i istituire u n sicuro parallelismo tra il pensiero di Lyell e quello dei deisti dell'età illuministica. In primo luogo per Lyell, cosi come per essi, l'uniformitarismo geologico appariva come l'unica speranza per garantire la posizione di unicità e la nobiltà dell'uomo nel creato. La verità di quanto detto è dimostrata dall'angoscia manifestata da Lyell quando, negli anni che vanno dal 1 850 al 18 60, si vide costretto ad ab­ bandonare il suo uniformitarismo paleontologico e biolo­ gico 93 . In secondo luogo, per Lyell , come pure per i deisti dell'età illuministica, la minaccia piu pericolosa recata al­ la dignità dell'uomo proveniva dal cristianesimo , se non in se stesso, certamente nelle sue forme teologiche ed ecclesiastiche che avevano dominato storicamente. La du­ rezza dell'ostilità che Lyell nutriva in privato nei confron­ ti delle chiese cristiane costituite non è stata mai ricono­ sciuta dagli storici . Egli non inveiva soltanto contro i 1 00 , i seguaci di Pusey 10 1 , e « s ofi s t i teologici » 9 9 cat t ol ici i geologici biblici come Andrew Ure ( « ipocrita senza prin­ cipi e libertino dublinese ben noto negli annali del etimi­ ne » ) 102, ma anche contro i vescovi anglicani 10\ la gerar­ chia della chiesa d'Inghilterra ed il potere ecclesiastico in generale 1 04• L'Inghilterra, egli dichiarava drasticamente, 9 7 Desidero riconoscere qui il mio debito nei confronti di uno scrit­ to non pubblicato del dottor Derek Orange, sul pensiero religioso Ji Lyell, presentato alla conferenza per il centenario di Lyell tenutasi a londra nel 197 5 . 9 8 Vedi i Scientific Notebooks, (nota 8 1 ) , passim. 99 Lycll, Li/e, (nota 75) , I, p. 310. 1 0 o Lyell, Life, (nota 75) , I , pp. 203, 2 1 6, 220, 221, 440 . 10 1 Lyell, ibidem, II, p. 83 . 1 02 Citato in L.G. Wilson, Charles Lyell: The Years to 1841, the Revolution in Geology, New Haven, 1972, p. 265. 1 0 3 Lyell, Li/e, (nota 75), I , p . 397. 104 Lyell, Life, (nota 75) , II, pp. 80-81 : l'influenza della Chiesa d'Inghilterra « qui è veramente l'unico potere oppressivo, non la monar­ chia n� l'aristocrazia » .

    428

    « è dominata dai preti piu di ogni altro [ paese ] d'Euro­ pa, eccettuata l a Spagna » 1 05 • Ma l ' as pi razione di Lyell a « liberare la scienza da Mosè » 1 06 fu espressa con ben poche attenuazioni - an­ che se con piu accortezza diplomatica - nelle sue pubbli­ cazioni, a dispetto della sua prudente autocensura 1 0 7 • Gran parte dell'introduzione storica scritta per i Principles de­ ve essere letta come una vivace rappresentazione allegori­ ca, tipicamente illuministica, delle lotte tra le forze della luce (cioè la verità scientifica e la libera ricerca) contro gli eserciti tenebrosi dell'errore, dell'inganno, della super­ s tizione e del clericalismo organizzato in chiese intolleran­ ti e sostenuto dalle p ersecuzioni e dal dispotismo : « Qual­ siasi abbozzo dei progressi della geologia non può essere che la storia della lotta incessante e violenta tra opinioni nuove ed antiche dottrine sanzionate dalla fede cieca di molte gen erazio ni e supposte fondate sull'autorità delle • Scritture )> 1 0 8 Non c'è bisogno di notare come lo schizzo tracciato da Lyell possieda uno charme volterriano sufficiente a disarmare i critici; ma l'astio nei confronti delle interferen­ ze clericali nel libero pensiero, e delle concezioni dell'uo­ mo e della natura errate e degradanti, che quelle avevano legittimato, non è mai cosi sotterraneo da non potere emergere in superficie. Non ci stupiamo quindi se, a pro­ posito dell 'interpretazione data da Woodward al diluvio universale, egli scrisse : « Mai un errore teorico, in nessu­ na branca della scienza, interferi piu pesantemente nell'os­ servazione accurata e nella classificazione sistematica dei fatti » 1 0 9 • I OS L yell, ibidem, II, p. 169. Vedi in special modo l e lettere di Lyell a George Ticknor. Cfr., Bartholomew, op. cit., (nota 4 8 ) , pp. 20 s., 65 s. 106 Lyell, ibidem, I, p. 268; cfr. I, p. 27 1 . I , p . 270. La medesima ostilità è manifestata 1 °7 Lyell, ibidem, diffusamente nei T1·a vels Through Nortb America di Lyell, 2 voll., London, 1845, I, pp. 1 20, 2 1 0 , 266, 270 ss. 103 Lyell, Principles, (nota 5 ) , I , p. 3 0 . 109 Lyell, Principles, (nota 5), I , p . 29 . Come Hutton Ly ell rivolgeva obiezioni di carattere teologico a una religione che faceva dell'« annega-

    429

    Gli stonct oggi giustamente insistono che la storia della geologia del secolo diciannovesimo non può essere scritta in termini, come suol dirsi, di bipolarismo : la Ge­ nesi contro la geologia scientifica, l'uniformitarismo contro il catastrofismo 1 1 0 • Eppure non dobbiamo nemmeno per­ dere di vista il fatto che proprio in questa forma Lyell fece esperienza dei dilemmi che travagliavano la geologia ed in questa forma egli li riferf nei suoi scritti . Questa consapevolezza ci aiuta a comprendere la natura del suo uniformitarismo e conferma i suoi vincoli di simpatia con i punti di vista del vecchio Illuminismo.

    5. Le conseguenze Esaminando le reazioni all'uniformitarismo di Lyell e lo sviluppo della geologia negli anni successivi alla pubbli­ cazione dei suoi Principles, in che misura possiamo scorge­ re la consapevolezza che erano in gioco forme di pensiero proprie dell 'Illuminismo? Due importanti indicazioni so­ no offerte dall'opera di Michael Bartholomew. In primo luogo egli ha sostenuto con la dovuta insistenza che non c'è mai stato realmente alcun dibattito tra uniformitaristi e catastrofisti all'interno della geologia; non c'è mai stata alcuna netta divisione dei geologi in due schieramenti contrapposti frontalmente a favore e contro Lyell 1 1 1 • Non dobbiamo aspettarci di trovare una specie di batta­ glia campale, con i geologi liberi pensatori schierati con­ tro i bigotti. In secondo luogo egli ha mostrato che Lyell fu un geologo di genere affatto « singolare » m. Nessun altro geologo condivise la sua convinzione risoluta secon­ do cui solo l'uniformitarismo avrebbe potuto far progredi­ re la scienza e salvaguardare contemporaneamente la d igni -

    mento di tutti gli uomini » un'articolo di fede. Cfr . , L.G. Wilson, op. p. 3 1 3 . l ! O Vedi Bartholomew, op. cit., (nota 78) .

    cit . , (nota 1 02), 111

    112

    430

    Ibidem. Ibidem.

    tà dell'uomo . Per questo il suo amico Poulett Scrope pote­ va desiderare al pari di lui di liberare la scienza da Mosè, ma nondimeno credeva che un attualismo coerente sareb­ be servito allo scopo 1 1 3 • Mentre, al contrario, naturalisti come Charles Darwin e T.H. Huxley erano pronti ad accettare la discendenza dell' uomo come conseguenza del­ le loro concezioni uniformitaristiche. La risposta data a Lyell dalla maggior parte dei geolo­ gi fu per lo piu di carattere limitato e circoscritto. Molti lo attaccarono per avere reintrodotto nella geologia la , \'\lhewell riconosceva esplicitamente Lyell come l 'autentico fondatore (secondo il suo stesso 1!3 > ,

    VII

    ( 1974),

    pp.

    303.

    43 1

    giudizio) di tale branca della scienza. Ma con ciò egli di­ staccava Lyell da Hutton e dalle concezioni dinamiche del­ la Terra fondate sul naturalismo e sul deismo dell'età il­ luministica 1 1 6 • Tuttavia le origini illuministiche dell'uniformitarismo non poterono mai restare completamente nascoste. Non appena il cosiddetto dibattito sui miracoli degli anni attor­ no al 1 8 3 0 fu diventato, negli anni '40, una battaglia in piena regola sull'uniformità della natura, scontro tale da coinvolgere filosofi e polemisti come John Herschel, Ba­ den Powell, Whewell, Huxley e Tyndall, i problemi geolo­ gici sconfinarono tosto nelle questioni fondamentali dei rapporti tra Dio e natura, cristianesimo e ragione 1 1 7 • La reputazione in cui erano tenuti i philosophes, bifronti co­ me il dio Giano (in quanto essi avevano formulato il metodo scientifico e nel contempo sabotato la religione cristiana ) , andava ancora una volta riveduta . Non fu per­ ciò un caso che T.H. Huxley scrivesse un volume su Hume; o che Adam Sedgwick, schierato fra gli apposito� ri frontali dell 'uniformitarismo di Lyell, partisse all'assal­ to di tutti gli orientamenti culturali propri dell' Illumini­ smo nel suo Discourse sugli studi nell'Università di Cam­ bridge e fosse uno dei principali oppositori delle Vestiges di Chambers come pure di Darwin 1 1 8 . All'interno della geologia, ad ogni modo, furono le formulazioni di William Whewell che contribuirono prin­ cipalmente alla diffusione di Lyell, separando gli aspetti « accettabili » dai confutati elementi di Illuminismo, e as­ sicurarono in tal modo la sua ammissione nel Pantheon. Nella sua History of the Inductive Sciences, Whewell defini la geologia come una scienza storica (o, secondo il suo neologismo, paletiologica) 1 1 9 . « Tutte le scienze pale­ tiologiche », egli affermava, « tutte le forme di speculazio1 16

    1 17

    1 13

    \X'hewe!l, op. cit . , (nota 3 ) , I I I , p . 5 15. Cannon, op. cit., (nota 6) . A dam Sedgwick, Discourse on the Studies of the Uniuersity,

    Cambridge, 1833.

    1 1 9 Whewell, op. cit. , (nota 3 ) , III, p. 337.

    432

    ne che dal presente si protendono verso il passato remo­ to lungo la catena della causazione, ci sospingono parimen­ ti, come inevitabile conseguenza, a ricercare il comincia­ mento dello stato di cose che noi in tal maniera contem­ pliamo » 1 20 • Per cui da parte di Lyell era un grave errore quasi per definizione - aver asserito che la geologia era una scienza interessata a sistemi in equilibrio stabi­ le. Come aveva potuto Lyell commettere un simile erro­ re? Lo aveva commesso ingannato da una falsa analogia con la piu prestigiosa scienza dell'Illuminismo - l'astro­ nomia fisica newtoniana, che studiava le leggi cicliche del sistema solare 1 21 • Q uindi la geologia di Lyell era fon­ damentalmente obsoleta, condotta fuori strada dal suo pas­ sato. Una volta liberata da questo retaggio di errori, la geologia poteva andare avanti. -

    1 2o

    121

    Ibidem, III, p. 483 . Ibidem, I I I , p. 5 1 5 .

    433

    GIULIANO PANCALDI CONOSCENZA FINE A SE STESSA, TECNICHE E PUBBLICO DELLA SCIENZA NEL 'PRELIMINARY DISCOURSE' DI J. HERSCHEL

    Considerato già da alcuni contemporanei un classico della letteratura scientifica del suo tempo, il Preliminary Discourse on the Study of Natura! Philosophy di John Herschel 1 ha continuato a essere studiato, anche nella recente storiografia, come una sorta di manuale metodolo­ gico ad uso dello scienziato dell'età vittoriana. Posto a confronto, volta a volta, con il Novum orga­ num di Bacone, con il Discours préliminaire di d'Alem­ bert, con il System of Logic di J.S. Mill o con il Novum organum renovatum di Whewell, il trattato di Herschel è stato esaminato perlopiu da chi era interessato a studiar­ vi gli sviluppi nell'analisi dei procedimenti induttivi utiliz­ zati dalle scienze naturali. Il maggior impulso a questo tipo di lettura sembra essere derivato dalla circostanza per cui alcuni celebri scienziati del secolo scorso, Faraday e Darwin anzitutto 2, avevano attribuito al trattato di Her­ schel , in momenti di riflessione piu o meno attendibili l L'opera fu pubblicata a Londra, nel 183 1 , come « primo di una serie di discorsi intorno all'oggetto e ai vantaggi dello studio dei principali settori della conoscenza umana », formanti parte della Cabi­ net Cyclopaedia. Fu tradotta in francese, tedesco e italiano (Torino, 1840) . Un reprint (Johnson) con introduzione di M. Partridge è stato pubblicato nel 1966. Noi abbiamo utilizzato la prima edizione londinesc. 2 Per Faraday e Herschel cfr. ]. Agassi, Sir fohn I-Ierschel's Pbiloso­ pby of Success, , I ( 1 97 1 ) , pp. 3 15-329; A .D. Orange, Philosophm and Provincials, cit.

    447

    Accanto agli studiosi piu noti, impegnati nelle ricer­ che teoriche di fondo e nella vita scientifica delle di s cipli ­ ne ritenute fondamentali ( astronomia, geologia e chimica soprattutto) , ma che non necessariamente e anzi raramen­ te si guadagnavano da vivere con la scienza, vi erano coloro che erano interessati alle scienze per le loro applica­ zioni industriali . Agli occhi dei contemporanei, questi in· ventori o tecnici potevano attingere direttamente al mon­ do economico per le loro ricerche e il loro sostentamen­ to, e dunque realizzav�no per questa via un loro ruolo professionale 25 • Un terzo gruppo di « cultori di scienza » era costitui­ to da esponenti delle classi medie in ascesa, medici, avvo­ cati, militari c membri del clero che, senza fare del loro interesse per la scienza una professione in nessuno dei sensi fin qui indicati, trovavano tuttavia negli studi natu­ ralistici un terreno p ropizio in cui affermare una propria 26 • cultura e reclamare pubblici riconoscimenti A queste tre categorie di cultori di scienza bisognereb­ be forse aggiungerne un'altra, meno numerosa, ma ancora importante in quegli anni : quella delle personalità pubbli­ che, membri della nobiltà o leaders politici prestigiosi che, si riteneva, potevano conferire status e trarre a loro volta prestigio nella qualità di protettori delle scienze 27 • Numerosi regnan ti , anche non inglesi , continuarono a esse­ re ammessi come membri della Royal Society 28 . 25 Questa era l'opinione di C. Babbage nel suo Reflexions on the Decline of Science in En,�la11d, London, 18.30. Essa era condivisa anche da non scienziati come E. Bulwer Lytton, Engiand anc/ the English, Paris, 18.33 (cfr., per es., p . .367 ) . 2 6 Su questa ca tegoria d i « cultori di scienza >> ha insistito A. Thackray in Natura! Knowledge in Cultura! Context: the Manchester Mode!, cit. 27 A questo aspetto si mostravano ancora molto sensibili alcuni dei « riformatori » della Royal Sockty negli anni '30: sia Babbage quando, nel pamphlet già ricordato, reclamava onorificenze pubbliche per gli scienziati, sia A. Bozzi Granville, quando proponeva di ridare « un capo » alla Royal Society eleggendo il Duca di Sussex alla presidenza (cfr. Sciozce without a head; or the Roval Societ1' Dissected, London, 1830) . 28 Si consulti in proposito T h e record of the Royai Society u/ London, London, 1 940.

    448

    Se tale era verosimilmente il panorama dei cultori di scienza allorché il Discourse venne s cri tto , quale ruolo veniva assegnato da questo fortunato « manifesto » scienti­ fico alle diverse categorie ora ricordate? Il Discourse n on offre, anche per questo interrogati­ vo , delle risposte precise. M a vi è un'indicazione di fon­ do su cui Herschel insiste e che può apparire (oggi) con­ t ras tant e col carattere professionale che la ricerca scientifi­ ca andava a ssume ndo , anche per iniziativa di personaggi come Herschel : il sapere scientifico - egli ritiene non può e non deve essere patrimonio di pochi. La conoscenza - scrive Herschel - non può venire adeguata­ mente coltivata o usufruita da pochi. Se le condizioni in cui viviamo sulla terra possono essere tali da non garantire un'abbon­ dnnte disponibilità di mezzi di sussistenza per tutti quelli che nascono [qui Herschel ha in mente Malthus], non esiste nessu­ na analoga legge di natura che impedisca il soddisfacimento dei nostri bisogni intellettuali o morali. Con l'uso la conoscenza, a differenza del cibo, non viene distrutta bensi incrementata e perfe­ zionata. Attraverso il consenso universale essa forse non acqui­ sta una certezza maggiore, ma ottiene almeno un'autorità conferma­ ta e può assumere carattere duraturo. Né vi è alcun insieme di conoscenze cosi completo che non possa venire arricchito, oppure cosi libero da errore da non poter subire correzioni passando attraverso la mente di milioni di persone 29.

    Concezioni, queste, coerenti con l'ideale, espresso in alt re pagine, di un trionfo della ragione sostenuto dalla « saggezza collettiva del l 'um an ità » 3 0 che, con l'assenso della provvidenza divina, avrebbe permesso di dominare la nostra natura morale non meno che il mondo fisico. Anche chi ama la « conoscenza fine a se stessa » , ritiene Herschel, deve operare perché sia resa accessibile a tutti: solo cosi essa potrà raggiungere « quella duttilità e plasticità che può conferirgli soltanto la pressione eserci­ tata da menti di ogni orien t ament o costantemente impe­ gnate ad adeguarla ai propri scopi » 3 1 . Ma affinché sia 29 Herschel,

    3D

    Ibidem,

    3 1 Ibidem,

    Discourse, p . 74 . p. 70.

    cit.,

    p.

    69.

    449

    garantito il carattere largamente pubblico del sapere si richiedono, secondo Herschel, un impegno attivo dello scienziato e una forma adeguata del sapere scientifico : A questo fine è necessario che esso [ il sapere scientifico ] sia spogliato, per quanto possibile, delle difficoltà artificiose e priv a­ to di quegli elementi troppo tecnici che te ndono a conferirgli l'aspetto di un'arte (era/t) e di un mistero inaccessibili se non mediante una sorta di iniziazione. La scienza naturalmente ha, come ogni altra cosa, i suoi termini peculiari e, per cosi dire, i suoi idiomi linguistici, che sarebbe scorretto abbandonare quand'an­ che fosse possibile. Ma bisogna eliminare senza riguardi qualsiasi elemento che tenda a imporre alla scienza una veste inconsueta e scostante e, soprattutto, qualsiasi cosa acquist i inutilmente un ari a di profondità e oscurità tale da assicurare ai suoi professori un'ap­ p are nza di superiorità sopra il re s to degli uomini 32 • '

    Herschel ritiene che questo orientamento vada salva­ guardato soprattutto di fronte agli usi pratici delle teorie scientifiche: in quel caso, infatti, tutti sono interessati a una conoscenza adeguata dei principi fondamentali impie­ gati, affinché non si compiano pericolosi errori nella loro applicazione. Si delinea abbastanza chiaramente in afferma­ zioni del genere, che pure hanno la genericità di un > che si limitano a utilizzare l 'esperienza tecnica acqui­ sita . Ora - insiste Herschel - « le arti continuano a progredire lentamente, ma i l dominio loro proprio resta separato da quello della scienza da un largo braccio di mare, che può essere attraversato solo con un potente salto » 3 5 • Di fronte alla domanda, spesso rivolta allo scienziato inglese dei primi decenni dell'Ottocento : « a quale scopo o vantaggio pratico tendono le tue ricerche ? », questi può a buon diritto ricordare che nella s toria di tutte le scienze « le speculazioni apparentemente piu irrilevanti so­ no state quelle da cui sono derivate, quasi di regola, le applicazioni pratiche piu importanti » . Ma in generale, sembra ritenere Herschel, il natura! philosopher deve sot­ trarsi a questo tipo di interrogativi, che troppo spesso gli vengono rivolti. Lo scienziato speculativo può e deve ama­ re la « conoscenza fine a se stessa » e certo prova « un senso di umiliazione » di fronte a quel tipo di richieste 36• Quali sono dunque le caratteristiche piu appropriate e quali i vantaggi intrinseci di questa forma di sapere, che si cerca accuratamente di sottrarre a un terreno comu­ ne con il sapere tecnico ? « Una mente che abbia assimila­ to una volta per tutte il gusto per l'indagine scientifica - scrive Herschel - e abbia acquisito l'abito di applicar­ ne prontamente i principi ai casi che si verificano, ha in 35 Ibidem, 36

    45 2

    Ibidem,

    p. 7 1 . p . 10.

    sé una fonte inesauribile di contemplazioni pure e stimo­ lanti » 3 7 • Questa contemplazione, peraltro, è una disposi­ zione attiva, capace di mantenere in costante esercizio tut­ te le facoltà della mente. I l sapere scientifico si presta perciò piu di ogni altro a combattere, nella vita di chi lo pratica, ogni forma di lassismo, come pure « quella ricer­ ca di eccitamento artificioso e dissipatezza della mente, che porta tanti uomini a perseguire obiettivi frivoli, inde­ gni, distruttivi » 3 8 • È chiaro che una siffatta forma di sapere s i raccoman­ da allora non solo allo scienziato, che aspira a fare della ricerca il proprio mestiere, ma anche a tutti coloro che siano interessati alla scienza come espressione culturale in senso generale. Il « professionista » Herschel, insomma, si guarda bene dal dissuadere vecchi e nuovi « dilettan­ ti » dal coltivare aspirazioni scientifiche. E ciò , si direb­ be, perché sia Herschel che la vasta schiera dei « cultori di scienza » cui egli si rivolge sono propensi a fare della scienza una importante forma di espressione culturale e dunque, sotto molti aspetti, u n sapere per eccellenza, non semplicemente il sapere di qualcuno per qualcosa. Il carat­ tere disinteressato e contemplativo della scienza viene co­ si contrapposto sistematicamente agli « spinosi sentieri del­ le applicazioni » 39, cui segretezza, astuzie e interessi perso­ nali sembrano togliere ogni dignità di autentica espressio­ ne culturale secondo i criteri tradizionali . È difficile non tener conto, in una valutazione di questo atteggiamento nei confronti delle tecniche, di alcu­ ne osservazioni di Herschel sul loro ruolo nella società contemporanea. Si considerino per esempio, nel Discour­ se, alcune penose descrizioni della vita nelle manifatture o nelle miniere del tempo 4 0 • O anche la complessa argo­ mentazione in cui Herschel è costretto a riconoscere che, nonostante le aumentate risorse economiche e tecniche, è 3 7 Ibidem, 3 8 Loc. cit.

    p.

    � o Ibidem,

    pp.

    39

    Ibidem, p.

    15.

    360. 56-7.

    453

    assai difficile stabilire se gli strati inferiori delle nazioni civili si trovino in condizioni migliori dei ceti corrispon­ denti di una popolazione selvaggia 4 1 • Si comprenderà allo­ ra una almeno delle ragioni che inducevano ad allentare i legami fra scienza e tecnica. Il mero sapere tecnico, coin­ volto nel drammatico sviluppo economico e sociale del tempo, rischiava di compromettere le ambizioni di univer­ salità cui il sapere scientifico poteva ora aspirare con for­ za, valendosi della nuova figura dello scienziato, cui si cominciava a riconoscere un ruolo sociale autonomo, e del sostegno dato alla cultura scientifica da ceti sociali sempre piu vasti. In un saggio di alcuni anni fa, Everett Mendelsohn osservava 42 che ciò che veramente stupisce circa la scien­ za del diciannovesimo secolo non è tanto il fatto che assumesse toni utilitaristici, ma piuttosto che, nonostante questo, essa non si mise senz'altro al servizio dell'indu­ stria, non divenne semplicemente una scienza industriale. Una spiegazione del fenomeno va rintracciata, secondo Mendelsohn , nel fatto che soltanto tardi nel corso dell'Ot­ tocento la tecnologia industriale raggiunse un livello abba­ stanza avanzato per potersi valere delle scienze del tem­ po . Un 'altra circostanza, utile forse per comprendere il fenomeno, ci è ora suggerita dal Discourse di Herschel : l'identificazione scienza-tecnica fu scoraggiata sia dai nuo­ vi scienziati di professione, sia dai « cultori di scienza » . ;t



    Ib idem,

    pp. 67-69 .

    The F:mergence of Science as a Profession in Nineteenth Century Europe, cit., p. 42. Su come andasse delineandosi un ideale della scienza « pura >> vedi anche, dello stesso Mendelsohn, Tbe Social Construction of Scienti/ic Knowledge, in E. Mcndelsohn, P . W eingan e R. Whitley (a cura di) , Th e Social Production of Scientific Kno w!edge, (Sociology of the Scienccs, A Yearbook, vol. I ) , Dordrecht,

    42 E. Mendelsohn,

    1977, p. 22, n . 17. All'affermazione di una concezione della scienza « pura » , contrapposta alle tecniche, contribuirono forse anche i muta­ menti in corso in alcune discipline tradizionalmente « empiriche >> o « baconiane >>, che tendevano allora ad avvicinarsi alle scienze classiche, « mntematizzate ». Su questi mutamenti richiama l'attenzione T.S. Kuhn

    in

    Tradition Mathématique et Tradition Expérimentale dans le Develop· pement de la Physique, « Annales », 30 ( 1975) , pp. 975-998, in particoh­

    re pp . 992 e ss.

    4 5 ; l'insistenza sui potenziali risvolti pratici delle indagini piu speculative, ma anche la diffidenza per « gli spinosi sentieri delle appli­ cazioni » tecniche e l'introduzione, fra scienza e arti empi­ riche , di un « largo braccio di mare » ; la tendenza a pre­ sentare gli studi scientifici come un'occupazione degna in sé, ma raccomandabile anche dal punto di vista morale, come antidoto al lassismo, all'ozio, a occupazioni riprove­ voli . Su quest'ultimo punto il « manifesto » di Herschel è ancora piu ambizioso e propone un'ulteriore dimensione in cui dovrebbe esprimersi il carattere universale del sape­ re del natural philosopher: quello delle scienze sociali. -

    4J

    Cfr.

    qui,

    n.

    26.

    455

    I successi sperimentali e teorici della filosofia naturale - scri­

    ve Herschcl - nonché gli incalcolabili vantaggi che l'esperienza, s�stematicamente consul tata e interpretata in modo disinteressato,

    ha recato alla trattazione dei problemi schiettamente fisici tende di necessità a imprimere il carattere ben bilanciato e progressivo della scienza anche alla piu complessa condotta delle nostre r elaz io ­ ni sociali c morali. Per questa via le attività legislativa e politica vengono gradualmente considerate come scienze sperimentali; e la storia . . . viene intesa come archivio degli esperimenti, riusciti e non riusciti, che portano gradualmente alla soluzione del grande problema : come assicurare ai governati i vantaggi del governo con i minori inconvenienti possibili. Il celebre detto che le nazioni non imparano mai dall'esperienza, diventa ogni anno meno vero. L'economia politica , quanto meno, risulta essere basata su solidi principi, fondati sulla natura morale e fisica d ell ' uomo . . . 44 .

    Affermazioni del genere, che pure non vengono svilup­ p ate dall'autore, contribuiscono a dare un'idea della com­ plessità di prospettive entro cui andava delineandosi l'i­ deale della scienza come « conoscenza fine a se stessa » . Ideale che Herschel è forse fra i primi a riaffermare nel corso dell'Ottocento, ma che troverà come è noto altri autorevoli sostenitori . La concezione dei rapporti fra scien­ za e tecnica era piu direttamente investita da questo mutamento di prospettive e nessuno era piu indicato di Justus von Liebig per rilevarlo e sancirlo. Nel passato scriveva Liebig nel 1 8 44 - il chimico andava a consulta­ re i fabbricanti di sapone, i conciatori, i manufatturieri e i tecnici; oggi è il fabbricante di sapone, il conciatore, il manufatturiere che viene a visitare le nostre università, perché sa che ora soltanto la scienza gli può dare la chiave, la bacchetta magica che apre le porte altrimenti chiuse » 4 5 . Il saggio che Otto Sonntag ha dedicato al mutamento riscontrabile negli scritti di Liebig circa la concezione dei rapporti scienza-tecnica 46, pone ben in evidenza alcuni dei motivi che, verso la metà del secolo, inducevano a 44 Herschel, Discourse, cit., pp. 72-73. 45 Cit. in O. Sonntag, Liebig on Francis Annals of Science », 31 Cfr. nota precedente.

    Science, 46

    456

    «

    Bacon and t h e Utzlity of

    ( 1974 ) , p. 384.

    riproporre l'immagine di una scienza fine a se stessa. Sonntag rileva anche la presenza di precise anticipazioni in tal senso nell'opera di Herschel . Ma, come abbiamo osservato nel Discourse, non era solo il riaffermato prima­ to della scienza sulla tecnica a orientare le argomentazio­ ni sulla « conoscenza fine a se stessa » . Vi era anche l'ambi­ zione di fare della scienza un modello di sapere universa­ le da utilizzare in campo morale, politico e sociale oltre che nel tradizionale dominio del filosofo naturale. 4. Mentre si delineava l'immagine della scienza che abbiamo cercato di ricostruire attraverso le pagine di Her­ schel, andava sviluppandosi anche una crescente attenzio­ ne per il ruolo « nazionale » che l'attività scientifica dove­ va svolgere e per i rapporti che si sarebbero dovuti stabili­ re fra scienziati e governo. Il posto che l 'impresa scientifica occupava fra i princi­ pali interessi della nazione cominciò a venire discusso atti­ vamente in Inghilterra intorno al 1 8 3 0 . La consistenza e attendibilità del vasto dibattito prodotto allora dal pamph­ let di Babbage sul (presunto) declino della scienza ingle­ se, se paragonate a quelle delle altre nazioni del continen­ te, sono state messe in discussione dagli storici. Ma al di là della disputa « declini sta » , alcuni studiosi hanno cerca­ to di cogliere in quel dibattito le diverse opinioni emer­ genti circa il ruolo che lo stato avrebbe dovuto esercitare nel finanziamento della ricerca. J.B. Morrell 47 ha insisti­ to sulla peculiare organizzazione, ma sarebbe meglio dire « disorganizzazione », propria dell'assetto istituzionale del­ la scienza inglese del tempo, ancora largamente basato sull'individualismo, sul volontarismo e sul decentramento peculiari della tradizione del self-help britannico. Tradizio­ ne che comportava una vera e propria ostilità, condivisa da alcuni scienziati, nei confronti di ogni intervento dello stato. Un ampio saggio di Roy MacLeod 48 ha messo in 47

    ].B . Morrell, Individualism and the Structure of British Science in

    1830, cit.

    4 8 R.M. MacLeocl,

    Sciet1ce and the Treasury: Principles, Personalities

    457

    rilievo, tuttavia, il rapido incremento che si verificò co­ munque nella spesa del governo britannico per la scienza a partire circa dalla metà del secolo. Alla luce di queste ricerche sembra probabile che, nei decenni centrali dell'Ot­ tocento, la consapevolezza della necessità di ricorrere talo­ ra al denaro pubblico, a sostegno dei progetti sempre piu costosi degli scienziati, convivesse con la tradizionale diffi­ denza nei confronti dell'intervento statale. Alcuni scritti di Herschel, a cominciare dal Discourse di cui qui d occupiamo, appaiono rilevanti anche in que­ sto contesto e permettono di affermare che, quali che fossero gli effettivi contributi dello stato alla ricerca e l a tradizionale diffidenza nei loro confronti, l 'interesse a pre­ sentare la scienza come uno dei principali campi d'inter­ vento di una nazione moderna era ben vivo e presente già negli anni '30 e '40 del secolo in Gran Bretagna. Le affermazioni di Herschel piu esplicite al riguardo si trovano nel discorso da lui rivolto, quale presidente, alla British Association for the Advancement of Science riunita a Cambridge nel 1 845: È orgoglio e vanto del cittadino britannico - dichiarava Her­ schel in quella occasione - pagare serenamente le tasse qu ando è

    sicuro che esse verranno utilizzate per scopi importanti e meritevo­ li. E col progredire della civiltà siamo sempre piu convinti che, dopo che sono state assicurate la difesa nazionale, la stabilità delle istituzioni, un'adeguata amministrazione della giustizia e la buona salute della società, non vi è obiettivo piu grande e nobile né piu degno dell'impegno della nazione della promozione della scienza. In realtà, la misura in cui ciò viene avvertito è la testimonianza piii sicura del grado di civiltà di un'epoca o di una nazione 49• -

    -

    Affermazioni non troppo diverse erano già presenti nel Discourse. Nel 1 8 3 1 Herschel auspicava che l 'impe­ gno pubblico, tradizionalmente assicurato all'astronomia per la sua rilevanza pratica ai fini della navigazione, si and Policies, 1870-85, in G. L'E. Turner (a cura di) , The Patronage o/ Science in the Nineteenth Century, Leyden, 1976, pp. 1 1 5 - 172. 49 J. Herschel, Address, cit., pp. XXXI-X.'\:XII.

    458

    estendesse ad altre scienze 5 0 • Il proposito di ottenere dal governo un adeguato sostegno della ricerca scientifica era del resto avvertito in quegli anni da numerosi scienziati ed era uno degli obiettivi programmatici della nuova Bri­ tish Association, al momento della sua fondazione nello stesso 1 8 3 1 . Vernon Harcourt, che ne stese il programma iniziale, insisteva diffusamente sull'importanza di tale obiet­ tivo per la costituenda società scientifica e sapeva di poter contare, su questo punto, sul consenso di Babbage e di Brewster oltre che di Herschel, il cui Discourse veniva esplicitamente chiamato in causa 5 1 • È vero che questo obiettivo restò forse disatteso nel corso degli anni '30, come sostiene Morrell 5 2 • Ma certo la sua presenza nel Discourse e la chiara formulazione fra i tre principali scop i proposti alla nuova associazione bri­ tannica s t an n o a indicare che il ruolo nazionale della ricer­ ca scientifica era chiaramente percepito . Se vi furono forse difficoltà e ritardi nel tradurlo in pratica, resta il fatto che numerosi scienziati lo ritenevano costitutivo della rin­ novata immagine della scienza per cui si battevano. Herschel, nel 1 845, era assai efficace e concreto al riguardo : non si trattava di ottenere dal governo « soltan­ to » dei finanziamenti, ma di impegnarlo a farsi diretto promotore di una « iniziativa scientifica o di una istituzio­ ne nazionale, sia essa temporanea o permanente . . . )> 5 3 • È abbastanza ovvio che questi appelli a l governo ri­ spondevano spesso a interessi e progetti particolari dello scienziato. Cosi Morrell ha osservato che Babbage ricorre­ va piu spesso a essi per le difficoltà incontrate nel finan­ ziamento pubblico della costosa e incerta realizzazione del­ le sue macchine per il calcolo 54• Anche Herschel era spinpp. 21 3-214 e 289. Cfr. British Assodation far the Advancernent of Science, First Report o/ the Proceedingr, Recommendationr, and Tramactions, York, 1832, p. 26. 5 2 Morrell, Individualism, cit., p . 203 . SJ _T. Herschel, Address, cit., p. XXXII. 54 Una cronistoria dei rapporti fra Babbage e il governo britannico per la realizzazione delle macchine per il calcolo si trova in C. Babbage,

    50 ]. Herschel, Discourse, cit., 51

    459

    nica dell'induzione. Chi è piu competente di noi in fatto . di Illuminismo e di Positivismo potrà valutare come si collochino questi obiettivi e l'opera stessa di Herschel rispetto a essi. Certo è che le imprese scientifiche e gli obiettivi culturali e sociali, in cui un numero crescente di scienziati era impegnato nei primi decenni dell"800 in Gran Bretagna, non si lasciavano facilmente ricondurre a un sistema di pensiero semplice e coerente. Essi poteva­ no tuttavia produrre, come mostra il Discourse, stimolan­ ti « manifesti » di una cultura scientifica ormai ben consa­ pevole della propria autonoma dignità . culturale, e ben decisa a investirla nelle imprese piu ambiziose e rischiose.

    462

    fi nito di stampare nell 'agosto 1979 presso la tlpostampa bolognese via collamarlnl 5/a 40138 bologna

    ltaly